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| author | nfenwick <nfenwick@pglaf.org> | 2025-02-02 21:58:44 -0800 |
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+Beltramelli
+
+This eBook is for the use of anyone anywhere in the United States and
+most other parts of the world at no cost and with almost no restrictions
+whatsoever. You may copy it, give it away or re-use it under the terms
+of the Project Gutenberg License included with this eBook or online at
+www.gutenberg.org. If you are not located in the United States, you
+will have to check the laws of the country where you are located before
+using this eBook.
+
+Title: La vigna vendemmiata
+
+Author: Antonio Beltramelli
+
+Release Date: August 19, 2022 [eBook #68788]
+
+Language: Italian
+
+Produced by: Barbara Magni and the Online Distributed Proofreading Team
+ at http://www.pgdp.net (This file was produced from images
+ made available by The Internet Archive)
+
+*** START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK LA VIGNA VENDEMMIATA ***
+
+
+ ANTONIO BELTRAMELLI
+
+
+ LA VIGNA
+ VENDEMMIATA
+
+ NOVELLE
+
+
+
+ MILANO
+ FRATELLI TREVES, EDITORI
+ 1919
+ —
+ Secondo migliaio.
+
+
+
+
+ PROPRIETÀ LETTERARIA.
+
+ _I diritti di riproduzione e di traduzione sono
+ riservati per tutti i paesi, compresi la Svezia,
+ la Norvegia e l’Olanda._
+
+ Milano, Tip. Treves.
+
+
+
+
+LA PACE.
+
+
+Erano due brigate, due parti in eterna contesa come chi dicesse il
+fuoco e l’acqua. La vita in comune non poteva essere accettata con
+sopportazione. Dove appariva un piccolo Borghigiano c’era sempre un
+piccolo Sobborghino che s’incaricava di fargli i versacci o viceversa.
+E la cosa era vecchia quanto l’anima dell’uomo, nè accennava a
+tramutare. I cronisti più antichi parlavano dei Borghigiani e dei
+Sobborghini e narravano come le loro fraterne lotte finissero tanto
+sovente con morti e lutti, che i capitani, i podestà, i signori del
+popolo avevano emanato a più riprese leggi e bandi e divieti per far
+cessare l’ebdomanaria impresa, ma invano.
+
+Tanto i Borghigiani come i Sobborghini erano innamorati dei loro ludi,
+delle bellicose tradizioni, degli odî inveterati e non potevano nè
+sapevano farne a meno. Così, oltre il volere dei reggenti, di secolo
+in secolo, giù per i millenni l’usanza si era perpetuata e ancora,
+per quanto i nuovi tempi e le freschissime dottrine avessero attenuata
+l’antica asprezza dei rapporti, non v’era Borghigiano che non nutrisse
+un velato disprezzo per un Sobborghino e viceversa. La medaglia era
+identica su le due facce.
+
+Ho detto imprese ebdomanarie e usava infatti, al tempo degli arieti e
+delle catapulte, al tempo dei castelli e dei fossati, usava che alla
+sera di ogni sabato, piacendo al buon Dio, una brigata di Borghigiani
+si imbattesse in una brigata di Sobborghini, dato il quale incontro
+e la lièta disposizione degli animi ne nasceva tale intesa fraterna
+che l’una brigata si lanciava sull’altra e, perchè non vi fosse
+dubbio su l’intenzione, si affrettava a suonar certi colpi, a sferrar
+certe mazzate, a picchiare con tanta foga e sì dolce ardimento che
+il campo risuonava in breve di strida e di urla e di incitamenti e
+di imprecazioni. Scorreva il sangue. Qualcuno cadeva. Il rumore era
+grande. E quando le parti parevano soddisfatte si separavano e ciascuno
+si portava via i propri feriti. Seguiva una tregua fino al sabato
+venturo, nel qual sabato, piacendo a Dio, si ricominciava la sinfonia.
+
+Da che derivasse la gioconda consuetudine nessuno sapeva e men può
+saperlo la critica moderna. I cronisti sono oscuri; narrano e non
+ricercano. Gli archivi non hanno rivelato mai documenti che lumeggino
+il problema. La tradizione popolare canta le sue gesta ma non si occupa
+della causale delle medesime. Buio perfetto adunque e nel buio le due
+brigate che menavano le mani nei secoli dei secoli, in tutti i costumi,
+sotto tutti i Governi, nonostante tutte le proibizioni.
+
+La città che non nomino ma che ha d’altra parte molte consimili
+fra l’Alpe e i due mari, godeva adunque, da immemorabile tempo, del
+giostrare de’ suoi due sobborghi e per tali giostre andava nominata
+nei dintorni e nelle lontananze. Si sapeva, ad esempio, che il dialetto
+dei Borghigiani non assomigliava affatto al dialetto dei Sobborghini,
+pur vivendo entrambe le brigate entro i confini di una stessa fossa;
+correvano per il mondo circostante, come corrono tuttavia, benchè
+l’antico spirito sia ormai cosa morta, i lazzi e le burlesche calunnie
+di cui l’una parte si compiaceva di adornar l’altra e viceversa. I
+Borghigiani avevano, ad esempio, nel loro rione un magnifico campanile
+a cono, alto settantacinque metri e più, tanto che imperava su tutti i
+compagni della città. Tale campanile ridestava il loro giusto orgoglio.
+Ora siccome i Sobborghini non ne avevano uno compagno da poter opporre
+e si vedevano impossibilitati a rapire quello dei Borghigiani, andavano
+narrando a beffa che costoro per far crescere il loro campanile ogni
+anno più, venivano concimandolo ad ogni autunno coi frutti di tutte
+le stalle del rione tanto da accumulargli intorno una montagna di
+letame poi come con le abbondanti piogge autunnali il letame scemava,
+lasciando sui muri la traccia del suo antico livello, i Borghigiani
+si adunavano a festa e facevano suonare tutte le campane, e danzando e
+cantando e trepestando gridavano:
+
+— È cresciuto!... È cresciuto!...
+
+I Sobborghini, in luogo del campanile, avevano un fiume che
+attraversava il loro rione e ne erano naturalmente orgogliosi. Durante
+l’estate le brigate vi si rinfrescavano, ma con l’autunno e con le
+piogge v’era sempre la minaccia dell’inondazione. Ora i Borghigiani per
+beffare il coraggio leonino dei Sobborghini narravano come in tempo
+d’autunno questi ultimi andassero sempre armati dei loro schioppi e
+che, al minimo accenno di fiumana, corressero ad assieparsi sul ponte,
+e dal ponte, gridando e bestemmiando e facendo i più orribili ceffi che
+si fossero veduti mai, tempestassero l’acqua di schioppettate tantochè
+il povero fiume, vistosi assalito in sì mala guisa, tutto spaurito e
+sbigottito, cessava di scorrere al mare, e volto il corso turbinoso se
+ne ritornava alla nativa montagna.
+
+E i Sobborghini narravano come in un inverno frigidissimo, in cui
+la neve era caduta in tanta abbondanza da seppellirne le case, i
+Borghigiani, per impetrare pietà dal Signore e liberarsi dal malanno,
+erano usciti su la loro piazza e avevano pregato un maestro di pietra,
+che si trovava a passare dal luogo, di far loro un Cristo di neve.
+
+Il Cristo era stato fatto e tanto era parso bello ed amabile ed
+adorabile nel suo lucente candore che avevano pensato di serbarlo. Ma
+come serbarlo?... Gli anziani si erano adunati; fu tenuto consiglio e,
+per giudizio delle persone più assennate, fu deciso che il Cristo di
+neve sarebbe stato cotto al forno.
+
+— Una volta cotto è salvato! — dissero gli anziani.
+
+E il popolo disse:
+
+— È giusto!
+
+Fu riscaldato un gran forno fino ad arroventarlo e quando apparve
+bianchiccio dal calore il Cristo fu infornato di botto e tappato chè
+non dovesse uscire.
+
+E le donne pregavano e gli uomini sognavano la bellezza del loro
+Cristo bianco come la nube. Trascorsa l’ora necessaria alla cottura i
+Borghigiani si accostarono a capo scoperto addensandosi e, trepidando,
+attesero. Il più vecchio fra tutti si fece il segno della croce,
+afferrò il manico della serranda, lo trasse a sè religiosamente,
+guardò. Mille occhi si affissarono co’ suoi ricercando per entro il
+tenebrore la ben nota forma, ma non fu visto se non un po’ di bagnato.
+Allora un:
+
+— Oooooh! — lungo, incredulo, stupefatto si levò dai Borghigiani
+assiepati, e l’anziano che aveva tolta la serranda si rivolse e disse:
+
+— Ha fatto pipì e se n’è andato!...
+
+E il popolo giurò sul verbo del maestro e fu creduto che il Cristo di
+neve avesse fatto pipì e se ne fosse andato.
+
+I Borghigiani a loro volta narravano come i Sobborghini avendo un
+giorno deciso di atterrare una vecchia torre, l’avessero legata con un
+fil di lana e, afferrato il filo, come questo cedeva, si fossero dati a
+gridare:
+
+— Viene!... Viene!...
+
+Finchè non andarono tutti ruzzoloni. E così le reciproche gagliofferie
+erano squisitamente esaltate da parte a parte e correvano il mondo,
+animando le brigate, che ne facevano allegra festa.
+
+Poi, col passar dei secoli, le cose vennero modificandosi, ma l’antica
+aspra scissura non si appianò e non è appianata tuttavia; non che le
+antiche baruffe si rinnovino, ma un Borghigiano preferirà sempre un
+Borghigiano a un Sobborghino e viceversa.
+
+Una volta non si facevano mai matrimoni fra le due parti, ora se ne
+fanno; una volta, a una certa ora di notte, un abitante di uno fra i
+due rioni in contesa non si attentava di avventurarsi nel rione nemico;
+ora i Borghigiani bazzicano per le osterie dei Sobborghini e viceversa.
+Le cose han mutato segno ma l’antica tradizione non è morta tuttavia:
+abbandonata dagli uomini è scesa in retaggio ai fanciulli.
+
+Così le due masnade di marmocchi facevano onore ai loro bisnonni,
+tempestandosi di santa ragione ogni qual volta si scontrassero. Certi
+poveri piccoli cristi ostentavano con rassegnata fierezza le loro
+innumerevoli lividure, ma ciò non formava impedimento. Bastava che
+Vituperio o Scampoli, i condottieri delle due masnade, lanciassero il
+loro grido di guerra perchè dalle botteghe, dai negozi, dalle case, di
+fra le immondizie delle strade, sbucassero i componenti le due masnade.
+Le mura, il greto del fiume, la piazza d’Armi erano i luoghi dei loro
+scontri. Le baruffe non avevano termine se non quando l’una delle
+due parti fosse volta in fuga ed inseguita fin dove gli uomini non si
+potessero intromettere coi loro irriducibili scapaccioni.
+
+Naturalmente, ad ogni nuova baruffa, seguiva il parapiglia delle
+comari, che si vedevano ritornare i loro eredi malconci. Fierissime
+strida si levavano di catapecchia in catapecchia e la maggior parte
+delle volte i belligeranti venivano sottoposti a una nuova dose di
+legnate.
+
+Ma l’onor della parte faceva lieve ogni supplizio. E sempre, dove
+appariva un Sobborghino sbucava un piccolo Borghigiano a fargli i
+versacci.
+
+Così stavano le cose quando nacque bellamente al mondo la guerra
+libica. L’entusiasmo delle due masnade fu grande. Per qualche tempo
+Vituperio e Scampoli pensarono di riunire i loro gianizzeri e di
+andarsene per davvero in Libia, ma quando la cosa apparve impossibile,
+perchè dove ne parlarono non si ebbero che risa e rabuffi, dimettendo
+il pensiero della lega, ricominciarono a guardarsi in cagnesco. E
+furono nemici più di prima. Questo era naturale perchè tutti e due,
+sognando giorno e notte i turchi e non potendoli aver sottomano, furono
+predisposti a vedere, nella parte avversa, un’orda turchesca. Non
+vi fu intesa fra di loro; la cosa maturò di per se stessa; bisognava
+combattere.
+
+Furon quelli i giorni in cui le botteghe furon maggiormente disertate,
+in cui i garzoni dei ciabattini, dei falegnami e dei fabbri furon
+licenziati con maggior frequenza, in cui le catapecchie risuonarono di
+violenti rabuffi; ma che importava? Bisognava combattere. E i marmocchi
+combattevano. Come fare altrimenti se tutti i giorni avevano sotto gli
+occhi lo spettacolo dei grandi che partivano per andare alla guerra? Se
+i turchi erano in Libia potevano essere anche dietro le mura della loro
+città ed ogni Sobborghino fu turco per i Borghigiani e viceversa. Fu
+bandita la crociata. Nessuno più mantenne la foga della marmocchieria
+battagliera, nè i padri nè le madri, nè la coalizione degli adulti.
+Furono schiaffi e pugni, una robusta meraviglia. Vituperio e Scampoli
+affinarono la loro arte guerresca, ne toccarono e ne dettero finchè un
+bel giorno, dopo mesi e mesi di lotta, risuonò la novella della pace.
+
+La pace? Vituperio e Scampoli adunarono i loro marmocchi e tennero
+consiglio. Era la prima volta, nei secoli dei secoli, che fra
+Borghigiani e Sobborghini si parlava di una simile cosa. Eppure se la
+pace l’avevano fatta gli altri, i grandi, doveva ben essere una cosa
+seria. Furono sospese le ostilità, e una bella domenica Vituperio e
+Scampoli, ciascuno a capo della propria turba, si diressero per strade
+diverse ad uno stesso luogo.
+
+Il luogo prescelto era la piazza d’Armi.
+
+Scalzi, con gli enormi berretti appartenuti già a tutta una generazione
+di adulti innanzi di scendere sulle loro orecchie, con certi giubboni
+sbrindellati che si affloscivano giù giù per le stremenzite persone,
+fino alla caviglia; senza camicia, senz’altro se non il loro buon
+umore, si adunarono e partirono. Baiocco, Fringuello, Martufo,
+Piedipiatti, Boccatorta, Frosone, Virgola, Cartoccio, ciascuno col
+proprio nomignolo, come con un singolare adornamento, se ne andò a
+testa alta. C’era il signor Sole. Essi adoravano il signor Sole, come
+la signora Luna e come ogni cosa che fosse lucente. Erano come la gazza
+e la cornacchia. Qualche donna si fece su la porta.
+
+— Dove andate, canaglie, rompicolli, avanzi di galera?
+
+I marmocchi non risposero e non fecero sberleffi. Un altro giorno forse
+avrebbero scaricato sulla linguacciuta comare tutto il vocabolario
+dei loro improperi, ma quel giorno no. Andavano a far la pace e c’era
+il signor Sole. Essi lo chiamavano così perchè la parola _signore_
+significava per loro una cosa grande e lontana. Ciò che avrebbero fatto
+e detto non lo sapevano, ma Virgola cantava e Piedipiatti gonfiava le
+gote ad imitar la banda.
+
+Scampoli aveva le mani in tasca, ciò voleva dire che pensava. Quando
+Scampoli pensava doveva essere in vista qualcosa di grosso.
+
+Boccatorta chiese a Frosone:
+
+— E dopo?
+
+— Dopo che?
+
+— Dopo, quando la pace sarà fatta?
+
+— Ebbene?
+
+— Che cosa si farà?
+
+— Io credo che ci bastoneremo in un altro modo!
+
+Boccatorta sputò e Frosone dette una spinta a Fringuello perchè non
+camminava. Ne nacque un battibecco e volò qualche pugno. Scampoli non
+si rivolse, fu Martufo che s’interpose e separò i contendenti:
+
+— Non vi fate male!... Pensate che avete una famiglia!...
+
+Frosone non aveva nessuno e Fringuello viveva con una vecchia zia che
+non sapeva di averlo. Ma si rappacificarono perchè ciascuno credeva di
+avere una famiglia là dove andava a dormire, fosse pure sotto l’arco di
+una porta o in un loggiato.
+
+Guardarono il fiume. Qualcuno si soffermò a raccogliere qualche
+sasso lucente. Salirono la sponda opposta e Virgola cantava sempre e
+Piedipiatti gonfiava le gote a imitar la banda.
+
+Baiocco disse a quest’ultimo:
+
+— Vuoi finirla di sbuffare come un bue?
+
+Piedipiatti rispose:
+
+— No!... — E intonò l’inno di Garibaldi.
+
+— _Taracin, taracin, taracin._
+
+Allora, per lo spirito suo repubblicano, anche Baiocco cominciò a
+cantare. Le foglie erano color d’oro. Un pettirosso e un forasiepe
+volaron pei rami bassi a guardare. C’erano tre piccole nubi che
+correvano verso il sole, tutte scapigliate. Le montagne turchine pareva
+si fossero levate a fare una bella corona al cielo limpido.
+
+Cispola, che era il più piccolo, guardò un contadino che passava con
+una vacca e per associazione di idee disse:
+
+— Ho fame!
+
+Ma nessuno gli badò. Pancaccia ebbe un grande sbadiglio.
+
+E arrivarono in vista della piazza d’Armi. Quando videro le mura del
+Tiro a segno, qualcuno chiese:
+
+— Ci sono?
+
+Fu risposto:
+
+— Sì, ci sono.
+
+Infatti i Borghigiani erano in fondo al prato, immobili.
+
+— Che cosa fanno? — chiese Virgola.
+
+— Non vedi?... — mormorò Pancaccia. — Aspettano la pace!...
+
+Scampoli camminava sempre con le mani in tasca e così continuò a
+camminare fino a metà del prato e la sua turba dietro.
+
+Quando fu giunto a metà del prato si fermò. I Borghigiani non si
+movevano. Si vedeva benissimo Vituperio fermo innanzi ai suoi. Stettero
+così qualche tempo.
+
+— Be’?... — fece Baiocco accostandosi a Scampoli.
+
+— Be’, che cosa?... — domandò Scampoli rivolgendosi.
+
+— Che facciamo?
+
+— Si aspetta.
+
+— Ma anche gli altri aspettano!
+
+— Hai visto? — disse Fringuello. — Hanno inalberata la bandiera bianca!
+
+Si vedeva infatti un cencio pendere dalla cima di una canna.
+
+— Chi ha un fazzoletto? — fece Scampoli rivolgendosi.
+
+Nessuno rispose.
+
+— Chi ha la camicia? — riprese Scampoli.
+
+— Io! — disse Cispola.
+
+— Dalla qua.
+
+E Cispola fu costretto a togliersi la camicia che era turchina. Non vi
+si badò. Qualcuno trovò una canna e la bandiera fu fatta.
+
+Allora i Borghigiani si mossero con Vituperio alla testa. Anche
+Scampoli si mosse con i suoi.
+
+Quando le due masnade furono a dieci passi si soffermarono.
+
+Tanto i Borghigiani come i Sobborghini ridevano.
+
+— Che c’è da ridere? — domandò Scampoli.
+
+— E voi altri perchè ridete? — rispose Vituperio.
+
+Passò un silenzio. Scampoli e Vituperio si fecero innanzi. Le due
+masnade si guardavano con occhi da locomotiva.
+
+E Scampoli disse:
+
+— Facciamo pace?
+
+— Facciamo pace! — rispose Vituperio.
+
+E i condottieri si teser la mano, veduta la qual cosa i marmocchi
+d’ambo le parti si spinsero gli uni contro gli altri e cominciarono a
+baciarsi, ad abbracciarsi che era una meraviglia vederli.
+
+Se ne andarono insieme e parevano in verità tutti fratelli. Giammai un
+Borghigiano aveva avuta tanta esuberanza d’amore per un Sobborghino.
+La secolare antinomia, la lotta senza quartiere, ecco, aveva trovata
+la sua fine, la pace trionfava su la guerra; un sentimento umano su la
+barbara usanza sanguinaria.
+
+I marmocchi non sapevano e non pensavano questo, erano allegri per
+la cosa nuova, per il loro numero accresciuto, per il signor Sole che
+rideva sempre compiendo la sua strada nel turchino. E tutto pensarono
+fuorchè a riprender la strada delle loro case.
+
+Attraversarono campi e fossati, presero a sassate i cani, insolentirono
+i bifolchi per la superiorità che ogni marmocchio cittadino sentiva
+di avere su la gente del contado, devastarono qualche vigneto, fecero
+quanto più danno poterono per il loro amore che non era l’amore degli
+altri. E così camminando, piroettando, cantando, devastando, giunsero,
+ebbri di pace e di fratellanza, ad una città vicina.
+
+Come ne vider le mura sostarono. Vituperio disse:
+
+— Entriamo a portar la pace anche fra i Tonti?
+
+— Sì!... — gridaron le masnade. — Evviva la pace!...
+
+E in verità parevano tanti piccoli Arcangeli in Cristo, illuminati di
+grazia e di soavità.
+
+Scampoli raccolse un ramo di ulivo. L’esempio suo fu imitato. In
+breve la povera pianta, per la pace degli uomini, fu dispogliata da’
+suoi rami. Poi si posero in ordine, a quattro a quattro, e ciascuno
+recava il suo ramo di ulivo. In mancanza di meglio intonarono un coro
+scolastico:
+
+ Noi siamo piccoli ma cresceremo....
+
+E a gola aperta, fra lo strepito del canto stonato, agitando alte le
+loro rame si diressero verso la porta medioevale della città dei Tonti.
+
+Due piccoli Tonti li accolsero con uno sberleffo; un altro disse loro:
+
+— Che cosa venite a fare in casa nostra?
+
+Ma gli apostoli non intesero o finsero di non intendere. Varcarono le
+mura cantando sempre e credevano di andare incontro ad un’accoglienza
+trionfale, senonchè i Tonti, avvertiti dal frastuono, si erano raccolti
+in buon numero e non appena le apostoliche masnade avevan posto piede
+nella loro città che incominciò la più tempestosa sassaiuola che queste
+avesser dovuta subir mai.
+
+— Siamo amici! — gridò Vituperio. — Vi portiamo la pace!
+
+— La pace!... La pace!... — gridarono le masnade.
+
+E allora un brutto piccolo rospo della famiglia dei Tonti, un segnato
+da Dio, con un occhio cieco, la bocca torta e sciancato, come udì il
+grido si fece innanzi e in un momento di tregua gridò:
+
+— Che cosa volete?...
+
+— La pace!
+
+Lo sgorbio umano ebbe un riso sinistro, si pose la mano alla bocca e
+rispose con un suono inarticolato.
+
+I Tonti risero.
+
+Vituperio e Scampoli allibirono. Piedipiatti disse:
+
+— Torniamo indietro.
+
+Vi fu un momento di scompiglio e ancora le masnade dell’amore non si
+erano rifatte dalla loro sorpresa che una seconda frotta di Tonti,
+armati di randelli, sbucò da un vicolo, assalì i pacifici Borghigiani e
+Sobborghini e, senza che essi potessero reagire, li conciò nel più malo
+modo possibile.
+
+La rotta fu vergognosa e disperata. E da quel giorno, per il dolce
+volto di madonna Pace, la Guerra non fece che un inchino ai suoi vecchi
+messeri e cambiò luogo se non cambiò costume.
+
+Borghigiani e Sobborghini furono alleati contro i Tonti, tanto è vero
+che tutto è parziale al mondo e l’universalità è una utopia.
+
+
+
+
+LO SPAVENTA PASSERI.
+
+
+Seduto in mezzo al campo, presso la croce di canna elevata a porre il
+seminato sotto la protezione del Signore, lo squallido vecchio aveva
+a quando a quando un rauco grido e levava a stento un suo vinciglio,
+fra le mani anchilosate. Incurvo il mento sul petto, tutto pervaso dal
+tremito della paralisi, attendeva al suo còmpito dall’alba al tramonto,
+da quando i passeri scendevano dai loro rifugi fino all’ora in cui vi
+ritornavano con un frullo, mentre suonava un’Ave.
+
+Era il tempo dell’estremo autunno, chè novembre traeva l’invernata dai
+cieli preclusi, con le nebbie, le brine e le burrascose furie di Borea.
+Anche i pettirossi se ne andavano con le ultime foglie e le nostalgiche
+voci delle giovinette cantavan la leggenda di Solicello che muore
+impigliato fra i roveti.
+
+La terra si mostrava ignuda fra zone di basse nebbie o nei magici
+bagliori della galaverna. E fra le nebbie e la galaverna, sotto
+l’esigua croce di canna, rattrappito, bistorto, ravvolto come un ramo
+secco, padron Veli attendeva la sua morte in mezzo al campo seminato.
+Nè pregava Iddio che l’affrettasse, nè vedeva cosa che gli paresse
+ingiusta anche in quella sua postrema sofferenza.
+
+Vegeto e sano aveva sempre pensato, come i suoi tre figli, che tanto
+ci si può prender cura di un uomo quanto utile può rendere; ed ora
+che si vedeva immobilizzato dal male su di una sedia, più gli sarebbe
+parso atroce essere come l’aratro arrugginito o come lo stollo fracido
+che non regge il suo mucchio anzichè giovare, in quel modo che poteva,
+a coloro che avevano preso il posto di lui. Così s’illividiva sotto i
+plumbei cieli tranquillamente, levando a quando a quando un rauco grido
+o il rossigno vimine a spaventare i passeri che non vedeva ormai più
+perchè gli occhi suoi non gli mostravan del mondo se non un’immagine
+smorticcia, una teoria di fantasmi evanescenti dall’ombra densa.
+
+E Maiore e Pietro e Benedetto utilizzavano il vecchio in tal modo,
+contenti dell’opera loro e di quel qualsiasi utile che ne ritraevano.
+
+Erano costoro tre uomini scalati come tre canne di una zampogna, ma
+di uguale tipo e di anima uguale, se ben poteva dirsi anima il vago
+baglior di vita che appena schiariva la loro grossezza. Ridevan di
+nulla così come il minimo suono s’ingigantisce nelle stanze vuote,
+l’un dopo l’altro con la bocca aperta e gli occhi tondi: avevan quella
+semplicità la quale confina con l’ebetudine, ma solo fino al punto in
+cui non entrasse in gioco il loro tornaconto.
+
+Infaticati come la bestia a coltivare il campo e la vigna, consideravan
+sè stessi a simiglianza degli altri, a seconda dell’utile che potevan
+dare, nè avevan tolto moglie perchè più pane avrebbe consumato una
+donna che non ne avrebbe reso. Così conducevano la casa da soli,
+compiendo ogni opera femminile, perfettamente.
+
+Nel contado li chiamavan gli Scalzi e infatti fino ai giorni del più
+rigido inverno andavan scalzi e solo allora infilavano gli zoccoli
+quando la neve era per le vie. Nè possedevan mantelle a ripararsi dai
+rigori del gennaio, nè ferrajoli, nè altra veste che non fosse una
+pelle di pecora la quale avevan cucita alla meglio e che infilavan
+sulla giacchetta a volta a volta, chè ne possedevano una sola.
+
+Il loro mondo era in tale avarizia, all’infuori della quale nessuna
+cosa più li toccava o li commuoveva e non sapevan che ridere.
+
+Così quando padron Veli, il padre loro venerando, fu ridotto fra il
+letto e la sedia, incapace a qualsiasi opera, i tre Scalzi sentirono
+appesantirsi sull’anima loro la nube di quella vecchiaia dannosa e,
+tardando la morte a render giustizia, strologarono nel pensier loro il
+modo di far servire a qualcosa il malato.
+
+Fu Maiore che una mattina, all’alba, levato col canto del gallo, disse
+a Pietro:
+
+— Prendi il vecchio e portalo con te.
+
+— Dove?
+
+— Nel campo.
+
+Pietro trasse padron Veli dal letto e se lo caricò sulle spalle. Questi
+non fiatò, tremava soltanto, ma per la sua paralisi.
+
+Poi Maiore chiamò Benedetto e gli disse:
+
+— Prendi una sedia e vieni con me.
+
+— Dove?
+
+— Nel campo.
+
+Maiore si caricò di tre marre e andarono. Traversata l’aia, seguendo le
+redole, giunsero al campo della croce che era il più grande.
+
+Avevano seminato il giorno prima. Maiore andava innanzi. Quando fu
+presso la croce disse a Benedetto:
+
+— Metti la sedia qui.
+
+Fu fatto. Maiore la piantò bene sulla terra smossa chè non avesse a
+rovesciarsi, compiuta la qual opera, disse a Pietro:
+
+— Vien qua. Fa sedere il vecchio. Spaventerà i passeri.
+
+Padron Veli capì solo allora che cosa gli preparavano e non si dolse
+della cosa, come non si sarebbe dispiaciuto anco se l’avesser sepolto.
+
+Come fu seduto, Maiore gli disse:
+
+— Voi siete quasi cieco ma non importa. I passeri avranno paura di voi.
+Badate al grano. Se avrete fame vi ho messo il pane in tasca. Qui c’è
+la fiasca dell’acqua. Verremo a prendervi questa sera.
+
+Padron Veli non parlava più e non potè rispondere; continuò a tremare,
+la testa inchiodata al petto, le braccia penzoloni. Ma per quel che
+capì fu soddisfatto. Maiore si fermò à guardarlo. Disse a Benedetto:
+
+— Va a tagliare una rama.
+
+Benedetto andò in un filare e tornò con un vimine rossigno. Maiore lo
+pose nelle mani del vecchio e disse ancora:
+
+— Tenete questa rama. Vi farà buono per i passeri!
+
+Poi raccolse la marra, Pietro e Benedetto fecero similmente e senza
+rivolgersi se ne andarono all’opera loro.
+
+Padron Veli rimase in mezzo al seminato col suo vimine sanguigno. Su le
+prime non si rimosse, stette con le braccia abbandonate, istupidito,
+senza saper come eseguire degnamente il compito nuovo, chè nulla
+vedeva se non l’ombra degli alberi, sul cielo, e un mare grigiastro
+ed uniforme; poi a qualcosa che trasentì e che non seppe comprendere
+nell’ombra sua moritura, mandò un grido rauco e levò il vinciglio
+e così fece e continuò fra lunghe pause finchè giunse la sera e lo
+riportarono via.
+
+Il nuovo costume non fu più dimesso. Ad ogni alba gli Scalzi partivano
+col vecchio paralitico e ritornavano col tramonto. E fra le ultime
+foglie che le raffiche si portavano via frullando, fra lo strido dei
+forasiepe, l’argento delle brine, il grave aduggiarsi delle nebbie
+Padron Veli attese la sua morte che non poteva mancare.
+
+Ma egli era di salda radice e il freddo e l’umido e la nebbia e
+la pioggia non l’abbatterono. Anche quando scendeva sulla terra la
+caligine livida, sì che non vedeva la cinta degli alberi, i tre Scalzi
+che lavoravano nel campo vicino, udivano uscire dal fitto velo della
+foschia il grido del vecchio; e pareva giungesse di tanto lontano
+che già la morte l’avesse serrato e condotto giù per le sue fosche
+contrade.
+
+E Maiore diceva alludendo al vecchio:
+
+— Lavora bene!
+
+E Pietro e Benedetto assentivano.
+
+Poi giunsero le piogge e il còmpito di padron Veli parve esaurito. Dal
+primo giorno in cui il cielo si oscurò per non aver più sole il vecchio
+fu posto in una panca, vicino al focolare spento. Faceva freddo, ma
+in casa degli Scalzi il fuoco non si accendeva mai se non per cuocere
+le vivande. Quel giorno non v’erano vivande da cuocere e padron Veli
+tremava presso la cenere del focolare e aveva il volto illividito
+come quando sedeva in mezzo al seminato, fra il turbinìo del vento.
+Gli occhi gli si erano ormai chiusi e non udiva intorno che il ronzìo
+cupo delle sue stanche vene. E quel ronzìo gli figurò lo svolare e il
+pigolar dei passeri fra la sementa. Alzò un braccio, ad un tratto e
+mandò il suo rauco grido.
+
+Maiore levò il capo di su lo spianatoio e si volse a guardare. Così
+fecero Pietro e Benedetto, ma non corse parola. Dall’angusta finestra
+chiusa da un’impannata, entrava appena uno scialbo livore di luce. E,
+fra i colpi del telaio, si udiva il gran pianto del giorno senza sole.
+
+Fu una pausa durante la quale Padron Veli continuò a tremare nella sua
+solitudine moritura, poi con lo stanco gesto del braccio il suo rauco
+grido empì di nuovo la stanza.
+
+Benedetto ristette, la spola in una mano, e domandò:
+
+— Che ha il vecchio?
+
+Disse Maiore:
+
+— Si sogna!
+
+E lo guardarono un poco in silenzio. Padron Veli non vedeva e
+non udiva; udiva solamente gli immensi stormi dei passeri voraci
+cinguettare, cantare, svolare in una persecuzione senza tregua, penosa,
+e i campi erano devastati, sotto la croce di canna coronata dal candor
+della brina.
+
+Solo al quinto, al sesto grido, Maiore disse:
+
+— Si pensa di essere nel seminato e lavora!...
+
+Pietro e Benedetto risero e nessuno pensò più alla cosa. Padron Veli
+continuò nel gesto e nel grido automatico, seduto innanzi la cenere del
+focolare, illividito dal freddo, sperduto nell’ultima sua visione di
+tormento.
+
+Ma al secondo e al terzo giorno, come il maltempo non accennava a
+tramutare e il vecchio a ravvedersi, Maiore disse:
+
+— Bisogna avvertirlo che non è più nel campo!...
+
+E Pietro e Benedetto risposero:
+
+— Sì!
+
+Bisognava avvertirlo e Maiore si accostò a padron Veli, gli battè una
+mano sulla spalla, gridò:
+
+— Vecchio, siete in casa, qui non ci sono i passeri!... — Pietro e
+Benedetto ridevano. Padron Veli non intese, non poteva intendere, tremò
+un po’ più forte senza rispondere.
+
+E Maiore:
+
+— Avete capito?... Non gridate più che non c’è bisogno!...
+
+E l’opera diuturna fu ripresa, ma il vecchio Veli non aveva inteso.
+Egli non viveva ormai più se non nella sua estrema visione.
+
+Allora i tre figli si dissero:
+
+— Chiamiamo Puntèrla chè lo faccia tacere con le sue erbe!
+
+E Puntèrla giunse. Era questi un semplicista e aveva grande rinomanza
+per le campagne, chè le sue guarigioni erano prodigiose. Giunse e
+guardò padron Veli. Maiore, Pietro e Benedetto gli stavano intorno con
+la bocca tonda.
+
+Maiore domandò!
+
+— Potrete guarirlo senza farci spendere?
+
+Disse Puntèrla:
+
+— È vecchio!
+
+I tre figli assentirono.
+
+E Maiore chiese:
+
+— Che cosa potremmo dargli?
+
+Puntèrla disse:
+
+— Morirà!...
+
+I tre figli assentirono. Già, era giusto che dovesse morire perchè era
+troppo vecchio.
+
+Ora padron Veli urlava sempre più forte e la sua paralisi lo faceva
+traballare sulla sedia.
+
+— Vedete come trema? — disse Puntèrla. — Ha il male della spingarda?
+
+— Della spingarda?
+
+— Sì — fece il sapiente di semplici. — Bisognerebbe farlo sudare!...
+
+— Non basterebbe qualche pillola?
+
+— No. Fatelo sudare!...
+
+E Puntèrla si ravvolge nel suo ferraiolo. Quando fu sulla porta Maiore
+gli pose fra le mani due uova e disse:
+
+— Prendete per il vostro incomodo!
+
+Puntèrla intascò le uova senza dir parola e scomparve.
+
+Come rimasero soli, Maiore pensò per qualche secondo, poi disse ai
+fratelli:
+
+— Aspettatemi qui! — E uscì sotto il portico.
+
+Per circa mezz’ora Pietro e Benedetto lo udirono andare e venire senza
+sapere che si facesse. Padron Veli era sempre più agitato e le sue urla
+aumentavano d’intensità.
+
+Di repente la porta che immetteva nel portico si aperse, e Maiore
+apparve, vermiglio in volto.
+
+Disse ai fratelli:
+
+— Prendete il vecchio!
+
+Pietro e Benedetto ubbidirono senza domandare, com’erano soliti, chè
+Maiore poteva avere il comando, essendo il primo nato.
+
+Sollevarono padron Veli fra le braccia e uscirono. Maiore andava
+innanzi. In un angolo del portico era aperta la nera bocca del forno.
+
+— Che facciamo? — domandarono i fratelli.
+
+— Portatelo qua! — disse Maiore.
+
+Padron Veli aveva gli occhi serrati. Quando
+
+furono innanzi alla bocca del forno Maiore guardò dentro e chiese:
+
+— Potrà starvi seduto?...
+
+Pietro e Benedetto risposero:
+
+— Sì!...
+
+E l’opera fu compiuta. Quando ebbero chiusa la serranda e l’ebber
+tappata intorno con molta mota, ristettero ad ascoltare, tutti e tre
+reclini.
+
+— Ora suda!... Non urla più!... — disse Maiore.
+
+E se ne andarono tranquilli.
+
+Padron Veli sudava infatti dentro il forno serrato e più non udiva il
+cupo ronzio delle sue vene tramutarsi nell’acuto pigolìo dei passeri
+voraci. Il giorno declinò ed i tre fratelli compirono le opere loro
+in pace. Quando fu la sera, Maiore si accostò alla bocca del forno e
+chiamò forte:
+
+— Vecchio?... o vecchio?... Sudate?...
+
+Padron Veli non rispose. Pietro e Benedetto dissero:
+
+— Dormirà!...
+
+— Lasciamolo tranquillo!...
+
+— Sì, lasciamolo tranquillo!
+
+E com’ebber mangiato il loro pan secco sul palmo della mano, se ne
+andarono a dormire, contenti nella loro anima ottusa.
+
+All’alba il gallo rosso cantò presso il fico dispoglio dal quale
+stillava la pioggia. I tre fratelli si levarono e scesero nella stalla.
+
+Com’ebbero governate le bestie era il mattino, e la giornata era
+piovosa.
+
+Dall’aia qualcuno chiamò:
+
+— Oh!... Gli Scalzi!...
+
+— Avanti!... — gridò Maiore.
+
+Entrò Puntèrla.
+
+— Benvenuto! — fece Maiore. — Che volete?...
+
+— Come sta padron Veli?
+
+— Deve star bene perchè ha sudato! Non l’abbiamo sentito più!
+
+— Si può vedere?
+
+— Venite!...
+
+E Maiore e Pietro e Benedetto s’accostarono alla bocca del forno.
+Puntèrla li guardava fare.
+
+Com’ebbero aperta la serranda Maiore disse a Pietro:
+
+— Va a prendere il lume!
+
+Venne il lume e Maiore lo legò in cima a una pertica.
+
+— Ma che avete fatto?... — domandò Punterla, e stralunava.
+
+I tre fratelli si volsero a guardarlo, stupiti. Non risposero.
+
+Maiore spinse la lampada nel forno. Apparve l’ombra del vecchio,
+appoggiata all’incurva parete, ma il volto non si vedeva, non si vedeva
+che il corpo rattrapito, risecchito.
+
+— O vecchio?... — chiamò Maiore. Passò un silenzio e padron Veli non
+rispose a quella e alle nuove chiamate. Allora Maiore levò la lampada
+fin presso il volto del taciturno e, nella luce rossastra, l’orrendo
+volto apparve di un subito, come dal fondo di un sepolcro millenne.
+Non era più inchiodato al petto, ma levato fino alla vôlta del forno e
+gli occhi erano sbarrati e i capelli irti e le mascelle contratte e la
+bocca socchiusa e stirata sulle vuote gengive. Impietrito nello spasimo
+era segnato nei solchi e nell’ossa e nella cavità profonda, da una
+forza spaventevole.
+
+Maiore lo guardò tranquillo e chiamò ancora:
+
+— O vecchio?... Non ci sentite?
+
+— Sì che ci sente — sussurrò Pietro. — Guardalo!... Ride!...
+
+E Benedetto:
+
+— Ride!...
+
+E tutti e tre sporsero la testa entro la nera bocca del forno e
+ripeterono adagio, soddisfatti:
+
+— Ride!
+
+Poi, levatisi in un silenzio, si guardarono negli occhi e scoppiarono a
+ridere a loro volta tutti e tre, l’uno di fronte all’altro, inconsci e
+tremendi innanzi alla muta morte che li guatava dalla tenebra.
+
+
+
+
+LA VIGNA VENDEMMIATA.
+
+
+C’era, lungo la casa, una riga di ombra e il sole batteva tuttavia
+sui muri opposti con tanta violenza che l’aria ne era affocata.
+Le finestre e le porte erano chiuse e per la strada non c’era che
+Calandra accoccolato lungo la riga di ombra, presso il muro della sua
+casipola, le ginocchia divaricate, le braccia su le ginocchia e le mani
+penzoloni.
+
+Sonnecchiava. Ogni suo còmpito era esaurito.
+
+Interrotto il sonno, sul far dell’alba, era sorto dallo stramazzo
+bell’e vestito come si coricava e, sbirciata l’Amalia, la quale
+continuava a dormire mezza nuda, appoggiata la larga gota rossa sul
+braccio ripiegato, era disceso alla vigna.
+
+Uomo di tenace fatica, paziente, placido e resistente come il bue, non
+aveva badato alla violenza solare, protraendo il lavoro suo finchè la
+fame imperiosa non lo avesse discacciato di tra i filari.
+
+Ritornato alla casipola sua nel paese, poco dopo mezzogiorno, si era
+fatto alla madia senza cercar di Amalia, e preso un pane, un boccale di
+vinello e un bicchiere, seduto su la panca innanzi alla tavola, aveva
+mangiato il suo pane, pensando ai bei grappoli che avevano alleghito e
+ai pampini superbi.
+
+Ora sonnecchiava presso la soglia, addossato al muro, lungo l’esigua
+ombra delle gronde.
+
+Sul principio, come i suoi piedi scalzi erano ancora nel sole e gli
+ardevano, nè pensava a ritrarli, sul principio aveva udito il ronzìo
+delle mosche e un malo odore entrargli per le nari insistente, ma nè
+l’una cosa nè l’altra erano tali da fargli rivolgere gli occhi o da
+farlo scansare; vi si era adattato calando le ciglia su la sua torpida
+volontà di sonno e di tregua.
+
+Il rotolìo di uno di quei pesanti plaustri vermigli, antichi come
+l’arca e la nave, pieni di ferramenta e solidi a simiglianza dei
+quadrati buoi che li trascinano, non gli fece levar le palpebre di
+sopra gli occhi suoi grigi e piccoli come quelli del cane; un fanciullo
+che trascorse gridando come un invaso dal farnetico, ma solo per la
+barbara gioia di sentirsi vivo, non lo riscosse. Quando Calandra aveva
+chiuso gli occhi sul suo silenzio, era disceso nel torpor del suo
+riposo come nell’immensità del non essere, occorreva una ben diversa
+ragione a farlo levar di repente, diritto nel sole, con la sua piccola
+coscienza.
+
+E così ristava nell’ebetudine della siesta, simile ad un cencio gettato
+sopra una corda tesa, quando, nella casa che gli era dirimpetto, si
+aprì ad un tratto un usciuolo, un braccio si sporse e gettò in mezzo
+alla via il contenuto di un grande orcio rossigno.
+
+Il liquido si espanse per l’aria e giunse fino al muro opposto e piovve
+sul collo, sul petto e su le braccia di Calandra. Questi, al brivido
+inatteso, levò il capo e grugnì e al grugnito sordo fece seguito una
+fra quelle sonanti imprecazioni, sì comuni in Romagna, che possono
+dirsi una più scabra natura di quella gente scabrosa.
+
+Ma Calandra imprecò per l’abito suo di imprecare, così come avrebbe
+presa la marra o guardato l’aspetto del cielo; il brivido che lo aveva
+riscosso violentemente dalla sua torpida vacuità aveva ridesta la parte
+di lui più viva e più inconscia: quella che bestemmiava; era stato come
+un atto riflesso, la conseguenza necessaria di un’azione indipendente
+dalla volontà e nulla più. E con l’innocente imprecare tutto sarebbe
+finito, se la Checca, donna irosa e maligna, non avesse prese per
+sè le sùbite parole di Calandra e, riaperto l’usciuolo che già aveva
+richiuso, non si fosse fatta su la soglia per dimandare a provocazione:
+
+— Che c’è da brontolare?... Con chi l’avete?...
+
+Calandra, che già aveva ripresa la flaccida posa dell’uomo insonnolito,
+levò lentamente le palpebre e guardò la Checca co’ suoi piccoli occhi
+di cane, senza capir che si volesse.
+
+E la donnacola ribattè:
+
+— Dico con voi, sapete!... Che c’è da brontolare?...
+
+Calandra non si scompose, richiuse gli occhi e borbottò:
+
+— Chi brontola?
+
+— Voi!... E mandate degli accidenti a chi non v’ha fatto nulla di male.
+Sarebbe meglio apriste gli occhi sui fatti vostri, povero merlo!...
+
+Calandra non rispose.
+
+— Sì, fate le orecchie da mercante. A voi vi interviene come a quello
+che dava consigli al vicino perchè si guardasse dal fuoco e aveva il
+fuoco in casa!
+
+E Calandra muto.
+
+— E la gente dicono che non sapete niente, che nessuno vi ha fatto mai
+aprir gli occhi!... A crederci!... Ma se ve la fanno sotto il naso!...
+
+Calandra ritrasse le mani sul grembo, levò un poco la testa, chiese
+lentamente, come se gli fosse giunta appena appena la eco di un
+discorso strano, nel sonno:
+
+— Che cosa mi fanno sotto il naso?
+
+— Quello che non volete sapere! — fece la Checca.
+
+E Calandra con la stessa lentezza beota:
+
+— Che cos’è che non voglio sapere?
+
+— Sì, fate lo smarrito?
+
+— Che smarrito?
+
+La Checca squadrò in tralice il tardigrado, crollò le spalle, disse:
+
+— E chi non lo sa che siete becco e contento? — E su tali parole
+richiuse violentemente l’usciuolo.
+
+Allora Calandra alzò la grande mano noccoluta, si calcò su la nuca il
+cappello, che il solfato di rame delle sue viti aveva stinto e ritinto,
+sputò di traverso e disse, ma placidamente:
+
+— Vacca!
+
+E l’ira sua fu compiuta.
+
+La Checca non c’era più; la strada divenne silenziosa dall’un capo
+all’altro; Calandra ricadde nella sua immobilità di vegetale che dalle
+soglie del non essere si affaccia alla vita. Avvertì tuttavia il malo
+odore e il fitto ronzìo delle mosche, udì il grido di un bifolco a’
+suoi bovi, da un prossimo campo, e i tocchi delle ore dalla torre del
+Palagio. Non voleva darsi la fatica di contar le ore, ma le contò senza
+addarsene. L’orologio della torre aveva suonato il tocco e un quarto;
+poteva dormire ancora; ma in quel che ridiscendeva verso la profonda
+beatitudine del riposo, eccoti lo Scancio che giungeva cantarellando
+lungo la riga d’ombra.
+
+Calandra chiuse gli occhi e non si rimosse.
+
+Lo Scancio era il garzone dei Falistri, un giovinastro cane che non
+avrebbe portato rispetto neppure all’anima santa di una madre.
+
+Il Calandra non lo temeva, per vero dire, perchè egli non aveva che un
+timore al mondo ed era quello di Dio; ma la presenza dello Scancio gli
+dava sempre un malessere inesplicabile, un fastidio inespresso che lo
+lasciava scontento. Attese senza levar la testa. Lo Scancio si fermò
+all’osteria del Moro, parlò sommesso, dalla strada, con qualcuno che
+era oltre la porta, rise forte e proseguì.
+
+Ora Calandra fingeva di essere preso dal più pesante sonno. Lo Scancio
+gli gridò:
+
+— Buon riposo, Calandra!
+
+Il bifolco non rispose.
+
+E lo Scancio:
+
+— Ti fa buon pro il sonno?... Dormi, dormi, passero, che c’è chi veglia
+per te!...
+
+Calandra aprì un occhio e poi l’altro e la sua faccia era torva.
+
+— Sei stato alla vigna?
+
+Calandra non rispose.
+
+— Tu vegli la notte perchè non ti rubin l’uva, e il giorno che cosa fai?
+
+Calandra inarcò un sopracciglio in un suo particolar gesto di noia e di
+stupore.
+
+Fece:
+
+— Perchè?...
+
+— Perchè se tu andassi di giorno troveresti i ladri che non ci sono la
+notte!
+
+— Quali ladri?...
+
+— E tu va se vuoi sapere! Tu la sentirai la novella!
+
+E lo Scancio rise forte e proseguì lungo la riga d’ombra cantando una
+canzonettaccia di scherno.
+
+Poi giunse Serafina, la moglie dell’oste, e dalla strada incominciò a
+chiamare:
+
+— Amalia?... O Amalia?...
+
+Calandra aveva abbassata la faccia fra le grosse mani terrose e udiva
+il borbottare di Serafina fra il reiterato grido:
+
+— Amalia?... O Amalia?...
+
+La Checca, pronta al rumore, riaprì l’usciuolo e si fece su la soglia.
+Guardò Serafina e domandò:
+
+— Chi cercate?
+
+— Cerco l’Amalia chè ne ho bisogno.
+
+— O non sapete che non c’è?
+
+— Quando è uscita?
+
+— Saranno tre ore.
+
+— Dov’è? — domandò Serafina e ammiccò a Calandra che non levava la
+faccia di tra le grosse mani.
+
+— Che volete che sappia io? — fece la Checca. — Domandatelo a Calandra.
+
+Calandra alzò una spalla e non levò la faccia.
+
+— Allora non potrò trovarla? — domandò Serafina.
+
+— Ma sì!... Andate alla vigna che la troverete e non sarà sola!
+
+Le donnacole risero, poi l’una richiuse l’usciuolo della sua tana e
+l’altra ritornò ciabattando all’osteria.
+
+Calandra incominciò a pensare e l’opera del pensamento gli fu come una
+mortale fatica.
+
+Sudò sette camicie, ma ormai non poteva più separarsi dal tardo
+sospetto che si muoveva dentro di lui a simiglianza di un orso
+inebetito in prigionia. Non era adirato nè prossimo all’ira, e neppure
+un qualsiasi sdegno per la possibile offesa era per nascergli dentro.
+In primo luogo non era tuttavia convinto della cosa; in secondo luogo,
+se pure qualche forte dubbio lo teneva perplesso, egli non vedeva e
+non sentiva ancora il proprio atteggiamento di fronte all’avvenimento
+impensato. Eran parole che gli giravan per la mente e non altro.
+La figurazione materiale del tradimento, l’unica che avesse potuto
+smuoverlo, non gli si presentava. Vedeva tutt’al più la vigna,
+l’Amalia, la strada affocata dall’ardore, il suo capanno di guardia, i
+bei tralci delle solide viti, e non quell’alcunchè di preciso che muove
+la violenta gelosia nell’anima degli uomini. Si traviava dietro le
+chiacchiere udite, ma non aveva sentimento che lo spingesse ad agire,
+come avrebbe agito un uomo par suo, a simiglianza di una catapulta.
+Nello stesso tempo la dolce ebetudine del riposo era scomparsa, epperò
+si tolse dal muro, aprì l’uscio della casipola, entrò.
+
+Ancora gli sorrise la speranza di trovare l’Amalia addormentata in
+qualcuna delle quattro stanze e di potersene ritornare così alla sua
+vigna senza altro pensiero; ma l’Amalia non c’era. Ebbe lo scrupolo
+di guardare anche negli angoli, di smuovere lo stramazzo dell’enorme
+letto, di aprire l’armadio, ma non vide la sposa sua dalle rotonde
+guance vermiglie e dal grande seno bestiale. L’Amalia non c’era, se
+n’era ita a nozze con Martin della Fratta.
+
+Calandra uscì e chiuse a chiave la porta di casa. Non seppe bene se
+facesse questo per guardarsi dai ladri o perchè l’Amalia non rientrasse
+durante l’assenza di lui; gli venne fatto di girar la chiave nella
+toppa e tirò di lungo.
+
+La stradicciuola del paese sboccava ben presto nella campagna. Calandra
+si trovò fra le faticate terre degli uomini, senza volerlo. L’abitudine
+e non la volontà lo aveva avviato lungo il cammino che egli percorreva
+da quarant’anni: dalla casa alla vigna. Si soffermò. Riconobbe i campi
+dei Falistri, i campi dei Vicelli; si interessò alle culture; vide
+che i grani dei Falistri erano i più belli, fece in sè le lodi del
+capoccio. E udì suonare una campana. Si tolse il cappello a quella che
+egli riteneva la voce di Dio, inchinò gli occhi e ancora non li aveva
+tolti di su la terra riarsa che si sentì domandare:
+
+— Dove vai, Calandra?
+
+Levò la faccia e vide don Beniamino, a cavallo della sua rozza.
+
+Calandra si passò il cappello da una mano all’altra. Disse:
+
+— Vado.... andavo.... così....
+
+— Metti il cappello.
+
+— Grazie, don Beniamino.
+
+— Be’ — fece il parroco — come vanno gli affari?
+
+— Ah!... se è per gli affari, non c’è male, si tira innanzi! — rispose
+Calandra.
+
+— Che altro c’è allora?
+
+Calandra si rimise il cappello e rispose:
+
+— Niente.
+
+Don Beniamino fece girare il parasole color cenere che aveva appoggiato
+ad una spalla e stava per congedarsi quando Calandra gli si accostò e
+prese la brenna per la capezza.
+
+— Sentite, don Beniamino, vorrei domandarvi una cosa.
+
+— Di’!
+
+— Se un uomo avesse moglie e gli fosse detto che questa moglie gli fa
+le corna, che cosa avrebbe diritto di fare quest’uomo?...
+
+— Prima di tutto avrebbe il dovere di accertarsi se l’accusa fosse
+giusta.
+
+— Sì. E poi?
+
+— E poi, una volta che fosse riuscito a procurarsi delle prove
+inattaccabili, potrebbe separarsi dalla moglie.
+
+— Questo sarebbe il suo diritto?
+
+— Sì.
+
+— E se quest’uomo trovasse la moglie con un altro dentro un capanno in
+una vigna, che cosa avrebbe diritto di fare?
+
+— La cosa sarebbe grave!
+
+— Potrebbe prendere un randello e rompere le costole a tutti due?
+
+— Eh!...
+
+— Questo sarebbe il suo diritto?
+
+— Forse sì e forse no....
+
+— Bene. Arrivederci, signor parroco.
+
+— Dove vai?
+
+— Alla vigna.
+
+— A quest’ora bruciata?
+
+— Sì.
+
+Si separarono.
+
+Ora Calandra ci vedeva chiaro. Nel mondo della sua angusta coscienza si
+erano venute formando una convinzione e una risoluzione; le parole del
+parroco avevano diradate le gravi nebbie. Calandra sapeva la propria
+strada. Era disposto ad agire perchè riteneva che tale fosse il suo
+còmpito e nessun altro; ma, nel cuor suo piccolo di bove dai placidi
+sensi, non era turbamento di sorta. La passione, la gelosia, l’offesa
+dignità di marito trascurato fino all’ultimo limite non avevan parola
+che lo commuovesse. Egli avrebbe, con tranquillità in nulla diversa,
+fermato un bue tragiogante o un gagliardo ladro nella sua florida
+vigna. Non che l’Amalia fosse una vigna per lui, anzi non era ormai che
+una maggiatica, una terra in riposo, chè la sterilità di lei glie la
+faceva maledetta da Dio; ma capiva che l’Amalia era sua come la terra e
+l’aratro e la sua solida marra e il letame.
+
+Tagliò frattanto, da un querciolo, un suo solido randello e, quando fu
+presso la vigna, prese una via traversa e preferì aprire un varco nella
+siepe anzichè entrare dal cancelletto di spine. Ogni cosa era immota
+nell’accasciante calura. Disseccate le fonti, inariditi i torrenti, la
+terra si distendeva intorpidita e riarsa fra lo stridere di un mare di
+cicale.
+
+Calandra proseguì carponi. Era sotto la siepe. Ora aguzzava i
+piccoli occhi di cane e stava su l’intesa se gli giungesse la voce
+degli adulteri. E se non c’erano? E s’egli avesse dovuto forzare la
+sua faticata siepe per nulla? Non si udivano che le cicale, quelle
+maledette cicale che pareva stridesser più forte tanto da coprire
+ogni altro suono. Scoprì finalmente, più presso la proda del fosso,
+un piccolo varco nella siepe, un varco aperto dai polli e dai cani,
+ma tanto piccolo che appena vi sarebbe passato un fanciullo. Calandra
+non vi badò; troppo gli sarebbe stato penoso dover aprire la siepe
+in un altro punto; si distese, infilò la testa nel vano, fece forza
+di braccia, puntò, cercò di inarcarsi, ma le spine gli entravan
+per le carni e lo facevan dolorare. Poi, appena era passato con una
+spalla, e il braccio gli sanguinava, che una gallina si levò dal suo
+caldo nido fra la terra e urlando e schiamazzando e traendo dal suo
+beccaccio giallo i più acuti strilli che mai fossero usati, fuggì come
+una freccia tra i filari delle viti. E lo spavento di quella mosse lo
+spavento di tutte le galline che dirazzolavano per la vigna, tanto che,
+nel batter di un ciglio, fu tale e tanto il frastuono che non solo gli
+adulteri ne sarebbero venuti in sospetto, ma qualsiasi altra creatura
+che non avesse ragioni a timore.
+
+Calandra rimase inchiodato alla terra, imprecando, in cuor suo, a
+tutti i volatili immaginabili, e vedeva, di tra i fusti delle viti, il
+suo capanno di paglia rilucer nel sole. Vedeva e attendeva un attimo
+di calma per riprendere l’aspra sua lotta con la siepe che lo teneva
+prigione, quand’ecco dischiudersi l’usciuolo del capanno e uscirne
+Martin della Fratta.
+
+Calandra rimase impietrito; guardava come se vedesse l’inverosimile.
+L’uomo si volgeva intorno, chinandosi poi a mormorar qualcosa a chi
+era tuttavia fra la paglia. Dopo un istante ecco balzar fuori dal covo
+l’Amalia, scomposta, scarmigliata, accesa come il ferro su l’ancudine.
+Ridevano, si baciavano. Poi Martino diceva:
+
+— Hai sete, bellona?
+
+E l’Amalia a ridere fin che Martino non si chinava a vendemmiare i suoi
+bei grappoli, i suoi bei grappoli conti e adorati come l’immagine della
+Vergine e come quella del re, su le monete d’oro.
+
+Allora Calandra si smagò. Più valeva un chiccolo della sua vigna
+anzichè tutte le donne della terra; ed era come se gli strappassero il
+cuore il veder lo scempio che ne facevano quei cani. La violenza che
+non lo aveva tuttavia scombuiato, si levò su, di scatto, dall’anima
+di lui, squassando le sue fiamme rossigne; egli ne sentì l’impeto,
+la furia, l’imperiosa volontà e incominciò a urlare e a dibattersi
+a rovina entro la sua morsa lacerante. Gli adulteri sbiancarono, si
+guardarono smarriti, riconobbero la voce di Calandra. E, nell’attimo
+della sorpresa, temendo ch’egli fosse su di loro a stroncarli, non
+pensarono a fuggire. Lo sbalordimento dell’inatteso li inebetiva, ma
+poco durò tale sbalordimento, chè Martin della Fratta, vedendo Calandra
+alle prese con la siepe impervia, gridò all’Amalia:
+
+— Guardalo dov’è!...
+
+E mai non furon presti due cerbiatti a fuggir per le selve come essi
+si salvarono, balenando via a guisa di razzi. E si udì nel contempo un
+alto crescere di grida e di risa come di gente che facesse l’abbaiata.
+
+Calandra balzò in piedi alla fine e fra il sangue e il terrame e
+l’obliquo color del suo volto era orrendo a vedersi. I suoi piccoli
+occhi di cane sfavillavano sinistri fra i capelli che gli coprivan la
+fronte e l’ispida barba nascente. Si levò nella sua massa bestiale,
+tutto lacero nei panni, e raccolse il randello e si lanciò per la
+vigna. Non vide, nella sua furia, un filo teso a reggere le viti e sì
+malamente vi incappò da andar ruzzoloni.
+
+Allora l’abbaiata crebbe, le voci si avvicinarono, la gente aveva
+invaso la vigna. Non si udiva più che un gridìo intermesso da risate
+omeriche. Da dove sbucava la masnada? Chi l’aveva spinta fin laggiù,
+nella sua terra benedetta?...
+
+Calandra si rizzò e più non aveva l’aspetto d’uomo; era anzi una bestia
+orrenda da esserne guardinghi. Ma l’abbaiata non cedeva; ma gli uomini
+e i fanciulli e le donne non volevano rinunciare alla loro barbara
+gioia e venivano innanzi per la vigna gridando, ridendo.
+
+Calandra li squadrò senza smuoversi.
+
+Era primo lo Scancio e batteva un sasso sopra una sua pentolaccia di
+rame traendone un suono stridulo ed assordante; lo seguivano altri
+uomini e fanciulli, con arnesi simili. Calandra pareva impietrito e
+lo Scancio non vide la sua faccia perchè proseguì fino a fermarsi a un
+passo da lui e quando fu fermo fe’ cenno a tutti che tacessero e levò
+la voce e disse:
+
+— Calandrone, li hai trovati gli storni?...
+
+Si levò una risata grande, ma i fanciulli videro torcersi la faccia di
+Calandra, videro serrarsi le due mascelle quadrate e gli occhi brillare
+di fuoco e le grandi mani terrose stringersi e il randello levarsi e
+piombare giù diritto, con la forza del toro, su la testa dello Scancio.
+
+Fu per l’aria un solo urlo acutissimo. Un getto di sangue si levò nel
+sole.
+
+Lo Scancio stralunò, la testa squarciata, girò su sè stesso,
+strapiombò, finito.
+
+E le facce degli uomini divennero di morte e non si udì più un fiato,
+di fronte al colosso stravolto, ma solo un busso di passi precipiti,
+una travolgente fuga.
+
+Un’ora dopo, quando don Beniamino andò alla vigna e primo accostò
+Calandra e gli domandò smarrito:
+
+— Calandra.... Calandra, che cosa hai fatto?
+
+Questi si volse a guardarlo, torse la bocca e disse:
+
+— Prete, ne avevo il diritto!...
+
+Ed altro più non disse nè allora nè poi.
+
+
+
+
+PADRE SERENITÀ.
+
+
+Una casetta fra le “larghe„ e Padre Serenità su la soglia.
+
+Lo vedevo ogni sera allorchè m’imbattevo a passare per quelle redole
+verso un’aia festosa di gramolatrici. Avevo sedici anni in quel tempo e
+Padre Serenità ne aveva novanta.
+
+Era l’autunno. Un autunno della mia vita, sereno più che un cielo
+appena commosso da qualche cirro imbevuto di sole, piccolo come la
+perla. L’amore, il gaio amore, era disceso al mattino nell’anima mia
+pensosa con le allodole e l’aria, rimovendo la mia sostanza fino alle
+più riposte fibre in una immaginosa dolcezza. E tutto era vergine
+innanzi a me come l’anima mia al mondo; ed ogni limite insuperato era
+una promessa di gioia.
+
+Avevo sedici anni e l’amore.
+
+Quali e quante cose mi erano innanzi allora chè io non godessi? E così
+andavo con la mia benedetta allegrezza come per una eternità.
+
+La terra non aveva orme, il mondo non era stato mai veduto. Io ero il
+primo. Con me erano nate le fonti, gli alberi, le stagioni, i costumi
+degli uomini, la vita. Non sapevo nulla, sentivo; ma con impeto divino.
+Solo ch’io mi rivolga e sogguardi, ora che ho passato i limiti e
+hanno nevicato i capelli, rinasce dalla visione precisa, un identico
+commovimento che gli anni non hanno seppellito ed il tempo non ha
+tramutato; nulla è pianto o rimpianto, o desolazione che, se la porta
+lontana si dischiude, ne ritorna la mia giovinezza col suo gran fascio
+di fiori e mi s’abbranca.
+
+Rivedo la viottola insolcata dai plaustri, coi due margini erbosi sotto
+le selvagge siepi di marruche e di prugnoli; la terra olivigna, le
+pediche fonde dei bovi. Un ombreggio di roveri solenni, qualche varco
+sui campi, ma rado, e scarsi tuguri col nero forno e la disselciata
+“capanna„.
+
+Quando pioveva era tutto un pantano. Si giungeva alla viottola passando
+dalla chiesuola di San Bartolo e dalla casa dei Giuliani, per la
+bianca strada che conduce a Durazzano. Passata la casa dei Giuliani si
+volgeva a destra per un piccolo ponte e si era nel regno antico che
+ricordava le campagne medioevali, senza strade, percorse unicamente
+da fonde viottole, impraticabili al tempo delle piogge. In breve ogni
+altra vita era lontana. E gli uomini che si incontravano per quei
+silenzi pareva giungessero da un tempo remoto. Era raro udirvi il lento
+disperdersi di un cantare malinconico; più spesso si udivan le allodole
+e le rondini. Voci del cielo. Ed uno camminava fra i prugnoli, coi
+loro piccoli frutti violastri, come se andasse per la strada del sogno
+verso un paese insospettato. Talvolta trascorreva, rasentando le siepi,
+un cane giallo, sudicio e irsuto; tal’altra un fanciullo selvatico
+che atterrava la faccia aggrottata per non parlare e si fermava a
+guardarvi da lontano; ma più spesso nessuno. E dalla viottola serrata
+si sbucava nella chiara vastità delle “larghe„ di Castellaccio. Un mare
+di lupinelle con isole di pioppi e dense rive di alberi intorno; il
+paradiso delle allodole e delle lepri.
+
+E nel cuore di tale vastità viveva Nicolao di Zaccaria, il vecchio
+novantenne ch’io chiamavo per amore Padre Serenità.
+
+La sua casipola si acquattava fra tanto spazio, come a radicarsi alla
+terra più tenacemente e aveva al centro un “portico„ disselciato sul
+quale si aprivano due basse stanze. Anche aveva una vite, a solatio, e
+un pozzo ombreggiato da un fico.
+
+Quando dietro i colli della sera scendeva l’ultima luce a languire
+lontana, col sorriso della stella che accora, e le vergini e le
+innamorate uscivano per le aie e si fermavano alle siepi ad ascoltare
+una parola sommessa; quando le bocche si facevan baciare per nostalgia
+dell’amore, al suono di un’“Ave„ mi avviavo pei campi, solo con la
+mia felicità. E, via per i primi silenzi, trascorreva l’impeto di una
+“battolata„[1] da un’aia nel vespero. Era lo scroscio di venti gramole
+in ben misurata cadenza, il richiamo ardito agli sperduti; poi che
+vespero campeggiava fra i pioppi e dietro le rosse vigne.
+
+_Ecco ch’io t’amo e ti offro l’ombra e la bocca e il mio palpito di
+moritura, poi che è più bello morire che non esser amata_....
+
+Una pausa.
+
+_E il giorno di San Giovanni, amore, il giorno di San Giovanni quanto
+spicanardo raccolsi_....
+
+Il volto del cielo smoriva come la faccia dell’innamorata.
+
+_Sorelle, sorelle!... La bella estate ci vuole e il vomere fende la
+terra_....
+
+_Cogliamo lo spigo; non pel granaio, ma per l’arche; per l’arche e le
+lenzuola e che l’amore si sogni di dormirci a lato_....
+
+_Canto a morire, che m’oda.... passan tre nuvole, in alto, fra le
+montagne e la luna_....
+
+La veste del silenzio si era fatta più verde. Nascevan di me
+le canzoni, i frammenti, il commovimento che cingeva la vita in
+un’impetuosa serenità.
+
+_Ecco ch’io t’amo e t’offro l’ombra e la bocca_....
+
+E la “battolata„, sorta da qualcuna fra le isole di pioppi, sparse per
+la “larga„, moriva nel silenzio della sera.
+
+Compivo la strada senza addarmene, come la nube e il vento e l’acqua
+soffusa di cielo, senza nozione del tempo e del suo rapido trascorrere,
+chè la mia vita era tutta avvenire e non lasciavo ombra dietro le
+spalle.
+
+La voce di Nicolao mi coglieva sempre alla sprovvista.
+
+— Si va a “gramadora„?
+
+Volgevo gli occhi. Il vecchio era sulla soglia, incontro alle montagne
+della sera.
+
+— Oh, Nicolao!
+
+— Padrone, buonasera.
+
+— Buonasera.
+
+Accendeva la pipa chioggiotta. E pronosticava il sereno, la pioggia o
+la nebbia, leggendo nello spazio ciò che sfuggiva ad ogni altro.
+
+La sua parola era franca, i suoi occhi limpidi, la grande vecchiezza
+non gli annebbiava la mente.
+
+Ho del mio amore e di questo vecchio la più chiara memoria.
+
+ ❦
+
+Socchiudeva la porta.
+
+— Venite, nonno?
+
+— Vengo.
+
+— Non serrate l’uscio?
+
+Alzava le spalle.
+
+— Chi volete che rubi ad un povero vecchio? I miei quattro stracci non
+fanno gola a nessuno.
+
+— E se passa una “brutta faccia„?
+
+— Per queste maggiatiche?... In tutta la mia vita non c’è capitato che
+un bandito, una volta, al tempo del Papa.
+
+S’andava insieme di pari passo e su la soglia della piccola casa
+acquattata fra le larghe non restava che il cane accucciato: il muso
+fra le zampe e gli occhi aperti. Padre Serenità amava la compagnia dei
+giovani. All’opposto dei suoi coetanei, inciprigniti in una malinconica
+stanchezza, egli cercava i ritrovi, sedeva alle feste dei giovani
+e vegliava fino all’ora sua proverbiale, l’ora di Nicolao, come la
+chiamavano le genti: le dieci. Quando eran le dieci di notte riprendeva
+la sua mazza ferrata, la “capparella„ se era d’inverno o la cacciatora
+di bordatino se d’estate e, girati intorno i suoi piccoli occhi
+celesti, dolcemente gai fra i solchi della sua faccia antica, lanciava
+il consueto augurio:
+
+— Vi saluto, gente!
+
+E allora, o fosser guidate le danze sul ritmo di un valzer di Zaclên
+o fosse sviata la comitiva dietro un rifacimento delle istorie
+cavalleresche, tutti ristavano e si rivolgevano al vecchietto ad
+augurargli la buona andata.
+
+Ancora amava motteggiare e stare alla baia, sollecito alla risposta
+come al frizzo salace, pronto all’aneddoto, spedito di lingua,
+tranquillo, senza fiele per nessuno.
+
+Le ragazze gli si sedevano intorno; egli le chiamava figliuole, le mie
+figliuole: e veramente se fosse occorso ch’egli avesse avuta necessità
+dell’opera loro, non una, ma tutte, tutte quante gli sarebbero state
+intorno perchè la bontà non è vana fra i semplici di cuore. Nonno
+Nicola si faceva amare. Tutta la sua vita gli era a specchio di
+chiarezza. Povero, combattuto dalla disgrazia, i figliuoli lontani ed
+immemori, egli non si era invelenito. Il suo dolce cuore era il centro
+del mondo e non vi dimorava nè amarezza nè sdegno. Egli doveva amare:
+era la sua necessità e la sua gioia; amare, sorridere, veder negli
+uomini il sereno che aveva in sè, e in realtà dove appariva era come se
+una mite lampada ardesse a raccogliere gli sperduti.
+
+E non lo chiamavano Santo perchè era vicino a tutti, era un po’ il
+cuore di tutti, la simpatia umana che non traligna ma sempre si rinnova
+concedendo, perdonando, solo per amare. E gli uomini angustiati fra
+spine e triboli, col cuore gravato dalla semitica maledizione, gli
+si stringevano intorno ebbri della sua dolcezza perchè non si semina
+invano tra chi soffre e lavora.
+
+Io so che se egli avesse voluto essere qualcosa più e non un umile fra
+gli umili; se il Dio che aveva nel cuore lo avesse guidato a parlare
+con la stessa ingenua freschezza con la quale narrava dei fatti della
+sua vita e dell’altrui, avrebbe avuto con sè le turbe. Prima le donne
+ed i fanciulli, gli uomini poi; gli uomini chè se bestemmiano il
+giorno, la notte si impaurano e, su cento, uno forse e non più d’uno
+non sente ribrezzo del transito senza speranza.
+
+Ma nonno Nicola, se pur lasciava intravedere la sua fede, ferma come
+la stella incatenata in capo all’Orsa, non parlava di Dio come non si
+parla del fiore che vi cresce nell’orto e del pensiero che vi illumina
+la vita, perchè il dirne sarebbe un corromperne il segreto incantesimo
+e la parola è spessa innanzi alle chiarità dello spirito.
+
+Bene; io so che i suoi novant’anni valevano la più ricca primavera.
+
+Si andava dunque ogni sera, in quell’autunno della mia giovinezza,
+a cercar le aie dove le festose ragazze cantavano le romanelle e,
+curve sulle gramole, dipinte a rose rosse e turchine, ripulivano i
+lisci mannelli dagli ultimi canapuli. Era prescelta l’aia dei Giuli.
+Ivi sotto un olmo gigantesco, fra una siepe e i pagliai erano adunate
+le gramole in semicerchio e, a notte, una lampada appesa ad un ramo
+per una funicella, blandiva col suo discreto chiarore la tenebra.
+Se pure la rotonda luna non si affacciasse da sopra la casa a spiare
+l’adunata. Di prima sera, compìta la cena sul pugno, essendo le ragazze
+alle gramole, sbucavano gli innamorati o dai varchi delle siepi, o
+dall’entrata dell’aia e qualcuno, più protervo, portava la doppietta
+a bandoliera mentre tutti quanti avevano cura di nascondere la faccia
+sotto le ampie tese del cappello.
+
+C’era chi lanciava l’augurio serale all’adunata e chi, approfittando
+del frastuono, scivolava nell’ombra inavvertito e sedeva silenzioso,
+come gli altri, sulla capra della gramola prescelta.
+
+Ora eravamo una sera più numerosi che mai e più numerose erano le
+“doppiette„ e c’era Giovanni dei Bissi che raccontava la storia di un
+suo singolare paladino, quando la Moffa (la Pallida), una ragazzona
+sgraziata dalla testa troppo piccola su due spalle da gigante, si fece
+in mezzo all’adunata e susurrò intimorita:
+
+— Ragazzi, c’è il Mancino!...
+
+E l’adunata ammutolì. Tutti ci guardammo intorno e per qualche istante
+non si udì che il biolco il quale canticchiava nella stalla. Poi
+qualcuno domandò:
+
+— Dove l’hai visto?
+
+E la Moffa:
+
+— Dietro la siepe. Eccolo!...
+
+Come fosse riuscita a distinguere nella notte la figura del Mancino e
+come l’avesse riconosciuta, nessuno seppe perchè le siepi erano lontane
+dal punto nel quale ci trovavamo e la notte era oscura. Sta di fatto
+che poi ch’ella ebbe detto: — Eccolo!... — un uomo entrò nell’aia e si
+avvicinò.
+
+Solo lo riconoscemmo quando, giunto a tre passi da noi, si fermò e ci
+chiese: — Perchè state zitti? — poi, senza che nessuno gli badasse,
+tirò di lungo e andò a sedersi sulla gramola della Pallida. Seduto che
+fu, depose la doppietta fra i ginocchi, accese la pipa e si volse a
+parlare tranquillamente alla ragazza, la quale, tanto era stordita,
+che gramolava a vuoto senza il mannello di tiglia. L’allegria se ne
+andò. Giovanni dei Bissi lasciò la sua storia a mezzo, furono scambiate
+parole rade e sommesse.
+
+Un inespresso disagio si era impadronito di ciascuno di noi e l’unico
+che pareva non accorgersi di questo era il Mancino. Si udiva il
+susurrìo della sua parlata tranquilla. La Moffa lo ascoltava senza
+rispondergli mai. E così trascorse un’ora senza che la comitiva si
+orientasse ad una gaiezza nuova.
+
+Da sopra alla casa salì nello spazio la luna.
+
+Si udì lo schianto di due schioppettate lontane; dopo un silenzio se
+ne udì una terza, poi altre due più rapide. Anche il sommesso parlare
+si quetò e dapprima fu un cane che latrò sordamente da un’aia remota,
+poi furono dieci e venti tutt’intorno dall’immensa campagna assorta fra
+il silenzio e la luna. Qualcuno disse: — È stato all’aia dei Forlani.
+Hanno le gramolatrici. Lo zoppo si è vendicato della Gilda di Bartolo.
+
+— Ma se avevano rifatto pace!
+
+— No!
+
+Altri due colpi rintronarono nella notte.
+
+— Sentite?... — disse la Bionda del Mago. — Le “fa le corna!„.[2]
+
+Dopo una pausa si udì una terza schioppettata.
+
+— Gliele han “guastate„! — disse la Vignaiuola.
+
+Ma a questo punto il Mancino si levò di scatto dalla gramola e si
+udì lo schiocco di due solidi schiaffi e una sola parola li consacrò,
+schietta e violenta.
+
+La Moffa rimase impietrita. Guardò il Mancino, lasciò cadere il manico
+della gramola; ma in quel che l’uomo si rivolgeva, come se la voce di
+lei insieme alla sua conoscenza si ridestasse solo allora, urlò a voce
+strangolata:
+
+— Sei un vigliacco!
+
+Il Mancino levò un braccio, ma questa volta la ragazza gliel’afferrò
+attanagliandolo con le piatte mani robuste.
+
+Rimasero di fronte a guatarsi. Nessuno intervenne, ma tutti ci levammo,
+l’un dopo l’altro. Di repente il Mancino tentò liberarsi con uno
+strattone violento. La gramola si rovesciò.
+
+— Lasciami andare!
+
+E la ragazza, alta, noccoluta, dal corpo di maschio saldamente piantato
+sulle ignude piote, non aprì bocca.
+
+— Lasciami andare!... — La voce del bandito cresceva inasprendosi,
+come l’ira sua; ma la gramolatrice non battè ciglio; aveva il viso fra
+l’ebete e il feroce, fermissimo, senza commovimento.
+
+L’attanagliato tentò un secondo, un terzo scrollone; non si liberò;
+allora con la mancina, che aveva libera, brandì la doppietta per le
+canne come una clava, l’alzò, mirò al capo della taciturna e scagliò il
+colpo.
+
+Ancóra mi si gela il sangue se ripenso allo strido delle donne. La
+cassa dello schioppo sfiorò la Moffa, ma non la colpì. Ci stringemmo
+attorno al Mancino. Robbone gli strappò la doppietta. Il biolco giunse
+con la corda de’ buoi; ma il Mancino era libero.
+
+Come si vide circondato non rifiatò. Parve rassegnato a lasciarsi
+prendere, ma quando gli uomini più fecero a fidanza nella sua
+debolezza, egli ne approfittò che, di un subito, con un lancio
+prodigioso, saltò la gramola, rovesciò il Rossello e lo Svina che gli
+stavano innanzi e fu al fianco dei pagliai. Ciò avvenne nel tempo di
+dir Ave.
+
+Come fu ai pagliai si rivolse e ci guatò ghignando. Disse:
+
+— Ragazzi, datemi il mio schioppo!
+
+— Daglielo — mormorarono i più prudenti.
+
+Robbone si fece innanzi e glie lo tese. Disse:
+
+— Va per la tua strada!
+
+Ma il Mancino gli gridò:
+
+— Scànsati! — E portatasi la doppietta alla spalla puntò la Moffa.
+
+Fu un baleno ed un grido. Vedemmo la Moffa inarcarsi su la sua gramola
+e stramazzare.
+
+ ❦
+
+Una sera eravamo su l’aia, incontro alle “larghe„. Già volgeva al suo
+fine il novembre, ma non era giunto tuttavia il freddo. Da poco era
+trascorso Giovanni dei Bissi con le panie e le gabbie dei richiami.
+S’era fermo a dir qualche parola dileguando poi fra le pozzanghere
+della viottola motosa.
+
+Passavano dei buoi lontanamente verso una stalla remota e una sola
+allodola discendeva cantando dal cielo al suo rifugio fra le lupinelle.
+Padre Serenità sedeva sopra un vecchio aratro arrovesciato. E si
+taceva. Quand’ecco che, alzando gli occhi, vidi qualcuno che si era
+fermo dietro la siepe e ci guardava; ma in quel che feci per levarmi,
+l’uomo si diresse all’entrata dell’aia e fu di fronte a noi.
+
+Aveva il cappello tirato su gli occhi. Non lo riconoscemmo.
+
+Era scalzo; aveva un sacco gettato sulle spalle, lo schioppo e un
+coltello alla cintura.
+
+Padre Serenità si levò a sua volta.
+
+— Che volete? — domandò.
+
+— Da dormire — rispose l’uomo.
+
+— Non ho posto.
+
+— Mettetemi nella stalla; mi basta un po’ di paglia.
+
+Padre Serenità gli si fece sotto, lo guardò fisso e domandò:
+
+— Sei tu, Mancino?
+
+— Sono io.
+
+— Be’, vieni avanti.
+
+Lo condusse nella stalla. Dalla morte della Moffa, il Mancino si era
+dato bandito e nessuno più l’aveva veduto nei dintorni. Si credeva
+fosse fuggito in America. Ogni ricerca era stata vana.
+
+Li seguii in casa. Nicolao richiuse la porta e tirò il catenaccio. Mi
+disse:
+
+— Accendi il lume.
+
+Il Mancino gettò il sacco in un angolo, ma non si separò dallo
+schioppo. Sedette sulla panca innanzi alla tavola. Era torvo e taceva.
+
+— Avrai fame! — fece Padre Serenità.
+
+— Sì — rispose il Mancino.
+
+Poco dopo mangiava avidamente senza levar gli occhi.
+
+Padre Serenità non gli chiese nulla di nulla, nè io interloquii. Dopo
+ch’ebbe mangiato, lo conducemmo nella stalla, dove si gettò su una
+lettiera di paglia e si addormentò quasi subito col suo schioppo al
+fianco.
+
+Quando richiudemmo la porta, Padre Serenità disse:
+
+— Se è tornato è segno che soffre!
+
+E per quella sera ci lasciammo senza aggiunger parola.
+
+Nicolao sapeva ch’io conoscevo come lui la sacra legge dell’ospitalità
+e che il Mancino doveva esserci sacro per quella notte perchè era
+venuto a domandarci la pace nel nostro rifugio.
+
+Salii alla mia stanza, che era presso alla colombaia. Nei mesi di
+caccia, per esser più pronto a trovarmi sui luoghi, dormivo nella casa
+di Nicolao, che era sola fra le “larghe„. Lasciai la finestra aperta
+per destarmi non appena la luna avesse raggiunto il colmo del cielo e
+mi coricai tranquillo come sempre, senza bisogno di cercare il sonno.
+
+Ora, era forse a mezzo la notte, quando mi destai per un brusco rumore.
+Qualcuno aveva aperta la porta della mia stanza. Stetti in ascolto e mi
+sentii chiamare. Era Nicolao.
+
+— Che volete, nonno?
+
+— Discendi.
+
+Fui pronto, chè dormivo vestito. Quando fummo sulle scale, mi disse:
+
+— Il Mancino se ne è andato!
+
+— Lo immaginavo! — risposi.
+
+— Sì.... ma si è portato via il vitello!
+
+— L’avete veduto?
+
+— Sì.
+
+— Quando?
+
+— Poco fa.
+
+— Ed ora?... volete che lo rincorriamo con lo schioppo?
+
+— No.
+
+— E allora?
+
+— Tornerà indietro. Lo aspetteremo sulla strada. Vieni.
+
+Guardai il mio vecchio amico senza capir nulla. Conoscevo la sua
+imperturbabile serenità e la sua buona fede, ma non immaginavo ch’egli
+pensasse di vincere il ladro con tali virtù.
+
+Uscimmo che c’era la luna. Era un fantastico mondo assopito in una
+fredda immobilità fosforea; e le rame già erano dispoglie. Si vedevano,
+sulla terra umida, le pediche recenti del Mancino e del vitello.
+Nicolao osservò e disse:
+
+— Sono andati verso il fosso; sono discesi nel fosso.
+
+Poi uscimmo dall’aia vegliando in silenzio. E si udivano a quando
+a quando trasvolare gli stormi dei germani e delle grù e, nel cielo
+perlaceo, non era che il grido degli esuli stormi.
+
+Passarono due, tre ore e il ladro non riapparve. Nicolao non parlava.
+
+Quando fu l’alba ed egli cominciò a ricredersi e gli doleva di
+avermi tenuto per tanto tempo fermo al freddo della notte per una sua
+ingenuità, mi disse:
+
+— Figliuolo, mi sono sbagliato; ma non lo credevo capace di tanto!...
+
+Non gli risposi e non sorrisi. Partii tranquillamente per la mia caccia.
+
+— Vi aspetto a mezzogiorno! — disse Nicolao.
+
+— A mezzogiorno! — dissi.
+
+E me ne andai.
+
+Alla sera eravamo ancóra seduti sull’aratro, innanzi al cielo che
+sbiancava e non parlavamo.
+
+Ad un tratto vedo Nicolao levarsi di scatto e dirigersi all’uscita
+dell’aia. Lo seguii. Il Mancino ci stava di fronte, diritto in mezzo
+alla viottola. Stemmo muti qualche secondo, poi Nicolao domandò, e la
+voce sua era inalterata:
+
+— Che cosa hai fatto, Mancino?...
+
+L’uomo sinistro non rispose.
+
+— Perchè sei ritornato?
+
+Un silenzio uguale.
+
+— Ti hanno scoperto?
+
+— No! — rispose il Mancino.
+
+— Allora che cosa vuoi?
+
+Ricordo la rude frase dialettale che proruppe violentissima come un
+singulto:
+
+— _A so’ un vigliàcc!... Amázam!_... (Sono un vile!... Ammazzami!...)
+
+Padre Serenità levò la mano scarna e rispose:
+
+— _Va par la tu stre e che e’ Signor u t’aiuda!_... (Va per la tua
+strada e il Signore t’aiuti!...)
+
+Il Mancino guardò il vecchio, poi si volse senza far parola, saltò un
+fosso e scomparve.
+
+Padre Serenità aveva gettato la sua sementa, ma la biancana non
+dà frutto e non passaron due lune che il Mancino fu disteso da una
+schioppettata, sulla soglia di una stalla, da chi non vedeva gli uomini
+e il mondo con i chiari occhi di Nicolao. Ma Nicolao era un mondo a
+sè con la sua dolcezza; era un piccolo astro nell’immensità, col suo
+chiarore.
+
+Ne ho novellato per amore e non per dilettare, secondo una legge
+stabilita. Vi è sempre qualcuno che ha cuore bastante per intendere.
+
+
+
+
+L’EREMITA.
+
+
+C'era una volta una baracca sbilenca innalzata vicino ad una spiaggia
+da un uomo errabondo in cerca di fortuna. Oltre tale baracca, per
+chilometri e chilometri intorno, non sorgeva altro rifugio.
+
+L’uomo errabondo aveva ben fondate le sue speranze. Si era detto:
+
+— C’è una strada che conduce al mare, e questa strada finisce fra le
+sabbie e non c’è altro. La gente vi passa coi carri e coi barrocci
+quando fa l’estate. Se io faccio il mio nido dove finisce la strada e
+incomincia il mare, la gente verrà da me ed io ne guadagnerò!
+
+E le cose si svolsero come l’uomo errabondo aveva preveduto.
+
+Codest’uomo si chiamava Palma, era solo, ed aveva sulla coscienza
+una interminabile serie di furti e qualche delitto. Per venti anni
+aveva meditato nelle patrie galere; a cinquanta anni ritornava fra gli
+uomini.
+
+Bisogna dire che Palma non aveva un soldo quando arrivò sul luogo
+destinatogli dal caso; aveva bensì qualche idea. Fra queste, una
+brillava che gli parve buona e se ne assicurò meditandola. Ma come
+porla ad effetto? Per far nascere un’ombra sotto il sole occorreva
+dire agli uomini ben baffuti: — Dammi questo che ti darò questo! —
+Ed egli che poteva dare? Il suo lavoro; ma a quale pro, data l’idea
+che meditava? Allora s’incamminò lungo la spiaggia deserta e cammina
+e cammina.... ecco che vede, abbandonata fra sabbia e mare, mezzo
+sepolta, quasi sfasciata, la carena di un vascello. Un cadavere.
+Ma anche i cadaveri valgono qualcosa pei corvi e Palma non era che
+un corvo. Si avvicinò, considerò il carcame e disse: — Sì! — Poi
+soggiunse: — Farò da solo!... — Ma per cominciare gli occorreva almeno
+una vanga e non l’aveva. La rubò e fu l’ultimo furto ch’egli commise
+al di fuori della legge. Poi per tre giorni e per tre notti scavò, si
+affannò e riuscì a trarre la carena sotto la luce del sole. Era meno
+peggio di quel che non avesse pensato. Ma da quel punto incominciava
+la vera gravità del suo disegno. Come fare a trar quel carcame al
+punto che egli aveva prescelto? Occorrevano per lo meno due paia di
+buoi. Dove trovarle? Allora assottigliò l’ingegno e pensò: ormai egli
+possedeva qualcosa e poteva essere creduto. Egli aveva creato un’ombra
+sulla terra; da quella qualsiasi ombra doveva nascere il credito. E il
+credito nacque. Un contadino si prestò. Palma gli disse:
+
+— Vi pagherò fra due mesi.
+
+Il contadino rispose:
+
+— Mi pagherete quando vi farà comodo.
+
+Perfettamente. Allora Palma fece trasportare la nave al termine della
+strada che si apriva sul mare.
+
+— Che ne volete fare? — gli chiese il contadino.
+
+Palma rispose:
+
+— Un’osteria!
+
+Il contadino lo guardò in tralice. Palma soggiunse:
+
+— Un’osteria ed è una bella pensata!
+
+— Ma come farete?
+
+— Datemi aiuto e vedrete.
+
+— Oh!... Ed io vi aiuto!
+
+Infatti l’aiutò. Ormai la Provvidenza si era incaricata della faccenda
+e Palma se ne accorse, ma non rifiatò. Perchè con la Provvidenza non si
+uccella. Essa non incappa nelle reti e nelle panie degli uomini, anzi
+appare a coloro che non la invocano. Dunque Palma si ebbe un aiuto. Il
+contadino chiamò i suoi figli. Furono cinque uomini di buona volontà,
+data la qual cosa, la baracca alzò la sua gobba al cielo. Tolte le
+monche alberature e sgombrato l’interno del vascello dai rottami e
+dagli intoppi non rimase che la carena ignuda, malconcia qua e là e con
+una rispettabile falla sotto la prora. Palma non si occupò della cosa;
+capovolse la nave in un punto stabilito della spiaggia e domandò al
+contadino dieci lire in prestito. Il contadino glie le dette e disse:
+
+— Mi dovete in tutto venticinque lire.
+
+— Ed io ve ne darò trenta! — rispose Palma.
+
+Ormai Palma aveva una casa e un capitale. Incominciò col comperare
+chiodi e martello. Assai ne aveva con tutti i rottami del vascello.
+Prima mangiò, chè non aveva mangiato da qualche tempo, poi si mise
+all’opera. E tappa, e inchioda, e rappezza, in due giorni la casa era
+fatta. Non più uno spiraglio. Nell’interno, buio perfetto.
+
+Ora si trattava di praticare una porta e una finestra e di innestare un
+camino sul dorso della novissima abitazione.
+
+Cosa semplice. Una sega servì per la prima bisogna; una vecchia
+grondaia funse da camino. Dopodichè l’esterno era compiuto e Palma
+passò all’interno che divise in due parti. Da un lato la cantina
+che doveva servire anche da stanza da letto per l’oste; dall’altro
+la cucina. E basta. Il contadino gli venne in soccorso ancora per
+l’arredamento, finito il quale, Palma si dette all’opera artistica
+e presa una piccola tavola rettangolare e alcune vernici, dipinse su
+detta tavola la sua personale sensazione di una Sirena e con non meno
+personale ortografia vi scrisse sotto: — _Osteria della Sirena_ —
+compìta la quale opera inchiodò la tavola a sommo della sua abitazione
+e attese.
+
+Attese un uomo, il primo. In verità non avrebbe potuto offrire al suo
+primo avventore se non dell’acqua limpida; ma anche l’acqua limpida
+aveva il suo valore in quelle latitudini perchè per molte miglia
+all’intorno non esisteva un pozzo. Palma non possedeva tuttavia una
+botte, ma sì bene due latte da petrolio. Dette latte erano piene
+d’acqua e costituivano un valore. Non mancava che li assetati. Anche
+di questo doveva incaricarsi la Provvidenza e siccome Palma non
+aveva fretta e si accontentava di ben poco per arrivare da un giorno
+all’altro, attese in tranquillità.
+
+Ed ecco che una notte, dormiva sulla sua paglia fra le due latte di
+petrolio, quando sentì qualcuno alla porticciuola serrata. Si levò sui
+gomiti. Chiese:
+
+— Chi è?
+
+— Si può entrare? — fece una voce dal di fuori.
+
+— Cosa volete? — domandò Palma.
+
+— Bere! — rispose l’estraneo.
+
+— Non ho che dell’acqua.
+
+— È lo stesso.
+
+Bene.
+
+Palma non aveva bisogno di vestirsi perchè non si svestiva mai; si
+rizzò ed andò ad aprire la porta. Entrò un uomo; un vecchio barbuto con
+gli occhiali sul naso. Un par di occhiali a stanghetta, arrugginiti, e
+un cappellaccio di traverso.
+
+Sedette sulla panca innanzi a una tavolaccia nera e quando fu seduto
+disse ancóra:
+
+— Bene!
+
+Palma lo guardò; il barbone incrociò le braccia sulla tavola.
+
+— Di dove venite? — gli domandò Palma.
+
+— Datemi da bere — rispose l’uomo.
+
+Palma prese il suo unico boccale che era un coccio senza manico e senza
+beccuccio, pose innanzi all’ospite una ciotola sboccata e scomparve in
+cantina. Poco dopo rientrò col suo vin di nuvoli e l’ospite non si era
+rimosso. Aveva una faccia da ceffautte da guardarsi a stupore: o da
+dove discendeva nel pieno della notte quell’individuo? E dove andava
+e che cercava mai? Palma sentiva queste domande dentro di sè, ma le
+trattenne chè si investiva del suo nuovo còmpito di oste.
+
+L’uomo bevve tutto il boccale e quando ebbe bevuto disse:
+
+— Buona!
+
+— È acqua di fonte — fece Palma.
+
+E l’estraneo ridisse:
+
+— Buona!
+
+Evidentemente il barbone non era un parlatore, ma ciò non preoccupava
+Palma il quale diceva fra sè: — Anche se mi dà quattro soldi, son tutti
+guadagnati! — Ed in questo pensiero si accosciò in disparte presso
+la parete della sua bicocca. L’olio non mancava alla lampada ma se ne
+consumava troppo. Trascorso qualche tempo Palma disse all’ospite:
+
+— Volete dormire?
+
+— Perchè? — fece l’ignoto.
+
+— Perchè l’olio si consuma.
+
+— Ed io ve lo pagherò.
+
+— Ah, se volete pagare fate ciò che vi accomoda!...
+
+E Palma chiuse gli occhi e stava per addormentarsi tranquillamente
+quando l’ospite suo gli chiese levando gli occhi:
+
+— Da quanto tempo state qui?
+
+— Da venti giorni.
+
+— E che cosa volete guadagnare fra queste lande?
+
+— Aspetto che venga l’estate! — fece Palma ammiccando.
+
+— E con l’estate?
+
+— Con l’estate? Ma vengono a migliaia quaggiù i contadini!
+
+— E se vengono?
+
+— Se vengono, lavoro!
+
+— E il vino?...
+
+— Il vino.... il vino!... Si troverà!
+
+Il vecchio tacque e Palma lo guardava sempre più incuriosito. Chiese,
+dopo una sosta:
+
+— E voi cosa siete, un pastore?
+
+— No — fece l’uomo. Poi guardò Palma negli occhi e soggiunse: — Io sono
+un frate!
+
+— Un frate?
+
+— Sì. Ma se mi va bene una cosa non torno più al convento.
+
+— E la veste dove l’avete messa?
+
+— In casa del contadino che mi ha dato questi panni.
+
+— Ed ora dove andate?
+
+Il vecchio si levò e disse:
+
+— Hai una vanga?
+
+— Sì.
+
+— Sai dove sia la Torraccia?
+
+— Sì.
+
+— Vuoi condurmi alla Torraccia?
+
+— A quest’ora?
+
+— Sì.
+
+— E che cosa volete fare laggiù? — Palma non voleva compromettersi. Gli
+erano bastati i suoi vent’anni di prigione e più non voleva farne.
+
+— Se vieni faremo a metà — rispose il vecchio.
+
+Palma si convinse; prese la vanga e il suo coltello e seguì l’ospite.
+
+Dopo due ore di strada erano ai piedi del rudere solitario. Il vecchio
+entrò nella torre e Palma dietro.
+
+Dopo aver misurato a passi lo spazio rinchiuso fra le mura pericolanti
+l’uomo si fermò e disse a Palma:
+
+— Scava qui!
+
+Palma si mise all’opera. Dopo più che un’ora di lavoro aveva scoperto
+una scaletta che scendeva in un sotterraneo.
+
+L’uomo disse:
+
+— Non mi sono sbagliato! — Poi accese una candela che aveva con sè ed
+entrò per primo nell’antro oscuro.
+
+ ❦
+
+Era vicina l’alba quando uscirono dagli antri sotterranei. Primo fu il
+vecchio; Palma venne dopo. Erano ambedue irriconoscibili per il terrame
+che li ricopriva.
+
+Quando ebbero fatto qualche passo, Palma si fermò innanzi all’uomo
+sconosciuto e gli disse:
+
+— E adesso che cosa mi darete per la mia fatica?
+
+— Aspetta — disse il frate.
+
+— Che cosa devo aspettare?
+
+— Quello che ti dirò.
+
+— Le parole non si spendono!
+
+— Sei uno stupido!... Le parole si spendono benissimo!
+
+— Ma insomma che cosa siamo andati a fare laggiù?
+
+— A cercare un tesoro!
+
+— Infatti abbiamo trovato da stare allegri!
+
+— Questo non importa!
+
+— Sì, che importa!
+
+— Tu avrai sempre guadagnato qualcosa.
+
+— Che cosa?
+
+— Vedrai!
+
+E ripresero la strada. Quando furono all’osteria della Sirena si
+vedevano già le vele raminghe per il mare.
+
+Entrarono. Il frate sedette innanzi alla tavolaccia ed abbandonò la
+fronte fra le mani. Dopo una pausa domandò:
+
+— Hai un calamaio, una penna, della carta?
+
+Palma guardò il vecchio in tralice e chiese a sua volta:
+
+— Siete matto?
+
+— Sai leggere?
+
+— No.
+
+— Bene. Allora stammi a sentire.
+
+Palma lo ascoltò.
+
+ ❦
+
+Il frate ritornò al convento senza lasciare una palanca a Palma, ma
+Palma fu contento ugualmente. Da quella volta il vecchio barbone non
+comparve più nè di notte nè di giorno al vascello capovolto, ma il suo
+passaggio non fu più dimenticato.
+
+Ora giunse l’estate. Cominciò il giugno con certe giornate ardenti
+che valsero più di qualsiasi consiglio a cacciar le turbe assetate di
+frescura dai piani al mare.
+
+Cominciarono a giungere le carovane urlanti e si accamparono per la
+spiaggia.
+
+Bisogna dire che Palma aveva tolta dalla sua baracca la dipinta insegna
+dell’Osteria della Sirena e che l’aveva sostituita con una rozza croce
+formata da due avanzi di naufragio legati insieme con una corda.
+
+Giunsero le carovane adunque, ma Palma non si mostrò. Vestito di
+un sacco stava rannicchiato in fondo al suo rifugio aspettando che
+qualcuno dischiudesse l’usciuolo. Pareva non volesse uccellare anzi
+attendesse di essere uccellato. Ma la gente si sbandava all’intorno
+volgendo appena una fuggevole occhiata allo strano rifugio. Diceva
+tutt’al più:
+
+— Sarà la casa di qualche poveraccio!... Di qualche pescatore di
+arselle!...
+
+E non sapevano che un pescatore in realtà si accucciava là dentro, ma
+un pescatore di uomini.
+
+Aspetta e spera. Passavano i giorni. Palma cominciava a bestemmiare,
+cosa quant’altra mai indecorosa per un uomo che vestiva il saio
+all’ombra della croce.
+
+Ma nessuno lo udiva. Si udiva la gazzarra, il frastuono delle turbe
+che esulavano al mare. La spiaggia pareva convertita in un cocomeraio
+chè ogni brigata traeva seco sui biroccini e sui carri oltre a qualche
+lenzuolo, larga copia di cocomeri e ne faceva festa tra un bagno e
+l’altro ingoiando fette su fette del saporoso frutto vermiglio.
+
+E il nudo trionfava e l’ebbrezza della frescura e del mare.
+
+ ❦
+
+Palma pazientava e non usciva a mostrarsi alla turba, ma già nell’anima
+sua incominciava a infiltrarsi il dubbio, quando avvenne che due
+fanciulli ignudi, ruzzando un giorno fra le arene, venissero a sedersi
+all’ombra della singolare baracca E com’è dell’età loro curiosa,
+dopo alcun tempo incominciarono a considerare la novissima capanna e
+pensarono di visitarla anche all’interno.
+
+Palma udì e lasciò fare. Si avvicinava il momento buono. Infatti, non
+appena i due fanciulli ebbero messo il capo all’uscio ed ebber veduto
+quello strano uomo accoccolato in un canto e tutto ravvolto in un
+sacco, ne ebbero tanta paura che fuggirono come lepri e mai più non si
+rividero presso la baracca. Ma la voce si diffuse fra le turbe.
+
+— Nella baracca c’è un eremita!... C’è un santo eremita!... È coperto
+di un solo sacco!... Non mangia mai!... Ha la barba lunga due metri!...
+Non vede il sole da vent’anni!...
+
+E vai dicendo. La necessità del fantastico si liberava a carriera e
+qualcuno giunse a sostenere che si trattava di un turco convertito.
+
+Ma tutto ciò poteva ancóra interessare le donne non già gli uomini,
+i quali fra cocomeri e bagni avevano in superbo disprezzo ogni
+santocchieria e preti e frati ed eremiti e ogni altro tipo del genere
+che non era, presso le faticate turbe, se non un vagabondo.
+
+E Palma udiva questi discorsi e incominciava a disperare. Il contadino
+che gli aveva fatto credito giungeva tutte le notti a reclamare il suo
+e già minacciava uno scandalo. Un giorno Palma si disse:
+
+— Se oggi non vien nessuno, domani metto fuori l’insegna dell’osteria e
+si vedrà!...
+
+Ma appunto quel giorno era il destinato.
+
+ ❦
+
+Era il meriggio, forse, quando una voce si udì dall’esterno; una voce
+di donna:
+
+— Si può entrare?
+
+— Avanti! — fece Palma.
+
+Entrò una donna che recava in braccio un suo marmocchio, giallo come lo
+zafferano. Palma non si rimosse.
+
+— Voi che siete un sant’uomo.... — disse la donna e si fermò.
+
+— Che cosa volete? — domandò Palma.
+
+— Voi che siete un sant’uomo dovreste guarirmi questa povera creatura!
+
+Palma chinò il capo e non rispose.
+
+La donna, a tale mimica, fu sempre più compresa della virtù
+taumaturgica del solitario.
+
+— Se voi voleste.... — continuò.
+
+Palma alzò un braccio e disse:
+
+— È Dio che deve volere!
+
+Poi si stupì di aver detto tanto. Ma la donna aveva molta fede.
+
+— Se voleste pregare il Signore....
+
+Palma si levò e la donna si fece il segno della croce.
+
+— Fatemi vedere questo bambino! — disse Palma.
+
+La donna glielo mostrò mormorando:
+
+— È molto malato!... Deve morire!...
+
+Dopo un lungo silenzio speso a considerar la creatura da tutti i lati
+Palma disse:
+
+— Non morirà!
+
+Fu colpito dal suono della sua voce e dalla promessa formale. Oramai si
+era compromesso. O riusciva o ritornava alla sua prima Sirena.
+
+La donna disse:
+
+— Se me lo salvate siete il più grand’uomo del mondo!...
+
+Palma si sarebbe accontentato di meno; di quattro palanche.
+
+Disse alla donna:
+
+— Aspettate!
+
+E passò nel secondo stambugio della sua capanna.
+
+Ritornò poco dopo con un cartoncino in cui erano tre pillole. Le porse
+alla donna, disse:
+
+— Queste sono tre pillole fatte con erbe che hanno virtù non conosciute
+da nessuno al mondo. Dovete darne al vostro bambino una oggi, una
+domani e una posdomani.
+
+— E guarirà? — fece la donna.
+
+Palma chinò la testa, susurrò:
+
+— Vedrete!... Vi aspetto fra tre giorni!...
+
+La fortuna o la disgrazia erano in via. Palma attese con un certa
+ansietà ciò che gli avrebbe fruttato la ricetta del frate.
+
+ ❦
+
+A vero dire Palma non aveva mai pensato a Iddio. Non gli era venuto in
+mente mai, neppure in prigione quando poteva meditare a tutto suo agio.
+
+Ricordava che da piccino sua madre gli aveva parlato qualche volta
+del Signore, ma Palma era un ragazzo distratto e non era stato mai
+tanto curioso da voler sapere che cosa ci fosse in fondo ai cieli.
+Per lui l’uomo era una bestia che deve lavorare e morire. E basta.
+Lavorare e morire come un bove con la semplice differenza che gli
+uomini mangiavano i bovi e questi eran più miti chè si accontentavano
+dell’erba. Dunque se un Dio doveva esserci sarebbe stato giusto avesse
+preferito il bue che era migliore dell’uomo. Ma tale idea poteva
+essergli balenata innanzi forse una volta in tutti i suoi cinquant’anni
+di vita. Per il resto si era accontentato di passare da un governo
+all’altro con l’unica preoccupazione di trovare un modo per trarre
+in inganno i suoi simili e far danaro. Egli era dunque un ignaro di
+cose divine quando fu costretto a formarsi una chiara convinzione in
+proposito.
+
+Fino a quel punto aveva seguito il consiglio del frate senza derogarne
+in nulla; si era costretto ad una prigionia che non gli riusciva
+importuna per la lunga consuetudine a tale stato, aveva atteso come il
+ragno, sperando che tutto si risolvesse in un commercio lucroso e nulla
+più.
+
+Palma attendeva il lucro e il suo fato lo pose di fronte a Iddio. Tale
+cosa lo sbalordì. Non se l’aspettava, ma tacque.
+
+Trascorso adunque il secondo giorno e incominciato il terzo, appena era
+sorto il mattino che un insolito vocìo giunse all’ignaro eremita e lo
+chiamò sulla soglia della sua acquatile casa.
+
+Come volse intorno gli occhi, ecco venire di lontano una turba di donne.
+
+Palma rimase perplesso. Gridavano, dunque il bambino era morto e, se
+era morto, l’unica cosa che gli restasse a fare era quella di darsela a
+gambe chè ormai la sua fortuna gli aveva volte le spalle.
+
+Tale la prima considerazione e la risoluzione prima che gli balenarono
+innanzi.
+
+Su tale proposito rientrò in casa, ma sul punto di uscirne troppo gli
+dispiacque di abbandonare il suo nido fra le sabbie sì che, passato
+nella seconda stanza, e rifugiatosi in un angolo, nel buio, attese
+senza rifiatare l’arrivo della strillante turba.
+
+E poco attese che le donne furono innanzi alla soglia e incominciarono
+a gridare:
+
+— Palma.... Palma.... apriteci.... apriteci!...
+
+— Sì, aspettatemi per l’anno del mai!... — diceva fra sè l’eremita e
+più si rintanava nel buio.
+
+E le donne:
+
+— Palma.... Palma!... Veniteci ad aprire, per carità!...
+
+— Ve lo domandiamo per carità!...
+
+Palma stette in orecchio. Trasentiva o non piuttosto le femmine lo
+imploravano?
+
+— Venite da queste disgraziate, Palma, che Iddio ve ne rimeriti!...
+
+Davvero?... Dunque le pillole erano state efficaci!... Il frate
+aveva detta la verità!... Si levò; si riaggiustò addosso il suo sacco
+grigio....
+
+— Palma?... Non ci mandate via!... Siamo povere donne!...
+
+Allora l’uomo dal saio incominciò a sentire qualcosa dentro di sè che
+vi ingrandiva come se un sole nascesse. Uscì dalla cantina, attraversò
+la prima stanza, aprì l’usciuolo. Non appena fu sulla soglia il
+vociferìo si accrebbe e le braccia si protesero:
+
+— Palma, uomo benedetto dal Signore, guaritemi questa creatura!...
+
+— Palma, Palma, sono tre anni che non trovo riposo!...
+
+— Palma, benedite questa povera figlia che ha il diavolo in corpo!...
+
+E volevano da lui queste e cento altre cose, cento miracoli e Iddio.
+
+Iddio!... L’uomo profano di ogni fede rimase muto, accigliato,
+impassibile, ma dentro al cuor suo incominciò a nascere un dubbio, un
+dubbio curioso che gli dava una sensazione nuova come di una leggerezza
+subitanea fra terra e cielo.
+
+Iddio!... Dunque poteva darsi davvero che qualche notte, nel silenzio
+sterminato di quella solitudine, qualcuno fosse disceso dal cielo per
+entrare dall’usciuolo nella sua nave antica?... Poteva darsi?... Ed
+egli dormiva e questo qualcuno...
+
+Distribuì quante pillole aveva e rimandò le donne per la loro strada.
+Gli ubbidirono a un cenno. Egli aveva in realtà la figura di un asceta
+e il volto di un qualche santo forastico nutrito di miele selvaggio.
+Tanto si sentì smarrito dalla devozione delle femmine che non pensò
+a chiedere compensi. Distribuì il suo farmaco per l’amore di Dio, e
+per l’amore di Dio, verso sera, giunse alla sua baracca una giovinetta
+che si inginocchiò sulla soglia ed ivi depose un pane, delle uova, del
+formaggio; poi si fece il segno della croce e se ne andò.
+
+Palma rimase solo nella notte: contrito, confuso, pentito; ma non
+sapeva bene di che si pentisse. Andò pe’ suoi farmachi, raccolse
+l’erba che il santo frate gli aveva indicata nella notte del tesoro,
+si sentì invaso come da una sacra purità e sempre più confuso, sempre
+più incerto sul calcolo ch’egli doveva fare e di se stesso e di Iddio e
+delle donne strillanti.
+
+La sua baracca divenne come un santuario per le turbe le quali un
+bel giorno pretesero che il povero Palma facesse ritornare in vita un
+moribondo. Palma non volle saperne, ma il moribondo guarì. Guarì e fu
+fatta. Palma era un santo; Palma aveva fatto il miracolo.
+
+E da quel giorno egli si trovò in diretta comunicazione col Signore.
+La macerata povertà, il digiuno, il lungo patire dovevano essere suo
+ornamento e questo fino alla morte. E perchè mai?... Che aveva egli
+fatto?... Le sue virtù gli erano sconosciute, come il suo Dio. Qualche
+notte stette inorecchito sperando di udire una voce portentosa, ma non
+la udì. E allora? La virtù della gran mutazione della sua vita non era
+adunque che nel farmaco lasciatogli dal frate?...
+
+Tutto scendeva direttamente da una piccola innocua pillola? E quale era
+il suo guadagno?... Ah, uomo bruto!... Così avviene che la divina luce
+dell’alba discenda per gli sterquilini!... Ma Palma non era di stoppa
+ultraterrena e una notte, gettato il suo saio alle ortiche, si dette
+per fallito e partì.
+
+E mentre le turbe lo assumevano al cielo, il povero vecchio Palma,
+esule di Dio e della legge, sentendosi perduto per sempre per non aver
+ascoltata la Provvidenza non ebbe più posa.
+
+
+
+
+I VIOLENTI.
+
+
+Avevano i Venchi la loro officina sotto un albero fulminato, lungo
+la riva di un fiume. Una angusta capanna contesta di rozzi pali e di
+fascine e pienata di argilla le pareti; il tetto di stipa, i battenti
+neri. V’eran per entro in grande copia gli arnesi fabbrili e più ne
+stavano all’aperto dove il maestro carradore lavorava e l’estate e
+l’invemo.
+
+Quivi disposte su ampie capre e su banchi e sul terreno erano ruote e
+timoni e sale e cassini e carra, le membra disperse degli arnesi che
+uscivan dal centenario cantiere.
+
+Nell’antro funzionava e ansava e ardeva la fucina. E dall’alba
+primissima al declinare delle ombre serali, era un grande travaglio
+sotto l’albero fulminato.
+
+Da centinaia di anni la famiglia dei Venchi conduceva il cantiere e
+l’opera era trasmessa di padre in figlio co’ suoi gelosi segreti, come
+la vita e il nome e le virtù della razza.
+
+Ora era maestro dell’arte, Alessandro, il vecchio di più che settanta
+inverni e non aveva questi se non un figliuolo: Samuele, ed erano soli
+nella loro casa senza donne. Vivevano essi senza parlarsi mai, tanto
+l’uno aveva preso dell’altro e l’anima e il costume ed erano come
+estranei nella casa degli avi tutta deserta e muta sulla loro bocca
+muta.
+
+Tornavano a notte, l’uno dopo l’altro e salivano alle loro stanze
+opposte. All’alba la casa si richiudeva nel suo silenzio.
+
+Mangiavano sul pugno, al lavoro, seduti sopra un toppo di ancudine o
+sul tronco di un’acacia o di un olmo e il loro pasto era breve come il
+respiro. Non bevevano che al pozzo, ricurvi su la secchia traboccante.
+I loro garzoni non ricordavano ch’essi avessero parlato mai a
+confidenza neppure per l’attimo. S’intendevano per monosillabi, senza
+guardarsi.
+
+Sapendosi uguali in tutto: e nella forza e nel volere, cercavano
+evitarsi perchè la devozione sacra del figlio non venisse meno e non
+venisse meno l’affetto che li legava. Andavan paralleli, pronti a
+morire l’uno per l’altro finchè il caso non li ponesse di fronte per
+opposte volontà.
+
+La sommissione di Samuele era stata cieca sempre; aveva seguito il
+consiglio e il comando, si era concessa e prona e pronta al sacrificio.
+Non mai un giorno senza lavoro; non mai un’ora di gioioso abbandono.
+Egli si era piegato come il ferro sul fuoco; era stato stretto e
+costretto come la ruota nel cerchio, come il timone fra le chiavarde:
+si era dato passivamente con tutta la sua forza.
+
+D’altra parte, tale era stata la vita del padre sotto il dominio di
+nonno Samuele. La consuetudine degli avi si manteneva uguale negli anni
+nè poteva esser discussa, nè diminuita: era sacra e fatale.
+
+Il figlio era del padre come cosa e non come creatura e questi poteva
+disporne a suo piacimento. La salda compagine della famiglia richiedeva
+tale disciplina. E Samuele si era aggiogato come tutti coloro che erano
+stati innanzi a lui nel tempo e avevano creato il prestigio di un’arte
+e di una tradizione; aveva accettato il loro còmpito come il cieco
+legno che si costringe tra le ferramenta e va ad obbedienza finchè
+non sia ultimamente consunto. Ma la morte era lontana tuttavia per il
+giovane gagliardo e la vita non poteva continuare sì cupamente monotona
+fino al punto in cui uno si appacia col suo destino e si dispone
+all’ultima ventura.
+
+Aveva egli un cuore tumultuoso, una forza non per anco provata, un
+desiderio solare che a quando a quando si ridestava per accenderlo di
+una radiosità senza confine. Se una sola era la via battuta, s’egli
+non andava che dalla casa deserta all’antro fumoso e da questo alla
+casa quando il sonno incombeva; se era chiuso fatalmente, come l’astro,
+nel suo circolo eterno e doveva seguire l’ombra del padre e coprire le
+stesse orme a capo inchino e non fiatare e non domandare e non essere
+mai; se, come gli arnesi della fucina, non doveva servire che ad un
+ufficio, l’anima sua, nel suo alto silenzio, vedeva, s’irraggiava per
+mille aspetti giovanilmente in una sua trepida adorazione portentosa.
+
+Era il mondo, a quell’anima chiusa, come un canto sconfinato e
+magnifico, come un ignoto adorabile, come una gioia senza fine e senza
+principio, e una purità senza travaglio. Dalla sua costrizione, dal suo
+isolamento sorgeva l’ignaro con raddoppiata energia a illuminare della
+sua sconfinata passione le cose indifferenti.
+
+Maestro Alessandro nulla pensava di questo. La giovinezza sua era stata
+impassibile. Egli non aveva conosciuto se non una ragione fisiologica
+alla quale era bastata una donna qualsiasi, quella che gli avevano
+data in moglie e ch’egli aveva accettata come si accetta un pastrano
+quando fa freddo; nè poteva supporre che altro fosse il desiderio del
+figliuolo.
+
+Avere una donna in casa era necessario; non potevano continuare la loro
+vita sbandata e Samuele doveva sposare. Ora maestro Alessandro sapeva
+già di una donna ricca e perfetta massaia, che avrebbe fatto della
+casa un paradiso; anche avrebbe dato figli sani e robusti perchè non
+era giovine ed era ben squadrata chè fra anche e spalle raggiungeva
+l’ampiezza di un bue, e gli piaceva benchè non l’avesse mai guardata in
+viso; ma che importava il viso? Una donna si sposa per quello che vale
+e non per la sua bellezza e la bellezza è vana e crea fastidi e può
+portare a mal fine un marito.
+
+Se era brutta, come aveva sentito dire, tanto meglio; la sua povera
+moglie era quasi gobba, eppure gli aveva partorito un fior di figlio,
+chè Samuele era saldo come l’incudine. E più di questo non si poteva
+desiderare.
+
+Ora una sera, chiusa che fu l’officina e partiti i garzoni, maestro
+Alessandro, contro il costume suo, chiamò Samuele e gli si pose a
+fianco. Il loro parlare fu breve:
+
+— Samuele, tu devi prender moglie!
+
+Il giovine levò gli occhi sul volto del padre e non rispose.
+
+— A venticinque anni è il tempo giusto. Le cose si fanno alla spiccia.
+La Venusta degli Antoni è già pronta. Io le ho parlato.
+
+Samuele ebbe un fremito ma si rattenne. Chiese a voce soffocata:
+
+— E che vuole da me?
+
+Maestro Alessandro si fermò a squadrare il figlio e la sua faccia si
+aggrottò come il monte a sera:
+
+— Come che vuole? Di che mondo sei? Dovete sposarvi!
+
+Samuele guardò il padre negli occhi con insolita fermezza e sbiancò
+tremando.
+
+Rispose:
+
+— No.
+
+E il vecchio:
+
+— No che cosa? Che ti frulla per il capo questa sera.
+
+— Io non la voglio!
+
+— Non la vuoi?
+
+— Ho detto no!
+
+Fu fra i due un torbido silenzio, poi maestro Alessandro alzò a
+violenza il pugno vigoroso ma non colpì; si rivolse e riprese la
+strada. Samuele gli tenne dietro. Camminarono sempre a fianco, a capo
+chino. Erano di pari statura; ambedue forti ad un modo: l’uno più
+agile, l’altro più nodoso; il frassino e la rovere. Sulla soglia della
+casa deserta maestro Alessandro si fermò e nelle parole che disse era
+un monito sinistro, la voce rauca tremava nel singhiozzo dell’ira:
+
+— Tieni bene a mente quello che ti dico, ragazzo! In questa casa c’è
+una volontà sola ed è la mia. Non pensare a disubbidirmi e bada a te!
+
+Ed entrarono e la casa tacque sul loro angosciato riposo.
+
+Dopo non molti giorni ogni formalità era compiuta. Maestro Alessandro
+aveva lasciata l’officina per recarsi in città e nessuno seppe la
+ragione del suo viaggio. La seppe Samuele, una sera di domenica, quando
+il padre gli disse:
+
+— Ora verrai con me.
+
+— Dove?
+
+Maestro Alessandro continuò:
+
+— Il permesso è preso; non c’è nulla che si opponga. Posdomani tutto
+sarà fatto e la Venusta sarà con noi, nella nostra casa. Tu puoi
+scegliere l’ora che ti piaccia meglio per sposare.
+
+Samuele guardava il padre co’ grandi occhi larghi e bianchi e immobili.
+Il suo volto era quello di chi impietra.
+
+Disse maestro Alessandro:
+
+— Hai inteso?
+
+— Sì!
+
+— Perchè mi guardi così?
+
+— Per nulla.
+
+— Allora va, mettiti la veste migliore. La Venusta ci aspetta!
+
+Samuele non si muoveva.
+
+E il vecchio gridò:
+
+— A chi parlo?
+
+— Che vuoi? — fece Samuele.
+
+— T’ho detto di ripulirti che ci aspettano a casa dei Grandi. E fa
+presto!... E cammina senza storie prima ch’io ti rompa la faccia!
+
+E ancora l’abitudine antica lo tenne e l’anima sua fu muta in fondo al
+suo buio. Samuele andò, si vestì come in sogno e seguì il padre senza
+parlare.
+
+A casa dei Grandi li aspettavano. C’era una tavola imbandita e nel
+basso focolare, in fondo alla stanza, ardeva una fiamma altissima.
+Samuele non vide se non quel dolce bagliore e non udì le voci e gli
+auguri, nè vide la donna attempata che gli parlava sorridendo. Una
+volta ch’egli fissò quel volto piatto dal gran naso broccuto, rise come
+un ebete e a tutto ciò che gli fu chiesto non rispose. Poi cominciò il
+festino e la volgarità.
+
+Erano pigiati intorno ad una grande tavola, seduti su due lunghe panche
+e le donne mangiavano in disparte, presso il focolare come bestie
+accosciate, il viso sui piatti fumanti. Solo una gli era al fianco e
+lo stuzzicava e rideva a rovescio come una caldaia che bolla, ed egli
+vedeva la larga bocca dai denti gialli aprirsi e vociare e ingoiare, e
+vedeva i piccoli occhi porcini e le guance sudanti, floscie come l’otre
+vuoto.
+
+Maestro Alessandro più non si curava di lui; nessuno gli poneva mente
+chè l’accolta era intenta ai bisogni suoi voraci. I grandi vassoi di
+carni e di legumi eran finiti d’assalto e gli ampi boccali si vuotavano
+a gran furia. Solo, più aumentava l’ebbra bestialità dell’accolta, più,
+quella che gli sedeva a fianco, lo pigiava e lo infastidiva con la sua
+voce rauca e Samuele cominciò a guardarla in volto senza fiatare.
+
+E la donna chiese:
+
+— Perchè non mangi?... Ti vergogni della tua sposa?...
+
+E rideva, rideva interrompendosi a quando a quando per saziare la sua
+voracità flatulenta.
+
+— Hai sonno, di’?... Dormi ancora per questa notte chè domani non
+potrai dormire!
+
+E, sotto la tavola, gli si stringeva da presso, sempre più tenacemente,
+come la mignatta e il nodo scorsoio e le cose che soffocano e che
+dissanguano.
+
+— Non mi vuoi bene?
+
+Silenzio.
+
+— Non ti piaccio?
+
+Egli la guardava con una sua tragica smorfia e pensò come mai potevano
+uscire tali parole da quella bocca sconcia, irte di peli le labbra e il
+mento piatto. Ed ella rideva e si accalorava da sola, scambiando per
+timida inesperienza il silenzio dell’uomo e più le piaceva il giuoco,
+e più le cresceva la foja quanto più le sembrava e fresco e timido il
+frutto nuovo sul quale avrebbe morso con la furia della sua maturità
+brutta ed ingorda.
+
+E ancora gli diceva accostando a quella di lui la faccia bestialmente
+accesa:
+
+— Quando mi conoscerai mi amerai. Io so l’arte di farti morire d’amore!
+Non mi guardare se non sono bella chè ti piacerò più del sole!
+
+E la gente ubriaca cominciava a bofonchiare. Poi qualcuno più acceso,
+gridò:
+
+— O Samuele, stringitela dunque quella tua vecchia gallina!... Non vedi
+come ti guarda?...
+
+E l’idea piacque sì che l’accolta l’impose urlando.
+
+La Venusta protese le labbra e baciò sul collo Samuele. Questi la
+respinse col gomito a violenza.
+
+E disse la donna:
+
+— Abbracciami, non siamo sposi?
+
+Maestro Alessandro, in capo alla tavola, teneva la testa china sul suo
+piatto; allora un giovinastro gli gridò:
+
+— Diteglielo voi, maestro, che s’abbraccino!...
+
+E la gente:
+
+— Su dunque, diteglielo, maestro!
+
+Il vecchio levò gli occhi che si scontrarono in quelli del figlio
+suo, nè mai più torbida luce si incrociò per gli spazi nelle orrende
+tempeste. Maestro Alessandro chinò la testa. Allora l’anatroccola
+infojata abbrancò al collo Samuele e lo attanagliò come la morsa
+stringendo la viscida faccia contro quella di lui.
+
+Scoppiò una risata omerica e la voce incomposta degli ebbri di vino
+incitò la Venusta a tutto osare.
+
+Anche le donne si accostarono alla tavola, scapigliate, e battevan le
+mani. In breve si formò intorno un cerchio di brutale concupiscenza e
+Samuele vide l’assieparsi e il chinarsi delle facce oblique e vide gli
+occhi accesi di fosco ardore e le vene turgide e gli aspetti bestiali,
+nè più resse a tale supplizio.
+
+Allora ciò che l’anima sua pura aveva contenuto irruppe, schiantò ogni
+costrizione.
+
+— Va via che mi fai schifo, puttana!
+
+E afferrata la donna alla cintola l’arrovesciò sconciamente su la panca
+e si tolse dall’incubo.
+
+Il clamore si spense d’un subito. Non fu intorno che un’incertezza
+paurosa e gli occhi corsero dal volto del padre a quello del figlio.
+
+Samuele non guardò la gente, di nulla si curò se non del suo immenso
+desiderio di libertà; non fu al mondo, per lui, se non la sua fiera
+volontà che non avrebbe umiliata mai più, e sentiva una gioia altissima
+in quella subita conquista.
+
+Già era per uscire quando si levò, aspra ed imperiosa dal silenzio, la
+voce di maestro Alessandro:
+
+— Samuele?...
+
+Il giovane si rivolse torvo.
+
+— Che vuoi da me?
+
+Il vecchio fece per slanciarsi ma un urlo lo trattenne. Allora si passò
+le grosse mani su la pallida faccia sconvolta e gridò:
+
+— Va, va, che saprò dove trovarti!
+
+E nessuno più disse parola. Sentivano l’approssimarsi dell’orrore.
+Erano i Venchi di una feroce razza lupigna che nulla raffrenava. Gli
+uomini chinarono la faccia; le donne udivano già per l’aria fosca di
+tenebra le urla della folle paura.
+
+E quando il vecchio fece per uscire nessuno gli si oppose: era sul suo
+volto cadaverico la risolutezza che umilia chiunque la guati. Uscì, lo
+guardarono finchè la porta non fu rinchiusa, ascoltarono il suo passo
+finchè non si perse e allora si udì l’implorazione della donna offesa;
+schiantò il silenzio come un singhiozzo:
+
+— Correte gente, correte che non si debba udire un simile spavento!
+
+Quelle parole agghiacciarono i cuori e gli anziani si mossero incurvi,
+senza fiatare.
+
+Ora Samuele attendeva il padre nella casa sconsolata. Una lampada
+fumigava sulla tavola. Più non aveva misura il tempo, più non era nè
+tempo nè spazio, ma una cupa eternità senza voce.
+
+Camminava il giovine ascoltando il tonfo del suo cuore scatenato e ad
+ogni scricchiolio sussultava rivolgendosi alla porta.
+
+Poi si udì cigolare la porta e si udì il passo del sopravveniente.
+Furon l’un contro l’altro come due spettri. Nè l’uno dei due piegò; nè
+parevano tanto forti da superare quell’orrendo silenzio.
+
+E il vecchio si accostò al muro e ne distaccò la doppietta. Si udirono
+gli scatti delle molle congegnate.
+
+Samuele non fiatò, non si mosse, non distolse gli occhi torvi dal volto
+del padre. Erano ai due lati opposti della stanza.
+
+Maestro Alessandro puntò lentamente l’arme nera. Era nel suo volto
+sparuto la contrazione di un’ira senza limite, la terribilità del
+delitto.
+
+E allora parlò e disse:
+
+— Inginocchiati!
+
+Il figlio ubbidì e s’aperse le vesti, nè le sue mani tremarono.
+
+E il vecchio:
+
+— Farai ciò che voglio?
+
+Samuele non rispose.
+
+Il fucile s’abbassò verso il petto scoperto.
+
+— Rispondi!...
+
+Si udì un gemito, una voce strozzata, uno spasimo angosciato di
+supremo dolore e la pallidissima faccia sbiancò ancor più nell’orrendo
+singhiozzo.
+
+— Rispondi! — gridò più forte l’ossesso.
+
+Allora parve che tutto l’essere veemente e tutta la ribelle gagliardia
+del giovine si liberassero nel grido; ed egli parlò stravolto, senza
+più lume negli occhi:
+
+— Puoi ammazzarmi, ma non puoi costringermi!
+
+— Tornerai dai Grandi?
+
+— No!...
+
+— Chiederai scusa?
+
+— No!...
+
+— Mi ubbidirai?
+
+— No, no, no!...
+
+E in così dire fece per lanciarsi innanzi, cieco nel suo furore; ma
+appena aveva levato il ginocchio che un colpo rintronò e il giovine dal
+fiero viso stramazzò riverso come cosa inanimata: gli occhi al cielo e
+la bocca torta.
+
+Poi un urlo fu nella casa desolata e un urlo più alto nella notte
+grande, chè gli anziani sopraggiungevano correndo.
+
+Ma tutto era vano ormai. Il tragico fato dei Venchi era compiuto per
+l’eternità.
+
+
+
+
+LA GAZZA.
+
+
+Il semplicista non fece troppe parole; guardò Mezzalana, gli tastò il
+polso, gli rovesciò le palpebre e scrollò il capo.
+
+— Be’, cosa dite? — mormorò Mezzalana.
+
+— Cosa debbo dire? — rispose il semplicista.
+
+— C’è pericolo?
+
+— Non la vedo chiara.
+
+— Che cosa c’è.... Un tumore?
+
+— No, è il male della lucciola.
+
+— Della lucciola?... Non l’ho mai sentito ricordare.
+
+— Be’, ve lo dico io.
+
+— Siete sicuro di non sbagliarvi?
+
+— Se non mi credete, perchè non chiamate il dottore?
+
+— Il dottore?... Vuol esser pagato!
+
+— Allora state zitto se non volete spendere!
+
+Mezzalana alzò le spalle e mormorò:
+
+— Starò zitto!
+
+L’empirico riprese la mazza che aveva appoggiata al muro, si chinò alla
+secchia ricolma che era appoggiata sul pozzale, bevve e, asciugata la
+bocca sulla manica della giacca, si avviò all’uscita dell’aia.
+
+Mezzalana non era contento e già si pentiva del palancone che aveva
+dato al semplicista per la sua visita; due soldi valevan bene un lungo
+discorso, s’egli li valutava alla stregua della sua rabbiosa avarizia;
+così, come vide l’uomo andarsene tranquillamente senza aggiungere
+parola, gli gridò dietro:
+
+— Be’, non mi dite altro?
+
+L’empirico si fermò e, volgendosi a mezzo, rispose:
+
+— Non ve l’ho detto il male che avete?
+
+— Sì, ma che cosa debbo prendere per guarire?
+
+— La cassa!
+
+— Che cosa?...
+
+Allora Zibaldino, che stringeva tuttavia a dispetto, nel palmo
+della mano, la scarsa mercede e voleva far notare all’avaro la sua
+spilorceria, grugnì:
+
+— Dite un po’, pretendereste forse ch’io perdessi tutta la mia giornata
+per due soldi?
+
+— Due soldi son due soldi — rispose Mezzalana; — costano fatica e voi
+li guadagnate con delle chiacchiere!
+
+— Ah! sono chiacchiere le mie?
+
+— Non avete mica imparato la vostr’arte vangando la terra!
+
+— Allora perchè mi chiamate se sono chiacchere?...
+
+— Perchè vi contentate di poco.
+
+— Siete uno sciocco!
+
+— Io sarò uno sciocco, ma due soldi son due soldi!... E per due soldi
+dovreste parlare un po’ di più!...
+
+Zibaldino scuoteva il capo da destra a sinistra squadrando il cocciuto
+bifolco; poi si decise e parlò chiaro:
+
+— Be’, già che volete farmi parlare: volete proprio saperla tutta?
+
+— Sì.
+
+— Allora vi dico che avrete ancora tre giorni da campare!
+
+— Tre giorni.
+
+— Sì, tre giorni. E ve la dò lunga!...
+
+Mezzalana si guardò attorno, si calcò la _galosa_ fino alle orecchie e
+mormorò:
+
+— Basta!... Ho capito!...
+
+— Vi saluto — fece Zibaldino.
+
+— Addio — rispose Mezzalana; ma l’empirico non era giunto ancora sulla
+strada che il vecchio gli gridò dietro:
+
+— Avete detto che è il male della lucciola?
+
+— Sì, della lucciola!
+
+— E non ci sarebbe qualche erba?
+
+— Sì, l’_erba cagnina_ che fa bono ai cani!
+
+— Dite davvero?
+
+Zibaldino non rispose più. Si avviò per la riva del fosso, e camminava
+forte.
+
+Mezzaluna corse sulla strada, stette in forse un secondo, poi chiamò:
+
+— O Zibaldinoooo?
+
+L’altro affrettava il passo dinoccolato, il cappello sugli occhi e le
+mani in tasca.
+
+— O Zibaldinoooo?... Non mi sentite?...
+
+Sì! Chi lo sentiva?... Era indispettito. Svoltò per la prima
+viottola e non si vide più. Allora Mezzalana si grattò un orecchio
+e incominciò a pensare. Era troppo chiaro che il semplicista si era
+preso giuoco di lui. Forse con tre palanche avrebbe parlato un po’
+più e si rimproverava di non aver arrotondata la grassa mercede. Ma
+tale rimprovero non resse alla sua critica feroce. Tre palanche per
+un chiacchierone che veniva a guardarvi negli occhi o a tastarvi il
+polso? Bisognava essere milionari per darsi a spese simili. E negli
+occhi che cosa ci vedeva, la fede di nascita?... E a che serviva
+tastare il polso se egli sentiva male dentro, nel _cassone_, fra il
+cuore, lo stomaco e la milza? Spendere due soldi per sentirsi ripetere
+la bella verità che bisognava morire!... Tante grazie! Credeva forse
+che Mezzalana non sapesse.... Però aveva solo settant’anni. Che
+cos’erano settant’anni?... Suo padre era morto a ottantasette e suo
+nonno a novantaquattro. E aveva sentito dire dalla buon’anima di sua
+madre che un loro vecchio antico era giunto alla bella età di cento
+e quindici anni. Oh, sì!... Così bastava!... Dice: — Era ridotto come
+un uccellino!... Be’, e se era magro, e se mangiava poco non era fra
+i vivi ugualmente?... Perchè il tutto sta a non dover andarsene troppo
+presto; per il resto che cosa importa?... Anche se uno non si muove più
+da una sedia, basta veda....
+
+E qui lo colse un pensiero amaro: e se per davvero egli non avesse
+potuto veder più?... A settant’anni! E gli pareva di trovarsi di fronte
+a una smisurata ingiustizia se pensava alla morte alla sua età. Si
+spinse la _galosa_ sulla nuca; si avviò per l’aia ciondolon ciondoloni;
+prese una forca appoggiata a un pagliaio e la portò nella capanna. Il
+cane corse ad annusargli le gambe; lo scacciò.
+
+Una subita incredulità lo invase. Ogni dubbio ne fu travolto. Ma
+che morire!... A dar retta a certa gente sì, che si sarebbe morti
+venti volte il giorno. L’ora segnata era nel libro di Dio, non poteva
+conoscerla faccia d’uomo sulla madre terra. Il nostro destino era ben
+al disopra dei tetti delle case, in fondo al cielo, e se qualcuno fosse
+potuto andare e ritornare di lassù dove corrono le stelle, oh! allora
+gli si sarebbe potuto credere ad occhi chiusi. Ma un chiacchierone che
+sapeva l’arte di comporre qualche pillola, dove doveva togliersela
+la misteriosa scienza della vita e della morte? Perchè andava pei
+boschi, la notte?... Perchè dicevano che l’avevan veduto parlare
+coi fantasmi?... Chiacchiere che non valevano le sue belle palanche!
+Richiuse la capanna e si avviò al pozzo.
+
+Era ben vero che non si sentiva bene! Era vero, perchè negarlo?... A
+volte gli sopravvenivano certi mancamenti che, se non trovava appoggio,
+andava ruzzoloni per le terre, come gli era accaduto varie volte. E la
+vista gli si annebbiava sempre più e non aveva appetito. Almeno avesse
+mangiato!... Fin che si mangia si campa. Ma no, niente!... Appena
+qualche boccone e stentato che doveva far fatica ad inghiottirlo!
+Questo era il brutto! Già, perchè con lo stomaco non si ragiona e se
+lo stomaco sciopera.... Il male della lucciola?... Uhm?! Non l’aveva
+sentito ricordare mai. Ma che c’entrava la lucciola? Non era mica il
+tempo dei grani ed egli non soffriva di nessun fenomeno luminoso!
+
+Forse era un tumore. Già se lo sentiva addosso, a porgli mente; si
+sentiva come una cosa rotonda gravitare fra il cuore, lo stomaco e la
+milza, e nè Zibaldino, nè tutti i professori della terra potevano saper
+questo perchè, a voler ragionare, il male è di chi lo ha e chi non ne
+soffre non ne può sapere proprio nulla.
+
+E tale convinzione gli si accrebbe e gli si perfezionò per quanto più
+tempo prese a considerarla. Definito il male, pensò al rimedio. Un
+rimedio doveva esservi. La sua ostinata volontà di vivere non poteva
+rassegnarsi all’idea dell’inguaribile; così, siccome un poco se ne
+intendeva di semplici, si dette a rimuginare tutte le virtù delle erbe
+e da un angolo occulto della sua memoria gli tornò alla mente questo:
+che cioè l’erba _piastrella_ aveva la virtù di sciogliere i nodi che si
+formavano nel corpo degli uomini in seguito a cadute o a stregonerie.
+Ci voleva adunque l’erba _piastrella_ la quale non si trovava nei campi
+o lungo i fossi, ma nella pineta lontana. Doveva essere raccolta di
+notte, durante l’interlunio perchè non perdesse le sue proprietà. In
+quanto all’interlunio il periodo era propizio; in quanto alla notte....
+Si grattò un orecchio. A questo punto qualcuno scarpicciò dietro le sue
+spalle.
+
+— Come state, Mezzalana?
+
+Gettò un’occhiata in tralice. Era Pignòla, la sua vecchia moglie. Non
+le rispose.
+
+Pignòla veniva per l’aia con un paniere.
+
+— O Mezzalana, non mi date mente?
+
+Mezzalana volse il viso burbero.
+
+Quando fu vicina al marito si fermò a guardarlo da sotto in su, seria
+seria, col paniere infilato in un braccio, e nel paniere pigolavano una
+ventina di anatroccoli appena sgusciati dall’ovo.
+
+— Che cosa volete?
+
+— Vi ho domandato come va!
+
+— Io non lo so! — fece Mezzalana.
+
+— È venuto Zibaldino?
+
+— Sì. Non lo avete visto?
+
+— Non l’ho visto. Be’, che cosa vi ha detto?
+
+— Che debbo morire!
+
+— Sarà matto?!
+
+— È quello che dico io!
+
+— Non gli darete mica retta?...
+
+— No, per Dio....
+
+— Volevo ben dire!...
+
+E tacquero. Mezzalana si guardò i piedi; Pignòla raccolse i pulcini che
+tentavano di guizzar via dal paniere. Poi Pignòla soggiunse:
+
+— Non sapete neppure la razza del male?
+
+E Mezzalana:
+
+— È una razza cane!
+
+Pignòla scosse la testa:
+
+— Questo sì!
+
+Passò una pausa.
+
+— E sapete che cosa ha avuto core di rispondermi quando gli ho
+domandato un rimedio?
+
+— Che cosa ancora?
+
+— Mi ha risposto che la medicina era la cassa!
+
+— Dite sul serio?
+
+— Non vedessi più la faccia de’ miei figli!
+
+Pignòla aggrottò le ciglia e scagliò la sua maledizione:
+
+— Facesse Iddio che toccasse a lui!...
+
+E, lanciato che ebbe l’anatema, si dette a rincorrere gli anatroccoli
+che erano guizzati fuor dal paniere e scorrazzavano per l’aia.
+
+Mezzalana l’aiutò. Quand’ebbero compita l’opera, Mezzalana disse:
+
+— Sapete che male è?
+
+— No.
+
+— È un tumore!
+
+— Ne siete sicuro?
+
+— Sì. E ci vuole l’erba _piastrella!_
+
+— L’erba _piastrella?_... Che cos’è?
+
+— Come, non la conoscete?... Non sapete se faccia bene?...
+
+— Io no....
+
+Allora Mezzalana guardò la moglie di sbieco e brontolò:
+
+— Già l’ho sempre detto che siete un’ignorante!...
+
+La Pignòla non ribattè, era abituata agli sgarbi del suo signore e
+padrone, nè si riteneva degna di un trattamento diverso. Quand’era
+ancora giovine erano state famose bastonature ch’ella aveva inscritto
+nel capitolo dell’amore e della gelosia e che l’avevan fatta orgogliosa
+del suo uomo di fronte alle compagne; da vecchia il bastone aveva
+ceduto l’impero alle violenze ed ella prendeva queste come quelle, con
+l’intima fierezza di una donna che si sente amata.
+
+Senza scomporsi adunque, e per nulla offesa tirò di lungo, entrò nella
+capanna e scomparve.
+
+Come Mezzalana fu solo, raccattò uno stecco che vide in mezzo all’aia,
+lo portò nella catasta delle legna perchè nulla doveva andare disperso,
+poi si fermò, la testa bassa, tutto assorto in un pensiero.
+
+Così ristette alquanto e, quando si riscosse, la sua decisione era
+presa.
+
+Egli stesso sarebbe andato in pineta, durante la notte; avrebbe
+raccolta l’erba che conosceva e sarebbe ritornato innanzi l’alba.
+
+A compire il viaggio gli bastava il suo ciuco. Nessuno doveva saper
+nulla della decisione presa, neppure la Pignòla.
+
+Però, siccome un certo dubbio gli rimaneva in fondo all’anima e capiva
+di mettersi in un grave rischio, chè il viaggio non era corto, e poteva
+coglierlo un malore lungo la strada, decise che, prima di partire,
+avrebbe preso le sue precauzioni. E tali precauzioni erano d’indole
+affatto particolare. Entrato nel nuovo ordine di idee si affrettò verso
+la casipola, entrò nella stanza terrena e gridò a Pignòla che era curva
+su gli alari:
+
+— Questa sera si deve cenar presto!... Spicciatevi!
+
+— Devo cuocere la minestra? — domandò Pignòla rivolgendo la faccia.
+
+— Sì, cuocete!
+
+— E i ragazzi?
+
+— Fatevi alla siepe e chiamateli. Sono nel campo?
+
+— Sì.
+
+La Pignòla andò e tornò, presta come la lepre. Aggiunse legna al fuoco
+e una grembiulata di canàpuli, accese la lampada, andò ad attingere il
+vino nel boccale, cosse la minestra.
+
+I figli e le figlie di Mezzalana entrarono senza pronunciar parola e
+sedettero sulle panche disposte ai due lati della tavola.
+
+La Pignòla si spicciò, la minestra fu servita. Mezzalana non toccò
+cibo, ma nessuno gli pose mente se non fu la vecchia Pignòla.
+Questa che, dopo essersi pienata la sua verde scodella, preso il
+nero cucchiaio di legno, si era seduta sopra un sacco di farina, in
+disparte, a consumare il suo pasto, guardava a quando a quando il
+marito e mangiava di mala voglia. Poi non potè resistere e disse:
+
+— Mezzalana, non avete fame?
+
+Il vecchio non rispose. E la donna:
+
+— Non fate bene a star sempre digiuno! Vi guasterete la salute!
+
+Mezzalana grugnì in sì malo modo che la vecchia Pignòla abbassò
+l’insolcata faccia su la scodella e non parlò più.
+
+Compìto che fu il pasto, tutti salirono al piano superiore e Mezzalana
+rimase solo; allora, come udì spengersi a mano a mano ogni fruscìo,
+si tolse le scarpe, staccò la lampada appesa sotto una trave e andò
+ad assicurarsi che tutte le porte fossero ben chiuse. Si fece poi
+alle scale e stette in ascolto. La sua gente dormiva affranta dalla
+stanchezza. Ciò piacque al vecchio, il quale si guardò attorno ancóra,
+chè lo teneva l’eterno sospetto di essere spiato. Stava per compire
+qualcosa di sacro, qualcosa che gli era come un misterioso rito verso
+il suo Dio sonante. E per tale rito al quale, dai lontani tempi della
+sua immemorabile giovinezza, egli si era tenacemente votato, dormiva
+solo, in uno stambugio attiguo alla cucina e nessuno vi entrava se non
+Pignòla, rarissimamente, quando il consorte suo non poteva levarsi dal
+letto.
+
+Entrato che fu nel _Sancta sanctorum_, tirò il catenaccio, posò la
+lampada sopra una sedia e, presa una piccola scala a piuoli, l’appoggiò
+ad una trave e vi salì. Nel corpo di detta trave, per mezzo di certi
+suoi nuovi congegni, egli aveva aperto un rifugio capace di contenere
+comodamente le cose che voleva riporvi; e tale rifugio era sì ben
+chiuso che, dal basso, nessuno avrebbe potuto sospettarne l’esistenza.
+Vi salì adunque, ne tolse la chiusura, l’ispezionò e come fu sicuro
+dell’affar suo, vi depose la sacra mercanzia ch’egli aveva presa
+antecedentemente da un ripostiglio praticato nel muro, dietro l’arca.
+Compìta ch’ebbe la faccenda, ridiscese, portò la scala altrove, uscì
+su l’aia a specular la notte. Era sereno. Tempo calmo. Il Carro saliva
+nello spazio verso i sommi cieli, con le sue sette stelle. Allora,
+trasse dalla stalla _Simone_, l’attaccò alla carretta e se ne andarono
+per le strade silenziose verso la pineta marina.
+
+E l’alba non ancóra era per nascere quando Mezzalana e _Simone_
+ritornavano con l’erba _piastrella_. Ma se _Simone_ era tranquillo
+circa la sua sorte, altrettanto non lo era Mezzalana, chè sentiva il
+suo male crescergli dentro a dismisura e arroncigliarlo e morderlo e
+tormentarlo con lena sempre maggiore dilagando dal confine suo consueto
+a tutto il corpo. Il nodo maligno, confinato fra lo stomaco, il cuore
+e la milza si moltiplicava, tanto che Mezzalana aveva ferma fede di
+sentirlo crescere dentro di sè e radicarsi per ogni dove fino alla cima
+delle dita. Epperò un certo sudor freddo gli bagnava la fronte e il
+petto; e il dolore lo toglieva di senno.
+
+Fermarsi no, e correre non poteva. Inoltre l’austera indifferenza di
+_Simone_ tanto lo inaspriva che, nelle rare tregue alla sua sofferenza
+si vendicava con certe gigantesche legnate le quali avrebbero atterrato
+un toro, non che un ciuco. _Simone_ si limitava a ritrarre un poco la
+parte offesa, che era quella dove la coda s’impianta, e tirava di lungo
+senza commozione nessuna, come se l’ossa sue e le carni fossero del
+più saldo metallo. Tutt’al più levava il muso e raggrinziva le froge in
+quella diabolica risata muta che solo gli asini sanno. Comunque fosse,
+la distanza fu superata e Mezzalana giunse alla sua casa.
+
+Già cantavano le capinere e il cielo si tingeva di rosa. Le finestre
+erano chiuse tuttavia. La sua gente dormiva. Bene: tutto era riuscito
+secondo il suo piano; ma il più gran male sorse quando egli tentò
+di scendere dalla carretta nella quale si era disteso fra l’erba
+_piastrella_. Non vi riuscì. Solo che avesse tentato di sollevarsi gli
+sopravveniva tale spasimo da togliergli la luce. Frattanto _Simone_,
+che non si sentiva più dominato dal morso, se ne andava per l’aia a
+suo piacimento e avrebbe senz’altro rovesciata la carretta e Mezzalana
+nella buca del letame, se il vecchio egoista non si fosse dato a
+gridare:
+
+— Pignòla?... O Pignòla?...
+
+E appena aveva levata la voce angosciata dal male che una finestra
+si aprì e fra un vaso di basilico e un geranio fiorito apparve la
+scarmigliata testa della donna.
+
+Si guardò intorno, domandò:
+
+— Che cos’è?
+
+— Vieni!... — urlò il sofferente.
+
+— Siete voi, Mezzalana?...
+
+Il vecchio le rispose con un’imprecazione classica tanto che Pignòla,
+di un sùbito ridesta, si tolse dalla finestra, chiamò i figliuoli e
+corse nell’aia.
+
+Dopo Pignòla giunse Stecco, il figlio maggiore, e Mezzalana fu preso e
+portato nel suo stambugio ad attendervi l’ora dell’ultima passeggiata.
+
+Tornò Zibaldino; giunsero le attinenti vestite di nero; i figliuoli e
+le figliuole non andarono ai campi.
+
+Zibaldino disse:
+
+— Chiamate il prete. Tira lo sgambetto!...
+
+E, fra quanti erano nella camera, solamente una donna incominciò a
+piangere e fu Pignòla. Si tirò la pezzola su gli occhi e si perse, non
+seppe più far nulla. Ella soffriva davvero perchè si era affezionata al
+suo aguzzino e le doleva di vederlo partire per la dimora vegliata da
+una croce.
+
+Mezzalana non parlava più. Aveva una gran sete, beveva sempre, tanto
+che Stecco disse:
+
+— Diventerà una botte!... — E lo guardò morire perchè la morte era una
+cosa nuova per lui e gli procurava una certa sensazione strana.
+
+Giunsero altre attinenti abbrunate; ne fu piena la camera e la cucina,
+tantochè quando il prete fu sulla porta dovette farsi largo per
+entrare.
+
+Mezzalana fu unto, ma non se ne addiede e il prete ripartì senza
+avergli tratto una sola parola di bocca. Non che il morituro fosse
+fuori di senno, ma non parlava, non badava a nessuno, gli occhi fissi
+al soffitto e le mani conserte sul petto.
+
+Solo ad un punto, quando già la sera stava per ritornare, le donne che
+gli eran vicine, l’udiron mormorare:
+
+— Li vedo.... li vedo!...
+
+E volsero gli occhi intorno e si guardarono stupite. La Pignòla si fece
+innanzi, stranita:
+
+— Ha parlato?
+
+— Sì.
+
+— Che cosa ha detto?
+
+— Ha detto che li vede!
+
+— Li vede?...
+
+E un terrore superstizioso invase le donne che guardaron per l’aria e
+temettero di vedere a loro volta una paurosa apparizione.
+
+Da quel punto Mezzalana incominciò ad agonizzare; ma ebbe un’agonia
+gaia, senza scosse, senza grida o stravolgimenti, senza orrori. Se ne
+andava per il suo destino, come una stella in fondo ai cieli e pareva
+fosse contento. Il suo viso si illuminava sempre più, si componeva
+in una pace gaudiosa come se la morte gli parlasse dentro con parole
+amorose, narrandogli di un riposo eterno in un paese sonante di un
+infinito tintinnìo metallico.
+
+Non erano, le stelle, sì grandi quanto uno scudo d’argento?... E
+bene erano di argento e d’oro le belle monete di Dio!... D’argento e
+d’oro.... cosparse per l’immensa contrada dove non è neve, o pioggia,
+o solleone: ma solo l’Eterno Patriarca, e gli uomini che non hanno
+peccato, e le inutili vergini, e i poppanti, e i santi impolverati,
+e gli uccelli!... Forse la morte gli additava la contrada celeste e
+la fiumana sonante perchè Mezzalana più si accostava al valico e più
+sorrideva. E come fino a quel punto non aveva parlato, incominciò a
+parlare e le donne lo ascoltarono abbrividendo perchè esse vedevano la
+morte ben diversamente.
+
+Mezzalana adunque non tolse più gli occhi dal soffitto o, con maggior
+precisione, dalla trave nella quale era richiamato il suo cuore e, come
+l’aria veniva a mancargli sempre più, incominciò da prima a borbottare,
+sì che nessuno intese ciò che diceva, poi scandì le parole.
+
+— Io li vedo.... nessuno li vede!... Sono là.... là.... bianchi....
+gialli.... neri!... Duemila, quattromila!... — E una grande luce gli
+si distendeva sul volto. — Quattromila.... diecimila.... die.... ci....
+mi.... la!...
+
+Le donne si portavano le mani alla faccia; gli uomini si stringevano
+alle pareti e il panico superstizioso cresceva.
+
+— Nessuno li vedrà.... nessuno li toccherà!...
+
+Allora una donna piccina, ossuta, che più tremava di sacro orrore, levò
+la faccia rigata di lacrime e gridò:
+
+— Vede gli angeli!...
+
+Quel grido si ripercosse in tutti i cuori e ne trasse un’emozione
+violenta. Di un sùbito tutti furono convinti della stessa verità e si
+inginocchiarono e nascosero la faccia. E la piccola donna gridò:
+
+— Muore come un santo!... Ha la grazia del Signore!... È un santo!...
+
+Le lugubri prefiche ripeterono:
+
+— È un santo!...
+
+E tutti piansero, toltone i figli di Mezzalana, che non credettero
+a niente perchè ricordavano troppo bene la vita, le prepotenze, le
+angherie e la sordida avarizia del padre. Ma Pignòla era fra le più
+convinte; Pignòla piangeva e perdonava tutto perchè aveva amato.
+
+E Mezzalana morì mormorando:
+
+— Li vedo!... Li vedo!...
+
+Era notte quando se ne andò dal mondo, tantochè le ammantate, che
+rimasero a pregare presso la salma di lui, videro in realtà un grande
+chiarore nella notte e gli angeli che portavano in cielo l’anima di San
+Mezzalana.
+
+ ❦
+
+Ora, quando il vecchio non fu più nel suo stambugio, i figli suoi
+gettarono all’aria tutto e cercarono e frugarono senza trovar neppure
+un centesimo. E la voce corse per il contado:
+
+— È morto e non ha lasciato niente!... È una famiglia alla miseria!...
+
+Qualcuno susurrò ch’egli avesse dotato del suo un convento delle
+montagne.
+
+Comunque fosse, anche Pignòla morì e i figliuoli vendettero la casa
+e si dispersero per il mondo. Dieci anni dopo, quando al fatto non
+si pensava più, volendo il nuovo proprietario della casa ampliarla,
+cominciò con l’abbatterne una parte e un giorno, in cui i muratori
+erano intenti a far discendere una trave dalle mura disfatte, avvenne
+un prodigio: questa trave si aperse e lasciò cadere un rivolo; una
+pioggia di monete d’oro e d’argento.
+
+Furono conte: erano diecimila lire, quelle stesse che il vecchio
+avaro aveva nascoste lassù prima di andarsene a raccogliere l’erba
+_piastrella_ e che avevano illuminata la morte di lui.
+
+Ma il fatto non fu risaputo che da pochi; e ancóra si parlò per le
+veglie della santa morte di San Mezzalana, mentre i figli di lui
+andavano poveri e raminghi per le vie della terra.
+
+
+
+
+L’EREDITÀ.
+
+
+Il grande niveo armento riprendeva le vie della campagna, chè già era
+prossimo il mezzodì e fin dall’alba soave si era accolto nel campo
+alberato giungendo e dalle foci remote e dai colli inghirlandati di
+mandorli.
+
+Ora l’inegual tocco dei campani, il grido dei biolchi, il fondo
+muggito dei bovi si disperdeva lungo le vie maestre e le viottole; si
+allontanava verso i chiusi e le stalle prossime e remote, dal mare alla
+montagna. E non restavano, nel campo alberato, se non i ritardatari,
+i mercanti, coloro che attendevano a riscuotere o a pagare, e qualche
+disperso che era giunto senza saper che volere e così se ne tornava
+maledicendo, curvo su le pediche innumerevoli dei trascorsi.
+
+Non per anco dalle rogge torri e dai campanili sereni era disceso lo
+stormo delle campane del meriggio; nè dalle piazze della bianca città
+si era levato il volo delle colombe al consueto richiamo; ma presso
+era il punto dell’ora che divide il giorno fra i due crepuscoli e i
+bifolchi cercavano, nel cammino dell’ombra e nell’arco solare, il tempo
+alla sosta ed al sonno.
+
+Già le osterie intorno al mercato rigurgitavano di genti, di grida
+e dell’acciottolìo che riempie quei luoghi quando la fame degli
+uomini impera; già chi non aveva se non il suo pane nei tasconi della
+cacciatora, lo traeva e lo addentava in pace, seduto ad un’ombra, in
+disparte, e molti si affrettavano, accesi dal caldo e dal vino, verso
+gli stallatici rigurgitanti a riprender la brenna o il ciuco e a partir
+sotto il sole per le remote case.
+
+Non uno era solo sul proprio barroccino o sul calesse dal mantice
+stinto, chè lo attendeva per la via una comare, un capoccio, un amico,
+un conoscente a domandargli ospitalità al suo fianco e le brenne
+arrancavano malinconiche.
+
+Scarse eran le ombre, violentissimo il sole, accecante il bagliore
+delle strade, i nembi della polvere, densi come la nube turbinosa.
+
+E sempre suonavan campani, muggivano buoi, gridavano e sibilavano
+biolchi astati, dietro le disciolte mandre dei vitelli, i quali,
+impauriti da un nulla, si sbandavano e invadevano i campi e le vigne e
+le maggesi in una scalpitante scorribanda tempestosa.
+
+Uomini e fanciulli e cani si lanciavano all’inseguimento mentre,
+ubbidienti alla mano di un bimbo, reggente la corda della nasaiola, i
+giganteschi buoi seguivano le prode dei fossi ponendo nel sole l’acceso
+bagliore dei loro fiocchi vermigli.
+
+La fiumana si disperdeva; morivano i suoni lontanando nell’afa
+meridiana; il niveo armento disceso con l’alba alle soglie della bianca
+città ricinta da floridi orti, ritornava verso le foci silenziose e
+verso le vigne degli armoniosi colli. Il campo del mercato era quasi
+deserto, ma ancora vi si trattenevano i mercanti, e i capocci, e i
+sensali.
+
+Eran conclusi gli ultimi patti, risolti i più tardi dubbi fra un
+intermesso scrosciar di bestemmie e un vociare e un tendersi di mani
+avvinte e squassate dalla furia dei sensali e tanto più s’incaniva
+la baraonda quanto più era presso il termine del mercato: ma padron
+Cecco rideva. La sua rotonda faccia gioviale non era punto commossa
+dall’impeto di coloro che gli si stringevano intorno nel passionato
+desiderio di concludere l’affare col re del mercato; le parole, le
+promesse, le esaltazioni, le grida, non turbavano la sua sorridente
+impassibilità. Ascoltava tranquillo, lasciava che i venditori e i
+sensali si sopraffacessero nella iperbolica esaltazione della merce,
+non troncava mai a mezzo un discorso, non discuteva; solo, quando si
+era al concludere, ripeteva l’offerta fatta fin dal principio:
+
+— Quaranta marenghi!
+
+— Ma, Dio mi faccia morire, se Paolino della Tuda non me ne ha offerti
+quarantacinque!...
+
+E padron Cecco:
+
+— Dovevate darglieli!
+
+— Un paio di buoi che porterebbero via una casa!
+
+E un sensale:
+
+— Padron Cecco, quarantadue marenghi e non se ne parli più!... Qua la
+mano!
+
+Cecco dall’Orto rideva.
+
+— Allora dite che non volete farne nulla!...
+
+E il venditore ai sensali:
+
+— Dio mi faccia perder la vista e ch’io non veda più i miei figliuoli
+se non mi offrivan di più questa mattina!... Due buoi senza difetto!...
+Grassi che sembran da macello!
+
+— Qua la mano, padron Cecco; quarantadue marenghi e pace è fatta!
+
+— Quaranta marenghi!
+
+La disputa si accendeva, traviava in qualche velata insolenza, ma
+Cecco dall’Orto non perdeva contegno e misura essendo convinto che,
+per l’offerta avanzata, gli avrebber condotte le bestie fino alla sua
+stalla lontana.
+
+Così avvenne. Il patto fu conchiuso e fu versata una parte del prezzo.
+
+La gente sapeva, d’altra parte, che se Ceccone dall’Orto, il mercante
+milionario, aveva stimato che un par di buoi non valesse più che tanto,
+non sarebbe stato possibile elevarne il valore perchè il parere di
+Ceccone imperava per tutti i mercati della grassa terra fruttifera.
+
+Ed anche gli ultimi preser la via del ritorno. Non rimaneva, fra la
+scarsa ombra degli alberi, allineati attorno attorno al campo, se
+non qualche miserrimo ciuco che fiutava la polvere. I bifolchi e i
+sensali si sbandarono. Padron Cecco s’avviò solo verso lo stallatico
+a riprender la cavalla e già stava per uscire su la via quando si
+vide alle terga una donna in gramaglie che lo seguiva. Si rivolse
+mediocremente incuriosito. La donna si fermò e fece per calarsi la
+pezzuola su gli occhi, ma Ceccone disse ridendo:
+
+— Oh! La Gilda!...
+
+La donna levò gli occhi torvi su la rotonda faccia gioviale del
+mercante e non parlò.
+
+E padron Cecco:
+
+— Mi cercavi?... Sei a piedi?... Vuoi salire con me sul barroccino?...
+
+— No, non voglio!
+
+— Be’!... E allora?...
+
+— Allora, sempre così!... — gridò la donna.
+
+— Sempre così.... sempre così!...
+
+E gli occhi di lei, accesi di sdegno, dopo aver squadrato una seconda
+volta il giocondo colosso, si rivolsero altrove; ed ella prese una
+strada diversa e si allontanò rapidamente.
+
+Padron Cecco sorrise e, abbassata un poco la testa, appoggiandosi
+a quando a quando sul suo rozzo bastone da fattore, si avviò allo
+stallatico. Quivi trovò gli amici mercanti e, come era consuetudine
+sua, chè avrebbe preferito digiunare anzichè mangiar solo, li convitò
+alla sua mensa.
+
+Partirono al trotto serrato dei cavalli iniziando ben presto la gara
+fra i singoli corsieri; tutti affannati, impolverati, sudanti; ebbri
+dei buoni guadagni e del caldo e dell’amore delle facili femmine
+lascive, sempre soggette e dimesse, come i nivei bovi al curvo giogo di
+salice.
+
+ ❦
+
+Così la vita a Ceccone dall’Orto, l’astuto bifolco alunno della
+fortuna. Egli era cresciuto in ricchezza e in gagliardia da quando,
+abbandonato l’aratro fra le maggiatiche, lasciate le costumanze degli
+avoli, e l’antico podere, troppo violentato dall’adunco vomere perchè
+potesse dare buon frutto, si era dato a bazzicare pei mercati e a
+intessere i suoi primi imbrogli ben riusciti.
+
+Allora non aveva che la sua giocondità, un discreto acume per gli
+affari ed una furberia malandrina. Aveva anche l’arte di piacere agli
+uomini benchè gli fossero tutti ugualmente indifferenti. La fortuna
+lo adocchiò. In quel tempo egli poteva giuocare tutto per tutto; la
+prigione non lo spaventava nè l’opinione che i suoi simili potevano
+farsi sul conto di lui. Sapeva che il danaro rinnova le coscienze
+stinte e che la gente indignata non rivolge il proprio furore là dove
+l’oro ristagna e la sua giocondità non si oscurò per un attimo solo.
+Tentò un colpo canaglia. Gli riuscì. Mandò all’aria una famiglia di
+onesti sciagurati e da un giorno all’altro si trovò possessore di
+trentacinquemila lire. Aveva ciò che gli abbisognava per dare alla
+propria attività il largo campo necessario.
+
+Da quel tempo gli scrupoli suoi furono anche minori, se ciò era
+possibile, e siccome natura lo aveva fatto di solida tempra ed egli
+poteva tranquillamente non dormir le notti, mangiare poco e a furia,
+resistere per giorni e settimane, alla baraonda dei mercati senza
+risentirne stanchezza, non si risparmiò. Volle da se stesso il massimo
+sforzo per il maggior risultato e l’ottenne. In pochi anni la sua
+fortuna decuplicò e siccome il denaro, fra le sue mani, ad altro non
+serviva se non ad accrescersi di continuo, Ceccone dall’Orto si trovò
+a possedere, su la sua cinquantina, quattro milioni e mezzo. Ma il
+patrimonio accumulato non gli fece mutar gusti nè abitudini; egli
+rimase il rozzo bifolco che era il giorno in cui aveva gettato la marra
+e abbandonata la famiglia per seguire il suo destino dissimile. Come
+non mutò la foggia del vestire e la casa e sempre fu contento della sua
+cacciatora di _mezzalana_ e del suo stambugio disadorno fra i campi,
+così i desideri suoi non si accrebbero per altre vie. Gli era gioia
+spadroneggiare pei mercati, far ribotta quanto più sovente poteva,
+cambiare le sue grosse amiche gioconde che non conoscevan sospiri. Non
+aveva famiglia. Gli eran compagni, nella casa solitaria, due garzoni e
+una cuoca. La stalla e la cucina erano le sue sale.
+
+Ottuso ad ogni sentimento, di qualsiasi natura esso fosse, non aveva
+provato mai commozione nessuna nè per sè nè verso i suoi simili.
+Amava la sincerità brutale; le cose che hanno un volto e una parola
+cruda. Pel resto la sua nativa diffidenza di bifolco e di mercante si
+esplicava nel suo immutabile riso.
+
+Assediato dai suoi parenti, che il suo patrimonio cospicuo faceva
+delirare, Cecco dall’Orto rideva; perseguitato da ogni sorta di gente,
+losca nella sua umile devozione, non ne era vinto. Nessuno mai aveva
+avuto da lui un solo scudo. Ceccon dall’Orto rideva.
+
+Tale era il re delle sonanti adunate, l’astuto bifolco squadrato a
+gagliardia; gran mangiatore e grande amatore al cospetto dei compagni
+suoi bercianti che sempre gli erano da presso.
+
+Ora egli non pensava alla morte più che non pensasse a impoverire
+e benchè i parenti suoi innumerevoli sempre gli stesser d’intorno,
+quasi a ricordargli la fragilità della sua materia, non eran riusciti
+tuttavia a far sì che padron Cecco testasse. Egli sapeva che le
+sue amiche e le genti alle quali dimostrava qualche simpatia erano
+osservate, circuite, minacciate chè, nel novero dei suoi parenti, v’era
+qualcuno del suo conio, pronto a qualsiasi prova pur di riuscire dove
+mirava; sapeva che ogni sua parola detta era vagliata e soppesata, che
+ogni ora della sua vita era a conoscenza de’ suoi devotissimi aguzzini,
+che non poteva far cosa che non fosse risaputa e tutto questo in attesa
+della sua bene augurata morte; ma non mutava volto nè anima, nè la
+giocondità di lui era per annebbiarsi menomamente. Anzi il giuoco lo
+divertiva. E se qualcuno fra i più arditi gli faceva osservare talvolta
+che un uomo dell’età sua avrebbe dovuto pensare a disporre de’ suoi
+beni, rispondeva ridendo:
+
+— Fra tutti voi, davanti alla morte, io mi chiamo Ultimo!
+
+Ora quel giorno, dopo aver fatto ribotta con i mercanti amici suoi,
+se ne stava seduto, verso sera, innanzi alla tavola apparecchiata
+attendendo che Carlotta ritornasse dall’orto e gli apprestasse la cena,
+quando udì qualcuno che si rimuoveva sotto il portico. Non vi pose
+mente. La porta era spalancata, ma padron Cecco non levò gli occhi a
+guardare. Pensava ad un suo nuovo raggiro. Così non badò a chi entrava
+nella cucina e solo alzò il capo quando udì la voce di Carlotta dire:
+
+— Oh!... Come mai vi si vede, Gilda!...
+
+Allora guardò dall’altro lato della tavola e si trovò innanzi la donna
+che l’aveva seguito furtivamente quando ritornava dal mercato. Vestiva
+sempre il lutto, aveva la pezzuola nera sul capo e gli occhi suoi
+grandi fiammeggiavano di sdegno.
+
+La Gilda non rispose a Carlotta. Guardava Ceccone dall’Orto, fissamente.
+
+Questi non si scompose, la sua faccia gioviale non ebbe un sol guizzo.
+Disse in tono placido:
+
+— Sei venuta a farmi compagnia, Gilda?
+
+La Gilda, senza mutar volto, come fosse irrigidita, mormorò:
+
+— Imbroglione!...
+
+Allora Ceccon dall’Orto si rivolse a Carlotta che si scandalizzava e
+riprese:
+
+— La Gilda non si sente bene, forse! Hai fatto il brodo questa sera?
+
+— Sì, padrone!
+
+— Be’, apparecchia per due.
+
+E siccome padron Cecco non disse altro, ogni conversare finì.
+Rimasero di fronte e l’una pareva volesse distruggere l’altro solo
+col fiammeggiare degli occhi suoi fissi. Aveva puntato i cubiti su la
+tavola e si stringeva la faccia fra le palme.
+
+Padron Cecco riprese l’ordine de’ suoi pensieri e nulla perse della
+sua tranquillità giuliva; ma quando Carlotta si fece alla tavola con
+una scodella e la pose innanzi alla Gilda, questa si levò di scatto,
+scaraventò l’arnese in mezzo alla stanza e riprese la via dell’uscio.
+
+Ceccon dall’Orto die’ nel ridere e a Carlotta che gli chiese:
+
+— Ma che ha quell’indemoniata?
+
+rispose:
+
+— È un po’ matta, ma fa ridere! È la seconda volta che la vedo, oggi!
+
+— Badate, padrone, che è della razza dei Giuli!... Badate non faccia
+uno sproposito!
+
+— E che dovrebbe fare?
+
+— Non si sa mai!... Una donna come quella!...
+
+— Hai paura che mi ammazzi?
+
+— Io non porrei la mano sul fuoco, sapete!... È una donna capace di
+tutto!
+
+— Ma no!
+
+— Per me, fate quel che volete; ma, se fossi in voi, terrei gli occhi
+aperti.
+
+— E li tengo chiusi, io?
+
+— Non dico questo. Ma non è prudente lasciarsi accostare così da
+un’indemoniata come quella.
+
+— Ma credi sia la prima volta? Sarà un anno che mi perseguita così; da
+quando l’ho lasciata! Le ho offerto del denaro, non ne vuole! Le ho
+domandato che cosa le abbisognava e neppure mi ha risposto. Che cosa
+devo fare, allora?... Vuoi che me la sposi?... Una volta mi aspettava
+o all’osteria o sulla strada; mi capitava fra i piedi ogni due ore e si
+accontentava di guardarmi malamente. Ora pare voglia stare più comoda,
+viene in casa; e tu lasciala venire. Che vuoi farci?
+
+— Io la metterei alla porta!
+
+— Ma no, poveraccia!
+
+— Non vedete che vuol farvi dispetto?
+
+— Be’, ti pare che le riesca?
+
+Carlotta si strinse fra le spalle e ritornò ai suoi fornelli
+brontolando:
+
+— Se se ne accorgono i vostri parenti!
+
+— Credi non lo sappiano?... No, di quella non hanno paura!
+
+E Ceccon dall’Orto rise, divertito dalla lotta che gli si muoveva
+intorno sorda e continua per il possesso dei suoi beni.
+
+E la Gilda continuò ad apparire, imperturbabile, ogni sera, quando
+padron Cecco era per mettersi a cena. Entrava per la porta aperta,
+senza dir parola, senza badare a quelli che potevano essere nella
+cucina, sedeva in faccia al suo vecchio amante, puntava i gomiti
+sulla tavola, la faccia fra le palme e così restava mezz’ora e più
+in perfetto silenzio, guardando a sdegno padron Cecco. Che fosse
+tuttavia innamorata di Ceccon dall’Orto nessuno credeva, come non si
+credeva che un qualsiasi interesse potesse spingerla ad agire in sì
+strano modo; ella ubbidiva unicamente alla sua natura dispettosa, al
+bisogno di riuscire intollerabile a chi non si era occupato di lei
+per tutta la vita e le aveva detto addio con la tranquillità con la
+quale si abbandona un indifferente. Nel sottile groviglio della sua
+docile perfidia ella aveva cercato e cercava tuttavia la persecuzione
+più sorda, più continua, più implacabile; quella che esaurisce ogni
+pazienza e si termina in aspri litigi quando non ceda al peggio.
+
+La Gilda avrebbe dato metà del suo sangue per vedere la faccia di
+Ceccone travolgersi nell’ira brutale; l’anima sua maligna ne avrebbe
+goduto come del più bel trionfo; ma come non le riusciva neppure
+a scomporre per il battito di un secondo la tetragona placidità
+dell’antico amante, sempre più si incaniva in se stessa, struggendosi
+dalla bile e pronta ad ogni più sorda lotta pur di riuscire al suo
+còmpito.
+
+Altro non voleva se non tormentare e l’immutata giocondia di padron
+Cecco la faceva tormentata.
+
+Ora avvenne che, cadendo l’autunno ed essendo tempo di grande caccia,
+Ceccon dall’Orto, per imbandire certi suoi germani che aveva uccisi
+nella palude, convitasse ad un festino gargantuesco tutti gli amici
+suoi ed i parenti e le donne dei parenti e degli amici. Due cuochi
+giunsero dalla città in aiuto di Carlotta. L’ampia cucina brillò per le
+grandi fiammate e sì empì di grassi odori e di un festevole vocìo fin
+dalle prime ore del giorno.
+
+Si apprestava il banchetto classico romagnolo, ponderoso ed
+interminato, in cui le portate si succedono e si moltiplicano, si
+sovrappongono e si ripetono in tale abbondanza da farne sazio un paese.
+
+La brigata incominciò a giungere fin dalla mattina. Ora era un
+barroccino, ora un calesse, ora un bagherino.
+
+Ogni nuovo arrivato incominciava a gridare fin dalla strada per
+manifestar la sua gioia e la sua fame.
+
+L’aver fame, molta e bramosa fame, è il complimento più grato
+all’ospite che convita. E Ceccone accoglieva gli invitati di su
+la soglia, ridendo e vociando a sua volta, tutto rosso e grasso
+e colossale che pareva lo specchio dell’uomo che non sa se non la
+robustezza del proprio stomaco insaziabile come il sepolcro.
+
+La stalla rigurgitò di cavalli e di ciuchi; l’aia fu piena di calessi e
+di _bagher_; la casa di genti, strillanti come la scimmia e la gazza.
+Le donne si ritraevano in cucina; gli uomini si adunavano su l’aia.
+Erano una coorte. E la frase che correva intorno più frequente, a
+manifestar la bramosia del gregge, era:
+
+— Quando si mangia?
+
+E ognuno faceva sollecitudine ai cuochi e alle donne chè si
+affrettassero e dessero il cenno che allieta colui che si appresta ad
+ingozzarsi. Il cenno fu dato che ancora non era il meriggio e l’immensa
+tavola imbandita fu presa d’assalto. L’orgia bacchica incominciò. Il
+sangiovese, l’albana, il pagadebiti, la canina, corsero a fiumi giù
+per le sitibonde gole. L’acqua fu bandita come una cosa immonda; come
+la compagna dell’anatra e del luccio e dei ridevoli ranocchi. E fra
+bere e impinzarsi la buona gente romagnola si sentì a suo agio. Il
+cuore crebbe a mano a mano che lo stomaco si saziò. Tutti si vollero
+bene e vollero bene alle donne e ai cuochi e ai cani e alle galline
+che razzolavano sotto la tavola. La nativa scurrilità si elevò di
+tono. Ogni sporca cosa divertì la brigata, ma sopratutto le donne. Chi
+le diceva più grasse più era apprezzato dalla compagnia e le risate
+succedevano alle risate in un assordante baccano. E fra tutte risuonava
+più alta la voce di Ceccon dall’Orto. Egli non poteva dir cosa, anche
+fra le più stupide, senza sollevare un clamore di approvazioni e di
+risate, e, se apriva bocca, tutti tacevano e si protendevano, rapiti.
+
+Ma avvenne che, sul più bello di un enorme boccone, e il simposio
+volgeva alla fine, padron Cecco stralunasse.
+
+Dapprima gli ospiti risero, credendo che il milionario celiasse; ma
+quando videro la rotonda faccia del mercante, di vermiglia divenir
+paonazza e inturgidirsi nelle vene; e videro gli occhi farsi di un
+subito sanguigni e metà viso stravolgersi in una smorfia orrenda,
+balzarono in piedi, ammutoliti.
+
+Fu prima una donna che disse piano:
+
+— Gli è venuto un colpo!...
+
+Poi l’attimo dello sbalordimento fu superato e furono in venti a
+soccorrerlo. Padron Cecco non dava più segno di conoscenza. Gli
+slacciarono i panni, lo portarono al piano superiore, nel suo letto, e
+mentre gli uomini correvano per il medico altri andarono per il prete.
+Tutti lo videro morto. Al baccano smodato subentrò un pavido silenzio.
+
+Ormai si poteva esporre apertamente il proprio pensiero, Ceccone
+dall’Orto non capiva più.
+
+Ancora fu prima una donna che disse:
+
+— Bisogna cercare il testamento!
+
+E un’altra:
+
+— Non ne ha fatto!
+
+Un brivido corse fra i muti parenti, torvi dinanzi alla morte che
+poteva carpir loro l’agognata fortuna.
+
+Poi fu come una vandalica intesa e mentre il moribondo rantolava nello
+spasimo della soffocazione, l’avida muda si gettò sui canterali, sugli
+armadi, sulle arche, rompendo e devastando nell’ansia della suprema
+ricerca.
+
+Solo Carlotta singhiozzava muta in un angolo.
+
+Non fu trovata nè una carta nè un soldo e la turbolenta masnada si
+rivolse a guardare il moribondo, obliqua e sinistra. Su tutti quei
+volti non era che il lampo dell’odio.
+
+Giunse il medico, intraprese la sua inutile cura.
+
+Gli fu chiesto:
+
+— Morirà?
+
+— Sì.
+
+— Potrà parlare?
+
+— Forse sì.
+
+— Ah!... — Una speranza si fece largo fra la tenebra improvvisa.
+
+Ed anche il prete venne e dietro di lui la Gilda vestita di nero. Aveva
+la pezzuola calata su la fronte. Passò muta fra l’indifferenza degli
+astanti, non salutò e non fu salutata. Ristette in piedi, vicino al
+capezzale, le braccia pendule e le mani incrociate. Sul volto di lei
+non era se non la sua continua smorfia sdegnosa.
+
+Ora tutti erano intenti a seguire l’opera del medico. Non rifiatavano.
+Vi fu un punto in cui il rantolo di padron Cecco si affievolì e si
+spense. Allora le donne mormorarono:
+
+— È morto!...
+
+E già il prete si chinava sul capezzale e dietro di lui la Gilda,
+quando il morituro ebbe una subitanea scossa, levò un poco il capo,
+aperse gli occhi:
+
+— Parla, parla!... — susurrarono le donne protese. — Parla!... Potrà
+far testamento!
+
+E tutti si fecero innanzi togliendosi il cappello e richinando
+umilissimamente la faccia. Vi fu chi disse:
+
+— Coraggio, Checco!
+
+Ed altri:
+
+— È nulla!... Guarirete, coraggio!...
+
+E i mormorii passavan via col brivido del cuore in tumulto.
+
+Ceccon dall’Orto volse gli occhi intorno, disse:
+
+— Ho sete!
+
+Venti mani si protesero all’arida bocca rossigna.
+
+E Ceccone bevve e tutti lo guardarono assiepandosi intorno a lui e
+attendendo le sue parole. Fu un silenzio eterno.
+
+Padron Cecco richiuse gli occhi, li riaprì, fissò ad una ad una
+le facce degli astanti volgendo lentamente il capo. E su tutte le
+tragiche maschere vide la stessa ansia rapinatrice, velata di umiltà;
+su tutte, tranne una. Una donna era là con l’anima sua di sempre, col
+suo dispetto nemico, dipinto sul viso pallido. Padron Cecco la guardò,
+disse:
+
+— La Gilda!...
+
+E questa, senza scomporsi, senza mutar voce nè tono, come tante volte
+rispose:
+
+— Crepa, cane!...
+
+Ceccon dall’Orto tentò un sorriso, ricadde spossato sui guanciali; ma
+poi lo videro muovere un braccio come a chiamar qualcuno e riaprì gli
+occhi e fe’ segno che il medico ed il prete gli andasser vicini.
+
+— Parla, parla!...
+
+— Fa testamento!... Ha chiamato i testimoni!... Fa testamento!...
+
+Non fu mai ansia più tremenda, forse, neppure in chi attendeva dal
+giudice la morte o la vita.
+
+Il medico e il prete si chinarono sul morituro.
+
+— Volete parlare?
+
+— Sì... ecco... la mia ultima... volontà!...
+
+I volti erano terrei.
+
+— Vi ascoltiamo — disse il prete.
+
+E il medico:
+
+— Vi ascoltiamo.
+
+— Io... ho piena coscienza... è vero?
+
+I testimoni dissero:
+
+— Sì. Avete perfetta coscienza.
+
+— Allora... (fra parola e parola pareva passasse l’eterno silenzio).
+Allora... io... in perfetta coscienza... voglio e dispongo che... erede
+universale... delle mie sostanze... sia...
+
+Boccheggiò. Si udirono quattro bestemmie favolose.
+
+Riprese:
+
+— ... sia... l’unica che non mente... la Gilda... Gilda dei Patrizi...
+
+Ed altro non disse; ma non morì a tempo per non udire la sincerità
+dei delusi scatenarglisi contro come a nessun uomo mai, nell’odio che
+impaura ed ammazza.
+
+
+
+
+LA FESTA DEI MIGLIACCI.
+
+
+I tre norcini si rivolsero a padron Serafino, chè eran per separarsi, e
+domandarono:
+
+— Dunque è per domani?
+
+— Sì, per domani!
+
+— A bruzzico?...
+
+— Ma sicuro!... Ce ne son tre da governare! Arrotate gli arnesi.
+
+— Non temete che son a filo. Allora saremo da voi prima di giorno. Fate
+che tutto sia pronto.
+
+— Tutto è in ordine. Arrivederci.
+
+— Non ci pagate da bere?
+
+— No; chè se vi ubriacate non si lavora.
+
+— Anzi!... Si lavorerà più sodo!...
+
+— Berrete domani, chè faremo allegra festa.
+
+— Bene. Vi salutiamo.
+
+— Addio.
+
+Padron Serafino frustò la ronzina e i norcini svoltarono per la
+viottola dei maceri.
+
+Il livido decembre si assonnava infreddolito, accorciando sempre più
+le giornate. Si era alla vigilia di San Tomè che prende il porco per
+lo pè. L’adagio rispecchiava l’usanza dei bisavoli, dei trisavoli;
+l’antichissima consuetudine di sacrificare, nel giorno di San Tommaso,
+gli enormi porci satolli di farina gialla e di ghiande. Epperò, nelle
+case che fiancheggiavano la strada, si vedevan, dalle basse finestre
+senza imposte, divampanti fiammate e grandi paiuoli sul fuoco e genti
+in moto a varie opere. Inoltre, nel crepuscolo bigio, passava a quando
+a quando l’infernale urlìo delle immonde bestie mangerecce le quali,
+tolte dai catri o dagli stabbioli, e trascinate per le orecchie e per
+la coda verso il luogo del sacrifizio, impaurite dal fatto inusitato,
+non potendo altro opporre, tanto strillavano da tòrre di senno l’armato
+norcino che le attendeva al varco.
+
+Su la bassa pianura corsa dalle fiumane, intenebrata dalla nebbia,
+dispoglia da ogni vita vegetale, erano quelli gli unici suoni che
+trascorressero, chè già le pievi disperse avevano suonato l’ave e le
+strade, aspre di ghiaie, erano deserte. Era la stagione in cui gli
+uomini più vantano i pregi della mensa e ingioiscono e s’ingollano e
+si satollano gridando, fra la tavola e il fuoco, negli interminabili
+conviti; la stagione sacra agli stomachi temprati alle eroiche fami e
+ai pasti monumentali. Epperò l’ecatombe dei grufolanti quadrupedi si
+annunziava per un acutissimo stridere ripetuto di casa in casa, fin
+sotto l’estremo arco della sera, fin dove la zona delle nebbie più si
+ispessiva fra l’ignuda terra e il cinereo cielo.
+
+Padron Serafino guardava e si encomiava per aver resistito agli aspri
+rabuffi e alle geremiadi della moglie sua pallida e scarna come il
+peccato mortale; si encomiava, chè non avrebbe capito mai in quale
+utile fosse per tornargli una male intesa economia quando non aveva
+figliuoli a cui pensare, e, se avesse voluto godersi tutto il suo,
+innanzi di morire, questo era ben fatto! Ma la Bita, che era il
+ritratto stesso del digiuno e di ogni macerazione, più scendeva negli
+anni e più si incaniva nella febbre del suo risparmio, quasi che la
+vita le fosse diventata un malanno e tutto stesse per rovinare nella
+vecchia fattoria dei Conti. A darle retta si sarebbe mangiato sul
+pugno, una volta al giorno, pane e formaggio e nulla più; nè i vecchi
+vini, che hanno nel cuor loro vermiglio la giocondìa del sole, più
+sarebbero apparsi su la tavola; nè i tradizionali fasti della mensa
+avrebber dovuto continuarsi. E perchè questo? Perchè tale quaresima se
+ormai poco più tempo restava al loro godere, chè gli anni eran molti?
+Portare i suoi _allievi_ al mercato per trarne buon guadagno?... Bene!
+E poi? Chi l’avrebbe compensato del sacrificio? Forse la Bita co’ suoi
+vezzi?
+
+E padron Serafino rideva fra sè e frustava la sbilenca ronzina. Ancora
+vide, nel bigio crepuscolo, le case degli Anselmi, dei Montanari, dei
+Migi illuminate di fiamma; e udì frastuono di opere e di risa, mentre
+l’urlìo delle allombate vittime saliva, si spegneva, riscoppiava
+acutissimo fin oltre i visibili confini della sera decembrina.
+
+Come arrivò alla fattoria, la Bita era su la soglia, attratta dal
+bubbolìo delle sonagliere, e, ancor prima che padron Serafino fosse
+disceso dal calesse, domandò:
+
+— Be’, li avete venduti?
+
+— Che cosa?
+
+— Gli _allievi_.
+
+— Sì, li ho venduti.
+
+— Quanto avete preso?
+
+— Centocinquanta marenghi; tre forme di cacio e un piatto di migliacci.
+
+— Volete canzonarmi?
+
+— No, signora Bita!... Non vi par buono il mercato?
+
+— Mi pare che mi manchiate di rispetto!
+
+— Oh!... Guarda!...
+
+Padron Serafino rise, scese dal calesse, chiamò:
+
+— Michele?... O, Michele?...
+
+Il garzone uscì dalle stalle e prese in consegna la ronzina.
+
+— Aspetta, — disse Serafino. — Ho qui qualche cosa.
+
+E si chinò a togliere dal cassetto del calesse alcuni suoi involti.
+
+— E quella che roba è? — domandò la Bita. E padron Serafino, infilando
+l’uscio di casa:
+
+— Toh!... Sono i marenghi!
+
+La Bita scrollò le spalle. Gridò:
+
+— Più invecchiate e più rimbecillite!
+
+— Già!... Io rimbecillisco, ma tu non canzoni!...
+
+Poi, dopo aver posato gl’involti su la tavola:
+
+— Be’, che cosa si mangia questa sera?
+
+— Niente.
+
+— Come niente?
+
+— Niente, vi ho detto!... È poco, niente?... Niente!...
+
+— Sarai matta?... Ma ti sogni forse ch’io voglia digiunare come te?
+
+— Se avete fame andate all’osteria.
+
+Padron Serafino incominciava a spazientirsi. Si rivolse, guardò in
+faccia la sua donna irosa e rispose:
+
+— Io non vado nè all’osteria, nè all’albergo, nè.... Basta!... Io sono
+in casa mia qui; e voglio mangiar qui!... O che storie sono queste?
+
+E la Bita ironicamente:
+
+— Perchè non mangiate i vostri allievi?
+
+— Non t’impensierire, chè domani sarà fatto!... E non sarò solo alla
+festa!...
+
+— Come?... Domani.... ammazzate?...
+
+— Proprio così!... Domani ammazziamo!...
+
+— Dunque volete farmi tutti i dispetti possibili?
+
+— Prendila come vuoi!
+
+— Vi siete giurato di romperla?
+
+— Romperla o no, io voglio così e così deve essere!
+
+— Peggio di una serva mi trattate!... Ma la vedremo!... Oh, la vedremo
+come finirà!...
+
+Allora padron Serafino si rivolse, levò la mano chiusa con l’indice
+teso e incominciò:
+
+— Stammi a sentire, moglie....
+
+Ma in quel che era per catechizzare la recalcitrante compagna, ecco
+aprirsi la porta ed entrare i tre norcini. Il capomaestro, magro e
+brucato come l’erbaio delle capre, si fece innanzi e disse:
+
+— Siamo venuti.
+
+Padron Serafino lo sbirciò in tralicio.
+
+— Siete venuti?... O che l’alba spunta alle nove di sera quest’oggi?
+
+E il capomaestro:
+
+— Abbiamo pensato che ne avevate tre, padrone; e siccome si voleva fare
+il nostro lavoro a modo, e posdomani siamo impegnati, si lavorerà tutta
+la notte.
+
+Padron Serafino guardò involontariamente la donna sua, ma questa gli
+volse le spalle grugnendo ed uscì.
+
+— Sta bene, — disse il grosso fattore, e si fregò le mani. — Sta bene.
+Allora all’opera!
+
+I norcini deposero gli arnesi su la tavola, si tolsero la cacciatora,
+vestirono i grandi grembiuli insanguinati.
+
+— Siamo pronti, — disse il capomaestro. — Ora chiamate i garzoni che
+accendano il fuoco.
+
+Animati dalla speranza di un pasto succolento, i garzoni accatastarono
+in breve, vicino al focolare, una montagna di sarmenti. Fu sgombrata
+la camera dagli oggetti inutili. Si fece posto al troppolo, a una gran
+tavola, al sacco del sale e furono fissate alle travi lunghe corde
+terminate da ganci.
+
+Il capomaestro dirigeva l’opera. Quando tutto fu compiuto, afferrò
+l’acuminato punteruolo e disse:
+
+— Andiamo.
+
+Padron Serafino e i compagni gli tennero dietro. La cucina chiareggiava
+per la fiammata altissima. Poco dopo i tre _allievi_ di padron Serafino
+empirono la notte delle loro urla laceranti e l’olocausto al Dio della
+fame fu compiuto.
+
+La Bita era scomparsa, ma nessuno si occupò di lei. I norcini e gli
+uomini della casa erano troppo intenti a sparare e a governare i tre
+monumentali _allievi_ di padron Serafino perchè avesser la mente ad
+altro; nè si addiedero del cupo abbaio dei mastini, chiusi in fondo
+all’aia, nella capanna dell’aratro. Sopraggiunsero le genti del
+vicinato. Si fermarono sulla soglia battendo i piedi e disviluppandosi
+dalle mantelle.
+
+— Che si fa lo sdrucio? — chiedevano.
+
+E padron Serafino:
+
+— Chi vuol mangiare, lavori!...
+
+Finirono per essere una ventina all’opera. Chi tagliava, chi tritava,
+chi insaccava, chi struggeva la stillante grascia, chi si arrovellava
+agli strettoi a fare i pani di ciccioli, chi, lasciata la mannaia sul
+troppolo, affondava le braccia nel sacco del sale o drogava il rosso
+tritume cosparso di grasselli, chi cuoceva i mallegati negli enormi
+paiuoli, chi apprestava la rosticciana e i migliacci chi adunava
+le setole, chi i zampetti, le cotenne, il grugno e le gote a far la
+soppressata. Era un rumoroso tramestio interrotto a quando a quando dal
+grido di gioia che si leva allorchè si dilemba e si assolca la terra;
+o quando si accorolla la paglia in tumulto e la bica è disfatta. Per
+l’indomani padron Serafino aveva convitato i parenti, i vicini, gli
+amici a far la festa dei migliacci, e il pantagruelico pasto, inaffiato
+dai vini migliori della fattoria, accendeva il desiderio degli uomini
+accorsi a prestar mano all’opera gioconda.
+
+I mastini continuavano a latrare sordamente. La Bita non si vide più.
+
+Or come la notte fu verso il suo termine, la stanchezza vinse l’operosa
+brigata e fu deciso che tutti avrebber riposato un par di ore. Ognuno
+riprese la propria mantella ed uscì dopo aver fissato l’ora della
+ripresa.
+
+Ultimi ad andarsene furono i norcini e padron Serafino: quelli
+entrarono nella stalla, questi salì alla sua stanza. Quando fu al
+termine delle scale, accese un fiammifero ed aprì cautamente la porta
+per non ridestare la Bita, ma la precauzione fu inutile perchè la
+Bita non c’era e il letto era intatto. Non vi pensò più che tanto.
+Era stanco, aveva sonno. Si tolse le scarpe e la cacciatora, s’infilò
+sotto le coltri e, dopo un minuto, dormiva. Ma non tanto dormì chè,
+di repente, balzò sul letto, sbalordito dall’affannosa chiamata del
+capomaestro;
+
+— Padrone.... padrone.... scendete che hanno aperto la porta, e i
+mastini....
+
+— Eh? — gridò Serafino. — I mastini?....
+
+— Sono entrati in cucina....
+
+— In cucina?...
+
+— È un guaio!... Un guaio!...
+
+Padron Serafino scese il letto e così in pedùli traversò la stanza e si
+gettò giù per le scale.
+
+Quando vide il disastro, si portò le mani ai capelli, senza far
+parola. Anche i tre norcini guardavano, allibiti. Durante il loro
+sonno qualcuno aveva disciolto i mastini e aveva aperto l’uscio della
+cucina. Le bestie affamate non avevano chiesto di meglio per darsi alla
+devastazione. Ora non rimaneva di tutta la faticata opera notturna se
+non uno sconcio tritume sparso qua e là per terra, sulle tavole, presso
+la cenere del camino.
+
+Il giorno non era nato ancora. Appena si vedeva un po’ di chiarinella
+all’estremo levante. E nevicava; nevicava a dolco, a fiocchi serrati,
+fra un grande silenzio. Ed ecco che, dal silenzio, all’improvviso si
+levò, leggero e delicato, un canto di voci argentine di bimbi e di
+fanciulli. Giungeva dall’altro lato della corte, dove erano i magazzini
+e le stanze disabitate nelle quali dormivano i braccianti alla buona
+stagione.
+
+Padron Serafino si inorecchì, volse il capo, domandò:
+
+— Che cos’è questo?
+
+I tre norcini si strinsero nelle spalle senza rispondere.
+
+Il canto si levava, con nostalgica dolcezza, dal gran silenzio, e
+pareva lontano, pareva attraversasse tutto il cielo per giungere fin
+là, o superasse le volte di un chiuso tempio deserto. Era un’aria
+antichissima, un motivo liturgico, sacro a Natale ed ai fanciulli dai
+tempi dei tempi.
+
+Padron Serafino mormorò:
+
+— Cantano la pastorella!
+
+E i tre norcini:
+
+— Sì.
+
+Nella nuova pausa si udiron le parole del canto:
+
+ Tu scendi dalle stelle, o Re del Cielo,
+ E vieni in questa grotta al freddo e al gelo....
+
+Padron Serafino non rifiatava, le braccia penzoloni. Entrò Michele, il
+garzone. Serafino gli disse:
+
+— Dov’è la Bita?
+
+Michele rise e disse:
+
+— È nei magazzini. È tornata un’ora fa. Aveva con sè una ventina di
+marmocchi. Non li sentite cantare?
+
+— Sì. Anche questa è una novità!
+
+E Michele:
+
+— Si preparano per la notte di Natale.
+
+— E c’è bisogno di prepararsi proprio all’alba?... Sul più bello del
+sonno?... E i mastini chi li ha preparati?...
+
+Michele si volse da un altro lato.
+
+— Quando sono andato a letto avevo ben chiusa la porta, io!... Chi l’ha
+aperta?
+
+Eguale silenzio.
+
+— E chi ha sciolto i cani dalle catene?
+
+Michele scoppiò in una risata improvvisa.
+
+— Perchè ridi, stupido?
+
+— Rido.... perchè.... la Bita....
+
+— L’hai veduta?
+
+— Sì....
+
+— E perchè non sei venuto a destarmi?
+
+— Perchè?... Perchè c’è stata lei a far la guardia!...
+
+— Va bene.
+
+Padron Serafino non perse la calma. Ordinò a Michele e ai due norcini
+di salvare dal disastro ciò che ancóra era salvabile e di riordinare
+tutto e di non far parola come se nulla fosse stato; poi, afferrato un
+punteruolo robusto, si volse al capomaestro e gli disse:
+
+— Vieni con me.
+
+E uscirono. Michele ed i norcini si guardarono in faccia:
+
+— E adesso che succede?
+
+Sempre si udiva il dolce canto giungere per l’aria come se discendesse
+con la neve dall’infinita pallida foschia.
+
+— Ho paura che succeda qualcosa di grosso! — fece Michele; ma in quel
+che si avvicinava alla finestra per guardar nella corte, ecco rientrare
+padron Serafino, seguito dal capomaestro e da Luigi, il biolco.
+
+— Presto, presto!... — gridò Serafino. — Tu, Michele, va, attacca la
+cavalla e verrai con noi. E tu, Luigi, prendi il morello e gira per
+tutte le case, per tutti i ritrovi e invita uomini, donne, preti....
+chi conosci e chi non conosci.... invita chi incontri: poveri e ricchi,
+contadini, braccianti, cacciatori, pescatori.... tutti, insomma!...
+Hai capito?... Tutti!... Devi dire che padron Serafino ha vinto al
+lotto e vuol dare una gran festa.... un festone stragrande!... E che
+riempirà di tavole imbandite tutta la casa, fino alle cantine.... e
+che non guarderà in faccia nè ad amici nè a nemici perchè vuol stare
+allegro.... perchè vuol ridere e vuole che tutto il vicinato goda con
+lui! Hai capito?... E non dimenticarti dei suonatori! Vogliamo ballare,
+vogliamo!... Hai capito?...
+
+Poi, senza attendere risposta, si volse ai norcini, e parlava affollato
+come se l’affanno fosse per soffocarlo:
+
+— E voi accendete i fuochi, qui e nella stanza delle pile. Fate tutto
+alla grande! Eccovi cento lire!... Se non c’è sale, compratene; se
+non ci sono droghe, compratene. Quando ritorno voglio trovar tutto
+all’ordine. Se vien gente dite che aspetti. — Luigi?... Senti. Prima
+di andar via, aggioga i buoi al carro.... chiama Pietro e digli che li
+conduca dai Fiori, che ne avrò bisogno. Presto dunque!... Presto!...
+Non state lì a guardarmi come tanti mammalucchi!... Oggi si vuol far
+ribotta, oggi!... Dev’essere uno sdrucio, da ricordarsi negli anni!...
+Andiamo.... Andiamo!...
+
+E uscì seguito dal capomaestro. La ronzina li attendeva nella corte:
+salirono sul calesse e partirono fra la neve senza che nessun rumore si
+avvertisse; solo si udiva il canto dei fanciulli dai magazzini:
+
+ Tu scendi dalle stelle, o Re del Cielo....
+
+Anche Luigi partì e Pietro col pesante carro vermiglio. I norcini
+accesero i fuochi. Incominciarono a giungere gli invitati, ma la neve
+attutiva ogni rumore e nessuno levava la voce tuttavia.
+
+Quando padron Serafino ritornò, dietro il carro nel quale giacevano due
+nuovi _allievi_ già macellati, si fermò ad ascoltare se la Bita fosse
+sempre nei magazzini. C’era sempre. Disse:
+
+— Bene!...
+
+Gli _allievi_ furono portati in cucina: il carro fu riposto. La gente
+che giungeva entrò nelle stanze a terreno senza rifiatare per non
+insospettire la Bita.
+
+Michele fu posto a guardia della casa. Si era rimpiattato in una ceppa
+e, avvoltolato entro il suo rifugio, spiava l’uscita dei magazzini.
+Nevicava sempre. Padron Serafino non era tuttavia sereno. Solo si
+irraggiò quando Michele aprì la porta e disse:
+
+— Se n’è andata?
+
+— L’hai veduta?
+
+— Sì.
+
+— Ha preso la via della chiesa?
+
+— Sì.
+
+— Allora è fatta!... Presto, ragazzi, diàmoci d’attorno. La Bita non
+ritornerà prima di mezzogiorno e a mezzogiorno le tavole vogliono
+essere imbandite!
+
+Rotti i freni, il baccano e il furor dell’opera ricominciarono come
+la notte innanzi. La gente corse da tutte le parti all’invito, chè la
+nuova si era diffusa. Più di settanta persone si trovarono in breve,
+raccolte su la faccia del luogo. La nativa gaiezza romagnola travolse
+la brigata. I volti s’invermigliarono, i cuori si aprirono: non vi fu
+più padrone e contadino, ma gente che voleva godere e ridere e star di
+buon core sotto la faccia del cielo. E le botti pensarono al resto.
+A mezzogiorno tutto era compiuto. Imbandite le tavole, apprestate
+le vivande, spillati i vini negli enormi boccali a fiorami. Tutte
+le stanze a terreno rigurgitavano di convitati. Michele stava sempre
+sull’avviso a spiare il ritorno della Bita. Padron Serafino attendeva
+presso l’uscio e quando il garzone giunse correndo e mormorò:
+
+— Eccola, eccola!... Viene!...
+
+Padron Serafino fece il cenno convenuto e tutti tacquero sedendo
+intorno alle tavole imbandite. Non si udì più se non il crepitar del
+fuoco e qualche susurrare subito interrotto. Il grosso fattore sedeva
+alla tavola più grande avendo a lato i norcini, i suoi compagni di
+mercato e le ben pasciute donne del contado.
+
+La Bita entrò nella corte. Tutti allungarono il collo, a guardare dalle
+anguste finestre. Passò un fremito e un susurro:
+
+— Eccola, eccola, eccola!...
+
+E una trepidazione gioiosa tenne il core di tutti i festanti. La Bita
+non aveva fretta.
+
+Si fermò, stupita, a osservar le innumerevoli pediche su la neve; si
+accostò al canile a vedere se i mastini c’erano sempre; si sorprese
+dello strano silenzio che regnava. Si volse intorno. Piano piano si
+diresse all’uscio, come a malavoglia. La trepidazione dei convitati si
+accresceva sempre più. Si udì smuoversi la maniglia dell’uscio, si vide
+il paletto che si levava un poco. Trascorsero fulminei susurri:
+
+— Viene!... Non viene!... Se ne è accorta.... No!...
+
+Padron Serafino aveva puntato le mani alla tavola, nell’atto del
+levarsi, e stava così, rivolto verso l’uscio, come fosse magato.
+
+Poi l’uscio si dischiuse un poco, sempre un po’ più, lentissimamente,
+e la scarna figura della peccatrice abbrunata apparve nel vano. Ma
+appena aveva levata la faccia di sotto lo scialle nero, e lo stupore si
+dipingeva in quella, che, da settanta petti, contemporaneamente, sorse
+un grido formidabile;
+
+— Evviva, evviva la Bitaaaa!...
+
+La donna illividì, parve impietrirsi, non dette più cenno di vita.
+Caduto il grido, non si rimosse, non comprese. Ferma e rattratta sotto
+lo sguardo delle genti, non rifiatava. Allora padron Serafino parlò.
+Disse:
+
+— Moglie, questa gente pregherà il Signore per te!... — La Bita levò
+gli occhi cupi. — Tu hai avuto pietà dei cani e io ho avuto pietà degli
+uomini. Moglie, ciò che è mio è tuo e ciò che è tuo è mio; ma è giusto
+ringraziare te di questa ribotta, perchè ho preso i soldi dal tuo
+canterale. Erano cinquanta bei marenghi nuovi di zecca. Ce li mangiamo
+per la tua salute! È giusto!...
+
+Poi, fra l’improvviso travolgente baccano dei banchettanti, che avevano
+disciolto ormai ogni freno, si udì levarsi acutissima l’aspra voce
+della peccatrice abbrunata:
+
+— Ladro, ladro!... Assassino!... Erano i denari per il mio mortorio!...
+Ladro.... ladro.... ladro!...
+
+Ma poco valse la sua pena, di fronte al giocondo irrompere delle genti
+che le sovrastavano berciando, ed ella si raccolse in un angolo,
+il volto celato nelle volute del suo nero zendado, e così stette
+singhiozzando senza rimuoversi per quanto tempo durò l’allegra festa
+dei migliacci.
+
+
+
+
+LA MADRE.
+
+
+Girò due volte la chiave nella toppa, aprì la finestra sul giardino,
+respirò l’aria nuova, si irraggiò di sole, ristette pensosa per
+l’attimo di un suo turbamento inespresso. Era sola, si sentiva libera
+di pensare, di piangere, di ridere senza essere osservata, senza essere
+curata, senza l’ossessionante miseria di un egoismo amoroso che non le
+dava tregua e respiro.
+
+Sapeva che poco sarebbe durata anche quella sua momentanea pace perchè
+nel termine di una fuggevole ora qualcuno avrebbe bussato alla porta e
+una voce sommessa si sarebbe levata a domandar di entrare; ma frattanto
+poteva abbandonarsi a sè stessa, essere un attimo senza guardia e senza
+il sorriso di un affetto che a mano a mano, inattesamente e fatalmente,
+le si convertiva in odio.
+
+Sedette alla scrivania, guardò a lungo il sereno, le rose in fiore,
+i comignoli dei vecchi tetti, le finestre delle soffitte che non
+si aprivano mai e dalle quali pendevano, ondeggiando al vento, le
+ragnatele; guardò là cima di un cipresso che svettava oltre la cinta
+di un giardino e lo spirito di lei, appartandosi fra le dolci cose
+consuete, distendendosi come al respiro del morire di quel maggio,
+ritornò alla sua gaiezza nativa, dimenticò tutto, seguì la sua via
+naturale nel sogno, poichè la vita le era una maledetta costrizione ed
+un continuo affanno.
+
+E dall’insolito silenzio le proveniva la sua gioia; sempre più si
+schiariva nell’abbandonarsi alla necessità del suo vivere. Tutto era
+dimenticato, tutto era morto e lontano e scomparso, proseguiva, come la
+nube innamorata del sole e del vento va per i liberi spazi secondo la
+legge delle creature lanciate dalla nascita alla morte. Come ogni astro
+ed ogni goccia di pioggia, ed ogni fiore cercava il suo compimento,
+costruiva la propria vita oltre il dolore e la morte di chi l’aveva
+preceduta.
+
+E l’umile aspetto di cui si rivestiva l’egoismo materno non le fu più
+dinanzi, nè più ricordò le melate parole che le predicavan la rinunzia
+per amore, nè le lacrime mute più penose di un’aperta volontà contraria
+alla quale si può trovar forza per resistere come incitatrice di
+energia, nè la sorda lotta combattuta ora per ora, giorno per giorno in
+una snervante malinconia di opaco contrasto, di egoistica miseria che
+si infingeva rivestendosi di dolcezza e di bontà. Più nulla, più nulla!
+Il suo cuore era gaio come il cielo turchino, chiaro come un cristallo,
+aperto come l’ebbra rosa solare.
+
+La faccia appoggiata alle piccole palme dischiuse, gli occhi larghi
+sulla bionda luce del giardino, seguiva una dolcezza di memorie
+inquadrate in volti di paesi lontani, vissuti per tenerezza di amore,
+discoperti come all’origine della vita e sorrideva come se tutto
+le ritornasse dinanzi a volta a volta in una realtà più intensa e
+profonda di quella vera e s’ella si trovasse tuttavia, nei calessi che
+la trascinavano su pei colli verso una selva, verso un paese turrito,
+verso una città solitaria; e l’uomo amato le era vicino e la conduceva
+al limitare del sogno.
+
+Rinascevano così le parole scambiate, quelle più turgide d’ansia, che
+più si accostavano, come un brivido, dalla bocca al cuore e dal cuore a
+tutto il senso; e le estasi mute, e l’affannoso volto del piacere che
+occhieggiava di fra le siepi del biancospino come una giovine nudità
+intravveduta per cui si trema e si sogna.
+
+E come più le memorie si affollavano, simili a volti di fanciulli al
+cancello di un giardino, più ella sentiva la profonda gioia della sua
+solitudine.
+
+Rilesse le ultime lettere che le aveva mandato da lontano e il tempo le
+scorreva sì rapido che appena le pareva di essere entrata nella stanza
+quando udì qualcuno che bussava alla porta.
+
+Ebbe un atto di impazienza; le gote le si arrossarono all’improvviso,
+volse il capo a domandare:
+
+— Chi è?
+
+Una voce umile rispose:
+
+— Sono io!
+
+— Che vuoi?
+
+— Ti disturbo?...
+
+— Vorrei rimaner sola!
+
+Trascorse una pausa. La stessa voce riprese ancóra più sommessa:
+
+— C’è una lettera per te.
+
+— Una lettera?
+
+— Sì. L’ha portata poco fa il postino.
+
+Anna si levò e si fece alla porta. Apparve il piccolo viso dolciastro
+della madre.
+
+— Dov’è la lettera?
+
+— Eccola — fece la madre e gliela porse.
+
+Un’occhiata bastò ad Anna per capire dalla soprascritta di che si
+trattava. Piegò la lettera in due e la ripose in seno.
+
+La madre la guardò fare senza mutar volto, sempre umile nella sua
+mansuetudine apparente. Fu un silenzio penoso.
+
+— Non la leggi? — domandò la madre.
+
+— Oh, non è nulla di importante!
+
+Anna non abbandonava la maniglia dell’uscio; l’altra, che si era ferma
+sulla soglia, mosse un passo per entrare.
+
+— Chi ti scrive?
+
+— Non so. Forse sarà l’Angiola.
+
+— L’Angiola?... Non mi pare la sua calligrafia!
+
+— Mah!...
+
+Non si guardavano in faccia. La madre deviò il discorso, abilmente.
+
+— Non ti fa male agli occhi tanta luce?
+
+— No. Mi piace.
+
+— Non vuoi che ti socchiuda le persiane?
+
+— No, grazie!
+
+Le risposte di Anna erano concise e la voce dura. Ciò moltiplicava le
+pause.
+
+— Poco fa è venuta la signora Erminia; voleva vederti. Ho detto che non
+eri in casa.
+
+— Hai fatto bene!
+
+— Sai chi sposa?
+
+— No.
+
+— L’Amelia.
+
+— Ah!
+
+— Si è fidanzata col dottor Pini.
+
+La madre guardava per la stanza. Disse dopo una sosta più lunga:
+
+— Già vorrai rimaner sola!
+
+— Mi faresti piacere.
+
+Ma la signora Viani non si rimosse. Aveva sempre il suo sorriso di
+vittima sulle piccole labbra stirate e gli occhi malinconicamente
+umidi.
+
+Disse ancora:
+
+— Aspetta, Anna. Questa mattina non ti hanno cambiato gli asciugamani.
+Ora li prendo io.
+
+— Non importa, mamma.
+
+— Non vuoi?
+
+— È inutile. Ora non mi abbisognano.
+
+— Ma.... se più tardi....
+
+— Fra poco scenderò.
+
+— Come vuoi!
+
+Come si addiede di non poter scegliere via che la conducesse al suo
+porto, la signora Viani si ritrasse di su la soglia.
+
+— Allora ti aspetterò giù.
+
+— Sì, mamma.
+
+— Tarderai molto?
+
+— No.... Qualche minuto.
+
+— Non vuoi uscire questa mattina?... C’è tanto un bel sole!...
+
+— Non ne ho voglia.
+
+— Bene.
+
+E si volse per andarsene. Anna richiuse la porta, attese che il passo
+della madre fosse dileguato giù per le scale e allora girò per due
+volte il chiavistello e respirò sollevata.
+
+Tornò allo scrittoio. Il volto di lei si distese, animato da una
+segreta gioia improvvisa, tolse la lettera dal seno, l’aprì. E non
+erano parole scritte ch’ella aveva dinanzi, ma il volto del suo amore
+e l’udiva parlare appassionato come se le fosse dietro le spalle,
+inchino, e la bocca di lui le sfiorasse le orecchie e il respiro le
+scendesse per le tempie e per le gote per farla abbrividire. Si udivano
+i passeri e le rondini.
+
+Cigolò la carrucola di un pozzo; una donna cantò il fior dell’arche
+odorose che si dischiudono per i letti dei giovani quando l’amore
+consiglia.
+
+Oh amore e gioia! E c’era una nuvola bianca ed esigua su l’orlo del
+giardino, là dove il cielo si chinava presso una nera torre quadrata,
+fiorita da ciuffi di ranuncoli. Le glicinie erano in fiore. Avevano
+coperte le mura dei loro corimbi azzurri e violacei; molli come il
+molle cielo. Ne erano quasi chiuse le finestre delle camere disabitate
+e i colombai. Anche le vecchie mura di rossi mattoni godevano del sole
+e della primavera e le bifore chiuse da tanti mai anni; chiuse con lo
+spirito di una bellezza morta.
+
+Ed ella benchè non vedesse, assorta com’era nel suo léggere amoroso,
+sentiva l’anima delle cose circostanti irraggiarsi come l’anima sua,
+nel mattino, chè tutto compiace a giovinezza.
+
+E ancora udì bussare alla porta. Nascose la lettera nel seno; si levò.
+Era la madre con un fascio di fiori. Disse:
+
+— Ti ho portato i fiori per i tuoi vasi. Questa mattina non li avevi
+raccolti.
+
+— Grazie!
+
+Li prese e li posò sopra una sedia.
+
+— Ti occorre nulla?
+
+— No.
+
+— Non vuoi bere una tazza di brodo?
+
+— No, grazie.
+
+— Te l’avevo preparata!... Anna, ti indebolirai.
+
+— Ma se mi sento bene!
+
+— Non vuol dire!... Dunque non la vuoi?... Te l’ho portata!... È qui!...
+
+— No, mamma, non la voglio!...
+
+— Via.... ubbidisci! Ti farà bene!...
+
+Prese la tazza e la posò sulla sedia, vicino ai fiori. Le passarono per
+la mente i liberi amanti campagnoli che vanno per le strade morte, in
+solitudine, e nessuno li turba, e nessuno li insidia e nessuno guasta
+loro la segreta gioia dell’amore.
+
+— Dunque non vuoi uscire?...
+
+— No.
+
+— Ti farebbe bene prendere un po’ d’aria!
+
+— Non ne ho bisogno.
+
+— Come sei rossa!... Che cos’hai?...
+
+— Io?... Niente!...
+
+— Hai avuto qualche brutta notizia?
+
+— No.... perchè?...
+
+— Mi sembri agitata!
+
+— Ti inganni.
+
+— Chi ti ha scritto?...
+
+Fu per mentire, ma l’anima sua diritta si ribellò a una simile
+meschinità. Non rispose.
+
+— Non si può sapere?... — riprese la madre sorridendo, e gli occhi suoi
+malinconici erano ancora più umidi.
+
+— Se proprio lo desideri!
+
+— Sì.
+
+— È Armando!
+
+— Come?... Ancóra?...
+
+— Ancóra?...
+
+— E ha avuto il coraggio....
+
+— Ha risposto semplicemente a una mia lettera!...
+
+— Tu gli hai scritto per prima?...
+
+— Sì!...
+
+— Anna!... Se lo sapesse tuo padre!
+
+— Lo saprà perchè glie lo dirò!
+
+— Non farlo, per carità!
+
+— Babbo saprà capirmi ed io non voglio mentire!...
+
+— Ma le tue promesse?...
+
+— Io non ho promesso nulla!
+
+— I tuoi pianti?...
+
+— Dovevi capire perchè piangevo!
+
+— Oh, Anna!...
+
+E delle mani grinzose si fece velo alla piccola faccia. Parve incerta
+se scoppiare in singhiozzi. Si trattenne.
+
+— Mi fai leggere quella lettera?...
+
+— Questo no!
+
+— Almeno dimmi quello che ti dice!
+
+— Neppure!...
+
+— Rispondi così alla tua mamma?...
+
+Anna si volse a guardare da un’altra parte, tutta bianca per l’emozione.
+
+La signora Viani raumiliò la debole voce e disse sospirosa:
+
+— Questa è la ricompensa per il bene che ti voglio!...
+
+Allora la giovinetta si volse di scatto, guardò la madre in faccia,
+fieramente, e d’un tratto si abbattè sulla scrivania, la faccia
+nascosta fra le braccia ripiegate.
+
+— Oh, mamma, mamma, mamma!...
+
+Fu un pianto represso ed aspro elle la scosse e la sconvolse.
+
+E la madre chinò la piccola testa e uscì silenziosamente senza chiuder
+la porta.
+
+ ❦
+
+Ed eran due anni che la sorda lotta continuava così, senza nessuna
+pietà, ordita sulla trama di una tenerezza opprimente. Da un lato la
+madre a moltiplicare le attenzioni, i consigli, le scialbe dolcezze in
+un vigile affetto sospettoso, dall’altro Anna a difendere il suo fiero
+amore dall’insidia quotidiana. Perchè non v’era causa valevole che si
+opponesse al compimento di due destini se non il materno egoismo.
+
+Armando Vada era inviso alla buona madre solo per ciò che lo
+distingueva dai suoi coetanei. Non era una bestia da soma, non un uomo
+di famiglia, chè non voleva imbrancarsi e marcire nei piccoli cerchi
+delle piccole famiglie; non amava gli impieghi nè la beata tranquillità
+di un tanto al mese, nè la parca mensa che abbrutisce lo spirito fra
+lo scemo pettegolezzo quotidiano e il dominio delle stupide femmine
+che hanno il còmpito di ricondurre l’uomo alla sua greppia, alla sua
+condanna, alla morte di ogni luce ribelle. I discorsi di lui avevano
+stordito l’umile signora Viani la quale se ne era fatta come un
+anticristo, ma, ancor più di tutto questo, l’aveva spaventata l’idea
+di perdere la sua Anna per sempre chè Armando Vada non nascondeva il
+suo intendimento di andarsene in paesi lontani ad esplicarvi la propria
+energia in una lotta dalla quale, se si esce trionfatori, si coglie una
+ben larga messe. E non tanto il rischio la spaventava quanto l’idea
+di non vedersi più d’attorno la sua bella figlia. Anna era bella, lo
+dicevan le genti, lo dichiaravano gli innumerevoli innamorati e di tale
+bellezza la piccola madre andava orgogliosa come di un vezzo di grazia
+per la sua vecchiaia, come di qualcosa che le spettava per giusto
+diritto e da cui non doveva mai separarsi. La sua vanità egoistica si
+era terribilmente serrata intorno alla figlia e ribadita in apparenza
+di affetto.
+
+Da quando Anna aveva incominciato ad essere qualcosa più di una bimba,
+la dolce madre, per farne un campione di bellezza, l’aveva ornata e
+addobbata come un altare, sol per sentirsi dire: — Com’è bella!... —
+e veder la gente soffermarsi lungo la strada e l’invidia negli occhi
+delle giovinette. E da quel tempo l’assiduità sua intorno alla figlia
+si era moltiplicata. Anna non aveva avuto nè un giorno nè un’ora di
+libertà, non aveva conosciuto amiche. A venti anni non ancóra le era
+stata concessa una stanza nella quale raccogliere il suo lettuccio, le
+sue cose, i suoi sogni; dormiva tuttavia col babbo e la mamma come una
+piccola mocciosa senza intendimento, piena di terrori notturni. E il
+giorno in cui si impose e parlò alla madre della sua vergogna di esser
+tuttavia relegata nella stanza comune, di fronte al babbo, senza alcuna
+libertà possibile; e della sua recisa volontà di avere una stanza per
+sè sola, vide la madre singhiozzare come se avesser dovuto dividersi
+per la vita, e la vide implorare e impallidire; ma non piegò ed ebbe un
+nido. Le parve allora di aver raggiunta la felicità e la possibilità
+di ricercarsi, di esser sola, di vivere nell’intimo dell’anima sua,
+secondo un irrompente desiderio; ma ancóra si ingannò chè, secondo una
+ossessionante tenerezza, la madre le fu dintorno ogni dieci minuti e
+giungeva la notte, scalza, sulla punta dei piedi per darle un altro
+bacio, per raccomandarle il sonno. Anna incominciava a vedere in tutto
+questo qualcosa di diverso dall’affetto e non poteva difendersi, a
+volte, da un senso di invincibile ripugnanza. Non si risolveva in
+realtà in un trepido spionaggio quell’assiduo apparire in silenzio
+durante la notte? E quando fingeva di esser presa dal sonno, perchè
+dunque si accostava alla scrittoio e frugava fra le sue carte? Ma come
+ribellarsi senza apparire cattiva, snaturata agli occhi di tutti? Ed
+ella non sapeva scindere tuttavia la propria condotta dal giudizio
+della gente, era troppo schiava delle consuetudini, l’avevano tenuta
+troppo avvinta per aver ali a un grande volo. La gente esaltava l’umile
+amore di quella madre e lo portava ad esempio. L’apparenza assumeva
+proporzioni eroiche e, come sempre, l’apparenza bastava chè, a voler
+indagare, si sarebbe giunti chi sa dove, perchè è molto raro che il
+sedicente amore non nasconda una qualche bruttura.
+
+Inoltre che avrebbe detto il babbo?... Anch’egli era stato fiero e
+ribelle nella sua giovinezza, ma poi era venuto piegandosi, si era
+ammollito sotto l’influsso della donna che si era scelto a compagna.
+Ella lo aveva vinto ed insciocchito con la mitezza, con la mansuetudine
+bestiale, con una specie di bontà inerte, remissiva, malinconica; gli
+aveva tolto ogni virilità assecondandolo, facendosi sempre più piccina,
+prestandogli i più umili servizi con pecorile accondiscendenza. Ed
+appariva buona buona buona!... di quell’idiota bontà che vince per
+forza d’inerzia e passa le mura e stempera il più saldo acciaio.
+
+Anna vedeva questo benchè non ne detraesse giudizi, anzi tutto ciò le
+si convertiva in segreto dolore.
+
+Così si era svolta la vita di lei, senza nessuna ebbrezza fino al
+giorno in cui una grave malattia l’aveva quasi condotta alla morte.
+Quattro mesi combattuti fra l’insonnia e la febbre l’avevan disfatta.
+All’uscir di un inverno ella si destava come per la prima volta alla
+vita, senza memoria, pervasa dalla stessa dolcezza che trascorre pei
+limpidi cieli marzolini. Ma la convalescenza doveva essere lunga e
+per ristabilirsi ella doveva esulare, lasciar per qualche mese la
+sua piccola città oscura, cercare altri soli, altri paesi. Quando le
+dissero questo, il primo rossore le affiorò le scarnite guance e non
+vide le lacrime della madre o non le volle vedere. Chiuse i grandi
+occhi, incrociò le mani sul petto, stette così lung’ora, la testa
+affondata nei guanciali. Le si apriva un mondo diverso, una possibilità
+diversa, un infinito bene di sogno. Rinasceva in realtà e Iddio le era
+dinanzi. Ancóra non poteva parlare. Non guardava se non fuggevolmente
+la madre che era sempre a fianco al letto. Chiudeva gli occhi per
+lasciar vagare l’anima in un suo paradiso di freschezza. Quel ritorno
+alla vita le era come un illuminato stupore. Era morta e rinata. Aveva
+lasciato in un passato remotissimo tutto il peso di mille cose gravi
+ed oscure; si ridestava con una prospettiva radiosa, sul principiare
+del marzo. Quando sarebbe partita e per dove? Chi l’attendeva? Chi
+le avrebbe parlato dolce?... Dove?... dove?... E dalla fantasia
+le nascevano terre sconosciute per le quali si figurava di andare
+divinamente sola, fra l’amor delle cose ebbre di luce, sotto il canto
+delle allodole.
+
+Paesi lontani, case tinte dall’aurora fra giardini di melograni, strade
+azzurrastre e sentieri, viottole, colline, selve, fiumi, fontane. Il
+mondo della rondine. E per l’arco breve dei giorni ella pregustava la
+nuova gioia.
+
+Sapeva che la madre non l’avrebbe accompagnata. Non si poteva per via
+del danaro. Sapeva la famiglia prescelta ad accoglierla e il luogo, ma
+tutto ciò le sembrava tanto lontano e tanto vago da confondersi quasi
+con l’irrealtà.
+
+Frattanto la sua giovine forza trionfava rapidamente sul male e il
+giorno giunse. Il giorno di una prima partenza è sempre di una bellezza
+gaudiosa. Quando uscì dalla casa, nel sole, quando fu alla stazione,
+quando vide giungere il treno tacque e sorrise; sorrise sempre senza
+che il malinconico aspetto della madre in lacrime la turbasse o la
+preoccupasse.
+
+Troppe ed inconsulte erano state le lacrime della madre perchè ella
+ne fosse presa. Poi era la sua volta. Dopo tanti sogni partiva verso
+l’ignoto e il commovimento da cui era invasa dominava e allontanava
+ogni altro amore.
+
+La chiusero in un compartimento per signore sole, la raccomandarono al
+capo treno e i consigli e le prediche non avevan più fine.
+
+Anna ascoltava senza capir nulla, dicendo sempre “sì„. Poi il treno
+si mise in moto ed ella vide la sua piccola madre abbrunata agitare
+il fazzoletto e portarselo agli occhi; la vide incamminarsi dietro al
+treno, protendere la faccia sparuta, piangere disperatamente. Perchè
+mai tanto dolore? Ed era solo dolore? Si separavano forse per la morte?
+Quando si ritirò dal finestrino non pensò più ad altro se non alla
+sua felicità e il ricordo di quel viaggio le fu poi sempre come un
+sogno vissuto portentosamente. Giunse alla città destinata verso il
+crepuscolo. Il treno si fermò ad una piccola stazione fiorita sul Lago
+Maggiore. Era l’aprile.
+
+Un brusìo festoso di gente che si avviava alle armoniose ville del
+Lago; una dolce luce per tutte le montagne e su l’acqua azzurra; una
+stazione gaia come un ritrovo d’amore. Trovò coloro che l’attendevano,
+li seguì stordita, senza parlare, e per quella sera non vide e non
+seppe se non le montagne serene, una strada fra i giardini e la sua
+cameretta sul lago.
+
+Poi si ridestò. Fu anche per lei l’attimo in cui si vive la vita come
+un prodigio e non moriron dieci giorni ch’ella era innamorata.
+
+Non fu una cosa improvvisa. Si rividero laggiù, per caso, ma già si
+eran conosciuti fanciulli nella città nella quale erano nati. Nè l’uno
+fu più sorpreso di incontrare l’altra, nè la loro gioia si misurò su
+ritmi dissimili. Si piacquero, si amarono e decisero il loro destino.
+Egli doveva andarsene in America, avrebbero sposato innanzi di partire.
+
+Quaranta giorni trascorsero e l’incantesimo finì. Anna doveva
+ritornare. Riprese la strada come se discendesse verso il buio, verso
+una prigione che un mese di libertà le rendeva più intollerabile.
+Sentì allora di non poter amare sua madre. A volte la ribellione di
+lei giungeva fino al pensiero di andarsene lontana per sempre. Ma
+la speranza si abbranca ai minimi segni e pensava ancóra che i suoi
+avessero potuto assecondarla.
+
+Armando era partito due giorni prima per far la domanda ai legittimi
+proprietari di Anna; ella, giungendo, avrebbe trovata la decisione
+stabilita. Credendo ancóra di valer qualcosa nell’atto in cui doveva
+compirsi il proprio destino, scrisse alla madre e al padre una lettera
+appassionata per prevenirli, per dir loro quale era l’anima sua e il
+suo desiderio, ma a volta a volta il dubbio vinceva la speranza.
+
+Attese invano un telegramma di Armando; partì scorata.
+
+Dopo un interminabile viaggio trovò alla stazione la madre, delirante
+in una convulsiva gioia lacrimosa e il buon padre più rinsciocchito
+che mai. Innumerevoli i baci e gli abbracci. C’era tutto il parentado
+strillante, ululante per la gran gioia. Una barocca fiera di esultanza.
+E fra la tempesta delle domande, dei baci, degli abbracci, delle
+lacrime, delle carezze fu trascinata via senza capir più nulla. Come le
+apparve orrendo il volto di quella gioia canina!... L’avevan _ripresa_
+finalmente!... Era ritornata all’adiaccio fra le altre pecore, fra
+tutte le pecore matte del suo parentado!... Era tornata sotto le
+amorose grinfie de’ suoi tutori e forse non se ne sarebbe dipartita mai
+più!... E d’improvviso tanto fu forte la sensazione di tale realtà che
+ruppe in un pianto improvviso.
+
+La signora Viani le si strinse al braccio:
+
+— Perchè piangi, Anna?...
+
+Non rispose. Risposero per lei le impennacchiate parenti:
+
+— È l’emozione, poverina!...
+
+— Era tanto che non ci vedeva!...
+
+— Piange per la gioia!... Lasciatela stare!...
+
+— Lasciatela stare!...
+
+La gioia, sì! La gioia sorella della morte! E il parentame se ne andò.
+Rimase sola nella stanza da pranzo col padre e la madre, li guardò
+negli occhi, cercò di parlare. Ma la sua piccola madre non le lasciò
+aprir bocca una volta sola: parlava e parlava e si faceva in quattro a
+toglierle di dosso l’ombrello, i guanti, il velo, il cappello. Pareva
+temesse di udire la voce di lei. Quando aveva esaurito un argomento
+ne cercava un altro, poi un altro, squadernandole innanzi lo stato
+civile di tutti i conoscenti: matrimoni, morti, adultèri, fallimenti,
+crudeltà filiali, eroismi materni, tutto quanto era venuta accumulando
+in quaranta giorni; e ogni dieci secondi interrompeva la narrazione
+favolosa per domandarle notizie della sua salute, per offrirle un
+brodo, una tazza di latte, un uovo da bere; ma di Armando non una
+parola. Si capiva che il solo nome di quell’uomo era l’orrenda ansia
+della piccola madre e che si profondeva ridicolmente in tal guisa solo
+nella speranza che Anna capisse e dimenticasse. Un attimo rimase sola
+col babbo e ne approfittò. Lo guardò fisso negli occhi, gli domandò:
+
+— Babbo.... hai saputo?
+
+— Sì.... ho saputo.
+
+— Ebbene?...
+
+— Parlerai con la mamma!
+
+— Non volete?
+
+Fu un grido. In quell’istante rientrava la signora Viani. Si fermò
+stupita, domandò:
+
+— Che cosa è stato?...
+
+Capì a un’occhiata del marito e ricominciò la petulante solfa.
+Anna ne era stordita. Salì alla sua stanza, affranta. Incominciava
+a intravvedere la verità. Di un subito fu colta da uno scoramento
+tale che si lasciò andare su di una sedia senza dir parola, tutta
+abbandonata all’angosciosa tristezza. Le lacrime le scendevano a coppie
+per la faccia impallidita. La signora Viani finse di non accorgersi
+nè del pianto nè dell’improvvisa tristezza della figliuola: continuò
+a parlare, sempre più animata, e a moltiplicare le sue tenerezze
+intempestive.
+
+Anna tacque ancóra; poi si rizzò di scatto e domandò, ferma:
+
+— Mamma, dimmi la verità!
+
+La signora Viani si fermò a mezzo la stanza, si rivolse e domandò
+stupita:
+
+— Quale verità?
+
+— Non farmi parlare, mamma!... Tu sai che cosa voglio dire!
+
+— Ma.... non ti capisco, bambina mia!
+
+— Ier l’altro è venuto qui Armando Vada....
+
+La signora Viani non rispose.
+
+— .... vi ha parlato....
+
+Uguale silenzio.
+
+— Ebbene.... che cosa gli avete risposto?...
+
+— Ma.... — fece l’umile creatura di bontà — io non c’entro!...
+
+— Come non c’entri?
+
+— No.... parlerai con tuo padre!
+
+Allora Anna fu presa da un aspro riso.
+
+— Perchè ridi?...
+
+Per qualche tempo la convulsiva amarezza non le concesse di parlare.
+Quando l’affanno le si calmò un poco, disse:
+
+— Rido perchè il babbo mi ha risposto come te!...
+
+— Io non ne ho colpa!... — mormorò l’umile madre. Nella pausa che seguì
+ella evitò di guardare la figlia.
+
+— Che cosa gli avete risposto?
+
+— Perchè parlarne? — fece la signora Viani, implorante.
+
+— Dunque non dovrei saper nulla?
+
+— Stai tanto male con noi?
+
+— Che c’entra questo?
+
+— Pare tu non veda l’ora di abbandonarci!
+
+— Mamma!... Non essere ingiusta!...
+
+— Credevo tu ci volessi più bene!... — soggiunse la piccola donna, le
+lacrime agli occhi.
+
+Anna si sentiva il cuore stretto da un’amara tristezza. Disse a
+voce spenta, gli occhi fissi innanzi a sè, assorti in un malinconico
+deserto:
+
+— Ti credevo più buona!...
+
+Un lampo di sdegno accese gli occhi della signora Viani, ma fu subito
+spento.
+
+— Dopo tutto — riprese — farai ciò che vorrai!...
+
+E per quel giorno Anna non ricondusse il discorso sul colloquio e la
+madre si intenerì sempre più nella speranza che la sua buona figlia
+avesse dimenticato.
+
+Nel giorno che seguì, recandosi la mattina nella stanza di Anna
+per prestarle gli umili, inutili servizi nei quali si esplicava
+tutto il suo amore, trovò la figlia seduta alla scrivania, pallida,
+scarmigliata, gli occhi enfiati.
+
+Così l’aveva lasciata la sera innanzi, così la ritrovava. Le si accostò
+piano piano, le chiese:
+
+— Come stai?
+
+— Male! — rispose Anna.
+
+— Che cos’hai?
+
+— Non so!
+
+— Hai dormito?
+
+— No.
+
+Guardò il letto; era intatto.
+
+— Non sei andata a letto?
+
+— No!
+
+— Perchè?
+
+— Perchè non ne avevo voglia!
+
+— Ma ti rovinerai la salute!
+
+— Poco male!
+
+— Anna!...
+
+Una pausa.
+
+— Se lo sapesse tuo padre!...
+
+Anna nascose la faccia fra le palme e ricominciò a piangere sommessa.
+
+— Ma che cos’hai?...
+
+— Dovresti saperlo!... — rispose la giovinetta.
+
+— Bambina mia.... diventi irragionevole!...
+
+Anna si levò, si rivolse verso la madre:
+
+— Mamma, gli avete detto che non volete?...
+
+— Ma perchè non lo domandi a tuo padre?
+
+— Perchè tu sola hai deciso tutto!
+
+— Io?
+
+— Sì. Il babbo fa quello che tu vuoi.... Tu lo sai convincere.
+
+— Ti giuro che non gli ho parlato!
+
+— Non vuol dire! Avrà capito dalle tue reticenze.
+
+— Quali reticenze?
+
+— Le puoi sapere tu sola.
+
+— Dunque non mi credi?
+
+— Ma io credo tutto!... Voglio sapere solamente quello che gli avete
+detto!
+
+— Sei ben cocciuta!
+
+— Non si tratta di cocciutaggine, si tratta della mia vita! Credo di
+avere il diritto di sapere come volete disporne.
+
+— Noi vorremmo che tu non ci abbandonassi mai!
+
+— Vorreste ch’io rimanessi sempre la vostra piccola figliola da
+condurre a spasso!
+
+— Anna!
+
+— È la verità!
+
+— Sei crudele!
+
+— Non più di quello che tu non lo sia con me! Ma è dunque un giuoco
+il mio? Ma sono dunque tanto trascurabile che il mio cuore e la mia
+volontà non valgano nulla in tutto questo?
+
+— Bada.... potresti pentirtene!
+
+— Di che cosa?
+
+— Di aver fatta la tua volontà.
+
+— E perchè?
+
+— Perchè non hai esperienza.... perchè alla tua età si vedono le cose
+da un falso punto di vista!
+
+— Vorresti forse ch’io fossi vecchia prima del tempo?
+
+— Come rispondi!...
+
+— E lasciatemi la mia gioia!... Ne ho avuta così poca nella mia vita!...
+
+— Anche questo mi rimproveri?
+
+— Non è un rimprovero. Io vedo che il giorno in cui mi si apriva
+innanzi una strada infinita, in cui potevo farmi una vita mia, tu e
+il babbo vi opponete, mi respingete verso il mio passato, mi dite: —
+No, non vogliamo!... — Non posso ribellarmi, ma nello stesso tempo non
+posso ubbidirvi!
+
+La signora Viani stupiva sempre più. Chiese tremando:
+
+— Gli vuoi tanto bene, dunque?
+
+Il volto di Anna ebbe un subito rossore.
+
+— Se gli voglio bene?... Da morirne!... Devi saperlo perchè è così,
+perchè sarà sempre così! Se domani vorrà ch’io lo segua, te lo dico
+prima, mamma, andrò con lui anche senza averlo sposato, lo seguirò
+senza nessuna vergogna. E farà di me ciò che vorrà. Nulla mi fa paura!
+
+— Tu faresti questo, Anna?...
+
+— Sì, lo farei!
+
+— E a noi non pensi?... Siamo dunque un niente per te?...
+
+— Ed io che cosa sono per voi?
+
+— Tutto!
+
+— Sì, fin che non vi abbandono! Se domani partissi senza il vostro
+consenso diventerei indegna del vostro amore!
+
+— Tu vuoi vedermi morta!
+
+— Non dire cose insensate, mamma!
+
+Ma la piccola madre aveva trovato il tasto opportuno ed insistè su
+quello come l’unico che potesse torla d’imbarazzo con onore e farle
+riacquistare il terreno perduto.
+
+— Sì.... vuoi vedermi morta!... È meglio ch’io muoia!... Tanto sono
+inutile.... non servo a niente.... non faccio che far del male!...
+
+E si abbattè su di una sedia singhiozzando follemente; convulsa,
+stravolta, convinta di destare pietà.
+
+E la pietà giunse con la sua faccia spaurita, e attanagliò il core
+della giovinetta.
+
+L’anima generosa ed ingenua della nuova creatura, non resse al dolore
+della madre e si piegò affranta verso di lei. Mormorò parole di scusa,
+si umiliò. La piccola madre intese così quanto fosse opportuno il suo
+còmpito di vittima e da quel giorno tanto parve malata ed esausta da
+destare in tutti il convincimento ch’ella fosse presso a morire.
+
+Tutto il parentame si allarmò; la voce corse di casa in casa per la
+piccola città accigliata. Fu detto che la santa donna se ne andava
+perchè Iddio chiama più presto i buoni presso di sè; le regalarono una
+malattia nuova ogni giorno e la pallida vittima vestì da quel tempo le
+gramaglie e più non le tolse. Anche si parlò sommessamente di Anna.
+
+Qualcuno disse:
+
+— È una testa romantica!
+
+E qualcun’altro:
+
+— È un’ingrata!
+
+Il parentame materno, uno sciame di donnacole, vergini per l’ira di
+Dio, mise in circolazione l’ingratitudine di Anna.
+
+E benchè i medici non riscontrassero alcuna malattia nella signora
+Viani, questa non si ritenne guarita mai più, e ogni tanto, a conferma
+del suo male interiore, digiunava fra la strillante preoccupazione
+della fantesca e del marito.
+
+Ma frattanto chi intristiva veramente era Anna.
+
+Armando aveva rimesso la partenza di mese in mese e quasi un anno era
+trascorso. Nulla era mutato nel frattempo. La signora Viani, superando
+le sue possibilità finanziarie e riempiendo di debiti il miser’uomo
+del quale si era impadronita, copriva di regali la figlia e piangeva
+e sorrideva e si moltiplicava per sostituirsi, nel pensiero di lei,
+all’uomo odiato che voleva togliergliela. Esaurì in tale còmpito
+tutte le sue scarse arti troppo ingenue. Ma la piccola madre aveva
+incrollabile la coscienza dei suoi diritti materni e le pareva di
+essere buona buona buona, e se lo sentiva dire tante mai volte dalle
+sorelle, dalle zie, dalle cugine, dalle attinenti che, nella sua
+piccola testa, per poco non si santificava al cospetto del suo Iddio
+microcefalo.
+
+ ❦
+
+Aveva stabilito tutto tranquillamente, fin dal giorno prima, senza
+affrettarsi, con la precisa sicurezza che dànno le decisioni meditate a
+lungo.
+
+Aveva nascosto la valigia nel cassetto dell’armadio; sapeva già, ad una
+ad una, le cose che avrebbe prese con sè.
+
+Nulla l’aveva tradita. Era stata anche il giorno innanzi, come sempre,
+ferma nel suo raccoglimento interiore, un poco triste, impartecipe
+alla scimmiesca allegria del parentame che da qualche mese frequentava
+quotidianamente la casa, col compito di renderla gaia.
+
+Nessuno aveva intravveduto in lei alcunchè di mutato. Era l’Annetta
+di sempre: imbroncita, coi grilli per la testa. E su questi chimerici
+grilli le zie ridanciane si divertivano un mondo, bofonchiando
+come coloro che vorrebbero entrare per una porta vietata e tentano
+timidamente la maniglia dell’uscio, pronte a ritirarsi al minimo suono.
+
+A sera se ne erano andate profondendosi in baci ed abbracci come per
+una separazione eterna. Anna non aveva detto che poche parole; il puro
+necessario.
+
+Salita alla sua stanza, aveva atteso tranquilla e indifferente le tre o
+quattro sorprese materne, serrando poi l’uscio a doppia mandata.
+
+Ora disponeva le cose necessarie nella valigia. Non era in lei alcuna
+emozione all’infuori di un’aspra volontà di agire. Era giunta a quel
+passo attraverso ad una landa squallida, per un crepuscolo bigio. Aveva
+pianto tutte le sue lacrime. Era stanca, stanca di oppressione e di
+tristezza. La sua sostanza vitale cercava la libera vivacità dei cieli
+violentemente. Ella non avrebbe più potuto opporsi a sè stessa. Doveva
+andare. Nel buio dell’anima sua non era ormai se non quell’unica luce
+verso la quale si protendeva per una necessità imperiosa.
+
+Era giunta per vie sì lunghe al suo divisamento che ormai non ne
+provava più ansia nessuna. Era una cosa fatale e necessaria che
+ella compiva: o allora o mai più. Armando le aveva scritto: “Entro
+la settimana entrante mi imbarco. Sabato sarò a Bologna. Ti aspetto
+ancóra, dove sai. Sciegli e decidi. O col tuo amore o contro l’amor
+tuo!„. Ella aveva risposto: “Sabato alle dieci sarò da te„. La voce
+d’invito, precisa nella sua concisione, aveva trovato un subito
+acconsentimento risoluto. Tre volte l’aveva trattenuta la pietà
+filiale. Aveva sperato in una diversa via di uscita, ma la piccola
+madre, sempre che Anna avesse tentato ricondurla a parlar del suo
+amore, aveva dato in ismanie ripetendo la minaccia consueta che non
+aveva ormai più valore d’incubo:
+
+— È meglio ch’io muoia!... Ne avrete per poco ancóra!... Sono una
+disgraziata!...
+
+Anna si era ridotta al silenzio. E la signora Viani non vedeva il
+consumamento della figliola, intenta solo a impedirle il suo radioso
+destino.
+
+Il padre non aveva avuto nè volontà, nè voce. Fiacco come ogni uomo
+caduto nel piccolo mondo di una femmina sciocca, imbastardito nella
+mollezza che aveva dispento in lui ogni impeto virile, si era appaciato
+in una indifferenza beota senza chiedere, senza indagare, senza
+desiderio di un qualsiasi convincimento profondo. E la mamercula aveva
+avuto facile campo alla sua conquista.
+
+Ma non nel forte cuore della vergine. La bell’anima combattuta decideva
+di sè stessa. Si avviava per la via del suo destino senza rivolgersi;
+gli occhi asciutti e il cuore suggellato.
+
+Il treno partiva alle due.
+
+Aveva calcolato sul sonno dei suoi.
+
+Per non far rumore nell’andarsene aveva trascelto certi suoi
+scarponcelli estivi che ammorzavano il passo.
+
+In breve tutto fu compiuto. Lasciò sulla scrivania una lettera breve
+indirizzata alla madre. L’aveva scritta da vari giorni. Aprì l’uscio
+lentissimamente. Si protese ad ascoltare. Il sonno faceva la casa
+vuota, corsa solamente da qualche ignoto cricchiare, da un brivido
+di respiro nell’ombra. Le sue pupille si dilatarono nella tenebra.
+Fece qualche passo nel corridoio, salì una scaletta che conduceva sul
+ripiano delle scale, si accostò all’uscio della stanza nella quale
+dormivano i suoi. Nulla. Il sonno misterioso col suo respiro eguale
+nella tenebra densa. Ritornò sui suoi passi. Iddio la vegliava. Quando
+fu sul punto dell’estrema decisione ebbe un tremito al cuore. Non vi
+badò. Pallida ma ferma, socchiuse l’uscio, si accostò al letto, infilò
+il mantello, si ravvolse in un velo fitto. Era pronta. Ancóra ascoltò.
+Ebbe un tremito di morte ad un tratto, chè le parve di udire il passo
+della madre. Indietreggiò fino alla finestra. No... non era lei!... Era
+la sua paura, la sua folle paura di non potere!...
+
+Prese la valigia, spense il lume. Era il punto. Si accostò all’uscio
+a tentoni, lo aperse, lo richiuse. Ristette sulla soglia ancóra,
+respirando come chi abbia dinanzi la visione di un incubo. Appoggiata
+la mano al muro del corridoio, per seguire la via diritta, proseguì
+nell’ombra. Ora la tempestava dentro l’ansia di superare quel poco
+spazio, quel nulla ch’era più di una dolorosa eternità. Fu alla
+scaletta di legno, ne salì i gradi ad uno ad uno, sbucò nella stanza
+che immetteva nelle scale. Superata la stanza poteva dirsi salva.
+Ristette un attimo ancóra, abbrividì, le pareva di udire un respiro
+vicino. Qualcuno respirava di fronte a lei nella tenebra. Mosse un
+passo, poi due, poi prese la via, risoluta. S’intravvedeva in fondo
+alle scale un bagliore. Erano i lumi della strada che rischiaravano
+un poco l’andito a terreno, per i vetri della rostra. Era la luce che
+l’attendeva, il suo ultimo porto. Avanzò ancóra, fu per uscire; ma, sul
+punto in cui stava per sbucare sulle scale, una voce transumanata, non
+sapeva se orrida di spavento o di ira, gridò a due passi da lei:
+
+— Chi è?... Chi è?...
+
+Indietreggiò impietrita. Sentì il cuore arrestarsi e tutte le vene
+corse da un subito gelo. Non rispose. Le mascelle le si inchiodarono,
+l’una contro l’altra duramente. Sentiva la faccia come fosse di marmo.
+La valigia le cadde di mano.
+
+E ancóra un soffio vicino e la stessa voce e la stessa domanda:
+
+— Chi è?... Chi c’è qui?
+
+Non rispose, non seppe il senso delle parole, non seppe più nulla.
+
+— Sei tu, Anna?... Anna, Anna?...
+
+Era un urlo. Poi una porta si dischiuse. La stanza si rischiarò.
+
+Stettero di fronte terrorizzati. Si guardarono negli occhi il padre, la
+madre, la vergine impietrita.
+
+E nessuno pianse. C’era, al di sopra di loro, qualcosa di più grande,
+di più oscuro, di più tragico che non fosse il loro cuore con le sue
+torve passioni.
+
+ ❦
+
+E gli anni passarono come un’acqua di palude, torbida di una putrida
+vita. Anna dormì ancora fra il padre e la madre.
+
+Le avevan vietata la morte per tre volte. Si scoraggì, si piegò,
+s’insciocchì poveramente come una cosa disfatta negli anni torbidi e
+fermi come un’acqua di palude.
+
+E la piccola madre sempre la pettinò alla mattina, innanzi allo
+specchio, e sempre le disse, come dall’alba dimenticata:
+
+— Come sono belli i tuoi capelli!...
+
+E la vestì per trarsela dietro per le vie, la vestì sempre più
+vistosamente; ma la gente non si volgeva ormai più, non guardava più la
+vergine insciocchita dai larghi occhi senza lume.
+
+E Anna rise, immiserita, dimentica, e si curvò all’Iddio microcefalo
+della madre, per trovare almeno nella cassa, almeno nella morte
+un fiore: un piccolo pallido inutile fiore che sorridesse al suo
+crepuscolo.
+
+E dopo tanti e tanti mai anni erano quasi vecchie ad un modo la madre e
+la figlia; e la buona gente ne rise e le chiamò, “le scimmie„.
+
+
+
+
+L’ORA GRIGIA.
+
+
+Ormai don Pietro viveva d’accatto e poco usciva e quando gli toccava di
+andare da un luogo all’altro allora il povero prete si faceva piccino,
+si accappucciava e seguiva le prode dei fossi senza fermarsi mai, senza
+rivolgersi mai, senza ascoltare e senza rispondere e senza vedere le
+facce grifagne de’ suoi persecutori.
+
+Un prete era una macchia nera in quei paesi di rivoluzione, e don
+Pietro sapeva questo. Egli era in peccato continuo e nessuna acqua
+lustrale poteva mondarlo della sua colpa originaria. E sì che se per
+miseria si poteva essere apostoli del Signore, egli era uno di questi;
+chè non aveva mai toccato prebende e doveva viver di un nulla come la
+lucertola, tantochè la sua vecchia serva lo chiamava:
+
+— _La furmighina del Signor!_ (la formichina del Signore!).
+
+E don Pietro:
+
+— State zitta, Costanzina, chè siamo tutti di un _alzòne_!
+
+E voleva dire: — Siam tutti pari, tutti ad un’altezza, tutti poveri ad
+un modo.
+
+Coltura no, non ne aveva, povero don Pietro, ma era vecchio di quasi
+ottant’anni e se qualcosa aveva imparato, al tempo de’ suoi dubbi
+studi, questo qualcosa si era smarrito per la lunga via.
+
+Be’, nessuno gli rimproverava la sua semplicità, chè le sue rarissime
+conoscenze erano del suo stesso candore.
+
+Costanzina, che viveva con lui da più di trent’anni, e qualche altra
+vecchia; in tutto quattro o cinque creature, a sommar gli anni delle
+quali si andava verso il millennio.
+
+L’ultimo uomo timorato di Dio che più aveva resistito alla bufera
+e gli si era mantenuto fedele fino all’estremo possibile, era stato
+Barroccio, il campanaro. Barroccio abitava una capanna su l’argine
+della palude, esercitava la pesca e la caccia di frodo, era celibe,
+aveva un sacro orror delle femmine, digiunava sei giorni della
+settimana, era balbuziente e un poco scemo e nessuno avrebbe potuto
+pensare mai che un tale arnese dovesse far gola agli uomini di partito,
+a coloro che dominavano le campagne; eppure anche Barroccio era stato
+del numero.
+
+Per venti anni Barroccio aveva esercitato l’arte supplementaria del
+campanaro senza che nessuno lo avesse tormentato mai, perchè era uno
+di quegli uomini che non s’immischiano nei fatti degli altri, che non
+cercano compagnia, ma, paghi del loro silenzio, attendono all’opera
+quotidiana con metodica regolarità, fino alla morte. Per venti anni,
+percependo il lauto stipendio di tre lire l’anno, Barroccio era salito
+al suo campanile due volte il giorno, senza contare le feste, e,
+lanciati all’aria i tocchi rituali, era partito lungo le siepi senza
+scambiar parola con anima viva se non rarissimamente. Ed era ormai, per
+le genti della canonica e per i contadini circostanti, come l’ombra
+della meridiana che viene e va senza far rumore, sempre su lo stesso
+muro, fra i numeri convenuti, nel gorgo del tempo.
+
+Verso sera, qualche volta, don Pietro lo vedeva discendere dal
+campanile e allora gli si faceva incontro.
+
+— Come va, Barroccio?...
+
+— _Ssss.... sssi cccc.... cccampa!_...
+
+— Hai fatto buona pesca?
+
+— _Cccc.... cccosì!_...
+
+— Vuoi bere?
+
+— _Cccc.... cca no sssed!_... (Non ho sete!)
+
+— Buona sera, Barroccio.
+
+— _Ffff.... ffalicia sera!_...
+
+E toccatasi la gialla _galosa_ se ne andava per gli affari suoi
+atterrando gli occhi, curvo e silenzioso come profondasse nel nulla.
+
+Ebbene un bel giorno Barroccio non si vide più. Aspettalo all’alba,
+aspettalo al vespro, non veniva. Don Pietro mandò Costanzina a cercarlo
+e Costanzina lo trovò nella sua capanna sull’argine della palude.
+
+— Be’, perchè non venite più?
+
+— _Nnnn.... nnon vogliono!_ — rispose Barroccio.
+
+— Chi non vuole?
+
+— _I ssss.... i sssucialèsta!_... (I socialisti!)
+
+— E perchè non vogliono?...
+
+— _Nnnn.... nnnon lo so!_...
+
+— Che cosa ti hanno detto?
+
+— _Nnnn.... nniente!_...
+
+— E allora?
+
+— _I mmm.... i m’ha piciè!_... (Mi han bastonato!).
+
+E tale fu lo spavento del poveruomo che, dismessa l’arte sua canora,
+non solo non salì più sul campanile, ma nemmeno si accostò alla chiesa.
+E l’ultimo fedele era esulato.
+
+Don Pietro fece suonar le campane da Costanzina, ma sempre più
+timidamente, qualche tocco alla sfuggita, nelle ore del giorno più
+quiete, più deserte, più innamorate del sonno. Allora la vecchia
+Costanzina si inerpicava fra le tele di ragno per le vecchie scale a
+piuoli, cricchianti, pencolanti, polverose e, giunta al piano delle
+campane, avvertiva (chi avvertiva mai?) che l’alba era nata, che il
+giorno se ne andava, che in una piccola chiesa in rovina un vecchio
+fanciullo cantava l’_Angelus_ alle immagini del suo Dio e all’ombra de’
+suoi sogni, o officiava solo per i morti che erano sotto il pavimento,
+ricordati dalle lapidi, vivi soltanto per le consuete parole incise su
+la pietra.
+
+Ma no. Per qualcuno ancora si schiudeva la porta del piccolo tempio,
+una volta la settimana, innanzi che fosse giorno.
+
+L’alba della domenica aveva le sue fedeli. Tre vecchie che giungevano
+da tre casolari lontani, che si incontravano per via, che indossavano,
+solo per la messa, le loro vesti migliori, e parlavan piano quasi
+fossero spiate da cent’occhi nemici.
+
+Giungevano alla porta socchiusa. Costanzina le aspettava. Entravano
+insieme scambiando qualche parola. Su l’altare si accendevano due soli
+ceri, proprio all’ultima ora perchè non si consumassero troppo, e di
+fronte a un crocifisso, su la sacra pietra disadorna, senza fiori,
+senza candelabri, senza dorature, senza cornici o tovaglie, o qualcuno
+dei tanti arredi che adornano gli altari, nella più povera semplicità
+don Pietro iniziava il sacro mistero. Costanzina serviva la messa.
+Iddio le avrebbe perdonato! Balbettava le frasi latine malamente.
+D’altra parte fra don Pietro e lei poco sapevano che si dicessero,
+ma la fede era grande. Grande la fede e serena; Iddio scendeva fra di
+loro, nella chiesuola dalle pareti scalcinate, dalle imposte cadenti
+dalle quali entrava il rovaio e entravano le rondini in primavera.
+Da principio erano giunte con uno strido riacquistando ben presto la
+serena libertà dei cieli; ma poi si erano fatte più ardite e prima una,
+poi dieci e venti avevano plasmato il loro nido fra le travi scoperte.
+
+Costanzina se ne era accorta una mattina mentre era intenta a
+rassettare alla meglio la chiesuola. Avvertiva sì, da un po’ di
+tempo, lo stridere troppo frequente delle sorelle nere, ma non aveva
+pensato mai a levar gli occhi. Si sa, senza vetri alle imposte, in
+quella povertà estrema nella quale vivevano, non potevano pretendere
+di non aver le rondini in chiesa; ma quella mattina volle il caso che
+una rondine le lasciasse cadere proprio su la fronte come una tepida
+goccia.
+
+Costanzina capì di che si trattava e si rasciugò; poi, levata la
+faccia, scoprì una novità fra le alte travi. Stette in vedetta, studiò
+meglio l’affar suo e potè constatare che le rondini avevano fatto il
+nido in chiesa. Per questo trovava tanto sudicio il pavimento e non le
+bastava mai la fatica a pulirlo!... Còlta da un sacro sdegno, uscì e
+cercò di don Pietro. Lo trovò nel brolo.
+
+— Signor parroco, venga a vedere!
+
+— Che cosa?
+
+— Venga, le dico!
+
+— Che c’è?
+
+— Ma venga, santo Dio!...
+
+E lo prese per la veste e se lo rimorchiò dietro. Furono in chiesa.
+Costanzina tese un braccio verso le travi:
+
+— Vede?
+
+— No.
+
+— Come, non vede le rondini dove hanno fatto il nido?
+
+— Oooooh!... — fece don Pietro.
+
+— Bisognerà prender una scala e portar via quei nidi!...
+
+— Perchè?
+
+— Ma le pare, signor parroco?... In chiesa!...
+
+— Be’?...
+
+— Il sudicio che fanno!
+
+— Si pulirà.
+
+— Il rispetto....
+
+— Costanzina, bisogna essere _onorificati_ della misericordia di Dio!...
+
+— Ma!...
+
+— Se ci sono _lasèli ste_.... lasciatele stare, povere bestie!... Il
+Signore ce le manda!... _Coiòmberi!_... Sono tutte _pudicizia_!... Dove
+volete trovare una bestiola più _inonorata_, più _specifica.... cm’as
+disal_.... come si dice?... più _procace_ della rondine?... Saranno un
+_addobbo_, non le toccate.
+
+— _Jèso!_... (Gesù!...) — fece Costanzina; ma i nidi delle rondini non
+furono tócchi.
+
+Così voleva don Pietro, la piccola formica di Dio, e così fu, chè
+Costanzina aveva una grande venerazione per il vecchio sacerdote e non
+avrebbe compita mai cosa contraria alla volontà di lui.
+
+E sta il fatto che, sotto le travi adorne di nidi, inginocchiate su la
+nuda terra, nell’ombra antelucana, appena vinta dal bagliore di due
+ceri, la santa domenica tre sole vecchie, le ultime, ascoltavano il
+divino mistero.
+
+Francesca, Palmina e Mariòla: si chiamavano così.
+
+ ❦
+
+E queste tre vecchie avevano l’aria di cospiratrici. Si levavano piano
+piano innanzi che il gallo cantasse, aprivano l’arca, si vestivano al
+buio e, imbacuccate entro le pezzuole nere a righe bianche, le scarpe
+in una mano, scendevano in peduli per non far rumore.
+
+Gli uomini dormivano; il cane, su l’aia, le annusava e le lasciava
+partire al loro cammino, ritornando alla sua cuccia dentro il pagliaio
+dello strame.
+
+Eccole all’Incrociata dell’Olmo. Erano puntuali. Sbucava Marióla dalla
+viottola dei Calza che Palmina era già presso la cappelletta votiva del
+quadrivio e Francesca giungeva per il campo dei Balestra.
+
+La chiesuola non era su la via maestra, era in mezzo ai campi,
+al termine di una straducola incassata fra siepi altissime. Vi si
+internavano tutte tre camminando a paro e parlucchiando della stagione,
+degli uomini, dei tempi e della loro malinconia.
+
+La casipola di Marióla aveva inchiodato a sommo dell’uscio un
+crocifisso nero, messo là da tempi immemorabili, tanto che Mariòla
+ricordava di aver sentito dire dal suo uomo che la famiglia dei
+Travelli l’aveva trovato tale e quale quando era discesa dai monti
+al nuovo podere. Be’, che fastidio dava?... Non lo potevano lasciare
+al suo posto?... Nossignori!... Il suo figlio grande le aveva voluto
+dare anche quel dispiacere e, preso il pennato, aveva compiuto il
+sacrilegio. E Mariòla a raccomandarsi e il figlio a risponderle:
+
+— State zitta, vecchia!... Una casa che si rispetta non deve avere
+questi segni di superstizione!
+
+Un segno di superstizione il Signore?... _Jèso!_... Ma dove si andava a
+finire?... D’altra parte i castighi di Dio non mancavano: grandinate,
+colèra, guerre, ammazzamenti, rovina!... Una volta si stava meglio,
+c’era anche più rispetto pei vecchi!... Ma adesso chi badava ai vecchi?
+Non eran buoni neppur da bruciare!...
+
+E Francesca:
+
+— _Di ’e farà ’na grân vandetta!_... (Iddio farà una grande
+vendetta!...).
+
+E Palmina:
+
+— Questi ragazzi crescono e, ancora non sanno dire mamma che imparano
+a bestemmiare!... _Jèso!_... Non rispettano più niente, vengono su
+come l’erbaccia, non vogliono osservazioni nè consigli; che cosa
+diventeranno?
+
+E così ragionando giungevano alla chiesa, trovavano Costanzina su la
+porta del tempio, disparivano.
+
+La cosa continuava da anni ed anni.
+
+Ora una mattina, e il buio era anche più fitto perchè era nuvolo,
+una mattina queste tre vecchie avevano svoltato per la straducola che
+conduceva alla chiesa, e andavano di passo uguale parlucchiando, quando
+all’improvviso videro un’ombra ferma innanzi a loro, in mezzo alla
+strada. Sostarono. Lo sconosciuto disse:
+
+— Tornate indietro!
+
+Le vecchie sbalordite non risposero.
+
+— Tornate a casa, vecchie!...
+
+— Perchè? — fece Mariòla.
+
+— Perchè in chiesa non si va!
+
+— Non si va?
+
+— No.
+
+— Che cosa c’entrate voi?
+
+— Fatemi il piacere di tornare indietro.
+
+— È una prepotenza!
+
+— È quello che è!
+
+— Ed io voglio andare dove mi accomoda!
+
+— E allora vi prenderò come una bambina e vi porterò a casa.
+
+— Chi siete voi?
+
+— Questo non vi interessa.
+
+— Lo dirò con i miei uomini.
+
+— Ditelo a chi vi accomoda.
+
+Passò un silenzio. Francesca e Palmina davano di gomito a Mariòla
+perchè tacesse, perchè ubbidisse, chè tanto non c’era nulla da opporre
+contro la prepotenza di un male intenzionato. E le tre vecchie
+ritornarono umili per la strada percorsa e non scambiaron parola.
+Quando furono all’Incrociata dell’Olmo si fermarono. Lo sconosciuto non
+c’era più.
+
+— Chi sarà stato?...
+
+— Chi sa?...
+
+— Un socialista!...
+
+— Sì!...
+
+Era l’alba. Che dovevan fare? Ed ecco che la chiesuola lanciò un
+secondo timido richiamo. Costanzina le aspettava.
+
+— Che cosa dirà il parroco?
+
+— Gli avevo portato due uova, povero vecchio! È malato e non ha nulla
+da curarsi!
+
+— Sentite?... Suonano ancora la prima!...
+
+— Ci aspettano.
+
+E si udiva la chiamata sommessa. Pareva che la campana non fosse
+tocca da una mano, bensì dal vento leggero che ne movesse il battaglio
+appena, tanto che il suono, inuguale fra pause inuguali, fosse come il
+tremolio della foglia e l’incresparsi dell’acqua e il chinarsi degli
+steli e il moto e la voce di tutte le cose che parlano e si ridestano
+quando l’aria si muove.
+
+Le tre vecchie presero una via traversa. L’ombra non c’era più. Ed
+anche quella domenica si inginocchiarono su la nuda terra, sotto le
+travi dove erano i nidi abbandonati delle rondini lontane.
+
+Ma alla prima minaccia ne seguirono altre. Le ultime tre fedeli del
+piccolo tempio in rovina dovevano rinunziare alla pubblica pratica
+della loro fede; se volevano pregare, pregassero in casa. In chiesa,
+no!...
+
+Mariòla, Palmina e Francesca lasciaron dire gli uomini incaniti e
+tacquero, ma il loro silenzio non fu di acquiescenza. Anch’esse erano
+della stessa razza tenace e non cedevano sì facilmente.
+
+Ora giunse la domenica e fra loro si era passato un accordo. Quella
+volta non indossavano la veste consacrata, anzi trascelsero la peggiore
+e presero un sacchetto ed un falcetto come quando solevano andar lungo
+i fossi a raccogliere la gramigna. La campana della chiesuola non suonò
+i suoi doppi. Costanzina era avvisata. Tanto Mariòla quanto le compagne
+non percorsero la via consueta, anzi andaron per strade diverse
+raddoppiando il cammino. Si erano levate più di buon’ora. L’alba pareva
+lontana. Quando cantarono i galli si trovarono tutte e tre lungo
+il fondo di un rio come era convenuto. Questo rio passava sotto il
+cimitero e accanto alla chiesuola.
+
+Si videro appena. Era un gran buio.
+
+— Siete voi Mariòla?
+
+— Sì, Francesca!
+
+— E Palmina?
+
+— Eccola.
+
+Incurve, guardinghe, col loro sacchetto sopra una spalla e il falcetto
+in una mano proseguirono, l’una dietro l’altra.
+
+— E se ci sono? — domandò Francesca.
+
+— Se ci sono raccoglieremo la gramigna — rispose Mariòla.
+
+Un cane abbaiò lontanissimamente. Si udì il remoto rombo di un treno.
+Non c’erano stelle.
+
+— Siamo arrivate? — fece Palmina.
+
+Mariòla levò la faccia e disse:
+
+— Sì.
+
+— C’è Costanzina?
+
+Le tre vecchie scrutarono l’ombra.
+
+— Non si vede.
+
+— Allora son venuti e ci aspettano!
+
+— Non importa! — disse Mariòla.
+
+Si intravvedeva la siepe del cimitero. Mariòla incominciò a inerpicarsi
+lungo la sponda del rio. Andava carponi. Palmina e Francesca la
+seguirono.
+
+Quando potè inginocchiarsi su lo scrimolo, Mariòla passò il capo per un
+varco della siepe e chiamò sommessamente:
+
+— Costanzina?
+
+Nessuno rispose.
+
+— Non c’è! — disse Francesca.
+
+Mariòla si rizzò. Le altre le furono al fianco. Ristettero immobili, un
+attimo. Udirono qualche voce nella straducola della chiesa.
+
+— Li sentite? — fece Palmina.
+
+— Sì.
+
+— Sono venuti in molti.
+
+— Non importa.
+
+— Ci vogliono fischiare!...
+
+— E tu _digli_ che fischino!
+
+— Che cosa fate?...
+
+— Venitemi dietro.
+
+Mariòla aprì un varco ed entrò nel piccolo camposanto. Andarono in
+fila, lungo la siepe, senza far rumore, tutte tre incurve, tutte
+tre con lo stesso sacchetto sulle spalle e il falcetto in una mano.
+Avevano una pezzuola bianca e nera. Camminavano adagio, trasfigurate
+dall’ombra.
+
+Dalla via qualcuno gridò:
+
+— Chi è?
+
+Le vecchie non risposero. Trascorse un silenzio profondo.
+
+— Avete veduto? — domandò una voce sommessa.
+
+— Che cosa?
+
+— Là.... dietro la siepe del camposanto!
+
+— Chi è?... Chi è?...
+
+— Sarà l’ombra di un albero.
+
+— No....
+
+— Andiamo a vedere.
+
+Le tre vecchie si fermarono e anche gli uomini si fermarono. Nessuno si
+mosse. Ma quando Mariòla aprì il cancelletto del camposanto e si udì lo
+stridore dei cardini, ed ella non fu più confusa alla siepe, ma chiara
+e paurosa nel vano, contro le croci e i marmi, allora si udì un urlo
+soffocato, poi il busso di una corsa sfrenata.
+
+Poco dopo la schiletta del campanile suonò i suoi doppi e i due ceri
+si accesero sull’altare dispoglio innanzi al nero crocifisso e le tre
+vecchie si inginocchiarono l’una vicino all’altra su la nuda terra.
+
+E queste tre vecchie più non furono disturbate finchè la morte non le
+chiamò ad una ad una, dopo don Pietro, la piccola formica di Dio, che
+già aveva seguito l’ignoto volo delle sue rondini verso l’eternità.
+
+
+
+
+INDICE
+
+
+ Pag.
+
+ La pace 1
+ Lo spaventa passeri 19
+ La vigna vendemmiata 33
+ Padre Serenità 51
+ L’eremita 71
+ I violenti 93
+ La gazza 107
+ L’eredità 137
+ La festa dei migliacci 147
+ La madre 165
+ L’ora grigia 199
+
+
+
+
+NOTE:
+
+
+[1] _Battolata_, così si chiama in Romagna il batter delle gramole in
+ritmo, fra lunghe pause. Le gramolatrici usano fare la battolata per
+chiamar sulla sera i loro innamorati a convegno.
+
+[2] Usava in Romagna, fino a qualche anno fa, che un amante
+abbandonato, per vendicarsi pubblicamente dell’incostanza della
+propria innamorata, al tempo della gramolatura della canapa, si recasse
+all’aia nella quale si trovava la sua bella ed ivi giunto gridasse il
+nome di questa facendolo seguire da due colpi di fucile. Tali colpi
+costituivano le così dette _corna_ ed erano per la ragazza un tale
+sfregio che il capoccio della casa si affrettava a _guastare_ sparando
+un terzo colpo.
+
+
+
+
+DELLO STESSO AUTORE:
+
+
+ _Anna Perenna_, novelle L. 3 50
+ _I primogeniti_, novelle 3 50
+ _Il cantico_, romanzo 3 50
+ _Gli uomini rossi_, romanzo 2 —
+ _L’alterna vicenda_, novelle 3 50
+ _Il diario di un viandante. Dal deserto al
+ Mar Glaciale_. In-8 ill., con tav. a colori 8 —
+ _Solicchio_, canto d’amore. In-8 4 —
+ _Le Novelle della Guerra_ 3 50
+
+
+
+
+
+Nota del Trascrittore
+
+Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo
+senza annotazione minimi errori tipografici.
+
+*** END OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK LA VIGNA VENDEMMIATA ***
+
+Updated editions will replace the previous one--the old editions will
+be renamed.
+
+Creating the works from print editions not protected by U.S. copyright
+law means that no one owns a United States copyright in these works,
+so the Foundation (and you!) can copy and distribute it in the
+United States without permission and without paying copyright
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+Archive Foundation and how your efforts and donations can help, see
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+
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+501(c)(3) educational corporation organized under the laws of the
+state of Mississippi and granted tax exempt status by the Internal
+Revenue Service. The Foundation's EIN or federal tax identification
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+Archive Foundation are tax deductible to the full extent permitted by
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+Salt Lake City, UT 84116, (801) 596-1887. Email contact links and up
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+Literary Archive Foundation
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+increasing the number of public domain and licensed works that can be
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+($1 to $5,000) are particularly important to maintaining tax exempt
+status with the IRS.
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+charities and charitable donations in all 50 states of the United
+States. Compliance requirements are not uniform and it takes a
+considerable effort, much paperwork and many fees to meet and keep up
+with these requirements. We do not solicit donations in locations
+where we have not received written confirmation of compliance. To SEND
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+approach us with offers to donate.
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+ways including checks, online payments and credit card donations. To
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+
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+freely shared with anyone. For forty years, he produced and
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+the U.S. unless a copyright notice is included. Thus, we do not
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+
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+facility: www.gutenberg.org
+
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+Archive Foundation, how to help produce our new eBooks, and how to
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+<div lang='en' xml:lang='en'>
+<p style='text-align:center; font-size:1.2em; font-weight:bold'>The Project Gutenberg eBook of <span lang='it' xml:lang='it'>La vigna vendemmiata</span>, by Antonio Beltramelli</p>
+<div style='display:block; margin:1em 0'>
+This eBook is for the use of anyone anywhere in the United States and
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+whatsoever. You may copy it, give it away or re-use it under the terms
+of the Project Gutenberg License included with this eBook or online
+at <a href="https://www.gutenberg.org">www.gutenberg.org</a>. If you
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+</div>
+</div>
+
+<p style='display:block; margin-top:1em; margin-bottom:1em; margin-left:2em; text-indent:-2em'>Title: <span lang='it' xml:lang='it'>La vigna vendemmiata</span></p>
+<p style='display:block; margin-top:1em; margin-bottom:0; margin-left:2em; text-indent:-2em'>Author: Antonio Beltramelli</p>
+<p style='display:block; text-indent:0; margin:1em 0'>Release Date: August 19, 2022 [eBook #68788]</p>
+<p style='display:block; text-indent:0; margin:1em 0'>Language: Italian</p>
+ <p style='display:block; margin-top:1em; margin-bottom:0; margin-left:2em; text-indent:-2em; text-align:left'>Produced by: Barbara Magni and the Online Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net (This file was produced from images made available by The Internet Archive)</p>
+<div style='margin-top:2em; margin-bottom:4em'>*** START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK <span lang='it' xml:lang='it'>LA VIGNA VENDEMMIATA</span> ***</div>
+
+<div class="booktitle">
+<h1>
+LA VIGNA VENDEMMIATA.
+</h1>
+</div>
+
+<hr class="silver" />
+
+<div class="titlepage">
+<p class="x-large">
+ANTONIO BELTRAMELLI
+</p>
+
+<p class="pad2 main-t">
+LA VIGNA<br />
+VENDEMMIATA
+</p>
+
+<p class="pad2">
+NOVELLE
+</p>
+
+<p class="pad4">
+<span class="large">MILANO</span><br />
+<span class="smcap">Fratelli Treves, Editori</span><br />
+1919<br />
+—<br />
+Secondo migliaio.
+</p>
+</div>
+
+<div class="verso">
+<hr class="mid" />
+<p>
+PROPRIETÀ LETTERARIA.
+</p>
+
+<p>
+<i>I diritti di riproduzione e di traduzione sono
+riservati per tutti i paesi, compresi la Svezia,
+la Norvegia e l’Olanda.</i>
+</p>
+
+<p>
+Milano, Tip. Treves.
+</p>
+<hr class="mid" />
+</div>
+
+<div class="somm">
+<hr />
+<p class="center x-large"><a href="#indice" id="indfront">INDICE</a></p>
+<hr />
+</div>
+
+<div class="chapter">
+<p><span class="pagenum" id="Page_1">[1]</span></p>
+
+<h2 id="pace">LA PACE.</h2>
+</div>
+
+<p>
+Erano due brigate, due parti in eterna contesa
+come chi dicesse il fuoco e l’acqua. La
+vita in comune non poteva essere accettata
+con sopportazione. Dove appariva un piccolo
+Borghigiano c’era sempre un piccolo Sobborghino
+che s’incaricava di fargli i versacci o viceversa.
+E la cosa era vecchia quanto l’anima
+dell’uomo, nè accennava a tramutare. I cronisti
+più antichi parlavano dei Borghigiani e dei Sobborghini
+e narravano come le loro fraterne lotte
+finissero tanto sovente con morti e lutti, che
+i capitani, i podestà, i signori del popolo avevano
+emanato a più riprese leggi e bandi e
+divieti per far cessare l’ebdomanaria impresa,
+ma invano.
+</p>
+
+<p>
+Tanto i Borghigiani come i Sobborghini erano
+innamorati dei loro ludi, delle bellicose tradizioni,
+degli odî inveterati e non potevano nè
+<span class="pagenum" id="Page_2">[2]</span>
+sapevano farne a meno. Così, oltre il volere
+dei reggenti, di secolo in secolo, giù per i millenni
+l’usanza si era perpetuata e ancora, per
+quanto i nuovi tempi e le freschissime dottrine
+avessero attenuata l’antica asprezza dei rapporti,
+non v’era Borghigiano che non nutrisse
+un velato disprezzo per un Sobborghino e viceversa.
+La medaglia era identica su le due
+facce.
+</p>
+
+<p>
+Ho detto imprese ebdomanarie e usava infatti,
+al tempo degli arieti e delle catapulte, al
+tempo dei castelli e dei fossati, usava che alla
+sera di ogni sabato, piacendo al buon Dio, una
+brigata di Borghigiani si imbattesse in una brigata
+di Sobborghini, dato il quale incontro e
+la lièta disposizione degli animi ne nasceva
+tale intesa fraterna che l’una brigata si lanciava
+sull’altra e, perchè non vi fosse dubbio
+su l’intenzione, si affrettava a suonar certi
+colpi, a sferrar certe mazzate, a picchiare con
+tanta foga e sì dolce ardimento che il campo
+risuonava in breve di strida e di urla e di incitamenti
+e di imprecazioni. Scorreva il sangue.
+Qualcuno cadeva. Il rumore era grande. E quando
+le parti parevano soddisfatte si separavano e
+ciascuno si portava via i propri feriti. Seguiva
+una tregua fino al sabato venturo, nel qual sabato,
+piacendo a Dio, si ricominciava la sinfonia.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_3">[3]</span>
+</p>
+
+<p>
+Da che derivasse la gioconda consuetudine
+nessuno sapeva e men può saperlo la critica
+moderna. I cronisti sono oscuri; narrano e non
+ricercano. Gli archivi non hanno rivelato mai
+documenti che lumeggino il problema. La tradizione
+popolare canta le sue gesta ma non si
+occupa della causale delle medesime. Buio perfetto
+adunque e nel buio le due brigate che
+menavano le mani nei secoli dei secoli, in tutti
+i costumi, sotto tutti i Governi, nonostante
+tutte le proibizioni.
+</p>
+
+<p>
+La città che non nomino ma che ha d’altra
+parte molte consimili fra l’Alpe e i due mari,
+godeva adunque, da immemorabile tempo, del
+giostrare de’ suoi due sobborghi e per tali giostre
+andava nominata nei dintorni e nelle lontananze.
+Si sapeva, ad esempio, che il dialetto
+dei Borghigiani non assomigliava affatto
+al dialetto dei Sobborghini, pur vivendo entrambe
+le brigate entro i confini di una stessa
+fossa; correvano per il mondo circostante, come
+corrono tuttavia, benchè l’antico spirito sia ormai
+cosa morta, i lazzi e le burlesche calunnie
+di cui l’una parte si compiaceva di adornar
+l’altra e viceversa. I Borghigiani avevano, ad
+esempio, nel loro rione un magnifico campanile
+a cono, alto settantacinque metri e più,
+tanto che imperava su tutti i compagni della
+<span class="pagenum" id="Page_4">[4]</span>
+città. Tale campanile ridestava il loro giusto
+orgoglio. Ora siccome i Sobborghini non ne
+avevano uno compagno da poter opporre e si
+vedevano impossibilitati a rapire quello dei Borghigiani,
+andavano narrando a beffa che costoro
+per far crescere il loro campanile ogni anno
+più, venivano concimandolo ad ogni autunno
+coi frutti di tutte le stalle del rione tanto da
+accumulargli intorno una montagna di letame
+poi come con le abbondanti piogge autunnali il
+letame scemava, lasciando sui muri la traccia del
+suo antico livello, i Borghigiani si adunavano a
+festa e facevano suonare tutte le campane, e
+danzando e cantando e trepestando gridavano:
+</p>
+
+<p>
+— È cresciuto!... È cresciuto!...
+</p>
+
+<p>
+I Sobborghini, in luogo del campanile, avevano
+un fiume che attraversava il loro rione
+e ne erano naturalmente orgogliosi. Durante
+l’estate le brigate vi si rinfrescavano, ma con
+l’autunno e con le piogge v’era sempre la minaccia
+dell’inondazione. Ora i Borghigiani per
+beffare il coraggio leonino dei Sobborghini narravano
+come in tempo d’autunno questi ultimi
+andassero sempre armati dei loro schioppi e che,
+al minimo accenno di fiumana, corressero ad
+assieparsi sul ponte, e dal ponte, gridando e
+bestemmiando e facendo i più orribili ceffi che
+si fossero veduti mai, tempestassero l’acqua
+<span class="pagenum" id="Page_5">[5]</span>
+di schioppettate tantochè il povero fiume, vistosi
+assalito in sì mala guisa, tutto spaurito
+e sbigottito, cessava di scorrere al mare, e
+volto il corso turbinoso se ne ritornava alla
+nativa montagna.
+</p>
+
+<p>
+E i Sobborghini narravano come in un inverno
+frigidissimo, in cui la neve era caduta in tanta
+abbondanza da seppellirne le case, i Borghigiani,
+per impetrare pietà dal Signore e liberarsi
+dal malanno, erano usciti su la loro piazza
+e avevano pregato un maestro di pietra, che
+si trovava a passare dal luogo, di far loro un
+Cristo di neve.
+</p>
+
+<p>
+Il Cristo era stato fatto e tanto era parso
+bello ed amabile ed adorabile nel suo lucente
+candore che avevano pensato di serbarlo. Ma
+come serbarlo?... Gli anziani si erano adunati;
+fu tenuto consiglio e, per giudizio delle persone
+più assennate, fu deciso che il Cristo di
+neve sarebbe stato cotto al forno.
+</p>
+
+<p>
+— Una volta cotto è salvato! — dissero gli
+anziani.
+</p>
+
+<p>
+E il popolo disse:
+</p>
+
+<p>
+— È giusto!
+</p>
+
+<p>
+Fu riscaldato un gran forno fino ad arroventarlo
+e quando apparve bianchiccio dal calore
+il Cristo fu infornato di botto e tappato
+chè non dovesse uscire.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_6">[6]</span>
+</p>
+
+<p>
+E le donne pregavano e gli uomini sognavano
+la bellezza del loro Cristo bianco come
+la nube. Trascorsa l’ora necessaria alla cottura
+i Borghigiani si accostarono a capo scoperto
+addensandosi e, trepidando, attesero. Il più
+vecchio fra tutti si fece il segno della croce,
+afferrò il manico della serranda, lo trasse a sè
+religiosamente, guardò. Mille occhi si affissarono
+co’ suoi ricercando per entro il tenebrore
+la ben nota forma, ma non fu visto se non
+un po’ di bagnato. Allora un:
+</p>
+
+<p>
+— Oooooh! — lungo, incredulo, stupefatto
+si levò dai Borghigiani assiepati, e l’anziano
+che aveva tolta la serranda si rivolse e disse:
+</p>
+
+<p>
+— Ha fatto pipì e se n’è andato!...
+</p>
+
+<p>
+E il popolo giurò sul verbo del maestro e
+fu creduto che il Cristo di neve avesse fatto
+pipì e se ne fosse andato.
+</p>
+
+<p>
+I Borghigiani a loro volta narravano come i
+Sobborghini avendo un giorno deciso di atterrare
+una vecchia torre, l’avessero legata con
+un fil di lana e, afferrato il filo, come questo
+cedeva, si fossero dati a gridare:
+</p>
+
+<p>
+— Viene!... Viene!...
+</p>
+
+<p>
+Finchè non andarono tutti ruzzoloni. E così le
+reciproche gagliofferie erano squisitamente esaltate
+da parte a parte e correvano il mondo, animando
+le brigate, che ne facevano allegra festa.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_7">[7]</span>
+</p>
+
+<p>
+Poi, col passar dei secoli, le cose vennero
+modificandosi, ma l’antica aspra scissura non
+si appianò e non è appianata tuttavia; non che
+le antiche baruffe si rinnovino, ma un Borghigiano
+preferirà sempre un Borghigiano a un
+Sobborghino e viceversa.
+</p>
+
+<p>
+Una volta non si facevano mai matrimoni
+fra le due parti, ora se ne fanno; una volta,
+a una certa ora di notte, un abitante di uno
+fra i due rioni in contesa non si attentava di
+avventurarsi nel rione nemico; ora i Borghigiani
+bazzicano per le osterie dei Sobborghini e viceversa.
+Le cose han mutato segno ma l’antica
+tradizione non è morta tuttavia: abbandonata
+dagli uomini è scesa in retaggio ai fanciulli.
+</p>
+
+<p>
+Così le due masnade di marmocchi facevano
+onore ai loro bisnonni, tempestandosi di santa
+ragione ogni qual volta si scontrassero. Certi
+poveri piccoli cristi ostentavano con rassegnata
+fierezza le loro innumerevoli lividure, ma ciò
+non formava impedimento. Bastava che Vituperio
+o Scampoli, i condottieri delle due masnade,
+lanciassero il loro grido di guerra perchè
+dalle botteghe, dai negozi, dalle case, di
+fra le immondizie delle strade, sbucassero i
+componenti le due masnade. Le mura, il greto
+del fiume, la piazza d’Armi erano i luoghi dei
+loro scontri. Le baruffe non avevano termine
+<span class="pagenum" id="Page_8">[8]</span>
+se non quando l’una delle due parti fosse volta
+in fuga ed inseguita fin dove gli uomini non
+si potessero intromettere coi loro irriducibili
+scapaccioni.
+</p>
+
+<p>
+Naturalmente, ad ogni nuova baruffa, seguiva
+il parapiglia delle comari, che si vedevano ritornare
+i loro eredi malconci. Fierissime strida
+si levavano di catapecchia in catapecchia e la
+maggior parte delle volte i belligeranti venivano
+sottoposti a una nuova dose di legnate.
+</p>
+
+<p>
+Ma l’onor della parte faceva lieve ogni supplizio.
+E sempre, dove appariva un Sobborghino sbucava
+un piccolo Borghigiano a fargli i versacci.
+</p>
+
+<p>
+Così stavano le cose quando nacque bellamente
+al mondo la guerra libica. L’entusiasmo
+delle due masnade fu grande. Per qualche tempo
+Vituperio e Scampoli pensarono di riunire i loro
+gianizzeri e di andarsene per davvero in Libia,
+ma quando la cosa apparve impossibile, perchè
+dove ne parlarono non si ebbero che risa e rabuffi,
+dimettendo il pensiero della lega, ricominciarono
+a guardarsi in cagnesco. E furono nemici
+più di prima. Questo era naturale perchè
+tutti e due, sognando giorno e notte i turchi e
+non potendoli aver sottomano, furono predisposti
+a vedere, nella parte avversa, un’orda turchesca.
+Non vi fu intesa fra di loro; la cosa
+maturò di per se stessa; bisognava combattere.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_9">[9]</span>
+</p>
+
+<p>
+Furon quelli i giorni in cui le botteghe furon
+maggiormente disertate, in cui i garzoni dei
+ciabattini, dei falegnami e dei fabbri furon licenziati
+con maggior frequenza, in cui le catapecchie
+risuonarono di violenti rabuffi; ma
+che importava? Bisognava combattere. E i marmocchi
+combattevano. Come fare altrimenti se
+tutti i giorni avevano sotto gli occhi lo spettacolo
+dei grandi che partivano per andare alla
+guerra? Se i turchi erano in Libia potevano
+essere anche dietro le mura della loro città
+ed ogni Sobborghino fu turco per i Borghigiani
+e viceversa. Fu bandita la crociata. Nessuno
+più mantenne la foga della marmocchieria
+battagliera, nè i padri nè le madri, nè la
+coalizione degli adulti. Furono schiaffi e pugni,
+una robusta meraviglia. Vituperio e Scampoli
+affinarono la loro arte guerresca, ne toccarono
+e ne dettero finchè un bel giorno, dopo mesi
+e mesi di lotta, risuonò la novella della pace.
+</p>
+
+<p>
+La pace? Vituperio e Scampoli adunarono i
+loro marmocchi e tennero consiglio. Era la
+prima volta, nei secoli dei secoli, che fra Borghigiani
+e Sobborghini si parlava di una simile
+cosa. Eppure se la pace l’avevano fatta
+gli altri, i grandi, doveva ben essere una cosa
+seria. Furono sospese le ostilità, e una bella
+domenica Vituperio e Scampoli, ciascuno a capo
+<span class="pagenum" id="Page_10">[10]</span>
+della propria turba, si diressero per strade diverse
+ad uno stesso luogo.
+</p>
+
+<p>
+Il luogo prescelto era la piazza d’Armi.
+</p>
+
+<p>
+Scalzi, con gli enormi berretti appartenuti
+già a tutta una generazione di adulti innanzi
+di scendere sulle loro orecchie, con certi giubboni
+sbrindellati che si affloscivano giù giù
+per le stremenzite persone, fino alla caviglia;
+senza camicia, senz’altro se non il loro buon
+umore, si adunarono e partirono. Baiocco, Fringuello,
+Martufo, Piedipiatti, Boccatorta, Frosone,
+Virgola, Cartoccio, ciascuno col proprio nomignolo,
+come con un singolare adornamento, se
+ne andò a testa alta. C’era il signor Sole. Essi
+adoravano il signor Sole, come la signora Luna
+e come ogni cosa che fosse lucente. Erano
+come la gazza e la cornacchia. Qualche donna
+si fece su la porta.
+</p>
+
+<p>
+— Dove andate, canaglie, rompicolli, avanzi
+di galera?
+</p>
+
+<p>
+I marmocchi non risposero e non fecero sberleffi.
+Un altro giorno forse avrebbero scaricato
+sulla linguacciuta comare tutto il vocabolario
+dei loro improperi, ma quel giorno no. Andavano
+a far la pace e c’era il signor Sole. Essi
+lo chiamavano così perchè la parola <i>signore</i>
+significava per loro una cosa grande e lontana.
+Ciò che avrebbero fatto e detto non lo sapevano,
+<span class="pagenum" id="Page_11">[11]</span>
+ma Virgola cantava e Piedipiatti gonfiava
+le gote ad imitar la banda.
+</p>
+
+<p>
+Scampoli aveva le mani in tasca, ciò voleva
+dire che pensava. Quando Scampoli pensava
+doveva essere in vista qualcosa di grosso.
+</p>
+
+<p>
+Boccatorta chiese a Frosone:
+</p>
+
+<p>
+— E dopo?
+</p>
+
+<p>
+— Dopo che?
+</p>
+
+<p>
+— Dopo, quando la pace sarà fatta?
+</p>
+
+<p>
+— Ebbene?
+</p>
+
+<p>
+— Che cosa si farà?
+</p>
+
+<p>
+— Io credo che ci bastoneremo in un altro
+modo!
+</p>
+
+<p>
+Boccatorta sputò e Frosone dette una spinta
+a Fringuello perchè non camminava. Ne nacque
+un battibecco e volò qualche pugno. Scampoli
+non si rivolse, fu Martufo che s’interpose e separò
+i contendenti:
+</p>
+
+<p>
+— Non vi fate male!... Pensate che avete
+una famiglia!...
+</p>
+
+<p>
+Frosone non aveva nessuno e Fringuello viveva
+con una vecchia zia che non sapeva di
+averlo. Ma si rappacificarono perchè ciascuno
+credeva di avere una famiglia là dove andava
+a dormire, fosse pure sotto l’arco di una porta
+o in un loggiato.
+</p>
+
+<p>
+Guardarono il fiume. Qualcuno si soffermò
+a raccogliere qualche sasso lucente. Salirono
+<span class="pagenum" id="Page_12">[12]</span>
+la sponda opposta e Virgola cantava sempre
+e Piedipiatti gonfiava le gote a imitar la banda.
+</p>
+
+<p>
+Baiocco disse a quest’ultimo:
+</p>
+
+<p>
+— Vuoi finirla di sbuffare come un bue?
+</p>
+
+<p>
+Piedipiatti rispose:
+</p>
+
+<p>
+— No!... — E intonò l’inno di Garibaldi.
+</p>
+
+<p>
+— <i>Taracin, taracin, taracin.</i>
+</p>
+
+<p>
+Allora, per lo spirito suo repubblicano, anche
+Baiocco cominciò a cantare. Le foglie erano
+color d’oro. Un pettirosso e un forasiepe volaron
+pei rami bassi a guardare. C’erano tre piccole
+nubi che correvano verso il sole, tutte scapigliate.
+Le montagne turchine pareva si fossero
+levate a fare una bella corona al cielo limpido.
+</p>
+
+<p>
+Cispola, che era il più piccolo, guardò un
+contadino che passava con una vacca e per
+associazione di idee disse:
+</p>
+
+<p>
+— Ho fame!
+</p>
+
+<p>
+Ma nessuno gli badò. Pancaccia ebbe un
+grande sbadiglio.
+</p>
+
+<p>
+E arrivarono in vista della piazza d’Armi.
+Quando videro le mura del Tiro a segno, qualcuno
+chiese:
+</p>
+
+<p>
+— Ci sono?
+</p>
+
+<p>
+Fu risposto:
+</p>
+
+<p>
+— Sì, ci sono.
+</p>
+
+<p>
+Infatti i Borghigiani erano in fondo al prato,
+immobili.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_13">[13]</span>
+</p>
+
+<p>
+— Che cosa fanno? — chiese Virgola.
+</p>
+
+<p>
+— Non vedi?... — mormorò Pancaccia. — Aspettano
+la pace!...
+</p>
+
+<p>
+Scampoli camminava sempre con le mani in
+tasca e così continuò a camminare fino a metà
+del prato e la sua turba dietro.
+</p>
+
+<p>
+Quando fu giunto a metà del prato si fermò.
+I Borghigiani non si movevano. Si vedeva benissimo
+Vituperio fermo innanzi ai suoi. Stettero
+così qualche tempo.
+</p>
+
+<p>
+— Be’?... — fece Baiocco accostandosi a
+Scampoli.
+</p>
+
+<p>
+— Be’, che cosa?... — domandò Scampoli
+rivolgendosi.
+</p>
+
+<p>
+— Che facciamo?
+</p>
+
+<p>
+— Si aspetta.
+</p>
+
+<p>
+— Ma anche gli altri aspettano!
+</p>
+
+<p>
+— Hai visto? — disse Fringuello. — Hanno
+inalberata la bandiera bianca!
+</p>
+
+<p>
+Si vedeva infatti un cencio pendere dalla
+cima di una canna.
+</p>
+
+<p>
+— Chi ha un fazzoletto? — fece Scampoli
+rivolgendosi.
+</p>
+
+<p>
+Nessuno rispose.
+</p>
+
+<p>
+— Chi ha la camicia? — riprese Scampoli.
+</p>
+
+<p>
+— Io! — disse Cispola.
+</p>
+
+<p>
+— Dalla qua.
+</p>
+
+<p>
+E Cispola fu costretto a togliersi la camicia
+<span class="pagenum" id="Page_14">[14]</span>
+che era turchina. Non vi si badò. Qualcuno
+trovò una canna e la bandiera fu fatta.
+</p>
+
+<p>
+Allora i Borghigiani si mossero con Vituperio
+alla testa. Anche Scampoli si mosse con
+i suoi.
+</p>
+
+<p>
+Quando le due masnade furono a dieci passi
+si soffermarono.
+</p>
+
+<p>
+Tanto i Borghigiani come i Sobborghini ridevano.
+</p>
+
+<p>
+— Che c’è da ridere? — domandò Scampoli.
+</p>
+
+<p>
+— E voi altri perchè ridete? — rispose Vituperio.
+</p>
+
+<p>
+Passò un silenzio. Scampoli e Vituperio si
+fecero innanzi. Le due masnade si guardavano
+con occhi da locomotiva.
+</p>
+
+<p>
+E Scampoli disse:
+</p>
+
+<p>
+— Facciamo pace?
+</p>
+
+<p>
+— Facciamo pace! — rispose Vituperio.
+</p>
+
+<p>
+E i condottieri si teser la mano, veduta la
+qual cosa i marmocchi d’ambo le parti si spinsero
+gli uni contro gli altri e cominciarono a
+baciarsi, ad abbracciarsi che era una meraviglia
+vederli.
+</p>
+
+<p>
+Se ne andarono insieme e parevano in verità
+tutti fratelli. Giammai un Borghigiano aveva
+avuta tanta esuberanza d’amore per un Sobborghino.
+La secolare antinomia, la lotta senza
+quartiere, ecco, aveva trovata la sua fine, la
+<span class="pagenum" id="Page_15">[15]</span>
+pace trionfava su la guerra; un sentimento
+umano su la barbara usanza sanguinaria.
+</p>
+
+<p>
+I marmocchi non sapevano e non pensavano
+questo, erano allegri per la cosa nuova, per il
+loro numero accresciuto, per il signor Sole
+che rideva sempre compiendo la sua strada
+nel turchino. E tutto pensarono fuorchè a riprender
+la strada delle loro case.
+</p>
+
+<p>
+Attraversarono campi e fossati, presero a
+sassate i cani, insolentirono i bifolchi per la
+superiorità che ogni marmocchio cittadino sentiva
+di avere su la gente del contado, devastarono
+qualche vigneto, fecero quanto più danno
+poterono per il loro amore che non era l’amore
+degli altri. E così camminando, piroettando,
+cantando, devastando, giunsero, ebbri di pace
+e di fratellanza, ad una città vicina.
+</p>
+
+<p>
+Come ne vider le mura sostarono. Vituperio
+disse:
+</p>
+
+<p>
+— Entriamo a portar la pace anche fra i
+Tonti?
+</p>
+
+<p>
+— Sì!... — gridaron le masnade. — Evviva
+la pace!...
+</p>
+
+<p>
+E in verità parevano tanti piccoli Arcangeli
+in Cristo, illuminati di grazia e di soavità.
+</p>
+
+<p>
+Scampoli raccolse un ramo di ulivo. L’esempio
+suo fu imitato. In breve la povera pianta,
+per la pace degli uomini, fu dispogliata da’
+<span class="pagenum" id="Page_16">[16]</span>
+suoi rami. Poi si posero in ordine, a quattro
+a quattro, e ciascuno recava il suo ramo di
+ulivo. In mancanza di meglio intonarono un
+coro scolastico:
+</p>
+
+<div class="poem"><div class="stanza">
+<p class="i01">Noi siamo piccoli ma cresceremo....</p>
+</div></div>
+
+<p>
+E a gola aperta, fra lo strepito del canto stonato,
+agitando alte le loro rame si diressero
+verso la porta medioevale della città dei Tonti.
+</p>
+
+<p>
+Due piccoli Tonti li accolsero con uno sberleffo;
+un altro disse loro:
+</p>
+
+<p>
+— Che cosa venite a fare in casa nostra?
+</p>
+
+<p>
+Ma gli apostoli non intesero o finsero di non
+intendere. Varcarono le mura cantando sempre
+e credevano di andare incontro ad un’accoglienza
+trionfale, senonchè i Tonti, avvertiti
+dal frastuono, si erano raccolti in buon numero
+e non appena le apostoliche masnade avevan
+posto piede nella loro città che incominciò la
+più tempestosa sassaiuola che queste avesser
+dovuta subir mai.
+</p>
+
+<p>
+— Siamo amici! — gridò Vituperio. — Vi
+portiamo la pace!
+</p>
+
+<p>
+— La pace!... La pace!... — gridarono le
+masnade.
+</p>
+
+<p>
+E allora un brutto piccolo rospo della famiglia
+dei Tonti, un segnato da Dio, con un occhio
+cieco, la bocca torta e sciancato, come
+<span class="pagenum" id="Page_17">[17]</span>
+udì il grido si fece innanzi e in un momento
+di tregua gridò:
+</p>
+
+<p>
+— Che cosa volete?...
+</p>
+
+<p>
+— La pace!
+</p>
+
+<p>
+Lo sgorbio umano ebbe un riso sinistro, si
+pose la mano alla bocca e rispose con un suono
+inarticolato.
+</p>
+
+<p>
+I Tonti risero.
+</p>
+
+<p>
+Vituperio e Scampoli allibirono. Piedipiatti
+disse:
+</p>
+
+<p>
+— Torniamo indietro.
+</p>
+
+<p>
+Vi fu un momento di scompiglio e ancora le
+masnade dell’amore non si erano rifatte dalla
+loro sorpresa che una seconda frotta di Tonti,
+armati di randelli, sbucò da un vicolo, assalì
+i pacifici Borghigiani e Sobborghini e, senza
+che essi potessero reagire, li conciò nel più
+malo modo possibile.
+</p>
+
+<p>
+La rotta fu vergognosa e disperata. E da
+quel giorno, per il dolce volto di madonna Pace,
+la Guerra non fece che un inchino ai suoi vecchi
+messeri e cambiò luogo se non cambiò
+costume.
+</p>
+
+<p>
+Borghigiani e Sobborghini furono alleati contro
+i Tonti, tanto è vero che tutto è parziale
+al mondo e l’universalità è una utopia.
+</p>
+
+<div class="chapter">
+<p><span class="pagenum" id="Page_19">[19]</span></p>
+
+<h2 id="passeri">LO SPAVENTA PASSERI.</h2>
+</div>
+
+<p>
+Seduto in mezzo al campo, presso la croce
+di canna elevata a porre il seminato sotto la
+protezione del Signore, lo squallido vecchio
+aveva a quando a quando un rauco grido e
+levava a stento un suo vinciglio, fra le mani
+anchilosate. Incurvo il mento sul petto, tutto
+pervaso dal tremito della paralisi, attendeva al
+suo còmpito dall’alba al tramonto, da quando
+i passeri scendevano dai loro rifugi fino all’ora
+in cui vi ritornavano con un frullo, mentre
+suonava un’Ave.
+</p>
+
+<p>
+Era il tempo dell’estremo autunno, chè novembre
+traeva l’invernata dai cieli preclusi, con
+le nebbie, le brine e le burrascose furie di
+Borea. Anche i pettirossi se ne andavano con
+le ultime foglie e le nostalgiche voci delle giovinette
+cantavan la leggenda di Solicello che
+muore impigliato fra i roveti.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_20">[20]</span>
+</p>
+
+<p>
+La terra si mostrava ignuda fra zone di basse
+nebbie o nei magici bagliori della galaverna.
+E fra le nebbie e la galaverna, sotto l’esigua
+croce di canna, rattrappito, bistorto, ravvolto
+come un ramo secco, padron Veli attendeva la
+sua morte in mezzo al campo seminato. Nè
+pregava Iddio che l’affrettasse, nè vedeva cosa
+che gli paresse ingiusta anche in quella sua
+postrema sofferenza.
+</p>
+
+<p>
+Vegeto e sano aveva sempre pensato, come
+i suoi tre figli, che tanto ci si può prender
+cura di un uomo quanto utile può rendere; ed
+ora che si vedeva immobilizzato dal male su
+di una sedia, più gli sarebbe parso atroce essere
+come l’aratro arrugginito o come lo stollo
+fracido che non regge il suo mucchio anzichè
+giovare, in quel modo che poteva, a coloro che
+avevano preso il posto di lui. Così s’illividiva
+sotto i plumbei cieli tranquillamente, levando
+a quando a quando un rauco grido o il rossigno
+vimine a spaventare i passeri che non
+vedeva ormai più perchè gli occhi suoi non gli
+mostravan del mondo se non un’immagine smorticcia,
+una teoria di fantasmi evanescenti dall’ombra
+densa.
+</p>
+
+<p>
+E Maiore e Pietro e Benedetto utilizzavano
+il vecchio in tal modo, contenti dell’opera loro
+e di quel qualsiasi utile che ne ritraevano.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_21">[21]</span>
+</p>
+
+<p>
+Erano costoro tre uomini scalati come tre
+canne di una zampogna, ma di uguale tipo e
+di anima uguale, se ben poteva dirsi anima il
+vago baglior di vita che appena schiariva la
+loro grossezza. Ridevan di nulla così come il
+minimo suono s’ingigantisce nelle stanze vuote,
+l’un dopo l’altro con la bocca aperta e gli occhi
+tondi: avevan quella semplicità la quale confina
+con l’ebetudine, ma solo fino al punto in cui
+non entrasse in gioco il loro tornaconto.
+</p>
+
+<p>
+Infaticati come la bestia a coltivare il campo
+e la vigna, consideravan sè stessi a simiglianza
+degli altri, a seconda dell’utile che potevan
+dare, nè avevan tolto moglie perchè più pane
+avrebbe consumato una donna che non ne
+avrebbe reso. Così conducevano la casa da
+soli, compiendo ogni opera femminile, perfettamente.
+</p>
+
+<p>
+Nel contado li chiamavan gli Scalzi e infatti
+fino ai giorni del più rigido inverno andavan
+scalzi e solo allora infilavano gli zoccoli
+quando la neve era per le vie. Nè possedevan
+mantelle a ripararsi dai rigori del gennaio, nè
+ferrajoli, nè altra veste che non fosse una pelle
+di pecora la quale avevan cucita alla meglio e
+che infilavan sulla giacchetta a volta a volta,
+chè ne possedevano una sola.
+</p>
+
+<p>
+Il loro mondo era in tale avarizia, all’infuori
+<span class="pagenum" id="Page_22">[22]</span>
+della quale nessuna cosa più li toccava o li
+commuoveva e non sapevan che ridere.
+</p>
+
+<p>
+Così quando padron Veli, il padre loro venerando,
+fu ridotto fra il letto e la sedia, incapace
+a qualsiasi opera, i tre Scalzi sentirono
+appesantirsi sull’anima loro la nube di quella
+vecchiaia dannosa e, tardando la morte a render
+giustizia, strologarono nel pensier loro il
+modo di far servire a qualcosa il malato.
+</p>
+
+<p>
+Fu Maiore che una mattina, all’alba, levato
+col canto del gallo, disse a Pietro:
+</p>
+
+<p>
+— Prendi il vecchio e portalo con te.
+</p>
+
+<p>
+— Dove?
+</p>
+
+<p>
+— Nel campo.
+</p>
+
+<p>
+Pietro trasse padron Veli dal letto e se lo
+caricò sulle spalle. Questi non fiatò, tremava
+soltanto, ma per la sua paralisi.
+</p>
+
+<p>
+Poi Maiore chiamò Benedetto e gli disse:
+</p>
+
+<p>
+— Prendi una sedia e vieni con me.
+</p>
+
+<p>
+— Dove?
+</p>
+
+<p>
+— Nel campo.
+</p>
+
+<p>
+Maiore si caricò di tre marre e andarono.
+Traversata l’aia, seguendo le redole, giunsero
+al campo della croce che era il più grande.
+</p>
+
+<p>
+Avevano seminato il giorno prima. Maiore
+andava innanzi. Quando fu presso la croce disse
+a Benedetto:
+</p>
+
+<p>
+— Metti la sedia qui.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_23">[23]</span>
+</p>
+
+<p>
+Fu fatto. Maiore la piantò bene sulla terra
+smossa chè non avesse a rovesciarsi, compiuta
+la qual opera, disse a Pietro:
+</p>
+
+<p>
+— Vien qua. Fa sedere il vecchio. Spaventerà
+i passeri.
+</p>
+
+<p>
+Padron Veli capì solo allora che cosa gli preparavano
+e non si dolse della cosa, come non si
+sarebbe dispiaciuto anco se l’avesser sepolto.
+</p>
+
+<p>
+Come fu seduto, Maiore gli disse:
+</p>
+
+<p>
+— Voi siete quasi cieco ma non importa. I
+passeri avranno paura di voi. Badate al grano.
+Se avrete fame vi ho messo il pane in tasca. Qui
+c’è la fiasca dell’acqua. Verremo a prendervi
+questa sera.
+</p>
+
+<p>
+Padron Veli non parlava più e non potè rispondere;
+continuò a tremare, la testa inchiodata
+al petto, le braccia penzoloni. Ma per quel
+che capì fu soddisfatto. Maiore si fermò à guardarlo.
+Disse a Benedetto:
+</p>
+
+<p>
+— Va a tagliare una rama.
+</p>
+
+<p>
+Benedetto andò in un filare e tornò con un
+vimine rossigno. Maiore lo pose nelle mani del
+vecchio e disse ancora:
+</p>
+
+<p>
+— Tenete questa rama. Vi farà buono per i
+passeri!
+</p>
+
+<p>
+Poi raccolse la marra, Pietro e Benedetto fecero
+similmente e senza rivolgersi se ne andarono all’opera
+loro.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_24">[24]</span>
+</p>
+
+<p>
+Padron Veli rimase in mezzo al seminato col
+suo vimine sanguigno. Su le prime non si rimosse,
+stette con le braccia abbandonate, istupidito,
+senza saper come eseguire degnamente
+il compito nuovo, chè nulla vedeva se non
+l’ombra degli alberi, sul cielo, e un mare grigiastro
+ed uniforme; poi a qualcosa che trasentì
+e che non seppe comprendere nell’ombra
+sua moritura, mandò un grido rauco e levò il
+vinciglio e così fece e continuò fra lunghe
+pause finchè giunse la sera e lo riportarono via.
+</p>
+
+<p>
+Il nuovo costume non fu più dimesso. Ad
+ogni alba gli Scalzi partivano col vecchio paralitico
+e ritornavano col tramonto. E fra le
+ultime foglie che le raffiche si portavano via
+frullando, fra lo strido dei forasiepe, l’argento
+delle brine, il grave aduggiarsi delle nebbie
+Padron Veli attese la sua morte che non poteva
+mancare.
+</p>
+
+<p>
+Ma egli era di salda radice e il freddo e
+l’umido e la nebbia e la pioggia non l’abbatterono.
+Anche quando scendeva sulla terra la
+caligine livida, sì che non vedeva la cinta degli
+alberi, i tre Scalzi che lavoravano nel campo
+vicino, udivano uscire dal fitto velo della foschia
+il grido del vecchio; e pareva giungesse
+di tanto lontano che già la morte l’avesse serrato
+e condotto giù per le sue fosche contrade.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_25">[25]</span>
+</p>
+
+<p>
+E Maiore diceva alludendo al vecchio:
+</p>
+
+<p>
+— Lavora bene!
+</p>
+
+<p>
+E Pietro e Benedetto assentivano.
+</p>
+
+<p>
+Poi giunsero le piogge e il còmpito di padron
+Veli parve esaurito. Dal primo giorno in cui
+il cielo si oscurò per non aver più sole il vecchio
+fu posto in una panca, vicino al focolare
+spento. Faceva freddo, ma in casa degli Scalzi
+il fuoco non si accendeva mai se non per cuocere
+le vivande. Quel giorno non v’erano vivande
+da cuocere e padron Veli tremava presso
+la cenere del focolare e aveva il volto illividito
+come quando sedeva in mezzo al seminato, fra
+il turbinìo del vento. Gli occhi gli si erano ormai
+chiusi e non udiva intorno che il ronzìo
+cupo delle sue stanche vene. E quel ronzìo gli
+figurò lo svolare e il pigolar dei passeri fra la
+sementa. Alzò un braccio, ad un tratto e mandò
+il suo rauco grido.
+</p>
+
+<p>
+Maiore levò il capo di su lo spianatoio e si
+volse a guardare. Così fecero Pietro e Benedetto,
+ma non corse parola. Dall’angusta finestra
+chiusa da un’impannata, entrava appena
+uno scialbo livore di luce. E, fra i colpi del
+telaio, si udiva il gran pianto del giorno
+senza sole.
+</p>
+
+<p>
+Fu una pausa durante la quale Padron Veli
+continuò a tremare nella sua solitudine moritura,
+<span class="pagenum" id="Page_26">[26]</span>
+poi con lo stanco gesto del braccio il suo
+rauco grido empì di nuovo la stanza.
+</p>
+
+<p>
+Benedetto ristette, la spola in una mano, e
+domandò:
+</p>
+
+<p>
+— Che ha il vecchio?
+</p>
+
+<p>
+Disse Maiore:
+</p>
+
+<p>
+— Si sogna!
+</p>
+
+<p>
+E lo guardarono un poco in silenzio. Padron
+Veli non vedeva e non udiva; udiva solamente
+gli immensi stormi dei passeri voraci cinguettare,
+cantare, svolare in una persecuzione senza
+tregua, penosa, e i campi erano devastati, sotto
+la croce di canna coronata dal candor della
+brina.
+</p>
+
+<p>
+Solo al quinto, al sesto grido, Maiore disse:
+</p>
+
+<p>
+— Si pensa di essere nel seminato e lavora!...
+</p>
+
+<p>
+Pietro e Benedetto risero e nessuno pensò
+più alla cosa. Padron Veli continuò nel gesto e
+nel grido automatico, seduto innanzi la cenere
+del focolare, illividito dal freddo, sperduto nell’ultima
+sua visione di tormento.
+</p>
+
+<p>
+Ma al secondo e al terzo giorno, come il
+maltempo non accennava a tramutare e il vecchio
+a ravvedersi, Maiore disse:
+</p>
+
+<p>
+— Bisogna avvertirlo che non è più nel
+campo!...
+</p>
+
+<p>
+E Pietro e Benedetto risposero:
+</p>
+
+<p>
+— Sì!
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_27">[27]</span>
+</p>
+
+<p>
+Bisognava avvertirlo e Maiore si accostò a
+padron Veli, gli battè una mano sulla spalla,
+gridò:
+</p>
+
+<p>
+— Vecchio, siete in casa, qui non ci sono i
+passeri!... — Pietro e Benedetto ridevano. Padron
+Veli non intese, non poteva intendere,
+tremò un po’ più forte senza rispondere.
+</p>
+
+<p>
+E Maiore:
+</p>
+
+<p>
+— Avete capito?... Non gridate più che non
+c’è bisogno!...
+</p>
+
+<p>
+E l’opera diuturna fu ripresa, ma il vecchio
+Veli non aveva inteso. Egli non viveva ormai
+più se non nella sua estrema visione.
+</p>
+
+<p>
+Allora i tre figli si dissero:
+</p>
+
+<p>
+— Chiamiamo Puntèrla chè lo faccia tacere
+con le sue erbe!
+</p>
+
+<p>
+E Puntèrla giunse. Era questi un semplicista
+e aveva grande rinomanza per le campagne,
+chè le sue guarigioni erano prodigiose. Giunse
+e guardò padron Veli. Maiore, Pietro e Benedetto
+gli stavano intorno con la bocca tonda.
+</p>
+
+<p>
+Maiore domandò!
+</p>
+
+<p>
+— Potrete guarirlo senza farci spendere?
+</p>
+
+<p>
+Disse Puntèrla:
+</p>
+
+<p>
+— È vecchio!
+</p>
+
+<p>
+I tre figli assentirono.
+</p>
+
+<p>
+E Maiore chiese:
+</p>
+
+<p>
+— Che cosa potremmo dargli?
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_28">[28]</span>
+</p>
+
+<p>
+Puntèrla disse:
+</p>
+
+<p>
+— Morirà!...
+</p>
+
+<p>
+I tre figli assentirono. Già, era giusto che
+dovesse morire perchè era troppo vecchio.
+</p>
+
+<p>
+Ora padron Veli urlava sempre più forte e
+la sua paralisi lo faceva traballare sulla sedia.
+</p>
+
+<p>
+— Vedete come trema? — disse Puntèrla. — Ha
+il male della spingarda?
+</p>
+
+<p>
+— Della spingarda?
+</p>
+
+<p>
+— Sì — fece il sapiente di semplici. — Bisognerebbe
+farlo sudare!...
+</p>
+
+<p>
+— Non basterebbe qualche pillola?
+</p>
+
+<p>
+— No. Fatelo sudare!...
+</p>
+
+<p>
+E Puntèrla si ravvolge nel suo ferraiolo.
+Quando fu sulla porta Maiore gli pose fra le
+mani due uova e disse:
+</p>
+
+<p>
+— Prendete per il vostro incomodo!
+</p>
+
+<p>
+Puntèrla intascò le uova senza dir parola e
+scomparve.
+</p>
+
+<p>
+Come rimasero soli, Maiore pensò per qualche
+secondo, poi disse ai fratelli:
+</p>
+
+<p>
+— Aspettatemi qui! — E uscì sotto il portico.
+</p>
+
+<p>
+Per circa mezz’ora Pietro e Benedetto lo udirono
+andare e venire senza sapere che si facesse.
+Padron Veli era sempre più agitato e
+le sue urla aumentavano d’intensità.
+</p>
+
+<p>
+Di repente la porta che immetteva nel portico
+si aperse, e Maiore apparve, vermiglio in volto.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_29">[29]</span>
+</p>
+
+<p>
+Disse ai fratelli:
+</p>
+
+<p>
+— Prendete il vecchio!
+</p>
+
+<p>
+Pietro e Benedetto ubbidirono senza domandare,
+com’erano soliti, chè Maiore poteva avere
+il comando, essendo il primo nato.
+</p>
+
+<p>
+Sollevarono padron Veli fra le braccia e uscirono.
+Maiore andava innanzi. In un angolo del
+portico era aperta la nera bocca del forno.
+</p>
+
+<p>
+— Che facciamo? — domandarono i fratelli.
+</p>
+
+<p>
+— Portatelo qua! — disse Maiore.
+</p>
+
+<p>
+Padron Veli aveva gli occhi serrati. Quando
+</p>
+
+<p>
+furono innanzi alla bocca del forno Maiore
+guardò dentro e chiese:
+</p>
+
+<p>
+— Potrà starvi seduto?...
+</p>
+
+<p>
+Pietro e Benedetto risposero:
+</p>
+
+<p>
+— Sì!...
+</p>
+
+<p>
+E l’opera fu compiuta. Quando ebbero chiusa
+la serranda e l’ebber tappata intorno con molta
+mota, ristettero ad ascoltare, tutti e tre reclini.
+</p>
+
+<p>
+— Ora suda!... Non urla più!... — disse Maiore.
+</p>
+
+<p>
+E se ne andarono tranquilli.
+</p>
+
+<p>
+Padron Veli sudava infatti dentro il forno
+serrato e più non udiva il cupo ronzio delle
+sue vene tramutarsi nell’acuto pigolìo dei passeri
+voraci. Il giorno declinò ed i tre fratelli
+compirono le opere loro in pace. Quando fu la
+sera, Maiore si accostò alla bocca del forno
+e chiamò forte:
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_30">[30]</span>
+</p>
+
+<p>
+— Vecchio?... o vecchio?... Sudate?...
+</p>
+
+<p>
+Padron Veli non rispose. Pietro e Benedetto
+dissero:
+</p>
+
+<p>
+— Dormirà!...
+</p>
+
+<p>
+— Lasciamolo tranquillo!...
+</p>
+
+<p>
+— Sì, lasciamolo tranquillo!
+</p>
+
+<p>
+E com’ebber mangiato il loro pan secco sul
+palmo della mano, se ne andarono a dormire,
+contenti nella loro anima ottusa.
+</p>
+
+<p>
+All’alba il gallo rosso cantò presso il fico dispoglio
+dal quale stillava la pioggia. I tre fratelli
+si levarono e scesero nella stalla.
+</p>
+
+<p>
+Com’ebbero governate le bestie era il mattino,
+e la giornata era piovosa.
+</p>
+
+<p>
+Dall’aia qualcuno chiamò:
+</p>
+
+<p>
+— Oh!... Gli Scalzi!...
+</p>
+
+<p>
+— Avanti!... — gridò Maiore.
+</p>
+
+<p>
+Entrò Puntèrla.
+</p>
+
+<p>
+— Benvenuto! — fece Maiore. — Che volete?...
+</p>
+
+<p>
+— Come sta padron Veli?
+</p>
+
+<p>
+— Deve star bene perchè ha sudato! Non
+l’abbiamo sentito più!
+</p>
+
+<p>
+— Si può vedere?
+</p>
+
+<p>
+— Venite!...
+</p>
+
+<p>
+E Maiore e Pietro e Benedetto s’accostarono
+alla bocca del forno. Puntèrla li guardava fare.
+</p>
+
+<p>
+Com’ebbero aperta la serranda Maiore disse
+a Pietro:
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_31">[31]</span>
+</p>
+
+<p>
+— Va a prendere il lume!
+</p>
+
+<p>
+Venne il lume e Maiore lo legò in cima a
+una pertica.
+</p>
+
+<p>
+— Ma che avete fatto?... — domandò Punterla,
+e stralunava.
+</p>
+
+<p>
+I tre fratelli si volsero a guardarlo, stupiti.
+Non risposero.
+</p>
+
+<p>
+Maiore spinse la lampada nel forno. Apparve
+l’ombra del vecchio, appoggiata all’incurva parete,
+ma il volto non si vedeva, non si vedeva
+che il corpo rattrapito, risecchito.
+</p>
+
+<p>
+— O vecchio?... — chiamò Maiore. Passò un
+silenzio e padron Veli non rispose a quella e
+alle nuove chiamate. Allora Maiore levò la lampada
+fin presso il volto del taciturno e, nella
+luce rossastra, l’orrendo volto apparve di un
+subito, come dal fondo di un sepolcro millenne.
+Non era più inchiodato al petto, ma levato fino
+alla vôlta del forno e gli occhi erano sbarrati
+e i capelli irti e le mascelle contratte e la bocca
+socchiusa e stirata sulle vuote gengive. Impietrito
+nello spasimo era segnato nei solchi e
+nell’ossa e nella cavità profonda, da una forza
+spaventevole.
+</p>
+
+<p>
+Maiore lo guardò tranquillo e chiamò ancora:
+</p>
+
+<p>
+— O vecchio?... Non ci sentite?
+</p>
+
+<p>
+— Sì che ci sente — sussurrò Pietro. — Guardalo!...
+Ride!...
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_32">[32]</span>
+</p>
+
+<p>
+E Benedetto:
+</p>
+
+<p>
+— Ride!...
+</p>
+
+<p>
+E tutti e tre sporsero la testa entro la nera
+bocca del forno e ripeterono adagio, soddisfatti:
+</p>
+
+<p>
+— Ride!
+</p>
+
+<p>
+Poi, levatisi in un silenzio, si guardarono
+negli occhi e scoppiarono a ridere a loro volta
+tutti e tre, l’uno di fronte all’altro, inconsci e
+tremendi innanzi alla muta morte che li guatava
+dalla tenebra.
+</p>
+
+<div class="chapter">
+<p><span class="pagenum" id="Page_33">[33]</span></p>
+
+<h2 id="vignav">LA VIGNA VENDEMMIATA.</h2>
+</div>
+
+<p>
+C’era, lungo la casa, una riga di ombra e il
+sole batteva tuttavia sui muri opposti con tanta
+violenza che l’aria ne era affocata. Le finestre
+e le porte erano chiuse e per la strada non
+c’era che Calandra accoccolato lungo la riga
+di ombra, presso il muro della sua casipola, le
+ginocchia divaricate, le braccia su le ginocchia
+e le mani penzoloni.
+</p>
+
+<p>
+Sonnecchiava. Ogni suo còmpito era esaurito.
+</p>
+
+<p>
+Interrotto il sonno, sul far dell’alba, era sorto
+dallo stramazzo bell’e vestito come si coricava
+e, sbirciata l’Amalia, la quale continuava a dormire
+mezza nuda, appoggiata la larga gota rossa
+sul braccio ripiegato, era disceso alla vigna.
+</p>
+
+<p>
+Uomo di tenace fatica, paziente, placido e
+resistente come il bue, non aveva badato alla
+violenza solare, protraendo il lavoro suo finchè
+la fame imperiosa non lo avesse discacciato di
+tra i filari.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_34">[34]</span>
+</p>
+
+<p>
+Ritornato alla casipola sua nel paese, poco
+dopo mezzogiorno, si era fatto alla madia
+senza cercar di Amalia, e preso un pane, un
+boccale di vinello e un bicchiere, seduto su la
+panca innanzi alla tavola, aveva mangiato il
+suo pane, pensando ai bei grappoli che avevano
+alleghito e ai pampini superbi.
+</p>
+
+<p>
+Ora sonnecchiava presso la soglia, addossato
+al muro, lungo l’esigua ombra delle gronde.
+</p>
+
+<p>
+Sul principio, come i suoi piedi scalzi erano
+ancora nel sole e gli ardevano, nè pensava a
+ritrarli, sul principio aveva udito il ronzìo delle
+mosche e un malo odore entrargli per le nari
+insistente, ma nè l’una cosa nè l’altra erano
+tali da fargli rivolgere gli occhi o da farlo
+scansare; vi si era adattato calando le ciglia
+su la sua torpida volontà di sonno e di tregua.
+</p>
+
+<p>
+Il rotolìo di uno di quei pesanti plaustri vermigli,
+antichi come l’arca e la nave, pieni di
+ferramenta e solidi a simiglianza dei quadrati
+buoi che li trascinano, non gli fece levar le
+palpebre di sopra gli occhi suoi grigi e piccoli
+come quelli del cane; un fanciullo che trascorse
+gridando come un invaso dal farnetico, ma
+solo per la barbara gioia di sentirsi vivo, non
+lo riscosse. Quando Calandra aveva chiuso gli
+occhi sul suo silenzio, era disceso nel torpor
+del suo riposo come nell’immensità del non
+<span class="pagenum" id="Page_35">[35]</span>
+essere, occorreva una ben diversa ragione a
+farlo levar di repente, diritto nel sole, con la
+sua piccola coscienza.
+</p>
+
+<p>
+E così ristava nell’ebetudine della siesta, simile
+ad un cencio gettato sopra una corda
+tesa, quando, nella casa che gli era dirimpetto,
+si aprì ad un tratto un usciuolo, un braccio si
+sporse e gettò in mezzo alla via il contenuto
+di un grande orcio rossigno.
+</p>
+
+<p>
+Il liquido si espanse per l’aria e giunse fino
+al muro opposto e piovve sul collo, sul petto
+e su le braccia di Calandra. Questi, al brivido
+inatteso, levò il capo e grugnì e al grugnito
+sordo fece seguito una fra quelle sonanti imprecazioni,
+sì comuni in Romagna, che possono
+dirsi una più scabra natura di quella gente
+scabrosa.
+</p>
+
+<p>
+Ma Calandra imprecò per l’abito suo di imprecare,
+così come avrebbe presa la marra o
+guardato l’aspetto del cielo; il brivido che lo
+aveva riscosso violentemente dalla sua torpida
+vacuità aveva ridesta la parte di lui più viva
+e più inconscia: quella che bestemmiava; era
+stato come un atto riflesso, la conseguenza
+necessaria di un’azione indipendente dalla volontà
+e nulla più. E con l’innocente imprecare
+tutto sarebbe finito, se la Checca, donna irosa
+e maligna, non avesse prese per sè le sùbite
+<span class="pagenum" id="Page_36">[36]</span>
+parole di Calandra e, riaperto l’usciuolo che
+già aveva richiuso, non si fosse fatta su la soglia
+per dimandare a provocazione:
+</p>
+
+<p>
+— Che c’è da brontolare?... Con chi l’avete?...
+</p>
+
+<p>
+Calandra, che già aveva ripresa la flaccida
+posa dell’uomo insonnolito, levò lentamente le
+palpebre e guardò la Checca co’ suoi piccoli
+occhi di cane, senza capir che si volesse.
+</p>
+
+<p>
+E la donnacola ribattè:
+</p>
+
+<p>
+— Dico con voi, sapete!... Che c’è da brontolare?...
+</p>
+
+<p>
+Calandra non si scompose, richiuse gli occhi
+e borbottò:
+</p>
+
+<p>
+— Chi brontola?
+</p>
+
+<p>
+— Voi!... E mandate degli accidenti a chi
+non v’ha fatto nulla di male. Sarebbe meglio
+apriste gli occhi sui fatti vostri, povero merlo!...
+</p>
+
+<p>
+Calandra non rispose.
+</p>
+
+<p>
+— Sì, fate le orecchie da mercante. A voi
+vi interviene come a quello che dava consigli
+al vicino perchè si guardasse dal fuoco e aveva
+il fuoco in casa!
+</p>
+
+<p>
+E Calandra muto.
+</p>
+
+<p>
+— E la gente dicono che non sapete niente,
+che nessuno vi ha fatto mai aprir gli occhi!... A
+crederci!... Ma se ve la fanno sotto il naso!...
+</p>
+
+<p>
+Calandra ritrasse le mani sul grembo, levò
+un poco la testa, chiese lentamente, come se
+<span class="pagenum" id="Page_37">[37]</span>
+gli fosse giunta appena appena la eco di un
+discorso strano, nel sonno:
+</p>
+
+<p>
+— Che cosa mi fanno sotto il naso?
+</p>
+
+<p>
+— Quello che non volete sapere! — fece la
+Checca.
+</p>
+
+<p>
+E Calandra con la stessa lentezza beota:
+</p>
+
+<p>
+— Che cos’è che non voglio sapere?
+</p>
+
+<p>
+— Sì, fate lo smarrito?
+</p>
+
+<p>
+— Che smarrito?
+</p>
+
+<p>
+La Checca squadrò in tralice il tardigrado,
+crollò le spalle, disse:
+</p>
+
+<p>
+— E chi non lo sa che siete becco e contento? — E
+su tali parole richiuse violentemente
+l’usciuolo.
+</p>
+
+<p>
+Allora Calandra alzò la grande mano noccoluta,
+si calcò su la nuca il cappello, che il solfato
+di rame delle sue viti aveva stinto e ritinto,
+sputò di traverso e disse, ma placidamente:
+</p>
+
+<p>
+— Vacca!
+</p>
+
+<p>
+E l’ira sua fu compiuta.
+</p>
+
+<p>
+La Checca non c’era più; la strada divenne
+silenziosa dall’un capo all’altro; Calandra ricadde
+nella sua immobilità di vegetale che
+dalle soglie del non essere si affaccia alla vita.
+Avvertì tuttavia il malo odore e il fitto ronzìo
+delle mosche, udì il grido di un bifolco a’ suoi
+bovi, da un prossimo campo, e i tocchi delle
+ore dalla torre del Palagio. Non voleva darsi
+<span class="pagenum" id="Page_38">[38]</span>
+la fatica di contar le ore, ma le contò senza
+addarsene. L’orologio della torre aveva suonato
+il tocco e un quarto; poteva dormire ancora;
+ma in quel che ridiscendeva verso la profonda
+beatitudine del riposo, eccoti lo Scancio che
+giungeva cantarellando lungo la riga d’ombra.
+</p>
+
+<p>
+Calandra chiuse gli occhi e non si rimosse.
+</p>
+
+<p>
+Lo Scancio era il garzone dei Falistri, un
+giovinastro cane che non avrebbe portato rispetto
+neppure all’anima santa di una madre.
+</p>
+
+<p>
+Il Calandra non lo temeva, per vero dire,
+perchè egli non aveva che un timore al mondo
+ed era quello di Dio; ma la presenza dello
+Scancio gli dava sempre un malessere inesplicabile,
+un fastidio inespresso che lo lasciava
+scontento. Attese senza levar la testa. Lo Scancio
+si fermò all’osteria del Moro, parlò sommesso,
+dalla strada, con qualcuno che era oltre
+la porta, rise forte e proseguì.
+</p>
+
+<p>
+Ora Calandra fingeva di essere preso dal
+più pesante sonno. Lo Scancio gli gridò:
+</p>
+
+<p>
+— Buon riposo, Calandra!
+</p>
+
+<p>
+Il bifolco non rispose.
+</p>
+
+<p>
+E lo Scancio:
+</p>
+
+<p>
+— Ti fa buon pro il sonno?... Dormi, dormi,
+passero, che c’è chi veglia per te!...
+</p>
+
+<p>
+Calandra aprì un occhio e poi l’altro e la sua
+faccia era torva.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_39">[39]</span>
+</p>
+
+<p>
+— Sei stato alla vigna?
+</p>
+
+<p>
+Calandra non rispose.
+</p>
+
+<p>
+— Tu vegli la notte perchè non ti rubin
+l’uva, e il giorno che cosa fai?
+</p>
+
+<p>
+Calandra inarcò un sopracciglio in un suo
+particolar gesto di noia e di stupore.
+</p>
+
+<p>
+Fece:
+</p>
+
+<p>
+— Perchè?...
+</p>
+
+<p>
+— Perchè se tu andassi di giorno troveresti
+i ladri che non ci sono la notte!
+</p>
+
+<p>
+— Quali ladri?...
+</p>
+
+<p>
+— E tu va se vuoi sapere! Tu la sentirai la
+novella!
+</p>
+
+<p>
+E lo Scancio rise forte e proseguì lungo la riga
+d’ombra cantando una canzonettaccia di scherno.
+</p>
+
+<p>
+Poi giunse Serafina, la moglie dell’oste, e
+dalla strada incominciò a chiamare:
+</p>
+
+<p>
+— Amalia?... O Amalia?...
+</p>
+
+<p>
+Calandra aveva abbassata la faccia fra le
+grosse mani terrose e udiva il borbottare di
+Serafina fra il reiterato grido:
+</p>
+
+<p>
+— Amalia?... O Amalia?...
+</p>
+
+<p>
+La Checca, pronta al rumore, riaprì l’usciuolo e
+si fece su la soglia. Guardò Serafina e domandò:
+</p>
+
+<p>
+— Chi cercate?
+</p>
+
+<p>
+— Cerco l’Amalia chè ne ho bisogno.
+</p>
+
+<p>
+— O non sapete che non c’è?
+</p>
+
+<p>
+— Quando è uscita?
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_40">[40]</span>
+</p>
+
+<p>
+— Saranno tre ore.
+</p>
+
+<p>
+— Dov’è? — domandò Serafina e ammiccò
+a Calandra che non levava la faccia di tra le
+grosse mani.
+</p>
+
+<p>
+— Che volete che sappia io? — fece la
+Checca. — Domandatelo a Calandra.
+</p>
+
+<p>
+Calandra alzò una spalla e non levò la faccia.
+</p>
+
+<p>
+— Allora non potrò trovarla? — domandò
+Serafina.
+</p>
+
+<p>
+— Ma sì!... Andate alla vigna che la troverete
+e non sarà sola!
+</p>
+
+<p>
+Le donnacole risero, poi l’una richiuse l’usciuolo
+della sua tana e l’altra ritornò ciabattando
+all’osteria.
+</p>
+
+<p>
+Calandra incominciò a pensare e l’opera del
+pensamento gli fu come una mortale fatica.
+</p>
+
+<p>
+Sudò sette camicie, ma ormai non poteva
+più separarsi dal tardo sospetto che si muoveva
+dentro di lui a simiglianza di un orso
+inebetito in prigionia. Non era adirato nè prossimo
+all’ira, e neppure un qualsiasi sdegno
+per la possibile offesa era per nascergli dentro.
+In primo luogo non era tuttavia convinto della
+cosa; in secondo luogo, se pure qualche forte
+dubbio lo teneva perplesso, egli non vedeva e
+non sentiva ancora il proprio atteggiamento di
+fronte all’avvenimento impensato. Eran parole
+che gli giravan per la mente e non altro. La
+<span class="pagenum" id="Page_41">[41]</span>
+figurazione materiale del tradimento, l’unica
+che avesse potuto smuoverlo, non gli si presentava.
+Vedeva tutt’al più la vigna, l’Amalia,
+la strada affocata dall’ardore, il suo capanno
+di guardia, i bei tralci delle solide viti, e non
+quell’alcunchè di preciso che muove la violenta
+gelosia nell’anima degli uomini. Si traviava
+dietro le chiacchiere udite, ma non aveva sentimento
+che lo spingesse ad agire, come avrebbe
+agito un uomo par suo, a simiglianza di una
+catapulta. Nello stesso tempo la dolce ebetudine
+del riposo era scomparsa, epperò si tolse
+dal muro, aprì l’uscio della casipola, entrò.
+</p>
+
+<p>
+Ancora gli sorrise la speranza di trovare
+l’Amalia addormentata in qualcuna delle quattro
+stanze e di potersene ritornare così alla sua
+vigna senza altro pensiero; ma l’Amalia non
+c’era. Ebbe lo scrupolo di guardare anche negli
+angoli, di smuovere lo stramazzo dell’enorme
+letto, di aprire l’armadio, ma non vide la sposa
+sua dalle rotonde guance vermiglie e dal grande
+seno bestiale. L’Amalia non c’era, se n’era ita
+a nozze con Martin della Fratta.
+</p>
+
+<p>
+Calandra uscì e chiuse a chiave la porta di
+casa. Non seppe bene se facesse questo per
+guardarsi dai ladri o perchè l’Amalia non rientrasse
+durante l’assenza di lui; gli venne fatto
+di girar la chiave nella toppa e tirò di lungo.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_42">[42]</span>
+</p>
+
+<p>
+La stradicciuola del paese sboccava ben presto
+nella campagna. Calandra si trovò fra le
+faticate terre degli uomini, senza volerlo. L’abitudine
+e non la volontà lo aveva avviato lungo
+il cammino che egli percorreva da quarant’anni:
+dalla casa alla vigna. Si soffermò. Riconobbe
+i campi dei Falistri, i campi dei Vicelli; si interessò
+alle culture; vide che i grani dei Falistri
+erano i più belli, fece in sè le lodi del
+capoccio. E udì suonare una campana. Si tolse
+il cappello a quella che egli riteneva la voce
+di Dio, inchinò gli occhi e ancora non li aveva
+tolti di su la terra riarsa che si sentì domandare:
+</p>
+
+<p>
+— Dove vai, Calandra?
+</p>
+
+<p>
+Levò la faccia e vide don Beniamino, a cavallo
+della sua rozza.
+</p>
+
+<p>
+Calandra si passò il cappello da una mano
+all’altra. Disse:
+</p>
+
+<p>
+— Vado.... andavo.... così....
+</p>
+
+<p>
+— Metti il cappello.
+</p>
+
+<p>
+— Grazie, don Beniamino.
+</p>
+
+<p>
+— Be’ — fece il parroco — come vanno gli
+affari?
+</p>
+
+<p>
+— Ah!... se è per gli affari, non c’è male, si
+tira innanzi! — rispose Calandra.
+</p>
+
+<p>
+— Che altro c’è allora?
+</p>
+
+<p>
+Calandra si rimise il cappello e rispose:
+</p>
+
+<p>
+— Niente.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_43">[43]</span>
+</p>
+
+<p>
+Don Beniamino fece girare il parasole color
+cenere che aveva appoggiato ad una spalla e
+stava per congedarsi quando Calandra gli si
+accostò e prese la brenna per la capezza.
+</p>
+
+<p>
+— Sentite, don Beniamino, vorrei domandarvi
+una cosa.
+</p>
+
+<p>
+— Di’!
+</p>
+
+<p>
+— Se un uomo avesse moglie e gli fosse
+detto che questa moglie gli fa le corna, che
+cosa avrebbe diritto di fare quest’uomo?...
+</p>
+
+<p>
+— Prima di tutto avrebbe il dovere di accertarsi
+se l’accusa fosse giusta.
+</p>
+
+<p>
+— Sì. E poi?
+</p>
+
+<p>
+— E poi, una volta che fosse riuscito a procurarsi
+delle prove inattaccabili, potrebbe separarsi
+dalla moglie.
+</p>
+
+<p>
+— Questo sarebbe il suo diritto?
+</p>
+
+<p>
+— Sì.
+</p>
+
+<p>
+— E se quest’uomo trovasse la moglie con
+un altro dentro un capanno in una vigna, che
+cosa avrebbe diritto di fare?
+</p>
+
+<p>
+— La cosa sarebbe grave!
+</p>
+
+<p>
+— Potrebbe prendere un randello e rompere
+le costole a tutti due?
+</p>
+
+<p>
+— Eh!...
+</p>
+
+<p>
+— Questo sarebbe il suo diritto?
+</p>
+
+<p>
+— Forse sì e forse no....
+</p>
+
+<p>
+— Bene. Arrivederci, signor parroco.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_44">[44]</span>
+</p>
+
+<p>
+— Dove vai?
+</p>
+
+<p>
+— Alla vigna.
+</p>
+
+<p>
+— A quest’ora bruciata?
+</p>
+
+<p>
+— Sì.
+</p>
+
+<p>
+Si separarono.
+</p>
+
+<p>
+Ora Calandra ci vedeva chiaro. Nel mondo
+della sua angusta coscienza si erano venute
+formando una convinzione e una risoluzione;
+le parole del parroco avevano diradate le gravi
+nebbie. Calandra sapeva la propria strada. Era
+disposto ad agire perchè riteneva che tale
+fosse il suo còmpito e nessun altro; ma, nel
+cuor suo piccolo di bove dai placidi sensi,
+non era turbamento di sorta. La passione, la
+gelosia, l’offesa dignità di marito trascurato
+fino all’ultimo limite non avevan parola che lo
+commuovesse. Egli avrebbe, con tranquillità in
+nulla diversa, fermato un bue tragiogante o un
+gagliardo ladro nella sua florida vigna. Non che
+l’Amalia fosse una vigna per lui, anzi non era
+ormai che una maggiatica, una terra in riposo,
+chè la sterilità di lei glie la faceva maledetta da
+Dio; ma capiva che l’Amalia era sua come la terra
+e l’aratro e la sua solida marra e il letame.
+</p>
+
+<p>
+Tagliò frattanto, da un querciolo, un suo
+solido randello e, quando fu presso la vigna,
+prese una via traversa e preferì aprire un varco
+nella siepe anzichè entrare dal cancelletto di
+<span class="pagenum" id="Page_45">[45]</span>
+spine. Ogni cosa era immota nell’accasciante
+calura. Disseccate le fonti, inariditi i torrenti,
+la terra si distendeva intorpidita e riarsa fra
+lo stridere di un mare di cicale.
+</p>
+
+<p>
+Calandra proseguì carponi. Era sotto la siepe.
+Ora aguzzava i piccoli occhi di cane e stava su
+l’intesa se gli giungesse la voce degli adulteri. E
+se non c’erano? E s’egli avesse dovuto forzare la
+sua faticata siepe per nulla? Non si udivano che
+le cicale, quelle maledette cicale che pareva stridesser
+più forte tanto da coprire ogni altro suono.
+Scoprì finalmente, più presso la proda del fosso,
+un piccolo varco nella siepe, un varco aperto
+dai polli e dai cani, ma tanto piccolo che appena
+vi sarebbe passato un fanciullo. Calandra non
+vi badò; troppo gli sarebbe stato penoso dover
+aprire la siepe in un altro punto; si distese,
+infilò la testa nel vano, fece forza di braccia,
+puntò, cercò di inarcarsi, ma le spine gli entravan
+per le carni e lo facevan dolorare. Poi,
+appena era passato con una spalla, e il braccio
+gli sanguinava, che una gallina si levò dal suo
+caldo nido fra la terra e urlando e schiamazzando
+e traendo dal suo beccaccio giallo i più
+acuti strilli che mai fossero usati, fuggì come
+una freccia tra i filari delle viti. E lo spavento
+di quella mosse lo spavento di tutte le galline
+che dirazzolavano per la vigna, tanto che, nel
+<span class="pagenum" id="Page_46">[46]</span>
+batter di un ciglio, fu tale e tanto il frastuono
+che non solo gli adulteri ne sarebbero venuti
+in sospetto, ma qualsiasi altra creatura che non
+avesse ragioni a timore.
+</p>
+
+<p>
+Calandra rimase inchiodato alla terra, imprecando,
+in cuor suo, a tutti i volatili immaginabili,
+e vedeva, di tra i fusti delle viti, il suo
+capanno di paglia rilucer nel sole. Vedeva e
+attendeva un attimo di calma per riprendere
+l’aspra sua lotta con la siepe che lo teneva
+prigione, quand’ecco dischiudersi l’usciuolo del
+capanno e uscirne Martin della Fratta.
+</p>
+
+<p>
+Calandra rimase impietrito; guardava come
+se vedesse l’inverosimile. L’uomo si volgeva
+intorno, chinandosi poi a mormorar qualcosa
+a chi era tuttavia fra la paglia. Dopo un istante
+ecco balzar fuori dal covo l’Amalia, scomposta,
+scarmigliata, accesa come il ferro su l’ancudine.
+Ridevano, si baciavano. Poi Martino diceva:
+</p>
+
+<p>
+— Hai sete, bellona?
+</p>
+
+<p>
+E l’Amalia a ridere fin che Martino non si
+chinava a vendemmiare i suoi bei grappoli, i
+suoi bei grappoli conti e adorati come l’immagine
+della Vergine e come quella del re, su le
+monete d’oro.
+</p>
+
+<p>
+Allora Calandra si smagò. Più valeva un
+chiccolo della sua vigna anzichè tutte le donne
+della terra; ed era come se gli strappassero
+<span class="pagenum" id="Page_47">[47]</span>
+il cuore il veder lo scempio che ne facevano
+quei cani. La violenza che non lo aveva tuttavia
+scombuiato, si levò su, di scatto, dall’anima di
+lui, squassando le sue fiamme rossigne; egli
+ne sentì l’impeto, la furia, l’imperiosa volontà
+e incominciò a urlare e a dibattersi a rovina
+entro la sua morsa lacerante. Gli adulteri sbiancarono,
+si guardarono smarriti, riconobbero la
+voce di Calandra. E, nell’attimo della sorpresa,
+temendo ch’egli fosse su di loro a stroncarli,
+non pensarono a fuggire. Lo sbalordimento
+dell’inatteso li inebetiva, ma poco durò tale
+sbalordimento, chè Martin della Fratta, vedendo
+Calandra alle prese con la siepe impervia,
+gridò all’Amalia:
+</p>
+
+<p>
+— Guardalo dov’è!...
+</p>
+
+<p>
+E mai non furon presti due cerbiatti a fuggir
+per le selve come essi si salvarono, balenando
+via a guisa di razzi. E si udì nel contempo un
+alto crescere di grida e di risa come di gente
+che facesse l’abbaiata.
+</p>
+
+<p>
+Calandra balzò in piedi alla fine e fra il
+sangue e il terrame e l’obliquo color del suo
+volto era orrendo a vedersi. I suoi piccoli occhi
+di cane sfavillavano sinistri fra i capelli che
+gli coprivan la fronte e l’ispida barba nascente.
+Si levò nella sua massa bestiale, tutto lacero
+nei panni, e raccolse il randello e si lanciò per
+<span class="pagenum" id="Page_48">[48]</span>
+la vigna. Non vide, nella sua furia, un filo teso
+a reggere le viti e sì malamente vi incappò
+da andar ruzzoloni.
+</p>
+
+<p>
+Allora l’abbaiata crebbe, le voci si avvicinarono,
+la gente aveva invaso la vigna. Non si
+udiva più che un gridìo intermesso da risate
+omeriche. Da dove sbucava la masnada? Chi l’aveva
+spinta fin laggiù, nella sua terra benedetta?...
+</p>
+
+<p>
+Calandra si rizzò e più non aveva l’aspetto
+d’uomo; era anzi una bestia orrenda da esserne
+guardinghi. Ma l’abbaiata non cedeva; ma gli
+uomini e i fanciulli e le donne non volevano
+rinunciare alla loro barbara gioia e venivano innanzi
+per la vigna gridando, ridendo.
+</p>
+
+<p>
+Calandra li squadrò senza smuoversi.
+</p>
+
+<p>
+Era primo lo Scancio e batteva un sasso
+sopra una sua pentolaccia di rame traendone
+un suono stridulo ed assordante; lo seguivano
+altri uomini e fanciulli, con arnesi simili. Calandra
+pareva impietrito e lo Scancio non vide
+la sua faccia perchè proseguì fino a fermarsi
+a un passo da lui e quando fu fermo fe’ cenno
+a tutti che tacessero e levò la voce e disse:
+</p>
+
+<p>
+— Calandrone, li hai trovati gli storni?...
+</p>
+
+<p>
+Si levò una risata grande, ma i fanciulli videro
+torcersi la faccia di Calandra, videro serrarsi
+le due mascelle quadrate e gli occhi brillare
+<span class="pagenum" id="Page_49">[49]</span>
+di fuoco e le grandi mani terrose stringersi
+e il randello levarsi e piombare giù diritto,
+con la forza del toro, su la testa dello Scancio.
+</p>
+
+<p>
+Fu per l’aria un solo urlo acutissimo. Un
+getto di sangue si levò nel sole.
+</p>
+
+<p>
+Lo Scancio stralunò, la testa squarciata, girò
+su sè stesso, strapiombò, finito.
+</p>
+
+<p>
+E le facce degli uomini divennero di morte
+e non si udì più un fiato, di fronte al colosso
+stravolto, ma solo un busso di passi precipiti,
+una travolgente fuga.
+</p>
+
+<p>
+Un’ora dopo, quando don Beniamino andò
+alla vigna e primo accostò Calandra e gli domandò
+smarrito:
+</p>
+
+<p>
+— Calandra.... Calandra, che cosa hai fatto?
+</p>
+
+<p>
+Questi si volse a guardarlo, torse la bocca
+e disse:
+</p>
+
+<p>
+— Prete, ne avevo il diritto!...
+</p>
+
+<p>
+Ed altro più non disse nè allora nè poi.
+</p>
+
+<div class="chapter">
+<p><span class="pagenum" id="Page_51">[51]</span></p>
+
+<h2 id="padre">PADRE SERENITÀ.</h2>
+</div>
+
+<p>
+Una casetta fra le “larghe„ e Padre Serenità
+su la soglia.
+</p>
+
+<p>
+Lo vedevo ogni sera allorchè m’imbattevo a
+passare per quelle redole verso un’aia festosa
+di gramolatrici. Avevo sedici anni in quel tempo
+e Padre Serenità ne aveva novanta.
+</p>
+
+<p>
+Era l’autunno. Un autunno della mia vita, sereno
+più che un cielo appena commosso da
+qualche cirro imbevuto di sole, piccolo come
+la perla. L’amore, il gaio amore, era disceso
+al mattino nell’anima mia pensosa con le allodole
+e l’aria, rimovendo la mia sostanza fino
+alle più riposte fibre in una immaginosa dolcezza.
+E tutto era vergine innanzi a me come
+l’anima mia al mondo; ed ogni limite insuperato
+era una promessa di gioia.
+</p>
+
+<p>
+Avevo sedici anni e l’amore.
+</p>
+
+<p>
+Quali e quante cose mi erano innanzi allora
+<span class="pagenum" id="Page_52">[52]</span>
+chè io non godessi? E così andavo con la mia
+benedetta allegrezza come per una eternità.
+</p>
+
+<p>
+La terra non aveva orme, il mondo non era
+stato mai veduto. Io ero il primo. Con me erano
+nate le fonti, gli alberi, le stagioni, i costumi
+degli uomini, la vita. Non sapevo nulla, sentivo;
+ma con impeto divino. Solo ch’io mi rivolga
+e sogguardi, ora che ho passato i limiti
+e hanno nevicato i capelli, rinasce dalla visione
+precisa, un identico commovimento che gli anni
+non hanno seppellito ed il tempo non ha tramutato;
+nulla è pianto o rimpianto, o desolazione
+che, se la porta lontana si dischiude, ne
+ritorna la mia giovinezza col suo gran fascio
+di fiori e mi s’abbranca.
+</p>
+
+<p>
+Rivedo la viottola insolcata dai plaustri, coi
+due margini erbosi sotto le selvagge siepi di
+marruche e di prugnoli; la terra olivigna, le
+pediche fonde dei bovi. Un ombreggio di roveri
+solenni, qualche varco sui campi, ma rado,
+e scarsi tuguri col nero forno e la disselciata
+“capanna„.
+</p>
+
+<p>
+Quando pioveva era tutto un pantano. Si
+giungeva alla viottola passando dalla chiesuola
+di San Bartolo e dalla casa dei Giuliani, per la
+bianca strada che conduce a Durazzano. Passata
+la casa dei Giuliani si volgeva a destra
+per un piccolo ponte e si era nel regno antico
+<span class="pagenum" id="Page_53">[53]</span>
+che ricordava le campagne medioevali, senza
+strade, percorse unicamente da fonde viottole,
+impraticabili al tempo delle piogge. In breve
+ogni altra vita era lontana. E gli uomini che
+si incontravano per quei silenzi pareva giungessero
+da un tempo remoto. Era raro udirvi
+il lento disperdersi di un cantare malinconico;
+più spesso si udivan le allodole e le rondini.
+Voci del cielo. Ed uno camminava fra i prugnoli,
+coi loro piccoli frutti violastri, come se
+andasse per la strada del sogno verso un paese
+insospettato. Talvolta trascorreva, rasentando
+le siepi, un cane giallo, sudicio e irsuto; tal’altra
+un fanciullo selvatico che atterrava la faccia
+aggrottata per non parlare e si fermava a guardarvi
+da lontano; ma più spesso nessuno. E
+dalla viottola serrata si sbucava nella chiara vastità
+delle “larghe„ di Castellaccio. Un mare di
+lupinelle con isole di pioppi e dense rive di alberi
+intorno; il paradiso delle allodole e delle lepri.
+</p>
+
+<p>
+E nel cuore di tale vastità viveva Nicolao di
+Zaccaria, il vecchio novantenne ch’io chiamavo
+per amore Padre Serenità.
+</p>
+
+<p>
+La sua casipola si acquattava fra tanto spazio,
+come a radicarsi alla terra più tenacemente e aveva
+al centro un “portico„ disselciato sul quale
+si aprivano due basse stanze. Anche aveva una
+vite, a solatio, e un pozzo ombreggiato da un fico.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_54">[54]</span>
+</p>
+
+<p>
+Quando dietro i colli della sera scendeva
+l’ultima luce a languire lontana, col sorriso della
+stella che accora, e le vergini e le innamorate
+uscivano per le aie e si fermavano alle siepi
+ad ascoltare una parola sommessa; quando le
+bocche si facevan baciare per nostalgia dell’amore,
+al suono di un’“Ave„ mi avviavo pei
+campi, solo con la mia felicità. E, via per i
+primi silenzi, trascorreva l’impeto di una “battolata„<a class="tag" id="tag1" href="#note1">[1]</a>
+da un’aia nel vespero. Era lo scroscio
+di venti gramole in ben misurata cadenza, il
+richiamo ardito agli sperduti; poi che vespero
+campeggiava fra i pioppi e dietro le rosse vigne.
+</p>
+
+<p>
+<i>Ecco ch’io t’amo e ti offro l’ombra e la bocca
+e il mio palpito di moritura, poi che è più bello
+morire che non esser amata</i>....
+</p>
+
+<p>
+Una pausa.
+</p>
+
+<p>
+<i>E il giorno di San Giovanni, amore, il giorno
+di San Giovanni quanto spicanardo raccolsi</i>....
+</p>
+
+<p>
+Il volto del cielo smoriva come la faccia dell’innamorata.
+</p>
+
+<p>
+<i>Sorelle, sorelle!... La bella estate ci vuole e il
+vomere fende la terra</i>....
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_55">[55]</span>
+</p>
+
+<p>
+<i>Cogliamo lo spigo; non pel granaio, ma per
+l’arche; per l’arche e le lenzuola e che l’amore
+si sogni di dormirci a lato</i>....
+</p>
+
+<p>
+<i>Canto a morire, che m’oda.... passan tre nuvole,
+in alto, fra le montagne e la luna</i>....
+</p>
+
+<p>
+La veste del silenzio si era fatta più verde.
+Nascevan di me le canzoni, i frammenti, il commovimento
+che cingeva la vita in un’impetuosa
+serenità.
+</p>
+
+<p>
+<i>Ecco ch’io t’amo e t’offro l’ombra e la bocca</i>....
+</p>
+
+<p>
+E la “battolata„, sorta da qualcuna fra le
+isole di pioppi, sparse per la “larga„, moriva
+nel silenzio della sera.
+</p>
+
+<p>
+Compivo la strada senza addarmene, come
+la nube e il vento e l’acqua soffusa di cielo,
+senza nozione del tempo e del suo rapido trascorrere,
+chè la mia vita era tutta avvenire e
+non lasciavo ombra dietro le spalle.
+</p>
+
+<p>
+La voce di Nicolao mi coglieva sempre alla
+sprovvista.
+</p>
+
+<p>
+— Si va a “gramadora„?
+</p>
+
+<p>
+Volgevo gli occhi. Il vecchio era sulla soglia,
+incontro alle montagne della sera.
+</p>
+
+<p>
+— Oh, Nicolao!
+</p>
+
+<p>
+— Padrone, buonasera.
+</p>
+
+<p>
+— Buonasera.
+</p>
+
+<p>
+Accendeva la pipa chioggiotta. E pronosticava
+il sereno, la pioggia o la nebbia, leggendo
+<span class="pagenum" id="Page_56">[56]</span>
+nello spazio ciò che sfuggiva ad ogni
+altro.
+</p>
+
+<p>
+La sua parola era franca, i suoi occhi limpidi,
+la grande vecchiezza non gli annebbiava
+la mente.
+</p>
+
+<p>
+Ho del mio amore e di questo vecchio la
+più chiara memoria.
+</p>
+
+<p class="ast">❦</p>
+
+<p>
+Socchiudeva la porta.
+</p>
+
+<p>
+— Venite, nonno?
+</p>
+
+<p>
+— Vengo.
+</p>
+
+<p>
+— Non serrate l’uscio?
+</p>
+
+<p>
+Alzava le spalle.
+</p>
+
+<p>
+— Chi volete che rubi ad un povero vecchio?
+I miei quattro stracci non fanno gola a nessuno.
+</p>
+
+<p>
+— E se passa una “brutta faccia„?
+</p>
+
+<p>
+— Per queste maggiatiche?... In tutta la mia
+vita non c’è capitato che un bandito, una volta,
+al tempo del Papa.
+</p>
+
+<p>
+S’andava insieme di pari passo e su la soglia
+della piccola casa acquattata fra le larghe non
+restava che il cane accucciato: il muso fra le
+zampe e gli occhi aperti. Padre Serenità amava
+la compagnia dei giovani. All’opposto dei suoi
+coetanei, inciprigniti in una malinconica stanchezza,
+egli cercava i ritrovi, sedeva alle feste
+<span class="pagenum" id="Page_57">[57]</span>
+dei giovani e vegliava fino all’ora sua proverbiale,
+l’ora di Nicolao, come la chiamavano le
+genti: le dieci. Quando eran le dieci di notte
+riprendeva la sua mazza ferrata, la “capparella„
+se era d’inverno o la cacciatora di bordatino
+se d’estate e, girati intorno i suoi piccoli
+occhi celesti, dolcemente gai fra i solchi della
+sua faccia antica, lanciava il consueto augurio:
+</p>
+
+<p>
+— Vi saluto, gente!
+</p>
+
+<p>
+E allora, o fosser guidate le danze sul ritmo
+di un valzer di Zaclên o fosse sviata la comitiva
+dietro un rifacimento delle istorie cavalleresche,
+tutti ristavano e si rivolgevano al
+vecchietto ad augurargli la buona andata.
+</p>
+
+<p>
+Ancora amava motteggiare e stare alla baia,
+sollecito alla risposta come al frizzo salace,
+pronto all’aneddoto, spedito di lingua, tranquillo,
+senza fiele per nessuno.
+</p>
+
+<p>
+Le ragazze gli si sedevano intorno; egli le
+chiamava figliuole, le mie figliuole: e veramente
+se fosse occorso ch’egli avesse avuta necessità
+dell’opera loro, non una, ma tutte, tutte
+quante gli sarebbero state intorno perchè la
+bontà non è vana fra i semplici di cuore. Nonno
+Nicola si faceva amare. Tutta la sua vita gli
+era a specchio di chiarezza. Povero, combattuto
+dalla disgrazia, i figliuoli lontani ed immemori,
+egli non si era invelenito. Il suo dolce
+<span class="pagenum" id="Page_58">[58]</span>
+cuore era il centro del mondo e non vi dimorava
+nè amarezza nè sdegno. Egli doveva amare:
+era la sua necessità e la sua gioia; amare, sorridere,
+veder negli uomini il sereno che aveva
+in sè, e in realtà dove appariva era come se una
+mite lampada ardesse a raccogliere gli sperduti.
+</p>
+
+<p>
+E non lo chiamavano Santo perchè era vicino
+a tutti, era un po’ il cuore di tutti, la simpatia
+umana che non traligna ma sempre si
+rinnova concedendo, perdonando, solo per
+amare. E gli uomini angustiati fra spine e triboli,
+col cuore gravato dalla semitica maledizione,
+gli si stringevano intorno ebbri della
+sua dolcezza perchè non si semina invano tra
+chi soffre e lavora.
+</p>
+
+<p>
+Io so che se egli avesse voluto essere qualcosa
+più e non un umile fra gli umili; se il
+Dio che aveva nel cuore lo avesse guidato a
+parlare con la stessa ingenua freschezza con
+la quale narrava dei fatti della sua vita e dell’altrui,
+avrebbe avuto con sè le turbe. Prima
+le donne ed i fanciulli, gli uomini poi; gli uomini
+chè se bestemmiano il giorno, la notte si impaurano
+e, su cento, uno forse e non più d’uno
+non sente ribrezzo del transito senza speranza.
+</p>
+
+<p>
+Ma nonno Nicola, se pur lasciava intravedere
+la sua fede, ferma come la stella incatenata in
+capo all’Orsa, non parlava di Dio come non si
+<span class="pagenum" id="Page_59">[59]</span>
+parla del fiore che vi cresce nell’orto e del pensiero
+che vi illumina la vita, perchè il dirne sarebbe
+un corromperne il segreto incantesimo e la
+parola è spessa innanzi alle chiarità dello spirito.
+</p>
+
+<p>
+Bene; io so che i suoi novant’anni valevano
+la più ricca primavera.
+</p>
+
+<p>
+Si andava dunque ogni sera, in quell’autunno
+della mia giovinezza, a cercar le aie dove le
+festose ragazze cantavano le romanelle e, curve
+sulle gramole, dipinte a rose rosse e turchine,
+ripulivano i lisci mannelli dagli ultimi canapuli.
+Era prescelta l’aia dei Giuli. Ivi sotto un olmo
+gigantesco, fra una siepe e i pagliai erano adunate
+le gramole in semicerchio e, a notte, una
+lampada appesa ad un ramo per una funicella,
+blandiva col suo discreto chiarore la tenebra.
+Se pure la rotonda luna non si affacciasse da
+sopra la casa a spiare l’adunata. Di prima sera,
+compìta la cena sul pugno, essendo le ragazze
+alle gramole, sbucavano gli innamorati o dai
+varchi delle siepi, o dall’entrata dell’aia e qualcuno,
+più protervo, portava la doppietta a bandoliera
+mentre tutti quanti avevano cura di nascondere
+la faccia sotto le ampie tese del cappello.
+</p>
+
+<p>
+C’era chi lanciava l’augurio serale all’adunata
+e chi, approfittando del frastuono, scivolava
+nell’ombra inavvertito e sedeva silenzioso, come
+gli altri, sulla capra della gramola prescelta.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_60">[60]</span>
+</p>
+
+<p>
+Ora eravamo una sera più numerosi che mai
+e più numerose erano le “doppiette„ e c’era
+Giovanni dei Bissi che raccontava la storia di
+un suo singolare paladino, quando la Moffa (la
+Pallida), una ragazzona sgraziata dalla testa
+troppo piccola su due spalle da gigante, si fece
+in mezzo all’adunata e susurrò intimorita:
+</p>
+
+<p>
+— Ragazzi, c’è il Mancino!...
+</p>
+
+<p>
+E l’adunata ammutolì. Tutti ci guardammo
+intorno e per qualche istante non si udì che
+il biolco il quale canticchiava nella stalla. Poi
+qualcuno domandò:
+</p>
+
+<p>
+— Dove l’hai visto?
+</p>
+
+<p>
+E la Moffa:
+</p>
+
+<p>
+— Dietro la siepe. Eccolo!...
+</p>
+
+<p>
+Come fosse riuscita a distinguere nella notte
+la figura del Mancino e come l’avesse riconosciuta,
+nessuno seppe perchè le siepi erano
+lontane dal punto nel quale ci trovavamo e la
+notte era oscura. Sta di fatto che poi ch’ella
+ebbe detto: — Eccolo!... — un uomo entrò
+nell’aia e si avvicinò.
+</p>
+
+<p>
+Solo lo riconoscemmo quando, giunto a tre
+passi da noi, si fermò e ci chiese: — Perchè
+state zitti? — poi, senza che nessuno gli badasse,
+tirò di lungo e andò a sedersi sulla gramola
+della Pallida. Seduto che fu, depose la
+doppietta fra i ginocchi, accese la pipa e si
+<span class="pagenum" id="Page_61">[61]</span>
+volse a parlare tranquillamente alla ragazza,
+la quale, tanto era stordita, che gramolava a
+vuoto senza il mannello di tiglia. L’allegria se
+ne andò. Giovanni dei Bissi lasciò la sua storia
+a mezzo, furono scambiate parole rade e sommesse.
+</p>
+
+<p>
+Un inespresso disagio si era impadronito di
+ciascuno di noi e l’unico che pareva non accorgersi
+di questo era il Mancino. Si udiva il
+susurrìo della sua parlata tranquilla. La Moffa
+lo ascoltava senza rispondergli mai. E così trascorse
+un’ora senza che la comitiva si orientasse
+ad una gaiezza nuova.
+</p>
+
+<p>
+Da sopra alla casa salì nello spazio la
+luna.
+</p>
+
+<p>
+Si udì lo schianto di due schioppettate lontane;
+dopo un silenzio se ne udì una terza,
+poi altre due più rapide. Anche il sommesso
+parlare si quetò e dapprima fu un cane che
+latrò sordamente da un’aia remota, poi furono
+dieci e venti tutt’intorno dall’immensa campagna
+assorta fra il silenzio e la luna. Qualcuno disse: — È
+stato all’aia dei Forlani. Hanno le gramolatrici.
+Lo zoppo si è vendicato della Gilda di
+Bartolo.
+</p>
+
+<p>
+— Ma se avevano rifatto pace!
+</p>
+
+<p>
+— No!
+</p>
+
+<p>
+Altri due colpi rintronarono nella notte.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_62">[62]</span>
+</p>
+
+<p>
+— Sentite?... — disse la Bionda del Mago. — Le
+“fa le corna!„.<a class="tag" id="tag2" href="#note2">[2]</a>
+</p>
+
+<p>
+Dopo una pausa si udì una terza schioppettata.
+</p>
+
+<p>
+— Gliele han “guastate„! — disse la Vignaiuola.
+</p>
+
+<p>
+Ma a questo punto il Mancino si levò di scatto
+dalla gramola e si udì lo schiocco di due solidi
+schiaffi e una sola parola li consacrò, schietta
+e violenta.
+</p>
+
+<p>
+La Moffa rimase impietrita. Guardò il Mancino,
+lasciò cadere il manico della gramola;
+ma in quel che l’uomo si rivolgeva, come se
+la voce di lei insieme alla sua conoscenza si
+ridestasse solo allora, urlò a voce strangolata:
+</p>
+
+<p>
+— Sei un vigliacco!
+</p>
+
+<p>
+Il Mancino levò un braccio, ma questa volta
+la ragazza gliel’afferrò attanagliandolo con le
+piatte mani robuste.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_63">[63]</span>
+</p>
+
+<p>
+Rimasero di fronte a guatarsi. Nessuno intervenne,
+ma tutti ci levammo, l’un dopo l’altro.
+Di repente il Mancino tentò liberarsi con uno
+strattone violento. La gramola si rovesciò.
+</p>
+
+<p>
+— Lasciami andare!
+</p>
+
+<p>
+E la ragazza, alta, noccoluta, dal corpo di
+maschio saldamente piantato sulle ignude piote,
+non aprì bocca.
+</p>
+
+<p>
+— Lasciami andare!... — La voce del bandito
+cresceva inasprendosi, come l’ira sua; ma
+la gramolatrice non battè ciglio; aveva il viso
+fra l’ebete e il feroce, fermissimo, senza commovimento.
+</p>
+
+<p>
+L’attanagliato tentò un secondo, un terzo
+scrollone; non si liberò; allora con la mancina,
+che aveva libera, brandì la doppietta per le
+canne come una clava, l’alzò, mirò al capo della
+taciturna e scagliò il colpo.
+</p>
+
+<p>
+Ancóra mi si gela il sangue se ripenso allo
+strido delle donne. La cassa dello schioppo
+sfiorò la Moffa, ma non la colpì. Ci stringemmo
+attorno al Mancino. Robbone gli strappò la doppietta.
+Il biolco giunse con la corda de’ buoi;
+ma il Mancino era libero.
+</p>
+
+<p>
+Come si vide circondato non rifiatò. Parve
+rassegnato a lasciarsi prendere, ma quando gli
+uomini più fecero a fidanza nella sua debolezza,
+egli ne approfittò che, di un subito, con un
+<span class="pagenum" id="Page_64">[64]</span>
+lancio prodigioso, saltò la gramola, rovesciò il
+Rossello e lo Svina che gli stavano innanzi e
+fu al fianco dei pagliai. Ciò avvenne nel tempo
+di dir Ave.
+</p>
+
+<p>
+Come fu ai pagliai si rivolse e ci guatò ghignando.
+Disse:
+</p>
+
+<p>
+— Ragazzi, datemi il mio schioppo!
+</p>
+
+<p>
+— Daglielo — mormorarono i più prudenti.
+</p>
+
+<p>
+Robbone si fece innanzi e glie lo tese. Disse:
+</p>
+
+<p>
+— Va per la tua strada!
+</p>
+
+<p>
+Ma il Mancino gli gridò:
+</p>
+
+<p>
+— Scànsati! — E portatasi la doppietta alla
+spalla puntò la Moffa.
+</p>
+
+<p>
+Fu un baleno ed un grido. Vedemmo la Moffa
+inarcarsi su la sua gramola e stramazzare.
+</p>
+
+<p class="ast">❦</p>
+
+<p>
+Una sera eravamo su l’aia, incontro alle
+“larghe„. Già volgeva al suo fine il novembre,
+ma non era giunto tuttavia il freddo. Da poco
+era trascorso Giovanni dei Bissi con le panie
+e le gabbie dei richiami. S’era fermo a dir
+qualche parola dileguando poi fra le pozzanghere
+della viottola motosa.
+</p>
+
+<p>
+Passavano dei buoi lontanamente verso una
+stalla remota e una sola allodola discendeva
+cantando dal cielo al suo rifugio fra le lupinelle.
+<span class="pagenum" id="Page_65">[65]</span>
+Padre Serenità sedeva sopra un vecchio
+aratro arrovesciato. E si taceva. Quand’ecco
+che, alzando gli occhi, vidi qualcuno che si era
+fermo dietro la siepe e ci guardava; ma in
+quel che feci per levarmi, l’uomo si diresse
+all’entrata dell’aia e fu di fronte a noi.
+</p>
+
+<p>
+Aveva il cappello tirato su gli occhi. Non lo
+riconoscemmo.
+</p>
+
+<p>
+Era scalzo; aveva un sacco gettato sulle spalle,
+lo schioppo e un coltello alla cintura.
+</p>
+
+<p>
+Padre Serenità si levò a sua volta.
+</p>
+
+<p>
+— Che volete? — domandò.
+</p>
+
+<p>
+— Da dormire — rispose l’uomo.
+</p>
+
+<p>
+— Non ho posto.
+</p>
+
+<p>
+— Mettetemi nella stalla; mi basta un po’
+di paglia.
+</p>
+
+<p>
+Padre Serenità gli si fece sotto, lo guardò
+fisso e domandò:
+</p>
+
+<p>
+— Sei tu, Mancino?
+</p>
+
+<p>
+— Sono io.
+</p>
+
+<p>
+— Be’, vieni avanti.
+</p>
+
+<p>
+Lo condusse nella stalla. Dalla morte della
+Moffa, il Mancino si era dato bandito e nessuno
+più l’aveva veduto nei dintorni. Si credeva
+fosse fuggito in America. Ogni ricerca
+era stata vana.
+</p>
+
+<p>
+Li seguii in casa. Nicolao richiuse la porta
+e tirò il catenaccio. Mi disse:
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_66">[66]</span>
+</p>
+
+<p>
+— Accendi il lume.
+</p>
+
+<p>
+Il Mancino gettò il sacco in un angolo, ma
+non si separò dallo schioppo. Sedette sulla
+panca innanzi alla tavola. Era torvo e taceva.
+</p>
+
+<p>
+— Avrai fame! — fece Padre Serenità.
+</p>
+
+<p>
+— Sì — rispose il Mancino.
+</p>
+
+<p>
+Poco dopo mangiava avidamente senza levar
+gli occhi.
+</p>
+
+<p>
+Padre Serenità non gli chiese nulla di nulla,
+nè io interloquii. Dopo ch’ebbe mangiato, lo
+conducemmo nella stalla, dove si gettò su una
+lettiera di paglia e si addormentò quasi subito
+col suo schioppo al fianco.
+</p>
+
+<p>
+Quando richiudemmo la porta, Padre Serenità
+disse:
+</p>
+
+<p>
+— Se è tornato è segno che soffre!
+</p>
+
+<p>
+E per quella sera ci lasciammo senza aggiunger
+parola.
+</p>
+
+<p>
+Nicolao sapeva ch’io conoscevo come lui la
+sacra legge dell’ospitalità e che il Mancino doveva
+esserci sacro per quella notte perchè era
+venuto a domandarci la pace nel nostro rifugio.
+</p>
+
+<p>
+Salii alla mia stanza, che era presso alla colombaia.
+Nei mesi di caccia, per esser più pronto
+a trovarmi sui luoghi, dormivo nella casa di
+Nicolao, che era sola fra le “larghe„. Lasciai
+la finestra aperta per destarmi non appena la
+luna avesse raggiunto il colmo del cielo e mi
+<span class="pagenum" id="Page_67">[67]</span>
+coricai tranquillo come sempre, senza bisogno
+di cercare il sonno.
+</p>
+
+<p>
+Ora, era forse a mezzo la notte, quando mi
+destai per un brusco rumore. Qualcuno aveva
+aperta la porta della mia stanza. Stetti in ascolto
+e mi sentii chiamare. Era Nicolao.
+</p>
+
+<p>
+— Che volete, nonno?
+</p>
+
+<p>
+— Discendi.
+</p>
+
+<p>
+Fui pronto, chè dormivo vestito. Quando
+fummo sulle scale, mi disse:
+</p>
+
+<p>
+— Il Mancino se ne è andato!
+</p>
+
+<p>
+— Lo immaginavo! — risposi.
+</p>
+
+<p>
+— Sì.... ma si è portato via il vitello!
+</p>
+
+<p>
+— L’avete veduto?
+</p>
+
+<p>
+— Sì.
+</p>
+
+<p>
+— Quando?
+</p>
+
+<p>
+— Poco fa.
+</p>
+
+<p>
+— Ed ora?... volete che lo rincorriamo con
+lo schioppo?
+</p>
+
+<p>
+— No.
+</p>
+
+<p>
+— E allora?
+</p>
+
+<p>
+— Tornerà indietro. Lo aspetteremo sulla
+strada. Vieni.
+</p>
+
+<p>
+Guardai il mio vecchio amico senza capir
+nulla. Conoscevo la sua imperturbabile serenità
+e la sua buona fede, ma non immaginavo ch’egli
+pensasse di vincere il ladro con tali virtù.
+</p>
+
+<p>
+Uscimmo che c’era la luna. Era un fantastico
+<span class="pagenum" id="Page_68">[68]</span>
+mondo assopito in una fredda immobilità fosforea;
+e le rame già erano dispoglie. Si vedevano,
+sulla terra umida, le pediche recenti
+del Mancino e del vitello. Nicolao osservò e
+disse:
+</p>
+
+<p>
+— Sono andati verso il fosso; sono discesi
+nel fosso.
+</p>
+
+<p>
+Poi uscimmo dall’aia vegliando in silenzio. E
+si udivano a quando a quando trasvolare gli
+stormi dei germani e delle grù e, nel cielo perlaceo,
+non era che il grido degli esuli stormi.
+</p>
+
+<p>
+Passarono due, tre ore e il ladro non riapparve.
+Nicolao non parlava.
+</p>
+
+<p>
+Quando fu l’alba ed egli cominciò a ricredersi
+e gli doleva di avermi tenuto per tanto
+tempo fermo al freddo della notte per una sua
+ingenuità, mi disse:
+</p>
+
+<p>
+— Figliuolo, mi sono sbagliato; ma non lo
+credevo capace di tanto!...
+</p>
+
+<p>
+Non gli risposi e non sorrisi. Partii tranquillamente
+per la mia caccia.
+</p>
+
+<p>
+— Vi aspetto a mezzogiorno! — disse Nicolao.
+</p>
+
+<p>
+— A mezzogiorno! — dissi.
+</p>
+
+<p>
+E me ne andai.
+</p>
+
+<p>
+Alla sera eravamo ancóra seduti sull’aratro,
+innanzi al cielo che sbiancava e non parlavamo.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_69">[69]</span>
+</p>
+
+<p>
+Ad un tratto vedo Nicolao levarsi di scatto
+e dirigersi all’uscita dell’aia. Lo seguii. Il Mancino
+ci stava di fronte, diritto in mezzo alla
+viottola. Stemmo muti qualche secondo, poi
+Nicolao domandò, e la voce sua era inalterata:
+</p>
+
+<p>
+— Che cosa hai fatto, Mancino?...
+</p>
+
+<p>
+L’uomo sinistro non rispose.
+</p>
+
+<p>
+— Perchè sei ritornato?
+</p>
+
+<p>
+Un silenzio uguale.
+</p>
+
+<p>
+— Ti hanno scoperto?
+</p>
+
+<p>
+— No! — rispose il Mancino.
+</p>
+
+<p>
+— Allora che cosa vuoi?
+</p>
+
+<p>
+Ricordo la rude frase dialettale che proruppe
+violentissima come un singulto:
+</p>
+
+<p>
+— <i>A so’ un vigliàcc!... Amázam!</i>... (Sono un
+vile!... Ammazzami!...)
+</p>
+
+<p>
+Padre Serenità levò la mano scarna e rispose:
+</p>
+
+<p>
+— <i>Va par la tu stre e che e’ Signor u t’aiuda!</i>...
+(Va per la tua strada e il Signore
+t’aiuti!...)
+</p>
+
+<p>
+Il Mancino guardò il vecchio, poi si volse
+senza far parola, saltò un fosso e scomparve.
+</p>
+
+<p>
+Padre Serenità aveva gettato la sua sementa,
+ma la biancana non dà frutto e non passaron
+due lune che il Mancino fu disteso da una
+schioppettata, sulla soglia di una stalla, da chi
+non vedeva gli uomini e il mondo con i chiari
+<span class="pagenum" id="Page_70">[70]</span>
+occhi di Nicolao. Ma Nicolao era un mondo a
+sè con la sua dolcezza; era un piccolo astro
+nell’immensità, col suo chiarore.
+</p>
+
+<p>
+Ne ho novellato per amore e non per dilettare,
+secondo una legge stabilita. Vi è sempre
+qualcuno che ha cuore bastante per intendere.
+</p>
+
+<div class="chapter">
+<p><span class="pagenum" id="Page_71">[71]</span></p>
+
+<h2 id="eremita">L’EREMITA.</h2>
+</div>
+
+<p>
+C'era una volta una baracca sbilenca innalzata
+vicino ad una spiaggia da un uomo errabondo
+in cerca di fortuna. Oltre tale baracca,
+per chilometri e chilometri intorno, non sorgeva
+altro rifugio.
+</p>
+
+<p>
+L’uomo errabondo aveva ben fondate le
+sue speranze. Si era detto:
+</p>
+
+<p>
+— C’è una strada che conduce al mare, e
+questa strada finisce fra le sabbie e non c’è
+altro. La gente vi passa coi carri e coi barrocci
+quando fa l’estate. Se io faccio il mio nido
+dove finisce la strada e incomincia il mare, la
+gente verrà da me ed io ne guadagnerò!
+</p>
+
+<p>
+E le cose si svolsero come l’uomo errabondo
+aveva preveduto.
+</p>
+
+<p>
+Codest’uomo si chiamava Palma, era solo,
+ed aveva sulla coscienza una interminabile serie
+di furti e qualche delitto. Per venti anni
+<span class="pagenum" id="Page_72">[72]</span>
+aveva meditato nelle patrie galere; a cinquanta
+anni ritornava fra gli uomini.
+</p>
+
+<p>
+Bisogna dire che Palma non aveva un soldo
+quando arrivò sul luogo destinatogli dal caso;
+aveva bensì qualche idea. Fra queste, una brillava
+che gli parve buona e se ne assicurò meditandola.
+Ma come porla ad effetto? Per far
+nascere un’ombra sotto il sole occorreva dire
+agli uomini ben baffuti: — Dammi questo che
+ti darò questo! — Ed egli che poteva dare?
+Il suo lavoro; ma a quale pro, data l’idea che
+meditava? Allora s’incamminò lungo la spiaggia
+deserta e cammina e cammina.... ecco che
+vede, abbandonata fra sabbia e mare, mezzo
+sepolta, quasi sfasciata, la carena di un vascello.
+Un cadavere. Ma anche i cadaveri valgono
+qualcosa pei corvi e Palma non era che
+un corvo. Si avvicinò, considerò il carcame e
+disse: — Sì! — Poi soggiunse: — Farò da
+solo!... — Ma per cominciare gli occorreva almeno
+una vanga e non l’aveva. La rubò e fu
+l’ultimo furto ch’egli commise al di fuori della
+legge. Poi per tre giorni e per tre notti scavò,
+si affannò e riuscì a trarre la carena sotto la
+luce del sole. Era meno peggio di quel che
+non avesse pensato. Ma da quel punto incominciava
+la vera gravità del suo disegno.
+Come fare a trar quel carcame al punto che
+<span class="pagenum" id="Page_73">[73]</span>
+egli aveva prescelto? Occorrevano per lo meno
+due paia di buoi. Dove trovarle? Allora assottigliò
+l’ingegno e pensò: ormai egli possedeva
+qualcosa e poteva essere creduto. Egli aveva
+creato un’ombra sulla terra; da quella qualsiasi
+ombra doveva nascere il credito. E il
+credito nacque. Un contadino si prestò. Palma
+gli disse:
+</p>
+
+<p>
+— Vi pagherò fra due mesi.
+</p>
+
+<p>
+Il contadino rispose:
+</p>
+
+<p>
+— Mi pagherete quando vi farà comodo.
+</p>
+
+<p>
+Perfettamente. Allora Palma fece trasportare
+la nave al termine della strada che si apriva
+sul mare.
+</p>
+
+<p>
+— Che ne volete fare? — gli chiese il contadino.
+</p>
+
+<p>
+Palma rispose:
+</p>
+
+<p>
+— Un’osteria!
+</p>
+
+<p>
+Il contadino lo guardò in tralice. Palma soggiunse:
+</p>
+
+<p>
+— Un’osteria ed è una bella pensata!
+</p>
+
+<p>
+— Ma come farete?
+</p>
+
+<p>
+— Datemi aiuto e vedrete.
+</p>
+
+<p>
+— Oh!... Ed io vi aiuto!
+</p>
+
+<p>
+Infatti l’aiutò. Ormai la Provvidenza si era
+incaricata della faccenda e Palma se ne accorse,
+ma non rifiatò. Perchè con la Provvidenza non
+si uccella. Essa non incappa nelle reti e nelle
+<span class="pagenum" id="Page_74">[74]</span>
+panie degli uomini, anzi appare a coloro che
+non la invocano. Dunque Palma si ebbe un
+aiuto. Il contadino chiamò i suoi figli. Furono
+cinque uomini di buona volontà, data la qual
+cosa, la baracca alzò la sua gobba al cielo.
+Tolte le monche alberature e sgombrato l’interno
+del vascello dai rottami e dagli intoppi
+non rimase che la carena ignuda, malconcia
+qua e là e con una rispettabile falla sotto la
+prora. Palma non si occupò della cosa; capovolse
+la nave in un punto stabilito della spiaggia
+e domandò al contadino dieci lire in prestito.
+Il contadino glie le dette e disse:
+</p>
+
+<p>
+— Mi dovete in tutto venticinque lire.
+</p>
+
+<p>
+— Ed io ve ne darò trenta! — rispose Palma.
+</p>
+
+<p>
+Ormai Palma aveva una casa e un capitale.
+Incominciò col comperare chiodi e martello.
+Assai ne aveva con tutti i rottami del vascello.
+Prima mangiò, chè non aveva mangiato da qualche
+tempo, poi si mise all’opera. E tappa, e
+inchioda, e rappezza, in due giorni la casa era
+fatta. Non più uno spiraglio. Nell’interno, buio
+perfetto.
+</p>
+
+<p>
+Ora si trattava di praticare una porta e una
+finestra e di innestare un camino sul dorso
+della novissima abitazione.
+</p>
+
+<p>
+Cosa semplice. Una sega servì per la prima
+bisogna; una vecchia grondaia funse da camino.
+<span class="pagenum" id="Page_75">[75]</span>
+Dopodichè l’esterno era compiuto e Palma
+passò all’interno che divise in due parti. Da
+un lato la cantina che doveva servire anche
+da stanza da letto per l’oste; dall’altro la cucina.
+E basta. Il contadino gli venne in soccorso
+ancora per l’arredamento, finito il quale,
+Palma si dette all’opera artistica e presa una
+piccola tavola rettangolare e alcune vernici,
+dipinse su detta tavola la sua personale sensazione
+di una Sirena e con non meno personale
+ortografia vi scrisse sotto: — <i>Osteria della
+Sirena</i> — compìta la quale opera inchiodò la
+tavola a sommo della sua abitazione e attese.
+</p>
+
+<p>
+Attese un uomo, il primo. In verità non
+avrebbe potuto offrire al suo primo avventore
+se non dell’acqua limpida; ma anche l’acqua
+limpida aveva il suo valore in quelle latitudini
+perchè per molte miglia all’intorno non esisteva
+un pozzo. Palma non possedeva tuttavia una
+botte, ma sì bene due latte da petrolio. Dette
+latte erano piene d’acqua e costituivano un
+valore. Non mancava che li assetati. Anche
+di questo doveva incaricarsi la Provvidenza e
+siccome Palma non aveva fretta e si accontentava
+di ben poco per arrivare da un giorno
+all’altro, attese in tranquillità.
+</p>
+
+<p>
+Ed ecco che una notte, dormiva sulla sua
+paglia fra le due latte di petrolio, quando sentì
+<span class="pagenum" id="Page_76">[76]</span>
+qualcuno alla porticciuola serrata. Si levò sui
+gomiti. Chiese:
+</p>
+
+<p>
+— Chi è?
+</p>
+
+<p>
+— Si può entrare? — fece una voce dal di fuori.
+</p>
+
+<p>
+— Cosa volete? — domandò Palma.
+</p>
+
+<p>
+— Bere! — rispose l’estraneo.
+</p>
+
+<p>
+— Non ho che dell’acqua.
+</p>
+
+<p>
+— È lo stesso.
+</p>
+
+<p>
+Bene.
+</p>
+
+<p>
+Palma non aveva bisogno di vestirsi perchè
+non si svestiva mai; si rizzò ed andò ad aprire
+la porta. Entrò un uomo; un vecchio barbuto
+con gli occhiali sul naso. Un par di occhiali
+a stanghetta, arrugginiti, e un cappellaccio di
+traverso.
+</p>
+
+<p>
+Sedette sulla panca innanzi a una tavolaccia
+nera e quando fu seduto disse ancóra:
+</p>
+
+<p>
+— Bene!
+</p>
+
+<p>
+Palma lo guardò; il barbone incrociò le braccia
+sulla tavola.
+</p>
+
+<p>
+— Di dove venite? — gli domandò Palma.
+</p>
+
+<p>
+— Datemi da bere — rispose l’uomo.
+</p>
+
+<p>
+Palma prese il suo unico boccale che era un
+coccio senza manico e senza beccuccio, pose
+innanzi all’ospite una ciotola sboccata e scomparve
+in cantina. Poco dopo rientrò col suo
+vin di nuvoli e l’ospite non si era rimosso.
+Aveva una faccia da ceffautte da guardarsi a
+<span class="pagenum" id="Page_77">[77]</span>
+stupore: o da dove discendeva nel pieno della
+notte quell’individuo? E dove andava e che
+cercava mai? Palma sentiva queste domande
+dentro di sè, ma le trattenne chè si investiva
+del suo nuovo còmpito di oste.
+</p>
+
+<p>
+L’uomo bevve tutto il boccale e quando ebbe
+bevuto disse:
+</p>
+
+<p>
+— Buona!
+</p>
+
+<p>
+— È acqua di fonte — fece Palma.
+</p>
+
+<p>
+E l’estraneo ridisse:
+</p>
+
+<p>
+— Buona!
+</p>
+
+<p>
+Evidentemente il barbone non era un parlatore,
+ma ciò non preoccupava Palma il quale
+diceva fra sè: — Anche se mi dà quattro soldi,
+son tutti guadagnati! — Ed in questo pensiero
+si accosciò in disparte presso la parete della
+sua bicocca. L’olio non mancava alla lampada
+ma se ne consumava troppo. Trascorso qualche
+tempo Palma disse all’ospite:
+</p>
+
+<p>
+— Volete dormire?
+</p>
+
+<p>
+— Perchè? — fece l’ignoto.
+</p>
+
+<p>
+— Perchè l’olio si consuma.
+</p>
+
+<p>
+— Ed io ve lo pagherò.
+</p>
+
+<p>
+— Ah, se volete pagare fate ciò che vi accomoda!...
+</p>
+
+<p>
+E Palma chiuse gli occhi e stava per addormentarsi
+tranquillamente quando l’ospite suo
+gli chiese levando gli occhi:
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_78">[78]</span>
+</p>
+
+<p>
+— Da quanto tempo state qui?
+</p>
+
+<p>
+— Da venti giorni.
+</p>
+
+<p>
+— E che cosa volete guadagnare fra queste
+lande?
+</p>
+
+<p>
+— Aspetto che venga l’estate! — fece Palma
+ammiccando.
+</p>
+
+<p>
+— E con l’estate?
+</p>
+
+<p>
+— Con l’estate? Ma vengono a migliaia quaggiù
+i contadini!
+</p>
+
+<p>
+— E se vengono?
+</p>
+
+<p>
+— Se vengono, lavoro!
+</p>
+
+<p>
+— E il vino?...
+</p>
+
+<p>
+— Il vino.... il vino!... Si troverà!
+</p>
+
+<p>
+Il vecchio tacque e Palma lo guardava sempre
+più incuriosito. Chiese, dopo una sosta:
+</p>
+
+<p>
+— E voi cosa siete, un pastore?
+</p>
+
+<p>
+— No — fece l’uomo. Poi guardò Palma negli
+occhi e soggiunse: — Io sono un frate!
+</p>
+
+<p>
+— Un frate?
+</p>
+
+<p>
+— Sì. Ma se mi va bene una cosa non torno
+più al convento.
+</p>
+
+<p>
+— E la veste dove l’avete messa?
+</p>
+
+<p>
+— In casa del contadino che mi ha dato questi
+panni.
+</p>
+
+<p>
+— Ed ora dove andate?
+</p>
+
+<p>
+Il vecchio si levò e disse:
+</p>
+
+<p>
+— Hai una vanga?
+</p>
+
+<p>
+— Sì.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_79">[79]</span>
+</p>
+
+<p>
+— Sai dove sia la Torraccia?
+</p>
+
+<p>
+— Sì.
+</p>
+
+<p>
+— Vuoi condurmi alla Torraccia?
+</p>
+
+<p>
+— A quest’ora?
+</p>
+
+<p>
+— Sì.
+</p>
+
+<p>
+— E che cosa volete fare laggiù? — Palma
+non voleva compromettersi. Gli erano bastati
+i suoi vent’anni di prigione e più non voleva
+farne.
+</p>
+
+<p>
+— Se vieni faremo a metà — rispose il
+vecchio.
+</p>
+
+<p>
+Palma si convinse; prese la vanga e il suo
+coltello e seguì l’ospite.
+</p>
+
+<p>
+Dopo due ore di strada erano ai piedi del
+rudere solitario. Il vecchio entrò nella torre e
+Palma dietro.
+</p>
+
+<p>
+Dopo aver misurato a passi lo spazio rinchiuso
+fra le mura pericolanti l’uomo si fermò
+e disse a Palma:
+</p>
+
+<p>
+— Scava qui!
+</p>
+
+<p>
+Palma si mise all’opera. Dopo più che un’ora
+di lavoro aveva scoperto una scaletta che scendeva
+in un sotterraneo.
+</p>
+
+<p>
+L’uomo disse:
+</p>
+
+<p>
+— Non mi sono sbagliato! — Poi accese
+una candela che aveva con sè ed entrò per
+primo nell’antro oscuro.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_80">[80]</span>
+</p>
+
+<p class="ast">❦</p>
+
+<p>
+Era vicina l’alba quando uscirono dagli antri
+sotterranei. Primo fu il vecchio; Palma venne
+dopo. Erano ambedue irriconoscibili per il terrame
+che li ricopriva.
+</p>
+
+<p>
+Quando ebbero fatto qualche passo, Palma
+si fermò innanzi all’uomo sconosciuto e gli
+disse:
+</p>
+
+<p>
+— E adesso che cosa mi darete per la mia
+fatica?
+</p>
+
+<p>
+— Aspetta — disse il frate.
+</p>
+
+<p>
+— Che cosa devo aspettare?
+</p>
+
+<p>
+— Quello che ti dirò.
+</p>
+
+<p>
+— Le parole non si spendono!
+</p>
+
+<p>
+— Sei uno stupido!... Le parole si spendono
+benissimo!
+</p>
+
+<p>
+— Ma insomma che cosa siamo andati a fare
+laggiù?
+</p>
+
+<p>
+— A cercare un tesoro!
+</p>
+
+<p>
+— Infatti abbiamo trovato da stare allegri!
+</p>
+
+<p>
+— Questo non importa!
+</p>
+
+<p>
+— Sì, che importa!
+</p>
+
+<p>
+— Tu avrai sempre guadagnato qualcosa.
+</p>
+
+<p>
+— Che cosa?
+</p>
+
+<p>
+— Vedrai!
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_81">[81]</span>
+</p>
+
+<p>
+E ripresero la strada. Quando furono all’osteria
+della Sirena si vedevano già le vele raminghe
+per il mare.
+</p>
+
+<p>
+Entrarono. Il frate sedette innanzi alla tavolaccia
+ed abbandonò la fronte fra le mani. Dopo
+una pausa domandò:
+</p>
+
+<p>
+— Hai un calamaio, una penna, della carta?
+</p>
+
+<p>
+Palma guardò il vecchio in tralice e chiese
+a sua volta:
+</p>
+
+<p>
+— Siete matto?
+</p>
+
+<p>
+— Sai leggere?
+</p>
+
+<p>
+— No.
+</p>
+
+<p>
+— Bene. Allora stammi a sentire.
+</p>
+
+<p>
+Palma lo ascoltò.
+</p>
+
+<p class="ast">❦</p>
+
+<p>
+Il frate ritornò al convento senza lasciare
+una palanca a Palma, ma Palma fu contento
+ugualmente. Da quella volta il vecchio barbone
+non comparve più nè di notte nè di giorno al
+vascello capovolto, ma il suo passaggio non fu
+più dimenticato.
+</p>
+
+<p>
+Ora giunse l’estate. Cominciò il giugno con
+certe giornate ardenti che valsero più di qualsiasi
+consiglio a cacciar le turbe assetate di
+frescura dai piani al mare.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_82">[82]</span>
+</p>
+
+<p>
+Cominciarono a giungere le carovane urlanti
+e si accamparono per la spiaggia.
+</p>
+
+<p>
+Bisogna dire che Palma aveva tolta dalla sua
+baracca la dipinta insegna dell’Osteria della
+Sirena e che l’aveva sostituita con una rozza
+croce formata da due avanzi di naufragio legati
+insieme con una corda.
+</p>
+
+<p>
+Giunsero le carovane adunque, ma Palma non
+si mostrò. Vestito di un sacco stava rannicchiato
+in fondo al suo rifugio aspettando che
+qualcuno dischiudesse l’usciuolo. Pareva non
+volesse uccellare anzi attendesse di essere uccellato.
+Ma la gente si sbandava all’intorno
+volgendo appena una fuggevole occhiata allo
+strano rifugio. Diceva tutt’al più:
+</p>
+
+<p>
+— Sarà la casa di qualche poveraccio!... Di
+qualche pescatore di arselle!...
+</p>
+
+<p>
+E non sapevano che un pescatore in realtà
+si accucciava là dentro, ma un pescatore di
+uomini.
+</p>
+
+<p>
+Aspetta e spera. Passavano i giorni. Palma
+cominciava a bestemmiare, cosa quant’altra mai
+indecorosa per un uomo che vestiva il saio
+all’ombra della croce.
+</p>
+
+<p>
+Ma nessuno lo udiva. Si udiva la gazzarra, il
+frastuono delle turbe che esulavano al mare.
+La spiaggia pareva convertita in un cocomeraio
+chè ogni brigata traeva seco sui biroccini
+<span class="pagenum" id="Page_83">[83]</span>
+e sui carri oltre a qualche lenzuolo, larga copia
+di cocomeri e ne faceva festa tra un bagno
+e l’altro ingoiando fette su fette del saporoso
+frutto vermiglio.
+</p>
+
+<p>
+E il nudo trionfava e l’ebbrezza della frescura
+e del mare.
+</p>
+
+<p class="ast">❦</p>
+
+<p>
+Palma pazientava e non usciva a mostrarsi
+alla turba, ma già nell’anima sua incominciava
+a infiltrarsi il dubbio, quando avvenne che due
+fanciulli ignudi, ruzzando un giorno fra le arene,
+venissero a sedersi all’ombra della singolare baracca
+E com’è dell’età loro curiosa, dopo alcun
+tempo incominciarono a considerare la novissima
+capanna e pensarono di visitarla anche
+all’interno.
+</p>
+
+<p>
+Palma udì e lasciò fare. Si avvicinava il momento
+buono. Infatti, non appena i due fanciulli
+ebbero messo il capo all’uscio ed ebber veduto
+quello strano uomo accoccolato in un canto
+e tutto ravvolto in un sacco, ne ebbero tanta
+paura che fuggirono come lepri e mai più non
+si rividero presso la baracca. Ma la voce si
+diffuse fra le turbe.
+</p>
+
+<p>
+— Nella baracca c’è un eremita!... C’è un
+santo eremita!... È coperto di un solo sacco!...
+<span class="pagenum" id="Page_84">[84]</span>
+Non mangia mai!... Ha la barba lunga due metri!...
+Non vede il sole da vent’anni!...
+</p>
+
+<p>
+E vai dicendo. La necessità del fantastico
+si liberava a carriera e qualcuno giunse a sostenere
+che si trattava di un turco convertito.
+</p>
+
+<p>
+Ma tutto ciò poteva ancóra interessare le
+donne non già gli uomini, i quali fra cocomeri
+e bagni avevano in superbo disprezzo ogni santocchieria
+e preti e frati ed eremiti e ogni altro
+tipo del genere che non era, presso le faticate
+turbe, se non un vagabondo.
+</p>
+
+<p>
+E Palma udiva questi discorsi e incominciava
+a disperare. Il contadino che gli aveva fatto
+credito giungeva tutte le notti a reclamare il
+suo e già minacciava uno scandalo. Un giorno
+Palma si disse:
+</p>
+
+<p>
+— Se oggi non vien nessuno, domani metto
+fuori l’insegna dell’osteria e si vedrà!...
+</p>
+
+<p>
+Ma appunto quel giorno era il destinato.
+</p>
+
+<p class="ast">❦</p>
+
+<p>
+Era il meriggio, forse, quando una voce si
+udì dall’esterno; una voce di donna:
+</p>
+
+<p>
+— Si può entrare?
+</p>
+
+<p>
+— Avanti! — fece Palma.
+</p>
+
+<p>
+Entrò una donna che recava in braccio un
+<span class="pagenum" id="Page_85">[85]</span>
+suo marmocchio, giallo come lo zafferano. Palma
+non si rimosse.
+</p>
+
+<p>
+— Voi che siete un sant’uomo.... — disse
+la donna e si fermò.
+</p>
+
+<p>
+— Che cosa volete? — domandò Palma.
+</p>
+
+<p>
+— Voi che siete un sant’uomo dovreste guarirmi
+questa povera creatura!
+</p>
+
+<p>
+Palma chinò il capo e non rispose.
+</p>
+
+<p>
+La donna, a tale mimica, fu sempre più compresa
+della virtù taumaturgica del solitario.
+</p>
+
+<p>
+— Se voi voleste.... — continuò.
+</p>
+
+<p>
+Palma alzò un braccio e disse:
+</p>
+
+<p>
+— È Dio che deve volere!
+</p>
+
+<p>
+Poi si stupì di aver detto tanto. Ma la donna
+aveva molta fede.
+</p>
+
+<p>
+— Se voleste pregare il Signore....
+</p>
+
+<p>
+Palma si levò e la donna si fece il segno
+della croce.
+</p>
+
+<p>
+— Fatemi vedere questo bambino! — disse
+Palma.
+</p>
+
+<p>
+La donna glielo mostrò mormorando:
+</p>
+
+<p>
+— È molto malato!... Deve morire!...
+</p>
+
+<p>
+Dopo un lungo silenzio speso a considerar
+la creatura da tutti i lati Palma disse:
+</p>
+
+<p>
+— Non morirà!
+</p>
+
+<p>
+Fu colpito dal suono della sua voce e dalla
+promessa formale. Oramai si era compromesso.
+O riusciva o ritornava alla sua prima Sirena.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_86">[86]</span>
+</p>
+
+<p>
+La donna disse:
+</p>
+
+<p>
+— Se me lo salvate siete il più grand’uomo
+del mondo!...
+</p>
+
+<p>
+Palma si sarebbe accontentato di meno; di
+quattro palanche.
+</p>
+
+<p>
+Disse alla donna:
+</p>
+
+<p>
+— Aspettate!
+</p>
+
+<p>
+E passò nel secondo stambugio della sua
+capanna.
+</p>
+
+<p>
+Ritornò poco dopo con un cartoncino in cui
+erano tre pillole. Le porse alla donna, disse:
+</p>
+
+<p>
+— Queste sono tre pillole fatte con erbe che
+hanno virtù non conosciute da nessuno al mondo.
+Dovete darne al vostro bambino una oggi,
+una domani e una posdomani.
+</p>
+
+<p>
+— E guarirà? — fece la donna.
+</p>
+
+<p>
+Palma chinò la testa, susurrò:
+</p>
+
+<p>
+— Vedrete!... Vi aspetto fra tre giorni!...
+</p>
+
+<p>
+La fortuna o la disgrazia erano in via. Palma
+attese con un certa ansietà ciò che gli avrebbe
+fruttato la ricetta del frate.
+</p>
+
+<p class="ast">❦</p>
+
+<p>
+A vero dire Palma non aveva mai pensato
+a Iddio. Non gli era venuto in mente mai, neppure
+in prigione quando poteva meditare a
+tutto suo agio.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_87">[87]</span>
+</p>
+
+<p>
+Ricordava che da piccino sua madre gli
+aveva parlato qualche volta del Signore, ma
+Palma era un ragazzo distratto e non era stato
+mai tanto curioso da voler sapere che cosa
+ci fosse in fondo ai cieli. Per lui l’uomo era
+una bestia che deve lavorare e morire. E basta.
+Lavorare e morire come un bove con la semplice
+differenza che gli uomini mangiavano i
+bovi e questi eran più miti chè si accontentavano
+dell’erba. Dunque se un Dio doveva esserci
+sarebbe stato giusto avesse preferito il bue
+che era migliore dell’uomo. Ma tale idea poteva
+essergli balenata innanzi forse una volta
+in tutti i suoi cinquant’anni di vita. Per il resto
+si era accontentato di passare da un governo
+all’altro con l’unica preoccupazione di
+trovare un modo per trarre in inganno i suoi
+simili e far danaro. Egli era dunque un ignaro
+di cose divine quando fu costretto a formarsi
+una chiara convinzione in proposito.
+</p>
+
+<p>
+Fino a quel punto aveva seguito il consiglio
+del frate senza derogarne in nulla; si era costretto
+ad una prigionia che non gli riusciva
+importuna per la lunga consuetudine a tale
+stato, aveva atteso come il ragno, sperando
+che tutto si risolvesse in un commercio lucroso
+e nulla più.
+</p>
+
+<p>
+Palma attendeva il lucro e il suo fato lo pose
+<span class="pagenum" id="Page_88">[88]</span>
+di fronte a Iddio. Tale cosa lo sbalordì. Non
+se l’aspettava, ma tacque.
+</p>
+
+<p>
+Trascorso adunque il secondo giorno e incominciato
+il terzo, appena era sorto il mattino
+che un insolito vocìo giunse all’ignaro
+eremita e lo chiamò sulla soglia della sua acquatile
+casa.
+</p>
+
+<p>
+Come volse intorno gli occhi, ecco venire di
+lontano una turba di donne.
+</p>
+
+<p>
+Palma rimase perplesso. Gridavano, dunque
+il bambino era morto e, se era morto, l’unica
+cosa che gli restasse a fare era quella di darsela
+a gambe chè ormai la sua fortuna gli aveva
+volte le spalle.
+</p>
+
+<p>
+Tale la prima considerazione e la risoluzione
+prima che gli balenarono innanzi.
+</p>
+
+<p>
+Su tale proposito rientrò in casa, ma sul
+punto di uscirne troppo gli dispiacque di abbandonare
+il suo nido fra le sabbie sì che, passato
+nella seconda stanza, e rifugiatosi in un
+angolo, nel buio, attese senza rifiatare l’arrivo
+della strillante turba.
+</p>
+
+<p>
+E poco attese che le donne furono innanzi
+alla soglia e incominciarono a gridare:
+</p>
+
+<p>
+— Palma.... Palma.... apriteci.... apriteci!...
+</p>
+
+<p>
+— Sì, aspettatemi per l’anno del mai!... — diceva
+fra sè l’eremita e più si rintanava nel buio.
+</p>
+
+<p>
+E le donne:
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_89">[89]</span>
+</p>
+
+<p>
+— Palma.... Palma!... Veniteci ad aprire, per
+carità!...
+</p>
+
+<p>
+— Ve lo domandiamo per carità!...
+</p>
+
+<p>
+Palma stette in orecchio. Trasentiva o non
+piuttosto le femmine lo imploravano?
+</p>
+
+<p>
+— Venite da queste disgraziate, Palma, che
+Iddio ve ne rimeriti!...
+</p>
+
+<p>
+Davvero?... Dunque le pillole erano state efficaci!...
+Il frate aveva detta la verità!... Si levò;
+si riaggiustò addosso il suo sacco grigio....
+</p>
+
+<p>
+— Palma?... Non ci mandate via!... Siamo
+povere donne!...
+</p>
+
+<p>
+Allora l’uomo dal saio incominciò a sentire
+qualcosa dentro di sè che vi ingrandiva come
+se un sole nascesse. Uscì dalla cantina, attraversò
+la prima stanza, aprì l’usciuolo. Non appena
+fu sulla soglia il vociferìo si accrebbe e
+le braccia si protesero:
+</p>
+
+<p>
+— Palma, uomo benedetto dal Signore, guaritemi
+questa creatura!...
+</p>
+
+<p>
+— Palma, Palma, sono tre anni che non trovo
+riposo!...
+</p>
+
+<p>
+— Palma, benedite questa povera figlia che
+ha il diavolo in corpo!...
+</p>
+
+<p>
+E volevano da lui queste e cento altre cose,
+cento miracoli e Iddio.
+</p>
+
+<p>
+Iddio!... L’uomo profano di ogni fede rimase
+muto, accigliato, impassibile, ma dentro al cuor
+<span class="pagenum" id="Page_90">[90]</span>
+suo incominciò a nascere un dubbio, un dubbio
+curioso che gli dava una sensazione nuova come
+di una leggerezza subitanea fra terra e cielo.
+</p>
+
+<p>
+Iddio!... Dunque poteva darsi davvero che
+qualche notte, nel silenzio sterminato di quella
+solitudine, qualcuno fosse disceso dal cielo per entrare
+dall’usciuolo nella sua nave antica?... Poteva
+darsi?... Ed egli dormiva e questo qualcuno...
+</p>
+
+<p>
+Distribuì quante pillole aveva e rimandò le
+donne per la loro strada. Gli ubbidirono a un
+cenno. Egli aveva in realtà la figura di un
+asceta e il volto di un qualche santo forastico
+nutrito di miele selvaggio. Tanto si sentì smarrito
+dalla devozione delle femmine che non
+pensò a chiedere compensi. Distribuì il suo
+farmaco per l’amore di Dio, e per l’amore di Dio,
+verso sera, giunse alla sua baracca una giovinetta
+che si inginocchiò sulla soglia ed ivi depose
+un pane, delle uova, del formaggio; poi
+si fece il segno della croce e se ne andò.
+</p>
+
+<p>
+Palma rimase solo nella notte: contrito, confuso,
+pentito; ma non sapeva bene di che si
+pentisse. Andò pe’ suoi farmachi, raccolse l’erba
+che il santo frate gli aveva indicata nella notte
+del tesoro, si sentì invaso come da una sacra
+purità e sempre più confuso, sempre più incerto
+sul calcolo ch’egli doveva fare e di se
+stesso e di Iddio e delle donne strillanti.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_91">[91]</span>
+</p>
+
+<p>
+La sua baracca divenne come un santuario
+per le turbe le quali un bel giorno pretesero
+che il povero Palma facesse ritornare in vita
+un moribondo. Palma non volle saperne, ma
+il moribondo guarì. Guarì e fu fatta. Palma era
+un santo; Palma aveva fatto il miracolo.
+</p>
+
+<p>
+E da quel giorno egli si trovò in diretta comunicazione
+col Signore. La macerata povertà,
+il digiuno, il lungo patire dovevano essere suo
+ornamento e questo fino alla morte. E perchè
+mai?... Che aveva egli fatto?... Le sue virtù
+gli erano sconosciute, come il suo Dio. Qualche
+notte stette inorecchito sperando di udire
+una voce portentosa, ma non la udì. E allora?
+La virtù della gran mutazione della sua vita
+non era adunque che nel farmaco lasciatogli
+dal frate?...
+</p>
+
+<p>
+Tutto scendeva direttamente da una piccola
+innocua pillola? E quale era il suo guadagno?...
+Ah, uomo bruto!... Così avviene che la divina
+luce dell’alba discenda per gli sterquilini!...
+Ma Palma non era di stoppa ultraterrena e una
+notte, gettato il suo saio alle ortiche, si dette
+per fallito e partì.
+</p>
+
+<p>
+E mentre le turbe lo assumevano al cielo, il
+povero vecchio Palma, esule di Dio e della legge,
+sentendosi perduto per sempre per non aver
+ascoltata la Provvidenza non ebbe più posa.
+</p>
+
+<div class="chapter">
+<p><span class="pagenum" id="Page_93">[93]</span></p>
+
+<h2 id="violenti">I VIOLENTI.</h2>
+</div>
+
+<p>
+Avevano i Venchi la loro officina sotto un
+albero fulminato, lungo la riva di un fiume. Una
+angusta capanna contesta di rozzi pali e di fascine
+e pienata di argilla le pareti; il tetto di
+stipa, i battenti neri. V’eran per entro in grande
+copia gli arnesi fabbrili e più ne stavano all’aperto
+dove il maestro carradore lavorava e
+l’estate e l’invemo.
+</p>
+
+<p>
+Quivi disposte su ampie capre e su banchi
+e sul terreno erano ruote e timoni e sale e
+cassini e carra, le membra disperse degli arnesi
+che uscivan dal centenario cantiere.
+</p>
+
+<p>
+Nell’antro funzionava e ansava e ardeva la
+fucina. E dall’alba primissima al declinare delle
+ombre serali, era un grande travaglio sotto
+l’albero fulminato.
+</p>
+
+<p>
+Da centinaia di anni la famiglia dei Venchi
+conduceva il cantiere e l’opera era trasmessa
+di padre in figlio co’ suoi gelosi segreti, come
+la vita e il nome e le virtù della razza.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_94">[94]</span>
+</p>
+
+<p>
+Ora era maestro dell’arte, Alessandro, il vecchio
+di più che settanta inverni e non aveva
+questi se non un figliuolo: Samuele, ed erano
+soli nella loro casa senza donne. Vivevano essi
+senza parlarsi mai, tanto l’uno aveva preso dell’altro
+e l’anima e il costume ed erano come
+estranei nella casa degli avi tutta deserta e
+muta sulla loro bocca muta.
+</p>
+
+<p>
+Tornavano a notte, l’uno dopo l’altro e salivano
+alle loro stanze opposte. All’alba la casa
+si richiudeva nel suo silenzio.
+</p>
+
+<p>
+Mangiavano sul pugno, al lavoro, seduti sopra
+un toppo di ancudine o sul tronco di un’acacia
+o di un olmo e il loro pasto era breve
+come il respiro. Non bevevano che al pozzo,
+ricurvi su la secchia traboccante. I loro garzoni
+non ricordavano ch’essi avessero parlato mai
+a confidenza neppure per l’attimo. S’intendevano
+per monosillabi, senza guardarsi.
+</p>
+
+<p>
+Sapendosi uguali in tutto: e nella forza e nel
+volere, cercavano evitarsi perchè la devozione
+sacra del figlio non venisse meno e non venisse
+meno l’affetto che li legava. Andavan paralleli,
+pronti a morire l’uno per l’altro finchè il caso
+non li ponesse di fronte per opposte volontà.
+</p>
+
+<p>
+La sommissione di Samuele era stata cieca
+sempre; aveva seguito il consiglio e il comando,
+si era concessa e prona e pronta al sacrificio.
+<span class="pagenum" id="Page_95">[95]</span>
+Non mai un giorno senza lavoro; non mai un’ora
+di gioioso abbandono. Egli si era piegato come
+il ferro sul fuoco; era stato stretto e costretto
+come la ruota nel cerchio, come il timone fra
+le chiavarde: si era dato passivamente con
+tutta la sua forza.
+</p>
+
+<p>
+D’altra parte, tale era stata la vita del padre
+sotto il dominio di nonno Samuele. La consuetudine
+degli avi si manteneva uguale negli anni
+nè poteva esser discussa, nè diminuita: era
+sacra e fatale.
+</p>
+
+<p>
+Il figlio era del padre come cosa e non come
+creatura e questi poteva disporne a suo piacimento.
+La salda compagine della famiglia richiedeva
+tale disciplina. E Samuele si era aggiogato
+come tutti coloro che erano stati innanzi
+a lui nel tempo e avevano creato il prestigio
+di un’arte e di una tradizione; aveva accettato
+il loro còmpito come il cieco legno che si costringe
+tra le ferramenta e va ad obbedienza finchè
+non sia ultimamente consunto. Ma la morte
+era lontana tuttavia per il giovane gagliardo e
+la vita non poteva continuare sì cupamente monotona
+fino al punto in cui uno si appacia col
+suo destino e si dispone all’ultima ventura.
+</p>
+
+<p>
+Aveva egli un cuore tumultuoso, una forza
+non per anco provata, un desiderio solare che
+a quando a quando si ridestava per accenderlo
+<span class="pagenum" id="Page_96">[96]</span>
+di una radiosità senza confine. Se una sola era
+la via battuta, s’egli non andava che dalla casa
+deserta all’antro fumoso e da questo alla casa
+quando il sonno incombeva; se era chiuso fatalmente,
+come l’astro, nel suo circolo eterno
+e doveva seguire l’ombra del padre e coprire
+le stesse orme a capo inchino e non fiatare e
+non domandare e non essere mai; se, come gli
+arnesi della fucina, non doveva servire che
+ad un ufficio, l’anima sua, nel suo alto silenzio,
+vedeva, s’irraggiava per mille aspetti giovanilmente
+in una sua trepida adorazione portentosa.
+</p>
+
+<p>
+Era il mondo, a quell’anima chiusa, come un
+canto sconfinato e magnifico, come un ignoto
+adorabile, come una gioia senza fine e senza
+principio, e una purità senza travaglio. Dalla
+sua costrizione, dal suo isolamento sorgeva
+l’ignaro con raddoppiata energia a illuminare
+della sua sconfinata passione le cose indifferenti.
+</p>
+
+<p>
+Maestro Alessandro nulla pensava di questo.
+La giovinezza sua era stata impassibile. Egli
+non aveva conosciuto se non una ragione fisiologica
+alla quale era bastata una donna qualsiasi,
+quella che gli avevano data in moglie e
+ch’egli aveva accettata come si accetta un pastrano
+quando fa freddo; nè poteva supporre
+che altro fosse il desiderio del figliuolo.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_97">[97]</span>
+</p>
+
+<p>
+Avere una donna in casa era necessario;
+non potevano continuare la loro vita sbandata
+e Samuele doveva sposare. Ora maestro Alessandro
+sapeva già di una donna ricca e perfetta
+massaia, che avrebbe fatto della casa un paradiso;
+anche avrebbe dato figli sani e robusti
+perchè non era giovine ed era ben squadrata chè
+fra anche e spalle raggiungeva l’ampiezza di un
+bue, e gli piaceva benchè non l’avesse mai guardata
+in viso; ma che importava il viso? Una
+donna si sposa per quello che vale e non per
+la sua bellezza e la bellezza è vana e crea fastidi
+e può portare a mal fine un marito.
+</p>
+
+<p>
+Se era brutta, come aveva sentito dire, tanto
+meglio; la sua povera moglie era quasi gobba,
+eppure gli aveva partorito un fior di figlio,
+chè Samuele era saldo come l’incudine. E più
+di questo non si poteva desiderare.
+</p>
+
+<p>
+Ora una sera, chiusa che fu l’officina e partiti
+i garzoni, maestro Alessandro, contro il
+costume suo, chiamò Samuele e gli si pose a
+fianco. Il loro parlare fu breve:
+</p>
+
+<p>
+— Samuele, tu devi prender moglie!
+</p>
+
+<p>
+Il giovine levò gli occhi sul volto del padre
+e non rispose.
+</p>
+
+<p>
+— A venticinque anni è il tempo giusto. Le
+cose si fanno alla spiccia. La Venusta degli
+Antoni è già pronta. Io le ho parlato.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_98">[98]</span>
+</p>
+
+<p>
+Samuele ebbe un fremito ma si rattenne.
+Chiese a voce soffocata:
+</p>
+
+<p>
+— E che vuole da me?
+</p>
+
+<p>
+Maestro Alessandro si fermò a squadrare il
+figlio e la sua faccia si aggrottò come il monte
+a sera:
+</p>
+
+<p>
+— Come che vuole? Di che mondo sei? Dovete
+sposarvi!
+</p>
+
+<p>
+Samuele guardò il padre negli occhi con insolita
+fermezza e sbiancò tremando.
+</p>
+
+<p>
+Rispose:
+</p>
+
+<p>
+— No.
+</p>
+
+<p>
+E il vecchio:
+</p>
+
+<p>
+— No che cosa? Che ti frulla per il capo
+questa sera.
+</p>
+
+<p>
+— Io non la voglio!
+</p>
+
+<p>
+— Non la vuoi?
+</p>
+
+<p>
+— Ho detto no!
+</p>
+
+<p>
+Fu fra i due un torbido silenzio, poi maestro
+Alessandro alzò a violenza il pugno vigoroso ma
+non colpì; si rivolse e riprese la strada. Samuele
+gli tenne dietro. Camminarono sempre a fianco,
+a capo chino. Erano di pari statura; ambedue
+forti ad un modo: l’uno più agile, l’altro più
+nodoso; il frassino e la rovere. Sulla soglia della
+casa deserta maestro Alessandro si fermò e
+nelle parole che disse era un monito sinistro,
+la voce rauca tremava nel singhiozzo dell’ira:
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_99">[99]</span>
+</p>
+
+<p>
+— Tieni bene a mente quello che ti dico,
+ragazzo! In questa casa c’è una volontà sola
+ed è la mia. Non pensare a disubbidirmi e
+bada a te!
+</p>
+
+<p>
+Ed entrarono e la casa tacque sul loro angosciato
+riposo.
+</p>
+
+<p>
+Dopo non molti giorni ogni formalità era
+compiuta. Maestro Alessandro aveva lasciata
+l’officina per recarsi in città e nessuno seppe
+la ragione del suo viaggio. La seppe Samuele,
+una sera di domenica, quando il padre gli disse:
+</p>
+
+<p>
+— Ora verrai con me.
+</p>
+
+<p>
+— Dove?
+</p>
+
+<p>
+Maestro Alessandro continuò:
+</p>
+
+<p>
+— Il permesso è preso; non c’è nulla che si
+opponga. Posdomani tutto sarà fatto e la Venusta
+sarà con noi, nella nostra casa. Tu puoi scegliere
+l’ora che ti piaccia meglio per sposare.
+</p>
+
+<p>
+Samuele guardava il padre co’ grandi occhi
+larghi e bianchi e immobili. Il suo volto era
+quello di chi impietra.
+</p>
+
+<p>
+Disse maestro Alessandro:
+</p>
+
+<p>
+— Hai inteso?
+</p>
+
+<p>
+— Sì!
+</p>
+
+<p>
+— Perchè mi guardi così?
+</p>
+
+<p>
+— Per nulla.
+</p>
+
+<p>
+— Allora va, mettiti la veste migliore. La
+Venusta ci aspetta!
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_100">[100]</span>
+</p>
+
+<p>
+Samuele non si muoveva.
+</p>
+
+<p>
+E il vecchio gridò:
+</p>
+
+<p>
+— A chi parlo?
+</p>
+
+<p>
+— Che vuoi? — fece Samuele.
+</p>
+
+<p>
+— T’ho detto di ripulirti che ci aspettano
+a casa dei Grandi. E fa presto!... E cammina
+senza storie prima ch’io ti rompa la faccia!
+</p>
+
+<p>
+E ancora l’abitudine antica lo tenne e l’anima
+sua fu muta in fondo al suo buio. Samuele
+andò, si vestì come in sogno e seguì il padre
+senza parlare.
+</p>
+
+<p>
+A casa dei Grandi li aspettavano. C’era una
+tavola imbandita e nel basso focolare, in fondo
+alla stanza, ardeva una fiamma altissima. Samuele
+non vide se non quel dolce bagliore e
+non udì le voci e gli auguri, nè vide la donna
+attempata che gli parlava sorridendo. Una volta
+ch’egli fissò quel volto piatto dal gran naso
+broccuto, rise come un ebete e a tutto ciò che
+gli fu chiesto non rispose. Poi cominciò il festino
+e la volgarità.
+</p>
+
+<p>
+Erano pigiati intorno ad una grande tavola,
+seduti su due lunghe panche e le donne mangiavano
+in disparte, presso il focolare come
+bestie accosciate, il viso sui piatti fumanti. Solo
+una gli era al fianco e lo stuzzicava e rideva
+a rovescio come una caldaia che bolla, ed egli
+vedeva la larga bocca dai denti gialli aprirsi e
+<span class="pagenum" id="Page_101">[101]</span>
+vociare e ingoiare, e vedeva i piccoli occhi porcini
+e le guance sudanti, floscie come l’otre vuoto.
+</p>
+
+<p>
+Maestro Alessandro più non si curava di lui;
+nessuno gli poneva mente chè l’accolta era intenta
+ai bisogni suoi voraci. I grandi vassoi di
+carni e di legumi eran finiti d’assalto e gli ampi
+boccali si vuotavano a gran furia. Solo, più
+aumentava l’ebbra bestialità dell’accolta, più,
+quella che gli sedeva a fianco, lo pigiava e lo
+infastidiva con la sua voce rauca e Samuele
+cominciò a guardarla in volto senza fiatare.
+</p>
+
+<p>
+E la donna chiese:
+</p>
+
+<p>
+— Perchè non mangi?... Ti vergogni della
+tua sposa?...
+</p>
+
+<p>
+E rideva, rideva interrompendosi a quando
+a quando per saziare la sua voracità flatulenta.
+</p>
+
+<p>
+— Hai sonno, di’?... Dormi ancora per questa
+notte chè domani non potrai dormire!
+</p>
+
+<p>
+E, sotto la tavola, gli si stringeva da presso,
+sempre più tenacemente, come la mignatta e il
+nodo scorsoio e le cose che soffocano e che
+dissanguano.
+</p>
+
+<p>
+— Non mi vuoi bene?
+</p>
+
+<p>
+Silenzio.
+</p>
+
+<p>
+— Non ti piaccio?
+</p>
+
+<p>
+Egli la guardava con una sua tragica smorfia
+e pensò come mai potevano uscire tali parole
+da quella bocca sconcia, irte di peli le
+<span class="pagenum" id="Page_102">[102]</span>
+labbra e il mento piatto. Ed ella rideva e si
+accalorava da sola, scambiando per timida inesperienza
+il silenzio dell’uomo e più le piaceva
+il giuoco, e più le cresceva la foja quanto più
+le sembrava e fresco e timido il frutto nuovo
+sul quale avrebbe morso con la furia della sua
+maturità brutta ed ingorda.
+</p>
+
+<p>
+E ancora gli diceva accostando a quella di
+lui la faccia bestialmente accesa:
+</p>
+
+<p>
+— Quando mi conoscerai mi amerai. Io so
+l’arte di farti morire d’amore! Non mi guardare
+se non sono bella chè ti piacerò più del sole!
+</p>
+
+<p>
+E la gente ubriaca cominciava a bofonchiare.
+Poi qualcuno più acceso, gridò:
+</p>
+
+<p>
+— O Samuele, stringitela dunque quella tua
+vecchia gallina!... Non vedi come ti guarda?...
+</p>
+
+<p>
+E l’idea piacque sì che l’accolta l’impose urlando.
+</p>
+
+<p>
+La Venusta protese le labbra e baciò sul
+collo Samuele. Questi la respinse col gomito
+a violenza.
+</p>
+
+<p>
+E disse la donna:
+</p>
+
+<p>
+— Abbracciami, non siamo sposi?
+</p>
+
+<p>
+Maestro Alessandro, in capo alla tavola, teneva
+la testa china sul suo piatto; allora un
+giovinastro gli gridò:
+</p>
+
+<p>
+— Diteglielo voi, maestro, che s’abbraccino!...
+</p>
+
+<p>
+E la gente:
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_103">[103]</span>
+</p>
+
+<p>
+— Su dunque, diteglielo, maestro!
+</p>
+
+<p>
+Il vecchio levò gli occhi che si scontrarono
+in quelli del figlio suo, nè mai più torbida
+luce si incrociò per gli spazi nelle orrende tempeste.
+Maestro Alessandro chinò la testa. Allora
+l’anatroccola infojata abbrancò al collo Samuele
+e lo attanagliò come la morsa stringendo la viscida
+faccia contro quella di lui.
+</p>
+
+<p>
+Scoppiò una risata omerica e la voce incomposta
+degli ebbri di vino incitò la Venusta a
+tutto osare.
+</p>
+
+<p>
+Anche le donne si accostarono alla tavola,
+scapigliate, e battevan le mani. In breve si
+formò intorno un cerchio di brutale concupiscenza
+e Samuele vide l’assieparsi e il chinarsi
+delle facce oblique e vide gli occhi accesi di
+fosco ardore e le vene turgide e gli aspetti
+bestiali, nè più resse a tale supplizio.
+</p>
+
+<p>
+Allora ciò che l’anima sua pura aveva contenuto
+irruppe, schiantò ogni costrizione.
+</p>
+
+<p>
+— Va via che mi fai schifo, puttana!
+</p>
+
+<p>
+E afferrata la donna alla cintola l’arrovesciò
+sconciamente su la panca e si tolse dall’incubo.
+</p>
+
+<p>
+Il clamore si spense d’un subito. Non fu intorno
+che un’incertezza paurosa e gli occhi
+corsero dal volto del padre a quello del figlio.
+</p>
+
+<p>
+Samuele non guardò la gente, di nulla si curò
+se non del suo immenso desiderio di libertà;
+<span class="pagenum" id="Page_104">[104]</span>
+non fu al mondo, per lui, se non la sua fiera
+volontà che non avrebbe umiliata mai più, e
+sentiva una gioia altissima in quella subita
+conquista.
+</p>
+
+<p>
+Già era per uscire quando si levò, aspra ed
+imperiosa dal silenzio, la voce di maestro Alessandro:
+</p>
+
+<p>
+— Samuele?...
+</p>
+
+<p>
+Il giovane si rivolse torvo.
+</p>
+
+<p>
+— Che vuoi da me?
+</p>
+
+<p>
+Il vecchio fece per slanciarsi ma un urlo lo
+trattenne. Allora si passò le grosse mani su
+la pallida faccia sconvolta e gridò:
+</p>
+
+<p>
+— Va, va, che saprò dove trovarti!
+</p>
+
+<p>
+E nessuno più disse parola. Sentivano l’approssimarsi
+dell’orrore. Erano i Venchi di una
+feroce razza lupigna che nulla raffrenava. Gli uomini
+chinarono la faccia; le donne udivano già
+per l’aria fosca di tenebra le urla della folle paura.
+</p>
+
+<p>
+E quando il vecchio fece per uscire nessuno
+gli si oppose: era sul suo volto cadaverico la
+risolutezza che umilia chiunque la guati. Uscì,
+lo guardarono finchè la porta non fu rinchiusa,
+ascoltarono il suo passo finchè non si perse e
+allora si udì l’implorazione della donna offesa;
+schiantò il silenzio come un singhiozzo:
+</p>
+
+<p>
+— Correte gente, correte che non si debba
+udire un simile spavento!
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_105">[105]</span>
+</p>
+
+<p>
+Quelle parole agghiacciarono i cuori e gli anziani
+si mossero incurvi, senza fiatare.
+</p>
+
+<p>
+Ora Samuele attendeva il padre nella casa
+sconsolata. Una lampada fumigava sulla tavola.
+Più non aveva misura il tempo, più non era nè
+tempo nè spazio, ma una cupa eternità senza voce.
+</p>
+
+<p>
+Camminava il giovine ascoltando il tonfo del
+suo cuore scatenato e ad ogni scricchiolio sussultava
+rivolgendosi alla porta.
+</p>
+
+<p>
+Poi si udì cigolare la porta e si udì il passo del
+sopravveniente. Furon l’un contro l’altro come
+due spettri. Nè l’uno dei due piegò; nè parevano
+tanto forti da superare quell’orrendo silenzio.
+</p>
+
+<p>
+E il vecchio si accostò al muro e ne distaccò
+la doppietta. Si udirono gli scatti delle molle
+congegnate.
+</p>
+
+<p>
+Samuele non fiatò, non si mosse, non distolse
+gli occhi torvi dal volto del padre. Erano ai
+due lati opposti della stanza.
+</p>
+
+<p>
+Maestro Alessandro puntò lentamente l’arme
+nera. Era nel suo volto sparuto la contrazione
+di un’ira senza limite, la terribilità del delitto.
+</p>
+
+<p>
+E allora parlò e disse:
+</p>
+
+<p>
+— Inginocchiati!
+</p>
+
+<p>
+Il figlio ubbidì e s’aperse le vesti, nè le sue
+mani tremarono.
+</p>
+
+<p>
+E il vecchio:
+</p>
+
+<p>
+— Farai ciò che voglio?
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_106">[106]</span>
+</p>
+
+<p>
+Samuele non rispose.
+</p>
+
+<p>
+Il fucile s’abbassò verso il petto scoperto.
+</p>
+
+<p>
+— Rispondi!...
+</p>
+
+<p>
+Si udì un gemito, una voce strozzata, uno spasimo
+angosciato di supremo dolore e la pallidissima
+faccia sbiancò ancor più nell’orrendo singhiozzo.
+</p>
+
+<p>
+— Rispondi! — gridò più forte l’ossesso.
+</p>
+
+<p>
+Allora parve che tutto l’essere veemente e
+tutta la ribelle gagliardia del giovine si liberassero
+nel grido; ed egli parlò stravolto, senza
+più lume negli occhi:
+</p>
+
+<p>
+— Puoi ammazzarmi, ma non puoi costringermi!
+</p>
+
+<p>
+— Tornerai dai Grandi?
+</p>
+
+<p>
+— No!...
+</p>
+
+<p>
+— Chiederai scusa?
+</p>
+
+<p>
+— No!...
+</p>
+
+<p>
+— Mi ubbidirai?
+</p>
+
+<p>
+— No, no, no!...
+</p>
+
+<p>
+E in così dire fece per lanciarsi innanzi, cieco
+nel suo furore; ma appena aveva levato il ginocchio
+che un colpo rintronò e il giovine dal
+fiero viso stramazzò riverso come cosa inanimata:
+gli occhi al cielo e la bocca torta.
+</p>
+
+<p>
+Poi un urlo fu nella casa desolata e un urlo
+più alto nella notte grande, chè gli anziani sopraggiungevano
+correndo.
+</p>
+
+<p>
+Ma tutto era vano ormai. Il tragico fato dei
+Venchi era compiuto per l’eternità.
+</p>
+
+<div class="chapter">
+<p><span class="pagenum" id="Page_107">[107]</span></p>
+
+<h2 id="gazza">LA GAZZA.</h2>
+</div>
+
+<p>
+Il semplicista non fece troppe parole; guardò
+Mezzalana, gli tastò il polso, gli rovesciò le
+palpebre e scrollò il capo.
+</p>
+
+<p>
+— Be’, cosa dite? — mormorò Mezzalana.
+</p>
+
+<p>
+— Cosa debbo dire? — rispose il semplicista.
+</p>
+
+<p>
+— C’è pericolo?
+</p>
+
+<p>
+— Non la vedo chiara.
+</p>
+
+<p>
+— Che cosa c’è.... Un tumore?
+</p>
+
+<p>
+— No, è il male della lucciola.
+</p>
+
+<p>
+— Della lucciola?... Non l’ho mai sentito ricordare.
+</p>
+
+<p>
+— Be’, ve lo dico io.
+</p>
+
+<p>
+— Siete sicuro di non sbagliarvi?
+</p>
+
+<p>
+— Se non mi credete, perchè non chiamate
+il dottore?
+</p>
+
+<p>
+— Il dottore?... Vuol esser pagato!
+</p>
+
+<p>
+— Allora state zitto se non volete spendere!
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_108">[108]</span>
+</p>
+
+<p>
+Mezzalana alzò le spalle e mormorò:
+</p>
+
+<p>
+— Starò zitto!
+</p>
+
+<p>
+L’empirico riprese la mazza che aveva appoggiata
+al muro, si chinò alla secchia ricolma
+che era appoggiata sul pozzale, bevve e, asciugata
+la bocca sulla manica della giacca, si avviò
+all’uscita dell’aia.
+</p>
+
+<p>
+Mezzalana non era contento e già si pentiva
+del palancone che aveva dato al semplicista
+per la sua visita; due soldi valevan bene un
+lungo discorso, s’egli li valutava alla stregua
+della sua rabbiosa avarizia; così, come vide
+l’uomo andarsene tranquillamente senza aggiungere
+parola, gli gridò dietro:
+</p>
+
+<p>
+— Be’, non mi dite altro?
+</p>
+
+<p>
+L’empirico si fermò e, volgendosi a mezzo,
+rispose:
+</p>
+
+<p>
+— Non ve l’ho detto il male che avete?
+</p>
+
+<p>
+— Sì, ma che cosa debbo prendere per guarire?
+</p>
+
+<p>
+— La cassa!
+</p>
+
+<p>
+— Che cosa?...
+</p>
+
+<p>
+Allora Zibaldino, che stringeva tuttavia a
+dispetto, nel palmo della mano, la scarsa mercede
+e voleva far notare all’avaro la sua spilorceria,
+grugnì:
+</p>
+
+<p>
+— Dite un po’, pretendereste forse ch’io perdessi
+tutta la mia giornata per due soldi?
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_109">[109]</span>
+</p>
+
+<p>
+— Due soldi son due soldi — rispose Mezzalana; — costano
+fatica e voi li guadagnate
+con delle chiacchiere!
+</p>
+
+<p>
+— Ah! sono chiacchiere le mie?
+</p>
+
+<p>
+— Non avete mica imparato la vostr’arte
+vangando la terra!
+</p>
+
+<p>
+— Allora perchè mi chiamate se sono chiacchere?...
+</p>
+
+<p>
+— Perchè vi contentate di poco.
+</p>
+
+<p>
+— Siete uno sciocco!
+</p>
+
+<p>
+— Io sarò uno sciocco, ma due soldi son due
+soldi!... E per due soldi dovreste parlare un po’
+di più!...
+</p>
+
+<p>
+Zibaldino scuoteva il capo da destra a sinistra
+squadrando il cocciuto bifolco; poi si decise
+e parlò chiaro:
+</p>
+
+<p>
+— Be’, già che volete farmi parlare: volete
+proprio saperla tutta?
+</p>
+
+<p>
+— Sì.
+</p>
+
+<p>
+— Allora vi dico che avrete ancora tre giorni
+da campare!
+</p>
+
+<p>
+— Tre giorni.
+</p>
+
+<p>
+— Sì, tre giorni. E ve la dò lunga!...
+</p>
+
+<p>
+Mezzalana si guardò attorno, si calcò la <i>galosa</i>
+fino alle orecchie e mormorò:
+</p>
+
+<p>
+— Basta!... Ho capito!...
+</p>
+
+<p>
+— Vi saluto — fece Zibaldino.
+</p>
+
+<p>
+— Addio — rispose Mezzalana; ma l’empirico
+<span class="pagenum" id="Page_110">[110]</span>
+non era giunto ancora sulla strada che il vecchio
+gli gridò dietro:
+</p>
+
+<p>
+— Avete detto che è il male della lucciola?
+</p>
+
+<p>
+— Sì, della lucciola!
+</p>
+
+<p>
+— E non ci sarebbe qualche erba?
+</p>
+
+<p>
+— Sì, l’<i>erba cagnina</i> che fa bono ai cani!
+</p>
+
+<p>
+— Dite davvero?
+</p>
+
+<p>
+Zibaldino non rispose più. Si avviò per la
+riva del fosso, e camminava forte.
+</p>
+
+<p>
+Mezzaluna corse sulla strada, stette in forse
+un secondo, poi chiamò:
+</p>
+
+<p>
+— O Zibaldinoooo?
+</p>
+
+<p>
+L’altro affrettava il passo dinoccolato, il cappello
+sugli occhi e le mani in tasca.
+</p>
+
+<p>
+— O Zibaldinoooo?... Non mi sentite?...
+</p>
+
+<p>
+Sì! Chi lo sentiva?... Era indispettito. Svoltò
+per la prima viottola e non si vide più. Allora
+Mezzalana si grattò un orecchio e incominciò a
+pensare. Era troppo chiaro che il semplicista si
+era preso giuoco di lui. Forse con tre palanche
+avrebbe parlato un po’ più e si rimproverava di
+non aver arrotondata la grassa mercede. Ma tale
+rimprovero non resse alla sua critica feroce. Tre
+palanche per un chiacchierone che veniva a guardarvi
+negli occhi o a tastarvi il polso? Bisognava
+essere milionari per darsi a spese simili. E negli
+occhi che cosa ci vedeva, la fede di nascita?...
+E a che serviva tastare il polso se egli sentiva
+<span class="pagenum" id="Page_111">[111]</span>
+male dentro, nel <i>cassone</i>, fra il cuore, lo stomaco
+e la milza? Spendere due soldi per sentirsi ripetere
+la bella verità che bisognava morire!...
+Tante grazie! Credeva forse che Mezzalana non
+sapesse.... Però aveva solo settant’anni. Che
+cos’erano settant’anni?... Suo padre era morto a
+ottantasette e suo nonno a novantaquattro. E
+aveva sentito dire dalla buon’anima di sua madre
+che un loro vecchio antico era giunto alla
+bella età di cento e quindici anni. Oh, sì!... Così
+bastava!... Dice: — Era ridotto come un uccellino!...
+Be’, e se era magro, e se mangiava poco
+non era fra i vivi ugualmente?... Perchè il tutto
+sta a non dover andarsene troppo presto; per
+il resto che cosa importa?... Anche se uno non
+si muove più da una sedia, basta veda....
+</p>
+
+<p>
+E qui lo colse un pensiero amaro: e se per
+davvero egli non avesse potuto veder più?... A
+settant’anni! E gli pareva di trovarsi di fronte
+a una smisurata ingiustizia se pensava alla morte
+alla sua età. Si spinse la <i>galosa</i> sulla nuca; si avviò
+per l’aia ciondolon ciondoloni; prese una forca
+appoggiata a un pagliaio e la portò nella capanna.
+Il cane corse ad annusargli le gambe; lo scacciò.
+</p>
+
+<p>
+Una subita incredulità lo invase. Ogni dubbio
+ne fu travolto. Ma che morire!... A dar retta a
+certa gente sì, che si sarebbe morti venti volte
+il giorno. L’ora segnata era nel libro di Dio,
+<span class="pagenum" id="Page_112">[112]</span>
+non poteva conoscerla faccia d’uomo sulla madre
+terra. Il nostro destino era ben al disopra
+dei tetti delle case, in fondo al cielo, e se qualcuno
+fosse potuto andare e ritornare di lassù
+dove corrono le stelle, oh! allora gli si sarebbe
+potuto credere ad occhi chiusi. Ma un chiacchierone
+che sapeva l’arte di comporre qualche
+pillola, dove doveva togliersela la misteriosa
+scienza della vita e della morte? Perchè andava
+pei boschi, la notte?... Perchè dicevano che l’avevan
+veduto parlare coi fantasmi?... Chiacchiere
+che non valevano le sue belle palanche!
+Richiuse la capanna e si avviò al pozzo.
+</p>
+
+<p>
+Era ben vero che non si sentiva bene! Era
+vero, perchè negarlo?... A volte gli sopravvenivano
+certi mancamenti che, se non trovava
+appoggio, andava ruzzoloni per le terre, come
+gli era accaduto varie volte. E la vista gli si
+annebbiava sempre più e non aveva appetito.
+Almeno avesse mangiato!... Fin che si mangia
+si campa. Ma no, niente!... Appena qualche
+boccone e stentato che doveva far fatica ad
+inghiottirlo! Questo era il brutto! Già, perchè
+con lo stomaco non si ragiona e se lo stomaco
+sciopera.... Il male della lucciola?... Uhm?! Non
+l’aveva sentito ricordare mai. Ma che c’entrava
+la lucciola? Non era mica il tempo dei grani ed
+egli non soffriva di nessun fenomeno luminoso!
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_113">[113]</span>
+</p>
+
+<p>
+Forse era un tumore. Già se lo sentiva addosso,
+a porgli mente; si sentiva come una
+cosa rotonda gravitare fra il cuore, lo stomaco
+e la milza, e nè Zibaldino, nè tutti i professori
+della terra potevano saper questo perchè, a voler
+ragionare, il male è di chi lo ha e chi non
+ne soffre non ne può sapere proprio nulla.
+</p>
+
+<p>
+E tale convinzione gli si accrebbe e gli si perfezionò
+per quanto più tempo prese a considerarla.
+Definito il male, pensò al rimedio. Un rimedio
+doveva esservi. La sua ostinata volontà
+di vivere non poteva rassegnarsi all’idea dell’inguaribile;
+così, siccome un poco se ne intendeva
+di semplici, si dette a rimuginare tutte
+le virtù delle erbe e da un angolo occulto della
+sua memoria gli tornò alla mente questo: che
+cioè l’erba <i>piastrella</i> aveva la virtù di sciogliere
+i nodi che si formavano nel corpo degli uomini
+in seguito a cadute o a stregonerie. Ci voleva
+adunque l’erba <i>piastrella</i> la quale non si trovava
+nei campi o lungo i fossi, ma nella pineta lontana.
+Doveva essere raccolta di notte, durante
+l’interlunio perchè non perdesse le sue proprietà.
+In quanto all’interlunio il periodo era
+propizio; in quanto alla notte.... Si grattò un
+orecchio. A questo punto qualcuno scarpicciò
+dietro le sue spalle.
+</p>
+
+<p>
+— Come state, Mezzalana?
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_114">[114]</span>
+</p>
+
+<p>
+Gettò un’occhiata in tralice. Era Pignòla, la
+sua vecchia moglie. Non le rispose.
+</p>
+
+<p>
+Pignòla veniva per l’aia con un paniere.
+</p>
+
+<p>
+— O Mezzalana, non mi date mente?
+</p>
+
+<p>
+Mezzalana volse il viso burbero.
+</p>
+
+<p>
+Quando fu vicina al marito si fermò a guardarlo
+da sotto in su, seria seria, col paniere
+infilato in un braccio, e nel paniere pigolavano
+una ventina di anatroccoli appena sgusciati
+dall’ovo.
+</p>
+
+<p>
+— Che cosa volete?
+</p>
+
+<p>
+— Vi ho domandato come va!
+</p>
+
+<p>
+— Io non lo so! — fece Mezzalana.
+</p>
+
+<p>
+— È venuto Zibaldino?
+</p>
+
+<p>
+— Sì. Non lo avete visto?
+</p>
+
+<p>
+— Non l’ho visto. Be’, che cosa vi ha detto?
+</p>
+
+<p>
+— Che debbo morire!
+</p>
+
+<p>
+— Sarà matto?!
+</p>
+
+<p>
+— È quello che dico io!
+</p>
+
+<p>
+— Non gli darete mica retta?...
+</p>
+
+<p>
+— No, per Dio....
+</p>
+
+<p>
+— Volevo ben dire!...
+</p>
+
+<p>
+E tacquero. Mezzalana si guardò i piedi; Pignòla
+raccolse i pulcini che tentavano di guizzar
+via dal paniere. Poi Pignòla soggiunse:
+</p>
+
+<p>
+— Non sapete neppure la razza del male?
+</p>
+
+<p>
+E Mezzalana:
+</p>
+
+<p>
+— È una razza cane!
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_115">[115]</span>
+</p>
+
+<p>
+Pignòla scosse la testa:
+</p>
+
+<p>
+— Questo sì!
+</p>
+
+<p>
+Passò una pausa.
+</p>
+
+<p>
+— E sapete che cosa ha avuto core di rispondermi
+quando gli ho domandato un rimedio?
+</p>
+
+<p>
+— Che cosa ancora?
+</p>
+
+<p>
+— Mi ha risposto che la medicina era la cassa!
+</p>
+
+<p>
+— Dite sul serio?
+</p>
+
+<p>
+— Non vedessi più la faccia de’ miei figli!
+</p>
+
+<p>
+Pignòla aggrottò le ciglia e scagliò la sua
+maledizione:
+</p>
+
+<p>
+— Facesse Iddio che toccasse a lui!...
+</p>
+
+<p>
+E, lanciato che ebbe l’anatema, si dette a rincorrere
+gli anatroccoli che erano guizzati fuor
+dal paniere e scorrazzavano per l’aia.
+</p>
+
+<p>
+Mezzalana l’aiutò. Quand’ebbero compita l’opera,
+Mezzalana disse:
+</p>
+
+<p>
+— Sapete che male è?
+</p>
+
+<p>
+— No.
+</p>
+
+<p>
+— È un tumore!
+</p>
+
+<p>
+— Ne siete sicuro?
+</p>
+
+<p>
+— Sì. E ci vuole l’erba <i>piastrella!</i>
+</p>
+
+<p>
+— L’erba <i>piastrella?</i>... Che cos’è?
+</p>
+
+<p>
+— Come, non la conoscete?... Non sapete
+se faccia bene?...
+</p>
+
+<p>
+— Io no....
+</p>
+
+<p>
+Allora Mezzalana guardò la moglie di sbieco
+e brontolò:
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_116">[116]</span>
+</p>
+
+<p>
+— Già l’ho sempre detto che siete un’ignorante!...
+</p>
+
+<p>
+La Pignòla non ribattè, era abituata agli sgarbi
+del suo signore e padrone, nè si riteneva degna
+di un trattamento diverso. Quand’era ancora
+giovine erano state famose bastonature ch’ella
+aveva inscritto nel capitolo dell’amore e della
+gelosia e che l’avevan fatta orgogliosa del suo
+uomo di fronte alle compagne; da vecchia il
+bastone aveva ceduto l’impero alle violenze
+ed ella prendeva queste come quelle, con l’intima
+fierezza di una donna che si sente amata.
+</p>
+
+<p>
+Senza scomporsi adunque, e per nulla offesa
+tirò di lungo, entrò nella capanna e scomparve.
+</p>
+
+<p>
+Come Mezzalana fu solo, raccattò uno stecco
+che vide in mezzo all’aia, lo portò nella catasta
+delle legna perchè nulla doveva andare disperso,
+poi si fermò, la testa bassa, tutto assorto
+in un pensiero.
+</p>
+
+<p>
+Così ristette alquanto e, quando si riscosse,
+la sua decisione era presa.
+</p>
+
+<p>
+Egli stesso sarebbe andato in pineta, durante
+la notte; avrebbe raccolta l’erba che conosceva
+e sarebbe ritornato innanzi l’alba.
+</p>
+
+<p>
+A compire il viaggio gli bastava il suo ciuco.
+Nessuno doveva saper nulla della decisione
+presa, neppure la Pignòla.
+</p>
+
+<p>
+Però, siccome un certo dubbio gli rimaneva
+<span class="pagenum" id="Page_117">[117]</span>
+in fondo all’anima e capiva di mettersi in un
+grave rischio, chè il viaggio non era corto, e
+poteva coglierlo un malore lungo la strada,
+decise che, prima di partire, avrebbe preso le
+sue precauzioni. E tali precauzioni erano d’indole
+affatto particolare. Entrato nel nuovo ordine
+di idee si affrettò verso la casipola, entrò
+nella stanza terrena e gridò a Pignòla che era
+curva su gli alari:
+</p>
+
+<p>
+— Questa sera si deve cenar presto!... Spicciatevi!
+</p>
+
+<p>
+— Devo cuocere la minestra? — domandò
+Pignòla rivolgendo la faccia.
+</p>
+
+<p>
+— Sì, cuocete!
+</p>
+
+<p>
+— E i ragazzi?
+</p>
+
+<p>
+— Fatevi alla siepe e chiamateli. Sono nel
+campo?
+</p>
+
+<p>
+— Sì.
+</p>
+
+<p>
+La Pignòla andò e tornò, presta come la lepre.
+Aggiunse legna al fuoco e una grembiulata
+di canàpuli, accese la lampada, andò ad
+attingere il vino nel boccale, cosse la minestra.
+</p>
+
+<p>
+I figli e le figlie di Mezzalana entrarono senza
+pronunciar parola e sedettero sulle panche disposte
+ai due lati della tavola.
+</p>
+
+<p>
+La Pignòla si spicciò, la minestra fu servita.
+Mezzalana non toccò cibo, ma nessuno gli pose
+mente se non fu la vecchia Pignòla. Questa
+<span class="pagenum" id="Page_118">[118]</span>
+che, dopo essersi pienata la sua verde scodella,
+preso il nero cucchiaio di legno, si era seduta
+sopra un sacco di farina, in disparte, a consumare
+il suo pasto, guardava a quando a quando
+il marito e mangiava di mala voglia. Poi non
+potè resistere e disse:
+</p>
+
+<p>
+— Mezzalana, non avete fame?
+</p>
+
+<p>
+Il vecchio non rispose. E la donna:
+</p>
+
+<p>
+— Non fate bene a star sempre digiuno!
+Vi guasterete la salute!
+</p>
+
+<p>
+Mezzalana grugnì in sì malo modo che la
+vecchia Pignòla abbassò l’insolcata faccia su
+la scodella e non parlò più.
+</p>
+
+<p>
+Compìto che fu il pasto, tutti salirono al piano
+superiore e Mezzalana rimase solo; allora, come
+udì spengersi a mano a mano ogni fruscìo, si
+tolse le scarpe, staccò la lampada appesa sotto
+una trave e andò ad assicurarsi che tutte le
+porte fossero ben chiuse. Si fece poi alle scale
+e stette in ascolto. La sua gente dormiva affranta
+dalla stanchezza. Ciò piacque al vecchio,
+il quale si guardò attorno ancóra, chè lo teneva
+l’eterno sospetto di essere spiato. Stava
+per compire qualcosa di sacro, qualcosa che
+gli era come un misterioso rito verso il suo
+Dio sonante. E per tale rito al quale, dai lontani
+tempi della sua immemorabile giovinezza,
+egli si era tenacemente votato, dormiva solo, in
+<span class="pagenum" id="Page_119">[119]</span>
+uno stambugio attiguo alla cucina e nessuno vi
+entrava se non Pignòla, rarissimamente, quando
+il consorte suo non poteva levarsi dal letto.
+</p>
+
+<p>
+Entrato che fu nel <i>Sancta sanctorum</i>, tirò il
+catenaccio, posò la lampada sopra una sedia
+e, presa una piccola scala a piuoli, l’appoggiò
+ad una trave e vi salì. Nel corpo di detta trave,
+per mezzo di certi suoi nuovi congegni, egli
+aveva aperto un rifugio capace di contenere
+comodamente le cose che voleva riporvi; e
+tale rifugio era sì ben chiuso che, dal basso,
+nessuno avrebbe potuto sospettarne l’esistenza.
+Vi salì adunque, ne tolse la chiusura, l’ispezionò
+e come fu sicuro dell’affar suo, vi depose
+la sacra mercanzia ch’egli aveva presa
+antecedentemente da un ripostiglio praticato
+nel muro, dietro l’arca. Compìta ch’ebbe la
+faccenda, ridiscese, portò la scala altrove, uscì
+su l’aia a specular la notte. Era sereno. Tempo
+calmo. Il Carro saliva nello spazio verso i
+sommi cieli, con le sue sette stelle. Allora,
+trasse dalla stalla <i>Simone</i>, l’attaccò alla carretta
+e se ne andarono per le strade silenziose
+verso la pineta marina.
+</p>
+
+<p>
+E l’alba non ancóra era per nascere quando
+Mezzalana e <i>Simone</i> ritornavano con l’erba
+<i>piastrella</i>. Ma se <i>Simone</i> era tranquillo circa
+la sua sorte, altrettanto non lo era Mezzalana,
+<span class="pagenum" id="Page_120">[120]</span>
+chè sentiva il suo male crescergli dentro a
+dismisura e arroncigliarlo e morderlo e tormentarlo
+con lena sempre maggiore dilagando dal
+confine suo consueto a tutto il corpo. Il nodo
+maligno, confinato fra lo stomaco, il cuore e
+la milza si moltiplicava, tanto che Mezzalana
+aveva ferma fede di sentirlo crescere dentro
+di sè e radicarsi per ogni dove fino alla cima
+delle dita. Epperò un certo sudor freddo gli
+bagnava la fronte e il petto; e il dolore lo toglieva
+di senno.
+</p>
+
+<p>
+Fermarsi no, e correre non poteva. Inoltre
+l’austera indifferenza di <i>Simone</i> tanto lo inaspriva
+che, nelle rare tregue alla sua sofferenza
+si vendicava con certe gigantesche legnate le
+quali avrebbero atterrato un toro, non che un
+ciuco. <i>Simone</i> si limitava a ritrarre un poco
+la parte offesa, che era quella dove la coda
+s’impianta, e tirava di lungo senza commozione
+nessuna, come se l’ossa sue e le carni fossero
+del più saldo metallo. Tutt’al più levava il muso
+e raggrinziva le froge in quella diabolica risata
+muta che solo gli asini sanno. Comunque fosse,
+la distanza fu superata e Mezzalana giunse alla
+sua casa.
+</p>
+
+<p>
+Già cantavano le capinere e il cielo si tingeva
+di rosa. Le finestre erano chiuse tuttavia.
+La sua gente dormiva. Bene: tutto era riuscito
+<span class="pagenum" id="Page_121">[121]</span>
+secondo il suo piano; ma il più gran male sorse
+quando egli tentò di scendere dalla carretta
+nella quale si era disteso fra l’erba <i>piastrella</i>.
+Non vi riuscì. Solo che avesse tentato di sollevarsi
+gli sopravveniva tale spasimo da togliergli
+la luce. Frattanto <i>Simone</i>, che non si
+sentiva più dominato dal morso, se ne andava
+per l’aia a suo piacimento e avrebbe senz’altro
+rovesciata la carretta e Mezzalana nella buca
+del letame, se il vecchio egoista non si fosse
+dato a gridare:
+</p>
+
+<p>
+— Pignòla?... O Pignòla?...
+</p>
+
+<p>
+E appena aveva levata la voce angosciata
+dal male che una finestra si aprì e fra un vaso
+di basilico e un geranio fiorito apparve la scarmigliata
+testa della donna.
+</p>
+
+<p>
+Si guardò intorno, domandò:
+</p>
+
+<p>
+— Che cos’è?
+</p>
+
+<p>
+— Vieni!... — urlò il sofferente.
+</p>
+
+<p>
+— Siete voi, Mezzalana?...
+</p>
+
+<p>
+Il vecchio le rispose con un’imprecazione
+classica tanto che Pignòla, di un sùbito ridesta,
+si tolse dalla finestra, chiamò i figliuoli e corse
+nell’aia.
+</p>
+
+<p>
+Dopo Pignòla giunse Stecco, il figlio maggiore,
+e Mezzalana fu preso e portato nel suo
+stambugio ad attendervi l’ora dell’ultima passeggiata.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_122">[122]</span>
+</p>
+
+<p>
+Tornò Zibaldino; giunsero le attinenti vestite
+di nero; i figliuoli e le figliuole non andarono
+ai campi.
+</p>
+
+<p>
+Zibaldino disse:
+</p>
+
+<p>
+— Chiamate il prete. Tira lo sgambetto!...
+</p>
+
+<p>
+E, fra quanti erano nella camera, solamente
+una donna incominciò a piangere e fu Pignòla.
+Si tirò la pezzola su gli occhi e si perse, non
+seppe più far nulla. Ella soffriva davvero perchè
+si era affezionata al suo aguzzino e le doleva
+di vederlo partire per la dimora vegliata
+da una croce.
+</p>
+
+<p>
+Mezzalana non parlava più. Aveva una gran
+sete, beveva sempre, tanto che Stecco disse:
+</p>
+
+<p>
+— Diventerà una botte!... — E lo guardò
+morire perchè la morte era una cosa nuova
+per lui e gli procurava una certa sensazione
+strana.
+</p>
+
+<p>
+Giunsero altre attinenti abbrunate; ne fu
+piena la camera e la cucina, tantochè quando
+il prete fu sulla porta dovette farsi largo per
+entrare.
+</p>
+
+<p>
+Mezzalana fu unto, ma non se ne addiede e
+il prete ripartì senza avergli tratto una sola
+parola di bocca. Non che il morituro fosse
+fuori di senno, ma non parlava, non badava a
+nessuno, gli occhi fissi al soffitto e le mani
+conserte sul petto.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_123">[123]</span>
+</p>
+
+<p>
+Solo ad un punto, quando già la sera stava
+per ritornare, le donne che gli eran vicine,
+l’udiron mormorare:
+</p>
+
+<p>
+— Li vedo.... li vedo!...
+</p>
+
+<p>
+E volsero gli occhi intorno e si guardarono
+stupite. La Pignòla si fece innanzi, stranita:
+</p>
+
+<p>
+— Ha parlato?
+</p>
+
+<p>
+— Sì.
+</p>
+
+<p>
+— Che cosa ha detto?
+</p>
+
+<p>
+— Ha detto che li vede!
+</p>
+
+<p>
+— Li vede?...
+</p>
+
+<p>
+E un terrore superstizioso invase le donne
+che guardaron per l’aria e temettero di vedere
+a loro volta una paurosa apparizione.
+</p>
+
+<p>
+Da quel punto Mezzalana incominciò ad agonizzare;
+ma ebbe un’agonia gaia, senza scosse,
+senza grida o stravolgimenti, senza orrori. Se
+ne andava per il suo destino, come una stella
+in fondo ai cieli e pareva fosse contento. Il
+suo viso si illuminava sempre più, si componeva
+in una pace gaudiosa come se la morte
+gli parlasse dentro con parole amorose, narrandogli
+di un riposo eterno in un paese sonante
+di un infinito tintinnìo metallico.
+</p>
+
+<p>
+Non erano, le stelle, sì grandi quanto uno
+scudo d’argento?... E bene erano di argento e
+d’oro le belle monete di Dio!... D’argento e d’oro....
+cosparse per l’immensa contrada dove
+<span class="pagenum" id="Page_124">[124]</span>
+non è neve, o pioggia, o solleone: ma solo
+l’Eterno Patriarca, e gli uomini che non hanno
+peccato, e le inutili vergini, e i poppanti, e i
+santi impolverati, e gli uccelli!... Forse la morte
+gli additava la contrada celeste e la fiumana
+sonante perchè Mezzalana più si accostava al
+valico e più sorrideva. E come fino a quel punto
+non aveva parlato, incominciò a parlare e le
+donne lo ascoltarono abbrividendo perchè esse
+vedevano la morte ben diversamente.
+</p>
+
+<p>
+Mezzalana adunque non tolse più gli occhi
+dal soffitto o, con maggior precisione, dalla
+trave nella quale era richiamato il suo cuore
+e, come l’aria veniva a mancargli sempre più,
+incominciò da prima a borbottare, sì che nessuno
+intese ciò che diceva, poi scandì le parole.
+</p>
+
+<p>
+— Io li vedo.... nessuno li vede!... Sono là....
+là.... bianchi.... gialli.... neri!... Duemila, quattromila!... — E
+una grande luce gli si distendeva
+sul volto. — Quattromila.... diecimila.... die....
+ci.... mi.... la!...
+</p>
+
+<p>
+Le donne si portavano le mani alla faccia;
+gli uomini si stringevano alle pareti e il panico
+superstizioso cresceva.
+</p>
+
+<p>
+— Nessuno li vedrà.... nessuno li toccherà!...
+</p>
+
+<p>
+Allora una donna piccina, ossuta, che più
+tremava di sacro orrore, levò la faccia rigata
+di lacrime e gridò:
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_125">[125]</span>
+</p>
+
+<p>
+— Vede gli angeli!...
+</p>
+
+<p>
+Quel grido si ripercosse in tutti i cuori e ne
+trasse un’emozione violenta. Di un sùbito tutti
+furono convinti della stessa verità e si inginocchiarono
+e nascosero la faccia. E la piccola
+donna gridò:
+</p>
+
+<p>
+— Muore come un santo!... Ha la grazia del
+Signore!... È un santo!...
+</p>
+
+<p>
+Le lugubri prefiche ripeterono:
+</p>
+
+<p>
+— È un santo!...
+</p>
+
+<p>
+E tutti piansero, toltone i figli di Mezzalana,
+che non credettero a niente perchè ricordavano
+troppo bene la vita, le prepotenze, le angherie
+e la sordida avarizia del padre. Ma Pignòla
+era fra le più convinte; Pignòla piangeva e
+perdonava tutto perchè aveva amato.
+</p>
+
+<p>
+E Mezzalana morì mormorando:
+</p>
+
+<p>
+— Li vedo!... Li vedo!...
+</p>
+
+<p>
+Era notte quando se ne andò dal mondo,
+tantochè le ammantate, che rimasero a pregare
+presso la salma di lui, videro in realtà un
+grande chiarore nella notte e gli angeli che
+portavano in cielo l’anima di San Mezzalana.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_126">[126]</span>
+</p>
+
+<p class="ast">❦</p>
+
+<p>
+Ora, quando il vecchio non fu più nel suo
+stambugio, i figli suoi gettarono all’aria tutto
+e cercarono e frugarono senza trovar neppure
+un centesimo. E la voce corse per il contado:
+</p>
+
+<p>
+— È morto e non ha lasciato niente!... È
+una famiglia alla miseria!...
+</p>
+
+<p>
+Qualcuno susurrò ch’egli avesse dotato del
+suo un convento delle montagne.
+</p>
+
+<p>
+Comunque fosse, anche Pignòla morì e i figliuoli
+vendettero la casa e si dispersero per
+il mondo. Dieci anni dopo, quando al fatto non
+si pensava più, volendo il nuovo proprietario
+della casa ampliarla, cominciò con l’abbatterne
+una parte e un giorno, in cui i muratori erano
+intenti a far discendere una trave dalle mura
+disfatte, avvenne un prodigio: questa trave si
+aperse e lasciò cadere un rivolo; una pioggia
+di monete d’oro e d’argento.
+</p>
+
+<p>
+Furono conte: erano diecimila lire, quelle
+stesse che il vecchio avaro aveva nascoste lassù
+prima di andarsene a raccogliere l’erba <i>piastrella</i>
+e che avevano illuminata la morte di lui.
+</p>
+
+<p>
+Ma il fatto non fu risaputo che da pochi; e
+ancóra si parlò per le veglie della santa morte
+di San Mezzalana, mentre i figli di lui andavano
+poveri e raminghi per le vie della terra.
+</p>
+
+<div class="chapter">
+<p><span class="pagenum" id="Page_127">[127]</span></p>
+
+<h2 id="eredita">L’EREDITÀ.</h2>
+</div>
+
+<p>
+Il grande niveo armento riprendeva le vie
+della campagna, chè già era prossimo il mezzodì
+e fin dall’alba soave si era accolto nel
+campo alberato giungendo e dalle foci remote
+e dai colli inghirlandati di mandorli.
+</p>
+
+<p>
+Ora l’inegual tocco dei campani, il grido dei
+biolchi, il fondo muggito dei bovi si disperdeva
+lungo le vie maestre e le viottole; si allontanava
+verso i chiusi e le stalle prossime
+e remote, dal mare alla montagna. E non restavano,
+nel campo alberato, se non i ritardatari,
+i mercanti, coloro che attendevano a riscuotere
+o a pagare, e qualche disperso che
+era giunto senza saper che volere e così se
+ne tornava maledicendo, curvo su le pediche
+innumerevoli dei trascorsi.
+</p>
+
+<p>
+Non per anco dalle rogge torri e dai campanili
+sereni era disceso lo stormo delle campane
+<span class="pagenum" id="Page_128">[128]</span>
+del meriggio; nè dalle piazze della bianca
+città si era levato il volo delle colombe al consueto
+richiamo; ma presso era il punto dell’ora
+che divide il giorno fra i due crepuscoli
+e i bifolchi cercavano, nel cammino dell’ombra e
+nell’arco solare, il tempo alla sosta ed al sonno.
+</p>
+
+<p>
+Già le osterie intorno al mercato rigurgitavano
+di genti, di grida e dell’acciottolìo che
+riempie quei luoghi quando la fame degli uomini
+impera; già chi non aveva se non il suo
+pane nei tasconi della cacciatora, lo traeva e
+lo addentava in pace, seduto ad un’ombra, in
+disparte, e molti si affrettavano, accesi dal caldo
+e dal vino, verso gli stallatici rigurgitanti a
+riprender la brenna o il ciuco e a partir sotto
+il sole per le remote case.
+</p>
+
+<p>
+Non uno era solo sul proprio barroccino o
+sul calesse dal mantice stinto, chè lo attendeva
+per la via una comare, un capoccio, un amico,
+un conoscente a domandargli ospitalità al suo
+fianco e le brenne arrancavano malinconiche.
+</p>
+
+<p>
+Scarse eran le ombre, violentissimo il sole,
+accecante il bagliore delle strade, i nembi della
+polvere, densi come la nube turbinosa.
+</p>
+
+<p>
+E sempre suonavan campani, muggivano buoi,
+gridavano e sibilavano biolchi astati, dietro le
+disciolte mandre dei vitelli, i quali, impauriti
+da un nulla, si sbandavano e invadevano i campi
+<span class="pagenum" id="Page_129">[129]</span>
+e le vigne e le maggesi in una scalpitante scorribanda
+tempestosa.
+</p>
+
+<p>
+Uomini e fanciulli e cani si lanciavano all’inseguimento
+mentre, ubbidienti alla mano di
+un bimbo, reggente la corda della nasaiola, i
+giganteschi buoi seguivano le prode dei fossi
+ponendo nel sole l’acceso bagliore dei loro
+fiocchi vermigli.
+</p>
+
+<p>
+La fiumana si disperdeva; morivano i suoni
+lontanando nell’afa meridiana; il niveo armento
+disceso con l’alba alle soglie della bianca città
+ricinta da floridi orti, ritornava verso le foci
+silenziose e verso le vigne degli armoniosi
+colli. Il campo del mercato era quasi deserto,
+ma ancora vi si trattenevano i mercanti, e i
+capocci, e i sensali.
+</p>
+
+<p>
+Eran conclusi gli ultimi patti, risolti i più tardi
+dubbi fra un intermesso scrosciar di bestemmie
+e un vociare e un tendersi di mani avvinte
+e squassate dalla furia dei sensali e tanto più
+s’incaniva la baraonda quanto più era presso
+il termine del mercato: ma padron Cecco rideva.
+La sua rotonda faccia gioviale non era
+punto commossa dall’impeto di coloro che gli
+si stringevano intorno nel passionato desiderio
+di concludere l’affare col re del mercato; le
+parole, le promesse, le esaltazioni, le grida, non
+turbavano la sua sorridente impassibilità. Ascoltava
+<span class="pagenum" id="Page_130">[130]</span>
+tranquillo, lasciava che i venditori e i
+sensali si sopraffacessero nella iperbolica esaltazione
+della merce, non troncava mai a mezzo
+un discorso, non discuteva; solo, quando si era
+al concludere, ripeteva l’offerta fatta fin dal
+principio:
+</p>
+
+<p>
+— Quaranta marenghi!
+</p>
+
+<p>
+— Ma, Dio mi faccia morire, se Paolino della
+Tuda non me ne ha offerti quarantacinque!...
+</p>
+
+<p>
+E padron Cecco:
+</p>
+
+<p>
+— Dovevate darglieli!
+</p>
+
+<p>
+— Un paio di buoi che porterebbero via una
+casa!
+</p>
+
+<p>
+E un sensale:
+</p>
+
+<p>
+— Padron Cecco, quarantadue marenghi e
+non se ne parli più!... Qua la mano!
+</p>
+
+<p>
+Cecco dall’Orto rideva.
+</p>
+
+<p>
+— Allora dite che non volete farne nulla!...
+</p>
+
+<p>
+E il venditore ai sensali:
+</p>
+
+<p>
+— Dio mi faccia perder la vista e ch’io non
+veda più i miei figliuoli se non mi offrivan di
+più questa mattina!... Due buoi senza difetto!...
+Grassi che sembran da macello!
+</p>
+
+<p>
+— Qua la mano, padron Cecco; quarantadue
+marenghi e pace è fatta!
+</p>
+
+<p>
+— Quaranta marenghi!
+</p>
+
+<p>
+La disputa si accendeva, traviava in qualche
+velata insolenza, ma Cecco dall’Orto non perdeva
+<span class="pagenum" id="Page_131">[131]</span>
+contegno e misura essendo convinto che,
+per l’offerta avanzata, gli avrebber condotte le
+bestie fino alla sua stalla lontana.
+</p>
+
+<p>
+Così avvenne. Il patto fu conchiuso e fu versata
+una parte del prezzo.
+</p>
+
+<p>
+La gente sapeva, d’altra parte, che se Ceccone
+dall’Orto, il mercante milionario, aveva
+stimato che un par di buoi non valesse più
+che tanto, non sarebbe stato possibile elevarne
+il valore perchè il parere di Ceccone imperava
+per tutti i mercati della grassa terra fruttifera.
+</p>
+
+<p>
+Ed anche gli ultimi preser la via del ritorno.
+Non rimaneva, fra la scarsa ombra degli alberi,
+allineati attorno attorno al campo, se non qualche
+miserrimo ciuco che fiutava la polvere. I
+bifolchi e i sensali si sbandarono. Padron Cecco
+s’avviò solo verso lo stallatico a riprender la
+cavalla e già stava per uscire su la via quando
+si vide alle terga una donna in gramaglie che lo
+seguiva. Si rivolse mediocremente incuriosito.
+La donna si fermò e fece per calarsi la pezzuola
+su gli occhi, ma Ceccone disse ridendo:
+</p>
+
+<p>
+— Oh! La Gilda!...
+</p>
+
+<p>
+La donna levò gli occhi torvi su la rotonda
+faccia gioviale del mercante e non parlò.
+</p>
+
+<p>
+E padron Cecco:
+</p>
+
+<p>
+— Mi cercavi?... Sei a piedi?... Vuoi salire
+con me sul barroccino?...
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_132">[132]</span>
+</p>
+
+<p>
+— No, non voglio!
+</p>
+
+<p>
+— Be’!... E allora?...
+</p>
+
+<p>
+— Allora, sempre così!... — gridò la donna.
+</p>
+
+<p>
+— Sempre così.... sempre così!...
+</p>
+
+<p>
+E gli occhi di lei, accesi di sdegno, dopo
+aver squadrato una seconda volta il giocondo
+colosso, si rivolsero altrove; ed ella prese una
+strada diversa e si allontanò rapidamente.
+</p>
+
+<p>
+Padron Cecco sorrise e, abbassata un poco
+la testa, appoggiandosi a quando a quando sul
+suo rozzo bastone da fattore, si avviò allo stallatico.
+Quivi trovò gli amici mercanti e, come
+era consuetudine sua, chè avrebbe preferito
+digiunare anzichè mangiar solo, li convitò alla
+sua mensa.
+</p>
+
+<p>
+Partirono al trotto serrato dei cavalli iniziando
+ben presto la gara fra i singoli corsieri;
+tutti affannati, impolverati, sudanti; ebbri dei
+buoni guadagni e del caldo e dell’amore delle
+facili femmine lascive, sempre soggette e dimesse,
+come i nivei bovi al curvo giogo di
+salice.
+</p>
+
+<p class="ast">❦</p>
+
+<p>
+Così la vita a Ceccone dall’Orto, l’astuto bifolco
+alunno della fortuna. Egli era cresciuto
+in ricchezza e in gagliardia da quando, abbandonato
+l’aratro fra le maggiatiche, lasciate le costumanze
+<span class="pagenum" id="Page_133">[133]</span>
+degli avoli, e l’antico podere, troppo violentato
+dall’adunco vomere perchè potesse dare
+buon frutto, si era dato a bazzicare pei mercati
+e a intessere i suoi primi imbrogli ben riusciti.
+</p>
+
+<p>
+Allora non aveva che la sua giocondità, un
+discreto acume per gli affari ed una furberia
+malandrina. Aveva anche l’arte di piacere agli
+uomini benchè gli fossero tutti ugualmente indifferenti.
+La fortuna lo adocchiò. In quel tempo
+egli poteva giuocare tutto per tutto; la prigione
+non lo spaventava nè l’opinione che i suoi simili
+potevano farsi sul conto di lui. Sapeva che
+il danaro rinnova le coscienze stinte e che la
+gente indignata non rivolge il proprio furore
+là dove l’oro ristagna e la sua giocondità non
+si oscurò per un attimo solo. Tentò un colpo
+canaglia. Gli riuscì. Mandò all’aria una famiglia
+di onesti sciagurati e da un giorno all’altro si
+trovò possessore di trentacinquemila lire. Aveva
+ciò che gli abbisognava per dare alla propria
+attività il largo campo necessario.
+</p>
+
+<p>
+Da quel tempo gli scrupoli suoi furono anche
+minori, se ciò era possibile, e siccome natura
+lo aveva fatto di solida tempra ed egli poteva
+tranquillamente non dormir le notti, mangiare
+poco e a furia, resistere per giorni e settimane,
+alla baraonda dei mercati senza risentirne stanchezza,
+non si risparmiò. Volle da se stesso
+<span class="pagenum" id="Page_134">[134]</span>
+il massimo sforzo per il maggior risultato e
+l’ottenne. In pochi anni la sua fortuna decuplicò
+e siccome il denaro, fra le sue mani, ad
+altro non serviva se non ad accrescersi di continuo,
+Ceccone dall’Orto si trovò a possedere,
+su la sua cinquantina, quattro milioni e mezzo.
+Ma il patrimonio accumulato non gli fece mutar
+gusti nè abitudini; egli rimase il rozzo bifolco
+che era il giorno in cui aveva gettato la marra
+e abbandonata la famiglia per seguire il suo
+destino dissimile. Come non mutò la foggia del
+vestire e la casa e sempre fu contento della
+sua cacciatora di <i>mezzalana</i> e del suo stambugio
+disadorno fra i campi, così i desideri
+suoi non si accrebbero per altre vie. Gli era
+gioia spadroneggiare pei mercati, far ribotta
+quanto più sovente poteva, cambiare le sue
+grosse amiche gioconde che non conoscevan
+sospiri. Non aveva famiglia. Gli eran compagni,
+nella casa solitaria, due garzoni e una cuoca.
+La stalla e la cucina erano le sue sale.
+</p>
+
+<p>
+Ottuso ad ogni sentimento, di qualsiasi natura
+esso fosse, non aveva provato mai commozione
+nessuna nè per sè nè verso i suoi simili.
+Amava la sincerità brutale; le cose che
+hanno un volto e una parola cruda. Pel resto
+la sua nativa diffidenza di bifolco e di mercante
+si esplicava nel suo immutabile riso.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_135">[135]</span>
+</p>
+
+<p>
+Assediato dai suoi parenti, che il suo patrimonio
+cospicuo faceva delirare, Cecco dall’Orto
+rideva; perseguitato da ogni sorta di gente,
+losca nella sua umile devozione, non ne era
+vinto. Nessuno mai aveva avuto da lui un solo
+scudo. Ceccon dall’Orto rideva.
+</p>
+
+<p>
+Tale era il re delle sonanti adunate, l’astuto
+bifolco squadrato a gagliardia; gran mangiatore
+e grande amatore al cospetto dei compagni
+suoi bercianti che sempre gli erano da
+presso.
+</p>
+
+<p>
+Ora egli non pensava alla morte più che non
+pensasse a impoverire e benchè i parenti suoi
+innumerevoli sempre gli stesser d’intorno, quasi
+a ricordargli la fragilità della sua materia, non
+eran riusciti tuttavia a far sì che padron Cecco
+testasse. Egli sapeva che le sue amiche e le
+genti alle quali dimostrava qualche simpatia
+erano osservate, circuite, minacciate chè, nel
+novero dei suoi parenti, v’era qualcuno del suo
+conio, pronto a qualsiasi prova pur di riuscire
+dove mirava; sapeva che ogni sua parola detta
+era vagliata e soppesata, che ogni ora della
+sua vita era a conoscenza de’ suoi devotissimi
+aguzzini, che non poteva far cosa che non fosse
+risaputa e tutto questo in attesa della sua bene
+augurata morte; ma non mutava volto nè anima,
+nè la giocondità di lui era per annebbiarsi menomamente.
+<span class="pagenum" id="Page_136">[136]</span>
+Anzi il giuoco lo divertiva. E se
+qualcuno fra i più arditi gli faceva osservare
+talvolta che un uomo dell’età sua avrebbe dovuto
+pensare a disporre de’ suoi beni, rispondeva
+ridendo:
+</p>
+
+<p>
+— Fra tutti voi, davanti alla morte, io mi
+chiamo Ultimo!
+</p>
+
+<p>
+Ora quel giorno, dopo aver fatto ribotta con i
+mercanti amici suoi, se ne stava seduto, verso sera,
+innanzi alla tavola apparecchiata attendendo che
+Carlotta ritornasse dall’orto e gli apprestasse la
+cena, quando udì qualcuno che si rimuoveva sotto
+il portico. Non vi pose mente. La porta era spalancata,
+ma padron Cecco non levò gli occhi a
+guardare. Pensava ad un suo nuovo raggiro.
+Così non badò a chi entrava nella cucina e solo
+alzò il capo quando udì la voce di Carlotta dire:
+</p>
+
+<p>
+— Oh!... Come mai vi si vede, Gilda!...
+</p>
+
+<p>
+Allora guardò dall’altro lato della tavola e
+si trovò innanzi la donna che l’aveva seguito
+furtivamente quando ritornava dal mercato. Vestiva
+sempre il lutto, aveva la pezzuola nera
+sul capo e gli occhi suoi grandi fiammeggiavano
+di sdegno.
+</p>
+
+<p>
+La Gilda non rispose a Carlotta. Guardava
+Ceccone dall’Orto, fissamente.
+</p>
+
+<p>
+Questi non si scompose, la sua faccia gioviale
+non ebbe un sol guizzo. Disse in tono placido:
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_137">[137]</span>
+</p>
+
+<p>
+— Sei venuta a farmi compagnia, Gilda?
+</p>
+
+<p>
+La Gilda, senza mutar volto, come fosse irrigidita,
+mormorò:
+</p>
+
+<p>
+— Imbroglione!...
+</p>
+
+<p>
+Allora Ceccon dall’Orto si rivolse a Carlotta
+che si scandalizzava e riprese:
+</p>
+
+<p>
+— La Gilda non si sente bene, forse! Hai
+fatto il brodo questa sera?
+</p>
+
+<p>
+— Sì, padrone!
+</p>
+
+<p>
+— Be’, apparecchia per due.
+</p>
+
+<p>
+E siccome padron Cecco non disse altro, ogni
+conversare finì. Rimasero di fronte e l’una pareva
+volesse distruggere l’altro solo col fiammeggiare
+degli occhi suoi fissi. Aveva puntato
+i cubiti su la tavola e si stringeva la faccia fra
+le palme.
+</p>
+
+<p>
+Padron Cecco riprese l’ordine de’ suoi pensieri
+e nulla perse della sua tranquillità giuliva;
+ma quando Carlotta si fece alla tavola con una
+scodella e la pose innanzi alla Gilda, questa si
+levò di scatto, scaraventò l’arnese in mezzo
+alla stanza e riprese la via dell’uscio.
+</p>
+
+<p>
+Ceccon dall’Orto die’ nel ridere e a Carlotta
+che gli chiese:
+</p>
+
+<p>
+— Ma che ha quell’indemoniata?
+</p>
+
+<p>
+rispose:
+</p>
+
+<p>
+— È un po’ matta, ma fa ridere! È la seconda
+volta che la vedo, oggi!
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_138">[138]</span>
+</p>
+
+<p>
+— Badate, padrone, che è della razza dei
+Giuli!... Badate non faccia uno sproposito!
+</p>
+
+<p>
+— E che dovrebbe fare?
+</p>
+
+<p>
+— Non si sa mai!... Una donna come quella!...
+</p>
+
+<p>
+— Hai paura che mi ammazzi?
+</p>
+
+<p>
+— Io non porrei la mano sul fuoco, sapete!...
+È una donna capace di tutto!
+</p>
+
+<p>
+— Ma no!
+</p>
+
+<p>
+— Per me, fate quel che volete; ma, se fossi
+in voi, terrei gli occhi aperti.
+</p>
+
+<p>
+— E li tengo chiusi, io?
+</p>
+
+<p>
+— Non dico questo. Ma non è prudente lasciarsi
+accostare così da un’indemoniata come quella.
+</p>
+
+<p>
+— Ma credi sia la prima volta? Sarà un anno
+che mi perseguita così; da quando l’ho lasciata!
+Le ho offerto del denaro, non ne vuole! Le
+ho domandato che cosa le abbisognava e neppure
+mi ha risposto. Che cosa devo fare, allora?...
+Vuoi che me la sposi?... Una volta mi
+aspettava o all’osteria o sulla strada; mi capitava
+fra i piedi ogni due ore e si accontentava
+di guardarmi malamente. Ora pare voglia stare
+più comoda, viene in casa; e tu lasciala venire.
+Che vuoi farci?
+</p>
+
+<p>
+— Io la metterei alla porta!
+</p>
+
+<p>
+— Ma no, poveraccia!
+</p>
+
+<p>
+— Non vedete che vuol farvi dispetto?
+</p>
+
+<p>
+— Be’, ti pare che le riesca?
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_139">[139]</span>
+</p>
+
+<p>
+Carlotta si strinse fra le spalle e ritornò ai
+suoi fornelli brontolando:
+</p>
+
+<p>
+— Se se ne accorgono i vostri parenti!
+</p>
+
+<p>
+— Credi non lo sappiano?... No, di quella
+non hanno paura!
+</p>
+
+<p>
+E Ceccon dall’Orto rise, divertito dalla lotta
+che gli si muoveva intorno sorda e continua
+per il possesso dei suoi beni.
+</p>
+
+<p>
+E la Gilda continuò ad apparire, imperturbabile,
+ogni sera, quando padron Cecco era per
+mettersi a cena. Entrava per la porta aperta,
+senza dir parola, senza badare a quelli che potevano
+essere nella cucina, sedeva in faccia al suo
+vecchio amante, puntava i gomiti sulla tavola,
+la faccia fra le palme e così restava mezz’ora
+e più in perfetto silenzio, guardando a sdegno
+padron Cecco. Che fosse tuttavia innamorata
+di Ceccon dall’Orto nessuno credeva, come
+non si credeva che un qualsiasi interesse potesse
+spingerla ad agire in sì strano modo;
+ella ubbidiva unicamente alla sua natura dispettosa,
+al bisogno di riuscire intollerabile a chi
+non si era occupato di lei per tutta la vita e
+le aveva detto addio con la tranquillità con la
+quale si abbandona un indifferente. Nel sottile
+groviglio della sua docile perfidia ella aveva
+cercato e cercava tuttavia la persecuzione più
+sorda, più continua, più implacabile; quella che
+<span class="pagenum" id="Page_140">[140]</span>
+esaurisce ogni pazienza e si termina in aspri
+litigi quando non ceda al peggio.
+</p>
+
+<p>
+La Gilda avrebbe dato metà del suo sangue
+per vedere la faccia di Ceccone travolgersi
+nell’ira brutale; l’anima sua maligna ne avrebbe
+goduto come del più bel trionfo; ma come non
+le riusciva neppure a scomporre per il battito
+di un secondo la tetragona placidità dell’antico
+amante, sempre più si incaniva in se stessa,
+struggendosi dalla bile e pronta ad ogni più
+sorda lotta pur di riuscire al suo còmpito.
+</p>
+
+<p>
+Altro non voleva se non tormentare e l’immutata
+giocondia di padron Cecco la faceva
+tormentata.
+</p>
+
+<p>
+Ora avvenne che, cadendo l’autunno ed essendo
+tempo di grande caccia, Ceccon dall’Orto,
+per imbandire certi suoi germani che aveva uccisi
+nella palude, convitasse ad un festino gargantuesco
+tutti gli amici suoi ed i parenti e
+le donne dei parenti e degli amici. Due cuochi
+giunsero dalla città in aiuto di Carlotta.
+L’ampia cucina brillò per le grandi fiammate
+e sì empì di grassi odori e di un festevole
+vocìo fin dalle prime ore del giorno.
+</p>
+
+<p>
+Si apprestava il banchetto classico romagnolo,
+ponderoso ed interminato, in cui le portate si succedono
+e si moltiplicano, si sovrappongono e si ripetono
+in tale abbondanza da farne sazio un paese.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_141">[141]</span>
+</p>
+
+<p>
+La brigata incominciò a giungere fin dalla
+mattina. Ora era un barroccino, ora un calesse,
+ora un bagherino.
+</p>
+
+<p>
+Ogni nuovo arrivato incominciava a gridare
+fin dalla strada per manifestar la sua gioia e
+la sua fame.
+</p>
+
+<p>
+L’aver fame, molta e bramosa fame, è il complimento
+più grato all’ospite che convita. E
+Ceccone accoglieva gli invitati di su la soglia,
+ridendo e vociando a sua volta, tutto rosso e
+grasso e colossale che pareva lo specchio dell’uomo
+che non sa se non la robustezza del
+proprio stomaco insaziabile come il sepolcro.
+</p>
+
+<p>
+La stalla rigurgitò di cavalli e di ciuchi;
+l’aia fu piena di calessi e di <i>bagher</i>; la casa
+di genti, strillanti come la scimmia e la gazza.
+Le donne si ritraevano in cucina; gli uomini
+si adunavano su l’aia. Erano una coorte. E la
+frase che correva intorno più frequente, a manifestar
+la bramosia del gregge, era:
+</p>
+
+<p>
+— Quando si mangia?
+</p>
+
+<p>
+E ognuno faceva sollecitudine ai cuochi e
+alle donne chè si affrettassero e dessero il
+cenno che allieta colui che si appresta ad ingozzarsi.
+Il cenno fu dato che ancora non era
+il meriggio e l’immensa tavola imbandita fu
+presa d’assalto. L’orgia bacchica incominciò.
+Il sangiovese, l’albana, il pagadebiti, la canina,
+<span class="pagenum" id="Page_142">[142]</span>
+corsero a fiumi giù per le sitibonde gole.
+L’acqua fu bandita come una cosa immonda;
+come la compagna dell’anatra e del luccio e dei
+ridevoli ranocchi. E fra bere e impinzarsi la buona
+gente romagnola si sentì a suo agio. Il cuore
+crebbe a mano a mano che lo stomaco si saziò.
+Tutti si vollero bene e vollero bene alle donne
+e ai cuochi e ai cani e alle galline che razzolavano
+sotto la tavola. La nativa scurrilità si elevò
+di tono. Ogni sporca cosa divertì la brigata, ma
+sopratutto le donne. Chi le diceva più grasse più
+era apprezzato dalla compagnia e le risate succedevano
+alle risate in un assordante baccano.
+E fra tutte risuonava più alta la voce di Ceccon
+dall’Orto. Egli non poteva dir cosa, anche fra le
+più stupide, senza sollevare un clamore di approvazioni
+e di risate, e, se apriva bocca, tutti
+tacevano e si protendevano, rapiti.
+</p>
+
+<p>
+Ma avvenne che, sul più bello di un enorme
+boccone, e il simposio volgeva alla fine, padron
+Cecco stralunasse.
+</p>
+
+<p>
+Dapprima gli ospiti risero, credendo che il
+milionario celiasse; ma quando videro la rotonda
+faccia del mercante, di vermiglia divenir
+paonazza e inturgidirsi nelle vene; e videro
+gli occhi farsi di un subito sanguigni e metà
+viso stravolgersi in una smorfia orrenda, balzarono
+in piedi, ammutoliti.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_143">[143]</span>
+</p>
+
+<p>
+Fu prima una donna che disse piano:
+</p>
+
+<p>
+— Gli è venuto un colpo!...
+</p>
+
+<p>
+Poi l’attimo dello sbalordimento fu superato e
+furono in venti a soccorrerlo. Padron Cecco non
+dava più segno di conoscenza. Gli slacciarono i
+panni, lo portarono al piano superiore, nel suo
+letto, e mentre gli uomini correvano per il medico
+altri andarono per il prete. Tutti lo videro morto.
+Al baccano smodato subentrò un pavido silenzio.
+</p>
+
+<p>
+Ormai si poteva esporre apertamente il proprio
+pensiero, Ceccone dall’Orto non capiva più.
+</p>
+
+<p>
+Ancora fu prima una donna che disse:
+</p>
+
+<p>
+— Bisogna cercare il testamento!
+</p>
+
+<p>
+E un’altra:
+</p>
+
+<p>
+— Non ne ha fatto!
+</p>
+
+<p>
+Un brivido corse fra i muti parenti, torvi
+dinanzi alla morte che poteva carpir loro l’agognata
+fortuna.
+</p>
+
+<p>
+Poi fu come una vandalica intesa e mentre
+il moribondo rantolava nello spasimo della soffocazione,
+l’avida muda si gettò sui canterali,
+sugli armadi, sulle arche, rompendo e devastando
+nell’ansia della suprema ricerca.
+</p>
+
+<p>
+Solo Carlotta singhiozzava muta in un angolo.
+</p>
+
+<p>
+Non fu trovata nè una carta nè un soldo e
+la turbolenta masnada si rivolse a guardare il
+moribondo, obliqua e sinistra. Su tutti quei
+volti non era che il lampo dell’odio.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_144">[144]</span>
+</p>
+
+<p>
+Giunse il medico, intraprese la sua inutile cura.
+</p>
+
+<p>
+Gli fu chiesto:
+</p>
+
+<p>
+— Morirà?
+</p>
+
+<p>
+— Sì.
+</p>
+
+<p>
+— Potrà parlare?
+</p>
+
+<p>
+— Forse sì.
+</p>
+
+<p>
+— Ah!... — Una speranza si fece largo fra
+la tenebra improvvisa.
+</p>
+
+<p>
+Ed anche il prete venne e dietro di lui la
+Gilda vestita di nero. Aveva la pezzuola calata
+su la fronte. Passò muta fra l’indifferenza degli
+astanti, non salutò e non fu salutata. Ristette
+in piedi, vicino al capezzale, le braccia pendule
+e le mani incrociate. Sul volto di lei non era
+se non la sua continua smorfia sdegnosa.
+</p>
+
+<p>
+Ora tutti erano intenti a seguire l’opera del
+medico. Non rifiatavano. Vi fu un punto in cui
+il rantolo di padron Cecco si affievolì e si
+spense. Allora le donne mormorarono:
+</p>
+
+<p>
+— È morto!...
+</p>
+
+<p>
+E già il prete si chinava sul capezzale e dietro
+di lui la Gilda, quando il morituro ebbe una subitanea
+scossa, levò un poco il capo, aperse gli occhi:
+</p>
+
+<p>
+— Parla, parla!... — susurrarono le donne
+protese. — Parla!... Potrà far testamento!
+</p>
+
+<p>
+E tutti si fecero innanzi togliendosi il cappello
+e richinando umilissimamente la faccia.
+Vi fu chi disse:
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_145">[145]</span>
+</p>
+
+<p>
+— Coraggio, Checco!
+</p>
+
+<p>
+Ed altri:
+</p>
+
+<p>
+— È nulla!... Guarirete, coraggio!...
+</p>
+
+<p>
+E i mormorii passavan via col brivido del
+cuore in tumulto.
+</p>
+
+<p>
+Ceccon dall’Orto volse gli occhi intorno, disse:
+</p>
+
+<p>
+— Ho sete!
+</p>
+
+<p>
+Venti mani si protesero all’arida bocca rossigna.
+</p>
+
+<p>
+E Ceccone bevve e tutti lo guardarono assiepandosi
+intorno a lui e attendendo le sue
+parole. Fu un silenzio eterno.
+</p>
+
+<p>
+Padron Cecco richiuse gli occhi, li riaprì,
+fissò ad una ad una le facce degli astanti volgendo
+lentamente il capo. E su tutte le tragiche
+maschere vide la stessa ansia rapinatrice,
+velata di umiltà; su tutte, tranne una. Una
+donna era là con l’anima sua di sempre, col
+suo dispetto nemico, dipinto sul viso pallido.
+Padron Cecco la guardò, disse:
+</p>
+
+<p>
+— La Gilda!...
+</p>
+
+<p>
+E questa, senza scomporsi, senza mutar voce
+nè tono, come tante volte rispose:
+</p>
+
+<p>
+— Crepa, cane!...
+</p>
+
+<p>
+Ceccon dall’Orto tentò un sorriso, ricadde
+spossato sui guanciali; ma poi lo videro muovere
+un braccio come a chiamar qualcuno e
+riaprì gli occhi e fe’ segno che il medico ed
+il prete gli andasser vicini.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_146">[146]</span>
+</p>
+
+<p>
+— Parla, parla!...
+</p>
+
+<p>
+— Fa testamento!... Ha chiamato i testimoni!...
+Fa testamento!...
+</p>
+
+<p>
+Non fu mai ansia più tremenda, forse, neppure
+in chi attendeva dal giudice la morte o la vita.
+</p>
+
+<p>
+Il medico e il prete si chinarono sul morituro.
+</p>
+
+<p>
+— Volete parlare?
+</p>
+
+<p>
+— Sì... ecco... la mia ultima... volontà!...
+</p>
+
+<p>
+I volti erano terrei.
+</p>
+
+<p>
+— Vi ascoltiamo — disse il prete.
+</p>
+
+<p>
+E il medico:
+</p>
+
+<p>
+— Vi ascoltiamo.
+</p>
+
+<p>
+— Io... ho piena coscienza... è vero?
+</p>
+
+<p>
+I testimoni dissero:
+</p>
+
+<p>
+— Sì. Avete perfetta coscienza.
+</p>
+
+<p>
+— Allora... (fra parola e parola pareva passasse
+l’eterno silenzio). Allora... io... in perfetta
+coscienza... voglio e dispongo che... erede
+universale... delle mie sostanze... sia...
+</p>
+
+<p>
+Boccheggiò. Si udirono quattro bestemmie
+favolose.
+</p>
+
+<p>
+Riprese:
+</p>
+
+<p>
+— ... sia... l’unica che non mente... la Gilda...
+Gilda dei Patrizi...
+</p>
+
+<p>
+Ed altro non disse; ma non morì a tempo
+per non udire la sincerità dei delusi scatenarglisi
+contro come a nessun uomo mai, nell’odio
+che impaura ed ammazza.
+</p>
+
+<div class="chapter">
+<p><span class="pagenum" id="Page_147">[147]</span></p>
+
+<h2 id="festa">LA FESTA DEI MIGLIACCI.</h2>
+</div>
+
+<p>
+I tre norcini si rivolsero a padron Serafino,
+chè eran per separarsi, e domandarono:
+</p>
+
+<p>
+— Dunque è per domani?
+</p>
+
+<p>
+— Sì, per domani!
+</p>
+
+<p>
+— A bruzzico?...
+</p>
+
+<p>
+— Ma sicuro!... Ce ne son tre da governare!
+Arrotate gli arnesi.
+</p>
+
+<p>
+— Non temete che son a filo. Allora saremo
+da voi prima di giorno. Fate che tutto sia pronto.
+</p>
+
+<p>
+— Tutto è in ordine. Arrivederci.
+</p>
+
+<p>
+— Non ci pagate da bere?
+</p>
+
+<p>
+— No; chè se vi ubriacate non si lavora.
+</p>
+
+<p>
+— Anzi!... Si lavorerà più sodo!...
+</p>
+
+<p>
+— Berrete domani, chè faremo allegra festa.
+</p>
+
+<p>
+— Bene. Vi salutiamo.
+</p>
+
+<p>
+— Addio.
+</p>
+
+<p>
+Padron Serafino frustò la ronzina e i norcini
+svoltarono per la viottola dei maceri.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_148">[148]</span>
+</p>
+
+<p>
+Il livido decembre si assonnava infreddolito,
+accorciando sempre più le giornate. Si era
+alla vigilia di San Tomè che prende il porco
+per lo pè. L’adagio rispecchiava l’usanza dei
+bisavoli, dei trisavoli; l’antichissima consuetudine
+di sacrificare, nel giorno di San Tommaso,
+gli enormi porci satolli di farina gialla e di
+ghiande. Epperò, nelle case che fiancheggiavano
+la strada, si vedevan, dalle basse finestre senza
+imposte, divampanti fiammate e grandi paiuoli sul
+fuoco e genti in moto a varie opere. Inoltre, nel
+crepuscolo bigio, passava a quando a quando
+l’infernale urlìo delle immonde bestie mangerecce
+le quali, tolte dai catri o dagli stabbioli,
+e trascinate per le orecchie e per la coda verso
+il luogo del sacrifizio, impaurite dal fatto inusitato,
+non potendo altro opporre, tanto strillavano
+da tòrre di senno l’armato norcino che
+le attendeva al varco.
+</p>
+
+<p>
+Su la bassa pianura corsa dalle fiumane, intenebrata
+dalla nebbia, dispoglia da ogni vita vegetale,
+erano quelli gli unici suoni che trascorressero,
+chè già le pievi disperse avevano suonato
+l’ave e le strade, aspre di ghiaie, erano
+deserte. Era la stagione in cui gli uomini più
+vantano i pregi della mensa e ingioiscono e s’ingollano
+e si satollano gridando, fra la tavola e
+il fuoco, negli interminabili conviti; la stagione
+<span class="pagenum" id="Page_149">[149]</span>
+sacra agli stomachi temprati alle eroiche fami
+e ai pasti monumentali. Epperò l’ecatombe dei
+grufolanti quadrupedi si annunziava per un acutissimo
+stridere ripetuto di casa in casa, fin sotto
+l’estremo arco della sera, fin dove la zona delle
+nebbie più si ispessiva fra l’ignuda terra e il
+cinereo cielo.
+</p>
+
+<p>
+Padron Serafino guardava e si encomiava per
+aver resistito agli aspri rabuffi e alle geremiadi
+della moglie sua pallida e scarna come il peccato
+mortale; si encomiava, chè non avrebbe
+capito mai in quale utile fosse per tornargli una
+male intesa economia quando non aveva figliuoli
+a cui pensare, e, se avesse voluto godersi tutto
+il suo, innanzi di morire, questo era ben fatto!
+Ma la Bita, che era il ritratto stesso del digiuno
+e di ogni macerazione, più scendeva negli
+anni e più si incaniva nella febbre del suo
+risparmio, quasi che la vita le fosse diventata
+un malanno e tutto stesse per rovinare nella
+vecchia fattoria dei Conti. A darle retta si sarebbe
+mangiato sul pugno, una volta al giorno,
+pane e formaggio e nulla più; nè i vecchi vini,
+che hanno nel cuor loro vermiglio la giocondìa
+del sole, più sarebbero apparsi su la tavola;
+nè i tradizionali fasti della mensa avrebber dovuto
+continuarsi. E perchè questo? Perchè tale
+quaresima se ormai poco più tempo restava al
+<span class="pagenum" id="Page_150">[150]</span>
+loro godere, chè gli anni eran molti? Portare i
+suoi <i>allievi</i> al mercato per trarne buon guadagno?...
+Bene! E poi? Chi l’avrebbe compensato
+del sacrificio? Forse la Bita co’ suoi vezzi?
+</p>
+
+<p>
+E padron Serafino rideva fra sè e frustava la
+sbilenca ronzina. Ancora vide, nel bigio crepuscolo,
+le case degli Anselmi, dei Montanari, dei
+Migi illuminate di fiamma; e udì frastuono di
+opere e di risa, mentre l’urlìo delle allombate
+vittime saliva, si spegneva, riscoppiava acutissimo
+fin oltre i visibili confini della sera decembrina.
+</p>
+
+<p>
+Come arrivò alla fattoria, la Bita era su la
+soglia, attratta dal bubbolìo delle sonagliere, e,
+ancor prima che padron Serafino fosse disceso
+dal calesse, domandò:
+</p>
+
+<p>
+— Be’, li avete venduti?
+</p>
+
+<p>
+— Che cosa?
+</p>
+
+<p>
+— Gli <i>allievi</i>.
+</p>
+
+<p>
+— Sì, li ho venduti.
+</p>
+
+<p>
+— Quanto avete preso?
+</p>
+
+<p>
+— Centocinquanta marenghi; tre forme di
+cacio e un piatto di migliacci.
+</p>
+
+<p>
+— Volete canzonarmi?
+</p>
+
+<p>
+— No, signora Bita!... Non vi par buono il
+mercato?
+</p>
+
+<p>
+— Mi pare che mi manchiate di rispetto!
+</p>
+
+<p>
+— Oh!... Guarda!...
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_151">[151]</span>
+</p>
+
+<p>
+Padron Serafino rise, scese dal calesse,
+chiamò:
+</p>
+
+<p>
+— Michele?... O, Michele?...
+</p>
+
+<p>
+Il garzone uscì dalle stalle e prese in consegna
+la ronzina.
+</p>
+
+<p>
+— Aspetta, — disse Serafino. — Ho qui
+qualche cosa.
+</p>
+
+<p>
+E si chinò a togliere dal cassetto del calesse
+alcuni suoi involti.
+</p>
+
+<p>
+— E quella che roba è? — domandò la Bita.
+E padron Serafino, infilando l’uscio di casa:
+</p>
+
+<p>
+— Toh!... Sono i marenghi!
+</p>
+
+<p>
+La Bita scrollò le spalle. Gridò:
+</p>
+
+<p>
+— Più invecchiate e più rimbecillite!
+</p>
+
+<p>
+— Già!... Io rimbecillisco, ma tu non canzoni!...
+</p>
+
+<p>
+Poi, dopo aver posato gl’involti su la tavola:
+</p>
+
+<p>
+— Be’, che cosa si mangia questa sera?
+</p>
+
+<p>
+— Niente.
+</p>
+
+<p>
+— Come niente?
+</p>
+
+<p>
+— Niente, vi ho detto!... È poco, niente?...
+Niente!...
+</p>
+
+<p>
+— Sarai matta?... Ma ti sogni forse ch’io
+voglia digiunare come te?
+</p>
+
+<p>
+— Se avete fame andate all’osteria.
+</p>
+
+<p>
+Padron Serafino incominciava a spazientirsi.
+Si rivolse, guardò in faccia la sua donna irosa
+e rispose:
+</p>
+
+<p>
+— Io non vado nè all’osteria, nè all’albergo,
+<span class="pagenum" id="Page_152">[152]</span>
+nè.... Basta!... Io sono in casa mia qui; e voglio
+mangiar qui!... O che storie sono queste?
+</p>
+
+<p>
+E la Bita ironicamente:
+</p>
+
+<p>
+— Perchè non mangiate i vostri allievi?
+</p>
+
+<p>
+— Non t’impensierire, chè domani sarà
+fatto!... E non sarò solo alla festa!...
+</p>
+
+<p>
+— Come?... Domani.... ammazzate?...
+</p>
+
+<p>
+— Proprio così!... Domani ammazziamo!...
+</p>
+
+<p>
+— Dunque volete farmi tutti i dispetti possibili?
+</p>
+
+<p>
+— Prendila come vuoi!
+</p>
+
+<p>
+— Vi siete giurato di romperla?
+</p>
+
+<p>
+— Romperla o no, io voglio così e così deve
+essere!
+</p>
+
+<p>
+— Peggio di una serva mi trattate!... Ma la
+vedremo!... Oh, la vedremo come finirà!...
+</p>
+
+<p>
+Allora padron Serafino si rivolse, levò la mano
+chiusa con l’indice teso e incominciò:
+</p>
+
+<p>
+— Stammi a sentire, moglie....
+</p>
+
+<p>
+Ma in quel che era per catechizzare la recalcitrante
+compagna, ecco aprirsi la porta ed entrare
+i tre norcini. Il capomaestro, magro e brucato
+come l’erbaio delle capre, si fece innanzi
+e disse:
+</p>
+
+<p>
+— Siamo venuti.
+</p>
+
+<p>
+Padron Serafino lo sbirciò in tralicio.
+</p>
+
+<p>
+— Siete venuti?... O che l’alba spunta alle
+nove di sera quest’oggi?
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_153">[153]</span>
+</p>
+
+<p>
+E il capomaestro:
+</p>
+
+<p>
+— Abbiamo pensato che ne avevate tre, padrone;
+e siccome si voleva fare il nostro lavoro
+a modo, e posdomani siamo impegnati, si lavorerà
+tutta la notte.
+</p>
+
+<p>
+Padron Serafino guardò involontariamente la
+donna sua, ma questa gli volse le spalle grugnendo
+ed uscì.
+</p>
+
+<p>
+— Sta bene, — disse il grosso fattore, e si
+fregò le mani. — Sta bene. Allora all’opera!
+</p>
+
+<p>
+I norcini deposero gli arnesi su la tavola, si
+tolsero la cacciatora, vestirono i grandi grembiuli
+insanguinati.
+</p>
+
+<p>
+— Siamo pronti, — disse il capomaestro. — Ora
+chiamate i garzoni che accendano il fuoco.
+</p>
+
+<p>
+Animati dalla speranza di un pasto succolento,
+i garzoni accatastarono in breve, vicino al focolare,
+una montagna di sarmenti. Fu sgombrata
+la camera dagli oggetti inutili. Si fece posto al
+troppolo, a una gran tavola, al sacco del sale
+e furono fissate alle travi lunghe corde terminate
+da ganci.
+</p>
+
+<p>
+Il capomaestro dirigeva l’opera. Quando tutto
+fu compiuto, afferrò l’acuminato punteruolo e
+disse:
+</p>
+
+<p>
+— Andiamo.
+</p>
+
+<p>
+Padron Serafino e i compagni gli tennero dietro.
+La cucina chiareggiava per la fiammata altissima.
+<span class="pagenum" id="Page_154">[154]</span>
+Poco dopo i tre <i>allievi</i> di padron Serafino
+empirono la notte delle loro urla laceranti
+e l’olocausto al Dio della fame fu compiuto.
+</p>
+
+<p>
+La Bita era scomparsa, ma nessuno si occupò
+di lei. I norcini e gli uomini della casa erano
+troppo intenti a sparare e a governare i tre monumentali
+<i>allievi</i> di padron Serafino perchè avesser
+la mente ad altro; nè si addiedero del cupo
+abbaio dei mastini, chiusi in fondo all’aia, nella
+capanna dell’aratro. Sopraggiunsero le genti del
+vicinato. Si fermarono sulla soglia battendo i
+piedi e disviluppandosi dalle mantelle.
+</p>
+
+<p>
+— Che si fa lo sdrucio? — chiedevano.
+</p>
+
+<p>
+E padron Serafino:
+</p>
+
+<p>
+— Chi vuol mangiare, lavori!...
+</p>
+
+<p>
+Finirono per essere una ventina all’opera.
+Chi tagliava, chi tritava, chi insaccava, chi struggeva
+la stillante grascia, chi si arrovellava agli
+strettoi a fare i pani di ciccioli, chi, lasciata la
+mannaia sul troppolo, affondava le braccia nel
+sacco del sale o drogava il rosso tritume cosparso
+di grasselli, chi cuoceva i mallegati negli
+enormi paiuoli, chi apprestava la rosticciana e
+i migliacci chi adunava le setole, chi i zampetti,
+le cotenne, il grugno e le gote a far la soppressata.
+Era un rumoroso tramestio interrotto a
+quando a quando dal grido di gioia che si leva
+allorchè si dilemba e si assolca la terra; o quando
+<span class="pagenum" id="Page_155">[155]</span>
+si accorolla la paglia in tumulto e la bica è disfatta.
+Per l’indomani padron Serafino aveva
+convitato i parenti, i vicini, gli amici a far la
+festa dei migliacci, e il pantagruelico pasto,
+inaffiato dai vini migliori della fattoria, accendeva
+il desiderio degli uomini accorsi a prestar
+mano all’opera gioconda.
+</p>
+
+<p>
+I mastini continuavano a latrare sordamente.
+La Bita non si vide più.
+</p>
+
+<p>
+Or come la notte fu verso il suo termine, la
+stanchezza vinse l’operosa brigata e fu deciso
+che tutti avrebber riposato un par di ore. Ognuno
+riprese la propria mantella ed uscì dopo aver
+fissato l’ora della ripresa.
+</p>
+
+<p>
+Ultimi ad andarsene furono i norcini e padron
+Serafino: quelli entrarono nella stalla, questi salì
+alla sua stanza. Quando fu al termine delle scale,
+accese un fiammifero ed aprì cautamente la porta
+per non ridestare la Bita, ma la precauzione fu
+inutile perchè la Bita non c’era e il letto era
+intatto. Non vi pensò più che tanto. Era stanco,
+aveva sonno. Si tolse le scarpe e la cacciatora,
+s’infilò sotto le coltri e, dopo un minuto, dormiva.
+Ma non tanto dormì chè, di repente, balzò
+sul letto, sbalordito dall’affannosa chiamata del
+capomaestro;
+</p>
+
+<p>
+— Padrone.... padrone.... scendete che hanno
+aperto la porta, e i mastini....
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_156">[156]</span>
+</p>
+
+<p>
+— Eh? — gridò Serafino. — I mastini?....
+</p>
+
+<p>
+— Sono entrati in cucina....
+</p>
+
+<p>
+— In cucina?...
+</p>
+
+<p>
+— È un guaio!... Un guaio!...
+</p>
+
+<p>
+Padron Serafino scese il letto e così in pedùli
+traversò la stanza e si gettò giù per le scale.
+</p>
+
+<p>
+Quando vide il disastro, si portò le mani ai
+capelli, senza far parola. Anche i tre norcini
+guardavano, allibiti. Durante il loro sonno qualcuno
+aveva disciolto i mastini e aveva aperto
+l’uscio della cucina. Le bestie affamate non
+avevano chiesto di meglio per darsi alla devastazione.
+Ora non rimaneva di tutta la faticata
+opera notturna se non uno sconcio tritume sparso
+qua e là per terra, sulle tavole, presso la cenere
+del camino.
+</p>
+
+<p>
+Il giorno non era nato ancora. Appena si vedeva
+un po’ di chiarinella all’estremo levante. E
+nevicava; nevicava a dolco, a fiocchi serrati, fra
+un grande silenzio. Ed ecco che, dal silenzio,
+all’improvviso si levò, leggero e delicato, un
+canto di voci argentine di bimbi e di fanciulli.
+Giungeva dall’altro lato della corte, dove erano
+i magazzini e le stanze disabitate nelle quali
+dormivano i braccianti alla buona stagione.
+</p>
+
+<p>
+Padron Serafino si inorecchì, volse il capo,
+domandò:
+</p>
+
+<p>
+— Che cos’è questo?
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_157">[157]</span>
+</p>
+
+<p>
+I tre norcini si strinsero nelle spalle senza rispondere.
+</p>
+
+<p>
+Il canto si levava, con nostalgica dolcezza,
+dal gran silenzio, e pareva lontano, pareva attraversasse
+tutto il cielo per giungere fin là, o
+superasse le volte di un chiuso tempio deserto.
+Era un’aria antichissima, un motivo liturgico,
+sacro a Natale ed ai fanciulli dai tempi dei
+tempi.
+</p>
+
+<p>
+Padron Serafino mormorò:
+</p>
+
+<p>
+— Cantano la pastorella!
+</p>
+
+<p>
+E i tre norcini:
+</p>
+
+<p>
+— Sì.
+</p>
+
+<p>
+Nella nuova pausa si udiron le parole del canto:
+</p>
+
+<div class="poem"><div class="stanza">
+<p class="i01">Tu scendi dalle stelle, o Re del Cielo,</p>
+<p class="i01">E vieni in questa grotta al freddo e al gelo....</p>
+</div></div>
+
+<p>
+Padron Serafino non rifiatava, le braccia penzoloni.
+Entrò Michele, il garzone. Serafino gli
+disse:
+</p>
+
+<p>
+— Dov’è la Bita?
+</p>
+
+<p>
+Michele rise e disse:
+</p>
+
+<p>
+— È nei magazzini. È tornata un’ora fa.
+Aveva con sè una ventina di marmocchi. Non
+li sentite cantare?
+</p>
+
+<p>
+— Sì. Anche questa è una novità!
+</p>
+
+<p>
+E Michele:
+</p>
+
+<p>
+— Si preparano per la notte di Natale.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_158">[158]</span>
+</p>
+
+<p>
+— E c’è bisogno di prepararsi proprio all’alba?...
+Sul più bello del sonno?... E i mastini
+chi li ha preparati?...
+</p>
+
+<p>
+Michele si volse da un altro lato.
+</p>
+
+<p>
+— Quando sono andato a letto avevo ben
+chiusa la porta, io!... Chi l’ha aperta?
+</p>
+
+<p>
+Eguale silenzio.
+</p>
+
+<p>
+— E chi ha sciolto i cani dalle catene?
+</p>
+
+<p>
+Michele scoppiò in una risata improvvisa.
+</p>
+
+<p>
+— Perchè ridi, stupido?
+</p>
+
+<p>
+— Rido.... perchè.... la Bita....
+</p>
+
+<p>
+— L’hai veduta?
+</p>
+
+<p>
+— Sì....
+</p>
+
+<p>
+— E perchè non sei venuto a destarmi?
+</p>
+
+<p>
+— Perchè?... Perchè c’è stata lei a far la
+guardia!...
+</p>
+
+<p>
+— Va bene.
+</p>
+
+<p>
+Padron Serafino non perse la calma. Ordinò
+a Michele e ai due norcini di salvare dal disastro
+ciò che ancóra era salvabile e di riordinare
+tutto e di non far parola come se nulla fosse
+stato; poi, afferrato un punteruolo robusto, si
+volse al capomaestro e gli disse:
+</p>
+
+<p>
+— Vieni con me.
+</p>
+
+<p>
+E uscirono. Michele ed i norcini si guardarono
+in faccia:
+</p>
+
+<p>
+— E adesso che succede?
+</p>
+
+<p>
+Sempre si udiva il dolce canto giungere per
+<span class="pagenum" id="Page_159">[159]</span>
+l’aria come se discendesse con la neve dall’infinita
+pallida foschia.
+</p>
+
+<p>
+— Ho paura che succeda qualcosa di grosso! — fece
+Michele; ma in quel che si avvicinava
+alla finestra per guardar nella corte, ecco rientrare
+padron Serafino, seguito dal capomaestro
+e da Luigi, il biolco.
+</p>
+
+<p>
+— Presto, presto!... — gridò Serafino. — Tu,
+Michele, va, attacca la cavalla e verrai con noi.
+E tu, Luigi, prendi il morello e gira per tutte le
+case, per tutti i ritrovi e invita uomini, donne,
+preti.... chi conosci e chi non conosci.... invita
+chi incontri: poveri e ricchi, contadini, braccianti,
+cacciatori, pescatori.... tutti, insomma!...
+Hai capito?... Tutti!... Devi dire che padron Serafino
+ha vinto al lotto e vuol dare una gran
+festa.... un festone stragrande!... E che riempirà
+di tavole imbandite tutta la casa, fino alle cantine....
+e che non guarderà in faccia nè ad amici
+nè a nemici perchè vuol stare allegro.... perchè
+vuol ridere e vuole che tutto il vicinato goda
+con lui! Hai capito?... E non dimenticarti dei
+suonatori! Vogliamo ballare, vogliamo!... Hai
+capito?...
+</p>
+
+<p>
+Poi, senza attendere risposta, si volse ai norcini,
+e parlava affollato come se l’affanno fosse
+per soffocarlo:
+</p>
+
+<p>
+— E voi accendete i fuochi, qui e nella stanza
+<span class="pagenum" id="Page_160">[160]</span>
+delle pile. Fate tutto alla grande! Eccovi cento
+lire!... Se non c’è sale, compratene; se non ci
+sono droghe, compratene. Quando ritorno voglio
+trovar tutto all’ordine. Se vien gente dite
+che aspetti. — Luigi?... Senti. Prima di andar via,
+aggioga i buoi al carro.... chiama Pietro e digli
+che li conduca dai Fiori, che ne avrò bisogno.
+Presto dunque!... Presto!... Non state lì a guardarmi
+come tanti mammalucchi!... Oggi si vuol
+far ribotta, oggi!... Dev’essere uno sdrucio, da
+ricordarsi negli anni!... Andiamo.... Andiamo!...
+</p>
+
+<p>
+E uscì seguito dal capomaestro. La ronzina
+li attendeva nella corte: salirono sul calesse e
+partirono fra la neve senza che nessun rumore
+si avvertisse; solo si udiva il canto dei fanciulli
+dai magazzini:
+</p>
+
+<div class="poem"><div class="stanza">
+<p class="i01">Tu scendi dalle stelle, o Re del Cielo....</p>
+</div></div>
+
+<p>
+Anche Luigi partì e Pietro col pesante carro
+vermiglio. I norcini accesero i fuochi. Incominciarono
+a giungere gli invitati, ma la neve attutiva
+ogni rumore e nessuno levava la voce
+tuttavia.
+</p>
+
+<p>
+Quando padron Serafino ritornò, dietro il
+carro nel quale giacevano due nuovi <i>allievi</i> già
+macellati, si fermò ad ascoltare se la Bita fosse
+sempre nei magazzini. C’era sempre. Disse:
+</p>
+
+<p>
+— Bene!...
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_161">[161]</span>
+</p>
+
+<p>
+Gli <i>allievi</i> furono portati in cucina: il carro
+fu riposto. La gente che giungeva entrò nelle
+stanze a terreno senza rifiatare per non insospettire
+la Bita.
+</p>
+
+<p>
+Michele fu posto a guardia della casa. Si era
+rimpiattato in una ceppa e, avvoltolato entro
+il suo rifugio, spiava l’uscita dei magazzini. Nevicava
+sempre. Padron Serafino non era tuttavia
+sereno. Solo si irraggiò quando Michele
+aprì la porta e disse:
+</p>
+
+<p>
+— Se n’è andata?
+</p>
+
+<p>
+— L’hai veduta?
+</p>
+
+<p>
+— Sì.
+</p>
+
+<p>
+— Ha preso la via della chiesa?
+</p>
+
+<p>
+— Sì.
+</p>
+
+<p>
+— Allora è fatta!... Presto, ragazzi, diàmoci
+d’attorno. La Bita non ritornerà prima di mezzogiorno
+e a mezzogiorno le tavole vogliono
+essere imbandite!
+</p>
+
+<p>
+Rotti i freni, il baccano e il furor dell’opera
+ricominciarono come la notte innanzi. La gente
+corse da tutte le parti all’invito, chè la nuova
+si era diffusa. Più di settanta persone si trovarono
+in breve, raccolte su la faccia del luogo.
+La nativa gaiezza romagnola travolse la brigata.
+I volti s’invermigliarono, i cuori si aprirono:
+non vi fu più padrone e contadino, ma
+gente che voleva godere e ridere e star di
+<span class="pagenum" id="Page_162">[162]</span>
+buon core sotto la faccia del cielo. E le botti
+pensarono al resto. A mezzogiorno tutto era
+compiuto. Imbandite le tavole, apprestate le vivande,
+spillati i vini negli enormi boccali a fiorami.
+Tutte le stanze a terreno rigurgitavano
+di convitati. Michele stava sempre sull’avviso
+a spiare il ritorno della Bita. Padron Serafino
+attendeva presso l’uscio e quando il garzone
+giunse correndo e mormorò:
+</p>
+
+<p>
+— Eccola, eccola!... Viene!...
+</p>
+
+<p>
+Padron Serafino fece il cenno convenuto e
+tutti tacquero sedendo intorno alle tavole imbandite.
+Non si udì più se non il crepitar del
+fuoco e qualche susurrare subito interrotto. Il
+grosso fattore sedeva alla tavola più grande
+avendo a lato i norcini, i suoi compagni di mercato
+e le ben pasciute donne del contado.
+</p>
+
+<p>
+La Bita entrò nella corte. Tutti allungarono
+il collo, a guardare dalle anguste finestre. Passò
+un fremito e un susurro:
+</p>
+
+<p>
+— Eccola, eccola, eccola!...
+</p>
+
+<p>
+E una trepidazione gioiosa tenne il core di
+tutti i festanti. La Bita non aveva fretta.
+</p>
+
+<p>
+Si fermò, stupita, a osservar le innumerevoli
+pediche su la neve; si accostò al canile a vedere
+se i mastini c’erano sempre; si sorprese dello
+strano silenzio che regnava. Si volse intorno.
+Piano piano si diresse all’uscio, come a malavoglia.
+<span class="pagenum" id="Page_163">[163]</span>
+La trepidazione dei convitati si accresceva
+sempre più. Si udì smuoversi la maniglia
+dell’uscio, si vide il paletto che si levava un
+poco. Trascorsero fulminei susurri:
+</p>
+
+<p>
+— Viene!... Non viene!... Se ne è accorta....
+No!...
+</p>
+
+<p>
+Padron Serafino aveva puntato le mani alla
+tavola, nell’atto del levarsi, e stava così, rivolto
+verso l’uscio, come fosse magato.
+</p>
+
+<p>
+Poi l’uscio si dischiuse un poco, sempre un
+po’ più, lentissimamente, e la scarna figura della
+peccatrice abbrunata apparve nel vano. Ma appena
+aveva levata la faccia di sotto lo scialle
+nero, e lo stupore si dipingeva in quella, che,
+da settanta petti, contemporaneamente, sorse
+un grido formidabile;
+</p>
+
+<p>
+— Evviva, evviva la Bitaaaa!...
+</p>
+
+<p>
+La donna illividì, parve impietrirsi, non dette
+più cenno di vita. Caduto il grido, non si rimosse,
+non comprese. Ferma e rattratta sotto
+lo sguardo delle genti, non rifiatava. Allora
+padron Serafino parlò. Disse:
+</p>
+
+<p>
+— Moglie, questa gente pregherà il Signore
+per te!... — La Bita levò gli occhi cupi. — Tu
+hai avuto pietà dei cani e io ho avuto pietà
+degli uomini. Moglie, ciò che è mio è tuo e ciò
+che è tuo è mio; ma è giusto ringraziare te
+di questa ribotta, perchè ho preso i soldi dal
+<span class="pagenum" id="Page_164">[164]</span>
+tuo canterale. Erano cinquanta bei marenghi
+nuovi di zecca. Ce li mangiamo per la tua salute!
+È giusto!...
+</p>
+
+<p>
+Poi, fra l’improvviso travolgente baccano dei
+banchettanti, che avevano disciolto ormai ogni
+freno, si udì levarsi acutissima l’aspra voce
+della peccatrice abbrunata:
+</p>
+
+<p>
+— Ladro, ladro!... Assassino!... Erano i denari
+per il mio mortorio!... Ladro.... ladro....
+ladro!...
+</p>
+
+<p>
+Ma poco valse la sua pena, di fronte al giocondo
+irrompere delle genti che le sovrastavano
+berciando, ed ella si raccolse in un angolo, il
+volto celato nelle volute del suo nero zendado,
+e così stette singhiozzando senza rimuoversi
+per quanto tempo durò l’allegra festa dei migliacci.
+</p>
+
+<div class="chapter">
+<p><span class="pagenum" id="Page_165">[165]</span></p>
+
+<h2 id="madre">LA MADRE.</h2>
+</div>
+
+<p>
+Girò due volte la chiave nella toppa, aprì la
+finestra sul giardino, respirò l’aria nuova, si
+irraggiò di sole, ristette pensosa per l’attimo
+di un suo turbamento inespresso. Era sola, si
+sentiva libera di pensare, di piangere, di ridere
+senza essere osservata, senza essere curata,
+senza l’ossessionante miseria di un egoismo
+amoroso che non le dava tregua e respiro.
+</p>
+
+<p>
+Sapeva che poco sarebbe durata anche quella
+sua momentanea pace perchè nel termine di
+una fuggevole ora qualcuno avrebbe bussato
+alla porta e una voce sommessa si sarebbe
+levata a domandar di entrare; ma frattanto poteva
+abbandonarsi a sè stessa, essere un attimo
+senza guardia e senza il sorriso di un affetto
+che a mano a mano, inattesamente e fatalmente,
+le si convertiva in odio.
+</p>
+
+<p>
+Sedette alla scrivania, guardò a lungo il sereno,
+<span class="pagenum" id="Page_166">[166]</span>
+le rose in fiore, i comignoli dei vecchi
+tetti, le finestre delle soffitte che non si aprivano
+mai e dalle quali pendevano, ondeggiando
+al vento, le ragnatele; guardò là cima di un
+cipresso che svettava oltre la cinta di un giardino
+e lo spirito di lei, appartandosi fra le dolci
+cose consuete, distendendosi come al respiro
+del morire di quel maggio, ritornò alla sua
+gaiezza nativa, dimenticò tutto, seguì la sua
+via naturale nel sogno, poichè la vita le era
+una maledetta costrizione ed un continuo affanno.
+</p>
+
+<p>
+E dall’insolito silenzio le proveniva la sua
+gioia; sempre più si schiariva nell’abbandonarsi
+alla necessità del suo vivere. Tutto era dimenticato,
+tutto era morto e lontano e scomparso,
+proseguiva, come la nube innamorata del sole
+e del vento va per i liberi spazi secondo la
+legge delle creature lanciate dalla nascita alla
+morte. Come ogni astro ed ogni goccia di pioggia,
+ed ogni fiore cercava il suo compimento,
+costruiva la propria vita oltre il dolore e la
+morte di chi l’aveva preceduta.
+</p>
+
+<p>
+E l’umile aspetto di cui si rivestiva l’egoismo
+materno non le fu più dinanzi, nè più ricordò
+le melate parole che le predicavan la rinunzia
+per amore, nè le lacrime mute più penose
+di un’aperta volontà contraria alla quale
+<span class="pagenum" id="Page_167">[167]</span>
+si può trovar forza per resistere come incitatrice
+di energia, nè la sorda lotta combattuta
+ora per ora, giorno per giorno in una snervante
+malinconia di opaco contrasto, di egoistica
+miseria che si infingeva rivestendosi di
+dolcezza e di bontà. Più nulla, più nulla! Il suo
+cuore era gaio come il cielo turchino, chiaro come
+un cristallo, aperto come l’ebbra rosa solare.
+</p>
+
+<p>
+La faccia appoggiata alle piccole palme dischiuse,
+gli occhi larghi sulla bionda luce del
+giardino, seguiva una dolcezza di memorie inquadrate
+in volti di paesi lontani, vissuti per
+tenerezza di amore, discoperti come all’origine
+della vita e sorrideva come se tutto le ritornasse
+dinanzi a volta a volta in una realtà più
+intensa e profonda di quella vera e s’ella si trovasse
+tuttavia, nei calessi che la trascinavano
+su pei colli verso una selva, verso un paese
+turrito, verso una città solitaria; e l’uomo amato
+le era vicino e la conduceva al limitare del
+sogno.
+</p>
+
+<p>
+Rinascevano così le parole scambiate, quelle
+più turgide d’ansia, che più si accostavano,
+come un brivido, dalla bocca al cuore e dal
+cuore a tutto il senso; e le estasi mute, e l’affannoso
+volto del piacere che occhieggiava di fra
+le siepi del biancospino come una giovine nudità
+intravveduta per cui si trema e si sogna.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_168">[168]</span>
+</p>
+
+<p>
+E come più le memorie si affollavano, simili a
+volti di fanciulli al cancello di un giardino, più
+ella sentiva la profonda gioia della sua solitudine.
+</p>
+
+<p>
+Rilesse le ultime lettere che le aveva mandato
+da lontano e il tempo le scorreva sì rapido
+che appena le pareva di essere entrata
+nella stanza quando udì qualcuno che bussava
+alla porta.
+</p>
+
+<p>
+Ebbe un atto di impazienza; le gote le si
+arrossarono all’improvviso, volse il capo a domandare:
+</p>
+
+<p>
+— Chi è?
+</p>
+
+<p>
+Una voce umile rispose:
+</p>
+
+<p>
+— Sono io!
+</p>
+
+<p>
+— Che vuoi?
+</p>
+
+<p>
+— Ti disturbo?...
+</p>
+
+<p>
+— Vorrei rimaner sola!
+</p>
+
+<p>
+Trascorse una pausa. La stessa voce riprese
+ancóra più sommessa:
+</p>
+
+<p>
+— C’è una lettera per te.
+</p>
+
+<p>
+— Una lettera?
+</p>
+
+<p>
+— Sì. L’ha portata poco fa il postino.
+</p>
+
+<p>
+Anna si levò e si fece alla porta. Apparve
+il piccolo viso dolciastro della madre.
+</p>
+
+<p>
+— Dov’è la lettera?
+</p>
+
+<p>
+— Eccola — fece la madre e gliela porse.
+</p>
+
+<p>
+Un’occhiata bastò ad Anna per capire dalla
+<span class="pagenum" id="Page_169">[169]</span>
+soprascritta di che si trattava. Piegò la lettera
+in due e la ripose in seno.
+</p>
+
+<p>
+La madre la guardò fare senza mutar volto,
+sempre umile nella sua mansuetudine apparente.
+Fu un silenzio penoso.
+</p>
+
+<p>
+— Non la leggi? — domandò la madre.
+</p>
+
+<p>
+— Oh, non è nulla di importante!
+</p>
+
+<p>
+Anna non abbandonava la maniglia dell’uscio;
+l’altra, che si era ferma sulla soglia, mosse un
+passo per entrare.
+</p>
+
+<p>
+— Chi ti scrive?
+</p>
+
+<p>
+— Non so. Forse sarà l’Angiola.
+</p>
+
+<p>
+— L’Angiola?... Non mi pare la sua calligrafia!
+</p>
+
+<p>
+— Mah!...
+</p>
+
+<p>
+Non si guardavano in faccia. La madre deviò
+il discorso, abilmente.
+</p>
+
+<p>
+— Non ti fa male agli occhi tanta luce?
+</p>
+
+<p>
+— No. Mi piace.
+</p>
+
+<p>
+— Non vuoi che ti socchiuda le persiane?
+</p>
+
+<p>
+— No, grazie!
+</p>
+
+<p>
+Le risposte di Anna erano concise e la voce
+dura. Ciò moltiplicava le pause.
+</p>
+
+<p>
+— Poco fa è venuta la signora Erminia; voleva
+vederti. Ho detto che non eri in casa.
+</p>
+
+<p>
+— Hai fatto bene!
+</p>
+
+<p>
+— Sai chi sposa?
+</p>
+
+<p>
+— No.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_170">[170]</span>
+</p>
+
+<p>
+— L’Amelia.
+</p>
+
+<p>
+— Ah!
+</p>
+
+<p>
+— Si è fidanzata col dottor Pini.
+</p>
+
+<p>
+La madre guardava per la stanza. Disse dopo
+una sosta più lunga:
+</p>
+
+<p>
+— Già vorrai rimaner sola!
+</p>
+
+<p>
+— Mi faresti piacere.
+</p>
+
+<p>
+Ma la signora Viani non si rimosse. Aveva sempre
+il suo sorriso di vittima sulle piccole labbra
+stirate e gli occhi malinconicamente umidi.
+</p>
+
+<p>
+Disse ancora:
+</p>
+
+<p>
+— Aspetta, Anna. Questa mattina non ti
+hanno cambiato gli asciugamani. Ora li prendo io.
+</p>
+
+<p>
+— Non importa, mamma.
+</p>
+
+<p>
+— Non vuoi?
+</p>
+
+<p>
+— È inutile. Ora non mi abbisognano.
+</p>
+
+<p>
+— Ma.... se più tardi....
+</p>
+
+<p>
+— Fra poco scenderò.
+</p>
+
+<p>
+— Come vuoi!
+</p>
+
+<p>
+Come si addiede di non poter scegliere via
+che la conducesse al suo porto, la signora Viani
+si ritrasse di su la soglia.
+</p>
+
+<p>
+— Allora ti aspetterò giù.
+</p>
+
+<p>
+— Sì, mamma.
+</p>
+
+<p>
+— Tarderai molto?
+</p>
+
+<p>
+— No.... Qualche minuto.
+</p>
+
+<p>
+— Non vuoi uscire questa mattina?... C’è
+tanto un bel sole!...
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_171">[171]</span>
+</p>
+
+<p>
+— Non ne ho voglia.
+</p>
+
+<p>
+— Bene.
+</p>
+
+<p>
+E si volse per andarsene. Anna richiuse la
+porta, attese che il passo della madre fosse dileguato
+giù per le scale e allora girò per due
+volte il chiavistello e respirò sollevata.
+</p>
+
+<p>
+Tornò allo scrittoio. Il volto di lei si distese,
+animato da una segreta gioia improvvisa, tolse
+la lettera dal seno, l’aprì. E non erano parole
+scritte ch’ella aveva dinanzi, ma il volto del
+suo amore e l’udiva parlare appassionato come
+se le fosse dietro le spalle, inchino, e la bocca
+di lui le sfiorasse le orecchie e il respiro le
+scendesse per le tempie e per le gote per farla
+abbrividire. Si udivano i passeri e le rondini.
+</p>
+
+<p>
+Cigolò la carrucola di un pozzo; una donna
+cantò il fior dell’arche odorose che si dischiudono
+per i letti dei giovani quando l’amore
+consiglia.
+</p>
+
+<p>
+Oh amore e gioia! E c’era una nuvola bianca
+ed esigua su l’orlo del giardino, là dove il
+cielo si chinava presso una nera torre quadrata,
+fiorita da ciuffi di ranuncoli. Le glicinie
+erano in fiore. Avevano coperte le mura dei
+loro corimbi azzurri e violacei; molli come il
+molle cielo. Ne erano quasi chiuse le finestre
+delle camere disabitate e i colombai. Anche le
+vecchie mura di rossi mattoni godevano del
+<span class="pagenum" id="Page_172">[172]</span>
+sole e della primavera e le bifore chiuse da
+tanti mai anni; chiuse con lo spirito di una
+bellezza morta.
+</p>
+
+<p>
+Ed ella benchè non vedesse, assorta com’era
+nel suo léggere amoroso, sentiva l’anima delle
+cose circostanti irraggiarsi come l’anima sua,
+nel mattino, chè tutto compiace a giovinezza.
+</p>
+
+<p>
+E ancora udì bussare alla porta. Nascose la
+lettera nel seno; si levò. Era la madre con un
+fascio di fiori. Disse:
+</p>
+
+<p>
+— Ti ho portato i fiori per i tuoi vasi. Questa
+mattina non li avevi raccolti.
+</p>
+
+<p>
+— Grazie!
+</p>
+
+<p>
+Li prese e li posò sopra una sedia.
+</p>
+
+<p>
+— Ti occorre nulla?
+</p>
+
+<p>
+— No.
+</p>
+
+<p>
+— Non vuoi bere una tazza di brodo?
+</p>
+
+<p>
+— No, grazie.
+</p>
+
+<p>
+— Te l’avevo preparata!... Anna, ti indebolirai.
+</p>
+
+<p>
+— Ma se mi sento bene!
+</p>
+
+<p>
+— Non vuol dire!... Dunque non la vuoi?...
+Te l’ho portata!... È qui!...
+</p>
+
+<p>
+— No, mamma, non la voglio!...
+</p>
+
+<p>
+— Via.... ubbidisci! Ti farà bene!...
+</p>
+
+<p>
+Prese la tazza e la posò sulla sedia, vicino
+ai fiori. Le passarono per la mente i liberi
+amanti campagnoli che vanno per le strade
+morte, in solitudine, e nessuno li turba, e nessuno
+<span class="pagenum" id="Page_173">[173]</span>
+li insidia e nessuno guasta loro la segreta
+gioia dell’amore.
+</p>
+
+<p>
+— Dunque non vuoi uscire?...
+</p>
+
+<p>
+— No.
+</p>
+
+<p>
+— Ti farebbe bene prendere un po’ d’aria!
+</p>
+
+<p>
+— Non ne ho bisogno.
+</p>
+
+<p>
+— Come sei rossa!... Che cos’hai?...
+</p>
+
+<p>
+— Io?... Niente!...
+</p>
+
+<p>
+— Hai avuto qualche brutta notizia?
+</p>
+
+<p>
+— No.... perchè?...
+</p>
+
+<p>
+— Mi sembri agitata!
+</p>
+
+<p>
+— Ti inganni.
+</p>
+
+<p>
+— Chi ti ha scritto?...
+</p>
+
+<p>
+Fu per mentire, ma l’anima sua diritta si ribellò
+a una simile meschinità. Non rispose.
+</p>
+
+<p>
+— Non si può sapere?... — riprese la madre
+sorridendo, e gli occhi suoi malinconici erano
+ancora più umidi.
+</p>
+
+<p>
+— Se proprio lo desideri!
+</p>
+
+<p>
+— Sì.
+</p>
+
+<p>
+— È Armando!
+</p>
+
+<p>
+— Come?... Ancóra?...
+</p>
+
+<p>
+— Ancóra?...
+</p>
+
+<p>
+— E ha avuto il coraggio....
+</p>
+
+<p>
+— Ha risposto semplicemente a una mia
+lettera!...
+</p>
+
+<p>
+— Tu gli hai scritto per prima?...
+</p>
+
+<p>
+— Sì!...
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_174">[174]</span>
+</p>
+
+<p>
+— Anna!... Se lo sapesse tuo padre!
+</p>
+
+<p>
+— Lo saprà perchè glie lo dirò!
+</p>
+
+<p>
+— Non farlo, per carità!
+</p>
+
+<p>
+— Babbo saprà capirmi ed io non voglio
+mentire!...
+</p>
+
+<p>
+— Ma le tue promesse?...
+</p>
+
+<p>
+— Io non ho promesso nulla!
+</p>
+
+<p>
+— I tuoi pianti?...
+</p>
+
+<p>
+— Dovevi capire perchè piangevo!
+</p>
+
+<p>
+— Oh, Anna!...
+</p>
+
+<p>
+E delle mani grinzose si fece velo alla piccola
+faccia. Parve incerta se scoppiare in singhiozzi.
+Si trattenne.
+</p>
+
+<p>
+— Mi fai leggere quella lettera?...
+</p>
+
+<p>
+— Questo no!
+</p>
+
+<p>
+— Almeno dimmi quello che ti dice!
+</p>
+
+<p>
+— Neppure!...
+</p>
+
+<p>
+— Rispondi così alla tua mamma?...
+</p>
+
+<p>
+Anna si volse a guardare da un’altra parte,
+tutta bianca per l’emozione.
+</p>
+
+<p>
+La signora Viani raumiliò la debole voce e
+disse sospirosa:
+</p>
+
+<p>
+— Questa è la ricompensa per il bene che
+ti voglio!...
+</p>
+
+<p>
+Allora la giovinetta si volse di scatto, guardò
+la madre in faccia, fieramente, e d’un tratto si
+abbattè sulla scrivania, la faccia nascosta fra le
+braccia ripiegate.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_175">[175]</span>
+</p>
+
+<p>
+— Oh, mamma, mamma, mamma!...
+</p>
+
+<p>
+Fu un pianto represso ed aspro elle la scosse
+e la sconvolse.
+</p>
+
+<p>
+E la madre chinò la piccola testa e uscì silenziosamente
+senza chiuder la porta.
+</p>
+
+<p class="ast">❦</p>
+
+<p>
+Ed eran due anni che la sorda lotta continuava
+così, senza nessuna pietà, ordita sulla
+trama di una tenerezza opprimente. Da un lato
+la madre a moltiplicare le attenzioni, i consigli,
+le scialbe dolcezze in un vigile affetto sospettoso,
+dall’altro Anna a difendere il suo fiero
+amore dall’insidia quotidiana. Perchè non v’era
+causa valevole che si opponesse al compimento
+di due destini se non il materno egoismo.
+</p>
+
+<p>
+Armando Vada era inviso alla buona madre
+solo per ciò che lo distingueva dai suoi coetanei.
+Non era una bestia da soma, non un uomo
+di famiglia, chè non voleva imbrancarsi e marcire
+nei piccoli cerchi delle piccole famiglie; non
+amava gli impieghi nè la beata tranquillità di
+un tanto al mese, nè la parca mensa che abbrutisce
+lo spirito fra lo scemo pettegolezzo
+quotidiano e il dominio delle stupide femmine
+che hanno il còmpito di ricondurre l’uomo alla
+sua greppia, alla sua condanna, alla morte di
+<span class="pagenum" id="Page_176">[176]</span>
+ogni luce ribelle. I discorsi di lui avevano
+stordito l’umile signora Viani la quale se ne
+era fatta come un anticristo, ma, ancor più di
+tutto questo, l’aveva spaventata l’idea di perdere
+la sua Anna per sempre chè Armando Vada
+non nascondeva il suo intendimento di andarsene
+in paesi lontani ad esplicarvi la propria
+energia in una lotta dalla quale, se si esce
+trionfatori, si coglie una ben larga messe. E
+non tanto il rischio la spaventava quanto l’idea
+di non vedersi più d’attorno la sua bella figlia.
+Anna era bella, lo dicevan le genti, lo dichiaravano
+gli innumerevoli innamorati e di tale
+bellezza la piccola madre andava orgogliosa
+come di un vezzo di grazia per la sua vecchiaia,
+come di qualcosa che le spettava per giusto
+diritto e da cui non doveva mai separarsi. La
+sua vanità egoistica si era terribilmente serrata
+intorno alla figlia e ribadita in apparenza
+di affetto.
+</p>
+
+<p>
+Da quando Anna aveva incominciato ad essere
+qualcosa più di una bimba, la dolce madre,
+per farne un campione di bellezza, l’aveva
+ornata e addobbata come un altare, sol per
+sentirsi dire: — Com’è bella!... — e veder la
+gente soffermarsi lungo la strada e l’invidia
+negli occhi delle giovinette. E da quel tempo
+l’assiduità sua intorno alla figlia si era moltiplicata.
+<span class="pagenum" id="Page_177">[177]</span>
+Anna non aveva avuto nè un giorno
+nè un’ora di libertà, non aveva conosciuto
+amiche. A venti anni non ancóra le era stata
+concessa una stanza nella quale raccogliere
+il suo lettuccio, le sue cose, i suoi sogni; dormiva
+tuttavia col babbo e la mamma come una
+piccola mocciosa senza intendimento, piena di
+terrori notturni. E il giorno in cui si impose
+e parlò alla madre della sua vergogna di esser
+tuttavia relegata nella stanza comune, di fronte
+al babbo, senza alcuna libertà possibile; e della
+sua recisa volontà di avere una stanza per sè
+sola, vide la madre singhiozzare come se avesser
+dovuto dividersi per la vita, e la vide implorare
+e impallidire; ma non piegò ed ebbe un nido.
+Le parve allora di aver raggiunta la felicità e
+la possibilità di ricercarsi, di esser sola, di vivere
+nell’intimo dell’anima sua, secondo un irrompente
+desiderio; ma ancóra si ingannò chè,
+secondo una ossessionante tenerezza, la madre
+le fu dintorno ogni dieci minuti e giungeva la
+notte, scalza, sulla punta dei piedi per darle
+un altro bacio, per raccomandarle il sonno.
+Anna incominciava a vedere in tutto questo
+qualcosa di diverso dall’affetto e non poteva
+difendersi, a volte, da un senso di invincibile
+ripugnanza. Non si risolveva in realtà in un
+trepido spionaggio quell’assiduo apparire in
+<span class="pagenum" id="Page_178">[178]</span>
+silenzio durante la notte? E quando fingeva di
+esser presa dal sonno, perchè dunque si accostava
+alla scrittoio e frugava fra le sue carte?
+Ma come ribellarsi senza apparire cattiva, snaturata
+agli occhi di tutti? Ed ella non sapeva
+scindere tuttavia la propria condotta dal giudizio
+della gente, era troppo schiava delle consuetudini,
+l’avevano tenuta troppo avvinta per
+aver ali a un grande volo. La gente esaltava
+l’umile amore di quella madre e lo portava ad
+esempio. L’apparenza assumeva proporzioni
+eroiche e, come sempre, l’apparenza bastava
+chè, a voler indagare, si sarebbe giunti chi sa
+dove, perchè è molto raro che il sedicente amore
+non nasconda una qualche bruttura.
+</p>
+
+<p>
+Inoltre che avrebbe detto il babbo?... Anch’egli
+era stato fiero e ribelle nella sua giovinezza,
+ma poi era venuto piegandosi, si era ammollito
+sotto l’influsso della donna che si era scelto a
+compagna. Ella lo aveva vinto ed insciocchito
+con la mitezza, con la mansuetudine bestiale,
+con una specie di bontà inerte, remissiva, malinconica;
+gli aveva tolto ogni virilità assecondandolo,
+facendosi sempre più piccina, prestandogli i
+più umili servizi con pecorile accondiscendenza.
+Ed appariva buona buona buona!... di quell’idiota
+bontà che vince per forza d’inerzia e
+passa le mura e stempera il più saldo acciaio.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_179">[179]</span>
+</p>
+
+<p>
+Anna vedeva questo benchè non ne detraesse
+giudizi, anzi tutto ciò le si convertiva in segreto
+dolore.
+</p>
+
+<p>
+Così si era svolta la vita di lei, senza nessuna
+ebbrezza fino al giorno in cui una grave
+malattia l’aveva quasi condotta alla morte.
+Quattro mesi combattuti fra l’insonnia e la
+febbre l’avevan disfatta. All’uscir di un inverno
+ella si destava come per la prima volta alla
+vita, senza memoria, pervasa dalla stessa dolcezza
+che trascorre pei limpidi cieli marzolini.
+Ma la convalescenza doveva essere lunga e per
+ristabilirsi ella doveva esulare, lasciar per qualche
+mese la sua piccola città oscura, cercare
+altri soli, altri paesi. Quando le dissero questo,
+il primo rossore le affiorò le scarnite guance
+e non vide le lacrime della madre o non le volle
+vedere. Chiuse i grandi occhi, incrociò le mani
+sul petto, stette così lung’ora, la testa affondata
+nei guanciali. Le si apriva un mondo diverso,
+una possibilità diversa, un infinito bene di sogno.
+Rinasceva in realtà e Iddio le era dinanzi.
+Ancóra non poteva parlare. Non guardava se
+non fuggevolmente la madre che era sempre
+a fianco al letto. Chiudeva gli occhi per lasciar
+vagare l’anima in un suo paradiso di freschezza.
+Quel ritorno alla vita le era come un illuminato
+stupore. Era morta e rinata. Aveva lasciato in
+<span class="pagenum" id="Page_180">[180]</span>
+un passato remotissimo tutto il peso di mille
+cose gravi ed oscure; si ridestava con una prospettiva
+radiosa, sul principiare del marzo.
+Quando sarebbe partita e per dove? Chi l’attendeva?
+Chi le avrebbe parlato dolce?... Dove?...
+dove?... E dalla fantasia le nascevano terre sconosciute
+per le quali si figurava di andare divinamente
+sola, fra l’amor delle cose ebbre di
+luce, sotto il canto delle allodole.
+</p>
+
+<p>
+Paesi lontani, case tinte dall’aurora fra giardini
+di melograni, strade azzurrastre e sentieri,
+viottole, colline, selve, fiumi, fontane. Il mondo
+della rondine. E per l’arco breve dei giorni
+ella pregustava la nuova gioia.
+</p>
+
+<p>
+Sapeva che la madre non l’avrebbe accompagnata.
+Non si poteva per via del danaro. Sapeva
+la famiglia prescelta ad accoglierla e il
+luogo, ma tutto ciò le sembrava tanto lontano
+e tanto vago da confondersi quasi con l’irrealtà.
+</p>
+
+<p>
+Frattanto la sua giovine forza trionfava rapidamente
+sul male e il giorno giunse. Il giorno
+di una prima partenza è sempre di una bellezza
+gaudiosa. Quando uscì dalla casa, nel sole,
+quando fu alla stazione, quando vide giungere
+il treno tacque e sorrise; sorrise sempre senza
+che il malinconico aspetto della madre in lacrime
+la turbasse o la preoccupasse.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_181">[181]</span>
+</p>
+
+<p>
+Troppe ed inconsulte erano state le lacrime
+della madre perchè ella ne fosse presa. Poi
+era la sua volta. Dopo tanti sogni partiva verso
+l’ignoto e il commovimento da cui era invasa
+dominava e allontanava ogni altro amore.
+</p>
+
+<p>
+La chiusero in un compartimento per signore
+sole, la raccomandarono al capo treno e i consigli
+e le prediche non avevan più fine.
+</p>
+
+<p>
+Anna ascoltava senza capir nulla, dicendo
+sempre “sì„. Poi il treno si mise in moto ed
+ella vide la sua piccola madre abbrunata agitare
+il fazzoletto e portarselo agli occhi; la vide
+incamminarsi dietro al treno, protendere la
+faccia sparuta, piangere disperatamente. Perchè
+mai tanto dolore? Ed era solo dolore? Si separavano
+forse per la morte? Quando si ritirò
+dal finestrino non pensò più ad altro se non
+alla sua felicità e il ricordo di quel viaggio le
+fu poi sempre come un sogno vissuto portentosamente.
+Giunse alla città destinata verso il
+crepuscolo. Il treno si fermò ad una piccola
+stazione fiorita sul Lago Maggiore. Era l’aprile.
+</p>
+
+<p>
+Un brusìo festoso di gente che si avviava
+alle armoniose ville del Lago; una dolce luce
+per tutte le montagne e su l’acqua azzurra; una
+stazione gaia come un ritrovo d’amore. Trovò
+coloro che l’attendevano, li seguì stordita,
+senza parlare, e per quella sera non vide e non
+<span class="pagenum" id="Page_182">[182]</span>
+seppe se non le montagne serene, una strada
+fra i giardini e la sua cameretta sul lago.
+</p>
+
+<p>
+Poi si ridestò. Fu anche per lei l’attimo in
+cui si vive la vita come un prodigio e non moriron
+dieci giorni ch’ella era innamorata.
+</p>
+
+<p>
+Non fu una cosa improvvisa. Si rividero laggiù,
+per caso, ma già si eran conosciuti fanciulli nella
+città nella quale erano nati. Nè l’uno fu più sorpreso
+di incontrare l’altra, nè la loro gioia si misurò
+su ritmi dissimili. Si piacquero, si amarono e decisero
+il loro destino. Egli doveva andarsene in
+America, avrebbero sposato innanzi di partire.
+</p>
+
+<p>
+Quaranta giorni trascorsero e l’incantesimo
+finì. Anna doveva ritornare. Riprese la strada
+come se discendesse verso il buio, verso una prigione
+che un mese di libertà le rendeva più intollerabile.
+Sentì allora di non poter amare sua madre.
+A volte la ribellione di lei giungeva fino al
+pensiero di andarsene lontana per sempre. Ma la
+speranza si abbranca ai minimi segni e pensava
+ancóra che i suoi avessero potuto assecondarla.
+</p>
+
+<p>
+Armando era partito due giorni prima per
+far la domanda ai legittimi proprietari di Anna;
+ella, giungendo, avrebbe trovata la decisione
+stabilita. Credendo ancóra di valer qualcosa
+nell’atto in cui doveva compirsi il proprio destino,
+scrisse alla madre e al padre una lettera
+appassionata per prevenirli, per dir loro quale
+<span class="pagenum" id="Page_183">[183]</span>
+era l’anima sua e il suo desiderio, ma a volta
+a volta il dubbio vinceva la speranza.
+</p>
+
+<p>
+Attese invano un telegramma di Armando;
+partì scorata.
+</p>
+
+<p>
+Dopo un interminabile viaggio trovò alla stazione
+la madre, delirante in una convulsiva
+gioia lacrimosa e il buon padre più rinsciocchito
+che mai. Innumerevoli i baci e gli abbracci.
+C’era tutto il parentado strillante, ululante
+per la gran gioia. Una barocca fiera di
+esultanza. E fra la tempesta delle domande,
+dei baci, degli abbracci, delle lacrime, delle carezze
+fu trascinata via senza capir più nulla.
+Come le apparve orrendo il volto di quella
+gioia canina!... L’avevan <i>ripresa</i> finalmente!...
+Era ritornata all’adiaccio fra le altre pecore, fra
+tutte le pecore matte del suo parentado!... Era
+tornata sotto le amorose grinfie de’ suoi tutori
+e forse non se ne sarebbe dipartita mai più!...
+E d’improvviso tanto fu forte la sensazione di
+tale realtà che ruppe in un pianto improvviso.
+</p>
+
+<p>
+La signora Viani le si strinse al braccio:
+</p>
+
+<p>
+— Perchè piangi, Anna?...
+</p>
+
+<p>
+Non rispose. Risposero per lei le impennacchiate
+parenti:
+</p>
+
+<p>
+— È l’emozione, poverina!...
+</p>
+
+<p>
+— Era tanto che non ci vedeva!...
+</p>
+
+<p>
+— Piange per la gioia!... Lasciatela stare!...
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_184">[184]</span>
+</p>
+
+<p>
+— Lasciatela stare!...
+</p>
+
+<p>
+La gioia, sì! La gioia sorella della morte! E
+il parentame se ne andò. Rimase sola nella stanza
+da pranzo col padre e la madre, li guardò negli
+occhi, cercò di parlare. Ma la sua piccola madre
+non le lasciò aprir bocca una volta sola: parlava
+e parlava e si faceva in quattro a toglierle di
+dosso l’ombrello, i guanti, il velo, il cappello. Pareva
+temesse di udire la voce di lei. Quando aveva
+esaurito un argomento ne cercava un altro, poi
+un altro, squadernandole innanzi lo stato civile
+di tutti i conoscenti: matrimoni, morti, adultèri,
+fallimenti, crudeltà filiali, eroismi materni, tutto
+quanto era venuta accumulando in quaranta
+giorni; e ogni dieci secondi interrompeva la narrazione
+favolosa per domandarle notizie della
+sua salute, per offrirle un brodo, una tazza di
+latte, un uovo da bere; ma di Armando non
+una parola. Si capiva che il solo nome di quell’uomo
+era l’orrenda ansia della piccola madre e
+che si profondeva ridicolmente in tal guisa solo
+nella speranza che Anna capisse e dimenticasse.
+Un attimo rimase sola col babbo e ne approfittò.
+Lo guardò fisso negli occhi, gli domandò:
+</p>
+
+<p>
+— Babbo.... hai saputo?
+</p>
+
+<p>
+— Sì.... ho saputo.
+</p>
+
+<p>
+— Ebbene?...
+</p>
+
+<p>
+— Parlerai con la mamma!
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_185">[185]</span>
+</p>
+
+<p>
+— Non volete?
+</p>
+
+<p>
+Fu un grido. In quell’istante rientrava la signora
+Viani. Si fermò stupita, domandò:
+</p>
+
+<p>
+— Che cosa è stato?...
+</p>
+
+<p>
+Capì a un’occhiata del marito e ricominciò la
+petulante solfa. Anna ne era stordita. Salì alla sua
+stanza, affranta. Incominciava a intravvedere la
+verità. Di un subito fu colta da uno scoramento
+tale che si lasciò andare su di una sedia senza dir
+parola, tutta abbandonata all’angosciosa tristezza.
+Le lacrime le scendevano a coppie per la faccia impallidita.
+La signora Viani finse di non accorgersi
+nè del pianto nè dell’improvvisa tristezza della
+figliuola: continuò a parlare, sempre più animata,
+e a moltiplicare le sue tenerezze intempestive.
+</p>
+
+<p>
+Anna tacque ancóra; poi si rizzò di scatto e
+domandò, ferma:
+</p>
+
+<p>
+— Mamma, dimmi la verità!
+</p>
+
+<p>
+La signora Viani si fermò a mezzo la stanza,
+si rivolse e domandò stupita:
+</p>
+
+<p>
+— Quale verità?
+</p>
+
+<p>
+— Non farmi parlare, mamma!... Tu sai che
+cosa voglio dire!
+</p>
+
+<p>
+— Ma.... non ti capisco, bambina mia!
+</p>
+
+<p>
+— Ier l’altro è venuto qui Armando Vada....
+</p>
+
+<p>
+La signora Viani non rispose.
+</p>
+
+<p>
+— .... vi ha parlato....
+</p>
+
+<p>
+Uguale silenzio.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_186">[186]</span>
+</p>
+
+<p>
+— Ebbene.... che cosa gli avete risposto?...
+</p>
+
+<p>
+— Ma.... — fece l’umile creatura di bontà — io
+non c’entro!...
+</p>
+
+<p>
+— Come non c’entri?
+</p>
+
+<p>
+— No.... parlerai con tuo padre!
+</p>
+
+<p>
+Allora Anna fu presa da un aspro riso.
+</p>
+
+<p>
+— Perchè ridi?...
+</p>
+
+<p>
+Per qualche tempo la convulsiva amarezza
+non le concesse di parlare. Quando l’affanno
+le si calmò un poco, disse:
+</p>
+
+<p>
+— Rido perchè il babbo mi ha risposto
+come te!...
+</p>
+
+<p>
+— Io non ne ho colpa!... — mormorò l’umile
+madre. Nella pausa che seguì ella evitò di guardare
+la figlia.
+</p>
+
+<p>
+— Che cosa gli avete risposto?
+</p>
+
+<p>
+— Perchè parlarne? — fece la signora Viani,
+implorante.
+</p>
+
+<p>
+— Dunque non dovrei saper nulla?
+</p>
+
+<p>
+— Stai tanto male con noi?
+</p>
+
+<p>
+— Che c’entra questo?
+</p>
+
+<p>
+— Pare tu non veda l’ora di abbandonarci!
+</p>
+
+<p>
+— Mamma!... Non essere ingiusta!...
+</p>
+
+<p>
+— Credevo tu ci volessi più bene!... — soggiunse
+la piccola donna, le lacrime agli occhi.
+</p>
+
+<p>
+Anna si sentiva il cuore stretto da un’amara
+tristezza. Disse a voce spenta, gli occhi fissi
+innanzi a sè, assorti in un malinconico deserto:
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_187">[187]</span>
+</p>
+
+<p>
+— Ti credevo più buona!...
+</p>
+
+<p>
+Un lampo di sdegno accese gli occhi della
+signora Viani, ma fu subito spento.
+</p>
+
+<p>
+— Dopo tutto — riprese — farai ciò che
+vorrai!...
+</p>
+
+<p>
+E per quel giorno Anna non ricondusse il
+discorso sul colloquio e la madre si intenerì
+sempre più nella speranza che la sua buona
+figlia avesse dimenticato.
+</p>
+
+<p>
+Nel giorno che seguì, recandosi la mattina
+nella stanza di Anna per prestarle gli umili,
+inutili servizi nei quali si esplicava tutto il suo
+amore, trovò la figlia seduta alla scrivania, pallida,
+scarmigliata, gli occhi enfiati.
+</p>
+
+<p>
+Così l’aveva lasciata la sera innanzi, così la
+ritrovava. Le si accostò piano piano, le chiese:
+</p>
+
+<p>
+— Come stai?
+</p>
+
+<p>
+— Male! — rispose Anna.
+</p>
+
+<p>
+— Che cos’hai?
+</p>
+
+<p>
+— Non so!
+</p>
+
+<p>
+— Hai dormito?
+</p>
+
+<p>
+— No.
+</p>
+
+<p>
+Guardò il letto; era intatto.
+</p>
+
+<p>
+— Non sei andata a letto?
+</p>
+
+<p>
+— No!
+</p>
+
+<p>
+— Perchè?
+</p>
+
+<p>
+— Perchè non ne avevo voglia!
+</p>
+
+<p>
+— Ma ti rovinerai la salute!
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_188">[188]</span>
+</p>
+
+<p>
+— Poco male!
+</p>
+
+<p>
+— Anna!...
+</p>
+
+<p>
+Una pausa.
+</p>
+
+<p>
+— Se lo sapesse tuo padre!...
+</p>
+
+<p>
+Anna nascose la faccia fra le palme e ricominciò
+a piangere sommessa.
+</p>
+
+<p>
+— Ma che cos’hai?...
+</p>
+
+<p>
+— Dovresti saperlo!... — rispose la giovinetta.
+</p>
+
+<p>
+— Bambina mia.... diventi irragionevole!...
+</p>
+
+<p>
+Anna si levò, si rivolse verso la madre:
+</p>
+
+<p>
+— Mamma, gli avete detto che non volete?...
+</p>
+
+<p>
+— Ma perchè non lo domandi a tuo padre?
+</p>
+
+<p>
+— Perchè tu sola hai deciso tutto!
+</p>
+
+<p>
+— Io?
+</p>
+
+<p>
+— Sì. Il babbo fa quello che tu vuoi.... Tu
+lo sai convincere.
+</p>
+
+<p>
+— Ti giuro che non gli ho parlato!
+</p>
+
+<p>
+— Non vuol dire! Avrà capito dalle tue reticenze.
+</p>
+
+<p>
+— Quali reticenze?
+</p>
+
+<p>
+— Le puoi sapere tu sola.
+</p>
+
+<p>
+— Dunque non mi credi?
+</p>
+
+<p>
+— Ma io credo tutto!... Voglio sapere solamente
+quello che gli avete detto!
+</p>
+
+<p>
+— Sei ben cocciuta!
+</p>
+
+<p>
+— Non si tratta di cocciutaggine, si tratta
+della mia vita! Credo di avere il diritto di sapere
+come volete disporne.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_189">[189]</span>
+</p>
+
+<p>
+— Noi vorremmo che tu non ci abbandonassi
+mai!
+</p>
+
+<p>
+— Vorreste ch’io rimanessi sempre la vostra
+piccola figliola da condurre a spasso!
+</p>
+
+<p>
+— Anna!
+</p>
+
+<p>
+— È la verità!
+</p>
+
+<p>
+— Sei crudele!
+</p>
+
+<p>
+— Non più di quello che tu non lo sia con
+me! Ma è dunque un giuoco il mio? Ma sono
+dunque tanto trascurabile che il mio cuore e la
+mia volontà non valgano nulla in tutto questo?
+</p>
+
+<p>
+— Bada.... potresti pentirtene!
+</p>
+
+<p>
+— Di che cosa?
+</p>
+
+<p>
+— Di aver fatta la tua volontà.
+</p>
+
+<p>
+— E perchè?
+</p>
+
+<p>
+— Perchè non hai esperienza.... perchè alla tua
+età si vedono le cose da un falso punto di vista!
+</p>
+
+<p>
+— Vorresti forse ch’io fossi vecchia prima
+del tempo?
+</p>
+
+<p>
+— Come rispondi!...
+</p>
+
+<p>
+— E lasciatemi la mia gioia!... Ne ho avuta
+così poca nella mia vita!...
+</p>
+
+<p>
+— Anche questo mi rimproveri?
+</p>
+
+<p>
+— Non è un rimprovero. Io vedo che il giorno
+in cui mi si apriva innanzi una strada infinita,
+in cui potevo farmi una vita mia, tu e il babbo
+vi opponete, mi respingete verso il mio passato,
+mi dite: — No, non vogliamo!... — Non posso
+<span class="pagenum" id="Page_190">[190]</span>
+ribellarmi, ma nello stesso tempo non posso
+ubbidirvi!
+</p>
+
+<p>
+La signora Viani stupiva sempre più. Chiese
+tremando:
+</p>
+
+<p>
+— Gli vuoi tanto bene, dunque?
+</p>
+
+<p>
+Il volto di Anna ebbe un subito rossore.
+</p>
+
+<p>
+— Se gli voglio bene?... Da morirne!... Devi
+saperlo perchè è così, perchè sarà sempre così!
+Se domani vorrà ch’io lo segua, te lo dico prima,
+mamma, andrò con lui anche senza averlo sposato,
+lo seguirò senza nessuna vergogna. E
+farà di me ciò che vorrà. Nulla mi fa paura!
+</p>
+
+<p>
+— Tu faresti questo, Anna?...
+</p>
+
+<p>
+— Sì, lo farei!
+</p>
+
+<p>
+— E a noi non pensi?... Siamo dunque un
+niente per te?...
+</p>
+
+<p>
+— Ed io che cosa sono per voi?
+</p>
+
+<p>
+— Tutto!
+</p>
+
+<p>
+— Sì, fin che non vi abbandono! Se domani
+partissi senza il vostro consenso diventerei
+indegna del vostro amore!
+</p>
+
+<p>
+— Tu vuoi vedermi morta!
+</p>
+
+<p>
+— Non dire cose insensate, mamma!
+</p>
+
+<p>
+Ma la piccola madre aveva trovato il tasto
+opportuno ed insistè su quello come l’unico
+che potesse torla d’imbarazzo con onore e farle
+riacquistare il terreno perduto.
+</p>
+
+<p>
+— Sì.... vuoi vedermi morta!... È meglio ch’io
+<span class="pagenum" id="Page_191">[191]</span>
+muoia!... Tanto sono inutile.... non servo a
+niente.... non faccio che far del male!...
+</p>
+
+<p>
+E si abbattè su di una sedia singhiozzando
+follemente; convulsa, stravolta, convinta di destare
+pietà.
+</p>
+
+<p>
+E la pietà giunse con la sua faccia spaurita,
+e attanagliò il core della giovinetta.
+</p>
+
+<p>
+L’anima generosa ed ingenua della nuova creatura,
+non resse al dolore della madre e si piegò affranta
+verso di lei. Mormorò parole di scusa, si umiliò.
+La piccola madre intese così quanto fosse opportuno
+il suo còmpito di vittima e da quel giorno
+tanto parve malata ed esausta da destare in tutti
+il convincimento ch’ella fosse presso a morire.
+</p>
+
+<p>
+Tutto il parentame si allarmò; la voce corse di
+casa in casa per la piccola città accigliata. Fu detto
+che la santa donna se ne andava perchè Iddio chiama
+più presto i buoni presso di sè; le regalarono
+una malattia nuova ogni giorno e la pallida vittima
+vestì da quel tempo le gramaglie e più non
+le tolse. Anche si parlò sommessamente di Anna.
+</p>
+
+<p>
+Qualcuno disse:
+</p>
+
+<p>
+— È una testa romantica!
+</p>
+
+<p>
+E qualcun’altro:
+</p>
+
+<p>
+— È un’ingrata!
+</p>
+
+<p>
+Il parentame materno, uno sciame di donnacole,
+vergini per l’ira di Dio, mise in circolazione
+l’ingratitudine di Anna.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_192">[192]</span>
+</p>
+
+<p>
+E benchè i medici non riscontrassero alcuna
+malattia nella signora Viani, questa non si ritenne
+guarita mai più, e ogni tanto, a conferma
+del suo male interiore, digiunava fra la strillante
+preoccupazione della fantesca e del marito.
+</p>
+
+<p>
+Ma frattanto chi intristiva veramente era Anna.
+</p>
+
+<p>
+Armando aveva rimesso la partenza di mese
+in mese e quasi un anno era trascorso. Nulla
+era mutato nel frattempo. La signora Viani,
+superando le sue possibilità finanziarie e riempiendo
+di debiti il miser’uomo del quale si era
+impadronita, copriva di regali la figlia e piangeva
+e sorrideva e si moltiplicava per sostituirsi,
+nel pensiero di lei, all’uomo odiato che
+voleva togliergliela. Esaurì in tale còmpito tutte
+le sue scarse arti troppo ingenue. Ma la piccola
+madre aveva incrollabile la coscienza dei suoi
+diritti materni e le pareva di essere buona
+buona buona, e se lo sentiva dire tante mai
+volte dalle sorelle, dalle zie, dalle cugine, dalle
+attinenti che, nella sua piccola testa, per poco
+non si santificava al cospetto del suo Iddio
+microcefalo.
+</p>
+
+<p class="ast">❦</p>
+
+<p>
+Aveva stabilito tutto tranquillamente, fin dal
+giorno prima, senza affrettarsi, con la precisa sicurezza
+che dànno le decisioni meditate a lungo.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_193">[193]</span>
+</p>
+
+<p>
+Aveva nascosto la valigia nel cassetto dell’armadio;
+sapeva già, ad una ad una, le cose
+che avrebbe prese con sè.
+</p>
+
+<p>
+Nulla l’aveva tradita. Era stata anche il giorno
+innanzi, come sempre, ferma nel suo raccoglimento
+interiore, un poco triste, impartecipe alla
+scimmiesca allegria del parentame che da qualche
+mese frequentava quotidianamente la casa,
+col compito di renderla gaia.
+</p>
+
+<p>
+Nessuno aveva intravveduto in lei alcunchè
+di mutato. Era l’Annetta di sempre: imbroncita,
+coi grilli per la testa. E su questi chimerici
+grilli le zie ridanciane si divertivano un
+mondo, bofonchiando come coloro che vorrebbero
+entrare per una porta vietata e tentano
+timidamente la maniglia dell’uscio, pronte a
+ritirarsi al minimo suono.
+</p>
+
+<p>
+A sera se ne erano andate profondendosi
+in baci ed abbracci come per una separazione
+eterna. Anna non aveva detto che poche parole;
+il puro necessario.
+</p>
+
+<p>
+Salita alla sua stanza, aveva atteso tranquilla
+e indifferente le tre o quattro sorprese materne,
+serrando poi l’uscio a doppia mandata.
+</p>
+
+<p>
+Ora disponeva le cose necessarie nella valigia.
+Non era in lei alcuna emozione all’infuori
+di un’aspra volontà di agire. Era giunta a quel
+passo attraverso ad una landa squallida, per
+<span class="pagenum" id="Page_194">[194]</span>
+un crepuscolo bigio. Aveva pianto tutte le sue
+lacrime. Era stanca, stanca di oppressione e
+di tristezza. La sua sostanza vitale cercava la
+libera vivacità dei cieli violentemente. Ella non
+avrebbe più potuto opporsi a sè stessa. Doveva
+andare. Nel buio dell’anima sua non era
+ormai se non quell’unica luce verso la quale
+si protendeva per una necessità imperiosa.
+</p>
+
+<p>
+Era giunta per vie sì lunghe al suo divisamento
+che ormai non ne provava più ansia
+nessuna. Era una cosa fatale e necessaria che
+ella compiva: o allora o mai più. Armando le
+aveva scritto: “Entro la settimana entrante
+mi imbarco. Sabato sarò a Bologna. Ti aspetto
+ancóra, dove sai. Sciegli e decidi. O col tuo
+amore o contro l’amor tuo!„. Ella aveva risposto:
+“Sabato alle dieci sarò da te„. La voce
+d’invito, precisa nella sua concisione, aveva
+trovato un subito acconsentimento risoluto.
+Tre volte l’aveva trattenuta la pietà filiale.
+Aveva sperato in una diversa via di uscita,
+ma la piccola madre, sempre che Anna avesse
+tentato ricondurla a parlar del suo amore, aveva
+dato in ismanie ripetendo la minaccia consueta
+che non aveva ormai più valore d’incubo:
+</p>
+
+<p>
+— È meglio ch’io muoia!... Ne avrete per
+poco ancóra!... Sono una disgraziata!...
+</p>
+
+<p>
+Anna si era ridotta al silenzio. E la signora
+<span class="pagenum" id="Page_195">[195]</span>
+Viani non vedeva il consumamento della figliola,
+intenta solo a impedirle il suo radioso destino.
+</p>
+
+<p>
+Il padre non aveva avuto nè volontà, nè voce.
+Fiacco come ogni uomo caduto nel piccolo mondo
+di una femmina sciocca, imbastardito nella mollezza
+che aveva dispento in lui ogni impeto virile,
+si era appaciato in una indifferenza beota senza
+chiedere, senza indagare, senza desiderio di un
+qualsiasi convincimento profondo. E la mamercula
+aveva avuto facile campo alla sua conquista.
+</p>
+
+<p>
+Ma non nel forte cuore della vergine. La
+bell’anima combattuta decideva di sè stessa. Si
+avviava per la via del suo destino senza rivolgersi;
+gli occhi asciutti e il cuore suggellato.
+</p>
+
+<p>
+Il treno partiva alle due.
+</p>
+
+<p>
+Aveva calcolato sul sonno dei suoi.
+</p>
+
+<p>
+Per non far rumore nell’andarsene aveva
+trascelto certi suoi scarponcelli estivi che ammorzavano
+il passo.
+</p>
+
+<p>
+In breve tutto fu compiuto. Lasciò sulla scrivania
+una lettera breve indirizzata alla madre.
+L’aveva scritta da vari giorni. Aprì l’uscio lentissimamente.
+Si protese ad ascoltare. Il sonno
+faceva la casa vuota, corsa solamente da qualche
+ignoto cricchiare, da un brivido di respiro
+nell’ombra. Le sue pupille si dilatarono nella
+tenebra. Fece qualche passo nel corridoio,
+salì una scaletta che conduceva sul ripiano
+<span class="pagenum" id="Page_196">[196]</span>
+delle scale, si accostò all’uscio della stanza
+nella quale dormivano i suoi. Nulla. Il sonno
+misterioso col suo respiro eguale nella tenebra
+densa. Ritornò sui suoi passi. Iddio la vegliava.
+Quando fu sul punto dell’estrema decisione
+ebbe un tremito al cuore. Non vi badò. Pallida
+ma ferma, socchiuse l’uscio, si accostò al
+letto, infilò il mantello, si ravvolse in un velo
+fitto. Era pronta. Ancóra ascoltò. Ebbe un tremito
+di morte ad un tratto, chè le parve di
+udire il passo della madre. Indietreggiò fino
+alla finestra. No... non era lei!... Era la sua
+paura, la sua folle paura di non potere!...
+</p>
+
+<p>
+Prese la valigia, spense il lume. Era il punto.
+Si accostò all’uscio a tentoni, lo aperse, lo richiuse.
+Ristette sulla soglia ancóra, respirando
+come chi abbia dinanzi la visione di un incubo.
+Appoggiata la mano al muro del corridoio, per
+seguire la via diritta, proseguì nell’ombra. Ora
+la tempestava dentro l’ansia di superare quel
+poco spazio, quel nulla ch’era più di una dolorosa
+eternità. Fu alla scaletta di legno, ne
+salì i gradi ad uno ad uno, sbucò nella stanza
+che immetteva nelle scale. Superata la stanza
+poteva dirsi salva. Ristette un attimo ancóra,
+abbrividì, le pareva di udire un respiro vicino.
+Qualcuno respirava di fronte a lei nella tenebra.
+Mosse un passo, poi due, poi prese la via,
+<span class="pagenum" id="Page_197">[197]</span>
+risoluta. S’intravvedeva in fondo alle scale
+un bagliore. Erano i lumi della strada che rischiaravano
+un poco l’andito a terreno, per i
+vetri della rostra. Era la luce che l’attendeva, il
+suo ultimo porto. Avanzò ancóra, fu per uscire;
+ma, sul punto in cui stava per sbucare sulle scale,
+una voce transumanata, non sapeva se orrida di
+spavento o di ira, gridò a due passi da lei:
+</p>
+
+<p>
+— Chi è?... Chi è?...
+</p>
+
+<p>
+Indietreggiò impietrita. Sentì il cuore arrestarsi
+e tutte le vene corse da un subito gelo.
+Non rispose. Le mascelle le si inchiodarono, l’una
+contro l’altra duramente. Sentiva la faccia come
+fosse di marmo. La valigia le cadde di mano.
+</p>
+
+<p>
+E ancóra un soffio vicino e la stessa voce
+e la stessa domanda:
+</p>
+
+<p>
+— Chi è?... Chi c’è qui?
+</p>
+
+<p>
+Non rispose, non seppe il senso delle parole,
+non seppe più nulla.
+</p>
+
+<p>
+— Sei tu, Anna?... Anna, Anna?...
+</p>
+
+<p>
+Era un urlo. Poi una porta si dischiuse. La
+stanza si rischiarò.
+</p>
+
+<p>
+Stettero di fronte terrorizzati. Si guardarono
+negli occhi il padre, la madre, la vergine impietrita.
+</p>
+
+<p>
+E nessuno pianse. C’era, al di sopra di loro,
+qualcosa di più grande, di più oscuro, di più
+tragico che non fosse il loro cuore con le sue
+torve passioni.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_198">[198]</span>
+</p>
+
+<p class="ast">❦</p>
+
+<p>
+E gli anni passarono come un’acqua di palude,
+torbida di una putrida vita. Anna dormì
+ancora fra il padre e la madre.
+</p>
+
+<p>
+Le avevan vietata la morte per tre volte. Si
+scoraggì, si piegò, s’insciocchì poveramente
+come una cosa disfatta negli anni torbidi e fermi
+come un’acqua di palude.
+</p>
+
+<p>
+E la piccola madre sempre la pettinò alla
+mattina, innanzi allo specchio, e sempre le disse,
+come dall’alba dimenticata:
+</p>
+
+<p>
+— Come sono belli i tuoi capelli!...
+</p>
+
+<p>
+E la vestì per trarsela dietro per le vie, la
+vestì sempre più vistosamente; ma la gente
+non si volgeva ormai più, non guardava più
+la vergine insciocchita dai larghi occhi senza
+lume.
+</p>
+
+<p>
+E Anna rise, immiserita, dimentica, e si curvò
+all’Iddio microcefalo della madre, per trovare almeno
+nella cassa, almeno nella morte un fiore:
+un piccolo pallido inutile fiore che sorridesse
+al suo crepuscolo.
+</p>
+
+<p>
+E dopo tanti e tanti mai anni erano quasi
+vecchie ad un modo la madre e la figlia; e la
+buona gente ne rise e le chiamò, “le scimmie„.
+</p>
+
+<div class="chapter">
+<p><span class="pagenum" id="Page_199">[199]</span></p>
+
+<h2 id="grigia">L’ORA GRIGIA.</h2>
+</div>
+
+<p>
+Ormai don Pietro viveva d’accatto e poco
+usciva e quando gli toccava di andare da un
+luogo all’altro allora il povero prete si faceva
+piccino, si accappucciava e seguiva le prode
+dei fossi senza fermarsi mai, senza rivolgersi
+mai, senza ascoltare e senza rispondere e senza
+vedere le facce grifagne de’ suoi persecutori.
+</p>
+
+<p>
+Un prete era una macchia nera in quei paesi
+di rivoluzione, e don Pietro sapeva questo.
+Egli era in peccato continuo e nessuna acqua
+lustrale poteva mondarlo della sua colpa originaria.
+E sì che se per miseria si poteva essere
+apostoli del Signore, egli era uno di questi;
+chè non aveva mai toccato prebende e
+doveva viver di un nulla come la lucertola,
+tantochè la sua vecchia serva lo chiamava:
+</p>
+
+<p>
+— <i>La furmighina del Signor!</i> (la formichina
+del Signore!).
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_200">[200]</span>
+</p>
+
+<p>
+E don Pietro:
+</p>
+
+<p>
+— State zitta, Costanzina, chè siamo tutti di
+un <i>alzòne</i>!
+</p>
+
+<p>
+E voleva dire: — Siam tutti pari, tutti ad
+un’altezza, tutti poveri ad un modo.
+</p>
+
+<p>
+Coltura no, non ne aveva, povero don Pietro,
+ma era vecchio di quasi ottant’anni e se
+qualcosa aveva imparato, al tempo de’ suoi
+dubbi studi, questo qualcosa si era smarrito
+per la lunga via.
+</p>
+
+<p>
+Be’, nessuno gli rimproverava la sua semplicità,
+chè le sue rarissime conoscenze erano del
+suo stesso candore.
+</p>
+
+<p>
+Costanzina, che viveva con lui da più di
+trent’anni, e qualche altra vecchia; in tutto
+quattro o cinque creature, a sommar gli anni
+delle quali si andava verso il millennio.
+</p>
+
+<p>
+L’ultimo uomo timorato di Dio che più aveva
+resistito alla bufera e gli si era mantenuto fedele
+fino all’estremo possibile, era stato Barroccio,
+il campanaro. Barroccio abitava una
+capanna su l’argine della palude, esercitava la
+pesca e la caccia di frodo, era celibe, aveva
+un sacro orror delle femmine, digiunava sei
+giorni della settimana, era balbuziente e un
+poco scemo e nessuno avrebbe potuto pensare
+mai che un tale arnese dovesse far gola agli
+uomini di partito, a coloro che dominavano le
+<span class="pagenum" id="Page_201">[201]</span>
+campagne; eppure anche Barroccio era stato
+del numero.
+</p>
+
+<p>
+Per venti anni Barroccio aveva esercitato
+l’arte supplementaria del campanaro senza che
+nessuno lo avesse tormentato mai, perchè era
+uno di quegli uomini che non s’immischiano
+nei fatti degli altri, che non cercano compagnia,
+ma, paghi del loro silenzio, attendono
+all’opera quotidiana con metodica regolarità,
+fino alla morte. Per venti anni, percependo il
+lauto stipendio di tre lire l’anno, Barroccio
+era salito al suo campanile due volte il giorno,
+senza contare le feste, e, lanciati all’aria i tocchi
+rituali, era partito lungo le siepi senza
+scambiar parola con anima viva se non rarissimamente.
+Ed era ormai, per le genti della
+canonica e per i contadini circostanti, come
+l’ombra della meridiana che viene e va senza
+far rumore, sempre su lo stesso muro, fra i
+numeri convenuti, nel gorgo del tempo.
+</p>
+
+<p>
+Verso sera, qualche volta, don Pietro lo vedeva
+discendere dal campanile e allora gli si
+faceva incontro.
+</p>
+
+<p>
+— Come va, Barroccio?...
+</p>
+
+<p>
+— <i>Ssss.... sssi cccc.... cccampa!</i>...
+</p>
+
+<p>
+— Hai fatto buona pesca?
+</p>
+
+<p>
+— <i>Cccc.... cccosì!</i>...
+</p>
+
+<p>
+— Vuoi bere?
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_202">[202]</span>
+</p>
+
+<p>
+— <i>Cccc.... cca no sssed!</i>... (Non ho sete!)
+</p>
+
+<p>
+— Buona sera, Barroccio.
+</p>
+
+<p>
+— <i>Ffff.... ffalicia sera!</i>...
+</p>
+
+<p>
+E toccatasi la gialla <i>galosa</i> se ne andava per
+gli affari suoi atterrando gli occhi, curvo e silenzioso
+come profondasse nel nulla.
+</p>
+
+<p>
+Ebbene un bel giorno Barroccio non si vide
+più. Aspettalo all’alba, aspettalo al vespro, non
+veniva. Don Pietro mandò Costanzina a cercarlo
+e Costanzina lo trovò nella sua capanna
+sull’argine della palude.
+</p>
+
+<p>
+— Be’, perchè non venite più?
+</p>
+
+<p>
+— <i>Nnnn.... nnon vogliono!</i> — rispose Barroccio.
+</p>
+
+<p>
+— Chi non vuole?
+</p>
+
+<p>
+— <i>I ssss.... i sssucialèsta!</i>... (I socialisti!)
+</p>
+
+<p>
+— E perchè non vogliono?...
+</p>
+
+<p>
+— <i>Nnnn.... nnnon lo so!</i>...
+</p>
+
+<p>
+— Che cosa ti hanno detto?
+</p>
+
+<p>
+— <i>Nnnn.... nniente!</i>...
+</p>
+
+<p>
+— E allora?
+</p>
+
+<p>
+— <i>I mmm.... i m’ha piciè!</i>... (Mi han bastonato!).
+</p>
+
+<p>
+E tale fu lo spavento del poveruomo che,
+dismessa l’arte sua canora, non solo non salì
+più sul campanile, ma nemmeno si accostò alla
+chiesa. E l’ultimo fedele era esulato.
+</p>
+
+<p>
+Don Pietro fece suonar le campane da Costanzina,
+<span class="pagenum" id="Page_203">[203]</span>
+ma sempre più timidamente, qualche
+tocco alla sfuggita, nelle ore del giorno più
+quiete, più deserte, più innamorate del sonno.
+Allora la vecchia Costanzina si inerpicava fra
+le tele di ragno per le vecchie scale a piuoli,
+cricchianti, pencolanti, polverose e, giunta al
+piano delle campane, avvertiva (chi avvertiva
+mai?) che l’alba era nata, che il giorno se ne
+andava, che in una piccola chiesa in rovina
+un vecchio fanciullo cantava l’<i>Angelus</i> alle immagini
+del suo Dio e all’ombra de’ suoi sogni,
+o officiava solo per i morti che erano sotto il
+pavimento, ricordati dalle lapidi, vivi soltanto
+per le consuete parole incise su la pietra.
+</p>
+
+<p>
+Ma no. Per qualcuno ancora si schiudeva la
+porta del piccolo tempio, una volta la settimana,
+innanzi che fosse giorno.
+</p>
+
+<p>
+L’alba della domenica aveva le sue fedeli.
+Tre vecchie che giungevano da tre casolari
+lontani, che si incontravano per via, che indossavano,
+solo per la messa, le loro vesti migliori,
+e parlavan piano quasi fossero spiate da cent’occhi
+nemici.
+</p>
+
+<p>
+Giungevano alla porta socchiusa. Costanzina
+le aspettava. Entravano insieme scambiando
+qualche parola. Su l’altare si accendevano due
+soli ceri, proprio all’ultima ora perchè non si
+consumassero troppo, e di fronte a un crocifisso,
+<span class="pagenum" id="Page_204">[204]</span>
+su la sacra pietra disadorna, senza fiori,
+senza candelabri, senza dorature, senza cornici
+o tovaglie, o qualcuno dei tanti arredi che adornano
+gli altari, nella più povera semplicità
+don Pietro iniziava il sacro mistero. Costanzina
+serviva la messa. Iddio le avrebbe perdonato!
+Balbettava le frasi latine malamente. D’altra
+parte fra don Pietro e lei poco sapevano che
+si dicessero, ma la fede era grande. Grande la
+fede e serena; Iddio scendeva fra di loro, nella
+chiesuola dalle pareti scalcinate, dalle imposte
+cadenti dalle quali entrava il rovaio e entravano
+le rondini in primavera. Da principio erano
+giunte con uno strido riacquistando ben presto
+la serena libertà dei cieli; ma poi si erano fatte
+più ardite e prima una, poi dieci e venti avevano
+plasmato il loro nido fra le travi scoperte.
+</p>
+
+<p>
+Costanzina se ne era accorta una mattina
+mentre era intenta a rassettare alla meglio la
+chiesuola. Avvertiva sì, da un po’ di tempo, lo
+stridere troppo frequente delle sorelle nere,
+ma non aveva pensato mai a levar gli occhi.
+Si sa, senza vetri alle imposte, in quella povertà
+estrema nella quale vivevano, non potevano
+pretendere di non aver le rondini in
+chiesa; ma quella mattina volle il caso che
+una rondine le lasciasse cadere proprio su la
+fronte come una tepida goccia.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_205">[205]</span>
+</p>
+
+<p>
+Costanzina capì di che si trattava e si rasciugò;
+poi, levata la faccia, scoprì una novità
+fra le alte travi. Stette in vedetta, studiò meglio
+l’affar suo e potè constatare che le rondini
+avevano fatto il nido in chiesa. Per questo
+trovava tanto sudicio il pavimento e non
+le bastava mai la fatica a pulirlo!... Còlta da
+un sacro sdegno, uscì e cercò di don Pietro.
+Lo trovò nel brolo.
+</p>
+
+<p>
+— Signor parroco, venga a vedere!
+</p>
+
+<p>
+— Che cosa?
+</p>
+
+<p>
+— Venga, le dico!
+</p>
+
+<p>
+— Che c’è?
+</p>
+
+<p>
+— Ma venga, santo Dio!...
+</p>
+
+<p>
+E lo prese per la veste e se lo rimorchiò
+dietro. Furono in chiesa. Costanzina tese un
+braccio verso le travi:
+</p>
+
+<p>
+— Vede?
+</p>
+
+<p>
+— No.
+</p>
+
+<p>
+— Come, non vede le rondini dove hanno
+fatto il nido?
+</p>
+
+<p>
+— Oooooh!... — fece don Pietro.
+</p>
+
+<p>
+— Bisognerà prender una scala e portar via
+quei nidi!...
+</p>
+
+<p>
+— Perchè?
+</p>
+
+<p>
+— Ma le pare, signor parroco?... In chiesa!...
+</p>
+
+<p>
+— Be’?...
+</p>
+
+<p>
+— Il sudicio che fanno!
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_206">[206]</span>
+</p>
+
+<p>
+— Si pulirà.
+</p>
+
+<p>
+— Il rispetto....
+</p>
+
+<p>
+— Costanzina, bisogna essere <i>onorificati</i> della
+misericordia di Dio!...
+</p>
+
+<p>
+— Ma!...
+</p>
+
+<p>
+— Se ci sono <i>lasèli ste</i>.... lasciatele stare,
+povere bestie!... Il Signore ce le manda!...
+<i>Coiòmberi!</i>... Sono tutte <i>pudicizia</i>!... Dove volete
+trovare una bestiola più <i>inonorata</i>, più
+<i>specifica.... cm’as disal</i>.... come si dice?... più
+<i>procace</i> della rondine?... Saranno un <i>addobbo</i>,
+non le toccate.
+</p>
+
+<p>
+— <i>Jèso!</i>... (Gesù!...) — fece Costanzina; ma
+i nidi delle rondini non furono tócchi.
+</p>
+
+<p>
+Così voleva don Pietro, la piccola formica
+di Dio, e così fu, chè Costanzina aveva una
+grande venerazione per il vecchio sacerdote e
+non avrebbe compita mai cosa contraria alla
+volontà di lui.
+</p>
+
+<p>
+E sta il fatto che, sotto le travi adorne di
+nidi, inginocchiate su la nuda terra, nell’ombra
+antelucana, appena vinta dal bagliore di due
+ceri, la santa domenica tre sole vecchie, le ultime,
+ascoltavano il divino mistero.
+</p>
+
+<p>
+Francesca, Palmina e Mariòla: si chiamavano
+così.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_207">[207]</span>
+</p>
+
+<p class="ast">❦</p>
+
+<p>
+E queste tre vecchie avevano l’aria di cospiratrici.
+Si levavano piano piano innanzi che il
+gallo cantasse, aprivano l’arca, si vestivano al
+buio e, imbacuccate entro le pezzuole nere a
+righe bianche, le scarpe in una mano, scendevano
+in peduli per non far rumore.
+</p>
+
+<p>
+Gli uomini dormivano; il cane, su l’aia, le
+annusava e le lasciava partire al loro cammino,
+ritornando alla sua cuccia dentro il pagliaio
+dello strame.
+</p>
+
+<p>
+Eccole all’Incrociata dell’Olmo. Erano puntuali.
+Sbucava Marióla dalla viottola dei Calza
+che Palmina era già presso la cappelletta votiva
+del quadrivio e Francesca giungeva per
+il campo dei Balestra.
+</p>
+
+<p>
+La chiesuola non era su la via maestra, era
+in mezzo ai campi, al termine di una straducola
+incassata fra siepi altissime. Vi si internavano
+tutte tre camminando a paro e parlucchiando
+della stagione, degli uomini, dei tempi
+e della loro malinconia.
+</p>
+
+<p>
+La casipola di Marióla aveva inchiodato a
+sommo dell’uscio un crocifisso nero, messo là
+da tempi immemorabili, tanto che Mariòla ricordava
+di aver sentito dire dal suo uomo che
+<span class="pagenum" id="Page_208">[208]</span>
+la famiglia dei Travelli l’aveva trovato tale e
+quale quando era discesa dai monti al nuovo
+podere. Be’, che fastidio dava?... Non lo potevano
+lasciare al suo posto?... Nossignori!... Il
+suo figlio grande le aveva voluto dare anche
+quel dispiacere e, preso il pennato, aveva compiuto
+il sacrilegio. E Mariòla a raccomandarsi
+e il figlio a risponderle:
+</p>
+
+<p>
+— State zitta, vecchia!... Una casa che si
+rispetta non deve avere questi segni di superstizione!
+</p>
+
+<p>
+Un segno di superstizione il Signore?... <i>Jèso!</i>...
+Ma dove si andava a finire?... D’altra parte i
+castighi di Dio non mancavano: grandinate, colèra,
+guerre, ammazzamenti, rovina!... Una volta
+si stava meglio, c’era anche più rispetto pei vecchi!...
+Ma adesso chi badava ai vecchi? Non
+eran buoni neppur da bruciare!...
+</p>
+
+<p>
+E Francesca:
+</p>
+
+<p>
+— <i>Di ’e farà ’na grân vandetta!</i>... (Iddio
+farà una grande vendetta!...).
+</p>
+
+<p>
+E Palmina:
+</p>
+
+<p>
+— Questi ragazzi crescono e, ancora non
+sanno dire mamma che imparano a bestemmiare!...
+<i>Jèso!</i>... Non rispettano più niente, vengono
+su come l’erbaccia, non vogliono osservazioni
+nè consigli; che cosa diventeranno?
+</p>
+
+<p>
+E così ragionando giungevano alla chiesa,
+<span class="pagenum" id="Page_209">[209]</span>
+trovavano Costanzina su la porta del tempio,
+disparivano.
+</p>
+
+<p>
+La cosa continuava da anni ed anni.
+</p>
+
+<p>
+Ora una mattina, e il buio era anche più
+fitto perchè era nuvolo, una mattina queste
+tre vecchie avevano svoltato per la straducola
+che conduceva alla chiesa, e andavano di
+passo uguale parlucchiando, quando all’improvviso
+videro un’ombra ferma innanzi a loro, in
+mezzo alla strada. Sostarono. Lo sconosciuto
+disse:
+</p>
+
+<p>
+— Tornate indietro!
+</p>
+
+<p>
+Le vecchie sbalordite non risposero.
+</p>
+
+<p>
+— Tornate a casa, vecchie!...
+</p>
+
+<p>
+— Perchè? — fece Mariòla.
+</p>
+
+<p>
+— Perchè in chiesa non si va!
+</p>
+
+<p>
+— Non si va?
+</p>
+
+<p>
+— No.
+</p>
+
+<p>
+— Che cosa c’entrate voi?
+</p>
+
+<p>
+— Fatemi il piacere di tornare indietro.
+</p>
+
+<p>
+— È una prepotenza!
+</p>
+
+<p>
+— È quello che è!
+</p>
+
+<p>
+— Ed io voglio andare dove mi accomoda!
+</p>
+
+<p>
+— E allora vi prenderò come una bambina
+e vi porterò a casa.
+</p>
+
+<p>
+— Chi siete voi?
+</p>
+
+<p>
+— Questo non vi interessa.
+</p>
+
+<p>
+— Lo dirò con i miei uomini.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_210">[210]</span>
+</p>
+
+<p>
+— Ditelo a chi vi accomoda.
+</p>
+
+<p>
+Passò un silenzio. Francesca e Palmina davano
+di gomito a Mariòla perchè tacesse, perchè
+ubbidisse, chè tanto non c’era nulla da
+opporre contro la prepotenza di un male intenzionato.
+E le tre vecchie ritornarono umili
+per la strada percorsa e non scambiaron parola.
+Quando furono all’Incrociata dell’Olmo si
+fermarono. Lo sconosciuto non c’era più.
+</p>
+
+<p>
+— Chi sarà stato?...
+</p>
+
+<p>
+— Chi sa?...
+</p>
+
+<p>
+— Un socialista!...
+</p>
+
+<p>
+— Sì!...
+</p>
+
+<p>
+Era l’alba. Che dovevan fare? Ed ecco che
+la chiesuola lanciò un secondo timido richiamo.
+Costanzina le aspettava.
+</p>
+
+<p>
+— Che cosa dirà il parroco?
+</p>
+
+<p>
+— Gli avevo portato due uova, povero vecchio!
+È malato e non ha nulla da curarsi!
+</p>
+
+<p>
+— Sentite?... Suonano ancora la prima!...
+</p>
+
+<p>
+— Ci aspettano.
+</p>
+
+<p>
+E si udiva la chiamata sommessa. Pareva
+che la campana non fosse tocca da una mano,
+bensì dal vento leggero che ne movesse il
+battaglio appena, tanto che il suono, inuguale
+fra pause inuguali, fosse come il tremolio
+della foglia e l’incresparsi dell’acqua e il chinarsi
+degli steli e il moto e la voce di tutte le
+<span class="pagenum" id="Page_211">[211]</span>
+cose che parlano e si ridestano quando l’aria
+si muove.
+</p>
+
+<p>
+Le tre vecchie presero una via traversa.
+L’ombra non c’era più. Ed anche quella domenica
+si inginocchiarono su la nuda terra,
+sotto le travi dove erano i nidi abbandonati
+delle rondini lontane.
+</p>
+
+<p>
+Ma alla prima minaccia ne seguirono altre.
+Le ultime tre fedeli del piccolo tempio in rovina
+dovevano rinunziare alla pubblica pratica
+della loro fede; se volevano pregare, pregassero
+in casa. In chiesa, no!...
+</p>
+
+<p>
+Mariòla, Palmina e Francesca lasciaron dire
+gli uomini incaniti e tacquero, ma il loro silenzio
+non fu di acquiescenza. Anch’esse erano
+della stessa razza tenace e non cedevano sì
+facilmente.
+</p>
+
+<p>
+Ora giunse la domenica e fra loro si era
+passato un accordo. Quella volta non indossavano
+la veste consacrata, anzi trascelsero la
+peggiore e presero un sacchetto ed un falcetto
+come quando solevano andar lungo i fossi a
+raccogliere la gramigna. La campana della chiesuola
+non suonò i suoi doppi. Costanzina era
+avvisata. Tanto Mariòla quanto le compagne
+non percorsero la via consueta, anzi andaron
+per strade diverse raddoppiando il cammino.
+Si erano levate più di buon’ora. L’alba pareva
+<span class="pagenum" id="Page_212">[212]</span>
+lontana. Quando cantarono i galli si trovarono
+tutte e tre lungo il fondo di un rio come era
+convenuto. Questo rio passava sotto il cimitero
+e accanto alla chiesuola.
+</p>
+
+<p>
+Si videro appena. Era un gran buio.
+</p>
+
+<p>
+— Siete voi Mariòla?
+</p>
+
+<p>
+— Sì, Francesca!
+</p>
+
+<p>
+— E Palmina?
+</p>
+
+<p>
+— Eccola.
+</p>
+
+<p>
+Incurve, guardinghe, col loro sacchetto sopra
+una spalla e il falcetto in una mano proseguirono,
+l’una dietro l’altra.
+</p>
+
+<p>
+— E se ci sono? — domandò Francesca.
+</p>
+
+<p>
+— Se ci sono raccoglieremo la gramigna — rispose
+Mariòla.
+</p>
+
+<p>
+Un cane abbaiò lontanissimamente. Si udì il
+remoto rombo di un treno. Non c’erano stelle.
+</p>
+
+<p>
+— Siamo arrivate? — fece Palmina.
+</p>
+
+<p>
+Mariòla levò la faccia e disse:
+</p>
+
+<p>
+— Sì.
+</p>
+
+<p>
+— C’è Costanzina?
+</p>
+
+<p>
+Le tre vecchie scrutarono l’ombra.
+</p>
+
+<p>
+— Non si vede.
+</p>
+
+<p>
+— Allora son venuti e ci aspettano!
+</p>
+
+<p>
+— Non importa! — disse Mariòla.
+</p>
+
+<p>
+Si intravvedeva la siepe del cimitero. Mariòla incominciò
+a inerpicarsi lungo la sponda del rio. Andava
+carponi. Palmina e Francesca la seguirono.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_213">[213]</span>
+</p>
+
+<p>
+Quando potè inginocchiarsi su lo scrimolo,
+Mariòla passò il capo per un varco della siepe
+e chiamò sommessamente:
+</p>
+
+<p>
+— Costanzina?
+</p>
+
+<p>
+Nessuno rispose.
+</p>
+
+<p>
+— Non c’è! — disse Francesca.
+</p>
+
+<p>
+Mariòla si rizzò. Le altre le furono al fianco.
+Ristettero immobili, un attimo. Udirono qualche
+voce nella straducola della chiesa.
+</p>
+
+<p>
+— Li sentite? — fece Palmina.
+</p>
+
+<p>
+— Sì.
+</p>
+
+<p>
+— Sono venuti in molti.
+</p>
+
+<p>
+— Non importa.
+</p>
+
+<p>
+— Ci vogliono fischiare!...
+</p>
+
+<p>
+— E tu <i>digli</i> che fischino!
+</p>
+
+<p>
+— Che cosa fate?...
+</p>
+
+<p>
+— Venitemi dietro.
+</p>
+
+<p>
+Mariòla aprì un varco ed entrò nel piccolo
+camposanto. Andarono in fila, lungo la siepe,
+senza far rumore, tutte tre incurve, tutte tre
+con lo stesso sacchetto sulle spalle e il falcetto
+in una mano. Avevano una pezzuola bianca e
+nera. Camminavano adagio, trasfigurate dall’ombra.
+</p>
+
+<p>
+Dalla via qualcuno gridò:
+</p>
+
+<p>
+— Chi è?
+</p>
+
+<p>
+Le vecchie non risposero. Trascorse un silenzio
+profondo.
+</p>
+
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_214">[214]</span>
+</p>
+
+<p>
+— Avete veduto? — domandò una voce
+sommessa.
+</p>
+
+<p>
+— Che cosa?
+</p>
+
+<p>
+— Là.... dietro la siepe del camposanto!
+</p>
+
+<p>
+— Chi è?... Chi è?...
+</p>
+
+<p>
+— Sarà l’ombra di un albero.
+</p>
+
+<p>
+— No....
+</p>
+
+<p>
+— Andiamo a vedere.
+</p>
+
+<p>
+Le tre vecchie si fermarono e anche gli uomini
+si fermarono. Nessuno si mosse. Ma quando
+Mariòla aprì il cancelletto del camposanto e si
+udì lo stridore dei cardini, ed ella non fu più
+confusa alla siepe, ma chiara e paurosa nel vano,
+contro le croci e i marmi, allora si udì un urlo
+soffocato, poi il busso di una corsa sfrenata.
+</p>
+
+<p>
+Poco dopo la schiletta del campanile suonò
+i suoi doppi e i due ceri si accesero sull’altare
+dispoglio innanzi al nero crocifisso e le tre
+vecchie si inginocchiarono l’una vicino all’altra
+su la nuda terra.
+</p>
+
+<p>
+E queste tre vecchie più non furono disturbate
+finchè la morte non le chiamò ad una ad
+una, dopo don Pietro, la piccola formica di
+Dio, che già aveva seguito l’ignoto volo delle
+sue rondini verso l’eternità.
+</p>
+
+<div class="somm">
+<p>
+<span class="pagenum" id="Page_215">[215]</span>
+</p>
+
+<h2><a id="indice" href="#indfront">
+INDICE</a></h2>
+
+<table class="indice">
+ <tr>
+ <td> </td> <td class="pag">Pag.</td>
+ </tr>
+ <tr>
+ <td colspan="2"> </td>
+ </tr>
+ <tr>
+ <td>La pace</td> <td class="pag"><a href="#pace">1</a></td>
+ </tr>
+ <tr>
+ <td>Lo spaventa passeri</td> <td class="pag"><a href="#passeri">19</a></td>
+ </tr>
+ <tr>
+ <td>La vigna vendemmiata</td> <td class="pag"><a href="#vignav">33</a></td>
+ </tr>
+ <tr>
+ <td>Padre Serenità</td> <td class="pag"><a href="#padre">51</a></td>
+ </tr>
+ <tr>
+ <td>L’eremita</td> <td class="pag"><a href="#eremita">71</a></td>
+ </tr>
+ <tr>
+ <td>I violenti</td> <td class="pag"><a href="#violenti">93</a></td>
+ </tr>
+ <tr>
+ <td>La gazza</td> <td class="pag"><a href="#gazza">107</a></td>
+ </tr>
+ <tr>
+ <td>L’eredità</td> <td class="pag"><a href="#eredita">137</a></td>
+ </tr>
+ <tr>
+ <td>La festa dei migliacci</td> <td class="pag"><a href="#festa">147</a></td>
+ </tr>
+ <tr>
+ <td>La madre</td> <td class="pag"><a href="#madre">165</a></td>
+ </tr>
+ <tr>
+ <td>L’ora grigia</td> <td class="pag"><a href="#grigia">199</a></td>
+ </tr>
+</table>
+<hr />
+
+</div>
+
+<div class="opere">
+<p class="title">
+DELLO STESSO AUTORE:
+</p>
+
+<table class="indice">
+ <tr>
+ <td><i>Anna Perenna</i>, novelle</td> <td class="pag">L. 3 50</td>
+ </tr>
+ <tr>
+ <td><i>I primogeniti</i>, novelle</td> <td class="pag">3 50</td>
+ </tr>
+ <tr>
+ <td><i>Il cantico</i>, romanzo</td> <td class="pag">3 50</td>
+ </tr>
+ <tr>
+ <td><i>Gli uomini rossi</i>, romanzo</td> <td class="pag">2 —</td>
+ </tr>
+ <tr>
+ <td><i>L’alterna vicenda</i>, novelle</td> <td class="pag">3 50</td>
+ </tr>
+ <tr>
+ <td><i>Il diario di un viandante. Dal deserto al Mar Glaciale</i>. In-8 ill., con tav. a colori</td> <td class="pag">8 —</td>
+ </tr>
+ <tr>
+ <td><i>Solicchio</i>, canto d’amore. In-8</td> <td class="pag">4 —</td>
+ </tr>
+ <tr>
+ <td><i>Le Novelle della Guerra</i></td> <td class="pag">3 50</td>
+ </tr>
+</table>
+</div>
+
+<div class="footnotes">
+
+<h2>
+NOTE:
+</h2>
+
+<div class="footnote" id="note1">
+<p><span class="label"><a href="#tag1">1</a>.  </span><i>Battolata</i>, così si chiama in Romagna il batter
+delle gramole in ritmo, fra lunghe pause. Le gramolatrici
+usano fare la battolata per chiamar sulla sera i
+loro innamorati a convegno.</p>
+</div>
+
+<div class="footnote" id="note2">
+<p><span class="label"><a href="#tag2">2</a>.  </span>Usava in Romagna, fino a qualche anno fa, che un
+amante abbandonato, per vendicarsi pubblicamente dell’incostanza
+della propria innamorata, al tempo della
+gramolatura della canapa, si recasse all’aia nella quale
+si trovava la sua bella ed ivi giunto gridasse il nome
+di questa facendolo seguire da due colpi di fucile. Tali
+colpi costituivano le così dette <i>corna</i> ed erano per la
+ragazza un tale sfregio che il capoccio della casa si affrettava
+a <i>guastare</i> sparando un terzo colpo.</p>
+</div>
+</div>
+
+<div class="tnote">
+<p class="tntitle">
+Nota del Trascrittore
+</p>
+
+<p>
+Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo senza annotazione
+minimi errori tipografici.
+</p>
+
+<p class="covernote">
+Copertina creata dal trascrittore e posta nel pubblico dominio.
+</p>
+</div>
+
+<div lang='en' xml:lang='en'>
+<div style='display:block; margin-top:4em'>*** END OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK <span lang='it' xml:lang='it'>LA VIGNA VENDEMMIATA</span> ***</div>
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+same format with its attached full Project Gutenberg™ License when
+you share it without charge with others.
+</div>
+
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+1.D. The copyright laws of the place where you are located also govern
+what you can do with this work. Copyright laws in most countries are
+in a constant state of change. If you are outside the United States,
+check the laws of your country in addition to the terms of this
+agreement before downloading, copying, displaying, performing,
+distributing or creating derivative works based on this work or any
+other Project Gutenberg™ work. The Foundation makes no
+representations concerning the copyright status of any work in any
+country other than the United States.
+</div>
+
+<div style='display:block; margin:1em 0'>
+1.E. Unless you have removed all references to Project Gutenberg:
+</div>
+
+<div style='display:block; margin:1em 0'>
+1.E.1. The following sentence, with active links to, or other
+immediate access to, the full Project Gutenberg™ License must appear
+prominently whenever any copy of a Project Gutenberg™ work (any work
+on which the phrase “Project Gutenberg” appears, or with which the
+phrase “Project Gutenberg” is associated) is accessed, displayed,
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+</div>
+
+<blockquote>
+ <div style='display:block; margin:1em 0'>
+ This eBook is for the use of anyone anywhere in the United States and most
+ other parts of the world at no cost and with almost no restrictions
+ whatsoever. You may copy it, give it away or re-use it under the terms
+ of the Project Gutenberg License included with this eBook or online
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+ are not located in the United States, you will have to check the laws
+ of the country where you are located before using this eBook.
+ </div>
+</blockquote>
+
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+1.E.2. If an individual Project Gutenberg™ electronic work is
+derived from texts not protected by U.S. copyright law (does not
+contain a notice indicating that it is posted with permission of the
+copyright holder), the work can be copied and distributed to anyone in
+the United States without paying any fees or charges. If you are
+redistributing or providing access to a work with the phrase “Project
+Gutenberg” associated with or appearing on the work, you must comply
+either with the requirements of paragraphs 1.E.1 through 1.E.7 or
+obtain permission for the use of the work and the Project Gutenberg™
+trademark as set forth in paragraphs 1.E.8 or 1.E.9.
+</div>
+
+<div style='display:block; margin:1em 0'>
+1.E.3. If an individual Project Gutenberg™ electronic work is posted
+with the permission of the copyright holder, your use and distribution
+must comply with both paragraphs 1.E.1 through 1.E.7 and any
+additional terms imposed by the copyright holder. Additional terms
+will be linked to the Project Gutenberg™ License for all works
+posted with the permission of the copyright holder found at the
+beginning of this work.
+</div>
+
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+1.E.4. Do not unlink or detach or remove the full Project Gutenberg™
+License terms from this work, or any files containing a part of this
+work or any other work associated with Project Gutenberg™.
+</div>
+
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+1.E.5. Do not copy, display, perform, distribute or redistribute this
+electronic work, or any part of this electronic work, without
+prominently displaying the sentence set forth in paragraph 1.E.1 with
+active links or immediate access to the full terms of the Project
+Gutenberg™ License.
+</div>
+
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+1.E.6. You may convert to and distribute this work in any binary,
+compressed, marked up, nonproprietary or proprietary form, including
+any word processing or hypertext form. However, if you provide access
+to or distribute copies of a Project Gutenberg™ work in a format
+other than “Plain Vanilla ASCII” or other format used in the official
+version posted on the official Project Gutenberg™ website
+(www.gutenberg.org), you must, at no additional cost, fee or expense
+to the user, provide a copy, a means of exporting a copy, or a means
+of obtaining a copy upon request, of the work in its original “Plain
+Vanilla ASCII” or other form. Any alternate format must include the
+full Project Gutenberg™ License as specified in paragraph 1.E.1.
+</div>
+
+<div style='display:block; margin:1em 0'>
+1.E.7. Do not charge a fee for access to, viewing, displaying,
+performing, copying or distributing any Project Gutenberg™ works
+unless you comply with paragraph 1.E.8 or 1.E.9.
+</div>
+
+<div style='display:block; margin:1em 0'>
+1.E.8. You may charge a reasonable fee for copies of or providing
+access to or distributing Project Gutenberg™ electronic works
+provided that:
+</div>
+
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+ to the owner of the Project Gutenberg™ trademark, but he has
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+ Gutenberg Literary Archive Foundation. Royalty payments must be paid
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+ </div>
+
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+ </div>
+
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+ • You provide, in accordance with paragraph 1.F.3, a full refund of
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+ </div>
+
+ <div style='text-indent:-0.7em'>
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+ </div>
+</div>
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+forth in Section 3 below.
+</div>
+
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+1.F.
+</div>
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+</div>
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+1.F.5. Some states do not allow disclaimers of certain implied
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+remaining provisions.
+</div>
+
+<div style='display:block; margin:1em 0'>
+1.F.6. INDEMNITY - You agree to indemnify and hold the Foundation, the
+trademark owner, any agent or employee of the Foundation, anyone
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+electronic works, harmless from all liability, costs and expenses,
+including legal fees, that arise directly or indirectly from any of
+the following which you do or cause to occur: (a) distribution of this
+or any Project Gutenberg™ work, (b) alteration, modification, or
+additions or deletions to any Project Gutenberg™ work, and (c) any
+Defect you cause.
+</div>
+
+<div style='display:block; font-size:1.1em; margin:1em 0; font-weight:bold'>
+Section 2. Information about the Mission of Project Gutenberg™
+</div>
+
+<div style='display:block; margin:1em 0'>
+Project Gutenberg™ is synonymous with the free distribution of
+electronic works in formats readable by the widest variety of
+computers including obsolete, old, middle-aged and new computers. It
+exists because of the efforts of hundreds of volunteers and donations
+from people in all walks of life.
+</div>
+
+<div style='display:block; margin:1em 0'>
+Volunteers and financial support to provide volunteers with the
+assistance they need are critical to reaching Project Gutenberg™’s
+goals and ensuring that the Project Gutenberg™ collection will
+remain freely available for generations to come. In 2001, the Project
+Gutenberg Literary Archive Foundation was created to provide a secure
+and permanent future for Project Gutenberg™ and future
+generations. To learn more about the Project Gutenberg Literary
+Archive Foundation and how your efforts and donations can help, see
+Sections 3 and 4 and the Foundation information page at www.gutenberg.org.
+</div>
+
+<div style='display:block; font-size:1.1em; margin:1em 0; font-weight:bold'>
+Section 3. Information about the Project Gutenberg Literary Archive Foundation
+</div>
+
+<div style='display:block; margin:1em 0'>
+The Project Gutenberg Literary Archive Foundation is a non-profit
+501(c)(3) educational corporation organized under the laws of the
+state of Mississippi and granted tax exempt status by the Internal
+Revenue Service. The Foundation’s EIN or federal tax identification
+number is 64-6221541. Contributions to the Project Gutenberg Literary
+Archive Foundation are tax deductible to the full extent permitted by
+U.S. federal laws and your state’s laws.
+</div>
+
+<div style='display:block; margin:1em 0'>
+The Foundation’s business office is located at 809 North 1500 West,
+Salt Lake City, UT 84116, (801) 596-1887. Email contact links and up
+to date contact information can be found at the Foundation’s website
+and official page at www.gutenberg.org/contact
+</div>
+
+<div style='display:block; font-size:1.1em; margin:1em 0; font-weight:bold'>
+Section 4. Information about Donations to the Project Gutenberg Literary Archive Foundation
+</div>
+
+<div style='display:block; margin:1em 0'>
+Project Gutenberg™ depends upon and cannot survive without widespread
+public support and donations to carry out its mission of
+increasing the number of public domain and licensed works that can be
+freely distributed in machine-readable form accessible by the widest
+array of equipment including outdated equipment. Many small donations
+($1 to $5,000) are particularly important to maintaining tax exempt
+status with the IRS.
+</div>
+
+<div style='display:block; margin:1em 0'>
+The Foundation is committed to complying with the laws regulating
+charities and charitable donations in all 50 states of the United
+States. Compliance requirements are not uniform and it takes a
+considerable effort, much paperwork and many fees to meet and keep up
+with these requirements. We do not solicit donations in locations
+where we have not received written confirmation of compliance. To SEND
+DONATIONS or determine the status of compliance for any particular state
+visit <a href="https://www.gutenberg.org/donate/">www.gutenberg.org/donate</a>.
+</div>
+
+<div style='display:block; margin:1em 0'>
+While we cannot and do not solicit contributions from states where we
+have not met the solicitation requirements, we know of no prohibition
+against accepting unsolicited donations from donors in such states who
+approach us with offers to donate.
+</div>
+
+<div style='display:block; margin:1em 0'>
+International donations are gratefully accepted, but we cannot make
+any statements concerning tax treatment of donations received from
+outside the United States. U.S. laws alone swamp our small staff.
+</div>
+
+<div style='display:block; margin:1em 0'>
+Please check the Project Gutenberg web pages for current donation
+methods and addresses. Donations are accepted in a number of other
+ways including checks, online payments and credit card donations. To
+donate, please visit: www.gutenberg.org/donate
+</div>
+
+<div style='display:block; font-size:1.1em; margin:1em 0; font-weight:bold'>
+Section 5. General Information About Project Gutenberg™ electronic works
+</div>
+
+<div style='display:block; margin:1em 0'>
+Professor Michael S. Hart was the originator of the Project
+Gutenberg™ concept of a library of electronic works that could be
+freely shared with anyone. For forty years, he produced and
+distributed Project Gutenberg™ eBooks with only a loose network of
+volunteer support.
+</div>
+
+<div style='display:block; margin:1em 0'>
+Project Gutenberg™ eBooks are often created from several printed
+editions, all of which are confirmed as not protected by copyright in
+the U.S. unless a copyright notice is included. Thus, we do not
+necessarily keep eBooks in compliance with any particular paper
+edition.
+</div>
+
+<div style='display:block; margin:1em 0'>
+Most people start at our website which has the main PG search
+facility: <a href="https://www.gutenberg.org">www.gutenberg.org</a>.
+</div>
+
+<div style='display:block; margin:1em 0'>
+This website includes information about Project Gutenberg™,
+including how to make donations to the Project Gutenberg Literary
+Archive Foundation, how to help produce our new eBooks, and how to
+subscribe to our email newsletter to hear about new eBooks.
+</div>
+
+</div>
+</div>
+</body>
+</html>
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