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-The Project Gutenberg eBook of O tutto o nulla, by Antonio Giulio
-Barrili
-
-This eBook is for the use of anyone anywhere in the United States and
-most other parts of the world at no cost and with almost no restrictions
-whatsoever. You may copy it, give it away or re-use it under the terms
-of the Project Gutenberg License included with this eBook or online at
-www.gutenberg.org. If you are not located in the United States, you
-will have to check the laws of the country where you are located before
-using this eBook.
-
-Title: O tutto o nulla
-
-Author: Antonio Giulio Barrili
-
-Release Date: August 16, 2022 [eBook #68766]
-
-Language: Italian
-
-Produced by: Barbara Magni and the Online Distributed Proofreading Team
- at http://www.pgdp.net (This file was produced from images
- made available by The Internet Archive)
-
-*** START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK O TUTTO O NULLA ***
-
-
- O TUTTO O NULLA
-
-
- ROMANZO
-
- DI
- ANTON GIULIO BARRILI
-
-
- SECONDA EDIZIONE
-
-
-
- MILANO
- FRATELLI TREVES, EDITORI
- 1883.
-
-
-
-
- PROPRIETÀ LETTERARIA.
-
- Tip. Fratelli Treves.
-
-
-
-
-I.
-
-
-Senza fiori nascosti nella sottoveste, ma con un volumetto tra mani
-e liberamente in mostra per ogni genìa di curiosi, Aldo De Rossi era
-andato, verso le tre del pomeriggio, a far visita alla signora.
-
-Non istate a credere che io voglia entrare così leggermente in materia,
-defraudandovi del nome di lei. Non mi avviene sempre di sapere quel che
-si deve a Cesare; ma ho sempre saputo quel che si deve ai lettori, e
-sopra tutto alle lettrici. Vi dirò dunque che la signora si chiamava
-Elena Vezzosi, e meritava così il suo nome di battesimo come quello
-della famiglia in cui era entrata da otto a nove anni; di guisa che
-si soleva dire, senza aver l’aria di farle un complimento, che l’uno
-e l’altro dovevano essere stati inventati a bella posta per lei. La
-signora Elena era bellissima dalla punta dei capegli a quella dei
-piedi, ed io lascio pensare a voi che sorte d’elettricità dovesse
-sprigionarsi da quelle due punte. A farvela breve, ella possedeva tutte
-le attrattive, della bellezza e dello spirito. Eppure, non si conosceva
-che avesse un amante; la qual cosa parrà strana, con la facilità che
-hanno le donne di trovarsene sempre uno tra’ piedi, e con quell’altra,
-anche maggiore, di vedersene imprestare una mezza dozzina. Ma, strano
-o no, il fatto era questo, e si vedeva chiaro che la signora Elena
-non amava nessuno. Di certo, non l’aveva detto, o lasciato sperare ad
-anima viva; tanto che le male lingue avevano finito col dire che ella
-amava solamente sè stessa. Già, tutte così, quando sono troppo belle,
-e quando lo specchio è li per farne testimonianza, tanto più credibile
-quanto meno interessata.
-
-Comunque fosse, molti cavalieri si affollavano intorno a lei, per
-dirle in prosa sdolcinata quello che le diceva in forma più recisa lo
-specchio. Ed ella non respingeva nessuno; era cortese in egual modo
-con tutti; faceva ad ognuno quelle accoglienze onestamente liete e
-svogliate, in cui dobbiamo vedere il _non plus ultra_ della buona
-compagnia. Perchè, si sa, la consegna è di godere la vita, con aria
-di averla a noia. Il fare altrimenti non è di buon gusto. La gente,
-uscendo dal salotto della bella svogliata, deve poter dire: «Quella
-signora Iccase! Che donna! Con che garbo riceve!»
-
-Del resto, non mormoriamo. Succede questo fenomeno quando si va per
-consuetudine a teatro e si conosce da lunga mano l’opera, o il dramma.
-Arie e scene non hanno allettamento di novità, e le commozioni non
-vengono; si aspetta il gran duetto, o la scena capitale, che vi faccia
-provare, magari un po’ diminuite, le sensazioni della prima volta;
-intanto si sta esposte alle ammirazioni degli uomini e si fanno crepar
-d’invidia le amiche. Ora la signora Elena Vezzosi sapeva da un pezzo
-tutto ciò che avevano a dirle, con periodica regolarità, i suoi cento
-divoti. Era la sua voluttà e in pari tempo la sua condanna, come il
-«_toujours perdrix_» del gastronomo. E a quelle sedute di galanteria
-ella dava allegramente il nome di lavori forzati. Lavori forzati a
-tempo, pur troppo! Vien sempre il tristo giorno della liberazione, mie
-belle signore, e qualche volta il sovrano della falce e della clessidra
-vi fa precocemente la grazia.
-
-Aldo De Rossi conosceva la signora Vezzosi da un anno. Le era stato
-presentato in una fiera di beneficenza, dove ella non aveva sdegnato
-di vender cravatte, e di mettergliene una al collo per la tenue moneta
-di cinquecento lire. Il favore era stato disputato fieramente da
-cinque o sei cavalieri. Dal prezzo di due lire si era saliti a venti,
-a cinquanta, a cento, a centocinquanta. Aldo De Rossi, entrato allora
-in lizza, aveva messo fuori un biglietto da cinquecento, e lo aveva
-deposto sul banco, dicendo modestamente: «signori, non ne ho altri», e
-in quel momento di trepidazione che segue tutti i grandi avvenimenti,
-la bella venditrice aveva girata intorno al collo di Aldo De Rossi la
-sua cravatta nera, da mezza lira, a prezzo di fabbrica. Il sorriso
-della dama c’entrava per quattrocento novantanove lire e cinquanta
-centesimi. Una presentazione era venuta lì per lì; Aldo De Rossi aveva
-fatta la corsa di prammatica e lasciati nell’anticamera di casa Vezzosi
-i due biglietti di visita che l’etichetta comanda; il commendatore
-Vezzosi, uomo grave, che sapeva stare sulle cerimonie, aveva mandato
-il suo in ricambio, e il giovinotto era stato formalmente ammesso a
-fare le sue devozioni. Ma, cosa strana (badate, lettori, qui tutto è
-strano, poichè la scena è del secolo presente), Aldo De Rossi non aveva
-approfittato dell’occasione e non era più andato in casa Vezzosi. Il
-nostro giovinotto non era uno di que’ frustini, i quali s’appiccicano
-facilmente alle persone e si fanno avere in uggia da tutti. Faceva
-riverenza alla dama, quando la incontrava per via, e ciò bastava a
-dimostrare com’egli gradisse la sua conoscenza. Poi, venuto l’inverno,
-e avendola trovata in una festa da ballo, le aveva chiesto l’onore
-di un giro di _waltzer_ o di _polka_, che non rammento più bene. La
-signora, quella notte, ballava mal volentieri, ma stette volentieri
-a chiacchiera con lui, rimandando col suo solito garbo gli altri
-cavalieri, che impetravano la medesima grazia. Del resto, padronissimi
-tutti di restare accanto al divano della signora, come ci restava
-Aldo De Rossi. Ma perchè in simili feste i signori uomini non istanno
-mai fermi, anzi amano andare attorno _tamquam leo rugiens quaerens
-quem devoret_, le fermate non furono lunghe e Aldo De Rossi rimase
-più spesso solo che accompagnato, al fianco della signora Vezzosi.
-S’era dato il caso che parlassero di poeti e di romanzieri. Aldo non
-era un letterato, Dio guardi, ma aveva letto molto e parlava con un
-certo calore de’ suoi autori prediletti. La signora non conosceva il
-Pushkine, ed egli, di parola in parola, era stato tirato ad offrirle il
-volume. In imprestito, si capisce. E il giorno seguente, a quell’ora
-tarda che volevano le buone creanze, le aveva portate le opere del
-poeta russo, tradotte nella lingua universale di Francia. Così era
-entrato, senza avvedersene, in casa della signora Vezzosi, e diventato
-a mano a mano il suo provveditore di libri.
-
-Quando egli andava dalla signora per alcuna di quelle faccende
-librarie, si poteva esser certi che la conversazione, dopo le solite
-frasi di cerimonia, girava subito su questo tono: — Come le è piaciuto
-il carattere di Enrico? E la scena del bosco? Le raccomando di leggere
-attentamente il capitolo della pioggia. Che pittura! E quel raggio
-di sole che viene d’improvviso a illuminare la fronte di Dorotea!
-Che vivezza di tocco! Ecco un verismo che ha ottant’anni di data.
-Gli scrittori moderni non se li sognano neanche, questi ardimenti
-dell’arte. E l’incontro col barone dopo la caccia! Che movimento
-d’affetti! Ha poi notata quella digressione sui toni musicali? Come si
-trova a posto, e come prepara bene alla scena del concerto! —
-
-Poi, la scena del concerto, od altra consimile, porgeva appiglio ad
-una disputa sentimentale. Era sempre la signora che girava al tenero;
-Aldo ci entrava, dirò meglio, ci faceva capolino, senza escire dal
-grave, come un riguardoso carabiniere che si provi a sorridere, senza
-dimenticare la maestà dell’uniforme. Ed erano dispute così delicate,
-così aeree, che un marito avrebbe potuto sentirle, dietro una cortina,
-senza che la mano gli corresse al pugnale.... Scusate, siamo nel secolo
-decimonono, e bisognerà dire al bastone. È un’arma più prosaica, ma più
-alla mano.
-
-E tutto ciò durava da un anno? Mio Dio, sì, durava da un anno. Sono le
-cose monotone che durano di più. Altrimenti, non sarebbero monotone.
-
-La signora Elena discorreva volentieri, come tutte le persone che
-discorrono bene. E per lui, e con lui, la sua svogliatezza consueta
-assumeva un leggerissimo tono, come una sfumatura, di malinconia. Aldo
-De Rossi si era avvezzo a quel gentile chiacchiericcio, e vedeva nella
-signora Elena Vezzosi un’amica; anzi meglio, un amico, e della specie
-migliore. Perchè, quando un tal legame può stringersi tra persone di
-un sesso diverso, l’amicizia si rinfranca, direi quasi che si soppanna,
-di tutte le grazie, di tutte le capestrerie, di tutte le eleganze, che
-non è dato combinare tra uomini, uno dei quali è così facile a escire
-di riga, e l’altro a seguitarne l’esempio. Questa amicizia tra uomo e
-donna, quando il cuore non parli in nessuno dei due, è veramente una
-delizia, poichè è una specie d’affetto, senza le ansie, i sopraccapi,
-le gelosie, gli struggimenti feroci di quell’altra passione, da cui Dio
-misericordioso dovrebbe scampare ogni fedel cristiano.
-
-O come? Non la sentiva egli dunque, l’altra passione? Avremo qui un
-personaggio tutto testa, come certe qualità di pesci, buoni a mala pena
-per farne la zuppa? Lettori e lettrici, aspettate un pochino e vedrete.
-
-Quel giorno, che v’ho accennato in principio, Aldo De Rossi era entrato
-nel salotto, e aveva presentato alla signora Elena il suo volume;
-credo le _Confessions d’un enfant du siècle_ del Musset. La signora
-Elena aveva ringraziato il gentil provveditore e deposto il libro sul
-tavolincino di lacca giapponese, che serviva d’aiuto ai gomiti e di
-nesso alla conversazione. Il cielo, quel giorno, aveva messa la cappa
-di piombo, e un caldo afoso pesava maledettamente sui nervi. La signora
-Elena non era di buon umore. Per un altro visitatore sarebbe parsa più
-svogliata del solito; per Aldo De Rossi non era che più malinconica.
-Sapete pure, quel leggiadrissimo tocco, quella sfumatura di cui sopra!
-
-Si ragionò, secondo l’uso, di libri e d’autori, ma più particolarmente
-del Musset. Voi non lo ignorate, il Musset, che sofferse tanto per una
-donna e ne fece soffrire tante altre (almeno, se si ha da riconoscerlo
-in tutti i suoi personaggi, così fittamente impregnati del suo _io_), è
-l’evangelista del sesso gentile e generalmente di tutti gl’innamorati
-moderni. Egli ha la nota fondamentale del dolore elegante. I suoi
-campioni portano i guanti perlati, la sottoveste bianca insaldata e
-tutto l’altro come noi, perfino la gardenia, all’occhiello; ma celano
-sotto quella gardenia, sotto quella sottoveste, un picciolo dramma,
-una tempesta in ristretto, un vulcano in miniatura, come noi, proprio
-come noi. Ci ravvisiamo nel Rolla, in Don Paez, nell’_Enfant du
-siècle_, come tutte le donne si ravvisano nella marchesa di Amaeguì,
-in Marianna, e ad ore rubate perfino in Mimì Pinson. Aggiungete che
-non dice mai villania al bel sesso, come fanno certi genii screanzati.
-Si sente bensì, attraverso l’asprezza di certi periodi, che egli
-considera le donne come una varietà della razza felina; ma la donna
-non isgradisce d’essere creduta una tigre, visto e considerato che
-la tigre ha un bellissimo mantello ed atti e movimenti di leggiadria
-insuperabile. Lasciategli supporre che la credete tale, senza dirglielo
-troppo aperto, ed ella avrà qualche volta la bontà di farvi ammirare le
-unghie. Adorabili unghie!
-
-La signora Vezzosi si era fermata con una certa compiacenza a stillare
-una sentenza del poeta di Marianna, e Aldo De Rossi, forse a cagione
-dell’afa che gl’intorpidiva i nervi, durava fatica ad intenderla.
-Già, quel benedetto ragazzo, con la sua serietà, aveva sempre l’aria
-d’essere un po’ straniero al dialogo, in cui si trovava impegnato.
-Quel giorno, poi, mentre la signora Elena, sempre per effetto dell’afa
-che la rendeva più malinconica, era sdrucciolata più che mai, anzi
-sprofondata nel tenero, egli stava più fermo, più impettito d’un
-carabiniere dell’antica maniera. Diciamo le cose alla libera; la
-signora Vezzosi accennava coppe ed egli rispondeva bastoni. Si poteva
-dare peggior distrazione di quella?
-
-Ad un certo punto, con aria d’impazienza e dispetto, la signora gli
-disse:
-
-— Signor Aldo, voi non capite dunque nulla? —
-
-Il giovinotto rimase un po’ sconcertato. Non era orgoglioso; ma
-sentirsi dire lì per lì che non capiva nulla, converrete con me che
-non dovesse piacergli. Il sangue non è acqua, ed anche il dio Proteo,
-quando fu messo tra l’uscio e il muro... Infine, Aldo rizzò la testa,
-spalancò gli occhi e replicò:
-
-— Perchè, signora?
-
-— Perchè... perchè non capite. —
-
-E così dicendo la signora Elena si lasciò sfuggire un mezzo sospiro.
-
-Aldo De Rossi ebbe come un barlume di ciò che la signora pensava.
-
-— E... — balbettò egli allora — se io capissi?...
-
-— Oh, sarà difficile; — ribattè la signora Vezzosi.
-
-Il giovanotto si trovò messo al punto; fece un mezzo inchino e ripigliò:
-
-— Orbene, signora, mi proverò a dimostrarvi il contrario. Resta sempre
-che, se io mi sarò ingannato, voi avrete buono in mano per ridere dei
-fatti miei.
-
-— Avete tanta paura?
-
-— No, signora, poichè m’arrischio a parlare. E soggiungo che, se non mi
-sarò ingannato, dovrò piangere a calde lagrime.
-
-— Ah, questo è più grave; — esclamò la signora. — Sentiamo.
-
-— Sì, o signora, è più grave; — riprese Aldo De Rossi, facendo una cera
-da funerale. — Voi siete bella... bellissima.... —
-
-La signora Elena diede in uno scoppio di risa.
-
-— Avete dimenticato il comparativo; — soggiunse poscia. — In grammatica
-si usa dire: bella, più bella, bellissima.
-
-— Da molto tempo non vado più a scuola, perdonate; — rispose Aldo
-De Rossi. — Del resto, che importa il comparativo, quando c’è il
-superlativo?
-
-— Sì, vi perdono, in grazia del superlativo; — disse la signora
-Vezzosi. — Continuate. Sebbene, dopo questo, sia abbastanza facile
-capire ciò che avete a dirmi. —
-
-E prese, così dicendo, un atteggiamento di languore, che le andava a
-meraviglia.
-
-— Ecco; — rispose Aldo De Rossi; — non è facile veramente a capire, e
-vi assicuro che non è facile a dire. Io ci provo uno stringimento alla
-gola.
-
-— Che? Bisognerà ancora aiutarvi? Badate, signor Aldo, ciò non istà
-troppo bene ad una donna. Ma via, — soggiunse la signora, chinando gli
-occhi con un’aria tra la vergogna e la rassegnazione, — ci conosciamo
-da tanto tempo, e voi siete un così gentil cavaliere... un amico tanto
-prezioso.... —
-
-La frase, ad onta di ciò che prometteva, si fermò lì. Si capiva che la
-signora Elena, dopo aver dato animo al suo interlocutore, voleva essere
-interrotta.
-
-Ma il suo interlocutore era più impacciato che mai.
-
-— Signora... — balbettò egli, chinando la testa, — non ci siamo. Ve
-l’ho detto poc’anzi, dovrò farvi una confessione, da piangerne a calde
-lagrime. —
-
-Tutte quelle reticenze e sospensioni promettevano poco di buono alla
-signora Vezzosi. Aldo De Rossi aveva chinata la testa, ed ella alzò
-mezzo sdegnata la sua.
-
-— Sentiamo dunque una volta; — diss’ella. — Non avrete già speso il
-vostro superlativo, per venirmi a dire, mettiamo il caso, che siete
-innamorato... d’un’altra?
-
-— Ah, signora! — esclamò Aldo, sospirando. — Proprio così, come voi
-dite. Sono... perdonatemi!... Sono innamorato di un’altra. È una
-fatalità; è tutto quel che vorrete.
-
-— Non sarà niente, allora; — replicò la signora Vezzosi indispettita; —
-perchè io non voglio niente, signor De Rossi. Debbo solamente avvisarvi
-che queste cose si possono pensare, ma che non è punto necessario di
-dirle.
-
-— Oh, non andate in collera, ve ne prego. È forse un male esser
-sinceri, con un angiolo come voi?
-
-— Angiolo! — ripetè la signora Vezzosi, con un accento indescrivibile.
-— Angiolo! Bella parola usata male! Anche questa non si usa, debbo
-avvisarvene; non si usa che quando si ama e per chi si ama. Che cosa
-dite voi dunque alla donna che amate? Ma già, perchè domandare queste
-cose a voi, che siete un uomo così originale?
-
-— Originale! Io? E perchè?
-
-— Me lo chiedete? E dovrò io incaricarmi della vostra educazione? —
-replicò la signora Elena, con un certo risolino stridente. — In verità,
-il caso è bizzarro! Ma accettiamo l’ufficio, in pena dei peccati che
-non abbiamo commessi. Sappiate dunque, signor De Rossi, che quando un
-uomo trova bella una donna, e cara la sua compagnia....
-
-— Carissima, lo sapete; — interruppe Aldo De Rossi, felice di poter
-rimediare in qualche parte alle sue malefatte.
-
-— Ottimamente; — ripigliò la signora. — Ne avevo da qualche tempo
-le prove. E solo per questo... badate, signorino, solo per questo,
-m’è avvenuto di escire da quel riserbo, in cui deve tenersi una
-donna. Ma già, avevo anch’io qualche cosa da imparare; — osservò
-ella, tormentando con le dita il suo ventaglio cinese. — Dopo questa
-lezione, non mi avverrà più, ve lo giuro. Dunque, dicevamo.... Che cosa
-dicevamo, signor De Rossi? Ah, dicevamo che quando un uomo trova bella
-una donna, e glielo dice al superlativo, si deve intendere.... Non vi
-pare, signor De Rossi, che si debba intendere....
-
-— Sì; — rispose Aldo, disposto per una volta tanto ad interrompere in
-tempo una frase difficile; — generalmente è così. L’uomo è uno zolfino
-e s’accende. Ma io, signora, sono un pochino diverso.
-
-— Ah, bene! — esclamò la signora. — Non ci sarà pericolo che
-appicchiate il fuoco alle sedie. Ma che cosa siete voi, di grazia? Una
-macchina da fabbricare il ghiaccio?
-
-— Signora!... — balbettò Aldo De Rossi, con aria contrita e
-supplichevole.
-
-— Ah, è vero; — ripigliò la signora Vezzosi. — Dimenticavo che siete
-innamorato; la qual cosa lascia supporre che il freddo, l’avversione,
-sia solamente per me. Non me ne lagno, badate. Scherzavo, più o meno, e
-continuo lo scherzo.
-
-— Ma non su questo particolare, ve ne prego — disse Aldo De Rossi.
-— Perchè parlate d’avversione, ad un uomo che ha sempre avuto tanto
-piacere a conversare con voi? Ve l’ho già detto una volta, signora. Se
-sono sincero anche a mio danno, perchè non mi crederete anche in ciò?
-Voi siete bella come....
-
-— Ah sì, sentiamo come.
-
-— Come la Venere di Milo, — prosegui Aldo De Rossi, — cioè a dire come
-la più bella statua del mondo. —
-
-La signora Vezzosi rispose al complimento con un lieve moto del capo:
-indi alzò gli occhi ad uno specchio che pendeva inclinato dalla parete,
-di rincontro a lei; un magnifico specchio ovale, con una gran cornice
-intagliata a fogliami, capriccioso impasto di classico e di barocco,
-e con la luce mezzo coperta da una cascata di fiori, dipinti da mano
-maestra a guisa di festoncino.
-
-— E... — diss’ella poscia — quell’altra... com’è?
-
-— Quell’altra! Chi?
-
-— La donna che amate. Se io sono da paragonare alla più bella statua
-del mondo, che cosa vi resterà da dire per quell’altra?
-
-— Signora, — rispose Aldo De Rossi, — non vi sdegnate con me. Sono
-un disgraziato, e veramente non avrei dovuto impigliarmi in questo
-discorso.
-
-— Quell’altra! — gridò stizzita la signora Vezzosi, battendo col suo
-piedino il tappeto. — Voglio quell’altra!
-
-— Orbene, — riprese il giovinotto, armandosi di coraggio, — quell’altra
-è come la statua... che non è stata mai fatta. Fidia deve averla
-sognata e dev’esser morto....
-
-— Oh, per questo, statene certo; egli è morto davvero!
-
-— Sì, ma volevo dire che egli dev’esser morto... senza trovarne il
-modello. —
-
-La signora Vezzosi era lì lì per rispondere: — «Dio mio, che
-svenevolezze!» — ma si trattenne. Voleva mandare a spasso
-quell’impertinente, dall’aria così dolce e contrita; ma non seppe
-risolversi, e l’una e l’altra voglia sfogò in una seconda risata. Vi
-avverto, per debito di coscienza, che non si trattava d’una risata
-molto schietta, quantunque fosse abbastanza sonora.
-
-— E voi — diss’ella, dopo quel piccolo sfogo, — siete riescito dove ha
-inciampato Fidia?
-
-— Si, — rispose Aldo De Rossi, — ma non ho fatta la statua.
-
-— Questo lo capisco da me. Non siete uno scultore. Ma almeno avrete
-avvicinato il modello, ed esso si sarà infiammato per voi. Un grande
-amore vuol essere corrisposto; — notò sarcasticamente la signora Elena.
-— Lo ha detto Dante in un verso che voi mi avete commentato così bene:
-_Amor che a nullo amato amar perdona_. —
-
-Aldo De Rossi crollò malinconicamente la testa e represse un sospiro di
-desiderio.
-
-— Ahimè, signora! Per la prima volta, forse, Dante ha avuto torto e la
-sua massima è stata sbugiardata nel mio caso.
-
-— Eccone un’altra! — esclamò la signora. — Signor De Rossi, poc’anzi
-volevo mandarvi via, con la scusa di dover ricevere la sarta; ma ho
-poi cangiato pensiero. Siete un uomo tanto strano! Raccontatemi tutto,
-poichè siete avviato. Quali sono le vostre speranze?
-
-— Non ho speranze, signora.
-
-— Almeno, le avrete detto il vostro amore?
-
-— Quasi.
-
-— È già abbastanza; le donne leggono sempre il resto negli occhi. E
-lei, che cosa vi ha risposto?
-
-— Nulla, o qualche cosa che val come nulla.
-
-— Oh povero signor De Rossi, come vi compatisco!
-
-— Si, compatitemi; è il sentimento ch’io merito; — rispose Aldo De
-Rossi, fingendo di non accorgersi del senso di sottile ironia che
-trapelava dalle parole della signora Vezzosi. — Ora voi vedete la
-mia grandezza, o signora. Almeno, se vi parrò ridicolo, con le mie
-sofferenze, non vi parrò un insolente, con le mie confessioni. Rinunzio
-alla Venere di Milo, e mi perdo....
-
-— Per la Venere che non è stata fatta; — interruppe la signora. —
-Ma badate, poc’anzi mi avete ferita. Sicuramente, signor Aldo, mi
-avete ferita. Le vostre lodi, le vostre ammirazioni artistiche, non
-compensano la lezione che ho ricevuta, e che, mi affretto a dirvelo,
-ho anche meritata con un povero scherzo. Perchè era uno scherzo, il
-mio, lo sapete? Ci avevo i miei nervi, quando siete capitato, e volevo
-stordirmi con quattro chiacchiere.
-
-— Oh, l’ho capito subito; — rispose Aldo De Rossi, inchinandosi
-profondamente.
-
-L’atto fu così comico nella sua umiltà, che la signora Elena si
-vergognò del sotterfugio.
-
-— Bene! — diss’ella, col suo risolino stridente. — Ecco una bugia a due
-voci, la quale non salverà nulla, neanche le apparenze. Ma non importa.
-Voi mi siete sempre debitore di una riparazione. La esigo, chiedendovi
-la storia del vostro amore.
-
-— Non c’è storia; — rispose Aldo De Rossi.
-
-— Come? Non s’ha neanche da sapere come è nato? Ogni cosa ha un
-principio. Voglio il principio della vostra passione.
-
-— Signora... vi pare? — balbettò il giovinotto. — Raccontare ad una
-donna bella....
-
-— Più bella, bellissima! — interruppe la signora Vezzosi.
-
-— Certamente; — ripigliò Aldo De Rossi; — raccontare ad una donna
-bellissima in che modo si sia innamorati di un’altra, non vi pare un
-tantino... scortese?
-
-— Ah sì, dopo quello che avete fatto, ritiratevi ancora sul monte
-Sacro! — gridò la signora Elena, con accento sardonico. — Questa volta,
-signor De Rossi, sento proprio la tentazione di mandarvi via, anche
-senza la scusa di ricevere la sarta. Siate conseguente, nella vostra
-originalità. Non sono io strana la parte mia? Non merito una confidenza
-intiera? E non vi pare che sia questo il miglior modo di farvi
-perdonare la prima parte?
-
-— Sì, sì; — disse Aldo De Rossi, prendendole la mano e stringendola
-tra le sue. — Ma in tutta sincerità vi dico che non c’è storia. In due
-parole è tutto narrato. L’ho veduta e l’ho amata.
-
-— Così di schianto?
-
-— No certo; — rispose Aldo De Rossi. — L’amavo già prima.
-
-— Ah, c’è un prima? È dunque la storia del prima che voi dovete
-raccontarmi.
-
-— Signora, anche quella si racconta con le stesse parole. L’avevo
-veduta ed amata. Era un fiore nato nel mio cuore. Sapete voi come
-queste cose avvengono? In mezzo al turbine della vita si hanno di
-queste apparizioni gentili, come in un viaggio triste e faticoso si
-vede un tratto di campagna, di cui vi resta un’immagine poetica e
-dolce. Si va innanzi, dove chiama il piacere, o l’ombra del piacere,
-una follia, un destino; ma di tanto in tanto si ripensa a quell’oasi
-benedetta, e un’aria d’idillio vi spira soavemente alle tempie. Viene
-il giorno che vi fermate a cercare il perchè di quella sensazione, e vi
-duole, e vi date del fanciullo, e scuotete la testa, come per cacciare
-un’idea importuna. Ma quell’immagine è là, sempre là; gli stordimenti
-del viaggio ve l’hanno offuscata nell’animo, per un anno, per due; poi
-viene il giorno che essa ritorna, netta, spiccata, ai vostri occhi; e
-vi prende allora un desiderio pazzo di rivedere quel luogo, e là, dove
-avete sentito così profondamente le bellezze della natura, là, proprio
-là, vorreste ridurvi a morire. Così di certi amori. Erano immagini del
-passato, a cui l’anima credeva di resistere; sentimenti graziosi, a cui
-il cuore si faceva forte di aver rinunziato. Ma ad un tratto l’immagine
-offuscata s’illumina; il sentimento doloroso e caro si rinnova. Pensate
-a quella donna intravveduta un giorno, e vi assale una gran tenerezza.
-Come è avvenuto ciò? Per quali vie quell’amore è tornato, e vi s’è
-fatto gigante nel cuore? Come mai è diventato un incendio, da così
-breve favilla che vi era parso in principio?
-
-— Misericordia! — gridò la signora Elena. — Sarà il caso di chiamare le
-guardie del fuoco.
-
-— Ah sì, davvero! — rispose Aldo De Rossi, ricondotto a terra da quella
-bizzarra osservazione. — Ma è così dolce il bruciare!
-
-— E perder la lite, non è vero?
-
-— Ve l’ho detto, signora. Rinunzio da un lato e perdo dall’altro. Non
-sono dunque da compiangere, come un matto o come uno sventurato? —
-
-Il dilemma pareva saldo e non era. Infatti, vedete, la signora
-Vezzosi pensò che Aldo De Rossi avrebbe servito meglio alla verità,
-gabellandosi per sciocco. Ma, dopo averlo pensato, ne ebbe come
-un rimorso, parendole quasi di essersi lasciata sfuggire la parola
-di bocca, e rimase a lungo silenziosa, mentre il giovinotto stava
-contemplando i fiori bizzarri, disegnati in sottili filettature
-d’oro sul tavolincino di lacca giapponese che lo separava dalla bella
-signora.
-
-Anch’egli sentiva un po’ di rimorso d’aver parlato con tanta
-schiettezza. La signora Elena aveva ragione; certe cose si possono
-pensare, ma non è punto necessario di dirle. Ed egli, pentito d’averle
-dette, vedeva già la conseguenza della sua sincerità; vedeva, ad
-esempio, che, dopo quella conversazione, egli non aveva più nulla
-a fare in casa Vezzosi e che il meglio sarebbe stato di ridurre a
-trimestrali, magari anche a semestrali, le troppo frequenti sue visite.
-
-Ma le donne hanno tesori inesauribili di bontà, oppure, se vi piace
-meglio, raffinatezze di crudeltà, che sventano tutti i calcoli più
-sapienti di un uomo. Dopo essere rimasta un tratto in silenzio, la
-signora Elena levò la fronte e disse di schianto al De Rossi:
-
-— Mi promettete una cosa?
-
-— Non so di che si tratta, — rispose egli, felice d’interrompere i suoi
-studi sulla flora giapponese, — ma vi prometto anticipatamente tutto
-quel che vorrete.
-
-— Voi mi prenderete per confidente delle vostre pene; — ripigliò la
-signora. — Mi chiederete consiglio nei momenti difficili. —
-
-Addio diradamento di visite, come al signor Aldo degnissimo pareva
-necessario di fare. La Vezzosi cangiava di punto in bianco il suo
-sistema di attacco, oppure in atto era da vedersi una trasformazione
-di tenerezza? Aldo De Rossi non ci pensò più che tanto; rispose un
-«grazie!» ardentissimo e baciò la mano della signora.
-
-— Che fuoco! — esclamò ella, ridendo. — Siamo noi sempre in pericolo
-d’incendio? Dite, signor Aldo; vi sareste per caso immaginato di
-baciare un’altra mano, in cambio della mia? —
-
-Aldo De Rossi non ebbe cuore di rispondere a quella domanda, appoggiata
-da uno sguardo che pareva volergli leggere nell’anima. Pose in quella
-vece un ginocchio a terra e ripigliò la mano della signora Vezzosi.
-
-— Perdonate; — soggiunse. — Questa volta è proprio per voi che
-m’inginocchio. —
-
-E depose, ciò detto, un bacio rispettoso su quella bianca mano, che
-sentì tremare al contatto delle sue labbra, quantunque non fossero per
-allora di fuoco.
-
-
-
-
-II.
-
-
-Se Elena Vezzosi fosse stata un’antica romana, avrebbe notato quel
-giorno tra i nefasti. Ma era una gentildonna moderna, e si restrinse a
-dolersi d’aver fatto troppo per quel signorino, che, messo al punto di
-parlar bene, aveva parlato così male, o almeno così diversamente da ciò
-che ella era in diritto d’aspettarsi.
-
-Fors’anche a voi, lettrici cortesi, parrà che la signora Elena si fosse
-buttata, come suol dirsi, un po’ via. Ma di certo non pensereste in tal
-guisa, se sapeste appuntino in che termini fosse la relazione di quei
-due personaggi. Perchè io non v’ho detto nulla, accennandovi brevemente
-che si conoscevano da oltre un anno e che si vedevano molto spesso.
-Bisognerebbe tessere la storia di quell’anno, anzi farne a dirittura
-il diario, e notarvi ad una ad una tutte le delicatezze, le graziette
-e sarei quasi per dire le moinerie di quella amicizia, apparentemente
-mantenuta da una specie di commercio librario. La signora Vezzosi
-aveva, secondo me, il grave torto di credere che un uomo non possa
-provare per una donna quel sentimento pacato e fine, che Lord Byron
-chiamò giustamente un amore senz’ali. Ella conosceva poco gli uomini,
-anche vedendosene molti d’attorno; o forse il conoscerne troppi e il
-vederli quasi tutti uguali per lei, le aveva tolto di riconoscere le
-eccezioni. Perchè era bellissima e perchè glielo dicevano a gara, la
-signora Elena era giunta facilmente, quasi fatalmente, a non ammettere
-che un uomo potesse resistere all’incantesimo delle sue grazie, e ci
-avesse l’originalità non artificiale di star saldo sulla galanteria
-cavalleresca, rinunziando all’amore; infine, non sospettava nemmeno
-che vivessero uomini, i quali, stanchi dei falsi amici e sazii di
-amori violenti, si riducessero a cogliere presso una leggiadra e
-colta signora i fiori innocenti di una quieta amicizia. Venendo al
-caso concreto, e notando quella corte assidua che le faceva Aldo De
-Rossi, corte riguardosa nella forma, ma tutta impastata di dolcezze,
-la signora Elena aveva creduto che quel giovinotto fosse invaghito
-fieramente di lei, ma che appartenesse alla categoria degli innamorati
-che non parlano. C’è tanta noia cogli innamorati che parlano, specie
-quando parlano troppo presto, come generalmente avviene! Perciò la
-signora Elena aveva gradita quella corte muta, l’aveva assaporata per
-un anno, se n’era impietosita; e, senza promettere nulla a sè stessa,
-quasi senza pensarci su, era venuta al punto di aiutarlo a parlare, di
-aprirgli la bocca, come il papa usa coi nuovi cardinali.
-
-In quella vece, come sapete oramai, Aldo De Rossi era tutt’altro, e la
-sua bocca doveva aprirsi per dire alla signora Vezzosi ciò ch’ella non
-avrebbe amato d’intendere. Tipo curioso d’ingannatore senza volerlo!
-Pieno di delicatezza verso le dame, ne sentiva l’influsso benefico, ed
-anche quando il suo cuore taceva, la sua immaginazione si riscaldava
-per la più bella metà del genere umano. Figuratevi dunque se non
-dovesse cercarla, essendo innamorato! In tutte le donne egli vedeva
-quell’una che sapete già, quantunque non la conosciate ancora; e stando
-vicino alla signora Elena Vezzosi, tanto gentile e buona, gli pareva
-di sentire come un profumo di quell’altra, più rigorosa e più fredda,
-che lo aveva conquistato. E non vi sembri inverosimile il fatto.
-Generalmente, non si esce della compagnia di una orgogliosa bellezza,
-che per andare a far pazzie, a dar del capo nei muri per tutte le
-vie più deserte della città, o ad affogare il rammarico in una cena
-chiassosa. È questa la moda, e lo Sciampagna ed il ponce sono indicati
-da tutti i maestri del dolore elegante come ottimi condimenti ad una
-passione infelice. Aldo De Rossi, per seguire l’andazzo, aveva fatto
-anche questo; ma la sua indole si era presto ribellata a quel genere di
-cura, e il nostro giovinotto aveva finito a ritornarsene tra le dame,
-per far la cura omeopatica del _similia similibus_. Povera signora
-Vezzosi! A lei doveva toccare di portarne la pena.
-
-Dopo il colloquio che v’ho narrato, la bella signora Elena non ebbe
-più pace. Non già che si disperasse. Oibò! Ad una donna come lei non
-potevano mancare le consolazioni, e del resto il suo amor proprio era
-salvo. Ma restava una curiosità da soddisfare, e questo sentimento
-andava innanzi a tutti gli altri. Occorrendo, si sarebbe doluta poi
-di ciò che le era toccato con Aldo De Rossi; per intanto le premeva di
-sapere il nome della beltà preferita.
-
-— Chi sarà questa Dea? questo portento di bellezza, che Fidia ha
-sognato e che non ha saputo scolpire nel marmo? —
-
-Fatta e ripetuta dentro di sè questa domanda, non senza giulebbarla
-di tutte le ironie, di tutti i sarcasmi che le erano suggeriti dal
-suo demone familiare, la signora Elena Vezzosi passò diligentemente
-in rassegna tutte le dame di sua conoscenza. Certo, fra queste doveva
-essere la donna amata con tanto calore dal signor Aldo De Rossi, poichè
-egli frequentava la medesima società in cui ella viveva, e in cui fino
-a quel giorno aveva creduto di regnare. Ma nessuna di quelle dame
-rispondeva al tipo, di cui, a parer suo, avrebbe dovuto innamorarsi
-il De Rossi. La signora Graziani, per esempio? Quanto agli occhi,
-non c’era male; anzi potevano passare per belli; ma, Dio buono, per
-invaghirsi della signora Graziani, sarebbe bisognato proprio avere
-una predilezione spiccata per le acciughe. La marchesa Altobelli?
-Peggio che mai; aveva i capegli rossigni, e il signor Aldo, mentendo
-al suo proprio casato, non amava che le brune. La signora Milani,
-forse? Ma era troppo in carne, quella là, e con le sue trentatrè
-primavere incominciava a dare nel floscio. La contessa Albaresi? Dei
-immortali, una sciocca, e non metteva conto parlarne. La Vernetti? Una
-secca allampanata, che faceva pena a guardarla. O forse la Salieri?
-Belloccia, in verità, ma d’un colore, anime sante del purgatorio,
-d’un colore così vivo, che si era sempre sul punto di consigliarle
-un salasso. E forse avrebbe fatto bene, ad alleggerirsi un poco, di
-tanto in tanto. Aveva anche il collo così corto! La Rivanera, poi! Ma
-era troppo piccola, e poteva contare al più al più su d’un madrigale
-del Guadagnoli. Carina, la testa; ma il corpo, il corpo!... Niente più
-lungo d’un raperonzolo.
-
-Notate, lettrici garbate, la signora Elena ragionava in buona fede e
-passava proprio in rassegna tutte le bellezze più famose della città.
-Non era poi colpa sua, se le accomodava tutte in salsa piccante. Dov’è
-la donna che, mettendosi a giudicare, non abbia trovato il neo nella
-bellezza di un’altra? Io dunque prego le signore Salieri, Vernetti,
-Albaresi, Milani, Altobelli, Graziani e via discorrendo, a non andare
-in collera per simili inezie. A buon conto, possono ricattarsene,
-pettinando a loro volta la signora Vezzosi. Non possono dire, per
-esempio, che ella somigliava ad una serpe? Il collo lungo e flessuoso
-lo aveva; la testa piccina e la fronte depressa, egualmente; il
-paragone veniva dunque da sè. I poeti, a dir vero, la paragonavano ad
-un cigno; ma i poeti, si sa, non dicono che bugie.
-
-Torniamo alle indagini della signora Vezzosi. Secondo lei, nessuna
-tra le più celebrate bellezze di sua conoscenza poteva esser quella
-che aveva colpita la fantasia e piagato il cuore di Aldo De Rossi.
-Ella non sapeva, o non voleva sapere, che gli uomini guardano le donne
-con occhi ben diversi da quelli con cui le signore donne si guardano
-tra loro, e che essi non sogliono badare a certe piccolezze di cui i
-giudici femminini fanno invece un gran caso. Inoltre, ella non sapeva,
-o non voleva sapere, che un diploma di bella non basta a comandar
-l’affetto, e che, per invaghirsi della tale, o della tal altra, un uomo
-non ha mestieri di sentirla celebrare sui tetti. Vi sono anzi certuni,
-i quali si ristuccano di queste bellezze tanto strombazzate e non le
-guardano neanche, parendo loro che debbano essere palloni gonfiati e
-sempre lì lì per iscoppiare. L’uomo, veramente, è pronto ad accendersi,
-come un fiammifero ad ogni strofinatura, e tanto più pronto quanto più
-è raffinato. Ma, comunque egli sia, credete pure, lettrici garbate,
-che egli s’innamora sempre di qualche cosa che le donne non avvertono
-neanche; d’una cosa da nulla, come a dire d’un atto, d’un gesto, d’una
-parola. Io ne conosco uno, il quale s’invaghì d’una donna, a cui non
-aveva pensato mai, solo perchè ella gli disse un giorno: — Signor Zeta,
-vi siete divertito iersera dagli Ipsilon? — La voce era soave, non lo
-nego; ma non l’aveva egli sentita impunemente altre volte? Quanto alla
-frase, converrete con me che non aveva nulla di singolare. A che cosa
-dobbiamo noi dunque attribuire l’innamoramento del mio amico Zeta?
-Forse al momento, al terribile quarto d’ora, in cui cadono gli uomini,
-le donne e gli imperi.
-
-Per fare il paio con questa brevissima istoria dell’amico Zeta, vi
-dirò che una signora s’innamorò d’un uomo, a lei niente più simpatico
-d’un altro, perchè egli, sedendo un giorno a tavola daccanto a lei, si
-prese l’incomodo di mescerle il vino nel bicchiere, quantunque ci fosse
-dietro la sedia il servitore gallonato, a cui, trattandosi di un pranzo
-magno, era serbato quel nobile ufficio. Il vicino di tavola ebbe,
-agli occhi della signora, il merito grande di non aver badato alle
-convenienze, ma solamente al piacere di servirla. E quando, passato
-il famoso quarto d’ora in cui cadono gl’imperi, gli uomini e le donne,
-si sentì confessare in che modo l’amore fosse entrato nel cuore della
-dama, il buon cavaliere pensò.... pensò, se permettete, che la felicità
-umana pende da un filo, e che forse un’altra dama, a cui egli avesse
-fatta più ardentemente la corte, trovandosi a giudicare del suo atto,
-avrebbe detto in cuor suo: — Ma quest’uomo non ha proprio uso di mondo!
-
-La signora Elena, intanto, cercava e non trovava. Evidentemente, non
-era sulla buona via. Per sapere di qual donna sia innamorato un uomo,
-non ce ne sono che due. Anzi tutto, osservarlo attentamente in tutte
-le occupazioni della sua giornata. Ma questa è una via lunga, e ci
-sono degli uomini così astuti, che, a tenergli dietro, ci si rimettono
-le spese. Oppure, c’è lo spediente di domandarne a lui. È la via più
-diritta, ed anche la più sicura, quando l’uomo ha voglia di rispondere
-in tono.
-
-Ora, come sapete, la signora Elena gentilissima gliene aveva domandato,
-ma senza andare troppo a fondo, per la prima volta; ed egli le aveva
-risposto con molta sincerità, ma anche con molto riserbo per ciò che
-risguarda la persona, lasciandole capire che su quel particolare non
-si sarebbe aperto di più. Restava di osservarlo. Ma come? La signora
-Vezzosi non aveva occasione di vedere il De Rossi vicino ad altre
-donne, fuorchè a balli e teatri: ma la stagione invernale era passata
-da oltre due mesi e una nuova occasione bisognava aspettarla altri sei.
-
-Quantunque, se pure ci fossero state le occasioni, non era mica facile
-indovinare il segreto del signor Aldo alle prime. Non aveva egli
-confessato candidamente che si trattava di un amore infelice? Un amore
-di questa fatta è quasi sempre un amore a distanza, nutrito di occhiate
-più o meno timide, che non è dato di cogliere a volo, con la certezza
-di colpire nel segno.
-
-Ed era un peccato che la signora Vezzosi non sapesse quel nome di
-donna, che esercitava tanto la sua curiosità; era proprio un peccato,
-perchè ella aveva promesso di aiutare il suo gentil provveditore. Lei?
-Sicuramente lei; sebbene dopo il colloquio che vi ho riferito, una
-lagrima di dispetto le avesse fatto pizzicare le palpebre.
-
-Aldo De Rossi non era quel bellissimo giovane sul cui taglio si
-fabbricano, da Lancillotto del Lago in qua, tutti gli eroi da romanzo.
-Era un giovane serio, pallido, con una gran fronte bianca, la cui
-severità appariva temperata da due ciocche di capegli, voltate in giù
-ed appiastricciate a furia di cosmetico secondo l’ultima moda; gli
-occhi grandi e pensosi, i baffi neri, le labbra tumide e abitualmente
-contratte; suppergiù un misto di pensatore e di damerino, che non
-mancava di attrattive e che certamente era fatto per destare una mezza
-curiosità. A quell’aspetto rispondeva un carattere chiuso, non altiero,
-ma inaccessibile. Pari a certe fortificazioni moderne, a cui bisogna
-giunger sotto, per avvedersi della difficoltà somma d’entrarci, Aldo
-De Rossi non aveva l’aria di tenere indietro la gente, e sapeva anche
-stare alle chiacchiere, ma senza che ai suoi interlocutori venisse
-fatto di leggergli nel cuore, più di quello che al giovinotto mettesse
-conto di lasciar leggere altrui.
-
-A farvela breve, egli apparteneva alla categoria dei tenebrosi; specie
-di sètta sociale, che non ha simboli, nè riti particolari, ma che pure
-è facile di distinguere. Sono uomini uguali a tutti gli altri nelle
-esteriorità del vivere; ma ci hanno questo di singolare, che non è mai
-dato di coglierli alla sprovveduta. Vi parlano e si lasciano parlare
-d’ogni cosa, ma non c’è verso di intravedere un barlume di ciò che
-pensano o fanno, poichè essi sono capaci di passare rasente al segreto
-della loro vita, senza batter le palpebre, o dare un altro segno di
-turbamento. In casa loro si penetra a stento, ed essi ci vanno sempre
-da soli, per non aver aria di novità quando hanno mestieri di cansare
-gl’importuni. Li vedete da per tutto, ma generalmente, dopo una breve
-apparizione, scappano via. Dove? Non chiedete di accompagnarli, perchè
-sarebbero capaci di accettare, per condurvi nel più noioso dei ritrovi,
-e farvi assistere magari ad una discussione di politica. La politica
-è l’unico argomento su cui non siano circospetti. Da troppo tempo è
-cessato il pericolo di manifestare le proprie opinioni sulla miglior
-forma di governo, e, non dubitate, su questo particolare i tenebrosi
-vi aprono intieramente l’animo loro. Essi, poi, non amano troppo le
-persone della loro medesima età; prediligono i vecchi, che non sono
-noiosi, o lo sono altrimenti, e che non cercano mai di ficcare il
-naso nelle faccende del prossimo. Con le donne sono molto cortesi;
-vecchie e giovani, belle e brutte, sono trattate da essi con una forma
-di galanteria quasi solenne, che merita loro il titolo di cavalieri
-compiti. Del resto, i loro più spiccati esemplari hanno per massima:
-«servirle tutte, non amarne che una.» Il servirle, s’intende, sta qui
-per ossequiarle; chè in verità i tenebrosi servono poco, e, passata
-l’ora dei soliti complimenti, se ne vanno pei fatti loro, si pèrdono
-nel buio delle proprie abitudini.
-
-Chi ha dato origine a questa efflorescenza, che parrà morbosa ai miei
-candidi lettori? La società, con le sue indagini curiose e con le sue
-ciarle assassine. I tenebrosi sono circospetti per ragione di difesa
-ed anche un tantino per disprezzo della moltitudine. Non già che siano
-certi di sottrarsi in tal modo alla curiosità, o alla maldicenza del
-prossimo; ma almeno sanno di non averci dato appiglio con nessuna
-indiscrezione. Sono giovani vecchi, ed esercitano per questa ragione un
-fascino bizzarro sulle donne. Anche meno favoriti dalla natura, sono
-amati più di tanti Adoni, che battono i marciapiedi delle strade, e
-si sospettano di loro assai più trionfi che non ne abbiano veramente
-ottenuti. Perchè, bisogna dir tutto, ci sono anche i falsi tenebrosi;
-certi sciocchi scaltriti, i quali con un finto riserbo giungono a far
-credere un visibilio di cose. Non parlano mai, ma si diportano in guisa
-da lasciar dubitare. E questo, pei falsi tenebrosi, è il gran punto.
-
-Aldo non apparteneva alla categoria dei falsi, lo avete capito. Perciò
-il suo segreto era sfuggito anche all’attenzione della signora Vezzosi,
-che potè ingannarsi fino al segno di credersi lei la prescelta. Se non
-parlava lui, con quella schiettezza che sapete, di certo la signora
-Elena non avrebbe saputo mai che nel cuore del giovinotto covasse un
-incendio di quella fatta.
-
-Dice un proverbio francese: _ce que femme veut Dieu le veut_. Il
-proverbio è galante; ma è poi giusto del pari? Anche non essendo
-francese, io credo di sì. La donna è stata l’ultima opera del Signore;
-e aggiungerei, se mi fosse permesso di far confronti, la più accurata.
-Ora, voi lo sapete tutti per quotidiana esperienza, ogni babbo ha
-sempre una certa predilezione per l’ultimo nato. Aspettiamo dunque che
-Domineddio si degni di appagare la curiositi della signora Vezzosi,
-operando per lei uno de’ suoi miracoli abituali, poichè ella non ha
-potuto giovarsi dei due spedienti che ho detti più sopra.
-
-Due giorni dopo il dialogo col signor Aldo De Rossi, era un mercoledì,
-giorno di visite per la signora Vezzosi. Giorno ufficiale, solenne, e
-tutto ciò che vorrete, poichè era destinato a ricevere ogni sorta di
-visitatori, anche i noiosi; anzi più specialmente questi, dell’uno e
-dell’altro sesso. Nei rimanenti sei giorni della settimana la signora
-Elena riceveva egualmente, ma senza obbligo di trovarsi in casa, se
-i suoi intimi capitavano senza darne l’annunzio. Generalmente era
-lei che invitava, dicendo al tale o al tal altro: — venite domani;
-avrò l’emicrania. — Il che significava che non sarebbe escita di
-casa e che si poteva esser sicuri di trovarla. Per contro, nel giorno
-ufficiale, nel giorno solenne, destinato al maggior numero, andavano
-a salutarla le amiche, i cavalieri che si contentavano di non esser
-soli e quelli che amavano di trovar compagnia; cioè a dire tutti quegli
-Alcibiadi ritinti e rimessi a nuovo, che, non avendo più la fortuna dei
-giorni riservati, godono il benefizio dei giorni solenni, dei giorni
-di parlatorio, col diritto annesso di veder sfilare tre o quattro
-visitatrici, senza levarsi dalla poltrona, o dal _puff_, di cui si sono
-impadroniti.
-
-Poveri Alcibiadi rimessi a nuovo! Come sono felici di poter dire la
-sera al _Club_: — Sono stato oggi dalla Bice; c’era la Ninì; poi venne
-la Fanny, poi la Violante, poi la Dumont Cadigan. Si è stati allegri.
-Un vero fuoco d’artifizio! Quella Dumont Cadigan è veramente una cara
-donnina. —
-
-La signora che si chiama così, per il suo casato e non per il suo nome
-di battesimo, è una forastiera di alti natali, o creduti tali. Fa bene
-all’anima di conoscerla, e ai polmoni di pronunziarne il nome, con
-quello strascico di pronunzia che è la regola dei ben parlanti del
-Jockey-Club. In questa guisa i miei Alcibiadi rimessi a nuovo hanno
-la fortuna di conoscere l’Europa, senza muoversi dalla loro poltrona.
-Poi vanno in giro, come i devoti della _Via Crucis_, a raccontare
-al giovedì della Clarice, al venerdì della Cleonice, al sabato della
-Berenice, quello che hanno udito dalla Alice in martedì, dalla Euridice
-in lunedì, e da ogni generazione di sfaccendati in domenica.
-
-Alcibiadi, Alcibiadi! Voi passate gloriosamente sulla scena del mondo,
-senza aver neanche mestieri di tagliare la coda al vostro cane. È vero,
-per contro, che nessun Plutarco e nessun Cornelio Nepote scriverà la
-vostra vita. Consolatevi, per altro; sarà questo l’unico modo perchè
-nessuno ve l’abbia a leggere dietro le spalle.
-
-Quel mercoledì che v’ho detto, di Alcibiadi rimessi a nuovo ce n’erano
-due, nel salotto della signora Vezzosi. E si alternavano frattanto
-le visitatrici eleganti, baronesse, contesse, marchese, banchieresse,
-cavalieresse, e via discorrendo; tutte dame che stavano bene insieme,
-poichè si trovavano nella condizione sociale richiesta dal codice della
-buona compagnia. Poichè non è più vero oggi, come una volta, che le
-signore donne stiano in sussiego secondo i gradi dei rispettivi mariti
-e secondo i quarti della loro nobiltà. Il mondo moderno poggia tutto
-oramai sul parere. Ora, per parere, bisogna aver quattrini, o poterne
-spendere. Vi sembrerà tutt’uno, e non è, vi assicuro, non è. Se fosse
-questo il luogo vi farei notare la distinzione tra le due cose; mi
-basti invece di osservare che tutte le varietà sociali concorrono,
-quando possono brillare di luce propria o riflessa, allo splendore
-d’un ballo, d’una conversazione, d’un ricevimento, e chi più n’ha ne
-metta. Cionondimeno, quando la dama può metter fuori uno scampoletto
-di corona... _C’est très-bien porté_, come dicono i francesi, che ho
-citati poc’anzi. Laonde, se non passa sulla faccia della terra un altro
-Novantatrè, ho paura, lettori umanissimi.... Ma perchè desiderarlo, e
-per così piccola cosa? I miei francesi sullodati osserverebbero qui che
-_le jeu ne vaut pas la chandelle._
-
-Dunque, dicevamo, erano annunziati nel salotto della signora Elena
-molti titoli e nomi pomposi, ma erano poche le belle. La signora
-Vezzosi poteva consolarsi di non essere che commendatrice. So bene che
-questo titolo non è ammesso ancora dal vocabolario; ma, non temete,
-lo sarà. Al giorno d’oggi, le mogli dei ministri non fanno scrivere a
-lettere da speziali sulle valigie, sui bauli, sulle cappelliere, e su
-tutte l’altre carabattole di viaggio, «_S. E. la signora ecc., ecc._»?
-Siamo in tempi di largo progresso; l’Edison manda fuori un’invenzione
-al giorno; il Tanner insegna con l’esempio a vivere di fumo; dunque
-avanti, e diciamo pure la commendatrice Vezzosi. Perchè neghereste ad
-un collo così leggiadro uno straccio di collare? Per me, gli voterei
-anche quello dell’Annunziata, a patto che il più fedele tra i miei
-lettori (siete voi, non dubitate) fosse incaricato dell’annunzio, e
-della relativa collazione. Dico bene?
-
-
-
-
-III.
-
-
-— Sì, mia cara, come ho l’onore di dirti, questa è la mia ultima
-visita, per la stagione; — notò ad alta voce la signora Margherita
-Corniani, perchè la sentissero bene tutte le persone che erano, quel
-mercoledì, nel salotto della signora Vezzosi.
-
-Margherita Corniani, moglie al banchiere di questo nome, era una
-signora lunga come le mie speranze e smilza in ogni sua parte, più
-che non comportasse l’euritmìa, tranne nel naso, che aveva l’onesta
-persuasione di far compenso alla pochezza del resto. Era nata baronessa
-e portava l’analogo cerchietto d’oro, attorcigliato di perle, sul suo
-biglietto di visita. Così la baronia dei Martoli, dond’ella nasceva,
-era tacitamente passata nei Corniani, e la servitù di casa, per non
-isbagliare, chiamava barone anche il marito della signora. Alla qual
-gentilezza il banchiere si prestava con molta compiacenza, salvandosi
-dal ridicolo in faccia agli amici con questa dichiarazione modesta: —
-Io vivo all’ombra di mia moglie. — E la cosa poteva passare, tanto nel
-proprio quanto nel figurato, poichè la signora era lunga come l’indice
-d’una meridiana, ed egli corto e tondo come una trottola.
-
-Del resto, se la baronessa Corniani non era bella, poteva annoverarsi
-tra le signore più eleganti della città. Metteva fuori una nuova
-abbigliatura ad ogni settimana; il che torna a cinquantadue per anno.
-Grande conforto per il mezzo barone, a cui tutti facevano complimenti
-per il buon gusto della sua dolce ed allampanata compagna.
-
-— Tu dunque ci lasci? — chiese la signora Vezzosi. — Così presto?
-
-— Sì, che vuoi? Debbo andare a Parigi, per rinnovare il mio vestiario.
-Anzi, ho già tardato fin troppo, e corro il rischio di prendere gli
-avanzi. È vero che Wörth non mi tratta più come la prima venuta; —
-si affrettò a soggiungere la signora Margherita, con un sorrisetto di
-soddisfazione, a cui il naso rispose con espansione paterna. — Intanto,
-passerò il solito mesetto a Parigi, e poi tornerò, ma per andar subito
-alle acque.
-
-— Ti dài bel tempo? — osservò gentilmente la signora Vezzosi.
-
-— Mio Dio, sì. Non ti par giusto, dopo un inverno così noioso? È
-vero che tu non te ne sei avveduta. Sei rimasta così in disparte! A
-proposito, e perchè?
-
-— Sai, Margherita, non si ha sempre voglia di divertirsi. Del resto,
-dobbiamo fuggire il mondo prima che il mondo fugga noi.
-
-— Lo dici perchè non ne credi un ette; — replicò la signora Margherita.
-— Che ne dite voi, signori, di questa modestia della nostra bellissima
-Elena? — soggiunse, volgendosi ai due Alcibiadi. — Mostrate alle dame
-che l’antica galanteria non è spenta.
-
-— Noi ascoltavamo in un religioso silenzio; — rispose Alcibiade primo.
-— È così dolce e così nuovo vedere una grande modestia accoppiata ad
-una grande bellezza!
-
-— Ah, meno male! — esclamò la signora Margherita.
-
-— E poi, — aggiunse Alcibiade secondo, — da lunga pezza la signora
-Elena lo sa, che dipende solamente da lei di farci combattere un’altra
-guerra per dieci anni.
-
-— No, per carità! — gridò la signora Vezzosi. — Avrei troppa paura del
-cavallo di legno.
-
-— A buon conto, ti sei quasi ecclissata, quest’inverno; — entrò a dire
-la signora Bertini, una brunetta bofficiona, ma non inelegante, che
-fino allora era stata a sentire le chiacchiere della baronessa.
-
-— Che vuoi? — ripigliò la Vezzosi. — Parliamo sul serio. Gerardo era
-così cagionevole di salute! Si può dire che è stato più a letto, tra
-gennaio e aprile, che non per le strade. I nostri signori uomini non
-ci sposano forse perchè facciamo l’infermiera? — soggiunse la signora
-Elena, con un placido riso. — Del resto, ho fatto volentieri il
-sacrificio. Gerardo è così buono con me!
-
-— Bugiarda! — pensò la Margherita. — Come se non si sapesse che ci ha
-avuto qui tutti i giorni il De Rossi! — Hai fatto bene; — proseguì
-poscia ad alta voce. — Ma speriamo che ti ricatterai della tua
-reclusione in estate. Dove vai quest’anno? Io andrò a Recoaro. Ci va la
-regina, e Recoaro sarà la _great attraction_ della stagione.
-
-— Ma... — fece la signora Vezzosi, tentennando la testa — Gerardo
-avrebbe desiderio di andare a Courmayeur. Egli soffre tanto del caldo!
-
-— Io — disse la Bertini — andrò a Livorno. È il gran _chic_, e tutti mi
-raccontano che l’anno scorso si sono divertiti un mondo.
-
-— Ma, signore mie... — entrò a dire uno degli Alcibiadi. — Non si
-direbbe, a sentirle....
-
-— Che cosa? — domandò la signora Margherita.
-
-— Che i medici non c’entrano più per nulla nell’ordinare le acque.
-Una volta si andava in un luogo piuttosto che in un altro, secondo i
-bisogni della salute... secondo le malattie....
-
-— Bravo! — gridò la signora Margherita. — E voi credete alle malattie?
-
-— Ahimè, da qualche anno! — rispose l’Alcibiade, contrito. — Io credo,
-per esempio, ai reumi, e vado a Casciana.
-
-— Vi raccomando le zanzare; — disse l’altro Alcibiade. — Io andrò a
-Monsummano.
-
-— A Monsummano! E perchè? Sareste sordo, per avventura? — domandò la
-signora Margherita, che per quel giorno dava la battuta in orchestra.
-
-— Non come voi, baronessa; — replicò l’Alcibiade secondo, torcendo
-amabilmente il collo.
-
-La signora Margherita aperse le labbra ad un sorriso e il naso ad una
-delle solite espansioni concomitanti.
-
-— Questo m’ha l’aria di un complimento: — diss’ella.
-
-— Il cavaliere Sestavalle è sempre galante; — notò cortesemente la
-padrona di casa.
-
-— Vecchia scuola, signora mia, vecchia scuola! — disse l’Alcibiade,
-ridendo.
-
-— È la buona; — si degnò di soggiungere la baronessa.
-
-In quel mentre fu annunziata la visita del contino Anselmi; un capo
-scarico, un matto grazioso, che passava la sua vita in società come
-una farfalla tra i fiori, aliando un po’ a destra, un po’ a manca,
-seminando da per tutto il suo spirito facile e la sua filosofia
-leggiera; l’unica che sia sopportabile in questo mondo, già così pieno
-di sopraccapi, grattacapi ed altri simili rompicapi.
-
-Ossequiata la padrona di casa, fatta riverenza alle visitatrici e
-stretta la mano ai due Alcibiadi, il contino Anselmi piantò la fida
-lente nell’occhiaia destra, il gomito sinistro sulla spalliera di un
-seggiolone, e così prese a parlare:
-
-— La seduta è aperta. Anzi, lo era già e non occorre più dichiararla
-tale. Di che parlavano le signore? Ed è permesso ad un nuovo venuto di
-dire la sua?
-
-— Prima di tutto, Anselmi, ci direte tutte le notizie della città; —
-rispose la signora Vezzosi.
-
-— Volontieri, ed anche della campagna; — ripigliò l’Anselmi,
-inchinandosi. — Ieri un terribile uragano, non preveduto dall’uffizio
-meteorologico del _New York Herald_....
-
-— Ma voi incominciate proprio dalla campagna; — notò ridendo la signora
-Elena.
-
-— È vero; rientro subito in città. La Camera di Commercio, nella
-sua seduta dell’altro ieri... dovendo rispondere ad analoga domanda
-del signor ministro d’agricoltura, industria e commercio.... Ma che,
-signore mie? Non credono neanche conveniente d’interrompermi? Badino
-bene, io non so davvero che cosa abbia deliberato la Camera, e in un
-caso disperato come questo sono capace di tutto... anche d’inventare la
-deliberazione.
-
-— E la domanda del ministro; — soggiunse la signora Elena.
-
-— Si capisce. Tanto, egli non protesterà. I ministri ne firmano tante,
-di carte, senza pigliarsi il fastidio di leggerle!
-
-— Insomma, voi non sapete nulla, Anselmi?
-
-— Come voi dite, donna Elena. Sono nel caso di sant’Agostino. So
-questo soltanto, che non so nulla di nulla. Prego adunque le signore di
-riprendere la loro conversazione al punto in cui l’avevano lasciata.
-
-— Si parlava di bagnature e d’acque termali; — disse la signora Vezzosi.
-
-— Argomento di stagione; staremo freschi; — notò il contino Anselmi,
-felice d’aver colto in aria un bisticcio.
-
-— Sicuramente, e ci contiamo su; — rispose la signora Vezzosi.
-
-— Ah! partite anche voi, donna Elena? Ecco una notizia.
-
-— Che non avevate voi, Anselmi! Ma già, siete così a secco, quest’oggi,
-che bisognerà darne a voi.
-
-— Date sempre; i poveri vi benediranno. Io, del resto, non avendo
-notizie, farò i commenti su quelle degli altri. E dove andrete, se è
-lecito saperlo?
-
-— Non è ancora deciso; ma credo a Courmayeur. Gerardo ne ha già parlato
-tre volte, citando i nomi de’ suoi amici che andranno lassù.
-
-— Viaggio disastroso, — osservò il contino Anselmi. — Cretini in Val
-d’Aosta; valanghe più su; continuo pericolo di ribaltare.... Viaggio
-disastroso! Viaggio terribile! sconsiglierò il mio amico Gerardo.
-
-— Farete un’opera inutile; — rispose la signora Vezzosi. — Gerardo ha
-cinque o sei amici che vanno a Courmayeur; tutti uomini politici....
-
-— Ah! — esclamò Anselmi. — Non resteranno dunque tutti nella valle,
-i....
-
-— Via! — interruppe la signora Vezzosi, che vedeva già tornare in ballo
-i cretini. — Un po’ di carità per gli uomini politici!
-
-— Che vi seccheranno, donna Elena, ve lo prometto io, vi seccheranno.
-
-— Ci vorrà pazienza; — replicò la signora Vezzosi, simulando un
-sospiro. — Gli uomini hanno tutti il loro cavalluccio di legno, come
-dicono gli inglesi. E chi è senza peccato scagli la prima pietra.
-
-— Oh, la scaglio io, la scaglio io; — gridò l’Anselmi. — Degli otto
-peccati capitali, proprio questo mi manca.
-
-— È curiosa, per altro; — ripigliò la signora Elena, cercando di
-ravviare la conversazione. — Si suol dire: tre italiani, tre opinioni
-diverse. Ora eccoci qui tre italiane, tre amiche, e nessuna di noi
-andrà dove va l’altra. Io forse a Courmayeur; Margherita a Recoaro e
-l’Amalia a Livorno.
-
-— _Variata placent_; — disse l’Alcibiade primo. — Del resto, io ne
-conosco due che andranno insieme, l’Altobelli e la Salieri, a Venezia.
-
-— Le due rosse! — esclamò la baronessa.
-
-— Sicuro, bene osservato! — entrò a dire l’Alcibiade secondo. — Una
-rossa di capegli e l’altra di carnagione.
-
-— Si capisce allora perchè vadano ambedue a Venezia — notò gravemente
-l’Anselmi.
-
-— Sentiamo il perchè; — disse la signora Vezzosi. — Ma vi avverto,
-Anselmi; non vogliamo bottate. Si tratta di due amiche. —
-
-Il contino Anselmi chinò la testa, con aria di contrizione.
-
-— Allora non parlo più; — diss’egli. — Se le mie oneste intenzioni sono
-così neramente sospettate....
-
-— Via, lascialo dire, povero Anselmi! — mormorò la baronessa, con
-accento di preghiera. — Se no, è capace di morirne.
-
-— Margherita intercede per voi; — riprese la signora Vezzosi. —
-Parlate, Anselmi. Se sarà troppo forte, fingeremo di non avere udito
-nulla.
-
-— Di male in peggio! — gridò il contino Anselmi, con accento di comica
-disperazione. — E voi credete proprio, Donna Elena, che io voglia dire
-delle cose assai gravi? Venezia è stata famosa un tempo nell’arte per
-una scuola di coloristi insigni; che ci sarebbe di male se le nostre
-due dame più colorite andassero colà, a rinfrescare le tradizioni della
-scuola? Eccovi tutto quello che io ci avevo da dire.
-
-— Proprio tutto? Nient’altro che questo? — domandò la baronessa, con
-aria d’incredulità, mista ad un pochino di disillusione.
-
-— Nient’altro che questo; lo giuro ai Numi! — rispose il contino
-Anselmi. — Ma già, capisco; questa è la sorte che tocca a tutti gli
-oratori, che hanno lasciato sperar molto di sè.
-
-— Sperare! È un po’ troppo. Noi temevamo; — osservò la signora Vezzosi.
-
-— Risposta arguta, e m’inchino al vostro spirito, Donna Elena; —
-replicò il contino. — Con voi non c’è modo di collocare una malignità.
-
-— E che dite, signor conte, della Milani, che va invece a Tabiano? —
-chiese a sua volta la signora Amalia Bertini.
-
-— Che ne so io, signora? Ci andrà per dimagrare.
-
-— E della Vernetti, che va in Engadina?
-
-— Ma!.... Forse per ingrassare, con la cura del latte. Non credete voi
-che ciò le farà bene?
-
-— Se ne vanno tutte! — esclamò Alcibiade primo. — È dunque una
-diserzione generale?
-
-— È la moda, cavaliere, è la moda. Bisogna pure farsi ordinare qualche
-cosa dal medico, per ordinare qualche cosa alla sarta. Si va alle acque
-con una sola ricetta, che si dimentica magari alla prima stazione; ma
-con una dozzina di bauli e di casse, da disgradarne una prima attrice.
-Non è così, mie belle signore? Abbigliatura di mattina, abbigliatura di
-pomeriggio, abbigliatura di sera; cangiare tutti i giorni, ripartire
-quando si è veduto il fondo alle casse; ecco il modo di andare alle
-acque e di ritrarne vantaggio. Perdonate, signora, io scherzo. La
-cura si fa e riesce utilissima... a noi uomini, per cui queste cose si
-fanno.
-
-— Ah, se credete che si facciano proprio per voi! — esclamò la signora
-Vezzosi, minacciando il contino Anselmi col suo ventaglio cinese.
-
-— Sicuramente, dico per noi. Che volete, che sia per le amiche? Ma
-questo non sarebbe il modo di curarle, bensì di farle morire d’invidia.
-Non è vero, baronessa? Lo domando a voi, che siete annoverata
-meritamente tra le stelle più brillanti del nostro firmamento. —
-
-La baronessa rispose al complimento con un risolino delle sue labbra
-sottili e con l’analoga espansione del vicino di sopra.
-
-— Ma dite, e la Rivanera? — esclamò la signora Amalia. — Avevamo
-dimenticata la Rivanera.
-
-— La divina Rivanera! — disse l’Anselmi, con un accento che fece alzare
-la testa alla signora Vezzosi.
-
-— Parlate sul serio, Anselmi? Vi pare proprio divina?
-
-— Signora sì, mi pare; e credo per giunta che lo sia.
-
-— Infatti, è carina; — ripigliò la signora Vezzosi. — Una bella testa!
-
-— Peccato che non sia un palmo più alta! — soggiunse la baronessa.
-
-— Pazienza, Donna Margherita, pazienza! — replicò il contino Anselmi.
-— Non tutte hanno la vostra bella ed elegante persona. Del resto,
-la Rivanera non è piccola. Vi ricordate della fiera di beneficenza
-dell’altro anno? C’era il bilico, come all’ufficio del dazio, e
-il metro, come nei consigli di leva. Ci si è pesati tutti quanti
-e misurati, a vantaggio dei poveri. La Rivanera pesa cinquantanove
-chilogrammi e misura un metro e sessantadue, salvo errore, ma sempre
-più di quel che ci vuole per assicurare un bersagliere alla patria.
-
-— Del resto, tanto carina! — ripetè la signora Vezzosi.
-
-— Sì, Donna Elena, è questa l’opinione di molti.
-
-— Tutti innamorati, s’intende; — notò la baronessa, con accento
-agrodolce. — Stiamo a vedere che glieli regalate tutti! Siete così
-maliziosi, voi altri!
-
-— Adagio, baronessa, vi prego. Non mi fate parlare prima che io abbia
-aperto bocca. Volevo dire per l’appunto il contrario. La signora
-Camilla è Rivanera di casato, ma si potrebbe chiamare più giustamente
-Riva alta.
-
-— Già, — disse la baronessa, — un metro e sessantadue, salvo errore!
-
-— Certo, non è più alta di così; ma gli adoratori ci han fatto mala
-prova ugualmente. Io, per esempio, ne conosco uno che ci ha fatto un
-fiasco piramidale.
-
-— Lo conoscete, Anselmi? Intimamente? — domandò la signora Vezzosi.
-
-— Ve lo dica il sospiro che mi prorompe dall’imo petto! — rispose il
-contino.
-
-— Ah, povero Anselmi! Povero Anselmi! E voi certamente vi facevate
-innanzi con le migliori intenzioni del mondo.
-
-— Sfido io! Una vedova a ventitrè anni! Si va innanzi, pesciolini
-fidenti, sperando sempre che la bella pescatrice abbia una rete in mano
-e che voglia servirsene.
-
-— L’avevate giudicata male; — replicò la signora Vezzosi. — Camilla è
-molto fiera. Non vuol questo, perchè è troppo ricco; non vuol quello,
-perchè lo è troppo meno di lei; non vuole quell’altro, perchè manca
-d’idealità.... È la sua frase.
-
-— Sarei curioso di sapere in che categoria ha messo me; — disse
-l’Anselmi pensoso.
-
-— Probabilmente nell’ultima; — rispose la signora Elena, dandogli
-gentilmente la baia. — Non ve ne siete accorto, che mancate d’idealità?
-
-— Voi mi direte quel che vorrete, Donna Elena; ma io non andrò in
-collera; — disse di rimando l’Anselmi. — Vi proverò in questo modo che,
-se manco d’idealità, son sempre l’ideale degli uomini di buona pasta.
-
-— Intanto che voi distillate il vostro spirito, — entrò a dire la
-Bertini, — noi non sappiamo dove andrà quest’anno la Rivanera. Un
-innamorato come voi dovrebbe pure saperlo.
-
-— Signora mia, sono un innamorato respinto, andato a male, vi prego di
-rammentarlo. Che cosa volete che io sappia? Di sicuro, una dama così
-piena d’idealità non può andare che in un luogo molto elevato.
-
-— Al Monte Generoso; — suggerì Alcibiade secondo.
-
-— O sul Davalagiri; — soggiunse l’Anselmi.
-
-— Il Davalagiri! — esclamò la baronessa. — Che stazione di bagni è
-questa mai?
-
-— Non è una stazione di bagni, Donna Margherita. Non ci si fa altro
-che la cura dell’aria rarefatta. Il luogo è in India, sulla catena
-dell’Imalaia, ad ottomila metri sul livello del mare.
-
-— Sempre lo stesso capo ameno! — disse la signora Bertini.
-
-— Del resto, — ripigliò l’Anselmi, — la Rivanera andrà dov’è andata
-l’anno scorso. _Qui a bu boira_, dice il proverbio francese. Ed essa
-berrà le acque di Montecatini; o, per dire più esattamente, le berrà
-lo zio, presidente e gran croce. Le acque del Tettuccio sono acque
-eminentemente politiche, amministrative e giudiziarie, come il mal di
-fegato che hanno la fama di guarire. A proposito, Donna Elena, perchè
-non raccomanderemo le acque del Tettuccio al mio amico Gerardo?
-
-— Per carità, non ne fate nulla. Volete mandarmi a morire dal caldo in
-Val di Nievole. Meglio centomila volte Courmayeur, con le valanghe, le
-ribaltature e i cretini, di cui mi parlavate poc’anzi. —
-
-Il contino Anselmi stava per rispondere qualche altra spiritosità
-delle solite; ma gli furono mozzate le parole in bocca da un atto della
-baronessa, che accennava di volersene andare.
-
-— Dunque addio, la mia bella e cara Elena; — diss’ella, abbracciando
-l’amica e mettendole il naso sulla guancia. — O piuttosto, a rivederci
-in novembre.
-
-— E tu, bada a non dimenticarti di noi, a Parigi. Voglio sperare che,
-se avrai un ritaglio di tempo...
-
-— Non dubitare, avrai mie notizie. E anch’io spero di avere le
-tue. —
-
-Un nuovo bacio e sonoro chiuse il dialogo delle due svisceratissime
-amiche.
-
-Anselmi aspettava la baronessa al varco.
-
-— Donna Margherita, — le bisbigliò, inchinandosi, con aria di
-devozione, — e per me niente?
-
-— No, — rispose la baronessa, — voi mancate.... d’idealità. —
-
-L’Anselmi non si commosse punto di quella bottata.
-
-— Diamine! — esclamò, stringendosi nelle spalle; — ve ne importa
-proprio, della idealità? E per che farne? —
-
-La baronessa gli rispose con un mezzo sorriso; segno che non gradiva
-intieramente lo scherzo. Perciò al moto delle labbra non si accompagnò
-quella volta l’espansione del vicino di sopra.
-
-Il contino Anselmo ritornò alla conversazione, molto contento di sè.
-Si contentava di poco, in verità. Ma la sua fama di bell’umore si
-rassodava sempre più, e un uomo può credere di aver tutto, quando,
-insieme con la gioventù, la bellezza e i quattrini, è sicuro di avere
-anche la gloria.
-
-Anch’egli era sul punto di prender commiato; ma la signora Elena,
-nell’atto di rimettersi a sedere, e approfittando di un discorso
-impegnato tra la signora Bertini e i due Alcibiadi, trovò il modo di
-bisbigliargli, dietro la seta del suo ventaglio cinese:
-
-— Restate, ve ne prego. —
-
-Ad onore del contino Anselmi e della sua filosofia leggera, debbo dire
-che egli non insuperbì punto punto di quell’invito confidenziale. Tra
-lui e la signora Elena non erano mai corse parole infiammate, e nemmeno
-galanti, oltre il limite d’uno scherzo. Ne avrebbe dette sicuramente,
-se avesse potuto sperare di non dirle invano; ma, anche veduto di buon
-occhio dalla signora Vezzosi, il contino aveva capito che quell’occhio
-non toglieva ispirazione dal cuore. In genere, le dame non prendevano
-il contino Anselmi sul serio. Egli era diventato lo schiavo del
-proprio spirito, come un antico doge di Venezia della propria dignità.
-Era condannato ad esser leggiero e ad esser trattato come tale. Per
-compenso, gli erano lecite tutte le bizzarrìe possibili e tutte le
-scappate immaginabili. Da principio, questa condizione gli aveva dato
-un po’ noia, ed egli si era proposto di diventare un uomo serio e
-noioso come tutti gli altri; ma andate a dirla con la natura! La lingua
-era pronta e non sapeva stare alle mosse. Il contino Anselmi era andato
-avanti per la sua strada, si era adattato alle miserie della propria
-grandezza. Si rideva delle sue dichiarazioni, quando s’arrisicava a
-farne; e allora lui le voltava prontamente in celia, si ricattava con
-le arguzie, e aveva il gusto di sentirsi dire da tutte: che spirito,
-quell’Anselmi! che spirito! Aggiungete che lo cercavano da per tutto,
-lo volevano in ogni luogo, dame, cavalieri, ufficiali e commendatori. E
-questo è come dirvi che era ben veduto anche dai signori mariti.
-
-Or dunque, vi ho narrato come l’Anselmi non insuperbisse dell’invito.
-Restava a lui di dare una pubblica ragione della sua persistenza a
-restare, anche oltre i termini d’una visita, e sopra tutto di mandar
-via gli altri visitatori, che, dopo l’invito della signora Elena, gli
-dovevano parere altrettanti importuni.
-
-— Mi permettete. Donna Elena, di farvi la guerra? — diss’egli, dopo
-alcuni minuti di chiacchiere.
-
-— La guerra a me? — esclamò la signora Vezzosi. — E in che modo?
-
-— Ecco qua; persuaderò Gerardo a cangiare il suo itinerario. Appena
-torna a casa, ve lo riduco io come va. Non più Courmayeur; Montecatini,
-vuol essere.
-
-— Sarebbe il caso di mandarvi via subito; — replicò la signora Vezzosi.
-— Ma questo non sarebbe di buona guerra, ed io voglio darvi la prova
-che non potete nulla su di lui.
-
-
-
-
-IV.
-
-
-Erano le cinque del pomeriggio, quando l’ultimo degli Alcibiadi si alzò
-dalla poltrona e prese commiato dalla signora Elena. In casa Vezzosi
-era costume di pranzare alle sei e il commendatore Gerardo soleva
-capitare per l’appunto all’ora di tavola. I nostri due personaggi
-avevano dunque un’ora di tempo, per chiacchierare a lor posta. Ma la
-signora Elena non aveva neanche bisogno di tanto.
-
-Rimasto solo con lei, il contino Anselmi prese posto su d’una
-poltroncina accanto al sofà, si rizzò ossequiosamente sulla vita,
-allungò il collo verso di lei e le disse:
-
-— Donna Elena, eccomi qua. Che comandi avete da darmi?
-
-— Nessun comando; — rispose la signora Vezzosi. — Mettete che io
-v’abbia trattenuto per farvi far penitenza di tante chiacchiere e di
-tante mormorazioni. —
-
-L’Anselmi fece una mossa che voleva dire: non ne credo una maledetta.
-Ma intanto rispondeva, con la solita galanteria:
-
-— Dolce penitenza ad un grosso peccato. Vi avverto, Donna Elena, che
-peccherò molto e spesso. —
-
-Credete, lettori, che si sdrucciolasse finalmente nel tenero?
-Disingannatevi; quella era galanteria dozzinale, semplice maniera di
-discorrere. Del resto, la signora Elena non fece caso del complimento,
-e rannicchiatasi contro la spalliera del sofà, mentre aveva l’aria di
-guardare le figurine del suo ventaglio cinese, così disse brevemente
-all’Anselmi:
-
-— Conoscete Aldo De Rossi?
-
-Il contino trasse indietro il collo, anzi il busto senz’altro, e guardò
-trasognato la sua bella vicina.
-
-— Donna Elena, — le disse, dopo un istante di pausa, — voi mi parlate
-ora come parlò un giorno Domineddio al Diavolo, «Conosci tu il mio
-servo Giobbe?» Sì, signora, vi risponderò io, lo conosco. E voi?
-
-— Finiamola, con le vostre scioccherie! — replicò ella stizzita.
-
-— Ma, signora... — ribattè l’implacabile Anselmi. — Non lo avete
-indovinato? Gli è per buscarmi da voi un’altra penitenza.
-
-— Voi sapete pure che non c’è nulla di nulla; — continuò la signora
-Vezzosi, senza por mente alla risposta.
-
-— Che fretta, Donna Elena, che fretta! Io non avevo ancora toccato il
-tasto delicato.
-
-— Perciò bisognava fermarvi al primo cenno, al primo sospetto di un
-vostro giudizio temerario. Con voi è necessario difendersi prima di
-essere attaccati, e mettere a dirittura i puntini sugli i. Di grazia,
-Anselmi, se ci fosse qualche cosa, vi avrei io trattenuto qua, per
-parlarvi di lui?
-
-— Eh! — rispose il contino, crollando la testa. — Potrebbe anche essere
-una finezza di seconda intenzione. Ci sono delle donne così astute! Del
-resto, non negherete che Aldo vi fa la corte.
-
-— A me?
-
-— Sì, una corte spietata. È sempre qui, e mi meraviglio che non ci sia
-stato anche oggi. Infine, non va a vedere le altre dame della città
-così spesso come viene da voi.
-
-— Apparenze! — rispose la signora Vezzosi. — Le apparenze
-ingannano. —
-
-E perchè il contino Anselmi seguitava a tentennare il capo, la signora
-Elena aggiunse:
-
-— Non mi credete? Vi dò la mia parola di onore.
-
-— Quand’è così, — disse l’Anselmi, «lasciando l’atto di cotanto
-uffizio,» — non oso più contraddirvi. La vostra parola d’onore mi rende
-l’uomo più serio della cristianità. Parlate, signora.
-
-— Desidero sapere una cosa da voi; — ripigliò essa.
-
-— Intorno al De Rossi?
-
-— Intorno a lui.
-
-— L’ho poco in pratica, Donna Elena. Ma infine, se le mie poche
-cognizioni possono servirvi in qualche modo, son qua.
-
-— Si tratta d’una cosa da nulla; — proseguì la signora; — d’una cosa
-che si nasconde male fra tanti uomini, tutti intenti a scoprire i
-segreti dei loro amici e rivali. Insomma, desidero sapere da voi di che
-donna è innamorato il signor De Rossi. —
-
-Il contino Anselmi diede un sobbalzo sulla poltrona.
-
-— Nientemeno! — esclamò. — E sono io che devo... siete voi che
-volete....
-
-— Badate, — osservò la signora Vezzosi, — ora siete sul punto di
-passare per un povero di spirito.
-
-— È vero, è vero! — gridò l’Anselmi, cercando di rimettersi in sella. —
-Ma vedete, signora; la cosa, quando non ci sto attento, mi accade così
-spesso! È la natura mia; ero nato imbecille. Ma facciamo di rialzarci
-un pochino agli occhi vostri. Vi risponderò con tutta sincerità che
-io non tengo dietro al signor Aldo De Rossi. Non mi è mai capitato
-di osservarlo, tranne in casa vostra. E poichè credevo che fosse
-innamorato di voi....
-
-— Ab, già, dimenticavo quest’altra invenzione, — disse la signora
-Elena. — Ma io vi ho detto, e voi lo crederete, spero, che egli non è
-innamorato di me, e che io non sono innamorata di lui. Gli sono amica,
-ecco tutto; e sono curiosa....
-
-— Ecco il resto; — aggiunse il contino Anselmi, che non sapeva
-rinunziare al gusto di collocare un’arguzia.
-
-— Certamente, ecco il resto; — ripigliò la signora, ridendo a suo
-malgrado. — E siccome ho gran timore che il signor Aldo De Rossi sia
-invaghito di qualche sciocca....
-
-— Che ve ne importa, Donna Elena? — interruppe l’Anselmi. — Per solito,
-la donna che piace non è mai sciocca; anzi, sarei per dire che è un
-Pico della Mirandola in gonnella, se non temessi di lasciar credere che
-è sapiente e noiosa per giunta.
-
-— Come voi, adesso, non è vero? — ribattè la signora Vezzosi. — State
-a sentire. Anselmi, e vi spiegherò tutto, dall’a fino alla zeta. C’è
-una bellissima fanciulla, che ama il signor De Rossi. Io conosco i
-segreti di quel giovine cuore e i tesori della sua anima innocente. È
-ben detto, così? Dunque, come intenderete, speravo un matrimonio, che
-avrebbe fatto molto piacere ad una famiglia, che è in strettissima
-relazione con Gerardo e con me. Non andate a indagare, ve ne prego;
-non sono segreti da farne argomento di chiacchiere e di mormorazioni,
-sul genere delle vostre. Vi ho data una prova di stima, accennandovi
-semplicemente la cosa; siatene degno.
-
-— Ne sarò degno; — rispose contrito l’Anselmi.
-
-— Dunque, state a sentire. Sarebbe un matrimonio conveniente sotto
-tutti gli aspetti. A Gerardo piace; io ne sarei contentissima. Il
-signor De Rossi, sulle prime, pareva accostarsi alle nostre idee. Se ne
-è parlato più volte, a questo medesimo posto, — soggiunse la signora
-Vezzosi rincalzando la bugia con tutte le più audaci invenzioni, —
-e speravo già d’essere riuscita a persuaderlo. Ma ecco che, sul più
-bello, venuti al punto di conchiudere, il signor Aldo mi si raffredda,
-cerca di guadagnar tempo, ha paura di fare il primo passo; insomma,
-che vi dirò? vorrebbe rimandare il principio dei negoziati alle calende
-greche.
-
-— Oh diamine! — esclamò il contino Anselmi. — E voi dite, signora, che
-sulle prime pareva disposto?
-
-— Dispostissimo. Voleva sapere molte cose; ma infine, anche la
-sua curiosità, troppo legittima in un caso come questo, faceva
-testimonianza di una certa propensione.
-
-— È grave; — ripigliò l’Anselmi. — Non potrebbe darsi il caso che,
-pigliando lingua da altri, avesse scoperto qualche amoruccio della
-ragazza? Ce n’hanno sempre qualcheduno, queste benedette fanciulle! Son
-diventate tanto precoci, a questi soli di libertà!
-
-— No, la ragazza esce a mala pena di collegio.
-
-— O qualche difetto, qualche imperfezione fisica?
-
-— È un portento di bellezza.
-
-— Che Aldo cerchi una dote più vistosa? Gli uomini ne hanno,
-qualche volta, di queste malinconie! E se la ragazza non fosse ricca
-abbastanza, per determinare la sua scelta?
-
-— È ricca come lui, e alla morte dei parenti lo sarà anche più di lui.
-Si convengono per ogni verso.
-
-— Allora, — disse il contino, assumendo un’aria grave, — non c’è più
-che una supposizione da fare. Il signor De Rossi s’è innamorato di
-un’altra.
-
-— Ve lo avevo detto, io; — rispose la signora Elena. — Ma di chi? Come
-saperlo? Questo è il difficile.
-
-— Non tanto, signora, non tanto.
-
-— Ah bene, aiutatemi dunque a trovare.
-
-— È presto fatto. Il signor De Rossi s’è innamorato... di voi. —
-
-La signora Vezzosi fu per andare in collera davvero.
-
-— Calma! calma, Donna Elena, e statemi a sentire; — proseguì il
-contino Anselmi. — Credete proprio possibile che si stia impunemente
-a ragionare di un’altra donna, accanto ad una donna come voi? Gli
-dipingevate le bellezze, gli snocciolavate le grazie e tutti gli altri
-pregi fisici e morali di una assente; intanto, quei pregi, quelle
-grazie, quelle bellezze, gli si mostravano presenti e irresistibili
-nella divina oratrice. Ciò si è veduto altre volte nella storia.
-Francesca da Polenta non amò Paolo Malatesta, che andava ad impalmarla
-per conto di suo fratello Gian Ciotto? Non ho più in mente i romanzi
-di Alessandro Dumas; ma mi pare che ci sia un caso somigliante anche
-nella storia di Francia. Che meraviglia, adunque, se un uomo viene ad
-intrattenersi così lungamente con voi, e, scambio d’intenerirsi per
-una donna lontana di cui gli parlate con tanta eloquenza, si infiamma
-lentamente ma profondamente di voi? —
-
-La signora Elena era rimasta pensierosa. — Se fosse vero! — andava
-dicendo tra sè. Intanto il contino Anselmi, pigliando ansa da quel
-silenzio, proseguiva:
-
-— Ecco il vostro errore, Donna Elena. Si assumono degli incarichi
-superiori alle forze proprie e a quelle di chi ci ascolta. Si manda
-la paglia ambasciatrice al fuoco, per dirgli: tu brucerai l’acqua. E
-il fuoco trova che è più comodo, più pronto, e sopra tutto piacevole,
-divorarsi la paglia. Scusate il paragone, non m’è venuto altro alle
-mani. Ed anche voi, abbiate pazienza, perchè assumervi di questi uffici
-pericolosi? Alla vostra età! Con quel viso!
-
-— Tutte le età son buone, per fare un’opera buona; — ribattè la signora
-Vezzosi.
-
-— Giusto! — replicò l’Anselmi. — E vedete come la cosa vi riesce! Aldo
-non vuol saperne della vostra protetta.
-
-— E voi chiacchierate, Anselmi, senza venire a capo di nulla.
-
-— Dio buono, se non so nulla! Ma vediamo. Donna Elena. Voi non siete la
-fiamma del signor De Rossi. Ne siete ben certa?
-
-— Certissima. Una donna indovina sempre queste cose, anche quando
-l’uomo non le ha ancor dette a sè stesso.
-
-— È verissimo. Cerchiamone dunque un’altra. Passiamo in rassegna le
-dame di nostra conoscenza. Le rassegne son sempre di moda, dopo quella
-delle navi, che si legge in Omero. Chi sospettate voi?
-
-— Ma.... non saprei.... Varii nomi mi son passati per la fantasia; —
-disse la signora Vezzosi. — Che direste voi di Margherita?
-
-— Quale Margherita?
-
-— La baronessa. Non è la Margherita per eccellenza? —
-
-Il contino Anselmi si trasse indietro con aria di sommo stupore.
-
-— Donna Elena! — esclamò. — Vorreste voi canzonare il vostro povero
-servo?
-
-— E perchè, di grazia? Non è Margherita l’elegantissima tra le nostre
-signore?
-
-— Sia pure; ma, a questi patti, Aldo De Rossi farebbe meglio a
-innamorarsi a dirittura della sarta. Che vi pare? Un uomo di garbo
-innamorarsi del contenente? Eh via!
-
-— Ma il contenuto.... — si provò a dire la signora Vezzosi.
-
-— Il contenuto! — ripetè l’Anselmi. — Il contenuto è così poca cosa! Io
-non ci trovo di... come direste voi? Di consistente? di palpabile? Io
-non ci trovo di palpabile che il naso.
-
-— Esagerazioni! — rispose la signora Elena. — Esagerazioni di quelle
-che fate sempre voi. Quando vi correggerete di questo brutto vizio?
-
-— Avete ragione, Donna Elena, mi correggerò. Ma desidero che incominci
-la baronessa. Voi gli siete amica; avete influenza sull’animo suo.
-Ditegli, ve ne prego, di rinunziare a quel naso. —
-
-Con quel capo scarico dell’Anselmi non c’era verso di vincerne una. La
-signora Vezzosi si appigliò al partito di ridere.
-
-— Dunque, la Corniani no; — diss’ella, abbandonando il naso di
-Margherita alle celie del contino. — Vediamo l’Altobelli.
-
-— Quella dei capelli rossi! — esclamò l’Anselmi. — In verità, non siete
-amica al signor De Rossi, se gli attribuite un gusto così bizzarro.
-
-— Lasciamo l’Altobelli. Che ve ne pare della Vernetti?
-
-— È sul fare della Corniani.
-
-— La Milani, dunque. Eccone una che non è sul fare della Corniani.
-
-— Giustissimo; essa è sul fare delle corniòle. Perchè non piuttosto la
-Rivanera?
-
-A quel nome, buttato là d’improvviso, la signora Elena diede un
-sobbalzo, come se avesse ricevuto una scossa elettrica. Perchè? ve lo
-dico subito. Generalmente, le cose più strane comportano (per servirmi
-di un verbo filosofico) una spiegazione semplicissima. Le altre
-donne le aveva nominate lei; la Rivanera, invece, l’aveva ricordata
-lui. Perciò la signora Vezzosi potè credere lì per lì che il contino
-Anselmi ci avesse qualche particolare, ricordato in quel momento, per
-giustificare la citazione di un nome anzi che di un altro. Infatti,
-ella fu pronta a domandargli:
-
-— Che cosa sapete? Ditemi tutto.
-
-— Non so nulla, io; — rispose l’Anselmi. — Non le passavamo noi tutte
-in rassegna? —
-
-La signora Vezzosi non pose neppur mente a quella circostanza
-attenuante.
-
-— Ci va forse in casa? — ripigliò.
-
-— Lo ignoro. Io non mi arrisico mai in quei paraggi. È così noiosa la
-società del presidente gran croce!
-
-— Anselmi! — disse la signora Vezzosi, rimettendosi un tratto dalla sua
-commozione. — Lo sapete, il proverbio: non c’è rosa senza spina. E chi
-vuole la rosa....
-
-— Deve adattarsi alla spina, lo capisco; — rispose l’Anselmi. — Ma chi
-non vuole a nessun costo la spina rinunzia volentieri alla rosa.
-
-— È strano! — esclamò la signora, con un accento di sottile ironia. —
-Vi piace tanto la Rivanera, e non sapete fare un piccolo sacrifizio ad
-una così grande bellezza!
-
-— Grande, sicuro; ma è una bellezza vedova; alla larga. —
-
-La signora Vezzosi alzò il ventaglio in atto di minaccia.
-
-— Signor Anselmi, — diss’ella, — sapete che non siete punto galante,
-quest’oggi? Un bell’omaggio lo rendete, alle donne! Quando son libere,
-le fuggite.
-
-— Abbiate pazienza, Donna Elena, son fatto così. Del resto, sono così
-poco pericoloso, che il mio omaggio alle dame.... non libere, non deve
-far paura a nessuno. Si sa, ogni donna ha bisogno di un uomo, come la
-vite di un sostegno. Quando la vite perde il palo, il savio agricoltore
-si affretta a dargliene un altro. Io.... — soggiunse con tragico
-accento il contino Anselmi, — io non sarò quel palo. E son certo che
-anche il signor De Rossi la pensa così.
-
-— Vi ha mai manifestate le sue opinioni in proposito?
-
-— No, ma un uomo giunto alla sua età, cioè a dire con tanti anni di
-navigazione, e per conseguenza passato per tante burrasche, o sarebbe
-naufragato prima, o non ci casca più. Questa è la mia opinione. —
-
-La signora Vezzosi stava per rispondere, quando si udì un rumore di
-passi nell’anticamera.
-
-— Ecco Gerardo; — diss’ella. — Son già le sei!
-
-— Signora, ecco un’osservazione e un accento molto lusinghieri per me.
-
-— Ma sì, ma sì! — rispose la signora Vezzosi, sorridendo amabilmente. —
-Mi avete fatto volare il tempo, con le vostre follie. —
-
-La bussola si aperse ed entrò nel salotto il commendatore Gerardo
-Vezzosi. Non meritava il suo cognome, in verità, ma non poteva neanche
-dirsi un uomo antipatico. Portava gli occhiali d’oro e la barba corta
-intorno al mento, per somigliare al conte di Cavour, buon’anima sua;
-ma non ne veniva a capo. Era ancora troppo smilzo, per essere tolto in
-iscambio. Era stato deputato, tant’anni addietro, e si parlava sempre
-di lui come di un senatore possibile. Egli, del resto, aspettando
-la nomina, ne aveva già l’aria. In gioventù peccava di ruvidezza,
-e l’ingratitudine degli elettori e qualche fiasco elettorale,
-sopravvenuto a renderla più solenne, non avevano contribuito a farlo
-più maneggevole. Ma da qualche anno, e per il solo fatto che i giornali
-lo avevano preconizzato senatore in quelle loro liste fantastiche da
-cui suol essere preceduta una infornata ministeriale, il commendatore
-Gerardo era diventato uno zucchero, un marzapane, sorrideva a tutti,
-dava volentieri del tu e versava anche più volentieri nel seno dei
-conoscenti la piena delle sue idee sulla politica estera. Come vedete,
-faceva il suo mestiere di candidato; cosa che non disdisse neppure a
-Cesare, che era Cesare e aveva domate le Gallie.
-
-— Gerardo, — gli disse il contino Anselmi, stendendogli la mano, — son
-qui a fare una guerra atroce alla tua signora.
-
-— Ah sì? — fece il commendatore sorridendo benevolmente. — Speriamo
-almeno che avrà saputo difendersi.
-
-— Non ne dubitare. È una cittadella. Ed io, poichè tanto le son giunti
-i soccorsi, levo prudentemente l’assedio. —
-
-Con quest’ultima arguzia il contino Anselmi prese commiato.
-
-— Meriteresti che ti si facesse prigioniero e che ti si trattenesse a
-pranzo; — replicava intanto il commendatore.
-
-— Grazie, grazie di cuore; ho un impegno; — disse l’Anselmi.
-
-E stretta gentilmente la mano alla signora Elena, e dato un crollo
-con britannica vigoria alla destra del suo amico Gerardo, il contino
-Anselmi si avviò verso l’uscio.
-
-— Diamine! Diamine! — borbottava egli tra sè, nell’atto di scendere le
-scale. — Una lo vuole e l’altra lo vorrebbe. Il De Rossi è nato sotto
-buona luna. Con quell’aria da scimunito! Che cosa ci trovino le donne
-in questi tipi, io non lo so. Ma già, — conchiuse filosoficamente,
-mettendo il piede in istrada, — per piacere a loro, un uomo non ha da
-essere solamente scimunito; deve anche parerlo. —
-
-
-
-
-V.
-
-
-Aldo De Rossi uno scimunito? Sissignori, così lo aveva giudicato
-l’Anselmi, e tale doveva essere per molti, se non a dirittura per
-tutti.
-
-È difficile, molto difficile, che una donna sia bella agli occhi
-di un’altra; ma è anche più difficile che un uomo vi ammetta senza
-contrasto e senza restrizioni la superiorità d’un altr’uomo. In genere
-non si bada a queste demolizioni scambievoli dei signori uomini, poichè
-in società si bada molto alle donne; ma la cosa è proprio così, come
-ho l’onore di raccontarvi. Il lievito dell’invidia s’impasta benissimo
-con questa farina del diavolo che è la natura umana, e le anime
-refrattarie son poche. Così avviene che un uomo non sia gabellato per
-sapiente, che a patto di essere riconosciuto pedante e noioso, o che
-non sia annoverato tra i belli, che a patto d’essere confinato tra gli
-sciocchi. Si ammette questo, ma si aggiunge sempre la nota in margine;
-ad una qualità, riconosciuta a denti stretti, risponde sempre un grosso
-difetto, che deve guastarla senz’altro.
-
-Le donne, per solito, non danno retta a questi giudizi mascolini, o li
-accettano soltanto per dissimular meglio una loro propensione, che non
-mette conto manifestare alle turbe. E nello stesso modo gli uomini non
-accettano che _pro forma_ il giudizio della signora Ipsilonne sulla
-signora Zeta, facendo dentro di sè tutte le possibili e immaginabili
-restrizioni mentali. Donde la conseguenza naturalissima che uomini e
-donne s’ingannino a vicenda, col miglior garbo del mondo.
-
-O non sarebbe meglio dire alla libera quel che si sente? No, lettori
-dell’anima mia; la società civile ha mestieri di questi giuochi
-innocenti. Non è neanche vero, come certuni pretendono, che tutti
-capiscano lo scherzo. I dolci di sale non mancano mai, e c’è sempre il
-gusto di tirare qualcheduno dalla sua. Poi, il vivere in società gli è
-come il destreggiarsi in diplomazia. Non si ha da dire mai la verità.
-Capiscano pure gli avversari qual ragione vi fa parlare in un modo o
-nell’altro, e sempre contrariamente alle opere vostre; negando oggi,
-potrete in ogni occasione mantellarvi della vostra innocenza.
-
-Aldo De Rossi, battezzato dal contino Anselmi con l’epiteto di
-scimunito, non rendeva pan per focaccia a lui, nè ad altri della sua
-risma. Apparteneva al numero di quei pochi che non si risciacquano mai
-la bocca dei torti e dei difetti di nessuno, e che, quando possono,
-o se ne ricordano, rendono giustizia a tutti. Egli faceva anche di
-più, e questo era un difetto suo; si esagerava facilmente i meriti di
-tutti. Avrete già capito di qui che Aldo De Rossi pigliava ombra d’ogni
-più piccola cosa e in ogni rivale assiduo vedeva un rivale fortunato.
-Innamorato, come possono esserlo soltanto certi caratteri malinconici
-e chiusi, che ardono e si consumano da sè come la lampada dei
-sepolcri (vecchia lampada, ti rimetto io, dopo tanti anni d’ingiusta
-dimenticanza, all’onore del mondo), Aldo si struggeva di vedere tanti
-farfalloni intorno alla donna amata, e s’immaginava d’esser l’ultimo,
-anzi peggio che l’ultimo, nelle grazie di lei.
-
-Nè senza un po’ di ragione, in verità. La dama era tanto cortese, tanto
-umana, tanto facile dispensiera di vezzi alla moltitudine de’ suoi
-adoratori, che Aldo De Rossi giunse fino a pensare d’essersi innamorato
-d’una creatura vana, come ce ne son tante, e in forma d’angioli, sotto
-la cappa del cielo. Immaginate come ne soffrisse. Ma non c’era rimedio,
-poichè il male era fatto, e Aldo De Rossi era uno di quei caratteri
-intieri e diritti, che, una volta avviati, non tornano più indietro.
-
-Intanto egli si trovava a mal partito, e avrebbe potuto dire con Dante:
-«Io sono tra color che son sospesi.» Non dava un passo indietro, ma non
-ne faceva uno avanti; e quella incertezza dolorosa gli toglieva, non
-solo la serenità dello spirito, ma anche l’uso della parola. Intendo
-l’uso vero e proprio della parola, che è stata data all’uomo per
-dissimulare il pensiero; chè, quanto a dire buon giorno, buona sera
-e tutte l’altre frasi di prima necessità, Aldo De Rossi ci reggeva
-ancora. A farvela breve, ci aveva l’amaro in corpo; qual meraviglia
-se non poteva dar fuori il dolce? Ma il peggio era questo, che egli,
-sempre così torbido e muto accanto alla donna amata, diventava libero,
-sciolto, perfino arguto, con tutte le altre. Perchè non c’era solamente
-la signora Vezzosi, che avesse i cavallereschi omaggi del signor Aldo
-degnissimo. Le necessità del racconto mi obbligano a non presentarvene
-che una; ma in verità ce n’erano parecchie. E tutte riconoscevano in
-Aldo De Rossi un compito cavaliere; fors’anche qualcheduna, oltre la
-signora Elena, avrebbe gradita una corte meno superficiale e generica.
-
-Sempre così, non è vero? Si ha presso questa o quella delle proprie
-conoscenze la giusta misura di quel che si vale; ma si va al
-cospetto di una donna a cui si vorrebbe far atto di vassallaggio e di
-sudditanza, a cui frattanto si scocca un inno in un’occhiata, un poema
-in una stretta di mano; e si sente subito un gran freddo; l’inno si
-gela a mezz’aria; il poema resta inedito _in pectore_; ci si ritrova
-piccini piccini, ed anche passabilmente ridicoli. Là, proprio là,
-dove si voleva essere qualche cosa, con l’onesto desiderio di offrire
-qualche cosa in omaggio di leale servitù, non si è, non si vale, non si
-conta più nulla.
-
-Una sera, non reggendo più a quel trattamento, che si era forse anche
-un po’ meritato col suo umore scontroso, prese di schianto il cappello.
-Lo prese nel senso figurato e nel proprio, e se ne andò dalla casa
-della donna amata; un’ora dopo che c’era entrato, e col proposito di
-restarci per tutta la sera! Il poveretto aveva centomila diavoli in
-corpo e andò girelloni per le vie della città, senza sapere che si
-facesse, proprio alla guisa dei matti. In uno di quei lucidi intervalli
-che occorrono nelle pazzie più acute, come le radure nei boschi più
-folti, Aldo De Rossi riconobbe il palazzo in cui abitavano i Vezzosi;
-vide lume dalle finestre del salotto della signora Elena, e si ricordò
-che, dopo quella tale conversazione, in cui le aveva manifestato
-l’animo suo, non era più stato a farle visita.
-
-Era una scortesia, dopo la gentile profferta che la signora Elena gli
-aveva fatta, di aiutarlo in ogni occasione. Aldo pensò allora che la
-sua serata era andata a male. Abitudini di caffè, o d’altri ritrovi
-mascolini, non ne aveva da un pezzo. Perciò, soccorrendo la ragione del
-caso, che è spesso la ragione determinante delle azioni umane, infilò
-il portone e salì dalla signora Elena.
-
-Anche in casa Vezzosi c’era conversazione. Il commendatore Gerardo
-faceva la sua partita con una mezza dozzina di uomini gravi. La
-signora Elena, la commendatrice, stava a chiacchiera con gl’inevitabili
-Alcibiadi, con qualche Socrate sperso e con due o tre dame della sua
-corte. S’intende che erano tutte meno belle di lei; che altrimenti
-Aspasia non le avrebbe sopportate.
-
-Aldo De Rossi ha accolto come un Pericle.
-
-— Ah, siete qui, voi? Che miracolo è questo?
-
-— Donna Elena, non è un miracolo. Dite piuttosto il desiderio di
-ossequiarvi.
-
-— Lasciamo andare i complimenti. Vogliamo notizie del mondo. Siete
-l’ultimo arrivato e dovete portarcene il fior fiore. Ecco qui il
-cavaliere Sestavalle, il quale pretende che il matrimonio della
-Morandini sia andato a monte.
-
-— Il matrimonio si farà; — rispose Aldo De Rossi, con una sicumèra che
-non era rincalzata dal menomo grado di certezza.
-
-— Scusate, De Rossi, — entrò a dire Alcibiade primo, che era, come
-sapete, il cavaliere Sestavalle, — io ripeto ciò che m’ha detto il
-Cusani, che è lo zio materno della sposa.
-
-— Non vuol dir nulla; — replicò Aldo De Rossi, con la medesima
-asseveranza; — vedrete che il matrimonio si farà ugualmente. Lo sposo
-è innamorato; la sposa è deliberata di entrare in convento, se non le
-dànno il Revelli. O il Revelli, o la clausura. Che volete di più?
-
-— Signor De Rossi, — rispose l’Alcibiade, inchinandosi, — voi siete
-meglio informato di me.
-
-— Non vorrei farvi dispiacere, — disse Aldo, inchinandosi a sua volta,
-— ma questa è la verità. Un forte amore deve passare avanti a tutte
-le quistioni di dare e avere, che inventano i signori babbi, per
-tormentare i poveri cuori. In fin de’ conti, non sono mica i babbi che
-hanno da sposarsi, ed io non capisco perchè s’impuntino a voler fissare
-i termini di una felicità che essi non hanno a godere. Una sola cosa
-è vera, una sola cosa trionfa di tutti i calcoli umani; l’amore. Il
-quale, poi, — soggiunse Aldo De Rossi, mutando tono con una facilità
-straordinaria, — ci conduce a fare tutte le più grandi sciocchezze del
-mondo. Già, incominciamo a dire che spesso si crede di amare e non si
-ama. Qualche volta avviene di cedere ad un movimento di stizza, e di
-procacciarsi un inferno in questa vita, peggiore di quello che ci è
-minacciato nell’altra. Auguro agli sposi di amarsi davvero e di non
-dover finire che in purgatorio. —
-
-Aldo De Rossi seguitò un bel tratto su questo tono, senza neanco sapere
-che diavolo dicesse. Era maravigliato dentro di sè d’aver buttata là
-con tanta sicurezza una bugìa di quella fatta, e voleva affogarla in
-un mare di parole, come se ciò potesse farla dimenticare all’udienza. E
-tirò avanti in quella forma, finchè lo lasciarono dire.
-
-— Infine, — proseguiva, — che cos’è l’amore? Un inganno scambievole. Ci
-si avvede poi che uno ci ha messo troppo del suo, e l’altro, o l’altra,
-ci ha messo troppo poco. Ora, signore mie, il troppo, è come il troppo
-poco; almeno, per ciò che risguarda gli effetti. Il troppo è un errore.
-Dio vi salvi dagli uomini che amano troppo, perchè essi seguono un
-falso indirizzo della loro fantasia, come chi sogna ad occhi aperti.
-E quando finalmente essi vengono a pensarci su.... Perchè, io reputo
-necessario avvertirlo, gli uomini lo hanno sempre, il momento in cui
-tornano a ragionare; e quando essi vengono a pensarci su, si avvedono
-di non essere nel vero. A certe altezze non si può stare; vi colgono le
-vertigini e si casca giù. Ma perchè l’altezza non è qui che un sogno,
-la cascata non è altro che un risveglio improvviso. Ed è un brutto
-risveglio, signori miei, quando si riconosce d’aver voluto incarnare
-il proprio sogno in una persona viva, la quale, poverina, non poteva
-sopportare, con le sue spalle delicate e bianche, un peso così grave.
-
-— Dio! Come cascate anche voi, signor De Rossi! — notò una delle
-sue ascoltatrici. — Avevate cominciato con un poema e finite con una
-satira.
-
-— Signora mia, la farsa non viene, di solito, dopo la tragedia? Io
-seguo l’uso. La vita è una varietà. E se permettete, poichè la parola
-vi sembra amara, passerò alle note musicali, che non dicono nulla, o
-soltanto ciò che si vuole. —
-
-Il pianoforte era vicino, e, con quella volubilità nervosa che avete
-già notata nel suo discorso, Aldo De Rossi andò a sedersi davanti
-alla tastiera. Non era un Liszt, nè un Rubinstein, credo necessario di
-avverticene; ma suonava abbastanza bene, per non lacerare a dirittura
-gli orecchi e per rendersi utile alla società, attaccando per uso
-altrui il _valtzer_ o la quadriglia che egli non voleva ballare.
-
-Per quella volta, non essendo il caso di far ballare nessuno, Aldo De
-Rossi attaccò un motivo del _Rigoletto_, e proprio quello che mette le
-donne a raffronto con le piume.
-
-La signora Elena capì (che cosa non capiscono le donne?) che spirava un
-vento di scirocco, e che il De Rossi aveva perduta la tramontana. Ebbe
-compassione di lui, e, appena le venne fatto di trovare un pretesto, si
-mosse dal suo posto per andare verso il pianoforte.
-
-— Orbene, — diss’ella, passando accanto al De Rossi, — voi non siete
-contento, signor Aldo?
-
-— Dite pure che sono triste; — rispose il De Rossi, continuando a
-suonare.
-
-— Vi va sempre male?
-
-— Malissimo.
-
-— Vi ho promesso di aiutarvi; — ripigliò la signora. Ditemi il
-nome. —
-
-Aldo guardò la signora Elena e stette zitto.
-
-— Ho cercato di scoprir terreno, — proseguì ella, con grande sincerità,
-— e non ci sono riescita. Non avete fiducia in me, signor Aldo?
-
-— Ne ho molta; — rispose il giovine; — ma chiedere il soccorso di una
-donna....
-
-— Non si tratta di chiedere; — interruppe ella, — si tratta di
-accettare.
-
-— Orbene, anche l’accettare non va.
-
-— Perchè? Una donna può saperne, in queste cose, più di voi. Chi sa poi
-che non v’inganniate, disperandovi così!
-
-— Non mi dispero, signora. So già quel che mi tocca.
-
-— Ma infine, questo nome, non è possibile saperlo?
-
-— Ve lo dirò.... più tardi. Perdonate!
-
-— Sarà troppo tardi, allora; — replicò la signora Vezzosi.
-
-Aldo De Rossi non rispose più nulla, e affogò un sospiro, che gli
-esciva dal petto, in un diluvio di note.
-
-Egli, come vi sarà facile intendere, si vergognava di dover mettere la
-sua causa nelle mani di una donna. E di qual donna, poi! Per l’appunto
-di quella che gli aveva lasciato capire tante cose, e a cui aveva
-detto con brutale schiettezza: ne amo un’altra. Aggiungete che Aldo De
-Rossi sentiva come un rimorso di quella sincerità, che non era neppur
-necessaria, poichè egli avrebbe potuto benissimo cavarsi d’impiccio
-con uno scherzo, fingendo, alla disperata, di essere canzonato dalla
-signora Vezzosi. E come mai aveva potuto osar tanto, a rischio di
-offendere il suo amor proprio? Ma già, egli era un ragazzo così fatto;
-quando sentiva di amare una donna, non poteva simulare tenerezza
-per un’altra, e gli mancava la prontezza di spirito per girare le
-difficoltà di un dialogo condotto agli estremi del sì o del no.
-
-La signora Elena non istette a domandargli più altro e si allontanò dal
-pianoforte con aria abbastanza sostenuta. Aldo pensò di averla offesa,
-e perdette il filo della suonata. Perciò, dopo aver annaspato per due
-o tre minuti sulla tastiera, si tolse di là e andò a sedersi presso
-le dame. Ci erano sulla tavola parecchi giornali illustrati; ne prese
-uno e cominciò a meditare su d’una scena più o meno autentica della
-spedizione inglese nell’Afganistan.
-
-La conversazione si reggeva in quel mentre per merito degli Alcibiadi,
-che in caso simile facevano uffizio di Telamoni. Lo sapete pure, si
-chiamano Telamoni quelle atletiche figure di marmo che reggono le
-travature e i cornicioni delle fabbriche. Se avessi detto Cariatidi,
-mi sarei fatto capire anche meglio, perchè infatti, in società, certi
-personaggi noiosi si chiamano per l’appunto Cariatidi. Ma le Cariatidi
-son femmine, e i Telamoni son maschi. Diciamo dunque Telamoni, tanto
-più che io sto per presentarvi il signor Silvestro Caramelli, Telamone
-di primissima forza, entrato allora nel salotto della signora Vezzosi.
-
-Il signor Silvestro Caramelli non va descritto con troppe parole. Vi
-basti sapere che era vecchio, così vecchio da far venire la voglia
-di domandargli notizie del patriarca Matusalemme. Per altro, sempre
-diritto come un fuso, con tanto di solini insaldati, all’inglese;
-sempre in cravatta bianca ed abito nero, e sempre a balli, a teatri, in
-conversazioni e dovunque si radunasse la miglior compagnia. Aggiungo
-che non istava mai fermo in un luogo. Aveva fatto il farfallone in
-gioventù e seguitava a farlo in vecchiaia; ma non più per corteggiare
-le dame, e sfrombolare a tutte il medesimo complimento, studiato di
-prima sera; sibbene per raccontare in casa Ipsilonne il fatterello
-udito poc’anzi in casa Zeta, e far girare in tal guisa prontamente,
-per tutte le conversazioni della città, una notizia, che, senza di lui,
-avrebbe stentato tre giorni, fors’anco una settimana, a penetrare nel
-gran regno delle chiacchiere. Potete immaginare come una simile qualità
-lo rendesse prezioso. Era il gazzettino dei salotti, e dove non lo si
-vedeva ancora, lo si aspettava con una certa ansietà.
-
-— Bravo Caramelli, avete fatto bene a venirmi a vedere; — disse la
-signora Elena, stendendogli la mano. — Un po’ tardi, per altro!
-
-— È vero, ma ho già fatto due visite, stasera; — rispose il Telamone. —
-Sono stato dalla Vernetti, che ha la cognata a letto, con la sua solita
-emicrania. Poi dal presidente Roberti che si dispone a partire per le
-acque, insieme con la nipote. Oh, buona sera, De Rossi; — soggiunse,
-vedendo Aldo seduto lì presso. — Quantunque non sarebbe guari
-necessario, poichè ci siamo lasciati poc’anzi.
-
-La signora Vezzosi diede una sbirciata al De Rossi, che si era turbato
-e involontariamente alzava gli occhi verso di lei.
-
-— Ma sapete, — diss’ella, volendo averne lo intiero, — che siete due
-amici preziosi! Eravate ambedue dalla bellissima Camilla e siete venuti
-a finire la serata da me! Ciò merita una lode particolare.
-
-— Signora, — rispose il Caramelli, facendo la ruota; — per nessuna cosa
-al mondo avrei voluto mancare al vostro tè, che è come dire alla dolce
-abitudine di farvi la mia corte.
-
-— Grazie! Il complimento è gentile come il vostro pensiero; — disse la
-signora Vezzosi. — Vedete il vostro compagno di viaggio. Egli ha avuto
-come voi il pensiero gentile, ma non mi ha detto il complimento. —
-
-Aldo De Rossi, tirato in ballo a quel modo, alzò la testa e balbettò
-alcune parole che non mette conto ripetere.
-
-Di grazia, lettori miei, che cosa avrebbe potuto egli rispondere? Che
-cosa avreste risposto voi, nel suo-caso? Forse a un dipresso così: —
-Signora Elena, io non potevo schiccherarvi un complimento, sul fare di
-quello del signor Caramelli, perchè dianzi, quando son capitato nel
-vostro salotto, voi non mi avete dato occasione di raccontarvi dove
-fossi stato e donde venissi. Al signor Caramelli è venuta la palla al
-balzo, perciò egli ha potuto dirvi da che casa tornava, ed aggiungere
-(che Dio glielo perdoni) d’avermi trovato in casa del presidente
-Roberti. Voi gli avete detto allora.... quel che gli avete detto, ed
-egli ha potuto rispondervi quello che v’ha risposto, non una parola di
-più, non una di meno. —
-
-Ma vedete un po’ che lungo discorso sarebbe riescito per una cosa da
-nulla. Credete a me, lettori umanissimi; era meglio rispondere poche
-parole senza sugo, come fece per l’appunto il signor Aldo De Rossi.
-
-Le balbettò, come vi ho detto. Ma non balbettò, rispondendo per lui, il
-signor Silvestro Caramelli che era in vena di cortesie.
-
-— Il signor De Rossi ha fatto meglio; — osservò il Telamone. — Mi ha
-preceduto da voi. Benedetta gioventù! Ma io, pur troppo, non ho le sue
-gambe. A cinquantott’anni non si fanno più miracoli.
-
-— Già cinquantotto? — esclamò, con la più candida delle ipocrisie, la
-signora Vezzosi. — Per caso, signor Caramelli, non ve ne aggiungete
-qualcheduno?
-
-— A qual pro? — disse modestamente il Telamone. — Quando si hanno, si
-hanno, e non c’è verso di mandarli via. —
-
-Aldo De Rossi aveva ripreso lo studio del suo giornale illustrato. Ma,
-nel voltare la pagina, gli avvenne di alzare la testa, e i suoi occhi
-si scontrarono in quelli della signora Vezzosi, che avevano l’aria di
-dirgli:
-
-— Li vedete, signorino, i vostri gelosi segreti, come vanno a finire?
-Custoditeli ancora, se vi riesce! —
-
-Aldo, in quel punto, maledisse il signor Silvestro Caramelli fino alla
-decimaquinta generazione. Siamo giusti, il signor Silvestro se l’era
-meritata, perchè aveva commesso una indiscrezione. Statuisce il codice
-della buona società (un libro, tra parentesi, di cui manca tuttavia
-un’edizione completa) che non è bene raccontare in conversazione
-d’avere veduto Tizio, o Cajo, nel tal luogo, perchè potrebbe darsi
-il caso che Tizio e Cajo dicessero a lor volta di essere stati nel
-tal altro, o di non essere stati in nessuno, e sarebbero colti in
-flagranti di contraddizione. E poi in questa società, tutta segreti
-d’Arlecchino, non si sa mai dove uno mette i piedi e le mani. Qua si
-pesta, senza volerlo, una coda; là si ferisce, senza saperlo, un povero
-cuore geloso. Eppure, a farlo apposta, queste indiscrezioni occorrono
-frequenti, anche quando non c’entri l’animo deliberato di commetterle.
-Si ha sempre bisogno di un soggetto di chiacchiera. Le discussioni
-di politica, di economia, di amministrazione, riescono uggiose alle
-dame, ed io in verità non saprei condannarle. Non si ha sempre la dote
-dei teatri sotto la mano, nè un ballo, nè un’opera nuova da levare
-al cielo, o da cacciare all’inferno. I discorsi galanti dispiacciono
-ai mariti; e poi, che serve? ora è tornata di moda una certa rigidità
-puntigliosa, che rimanda questi discorsi a migliore occasione. Di che
-cosa si ha dunque a parlare, Dio buono? — Ho visto il tale; ero col
-tale; andando insieme abbiamo veduta la tale, che entrava nella via
-tale, accompagnata dal tale. — E in tale maniera s’imbastisce un cencio
-di conversazione, senza badare al pericolo di dare, con tale minutezza
-di particolari, un colpo mortale a qualcuno.
-
-Aldo De Rossi, vedendosi scoperto per quel capriccio del caso, era
-rimasto un po’ sconcertato. Ma infine, non aveva rimorsi, perchè non
-aveva ingannato nessuno.
-
-Si chiacchierò, senza il suo aiuto, di cento cose diverse. Poi giunsero
-i pezzi grossi della sala da giuoco, e la signora Elena si alzò dal
-suo trono, per prendersi cura del tè; cura gelosa, che è riservata alle
-padrone di casa. Versato dalle mani di una bella signora, il tè diventa
-migliore. Almeno, così dicono tutti coloro che lo trovano buono. Io,
-che non l’ho per tale, mi restringo ad ammettere che diventa più bello.
-
-— E così, commendatore, — diceva intanto il signor Silvestro Caramelli
-al padrone di casa, — voi andrete quest’anno a Courmayeur?
-
-— Ma, veramente la tentazione c’è; — rispose il signor Gerardo. — Per
-altro, voi sapete che un marito per bene non deve aver volontà.
-
-— Sentite com’è galante, Donna Elena? — disse allora il Telamone,
-volgendosi alla signora Vezzosi.
-
-— Gerardo lo è sempre, — rispose la signora continuando ad amministrare
-il suo néttare; — ma questa volta egli ascolta anche i consigli della
-prudenza.
-
-— Ah sì! — disse il Vezzosi, ridendo. — Minerva che ha indossati i
-panni del mio amico Anselmi! Figuratevi, egli ha detto a mia moglie
-e ripetuto a me che la strada è disastrosa. Se avesse detto lunga,
-pazienza; ma disastrosa, poi!
-
-— Oh, per me, — replicò la signora, — lunga e disastrosa è tutt’uno.
-Gerardo, io mi ribello al codice, e non vi seguo.
-
-— Il codice ha proprio che la moglie debba seguire il marito? — notò il
-Vezzosi, continuando a fare l’amabile, come soleva, quando era in mezzo
-alla gente. — E non ha invece che il marito debba seguir la moglie?
-Sentiamo dove vorreste andar voi, Elena.
-
-— Io? — esclamò la signora. — Non ho preferenze. Ma siccome credo che
-più di Courmayeur vi gioverebbe Recoaro, o Montecatini....
-
-— Luoghi non tanto lontani! — soggiunse il signor Vezzosi, con un fil
-d’ironia.
-
-— Eh, anche questa ragione ha il suo pregio; — replicò la signora.
-
-— Quest’anno ci vuol essere gran gente, a Montecatini; — entrò a dire
-il Caramelli. — Ho letto ieri sul giornale che ci vanno due ministri;
-nientemeno!
-
-— Quali? — domandò il commendatore Vezzosi.
-
-— Il ministro dei lavori pubblici e quello degli esteri. La politica
-italiana si farà tutta al Tettuccio.
-
-— E alla locanda della Pace; — aggiunse Alcibiade primo. — Come vedono,
-questo è un buon segno.
-
-— Certamente; — disse il signor Vezzosi, sorridendo all’arguzia del
-Sestavalle. — E voi credete che a Montecatini non si morrà dal caldo?
-
-— Esagerazioni di certi malinconici, che non sanno vivere in nessun
-luogo; — rispose l’Alcibiade. — Io ci sono stato ancora l’anno scorso,
-e fo conto di ritornarci.
-
-— Vedete? — osservò la signora Elena, giubilando in cuor suo per tutti
-quei soccorsi inattesi. — Ecco una buona occasione per farvi risolvere.
-
-— Ditela pure preziosa; — rispose il commendatore, che pensava molto ai
-ministri, e poco al Sestavalle.
-
-— Inoltre, — soggiunse il Telamone Caramelli, — avrete il presidente
-gran croce. Egli parte lunedì, con la sua bella nipote.
-
-— Questa sarà una fortuna per me; — disse la signora Elena, volgendo
-una rapida occhiata al De Rossi, il quale reputò conveniente di fare
-l’astratto. — A voi, Gerardo, che amate tanto ragionar di politica,
-lasceremo già uomini gravi, i presidenti, i ministri.
-
-— Ah sì, due vecchi amici, i ministri; — rispose il commendatore
-Gerardo; — li rivedrò volontieri.
-
-— Siete dunque deciso? — domandò l’Alcibiade primo.
-
-— Ma sì, caro Sestavalle; — replicò il signor Gerardo; — io son uomo di
-pronte risoluzioni. E poi (voi non lo crederete, perchè non si usa...
-o almeno non è costume di confessarlo in società) io amo mia moglie.
-La via disastrosa di Courmayeur le mette i brividi; non si parli più
-dunque di Courmayeur. —
-
-La signora Elena ebbe l’aria di commuoversi a quella gentilezza, e
-volle portare ella stessa a suo marito una chicchera di _tè_.
-
-— Neppur questo si usa; — diss’ella, ridendo, mentre gli porgeva la
-tazza; — ma ad una cortesia deve rispondere un’altra. —
-
-L’atto e la frase ottennero il plauso di tutti gli astanti. In cuor
-loro, certamente, parecchi avevano detto: frascherie, sciocchezze,
-ridicolaggini! Ma quante cose non si pensano, in società, mentre si
-dice tutto l’opposto!
-
-— Vediamo, dunque; — disse il signor Gerardo. — Sestavalle sarà dei
-nostri. Chi altri di voi verrà a curare il mal di fegato?
-
-— Son capace io di venirci; — rispose una tra le dame, la signora
-Sofonisba Torcelli. — Mi dicono che a Montecatini ci si diverte.
-
-— Benissimo; — ripigliò il signor Gerardo; — ed anche questa è una cura
-eccellente per il fegato.
-
-— Come sei buona! — esclamò la signora Vezzosi, accarezzando la mano
-della signora Sofonisba. — Noi faremo dunque una vera colonia? E voi,
-signor De Rossi, non sarete dei nostri?
-
-— Veramente.... volevo andare a Venezia; — balbettò il giovinotto. — Ma
-non sarà mai che io dica di no, ad una occasione come questa.
-
-— Ottimamente; qua la mano. De Rossi! — gridò il commendatore Vezzosi.
-
-E strinse la mano al De Rossi, come se il giovinetto avesse fatto al
-genio dell’amicizia il sacrifizio più grande.
-
-Quella sera la signora Elena trovò ancora il destro di scambiare due
-parole con Aldo De Rossi.
-
-— Orbene, signor Aldo, — gli disse, — sono io un’amica sincera?
-
-— Perchè mi dite questo? — chiese egli, turbato.
-
-— Come? Vorreste ancora dissimulare con me?
-
-— No, signora; — rispose il giovane, notando negli occhi di lei un
-indizio di collera. — Ma tanta vostra bontà....
-
-— Non tanta bontà; — ribattè la signora Elena; — ma piuttosto un
-pochino di curiosità. Mi avete detto una certa cosa, l’altro giorno! Ve
-ne ricordate?
-
-— Signora, ne ho dette tante, l’una più sciocca dell’altra!
-
-— Se lo saranno, credete pure che io vi dirò liberamente anche questo,
-senza bisogno di averne la confessione da voi. Avete detto, tra
-l’altre, che una certa signora somiglia ad una statua.... la quale non
-è stata mai fatta, perchè a Fidia è mancato l’ardimento.
-
-— Non ho detto precisamente questo.
-
-— Lo avete detto a un dipresso, e non ci vedo gran differenza. Poi,
-quel buttarmi la Venere di Milo in seconda linea! Son curiosa di
-studiare un po’ da vicino quell’altra, per vedere se la Venere di Milo
-meritava un così severo giudizio.
-
-— Venere di Milo! — esclamò il commendatore Vezzosi, che si avvicinava
-in quel mentre, per andare a riporre la chicchera sulla tavola da tè. —
-Siete nelle belle arti, a quanto pare?
-
-— Sì; — rispose la signora Elena, senza scomporsi punto. — Il signor
-Aldo non trova bella la Venere di Milo, che abbiamo tanto ammirata al
-Louvre, ti rammenti? Almeno volesse dirmi qual altra preferisce!
-
-— Sicuro, — disse il commendatore, approvando, — bisogna avere il
-coraggio di manifestare un’opinione. Preferite la Capitolina, o quella
-dei Medici? —
-
-Aldo De Rossi era sulle spine.
-
-— E voi, commendatore, quale preferite?
-
-— Io? In arte, come in tante altre cose, sono sempre del parere di mia
-moglie. A lei piace la Venere di Milo? Evviva la Venere di Milo. —
-
-Aldo De Rossi fece un inchino, che poteva parere un atto di
-approvazione, ed anche una scappatoia.
-
-— Ma, Gerardo, — diceva intanto la signora Elena, — stasera siete d’una
-galanteria!...
-
-— Elena mia, non lo ripetete, ve ne prego; — rispose il commendatore
-Vezzosi. — I nostri amici potrebbero argomentare dalla vostra
-meraviglia che io faccia una cosa insolita, quest’oggi. —
-
-Aldo reputò conveniente di scostarsi alcuni passi, col pretesto di
-osservare un piccolo stipo di antica fattura, che faceva bella mostra
-di sè sopra una mensola addossata alla parete. Non lo vedeva già per
-la prima volta; ma non voleva neanche restare come un terzo incomodo in
-quella scena di tenerezze coniugali.
-
-Il signor Gerardo aveva dato a bella posta quel giro al discorso per
-allontanare un tratto il suo giovane amico? Il dialoghetto ch’egli
-ebbe con la sua dolce metà mi darebbe quasi argomento di sospettarlo,
-se il commendatore Vezzosi non fosse stato superiore ad ogni sospetto
-di questa natura. Diciamo dunque che non ci pensò affatto, ma che gli
-cascò l’olio... No, l’immagine è brutta. Gli cascò il cacio... Peggio
-che mai. Infine, lasciamola lì, e il lettore discreto metta lui quel
-che gli torna meglio.
-
-— Vi ringrazio, sapete; — proseguiva il futuro senatore, abbassando la
-voce d’un tono.
-
-— Ringraziarmi! E di che? — disse la signora Vezzosi.
-
-— Di aver tirata in ballo stasera la questione delle acque. Avevo
-promesso agli amici di andare a Courmayeur, perchè, a dirvela in
-confidenza, credevo che ci andasse il ministro degli esteri. Lo avevano
-annunziato i giornali, quindici giorni fa. Soltanto ieri ho saputo che
-andrà invece a Montecatini, e, come potete immaginarvi, ero già pentito
-d’aver preso l’impegno.
-
-— Che? — fece la signora Elena. — Non lo avete saputo dianzi dal signor
-Silvestro?
-
-— No, lo avevo letto iersera sui giornali; ma ho fatto mostra di non
-saperne nulla.
-
-— Andate lì, Gerardo, che siete un gran diplomatico! — esclamò la
-signora Elena, ridendo.
-
-— Eh! Che vi pare? — diss’egli pettoruto. — Voi, senza saperlo, siete
-venuta a levarmi d’impiccio. Lo hanno sentito tutti, che il disegno di
-andare a Montecatini non è venuto da me. E gli amici, che m’aspettavano
-per andare a Courmayeur, non sapranno solamente da me che faccio,
-abbandonandoli, un sacrifizio ad Imene.
-
-— Benissimo; ed io passerò per una capricciosa.
-
-— Via, vi rincresce tanto? Non lo siete un po’ tutte? E non avete il
-diritto di esserlo? — aggiunse graziosamente il commendatore Vezzosi.
-
-— Politica! — disse in cuor suo la signora Elena. — Come tu trasformi
-il carattere degli uomini! —
-
-L’ossequio coniugale non permise alla signora Vezzosi di dire:
-ambizione, che forse era il vocabolo più acconcio.
-
-— Vedete dunque — ripigliò il commendatore, — che ho ragione di essere
-contento. Non vi pare che sia andato bene, il mio cambiamento di
-fronte?
-
-— Non poteva andar meglio; — rispose la signora Vezzosi.
-
-E mentalmente soggiunse:
-
-— Nè per voi, nè per me. —
-
-
-
-
-VI.
-
-
-Camilla Rivanera, che i miei lettori non hanno ancora veduta, nè
-di prospetto, nè di profilo, ma soltanto udita nominare e criticare
-leggermente in casa Vezzosi, era tutt’altro che l’innesto d’una bella
-testa su d’un corpo niente più lungo d’un raperonzolo. E nemmeno si
-poteva dire meritevole appena appena d’un elogio del Guadagnoli, che
-dopo tutto non sarebbe da disprezzare; anzi io porto opinione che
-avrebbe meritato un canto dell’Ariosto.
-
-Perchè dell’Ariosto? Perchè il mio messer Ludovico è dei classici
-nostri quello che ha dipinte con maggiore evidenza le donne. Dante
-le accenna; il Petrarca le volatilizza; il Tasso le rinfronzolisce;
-solo l’Ariosto le descrive, le raffigura, le rende. Vedete ad esempio
-madonna Alessandra, nel piccolo canzoniere che le ha consacrato il
-poeta; vedete Alcina, Ginevra, Olimpia, Fiordispina, nelle stanze così
-vere del suo fantastico poema. Quanto a Bradamante l’ho lasciata in
-disparte, perchè ella non ci si vede una volta sola, ma due; una in
-sè e l’altra in suo fratello Ruggero, che le somigliava tanto, da far
-cascare una bella principessa nel più grave degli errori.
-
-Con questi principii che ho messi innanzi quasi a indugiarmi la
-trattazione dell’argomento difficile, m’avvedo di essermi aguzzato il
-palo sulle ginocchia, perchè il còmpito m’è diventato più malagevole
-a gran pezza. Dio sa che cosa v’aspettate oramai! Ed io, povero
-imbrattacarte, ardirò metter mano ai pennelli, dopo una invocazione
-così pericolosa? Alla fin fine, e perchè no? Ognuno fa quel poco che
-sa, e i lettori, pigliando ad imprestito da Domineddio il più bello de’
-suoi attributi, usano misericordia alle buone intenzioni.
-
-Veduta così nel complesso, la signora Camilla era un tipo di perfetta
-eleganza. Le forme erano agili e flessuose come quelle d’una ninfa;
-la testa finamente modellata; la mano di bambina; il piede di fata;
-la vita snella, senza dare in quella sottigliezza, che fa temere ad
-ogni tratto di vederla spezzata ad un soffio di vento per via, o alla
-pressione d’un braccio virile nel vortice della danza. Per altro, la
-facevano apparire più snella i pieni contorni del seno e del fianco.
-Perchè non direi anche questo, se l’hanno detto tante volte i maestri?
-Gli antichi dipingevano la bellezza, senza tanti scrupoli e senza
-tante ipocrisie. E la pelle di grazia, come l’accarezzavano! Come ci
-si fermavano su! Quella della signora Camilla, io non la paragonerò
-ai ligustri e alle rose, di cui s’è fatto uno sciupìo maledetto; dirò,
-quantunque non sia neppur nuovo, che era d’un bianco latteo perlato, a
-cui davano risalto le sopracciglia nere e sottili, le ciglia lunghe e
-morbide, gli occhi neri e lucenti come il bitume giudaico. Insomma, era
-una bellezza strana, quantunque non escisse dal naturale. Piuttosto,
-parevano escire dal naturale i capelli. Ne aveva una selva fitta fitta,
-ed erano così lunghi, che avrebbe potuto, lasciandone ricadere il
-volume, coprirsene fino oltre il ginocchio. Di questo si dubitava un
-pochino, perchè non si era veduto; ma non si dubitava che fossero suoi,
-cioè nati e saldamente piantati sulla sua testa, poichè ella usava
-portarli acconciati con molta semplicità, e le sue caritatevoli amiche
-potevano vedere che non c’erano inganni. Quei capegli, inoltre, avevano
-la lucentezza e il riflesso turchino delle penne del corvo; donde una
-tenue velatura d’azzurro a tutte le incavature (e stavo già per dire i
-sottosquadri) del bellissimo volto.
-
-E l’anima? Di questa mi chiederete, non bastandovi più l’antica
-sentenza che ad un bel viso risponda sempre un’anima eletta. Ma prima
-di entrare in questi segreti, vi parlerò dello stato civile della
-signora Camilla. Giovanissima ancora, e appena escita di collegio,
-aveva sposato un uomo maturo, un banchiere. Non vi aspettate qui il
-solito contrapposto e le analoghe riflessioni. Il banchiere non era più
-giovane, ma era tuttavia un bell’uomo, e molto simpatico, che spesso
-vale assai più. Camilla lo aveva amato, di quell’amore candido e magari
-un pochettino insipido, che non nasce da profondi contrasti, che non
-s’è scaldato ancora al sole delle passioni, e che ha, per dirvi tutto
-in una immagine sola, i difetti e le qualità delle frutta primaticce.
-Perciò, secondo l’opinione dei buongustai, bisognerebbe poter
-cominciare dal secondo; ma non così tardi, che già si fosse perduto
-il profumo e la delicatezza del primo. Queste sono sottigliezze di
-cervelli matti, che vanno alla caccia dello strano, dell’impossibile.
-Io mi contento di osservare che il primo amore di una donna non è che
-una pallida immagine, una timida promessa del secondo, e ahimè, qualche
-volta del terzo. La fanciulla vi concede il suo cuore con tutti i riti
-e con tutte le formalità, ma altresì con tutta la tranquillità d’un
-atto notarile. La leggiadra colomba non sa ancora nulla delle tempeste
-del mondo e i suoi voli son brevi. Ciò ch’ella sa, quando sa qualche
-cosa, è meno che nulla, poichè si tratta di una scienza imparaticcia,
-mentre la vera scienza, la scienza che resta e che forma lo spirito,
-è quella che s’impara per propria esperienza. Non a torto la famosa
-Accademia del Cimento volle nella sua impresa il motto: _Provando e
-riprovando_.
-
-Il banchiere non aveva fatto a sua moglie una lunga compagnia. Ricordo
-del suo passaggio e segno di gratitudine per due anni di unione,
-l’aveva lasciata tre volte più ricca di quando l’aveva sposata. La
-giovane vedova, che era orfana per giunta, si era ritirata in casa
-dello zio materno, il Roberti, presidente di Cassazione, che aveva
-colta l’occasione opportuna per chiedere il suo ritiro. Personaggio
-grave, il Roberti; _sanctissimus vir_, come lo avrebbe chiamato
-Cicerone, se fosse vissuto ai suoi tempi; commendatore di più ordini,
-gran croce dei due Santi che sapete, e credo anche della Corona
-d’Italia; infine, doveva avere tutti i ciondoli dell’oreficeria
-equestre italiana, salvo un certo collare, che, per ottenerlo, bisogna
-essere stati molto in su, e aver avuto occasione di fare una politica
-da cani. La cosa, trattandosi di un collare, s’intende alla prima, e il
-ragionamento non fa neanche una grinza.
-
-Con tanti onori, che avrebbero fatto girar la testa a più d’uno, il
-presidente Roberti era un modestissimo uomo. Aveva servito utilmente e
-con decoro il suo paese ed era escito di servizio con una fama illibata
-di gentiluomo e di galantuomo. Anch’egli aveva il suo difetto; ma chi
-non l’ha si faccia avanti. A dirvela schietta, pizzicava d’erudito,
-specie in materia d’antichità romana; effetto naturalissimo di lunghi
-ed amorosi studi sulle fonti del diritto. Il _Corpus Juris_ non
-aveva difficoltà, nè segreti per lui, e tutti lo consultavano come un
-oracolo, pendevano dalle sue labbra, come si dovette pendere un giorno
-da quelle d’Irnerio, o di Bartolo. Nella casa del presidente Roberti
-convenivano spesso magistrati d’ogni categoria ed avvocati vecchi e
-giovani. Questi ultimi abbondarono, quando ci entrò la nipote. Si sa,
-il fare un viaggio e due servizi è sempre stato il colmo dell’economia.
-
-Quella bella bambina (perchè là dentro, in mezzo a tanta gravità
-curiale, aveva proprio l’aspetto d’una bambina) faceva in casa del
-presidente Roberti l’effetto di un raggio di sole che si disegni in
-mezzo all’ombre fitte della boscaglia. Non è più uggioso quel fondo
-di valle, quando il raggio allegro sforacchia audacemente la frappa
-e viene a danzare sul verde tappeto che si distende sotto i gelosi
-ombrelli degli abeti e dei faggi. E non parve più tanto noiosamente
-erudita, nè tanto eruditamente noiosa, la società dei seguaci
-d’Ulpiano. Le massime del diritto, sciorinate davanti a quella bella
-creatura, assumevano aria di complimenti; gli articoli del Codice di
-procedura civile prendevano (Dio mi perdoni) apparenza di madrigali.
-Aveva torto marcio il contino Anselmi a dire che in casa del presidente
-Roberti c’era da morire di noia, e bisognerà credere che parlasse
-così, perchè la signora Camilla non aveva mostrato di gradire le sue
-distillazioni. Basta così poco (una frase spensierata, un momento
-di disattenzione, e che so io), per far andare in bestia un uomo di
-spirito.
-
-Ed era strano come ella si trovasse bene, come si adagiasse facilmente,
-in quella società di parrucconi. Non già che prendesse parte alle
-dispute, ai consulti, ai pareri. Dio buono, non ci sarebbe mancato
-altro. Quantunque, il dipingervi una bella legale sarebbe una
-fortissima tentazione per il vostro umilissimo servo; il quale non
-avrebbe che a frugare nei suoi ricordi, per farvela fuori, la donna
-elegante e galante, che aveva le Pandette e il Digesto sulla punta
-delle dita. No, la signora Camilla non sputava sentenze, nè commentava
-quelle dello zio, o degli altri insigni frequentatori di casa. Infine,
-non dava neanche pareri ai giovani avvocati, che (sia detto ad onor
-loro) li avrebbero ascoltati a bocca aperta. Ricordate il paragone
-di poc’anzi; era il raggio di sole tra le ombre del bosco; l’allegria
-che vive in mezzo all’uggia e la fa sparire, o dimenticare; una cara
-visione; una amabile frivolità, che non poteva disdire tra tanti
-aspetti severi di uomini e di cose.
-
-Eppoi, non istate a credere che ella si contentasse di brillare in
-casa, nella corte giudiziaria del presidente gran croce. La signora
-Camilla andava spesso a feste, conversazioni e teatri, e il presidente
-gran croce, che aveva una tenerezza paterna per la sua bella nipote,
-lasciava per quelle sere in disparte i codici, le Pandette, il Digesto,
-e tant’altre cose egualmente indigeste, per accompagnarla qua e là. Il
-degno uomo avrebbe fatto qualunque sacrifizio per vederla contenta. E
-tollerava, persino nel suo salotto, grave e severo come il tempio della
-Giustizia, tollerava, dico, una dozzina di zerbinotti, che ad uno ad
-uno si erano fatti presentare alla signora Rivanera.
-
-Di tanto in tanto il presidente Roberti esciva in un giudizio breve e
-riciso come una massima di diritto.
-
-— Quel signor Zeta mi sa di sciocco. —
-
-Oppure:
-
-— Quanti seccatori ha da sopportare una bella donna come te! Le brutte
-e le mediocri debbono essere più felici quel tanto! —
-
-Nè queste cose diceva con mal animo, o col desiderio di mettere i
-vagheggini alla porta. La signora Camilla gli manifestava qualche volta
-la noia che provava, di sentire tanti madrigali, e sempre gli stessi,
-ogni giorno. E allora la bella vedova aveva l’aria di andare molto più
-oltre del presidente gran croce. Ma egli, con la sua calma, con la sua
-serenità giuridica, la riconduceva due passi indietro.
-
-— Adagio, Camilla; — diceva lui. — Bisogna vivere nel mondo, e il mondo
-non è bello se non perchè è vario. Accetta gli uomini come sono. La
-cosa non deve riescir difficile ad una donna che li accetta per modo
-di dire, e può tenerli sempre ad una rispettosa distanza. Per quelli
-che volessero farsi più avanti, ci sono i carabinieri; — soggiungeva
-egli celiando; — e c’è ancora, la Dio grazia, un presidente di
-Cassazione. —
-
-La signora Camilla era costretta a riconoscere che suo zio aveva
-ragione, e sopportava i noiosi. In fondo in fondo ella procedeva a
-sbalzi, nelle sue antipatie. E la cosa si capiva facilmente; anche
-senza mettere in conto per la signora Camilla una certa festività di
-umore. Chiedete a cento donne se rinunzierebbero di buon grado alla
-corte di undici cavalieri, quando già ne amassero un dodicesimo. Due
-(proporzione forse esagerata; ma bisogna anche essere condiscendenti,
-col sesso gentile) due vi risponderanno di sì. Le altre novantotto
-vi risponderanno di no, anche concedendovi che tra quei dieci non
-ce n’è uno il quale franchi la spesa di starlo a sentire. La donna
-è cosiffatta: l’abbiamo avvezza a non considerarsi che per la sua
-bellezza, ed è giusto che ella sia venuta ad amare queste parlanti
-e palpitanti testimonianze del suo potere, anche quando palpitano
-con troppa facilità per molte, od esprimono troppo volgarmente
-la loro passione. A questo proposito, rammenterò ciò che diceva a
-me, giovinetto, una vecchia dama: — Nessun omaggio d’amore, quando
-sia caldo, è volgare. — La cosa mi spiacque allora, e soltanto la
-perdonai alla dama, pensando che la poverina era stata giovane ai
-tempi del primo Impero, quando non si usavano mica tante distinzioni
-psicologiche. Ma, andando avanti negli anni, riconobbi che la vecchia
-maestra poteva aver ragione, non solamente per il primo Impero, ma
-anche in tutti i tempi dell’Era nostra. La quale, non senza un grande
-perchè, si chiama Volgare.
-
-Ho detto che la signora Camilla procedeva a sbalzi nelle sue antipatie,
-e, per conseguenza, nelle sue simpatie. Aggiungerò che, per la stessa
-ragione, per lo stesso amore dei contrasti, le piaceva moltissimo
-quella sua vita, libera ad un tempo e rinchiusa. Era come una bella
-prigioniera e per cui, nella stessa corte del castello, si facevano
-tornei di galanteria, serenate e gualdane. Era sotto custodia, ma i
-vagheggini le ronzavano intorno liberamente, come le solite api intorno
-al solito fiore. L’austerità della casa era la sua salvaguardia; il
-presidente gran croce era un carceriere molto vigilante, ma anche
-abbastanza umano. Ella, in fondo, vedeva tutto, coglieva il meglio
-delle galanterie universali, si lasciava amare, adorare, venerare, e
-rideva.
-
-Come non ridere, per esempio, quando lo zio presidente le diceva:
-
-— Che cosa s’immagina di ottenere quel marchese Dello Stinco, con
-quella figura allampanata? Ingegno non ne ha; danari nemmeno. Il suo
-titolo mi pare, in verità, troppo poco. E Dio sa da quante s’è già
-fatto rifiutare, prima di volgersi a te! —
-
-Ne cito uno, ma potrei riferirvene cento, di questi giudizi che
-andavano brevi e diritti alla meta, esercitando una certa, sebbene
-inavvertita influenza sull’animo della sua bella nipote.
-
-Che cosa aveva detto il presidente Roberti, del signor Aldo De Rossi?
-Lo sapremo a suo tempo.
-
-Aldo aveva conosciuta la Rivanera ad una festa da ballo. Era serio, il
-signor Aldo, fin troppo serio per la sua età. Ciò l’aveva colpita, e
-per un po’ di tempo l’aveva distratta dai suoi eterni vagheggini. Nel
-corso d’una notte, il De Rossi aveva ballato due volte con lei, salvo
-errore; che potrebbero essere state anche tre. Ma, oltre la compagnia
-naturale del ballo, che fa, dicono, di due vite una sola, il signor
-Aldo era rimasto a parlare con lei, più a lungo che non avesse fatto
-con le altre dame di sua conoscenza. Il giorno dopo aveva portati due
-biglietti di visita a casa Roberti; e il presidente gran croce aveva
-corrisposto a quella tacita domanda col suo delle grandi occasioni.
-Ne era seguita una prima visita del De Rossi in casa Roberti; poi,
-a giuste distanze, una seconda e una terza. Inoltre, il signor Aldo
-aveva modo di vedere la signora Camilla in questo o in quel ritrovo
-della città; di guisa che, o in casa di lei, o d’altri, o per via,
-o a teatro, la vedeva spessissimo. Ma era noto che egli ne vedeva
-tante altre in quello stesso modo, e la signora Camilla aveva tutto il
-diritto di non dar molto peso a quella frequenza d’incontri.
-
-Ma un giorno, o una sera, che non ricordo bene, egli ebbe l’ardimento
-di dirle:
-
-— Siete bella! —
-
-Come glielo disse? A proposito d’una veste che le andava a pennello,
-o d’una acconciatura nuova? D’un quadro di Raffaello Sanzio, o
-d’una fotografia dello Schemboche? D’un romanzo di Walter Scott, o
-d’un articolo di giornale? Io non lo so. L’uomo che vuol dire una
-cosa, trova sempre l’appiglio, e quando l’ha detta non rammenta più
-donde abbia prese le mosse. Immaginate un filosofo innamorato, il
-quale facesse questo sillogismo ad una donna: «L’uomo è un animale
-ragionevole. Ma il quadrato dell’ipotenusa è eguale alla somma dei
-quadrati dei due cateti. Dunque, signora, voi siete un occhio di sole.»
-A voi quel filosofo parrebbe un matto. Ma alla signora parrebbe che
-conseguenza più logica non fosse tratta mai, dacchè c’è logica al
-mondo.
-
-La signora Camilla sorrise, alla scappata di Aldo De Rossi.
-Evidentemente, da un pezzo lo aspettava lì. Quella frase trema a lungo
-sulle labbra di un uomo innamorato, prima di trasformarsi in suono,
-come la stilla di rugiada trema sul lembo d’una foglia prima di cadere
-a terra.
-
-Sorrise, adunque, la bella, sentendosi salutare con quel vecchio
-epiteto; indi, con aria di stupore, gli rispose brevemente:
-
-— Davvero? —
-
-Aldo De Rossi sentì il veleno dell’interrogazione e replicò:
-
-— Signora, io so bene che non dico nulla di nuovo. Ma che ne posso io,
-se tanti parlano la mia stessa lingua? Vorrete voi levare il pregio al
-pane, perchè vivete nell’abbondanza?
-
-— No, certamente, — rispose la signora Camilla; — abbondanza non nuoce.
-Ma non posso tacervi la mia maraviglia, in udir sempre e da tutti la
-medesima storia. Bisogna dire che voi altri, signori uomini, manchiate
-anzi che no d’invenzione. Di grazia, non potreste una volta tanto girar
-la frase altrimenti? —
-
-Aldo si morse le labbra e ricacciò in corpo una sciocchezza, che già
-stava per escirgli di bocca.
-
-— Signora, — diss’egli invece, — fate conto che io non v’abbia detto
-nulla.
-
-— Ah, così va bene; — rispose ella.
-
-Parve contenta, la signora; sopratutto parve non avvedersi dello sforzo
-che Aldo De Rossi faceva per vincere il proprio dispetto.
-
-Giunsero altri visitatori, Alcibiadi, Telamoni e Ganimedi; questi
-ultimi in maggior numero. Aldo era sulle spine; la signora Camilla
-rideva. Come rideva bene! Se aveste veduto, che denti! E il suono
-argentino della sua voce! Io rinunzio a descrivervi l’una cosa e
-l’altra, chè tanto non verrei a capo di nulla.
-
-Del resto, i fatti incalzano, e le descrizioni non fanno procedere il
-racconto. La signora Camilla si lasciò cadere il ventaglio e Tizio
-lo raccolse e n’ebbe in ricompensa il permesso di tenerlo per tutta
-la sera. Si parlò di parecchie signore, e Caio le disse audacemente
-che essa era la più bella di tutte; nè ella volse il complimento in
-burletta, come aveva fatto con Aldo De Rossi. Sempronio aveva una
-gardenia: la signora Camilla ammirò la gardenia; Sempronio ebbe la
-sfacciataggine di offrirgliela; essa la crudeltà di accettarla.
-
-Il signor Aldo non ci reggeva. Parlò poco, quella sera, e male. Si
-fece battere agli scacchi dal presidente gran croce, e battere in un
-modo così indegno, che il suo avversario dichiarò di non voler neanche
-vantarsi della vittoria. Insomma, il poveretto non ci vedeva più lume e
-avrebbe, vi so dir io, data l’anima al diavolo.
-
-Così presto? Ma sì, lettori garbati. In amore, un uomo non comincia
-mai; cioè, mi spiego, l’amore dell’uomo non ha un vero cominciamento,
-di cui si possa dire: ecco il principio. Quando ci s’accorge di amare
-una donna, è finita, si è innamorati dalla testa ai piedi. Ha principio
-un incendio? Quando incomincia a divampare, è già un incendio. Chi
-si avvede di esso, quando è ancora latente? Il valore della parola vi
-risponda per me.
-
-Un’altra volta, nel salotto del presidente gran croce, e nell’angolo
-dove si radunava la corte della signora Camilla, il discorso era
-cascato sui grandi poeti, e, come potete immaginarvi, sui loro famosi
-amori.
-
-— Amo il Petrarca; — disse la signora Camilla. — Egli amò senza
-speranza madonna Laura, fino a tanto che ella visse; la amò ancora
-e la cantò dopo morta. Chi ai giorni nostri si sentirebbe di fare
-altrettanto?
-
-— Eh! — notò Aldo De Rossi. — Non certo coloro che per una donna morta,
-o sperimentata crudele, fanno assai più d’una canzone, ma si tolgono
-disperatamente la vita.
-
-— Colpo di scena! — esclamò la signora Camilla, ridendo. — Ma neanche
-questo si usa più.
-
-— Lo credete, signora? Non sono del tempo nostro gli amori più ardenti
-del Werther e di Jacopo Ortis?
-
-— Due romanzi! — ribattè la signora Camilla. — E i loro autori....
-Non me ne parlate, per carità. Uno morì tranquillamente ottuagenario,
-dopo aver fatto soffrire, dicono, una mezza dozzina di donne. L’altro
-fu sventurato, ma non per le donne che anzi furono in parecchie a
-consolarlo; tanto che egli poteva scrivere a due o tre, con la medesima
-penna e col medesimo inchiostro. Credete a me, signor De Rossi. Noi,
-anche senza molta esperienza di mondo, leggiamo abbastanza chiaramente
-nei cuori....
-
-— Sfido io! — interruppe Aldo. — Li abbiamo sulle labbra.
-
-— Bene, e noi ci vediamo attraverso; — replicò la signora Camilla. —
-Ora, volete sapere che cosa ci vediamo di dedicato a noi? Un pochettino
-di vanità, che si dilegua, se è soddisfatta, che si cangia in dispetto,
-se è offesa. Fuoco di paglia; o fiammata improvvisa, e un pugno di
-cenere, se la paglia è asciutta; o fumo negli occhi e soffocamento in
-gola, se la paglia è umida. Non vi pare? E poi, — continuò la signora,
-senza dargli tempo a rispondere, — c’è questo di peggio: che tutte le
-belle cose che voi dite ad una donna, per intenerirla, le dite a tutte
-le altre, e col medesimo fine.
-
-— Oh, questo poi! Permettete....
-
-— È la verità; — ripigliò la signora Camilla. — Di grazia, che cosa
-ci andate a fare, voi altri, dalla tale o dalla tal altra, spesso da
-dieci o dodici tutte belle, tutte eleganti, tutte amabili? Non certo
-a tacere. E se parlate, come io credo, — soggiunse ella, ridendo
-maliziosamente, — che cosa direte voi a quelle gentili signore?
-Dei complimenti, che avranno aria di madrigali; dei madrigali, che
-somiglieranno molto a dichiarazioni. Non dite di no; questa è la forza
-delle cose.
-
-— No, no; ad onta della vostra sicurezza, qui potreste ingannarvi;
-— rispose Aldo De Rossi. — Io non credo di dire una cosa strana,
-affermando che si possa conversare con una dama, anche bellissima,
-parlando di cose da nulla, e facendo delle questioni accademiche; come
-adesso, per l’appunto. —
-
-La signora Camilla diede al suo contradittore un’occhiata
-compassionevole.
-
-— Per amor del cielo, non mi citate ad esempio la nostra conversazione.
-Se io fossi un’altra donna, e sapessi di questo dialogo, o d’un altro
-consimile, vi assicuro io, signor De Rossi gentilissimo, che non
-mi piacerebbe niente, ma niente affatto che si disputasse di certi
-argomenti, lontano da me. Del resto, — ripigliò la signora Camilla,
-tornando al principio del discorso, — il Petrarca non faceva così, e
-questo è l’essenziale. Egli ne amò una alla luce del sole, non vide,
-non cantò, non esaltò che quell’una. Invece, eccovi qui, o signori, o
-in abito di mattina, col fiore all’occhiello, o con l’abito nero, reso
-ridicolo da quell’indegno pioppino, che sostituite qualche volta al
-cappello _gibus_ dei vostri babbi; e in una foggia, o nell’altra sempre
-in visite, in conversazioni, e in balli e teatri, sempre intorno alle
-dame e pronti a ripetere la stessa musica con tutte.
-
-— Le apparenze ingannano, — disse Aldo De Rossi, — e vi danno buon
-giuoco contro di me. Ma pensate, vi prego, che non siamo più ai tempi
-del Petrarca, quando le belle usanze della cavalleria e delle corti
-d’amore permettevano di mettere in piazza una donna. Ci si costituiva
-suo cavaliere, si facevano per lei giostre e canzoni, senza che nessun
-geloso ci trovasse a ridire. Il Petrarca è ancora uno di quelli che
-hanno fatto meno, forse perchè già propendeva al canonicato, e il
-signor Ugo di Noves potè averne di catti. Ma adesso, signora mia,
-adesso siamo in tempi sospettosi e difficili, secondo gli altri,
-ma più riguardosi, secondo me e più delicati. L’amore si nasconde
-volontieri, un po’ perchè è naturalmente vergognoso, ma molto perchè
-ama il mistero, come la felicità sua sorella. Ora che c’è di meglio per
-nasconderlo, che il moltiplicare le apparenze? Andando a fare una corte
-generica a due dame, si nasconde la tenerezza che si ha per una terza.
-
-— E chi vi dice che una donna voglia essere nascosta così, come si
-nasconde un delitto? — gridò la signora Camilla. — Lo capisco anch’io;
-generalmente una donna non si lagna di questi riguardi eccessivi, e
-ve li ammette, perchè non le è dato di mutarvi il carattere. Anch’essa
-ha la sua dignità e non s’ostina a tentare le opere inutili. Accade lo
-stesso nella faccenda del fumare. Per avere in casa sua, a certe ore, i
-civilissimi visitatori, una dama moderna è costretta a lasciar passare
-le costumanze dei selvaggi. Ma ogni donna, signor mio, pensa dentro
-di sè che l’uomo il quale non sa rinunziare a queste brutte usanze da
-caffè, non merita che si rinunzi per lui alla pace dell’esistenza. E
-ogni donna sa inoltre che l’uomo il quale non ardisce compromettersi
-per lei, e comprometterla un poco, è un uomo che non l’ama davvero.
-
-— E l’ascoltate, allora, un uomo simile? — chiese Aldo De Rossi.
-
-— Lui, come tutti gli altri; — rispose la signora.
-
-— Sì, come tutti gli altri; — ripigliò il De Rossi, con una certa
-amarezza; — come tutti gli altri, la cui assiduità, rimeritata di
-piccoli favori, può far disperare un poveretto, il quale vi amerà anche
-senza sapervelo dire, come piacerebbe a voi ma vi amerà fortemente!
-
-— Che farci? Si disperi; — disse la signora Camilla, stringendosi nelle
-spalle.
-
-— Ma scusate; — incalzò Aldo De Rossi; — che vi fanno tanti vagheggini,
-che poi non stimate niente più di quell’uno?
-
-— Mi dicono bella; — replicò la signora Camilla, con un leggiadro
-movimento di testa; — e mi piace di sentirmelo a dire. Li tratto
-come i fiori; ne aspiro il profumo, e poi.... li lascio finire come
-possono. —
-
-Aldo De Rossi rimase male, a quella risposta della signora Camilla. Nè
-altro replicò per allora. Ma più tardi ebbe il torto di ritornarci su.
-
-— Signora, mi permettete di dirvi che io sono quel tale.... di cui
-parlavamo poc’anzi?
-
-— Quel tale! Chi?
-
-— L’uomo che.... vi ama. Sarò io proprio come un altro, per voi?
-
-— No; — rispose la signora Camilla. — Potreste essere di più; potreste
-esser meno.
-
-Aldo si morse le labbra, ma non si diede per vinto.
-
-— Come lo indovinerò io? — chiese egli, dopo un istante di pausa.
-
-— Che cosa volete indovinare? — gridò la signora Camilla, rizzando la
-testa e fissando i suoi begli occhi sdegnosi in volto al De Rossi. —
-Qual diritto ci avete, a sapere queste cose?
-
-— Nessuno, certamente; — rispose egli compunto; — ma infine, poichè
-l’una cosa o l’altra ho da essere, mi sembra, con vostra licenza, che
-si potrebbe anche lasciarmi intendere che sorte mi tocca.
-
-— Ecco l’uomo! — esclamò la signora. — Ecco l’uomo che fa capolino.
-Egli non ha tempo da perdere; vuole sapere alle prime se ha da restare,
-o da andarsene; vuol essere il prescelto e sentirselo a dire, per
-atteggiarsi immediatamente a padrone. Ora, sappiatelo, signor De Rossi,
-io non voglio padroni. —
-
-Camilla Rivanera parlava risoluto, se badiamo alla sostanza; ma,
-come avviene tra le persone a modo, il risolino, l’accento soave, la
-reticenza, la pausa, temperavano spesso la severità della frase.
-
-Meno garbato, perchè meno padrone di sè, era il signor Aldo De Rossi.
-
-— Sareste senza cuore! — diss’egli.
-
-— Mettete che sia così, se vi piace.
-
-— No, non mi piace. Anzi, stavo per aggiungere: che peccato! quando mi
-avete interrotto.
-
-— Allora, — ripigliò Camilla, scuotendo la testa, — immaginate pure che
-io n’abbia. —
-
-E la parola e il gesto accennavano chiaramente che la signora voleva
-farla finita. Ma il giovinotto non se ne diede per inteso, e continuò:
-
-— Ne avrete, dunque; ma non per me. Questo, volevate dire?
-
-— Oh Dio! — mormorò la signora, spazientita. — Per caso, signor De
-Rossi, apparterreste voi alla specie dei.... —
-
-E si arrestò, temendo di dir troppo. Ma era fatta; ed anche un ingegno
-più tardo di quello del signor Aldo De Rossi avrebbe inteso il pensiero
-di Camilla e compiuta la frase.
-
-— Oh, ditelo pure liberamente; — gridò egli, volendo averne l’intiero.
-— Dei noiosi?
-
-— Quasi; — fece ella, aggrottando le ciglia.
-
-— No signora, neanche così! — ripigliò Aldo De Rossi. — E permettete
-che io ve lo provi, facendovi riverenza. —
-
-In queste parole si era alzato dalla scranna e salutava con molto
-sussiego la signora Camilla.
-
-— Buona sera; — rispose la signora, senza porgere la destra, che Aldo
-non aveva mostrato di chiedere poichè non aveva stesa la sua.
-
-E così freddamente lo rimandò con Dio. Ma in verità, io non saprei
-dirvi se egli ci andasse, poichè aveva un diavolo per capello.
-
-Che grilli passavano per la testa alla signora Camilla? Le donne
-sono creature così diverse da noi, quantunque fatte della nostra
-medesima carne, che un uomo non può arrischiarsi a giudicarle da
-sè. Bisognerebbe studiarle, l’una per mezzo dell’altra, mettendole a
-confronto, facendole parlare, e via di questo passo. Ma neppure per
-tal via ci sarebbe da cavarne un costrutto. Una donna non somiglia ad
-un’altra. Ci avete mai badato, a questo fatto psicologico? Son tutte
-diverse; allegre e malinconiche, leggiere e gravi, matte e savie,
-gentili e contegnose, prudenti e sbadate, buonine e scontrose, si
-mostrano formate di tanti elementi, e così variamente combinati che
-somigliano tra loro come una partita a scacchi somiglia ad un’altra.
-Lo sapete pure; si comincia sempre ad un modo, cioè muovendo le stesse
-pedine; ma dopo le prime mosse, non è più la medesima cosa, e dura
-la bella varietà fino al penultimo colpo. L’ultimo, rammentatelo,
-riconduce le partite ad una certa uniformità, poichè si foggia per
-solito su d’un ristretto numero di combinazioni. E in amore e agli
-scacchi, la regina finisce sempre ad un modo: scacco matto al re.
-
-Ma la signora Camilla?... Voi non volete essere tenuti a bada con
-le chiacchiere e tornate a domandarmi che diamine avesse in capo la
-signora Camilla. Ecco, per quello che io ne so... (ma badate, so poco,
-e potrei anche aver preso abbaglio) per quello che io ne so, la signora
-Camilla non amava Aldo De Rossi. In fondo non amava nessuno. Li voleva
-tutti devoti, e poi non sapeva che farsene della loro devozione, e
-li accusava di essere sempre gli stessi piagnoni con tutte. Novità,
-volevano essere, prove straordinarie, atti di valore e di sacrifizio,
-come non se ne fanno più, e come non è più permesso di farne in questi
-tempi volgari. Ma perchè, poi? Per premiarli con un sorriso, con una
-stretta di mano, con una di quelle piccole grazie e cortesie di gran
-dama, che ella usava largire al primo venuto, o all’ultimo, senza che
-questi avesse compiuto nulla di grande per lei.
-
-Dunque, per farvela breve, la signora Camilla Rivanera non amava Aldo
-De Rossi, nè altri. Le adorazioni di tutti l’avevano avvezzata a non
-amare che sè stessa. L’uomo di valore che si fosse invaghito di lei
-poteva dirsi perduto, se una circostanza fortunata non venisse ad
-aiutarlo. Ma convenite che è doloroso aspettare la propria salute dal
-caso.
-
-Aldo De Rossi incominciava a non aspettare più nulla. Aveva commesso
-un altro errore gravissimo, incalzandola troppo con le sue furie
-impazienti; aveva dimenticato quel primo tra gli elementi della
-grammatica d’amore: che ogni donna vuol essere amata a suo modo. Ma,
-d’altra parte, come indovinare il modo della signora Camilla? Notate
-che egli non doveva indovinare una cosa sola, ma due; prima di tutto
-se egli era quel tale che potesse toccarle il cuore, e poi in che
-modo ci sarebbe riuscito. Ora, quando un uomo appartiene alla specie
-dei noiosi, che vogliono spingere troppo oltre le indagini e andare
-a fondo prima che la bella nemica (stile del Cinquecento) mostri il
-petto indifeso, dite pure che succederà una catastrofe. E il signor
-Aldo aveva avuta la sua. Quel giorno, se il mondo fosse stato un uovo
-ed egli lo avesse avuto tra le dita, vi assicuro che si faceva una
-frittata nello spazio.
-
-Il giorno dopo quel dialogo, Aldo De Rossi andò dalla signora Vezzosi,
-ed ebbe con lei quella strana conversazione che vi ho riferita in
-principio. Un altr’uomo non sarebbe più tornato dalla Rivanera.
-Ma egli ci tornò. Vi ho già detto che non era un uomo perfetto. La
-trovò fredda, poi gentile, poi gaia, poi niente di particolare. Egli,
-quasi sarebbe inutile il dirlo, si guardò bene di toccare l’argomento
-delicato. Ed ella, per caso, non fu più umana con gli altri visitatori,
-di quello che fosse con lui. Mal comune è mezzo gaudio, e insegna la
-pazienza a tutti.
-
-
-
-
-VII.
-
-
-Era la prima domenica di luglio. L’anno si lascia in bianco, che
-tanto non vi servirebbe a nulla il saperlo. Forse vi tornerà più utile
-sapere che una calessina da quattro posti, con un sopraccielo di cuoio
-e le cortine di tela torno torno, secondo la foggia comune in Val di
-Nievole, si muoveva poco dopo le otto del mattino, dall’albergo della
-Pace, in Montecatini, andando di buon trotto su lo stradone alberato
-che mette allo stabilimento del Tettuccio.
-
-La giornata era splendida; cosa naturalissima in luglio, che è il mese
-dei solleoni e delle cicale. Ma a quell’ora non faceva ancora troppo
-caldo, e le cicale cantavano con una certa moderazione. Perfino la
-polvere della strada usava qualche riguardo ai viandanti, non levandosi
-a nugoli intorno alle ruote delle carrozze.
-
-Il veicolo che v’ho accennato, dopo otto o dieci minuti di corsa, andò
-a fermarsi in fondo allo stradone, davanti ad un edifizio di mezzo
-colore tra il bianco e il rossigno. Era quello il Tettuccio, il primo
-e il più celebre tra i molti stabilimenti termali di Montecatini, che
-dispensano le acque acidulo-saline atte a rimettere in istato normale,
-o quasi, i visceri dell’umanità sofferente.
-
-Fermato il veicolo, ne uscì fuori un cappello di paglia, indi un
-tutto vestito grigio. Il cappello era largo, ma il tutto vestito era
-strettino, segno che il signore che lo indossava era magro. La tesa
-del cappello alquanto rilevata sul davanti, lasciava scorgere dal viso
-che il signore magro era anche vecchio. Ma la prontezza con cui aveva
-posto il piede sul montatoio e la sicurezza con cui era balzato dal
-montatoio a terra, dimostravano chiaramente che il magro e vecchio
-gentiluomo portava bene i suoi anni. Come ebbe posto piede a terra,
-prese un atteggiamento nobile e franco, che, unito a certi particolari
-del vestiario, come a dire i guanti di fil di Scozia, il taglio inglese
-dell’abito e i solini insaldati e diritti che reggevano il mento, vi
-faceva indovinare alla bella prima il pezzo grosso, il personaggio
-ragguardevole. Che se voi, lettori discreti, non l’aveste indovinato,
-vedendolo, ci sarei sempre io per mettervi sulla buona strada,
-aggiungendovi che quel magro e vecchio gentiluomo era il Roberti, il
-nostro degnissimo presidente gran croce.
-
-Appena fu a terra ed ebbe preso l’atteggiamento che v’ho detto, il
-presidente Roberti stese la mano ad una graziosa figura di donna, che
-usciva alla sua volta di mezzo alle cortine di tela del carrozzino.
-Non vi descriverò l’abbigliatura, perchè, con questa benedetta moda
-che cangia tutti gli anni, rischierei di parervi un antiquario oggi, e
-a dirittura un archeologo domani. Vi dirò soltanto che era una bella
-nuvoletta bianca, picchiettata di lilla; nella quale immagine, che
-non sembrerà più ardita dopo l’_aria tessuta_ di mastro Giovenale,
-vi è lecito d’intendere che la signora indossava una veste di stoffa
-bianca e leggiera, con certi cappiolini di nastro color lilla. Ed anche
-lei portava in testa un cappello di paglia; ma era paglia di riso,
-per stare in armonia con la bianchezza della veste; e i larghi nastri
-ond’era adornato, le facevano un gran fiocco sotto la gola. Che candore
-abbagliante di collo, tra quel gran fiocco lilla e la gorgiera della
-veste! E che luccichio d’occhi neri, sotto la leggiadra curva di quel
-cappellino bianco! E che grazia di sorriso tra quelle guance di rosa! E
-che splendore di perle tra quelle labbra vermiglie! Insomma, lettori,
-io non ve ne dico altro, poichè avete riconosciuta la signora Camilla
-Rivanera, la bellissima vedova, che pareva sempre una fanciulla da
-marito.
-
-Infatti, chi non l’avrebbe creduta la figlia del presidente gran croce,
-vedendola entrare, al suo fianco, sotto l’atrio del Tettuccio? Tutti,
-io credo, salvo quei pochi maligni, a cui potesse passare per la mente
-che ella fosse sua moglie. Bartolo non fu sul punto di sposare Rosina?
-E Donna Sol non corse il rischio di andar moglie a Ruy Gomez de Silva?
-Anche ai dì nostri son cose che si dànno, per consolazione dei vecchi e
-per disperazione dei giovani.
-
-Erano soli, come due sposi, in piena luna di miele, quando entrarono
-sotto l’atrio del Tettuccio. Ma dovevano essere riconosciuti
-e accompagnati ben presto. Il sopraintendente governativo del
-Tettuccio (perchè le acque del Tettuccio scorrono col visto e sotto
-la sorveglianza dello Stato) si era fatto incontro al presidente
-gran croce. E il ragguardevole uomo, ascoltate con molta benevolenza
-le parole di ossequio del giovane ufficiale, gli aveva stesa con
-altrettanta degnazione la sua mano di giustizia in ritiro, accettandolo
-ad introduttore negli orti saluberrimi.
-
-Vi ho già detto che erano passate di poco le otto del mattino. Il
-Tettuccio era pieno zeppo di eleganti ammalati. La cura di Montecatini
-è tutta mattutina e si fa regolarmente prima dell’asciolvere; di guisa
-che il fortunato bevitore delle acque acidulo-saline ci ha tutto il
-tempo di seccarsi fino all’ora del pranzo, ed anche più in là. Si
-lasciano le molli piume tra le sette e le otto; si sale in carrozza e
-si va al Tettuccio; si siede colà, sotto i porticati, o lungo i viali,
-o tra le aiuole; si barattano quattro ciarle con le proprie conoscenze,
-quando se ne hanno, o si sta a guardare intorno, aspettando di farne;
-intanto passano gli acquaiuoli coi bicchieri e le caraffe piene delle
-linfe salutari; si stende la mano, si prende un bicchiere e lo si
-beve a lenti sorsi. È di buon gusto il chiacchierare tra una sorsata e
-l’altra, tenendo il bicchiere all’altezza del mento. I discorsi, poi,
-hanno da essere ameni. Galanteria, se ci sono signore nel crocchio;
-ma la politica deve far capolino di tanto in tanto; se no, correte il
-rischio d’esser preso per un uomo da nulla.
-
-Perchè ciò? Perchè Montecatini è il luogo di cura, la _statio bene
-fida_ degli uomini politici, a cui danno molestia le bili accumulate
-nei cinque o sei mesi d’una sessione parlamentare. Il fegato è un
-viscere eminentemente politico. Guai all’oratore, stanco delle
-infeconde battaglie della parola, che non si consegna una volta
-all’anno alle terme Leopoldine, al Bagno Regio, al Tettuccio,
-all’Olivo, alla Regina, al Cipollo, al Rinfresco, e via discorrendo a
-qualcheduna delle preziosissime polle minerali di Valdinievole, per
-ritemprarvi le forze! Lo stesso Antèo, il famoso gigante che ebbe a
-lottare con Ercole, se vivesse ai dì nostri, non vorrebbe toccar terra
-che a Montecatini.
-
-Per queste ragioni, ogni anno, tra giugno e settembre, in mezzo a dame
-clorotiche e anemiche, a banchieri pletorici, a generali reumatizzati,
-a giovinetti rachitici, a tenori e baritoni infreddati, si vedono
-molti infermi di una malattia particolare, riconoscibili alla medaglia
-di San Venanzio che ciondola loro sul petto, sospesa alla catenella
-dell’orologio. E si sentono qua e là, nel pigia pigia, dei discorsi
-come questo:
-
-— Oh, buon giorno! Come stai, mio caro? Quando sei giunto?
-
-— Ieri; e tu?
-
-— Io da sei giorni, ed ho già passato trenta bicchieri. E che nuove da
-Roma?
-
-— Niente di bello. Il Ministero si sosterrà.
-
-— Sfido io! Siamo in vacanze. Ma lo voglio vedere alla riapertura.
-
-— Hai già un’interpellanza in corpo?
-
-— Una, per ora; ma fra due mesi ne avrò quattro. Così non può durare.
-
-— Oh, per questo hai ragioni da vendere. Se ne parlava ancora l’altra
-notte in strada ferrata con l’onorevole Bulinelli. Sai che gli
-hanno rovinato il collegio, con quella concessione di nuove sezioni
-elettorali separate? Il Bulinelli è fuori della grazia di Dio. Lo
-sentiranno. Egli è uno dei cinque che capiscono qualche cosa nell’arabo
-dei bilanci, e pretende che ci siano più errori che cifre.
-
-— Cifre arabiche; errori arabici, mio caro!
-
-— Ah sì, tu ci hai sempre la burletta. Si vede che le acque ti giovano.
-
-— Di’ piuttosto che non mi mutano. Ho piacere che il Bulinelli sia
-in collera. Quantunque io dubiti sempre, dopo il suo _sì_ dell’anno
-scorso. —
-
-Il _sì_ dell’on. Bulinelli è tanto grazioso, che non si può accennarlo,
-senza raccontarne la storia. Era imminente a Montecitorio una votazione
-importante, da cui doveva dipendere la sorte del Ministero, e questo
-e l’opposizione battevano di continuo il telegrafo, per chiamare i
-tiepidi a Roma. All’ultimo giorno della discussione, che era stata
-tirata in lungo oltre il convenevole, per dar tempo alle ultime
-categorie di giungere sul campo, non si poteva ancor prevedere di
-chi sarebbe stata la vittoria. Quindici voti di assenti, che potevano
-capitare coll’ultima corsa, erano dubbi, e la vittoria dipendeva dal
-voltarsi che una metà di quei quindici avrebbe fatto o da una parte o
-dall’altra.
-
-— Come voterà il Bulinelli? — si chiedeva dai capi dell’opposizione,
-raccolti in una sala di Montecitorio, in prossimità dell’ingresso.
-
-L’accenno al Bulinelli era cagionato per l’appunto dalla apparizione di
-quell’onorevole uomo nell’anticamera.
-
-— Aspettate; — disse un amico; — vo a tastargli il polso. —
-
-E andando incontro all’onorevole Bulinelli, e messagli amichevolmente
-una mano sulla spalla, gli disse:
-
-— Buon giorno! Sei giunto ora?
-
-— Sì, non ho avuto neanche il tempo di smontare all’albergo, tanto mi
-premeva di essere al mio posto. Sai che nelle grandi occasioni io non
-manco mai al mio dovere.
-
-— Soldato vero e fedele alla bandiera! — esclamò l’amico, premendo
-forte con la palma della mano. — E che ti pare del Ministero? Hai
-veduto che povertà di ragioni, nel discorso del guardasigilli?
-
-— Non me ne parlare! Ho letto il rendiconto telegrafico e m’è bastato.
-Ma sai che ci vuole un bel coraggio?
-
-— Dunque, voterai contro?
-
-— Si domanda? Contro, arcicontro, contrissimo.
-
-— Ah, bene! — esclamò l’amico, noverando un voto di più per
-l’opposizione.
-
-Poco dopo si entrò nell’aula. Si svolgevano gli ultimi emendamenti
-dei vari ordini del giorno; poi, come al solito, si ritirarono cinque
-o sei ordini del giorno, e i rispettivi emendamenti, non restando al
-contrasto che l’ordine del giorno accettato dal Ministero e quello
-delle opposizioni collegate. Venne fuori la solita domanda di votare
-per appello nominale, e i segretari della presidenza misero mano agli
-elenchi. S’incominciò a leggere i nomi, dal banco della presidenza, e
-a sentire i sì e i no, diversamente modulati, da questa e da quella
-parte dell’aula. La prima lettera dell’alfabeto, povera anzi che no
-di cognomi, si mantenne in un prudente equilibrio di sì e di no.
-La seconda lettera, più ricca, ma ancora troppo lontana dal mezzo
-dell’alfabeto, diede una certa prevalenza ai sì. Fortunatamente
-l’opposizione contava su certi nomi sicuri, che avrebbero rimesse
-le parti in bilico. Tra questi, come v’ho detto, era il nome
-dell’onorevole Bulinelli.
-
-Finalmente ci s’arriva; il segretario grida il nome del Bulinelli. E il
-Bulinelli, con una voce che potrebbe dare l’intonazione alle trombe del
-giudizio, risponde:
-
-— Sì!
-
-Gli oppositori si guardano scambievolmente, poi guardano l’amico che
-aveva annunziato loro il no dell’onorevole Bulinelli. L’amico allunga
-le labbra e si stringe nelle spalle. Intanto, l’appello nominale
-continua, e un’ora dopo è finito. Il Ministero ha vinto per soli cinque
-voti, ma ha vinto, e questo è l’essenziale. E insieme col Ministero
-ha vinto anche l’onorevole Bulinelli, che si trova rassodato nel suo
-collegio per un altro bimestre, cioè fino ad un altro appello nominale
-e ad un altro pericolo di crisi ministeriale.
-
-— Che vuoi? — diceva quella sera l’onorevole Bulinelli all’amico,
-che gli domandava la ragione del suo voto. — Avevo promesso un no,
-e sarebbe stato un no tanto fatto, perchè io, come sai, non guardo
-in faccia a nessuno. Ma il presidente del Consiglio e il ministro
-degl’interni mi han preso in mezzo, mentre andavo a fumare il mio
-sigaro tra un emendamento e l’altro; mi han condotto nei corridoi; mi
-hanno date spiegazioni sufficienti della loro politica. Infine, che ti
-dirò? Mi hanno persuaso.... almeno per ora. E tu capirai....
-
-— Capisco, capisco; — interruppe l’amico. — Sarà per un’altra volta.
-
-— E col medesimo risultato; — soggiunse mentalmente un collega, che
-aveva colto quel dialogo a volo.
-
-Vi ho raccontato questo piccolo episodio della vita parlamentare
-italiana, perchè m’è venuto a taglio, anzi per dire più esattamente,
-m’è sgocciolato dalla penna; ma non istate a credere che io voglia
-trattenermi con gli uomini politici raccolti al Tettuccio. Seguiterò
-invece la signora Camilla Rivanera, che entrava nello stabilimento,
-con quella dignità, con quella scioltezza di modi, e infine con quel
-possesso di scena, che contraddistingue le dame, queste prime attrici
-della commedia sociale. Oramai, signori belli, o prime attrici, o
-nulla. Le ingenue non sono più di moda, e sto per dire neanche le
-amorose. Almeno, l’apparenza della cosa non ci ha da essere, perchè
-stonerebbe maledettamente in mezzo a questa cara finzione. Anche le
-fanciulle contraggono nell’uso del mondo un’aria di padronanza che
-farebbe trasecolare i nostri bisnonni, se tornassero mai, per loro
-tormento ineffabile, a recitare nella sullodata commedia la loro parte
-di caratteristi. Disinvoltura vuol essere, e magari anche audacia. Ogni
-altra maniera di portamento, ogni altra espressione di volto, saprebbe
-di provinciale e di goffo. La donna gentile, che Dante ha descritta
-a passeggio in sonetto immortale, farebbe una brutta figura ai tempi
-nostri e lungo i margini delle nostre vie. Ci si fermerebbe ancora a
-guardarla, perchè la bellezza vuol sempre il suo omaggio consueto, ma
-si borbotterebbe tra i denti: — Che peccato! Ha un’aria molto sciocca.
-
-Il presidente Roberti, magro profilo d’uomo, perduto nello splendore
-mattutino della sua bella nipote, come un povero satellite nella luce
-di Giove, andava cercando con l’occhio un sedile vuoto. Tutto ad un
-tratto, gli baluginò sugli occhi un cappello che descriveva la sua
-parabola davanti a lui e gli venne all’orecchio una voce ossequiosa.
-
-— Signor presidente, i miei rispetti! —
-
-Il presidente si volse, riconobbe il personaggio e, fermandosi con atto
-di lieta meraviglia, gli disse:
-
-— Cavaliere Sestavalle! Anche Lei a Montecatini?
-
-— È la mia stazione di tutti gli anni; — rispose l’Alcibiade,
-inchinandosi. — E mi è permesso di ossequiare la signora, e di
-chiederle notizie della sua salute? Quantunque, — soggiunse, piegando
-il busto e rimpicciolendo le labbra, — non sarebbe il caso di
-domandarne, vedendo quel florido aspetto. —
-
-La signora Camilla sorrise benignamente e stese la sua leggiadra manina
-al cavaliere Sestavalle.
-
-— Troveranno qui parecchie conoscenze; — ripigliò l’Alcibiade,
-prendendo posto a fianco della signora Camilla.
-
-— Davvero? — esclamò la signora. — E chi?
-
-— I Vezzosi, prima di tutti. Eccoli là, nella rèdola a sinistra. Li
-hanno veduti per l’appunto, e il commendatore Gerardo si alza per
-venirli ad incontrare. —
-
-Infatti, il signor Gerardo si era levato allora dal suo sedile, accanto
-ad una tavola di marmo, e muoveva frettolosamente verso il viale.
-L’atto premuroso richiedeva una pronta voltata verso la rèdola, e la
-signora Camilla fece ella stessa una parte di strada, tanto più che
-dietro al signor Gerardo aveva veduta la signora Vezzosi, che era
-seduta presso la tavola, e aveva al fianco parecchi cavalieri, tra i
-quali il signor Aldo De Rossi.
-
-Anche la signora Elena si alzò per muovere incontro all’amica, e
-avvenne la solita scena commovente delle due dame che si combinano a
-caso, dopo un certo periodo di separazione. L’incontro di due stelle
-è sempre un cataclisma, nelle regioni celesti; ma in terra, la cosa
-ha più modeste apparenze, quantunque non meno degne di osservazione.
-Generalmente, le stelle terrestri (passatemi lo strano accoppiamento di
-vocaboli) hanno qualche cosa da invidiarsi a vicenda, o la bellezza, o
-la gioventù, o un bel paio di pendenti, o una abbigliatura di Worth, o
-un cavalierino di garbo. E frattanto si ammirano, si baciano, si dicono
-delle paroline inzuccherate, che farebbero correre l’acquolina alla
-bocca, se non si pensasse che lo zucchero è di quello che riveste le
-pillole; roba per solito amara, e qualche volta, velenosa.
-
-— Sei qui, mia cara! Che fortuna! Ma sai che diventi ogni giorno più
-bella?
-
-— Che dici? Sei tu che risplendi come un sole. E avevi bisogno di
-questa cura?
-
-— Che! Non faccio cura. Seguo il mio signore e padrone. E neanche tu,
-m’immagino, sarai venuta per bere.
-
-— Oh no, sicuramente. Io seguo lo zio, come, vedi.
-
-— Ad ogni modo, ringraziamo il sesso forte e le sue debolezze, poichè
-ci si guadagna di vederci e di stare un po’ insieme. In città non è
-possibile. Tu ci hai il tuo trono....
-
-— E tu la tua corte.
-
-— Carina! Qui invece potremo fare un regno solo, non è vero? Ti
-presenterò i miei cavalieri e saranno i tuoi. —
-
-Ad un discorso di questa fatta, si sa, i cavalieri s’inchinano, senza
-muovere un lagno, per essere stati regalati così alla libera, come ai
-tempi antichi una coppia di schiavi.
-
-La signora Elena Vezzosi non aveva da presentare nominatamente il
-signor Aldo De Rossi, che era per la signora Camilla una conoscenza
-già fatta. Ma ella reputò necessario, indicandolo dopo gli altri, di
-soggiungere, con l’aria più naturale del mondo:
-
-— Vedi, abbiamo anche trovato a Montecatini il signor De Rossi, che
-fa le sue gite, senza darne cenno a nessuno. Ma per questa volta lo
-abbiamo sorpreso, e lo riterremo prigioniero di guerra. —
-
-
-
-
-VIII.
-
-
-Aldo aveva salutata la signora Camilla con un muto inchino, ma anche
-con una confusione più eloquente di qualsivoglia discorso. La signora
-Camilla, dal canto suo, fin dalle prime parole di Elena, aveva
-mormorato quel certo «_ah sì?_» mezzo interrogativo e mezzo sbrigativo,
-con cui se la cava chi non ha da dir nulla e vuole tuttavia aver l’aria
-di dire qualche cosa.
-
-Intanto il signor Gerardo e il Roberti avevano cominciato a
-chiacchierare tra loro. Il commendatore Vezzosi era felice di aver
-trovato un presidente gran croce, in mancanza dei due ministri, che non
-si erano ancora lasciati vedere in Valdinievole. Cinque minuti dopo,
-il presidente Roberti, seduto presso la tavola dei Vezzosi, aveva già
-bevuto due bicchieri dell’acqua salutare e sorbito un discorso politico
-del commendatore Gerardo.
-
-La signora Camilla, ultima arrivata a Montecatini, accettava di buon
-grado gli uffici del cavaliere Sestavalle. Il vecchio Alcibiade s’era
-tramutato nel più compiacente dei Ciceroni, e le andava sciorinando
-i nomi di tutte le signore che passavano a mano a mano lungo il viale
-d’entrata. La rassegna del Sestavalle comprendeva contesse veneziane,
-marchese fiorentine, duchesse napolitane, principesse greche,
-moldovalacche e via discorrendo. Perchè c’era di tutto laggiù, e il
-cavaliere Sestavalle era già informato di tutto.
-
-Aldo De Rossi, presa di fianco alle dame una posizione modesta, ma
-buona, come tutte le posizioni modeste, sorrideva col sommo delle
-labbra alla signora Elena, ogni qual volta essa gli volgesse il
-discorso; ma intanto era tutt’occhi per la signora Camilla. Felice
-quando ne incontrava lo sguardo! Ma erano istanti brevissimi; lo
-sguardo della signora Camilla passava, e la bellissima donna aveva
-l’aria di non essersi neanche avveduta delle sue contemplazioni.
-
-Poco stante, le signore si mossero, per fare un giro nello
-stabilimento. Si sentivano dal fondo gli accordi d’un concertino di
-pianoforte e di flauto, musica improvvisata da suonatori girovaghi,
-che volevano parere artisti di passaggio, e la signora Elena propose di
-andare nella sala del concerto. Intanto la signora Camilla, che veniva
-per la prima volta a Montecatini, doveva conoscere in ogni sua parte lo
-stabilimento del Tettuccio, vedere la fonte, il giardino e il _bazar_.
-Mercè una sapientissima mossa strategica, Aldo De Rossi aveva ottenuto
-di trovarsi al fianco della signora Camilla, cacciandone il Sestavalle,
-che dovette appoggiare a sinistra, verso la signora Elena Vezzosi. E
-perchè lungo il viale, in mezzo al viavai della gente, non si poteva
-marciare per quattro, ne venne che la fronte si spezzò subito in due.
-La signora Elena andò innanzi con l’Alcibiade; il presidente gran croce
-e il commendatore Gerardo venivano indietro, con una gravità degna di
-loro: Aldo e Camilla si trovavano soli nel mezzo.
-
-— Che fortuna per me, signora! — disse Aldo in modo da non essere udito
-dalla prima, nè dalla terza fila.
-
-— Fortuna! Di che? — esclamò la signora Camilla.
-
-— Ma.... di avervi incontrata; — rispose il De Rossi. —
-
-La signora Camilla si volse a mezzo e lo guardò co’ suoi begli occhi
-neri, in atto di curiosità, mentre le labbra vermiglie s’increspavano
-ad un risolino sarcastico.
-
-— O non lo sapevate, di dovermi incontrare? — gli chiese. —
-
-Aldo rimase un po’ sconcertato da quella domanda e dall’espressione di
-quel sorriso. Tuttavia volle provarsi a rispondere.
-
-— Anche a saperlo prima, sarebbe sempre una fortuna; — diss’egli. — Non
-potevate avere mutato opinione?
-
-— Ah, bene! — esclamò la signora Camilla. — Voi mi fate molto volubile,
-signor De Rossi! Ma badate, nel caso presente l’accusa non verrebbe a
-me, sibbene a mio zio. Vi ha proprio l’aria di un uomo volubile? —
-
-Aldo De Rossi era lì per rispondere qualche altra sciocchezza;
-ma proprio in quel punto il fermarsi improvviso della prima fila
-richiamava ad altro argomento l’attenzione della signora Camilla.
-Un nuovo venuto salutava la signora Elena indi si volgeva con atto
-ossequioso alla compagnia. Il nuovo venuto era il contino Anselmi,
-sempre elegante, sempre gaio, sempre contento di sè, quantunque non
-fosse poi tanto imbecille, come qualche volta gli piaceva di chiamarsi,
-per antivenire il giudizio de’ suoi contemporanei.
-
-Le tre file si erano tramutate in un crocchio. E il commendatore
-Gerardo aveva presentato il contino Anselmi al presidente gran croce.
-
-— Non è necessario: — disse il presidente. — Col signor conte ci
-conosciamo da un pezzo. —
-
-Così dicendo, stendeva la mano, che il contino Anselmi fu pronto
-a stringere, non senza un atto del capo, che faceva fede della sua
-reverenza e della sua gratitudine.
-
-— Quantunque, — entrò a dire la signora Camilla, che aveva già ricevuti
-gli omaggi del nuovo venuto, — sarebbe quasi necessario di rinnovare la
-presentazione.
-
-— Perchè mi si vede di rado? — chiese l’Anselmi ridendo e inchinandosi
-di bel nuovo. — Ma la colpa non è mia.
-
-— Stiamo a vedere che è nostra! — ribattè la signora Camilla.
-
-— Per l’appunto, — replicò l’Anselmi, — e si vede che le vostre labbra,
-o signora, hanno l’uso delle verità. Conosco due virtù che stanno ad
-alloggio nella medesima casa; la grazia e la giustizia; — soggiunse
-amabilmente il contino, accompagnando i due sostantivi con due guardate
-consecutive alla signora Rivanera ed al presidente Roberti. — Con che
-coraggio ci entrerebbe la mia dappocaggine?
-
-— Ecco un pretesto che vuol parere un complimento; — notò la signora
-Camilla. — Lo accetteremo per un complimento, zio?
-
-— Oh, ve ne prego, signora; — gridò il contino Anselmi; — non
-interrogate il magistrato. Egli mi condannerebbe. —
-
-Il presidente gran croce, chiamato in causa a quel modo, reputò
-necessario di fingere altrettanta gravità, quanta era stata nel contino
-Anselmi la finzione dello spavento.
-
-— Forse perchè vi sentite colpevole? — diss’egli. — Ma badate, signor
-conte; io non fo più sentenze da molti anni. L’ultimo uffizio che ho
-tenuto, è stato quello di cassare le sentenze degli altri, quando mi
-accadeva di ritrovarci un vizio di forma. Se mia nipote vi condannasse,
-vedrei....
-
-— E cassereste la sua sentenza per vizio di forma? Meno male; — replicò
-l’Anselmi. — Ma io, ringraziando Vostra Eccellenza, non approfitterò
-della cortesia. Per una sentenza della signora Camilla io non ricorrerò
-mai in cassazione; foss’anche una sentenza di morte. —
-
-Così chiacchieravano allegramente, andando a lenti passi verso la sala
-del concerto. Intanto, il signor Aldo De Rossi era sulle spine.
-
-— Che sciocchezze! — disse egli tra sè. — Non capisco come il
-presidente ci trovi gusto. —
-
-Se la pigliava col presidente, ma in fondo in fondo l’aveva con la
-signora Camilla. E si doleva che quel perondino vanaglorioso fosse
-venuto in mezzo con le sue ciance, per prendersi il primo posto. Ma
-già, l’occasione è di chi si caccia avanti e sa afferrarla per il
-ciuffo.
-
-A farlo a posta, la signora Camilla non aveva occhi nè orecchi che per
-il contino Anselmi; e questi, molto naturalmente, senza che Aldo De
-Rossi potesse lagnarsene, prese il suo posto a fianco della signora.
-Non doveva egli continuare una conversazione che ella mostrava di
-gradire?
-
-Sì, questo andava benissimo; il ragionamento non faceva una grinza e al
-signor Aldo gli toccava di rassegnarsi. Solo una cosa non poteva mandar
-giù; che la signora Camilla potesse dilettarsi di quelle ciarle senza
-sugo, di quei complimenti smaccati, di quelle amplificazioni noiose.
-Ma dobbiamo noi pensare in tutto e per tutto come il signor Aldo De
-Rossi? E la signora Camilla non meritava in questo caso le circostanze
-attenuanti? In società siamo tutti un po’ facili a giudicare secondo
-il nostro tornaconto, e il non vedere che poi ci rende ingiusti con
-gli altri. Ma se il signor Aldo non ci pensa, a queste cose, dobbiamo
-pensarci noi; ricordare ad esempio che si era in viaggio, lontani da
-casa, da tutte le cure e da tutte le serie occupazioni della vita. In
-simili casi l’incontro di un grazioso cavaliere, d’un capo ameno, è
-sempre una fortuna; ed è naturale che si faccia festa all’uomo che può
-e vuole tenere allegra la compagnia. Gli uomini che ci hanno una spina
-nel cuore farebbero bene a starsene a casa, o a viaggiare da soli.
-E chi sa? Forse, viaggiando da soli, s’imbatterebbero in una società
-nuova per essi, nella quale non avrebbero sopraccapi, e per la quale
-sarebbero aiuti preziosi. Tanto è vero che nel mondo c’è posto per
-tutti. L’essenziale è di trovare quel posto.
-
-Forse ne aveva già fitto l’esperienza, il signor Aldo De Rossi, che si
-trovava libero di cuore e franco di lingua presso la signora Vezzosi,
-mentre era così triste e ingrugnato (diciamo pure la brutta parola)
-presso la signora Camilla? Ora, nella battaglia della vita, chi ha la
-mente serena è sicuro del fatto suo.
-
-Bel ragionamento, del resto! Andatelo a fare a chi soffre. Ogni nato
-di donna ha da seguire il suo fato. E il fato moderno, più vero
-dell’antico, è costituito da tante piccole cause inavvertite, che
-vi fanno rete intorno alla persona e vi trascinano di concessione in
-concessione, di debolezza in debolezza, agitandovi di qua e di là come
-il vento la piuma. E guai a chi è leggiero com’essa; guai a chi non ha
-un bricciolo di volontà, per resistere in qualche modo e sottrarre una
-parte di sè medesimo all’azione combinata delle piccole cause!
-
-Intanto, il nostro Aldo si foggiava i proprii mali. Già se li vedeva
-compendiati in quel principio di sofferenze, come una commedia antica
-nell’argomento di cui l’hanno provveduta i grammatici. Era, lui,
-proprio lui, che col suo tirarsi in disparte, col suo metter broncio,
-rendeva possibile il peggio.
-
-E pensare che quella mattina egli era tanto felice! E i giorni
-addietro, che ansietà fanciullesca, ma piacevole, ad aspettare l’arrivo
-della signora! Confuso tra quella moltitudine elegante che si accalcava
-ad ogni arrivo di treno sull’asfalto della stazione di Montecatini, per
-veder giungere i nuovi compagni di cura, egli aveva finalmente veduto
-scendere da una carrozza di prima classe il presidente Roberti e la
-sua bella nipote. Non si era fatto avanti, volendo assaporare la sua
-gioia, e procurarsi il piacere di dire più tardi alla signora Camilla:
-— Sapete? Io ero là. Avevate un cappellino così e così, con un velo
-del tal colore, una cappa, o una mantellina del tal altro. — E fuori
-della stazione l’aveva pedinata fino all’albergo della Pace, dove egli
-stesso era sceso due giorni prima ad alloggio in compagnia dei Vezzosi.
-E quella sera, scambio di andare al Casino, che era il luogo di ritrovo
-della buona compagnia, era stato a piuolo sotto le mura dell’«albergo
-avventurato», che egli, con le parole del Giusti, aveva cantato a
-mezza voce «soave asilo di gioia e piacer.» E più tardi, esciti i
-Vezzosi dal Casino, aveva data la lieta notizia alla signora Elena,
-prima di augurarle la buona notte. Lieta notizia per lui, si capisce;
-e poco gl’importava che non fosse ugualmente lieta per lei. Anzi, a
-dirvela schietta, non era stato neanche a pensarci su. Un uomo felice
-crede che tutti debbano esser felici con lui, e per la stessa ragione.
-Quella notte aveva dormito poco. Alla mattina, per tempissimo, era già
-alzato, per far la ronda sotto certe finestre. Sapeva già, infatti, a
-che numero alloggiava la signora Camilla. Poi, era andato al Tettuccio,
-senza neanche aspettare i Vezzosi. In verità, dormivano troppo, i
-suoi compagni di viaggio, e si sarebbe detto che fossero andati a
-Montecatini, non già per far la cura delle acque, ma quella del sonno.
-
-Eppure, quantunque non provassero le sue impazienze, i Vezzosi
-erano giunti in tempo, cioè molto prima della signora Camilla, allo
-stabilimento del Tettuccio. Segno evidente che aveva avuto torto lui
-a non aspettarli, come nei giorni antecedenti. La signora Elena non
-si era mica trattenuta dal dirglielo, con la sua aria maliziosa. — Che
-fretta, stamane! — Ed egli, a quella osservazione, si era fatto rosso,
-come un monelluccio colto in flagranti. Ma via, siamo giusti; poteva
-egli operare diverso? Gl’innamorati son tutti così. Triste colui che
-non li sente più, questi benedetti spasimi della passione! Egli potrà
-benissimo vantarsi di aver girato il capo delle Tempeste; ma questa
-cara filosofa non varrà a consolarlo dagli ardori svaniti.
-
-Sebbene, un mio amico che la sa lunga.... Ma non facciamo digressioni.
-È un amico che dice spesso le sue corbellerie, e qualche volta ne
-scrive, che è peggio.
-
-L’entrata della signora Rivanera nella _Kursaal_ (scusate il vocabolo
-esotico, ma bisogna conformarsi all’uso e chiamare _Kursaal_ il
-recinto delle acque salutari) aveva destato nella folla un movimento di
-curiosità e di ammirazione; di curiosità nelle donne, di ammirazione
-negli uomini. La bellezza non si mostra impunemente, neanche ad
-un consesso di Areopagiti. Tutta quella gente seduta, o disposta
-a capannelli lungo i viali, poteva contemplare a suo bell’agio la
-nuova venuta, come mille spettatori contemplano una prima attrice
-sul palcoscenico. L’effetto era stato grande, ed accompagnato da quel
-bisbiglio, che vale per una bella signora come per la prima attrice
-l’applauso. Ma in un paio d’occhi brillavano compendiate le ammirazioni
-universali; in un cuore ardevano tutti gl’incensi che la moltitudine
-degli ammiratori avrebbe potuto bruciare ai piedi di quella bellissima
-sconosciuta. E come, in quel punto, la Valdinievole s’era illuminata
-per esso! La _Kursaal_ del Tettuccio era da quel momento il centro
-della terra, il nuovo meridiano, da cui Aldo De Rossi avrebbe misurate
-le distanze. La signora Elena aveva veduta la Rivanera qualche momento
-prima che la vedesse il Sestavalle; ma assai prima della signora Elena
-l’aveva veduta Aldo De Rossi, e si può dire che la signora Elena
-volgesse gli occhi all’ingresso dopo avere osservato un improvviso
-scolorimento sul viso di lui. Non vi dirò (e se ve lo dicessi non
-lo credereste) che la signora Elena fosse molto contenta di ciò. Una
-bella donna non vede mai di buon occhio questi omaggi resi ad un’altra,
-anche quando ella abbia conchiuso il patto che la signora Elena aveva
-conchiuso, bontà sua, con Aldo De Rossi. Strano patto, del resto! E
-la signora Vezzosi non ci aveva proprio un secondo fine, appiattato
-negli abissi del cuore? Si sa, le donne si lasciano tentare dalle idee
-bizzarre, e l’impossibile ha il privilegio di allettarle. Combattere,
-rapire il cuore di un uomo al fascino che lo possiede, e poi.... E poi,
-chi sa? Forse non sapere che farsene. Anche i bambini piangono e si
-disperano per un giocattolo; quando son giunti ad averlo tra le mani,
-lo spezzano.
-
-Il cavaliere Sestavalle, Alcibiade primo, si era mosso per andare
-incontro alla Rivanera e allo zio presidente gran croce. La signora
-Camilla si era voltata, aveva visto Elena e si era affrettata ad
-andare verso la tavola di marmo. Le due signore, che si salutavano
-appena nella loro città natale, diventavano amiche alle acque. Ed era
-naturale, perchè la comunanza del divertimento è più che bastante a
-generare l’amicizia, o almeno almeno l’intimità. Aldo De Rossi era
-a Montecatini insieme coi Vezzosi; poteva dunque ripromettersi di
-vedere la signora Camilla ogni giorno ed ogni ora. E già il poveretto
-assaporava le delizie di quel suo paradiso. Ma egli non aveva preveduto
-ciò che avviene alle acque, dove l’intimità, facile per uno, è
-ugualmente facile per molti. Per l’appunto, anche il contino Anselmi
-si era fatto avanti; e non si era mica contentato di un saluto, di una
-stretta di mano, e di quattro chiacchiere; no, si era ficcato in mezzo,
-e di primo acchito aveva occupato il posto del signor Aldo presso la
-signora Camilla. E lei, di schianto, gentilissima col contino Anselmi;
-mentre con lui, col povero Aldo, si era tenuta in un riserbo direi quai
-diplomatico.
-
-Strana cosa! La Rivanera e l’Anselmi non si vedevano spesso. Il contino
-aveva conosciuta la signora Camilla in una festa da ballo, come Aldo
-De Rossi, ma, andato a farle visita, non c’era tornato che rarissime
-volte, e poi non s’era più presentato affatto. E il De Rossi, che
-vedeva tutto, non contava più l’Anselmi tra i rivali possibili. Ma
-ecco, di punto in bianco, il presidente Roberti e la sua bella nipote
-credevano necessario di rimproverare all’Anselmi la sua negligenza.
-Che bisogno c’era di notare la cosa? Non era padrone il contino di
-andare dove meglio voleva? E perchè dargli argomento d’insuperbirsi? di
-sperare Dio sa che cosa? Perchè oramai, il contino Anselmi si sarebbe
-fatto un dovere di piantarsi ai fianchi del presidente Roberti.
-
-Queste cose non c’è mestieri di studiarle, si capiscono alla prima.
-Un uomo vede una donna per un anno e per due, senza innamorarsene,
-quantunque sia bellissima tra le belle. Ma dategli l’occasione, e
-s’accenderà come un fiammifero.
-
-O dove ci aveva la testa, il presidente gran croce? Ed era dunque
-da credere che per piacere alle donne, per farsi ricercare da esse,
-occorra di trattarle male? Aldo De Rossi ci pensò tutto il tempo che
-rimase nella sala del concerto; e ci pensava ancora quando escirono
-tutti dalla _Kursaal_, per ritornare all’albergo.
-
-La strada non era breve; ma le due compagnie, liete di essersi
-incontrate, non volevano separarsi. Perciò il commendatore Gerardo
-propose, e gli altri accettarono, di fare la strada a piedi. In una
-ventina di minuti si sarebbe giunti all’albergo. Lo stradone era
-fiancheggiato da due filari d’alberi, e c’era ombra abbastanza. Del
-resto, alle nove e mezzo del mattino i raggi del sole non iscottavano
-ancora.
-
-Capirete che il contino Anselmi era in vena di dirne e la signora
-Rivanera di sentirne. Perciò andarono avanti, e Aldo stette indietro, a
-udire il suono argentino delle risa di Camilla.
-
-— Che avete? — gli disse la signora Elena, prendendo famigliarmente il
-suo braccio.
-
-— Io? Niente; — rispose egli, scuotendo la testa, come uno che si
-svegli d’improvviso.
-
-— Niente! — esclamò la signora Elena. — È troppo poco. —
-
-
-
-
-IX.
-
-
-Aldo rimase taciturno. Forse non udì neanche l’osservazione della
-signora Vezzosi. Il nostro povero eroe non avea orecchi che per le
-risa della signora Camilla, più vive in quel punto, e più argentine
-che mai. Per tutti i settecentomila settecento settantasette diavoli,
-che si sogliono invocare in simili occasioni, che cosa diceva di così
-spiritoso, a otto passi da lui, il contino Anselmi, che la signora
-Camilla dovesse riderne in quel modo?
-
-La signora Elena, usando liberamente dei diritti dell’amicizia, diede
-una strappatina al braccio del suo distratto cavaliere.
-
-— Suvvia, rispondete; — gli disse; — che cosa vi affligge?
-
-— Ve l’ho già detto, nulla; — rispose Aldo De Rossi.
-
-— Ah, è vero; — ripigliò la signora Elena, con accento sarcastico. —
-Voi dovete esser triste per eccesso d’allegrezza. La gioia fa paura; lo
-ha detto anche la signora di Girardin. La splendida Camilla è venuta
-a brillare sull’orizzonte del Tettuccio, e voi, povero pianeta, vi
-oscurate nella sua luce. Non è così? Bisogna convenire, — soggiunse
-la signora Vezzosi, — che è molto bella, e ciò giustifica le vostre
-adorazioni. Vi parrà strano, mio bel cavaliere, che una donna si
-rassegni a lodarne un’altra. Ma io l’ho guardata molto, poc’anzi; l’ho
-guardata più in un’ora, che non abbia fatto in due anni. Sono una donna
-sincera ed amo rendere omaggio alla verità. E poi, con vostra licenza,
-non ho paura di confronti.
-
-— È giusto; — rispose Aldo. — Siete bellissima.
-
-— Già! — ribattè la signora Vezzosi. — Non sono forse la Venere di
-Milo, io? Ma quell’altra statua, che non è stata fatta da Fidia....
-
-— Ha già trovato un Pigmalione, che le dà l’anima; — proruppe Aldo, che
-non poteva più contenersi. — Sentite che allegre risate! —
-
-La signora Elena si volse a mezzo, per guardare negli occhi il suo
-cavaliere.
-
-— Ah, eccolo, il segreto di quest’anima nera! — diss’ella. — Siete
-geloso! —
-
-Aldo scosse la testa e battè le labbra, come un uomo che si vede
-scoperto e non vuole ammettere di esserlo.
-
-— Sì, siete geloso; — ripigliò la signora Vezzosi. — Già, un uomo
-geloso si riconosce tra mille. È un brutto vizio, la gelosia; peggio
-che un vizio, è un errore.
-
-— Credete? — balbettò Aldo De Rossi.
-
-— Certamente; son donna e posso parlarvene con sicurezza. Supponete,
-ad esempio, che un uomo mi ami e che io l’ami ugualmente. Una donna,
-abbiatelo per massima, ha sempre timore di essere abbandonata. Avvezza
-al piedestallo, non ama discenderne, e se in un momento di passione e
-d’oblio ne è pure discesa, vuol esserci ricollocata. Era adorata, che
-è molto, e non può bastarle d’essere amata, che è meno. Perciò, voi
-vedete la conseguenza, signor Aldo... ella ha mestieri di tener l’anima
-di un uomo in sospeso. Ho detto l’anima, e bisognerebbe dire il cuore;
-il cuore, che non è ben nostro, intieramente nostro, se non quando lo
-vediamo soffrire. E perchè il cuore di un uomo non soffre tanto bene,
-come quando egli teme di aver dei rivali, la donna sa quel che ha da
-fare per custodirlo. E quando non ci sono rivali, la donna si affretta
-a cercarli.
-
-— O come? — esclamò Aldo De Rossi.
-
-— È presto fatto; — rispose la signora Elena — Intorno ad una donna
-(parlo di una donna bella e piacente) ci sono sempre uomini a dozzine.
-
-— Sciocchi! — brontolò Aldo, a cui pareva di vederli.
-
-— Generalmente sciocchi, ve lo concedo. Ma sono per l’appunto quei che
-ci vogliono. Tutti questi sciocchi sono da lei adoperati a due usi;
-fanno uffizio di specchio e di leva.
-
-— Entra in scena Archimede; — scappò detto al De Rossi.
-
-— Che c’entra Archimede? — domandò la signora.
-
-— C’entra in questo modo, che egli è celebre nella storia, per avere
-inventati gli specchi ustorii e per aver sognata la più gran leva
-dell’universo, una leva con cui smuovere il cielo e la terra.
-
-— Vedete che combinazione! — esclamò la signora Vezzosi. — Diciamo
-dunque che la donna ha qualche cosa del vostro Archimede. Ella si
-specchia ne’ suoi dieci o dodici sciocchi; i quali la salutano bella,
-con le loro mute ammirazioni, e le fanno un piacere da non dirsi. State
-pur certo che ella non rinunzierebbe agli specchi, per nessuna cosa al
-mondo. Vi amasse pure come un Dio, sapesse pure che andate in collera
-e che ella risicherà di perdervi, ella non vorrebbe privarsi di questa
-consolazione. Del resto, se voi siete un uomo di spirito, non dovete
-adombrarvi troppo degli specchi, quando sono al plurale.
-
-— E la leva? — disse Aldo. — Come mai uno specchio può trasmutarsi in
-leva?
-
-— Ecco qua, signor Aldo. La donna si serve di tutti questi personaggi,
-per tenerne un altro, uno solo, in bilico, tra speranza e timore. Si
-ama sempre molto ciò che si teme di perdere. Non siete tutti così, voi
-altri uomini? Una donna che si abbandona oggi intieramente, si prepara
-un brutto domani. Ella è Didone, e voi siete pronti a seguire l’esempio
-di Enea.
-
-— Sarà così, come voi dite; — mormorò Aldo De Rossi. — Ma io mi sento
-diverso dagli altri.
-
-— Lo credete, e ciò vi fa onore. Ma anche molti altri dicono così; e
-poi nel fondo.... Signori uomini, lasciatevelo dire, presi l’uno per
-l’altro, valete pochino.
-
-— Scusate, donna Elena; — balbettò Aldo. — Non vorrei aver l’aria di
-offendere il vostro sesso; ma....
-
-— Ma vorreste dire che le donne non valgono di più. Confessatelo; era
-questo il vostro pensiero. Orbene — proseguì la signora Elena, vedendo
-di essersi apposta, — con vostra buona pace, le donne valgono molto di
-più... quando sacrificano molto di più. Perciò riconoscerete in esse il
-diritto di prendere le loro precauzioni.
-
-— Sicuro; — rispose Aldo De Rossi, — a danno.... degli specchi. Tutti
-quei poveri di spirito, che s’immaginano di piacervi, voi li tirate in
-ballo, vi prendete giuoco di loro. È forse ben fatto? Non ne uccidete
-qualcheduno? —
-
-La signora Elena rimase un tratto pensosa; ma subito dopo si riebbe.
-
-— È vero, — diss’ella, — la cosa non è troppo caritatevole. Ma
-considerate che noi non siamo perfette, e che io, mettendo le donne
-tanto al disopra degli uomini, non ho voluto neanche alzarle troppo.
-Ci vuol così poco, per essere superiori a voi! Del resto, se il giuoco
-è crudele, credete pure, signor Aldo, che non è altrimenti fatale. Gli
-uomini non muoiono di queste ferite, e la statistica ci assicura che
-ne guariscono tutti. Quando l’uomo che ha fatto da specchio si accorge
-di essere stato burlato, va in collera. Ma anche la collera sbollisce;
-l’uomo nulla nulla educato si mette con una certa diligenza a passare
-in rassegna tutte le piccole cortesie, e diciamo pure tutte le piccole
-provocazioni femminili che lo hanno condotto a sperare. S’avvede
-allora che non c’era nulla, o quasi nulla; si persuade d’aver torto;
-dà una crollatina di spalle e va a ripigliare altrove il suo ufficio
-di specchio. Ci sono degli uomini che non sanno, che non potrebbero
-far altro. E ci hanno sempre la speranza di trovare un giorno qualche
-povera donna, che, travolta dalla sua vanità, s’innamori dello
-specchio.
-
-— Ma qualcheduno, ammettetelo, — replicò Aldo, — qualcheduno ci
-diventerà cattivo, a questo giuoco, e farà soffrire ad una ciò che
-venti altre avranno fatto soffrire a lui.
-
-— Ah, per questo, non me ne importa nulla; — rispose la signora Elena.
-— Ci ha da pensare quell’una. Perchè dobbiamo noi darci pensiero di
-lei? Ogni donna è centro del suo piccolo mondo, e nel nostro sesso non
-troverete mai la più piccola traccia di quello spirito di corporazione,
-che si riscontra fra uomini.
-
-— E sia; — disse Aldo; — non disputerò su questo punto con voi. Ma
-mettete il caso che l’uomo specchio s’impermalisca per davvero e si
-vendichi della donna che s’è fatta zimbello di lui.
-
-— Zimbello è troppo, signor Aldo. Quando una donna prende uno specchio,
-lo fa con un certo garbo, che non lascia mai appiglio ad una simile
-accusa. Del resto, l’uomo che si vendicasse del giuoco sarebbe un vile.
-E di questi vili se ne trovano molti, in società, anche senza aver
-fatto loro l’onore di adoperarli come specchi.
-
-— Sì; ma quando sono stati adoperati, ci hanno una scusa alla loro
-vendetta.
-
-— Non c’è scusa, per una viltà. Ma infine, io non vi dico che tutto ciò
-sia ben fatto; vi dico quello che generalmente avviene. Fatene vostro
-pro, signor Aldo, e abbiate la bontà di restar tranquillo, davanti ad
-un giuoco di specchi, che forse incomincia oggi, e che certamente non
-ha nulla di grave. —
-
-Aldo De Rossi sospirò profondamente, pensando alle gaie risate della
-signora Camilla, e rispose:
-
-— Signora, bisognerebbe che quel giuoco fosse incominciato davvero per
-tener me in sospeso. Ma io, pur troppo, non sono neanche, «tra color
-che son sospesi» perchè non sono stato ancora accettato.
-
-— Ma... che dirvi? — rispose la signora Elena, stringendosi nelle
-spalle. — Potrebbe essere vero e non essere. Camilla può benissimo aver
-paura di voi, prima che a voi sembri di essere diventato pericoloso.
-Ma ad ogni modo, fatevi avanti. Perchè vi lasciate rubare il posto?
-Siete un uomo curioso, signor Aldo, con la vostra irresolutezza e la
-vostra malinconia. Credete a me, vostra amica sincera; le donne non
-amano i cavalieri malinconici. Questi eroi non fanno fortuna che nelle
-pagine dei romanzi. In società bisogna essere allegri, quantunque senza
-esagerazione, e sopra tutto padroni di sè, pronti a mutar registro
-secondo l’umore della dama, e desiderosi soltanto di non riescirle
-noiosi. Vedete? — soggiunse ella ridendo. — Non c’è spirito di
-corporazione, tra le donne, ed io tradisco per voi i segreti delle mie
-sorelle in Eva.
-
-— Sarà come voi dite, signora. Ma che fatica ha da essere questa!
-E come è poco degna di omaggio una donna per cui sia necessaria
-quest’eterna finzione! Io ho intravveduta nei miei sogni una donna più
-alta; una donna profondamente buona....
-
-— Con voi, non è vero? E molto cattiva con gli altri, non è vero anche
-questo?
-
-— No, semplicemente austera con tutti; — rispose Aldo, punto nel vivo
-da quella osservazione maliziosa, che scopriva il lato debole del
-suo argomento. — Se si ha da vivere per l’amore, perchè non volerlo a
-dirittura profondo, immenso, esclusivo?
-
-— E tragico per giunta; — notò la signora Vezzosi.
-
-— No, piuttosto epico, — ribattè Aldo De Rossi, — con qualche cosa di
-sacro, come in tutti i grandi poemi. La Dea s’innamora d’un mortale, ma
-è sempre Dea e non esce mai dalla nuvola. Infine, si può amare un uomo,
-senza lasciarsi amare da cento. Che gusto ci provano le donne a tanta
-varietà, e, diciamolo pure, a tanta volgarità d’incensi?
-
-— La ragione l’avete detta voi; — rispose la signora Vezzosi. — Non
-si tratta d’una Dea? Le Dee antiche gradivano ogni sorta d’incensi,
-badando poco al valore dell’aroma e molto alla divozione con cui era
-offerto. Del resto, signor Aldo, voi siete poeta e andate facilmente
-alle esagerazioni, sognate ad occhi aperti, come accade a tutti i
-poeti. Ora, io, per debito d’amicizia, vi avverto d’una cosa. La donna
-che avete sognata.... non esiste.
-
-— Ah! lo credete? — esclamò il De Rossi.
-
-— O se pure esiste, — proseguì la signora Elena, — voi le siete passato
-accanto e non vi siete accorto di nulla. —
-
-Il colpo era forte e andava forse più oltre che la signora Vezzosi non
-avesse voluto. Anche lei, senza avvedersene, lavorava contro Camilla.
-Eppure, lo ricordate, la signora Elena era andata a Montecatini col
-nobile proposito di aiutare il De Rossi. Ma già, abbiate pure un pan di
-zucchero al posto del cuore, il fegato, suo vicino, ci rovescerà sempre
-addosso qualche cosa d’amaro. È sempre spiacevole di dover lavorare ai
-propri danni, quando si sperava di poter fare tutt’altro.
-
-Aldo De Rossi non era uno sciocco, vi prego di crederlo, e lo era
-solamente per quella parte in cui lo sono tanti uomini di valore;
-cioè a dire quando amano e con la persona che amano. Perciò intese
-facilmente il senso riposto delle parole che la signora Elena aveva
-buttate là in un impeto di cattivo umore, e, come potete immaginarvi,
-rimase un pochino sconcertato. Lì per lì, quasi per debito di cortesia,
-avrebbe voluto dirle: — «avete ragione.» — Ma non sarebbe stato un far
-torto alla signora Camilla? Ed egli, così raffinato nel suo modo di
-pensare, tanto raffinato da dar dei punti ad un teologo della scuola
-bisantina, si tenne in corpo la sua cortesia, ottenendo così il bel
-risultato di parer sciocco due volte.
-
-— Ma via, — ripigliò la signora Elena, dopo un istante di pausa, —
-noi forse giudichiamo male Camilla. Cioè.... — soggiunse, — diciamo le
-cose come stanno; siete voi che la giudicate, mentre io non fo altro
-che ragionare sui vostri giudizi. Camilla sarà benissimo capace di
-amare sul serio, e sotto quell’apparenza di leggerezza ci sarà, c’è di
-sicuro, una forza di sentimento che voi ora non sospettate neppure. Ma
-bisognerà toccare il suo cuore con qualche impresa maravigliosa, escire
-senz’altro dal comune. Quell’aria di malinconia che voi avete presa per
-livrea d’amore, non vi basterà, ve lo dico io, non vi basterà. Dio sa
-quanti altri avranno tentato di piacerle con quelle forme romantiche!
-Se sapeste come fanno ridere, quegli atteggiamenti da poeta moribondo!
-La donna vuol esser padrona, ma non vuole passare per tiranna, nè
-essere obbligata ogni giorno a scolparsi, o a dare una costituzione. E
-quell’uomo che mostra di soffrire per ogni cosa da nulla....
-
-— Vi prego, — interruppe Aldo, — dite quell’uomo che soffre davvero.
-
-— Peggio che mai! — ribattè la signora Vezzosi. — Quell’uomo che soffre
-davvero per ogni cosa da nulla, che cosa non soffrirà e che cosa non
-farà soffrire tutti i giorni, ad una donna che sarà tanto debole per
-concedergli il suo cuore? A questo pensa una donna, ed ha ragione
-a pensarci in tempo, perchè il pensarci poi non le gioverebbe più
-a nulla. Sappiate, signor Aldo, che le donne non amano le tragedie;
-qualche volta ne fanno, ma senza avvedersene, come quel personaggio
-di Molière, che faceva della prosa robusta senza saperlo. Dunque,
-mi raccomando, non siate malinconico. È un vizio pericoloso, perchè
-correrete il rischio di non parerle originale, ma una copia, fors’anche
-una brutta copia, di cento e cento altri.
-
-— Sarà benissimo così! — rispose il De Rossi, chinando la testa. —
-Proverò ad essere allegro. Ma sarò anche qui poco originale.
-
-— Perchè?
-
-— Perchè sarò una copia di lei. Non sentite com’è gaia? Ci ha sulle
-labbra il riso stereotipato, quest’oggi. —
-
-La signora Elena non potè trattenersi dal ridere, a quella osservazione
-bizzarra.
-
-— Sì, è vero; — diss’ella. — Ma sarà meglio imitar lei che altri.
-Camilla non si accorgerà del plagio, e accoglierà volentieri
-quell’umore che sarà più conforme al suo. Vi torna?
-
-— La riflessione è giustissima; — rispose il De Rossi. — Purchè mi
-venga fatto di seguire il vostro consiglio!
-
-— Lo potrete, se vorrete. E poi, badate, ci avete obbligo, anche per
-un’altra ragione. Stando sempre così imbronciato, fareste torto a me,
-che non lo merito.
-
-— A voi? E come?
-
-— Ma sicuro! Si dirà che noi abbiamo portato a Montecatini un orso,
-e un orso male addomesticato. Suvvia, state allegro, siate forte, e
-combattete da uomo leale.
-
-— Grazie! — esclamò Aldo, allungando la mano per stringer quella della
-signora Elena, che posava ancora sul suo braccio.
-
-Erano giunti allora davanti alla succursale dell’albergo della Pace.
-La signora Camilla e il contino Anselmi avevano già fatto alto, per
-aspettare il resto della comitiva, e frattanto l’Anselmi prendeva
-commiato dalla signora, poichè egli doveva tornare indietro, essendo ad
-alloggio all’albergo della Torretta. Si avvide la signora Camilla della
-stretta di mano che Aldo aveva data alla signora Vezzosi? Forse sì,
-forse no; il che significa che non potrei starvene mallevadore.
-
-
-
-
-X.
-
-
-Ogni tempesta ha i suoi riposi, come i raggi solari hanno i loro
-intervalli opachi. Ed io metto avanti questi dotti paragoni, per dirvi
-una cosa molto comune, cioè che, dopo tanti spasimi di gelosia, Aldo De
-Rossi ebbe qualche ora di tregua. Il contino Anselmi alloggiava lontano
-dalla Pace, e si aveva la bella prospettiva di non rivederlo così
-presto. Prima di tutto, non c’era da vederlo a colazione, anche perchè
-le signore usavano farla nelle loro camere. Seguivano le ore calde
-della giornata, che erano caldissime a Montecatini, e che si solevano
-passare riposando, e mettendosi poi in fronzoli per la solenne comparsa
-nella sala da pranzo. Aldo De Rossi respirò a larghi polmoni pensando
-per la seconda volta che l’Anselmi pranzava alla pensione Birindelli,
-ed attese con bastante tranquillità l’ora di rivedere la signora
-Camilla.
-
-Per altro, qualche minuto prima della chiamata, scese nella sala
-da pranzo, per riscontrare sugli anelli di bosso che cerchiavano i
-tovaglioli il numero delle camere occupate dal presidente Roberti e
-dalla signora Rivanera. I posti dei nuovi venuti erano un po’ troppo
-distanti da quelli che occupavano i Vezzosi; ed era naturale, poichè
-erano giunti due giorni dopo di loro all’albergo. Ma il nostro eroe,
-che aveva spirito abbastanza, quando non si trovava a discorrere con
-la signora Camilla, si raccomandò in tempo al direttore, perchè il
-presidente Roberti e sua nipote fossero avvicinati ai loro concittadini
-ed amici. Inutile il dire che questa ragione persuase il direttore e
-che il desiderio di Aldo fu prontamente appagato.
-
-Così avvenne che, mentre egli era già seduto a tavola, al fianco della
-signora Elena, potesse vedere il presidente gran croce e la signora
-Camilla entrare nella sala da pranzo, venire innanzi cercando con gli
-occhi i loro numeri a tutti i posti liberi, e finalmente sedersi di
-rimpetto ai signori Vezzosi.
-
-— Ah bene! — esclamò il presidente Roberti, volgendosi alla signora
-Elena e al commendatore Gerardo. — Siamo vicini di tavola.
-
-— Presidente, ecco una buona parola per noi; — rispose il Vezzosi. —
-Noi ringrazieremo due volte la sorte. —
-
-La signora Camilla, elegantissimamente vestita, come l’uso voleva, era
-molto tranquilla, e direi quasi un tantino contegnosa. Non si sentiva
-più il riso argentino che aveva tanto dato sui nervi al signor De Rossi
-sette ore prima, e la sua parola era sobria come lo sguardo. Meglio
-così! Cioè, niente affatto. L’uomo innamorato è così facile a trovare
-argomenti di pena, che il signor Aldo rimpianse le schiette risate del
-mattino. O perchè doveva averne il privilegio l’Anselmi? E non era
-il caso di sorridere anche un pochino a lui, che pure s’industriava
-a trovare sempre nuove gentilezze da dire alla signora Camilla e al
-presidente gran croce?
-
-Veramente, quelle sue gentilezze non erano tali da destare il buon
-umore della dama. Aldo De Rossi aveva quel giorno il complimento con
-lo strascico, cioè niente spigliato e niente gaio. Se ne avvide egli
-stesso, e se ne avvide con lui la signora Vezzosi, che si fece a
-punzecchiarlo leggermente, per obbligarlo a rispondere e a trovare nel
-suo cervello qualche cosa di meglio. Aldo De Rossi non riuscì ad essere
-arguto, ma volle almeno essere gaio, e lo fu con ostentazione, che è
-come dire senza grazia. In verità, la signora Vezzosi aveva portato a
-Montecatini un orso male addimesticato.
-
-Finito il pranzo, si andò in giardino a prendere il caffè. Era
-tempo. Il commendatore Gerardo abbrancò il suo presidente gran croce
-ed attaccò senza misericordia una delle sue predilette questioni
-politiche. La signora Vezzosi e la signora Rivanera sedettero l’una
-accanto all’altra. Aldo si piantò al fianco della signora Camilla ed
-ebbe la fortuna di poterle offrire lo zucchero. Ma c’era presente la
-signora Elena e il povero Aldo non trovava modo di fare un discorso
-tenero, che lo compensasse della impossibilità in cui era, di fare un
-discorso arguto. Come Dio volle, capitò in giardino Alcibiade primo, o,
-per dire più esattamente, il cavaliere Sestavalle, che occupò subito
-il posto vuoto accanto alla signora Vezzosi. E questa non lo lasciò
-troppo lungamente in ozio. A mala pena ebbe trangugiato il caffè,
-sotto pretesto di veder da vicino una pianta, che egli sosteneva fosse
-un _Hibiscus siriacus_ ed ella _Hibiscus liliiflorus_, si mosse per
-andarla a vedere da vicino. M’è occorso di dirlo un pretesto, e forse
-lo era; certamente parve tale al De Rossi, che diede una rifiatata di
-contentezza e mandò una benedizione al ricapito della signora Vezzosi.
-Povera signora, come ne avrebbe fatto volontieri di meno!
-
-Aldo meditava già un madrigale in prosa, quando la signora Camilla
-entrò a parlargli del Tettuccio e della gran folla che ci aveva
-trovata.
-
-— Troppa gente, è vero, troppa gente! — diss’egli, sospirando. — Io non
-vedevo il momento di tornar via.
-
-— Ah! — esclamò la signora. — Ho dunque toccato una corda sensibile?
-Dimenticavo che siete un filosofo, e che amate anche molto le dispute.
-
-— Io? Da che l’argomentate?
-
-— Ma! Se non altro, dall’ardore con cui avete sostenuta la
-conversazione, dal Tettuccio fino all’albergo.
-
-— Non si parlava di filosofia; — rispose Aldo, turbato da quell’accenno
-inatteso e non sapendo lì per lì che cosa dovesse pensarne. — La
-signora Vezzosi non ama questi discorsi. E in verità, — soggiunse egli,
-sforzandosi di dare un giro più allegro al discorso, — nessuna signora
-li gradirebbe. Si è parlato invece di tante cose; ma, prima di tutto, e
-più di tutto, s’è parlato di voi.
-
-— Di me? Pure, non mi sono sentita fischiare gli orecchi; — notò la
-signora Camilla ridendo.
-
-— Almeno il sinistro avrebbe dovuto fischiarvi, — replicò Aldo De Rossi.
-
-— Perchè il sinistro?
-
-— Perchè, secondo il proverbio toscano, quando fischia l’orecchio
-diritto, il cuore è afflitto, ma quando fischia l’orecchio manco il
-cuore è franco.
-
-— Eh, a questi patti, non dico di no; — fece la signora Camilla,
-appoggiando la frase con un leggero movimento del capo. — Ma forse
-non ho potuto sentirlo, perchè il suono si confondeva col ronzìo delle
-vostre parole.
-
-— Signora mia, — rispose Aldo, sospirando, — perchè non ho io il suono
-argentino del vostro sorriso, che mi giungeva stamane all’orecchio,
-più dolce d’una musica celeste? Voi siete lieta ed io triste, ecco
-il guaio. Ma mi correggerò, non dubitate, mi correggerò. Amo meglio
-parervi uno sciocco, come ce ne sono tanti nel mondo, anzi che un
-filosofo. Che cosa non farei, per meritare la vostra stima? —
-
-Aldo De Rossi tirò giù tutta quella roba in fretta e in furia, per una
-ragione che i miei lettori avranno già indovinata. Egli voleva dire
-e non aver l’aria di dire ciò che pensava delle moinerie di madonna
-col contino Anselmi; perciò, a mala pena gli era sfuggita l’allusione,
-andava via affastellando chiacchiere, affinchè ella non si fermasse a
-pensarci su.
-
-Ma la signora Camilla non mostrò neanche di aver notata la cosa.
-
-— La mia stima! — diss’ella, guardando il signor Aldo con aria di
-stupore. — E per che farne?
-
-— Ma.... — rispose egli. — Per averla.
-
-— Ah sì, — replicò la signora Camilla, increspando le labbra ad un
-risolino sarcastico, — dimenticavo che amate le collezioni.
-
-— Io, signora?
-
-— Oh, non c’è niente di male, e non occorre che mi guardiate con quegli
-occhi stralunati. Siete come l’ape, che raccoglie da tutti i fiori il
-suo miele. —
-
-Aldo si sentì ferito nella sua dignità.
-
-— Questo paragone, poi.... — esclamò egli, rizzando la testa.
-
-— Per caso, — ripigliò la signora Camilla, — vorreste essere paragonato
-piuttosto ad un raccoglitore di francobolli?
-
-— Non è più di moda; — rispose Aldo, mordendosi le labbra. —
-Quantunque, anche un francobollo, per metterlo sopra una lettera....
-nella quale io vi dicessi....
-
-— Ho capito, — interruppe la signora, — ho capito. Quello che gli
-uomini dicono a tutte le donne che hanno la bontà di lasciarselo dire.
-No, no, signor De Rossi, smettete; non mi fate prendere in uggia i
-francobolli.
-
-— A Dio non piaccia; — rispose Aldo, stizzito. — Son tanto carini, i
-francobolli! —
-
-Dopo questo dialoghetto agrodolce, ci fu, come potete immaginarvi,
-una pausa. Aldo rotava gli occhi come un cane rabbioso. Non si
-muoveva dalla sedia, ma il suo spirito faceva le volte, come il leone
-in gabbia, o, se vi piace meglio, rodeva il morso, come un cavallo
-frustato. Quanti animali tirati in ballo, per descriverne uno solo, che
-in quel punto non era neanche «grazioso e benigno!»
-
-La signora Camilla fu la prima a rompere quell’uggioso silenzio.
-
-— Siete in collera? — gli disse. — Vi avverto che diventereste brutto.
-
-— Meno male che non lo sono ancora, ai vostri occhi! — rispose Aldo,
-aggrappandosi prontamente a quel filo che essa gli porgeva in buon
-punto. — Ma in verità, signora mia, siete molto crudele, coi vostri
-paragoni.
-
-— Sono schietta, signor De Rossi, e dovete adattarvi a prendermi come
-sono, o a lasciarmi. Alla mia età non si cangia più tanto facilmente.
-
-— Dio buono! Si direbbe, a sentirvi, che avete quarant’anni.
-
-— Eh, se vi pare che io li abbia, siano pure quaranta. A voi; quanti me
-ne ne date?
-
-— Non saprei. Ventuno.
-
-— Ecco un’esagerazione! Dite almeno venticinque.
-
-— Diciamo venticinque, sebbene io non lo creda. Una rosa non sarebbe
-più fresca di voi. —
-
-La signora Camilla diede in un’allegra risata, che ricordò al De Rossi
-i suoni argentini di ott’ore prima.
-
-— Bel paragone! — esclamò poscia. — Lo metterò insieme coi miei.
-
-— Signora, che cosa ho detto di male?
-
-— Niente, niente. Una rosa a ventun anno! Ha da essere proprio fresca!
-
-— È vero, — rispose Aldo, con aria contrita. — Vedete da questo esempio
-che i paragoni non tornano mai ad esprimere giustamente il pensiero.
-Mutiamo discorso, signora; — soggiunse egli, vedendo la signora Elena,
-che ritornava dal fondo. — Verrete stasera al Casino? È il ritrovo
-universale.
-
-— Credo che ci andremo. Ne hanno parlato a mio zio ed egli non ha detto
-di no.
-
-— Ah, bene! — esclamò Aldo. — Come risplenderà il Casino, questa sera!
-
-— Altra esagerazione! — disse la signora Camilla. — Quando vi
-correggerete, signor De Rossi? Una donna non può mica crederle, queste
-cose!
-
-— Ma un uomo può pensarle, — rispose Aldo, — e quando le pensa, può
-dirle. —
-
-L’arrivo della signora Elena pose fine a quella conversazione senza
-sugo. Mentre le signore ne ripigliavano un’altra, anche più vana di
-quella, Aldo andava ruminando tra sè chi mai potesse aver invitato al
-Casino il presidente Roberti. E gli passò per la mente quell’antipatica
-figura del contino Anselmi. Ma come poteva l’Anselmi essere stato alla
-Pace, tra la colazione ed il pranzo? Una visita cosiffatta, due ore
-dopo l’incontro del Tettuccio, non sarebbe stata di buon gusto. Ma già,
-è proprio necessario che gli uomini seguano tutti, e sempre, le norme
-della buona compagnia? Il contino Anselmi era poi così sciocco!
-
-Per fortuna del signor De Rossi, ed anche del contino Anselmi, la
-cui fama ne scapitava un poco, nell’animo del nostro innamorato, il
-commendatore Gerardo, nell’atto che la compagnia esciva dal giardino
-per ritornare in casa, disse alla signora Camilla:
-
-— Speriamo di rivedervi tra poco. Il presidente ha promesso di venire
-al Casino, e _promissio boni viri est obligatio_, anche per la sua
-bella nipote. —
-
-Aldo De Rossi respirò. L’invito era stato fatto dal commendatore
-Gerardo. E, per quel momento almeno, il contino Anselmi ricuperò la sua
-fama.
-
-Mi chiederete perchè Aldo De Rossi, geloso com’era, fosse il primo a
-pregare la signora Camilla di andare quella sera al Casino. Lettori
-umanissimi, se voi siete gelosi della buona specie....
-
-Ma qui bisogna interrompere il discorso e fare una parentesi. C’è, in
-materia di gelosia, la buona specie e la cattiva. La cattiva è quella
-gelosia feroce, bestiale, che, oltre all’essere irragionevole, riesce
-anche offensiva per la donna a cui è particolarmente dedicata. La
-buona è quella gelosia che, senza essere niente più ragionevole, non
-va tuttavia agli eccessi, alle sfuriate dell’altra, ma si chiude nel
-cuore dell’uomo innamorato, facendogli vedere un rivale in ogni uomo
-che s’avvicini alla donna amata, un pericolo in ogni oggetto, animato
-o inanimato, fosse pure un palo di telegrafo. Questa forma di gelosia
-è stata poeticamente tratteggiata in un’arietta della _Sonnambula_:
-«Son geloso del zefiro amante» a cui ho l’onore di rimandarvi, per
-maggiori cognizioni. Vi avverto frattanto che, buona o cattiva specie,
-fanno soffrire tutte e due ad un modo, e v’auguro di non essere mai
-gelosi, nè d’una specie, nè dell’altra. Ma se, per vostra disgrazia,
-siete gelosi, e gelosi della buona specie, vi sarà certamente avvenuto
-di rizzar muso, di consacrare qualcheduno agli Dei infernali, di
-voler morire, o almeno di non saper più come vivere, di meditare i
-più tristi disegni, come quello di andare in Cina, di chiudervi alla
-Trappa, e di fare tante altre belle cose di questo genere. Ma poi, una
-parola improvvisamente più umana della donna amata, o una guardatina,
-un sorrisetto ironico da cui trapelasse un’ombra di affetto, mandava
-subito in aria i tremendi propositi. E allora, quasi in atto di
-pentimento, ed anche un pochino per dimostrare a voi medesimi la
-vostra bella sicurezza di spirito, offrivate alla dama un compenso
-delle offese che non le avevate pur fatte, delle malinconie che non
-v’erano escite dall’anima, e la pregavate o la esortavate a prendere un
-passatempo, il cui solo pensiero vi avrebbe fatto maledire, poche ore
-prima, l’esistenza e l’amore.
-
-In questa condizione di spirito era il signor Aldo De Rossi. Del
-resto, non era ammissibile che la signora Camilla potesse rimanere a
-Montecatini senza andare al Casino, ed anche un bel numero di volte.
-Quello era l’unico luogo di ritrovo per il forastiero che non volesse
-morire di noia. Le dame ci avevano la sala dei concerti e del ballo;
-i giovinotti ci avevano il biliardo; gli uomini stagionati la sala da
-giuoco; tutti poi la sala di lettura, per dare un’occhiata ai giornali,
-che Iddio misericordioso prosperi chi li legge, e perdoni a chi li
-scrive.
-
-
-
-
-XI.
-
-
-Erano le nove di sera, quando la signora Camilla escì dalla sua
-camera e scese nell’atrio, in compagnia della signora Vezzosi. Aldo
-passeggiava da un’ora sul marciapiede, avendo l’aria di godersi
-il fresco, che scendeva da Montecatini alto, lungo lo stradone dei
-bagni. Appena ebbe vedute le dame, affrettò il passo, fece un saluto
-e un complimento premeditato, indi si accompagnò a loro, per andare
-dall’altra parte della strada, dov’era la Locanda maggiore, con
-l’attiguo stabilimento del Casino.
-
-La signora Camilla aveva accettato il braccio del commendatore Gerardo;
-la signora Elena quello del presidente Roberti. Aldo trovò che era una
-disposizione eccellente di coppie; ma non pensò a fare la terza col
-cavaliere Sestavalle, e marciò da fiancheggiatore, un po’ indietro alla
-signora Camilla, un po’ avanti alla signora Elena, dicendo a tutt’e
-due le cose più garbate del mondo. Era allegro, per una volta tanto, e
-aveva trovata la nota giusta.
-
-Si entrò al Casino. Il commendatore Gerardo, che era già socio da
-due giorni, presentò e fece iscrivere sull’albo S. E. il presidente
-Roberti. Indi la comitiva penetrò nelle sale.
-
-Il luogo non risplendeva già per un lusso asiatico, e neanche europeo;
-ma era pulito, e questo era l’essenziale. La sala da ballo appariva un
-po’ nuda, ma ciò accresceva l’effetto dei lumi e non c’era niente da
-ridire. Tutto intorno correva un ampio, ma non troppo soffice divano;
-ed anche questo era fatto con previdente consiglio. Se fosse stato
-soffice, le dame si sarebbero troppo abbandonate con gli omeri alla
-spalliera, che brillava per la sua assenza, e si sarebbero tinte le
-spalle alla parete, imbiancata di fresco. Non dimentichiamo per altro
-che c’erano qua e là dei guanciali imbottiti di crino e che poteva
-esser cura di un attento cavaliere di trovarne uno, per metterlo a
-posto, tra la parete e la dama.
-
-La gran sala era già abbastanza popolata, quando vi giunse la comitiva
-che abbiamo l’onore di seguire. Lungo i divani stavano sedute quindici
-o venti signore, tutte col loro crocchio di amici e conoscenti, che le
-tenevano a chiacchiera. Una signorina sedeva al pianoforte, accennando
-timidamente un motivo d’opera, per dar motivo (scusate il bisticcio)
-a tre o quattro cavalieri, di dirle in coscienza che ella suonava come
-un angelo. Voi lo sapete pure, o lettori umanissimi, ci sono anche gli
-angeli che suonano il pianoforte.
-
-Si fece capannello intorno alla signora Elena, che era una vecchia
-conoscenza per i frequentatori del Casino. In una società che si muta
-e si rimuta ogni settimana, si è già vecchi amici nello spazio di
-due giorni. E la signora Camilla, nuovo astro apparso quel giorno nel
-firmamento della Valdinievole e già ammirato la mattina nella _kursaal_
-del Tettuccio, ebbe omaggio di fedeltà da tutti i sudditi della signora
-Vezzosi.
-
-Aldo De Rossi, fresco ancora della sua allegrezza, si adattò con buona
-grazia a tutte le premure di cui il nuovo astro era fatto argomento. Il
-contino Anselmi non c’era, ed anche questo era tanto di guadagnato. Si
-sopporta con pazienza una dozzina di nuovi cavalieri ossequiosi intorno
-alla donna dei vostri pensieri, quando non c’è quel tale, quell’unico,
-che v’ha dato sui nervi.
-
-Cionondimeno, perchè le galanterie più innocenti tornano uggiose ad
-un povero innamorato, Aldo si mosse di là, per dare una capatina nella
-sala del biliardo. La sala era piena di spettatori; anche i giuocatori
-dovevano essere molti, e tra essi il contino Anselmi, che si vedeva
-con la stecca in mano. O là, od altrove, bisognava aspettarselo; meglio
-dunque trovarlo là, ed impegnato in una partita alla corda.
-
-Sapete che cos’è il giuoco della corda? Parecchi giuocatori, che
-possono esser molti o pochi, lavorano a mettersi in bilia l’un l’altro,
-ognuno di loro essendo l’avversario naturale di quello che ha tirato
-prima di lui. Ogni giuocatore ha sul principio del giuoco tre punti, i
-quali, per essere segnati dall’apertura di tre numeri su d’una tabella
-addossata al muro, si chiamano occhi. Il giuocatore, che tira dopo di
-voi, mette la vostra palla in bilia? Il segnatore vi chiude un occhio,
-facendo scorrere una listerella di legno sopra uno dei tre numeri
-progressivi che si leggono l’uno di costa all’altro, presso il numero
-d’ordine che voi avete nel giuoco; e così di seguito fino al tre, se
-avete la disgrazia di essere messo in bilia tre volte; nel qual caso
-escite di giuoco, restando in combattimento i più fortunati. È la
-_poule_ dei francesi, e si dice corda in Italia, per il nome di quella
-linea che s’immagina tirata da mattonella a mattonella ai due quarti
-di cima e di fondo del biliardo. Di qua dalla linea deve stare chi
-s’acchita, come chi s’imposta, per battere la palla dell’avversario.
-Donde il modo: _stare in corda_, che significa non collocare la propria
-palla, prima di batterla, oltre il limite assegnato.
-
-Aldo stette un minuto nel vano dell’uscio, a vedere l’andamento del
-giuoco. In questo breve spazio di tempo salutò l’Anselmi, che gli rese
-distrattamente il saluto. Ogni giuocatore essendo chiamato per numero
-d’ordine, Aldo potè riscontrare sulla tabella il numero dell’Anselmi e
-vedere per giunta com’egli avesse ancora i suoi tre occhi liberi; dalla
-quale osservazione era facile cavare la conseguenza che l’Anselmi fosse
-impegnato per molto tempo, essendo i combattenti in numero di quindici.
-
-Fatta questa rassegna, senza aver aria di nulla, Aldo De Rossi diede
-una giravolta sui tacchi e ritornò nella sala da ballo.
-
-Un maestrino di buona voglia era andato a sedersi al pianoforte e
-s’improvvisavano i quattro salti d’obbligo. Aldo si sentì battere il
-cuore, pensando che avrebbe fatto il primo _valzer_ con la signora
-Camilla. Questo era per l’appunto il suo disegno; ed egli, descritto
-per la sala il giro maestro che il falcone descrive nell’aria prima di
-piombare addosso alla preda, si avanzò difilato verso la dama.
-
-— Giungo in tempo, — le disse, col tono più dolce che gli venisse
-fatto di dare alla sua voce, — per chiedervi l’onore d’un giro di
-_valzer_? —
-
-Quello del giungere in tempo era un modo di dire. Egli, in fatti,
-era sicuro di essere il primo, poichè il maestro non aveva ancora
-attaccato.
-
-E tuttavia il povero Aldo si sentì rispondere:
-
-— Ahimè, no, signor De Rossi; sono impegnata. —
-
-Egli non potè reprimere un gesto di meraviglia.
-
-— Così presto? — esclamò. — Incominciano appena adesso a suonare.
-
-— Giustissimo; — replicò la signora Camilla. — Ma sono impegnata da
-stamane.
-
-— Ecco ciò che si chiama non perder tempo; — notò Aldo, sforzandosi di
-sorridere. — E chi è il felice mortale?
-
-— Oh, se sia felice, non so, e dovrà pensarci lui. Vedetelo là che
-viene. Le prime battute del _valzer_ lo hanno fatto escir fuori. —
-
-Aldo aveva già indovinato, fin dalle prime parole della signora
-Camilla. Alzò gli occhi macchinalmente, per guardare dov’ella
-accennava, e vide il contino Anselmi, che entrava nella sala da ballo,
-mettendosi i guanti alla svelta.
-
-Il contino attraversò la sala col passo misurato e sicuro d’un
-trionfatore romano, che pensa esser gli occhi della folla rivolti su
-lui e vuol farci una buona figura. Giunto davanti alla signora Camilla,
-si piegò in due, con un amabile scorcio di vita, mentre finiva di
-mettersi i guanti; le chiese anzi tutto notizie della sua salute, indi
-le rammentò la promessa del mattino.
-
-— Signora — le disse, tra l’altre cose, — stamane pretendevate che,
-ad invitarvi così presto per un giro di _valzer_, non mi sarei più
-rammentato dell’invito. Eccomi qua, puntuale come Don Ruy Gomez de
-Silva, a ricordarvi la vostra promessa. —
-
-La signora Camilla sorrise e si alzò. Il contino Anselmi la prese
-per mano; indi, fatti con lei due passi verso il mezzo del salone,
-le rigirò un braccio intorno alla vita, e via, con la più graziosa
-scivolata del mondo.
-
-Aldo era rimasto a vedere. Ma il poverino ci aveva un diavolo per
-occhio.
-
-La signora Vezzosi lo trasse in buon punto dalle sue dolorose
-meditazioni.
-
-— Orbene, signor Aldo, — diss’ella, — è così che m’invitate a ballare?
-
-— Signora... — balbettò egli, confuso, — non siete voi impegnata?
-
-— Da voi, signor De Rossi; — rispose la signora Vezzosi. — Non ve ne
-rammentate?
-
-— L’avevo preveduto, che la signora, era impegnata; — soggiunse un
-cavaliere lì presso. — E infatti, stavo a vedere....
-
-— Chi sta a vedere vuol far poca strada; — mormorò la signora Elena,
-mentre prendeva il braccio di Aldo. — Del resto, — soggiunse, — se voi
-non ballate, De Rossi...
-
-— Come? come? — interruppe Aldo, richiamato da quelle parole al
-sentimento del suo dovere. — Non ballo, io? Ballo come... aiutatemi a
-dire.
-
-— Come un povero pazzo che siete; — gli sussurrò essa all’orecchio,
-nell’atto di mettergli la mano sull’òmero. — Se non c’ero io a
-salvarvi, facevate una bella figura. —
-
-Aldo non ebbe mestieri di chiedere in che consistesse la brutta figura
-che aveva corso il rischio di fare, e ringraziò in cuor suo la signora
-Elena di averlo levato da un atteggiamento, che era d’uomo imbronciato,
-ma poteva diventare d’uomo ridicolo.
-
-Si diede allora per disperato all’ebbrezza del _valzer_, e descrisse
-tante volte il giro della sala, che nessun altro cavaliere potè
-durarla al suo paragone. Egli, per altro, non guardava che la signora
-Camilla, e si sarebbe detto che la inseguisse, quando era lontana,
-e la precedesse, per tornarla ad inseguire. Dopo cinque minuti di
-quella corsa pazza, vide la signora Camilla arrestarsi; poco dopo
-ella era tornata al suo posto. Evidentemente era stanca, e l’essersi
-rimessa a sedere dimostrava che non avrebbe più ripigliato il ballo.
-Aldo continuava a girare, dandosi pensiero della sua dama, come io e
-voi del Gran Turco. Egli pensava invece a quel maledetto Anselmi, che
-aveva trovato modo d’impegnare la signora Camilla fin dalle dieci del
-mattino. Lo vedeva nella sala del biliardo, intento al giuoco della
-corda; poi lo vedeva comparire nel salone, coi guanti mezzo infilati,
-alla prima battuta del _valzer_. Come diamine aveva potuto spiccarsi
-dal giuoco? Non ci voleva una grande perspicacia ad indovinarlo. Il
-giuoco della corda è proprio quello che si può abbandonare quando si
-voglia, e con molto gusto dei compagni, poichè, lasciandolo a mezzo, si
-perde il posto e la posta.
-
-Maledetto Anselmi! Aldo De Rossi voleva conciarlo per il dì delle
-feste. Ma come? L’occasione, ci voleva, o almeno almeno il pretesto.
-
-Credete, lettori, che un pretesto di litigio sia sempre facile a
-trovare? Anche un mio amico era di questa opinione. Sentiva una
-profonda antipatia per un tale, che non gli offriva mai occasione
-d’attaccarla, anzi, quante volte lo incontrava (e s’incontravano
-spesso, nel salotto di una bella signora), gli faceva un mondo di
-cortesie. E non già per paura che avesse di lui; che anzi era celebrato
-come un cavaliere assai forte nel punto d’onore ed espertissimo
-tiratore di pistola. Al mio povero amico questa celebrità non metteva
-mica i brividi in corpo. Voleva leticare con lui, voleva trovare
-un appiglio, che non lasciasse campo a sospettare la vera cagione
-dell’alterco. Lo appostò un giorno in una sala di trattoria, trovò il
-modo di sedersi ad una tavola vicina alla sua, e lì, a bruciapelo, tra
-il lesso e l’arrosto, gli scaraventò la sua frase:
-
-— Signor tale, è vero quel che si dice da certi sciocchi imprudenti,
-che voi preferite la mostarda francese alla inglese? —
-
-Quell’altro lo guardò sì placidamente, come egli lo aveva guardato
-ferocemente, e gli rispose con la sua gentilezza consueta:
-
-— Mio signore, io non ho ancora su questo punto un’opinione formata;
-e su questo, come su tanti e tanti altri, mi atterrò volontieri alla
-vostra. —
-
-Dopo otto minuti di giri e rigiri, la signora Elena si dichiarò vinta
-e manifestò il desiderio di riposarsi. Aldo, continuando a girare, la
-condusse più presso al divano, e là si fermò sui due piedi, come un
-ballerino di cartello, ma non per ricevere gli applausi.
-
-Camilla era là, e accolse l’amica con un leggiadro sorriso.
-
-— Che ferocissimo valzer, mia cara! — le disse. — Sarai stanca?
-
-— Non tanto, ma mi girava un pochino la testa e da qualche minuto mi
-facevo quasi portare dal mio fortissimo cavaliere.
-
-— Il signor De Rossi è un fiero ballerino al cospetto di Dio; — disse
-una voce, presso alla signora Camilla.
-
-Aldo alzò gli occhi a guardare. Il contino Anselmi non era più là,
-ed egli vide in sua vece Alcibiade primo, il cavaliere Sestavalle.
-Aveva già aggrottate le ciglia, il signor Aldo degnissimo; ma vedendo
-il posto vuoto, e riconoscendo che il complimento gli era fatto dal
-Sestavalle, spianò le rughe e sorrise.
-
-Il caso era strano; almeno, gli pareva tale. Perchè era partito il
-contino Anselmi dal fianco della signora Camilla? Di certo, essa gli
-aveva detto di non voler più ricominciare; ma era questa una ragione
-per andarsene via?
-
-— Ecco un uomo che non vuol perder nulla; — pensò Aldo tra sè. — È
-ritornato al biliardo, per ripigliare la partita. —
-
-Qui il signor Aldo De Rossi avrebbe potuto, e fors’anche dovuto,
-impegnare la signora Camilla per un altro ballo, poichè aveva perduta
-l’occasione di avere il primo. Ma, che volete? insensibilmente gli si
-era formato e cresciuto intorno al cuore un lago di amarezza. So bene
-che la cosa non è scientificamente vera; ma io vi descrivo l’effetto,
-o, per dire più esattamente, la sensazione. Quando si è in collera,
-quando si sente di non poter neanche guardare in viso la persona amata,
-allora, signori miei, si ha l’amaro al cuore, e tanto amaro, tanto
-amaro, che sembra di affogarci dentro.
-
-— Giuoca, giuoca! — borbottò egli tra i denti, volgendo gli occhi verso
-la sala del biliardo. — E la fortuna ti conceda di guadagnare anche
-laggiù la tua posta. —
-
-Parecchi cavalieri si erano avvicinati a complimentare le due dame.
-Aldo si scostò lentamente e finì col trovarsi davanti all’uscio della
-sala di lettura. Avete già capito che si avviò a quella volta; ma non
-vorrei lasciarvi nella falsa opinione che andasse là dentro per leggere
-un giornale. Aldo De Rossi non fece che passare; attraversò la sala
-d’ingresso e riuscì sul loggiato.
-
-La notte limpida e stellata parve recare un po’ di lume nella
-confusione delle sue povere idee. Ma sentite in che modo, e giudicate
-voi. Andando su e giù, e dopo aver dato due o tre stupide occhiate alla
-luna, che appariva allora allora tra i pioppi di Pieve a Nievole, e
-dopo aver mandato, non so bene se a lei o ad altra luce del firmamento,
-mezza dozzina di giaculatorie, il nostro eroe venne in questa opinione,
-che, non avendo potuto fare con la signora Camilla il primo ballo di
-quella sera, non poteva dicevolmente fare con lei il secondo, nè il
-terzo. Oramai, la poesia del fatto era sfumata. Anche lei, la signora
-Camilla, non doveva intenderlo e pensare come lui?
-
-Fortificato in questa idea, che gli parve luminosa, Aldo De Rossi diede
-una crollata di spalle, simile a quella che dovette dare Giulio Cesare
-quando fu per passare il Rubicone, e, senza aspettare un bicchiere
-di birra, che aveva domandato al cameriere in un breve intervallo di
-calma, infilò la scaletta scoperta che metteva nel cortile, e di lì,
-passando rapidamente per l’anticamera del Casino, giunse all’uscio di
-strada.
-
-Dove andava? In verità, non lo sapeva neanche lui. Voleva escire, non
-tornar più quella sera al Casino. Posto il piede all’aperto, aveva
-voltato a sinistra, come se volesse andare verso l’abitato; ma si pentì
-subito, e diede una giravolta a destra, per andare verso il Tettuccio.
-Al Tettuccio, alle dieci di sera! Signori miei, con quella stizza che
-ci aveva in corpo il nostro eroe, non è da badare a queste piccolezze.
-Del resto, la notte era splendida, e a fargli cansare una capata in
-quel tronco d’albero, o una stincata in qualche piuolo, c’era il lume
-della luna, che cominciava ad imbiancare la strada.
-
-E poi, quella era la _via crucis_ del suo povero amore. In un giorno
-solo, quanti ricordi dolorosi! Qui rideva — pensò egli, notando un
-pezzo di marciapiede, poco discosto dall’Acqua della Speranza, —
-rideva, forse per l’invito al ballo, che il contino Anselmi le andava
-facendo, in anticipazione di dodici ore. Ci sono degli uomini così
-pronti a cavar profitto da ogni circostanza! Ah, sì, perchè ci hanno il
-cuor libero. E le donne ci credono, a questi scettici gaudenti! E le
-donne ci s’ingannano, a questa padronanza di spirito, che sa mentire
-ogni affetto, significandolo con parole tanto più vive, quanto più è
-dato di studiarle liberamente! Commedia! Retorica! Non c’è infiltri
-espressione più calda di quella del commediante, che sa distribuire
-con arte i suoi chiaroscuri intorno alle frasi mandate a memoria, o
-mendicate dal monotono brontolìo del suggeritore appiattato nella buca.
-Non c’è eloquenza più ornata e più splendida di quella dei rètori,
-fatta a musaico e per mero esercizio letterario. A lui, poveretto, non
-soccorreva l’arte di Roscio, nè quella di Ermogene; la frase gli esciva
-rotta dal labbro, scaldata da un amore violento, tinta, direi quasi,
-del suo sangue; ed era negletta, derisa, o presa in mala parte da lei.
-
-Proseguendo il cammino, trovò un altro punto critico. Era davanti
-all’Acqua della Fortuna, alquanto sotto alle Terme Leopoldine. In quel
-punto alla signora Camilla era caduto dagli òmeri il suo sciallettino
-di pizzi di Fiandra; non del tutto, ma solamente si era allentato e
-sfuggiva da uno dei capi. Voleva rimetterlo a posto e non le veniva
-fatto. Ora, sapete che cosa aveva osato di fare il contino Anselmi?
-Ve la darei da indovinare alle mille, e voi, furbe lettrici, la
-indovinereste alla prima. Aveva osato aiutarla, prendere con le sue
-mani il capo dello scialle e ravviarlo sull’òmero della signora,
-forse sfiorandole il collo col sommo delle dita. Perchè gli uomini dal
-cuore libero ce le hanno, queste audacie fortunate; anzi, sono proprio
-loro che ne hanno il segreto. Lui, poveretto, al posto dell’Anselmi,
-sarebbe stato mal destro, non avrebbe ardito di toccare quel collo. A
-lui sarebbe occorso quello che accadde a Vittor Hugo, giovane, quando
-una bellissima compagna di passeggiata gli aveva detto di guardare che
-cosa la ci avesse sotto il mento, che le dava molestia. Il poeta aveva
-veduto un collo di neve, e su quel collo di neve un insetto color di
-rosa, picchiettato di nero. Meglio che l’insetto sul collo, avrebbe
-dovuto vedere il bacio che a lei tremolava sulla bocca; ma era giovane,
-aveva sedici anni, o giù di lì; si appressò tremante, colse l’insetto
-e lasciò sfuggire il bacio, della quale sciocchezza lo riprese
-l’animaletto arguto.
-
- «_Fils, apprends comme on me nomme_,»
- _Dit l’insecte du ciel bleu;_
- «_Les bêtes sont au bon Dieu,_
- «_Mais la bêtise est à l’homme_».
-
-Sì, il povero Aldo si sarebbe dimostrato in quella occasione uno
-sciocco, e il contino Anselmi si era dimostrato un uomo di spirito. Ma
-poteva la signora Camilla vedere in lui un innamorato? Ella ci aveva
-proprio allora un fatto da cui giudicarlo, se era una donna nulla
-nulla più accorta di tante sue sorelle in Eva. Il contino Anselmi
-aveva meditato il gran colpo di fare il primo ballo con lei; ma aveva
-aspettata l’occasione giuocando prosaicamente alla corda, e, finito il
-suo giro di valzer, e ricondotta la signora al suo posto, non aveva
-trovato a far altro di meglio, che tornare difilato nella sala del
-biliardo.
-
-Mentre pensava a ciò, prendendosi il magro conforto di un paragone tra
-lui e quell’altro, il nostro filosofo peripatetico (molto peripatetico,
-invero, e poco filosofo) s’imbattè in un altro personaggio, che veniva
-incontro a lui, sullo stesso viale. Si tirò da un lato, prendendo la
-sua diritta, e l’altro fece istintivamente lo stesso. Ma, come furono a
-pari, si riconobbero e si fermarono di botto ambedue.
-
-
-
-
-XII.
-
-
-— Oh, De Rossi, sei tu?
-
-— Io; — rispose Aldo, confuso, poichè aveva riconosciuto il contino
-Anselmi.
-
-— E come va? — ripigliò questi con la sua bella tranquillità di
-spirito. — Hai già lasciato il Casino?
-
-— Sì; — disse Aldo, più confuso che mai; — avevo bisogno d’una boccata
-d’aria.
-
-— Anch’io, vedi, anch’io. Del resto, m’era anche venuta una curiosità.
-Volevo vedere se una certa coppia di tortorelle innamorate si fosse
-data la posta lungo i viali dello stradone, e ho colta l’occasione per
-dare una sbirciatina qua sotto. —
-
-S’ingannavano a vicenda, e, quel ch’è peggio, se ne accorgevano
-ambedue. Ma i costumi della società son questi per l’appunto: lasciar
-credere quel che si vuole, purchè non si dica mai il vero e non si
-abbia mai l’aria di convenirne.
-
-— Ed io che ti credevo ritornato al biliardo! — esclamò, con accento
-ingenuo, il De Rossi.
-
-— Che! — rispose l’Anselmi. — Giuocavo per far ora. Il giuoco della
-corda è tanto noioso! Fortuna che lo si lascia quando si vuole.
-
-— Ed anche il ballo; — soggiunse Aldo, con un risolino che voleva
-parere sarcastico.
-
-— Sicuro, anche il ballo; — replicò l’Anselmi, con imperturbabile
-sicumèra. — Avevo promesso alla Rivanera di fare il primo ballo con
-lei. Del resto, anche il ballo mi annoia.
-
-— Ah, — disse Aldo, — le avevi promesso!...
-
-— Già, promesso stamane, ritornando dal Tettuccio. Ma sai, Aldo mio,
-che è una donnina adorabile? Intendiamoci, per altro; io non nego i
-meriti grandi della signora Vezzosi. Non vorrei, per nessuna cosa al
-mondo, avere una quistione con te.
-
-— Con me? E per qual motivo?
-
-— Dio buono, per un motivo semplicissimo; — rispose l’Anselmi,
-continuando la celia. — Parliamoci col cuore in mano, da buoni amici
-come siamo. Tu ami la Vezzosi; la Vezzosi ama te.
-
-— Baie! — disse Aldo, crollando la testa.
-
-— Me lo ha confessato; — replicò l’Anselmi.
-
-— Confessato! A te?
-
-— Parola d’onore, a me.
-
-— Allora, — disse Aldo, rassegnato, — bisogna dire che la signora
-Elena non abbia presa la via più speditiva. Io, vedi, non ne sono
-stato avvertito. Ma sia pure come tu dici; — proseguì il De Rossi, per
-ravviare il discorso; — non intendo ancora come potesse nascere una
-quistione tra me e te.
-
-— Ma sicuramente, bello mio, sicuramente, per naturale dissenso intorno
-al grado di bellezza delle due dame. Sai quel che accadeva nel Medio
-Evo? Un cavaliere si piantava al capo d’un ponte e gridava: Giuro
-per Dio che la castellana di Rocca Scura è la più bella donna della
-cristianità. Tu passavi da quelle parti; l’affermazione ti dava noia;
-ti avanzavi all’altro capo del ponte e rispondevi: Tu menti per la
-gola, cavalier disleale; la più bella e la più degna d’ossequio è la
-castellana di Rocca Stellata. Allora, mettevate le lancie in resta;
-si prendeva campo, e giù botte da orbi. Non vorrei, dunque.... siamo
-intesi? Quando io ti dico che la Rivanera è la bellissima tra le belle,
-tu devi vedere in questo giudizio il mio gusto particolare, che può
-essere ed è certamente diverso dal tuo.
-
-— Vigliacco! — pensò Aldo De Rossi. — Anche in amore, ci ha le
-restrizioni mentali. —
-
-Indi, ad alta voce, proseguì:
-
-— Ti faccio i miei complimenti. La signora Cam... la signora Rivanera è
-a mala pena arrivata, e tu ottieni di farti pregare da lei....
-
-— Ecco, non esageriamo; — interruppe modestamente l’Anselmi. — Ella non
-mi ha pregato di nulla.
-
-— Dicevi che t’ha fatto promettere....
-
-— È stato un modo di dire. Sta in fatto che io le ho promesso di
-trovarmi al Casino per il primo ballo; ma in fondo in fondo son io che
-l’ho impegnata. —
-
-Aldo respirò un tratto più liberamente; ma continuò a dissimulare, per
-averne l’intiero.
-
-— Fa lo stesso; — replicò. — La signora ha accettato l’invito,
-mostrando di credere che tu ti saresti dimenticato. Era un impegnarti a
-ricordartene; — notò Aldo, non senza un pochino d’amarezza. — Ma perchè
-non rimanere al Casino, per continuare?
-
-— Che! — gridò l’Anselmi. — Dio me ne scampi. In confidenza, Aldo mio,
-sappi che su questo proposito io ci ho un’usanza particolare, effetto
-di una certa teorica....
-
-— Ah sì? Sentiamo la teorica.
-
-— Eccola qua. Non bisogna star troppo ai fianchi di una donna a cui si
-fa la corte.
-
-— Questa è nuova di zecca. Tu credi che giovi l’assenza?
-
-— Qualche volta sì. Ma in generale torna più utile il tenersi preziosi.
-Ti pianti alle costole d’una dama? Le dài noia. Oppure, ella si scalda
-a quella vicinanza; perciò non ha tempo a vedere, a confrontare. E
-questo non sarebbe male, lo capisco; anzi ti metterebbe conto. Ma bada;
-mentre tu ti sei impegnato al giuoco, ella, che non ha confrontato
-prima, confronta più tardi; donde troppo spesso la conseguenza che tu
-vada innanzi ed ella torni indietro. Ti volti per dirle una parola più
-tenera? Addio, bella; è già lontana un miglio e non c’è verso di farla
-tornare. So questo per vecchia esperienza; ed anche ripetuta. Non me
-la fanno più. Dunque, ti ripeto, assenze, nel vero significato della
-parola, non ne consiglierei a nessuno; possono andarti bene, ed anche
-riuscirti pericolose. Ma una piccola scappata, una sparizione sotto le
-armi, come si dice in sala di scherma, è spesso la man di Dio.
-
-— Benedetta la tua scienza! — esclamò Aldo De Rossi. — Anzi, dirò
-meglio, la tua diplomazia.
-
-— Diciamo pure diplomazia; — rispose l’Anselmi, con aria di
-condiscendenza. — Eccone intanto un bel saggio. Ho fatto con la
-Rivanera il primo ballo; nota, il primo ballo della serata, il suo
-primo ballo a Montecatini. Questo, in linguaggio d’ingegneria, si
-chiama piantare la prima biffa, che servirà di traguardo per tracciare
-la strada. È molto probabile che la Rivanera si dimentichi con chi avrà
-fatto il secondo ballo, od il terzo; ma ella sicuramente ricorderà
-con chi avrà fatto il primo. Aggiungi che questa sera mi cercherà ad
-ogni tanto con gli occhi, per la naturalissima curiosità femminile,
-di sapere qual dama io abbia invitata dopo di lei. Infatti, c’è qui la
-diplomazia sopraffina, la diplomazia di seconda intenzione. Tu insegni
-a me, caro De Rossi, che quando si corteggia una donna, si finge
-spesso di non preferirla, e si incomincia da un’altra, per giungere
-a lei nel punto meno osservato. Le vere preferenze scattano fuori al
-secondo valzer, o alla seconda quadriglia; ma allora nessuno ci abbada,
-e il tuo giuoco rimane coperto, se hai la fortuna di non commettere
-una imprudenza troppo grave nel cotillon. Tu capisci già dove vado
-a parare. La Rivanera domanda tra sè quale sia la signora preferita
-dall’Anselmi, tuo umilissimo servo. Ma il tuo umilissimo servo non si
-vede più, è escito dalla sala; non ha saputo resistere alla tentazione
-di ballar subito con lei, e, dopo aver ballato con lei, non ha saputo
-rassegnarsi a ballare con un’altra. Se avesse potuto ballare due
-volte con lei, magari Dio! Ma questo non si poteva fare decentemente,
-senza dare nell’occhio ai curiosi, senza correre il rischio di
-comprometterla, e fors’anche di seccarla. Perciò è sparito; ma, non
-dubitare, egli brilla per la sua medesima assenza, ed apparisce ai
-suoi occhi come un uomo innamorato, come un uomo delicato, come un uomo
-sincero. Innamorato, perchè è corso subito a lei; delicato, perchè non
-è tornato all’assalto, chiedendole un secondo favore; sincero, perchè
-non ha saputo infingersi, cercando di ballare con un’altra. E così, con
-poca fatica, il colpo è fatto. Ti capacita? —
-
-Aldo De Rossi, era stato a sentire quella lunga dimostrazione, rotando
-gli occhi e mordendosi le labbra; due cose che poteva fare senza
-pericolo d’esser veduto, poichè volgeva le spalle alla luna. Ma quando
-il contino Anselmi ebbe finito, egli fece forza al suo cattivo umore,
-sibilò un mezzo sorriso e rispose al compagno:
-
-— Non sei solamente un gran diplomatico, sei anche il più furbo dei
-logici. —
-
-Intanto il povero Aldo pensava con dolore che un ragionamento simile
-avrebbe potuto farlo, anche rispetto a lui, la signora Camilla. Non
-aveva egli fatto il primo ballo con la signora Vezzosi? E non era
-subito andato via dal Casino, come se gli tornasse ostico di dover
-ballare con un’altra? Veramente, egli non aveva ballato con la signora
-Elena, se non dopo il mal esito della sua domanda alla signora Camilla.
-Ma egli, turbato com’era, non pensò a questa circostanza attenuante. Ci
-avesse anche pensato, la dimostrazione dell’Anselmi gli avrebbe offerto
-anche l’argomento contro di lui. Infatti, non poteva la signora Camilla
-vedere nel suo atto quella stessa diplomazia sopraffina, di seconda
-intenzione, che vi fa fare il primo passo verso una donna che vi preme
-meno, per coprire il secondo, verso quella che vi preme di più?
-
-— Un furbo, che parla! — replicava l’Anselmi, non sospettando neppure
-di parlare così giusto.
-
-— Tu invece, De Rossi mio, sei un furbo che tace.
-
-— Taccio, — rispose Aldo, — perchè non ho nulla da raccontare.
-
-— Ah via! Amato come sei? Col tuo nido bell’e fatto? Col tuo trono
-stabilito?
-
-— Eh sì! — mormorò Aldo, crollando il capo. — Tu ti sei incocciato a
-supporre....
-
-— Non suppongo, credo, son certo; — interruppe l’Anselmi. — Ti ho già
-detto che me lo ha confessato la signora Elena. Cioè, intendiamoci,
-confessato no; ma non saputo negare. Del resto la sua medesima
-curiosità intorno ai fatti tuoi....
-
-— Che storia è questa? — fece il De Rossi, non lasciandogli tempo a
-finire la frase.
-
-— Ma sì; — ripigliò il contino Anselmi. — Figurati che la signora...
-sta bene, non la nominiamo, — soggiunse, notando un atto esortativo del
-compagno. — Diremo invece la figlia di Leda, che poi torna lo stesso.
-Ma, prima di tutto, una dichiarazione necessaria. Si è amici, o non
-si è; ne convieni? Siamo dunque amici, siamo giovani, e dobbiamo esser
-collegati, per aiutarci a vicenda. —
-
-Aldo De Rossi, quantunque non ne avesse gran voglia, rispose a quelle
-premesse con un cenno affermativo del capo.
-
-— Dunque io dico — ripigliò l’Anselmi, — due alleati hanno obbligo
-di conoscere scambievolmente lo stato delle loro finanze e dei
-loro armamenti. Che cosa sarebbe l’alleanza, se non ci fosse questa
-cognizione, questa fede piena ed intera? Tu non devi aver segreti per
-me; ma io debbo dirti tutto quello che so. Senti dunque, un bel giorno
-la signora... la figlia di Leda, mi trattenne nel suo salotto, mentre
-ero sul punto di andarmene. E sai di che diavolo mi parlò, quando si
-rimase soli? Di te, sempre di te, solamente di te; fino al punto che io
-ne fui mortalmente seccato.
-
-— Grazie! — fece Aldo De Rossi.
-
-— Non è il caso; — rispose prontamente l’Anselmi. — Rendimi la
-pariglia, alla prima occasione: La figlia di Leda voleva sapere da me
-di quale altra donna tu fossi innamorato. Era gelosa, capisci? E mi
-fece passare in rassegna tutte le signore del nostro piccolo mondo. Tra
-l’altre, ricordo che si nominò anche la Rivanera. Io, naturalmente,
-negai per questa, come per tutte le altre. Infatti, non ti avevo mai
-veduto accennare a questa, nè ad altre. Se c’era una dama a cui tu
-dedicassi visibilmente i tuoi omaggi, quella era la signora... la
-figlia di Leda, in persona. E naturalmente, dicendole io queste cose,
-ebbi il piacere di vederla arrossire. S’intende che non volle convenire
-di nulla, e che cercò di colorire la sua curiosità con la storiella di
-un matrimonio che ella disegnava di farti fare, con una bella e ricca
-fanciulla, che tu, ne son certo, non conosci e della quale non hai mai
-udito parlare. Ti dico che sei nato vestito, De Rossi mio. Una bellezza
-come quella! E uno spirito poi, uno spirito!... Nei tempi andati, m’ero
-fatto avanti ancor io; ma che vuoi? la signora m’ha riso in faccia e
-addio speranze. Già dev’essere una di quelle donne che s’innamorano
-soltanto degli uomini seri. Io, vedi, perchè rido, perchè chiacchiero,
-perchè non straluno gli occhi, non sono un uomo serio.
-
-— La signora Rivanera, — disse Aldo, con voce sepolcrale, — ti vede di
-buon occhio. Forse non li ama serî, lei?
-
-— Che vuoi che ti dica? Non ne so nulla. Incomincio appena. Sai che
-prima d’ora la vedevo poco. Quel presidente gran croce mi dava una
-noia!... Prevedo che d’ora innanzi dovrò ragionare di codici e giuocare
-anche a scacchi. Pazienza! Ma lei.... che grazia! che umore! che
-spirito! Pare una stranezza, una contraddizione, aver tanto spirito una
-donna così bella!
-
-— Dove trovi la contraddizione? — esclamò Aldo de Rossi.
-
-— Nel fatto costante; — rispose l’Anselmi. — Non hai sempre veduto che
-le più belle sono anche le più sciocche? Infatuate della loro grande
-bellezza, disposte a credere che la bellezza, in una donna, sia tutto,
-ti pigliano un atteggiamento da statue greche, qualche volta anche da
-idoli indiani, e stimano che il farsi ammirare le dispensi dal farsi
-sentire. Meglio così, del resto, meglio così, perchè non ci sarebbe
-gusto a sentirle. Vederle ridere è già molto, perchè infatti si degnano
-di sorridere, trovandoci un’ottima occasione per mettere in mostra le
-trentadue perle, incassate nel corallo, di cui cantano da duemila anni
-tutti i poeti del mondo.
-
-— Ma anche la Vez... la figlia di Leda è bella ed ha molto spirito; —
-osservò Aldo De Rossi.
-
-— Sicuro, ed è un’eccezione; — replicò l’Anselmi. — Siamo cascati su
-due eccezioni. Felici noi! Cioè, mi correggo, felice te, fino ad ora!
-Io incomincio appena, te l’ho già detto, e non posso ancora mettere in
-conto che la conversazione allegra di stamane.
-
-— Infatti, ridevate di cuore; — disse Aldo. — E di che, se è lecito?
-
-— Lo sai tu? Io no; forse di nulla. Essa incominciò a darmi la baia
-sulle mie avventure di Montecatini; avventure di cui non aveva notizia,
-ma che s’immaginava facilmente. Le risposi che ero un disgraziato,
-in veste d’uomo felice. Ella non lo volle credere, ed io gliene fui
-grato, perchè, come capirai, ci si umilia sempre per essere esaltati;
-ma trovai il modo di dirle che tutte le più celebrate bellezze di
-Montecatini sarebbero ecclissate da lei, e che la mia fortuna sarebbe
-stata al colmo, anzi meglio, che avrei fatto morire di rabbia un
-centinaio di cavalieri, o giù di lì, se ella mi avesse concesso di
-fare questa sera al Casino, il primo ballo con lei. — Per vedere
-questa morte generale, — mi rispose ella, — ve lo concedo. — Poi si
-parlò d’altre cose. Le ho fatta la cronaca di Montecatini, come mi era
-permesso di conoscerla in una settimana di soggiorno, incominciando
-dalle mie commensali della Torretta. Ella mi canzonò, perchè ero andato
-ad alloggiare così lontano dall’orbe conosciuto; ma io, come puoi
-immaginarti, mi sono ben guardato dal dirle il perchè.
-
-— Ah, c’era un perchè?
-
-— Non lo sai? La cantante.
-
-— La cantante? Io non so nulla di nulla; — rispose Aldo, che cascava
-dalle nuvole.
-
-— Oh vedi! Ed io credevo che la signora.... la figlia di Leda ti
-avesse informato di questo particolare. Mi accorgo che è una dama molto
-prudente, anche co’ suoi più intimi amici. Ma forse non ha ancora avuto
-il tempo di parlartene. Deve aver risaputo soltanto ieri le mie alte
-gesta della Torretta, poichè me ne ha parlato iersera soltanto. Dunque,
-tu lo sai ora da me, scambio di saperlo da lei. Ci ho una cantante, una
-diva sulle braccia.
-
-— I miei complimenti; — disse Aldo De Rossi. — Tu hai dunque un occhio
-al cane e l’altro alla macchia. —
-
-Il contino Anselmi diede in uno scoppio di risa, che faceva
-testimonianza della più invidiabile contentezza.
-
-— Dio buono, — esclamò egli, — s’ha egli da star sempre col filosofo
-Platone?
-
-— Perciò, — ribattè Aldo De Rossi, — segui anche Aristotile.
-
-— Ah bella, questa, bellissima! Me la cedi?
-
-— Che cosa?
-
-— La tua arguzia. Ma sai, De Rossi, che per un uomo serio, sei molto
-spiritoso? Se tu dunque mi cedi l’invenzione, d’ora in poi dividerò gli
-amori in platonici ed aristotelici.
-
-— Sei molto gaio; — notò Aldo De Rossi. — E s’ha a credere che tu sia
-innamorato davvero?
-
-— Ah, questo poi no; ti permetto, anzi ti prego di credere che non
-lo sono. Ho ancora e conserverò per un pezzo l’intiera padronanza
-del mio cuore, del mio povero cuore. Le donne, non lo nego, sono cari
-animaletti; e le paragonerei volontieri a certi canini tanto graziosi e
-tanto preziosi, che formano l’ammirazione dei salotti. Carezze molte,
-ed anche qualche bacio su quelle bianche testine; ma badar sempre
-ai denti, per non buscarsi una morsicatura. La scienza non ha ancora
-trovato il rimedio contro la rabbia. —
-
-Aldo era stomacato da tanto cinismo. Mettete pure che non lo sarebbe
-stato tanto, se avesse avuto il cuor libero. Quando non si ama, certi
-discorsi tra uomini non fanno cattivo senso, e tutti i frizzi contro
-il sesso debole son buoni, anche se paiano un tantino volgari. Ma era
-innamorato, era geloso dell’Anselmi, e gli saltava la voglia di dirgli
-chiaro e tondo:
-
-— Sei un vile, contino Anselmi. Non si parla così delle donne in
-genere, quando si tenta e si spera di convincerne una. E non si tenta
-nemmeno, quando non si ama sul serio. È vergognoso per un uomo di
-garbo, per un cavaliere, turbar la pace di queste povere creature
-indifese, quando non si mette il proprio cuore nel giuoco, quando si
-è come te, che ti consoli dei rigori di Platone con le condiscendenze
-di Aristotele. Sei un vile, te lo ripeto, e ti proibisco da questo
-momento di far la corte alla signora Rivanera. Se la cosa non ti garba,
-provvedi ai casi tuoi; ci taglieremo la gola domani, a quell’ora che ti
-piacerà meglio. —
-
-Vi ho detto che ne aveva la voglia, e aggiungo una voglia spasimata,
-una voglia matta. Ma poteva egli spifferargli tutto ciò? Non era
-un costituirsi custode e tiranno della signora Camilla? Non poteva
-essa dirgli: amo essere corteggiata da chi mi piace, e voi, come non
-avete ancora il diritto di compromettermi, così non avete il diritto
-di liberarmi da una corte che io ho mostrato di gradire, per quanto
-insidiosa e villana vi sembri?
-
-Tutti questi pensieri passarono per la mente di Aldo De Rossi e lo
-persuasero a star zitto. Omero, in un caso simile, avrebbe detto che
-Minerva, amica e protettrice di Achille, gli aveva posto una mano sulla
-bocca. Certamente, l’immagine sarebbe più efficace e più bella. Ma io
-non sono Omero; questa ch’io narro non è la guerra di Troia, e Aldo
-De Rossi, vulnerabile in tante parti oltre il calcagno, non potrebbe
-essere paragonato in nessun modo ad Achille.
-
-Il nostro povero eroe vinse la ripugnanza che gl’inspiravano i discorsi
-del suo rivale inconsapevole, e dopo un istante di pausa gli disse:
-
-— Non sei innamorato; dunque, perchè turbi la sua pace? Essa è libera,
-inoltre, e tu potresti aver obbligo di cavalleria....
-
-— Che! che! — interruppe l’Anselmi. — In queste cose la cavalleria
-non c’entra. C’è posto a mala pena per la galanteria, sua cugina in
-terzo grado. Del resto, — soggiunse, — sono ragionamenti da farsi poi.
-Oggi non sono innamorato, e per conseguenza non sono cieco; ma potrei
-diventarlo, potrei perdere il lume degli occhi, e allora, ci sarà tempo
-a pensarci. Quantunque, ricordo che Napoleone I diceva: «la palla che
-ha da colpirmi non è stata ancor fusa.» Ed io dico, imitandolo: la
-donna che ha da accalappiarmi non è ancor nata. Napoleone vedeva più
-giusto di quello che non credesse, poichè non è morto di palla; vedrai
-che il tuo umilissimo servo non morirà ammogliato. Segui tu pure il
-mio esempio, De Rossi; non prender moglie. È un brutto guaio; specie
-quando si ha un umor triste come il tuo. È vero che io predico ad
-un convertito, poichè tu non mi sembri aver presa la via che conduce
-all’ara municipale.
-
-— Che ne sai tu? — fece Aldo.
-
-— Come? Torneresti ancora a negare?
-
-— Sì, torno a negare; — rispose Aldo, fermandosi sui due piedi e
-assumendo un’aria solenne. — Ti giuro, e tu devi credermi, che non
-faccio la corte alla signora Vezzosi.
-
-— Gliela farai più tardi, poichè essa ti ama.
-
-— Non gliela farò. Che essa mi ami, è una tua supposizione, non
-giustificata da alcuna prova agli occhi miei. Ma fosse anche vero....
-ammesso per pura ipotesi che potesse esser vero.... io non amerò la
-signora Elena. Sappi che io la rispetto...
-
-— E la venero; — soggiunse quell’altro, col suo fare canzonatorio.
-
-— Anselmi!
-
-— E via, non andare in collera! Il rispetto non chiama la venerazione?
-Ma non ischerzo più, se la cosa ti dispiace tanto, ed ammetto ciò che
-mi affermi con tanta sicurezza. Ma bada, De Rossi mio, ti annoierai,
-senza un amoruccio pur che sia; ti annoierai maledettamente. Non c’è
-annoiato più compassionevole al mondo, di quello che non ha il suo
-piccolo ripesco amoroso. Solo per lui il giorno ha ventiquattr’ore.
-Animo! Se non è la figlia di Leda, sia un’altra, che occupi un pochino
-del tuo tempo. Vuoi che ti presenti alla cantante? È, nel suo genere,
-una donna divina.
-
-— No, grazie; — rispose Aldo, seccato. — La donna io non la intendo
-così. Queste dee che si lasciano adorare da tutti, che si spezzettano
-di qua e di là, concedendo sorrisi a destra e a mancina, non sono il
-fatto mio. In amore ho sempre avuto una massima: o tutto o nulla.
-
-— Massima pericolosa! — esclamò l’Anselmi.
-
-— Pericolosa! Perchè?
-
-— Perchè la donna potrebbe volere il ricambio. Sarai tu disposto a
-concederlo?
-
-— Sì; — rispose Aldo, con accento risoluto.
-
-— Bada, tu dici di sì e l’esperienza risponde di no. Andar contro a
-questa esperienza è il torto massimo degli innamorati, e di quelli che
-hanno il temperamento amoroso. L’amore è come il piacere; lo si crede
-eterno, fino a tanto non lo si è esaurito. —
-
-Aldo De Rossi rispose a quel ragionamento con una alzata di spalle.
-
-— Sia pure destinato a perire, come tu vuoi e come io non credo; —
-diss’egli. — Resta sempre che l’amore è un sentimento esclusivo. Finchè
-dura, non patisce divisioni.
-
-— Ma se l’ho detto! Temperamento amoroso; — replicò l’Anselmi. —
-Temperamento amoroso, composto di bilioso e di sanguigno. Mi darai
-del materialista; ma che farci, se la cosa è in questi termini? Tu,
-per altro, sei un bel matto, De Rossi mio. Lasciatelo dire, sei un bel
-matto. Non ami nessuna donna, e parli come se ci avessi un Mongibello
-nel cuore.
-
-— Son molto calmo, invece; — rispose Aldo. — Ti dico ciò che penso, e
-abito all’insegna della Pace.
-
-— Davanti a cui siamo tornati, di chiacchiera in chiacchiera; — disse
-l’Anselmi. — Ma tu vorrai tornare al Casino.
-
-— No, vado a letto.
-
-— Ecco un predestinato del matrimonio; — esclamò l’Anselmi, ridendo.
-— Spero almeno che non metterai il berretto di cotone. Ma che c’è?
-Abbiamo fatto tardi, con la nostra filosofia, e la gente incomincia ad
-escire; — soggiunse, vedendo una brigatella di persone, uomini e donne,
-che escivano dal Casino, sull’opposto viale. — Mi pare di riconoscere
-la voce dell’amico Gerardo. Sono certamente le nostre ballerine, che
-vengono a questa volta.
-
-— Ritiriamoci in disparte; — disse Aldo.
-
-— Come personaggi di tragedia? Io non la intendo così. Già, a
-questo lume di luna ci avranno riconosciuto. La donna, come sai,
-appartiene alla specie felina ed ha la vista acuta, di notte come di
-giorno. —
-
-Non c’era verso di persuadere l’Anselmi a proseguire la strada. Aldo
-non seppe risolversi ad andar solo, poichè restava il compagno, il
-rivale.
-
-Il contino Anselmi non si era ingannato. Erano proprio le loro
-ballerine del primo valzer che escivano dal Casino, accompagnate dal
-commendatore Gerardo, dal presidente gran croce e dall’Alcibiade primo,
-cavaliere Sestavalle.
-
-La signora Elena fu la prima a ravvisare i due fuggitivi.
-
-— Ah, venite qua, voi! — diss’ella, con accento di minaccia. — Abbiamo
-da aggiustare i conti.
-
-— Signora, aggiustiamo pure; — rispose l’Anselmi, affrettandosi a
-muoverle incontro.
-
-— Avete ancora l’aria di ridere? Sappiate, signor conte, che
-non ammetteremo mai ciò, alla nostra presenza. E prima di tutto,
-giustificatevi. Perchè questa fuga?
-
-— Signore, io volevo far loro un’eguale domanda. Perchè lasciare
-il Casino, mentre noi, schiavi fuggiaschi, ma pentiti, venivamo ad
-impegnarle per il _cotillon!_
-
-— Si trattava proprio di _cotillon!_ — esclamò la signora Vezzosi.
-— Non si trova più un ballerino, a pagarlo un occhio. Non c’è più
-cavalieri, a questo mondo. Chiedetene al nostro fedele Sestavalle....
-
-— Che lo è dei Santi Maurizio e Lazzaro; — notò, salutando, l’Anselmi.
-
-Alcibiade primo rese il saluto e ripigliò tosto il suo atteggiamento
-dignitoso, riveduto e corretto per quella occasione.
-
-— Egli vi dirà, — proseguì la signora Vezzosi, — che a’ suoi
-tempi.... —
-
-Ma era detto che la signora Elena non potesse finire il suo discorsetto.
-
-— Sì, — interruppe il Sestavalle, seccato di quell’accento ad un
-passato troppo remoto, — dieci anni fa, non era mica così. I giovanotti
-del mio tempo lasciavano ai vecchi il giuoco e le discussioni
-politiche, ed essi tenevano compagnia alle dame.
-
-— Vi faccio notare, amico Sestavalle, — rispose gravemente l’Anselmi,
-— che a quei tempi la compagnia di cui parlate si chiamava a dirittura
-servitù. Diciamo dunque servitù, e senza rincrescimento, perchè in
-verità non fu mai servitù così dolce, nè così pregiata da noi. Ma,
-venendo al caso nostro, noi non potevamo già credere che in un’ora
-di assenza dal campo si dovessero contare tante diserzioni. Avevamo
-lasciate le dame in mezzo ad un circolo, ad una folla di gentiluomini.
-E non è da credere, — soggiunse il contino, volgendo un’occhiata
-eloquente alla signora Camilla, — che noi ci ritirassimo per cedere
-la piazza. Ci siamo ritirati per un sentimento di delicatezza. Non
-si voleva e non si poteva mica aver l’aria di maghi carcerieri, di
-cerberi, di tiranni; ufficio che va lasciato agli _aventi diritto_,
-come ad esempio il nostro buon amico Gerardo.
-
-— Un tiranno che ha data la costituzione; — notò il commendatore
-Gerardo, ridendo della sua arguzia, così facilmente trovata.
-
-— Noi, per altro, — ripigliò l’Anselmi, — dobbiamo dire la verità tutta
-intiera. Eravamo scesi a prendere una boccata d’aria, desiderosi di
-tornar subito. Ma l’uomo propone e la politica dispone. Figuratevi che
-abbiamo attaccato una discussione politica.
-
-— Ci avete anche voi questo peccato sulla coscienza? — domandò la
-signora Camilla.
-
-— Oh, in forma molto veniale, una volta all’anno; — rispose il contino,
-inchinandosi e saettando un’altra occhiata assassina.
-
-— Credevamo — notò la signora Vezzosi, — che foste andati nella sala
-del bigliardo, come tanti altri. Sestavalle voleva venirvi a cercare;
-ma noi non lo abbiamo permesso.
-
-— E Sestavalle, da buon cavaliere, ha obbedito; — replicò l’Anselmi. —
-Se fosse venuto non ci avrebbe trovati. Noi non avremmo osato mai di
-piantarci ad una mattonella di bigliardo, in vicinanza di così belle
-signore. Se almeno anche le signore prendessero la stecca!
-
-— Che idea! — esclamò la signora Camilla.
-
-— Eh, se vi degnaste di provare, signore mie, sareste belle di una
-nuova bellezza. Minerva non impugnò la lancia? E Venere non s’è
-compiaciuta di rubarla a Marte?
-
-— Come lo sapete?
-
-— Ho veduta la cosa in molti Musei d’arte antica, disperando sempre di
-averne un esempio nella realtà. Volete incominciare, signore? C’è un
-bigliardo discreto, dal Birindelli, all’Acqua della Speranza. Ho veduto
-ieri mattina giuocare la principessa Solikoff, e vi assicuro che non ci
-scapitava punto. Se volete, la prima lezione domani, dopo colazione.
-
-— Accettiamo la sfida? — chiese la signora Camilla alla Vezzosi.
-
-— Si riderà; — rispose la signora Elena; — accettiamo dunque. Voi,
-signor Aldo, che ne dite?
-
-— Aldo farà il quarto; — gridò l’Anselmi, non lasciando all’amico il
-tempo di rispondere. — Vi avverto che è un terribile giuocatore.
-
-— Ho già capito, — disse il commendatore Gerardo, volgendosi al
-presidente gran croce, — che noi faremo la parte di giudici.
-
-— L’ufficio mi conviene; — rispose il Roberti, col suo grave sorriso.
-
-Aldo si era frattanto avvicinato alla signora Camilla, e le diceva:
-
-— Poichè si tratta d’una partita in quattro, vorrete voi stare insieme
-con me?
-
-— Vi farò perdere; — rispose la signora Camilla. — Non lo
-domandate. —
-
-Aldo aggrottò le ciglia e fu per mordersi le labbra, secondo l’uso.
-
-— Per caso, — ripigliò abbassando la voce d’un tono, — sareste già
-impegnata al bigliardo, come lo eravate al ballo?
-
-— Dio, che cipiglio! — esclamò ella, con un gesto di terrore. — È
-l’ombra della notte che vi rende così cupo? —
-
-Egli chinò la testa, senza rispondere alla celia. Che cosa poteva dire,
-con tutta quella gente lì presso?
-
-— Via, per non farvi andare in collera, accetterò; — riprese la signora
-Camilla. — Perderete, e sarà la vostra punizione.
-
-— Perderò! — ripetè egli tristemente, scandendo la parola, quasi
-volesse farne fuori un senso recondito. — Che importa? Oramai, sono
-avvezzo. —
-
-La signora Camilla gli diede un’occhiata tra curiosa e beffarda; ma lo
-lasciò senza risposta, poichè s’avvicinava l’Anselmi.
-
-— A domani dunque, e buona notte; — disse il contino, stringendo la
-mano alla signora Camilla. — Prego voi, come la signora Elena, di non
-sognare che ci avete puniti con una giornata di rigore.
-
-— Che avreste meritato; — rispose la signora Vezzosi, per sè e per la
-Rivanera. — Ma voi, conte, non sognate di farci la seconda di cambio.
-
-— Per gl’inferni numi, lo giuro; — replicò, nell’atto di levarsi il
-cappello, quel caro ed amato Anselmi, che Aldo De Rossi avrebbe mandato
-tanto volontieri a trovare gli augusti testimoni del suo giuramento.
-
-
-
-
-XIII.
-
-
-La mia felicità sarebbe al colmo, se il candido lettore e la vermiglia
-lettrice si contentassero del poco che io dò e non mi chiedessero di
-approfondire, anzi meglio, di sviscerare il caso psicologico che ho
-preso a descrivere. Si tratta di una malattia, per cui, qual più,
-qual meno, siamo tutti passati, e le troppo minute descrizioni non
-chiarirebbero niente di nuovo.
-
-Aldo De Rossi era in una di quelle condizioni indefinite e
-indefinibili, che non permettono di risolver nulla e fanno avere in
-uggia ogni cosa. Si vorrebbe morire, dormire, sognare, e tutto il resto
-del monologo d’Amleto; farsi certosino, o prendere una sbornia di due
-settimane; mettersi a capo di uno squadrone di cavalleria e caricare un
-esercito in ordine di battaglia; affondarsi in una nuvola e andare dove
-il vento la spinge, in Africa, in Lapponia, a casa del diavolo; tutte
-cose che in altre parole mi è già occorso di dire e che vi coloriscono
-sempre imperfettamente lo stato d’incertezza di un’anima, che il
-passato opprime, il presente annoia e il futuro sgomenta.
-
-Ci sono dei malinconici, i quali, da ogni libro che leggono, vorrebbero
-che escisse un insegnamento morale. Se questo insegnamento lo chiedono
-al mio, eccolo qua: Fuggite le passioni, perchè esse guastano il sonno
-e l’appetito, questi due grandi riparatori della macchina umana.
-
-Ma sì, darla ad intendere! Si ama, ed è questo il più forte bisogno
-della macchina sullodata, o, se vi piace meglio, dello spirito,
-troppo raffinato, che presiede ai movimenti della macchina. Predicare
-allo spirito la necessità di dominarsi, di mortificarsi, di ottenere
-la pace, è lo stesso che dire all’uomo: — «Tu vivrai, alzandoti da
-letto alle dieci, ora un po’ tarda, ma indicatissima, per rubare un
-ritaglio di tempo alle noie della vita. Prenderai, ogni mattina, un
-bagno freddo, e, se hai passati i trent’anni, anche uno spruzzolo di
-doccia; indi farai una passeggiata, per riscaldare la pelle e disporre
-l’esofago alla colazione. La quale non dovrà essere troppo abbondante,
-per aggravarti lo stomaco, nè troppo succulenta, per riscaldarti la
-testa. Leggerai un giornale, per tenerti al fatto di ciò che accade nel
-mondo e non prendere scosse troppo forti, quando un amico ti combina
-per via e ti spara a bruciapelo le più brutte notizie. Anche quando
-le notizie non siano dolorose, per te, nè per altri, quell’improvviso:
-«sai la gran novità?» è sempre fatto per rimescolarti il sangue nelle
-vene. Stropicciati le mani di tanto in tanto; è un costume sanissimo
-e chiama una dose discreta di calore alle estremità. Dai frattanto una
-seconda passeggiatina per le vie, e trova il modo di spicciare in pari
-tempo qualche affaruccio. Quindi ti ridurrai a casa, o al banco, o allo
-studio, secondo i casi, per accudire con misura ai tuoi interessi;
-ripasserai i conti del tuo ragioniere, per saper sempre in che acque
-navighi; darai qualche ordine, tanto per non perdere l’abitudine;
-mediterai sull’allevamento del bestiame o sul modo di far rendere
-trentaquattro sementi al tuo grano. Poi, quando ritorni l’appetito, a
-pranzo. Ma non in famiglia, poichè non devi aver famiglia. Essa non
-è indicata come elemento di calma; nasce dall’amore e reca un mondo
-di sopraccapi. L’uomo savio non ha da aver passioni e deve cansare
-il pericolo dei sopraccapi in discorso. Indi un’altra passeggiata,
-anzi una scarrozzata, se si può. Veder tutto, passando a volo, non
-ammirare, non infiammarsi di nulla, è cosa veramente salubre. La sera,
-una capatina al teatro, o una visitina di complimento, sfiorando la
-galanteria, per tenere lo spirito in esercizio, ma non mettendo il
-cuore nel giuoco, che sarebbe pericoloso in sommo grado. Da ultimo una
-seduta a caffè, evitando le bibite spiritose, e le compagnie _idem_;
-finalmente a letto, con un giornale non troppo divertente, e aspetterai
-i conforti del sonno.» —
-
-Lettori, questa è la vita dell’uomo giusto, che non s’appassiona di
-nulla. Vi piacerebbe! Se avete nell’anima qualche cagione di tristezza,
-risponderete di sì. Se avete l’anima in pace, risponderete di no. E
-perchè, di grazia? Perchè volete soffrire; perchè volete provarle,
-quelle benedette febbri, che i filosofi vi consigliano di sfuggire;
-perchè volete infiammarvi del bello, del vero, del buono, incarnati,
-se si può, in una creatura diletta; perchè la quiete è la morte dello
-spirito, e la febbre una necessità dell’umana natura.
-
-Dunque, addio insegnamento morale. Amate, ragazzi, e soffrite. E se
-vi capita di guastarvi il sangue come Aldo De Rossi, imprecate pure al
-vostro male e alle sue belle cagioni. Sarete appena guariti, che farete
-la vostra brava ricaduta.
-
-Povero Aldo! Andò a letto, perchè non c’era da far altro; ma non gli
-venne fatto di prender sonno. Rimuginava dentro di sè tutto quello che
-avrebbe voluto dire alla donna crudele. Senza di lei non poteva più
-vivere. Non pensava mica ad averla; pensava ad essere amato da lei,
-anche a patto di non ottenerla mai più. Ad ogni tratto, per naturale
-riscontro, gli tornava davanti agli occhi l’immagine dell’Anselmi. Che
-vilissimo personaggio, sotto l’apparenza di un gentiluomo! E simili
-figuri, pensava egli, possono piacere alle donne! Par di sognare,
-vedendole sempre così sciocche. Ma già, questa è la storia. La
-migliore di tutte è sempre donna e ci ha sempre in fondo al cuore un
-pochino di vanità. Che importa a lei, se non è sincero l’omaggio? Le
-fa testimonianza della sua bellezza, le dimostra il fascino che ella
-esercita su tutti, e questo è l’essenziale. Essere amata sul serio, o
-semplicemente corteggiata per capriccio, è lo stesso; tutti gli uomini
-sono eguali, per lei, se le dicono tutti che è bella. Anzi, no, non
-sono tutti eguali, ed hanno qualche privilegio a’ suoi occhi coloro che
-glielo dicono in forma meno drammatica. Certi caratteri gelosi, certi
-innamorati che girano al tragico, riescono mortalmente noiosi; dànno, è
-vero, un omaggio profondo, ma vorrebbero impedirne cento, più leggeri e
-più gradevoli. Leggieri, poi! Chi l’ha detto, che siano tanto leggieri?
-Gli uomini galanti sono troppo spesso calunniati dai cosidetti uomini
-seri. Ogni donna intorno a cui si affollano molti vagheggini, crede di
-poter fermare quello che le piacerà meglio e incatenarlo al suo carro.
-Che cosa pretende di essere, e di valere più di un altro, l’innamorato
-geloso e scontroso, che vorrebbe condannarla a rizzar muso come lui, a
-vivere nel mondo come si vive in un chiostro?
-
-Sì, sta bene, tutto bene; ma la donna, dal canto suo, ignora una cosa.
-Ignora che ella pure, senza avvedersene, si abbatte ad essere gelosa,
-e lo è in modo feroce, che fa pena a vederla. Perchè ella tratta da
-padrona l’amato (non l’ha egli avvezzata al comando?), le accade di
-dimenticare perfino quei mezzi riguardi, quelle forme di rispetto
-benevolo, a cui si costringe per lei un innamorato geloso.
-
-Povera umanità, egualmente ammalata nei due sessi, e, quel che è
-peggio, senza speranza di guarigione! Eccola qui, lettori malinconici,
-eccola qui, la eterna morale della favola eterna. Siamo un grande
-ospedale di matti. Fortuna che qualche volta l’eccesso del dolore
-ci prostra i nervi e una mezza congestione del sangue ci procura i
-benefizii del sonno.
-
-Ciò avvenne anche al signor Aldo De Rossi. Almanaccò a tutto spiano,
-torturò lungamente il suo povero cervello, quindi si addormentò.
-Per altro, il suo sonno fu inquieto, e quando egli si destò e scese
-dal letto, si vide piuttosto brutto, allo specchio. Quella mattina
-il parrucchiere non venne a capo di dargli un aspetto piacevole.
-Immaginate come Aldo ne fosse scontento. Non era vano, vi prego di
-crederlo; ma gli sarebbe piaciuto di giungere al cospetto delle signore
-con la sua faccia degli altri giorni.
-
-Comunque fosse, e poichè bisognava mostrarsi, Aldo si recò verso
-la solita ora al Tettuccio. Le dame non c’erano ancora, ma le vide
-giungere quindici minuti dopo, tutt’e due nella medesima carrozza. Il
-primo suo moto fu quello di sfuggirle; ma pensò che doveva essere un
-uomo e non un ragazzo; perciò, vinta la timidezza, andò loro incontro
-ed ebbe la fortuna di trovarsi solo al montatoio della carrozza, per
-dar loro la mano. Fatto quel primo passo, andò avanti abbastanza bene;
-mortificò il suo onore con una voluttà da anacoreta e trovò il modo di
-esser umile, riguardoso, gentile. Ma il contino Anselmi, caduto lì per
-lì, come un fulmine a ciel sereno, nel crocchio, fu gentile ed allegro,
-sopra tutto allegro. Aldo non lo poteva essere, per quanti sforzi
-facesse. Quistione di temperamento!
-
-Basta, il mostrarsi gentile era già qualche cosa. La signora Vezzosi
-fece i suoi complimenti al De Rossi per la calma che gli traspariva dal
-volto.
-
-— L’aria d’iersera vi ha fatto bene; — gli disse.
-
-— Credete? — fece egli, con accento impresso di mestizia.
-
-La signora Elena gli diede una rapida occhiata, che parve passarlo fuor
-fuori.
-
-— Non ne credo nulla; — rispose ella, abbassando la voce. — Ma siate
-forte; se no, perderete la causa. —
-
-Quella buona signora Elena si mostrò in quel giorno due volte buona con
-lui. Si vedeva la cura che ella metteva a scuoterlo, a farlo figurare
-nella conversazione. Gli rivolgeva spesso il discorso, per dargli
-occasione di parlare; qualche volta lo interrogava di schianto, per
-rompere il silenzio in cui egli accennava sempre a rinchiudersi.
-
-I tre personaggi gravi della compagnia, cioè a dire il presidente gran
-croce, il commendatore Gerardo e il cavaliere Sestavalle, bevevano
-coscienziosamente l’acqua salutare del Tettuccio. Le signore, sedute
-davanti alla tavola di marmo che v’ho descritta, tenevano corte di
-giustizia, o, per dire più veramente, di grazia. Aldo le vedeva tutte
-e due, fresche e sorridenti come due belle rose sul medesimo cespo. E
-andava pensando tra sè che una di quelle donne gli aveva confessato di
-amarlo, e che egli le aveva confessato di essere invaghito di un’altra.
-Pure, quella donna era là, gaia, sorridente, serena, proprio accanto
-a quell’altra. E Aldo ne faceva in cuor suo le grandi meraviglie, non
-sapendo che in una donna si trovano sempre due donne, una delle quali
-sta sulla scena e recita la sua parte con grande disinvoltura, anche
-quando l’altra si cruccia nella propria amarezza. Figurarsi poi se non
-doveva apparir serena la signora Vezzosi, col semplice carico di una
-simpatia soffocata sul nascere.
-
-Per uno di quei ragionamenti subitanei, irriflessivi, involontarii,
-che sono così frequenti in noi, e che la casuistica più arcigna non
-saprebbe imputare alla coscienza del peccatore, Aldo diceva a sè
-stesso:
-
-— Se io amassi questa e non l’altra! Qui regnerei senza contrasto;
-mentre là, — e frattanto lo sguardo correva alla signora Camilla, —
-anche regnando, il mio regno sarebbe sempre turbato da tentativi di
-ribellione. —
-
-Sì, ma avrebbe regnato sempre, dove credeva di poter regnare senza
-contrasto? Chi sa? Non c’entrava nella simpatia dichiarata della
-signora Elena un pochettino di picca? Vinto il puntiglio, cioè quando
-si fosse impadronita del cuore di Aldo De Rossi, sarebbe sempre stata
-la stessa? E lui, per avventura, non ci metteva del puntiglio, a voler
-essere amato dalla signora Camilla? Aldo fece il suo esame di coscienza
-e gli parve di no. Non l’amava mica perchè era superba con lui; l’amava
-perchè era bella; l’amava perchè... Oh insomma, l’amava perchè l’amava,
-e non sapeva, non voleva e non poteva far altro.
-
-Quel giorno, finita la stazione al Tettuccio, i nostri personaggi
-decisero di far colazione insieme, nel giardino dell’albergo, per andar
-poi tutti insieme allo stabilimento della Speranza. Il contino Anselmi
-si scusò di non poter seguire la compagnia; aveva qualche cosa da fare
-alla Torretta e si sarebbe sbrigato appena in tempo per trovarsi dal
-Birindelli a ricever le dame. Curioso uomo, che rinunziava a due ore
-di conversazione con la signora Rivanera! Aldo pensò alla cantante, che
-forse aspettava quel leggerissimo tra tutti i vagheggini.
-
-A proposito della cantante, se egli ne avesse dato un cenno alla
-signora Camilla, che colpo! Il modo di entrare in discorso senza aver
-l’aria di commettere una indiscrezione a caso pensato, non poteva
-certamente mancargli. Ma se il pensiero gli venne, sappiate che gli
-parve anche un’infamia. Da tutt’altri avrebbe potuto sapere la signora
-Camilla di quel ripesco amoroso; da tutt’altri, ma non da lui. Si
-poteva, è vero, parlarne alla signora Vezzosi. Ma non ci sarebbe
-stato il secondo fine, la speranza che la signora Elena ne parlasse
-a sua volta con la signora Camilla? E questa sarebbe stata un’infamia
-confettata di vigliaccheria.
-
-— Come son grande! — pensò egli, dandosi ironicamente la baia. — Mi
-rassegno a non dir nulla e a non raccogliere il frutto di un’utile
-bricconata! Ma che sciocchezza, esser grandi! Ecco un atto degno degli
-eroi di Plutarco, che si perde nei segreti della vita borghese. Basta,
-mi decreterò una medaglia da me. —
-
-Questo pensiero lo fece ridere, ma d’un riso amaro, che non lo dispose
-punto a gustare la colazione. Mangiò poco, o nulla; ma si sforzò di
-essere gentile, come al solito, con qualche lampo di gaiezza. Il riso
-sulle labbra, lo aveva; per quanto fosse sardonico, era sempre riso.
-E quando le signore si alzarono da tavola, anch’egli si alzò, per
-accompagnarle fuori; si alzò come un condannato, che ha bevuto il suo
-ultimo bicchierino, e mormorò tra i denti: — animo, via, imbecille;
-andiamo a morire. —
-
-Morire! Che esagerazione! Ma sì, lettori; la sofferenza non ha gradi.
-Si soffre, o non si soffre, ecco il punto. E quando si soffre, non c’è
-nulla che superi quella sofferenza; è il finimondo, è l’ira di Dio.
-
-La lieta brigata, con cui Aldo De Rossi portava a passeggio i suoi
-crucci, escì dall’albergo della Pace verso le dodici. Il sole scottava,
-e il presidente Roberti pensava dentro di sè che non era la più bella
-cosa del mondo andare attorno a quell’ora. Ma un presidente, che ha la
-fortuna di portare una gran croce, può far buon viso ed anche buone
-spalle alle piccole. Inoltre, il vecchio Roberti ci aveva una gran
-tenerezza per la sua bella nipote, senza contare che gli era rimasto
-nell’anima un pochettino di quella cortesia imperturbabile, direi
-quasi stereotipa, che è sempre stata una dote dei magistrati, fin
-dai tempi di Marco Tullio. Cavalleria pesante, direbbe un amico mio,
-che ha ridotta la vita ad un eterno bisticcio. Con quella sua grave
-bontà, il presidente gran croce si espose coraggiosamente alla vampa
-del sole e al riverbero della strada. Il commendatore Gerardo, pur
-d’essere in compagnia d’un presidente (i ministri, lo sapete, non erano
-ancora arrivati) si adattò anche lui. Era una specie di Cireneo, il
-commendatore Gerardo, e aiutava il presidente Roberti a portare la sua
-gran croce. Di Alcibiade primo non si parla neanche; era un cavaliere
-della provianda e seguiva fedelmente l’esercito.
-
-Le signore apersero l’ombrellino; i loro compagni le imitarono, poichè
-questo arnese è entrato anch’esso nelle consuetudini del sesso forte;
-e tutti si avviarono pei non floridi ma polverosi sentieri della
-Speranza. Questa per fortuna loro non era troppo lontana.
-
-Prima che giungessero alla mêta del loro viaggio, videro il contino
-Anselmi, che veniva incontro alle dame, con franco passo e viso
-allegro, come un paggio del Medio Evo. Le parole, per altro, non furono
-da paggio, bensì da cavaliere del secolo decimottavo.
-
-— Mi duole, signore mie, — diss’egli, salutando, — di non aver potuto
-mandar via il sole; colpa di Giosuè, che lo ha avvezzato a star fermo.
-Abbiate pazienza, del resto. In cielo non esistono le invidie che
-guastano il sangue agli abitanti della terra, ed è giusto che il sole
-si faccia avanti, per onorare le sue belle rivali.
-
-— Che galanteria! — esclamò la signora Camilla.
-
-— Un po’ vecchia! — borbottò Aldo tra i denti.
-
-— Signora, — rispondeva intanto il contino, — è ufficio del sole di far
-sbocciare i fiori. E alla vostra vista....
-
-— Ho capito; — interruppe la signora Camilla, ridendo come sapeva rider
-lei; — il vostro cuore è un giardino.
-
-— Proprio così; — replicò l’Anselmi; — ed invoca le cure di una bella
-Giardiniera.
-
-— Magazzino di mode! — esclamò la signora Camilla.
-
-— No, capolavoro di Raffaello; — ribattè prontamente l’Anselmi, che non
-si trovava mai all’asciutto.
-
-Aldo De Rossi che aveva udito il dialoghetto, quantunque proseguito
-a mezza voce davanti a lui, mandò cordialmente al diavolo il suo
-spiritoso rivale. Questi, frattanto, dando il braccio alla signora
-Camilla, introduceva la comitiva nello stabilimento della Speranza.
-
-Credo inutile di fare una descrizione del luogo. Chi è stato a
-Montecatini ha veduto certamente quel villino gaiamente soleggiato,
-ad un quarto dello stradone che mette al Tettuccio, e situato tra
-il medesimo stradone e il torrente, o fossatello, che porta il nome
-caratteristico di Salsero. Non c’è pensione, laggiù, perchè il suo
-proprietario la tiene altrove, sulla via Nazionale, e laggiù, come per
-adescarvi alle sue acque saline clorurate, mette a vostra disposizione
-una bella sala terrena, con biliardo, tavolini da giuoco e divani
-di conversazione. Non si vive a Montecatini senza andare ogni sera
-al Casino; nè ci si vive senza andare qualche volta di giorno alla
-Speranza, come sul tramonto al Rinfresco, altro luogo che dovrete
-conoscere, poichè avvenne laggiù la triste scena... Ma, acqua in bocca,
-per ora, e non precorriamo gli eventi.
-
-La sala era vuota, o come vuota, poichè solamente nell’angolo più
-lontano dell’ingresso si vedeva seduta una coppia di felici, che
-stavano giuocando a picchetto. Dico di felici, perchè erano uomo e
-donna, giovani ambedue; la signora assai bella, ma di una bellezza
-parigina, in cui aveva gran parte la moda, con tutti i suoi cenci
-preziosi, e la pittura, con tutti i sapienti chiaroscuri della sua
-tavolozza; il giovinotto secco, allampanato, pallido, elegantissimo
-fusto d’uomo, che già lasciava intravvedere e presentire lo scheletro.
-
-I due giuocatori non mossero neanche la testa per guardare i nuovi
-venuti. E non furono neanche disturbati dalla curiosità di questi
-ultimi. L’Anselmi, per far degnamente il suo ufficio di cicerone,
-bisbigliò all’orecchio della signora Camilla:
-
-— Due innamorati che vengono qui tutti i giorni dalla Torretta, e ci
-stanno quattr’ore di seguito, giuocando a picchetto. Non sanno come
-ammazzare il tempo; compiangiamoli!
-
-— O che? — rispose la signora. — Vorreste che avessero sempre a
-ripetersi le stesse parole: io ti amo, tu mi ami?
-
-— Non già, bella signora, ma giuocare a picchetto!
-
-— Gran che! Non giuochiamo noi al biliardo? —
-
-A quella scappata della signora Camilla, il contino Anselmi sgranò
-tanto d’occhi.
-
-— Signora, — balbettò egli, — che avete detto? Noi.... questo riscontro
-che fate tra essi e noi.... Se fosse vero!
-
-— Non sarà vero niente, poichè il riscontro non esiste; — rispose la
-signora Camilla, a cui forse non piaceva che si cogliessero le sue
-parole a volo, come le rondini. — Infatti essi sono in due, e noi siamo
-in sette.
-
-— Cinque di troppo; — mormorò l’Anselmi, chinando la testa e reprimendo
-con arte sopraffina un mezzo sospiro.
-
-
-
-
-XIV.
-
-
-Le regole della buona compagnia permettono questi duettini sottovoce,
-nel bel mezzo della conversazione generale, a patto che siano
-brevi. L’obbligo, per gli astanti, è di non sentir nulla; ma c’è
-sempre il diritto di coglierne tutto quello che si può. Colpa dei
-due interlocutori, se non parlano abbastanza sommesso e non sanno
-confondere gli ascoltatori con abili reticenze. Del resto, anche quando
-si colga a volo una frase, come si potrebbe arguire da essa tutto
-intiero il discorso? Aldo De Rossi, per esempio, non udì altro che una
-frase dalla signora Camilla: — «essi sono in due e noi siamo in sette.»
-— Ma come ricostruire un dialogo galante, su quel semplice rapporto
-aritmetico?
-
-Perciò il nostro eroe non capì nulla di nulla. Se avesse capito ciò
-che voleva dire l’Anselmi, certo avrebbe dato di fuori. Ma Iddio
-misericordioso, che misura il freddo all’agnello tosato, misura anche
-le sofferenze agli innamorati gelosi.
-
-— Cinque di troppo; — aveva risposto l’Anselmi. E la signora Camilla si
-era custodita da quell’attacco troppo vivo con una guardata tra curiosa
-e severa. Non ci voleva di meno, per rimettere a posto l’audace,
-che esciva per la prima volta dalle solite frasi di complimento,
-accennando ad una vera dichiarazione. Alle donne i troppo repentini
-smascheramenti di batterie dispiacciono sempre; non già per sè stessi,
-ma perchè dimostrano troppo baldanza, troppo sicurezza di sè, nei
-signori assedianti, mentre questa sicurezza e questa baldanza son esse
-che vogliono consentirle, per poterle dominare e moderare a lor posta.
-Ora noi conosciamo la signora Camilla per una certa testolina, che le
-sue ragioni non le mandava a dire, e potremmo anche aspettarci qualche
-frase recisa, a conforto di quell’occhiata tra curiosa e severa che
-abbiamo veduta poc’anzi. Ma il contino Anselmi non le diè tempo di
-proferirla; appena ebbe buttato là il suo malinconico epifonema, diede
-una voltata sui tacchi e andò verso la rastrelliera, a prendere due
-stecche, una per sè e l’altra per la signora Camilla.
-
-— A che giuoco giuochiamo? — diss’egli, tornando verso le signore. — A
-birilli, non è vero?
-
-— A birilli! — rispose Aldo, assentendo del capo.
-
-— Birilli! — esclamò la signora Elena. — Vogliate dirci prima di tutto
-che cosa sono i birilli.
-
-— Eccoli, signora; — disse l’Anselmi. — Son questi cinque pioletti
-d’avorio, che io metto qua in croce nel mezzo del biliardo. L’abilità
-del giuocatore consiste nel farli cascare.
-
-— Non ci riesciremo mai; — osservò la signora Camilla, vedendo il
-contino impostarsi sul biliardo e battere con la punta della stecca una
-palla contro l’altra, per modo che questa venisse a dare nel mezzo del
-biliardo.
-
-— Che dite, signora? — esclamò il contino. — Vi riescirà anzi
-facilissimo. Fate conto che siano uomini.
-
-— Il paragone non corre; — rispose la signora Camilla. — Qui ci vuole
-l’aiuto della stecca; e gli uomini cascano da sè.
-
-— Ottimamente! Questa me l’ho comprata coi miei danari; — disse
-l’Anselmi, ridendo.
-
-E avvicinatosi alla signora Camilla, aggiunse sottovoce:
-
-— Come si sta? Volete essere con me?
-
-— Sono impegnata; — rispose la signora Camilla, col medesimo tono di
-voce.
-
-Il contino Anselmi inarcò le ciglia e si volse a guardare il De Rossi.
-Ma questi faceva lo gnorri e ingessava la stecca.
-
-— Avrebbe avuto ragione la signora Elena? — pensò il contino Anselmi. —
-Sarei proprio cascato bene! —
-
-Indi, ad alta voce, proseguì:
-
-— Si va all’acchito. Signora Elena, volete farmi l’onore di stare con
-me?
-
-— Volentieri; — rispose la signora Vezzosi, non senza dare un’occhiata
-a Camilla, che stava rispondendo allora ad un complimento del
-commendatore Gerardo, e un’altra al De Rossi, che continuava
-tranquillamente ad ingessare la stecca.
-
-Ma anche questa operazione ebbe un termine, ed anche il commendatore
-Gerardo lasciò libera la signora Camilla. Aldo le si accostò e le
-disse:
-
-— Signora, siamo adunque insieme?
-
-— Gran novità! — rispose Camilla, con quell’aria canzonatoria che
-sapete.
-
-Aldo De Rossi non capì troppo bene che cosa significasse quell’accento
-ironico.
-
-— Vi dispiace, forse? — ripigliò.
-
-— A me, no; — ribattè la signora Camilla. — E a voi?
-
-— Io... — balbettò Aldo — sono al settimo cielo. —
-
-La signora Camilla sorrise; ma fu un lampo, e la sua faccia tornò
-subito a farsi oscura.
-
-— Complimenti! — diss’ella. — Come a dire bugìe.
-
-— Ma il mio non è un complimento; — rispose Aldo De Rossi.
-
-Intanto il contino Anselmi lo chiamava a giuocarsi l’acchito. Aldo
-si mosse dal fianco della signora Camilla, fece la prova, la perdè
-e diede l’acchito all’avversario. Questi s’impostò, colpì la palla
-dell’avversario e fece un doppietto, mandandola nei birilli ad
-abbattere il filone, ossia la fila di mezzo.
-
-— Bene! — gridò la signora Elena. — Avete già indovinato che io non
-v’aiuterò molto, e incominciate a fare da per voi.
-
-— Oh, ci sarà lavoro per tutti; — rispose l’Anselmi. — Aldo è un
-terribile giuocatore. —
-
-A farlo a posta, Aldo De Rossi non si mostrò degno della lode; fece
-steccaccia e andò nei birilli con la sua. Gli avversarii ebbero
-quattordici punti dei ventiquattro.
-
-— Si mette male! — disse Aldo, volgendosi con aria contrita alla
-signora Camilla.
-
-— Avete paura? — fece ella, col suo solito accento canzonatorio.
-
-— Non ne ho mai avuta; — rispose egli. — Mi rincresce soltanto che
-abbiate a formarvi un così gramo concetto di me. —
-
-La signora Camilla fece un gesto che pareva volesse dirgli: è già
-formato da un pezzo. Indi, temperando quella espressione beffarda in un
-consiglio di benevola autorità, soggiunse:
-
-— Bisogna essere più calmi.
-
-— Potere! — mormorò Aldo De Rossi.
-
-Intanto il contino Anselmi si disponeva a fare il suo colpo. Egli
-poteva, mettendoci un po’ di buona volontà, guadagnare la partita,
-poichè la posizione in cui Aldo aveva lasciata la sua palla era brutta
-parecchio. Ma il contino, da buon cavaliere, non volle approfittare
-dell’occasione; fece anzi di più, giuocò male e restò peggio, lasciando
-un bel colpo alla signora Camilla, che doveva entrare in giuoco, per lo
-sbaglio di Aldo.
-
-La signora Camilla, nuova al giuoco, non s’era avveduta di quel piccolo
-artifizio galante.
-
-— E adesso come si fa? — diss’ella, prendendo posto davanti al biliardo.
-
-Il contino Anselmi non aspettava altro. Lesto come uno scoiattolo,
-si piantò a fianco della signora, rubando il posto e l’ufficio al De
-Rossi, che, essendole compagno, aveva il diritto di consigliarla e di
-guidarle la mano.
-
-— Si fa così; — disse il contino, prendendole la punta della stecca e
-mettendola in quella direzione che gli parve più conveniente. — Sono
-rimasto male e voi dovete approfittare del mio errore. Lasciate andare
-il colpo; son punti fatti. —
-
-Vedendosi vogar sul remo a quel modo, Aldo De Rossi aveva fatto un
-gesto d’impazienza. La signora Elena se ne accorse e disse prontamente
-al contino Anselmi:
-
-— Ma bravo, signorino! È così che stiamo insieme? Voi fate il giuoco
-degli avversari.
-
-— Donna Elena, non l’ho fatto apposta. Non tutti i colpi riescono.
-
-— Non parlo del colpo; parlo del consiglio che date.
-
-— Ah, è vero; — rispose l’Anselmi. — Ma, per una volta tanto...
-
-— Per una volta tanto, — replicò la signora Elena, con aria mezzo
-stizzita, — lasciate che il consiglio lo dia il signor Aldo. —
-
-Il contino Anselmi capì di aver fatto un passo falso e si tirò indietro
-con tutta quella buona grazia che gli era consentita da un così molesto
-rimprovero. Intanto la signora Camilla era rimasta con la stecca sul
-biliardo, nella medesima posizione in cui l’aveva messa il troppo
-volonteroso consigliere. Aldo De Rossi, tirato in ballo dalla signora
-Elena, ripigliò tosto i suoi diritti. Diede un’occhiata alla direzione
-della stecca, e vide che si trattava appunto di spingere, per mandare
-nei birilli la palla avversaria. Ma questo, che era evidentemente
-un regalo del contino Anselmi, non gli poteva convenire per nessun
-modo. Perciò, sviata leggermente la stecca della sua bella compagna, e
-raccomandatole di battere la palla un po’ sotto il centro, perchè non
-avesse a correr troppo, le accennò sommessamente di colpire. Camilla,
-a dir vero, non sapeva che si facesse; ma il compagno consigliava ed
-ella obbedì, spingendo la stecca in quella direzione che egli aveva
-indicata. La palla avversaria, scambio di andare nei birilli di primo
-tratto, li rasentò, andando a battere verso il mezzo la mattonella
-corta, donde ritornata, entrò nella croce dei birilli, abbattendone
-quattro.
-
-Aldo, la signora Vezzosi, il cavalier Sestavalle e i due personaggi
-politici della compagnia, applaudirono alla franchezza del colpo. La
-signora Camilla si fece rossa dalla gioia.
-
-— Ma bene, egregiamente! — disse il contino Anselmi, parlando a denti
-stretti, come potete immaginarvi. — Ed io che credevo...
-
-— Già! — interruppe la signora Camilla. — E perciò mi avevate preparato
-un colpo facile, non è vero? Ma io, per vostra norma, amo il difficile.
-
-— E riescite egualmente; riescite in tutto; — rispose il contino
-Anselmi, per farla finita senza troppa vergogna. — Ora a voi, Donna
-Elena; poichè entrate in giuoco, salvatemi. Abbiamo quattordici
-punti; gli avversari ne hanno dieci; bisognerà stare attenti. Del
-resto, — soggiunse, — non occorre dirvi altro; la guerra è tra le
-Amazzoni. —
-
-La signora Elena giuocava per mera compiacenza. Non fece nulla di
-buono, e si contentò di non guastare. A poco a poco fu vinta dal buon
-umore di Camilla, che metteva colpo su colpo, senza chieder parere al
-compagno, ed ambedue fecero gazzarra per parecchi minuti, senza dar mai
-nei birilli, quantunque più volte ci passassero molto vicino, e, quel
-che era peggio, con la palla propria, anzi che con la palla avversaria.
-Finalmente, avvenne che la signora Elena mandasse la propria in bilia.
-Erano due punti perduti e doveva tornare in giuoco l’Anselmi.
-
-— Venite a consigliarmi; — disse allora la signora Camilla al De Rossi.
-— La guerra non è più tra Amazzoni. —
-
-Aldo non se lo fece dire due volte e si piantò subito daccanto a lei,
-consigliandola e mettendole in posizione la stecca. Ma la signora
-Camilla fece come qualche volta Orazio, che vedeva il meglio e si
-appigliava al peggio. I consigli e gl’insegnamenti di Aldo non ci
-potevano più nulla; essa giuocava sempre alla rovescia. Ma rideva,
-mostrava le perle della sua bocca al compagno, e questi si sentiva
-correre al cuore una vena d’allegrezza, fino allora ignorata.
-L’Anselmi, frattanto, vedendo che l’aria spirava da un’altra banda,
-si mise in guardia contro le infreddature. Giuocava con prudente
-abbandono, e celiava con la signora Elena, che non aveva ragione per
-stare sostenuta con lui, o per ridere dei fatti suoi, come faceva
-quell’altra. Il contino Anselmi adoperava in quella occasione come
-il buon marinaio in tempo di burrasca; imbrogliava le vele, perchè
-il vento non avesse a lacerargliele e, Dio guardi, a spezzargli anche
-l’albero.
-
-Tutto ad un tratto la signora Camilla fece steccaccia e andò nei
-birilli con la sua.
-
-— Perduti? — chiese ella al De Rossi.
-
-— Perduti; — rispose Aldo, sorridendo.
-
-— Benissimo! — ripigliò Camilla. — Siamo dunque della medesima
-forza. —
-
-E lo guardava, così dicendo, con una espressione tanto strana, che egli
-ne fu tutto rimescolato.
-
-Che cosa voleva dire quello sguardo? Probabilmente questo: Siamo
-due capi ameni, voi con la vostra gelosia scontrosa, io con le mie
-leggerezze infantili. Oppure quest’altro: Ci combiniamo in ogni cosa,
-perchè in fondo in fondo ci amiamo più che non paia. Infine, poteva
-significare anche questo: Siete così scemo, che ho compassione di voi.
-Comunque fosse, l’intensità dello sguardo di Camilla aveva un perchè.
-Ma fors’anche non ne aveva nessuno, ed era un suo modo di guardare la
-gente, per il quale tornava inutile di beccarsi il cervello.
-
-Vi ho detto che si sentì tutto rimescolato. Non si sostiene impunemente
-lo sguardo di una donna che si ama, specie quando non si sa ancora se
-quella donna vi ami, e perchè vi guardi in tal modo. Ma il turbamento
-non è una risposta, e Aldo De Rossi doveva darne una.
-
-— No, — diss’egli tanto per aver l’aria di rispondere qualche cosa,
-— mi riconosco più debole di voi. Anch’io, è vero, sono andato nei
-birilli con la mia; ma voi, almeno, avete fatti una volta dieci punti
-buoni, mentre io non ne ho imbroccato mai una.
-
-— Ed è giusto che si vada così; — ribattè la signora Camilla, col suo
-solito accento sarcastico. — Tirate a troppo, signor mio! —
-
-Aldo inarcò le ciglia, come un uomo che non ha capito e sta per
-domandare una spiegazione. Ma il contino Anselmi capitò in buon punto a
-troncare il duetto.
-
-— Volete la rivincita, signora? — chies’egli a Camilla.
-
-— No, — rispose ella, — salvo che Elena non voglia continuare...
-
-— Come vuoi tu, mia bella; — disse la signora Vezzosi. — Sai pure che
-si ama poco ciò che non si sa fare abbastanza bene.
-
-— Quand’è così, — ripigliò Camilla, — diciamo le cose come stanno.
-Signor conte, il vostro giuoco è assai brutto. —
-
-Il contino Anselmi s’inchinò, senza rispondere. Era furbo, il
-giovinotto. Rispondere non si poteva che in due modi; o piccato, od
-umile. Ora il contino Anselmi non voleva fare nè una cosa nè l’altra.
-
-La signora Camilla proseguì:
-
-— Giuocate voi altri, noi staremo a vedere.
-
-— Non sarebbe bello; — rispose l’Anselmi.
-
-— Perchè? Quando i cavalieri vostri antenati combattevano in giostra,
-credevano forse di dare un brutto spettacolo alle dame? Giuocate,
-signori, giuocate; noi ammireremo i bei colpi.
-
-— Se si prende una partita a biliardo per una giostra, eccomi a
-rompere una lancia; — entrò a dire il commendatore Gerardo. — È l’unica
-forma di combattimento che sia permessa ad un cavaliere che tocca i
-cinquanta. A voi, conte Anselmi, lancia in resa e prendete campo, io vi
-sfido.
-
-— Ed io vi armo il braccio; — disse la signora Camilla, porgendo la sua
-stecca al Vezzosi. — Vi sia cara quest’arma; essa ha già fatto dieci
-punti. —
-
-Il commendatore Gerardo ringraziò. L’Anselmi, preso tra due fuochi,
-dovette rassegnarsi a giuocare senza dame.
-
-Il presidente gran croce, abbandonato dal suo interlocutore assiduo,
-andò a sedersi sul divano, presso la signora Elena, a cui si era già
-accostato il cavaliere Sestavalle. Aldo De Rossi rimase libero di
-sedersi presso la signora Camilla.
-
-— Come siete buona! — le disse, a mezza voce, mentre aveva l’aria di
-guardare il ventaglio che essa teneva tra le mani.
-
-— Vi pare? — fece ella. — E perchè?
-
-— Perchè avete posto un termine a questo giuoco, che è tanto noioso.
-
-— Grazie, — rispose Camilla. — Noioso, anche stando con me?
-
-— Oh, che dite mai? Noioso in sè stesso; — replicò il De Rossi. — Del
-resto con voi ci si sta meglio a discorrere.
-
-— Ecco un altro complimento; — osservò la signora.
-
-— Ah, è vero; — disse Aldo; — ricordo la vostra definizione;
-complimento, bugìa. Ma parliamoci schiettamente, signora: credete
-proprio che uno il quale vi dichiari di amare la vostra conversazione
-vi snoccioli una bugia?
-
-— No, davvero; — rispose Camilla, ridendo, — non sono così modesta per
-crederlo, nè così ipocrita per dirlo.
-
-— Ah, meno male! — esclamò il De Rossi.
-
-La bontà di Camilla era contagiosa; scusate il brutto epiteto,
-adoperato a colorire una bella cosa. Voglio dire che Aldo, incuorato
-dalla cortesia della dama, fu di ottimo umore e chiacchierò
-allegramente, come non aveva fatto mai. Intanto i due combattenti si
-riscaldavano al giuoco, e uno di essi, il commendatore Gerardo, non
-faceva troppo onore all’arma della signora Camilla.
-
-— Chi guadagna? — chiese ella, ad un certo punto, interrompendo il suo
-dialogo con Aldo.
-
-— Guadagna Anselmi, signora; — rispose il Vezzosi. — Ha vent’anni meno
-di me, e venti punti di più.
-
-— Coraggio, e rimettetevi in pari! — disse Camilla.
-
-— Signora, — fece l’Anselmi, con finta umiltà, — se debbo perdere...
-
-— Potreste averlo già fatto; — rispose Camilla, che, come sapete, le
-sue ragioni non le mandava a dire; — potreste averlo già fatto, poichè
-il signor Gerardo è il mio cavaliere, armato da me. Ma non lo fate ora,
-ve ne prego; chè non ne avreste più merito. —
-
-La mattinata da Brindelli finì maluccio per il contino Anselmi, che
-l’aveva concertata. Nell’uscir di là, Aldo ebbe il coraggio di offrire
-il braccio a Camilla, e Camilla ebbe il coraggio di accettarlo. A quei
-solleoni!
-
-
-
-
-XV.
-
-
-Il contino Anselmi andava chiedendo a sè stesso da che cosa avesse
-potuto prendere origine un cangiamento così repentino.
-
-— Avrei io inciampato in un amore nascente, — pensava egli, — come,
-attraversando un campo di grano, si mette il piede su d’un nido di
-quaglie? —
-
-Preso in questa forma l’aire, il contino almanaccò un bel tratto;
-almanaccò, verbigrazia, che aveva fatto male a impegnarsi con una
-leziosa come la Rivanera, così invanita della sua bellezza e de’ suoi
-quattrini. Ma si era egli impegnato davvero? Le aveva detto un mondo
-di galanterie ed ella aveva mostrato di gradirle. Che fosse innamorata
-di Aldo, o corrispondesse in qualche modo all’amore di lui, non pareva
-possibile; non era, sopra tutto, conciliabile con la libertà di cui
-aveva fatto prova per due giorni alla fila. Se pure non era da credere
-che tutto quell’esercizio di moinerie mirasse proprio ad ingelosire
-il De Rossi!... Le signore donne le hanno familiari, queste alzate
-d’ingegno; per far disperare uno, fanno nascere le speranze di un
-altro, dal quale non vogliono poi essere prese in parola. Ora, in
-certo qual modo, le speranze erano nate nel cuore del contino Anselmi,
-ed egli, nei primi bollori, aveva commesso un piccolo sbaglio. Si
-era sbilanciato, se ben ricordate; aveva detto alla signora Camilla,
-parlando della compagnia con cui andavano da Birindelli: «cinque
-di troppo!»; e aveva anche appoggiata la frase con un sospiro molto
-significativo. Da quel momento l’umore della dama si era cangiato.
-Diamine, per così poco? Ma sì, per poco o per molto che fosse, si era
-cangiato di schianto.
-
-Ora, quando una donna comincia a prendere ombra e a mettersi in
-contegno, le spiegazioni non possono essere che due. O ella si annoia
-dei fatti vostri, riconoscendo in voi un pretendente; o gradisce
-l’omaggio, ma, per ottenerlo intiero, per mettervi il collare, ed
-anche la musoliera, incomincia a trattarvi un po’ male, come se volesse
-stuzzicarvi nell’amor proprio, infiammarvi all’impresa.
-
-Ma quale delle due spiegazioni era la buona, in quel caso? Come
-occorre di tutte le cose che un uomo domanda a sè stesso, mentre la
-ragione sufficiente di esse è tutta fuori di lui, il contino Anselmi,
-poveretto, non seppe darsi una risposta, e vide la necessità di
-fermarsi ad osservare con diligenza i più piccoli indizii. Una cosa
-sola gli appariva evidente, certissima; che egli aveva commesso un
-errore di grammatica amatoria, buttandosi troppo avanti, e quasi
-spiccando il salto, senza sicurezza di cascare in piedi. Grosso errore,
-errore massiccio, e bisognava prontamente ripararlo.
-
-La cosa non gli tornava difficile. Ripigliare le proprie posizioni,
-rimettersi in osservazione, è sempre agevolissimo agli spiriti
-superficiali, agli amatori leggieri, che vi danno la galanteria in
-iscambio dell’affetto. E sono proprio essi che hanno ragione con la
-maggior parte delle donne, a cui bastano le apparenze della passione,
-forse perchè non possono o non vogliono approfondir nulla, in una
-società come l’odierna, che è tutta una fiera di vanità.
-
-Il termine di tanti studi e di tante meditazioni fu questo, che
-il contino Anselmi lasciò libera la signora Camilla. Il caso aveva
-posto sulla sua strada un’altra donna, forse a guisa di riscontro,
-fors’anche come pietra di paragone. Si accompagnò dunque a quell’altra,
-e incominciò la sua serie di arguzie galanti. Dico la serie, perchè gli
-amici suoi lo avevano paragonato, per questo rispetto, ad un giuocatore
-di carambola, che, riescito a bene il primo colpo, ne manda altri cento
-di costa a quel primo. Infatti, il contino Anselmi faceva tutto da sè:
-preparava il giuoco, e poi via, adagino, con garbo, vi faceva la sua
-infilzata di sciocchezze, che attingevano tutto il loro pregio dal modo
-facile e gaio con cui erano snocciolate.
-
-Per sua disgrazia, la signora Elena era molto distratta; non poneva
-mente alle sue arguzie, e, per conseguenza, non ne rideva. Un
-giuocatore di carambola a cui manchi la galleria (intendete un certo
-numero d’ammiratori) perde subito il filo. Ora, lo spirito del contino
-Anselmi, per risplendere della sua luce, aveva mestieri di ascoltatori
-compiacenti. Non ne ebbe, e a poco a poco languì; quando giunsero
-davanti all’albergo della Pace, era spento del tutto.
-
-— Anselmi, — gli disse il commendatore Gerardo, — volete venire in
-giardino, a bere una gramolata?
-
-— No, grazie, Gerardo; — rispose il contino, — debbo tornare
-all’albergo.
-
-— Un appuntamento? Gatta ci cova.
-
-— Sì, — disse l’Anselmi, con un sorriso di uomo stanco in
-anticipazione, — la gatta è rappresentata da una risma di carta. Ho un
-monte di lettere da scrivere. —
-
-Le signore non credettero necessario d’intromettersi, e il contino
-Anselmi, fatta la sua riverenza, si allontanò. Per fare più presto la
-strada della Torretta, chiamò una carrozza. Credete pure che ciò fosse
-per amore dell’epistolario; quanto a me, penso che faceva caldo e che
-il contino Anselmi non amava scottarsi da solo.
-
-— Errore di grammatica! — andava dicendo tra sè. — Errore di
-grammatica! Il diavolo mi porti, se ci casco una seconda volta. E la
-Vezzosi, che mi faceva la distratta! Quella, poi, è innamorata cotta.
-Ma come non si accorge di quello che avviene? Oppure la Rivanera
-le serve di copertoio? In fede mia, ecco un copertoio mal scelto!
-La Rivanera è due volte più bella, a dir poco. È vero che io mi
-contenterei; — soggiunse egli, sorridendo a sè stesso. — È un fior di
-donna, la Vezzosi. Ed ecco qua un uomo, — conchiuse ironicamente, — che
-non farebbe troppo il difficile. Ma appunto per questo, lo lasciano
-da banda tutt’e due. Basta, sia come vogliono loro, e andiamo dalla
-cantante. —
-
-Beato carattere, che non si commoveva di nulla! Auguro a voi, amico
-lettore, di possederne uno compagno.
-
-La cantante ci aveva i nervi. Quella mattina, attaccando i soliti
-solfeggi, si era accorta di non aver più il suo _re_ sopracuto, per
-cui amava essere paragonata alla Frezzolini. L’Anselmi, sempre in
-vena di sciocchezze, le promise di fargliene venire uno da Parigi, e
-quella spiritosità senza sugo lo fece mettere alla porta. La giornata
-voleva esser lunga. Il contino si ritirò nella sua camera e si buttò
-sul letto, a fumare una spagnoletta. Ciò lo condusse a pensare che la
-sua provvista di tabacco del Levante aveva mestieri di essere rifatta.
-Stese la mano all’orario delle strade ferrate, che era sul comodino,
-accanto ad un _Figaro_ di due giorni addietro, e meditò un tratto sulle
-coincidenze dei treni. Lo studio dovette tornargli facile, poichè,
-balzato tosto dal letto ed infilzato da capo il soprabito, prese il
-cappello ed uscì.
-
-Quella sera il contino Anselmi mancò alla conversazione e al ballo
-del Casino. Le signore non seppero che era andato a passar la notte
-a Firenze. Probabilmente notarono l’assenza del grazioso perondino;
-ma non ne fecero argomento di discorso. E nemmeno Aldo De Rossi, vi
-prego di crederlo. Il nostro eroe si contentò di respirare un po’ più
-liberamente. Trionfava, direte. Ma ohimè, v’ingannate, non trionfava
-affatto. La signora Camilla, non essendo più là il contino per fare il
-riscontro al De Rossi, apparve meno confidente, meno tenera con Aldo;
-tornò ad essere quella capricciosetta incomprensibile, quella cara
-sfinge che avete la fortuna di conoscere. Ballò due volte con Aldo, ma
-senza dirgli nessuna di quelle parole che potevano farlo contento; e
-ballò anche molto con altri, lasciandosi fare quel che suol dirsi una
-corte spietata, da mezza dozzina di cavalieri.
-
-La signora Elena, dal canto suo, non mutò di umore, nè di contegno; era
-distratta il mattino, continuò ad essere distratta la sera.
-
-Che cosa aveva la signora Elena? Ve lo dirò in confidenza; aveva fatto
-una cosa superiore alle proprie forze e sentiva tutto il fastidio
-dell’impresa.
-
-Vi è egli mai avvenuto di dire: io non berrò più vino? Oppure: io
-non fumerò più per un anno e un giorno? Conosco degli uomini che si
-son resi padroni dei propri difetti, e diciamo pure dei propri vizi.
-Ma la più parte di questi sperimentatori in persona propria, dopo
-aver fatto il fermo proponimento, si seccano. La durano dieci, venti
-giorni, magari anche un mese; poi incominciano a languire, a struggersi
-dalla voglia, e finiscono come potete immaginarvi, dando ascolto alla
-tentazione e ritornando al peccato. Gran mercè se il peccato è veniale,
-come nei due casi citati di privazione volontaria.
-
-Il paragone vi sembrerà volgare. Lo vedo anch’io. Ma, appunto perchè
-volgare, vi darà una misura proporzionale dello stato d’animo in cui
-era la signora Vezzosi. Ella si era proposta un sacrifizio assai più
-grave di quello che si proporrebbe un uomo, di non fumar più, o di non
-bere più vino per un anno.
-
-A mezza sera, dopo aver fatto un giro di valzer con Aldo De Rossi, la
-signora Elena si lagnò del caldo soffocante che faceva nella sala.
-
-— Volete prender aria? — le disse il giovanotto.
-
-— Sì, credo che mi farà bene. Ve ne prego, andate nella sala da giuoco
-e dite a Gerardo che venga a prendermi.
-
-— Che? vorreste già ritirarvi?
-
-— No, solamente andare sul terrazzo.
-
-— Se è così, non basto io?
-
-— Siete molto gentile; — disse la signora. — Ma io non vorrei
-sacrificarvi, facendovi abbandonare il ballo, con gl’impegni che
-avrete.
-
-— Non ho impegni; — rispose Aldo. — E, poi, vedetemi in faccia. Vi ho
-l’aria di un uomo che si diverte?
-
-— No, davvero. Ma che cosa avete? Le vostre cose vanno dunque così male?
-
-— Non potrebbero andar peggio. La duro fin che posso, e poi ne faccio
-una delle mie.
-
-— Calma! Calma! — disse la signora Vezzosi, nell’atto di prendere il
-suo braccio per escir dalla sala. — Infine, che ragioni avete, per
-essere in collera? Siete geloso! Bella novità! Ma almeno, non lo sarete
-più del contino Anselmi.
-
-— Sì, di lui per l’appunto.
-
-— Ma se non è neanche presente!
-
-— Proprio perchè è lontano; — disse Aldo. — Vedete, Donna Elena, con
-voi posso parlare. Siete la mia Egeria...
-
-— Ma voi non siete savio come Numa Pompilio; — ribattè la signora
-Vezzosi. — Basta, parlate egualmente e confidatemi le vostre pene. Che
-cosa significa questo esser geloso di un assente, appunto perchè egli è
-assente?
-
-— Signora, — fece Aldo, — avete notato come oggi, da Birindelli, e poi
-nel ritorno, ella fosse gentile con me, quantunque ci fosse lui?
-
-— Sì, l’ho notato, e, se volete riconoscerlo, vi ho anche un pochino
-aiutato.
-
-— È vero, e vi ringrazio. Ma avete veduto stassera? L’Anselmi non c’è,
-fa l’imbronciato, ed ella ha rizzato muso.
-
-— Non mi pare, signor Aldo, non mi pare. Ella non fa che ballare.
-
-— Già, con tutti, e senza lasciare un ballo. Vedete che furia! E non
-trova neanche il tempo per rivolgere un’occhiata a questo sciocco che è
-il vostro umilissimo servo.
-
-— Dio buono! Ma voi siete incontentabile. La donna che amate non ha da
-vedere che voi!
-
-— È la mia opinione; o tutto o nulla.
-
-— Perciò, — disse la signora Vezzosi, fermandosi a mezzo il terrazzo,
-e guardando in viso il suo cavaliere, — al poco che vi è toccato...
-preferireste il nulla.
-
-— Sicuramente, il nulla; — rispose egli, risoluto.
-
-La signora Elena rimase alquanto sovra pensiero; indi riprese:
-
-— Che strano innamorato! Siete un uomo di altri tempi.
-
-— Perchè? Non è di tutti i tempi, l’amore?
-
-— Lo sarà stato, signor Aldo, lo sarà stato; ma sicuramente non è più
-del nostro.
-
-— E da che lo argomentate, se è lecito?
-
-— Da un po’ d’esperienza. Oh, non istate a credere che io ci abbia
-provato; — soggiunse ella, ridendo. — Ho semplicemente veduto.
-Ammetterete, io spero, che una donna mia pari possa averne veduti
-spasimare parecchi.
-
-— Ne ammetto volontieri un centinaio — disse Aldo De Rossi.
-
-— E che, anco non dandogli retta.... — proseguì la signora Elena.
-
-— Sempre un centinaio; — ripigliò il giovinotto inchinandosi.
-
-— Sopratutto non dandogli retta, — soggiunse la signora Elena,
-appoggiando sulla frase, — possa averli studiati, essersi convinta e
-persuasa del modo con cui amano gli uomini del nostro tempo. Orbene,
-signor Aldo, nell’amore degli uomini della vostra generazione c’è una
-parte di desiderio e una parte di vanità. Questa, poi, è molto più del
-desiderio. Figuratevi come possa entrarci l’amore, l’amor vero, che è
-un bisogno del cuore, l’aspirazione ad un sentimento di tenerezza, che
-abbellisca la vita, o la renda sopportabile.
-
-— Come dite bene! — esclamò Aldo De Rossi, traendo un sospiro. —
-È proprio questo, l’amore che sento. Rinunzierei al possesso della
-persona amata, rinunzierei alle consolazioni della pubblica invidia,
-pur di sapere dentro di me che quella donna mi ama e che io posso
-riporre intieramente la mia fede nella sua.
-
-— Ve l’ho detto; — replicò la signora Vezzosi: — siete un uomo strano,
-un uomo d’altri tempi. Su che libri vi siete formato? Dico su libri, e
-non sopra esempi viventi; perchè questi, o mancano, o vivono nascosti.
-Certi sentimenti, come i colori troppo delicati, non amano la luce viva
-del sole. —
-
-In quel punto una luce più mite, ma diffusa, coglieva in pieno la
-persona di Aldo De Rossi, che stava ritto accanto al davanzale del
-terrazzo, con la faccia rivolta verso l’entrata del Casino. E in quel
-punto apparve sul limitare dell’anticamera la signora Camilla. Il
-commendatore Gerardo la teneva a braccetto.
-
-Aldo se la vide baluginare davanti agli occhi e rizzò prontamente la
-testa. La signora Elena indovinò dal gesto di Aldo che c’era qualche
-cosa di nuovo, e lentamente, come persona stanca, o svogliata, si girò
-da un lato a guardare. Non vi dirò che la vista dell’amica le facesse
-in quel punto un gran piacere. Se ve lo dicessi, non credereste. Siamo
-dunque intesi, non ve l’ho detto.
-
-— Ah, sei qui, mia cara? — esclamò la signora Camilla, mettendo il
-piede sul terrazzino. — Ti avevo veduta andar via dal salone con una
-cert’aria abbattuta!.... Non ti ho vista tornare, e credevo già che ti
-sentissi male.
-
-— Infatti, — rispose la signora Vezzosi, — il caldo mi aveva oppressa.
-Non ho neanche potuto finire il valzer, perchè mi era venuto un
-capogiro.
-
-— Perchè non farmi chiamare? — disse il commendatore Gerardo, prendendo
-affettuosamente per mano la sua dolce metà.
-
-— Oh, non mi parve necessario d’incomodarvi per così poco. Ho dato
-invece il disturbo al signor Aldo, che è stato tanto gentile da
-sacrificarsi per me. Del resto, credevo che voi foste impegnato a
-giuocare.
-
-— Che! Mi seccavo a veder giuocare gli altri, aspettando che il
-presidente si fosse liberato da un noiosissimo giudice di mandamento
-che gli s’è attaccato ai panni e non lo ha ancora lasciato. Per
-fortuna, — soggiunse il commendatore Gerardo, volgendosi alla sua bella
-vicina, — la signora Camilla è apparsa sull’uscio....
-
-— Cercavo appunto mio zio, — interruppe la signora Camilla, a cui non
-metteva conto di far sapere quelle piccolezze alla gente.
-
-— Ed io, — ripigliò il commendatore che non voleva rinunziare al gusto
-di finire la frase, — son corso incontro alla bella visione.
-
-— Come siete galante! — esclamò la signora Camilla, risoluta per quella
-volta di mozzargli le parole in bocca, se per caso ne aveva altre da
-aggiungere. — E adesso vorreste compir l’opera? Ma no; — riprese ella,
-come pentita; — dividiamo la fatica tra due. Signor Aldo, sareste voi
-così buono....
-
-— Dite, signora; — gridò Aldo, scattando come una molla.
-
-— Da andare nella sala ove si trova mio zio; — continuò la signora
-Camilla.
-
-— Sarete servita immediatamente. E gli dirò?....
-
-— Che vado all’albergo; con lui, se crede di accompagnarmi; con Elena e
-col signor Gerardo, se egli ha ancora desiderio di restare. —
-
-Aldo si affrettò a fare l’imbasciata. Ma dentro di sè andava cercando
-che diamine potesse aver cagionato quella pronta risoluzione di
-Camilla. Anche il tono con cui ella aveva parlato era di persona
-oltremodo nervosa. E questo non era neanche sfuggito all’attenzione
-della signora Elena, la quale rimase sovra pensiero, lasciando a suo
-marito tutto il carico della conversazione. Gerardo, come sapete,
-faceva per due, e all’occorrenza per quattro. Del resto, egli ebbe
-poco da dire, perchè due minuti dopo tornava Aldo, accompagnando il
-presidente gran croce.
-
-— Vi sarete seccato, col giudice? — chiese il commendatore al
-presidente gran croce.
-
-— No, — rispose questi, — mi parlava d’una causa abbastanza importante,
-che si è discussa ultimamente a Perugia. Sapete, Vezzosi, il proverbio
-dice: chi l’ha nell’ossa lo porta alla fossa. Si è stati giudici e le
-cause....
-
-— Producono i loro effetti, capisco. —
-
-In queste chiacchiere si escì dal Casino, per ritornare all’albergo. Il
-presidente gran croce non pensò neanche a domandare perchè si escisse
-così presto. In simili casi, sono le signore che comandano, e nelle
-risoluzioni delle signore non si cerca mai il perchè.
-
-Le dame andavano innanzi, accompagnate da Aldo, che era passato dalla
-banda di Camilla e procedeva mogio mogio, come un cane bastonato. Nel
-vestibolo dell’albergo, il giovinotto augurò la buona notte alle dame e
-si accomiatò dai due accompagnatori legali. Intanto le dame ponevano il
-piede sui primi gradini della scala.
-
-— Carina, — disse Elena a mezza voce, — vorrei parlarti.
-
-— Ora? — dimandò Camilla col suo accento nervoso.
-
-— Anche ora; — rispose quell’altra.
-
-La signora Camilla si volse allora ai due accompagnatori che erano già
-per seguirle, e disse:
-
-— Signori, non è necessario che salgano, per adesso. Elena ed io
-vogliamo stare un’oretta insieme.
-
-— Grandi segreti? — disse il commendatore Gerardo.
-
-— Segreti di Stato; — rispose Camilla.
-
-E fatto un cenno di commiato, si avviò per le scale, seguendo la
-signora Vezzosi.
-
-
-
-
-XVI.
-
-
-Giunte sul primo pianerottolo, le due signore entrarono nel corridoio.
-La cameriera, andata avanti col lume, si fermò davanti al quartierino
-occupato dai Vezzosi, che era il più vicino alle scale. Ma la signora
-Camilla le accennò di proseguire, volendo condurre l’amica nel suo.
-Entrate nel salottino che divideva la camera della signora Rivanera da
-quella del presidente Roberti, la signora Vezzosi si lasciò cadere sul
-canapè, come persona sfinita.
-
-— Hai più coraggio di me; — diss’ella, dopo aver ricolto il fiato, e
-con un accento da cui trapelava un leggero sarcasmo.
-
-— Perchè? — domandò la signora Camilla.
-
-— Perchè li hai mandati via, così alla svelta, come si farebbe con due
-estranei. Si poteva pur rimandare il nostro colloquio a domani.
-
-— Non hai detto: anche ora? — ripigliò Camilla.
-
-— È vero, ma come si dice una cosa senza importanza.
-
-— E senza importanza discorriamo stasera, scambio di discorrere domani.
-Del resto, che conti ho da rendere? Son libera, nota, son libera; —
-soggiunse Camilla, premendo sull’aggettivo, come se volesse rimandare
-il sarcasmo alla sua bella interlocutrice.
-
-Tra due donne questo po’ di malumore c’è sempre. La tensione è lo stato
-abituale di queste due pile elettriche, anteriori di tante migliaia
-d’anni alla scoperta di Alessandro Volta. Ora è quistione di un amore
-che si contendono, ora di una vanità che debbono soddisfare, ma sempre
-di una preminenza che vogliono mantenere. Noi uomini, più spesso che
-non si creda, ci buttiamo via, ci rassegniamo alle seconde parti. Le
-donne mai, viva la faccia loro! Ditela pure una debolezza; ma di che
-cosa s’ha egli ad esser teneri, anzi gelosi, se non della propria
-dignità? Sta bene che ci vuol diplomazia, per vivere in questo mondo;
-ma forse che la diplomazia non ha diritto di mostrarsi permalosa,
-per la maestà dello Stato che rappresenta? E se mi chiedeste che cosa
-rappresenta la donna, vi risponderei che rappresenta sè stessa; come a
-dire un Impero, e un Impero... celeste.
-
-— Volevi parlarmi, — soggiunse la signora Camilla dopo alcuni istanti
-di pausa. — Domani avrebbero potuto mancare le occasioni. Un momento
-così propizio come questo non si presenterà più. Siamo qui sole, e i
-nostri compagni di viaggio, se non li facciamo chiamare, si periteranno
-di venire quassù. Aggiungo che sei da me, e non c’è neanche il pericolo
-che tuo marito entri qua, senza farsi annunziare. Parla! —
-
-Elena ammirò la risolutezza di quella personcina, in apparenza così
-leggera, fatta piuttosto per lasciarsi trasportare dai casi che per
-dominarli. In apparenza, ho detto, ed anche per la signora Vezzosi,
-che veramente l’aveva giudicata assai meglio di così. Certi errori non
-sono possibili tra donne, e l’una conosce l’altra di primo acchito,
-come noi ci conosciamo a malo stento un giorno prima di morire. Or
-dunque, la signora Elena aveva da un pezzo conosciuto il carattere
-di Camilla Rivanera; in quell’impasto di grazia aveva intravveduta la
-forza; sotto quell’aria di leggerezza aveva indovinato un carattere.
-Ma certo, non l’aveva immaginata mai così pronta nelle sue risoluzioni,
-così disposta ad affrontare il pericolo, come essa gli appariva in quel
-momento, andando incontro agli agguati, alle insidie, ai tranelli d’una
-conversazione, che non prometteva niente di buono.
-
-Una lotta s’impegnava. Ma quale? Voi, lettori, l’avete già presentita
-e potreste già in parte descriverne le fasi. Ma le cose non potevano
-essere già così chiare tra le due dame, ed una di esse, la Rivanera,
-doveva anzi fingere di non capirne nulla in anticipazione, e mostrar di
-credere che il discorso annunziato dalla sua amica fosse il più liscio
-e il più naturale del mondo.
-
-— Camilla, — incominciò la signora Vezzosi, — sai che ti amo. Sebbene
-queste cose ce le siamo dette finora assai poco....
-
-— Non importa; — interruppe Camilla, con un gesto che dissimulava male
-l’impazienza, se pur non è da dire che la metteva in mostra; — poche
-parole bastano ad affermare l’amicizia. L’amore, poi, non ha neanche
-mestieri di quelle poche parole. —
-
-Elena si scosse e diede alla sua interlocutrice un’occhiata di
-meraviglia. In quelle parole di Camilla non era a vedersi una sfida?
-Almeno almeno un invito a tagliar corto? Fosse l’una cosa o l’altra,
-la signora Vezzosi doveva cogliere l’occasione che gli era offerta di
-entrare in argomento.
-
-— Tu, dunque, — diss’ella, — saprai che Aldo De Rossi è innamorato di
-te. —
-
-Ecco, lettori, una donna può sapere molte cose; ma non può sempre
-sapere qual ragione faccia parlare in un dato senso un’altra donna;
-specie quando quest’altra incomincia il suo discorso ex abrupto. Non
-vi parrà dunque strano che la signora Camilla, comunque preparata
-all’attacco, balenasse al primo urto un tantino. Forse anche questo era
-un atto meditato, e la perplessità di Camilla serviva di appoggio ad un
-gesto di stupore, che voleva dire: — che cos’è questa alzata d’ingegno?
-
-— Non ti offendere, sai! — ripigliò la signora Vezzosi, ingannata da
-quel gesto. — Dirti che il signor De Rossi è innamorato di te, non è
-già un farti torto.
-
-— No; — rispose Camilla, con un tono tra scherzoso ed ironico. —
-Rendiamo giustizia ai meriti del signor Aldo De Rossi. È un po’ strano,
-il signore, e via, diciamo anche un po’ stupido, perchè ogni cosa abbia
-il suo nome appropriato; ma certo egli non offende una donna, facendole
-la corte. Infatti, mia bella, ne sei offesa, tu? —
-
-Un attacco rispondeva ad un altro. La signora Elena, che non si
-aspettava di essere assalita, mentre ella stessa si era fatta
-assalitrice, ne fu grandemente turbata.
-
-— Io! — esclamò. — E di che dovrei essere offesa? Egli non mi fa la
-corte.
-
-— Davvero?
-
-— Non me l’ha fatta mai.
-
-— Ah! questa è anche più strana.
-
-— Te lo giuro; — disse Elena, con accento solenne.
-
-Camilla stette un momento in forse; poi chinò la testa, con aria di
-persona che vuol dimostrarsi persuasa, anche non essendo convinta.
-
-— E sia; — diss’ella. — Non saprei che cosa opporre ad una affermazione
-come questa. Ma non perdiamo il filo del discorso. Esso avrà pure una
-conclusione; andiamo alla conclusione. —
-
-La signora Vezzosi aggrottò le ciglia, vedendo che Camilla si metteva
-a quel modo in sussiego con lei, e si pentì di aver voluta quella
-conversazione. Ma non c’era rimedio e bisognava andare fino in fondo.
-
-— È male che tu la prenda su questo tono; — diss’ella. — Io vengo a
-te senza secondi fini, col cuore in mano, e ti dico: Aldo De Rossi
-è innamorato di te. È un uomo serio, un gentil cavaliere; amalo. O
-meglio, — soggiunse, — poichè queste cose non si comandano, se è vero
-che tu l’ami, o sei disposta ad amarlo, te ne prego, non fare che egli
-si disperi per la tua apparente insensibilità. —
-
-Camilla ascoltò con molta attenzione il predicozzo, non togliendo gli
-occhi dal volto dell’amica. Indi, col suo solito sussiego, le disse:
-
-— Parli per conto suo?
-
-— Se fosse, — replicò la signora Elena, ferita da quell’aria altezzosa,
-— che cosa ci vedresti di male?
-
-— Anzi, — ribattè la signora Camilla, — ci vedrò una prova del suo
-buon gusto a saper scegliere.... gli ambasciatori. Peccato che col
-buon gusto non si trovi d’accordo lo spirito! Sicuramente, mia bella;
-non s’incomoda una dama come tu sei, più fatta per udire di questi
-discorsi, che per farli ad un’altra. E non è bello, inoltre, che in
-queste faccende s’aiuti con gl’intercessori, chi ha voce e ginocchia
-per pregare da sè.
-
-— È giusto; — osservò la signora Vezzosi. — O, per dire più veramente,
-sarebbe giusto, se il signor De Rossi mi avesse dato l’incarico di
-farti un simile discorso. Il vero è che non mi ha incaricato di nulla.
-Conosco il suo segreto.... Da un pezzo glielo leggevo negli occhi. Mi
-duole di vederlo così triste, così avvilito, e ti parlo per conto mio,
-in favore di quel povero giovanotto.
-
-— Ah, volevo ben dire! — esclamò la signora Camilla. — È dunque tutta
-bontà tua. Veramente singolare! Non ti offenderai, spero, di questa
-osservazione. È tutto ciò che io ti dirò su questo particolare, usando
-dei diritti che accorda l’amicizia. E per questa medesima amicizia
-ti dico: càlmati, bella mia.... E frattanto, non mi chiedere di fare
-questa cosa, o quell’altra, perchè io non posso far nulla. Non amo il
-signor De Rossi.
-
-— Ah! — gridò la signora Elena. — E perchè?
-
-— Ti potrei rispondere molto semplicemente: perchè non l’amo. Tu
-stessa lo hai detto poc’anzi, queste cose non si comandano; o sono,
-o non sono, e la ragione del non essere è così oscura, come quella
-dell’essere. Vedi, mi fai parlare come un filosofo; — soggiunse
-Camilla, ridendo. — Ma voglio essere schietta, quantunque la cosa abbia
-i suoi rischi. Solo chi custodisce il proprio segreto è forte; e la
-donna, già tanto debole in questa società così male costituita, ha
-doppia ragione di custodirlo. Pure, lo ripeto, sarò schietta con te.
-E tu, spero, ci vedrai un’altra prova della mia amicizia. Mi stai a
-sentire?
-
-— Son qua, tutt’orecchi; — rispose la signora Vezzosi, atteggiando le
-labbra ad un sorriso, che non le venne altrimenti.
-
-Camilla, che era stata fino allora in piedi, davanti alla Vezzosi, andò
-a sedersele accanto, sul canapè; indi, presa la mano dell’amica tra le
-sue, come a trastullo infantile, così incominciò la sua confessione.
-
-— Sono una donna leggiera, vana, capricciosa, tutto quello che vorranno
-dire di me tante caritatevoli persone. Oh, non me la prendo, io!
-Riconosco, anzi, che c’è molta apparenza di vero in questi giudizi. Ci
-sono dei modi di essere, che fanno l’uffizio della maschera, con cui
-andiamo al veglione, per non essere conosciute e per far disperare la
-gente. C’è chi riconosce il viso, sotto la forma di raso nero: ma non
-importa, la maschera c’è, e ti dà il diritto di parlare liberamente,
-come se tu non fossi riconosciuta. Dunque, diciamo, leggiera, vana,
-capricciosa, volubile, e chi più n’ha ne metta. Io, dentro di me, so
-d’essere tutt’altra. Odio i caratteri falsi, sono assetata di verità;
-perciò, capirai che non posso amar gli uomini, e che, sopratutto, non
-posso stimarli. Questi per la bellezza, quegli per la ricchezza, o
-per la condizione sociale, uno perchè sei libera, l’altro perchè non
-lo sei più, ci hanno tutti una ragione eccellente per mettersi sul
-tenero, qualche volta ingannando sè stessi, sempre cercando d’ingannare
-anche te. Ma parliamo di me, che sono libera. Ho la bellezza, dicono;
-ho la ricchezza, dice il mio ragioniere, che guarda al sodo e non si
-confonde con certe lustre. Ora, io te lo confesso sinceramente; sarò
-matta da legare, ma quando m’accorgo che un uomo non ama in me che
-una superficie di bellezza, vorrei esser brutta da far paura, per
-vedere dove va tanto amore disperato; quando m’accorgo che si tratta
-anche e sopratutto del mio milioncino (sono afflitta da questo guaio,
-che farci?) vorrei essere povera come Giobbe, per vedere se la mia
-bellezza, ridotta a figurare tra i cenci, farebbe fare tante pazzie a
-quell’uomo.
-
-— Aldo De Rossi non bada alla ricchezza; — osservò la signora Vezzosi.
-
-— Lo credo, e gli rendo giustizia in questo particolare; — rispose
-Camilla. — Ma io parlo in genere, e dico che l’amore è una cosa
-delicatissima, imponderabile, indefinibile. O c’è tutto, o non vale un
-bel nulla. L’uomo che ami solamente per amare, e per amare quella donna
-più d’un’altra, e per amare solamente quella, è possibile trovarlo?
-Io credo di no. Vado ad altezze vertiginose, lo capisco; ma sono fatta
-così ed oramai non c’è verso di mutarmi. Ho potuto non chiedere queste
-cose, quando ero fanciulla ed abbastanza inesperta; ma oggi ho veduto,
-ho paragonato, ho studiato, cerco quell’amore e quell’amore non c’è. O
-ci sarà, ed io non l’ho trovato. Sarò come quel tale, che voleva andare
-ad alloggio nell’albergo della Felicità; ma era tanto distratto a furia
-di pensarci, che passò rasente e non vide l’insegna. E può anche darsi
-che il tuo De Rossi sia l’uomo ch’io cerco; e può anche darsi che non
-lo sia. Non l’ho studiato, e gli è come se non lo fosse.
-
-— Già, — notò ironicamente la signora Vezzosi, — tu l’hai per uno
-stupido!
-
-— Oh, questo non vorrebbe dir nulla; — rispose con molta tranquillità
-la signora Camilla. — Ci s’innamora male, degli uomini di spirito.
-Sono come le donne letterate, che abbagliano annoiando, o come i
-cani sapienti, che fanno tante belle cose egregiamente, salvo quella
-per cui i cani sono ammessi agli onori della domesticità. Un povero
-canino da pagliaio, che non sa dar la zampa, nè saltare il cerchio, nè
-andar ritto da un capo all’altro della sala, ama il padrone, lo segue
-fedelmente e ne custodisce la casa. Non fo torto al signor De Rossi;
-dico soltanto che un uomo simile non farebbe per me. Ci avesse almeno
-il buon gusto di dedicarsi ad una donna, di non vedere e di non servire
-che a quella! Ma no; lo vedi girandolare da questa a quell’altra,
-con una facilità che dimostra tutta la sua leggerezza, di cuore e di
-spirito.
-
-— Eh via! — disse la signora Vezzosi. — Tu gli fai torto, adesso. Egli
-va in società, come ci vanno tutti i suoi pari. Perchè accusi lui solo?
-
-— Lui solo, certamente, perchè nessun altro va in società come lui, con
-quell’aria di voler parere una eccezione ambulante. Gli altri, a buon
-conto, non si piccano di apparirti diversi da quelli che sono, mentre
-egli, il tuo De Rossi, — (la signora Camilla appoggiò maliziosamente
-sul pronome possessivo) — fa il filosofo meditabondo, l’uomo dei grandi
-concetti e dei profondi dolori. L’ho veduto in molti luoghi, a balli,
-a conversazioni, a teatri, sempre inguantato, incravattato, insaldato,
-i capegli ravviati con una diligenza miracolosa, la divisa condotta
-a pennello fino alla nuca, le ciocche lucenti sulla fronte; e da per
-tutto con quel suo cipiglio imbronciato e scontroso, come un uomo che
-mediti un suicidio.
-
-— Non è certo come l’Anselmi; — osservò la signora Vezzosi.
-
-— Oh no, — riprese Camilla, — e viva l’Anselmi, con la sua faccia
-serena e il cuor contento. È uno sciocco, te lo concedo, ma uno
-sciocco che non fa male. L’insegna non ti tradisce. Ride, distilla
-continuamente il suo spirito; qualche volta ci riesce e qualche volta
-no; ma in fine, non ha l’aria di volerti dare una lezione ad ogni
-batter di ciglia, e, sopra tutto, non si atteggia a rubacuori.
-
-— Lo credi?
-
-— Almeno, mi sembra tale, ed è tutt’uno. A me, che non ho mestieri di
-legger nell’anima di questi signori, basta quel po’ di vernice.
-
-— Hai torto; — disse placidamente la signora Vezzosi. — Conosci sempre
-più addentro che puoi le persone che ti avvicinano più spesso. Non
-sai che cosa pensano? Avrai anche il rammarico di non sapere che cosa
-diranno alle tue spalle.
-
-— Che cosa diranno? — Quello che potranno dire. E se io non darò loro
-argomento...
-
-— Brava! Come se non bastasse una cortesia, uno scherzo, una frase
-detta senza metterci importanza, per mandare in solluchero questi
-signori e destare le più ardite speranze! Ma sia pure come tu credi;
-avranno poco da dire. Rimarrà sempre quella che potranno lasciar
-supporre. C’è un modo di lasciar supporre, che vale il raccontare... ed
-anche il dare ad intendere. —
-
-La signora Camilla stette un istante sovra pensiero, indi si strinse
-nelle spalle.
-
-— Bella mia, — replicò, — tu chiedi più attenzione e più vigilanza, che
-non sia possibile ad una donna di usare. Io permetterò anche questo,
-purchè non si pensi ad alta voce con me e non mi si annoi con certe
-dichiarazioni.
-
-— Oggi, infatti... — notò la signora Elena.
-
-— Ah, oggi! Che cos’hai veduto, quest’oggi?
-
-— Non dovrei dirlo, perchè sarebbe un pensare ad alta voce... e
-potrebbe annoiarti.
-
-— No, parla, te ne prego. Non crederai già che la mia insofferenza per
-certi discorsi si estenda anche a te!
-
-— Dirò, dunque, — ripigliò la signora Elena, ringraziando Camilla con
-un lieve cenno del capo, — che stamane tu avevi l’aria di trattare
-molto bene il contino Anselmi, e che subito, entrando da Birindelli,
-hai incominciato a trattarlo assai male. Almeno se si deve giudicare
-dal suo contegno, che era proprio d’uomo avvilito, a cui non basta più
-l’allegria sforzata, nè la filosofia naturale, per apparire tranquillo.
-
-— Ah, l’ho trattato male? — ripetè la signora Camilla. — Non me ne sono
-avveduta. Prendo e lascio con tanta facilità! E questo ti provi che non
-dò nessuna importanza ai nostri bei cavalieri; peggio per loro, se, da
-qualche frase buttata là per chiasso, traggono argomento a sperare Dio
-sa che cosa! Può anche darsi, — soggiunse Camilla, tornando al fatto, —
-che il contino mi abbia seccata. Anzi, mi pare di ricordarmi... Sì, mi
-ha detto qualche cosa che m’ha dato noia. Ma quello è un uomo che non
-ci ritorna più. Non avrà avuto filosofia quest’oggi, perchè sarà escito
-senza la sua provvista quotidiana; ma vedrai che ne avrà una provvista
-doppia, domani. È, dopo tutto, un uomo gentile ed un compagno prezioso.
-Ne convieni?
-
-— Eh, sì; — fece la signora Elena, dividendo la sua frase in due tempi.
-— Aldo De Rossi ne è molto geloso; — soggiunse poscia, per richiamare
-all’argomento la sua interlocutrice.
-
-— Geloso! E con quale diritto? — gridò la signora Camilla. — Mi ha egli
-comprata? Gli ho detto io: sarò la vostra schiava? Io te lo ripeto,
-Elena; non amo, non amerò mai un uomo che le corteggia tutte ad un
-modo.
-
-— Tutte! Tutte! — esclamò la signora Vezzosi. — Bisognerebbe che tu
-incominciassi a citarne qualcheduna.
-
-— Te, per esempio. Ma tu dici di no...
-
-— Lo dico. Con tutte le forze dell’anima mia, te lo dico.
-
-— E non si potrà più insistere; — ripigliò Camilla. — Ma qui
-dentro, capirai, non si comanda, e qui dentro si potrà anche pensare
-diversamente. —
-
-La signora Vezzosi stette muta un istante, offesa com’era da quel
-dubbio e combattuta da due opposti sentimenti, di tristezza e di
-sdegno. Ma infine si padroneggiò e così mestamente rispose:
-
-— Farai quello che ti parrà, e mi dimostrerai di non avere amicizia per
-me. Io, credi, ne ho sempre molta per te; ne ho più che non pensi.
-
-— Ed è per questo che vuoi... — incominciò Camilla.
-
-Ma si trattenne subito; e la signora Vezzosi, volgendo gli occhi alla
-sua interlocutrice, vide l’aria di vivacità, quasi di collera, che
-stava per accompagnare la frase; ma non uscì altrimenti la frase.
-
-— Parla! — disse la signora Elena. — Che cosa sono queste tue
-reticenze? Tu pensi il male e non hai cuore di dirlo. Bada, Camilla;
-hai incominciato, devi finire.
-
-— E sia, finirò: — rispose Camilla. — Se è un cattivo pensiero, tu lo
-combatterai ed io ne avrò liberato il mio cuore. Elena, io dubito che
-questo tuo colloquio... che questa tua raccomandazione a favore di Aldo
-De Rossi... o miri a scoprir terreno... o a coprire una tua passione,
-che può essere stata osservata. Dimmi che non è vero! —
-
-Ma nell’atto di finire la sua invettiva, Camilla ebbe argomento di
-pentirsene. Elena si era abbandonata contro la spalliera del sofà,
-coprendosi gli occhi con le palme, come per frenare le lagrime.
-
-— È orribile, ciò che supponi; — diss’ella, singhiozzando. — È
-orribile, ed io non meritavo questi crudeli sospetti. —
-
-Turbata, confusa da quello scoppio improvviso, ma più ancora commossa
-da quell’accento di verità, Camilla gittò le braccia al collo di Elena.
-
-— Via! via! Non ho detto nulla, sai? Dimentica, te ne prego. È effetto
-del mio umore selvaggio. Ci sono certi momenti, che m’accorgo di
-essere cattiva. Ma vedi, mi ha resa tale il mondo, che è tutto una
-guerra d’imboscate e di tradimenti. Non piangere, te ne supplico, non
-piangere! Fa conto ch’io non t’abbia detto nulla. Io non mi alzo di
-qua, se tu non mi perdoni.
-
-— Ti ho perdonato; — rispose la signora Elena, traendo faticosamente
-il respiro, che le era mozzato dai singhiozzi. — Ti ho perdonato. Ma
-tu, ascolta un consiglio. Ama; è il rimedio ai cattivi pensieri. Ama;
-è anche il nostro destino, a cui non possiamo sottrarci senza pericolo.
-E ama senza dar cagione di gelosia all’uomo che hai scelto per signore
-dell’anima tua.
-
-— Mi domandi una cosa grave, quasi impossibile; — rispose Camilla,
-abbracciando la signora Elena e tergendo le sue ultime lagrime. — Ma
-sai che, per dispormi a tanto, bisognerebbe trovare un uomo perfetto? E
-forse, trovandolo, mi annoierei della sua stessa perfezione. Perdonami,
-è ancora un resto della mia cattiveria naturale. E senza dargli
-cagione di gelosia, dovrei dunque rinchiudermi in casa come una schiava
-nell’_harem_. Perchè l’uomo sospetta di nulla, perfino d’un volger di
-ciglia, lo sai. Inoltre, c’è questo da osservare, mia bella; l’uomo
-si riposa troppo facilmente nella vittoria; più si sente amato, e meno
-riama.
-
-— L’uomo, forse; — replicò la signora Elena; — ma quell’uomo,
-quell’uomo che hai scelto, quell’uomo che ami, non è più della specie
-degli altri, come tu non sei più simile alle altre per lui. E poi,
-— soggiunse la signora Vezzosi, animandosi, — che importa pensare a
-ciò che avverrà? L’amore è una fiamma che consuma e purifica; non ti
-curar di cercare se dovrà rimanerne un pugno di cenere. E non temere
-di essere, o di apparire una schiava. Benedetta schiavitù! Per un uomo
-che io sentissi di amare, Dio mi perdoni, accetterei di essere ridotta
-in eterna miseria, e di non veder più la luce del sole. Senti, bambina
-mia, è il gran fine della vita, l’amore. E sia grande, profondo,
-immenso; giustifica tutto, redime tutto, santifica tutto. A che ti
-servono questi vagheggini, che han preso l’amore per un trastullo delle
-ore d’ozio? Ti dicono che sei bella. Gran che! Non te lo dice il tuo
-specchio, e senza chiederti nulla in compenso? Poi, vedi, lo dicono
-a te, come lo dicono a tante, secondo l’umore della giornata, e per
-vedere se mai la lode non t’inducesse in tentazione. Esser tentata da
-vanitosi siffatti! — esclamò Elena, con atto di ribrezzo. — E sapere
-che, mentre parlano, stanno formando un disegno su me e applaudendosi
-delle loro trovate! Ci sarebbe ragione di fuggire mille miglia lontano,
-se non si fosse certe di poterli confondere con una allegra risata.
-Ma bada, bambina mia, bisogna saperla buttar là, quella risata, ed in
-tempo, chè non abbiano campo a sperare, nè agio a vantarsi. Il timido
-silenzio, lo sguardo soave, il verecondo sorriso, serbali per l’uomo
-che potrai ascoltare, quando ti avvedrai che parla dalle sue labbra
-la verità, non orpellata da vani complimenti, non raffidata da troppa
-sicurezza di sè.
-
-Così parlava la signora Elena, resa eloquente dalla profondità del
-sentire. Camilla era stata ad udirla con molta attenzione, e quasi
-sospesa al suo labbro. Com’ella ebbe finito, le si accostò per
-bisbigliarle all’orecchio:
-
-— Tu ami, Elena. Chi ami? Ed hai avuto fortuna dall’amore?
-
-— Io? — disse la signora Elena, scuotendosi. — No; sono una povera
-donna ferita.
-
-— Tu? così bella?
-
-— Eh, la bellezza non ci ha nulla a vedere, pur troppo! E poi, dove è
-la donna così bella, che non sia vinta da un’altra, più bella di lei, o
-che sembri tale agli occhi di un uomo? Senti, bambina mia, — soggiunse
-amorevolmente la signora Vezzosi, che quella risoluzione pacifica del
-dialogo aveva messa in vena di tenerezza; — l’uomo che ho amato....
-Non dovrei parlarti così, io; ma infine, è un peccato, e i peccati si
-confessano. L’uomo che ho amato mi paragonava un giorno ad una statua
-di Fidia, ma per pospormi nel medesimo tempo ad un’altra donna.
-
-— Che sarà stata, m’immagino, una statua di Prassitele; — osservò la
-signora Camilla.
-
-— No, — rispose la signora Elena, — egli fu più galante e più crudele
-di così. Paragonò quell’altra al capolavoro che non era stato mai
-fatto da un artefice mortale, alla figura di donna che Fidia aveva
-intravveduta nei sogni della fantasia, ma che non aveva saputo
-effigiare nel marmo.
-
-— Al giro della frase lo si direbbe un complimento del contino Anselmi;
-— notò Camilla, sorridendo.
-
-— No, non è suo; — rispose Elena. — L’Anselmi non direbbe tanto bene
-di una donna assente, a scapito della donna presente. Quell’altro è
-più schietto, anche a risico di far soffrire un povero cuore di donna.
-È forse per questo, — disse la signora Vezzosi, come parlando a sè
-stessa, — che anch’egli è condannato a soffrire?
-
-— Che dici tu, ora? — esclamò Camilla, a cui parve d’indovinare. — Chi
-era quest’uomo? E chi era quella donna?
-
-— Chi era? — ripetè la signora Vezzosi. — Lo chiesi a lui e non potei
-strappargli il suo segreto. Non ne avevo il diritto, poichè egli non mi
-aveva ingannata, non mi aveva detto mai una parola d’amore. Ma volevo
-conoscere ad ogni costo quella donna, che era agli occhi suoi tanto
-più bella di me. Feci patto di rassegnarmi all’ultimo posto, se ella
-era degna del primo. E l’ho conosciuta, e ho dovuto dargli ragione; la
-donna che egli amava era più bella di me, più bella di molte a cui non
-oserei paragonarmi; — soggiunse modestamente la signora Vezzosi. — Ed
-io mi sono rassegnata; vedi, Camilla? mi sono rassegnata, e, fedele al
-mio patto, ho lavorato per lui, cercando di ravvicinarlo a quella donna
-e di intercedere per lui.
-
-— Tu hai fatto ciò? — disse Camilla, stupita. — Hai potuto far ciò? Ma
-non è cosa di donna; è superiore alle forze d’una donna.
-
-— Non lo è stato alle mie, come vedi; — rispose la signora Vezzosi.
-
-E nascose, ciò detto, la fronte nel seno di Camilla.
-
-— Che vuoi che ti dica? — riprese quest’ultima. — Sei migliore di me;
-e non meriti di piangere, come fai, per cagion mia, ma, te lo assicuro,
-senza mia colpa.
-
-— Oh, non badare alle mie lagrime; — rispose Elena. — È il ricordo che
-mi fa piangere. Ma sono forte, sai? Ti avrei io detto ogni cosa, con
-tanta sincerità di cuore, con tanta libertà di spirito, se non fossi
-forte?
-
-E sollevò la fronte, parlando così, e si provò a sorridere, coi
-lucciconi alle ciglia. Vi risparmio qui la bella immagine del cielo che
-si rasserena attraverso le ultime stille di pioggia, perchè veramente
-se n’è troppo abusato.
-
-— Andiamo; — disse Camilla, cingendo tra le sue braccia la vita di
-Elena, come se volesse sollevarla di peso dal canapè. — È tardi e i
-nostri signori si annoieranno di aspettarci.
-
-— Ah sì, li avevo dimenticati; — rispose Elena. — Ma tu mi ascolterai,
-non è vero?
-
-— Ne parleremo.
-
-— No, tu devi ascoltarmi; devi dirmi di sì.
-
-— Te lo dirò poi; — replicò Camilla. — Non sono cose da prendersi così
-alla leggera. Bisogna pensarci su. Te lo dirò poi; — ripetè; — anzi
-meglio, te lo scriverò. La parola scritta ha questo vantaggio, che essa
-permette di legger meglio nell’animo, mentre si esprime il proprio
-pensiero. Capisco che è male lo scrivere. Una donna non dovrebbe mai
-darsi a questa occupazione pericolosa. Almeno, — soggiunse Camilla, —
-fino a tanto che essa è la serva umilissima degli uomini e la nemica
-naturale delle donne. E padroni e nemici sono cattivi depositari dei
-nostri segreti, ne convieni? Ma io farò questo per te, e tu ci vedrai
-una prova d’amicizia confidente, che è l’amicizia del presente e del
-futuro. Dammi un bacio, bella mia; ti sembra sincero, questo? —
-
-La signora Vezzosi baciò l’amica con effusione, su ambe le guancie. Ma
-la povera bella aveva ancora i luccioloni sulle ciglia.
-
-— Via, rasciughiamo le lagrime; — disse Camilla. — Se fossi un uomo,
-in fede mia, ti direi di seguitare, perchè sei bella così, e perchè le
-lagrime di una bella donna si bevono volentieri. È scritto in tutti i
-romanzi, e a me qualche volta verrebbe voglia di piangere, per vedere
-se gli uomini usano ancora di dirlo. Ridi? Va bene, ed io mi lodo delle
-sciocchezze che dico così spesso e così volentieri, se esse hanno la
-virtù di rasserenarti. Ecco intanto due donne che hanno avuto colloquio
-per un uomo, senza farsi giuramento di inimicizia eterna. Non è vero
-che siamo calunniate dagli uomini? Ma già, — conchiuse filosoficamente
-Camilla, — fino a tanto che comanderanno loro, e i libri li scriveranno
-loro, sarà così e ci vorrà pazienza. Non ti pare? —
-
-La signora Vezzosi, scambio di rispondere, abbracciò nuovamente
-Camilla. E rasciugate le lagrime, escì insieme con lei dal salottino.
-
-
-
-
-XVII.
-
-
-Ci hanno insegnato alla scuola, in que’ beati tempi che s’aveva
-ancora bisogno di andare alla scuola, come qualmente, per comando di
-Domineddio, l’uomo debba guadagnarsi il pane col sudore della propria
-fronte. Il che torna a dire che l’uomo, condannato ad un continuo
-stento per la battaglia della vita, sarà perennemente infelice. Questa
-dev’essere la regola, e, come tutte le regole di questo mondo, ha da
-averci le sue brave eccezioni. Nel fatto, vi sono degli uomini, i quali
-non sudano, neanche a scottar loro i piedi con acqua bollente; e ce ne
-sono degli altri, i quali non mangiano pane, o tutt’al più ne prendono
-qualche sottilissima fetta, per ispalmarla di burro. Similmente, ci
-sono degli uomini continuamente allegri, che non si rompono la testa
-coi malanni, che vedono tutto color di rosa, che sono felici, insomma,
-felici ad ogni costo, e contro il precetto delle Sacre Scritture.
-Laonde io sono indotto a pensare che ogni uomo, nascendo, porti il
-suo destino con sè. All’uno, messer Domineddio deve aver detto: «tu
-sarai lieto»; all’altro: «tu sarai imbecille»; all’altro: «tu sarai
-dotto»; e così via discorrendo, ad ognuno dei nuovi nati, secondo
-certi motivi suoi, che non ci è dato conoscere, ma dal cui svolgimento
-dipende senza alcun dubbio la storia delle nazioni. Lo stato sociale
-e l’educazione non ci hanno a veder nulla, o assai poco, in questa
-varietà d’indirizzi, poichè si trovano dotti, imbecilli e felici in
-tutte le classi sociali. Per contro, è facile di osservare una specie
-di compensazione, come a dire un saggio di giustizia distributiva,
-che dimostra la saviezza infinita del sommo legislatore. Il felice è
-sbadato, miope, quasi cieco, e non vede le cantonate, se non quando
-ci ha dato contro del naso; l’imbecille può salire ai più alti uffici
-dello Stato; il dotto riesce facilmente noioso. Non è sempre così,
-lo capisco, ed anch’io lo riconoscevo implicitamente, accennando alle
-solite eccezioni ond’è circondata e quasi circoscritta ogni regola; ma
-in fondo in fondo si può dire che la giustizia distributiva governi e
-che la compensazione sia il fatto costante.
-
-Perchè questo squarcio di filosofia? Per dirvi, o lettori, che il
-contino Anselmi era un uomo felice, o alcun che di somigliante. Almeno
-almeno, egli era molto contento di sè, nell’atto di ritornare da
-Firenze per Montecatini. E che cosa ci aveva, per essere contento?
-Nulla, in verità; ma per essere contenti non è sempre necessario di
-avere, bastando qualche volta di sperare. I cavalli di Plutone, ad
-esempio, non ci sono stati descritti dal poeta Claudiano allegri a quel
-Dio, per il semplice fatto che essi pregustavano le biade del ritorno?
-
-Che cosa s’aspettava l’Anselmi? Un mutamento naturale in tutto ciò
-che aveva lasciato il giorno addietro tanto mal disposto per lui. La
-signora Camilla, che si era mostrata così capricciosamente severa da
-un momento all’altro, doveva tornargli benigna. La cantante, che ci
-aveva i nervi e che lo aveva mandato così liberamente a farsi benedire,
-doveva essere guarita. E queste due fortune gli sarebbero toccate in
-premio di una sapiente scappata.
-
-Il contino Anselmi si era accorto di avere, come dicono i francesi,
-l’_absence heureuse_. Dopo qualche giorno di lontananza, lo vedevano
-più volentieri le donne e gli amici. Egli non andava a cercare se
-ciò dipendesse per avventura da quel periodo di tregua, che ci fa
-sopportare con maggior filosofia il ritorno dei vecchi dolori. Sentiva
-il benefizio e non ne indagava le cause. Non vi ho detto ch’egli
-apparteneva alla schiera dei felici, di coloro che vedono tutto color
-di rosa e che sono molto contenti di sè?
-
-Il nostro viaggiatore ebbe alla stazione di Montecatini i sorrisi e i
-saluti amichevoli di cento conoscenze; saluti e sorrisi che non avrebbe
-avuti, se, scambio di giunger lui, fosse andato con quella medesima
-folla a veder giungere un altro. Era già una consolazione, come vedete.
-Non si fermò a chiacchiera con nessuno, perchè un uomo che arriva non
-ha mai tempo da perdere, o non deve mostrare di averne. Del resto, il
-contino Anselmi sentiva gli stimoli dell’appetito e il bisogno di darsi
-una risciacquata. Prese una vettura di piazza e corse all’albergo della
-Torretta, per attendere ai due uffici importanti; si restaurò dentro
-e fuori, e quindi andò a far visita alla cantante. Era la più vicina;
-doveva anche esser la prima, nelle sue attenzioni galanti.
-
-La diva lo ricevette benissimo. I nervi non la molestavano più; segno
-evidente che aveva ritrovato il suo _re_ sopracuto. Il contino Anselmi
-che le aveva proposto di andare a Parigi, per portargliene uno nuovo
-fiammante, le portava in quella vece una graziosa novità dalle rive
-dell’Arno, cioè a dire un elegantissimo braccialetto, comperato in via
-Tornabuoni, dal Marchesini, che era, e spero lo sia tuttora, il Dio
-dei gioiellieri di Firenze. Ad una dama non si sarebbe potuto portare
-un presente d’oro e pietre preziose; ad una diva sì, perchè i Numi
-gradiscono, da tempi immemorabili, ogni specie di offerte.
-
-La diva accolse il dono con gioia, ed ammirò da esperta conoscitrice
-una fila di piccoli smeraldi e rubini, frammezzati da brillanti,
-che luccicavano sulle spire elastiche del braccialetto, foggiato a
-serpente. S’intende che, per ammirarlo meglio, se lo rigirò subito al
-braccio.
-
-— Siete un compito cavaliere; — diss’ella; — ed anche un uomo di buon
-gusto. Guardate come sta bene. —
-
-E gli stese un braccio ben tornito, candidissimo senza mestieri di
-biacca, che meritava anch’esso la sua parte d’ammirazione. Il contino
-Anselmi lo prese delicatamente e gli rese l’omaggio a cui essa sembrava
-invitarlo.
-
-— Porterò il vostro braccialetto questa sera al Casino; — disse allora
-la diva.
-
-— Ah! — esclamò il contino, inarcando le ciglia. — Questa sera
-finalmente vi risolvete di andarci?
-
-— Sì; volete accompagnarmi? Mando a spasso il Torricelli. —
-
-La proposta non garbava troppo al contino Anselmi.
-
-— Lo vorrei; — diss’egli, sospirando. — Ma temo di compromettervi.
-
-— Compromettermi! — ripetè la diva, rizzando la testa e fissando gli
-occhi curiosi in volto all’Anselmi. — Non sarebbe per caso il timore...
-di comprometter voi? —
-
-Il contino fece la bocca da ridere.
-
-— Che dite mai? — gridò egli. — Ad accompagnare una bella donna, un
-cavaliere ci guadagna sempre nella stima dei popoli. Fate conto che io
-non v’abbia detto nulla. Avevo parlato solamente per voi.
-
-— Sentiamo questa, che ha da essere nuova di zecca; — rispose la diva
-con accento sarcastico.
-
-— Eh, nuova o vecchia, eccola qua. Voi dovete far colpo, stassera,
-essere ammirata, adorata, applaudita da tutti. Ora, voi lo saprete per
-esperienza, i gelosi applaudono di mala voglia. Ed io, entrando con voi
-al Casino, farò chiacchierare, ingelosire moltissimi. Il Torricelli è
-vecchio e la sua galanteria sessagenaria non dà ombra a nessuno; mentre
-la mia, che non è ancora sui trenta, mi capite?....
-
-— Capisco che ve la cavate abbastanza bene; — disse la diva, con un
-risolino sardonico.
-
-— Non me la cavo, anzi voglio restarci; — replicò l’Anselmi, già
-mezzo stizzito. — Son pronto ad accompagnarvi e felicissimo di lasciar
-pensare tutto ciò che cento sciocchi invidiosi vorranno pensare di noi.
-
-— No, così non fa comodo a me; — rispose la diva. — Credo che in fondo
-in fondo non diciate male. Restate nell’ombra e non intorbidate il mio
-trionfo, se trionfo ha da essere. Andrò col Torricelli. Il poveretto ne
-sarà felicissimo.
-
-— Eh, purchè sappia contentarsi! — fece l’Anselmi, con aria di burlesca
-minaccia.
-
-— Sciocco! — disse la cantante, appoggiando l’epiteto con quel grazioso
-torcimento di labbra che ha nella nostra lingua il brutto nome di
-boccaccia.
-
-— Adorabile! — rispose il contino Anselmi, facendo in quella vece il
-bocchino.
-
-In quella guisa l’Anselmi vinceva il punto di non accompagnare la diva
-al Casino. Veramente, non si sarebbe tirato indietro a quel modo, tre
-giorni prima. L’uomo, quando non ha altri ripeschi in mira, si presta
-sempre volentieri a queste comparse, che fanno prendere il moscherino a
-mezzo mondo e che dànno alle donne un alto concetto della sua persona.
-Perchè, infatti, le figlie d’Eva sono meno insensibili che non si pensi
-a questi spettacoli di felicità mascolina, e l’uomo che credesse di
-guastare i fatti suoi per il futuro con simili mostre, si gabellerebbe
-da sè per un vero collegiale. S’intende che le mostre in discorso
-riescono utili, quando l’uomo non abbia altri amori imbastiti lì per
-lì. Se ce li ha, deve astenersi con ogni cura da questi riscontri
-pericolosi. Una donna può e deve ammirare il signor Tizio, che ha
-fortuna con le altre, fino a tanto che ella non sia ricercata da lui;
-ma a nessuna donna può altrimenti piacere che il signor Tizio le si
-presenti con una rivale a braccetto.
-
-Quella sera, finito il pranzo, e senza indugiarsi a prendere il
-caffè in giardino, il nostro Cupido escì dall’albergo della Torretta,
-avviandosi per lo stradone. Non sapeva nulla delle signore che aveva
-così bruscamente piantate il giorno innanzi. Non lo avevano veduto
-al Casino; lo avevano probabilmente aspettato al Tettuccio; dovevano
-essere impensierite della sua sparizione improvvisa. Ora il contino
-Anselmi giustamente pensava che un po’ d’assenza fa bene, ma che non
-deve mica esser troppa.
-
-Così egli andava ruminando il suo capitolo _de arte amandi_, quando
-(vedete fortuna!) riconobbe da lunge le dame, che, accompagnate dai
-soliti cavalieri, venivano incontro a lui verso il Tettuccio. Il
-commendatore Gerardo e il cavaliere Sestavalle andavano innanzi con
-la signora Camilla; seguivano Aldo e il presidente gran croce con la
-signora Elena.
-
-A farlo a posta, il numero era giusto e non c’era più luogo per lui.
-Ma beati gli ultimi, dice il proverbio, se i primi han discrezione. Il
-commendatore Gerardo fu tanto discreto da cedergli il suo posto.
-
-— Ah, sei qui, briccone? — gridò il Vezzosi appena lo ebbe veduto. —
-Dove diamine ti sei nascosto, Anselmi? —
-
-Il contino biascicò alcune frasi sconnesse.
-
-— Nascosto, no.... veramente.... Del resto, tu mi vedi....
-
-— Ora, si capisce. Ma iersera? e stamane? Ti abbiamo aspettato al
-Tettuccio, e non ti sei lasciato vedere. Di grazia, si potrebbe sapere
-che cura fai?
-
-— Dio buono! La cura degli affari, quando ti vengono addosso; — rispose
-l’Anselmi, con un’aria di candore, che non pareva lui. — Ho dovuto
-andar fuori.
-
-— A Collodi, m’immagino; — replicò il commendatore Gerardo. — Oppure a
-Monsummano.
-
-— Che! Più lontano; in capo al mondo; — disse l’Anselmi. — Ieri, quando
-vi ho lasciati, ho trovato all’albergo un telegramma, ed ho dovuto
-correre a Firenze, per incontrare un amico, che doveva giungere da
-Roma. E con lui sono venuto stamane, dandogli il passaporto per Pisa.
-Una noia, come capirai; ed io ne sono stato dolentissimo; — soggiunse
-il contino, dando un’occhiata malinconica alla signora Camilla.
-
-— E deggio e posso crederlo? — chiese con enfasi melodrammatica il
-commendatore Gerardo.
-
-La signora Camilla venne allora in soccorso dell’Anselmi.
-
-— Come non volete crederlo? — diss’ella. — Il conte Anselmi non è
-certamente uomo da dire una cosa per un’altra. Ha avuto da fare e
-ci ha lasciati; ha sbrigate le sue faccende e ci ritorna. Questo è
-l’essenziale. —
-
-Un inchino e uno sguardo eloquente ringraziarono la signora Camilla del
-suo gentile intervento.
-
-Ma perchè le due file dei nostri passeggiatori erano molto vicine
-l’una all’altra, Aldo De Rossi udì le parole di Camilla. Il poveretto
-ci diventò verde dalla stizza e si morse le labbra fino a far sangue.
-La signora Elena, che le aveva udite anch’essa, volse un’occhiata di
-sbieco al compagno e notò come avesse la cera contraffatta.
-
-— Calma! — gli bisbigliò allora, facendo un rapido movimento da quella
-parte. — Vi dirò tutto. —
-
-Frattanto il contino Anselmi diceva al Vezzosi:
-
-— E dove andate ora, se è lecito saperlo?
-
-— Al Rinfresco, per far ora. La signora Camilla non conosce ancora il
-luogo.
-
-— E mi dicono che sia molto bello; — soggiunse Camilla.
-
-— Bellissimo; — rispose il contino. — Sta sotto la mia giurisdizione,
-perchè è proprio accanto alla Torretta. Di modo che, — proseguì
-l’Anselmi, — se io fossi rimasto all’albergo, avrei avuta la fortuna di
-vedervi egualmente?
-
-— Ma non avreste meritato di accompagnarci, — replicò la signora.
-
-Aldo De Rossi andava al Rinfresco come la biscia all’incanto. Si
-pentiva di non essersi posto lui al fianco della signora Camilla, per
-impedire all’Anselmi di appiccicarsi in quel modo. Ma come avrebbe
-potuto fare diversamente? Quel giorno gli era andata così male ogni
-cosa! La mattina, al Tettuccio, aveva notato una grande freddezza, o,
-per dire più veramente, un’aria di grande inquietudine, che metteva
-le signore a disagio con lui. Esse, del resto, non si lasciavano
-mai, e come non gli era riescito di parlare da solo a solo con la
-signora Camilla, così non aveva potuto dire neanche una parola alla
-signora Elena. Infastidito da quelle difficoltà, che erano durate fino
-all’ora di colazione, Aldo De Rossi aveva infilato l’uscio e preso il
-portante verso Monsummano, sperando di chetare le sue furie con una
-lunga passeggiata. Ma si era stancato, senza punto calmarsi. Tornato
-all’albergo sull’ora di pranzo, aveva trovata la signora Elena più
-turbata, più confusa che mai. Non ebbe modo di chiederle nulla, perchè
-il Vezzosi l’accompagnava nel corridoio, e del resto era già ora
-di scendere nella sala da pranzo. Solamente nell’anticamera, mentre
-Gerardo appiccava il cappello al gancio del cappellinaio, essa ebbe il
-tempo di dirgli: — Proporrò una gita al Rinfresco; veniteci: troverò il
-modo di parlarvi. —
-
-Concertata la gita mentre erano a tavola, gli convenne di restare al
-fianco della signora Elena quando si escì dall’albergo. La signora
-Camilla era venuta a pranzo in una abbigliatura elegantissima, che
-faceva risaltare vieppiù i segni di una freddezza senza esempio.
-Aldo non ci capiva più nulla e si rodeva di non sapere che diavolo
-fosse. Avviandosi con la brigata al Rinfresco, e non vedendo comparire
-l’Anselmi, si era arrischiato a sperare che la giornata dovesse finir
-meglio che non era cominciata. Ma tutto ad un tratto era apparso
-l’Anselmi; egli stesso era stato il primo a vederlo e il cuore gli
-aveva dato una scossa violenta.
-
-E pensare che quello zerbinotto, quel Ganimede, quell’Adone da
-strapazzo (già, i nomi da appioppare ad un rivale non mancano mai)
-veniva a guastargli le sue faccende con un tradimento in corpo, e
-probabilmente ancora caldo delle tenerezze dette ad un’altra donna!
-Perchè infatti il contino Anselmi ce lo aveva, il suo ripesco amoroso,
-all’albergo della Torretta. Non si era confessato egli stesso con Aldo,
-nelle espansioni di una passeggiata a lume di luna! E la delicatezza,
-la lealtà e tante altre belle cose egualmente moleste, non permettevano
-ad Aldo di metter carte in tavola, di propalare senza tanti complimenti
-ogni cosa?
-
-Si giunse al Rinfresco, una specie di giardino all’antica, con mura
-alte e severe, ornato con una gravità architettonica abbastanza
-pretensiosa, ma ricco di verde, d’ombra e di silenzi romantici, da
-piacer molto ai cuori innamorati, ed anche ai filosofi misantropi.
-Questo riscontro non ha niente di strano e si spiega facilmente, poichè
-l’amore è una misantropia masticata in due.
-
-Una fontana, decorata di marmi, sorgeva nel mezzo del piazzale,
-accanto all’entrata; ma l’acqua non aveva allegrezza di zampilli. Acqua
-termale, tu eri triste a vedere, come la faccia del mio Aldo De Rossi.
-Più lieta appariva tutto intorno la frappa, in mezzo a cui s’aprivano
-alcuni viali, ma per chiudersi tosto, nel fitto dei rami sporgenti.
-Cari viali, amiche rèdole, liberali di ombre discrete ai fidati
-colloquii, come si sarebbe inoltrato volentieri pe’ vostri meandri il
-mio Aldo De Rossi, tenendo a braccetto la signora Camilla! Ma a farlo
-a posta, la signora Camilla non si spiccava dal fianco dei signori
-Anselmi e Vezzosi, o, per dir meglio, i signori Vezzosi ed Anselmi non
-si spiccavano dal suo.
-
-E bisognava sentirlo, il contino Anselmi, che fuoco d’artifizio
-faceva! Ed anche la signora Camilla, come rideva, alle arguzie,
-alle galanterie, alle svenevolezze del signorino! Rideva anche più
-degli altri giorni, d’un riso acuto, quasi stridente, che urtava
-maledettamente i nervi al De Rossi. Ci fu un momento che gli parve di
-odiarla. Lettori, che avete sofferto di questo male, non riconoscete
-qui l’amore innalzato alla quarta potenza?
-
-Come Dio volle, i passeggiatori si sentirono stanchi e si arresero al
-tacito invito dei sedili di pietra che correvano intorno alla fontana.
-Aldo non si posò come gli altri, ma stette in sull’ali; da prima per
-andare a veder l’acqua da presso e far le mostre di assaggiarla; quindi
-per girandolare qua e là ed osservare le piante. In certi momenti della
-vita ogni uomo è un naturalista.
-
-Egli, per altro, non era escito dalla vista della comitiva. E dopo
-alcuni istanti di dotte osservazioni, vide con la coda degli occhi la
-signora Elena spiccarsi dalla brigata, per venire verso di lui. Si
-volse allora con aria grave e tranquilla e le accennò una pianta di
-bossolo, per modo che gli altri, se avessero guardato da quella parte,
-credessero ad una vera e propria conversazione botanica.
-
-— Sapete che è un affar serio? — gli diceva intanto la signora Vezzosi.
-— Non si può neanche trovare il momento propizio.... per darvi un
-dispiacere.
-
-Aldo De Rossi diede un sobbalzo e si fece pallido in viso.
-
-— Calma! — ripigliò la signora. — Ho avuto iersera un colloquio con
-lei. Ve ne darò i particolari... quando potrò. Intanto, ne capirete
-abbastanza, dalla lettera che ella mi ha scritto questa mane.
-
-— Una lettera! — mormorò Aldo turbato.
-
-— È qui; — disse la signora Elena, traendo un foglio di tasca, mentre
-si avvicinava al De Rossi e chinava la testa verso la pianta di
-bossolo. — Voi la leggerete... e me la restituirete.
-
-— Sì; — disse Aldo, imitando la mimica della signora e stendendo le
-dita per prendere il foglio.
-
-Ma la signora Elena non se lo lasciò fuggir di mano così presto.
-
-— Badate, — riprese, — è necessario che mi sia restituito. Mi confido
-ad un uomo, non è vero?
-
-— E ad un gentiluomo; — replicò il De Rossi.
-
-— Qualunque cosa avvenga, mi restituirete questa lettera, oggi stesso?
-
-— Avete la mia parola d’onore; — disse Aldo.
-
-— Bene; — soggiunse la signora. — Mettetela in tasca. La leggerete più
-tardi.
-
-— Mentre voi starete conversando alla fontan, — mormorò Aldo, — io
-andrò a passeggio qui presso.
-
-— Troppa fretta! Se almeno aveste la forza di dominarvi....
-
-— L’avrò, signora, l’avrò. Da ciò che mi dite, capisco già che c’è una
-sentenza di morte... per il mio povero amore; — rispose tristamente il
-De Rossi. — Ma voi lo vedete, son forte.
-
-— Sarete anche sereno? In apparenza, se non altro?
-
-— Riderò; — disse Aldo. — Va bene così? —
-
-La signora Elena non rispose parola, e, accompagnata dal De Rossi,
-tornò a passi lenti verso la fontana.
-
-— Che cosa guardavate con tanta attenzione? — domandò il commendatore
-Gerardo.
-
-— Una pianta che non conoscevo; — rispose Aldo con aria sbadata.
-
-— Gran che! Figuratevi che era una pianta di bossolo; — soggiunse la
-signora Vezzosi.
-
-— Ma di un verde così tenero, che in verità non mi pareva bossolo; —
-ribattè Aldo De Rossi, per dar colore alla storia.
-
-— Effetto del terreno, che non è molto confacente alla sua specie; —
-replicò la signora Vezzosi.
-
-— Donna Elena ha grandi cognizioni in botanica; — disse il cavaliere
-Sestavalle. — Rammento ancora la distinzione tra l’_Hibiscus siriacus_
-e l’_Hibiscus_... Di grazia, come si chiama l’ibisco dell’albergo della
-Pace?
-
-— Vedo che la rammentate poco, la distinzione; — notò argutamente la
-signora Vezzosi. — È un _Hibicus liliflorus_.
-
-— E li ha sulla punta delle dita, i nomi latini! — gridò ammirato
-l’Alcibiade.
-
-— Il latino è brutto parecchio; — disse il contino Anselmi, — ma la
-giardiniera è bella. Propongo di chiamarla la bella Giardiniera.
-
-— Magazzino di mode? — domandò la signora Vezzosi.
-
-— No, capolavoro di Raffaello; — rispose l’Anselmi, inchinandosi.
-
-— Conosco questo complimento; — disse la signora. — Ce lo avete detto
-l’altro dì, sull’uscio della Speranza.
-
-Il contino Anselmi si morse le labbra, rammentando che infatti aveva
-già speso un’altra volta quel motto arguto, e pensando che ciò poteva
-nuocergli presso le dame. Ma non si diede per vinto.
-
-— Mi rimandate all’uscio? — diss’egli. — Vedo già i campi della
-disperazione.
-
-— Eh! — fece il commendatore Gerardo. — L’ha rimbrodolata abbastanza
-bene.
-
-Aldo De Rossi approffittò di quelle ciarle senza sugo, per dare
-un’altra voltata sui tacchi. La lettera che gli aveva consegnata la
-signora Elena gli scottava la mano. Dovete sapere, infatti, che teneva
-sempre la mano in tasca, stringendo convulsivamente quel foglio in cui
-stava scritta la sua condanna.
-
-Camilla non fu tratta in inganno da quella invenzione botanica. Ella
-si era avveduta che Elena e il De Rossi avevano colto il primo pretesto
-per iscambiarsi alcune parole e argomentò facilmente che quelle parole
-la risguardavano lei, vedendo che Aldo De Rossi, tornato presso la
-compagnia, aveva evitato di guardarla.
-
-Giunto fuori dalla vista de’ suoi compagni di passeggiata, Aldo
-De Rossi cavò di tasca la lettera misteriosa. Aveva la febbre; gli
-tremavano le mani, e gli occhi ci vedevano poco. Raccolse tutte le sue
-forze con un atto supremo di volontà, spiegò il foglio e decifrò alla
-meglio i sottili uncinetti della signora Camilla.
-
-
-
-
-XVIII.
-
-
-Quali sentimenti dovessero agitarlo durante la lettura non vi dirò,
-perchè le angosce del cuore, quando sian giunte ad un certo grado di
-violenza, non si descrivono più. Del resto, immaginate voi; ecco la
-lettera:
-
- «_Elena mia_,
-
- «Ho pensato lungamente al tuo discorso di iersera, e ti rispondo
- ora in iscritto quello che avevo già incominciato a risponderti a
- voce; non accetto la tua generosa proposta.
-
- «Non è capriccio, non è caparbietà; è maturato consiglio. Ho
- ragionato tutta la notte il pro e il contro, ma sopratutto ho
- pensato a te e alla nobiltà del tuo carattere. Tu sei buona e
- sincera, mia Elena, e meriti di esser felice.
-
- «Una cosa mi è apparsa evidente. Tu stessa t’inganni, intorno
- allo stato del tuo cuore e alla forza della tua volontà. Tu ami il
- signor De Rossi; ed egli... Egli, una delle due, o ama te, oppure è
- uno sciocco. Ad ogni modo, se non ti ama oggi, ti amerà domani. Ciò
- che m’hai narrato de’ suoi furori per me, è molto vago, nè credo
- ci si possa far fondamento per l’edifizio della mia felicità. Tu
- stessa, ne sei ben certa? Non ti pare che c’entri un pochino di
- vanità (vanità offesa, o vanità stuzzicata, non importa cercare)
- nella passione di cui tu m’hai fatto una pittura così viva? Sai,
- gli uomini ce l’hanno tutti, la loro parte di puntiglio; anche
- quando giuocano per celia, vorrebbero vincere. Il signorino va
- attorno come le farfalle; e quasi direi senza scegliere i fiori.
- S’è imbattuto in me; m’ha trovata più sorda di qualcun’altra alle
- sue attenzioni, alle sue gentilezze. Come io sia stata con lui, non
- so veramente, perchè io non mi osservo. Vo innanzi alla libera,
- come una selvaggia; quando una cosa mi piace, non la nascondo;
- quando mi dispiace, non ne faccio mistero. Può darsi che io l’abbia
- ferito; può anche darsi che egli abbia sognato di esserlo. Comunque
- sia, non credo che si tratti d’una ferita profonda. E vorresti che
- per una cosa da nulla io mi mettessi a fare la suora di carità?
- Io non amerò, forse; ma quando amerò, bada bene, sarà per tutta la
- vita. I mezzi amori mi fanno rabbia; non voglio scomodarmi per così
- poco; non voglio perdere la mia pace per una di queste passioncelle
- da dozzina, in cui ha tanta parte la vanità, e la galanteria tutto
- il resto. Quando amerò... Ma questo te l’ho già detto. Soggiungerò
- invece che l’uomo destinato a impadronirsi di me, ha da fare
- qualche cosa di grande, o di pazzo, che in questi casi è tutt’uno.
- Gli uomini del nostro tempo non fanno più pazzie per le donne, ed
- è male. Può anche esser bene; chi lo sa? Forse noi non meritiamo
- che se ne facciano più; siamo diventate anche noi troppo frivole.
- Or bene, sia pure, io non amerò, e sarà tanto di guadagnato per
- la tranquillità de’ miei nervi. Qualche volta, vedi, mi prende la
- malinconia di farmi monaca. Ma non ti spaventare, bella mia, sono
- accessi che non durano. E negli intervalli mi lascio cogliere dalla
- manìa dei giuochi innocenti; gradisco la corte degli sciocchi, e
- son felice quando mi accade di farli disperare a quattro per volta.
-
- «Ma lasciamo stare queste fanciullaggini. Come vedi, sono una
- ragazza viziata. Lo zio, che mi vuol bene mi chiama spesso la
- sua _testa falsa_. S’intende che parla per celia, e senza sapere
- di cogliere così netto nel segno. Veniamo a te. Se ti riesce di
- rinfrancare il dolente personaggio e di far parlare il suo cuore,
- fallo per te, Elena mia. Forse c’è stoffa per un uomo di garbo; e
- tu, del resto, sei donna da far miracoli. Dirai che ti consiglio
- male. Io stessa, rileggendo la frase, me ne accorgo. Ma è scritta,
- e non voglio far cancellature, che avrebbero aria di pentimenti.
- Del resto, noi donne viviamo solamente per il cuore e non badiamo
- troppo a certe piccole tirannie d’una legge che non abbiamo fatta
- noi. Alla fin fine, brucia la lettera; è il meglio che tu possa
- fare. Il conservarla potrebbe dire due cose alla gente di poco
- spirito, a cui capitassero sott’occhio i miei scarabocchi: che il
- consigliere è cattivo e che l’alunno meritava un tal consigliere.
- Queste cose non debbono dirsi, nè di te, nè di me. E poi, ti
- sentiresti di fare un’altra cosa, che ti raccomando tanto? Ridi,
- e non pensare ad altro. Io sarò veramente felice quest’oggi, se,
- entrando nella sala da pranzo, e sedendo di rimpetto a te, vedrò
- un bel sorriso sulle tue labbra. Labbra di corallo tenero, come
- t’avran detto già molti; labbra che invitano, ecc., ecc., come
- avranno pensato moltissimi. Ridi, ora? Orbene, va avanti così. — La
- tua CAMILLA.»
-
-Aldo De Rossi era rimasto attonito, a quella lettura, e ci volle il
-suo tempo perchè riprendesse il dominio di quella poca ragione che
-possedeva. Così a occhio e croce capì che la signora Elena aveva
-parlato eloquentemente, quantunque senza frutto, per lui. Capì inoltre
-che non era stato compreso. Due cose spiacevano alla signora Camilla,
-siccome appariva dal contesto della sua lettera; che egli usasse andar
-troppo attorno, quasi a corteggiarle tutte, e che il suo amore per una,
-se lo sentiva davvero, non lo dimostrasse con qualche gloriosa follia.
-Ma non erano due pretesti, messi fuori dalla dama, per dissimulare
-la freddezza del suo cuore? Una donna non s’inganna mai su certi usi
-di mondo e sa fare le sue distinzioni a favore di un uomo, che, anco
-facendo riverenza a cento, non ne vede e non ne preferisce che una.
-Quanto alle imprese meravigliose, Dio buono, anche la signora Camilla
-lo capiva, che i tempi e i costumi non erano da ciò.
-
-Una ragione doveva esserci, e più forte di tutte le altre, a
-giustificare la freddezza della signora Camilla. Elena amava Aldo,
-e non aveva potuto negarlo. Ora, come non sospettare che Aldo avesse
-dato argomento, appiglio, esca, e tutto il peggio che vorrete, a quella
-simpatia della signora Vezzosi?
-
-Un pensiero di quella fatta doveva venire a lui, come ad ognuno de’
-miei lettori. Ma i lettori afferrano le cose con animo pacato; Aldo De
-Rossi, in quella vece, non ci vedeva più lume. Perciò, se il pensiero
-gli venne, come vi ho detto, egli non si fermò altrimenti a misurarne
-l’importanza. Quando si soffre, si studia poco sulle cause del dolore;
-l’ermeneutica non è fatta per gli spiriti turbati dalla passione.
-Al nostro povero eroe parve più sbrigativo e più comodo accusare la
-signora Camilla di freddezza, d’orgoglio, di leggerezza, e di vedere
-nella sua lettera un ammasso di pretesti, messi fuori per liberarsi da
-un uomo antipatico. Ma a benefizio di chi? Una donna, per solito, non
-disprezza un uomo, se non perchè ne stima troppo un altro.
-
-Giunto a’ piedi dell’ultima pagina, Aldo De Rossi voltò il foglio per
-tornare da capo. Era un moto naturale, come d’uomo che non ha bene
-inteso e che vuol sincerarsi. Ma in verità non c’era bisogno di tanto;
-la lettera parlava chiaro e Aldo non poteva dare ai propri occhi
-una così audace mentita. La mano aveva girato il foglio; la stessa
-mano lo strinse e lo spiegazzò, come se volesse lacerarlo. Le labbra
-borbottarono qualche cosa, che sapeva d’imprecazione, e la lettera andò
-a finire nella tasca del soprabito, dove fu cacciata con un atto poco
-rispettoso. A qual pro l’avrebbe egli riletta? Si torna mal valentieri
-sulle notizie spiacevoli. E quelle che gli erano date nella lettera
-di Camilla dovevano imprimersi nel suo cervello a caratteri di fuoco,
-come.... (scusate il paragone che è vecchio, ma calzante) come le tre
-parole misteriose sulla parete, nel famoso convito di Baldassarre.
-
-— Egregiamente! — mormorò Aldo, con un accento che faceva a pugni
-con l’ottimismo dell’avverbio. — Non si potrebbe mandarmi al diavolo
-con parole più chiare. Ma una cosa non è chiara... o lo è troppo. La
-signora parla di me; ne parla molto, ne parla oltre il bisogno. Ma
-tace di un altro, come se non esistesse neanche. E quello di cui tace
-è appunto quello che ama. Son tutte così; l’uomo di cui non gliene
-importa nulla, lo mettono in piazza; l’altro, poi, lo nascondono, come
-si nasconde un tesoro. Provatevi a farle parlare! Ve ne citano dodici,
-se occorre; si accuserebbero magari di amarne ventiquattro; ma il nome
-di quel tale, non c’è caso che se lo lascino sfuggire di bocca. —
-
-Vi fo grazia di tutto l’altro che disse, o che borbottò tra i denti,
-perchè gli vo’ bene e non mi piace di mostrarvelo troppo violento nei
-pensieri e nelle espansioni. Ad ognuno di voi sarà avvenuto di dirle
-grosse, in un momento di rabbia. E certamente vi sarebbe dispiaciuto
-che le vostre parole fossero raccattate da un imprudente uditore
-e ripetute ai quattro punti cardinali, come monumento della vostra
-pazzia.
-
-Lo stesso Aldo si avvide di essere uscito dai gangheri. Se ne avvide
-ad una imprecazione troppo forte che gli era sfuggita e che gli aveva
-percosso l’orecchio.
-
-— Che cos’è questo? — esclamò. — Sono io dunque un ragazzo, e non saprò
-far altro che chiacchiere? —
-
-Si scosse, così dicendo; digrignò i denti, con atto di profondo
-disgusto; si asciugò gli occhi, e si avviò verso la fontana con passo
-risoluto.
-
-Egli era triste ma laggiù si rideva. E il contino Anselmi, come al
-solito, dava la battuta.
-
-— Che buffone! — disse Aldo tra sè, mentre compariva nel piazzale
-alla vista di tutti. — Se bisogna essere così, per piacere alle donne,
-rinunzio, in fede mia, a questa fortuna; se fortuna può dirsi. —
-
-Già, conchiuse proprio con questo epifonema. Quando vi dico che Aldo De
-Rossi aveva perduta la bussola!
-
-— Non lo credete? — chiedeva frattanto l’Anselmi, proseguendo un
-discorso incominciato. — Io ne sono persuaso.
-
-— Ed io, con vostra buona pace, niente affatto; — rispose la signora
-Camilla.
-
-— Signora, la vostra opinione ha un gran peso per me; ma voi non dovete
-abusare della vostra autorità. È l’obbligo di tutti i re, e di tutte le
-regine; — replicò l’Anselmi.
-
-— Che c’entra l’autorità? — disse la signora Camilla. — Vi hanno
-sentito tutti, e credo che vi diano torto.
-
-— Tutti, poi!
-
-— Facciamo giudice il nostro De Rossi; — entrò a dire il commendatore
-Gerardo. — Egli viene dal verde; colore che concilia lo spirito alla
-calma. Ed egli potrà darci una sentenza scevra da ogni passione, da
-ogni parzialità. —
-
-La signora Elena chinò gli occhi a terra, pensando alla calma che
-doveva avere il povero De Rossi, per dare una sentenza tra il contino
-Anselmi e Camilla, egli che tornava appunto da leggerne una, niente
-piacevole per lui.
-
-— Ma non c’è bisogno di giudici; — rispose Camilla al signor Vezzosi. —
-Son cose troppo evidenti. Direi quasi che saltano agli occhi. —
-
-Aldo si sarebbe astenuto volentieri da ogni giudizio intorno alle
-arguzie dell’Anselmi, e forse era già sul punto di pregare Gerardo che
-volesse dispensarnelo. Ma le parole della signora Camilla gli suonarono
-male all’orecchio.
-
-— Bella signora, — diss’egli, — non mi volete dunque per giudice? —
-
-La voce era tranquilla, in apparenza, ma più sottile del solito, quasi
-sibilante.
-
-— Non ho detto ciò; — rispose asciuttamente la signora Camilla, a
-cui dava noia l’asprezza dell’osservazione, male dissimulata dalla
-galanteria della forma. — Se il signor Gerardo lo vuole, esponga egli
-la cosa. Ma veda di essere esatto; — soggiunse ella, con accento più
-umano, poichè si rivolgeva al Vezzosi.
-
-— Non dubitate; — rispose il commendatore: — sono stato relatore di
-leggi, in Parlamento, e conosco il debito mio. Tu siedi, giudice, e
-prendi un atteggiamento conforme alla gravità dell’ufficio.
-
-— Dio buono! — esclamò Aldo De Rossi, sforzandosi di sorridere. — Si
-tratta dunque di una cosa grave?
-
-— Eh, grave... secondo i casi e le età. Per voi altri giovani è
-gravissima. Si ragionava d’amore.
-
-— Argomento importante, non c’è che dire.
-
-— Sicuramente, e il nostro Anselmi ne parlava come di una malattia, e
-lo paragonava alla tosse. Ma la signora Camilla, dal canto suo, negando
-la malattia, trovò che il paragone era volgare.
-
-— Ecco... — interruppe la signora Camilla. — Io non ho detto
-propriamente così.
-
-— Mia bella signora, perdonate; avete esclamato: che paragone!
-
-— Sì, perchè mi pareva che se ne potesse trovare uno più adatto. Per
-esempio la febbre.
-
-— Ma io, — entrò a dire l’Anselmi, — non avevo fatto che ispirarmi
-al proverbio: amore e tosse, con quel che segue. Ma vada pure per la
-febbre. Che cosa sentenzia il giudice eletto? —
-
-Aldo De Rossi non aveva gradito niente affatto che tra la signora
-Camilla e l’Anselmi si fosse appiccato un discorso di tal genere. Egli
-stava per l’appunto almanaccando da che potesse aver avuto occasione
-quella tuffatina nel tenero, quando venne a rompergli il filo la
-domanda dell’Anselmi.
-
-— L’amore — rispose egli sentenziosamente, — è una malattia, o non
-lo è. Se è una malattia, non può essere paragonato alla tosse, che è
-indizio di malattia, non malattia per sè stessa. Se non è una malattia,
-ma semplicemente indizio di malattia, e tosse, e febbre, e quel che
-vorrete, possono entrare in paragone con esso, secondo l’umore e il
-buon gusto di chi ne parla.
-
-— Dotta sentenza! — esclamò l’Anselmi, non senza un pochino d’ironia.
-— Ma se tu credi che l’amore sia un indizio, a qual malattia vorrai tu
-regalarlo?
-
-— Gl’indizi sono qualche volta fallaci; — rispose sul medesimo tono il
-De Rossi. — L’occhio medico deve badare a molte cose, prima di giungere
-alla conclusione. Anzi tutto bisogna osservare il temperamento del
-malato. Per esempio, io conosco certi uomini, presso i quali l’amore
-sarebbe indizio... di stupidità.
-
-— Ah, buona questa! — gridò il Vezzosi che non ci vedeva il baco.
-
-— Buona per cui tocca; — notò l’Anselmi, a cui sembrava pessima,
-appunto perchè gli toccava a lui. — Tu non sei un giudice, Aldo; sei un
-Minosse, un Radamanto. E noi che si faceva per celia!
-
-— Non si fanno queste cose per celia; — replicò Aldo De Rossi. —
-L’amore è una cosa grave, e non è permessa agli uomini leggeri, che
-vedono un sollazzo passeggiero in ciò che dev’essere il negozio di
-tutta la vita. —
-
-Il contino Anselmi si seccò per davvero; si seccò doppiamente, pensando
-che la signora Camilla udiva e che poteva indovinare a cui fossero
-dirette le bottate del giudice.
-
-— M’inchino alla tua sapienza; — diss’egli.
-
-E fece l’inchino, proprio come aveva detto, mettendoci un’ostentazione
-che diede maledettamente sui nervi al De Rossi. Questi non aveva
-mestieri di tanto, per dar di fuori; che, anzi, come vi sarà parso
-evidente, staccava i bollori da un pezzo.
-
-— Accetto il complimento per quel che significa, — diss’egli; — cioè
-per un’ironia; e lo accetto anche per quel che vale, — soggiunse, —
-cioè per un’ironia... in bocca tua.
-
-— Ehi, giovinotti! — gridò il commendatore Gerardo, che incominciava a
-capire. — Che cosa è questo? Il giudice mi pare...
-
-— Il giudice ha data la sentenza; — disse Aldo, con un risolino
-sardonico.
-
-— Egli vorrà almeno riconoscere l’autorità della Cassazione; — entrò a
-dire il presidente gran croce.
-
-— Con tutto il piacere, e chiedendovi perdono, se è necessario; —
-rispose Aldo, inchinandosi. — Per altro, mi consentirete d’insistere
-nella mia opinione. Il tono ironico non mi va, da qualunque parte
-proceda; e i patti chiari....
-
-— Fanno i buoni amici, manco male; — interruppe il commendatore
-Gerardo, sperando di ravviare la conversazione.
-
-— No, — ribattè Aldo De Rossi, — il proverbio non è giusto. Tra amici
-non occorre far patti di nessuna specie. Diciamo invece che i patti
-chiari fanno i buoni nemici. Infatti, — soggiunse, guardando l’Anselmi,
-— ci sono i buoni nemici; cioè quelli che si conoscono tali e non
-giuocano più ad ingannarsi. —
-
-Il contino Anselmi rispose al discorso di Aldo De Rossi con un cenno
-del capo, che aveva del saluto, del ringraziamento e dell’altro ancora.
-
-La conversazione, come potete immaginarvi, non andò più oltre. Camilla
-aveva alzati gli occhi e non le era sfuggito il gesto sarcastico
-dell’Anselmi, nè lo sguardo di minacciosa promessa con cui gli
-rispondeva il De Rossi.
-
-— Vogliamo tornare all’albergo? — diss’ella, rivolgendo il discorso ai
-Vezzosi.
-
-Elena, più morta che viva, fece uno sforzo supremo per alzarsi dal
-sedile. Gerardo e il cavaliere Sestavalle furono subito in piedi; il
-presidente gran croce si stimò fortunato di poterli imitare. Quella
-scena agrodolce aveva seccato il nostro gravissimo personaggio, che
-in quel momento malediceva di sicuro la compagnia dei ragazzi e le
-ragazzate di cui lo facevano spettatore. Ma già, colpa sua, signor
-presidente. Dove c’è paglia, c’è sempre pericolo d’incendio. E lei,
-perchè portare la paglia con sè?
-
-Basta, lasciamo le considerazioni da banda. I nostri personaggi
-escirono dal Rinfresco; Gerardo tenendo a braccetto la signora Camilla,
-il presidente Roberti la signora Elena. Il Sestavalle si accompagnò
-alla seconda coppia, ma senza preferenze e disposto a correre verso la
-prima quando fosse chiamato. Uomo inarrivabile, e veramente Alcibiade,
-che sapeva trovarsi bene con tutti e in ogni circostanza della vita!
-Egli sarebbe anche rimasto coi due giovanotti, quantunque le loro facce
-scure non promettessero una conversazione troppo piacevole; ma uno
-sguardo benigno della signora Elena lo aveva tirato daccanto a lei;
-così il De Rossi e l’Anselmi erano rimasti liberi di dirsi quel che
-volevano, e magari anche di accapigliarsi.
-
-La signora Camilla certamente sospettò qualche cosa di questo genere,
-poichè trattenuto con un pretesto il suo cavaliere, lasciò passare
-avanti Elena col presidente gran croce. Rimasta così abbastanza vicina
-ai due rivali inviperiti, le venne fatto di cogliere a volo alcune
-frasi del dialogo che essi avevano insieme:
-
-— Mi dirai ora che cosa è questa scenata? — chiedeva l’Anselmi al De
-Rossi.
-
-— Signor conte, — rispondeva il De Rossi, — vi credevo più
-intelligente. È proprio un peccato che, con tanto spirito, siate così
-tardo a capire.
-
-— È dunque una _querelle d’Allemand?_ — riprese l’Anselmi.
-
-— Chiamatela anche così; purchè abbia un seguito; — disse Aldo De Rossi.
-
-— Ed una conclusione; — rispose quell’altro stizzito.
-
-— Tanto meglio; — ribattè il De Rossi.
-
-Il commendatore Gerardo udì anch’egli, sebbene confusamente, qualche
-cosa del diverbio tra i due.
-
-— Orbene, — diss’egli, volgendosi a mezzo, con un piglio tra
-l’amichevole e il paterno, — che cosa borbottate, voi altri? Spero bene
-che l’avrete finita.
-
-— Per l’appunto, finita; — disse Aldo.
-
-— Ci siamo spiegati; — soggiunse il contino. — È stato un malinteso;
-non è vero, De Rossi?
-
-— Certo, — rispose questi, — e il maggior torto è stato il mio.
-
-— Questo poi no; diciamo il torto d’ambedue, — replicò il contino, — e
-non se ne parli più.
-
-— Ah, bene! — gridò il commendatore Gerardo, e così forte, che potesse
-udirlo anche il presidente gran croce. — Quando lo dicevo io, che non
-c’era una ragione al mondo perchè aveste a leticare! Si crede qualche
-volta di avere udito una parola, ed è invece un’altra. Oppure, è
-quistione di significato, e ci si guasta il sangue per nulla. —
-
-Frattanto il presidente diceva alla signora Vezzosi:
-
-— Non so che diamine sia saltato in capo a quei due giovinotti. Ci
-avete capito nulla, voi, Donna Elena?
-
-— Io no; e voi, cavaliere? — diss’ella, volgendosi al Sestavalle.
-
-— Neppur io; — rispose l’Alcibiade. — Qualche piccola ruggine, forse.
-Ma sentite, parlano insieme e Gerardo li mette in pace. Dev’essere
-tutto appianato, oramai.
-
-— Meno male; — conchiuse il presidente. — Perchè, a dirvela schietta,
-noi vecchi ci troviamo male, in questi litigi della gioventù. Sarebbe
-stata veramente una noia per me, se fossero andati più oltre delle
-parole, e questa sera medesima avrei fatte le valigie. —
-
-Il presidente Roberti capiva benissimo che la cagione di quell’alterco
-era la sua bella nipote. E si disponeva a fare una solenne ramanzina,
-anche a rischio di vederla accolta come tante altre. Non vi formate
-da ciò una cattiva idea della signora Camilla. È degli zii lo sgridare
-per cose da nulla, e specialmente a torto, quantunque con le migliori
-intenzioni del mondo; è delle nipoti il ridere, specie quando si
-sa di non aver nulla da rimproverarsi. Del resto, se una risatina
-è testimonianza di poco ossequio, un abbraccio è prova d’amore, e i
-vecchi zii, da tempo immemorabile, amano più questo che l’altro.
-
-Intanto che si preparava a ridere con lo zio, la signora Camilla rideva
-col suo cavaliere. Veramente non ne aveva una gran voglia; ma bisognava
-fingere, non dare a divedere il proprio turbamento. Come sarebbe
-andata volentieri innanzi con Elena, lasciando tutti i signori uomini
-insieme! Elena doveva sapere la cagione di quella improvvisa sfuriata
-di Aldo De Rossi. Certamente, egli era escito fuori dei gangheri per
-qualche discorso della signora Vezzosi. E questo bisognava sapere, per
-regolarsi con tutti. Ma non si poteva neanche strappare l’amica dal
-braccio dello zio, senza aver l’aria di una capricciosa, la quale non
-sapesse far altro che pazzie. Perciò si trattenne, e ragionò col signor
-Gerardo di cose inconcludenti, che parvero divertirla un mondo, tanto
-ne rise.
-
-— Signora, — le disse il contino Anselmi, avvicinandosi a lei, mentre
-erano poco lungi dall’albergo della Pace, — verrete questa sera al
-Casino?
-
-— Credo di no; — rispose ella. — Mio zio deve essere stanco.
-
-— Se non si tratta che di ciò, — entrò a dire Gerardo, — potremo
-accompagnarvi noi altri.
-
-— Grazie; anch’io amo riposare. Starò a fare quattro ciarle con Elena.
-Siamo state così poco insieme, quest’oggi! —
-
-Mentre l’Anselmi si era accostato alla signora Camilla, Aldo De Rossi
-veniva innanzi da solo, e sdegnando di seguire il viale. Forse, poichè
-era venuto ai ferri corti col suo nemico, non sentiva più la dolorosa
-curiosità di udire i discorsi che si facevano tra lui e la signora
-Camilla. Perciò, quasi ad ostentare la propria noncuranza, era andato a
-spaziare nel mezzo dello stradone.
-
-La signora Elena lo vide con la coda dell’occhio, e avrebbe voluto
-mandare il Sestavalle a tenergli compagnia; ma erano oramai al termine
-della loro passeggiata e non occorreva più usargli quest’atto di
-misericordia.
-
-— Vuol dire, — fece l’Anselmi, quando si fu davanti all’uscio
-dell’albergo, — che questa sera le signore...
-
-— Riposeranno; — interruppe la signora Elena, che aveva indovinato il
-resto della frase, e che aveva sentito dianzi il discorso di Camilla. —
-Perciò i cavalieri son liberi; meno il Sestavalle, che avrà la bontà di
-portarmi in camera il libro che m’ha promesso stamane. —
-
-L’Alcidiade fece il gesto dell’uomo che non si raccapezza. Ma uno
-sguardo della signora Elena lo richiamò all’intelligenza della scena.
-
-
-
-
-XIX.
-
-
-Aldo De Rossi e il contino Anselmi, salutate con gran cerimonia
-le dame, si allontanarono dall’uscio, e la signora Elena li vide
-traversare lo stradone per recarsi al Casino.
-
-Il cavaliere Sestavalle salì le scale in compagnia delle signore. Come
-furono sul terrazzino scoperto che metteva dal primo pianerottolo al
-corridoio dell’albergo, la signora Elena disse al vecchio Alcibiade:
-
-— Ora scenderete nella vostra camera, e prenderete il primo libro che
-vi verrà tra le mani.
-
-— Ahimè, donna Elena! — esclamò il Sestavalle. — Se non vi porto
-l’orario delle strade ferrate!...
-
-— Anche l’orario, purchè me lo portiate tra dieci minuti nel salottino
-di Camilla.
-
-— Ora che ci penso, — ripigliò l’Alcibiade, — ci ho anche una Guida di
-Firenze.
-
-— Benissimo; andate e portate la Guida. —
-
-Si entrò nel corridoio. Il Sestavalle scese per una scaletta interna,
-che metteva alla sua camera; le signore proseguirono verso il
-quartierino di Camilla, dove Elena voleva far sosta. Gerardo, indettato
-da sua moglie, propose al presidente gran croce una discesa nella sala
-di lettura.
-
-— È ancora così presto! — diss’egli. — Come si fa a prender
-sonno? —
-
-Le signore entrarono nel salottino e andarono a sedersi su quel canapè,
-di cui già conoscete l’esistenza. Erano ambedue sovra pensieri, e per
-quella volta non ci fu continuazione di dialogo. Poco stante bussarono
-all’uscio. Era il Sestavalle che giungeva col libro.
-
-— Ecco il pretesto; — diss’egli, sorridendo, — che cosa mi comandate,
-donna Elena?
-
-— Non comando; vi prego....
-
-— Tornerebbe lo stesso: ma io amo i vostri comandi.
-
-— Sia; vi comanderò dunque di andare al Casino, dove passerete un’ora,
-due ore, quanto sarà necessario.
-
-— Necessario! A che cosa?
-
-— A sapere quel che fanno, o quel che contano di fare i due signorini.
-
-— Ah! — disse l’Alcibiade. — Quei due che si sono riscaldati al
-Rinfresco?
-
-— Per l’appunto. Ma badate, Sestavalle; voi non avrete l’aria di esser
-mandato da noi.
-
-— Che, vi pare? Sono un uomo di giudizio.
-
-— E neppure dovete parere troppo curioso. All’occorrenza dovete lasciar
-credere di non esservi neanche accorto del loro diverbio.
-
-— Benissimo. E poi?
-
-— E poi dovrete correre qua per informarci di tutto; — entrò a dire
-Camilla. — Non avete capito di che cosa si tratta?
-
-— Ho capito, ho capito, bella signora; — rispose l’Alcibiade. — O
-piuttosto avevo creduto di capire, laggiù al Rinfresco; ma poi, dopo
-che si son dati spiegazioni....
-
-— Ah, e voi credete alla commedia delle spiegazioni? Dite piuttosto,
-cavaliere, che volete calmare i nostri timori.... Ma noi, come vedete,
-non ci lasciamo abbattere dalla paura, nè ingannare dalle pietose
-bugie.
-
-— Siete una bella Amazzone; — disse il Sestavalle, infiammandosi.
-— Andrò, dunque, osserverò, scoprirò ogni cosa, e verrò a darvene
-ragguaglio. —
-
-Camilla, per quanto poca voglia ne avesse, non potè far a meno
-di ridere di quell’entusiasmo senile. E porse la sua bella mano
-all’Alcibiade, che vi stampò un bacio, ma di quelli che s’usavano
-ancora sotto i cessati governi.
-
-Quasi sarebbe inutile il dirvi di che prendessero a ragionare le due
-dame, a mala pena rimasero sole. Dovrei io raccontare a voi, lettori
-di pronto ingegno, che si parlò della lettera di Camilla e che Elena
-confessò di averla fatta leggere al De Rossi? E che Camilla, dal canto
-suo, aveva già indovinata la cosa, prima che la confessione di Elena
-venisse a confermargliela? E che non ne fu niente scontenta? E che la
-signora Elena si rifece da capo alle sue esortazioni, sacrificandosi
-nobilmente all’amicizia, con quella intensità di desiderio, con quella
-profondità di soddisfazione, che tutti abbiamo provata in un giorno
-della nostra vita, quando ci parve di aver messo d’accordo la voce
-della nostra coscienza con la felicità del nostro simile? E che la
-signora Camilla, finalmente.... Ma basta; se no, con l’aria di non
-volervi dir nulla, vi spiffero ingenuamente ogni cosa.
-
-Sarebbe meglio per me di seguitare l’Alcibiade nelle sale del Casino.
-Ma tant’è, mi dispiace di abbandonar le signore, e preferisco di
-cogliere il mio uomo, nel punto in cui egli ritorna dal Casino
-all’albergo della Pace.
-
-Erano le nove di sera, quando il cavaliere Sestavalle entrò per la
-seconda volta nel salottino della signora Camilla. Le due dame erano
-sole e dovevano restar sole ancora un bel pezzo, poichè il presidente
-gran croce aveva trovato un avversario degno di lui al giuoco degli
-scacchi, e proprio allora incominciava a dargli la rivincita, assistito
-dal commendatore Gerardo, che ne capiva poco, ma si dava l’aria di
-saperne moltissimo e di trovarci un gusto matto. Che fare, del resto?
-Bisognava pure ammazzare il tempo, aspettando l’ora del sonno.
-
-Il cavaliere Sestavalle giungeva carico di notizie, e della più alta
-importanza. Le signore avevano indovinato; era guerra dichiarata,
-guerra ad oltranza fra i due giovanotti. L’Anselmi cercava padrini
-da una parte; il De Rossi cercava padrini dall’altra; o, per dire
-più veramente, ne cercavano tutt’e due nel medesimo luogo, mentre in
-una sala si cantava e nell’altra si giuocava a biliardo. Il povero
-Sestavalle era appena capitato nella sala del pianoforte, che già
-doveva sostenere un fierissimo assalto. Il contino Anselmi era stato il
-primo a vederlo, e lo aveva afferrato, condotto in una camera attigua,
-messo tra l’uscio e il muro, chiedendogli per somma grazia che volesse
-fargli da padrino.
-
-Padrino, lui? In un duello? Sicuramente, lui, il cavaliere Sestavalle.
-Già, dice il proverbio che in mancanza di cavalli si fanno trottare....
-altri quadrupedi. L’Alcibiade, così pregato e scongiurato dal contino
-Anselmi, era stato un po’ in forse, ma due considerazioni vinsero le
-sue esitanze. Il Sestavalle non era nuovo del tutto alle armi, poichè
-aveva prestato lunghi e onorati servizi nella guardia nazionale,
-buon’anima sua; ed anzi, appunto a dieci anni di spalline, nobilmente
-portate in pro’ del palladio, andava debitore della sua croce di
-cavaliere. Lo vedete anche voi, lettori umanissimi, _noblesse oblige_.
-Inoltre, come non accogliere la domanda dell’Anselmi, se quello era il
-miglior modo di saper tutto? Senza averlo chiesto senza aver mostrato
-di desiderarlo, egli entrava di botto nella questione, e avrebbe potuto
-riferirne i più minuti particolari alle dame.
-
-Egli aveva dunque accettato, premettendo tuttavia di non avere una gran
-pratica di quelle faccende. Ma di ciò non si dava pensiero l’Anselmi.
-A lui era necessario anzi tutto di avere un padrino serio e discreto,
-che conoscesse le cagioni dello scontro e la impossibilità di evitarlo.
-Quanto ai particolari, alle piccole cure dell’ufficio, bastava l’altro
-padrino, un giovinotto forastiero, che l’Anselmi aveva conosciuto
-all’albergo della Torretta. E qui, senza por tempo in mezzo, il contino
-presentò al Sestavalle il suo compagno di seccatura. I due padrini si
-ricambiarono i saluti d’obbligo; e il nuovo venuto ricordò amabilmente
-al Sestavalle di averlo veduto qualche giorno prima alla Speranza,
-insieme con due belle signore che avevano fatta una partita al
-biliardo. L’Alcibiade rammentò a sua volta il giovine forastiero, che
-giuocava a picchetto con la sua elegantissima compagna. Essersi veduti
-una volta, era già una mezza conoscenza; da far da padrini insieme era
-un’amicizia senz’altro. E come amici si strinsero la mano; dopo di che,
-andarono ad abboccarsi coi padrini del signor Aldo De Rossi.
-
-Aldo, infatti, aveva già trovati i suoi; un maggiore di fanteria ed un
-professore di storia naturale. Le due professioni non erano troppo bene
-assortite; ma il De Rossi non aveva avuto mica il tempo di scegliere.
-Quei due gentiluomini erano dei pochissimi con cui egli avesse
-barattato parole al Casino. Del resto, se uno era guerriero, e, per
-conseguenza, pratico d’armi, l’altro era medico, e, per conseguenza,
-pratico di ferite. E dato l’ufficio a cui essi dovevano prestarsi,
-l’assortimento c’era.
-
-Quattro persone educate non durano fatica a trovarsi d’accordo.
-Aggiungete che, per desiderio espresso dei loro primi, dovevano
-metterci anche una certa dose di buona volontà. La quistione era
-delicatissima, ma senza difficoltà; o, per dire più veramente, le
-difficoltà c’erano, ma i due primi non volendo dir chiaro e tondo come
-fosse nata e volendo invece far presto, non lasciavano appigli, nè
-gretole, a quei curiosi cavillatori che sono per solito i padrini. La
-scelta delle armi poteva essere un guaio, non sapendosi bene chi fosse
-lo sfidatore e chi lo sfidato, o chi il provocatore e chi il provocato;
-ma anche questa difficoltà era appianata dal fatto che ai bagni di
-Montecatini non si sarebbero trovate due spade, nè due sciabole, dato
-il caso che si volesse fare un duello all’arma bianca, mentre uno dei
-padrini aveva per l’appunto nelle sue valigie un bel paio di pistole,
-che pareva proprio il fatto loro. I due primi ne avevano pochi degli
-spiccioli, e meno da spicciolare; il mezzo più sbrigativo era dunque
-di farli battere alla pistola. Si andava di buon mattino a Monsummano
-alto. Il pretesto era pronto: una passeggiatina igienica. Lassù, tra
-le rovine del vecchio castello, all’aria aperta, due colpi per uno
-erano presto sparati. Se poi i due combattenti ne avessero voluti di
-più, andassero a cercarsi un’altra coppia di padrini per ciascheduno;
-essi, i facili ordinatori della giostra, non volevano prestarsi alla
-continuazione del giuoco, nè aver aria di tentare il diavolo oltre i
-limiti della discrezione.
-
-Il nostro povero Sestavalle era rimasto un po’ sbalordito da quel modo
-spicciativo di concertare le cose. Ma già, egli non aveva pratica e
-doveva lasciare il mestolo a chi sapeva maneggiarlo. E perciò s’era
-contentato di dir sempre: _et cum spiritu tuo._
-
-Frattanto, poichè la ricerca affannosa dei padrini, il loro
-abboccamento, e infine i negoziati erano stati fatti nel corso di
-un’ora, nelle sale del Casino, la gente radunata colà non aveva tardato
-a insospettirsi. I quattro padrini si separavano appena, per recarsi
-ad informare d’ogni cosa i loro primi, che già la voce del duello
-imminente si era sparsa nella sala da giuoco, e di là nella sala da
-ballo.
-
-Il nostro Sestavalle, fatto il debito suo con l’Anselmi e promessogli
-di ritornare più tardi per gli opportuni concerti, stava già per
-infilar l’uscio dell’anticamera, quando si vide impedire il passo
-da una bella signora. La cosa gli sarebbe tornata piacevole in ogni
-altra occasione, ma non allora, poichè egli era impaziente di giungere
-all’albergo della Pace, dove lo aspettavano le sue belle curiose. Ma
-bisognava fare di necessità virtù, e l’Alcibiade si era rassegnato,
-riconoscendo la signora Augusta Maravigli, soprano assoluto, che
-appunto quella sera, mentre egli ragionava d’armi e d’armati,
-s’era fatta applaudire dalla società del Casino, cantando con molto
-sentimento il _Vorrei morire_ del mio amico Tosti.
-
-Non so se la signora Augusta Maravigli volesse morir lei davvero;
-ma certamente non voleva lasciar morire gli altri, e meno di tutti
-l’Anselmi.
-
-— Signor.... signor.... — aveva incominciato la diva, mostrando,
-insieme con la perplessità della parola, il rammarico di non sapere il
-nome dell’uomo a cui voleva contendere il passo.
-
-— Emilio Sestavalle, a’ suoi comandi; — aveva risposto lui, ma col
-gesto di uno che non amava di restarci troppo.
-
-— Signor Sestavalle, perdoni; il conte Anselmi ha un duello.... —
-
-Così l’alunna d’Euterpe entrava risolutamente in materia. E perchè il
-cavaliere Sestavalle si stringeva nelle spalle e allungava il muso, col
-desiderio evidente di non risponder altro, la signora Augusta proseguì:
-
-— Non mi dica di no. Lei è uno dei suoi padrini. So tutto.
-
-— Signora, poichè Ella sa tutto.... —
-
-E così dicendo, l’Alcibiade si tirava rispettosamente da un lato, come
-in atto di riverirla, per proseguire la sua strada. Ma una scappata di
-quella fatta non comodava punto alla signora Augusta Meravigli.
-
-— Perchè questo duello? — diss’ella, mettendogli audacemente la mano
-sopra un bottone del soprabito. — E per chi? Per una donna, non è
-vero? —
-
-E fremeva di sdegno, parlando in tal guisa, e schizzava fuoco dagli
-occhi. Un poeta della vecchia scuola avrebbe pensato al corruccio di
-Giunone, quando la Dea ebbe fumo delle prime scappatelle di Giove. Ma
-il nostro Sestavalle non era un poeta, e quello, del resto, non era un
-momento da paragoni classici.
-
-— La prego; — diss’egli; — lasciamo stare le donne. Il bel sesso si
-cita mal volentieri, in queste faccende.
-
-— Perchè? Se fossi un uomo, intenderei la sua riserbatezza e l’avrei
-anche per una lezione meritata; — rispose la signora Augusta. — Ma
-sono donna anch’io... Ed ho il diritto di sapere... L’avverto, signor
-Sestavalle, ho il diritto di sapere!...
-
-— Eh, non dico il contrario; — replicò il Sestavalle. — Ma in questo
-caso, mi voglia perdonare l’osservazione indiscreta.... o perchè non
-chiederne direttamente a lui? —
-
-Ad una domanda così ragionevole, la signora Augusta rispose con un
-gesto d’impazienza.
-
-— Signor Sestavalle, — soggiunse poscia, con aria tra lusinghiera e
-solenne; — Lei è un uomo?
-
-— Signora.... — balbettò l’Alcibiade, chinando la testa e stendendo le
-braccia, in atto di umiltà. — Un pover uomo, se vuole.... ma un uomo.
-
-— Ella dunque sarà cortese con le donne. È uomo e ne ha l’obbligo.
-
-— Sicuramente.... sicuramente!
-
-— Dunque, la prego, venga con me. —
-
-Anche a voler fare diverso, l’Alcibiade non avrebbe potuto liberarsi,
-poichè la signora Augusta teneva sempre quel benedetto bottone. E il
-bottone e il suo proprietario si lasciarono trascinare fino ad uno dei
-sedili che erano sul terrazzino.
-
-— Mi stia a sentire; — ripigliò la cantante, com’ebbe preso posto sul
-sedile e obbligato il Sestavalle a fare altrettanto. — Vuol meritare la
-mia amicizia?
-
-— Che dice, signora? È il mio voto più ardente; — rispose l’Alcibiade,
-tirato dalla consuetudine alle fioriture del linguaggio galante. — Mi
-dica che cosa debbo fare per ottenerla.
-
-— Questo duello è impossibile; — riprese la signora Augusta. — Non mi
-conviene; non deve farsi.
-
-— Ma, signora....
-
-— Capisco; ciò che non conviene a me, potrebbe convenire invece a
-Lei ed ai suoi degni colleghi. Già, lor signori, quando possono veder
-spargere il sangue del loro simile!...
-
-— Oh, non me ne parli, per carità! — interruppe il calunniato
-Alcibiade. — Io amare gli spargimenti di sangue? E del mio simile,
-per giunta? Ma neanche d’un bue; neanche d’un agnello; che non sono
-nè l’uno nè l’altro miei simili, se non forse per qualche qualità
-morale, come potrebbero insinuare i maligni. Io, veda, sono in questo
-pasticcio, perchè.... In fede mia, è il caso di domandarlo; perchè ci
-sono? Lo ignoro. Mi ci sono trovato contro la mia volontà, quasi senza
-avvedermene. Ma ora che ci sono, capirà, ci ho da stare e non è in
-poter mio di disfare ciò che è stato fatto, di sconcertare ciò che è
-stato concertato.
-
-— Per quando? — chiese la diva, cogliendo la frase al volo.
-
-— Oh, questo non lo so.
-
-— Come, non lo sa? Un padrino?
-
-— Signora, è proprio così come ho l’onore di dirle. Non lo so,
-perchè di questo non si è ancora parlato. Ma certo, — soggiunse il
-Sestavalle, facendosi forte dietro il riparo della propria ignoranza,
-— quand’anche lo sapessi.... cioè, quand’anche fosse stato combinato
-il giorno e l’ora, io non potrei in coscienza dir nulla. Ci sono certe
-norme di delicatezza cavalleresca, che, non si possono violare per
-nessuna ragione, e neanche per far piacere alla più bella donna del
-mondo. —
-
-Briccone d’un Alcibiade! Come ripigliava il possesso di scena, che
-l’improvviso attacco gli aveva fatto smarrire!
-
-Ma neanche il complimento del vecchio cortigiano poteva ammansire la
-diva sdegnata.
-
-— Badi! — gridò ella. — Farò uno scandalo. Questo duello per un’altra
-donna non mi va, e non lo voglio. Ha capito? Non lo voglio. Per
-un’altra donna! — ripetè, con accento d’amarezza. — Per un’altra donna!
-Dio sa poi che roba! —
-
-Alcibiade era buono, due volte buono; ma non tre, badate, non tre.
-Quella bottata all’albergo della Pace gli fece salire la mosca al naso.
-
-— Signora, — diss’egli con un certo sussiego, — Io non so proprio
-che farci. I miei obblighi sono pochi e determinati. Mi rincresce
-che abbiano a cozzare co’ suoi desideri, ma che vuole? io non ci ho
-colpa e mi resta il dispiacere di non poterla contentare. Veda Lei,
-se le riesce di persuadere il conte Anselmi.... Io le auguro magari un
-trionfo. Buona notte! —
-
-E approfittando della circostanza che la signora Augusta aveva lasciato
-poc’anzi il bottone del suo soprabito, l’Alcibiade si sottrasse con una
-riverenza frettolosa alle noia di quella inutile conversazione.
-
-Cinque minuti dopo, era giunto all’albergo e vuotava il sacco delle
-notizie ai piedi delle dame.
-
-Com’egli fu a raccontare l’entrata in scena della cantante, personaggio
-nuovo di cui esse non avevano mai udito parlare, la signora Elena
-atteggiò le labbra ad un sorrisetto malinconico, che voleva dir molto.
-Voleva dire, per esempio, che il destino serviva assai bene il signor
-Aldo De Rossi, e assai male la signora Vezzosi. Ma questa aveva buon
-cuore, e non era solamente rassegnata alla sua sconfitta, ma anche
-desiderosa di affrettarla. Perciò al sorrisetto malinconico tenne
-dietro una osservazione come questa:
-
-— Ah! il signor conte ci aveva l’amica a Montecatini? Vo’ fargli i miei
-complimenti.
-
-— Questa amica è forse una provvidenza per noi; — esclamò la signora
-Camilla.
-
-— Una provvidenza! E in che modo?
-
-— Or ora lo vedrai. Sestavalle, a noi! Il riserbo cavalleresco non vi
-permette di dire alla più bella donna del mondo l’ora e il luogo dello
-scontro; ma a noi che non siamo la signora Augusta Meravigli.... —
-
-L’Alcibiade, che aveva capito dove la signora Camilla volesse andare a
-battere, fu pronto ad interrompere la frase.
-
-— A voi, che siete due meraviglie, — diss’egli, — racconterò tutto,
-dall’a fino alla zeta. I nostri due primi si batteranno domattina.
-Salvo qualche piccolo cambiamento, che potrebbe essere stabilito più
-tardi, il barone Marcovic, che è l’altro padrino e mio collega, verrà
-dalla Torretta all’Albergo della Pace, insieme col contino Anselmi,
-verso le cinque. E alle cinque in punto si partirà tutti, in due
-carrozze, per Monsummano, donde, col pretesto di una gita igienica,
-come mi pare d’avervi già detto, si salirà fino alla vetta del monte.
-Ahimè! — soggiunse l’Alcibiade sospirando. — Penso già con dolore a
-quella ripida ascesa.
-
-— Benissimo; — esclamò la signora Camilla; senza darsi un pensiero al
-mondo dei dolori dell’amico Sestavalle. — Queste cose dovrà saperle
-anche la signora Meravigli.
-
-— Anche lei! — gridò l’Alcibiade, stupito. — E perchè? E chi si
-prenderà la cura di andargliele a dire?
-
-— Il perchè lo so io; — rispose Camilla. — Quanto all’ambasciatore,
-sarete voi. Sicuramente le siete debitore di questo piccolo uffizio,
-dopo averla piantata là al Casino, come Olimpia sullo scoglio.
-
-— Ma io, signora mia.... Pensate....
-
-— Ho pensato a tutto. Col pretesto di vedere l’Anselmi per qualche
-nonnulla, dimenticato nella fretta, dovete andare all’albergo, dove
-essa è alloggiata.
-
-— La cantante sarà ancora al Casino; — disse l’Alcibiade.
-
-— Meglio così; la vedrete al Casino, e troverete il modo di farle avere
-una lettera.
-
-— Una lettera! E di chi, se è lecito?
-
-— Una lettera che scriverò io. Infatti, guardate, incomincio. —
-
-E mandando i fatti compagni alle parole, la signora Camilla si pose
-allo scrittoio, per buttare su d’un foglietto di carta pochi versi
-della sua calligrafia aristocraticamente sottile. Indi, piegato il
-foglio e ficcatolo nella sua sopraccarta, scrisse il ricapito: _Alla
-signora Augusta Meravigli_.
-
-— Eccovi qua; — diss’ella, consegnando la lettera al cavaliere; —
-andate.
-
-— Signora.... — balbettò egli. — È presto detto: andate! Sono il
-padrino dell’Anselmi.... onore che non ho cercato io! Come volete che
-lavori ad impedire il duello che ho aiutato a concertare? Perchè questa
-è la vostra idea, non è vero?
-
-— Orbene, e se lo fosse?
-
-— Se lo fosse, — ripigliò l’Alcibiade, — non toccherebbe a me
-di prestarvi mano. Figuratevi! Se lo risapessero mai i padrini
-avversari!... Infine, considerate che non sono in questo pasticcio per
-colpa mia....
-
-— Ci siete per colpa nostra; — rispose Camilla. — Ci siete in qualità
-di nostro schiavo, e dovete obbedire; altrimenti, badate, mi metto la
-mantellina sulle spalle, prendo il vostro braccio, vado io al Casino, e
-faccio una scena che vi piacerà poco.
-
-— Signora, voi siete feroce! Andrò, come volete, andrò; ma vi avverto
-che mi metto in un brutto impiccio. Entrerò nella fossa dei leoni, e
-senza essere Daniele.
-
-— Non temete, penso io a salvarvi dalle loro unghie. Ma andate, in
-nome di Dio! Sento nel corridoio i passi di mio zio e del signor
-Gerardo. Quando avrete fatta l’ambasciata, tornate a darmene avviso; vi
-aspetto. —
-
-L’Alcibiade chinò la testa ed uscì dal salottino.
-
-— Che cosa hai scritto alla cantante? — domandò la signora Vezzosi
-all’amica.
-
-— Lo saprai più tardi; ora non avrei tempo a dirtelo. L’essenziale è
-d’impedire questo duello.
-
-— E credi che si potrà? — chiese Elena, scuotendo il capo in atto
-d’incredulità. — Queste ire, una volta scoppiate, non si arrestano
-più. —
-
-L’arrivo di Gerardo e del presidente Roberti interruppe il dialogo
-delle due dame.
-
-— Orbene, — disse il commendatore Vezzosi, — è finita la conversazione?
-
-— No; — rispose Camilla. — Sestavalle ha dovuto andar fuori per una
-sua faccenda, ma tornerà ancora ad augurarci la buona notte. E voi
-prenderete il tè, m’immagino.
-
-— Tutto quello che voi immaginate, — rispose galantemente il Vezzosi, —
-è quello che mi deve accadere. Prenderò il _tè_. —
-
-Non era mica una cosa facile, tenere a chiacchiera due uomini come il
-presidente Roberti e il commendatore Gerardo, che erano legati alle
-signore da vincoli di famiglia e di consuetudine, che avevano passata
-una lunga giornata senza far nulla, che si erano seccati parecchio,
-assistendo ad un alterco d’amici, sul quale non volevano aprir bocca,
-sebbene ci ritornassero spesso col pensiero, e che finalmente avrebbero
-gradito assaissimo di poter seppellire tra le pietose lenzuola i
-fastidi della giornata e il brutto ricordo della contesa avvenuta.
-Eppure, la signora Camilla ne venne a capo. Quando la bella birichina
-voleva qualche cosa, non c’era verso di volerne un’altra; sto per
-dire che il cielo si metteva dalla sua e si divertiva a vedergli fare
-un miracolo. Non avete mai veduto dei babbi e dei nonni che da certi
-angioletti si lasciano tirare i baffi e levar la parrucca? Anche messer
-Domineddio, a certe sue belle creature.... Ma non diciamo eresie;
-contentiamoci di raccontare che la signora Camilla, aiutata da Elena,
-tenne a bada un bel pezzo i due gentiluomini, e che ella si disponeva
-appena ad ammannire il _tè_, quando fu di ritorno il messaggero
-Alcibiade.
-
-— Ah, bene! — esclamò ella, dandogli un’occhiata d’intelligenza. —
-Capitate a tempo per farmi da aiutante.
-
-— Son qua, donna Camilla, son qua; — disse l’Alcibiade, avvicinandosi
-al deschetto su cui stava il vassoio con tutto il bisognevole per
-«cotanto uffizio.»
-
-— Avete fatto? — gli chiese ella sottovoce.
-
-— Ogni cosa; — rispose egli nel medesimo tono.
-
-— Ha letto?
-
-— Sì, ed è rimasta un po’ meravigliata. Ma poi ha lodato il vostro
-passo. Vi servirà, come desiderate; quantunque tema di non riuscire. È
-un uomo leggiero, mi disse, e gli uomini leggieri vi sfuggono proprio
-da quel lato per cui vi argomentate di tenerli.
-
-— È una sciocchezza; — rispose Camilla. — Non ci sono uomini leggieri.
-Del resto, — soggiunse, — aspettiamo. —
-
-E alzò gli occhi al cielo, col gesto dell’Arabo che commette la sua
-salute al destino. Ma balenava da’ suoi occhi la sicurezza di chi
-rimettendosi all’aiuto del destino, si promette anche di dargli una
-mano.
-
-— A Elena; — disse poi, versando il _tè_ e porgendo la prima chicchera
-al suo bravo aiutante.
-
-
-
-
-XX.
-
-
-Quella sera Aldo De Rossi rientrò molto tardi all’albergo. Da principio
-la ricerca dei padrini, quindi gli accordi e i preparativi del
-duello, avevano occupato tutto il suo tempo. Alla perfine, tutto era
-concertato, e in guisa di non lasciar nulla ai capricci del caso. Le
-carrozze erano state fissate per l’alba, e alle cinque in punto i suoi
-padrini dovevano andarlo a svegliare.
-
-Per la prima volta, dacchè era a Montecatini, Aldo De Rossi andava
-a letto contento. La rabbia, tanto tempo chiusa nel petto, l’aveva
-finalmente sfogata. La condizione uggiosa e ridicola, in cui era da
-parecchi giorni, di amante negletto, di osservatore geloso, di rivale
-infelice, che doveva stare alle mosse, parlar dolce con l’amaro sulla
-lingua, sorridere con la voglia di ruggire e graffiare, l’aveva chiusa
-con una brava sfuriata. Al giorno seguente la cura di farla finita; per
-intanto, Aldo De Rossi avrebbe dormito sei ore senza pensare a nulla. A
-nulla, mi capite? a nulla!
-
-Perchè, non so se l’abbiate osservato mai, occorre in questi casi
-uno strano fenomeno. L’uomo ha un gran sopraccapo, o un grande
-struggicuore, e per l’uno o per l’altro gli accade di venire ai ferri
-corti con Tizio, o con Caio. Si combina lo scontro in piena regola; gli
-sdegni feroci avranno uno sfogo, i dolori acerbi un sollievo. Ed ecco,
-come per incanto, alla vigilia della carneficina, il combattente non
-pensa più alle sue malinconie; si direbbe quasi che non ne abbia avuto
-pur l’ombra. Come può succedere una tranquillità così grande ad un così
-fiero scompiglio? Vorrei dirlo, ma temo che non sia qui il luogo, nè
-l’ora. Comunque, si può riscontrare questo periodo di calma con quella
-pace improvvisa degli elementi, che precede lo scoppio del temporale.
-L’uomo sembra dire a sè stesso: «Sarà per domani; ho dunque tempo a
-pensarci, poichè senza di me non si fa nulla, di sicuro.» E quasi quasi
-non sente più ira contro il nemico, la cui immagine abborrita, già così
-spesso presente a’ suoi occhi, è lontana mille miglia da lui. Le furie
-torneranno domani, nel momento critico dell’assalto dato o respinto;
-per ora si sta in dormiveglia. La soddisfazione di aver trovata la
-via ad uno sfogo onorevole (se onesto, poi, non so dirvi) è quella che
-domina, ed è già per sè stessa una maniera di sfogo.
-
-Non argomentate da ciò che il nostro eroe andasse subito a letto. Un
-pensiero, anche breve, all’impresa futura, bisognava pur darglielo;
-non foss’altro, per provvedere a qualche caso delicato. Perciò entrato
-nella sua camera, Aldo De Rossi pensò di scrivere due versi in fretta
-ad un amico fidato.
-
-«Avrò domattina (così diceva la lettera) una piccola seccatura, intorno
-alla quale, se ne porto via la pelle, ti manderò un cenno telegrafico,
-per togliere ogni importanza a questo foglio, quando ti verrà tra le
-mani. Dato poi il caso peggiore, e quando tu abbia avuto l’annunzio
-dalle trombe della fama, tu hai a rendermi un servizio da amico provato
-e da cavaliere del buon tempo antico. Andrai a casa mia e farai ardere
-sotto i tuoi occhi, con tutta delicatezza, le carte che sono entro lo
-stipo, nella mia camera da letto. Sono dolente di non aver fatto io,
-e da lunga mano, questo _auto da fe_. Certi ricordi del passato non
-dovrebbero sopravvivere ai pensieri e ai sentimenti che li rendevano
-preziosi. Grazie anticipate e addio.... se ha da essere addio.»
-
-Finito di scrivere, Aldo rilesse quel che gli era escito dalla penna, e
-sorrise.
-
-— In fede mia, — esclamò, — ecco una prosa molto fredda, e per il
-momento in cui è scritta, e per l’uomo a cui va. Ma infine che ci ho da
-far io, se non mi si scioglie la vena? —
-
-Infatti, egli non sentiva nulla, nè ardore, nè tenerezza. Il cuore di
-Faraone era indurito, o giù di lì.
-
-Fece alcuni passi per la camera, sorridendo a sè stesso, come un
-uomo che, per la prima volta dopo un lungo periodo di sciocchezze,
-si persuade di aver bene spesa la propria giornata. Quindi, poichè la
-giornata era finita ed occorreva dargli una chiusa, pensò che il meglio
-era di andarsene a letto.
-
-Mentre egli stava prendendo quella risoluzione, bussarono all’uscio
-della camera. Forse era il cameriere. Aldo ricordava benissimo di non
-aver chiesto nulla; ma non poteva essere frullato in testa al cameriere
-di venire appunto per ciò a domandargli se per caso non avesse bisogno
-di qualche cosa? verbigrazia, a che ora del mattino volesse essere
-svegliato? I camerieri d’albergo li hanno, qualche volta, questi
-rimorsi di coscienza, che li farebbero creder capaci dei sacrifizi più
-grandi!
-
-— Avanti! — disse Aldo, senza voltarsi e senza rallentare i suoi passi.
-
-L’uscio si aperse lentamente e qualcheduno si affacciò nel vano.
-
-— Che cosa volete? — chiese Aldo De Rossi, nell’atto che compiva la sua
-passeggiata fino all’angolo più lontano della camera.
-
-Ma la sua dimanda non ebbe risposta. Si volse allora, insospettito da
-un leggiero scalpiccio che non accennava punto a ciò ch’egli aveva
-immaginato da principio; si volse, vide che cos’era, e diede un
-sobbalzo; poi restò lì, tra contuso e sbalordito.
-
-— Signora!... — diss’egli; e più non disse, tanta era la sua commozione.
-
-Avrete già indovinato chi fosse la signora, il cui improvviso apparire
-turbava così profondamente Aldo De Rossi. Era la signora Camilla,
-che stava ritta ed immobile davanti a lui, a due passi dall’uscio; la
-signora Camilla Rivanera, bella come una visione celeste, di quelle
-che in altri tempi usavano visitare i monaci e i pensatori, nelle loro
-celle solitarie. E dico in altri tempi, per accennare a quelli della
-poesia; che i nostri sono tempi di prosa e certe visioni sdegnano di
-offrirsi ai mortali.
-
-La signora Camilla rimase un istante a guardare il De Rossi; indi
-si volse indietro a mezzo per richiuder l’uscio, e finalmente venne
-incontro a lui, che non s’era mosso dal suo primo atteggiamento di
-confusione e stupore.
-
-Ella s’inoltrava, e il giovane la vedeva venire incontro a lui, muta e
-severa come un fantasma.
-
-Grazioso fantasma, in verità, e in ogni altra occasione Aldo De Rossi
-l’avrebbe accolto a braccia aperte. Ma in quell’ora notturna, mentre
-egli era lunge dall’aspettarsi una simile apparizione, ed anzi,
-diciamo tutto, mentre egli non avrebbe mai osato sperarla o immaginarla
-possibile, Aldo De Rossi n’ebbe come un capogiro, vacillò e cadde su
-d’una scranna, che, per fortuna sua, era ai piedi del letto. Ed ella,
-come fu presso a lui, si fermò, stette un momento a guardarlo, con una
-aria grave, in cui la curiosità si mescolava alla tristezza.
-
-— Non mi aspettavate? — diss’ella, come fu giunta presso al De Rossi.
-
-— No; — rispose Aldo, senza sviar gli occhi da lei.
-
-— Che uomo! — esclamò allora Camilla. — Voi non capirete dunque mai
-nulla!
-
-— Io.... — balbettò il giovane. — Che cosa intendete di dirmi?... —
-
-E rimase attonito, pensando a quella frase di Camilla. Che cosa doveva
-egli capire? Per esempio, cercando molto tra sè, incominciò a capir
-questo: che ella volesse da lui una viltà. Ma con quale intento? Forse
-per liberarsi da una malleveria troppo grave, perchè su lei, solamente
-su lei, sarebbe caduta la colpa del duello.. Forse anche per tutelare
-la vita dell’Anselmi? Questo sospetto lo fece fremere di rabbia. E
-pensò di stare in guardia, aspettando che ella scoprisse il suo giuoco.
-
-— Signora, — riprese egli, tanto per dire qualche cosa e ravviare il
-discorso, — vogliate sedervi. —
-
-Camilla non rispose parola e non fece neppur caso dell’invito di Aldo.
-In quella vece andò risolutamente verso lo scrittoio e prese la lettera
-che il signor De Rossi vi aveva lasciata; guardò il ricapito e aperse
-la busta, senza chieder licenza, senza esitare un istante, come se
-facesse la cosa più naturale del mondo. E neppur egli, confuso com’era
-dall’improvvisa apparizione di lei, trovò strano che quella donna,
-entrata là dentro come in casa sua, aprisse la lettera che egli aveva
-finito poc’anzi di scrivere.
-
-La signora Camilla diede una rapida occhiata al foglio, e come fu
-giunta agli ultimi versi, atteggiò le labbra ad un sorriso sardonico.
-
-— Lettere d’altre donne! — esclamò. — Ritratti! Fiori appassiti! Non è
-vero?
-
-— Signora!...
-
-— Oh, non importa, dovevo aspettarmelo. Ma nella lettera che avete
-scritta è anche la vostra condanna. In verità, dite benissimo; questi
-ricordi non dovrebbero mai sopravvivere ai lieti casi, ai dolci
-episodii di cui fanno testimonianza. —
-
-Aldo rimase muto, parendogli indegno di sè e di lei un tentativo di
-giustificazione, che non si sarebbe potuto fare, senza aver l’aria di
-rinnegare il passato. Ma quand’anche egli lo avesse voluto, Camilla non
-gliene avrebbe lasciato il tempo.
-
-— Chi amate voi ora? — ripigliò essa. — Ma no, non occorre saperne il
-nome. È una donna da compiangere. Infatti, essa non potrebbe essere
-lieta, sapendo che in un angolo riposto del vostro scrigno c’è tanta
-roba da gettare alle fiamme. —
-
-L’accenno doveva riescirle doloroso, poichè ella dopo aver dette quelle
-parole, si lasciò cadere sul sofà, che era accanto allo scrittoio,
-nascondendosi il viso tra le palme.
-
-Aldo non seppe più contenersi. Balzò dalla scranna, e avvicinatosi a
-lei, le prese una mano, che strinse amorevolmente tra le sue.
-
-— Signora.... — diss’egli, con accento supplichevole. — Camilla, ve ne
-prego.... Che significa ciò? Di che m’accusate voi? Mia dolce signora,
-è dunque possibile?... E siete voi qui, veramente voi? O non sono io
-piuttosto io che vi vedo e vi parlo in sogno? —
-
-Così dicendo, non senza interruzioni, tra sospiri e singhiozzi, baciava
-quella bianca mano, che Camilla non gli aveva concessa, ma che non
-aveva pensato neanche a ritrarre. La baciava, dico, e finì col bagnarla
-delle sue lagrime; dolce tributo che l’amore dà così spesso e così
-volentieri ad una cara bellezza. E Camilla sentì quelle lagrime, e
-levata la fronte a guardare il piangente, con un moto rapidissimo della
-persona venne a nascondere il viso sul petto di lui.
-
-Qui veramente Aldo De Rossi credette di essere innalzato al settimo
-cielo, se è vero, come hanno scritto gli antichi, che i cieli sieno
-sette e non più. Era lui, proprio lui, che stringeva al petto quella
-divina creatura? Era lui, proprio lui che aveva sofferto tanto per la
-freddezza di quella donna, e letta poche ore innanzi una sua lettera
-acerba, che pareva fatta per levarlo d’ogni speranza? E quella donna
-che egli credeva di aver perduta per sempre, quella donna, proprio
-allora che egli pensava di esserne più lontano che mai, era là,
-commossa, palpitante, nelle sue braccia, come una colomba nel nido?
-
-Quanto durasse la scena non saprei dirvi, nè, sapendolo, vorrei.
-L’uggioso misuratore delle allegrezze umane non dimentica nessuno;
-ma è permesso ai felici di dimenticarlo, in uno di quei rapimenti
-sublimi che nello spazio di un’ora concentrano le gioie di un’intiera
-esistenza. Non mi chiedete neanche quali pensieri prendessero forma
-nella mente di lui, o di lei; poichè vi sono istanti in cui non si
-pensa affatto, se non per avere una vaga coscienza dell’annientamento
-di questa superba facoltà, per cui l’uomo è il più infelice degli
-esseri.
-
-— Dimmi, — bisbigliò finalmente Aldo all’orecchio di lei, — perchè mi
-odiavi?
-
-— Perchè?... — rispose ella, destandosi da quel dolce torpore
-dell’anima. — Non amavi tu un’altra?
-
-— No; — disse Aldo, con accento vibrato che prorompeva dal cuore. — Te
-sola.
-
-— Giuralo! — rispose Camilla, levando la testa e fissando i suoi begli
-occhi nel viso di Aldo. — Giura che non amavi Elena, e che il tuo
-cuore non ha mai palpitato per essa. Bada, — soggiunse, con un gesto
-di minaccia. — Avresti avuto torto a non amarla, perchè essa è bella
-tra tutte le donne; avresti avuto torto, perchè essa ti ama. Se l’hai
-amata, sii leale ed onesto nel rispondermi. Puoi tradirla nel futuro;
-non devi rinnegarla nel passato.
-
-— Non sarei così vile; — rispose Aldo gravemente. — Per tutto ciò
-che ho di più sacro; per la memoria di mia madre, te lo giuro; non
-ho amata mai quella donna. Il mio cuore è pieno di te, dal primo
-giorno che ti ho veduta; ed ho veduta te prima di conoscere lei. Il
-passato.... — soggiunse Aldo sospirando; — il passato non è più mio.
-Come lo distruggerei? È la nostra gioventù che ha sparsi i fiori
-della sua ghirlanda lungo il cammino: possiamo noi tornare indietro
-a raccoglierli? Una cosa sola possiamo far noi: dolerci amaramente di
-non averli serbati, per incoronarne la fronte di colei che ameremo per
-tutta la vita. Credimi, dolce signora; io non ho amato Elena, non le ho
-detto mai parola che potesse lasciarle sospettare un’ombra di tenerezza
-per lei. Eppure, io gliene ho dette molte! — notò il giovane, crollando
-mestamente il capo. — Ma tutte, sai, tutte per intrattenerla del mio
-amore per te!
-
-— Male! — sclamò Camilla. — Si fanno forse di queste confidenze ad una
-donna?
-
-— Elena è buona; — disse Aldo.
-
-— Sì, troppo buona; e appunto ciò mi ha dato noia; — rispose Camilla,
-battendo sdegnosamente le labbra. — Stimare un uomo per quel che
-vale.... almeno, immaginarsi che egli val molto; desiderare che le sue
-labbra vi dicano ciò che i suoi occhi v’hanno lasciato sospettare;
-attendere che egli cessi di andare attorno, per non vedere, per non
-seguire, per non servire che voi; e invece.... non veder nulla, non
-udir nulla di ciò che speravate vedere ed udire; e frattanto, sentirvi
-offrire quell’uomo da un’altra donna, bellissima, non c’è che dire, e
-che ha l’aria di volervi fare un regalo, quasi una cessione.... Signor
-De Rossi, ecco ciò che è toccato a me, per colpa vostra. Ditemi ora,
-non eravate un bambino, a diportarvi così? E non sentite là dentro un
-po’ di rimorso? —
-
-Aldo De Rossi vide in quel momento ciò che non aveva veduto mai.
-Delicatissimo nelle cose del cuore e punto disposto alle confidenze
-tra uomini, si era lasciato andare a far partecipe del suo segreto
-una donna. Perchè quella debolezza sua con la signora Vezzosi?
-Certo, bisognava farle intendere in qual modo, come e perchè egli non
-rispondesse al nascente affetto di lei; certo, non era tutta colpa
-della signora Elena se quell’affetto aveva fatto capolino, e il signor
-Aldo degnissimo, con le sue spensierate assiduità in casa Vezzosi,
-doveva riconoscersi per il primo e per il maggiore colpevole. Ma dal
-trovare il modo di persuadere gentilmente una donna dell’errore in
-cui essa era caduta, allo spiattellarle intiera e nuda la verità, ci
-correva un bel tratto. Ed era poi lui, l’uomo degli amori esclusivi, il
-fautore della massima «o tutto o nulla,» che doveva lasciar supporre
-tante cose alla signora Vezzosi e mettersi nella condizione in cui si
-trovava finalmente, davanti alla signora Camilla?
-
-I criminalisti, in ciò d’accordo coi moralisti, richiedono nel delitto,
-perchè possa chiamarsi tale la coscienza e l’intenzione di commetterlo.
-Dove non è intenzione, dove non è coscienza, il delitto sparisce e
-resta semplicemente l’errore. Ma nelle cose del cuore, è, scusatemi
-l’espressione, un altro paio di maniche. Dove lo spirito ha obbligo
-d’esser sempre desto e vigilante, non ci sono errori perdonabili; ogni
-errore è delitto. Aldo, anche innocente nell’anima sua, aveva errato,
-doveva riconoscersi in colpa.
-
-— Mi faccio orrore; — diss’egli chinando umilmente il capo. — Ma anche
-voi, Camilla.... non siete stata troppo lungamente crudele con me?
-Quell’Anselmi, poi!... —
-
-Non avrebbe voluto nominarlo; anzi, aveva fatto proponimento di non
-tirare il discorso da quella parte. Ma al povero Aldo De Rossi accadde
-ciò che accade a tutti gl’innamorati, che non sanno destreggiarsi,
-perchè non sanno aspettare, e cascano essi primi nei discorsi che
-vorrebbero ad ogni costo cansare.
-
-— Ah sì, l’Anselmi! — rispose Camilla. — Gran che! Ditemi voi, ve ne
-prego, che cosa ha ottenuto l’Anselmi da me.
-
-— Non so; — balbettò Aldo, chinando gli occhi e stringendosi nelle
-spalle.
-
-— Ah, non mi dite che non lo sapete; — ribattè essa con accento severo.
-— Escirei da questa camera, per non vedervi mai più. Siate pure geloso;
-la cosa piace qualche volta alle donne, specie quando amano anch’esse
-davvero. Ma non siate mai permaloso, nè ingiusto. —
-
-Aldo si fermò a meditare sopra una frase di Camilla, che lo aveva
-colpito.
-
-— E.... — diss’egli allora con una mezza sospensione, che dimostrava la
-sua paurosa curiosità, — vi piace che io sia geloso?
-
-— No; — rispose Camilla, preparandosi a ridere della sua cera
-scontenta, ed anche, se egli non era a dirittura un grande zuccone, a
-lasciargli intendere il contrario.
-
-Ma, proprio a dirvi le cose come stanno, il mio signor Aldo, con
-tutte le sue belle qualità, era un po’ zucca. Non zucca al vento, chè
-sarebbe stato sciocco e vanitoso; ma zucca coricata, zucca supina.
-Poveretto, non so scusarlo, ma non so neanche condannarlo, poichè
-conosco della gente che gli somiglia e a cui voglio un gran bene. Del
-resto, lo sapete, Aldo ci aveva quel tal sospetto in corpo; il sospetto
-che Camilla non avesse fatto quel passo imprudente, audacissimo, di
-andare da lui, a quell’ora di notte, se non per chiedergli una viltà,
-a vantaggio dell’altro. E il dubbio, anche vano, e, peggio che vano,
-indegno di entrambi, gli risorgeva nell’animo.
-
-— No, — gli aveva risposto Camilla, ridendo. — E poi, — aveva
-soggiunto, vedendo che egli non afferrava la celia, — perchè sareste
-geloso? E di che?
-
-— Di che! — esclamò egli, aggrottando le ciglia. — E me lo domandate?
-Non ho io vedute tutte le cortesie che egli vi faceva e l’aria di bontà
-particolare, direi quasi di gratitudine, con cui avete sempre mostrato
-di accoglierle?
-
-— Dio mio! Dite pure che gli ho data l’erba trastulla. E in fede mia,
-— soggiunse Camilla, — ci sarebbe qualche cosa di vero; ma nessuno
-potrebbe dolersene, salvo l’Anselmi. Non mi era dunque lecito di
-stare a vedere che effetto vi facevano certe cose, di studiarvi, di
-scandagliarvi un pochino? Alla fine, che mezzo abbiamo noi, povere
-donne, per conoscere se un uomo ci ami davvero? Usiamo una pietra di
-paragone, ecco tutto. E poi, ditemi ancora, potevo figurarmi io, con
-tutte le vostre visite di qua e di là, che voi mi amaste davvero, come
-io ho il diritto e la pretesa di essere amata?
-
-— Ed ora, — disse Aldo, — lo sapete, non è vero?
-
-— Sì, perchè un uomo non perde il lume degli occhi per una donna, come
-avete fatto voi, quando è presente un’altra che egli ha amata prima, o
-che ha tuttavia mestieri d’ingannare. E come eravate splendido ieri al
-Rinfresco! Vi ho veduto rotar gli occhi come una bestia feroce. E senza
-una ragione al mondo; questa è proprio una delle vostre!
-
-— Già! — esclamò Aldo. — Senza ragione. Dopo quella lettera che avete
-scritta alla vostra amica!...
-
-— Che s’è affrettata a metterla sotto i vostri occhi! — rispose
-Camilla. — Dovevo immaginarmelo. La bontà di cuore è sempre così;
-non ha altra smania che di servirvi; tutto per voi e niente per sè!
-Generoso spirito di rinunzia, magnanimo sentimento di sacrifizio, chi
-non vi rende giustizia! Io vi ammiro e m’auguro.... di non avervi tra
-i piedi. Ma basti di ciò; — soggiunse Camilla, che temeva di andare
-troppo in là coi sarcasmi; — ringraziamo anzi l’amica di avervi fatto
-leggere quel foglio. Se ciò non fosse stato, sarei io qui a domandarvi
-perdono? Perchè, infatti, la cosa è proprio così. Strana sorte è la
-nostra! Da padrone a schiave, da superbe a supplichevoli; e senza
-gradazioni, senza neanche un po’ di vergogna! Che cosa faccio io qui?
-come ho avuto il coraggio di venirci? Che si direbbe di me, quando si
-risapesse la cosa? —
-
-Aldo scosse la testa, come uomo che sente il peso degli argomenti
-altrui, e battè due o tre volte le labbra.
-
-— Avete ragione; — mormorò egli. — E per quanto io sia felice di
-vedervi qui, debbo pensare che c’è un pericolo per voi. Se aprissero
-quell’uscio.... —
-
-E il signor Aldo, turbato com’era, non ardì compire la frase.
-
-— Se lo aprissero!... — rispose Camilla. — Chiudetelo a chiave e non ci
-sarà questo pericolo. —
-
-Al signor Aldo balenò davanti agli occhi come un’immagine delle
-beatitudini celesti. Guardò Camilla, che reclinava lo sguardo a terra;
-poi corse all’uscio, afferrò la chiave e diede tutt’e due le mandate.
-Ciò fatto, ritornò, veloce come un lampo, e cadde alle ginocchia di
-Camilla.
-
-— Voi siete un angelo! — le disse.
-
-Camilla sorrise malinconicamente.
-
-— Un angelo che perde le ali; — rispose. — Ho fatto male e desidero che
-la cosa non passi in esempio. Ma sono così, io; — soggiunse tosto con
-accento più franco. — Avevo bisogno di sapere come amate voi, mio bel
-cavaliere. Quanto a me, eccovi come amo; o tutto o nulla.
-
-— Mia dolce signora, lo sapete; — replicò Aldo giubilando. — È questo
-il mio motto.
-
-— Tanto meglio; — disse allegramente Camilla. — E non voglio donne
-sulla mia strada.
-
-— Nè io uomini; — ribattè Aldo, sul medesimo tono.
-
-— Gelosia feroce, dunque?
-
-— Gelosia diabolica. L’amore non ne conosce altra. Approvato?
-
-— E firmato in doppio originale. —
-
-Così chiacchieravano, seduti l’uno a fianco dell’altro, le mani nelle
-mani e gli occhi negli occhi. Camilla non accennò punto all’alterco
-di Aldo con l’Anselmi, e Aldo dimenticò facilmente i primi sospetti.
-La conversazione si aggirava mollemente a mezz’aria, tessuta di
-quei graziosi nonnulla che piacciono tanto agli innamorati e fanno
-scorrere il tempo così veloce. Che cosa si è detto? Da che parte si
-era incominciato e dove si era rimasti? Impossibile il ricordarsene.
-Donde qualche volta il rimprovero di lei, o di lui. Perchè mai la
-tal cosa, o la tal altra, che aveva pure una certa importanza, non
-era stata rammentata da lui, o da lei? Ma, Dio buono, come si fa,
-a ritenere una sinfonia, che passa per tutti i toni, e sfiora e
-confonde tutte le melodie dello spartito? E poi, perchè ritenere
-solamente certi particolari? Non erano tutti importanti ad un modo?
-E il pregio vero del dialogo non era forse tutto in quella medesima
-varietà di soggetti, collegati da tenui fila, armonizzati da gradazioni
-insensibili? Inoltre, ci sono delle cose che, udite una volta, paiono
-sublimi; ripetute, sviscerate, son nulla, e si possono paragonare
-a quelle nuvolette leggiere, che stanno librate in alto, prendendo
-forma dall’aria che le spinge, e colore dalla luce che le investe.
-La vaghezza è tutta nelle apparenze mutevoli; a che si cercherebbe la
-sostanza? Ora, nel dialogo di due innamorati la soavità ineffabile è
-quel susurro di due voci che si confondono, è quel bacio che si accenna
-e non si scocca. Un gran pittore ne ha foggiato uno nel sasso, ed è
-parsa idea luminosa, come poteva offrirsi all’arte figurativa; ma c’è
-altresì il bacio che nessun pennello può rendere, il bacio che si sente
-nell’aria, il bacio che vi sfiora la guancia e vi penetra nel sangue.
-Esso è nella voce cara che vi suona timidamente all’orecchio, nello
-sguardo acceso che v’illumina e vi riscalda, nell’alito delicato che
-vi accarezza il volto, in quel misto di fragranze nuove, inesprimibili,
-per cui sentite l’amata così diversa da tutte le altre donne del mondo.
-Insomma, lettori dell’anima mia, che cosa vi dirò? Che qui si perde la
-bussola. E fo punto, per ritornare alla prosa.
-
-Il povero torcetto stearico, piantato nel modesto candeliere d’albergo,
-era al verde. Vo’ dire che s’era consumato bel bello, e che l’ultimo
-avanzo di stearina si spandeva liquefatto sulla padellina del
-cristallo. Poco dopo, il lucignolo, non più nutrito, nè sorretto, diede
-l’ultimo guizzo e cadde stridendo nel suo minuscolo laghetto di untume.
-Una piccola tragedia in un bocciuolo di candeliere! E i due felici
-non si erano avveduti di nulla. Risero, quando si trovarono al buio; e
-Aldo, cercando Camilla, sfiorò col sommo delle labbra i capegli di lei.
-
-— Mia? — mormorò egli, così sommessamente, che l’aria non avrebbe
-potuto sentirlo. — Indovini, che cosa?
-
-— Sì; — rispose ella; — tua.... fidanzata.
-
-— E lo diremo allo zio; — riprese Aldo.
-
-— Che sarà felice di liberarsi di me.
-
-— Lo credi?
-
-— No, povero zio! Mi ama tanto! Ma infine, alla sua età si hanno altre
-cure, e si custodisce male una nipotina come son io; — disse Camilla,
-ridendo. — Vedi, infatti!...
-
-— Non vedo nulla; — rispose Aldo. — C’è così buio!
-
-— Ma io ti vedo ancora; — replicò ella. — Cioè torno a vederti un
-pochino. È quasi l’alba.
-
-— Ahimè, l’alba! — mormorò Aldo. — Che noia! —
-
-Un pensiero molesto si affacciò alla mente di Camilla, e un brivido le
-corse per le vene.
-
-— Che hai? — diss’egli, sentendola tremare.
-
-— Nulla, nulla. —
-
-E cercò di vincersi, di sviare i pensieri dolorosi, ritornando a
-parlare di cento cose; dei giorni in cui si erano conosciuti; delle
-prime parole che egli le aveva dette in una festa da ballo; di un
-fiore che egli portava sempre all’occhiello; di una storia che aveva
-incominciata per compiacere a lei, ma che non aveva saputa finire,
-per certe risa di lei, e via discorrendo. Ma le tenebre si andavano
-diradando nella camera, e la conversazione languiva. Aldo rispondeva
-a sorrisi interrotti, a monosillabi, e tratto tratto si mordeva le
-labbra, come persona che stenti a dominare la propria inquietudine.
-
-Ad un certo punto non seppe più contenersi.
-
-— Sono dolente.... — incominciò.
-
-— Di che? — fece Camilla.
-
-— Sono dolente di dirlo io; ma tu.... dovrai ritornare nelle tue camere.
-
-— Perchè?
-
-— Perchè tra mezz’ora sarà giorno. E se ti vedessero.... se ti
-trovassero qui....
-
-— È vero; — disse Camilla. — Che cosa si penserebbe.... del signor Aldo?
-
-— Cattiva! — esclamò egli. — Penso a te, non a me. Quando apparirà la
-luce....
-
-— Ah, la luce! — interruppe Camilla. — Sarà la mia nemica, perchè mi
-farà comparire assai brutta.
-
-— Se non si trattasse d’altro, — disse Aldo, — ti pregherei di restare.
-Ma infine....
-
-— Ma infine, — ripigliò Camilla, — è meglio che io me ne vada; non è
-vero?
-
-— Sì; — rispose Aldo sospirando.
-
-— Andiamo dunque; — replicò Camilla.
-
-E si alzò lentamente e si mosse di mala voglia. Aldo, rigiratole un
-braccio intorno alla vita e tenendosela stretta al seno, l’aiutò a
-fare i dieci o dodici passi che correvano dal canapè all’uscio. Dieci o
-dodici a farli corti, s’intende; ed anche questo breve tragitto volle
-parecchi minuti di tempo. Coppia gentile che s’inoltrava nella mezza
-oscurità della camera, io credo che così, e non altrimenti, dovrebbero
-andare nel regno delle ombre coloro che si sono amati sulla faccia
-della terra.
-
-Mentre i miei due personaggi andavano verso l’uscio, ma col metro del
-fanciullo ritroso di cui è detto nella Bassvilliana del Monti (ricordi
-dell’adolescenza, che cosa volete da me?), un improvviso rumore si udì
-dalla strada. Qualcheduno di fuori batteva a ripetuti colpi sul portone
-d’ingresso.
-
-— Vieni; — disse Aldo, traendo Camilla, che si era molto volentieri
-arrestata a mezza strada; — abbiamo appena il tempo di giungere alle
-tue stanze.
-
-— No, — diss’ella, — è tardi, per escire. Se passa un servo nel
-corridoio?...
-
-— Che? Spero bene non ci sarà questo bisogno; — rispose Aldo. — Aprirà
-il portiere. —
-
-Ma proprio per far torto alle previsioni di Aldo, il portiere aveva
-il sonno duro, o l’orecchio. Di fuori continuavano a bussare, e poco
-stante si udì nel corridoio un passo grave, ma spedito, come di persona
-destata in soprassalto, che si affrettasse verso le scale, per metter
-fine a quel diavolìo.
-
-— Ahi! — mormorò Aldo. — Son essi.
-
-— Essi! — ripetè Camilla. — E chi?
-
-— Amici miei.... — balbettò Aldo; — amici miei, che vengono a cercarmi,
-per una scampagnata. Ho promesso iersera, al Casino, di andare fino
-a Collodi. Vieni; ora non ci sarà pericolo ad escire sul corridoio,
-poichè il servitore è passato. Ma che hai? — soggiunse egli, sentendola
-tremar tutta nelle sue braccia.
-
-— Ho freddo; — rispose Camilla. — E avrò anche più freddo di
-fuori. —
-
-Per la stagione in cui s’era, la cosa doveva parere assai strana.
-Ma al nostro eroe il freddo che sentiva Camilla sembrò strettissimo
-parente della poca voglia che essa aveva di escire dalla camera.
-Rammentò che per tutta la notte Camilla non aveva accennato, neanche
-lontanamente, ad un pericolo di duello; silenzio notevole, che da
-principio lo aveva fatto insospettire, ma che egli si era poi spiegato
-nel miglior modo possibile, ricordando le parole con cui l’Anselmi,
-nell’escire dal Rinfresco, aveva cercato di rassicurare le donne. La
-spiegazione gli era servita lì per lì; ma allora, quella ritrosia di
-Camilla a separarsi da lui, il tremito subitaneo che l’aveva presa
-all’avvicinarsi dell’alba, e infine quella ostinazione a restare,
-anche a rischio di farsi cogliere nella camera di lui, dovevano dirgli
-abbastanza chiaramente che Camilla aveva indovinato ogni cosa e che
-la sua presenza colà mirava ad un fine. Ma quale? E con che mezzi
-contava ella di raggiungerlo? Aldo non ci vedeva molto chiaro; anzi,
-diciamo schiettamente che non ci vedeva affatto. E mentre stava lì
-almanaccando, si udivano i passi di parecchie persone, entrate allora
-nel corridoio; indi a poco i passeggiatori mattinieri fecero sosta e
-bussarono all’uscio della sua camera.
-
-— Apri; — gli disse Camilla all’orecchio. — Io mi nascondo là dietro.
-Escirò dopo di te; non temere. —
-
-Così dicendo si spiccò dal suo braccio e andò a celarsi nella stretta
-del letto.
-
-Aldo aperse l’uscio e diede il passo a due gentiluomini, che erano per
-l’appunto i suoi padrini.
-
-— Già alzato! — esclamarono, nell’atto di stringergli la mano.
-
-— Sì; non è forse l’alba?
-
-— Verissimo; ma credevamo che proprio in questa occasione avreste fatto
-il sonno più lungo. Si narra del principe di Condè....
-
-— _Promessi Sposi_, capitolo tale! — interruppe Aldo, sorridendo. — Ma
-io, anche a risico di non somigliar punto al principe di Condè, non
-ho attaccato sonno, essendo rientrato troppo tardi e avendo avuto da
-scrivere qualche lettera.
-
-— Infatti, — notò uno dei padrini, dando una occhiata al letto, di cui
-si vedeva la rimboccatura intatta, — ecco la prova più chiara della
-vostra veglia d’armi. La chiameremo così, in omaggio alla memoria
-degli antichi cavalieri. Ma permettetemi di osservare che, non avendo
-dormito, punterete male, stamane. —
-
-Aldo rispose con una leggiera alzata di spalle. Ma dentro di sè mandò
-a quel paese il troppo loquace padrino; tanto più che dalla stretta del
-letto era giunto a lui come un gemito soffocato.
-
-— Basta, — ripigliò il padrino, — poichè siete già alzato, avremo il
-tempo di prendere il caffè.
-
-— Lo vogliono qui? — domandò il cameriere.
-
-— No, — rispose prontamente Aldo, — lo prenderemo giù in sala. Vi
-prego, amici, — soggiunse, volgendosi ai due visitatori, — concedetemi
-due minuti e sono da voi. —
-
-Esciti finalmente i padrini, Aldo ritornò verso Camilla, che si
-abbandonava bocconi contro la sponda del letto, in preda ad una
-agitazione violenta.
-
-— Animo, via, Camilla; siate forte! — diss’egli.
-
-— Ah! — gridò ella. — E per mia colpa! Ma non sarà.... non sarà! Mio
-Dio, abbiate compassione di me!
-
-— Sì, egli mi assisterà; — disse Aldo. — Vieni, ora, te ne prego; non è
-più tempo di restar qui. —
-
-Camilla si lasciò condurre, come un bambino. Da sola, non avrebbe
-avuta la forza di muovere un passo. La sua energia femminile, d’indole
-essenzialmente nervosa, era venuta meno davanti all’idea del pericolo
-che Aldo correva per lei.
-
-Ma forse, direte, non lo sapeva prima? Sì, buon Dio, lo sapeva;
-ma bisogna anche osservare che ella faceva assegnamento su certe
-circostanze, molto ben prevedute, perchè attentamente studiate, le
-quali all’ultimo momento non le parevano più così certe, come le aveva
-immaginate da principio. Non vi è egli mai avvenuto di contare su
-certe combinazioni, sapientemente architettate, che a tutta prima vi
-sembravano irresistibili, e poi, giunti all’ora della prova finale,
-di perder la fede, di dubitare, di sospettare un errore di calcolo,
-infiltrarsi nelle vostre deduzioni, col pericolo di mandare a rotoli
-il vostro faticoso edifizio? Alla signora Camilla, già tanto sicura
-durante la notte, tornavano in cuore i sospetti, coll’avvicinarsi
-dell’alba. L’arrivo dei due padrini di Aldo le aveva dato il tracollo;
-i sospetti si erano tramutati in paura.
-
-Oramai non si poteva più indugiare, nè mendicar pretesti, nè far capo
-ad alcune di quelle debolezze che in momenti meno solenni fanno buon
-giuoco alle donne. Camilla si lasciò condurre fuor della camera di
-Aldo. C’era appena appena il tempo necessario, perchè ella potesse
-raggiungere la sua.
-
-Ma nell’atto di escire sul corridoio, alla incerta luce del mattino,
-i nostri due innamorati fecero un incontro che non s’aspettavano di
-certo. I padrini erano scesi al pianterreno e il servitore con essi;
-ma dal fondo del corridoio apparivano due altri personaggi, quasi due
-ombre; la signora Elena e il commendatore Gerardo.
-
-Il primo e istintivo moto di Aldo fu di mettersi avanti, come per
-nascondere Camilla agli occhi dei nuovi venuti. Ma era tardi; Elena
-e suo marito avevano veduta la signora Rivanera, e ambedue, fatto
-un gesto di meraviglia, accennavano a ritirarsi, per non riescire
-importuni. Camilla se ne avvide. La poveretta si sentiva morire; ma la
-gravità del momento rianimò le sue forze. Non toccava a lei di salvare
-ogni cosa, se era possibile, o di confessare audacemente la propria
-sconfitta?
-
-Perciò, respinto leggermente Aldo, che non si era anche persuaso della
-impossibiliti di nasconderla, Camilla si fece incontro ai Vezzosi, e
-incominciò in questa forma:
-
-— Amici, anche voi siete venuti a salutare il signor De Rossi e ad
-augurargli fortuna?
-
-— Non potevamo farne di meno, — rispose Gerardo, — avendo indovinato
-iersera quel che doveva accadere.
-
-— Bravo! — disse Camilla. — E lo confessate ancora? Indovinare una cosa
-simile e non darmene un cenno, in verità, non è bello da parte vostra.
-Buon per me che l’avevo indovinata anch’io.
-
-— E più fortunata di noi, — entrò a dire la signora Vezzosi, — sei
-giunta anche prima. Noi, appena abbiamo sentito battere all’uscio di
-strada, siamo saltati dal letto.
-
-— Ed anche voi, — aggiunse Gerardo, — avrete fatto lo stesso.
-
-— Sì, ma molto prima; — rispose arditamente Camilla. — Non ero io la
-colpa di tutto?
-
-— Che dite, Camilla? — gridò Aldo, commosso. — Ed ora, perchè
-queste lagrime? Vorrei aver mille vite ed incontrar mille morti per
-voi. —
-
-L’impeto con cui Aldo profferì le sue calde parole non doveva piacer
-troppo alla signora Elena. L’ascoltatrice negletta ne ebbe una scossa
-violenta, e sentì il bisogno di appoggiarsi alla parete.
-
-Camilla vide quell’atto, e forse lo indovinò, e corse ad abbracciare
-l’amica.
-
-— Animo! — le bisbigliò all’orecchio, — Perdonami!
-
-— Sì, ti ho perdonato; — mormorò la signora Elena. — Poveretta, tu non
-ci hai colpa.... salvo quella di averlo fatto soffrire.
-
-— Ah, ne avrò un rimorso eterno; — rispose Camilla, trascinando Elena
-in disparte. — Ed ora, che cosa avverrà? La signora Meravigli avrà
-fatta la sua parte?
-
-— Lo spero; — disse Elena. — Il Sestavalle ha dormito alla Torretta,
-per esser vicino all’Anselmi. Bisognerà aspettarlo.
-
-— E Gerardo lo sa? — chiese Camilla.
-
-— Sì; non ho creduto di dovergli nascondere i nostri tentativi. Povero
-Gerardo! egli è tanto buono! Sento di amarlo doppiamente, oggi. —
-
-Così parlava la signora Elena. Ed ecco, lettori discreti, ecco un uomo
-che non saprà mai a che fortunata combinazione egli sia debitore di una
-ripresa d’affetti coniugali. Uomini felici, che passano sulla scena del
-mondo, vedendo sempre la superficie delle cose, e nient’altro che la
-superficie! A buon conto, non è forse meglio così?
-
-Essendo presenti i Vezzosi, non era più necessario che la signora
-Camilla ritornasse nelle sue camere. Perciò scesero tutti al
-pianterreno, per accompagnare il De Rossi.
-
-La carrozza di Aldo stava in attesa, davanti al portone. Aspettando il
-caffè, ed essendo lì vicino il portiere, non si reputò conveniente di
-alludere al grave caso che raccoglieva tutta quella gente sull’ingresso
-dell’albergo, e si ebbe l’aria di parlare d’una scampagnata a Collodi.
-Sì, proprio a Collodi! Orazio avrebbe collocato qui una ripetizione del
-suo famoso: «_Credite posteri._»
-
-Poco stante, si udì dallo stradone un rumore di ruote. Una carrozza
-veniva a furia dalla parte del Tettuccio.
-
-— Son essi, e veramente puntuali; — disse uno dei padrini, il maggiore
-di fanteria, dando una guardata all’orologio.
-
-La carrozza venne a fermarsi davanti al portone. I due padrini di Aldo
-escirono tosto, per andare al montatoio, a ricevere i colleghi della
-parte avversaria. Erano essi per l’appunto, ma soli. Il contino Anselmi
-non c’era.
-
-Aldo, affacciato all’ingresso, non potè trattenere un gesto di
-meraviglia. Quanto ai suoi padrini, lo avevano già fatto, e stavano
-appunto chiedendo perchè mancasse l’Anselmi.
-
-— Ah, ah! Il conte Anselmi? — dice l’Alcibiade, con aria che voleva
-parere disinvolta. — Il conte Anselmi verrà; sicuramente, verrà.
-Egli è trattenuto ancora pochi minuti all’albergo. Frattanto, egli
-mi ha incaricato di consegnare una lettera.... alla signora Camilla
-Rivanera. —
-
-Alle parole dell’Alcibiade rispose un gesto di meraviglia, anzi di
-stupore da parte di tutti gli astanti. E non fu questo il solo effetto
-di quello squarcio d’eloquenza, poichè la signora Camilla, udendo
-proferire il proprio nome, fu sollecita ad apparire sulla soglia.
-
-— Certamente.... — ripigliò l’Alcibiade, — non parrebbe questa una
-commissione da darsi ad un padrino, ad un araldo d’armi. Nè io l’avrei
-accettata, se il conte Anselmi non m’avesse raccomandato di eseguirla
-solennemente, alla presenza di tutti. L’indole stessa della quistione
-(son parole del conte Anselmi) l’indole stessa della quistione che
-ho avuta col De Rossi, è tale da richiedere questo preliminare. Ad
-un linguaggio simile io non ho saputo negare più nulla, e il barone
-Marcovich, qui presente, mi ha incuorato egli stesso ad incaricarmi di
-questa trasmissione, che lor signori non troveranno essere fatta da me
-con solennità minore del bisogno. A lei, dunque, signora Camilla mia
-riverita — conchiuse l’Alcibiade, facendosi innanzi col suo messaggio,
-— eccolo il preliminare in discorso. —
-
-V’immaginate come rimanessero tutti, a quel secondo squarcio
-d’eloquenza del cavaliere Sestavalle. Camilla, intanto, aveva presa la
-lettera, lacerata la busta, e leggeva. I suoi occhi tutto ad un tratto
-si animarono; un bel colore incarnatino le tornò in viso, a mano a
-mano che procedeva nella lettura; finalmente sorrise. Aldo, secondo il
-solito, ci aveva un diavolo per occhio. Benedetto geloso!
-
-Dopo aver letto, Camilla porse la lettera al commendatore Gerardo.
-
-— È di un uomo di spirito, ed anche di un uomo di cuore; — disse ella.
-— Leggete. —
-
-Gerardo obbedì. Com’ebbe letto a sua volta, rispose:
-
-— Avete ragione. È in fondo in fondo, un buon ragazzo. Maggiore, vuol
-leggere?
-
-— Se è cosa che debba entrare nel mio ufficio di padrino.... — disse il
-maggiore. — E se la signora permette...
-
-— Sicuramente; — rispose Camilla.
-
-Il Maggiore prese la lettera dalle mani del Vezzosi e lesse anch’egli,
-tenendo il foglio alquanto da un lato, affinchè potesse leggere con
-lui il professore di storia naturale. Ambidue convennero che la signora
-Camilla aveva ragione. Sfido io! Una donna bella ha sempre ragione, e
-la sua bocca è una fonte di verità.
-
-Aldo De Rossi, vedendo che tutti leggevano prima di lui si era
-allontanato di alcuni passi e andava su e giù, facendo le volte del
-leone sul marciapiede dell’albergo. Per desiderio della signora Camilla
-il foglio fu trasmesso anche a lui. Aldo lo prese con aria svogliata,
-ma nel fatto con una grande impazienza di leggerlo.
-
-Vediamolo anche noi, poichè lo legge il De Rossi. Il conte Anselmi
-scriveva in questa forma alla signora Camilla:
-
- «_Signora_,
-
- «Ho fatto parecchie cose a malincuore, e posso dire anzi con
- rammarico. E adesso ne fo una con piacere, quantunque la penna mi
- serva male. Infatti, c’è sempre un po’ di ritegno a parlare di
- certe faccende con una signora; peggio poi con quella stessa...
- Ma non caschiamo a filosofare, che è il peccato del secolo, e
- raccontiamo le cose come stanno. La morale verrà dopo.
-
- «Il signor De Rossi mi ha provocato ieri, al Rinfresco. Le parole
- erano misurate, ma il senso era chiaro, così chiaro che ho dovuto
- provvedere alla tutela del mio onore, mettendo la cosa in mano
- a due padrini. Voi sapete già tutto questo, e sapete anche una
- parte di ciò che debbo raccontarvi ora. Veramente, il venirvi
- a spiattellare un secreto del mio cuore, o della mia testa,
- foss’anco il segreto d’Arlecchino, non sarebbe da uomo di garbo,
- e i cavalieri antichi non ci sarebbero incappati. Ma qui, signora
- mia, tutto è nuovo e passabilmente strano. E con tutta la poca
- voglia che ne avrei, debbo pure parlarvi del duello ed anche di una
- certa persona, che voi avete scoperta, e da cui mi trovo stretto
- d’assedio. Eccolo qua, l’uomo che si aspetta, occupato nelle
- più audaci scorribande; eccolo qua, chiuso tra quattro pareti,
- nell’albergo della Torretta, ubbidiente ad una voce, che, con una
- leggiera variante nella parola, potrebbe dirsi di sovrano assoluto.
-
- «Il sovrano, o l’assediante, non avrebbe già potuto vantarsi di
- tenermi sotto chiave. Egli era così poco sicuro della sua forza
- materiale, così timoroso d’una mia sortita dalla piazza, che
- ha dovuto far capo ad un mezzo speditivo, facendomi saltare il
- deposito delle polveri. Son qua, signora mia, disarmato dalla
- lettura di una nota lettera, che dice a un dipresso così: «Impedite
- questo duello, che io non capisco, e che è cagionato sicuramente da
- un equivoco. Non ci può essere quistione tra il signor De Rossi,
- l’uomo che io amo, e il signor conte Anselmi, amico nostro leale,
- ma nient’altro che amico.»
-
- «Signora, questa lettera è vostra ed io l’ho letta con
- quell’attenzione e con quella reverenza che meritano i vostri
- caratteri. Questa lettera mi ha persuaso che non ci farei la più
- bella figura a muovermi di qui, senza chiederne il permesso a Voi.
- Per andare ad oste contro il signor Aldo De Rossi, debbo passare
- nei vostri dominii. Bella dama, consentirete voi che io lo faccia?
- E se mi volete disposto a restare, in qual modo mi salverete dalla
- taccia di pauroso?
-
- «Vedete voi, bella dama, giudicate voi; sono ai vostri ordini.
- Posso essere leggiero, come è opinione di molti; ma sono onesto
- e non voglio fu piangere nessuno per deliberato proposito. È
- veramente un caso strano, che, tra due uomini disposti ad entrare
- in lizza, si mettano arbitre le donne. Ma non sarà mai detto che
- il caso strano mi trovi puntiglioso e caparbio. Signora, accetto
- l’arbitrato. Dite voi ai miei padrini se debbo andare o restare.
- Per me è quistione di pochi minuti, e i padrini dell’altra
- parte non vorranno chiamarmi in colpa per pochi minuti, messi a
- disposizione della dama, a cui bacio riverente le mani.»
-
-Non mi fermerò a commentarvi la lettera del contino Anselmi, e neanche
-a riferirvi la scena intima dopo cui era stata scritta. Già avrete
-capito l’essenziale, cioè che il sovrano assoluto si era diportato
-veramente da sovrano assoluto, e che, non potendo vincere con le buone
-la caparbietà dell’Anselmi, lo aveva umiliato senz’altro, mostrandogli
-la lettera della signora Camilla Rivanera. Il povero contino ne era
-rimasto ferito, crudelmente ferito nelle sua vanità; aveva veduto il
-ridicolo di cui si sarebbe coperto, andando a battersi per una donna
-che gli dichiarava chiaro e tondo di amare il suo avversario, e si era
-facilmente persuaso della necessità di comparire un uomo di spirito.
-Come sapete, ci guadagnò anche la riputazione d’uomo di cuore.
-
-Ma se in questa forma gli rese giustizia la signora Camilla, non fu
-altrimenti disposto a seguirne l’esempio il signor Aldo De Rossi. Un
-punto buono soltanto egli aveva veduto nella lettera dell’Anselmi, ed
-era la citazione delle parole di Camilla. Quell’accenno di lei all’uomo
-che amava, fece alzare gli occhi di Aldo, in segno di gratitudine,
-verso la signora Rivanera, in quel mentre più bella e più fresca che
-mai, ad onta della notte vegliata. Ma il contesto della lettera non
-finì di contentarlo, specie per il tono allegro e per l’ostentazione
-cavalleresca dell’Anselmi.
-
-— Egli, in fondo, non si disdice di nulla; — osservò egli, restituendo
-la lettera.
-
-Ci fu, dopo quelle parole, un istante di pausa. La signora Camilla
-rizzò la testa e guardò Aldo, come per domandargli donde avesse cavata
-un’idea così peregrina; indi si volse al Maggiore. Questi, che leggeva
-a prima vista, senza essere maestro di musica, rispose per tutti
-all’obbiezione di Aldo.
-
-— Scusi, — incominciò egli, — di che cosa s’avrebbe a disdire
-l’Anselmi? Se mi è stata riferita esattamente la conversazione che
-hanno avuta insieme al Rinfresco, non c’è nessuna frase che richieda
-attenuazioni, almeno da parte sua. Noi altri, piuttosto.... Ma non
-insisterò su questo tasto, — soggiunse il Maggiore, — poichè il
-conte Anselmi, con molto garbo, ha rimessa la quistione all’arbitrato
-delle dame. Gli stessi padrini suoi, da quei gentiluomini che sono,
-intendono esser qui una quistione delicatissima, nella quale essi e
-noi si avrebbe poca grazia ad entrare. Accetta lei l’arbitrato, come
-lo accetta il conte Anselmi? Questo è il punto essenziale; non sembra
-anche a loro? —
-
-I padrini dell’Anselmi, a cui era rivolta l’ultima frase, risposero con
-un cenno affermativo del capo.
-
-Aldo De Rossi non trovò più nulla a ridire.
-
-— Accetto l’arbitrato; — rispose.
-
-— Oh, manco male! — esclamò la signora Camilla. — Signori, non si parli
-più di duello; i due contendenti si stringeranno la mano a Tettuccio. È
-la mia volontà. —
-
-La decisione fu accolta con giubilo da tutti gli astanti. Aldo, come i
-padrini furono partiti, si avvicinò alla signora Camilla e le disse:
-
-— Siete una bella prepotente.
-
-— Ricordate il vostro motto; — rispose Camilla. — O tutto o nulla. È
-anche il mio, lo sapete.
-
-— Angelo! — mormorò egli.
-
-— Che ha perdute le ali; sapete anche questo.
-
-— Tanto meglio, non volerete più via.
-
-— Ah, questo poi! Vedete per esempio, incomincio a volare fin d’ora.
-Mio zio sarà alzato, oramai. Ci vedremo più tardi, al Tettuccio.
-
-— Grazie! — rispose Aldo, stringendo la mano che essa gli stendeva. —
-Dite allo zio, ve ne prego, che un povero innamorato di sua conoscenza
-ha bisogno di parlargli, per chiedergli una grazia. Indovinate?
-
-— No, — disse ella ridendo.
-
-— Volete saperlo?
-
-— Neanche; non sono curiosa. Lo saprò da mio zio. —
-
-Così scherzavano, a mala pena scongiurato il pericolo d’uno scontro
-che poteva riescire sanguinoso, non senza scandalo per la tranquilla
-società di Montecatini. Il mondo è così fatto; ed anche il mare, dopo
-gli sconvolgimenti della burrasca.... Ma qui si casca a filosofare, che
-è il peccato del secolo, come scriveva l’Anselmi.
-
-Il quale Anselmi capitò la stessa mattina al Tettuccio, per ossequiar
-le signore. Aldo ragionava in disparte col presidente Roberti,
-chiedendogli una grazia, che doveva essergli facilmente concessa. Il
-nostro eroe vide con la coda dell’occhio l’Anselmi, e osservò l’onesto
-riserbo con cui egli aveva dato il buon dì alla signora Rivanera.
-Il contino era sereno, ilare come al solito. Quando vide Aldo, fece
-un atto di pronta risoluzione e si mosse per andargli incontro. Ma
-Aldo non gli diede il tempo di fare la strada e corse egli stesso a
-stringergli la mano. Uno sguardo amorevole di Camilla lo ricompensò
-di quella onesta sollecitudine. L’Anselmi, dal canto suo, gli diede il
-resto del carlino.
-
-— Sai, è una stretta d’addio. Parto oggi per Firenze, e domani per
-Roma. Sicuro, c’è un soprano assoluto che s’annoia qui, e mi bisogna
-far le valigie.
-
-— Ti dai corpo ed anima ad Euterpe! — osservò Aldo, tanto per dire
-qualche cosa.
-
-— No, per amor del cielo! — replicò l’Anselmi. — Accompagno la diva, e
-prendo il largo alla prima occasione.... che avrò cura di far nascere.
-Aldo mio, ti sembrerò forse leggiero: — soggiunse il contino. — Ma
-trovami tu il modo di essere diverso. C’è della gente a cui tocca
-tutto, e della gente a cui non tocca nulla. Capi scarichi, cuori vuoti
-d’affetti, gran mercè se non prendiamo in uggia la vita!
-
-— Tu caschi a filosofare! — disse Aldo, che rammentava la lettera
-dell’Anselmi.
-
-— Hai ragione; — rispose il contino, ridendo. — Fo punto e tiro
-via. Già, a che servono le chiacchiere? Il fatto è fatto e non ci si
-rimedia. —
-
-Aurea sentenza, che consolava l’Anselmi. Così avesse potuto
-consolarsene la signora Vezzosi! Ma questa non aveva il carattere del
-contino, e certa filosofia pratica, di cui molti vanno mantellando la
-propria leggerezza, non era il fatto suo, lo sapete.
-
-Del resto, se la signora Elena doveva soffrire un pochino per colpa
-di Aldo De Rossi, non ci aveva altrimenti ragione di odiarlo, e molto
-meno disprezzarlo. Aldo avrebbe potuto diportarsi in questa occasione
-come tanti e tanti; avrebbe potuto amar l’una e mentire con l’altra. Ma
-se egli aveva molti difetti, era tuttavia immune da questo. Non sapeva
-fingere. Però a qualcheduno de’ miei lettori sarà parso un po’ sciocco.
-Siamo tanto avvezzi ai furbi trincati!
-
-
- FINE.
-
-
-
-
-DELLO STESSO AUTORE
-
-(_Edizioni in-16_).
-
-
- Capitan Dodero (1865). _Settima edizione_ L. 2 —
- Santa Cecilia (1866). _Quinta edizione_ » 2 —
- L’olmo e l’edera (1867)._ Settima edizione_ » 2 50
- I Rossi e i Neri (1870). _Seconda edizione_ » 6 —
- Il libro nero (1871). _Quarta edizione_ » 2 —
- Le confessioni di Fra Gualberto (1873). _Seconda edizione_ » 3 —
- Val d’Olivi (1873). _Seconda edizione_ » 2 —
- Semiramide, racconto babilonese. (1873). _Seconda ediz_. » 3 —
- La legge Oppia, commedia (1874) » 1 —
- La notte del commendatore (1875). _Seconda edizione_ » 4 —
- Castel Gavone (1875). _Seconda edizione_ » 2 50
- Come un sogno (1875). _Quinta edizione_ » 2 —
- Tizio Caio Sempronio (1877). _Seconda edizione_ » 3 —
- Cuor di ferro e cuor d’oro (1877). _Seconda edizione_ » 5 —
- Lutezia (1878). _Seconda edizione_ » 2 —
- Diana degli Embriaci (1877). _Seconda edizione_ » 3 —
- La conquista d’Alessandro (1879). _Seconda edizione_ » 4 —
- Il tesoro di Golconda (1879). _Seconda edizione_ » 3 50
- La donna di picche (1880). _Seconda edizione_ » 4 —
- L’undecimo Comandamento (1881). _Seconda edizione_ » 3 —
- Il ritratto del diavolo (1882). _Seconda edizione_ » 3 —
- Il biancospino (1882) » 4 —
-
- SOTTO I TORCHI
- L’anello di Salomone.
-
-
-
-
-
-Nota del Trascrittore
-
-Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo
-senza annotazione minimi errori tipografici.
-
-*** END OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK O TUTTO O NULLA ***
-
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-<p style='text-align:center; font-size:1.2em; font-weight:bold'>The Project Gutenberg eBook of <span lang='it' xml:lang='it'>O tutto o nulla</span>, by Antonio Giulio Barrili</p>
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-This eBook is for the use of anyone anywhere in the United States and
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-whatsoever. You may copy it, give it away or re-use it under the terms
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-are not located in the United States, you will have to check the laws of the
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-</div>
-
-<p style='display:block; margin-top:1em; margin-bottom:1em; margin-left:2em; text-indent:-2em'>Title: <span lang='it' xml:lang='it'>O tutto o nulla</span></p>
-<p style='display:block; margin-top:1em; margin-bottom:0; margin-left:2em; text-indent:-2em'>Author: Antonio Giulio Barrili</p>
-<p style='display:block; text-indent:0; margin:1em 0'>Release Date: August 16, 2022 [eBook #68766]</p>
-<p style='display:block; text-indent:0; margin:1em 0'>Language: Italian</p>
- <p style='display:block; margin-top:1em; margin-bottom:0; margin-left:2em; text-indent:-2em; text-align:left'>Produced by: Barbara Magni and the Online Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net (This file was produced from images made available by The Internet Archive)</p>
-<div style='margin-top:2em; margin-bottom:4em'>*** START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK <span lang='it' xml:lang='it'>O TUTTO O NULLA</span> ***</div>
-
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-O TUTTO O NULLA.
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-O TUTTO O NULLA
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-<p class="pad1 x-small">
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-<p class="pad1 x-large">
-ANTON GIULIO BARRILI
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-
-<p class="pad2">
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-
-<p class="pad4">
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-FRATELLI TREVES, EDITORI<br />
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-
-<div class="verso">
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-<p>
-PROPRIETÀ LETTERARIA.
-</p>
-
-<p>
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-</p>
-<hr class="mid" />
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-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_1">[1]</span></p>
-
-<h2 id="cap1">I.</h2>
-</div>
-
-<p>
-Senza fiori nascosti nella sottoveste, ma con
-un volumetto tra mani e liberamente in mostra
-per ogni genìa di curiosi, Aldo De Rossi era
-andato, verso le tre del pomeriggio, a far visita
-alla signora.
-</p>
-
-<p>
-Non istate a credere che io voglia entrare così
-leggermente in materia, defraudandovi del nome
-di lei. Non mi avviene sempre di sapere quel che
-si deve a Cesare; ma ho sempre saputo quel che
-si deve ai lettori, e sopra tutto alle lettrici. Vi
-dirò dunque che la signora si chiamava Elena
-Vezzosi, e meritava così il suo nome di battesimo
-come quello della famiglia in cui era entrata
-da otto a nove anni; di guisa che si soleva
-dire, senza aver l’aria di farle un complimento,
-che l’uno e l’altro dovevano essere stati inventati
-a bella posta per lei. La signora Elena era bellissima
-dalla punta dei capegli a quella dei piedi,
-ed io lascio pensare a voi che sorte d’elettricità
-<span class="pagenum" id="Page_2">[2]</span>
-dovesse sprigionarsi da quelle due punte. A farvela
-breve, ella possedeva tutte le attrattive, della
-bellezza e dello spirito. Eppure, non si conosceva
-che avesse un amante; la qual cosa parrà
-strana, con la facilità che hanno le donne di trovarsene
-sempre uno tra’ piedi, e con quell’altra,
-anche maggiore, di vedersene imprestare una
-mezza dozzina. Ma, strano o no, il fatto era
-questo, e si vedeva chiaro che la signora Elena
-non amava nessuno. Di certo, non l’aveva detto,
-o lasciato sperare ad anima viva; tanto che le
-male lingue avevano finito col dire che ella amava
-solamente sè stessa. Già, tutte così, quando sono
-troppo belle, e quando lo specchio è li per farne
-testimonianza, tanto più credibile quanto meno
-interessata.
-</p>
-
-<p>
-Comunque fosse, molti cavalieri si affollavano
-intorno a lei, per dirle in prosa sdolcinata quello
-che le diceva in forma più recisa lo specchio. Ed
-ella non respingeva nessuno; era cortese in egual
-modo con tutti; faceva ad ognuno quelle accoglienze
-onestamente liete e svogliate, in cui dobbiamo
-vedere il <i>non plus ultra</i> della buona compagnia.
-Perchè, si sa, la consegna è di godere
-la vita, con aria di averla a noia. Il fare altrimenti
-non è di buon gusto. La gente, uscendo
-dal salotto della bella svogliata, deve poter dire:
-«Quella signora Iccase! Che donna! Con che
-garbo riceve!»
-</p>
-
-<p>
-Del resto, non mormoriamo. Succede questo
-<span class="pagenum" id="Page_3">[3]</span>
-fenomeno quando si va per consuetudine a teatro
-e si conosce da lunga mano l’opera, o il dramma.
-Arie e scene non hanno allettamento di novità,
-e le commozioni non vengono; si aspetta il gran
-duetto, o la scena capitale, che vi faccia provare,
-magari un po’ diminuite, le sensazioni della prima
-volta; intanto si sta esposte alle ammirazioni
-degli uomini e si fanno crepar d’invidia le amiche.
-Ora la signora Elena Vezzosi sapeva da un pezzo
-tutto ciò che avevano a dirle, con periodica regolarità,
-i suoi cento divoti. Era la sua voluttà e
-in pari tempo la sua condanna, come il «<i>toujours
-perdrix</i>» del gastronomo. E a quelle sedute
-di galanteria ella dava allegramente il nome di
-lavori forzati. Lavori forzati a tempo, pur troppo!
-Vien sempre il tristo giorno della liberazione, mie
-belle signore, e qualche volta il sovrano della
-falce e della clessidra vi fa precocemente la grazia.
-</p>
-
-<p>
-Aldo De Rossi conosceva la signora Vezzosi da
-un anno. Le era stato presentato in una fiera di
-beneficenza, dove ella non aveva sdegnato di
-vender cravatte, e di mettergliene una al collo
-per la tenue moneta di cinquecento lire. Il favore
-era stato disputato fieramente da cinque o
-sei cavalieri. Dal prezzo di due lire si era saliti
-a venti, a cinquanta, a cento, a centocinquanta.
-Aldo De Rossi, entrato allora in lizza, aveva
-messo fuori un biglietto da cinquecento, e lo
-aveva deposto sul banco, dicendo modestamente:
-«signori, non ne ho altri», e in quel momento
-<span class="pagenum" id="Page_4">[4]</span>
-di trepidazione che segue tutti i grandi avvenimenti,
-la bella venditrice aveva girata intorno al
-collo di Aldo De Rossi la sua cravatta nera, da
-mezza lira, a prezzo di fabbrica. Il sorriso della
-dama c’entrava per quattrocento novantanove lire
-e cinquanta centesimi. Una presentazione era venuta
-lì per lì; Aldo De Rossi aveva fatta la
-corsa di prammatica e lasciati nell’anticamera di
-casa Vezzosi i due biglietti di visita che l’etichetta
-comanda; il commendatore Vezzosi, uomo
-grave, che sapeva stare sulle cerimonie, aveva
-mandato il suo in ricambio, e il giovinotto era
-stato formalmente ammesso a fare le sue devozioni.
-Ma, cosa strana (badate, lettori, qui tutto
-è strano, poichè la scena è del secolo presente),
-Aldo De Rossi non aveva approfittato dell’occasione
-e non era più andato in casa Vezzosi. Il
-nostro giovinotto non era uno di que’ frustini, i
-quali s’appiccicano facilmente alle persone e si
-fanno avere in uggia da tutti. Faceva riverenza
-alla dama, quando la incontrava per via, e ciò
-bastava a dimostrare com’egli gradisse la sua conoscenza.
-Poi, venuto l’inverno, e avendola trovata
-in una festa da ballo, le aveva chiesto l’onore
-di un giro di <i>waltzer</i> o di <i>polka</i>, che non
-rammento più bene. La signora, quella notte,
-ballava mal volentieri, ma stette volentieri a
-chiacchiera con lui, rimandando col suo solito
-garbo gli altri cavalieri, che impetravano la medesima
-grazia. Del resto, padronissimi tutti di
-<span class="pagenum" id="Page_5">[5]</span>
-restare accanto al divano della signora, come ci
-restava Aldo De Rossi. Ma perchè in simili feste
-i signori uomini non istanno mai fermi, anzi
-amano andare attorno <i>tamquam leo rugiens quaerens
-quem devoret</i>, le fermate non furono lunghe
-e Aldo De Rossi rimase più spesso solo che accompagnato,
-al fianco della signora Vezzosi. S’era
-dato il caso che parlassero di poeti e di romanzieri.
-Aldo non era un letterato, Dio guardi, ma
-aveva letto molto e parlava con un certo calore
-de’ suoi autori prediletti. La signora non conosceva
-il Pushkine, ed egli, di parola in parola,
-era stato tirato ad offrirle il volume. In imprestito,
-si capisce. E il giorno seguente, a quell’ora tarda
-che volevano le buone creanze, le aveva portate
-le opere del poeta russo, tradotte nella lingua
-universale di Francia. Così era entrato, senza avvedersene,
-in casa della signora Vezzosi, e diventato
-a mano a mano il suo provveditore di
-libri.
-</p>
-
-<p>
-Quando egli andava dalla signora per alcuna
-di quelle faccende librarie, si poteva esser certi
-che la conversazione, dopo le solite frasi di cerimonia,
-girava subito su questo tono: — Come
-le è piaciuto il carattere di Enrico? E la scena
-del bosco? Le raccomando di leggere attentamente
-il capitolo della pioggia. Che pittura! E
-quel raggio di sole che viene d’improvviso a illuminare
-la fronte di Dorotea! Che vivezza di
-tocco! Ecco un verismo che ha ottant’anni di
-<span class="pagenum" id="Page_6">[6]</span>
-data. Gli scrittori moderni non se li sognano
-neanche, questi ardimenti dell’arte. E l’incontro
-col barone dopo la caccia! Che movimento d’affetti!
-Ha poi notata quella digressione sui toni
-musicali? Come si trova a posto, e come prepara
-bene alla scena del concerto!&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Poi, la scena del concerto, od altra consimile,
-porgeva appiglio ad una disputa sentimentale. Era
-sempre la signora che girava al tenero; Aldo ci
-entrava, dirò meglio, ci faceva capolino, senza
-escire dal grave, come un riguardoso carabiniere
-che si provi a sorridere, senza dimenticare la
-maestà dell’uniforme. Ed erano dispute così delicate,
-così aeree, che un marito avrebbe potuto
-sentirle, dietro una cortina, senza che la mano
-gli corresse al pugnale.... Scusate, siamo nel secolo
-decimonono, e bisognerà dire al bastone. È
-un’arma più prosaica, ma più alla mano.
-</p>
-
-<p>
-E tutto ciò durava da un anno? Mio Dio, sì,
-durava da un anno. Sono le cose monotone che
-durano di più. Altrimenti, non sarebbero monotone.
-</p>
-
-<p>
-La signora Elena discorreva volentieri, come
-tutte le persone che discorrono bene. E per lui,
-e con lui, la sua svogliatezza consueta assumeva
-un leggerissimo tono, come una sfumatura, di
-malinconia. Aldo De Rossi si era avvezzo a quel
-gentile chiacchiericcio, e vedeva nella signora
-Elena Vezzosi un’amica; anzi meglio, un amico,
-e della specie migliore. Perchè, quando un tal
-<span class="pagenum" id="Page_7">[7]</span>
-legame può stringersi tra persone di un sesso
-diverso, l’amicizia si rinfranca, direi quasi che si
-soppanna, di tutte le grazie, di tutte le capestrerie,
-di tutte le eleganze, che non è dato combinare
-tra uomini, uno dei quali è così facile a
-escire di riga, e l’altro a seguitarne l’esempio.
-Questa amicizia tra uomo e donna, quando il
-cuore non parli in nessuno dei due, è veramente
-una delizia, poichè è una specie d’affetto, senza
-le ansie, i sopraccapi, le gelosie, gli struggimenti
-feroci di quell’altra passione, da cui Dio misericordioso
-dovrebbe scampare ogni fedel cristiano.
-</p>
-
-<p>
-O come? Non la sentiva egli dunque, l’altra
-passione? Avremo qui un personaggio tutto testa,
-come certe qualità di pesci, buoni a mala pena
-per farne la zuppa? Lettori e lettrici, aspettate
-un pochino e vedrete.
-</p>
-
-<p>
-Quel giorno, che v’ho accennato in principio,
-Aldo De Rossi era entrato nel salotto, e aveva
-presentato alla signora Elena il suo volume; credo
-le <i>Confessions d’un enfant du siècle</i> del Musset.
-La signora Elena aveva ringraziato il gentil provveditore
-e deposto il libro sul tavolincino di lacca
-giapponese, che serviva d’aiuto ai gomiti e di
-nesso alla conversazione. Il cielo, quel giorno,
-aveva messa la cappa di piombo, e un caldo afoso
-pesava maledettamente sui nervi. La signora Elena
-non era di buon umore. Per un altro visitatore
-sarebbe parsa più svogliata del solito; per Aldo
-De Rossi non era che più malinconica. Sapete
-<span class="pagenum" id="Page_8">[8]</span>
-pure, quel leggiadrissimo tocco, quella sfumatura
-di cui sopra!
-</p>
-
-<p>
-Si ragionò, secondo l’uso, di libri e d’autori,
-ma più particolarmente del Musset. Voi non lo ignorate,
-il Musset, che sofferse tanto per una donna
-e ne fece soffrire tante altre (almeno, se si ha
-da riconoscerlo in tutti i suoi personaggi, così
-fittamente impregnati del suo <i>io</i>), è l’evangelista
-del sesso gentile e generalmente di tutti gl’innamorati
-moderni. Egli ha la nota fondamentale del
-dolore elegante. I suoi campioni portano i guanti
-perlati, la sottoveste bianca insaldata e tutto l’altro
-come noi, perfino la gardenia, all’occhiello; ma
-celano sotto quella gardenia, sotto quella sottoveste,
-un picciolo dramma, una tempesta in ristretto,
-un vulcano in miniatura, come noi, proprio
-come noi. Ci ravvisiamo nel Rolla, in Don Paez,
-nell’<i>Enfant du siècle</i>, come tutte le donne si ravvisano
-nella marchesa di Amaeguì, in Marianna,
-e ad ore rubate perfino in Mimì Pinson. Aggiungete
-che non dice mai villania al bel sesso, come
-fanno certi genii screanzati. Si sente bensì, attraverso
-l’asprezza di certi periodi, che egli considera
-le donne come una varietà della razza felina; ma la
-donna non isgradisce d’essere creduta una tigre, visto
-e considerato che la tigre ha un bellissimo mantello
-ed atti e movimenti di leggiadria insuperabile.
-Lasciategli supporre che la credete tale, senza dirglielo
-troppo aperto, ed ella avrà qualche volta la bontà
-di farvi ammirare le unghie. Adorabili unghie!
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_9">[9]</span>
-</p>
-
-<p>
-La signora Vezzosi si era fermata con una certa
-compiacenza a stillare una sentenza del poeta di
-Marianna, e Aldo De Rossi, forse a cagione dell’afa
-che gl’intorpidiva i nervi, durava fatica ad intenderla.
-Già, quel benedetto ragazzo, con la sua serietà,
-aveva sempre l’aria d’essere un po’ straniero
-al dialogo, in cui si trovava impegnato. Quel giorno,
-poi, mentre la signora Elena, sempre per effetto
-dell’afa che la rendeva più malinconica, era sdrucciolata
-più che mai, anzi sprofondata nel tenero,
-egli stava più fermo, più impettito d’un carabiniere
-dell’antica maniera. Diciamo le cose alla libera; la
-signora Vezzosi accennava coppe ed egli rispondeva
-bastoni. Si poteva dare peggior distrazione
-di quella?
-</p>
-
-<p>
-Ad un certo punto, con aria d’impazienza e
-dispetto, la signora gli disse:
-</p>
-
-<p>
-— Signor Aldo, voi non capite dunque nulla?&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Il giovinotto rimase un po’ sconcertato. Non
-era orgoglioso; ma sentirsi dire lì per lì che non
-capiva nulla, converrete con me che non dovesse
-piacergli. Il sangue non è acqua, ed anche il dio Proteo,
-quando fu messo tra l’uscio e il muro... Infine,
-Aldo rizzò la testa, spalancò gli occhi e replicò:
-</p>
-
-<p>
-— Perchè, signora?
-</p>
-
-<p>
-— Perchè... perchè non capite.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-E così dicendo la signora Elena si lasciò sfuggire
-un mezzo sospiro.
-</p>
-
-<p>
-Aldo De Rossi ebbe come un barlume di ciò
-che la signora pensava.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_10">[10]</span>
-</p>
-
-<p>
-— E... — balbettò egli allora — se io capissi?...
-</p>
-
-<p>
-— Oh, sarà difficile; — ribattè la signora Vezzosi.
-</p>
-
-<p>
-Il giovanotto si trovò messo al punto; fece un
-mezzo inchino e ripigliò:
-</p>
-
-<p>
-— Orbene, signora, mi proverò a dimostrarvi
-il contrario. Resta sempre che, se io mi sarò ingannato,
-voi avrete buono in mano per ridere dei
-fatti miei.
-</p>
-
-<p>
-— Avete tanta paura?
-</p>
-
-<p>
-— No, signora, poichè m’arrischio a parlare.
-E soggiungo che, se non mi sarò ingannato, dovrò
-piangere a calde lagrime.
-</p>
-
-<p>
-— Ah, questo è più grave; — esclamò la signora. — Sentiamo.
-</p>
-
-<p>
-— Sì, o signora, è più grave; — riprese Aldo
-De Rossi, facendo una cera da funerale. — Voi
-siete bella... bellissima....&#160;—
-</p>
-
-<p>
-La signora Elena diede in uno scoppio di risa.
-</p>
-
-<p>
-— Avete dimenticato il comparativo; — soggiunse
-poscia. — In grammatica si usa dire: bella,
-più bella, bellissima.
-</p>
-
-<p>
-— Da molto tempo non vado più a scuola,
-perdonate; — rispose Aldo De Rossi. — Del
-resto, che importa il comparativo, quando c’è il
-superlativo?
-</p>
-
-<p>
-— Sì, vi perdono, in grazia del superlativo; — disse
-la signora Vezzosi. — Continuate. Sebbene,
-dopo questo, sia abbastanza facile capire ciò
-che avete a dirmi.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_11">[11]</span>
-</p>
-
-<p>
-E prese, così dicendo, un atteggiamento di languore,
-che le andava a meraviglia.
-</p>
-
-<p>
-— Ecco; — rispose Aldo De Rossi; — non è facile
-veramente a capire, e vi assicuro che non è facile
-a dire. Io ci provo uno stringimento alla gola.
-</p>
-
-<p>
-— Che? Bisognerà ancora aiutarvi? Badate,
-signor Aldo, ciò non istà troppo bene ad una
-donna. Ma via, — soggiunse la signora, chinando
-gli occhi con un’aria tra la vergogna e la rassegnazione, — ci
-conosciamo da tanto tempo, e voi
-siete un così gentil cavaliere... un amico tanto prezioso....&#160;—
-</p>
-
-<p>
-La frase, ad onta di ciò che prometteva, si
-fermò lì. Si capiva che la signora Elena, dopo aver
-dato animo al suo interlocutore, voleva essere
-interrotta.
-</p>
-
-<p>
-Ma il suo interlocutore era più impacciato che
-mai.
-</p>
-
-<p>
-— Signora... — balbettò egli, chinando la testa, — non
-ci siamo. Ve l’ho detto poc’anzi, dovrò
-farvi una confessione, da piangerne a calde lagrime.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Tutte quelle reticenze e sospensioni promettevano
-poco di buono alla signora Vezzosi. Aldo
-De Rossi aveva chinata la testa, ed ella alzò mezzo
-sdegnata la sua.
-</p>
-
-<p>
-— Sentiamo dunque una volta; — diss’ella. — Non
-avrete già speso il vostro superlativo, per
-venirmi a dire, mettiamo il caso, che siete innamorato...
-d’un’altra?
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_12">[12]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Ah, signora! — esclamò Aldo, sospirando. — Proprio
-così, come voi dite. Sono... perdonatemi!...
-Sono innamorato di un’altra. È una fatalità;
-è tutto quel che vorrete.
-</p>
-
-<p>
-— Non sarà niente, allora; — replicò la signora
-Vezzosi indispettita; — perchè io non voglio
-niente, signor De Rossi. Debbo solamente
-avvisarvi che queste cose si possono pensare, ma
-che non è punto necessario di dirle.
-</p>
-
-<p>
-— Oh, non andate in collera, ve ne prego. È forse
-un male esser sinceri, con un angiolo come voi?
-</p>
-
-<p>
-— Angiolo! — ripetè la signora Vezzosi, con
-un accento indescrivibile. — Angiolo! Bella parola
-usata male! Anche questa non si usa, debbo
-avvisarvene; non si usa che quando si ama e per
-chi si ama. Che cosa dite voi dunque alla donna
-che amate? Ma già, perchè domandare queste cose
-a voi, che siete un uomo così originale?
-</p>
-
-<p>
-— Originale! Io? E perchè?
-</p>
-
-<p>
-— Me lo chiedete? E dovrò io incaricarmi
-della vostra educazione? — replicò la signora
-Elena, con un certo risolino stridente. — In verità,
-il caso è bizzarro! Ma accettiamo l’ufficio, in
-pena dei peccati che non abbiamo commessi. Sappiate
-dunque, signor De Rossi, che quando un
-uomo trova bella una donna, e cara la sua compagnia....
-</p>
-
-<p>
-— Carissima, lo sapete; — interruppe Aldo De
-Rossi, felice di poter rimediare in qualche parte
-alle sue malefatte.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_13">[13]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Ottimamente; — ripigliò la signora. — Ne
-avevo da qualche tempo le prove. E solo per questo...
-badate, signorino, solo per questo, m’è avvenuto
-di escire da quel riserbo, in cui deve tenersi
-una donna. Ma già, avevo anch’io qualche
-cosa da imparare; — osservò ella, tormentando
-con le dita il suo ventaglio cinese. — Dopo questa
-lezione, non mi avverrà più, ve lo giuro. Dunque,
-dicevamo.... Che cosa dicevamo, signor De
-Rossi? Ah, dicevamo che quando un uomo trova
-bella una donna, e glielo dice al superlativo, si
-deve intendere.... Non vi pare, signor De Rossi,
-che si debba intendere....
-</p>
-
-<p>
-— Sì; — rispose Aldo, disposto per una volta
-tanto ad interrompere in tempo una frase difficile; — generalmente
-è così. L’uomo è uno zolfino
-e s’accende. Ma io, signora, sono un pochino
-diverso.
-</p>
-
-<p>
-— Ah, bene! — esclamò la signora. — Non
-ci sarà pericolo che appicchiate il fuoco alle sedie.
-Ma che cosa siete voi, di grazia? Una macchina
-da fabbricare il ghiaccio?
-</p>
-
-<p>
-— Signora!... — balbettò Aldo De Rossi, con
-aria contrita e supplichevole.
-</p>
-
-<p>
-— Ah, è vero; — ripigliò la signora Vezzosi. — Dimenticavo
-che siete innamorato; la qual cosa
-lascia supporre che il freddo, l’avversione, sia solamente
-per me. Non me ne lagno, badate. Scherzavo,
-più o meno, e continuo lo scherzo.
-</p>
-
-<p>
-— Ma non su questo particolare, ve ne prego — disse
-<span class="pagenum" id="Page_14">[14]</span>
-Aldo De Rossi. — Perchè parlate d’avversione,
-ad un uomo che ha sempre avuto tanto
-piacere a conversare con voi? Ve l’ho già detto
-una volta, signora. Se sono sincero anche a mio
-danno, perchè non mi crederete anche in ciò? Voi
-siete bella come....
-</p>
-
-<p>
-— Ah sì, sentiamo come.
-</p>
-
-<p>
-— Come la Venere di Milo, — prosegui Aldo
-De Rossi, — cioè a dire come la più bella statua
-del mondo.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-La signora Vezzosi rispose al complimento con
-un lieve moto del capo: indi alzò gli occhi ad
-uno specchio che pendeva inclinato dalla parete,
-di rincontro a lei; un magnifico specchio ovale,
-con una gran cornice intagliata a fogliami, capriccioso
-impasto di classico e di barocco, e con la
-luce mezzo coperta da una cascata di fiori, dipinti
-da mano maestra a guisa di festoncino.
-</p>
-
-<p>
-— E... — diss’ella poscia — quell’altra... com’è?
-</p>
-
-<p>
-— Quell’altra! Chi?
-</p>
-
-<p>
-— La donna che amate. Se io sono da paragonare
-alla più bella statua del mondo, che cosa
-vi resterà da dire per quell’altra?
-</p>
-
-<p>
-— Signora, — rispose Aldo De Rossi, — non
-vi sdegnate con me. Sono un disgraziato, e veramente
-non avrei dovuto impigliarmi in questo
-discorso.
-</p>
-
-<p>
-— Quell’altra! — gridò stizzita la signora Vezzosi,
-battendo col suo piedino il tappeto. — Voglio
-quell’altra!
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_15">[15]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Orbene, — riprese il giovinotto, armandosi
-di coraggio, — quell’altra è come la statua... che
-non è stata mai fatta. Fidia deve averla sognata e
-dev’esser morto....
-</p>
-
-<p>
-— Oh, per questo, statene certo; egli è morto
-davvero!
-</p>
-
-<p>
-— Sì, ma volevo dire che egli dev’esser morto...
-senza trovarne il modello.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-La signora Vezzosi era lì lì per rispondere: — «Dio
-mio, che svenevolezze!» — ma si trattenne.
-Voleva mandare a spasso quell’impertinente,
-dall’aria così dolce e contrita; ma non seppe risolversi,
-e l’una e l’altra voglia sfogò in una seconda
-risata. Vi avverto, per debito di coscienza,
-che non si trattava d’una risata molto schietta,
-quantunque fosse abbastanza sonora.
-</p>
-
-<p>
-— E voi — diss’ella, dopo quel piccolo sfogo, — siete
-riescito dove ha inciampato Fidia?
-</p>
-
-<p>
-— Si, — rispose Aldo De Rossi, — ma non
-ho fatta la statua.
-</p>
-
-<p>
-— Questo lo capisco da me. Non siete uno
-scultore. Ma almeno avrete avvicinato il modello,
-ed esso si sarà infiammato per voi. Un grande
-amore vuol essere corrisposto; — notò sarcasticamente
-la signora Elena. — Lo ha detto Dante
-in un verso che voi mi avete commentato così
-bene: <i>Amor che a nullo amato amar perdona</i>.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Aldo De Rossi crollò malinconicamente la testa
-e represse un sospiro di desiderio.
-</p>
-
-<p>
-— Ahimè, signora! Per la prima volta, forse,
-<span class="pagenum" id="Page_16">[16]</span>
-Dante ha avuto torto e la sua massima è stata
-sbugiardata nel mio caso.
-</p>
-
-<p>
-— Eccone un’altra! — esclamò la signora. — Signor
-De Rossi, poc’anzi volevo mandarvi via,
-con la scusa di dover ricevere la sarta; ma ho
-poi cangiato pensiero. Siete un uomo tanto strano!
-Raccontatemi tutto, poichè siete avviato. Quali
-sono le vostre speranze?
-</p>
-
-<p>
-— Non ho speranze, signora.
-</p>
-
-<p>
-— Almeno, le avrete detto il vostro amore?
-</p>
-
-<p>
-— Quasi.
-</p>
-
-<p>
-— È già abbastanza; le donne leggono sempre
-il resto negli occhi. E lei, che cosa vi ha risposto?
-</p>
-
-<p>
-— Nulla, o qualche cosa che val come nulla.
-</p>
-
-<p>
-— Oh povero signor De Rossi, come vi compatisco!
-</p>
-
-<p>
-— Si, compatitemi; è il sentimento ch’io merito; — rispose
-Aldo De Rossi, fingendo di non
-accorgersi del senso di sottile ironia che trapelava
-dalle parole della signora Vezzosi. — Ora voi vedete
-la mia grandezza, o signora. Almeno, se vi
-parrò ridicolo, con le mie sofferenze, non vi parrò
-un insolente, con le mie confessioni. Rinunzio alla
-Venere di Milo, e mi perdo....
-</p>
-
-<p>
-— Per la Venere che non è stata fatta; — interruppe
-la signora. — Ma badate, poc’anzi mi
-avete ferita. Sicuramente, signor Aldo, mi avete
-ferita. Le vostre lodi, le vostre ammirazioni artistiche,
-non compensano la lezione che ho ricevuta,
-<span class="pagenum" id="Page_17">[17]</span>
-e che, mi affretto a dirvelo, ho anche meritata
-con un povero scherzo. Perchè era uno
-scherzo, il mio, lo sapete? Ci avevo i miei nervi,
-quando siete capitato, e volevo stordirmi con quattro
-chiacchiere.
-</p>
-
-<p>
-— Oh, l’ho capito subito; — rispose Aldo De
-Rossi, inchinandosi profondamente.
-</p>
-
-<p>
-L’atto fu così comico nella sua umiltà, che la
-signora Elena si vergognò del sotterfugio.
-</p>
-
-<p>
-— Bene! — diss’ella, col suo risolino stridente. — Ecco
-una bugia a due voci, la quale non salverà
-nulla, neanche le apparenze. Ma non importa.
-Voi mi siete sempre debitore di una riparazione.
-La esigo, chiedendovi la storia del vostro amore.
-</p>
-
-<p>
-— Non c’è storia; — rispose Aldo De Rossi.
-</p>
-
-<p>
-— Come? Non s’ha neanche da sapere come
-è nato? Ogni cosa ha un principio. Voglio il principio
-della vostra passione.
-</p>
-
-<p>
-— Signora... vi pare? — balbettò il giovinotto. — Raccontare
-ad una donna bella....
-</p>
-
-<p>
-— Più bella, bellissima! — interruppe la signora
-Vezzosi.
-</p>
-
-<p>
-— Certamente; — ripigliò Aldo De Rossi; — raccontare
-ad una donna bellissima in che modo
-si sia innamorati di un’altra, non vi pare un tantino...
-scortese?
-</p>
-
-<p>
-— Ah sì, dopo quello che avete fatto, ritiratevi
-ancora sul monte Sacro! — gridò la signora Elena,
-con accento sardonico. — Questa volta, signor
-De Rossi, sento proprio la tentazione di mandarvi
-<span class="pagenum" id="Page_18">[18]</span>
-via, anche senza la scusa di ricevere la sarta. Siate
-conseguente, nella vostra originalità. Non sono io
-strana la parte mia? Non merito una confidenza
-intiera? E non vi pare che sia questo il miglior
-modo di farvi perdonare la prima parte?
-</p>
-
-<p>
-— Sì, sì; — disse Aldo De Rossi, prendendole
-la mano e stringendola tra le sue. — Ma in tutta
-sincerità vi dico che non c’è storia. In due parole
-è tutto narrato. L’ho veduta e l’ho amata.
-</p>
-
-<p>
-— Così di schianto?
-</p>
-
-<p>
-— No certo; — rispose Aldo De Rossi. — L’amavo
-già prima.
-</p>
-
-<p>
-— Ah, c’è un prima? È dunque la storia del
-prima che voi dovete raccontarmi.
-</p>
-
-<p>
-— Signora, anche quella si racconta con le stesse
-parole. L’avevo veduta ed amata. Era un fiore nato
-nel mio cuore. Sapete voi come queste cose avvengono?
-In mezzo al turbine della vita si hanno
-di queste apparizioni gentili, come in un viaggio
-triste e faticoso si vede un tratto di campagna,
-di cui vi resta un’immagine poetica e dolce. Si
-va innanzi, dove chiama il piacere, o l’ombra del
-piacere, una follia, un destino; ma di tanto in
-tanto si ripensa a quell’oasi benedetta, e un’aria
-d’idillio vi spira soavemente alle tempie. Viene il
-giorno che vi fermate a cercare il perchè di quella
-sensazione, e vi duole, e vi date del fanciullo, e
-scuotete la testa, come per cacciare un’idea importuna.
-Ma quell’immagine è là, sempre là; gli
-stordimenti del viaggio ve l’hanno offuscata nell’animo,
-<span class="pagenum" id="Page_19">[19]</span>
-per un anno, per due; poi viene il giorno
-che essa ritorna, netta, spiccata, ai vostri occhi;
-e vi prende allora un desiderio pazzo di rivedere
-quel luogo, e là, dove avete sentito così profondamente
-le bellezze della natura, là, proprio là,
-vorreste ridurvi a morire. Così di certi amori.
-Erano immagini del passato, a cui l’anima credeva
-di resistere; sentimenti graziosi, a cui il cuore si
-faceva forte di aver rinunziato. Ma ad un tratto
-l’immagine offuscata s’illumina; il sentimento doloroso
-e caro si rinnova. Pensate a quella donna
-intravveduta un giorno, e vi assale una gran tenerezza.
-Come è avvenuto ciò? Per quali vie quell’amore
-è tornato, e vi s’è fatto gigante nel cuore?
-Come mai è diventato un incendio, da così breve
-favilla che vi era parso in principio?
-</p>
-
-<p>
-— Misericordia! — gridò la signora Elena. — Sarà
-il caso di chiamare le guardie del fuoco.
-</p>
-
-<p>
-— Ah sì, davvero! — rispose Aldo De Rossi,
-ricondotto a terra da quella bizzarra osservazione. — Ma
-è così dolce il bruciare!
-</p>
-
-<p>
-— E perder la lite, non è vero?
-</p>
-
-<p>
-— Ve l’ho detto, signora. Rinunzio da un lato
-e perdo dall’altro. Non sono dunque da compiangere,
-come un matto o come uno sventurato?&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Il dilemma pareva saldo e non era. Infatti, vedete,
-la signora Vezzosi pensò che Aldo De Rossi
-avrebbe servito meglio alla verità, gabellandosi
-per sciocco. Ma, dopo averlo pensato, ne ebbe
-come un rimorso, parendole quasi di essersi lasciata
-<span class="pagenum" id="Page_20">[20]</span>
-sfuggire la parola di bocca, e rimase a lungo
-silenziosa, mentre il giovinotto stava contemplando
-i fiori bizzarri, disegnati in sottili filettature d’oro
-sul tavolincino di lacca giapponese che lo separava
-dalla bella signora.
-</p>
-
-<p>
-Anch’egli sentiva un po’ di rimorso d’aver parlato
-con tanta schiettezza. La signora Elena aveva
-ragione; certe cose si possono pensare, ma non
-è punto necessario di dirle. Ed egli, pentito d’averle
-dette, vedeva già la conseguenza della sua
-sincerità; vedeva, ad esempio, che, dopo quella
-conversazione, egli non aveva più nulla a fare in
-casa Vezzosi e che il meglio sarebbe stato di ridurre
-a trimestrali, magari anche a semestrali, le
-troppo frequenti sue visite.
-</p>
-
-<p>
-Ma le donne hanno tesori inesauribili di bontà,
-oppure, se vi piace meglio, raffinatezze di crudeltà,
-che sventano tutti i calcoli più sapienti di
-un uomo. Dopo essere rimasta un tratto in silenzio,
-la signora Elena levò la fronte e disse di
-schianto al De Rossi:
-</p>
-
-<p>
-— Mi promettete una cosa?
-</p>
-
-<p>
-— Non so di che si tratta, — rispose egli, felice
-d’interrompere i suoi studi sulla flora giapponese, — ma
-vi prometto anticipatamente tutto
-quel che vorrete.
-</p>
-
-<p>
-— Voi mi prenderete per confidente delle vostre
-pene; — ripigliò la signora. — Mi chiederete
-consiglio nei momenti difficili.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Addio diradamento di visite, come al signor Aldo
-<span class="pagenum" id="Page_21">[21]</span>
-degnissimo pareva necessario di fare. La Vezzosi
-cangiava di punto in bianco il suo sistema di attacco,
-oppure in atto era da vedersi una trasformazione
-di tenerezza? Aldo De Rossi non ci pensò
-più che tanto; rispose un «grazie!» ardentissimo
-e baciò la mano della signora.
-</p>
-
-<p>
-— Che fuoco! — esclamò ella, ridendo. — Siamo
-noi sempre in pericolo d’incendio? Dite,
-signor Aldo; vi sareste per caso immaginato di
-baciare un’altra mano, in cambio della mia?&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Aldo De Rossi non ebbe cuore di rispondere a
-quella domanda, appoggiata da uno sguardo che
-pareva volergli leggere nell’anima. Pose in quella
-vece un ginocchio a terra e ripigliò la mano della
-signora Vezzosi.
-</p>
-
-<p>
-— Perdonate; — soggiunse. — Questa volta
-è proprio per voi che m’inginocchio.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-E depose, ciò detto, un bacio rispettoso su
-quella bianca mano, che sentì tremare al contatto
-delle sue labbra, quantunque non fossero per allora
-di fuoco.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_22">[22]</span></p>
-
-<h2 id="cap2">II.</h2>
-</div>
-
-<p>
-Se Elena Vezzosi fosse stata un’antica romana,
-avrebbe notato quel giorno tra i nefasti. Ma era
-una gentildonna moderna, e si restrinse a dolersi
-d’aver fatto troppo per quel signorino, che, messo
-al punto di parlar bene, aveva parlato così male,
-o almeno così diversamente da ciò che ella era in
-diritto d’aspettarsi.
-</p>
-
-<p>
-Fors’anche a voi, lettrici cortesi, parrà che la
-signora Elena si fosse buttata, come suol dirsi, un
-po’ via. Ma di certo non pensereste in tal guisa,
-se sapeste appuntino in che termini fosse la relazione
-di quei due personaggi. Perchè io non v’ho
-detto nulla, accennandovi brevemente che si conoscevano
-da oltre un anno e che si vedevano
-molto spesso. Bisognerebbe tessere la storia di
-quell’anno, anzi farne a dirittura il diario, e notarvi
-ad una ad una tutte le delicatezze, le graziette
-e sarei quasi per dire le moinerie di quella
-<span class="pagenum" id="Page_23">[23]</span>
-amicizia, apparentemente mantenuta da una specie
-di commercio librario. La signora Vezzosi aveva,
-secondo me, il grave torto di credere che un
-uomo non possa provare per una donna quel sentimento
-pacato e fine, che Lord Byron chiamò
-giustamente un amore senz’ali. Ella conosceva poco
-gli uomini, anche vedendosene molti d’attorno; o
-forse il conoscerne troppi e il vederli quasi tutti
-uguali per lei, le aveva tolto di riconoscere le eccezioni.
-Perchè era bellissima e perchè glielo dicevano
-a gara, la signora Elena era giunta facilmente,
-quasi fatalmente, a non ammettere che un
-uomo potesse resistere all’incantesimo delle sue
-grazie, e ci avesse l’originalità non artificiale di
-star saldo sulla galanteria cavalleresca, rinunziando
-all’amore; infine, non sospettava nemmeno che
-vivessero uomini, i quali, stanchi dei falsi amici
-e sazii di amori violenti, si riducessero a cogliere
-presso una leggiadra e colta signora i fiori innocenti
-di una quieta amicizia. Venendo al caso concreto,
-e notando quella corte assidua che le faceva
-Aldo De Rossi, corte riguardosa nella forma, ma
-tutta impastata di dolcezze, la signora Elena aveva
-creduto che quel giovinotto fosse invaghito fieramente
-di lei, ma che appartenesse alla categoria
-degli innamorati che non parlano. C’è tanta noia
-cogli innamorati che parlano, specie quando parlano
-troppo presto, come generalmente avviene!
-Perciò la signora Elena aveva gradita quella corte
-muta, l’aveva assaporata per un anno, se n’era
-<span class="pagenum" id="Page_24">[24]</span>
-impietosita; e, senza promettere nulla a sè stessa,
-quasi senza pensarci su, era venuta al punto di
-aiutarlo a parlare, di aprirgli la bocca, come il
-papa usa coi nuovi cardinali.
-</p>
-
-<p>
-In quella vece, come sapete oramai, Aldo De
-Rossi era tutt’altro, e la sua bocca doveva aprirsi
-per dire alla signora Vezzosi ciò ch’ella non
-avrebbe amato d’intendere. Tipo curioso d’ingannatore
-senza volerlo! Pieno di delicatezza
-verso le dame, ne sentiva l’influsso benefico, ed
-anche quando il suo cuore taceva, la sua immaginazione
-si riscaldava per la più bella metà del
-genere umano. Figuratevi dunque se non dovesse
-cercarla, essendo innamorato! In tutte le donne
-egli vedeva quell’una che sapete già, quantunque
-non la conosciate ancora; e stando vicino alla
-signora Elena Vezzosi, tanto gentile e buona, gli
-pareva di sentire come un profumo di quell’altra,
-più rigorosa e più fredda, che lo aveva conquistato.
-E non vi sembri inverosimile il fatto. Generalmente,
-non si esce della compagnia di una
-orgogliosa bellezza, che per andare a far pazzie,
-a dar del capo nei muri per tutte le vie più deserte
-della città, o ad affogare il rammarico in
-una cena chiassosa. È questa la moda, e lo Sciampagna
-ed il ponce sono indicati da tutti i maestri
-del dolore elegante come ottimi condimenti
-ad una passione infelice. Aldo De Rossi, per seguire
-l’andazzo, aveva fatto anche questo; ma
-la sua indole si era presto ribellata a quel genere
-<span class="pagenum" id="Page_25">[25]</span>
-di cura, e il nostro giovinotto aveva finito
-a ritornarsene tra le dame, per far la cura omeopatica
-del <i>similia similibus</i>. Povera signora Vezzosi!
-A lei doveva toccare di portarne la pena.
-</p>
-
-<p>
-Dopo il colloquio che v’ho narrato, la bella
-signora Elena non ebbe più pace. Non già che
-si disperasse. Oibò! Ad una donna come lei non
-potevano mancare le consolazioni, e del resto il
-suo amor proprio era salvo. Ma restava una curiosità
-da soddisfare, e questo sentimento andava
-innanzi a tutti gli altri. Occorrendo, si sarebbe
-doluta poi di ciò che le era toccato con Aldo De
-Rossi; per intanto le premeva di sapere il nome
-della beltà preferita.
-</p>
-
-<p>
-— Chi sarà questa Dea? questo portento di
-bellezza, che Fidia ha sognato e che non ha saputo
-scolpire nel marmo?&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Fatta e ripetuta dentro di sè questa domanda,
-non senza giulebbarla di tutte le ironie, di tutti
-i sarcasmi che le erano suggeriti dal suo demone
-familiare, la signora Elena Vezzosi passò diligentemente
-in rassegna tutte le dame di sua conoscenza.
-Certo, fra queste doveva essere la donna
-amata con tanto calore dal signor Aldo De Rossi,
-poichè egli frequentava la medesima società in
-cui ella viveva, e in cui fino a quel giorno aveva
-creduto di regnare. Ma nessuna di quelle dame
-rispondeva al tipo, di cui, a parer suo, avrebbe
-dovuto innamorarsi il De Rossi. La signora Graziani,
-per esempio? Quanto agli occhi, non c’era
-<span class="pagenum" id="Page_26">[26]</span>
-male; anzi potevano passare per belli; ma, Dio
-buono, per invaghirsi della signora Graziani, sarebbe
-bisognato proprio avere una predilezione
-spiccata per le acciughe. La marchesa Altobelli?
-Peggio che mai; aveva i capegli rossigni, e il
-signor Aldo, mentendo al suo proprio casato,
-non amava che le brune. La signora Milani, forse?
-Ma era troppo in carne, quella là, e con le sue
-trentatrè primavere incominciava a dare nel floscio.
-La contessa Albaresi? Dei immortali, una
-sciocca, e non metteva conto parlarne. La Vernetti?
-Una secca allampanata, che faceva pena a
-guardarla. O forse la Salieri? Belloccia, in verità,
-ma d’un colore, anime sante del purgatorio, d’un
-colore così vivo, che si era sempre sul punto di
-consigliarle un salasso. E forse avrebbe fatto bene,
-ad alleggerirsi un poco, di tanto in tanto. Aveva
-anche il collo così corto! La Rivanera, poi! Ma
-era troppo piccola, e poteva contare al più al più
-su d’un madrigale del Guadagnoli. Carina, la testa;
-ma il corpo, il corpo!... Niente più lungo
-d’un raperonzolo.
-</p>
-
-<p>
-Notate, lettrici garbate, la signora Elena ragionava
-in buona fede e passava proprio in rassegna
-tutte le bellezze più famose della città. Non
-era poi colpa sua, se le accomodava tutte in salsa
-piccante. Dov’è la donna che, mettendosi a giudicare,
-non abbia trovato il neo nella bellezza di
-un’altra? Io dunque prego le signore Salieri, Vernetti,
-Albaresi, Milani, Altobelli, Graziani e via
-<span class="pagenum" id="Page_27">[27]</span>
-discorrendo, a non andare in collera per simili
-inezie. A buon conto, possono ricattarsene, pettinando
-a loro volta la signora Vezzosi. Non possono
-dire, per esempio, che ella somigliava ad
-una serpe? Il collo lungo e flessuoso lo aveva;
-la testa piccina e la fronte depressa, egualmente;
-il paragone veniva dunque da sè. I poeti, a dir
-vero, la paragonavano ad un cigno; ma i poeti,
-si sa, non dicono che bugie.
-</p>
-
-<p>
-Torniamo alle indagini della signora Vezzosi.
-Secondo lei, nessuna tra le più celebrate bellezze
-di sua conoscenza poteva esser quella che aveva
-colpita la fantasia e piagato il cuore di Aldo De
-Rossi. Ella non sapeva, o non voleva sapere, che
-gli uomini guardano le donne con occhi ben diversi
-da quelli con cui le signore donne si guardano
-tra loro, e che essi non sogliono badare a
-certe piccolezze di cui i giudici femminini fanno
-invece un gran caso. Inoltre, ella non sapeva, o
-non voleva sapere, che un diploma di bella non
-basta a comandar l’affetto, e che, per invaghirsi
-della tale, o della tal altra, un uomo non ha mestieri
-di sentirla celebrare sui tetti. Vi sono anzi
-certuni, i quali si ristuccano di queste bellezze
-tanto strombazzate e non le guardano neanche,
-parendo loro che debbano essere palloni gonfiati
-e sempre lì lì per iscoppiare. L’uomo, veramente,
-è pronto ad accendersi, come un fiammifero ad
-ogni strofinatura, e tanto più pronto quanto più
-è raffinato. Ma, comunque egli sia, credete pure,
-<span class="pagenum" id="Page_28">[28]</span>
-lettrici garbate, che egli s’innamora sempre di
-qualche cosa che le donne non avvertono neanche;
-d’una cosa da nulla, come a dire d’un atto,
-d’un gesto, d’una parola. Io ne conosco uno, il
-quale s’invaghì d’una donna, a cui non aveva pensato
-mai, solo perchè ella gli disse un giorno: — Signor
-Zeta, vi siete divertito iersera dagli Ipsilon? — La
-voce era soave, non lo nego; ma
-non l’aveva egli sentita impunemente altre volte?
-Quanto alla frase, converrete con me che non
-aveva nulla di singolare. A che cosa dobbiamo
-noi dunque attribuire l’innamoramento del mio
-amico Zeta? Forse al momento, al terribile quarto
-d’ora, in cui cadono gli uomini, le donne e gli
-imperi.
-</p>
-
-<p>
-Per fare il paio con questa brevissima istoria
-dell’amico Zeta, vi dirò che una signora s’innamorò
-d’un uomo, a lei niente più simpatico d’un
-altro, perchè egli, sedendo un giorno a tavola
-daccanto a lei, si prese l’incomodo di mescerle il
-vino nel bicchiere, quantunque ci fosse dietro la
-sedia il servitore gallonato, a cui, trattandosi di
-un pranzo magno, era serbato quel nobile ufficio.
-Il vicino di tavola ebbe, agli occhi della signora,
-il merito grande di non aver badato alle convenienze,
-ma solamente al piacere di servirla. E
-quando, passato il famoso quarto d’ora in cui cadono
-gl’imperi, gli uomini e le donne, si sentì
-confessare in che modo l’amore fosse entrato nel
-cuore della dama, il buon cavaliere pensò.... pensò,
-<span class="pagenum" id="Page_29">[29]</span>
-se permettete, che la felicità umana pende da un
-filo, e che forse un’altra dama, a cui egli avesse
-fatta più ardentemente la corte, trovandosi a giudicare
-del suo atto, avrebbe detto in cuor suo: — Ma
-quest’uomo non ha proprio uso di mondo!
-</p>
-
-<p>
-La signora Elena, intanto, cercava e non trovava.
-Evidentemente, non era sulla buona via.
-Per sapere di qual donna sia innamorato un uomo,
-non ce ne sono che due. Anzi tutto, osservarlo
-attentamente in tutte le occupazioni della sua giornata.
-Ma questa è una via lunga, e ci sono degli
-uomini così astuti, che, a tenergli dietro, ci si rimettono
-le spese. Oppure, c’è lo spediente di
-domandarne a lui. È la via più diritta, ed anche
-la più sicura, quando l’uomo ha voglia di rispondere
-in tono.
-</p>
-
-<p>
-Ora, come sapete, la signora Elena gentilissima
-gliene aveva domandato, ma senza andare
-troppo a fondo, per la prima volta; ed egli le
-aveva risposto con molta sincerità, ma anche con
-molto riserbo per ciò che risguarda la persona,
-lasciandole capire che su quel particolare non si
-sarebbe aperto di più. Restava di osservarlo. Ma
-come? La signora Vezzosi non aveva occasione
-di vedere il De Rossi vicino ad altre donne, fuorchè
-a balli e teatri: ma la stagione invernale era
-passata da oltre due mesi e una nuova occasione
-bisognava aspettarla altri sei.
-</p>
-
-<p>
-Quantunque, se pure ci fossero state le occasioni,
-non era mica facile indovinare il segreto
-<span class="pagenum" id="Page_30">[30]</span>
-del signor Aldo alle prime. Non aveva egli confessato
-candidamente che si trattava di un amore
-infelice? Un amore di questa fatta è quasi sempre
-un amore a distanza, nutrito di occhiate più
-o meno timide, che non è dato di cogliere a
-volo, con la certezza di colpire nel segno.
-</p>
-
-<p>
-Ed era un peccato che la signora Vezzosi non
-sapesse quel nome di donna, che esercitava tanto
-la sua curiosità; era proprio un peccato, perchè
-ella aveva promesso di aiutare il suo gentil provveditore.
-Lei? Sicuramente lei; sebbene dopo il
-colloquio che vi ho riferito, una lagrima di dispetto
-le avesse fatto pizzicare le palpebre.
-</p>
-
-<p>
-Aldo De Rossi non era quel bellissimo giovane
-sul cui taglio si fabbricano, da Lancillotto del Lago
-in qua, tutti gli eroi da romanzo. Era un giovane
-serio, pallido, con una gran fronte bianca, la cui
-severità appariva temperata da due ciocche di
-capegli, voltate in giù ed appiastricciate a furia di
-cosmetico secondo l’ultima moda; gli occhi grandi
-e pensosi, i baffi neri, le labbra tumide e abitualmente
-contratte; suppergiù un misto di pensatore
-e di damerino, che non mancava di attrattive
-e che certamente era fatto per destare una
-mezza curiosità. A quell’aspetto rispondeva un
-carattere chiuso, non altiero, ma inaccessibile.
-Pari a certe fortificazioni moderne, a cui bisogna
-giunger sotto, per avvedersi della difficoltà somma
-d’entrarci, Aldo De Rossi non aveva l’aria di tenere
-indietro la gente, e sapeva anche stare alle
-<span class="pagenum" id="Page_31">[31]</span>
-chiacchiere, ma senza che ai suoi interlocutori
-venisse fatto di leggergli nel cuore, più di quello
-che al giovinotto mettesse conto di lasciar leggere
-altrui.
-</p>
-
-<p>
-A farvela breve, egli apparteneva alla categoria
-dei tenebrosi; specie di sètta sociale, che non ha
-simboli, nè riti particolari, ma che pure è facile
-di distinguere. Sono uomini uguali a tutti gli
-altri nelle esteriorità del vivere; ma ci hanno
-questo di singolare, che non è mai dato di coglierli
-alla sprovveduta. Vi parlano e si lasciano
-parlare d’ogni cosa, ma non c’è verso di intravedere
-un barlume di ciò che pensano o fanno,
-poichè essi sono capaci di passare rasente al segreto
-della loro vita, senza batter le palpebre, o
-dare un altro segno di turbamento. In casa loro
-si penetra a stento, ed essi ci vanno sempre da
-soli, per non aver aria di novità quando hanno
-mestieri di cansare gl’importuni. Li vedete da
-per tutto, ma generalmente, dopo una breve apparizione,
-scappano via. Dove? Non chiedete di
-accompagnarli, perchè sarebbero capaci di accettare,
-per condurvi nel più noioso dei ritrovi, e
-farvi assistere magari ad una discussione di politica.
-La politica è l’unico argomento su cui non
-siano circospetti. Da troppo tempo è cessato il
-pericolo di manifestare le proprie opinioni sulla
-miglior forma di governo, e, non dubitate, su
-questo particolare i tenebrosi vi aprono intieramente
-l’animo loro. Essi, poi, non amano troppo
-<span class="pagenum" id="Page_32">[32]</span>
-le persone della loro medesima età; prediligono
-i vecchi, che non sono noiosi, o lo sono altrimenti,
-e che non cercano mai di ficcare il naso
-nelle faccende del prossimo. Con le donne sono
-molto cortesi; vecchie e giovani, belle e brutte,
-sono trattate da essi con una forma di galanteria
-quasi solenne, che merita loro il titolo di cavalieri
-compiti. Del resto, i loro più spiccati esemplari
-hanno per massima: «servirle tutte, non
-amarne che una.» Il servirle, s’intende, sta qui
-per ossequiarle; chè in verità i tenebrosi servono
-poco, e, passata l’ora dei soliti complimenti, se
-ne vanno pei fatti loro, si pèrdono nel buio delle
-proprie abitudini.
-</p>
-
-<p>
-Chi ha dato origine a questa efflorescenza, che
-parrà morbosa ai miei candidi lettori? La società,
-con le sue indagini curiose e con le sue ciarle
-assassine. I tenebrosi sono circospetti per ragione
-di difesa ed anche un tantino per disprezzo della
-moltitudine. Non già che siano certi di sottrarsi
-in tal modo alla curiosità, o alla maldicenza del
-prossimo; ma almeno sanno di non averci dato
-appiglio con nessuna indiscrezione. Sono giovani
-vecchi, ed esercitano per questa ragione un fascino
-bizzarro sulle donne. Anche meno favoriti dalla
-natura, sono amati più di tanti Adoni, che battono
-i marciapiedi delle strade, e si sospettano di
-loro assai più trionfi che non ne abbiano veramente
-ottenuti. Perchè, bisogna dir tutto, ci sono
-anche i falsi tenebrosi; certi sciocchi scaltriti, i
-<span class="pagenum" id="Page_33">[33]</span>
-quali con un finto riserbo giungono a far credere
-un visibilio di cose. Non parlano mai, ma si diportano
-in guisa da lasciar dubitare. E questo, pei
-falsi tenebrosi, è il gran punto.
-</p>
-
-<p>
-Aldo non apparteneva alla categoria dei falsi,
-lo avete capito. Perciò il suo segreto era sfuggito
-anche all’attenzione della signora Vezzosi, che
-potè ingannarsi fino al segno di credersi lei la
-prescelta. Se non parlava lui, con quella schiettezza
-che sapete, di certo la signora Elena non
-avrebbe saputo mai che nel cuore del giovinotto
-covasse un incendio di quella fatta.
-</p>
-
-<p>
-Dice un proverbio francese: <i>ce que femme veut
-Dieu le veut</i>. Il proverbio è galante; ma è poi
-giusto del pari? Anche non essendo francese, io
-credo di sì. La donna è stata l’ultima opera del
-Signore; e aggiungerei, se mi fosse permesso di
-far confronti, la più accurata. Ora, voi lo sapete
-tutti per quotidiana esperienza, ogni babbo ha
-sempre una certa predilezione per l’ultimo nato.
-Aspettiamo dunque che Domineddio si degni di
-appagare la curiositi della signora Vezzosi, operando
-per lei uno de’ suoi miracoli abituali, poichè
-ella non ha potuto giovarsi dei due spedienti che
-ho detti più sopra.
-</p>
-
-<p>
-Due giorni dopo il dialogo col signor Aldo De
-Rossi, era un mercoledì, giorno di visite per la
-signora Vezzosi. Giorno ufficiale, solenne, e tutto
-ciò che vorrete, poichè era destinato a ricevere
-ogni sorta di visitatori, anche i noiosi; anzi più
-<span class="pagenum" id="Page_34">[34]</span>
-specialmente questi, dell’uno e dell’altro sesso.
-Nei rimanenti sei giorni della settimana la signora
-Elena riceveva egualmente, ma senza obbligo di
-trovarsi in casa, se i suoi intimi capitavano senza
-darne l’annunzio. Generalmente era lei che invitava,
-dicendo al tale o al tal altro: — venite
-domani; avrò l’emicrania. — Il che significava
-che non sarebbe escita di casa e che si poteva
-esser sicuri di trovarla. Per contro, nel giorno
-ufficiale, nel giorno solenne, destinato al maggior
-numero, andavano a salutarla le amiche, i cavalieri
-che si contentavano di non esser soli e quelli
-che amavano di trovar compagnia; cioè a dire
-tutti quegli Alcibiadi ritinti e rimessi a nuovo,
-che, non avendo più la fortuna dei giorni riservati,
-godono il benefizio dei giorni solenni, dei
-giorni di parlatorio, col diritto annesso di veder
-sfilare tre o quattro visitatrici, senza levarsi dalla
-poltrona, o dal <i>puff</i>, di cui si sono impadroniti.
-</p>
-
-<p>
-Poveri Alcibiadi rimessi a nuovo! Come sono
-felici di poter dire la sera al <i>Club</i>: — Sono stato
-oggi dalla Bice; c’era la Ninì; poi venne la
-Fanny, poi la Violante, poi la Dumont Cadigan.
-Si è stati allegri. Un vero fuoco d’artifizio!
-Quella Dumont Cadigan è veramente una cara
-donnina.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-La signora che si chiama così, per il suo casato
-e non per il suo nome di battesimo, è una
-forastiera di alti natali, o creduti tali. Fa bene
-all’anima di conoscerla, e ai polmoni di pronunziarne
-<span class="pagenum" id="Page_35">[35]</span>
-il nome, con quello strascico di pronunzia
-che è la regola dei ben parlanti del Jockey-Club.
-In questa guisa i miei Alcibiadi rimessi a nuovo
-hanno la fortuna di conoscere l’Europa, senza
-muoversi dalla loro poltrona. Poi vanno in giro,
-come i devoti della <i>Via Crucis</i>, a raccontare al
-giovedì della Clarice, al venerdì della Cleonice, al
-sabato della Berenice, quello che hanno udito dalla
-Alice in martedì, dalla Euridice in lunedì, e da
-ogni generazione di sfaccendati in domenica.
-</p>
-
-<p>
-Alcibiadi, Alcibiadi! Voi passate gloriosamente
-sulla scena del mondo, senza aver neanche mestieri
-di tagliare la coda al vostro cane. È vero,
-per contro, che nessun Plutarco e nessun Cornelio
-Nepote scriverà la vostra vita. Consolatevi,
-per altro; sarà questo l’unico modo perchè nessuno
-ve l’abbia a leggere dietro le spalle.
-</p>
-
-<p>
-Quel mercoledì che v’ho detto, di Alcibiadi
-rimessi a nuovo ce n’erano due, nel salotto della
-signora Vezzosi. E si alternavano frattanto le visitatrici
-eleganti, baronesse, contesse, marchese,
-banchieresse, cavalieresse, e via discorrendo; tutte
-dame che stavano bene insieme, poichè si trovavano
-nella condizione sociale richiesta dal codice
-della buona compagnia. Poichè non è più vero
-oggi, come una volta, che le signore donne stiano
-in sussiego secondo i gradi dei rispettivi mariti e
-secondo i quarti della loro nobiltà. Il mondo moderno
-poggia tutto oramai sul parere. Ora, per
-parere, bisogna aver quattrini, o poterne spendere.
-<span class="pagenum" id="Page_36">[36]</span>
-Vi sembrerà tutt’uno, e non è, vi assicuro,
-non è. Se fosse questo il luogo vi farei notare la
-distinzione tra le due cose; mi basti invece di
-osservare che tutte le varietà sociali concorrono,
-quando possono brillare di luce propria o riflessa,
-allo splendore d’un ballo, d’una conversazione,
-d’un ricevimento, e chi più n’ha ne metta. Cionondimeno,
-quando la dama può metter fuori
-uno scampoletto di corona... <i>C’est très-bien porté</i>,
-come dicono i francesi, che ho citati poc’anzi.
-Laonde, se non passa sulla faccia della terra un
-altro Novantatrè, ho paura, lettori umanissimi....
-Ma perchè desiderarlo, e per così piccola cosa? I
-miei francesi sullodati osserverebbero qui che <i>le
-jeu ne vaut pas la chandelle.</i>
-</p>
-
-<p>
-Dunque, dicevamo, erano annunziati nel salotto
-della signora Elena molti titoli e nomi pomposi,
-ma erano poche le belle. La signora Vezzosi poteva
-consolarsi di non essere che commendatrice.
-So bene che questo titolo non è ammesso ancora
-dal vocabolario; ma, non temete, lo sarà.
-Al giorno d’oggi, le mogli dei ministri non fanno
-scrivere a lettere da speziali sulle valigie, sui bauli,
-sulle cappelliere, e su tutte l’altre carabattole di
-viaggio, «<i>S. E. la signora ecc., ecc.</i>»? Siamo in
-tempi di largo progresso; l’Edison manda fuori
-un’invenzione al giorno; il Tanner insegna con
-l’esempio a vivere di fumo; dunque avanti, e diciamo
-pure la commendatrice Vezzosi. Perchè
-neghereste ad un collo così leggiadro uno straccio
-<span class="pagenum" id="Page_37">[37]</span>
-di collare? Per me, gli voterei anche quello
-dell’Annunziata, a patto che il più fedele tra i
-miei lettori (siete voi, non dubitate) fosse incaricato
-dell’annunzio, e della relativa collazione.
-Dico bene?
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_38">[38]</span></p>
-
-<h2 id="cap3">III.</h2>
-</div>
-
-<p>
-— Sì, mia cara, come ho l’onore di dirti, questa
-è la mia ultima visita, per la stagione; — notò
-ad alta voce la signora Margherita Corniani,
-perchè la sentissero bene tutte le persone che
-erano, quel mercoledì, nel salotto della signora
-Vezzosi.
-</p>
-
-<p>
-Margherita Corniani, moglie al banchiere di
-questo nome, era una signora lunga come le mie
-speranze e smilza in ogni sua parte, più che non
-comportasse l’euritmìa, tranne nel naso, che aveva
-l’onesta persuasione di far compenso alla pochezza
-del resto. Era nata baronessa e portava
-l’analogo cerchietto d’oro, attorcigliato di perle,
-sul suo biglietto di visita. Così la baronia dei Martoli,
-dond’ella nasceva, era tacitamente passata nei
-Corniani, e la servitù di casa, per non isbagliare,
-chiamava barone anche il marito della signora.
-Alla qual gentilezza il banchiere si prestava con
-<span class="pagenum" id="Page_39">[39]</span>
-molta compiacenza, salvandosi dal ridicolo in faccia
-agli amici con questa dichiarazione modesta: — Io
-vivo all’ombra di mia moglie. — E la cosa
-poteva passare, tanto nel proprio quanto nel figurato,
-poichè la signora era lunga come l’indice
-d’una meridiana, ed egli corto e tondo come una
-trottola.
-</p>
-
-<p>
-Del resto, se la baronessa Corniani non era
-bella, poteva annoverarsi tra le signore più eleganti
-della città. Metteva fuori una nuova abbigliatura
-ad ogni settimana; il che torna a cinquantadue
-per anno. Grande conforto per il mezzo
-barone, a cui tutti facevano complimenti per il
-buon gusto della sua dolce ed allampanata compagna.
-</p>
-
-<p>
-— Tu dunque ci lasci? — chiese la signora
-Vezzosi. — Così presto?
-</p>
-
-<p>
-— Sì, che vuoi? Debbo andare a Parigi, per
-rinnovare il mio vestiario. Anzi, ho già tardato
-fin troppo, e corro il rischio di prendere gli
-avanzi. È vero che Wörth non mi tratta più
-come la prima venuta; — si affrettò a soggiungere
-la signora Margherita, con un sorrisetto di
-soddisfazione, a cui il naso rispose con espansione
-paterna. — Intanto, passerò il solito mesetto a
-Parigi, e poi tornerò, ma per andar subito alle
-acque.
-</p>
-
-<p>
-— Ti dài bel tempo? — osservò gentilmente
-la signora Vezzosi.
-</p>
-
-<p>
-— Mio Dio, sì. Non ti par giusto, dopo un
-<span class="pagenum" id="Page_40">[40]</span>
-inverno così noioso? È vero che tu non te ne
-sei avveduta. Sei rimasta così in disparte! A proposito,
-e perchè?
-</p>
-
-<p>
-— Sai, Margherita, non si ha sempre voglia di
-divertirsi. Del resto, dobbiamo fuggire il mondo
-prima che il mondo fugga noi.
-</p>
-
-<p>
-— Lo dici perchè non ne credi un ette; — replicò
-la signora Margherita. — Che ne dite voi,
-signori, di questa modestia della nostra bellissima
-Elena? — soggiunse, volgendosi ai due Alcibiadi. — Mostrate
-alle dame che l’antica galanteria non
-è spenta.
-</p>
-
-<p>
-— Noi ascoltavamo in un religioso silenzio; — rispose
-Alcibiade primo. — È così dolce e così
-nuovo vedere una grande modestia accoppiata ad
-una grande bellezza!
-</p>
-
-<p>
-— Ah, meno male! — esclamò la signora Margherita.
-</p>
-
-<p>
-— E poi, — aggiunse Alcibiade secondo, — da
-lunga pezza la signora Elena lo sa, che dipende
-solamente da lei di farci combattere un’altra
-guerra per dieci anni.
-</p>
-
-<p>
-— No, per carità! — gridò la signora Vezzosi. — Avrei
-troppa paura del cavallo di legno.
-</p>
-
-<p>
-— A buon conto, ti sei quasi ecclissata, quest’inverno; — entrò
-a dire la signora Bertini, una brunetta
-bofficiona, ma non inelegante, che fino allora
-era stata a sentire le chiacchiere della baronessa.
-</p>
-
-<p>
-— Che vuoi? — ripigliò la Vezzosi. — Parliamo
-sul serio. Gerardo era così cagionevole di
-<span class="pagenum" id="Page_41">[41]</span>
-salute! Si può dire che è stato più a letto, tra
-gennaio e aprile, che non per le strade. I nostri
-signori uomini non ci sposano forse perchè facciamo
-l’infermiera? — soggiunse la signora Elena,
-con un placido riso. — Del resto, ho fatto volentieri
-il sacrificio. Gerardo è così buono con me!
-</p>
-
-<p>
-— Bugiarda! — pensò la Margherita. — Come
-se non si sapesse che ci ha avuto qui tutti i
-giorni il De Rossi! — Hai fatto bene; — proseguì
-poscia ad alta voce. — Ma speriamo che ti ricatterai
-della tua reclusione in estate. Dove vai quest’anno?
-Io andrò a Recoaro. Ci va la regina, e
-Recoaro sarà la <i>great attraction</i> della stagione.
-</p>
-
-<p>
-— Ma... — fece la signora Vezzosi, tentennando
-la testa — Gerardo avrebbe desiderio di andare
-a Courmayeur. Egli soffre tanto del caldo!
-</p>
-
-<p>
-— Io — disse la Bertini — andrò a Livorno.
-È il gran <i>chic</i>, e tutti mi raccontano che l’anno
-scorso si sono divertiti un mondo.
-</p>
-
-<p>
-— Ma, signore mie... — entrò a dire uno degli
-Alcibiadi. — Non si direbbe, a sentirle....
-</p>
-
-<p>
-— Che cosa? — domandò la signora Margherita.
-</p>
-
-<p>
-— Che i medici non c’entrano più per nulla
-nell’ordinare le acque. Una volta si andava in un
-luogo piuttosto che in un altro, secondo i bisogni
-della salute... secondo le malattie....
-</p>
-
-<p>
-— Bravo! — gridò la signora Margherita. — E
-voi credete alle malattie?
-</p>
-
-<p>
-— Ahimè, da qualche anno! — rispose l’Alcibiade,
-<span class="pagenum" id="Page_42">[42]</span>
-contrito. — Io credo, per esempio, ai
-reumi, e vado a Casciana.
-</p>
-
-<p>
-— Vi raccomando le zanzare; — disse l’altro
-Alcibiade. — Io andrò a Monsummano.
-</p>
-
-<p>
-— A Monsummano! E perchè? Sareste sordo,
-per avventura? — domandò la signora Margherita,
-che per quel giorno dava la battuta in orchestra.
-</p>
-
-<p>
-— Non come voi, baronessa; — replicò l’Alcibiade
-secondo, torcendo amabilmente il collo.
-</p>
-
-<p>
-La signora Margherita aperse le labbra ad un
-sorriso e il naso ad una delle solite espansioni
-concomitanti.
-</p>
-
-<p>
-— Questo m’ha l’aria di un complimento: — diss’ella.
-</p>
-
-<p>
-— Il cavaliere Sestavalle è sempre galante; — notò
-cortesemente la padrona di casa.
-</p>
-
-<p>
-— Vecchia scuola, signora mia, vecchia scuola! — disse
-l’Alcibiade, ridendo.
-</p>
-
-<p>
-— È la buona; — si degnò di soggiungere la
-baronessa.
-</p>
-
-<p>
-In quel mentre fu annunziata la visita del contino
-Anselmi; un capo scarico, un matto grazioso,
-che passava la sua vita in società come una farfalla
-tra i fiori, aliando un po’ a destra, un po’ a
-manca, seminando da per tutto il suo spirito facile
-e la sua filosofia leggiera; l’unica che sia sopportabile
-in questo mondo, già così pieno di sopraccapi,
-grattacapi ed altri simili rompicapi.
-</p>
-
-<p>
-Ossequiata la padrona di casa, fatta riverenza
-<span class="pagenum" id="Page_43">[43]</span>
-alle visitatrici e stretta la mano ai due Alcibiadi,
-il contino Anselmi piantò la fida lente nell’occhiaia
-destra, il gomito sinistro sulla spalliera di un seggiolone,
-e così prese a parlare:
-</p>
-
-<p>
-— La seduta è aperta. Anzi, lo era già e non
-occorre più dichiararla tale. Di che parlavano le
-signore? Ed è permesso ad un nuovo venuto di
-dire la sua?
-</p>
-
-<p>
-— Prima di tutto, Anselmi, ci direte tutte le
-notizie della città; — rispose la signora Vezzosi.
-</p>
-
-<p>
-— Volontieri, ed anche della campagna; — ripigliò
-l’Anselmi, inchinandosi. — Ieri un terribile
-uragano, non preveduto dall’uffizio meteorologico
-del <i>New York Herald</i>....
-</p>
-
-<p>
-— Ma voi incominciate proprio dalla campagna; — notò
-ridendo la signora Elena.
-</p>
-
-<p>
-— È vero; rientro subito in città. La Camera
-di Commercio, nella sua seduta dell’altro ieri...
-dovendo rispondere ad analoga domanda del signor
-ministro d’agricoltura, industria e commercio....
-Ma che, signore mie? Non credono neanche
-conveniente d’interrompermi? Badino bene, io
-non so davvero che cosa abbia deliberato la Camera,
-e in un caso disperato come questo sono capace
-di tutto... anche d’inventare la deliberazione.
-</p>
-
-<p>
-— E la domanda del ministro; — soggiunse
-la signora Elena.
-</p>
-
-<p>
-— Si capisce. Tanto, egli non protesterà. I ministri
-ne firmano tante, di carte, senza pigliarsi il
-fastidio di leggerle!
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_44">[44]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Insomma, voi non sapete nulla, Anselmi?
-</p>
-
-<p>
-— Come voi dite, donna Elena. Sono nel caso
-di sant’Agostino. So questo soltanto, che non so
-nulla di nulla. Prego adunque le signore di riprendere
-la loro conversazione al punto in cui
-l’avevano lasciata.
-</p>
-
-<p>
-— Si parlava di bagnature e d’acque termali; — disse
-la signora Vezzosi.
-</p>
-
-<p>
-— Argomento di stagione; staremo freschi; — notò
-il contino Anselmi, felice d’aver colto in aria
-un bisticcio.
-</p>
-
-<p>
-— Sicuramente, e ci contiamo su; — rispose
-la signora Vezzosi.
-</p>
-
-<p>
-— Ah! partite anche voi, donna Elena? Ecco
-una notizia.
-</p>
-
-<p>
-— Che non avevate voi, Anselmi! Ma già,
-siete così a secco, quest’oggi, che bisognerà darne
-a voi.
-</p>
-
-<p>
-— Date sempre; i poveri vi benediranno. Io,
-del resto, non avendo notizie, farò i commenti su
-quelle degli altri. E dove andrete, se è lecito saperlo?
-</p>
-
-<p>
-— Non è ancora deciso; ma credo a Courmayeur.
-Gerardo ne ha già parlato tre volte, citando
-i nomi de’ suoi amici che andranno lassù.
-</p>
-
-<p>
-— Viaggio disastroso, — osservò il contino
-Anselmi. — Cretini in Val d’Aosta; valanghe più
-su; continuo pericolo di ribaltare.... Viaggio disastroso!
-Viaggio terribile! sconsiglierò il mio amico
-Gerardo.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_45">[45]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Farete un’opera inutile; — rispose la signora
-Vezzosi. — Gerardo ha cinque o sei amici
-che vanno a Courmayeur; tutti uomini politici....
-</p>
-
-<p>
-— Ah! — esclamò Anselmi. — Non resteranno
-dunque tutti nella valle, i....
-</p>
-
-<p>
-— Via! — interruppe la signora Vezzosi, che
-vedeva già tornare in ballo i cretini. — Un po’
-di carità per gli uomini politici!
-</p>
-
-<p>
-— Che vi seccheranno, donna Elena, ve lo prometto
-io, vi seccheranno.
-</p>
-
-<p>
-— Ci vorrà pazienza; — replicò la signora Vezzosi,
-simulando un sospiro. — Gli uomini hanno
-tutti il loro cavalluccio di legno, come dicono gli
-inglesi. E chi è senza peccato scagli la prima pietra.
-</p>
-
-<p>
-— Oh, la scaglio io, la scaglio io; — gridò
-l’Anselmi. — Degli otto peccati capitali, proprio
-questo mi manca.
-</p>
-
-<p>
-— È curiosa, per altro; — ripigliò la signora
-Elena, cercando di ravviare la conversazione. — Si
-suol dire: tre italiani, tre opinioni diverse. Ora
-eccoci qui tre italiane, tre amiche, e nessuna di
-noi andrà dove va l’altra. Io forse a Courmayeur;
-Margherita a Recoaro e l’Amalia a Livorno.
-</p>
-
-<p>
-— <i>Variata placent</i>; — disse l’Alcibiade primo. — Del
-resto, io ne conosco due che andranno
-insieme, l’Altobelli e la Salieri, a Venezia.
-</p>
-
-<p>
-— Le due rosse! — esclamò la baronessa.
-</p>
-
-<p>
-— Sicuro, bene osservato! — entrò a dire l’Alcibiade
-secondo. — Una rossa di capegli e l’altra
-di carnagione.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_46">[46]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Si capisce allora perchè vadano ambedue a
-Venezia — notò gravemente l’Anselmi.
-</p>
-
-<p>
-— Sentiamo il perchè; — disse la signora Vezzosi. — Ma
-vi avverto, Anselmi; non vogliamo
-bottate. Si tratta di due amiche.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Il contino Anselmi chinò la testa, con aria di
-contrizione.
-</p>
-
-<p>
-— Allora non parlo più; — diss’egli. — Se
-le mie oneste intenzioni sono così neramente sospettate....
-</p>
-
-<p>
-— Via, lascialo dire, povero Anselmi! — mormorò
-la baronessa, con accento di preghiera. — Se
-no, è capace di morirne.
-</p>
-
-<p>
-— Margherita intercede per voi; — riprese la
-signora Vezzosi. — Parlate, Anselmi. Se sarà
-troppo forte, fingeremo di non avere udito nulla.
-</p>
-
-<p>
-— Di male in peggio! — gridò il contino Anselmi,
-con accento di comica disperazione. — E
-voi credete proprio, Donna Elena, che io voglia
-dire delle cose assai gravi? Venezia è stata famosa
-un tempo nell’arte per una scuola di coloristi insigni;
-che ci sarebbe di male se le nostre due
-dame più colorite andassero colà, a rinfrescare le
-tradizioni della scuola? Eccovi tutto quello che io
-ci avevo da dire.
-</p>
-
-<p>
-— Proprio tutto? Nient’altro che questo? — domandò
-la baronessa, con aria d’incredulità, mista
-ad un pochino di disillusione.
-</p>
-
-<p>
-— Nient’altro che questo; lo giuro ai Numi! — rispose
-il contino Anselmi. — Ma già, capisco;
-<span class="pagenum" id="Page_47">[47]</span>
-questa è la sorte che tocca a tutti gli oratori, che
-hanno lasciato sperar molto di sè.
-</p>
-
-<p>
-— Sperare! È un po’ troppo. Noi temevamo; — osservò
-la signora Vezzosi.
-</p>
-
-<p>
-— Risposta arguta, e m’inchino al vostro spirito,
-Donna Elena; — replicò il contino. — Con
-voi non c’è modo di collocare una malignità.
-</p>
-
-<p>
-— E che dite, signor conte, della Milani, che
-va invece a Tabiano? — chiese a sua volta la signora
-Amalia Bertini.
-</p>
-
-<p>
-— Che ne so io, signora? Ci andrà per dimagrare.
-</p>
-
-<p>
-— E della Vernetti, che va in Engadina?
-</p>
-
-<p>
-— Ma!.... Forse per ingrassare, con la cura del
-latte. Non credete voi che ciò le farà bene?
-</p>
-
-<p>
-— Se ne vanno tutte! — esclamò Alcibiade
-primo. — È dunque una diserzione generale?
-</p>
-
-<p>
-— È la moda, cavaliere, è la moda. Bisogna
-pure farsi ordinare qualche cosa dal medico, per
-ordinare qualche cosa alla sarta. Si va alle acque
-con una sola ricetta, che si dimentica magari alla
-prima stazione; ma con una dozzina di bauli e di
-casse, da disgradarne una prima attrice. Non è
-così, mie belle signore? Abbigliatura di mattina,
-abbigliatura di pomeriggio, abbigliatura di sera;
-cangiare tutti i giorni, ripartire quando si è veduto
-il fondo alle casse; ecco il modo di andare
-alle acque e di ritrarne vantaggio. Perdonate, signora,
-io scherzo. La cura si fa e riesce utilissima...
-a noi uomini, per cui queste cose si fanno.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_48">[48]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Ah, se credete che si facciano proprio per
-voi! — esclamò la signora Vezzosi, minacciando
-il contino Anselmi col suo ventaglio cinese.
-</p>
-
-<p>
-— Sicuramente, dico per noi. Che volete, che
-sia per le amiche? Ma questo non sarebbe il
-modo di curarle, bensì di farle morire d’invidia.
-Non è vero, baronessa? Lo domando a voi, che
-siete annoverata meritamente tra le stelle più
-brillanti del nostro firmamento.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-La baronessa rispose al complimento con un
-risolino delle sue labbra sottili e con l’analoga
-espansione del vicino di sopra.
-</p>
-
-<p>
-— Ma dite, e la Rivanera? — esclamò la signora
-Amalia. — Avevamo dimenticata la Rivanera.
-</p>
-
-<p>
-— La divina Rivanera! — disse l’Anselmi, con
-un accento che fece alzare la testa alla signora
-Vezzosi.
-</p>
-
-<p>
-— Parlate sul serio, Anselmi? Vi pare proprio
-divina?
-</p>
-
-<p>
-— Signora sì, mi pare; e credo per giunta che
-lo sia.
-</p>
-
-<p>
-— Infatti, è carina; — ripigliò la signora Vezzosi. — Una
-bella testa!
-</p>
-
-<p>
-— Peccato che non sia un palmo più alta! — soggiunse
-la baronessa.
-</p>
-
-<p>
-— Pazienza, Donna Margherita, pazienza! — replicò
-il contino Anselmi. — Non tutte hanno
-la vostra bella ed elegante persona. Del resto, la
-Rivanera non è piccola. Vi ricordate della fiera di
-beneficenza dell’altro anno? C’era il bilico, come
-<span class="pagenum" id="Page_49">[49]</span>
-all’ufficio del dazio, e il metro, come nei consigli
-di leva. Ci si è pesati tutti quanti e misurati,
-a vantaggio dei poveri. La Rivanera pesa cinquantanove
-chilogrammi e misura un metro e
-sessantadue, salvo errore, ma sempre più di quel
-che ci vuole per assicurare un bersagliere alla
-patria.
-</p>
-
-<p>
-— Del resto, tanto carina! — ripetè la signora
-Vezzosi.
-</p>
-
-<p>
-— Sì, Donna Elena, è questa l’opinione di
-molti.
-</p>
-
-<p>
-— Tutti innamorati, s’intende; — notò la baronessa,
-con accento agrodolce. — Stiamo a vedere
-che glieli regalate tutti! Siete così maliziosi,
-voi altri!
-</p>
-
-<p>
-— Adagio, baronessa, vi prego. Non mi fate
-parlare prima che io abbia aperto bocca. Volevo
-dire per l’appunto il contrario. La signora Camilla
-è Rivanera di casato, ma si potrebbe chiamare
-più giustamente Riva alta.
-</p>
-
-<p>
-— Già, — disse la baronessa, — un metro e
-sessantadue, salvo errore!
-</p>
-
-<p>
-— Certo, non è più alta di così; ma gli adoratori
-ci han fatto mala prova ugualmente. Io,
-per esempio, ne conosco uno che ci ha fatto un
-fiasco piramidale.
-</p>
-
-<p>
-— Lo conoscete, Anselmi? Intimamente? — domandò
-la signora Vezzosi.
-</p>
-
-<p>
-— Ve lo dica il sospiro che mi prorompe dall’imo
-petto! — rispose il contino.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_50">[50]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Ah, povero Anselmi! Povero Anselmi! E
-voi certamente vi facevate innanzi con le migliori
-intenzioni del mondo.
-</p>
-
-<p>
-— Sfido io! Una vedova a ventitrè anni! Si
-va innanzi, pesciolini fidenti, sperando sempre che
-la bella pescatrice abbia una rete in mano e che
-voglia servirsene.
-</p>
-
-<p>
-— L’avevate giudicata male; — replicò la signora
-Vezzosi. — Camilla è molto fiera. Non
-vuol questo, perchè è troppo ricco; non vuol
-quello, perchè lo è troppo meno di lei; non vuole
-quell’altro, perchè manca d’idealità.... È la sua
-frase.
-</p>
-
-<p>
-— Sarei curioso di sapere in che categoria ha
-messo me; — disse l’Anselmi pensoso.
-</p>
-
-<p>
-— Probabilmente nell’ultima; — rispose la signora
-Elena, dandogli gentilmente la baia. — Non
-ve ne siete accorto, che mancate d’idealità?
-</p>
-
-<p>
-— Voi mi direte quel che vorrete, Donna
-Elena; ma io non andrò in collera; — disse di
-rimando l’Anselmi. — Vi proverò in questo modo
-che, se manco d’idealità, son sempre l’ideale degli
-uomini di buona pasta.
-</p>
-
-<p>
-— Intanto che voi distillate il vostro spirito, — entrò
-a dire la Bertini, — noi non sappiamo
-dove andrà quest’anno la Rivanera. Un innamorato
-come voi dovrebbe pure saperlo.
-</p>
-
-<p>
-— Signora mia, sono un innamorato respinto,
-andato a male, vi prego di rammentarlo. Che
-cosa volete che io sappia? Di sicuro, una dama
-<span class="pagenum" id="Page_51">[51]</span>
-così piena d’idealità non può andare che in un
-luogo molto elevato.
-</p>
-
-<p>
-— Al Monte Generoso; — suggerì Alcibiade
-secondo.
-</p>
-
-<p>
-— O sul Davalagiri; — soggiunse l’Anselmi.
-</p>
-
-<p>
-— Il Davalagiri! — esclamò la baronessa. — Che
-stazione di bagni è questa mai?
-</p>
-
-<p>
-— Non è una stazione di bagni, Donna Margherita.
-Non ci si fa altro che la cura dell’aria
-rarefatta. Il luogo è in India, sulla catena dell’Imalaia,
-ad ottomila metri sul livello del mare.
-</p>
-
-<p>
-— Sempre lo stesso capo ameno! — disse la
-signora Bertini.
-</p>
-
-<p>
-— Del resto, — ripigliò l’Anselmi, — la Rivanera
-andrà dov’è andata l’anno scorso. <i>Qui a
-bu boira</i>, dice il proverbio francese. Ed essa berrà
-le acque di Montecatini; o, per dire più esattamente,
-le berrà lo zio, presidente e gran croce.
-Le acque del Tettuccio sono acque eminentemente
-politiche, amministrative e giudiziarie, come il mal
-di fegato che hanno la fama di guarire. A proposito,
-Donna Elena, perchè non raccomanderemo
-le acque del Tettuccio al mio amico Gerardo?
-</p>
-
-<p>
-— Per carità, non ne fate nulla. Volete mandarmi
-a morire dal caldo in Val di Nievole. Meglio
-centomila volte Courmayeur, con le valanghe,
-le ribaltature e i cretini, di cui mi parlavate poc’anzi.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Il contino Anselmi stava per rispondere qualche
-altra spiritosità delle solite; ma gli furono
-<span class="pagenum" id="Page_52">[52]</span>
-mozzate le parole in bocca da un atto della baronessa,
-che accennava di volersene andare.
-</p>
-
-<p>
-— Dunque addio, la mia bella e cara Elena; — diss’ella,
-abbracciando l’amica e mettendole
-il naso sulla guancia. — O piuttosto, a rivederci
-in novembre.
-</p>
-
-<p>
-— E tu, bada a non dimenticarti di noi, a Parigi.
-Voglio sperare che, se avrai un ritaglio di tempo...
-</p>
-
-<p>
-— Non dubitare, avrai mie notizie. E anch’io
-spero di avere le tue.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Un nuovo bacio e sonoro chiuse il dialogo
-delle due svisceratissime amiche.
-</p>
-
-<p>
-Anselmi aspettava la baronessa al varco.
-</p>
-
-<p>
-— Donna Margherita, — le bisbigliò, inchinandosi,
-con aria di devozione, — e per me niente?
-</p>
-
-<p>
-— No, — rispose la baronessa, — voi mancate....
-d’idealità.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-L’Anselmi non si commosse punto di quella
-bottata.
-</p>
-
-<p>
-— Diamine! — esclamò, stringendosi nelle
-spalle; — ve ne importa proprio, della idealità?
-E per che farne?&#160;—
-</p>
-
-<p>
-La baronessa gli rispose con un mezzo sorriso;
-segno che non gradiva intieramente lo scherzo.
-Perciò al moto delle labbra non si accompagnò
-quella volta l’espansione del vicino di sopra.
-</p>
-
-<p>
-Il contino Anselmo ritornò alla conversazione,
-molto contento di sè. Si contentava di poco, in
-verità. Ma la sua fama di bell’umore si rassodava
-sempre più, e un uomo può credere di aver
-<span class="pagenum" id="Page_53">[53]</span>
-tutto, quando, insieme con la gioventù, la bellezza
-e i quattrini, è sicuro di avere anche la gloria.
-</p>
-
-<p>
-Anch’egli era sul punto di prender commiato;
-ma la signora Elena, nell’atto di rimettersi a sedere,
-e approfittando di un discorso impegnato
-tra la signora Bertini e i due Alcibiadi, trovò il
-modo di bisbigliargli, dietro la seta del suo ventaglio
-cinese:
-</p>
-
-<p>
-— Restate, ve ne prego.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Ad onore del contino Anselmi e della sua filosofia
-leggera, debbo dire che egli non insuperbì
-punto punto di quell’invito confidenziale.
-Tra lui e la signora Elena non erano mai corse
-parole infiammate, e nemmeno galanti, oltre il limite
-d’uno scherzo. Ne avrebbe dette sicuramente,
-se avesse potuto sperare di non dirle invano; ma,
-anche veduto di buon occhio dalla signora Vezzosi,
-il contino aveva capito che quell’occhio non
-toglieva ispirazione dal cuore. In genere, le dame
-non prendevano il contino Anselmi sul serio. Egli
-era diventato lo schiavo del proprio spirito, come
-un antico doge di Venezia della propria dignità.
-Era condannato ad esser leggiero e ad esser trattato
-come tale. Per compenso, gli erano lecite
-tutte le bizzarrìe possibili e tutte le scappate immaginabili.
-Da principio, questa condizione gli
-aveva dato un po’ noia, ed egli si era proposto di
-diventare un uomo serio e noioso come tutti gli
-altri; ma andate a dirla con la natura! La lingua
-era pronta e non sapeva stare alle mosse. Il contino
-<span class="pagenum" id="Page_54">[54]</span>
-Anselmi era andato avanti per la sua strada,
-si era adattato alle miserie della propria grandezza.
-Si rideva delle sue dichiarazioni, quando s’arrisicava
-a farne; e allora lui le voltava prontamente
-in celia, si ricattava con le arguzie, e aveva il
-gusto di sentirsi dire da tutte: che spirito, quell’Anselmi!
-che spirito! Aggiungete che lo cercavano
-da per tutto, lo volevano in ogni luogo,
-dame, cavalieri, ufficiali e commendatori. E questo
-è come dirvi che era ben veduto anche dai
-signori mariti.
-</p>
-
-<p>
-Or dunque, vi ho narrato come l’Anselmi non
-insuperbisse dell’invito. Restava a lui di dare una
-pubblica ragione della sua persistenza a restare,
-anche oltre i termini d’una visita, e sopra tutto
-di mandar via gli altri visitatori, che, dopo l’invito
-della signora Elena, gli dovevano parere altrettanti
-importuni.
-</p>
-
-<p>
-— Mi permettete. Donna Elena, di farvi la guerra? — diss’egli,
-dopo alcuni minuti di chiacchiere.
-</p>
-
-<p>
-— La guerra a me? — esclamò la signora
-Vezzosi. — E in che modo?
-</p>
-
-<p>
-— Ecco qua; persuaderò Gerardo a cangiare il
-suo itinerario. Appena torna a casa, ve lo riduco
-io come va. Non più Courmayeur; Montecatini,
-vuol essere.
-</p>
-
-<p>
-— Sarebbe il caso di mandarvi via subito; — replicò
-la signora Vezzosi. — Ma questo non sarebbe
-di buona guerra, ed io voglio darvi la prova
-che non potete nulla su di lui.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_55">[55]</span></p>
-
-<h2 id="cap4">IV.</h2>
-</div>
-
-<p>
-Erano le cinque del pomeriggio, quando l’ultimo
-degli Alcibiadi si alzò dalla poltrona e prese
-commiato dalla signora Elena. In casa Vezzosi era
-costume di pranzare alle sei e il commendatore
-Gerardo soleva capitare per l’appunto all’ora di
-tavola. I nostri due personaggi avevano dunque
-un’ora di tempo, per chiacchierare a lor posta. Ma
-la signora Elena non aveva neanche bisogno di
-tanto.
-</p>
-
-<p>
-Rimasto solo con lei, il contino Anselmi prese
-posto su d’una poltroncina accanto al sofà, si rizzò
-ossequiosamente sulla vita, allungò il collo verso
-di lei e le disse:
-</p>
-
-<p>
-— Donna Elena, eccomi qua. Che comandi avete
-da darmi?
-</p>
-
-<p>
-— Nessun comando; — rispose la signora Vezzosi. — Mettete
-che io v’abbia trattenuto per farvi
-far penitenza di tante chiacchiere e di tante mormorazioni.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_56">[56]</span>
-</p>
-
-<p>
-L’Anselmi fece una mossa che voleva dire: non
-ne credo una maledetta. Ma intanto rispondeva,
-con la solita galanteria:
-</p>
-
-<p>
-— Dolce penitenza ad un grosso peccato. Vi
-avverto, Donna Elena, che peccherò molto e
-spesso.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Credete, lettori, che si sdrucciolasse finalmente
-nel tenero? Disingannatevi; quella era galanteria
-dozzinale, semplice maniera di discorrere. Del
-resto, la signora Elena non fece caso del complimento,
-e rannicchiatasi contro la spalliera del
-sofà, mentre aveva l’aria di guardare le figurine
-del suo ventaglio cinese, così disse brevemente
-all’Anselmi:
-</p>
-
-<p>
-— Conoscete Aldo De Rossi?
-</p>
-
-<p>
-Il contino trasse indietro il collo, anzi il busto
-senz’altro, e guardò trasognato la sua bella vicina.
-</p>
-
-<p>
-— Donna Elena, — le disse, dopo un istante
-di pausa, — voi mi parlate ora come parlò un
-giorno Domineddio al Diavolo, «Conosci tu il
-mio servo Giobbe?» Sì, signora, vi risponderò io,
-lo conosco. E voi?
-</p>
-
-<p>
-— Finiamola, con le vostre scioccherie! — replicò
-ella stizzita.
-</p>
-
-<p>
-— Ma, signora... — ribattè l’implacabile Anselmi. — Non
-lo avete indovinato? Gli è per buscarmi
-da voi un’altra penitenza.
-</p>
-
-<p>
-— Voi sapete pure che non c’è nulla di nulla; — continuò
-la signora Vezzosi, senza por mente
-alla risposta.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_57">[57]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Che fretta, Donna Elena, che fretta! Io non
-avevo ancora toccato il tasto delicato.
-</p>
-
-<p>
-— Perciò bisognava fermarvi al primo cenno,
-al primo sospetto di un vostro giudizio temerario.
-Con voi è necessario difendersi prima di essere
-attaccati, e mettere a dirittura i puntini sugli i.
-Di grazia, Anselmi, se ci fosse qualche cosa, vi
-avrei io trattenuto qua, per parlarvi di lui?
-</p>
-
-<p>
-— Eh! — rispose il contino, crollando la testa. — Potrebbe
-anche essere una finezza di seconda
-intenzione. Ci sono delle donne così astute! Del
-resto, non negherete che Aldo vi fa la corte.
-</p>
-
-<p>
-— A me?
-</p>
-
-<p>
-— Sì, una corte spietata. È sempre qui, e mi
-meraviglio che non ci sia stato anche oggi. Infine,
-non va a vedere le altre dame della città così
-spesso come viene da voi.
-</p>
-
-<p>
-— Apparenze! — rispose la signora Vezzosi. — Le
-apparenze ingannano.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-E perchè il contino Anselmi seguitava a tentennare
-il capo, la signora Elena aggiunse:
-</p>
-
-<p>
-— Non mi credete? Vi dò la mia parola di
-onore.
-</p>
-
-<p>
-— Quand’è così, — disse l’Anselmi, «lasciando
-l’atto di cotanto uffizio,» — non oso più contraddirvi.
-La vostra parola d’onore mi rende l’uomo
-più serio della cristianità. Parlate, signora.
-</p>
-
-<p>
-— Desidero sapere una cosa da voi; — ripigliò
-essa.
-</p>
-
-<p>
-— Intorno al De Rossi?
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_58">[58]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Intorno a lui.
-</p>
-
-<p>
-— L’ho poco in pratica, Donna Elena. Ma infine,
-se le mie poche cognizioni possono servirvi
-in qualche modo, son qua.
-</p>
-
-<p>
-— Si tratta d’una cosa da nulla; — proseguì
-la signora; — d’una cosa che si nasconde male
-fra tanti uomini, tutti intenti a scoprire i segreti
-dei loro amici e rivali. Insomma, desidero sapere
-da voi di che donna è innamorato il signor De
-Rossi.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Il contino Anselmi diede un sobbalzo sulla poltrona.
-</p>
-
-<p>
-— Nientemeno! — esclamò. — E sono io che
-devo... siete voi che volete....
-</p>
-
-<p>
-— Badate, — osservò la signora Vezzosi, — ora
-siete sul punto di passare per un povero di
-spirito.
-</p>
-
-<p>
-— È vero, è vero! — gridò l’Anselmi, cercando
-di rimettersi in sella. — Ma vedete, signora;
-la cosa, quando non ci sto attento, mi
-accade così spesso! È la natura mia; ero nato
-imbecille. Ma facciamo di rialzarci un pochino agli
-occhi vostri. Vi risponderò con tutta sincerità che
-io non tengo dietro al signor Aldo De Rossi.
-Non mi è mai capitato di osservarlo, tranne in
-casa vostra. E poichè credevo che fosse innamorato
-di voi....
-</p>
-
-<p>
-— Ab, già, dimenticavo quest’altra invenzione, — disse
-la signora Elena. — Ma io vi ho detto,
-e voi lo crederete, spero, che egli non è innamorato
-<span class="pagenum" id="Page_59">[59]</span>
-di me, e che io non sono innamorata
-di lui. Gli sono amica, ecco tutto; e sono curiosa....
-</p>
-
-<p>
-— Ecco il resto; — aggiunse il contino Anselmi,
-che non sapeva rinunziare al gusto di collocare
-un’arguzia.
-</p>
-
-<p>
-— Certamente, ecco il resto; — ripigliò la signora,
-ridendo a suo malgrado. — E siccome ho
-gran timore che il signor Aldo De Rossi sia invaghito
-di qualche sciocca....
-</p>
-
-<p>
-— Che ve ne importa, Donna Elena? — interruppe
-l’Anselmi. — Per solito, la donna che
-piace non è mai sciocca; anzi, sarei per dire che
-è un Pico della Mirandola in gonnella, se non temessi
-di lasciar credere che è sapiente e noiosa
-per giunta.
-</p>
-
-<p>
-— Come voi, adesso, non è vero? — ribattè
-la signora Vezzosi. — State a sentire. Anselmi, e
-vi spiegherò tutto, dall’a fino alla zeta. C’è una
-bellissima fanciulla, che ama il signor De Rossi.
-Io conosco i segreti di quel giovine cuore e i tesori
-della sua anima innocente. È ben detto, così?
-Dunque, come intenderete, speravo un matrimonio,
-che avrebbe fatto molto piacere ad una famiglia,
-che è in strettissima relazione con Gerardo
-e con me. Non andate a indagare, ve ne prego;
-non sono segreti da farne argomento di chiacchiere
-e di mormorazioni, sul genere delle vostre.
-Vi ho data una prova di stima, accennandovi semplicemente
-la cosa; siatene degno.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_60">[60]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Ne sarò degno; — rispose contrito l’Anselmi.
-</p>
-
-<p>
-— Dunque, state a sentire. Sarebbe un matrimonio
-conveniente sotto tutti gli aspetti. A Gerardo
-piace; io ne sarei contentissima. Il signor
-De Rossi, sulle prime, pareva accostarsi alle nostre
-idee. Se ne è parlato più volte, a questo medesimo
-posto, — soggiunse la signora Vezzosi rincalzando
-la bugia con tutte le più audaci invenzioni, — e
-speravo già d’essere riuscita a persuaderlo.
-Ma ecco che, sul più bello, venuti al punto
-di conchiudere, il signor Aldo mi si raffredda,
-cerca di guadagnar tempo, ha paura di fare il
-primo passo; insomma, che vi dirò? vorrebbe
-rimandare il principio dei negoziati alle calende
-greche.
-</p>
-
-<p>
-— Oh diamine! — esclamò il contino Anselmi. — E
-voi dite, signora, che sulle prime pareva
-disposto?
-</p>
-
-<p>
-— Dispostissimo. Voleva sapere molte cose;
-ma infine, anche la sua curiosità, troppo legittima
-in un caso come questo, faceva testimonianza di
-una certa propensione.
-</p>
-
-<p>
-— È grave; — ripigliò l’Anselmi. — Non potrebbe
-darsi il caso che, pigliando lingua da altri,
-avesse scoperto qualche amoruccio della ragazza?
-Ce n’hanno sempre qualcheduno, queste benedette
-fanciulle! Son diventate tanto precoci, a questi
-soli di libertà!
-</p>
-
-<p>
-— No, la ragazza esce a mala pena di collegio.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_61">[61]</span>
-</p>
-
-<p>
-— O qualche difetto, qualche imperfezione fisica?
-</p>
-
-<p>
-— È un portento di bellezza.
-</p>
-
-<p>
-— Che Aldo cerchi una dote più vistosa? Gli
-uomini ne hanno, qualche volta, di queste malinconie!
-E se la ragazza non fosse ricca abbastanza,
-per determinare la sua scelta?
-</p>
-
-<p>
-— È ricca come lui, e alla morte dei parenti
-lo sarà anche più di lui. Si convengono per ogni
-verso.
-</p>
-
-<p>
-— Allora, — disse il contino, assumendo un’aria
-grave, — non c’è più che una supposizione da
-fare. Il signor De Rossi s’è innamorato di un’altra.
-</p>
-
-<p>
-— Ve lo avevo detto, io; — rispose la signora
-Elena. — Ma di chi? Come saperlo? Questo è il
-difficile.
-</p>
-
-<p>
-— Non tanto, signora, non tanto.
-</p>
-
-<p>
-— Ah bene, aiutatemi dunque a trovare.
-</p>
-
-<p>
-— È presto fatto. Il signor De Rossi s’è innamorato...
-di voi.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-La signora Vezzosi fu per andare in collera
-davvero.
-</p>
-
-<p>
-— Calma! calma, Donna Elena, e statemi a
-sentire; — proseguì il contino Anselmi. — Credete
-proprio possibile che si stia impunemente a
-ragionare di un’altra donna, accanto ad una donna
-come voi? Gli dipingevate le bellezze, gli snocciolavate
-le grazie e tutti gli altri pregi fisici e
-morali di una assente; intanto, quei pregi, quelle
-grazie, quelle bellezze, gli si mostravano presenti
-<span class="pagenum" id="Page_62">[62]</span>
-e irresistibili nella divina oratrice. Ciò si è veduto
-altre volte nella storia. Francesca da Polenta non
-amò Paolo Malatesta, che andava ad impalmarla
-per conto di suo fratello Gian Ciotto? Non ho
-più in mente i romanzi di Alessandro Dumas;
-ma mi pare che ci sia un caso somigliante anche
-nella storia di Francia. Che meraviglia, adunque,
-se un uomo viene ad intrattenersi così lungamente
-con voi, e, scambio d’intenerirsi per una donna
-lontana di cui gli parlate con tanta eloquenza, si
-infiamma lentamente ma profondamente di voi?&#160;—
-</p>
-
-<p>
-La signora Elena era rimasta pensierosa. — Se
-fosse vero! — andava dicendo tra sè. Intanto il
-contino Anselmi, pigliando ansa da quel silenzio,
-proseguiva:
-</p>
-
-<p>
-— Ecco il vostro errore, Donna Elena. Si assumono
-degli incarichi superiori alle forze proprie
-e a quelle di chi ci ascolta. Si manda la paglia
-ambasciatrice al fuoco, per dirgli: tu brucerai
-l’acqua. E il fuoco trova che è più comodo, più
-pronto, e sopra tutto piacevole, divorarsi la paglia.
-Scusate il paragone, non m’è venuto altro alle
-mani. Ed anche voi, abbiate pazienza, perchè assumervi
-di questi uffici pericolosi? Alla vostra età!
-Con quel viso!
-</p>
-
-<p>
-— Tutte le età son buone, per fare un’opera
-buona; — ribattè la signora Vezzosi.
-</p>
-
-<p>
-— Giusto! — replicò l’Anselmi. — E vedete
-come la cosa vi riesce! Aldo non vuol saperne
-della vostra protetta.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_63">[63]</span>
-</p>
-
-<p>
-— E voi chiacchierate, Anselmi, senza venire a
-capo di nulla.
-</p>
-
-<p>
-— Dio buono, se non so nulla! Ma vediamo.
-Donna Elena. Voi non siete la fiamma del signor
-De Rossi. Ne siete ben certa?
-</p>
-
-<p>
-— Certissima. Una donna indovina sempre queste
-cose, anche quando l’uomo non le ha ancor
-dette a sè stesso.
-</p>
-
-<p>
-— È verissimo. Cerchiamone dunque un’altra. Passiamo
-in rassegna le dame di nostra conoscenza. Le
-rassegne son sempre di moda, dopo quella delle
-navi, che si legge in Omero. Chi sospettate voi?
-</p>
-
-<p>
-— Ma.... non saprei.... Varii nomi mi son passati
-per la fantasia; — disse la signora Vezzosi. — Che
-direste voi di Margherita?
-</p>
-
-<p>
-— Quale Margherita?
-</p>
-
-<p>
-— La baronessa. Non è la Margherita per eccellenza?&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Il contino Anselmi si trasse indietro con aria
-di sommo stupore.
-</p>
-
-<p>
-— Donna Elena! — esclamò. — Vorreste voi
-canzonare il vostro povero servo?
-</p>
-
-<p>
-— E perchè, di grazia? Non è Margherita l’elegantissima
-tra le nostre signore?
-</p>
-
-<p>
-— Sia pure; ma, a questi patti, Aldo De Rossi
-farebbe meglio a innamorarsi a dirittura della
-sarta. Che vi pare? Un uomo di garbo innamorarsi
-del contenente? Eh via!
-</p>
-
-<p>
-— Ma il contenuto.... — si provò a dire la signora
-Vezzosi.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_64">[64]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Il contenuto! — ripetè l’Anselmi. — Il
-contenuto è così poca cosa! Io non ci trovo di...
-come direste voi? Di consistente? di palpabile?
-Io non ci trovo di palpabile che il naso.
-</p>
-
-<p>
-— Esagerazioni! — rispose la signora Elena. — Esagerazioni
-di quelle che fate sempre voi.
-Quando vi correggerete di questo brutto vizio?
-</p>
-
-<p>
-— Avete ragione, Donna Elena, mi correggerò.
-Ma desidero che incominci la baronessa.
-Voi gli siete amica; avete influenza sull’animo
-suo. Ditegli, ve ne prego, di rinunziare a quel
-naso.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Con quel capo scarico dell’Anselmi non c’era
-verso di vincerne una. La signora Vezzosi si appigliò
-al partito di ridere.
-</p>
-
-<p>
-— Dunque, la Corniani no; — diss’ella, abbandonando
-il naso di Margherita alle celie del
-contino. — Vediamo l’Altobelli.
-</p>
-
-<p>
-— Quella dei capelli rossi! — esclamò l’Anselmi. — In
-verità, non siete amica al signor De
-Rossi, se gli attribuite un gusto così bizzarro.
-</p>
-
-<p>
-— Lasciamo l’Altobelli. Che ve ne pare della
-Vernetti?
-</p>
-
-<p>
-— È sul fare della Corniani.
-</p>
-
-<p>
-— La Milani, dunque. Eccone una che non è
-sul fare della Corniani.
-</p>
-
-<p>
-— Giustissimo; essa è sul fare delle corniòle.
-Perchè non piuttosto la Rivanera?
-</p>
-
-<p>
-A quel nome, buttato là d’improvviso, la signora
-Elena diede un sobbalzo, come se avesse
-<span class="pagenum" id="Page_65">[65]</span>
-ricevuto una scossa elettrica. Perchè? ve lo dico
-subito. Generalmente, le cose più strane comportano
-(per servirmi di un verbo filosofico) una
-spiegazione semplicissima. Le altre donne le aveva
-nominate lei; la Rivanera, invece, l’aveva ricordata
-lui. Perciò la signora Vezzosi potè credere
-lì per lì che il contino Anselmi ci avesse qualche
-particolare, ricordato in quel momento, per giustificare
-la citazione di un nome anzi che di un
-altro. Infatti, ella fu pronta a domandargli:
-</p>
-
-<p>
-— Che cosa sapete? Ditemi tutto.
-</p>
-
-<p>
-— Non so nulla, io; — rispose l’Anselmi. — Non
-le passavamo noi tutte in rassegna?&#160;—
-</p>
-
-<p>
-La signora Vezzosi non pose neppur mente a
-quella circostanza attenuante.
-</p>
-
-<p>
-— Ci va forse in casa? — ripigliò.
-</p>
-
-<p>
-— Lo ignoro. Io non mi arrisico mai in quei
-paraggi. È così noiosa la società del presidente
-gran croce!
-</p>
-
-<p>
-— Anselmi! — disse la signora Vezzosi, rimettendosi
-un tratto dalla sua commozione. — Lo
-sapete, il proverbio: non c’è rosa senza spina.
-E chi vuole la rosa....
-</p>
-
-<p>
-— Deve adattarsi alla spina, lo capisco; — rispose
-l’Anselmi. — Ma chi non vuole a nessun
-costo la spina rinunzia volentieri alla rosa.
-</p>
-
-<p>
-— È strano! — esclamò la signora, con un
-accento di sottile ironia. — Vi piace tanto la
-Rivanera, e non sapete fare un piccolo sacrifizio
-ad una così grande bellezza!
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_66">[66]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Grande, sicuro; ma è una bellezza vedova;
-alla larga.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-La signora Vezzosi alzò il ventaglio in atto di
-minaccia.
-</p>
-
-<p>
-— Signor Anselmi, — diss’ella, — sapete che
-non siete punto galante, quest’oggi? Un bell’omaggio
-lo rendete, alle donne! Quando son libere,
-le fuggite.
-</p>
-
-<p>
-— Abbiate pazienza, Donna Elena, son fatto
-così. Del resto, sono così poco pericoloso, che il
-mio omaggio alle dame.... non libere, non deve
-far paura a nessuno. Si sa, ogni donna ha bisogno
-di un uomo, come la vite di un sostegno. Quando
-la vite perde il palo, il savio agricoltore si affretta
-a dargliene un altro. Io.... — soggiunse con
-tragico accento il contino Anselmi, — io non sarò
-quel palo. E son certo che anche il signor De
-Rossi la pensa così.
-</p>
-
-<p>
-— Vi ha mai manifestate le sue opinioni in
-proposito?
-</p>
-
-<p>
-— No, ma un uomo giunto alla sua età, cioè
-a dire con tanti anni di navigazione, e per conseguenza
-passato per tante burrasche, o sarebbe
-naufragato prima, o non ci casca più. Questa è
-la mia opinione.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-La signora Vezzosi stava per rispondere, quando
-si udì un rumore di passi nell’anticamera.
-</p>
-
-<p>
-— Ecco Gerardo; — diss’ella. — Son già le sei!
-</p>
-
-<p>
-— Signora, ecco un’osservazione e un accento
-molto lusinghieri per me.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_67">[67]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Ma sì, ma sì! — rispose la signora Vezzosi,
-sorridendo amabilmente. — Mi avete fatto volare
-il tempo, con le vostre follie.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-La bussola si aperse ed entrò nel salotto il
-commendatore Gerardo Vezzosi. Non meritava
-il suo cognome, in verità, ma non poteva neanche
-dirsi un uomo antipatico. Portava gli occhiali
-d’oro e la barba corta intorno al mento, per somigliare
-al conte di Cavour, buon’anima sua; ma
-non ne veniva a capo. Era ancora troppo smilzo,
-per essere tolto in iscambio. Era stato deputato,
-tant’anni addietro, e si parlava sempre di lui come
-di un senatore possibile. Egli, del resto, aspettando
-la nomina, ne aveva già l’aria. In gioventù peccava
-di ruvidezza, e l’ingratitudine degli elettori
-e qualche fiasco elettorale, sopravvenuto a renderla
-più solenne, non avevano contribuito a farlo
-più maneggevole. Ma da qualche anno, e per il
-solo fatto che i giornali lo avevano preconizzato
-senatore in quelle loro liste fantastiche da cui suol
-essere preceduta una infornata ministeriale, il
-commendatore Gerardo era diventato uno zucchero,
-un marzapane, sorrideva a tutti, dava
-volentieri del tu e versava anche più volentieri
-nel seno dei conoscenti la piena delle sue
-idee sulla politica estera. Come vedete, faceva
-il suo mestiere di candidato; cosa che non disdisse
-neppure a Cesare, che era Cesare e aveva
-domate le Gallie.
-</p>
-
-<p>
-— Gerardo, — gli disse il contino Anselmi,
-<span class="pagenum" id="Page_68">[68]</span>
-stendendogli la mano, — son qui a fare una
-guerra atroce alla tua signora.
-</p>
-
-<p>
-— Ah sì? — fece il commendatore sorridendo
-benevolmente. — Speriamo almeno che avrà saputo
-difendersi.
-</p>
-
-<p>
-— Non ne dubitare. È una cittadella. Ed io,
-poichè tanto le son giunti i soccorsi, levo prudentemente
-l’assedio.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Con quest’ultima arguzia il contino Anselmi
-prese commiato.
-</p>
-
-<p>
-— Meriteresti che ti si facesse prigioniero e
-che ti si trattenesse a pranzo; — replicava intanto
-il commendatore.
-</p>
-
-<p>
-— Grazie, grazie di cuore; ho un impegno; — disse
-l’Anselmi.
-</p>
-
-<p>
-E stretta gentilmente la mano alla signora
-Elena, e dato un crollo con britannica vigoria
-alla destra del suo amico Gerardo, il contino
-Anselmi si avviò verso l’uscio.
-</p>
-
-<p>
-— Diamine! Diamine! — borbottava egli tra
-sè, nell’atto di scendere le scale. — Una lo vuole
-e l’altra lo vorrebbe. Il De Rossi è nato sotto
-buona luna. Con quell’aria da scimunito! Che
-cosa ci trovino le donne in questi tipi, io non
-lo so. Ma già, — conchiuse filosoficamente, mettendo
-il piede in istrada, — per piacere a loro,
-un uomo non ha da essere solamente scimunito;
-deve anche parerlo.&#160;—
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_69">[69]</span></p>
-
-<h2 id="cap5">V.</h2>
-</div>
-
-<p>
-Aldo De Rossi uno scimunito? Sissignori, così
-lo aveva giudicato l’Anselmi, e tale doveva essere
-per molti, se non a dirittura per tutti.
-</p>
-
-<p>
-È difficile, molto difficile, che una donna sia
-bella agli occhi di un’altra; ma è anche più difficile
-che un uomo vi ammetta senza contrasto e
-senza restrizioni la superiorità d’un altr’uomo.
-In genere non si bada a queste demolizioni scambievoli
-dei signori uomini, poichè in società si
-bada molto alle donne; ma la cosa è proprio
-così, come ho l’onore di raccontarvi. Il lievito
-dell’invidia s’impasta benissimo con questa farina
-del diavolo che è la natura umana, e le anime
-refrattarie son poche. Così avviene che un uomo
-non sia gabellato per sapiente, che a patto di
-essere riconosciuto pedante e noioso, o che non
-sia annoverato tra i belli, che a patto d’essere
-confinato tra gli sciocchi. Si ammette questo,
-ma si aggiunge sempre la nota in margine; ad
-<span class="pagenum" id="Page_70">[70]</span>
-una qualità, riconosciuta a denti stretti, risponde
-sempre un grosso difetto, che deve guastarla
-senz’altro.
-</p>
-
-<p>
-Le donne, per solito, non danno retta a questi
-giudizi mascolini, o li accettano soltanto per dissimular
-meglio una loro propensione, che non
-mette conto manifestare alle turbe. E nello stesso
-modo gli uomini non accettano che <i>pro forma</i> il
-giudizio della signora Ipsilonne sulla signora Zeta,
-facendo dentro di sè tutte le possibili e immaginabili
-restrizioni mentali. Donde la conseguenza
-naturalissima che uomini e donne s’ingannino a
-vicenda, col miglior garbo del mondo.
-</p>
-
-<p>
-O non sarebbe meglio dire alla libera quel che
-si sente? No, lettori dell’anima mia; la società
-civile ha mestieri di questi giuochi innocenti. Non
-è neanche vero, come certuni pretendono, che
-tutti capiscano lo scherzo. I dolci di sale non
-mancano mai, e c’è sempre il gusto di tirare
-qualcheduno dalla sua. Poi, il vivere in società
-gli è come il destreggiarsi in diplomazia. Non si
-ha da dire mai la verità. Capiscano pure gli avversari
-qual ragione vi fa parlare in un modo o
-nell’altro, e sempre contrariamente alle opere
-vostre; negando oggi, potrete in ogni occasione
-mantellarvi della vostra innocenza.
-</p>
-
-<p>
-Aldo De Rossi, battezzato dal contino Anselmi
-con l’epiteto di scimunito, non rendeva pan per
-focaccia a lui, nè ad altri della sua risma. Apparteneva
-al numero di quei pochi che non si
-<span class="pagenum" id="Page_71">[71]</span>
-risciacquano mai la bocca dei torti e dei difetti
-di nessuno, e che, quando possono, o se ne ricordano,
-rendono giustizia a tutti. Egli faceva
-anche di più, e questo era un difetto suo; si
-esagerava facilmente i meriti di tutti. Avrete già
-capito di qui che Aldo De Rossi pigliava ombra
-d’ogni più piccola cosa e in ogni rivale assiduo
-vedeva un rivale fortunato. Innamorato, come
-possono esserlo soltanto certi caratteri malinconici
-e chiusi, che ardono e si consumano da sè come
-la lampada dei sepolcri (vecchia lampada, ti rimetto
-io, dopo tanti anni d’ingiusta dimenticanza, all’onore
-del mondo), Aldo si struggeva di vedere
-tanti farfalloni intorno alla donna amata, e s’immaginava
-d’esser l’ultimo, anzi peggio che l’ultimo,
-nelle grazie di lei.
-</p>
-
-<p>
-Nè senza un po’ di ragione, in verità. La dama
-era tanto cortese, tanto umana, tanto facile dispensiera
-di vezzi alla moltitudine de’ suoi adoratori,
-che Aldo De Rossi giunse fino a pensare d’essersi
-innamorato d’una creatura vana, come ce ne son
-tante, e in forma d’angioli, sotto la cappa del
-cielo. Immaginate come ne soffrisse. Ma non
-c’era rimedio, poichè il male era fatto, e Aldo
-De Rossi era uno di quei caratteri intieri e diritti,
-che, una volta avviati, non tornano più indietro.
-</p>
-
-<p>
-Intanto egli si trovava a mal partito, e avrebbe
-potuto dire con Dante: «Io sono tra color che
-son sospesi.» Non dava un passo indietro, ma
-non ne faceva uno avanti; e quella incertezza
-<span class="pagenum" id="Page_72">[72]</span>
-dolorosa gli toglieva, non solo la serenità dello
-spirito, ma anche l’uso della parola. Intendo l’uso
-vero e proprio della parola, che è stata data all’uomo
-per dissimulare il pensiero; chè, quanto
-a dire buon giorno, buona sera e tutte l’altre
-frasi di prima necessità, Aldo De Rossi ci reggeva
-ancora. A farvela breve, ci aveva l’amaro in
-corpo; qual meraviglia se non poteva dar fuori
-il dolce? Ma il peggio era questo, che egli, sempre
-così torbido e muto accanto alla donna amata,
-diventava libero, sciolto, perfino arguto, con tutte
-le altre. Perchè non c’era solamente la signora
-Vezzosi, che avesse i cavallereschi omaggi del
-signor Aldo degnissimo. Le necessità del racconto
-mi obbligano a non presentarvene che una; ma
-in verità ce n’erano parecchie. E tutte riconoscevano
-in Aldo De Rossi un compito cavaliere;
-fors’anche qualcheduna, oltre la signora Elena,
-avrebbe gradita una corte meno superficiale e
-generica.
-</p>
-
-<p>
-Sempre così, non è vero? Si ha presso questa
-o quella delle proprie conoscenze la giusta misura
-di quel che si vale; ma si va al cospetto di
-una donna a cui si vorrebbe far atto di vassallaggio
-e di sudditanza, a cui frattanto si scocca un
-inno in un’occhiata, un poema in una stretta di
-mano; e si sente subito un gran freddo; l’inno
-si gela a mezz’aria; il poema resta inedito <i>in
-pectore</i>; ci si ritrova piccini piccini, ed anche passabilmente
-ridicoli. Là, proprio là, dove si voleva
-<span class="pagenum" id="Page_73">[73]</span>
-essere qualche cosa, con l’onesto desiderio di offrire
-qualche cosa in omaggio di leale servitù,
-non si è, non si vale, non si conta più nulla.
-</p>
-
-<p>
-Una sera, non reggendo più a quel trattamento,
-che si era forse anche un po’ meritato col suo
-umore scontroso, prese di schianto il cappello. Lo
-prese nel senso figurato e nel proprio, e se ne
-andò dalla casa della donna amata; un’ora dopo
-che c’era entrato, e col proposito di restarci per
-tutta la sera! Il poveretto aveva centomila diavoli
-in corpo e andò girelloni per le vie della città,
-senza sapere che si facesse, proprio alla guisa dei
-matti. In uno di quei lucidi intervalli che occorrono
-nelle pazzie più acute, come le radure nei
-boschi più folti, Aldo De Rossi riconobbe il palazzo
-in cui abitavano i Vezzosi; vide lume dalle
-finestre del salotto della signora Elena, e si ricordò
-che, dopo quella tale conversazione, in cui le
-aveva manifestato l’animo suo, non era più stato
-a farle visita.
-</p>
-
-<p>
-Era una scortesia, dopo la gentile profferta che
-la signora Elena gli aveva fatta, di aiutarlo in
-ogni occasione. Aldo pensò allora che la sua serata
-era andata a male. Abitudini di caffè, o d’altri
-ritrovi mascolini, non ne aveva da un pezzo.
-Perciò, soccorrendo la ragione del caso, che è
-spesso la ragione determinante delle azioni umane,
-infilò il portone e salì dalla signora Elena.
-</p>
-
-<p>
-Anche in casa Vezzosi c’era conversazione. Il
-commendatore Gerardo faceva la sua partita con
-<span class="pagenum" id="Page_74">[74]</span>
-una mezza dozzina di uomini gravi. La signora
-Elena, la commendatrice, stava a chiacchiera con
-gl’inevitabili Alcibiadi, con qualche Socrate sperso
-e con due o tre dame della sua corte. S’intende
-che erano tutte meno belle di lei; che altrimenti
-Aspasia non le avrebbe sopportate.
-</p>
-
-<p>
-Aldo De Rossi ha accolto come un Pericle.
-</p>
-
-<p>
-— Ah, siete qui, voi? Che miracolo è questo?
-</p>
-
-<p>
-— Donna Elena, non è un miracolo. Dite piuttosto
-il desiderio di ossequiarvi.
-</p>
-
-<p>
-— Lasciamo andare i complimenti. Vogliamo
-notizie del mondo. Siete l’ultimo arrivato e dovete
-portarcene il fior fiore. Ecco qui il cavaliere
-Sestavalle, il quale pretende che il matrimonio
-della Morandini sia andato a monte.
-</p>
-
-<p>
-— Il matrimonio si farà; — rispose Aldo De
-Rossi, con una sicumèra che non era rincalzata
-dal menomo grado di certezza.
-</p>
-
-<p>
-— Scusate, De Rossi, — entrò a dire Alcibiade
-primo, che era, come sapete, il cavaliere
-Sestavalle, — io ripeto ciò che m’ha detto il
-Cusani, che è lo zio materno della sposa.
-</p>
-
-<p>
-— Non vuol dir nulla; — replicò Aldo De
-Rossi, con la medesima asseveranza; — vedrete
-che il matrimonio si farà ugualmente. Lo sposo
-è innamorato; la sposa è deliberata di entrare in
-convento, se non le dànno il Revelli. O il Revelli,
-o la clausura. Che volete di più?
-</p>
-
-<p>
-— Signor De Rossi, — rispose l’Alcibiade,
-inchinandosi, — voi siete meglio informato di me.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_75">[75]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Non vorrei farvi dispiacere, — disse Aldo,
-inchinandosi a sua volta, — ma questa è la verità.
-Un forte amore deve passare avanti a tutte
-le quistioni di dare e avere, che inventano i signori
-babbi, per tormentare i poveri cuori. In
-fin de’ conti, non sono mica i babbi che hanno
-da sposarsi, ed io non capisco perchè s’impuntino
-a voler fissare i termini di una felicità che essi
-non hanno a godere. Una sola cosa è vera, una
-sola cosa trionfa di tutti i calcoli umani; l’amore.
-Il quale, poi, — soggiunse Aldo De Rossi, mutando
-tono con una facilità straordinaria, — ci
-conduce a fare tutte le più grandi sciocchezze
-del mondo. Già, incominciamo a dire che spesso
-si crede di amare e non si ama. Qualche volta
-avviene di cedere ad un movimento di stizza, e
-di procacciarsi un inferno in questa vita, peggiore
-di quello che ci è minacciato nell’altra. Auguro
-agli sposi di amarsi davvero e di non dover finire
-che in purgatorio.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Aldo De Rossi seguitò un bel tratto su questo
-tono, senza neanco sapere che diavolo dicesse.
-Era maravigliato dentro di sè d’aver buttata là
-con tanta sicurezza una bugìa di quella fatta, e
-voleva affogarla in un mare di parole, come se
-ciò potesse farla dimenticare all’udienza. E tirò
-avanti in quella forma, finchè lo lasciarono dire.
-</p>
-
-<p>
-— Infine, — proseguiva, — che cos’è l’amore?
-Un inganno scambievole. Ci si avvede
-poi che uno ci ha messo troppo del suo, e l’altro,
-<span class="pagenum" id="Page_76">[76]</span>
-o l’altra, ci ha messo troppo poco. Ora, signore
-mie, il troppo, è come il troppo poco; almeno,
-per ciò che risguarda gli effetti. Il troppo è un
-errore. Dio vi salvi dagli uomini che amano
-troppo, perchè essi seguono un falso indirizzo
-della loro fantasia, come chi sogna ad occhi aperti.
-E quando finalmente essi vengono a pensarci
-su.... Perchè, io reputo necessario avvertirlo, gli
-uomini lo hanno sempre, il momento in cui
-tornano a ragionare; e quando essi vengono a
-pensarci su, si avvedono di non essere nel vero.
-A certe altezze non si può stare; vi colgono le
-vertigini e si casca giù. Ma perchè l’altezza non
-è qui che un sogno, la cascata non è altro che
-un risveglio improvviso. Ed è un brutto risveglio,
-signori miei, quando si riconosce d’aver
-voluto incarnare il proprio sogno in una persona
-viva, la quale, poverina, non poteva sopportare,
-con le sue spalle delicate e bianche, un peso così
-grave.
-</p>
-
-<p>
-— Dio! Come cascate anche voi, signor De
-Rossi! — notò una delle sue ascoltatrici. — Avevate
-cominciato con un poema e finite con una
-satira.
-</p>
-
-<p>
-— Signora mia, la farsa non viene, di solito,
-dopo la tragedia? Io seguo l’uso. La vita è una
-varietà. E se permettete, poichè la parola vi sembra
-amara, passerò alle note musicali, che non
-dicono nulla, o soltanto ciò che si vuole.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Il pianoforte era vicino, e, con quella volubilità
-<span class="pagenum" id="Page_77">[77]</span>
-nervosa che avete già notata nel suo discorso,
-Aldo De Rossi andò a sedersi davanti alla tastiera.
-Non era un Liszt, nè un Rubinstein, credo necessario
-di avverticene; ma suonava abbastanza
-bene, per non lacerare a dirittura gli orecchi e
-per rendersi utile alla società, attaccando per uso
-altrui il <i>valtzer</i> o la quadriglia che egli non voleva
-ballare.
-</p>
-
-<p>
-Per quella volta, non essendo il caso di far
-ballare nessuno, Aldo De Rossi attaccò un motivo
-del <i>Rigoletto</i>, e proprio quello che mette le donne
-a raffronto con le piume.
-</p>
-
-<p>
-La signora Elena capì (che cosa non capiscono
-le donne?) che spirava un vento di scirocco, e
-che il De Rossi aveva perduta la tramontana.
-Ebbe compassione di lui, e, appena le venne fatto
-di trovare un pretesto, si mosse dal suo posto
-per andare verso il pianoforte.
-</p>
-
-<p>
-— Orbene, — diss’ella, passando accanto al
-De Rossi, — voi non siete contento, signor Aldo?
-</p>
-
-<p>
-— Dite pure che sono triste; — rispose il
-De Rossi, continuando a suonare.
-</p>
-
-<p>
-— Vi va sempre male?
-</p>
-
-<p>
-— Malissimo.
-</p>
-
-<p>
-— Vi ho promesso di aiutarvi; — ripigliò la
-signora. Ditemi il nome.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Aldo guardò la signora Elena e stette zitto.
-</p>
-
-<p>
-— Ho cercato di scoprir terreno, — proseguì
-ella, con grande sincerità, — e non ci sono riescita.
-Non avete fiducia in me, signor Aldo?
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_78">[78]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Ne ho molta; — rispose il giovine; — ma
-chiedere il soccorso di una donna....
-</p>
-
-<p>
-— Non si tratta di chiedere; — interruppe
-ella, — si tratta di accettare.
-</p>
-
-<p>
-— Orbene, anche l’accettare non va.
-</p>
-
-<p>
-— Perchè? Una donna può saperne, in queste
-cose, più di voi. Chi sa poi che non v’inganniate,
-disperandovi così!
-</p>
-
-<p>
-— Non mi dispero, signora. So già quel che
-mi tocca.
-</p>
-
-<p>
-— Ma infine, questo nome, non è possibile
-saperlo?
-</p>
-
-<p>
-— Ve lo dirò.... più tardi. Perdonate!
-</p>
-
-<p>
-— Sarà troppo tardi, allora; — replicò la signora
-Vezzosi.
-</p>
-
-<p>
-Aldo De Rossi non rispose più nulla, e affogò
-un sospiro, che gli esciva dal petto, in un diluvio
-di note.
-</p>
-
-<p>
-Egli, come vi sarà facile intendere, si vergognava
-di dover mettere la sua causa nelle mani
-di una donna. E di qual donna, poi! Per l’appunto
-di quella che gli aveva lasciato capire tante
-cose, e a cui aveva detto con brutale schiettezza:
-ne amo un’altra. Aggiungete che Aldo De Rossi
-sentiva come un rimorso di quella sincerità, che
-non era neppur necessaria, poichè egli avrebbe
-potuto benissimo cavarsi d’impiccio con uno scherzo,
-fingendo, alla disperata, di essere canzonato dalla
-signora Vezzosi. E come mai aveva potuto osar
-tanto, a rischio di offendere il suo amor proprio?
-<span class="pagenum" id="Page_79">[79]</span>
-Ma già, egli era un ragazzo così fatto; quando
-sentiva di amare una donna, non poteva simulare
-tenerezza per un’altra, e gli mancava la prontezza
-di spirito per girare le difficoltà di un dialogo
-condotto agli estremi del sì o del no.
-</p>
-
-<p>
-La signora Elena non istette a domandargli più
-altro e si allontanò dal pianoforte con aria abbastanza
-sostenuta. Aldo pensò di averla offesa, e
-perdette il filo della suonata. Perciò, dopo aver
-annaspato per due o tre minuti sulla tastiera, si
-tolse di là e andò a sedersi presso le dame. Ci
-erano sulla tavola parecchi giornali illustrati; ne
-prese uno e cominciò a meditare su d’una scena
-più o meno autentica della spedizione inglese
-nell’Afganistan.
-</p>
-
-<p>
-La conversazione si reggeva in quel mentre
-per merito degli Alcibiadi, che in caso simile facevano
-uffizio di Telamoni. Lo sapete pure, si
-chiamano Telamoni quelle atletiche figure di marmo
-che reggono le travature e i cornicioni delle fabbriche.
-Se avessi detto Cariatidi, mi sarei fatto
-capire anche meglio, perchè infatti, in società,
-certi personaggi noiosi si chiamano per l’appunto
-Cariatidi. Ma le Cariatidi son femmine, e i Telamoni
-son maschi. Diciamo dunque Telamoni, tanto
-più che io sto per presentarvi il signor Silvestro
-Caramelli, Telamone di primissima forza, entrato
-allora nel salotto della signora Vezzosi.
-</p>
-
-<p>
-Il signor Silvestro Caramelli non va descritto
-con troppe parole. Vi basti sapere che era vecchio,
-<span class="pagenum" id="Page_80">[80]</span>
-così vecchio da far venire la voglia di domandargli
-notizie del patriarca Matusalemme. Per
-altro, sempre diritto come un fuso, con tanto di
-solini insaldati, all’inglese; sempre in cravatta
-bianca ed abito nero, e sempre a balli, a teatri,
-in conversazioni e dovunque si radunasse la miglior
-compagnia. Aggiungo che non istava mai
-fermo in un luogo. Aveva fatto il farfallone in
-gioventù e seguitava a farlo in vecchiaia; ma non
-più per corteggiare le dame, e sfrombolare a tutte
-il medesimo complimento, studiato di prima sera;
-sibbene per raccontare in casa Ipsilonne il fatterello
-udito poc’anzi in casa Zeta, e far girare in
-tal guisa prontamente, per tutte le conversazioni
-della città, una notizia, che, senza di lui, avrebbe
-stentato tre giorni, fors’anco una settimana, a
-penetrare nel gran regno delle chiacchiere. Potete
-immaginare come una simile qualità lo rendesse
-prezioso. Era il gazzettino dei salotti, e dove non
-lo si vedeva ancora, lo si aspettava con una certa
-ansietà.
-</p>
-
-<p>
-— Bravo Caramelli, avete fatto bene a venirmi
-a vedere; — disse la signora Elena, stendendogli
-la mano. — Un po’ tardi, per altro!
-</p>
-
-<p>
-— È vero, ma ho già fatto due visite, stasera; — rispose
-il Telamone. — Sono stato dalla Vernetti,
-che ha la cognata a letto, con la sua solita
-emicrania. Poi dal presidente Roberti che si dispone
-a partire per le acque, insieme con la nipote.
-Oh, buona sera, De Rossi; — soggiunse, vedendo
-<span class="pagenum" id="Page_81">[81]</span>
-Aldo seduto lì presso. — Quantunque non sarebbe
-guari necessario, poichè ci siamo lasciati poc’anzi.
-</p>
-
-<p>
-La signora Vezzosi diede una sbirciata al De
-Rossi, che si era turbato e involontariamente alzava
-gli occhi verso di lei.
-</p>
-
-<p>
-— Ma sapete, — diss’ella, volendo averne lo
-intiero, — che siete due amici preziosi! Eravate
-ambedue dalla bellissima Camilla e siete venuti a
-finire la serata da me! Ciò merita una lode particolare.
-</p>
-
-<p>
-— Signora, — rispose il Caramelli, facendo la
-ruota; — per nessuna cosa al mondo avrei voluto
-mancare al vostro tè, che è come dire alla dolce
-abitudine di farvi la mia corte.
-</p>
-
-<p>
-— Grazie! Il complimento è gentile come il
-vostro pensiero; — disse la signora Vezzosi. — Vedete
-il vostro compagno di viaggio. Egli ha
-avuto come voi il pensiero gentile, ma non mi
-ha detto il complimento.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Aldo De Rossi, tirato in ballo a quel modo,
-alzò la testa e balbettò alcune parole che non
-mette conto ripetere.
-</p>
-
-<p>
-Di grazia, lettori miei, che cosa avrebbe potuto
-egli rispondere? Che cosa avreste risposto voi,
-nel suo-caso? Forse a un dipresso così: — Signora
-Elena, io non potevo schiccherarvi un complimento,
-sul fare di quello del signor Caramelli,
-perchè dianzi, quando son capitato nel vostro salotto,
-voi non mi avete dato occasione di raccontarvi
-dove fossi stato e donde venissi. Al signor
-<span class="pagenum" id="Page_82">[82]</span>
-Caramelli è venuta la palla al balzo, perciò
-egli ha potuto dirvi da che casa tornava, ed aggiungere
-(che Dio glielo perdoni) d’avermi trovato
-in casa del presidente Roberti. Voi gli avete detto
-allora.... quel che gli avete detto, ed egli ha potuto
-rispondervi quello che v’ha risposto, non
-una parola di più, non una di meno.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Ma vedete un po’ che lungo discorso sarebbe
-riescito per una cosa da nulla. Credete a me,
-lettori umanissimi; era meglio rispondere poche
-parole senza sugo, come fece per l’appunto il signor
-Aldo De Rossi.
-</p>
-
-<p>
-Le balbettò, come vi ho detto. Ma non balbettò,
-rispondendo per lui, il signor Silvestro Caramelli
-che era in vena di cortesie.
-</p>
-
-<p>
-— Il signor De Rossi ha fatto meglio; — osservò
-il Telamone. — Mi ha preceduto da voi.
-Benedetta gioventù! Ma io, pur troppo, non ho
-le sue gambe. A cinquantott’anni non si fanno
-più miracoli.
-</p>
-
-<p>
-— Già cinquantotto? — esclamò, con la più
-candida delle ipocrisie, la signora Vezzosi. — Per
-caso, signor Caramelli, non ve ne aggiungete
-qualcheduno?
-</p>
-
-<p>
-— A qual pro? — disse modestamente il Telamone. — Quando
-si hanno, si hanno, e non
-c’è verso di mandarli via.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Aldo De Rossi aveva ripreso lo studio del suo
-giornale illustrato. Ma, nel voltare la pagina, gli
-avvenne di alzare la testa, e i suoi occhi si scontrarono
-<span class="pagenum" id="Page_83">[83]</span>
-in quelli della signora Vezzosi, che avevano
-l’aria di dirgli:
-</p>
-
-<p>
-— Li vedete, signorino, i vostri gelosi segreti,
-come vanno a finire? Custoditeli ancora, se vi
-riesce!&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Aldo, in quel punto, maledisse il signor Silvestro
-Caramelli fino alla decimaquinta generazione.
-Siamo giusti, il signor Silvestro se l’era
-meritata, perchè aveva commesso una indiscrezione.
-Statuisce il codice della buona società (un
-libro, tra parentesi, di cui manca tuttavia un’edizione
-completa) che non è bene raccontare in
-conversazione d’avere veduto Tizio, o Cajo, nel
-tal luogo, perchè potrebbe darsi il caso che Tizio
-e Cajo dicessero a lor volta di essere stati nel
-tal altro, o di non essere stati in nessuno, e sarebbero
-colti in flagranti di contraddizione. E poi
-in questa società, tutta segreti d’Arlecchino, non
-si sa mai dove uno mette i piedi e le mani. Qua
-si pesta, senza volerlo, una coda; là si ferisce,
-senza saperlo, un povero cuore geloso. Eppure,
-a farlo apposta, queste indiscrezioni occorrono
-frequenti, anche quando non c’entri l’animo deliberato
-di commetterle. Si ha sempre bisogno
-di un soggetto di chiacchiera. Le discussioni di
-politica, di economia, di amministrazione, riescono
-uggiose alle dame, ed io in verità non saprei
-condannarle. Non si ha sempre la dote dei teatri
-sotto la mano, nè un ballo, nè un’opera nuova
-da levare al cielo, o da cacciare all’inferno. I discorsi
-<span class="pagenum" id="Page_84">[84]</span>
-galanti dispiacciono ai mariti; e poi, che
-serve? ora è tornata di moda una certa rigidità
-puntigliosa, che rimanda questi discorsi a migliore
-occasione. Di che cosa si ha dunque a parlare,
-Dio buono? — Ho visto il tale; ero col tale;
-andando insieme abbiamo veduta la tale, che entrava
-nella via tale, accompagnata dal tale. — E
-in tale maniera s’imbastisce un cencio di conversazione,
-senza badare al pericolo di dare, con
-tale minutezza di particolari, un colpo mortale a
-qualcuno.
-</p>
-
-<p>
-Aldo De Rossi, vedendosi scoperto per quel
-capriccio del caso, era rimasto un po’ sconcertato.
-Ma infine, non aveva rimorsi, perchè non aveva
-ingannato nessuno.
-</p>
-
-<p>
-Si chiacchierò, senza il suo aiuto, di cento cose
-diverse. Poi giunsero i pezzi grossi della sala da
-giuoco, e la signora Elena si alzò dal suo trono,
-per prendersi cura del tè; cura gelosa, che è riservata
-alle padrone di casa. Versato dalle mani
-di una bella signora, il tè diventa migliore. Almeno,
-così dicono tutti coloro che lo trovano
-buono. Io, che non l’ho per tale, mi restringo ad
-ammettere che diventa più bello.
-</p>
-
-<p>
-— E così, commendatore, — diceva intanto il
-signor Silvestro Caramelli al padrone di casa, — voi
-andrete quest’anno a Courmayeur?
-</p>
-
-<p>
-— Ma, veramente la tentazione c’è; — rispose
-il signor Gerardo. — Per altro, voi sapete che
-un marito per bene non deve aver volontà.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_85">[85]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Sentite com’è galante, Donna Elena? — disse
-allora il Telamone, volgendosi alla signora
-Vezzosi.
-</p>
-
-<p>
-— Gerardo lo è sempre, — rispose la signora
-continuando ad amministrare il suo néttare; — ma
-questa volta egli ascolta anche i consigli della
-prudenza.
-</p>
-
-<p>
-— Ah sì! — disse il Vezzosi, ridendo. — Minerva
-che ha indossati i panni del mio amico
-Anselmi! Figuratevi, egli ha detto a mia moglie
-e ripetuto a me che la strada è disastrosa. Se
-avesse detto lunga, pazienza; ma disastrosa, poi!
-</p>
-
-<p>
-— Oh, per me, — replicò la signora, — lunga
-e disastrosa è tutt’uno. Gerardo, io mi ribello al
-codice, e non vi seguo.
-</p>
-
-<p>
-— Il codice ha proprio che la moglie debba
-seguire il marito? — notò il Vezzosi, continuando
-a fare l’amabile, come soleva, quando era in mezzo
-alla gente. — E non ha invece che il marito
-debba seguir la moglie? Sentiamo dove vorreste
-andar voi, Elena.
-</p>
-
-<p>
-— Io? — esclamò la signora. — Non ho preferenze.
-Ma siccome credo che più di Courmayeur
-vi gioverebbe Recoaro, o Montecatini....
-</p>
-
-<p>
-— Luoghi non tanto lontani! — soggiunse il
-signor Vezzosi, con un fil d’ironia.
-</p>
-
-<p>
-— Eh, anche questa ragione ha il suo pregio; — replicò
-la signora.
-</p>
-
-<p>
-— Quest’anno ci vuol essere gran gente, a
-Montecatini; — entrò a dire il Caramelli. — Ho
-<span class="pagenum" id="Page_86">[86]</span>
-letto ieri sul giornale che ci vanno due ministri;
-nientemeno!
-</p>
-
-<p>
-— Quali? — domandò il commendatore Vezzosi.
-</p>
-
-<p>
-— Il ministro dei lavori pubblici e quello degli
-esteri. La politica italiana si farà tutta al Tettuccio.
-</p>
-
-<p>
-— E alla locanda della Pace; — aggiunse Alcibiade
-primo. — Come vedono, questo è un
-buon segno.
-</p>
-
-<p>
-— Certamente; — disse il signor Vezzosi,
-sorridendo all’arguzia del Sestavalle. — E voi credete
-che a Montecatini non si morrà dal caldo?
-</p>
-
-<p>
-— Esagerazioni di certi malinconici, che non
-sanno vivere in nessun luogo; — rispose l’Alcibiade. — Io
-ci sono stato ancora l’anno scorso,
-e fo conto di ritornarci.
-</p>
-
-<p>
-— Vedete? — osservò la signora Elena, giubilando
-in cuor suo per tutti quei soccorsi inattesi. — Ecco
-una buona occasione per farvi risolvere.
-</p>
-
-<p>
-— Ditela pure preziosa; — rispose il commendatore,
-che pensava molto ai ministri, e poco
-al Sestavalle.
-</p>
-
-<p>
-— Inoltre, — soggiunse il Telamone Caramelli, — avrete
-il presidente gran croce. Egli
-parte lunedì, con la sua bella nipote.
-</p>
-
-<p>
-— Questa sarà una fortuna per me; — disse
-la signora Elena, volgendo una rapida occhiata al
-De Rossi, il quale reputò conveniente di fare l’astratto. — A
-<span class="pagenum" id="Page_87">[87]</span>
-voi, Gerardo, che amate tanto ragionar
-di politica, lasceremo già uomini gravi, i
-presidenti, i ministri.
-</p>
-
-<p>
-— Ah sì, due vecchi amici, i ministri; — rispose
-il commendatore Gerardo; — li rivedrò
-volontieri.
-</p>
-
-<p>
-— Siete dunque deciso? — domandò l’Alcibiade
-primo.
-</p>
-
-<p>
-— Ma sì, caro Sestavalle; — replicò il signor
-Gerardo; — io son uomo di pronte risoluzioni.
-E poi (voi non lo crederete, perchè non si usa...
-o almeno non è costume di confessarlo in società)
-io amo mia moglie. La via disastrosa di
-Courmayeur le mette i brividi; non si parli più
-dunque di Courmayeur.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-La signora Elena ebbe l’aria di commuoversi a
-quella gentilezza, e volle portare ella stessa a suo
-marito una chicchera di <i>tè</i>.
-</p>
-
-<p>
-— Neppur questo si usa; — diss’ella, ridendo,
-mentre gli porgeva la tazza; — ma ad una cortesia
-deve rispondere un’altra.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-L’atto e la frase ottennero il plauso di tutti gli
-astanti. In cuor loro, certamente, parecchi avevano
-detto: frascherie, sciocchezze, ridicolaggini!
-Ma quante cose non si pensano, in società, mentre
-si dice tutto l’opposto!
-</p>
-
-<p>
-— Vediamo, dunque; — disse il signor Gerardo. — Sestavalle
-sarà dei nostri. Chi altri di
-voi verrà a curare il mal di fegato?
-</p>
-
-<p>
-— Son capace io di venirci; — rispose una
-<span class="pagenum" id="Page_88">[88]</span>
-tra le dame, la signora Sofonisba Torcelli. — Mi
-dicono che a Montecatini ci si diverte.
-</p>
-
-<p>
-— Benissimo; — ripigliò il signor Gerardo; — ed
-anche questa è una cura eccellente per il
-fegato.
-</p>
-
-<p>
-— Come sei buona! — esclamò la signora
-Vezzosi, accarezzando la mano della signora Sofonisba. — Noi
-faremo dunque una vera colonia?
-E voi, signor De Rossi, non sarete dei nostri?
-</p>
-
-<p>
-— Veramente.... volevo andare a Venezia; — balbettò
-il giovinotto. — Ma non sarà mai che
-io dica di no, ad una occasione come questa.
-</p>
-
-<p>
-— Ottimamente; qua la mano. De Rossi! — gridò
-il commendatore Vezzosi.
-</p>
-
-<p>
-E strinse la mano al De Rossi, come se il giovinetto
-avesse fatto al genio dell’amicizia il sacrifizio
-più grande.
-</p>
-
-<p>
-Quella sera la signora Elena trovò ancora il
-destro di scambiare due parole con Aldo De
-Rossi.
-</p>
-
-<p>
-— Orbene, signor Aldo, — gli disse, — sono
-io un’amica sincera?
-</p>
-
-<p>
-— Perchè mi dite questo? — chiese egli, turbato.
-</p>
-
-<p>
-— Come? Vorreste ancora dissimulare con me?
-</p>
-
-<p>
-— No, signora; — rispose il giovane, notando
-negli occhi di lei un indizio di collera. — Ma
-tanta vostra bontà....
-</p>
-
-<p>
-— Non tanta bontà; — ribattè la signora
-Elena; — ma piuttosto un pochino di curiosità.
-<span class="pagenum" id="Page_89">[89]</span>
-Mi avete detto una certa cosa, l’altro giorno!
-Ve ne ricordate?
-</p>
-
-<p>
-— Signora, ne ho dette tante, l’una più sciocca
-dell’altra!
-</p>
-
-<p>
-— Se lo saranno, credete pure che io vi dirò
-liberamente anche questo, senza bisogno di averne
-la confessione da voi. Avete detto, tra l’altre, che
-una certa signora somiglia ad una statua.... la
-quale non è stata mai fatta, perchè a Fidia è
-mancato l’ardimento.
-</p>
-
-<p>
-— Non ho detto precisamente questo.
-</p>
-
-<p>
-— Lo avete detto a un dipresso, e non ci
-vedo gran differenza. Poi, quel buttarmi la Venere
-di Milo in seconda linea! Son curiosa di
-studiare un po’ da vicino quell’altra, per vedere
-se la Venere di Milo meritava un così severo
-giudizio.
-</p>
-
-<p>
-— Venere di Milo! — esclamò il commendatore
-Vezzosi, che si avvicinava in quel mentre,
-per andare a riporre la chicchera sulla tavola da
-tè. — Siete nelle belle arti, a quanto pare?
-</p>
-
-<p>
-— Sì; — rispose la signora Elena, senza scomporsi
-punto. — Il signor Aldo non trova bella
-la Venere di Milo, che abbiamo tanto ammirata
-al Louvre, ti rammenti? Almeno volesse dirmi
-qual altra preferisce!
-</p>
-
-<p>
-— Sicuro, — disse il commendatore, approvando, — bisogna
-avere il coraggio di manifestare
-un’opinione. Preferite la Capitolina, o quella
-dei Medici?&#160;—
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_90">[90]</span>
-</p>
-
-<p>
-Aldo De Rossi era sulle spine.
-</p>
-
-<p>
-— E voi, commendatore, quale preferite?
-</p>
-
-<p>
-— Io? In arte, come in tante altre cose, sono
-sempre del parere di mia moglie. A lei piace la
-Venere di Milo? Evviva la Venere di Milo.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Aldo De Rossi fece un inchino, che poteva
-parere un atto di approvazione, ed anche una
-scappatoia.
-</p>
-
-<p>
-— Ma, Gerardo, — diceva intanto la signora
-Elena, — stasera siete d’una galanteria!...
-</p>
-
-<p>
-— Elena mia, non lo ripetete, ve ne prego; — rispose
-il commendatore Vezzosi. — I nostri
-amici potrebbero argomentare dalla vostra meraviglia
-che io faccia una cosa insolita, quest’oggi.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Aldo reputò conveniente di scostarsi alcuni
-passi, col pretesto di osservare un piccolo stipo
-di antica fattura, che faceva bella mostra di sè
-sopra una mensola addossata alla parete. Non lo
-vedeva già per la prima volta; ma non voleva
-neanche restare come un terzo incomodo in quella
-scena di tenerezze coniugali.
-</p>
-
-<p>
-Il signor Gerardo aveva dato a bella posta quel
-giro al discorso per allontanare un tratto il suo
-giovane amico? Il dialoghetto ch’egli ebbe con
-la sua dolce metà mi darebbe quasi argomento
-di sospettarlo, se il commendatore Vezzosi non
-fosse stato superiore ad ogni sospetto di questa
-natura. Diciamo dunque che non ci pensò affatto,
-ma che gli cascò l’olio... No, l’immagine è brutta.
-Gli cascò il cacio... Peggio che mai. Infine, lasciamola
-<span class="pagenum" id="Page_91">[91]</span>
-lì, e il lettore discreto metta lui quel
-che gli torna meglio.
-</p>
-
-<p>
-— Vi ringrazio, sapete; — proseguiva il futuro
-senatore, abbassando la voce d’un tono.
-</p>
-
-<p>
-— Ringraziarmi! E di che? — disse la signora
-Vezzosi.
-</p>
-
-<p>
-— Di aver tirata in ballo stasera la questione
-delle acque. Avevo promesso agli amici di andare
-a Courmayeur, perchè, a dirvela in confidenza,
-credevo che ci andasse il ministro degli esteri. Lo
-avevano annunziato i giornali, quindici giorni fa.
-Soltanto ieri ho saputo che andrà invece a Montecatini,
-e, come potete immaginarvi, ero già pentito
-d’aver preso l’impegno.
-</p>
-
-<p>
-— Che? — fece la signora Elena. — Non lo
-avete saputo dianzi dal signor Silvestro?
-</p>
-
-<p>
-— No, lo avevo letto iersera sui giornali; ma
-ho fatto mostra di non saperne nulla.
-</p>
-
-<p>
-— Andate lì, Gerardo, che siete un gran diplomatico! — esclamò
-la signora Elena, ridendo.
-</p>
-
-<p>
-— Eh! Che vi pare? — diss’egli pettoruto. — Voi,
-senza saperlo, siete venuta a levarmi d’impiccio.
-Lo hanno sentito tutti, che il disegno di
-andare a Montecatini non è venuto da me. E gli
-amici, che m’aspettavano per andare a Courmayeur,
-non sapranno solamente da me che faccio, abbandonandoli,
-un sacrifizio ad Imene.
-</p>
-
-<p>
-— Benissimo; ed io passerò per una capricciosa.
-</p>
-
-<p>
-— Via, vi rincresce tanto? Non lo siete un
-<span class="pagenum" id="Page_92">[92]</span>
-po’ tutte? E non avete il diritto di esserlo? — aggiunse
-graziosamente il commendatore Vezzosi.
-</p>
-
-<p>
-— Politica! — disse in cuor suo la signora
-Elena. — Come tu trasformi il carattere degli
-uomini!&#160;—
-</p>
-
-<p>
-L’ossequio coniugale non permise alla signora
-Vezzosi di dire: ambizione, che forse era il vocabolo
-più acconcio.
-</p>
-
-<p>
-— Vedete dunque — ripigliò il commendatore, — che
-ho ragione di essere contento. Non
-vi pare che sia andato bene, il mio cambiamento
-di fronte?
-</p>
-
-<p>
-— Non poteva andar meglio; — rispose la signora
-Vezzosi.
-</p>
-
-<p>
-E mentalmente soggiunse:
-</p>
-
-<p>
-— Nè per voi, nè per me.&#160;—
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_93">[93]</span></p>
-
-<h2 id="cap6">VI.</h2>
-</div>
-
-<p>
-Camilla Rivanera, che i miei lettori non hanno
-ancora veduta, nè di prospetto, nè di profilo, ma
-soltanto udita nominare e criticare leggermente
-in casa Vezzosi, era tutt’altro che l’innesto d’una
-bella testa su d’un corpo niente più lungo d’un
-raperonzolo. E nemmeno si poteva dire meritevole
-appena appena d’un elogio del Guadagnoli,
-che dopo tutto non sarebbe da disprezzare; anzi
-io porto opinione che avrebbe meritato un canto
-dell’Ariosto.
-</p>
-
-<p>
-Perchè dell’Ariosto? Perchè il mio messer Ludovico
-è dei classici nostri quello che ha dipinte
-con maggiore evidenza le donne. Dante le accenna;
-il Petrarca le volatilizza; il Tasso le rinfronzolisce;
-solo l’Ariosto le descrive, le raffigura,
-le rende. Vedete ad esempio madonna
-Alessandra, nel piccolo canzoniere che le ha consacrato
-il poeta; vedete Alcina, Ginevra, Olimpia,
-Fiordispina, nelle stanze così vere del suo
-<span class="pagenum" id="Page_94">[94]</span>
-fantastico poema. Quanto a Bradamante l’ho lasciata
-in disparte, perchè ella non ci si vede una
-volta sola, ma due; una in sè e l’altra in suo
-fratello Ruggero, che le somigliava tanto, da far
-cascare una bella principessa nel più grave degli
-errori.
-</p>
-
-<p>
-Con questi principii che ho messi innanzi quasi
-a indugiarmi la trattazione dell’argomento difficile,
-m’avvedo di essermi aguzzato il palo sulle
-ginocchia, perchè il còmpito m’è diventato più
-malagevole a gran pezza. Dio sa che cosa v’aspettate
-oramai! Ed io, povero imbrattacarte, ardirò
-metter mano ai pennelli, dopo una invocazione
-così pericolosa? Alla fin fine, e perchè no?
-Ognuno fa quel poco che sa, e i lettori, pigliando
-ad imprestito da Domineddio il più bello de’ suoi
-attributi, usano misericordia alle buone intenzioni.
-</p>
-
-<p>
-Veduta così nel complesso, la signora Camilla
-era un tipo di perfetta eleganza. Le forme erano
-agili e flessuose come quelle d’una ninfa; la testa
-finamente modellata; la mano di bambina; il
-piede di fata; la vita snella, senza dare in quella
-sottigliezza, che fa temere ad ogni tratto di vederla
-spezzata ad un soffio di vento per via, o
-alla pressione d’un braccio virile nel vortice della
-danza. Per altro, la facevano apparire più snella
-i pieni contorni del seno e del fianco. Perchè non
-direi anche questo, se l’hanno detto tante volte
-i maestri? Gli antichi dipingevano la bellezza,
-senza tanti scrupoli e senza tante ipocrisie. E la
-<span class="pagenum" id="Page_95">[95]</span>
-pelle di grazia, come l’accarezzavano! Come ci si
-fermavano su! Quella della signora Camilla, io
-non la paragonerò ai ligustri e alle rose, di cui
-s’è fatto uno sciupìo maledetto; dirò, quantunque
-non sia neppur nuovo, che era d’un bianco
-latteo perlato, a cui davano risalto le sopracciglia
-nere e sottili, le ciglia lunghe e morbide, gli occhi
-neri e lucenti come il bitume giudaico. Insomma,
-era una bellezza strana, quantunque non
-escisse dal naturale. Piuttosto, parevano escire dal
-naturale i capelli. Ne aveva una selva fitta fitta,
-ed erano così lunghi, che avrebbe potuto, lasciandone
-ricadere il volume, coprirsene fino oltre il
-ginocchio. Di questo si dubitava un pochino, perchè
-non si era veduto; ma non si dubitava che
-fossero suoi, cioè nati e saldamente piantati sulla
-sua testa, poichè ella usava portarli acconciati con
-molta semplicità, e le sue caritatevoli amiche potevano
-vedere che non c’erano inganni. Quei capegli,
-inoltre, avevano la lucentezza e il riflesso
-turchino delle penne del corvo; donde una tenue
-velatura d’azzurro a tutte le incavature (e stavo
-già per dire i sottosquadri) del bellissimo volto.
-</p>
-
-<p>
-E l’anima? Di questa mi chiederete, non bastandovi
-più l’antica sentenza che ad un bel viso
-risponda sempre un’anima eletta. Ma prima di entrare
-in questi segreti, vi parlerò dello stato civile
-della signora Camilla. Giovanissima ancora,
-e appena escita di collegio, aveva sposato un
-uomo maturo, un banchiere. Non vi aspettate qui
-<span class="pagenum" id="Page_96">[96]</span>
-il solito contrapposto e le analoghe riflessioni. Il
-banchiere non era più giovane, ma era tuttavia
-un bell’uomo, e molto simpatico, che spesso vale
-assai più. Camilla lo aveva amato, di quell’amore
-candido e magari un pochettino insipido, che non
-nasce da profondi contrasti, che non s’è scaldato
-ancora al sole delle passioni, e che ha, per dirvi
-tutto in una immagine sola, i difetti e le qualità
-delle frutta primaticce. Perciò, secondo l’opinione
-dei buongustai, bisognerebbe poter cominciare dal
-secondo; ma non così tardi, che già si fosse perduto
-il profumo e la delicatezza del primo. Queste
-sono sottigliezze di cervelli matti, che vanno
-alla caccia dello strano, dell’impossibile. Io mi
-contento di osservare che il primo amore di una
-donna non è che una pallida immagine, una timida
-promessa del secondo, e ahimè, qualche
-volta del terzo. La fanciulla vi concede il suo
-cuore con tutti i riti e con tutte le formalità, ma
-altresì con tutta la tranquillità d’un atto notarile.
-La leggiadra colomba non sa ancora nulla delle
-tempeste del mondo e i suoi voli son brevi. Ciò
-ch’ella sa, quando sa qualche cosa, è meno che
-nulla, poichè si tratta di una scienza imparaticcia,
-mentre la vera scienza, la scienza che resta e che
-forma lo spirito, è quella che s’impara per propria
-esperienza. Non a torto la famosa Accademia
-del Cimento volle nella sua impresa il motto:
-<i>Provando e riprovando</i>.
-</p>
-
-<p>
-Il banchiere non aveva fatto a sua moglie una
-<span class="pagenum" id="Page_97">[97]</span>
-lunga compagnia. Ricordo del suo passaggio e segno
-di gratitudine per due anni di unione, l’aveva
-lasciata tre volte più ricca di quando l’aveva sposata.
-La giovane vedova, che era orfana per giunta,
-si era ritirata in casa dello zio materno, il Roberti,
-presidente di Cassazione, che aveva colta l’occasione
-opportuna per chiedere il suo ritiro. Personaggio
-grave, il Roberti; <i>sanctissimus vir</i>, come
-lo avrebbe chiamato Cicerone, se fosse vissuto ai
-suoi tempi; commendatore di più ordini, gran
-croce dei due Santi che sapete, e credo anche
-della Corona d’Italia; infine, doveva avere tutti i
-ciondoli dell’oreficeria equestre italiana, salvo un
-certo collare, che, per ottenerlo, bisogna essere
-stati molto in su, e aver avuto occasione di fare
-una politica da cani. La cosa, trattandosi di un
-collare, s’intende alla prima, e il ragionamento
-non fa neanche una grinza.
-</p>
-
-<p>
-Con tanti onori, che avrebbero fatto girar la
-testa a più d’uno, il presidente Roberti era un
-modestissimo uomo. Aveva servito utilmente e
-con decoro il suo paese ed era escito di servizio
-con una fama illibata di gentiluomo e di galantuomo.
-Anch’egli aveva il suo difetto; ma chi
-non l’ha si faccia avanti. A dirvela schietta, pizzicava
-d’erudito, specie in materia d’antichità romana;
-effetto naturalissimo di lunghi ed amorosi
-studi sulle fonti del diritto. Il <i>Corpus Juris</i> non
-aveva difficoltà, nè segreti per lui, e tutti lo consultavano
-come un oracolo, pendevano dalle sue
-<span class="pagenum" id="Page_98">[98]</span>
-labbra, come si dovette pendere un giorno da
-quelle d’Irnerio, o di Bartolo. Nella casa del presidente
-Roberti convenivano spesso magistrati d’ogni
-categoria ed avvocati vecchi e giovani. Questi
-ultimi abbondarono, quando ci entrò la nipote.
-Si sa, il fare un viaggio e due servizi è
-sempre stato il colmo dell’economia.
-</p>
-
-<p>
-Quella bella bambina (perchè là dentro, in
-mezzo a tanta gravità curiale, aveva proprio l’aspetto
-d’una bambina) faceva in casa del presidente
-Roberti l’effetto di un raggio di sole che
-si disegni in mezzo all’ombre fitte della boscaglia.
-Non è più uggioso quel fondo di valle,
-quando il raggio allegro sforacchia audacemente
-la frappa e viene a danzare sul verde tappeto che
-si distende sotto i gelosi ombrelli degli abeti e
-dei faggi. E non parve più tanto noiosamente
-erudita, nè tanto eruditamente noiosa, la società
-dei seguaci d’Ulpiano. Le massime del diritto,
-sciorinate davanti a quella bella creatura, assumevano
-aria di complimenti; gli articoli del Codice
-di procedura civile prendevano (Dio mi perdoni)
-apparenza di madrigali. Aveva torto marcio il
-contino Anselmi a dire che in casa del presidente
-Roberti c’era da morire di noia, e bisognerà credere
-che parlasse così, perchè la signora Camilla
-non aveva mostrato di gradire le sue distillazioni.
-Basta così poco (una frase spensierata, un momento
-di disattenzione, e che so io), per far andare
-in bestia un uomo di spirito.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_99">[99]</span>
-</p>
-
-<p>
-Ed era strano come ella si trovasse bene, come
-si adagiasse facilmente, in quella società di parrucconi.
-Non già che prendesse parte alle dispute,
-ai consulti, ai pareri. Dio buono, non ci sarebbe
-mancato altro. Quantunque, il dipingervi una bella
-legale sarebbe una fortissima tentazione per il vostro
-umilissimo servo; il quale non avrebbe che
-a frugare nei suoi ricordi, per farvela fuori, la
-donna elegante e galante, che aveva le Pandette
-e il Digesto sulla punta delle dita. No, la signora
-Camilla non sputava sentenze, nè commentava
-quelle dello zio, o degli altri insigni frequentatori
-di casa. Infine, non dava neanche pareri ai giovani
-avvocati, che (sia detto ad onor loro) li
-avrebbero ascoltati a bocca aperta. Ricordate il
-paragone di poc’anzi; era il raggio di sole tra le
-ombre del bosco; l’allegria che vive in mezzo
-all’uggia e la fa sparire, o dimenticare; una cara
-visione; una amabile frivolità, che non poteva disdire
-tra tanti aspetti severi di uomini e di cose.
-</p>
-
-<p>
-Eppoi, non istate a credere che ella si contentasse
-di brillare in casa, nella corte giudiziaria del
-presidente gran croce. La signora Camilla andava
-spesso a feste, conversazioni e teatri, e il presidente
-gran croce, che aveva una tenerezza paterna
-per la sua bella nipote, lasciava per quelle
-sere in disparte i codici, le Pandette, il Digesto,
-e tant’altre cose egualmente indigeste, per accompagnarla
-qua e là. Il degno uomo avrebbe fatto
-qualunque sacrifizio per vederla contenta. E tollerava,
-<span class="pagenum" id="Page_100">[100]</span>
-persino nel suo salotto, grave e severo
-come il tempio della Giustizia, tollerava, dico,
-una dozzina di zerbinotti, che ad uno ad uno si
-erano fatti presentare alla signora Rivanera.
-</p>
-
-<p>
-Di tanto in tanto il presidente Roberti esciva
-in un giudizio breve e riciso come una massima
-di diritto.
-</p>
-
-<p>
-— Quel signor Zeta mi sa di sciocco.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Oppure:
-</p>
-
-<p>
-— Quanti seccatori ha da sopportare una bella
-donna come te! Le brutte e le mediocri debbono
-essere più felici quel tanto!&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Nè queste cose diceva con mal animo, o col
-desiderio di mettere i vagheggini alla porta. La
-signora Camilla gli manifestava qualche volta la
-noia che provava, di sentire tanti madrigali, e
-sempre gli stessi, ogni giorno. E allora la bella
-vedova aveva l’aria di andare molto più oltre
-del presidente gran croce. Ma egli, con la sua
-calma, con la sua serenità giuridica, la riconduceva
-due passi indietro.
-</p>
-
-<p>
-— Adagio, Camilla; — diceva lui. — Bisogna
-vivere nel mondo, e il mondo non è bello se
-non perchè è vario. Accetta gli uomini come sono.
-La cosa non deve riescir difficile ad una donna
-che li accetta per modo di dire, e può tenerli
-sempre ad una rispettosa distanza. Per quelli che
-volessero farsi più avanti, ci sono i carabinieri; — soggiungeva
-egli celiando; — e c’è ancora, la
-Dio grazia, un presidente di Cassazione.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_101">[101]</span>
-</p>
-
-<p>
-La signora Camilla era costretta a riconoscere
-che suo zio aveva ragione, e sopportava i noiosi.
-In fondo in fondo ella procedeva a sbalzi, nelle
-sue antipatie. E la cosa si capiva facilmente; anche
-senza mettere in conto per la signora Camilla
-una certa festività di umore. Chiedete a
-cento donne se rinunzierebbero di buon grado
-alla corte di undici cavalieri, quando già ne
-amassero un dodicesimo. Due (proporzione forse
-esagerata; ma bisogna anche essere condiscendenti,
-col sesso gentile) due vi risponderanno di
-sì. Le altre novantotto vi risponderanno di no,
-anche concedendovi che tra quei dieci non ce
-n’è uno il quale franchi la spesa di starlo a sentire.
-La donna è cosiffatta: l’abbiamo avvezza a
-non considerarsi che per la sua bellezza, ed è
-giusto che ella sia venuta ad amare queste parlanti
-e palpitanti testimonianze del suo potere,
-anche quando palpitano con troppa facilità per
-molte, od esprimono troppo volgarmente la loro
-passione. A questo proposito, rammenterò ciò
-che diceva a me, giovinetto, una vecchia dama: — Nessun
-omaggio d’amore, quando sia caldo,
-è volgare. — La cosa mi spiacque allora, e soltanto
-la perdonai alla dama, pensando che la
-poverina era stata giovane ai tempi del primo
-Impero, quando non si usavano mica tante distinzioni
-psicologiche. Ma, andando avanti negli
-anni, riconobbi che la vecchia maestra poteva
-aver ragione, non solamente per il primo Impero,
-<span class="pagenum" id="Page_102">[102]</span>
-ma anche in tutti i tempi dell’Era nostra. La quale,
-non senza un grande perchè, si chiama Volgare.
-</p>
-
-<p>
-Ho detto che la signora Camilla procedeva a
-sbalzi nelle sue antipatie, e, per conseguenza,
-nelle sue simpatie. Aggiungerò che, per la stessa
-ragione, per lo stesso amore dei contrasti, le piaceva
-moltissimo quella sua vita, libera ad un tempo
-e rinchiusa. Era come una bella prigioniera e per
-cui, nella stessa corte del castello, si facevano
-tornei di galanteria, serenate e gualdane. Era sotto
-custodia, ma i vagheggini le ronzavano intorno
-liberamente, come le solite api intorno al solito
-fiore. L’austerità della casa era la sua salvaguardia;
-il presidente gran croce era un carceriere molto
-vigilante, ma anche abbastanza umano. Ella, in
-fondo, vedeva tutto, coglieva il meglio delle galanterie
-universali, si lasciava amare, adorare, venerare,
-e rideva.
-</p>
-
-<p>
-Come non ridere, per esempio, quando lo zio
-presidente le diceva:
-</p>
-
-<p>
-— Che cosa s’immagina di ottenere quel marchese
-Dello Stinco, con quella figura allampanata?
-Ingegno non ne ha; danari nemmeno. Il suo titolo
-mi pare, in verità, troppo poco. E Dio sa
-da quante s’è già fatto rifiutare, prima di volgersi
-a te!&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Ne cito uno, ma potrei riferirvene cento, di
-questi giudizi che andavano brevi e diritti alla
-meta, esercitando una certa, sebbene inavvertita
-influenza sull’animo della sua bella nipote.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_103">[103]</span>
-</p>
-
-<p>
-Che cosa aveva detto il presidente Roberti,
-del signor Aldo De Rossi? Lo sapremo a suo
-tempo.
-</p>
-
-<p>
-Aldo aveva conosciuta la Rivanera ad una festa
-da ballo. Era serio, il signor Aldo, fin troppo
-serio per la sua età. Ciò l’aveva colpita, e per un
-po’ di tempo l’aveva distratta dai suoi eterni vagheggini.
-Nel corso d’una notte, il De Rossi
-aveva ballato due volte con lei, salvo errore; che
-potrebbero essere state anche tre. Ma, oltre la
-compagnia naturale del ballo, che fa, dicono, di
-due vite una sola, il signor Aldo era rimasto a
-parlare con lei, più a lungo che non avesse fatto
-con le altre dame di sua conoscenza. Il giorno
-dopo aveva portati due biglietti di visita a casa
-Roberti; e il presidente gran croce aveva corrisposto
-a quella tacita domanda col suo delle grandi occasioni.
-Ne era seguita una prima visita del De
-Rossi in casa Roberti; poi, a giuste distanze, una
-seconda e una terza. Inoltre, il signor Aldo aveva
-modo di vedere la signora Camilla in questo o in
-quel ritrovo della città; di guisa che, o in casa di
-lei, o d’altri, o per via, o a teatro, la vedeva
-spessissimo. Ma era noto che egli ne vedeva tante
-altre in quello stesso modo, e la signora Camilla
-aveva tutto il diritto di non dar molto peso a
-quella frequenza d’incontri.
-</p>
-
-<p>
-Ma un giorno, o una sera, che non ricordo
-bene, egli ebbe l’ardimento di dirle:
-</p>
-
-<p>
-— Siete bella!&#160;—
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_104">[104]</span>
-</p>
-
-<p>
-Come glielo disse? A proposito d’una veste
-che le andava a pennello, o d’una acconciatura
-nuova? D’un quadro di Raffaello Sanzio, o d’una
-fotografia dello Schemboche? D’un romanzo di
-Walter Scott, o d’un articolo di giornale? Io non
-lo so. L’uomo che vuol dire una cosa, trova
-sempre l’appiglio, e quando l’ha detta non rammenta
-più donde abbia prese le mosse. Immaginate
-un filosofo innamorato, il quale facesse
-questo sillogismo ad una donna: «L’uomo è un
-animale ragionevole. Ma il quadrato dell’ipotenusa
-è eguale alla somma dei quadrati dei due cateti.
-Dunque, signora, voi siete un occhio di sole.»
-A voi quel filosofo parrebbe un matto. Ma alla
-signora parrebbe che conseguenza più logica non
-fosse tratta mai, dacchè c’è logica al mondo.
-</p>
-
-<p>
-La signora Camilla sorrise, alla scappata di
-Aldo De Rossi. Evidentemente, da un pezzo lo
-aspettava lì. Quella frase trema a lungo sulle
-labbra di un uomo innamorato, prima di trasformarsi
-in suono, come la stilla di rugiada trema
-sul lembo d’una foglia prima di cadere a terra.
-</p>
-
-<p>
-Sorrise, adunque, la bella, sentendosi salutare
-con quel vecchio epiteto; indi, con aria di stupore,
-gli rispose brevemente:
-</p>
-
-<p>
-— Davvero?&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Aldo De Rossi sentì il veleno dell’interrogazione
-e replicò:
-</p>
-
-<p>
-— Signora, io so bene che non dico nulla di
-nuovo. Ma che ne posso io, se tanti parlano la
-<span class="pagenum" id="Page_105">[105]</span>
-mia stessa lingua? Vorrete voi levare il pregio al
-pane, perchè vivete nell’abbondanza?
-</p>
-
-<p>
-— No, certamente, — rispose la signora Camilla; — abbondanza
-non nuoce. Ma non posso
-tacervi la mia maraviglia, in udir sempre e da
-tutti la medesima storia. Bisogna dire che voi
-altri, signori uomini, manchiate anzi che no d’invenzione.
-Di grazia, non potreste una volta tanto
-girar la frase altrimenti?&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Aldo si morse le labbra e ricacciò in corpo
-una sciocchezza, che già stava per escirgli di
-bocca.
-</p>
-
-<p>
-— Signora, — diss’egli invece, — fate conto
-che io non v’abbia detto nulla.
-</p>
-
-<p>
-— Ah, così va bene; — rispose ella.
-</p>
-
-<p>
-Parve contenta, la signora; sopratutto parve
-non avvedersi dello sforzo che Aldo De Rossi
-faceva per vincere il proprio dispetto.
-</p>
-
-<p>
-Giunsero altri visitatori, Alcibiadi, Telamoni e
-Ganimedi; questi ultimi in maggior numero. Aldo
-era sulle spine; la signora Camilla rideva. Come
-rideva bene! Se aveste veduto, che denti! E il
-suono argentino della sua voce! Io rinunzio a
-descrivervi l’una cosa e l’altra, chè tanto non
-verrei a capo di nulla.
-</p>
-
-<p>
-Del resto, i fatti incalzano, e le descrizioni non
-fanno procedere il racconto. La signora Camilla
-si lasciò cadere il ventaglio e Tizio lo raccolse
-e n’ebbe in ricompensa il permesso di tenerlo
-per tutta la sera. Si parlò di parecchie signore,
-<span class="pagenum" id="Page_106">[106]</span>
-e Caio le disse audacemente che essa era la più
-bella di tutte; nè ella volse il complimento in
-burletta, come aveva fatto con Aldo De Rossi.
-Sempronio aveva una gardenia: la signora Camilla
-ammirò la gardenia; Sempronio ebbe la
-sfacciataggine di offrirgliela; essa la crudeltà di
-accettarla.
-</p>
-
-<p>
-Il signor Aldo non ci reggeva. Parlò poco,
-quella sera, e male. Si fece battere agli scacchi
-dal presidente gran croce, e battere in un modo
-così indegno, che il suo avversario dichiarò di
-non voler neanche vantarsi della vittoria. Insomma,
-il poveretto non ci vedeva più lume e avrebbe,
-vi so dir io, data l’anima al diavolo.
-</p>
-
-<p>
-Così presto? Ma sì, lettori garbati. In amore,
-un uomo non comincia mai; cioè, mi spiego,
-l’amore dell’uomo non ha un vero cominciamento,
-di cui si possa dire: ecco il principio. Quando
-ci s’accorge di amare una donna, è finita, si è
-innamorati dalla testa ai piedi. Ha principio un
-incendio? Quando incomincia a divampare, è già
-un incendio. Chi si avvede di esso, quando è
-ancora latente? Il valore della parola vi risponda
-per me.
-</p>
-
-<p>
-Un’altra volta, nel salotto del presidente gran
-croce, e nell’angolo dove si radunava la corte
-della signora Camilla, il discorso era cascato sui
-grandi poeti, e, come potete immaginarvi, sui
-loro famosi amori.
-</p>
-
-<p>
-— Amo il Petrarca; — disse la signora Camilla. — Egli
-<span class="pagenum" id="Page_107">[107]</span>
-amò senza speranza madonna Laura,
-fino a tanto che ella visse; la amò ancora e la
-cantò dopo morta. Chi ai giorni nostri si sentirebbe
-di fare altrettanto?
-</p>
-
-<p>
-— Eh! — notò Aldo De Rossi. — Non certo
-coloro che per una donna morta, o sperimentata
-crudele, fanno assai più d’una canzone, ma si tolgono
-disperatamente la vita.
-</p>
-
-<p>
-— Colpo di scena! — esclamò la signora
-Camilla, ridendo. — Ma neanche questo si usa
-più.
-</p>
-
-<p>
-— Lo credete, signora? Non sono del tempo
-nostro gli amori più ardenti del Werther e di
-Jacopo Ortis?
-</p>
-
-<p>
-— Due romanzi! — ribattè la signora Camilla. — E
-i loro autori.... Non me ne parlate, per carità.
-Uno morì tranquillamente ottuagenario, dopo
-aver fatto soffrire, dicono, una mezza dozzina di
-donne. L’altro fu sventurato, ma non per le donne
-che anzi furono in parecchie a consolarlo; tanto
-che egli poteva scrivere a due o tre, con la medesima
-penna e col medesimo inchiostro. Credete
-a me, signor De Rossi. Noi, anche senza
-molta esperienza di mondo, leggiamo abbastanza
-chiaramente nei cuori....
-</p>
-
-<p>
-— Sfido io! — interruppe Aldo. — Li abbiamo
-sulle labbra.
-</p>
-
-<p>
-— Bene, e noi ci vediamo attraverso; — replicò
-la signora Camilla. — Ora, volete sapere
-che cosa ci vediamo di dedicato a noi? Un pochettino
-<span class="pagenum" id="Page_108">[108]</span>
-di vanità, che si dilegua, se è soddisfatta,
-che si cangia in dispetto, se è offesa. Fuoco di
-paglia; o fiammata improvvisa, e un pugno di
-cenere, se la paglia è asciutta; o fumo negli occhi
-e soffocamento in gola, se la paglia è umida.
-Non vi pare? E poi, — continuò la signora, senza
-dargli tempo a rispondere, — c’è questo di peggio:
-che tutte le belle cose che voi dite ad una
-donna, per intenerirla, le dite a tutte le altre, e
-col medesimo fine.
-</p>
-
-<p>
-— Oh, questo poi! Permettete....
-</p>
-
-<p>
-— È la verità; — ripigliò la signora Camilla. — Di
-grazia, che cosa ci andate a fare, voi altri,
-dalla tale o dalla tal altra, spesso da dieci o
-dodici tutte belle, tutte eleganti, tutte amabili?
-Non certo a tacere. E se parlate, come io credo, — soggiunse
-ella, ridendo maliziosamente, — che
-cosa direte voi a quelle gentili signore? Dei complimenti,
-che avranno aria di madrigali; dei madrigali,
-che somiglieranno molto a dichiarazioni.
-Non dite di no; questa è la forza delle cose.
-</p>
-
-<p>
-— No, no; ad onta della vostra sicurezza, qui
-potreste ingannarvi; — rispose Aldo De Rossi. — Io
-non credo di dire una cosa strana, affermando
-che si possa conversare con una dama,
-anche bellissima, parlando di cose da nulla, e facendo
-delle questioni accademiche; come adesso,
-per l’appunto.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-La signora Camilla diede al suo contradittore
-un’occhiata compassionevole.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_109">[109]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Per amor del cielo, non mi citate ad esempio
-la nostra conversazione. Se io fossi un’altra
-donna, e sapessi di questo dialogo, o d’un altro
-consimile, vi assicuro io, signor De Rossi gentilissimo,
-che non mi piacerebbe niente, ma niente
-affatto che si disputasse di certi argomenti, lontano
-da me. Del resto, — ripigliò la signora Camilla,
-tornando al principio del discorso, — il
-Petrarca non faceva così, e questo è l’essenziale.
-Egli ne amò una alla luce del sole, non vide, non
-cantò, non esaltò che quell’una. Invece, eccovi
-qui, o signori, o in abito di mattina, col fiore
-all’occhiello, o con l’abito nero, reso ridicolo da
-quell’indegno pioppino, che sostituite qualche volta
-al cappello <i>gibus</i> dei vostri babbi; e in una foggia,
-o nell’altra sempre in visite, in conversazioni,
-e in balli e teatri, sempre intorno alle dame e
-pronti a ripetere la stessa musica con tutte.
-</p>
-
-<p>
-— Le apparenze ingannano, — disse Aldo De
-Rossi, — e vi danno buon giuoco contro di me.
-Ma pensate, vi prego, che non siamo più ai tempi
-del Petrarca, quando le belle usanze della cavalleria
-e delle corti d’amore permettevano di mettere
-in piazza una donna. Ci si costituiva suo cavaliere,
-si facevano per lei giostre e canzoni, senza
-che nessun geloso ci trovasse a ridire. Il Petrarca
-è ancora uno di quelli che hanno fatto meno,
-forse perchè già propendeva al canonicato, e il
-signor Ugo di Noves potè averne di catti. Ma
-adesso, signora mia, adesso siamo in tempi sospettosi
-<span class="pagenum" id="Page_110">[110]</span>
-e difficili, secondo gli altri, ma più riguardosi,
-secondo me e più delicati. L’amore si
-nasconde volontieri, un po’ perchè è naturalmente
-vergognoso, ma molto perchè ama il mistero, come
-la felicità sua sorella. Ora che c’è di meglio per
-nasconderlo, che il moltiplicare le apparenze? Andando
-a fare una corte generica a due dame, si
-nasconde la tenerezza che si ha per una terza.
-</p>
-
-<p>
-— E chi vi dice che una donna voglia essere
-nascosta così, come si nasconde un delitto? — gridò
-la signora Camilla. — Lo capisco anch’io;
-generalmente una donna non si lagna di questi
-riguardi eccessivi, e ve li ammette, perchè non
-le è dato di mutarvi il carattere. Anch’essa ha
-la sua dignità e non s’ostina a tentare le opere
-inutili. Accade lo stesso nella faccenda del fumare.
-Per avere in casa sua, a certe ore, i civilissimi
-visitatori, una dama moderna è costretta a lasciar
-passare le costumanze dei selvaggi. Ma ogni donna,
-signor mio, pensa dentro di sè che l’uomo il quale
-non sa rinunziare a queste brutte usanze da caffè,
-non merita che si rinunzi per lui alla pace dell’esistenza.
-E ogni donna sa inoltre che l’uomo il
-quale non ardisce compromettersi per lei, e comprometterla
-un poco, è un uomo che non l’ama
-davvero.
-</p>
-
-<p>
-— E l’ascoltate, allora, un uomo simile? — chiese
-Aldo De Rossi.
-</p>
-
-<p>
-— Lui, come tutti gli altri; — rispose la signora.
-</p>
-
-<p>
-— Sì, come tutti gli altri; — ripigliò il De
-<span class="pagenum" id="Page_111">[111]</span>
-Rossi, con una certa amarezza; — come tutti gli
-altri, la cui assiduità, rimeritata di piccoli favori,
-può far disperare un poveretto, il quale vi amerà
-anche senza sapervelo dire, come piacerebbe a voi
-ma vi amerà fortemente!
-</p>
-
-<p>
-— Che farci? Si disperi; — disse la signora
-Camilla, stringendosi nelle spalle.
-</p>
-
-<p>
-— Ma scusate; — incalzò Aldo De Rossi; — che
-vi fanno tanti vagheggini, che poi non stimate
-niente più di quell’uno?
-</p>
-
-<p>
-— Mi dicono bella; — replicò la signora Camilla,
-con un leggiadro movimento di testa; — e
-mi piace di sentirmelo a dire. Li tratto come
-i fiori; ne aspiro il profumo, e poi.... li lascio finire
-come possono.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Aldo De Rossi rimase male, a quella risposta
-della signora Camilla. Nè altro replicò per allora.
-Ma più tardi ebbe il torto di ritornarci su.
-</p>
-
-<p>
-— Signora, mi permettete di dirvi che io sono
-quel tale.... di cui parlavamo poc’anzi?
-</p>
-
-<p>
-— Quel tale! Chi?
-</p>
-
-<p>
-— L’uomo che.... vi ama. Sarò io proprio come
-un altro, per voi?
-</p>
-
-<p>
-— No; — rispose la signora Camilla. — Potreste
-essere di più; potreste esser meno.
-</p>
-
-<p>
-Aldo si morse le labbra, ma non si diede per
-vinto.
-</p>
-
-<p>
-— Come lo indovinerò io? — chiese egli, dopo
-un istante di pausa.
-</p>
-
-<p>
-— Che cosa volete indovinare? — gridò la signora
-<span class="pagenum" id="Page_112">[112]</span>
-Camilla, rizzando la testa e fissando i suoi
-begli occhi sdegnosi in volto al De Rossi. — Qual
-diritto ci avete, a sapere queste cose?
-</p>
-
-<p>
-— Nessuno, certamente; — rispose egli compunto; — ma
-infine, poichè l’una cosa o l’altra
-ho da essere, mi sembra, con vostra licenza, che
-si potrebbe anche lasciarmi intendere che sorte
-mi tocca.
-</p>
-
-<p>
-— Ecco l’uomo! — esclamò la signora. — Ecco
-l’uomo che fa capolino. Egli non ha tempo
-da perdere; vuole sapere alle prime se ha da restare,
-o da andarsene; vuol essere il prescelto e
-sentirselo a dire, per atteggiarsi immediatamente
-a padrone. Ora, sappiatelo, signor De Rossi, io
-non voglio padroni.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Camilla Rivanera parlava risoluto, se badiamo
-alla sostanza; ma, come avviene tra le persone a
-modo, il risolino, l’accento soave, la reticenza, la
-pausa, temperavano spesso la severità della frase.
-</p>
-
-<p>
-Meno garbato, perchè meno padrone di sè, era
-il signor Aldo De Rossi.
-</p>
-
-<p>
-— Sareste senza cuore! — diss’egli.
-</p>
-
-<p>
-— Mettete che sia così, se vi piace.
-</p>
-
-<p>
-— No, non mi piace. Anzi, stavo per aggiungere:
-che peccato! quando mi avete interrotto.
-</p>
-
-<p>
-— Allora, — ripigliò Camilla, scuotendo la
-testa, — immaginate pure che io n’abbia.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-E la parola e il gesto accennavano chiaramente
-che la signora voleva farla finita. Ma il giovinotto
-non se ne diede per inteso, e continuò:
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_113">[113]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Ne avrete, dunque; ma non per me. Questo,
-volevate dire?
-</p>
-
-<p>
-— Oh Dio! — mormorò la signora, spazientita. — Per
-caso, signor De Rossi, apparterreste
-voi alla specie dei....&#160;—
-</p>
-
-<p>
-E si arrestò, temendo di dir troppo. Ma era
-fatta; ed anche un ingegno più tardo di quello
-del signor Aldo De Rossi avrebbe inteso il pensiero
-di Camilla e compiuta la frase.
-</p>
-
-<p>
-— Oh, ditelo pure liberamente; — gridò egli,
-volendo averne l’intiero. — Dei noiosi?
-</p>
-
-<p>
-— Quasi; — fece ella, aggrottando le ciglia.
-</p>
-
-<p>
-— No signora, neanche così! — ripigliò Aldo
-De Rossi. — E permettete che io ve lo provi,
-facendovi riverenza.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-In queste parole si era alzato dalla scranna e
-salutava con molto sussiego la signora Camilla.
-</p>
-
-<p>
-— Buona sera; — rispose la signora, senza
-porgere la destra, che Aldo non aveva mostrato
-di chiedere poichè non aveva stesa la sua.
-</p>
-
-<p>
-E così freddamente lo rimandò con Dio. Ma
-in verità, io non saprei dirvi se egli ci andasse,
-poichè aveva un diavolo per capello.
-</p>
-
-<p>
-Che grilli passavano per la testa alla signora
-Camilla? Le donne sono creature così diverse da
-noi, quantunque fatte della nostra medesima carne,
-che un uomo non può arrischiarsi a giudicarle da
-sè. Bisognerebbe studiarle, l’una per mezzo dell’altra,
-mettendole a confronto, facendole parlare,
-e via di questo passo. Ma neppure per tal via ci
-<span class="pagenum" id="Page_114">[114]</span>
-sarebbe da cavarne un costrutto. Una donna non
-somiglia ad un’altra. Ci avete mai badato, a questo
-fatto psicologico? Son tutte diverse; allegre e
-malinconiche, leggiere e gravi, matte e savie, gentili
-e contegnose, prudenti e sbadate, buonine e
-scontrose, si mostrano formate di tanti elementi,
-e così variamente combinati che somigliano tra
-loro come una partita a scacchi somiglia ad un’altra.
-Lo sapete pure; si comincia sempre ad un
-modo, cioè muovendo le stesse pedine; ma dopo
-le prime mosse, non è più la medesima cosa, e
-dura la bella varietà fino al penultimo colpo.
-L’ultimo, rammentatelo, riconduce le partite ad una
-certa uniformità, poichè si foggia per solito su
-d’un ristretto numero di combinazioni. E in amore
-e agli scacchi, la regina finisce sempre ad un
-modo: scacco matto al re.
-</p>
-
-<p>
-Ma la signora Camilla?... Voi non volete essere
-tenuti a bada con le chiacchiere e tornate a domandarmi
-che diamine avesse in capo la signora
-Camilla. Ecco, per quello che io ne so... (ma
-badate, so poco, e potrei anche aver preso abbaglio)
-per quello che io ne so, la signora Camilla
-non amava Aldo De Rossi. In fondo non amava
-nessuno. Li voleva tutti devoti, e poi non sapeva
-che farsene della loro devozione, e li accusava di
-essere sempre gli stessi piagnoni con tutte. Novità,
-volevano essere, prove straordinarie, atti di
-valore e di sacrifizio, come non se ne fanno più,
-e come non è più permesso di farne in questi
-<span class="pagenum" id="Page_115">[115]</span>
-tempi volgari. Ma perchè, poi? Per premiarli con
-un sorriso, con una stretta di mano, con una di
-quelle piccole grazie e cortesie di gran dama, che
-ella usava largire al primo venuto, o all’ultimo,
-senza che questi avesse compiuto nulla di grande
-per lei.
-</p>
-
-<p>
-Dunque, per farvela breve, la signora Camilla
-Rivanera non amava Aldo De Rossi, nè altri. Le
-adorazioni di tutti l’avevano avvezzata a non
-amare che sè stessa. L’uomo di valore che si
-fosse invaghito di lei poteva dirsi perduto, se una
-circostanza fortunata non venisse ad aiutarlo. Ma
-convenite che è doloroso aspettare la propria salute
-dal caso.
-</p>
-
-<p>
-Aldo De Rossi incominciava a non aspettare
-più nulla. Aveva commesso un altro errore gravissimo,
-incalzandola troppo con le sue furie impazienti;
-aveva dimenticato quel primo tra gli
-elementi della grammatica d’amore: che ogni
-donna vuol essere amata a suo modo. Ma, d’altra
-parte, come indovinare il modo della signora Camilla?
-Notate che egli non doveva indovinare
-una cosa sola, ma due; prima di tutto se egli era
-quel tale che potesse toccarle il cuore, e poi in
-che modo ci sarebbe riuscito. Ora, quando un
-uomo appartiene alla specie dei noiosi, che vogliono
-spingere troppo oltre le indagini e andare
-a fondo prima che la bella nemica (stile del Cinquecento)
-mostri il petto indifeso, dite pure che
-succederà una catastrofe. E il signor Aldo aveva
-<span class="pagenum" id="Page_116">[116]</span>
-avuta la sua. Quel giorno, se il mondo fosse stato
-un uovo ed egli lo avesse avuto tra le dita, vi
-assicuro che si faceva una frittata nello spazio.
-</p>
-
-<p>
-Il giorno dopo quel dialogo, Aldo De Rossi
-andò dalla signora Vezzosi, ed ebbe con lei quella
-strana conversazione che vi ho riferita in principio.
-Un altr’uomo non sarebbe più tornato dalla
-Rivanera. Ma egli ci tornò. Vi ho già detto che
-non era un uomo perfetto. La trovò fredda, poi
-gentile, poi gaia, poi niente di particolare. Egli,
-quasi sarebbe inutile il dirlo, si guardò bene di
-toccare l’argomento delicato. Ed ella, per caso,
-non fu più umana con gli altri visitatori, di quello
-che fosse con lui. Mal comune è mezzo gaudio,
-e insegna la pazienza a tutti.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_117">[117]</span></p>
-
-<h2 id="cap7">VII.</h2>
-</div>
-
-<p>
-Era la prima domenica di luglio. L’anno si lascia
-in bianco, che tanto non vi servirebbe a nulla
-il saperlo. Forse vi tornerà più utile sapere che
-una calessina da quattro posti, con un sopraccielo
-di cuoio e le cortine di tela torno torno, secondo
-la foggia comune in Val di Nievole, si muoveva
-poco dopo le otto del mattino, dall’albergo della
-Pace, in Montecatini, andando di buon trotto su
-lo stradone alberato che mette allo stabilimento
-del Tettuccio.
-</p>
-
-<p>
-La giornata era splendida; cosa naturalissima in
-luglio, che è il mese dei solleoni e delle cicale.
-Ma a quell’ora non faceva ancora troppo caldo, e
-le cicale cantavano con una certa moderazione.
-Perfino la polvere della strada usava qualche riguardo
-ai viandanti, non levandosi a nugoli intorno
-alle ruote delle carrozze.
-</p>
-
-<p>
-Il veicolo che v’ho accennato, dopo otto o
-dieci minuti di corsa, andò a fermarsi in fondo
-<span class="pagenum" id="Page_118">[118]</span>
-allo stradone, davanti ad un edifizio di mezzo colore
-tra il bianco e il rossigno. Era quello il Tettuccio,
-il primo e il più celebre tra i molti stabilimenti
-termali di Montecatini, che dispensano
-le acque acidulo-saline atte a rimettere in istato
-normale, o quasi, i visceri dell’umanità sofferente.
-</p>
-
-<p>
-Fermato il veicolo, ne uscì fuori un cappello
-di paglia, indi un tutto vestito grigio. Il cappello
-era largo, ma il tutto vestito era strettino, segno
-che il signore che lo indossava era magro. La
-tesa del cappello alquanto rilevata sul davanti, lasciava
-scorgere dal viso che il signore magro era
-anche vecchio. Ma la prontezza con cui aveva
-posto il piede sul montatoio e la sicurezza con
-cui era balzato dal montatoio a terra, dimostravano
-chiaramente che il magro e vecchio gentiluomo
-portava bene i suoi anni. Come ebbe posto
-piede a terra, prese un atteggiamento nobile e
-franco, che, unito a certi particolari del vestiario,
-come a dire i guanti di fil di Scozia, il taglio inglese
-dell’abito e i solini insaldati e diritti che
-reggevano il mento, vi faceva indovinare alla bella
-prima il pezzo grosso, il personaggio ragguardevole.
-Che se voi, lettori discreti, non l’aveste indovinato,
-vedendolo, ci sarei sempre io per mettervi
-sulla buona strada, aggiungendovi che quel
-magro e vecchio gentiluomo era il Roberti, il
-nostro degnissimo presidente gran croce.
-</p>
-
-<p>
-Appena fu a terra ed ebbe preso l’atteggiamento
-che v’ho detto, il presidente Roberti stese la mano
-<span class="pagenum" id="Page_119">[119]</span>
-ad una graziosa figura di donna, che usciva alla
-sua volta di mezzo alle cortine di tela del carrozzino.
-Non vi descriverò l’abbigliatura, perchè,
-con questa benedetta moda che cangia tutti gli
-anni, rischierei di parervi un antiquario oggi, e a
-dirittura un archeologo domani. Vi dirò soltanto
-che era una bella nuvoletta bianca, picchiettata di
-lilla; nella quale immagine, che non sembrerà più
-ardita dopo l’<i>aria tessuta</i> di mastro Giovenale, vi
-è lecito d’intendere che la signora indossava una
-veste di stoffa bianca e leggiera, con certi cappiolini
-di nastro color lilla. Ed anche lei portava
-in testa un cappello di paglia; ma era paglia di
-riso, per stare in armonia con la bianchezza della
-veste; e i larghi nastri ond’era adornato, le facevano
-un gran fiocco sotto la gola. Che candore
-abbagliante di collo, tra quel gran fiocco lilla e la
-gorgiera della veste! E che luccichio d’occhi neri,
-sotto la leggiadra curva di quel cappellino bianco!
-E che grazia di sorriso tra quelle guance di rosa!
-E che splendore di perle tra quelle labbra vermiglie!
-Insomma, lettori, io non ve ne dico altro,
-poichè avete riconosciuta la signora Camilla Rivanera,
-la bellissima vedova, che pareva sempre
-una fanciulla da marito.
-</p>
-
-<p>
-Infatti, chi non l’avrebbe creduta la figlia del
-presidente gran croce, vedendola entrare, al suo
-fianco, sotto l’atrio del Tettuccio? Tutti, io credo,
-salvo quei pochi maligni, a cui potesse passare
-per la mente che ella fosse sua moglie. Bartolo
-<span class="pagenum" id="Page_120">[120]</span>
-non fu sul punto di sposare Rosina? E Donna
-Sol non corse il rischio di andar moglie a Ruy
-Gomez de Silva? Anche ai dì nostri son cose che
-si dànno, per consolazione dei vecchi e per disperazione
-dei giovani.
-</p>
-
-<p>
-Erano soli, come due sposi, in piena luna di
-miele, quando entrarono sotto l’atrio del Tettuccio.
-Ma dovevano essere riconosciuti e accompagnati
-ben presto. Il sopraintendente governativo
-del Tettuccio (perchè le acque del Tettuccio scorrono
-col visto e sotto la sorveglianza dello Stato)
-si era fatto incontro al presidente gran croce. E
-il ragguardevole uomo, ascoltate con molta benevolenza
-le parole di ossequio del giovane ufficiale,
-gli aveva stesa con altrettanta degnazione la sua
-mano di giustizia in ritiro, accettandolo ad introduttore
-negli orti saluberrimi.
-</p>
-
-<p>
-Vi ho già detto che erano passate di poco le
-otto del mattino. Il Tettuccio era pieno zeppo di
-eleganti ammalati. La cura di Montecatini è tutta
-mattutina e si fa regolarmente prima dell’asciolvere;
-di guisa che il fortunato bevitore delle
-acque acidulo-saline ci ha tutto il tempo di seccarsi
-fino all’ora del pranzo, ed anche più in là.
-Si lasciano le molli piume tra le sette e le otto;
-si sale in carrozza e si va al Tettuccio; si siede
-colà, sotto i porticati, o lungo i viali, o tra le
-aiuole; si barattano quattro ciarle con le proprie
-conoscenze, quando se ne hanno, o si sta a guardare
-intorno, aspettando di farne; intanto passano
-<span class="pagenum" id="Page_121">[121]</span>
-gli acquaiuoli coi bicchieri e le caraffe piene delle
-linfe salutari; si stende la mano, si prende un bicchiere
-e lo si beve a lenti sorsi. È di buon gusto
-il chiacchierare tra una sorsata e l’altra, tenendo
-il bicchiere all’altezza del mento. I discorsi, poi,
-hanno da essere ameni. Galanteria, se ci sono signore
-nel crocchio; ma la politica deve far capolino
-di tanto in tanto; se no, correte il rischio
-d’esser preso per un uomo da nulla.
-</p>
-
-<p>
-Perchè ciò? Perchè Montecatini è il luogo di
-cura, la <i>statio bene fida</i> degli uomini politici, a
-cui danno molestia le bili accumulate nei cinque
-o sei mesi d’una sessione parlamentare. Il fegato
-è un viscere eminentemente politico. Guai all’oratore,
-stanco delle infeconde battaglie della parola,
-che non si consegna una volta all’anno alle
-terme Leopoldine, al Bagno Regio, al Tettuccio,
-all’Olivo, alla Regina, al Cipollo, al Rinfresco, e
-via discorrendo a qualcheduna delle preziosissime
-polle minerali di Valdinievole, per ritemprarvi le
-forze! Lo stesso Antèo, il famoso gigante che
-ebbe a lottare con Ercole, se vivesse ai dì nostri,
-non vorrebbe toccar terra che a Montecatini.
-</p>
-
-<p>
-Per queste ragioni, ogni anno, tra giugno e
-settembre, in mezzo a dame clorotiche e anemiche,
-a banchieri pletorici, a generali reumatizzati, a
-giovinetti rachitici, a tenori e baritoni infreddati,
-si vedono molti infermi di una malattia particolare,
-riconoscibili alla medaglia di San Venanzio
-che ciondola loro sul petto, sospesa alla catenella
-<span class="pagenum" id="Page_122">[122]</span>
-dell’orologio. E si sentono qua e là, nel pigia
-pigia, dei discorsi come questo:
-</p>
-
-<p>
-— Oh, buon giorno! Come stai, mio caro?
-Quando sei giunto?
-</p>
-
-<p>
-— Ieri; e tu?
-</p>
-
-<p>
-— Io da sei giorni, ed ho già passato trenta
-bicchieri. E che nuove da Roma?
-</p>
-
-<p>
-— Niente di bello. Il Ministero si sosterrà.
-</p>
-
-<p>
-— Sfido io! Siamo in vacanze. Ma lo voglio
-vedere alla riapertura.
-</p>
-
-<p>
-— Hai già un’interpellanza in corpo?
-</p>
-
-<p>
-— Una, per ora; ma fra due mesi ne avrò
-quattro. Così non può durare.
-</p>
-
-<p>
-— Oh, per questo hai ragioni da vendere. Se
-ne parlava ancora l’altra notte in strada ferrata con
-l’onorevole Bulinelli. Sai che gli hanno rovinato
-il collegio, con quella concessione di nuove sezioni
-elettorali separate? Il Bulinelli è fuori della
-grazia di Dio. Lo sentiranno. Egli è uno dei cinque
-che capiscono qualche cosa nell’arabo dei bilanci,
-e pretende che ci siano più errori che
-cifre.
-</p>
-
-<p>
-— Cifre arabiche; errori arabici, mio caro!
-</p>
-
-<p>
-— Ah sì, tu ci hai sempre la burletta. Si vede
-che le acque ti giovano.
-</p>
-
-<p>
-— Di’ piuttosto che non mi mutano. Ho piacere
-che il Bulinelli sia in collera. Quantunque
-io dubiti sempre, dopo il suo <i>sì</i> dell’anno
-scorso.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Il <i>sì</i> dell’on. Bulinelli è tanto grazioso, che
-<span class="pagenum" id="Page_123">[123]</span>
-non si può accennarlo, senza raccontarne la storia.
-Era imminente a Montecitorio una votazione
-importante, da cui doveva dipendere la sorte del
-Ministero, e questo e l’opposizione battevano di
-continuo il telegrafo, per chiamare i tiepidi a
-Roma. All’ultimo giorno della discussione, che
-era stata tirata in lungo oltre il convenevole, per
-dar tempo alle ultime categorie di giungere sul
-campo, non si poteva ancor prevedere di chi sarebbe
-stata la vittoria. Quindici voti di assenti,
-che potevano capitare coll’ultima corsa, erano
-dubbi, e la vittoria dipendeva dal voltarsi che una
-metà di quei quindici avrebbe fatto o da una
-parte o dall’altra.
-</p>
-
-<p>
-— Come voterà il Bulinelli? — si chiedeva
-dai capi dell’opposizione, raccolti in una sala di
-Montecitorio, in prossimità dell’ingresso.
-</p>
-
-<p>
-L’accenno al Bulinelli era cagionato per l’appunto
-dalla apparizione di quell’onorevole uomo
-nell’anticamera.
-</p>
-
-<p>
-— Aspettate; — disse un amico; — vo a tastargli
-il polso.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-E andando incontro all’onorevole Bulinelli, e
-messagli amichevolmente una mano sulla spalla,
-gli disse:
-</p>
-
-<p>
-— Buon giorno! Sei giunto ora?
-</p>
-
-<p>
-— Sì, non ho avuto neanche il tempo di smontare
-all’albergo, tanto mi premeva di essere al mio
-posto. Sai che nelle grandi occasioni io non manco
-mai al mio dovere.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_124">[124]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Soldato vero e fedele alla bandiera! — esclamò
-l’amico, premendo forte con la palma della
-mano. — E che ti pare del Ministero? Hai veduto
-che povertà di ragioni, nel discorso del guardasigilli?
-</p>
-
-<p>
-— Non me ne parlare! Ho letto il rendiconto
-telegrafico e m’è bastato. Ma sai che ci vuole un
-bel coraggio?
-</p>
-
-<p>
-— Dunque, voterai contro?
-</p>
-
-<p>
-— Si domanda? Contro, arcicontro, contrissimo.
-</p>
-
-<p>
-— Ah, bene! — esclamò l’amico, noverando
-un voto di più per l’opposizione.
-</p>
-
-<p>
-Poco dopo si entrò nell’aula. Si svolgevano gli
-ultimi emendamenti dei vari ordini del giorno;
-poi, come al solito, si ritirarono cinque o sei ordini
-del giorno, e i rispettivi emendamenti, non
-restando al contrasto che l’ordine del giorno accettato
-dal Ministero e quello delle opposizioni
-collegate. Venne fuori la solita domanda di votare
-per appello nominale, e i segretari della presidenza
-misero mano agli elenchi. S’incominciò a
-leggere i nomi, dal banco della presidenza, e a
-sentire i sì e i no, diversamente modulati, da questa
-e da quella parte dell’aula. La prima lettera
-dell’alfabeto, povera anzi che no di cognomi, si
-mantenne in un prudente equilibrio di sì e di no.
-La seconda lettera, più ricca, ma ancora troppo
-lontana dal mezzo dell’alfabeto, diede una certa
-prevalenza ai sì. Fortunatamente l’opposizione contava
-su certi nomi sicuri, che avrebbero rimesse
-<span class="pagenum" id="Page_125">[125]</span>
-le parti in bilico. Tra questi, come v’ho detto,
-era il nome dell’onorevole Bulinelli.
-</p>
-
-<p>
-Finalmente ci s’arriva; il segretario grida il
-nome del Bulinelli. E il Bulinelli, con una voce
-che potrebbe dare l’intonazione alle trombe del
-giudizio, risponde:
-</p>
-
-<p>
-— Sì!
-</p>
-
-<p>
-Gli oppositori si guardano scambievolmente, poi
-guardano l’amico che aveva annunziato loro il no
-dell’onorevole Bulinelli. L’amico allunga le labbra
-e si stringe nelle spalle. Intanto, l’appello nominale
-continua, e un’ora dopo è finito. Il Ministero ha
-vinto per soli cinque voti, ma ha vinto, e questo è
-l’essenziale. E insieme col Ministero ha vinto anche
-l’onorevole Bulinelli, che si trova rassodato nel
-suo collegio per un altro bimestre, cioè fino ad
-un altro appello nominale e ad un altro pericolo
-di crisi ministeriale.
-</p>
-
-<p>
-— Che vuoi? — diceva quella sera l’onorevole
-Bulinelli all’amico, che gli domandava la ragione
-del suo voto. — Avevo promesso un no,
-e sarebbe stato un no tanto fatto, perchè io, come
-sai, non guardo in faccia a nessuno. Ma il presidente
-del Consiglio e il ministro degl’interni mi
-han preso in mezzo, mentre andavo a fumare il
-mio sigaro tra un emendamento e l’altro; mi han
-condotto nei corridoi; mi hanno date spiegazioni
-sufficienti della loro politica. Infine, che ti dirò?
-Mi hanno persuaso.... almeno per ora. E tu capirai....
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_126">[126]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Capisco, capisco; — interruppe l’amico. — Sarà
-per un’altra volta.
-</p>
-
-<p>
-— E col medesimo risultato; — soggiunse mentalmente
-un collega, che aveva colto quel dialogo
-a volo.
-</p>
-
-<p>
-Vi ho raccontato questo piccolo episodio della vita
-parlamentare italiana, perchè m’è venuto a taglio, anzi
-per dire più esattamente, m’è sgocciolato dalla
-penna; ma non istate a credere che io voglia trattenermi
-con gli uomini politici raccolti al Tettuccio.
-Seguiterò invece la signora Camilla Rivanera,
-che entrava nello stabilimento, con quella dignità,
-con quella scioltezza di modi, e infine con quel
-possesso di scena, che contraddistingue le dame,
-queste prime attrici della commedia sociale. Oramai,
-signori belli, o prime attrici, o nulla. Le
-ingenue non sono più di moda, e sto per dire
-neanche le amorose. Almeno, l’apparenza della
-cosa non ci ha da essere, perchè stonerebbe maledettamente
-in mezzo a questa cara finzione. Anche
-le fanciulle contraggono nell’uso del mondo
-un’aria di padronanza che farebbe trasecolare i nostri
-bisnonni, se tornassero mai, per loro tormento
-ineffabile, a recitare nella sullodata commedia la
-loro parte di caratteristi. Disinvoltura vuol essere,
-e magari anche audacia. Ogni altra maniera di
-portamento, ogni altra espressione di volto, saprebbe
-di provinciale e di goffo. La donna gentile,
-che Dante ha descritta a passeggio in sonetto
-immortale, farebbe una brutta figura ai tempi
-<span class="pagenum" id="Page_127">[127]</span>
-nostri e lungo i margini delle nostre vie. Ci si
-fermerebbe ancora a guardarla, perchè la bellezza
-vuol sempre il suo omaggio consueto, ma si borbotterebbe
-tra i denti: — Che peccato! Ha un’aria
-molto sciocca.
-</p>
-
-<p>
-Il presidente Roberti, magro profilo d’uomo,
-perduto nello splendore mattutino della sua bella
-nipote, come un povero satellite nella luce di
-Giove, andava cercando con l’occhio un sedile
-vuoto. Tutto ad un tratto, gli baluginò sugli occhi
-un cappello che descriveva la sua parabola
-davanti a lui e gli venne all’orecchio una voce
-ossequiosa.
-</p>
-
-<p>
-— Signor presidente, i miei rispetti!&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Il presidente si volse, riconobbe il personaggio
-e, fermandosi con atto di lieta meraviglia, gli
-disse:
-</p>
-
-<p>
-— Cavaliere Sestavalle! Anche Lei a Montecatini?
-</p>
-
-<p>
-— È la mia stazione di tutti gli anni; — rispose
-l’Alcibiade, inchinandosi. — E mi è permesso
-di ossequiare la signora, e di chiederle notizie
-della sua salute? Quantunque, — soggiunse,
-piegando il busto e rimpicciolendo le labbra, — non
-sarebbe il caso di domandarne, vedendo quel
-florido aspetto.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-La signora Camilla sorrise benignamente e
-stese la sua leggiadra manina al cavaliere Sestavalle.
-</p>
-
-<p>
-— Troveranno qui parecchie conoscenze;&#160;—
-<span class="pagenum" id="Page_128">[128]</span>
-ripigliò l’Alcibiade, prendendo posto a fianco della
-signora Camilla.
-</p>
-
-<p>
-— Davvero? — esclamò la signora. — E
-chi?
-</p>
-
-<p>
-— I Vezzosi, prima di tutti. Eccoli là, nella
-rèdola a sinistra. Li hanno veduti per l’appunto,
-e il commendatore Gerardo si alza per venirli ad
-incontrare.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Infatti, il signor Gerardo si era levato allora
-dal suo sedile, accanto ad una tavola di marmo,
-e muoveva frettolosamente verso il viale. L’atto
-premuroso richiedeva una pronta voltata verso la
-rèdola, e la signora Camilla fece ella stessa una
-parte di strada, tanto più che dietro al signor
-Gerardo aveva veduta la signora Vezzosi, che era
-seduta presso la tavola, e aveva al fianco parecchi
-cavalieri, tra i quali il signor Aldo De Rossi.
-</p>
-
-<p>
-Anche la signora Elena si alzò per muovere
-incontro all’amica, e avvenne la solita scena commovente
-delle due dame che si combinano a caso,
-dopo un certo periodo di separazione. L’incontro
-di due stelle è sempre un cataclisma, nelle regioni
-celesti; ma in terra, la cosa ha più modeste
-apparenze, quantunque non meno degne di
-osservazione. Generalmente, le stelle terrestri (passatemi
-lo strano accoppiamento di vocaboli) hanno
-qualche cosa da invidiarsi a vicenda, o la bellezza,
-o la gioventù, o un bel paio di pendenti,
-o una abbigliatura di Worth, o un cavalierino di
-garbo. E frattanto si ammirano, si baciano, si dicono
-<span class="pagenum" id="Page_129">[129]</span>
-delle paroline inzuccherate, che farebbero
-correre l’acquolina alla bocca, se non si pensasse
-che lo zucchero è di quello che riveste le
-pillole; roba per solito amara, e qualche volta,
-velenosa.
-</p>
-
-<p>
-— Sei qui, mia cara! Che fortuna! Ma sai che
-diventi ogni giorno più bella?
-</p>
-
-<p>
-— Che dici? Sei tu che risplendi come un sole.
-E avevi bisogno di questa cura?
-</p>
-
-<p>
-— Che! Non faccio cura. Seguo il mio signore
-e padrone. E neanche tu, m’immagino, sarai venuta
-per bere.
-</p>
-
-<p>
-— Oh no, sicuramente. Io seguo lo zio, come,
-vedi.
-</p>
-
-<p>
-— Ad ogni modo, ringraziamo il sesso forte
-e le sue debolezze, poichè ci si guadagna di vederci
-e di stare un po’ insieme. In città non è
-possibile. Tu ci hai il tuo trono....
-</p>
-
-<p>
-— E tu la tua corte.
-</p>
-
-<p>
-— Carina! Qui invece potremo fare un regno
-solo, non è vero? Ti presenterò i miei cavalieri
-e saranno i tuoi.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Ad un discorso di questa fatta, si sa, i cavalieri
-s’inchinano, senza muovere un lagno, per
-essere stati regalati così alla libera, come ai tempi
-antichi una coppia di schiavi.
-</p>
-
-<p>
-La signora Elena Vezzosi non aveva da presentare
-nominatamente il signor Aldo De Rossi,
-che era per la signora Camilla una conoscenza
-già fatta. Ma ella reputò necessario, indicandolo
-<span class="pagenum" id="Page_130">[130]</span>
-dopo gli altri, di soggiungere, con l’aria più naturale
-del mondo:
-</p>
-
-<p>
-— Vedi, abbiamo anche trovato a Montecatini
-il signor De Rossi, che fa le sue gite, senza darne
-cenno a nessuno. Ma per questa volta lo abbiamo
-sorpreso, e lo riterremo prigioniero di guerra.&#160;—
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_131">[131]</span></p>
-
-<h2 id="cap8">VIII.</h2>
-</div>
-
-<p>
-Aldo aveva salutata la signora Camilla con un
-muto inchino, ma anche con una confusione più
-eloquente di qualsivoglia discorso. La signora Camilla,
-dal canto suo, fin dalle prime parole di Elena,
-aveva mormorato quel certo «<i>ah sì?</i>» mezzo
-interrogativo e mezzo sbrigativo, con cui se la
-cava chi non ha da dir nulla e vuole tuttavia aver
-l’aria di dire qualche cosa.
-</p>
-
-<p>
-Intanto il signor Gerardo e il Roberti avevano
-cominciato a chiacchierare tra loro. Il commendatore
-Vezzosi era felice di aver trovato un presidente
-gran croce, in mancanza dei due ministri,
-che non si erano ancora lasciati vedere in Valdinievole.
-Cinque minuti dopo, il presidente Roberti,
-seduto presso la tavola dei Vezzosi, aveva già bevuto
-due bicchieri dell’acqua salutare e sorbito
-un discorso politico del commendatore Gerardo.
-</p>
-
-<p>
-La signora Camilla, ultima arrivata a Montecatini,
-<span class="pagenum" id="Page_132">[132]</span>
-accettava di buon grado gli uffici del cavaliere
-Sestavalle. Il vecchio Alcibiade s’era tramutato
-nel più compiacente dei Ciceroni, e le andava
-sciorinando i nomi di tutte le signore che
-passavano a mano a mano lungo il viale d’entrata.
-La rassegna del Sestavalle comprendeva contesse
-veneziane, marchese fiorentine, duchesse napolitane,
-principesse greche, moldovalacche e via
-discorrendo. Perchè c’era di tutto laggiù, e il cavaliere
-Sestavalle era già informato di tutto.
-</p>
-
-<p>
-Aldo De Rossi, presa di fianco alle dame una
-posizione modesta, ma buona, come tutte le posizioni
-modeste, sorrideva col sommo delle labbra
-alla signora Elena, ogni qual volta essa gli volgesse
-il discorso; ma intanto era tutt’occhi per
-la signora Camilla. Felice quando ne incontrava
-lo sguardo! Ma erano istanti brevissimi; lo sguardo
-della signora Camilla passava, e la bellissima donna
-aveva l’aria di non essersi neanche avveduta delle
-sue contemplazioni.
-</p>
-
-<p>
-Poco stante, le signore si mossero, per fare un
-giro nello stabilimento. Si sentivano dal fondo gli
-accordi d’un concertino di pianoforte e di flauto,
-musica improvvisata da suonatori girovaghi, che
-volevano parere artisti di passaggio, e la signora
-Elena propose di andare nella sala del concerto.
-Intanto la signora Camilla, che veniva per la prima
-volta a Montecatini, doveva conoscere in ogni sua
-parte lo stabilimento del Tettuccio, vedere la fonte,
-il giardino e il <i>bazar</i>. Mercè una sapientissima
-<span class="pagenum" id="Page_133">[133]</span>
-mossa strategica, Aldo De Rossi aveva ottenuto
-di trovarsi al fianco della signora Camilla, cacciandone
-il Sestavalle, che dovette appoggiare a
-sinistra, verso la signora Elena Vezzosi. E perchè
-lungo il viale, in mezzo al viavai della gente, non
-si poteva marciare per quattro, ne venne che la
-fronte si spezzò subito in due. La signora Elena
-andò innanzi con l’Alcibiade; il presidente gran
-croce e il commendatore Gerardo venivano indietro,
-con una gravità degna di loro: Aldo e
-Camilla si trovavano soli nel mezzo.
-</p>
-
-<p>
-— Che fortuna per me, signora! — disse Aldo
-in modo da non essere udito dalla prima, nè dalla
-terza fila.
-</p>
-
-<p>
-— Fortuna! Di che? — esclamò la signora
-Camilla.
-</p>
-
-<p>
-— Ma.... di avervi incontrata; — rispose il
-De Rossi.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-La signora Camilla si volse a mezzo e lo
-guardò co’ suoi begli occhi neri, in atto di curiosità,
-mentre le labbra vermiglie s’increspavano
-ad un risolino sarcastico.
-</p>
-
-<p>
-— O non lo sapevate, di dovermi incontrare? — gli
-chiese.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Aldo rimase un po’ sconcertato da quella domanda
-e dall’espressione di quel sorriso. Tuttavia
-volle provarsi a rispondere.
-</p>
-
-<p>
-— Anche a saperlo prima, sarebbe sempre una
-fortuna; — diss’egli. — Non potevate avere mutato
-opinione?
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_134">[134]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Ah, bene! — esclamò la signora Camilla. — Voi
-mi fate molto volubile, signor De Rossi!
-Ma badate, nel caso presente l’accusa non verrebbe
-a me, sibbene a mio zio. Vi ha proprio
-l’aria di un uomo volubile?&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Aldo De Rossi era lì per rispondere qualche
-altra sciocchezza; ma proprio in quel punto il
-fermarsi improvviso della prima fila richiamava
-ad altro argomento l’attenzione della signora Camilla.
-Un nuovo venuto salutava la signora Elena
-indi si volgeva con atto ossequioso alla compagnia.
-Il nuovo venuto era il contino Anselmi,
-sempre elegante, sempre gaio, sempre contento
-di sè, quantunque non fosse poi tanto imbecille,
-come qualche volta gli piaceva di chiamarsi, per
-antivenire il giudizio de’ suoi contemporanei.
-</p>
-
-<p>
-Le tre file si erano tramutate in un crocchio.
-E il commendatore Gerardo aveva presentato il
-contino Anselmi al presidente gran croce.
-</p>
-
-<p>
-— Non è necessario: — disse il presidente. — Col
-signor conte ci conosciamo da un pezzo.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Così dicendo, stendeva la mano, che il contino
-Anselmi fu pronto a stringere, non senza un atto
-del capo, che faceva fede della sua reverenza e
-della sua gratitudine.
-</p>
-
-<p>
-— Quantunque, — entrò a dire la signora Camilla,
-che aveva già ricevuti gli omaggi del nuovo
-venuto, — sarebbe quasi necessario di rinnovare
-la presentazione.
-</p>
-
-<p>
-— Perchè mi si vede di rado? — chiese l’Anselmi
-<span class="pagenum" id="Page_135">[135]</span>
-ridendo e inchinandosi di bel nuovo. — Ma
-la colpa non è mia.
-</p>
-
-<p>
-— Stiamo a vedere che è nostra! — ribattè
-la signora Camilla.
-</p>
-
-<p>
-— Per l’appunto, — replicò l’Anselmi, — e
-si vede che le vostre labbra, o signora, hanno
-l’uso delle verità. Conosco due virtù che stanno
-ad alloggio nella medesima casa; la grazia e la
-giustizia; — soggiunse amabilmente il contino,
-accompagnando i due sostantivi con due guardate
-consecutive alla signora Rivanera ed al presidente
-Roberti. — Con che coraggio ci entrerebbe la
-mia dappocaggine?
-</p>
-
-<p>
-— Ecco un pretesto che vuol parere un complimento; — notò
-la signora Camilla. — Lo accetteremo
-per un complimento, zio?
-</p>
-
-<p>
-— Oh, ve ne prego, signora; — gridò il contino
-Anselmi; — non interrogate il magistrato.
-Egli mi condannerebbe.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Il presidente gran croce, chiamato in causa a
-quel modo, reputò necessario di fingere altrettanta
-gravità, quanta era stata nel contino Anselmi
-la finzione dello spavento.
-</p>
-
-<p>
-— Forse perchè vi sentite colpevole? — diss’egli. — Ma
-badate, signor conte; io non fo più
-sentenze da molti anni. L’ultimo uffizio che ho
-tenuto, è stato quello di cassare le sentenze degli
-altri, quando mi accadeva di ritrovarci un
-vizio di forma. Se mia nipote vi condannasse,
-vedrei....
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_136">[136]</span>
-</p>
-
-<p>
-— E cassereste la sua sentenza per vizio di
-forma? Meno male; — replicò l’Anselmi. — Ma
-io, ringraziando Vostra Eccellenza, non approfitterò
-della cortesia. Per una sentenza della signora
-Camilla io non ricorrerò mai in cassazione; foss’anche
-una sentenza di morte.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Così chiacchieravano allegramente, andando a
-lenti passi verso la sala del concerto. Intanto, il
-signor Aldo De Rossi era sulle spine.
-</p>
-
-<p>
-— Che sciocchezze! — disse egli tra sè. — Non
-capisco come il presidente ci trovi gusto.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Se la pigliava col presidente, ma in fondo in
-fondo l’aveva con la signora Camilla. E si doleva
-che quel perondino vanaglorioso fosse venuto
-in mezzo con le sue ciance, per prendersi
-il primo posto. Ma già, l’occasione è di chi si
-caccia avanti e sa afferrarla per il ciuffo.
-</p>
-
-<p>
-A farlo a posta, la signora Camilla non aveva
-occhi nè orecchi che per il contino Anselmi; e
-questi, molto naturalmente, senza che Aldo De
-Rossi potesse lagnarsene, prese il suo posto a
-fianco della signora. Non doveva egli continuare
-una conversazione che ella mostrava di gradire?
-</p>
-
-<p>
-Sì, questo andava benissimo; il ragionamento
-non faceva una grinza e al signor Aldo gli toccava
-di rassegnarsi. Solo una cosa non poteva
-mandar giù; che la signora Camilla potesse dilettarsi
-di quelle ciarle senza sugo, di quei complimenti
-smaccati, di quelle amplificazioni noiose.
-Ma dobbiamo noi pensare in tutto e per tutto
-<span class="pagenum" id="Page_137">[137]</span>
-come il signor Aldo De Rossi? E la signora Camilla
-non meritava in questo caso le circostanze
-attenuanti? In società siamo tutti un po’ facili a
-giudicare secondo il nostro tornaconto, e il non
-vedere che poi ci rende ingiusti con gli altri. Ma
-se il signor Aldo non ci pensa, a queste cose,
-dobbiamo pensarci noi; ricordare ad esempio che
-si era in viaggio, lontani da casa, da tutte le cure
-e da tutte le serie occupazioni della vita. In simili
-casi l’incontro di un grazioso cavaliere, d’un capo
-ameno, è sempre una fortuna; ed è naturale che
-si faccia festa all’uomo che può e vuole tenere
-allegra la compagnia. Gli uomini che ci hanno
-una spina nel cuore farebbero bene a starsene a
-casa, o a viaggiare da soli. E chi sa? Forse, viaggiando
-da soli, s’imbatterebbero in una società nuova
-per essi, nella quale non avrebbero sopraccapi, e
-per la quale sarebbero aiuti preziosi. Tanto è vero
-che nel mondo c’è posto per tutti. L’essenziale è
-di trovare quel posto.
-</p>
-
-<p>
-Forse ne aveva già fitto l’esperienza, il signor
-Aldo De Rossi, che si trovava libero di cuore e
-franco di lingua presso la signora Vezzosi, mentre
-era così triste e ingrugnato (diciamo pure la
-brutta parola) presso la signora Camilla? Ora,
-nella battaglia della vita, chi ha la mente serena
-è sicuro del fatto suo.
-</p>
-
-<p>
-Bel ragionamento, del resto! Andatelo a fare a
-chi soffre. Ogni nato di donna ha da seguire il
-suo fato. E il fato moderno, più vero dell’antico,
-<span class="pagenum" id="Page_138">[138]</span>
-è costituito da tante piccole cause inavvertite, che
-vi fanno rete intorno alla persona e vi trascinano
-di concessione in concessione, di debolezza in debolezza,
-agitandovi di qua e di là come il vento
-la piuma. E guai a chi è leggiero com’essa; guai
-a chi non ha un bricciolo di volontà, per resistere
-in qualche modo e sottrarre una parte di sè
-medesimo all’azione combinata delle piccole cause!
-</p>
-
-<p>
-Intanto, il nostro Aldo si foggiava i proprii
-mali. Già se li vedeva compendiati in quel principio
-di sofferenze, come una commedia antica
-nell’argomento di cui l’hanno provveduta i grammatici.
-Era, lui, proprio lui, che col suo tirarsi in
-disparte, col suo metter broncio, rendeva possibile
-il peggio.
-</p>
-
-<p>
-E pensare che quella mattina egli era tanto felice!
-E i giorni addietro, che ansietà fanciullesca,
-ma piacevole, ad aspettare l’arrivo della signora!
-Confuso tra quella moltitudine elegante che si
-accalcava ad ogni arrivo di treno sull’asfalto della
-stazione di Montecatini, per veder giungere i
-nuovi compagni di cura, egli aveva finalmente
-veduto scendere da una carrozza di prima classe
-il presidente Roberti e la sua bella nipote. Non
-si era fatto avanti, volendo assaporare la sua gioia,
-e procurarsi il piacere di dire più tardi alla signora
-Camilla: — Sapete? Io ero là. Avevate un cappellino
-così e così, con un velo del tal colore, una
-cappa, o una mantellina del tal altro. — E fuori
-della stazione l’aveva pedinata fino all’albergo della
-<span class="pagenum" id="Page_139">[139]</span>
-Pace, dove egli stesso era sceso due giorni prima
-ad alloggio in compagnia dei Vezzosi. E quella
-sera, scambio di andare al Casino, che era il
-luogo di ritrovo della buona compagnia, era stato
-a piuolo sotto le mura dell’«albergo avventurato»,
-che egli, con le parole del Giusti, aveva
-cantato a mezza voce «soave asilo di gioia e
-piacer.» E più tardi, esciti i Vezzosi dal Casino,
-aveva data la lieta notizia alla signora Elena, prima
-di augurarle la buona notte. Lieta notizia per lui,
-si capisce; e poco gl’importava che non fosse
-ugualmente lieta per lei. Anzi, a dirvela schietta,
-non era stato neanche a pensarci su. Un uomo
-felice crede che tutti debbano esser felici con lui,
-e per la stessa ragione. Quella notte aveva dormito
-poco. Alla mattina, per tempissimo, era già
-alzato, per far la ronda sotto certe finestre. Sapeva
-già, infatti, a che numero alloggiava la signora
-Camilla. Poi, era andato al Tettuccio, senza
-neanche aspettare i Vezzosi. In verità, dormivano
-troppo, i suoi compagni di viaggio, e si sarebbe
-detto che fossero andati a Montecatini, non già
-per far la cura delle acque, ma quella del sonno.
-</p>
-
-<p>
-Eppure, quantunque non provassero le sue impazienze,
-i Vezzosi erano giunti in tempo, cioè
-molto prima della signora Camilla, allo stabilimento
-del Tettuccio. Segno evidente che aveva
-avuto torto lui a non aspettarli, come nei giorni
-antecedenti. La signora Elena non si era mica
-trattenuta dal dirglielo, con la sua aria maliziosa. — Che
-<span class="pagenum" id="Page_140">[140]</span>
-fretta, stamane! — Ed egli, a quella osservazione,
-si era fatto rosso, come un monelluccio
-colto in flagranti. Ma via, siamo giusti; poteva
-egli operare diverso? Gl’innamorati son tutti
-così. Triste colui che non li sente più, questi benedetti
-spasimi della passione! Egli potrà benissimo
-vantarsi di aver girato il capo delle Tempeste;
-ma questa cara filosofa non varrà a consolarlo
-dagli ardori svaniti.
-</p>
-
-<p>
-Sebbene, un mio amico che la sa lunga.... Ma
-non facciamo digressioni. È un amico che dice
-spesso le sue corbellerie, e qualche volta ne scrive,
-che è peggio.
-</p>
-
-<p>
-L’entrata della signora Rivanera nella <i>Kursaal</i>
-(scusate il vocabolo esotico, ma bisogna conformarsi
-all’uso e chiamare <i>Kursaal</i> il recinto delle
-acque salutari) aveva destato nella folla un movimento
-di curiosità e di ammirazione; di curiosità
-nelle donne, di ammirazione negli uomini. La
-bellezza non si mostra impunemente, neanche ad
-un consesso di Areopagiti. Tutta quella gente seduta,
-o disposta a capannelli lungo i viali, poteva
-contemplare a suo bell’agio la nuova venuta, come
-mille spettatori contemplano una prima attrice sul
-palcoscenico. L’effetto era stato grande, ed accompagnato
-da quel bisbiglio, che vale per una bella
-signora come per la prima attrice l’applauso. Ma
-in un paio d’occhi brillavano compendiate le ammirazioni
-universali; in un cuore ardevano tutti
-gl’incensi che la moltitudine degli ammiratori
-<span class="pagenum" id="Page_141">[141]</span>
-avrebbe potuto bruciare ai piedi di quella bellissima
-sconosciuta. E come, in quel punto, la Valdinievole
-s’era illuminata per esso! La <i>Kursaal</i>
-del Tettuccio era da quel momento il centro della
-terra, il nuovo meridiano, da cui Aldo De Rossi
-avrebbe misurate le distanze. La signora Elena
-aveva veduta la Rivanera qualche momento prima
-che la vedesse il Sestavalle; ma assai prima della
-signora Elena l’aveva veduta Aldo De Rossi, e si
-può dire che la signora Elena volgesse gli occhi
-all’ingresso dopo avere osservato un improvviso
-scolorimento sul viso di lui. Non vi dirò (e se
-ve lo dicessi non lo credereste) che la signora
-Elena fosse molto contenta di ciò. Una bella donna
-non vede mai di buon occhio questi omaggi resi
-ad un’altra, anche quando ella abbia conchiuso il
-patto che la signora Elena aveva conchiuso, bontà
-sua, con Aldo De Rossi. Strano patto, del resto!
-E la signora Vezzosi non ci aveva proprio un
-secondo fine, appiattato negli abissi del cuore? Si
-sa, le donne si lasciano tentare dalle idee bizzarre,
-e l’impossibile ha il privilegio di allettarle.
-Combattere, rapire il cuore di un uomo al fascino
-che lo possiede, e poi.... E poi, chi sa?
-Forse non sapere che farsene. Anche i bambini
-piangono e si disperano per un giocattolo; quando
-son giunti ad averlo tra le mani, lo spezzano.
-</p>
-
-<p>
-Il cavaliere Sestavalle, Alcibiade primo, si era
-mosso per andare incontro alla Rivanera e allo
-zio presidente gran croce. La signora Camilla si
-<span class="pagenum" id="Page_142">[142]</span>
-era voltata, aveva visto Elena e si era affrettata
-ad andare verso la tavola di marmo. Le due signore,
-che si salutavano appena nella loro città
-natale, diventavano amiche alle acque. Ed era naturale,
-perchè la comunanza del divertimento è
-più che bastante a generare l’amicizia, o almeno
-almeno l’intimità. Aldo De Rossi era a Montecatini
-insieme coi Vezzosi; poteva dunque ripromettersi
-di vedere la signora Camilla ogni giorno
-ed ogni ora. E già il poveretto assaporava le delizie
-di quel suo paradiso. Ma egli non aveva preveduto
-ciò che avviene alle acque, dove l’intimità,
-facile per uno, è ugualmente facile per molti. Per
-l’appunto, anche il contino Anselmi si era fatto
-avanti; e non si era mica contentato di un saluto,
-di una stretta di mano, e di quattro chiacchiere;
-no, si era ficcato in mezzo, e di primo acchito
-aveva occupato il posto del signor Aldo presso
-la signora Camilla. E lei, di schianto, gentilissima
-col contino Anselmi; mentre con lui, col povero
-Aldo, si era tenuta in un riserbo direi quai diplomatico.
-</p>
-
-<p>
-Strana cosa! La Rivanera e l’Anselmi non si
-vedevano spesso. Il contino aveva conosciuta la
-signora Camilla in una festa da ballo, come Aldo
-De Rossi, ma, andato a farle visita, non c’era
-tornato che rarissime volte, e poi non s’era più
-presentato affatto. E il De Rossi, che vedeva
-tutto, non contava più l’Anselmi tra i rivali possibili.
-Ma ecco, di punto in bianco, il presidente
-<span class="pagenum" id="Page_143">[143]</span>
-Roberti e la sua bella nipote credevano necessario
-di rimproverare all’Anselmi la sua negligenza.
-Che bisogno c’era di notare la cosa?
-Non era padrone il contino di andare dove meglio
-voleva? E perchè dargli argomento d’insuperbirsi?
-di sperare Dio sa che cosa? Perchè oramai,
-il contino Anselmi si sarebbe fatto un dovere
-di piantarsi ai fianchi del presidente Roberti.
-</p>
-
-<p>
-Queste cose non c’è mestieri di studiarle, si
-capiscono alla prima. Un uomo vede una donna
-per un anno e per due, senza innamorarsene,
-quantunque sia bellissima tra le belle. Ma dategli
-l’occasione, e s’accenderà come un fiammifero.
-</p>
-
-<p>
-O dove ci aveva la testa, il presidente gran
-croce? Ed era dunque da credere che per piacere
-alle donne, per farsi ricercare da esse, occorra di
-trattarle male? Aldo De Rossi ci pensò tutto il
-tempo che rimase nella sala del concerto; e ci
-pensava ancora quando escirono tutti dalla <i>Kursaal</i>,
-per ritornare all’albergo.
-</p>
-
-<p>
-La strada non era breve; ma le due compagnie,
-liete di essersi incontrate, non volevano separarsi.
-Perciò il commendatore Gerardo propose,
-e gli altri accettarono, di fare la strada a piedi.
-In una ventina di minuti si sarebbe giunti all’albergo.
-Lo stradone era fiancheggiato da due filari
-d’alberi, e c’era ombra abbastanza. Del resto,
-alle nove e mezzo del mattino i raggi del sole
-non iscottavano ancora.
-</p>
-
-<p>
-Capirete che il contino Anselmi era in vena
-<span class="pagenum" id="Page_144">[144]</span>
-di dirne e la signora Rivanera di sentirne. Perciò
-andarono avanti, e Aldo stette indietro, a udire
-il suono argentino delle risa di Camilla.
-</p>
-
-<p>
-— Che avete? — gli disse la signora Elena,
-prendendo famigliarmente il suo braccio.
-</p>
-
-<p>
-— Io? Niente; — rispose egli, scuotendo la
-testa, come uno che si svegli d’improvviso.
-</p>
-
-<p>
-— Niente! — esclamò la signora Elena. — È
-troppo poco.&#160;—
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_145">[145]</span></p>
-
-<h2 id="cap9">IX.</h2>
-</div>
-
-<p>
-Aldo rimase taciturno. Forse non udì neanche
-l’osservazione della signora Vezzosi. Il nostro povero
-eroe non avea orecchi che per le risa della
-signora Camilla, più vive in quel punto, e più
-argentine che mai. Per tutti i settecentomila settecento
-settantasette diavoli, che si sogliono invocare
-in simili occasioni, che cosa diceva di così
-spiritoso, a otto passi da lui, il contino Anselmi,
-che la signora Camilla dovesse riderne in quel
-modo?
-</p>
-
-<p>
-La signora Elena, usando liberamente dei diritti
-dell’amicizia, diede una strappatina al braccio
-del suo distratto cavaliere.
-</p>
-
-<p>
-— Suvvia, rispondete; — gli disse; — che
-cosa vi affligge?
-</p>
-
-<p>
-— Ve l’ho già detto, nulla; — rispose Aldo
-De Rossi.
-</p>
-
-<p>
-— Ah, è vero; — ripigliò la signora Elena,
-con accento sarcastico. — Voi dovete esser triste
-<span class="pagenum" id="Page_146">[146]</span>
-per eccesso d’allegrezza. La gioia fa paura; lo
-ha detto anche la signora di Girardin. La splendida
-Camilla è venuta a brillare sull’orizzonte del
-Tettuccio, e voi, povero pianeta, vi oscurate nella
-sua luce. Non è così? Bisogna convenire, — soggiunse
-la signora Vezzosi, — che è molto bella,
-e ciò giustifica le vostre adorazioni. Vi parrà
-strano, mio bel cavaliere, che una donna si rassegni
-a lodarne un’altra. Ma io l’ho guardata
-molto, poc’anzi; l’ho guardata più in un’ora, che
-non abbia fatto in due anni. Sono una donna sincera
-ed amo rendere omaggio alla verità. E poi,
-con vostra licenza, non ho paura di confronti.
-</p>
-
-<p>
-— È giusto; — rispose Aldo. — Siete bellissima.
-</p>
-
-<p>
-— Già! — ribattè la signora Vezzosi. — Non
-sono forse la Venere di Milo, io? Ma quell’altra
-statua, che non è stata fatta da Fidia....
-</p>
-
-<p>
-— Ha già trovato un Pigmalione, che le dà
-l’anima; — proruppe Aldo, che non poteva più
-contenersi. — Sentite che allegre risate!&#160;—
-</p>
-
-<p>
-La signora Elena si volse a mezzo, per guardare
-negli occhi il suo cavaliere.
-</p>
-
-<p>
-— Ah, eccolo, il segreto di quest’anima nera! — diss’ella. — Siete
-geloso!&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Aldo scosse la testa e battè le labbra, come un
-uomo che si vede scoperto e non vuole ammettere
-di esserlo.
-</p>
-
-<p>
-— Sì, siete geloso; — ripigliò la signora Vezzosi. — Già,
-un uomo geloso si riconosce tra
-<span class="pagenum" id="Page_147">[147]</span>
-mille. È un brutto vizio, la gelosia; peggio che
-un vizio, è un errore.
-</p>
-
-<p>
-— Credete? — balbettò Aldo De Rossi.
-</p>
-
-<p>
-— Certamente; son donna e posso parlarvene
-con sicurezza. Supponete, ad esempio, che un
-uomo mi ami e che io l’ami ugualmente. Una
-donna, abbiatelo per massima, ha sempre timore
-di essere abbandonata. Avvezza al piedestallo, non
-ama discenderne, e se in un momento di passione
-e d’oblio ne è pure discesa, vuol esserci ricollocata.
-Era adorata, che è molto, e non può bastarle
-d’essere amata, che è meno. Perciò, voi
-vedete la conseguenza, signor Aldo... ella ha mestieri
-di tener l’anima di un uomo in sospeso.
-Ho detto l’anima, e bisognerebbe dire il cuore;
-il cuore, che non è ben nostro, intieramente nostro,
-se non quando lo vediamo soffrire. E perchè
-il cuore di un uomo non soffre tanto bene, come
-quando egli teme di aver dei rivali, la donna sa
-quel che ha da fare per custodirlo. E quando non
-ci sono rivali, la donna si affretta a cercarli.
-</p>
-
-<p>
-— O come? — esclamò Aldo De Rossi.
-</p>
-
-<p>
-— È presto fatto; — rispose la signora Elena — Intorno
-ad una donna (parlo di una donna
-bella e piacente) ci sono sempre uomini a dozzine.
-</p>
-
-<p>
-— Sciocchi! — brontolò Aldo, a cui pareva
-di vederli.
-</p>
-
-<p>
-— Generalmente sciocchi, ve lo concedo. Ma
-sono per l’appunto quei che ci vogliono. Tutti
-<span class="pagenum" id="Page_148">[148]</span>
-questi sciocchi sono da lei adoperati a due usi;
-fanno uffizio di specchio e di leva.
-</p>
-
-<p>
-— Entra in scena Archimede; — scappò detto
-al De Rossi.
-</p>
-
-<p>
-— Che c’entra Archimede? — domandò la
-signora.
-</p>
-
-<p>
-— C’entra in questo modo, che egli è celebre
-nella storia, per avere inventati gli specchi ustorii
-e per aver sognata la più gran leva dell’universo,
-una leva con cui smuovere il cielo e la terra.
-</p>
-
-<p>
-— Vedete che combinazione! — esclamò la
-signora Vezzosi. — Diciamo dunque che la donna
-ha qualche cosa del vostro Archimede. Ella si
-specchia ne’ suoi dieci o dodici sciocchi; i quali
-la salutano bella, con le loro mute ammirazioni,
-e le fanno un piacere da non dirsi. State pur
-certo che ella non rinunzierebbe agli specchi, per
-nessuna cosa al mondo. Vi amasse pure come un
-Dio, sapesse pure che andate in collera e che
-ella risicherà di perdervi, ella non vorrebbe privarsi
-di questa consolazione. Del resto, se voi
-siete un uomo di spirito, non dovete adombrarvi
-troppo degli specchi, quando sono al plurale.
-</p>
-
-<p>
-— E la leva? — disse Aldo. — Come mai uno
-specchio può trasmutarsi in leva?
-</p>
-
-<p>
-— Ecco qua, signor Aldo. La donna si serve
-di tutti questi personaggi, per tenerne un altro,
-uno solo, in bilico, tra speranza e timore. Si ama
-sempre molto ciò che si teme di perdere. Non
-siete tutti così, voi altri uomini? Una donna che
-<span class="pagenum" id="Page_149">[149]</span>
-si abbandona oggi intieramente, si prepara un
-brutto domani. Ella è Didone, e voi siete pronti
-a seguire l’esempio di Enea.
-</p>
-
-<p>
-— Sarà così, come voi dite; — mormorò
-Aldo De Rossi. — Ma io mi sento diverso dagli
-altri.
-</p>
-
-<p>
-— Lo credete, e ciò vi fa onore. Ma anche
-molti altri dicono così; e poi nel fondo.... Signori
-uomini, lasciatevelo dire, presi l’uno per l’altro,
-valete pochino.
-</p>
-
-<p>
-— Scusate, donna Elena; — balbettò Aldo. — Non
-vorrei aver l’aria di offendere il vostro
-sesso; ma....
-</p>
-
-<p>
-— Ma vorreste dire che le donne non valgono
-di più. Confessatelo; era questo il vostro pensiero.
-Orbene — proseguì la signora Elena, vedendo
-di essersi apposta, — con vostra buona
-pace, le donne valgono molto di più... quando
-sacrificano molto di più. Perciò riconoscerete in
-esse il diritto di prendere le loro precauzioni.
-</p>
-
-<p>
-— Sicuro; — rispose Aldo De Rossi, — a
-danno.... degli specchi. Tutti quei poveri di spirito,
-che s’immaginano di piacervi, voi li tirate
-in ballo, vi prendete giuoco di loro. È forse ben
-fatto? Non ne uccidete qualcheduno?&#160;—
-</p>
-
-<p>
-La signora Elena rimase un tratto pensosa; ma
-subito dopo si riebbe.
-</p>
-
-<p>
-— È vero, — diss’ella, — la cosa non è
-troppo caritatevole. Ma considerate che noi non
-siamo perfette, e che io, mettendo le donne tanto
-<span class="pagenum" id="Page_150">[150]</span>
-al disopra degli uomini, non ho voluto neanche
-alzarle troppo. Ci vuol così poco, per essere superiori
-a voi! Del resto, se il giuoco è crudele,
-credete pure, signor Aldo, che non è altrimenti
-fatale. Gli uomini non muoiono di queste ferite,
-e la statistica ci assicura che ne guariscono tutti.
-Quando l’uomo che ha fatto da specchio si accorge
-di essere stato burlato, va in collera. Ma
-anche la collera sbollisce; l’uomo nulla nulla
-educato si mette con una certa diligenza a passare
-in rassegna tutte le piccole cortesie, e diciamo
-pure tutte le piccole provocazioni femminili
-che lo hanno condotto a sperare. S’avvede allora
-che non c’era nulla, o quasi nulla; si persuade
-d’aver torto; dà una crollatina di spalle e va a
-ripigliare altrove il suo ufficio di specchio. Ci
-sono degli uomini che non sanno, che non potrebbero
-far altro. E ci hanno sempre la speranza
-di trovare un giorno qualche povera donna,
-che, travolta dalla sua vanità, s’innamori dello
-specchio.
-</p>
-
-<p>
-— Ma qualcheduno, ammettetelo, — replicò
-Aldo, — qualcheduno ci diventerà cattivo, a questo
-giuoco, e farà soffrire ad una ciò che venti
-altre avranno fatto soffrire a lui.
-</p>
-
-<p>
-— Ah, per questo, non me ne importa nulla; — rispose
-la signora Elena. — Ci ha da pensare
-quell’una. Perchè dobbiamo noi darci pensiero
-di lei? Ogni donna è centro del suo piccolo
-mondo, e nel nostro sesso non troverete mai la
-<span class="pagenum" id="Page_151">[151]</span>
-più piccola traccia di quello spirito di corporazione,
-che si riscontra fra uomini.
-</p>
-
-<p>
-— E sia; — disse Aldo; — non disputerò su
-questo punto con voi. Ma mettete il caso che
-l’uomo specchio s’impermalisca per davvero e si
-vendichi della donna che s’è fatta zimbello di lui.
-</p>
-
-<p>
-— Zimbello è troppo, signor Aldo. Quando
-una donna prende uno specchio, lo fa con un
-certo garbo, che non lascia mai appiglio ad una
-simile accusa. Del resto, l’uomo che si vendicasse
-del giuoco sarebbe un vile. E di questi vili se ne
-trovano molti, in società, anche senza aver fatto
-loro l’onore di adoperarli come specchi.
-</p>
-
-<p>
-— Sì; ma quando sono stati adoperati, ci hanno
-una scusa alla loro vendetta.
-</p>
-
-<p>
-— Non c’è scusa, per una viltà. Ma infine, io
-non vi dico che tutto ciò sia ben fatto; vi dico
-quello che generalmente avviene. Fatene vostro
-pro, signor Aldo, e abbiate la bontà di restar
-tranquillo, davanti ad un giuoco di specchi, che
-forse incomincia oggi, e che certamente non ha
-nulla di grave.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Aldo De Rossi sospirò profondamente, pensando
-alle gaie risate della signora Camilla, e
-rispose:
-</p>
-
-<p>
-— Signora, bisognerebbe che quel giuoco fosse
-incominciato davvero per tener me in sospeso.
-Ma io, pur troppo, non sono neanche, «tra color
-che son sospesi» perchè non sono stato ancora
-accettato.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_152">[152]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Ma... che dirvi? — rispose la signora Elena,
-stringendosi nelle spalle. — Potrebbe essere vero
-e non essere. Camilla può benissimo aver paura
-di voi, prima che a voi sembri di essere diventato
-pericoloso. Ma ad ogni modo, fatevi avanti.
-Perchè vi lasciate rubare il posto? Siete un uomo
-curioso, signor Aldo, con la vostra irresolutezza
-e la vostra malinconia. Credete a me, vostra
-amica sincera; le donne non amano i cavalieri
-malinconici. Questi eroi non fanno fortuna che
-nelle pagine dei romanzi. In società bisogna essere
-allegri, quantunque senza esagerazione, e
-sopra tutto padroni di sè, pronti a mutar registro
-secondo l’umore della dama, e desiderosi
-soltanto di non riescirle noiosi. Vedete? — soggiunse
-ella ridendo. — Non c’è spirito di corporazione,
-tra le donne, ed io tradisco per voi i
-segreti delle mie sorelle in Eva.
-</p>
-
-<p>
-— Sarà come voi dite, signora. Ma che fatica
-ha da essere questa! E come è poco degna di
-omaggio una donna per cui sia necessaria quest’eterna
-finzione! Io ho intravveduta nei miei sogni
-una donna più alta; una donna profondamente
-buona....
-</p>
-
-<p>
-— Con voi, non è vero? E molto cattiva con
-gli altri, non è vero anche questo?
-</p>
-
-<p>
-— No, semplicemente austera con tutti; — rispose
-Aldo, punto nel vivo da quella osservazione
-maliziosa, che scopriva il lato debole del
-suo argomento. — Se si ha da vivere per l’amore,
-<span class="pagenum" id="Page_153">[153]</span>
-perchè non volerlo a dirittura profondo,
-immenso, esclusivo?
-</p>
-
-<p>
-— E tragico per giunta; — notò la signora
-Vezzosi.
-</p>
-
-<p>
-— No, piuttosto epico, — ribattè Aldo De
-Rossi, — con qualche cosa di sacro, come in
-tutti i grandi poemi. La Dea s’innamora d’un
-mortale, ma è sempre Dea e non esce mai dalla
-nuvola. Infine, si può amare un uomo, senza lasciarsi
-amare da cento. Che gusto ci provano le
-donne a tanta varietà, e, diciamolo pure, a tanta
-volgarità d’incensi?
-</p>
-
-<p>
-— La ragione l’avete detta voi; — rispose la
-signora Vezzosi. — Non si tratta d’una Dea?
-Le Dee antiche gradivano ogni sorta d’incensi,
-badando poco al valore dell’aroma e molto alla
-divozione con cui era offerto. Del resto, signor
-Aldo, voi siete poeta e andate facilmente alle
-esagerazioni, sognate ad occhi aperti, come accade
-a tutti i poeti. Ora, io, per debito d’amicizia,
-vi avverto d’una cosa. La donna che avete
-sognata.... non esiste.
-</p>
-
-<p>
-— Ah! lo credete? — esclamò il De Rossi.
-</p>
-
-<p>
-— O se pure esiste, — proseguì la signora
-Elena, — voi le siete passato accanto e non vi
-siete accorto di nulla.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Il colpo era forte e andava forse più oltre che
-la signora Vezzosi non avesse voluto. Anche lei,
-senza avvedersene, lavorava contro Camilla. Eppure,
-lo ricordate, la signora Elena era andata a
-<span class="pagenum" id="Page_154">[154]</span>
-Montecatini col nobile proposito di aiutare il De
-Rossi. Ma già, abbiate pure un pan di zucchero
-al posto del cuore, il fegato, suo vicino, ci rovescerà
-sempre addosso qualche cosa d’amaro. È
-sempre spiacevole di dover lavorare ai propri
-danni, quando si sperava di poter fare tutt’altro.
-</p>
-
-<p>
-Aldo De Rossi non era uno sciocco, vi prego
-di crederlo, e lo era solamente per quella parte
-in cui lo sono tanti uomini di valore; cioè a
-dire quando amano e con la persona che amano.
-Perciò intese facilmente il senso riposto delle parole
-che la signora Elena aveva buttate là in un
-impeto di cattivo umore, e, come potete immaginarvi,
-rimase un pochino sconcertato. Lì per lì,
-quasi per debito di cortesia, avrebbe voluto dirle: — «avete
-ragione.» — Ma non sarebbe stato
-un far torto alla signora Camilla? Ed egli, così
-raffinato nel suo modo di pensare, tanto raffinato
-da dar dei punti ad un teologo della scuola bisantina,
-si tenne in corpo la sua cortesia, ottenendo
-così il bel risultato di parer sciocco due
-volte.
-</p>
-
-<p>
-— Ma via, — ripigliò la signora Elena, dopo
-un istante di pausa, — noi forse giudichiamo
-male Camilla. Cioè.... — soggiunse, — diciamo
-le cose come stanno; siete voi che la giudicate,
-mentre io non fo altro che ragionare sui vostri
-giudizi. Camilla sarà benissimo capace di amare
-sul serio, e sotto quell’apparenza di leggerezza
-ci sarà, c’è di sicuro, una forza di sentimento
-<span class="pagenum" id="Page_155">[155]</span>
-che voi ora non sospettate neppure. Ma bisognerà
-toccare il suo cuore con qualche impresa maravigliosa,
-escire senz’altro dal comune. Quell’aria di
-malinconia che voi avete presa per livrea d’amore,
-non vi basterà, ve lo dico io, non vi basterà.
-Dio sa quanti altri avranno tentato di piacerle con
-quelle forme romantiche! Se sapeste come fanno
-ridere, quegli atteggiamenti da poeta moribondo!
-La donna vuol esser padrona, ma non vuole passare
-per tiranna, nè essere obbligata ogni giorno a
-scolparsi, o a dare una costituzione. E quell’uomo
-che mostra di soffrire per ogni cosa da nulla....
-</p>
-
-<p>
-— Vi prego, — interruppe Aldo, — dite quell’uomo
-che soffre davvero.
-</p>
-
-<p>
-— Peggio che mai! — ribattè la signora Vezzosi. — Quell’uomo
-che soffre davvero per ogni
-cosa da nulla, che cosa non soffrirà e che cosa
-non farà soffrire tutti i giorni, ad una donna che
-sarà tanto debole per concedergli il suo cuore?
-A questo pensa una donna, ed ha ragione a pensarci
-in tempo, perchè il pensarci poi non le gioverebbe
-più a nulla. Sappiate, signor Aldo, che
-le donne non amano le tragedie; qualche volta
-ne fanno, ma senza avvedersene, come quel personaggio
-di Molière, che faceva della prosa robusta
-senza saperlo. Dunque, mi raccomando, non siate
-malinconico. È un vizio pericoloso, perchè correrete
-il rischio di non parerle originale, ma una
-copia, fors’anche una brutta copia, di cento e cento
-altri.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_156">[156]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Sarà benissimo così! — rispose il De Rossi,
-chinando la testa. — Proverò ad essere allegro.
-Ma sarò anche qui poco originale.
-</p>
-
-<p>
-— Perchè?
-</p>
-
-<p>
-— Perchè sarò una copia di lei. Non sentite
-com’è gaia? Ci ha sulle labbra il riso stereotipato,
-quest’oggi.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-La signora Elena non potè trattenersi dal ridere,
-a quella osservazione bizzarra.
-</p>
-
-<p>
-— Sì, è vero; — diss’ella. — Ma sarà meglio
-imitar lei che altri. Camilla non si accorgerà del
-plagio, e accoglierà volentieri quell’umore che
-sarà più conforme al suo. Vi torna?
-</p>
-
-<p>
-— La riflessione è giustissima; — rispose il
-De Rossi. — Purchè mi venga fatto di seguire il
-vostro consiglio!
-</p>
-
-<p>
-— Lo potrete, se vorrete. E poi, badate, ci
-avete obbligo, anche per un’altra ragione. Stando
-sempre così imbronciato, fareste torto a me, che
-non lo merito.
-</p>
-
-<p>
-— A voi? E come?
-</p>
-
-<p>
-— Ma sicuro! Si dirà che noi abbiamo portato
-a Montecatini un orso, e un orso male addomesticato.
-Suvvia, state allegro, siate forte, e combattete
-da uomo leale.
-</p>
-
-<p>
-— Grazie! — esclamò Aldo, allungando la
-mano per stringer quella della signora Elena, che
-posava ancora sul suo braccio.
-</p>
-
-<p>
-Erano giunti allora davanti alla succursale dell’albergo
-della Pace. La signora Camilla e il contino
-<span class="pagenum" id="Page_157">[157]</span>
-Anselmi avevano già fatto alto, per aspettare
-il resto della comitiva, e frattanto l’Anselmi prendeva
-commiato dalla signora, poichè egli doveva
-tornare indietro, essendo ad alloggio all’albergo
-della Torretta. Si avvide la signora Camilla della
-stretta di mano che Aldo aveva data alla signora
-Vezzosi? Forse sì, forse no; il che significa che
-non potrei starvene mallevadore.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_158">[158]</span></p>
-
-<h2 id="cap10">X.</h2>
-</div>
-
-<p>
-Ogni tempesta ha i suoi riposi, come i raggi
-solari hanno i loro intervalli opachi. Ed io metto
-avanti questi dotti paragoni, per dirvi una cosa
-molto comune, cioè che, dopo tanti spasimi di
-gelosia, Aldo De Rossi ebbe qualche ora di tregua.
-Il contino Anselmi alloggiava lontano dalla
-Pace, e si aveva la bella prospettiva di non rivederlo
-così presto. Prima di tutto, non c’era da
-vederlo a colazione, anche perchè le signore
-usavano farla nelle loro camere. Seguivano le ore
-calde della giornata, che erano caldissime a Montecatini,
-e che si solevano passare riposando, e
-mettendosi poi in fronzoli per la solenne comparsa
-nella sala da pranzo. Aldo De Rossi respirò
-a larghi polmoni pensando per la seconda
-volta che l’Anselmi pranzava alla pensione Birindelli,
-ed attese con bastante tranquillità l’ora di
-rivedere la signora Camilla.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_159">[159]</span>
-</p>
-
-<p>
-Per altro, qualche minuto prima della chiamata,
-scese nella sala da pranzo, per riscontrare
-sugli anelli di bosso che cerchiavano i tovaglioli
-il numero delle camere occupate dal presidente
-Roberti e dalla signora Rivanera. I posti dei nuovi
-venuti erano un po’ troppo distanti da quelli che
-occupavano i Vezzosi; ed era naturale, poichè
-erano giunti due giorni dopo di loro all’albergo.
-Ma il nostro eroe, che aveva spirito abbastanza,
-quando non si trovava a discorrere con la signora
-Camilla, si raccomandò in tempo al direttore, perchè
-il presidente Roberti e sua nipote fossero
-avvicinati ai loro concittadini ed amici. Inutile
-il dire che questa ragione persuase il direttore
-e che il desiderio di Aldo fu prontamente appagato.
-</p>
-
-<p>
-Così avvenne che, mentre egli era già seduto
-a tavola, al fianco della signora Elena, potesse
-vedere il presidente gran croce e la signora Camilla
-entrare nella sala da pranzo, venire innanzi
-cercando con gli occhi i loro numeri a tutti i posti
-liberi, e finalmente sedersi di rimpetto ai signori
-Vezzosi.
-</p>
-
-<p>
-— Ah bene! — esclamò il presidente Roberti,
-volgendosi alla signora Elena e al commendatore
-Gerardo. — Siamo vicini di tavola.
-</p>
-
-<p>
-— Presidente, ecco una buona parola per noi; — rispose
-il Vezzosi. — Noi ringrazieremo due
-volte la sorte.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-La signora Camilla, elegantissimamente vestita,
-<span class="pagenum" id="Page_160">[160]</span>
-come l’uso voleva, era molto tranquilla, e direi
-quasi un tantino contegnosa. Non si sentiva più
-il riso argentino che aveva tanto dato sui nervi
-al signor De Rossi sette ore prima, e la sua parola
-era sobria come lo sguardo. Meglio così!
-Cioè, niente affatto. L’uomo innamorato è così
-facile a trovare argomenti di pena, che il signor
-Aldo rimpianse le schiette risate del mattino. O
-perchè doveva averne il privilegio l’Anselmi? E
-non era il caso di sorridere anche un pochino a
-lui, che pure s’industriava a trovare sempre nuove
-gentilezze da dire alla signora Camilla e al presidente
-gran croce?
-</p>
-
-<p>
-Veramente, quelle sue gentilezze non erano tali
-da destare il buon umore della dama. Aldo De
-Rossi aveva quel giorno il complimento con lo
-strascico, cioè niente spigliato e niente gaio. Se
-ne avvide egli stesso, e se ne avvide con lui la
-signora Vezzosi, che si fece a punzecchiarlo leggermente,
-per obbligarlo a rispondere e a trovare
-nel suo cervello qualche cosa di meglio. Aldo
-De Rossi non riuscì ad essere arguto, ma volle
-almeno essere gaio, e lo fu con ostentazione, che
-è come dire senza grazia. In verità, la signora
-Vezzosi aveva portato a Montecatini un orso male
-addimesticato.
-</p>
-
-<p>
-Finito il pranzo, si andò in giardino a prendere
-il caffè. Era tempo. Il commendatore Gerardo
-abbrancò il suo presidente gran croce ed attaccò
-senza misericordia una delle sue predilette questioni
-<span class="pagenum" id="Page_161">[161]</span>
-politiche. La signora Vezzosi e la signora
-Rivanera sedettero l’una accanto all’altra. Aldo si
-piantò al fianco della signora Camilla ed ebbe la
-fortuna di poterle offrire lo zucchero. Ma c’era
-presente la signora Elena e il povero Aldo non
-trovava modo di fare un discorso tenero, che lo
-compensasse della impossibilità in cui era, di fare
-un discorso arguto. Come Dio volle, capitò in
-giardino Alcibiade primo, o, per dire più esattamente,
-il cavaliere Sestavalle, che occupò subito
-il posto vuoto accanto alla signora Vezzosi. E
-questa non lo lasciò troppo lungamente in ozio.
-A mala pena ebbe trangugiato il caffè, sotto pretesto
-di veder da vicino una pianta, che egli sosteneva
-fosse un <i>Hibiscus siriacus</i> ed ella <i>Hibiscus
-liliiflorus</i>, si mosse per andarla a vedere da vicino.
-M’è occorso di dirlo un pretesto, e forse lo era;
-certamente parve tale al De Rossi, che diede una
-rifiatata di contentezza e mandò una benedizione
-al ricapito della signora Vezzosi. Povera signora,
-come ne avrebbe fatto volontieri di meno!
-</p>
-
-<p>
-Aldo meditava già un madrigale in prosa, quando
-la signora Camilla entrò a parlargli del Tettuccio
-e della gran folla che ci aveva trovata.
-</p>
-
-<p>
-— Troppa gente, è vero, troppa gente! — diss’egli,
-sospirando. — Io non vedevo il momento
-di tornar via.
-</p>
-
-<p>
-— Ah! — esclamò la signora. — Ho dunque
-toccato una corda sensibile? Dimenticavo che siete
-un filosofo, e che amate anche molto le dispute.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_162">[162]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Io? Da che l’argomentate?
-</p>
-
-<p>
-— Ma! Se non altro, dall’ardore con cui avete
-sostenuta la conversazione, dal Tettuccio fino all’albergo.
-</p>
-
-<p>
-— Non si parlava di filosofia; — rispose Aldo,
-turbato da quell’accenno inatteso e non sapendo
-lì per lì che cosa dovesse pensarne. — La signora
-Vezzosi non ama questi discorsi. E in verità, — soggiunse
-egli, sforzandosi di dare un
-giro più allegro al discorso, — nessuna signora
-li gradirebbe. Si è parlato invece di tante cose;
-ma, prima di tutto, e più di tutto, s’è parlato
-di voi.
-</p>
-
-<p>
-— Di me? Pure, non mi sono sentita fischiare
-gli orecchi; — notò la signora Camilla
-ridendo.
-</p>
-
-<p>
-— Almeno il sinistro avrebbe dovuto fischiarvi, — replicò
-Aldo De Rossi.
-</p>
-
-<p>
-— Perchè il sinistro?
-</p>
-
-<p>
-— Perchè, secondo il proverbio toscano, quando
-fischia l’orecchio diritto, il cuore è afflitto, ma
-quando fischia l’orecchio manco il cuore è franco.
-</p>
-
-<p>
-— Eh, a questi patti, non dico di no; — fece
-la signora Camilla, appoggiando la frase con un
-leggero movimento del capo. — Ma forse non
-ho potuto sentirlo, perchè il suono si confondeva
-col ronzìo delle vostre parole.
-</p>
-
-<p>
-— Signora mia, — rispose Aldo, sospirando, — perchè
-non ho io il suono argentino del vostro
-sorriso, che mi giungeva stamane all’orecchio,
-<span class="pagenum" id="Page_163">[163]</span>
-più dolce d’una musica celeste? Voi siete
-lieta ed io triste, ecco il guaio. Ma mi correggerò,
-non dubitate, mi correggerò. Amo meglio parervi
-uno sciocco, come ce ne sono tanti nel mondo,
-anzi che un filosofo. Che cosa non farei, per meritare
-la vostra stima?&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Aldo De Rossi tirò giù tutta quella roba in
-fretta e in furia, per una ragione che i miei lettori
-avranno già indovinata. Egli voleva dire e
-non aver l’aria di dire ciò che pensava delle moinerie
-di madonna col contino Anselmi; perciò, a
-mala pena gli era sfuggita l’allusione, andava via
-affastellando chiacchiere, affinchè ella non si fermasse
-a pensarci su.
-</p>
-
-<p>
-Ma la signora Camilla non mostrò neanche di
-aver notata la cosa.
-</p>
-
-<p>
-— La mia stima! — diss’ella, guardando il signor
-Aldo con aria di stupore. — E per che farne?
-</p>
-
-<p>
-— Ma.... — rispose egli. — Per averla.
-</p>
-
-<p>
-— Ah sì, — replicò la signora Camilla, increspando
-le labbra ad un risolino sarcastico, — dimenticavo
-che amate le collezioni.
-</p>
-
-<p>
-— Io, signora?
-</p>
-
-<p>
-— Oh, non c’è niente di male, e non occorre
-che mi guardiate con quegli occhi stralunati.
-Siete come l’ape, che raccoglie da tutti i fiori il
-suo miele.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Aldo si sentì ferito nella sua dignità.
-</p>
-
-<p>
-— Questo paragone, poi.... — esclamò egli,
-rizzando la testa.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_164">[164]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Per caso, — ripigliò la signora Camilla, — vorreste
-essere paragonato piuttosto ad un raccoglitore
-di francobolli?
-</p>
-
-<p>
-— Non è più di moda; — rispose Aldo, mordendosi
-le labbra. — Quantunque, anche un francobollo,
-per metterlo sopra una lettera.... nella
-quale io vi dicessi....
-</p>
-
-<p>
-— Ho capito, — interruppe la signora, — ho
-capito. Quello che gli uomini dicono a tutte le
-donne che hanno la bontà di lasciarselo dire. No,
-no, signor De Rossi, smettete; non mi fate prendere
-in uggia i francobolli.
-</p>
-
-<p>
-— A Dio non piaccia; — rispose Aldo, stizzito. — Son
-tanto carini, i francobolli!&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Dopo questo dialoghetto agrodolce, ci fu, come
-potete immaginarvi, una pausa. Aldo rotava gli
-occhi come un cane rabbioso. Non si muoveva
-dalla sedia, ma il suo spirito faceva le volte, come
-il leone in gabbia, o, se vi piace meglio, rodeva
-il morso, come un cavallo frustato. Quanti
-animali tirati in ballo, per descriverne uno solo,
-che in quel punto non era neanche «grazioso e
-benigno!»
-</p>
-
-<p>
-La signora Camilla fu la prima a rompere quell’uggioso
-silenzio.
-</p>
-
-<p>
-— Siete in collera? — gli disse. — Vi avverto
-che diventereste brutto.
-</p>
-
-<p>
-— Meno male che non lo sono ancora, ai vostri
-occhi! — rispose Aldo, aggrappandosi prontamente
-a quel filo che essa gli porgeva in buon
-<span class="pagenum" id="Page_165">[165]</span>
-punto. — Ma in verità, signora mia, siete molto
-crudele, coi vostri paragoni.
-</p>
-
-<p>
-— Sono schietta, signor De Rossi, e dovete
-adattarvi a prendermi come sono, o a lasciarmi.
-Alla mia età non si cangia più tanto facilmente.
-</p>
-
-<p>
-— Dio buono! Si direbbe, a sentirvi, che avete
-quarant’anni.
-</p>
-
-<p>
-— Eh, se vi pare che io li abbia, siano pure
-quaranta. A voi; quanti me ne ne date?
-</p>
-
-<p>
-— Non saprei. Ventuno.
-</p>
-
-<p>
-— Ecco un’esagerazione! Dite almeno venticinque.
-</p>
-
-<p>
-— Diciamo venticinque, sebbene io non lo creda.
-Una rosa non sarebbe più fresca di voi.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-La signora Camilla diede in un’allegra risata,
-che ricordò al De Rossi i suoni argentini di ott’ore
-prima.
-</p>
-
-<p>
-— Bel paragone! — esclamò poscia. — Lo
-metterò insieme coi miei.
-</p>
-
-<p>
-— Signora, che cosa ho detto di male?
-</p>
-
-<p>
-— Niente, niente. Una rosa a ventun anno!
-Ha da essere proprio fresca!
-</p>
-
-<p>
-— È vero, — rispose Aldo, con aria contrita. — Vedete
-da questo esempio che i paragoni non
-tornano mai ad esprimere giustamente il pensiero.
-Mutiamo discorso, signora; — soggiunse egli, vedendo
-la signora Elena, che ritornava dal fondo. — Verrete
-stasera al Casino? È il ritrovo universale.
-</p>
-
-<p>
-— Credo che ci andremo. Ne hanno parlato a
-mio zio ed egli non ha detto di no.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_166">[166]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Ah, bene! — esclamò Aldo. — Come risplenderà
-il Casino, questa sera!
-</p>
-
-<p>
-— Altra esagerazione! — disse la signora Camilla. — Quando
-vi correggerete, signor De Rossi? Una
-donna non può mica crederle, queste cose!
-</p>
-
-<p>
-— Ma un uomo può pensarle, — rispose Aldo, — e
-quando le pensa, può dirle.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-L’arrivo della signora Elena pose fine a quella
-conversazione senza sugo. Mentre le signore ne
-ripigliavano un’altra, anche più vana di quella,
-Aldo andava ruminando tra sè chi mai potesse
-aver invitato al Casino il presidente Roberti. E
-gli passò per la mente quell’antipatica figura del
-contino Anselmi. Ma come poteva l’Anselmi essere
-stato alla Pace, tra la colazione ed il pranzo?
-Una visita cosiffatta, due ore dopo l’incontro del
-Tettuccio, non sarebbe stata di buon gusto. Ma
-già, è proprio necessario che gli uomini seguano
-tutti, e sempre, le norme della buona compagnia?
-Il contino Anselmi era poi così sciocco!
-</p>
-
-<p>
-Per fortuna del signor De Rossi, ed anche del
-contino Anselmi, la cui fama ne scapitava un poco,
-nell’animo del nostro innamorato, il commendatore
-Gerardo, nell’atto che la compagnia esciva
-dal giardino per ritornare in casa, disse alla signora
-Camilla:
-</p>
-
-<p>
-— Speriamo di rivedervi tra poco. Il presidente
-ha promesso di venire al Casino, e <i>promissio
-boni viri est obligatio</i>, anche per la sua bella
-nipote.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_167">[167]</span>
-</p>
-
-<p>
-Aldo De Rossi respirò. L’invito era stato fatto
-dal commendatore Gerardo. E, per quel momento
-almeno, il contino Anselmi ricuperò la
-sua fama.
-</p>
-
-<p>
-Mi chiederete perchè Aldo De Rossi, geloso
-com’era, fosse il primo a pregare la signora Camilla
-di andare quella sera al Casino. Lettori
-umanissimi, se voi siete gelosi della buona specie....
-</p>
-
-<p>
-Ma qui bisogna interrompere il discorso e fare
-una parentesi. C’è, in materia di gelosia, la buona
-specie e la cattiva. La cattiva è quella gelosia
-feroce, bestiale, che, oltre all’essere irragionevole,
-riesce anche offensiva per la donna a cui è particolarmente
-dedicata. La buona è quella gelosia
-che, senza essere niente più ragionevole, non va
-tuttavia agli eccessi, alle sfuriate dell’altra, ma si
-chiude nel cuore dell’uomo innamorato, facendogli
-vedere un rivale in ogni uomo che s’avvicini
-alla donna amata, un pericolo in ogni oggetto,
-animato o inanimato, fosse pure un palo
-di telegrafo. Questa forma di gelosia è stata poeticamente
-tratteggiata in un’arietta della <i>Sonnambula</i>:
-«Son geloso del zefiro amante» a cui ho
-l’onore di rimandarvi, per maggiori cognizioni.
-Vi avverto frattanto che, buona o cattiva specie,
-fanno soffrire tutte e due ad un modo, e v’auguro
-di non essere mai gelosi, nè d’una specie,
-nè dell’altra. Ma se, per vostra disgrazia, siete
-gelosi, e gelosi della buona specie, vi sarà certamente
-avvenuto di rizzar muso, di consacrare
-<span class="pagenum" id="Page_168">[168]</span>
-qualcheduno agli Dei infernali, di voler morire,
-o almeno di non saper più come vivere, di meditare
-i più tristi disegni, come quello di andare
-in Cina, di chiudervi alla Trappa, e di fare tante
-altre belle cose di questo genere. Ma poi, una
-parola improvvisamente più umana della donna
-amata, o una guardatina, un sorrisetto ironico da
-cui trapelasse un’ombra di affetto, mandava subito
-in aria i tremendi propositi. E allora, quasi in
-atto di pentimento, ed anche un pochino per dimostrare
-a voi medesimi la vostra bella sicurezza
-di spirito, offrivate alla dama un compenso delle
-offese che non le avevate pur fatte, delle malinconie
-che non v’erano escite dall’anima, e la pregavate
-o la esortavate a prendere un passatempo,
-il cui solo pensiero vi avrebbe fatto maledire, poche
-ore prima, l’esistenza e l’amore.
-</p>
-
-<p>
-In questa condizione di spirito era il signor
-Aldo De Rossi. Del resto, non era ammissibile che
-la signora Camilla potesse rimanere a Montecatini
-senza andare al Casino, ed anche un bel numero
-di volte. Quello era l’unico luogo di ritrovo
-per il forastiero che non volesse morire di
-noia. Le dame ci avevano la sala dei concerti e
-del ballo; i giovinotti ci avevano il biliardo; gli
-uomini stagionati la sala da giuoco; tutti poi la
-sala di lettura, per dare un’occhiata ai giornali,
-che Iddio misericordioso prosperi chi li legge, e
-perdoni a chi li scrive.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_169">[169]</span></p>
-
-<h2 id="cap11">XI.</h2>
-</div>
-
-<p>
-Erano le nove di sera, quando la signora Camilla
-escì dalla sua camera e scese nell’atrio, in
-compagnia della signora Vezzosi. Aldo passeggiava
-da un’ora sul marciapiede, avendo l’aria di
-godersi il fresco, che scendeva da Montecatini
-alto, lungo lo stradone dei bagni. Appena ebbe
-vedute le dame, affrettò il passo, fece un saluto
-e un complimento premeditato, indi si accompagnò
-a loro, per andare dall’altra parte della strada,
-dov’era la Locanda maggiore, con l’attiguo stabilimento
-del Casino.
-</p>
-
-<p>
-La signora Camilla aveva accettato il braccio
-del commendatore Gerardo; la signora Elena
-quello del presidente Roberti. Aldo trovò che era
-una disposizione eccellente di coppie; ma non
-pensò a fare la terza col cavaliere Sestavalle, e
-marciò da fiancheggiatore, un po’ indietro alla signora
-Camilla, un po’ avanti alla signora Elena,
-<span class="pagenum" id="Page_170">[170]</span>
-dicendo a tutt’e due le cose più garbate del
-mondo. Era allegro, per una volta tanto, e aveva
-trovata la nota giusta.
-</p>
-
-<p>
-Si entrò al Casino. Il commendatore Gerardo,
-che era già socio da due giorni, presentò e fece
-iscrivere sull’albo S. E. il presidente Roberti. Indi
-la comitiva penetrò nelle sale.
-</p>
-
-<p>
-Il luogo non risplendeva già per un lusso asiatico,
-e neanche europeo; ma era pulito, e questo
-era l’essenziale. La sala da ballo appariva un po’
-nuda, ma ciò accresceva l’effetto dei lumi e non
-c’era niente da ridire. Tutto intorno correva un
-ampio, ma non troppo soffice divano; ed anche
-questo era fatto con previdente consiglio. Se fosse
-stato soffice, le dame si sarebbero troppo abbandonate
-con gli omeri alla spalliera, che brillava
-per la sua assenza, e si sarebbero tinte le spalle
-alla parete, imbiancata di fresco. Non dimentichiamo
-per altro che c’erano qua e là dei guanciali imbottiti
-di crino e che poteva esser cura di un attento
-cavaliere di trovarne uno, per metterlo a
-posto, tra la parete e la dama.
-</p>
-
-<p>
-La gran sala era già abbastanza popolata, quando
-vi giunse la comitiva che abbiamo l’onore di seguire.
-Lungo i divani stavano sedute quindici o
-venti signore, tutte col loro crocchio di amici e
-conoscenti, che le tenevano a chiacchiera. Una
-signorina sedeva al pianoforte, accennando timidamente
-un motivo d’opera, per dar motivo (scusate
-il bisticcio) a tre o quattro cavalieri, di dirle
-<span class="pagenum" id="Page_171">[171]</span>
-in coscienza che ella suonava come un angelo. Voi
-lo sapete pure, o lettori umanissimi, ci sono anche
-gli angeli che suonano il pianoforte.
-</p>
-
-<p>
-Si fece capannello intorno alla signora Elena,
-che era una vecchia conoscenza per i frequentatori
-del Casino. In una società che si muta e si
-rimuta ogni settimana, si è già vecchi amici nello
-spazio di due giorni. E la signora Camilla, nuovo
-astro apparso quel giorno nel firmamento della
-Valdinievole e già ammirato la mattina nella
-<i>kursaal</i> del Tettuccio, ebbe omaggio di fedeltà da
-tutti i sudditi della signora Vezzosi.
-</p>
-
-<p>
-Aldo De Rossi, fresco ancora della sua allegrezza,
-si adattò con buona grazia a tutte le premure
-di cui il nuovo astro era fatto argomento.
-Il contino Anselmi non c’era, ed anche questo
-era tanto di guadagnato. Si sopporta con pazienza
-una dozzina di nuovi cavalieri ossequiosi intorno
-alla donna dei vostri pensieri, quando non c’è quel
-tale, quell’unico, che v’ha dato sui nervi.
-</p>
-
-<p>
-Cionondimeno, perchè le galanterie più innocenti
-tornano uggiose ad un povero innamorato,
-Aldo si mosse di là, per dare una capatina nella
-sala del biliardo. La sala era piena di spettatori;
-anche i giuocatori dovevano essere molti, e tra
-essi il contino Anselmi, che si vedeva con la
-stecca in mano. O là, od altrove, bisognava aspettarselo;
-meglio dunque trovarlo là, ed impegnato
-in una partita alla corda.
-</p>
-
-<p>
-Sapete che cos’è il giuoco della corda? Parecchi
-<span class="pagenum" id="Page_172">[172]</span>
-giuocatori, che possono esser molti o pochi,
-lavorano a mettersi in bilia l’un l’altro, ognuno
-di loro essendo l’avversario naturale di quello che
-ha tirato prima di lui. Ogni giuocatore ha sul
-principio del giuoco tre punti, i quali, per essere
-segnati dall’apertura di tre numeri su d’una tabella
-addossata al muro, si chiamano occhi. Il
-giuocatore, che tira dopo di voi, mette la vostra
-palla in bilia? Il segnatore vi chiude un occhio,
-facendo scorrere una listerella di legno sopra uno
-dei tre numeri progressivi che si leggono l’uno
-di costa all’altro, presso il numero d’ordine che
-voi avete nel giuoco; e così di seguito fino al
-tre, se avete la disgrazia di essere messo in bilia
-tre volte; nel qual caso escite di giuoco, restando
-in combattimento i più fortunati. È la <i>poule</i> dei
-francesi, e si dice corda in Italia, per il nome di
-quella linea che s’immagina tirata da mattonella
-a mattonella ai due quarti di cima e di fondo del
-biliardo. Di qua dalla linea deve stare chi s’acchita,
-come chi s’imposta, per battere la palla dell’avversario.
-Donde il modo: <i>stare in corda</i>, che
-significa non collocare la propria palla, prima di
-batterla, oltre il limite assegnato.
-</p>
-
-<p>
-Aldo stette un minuto nel vano dell’uscio, a
-vedere l’andamento del giuoco. In questo breve
-spazio di tempo salutò l’Anselmi, che gli rese
-distrattamente il saluto. Ogni giuocatore essendo
-chiamato per numero d’ordine, Aldo potè riscontrare
-sulla tabella il numero dell’Anselmi e vedere
-<span class="pagenum" id="Page_173">[173]</span>
-per giunta com’egli avesse ancora i suoi tre
-occhi liberi; dalla quale osservazione era facile
-cavare la conseguenza che l’Anselmi fosse impegnato
-per molto tempo, essendo i combattenti in
-numero di quindici.
-</p>
-
-<p>
-Fatta questa rassegna, senza aver aria di nulla,
-Aldo De Rossi diede una giravolta sui tacchi e
-ritornò nella sala da ballo.
-</p>
-
-<p>
-Un maestrino di buona voglia era andato a sedersi
-al pianoforte e s’improvvisavano i quattro
-salti d’obbligo. Aldo si sentì battere il cuore, pensando
-che avrebbe fatto il primo <i>valzer</i> con la
-signora Camilla. Questo era per l’appunto il suo
-disegno; ed egli, descritto per la sala il giro maestro
-che il falcone descrive nell’aria prima di piombare
-addosso alla preda, si avanzò difilato verso
-la dama.
-</p>
-
-<p>
-— Giungo in tempo, — le disse, col tono più
-dolce che gli venisse fatto di dare alla sua voce, — per
-chiedervi l’onore d’un giro di <i>valzer</i>?&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Quello del giungere in tempo era un modo
-di dire. Egli, in fatti, era sicuro di essere il primo,
-poichè il maestro non aveva ancora attaccato.
-</p>
-
-<p>
-E tuttavia il povero Aldo si sentì rispondere:
-</p>
-
-<p>
-— Ahimè, no, signor De Rossi; sono impegnata.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Egli non potè reprimere un gesto di meraviglia.
-</p>
-
-<p>
-— Così presto? — esclamò. — Incominciano
-appena adesso a suonare.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_174">[174]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Giustissimo; — replicò la signora Camilla. — Ma
-sono impegnata da stamane.
-</p>
-
-<p>
-— Ecco ciò che si chiama non perder tempo; — notò
-Aldo, sforzandosi di sorridere. — E chi
-è il felice mortale?
-</p>
-
-<p>
-— Oh, se sia felice, non so, e dovrà pensarci
-lui. Vedetelo là che viene. Le prime battute del
-<i>valzer</i> lo hanno fatto escir fuori.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Aldo aveva già indovinato, fin dalle prime parole
-della signora Camilla. Alzò gli occhi macchinalmente,
-per guardare dov’ella accennava, e
-vide il contino Anselmi, che entrava nella sala da
-ballo, mettendosi i guanti alla svelta.
-</p>
-
-<p>
-Il contino attraversò la sala col passo misurato
-e sicuro d’un trionfatore romano, che pensa esser
-gli occhi della folla rivolti su lui e vuol farci una
-buona figura. Giunto davanti alla signora Camilla,
-si piegò in due, con un amabile scorcio di vita,
-mentre finiva di mettersi i guanti; le chiese anzi
-tutto notizie della sua salute, indi le rammentò la
-promessa del mattino.
-</p>
-
-<p>
-— Signora — le disse, tra l’altre cose, — stamane
-pretendevate che, ad invitarvi così presto
-per un giro di <i>valzer</i>, non mi sarei più rammentato
-dell’invito. Eccomi qua, puntuale come Don
-Ruy Gomez de Silva, a ricordarvi la vostra promessa.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-La signora Camilla sorrise e si alzò. Il contino
-Anselmi la prese per mano; indi, fatti con lei due
-passi verso il mezzo del salone, le rigirò un braccio
-<span class="pagenum" id="Page_175">[175]</span>
-intorno alla vita, e via, con la più graziosa
-scivolata del mondo.
-</p>
-
-<p>
-Aldo era rimasto a vedere. Ma il poverino ci
-aveva un diavolo per occhio.
-</p>
-
-<p>
-La signora Vezzosi lo trasse in buon punto dalle
-sue dolorose meditazioni.
-</p>
-
-<p>
-— Orbene, signor Aldo, — diss’ella, — è così
-che m’invitate a ballare?
-</p>
-
-<p>
-— Signora... — balbettò egli, confuso, — non
-siete voi impegnata?
-</p>
-
-<p>
-— Da voi, signor De Rossi; — rispose la signora
-Vezzosi. — Non ve ne rammentate?
-</p>
-
-<p>
-— L’avevo preveduto, che la signora, era impegnata; — soggiunse
-un cavaliere lì presso. — E
-infatti, stavo a vedere....
-</p>
-
-<p>
-— Chi sta a vedere vuol far poca strada; — mormorò
-la signora Elena, mentre prendeva il
-braccio di Aldo. — Del resto, — soggiunse, — se
-voi non ballate, De Rossi...
-</p>
-
-<p>
-— Come? come? — interruppe Aldo, richiamato
-da quelle parole al sentimento del suo dovere. — Non
-ballo, io? Ballo come... aiutatemi a dire.
-</p>
-
-<p>
-— Come un povero pazzo che siete; — gli
-sussurrò essa all’orecchio, nell’atto di mettergli
-la mano sull’òmero. — Se non c’ero io a salvarvi,
-facevate una bella figura.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Aldo non ebbe mestieri di chiedere in che
-consistesse la brutta figura che aveva corso il rischio
-di fare, e ringraziò in cuor suo la signora
-Elena di averlo levato da un atteggiamento, che
-<span class="pagenum" id="Page_176">[176]</span>
-era d’uomo imbronciato, ma poteva diventare
-d’uomo ridicolo.
-</p>
-
-<p>
-Si diede allora per disperato all’ebbrezza del
-<i>valzer</i>, e descrisse tante volte il giro della sala,
-che nessun altro cavaliere potè durarla al suo paragone.
-Egli, per altro, non guardava che la signora
-Camilla, e si sarebbe detto che la inseguisse,
-quando era lontana, e la precedesse, per
-tornarla ad inseguire. Dopo cinque minuti di
-quella corsa pazza, vide la signora Camilla arrestarsi;
-poco dopo ella era tornata al suo posto.
-Evidentemente era stanca, e l’essersi rimessa a
-sedere dimostrava che non avrebbe più ripigliato
-il ballo. Aldo continuava a girare, dandosi pensiero
-della sua dama, come io e voi del Gran
-Turco. Egli pensava invece a quel maledetto Anselmi,
-che aveva trovato modo d’impegnare la
-signora Camilla fin dalle dieci del mattino. Lo
-vedeva nella sala del biliardo, intento al giuoco
-della corda; poi lo vedeva comparire nel salone,
-coi guanti mezzo infilati, alla prima battuta del
-<i>valzer</i>. Come diamine aveva potuto spiccarsi dal
-giuoco? Non ci voleva una grande perspicacia ad
-indovinarlo. Il giuoco della corda è proprio quello
-che si può abbandonare quando si voglia, e con
-molto gusto dei compagni, poichè, lasciandolo a
-mezzo, si perde il posto e la posta.
-</p>
-
-<p>
-Maledetto Anselmi! Aldo De Rossi voleva conciarlo
-per il dì delle feste. Ma come? L’occasione,
-ci voleva, o almeno almeno il pretesto.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_177">[177]</span>
-</p>
-
-<p>
-Credete, lettori, che un pretesto di litigio sia
-sempre facile a trovare? Anche un mio amico era
-di questa opinione. Sentiva una profonda antipatia
-per un tale, che non gli offriva mai occasione
-d’attaccarla, anzi, quante volte lo incontrava
-(e s’incontravano spesso, nel salotto di una
-bella signora), gli faceva un mondo di cortesie.
-E non già per paura che avesse di lui; che anzi
-era celebrato come un cavaliere assai forte nel
-punto d’onore ed espertissimo tiratore di pistola.
-Al mio povero amico questa celebrità non metteva
-mica i brividi in corpo. Voleva leticare con
-lui, voleva trovare un appiglio, che non lasciasse
-campo a sospettare la vera cagione dell’alterco. Lo
-appostò un giorno in una sala di trattoria, trovò
-il modo di sedersi ad una tavola vicina alla sua,
-e lì, a bruciapelo, tra il lesso e l’arrosto, gli scaraventò
-la sua frase:
-</p>
-
-<p>
-— Signor tale, è vero quel che si dice da certi
-sciocchi imprudenti, che voi preferite la mostarda
-francese alla inglese?&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Quell’altro lo guardò sì placidamente, come egli
-lo aveva guardato ferocemente, e gli rispose con
-la sua gentilezza consueta:
-</p>
-
-<p>
-— Mio signore, io non ho ancora su questo
-punto un’opinione formata; e su questo, come
-su tanti e tanti altri, mi atterrò volontieri alla
-vostra.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Dopo otto minuti di giri e rigiri, la signora
-Elena si dichiarò vinta e manifestò il desiderio di
-<span class="pagenum" id="Page_178">[178]</span>
-riposarsi. Aldo, continuando a girare, la condusse
-più presso al divano, e là si fermò sui due piedi,
-come un ballerino di cartello, ma non per ricevere
-gli applausi.
-</p>
-
-<p>
-Camilla era là, e accolse l’amica con un leggiadro
-sorriso.
-</p>
-
-<p>
-— Che ferocissimo valzer, mia cara! — le
-disse. — Sarai stanca?
-</p>
-
-<p>
-— Non tanto, ma mi girava un pochino la testa
-e da qualche minuto mi facevo quasi portare
-dal mio fortissimo cavaliere.
-</p>
-
-<p>
-— Il signor De Rossi è un fiero ballerino al
-cospetto di Dio; — disse una voce, presso alla
-signora Camilla.
-</p>
-
-<p>
-Aldo alzò gli occhi a guardare. Il contino Anselmi
-non era più là, ed egli vide in sua vece
-Alcibiade primo, il cavaliere Sestavalle. Aveva già
-aggrottate le ciglia, il signor Aldo degnissimo;
-ma vedendo il posto vuoto, e riconoscendo che
-il complimento gli era fatto dal Sestavalle, spianò
-le rughe e sorrise.
-</p>
-
-<p>
-Il caso era strano; almeno, gli pareva tale. Perchè
-era partito il contino Anselmi dal fianco della
-signora Camilla? Di certo, essa gli aveva detto di
-non voler più ricominciare; ma era questa una
-ragione per andarsene via?
-</p>
-
-<p>
-— Ecco un uomo che non vuol perder nulla; — pensò
-Aldo tra sè. — È ritornato al biliardo,
-per ripigliare la partita.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Qui il signor Aldo De Rossi avrebbe potuto,
-<span class="pagenum" id="Page_179">[179]</span>
-e fors’anche dovuto, impegnare la signora Camilla
-per un altro ballo, poichè aveva perduta
-l’occasione di avere il primo. Ma, che volete?
-insensibilmente gli si era formato e cresciuto intorno
-al cuore un lago di amarezza. So bene che
-la cosa non è scientificamente vera; ma io vi descrivo
-l’effetto, o, per dire più esattamente, la
-sensazione. Quando si è in collera, quando si
-sente di non poter neanche guardare in viso la
-persona amata, allora, signori miei, si ha l’amaro
-al cuore, e tanto amaro, tanto amaro, che sembra
-di affogarci dentro.
-</p>
-
-<p>
-— Giuoca, giuoca! — borbottò egli tra i denti,
-volgendo gli occhi verso la sala del biliardo. — E
-la fortuna ti conceda di guadagnare anche laggiù
-la tua posta.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Parecchi cavalieri si erano avvicinati a complimentare
-le due dame. Aldo si scostò lentamente
-e finì col trovarsi davanti all’uscio della sala di
-lettura. Avete già capito che si avviò a quella
-volta; ma non vorrei lasciarvi nella falsa opinione
-che andasse là dentro per leggere un giornale.
-Aldo De Rossi non fece che passare; attraversò
-la sala d’ingresso e riuscì sul loggiato.
-</p>
-
-<p>
-La notte limpida e stellata parve recare un
-po’ di lume nella confusione delle sue povere
-idee. Ma sentite in che modo, e giudicate voi.
-Andando su e giù, e dopo aver dato due o tre
-stupide occhiate alla luna, che appariva allora allora
-tra i pioppi di Pieve a Nievole, e dopo aver
-<span class="pagenum" id="Page_180">[180]</span>
-mandato, non so bene se a lei o ad altra luce del
-firmamento, mezza dozzina di giaculatorie, il nostro
-eroe venne in questa opinione, che, non avendo potuto
-fare con la signora Camilla il primo ballo di
-quella sera, non poteva dicevolmente fare con lei
-il secondo, nè il terzo. Oramai, la poesia del
-fatto era sfumata. Anche lei, la signora Camilla,
-non doveva intenderlo e pensare come lui?
-</p>
-
-<p>
-Fortificato in questa idea, che gli parve luminosa,
-Aldo De Rossi diede una crollata di spalle,
-simile a quella che dovette dare Giulio Cesare
-quando fu per passare il Rubicone, e, senza
-aspettare un bicchiere di birra, che aveva domandato
-al cameriere in un breve intervallo di calma,
-infilò la scaletta scoperta che metteva nel cortile,
-e di lì, passando rapidamente per l’anticamera del
-Casino, giunse all’uscio di strada.
-</p>
-
-<p>
-Dove andava? In verità, non lo sapeva neanche
-lui. Voleva escire, non tornar più quella sera al
-Casino. Posto il piede all’aperto, aveva voltato a
-sinistra, come se volesse andare verso l’abitato;
-ma si pentì subito, e diede una giravolta a destra,
-per andare verso il Tettuccio. Al Tettuccio, alle
-dieci di sera! Signori miei, con quella stizza che
-ci aveva in corpo il nostro eroe, non è da badare a
-queste piccolezze. Del resto, la notte era splendida,
-e a fargli cansare una capata in quel tronco d’albero,
-o una stincata in qualche piuolo, c’era il lume
-della luna, che cominciava ad imbiancare la strada.
-</p>
-
-<p>
-E poi, quella era la <i>via crucis</i> del suo povero
-<span class="pagenum" id="Page_181">[181]</span>
-amore. In un giorno solo, quanti ricordi dolorosi!
-Qui rideva — pensò egli, notando un pezzo
-di marciapiede, poco discosto dall’Acqua della
-Speranza, — rideva, forse per l’invito al ballo,
-che il contino Anselmi le andava facendo, in anticipazione
-di dodici ore. Ci sono degli uomini
-così pronti a cavar profitto da ogni circostanza!
-Ah, sì, perchè ci hanno il cuor libero. E le donne
-ci credono, a questi scettici gaudenti! E le donne
-ci s’ingannano, a questa padronanza di spirito,
-che sa mentire ogni affetto, significandolo con
-parole tanto più vive, quanto più è dato di studiarle
-liberamente! Commedia! Retorica! Non c’è
-infiltri espressione più calda di quella del commediante,
-che sa distribuire con arte i suoi chiaroscuri
-intorno alle frasi mandate a memoria, o
-mendicate dal monotono brontolìo del suggeritore
-appiattato nella buca. Non c’è eloquenza più ornata
-e più splendida di quella dei rètori, fatta a
-musaico e per mero esercizio letterario. A lui,
-poveretto, non soccorreva l’arte di Roscio, nè
-quella di Ermogene; la frase gli esciva rotta dal
-labbro, scaldata da un amore violento, tinta, direi
-quasi, del suo sangue; ed era negletta, derisa,
-o presa in mala parte da lei.
-</p>
-
-<p>
-Proseguendo il cammino, trovò un altro punto
-critico. Era davanti all’Acqua della Fortuna, alquanto
-sotto alle Terme Leopoldine. In quel punto
-alla signora Camilla era caduto dagli òmeri il
-suo sciallettino di pizzi di Fiandra; non del tutto,
-<span class="pagenum" id="Page_182">[182]</span>
-ma solamente si era allentato e sfuggiva da uno
-dei capi. Voleva rimetterlo a posto e non le veniva
-fatto. Ora, sapete che cosa aveva osato di
-fare il contino Anselmi? Ve la darei da indovinare
-alle mille, e voi, furbe lettrici, la indovinereste
-alla prima. Aveva osato aiutarla, prendere
-con le sue mani il capo dello scialle e ravviarlo
-sull’òmero della signora, forse sfiorandole il collo
-col sommo delle dita. Perchè gli uomini dal cuore
-libero ce le hanno, queste audacie fortunate; anzi,
-sono proprio loro che ne hanno il segreto. Lui,
-poveretto, al posto dell’Anselmi, sarebbe stato
-mal destro, non avrebbe ardito di toccare quel
-collo. A lui sarebbe occorso quello che accadde
-a Vittor Hugo, giovane, quando una bellissima
-compagna di passeggiata gli aveva detto di guardare
-che cosa la ci avesse sotto il mento, che le
-dava molestia. Il poeta aveva veduto un collo di
-neve, e su quel collo di neve un insetto color
-di rosa, picchiettato di nero. Meglio che l’insetto
-sul collo, avrebbe dovuto vedere il bacio che a
-lei tremolava sulla bocca; ma era giovane, aveva
-sedici anni, o giù di lì; si appressò tremante,
-colse l’insetto e lasciò sfuggire il bacio, della
-quale sciocchezza lo riprese l’animaletto arguto.
-</p>
-
-<div class="poem">
-<p>«<i>Fils, apprends comme on me nomme</i>,»</p>
-<p class="i2"> <i>Dit l’insecte du ciel bleu;</i></p>
-<p class="i2"> «<i>Les bêtes sont au bon Dieu,</i></p>
-<p class="i2"> «<i>Mais la bêtise est à l’homme</i>».</p>
-</div>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_183">[183]</span>
-</p>
-
-<p>
-Sì, il povero Aldo si sarebbe dimostrato in
-quella occasione uno sciocco, e il contino Anselmi
-si era dimostrato un uomo di spirito. Ma
-poteva la signora Camilla vedere in lui un innamorato?
-Ella ci aveva proprio allora un fatto da
-cui giudicarlo, se era una donna nulla nulla più
-accorta di tante sue sorelle in Eva. Il contino
-Anselmi aveva meditato il gran colpo di fare il
-primo ballo con lei; ma aveva aspettata l’occasione
-giuocando prosaicamente alla corda, e, finito
-il suo giro di valzer, e ricondotta la signora al
-suo posto, non aveva trovato a far altro di meglio,
-che tornare difilato nella sala del biliardo.
-</p>
-
-<p>
-Mentre pensava a ciò, prendendosi il magro
-conforto di un paragone tra lui e quell’altro, il
-nostro filosofo peripatetico (molto peripatetico,
-invero, e poco filosofo) s’imbattè in un altro personaggio,
-che veniva incontro a lui, sullo stesso
-viale. Si tirò da un lato, prendendo la sua diritta,
-e l’altro fece istintivamente lo stesso. Ma,
-come furono a pari, si riconobbero e si fermarono
-di botto ambedue.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_184">[184]</span></p>
-
-<h2 id="cap12">XII.</h2>
-</div>
-
-<p>
-— Oh, De Rossi, sei tu?
-</p>
-
-<p>
-— Io; — rispose Aldo, confuso, poichè aveva
-riconosciuto il contino Anselmi.
-</p>
-
-<p>
-— E come va? — ripigliò questi con la sua
-bella tranquillità di spirito. — Hai già lasciato il
-Casino?
-</p>
-
-<p>
-— Sì; — disse Aldo, più confuso che mai; — avevo
-bisogno d’una boccata d’aria.
-</p>
-
-<p>
-— Anch’io, vedi, anch’io. Del resto, m’era
-anche venuta una curiosità. Volevo vedere se
-una certa coppia di tortorelle innamorate si fosse
-data la posta lungo i viali dello stradone, e ho
-colta l’occasione per dare una sbirciatina qua
-sotto.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-S’ingannavano a vicenda, e, quel ch’è peggio,
-se ne accorgevano ambedue. Ma i costumi della
-società son questi per l’appunto: lasciar credere
-quel che si vuole, purchè non si dica mai il vero
-e non si abbia mai l’aria di convenirne.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_185">[185]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Ed io che ti credevo ritornato al biliardo! — esclamò,
-con accento ingenuo, il De Rossi.
-</p>
-
-<p>
-— Che! — rispose l’Anselmi. — Giuocavo
-per far ora. Il giuoco della corda è tanto noioso!
-Fortuna che lo si lascia quando si vuole.
-</p>
-
-<p>
-— Ed anche il ballo; — soggiunse Aldo, con
-un risolino che voleva parere sarcastico.
-</p>
-
-<p>
-— Sicuro, anche il ballo; — replicò l’Anselmi,
-con imperturbabile sicumèra. — Avevo
-promesso alla Rivanera di fare il primo ballo con
-lei. Del resto, anche il ballo mi annoia.
-</p>
-
-<p>
-— Ah, — disse Aldo, — le avevi promesso!...
-</p>
-
-<p>
-— Già, promesso stamane, ritornando dal Tettuccio.
-Ma sai, Aldo mio, che è una donnina
-adorabile? Intendiamoci, per altro; io non nego
-i meriti grandi della signora Vezzosi. Non vorrei,
-per nessuna cosa al mondo, avere una quistione
-con te.
-</p>
-
-<p>
-— Con me? E per qual motivo?
-</p>
-
-<p>
-— Dio buono, per un motivo semplicissimo; — rispose
-l’Anselmi, continuando la celia. — Parliamoci
-col cuore in mano, da buoni amici
-come siamo. Tu ami la Vezzosi; la Vezzosi
-ama te.
-</p>
-
-<p>
-— Baie! — disse Aldo, crollando la testa.
-</p>
-
-<p>
-— Me lo ha confessato; — replicò l’Anselmi.
-</p>
-
-<p>
-— Confessato! A te?
-</p>
-
-<p>
-— Parola d’onore, a me.
-</p>
-
-<p>
-— Allora, — disse Aldo, rassegnato, — bisogna
-dire che la signora Elena non abbia presa
-<span class="pagenum" id="Page_186">[186]</span>
-la via più speditiva. Io, vedi, non ne sono stato
-avvertito. Ma sia pure come tu dici; — proseguì
-il De Rossi, per ravviare il discorso; — non intendo
-ancora come potesse nascere una quistione
-tra me e te.
-</p>
-
-<p>
-— Ma sicuramente, bello mio, sicuramente,
-per naturale dissenso intorno al grado di bellezza
-delle due dame. Sai quel che accadeva nel Medio
-Evo? Un cavaliere si piantava al capo d’un
-ponte e gridava: Giuro per Dio che la castellana
-di Rocca Scura è la più bella donna della cristianità.
-Tu passavi da quelle parti; l’affermazione
-ti dava noia; ti avanzavi all’altro capo del
-ponte e rispondevi: Tu menti per la gola, cavalier
-disleale; la più bella e la più degna d’ossequio
-è la castellana di Rocca Stellata. Allora,
-mettevate le lancie in resta; si prendeva campo,
-e giù botte da orbi. Non vorrei, dunque....
-siamo intesi? Quando io ti dico che la Rivanera
-è la bellissima tra le belle, tu devi vedere in
-questo giudizio il mio gusto particolare, che può
-essere ed è certamente diverso dal tuo.
-</p>
-
-<p>
-— Vigliacco! — pensò Aldo De Rossi. — Anche
-in amore, ci ha le restrizioni mentali.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Indi, ad alta voce, proseguì:
-</p>
-
-<p>
-— Ti faccio i miei complimenti. La signora
-Cam... la signora Rivanera è a mala pena arrivata,
-e tu ottieni di farti pregare da lei....
-</p>
-
-<p>
-— Ecco, non esageriamo; — interruppe modestamente
-l’Anselmi. — Ella non mi ha pregato di nulla.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_187">[187]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Dicevi che t’ha fatto promettere....
-</p>
-
-<p>
-— È stato un modo di dire. Sta in fatto che
-io le ho promesso di trovarmi al Casino per il
-primo ballo; ma in fondo in fondo son io che
-l’ho impegnata.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Aldo respirò un tratto più liberamente; ma
-continuò a dissimulare, per averne l’intiero.
-</p>
-
-<p>
-— Fa lo stesso; — replicò. — La signora ha
-accettato l’invito, mostrando di credere che tu ti
-saresti dimenticato. Era un impegnarti a ricordartene; — notò
-Aldo, non senza un pochino
-d’amarezza. — Ma perchè non rimanere al Casino,
-per continuare?
-</p>
-
-<p>
-— Che! — gridò l’Anselmi. — Dio me ne
-scampi. In confidenza, Aldo mio, sappi che su
-questo proposito io ci ho un’usanza particolare,
-effetto di una certa teorica....
-</p>
-
-<p>
-— Ah sì? Sentiamo la teorica.
-</p>
-
-<p>
-— Eccola qua. Non bisogna star troppo ai
-fianchi di una donna a cui si fa la corte.
-</p>
-
-<p>
-— Questa è nuova di zecca. Tu credi che
-giovi l’assenza?
-</p>
-
-<p>
-— Qualche volta sì. Ma in generale torna
-più utile il tenersi preziosi. Ti pianti alle costole
-d’una dama? Le dài noia. Oppure, ella si scalda
-a quella vicinanza; perciò non ha tempo a vedere,
-a confrontare. E questo non sarebbe male,
-lo capisco; anzi ti metterebbe conto. Ma bada;
-mentre tu ti sei impegnato al giuoco, ella, che
-non ha confrontato prima, confronta più tardi;
-<span class="pagenum" id="Page_188">[188]</span>
-donde troppo spesso la conseguenza che tu vada
-innanzi ed ella torni indietro. Ti volti per dirle
-una parola più tenera? Addio, bella; è già lontana
-un miglio e non c’è verso di farla tornare.
-So questo per vecchia esperienza; ed anche ripetuta.
-Non me la fanno più. Dunque, ti ripeto,
-assenze, nel vero significato della parola, non ne
-consiglierei a nessuno; possono andarti bene, ed
-anche riuscirti pericolose. Ma una piccola scappata,
-una sparizione sotto le armi, come si dice
-in sala di scherma, è spesso la man di Dio.
-</p>
-
-<p>
-— Benedetta la tua scienza! — esclamò Aldo
-De Rossi. — Anzi, dirò meglio, la tua diplomazia.
-</p>
-
-<p>
-— Diciamo pure diplomazia; — rispose l’Anselmi,
-con aria di condiscendenza. — Eccone intanto
-un bel saggio. Ho fatto con la Rivanera il
-primo ballo; nota, il primo ballo della serata, il
-suo primo ballo a Montecatini. Questo, in linguaggio
-d’ingegneria, si chiama piantare la prima
-biffa, che servirà di traguardo per tracciare la
-strada. È molto probabile che la Rivanera si dimentichi
-con chi avrà fatto il secondo ballo, od
-il terzo; ma ella sicuramente ricorderà con chi
-avrà fatto il primo. Aggiungi che questa sera mi
-cercherà ad ogni tanto con gli occhi, per la naturalissima
-curiosità femminile, di sapere qual
-dama io abbia invitata dopo di lei. Infatti, c’è qui
-la diplomazia sopraffina, la diplomazia di seconda
-intenzione. Tu insegni a me, caro De Rossi, che
-<span class="pagenum" id="Page_189">[189]</span>
-quando si corteggia una donna, si finge spesso di
-non preferirla, e si incomincia da un’altra, per
-giungere a lei nel punto meno osservato. Le vere
-preferenze scattano fuori al secondo valzer, o alla
-seconda quadriglia; ma allora nessuno ci abbada,
-e il tuo giuoco rimane coperto, se hai la fortuna
-di non commettere una imprudenza troppo grave
-nel cotillon. Tu capisci già dove vado a parare.
-La Rivanera domanda tra sè quale sia la signora
-preferita dall’Anselmi, tuo umilissimo servo. Ma
-il tuo umilissimo servo non si vede più, è escito
-dalla sala; non ha saputo resistere alla tentazione
-di ballar subito con lei, e, dopo aver ballato con
-lei, non ha saputo rassegnarsi a ballare con un’altra.
-Se avesse potuto ballare due volte con lei,
-magari Dio! Ma questo non si poteva fare decentemente,
-senza dare nell’occhio ai curiosi, senza
-correre il rischio di comprometterla, e fors’anche
-di seccarla. Perciò è sparito; ma, non dubitare,
-egli brilla per la sua medesima assenza, ed apparisce
-ai suoi occhi come un uomo innamorato,
-come un uomo delicato, come un uomo sincero.
-Innamorato, perchè è corso subito a lei; delicato,
-perchè non è tornato all’assalto, chiedendole un
-secondo favore; sincero, perchè non ha saputo
-infingersi, cercando di ballare con un’altra. E così,
-con poca fatica, il colpo è fatto. Ti capacita?&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Aldo De Rossi, era stato a sentire quella lunga
-dimostrazione, rotando gli occhi e mordendosi
-le labbra; due cose che poteva fare senza pericolo
-<span class="pagenum" id="Page_190">[190]</span>
-d’esser veduto, poichè volgeva le spalle alla
-luna. Ma quando il contino Anselmi ebbe finito,
-egli fece forza al suo cattivo umore, sibilò un
-mezzo sorriso e rispose al compagno:
-</p>
-
-<p>
-— Non sei solamente un gran diplomatico, sei
-anche il più furbo dei logici.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Intanto il povero Aldo pensava con dolore che
-un ragionamento simile avrebbe potuto farlo, anche
-rispetto a lui, la signora Camilla. Non aveva
-egli fatto il primo ballo con la signora Vezzosi?
-E non era subito andato via dal Casino, come
-se gli tornasse ostico di dover ballare con un’altra?
-Veramente, egli non aveva ballato con la signora
-Elena, se non dopo il mal esito della sua domanda
-alla signora Camilla. Ma egli, turbato com’era,
-non pensò a questa circostanza attenuante.
-Ci avesse anche pensato, la dimostrazione dell’Anselmi
-gli avrebbe offerto anche l’argomento
-contro di lui. Infatti, non poteva la signora Camilla
-vedere nel suo atto quella stessa diplomazia
-sopraffina, di seconda intenzione, che vi fa fare
-il primo passo verso una donna che vi preme
-meno, per coprire il secondo, verso quella che
-vi preme di più?
-</p>
-
-<p>
-— Un furbo, che parla! — replicava l’Anselmi,
-non sospettando neppure di parlare così giusto.
-</p>
-
-<p>
-— Tu invece, De Rossi mio, sei un furbo
-che tace.
-</p>
-
-<p>
-— Taccio, — rispose Aldo, — perchè non ho
-nulla da raccontare.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_191">[191]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Ah via! Amato come sei? Col tuo nido
-bell’e fatto? Col tuo trono stabilito?
-</p>
-
-<p>
-— Eh sì! — mormorò Aldo, crollando il capo. — Tu
-ti sei incocciato a supporre....
-</p>
-
-<p>
-— Non suppongo, credo, son certo; — interruppe
-l’Anselmi. — Ti ho già detto che me lo
-ha confessato la signora Elena. Cioè, intendiamoci,
-confessato no; ma non saputo negare. Del resto
-la sua medesima curiosità intorno ai fatti tuoi....
-</p>
-
-<p>
-— Che storia è questa? — fece il De Rossi,
-non lasciandogli tempo a finire la frase.
-</p>
-
-<p>
-— Ma sì; — ripigliò il contino Anselmi. — Figurati
-che la signora... sta bene, non la nominiamo, — soggiunse,
-notando un atto esortativo
-del compagno. — Diremo invece la figlia di Leda,
-che poi torna lo stesso. Ma, prima di tutto, una
-dichiarazione necessaria. Si è amici, o non si è;
-ne convieni? Siamo dunque amici, siamo giovani,
-e dobbiamo esser collegati, per aiutarci a
-vicenda.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Aldo De Rossi, quantunque non ne avesse gran
-voglia, rispose a quelle premesse con un cenno
-affermativo del capo.
-</p>
-
-<p>
-— Dunque io dico — ripigliò l’Anselmi, — due
-alleati hanno obbligo di conoscere scambievolmente
-lo stato delle loro finanze e dei loro
-armamenti. Che cosa sarebbe l’alleanza, se non
-ci fosse questa cognizione, questa fede piena ed
-intera? Tu non devi aver segreti per me; ma io
-debbo dirti tutto quello che so. Senti dunque,
-<span class="pagenum" id="Page_192">[192]</span>
-un bel giorno la signora... la figlia di Leda, mi
-trattenne nel suo salotto, mentre ero sul punto
-di andarmene. E sai di che diavolo mi parlò,
-quando si rimase soli? Di te, sempre di te, solamente
-di te; fino al punto che io ne fui mortalmente
-seccato.
-</p>
-
-<p>
-— Grazie! — fece Aldo De Rossi.
-</p>
-
-<p>
-— Non è il caso; — rispose prontamente l’Anselmi. — Rendimi
-la pariglia, alla prima occasione:
-La figlia di Leda voleva sapere da me di
-quale altra donna tu fossi innamorato. Era gelosa,
-capisci? E mi fece passare in rassegna tutte le
-signore del nostro piccolo mondo. Tra l’altre, ricordo
-che si nominò anche la Rivanera. Io, naturalmente,
-negai per questa, come per tutte le
-altre. Infatti, non ti avevo mai veduto accennare
-a questa, nè ad altre. Se c’era una dama a cui
-tu dedicassi visibilmente i tuoi omaggi, quella era
-la signora... la figlia di Leda, in persona. E naturalmente,
-dicendole io queste cose, ebbi il piacere
-di vederla arrossire. S’intende che non volle
-convenire di nulla, e che cercò di colorire la sua
-curiosità con la storiella di un matrimonio che
-ella disegnava di farti fare, con una bella e ricca
-fanciulla, che tu, ne son certo, non conosci e della
-quale non hai mai udito parlare. Ti dico che sei
-nato vestito, De Rossi mio. Una bellezza come
-quella! E uno spirito poi, uno spirito!... Nei tempi
-andati, m’ero fatto avanti ancor io; ma che vuoi?
-la signora m’ha riso in faccia e addio speranze.
-<span class="pagenum" id="Page_193">[193]</span>
-Già dev’essere una di quelle donne che s’innamorano
-soltanto degli uomini seri. Io, vedi, perchè
-rido, perchè chiacchiero, perchè non straluno
-gli occhi, non sono un uomo serio.
-</p>
-
-<p>
-— La signora Rivanera, — disse Aldo, con voce
-sepolcrale, — ti vede di buon occhio. Forse non
-li ama serî, lei?
-</p>
-
-<p>
-— Che vuoi che ti dica? Non ne so nulla.
-Incomincio appena. Sai che prima d’ora la vedevo
-poco. Quel presidente gran croce mi dava
-una noia!... Prevedo che d’ora innanzi dovrò ragionare
-di codici e giuocare anche a scacchi. Pazienza!
-Ma lei.... che grazia! che umore! che
-spirito! Pare una stranezza, una contraddizione,
-aver tanto spirito una donna così bella!
-</p>
-
-<p>
-— Dove trovi la contraddizione? — esclamò
-Aldo de Rossi.
-</p>
-
-<p>
-— Nel fatto costante; — rispose l’Anselmi. — Non
-hai sempre veduto che le più belle sono anche
-le più sciocche? Infatuate della loro grande bellezza,
-disposte a credere che la bellezza, in una donna, sia
-tutto, ti pigliano un atteggiamento da statue greche,
-qualche volta anche da idoli indiani, e stimano che
-il farsi ammirare le dispensi dal farsi sentire. Meglio
-così, del resto, meglio così, perchè non ci
-sarebbe gusto a sentirle. Vederle ridere è già molto,
-perchè infatti si degnano di sorridere, trovandoci
-un’ottima occasione per mettere in mostra le trentadue
-perle, incassate nel corallo, di cui cantano
-da duemila anni tutti i poeti del mondo.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_194">[194]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Ma anche la Vez... la figlia di Leda è bella
-ed ha molto spirito; — osservò Aldo De Rossi.
-</p>
-
-<p>
-— Sicuro, ed è un’eccezione; — replicò l’Anselmi. — Siamo
-cascati su due eccezioni. Felici
-noi! Cioè, mi correggo, felice te, fino ad ora!
-Io incomincio appena, te l’ho già detto, e non
-posso ancora mettere in conto che la conversazione
-allegra di stamane.
-</p>
-
-<p>
-— Infatti, ridevate di cuore; — disse Aldo. — E
-di che, se è lecito?
-</p>
-
-<p>
-— Lo sai tu? Io no; forse di nulla. Essa incominciò
-a darmi la baia sulle mie avventure di
-Montecatini; avventure di cui non aveva notizia,
-ma che s’immaginava facilmente. Le risposi che
-ero un disgraziato, in veste d’uomo felice. Ella
-non lo volle credere, ed io gliene fui grato, perchè,
-come capirai, ci si umilia sempre per essere
-esaltati; ma trovai il modo di dirle che tutte le
-più celebrate bellezze di Montecatini sarebbero
-ecclissate da lei, e che la mia fortuna sarebbe
-stata al colmo, anzi meglio, che avrei fatto morire
-di rabbia un centinaio di cavalieri, o giù di
-lì, se ella mi avesse concesso di fare questa sera
-al Casino, il primo ballo con lei. — Per vedere
-questa morte generale, — mi rispose ella, — ve
-lo concedo. — Poi si parlò d’altre cose. Le ho
-fatta la cronaca di Montecatini, come mi era permesso
-di conoscerla in una settimana di soggiorno,
-incominciando dalle mie commensali della
-Torretta. Ella mi canzonò, perchè ero andato ad
-<span class="pagenum" id="Page_195">[195]</span>
-alloggiare così lontano dall’orbe conosciuto; ma
-io, come puoi immaginarti, mi sono ben guardato
-dal dirle il perchè.
-</p>
-
-<p>
-— Ah, c’era un perchè?
-</p>
-
-<p>
-— Non lo sai? La cantante.
-</p>
-
-<p>
-— La cantante? Io non so nulla di nulla; — rispose
-Aldo, che cascava dalle nuvole.
-</p>
-
-<p>
-— Oh vedi! Ed io credevo che la signora....
-la figlia di Leda ti avesse informato di questo
-particolare. Mi accorgo che è una dama molto
-prudente, anche co’ suoi più intimi amici. Ma
-forse non ha ancora avuto il tempo di parlartene.
-Deve aver risaputo soltanto ieri le mie alte gesta
-della Torretta, poichè me ne ha parlato iersera
-soltanto. Dunque, tu lo sai ora da me, scambio
-di saperlo da lei. Ci ho una cantante, una diva
-sulle braccia.
-</p>
-
-<p>
-— I miei complimenti; — disse Aldo De Rossi. — Tu
-hai dunque un occhio al cane e l’altro alla
-macchia.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Il contino Anselmi diede in uno scoppio di
-risa, che faceva testimonianza della più invidiabile
-contentezza.
-</p>
-
-<p>
-— Dio buono, — esclamò egli, — s’ha egli
-da star sempre col filosofo Platone?
-</p>
-
-<p>
-— Perciò, — ribattè Aldo De Rossi, — segui
-anche Aristotile.
-</p>
-
-<p>
-— Ah bella, questa, bellissima! Me la cedi?
-</p>
-
-<p>
-— Che cosa?
-</p>
-
-<p>
-— La tua arguzia. Ma sai, De Rossi, che per
-<span class="pagenum" id="Page_196">[196]</span>
-un uomo serio, sei molto spiritoso? Se tu dunque
-mi cedi l’invenzione, d’ora in poi dividerò
-gli amori in platonici ed aristotelici.
-</p>
-
-<p>
-— Sei molto gaio; — notò Aldo De Rossi. — E
-s’ha a credere che tu sia innamorato davvero?
-</p>
-
-<p>
-— Ah, questo poi no; ti permetto, anzi ti
-prego di credere che non lo sono. Ho ancora e
-conserverò per un pezzo l’intiera padronanza del
-mio cuore, del mio povero cuore. Le donne, non
-lo nego, sono cari animaletti; e le paragonerei
-volontieri a certi canini tanto graziosi e tanto
-preziosi, che formano l’ammirazione dei salotti.
-Carezze molte, ed anche qualche bacio su quelle
-bianche testine; ma badar sempre ai denti, per
-non buscarsi una morsicatura. La scienza non ha
-ancora trovato il rimedio contro la rabbia.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Aldo era stomacato da tanto cinismo. Mettete
-pure che non lo sarebbe stato tanto, se avesse
-avuto il cuor libero. Quando non si ama, certi
-discorsi tra uomini non fanno cattivo senso, e
-tutti i frizzi contro il sesso debole son buoni,
-anche se paiano un tantino volgari. Ma era innamorato,
-era geloso dell’Anselmi, e gli saltava la
-voglia di dirgli chiaro e tondo:
-</p>
-
-<p>
-— Sei un vile, contino Anselmi. Non si parla
-così delle donne in genere, quando si tenta e si
-spera di convincerne una. E non si tenta nemmeno,
-quando non si ama sul serio. È vergognoso
-per un uomo di garbo, per un cavaliere,
-turbar la pace di queste povere creature indifese,
-<span class="pagenum" id="Page_197">[197]</span>
-quando non si mette il proprio cuore nel giuoco,
-quando si è come te, che ti consoli dei rigori di
-Platone con le condiscendenze di Aristotele. Sei
-un vile, te lo ripeto, e ti proibisco da questo
-momento di far la corte alla signora Rivanera. Se
-la cosa non ti garba, provvedi ai casi tuoi; ci taglieremo
-la gola domani, a quell’ora che ti piacerà
-meglio.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Vi ho detto che ne aveva la voglia, e aggiungo
-una voglia spasimata, una voglia matta. Ma poteva
-egli spifferargli tutto ciò? Non era un costituirsi
-custode e tiranno della signora Camilla? Non poteva
-essa dirgli: amo essere corteggiata da chi
-mi piace, e voi, come non avete ancora il diritto
-di compromettermi, così non avete il diritto di
-liberarmi da una corte che io ho mostrato di
-gradire, per quanto insidiosa e villana vi sembri?
-</p>
-
-<p>
-Tutti questi pensieri passarono per la mente
-di Aldo De Rossi e lo persuasero a star zitto.
-Omero, in un caso simile, avrebbe detto che Minerva,
-amica e protettrice di Achille, gli aveva
-posto una mano sulla bocca. Certamente, l’immagine
-sarebbe più efficace e più bella. Ma io non
-sono Omero; questa ch’io narro non è la guerra
-di Troia, e Aldo De Rossi, vulnerabile in tante
-parti oltre il calcagno, non potrebbe essere paragonato
-in nessun modo ad Achille.
-</p>
-
-<p>
-Il nostro povero eroe vinse la ripugnanza che
-gl’inspiravano i discorsi del suo rivale inconsapevole,
-e dopo un istante di pausa gli disse:
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_198">[198]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Non sei innamorato; dunque, perchè turbi
-la sua pace? Essa è libera, inoltre, e tu potresti
-aver obbligo di cavalleria....
-</p>
-
-<p>
-— Che! che! — interruppe l’Anselmi. — In
-queste cose la cavalleria non c’entra. C’è posto
-a mala pena per la galanteria, sua cugina in terzo
-grado. Del resto, — soggiunse, — sono ragionamenti
-da farsi poi. Oggi non sono innamorato,
-e per conseguenza non sono cieco; ma potrei
-diventarlo, potrei perdere il lume degli occhi, e
-allora, ci sarà tempo a pensarci. Quantunque, ricordo
-che Napoleone I diceva: «la palla che ha
-da colpirmi non è stata ancor fusa.» Ed io dico,
-imitandolo: la donna che ha da accalappiarmi non
-è ancor nata. Napoleone vedeva più giusto di
-quello che non credesse, poichè non è morto di
-palla; vedrai che il tuo umilissimo servo non
-morirà ammogliato. Segui tu pure il mio esempio,
-De Rossi; non prender moglie. È un brutto guaio;
-specie quando si ha un umor triste come il tuo.
-È vero che io predico ad un convertito, poichè
-tu non mi sembri aver presa la via che conduce
-all’ara municipale.
-</p>
-
-<p>
-— Che ne sai tu? — fece Aldo.
-</p>
-
-<p>
-— Come? Torneresti ancora a negare?
-</p>
-
-<p>
-— Sì, torno a negare; — rispose Aldo, fermandosi
-sui due piedi e assumendo un’aria solenne. — Ti
-giuro, e tu devi credermi, che non
-faccio la corte alla signora Vezzosi.
-</p>
-
-<p>
-— Gliela farai più tardi, poichè essa ti ama.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_199">[199]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Non gliela farò. Che essa mi ami, è una
-tua supposizione, non giustificata da alcuna prova
-agli occhi miei. Ma fosse anche vero.... ammesso
-per pura ipotesi che potesse esser vero.... io non
-amerò la signora Elena. Sappi che io la rispetto...
-</p>
-
-<p>
-— E la venero; — soggiunse quell’altro, col
-suo fare canzonatorio.
-</p>
-
-<p>
-— Anselmi!
-</p>
-
-<p>
-— E via, non andare in collera! Il rispetto
-non chiama la venerazione? Ma non ischerzo più,
-se la cosa ti dispiace tanto, ed ammetto ciò che
-mi affermi con tanta sicurezza. Ma bada, De Rossi
-mio, ti annoierai, senza un amoruccio pur che
-sia; ti annoierai maledettamente. Non c’è annoiato
-più compassionevole al mondo, di quello che non
-ha il suo piccolo ripesco amoroso. Solo per lui
-il giorno ha ventiquattr’ore. Animo! Se non è la
-figlia di Leda, sia un’altra, che occupi un pochino
-del tuo tempo. Vuoi che ti presenti alla cantante?
-È, nel suo genere, una donna divina.
-</p>
-
-<p>
-— No, grazie; — rispose Aldo, seccato. — La
-donna io non la intendo così. Queste dee che si
-lasciano adorare da tutti, che si spezzettano di qua
-e di là, concedendo sorrisi a destra e a mancina,
-non sono il fatto mio. In amore ho sempre avuto
-una massima: o tutto o nulla.
-</p>
-
-<p>
-— Massima pericolosa! — esclamò l’Anselmi.
-</p>
-
-<p>
-— Pericolosa! Perchè?
-</p>
-
-<p>
-— Perchè la donna potrebbe volere il ricambio.
-Sarai tu disposto a concederlo?
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_200">[200]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Sì; — rispose Aldo, con accento risoluto.
-</p>
-
-<p>
-— Bada, tu dici di sì e l’esperienza risponde
-di no. Andar contro a questa esperienza è il torto
-massimo degli innamorati, e di quelli che hanno
-il temperamento amoroso. L’amore è come il
-piacere; lo si crede eterno, fino a tanto non lo
-si è esaurito.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Aldo De Rossi rispose a quel ragionamento con
-una alzata di spalle.
-</p>
-
-<p>
-— Sia pure destinato a perire, come tu vuoi
-e come io non credo; — diss’egli. — Resta sempre
-che l’amore è un sentimento esclusivo. Finchè
-dura, non patisce divisioni.
-</p>
-
-<p>
-— Ma se l’ho detto! Temperamento amoroso; — replicò
-l’Anselmi. — Temperamento amoroso,
-composto di bilioso e di sanguigno. Mi darai del
-materialista; ma che farci, se la cosa è in questi
-termini? Tu, per altro, sei un bel matto, De
-Rossi mio. Lasciatelo dire, sei un bel matto. Non
-ami nessuna donna, e parli come se ci avessi un
-Mongibello nel cuore.
-</p>
-
-<p>
-— Son molto calmo, invece; — rispose Aldo. — Ti
-dico ciò che penso, e abito all’insegna
-della Pace.
-</p>
-
-<p>
-— Davanti a cui siamo tornati, di chiacchiera
-in chiacchiera; — disse l’Anselmi. — Ma tu
-vorrai tornare al Casino.
-</p>
-
-<p>
-— No, vado a letto.
-</p>
-
-<p>
-— Ecco un predestinato del matrimonio; — esclamò
-l’Anselmi, ridendo. — Spero almeno che
-<span class="pagenum" id="Page_201">[201]</span>
-non metterai il berretto di cotone. Ma che c’è?
-Abbiamo fatto tardi, con la nostra filosofia, e la
-gente incomincia ad escire; — soggiunse, vedendo
-una brigatella di persone, uomini e donne, che
-escivano dal Casino, sull’opposto viale. — Mi
-pare di riconoscere la voce dell’amico Gerardo.
-Sono certamente le nostre ballerine, che vengono
-a questa volta.
-</p>
-
-<p>
-— Ritiriamoci in disparte; — disse Aldo.
-</p>
-
-<p>
-— Come personaggi di tragedia? Io non la
-intendo così. Già, a questo lume di luna ci avranno
-riconosciuto. La donna, come sai, appartiene alla
-specie felina ed ha la vista acuta, di notte come
-di giorno.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Non c’era verso di persuadere l’Anselmi a proseguire
-la strada. Aldo non seppe risolversi ad
-andar solo, poichè restava il compagno, il rivale.
-</p>
-
-<p>
-Il contino Anselmi non si era ingannato. Erano
-proprio le loro ballerine del primo valzer che
-escivano dal Casino, accompagnate dal commendatore
-Gerardo, dal presidente gran croce e dall’Alcibiade
-primo, cavaliere Sestavalle.
-</p>
-
-<p>
-La signora Elena fu la prima a ravvisare i due
-fuggitivi.
-</p>
-
-<p>
-— Ah, venite qua, voi! — diss’ella, con accento
-di minaccia. — Abbiamo da aggiustare i
-conti.
-</p>
-
-<p>
-— Signora, aggiustiamo pure; — rispose l’Anselmi,
-affrettandosi a muoverle incontro.
-</p>
-
-<p>
-— Avete ancora l’aria di ridere? Sappiate, signor
-<span class="pagenum" id="Page_202">[202]</span>
-conte, che non ammetteremo mai ciò, alla
-nostra presenza. E prima di tutto, giustificatevi.
-Perchè questa fuga?
-</p>
-
-<p>
-— Signore, io volevo far loro un’eguale domanda.
-Perchè lasciare il Casino, mentre noi,
-schiavi fuggiaschi, ma pentiti, venivamo ad impegnarle
-per il <i>cotillon!</i>
-</p>
-
-<p>
-— Si trattava proprio di <i>cotillon!</i> — esclamò
-la signora Vezzosi. — Non si trova più un ballerino,
-a pagarlo un occhio. Non c’è più cavalieri,
-a questo mondo. Chiedetene al nostro fedele
-Sestavalle....
-</p>
-
-<p>
-— Che lo è dei Santi Maurizio e Lazzaro; — notò,
-salutando, l’Anselmi.
-</p>
-
-<p>
-Alcibiade primo rese il saluto e ripigliò tosto
-il suo atteggiamento dignitoso, riveduto e corretto
-per quella occasione.
-</p>
-
-<p>
-— Egli vi dirà, — proseguì la signora Vezzosi, — che
-a’ suoi tempi....&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Ma era detto che la signora Elena non potesse
-finire il suo discorsetto.
-</p>
-
-<p>
-— Sì, — interruppe il Sestavalle, seccato di
-quell’accento ad un passato troppo remoto, — dieci
-anni fa, non era mica così. I giovanotti del
-mio tempo lasciavano ai vecchi il giuoco e le
-discussioni politiche, ed essi tenevano compagnia
-alle dame.
-</p>
-
-<p>
-— Vi faccio notare, amico Sestavalle, — rispose
-gravemente l’Anselmi, — che a quei tempi
-la compagnia di cui parlate si chiamava a dirittura
-<span class="pagenum" id="Page_203">[203]</span>
-servitù. Diciamo dunque servitù, e senza
-rincrescimento, perchè in verità non fu mai servitù
-così dolce, nè così pregiata da noi. Ma, venendo
-al caso nostro, noi non potevamo già credere
-che in un’ora di assenza dal campo si dovessero
-contare tante diserzioni. Avevamo lasciate
-le dame in mezzo ad un circolo, ad una folla di
-gentiluomini. E non è da credere, — soggiunse
-il contino, volgendo un’occhiata eloquente alla signora
-Camilla, — che noi ci ritirassimo per cedere
-la piazza. Ci siamo ritirati per un sentimento
-di delicatezza. Non si voleva e non si poteva
-mica aver l’aria di maghi carcerieri, di cerberi, di
-tiranni; ufficio che va lasciato agli <i>aventi diritto</i>,
-come ad esempio il nostro buon amico Gerardo.
-</p>
-
-<p>
-— Un tiranno che ha data la costituzione; — notò
-il commendatore Gerardo, ridendo della sua
-arguzia, così facilmente trovata.
-</p>
-
-<p>
-— Noi, per altro, — ripigliò l’Anselmi, — dobbiamo
-dire la verità tutta intiera. Eravamo
-scesi a prendere una boccata d’aria, desiderosi di
-tornar subito. Ma l’uomo propone e la politica
-dispone. Figuratevi che abbiamo attaccato una
-discussione politica.
-</p>
-
-<p>
-— Ci avete anche voi questo peccato sulla coscienza? — domandò
-la signora Camilla.
-</p>
-
-<p>
-— Oh, in forma molto veniale, una volta all’anno; — rispose
-il contino, inchinandosi e
-saettando un’altra occhiata assassina.
-</p>
-
-<p>
-— Credevamo — notò la signora Vezzosi, — che
-<span class="pagenum" id="Page_204">[204]</span>
-foste andati nella sala del bigliardo, come tanti
-altri. Sestavalle voleva venirvi a cercare; ma noi
-non lo abbiamo permesso.
-</p>
-
-<p>
-— E Sestavalle, da buon cavaliere, ha obbedito; — replicò
-l’Anselmi. — Se fosse venuto non ci
-avrebbe trovati. Noi non avremmo osato mai di
-piantarci ad una mattonella di bigliardo, in vicinanza
-di così belle signore. Se almeno anche le
-signore prendessero la stecca!
-</p>
-
-<p>
-— Che idea! — esclamò la signora Camilla.
-</p>
-
-<p>
-— Eh, se vi degnaste di provare, signore mie,
-sareste belle di una nuova bellezza. Minerva non
-impugnò la lancia? E Venere non s’è compiaciuta
-di rubarla a Marte?
-</p>
-
-<p>
-— Come lo sapete?
-</p>
-
-<p>
-— Ho veduta la cosa in molti Musei d’arte
-antica, disperando sempre di averne un esempio
-nella realtà. Volete incominciare, signore? C’è un
-bigliardo discreto, dal Birindelli, all’Acqua della
-Speranza. Ho veduto ieri mattina giuocare la
-principessa Solikoff, e vi assicuro che non ci scapitava
-punto. Se volete, la prima lezione domani,
-dopo colazione.
-</p>
-
-<p>
-— Accettiamo la sfida? — chiese la signora
-Camilla alla Vezzosi.
-</p>
-
-<p>
-— Si riderà; — rispose la signora Elena; — accettiamo
-dunque. Voi, signor Aldo, che ne dite?
-</p>
-
-<p>
-— Aldo farà il quarto; — gridò l’Anselmi, non
-lasciando all’amico il tempo di rispondere. — Vi
-avverto che è un terribile giuocatore.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_205">[205]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Ho già capito, — disse il commendatore
-Gerardo, volgendosi al presidente gran croce, — che
-noi faremo la parte di giudici.
-</p>
-
-<p>
-— L’ufficio mi conviene; — rispose il Roberti,
-col suo grave sorriso.
-</p>
-
-<p>
-Aldo si era frattanto avvicinato alla signora
-Camilla, e le diceva:
-</p>
-
-<p>
-— Poichè si tratta d’una partita in quattro,
-vorrete voi stare insieme con me?
-</p>
-
-<p>
-— Vi farò perdere; — rispose la signora Camilla. — Non
-lo domandate.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Aldo aggrottò le ciglia e fu per mordersi le
-labbra, secondo l’uso.
-</p>
-
-<p>
-— Per caso, — ripigliò abbassando la voce
-d’un tono, — sareste già impegnata al bigliardo,
-come lo eravate al ballo?
-</p>
-
-<p>
-— Dio, che cipiglio! — esclamò ella, con un
-gesto di terrore. — È l’ombra della notte che vi
-rende così cupo?&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Egli chinò la testa, senza rispondere alla celia.
-Che cosa poteva dire, con tutta quella gente lì
-presso?
-</p>
-
-<p>
-— Via, per non farvi andare in collera, accetterò; — riprese
-la signora Camilla. — Perderete,
-e sarà la vostra punizione.
-</p>
-
-<p>
-— Perderò! — ripetè egli tristemente, scandendo
-la parola, quasi volesse farne fuori un
-senso recondito. — Che importa? Oramai, sono
-avvezzo.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-La signora Camilla gli diede un’occhiata tra
-<span class="pagenum" id="Page_206">[206]</span>
-curiosa e beffarda; ma lo lasciò senza risposta,
-poichè s’avvicinava l’Anselmi.
-</p>
-
-<p>
-— A domani dunque, e buona notte; — disse
-il contino, stringendo la mano alla signora Camilla. — Prego
-voi, come la signora Elena, di
-non sognare che ci avete puniti con una giornata
-di rigore.
-</p>
-
-<p>
-— Che avreste meritato; — rispose la signora
-Vezzosi, per sè e per la Rivanera. — Ma voi,
-conte, non sognate di farci la seconda di cambio.
-</p>
-
-<p>
-— Per gl’inferni numi, lo giuro; — replicò,
-nell’atto di levarsi il cappello, quel caro ed amato
-Anselmi, che Aldo De Rossi avrebbe mandato
-tanto volontieri a trovare gli augusti testimoni
-del suo giuramento.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_207">[207]</span></p>
-
-<h2 id="cap13">XIII.</h2>
-</div>
-
-<p>
-La mia felicità sarebbe al colmo, se il candido
-lettore e la vermiglia lettrice si contentassero del
-poco che io dò e non mi chiedessero di approfondire,
-anzi meglio, di sviscerare il caso psicologico
-che ho preso a descrivere. Si tratta di una
-malattia, per cui, qual più, qual meno, siamo
-tutti passati, e le troppo minute descrizioni non
-chiarirebbero niente di nuovo.
-</p>
-
-<p>
-Aldo De Rossi era in una di quelle condizioni
-indefinite e indefinibili, che non permettono di
-risolver nulla e fanno avere in uggia ogni cosa.
-Si vorrebbe morire, dormire, sognare, e tutto il
-resto del monologo d’Amleto; farsi certosino, o
-prendere una sbornia di due settimane; mettersi
-a capo di uno squadrone di cavalleria e caricare
-un esercito in ordine di battaglia; affondarsi in
-una nuvola e andare dove il vento la spinge, in
-Africa, in Lapponia, a casa del diavolo; tutte
-<span class="pagenum" id="Page_208">[208]</span>
-cose che in altre parole mi è già occorso di
-dire e che vi coloriscono sempre imperfettamente
-lo stato d’incertezza di un’anima, che il passato
-opprime, il presente annoia e il futuro sgomenta.
-</p>
-
-<p>
-Ci sono dei malinconici, i quali, da ogni libro
-che leggono, vorrebbero che escisse un insegnamento
-morale. Se questo insegnamento lo chiedono
-al mio, eccolo qua: Fuggite le passioni, perchè
-esse guastano il sonno e l’appetito, questi
-due grandi riparatori della macchina umana.
-</p>
-
-<p>
-Ma sì, darla ad intendere! Si ama, ed è questo
-il più forte bisogno della macchina sullodata,
-o, se vi piace meglio, dello spirito, troppo raffinato,
-che presiede ai movimenti della macchina.
-Predicare allo spirito la necessità di dominarsi, di
-mortificarsi, di ottenere la pace, è lo stesso che
-dire all’uomo: — «Tu vivrai, alzandoti da letto
-alle dieci, ora un po’ tarda, ma indicatissima, per
-rubare un ritaglio di tempo alle noie della vita.
-Prenderai, ogni mattina, un bagno freddo, e, se
-hai passati i trent’anni, anche uno spruzzolo di
-doccia; indi farai una passeggiata, per riscaldare
-la pelle e disporre l’esofago alla colazione. La
-quale non dovrà essere troppo abbondante, per
-aggravarti lo stomaco, nè troppo succulenta, per
-riscaldarti la testa. Leggerai un giornale, per tenerti
-al fatto di ciò che accade nel mondo e
-non prendere scosse troppo forti, quando un
-amico ti combina per via e ti spara a bruciapelo
-le più brutte notizie. Anche quando le notizie
-<span class="pagenum" id="Page_209">[209]</span>
-non siano dolorose, per te, nè per altri, quell’improvviso:
-«sai la gran novità?» è sempre
-fatto per rimescolarti il sangue nelle vene. Stropicciati
-le mani di tanto in tanto; è un costume
-sanissimo e chiama una dose discreta di calore
-alle estremità. Dai frattanto una seconda passeggiatina
-per le vie, e trova il modo di spicciare
-in pari tempo qualche affaruccio. Quindi ti ridurrai
-a casa, o al banco, o allo studio, secondo
-i casi, per accudire con misura ai tuoi interessi;
-ripasserai i conti del tuo ragioniere, per saper
-sempre in che acque navighi; darai qualche ordine,
-tanto per non perdere l’abitudine; mediterai
-sull’allevamento del bestiame o sul modo di far
-rendere trentaquattro sementi al tuo grano. Poi,
-quando ritorni l’appetito, a pranzo. Ma non in
-famiglia, poichè non devi aver famiglia. Essa non
-è indicata come elemento di calma; nasce dall’amore
-e reca un mondo di sopraccapi. L’uomo
-savio non ha da aver passioni e deve cansare il
-pericolo dei sopraccapi in discorso. Indi un’altra
-passeggiata, anzi una scarrozzata, se si può. Veder
-tutto, passando a volo, non ammirare, non infiammarsi
-di nulla, è cosa veramente salubre. La
-sera, una capatina al teatro, o una visitina di
-complimento, sfiorando la galanteria, per tenere
-lo spirito in esercizio, ma non mettendo il cuore
-nel giuoco, che sarebbe pericoloso in sommo
-grado. Da ultimo una seduta a caffè, evitando le
-bibite spiritose, e le compagnie <i>idem</i>; finalmente
-<span class="pagenum" id="Page_210">[210]</span>
-a letto, con un giornale non troppo divertente,
-e aspetterai i conforti del sonno.»&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Lettori, questa è la vita dell’uomo giusto, che
-non s’appassiona di nulla. Vi piacerebbe! Se
-avete nell’anima qualche cagione di tristezza, risponderete
-di sì. Se avete l’anima in pace, risponderete
-di no. E perchè, di grazia? Perchè
-volete soffrire; perchè volete provarle, quelle
-benedette febbri, che i filosofi vi consigliano di
-sfuggire; perchè volete infiammarvi del bello, del
-vero, del buono, incarnati, se si può, in una
-creatura diletta; perchè la quiete è la morte
-dello spirito, e la febbre una necessità dell’umana
-natura.
-</p>
-
-<p>
-Dunque, addio insegnamento morale. Amate,
-ragazzi, e soffrite. E se vi capita di guastarvi il
-sangue come Aldo De Rossi, imprecate pure al
-vostro male e alle sue belle cagioni. Sarete appena
-guariti, che farete la vostra brava ricaduta.
-</p>
-
-<p>
-Povero Aldo! Andò a letto, perchè non c’era
-da far altro; ma non gli venne fatto di prender
-sonno. Rimuginava dentro di sè tutto quello che
-avrebbe voluto dire alla donna crudele. Senza di
-lei non poteva più vivere. Non pensava mica ad
-averla; pensava ad essere amato da lei, anche a
-patto di non ottenerla mai più. Ad ogni tratto,
-per naturale riscontro, gli tornava davanti agli
-occhi l’immagine dell’Anselmi. Che vilissimo personaggio,
-sotto l’apparenza di un gentiluomo!
-E simili figuri, pensava egli, possono piacere alle
-<span class="pagenum" id="Page_211">[211]</span>
-donne! Par di sognare, vedendole sempre così
-sciocche. Ma già, questa è la storia. La migliore
-di tutte è sempre donna e ci ha sempre in fondo
-al cuore un pochino di vanità. Che importa a
-lei, se non è sincero l’omaggio? Le fa testimonianza
-della sua bellezza, le dimostra il fascino
-che ella esercita su tutti, e questo è l’essenziale.
-Essere amata sul serio, o semplicemente corteggiata
-per capriccio, è lo stesso; tutti gli uomini
-sono eguali, per lei, se le dicono tutti che è
-bella. Anzi, no, non sono tutti eguali, ed hanno
-qualche privilegio a’ suoi occhi coloro che glielo
-dicono in forma meno drammatica. Certi caratteri
-gelosi, certi innamorati che girano al tragico,
-riescono mortalmente noiosi; dànno, è vero, un
-omaggio profondo, ma vorrebbero impedirne
-cento, più leggeri e più gradevoli. Leggieri, poi!
-Chi l’ha detto, che siano tanto leggieri? Gli
-uomini galanti sono troppo spesso calunniati dai
-cosidetti uomini seri. Ogni donna intorno a cui
-si affollano molti vagheggini, crede di poter fermare
-quello che le piacerà meglio e incatenarlo
-al suo carro. Che cosa pretende di essere, e di
-valere più di un altro, l’innamorato geloso e scontroso,
-che vorrebbe condannarla a rizzar muso
-come lui, a vivere nel mondo come si vive in un
-chiostro?
-</p>
-
-<p>
-Sì, sta bene, tutto bene; ma la donna, dal
-canto suo, ignora una cosa. Ignora che ella pure,
-senza avvedersene, si abbatte ad essere gelosa, e
-<span class="pagenum" id="Page_212">[212]</span>
-lo è in modo feroce, che fa pena a vederla. Perchè
-ella tratta da padrona l’amato (non l’ha egli
-avvezzata al comando?), le accade di dimenticare
-perfino quei mezzi riguardi, quelle forme di rispetto
-benevolo, a cui si costringe per lei un innamorato
-geloso.
-</p>
-
-<p>
-Povera umanità, egualmente ammalata nei due
-sessi, e, quel che è peggio, senza speranza di
-guarigione! Eccola qui, lettori malinconici, eccola
-qui, la eterna morale della favola eterna. Siamo
-un grande ospedale di matti. Fortuna che qualche
-volta l’eccesso del dolore ci prostra i nervi e
-una mezza congestione del sangue ci procura i
-benefizii del sonno.
-</p>
-
-<p>
-Ciò avvenne anche al signor Aldo De Rossi.
-Almanaccò a tutto spiano, torturò lungamente il
-suo povero cervello, quindi si addormentò. Per
-altro, il suo sonno fu inquieto, e quando egli si
-destò e scese dal letto, si vide piuttosto brutto,
-allo specchio. Quella mattina il parrucchiere non
-venne a capo di dargli un aspetto piacevole. Immaginate
-come Aldo ne fosse scontento. Non era
-vano, vi prego di crederlo; ma gli sarebbe piaciuto
-di giungere al cospetto delle signore con
-la sua faccia degli altri giorni.
-</p>
-
-<p>
-Comunque fosse, e poichè bisognava mostrarsi,
-Aldo si recò verso la solita ora al Tettuccio. Le
-dame non c’erano ancora, ma le vide giungere
-quindici minuti dopo, tutt’e due nella medesima
-carrozza. Il primo suo moto fu quello di sfuggirle;
-<span class="pagenum" id="Page_213">[213]</span>
-ma pensò che doveva essere un uomo e
-non un ragazzo; perciò, vinta la timidezza, andò
-loro incontro ed ebbe la fortuna di trovarsi solo
-al montatoio della carrozza, per dar loro la mano.
-Fatto quel primo passo, andò avanti abbastanza
-bene; mortificò il suo onore con una voluttà da
-anacoreta e trovò il modo di esser umile, riguardoso,
-gentile. Ma il contino Anselmi, caduto lì
-per lì, come un fulmine a ciel sereno, nel crocchio,
-fu gentile ed allegro, sopra tutto allegro.
-Aldo non lo poteva essere, per quanti sforzi facesse.
-Quistione di temperamento!
-</p>
-
-<p>
-Basta, il mostrarsi gentile era già qualche cosa.
-La signora Vezzosi fece i suoi complimenti al De
-Rossi per la calma che gli traspariva dal volto.
-</p>
-
-<p>
-— L’aria d’iersera vi ha fatto bene; — gli disse.
-</p>
-
-<p>
-— Credete? — fece egli, con accento impresso
-di mestizia.
-</p>
-
-<p>
-La signora Elena gli diede una rapida occhiata,
-che parve passarlo fuor fuori.
-</p>
-
-<p>
-— Non ne credo nulla; — rispose ella, abbassando
-la voce. — Ma siate forte; se no, perderete
-la causa.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Quella buona signora Elena si mostrò in quel
-giorno due volte buona con lui. Si vedeva la
-cura che ella metteva a scuoterlo, a farlo figurare
-nella conversazione. Gli rivolgeva spesso il
-discorso, per dargli occasione di parlare; qualche
-volta lo interrogava di schianto, per rompere il silenzio
-in cui egli accennava sempre a rinchiudersi.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_214">[214]</span>
-</p>
-
-<p>
-I tre personaggi gravi della compagnia, cioè a
-dire il presidente gran croce, il commendatore
-Gerardo e il cavaliere Sestavalle, bevevano coscienziosamente
-l’acqua salutare del Tettuccio.
-Le signore, sedute davanti alla tavola di marmo
-che v’ho descritta, tenevano corte di giustizia, o,
-per dire più veramente, di grazia. Aldo le vedeva
-tutte e due, fresche e sorridenti come due
-belle rose sul medesimo cespo. E andava pensando
-tra sè che una di quelle donne gli aveva
-confessato di amarlo, e che egli le aveva confessato
-di essere invaghito di un’altra. Pure, quella
-donna era là, gaia, sorridente, serena, proprio
-accanto a quell’altra. E Aldo ne faceva in cuor
-suo le grandi meraviglie, non sapendo che in una
-donna si trovano sempre due donne, una delle
-quali sta sulla scena e recita la sua parte con
-grande disinvoltura, anche quando l’altra si cruccia
-nella propria amarezza. Figurarsi poi se non
-doveva apparir serena la signora Vezzosi, col
-semplice carico di una simpatia soffocata sul nascere.
-</p>
-
-<p>
-Per uno di quei ragionamenti subitanei, irriflessivi,
-involontarii, che sono così frequenti in
-noi, e che la casuistica più arcigna non saprebbe
-imputare alla coscienza del peccatore, Aldo diceva
-a sè stesso:
-</p>
-
-<p>
-— Se io amassi questa e non l’altra! Qui regnerei
-senza contrasto; mentre là, — e frattanto
-lo sguardo correva alla signora Camilla, — anche
-<span class="pagenum" id="Page_215">[215]</span>
-regnando, il mio regno sarebbe sempre turbato
-da tentativi di ribellione.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Sì, ma avrebbe regnato sempre, dove credeva
-di poter regnare senza contrasto? Chi sa? Non
-c’entrava nella simpatia dichiarata della signora
-Elena un pochettino di picca? Vinto il puntiglio,
-cioè quando si fosse impadronita del cuore di Aldo
-De Rossi, sarebbe sempre stata la stessa? E lui,
-per avventura, non ci metteva del puntiglio, a
-voler essere amato dalla signora Camilla? Aldo
-fece il suo esame di coscienza e gli parve di no.
-Non l’amava mica perchè era superba con lui;
-l’amava perchè era bella; l’amava perchè... Oh
-insomma, l’amava perchè l’amava, e non sapeva,
-non voleva e non poteva far altro.
-</p>
-
-<p>
-Quel giorno, finita la stazione al Tettuccio, i
-nostri personaggi decisero di far colazione insieme,
-nel giardino dell’albergo, per andar poi
-tutti insieme allo stabilimento della Speranza. Il
-contino Anselmi si scusò di non poter seguire la
-compagnia; aveva qualche cosa da fare alla Torretta
-e si sarebbe sbrigato appena in tempo per
-trovarsi dal Birindelli a ricever le dame. Curioso
-uomo, che rinunziava a due ore di conversazione
-con la signora Rivanera! Aldo pensò alla cantante,
-che forse aspettava quel leggerissimo tra
-tutti i vagheggini.
-</p>
-
-<p>
-A proposito della cantante, se egli ne avesse
-dato un cenno alla signora Camilla, che colpo!
-Il modo di entrare in discorso senza aver l’aria
-<span class="pagenum" id="Page_216">[216]</span>
-di commettere una indiscrezione a caso pensato,
-non poteva certamente mancargli. Ma se il pensiero
-gli venne, sappiate che gli parve anche un’infamia.
-Da tutt’altri avrebbe potuto sapere la signora
-Camilla di quel ripesco amoroso; da tutt’altri,
-ma non da lui. Si poteva, è vero, parlarne alla
-signora Vezzosi. Ma non ci sarebbe stato il secondo
-fine, la speranza che la signora Elena ne
-parlasse a sua volta con la signora Camilla? E
-questa sarebbe stata un’infamia confettata di vigliaccheria.
-</p>
-
-<p>
-— Come son grande! — pensò egli, dandosi
-ironicamente la baia. — Mi rassegno a non dir
-nulla e a non raccogliere il frutto di un’utile bricconata!
-Ma che sciocchezza, esser grandi! Ecco
-un atto degno degli eroi di Plutarco, che si perde
-nei segreti della vita borghese. Basta, mi decreterò
-una medaglia da me.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Questo pensiero lo fece ridere, ma d’un riso
-amaro, che non lo dispose punto a gustare la colazione.
-Mangiò poco, o nulla; ma si sforzò di
-essere gentile, come al solito, con qualche lampo
-di gaiezza. Il riso sulle labbra, lo aveva; per quanto
-fosse sardonico, era sempre riso. E quando le signore
-si alzarono da tavola, anch’egli si alzò, per
-accompagnarle fuori; si alzò come un condannato,
-che ha bevuto il suo ultimo bicchierino, e mormorò
-tra i denti: — animo, via, imbecille; andiamo
-a morire.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Morire! Che esagerazione! Ma sì, lettori; la
-<span class="pagenum" id="Page_217">[217]</span>
-sofferenza non ha gradi. Si soffre, o non si soffre,
-ecco il punto. E quando si soffre, non c’è nulla
-che superi quella sofferenza; è il finimondo, è l’ira
-di Dio.
-</p>
-
-<p>
-La lieta brigata, con cui Aldo De Rossi portava
-a passeggio i suoi crucci, escì dall’albergo
-della Pace verso le dodici. Il sole scottava, e il
-presidente Roberti pensava dentro di sè che non
-era la più bella cosa del mondo andare attorno
-a quell’ora. Ma un presidente, che ha la fortuna
-di portare una gran croce, può far buon viso ed
-anche buone spalle alle piccole. Inoltre, il vecchio
-Roberti ci aveva una gran tenerezza per la sua
-bella nipote, senza contare che gli era rimasto
-nell’anima un pochettino di quella cortesia imperturbabile,
-direi quasi stereotipa, che è sempre
-stata una dote dei magistrati, fin dai tempi di
-Marco Tullio. Cavalleria pesante, direbbe un amico
-mio, che ha ridotta la vita ad un eterno bisticcio.
-Con quella sua grave bontà, il presidente gran
-croce si espose coraggiosamente alla vampa del
-sole e al riverbero della strada. Il commendatore
-Gerardo, pur d’essere in compagnia d’un presidente
-(i ministri, lo sapete, non erano ancora arrivati)
-si adattò anche lui. Era una specie di Cireneo,
-il commendatore Gerardo, e aiutava il
-presidente Roberti a portare la sua gran croce.
-Di Alcibiade primo non si parla neanche; era un
-cavaliere della provianda e seguiva fedelmente
-l’esercito.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_218">[218]</span>
-</p>
-
-<p>
-Le signore apersero l’ombrellino; i loro compagni
-le imitarono, poichè questo arnese è entrato
-anch’esso nelle consuetudini del sesso forte; e tutti
-si avviarono pei non floridi ma polverosi sentieri
-della Speranza. Questa per fortuna loro non era
-troppo lontana.
-</p>
-
-<p>
-Prima che giungessero alla mêta del loro viaggio,
-videro il contino Anselmi, che veniva incontro
-alle dame, con franco passo e viso allegro,
-come un paggio del Medio Evo. Le parole, per
-altro, non furono da paggio, bensì da cavaliere
-del secolo decimottavo.
-</p>
-
-<p>
-— Mi duole, signore mie, — diss’egli, salutando, — di
-non aver potuto mandar via il sole;
-colpa di Giosuè, che lo ha avvezzato a star fermo.
-Abbiate pazienza, del resto. In cielo non esistono
-le invidie che guastano il sangue agli abitanti
-della terra, ed è giusto che il sole si faccia avanti,
-per onorare le sue belle rivali.
-</p>
-
-<p>
-— Che galanteria! — esclamò la signora Camilla.
-</p>
-
-<p>
-— Un po’ vecchia! — borbottò Aldo tra i
-denti.
-</p>
-
-<p>
-— Signora, — rispondeva intanto il contino, — è
-ufficio del sole di far sbocciare i fiori. E
-alla vostra vista....
-</p>
-
-<p>
-— Ho capito; — interruppe la signora Camilla,
-ridendo come sapeva rider lei; — il vostro
-cuore è un giardino.
-</p>
-
-<p>
-— Proprio così; — replicò l’Anselmi; — ed
-invoca le cure di una bella Giardiniera.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_219">[219]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Magazzino di mode! — esclamò la signora
-Camilla.
-</p>
-
-<p>
-— No, capolavoro di Raffaello; — ribattè prontamente
-l’Anselmi, che non si trovava mai all’asciutto.
-</p>
-
-<p>
-Aldo De Rossi che aveva udito il dialoghetto,
-quantunque proseguito a mezza voce davanti a
-lui, mandò cordialmente al diavolo il suo spiritoso
-rivale. Questi, frattanto, dando il braccio alla
-signora Camilla, introduceva la comitiva nello stabilimento
-della Speranza.
-</p>
-
-<p>
-Credo inutile di fare una descrizione del luogo.
-Chi è stato a Montecatini ha veduto certamente
-quel villino gaiamente soleggiato, ad un quarto
-dello stradone che mette al Tettuccio, e situato
-tra il medesimo stradone e il torrente, o fossatello,
-che porta il nome caratteristico di Salsero. Non
-c’è pensione, laggiù, perchè il suo proprietario la
-tiene altrove, sulla via Nazionale, e laggiù, come
-per adescarvi alle sue acque saline clorurate, mette
-a vostra disposizione una bella sala terrena, con
-biliardo, tavolini da giuoco e divani di conversazione.
-Non si vive a Montecatini senza andare
-ogni sera al Casino; nè ci si vive senza andare
-qualche volta di giorno alla Speranza, come sul
-tramonto al Rinfresco, altro luogo che dovrete
-conoscere, poichè avvenne laggiù la triste scena...
-Ma, acqua in bocca, per ora, e non precorriamo
-gli eventi.
-</p>
-
-<p>
-La sala era vuota, o come vuota, poichè solamente
-<span class="pagenum" id="Page_220">[220]</span>
-nell’angolo più lontano dell’ingresso si vedeva
-seduta una coppia di felici, che stavano giuocando
-a picchetto. Dico di felici, perchè erano
-uomo e donna, giovani ambedue; la signora assai
-bella, ma di una bellezza parigina, in cui aveva
-gran parte la moda, con tutti i suoi cenci preziosi,
-e la pittura, con tutti i sapienti chiaroscuri
-della sua tavolozza; il giovinotto secco, allampanato,
-pallido, elegantissimo fusto d’uomo, che già
-lasciava intravvedere e presentire lo scheletro.
-</p>
-
-<p>
-I due giuocatori non mossero neanche la testa
-per guardare i nuovi venuti. E non furono neanche
-disturbati dalla curiosità di questi ultimi. L’Anselmi,
-per far degnamente il suo ufficio di cicerone,
-bisbigliò all’orecchio della signora Camilla:
-</p>
-
-<p>
-— Due innamorati che vengono qui tutti i
-giorni dalla Torretta, e ci stanno quattr’ore di
-seguito, giuocando a picchetto. Non sanno come
-ammazzare il tempo; compiangiamoli!
-</p>
-
-<p>
-— O che? — rispose la signora. — Vorreste
-che avessero sempre a ripetersi le stesse parole:
-io ti amo, tu mi ami?
-</p>
-
-<p>
-— Non già, bella signora, ma giuocare a picchetto!
-</p>
-
-<p>
-— Gran che! Non giuochiamo noi al biliardo?&#160;—
-</p>
-
-<p>
-A quella scappata della signora Camilla, il contino
-Anselmi sgranò tanto d’occhi.
-</p>
-
-<p>
-— Signora, — balbettò egli, — che avete detto?
-<span class="pagenum" id="Page_221">[221]</span>
-Noi.... questo riscontro che fate tra essi e noi....
-Se fosse vero!
-</p>
-
-<p>
-— Non sarà vero niente, poichè il riscontro
-non esiste; — rispose la signora Camilla, a cui
-forse non piaceva che si cogliessero le sue parole
-a volo, come le rondini. — Infatti essi sono in
-due, e noi siamo in sette.
-</p>
-
-<p>
-— Cinque di troppo; — mormorò l’Anselmi,
-chinando la testa e reprimendo con arte sopraffina
-un mezzo sospiro.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_222">[222]</span></p>
-
-<h2 id="cap14">XIV.</h2>
-</div>
-
-<p>
-Le regole della buona compagnia permettono
-questi duettini sottovoce, nel bel mezzo della conversazione
-generale, a patto che siano brevi. L’obbligo,
-per gli astanti, è di non sentir nulla; ma
-c’è sempre il diritto di coglierne tutto quello che
-si può. Colpa dei due interlocutori, se non parlano
-abbastanza sommesso e non sanno confondere
-gli ascoltatori con abili reticenze. Del resto,
-anche quando si colga a volo una frase, come si
-potrebbe arguire da essa tutto intiero il discorso?
-Aldo De Rossi, per esempio, non udì altro che
-una frase dalla signora Camilla: — «essi sono in
-due e noi siamo in sette.» — Ma come ricostruire
-un dialogo galante, su quel semplice rapporto
-aritmetico?
-</p>
-
-<p>
-Perciò il nostro eroe non capì nulla di nulla.
-Se avesse capito ciò che voleva dire l’Anselmi,
-certo avrebbe dato di fuori. Ma Iddio misericordioso,
-<span class="pagenum" id="Page_223">[223]</span>
-che misura il freddo all’agnello tosato, misura
-anche le sofferenze agli innamorati gelosi.
-</p>
-
-<p>
-— Cinque di troppo; — aveva risposto l’Anselmi.
-E la signora Camilla si era custodita da
-quell’attacco troppo vivo con una guardata tra
-curiosa e severa. Non ci voleva di meno, per rimettere
-a posto l’audace, che esciva per la prima
-volta dalle solite frasi di complimento, accennando
-ad una vera dichiarazione. Alle donne i troppo
-repentini smascheramenti di batterie dispiacciono
-sempre; non già per sè stessi, ma perchè dimostrano
-troppo baldanza, troppo sicurezza di sè,
-nei signori assedianti, mentre questa sicurezza e
-questa baldanza son esse che vogliono consentirle,
-per poterle dominare e moderare a lor posta. Ora
-noi conosciamo la signora Camilla per una certa
-testolina, che le sue ragioni non le mandava a
-dire, e potremmo anche aspettarci qualche frase
-recisa, a conforto di quell’occhiata tra curiosa e
-severa che abbiamo veduta poc’anzi. Ma il contino
-Anselmi non le diè tempo di proferirla; appena
-ebbe buttato là il suo malinconico epifonema,
-diede una voltata sui tacchi e andò verso la rastrelliera,
-a prendere due stecche, una per sè e l’altra
-per la signora Camilla.
-</p>
-
-<p>
-— A che giuoco giuochiamo? — diss’egli,
-tornando verso le signore. — A birilli, non è
-vero?
-</p>
-
-<p>
-— A birilli! — rispose Aldo, assentendo del
-capo.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_224">[224]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Birilli! — esclamò la signora Elena. — Vogliate
-dirci prima di tutto che cosa sono i birilli.
-</p>
-
-<p>
-— Eccoli, signora; — disse l’Anselmi. — Son
-questi cinque pioletti d’avorio, che io metto qua
-in croce nel mezzo del biliardo. L’abilità del
-giuocatore consiste nel farli cascare.
-</p>
-
-<p>
-— Non ci riesciremo mai; — osservò la signora
-Camilla, vedendo il contino impostarsi sul
-biliardo e battere con la punta della stecca una
-palla contro l’altra, per modo che questa venisse
-a dare nel mezzo del biliardo.
-</p>
-
-<p>
-— Che dite, signora? — esclamò il contino. — Vi
-riescirà anzi facilissimo. Fate conto che
-siano uomini.
-</p>
-
-<p>
-— Il paragone non corre; — rispose la signora
-Camilla. — Qui ci vuole l’aiuto della stecca; e
-gli uomini cascano da sè.
-</p>
-
-<p>
-— Ottimamente! Questa me l’ho comprata coi
-miei danari; — disse l’Anselmi, ridendo.
-</p>
-
-<p>
-E avvicinatosi alla signora Camilla, aggiunse
-sottovoce:
-</p>
-
-<p>
-— Come si sta? Volete essere con me?
-</p>
-
-<p>
-— Sono impegnata; — rispose la signora Camilla,
-col medesimo tono di voce.
-</p>
-
-<p>
-Il contino Anselmi inarcò le ciglia e si volse a
-guardare il De Rossi. Ma questi faceva lo gnorri
-e ingessava la stecca.
-</p>
-
-<p>
-— Avrebbe avuto ragione la signora Elena? — pensò
-il contino Anselmi. — Sarei proprio cascato
-bene!&#160;—
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_225">[225]</span>
-</p>
-
-<p>
-Indi, ad alta voce, proseguì:
-</p>
-
-<p>
-— Si va all’acchito. Signora Elena, volete farmi
-l’onore di stare con me?
-</p>
-
-<p>
-— Volentieri; — rispose la signora Vezzosi,
-non senza dare un’occhiata a Camilla, che stava
-rispondendo allora ad un complimento del commendatore
-Gerardo, e un’altra al De Rossi, che
-continuava tranquillamente ad ingessare la stecca.
-</p>
-
-<p>
-Ma anche questa operazione ebbe un termine,
-ed anche il commendatore Gerardo lasciò libera
-la signora Camilla. Aldo le si accostò e le disse:
-</p>
-
-<p>
-— Signora, siamo adunque insieme?
-</p>
-
-<p>
-— Gran novità! — rispose Camilla, con quell’aria
-canzonatoria che sapete.
-</p>
-
-<p>
-Aldo De Rossi non capì troppo bene che cosa
-significasse quell’accento ironico.
-</p>
-
-<p>
-— Vi dispiace, forse? — ripigliò.
-</p>
-
-<p>
-— A me, no; — ribattè la signora Camilla. — E
-a voi?
-</p>
-
-<p>
-— Io... — balbettò Aldo — sono al settimo
-cielo.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-La signora Camilla sorrise; ma fu un lampo,
-e la sua faccia tornò subito a farsi oscura.
-</p>
-
-<p>
-— Complimenti! — diss’ella. — Come a dire
-bugìe.
-</p>
-
-<p>
-— Ma il mio non è un complimento; — rispose
-Aldo De Rossi.
-</p>
-
-<p>
-Intanto il contino Anselmi lo chiamava a giuocarsi
-l’acchito. Aldo si mosse dal fianco della
-signora Camilla, fece la prova, la perdè e diede
-<span class="pagenum" id="Page_226">[226]</span>
-l’acchito all’avversario. Questi s’impostò, colpì
-la palla dell’avversario e fece un doppietto, mandandola
-nei birilli ad abbattere il filone, ossia la
-fila di mezzo.
-</p>
-
-<p>
-— Bene! — gridò la signora Elena. — Avete
-già indovinato che io non v’aiuterò molto, e incominciate
-a fare da per voi.
-</p>
-
-<p>
-— Oh, ci sarà lavoro per tutti; — rispose
-l’Anselmi. — Aldo è un terribile giuocatore.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-A farlo a posta, Aldo De Rossi non si mostrò
-degno della lode; fece steccaccia e andò nei birilli
-con la sua. Gli avversarii ebbero quattordici
-punti dei ventiquattro.
-</p>
-
-<p>
-— Si mette male! — disse Aldo, volgendosi
-con aria contrita alla signora Camilla.
-</p>
-
-<p>
-— Avete paura? — fece ella, col suo solito
-accento canzonatorio.
-</p>
-
-<p>
-— Non ne ho mai avuta; — rispose egli. — Mi
-rincresce soltanto che abbiate a formarvi un
-così gramo concetto di me.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-La signora Camilla fece un gesto che pareva
-volesse dirgli: è già formato da un pezzo. Indi,
-temperando quella espressione beffarda in un consiglio
-di benevola autorità, soggiunse:
-</p>
-
-<p>
-— Bisogna essere più calmi.
-</p>
-
-<p>
-— Potere! — mormorò Aldo De Rossi.
-</p>
-
-<p>
-Intanto il contino Anselmi si disponeva a fare
-il suo colpo. Egli poteva, mettendoci un po’ di
-buona volontà, guadagnare la partita, poichè la
-posizione in cui Aldo aveva lasciata la sua palla
-<span class="pagenum" id="Page_227">[227]</span>
-era brutta parecchio. Ma il contino, da buon cavaliere,
-non volle approfittare dell’occasione; fece
-anzi di più, giuocò male e restò peggio, lasciando
-un bel colpo alla signora Camilla, che doveva
-entrare in giuoco, per lo sbaglio di Aldo.
-</p>
-
-<p>
-La signora Camilla, nuova al giuoco, non s’era
-avveduta di quel piccolo artifizio galante.
-</p>
-
-<p>
-— E adesso come si fa? — diss’ella, prendendo
-posto davanti al biliardo.
-</p>
-
-<p>
-Il contino Anselmi non aspettava altro. Lesto
-come uno scoiattolo, si piantò a fianco della signora,
-rubando il posto e l’ufficio al De Rossi,
-che, essendole compagno, aveva il diritto di consigliarla
-e di guidarle la mano.
-</p>
-
-<p>
-— Si fa così; — disse il contino, prendendole
-la punta della stecca e mettendola in quella direzione
-che gli parve più conveniente. — Sono
-rimasto male e voi dovete approfittare del mio
-errore. Lasciate andare il colpo; son punti
-fatti.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Vedendosi vogar sul remo a quel modo, Aldo
-De Rossi aveva fatto un gesto d’impazienza. La
-signora Elena se ne accorse e disse prontamente
-al contino Anselmi:
-</p>
-
-<p>
-— Ma bravo, signorino! È così che stiamo
-insieme? Voi fate il giuoco degli avversari.
-</p>
-
-<p>
-— Donna Elena, non l’ho fatto apposta. Non
-tutti i colpi riescono.
-</p>
-
-<p>
-— Non parlo del colpo; parlo del consiglio
-che date.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_228">[228]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Ah, è vero; — rispose l’Anselmi. — Ma,
-per una volta tanto...
-</p>
-
-<p>
-— Per una volta tanto, — replicò la signora
-Elena, con aria mezzo stizzita, — lasciate che il
-consiglio lo dia il signor Aldo.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Il contino Anselmi capì di aver fatto un passo
-falso e si tirò indietro con tutta quella buona
-grazia che gli era consentita da un così molesto
-rimprovero. Intanto la signora Camilla era rimasta
-con la stecca sul biliardo, nella medesima
-posizione in cui l’aveva messa il troppo volonteroso
-consigliere. Aldo De Rossi, tirato in ballo
-dalla signora Elena, ripigliò tosto i suoi diritti.
-Diede un’occhiata alla direzione della stecca, e
-vide che si trattava appunto di spingere, per
-mandare nei birilli la palla avversaria. Ma questo,
-che era evidentemente un regalo del contino Anselmi,
-non gli poteva convenire per nessun modo.
-Perciò, sviata leggermente la stecca della sua
-bella compagna, e raccomandatole di battere la
-palla un po’ sotto il centro, perchè non avesse a
-correr troppo, le accennò sommessamente di colpire.
-Camilla, a dir vero, non sapeva che si facesse;
-ma il compagno consigliava ed ella obbedì,
-spingendo la stecca in quella direzione che egli
-aveva indicata. La palla avversaria, scambio di andare
-nei birilli di primo tratto, li rasentò, andando
-a battere verso il mezzo la mattonella corta,
-donde ritornata, entrò nella croce dei birilli, abbattendone
-quattro.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_229">[229]</span>
-</p>
-
-<p>
-Aldo, la signora Vezzosi, il cavalier Sestavalle
-e i due personaggi politici della compagnia, applaudirono
-alla franchezza del colpo. La signora
-Camilla si fece rossa dalla gioia.
-</p>
-
-<p>
-— Ma bene, egregiamente! — disse il contino
-Anselmi, parlando a denti stretti, come potete
-immaginarvi. — Ed io che credevo...
-</p>
-
-<p>
-— Già! — interruppe la signora Camilla. — E
-perciò mi avevate preparato un colpo facile, non è
-vero? Ma io, per vostra norma, amo il difficile.
-</p>
-
-<p>
-— E riescite egualmente; riescite in tutto; — rispose
-il contino Anselmi, per farla finita senza
-troppa vergogna. — Ora a voi, Donna Elena;
-poichè entrate in giuoco, salvatemi. Abbiamo
-quattordici punti; gli avversari ne hanno dieci;
-bisognerà stare attenti. Del resto, — soggiunse, — non
-occorre dirvi altro; la guerra è tra le
-Amazzoni.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-La signora Elena giuocava per mera compiacenza.
-Non fece nulla di buono, e si contentò di
-non guastare. A poco a poco fu vinta dal buon
-umore di Camilla, che metteva colpo su colpo,
-senza chieder parere al compagno, ed ambedue
-fecero gazzarra per parecchi minuti, senza dar mai
-nei birilli, quantunque più volte ci passassero
-molto vicino, e, quel che era peggio, con la palla
-propria, anzi che con la palla avversaria. Finalmente,
-avvenne che la signora Elena mandasse la
-propria in bilia. Erano due punti perduti e doveva
-tornare in giuoco l’Anselmi.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_230">[230]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Venite a consigliarmi; — disse allora la signora
-Camilla al De Rossi. — La guerra non è
-più tra Amazzoni.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Aldo non se lo fece dire due volte e si piantò
-subito daccanto a lei, consigliandola e mettendole
-in posizione la stecca. Ma la signora Camilla
-fece come qualche volta Orazio, che vedeva
-il meglio e si appigliava al peggio. I consigli
-e gl’insegnamenti di Aldo non ci potevano
-più nulla; essa giuocava sempre alla rovescia.
-Ma rideva, mostrava le perle della sua bocca al
-compagno, e questi si sentiva correre al cuore
-una vena d’allegrezza, fino allora ignorata. L’Anselmi,
-frattanto, vedendo che l’aria spirava da
-un’altra banda, si mise in guardia contro le infreddature.
-Giuocava con prudente abbandono, e
-celiava con la signora Elena, che non aveva ragione
-per stare sostenuta con lui, o per ridere
-dei fatti suoi, come faceva quell’altra. Il contino
-Anselmi adoperava in quella occasione come il
-buon marinaio in tempo di burrasca; imbrogliava
-le vele, perchè il vento non avesse a lacerargliele
-e, Dio guardi, a spezzargli anche l’albero.
-</p>
-
-<p>
-Tutto ad un tratto la signora Camilla fece steccaccia
-e andò nei birilli con la sua.
-</p>
-
-<p>
-— Perduti? — chiese ella al De Rossi.
-</p>
-
-<p>
-— Perduti; — rispose Aldo, sorridendo.
-</p>
-
-<p>
-— Benissimo! — ripigliò Camilla. — Siamo
-dunque della medesima forza.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-E lo guardava, così dicendo, con una espressione
-<span class="pagenum" id="Page_231">[231]</span>
-tanto strana, che egli ne fu tutto rimescolato.
-</p>
-
-<p>
-Che cosa voleva dire quello sguardo? Probabilmente
-questo: Siamo due capi ameni, voi con
-la vostra gelosia scontrosa, io con le mie leggerezze
-infantili. Oppure quest’altro: Ci combiniamo
-in ogni cosa, perchè in fondo in fondo ci amiamo
-più che non paia. Infine, poteva significare anche
-questo: Siete così scemo, che ho compassione di
-voi. Comunque fosse, l’intensità dello sguardo di
-Camilla aveva un perchè. Ma fors’anche non ne
-aveva nessuno, ed era un suo modo di guardare
-la gente, per il quale tornava inutile di beccarsi
-il cervello.
-</p>
-
-<p>
-Vi ho detto che si sentì tutto rimescolato.
-Non si sostiene impunemente lo sguardo di una
-donna che si ama, specie quando non si sa ancora
-se quella donna vi ami, e perchè vi guardi
-in tal modo. Ma il turbamento non è una risposta,
-e Aldo De Rossi doveva darne una.
-</p>
-
-<p>
-— No, — diss’egli tanto per aver l’aria di rispondere
-qualche cosa, — mi riconosco più debole
-di voi. Anch’io, è vero, sono andato nei birilli
-con la mia; ma voi, almeno, avete fatti una volta
-dieci punti buoni, mentre io non ne ho imbroccato
-mai una.
-</p>
-
-<p>
-— Ed è giusto che si vada così; — ribattè la
-signora Camilla, col suo solito accento sarcastico. — Tirate
-a troppo, signor mio!&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Aldo inarcò le ciglia, come un uomo che non
-<span class="pagenum" id="Page_232">[232]</span>
-ha capito e sta per domandare una spiegazione.
-Ma il contino Anselmi capitò in buon punto a
-troncare il duetto.
-</p>
-
-<p>
-— Volete la rivincita, signora? — chies’egli
-a Camilla.
-</p>
-
-<p>
-— No, — rispose ella, — salvo che Elena non
-voglia continuare...
-</p>
-
-<p>
-— Come vuoi tu, mia bella; — disse la signora
-Vezzosi. — Sai pure che si ama poco ciò
-che non si sa fare abbastanza bene.
-</p>
-
-<p>
-— Quand’è così, — ripigliò Camilla, — diciamo
-le cose come stanno. Signor conte, il vostro
-giuoco è assai brutto.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Il contino Anselmi s’inchinò, senza rispondere.
-Era furbo, il giovinotto. Rispondere non si poteva
-che in due modi; o piccato, od umile. Ora
-il contino Anselmi non voleva fare nè una cosa
-nè l’altra.
-</p>
-
-<p>
-La signora Camilla proseguì:
-</p>
-
-<p>
-— Giuocate voi altri, noi staremo a vedere.
-</p>
-
-<p>
-— Non sarebbe bello; — rispose l’Anselmi.
-</p>
-
-<p>
-— Perchè? Quando i cavalieri vostri antenati
-combattevano in giostra, credevano forse di dare
-un brutto spettacolo alle dame? Giuocate, signori,
-giuocate; noi ammireremo i bei colpi.
-</p>
-
-<p>
-— Se si prende una partita a biliardo per una
-giostra, eccomi a rompere una lancia; — entrò
-a dire il commendatore Gerardo. — È l’unica
-forma di combattimento che sia permessa ad un
-cavaliere che tocca i cinquanta. A voi, conte Anselmi,
-<span class="pagenum" id="Page_233">[233]</span>
-lancia in resa e prendete campo, io vi
-sfido.
-</p>
-
-<p>
-— Ed io vi armo il braccio; — disse la signora
-Camilla, porgendo la sua stecca al Vezzosi. — Vi
-sia cara quest’arma; essa ha già fatto dieci
-punti.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Il commendatore Gerardo ringraziò. L’Anselmi,
-preso tra due fuochi, dovette rassegnarsi a giuocare
-senza dame.
-</p>
-
-<p>
-Il presidente gran croce, abbandonato dal suo
-interlocutore assiduo, andò a sedersi sul divano,
-presso la signora Elena, a cui si era già accostato
-il cavaliere Sestavalle. Aldo De Rossi rimase libero
-di sedersi presso la signora Camilla.
-</p>
-
-<p>
-— Come siete buona! — le disse, a mezza
-voce, mentre aveva l’aria di guardare il ventaglio
-che essa teneva tra le mani.
-</p>
-
-<p>
-— Vi pare? — fece ella. — E perchè?
-</p>
-
-<p>
-— Perchè avete posto un termine a questo
-giuoco, che è tanto noioso.
-</p>
-
-<p>
-— Grazie, — rispose Camilla. — Noioso, anche
-stando con me?
-</p>
-
-<p>
-— Oh, che dite mai? Noioso in sè stesso; — replicò
-il De Rossi. — Del resto con voi ci si
-sta meglio a discorrere.
-</p>
-
-<p>
-— Ecco un altro complimento; — osservò la
-signora.
-</p>
-
-<p>
-— Ah, è vero; — disse Aldo; — ricordo la
-vostra definizione; complimento, bugìa. Ma parliamoci
-schiettamente, signora: credete proprio
-<span class="pagenum" id="Page_234">[234]</span>
-che uno il quale vi dichiari di amare la vostra conversazione
-vi snoccioli una bugia?
-</p>
-
-<p>
-— No, davvero; — rispose Camilla, ridendo, — non
-sono così modesta per crederlo, nè così
-ipocrita per dirlo.
-</p>
-
-<p>
-— Ah, meno male! — esclamò il De Rossi.
-</p>
-
-<p>
-La bontà di Camilla era contagiosa; scusate
-il brutto epiteto, adoperato a colorire una bella
-cosa. Voglio dire che Aldo, incuorato dalla cortesia
-della dama, fu di ottimo umore e chiacchierò
-allegramente, come non aveva fatto mai.
-Intanto i due combattenti si riscaldavano al giuoco,
-e uno di essi, il commendatore Gerardo, non faceva
-troppo onore all’arma della signora Camilla.
-</p>
-
-<p>
-— Chi guadagna? — chiese ella, ad un certo
-punto, interrompendo il suo dialogo con Aldo.
-</p>
-
-<p>
-— Guadagna Anselmi, signora; — rispose il
-Vezzosi. — Ha vent’anni meno di me, e venti
-punti di più.
-</p>
-
-<p>
-— Coraggio, e rimettetevi in pari! — disse
-Camilla.
-</p>
-
-<p>
-— Signora, — fece l’Anselmi, con finta umiltà, — se
-debbo perdere...
-</p>
-
-<p>
-— Potreste averlo già fatto; — rispose Camilla,
-che, come sapete, le sue ragioni non le
-mandava a dire; — potreste averlo già fatto, poichè
-il signor Gerardo è il mio cavaliere, armato
-da me. Ma non lo fate ora, ve ne prego; chè
-non ne avreste più merito.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_235">[235]</span>
-</p>
-
-<p>
-La mattinata da Brindelli finì maluccio per il
-contino Anselmi, che l’aveva concertata. Nell’uscir
-di là, Aldo ebbe il coraggio di offrire il braccio
-a Camilla, e Camilla ebbe il coraggio di accettarlo.
-A quei solleoni!
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_236">[236]</span></p>
-
-<h2 id="cap15">XV.</h2>
-</div>
-
-<p>
-Il contino Anselmi andava chiedendo a sè stesso
-da che cosa avesse potuto prendere origine un
-cangiamento così repentino.
-</p>
-
-<p>
-— Avrei io inciampato in un amore nascente, — pensava
-egli, — come, attraversando un
-campo di grano, si mette il piede su d’un nido
-di quaglie?&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Preso in questa forma l’aire, il contino almanaccò
-un bel tratto; almanaccò, verbigrazia, che
-aveva fatto male a impegnarsi con una leziosa
-come la Rivanera, così invanita della sua bellezza
-e de’ suoi quattrini. Ma si era egli impegnato
-davvero? Le aveva detto un mondo di galanterie
-ed ella aveva mostrato di gradirle. Che fosse innamorata
-di Aldo, o corrispondesse in qualche
-modo all’amore di lui, non pareva possibile; non
-era, sopra tutto, conciliabile con la libertà di cui
-aveva fatto prova per due giorni alla fila. Se pure
-<span class="pagenum" id="Page_237">[237]</span>
-non era da credere che tutto quell’esercizio di
-moinerie mirasse proprio ad ingelosire il De
-Rossi!... Le signore donne le hanno familiari,
-queste alzate d’ingegno; per far disperare uno,
-fanno nascere le speranze di un altro, dal quale
-non vogliono poi essere prese in parola. Ora, in
-certo qual modo, le speranze erano nate nel cuore
-del contino Anselmi, ed egli, nei primi bollori,
-aveva commesso un piccolo sbaglio. Si era sbilanciato,
-se ben ricordate; aveva detto alla signora
-Camilla, parlando della compagnia con cui
-andavano da Birindelli: «cinque di troppo!»; e
-aveva anche appoggiata la frase con un sospiro
-molto significativo. Da quel momento l’umore
-della dama si era cangiato. Diamine, per così
-poco? Ma sì, per poco o per molto che fosse,
-si era cangiato di schianto.
-</p>
-
-<p>
-Ora, quando una donna comincia a prendere
-ombra e a mettersi in contegno, le spiegazioni
-non possono essere che due. O ella si annoia dei
-fatti vostri, riconoscendo in voi un pretendente;
-o gradisce l’omaggio, ma, per ottenerlo intiero,
-per mettervi il collare, ed anche la musoliera,
-incomincia a trattarvi un po’ male, come se volesse
-stuzzicarvi nell’amor proprio, infiammarvi
-all’impresa.
-</p>
-
-<p>
-Ma quale delle due spiegazioni era la buona,
-in quel caso? Come occorre di tutte le cose che
-un uomo domanda a sè stesso, mentre la ragione
-sufficiente di esse è tutta fuori di lui, il contino
-<span class="pagenum" id="Page_238">[238]</span>
-Anselmi, poveretto, non seppe darsi una risposta,
-e vide la necessità di fermarsi ad osservare con
-diligenza i più piccoli indizii. Una cosa sola gli
-appariva evidente, certissima; che egli aveva
-commesso un errore di grammatica amatoria,
-buttandosi troppo avanti, e quasi spiccando il
-salto, senza sicurezza di cascare in piedi. Grosso
-errore, errore massiccio, e bisognava prontamente
-ripararlo.
-</p>
-
-<p>
-La cosa non gli tornava difficile. Ripigliare le
-proprie posizioni, rimettersi in osservazione, è
-sempre agevolissimo agli spiriti superficiali, agli
-amatori leggieri, che vi danno la galanteria in
-iscambio dell’affetto. E sono proprio essi che
-hanno ragione con la maggior parte delle donne,
-a cui bastano le apparenze della passione, forse
-perchè non possono o non vogliono approfondir
-nulla, in una società come l’odierna, che è tutta
-una fiera di vanità.
-</p>
-
-<p>
-Il termine di tanti studi e di tante meditazioni
-fu questo, che il contino Anselmi lasciò libera la
-signora Camilla. Il caso aveva posto sulla sua
-strada un’altra donna, forse a guisa di riscontro,
-fors’anche come pietra di paragone. Si accompagnò
-dunque a quell’altra, e incominciò la sua
-serie di arguzie galanti. Dico la serie, perchè gli
-amici suoi lo avevano paragonato, per questo
-rispetto, ad un giuocatore di carambola, che,
-riescito a bene il primo colpo, ne manda altri
-cento di costa a quel primo. Infatti, il contino
-<span class="pagenum" id="Page_239">[239]</span>
-Anselmi faceva tutto da sè: preparava il giuoco,
-e poi via, adagino, con garbo, vi faceva la sua
-infilzata di sciocchezze, che attingevano tutto il
-loro pregio dal modo facile e gaio con cui erano
-snocciolate.
-</p>
-
-<p>
-Per sua disgrazia, la signora Elena era molto
-distratta; non poneva mente alle sue arguzie, e,
-per conseguenza, non ne rideva. Un giuocatore di
-carambola a cui manchi la galleria (intendete un
-certo numero d’ammiratori) perde subito il filo.
-Ora, lo spirito del contino Anselmi, per risplendere
-della sua luce, aveva mestieri di ascoltatori
-compiacenti. Non ne ebbe, e a poco a poco languì;
-quando giunsero davanti all’albergo della
-Pace, era spento del tutto.
-</p>
-
-<p>
-— Anselmi, — gli disse il commendatore Gerardo, — volete
-venire in giardino, a bere una
-gramolata?
-</p>
-
-<p>
-— No, grazie, Gerardo; — rispose il contino, — debbo
-tornare all’albergo.
-</p>
-
-<p>
-— Un appuntamento? Gatta ci cova.
-</p>
-
-<p>
-— Sì, — disse l’Anselmi, con un sorriso di
-uomo stanco in anticipazione, — la gatta è rappresentata
-da una risma di carta. Ho un monte
-di lettere da scrivere.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Le signore non credettero necessario d’intromettersi,
-e il contino Anselmi, fatta la sua riverenza,
-si allontanò. Per fare più presto la strada
-della Torretta, chiamò una carrozza. Credete pure
-che ciò fosse per amore dell’epistolario; quanto a
-<span class="pagenum" id="Page_240">[240]</span>
-me, penso che faceva caldo e che il contino Anselmi
-non amava scottarsi da solo.
-</p>
-
-<p>
-— Errore di grammatica! — andava dicendo
-tra sè. — Errore di grammatica! Il diavolo mi
-porti, se ci casco una seconda volta. E la Vezzosi,
-che mi faceva la distratta! Quella, poi, è
-innamorata cotta. Ma come non si accorge di
-quello che avviene? Oppure la Rivanera le serve
-di copertoio? In fede mia, ecco un copertoio mal
-scelto! La Rivanera è due volte più bella, a dir
-poco. È vero che io mi contenterei; — soggiunse
-egli, sorridendo a sè stesso. — È un fior di
-donna, la Vezzosi. Ed ecco qua un uomo, — conchiuse
-ironicamente, — che non farebbe troppo
-il difficile. Ma appunto per questo, lo lasciano da
-banda tutt’e due. Basta, sia come vogliono loro,
-e andiamo dalla cantante.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Beato carattere, che non si commoveva di
-nulla! Auguro a voi, amico lettore, di possederne
-uno compagno.
-</p>
-
-<p>
-La cantante ci aveva i nervi. Quella mattina,
-attaccando i soliti solfeggi, si era accorta di non
-aver più il suo <i>re</i> sopracuto, per cui amava essere
-paragonata alla Frezzolini. L’Anselmi, sempre
-in vena di sciocchezze, le promise di fargliene
-venire uno da Parigi, e quella spiritosità
-senza sugo lo fece mettere alla porta. La giornata
-voleva esser lunga. Il contino si ritirò nella
-sua camera e si buttò sul letto, a fumare una
-spagnoletta. Ciò lo condusse a pensare che la sua
-<span class="pagenum" id="Page_241">[241]</span>
-provvista di tabacco del Levante aveva mestieri
-di essere rifatta. Stese la mano all’orario delle
-strade ferrate, che era sul comodino, accanto ad
-un <i>Figaro</i> di due giorni addietro, e meditò un
-tratto sulle coincidenze dei treni. Lo studio dovette
-tornargli facile, poichè, balzato tosto dal
-letto ed infilzato da capo il soprabito, prese il
-cappello ed uscì.
-</p>
-
-<p>
-Quella sera il contino Anselmi mancò alla conversazione
-e al ballo del Casino. Le signore non
-seppero che era andato a passar la notte a Firenze.
-Probabilmente notarono l’assenza del grazioso
-perondino; ma non ne fecero argomento
-di discorso. E nemmeno Aldo De Rossi, vi prego
-di crederlo. Il nostro eroe si contentò di respirare
-un po’ più liberamente. Trionfava, direte.
-Ma ohimè, v’ingannate, non trionfava affatto. La
-signora Camilla, non essendo più là il contino
-per fare il riscontro al De Rossi, apparve meno
-confidente, meno tenera con Aldo; tornò ad essere
-quella capricciosetta incomprensibile, quella
-cara sfinge che avete la fortuna di conoscere. Ballò
-due volte con Aldo, ma senza dirgli nessuna di
-quelle parole che potevano farlo contento; e ballò
-anche molto con altri, lasciandosi fare quel che
-suol dirsi una corte spietata, da mezza dozzina
-di cavalieri.
-</p>
-
-<p>
-La signora Elena, dal canto suo, non mutò di
-umore, nè di contegno; era distratta il mattino,
-continuò ad essere distratta la sera.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_242">[242]</span>
-</p>
-
-<p>
-Che cosa aveva la signora Elena? Ve lo dirò
-in confidenza; aveva fatto una cosa superiore
-alle proprie forze e sentiva tutto il fastidio dell’impresa.
-</p>
-
-<p>
-Vi è egli mai avvenuto di dire: io non berrò più
-vino? Oppure: io non fumerò più per un anno
-e un giorno? Conosco degli uomini che si son
-resi padroni dei propri difetti, e diciamo pure dei
-propri vizi. Ma la più parte di questi sperimentatori
-in persona propria, dopo aver fatto il fermo
-proponimento, si seccano. La durano dieci, venti
-giorni, magari anche un mese; poi incominciano
-a languire, a struggersi dalla voglia, e finiscono
-come potete immaginarvi, dando ascolto alla tentazione
-e ritornando al peccato. Gran mercè se
-il peccato è veniale, come nei due casi citati di
-privazione volontaria.
-</p>
-
-<p>
-Il paragone vi sembrerà volgare. Lo vedo anch’io.
-Ma, appunto perchè volgare, vi darà una
-misura proporzionale dello stato d’animo in cui
-era la signora Vezzosi. Ella si era proposta un
-sacrifizio assai più grave di quello che si proporrebbe
-un uomo, di non fumar più, o di non bere
-più vino per un anno.
-</p>
-
-<p>
-A mezza sera, dopo aver fatto un giro di valzer
-con Aldo De Rossi, la signora Elena si lagnò del
-caldo soffocante che faceva nella sala.
-</p>
-
-<p>
-— Volete prender aria? — le disse il giovanotto.
-</p>
-
-<p>
-— Sì, credo che mi farà bene. Ve ne prego,
-<span class="pagenum" id="Page_243">[243]</span>
-andate nella sala da giuoco e dite a Gerardo che
-venga a prendermi.
-</p>
-
-<p>
-— Che? vorreste già ritirarvi?
-</p>
-
-<p>
-— No, solamente andare sul terrazzo.
-</p>
-
-<p>
-— Se è così, non basto io?
-</p>
-
-<p>
-— Siete molto gentile; — disse la signora. — Ma
-io non vorrei sacrificarvi, facendovi abbandonare
-il ballo, con gl’impegni che avrete.
-</p>
-
-<p>
-— Non ho impegni; — rispose Aldo. — E,
-poi, vedetemi in faccia. Vi ho l’aria di un uomo
-che si diverte?
-</p>
-
-<p>
-— No, davvero. Ma che cosa avete? Le vostre
-cose vanno dunque così male?
-</p>
-
-<p>
-— Non potrebbero andar peggio. La duro fin
-che posso, e poi ne faccio una delle mie.
-</p>
-
-<p>
-— Calma! Calma! — disse la signora Vezzosi,
-nell’atto di prendere il suo braccio per escir
-dalla sala. — Infine, che ragioni avete, per essere
-in collera? Siete geloso! Bella novità! Ma
-almeno, non lo sarete più del contino Anselmi.
-</p>
-
-<p>
-— Sì, di lui per l’appunto.
-</p>
-
-<p>
-— Ma se non è neanche presente!
-</p>
-
-<p>
-— Proprio perchè è lontano; — disse Aldo. — Vedete,
-Donna Elena, con voi posso parlare. Siete
-la mia Egeria...
-</p>
-
-<p>
-— Ma voi non siete savio come Numa Pompilio; — ribattè
-la signora Vezzosi. — Basta,
-parlate egualmente e confidatemi le vostre pene.
-Che cosa significa questo esser geloso di un assente,
-appunto perchè egli è assente?
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_244">[244]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Signora, — fece Aldo, — avete notato come
-oggi, da Birindelli, e poi nel ritorno, ella fosse
-gentile con me, quantunque ci fosse lui?
-</p>
-
-<p>
-— Sì, l’ho notato, e, se volete riconoscerlo, vi
-ho anche un pochino aiutato.
-</p>
-
-<p>
-— È vero, e vi ringrazio. Ma avete veduto
-stassera? L’Anselmi non c’è, fa l’imbronciato, ed
-ella ha rizzato muso.
-</p>
-
-<p>
-— Non mi pare, signor Aldo, non mi pare.
-Ella non fa che ballare.
-</p>
-
-<p>
-— Già, con tutti, e senza lasciare un ballo.
-Vedete che furia! E non trova neanche il tempo
-per rivolgere un’occhiata a questo sciocco che è
-il vostro umilissimo servo.
-</p>
-
-<p>
-— Dio buono! Ma voi siete incontentabile. La
-donna che amate non ha da vedere che voi!
-</p>
-
-<p>
-— È la mia opinione; o tutto o nulla.
-</p>
-
-<p>
-— Perciò, — disse la signora Vezzosi, fermandosi
-a mezzo il terrazzo, e guardando in viso il
-suo cavaliere, — al poco che vi è toccato... preferireste
-il nulla.
-</p>
-
-<p>
-— Sicuramente, il nulla; — rispose egli, risoluto.
-</p>
-
-<p>
-La signora Elena rimase alquanto sovra pensiero;
-indi riprese:
-</p>
-
-<p>
-— Che strano innamorato! Siete un uomo di
-altri tempi.
-</p>
-
-<p>
-— Perchè? Non è di tutti i tempi, l’amore?
-</p>
-
-<p>
-— Lo sarà stato, signor Aldo, lo sarà stato;
-ma sicuramente non è più del nostro.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_245">[245]</span>
-</p>
-
-<p>
-— E da che lo argomentate, se è lecito?
-</p>
-
-<p>
-— Da un po’ d’esperienza. Oh, non istate a
-credere che io ci abbia provato; — soggiunse
-ella, ridendo. — Ho semplicemente veduto. Ammetterete,
-io spero, che una donna mia pari
-possa averne veduti spasimare parecchi.
-</p>
-
-<p>
-— Ne ammetto volontieri un centinaio — disse
-Aldo De Rossi.
-</p>
-
-<p>
-— E che, anco non dandogli retta.... — proseguì
-la signora Elena.
-</p>
-
-<p>
-— Sempre un centinaio; — ripigliò il giovinotto
-inchinandosi.
-</p>
-
-<p>
-— Sopratutto non dandogli retta, — soggiunse
-la signora Elena, appoggiando sulla frase, — possa
-averli studiati, essersi convinta e persuasa
-del modo con cui amano gli uomini del nostro
-tempo. Orbene, signor Aldo, nell’amore degli
-uomini della vostra generazione c’è una parte di
-desiderio e una parte di vanità. Questa, poi, è
-molto più del desiderio. Figuratevi come possa
-entrarci l’amore, l’amor vero, che è un bisogno del
-cuore, l’aspirazione ad un sentimento di tenerezza,
-che abbellisca la vita, o la renda sopportabile.
-</p>
-
-<p>
-— Come dite bene! — esclamò Aldo De
-Rossi, traendo un sospiro. — È proprio questo,
-l’amore che sento. Rinunzierei al possesso della
-persona amata, rinunzierei alle consolazioni della
-pubblica invidia, pur di sapere dentro di me che
-quella donna mi ama e che io posso riporre intieramente
-la mia fede nella sua.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_246">[246]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Ve l’ho detto; — replicò la signora Vezzosi: — siete
-un uomo strano, un uomo d’altri
-tempi. Su che libri vi siete formato? Dico su libri,
-e non sopra esempi viventi; perchè questi,
-o mancano, o vivono nascosti. Certi sentimenti,
-come i colori troppo delicati, non amano la luce
-viva del sole.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-In quel punto una luce più mite, ma diffusa,
-coglieva in pieno la persona di Aldo De Rossi,
-che stava ritto accanto al davanzale del terrazzo,
-con la faccia rivolta verso l’entrata del Casino. E
-in quel punto apparve sul limitare dell’anticamera
-la signora Camilla. Il commendatore Gerardo la
-teneva a braccetto.
-</p>
-
-<p>
-Aldo se la vide baluginare davanti agli occhi e
-rizzò prontamente la testa. La signora Elena indovinò
-dal gesto di Aldo che c’era qualche cosa
-di nuovo, e lentamente, come persona stanca, o
-svogliata, si girò da un lato a guardare. Non vi
-dirò che la vista dell’amica le facesse in quel punto
-un gran piacere. Se ve lo dicessi, non credereste.
-Siamo dunque intesi, non ve l’ho detto.
-</p>
-
-<p>
-— Ah, sei qui, mia cara? — esclamò la signora
-Camilla, mettendo il piede sul terrazzino. — Ti
-avevo veduta andar via dal salone con una
-cert’aria abbattuta!.... Non ti ho vista tornare, e
-credevo già che ti sentissi male.
-</p>
-
-<p>
-— Infatti, — rispose la signora Vezzosi, — il
-caldo mi aveva oppressa. Non ho neanche potuto
-finire il valzer, perchè mi era venuto un capogiro.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_247">[247]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Perchè non farmi chiamare? — disse il
-commendatore Gerardo, prendendo affettuosamente
-per mano la sua dolce metà.
-</p>
-
-<p>
-— Oh, non mi parve necessario d’incomodarvi
-per così poco. Ho dato invece il disturbo al signor
-Aldo, che è stato tanto gentile da sacrificarsi
-per me. Del resto, credevo che voi foste
-impegnato a giuocare.
-</p>
-
-<p>
-— Che! Mi seccavo a veder giuocare gli altri,
-aspettando che il presidente si fosse liberato da
-un noiosissimo giudice di mandamento che gli s’è
-attaccato ai panni e non lo ha ancora lasciato.
-Per fortuna, — soggiunse il commendatore Gerardo,
-volgendosi alla sua bella vicina, — la signora
-Camilla è apparsa sull’uscio....
-</p>
-
-<p>
-— Cercavo appunto mio zio, — interruppe la
-signora Camilla, a cui non metteva conto di far
-sapere quelle piccolezze alla gente.
-</p>
-
-<p>
-— Ed io, — ripigliò il commendatore che non voleva
-rinunziare al gusto di finire la frase, — son
-corso incontro alla bella visione.
-</p>
-
-<p>
-— Come siete galante! — esclamò la signora
-Camilla, risoluta per quella volta di mozzargli le
-parole in bocca, se per caso ne aveva altre da
-aggiungere. — E adesso vorreste compir l’opera?
-Ma no; — riprese ella, come pentita; — dividiamo
-la fatica tra due. Signor Aldo, sareste voi
-così buono....
-</p>
-
-<p>
-— Dite, signora; — gridò Aldo, scattando come
-una molla.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_248">[248]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Da andare nella sala ove si trova mio zio; — continuò
-la signora Camilla.
-</p>
-
-<p>
-— Sarete servita immediatamente. E gli dirò?....
-</p>
-
-<p>
-— Che vado all’albergo; con lui, se crede di
-accompagnarmi; con Elena e col signor Gerardo,
-se egli ha ancora desiderio di restare.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Aldo si affrettò a fare l’imbasciata. Ma dentro
-di sè andava cercando che diamine potesse aver
-cagionato quella pronta risoluzione di Camilla.
-Anche il tono con cui ella aveva parlato era di
-persona oltremodo nervosa. E questo non era
-neanche sfuggito all’attenzione della signora Elena,
-la quale rimase sovra pensiero, lasciando a
-suo marito tutto il carico della conversazione. Gerardo,
-come sapete, faceva per due, e all’occorrenza
-per quattro. Del resto, egli ebbe poco da
-dire, perchè due minuti dopo tornava Aldo, accompagnando
-il presidente gran croce.
-</p>
-
-<p>
-— Vi sarete seccato, col giudice? — chiese il
-commendatore al presidente gran croce.
-</p>
-
-<p>
-— No, — rispose questi, — mi parlava d’una
-causa abbastanza importante, che si è discussa ultimamente
-a Perugia. Sapete, Vezzosi, il proverbio
-dice: chi l’ha nell’ossa lo porta alla fossa. Si
-è stati giudici e le cause....
-</p>
-
-<p>
-— Producono i loro effetti, capisco.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-In queste chiacchiere si escì dal Casino, per
-ritornare all’albergo. Il presidente gran croce non
-pensò neanche a domandare perchè si escisse così
-presto. In simili casi, sono le signore che comandano,
-<span class="pagenum" id="Page_249">[249]</span>
-e nelle risoluzioni delle signore non si
-cerca mai il perchè.
-</p>
-
-<p>
-Le dame andavano innanzi, accompagnate da
-Aldo, che era passato dalla banda di Camilla e
-procedeva mogio mogio, come un cane bastonato.
-Nel vestibolo dell’albergo, il giovinotto augurò
-la buona notte alle dame e si accomiatò dai due
-accompagnatori legali. Intanto le dame ponevano
-il piede sui primi gradini della scala.
-</p>
-
-<p>
-— Carina, — disse Elena a mezza voce, — vorrei
-parlarti.
-</p>
-
-<p>
-— Ora? — dimandò Camilla col suo accento
-nervoso.
-</p>
-
-<p>
-— Anche ora; — rispose quell’altra.
-</p>
-
-<p>
-La signora Camilla si volse allora ai due accompagnatori
-che erano già per seguirle, e disse:
-</p>
-
-<p>
-— Signori, non è necessario che salgano, per
-adesso. Elena ed io vogliamo stare un’oretta insieme.
-</p>
-
-<p>
-— Grandi segreti? — disse il commendatore
-Gerardo.
-</p>
-
-<p>
-— Segreti di Stato; — rispose Camilla.
-</p>
-
-<p>
-E fatto un cenno di commiato, si avviò per
-le scale, seguendo la signora Vezzosi.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_250">[250]</span></p>
-
-<h2 id="cap16">XVI.</h2>
-</div>
-
-<p>
-Giunte sul primo pianerottolo, le due signore
-entrarono nel corridoio. La cameriera, andata
-avanti col lume, si fermò davanti al quartierino
-occupato dai Vezzosi, che era il più vicino alle
-scale. Ma la signora Camilla le accennò di proseguire,
-volendo condurre l’amica nel suo. Entrate
-nel salottino che divideva la camera della
-signora Rivanera da quella del presidente Roberti,
-la signora Vezzosi si lasciò cadere sul canapè,
-come persona sfinita.
-</p>
-
-<p>
-— Hai più coraggio di me; — diss’ella, dopo
-aver ricolto il fiato, e con un accento da cui trapelava
-un leggero sarcasmo.
-</p>
-
-<p>
-— Perchè? — domandò la signora Camilla.
-</p>
-
-<p>
-— Perchè li hai mandati via, così alla svelta,
-come si farebbe con due estranei. Si poteva pur
-rimandare il nostro colloquio a domani.
-</p>
-
-<p>
-— Non hai detto: anche ora? — ripigliò Camilla.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_251">[251]</span>
-</p>
-
-<p>
-— È vero, ma come si dice una cosa senza
-importanza.
-</p>
-
-<p>
-— E senza importanza discorriamo stasera, scambio
-di discorrere domani. Del resto, che conti
-ho da rendere? Son libera, nota, son libera; — soggiunse
-Camilla, premendo sull’aggettivo, come
-se volesse rimandare il sarcasmo alla sua bella interlocutrice.
-</p>
-
-<p>
-Tra due donne questo po’ di malumore c’è
-sempre. La tensione è lo stato abituale di queste
-due pile elettriche, anteriori di tante migliaia d’anni
-alla scoperta di Alessandro Volta. Ora è quistione
-di un amore che si contendono, ora di una vanità
-che debbono soddisfare, ma sempre di una
-preminenza che vogliono mantenere. Noi uomini,
-più spesso che non si creda, ci buttiamo via, ci
-rassegniamo alle seconde parti. Le donne mai,
-viva la faccia loro! Ditela pure una debolezza;
-ma di che cosa s’ha egli ad esser teneri, anzi gelosi,
-se non della propria dignità? Sta bene che
-ci vuol diplomazia, per vivere in questo mondo;
-ma forse che la diplomazia non ha diritto di mostrarsi
-permalosa, per la maestà dello Stato che
-rappresenta? E se mi chiedeste che cosa rappresenta
-la donna, vi risponderei che rappresenta
-sè stessa; come a dire un Impero, e un Impero...
-celeste.
-</p>
-
-<p>
-— Volevi parlarmi, — soggiunse la signora
-Camilla dopo alcuni istanti di pausa. — Domani
-avrebbero potuto mancare le occasioni. Un momento
-<span class="pagenum" id="Page_252">[252]</span>
-così propizio come questo non si presenterà
-più. Siamo qui sole, e i nostri compagni di
-viaggio, se non li facciamo chiamare, si periteranno
-di venire quassù. Aggiungo che sei da me,
-e non c’è neanche il pericolo che tuo marito entri
-qua, senza farsi annunziare. Parla!&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Elena ammirò la risolutezza di quella personcina,
-in apparenza così leggera, fatta piuttosto per lasciarsi
-trasportare dai casi che per dominarli. In
-apparenza, ho detto, ed anche per la signora Vezzosi,
-che veramente l’aveva giudicata assai meglio
-di così. Certi errori non sono possibili tra donne,
-e l’una conosce l’altra di primo acchito, come noi
-ci conosciamo a malo stento un giorno prima di
-morire. Or dunque, la signora Elena aveva da un
-pezzo conosciuto il carattere di Camilla Rivanera;
-in quell’impasto di grazia aveva intravveduta la
-forza; sotto quell’aria di leggerezza aveva indovinato
-un carattere. Ma certo, non l’aveva immaginata
-mai così pronta nelle sue risoluzioni, così
-disposta ad affrontare il pericolo, come essa gli
-appariva in quel momento, andando incontro agli
-agguati, alle insidie, ai tranelli d’una conversazione,
-che non prometteva niente di buono.
-</p>
-
-<p>
-Una lotta s’impegnava. Ma quale? Voi, lettori,
-l’avete già presentita e potreste già in parte descriverne
-le fasi. Ma le cose non potevano essere
-già così chiare tra le due dame, ed una di esse,
-la Rivanera, doveva anzi fingere di non capirne
-nulla in anticipazione, e mostrar di credere che il
-<span class="pagenum" id="Page_253">[253]</span>
-discorso annunziato dalla sua amica fosse il più
-liscio e il più naturale del mondo.
-</p>
-
-<p>
-— Camilla, — incominciò la signora Vezzosi, — sai
-che ti amo. Sebbene queste cose ce le
-siamo dette finora assai poco....
-</p>
-
-<p>
-— Non importa; — interruppe Camilla, con un
-gesto che dissimulava male l’impazienza, se pur
-non è da dire che la metteva in mostra; — poche
-parole bastano ad affermare l’amicizia. L’amore,
-poi, non ha neanche mestieri di quelle poche
-parole.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Elena si scosse e diede alla sua interlocutrice
-un’occhiata di meraviglia. In quelle parole di Camilla
-non era a vedersi una sfida? Almeno almeno
-un invito a tagliar corto? Fosse l’una cosa o l’altra,
-la signora Vezzosi doveva cogliere l’occasione
-che gli era offerta di entrare in argomento.
-</p>
-
-<p>
-— Tu, dunque, — diss’ella, — saprai che Aldo
-De Rossi è innamorato di te.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Ecco, lettori, una donna può sapere molte cose;
-ma non può sempre sapere qual ragione faccia
-parlare in un dato senso un’altra donna; specie
-quando quest’altra incomincia il suo discorso ex
-abrupto. Non vi parrà dunque strano che la signora
-Camilla, comunque preparata all’attacco, balenasse
-al primo urto un tantino. Forse anche
-questo era un atto meditato, e la perplessità di
-Camilla serviva di appoggio ad un gesto di stupore,
-che voleva dire: — che cos’è questa alzata
-d’ingegno?
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_254">[254]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Non ti offendere, sai! — ripigliò la signora
-Vezzosi, ingannata da quel gesto. — Dirti che il
-signor De Rossi è innamorato di te, non è già
-un farti torto.
-</p>
-
-<p>
-— No; — rispose Camilla, con un tono tra
-scherzoso ed ironico. — Rendiamo giustizia ai
-meriti del signor Aldo De Rossi. È un po’ strano,
-il signore, e via, diciamo anche un po’ stupido,
-perchè ogni cosa abbia il suo nome appropriato;
-ma certo egli non offende una donna, facendole
-la corte. Infatti, mia bella, ne sei offesa, tu?&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Un attacco rispondeva ad un altro. La signora
-Elena, che non si aspettava di essere assalita, mentre
-ella stessa si era fatta assalitrice, ne fu grandemente
-turbata.
-</p>
-
-<p>
-— Io! — esclamò. — E di che dovrei essere
-offesa? Egli non mi fa la corte.
-</p>
-
-<p>
-— Davvero?
-</p>
-
-<p>
-— Non me l’ha fatta mai.
-</p>
-
-<p>
-— Ah! questa è anche più strana.
-</p>
-
-<p>
-— Te lo giuro; — disse Elena, con accento
-solenne.
-</p>
-
-<p>
-Camilla stette un momento in forse; poi chinò
-la testa, con aria di persona che vuol dimostrarsi
-persuasa, anche non essendo convinta.
-</p>
-
-<p>
-— E sia; — diss’ella. — Non saprei che cosa
-opporre ad una affermazione come questa. Ma non
-perdiamo il filo del discorso. Esso avrà pure una
-conclusione; andiamo alla conclusione.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-La signora Vezzosi aggrottò le ciglia, vedendo
-<span class="pagenum" id="Page_255">[255]</span>
-che Camilla si metteva a quel modo in sussiego
-con lei, e si pentì di aver voluta quella conversazione.
-Ma non c’era rimedio e bisognava andare
-fino in fondo.
-</p>
-
-<p>
-— È male che tu la prenda su questo tono; — diss’ella. — Io
-vengo a te senza secondi fini, col
-cuore in mano, e ti dico: Aldo De Rossi è innamorato
-di te. È un uomo serio, un gentil cavaliere;
-amalo. O meglio, — soggiunse, — poichè
-queste cose non si comandano, se è vero che tu
-l’ami, o sei disposta ad amarlo, te ne prego, non
-fare che egli si disperi per la tua apparente insensibilità.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Camilla ascoltò con molta attenzione il predicozzo,
-non togliendo gli occhi dal volto dell’amica.
-Indi, col suo solito sussiego, le disse:
-</p>
-
-<p>
-— Parli per conto suo?
-</p>
-
-<p>
-— Se fosse, — replicò la signora Elena, ferita
-da quell’aria altezzosa, — che cosa ci vedresti di
-male?
-</p>
-
-<p>
-— Anzi, — ribattè la signora Camilla, — ci
-vedrò una prova del suo buon gusto a saper scegliere....
-gli ambasciatori. Peccato che col buon
-gusto non si trovi d’accordo lo spirito! Sicuramente,
-mia bella; non s’incomoda una dama come
-tu sei, più fatta per udire di questi discorsi, che
-per farli ad un’altra. E non è bello, inoltre, che
-in queste faccende s’aiuti con gl’intercessori, chi
-ha voce e ginocchia per pregare da sè.
-</p>
-
-<p>
-— È giusto; — osservò la signora Vezzosi. — O,
-<span class="pagenum" id="Page_256">[256]</span>
-per dire più veramente, sarebbe giusto, se il
-signor De Rossi mi avesse dato l’incarico di farti
-un simile discorso. Il vero è che non mi ha incaricato
-di nulla. Conosco il suo segreto.... Da un
-pezzo glielo leggevo negli occhi. Mi duole di vederlo
-così triste, così avvilito, e ti parlo per conto
-mio, in favore di quel povero giovanotto.
-</p>
-
-<p>
-— Ah, volevo ben dire! — esclamò la signora
-Camilla. — È dunque tutta bontà tua. Veramente
-singolare! Non ti offenderai, spero, di questa osservazione.
-È tutto ciò che io ti dirò su questo
-particolare, usando dei diritti che accorda l’amicizia.
-E per questa medesima amicizia ti dico:
-càlmati, bella mia.... E frattanto, non mi chiedere
-di fare questa cosa, o quell’altra, perchè io non
-posso far nulla. Non amo il signor De Rossi.
-</p>
-
-<p>
-— Ah! — gridò la signora Elena. — E perchè?
-</p>
-
-<p>
-— Ti potrei rispondere molto semplicemente:
-perchè non l’amo. Tu stessa lo hai detto poc’anzi,
-queste cose non si comandano; o sono, o non
-sono, e la ragione del non essere è così oscura,
-come quella dell’essere. Vedi, mi fai parlare come
-un filosofo; — soggiunse Camilla, ridendo. — Ma
-voglio essere schietta, quantunque la cosa
-abbia i suoi rischi. Solo chi custodisce il proprio
-segreto è forte; e la donna, già tanto debole in
-questa società così male costituita, ha doppia ragione
-di custodirlo. Pure, lo ripeto, sarò schietta
-con te. E tu, spero, ci vedrai un’altra prova della
-mia amicizia. Mi stai a sentire?
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_257">[257]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Son qua, tutt’orecchi; — rispose la signora
-Vezzosi, atteggiando le labbra ad un sorriso, che
-non le venne altrimenti.
-</p>
-
-<p>
-Camilla, che era stata fino allora in piedi, davanti
-alla Vezzosi, andò a sedersele accanto, sul
-canapè; indi, presa la mano dell’amica tra le sue,
-come a trastullo infantile, così incominciò la sua
-confessione.
-</p>
-
-<p>
-— Sono una donna leggiera, vana, capricciosa,
-tutto quello che vorranno dire di me tante caritatevoli
-persone. Oh, non me la prendo, io! Riconosco,
-anzi, che c’è molta apparenza di vero in
-questi giudizi. Ci sono dei modi di essere, che
-fanno l’uffizio della maschera, con cui andiamo al
-veglione, per non essere conosciute e per far disperare
-la gente. C’è chi riconosce il viso, sotto
-la forma di raso nero: ma non importa, la maschera
-c’è, e ti dà il diritto di parlare liberamente,
-come se tu non fossi riconosciuta. Dunque, diciamo,
-leggiera, vana, capricciosa, volubile, e chi
-più n’ha ne metta. Io, dentro di me, so d’essere
-tutt’altra. Odio i caratteri falsi, sono assetata di
-verità; perciò, capirai che non posso amar gli
-uomini, e che, sopratutto, non posso stimarli.
-Questi per la bellezza, quegli per la ricchezza, o
-per la condizione sociale, uno perchè sei libera,
-l’altro perchè non lo sei più, ci hanno tutti una
-ragione eccellente per mettersi sul tenero, qualche
-volta ingannando sè stessi, sempre cercando d’ingannare
-anche te. Ma parliamo di me, che sono
-<span class="pagenum" id="Page_258">[258]</span>
-libera. Ho la bellezza, dicono; ho la ricchezza,
-dice il mio ragioniere, che guarda al sodo e non
-si confonde con certe lustre. Ora, io te lo confesso
-sinceramente; sarò matta da legare, ma
-quando m’accorgo che un uomo non ama in me
-che una superficie di bellezza, vorrei esser brutta
-da far paura, per vedere dove va tanto amore disperato;
-quando m’accorgo che si tratta anche e
-sopratutto del mio milioncino (sono afflitta da
-questo guaio, che farci?) vorrei essere povera
-come Giobbe, per vedere se la mia bellezza, ridotta
-a figurare tra i cenci, farebbe fare tante
-pazzie a quell’uomo.
-</p>
-
-<p>
-— Aldo De Rossi non bada alla ricchezza; — osservò
-la signora Vezzosi.
-</p>
-
-<p>
-— Lo credo, e gli rendo giustizia in questo
-particolare; — rispose Camilla. — Ma io parlo
-in genere, e dico che l’amore è una cosa delicatissima,
-imponderabile, indefinibile. O c’è tutto,
-o non vale un bel nulla. L’uomo che ami solamente
-per amare, e per amare quella donna più
-d’un’altra, e per amare solamente quella, è possibile
-trovarlo? Io credo di no. Vado ad altezze
-vertiginose, lo capisco; ma sono fatta così ed
-oramai non c’è verso di mutarmi. Ho potuto
-non chiedere queste cose, quando ero fanciulla
-ed abbastanza inesperta; ma oggi ho veduto, ho
-paragonato, ho studiato, cerco quell’amore e
-quell’amore non c’è. O ci sarà, ed io non l’ho
-trovato. Sarò come quel tale, che voleva andare
-<span class="pagenum" id="Page_259">[259]</span>
-ad alloggio nell’albergo della Felicità; ma era
-tanto distratto a furia di pensarci, che passò rasente
-e non vide l’insegna. E può anche darsi
-che il tuo De Rossi sia l’uomo ch’io cerco; e
-può anche darsi che non lo sia. Non l’ho studiato,
-e gli è come se non lo fosse.
-</p>
-
-<p>
-— Già, — notò ironicamente la signora Vezzosi, — tu
-l’hai per uno stupido!
-</p>
-
-<p>
-— Oh, questo non vorrebbe dir nulla; — rispose
-con molta tranquillità la signora Camilla. — Ci
-s’innamora male, degli uomini di spirito.
-Sono come le donne letterate, che abbagliano annoiando,
-o come i cani sapienti, che fanno tante
-belle cose egregiamente, salvo quella per cui i
-cani sono ammessi agli onori della domesticità.
-Un povero canino da pagliaio, che non sa dar
-la zampa, nè saltare il cerchio, nè andar ritto da
-un capo all’altro della sala, ama il padrone, lo
-segue fedelmente e ne custodisce la casa. Non fo
-torto al signor De Rossi; dico soltanto che un
-uomo simile non farebbe per me. Ci avesse almeno
-il buon gusto di dedicarsi ad una donna,
-di non vedere e di non servire che a quella! Ma
-no; lo vedi girandolare da questa a quell’altra,
-con una facilità che dimostra tutta la sua leggerezza,
-di cuore e di spirito.
-</p>
-
-<p>
-— Eh via! — disse la signora Vezzosi. — Tu
-gli fai torto, adesso. Egli va in società, come ci
-vanno tutti i suoi pari. Perchè accusi lui solo?
-</p>
-
-<p>
-— Lui solo, certamente, perchè nessun altro
-<span class="pagenum" id="Page_260">[260]</span>
-va in società come lui, con quell’aria di voler
-parere una eccezione ambulante. Gli altri, a buon
-conto, non si piccano di apparirti diversi da quelli
-che sono, mentre egli, il tuo De Rossi, — (la
-signora Camilla appoggiò maliziosamente sul pronome
-possessivo) — fa il filosofo meditabondo,
-l’uomo dei grandi concetti e dei profondi dolori.
-L’ho veduto in molti luoghi, a balli, a conversazioni,
-a teatri, sempre inguantato, incravattato,
-insaldato, i capegli ravviati con una diligenza miracolosa,
-la divisa condotta a pennello fino alla
-nuca, le ciocche lucenti sulla fronte; e da per
-tutto con quel suo cipiglio imbronciato e scontroso,
-come un uomo che mediti un suicidio.
-</p>
-
-<p>
-— Non è certo come l’Anselmi; — osservò
-la signora Vezzosi.
-</p>
-
-<p>
-— Oh no, — riprese Camilla, — e viva l’Anselmi,
-con la sua faccia serena e il cuor contento.
-È uno sciocco, te lo concedo, ma uno sciocco
-che non fa male. L’insegna non ti tradisce. Ride,
-distilla continuamente il suo spirito; qualche volta
-ci riesce e qualche volta no; ma in fine, non ha
-l’aria di volerti dare una lezione ad ogni batter
-di ciglia, e, sopra tutto, non si atteggia a rubacuori.
-</p>
-
-<p>
-— Lo credi?
-</p>
-
-<p>
-— Almeno, mi sembra tale, ed è tutt’uno. A
-me, che non ho mestieri di legger nell’anima di
-questi signori, basta quel po’ di vernice.
-</p>
-
-<p>
-— Hai torto; — disse placidamente la signora
-<span class="pagenum" id="Page_261">[261]</span>
-Vezzosi. — Conosci sempre più addentro che
-puoi le persone che ti avvicinano più spesso. Non
-sai che cosa pensano? Avrai anche il rammarico
-di non sapere che cosa diranno alle tue spalle.
-</p>
-
-<p>
-— Che cosa diranno? — Quello che potranno
-dire. E se io non darò loro argomento...
-</p>
-
-<p>
-— Brava! Come se non bastasse una cortesia,
-uno scherzo, una frase detta senza metterci importanza,
-per mandare in solluchero questi signori
-e destare le più ardite speranze! Ma sia pure come
-tu credi; avranno poco da dire. Rimarrà sempre
-quella che potranno lasciar supporre. C’è un modo
-di lasciar supporre, che vale il raccontare... ed anche
-il dare ad intendere.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-La signora Camilla stette un istante sovra pensiero,
-indi si strinse nelle spalle.
-</p>
-
-<p>
-— Bella mia, — replicò, — tu chiedi più attenzione
-e più vigilanza, che non sia possibile ad
-una donna di usare. Io permetterò anche questo,
-purchè non si pensi ad alta voce con me e non
-mi si annoi con certe dichiarazioni.
-</p>
-
-<p>
-— Oggi, infatti... — notò la signora Elena.
-</p>
-
-<p>
-— Ah, oggi! Che cos’hai veduto, quest’oggi?
-</p>
-
-<p>
-— Non dovrei dirlo, perchè sarebbe un pensare
-ad alta voce... e potrebbe annoiarti.
-</p>
-
-<p>
-— No, parla, te ne prego. Non crederai già
-che la mia insofferenza per certi discorsi si estenda
-anche a te!
-</p>
-
-<p>
-— Dirò, dunque, — ripigliò la signora Elena,
-ringraziando Camilla con un lieve cenno del capo, — che
-<span class="pagenum" id="Page_262">[262]</span>
-stamane tu avevi l’aria di trattare molto
-bene il contino Anselmi, e che subito, entrando
-da Birindelli, hai incominciato a trattarlo assai
-male. Almeno se si deve giudicare dal suo contegno,
-che era proprio d’uomo avvilito, a cui non
-basta più l’allegria sforzata, nè la filosofia naturale,
-per apparire tranquillo.
-</p>
-
-<p>
-— Ah, l’ho trattato male? — ripetè la signora
-Camilla. — Non me ne sono avveduta. Prendo
-e lascio con tanta facilità! E questo ti provi che
-non dò nessuna importanza ai nostri bei cavalieri;
-peggio per loro, se, da qualche frase buttata
-là per chiasso, traggono argomento a sperare
-Dio sa che cosa! Può anche darsi, — soggiunse
-Camilla, tornando al fatto, — che il contino
-mi abbia seccata. Anzi, mi pare di ricordarmi...
-Sì, mi ha detto qualche cosa che m’ha
-dato noia. Ma quello è un uomo che non ci ritorna
-più. Non avrà avuto filosofia quest’oggi,
-perchè sarà escito senza la sua provvista quotidiana;
-ma vedrai che ne avrà una provvista doppia,
-domani. È, dopo tutto, un uomo gentile ed
-un compagno prezioso. Ne convieni?
-</p>
-
-<p>
-— Eh, sì; — fece la signora Elena, dividendo
-la sua frase in due tempi. — Aldo De Rossi ne
-è molto geloso; — soggiunse poscia, per richiamare
-all’argomento la sua interlocutrice.
-</p>
-
-<p>
-— Geloso! E con quale diritto? — gridò la
-signora Camilla. — Mi ha egli comprata? Gli ho
-detto io: sarò la vostra schiava? Io te lo ripeto,
-<span class="pagenum" id="Page_263">[263]</span>
-Elena; non amo, non amerò mai un uomo che
-le corteggia tutte ad un modo.
-</p>
-
-<p>
-— Tutte! Tutte! — esclamò la signora Vezzosi. — Bisognerebbe
-che tu incominciassi a citarne
-qualcheduna.
-</p>
-
-<p>
-— Te, per esempio. Ma tu dici di no...
-</p>
-
-<p>
-— Lo dico. Con tutte le forze dell’anima mia,
-te lo dico.
-</p>
-
-<p>
-— E non si potrà più insistere; — ripigliò
-Camilla. — Ma qui dentro, capirai, non si comanda,
-e qui dentro si potrà anche pensare diversamente.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-La signora Vezzosi stette muta un istante, offesa
-com’era da quel dubbio e combattuta da due
-opposti sentimenti, di tristezza e di sdegno. Ma
-infine si padroneggiò e così mestamente rispose:
-</p>
-
-<p>
-— Farai quello che ti parrà, e mi dimostrerai
-di non avere amicizia per me. Io, credi, ne ho
-sempre molta per te; ne ho più che non pensi.
-</p>
-
-<p>
-— Ed è per questo che vuoi... — incominciò
-Camilla.
-</p>
-
-<p>
-Ma si trattenne subito; e la signora Vezzosi, volgendo
-gli occhi alla sua interlocutrice, vide l’aria
-di vivacità, quasi di collera, che stava per accompagnare
-la frase; ma non uscì altrimenti la frase.
-</p>
-
-<p>
-— Parla! — disse la signora Elena. — Che
-cosa sono queste tue reticenze? Tu pensi il male
-e non hai cuore di dirlo. Bada, Camilla; hai incominciato,
-devi finire.
-</p>
-
-<p>
-— E sia, finirò: — rispose Camilla. — Se è
-<span class="pagenum" id="Page_264">[264]</span>
-un cattivo pensiero, tu lo combatterai ed io ne
-avrò liberato il mio cuore. Elena, io dubito che
-questo tuo colloquio... che questa tua raccomandazione
-a favore di Aldo De Rossi... o miri a
-scoprir terreno... o a coprire una tua passione,
-che può essere stata osservata. Dimmi che non
-è vero!&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Ma nell’atto di finire la sua invettiva, Camilla
-ebbe argomento di pentirsene. Elena si era abbandonata
-contro la spalliera del sofà, coprendosi
-gli occhi con le palme, come per frenare le lagrime.
-</p>
-
-<p>
-— È orribile, ciò che supponi; — diss’ella,
-singhiozzando. — È orribile, ed io non meritavo
-questi crudeli sospetti.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Turbata, confusa da quello scoppio improvviso,
-ma più ancora commossa da quell’accento di verità,
-Camilla gittò le braccia al collo di Elena.
-</p>
-
-<p>
-— Via! via! Non ho detto nulla, sai? Dimentica,
-te ne prego. È effetto del mio umore selvaggio.
-Ci sono certi momenti, che m’accorgo
-di essere cattiva. Ma vedi, mi ha resa tale il mondo,
-che è tutto una guerra d’imboscate e di tradimenti.
-Non piangere, te ne supplico, non piangere!
-Fa conto ch’io non t’abbia detto nulla. Io
-non mi alzo di qua, se tu non mi perdoni.
-</p>
-
-<p>
-— Ti ho perdonato; — rispose la signora
-Elena, traendo faticosamente il respiro, che le
-era mozzato dai singhiozzi. — Ti ho perdonato.
-Ma tu, ascolta un consiglio. Ama; è il rimedio
-<span class="pagenum" id="Page_265">[265]</span>
-ai cattivi pensieri. Ama; è anche il nostro destino,
-a cui non possiamo sottrarci senza pericolo. E
-ama senza dar cagione di gelosia all’uomo che
-hai scelto per signore dell’anima tua.
-</p>
-
-<p>
-— Mi domandi una cosa grave, quasi impossibile; — rispose
-Camilla, abbracciando la signora
-Elena e tergendo le sue ultime lagrime. — Ma
-sai che, per dispormi a tanto, bisognerebbe trovare
-un uomo perfetto? E forse, trovandolo, mi
-annoierei della sua stessa perfezione. Perdonami,
-è ancora un resto della mia cattiveria naturale.
-E senza dargli cagione di gelosia, dovrei dunque
-rinchiudermi in casa come una schiava nell’<i>harem</i>.
-Perchè l’uomo sospetta di nulla, perfino d’un
-volger di ciglia, lo sai. Inoltre, c’è questo da osservare,
-mia bella; l’uomo si riposa troppo facilmente
-nella vittoria; più si sente amato, e meno
-riama.
-</p>
-
-<p>
-— L’uomo, forse; — replicò la signora Elena; — ma
-quell’uomo, quell’uomo che hai scelto,
-quell’uomo che ami, non è più della specie degli
-altri, come tu non sei più simile alle altre per
-lui. E poi, — soggiunse la signora Vezzosi, animandosi, — che
-importa pensare a ciò che avverrà?
-L’amore è una fiamma che consuma e
-purifica; non ti curar di cercare se dovrà rimanerne
-un pugno di cenere. E non temere di essere,
-o di apparire una schiava. Benedetta schiavitù!
-Per un uomo che io sentissi di amare, Dio
-mi perdoni, accetterei di essere ridotta in eterna
-<span class="pagenum" id="Page_266">[266]</span>
-miseria, e di non veder più la luce del sole. Senti,
-bambina mia, è il gran fine della vita, l’amore.
-E sia grande, profondo, immenso; giustifica tutto,
-redime tutto, santifica tutto. A che ti servono
-questi vagheggini, che han preso l’amore per un
-trastullo delle ore d’ozio? Ti dicono che sei
-bella. Gran che! Non te lo dice il tuo specchio,
-e senza chiederti nulla in compenso? Poi, vedi,
-lo dicono a te, come lo dicono a tante, secondo
-l’umore della giornata, e per vedere se mai la
-lode non t’inducesse in tentazione. Esser tentata
-da vanitosi siffatti! — esclamò Elena, con atto
-di ribrezzo. — E sapere che, mentre parlano,
-stanno formando un disegno su me e applaudendosi
-delle loro trovate! Ci sarebbe ragione di
-fuggire mille miglia lontano, se non si fosse certe
-di poterli confondere con una allegra risata. Ma
-bada, bambina mia, bisogna saperla buttar là,
-quella risata, ed in tempo, chè non abbiano campo
-a sperare, nè agio a vantarsi. Il timido silenzio,
-lo sguardo soave, il verecondo sorriso, serbali
-per l’uomo che potrai ascoltare, quando ti avvedrai
-che parla dalle sue labbra la verità, non orpellata
-da vani complimenti, non raffidata da
-troppa sicurezza di sè.
-</p>
-
-<p>
-Così parlava la signora Elena, resa eloquente
-dalla profondità del sentire. Camilla era stata ad
-udirla con molta attenzione, e quasi sospesa al suo
-labbro. Com’ella ebbe finito, le si accostò per
-bisbigliarle all’orecchio:
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_267">[267]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Tu ami, Elena. Chi ami? Ed hai avuto fortuna
-dall’amore?
-</p>
-
-<p>
-— Io? — disse la signora Elena, scuotendosi. — No;
-sono una povera donna ferita.
-</p>
-
-<p>
-— Tu? così bella?
-</p>
-
-<p>
-— Eh, la bellezza non ci ha nulla a vedere,
-pur troppo! E poi, dove è la donna così bella,
-che non sia vinta da un’altra, più bella di lei, o
-che sembri tale agli occhi di un uomo? Senti,
-bambina mia, — soggiunse amorevolmente la signora
-Vezzosi, che quella risoluzione pacifica del
-dialogo aveva messa in vena di tenerezza; — l’uomo
-che ho amato.... Non dovrei parlarti così,
-io; ma infine, è un peccato, e i peccati si confessano.
-L’uomo che ho amato mi paragonava un
-giorno ad una statua di Fidia, ma per pospormi
-nel medesimo tempo ad un’altra donna.
-</p>
-
-<p>
-— Che sarà stata, m’immagino, una statua di
-Prassitele; — osservò la signora Camilla.
-</p>
-
-<p>
-— No, — rispose la signora Elena, — egli fu
-più galante e più crudele di così. Paragonò quell’altra
-al capolavoro che non era stato mai fatto
-da un artefice mortale, alla figura di donna che
-Fidia aveva intravveduta nei sogni della fantasia,
-ma che non aveva saputo effigiare nel marmo.
-</p>
-
-<p>
-— Al giro della frase lo si direbbe un complimento
-del contino Anselmi; — notò Camilla,
-sorridendo.
-</p>
-
-<p>
-— No, non è suo; — rispose Elena. — L’Anselmi
-non direbbe tanto bene di una donna assente,
-<span class="pagenum" id="Page_268">[268]</span>
-a scapito della donna presente. Quell’altro
-è più schietto, anche a risico di far soffrire un
-povero cuore di donna. È forse per questo, — disse
-la signora Vezzosi, come parlando a sè stessa, — che
-anch’egli è condannato a soffrire?
-</p>
-
-<p>
-— Che dici tu, ora? — esclamò Camilla, a cui
-parve d’indovinare. — Chi era quest’uomo? E
-chi era quella donna?
-</p>
-
-<p>
-— Chi era? — ripetè la signora Vezzosi. — Lo
-chiesi a lui e non potei strappargli il suo
-segreto. Non ne avevo il diritto, poichè egli non
-mi aveva ingannata, non mi aveva detto mai una
-parola d’amore. Ma volevo conoscere ad ogni
-costo quella donna, che era agli occhi suoi tanto
-più bella di me. Feci patto di rassegnarmi all’ultimo
-posto, se ella era degna del primo. E l’ho
-conosciuta, e ho dovuto dargli ragione; la donna
-che egli amava era più bella di me, più bella di molte
-a cui non oserei paragonarmi; — soggiunse modestamente
-la signora Vezzosi. — Ed io mi sono rassegnata;
-vedi, Camilla? mi sono rassegnata, e, fedele
-al mio patto, ho lavorato per lui, cercando di ravvicinarlo
-a quella donna e di intercedere per lui.
-</p>
-
-<p>
-— Tu hai fatto ciò? — disse Camilla, stupita. — Hai
-potuto far ciò? Ma non è cosa di donna;
-è superiore alle forze d’una donna.
-</p>
-
-<p>
-— Non lo è stato alle mie, come vedi; — rispose
-la signora Vezzosi.
-</p>
-
-<p>
-E nascose, ciò detto, la fronte nel seno di Camilla.
-</p>
-
-<p>
-— Che vuoi che ti dica? — riprese quest’ultima. — Sei
-<span class="pagenum" id="Page_269">[269]</span>
-migliore di me; e non meriti di
-piangere, come fai, per cagion mia, ma, te lo
-assicuro, senza mia colpa.
-</p>
-
-<p>
-— Oh, non badare alle mie lagrime; — rispose
-Elena. — È il ricordo che mi fa piangere.
-Ma sono forte, sai? Ti avrei io detto ogni cosa,
-con tanta sincerità di cuore, con tanta libertà di
-spirito, se non fossi forte?
-</p>
-
-<p>
-E sollevò la fronte, parlando così, e si provò
-a sorridere, coi lucciconi alle ciglia. Vi risparmio
-qui la bella immagine del cielo che si rasserena
-attraverso le ultime stille di pioggia, perchè veramente
-se n’è troppo abusato.
-</p>
-
-<p>
-— Andiamo; — disse Camilla, cingendo tra
-le sue braccia la vita di Elena, come se volesse
-sollevarla di peso dal canapè. — È tardi e i nostri
-signori si annoieranno di aspettarci.
-</p>
-
-<p>
-— Ah sì, li avevo dimenticati; — rispose Elena. — Ma
-tu mi ascolterai, non è vero?
-</p>
-
-<p>
-— Ne parleremo.
-</p>
-
-<p>
-— No, tu devi ascoltarmi; devi dirmi di sì.
-</p>
-
-<p>
-— Te lo dirò poi; — replicò Camilla. — Non
-sono cose da prendersi così alla leggera. Bisogna
-pensarci su. Te lo dirò poi; — ripetè; — anzi
-meglio, te lo scriverò. La parola scritta ha questo
-vantaggio, che essa permette di legger meglio
-nell’animo, mentre si esprime il proprio pensiero.
-Capisco che è male lo scrivere. Una donna non
-dovrebbe mai darsi a questa occupazione pericolosa.
-Almeno, — soggiunse Camilla, — fino a tanto
-<span class="pagenum" id="Page_270">[270]</span>
-che essa è la serva umilissima degli uomini e la
-nemica naturale delle donne. E padroni e nemici
-sono cattivi depositari dei nostri segreti, ne convieni?
-Ma io farò questo per te, e tu ci vedrai
-una prova d’amicizia confidente, che è l’amicizia
-del presente e del futuro. Dammi un bacio, bella
-mia; ti sembra sincero, questo?&#160;—
-</p>
-
-<p>
-La signora Vezzosi baciò l’amica con effusione,
-su ambe le guancie. Ma la povera bella aveva
-ancora i luccioloni sulle ciglia.
-</p>
-
-<p>
-— Via, rasciughiamo le lagrime; — disse Camilla. — Se
-fossi un uomo, in fede mia, ti direi
-di seguitare, perchè sei bella così, e perchè le
-lagrime di una bella donna si bevono volentieri.
-È scritto in tutti i romanzi, e a me qualche volta
-verrebbe voglia di piangere, per vedere se gli
-uomini usano ancora di dirlo. Ridi? Va bene, ed
-io mi lodo delle sciocchezze che dico così spesso
-e così volentieri, se esse hanno la virtù di rasserenarti.
-Ecco intanto due donne che hanno avuto
-colloquio per un uomo, senza farsi giuramento di
-inimicizia eterna. Non è vero che siamo calunniate
-dagli uomini? Ma già, — conchiuse filosoficamente
-Camilla, — fino a tanto che comanderanno
-loro, e i libri li scriveranno loro, sarà così
-e ci vorrà pazienza. Non ti pare?&#160;—
-</p>
-
-<p>
-La signora Vezzosi, scambio di rispondere, abbracciò
-nuovamente Camilla. E rasciugate le lagrime,
-escì insieme con lei dal salottino.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_271">[271]</span></p>
-
-<h2 id="cap17">XVII.</h2>
-</div>
-
-<p>
-Ci hanno insegnato alla scuola, in que’ beati
-tempi che s’aveva ancora bisogno di andare alla
-scuola, come qualmente, per comando di Domineddio,
-l’uomo debba guadagnarsi il pane col sudore
-della propria fronte. Il che torna a dire che
-l’uomo, condannato ad un continuo stento per la
-battaglia della vita, sarà perennemente infelice.
-Questa dev’essere la regola, e, come tutte le regole
-di questo mondo, ha da averci le sue brave
-eccezioni. Nel fatto, vi sono degli uomini, i quali
-non sudano, neanche a scottar loro i piedi con
-acqua bollente; e ce ne sono degli altri, i quali
-non mangiano pane, o tutt’al più ne prendono
-qualche sottilissima fetta, per ispalmarla di burro.
-Similmente, ci sono degli uomini continuamente
-allegri, che non si rompono la testa coi malanni,
-che vedono tutto color di rosa, che sono felici,
-insomma, felici ad ogni costo, e contro il precetto
-<span class="pagenum" id="Page_272">[272]</span>
-delle Sacre Scritture. Laonde io sono indotto
-a pensare che ogni uomo, nascendo, porti
-il suo destino con sè. All’uno, messer Domineddio
-deve aver detto: «tu sarai lieto»; all’altro: «tu
-sarai imbecille»; all’altro: «tu sarai dotto»; e
-così via discorrendo, ad ognuno dei nuovi nati,
-secondo certi motivi suoi, che non ci è dato conoscere,
-ma dal cui svolgimento dipende senza
-alcun dubbio la storia delle nazioni. Lo stato sociale
-e l’educazione non ci hanno a veder nulla,
-o assai poco, in questa varietà d’indirizzi, poichè
-si trovano dotti, imbecilli e felici in tutte le classi
-sociali. Per contro, è facile di osservare una specie
-di compensazione, come a dire un saggio di giustizia
-distributiva, che dimostra la saviezza infinita
-del sommo legislatore. Il felice è sbadato, miope,
-quasi cieco, e non vede le cantonate, se non
-quando ci ha dato contro del naso; l’imbecille può
-salire ai più alti uffici dello Stato; il dotto riesce
-facilmente noioso. Non è sempre così, lo capisco,
-ed anch’io lo riconoscevo implicitamente, accennando
-alle solite eccezioni ond’è circondata e
-quasi circoscritta ogni regola; ma in fondo in
-fondo si può dire che la giustizia distributiva governi
-e che la compensazione sia il fatto costante.
-</p>
-
-<p>
-Perchè questo squarcio di filosofia? Per dirvi,
-o lettori, che il contino Anselmi era un uomo
-felice, o alcun che di somigliante. Almeno almeno,
-egli era molto contento di sè, nell’atto di ritornare
-da Firenze per Montecatini. E che cosa ci
-<span class="pagenum" id="Page_273">[273]</span>
-aveva, per essere contento? Nulla, in verità; ma
-per essere contenti non è sempre necessario di
-avere, bastando qualche volta di sperare. I cavalli
-di Plutone, ad esempio, non ci sono stati descritti
-dal poeta Claudiano allegri a quel Dio, per
-il semplice fatto che essi pregustavano le biade
-del ritorno?
-</p>
-
-<p>
-Che cosa s’aspettava l’Anselmi? Un mutamento
-naturale in tutto ciò che aveva lasciato il giorno
-addietro tanto mal disposto per lui. La signora
-Camilla, che si era mostrata così capricciosamente
-severa da un momento all’altro, doveva tornargli
-benigna. La cantante, che ci aveva i nervi e che
-lo aveva mandato così liberamente a farsi benedire,
-doveva essere guarita. E queste due fortune
-gli sarebbero toccate in premio di una sapiente
-scappata.
-</p>
-
-<p>
-Il contino Anselmi si era accorto di avere, come
-dicono i francesi, l’<i>absence heureuse</i>. Dopo qualche
-giorno di lontananza, lo vedevano più volentieri
-le donne e gli amici. Egli non andava a cercare
-se ciò dipendesse per avventura da quel periodo
-di tregua, che ci fa sopportare con maggior filosofia
-il ritorno dei vecchi dolori. Sentiva il benefizio
-e non ne indagava le cause. Non vi ho detto
-ch’egli apparteneva alla schiera dei felici, di coloro
-che vedono tutto color di rosa e che sono molto
-contenti di sè?
-</p>
-
-<p>
-Il nostro viaggiatore ebbe alla stazione di Montecatini
-i sorrisi e i saluti amichevoli di cento
-<span class="pagenum" id="Page_274">[274]</span>
-conoscenze; saluti e sorrisi che non avrebbe avuti,
-se, scambio di giunger lui, fosse andato con quella
-medesima folla a veder giungere un altro. Era già
-una consolazione, come vedete. Non si fermò a
-chiacchiera con nessuno, perchè un uomo che
-arriva non ha mai tempo da perdere, o non deve
-mostrare di averne. Del resto, il contino Anselmi
-sentiva gli stimoli dell’appetito e il bisogno di
-darsi una risciacquata. Prese una vettura di piazza
-e corse all’albergo della Torretta, per attendere
-ai due uffici importanti; si restaurò dentro e
-fuori, e quindi andò a far visita alla cantante. Era
-la più vicina; doveva anche esser la prima, nelle
-sue attenzioni galanti.
-</p>
-
-<p>
-La diva lo ricevette benissimo. I nervi non la
-molestavano più; segno evidente che aveva ritrovato
-il suo <i>re</i> sopracuto. Il contino Anselmi che
-le aveva proposto di andare a Parigi, per portargliene
-uno nuovo fiammante, le portava in quella
-vece una graziosa novità dalle rive dell’Arno, cioè
-a dire un elegantissimo braccialetto, comperato in
-via Tornabuoni, dal Marchesini, che era, e spero
-lo sia tuttora, il Dio dei gioiellieri di Firenze. Ad
-una dama non si sarebbe potuto portare un presente
-d’oro e pietre preziose; ad una diva sì,
-perchè i Numi gradiscono, da tempi immemorabili,
-ogni specie di offerte.
-</p>
-
-<p>
-La diva accolse il dono con gioia, ed ammirò
-da esperta conoscitrice una fila di piccoli smeraldi
-e rubini, frammezzati da brillanti, che luccicavano
-<span class="pagenum" id="Page_275">[275]</span>
-sulle spire elastiche del braccialetto, foggiato
-a serpente. S’intende che, per ammirarlo
-meglio, se lo rigirò subito al braccio.
-</p>
-
-<p>
-— Siete un compito cavaliere; — diss’ella; — ed
-anche un uomo di buon gusto. Guardate come
-sta bene.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-E gli stese un braccio ben tornito, candidissimo
-senza mestieri di biacca, che meritava anch’esso
-la sua parte d’ammirazione. Il contino
-Anselmi lo prese delicatamente e gli rese l’omaggio
-a cui essa sembrava invitarlo.
-</p>
-
-<p>
-— Porterò il vostro braccialetto questa sera al
-Casino; — disse allora la diva.
-</p>
-
-<p>
-— Ah! — esclamò il contino, inarcando le
-ciglia. — Questa sera finalmente vi risolvete di
-andarci?
-</p>
-
-<p>
-— Sì; volete accompagnarmi? Mando a spasso
-il Torricelli.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-La proposta non garbava troppo al contino
-Anselmi.
-</p>
-
-<p>
-— Lo vorrei; — diss’egli, sospirando. — Ma
-temo di compromettervi.
-</p>
-
-<p>
-— Compromettermi! — ripetè la diva, rizzando
-la testa e fissando gli occhi curiosi in volto
-all’Anselmi. — Non sarebbe per caso il timore...
-di comprometter voi?&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Il contino fece la bocca da ridere.
-</p>
-
-<p>
-— Che dite mai? — gridò egli. — Ad accompagnare
-una bella donna, un cavaliere ci guadagna
-sempre nella stima dei popoli. Fate conto
-<span class="pagenum" id="Page_276">[276]</span>
-che io non v’abbia detto nulla. Avevo parlato
-solamente per voi.
-</p>
-
-<p>
-— Sentiamo questa, che ha da essere nuova
-di zecca; — rispose la diva con accento sarcastico.
-</p>
-
-<p>
-— Eh, nuova o vecchia, eccola qua. Voi dovete
-far colpo, stassera, essere ammirata, adorata,
-applaudita da tutti. Ora, voi lo saprete per esperienza,
-i gelosi applaudono di mala voglia. Ed
-io, entrando con voi al Casino, farò chiacchierare,
-ingelosire moltissimi. Il Torricelli è vecchio
-e la sua galanteria sessagenaria non dà ombra a
-nessuno; mentre la mia, che non è ancora sui
-trenta, mi capite?....
-</p>
-
-<p>
-— Capisco che ve la cavate abbastanza bene; — disse
-la diva, con un risolino sardonico.
-</p>
-
-<p>
-— Non me la cavo, anzi voglio restarci; — replicò
-l’Anselmi, già mezzo stizzito. — Son pronto
-ad accompagnarvi e felicissimo di lasciar pensare
-tutto ciò che cento sciocchi invidiosi vorranno
-pensare di noi.
-</p>
-
-<p>
-— No, così non fa comodo a me; — rispose
-la diva. — Credo che in fondo in fondo non diciate
-male. Restate nell’ombra e non intorbidate
-il mio trionfo, se trionfo ha da essere. Andrò
-col Torricelli. Il poveretto ne sarà felicissimo.
-</p>
-
-<p>
-— Eh, purchè sappia contentarsi! — fece l’Anselmi,
-con aria di burlesca minaccia.
-</p>
-
-<p>
-— Sciocco! — disse la cantante, appoggiando
-l’epiteto con quel grazioso torcimento di labbra
-<span class="pagenum" id="Page_277">[277]</span>
-che ha nella nostra lingua il brutto nome di boccaccia.
-</p>
-
-<p>
-— Adorabile! — rispose il contino Anselmi,
-facendo in quella vece il bocchino.
-</p>
-
-<p>
-In quella guisa l’Anselmi vinceva il punto di
-non accompagnare la diva al Casino. Veramente,
-non si sarebbe tirato indietro a quel modo, tre
-giorni prima. L’uomo, quando non ha altri ripeschi
-in mira, si presta sempre volentieri a queste
-comparse, che fanno prendere il moscherino a
-mezzo mondo e che dànno alle donne un alto
-concetto della sua persona. Perchè, infatti, le figlie
-d’Eva sono meno insensibili che non si pensi
-a questi spettacoli di felicità mascolina, e l’uomo
-che credesse di guastare i fatti suoi per il futuro
-con simili mostre, si gabellerebbe da sè per un
-vero collegiale. S’intende che le mostre in discorso
-riescono utili, quando l’uomo non abbia
-altri amori imbastiti lì per lì. Se ce li ha, deve
-astenersi con ogni cura da questi riscontri pericolosi.
-Una donna può e deve ammirare il signor
-Tizio, che ha fortuna con le altre, fino a tanto
-che ella non sia ricercata da lui; ma a nessuna
-donna può altrimenti piacere che il signor Tizio
-le si presenti con una rivale a braccetto.
-</p>
-
-<p>
-Quella sera, finito il pranzo, e senza indugiarsi
-a prendere il caffè in giardino, il nostro Cupido
-escì dall’albergo della Torretta, avviandosi per lo
-stradone. Non sapeva nulla delle signore che aveva
-così bruscamente piantate il giorno innanzi. Non
-<span class="pagenum" id="Page_278">[278]</span>
-lo avevano veduto al Casino; lo avevano probabilmente
-aspettato al Tettuccio; dovevano essere
-impensierite della sua sparizione improvvisa. Ora
-il contino Anselmi giustamente pensava che un
-po’ d’assenza fa bene, ma che non deve mica esser
-troppa.
-</p>
-
-<p>
-Così egli andava ruminando il suo capitolo <i>de
-arte amandi</i>, quando (vedete fortuna!) riconobbe
-da lunge le dame, che, accompagnate dai soliti
-cavalieri, venivano incontro a lui verso il Tettuccio.
-Il commendatore Gerardo e il cavaliere Sestavalle
-andavano innanzi con la signora Camilla;
-seguivano Aldo e il presidente gran croce con la
-signora Elena.
-</p>
-
-<p>
-A farlo a posta, il numero era giusto e non
-c’era più luogo per lui. Ma beati gli ultimi, dice
-il proverbio, se i primi han discrezione. Il commendatore
-Gerardo fu tanto discreto da cedergli
-il suo posto.
-</p>
-
-<p>
-— Ah, sei qui, briccone? — gridò il Vezzosi
-appena lo ebbe veduto. — Dove diamine ti sei
-nascosto, Anselmi?&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Il contino biascicò alcune frasi sconnesse.
-</p>
-
-<p>
-— Nascosto, no.... veramente.... Del resto, tu
-mi vedi....
-</p>
-
-<p>
-— Ora, si capisce. Ma iersera? e stamane?
-Ti abbiamo aspettato al Tettuccio, e non ti sei
-lasciato vedere. Di grazia, si potrebbe sapere che
-cura fai?
-</p>
-
-<p>
-— Dio buono! La cura degli affari, quando ti
-<span class="pagenum" id="Page_279">[279]</span>
-vengono addosso; — rispose l’Anselmi, con
-un’aria di candore, che non pareva lui. — Ho
-dovuto andar fuori.
-</p>
-
-<p>
-— A Collodi, m’immagino; — replicò il
-commendatore Gerardo. — Oppure a Monsummano.
-</p>
-
-<p>
-— Che! Più lontano; in capo al mondo; — disse
-l’Anselmi. — Ieri, quando vi ho lasciati, ho
-trovato all’albergo un telegramma, ed ho dovuto
-correre a Firenze, per incontrare un amico, che
-doveva giungere da Roma. E con lui sono venuto
-stamane, dandogli il passaporto per Pisa. Una
-noia, come capirai; ed io ne sono stato dolentissimo; — soggiunse
-il contino, dando un’occhiata
-malinconica alla signora Camilla.
-</p>
-
-<p>
-— E deggio e posso crederlo? — chiese con
-enfasi melodrammatica il commendatore Gerardo.
-</p>
-
-<p>
-La signora Camilla venne allora in soccorso
-dell’Anselmi.
-</p>
-
-<p>
-— Come non volete crederlo? — diss’ella. — Il
-conte Anselmi non è certamente uomo da dire
-una cosa per un’altra. Ha avuto da fare e ci ha
-lasciati; ha sbrigate le sue faccende e ci ritorna.
-Questo è l’essenziale.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Un inchino e uno sguardo eloquente ringraziarono
-la signora Camilla del suo gentile intervento.
-</p>
-
-<p>
-Ma perchè le due file dei nostri passeggiatori
-erano molto vicine l’una all’altra, Aldo De Rossi
-udì le parole di Camilla. Il poveretto ci diventò
-<span class="pagenum" id="Page_280">[280]</span>
-verde dalla stizza e si morse le labbra fino a far
-sangue. La signora Elena, che le aveva udite anch’essa,
-volse un’occhiata di sbieco al compagno
-e notò come avesse la cera contraffatta.
-</p>
-
-<p>
-— Calma! — gli bisbigliò allora, facendo un
-rapido movimento da quella parte. — Vi dirò
-tutto.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Frattanto il contino Anselmi diceva al Vezzosi:
-</p>
-
-<p>
-— E dove andate ora, se è lecito saperlo?
-</p>
-
-<p>
-— Al Rinfresco, per far ora. La signora Camilla
-non conosce ancora il luogo.
-</p>
-
-<p>
-— E mi dicono che sia molto bello; — soggiunse
-Camilla.
-</p>
-
-<p>
-— Bellissimo; — rispose il contino. — Sta
-sotto la mia giurisdizione, perchè è proprio accanto
-alla Torretta. Di modo che, — proseguì
-l’Anselmi, — se io fossi rimasto all’albergo, avrei
-avuta la fortuna di vedervi egualmente?
-</p>
-
-<p>
-— Ma non avreste meritato di accompagnarci, — replicò
-la signora.
-</p>
-
-<p>
-Aldo De Rossi andava al Rinfresco come la
-biscia all’incanto. Si pentiva di non essersi posto
-lui al fianco della signora Camilla, per impedire
-all’Anselmi di appiccicarsi in quel modo. Ma come
-avrebbe potuto fare diversamente? Quel giorno
-gli era andata così male ogni cosa! La mattina,
-al Tettuccio, aveva notato una grande freddezza,
-o, per dire più veramente, un’aria di grande inquietudine,
-che metteva le signore a disagio con
-lui. Esse, del resto, non si lasciavano mai, e come
-<span class="pagenum" id="Page_281">[281]</span>
-non gli era riescito di parlare da solo a solo con
-la signora Camilla, così non aveva potuto dire
-neanche una parola alla signora Elena. Infastidito
-da quelle difficoltà, che erano durate fino all’ora
-di colazione, Aldo De Rossi aveva infilato l’uscio
-e preso il portante verso Monsummano, sperando
-di chetare le sue furie con una lunga passeggiata.
-Ma si era stancato, senza punto calmarsi. Tornato
-all’albergo sull’ora di pranzo, aveva trovata
-la signora Elena più turbata, più confusa che
-mai. Non ebbe modo di chiederle nulla, perchè
-il Vezzosi l’accompagnava nel corridoio, e del
-resto era già ora di scendere nella sala da pranzo.
-Solamente nell’anticamera, mentre Gerardo appiccava
-il cappello al gancio del cappellinaio, essa
-ebbe il tempo di dirgli: — Proporrò una gita
-al Rinfresco; veniteci: troverò il modo di parlarvi.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Concertata la gita mentre erano a tavola, gli
-convenne di restare al fianco della signora Elena
-quando si escì dall’albergo. La signora Camilla
-era venuta a pranzo in una abbigliatura elegantissima,
-che faceva risaltare vieppiù i segni di una
-freddezza senza esempio. Aldo non ci capiva più
-nulla e si rodeva di non sapere che diavolo fosse.
-Avviandosi con la brigata al Rinfresco, e non
-vedendo comparire l’Anselmi, si era arrischiato a
-sperare che la giornata dovesse finir meglio che
-non era cominciata. Ma tutto ad un tratto era
-apparso l’Anselmi; egli stesso era stato il primo
-<span class="pagenum" id="Page_282">[282]</span>
-a vederlo e il cuore gli aveva dato una scossa
-violenta.
-</p>
-
-<p>
-E pensare che quello zerbinotto, quel Ganimede,
-quell’Adone da strapazzo (già, i nomi da appioppare
-ad un rivale non mancano mai) veniva a
-guastargli le sue faccende con un tradimento in
-corpo, e probabilmente ancora caldo delle tenerezze
-dette ad un’altra donna! Perchè infatti il
-contino Anselmi ce lo aveva, il suo ripesco amoroso,
-all’albergo della Torretta. Non si era confessato
-egli stesso con Aldo, nelle espansioni di
-una passeggiata a lume di luna! E la delicatezza,
-la lealtà e tante altre belle cose egualmente moleste,
-non permettevano ad Aldo di metter carte
-in tavola, di propalare senza tanti complimenti
-ogni cosa?
-</p>
-
-<p>
-Si giunse al Rinfresco, una specie di giardino
-all’antica, con mura alte e severe, ornato con una
-gravità architettonica abbastanza pretensiosa, ma
-ricco di verde, d’ombra e di silenzi romantici, da
-piacer molto ai cuori innamorati, ed anche ai filosofi
-misantropi. Questo riscontro non ha niente
-di strano e si spiega facilmente, poichè l’amore è
-una misantropia masticata in due.
-</p>
-
-<p>
-Una fontana, decorata di marmi, sorgeva nel
-mezzo del piazzale, accanto all’entrata; ma l’acqua
-non aveva allegrezza di zampilli. Acqua termale,
-tu eri triste a vedere, come la faccia del mio Aldo
-De Rossi. Più lieta appariva tutto intorno la
-frappa, in mezzo a cui s’aprivano alcuni viali, ma
-<span class="pagenum" id="Page_283">[283]</span>
-per chiudersi tosto, nel fitto dei rami sporgenti.
-Cari viali, amiche rèdole, liberali di ombre discrete
-ai fidati colloquii, come si sarebbe inoltrato volentieri
-pe’ vostri meandri il mio Aldo De Rossi,
-tenendo a braccetto la signora Camilla! Ma a farlo
-a posta, la signora Camilla non si spiccava dal
-fianco dei signori Anselmi e Vezzosi, o, per dir
-meglio, i signori Vezzosi ed Anselmi non si spiccavano
-dal suo.
-</p>
-
-<p>
-E bisognava sentirlo, il contino Anselmi, che
-fuoco d’artifizio faceva! Ed anche la signora Camilla,
-come rideva, alle arguzie, alle galanterie,
-alle svenevolezze del signorino! Rideva anche più
-degli altri giorni, d’un riso acuto, quasi stridente,
-che urtava maledettamente i nervi al De Rossi.
-Ci fu un momento che gli parve di odiarla. Lettori,
-che avete sofferto di questo male, non riconoscete
-qui l’amore innalzato alla quarta potenza?
-</p>
-
-<p>
-Come Dio volle, i passeggiatori si sentirono
-stanchi e si arresero al tacito invito dei sedili di
-pietra che correvano intorno alla fontana. Aldo
-non si posò come gli altri, ma stette in sull’ali;
-da prima per andare a veder l’acqua da presso e
-far le mostre di assaggiarla; quindi per girandolare
-qua e là ed osservare le piante. In certi momenti
-della vita ogni uomo è un naturalista.
-</p>
-
-<p>
-Egli, per altro, non era escito dalla vista della
-comitiva. E dopo alcuni istanti di dotte osservazioni,
-vide con la coda degli occhi la signora
-Elena spiccarsi dalla brigata, per venire verso di
-<span class="pagenum" id="Page_284">[284]</span>
-lui. Si volse allora con aria grave e tranquilla e
-le accennò una pianta di bossolo, per modo che
-gli altri, se avessero guardato da quella parte,
-credessero ad una vera e propria conversazione
-botanica.
-</p>
-
-<p>
-— Sapete che è un affar serio? — gli diceva
-intanto la signora Vezzosi. — Non si può neanche
-trovare il momento propizio.... per darvi un dispiacere.
-</p>
-
-<p>
-Aldo De Rossi diede un sobbalzo e si fece
-pallido in viso.
-</p>
-
-<p>
-— Calma! — ripigliò la signora. — Ho avuto
-iersera un colloquio con lei. Ve ne darò i particolari...
-quando potrò. Intanto, ne capirete abbastanza,
-dalla lettera che ella mi ha scritto questa
-mane.
-</p>
-
-<p>
-— Una lettera! — mormorò Aldo turbato.
-</p>
-
-<p>
-— È qui; — disse la signora Elena, traendo
-un foglio di tasca, mentre si avvicinava al De
-Rossi e chinava la testa verso la pianta di bossolo. — Voi
-la leggerete... e me la restituirete.
-</p>
-
-<p>
-— Sì; — disse Aldo, imitando la mimica della
-signora e stendendo le dita per prendere il foglio.
-</p>
-
-<p>
-Ma la signora Elena non se lo lasciò fuggir di
-mano così presto.
-</p>
-
-<p>
-— Badate, — riprese, — è necessario che mi
-sia restituito. Mi confido ad un uomo, non è vero?
-</p>
-
-<p>
-— E ad un gentiluomo; — replicò il De Rossi.
-</p>
-
-<p>
-— Qualunque cosa avvenga, mi restituirete
-questa lettera, oggi stesso?
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_285">[285]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Avete la mia parola d’onore; — disse
-Aldo.
-</p>
-
-<p>
-— Bene; — soggiunse la signora. — Mettetela
-in tasca. La leggerete più tardi.
-</p>
-
-<p>
-— Mentre voi starete conversando alla fontan, — mormorò
-Aldo, — io andrò a passeggio qui
-presso.
-</p>
-
-<p>
-— Troppa fretta! Se almeno aveste la forza di
-dominarvi....
-</p>
-
-<p>
-— L’avrò, signora, l’avrò. Da ciò che mi dite,
-capisco già che c’è una sentenza di morte... per
-il mio povero amore; — rispose tristamente il
-De Rossi. — Ma voi lo vedete, son forte.
-</p>
-
-<p>
-— Sarete anche sereno? In apparenza, se non
-altro?
-</p>
-
-<p>
-— Riderò; — disse Aldo. — Va bene così?&#160;—
-</p>
-
-<p>
-La signora Elena non rispose parola, e, accompagnata
-dal De Rossi, tornò a passi lenti verso la
-fontana.
-</p>
-
-<p>
-— Che cosa guardavate con tanta attenzione? — domandò
-il commendatore Gerardo.
-</p>
-
-<p>
-— Una pianta che non conoscevo; — rispose
-Aldo con aria sbadata.
-</p>
-
-<p>
-— Gran che! Figuratevi che era una pianta di
-bossolo; — soggiunse la signora Vezzosi.
-</p>
-
-<p>
-— Ma di un verde così tenero, che in verità
-non mi pareva bossolo; — ribattè Aldo De Rossi,
-per dar colore alla storia.
-</p>
-
-<p>
-— Effetto del terreno, che non è molto confacente
-alla sua specie; — replicò la signora Vezzosi.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_286">[286]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Donna Elena ha grandi cognizioni in botanica; — disse
-il cavaliere Sestavalle. — Rammento
-ancora la distinzione tra l’<i>Hibiscus siriacus</i>
-e l’<i>Hibiscus</i>... Di grazia, come si chiama l’ibisco
-dell’albergo della Pace?
-</p>
-
-<p>
-— Vedo che la rammentate poco, la distinzione; — notò
-argutamente la signora Vezzosi. — È
-un <i>Hibicus liliflorus</i>.
-</p>
-
-<p>
-— E li ha sulla punta delle dita, i nomi latini! — gridò
-ammirato l’Alcibiade.
-</p>
-
-<p>
-— Il latino è brutto parecchio; — disse il
-contino Anselmi, — ma la giardiniera è bella.
-Propongo di chiamarla la bella Giardiniera.
-</p>
-
-<p>
-— Magazzino di mode? — domandò la signora
-Vezzosi.
-</p>
-
-<p>
-— No, capolavoro di Raffaello; — rispose l’Anselmi,
-inchinandosi.
-</p>
-
-<p>
-— Conosco questo complimento; — disse la
-signora. — Ce lo avete detto l’altro dì, sull’uscio
-della Speranza.
-</p>
-
-<p>
-Il contino Anselmi si morse le labbra, rammentando
-che infatti aveva già speso un’altra
-volta quel motto arguto, e pensando che ciò poteva
-nuocergli presso le dame. Ma non si diede
-per vinto.
-</p>
-
-<p>
-— Mi rimandate all’uscio? — diss’egli. — Vedo
-già i campi della disperazione.
-</p>
-
-<p>
-— Eh! — fece il commendatore Gerardo. — L’ha
-rimbrodolata abbastanza bene.
-</p>
-
-<p>
-Aldo De Rossi approffittò di quelle ciarle senza
-<span class="pagenum" id="Page_287">[287]</span>
-sugo, per dare un’altra voltata sui tacchi. La lettera
-che gli aveva consegnata la signora Elena
-gli scottava la mano. Dovete sapere, infatti, che
-teneva sempre la mano in tasca, stringendo convulsivamente
-quel foglio in cui stava scritta la sua
-condanna.
-</p>
-
-<p>
-Camilla non fu tratta in inganno da quella invenzione
-botanica. Ella si era avveduta che Elena
-e il De Rossi avevano colto il primo pretesto per
-iscambiarsi alcune parole e argomentò facilmente
-che quelle parole la risguardavano lei, vedendo
-che Aldo De Rossi, tornato presso la compagnia,
-aveva evitato di guardarla.
-</p>
-
-<p>
-Giunto fuori dalla vista de’ suoi compagni di
-passeggiata, Aldo De Rossi cavò di tasca la lettera
-misteriosa. Aveva la febbre; gli tremavano le
-mani, e gli occhi ci vedevano poco. Raccolse tutte
-le sue forze con un atto supremo di volontà,
-spiegò il foglio e decifrò alla meglio i sottili uncinetti
-della signora Camilla.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_288">[288]</span></p>
-
-<h2 id="cap18">XVIII.</h2>
-</div>
-
-<p>
-Quali sentimenti dovessero agitarlo durante la
-lettura non vi dirò, perchè le angosce del cuore,
-quando sian giunte ad un certo grado di violenza,
-non si descrivono più. Del resto, immaginate voi;
-ecco la lettera:
-</p>
-
-<div class="blockquote">
-<p class="indl">
-«<i>Elena mia</i>,
-</p>
-
-<p>
-«Ho pensato lungamente al tuo discorso di
-iersera, e ti rispondo ora in iscritto quello che
-avevo già incominciato a risponderti a voce; non
-accetto la tua generosa proposta.
-</p>
-
-<p>
-«Non è capriccio, non è caparbietà; è maturato
-consiglio. Ho ragionato tutta la notte il pro e il
-contro, ma sopratutto ho pensato a te e alla nobiltà
-del tuo carattere. Tu sei buona e sincera,
-mia Elena, e meriti di esser felice.
-</p>
-
-<p>
-«Una cosa mi è apparsa evidente. Tu stessa
-t’inganni, intorno allo stato del tuo cuore e alla
-forza della tua volontà. Tu ami il signor De
-<span class="pagenum" id="Page_289">[289]</span>
-Rossi; ed egli... Egli, una delle due, o ama te,
-oppure è uno sciocco. Ad ogni modo, se non ti
-ama oggi, ti amerà domani. Ciò che m’hai narrato
-de’ suoi furori per me, è molto vago, nè
-credo ci si possa far fondamento per l’edifizio
-della mia felicità. Tu stessa, ne sei ben certa?
-Non ti pare che c’entri un pochino di vanità
-(vanità offesa, o vanità stuzzicata, non importa
-cercare) nella passione di cui tu m’hai fatto una
-pittura così viva? Sai, gli uomini ce l’hanno tutti,
-la loro parte di puntiglio; anche quando giuocano
-per celia, vorrebbero vincere. Il signorino va attorno
-come le farfalle; e quasi direi senza scegliere
-i fiori. S’è imbattuto in me; m’ha trovata
-più sorda di qualcun’altra alle sue attenzioni, alle
-sue gentilezze. Come io sia stata con lui, non so
-veramente, perchè io non mi osservo. Vo innanzi
-alla libera, come una selvaggia; quando una cosa
-mi piace, non la nascondo; quando mi dispiace,
-non ne faccio mistero. Può darsi che io l’abbia
-ferito; può anche darsi che egli abbia sognato
-di esserlo. Comunque sia, non credo che si tratti
-d’una ferita profonda. E vorresti che per una
-cosa da nulla io mi mettessi a fare la suora di
-carità? Io non amerò, forse; ma quando amerò,
-bada bene, sarà per tutta la vita. I mezzi amori
-mi fanno rabbia; non voglio scomodarmi per così
-poco; non voglio perdere la mia pace per una
-di queste passioncelle da dozzina, in cui ha tanta
-parte la vanità, e la galanteria tutto il resto.
-<span class="pagenum" id="Page_290">[290]</span>
-Quando amerò... Ma questo te l’ho già detto.
-Soggiungerò invece che l’uomo destinato a impadronirsi
-di me, ha da fare qualche cosa di grande,
-o di pazzo, che in questi casi è tutt’uno. Gli
-uomini del nostro tempo non fanno più pazzie per
-le donne, ed è male. Può anche esser bene; chi
-lo sa? Forse noi non meritiamo che se ne facciano
-più; siamo diventate anche noi troppo frivole.
-Or bene, sia pure, io non amerò, e sarà
-tanto di guadagnato per la tranquillità de’ miei
-nervi. Qualche volta, vedi, mi prende la malinconia
-di farmi monaca. Ma non ti spaventare, bella
-mia, sono accessi che non durano. E negli intervalli
-mi lascio cogliere dalla manìa dei giuochi
-innocenti; gradisco la corte degli sciocchi, e son
-felice quando mi accade di farli disperare a quattro
-per volta.
-</p>
-
-<p>
-«Ma lasciamo stare queste fanciullaggini. Come
-vedi, sono una ragazza viziata. Lo zio, che mi
-vuol bene mi chiama spesso la sua <i>testa falsa</i>.
-S’intende che parla per celia, e senza sapere di
-cogliere così netto nel segno. Veniamo a te. Se
-ti riesce di rinfrancare il dolente personaggio e
-di far parlare il suo cuore, fallo per te, Elena
-mia. Forse c’è stoffa per un uomo di garbo; e
-tu, del resto, sei donna da far miracoli. Dirai che
-ti consiglio male. Io stessa, rileggendo la frase,
-me ne accorgo. Ma è scritta, e non voglio far
-cancellature, che avrebbero aria di pentimenti.
-Del resto, noi donne viviamo solamente per il
-<span class="pagenum" id="Page_291">[291]</span>
-cuore e non badiamo troppo a certe piccole tirannie
-d’una legge che non abbiamo fatta noi.
-Alla fin fine, brucia la lettera; è il meglio che
-tu possa fare. Il conservarla potrebbe dire due
-cose alla gente di poco spirito, a cui capitassero
-sott’occhio i miei scarabocchi: che il consigliere
-è cattivo e che l’alunno meritava un tal consigliere.
-Queste cose non debbono dirsi, nè di te,
-nè di me. E poi, ti sentiresti di fare un’altra
-cosa, che ti raccomando tanto? Ridi, e non pensare
-ad altro. Io sarò veramente felice quest’oggi,
-se, entrando nella sala da pranzo, e sedendo di
-rimpetto a te, vedrò un bel sorriso sulle tue labbra.
-Labbra di corallo tenero, come t’avran detto già
-molti; labbra che invitano, ecc., ecc., come avranno
-pensato moltissimi. Ridi, ora? Orbene, va avanti
-così. — La tua <span class="smcap">Camilla</span>.»
-</p>
-</div>
-
-<p>
-Aldo De Rossi era rimasto attonito, a quella
-lettura, e ci volle il suo tempo perchè riprendesse
-il dominio di quella poca ragione che possedeva.
-Così a occhio e croce capì che la signora Elena
-aveva parlato eloquentemente, quantunque senza
-frutto, per lui. Capì inoltre che non era stato
-compreso. Due cose spiacevano alla signora Camilla,
-siccome appariva dal contesto della sua
-lettera; che egli usasse andar troppo attorno,
-quasi a corteggiarle tutte, e che il suo amore
-per una, se lo sentiva davvero, non lo dimostrasse
-con qualche gloriosa follia. Ma non erano due
-pretesti, messi fuori dalla dama, per dissimulare
-<span class="pagenum" id="Page_292">[292]</span>
-la freddezza del suo cuore? Una donna non s’inganna
-mai su certi usi di mondo e sa fare le sue
-distinzioni a favore di un uomo, che, anco facendo
-riverenza a cento, non ne vede e non ne preferisce
-che una. Quanto alle imprese meravigliose,
-Dio buono, anche la signora Camilla lo capiva,
-che i tempi e i costumi non erano da ciò.
-</p>
-
-<p>
-Una ragione doveva esserci, e più forte di tutte
-le altre, a giustificare la freddezza della signora
-Camilla. Elena amava Aldo, e non aveva potuto
-negarlo. Ora, come non sospettare che Aldo avesse
-dato argomento, appiglio, esca, e tutto il peggio
-che vorrete, a quella simpatia della signora Vezzosi?
-</p>
-
-<p>
-Un pensiero di quella fatta doveva venire a lui,
-come ad ognuno de’ miei lettori. Ma i lettori afferrano
-le cose con animo pacato; Aldo De Rossi,
-in quella vece, non ci vedeva più lume. Perciò,
-se il pensiero gli venne, come vi ho detto, egli
-non si fermò altrimenti a misurarne l’importanza.
-Quando si soffre, si studia poco sulle cause del
-dolore; l’ermeneutica non è fatta per gli spiriti
-turbati dalla passione. Al nostro povero eroe
-parve più sbrigativo e più comodo accusare la
-signora Camilla di freddezza, d’orgoglio, di leggerezza,
-e di vedere nella sua lettera un ammasso
-di pretesti, messi fuori per liberarsi da un uomo
-antipatico. Ma a benefizio di chi? Una donna, per
-solito, non disprezza un uomo, se non perchè ne
-stima troppo un altro.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_293">[293]</span>
-</p>
-
-<p>
-Giunto a’ piedi dell’ultima pagina, Aldo De
-Rossi voltò il foglio per tornare da capo. Era
-un moto naturale, come d’uomo che non ha
-bene inteso e che vuol sincerarsi. Ma in verità
-non c’era bisogno di tanto; la lettera parlava
-chiaro e Aldo non poteva dare ai propri occhi
-una così audace mentita. La mano aveva girato
-il foglio; la stessa mano lo strinse e lo spiegazzò,
-come se volesse lacerarlo. Le labbra borbottarono
-qualche cosa, che sapeva d’imprecazione,
-e la lettera andò a finire nella tasca del
-soprabito, dove fu cacciata con un atto poco rispettoso.
-A qual pro l’avrebbe egli riletta? Si
-torna mal valentieri sulle notizie spiacevoli. E
-quelle che gli erano date nella lettera di Camilla
-dovevano imprimersi nel suo cervello a caratteri
-di fuoco, come.... (scusate il paragone che
-è vecchio, ma calzante) come le tre parole misteriose
-sulla parete, nel famoso convito di Baldassarre.
-</p>
-
-<p>
-— Egregiamente! — mormorò Aldo, con un
-accento che faceva a pugni con l’ottimismo dell’avverbio. — Non
-si potrebbe mandarmi al diavolo
-con parole più chiare. Ma una cosa non è
-chiara... o lo è troppo. La signora parla di me;
-ne parla molto, ne parla oltre il bisogno. Ma
-tace di un altro, come se non esistesse neanche.
-E quello di cui tace è appunto quello che ama.
-Son tutte così; l’uomo di cui non gliene importa
-nulla, lo mettono in piazza; l’altro, poi,
-<span class="pagenum" id="Page_294">[294]</span>
-lo nascondono, come si nasconde un tesoro. Provatevi
-a farle parlare! Ve ne citano dodici, se occorre;
-si accuserebbero magari di amarne ventiquattro;
-ma il nome di quel tale, non c’è caso
-che se lo lascino sfuggire di bocca.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Vi fo grazia di tutto l’altro che disse, o che
-borbottò tra i denti, perchè gli vo’ bene e non
-mi piace di mostrarvelo troppo violento nei pensieri
-e nelle espansioni. Ad ognuno di voi sarà
-avvenuto di dirle grosse, in un momento di rabbia.
-E certamente vi sarebbe dispiaciuto che le
-vostre parole fossero raccattate da un imprudente
-uditore e ripetute ai quattro punti cardinali, come
-monumento della vostra pazzia.
-</p>
-
-<p>
-Lo stesso Aldo si avvide di essere uscito dai
-gangheri. Se ne avvide ad una imprecazione
-troppo forte che gli era sfuggita e che gli aveva
-percosso l’orecchio.
-</p>
-
-<p>
-— Che cos’è questo? — esclamò. — Sono
-io dunque un ragazzo, e non saprò far altro che
-chiacchiere?&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Si scosse, così dicendo; digrignò i denti, con
-atto di profondo disgusto; si asciugò gli occhi, e
-si avviò verso la fontana con passo risoluto.
-</p>
-
-<p>
-Egli era triste ma laggiù si rideva. E il contino
-Anselmi, come al solito, dava la battuta.
-</p>
-
-<p>
-— Che buffone! — disse Aldo tra sè, mentre
-compariva nel piazzale alla vista di tutti. — Se bisogna
-essere così, per piacere alle donne, rinunzio, in
-fede mia, a questa fortuna; se fortuna può dirsi.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_295">[295]</span>
-</p>
-
-<p>
-Già, conchiuse proprio con questo epifonema.
-Quando vi dico che Aldo De Rossi aveva perduta
-la bussola!
-</p>
-
-<p>
-— Non lo credete? — chiedeva frattanto l’Anselmi,
-proseguendo un discorso incominciato. — Io
-ne sono persuaso.
-</p>
-
-<p>
-— Ed io, con vostra buona pace, niente affatto; — rispose
-la signora Camilla.
-</p>
-
-<p>
-— Signora, la vostra opinione ha un gran peso
-per me; ma voi non dovete abusare della vostra
-autorità. È l’obbligo di tutti i re, e di tutte le
-regine; — replicò l’Anselmi.
-</p>
-
-<p>
-— Che c’entra l’autorità? — disse la signora
-Camilla. — Vi hanno sentito tutti, e credo che
-vi diano torto.
-</p>
-
-<p>
-— Tutti, poi!
-</p>
-
-<p>
-— Facciamo giudice il nostro De Rossi; — entrò
-a dire il commendatore Gerardo. — Egli
-viene dal verde; colore che concilia lo spirito
-alla calma. Ed egli potrà darci una sentenza scevra
-da ogni passione, da ogni parzialità.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-La signora Elena chinò gli occhi a terra, pensando
-alla calma che doveva avere il povero De
-Rossi, per dare una sentenza tra il contino Anselmi
-e Camilla, egli che tornava appunto da
-leggerne una, niente piacevole per lui.
-</p>
-
-<p>
-— Ma non c’è bisogno di giudici; — rispose
-Camilla al signor Vezzosi. — Son cose troppo
-evidenti. Direi quasi che saltano agli occhi.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Aldo si sarebbe astenuto volentieri da ogni
-<span class="pagenum" id="Page_296">[296]</span>
-giudizio intorno alle arguzie dell’Anselmi, e forse
-era già sul punto di pregare Gerardo che volesse
-dispensarnelo. Ma le parole della signora Camilla
-gli suonarono male all’orecchio.
-</p>
-
-<p>
-— Bella signora, — diss’egli, — non mi volete
-dunque per giudice?&#160;—
-</p>
-
-<p>
-La voce era tranquilla, in apparenza, ma più
-sottile del solito, quasi sibilante.
-</p>
-
-<p>
-— Non ho detto ciò; — rispose asciuttamente
-la signora Camilla, a cui dava noia l’asprezza dell’osservazione,
-male dissimulata dalla galanteria
-della forma. — Se il signor Gerardo lo vuole,
-esponga egli la cosa. Ma veda di essere esatto; — soggiunse
-ella, con accento più umano, poichè
-si rivolgeva al Vezzosi.
-</p>
-
-<p>
-— Non dubitate; — rispose il commendatore: — sono
-stato relatore di leggi, in Parlamento,
-e conosco il debito mio. Tu siedi, giudice, e
-prendi un atteggiamento conforme alla gravità
-dell’ufficio.
-</p>
-
-<p>
-— Dio buono! — esclamò Aldo De Rossi,
-sforzandosi di sorridere. — Si tratta dunque di
-una cosa grave?
-</p>
-
-<p>
-— Eh, grave... secondo i casi e le età. Per voi
-altri giovani è gravissima. Si ragionava d’amore.
-</p>
-
-<p>
-— Argomento importante, non c’è che dire.
-</p>
-
-<p>
-— Sicuramente, e il nostro Anselmi ne parlava
-come di una malattia, e lo paragonava alla tosse.
-Ma la signora Camilla, dal canto suo, negando la
-malattia, trovò che il paragone era volgare.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_297">[297]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Ecco... — interruppe la signora Camilla. — Io
-non ho detto propriamente così.
-</p>
-
-<p>
-— Mia bella signora, perdonate; avete esclamato:
-che paragone!
-</p>
-
-<p>
-— Sì, perchè mi pareva che se ne potesse trovare
-uno più adatto. Per esempio la febbre.
-</p>
-
-<p>
-— Ma io, — entrò a dire l’Anselmi, — non
-avevo fatto che ispirarmi al proverbio: amore e
-tosse, con quel che segue. Ma vada pure per la
-febbre. Che cosa sentenzia il giudice eletto?&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Aldo De Rossi non aveva gradito niente affatto
-che tra la signora Camilla e l’Anselmi si
-fosse appiccato un discorso di tal genere. Egli
-stava per l’appunto almanaccando da che potesse
-aver avuto occasione quella tuffatina nel tenero,
-quando venne a rompergli il filo la domanda dell’Anselmi.
-</p>
-
-<p>
-— L’amore — rispose egli sentenziosamente, — è
-una malattia, o non lo è. Se è una malattia,
-non può essere paragonato alla tosse, che è
-indizio di malattia, non malattia per sè stessa. Se
-non è una malattia, ma semplicemente indizio di
-malattia, e tosse, e febbre, e quel che vorrete,
-possono entrare in paragone con esso, secondo
-l’umore e il buon gusto di chi ne parla.
-</p>
-
-<p>
-— Dotta sentenza! — esclamò l’Anselmi, non
-senza un pochino d’ironia. — Ma se tu credi che
-l’amore sia un indizio, a qual malattia vorrai tu
-regalarlo?
-</p>
-
-<p>
-— Gl’indizi sono qualche volta fallaci; — rispose
-<span class="pagenum" id="Page_298">[298]</span>
-sul medesimo tono il De Rossi. — L’occhio
-medico deve badare a molte cose, prima di
-giungere alla conclusione. Anzi tutto bisogna osservare
-il temperamento del malato. Per esempio,
-io conosco certi uomini, presso i quali l’amore
-sarebbe indizio... di stupidità.
-</p>
-
-<p>
-— Ah, buona questa! — gridò il Vezzosi che
-non ci vedeva il baco.
-</p>
-
-<p>
-— Buona per cui tocca; — notò l’Anselmi, a
-cui sembrava pessima, appunto perchè gli toccava
-a lui. — Tu non sei un giudice, Aldo; sei
-un Minosse, un Radamanto. E noi che si faceva
-per celia!
-</p>
-
-<p>
-— Non si fanno queste cose per celia; — replicò
-Aldo De Rossi. — L’amore è una cosa grave,
-e non è permessa agli uomini leggeri, che vedono
-un sollazzo passeggiero in ciò che dev’essere il
-negozio di tutta la vita.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Il contino Anselmi si seccò per davvero; si seccò
-doppiamente, pensando che la signora Camilla
-udiva e che poteva indovinare a cui fossero dirette
-le bottate del giudice.
-</p>
-
-<p>
-— M’inchino alla tua sapienza; — diss’egli.
-</p>
-
-<p>
-E fece l’inchino, proprio come aveva detto,
-mettendoci un’ostentazione che diede maledettamente
-sui nervi al De Rossi. Questi non aveva
-mestieri di tanto, per dar di fuori; che, anzi, come
-vi sarà parso evidente, staccava i bollori da un
-pezzo.
-</p>
-
-<p>
-— Accetto il complimento per quel che significa, — diss’egli; — cioè
-<span class="pagenum" id="Page_299">[299]</span>
-per un’ironia; e lo accetto
-anche per quel che vale, — soggiunse, — cioè
-per un’ironia... in bocca tua.
-</p>
-
-<p>
-— Ehi, giovinotti! — gridò il commendatore
-Gerardo, che incominciava a capire. — Che cosa
-è questo? Il giudice mi pare...
-</p>
-
-<p>
-— Il giudice ha data la sentenza; — disse
-Aldo, con un risolino sardonico.
-</p>
-
-<p>
-— Egli vorrà almeno riconoscere l’autorità
-della Cassazione; — entrò a dire il presidente
-gran croce.
-</p>
-
-<p>
-— Con tutto il piacere, e chiedendovi perdono,
-se è necessario; — rispose Aldo, inchinandosi. — Per
-altro, mi consentirete d’insistere nella mia
-opinione. Il tono ironico non mi va, da qualunque
-parte proceda; e i patti chiari....
-</p>
-
-<p>
-— Fanno i buoni amici, manco male; — interruppe
-il commendatore Gerardo, sperando di
-ravviare la conversazione.
-</p>
-
-<p>
-— No, — ribattè Aldo De Rossi, — il proverbio
-non è giusto. Tra amici non occorre far
-patti di nessuna specie. Diciamo invece che i patti
-chiari fanno i buoni nemici. Infatti, — soggiunse,
-guardando l’Anselmi, — ci sono i buoni nemici;
-cioè quelli che si conoscono tali e non giuocano
-più ad ingannarsi.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Il contino Anselmi rispose al discorso di Aldo
-De Rossi con un cenno del capo, che aveva del
-saluto, del ringraziamento e dell’altro ancora.
-</p>
-
-<p>
-La conversazione, come potete immaginarvi, non
-<span class="pagenum" id="Page_300">[300]</span>
-andò più oltre. Camilla aveva alzati gli occhi e
-non le era sfuggito il gesto sarcastico dell’Anselmi,
-nè lo sguardo di minacciosa promessa con
-cui gli rispondeva il De Rossi.
-</p>
-
-<p>
-— Vogliamo tornare all’albergo? — diss’ella,
-rivolgendo il discorso ai Vezzosi.
-</p>
-
-<p>
-Elena, più morta che viva, fece uno sforzo supremo
-per alzarsi dal sedile. Gerardo e il cavaliere
-Sestavalle furono subito in piedi; il presidente
-gran croce si stimò fortunato di poterli
-imitare. Quella scena agrodolce aveva seccato il
-nostro gravissimo personaggio, che in quel momento
-malediceva di sicuro la compagnia dei ragazzi
-e le ragazzate di cui lo facevano spettatore.
-Ma già, colpa sua, signor presidente. Dove c’è
-paglia, c’è sempre pericolo d’incendio. E lei, perchè
-portare la paglia con sè?
-</p>
-
-<p>
-Basta, lasciamo le considerazioni da banda. I
-nostri personaggi escirono dal Rinfresco; Gerardo
-tenendo a braccetto la signora Camilla, il presidente
-Roberti la signora Elena. Il Sestavalle si
-accompagnò alla seconda coppia, ma senza preferenze
-e disposto a correre verso la prima quando
-fosse chiamato. Uomo inarrivabile, e veramente
-Alcibiade, che sapeva trovarsi bene con tutti e in
-ogni circostanza della vita! Egli sarebbe anche rimasto
-coi due giovanotti, quantunque le loro facce
-scure non promettessero una conversazione troppo
-piacevole; ma uno sguardo benigno della signora
-Elena lo aveva tirato daccanto a lei; così il De
-<span class="pagenum" id="Page_301">[301]</span>
-Rossi e l’Anselmi erano rimasti liberi di dirsi quel
-che volevano, e magari anche di accapigliarsi.
-</p>
-
-<p>
-La signora Camilla certamente sospettò qualche
-cosa di questo genere, poichè trattenuto con un
-pretesto il suo cavaliere, lasciò passare avanti
-Elena col presidente gran croce. Rimasta così abbastanza
-vicina ai due rivali inviperiti, le venne
-fatto di cogliere a volo alcune frasi del dialogo
-che essi avevano insieme:
-</p>
-
-<p>
-— Mi dirai ora che cosa è questa scenata? — chiedeva
-l’Anselmi al De Rossi.
-</p>
-
-<p>
-— Signor conte, — rispondeva il De Rossi, — vi
-credevo più intelligente. È proprio un peccato
-che, con tanto spirito, siate così tardo a capire.
-</p>
-
-<p>
-— È dunque una <i>querelle d’Allemand?</i> — riprese
-l’Anselmi.
-</p>
-
-<p>
-— Chiamatela anche così; purchè abbia un seguito; — disse
-Aldo De Rossi.
-</p>
-
-<p>
-— Ed una conclusione; — rispose quell’altro
-stizzito.
-</p>
-
-<p>
-— Tanto meglio; — ribattè il De Rossi.
-</p>
-
-<p>
-Il commendatore Gerardo udì anch’egli, sebbene
-confusamente, qualche cosa del diverbio tra i due.
-</p>
-
-<p>
-— Orbene, — diss’egli, volgendosi a mezzo,
-con un piglio tra l’amichevole e il paterno, — che
-cosa borbottate, voi altri? Spero bene che
-l’avrete finita.
-</p>
-
-<p>
-— Per l’appunto, finita; — disse Aldo.
-</p>
-
-<p>
-— Ci siamo spiegati; — soggiunse il contino. — È
-stato un malinteso; non è vero, De Rossi?
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_302">[302]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Certo, — rispose questi, — e il maggior
-torto è stato il mio.
-</p>
-
-<p>
-— Questo poi no; diciamo il torto d’ambedue, — replicò
-il contino, — e non se ne parli più.
-</p>
-
-<p>
-— Ah, bene! — gridò il commendatore Gerardo,
-e così forte, che potesse udirlo anche il presidente
-gran croce. — Quando lo dicevo io, che non c’era
-una ragione al mondo perchè aveste a leticare! Si
-crede qualche volta di avere udito una parola, ed
-è invece un’altra. Oppure, è quistione di significato,
-e ci si guasta il sangue per nulla.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Frattanto il presidente diceva alla signora Vezzosi:
-</p>
-
-<p>
-— Non so che diamine sia saltato in capo a
-quei due giovinotti. Ci avete capito nulla, voi,
-Donna Elena?
-</p>
-
-<p>
-— Io no; e voi, cavaliere? — diss’ella, volgendosi
-al Sestavalle.
-</p>
-
-<p>
-— Neppur io; — rispose l’Alcibiade. — Qualche
-piccola ruggine, forse. Ma sentite, parlano insieme
-e Gerardo li mette in pace. Dev’essere
-tutto appianato, oramai.
-</p>
-
-<p>
-— Meno male; — conchiuse il presidente. — Perchè,
-a dirvela schietta, noi vecchi ci troviamo male, in
-questi litigi della gioventù. Sarebbe stata veramente
-una noia per me, se fossero andati più oltre delle parole,
-e questa sera medesima avrei fatte le valigie.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Il presidente Roberti capiva benissimo che la
-cagione di quell’alterco era la sua bella nipote. E
-si disponeva a fare una solenne ramanzina, anche
-a rischio di vederla accolta come tante altre. Non
-<span class="pagenum" id="Page_303">[303]</span>
-vi formate da ciò una cattiva idea della signora
-Camilla. È degli zii lo sgridare per cose da nulla,
-e specialmente a torto, quantunque con le migliori
-intenzioni del mondo; è delle nipoti il ridere, specie
-quando si sa di non aver nulla da rimproverarsi.
-Del resto, se una risatina è testimonianza
-di poco ossequio, un abbraccio è prova d’amore,
-e i vecchi zii, da tempo immemorabile, amano più
-questo che l’altro.
-</p>
-
-<p>
-Intanto che si preparava a ridere con lo zio,
-la signora Camilla rideva col suo cavaliere. Veramente
-non ne aveva una gran voglia; ma bisognava
-fingere, non dare a divedere il proprio turbamento.
-Come sarebbe andata volentieri innanzi
-con Elena, lasciando tutti i signori uomini insieme!
-Elena doveva sapere la cagione di quella improvvisa
-sfuriata di Aldo De Rossi. Certamente, egli
-era escito fuori dei gangheri per qualche discorso
-della signora Vezzosi. E questo bisognava sapere,
-per regolarsi con tutti. Ma non si poteva neanche
-strappare l’amica dal braccio dello zio, senza aver
-l’aria di una capricciosa, la quale non sapesse far
-altro che pazzie. Perciò si trattenne, e ragionò
-col signor Gerardo di cose inconcludenti, che parvero
-divertirla un mondo, tanto ne rise.
-</p>
-
-<p>
-— Signora, — le disse il contino Anselmi, avvicinandosi
-a lei, mentre erano poco lungi dall’albergo
-della Pace, — verrete questa sera al Casino?
-</p>
-
-<p>
-— Credo di no; — rispose ella. — Mio zio
-deve essere stanco.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_304">[304]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Se non si tratta che di ciò, — entrò a dire
-Gerardo, — potremo accompagnarvi noi altri.
-</p>
-
-<p>
-— Grazie; anch’io amo riposare. Starò a fare
-quattro ciarle con Elena. Siamo state così poco
-insieme, quest’oggi!&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Mentre l’Anselmi si era accostato alla signora
-Camilla, Aldo De Rossi veniva innanzi da solo,
-e sdegnando di seguire il viale. Forse, poichè era
-venuto ai ferri corti col suo nemico, non sentiva
-più la dolorosa curiosità di udire i discorsi che
-si facevano tra lui e la signora Camilla. Perciò,
-quasi ad ostentare la propria noncuranza, era andato
-a spaziare nel mezzo dello stradone.
-</p>
-
-<p>
-La signora Elena lo vide con la coda dell’occhio,
-e avrebbe voluto mandare il Sestavalle a
-tenergli compagnia; ma erano oramai al termine
-della loro passeggiata e non occorreva più usargli
-quest’atto di misericordia.
-</p>
-
-<p>
-— Vuol dire, — fece l’Anselmi, quando si fu
-davanti all’uscio dell’albergo, — che questa sera
-le signore...
-</p>
-
-<p>
-— Riposeranno; — interruppe la signora Elena,
-che aveva indovinato il resto della frase, e che
-aveva sentito dianzi il discorso di Camilla. — Perciò
-i cavalieri son liberi; meno il Sestavalle,
-che avrà la bontà di portarmi in camera il libro
-che m’ha promesso stamane.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-L’Alcidiade fece il gesto dell’uomo che non si
-raccapezza. Ma uno sguardo della signora Elena
-lo richiamò all’intelligenza della scena.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_305">[305]</span></p>
-
-<h2 id="cap19">XIX.</h2>
-</div>
-
-<p>
-Aldo De Rossi e il contino Anselmi, salutate
-con gran cerimonia le dame, si allontanarono dall’uscio,
-e la signora Elena li vide traversare lo
-stradone per recarsi al Casino.
-</p>
-
-<p>
-Il cavaliere Sestavalle salì le scale in compagnia
-delle signore. Come furono sul terrazzino scoperto
-che metteva dal primo pianerottolo al corridoio
-dell’albergo, la signora Elena disse al vecchio
-Alcibiade:
-</p>
-
-<p>
-— Ora scenderete nella vostra camera, e prenderete
-il primo libro che vi verrà tra le mani.
-</p>
-
-<p>
-— Ahimè, donna Elena! — esclamò il Sestavalle. — Se
-non vi porto l’orario delle strade
-ferrate!...
-</p>
-
-<p>
-— Anche l’orario, purchè me lo portiate tra
-dieci minuti nel salottino di Camilla.
-</p>
-
-<p>
-— Ora che ci penso, — ripigliò l’Alcibiade, — ci
-ho anche una Guida di Firenze.
-</p>
-
-<p>
-— Benissimo; andate e portate la Guida.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_306">[306]</span>
-</p>
-
-<p>
-Si entrò nel corridoio. Il Sestavalle scese per
-una scaletta interna, che metteva alla sua camera;
-le signore proseguirono verso il quartierino di
-Camilla, dove Elena voleva far sosta. Gerardo,
-indettato da sua moglie, propose al presidente
-gran croce una discesa nella sala di lettura.
-</p>
-
-<p>
-— È ancora così presto! — diss’egli. — Come
-si fa a prender sonno?&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Le signore entrarono nel salottino e andarono
-a sedersi su quel canapè, di cui già conoscete
-l’esistenza. Erano ambedue sovra pensieri, e per
-quella volta non ci fu continuazione di dialogo.
-Poco stante bussarono all’uscio. Era il Sestavalle
-che giungeva col libro.
-</p>
-
-<p>
-— Ecco il pretesto; — diss’egli, sorridendo, — che
-cosa mi comandate, donna Elena?
-</p>
-
-<p>
-— Non comando; vi prego....
-</p>
-
-<p>
-— Tornerebbe lo stesso: ma io amo i vostri
-comandi.
-</p>
-
-<p>
-— Sia; vi comanderò dunque di andare al Casino,
-dove passerete un’ora, due ore, quanto sarà
-necessario.
-</p>
-
-<p>
-— Necessario! A che cosa?
-</p>
-
-<p>
-— A sapere quel che fanno, o quel che contano
-di fare i due signorini.
-</p>
-
-<p>
-— Ah! — disse l’Alcibiade. — Quei due che
-si sono riscaldati al Rinfresco?
-</p>
-
-<p>
-— Per l’appunto. Ma badate, Sestavalle; voi
-non avrete l’aria di esser mandato da noi.
-</p>
-
-<p>
-— Che, vi pare? Sono un uomo di giudizio.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_307">[307]</span>
-</p>
-
-<p>
-— E neppure dovete parere troppo curioso.
-All’occorrenza dovete lasciar credere di non esservi
-neanche accorto del loro diverbio.
-</p>
-
-<p>
-— Benissimo. E poi?
-</p>
-
-<p>
-— E poi dovrete correre qua per informarci
-di tutto; — entrò a dire Camilla. — Non avete
-capito di che cosa si tratta?
-</p>
-
-<p>
-— Ho capito, ho capito, bella signora; — rispose
-l’Alcibiade. — O piuttosto avevo creduto di capire,
-laggiù al Rinfresco; ma poi, dopo che si
-son dati spiegazioni....
-</p>
-
-<p>
-— Ah, e voi credete alla commedia delle spiegazioni?
-Dite piuttosto, cavaliere, che volete calmare
-i nostri timori.... Ma noi, come vedete, non
-ci lasciamo abbattere dalla paura, nè ingannare
-dalle pietose bugie.
-</p>
-
-<p>
-— Siete una bella Amazzone; — disse il Sestavalle,
-infiammandosi. — Andrò, dunque, osserverò,
-scoprirò ogni cosa, e verrò a darvene
-ragguaglio.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Camilla, per quanto poca voglia ne avesse, non
-potè far a meno di ridere di quell’entusiasmo senile.
-E porse la sua bella mano all’Alcibiade, che
-vi stampò un bacio, ma di quelli che s’usavano
-ancora sotto i cessati governi.
-</p>
-
-<p>
-Quasi sarebbe inutile il dirvi di che prendessero
-a ragionare le due dame, a mala pena rimasero
-sole. Dovrei io raccontare a voi, lettori di pronto
-ingegno, che si parlò della lettera di Camilla e
-che Elena confessò di averla fatta leggere al De
-<span class="pagenum" id="Page_308">[308]</span>
-Rossi? E che Camilla, dal canto suo, aveva già
-indovinata la cosa, prima che la confessione di
-Elena venisse a confermargliela? E che non ne
-fu niente scontenta? E che la signora Elena si
-rifece da capo alle sue esortazioni, sacrificandosi
-nobilmente all’amicizia, con quella intensità di
-desiderio, con quella profondità di soddisfazione,
-che tutti abbiamo provata in un giorno della nostra
-vita, quando ci parve di aver messo d’accordo
-la voce della nostra coscienza con la felicità
-del nostro simile? E che la signora Camilla, finalmente....
-Ma basta; se no, con l’aria di non volervi
-dir nulla, vi spiffero ingenuamente ogni cosa.
-</p>
-
-<p>
-Sarebbe meglio per me di seguitare l’Alcibiade
-nelle sale del Casino. Ma tant’è, mi dispiace di
-abbandonar le signore, e preferisco di cogliere il
-mio uomo, nel punto in cui egli ritorna dal Casino
-all’albergo della Pace.
-</p>
-
-<p>
-Erano le nove di sera, quando il cavaliere Sestavalle
-entrò per la seconda volta nel salottino
-della signora Camilla. Le due dame erano sole e
-dovevano restar sole ancora un bel pezzo, poichè
-il presidente gran croce aveva trovato un avversario
-degno di lui al giuoco degli scacchi, e proprio
-allora incominciava a dargli la rivincita, assistito
-dal commendatore Gerardo, che ne capiva
-poco, ma si dava l’aria di saperne moltissimo e
-di trovarci un gusto matto. Che fare, del resto?
-Bisognava pure ammazzare il tempo, aspettando
-l’ora del sonno.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_309">[309]</span>
-</p>
-
-<p>
-Il cavaliere Sestavalle giungeva carico di notizie,
-e della più alta importanza. Le signore avevano
-indovinato; era guerra dichiarata, guerra ad
-oltranza fra i due giovanotti. L’Anselmi cercava
-padrini da una parte; il De Rossi cercava padrini
-dall’altra; o, per dire più veramente, ne cercavano
-tutt’e due nel medesimo luogo, mentre
-in una sala si cantava e nell’altra si giuocava a
-biliardo. Il povero Sestavalle era appena capitato
-nella sala del pianoforte, che già doveva sostenere
-un fierissimo assalto. Il contino Anselmi era
-stato il primo a vederlo, e lo aveva afferrato, condotto
-in una camera attigua, messo tra l’uscio e
-il muro, chiedendogli per somma grazia che volesse
-fargli da padrino.
-</p>
-
-<p>
-Padrino, lui? In un duello? Sicuramente, lui,
-il cavaliere Sestavalle. Già, dice il proverbio che
-in mancanza di cavalli si fanno trottare.... altri
-quadrupedi. L’Alcibiade, così pregato e scongiurato
-dal contino Anselmi, era stato un po’ in forse,
-ma due considerazioni vinsero le sue esitanze. Il
-Sestavalle non era nuovo del tutto alle armi, poichè
-aveva prestato lunghi e onorati servizi nella
-guardia nazionale, buon’anima sua; ed anzi, appunto
-a dieci anni di spalline, nobilmente portate
-in pro’ del palladio, andava debitore della sua croce
-di cavaliere. Lo vedete anche voi, lettori umanissimi,
-<i>noblesse oblige</i>. Inoltre, come non accogliere
-la domanda dell’Anselmi, se quello era il
-miglior modo di saper tutto? Senza averlo chiesto
-<span class="pagenum" id="Page_310">[310]</span>
-senza aver mostrato di desiderarlo, egli entrava
-di botto nella questione, e avrebbe potuto riferirne
-i più minuti particolari alle dame.
-</p>
-
-<p>
-Egli aveva dunque accettato, premettendo tuttavia
-di non avere una gran pratica di quelle faccende.
-Ma di ciò non si dava pensiero l’Anselmi.
-A lui era necessario anzi tutto di avere un padrino
-serio e discreto, che conoscesse le cagioni
-dello scontro e la impossibilità di evitarlo. Quanto
-ai particolari, alle piccole cure dell’ufficio, bastava
-l’altro padrino, un giovinotto forastiero, che l’Anselmi
-aveva conosciuto all’albergo della Torretta.
-E qui, senza por tempo in mezzo, il contino presentò
-al Sestavalle il suo compagno di seccatura.
-I due padrini si ricambiarono i saluti d’obbligo;
-e il nuovo venuto ricordò amabilmente al Sestavalle
-di averlo veduto qualche giorno prima alla
-Speranza, insieme con due belle signore che avevano
-fatta una partita al biliardo. L’Alcibiade rammentò
-a sua volta il giovine forastiero, che
-giuocava a picchetto con la sua elegantissima
-compagna. Essersi veduti una volta, era già
-una mezza conoscenza; da far da padrini insieme
-era un’amicizia senz’altro. E come amici si strinsero
-la mano; dopo di che, andarono ad abboccarsi
-coi padrini del signor Aldo De Rossi.
-</p>
-
-<p>
-Aldo, infatti, aveva già trovati i suoi; un maggiore
-di fanteria ed un professore di storia naturale.
-Le due professioni non erano troppo bene
-assortite; ma il De Rossi non aveva avuto mica
-<span class="pagenum" id="Page_311">[311]</span>
-il tempo di scegliere. Quei due gentiluomini erano
-dei pochissimi con cui egli avesse barattato parole
-al Casino. Del resto, se uno era guerriero,
-e, per conseguenza, pratico d’armi, l’altro era medico,
-e, per conseguenza, pratico di ferite. E dato
-l’ufficio a cui essi dovevano prestarsi, l’assortimento
-c’era.
-</p>
-
-<p>
-Quattro persone educate non durano fatica a
-trovarsi d’accordo. Aggiungete che, per desiderio
-espresso dei loro primi, dovevano metterci anche
-una certa dose di buona volontà. La quistione
-era delicatissima, ma senza difficoltà; o, per dire
-più veramente, le difficoltà c’erano, ma i due primi
-non volendo dir chiaro e tondo come fosse nata
-e volendo invece far presto, non lasciavano appigli,
-nè gretole, a quei curiosi cavillatori che
-sono per solito i padrini. La scelta delle armi
-poteva essere un guaio, non sapendosi bene chi
-fosse lo sfidatore e chi lo sfidato, o chi il provocatore
-e chi il provocato; ma anche questa
-difficoltà era appianata dal fatto che ai bagni di
-Montecatini non si sarebbero trovate due spade,
-nè due sciabole, dato il caso che si volesse fare
-un duello all’arma bianca, mentre uno dei padrini
-aveva per l’appunto nelle sue valigie un bel paio
-di pistole, che pareva proprio il fatto loro. I due
-primi ne avevano pochi degli spiccioli, e meno
-da spicciolare; il mezzo più sbrigativo era dunque
-di farli battere alla pistola. Si andava di buon
-mattino a Monsummano alto. Il pretesto era pronto:
-<span class="pagenum" id="Page_312">[312]</span>
-una passeggiatina igienica. Lassù, tra le rovine
-del vecchio castello, all’aria aperta, due colpi per
-uno erano presto sparati. Se poi i due combattenti
-ne avessero voluti di più, andassero a cercarsi
-un’altra coppia di padrini per ciascheduno;
-essi, i facili ordinatori della giostra, non volevano
-prestarsi alla continuazione del giuoco, nè aver
-aria di tentare il diavolo oltre i limiti della discrezione.
-</p>
-
-<p>
-Il nostro povero Sestavalle era rimasto un po’
-sbalordito da quel modo spicciativo di concertare
-le cose. Ma già, egli non aveva pratica e doveva
-lasciare il mestolo a chi sapeva maneggiarlo. E
-perciò s’era contentato di dir sempre: <i>et cum spiritu
-tuo.</i>
-</p>
-
-<p>
-Frattanto, poichè la ricerca affannosa dei padrini,
-il loro abboccamento, e infine i negoziati
-erano stati fatti nel corso di un’ora, nelle sale
-del Casino, la gente radunata colà non aveva tardato
-a insospettirsi. I quattro padrini si separavano
-appena, per recarsi ad informare d’ogni cosa
-i loro primi, che già la voce del duello imminente
-si era sparsa nella sala da giuoco, e di là
-nella sala da ballo.
-</p>
-
-<p>
-Il nostro Sestavalle, fatto il debito suo con l’Anselmi
-e promessogli di ritornare più tardi per gli
-opportuni concerti, stava già per infilar l’uscio
-dell’anticamera, quando si vide impedire il passo
-da una bella signora. La cosa gli sarebbe tornata
-piacevole in ogni altra occasione, ma non allora,
-<span class="pagenum" id="Page_313">[313]</span>
-poichè egli era impaziente di giungere all’albergo
-della Pace, dove lo aspettavano le sue belle curiose.
-Ma bisognava fare di necessità virtù, e
-l’Alcibiade si era rassegnato, riconoscendo la signora
-Augusta Maravigli, soprano assoluto, che
-appunto quella sera, mentre egli ragionava d’armi
-e d’armati, s’era fatta applaudire dalla società del
-Casino, cantando con molto sentimento il <i>Vorrei
-morire</i> del mio amico Tosti.
-</p>
-
-<p>
-Non so se la signora Augusta Maravigli volesse
-morir lei davvero; ma certamente non voleva
-lasciar morire gli altri, e meno di tutti l’Anselmi.
-</p>
-
-<p>
-— Signor.... signor.... — aveva incominciato
-la diva, mostrando, insieme con la perplessità della
-parola, il rammarico di non sapere il nome dell’uomo
-a cui voleva contendere il passo.
-</p>
-
-<p>
-— Emilio Sestavalle, a’ suoi comandi; — aveva
-risposto lui, ma col gesto di uno che non amava
-di restarci troppo.
-</p>
-
-<p>
-— Signor Sestavalle, perdoni; il conte Anselmi
-ha un duello....&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Così l’alunna d’Euterpe entrava risolutamente
-in materia. E perchè il cavaliere Sestavalle si
-stringeva nelle spalle e allungava il muso, col
-desiderio evidente di non risponder altro, la signora
-Augusta proseguì:
-</p>
-
-<p>
-— Non mi dica di no. Lei è uno dei suoi padrini.
-So tutto.
-</p>
-
-<p>
-— Signora, poichè Ella sa tutto....&#160;—
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_314">[314]</span>
-</p>
-
-<p>
-E così dicendo, l’Alcibiade si tirava rispettosamente
-da un lato, come in atto di riverirla, per
-proseguire la sua strada. Ma una scappata di quella
-fatta non comodava punto alla signora Augusta
-Meravigli.
-</p>
-
-<p>
-— Perchè questo duello? — diss’ella, mettendogli
-audacemente la mano sopra un bottone del
-soprabito. — E per chi? Per una donna, non è
-vero?&#160;—
-</p>
-
-<p>
-E fremeva di sdegno, parlando in tal guisa, e
-schizzava fuoco dagli occhi. Un poeta della vecchia
-scuola avrebbe pensato al corruccio di Giunone,
-quando la Dea ebbe fumo delle prime scappatelle
-di Giove. Ma il nostro Sestavalle non era
-un poeta, e quello, del resto, non era un momento
-da paragoni classici.
-</p>
-
-<p>
-— La prego; — diss’egli; — lasciamo stare
-le donne. Il bel sesso si cita mal volentieri, in
-queste faccende.
-</p>
-
-<p>
-— Perchè? Se fossi un uomo, intenderei la
-sua riserbatezza e l’avrei anche per una lezione
-meritata; — rispose la signora Augusta. — Ma sono
-donna anch’io... Ed ho il diritto di sapere... L’avverto,
-signor Sestavalle, ho il diritto di sapere!...
-</p>
-
-<p>
-— Eh, non dico il contrario; — replicò il Sestavalle. — Ma
-in questo caso, mi voglia perdonare
-l’osservazione indiscreta.... o perchè non chiederne
-direttamente a lui?&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Ad una domanda così ragionevole, la signora
-Augusta rispose con un gesto d’impazienza.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_315">[315]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Signor Sestavalle, — soggiunse poscia, con
-aria tra lusinghiera e solenne; — Lei è un uomo?
-</p>
-
-<p>
-— Signora.... — balbettò l’Alcibiade, chinando
-la testa e stendendo le braccia, in atto di umiltà. — Un
-pover uomo, se vuole.... ma un uomo.
-</p>
-
-<p>
-— Ella dunque sarà cortese con le donne. È
-uomo e ne ha l’obbligo.
-</p>
-
-<p>
-— Sicuramente.... sicuramente!
-</p>
-
-<p>
-— Dunque, la prego, venga con me.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Anche a voler fare diverso, l’Alcibiade non
-avrebbe potuto liberarsi, poichè la signora Augusta
-teneva sempre quel benedetto bottone. E
-il bottone e il suo proprietario si lasciarono trascinare
-fino ad uno dei sedili che erano sul terrazzino.
-</p>
-
-<p>
-— Mi stia a sentire; — ripigliò la cantante,
-com’ebbe preso posto sul sedile e obbligato il
-Sestavalle a fare altrettanto. — Vuol meritare la
-mia amicizia?
-</p>
-
-<p>
-— Che dice, signora? È il mio voto più ardente; — rispose
-l’Alcibiade, tirato dalla consuetudine
-alle fioriture del linguaggio galante. — Mi
-dica che cosa debbo fare per ottenerla.
-</p>
-
-<p>
-— Questo duello è impossibile; — riprese la signora
-Augusta. — Non mi conviene; non deve farsi.
-</p>
-
-<p>
-— Ma, signora....
-</p>
-
-<p>
-— Capisco; ciò che non conviene a me, potrebbe
-convenire invece a Lei ed ai suoi degni
-colleghi. Già, lor signori, quando possono veder
-spargere il sangue del loro simile!...
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_316">[316]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Oh, non me ne parli, per carità! — interruppe
-il calunniato Alcibiade. — Io amare gli
-spargimenti di sangue? E del mio simile, per
-giunta? Ma neanche d’un bue; neanche d’un
-agnello; che non sono nè l’uno nè l’altro miei
-simili, se non forse per qualche qualità morale,
-come potrebbero insinuare i maligni. Io, veda,
-sono in questo pasticcio, perchè.... In fede mia,
-è il caso di domandarlo; perchè ci sono? Lo
-ignoro. Mi ci sono trovato contro la mia volontà,
-quasi senza avvedermene. Ma ora che ci sono,
-capirà, ci ho da stare e non è in poter mio di
-disfare ciò che è stato fatto, di sconcertare ciò
-che è stato concertato.
-</p>
-
-<p>
-— Per quando? — chiese la diva, cogliendo
-la frase al volo.
-</p>
-
-<p>
-— Oh, questo non lo so.
-</p>
-
-<p>
-— Come, non lo sa? Un padrino?
-</p>
-
-<p>
-— Signora, è proprio così come ho l’onore
-di dirle. Non lo so, perchè di questo non si è
-ancora parlato. Ma certo, — soggiunse il Sestavalle,
-facendosi forte dietro il riparo della propria
-ignoranza, — quand’anche lo sapessi.... cioè,
-quand’anche fosse stato combinato il giorno e
-l’ora, io non potrei in coscienza dir nulla. Ci
-sono certe norme di delicatezza cavalleresca, che,
-non si possono violare per nessuna ragione, e
-neanche per far piacere alla più bella donna del
-mondo.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Briccone d’un Alcibiade! Come ripigliava il possesso
-<span class="pagenum" id="Page_317">[317]</span>
-di scena, che l’improvviso attacco gli aveva
-fatto smarrire!
-</p>
-
-<p>
-Ma neanche il complimento del vecchio cortigiano
-poteva ammansire la diva sdegnata.
-</p>
-
-<p>
-— Badi! — gridò ella. — Farò uno scandalo.
-Questo duello per un’altra donna non mi va, e
-non lo voglio. Ha capito? Non lo voglio. Per
-un’altra donna! — ripetè, con accento d’amarezza. — Per
-un’altra donna! Dio sa poi che roba!&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Alcibiade era buono, due volte buono; ma
-non tre, badate, non tre. Quella bottata all’albergo
-della Pace gli fece salire la mosca al naso.
-</p>
-
-<p>
-— Signora, — diss’egli con un certo sussiego, — Io
-non so proprio che farci. I miei obblighi
-sono pochi e determinati. Mi rincresce che abbiano
-a cozzare co’ suoi desideri, ma che vuole?
-io non ci ho colpa e mi resta il dispiacere di
-non poterla contentare. Veda Lei, se le riesce di
-persuadere il conte Anselmi.... Io le auguro magari
-un trionfo. Buona notte!&#160;—
-</p>
-
-<p>
-E approfittando della circostanza che la signora
-Augusta aveva lasciato poc’anzi il bottone del suo
-soprabito, l’Alcibiade si sottrasse con una riverenza
-frettolosa alle noia di quella inutile conversazione.
-</p>
-
-<p>
-Cinque minuti dopo, era giunto all’albergo e
-vuotava il sacco delle notizie ai piedi delle dame.
-</p>
-
-<p>
-Com’egli fu a raccontare l’entrata in scena della
-cantante, personaggio nuovo di cui esse non avevano
-mai udito parlare, la signora Elena atteggiò
-<span class="pagenum" id="Page_318">[318]</span>
-le labbra ad un sorrisetto malinconico, che voleva
-dir molto. Voleva dire, per esempio, che il destino
-serviva assai bene il signor Aldo De Rossi, e assai
-male la signora Vezzosi. Ma questa aveva buon
-cuore, e non era solamente rassegnata alla sua
-sconfitta, ma anche desiderosa di affrettarla. Perciò
-al sorrisetto malinconico tenne dietro una osservazione
-come questa:
-</p>
-
-<p>
-— Ah! il signor conte ci aveva l’amica a Montecatini?
-Vo’ fargli i miei complimenti.
-</p>
-
-<p>
-— Questa amica è forse una provvidenza per
-noi; — esclamò la signora Camilla.
-</p>
-
-<p>
-— Una provvidenza! E in che modo?
-</p>
-
-<p>
-— Or ora lo vedrai. Sestavalle, a noi! Il riserbo
-cavalleresco non vi permette di dire alla
-più bella donna del mondo l’ora e il luogo dello
-scontro; ma a noi che non siamo la signora Augusta
-Meravigli....&#160;—
-</p>
-
-<p>
-L’Alcibiade, che aveva capito dove la signora
-Camilla volesse andare a battere, fu pronto ad
-interrompere la frase.
-</p>
-
-<p>
-— A voi, che siete due meraviglie, — diss’egli, — racconterò
-tutto, dall’a fino alla zeta. I nostri
-due primi si batteranno domattina. Salvo
-qualche piccolo cambiamento, che potrebbe essere
-stabilito più tardi, il barone Marcovic, che è
-l’altro padrino e mio collega, verrà dalla Torretta
-all’Albergo della Pace, insieme col contino
-Anselmi, verso le cinque. E alle cinque in punto
-si partirà tutti, in due carrozze, per Monsummano,
-<span class="pagenum" id="Page_319">[319]</span>
-donde, col pretesto di una gita igienica, come
-mi pare d’avervi già detto, si salirà fino alla vetta
-del monte. Ahimè! — soggiunse l’Alcibiade sospirando. — Penso
-già con dolore a quella ripida
-ascesa.
-</p>
-
-<p>
-— Benissimo; — esclamò la signora Camilla;
-senza darsi un pensiero al mondo dei dolori dell’amico
-Sestavalle. — Queste cose dovrà saperle
-anche la signora Meravigli.
-</p>
-
-<p>
-— Anche lei! — gridò l’Alcibiade, stupito. — E
-perchè? E chi si prenderà la cura di andargliele
-a dire?
-</p>
-
-<p>
-— Il perchè lo so io; — rispose Camilla. — Quanto
-all’ambasciatore, sarete voi. Sicuramente
-le siete debitore di questo piccolo uffizio, dopo
-averla piantata là al Casino, come Olimpia sullo
-scoglio.
-</p>
-
-<p>
-— Ma io, signora mia.... Pensate....
-</p>
-
-<p>
-— Ho pensato a tutto. Col pretesto di vedere
-l’Anselmi per qualche nonnulla, dimenticato nella
-fretta, dovete andare all’albergo, dove essa è alloggiata.
-</p>
-
-<p>
-— La cantante sarà ancora al Casino; — disse
-l’Alcibiade.
-</p>
-
-<p>
-— Meglio così; la vedrete al Casino, e troverete
-il modo di farle avere una lettera.
-</p>
-
-<p>
-— Una lettera! E di chi, se è lecito?
-</p>
-
-<p>
-— Una lettera che scriverò io. Infatti, guardate,
-incomincio.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-E mandando i fatti compagni alle parole, la
-<span class="pagenum" id="Page_320">[320]</span>
-signora Camilla si pose allo scrittoio, per buttare
-su d’un foglietto di carta pochi versi della sua
-calligrafia aristocraticamente sottile. Indi, piegato
-il foglio e ficcatolo nella sua sopraccarta, scrisse
-il ricapito: <i>Alla signora Augusta Meravigli</i>.
-</p>
-
-<p>
-— Eccovi qua; — diss’ella, consegnando la lettera
-al cavaliere; — andate.
-</p>
-
-<p>
-— Signora.... — balbettò egli. — È presto
-detto: andate! Sono il padrino dell’Anselmi....
-onore che non ho cercato io! Come volete che
-lavori ad impedire il duello che ho aiutato a
-concertare? Perchè questa è la vostra idea, non
-è vero?
-</p>
-
-<p>
-— Orbene, e se lo fosse?
-</p>
-
-<p>
-— Se lo fosse, — ripigliò l’Alcibiade, — non
-toccherebbe a me di prestarvi mano. Figuratevi!
-Se lo risapessero mai i padrini avversari!... Infine,
-considerate che non sono in questo pasticcio per
-colpa mia....
-</p>
-
-<p>
-— Ci siete per colpa nostra; — rispose Camilla. — Ci
-siete in qualità di nostro schiavo,
-e dovete obbedire; altrimenti, badate, mi metto
-la mantellina sulle spalle, prendo il vostro braccio,
-vado io al Casino, e faccio una scena che vi piacerà
-poco.
-</p>
-
-<p>
-— Signora, voi siete feroce! Andrò, come volete,
-andrò; ma vi avverto che mi metto in un
-brutto impiccio. Entrerò nella fossa dei leoni, e
-senza essere Daniele.
-</p>
-
-<p>
-— Non temete, penso io a salvarvi dalle loro
-<span class="pagenum" id="Page_321">[321]</span>
-unghie. Ma andate, in nome di Dio! Sento nel
-corridoio i passi di mio zio e del signor Gerardo.
-Quando avrete fatta l’ambasciata, tornate a darmene
-avviso; vi aspetto.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-L’Alcibiade chinò la testa ed uscì dal salottino.
-</p>
-
-<p>
-— Che cosa hai scritto alla cantante? — domandò
-la signora Vezzosi all’amica.
-</p>
-
-<p>
-— Lo saprai più tardi; ora non avrei tempo a
-dirtelo. L’essenziale è d’impedire questo duello.
-</p>
-
-<p>
-— E credi che si potrà? — chiese Elena, scuotendo
-il capo in atto d’incredulità. — Queste ire,
-una volta scoppiate, non si arrestano più.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-L’arrivo di Gerardo e del presidente Roberti
-interruppe il dialogo delle due dame.
-</p>
-
-<p>
-— Orbene, — disse il commendatore Vezzosi, — è
-finita la conversazione?
-</p>
-
-<p>
-— No; — rispose Camilla. — Sestavalle ha
-dovuto andar fuori per una sua faccenda, ma tornerà
-ancora ad augurarci la buona notte. E voi
-prenderete il tè, m’immagino.
-</p>
-
-<p>
-— Tutto quello che voi immaginate, — rispose
-galantemente il Vezzosi, — è quello che
-mi deve accadere. Prenderò il <i>tè</i>.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Non era mica una cosa facile, tenere a chiacchiera
-due uomini come il presidente Roberti e
-il commendatore Gerardo, che erano legati alle
-signore da vincoli di famiglia e di consuetudine,
-che avevano passata una lunga giornata senza far
-nulla, che si erano seccati parecchio, assistendo
-ad un alterco d’amici, sul quale non volevano
-<span class="pagenum" id="Page_322">[322]</span>
-aprir bocca, sebbene ci ritornassero spesso col
-pensiero, e che finalmente avrebbero gradito assaissimo
-di poter seppellire tra le pietose lenzuola
-i fastidi della giornata e il brutto ricordo della
-contesa avvenuta. Eppure, la signora Camilla ne
-venne a capo. Quando la bella birichina voleva
-qualche cosa, non c’era verso di volerne un’altra;
-sto per dire che il cielo si metteva dalla sua e
-si divertiva a vedergli fare un miracolo. Non
-avete mai veduto dei babbi e dei nonni che da
-certi angioletti si lasciano tirare i baffi e levar la
-parrucca? Anche messer Domineddio, a certe sue
-belle creature.... Ma non diciamo eresie; contentiamoci
-di raccontare che la signora Camilla, aiutata
-da Elena, tenne a bada un bel pezzo i due
-gentiluomini, e che ella si disponeva appena ad
-ammannire il <i>tè</i>, quando fu di ritorno il messaggero
-Alcibiade.
-</p>
-
-<p>
-— Ah, bene! — esclamò ella, dandogli un’occhiata
-d’intelligenza. — Capitate a tempo per
-farmi da aiutante.
-</p>
-
-<p>
-— Son qua, donna Camilla, son qua; — disse
-l’Alcibiade, avvicinandosi al deschetto su cui stava
-il vassoio con tutto il bisognevole per «cotanto
-uffizio.»
-</p>
-
-<p>
-— Avete fatto? — gli chiese ella sottovoce.
-</p>
-
-<p>
-— Ogni cosa; — rispose egli nel medesimo
-tono.
-</p>
-
-<p>
-— Ha letto?
-</p>
-
-<p>
-— Sì, ed è rimasta un po’ meravigliata. Ma
-<span class="pagenum" id="Page_323">[323]</span>
-poi ha lodato il vostro passo. Vi servirà, come
-desiderate; quantunque tema di non riuscire. È
-un uomo leggiero, mi disse, e gli uomini leggieri
-vi sfuggono proprio da quel lato per cui vi
-argomentate di tenerli.
-</p>
-
-<p>
-— È una sciocchezza; — rispose Camilla. — Non
-ci sono uomini leggieri. Del resto, — soggiunse, — aspettiamo.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-E alzò gli occhi al cielo, col gesto dell’Arabo
-che commette la sua salute al destino. Ma balenava
-da’ suoi occhi la sicurezza di chi rimettendosi
-all’aiuto del destino, si promette anche di
-dargli una mano.
-</p>
-
-<p>
-— A Elena; — disse poi, versando il <i>tè</i> e porgendo
-la prima chicchera al suo bravo aiutante.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_324">[324]</span></p>
-
-<h2 id="cap20">XX.</h2>
-</div>
-
-<p>
-Quella sera Aldo De Rossi rientrò molto tardi
-all’albergo. Da principio la ricerca dei padrini,
-quindi gli accordi e i preparativi del duello, avevano
-occupato tutto il suo tempo. Alla perfine,
-tutto era concertato, e in guisa di non lasciar
-nulla ai capricci del caso. Le carrozze erano state
-fissate per l’alba, e alle cinque in punto i suoi
-padrini dovevano andarlo a svegliare.
-</p>
-
-<p>
-Per la prima volta, dacchè era a Montecatini,
-Aldo De Rossi andava a letto contento. La rabbia,
-tanto tempo chiusa nel petto, l’aveva finalmente
-sfogata. La condizione uggiosa e ridicola,
-in cui era da parecchi giorni, di amante negletto,
-di osservatore geloso, di rivale infelice, che doveva
-stare alle mosse, parlar dolce con l’amaro
-sulla lingua, sorridere con la voglia di ruggire e
-graffiare, l’aveva chiusa con una brava sfuriata.
-Al giorno seguente la cura di farla finita; per intanto,
-<span class="pagenum" id="Page_325">[325]</span>
-Aldo De Rossi avrebbe dormito sei ore
-senza pensare a nulla. A nulla, mi capite? a nulla!
-</p>
-
-<p>
-Perchè, non so se l’abbiate osservato mai, occorre
-in questi casi uno strano fenomeno. L’uomo
-ha un gran sopraccapo, o un grande struggicuore,
-e per l’uno o per l’altro gli accade di venire ai
-ferri corti con Tizio, o con Caio. Si combina
-lo scontro in piena regola; gli sdegni feroci avranno
-uno sfogo, i dolori acerbi un sollievo. Ed ecco,
-come per incanto, alla vigilia della carneficina, il
-combattente non pensa più alle sue malinconie;
-si direbbe quasi che non ne abbia avuto pur l’ombra.
-Come può succedere una tranquillità così
-grande ad un così fiero scompiglio? Vorrei dirlo,
-ma temo che non sia qui il luogo, nè l’ora. Comunque,
-si può riscontrare questo periodo di
-calma con quella pace improvvisa degli elementi,
-che precede lo scoppio del temporale. L’uomo
-sembra dire a sè stesso: «Sarà per domani; ho
-dunque tempo a pensarci, poichè senza di me non
-si fa nulla, di sicuro.» E quasi quasi non sente
-più ira contro il nemico, la cui immagine abborrita,
-già così spesso presente a’ suoi occhi, è lontana
-mille miglia da lui. Le furie torneranno domani,
-nel momento critico dell’assalto dato o
-respinto; per ora si sta in dormiveglia. La soddisfazione
-di aver trovata la via ad uno sfogo
-onorevole (se onesto, poi, non so dirvi) è quella
-che domina, ed è già per sè stessa una maniera
-di sfogo.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_326">[326]</span>
-</p>
-
-<p>
-Non argomentate da ciò che il nostro eroe
-andasse subito a letto. Un pensiero, anche breve,
-all’impresa futura, bisognava pur darglielo; non
-foss’altro, per provvedere a qualche caso delicato.
-Perciò entrato nella sua camera, Aldo De Rossi
-pensò di scrivere due versi in fretta ad un amico
-fidato.
-</p>
-
-<p>
-«Avrò domattina (così diceva la lettera) una
-piccola seccatura, intorno alla quale, se ne porto
-via la pelle, ti manderò un cenno telegrafico, per
-togliere ogni importanza a questo foglio, quando
-ti verrà tra le mani. Dato poi il caso peggiore,
-e quando tu abbia avuto l’annunzio dalle trombe
-della fama, tu hai a rendermi un servizio da
-amico provato e da cavaliere del buon tempo
-antico. Andrai a casa mia e farai ardere sotto i
-tuoi occhi, con tutta delicatezza, le carte che sono
-entro lo stipo, nella mia camera da letto. Sono
-dolente di non aver fatto io, e da lunga mano,
-questo <i>auto da fe</i>. Certi ricordi del passato non
-dovrebbero sopravvivere ai pensieri e ai sentimenti
-che li rendevano preziosi. Grazie anticipate
-e addio.... se ha da essere addio.»
-</p>
-
-<p>
-Finito di scrivere, Aldo rilesse quel che gli era
-escito dalla penna, e sorrise.
-</p>
-
-<p>
-— In fede mia, — esclamò, — ecco una prosa
-molto fredda, e per il momento in cui è scritta,
-e per l’uomo a cui va. Ma infine che ci ho da
-far io, se non mi si scioglie la vena?&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Infatti, egli non sentiva nulla, nè ardore, nè
-<span class="pagenum" id="Page_327">[327]</span>
-tenerezza. Il cuore di Faraone era indurito, o
-giù di lì.
-</p>
-
-<p>
-Fece alcuni passi per la camera, sorridendo a
-sè stesso, come un uomo che, per la prima volta
-dopo un lungo periodo di sciocchezze, si persuade
-di aver bene spesa la propria giornata.
-Quindi, poichè la giornata era finita ed occorreva
-dargli una chiusa, pensò che il meglio era di andarsene
-a letto.
-</p>
-
-<p>
-Mentre egli stava prendendo quella risoluzione,
-bussarono all’uscio della camera. Forse era il cameriere.
-Aldo ricordava benissimo di non aver
-chiesto nulla; ma non poteva essere frullato in
-testa al cameriere di venire appunto per ciò a
-domandargli se per caso non avesse bisogno di
-qualche cosa? verbigrazia, a che ora del mattino
-volesse essere svegliato? I camerieri d’albergo li
-hanno, qualche volta, questi rimorsi di coscienza,
-che li farebbero creder capaci dei sacrifizi più
-grandi!
-</p>
-
-<p>
-— Avanti! — disse Aldo, senza voltarsi e senza
-rallentare i suoi passi.
-</p>
-
-<p>
-L’uscio si aperse lentamente e qualcheduno si
-affacciò nel vano.
-</p>
-
-<p>
-— Che cosa volete? — chiese Aldo De Rossi,
-nell’atto che compiva la sua passeggiata fino all’angolo
-più lontano della camera.
-</p>
-
-<p>
-Ma la sua dimanda non ebbe risposta. Si volse
-allora, insospettito da un leggiero scalpiccio che
-non accennava punto a ciò ch’egli aveva immaginato
-<span class="pagenum" id="Page_328">[328]</span>
-da principio; si volse, vide che cos’era,
-e diede un sobbalzo; poi restò lì, tra contuso e
-sbalordito.
-</p>
-
-<p>
-— Signora!... — diss’egli; e più non disse,
-tanta era la sua commozione.
-</p>
-
-<p>
-Avrete già indovinato chi fosse la signora, il
-cui improvviso apparire turbava così profondamente
-Aldo De Rossi. Era la signora Camilla,
-che stava ritta ed immobile davanti a lui, a due
-passi dall’uscio; la signora Camilla Rivanera, bella
-come una visione celeste, di quelle che in altri
-tempi usavano visitare i monaci e i pensatori,
-nelle loro celle solitarie. E dico in altri tempi,
-per accennare a quelli della poesia; che i nostri
-sono tempi di prosa e certe visioni sdegnano di
-offrirsi ai mortali.
-</p>
-
-<p>
-La signora Camilla rimase un istante a guardare
-il De Rossi; indi si volse indietro a mezzo
-per richiuder l’uscio, e finalmente venne incontro
-a lui, che non s’era mosso dal suo primo atteggiamento
-di confusione e stupore.
-</p>
-
-<p>
-Ella s’inoltrava, e il giovane la vedeva venire
-incontro a lui, muta e severa come un fantasma.
-</p>
-
-<p>
-Grazioso fantasma, in verità, e in ogni altra occasione
-Aldo De Rossi l’avrebbe accolto a braccia
-aperte. Ma in quell’ora notturna, mentre egli era
-lunge dall’aspettarsi una simile apparizione, ed
-anzi, diciamo tutto, mentre egli non avrebbe mai
-osato sperarla o immaginarla possibile, Aldo De
-Rossi n’ebbe come un capogiro, vacillò e cadde
-<span class="pagenum" id="Page_329">[329]</span>
-su d’una scranna, che, per fortuna sua, era ai
-piedi del letto. Ed ella, come fu presso a lui, si
-fermò, stette un momento a guardarlo, con una
-aria grave, in cui la curiosità si mescolava alla
-tristezza.
-</p>
-
-<p>
-— Non mi aspettavate? — diss’ella, come fu
-giunta presso al De Rossi.
-</p>
-
-<p>
-— No; — rispose Aldo, senza sviar gli occhi
-da lei.
-</p>
-
-<p>
-— Che uomo! — esclamò allora Camilla. — Voi
-non capirete dunque mai nulla!
-</p>
-
-<p>
-— Io.... — balbettò il giovane. — Che cosa
-intendete di dirmi?...&#160;—
-</p>
-
-<p>
-E rimase attonito, pensando a quella frase di
-Camilla. Che cosa doveva egli capire? Per esempio,
-cercando molto tra sè, incominciò a capir questo:
-che ella volesse da lui una viltà. Ma con quale
-intento? Forse per liberarsi da una malleveria
-troppo grave, perchè su lei, solamente su lei,
-sarebbe caduta la colpa del duello.. Forse anche
-per tutelare la vita dell’Anselmi? Questo sospetto
-lo fece fremere di rabbia. E pensò di stare in
-guardia, aspettando che ella scoprisse il suo giuoco.
-</p>
-
-<p>
-— Signora, — riprese egli, tanto per dire
-qualche cosa e ravviare il discorso, — vogliate
-sedervi.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Camilla non rispose parola e non fece neppur
-caso dell’invito di Aldo. In quella vece andò risolutamente
-verso lo scrittoio e prese la lettera
-che il signor De Rossi vi aveva lasciata; guardò
-<span class="pagenum" id="Page_330">[330]</span>
-il ricapito e aperse la busta, senza chieder licenza,
-senza esitare un istante, come se facesse la cosa
-più naturale del mondo. E neppur egli, confuso
-com’era dall’improvvisa apparizione di lei, trovò
-strano che quella donna, entrata là dentro come
-in casa sua, aprisse la lettera che egli aveva finito
-poc’anzi di scrivere.
-</p>
-
-<p>
-La signora Camilla diede una rapida occhiata
-al foglio, e come fu giunta agli ultimi versi, atteggiò
-le labbra ad un sorriso sardonico.
-</p>
-
-<p>
-— Lettere d’altre donne! — esclamò. — Ritratti!
-Fiori appassiti! Non è vero?
-</p>
-
-<p>
-— Signora!...
-</p>
-
-<p>
-— Oh, non importa, dovevo aspettarmelo. Ma
-nella lettera che avete scritta è anche la vostra
-condanna. In verità, dite benissimo; questi ricordi
-non dovrebbero mai sopravvivere ai lieti
-casi, ai dolci episodii di cui fanno testimonianza.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Aldo rimase muto, parendogli indegno di sè e
-di lei un tentativo di giustificazione, che non si
-sarebbe potuto fare, senza aver l’aria di rinnegare
-il passato. Ma quand’anche egli lo avesse voluto,
-Camilla non gliene avrebbe lasciato il tempo.
-</p>
-
-<p>
-— Chi amate voi ora? — ripigliò essa. — Ma
-no, non occorre saperne il nome. È una donna
-da compiangere. Infatti, essa non potrebbe essere
-lieta, sapendo che in un angolo riposto del
-vostro scrigno c’è tanta roba da gettare alle
-fiamme.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-L’accenno doveva riescirle doloroso, poichè ella
-<span class="pagenum" id="Page_331">[331]</span>
-dopo aver dette quelle parole, si lasciò cadere sul
-sofà, che era accanto allo scrittoio, nascondendosi
-il viso tra le palme.
-</p>
-
-<p>
-Aldo non seppe più contenersi. Balzò dalla
-scranna, e avvicinatosi a lei, le prese una mano,
-che strinse amorevolmente tra le sue.
-</p>
-
-<p>
-— Signora.... — diss’egli, con accento supplichevole. — Camilla,
-ve ne prego.... Che significa
-ciò? Di che m’accusate voi? Mia dolce signora,
-è dunque possibile?... E siete voi qui, veramente
-voi? O non sono io piuttosto io che vi
-vedo e vi parlo in sogno?&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Così dicendo, non senza interruzioni, tra sospiri
-e singhiozzi, baciava quella bianca mano,
-che Camilla non gli aveva concessa, ma che non
-aveva pensato neanche a ritrarre. La baciava, dico,
-e finì col bagnarla delle sue lagrime; dolce tributo
-che l’amore dà così spesso e così volentieri
-ad una cara bellezza. E Camilla sentì quelle lagrime,
-e levata la fronte a guardare il piangente,
-con un moto rapidissimo della persona venne a
-nascondere il viso sul petto di lui.
-</p>
-
-<p>
-Qui veramente Aldo De Rossi credette di essere
-innalzato al settimo cielo, se è vero, come
-hanno scritto gli antichi, che i cieli sieno sette
-e non più. Era lui, proprio lui, che stringeva al
-petto quella divina creatura? Era lui, proprio lui
-che aveva sofferto tanto per la freddezza di quella
-donna, e letta poche ore innanzi una sua lettera
-acerba, che pareva fatta per levarlo d’ogni speranza?
-<span class="pagenum" id="Page_332">[332]</span>
-E quella donna che egli credeva di aver
-perduta per sempre, quella donna, proprio allora
-che egli pensava di esserne più lontano che mai,
-era là, commossa, palpitante, nelle sue braccia,
-come una colomba nel nido?
-</p>
-
-<p>
-Quanto durasse la scena non saprei dirvi, nè,
-sapendolo, vorrei. L’uggioso misuratore delle allegrezze
-umane non dimentica nessuno; ma è
-permesso ai felici di dimenticarlo, in uno di quei
-rapimenti sublimi che nello spazio di un’ora concentrano
-le gioie di un’intiera esistenza. Non mi
-chiedete neanche quali pensieri prendessero forma
-nella mente di lui, o di lei; poichè vi sono istanti
-in cui non si pensa affatto, se non per avere una
-vaga coscienza dell’annientamento di questa superba
-facoltà, per cui l’uomo è il più infelice degli
-esseri.
-</p>
-
-<p>
-— Dimmi, — bisbigliò finalmente Aldo all’orecchio
-di lei, — perchè mi odiavi?
-</p>
-
-<p>
-— Perchè?... — rispose ella, destandosi da
-quel dolce torpore dell’anima. — Non amavi tu
-un’altra?
-</p>
-
-<p>
-— No; — disse Aldo, con accento vibrato che
-prorompeva dal cuore. — Te sola.
-</p>
-
-<p>
-— Giuralo! — rispose Camilla, levando la testa
-e fissando i suoi begli occhi nel viso di Aldo. — Giura
-che non amavi Elena, e che il tuo cuore
-non ha mai palpitato per essa. Bada, — soggiunse,
-con un gesto di minaccia. — Avresti avuto
-torto a non amarla, perchè essa è bella tra tutte
-<span class="pagenum" id="Page_333">[333]</span>
-le donne; avresti avuto torto, perchè essa ti ama.
-Se l’hai amata, sii leale ed onesto nel rispondermi.
-Puoi tradirla nel futuro; non devi rinnegarla
-nel passato.
-</p>
-
-<p>
-— Non sarei così vile; — rispose Aldo gravemente. — Per
-tutto ciò che ho di più sacro;
-per la memoria di mia madre, te lo giuro; non
-ho amata mai quella donna. Il mio cuore è pieno
-di te, dal primo giorno che ti ho veduta; ed ho
-veduta te prima di conoscere lei. Il passato.... — soggiunse
-Aldo sospirando; — il passato non è
-più mio. Come lo distruggerei? È la nostra gioventù
-che ha sparsi i fiori della sua ghirlanda
-lungo il cammino: possiamo noi tornare indietro
-a raccoglierli? Una cosa sola possiamo far noi:
-dolerci amaramente di non averli serbati, per incoronarne
-la fronte di colei che ameremo per tutta
-la vita. Credimi, dolce signora; io non ho amato
-Elena, non le ho detto mai parola che potesse
-lasciarle sospettare un’ombra di tenerezza per lei.
-Eppure, io gliene ho dette molte! — notò il giovane,
-crollando mestamente il capo. — Ma tutte,
-sai, tutte per intrattenerla del mio amore per te!
-</p>
-
-<p>
-— Male! — sclamò Camilla. — Si fanno forse
-di queste confidenze ad una donna?
-</p>
-
-<p>
-— Elena è buona; — disse Aldo.
-</p>
-
-<p>
-— Sì, troppo buona; e appunto ciò mi ha dato
-noia; — rispose Camilla, battendo sdegnosamente
-le labbra. — Stimare un uomo per quel che vale....
-almeno, immaginarsi che egli val molto; desiderare
-<span class="pagenum" id="Page_334">[334]</span>
-che le sue labbra vi dicano ciò che i suoi
-occhi v’hanno lasciato sospettare; attendere che
-egli cessi di andare attorno, per non vedere, per
-non seguire, per non servire che voi; e invece....
-non veder nulla, non udir nulla di ciò che speravate
-vedere ed udire; e frattanto, sentirvi offrire
-quell’uomo da un’altra donna, bellissima, non
-c’è che dire, e che ha l’aria di volervi fare un regalo,
-quasi una cessione.... Signor De Rossi, ecco
-ciò che è toccato a me, per colpa vostra. Ditemi
-ora, non eravate un bambino, a diportarvi così?
-E non sentite là dentro un po’ di rimorso?&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Aldo De Rossi vide in quel momento ciò che
-non aveva veduto mai. Delicatissimo nelle cose
-del cuore e punto disposto alle confidenze tra
-uomini, si era lasciato andare a far partecipe del
-suo segreto una donna. Perchè quella debolezza
-sua con la signora Vezzosi? Certo, bisognava
-farle intendere in qual modo, come e perchè egli
-non rispondesse al nascente affetto di lei; certo,
-non era tutta colpa della signora Elena se quell’affetto
-aveva fatto capolino, e il signor Aldo
-degnissimo, con le sue spensierate assiduità in
-casa Vezzosi, doveva riconoscersi per il primo e
-per il maggiore colpevole. Ma dal trovare il modo
-di persuadere gentilmente una donna dell’errore
-in cui essa era caduta, allo spiattellarle intiera e
-nuda la verità, ci correva un bel tratto. Ed era
-poi lui, l’uomo degli amori esclusivi, il fautore
-della massima «o tutto o nulla,» che doveva
-<span class="pagenum" id="Page_335">[335]</span>
-lasciar supporre tante cose alla signora Vezzosi e
-mettersi nella condizione in cui si trovava finalmente,
-davanti alla signora Camilla?
-</p>
-
-<p>
-I criminalisti, in ciò d’accordo coi moralisti,
-richiedono nel delitto, perchè possa chiamarsi tale
-la coscienza e l’intenzione di commetterlo. Dove
-non è intenzione, dove non è coscienza, il delitto
-sparisce e resta semplicemente l’errore. Ma nelle
-cose del cuore, è, scusatemi l’espressione, un altro
-paio di maniche. Dove lo spirito ha obbligo
-d’esser sempre desto e vigilante, non ci sono errori
-perdonabili; ogni errore è delitto. Aldo, anche
-innocente nell’anima sua, aveva errato, doveva
-riconoscersi in colpa.
-</p>
-
-<p>
-— Mi faccio orrore; — diss’egli chinando
-umilmente il capo. — Ma anche voi, Camilla....
-non siete stata troppo lungamente crudele con
-me? Quell’Anselmi, poi!...&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Non avrebbe voluto nominarlo; anzi, aveva
-fatto proponimento di non tirare il discorso da
-quella parte. Ma al povero Aldo De Rossi accadde
-ciò che accade a tutti gl’innamorati, che
-non sanno destreggiarsi, perchè non sanno aspettare,
-e cascano essi primi nei discorsi che vorrebbero
-ad ogni costo cansare.
-</p>
-
-<p>
-— Ah sì, l’Anselmi! — rispose Camilla. — Gran
-che! Ditemi voi, ve ne prego, che cosa ha
-ottenuto l’Anselmi da me.
-</p>
-
-<p>
-— Non so; — balbettò Aldo, chinando gli
-occhi e stringendosi nelle spalle.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_336">[336]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Ah, non mi dite che non lo sapete; — ribattè
-essa con accento severo. — Escirei da questa
-camera, per non vedervi mai più. Siate pure
-geloso; la cosa piace qualche volta alle donne,
-specie quando amano anch’esse davvero. Ma non
-siate mai permaloso, nè ingiusto.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Aldo si fermò a meditare sopra una frase di
-Camilla, che lo aveva colpito.
-</p>
-
-<p>
-— E.... — diss’egli allora con una mezza sospensione,
-che dimostrava la sua paurosa curiosità, — vi
-piace che io sia geloso?
-</p>
-
-<p>
-— No; — rispose Camilla, preparandosi a ridere
-della sua cera scontenta, ed anche, se egli
-non era a dirittura un grande zuccone, a lasciargli
-intendere il contrario.
-</p>
-
-<p>
-Ma, proprio a dirvi le cose come stanno, il
-mio signor Aldo, con tutte le sue belle qualità,
-era un po’ zucca. Non zucca al vento, chè sarebbe
-stato sciocco e vanitoso; ma zucca coricata, zucca
-supina. Poveretto, non so scusarlo, ma non so
-neanche condannarlo, poichè conosco della gente
-che gli somiglia e a cui voglio un gran bene.
-Del resto, lo sapete, Aldo ci aveva quel tal sospetto
-in corpo; il sospetto che Camilla non
-avesse fatto quel passo imprudente, audacissimo,
-di andare da lui, a quell’ora di notte, se non per
-chiedergli una viltà, a vantaggio dell’altro. E il
-dubbio, anche vano, e, peggio che vano, indegno
-di entrambi, gli risorgeva nell’animo.
-</p>
-
-<p>
-— No, — gli aveva risposto Camilla, ridendo. — E
-<span class="pagenum" id="Page_337">[337]</span>
-poi, — aveva soggiunto, vedendo che egli
-non afferrava la celia, — perchè sareste geloso?
-E di che?
-</p>
-
-<p>
-— Di che! — esclamò egli, aggrottando le ciglia. — E
-me lo domandate? Non ho io vedute
-tutte le cortesie che egli vi faceva e l’aria di bontà
-particolare, direi quasi di gratitudine, con cui avete
-sempre mostrato di accoglierle?
-</p>
-
-<p>
-— Dio mio! Dite pure che gli ho data l’erba
-trastulla. E in fede mia, — soggiunse Camilla, — ci
-sarebbe qualche cosa di vero; ma nessuno
-potrebbe dolersene, salvo l’Anselmi. Non mi era
-dunque lecito di stare a vedere che effetto vi facevano
-certe cose, di studiarvi, di scandagliarvi
-un pochino? Alla fine, che mezzo abbiamo noi,
-povere donne, per conoscere se un uomo ci ami
-davvero? Usiamo una pietra di paragone, ecco
-tutto. E poi, ditemi ancora, potevo figurarmi io,
-con tutte le vostre visite di qua e di là, che voi
-mi amaste davvero, come io ho il diritto e la
-pretesa di essere amata?
-</p>
-
-<p>
-— Ed ora, — disse Aldo, — lo sapete, non
-è vero?
-</p>
-
-<p>
-— Sì, perchè un uomo non perde il lume degli
-occhi per una donna, come avete fatto voi, quando
-è presente un’altra che egli ha amata prima, o che
-ha tuttavia mestieri d’ingannare. E come eravate
-splendido ieri al Rinfresco! Vi ho veduto rotar gli
-occhi come una bestia feroce. E senza una ragione
-al mondo; questa è proprio una delle vostre!
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_338">[338]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Già! — esclamò Aldo. — Senza ragione.
-Dopo quella lettera che avete scritta alla vostra
-amica!...
-</p>
-
-<p>
-— Che s’è affrettata a metterla sotto i vostri
-occhi! — rispose Camilla. — Dovevo immaginarmelo.
-La bontà di cuore è sempre così; non
-ha altra smania che di servirvi; tutto per voi e
-niente per sè! Generoso spirito di rinunzia, magnanimo
-sentimento di sacrifizio, chi non vi rende
-giustizia! Io vi ammiro e m’auguro.... di non
-avervi tra i piedi. Ma basti di ciò; — soggiunse
-Camilla, che temeva di andare troppo in là coi
-sarcasmi; — ringraziamo anzi l’amica di avervi
-fatto leggere quel foglio. Se ciò non fosse stato,
-sarei io qui a domandarvi perdono? Perchè, infatti,
-la cosa è proprio così. Strana sorte è la
-nostra! Da padrone a schiave, da superbe a supplichevoli;
-e senza gradazioni, senza neanche un
-po’ di vergogna! Che cosa faccio io qui? come
-ho avuto il coraggio di venirci? Che si direbbe
-di me, quando si risapesse la cosa?&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Aldo scosse la testa, come uomo che sente il
-peso degli argomenti altrui, e battè due o tre
-volte le labbra.
-</p>
-
-<p>
-— Avete ragione; — mormorò egli. — E per
-quanto io sia felice di vedervi qui, debbo pensare
-che c’è un pericolo per voi. Se aprissero
-quell’uscio....&#160;—
-</p>
-
-<p>
-E il signor Aldo, turbato com’era, non ardì
-compire la frase.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_339">[339]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Se lo aprissero!... — rispose Camilla. — Chiudetelo
-a chiave e non ci sarà questo pericolo.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Al signor Aldo balenò davanti agli occhi come
-un’immagine delle beatitudini celesti. Guardò Camilla,
-che reclinava lo sguardo a terra; poi corse
-all’uscio, afferrò la chiave e diede tutt’e due le
-mandate. Ciò fatto, ritornò, veloce come un lampo,
-e cadde alle ginocchia di Camilla.
-</p>
-
-<p>
-— Voi siete un angelo! — le disse.
-</p>
-
-<p>
-Camilla sorrise malinconicamente.
-</p>
-
-<p>
-— Un angelo che perde le ali; — rispose. — Ho
-fatto male e desidero che la cosa non
-passi in esempio. Ma sono così, io; — soggiunse
-tosto con accento più franco. — Avevo
-bisogno di sapere come amate voi, mio bel cavaliere.
-Quanto a me, eccovi come amo; o tutto
-o nulla.
-</p>
-
-<p>
-— Mia dolce signora, lo sapete; — replicò Aldo
-giubilando. — È questo il mio motto.
-</p>
-
-<p>
-— Tanto meglio; — disse allegramente Camilla. — E
-non voglio donne sulla mia strada.
-</p>
-
-<p>
-— Nè io uomini; — ribattè Aldo, sul medesimo
-tono.
-</p>
-
-<p>
-— Gelosia feroce, dunque?
-</p>
-
-<p>
-— Gelosia diabolica. L’amore non ne conosce
-altra. Approvato?
-</p>
-
-<p>
-— E firmato in doppio originale.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Così chiacchieravano, seduti l’uno a fianco
-dell’altro, le mani nelle mani e gli occhi negli
-<span class="pagenum" id="Page_340">[340]</span>
-occhi. Camilla non accennò punto all’alterco di
-Aldo con l’Anselmi, e Aldo dimenticò facilmente
-i primi sospetti. La conversazione si aggirava
-mollemente a mezz’aria, tessuta di quei graziosi
-nonnulla che piacciono tanto agli innamorati e
-fanno scorrere il tempo così veloce. Che cosa
-si è detto? Da che parte si era incominciato e
-dove si era rimasti? Impossibile il ricordarsene.
-Donde qualche volta il rimprovero di lei, o di
-lui. Perchè mai la tal cosa, o la tal altra, che
-aveva pure una certa importanza, non era stata
-rammentata da lui, o da lei? Ma, Dio buono,
-come si fa, a ritenere una sinfonia, che passa per
-tutti i toni, e sfiora e confonde tutte le melodie
-dello spartito? E poi, perchè ritenere solamente
-certi particolari? Non erano tutti importanti ad
-un modo? E il pregio vero del dialogo non era
-forse tutto in quella medesima varietà di soggetti,
-collegati da tenui fila, armonizzati da gradazioni
-insensibili? Inoltre, ci sono delle cose
-che, udite una volta, paiono sublimi; ripetute,
-sviscerate, son nulla, e si possono paragonare a
-quelle nuvolette leggiere, che stanno librate in
-alto, prendendo forma dall’aria che le spinge, e
-colore dalla luce che le investe. La vaghezza è
-tutta nelle apparenze mutevoli; a che si cercherebbe
-la sostanza? Ora, nel dialogo di due innamorati
-la soavità ineffabile è quel susurro di
-due voci che si confondono, è quel bacio che si
-accenna e non si scocca. Un gran pittore ne ha
-<span class="pagenum" id="Page_341">[341]</span>
-foggiato uno nel sasso, ed è parsa idea luminosa,
-come poteva offrirsi all’arte figurativa; ma
-c’è altresì il bacio che nessun pennello può rendere,
-il bacio che si sente nell’aria, il bacio
-che vi sfiora la guancia e vi penetra nel sangue.
-Esso è nella voce cara che vi suona timidamente
-all’orecchio, nello sguardo acceso che v’illumina
-e vi riscalda, nell’alito delicato che vi accarezza
-il volto, in quel misto di fragranze nuove, inesprimibili,
-per cui sentite l’amata così diversa da
-tutte le altre donne del mondo. Insomma, lettori
-dell’anima mia, che cosa vi dirò? Che qui si
-perde la bussola. E fo punto, per ritornare alla
-prosa.
-</p>
-
-<p>
-Il povero torcetto stearico, piantato nel modesto
-candeliere d’albergo, era al verde. Vo’ dire
-che s’era consumato bel bello, e che l’ultimo
-avanzo di stearina si spandeva liquefatto sulla padellina
-del cristallo. Poco dopo, il lucignolo, non
-più nutrito, nè sorretto, diede l’ultimo guizzo e
-cadde stridendo nel suo minuscolo laghetto di
-untume. Una piccola tragedia in un bocciuolo di
-candeliere! E i due felici non si erano avveduti
-di nulla. Risero, quando si trovarono al buio; e
-Aldo, cercando Camilla, sfiorò col sommo delle
-labbra i capegli di lei.
-</p>
-
-<p>
-— Mia? — mormorò egli, così sommessamente,
-che l’aria non avrebbe potuto sentirlo. — Indovini,
-che cosa?
-</p>
-
-<p>
-— Sì; — rispose ella; — tua.... fidanzata.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_342">[342]</span>
-</p>
-
-<p>
-— E lo diremo allo zio; — riprese Aldo.
-</p>
-
-<p>
-— Che sarà felice di liberarsi di me.
-</p>
-
-<p>
-— Lo credi?
-</p>
-
-<p>
-— No, povero zio! Mi ama tanto! Ma infine,
-alla sua età si hanno altre cure, e si custodisce
-male una nipotina come son io; — disse Camilla,
-ridendo. — Vedi, infatti!...
-</p>
-
-<p>
-— Non vedo nulla; — rispose Aldo. — C’è
-così buio!
-</p>
-
-<p>
-— Ma io ti vedo ancora; — replicò ella. — Cioè
-torno a vederti un pochino. È quasi l’alba.
-</p>
-
-<p>
-— Ahimè, l’alba! — mormorò Aldo. — Che
-noia!&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Un pensiero molesto si affacciò alla mente
-di Camilla, e un brivido le corse per le vene.
-</p>
-
-<p>
-— Che hai? — diss’egli, sentendola tremare.
-</p>
-
-<p>
-— Nulla, nulla.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-E cercò di vincersi, di sviare i pensieri dolorosi,
-ritornando a parlare di cento cose; dei giorni
-in cui si erano conosciuti; delle prime parole
-che egli le aveva dette in una festa da ballo; di
-un fiore che egli portava sempre all’occhiello;
-di una storia che aveva incominciata per compiacere
-a lei, ma che non aveva saputa finire, per
-certe risa di lei, e via discorrendo. Ma le tenebre
-si andavano diradando nella camera, e la conversazione
-languiva. Aldo rispondeva a sorrisi interrotti,
-a monosillabi, e tratto tratto si mordeva le
-labbra, come persona che stenti a dominare la
-propria inquietudine.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_343">[343]</span>
-</p>
-
-<p>
-Ad un certo punto non seppe più contenersi.
-</p>
-
-<p>
-— Sono dolente.... — incominciò.
-</p>
-
-<p>
-— Di che? — fece Camilla.
-</p>
-
-<p>
-— Sono dolente di dirlo io; ma tu.... dovrai
-ritornare nelle tue camere.
-</p>
-
-<p>
-— Perchè?
-</p>
-
-<p>
-— Perchè tra mezz’ora sarà giorno. E se ti
-vedessero.... se ti trovassero qui....
-</p>
-
-<p>
-— È vero; — disse Camilla. — Che cosa si
-penserebbe.... del signor Aldo?
-</p>
-
-<p>
-— Cattiva! — esclamò egli. — Penso a te,
-non a me. Quando apparirà la luce....
-</p>
-
-<p>
-— Ah, la luce! — interruppe Camilla. — Sarà
-la mia nemica, perchè mi farà comparire assai
-brutta.
-</p>
-
-<p>
-— Se non si trattasse d’altro, — disse Aldo, — ti
-pregherei di restare. Ma infine....
-</p>
-
-<p>
-— Ma infine, — ripigliò Camilla, — è meglio
-che io me ne vada; non è vero?
-</p>
-
-<p>
-— Sì; — rispose Aldo sospirando.
-</p>
-
-<p>
-— Andiamo dunque; — replicò Camilla.
-</p>
-
-<p>
-E si alzò lentamente e si mosse di mala voglia.
-Aldo, rigiratole un braccio intorno alla vita e
-tenendosela stretta al seno, l’aiutò a fare i dieci
-o dodici passi che correvano dal canapè all’uscio.
-Dieci o dodici a farli corti, s’intende; ed anche
-questo breve tragitto volle parecchi minuti di
-tempo. Coppia gentile che s’inoltrava nella mezza
-oscurità della camera, io credo che così, e non
-altrimenti, dovrebbero andare nel regno delle
-<span class="pagenum" id="Page_344">[344]</span>
-ombre coloro che si sono amati sulla faccia della
-terra.
-</p>
-
-<p>
-Mentre i miei due personaggi andavano verso
-l’uscio, ma col metro del fanciullo ritroso di cui
-è detto nella Bassvilliana del Monti (ricordi dell’adolescenza,
-che cosa volete da me?), un improvviso
-rumore si udì dalla strada. Qualcheduno
-di fuori batteva a ripetuti colpi sul portone d’ingresso.
-</p>
-
-<p>
-— Vieni; — disse Aldo, traendo Camilla, che
-si era molto volentieri arrestata a mezza strada; — abbiamo
-appena il tempo di giungere alle tue
-stanze.
-</p>
-
-<p>
-— No, — diss’ella, — è tardi, per escire. Se
-passa un servo nel corridoio?...
-</p>
-
-<p>
-— Che? Spero bene non ci sarà questo bisogno; — rispose
-Aldo. — Aprirà il portiere.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Ma proprio per far torto alle previsioni di
-Aldo, il portiere aveva il sonno duro, o l’orecchio.
-Di fuori continuavano a bussare, e poco
-stante si udì nel corridoio un passo grave, ma
-spedito, come di persona destata in soprassalto,
-che si affrettasse verso le scale, per metter fine
-a quel diavolìo.
-</p>
-
-<p>
-— Ahi! — mormorò Aldo. — Son essi.
-</p>
-
-<p>
-— Essi! — ripetè Camilla. — E chi?
-</p>
-
-<p>
-— Amici miei.... — balbettò Aldo; — amici
-miei, che vengono a cercarmi, per una scampagnata.
-Ho promesso iersera, al Casino, di andare
-fino a Collodi. Vieni; ora non ci sarà pericolo
-<span class="pagenum" id="Page_345">[345]</span>
-ad escire sul corridoio, poichè il servitore è passato.
-Ma che hai? — soggiunse egli, sentendola
-tremar tutta nelle sue braccia.
-</p>
-
-<p>
-— Ho freddo; — rispose Camilla. — E avrò
-anche più freddo di fuori.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Per la stagione in cui s’era, la cosa doveva
-parere assai strana. Ma al nostro eroe il freddo
-che sentiva Camilla sembrò strettissimo parente
-della poca voglia che essa aveva di escire dalla
-camera. Rammentò che per tutta la notte Camilla
-non aveva accennato, neanche lontanamente,
-ad un pericolo di duello; silenzio notevole, che
-da principio lo aveva fatto insospettire, ma che
-egli si era poi spiegato nel miglior modo possibile,
-ricordando le parole con cui l’Anselmi, nell’escire
-dal Rinfresco, aveva cercato di rassicurare
-le donne. La spiegazione gli era servita lì per
-lì; ma allora, quella ritrosia di Camilla a separarsi
-da lui, il tremito subitaneo che l’aveva presa
-all’avvicinarsi dell’alba, e infine quella ostinazione
-a restare, anche a rischio di farsi cogliere nella
-camera di lui, dovevano dirgli abbastanza chiaramente
-che Camilla aveva indovinato ogni cosa e
-che la sua presenza colà mirava ad un fine. Ma
-quale? E con che mezzi contava ella di raggiungerlo?
-Aldo non ci vedeva molto chiaro; anzi,
-diciamo schiettamente che non ci vedeva affatto.
-E mentre stava lì almanaccando, si udivano i
-passi di parecchie persone, entrate allora nel corridoio;
-indi a poco i passeggiatori mattinieri fecero
-<span class="pagenum" id="Page_346">[346]</span>
-sosta e bussarono all’uscio della sua camera.
-</p>
-
-<p>
-— Apri; — gli disse Camilla all’orecchio. — Io
-mi nascondo là dietro. Escirò dopo di te; non
-temere.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Così dicendo si spiccò dal suo braccio e andò
-a celarsi nella stretta del letto.
-</p>
-
-<p>
-Aldo aperse l’uscio e diede il passo a due gentiluomini,
-che erano per l’appunto i suoi padrini.
-</p>
-
-<p>
-— Già alzato! — esclamarono, nell’atto di
-stringergli la mano.
-</p>
-
-<p>
-— Sì; non è forse l’alba?
-</p>
-
-<p>
-— Verissimo; ma credevamo che proprio in
-questa occasione avreste fatto il sonno più lungo.
-Si narra del principe di Condè....
-</p>
-
-<p>
-— <i>Promessi Sposi</i>, capitolo tale! — interruppe
-Aldo, sorridendo. — Ma io, anche a risico di non
-somigliar punto al principe di Condè, non ho attaccato
-sonno, essendo rientrato troppo tardi e
-avendo avuto da scrivere qualche lettera.
-</p>
-
-<p>
-— Infatti, — notò uno dei padrini, dando una
-occhiata al letto, di cui si vedeva la rimboccatura
-intatta, — ecco la prova più chiara della vostra
-veglia d’armi. La chiameremo così, in omaggio
-alla memoria degli antichi cavalieri. Ma permettetemi
-di osservare che, non avendo dormito,
-punterete male, stamane.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Aldo rispose con una leggiera alzata di spalle.
-Ma dentro di sè mandò a quel paese il troppo
-loquace padrino; tanto più che dalla stretta del
-<span class="pagenum" id="Page_347">[347]</span>
-letto era giunto a lui come un gemito soffocato.
-</p>
-
-<p>
-— Basta, — ripigliò il padrino, — poichè
-siete già alzato, avremo il tempo di prendere il
-caffè.
-</p>
-
-<p>
-— Lo vogliono qui? — domandò il cameriere.
-</p>
-
-<p>
-— No, — rispose prontamente Aldo, — lo
-prenderemo giù in sala. Vi prego, amici, — soggiunse,
-volgendosi ai due visitatori, — concedetemi
-due minuti e sono da voi.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Esciti finalmente i padrini, Aldo ritornò verso
-Camilla, che si abbandonava bocconi contro la
-sponda del letto, in preda ad una agitazione violenta.
-</p>
-
-<p>
-— Animo, via, Camilla; siate forte! — diss’egli.
-</p>
-
-<p>
-— Ah! — gridò ella. — E per mia colpa! Ma
-non sarà.... non sarà! Mio Dio, abbiate compassione
-di me!
-</p>
-
-<p>
-— Sì, egli mi assisterà; — disse Aldo. — Vieni,
-ora, te ne prego; non è più tempo di restar
-qui.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Camilla si lasciò condurre, come un bambino.
-Da sola, non avrebbe avuta la forza di muovere
-un passo. La sua energia femminile, d’indole essenzialmente
-nervosa, era venuta meno davanti
-all’idea del pericolo che Aldo correva per lei.
-</p>
-
-<p>
-Ma forse, direte, non lo sapeva prima? Sì,
-buon Dio, lo sapeva; ma bisogna anche osservare
-che ella faceva assegnamento su certe circostanze,
-molto ben prevedute, perchè attentamente
-<span class="pagenum" id="Page_348">[348]</span>
-studiate, le quali all’ultimo momento non le parevano
-più così certe, come le aveva immaginate
-da principio. Non vi è egli mai avvenuto di
-contare su certe combinazioni, sapientemente architettate,
-che a tutta prima vi sembravano irresistibili,
-e poi, giunti all’ora della prova finale, di
-perder la fede, di dubitare, di sospettare un errore
-di calcolo, infiltrarsi nelle vostre deduzioni, col
-pericolo di mandare a rotoli il vostro faticoso
-edifizio? Alla signora Camilla, già tanto sicura
-durante la notte, tornavano in cuore i sospetti,
-coll’avvicinarsi dell’alba. L’arrivo dei due padrini
-di Aldo le aveva dato il tracollo; i sospetti si
-erano tramutati in paura.
-</p>
-
-<p>
-Oramai non si poteva più indugiare, nè mendicar
-pretesti, nè far capo ad alcune di quelle debolezze
-che in momenti meno solenni fanno buon
-giuoco alle donne. Camilla si lasciò condurre fuor
-della camera di Aldo. C’era appena appena il
-tempo necessario, perchè ella potesse raggiungere
-la sua.
-</p>
-
-<p>
-Ma nell’atto di escire sul corridoio, alla incerta
-luce del mattino, i nostri due innamorati fecero
-un incontro che non s’aspettavano di certo. I padrini
-erano scesi al pianterreno e il servitore con
-essi; ma dal fondo del corridoio apparivano due
-altri personaggi, quasi due ombre; la signora
-Elena e il commendatore Gerardo.
-</p>
-
-<p>
-Il primo e istintivo moto di Aldo fu di mettersi
-avanti, come per nascondere Camilla agli
-<span class="pagenum" id="Page_349">[349]</span>
-occhi dei nuovi venuti. Ma era tardi; Elena e
-suo marito avevano veduta la signora Rivanera,
-e ambedue, fatto un gesto di meraviglia, accennavano
-a ritirarsi, per non riescire importuni. Camilla
-se ne avvide. La poveretta si sentiva morire;
-ma la gravità del momento rianimò le sue
-forze. Non toccava a lei di salvare ogni cosa, se
-era possibile, o di confessare audacemente la propria
-sconfitta?
-</p>
-
-<p>
-Perciò, respinto leggermente Aldo, che non si
-era anche persuaso della impossibiliti di nasconderla,
-Camilla si fece incontro ai Vezzosi, e incominciò
-in questa forma:
-</p>
-
-<p>
-— Amici, anche voi siete venuti a salutare il
-signor De Rossi e ad augurargli fortuna?
-</p>
-
-<p>
-— Non potevamo farne di meno, — rispose
-Gerardo, — avendo indovinato iersera quel che
-doveva accadere.
-</p>
-
-<p>
-— Bravo! — disse Camilla. — E lo confessate
-ancora? Indovinare una cosa simile e non darmene
-un cenno, in verità, non è bello da parte vostra.
-Buon per me che l’avevo indovinata anch’io.
-</p>
-
-<p>
-— E più fortunata di noi, — entrò a dire la
-signora Vezzosi, — sei giunta anche prima. Noi,
-appena abbiamo sentito battere all’uscio di strada,
-siamo saltati dal letto.
-</p>
-
-<p>
-— Ed anche voi, — aggiunse Gerardo, — avrete
-fatto lo stesso.
-</p>
-
-<p>
-— Sì, ma molto prima; — rispose arditamente
-Camilla. — Non ero io la colpa di tutto?
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_350">[350]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Che dite, Camilla? — gridò Aldo, commosso. — Ed
-ora, perchè queste lagrime? Vorrei aver
-mille vite ed incontrar mille morti per voi.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-L’impeto con cui Aldo profferì le sue calde
-parole non doveva piacer troppo alla signora
-Elena. L’ascoltatrice negletta ne ebbe una scossa
-violenta, e sentì il bisogno di appoggiarsi alla
-parete.
-</p>
-
-<p>
-Camilla vide quell’atto, e forse lo indovinò, e
-corse ad abbracciare l’amica.
-</p>
-
-<p>
-— Animo! — le bisbigliò all’orecchio, — Perdonami!
-</p>
-
-<p>
-— Sì, ti ho perdonato; — mormorò la signora
-Elena. — Poveretta, tu non ci hai colpa.... salvo
-quella di averlo fatto soffrire.
-</p>
-
-<p>
-— Ah, ne avrò un rimorso eterno; — rispose
-Camilla, trascinando Elena in disparte. — Ed ora,
-che cosa avverrà? La signora Meravigli avrà fatta
-la sua parte?
-</p>
-
-<p>
-— Lo spero; — disse Elena. — Il Sestavalle
-ha dormito alla Torretta, per esser vicino all’Anselmi.
-Bisognerà aspettarlo.
-</p>
-
-<p>
-— E Gerardo lo sa? — chiese Camilla.
-</p>
-
-<p>
-— Sì; non ho creduto di dovergli nascondere
-i nostri tentativi. Povero Gerardo! egli è tanto
-buono! Sento di amarlo doppiamente, oggi.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Così parlava la signora Elena. Ed ecco, lettori
-discreti, ecco un uomo che non saprà mai a che
-fortunata combinazione egli sia debitore di una
-ripresa d’affetti coniugali. Uomini felici, che passano
-<span class="pagenum" id="Page_351">[351]</span>
-sulla scena del mondo, vedendo sempre la
-superficie delle cose, e nient’altro che la superficie!
-A buon conto, non è forse meglio così?
-</p>
-
-<p>
-Essendo presenti i Vezzosi, non era più necessario
-che la signora Camilla ritornasse nelle sue
-camere. Perciò scesero tutti al pianterreno, per
-accompagnare il De Rossi.
-</p>
-
-<p>
-La carrozza di Aldo stava in attesa, davanti al
-portone. Aspettando il caffè, ed essendo lì vicino
-il portiere, non si reputò conveniente di alludere
-al grave caso che raccoglieva tutta quella gente
-sull’ingresso dell’albergo, e si ebbe l’aria di parlare
-d’una scampagnata a Collodi. Sì, proprio a
-Collodi! Orazio avrebbe collocato qui una ripetizione
-del suo famoso: «<i>Credite posteri.</i>»
-</p>
-
-<p>
-Poco stante, si udì dallo stradone un rumore
-di ruote. Una carrozza veniva a furia dalla parte
-del Tettuccio.
-</p>
-
-<p>
-— Son essi, e veramente puntuali; — disse
-uno dei padrini, il maggiore di fanteria, dando
-una guardata all’orologio.
-</p>
-
-<p>
-La carrozza venne a fermarsi davanti al portone.
-I due padrini di Aldo escirono tosto, per
-andare al montatoio, a ricevere i colleghi della
-parte avversaria. Erano essi per l’appunto, ma soli.
-Il contino Anselmi non c’era.
-</p>
-
-<p>
-Aldo, affacciato all’ingresso, non potè trattenere
-un gesto di meraviglia. Quanto ai suoi padrini,
-lo avevano già fatto, e stavano appunto chiedendo
-perchè mancasse l’Anselmi.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_352">[352]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Ah, ah! Il conte Anselmi? — dice l’Alcibiade,
-con aria che voleva parere disinvolta. — Il
-conte Anselmi verrà; sicuramente, verrà. Egli
-è trattenuto ancora pochi minuti all’albergo. Frattanto,
-egli mi ha incaricato di consegnare una lettera....
-alla signora Camilla Rivanera.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Alle parole dell’Alcibiade rispose un gesto di
-meraviglia, anzi di stupore da parte di tutti gli
-astanti. E non fu questo il solo effetto di quello
-squarcio d’eloquenza, poichè la signora Camilla,
-udendo proferire il proprio nome, fu sollecita ad
-apparire sulla soglia.
-</p>
-
-<p>
-— Certamente.... — ripigliò l’Alcibiade, — non
-parrebbe questa una commissione da darsi ad un
-padrino, ad un araldo d’armi. Nè io l’avrei accettata,
-se il conte Anselmi non m’avesse raccomandato
-di eseguirla solennemente, alla presenza
-di tutti. L’indole stessa della quistione (son parole
-del conte Anselmi) l’indole stessa della quistione
-che ho avuta col De Rossi, è tale da richiedere
-questo preliminare. Ad un linguaggio
-simile io non ho saputo negare più nulla, e il
-barone Marcovich, qui presente, mi ha incuorato
-egli stesso ad incaricarmi di questa trasmissione, che
-lor signori non troveranno essere fatta da me con
-solennità minore del bisogno. A lei, dunque, signora
-Camilla mia riverita — conchiuse l’Alcibiade,
-facendosi innanzi col suo messaggio, — eccolo
-il preliminare in discorso.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-V’immaginate come rimanessero tutti, a quel
-<span class="pagenum" id="Page_353">[353]</span>
-secondo squarcio d’eloquenza del cavaliere Sestavalle.
-Camilla, intanto, aveva presa la lettera, lacerata
-la busta, e leggeva. I suoi occhi tutto ad
-un tratto si animarono; un bel colore incarnatino
-le tornò in viso, a mano a mano che procedeva
-nella lettura; finalmente sorrise. Aldo, secondo il
-solito, ci aveva un diavolo per occhio. Benedetto
-geloso!
-</p>
-
-<p>
-Dopo aver letto, Camilla porse la lettera al
-commendatore Gerardo.
-</p>
-
-<p>
-— È di un uomo di spirito, ed anche di un
-uomo di cuore; — disse ella. — Leggete.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Gerardo obbedì. Com’ebbe letto a sua volta,
-rispose:
-</p>
-
-<p>
-— Avete ragione. È in fondo in fondo, un
-buon ragazzo. Maggiore, vuol leggere?
-</p>
-
-<p>
-— Se è cosa che debba entrare nel mio ufficio
-di padrino.... — disse il maggiore. — E se
-la signora permette...
-</p>
-
-<p>
-— Sicuramente; — rispose Camilla.
-</p>
-
-<p>
-Il Maggiore prese la lettera dalle mani del
-Vezzosi e lesse anch’egli, tenendo il foglio alquanto
-da un lato, affinchè potesse leggere con
-lui il professore di storia naturale. Ambidue convennero
-che la signora Camilla aveva ragione.
-Sfido io! Una donna bella ha sempre ragione, e
-la sua bocca è una fonte di verità.
-</p>
-
-<p>
-Aldo De Rossi, vedendo che tutti leggevano
-prima di lui si era allontanato di alcuni passi e
-andava su e giù, facendo le volte del leone sul
-<span class="pagenum" id="Page_354">[354]</span>
-marciapiede dell’albergo. Per desiderio della signora
-Camilla il foglio fu trasmesso anche a lui.
-Aldo lo prese con aria svogliata, ma nel fatto con
-una grande impazienza di leggerlo.
-</p>
-
-<p>
-Vediamolo anche noi, poichè lo legge il De
-Rossi. Il conte Anselmi scriveva in questa forma
-alla signora Camilla:
-</p>
-
-<div class="blockquote">
-<p class="indl">
-«<i>Signora</i>,
-</p>
-
-<p>
-«Ho fatto parecchie cose a malincuore, e posso
-dire anzi con rammarico. E adesso ne fo una con
-piacere, quantunque la penna mi serva male. Infatti,
-c’è sempre un po’ di ritegno a parlare di
-certe faccende con una signora; peggio poi con
-quella stessa... Ma non caschiamo a filosofare, che
-è il peccato del secolo, e raccontiamo le cose
-come stanno. La morale verrà dopo.
-</p>
-
-<p>
-«Il signor De Rossi mi ha provocato ieri, al
-Rinfresco. Le parole erano misurate, ma il senso
-era chiaro, così chiaro che ho dovuto provvedere
-alla tutela del mio onore, mettendo la cosa in
-mano a due padrini. Voi sapete già tutto questo,
-e sapete anche una parte di ciò che debbo raccontarvi
-ora. Veramente, il venirvi a spiattellare
-un secreto del mio cuore, o della mia testa, foss’anco
-il segreto d’Arlecchino, non sarebbe da
-uomo di garbo, e i cavalieri antichi non ci sarebbero
-incappati. Ma qui, signora mia, tutto è
-nuovo e passabilmente strano. E con tutta la
-<span class="pagenum" id="Page_355">[355]</span>
-poca voglia che ne avrei, debbo pure parlarvi del
-duello ed anche di una certa persona, che voi
-avete scoperta, e da cui mi trovo stretto d’assedio.
-Eccolo qua, l’uomo che si aspetta, occupato
-nelle più audaci scorribande; eccolo qua,
-chiuso tra quattro pareti, nell’albergo della Torretta,
-ubbidiente ad una voce, che, con una leggiera
-variante nella parola, potrebbe dirsi di sovrano
-assoluto.
-</p>
-
-<p>
-«Il sovrano, o l’assediante, non avrebbe già
-potuto vantarsi di tenermi sotto chiave. Egli era
-così poco sicuro della sua forza materiale, così
-timoroso d’una mia sortita dalla piazza, che ha
-dovuto far capo ad un mezzo speditivo, facendomi
-saltare il deposito delle polveri. Son qua,
-signora mia, disarmato dalla lettura di una nota
-lettera, che dice a un dipresso così: «Impedite
-questo duello, che io non capisco, e che è cagionato
-sicuramente da un equivoco. Non ci
-può essere quistione tra il signor De Rossi,
-l’uomo che io amo, e il signor conte Anselmi,
-amico nostro leale, ma nient’altro che
-amico.»
-</p>
-
-<p>
-«Signora, questa lettera è vostra ed io l’ho
-letta con quell’attenzione e con quella reverenza
-che meritano i vostri caratteri. Questa lettera mi
-ha persuaso che non ci farei la più bella figura a
-muovermi di qui, senza chiederne il permesso a
-Voi. Per andare ad oste contro il signor Aldo
-De Rossi, debbo passare nei vostri dominii. Bella
-<span class="pagenum" id="Page_356">[356]</span>
-dama, consentirete voi che io lo faccia? E se mi
-volete disposto a restare, in qual modo mi salverete
-dalla taccia di pauroso?
-</p>
-
-<p>
-«Vedete voi, bella dama, giudicate voi; sono
-ai vostri ordini. Posso essere leggiero, come è
-opinione di molti; ma sono onesto e non voglio
-fu piangere nessuno per deliberato proposito. È
-veramente un caso strano, che, tra due uomini
-disposti ad entrare in lizza, si mettano arbitre le
-donne. Ma non sarà mai detto che il caso strano
-mi trovi puntiglioso e caparbio. Signora, accetto
-l’arbitrato. Dite voi ai miei padrini se debbo andare
-o restare. Per me è quistione di pochi minuti,
-e i padrini dell’altra parte non vorranno
-chiamarmi in colpa per pochi minuti, messi a
-disposizione della dama, a cui bacio riverente le
-mani.»
-</p>
-</div>
-
-<p>
-Non mi fermerò a commentarvi la lettera del
-contino Anselmi, e neanche a riferirvi la scena
-intima dopo cui era stata scritta. Già avrete capito
-l’essenziale, cioè che il sovrano assoluto si
-era diportato veramente da sovrano assoluto, e
-che, non potendo vincere con le buone la caparbietà
-dell’Anselmi, lo aveva umiliato senz’altro,
-mostrandogli la lettera della signora Camilla Rivanera.
-Il povero contino ne era rimasto ferito,
-crudelmente ferito nelle sua vanità; aveva veduto
-il ridicolo di cui si sarebbe coperto, andando a
-battersi per una donna che gli dichiarava chiaro
-e tondo di amare il suo avversario, e si era facilmente
-<span class="pagenum" id="Page_357">[357]</span>
-persuaso della necessità di comparire un
-uomo di spirito. Come sapete, ci guadagnò anche
-la riputazione d’uomo di cuore.
-</p>
-
-<p>
-Ma se in questa forma gli rese giustizia la signora
-Camilla, non fu altrimenti disposto a seguirne
-l’esempio il signor Aldo De Rossi. Un
-punto buono soltanto egli aveva veduto nella lettera
-dell’Anselmi, ed era la citazione delle parole
-di Camilla. Quell’accenno di lei all’uomo che
-amava, fece alzare gli occhi di Aldo, in segno di
-gratitudine, verso la signora Rivanera, in quel
-mentre più bella e più fresca che mai, ad onta
-della notte vegliata. Ma il contesto della lettera
-non finì di contentarlo, specie per il tono allegro
-e per l’ostentazione cavalleresca dell’Anselmi.
-</p>
-
-<p>
-— Egli, in fondo, non si disdice di nulla; — osservò
-egli, restituendo la lettera.
-</p>
-
-<p>
-Ci fu, dopo quelle parole, un istante di pausa.
-La signora Camilla rizzò la testa e guardò Aldo,
-come per domandargli donde avesse cavata un’idea
-così peregrina; indi si volse al Maggiore.
-Questi, che leggeva a prima vista, senza essere
-maestro di musica, rispose per tutti all’obbiezione
-di Aldo.
-</p>
-
-<p>
-— Scusi, — incominciò egli, — di che cosa
-s’avrebbe a disdire l’Anselmi? Se mi è stata riferita
-esattamente la conversazione che hanno avuta
-insieme al Rinfresco, non c’è nessuna frase che
-richieda attenuazioni, almeno da parte sua. Noi
-altri, piuttosto.... Ma non insisterò su questo tasto, — soggiunse
-<span class="pagenum" id="Page_358">[358]</span>
-il Maggiore, — poichè il conte
-Anselmi, con molto garbo, ha rimessa la quistione
-all’arbitrato delle dame. Gli stessi padrini suoi,
-da quei gentiluomini che sono, intendono esser
-qui una quistione delicatissima, nella quale essi e
-noi si avrebbe poca grazia ad entrare. Accetta
-lei l’arbitrato, come lo accetta il conte Anselmi?
-Questo è il punto essenziale; non sembra anche
-a loro?&#160;—
-</p>
-
-<p>
-I padrini dell’Anselmi, a cui era rivolta l’ultima
-frase, risposero con un cenno affermativo del capo.
-</p>
-
-<p>
-Aldo De Rossi non trovò più nulla a ridire.
-</p>
-
-<p>
-— Accetto l’arbitrato; — rispose.
-</p>
-
-<p>
-— Oh, manco male! — esclamò la signora
-Camilla. — Signori, non si parli più di duello;
-i due contendenti si stringeranno la mano a Tettuccio.
-È la mia volontà.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-La decisione fu accolta con giubilo da tutti gli
-astanti. Aldo, come i padrini furono partiti, si avvicinò
-alla signora Camilla e le disse:
-</p>
-
-<p>
-— Siete una bella prepotente.
-</p>
-
-<p>
-— Ricordate il vostro motto; — rispose Camilla. — O
-tutto o nulla. È anche il mio, lo
-sapete.
-</p>
-
-<p>
-— Angelo! — mormorò egli.
-</p>
-
-<p>
-— Che ha perdute le ali; sapete anche questo.
-</p>
-
-<p>
-— Tanto meglio, non volerete più via.
-</p>
-
-<p>
-— Ah, questo poi! Vedete per esempio, incomincio
-a volare fin d’ora. Mio zio sarà alzato,
-oramai. Ci vedremo più tardi, al Tettuccio.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_359">[359]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Grazie! — rispose Aldo, stringendo la mano
-che essa gli stendeva. — Dite allo zio, ve ne
-prego, che un povero innamorato di sua conoscenza
-ha bisogno di parlargli, per chiedergli una
-grazia. Indovinate?
-</p>
-
-<p>
-— No, — disse ella ridendo.
-</p>
-
-<p>
-— Volete saperlo?
-</p>
-
-<p>
-— Neanche; non sono curiosa. Lo saprò da
-mio zio.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Così scherzavano, a mala pena scongiurato il
-pericolo d’uno scontro che poteva riescire sanguinoso,
-non senza scandalo per la tranquilla società
-di Montecatini. Il mondo è così fatto; ed
-anche il mare, dopo gli sconvolgimenti della
-burrasca.... Ma qui si casca a filosofare, che è il
-peccato del secolo, come scriveva l’Anselmi.
-</p>
-
-<p>
-Il quale Anselmi capitò la stessa mattina al
-Tettuccio, per ossequiar le signore. Aldo ragionava
-in disparte col presidente Roberti, chiedendogli
-una grazia, che doveva essergli facilmente
-concessa. Il nostro eroe vide con la coda dell’occhio
-l’Anselmi, e osservò l’onesto riserbo con cui
-egli aveva dato il buon dì alla signora Rivanera.
-Il contino era sereno, ilare come al solito. Quando
-vide Aldo, fece un atto di pronta risoluzione e si
-mosse per andargli incontro. Ma Aldo non gli diede
-il tempo di fare la strada e corse egli stesso a stringergli
-la mano. Uno sguardo amorevole di Camilla
-lo ricompensò di quella onesta sollecitudine. L’Anselmi,
-dal canto suo, gli diede il resto del carlino.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_360">[360]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Sai, è una stretta d’addio. Parto oggi per
-Firenze, e domani per Roma. Sicuro, c’è un soprano
-assoluto che s’annoia qui, e mi bisogna far
-le valigie.
-</p>
-
-<p>
-— Ti dai corpo ed anima ad Euterpe! — osservò
-Aldo, tanto per dire qualche cosa.
-</p>
-
-<p>
-— No, per amor del cielo! — replicò l’Anselmi. — Accompagno
-la diva, e prendo il largo
-alla prima occasione.... che avrò cura di far nascere.
-Aldo mio, ti sembrerò forse leggiero: — soggiunse
-il contino. — Ma trovami tu il modo
-di essere diverso. C’è della gente a cui tocca
-tutto, e della gente a cui non tocca nulla. Capi
-scarichi, cuori vuoti d’affetti, gran mercè se non
-prendiamo in uggia la vita!
-</p>
-
-<p>
-— Tu caschi a filosofare! — disse Aldo, che
-rammentava la lettera dell’Anselmi.
-</p>
-
-<p>
-— Hai ragione; — rispose il contino, ridendo. — Fo
-punto e tiro via. Già, a che servono le
-chiacchiere? Il fatto è fatto e non ci si rimedia.&#160;—
-</p>
-
-<p>
-Aurea sentenza, che consolava l’Anselmi. Così
-avesse potuto consolarsene la signora Vezzosi!
-Ma questa non aveva il carattere del contino, e
-certa filosofia pratica, di cui molti vanno mantellando
-la propria leggerezza, non era il fatto suo,
-lo sapete.
-</p>
-
-<p>
-Del resto, se la signora Elena doveva soffrire
-un pochino per colpa di Aldo De Rossi, non ci
-aveva altrimenti ragione di odiarlo, e molto meno
-disprezzarlo. Aldo avrebbe potuto diportarsi in
-<span class="pagenum" id="Page_361">[361]</span>
-questa occasione come tanti e tanti; avrebbe potuto
-amar l’una e mentire con l’altra. Ma se egli
-aveva molti difetti, era tuttavia immune da questo.
-Non sapeva fingere. Però a qualcheduno de’
-miei lettori sarà parso un po’ sciocco. Siamo tanto
-avvezzi ai furbi trincati!
-</p>
-
-<p class="pad2 center large">
-<span class="smcap">Fine.</span>
-</p>
-
-<div class="opere">
-<p class="title">
-DELLO STESSO AUTORE
-</p>
-
-<p class="center">
-(<i>Edizioni in-16</i>).
-</p>
-
-<table class="indice">
- <tr>
- <td>Capitan Dodero (1865). <i>Settima edizione</i></td> <td class="pag">L. 2&#160;—</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Santa Cecilia (1866). <i>Quinta edizione</i></td> <td class="pag">2&#160;—</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>L’olmo e l’edera (1867).<i> Settima edizione</i></td> <td class="pag">2 50</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>I Rossi e i Neri (1870). <i>Seconda edizione</i></td> <td class="pag">6&#160;—</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Il libro nero (1871). <i>Quarta edizione</i></td> <td class="pag">2&#160;—</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Le confessioni di Fra Gualberto (1873). <i>Seconda edizione</i></td> <td class="pag">3&#160;—</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Val d’Olivi (1873). <i>Seconda edizione</i></td> <td class="pag">2&#160;—</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Semiramide, racconto babilonese. (1873). <i>Seconda ediz</i>.</td> <td class="pag">3&#160;—</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>La legge Oppia, commedia (1874)</td> <td class="pag">1&#160;—</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>La notte del commendatore (1875). <i>Seconda edizione</i></td> <td class="pag">4&#160;—</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Castel Gavone (1875). <i>Seconda edizione</i></td> <td class="pag">2 50</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Come un sogno (1875). <i>Quinta edizione</i></td> <td class="pag">2&#160;—</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Tizio Caio Sempronio (1877). <i>Seconda edizione</i></td> <td class="pag">3&#160;—</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Cuor di ferro e cuor d’oro (1877). <i>Seconda edizione</i></td> <td class="pag">5&#160;—</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Lutezia (1878). <i>Seconda edizione</i></td> <td class="pag">2&#160;—</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Diana degli Embriaci (1877). <i>Seconda edizione</i></td> <td class="pag">3&#160;—</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>La conquista d’Alessandro (1879). <i>Seconda edizione</i></td> <td class="pag">4&#160;—</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Il tesoro di Golconda (1879). <i>Seconda edizione</i></td> <td class="pag">3 50</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>La donna di picche (1880). <i>Seconda edizione</i></td> <td class="pag">4&#160;—</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>L’undecimo Comandamento (1881). <i>Seconda edizione</i></td> <td class="pag">3&#160;—</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Il ritratto del diavolo (1882). <i>Seconda edizione</i></td> <td class="pag">3&#160;—</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Il biancospino (1882)</td> <td class="pag">4&#160;—</td>
- </tr>
-</table>
-
-<p class="center">SOTTO I TORCHI</p>
-
-<p class="center">L’anello di Salomone.</p>
-<hr />
-</div>
-
-<div class="tnote">
-<p class="tntitle">
-Nota del Trascrittore
-</p>
-
-<p>
-Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo senza annotazione
-minimi errori tipografici.
-</p>
-
-<p class="covernote">
-Copertina creata dal trascrittore e posta nel pubblico dominio.
-</p>
-</div>
-
-<div lang='en' xml:lang='en'>
-<div style='display:block; margin-top:4em'>*** END OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK <span lang='it' xml:lang='it'>O TUTTO O NULLA</span> ***</div>
-<div style='text-align:left'>
-
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- </div>
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- </div>
-
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-</div>
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-</div>
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-</div>
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-1.F.4. Except for the limited right of replacement or refund set forth
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-</div>
-
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-1.F.5. Some states do not allow disclaimers of certain implied
-warranties or the exclusion or limitation of certain types of
-damages. If any disclaimer or limitation set forth in this agreement
-violates the law of the state applicable to this agreement, the
-agreement shall be interpreted to make the maximum disclaimer or
-limitation permitted by the applicable state law. The invalidity or
-unenforceability of any provision of this agreement shall not void the
-remaining provisions.
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-1.F.6. INDEMNITY - You agree to indemnify and hold the Foundation, the
-trademark owner, any agent or employee of the Foundation, anyone
-providing copies of Project Gutenberg&#8482; electronic works in
-accordance with this agreement, and any volunteers associated with the
-production, promotion and distribution of Project Gutenberg&#8482;
-electronic works, harmless from all liability, costs and expenses,
-including legal fees, that arise directly or indirectly from any of
-the following which you do or cause to occur: (a) distribution of this
-or any Project Gutenberg&#8482; work, (b) alteration, modification, or
-additions or deletions to any Project Gutenberg&#8482; work, and (c) any
-Defect you cause.
-</div>
-
-<div style='display:block; font-size:1.1em; margin:1em 0; font-weight:bold'>
-Section 2. Information about the Mission of Project Gutenberg&#8482;
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-Project Gutenberg&#8482; is synonymous with the free distribution of
-electronic works in formats readable by the widest variety of
-computers including obsolete, old, middle-aged and new computers. It
-exists because of the efforts of hundreds of volunteers and donations
-from people in all walks of life.
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-Volunteers and financial support to provide volunteers with the
-assistance they need are critical to reaching Project Gutenberg&#8482;&#8217;s
-goals and ensuring that the Project Gutenberg&#8482; collection will
-remain freely available for generations to come. In 2001, the Project
-Gutenberg Literary Archive Foundation was created to provide a secure
-and permanent future for Project Gutenberg&#8482; and future
-generations. To learn more about the Project Gutenberg Literary
-Archive Foundation and how your efforts and donations can help, see
-Sections 3 and 4 and the Foundation information page at www.gutenberg.org.
-</div>
-
-<div style='display:block; font-size:1.1em; margin:1em 0; font-weight:bold'>
-Section 3. Information about the Project Gutenberg Literary Archive Foundation
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-The Project Gutenberg Literary Archive Foundation is a non-profit
-501(c)(3) educational corporation organized under the laws of the
-state of Mississippi and granted tax exempt status by the Internal
-Revenue Service. The Foundation&#8217;s EIN or federal tax identification
-number is 64-6221541. Contributions to the Project Gutenberg Literary
-Archive Foundation are tax deductible to the full extent permitted by
-U.S. federal laws and your state&#8217;s laws.
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-The Foundation&#8217;s business office is located at 809 North 1500 West,
-Salt Lake City, UT 84116, (801) 596-1887. Email contact links and up
-to date contact information can be found at the Foundation&#8217;s website
-and official page at www.gutenberg.org/contact
-</div>
-
-<div style='display:block; font-size:1.1em; margin:1em 0; font-weight:bold'>
-Section 4. Information about Donations to the Project Gutenberg Literary Archive Foundation
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-Project Gutenberg&#8482; depends upon and cannot survive without widespread
-public support and donations to carry out its mission of
-increasing the number of public domain and licensed works that can be
-freely distributed in machine-readable form accessible by the widest
-array of equipment including outdated equipment. Many small donations
-($1 to $5,000) are particularly important to maintaining tax exempt
-status with the IRS.
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-The Foundation is committed to complying with the laws regulating
-charities and charitable donations in all 50 states of the United
-States. Compliance requirements are not uniform and it takes a
-considerable effort, much paperwork and many fees to meet and keep up
-with these requirements. We do not solicit donations in locations
-where we have not received written confirmation of compliance. To SEND
-DONATIONS or determine the status of compliance for any particular state
-visit <a href="https://www.gutenberg.org/donate/">www.gutenberg.org/donate</a>.
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-While we cannot and do not solicit contributions from states where we
-have not met the solicitation requirements, we know of no prohibition
-against accepting unsolicited donations from donors in such states who
-approach us with offers to donate.
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-International donations are gratefully accepted, but we cannot make
-any statements concerning tax treatment of donations received from
-outside the United States. U.S. laws alone swamp our small staff.
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-Please check the Project Gutenberg web pages for current donation
-methods and addresses. Donations are accepted in a number of other
-ways including checks, online payments and credit card donations. To
-donate, please visit: www.gutenberg.org/donate
-</div>
-
-<div style='display:block; font-size:1.1em; margin:1em 0; font-weight:bold'>
-Section 5. General Information About Project Gutenberg&#8482; electronic works
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-Professor Michael S. Hart was the originator of the Project
-Gutenberg&#8482; concept of a library of electronic works that could be
-freely shared with anyone. For forty years, he produced and
-distributed Project Gutenberg&#8482; eBooks with only a loose network of
-volunteer support.
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-Project Gutenberg&#8482; eBooks are often created from several printed
-editions, all of which are confirmed as not protected by copyright in
-the U.S. unless a copyright notice is included. Thus, we do not
-necessarily keep eBooks in compliance with any particular paper
-edition.
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-Most people start at our website which has the main PG search
-facility: <a href="https://www.gutenberg.org">www.gutenberg.org</a>.
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-This website includes information about Project Gutenberg&#8482;,
-including how to make donations to the Project Gutenberg Literary
-Archive Foundation, how to help produce our new eBooks, and how to
-subscribe to our email newsletter to hear about new eBooks.
-</div>
-
-</div>
-</div>
-</body>
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