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-The Project Gutenberg eBook of Venti anni dopo, by Alexandre Dumas
-
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-using this eBook.
-
-Title: Venti anni dopo
-
-Author: Alexandre Dumas
-
-Release Date: April 15, 2022 [eBook #67846]
-
-Language: Italian
-
-Produced by: Barbara Magni and the Online Distributed Proofreading Team
- at http://www.pgdp.net (This file was produced from images
- made available by Google Books)
-
-*** START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK VENTI ANNI DOPO ***
-
-
- VENTI ANNI DOPO
-
-
- DI
-
- _Alessandro Dumas_
-
-
- =Seguito dei tre Moschettieri.=
-
- PRIMA VERSIONE ITALIANA.
-
-
-
- ITALIA
- 1848
-
-
-
-
-I.
-
-_La larva di Richelieu._
-
-
-In una stanza del così detto palazzo _Cardinal_, a noi già noto,
-accanto a un tavolino intarsiato su gli angoli d’argento dorato ed
-ingombro di fogli e libri, sedeva un uomo, posatasi su le due mani la
-testa.
-
-E dietro ad esso era un largo caminetto, ben acceso e rosso, dove i
-tizzi infiammati si consumavano sopra alari indorati. La luce di quel
-fuoco rischiarava a tergo il magnifico vestimento di quel cogitabondo,
-a cui dava lume davanti un candelabro carico di ceri.
-
-Al mirar l’abito superbo, i merletti sfarzosi, la fronte scolorita
-incurvata a tanta meditazione, e la solitudine del gabinetto; all’udire
-il silenzio che regnava nelle anticamere, ed i passi misurati delle
-guardie sul pianerottolo, avresti creduto esser l’ombra di Richelieu
-tuttora nella sua camera.
-
-Ahimè! di fatti, era l’ombra, e non altro, del grand’uomo. La Francia
-indebolita, l’autorità del re disconosciuta, i grandi infiacchitisi
-di bel nuovo e turbolenti, il nemico ritornato in qua dalle frontiere,
-tutto attestava non esser più colà Richelieu.
-
-Ma ciò che meglio di tutto questo dava prova come non si trattasse
-più del vecchio ministro, egli era quello isolamento, il quale
-sembrava, siccome dicemmo, più proprio di una larva che di un vivo, e
-le gallerie vuote di cortigiani, ed i cortili pieni di guardie; e il
-sentimento di scherno che ascendeva dalla contrada e penetrava tra i
-vetri della camera sconquassata mediante il soffio di un’intera città
-postasi in lega contro al ministro; ed infine, lo strepito confuso
-ed incessantemente rinnovato di spari, fatti per buona sorte senza
-scopo nè resultato, ma solamente per far vedere alle guardie, agli
-svizzeri, ai moschettieri ed ai soldati che attorniavano il Palazzo
-Reale (conciossiachè il palazzo pure avea mutato nome) come il popolo
-possedesse delle armi.
-
-La larva di Richelieu, era Mazzarino.
-
-E Mazzarino stava là solo, e si sentiva debole.
-
-«Straniero! borbottava, Italiano! ecco scagliata la loro grande parola!
-con questa assassinarono, impiccarono, divorarono il Concini, e s’io
-li lasciassi fare assassinerebbero, impiccherebbero, divorerebbero me
-come lui, quantunque io non abbia fatto ad essi mai altro male che di
-spremerli un pochetto. Imbecilli! non capiscono che il loro nemico non
-è già questo Italiano, il quale parla malamente francese, ma piuttosto
-quelli che hanno l’abilità di dir loro belle parole con tanta buona e
-pura pronunzia parigina.
-
-«Sì sì, continuava il ministro con l’accorto sorriso, che in tale
-circostanza sembrava stranissimo su le sue labbra smorte; sì, me lo
-dicono codesti vostri clamori: è precaria la sorte dei favoriti. Ma
-voi, se sapete questo, dovete anche sapere ch’io non sono un favorito
-ordinario! Il conte d’Essex aveva un anello di lusso adorno di diamanti
-datogli dalla regale sua amante; io non ho che un semplice cerchietto
-con una cifra e una data: ma questo cerchietto pure fu benedetto nella
-cappella del Palazzo Reale[1]; e per questo, non mi annienteranno, a
-seconda delle loro intenzioni. Non si accorgono che col loro grido
-sempiterno: — Abbasso il Mazzarino! — io li fo urlare, ora, evviva
-Beaufort! ora, evviva il principe! ora, evviva il parlamento! Ebbene!
-Beaufort è a Vincennes, il principe andrà a raggiungerlo un giorno o
-l’altro, e il parlamento....»
-
-Qui il venerabile personaggio assunse nel sorriso una certa espressione
-d’odio di cui, pareva il suo volto non suscettibile.
-
-«E il parlamento.... veh! il parlamento.... si vedrà un poco che ne
-faremo del parlamento. Abbiamo Orleans e Montargis... Oh! c’impiegherò
-il tempo occorrente, ma quelli che avranno cominciato da strillare:
-abbasso Mazzarino! finiranno con strillare: abbasso tutta quella
-gente!.... A ognuno la sua!
-
-«Richelieu, che odiavano quando era vivo, e di cui parlano sempre
-dacchè è morto, è andato più giù di me, giacchè è stato scacciato
-più d’una volta e più ancora ha avuto paura di esserlo. In quanto a
-me, la regina non mi discaccerà mai, e se io sono costretto a cedere
-al popolo, ella gli cederà meco; se fuggo, ella fuggirà.... e allora
-vedremo che faranno i ribelli senza della loro regina e del loro
-re?....
-
-«Ah! se pur non fossi straniero! ah, se pur fossi francese!.... ah, se
-pur fossi gentiluomo!»
-
-E piombò di bel nuovo nelle sue meditazioni.
-
-Infatti, era scabrosa la situazione, e complicata l’aveva maggiormente
-la giornata trascorsa. Mazzarino, ognora stimolato dalla sordida
-sua avarizia, opprimeva di tasse il popolo; ed il popolo, a cui non
-restava che l’anima, conforme diceva il procurator regio Talon, ed anco
-perchè l’anima sua non si potea vendere all’incanto; il popolo, cui si
-procurava di far prendere pazienza mediante lo strepito delle vittorie
-che si ottenevano, ma a senso del quale gli allori non erano tal carne
-che valesse a cibarlo[2], il popolo già da lunga pezza avea cominciato
-a mormorare.
-
-Nè ciò bastava e imperocchè quando mormora il popolo soltanto,
-la corte, separata com’è da esso per mezzo del ceto borghese e
-dei gentiluomini, la corte non lo ode; ma Mazzarino aveva usata
-l’imprudenza di dare addosso ai magistrati! avea venduti dodici
-brevetti da referendarj, e siccome gli ufficiali pagavano assai care
-le loro cariche, e l’accrescimento di quei dodici nuovi colleghi dovea
-farne ribassare il prezzo, così essi si erano riuniti, aveano giurato
-sui santi Vangeli di non sopportare codesto aumento, e di opporsi
-a tutte le persecuzioni della corte, promettendosi scambievolmente
-che qualora uno di loro per causa di siffatta ribellione perdesse
-la propria carica, si tasserebbero ciascuno di un tanto onde
-rimborsargliene il prezzo.
-
-Ed ecco ciò ch’era accaduto da ambe le parti.
-
-Nel dì 7 gennajo, sette o ottocento mercatanti di Parigi si erano
-radunati e sollevati a motivo di una nuova imposta a cui si volevano
-assoggettare i proprietari delle case, ed aveano deputati dieci
-di essi a parlare in loro nome al duca d’Orleans, che, secondo il
-suo solito, si manteneva popolarissimo. Il duca d’Orleans li aveva
-ricevuti, ed essi gli avevano dichiarato qualmente erano decisi di non
-pagare la nuova imposta, quando anche avessero da difendersi armata
-mano contro i funzionari del re che venissero a riscuoterla. Il duca
-d’Orleans li aveva ascoltati con molta compiacenza, avea fatto sperare
-qualche mitigamento, e promesso di tenerne proposito colla regina, e
-licenziatili con le parole consuete: Si vedrà.
-
-Nel dì 9 i referendarj dal canto loro erano stati a trovare il
-ministro, ed uno di costoro, che parlava per tutti, gli aveva favellato
-con tanta fermezza e tanto ardire ch’egli n’era rimasto attonito, e
-quindi li avea licenziati, dicendo come il duca d’Orleans: Si vedrà.
-
-Allora, _per vedere_, si era adunato il consiglio, e mandato a chiamare
-il soprintendente delle finanze d’Emery.
-
-Questo d’Emery era sommamente odiato dal popolo, prima perchè era
-soprintendente delle finanze, e qualunque soprintendente delle finanze
-dev’essere aborrito, e poi, convien dirlo, perchè meritava un pochino
-di esserlo.
-
-Era figlio di un banchiere di Lione, per nome Particelli, e che per
-un cambiamento di nome fatto in seguito del suo fallimento si faceva
-chiamare d’Emery[3]. Richelieu, avendo in esso riconosciuto un gran
-merito in materia finanziaria, lo aveva presentato al re Luigi XIII
-sotto nome del signor d’Emery, e volea farlo nominare intendente di
-finanze, e ne faceva grandi elogi.
-
-«Ah! tanto meglio, aveva risposto il re, ho caro che mi parliate del
-d’Emery per questo impiego che richiede un onest’uomo. Mi era stato
-detto che appoggiavate quel furfante di Particelli, e temevo che mi
-obbligaste a riprenderlo.
-
-«Ah! sire, fece il ministro, Vostra Maestà stia pur quieta, il
-Particelli, di cui Ella fa menzione, è stato appiccato.
-
-«Ah! tanto meglio, ripetè il sovrano, non mi hanno dunque chiamato per
-nulla Luigi il Giusto».
-
-E firmò la nomina di d’Emery.
-
-Quello stesso d’Emery era diventato soprintendente alle finanze.
-
-Dal consiglio erasi mandato per esso, ed egli accorreva pallido
-e sbigottito, dicendo ch’era mancato poco che suo figlio fosse
-assassinato in quel medesimo giorno in piazza del _Palazzo_: la folla,
-incontratolo, lo aveva rampognato sul lusso della sua moglie, la quale
-teneva un appartamento parato di velluto rosso con la trina d’oro. Era
-questa la figlia di Niccola Lecamus, segretario del re nel 1617, che
-venuto a Parigi con venti lire, e riserbandosi bensì quarantamila lire
-di rendita, aveva diviso in ultimo nove milioni tra i suoi figliuoli.
-
-Il figlio di d’Emery era stato in procinto di essere soffocato, avendo
-uno degli attruppati proposto di strozzarlo sinchè vomitasse l’oro che
-si divorava. Il consiglio in quel dì non aveva deciso niente, sendochè
-il soprintendente era troppo occupato di quell’avvenimento per aver
-libero il capo.
-
-All’indomani il primo presidente Matteo Molè, il di cui coraggio in
-tutte quelle faccende (dice il cardinale di Retz) fu pari a quello
-del duca di Beaufort e del principe di Condé, cioè i due uomini che
-passassero per i più valorosi in tutta la Francia, il presidente,
-dunque, era stato egli pure assalito: il popolo lo minacciava di
-fare scontare a lui i mali che volevasi fargli; ma egli, con la sua
-calma usuale, senza agitarsi nè maravigliarsi, avea risposto che se i
-perturbatori non obbedivano ai voleri del re, farebbe subito piantare
-delle forche su le piazze acciò sull’atto si appiccassero i più
-facinorosi fra essi.... Al che costoro avevano soggiunto che avrebbero
-anzi piacere di veder piantare le forche, le quali servirebbero ad
-appiccare i tristi giudici che compravano il favore della corte a costo
-della miseria del popolo.
-
-E vi fu dell’altro: Nel dì 11 la regina, andando alla messa a
-Nostra-Donna, secondo soleva regolarmente ogni sabato, era stata
-seguitata da duecento e più donne che urlavano e domandavano
-giustizia. Esse però non avevano cattive intenzioni, e solo volevano
-inginocchiarsi a lei davanti e muoverla a pietà; ma le guardie
-impedirono che facessero ciò, e la regina passò altera e superba senza
-dar ascolto a’ loro clamori.
-
-Nel dopopranzo v’era stato nuovamente consiglio, ed in questo erasi
-risoluto di mantenere l’autorità del re; ed in conseguenza fu convocato
-il parlamento per la domane, cioè per il 12.
-
-In questo giorno, quello nella serata del quale or da noi si apre
-la presente storia, il re, in età allora di dieci anni, e che aveva
-avuto di recente il vajuolo, col pretesto di andare a ringraziare
-Nostra-Donna della sua guarigione, metteva su le sue guardie, gli
-svizzeri e i moschettieri, li poneva in fila attorno al Palazzo
-Reale, su gli scali e sul Ponte Nuovo, e dopo udita messa si recava al
-parlamento: dove sopra un letto di giustizia fatto espressamente, non
-solo manteneva i suoi passati editti, ma ancora ne pronunziava altri
-cinque o sei (dice il cardinale di Retz) più rovinosi uno dell’altro; a
-segno che il primo presidente, che, secondo si è potuto scorgere, era
-giorni innanzi a favore della corte, aveva però arditamente declamato
-contro quella maniera di condurre il re al palazzo per sorprendere e
-violentare la libertà de’ suffragi.
-
-Ma quelli che in ispecie inveirono contro alle nuove gravezze furono il
-presidente Blancmesnil ed il consigliere Broussel.
-
-Proferiti quegli editti, il re tornò al Palazzo Reale; lungo la
-strada era grande la moltitudine, ma siccome si sapeva venir egli dal
-parlamento, e s’ignorava se vi fosse andato per rendere giustizia al
-popolo o per opprimerlo un’altra volta, così niun grido di giubilo
-s’intese a congratularlo della ricuperata salute. All’incontro tutti
-erano in sembiante inquieto, adirato, e taluni persino minacciosi.
-
-Ad onta del suo ritorno, le truppe rimasero al posto; si era temuta
-qualche sollevazione quando si conoscesse il resultato della seduta
-del parlamento; e di fatti non sì tosto fu sparsa per le vie la voce
-che invece di scemare le tasse il sovrano le aveva accresciute, si
-formarono gruppi di gente, e risuonarono grandi clamori strillando:
-Abbasso Mazzarino! evviva Broussel! evviva Blancmesnil! imperocchè il
-popolo avea saputo che Blancmesnil e Broussel aveano parlato a pro suo,
-e sebbene fosse sortita vana la di loro eloquenza, ei ne serbava ad
-essi gratitudine.
-
-Si era tentato di dissipare quei capannelli, e cercato d’impor silenzio
-alle grida, e conforme avviene in casi simili, si aumentavano i
-capannelli e le grida si raddoppiavano. Era dato l’ordine alle guardie
-del re ed alle guardie svizzere, non solamente di star salde, ma anche
-di far pattuglie nelle strade di San Dionigi e San Martino, dove le
-riunioni sembravano più numerose e riscaldate; ed ecco annunziarsi al
-Palazzo Reale il prevosto dei mercanti.
-
-Fu subito introdotto: veniva ad avvertire che se all’istante non si
-cessava dalle ostili dimostrazioni, fra un’ora tutta Parigi sarebbe
-sotto le armi.
-
-Mentre si discuteva su ciò che avea da farsi, tornò Comminges
-luogotenente delle guardie, laceri i panni e insanguinato il volto. Al
-vederlo comparire la regina diè un urlo di sorpresa, e addimandò che
-mai fosse.
-
-Era che, all’aspetto delle guardie, secondo avea presagito il prevosto
-dei mercanti, gli spiriti si erano inaspriti. S’era preso possesso
-delle campane e suonato a stormo. Comminges aveva retto benissimo, ed
-arrestato un uomo che sembrava uno de’ principali agitatori, e per dare
-un esempio, comandato ch’ei fosse appeso alla croce del Trahoir. In
-conseguenza i soldati aveano trascinato colui onde eseguir l’ordine; ma
-sui mercati questi erano stati assaliti a sassate e colpi di alabarda;
-il ribelle avea côlto il momento per fuggire, presa la via Tiquetonne,
-e si era cacciato in una casa di cui immediatamente erano state
-sfondate le porte.
-
-Inutile era sortito quell’atto di violenza, nè si aveva saputo
-ritrovare il reo. Comminges avea lasciato un corpo di guardia nella
-strada, e col resto del suo distaccamento era tornato al Palazzo
-Reale a render conto alla regina di quanto accadeva. Giù pel cammino
-lo inseguivano grida e minacce; parecchi de’ suoi uomini erano stati
-feriti di lancia e di alabarda, ed egli stesso côlto da una palla che
-gli aveva spaccato un ciglio.
-
-Il racconto di Comminges consolidava l’opinione del prevosto dei
-mercatanti. Non si era in grado di far fronte ad una grave sommossa.
-Il ministro fece sparger voce che le truppe non eransi schierate su
-gli scali e il Ponte Nuovo se non per l’opportunità della cerimonia
-e immantinente si ritirerebbero. Realmente, intorno alle quattro
-ore di sera, si concentrarono tutte verso il Palazzo Reale; fu messo
-un corpo di guardia alla barriera dei Sergenti, un altro ai Ciechi
-(_Quinze-Vingts_), e il terzo finalmente sul poggetto di San Rocco. Si
-empierono i cortili ed i pian terreni di svizzeri e moschettieri, e si
-aspettò.
-
-Ecco a qual punto stavano le cose quando noi introducemmo i nostri
-leggitori nel gabinetto di Mazzarino, stato in addietro del Richelieu;
-da noi si vide in quale situazione di mente egli ascoltava il mormorio
-del popolo che giungeva sino a lui e l’eco delle schioppettate che si
-udiva puranco nella sua camera.
-
-Ad un tratto egli alzò il capo, mezzo aggrottate le ciglia siccome
-uno che ormai sia deciso, fissò gli occhi sovra un enorme orologio a
-pendolo ch’era prossimo a suonare le sei, e prendendo un fischio di
-argento indorato, collocato sul tavolino a portata della sua mano,
-diede due fischiate.
-
-Una porta nascosta dal parato si aperse senza alcun rumore, e si
-avanzò in silenzio un uomo vestito a nero, e stette ritto dietro alla
-poltrona.
-
-«Bernouin, disse il ministro senza nemmeno voltarsi, perocchè, avendo
-dati due fischi, sapeva che doveva esser là il suo cameriere, quali
-sono i moschettieri di guardia al Palazzo?
-
-«Monsignore, i moschettieri neri.
-
-«Qual compagnia?
-
-«Compagnia Tréville.
-
-«V’è in anticamera qualche ufficiale di essa?
-
-«Il luogotenente d’Artagnan.
-
-«Un de’ buoni, mi pare?
-
-«Sì, monsignore.
-
-«Datemi un abito da moschettiere, ed ajutatemi a vestirmi».
-
-Il cameriere uscì nel medesimo silenzio con che era entrato, e indi a
-un momento ricomparve col vestimento richiestogli.
-
-Allora il ministro, cheto e pensoso, incominciò a sbarazzarsi dal
-costume di cerimonia che aveva indossato per assistere alla seduta del
-parlamento, e a mettersi la casacca militare, che portava con una certa
-disinvoltura per grazia delle antiche sue campagne d’Italia; poi quando
-fu bene in arnese, disse:
-
-«Andatemi a cercare d’Artagnan».
-
-E il servo se ne andò questa volta dall’usciale di mezzo, ma sempre
-mutolo. Lo avresti preso per un’ombra.
-
-Mazzarino, rimasto solo, si guardò con una tal quale soddisfazione allo
-specchio: era ancor giovane, avendo appena quarantasei anni, di statura
-elegante e un poco al disotto della media, di colorito bello e vivace,
-sguardo pieno di fuoco, naso grande ma ben proporzionato, fronte ampia
-e maestosa, capelli castagni un tantino cresputi, barba più nera e ben
-pettinata col ferro, il che le dava molto garbo. S’infilò il budriere,
-si osservò con somma compiacenza le mani che avea bellissime e per le
-quali davasi molta cura; dopo di che, buttati via i grossi guanti di
-pelle che si era posti e ch’erano da uniforme, si mise semplici guanti
-di seta.
-
-In quel punto fu riaperta la porta.
-
-«Il signor d’Artagnan», disse il cameriere.
-
-Entrò un ufficiale.
-
-Era un uomo di trentanove o quaranta anni, piccolo ma ben tagliato, di
-occhio vispo e spiritoso, barba nera e capelli sul grigio, come avvien
-sempre a chi abbia avuta la vita troppo buona o troppo cattiva, e
-specialmente a chi sia assai bruno.
-
-D’Artagnan mosse quattro passi nel gabinetto, cui riconosceva per
-esservi venuto una volta a tempo di Richelieu, e veggendo non esser
-altri colà che un moschettiere della sua compagnia fissò le pupille su
-cotestui, sotto ai panni del quale ebbe presto ravvisato il ministro.
-
-Restò in piedi in attitudine rispettosa ma sostenuta, e qual conviensi
-a un individuo d’alta condizione che spesso in vita sua abbia avuto
-occasione di trovarsi con dei signoroni.
-
-Mazzarino gli cacciò addosso un’occhiata più scaltra che profonda, lo
-esaminò attentissimo, e dopo alcuni minuti secondi di silenzio domandò:
-
-«Siete voi il signor d’Artagnan?
-
-«Per l’appunto, monsignore», quegli rispose.
-
-Il ministro considerò ancora un poco quella testa piena di
-intelligenza, e quel volto di cui l’eccessiva variabilità era frenata
-oramai dagli anni e dall’esperienza; ma d’Artagnan sostenne l’ispezione
-come uno che in addietro era stato guatato da occhi assai più
-penetranti di quelli di cui in allora sopportava le indagini.
-
-«Signore, fece Mazzarino, ora verrete meco, o piuttosto verrò io con
-voi.
-
-«Ai vostri comandi, monsignore.
-
-«Vorrei visitare da per me i corpi di guardia che circondano il Palazzo
-Reale: credete che vi sia pericolo?
-
-«Pericolo! e quale?
-
-«Dicono che il popolo sia in grande sollevazione.
-
-«Monsignore, l’uniforme dei moschettieri del re è molto rispettata, ed
-ove nol fosse, io con altri tre m’impegno di fare scappare un centinajo
-di que’ villani.
-
-«Eppure avete visto ciò ch’è accaduto a Comminges.
-
-«Il signor di Comminges è nelle guardie, e non nei moschettieri,
-replicò d’Artagnan.
-
-«Lo che significa, soggiunse il ministro sorridendo, che i moschettieri
-sono soldati migliori che le guardie.
-
-«Ognuno ha l’amor proprio della sua uniforme.
-
-«Fuori che io, ribattè con lo stesso sorriso il ministro, giacchè
-vedete che ho deposta la mia per indossare la vostra.
-
-«Capperi! fece d’Artagnan, codesta è tutta modestia: per me dichiaro
-che se avessi quella di Vostra Eccellenza, me ne contenterei.
-
-«Sì, ma per uscire stasera, forse non sarebbe stata sicura. Bernouin,
-il mio cappello».
-
-Il servo venne, recando un cappelle da uniforme a tese larghe.
-Mazzarino se lo pose alla testa, e giratosi verso d’Artagnan:
-
-«Avete nelle scuderie dei cavalli con la sella bella e messa, non è
-così?
-
-«Sì, monsignore.
-
-«Dunque andiamo.
-
-«Quanti uomini vuole Vostra Eccellenza?
-
-«Avete detto ch’essendo in quattro, v’impegnereste di fare scappare
-cento villani: siccome se ne potrebbero incontrare dugento, pigliatene
-otto.
-
-«Monsignore, quando vi piaccia.
-
-«Vi seguo... o anzi no, si riprese Mazzarino, di qua, di qua.... Facci
-lume, Bernouin.»
-
-Il cameriere diè di mano a una candela, il ministro prese di su lo
-scrittojo una chiave bucata, ed aperto l’usciale di una scala segreta,
-in un attimo si trovò nel cortile del Palazzo Reale.
-
-
-
-
-II.
-
-_Ronda notturna._
-
-
-Dopo due minuti la piccola comitiva usciva dalla via dei
-_Bons-Enfants_, dietro al teatro costruito da Richelieu per farvi
-rappresentare _Mirame_, e dove Mazzarino, più amatore di musica che di
-letteratura, avea fatto dare di recente le prime opere che siensi mai
-esposte al pubblico in Francia.
-
-L’aspetto della città offeriva tutti i caratteri di somma agitazione;
-numerose combriccole percorrevano le strade, e checchè avesse detto
-d’Artagnan, si fermavano a veder passare i militari, con un’aria di
-dileggio minacciosa, la quale indicava avere i borghesi messa da un
-canto l’ordinaria loro mansuetudine per intenzioni più bellicose.
-Tratto tratto sorgevano dei rumori dal quartiere dei mercati;
-scoppiettavano fucilate dalla parte di via San Dionigi, ed a volte,
-tutto in un subito, senza che si sapesse il perchè, cominciavano a
-suonare varie campane scosse dal capriccio popolare.
-
-D’Artagnan seguitava pel suo viaggio con la noncuranza di uno su cui
-simili sciocchezze non abbiano veruna influenza. Quando un mucchio
-di persone ingombrava il mezzo della strada, ei gli spingeva contro
-il suo cavallo senza neppur dire: Badate! e quasi che, o rivoltosi o
-no, coloro che lo componevano sapessero con chi si avevano da fare,
-si separavano e facevano largo alla pattuglia. Il ministro invidiava
-tanta calma, che attribuiva all’assuefazione al pericolo; ma concepiva
-per l’ufficiale, sotto i di cui ordini si era posto momentaneamente,
-quella specie di considerazione che anco la prudenza concede al freddo
-coraggio.
-
-Avvicinandosi al posto militare della barriera de’ Sergenti, la
-sentinella gridò: Chi va là? D’Artagnan rispose, e domandata al
-ministro la parola d’ordine si avanzò. La parola d’ordine era _Luigi_ e
-_Rocroy_.
-
-Ricambiati quei segni di riconoscimento, d’Artagnan richiese se
-comandava il posto il signor di Comminges. Allora la sentinella gli
-additò un ufficiale, che, a piedi, discorreva, con la mano posata sul
-collo al cavallo del suo interlocutore. Era quel tale di cui egli aveva
-ricercato.
-
-«Ecco, il signor di Comminges», disse d’Artagnan tornato appresso a
-Mazzarino.
-
-Questi diresse il proprio cavallo inverso loro, mentre d’Artagnan
-per prudenza facevasi indietro; bensì dal modo con cui l’uffiziale a
-piedi e quello a cavallo si levarono il cappello, ei si accorse che lo
-avevano ravvisato.
-
-«Bravo Guitaut! disse il ministro al cavalcante, vedo che ad onta
-de’ vostri sessantaquattro anni siete sempre lo stesso, svelto ed
-affezionato. Che dite voi a quel giovane?
-
-«Monsignore, rispose Guitaut, gli dicevo che vivevamo in un’epoca
-singolare, e che la giornata d’oggi somigliava di molto ad una di
-quelle della lega che vidi nella mia gioventù. Sapete che nelle strade
-di San Dionigi e San Martino non si discorre di meno che di fare delle
-barricate?
-
-«E che vi replicava Comminges, caro Guitaut?
-
-«Monsignore, soggiunse Comminges, rispondevo che per fare una lega
-mancava loro soltanto una cosa, la quale mi sembrava essenziale, cioè
-un duca di Guise; d’altronde non si fa due volte la medesima cosa.
-
-«No, ripicchiò Guitaut, ma faranno una _Fronda_, come e’ la chiamano.
-
-«Ch’è mai una Fronda? domandò Mazzarino.
-
-«È il nome che danno al loro partito.
-
-«E d’onde viene codesto nome?
-
-«Pare che giorni sono il consigliere Bachaumont dicesse in Palazzo che
-tutti i facitori di sommosse somigliavano agli scolari, che sparlavano
-nei fossi di Parigi, e si disperdevano al vedere il luogotenente
-civile, per riunirsi da capo dopo ch’esso era passato. Allora hanno
-preso al balzo il termine _fronder_ (sparlare) conforme fecero i
-_gueux_ a Brusselles, e si sono chiamati _Frondeurs_. Ieri e oggi tutto
-era ad uso _Fronde_: panni, cappelli, guanti, manicotti, ventagli.... e
-poi, sentite:»
-
-Realmente, in quell’istante fu aperta una finestra, e vi si affacciò un
-uomo che principiò a cantare:
-
- Un vent de Fronde
- S’est levé ce matin;
- Je crois qu’il gronde
- Contre le Mazarin.
- Un vent de Fronde
- S’est levé ce matin[4].
-
-«Insolente! mormorò Guitaut.
-
-«Monsignore, disse Comminges, messo di mal umore dalla sua ferita, e
-che perciò non desiderava che di riscattarsi, volete che io mandi a
-quel briccone una palla per insegnargli a cantare stuonando?»
-
-E posò la mano su gli arcioni del cavallo di suo zio.
-
-«No no! esclamò il ministro, che diavolo! mio caro, guastereste ogni
-cosa; al contrario, tutto va a meraviglia. Conosco i vostri Francesi
-come se gli avessi fatti io dal primo all’ultimo: cantano, pagheranno.
-Durante la lega di che parlava testè Guitaut si cantava soltanto la
-messa. Vieni Guitaut, andiamo a vedere s’è fatta buona guardia ai
-Quinze-Vingts come alla barriera dei Sergenti».
-
-E salutando con un cenno della mano Comminges, raggiunse d’Artagnan,
-che si ripose alla testa della sua piccola brigata, seguito
-immediatamente da Guitaut e dal ministro, ai quali veniva dopo il
-rimanente della scorta.
-
-«È giusto, borbottò Comminges guardandolo allontanarsi, mi scordavo che
-purchè si paghi, a lui non occorre altro».
-
-Si battè di nuovo la via Sant’Onorato, scomponendo sempre capannelli;
-in essi non si ragionava che degli editti della giornata, si
-compiangeva il giovine re che rovinava così il popolo senza saperlo, si
-buttava tutta la colpa a Mazzarino, si progettava di rivolgersi al duca
-d’Orleans ed al signor principe, si esaltavano Blancmesnil e Broussel.
-
-D’Artagnan transitava fra mezzo a quelle comitive con la massima
-noncuranza, come se egli ed il suo cavallo fossero di ferro; Mazzarino
-e Guitaut discorrevano piano, i moschettieri, riconosciuto ormai il
-ministro, il seguitavano tacendo.
-
-Arrivarono alla contrada San Tomaso del Louvre dov’era il posto
-militare dei Quinze-Vingts. Guitaut chiamò un ufficiale subalterno, che
-venne a render conto.
-
-«Ebbene?» gli domandò Guitaut.
-
-«Ah! mio capitano, da questa parte tutto va bene, se non che credo
-succeda qualche cosa in quel palazzo».
-
-E additava un casamento magnifico situato precisamente sul luogo ove fu
-dipoi il teatro del Vaudeville.
-
-«Là dentro? fece Guitaut, ma è il palazzo Rambouillet.
-
-«Non so se sia Rambouillet, ma quel che so è che ci ho visto entrare
-molte genti di trista cera.
-
-«Via! disse Guitaut con una risata, sono poeti.
-
-«Ohe, Guitaut! disse Mazzarino, ti compiaceresti di non parlare con sì
-poco rispetto di quei signori? non sai che da giovane io fui poeta, e
-facevo dei versi sul genere di quelli del signor di Benserade?
-
-«Voi, monsignore?
-
-«Sì, io: vuoi che te ne reciti?
-
-«Non serve, non capisco l’italiano.
-
-«Sì, ma capisci il francese, è vero, mio buono e bravo Guitaut?
-continuò Mazzarino posandogli amichevolmente la mano su la spalla, e
-qualunque ordine ti sia dato in questa lingua, lo adempirai?
-
-«Senza dubbio, come ho già praticato, purchè mi venga dalla regina.
-
-«Ah! sì, rispose il ministro mordendosi il labbro, so che sei dedito a
-lei.
-
-«Sono capitano delle sue guardie da più di venti anni.
-
-«Andiamo via, signor d’Artagnan; soggiunse il ministro, da questa parte
-tutto va benone».
-
-D’Artagnan tornò alla testa della sua colonna senza più far motto,
-e con l’obbedienza passiva che costituisce il carattere del vecchio
-soldato.
-
-Si camminava verso il poggetto di San Rocco dov’era il terzo posto
-militare, passando dalle strade Richelieu e Villedo. Quello era il più
-isolato, giacchè dava quasi sui bastioni, e da quel lato la città era
-poco popolata.
-
-«Chi comanda questo posto? chiese Mazzarino.
-
-«Villequier, rispose Guitaut.
-
-«Diamine! replicò il ministro, parlategli voi solo; vi è noto che
-siamo corrucciati dacchè voi foste incaricato di arrestare il duca di
-Beaufort: pretendeva che a lui come capitano delle guardie si spettasse
-un tale onore.
-
-«Lo so, e gli ho detto cento volte che aveva torto: il re non poteva
-dargli quell’ordine, giacchè in quell’epoca aveva appena quattro anni.
-
-«Sì, ma io glielo potevo dare, Guitaut, e preferii che toccasse a voi».
-
-Guitaut, senza rispondere, spinse innanzi il cavallo, e fattosi
-riconoscere dalle sentinelle, fece chiamare il signor di Villequier.
-
-Questi uscì subito.
-
-«Ah! siete voi, Guitaut? disse col tuono di mal umore in lui consueto,
-che diavolo venite a far qua?
-
-«Vengo a domandarvi se da questa parte v’è qualcosa di nuovo.
-
-«Che diavolo volete che vi sia? è gridato: Viva il re! e abbasso
-Mazzarino! questa non è novità, è anche un bel pezzo che siamo avvezzi
-a simili grida!
-
-«E voi vi fate il coro! ribattè ridendo Guitaut.
-
-«Affè, alle volte ne avrei voglia, e trovo che hanno ragione; darei di
-buon grado cinque annate della mia paga, che non mi vien pagata, perchè
-il re avesse cinque anni di più.
-
-«Davvero? e che accadrebbe se avesse cinque anni di più?
-
-«Accadrebbe il momento che il re sarebbe in età maggiore, che il re
-darebbe i suoi ordini da per sè, e v’è più soddisfazione a obbedire
-al nepote di Enrico IV che al figlio di Pietro Mazzarino. Per il re,
-cospettone! mi farei ammazzare con piacere, ma se fossi ammazzato
-per il Mazzarino, conforme è stato in procinto di esserlo oggi vostro
-nepote, non me ne consolerei nemmeno nel mondo di là.
-
-«Bene, bene, signor di Villequier, disse Mazzarino, non dubitate,
-informerò il re della vostra devozione».
-
-Poi giratosi verso la scorta:
-
-«Animo, signori, torniamo indietro, tutto va ottimamente.
-
-«Veh! disse Villequier, era là il Mazzarino! meglio così: da gran tempo
-bramavo dirgli in faccia quel che pensavo di lui; voi me ne avete data
-l’occasione, Guitaut, e quantunque la vostra intenzione non sia forse
-per me delle più favorevoli, pure ve ne ringrazio».
-
-E voltando le calcagna rientrò in corpo di guardia, fischiando
-un’arietta di _Fronda_.
-
-Frattanto Mazzarino se ne tornava pensieroso: quanto aveva inteso da
-Comminges, da Guitaut e da Villequier lo confermava nell’idea che in
-caso di avvenimenti gravi ei non avrebbe nessuno per sè, eccettuata la
-regina, ed anche la regina aveva abbandonati sì sovente i suoi amici,
-che il di lei appoggio gli sembrava, ad onta delle precauzioni da esso
-prese, molto incerto e precario.
-
-In tutto il tempo della durata di quella gita notturna, cioè per un’ora
-circa, il ministro, benchè studiasse a vicenda Comminges, Guitaut
-e Villequier, aveva esaminato un uomo. Quest’uomo, ch’era rimasto
-impassibile davanti alla minaccia popolare, che non si era accigliato
-di più agli scherzi detti da Mazzarino che agli altri diretti contro
-di lui, gli pareva un essere a parte, e adatto per avvenimenti della
-specie di quelli in cui si era allora, e soprattutto di quelli in che
-presto si doveva trovarsi.
-
-D’altronde, il nome di d’Artagnan non gli era totalmente ignoto, e
-sebbene egli non fosse venuto in Francia se non verso il 1634 o 1635,
-vale a dire sette o otto anni dopo gli eventi da noi narrati in una
-precedente storia, pure al ministro sembrava aver udito a proferire tal
-nome come appartenente ad un soggetto che in una circostanza non più
-presente alla sua mente si era distinto qual modello di coraggio, di
-destrezza e di devozione.
-
-Questa idea s’impossessò cotanto del suo spirito, ch’ei risolse di
-schiarirla senza indugio; ma le notizie che desiderava sopra d’Artagnan
-non già allo stesso d’Artagnan bisognava richiederle. Dalle poche
-parole pronunciate dal tenente dei moschettieri, Mazzarino aveva potuto
-discernere l’origine guascona, e Italiani e Guasconi si conoscono
-troppo, e troppo si somigliano per rapportarsi gli uni agli altri
-di ciò che posson dire di sè stessi. Quindi, arrivato alle mura, che
-facevano recinto al giardino del Palazzo Reale, il ministro bussò ad
-una porticella situata a un dipresso dov’è adesso il caffè di Foy, e
-dopo ringraziato d’Artagnan e invitatolo ad attenderlo nel cortile del
-Palazzo Reale, accennò a Guitaut che andasse seco. Ambedue smontarono
-da cavallo, consegnarono le redini al lacchè, che aveva loro aperto, e
-disparvero nel giardino.
-
-«Mio caro Guitaut, disse Mazzarino appoggiandosi al braccio del vecchio
-capitano delle guardie, mi dicevate poc’anzi che sono quasi venti anni
-dacchè siete al servizio della regina.
-
-«Sì, è la verità, rispose Guitaut.
-
-«Ora, mio caro, io ho osservato che oltre al vostro coraggio, ch’è
-incontrastabile, e la vostra fedeltà, ch’è ad ogni prova, avevate
-un’ottima memoria.
-
-«Avete notato questo, monsignore? diavolo! peggio per me.
-
-«E perchè?....
-
-«Di certo: una delle prime qualità del cortigiano è di saper
-dimenticare.
-
-«Ma voi, Guitaut, non siete un cortigiano, siete un prode soldato,
-un di quei capitani come ne restano tuttavia alcuni del tempo del re
-Enrico IV, ma come pur troppo in breve non ne resteranno più.
-
-«Capperi! ma, monsignore, mi avete fatto venire con voi per predirmi la
-sorte?
-
-«No no.... per domandarvi se avevate osservato il nostro tenente de’
-moschettieri.
-
-«Il signor d’Artagnan?
-
-«Appunto.
-
-«Non ne ho avuto bisogno, lo conosco da molto tempo.
-
-«Dunque che uomo è egli?
-
-«Eh! fece Guitaut, sorpreso dall’interrogazione, è un Guascone.
-
-«Sì, lo so, ma volevo ricercarvi se era un uomo in cui si potesse aver
-fiducia.
-
-«Il signor di Tréville lo ha in grande stima, e il signor di Tréville,
-non lo ignorate, è amicissimo della regina.
-
-«Desideravo sapere s’era uno che avesse date prove di sè?
-
-«Se intendete come valoroso soldato, credo potervi rispondere di sì:
-all’assedio di La Rochelle, al passo di Susa, a Perpignano, ho inteso
-dire che avesse fatto più del suo dovere.
-
-«Ma, lo sapete pure, noi altri poveri ministri spesso abbiamo bisogno
-di altri uomini che di quei valorosi; ci abbisognano genti accorte.
-D’Artagnan non si trovò immischiato al tempo del signor di Richelieu in
-qualche intrigo dal quale la pubblica voce vorrebbe che si fosse cavato
-fuori abilissimamente?
-
-«Monsignore, sotto questo rapporto, disse Guitaut, il quale vide
-che il ministro intendeva a farlo ciarlare, sono costretto a dire a
-V. Eccellenza che non so altro se non quello che la voce pubblica
-ha recato a cognizione di lei stessa. Non mi sono mai ingerito in
-intrighi per mio conto, e se talvolta ho ricevuta qualche confidenza
-in proposito d’intrighi altrui, il segreto, non essendo mio, troverete
-opportuno ch’io lo serbi a quelli che me lo affidarono».
-
-Mazzarino tentennò il capo.
-
-«Ah! sospirò; in parola, vi sono dei ministri ben fortunati, e che
-sanno tutto quanto vogliono sapere.
-
-«Monsignore, egli è perchè quelli non pesano tutti gli uomini nella
-medesima bilancia, e sanno rivolgersi agli uomini di guerra per
-la guerra e agli intriganti per gl’intrighi. Rivolgetevi ad alcun
-intrigante dell’epoca di cui discorrete, e ne ricaverete ciò che
-bramate, già s’intende pagando.
-
-«Eh cospetto! soggiunse Mazzarino, facendo una certa smorfia che
-gli era usuale quando con lui si toccava la questione di danaro nel
-senso in cui lo avea fatto Guitaut, si pagherà se non vi sarà da fare
-altrimenti.
-
-«E monsignore mi domanda sul serio d’indicargli un soggetto che sia
-stato immischiato in tutti i raggiri di quell’epoca?
-
-«Per Bacco! riprese Mazzarino che cominciava a perdere la pazienta, da
-un’ora non vi ricerco altro, testa di ferro che voi siete!
-
-«Ve n’è uno, per il quale vi garantisco su questo particolare, se però
-vuol parlare.
-
-«Cotesto è pensier mio.
-
-«Ah, monsignore! non sempre è facile di far dire alle persone quel che
-non vogliono dire.
-
-«Oibò! con la pazienza ci si viene. Ebbene, colui?
-
-«È il conte di Rochefort!
-
-«Il conte di Rochefort!
-
-«Disgraziatamente è sparito da quattro o cinque anni, e non so più che
-ne sia stato.
-
-«Lo saprò io, Guitaut.
-
-«E allora, di che si lagnava vostra Eccellenza, di non saper niente?
-
-«E credete, seguitò Mazzarino, che Rochefort?....
-
-«Era l’anima dannata del ministro.... ma vi prevengo, monsignore, che
-vi costerà caro; il ministro era prodigo con quella sua creatura.
-
-«Sì, sì...., replicò Mazzarino, era un grand’uomo, ma aveva questo
-difetto.... Grazie, Guitaut, mi approfitterò del vostro consiglio, e
-questa sera subito».
-
-Ed essendo i due interlocutori giunti appunto al cortile del Palazzo
-Reale, il ministro fece con la mano un saluto a Guitaut, e veduto un
-ufficiale che passeggiava su e giù, gli si accostò.
-
-Era d’Artagnan, che lo aspettava secondo il suo comando.
-
-«Venite, d’Artagnan, disse Mazzarino con la sua voce più dolce, ho da
-darvi un’incombenza».
-
-L’altro fe’ un inchino, andò seco per la scala segreta, e dopo poco si
-ritrovò nel gabinetto d’onde si era partito.
-
-Il ministro sedè a tavolino, e preso un foglio vi scrisse alcuni versi.
-
-D’Artagnan, in piedi, impassibile, attese senza impazienza nè
-curiosità. Era diventato un automa militare, che agisse o piuttosto
-obbedisse mercè una molla.
-
-Mazzarino piegò la lettera, e vi appose il suo sigillo.
-
-«Signor d’Artagnan, porterete questo dispaccio alla Bastiglia, e
-condurrete qua la persona a cui concerne; prenderete una carrozza, una
-scorta, e farete buona guardia al prigioniero».
-
-D’Artagnan pigliò il foglio, si toccò il cappello, girò sulle calcagna
-come avrebbe potuto fare il più abile sergente istruttore, ed uscì;
-indi a un momento si udì che comandava con la sua voce monotona:
-
-«Quattro uomini di scorta, una carrozza e il mio cavallo».
-
-Di lì a cinque minuti si udiva il rumore delle ruote del legno e dei
-ferri de’ cavalli sulle lastre del cortile.
-
-
-
-
-III.
-
-_Due antichi nemici._
-
-
-Suonavano le otto e mezza, quando d’Artagnan giungeva alla Bastiglia.
-
-Si fece annunziare al governatore, il quale appena intese ch’ei veniva
-da parte e con un ordine di monsignore, gli andò incontro fin sulla
-scalinata.
-
-Governatore della Bastiglia era in allora il signor de Tremblay
-fratello del famoso Joseph, quel terribile favorito di Richelieu
-sopracchiamato l’Eminenza grigia.
-
-Allorchè il maresciallo di Bassompierre era nella Bastiglia, dove
-stette dodici anni interi, ed i suoi compagni nei loro sogni di libertà
-dicevano un coll’altro: Io uscirò nel tal tempo, io in tale epoca,
-Bassompierre rispondeva: «Signori, ed io uscirò quando uscirà il signor
-de Tremblay»; lo che significava, che alla morte del ministro non
-poteva mancare che de Tremblay perdesse il suo posto alla Bastiglia e
-Bassompierre ripigliasse il suo in corte.
-
-Realmente fu vicina a compiersi la sua predizione, ma in altro modo
-da quel ch’egli aveva immaginato, imperocchè, morto Richelieu, contro
-ogni aspettativa, le cose continuarono a andare come per lo passato; de
-Tremblay non venne fuori, e Bassompierre stette in procinto a non venir
-più fuori.
-
-Sicchè il signor de Tremblay era tuttavia governatore della Bastiglia,
-quando vi si presentò d’Artagnan per eseguire i cenni di Mazzarino; lo
-accolse con la maggior cortesia, ed essendo precisamente per mettersi a
-tavola, lo invitò a cena seco.
-
-«Lo farei con tutto il piacere, disse d’Artagnan, ma se non isbaglio
-sulla sopraccarta è scritto: di premura.
-
-«Sì sì, confermò de Tremblay, olà, maggiore! fate scendere il numero
-256».
-
-Chi entrava nella Bastiglia cessava d’esser uomo e diventava numero.
-
-D’Artagnan si sentì i brividi udendo stridere le chiavi, e perciò
-rimase a cavallo senza volere smontare, guardando le inferriate, le
-finestre affondate, i muri enormi che non aveva mai veduti se non dal
-lato opposto del fosso, e che una ventina d’anni addietro gli aveano
-fatta tanta paura.
-
-Fu dato un tocco di campana.
-
-«Vi lascio, gli disse de Tremblay, mi chiamano per sottoscrivere il
-permesso di uscita del prigioniero. A rivederci, signor d’Artagnan.
-
-«Dio mi punisca se ti rendo il tuo augurio! bucinò d’Artagnan,
-accompagnando l’imprecazione con un sorriso gentilissimo; per essere
-stato cinque soli minuti nel cortile mi sento di già male. Animo,
-mi accorgo che ho ancora più genio a morire sulla paglia, lo che
-probabilmente mi succederà, che a porre insieme dieci mila lire di
-rendita con essere governatore della Bastiglia».
-
-Appena terminava questo monologo comparve il carcerato. Al mirarlo
-d’Artagnan fece un atto di stupore, ma tosto lo represse. Quegli salì
-in carrozza senza mostrare di aver ravvisato d’Artagnan.
-
-«Signori, disse quest’ultimo ai quattro moschettieri, mi è stata
-raccomandata la massima sorveglianza sul prigioniero; e siccome la
-vettura non ha serratura agli sportelli, io ci salgo accanto a lui.
-Signor di Lillebonne, abbiate la compiacenza di condurre scosso il mio
-cavallo.
-
-«Volentieri, mio tenente, rispose Lillebonne».
-
-D’Artagnan scese a terra, diede la briglia del suo animale al
-moschettiere, entrò nel legno, e si mise al fianco del detenuto, e con
-voce nella quale non si poteva distinguere la minima emozione disse
-poi:
-
-«Al Palazzo Reale, e di trotto».
-
-La vettura si partì, ed egli, profittando dell’oscurità che regnava
-sotto la volta da traversarsi, si gettò al collo al prigioniero.
-
-«Rochefort! esclamò, voi! siete voi! non m’inganno?
-
-«D’Artagnan! esclamò ugualmente Rochefort attonito.
-
-«Ah, povero amico mio! continuò d’Artagnan, non avendovi rivisto da
-quattro o cinque anni, vi credevo morto.
-
-«Eh! fece l’altro, mi pare non vi sia gran differenza tra un morto e un
-sepolto, ed io sono sepolto, o poco meno.
-
-«E per qual delitto siete nella Bastiglia?
-
-«Volete ch’io vi dica la verità?
-
-«Sì.
-
-«Ebbene, non lo so.
-
-«Diffidenza con me!
-
-«No, da gentiluomo, mentre è impossibile ch’io vi sia per la causa di
-che sono imputato.
-
-«Che causa?
-
-«Come ladro notturno.
-
-«Voi ladro notturno, Rochefort! oh burlate!
-
-«Capisco, qui ci vuole spiegazione, non è così?
-
-«Lo confesso.
-
-«Or bene, ecco come fu. Una sera, dopo una gozzoviglia da Reinard
-alle Tuilerie con il duca d’Harcourt, Fontrailles, de Rieux ed
-altri, il duca d’Harcourt propose di andare a rubare i pastrani sul
-Ponte-Nuovo.... lo sapete, è un divertimento messo in gran moda dal
-signor duca d’Orleans.
-
-«Eravate pazzo, Rochefort? alla vostra età!
-
-«No, era ubriaco; eppure siccome il divertimento mi sembrava mediocre,
-progettai al cavaliere de Rieux d’essere spettatori invece che attori,
-e per vedere la scena dal prim’ordine salire sul cavallo di bronzo.
-Detto e fatto. Mediante gli sproni che ci servivano di staffe, in un
-attimo fummo in groppa. Stavamo a meraviglia, vedevamo egregiamente.
-Erano già stati portati via quattro o cinque ferraiuoli con destrezza
-impareggiabile e senza che gli spogliati osassero nemmeno fiatare, ed
-ecco che non so quale imbecille, meno sofferente degli altri, si mette
-a gridare: pattuglia! e ci richiama a ridosso una brigata di arcieri.
-Il duca d’Harcourt, Fontrailles e gli altri scappano. De Rieux vuol
-fare lo stesso. Io lo trattengo, assicurandolo che nessuno verrà a
-scovarci dove siamo. Egli non mi dà retta e pone il piede sullo sprone
-per scendere, questo si rompe, egli cade, si rompe una gamba, e invece
-di stare zitto piglia ad urlare come un indiavolato. Tento di saltare
-anch’io. Era però troppo tardi, e salto nelle braccia degli arcieri,
-i quali mi conducono al Castelletto, e là mi addormento ben e meglio
-certissimo di uscirne all’indomani. Passa l’indomani, il posdomani e
-otto giorni. Scrivo al ministro. Nel giorno stesso vengono a prendermi,
-e mi portano alla Bastiglia. Ci sono da cinque anni. Supponete che sia
-per aver commesso il sacrilegio di montare in groppa dietro ad Enrico
-IV?
-
-«No, avete ragione, mio caro Rochefort, non può essere per questo, ma
-ora probabilmente siete prossimo a sapere il perchè.
-
-«Ah sì! giusto, mi dimenticavo di domandarvelo; dove mi conducete?
-
-«Dal ministro.
-
-«Che vuol egli da me?
-
-«Non lo so, poichè ignoravo persino di venire a cercar voi.
-
-«È impossibile! voi, un favorito!
-
-«Io favorito? ah! mio povero conte, sono più cadetto di Guascogna che
-quando vi vidi a Meung, vi ricorderete, ohimè! più di venti anni fa».
-
-Ed un grosso sospiro terminò la frase di d’Artagnan.
-
-«Per altro, venite qui con un ordine.
-
-«Perchè mi trovavo a caso nell’anticamera e Sua Eccellenza si è
-diretta a me come avrebbe fatto ad un altro; ma sono sempre tenente nei
-moschettieri, e se fo bene i conti, sono oramai da circa ventun’anno.
-
-«In somma non vi sono succedute disgrazie, ed è molto.
-
-«E che disgrazia volevate mi accadesse? come dice non so quel verso
-latino, che non mi rammento più, o piuttosto che non seppi mai bene, il
-fulmine non batte nelle valli, ed io sono una valle, Rochefort mio, e
-delle più basse che vi siano.
-
-«Dunque il Mazzarino è sempre Mazzarino?
-
-«Più che mai! lo dicono maritato alla regina.
-
-«Maritato!
-
-«Se non le è marito, sarà forse suo amante.
-
-«Resistere a un Buckingham, e dare ascolto ad un Mazzarino!
-
-«Ecco come sono le donne, disse filosoficamente d’Artagnan.
-
-«Le donne sì, ma le regine!
-
-«Eh, Dio Santo! su questo particolare sarei per dire che le regine sono
-donne due volte.
-
-«E il signor di Beaufort è ancora carcerato?
-
-«Sempre: perchè?
-
-«Ah! gli è che siccome mi voleva bene, avrebbe potuto levarmi di guai.
-
-«Voi siete forse più vicino di esso ad esser libero, e leverete lui di
-guai.
-
-«Allora la guerra?
-
-«L’avremo quanto prima.
-
-«Con lo Spagnuolo?
-
-«No, con Parigi.
-
-«Che intendete mai dire?
-
-«Udite voi queste schioppettate?
-
-«Sì, e poi?
-
-«E poi, sono i borghesi che palleggiano aspettando partita.
-
-«E che pensate forse che vi sarebbe da fare qualche cosa dei borghesi?
-
-«Eh sì; promettono, e se avessero un capo che di tutte le comitive
-formasse un attruppamento....
-
-«Peccato di non esser libero!
-
-«Oh! Dio buono, non vi disperate. Se il Mazzarino vi fa chiamare, è che
-ha bisogno di voi; e se ne ha bisogno, affè! me ne congratulo con voi.
-Da molti anni nessuno ha più necessità di me, e perciò vedete a che
-punto sono.
-
-«Lagnatevi, sì! ve lo consiglio!
-
-«Ascoltatemi, Rochefort.... una convenzione....
-
-«E quale?
-
-«Sapete che siamo buoni amici....
-
-«Gnaffe! e porto i segni della nostra amicizia, tre stoccate!...
-
-«Or via, se ritornate in credito, in favore, non vi scordate di me.
-
-«Da Rochefort che sono: ma a cosa reciproca.
-
-«Fissato: ecco la mano. Sicchè alla prima occasione che incontrate di
-parlare di me....
-
-«Ne parlo; e voi?
-
-«Lo stesso.
-
-«A proposito, e i vostri amici, s’ha da parlare anche di loro?
-
-«Che amici?
-
-«Athos, Porthos e Aramis; li avete obliati?
-
-«Quasi.
-
-«Cosa è stato di loro?
-
-«Non lo so.
-
-«Davvero!
-
-«Oh sì.... ci siamo lasciati come vi è noto; vivono, questo è quanto
-posso dire; tratto tratto ne ho notizie indirette, ma in che luogo del
-mondo siano, diavol mi porti se lo so.... no, in parola d’onore! non ho
-più altro amico che voi, Rochefort.
-
-«E l’illustre.... come chiamavate quel ragazzo ch’io feci sergente nel
-reggimento di Piemonte?
-
-«Planchet.
-
-«Bravo! e dell’illustre Planchet che ne fu?
-
-«Ha sposata una bottega da confettiere in via dei Lombardi. È un
-giovane ch’è stato sempre propenso per le dolcezze, talchè è borghese
-di Parigi, e secondo ogni probabilità adesso susurra. Vedrete che quel
-briccone sarà scabbino prima ch’io sia capitano.
-
-«Animo, caro d’Artagnan, un po’ di coraggio; quando appunto uno è sul
-più basso della ruota, la ruota gira e vi rialza. Forse stassera subito
-si cambierà la vostra sorte.
-
-«Amen! disse d’Artagnan, facendo fermare la carrozza.
-
-«Che fate? domandò Rochefort.
-
-«Fo, che siamo arrivati, e non voglio esser visto a uscire dal vostro
-legno: noi non ci conosciamo.
-
-«Avete ragione: addio.
-
-«A rivederci; rammentatevi la vostra promessa».
-
-D’Artagnan rimontò a cavallo, e si rimise alla testa della scorta.
-
-Dopo cinque minuti entravano tutti nel cortile del Palazzo Reale.
-
-D’Artagnan guidò il prigioniero per la scala grande e gli fece
-traversare l’anticamera e la galleria. Giunto all’usciale del gabinetto
-di Mazzarino, si disponeva a farsi annunziare, ma Rochefort gli mise la
-mano su la spalla.
-
-«D’Artagnan, gli disse sorridendo, volete ch’io vi confessi una cosa
-a cui ho pensato in tutto il viaggio mirando i gruppi di borghesi che
-guardavano voi e i vostri quattro uomini con occhi infuocati?
-
-«Dite pure.
-
-«Che mi sarebbe bastato di gridare ajuto, per farvi fare in pezzi voi e
-la vostra scorta, ed allora ero libero.
-
-«Perchè non lo faceste?
-
-«Oh via! e l’amistà giurata?... se fosse stato un altro fuor di voi che
-mi avesse condotto, non direi....»
-
-D’Artagnan chinò il capo, dicendo:
-
-«Che Rochefort sia diventato migliore di me?»
-
-E fe’ dar avviso al ministro d’esser egli colà.
-
-«Passi il signor di Rochefort, disse Mazzarino impaziente quando
-ebbe inteso profferire i due nomi, e pregate il signor d’Artagnan di
-aspettare; non ho ancora terminato con lui».
-
-A queste parole d’Artagnan si rallegrò. Secondo aveva osservato, da
-molto tempo nessuno aveva avuto bisogno di lui, e l’insistenza del
-ministro a suo riguardo gli parve di buon augurio.
-
-A Rochefort essa non produsse altro effetto se non di porlo in maggior
-cautela. Egli entrò nel gabinetto, e trovò Mazzarino seduto a tavolino
-col suo vestimento consueto.
-
-Furono chiuse le porte. Rochefort sbirciò da un canto Mazzarino, e
-sorprese un’occhiata del ministro che incrociavasi colla sua.
-
-Il ministro era sempre lo stesso, ben pettinato, acconciato, pien
-d’odori, e mercè questa sua eleganza non mostrava l’età che aveva.
-Di Rochefort il caso era diverso, ed i cinque anni passati in carcere
-avevano invecchiato d’assai questo degno amico di Richelieu; i capelli
-neri gli erano diventati bianchi, al colore bronzino della carnagione
-subentrava una pallidezza che sembrava una specie di sfinimento. Al
-vederlo Mazzarino scosse un poco la testa con un atto ch’esprimeva:
-
-«Ecco un uomo che non mi pare più buono a gran cosa!»
-
-Dopo un silenzio, che in realtà fu molto lungo, e che a Rochefort parve
-un secolo, Mazzarino cavò da un fascio di fogli una lettera aperta, e
-mostrandola al gentiluomo, gli disse:
-
-«Signor de Rochefort, ho trovato una lettera con la quale reclamate la
-vostra libertà. Siete dunque in prigione?»
-
-L’altro balzò a tal domanda.
-
-«Ma!... mi sembrava che Vostra Eccellenza lo sapesse meglio di chiunque.
-
-«Io? niente affatto. V’è tuttora nella Bastiglia una quantità di
-detenuti che vi stanno sino dal tempo del signor di Richelieu e di cui
-neppure so i nomi.
-
-«Oh! ma di me gli è tutt’altro, monsignore, e il mio vi è noto, giacchè
-per un ordine di Vostra Eccellenza fui trasportato dal Castelletto alla
-Bastiglia.
-
-«Credete?
-
-«Ne son certo.
-
-«Sì.... mi pare di ricordarmene.... Non ricusaste in addietro di fare
-un viaggio per la regina a Brusselles?
-
-«Ah ah! ecco dunque la vera causa! da cinque anni la ricercavo, e
-sciocco che sono! non la rinvenivo.
-
-«Non vi dico già che quella sia la causa del vostro arresto,
-intendiamoci; vi fo soltanto questa interrogazione: non negaste di
-andare a Brusselles per servizio della regina, mentre avevate aderito a
-andarvi per servizio del defunto Richelieu?
-
-«Appunto perchè mi ci ero recato per il defunto ministro, non potevo
-tornarci per la regina. Ero stato a Brusselles in una terribile
-circostanza. Fu all’epoca della congiura di Chalais. V’ero andato per
-sorprendere la corrispondenza di Chalais con l’arciduca, e già allora
-quando fui riconosciuto ebbi ad esser fatto in pezzi[5]. Come volevate
-che vi tornassi? compromettevo la sovrana, anzi che giovarle.
-
-«Or bene, capite? ecco come sono male interpretate le migliori
-intenzioni, mio caro signor di Rochefort. La sovrana vide nel vostro
-rifiuto un rifiuto puro e semplice; aveva avuto da dolersi moltissimo
-di voi sotto il fu ministro, Sua Maestà la regina!»
-
-Il gentiluomo sorrise con disprezzo.
-
-«Precisamente perchè avevo servito bene il signor di Richelieu contro
-la regina, morto lui, dovevate comprendere, monsignore, che vi servirei
-bene contro a tutti.
-
-«In verità, signor di Rochefort, io non sono come il signor di
-Richelieu che mirava all’onnipotenza; io sono un semplice ministro
-che non ho bisogno di servi, essendo io servo della regina. Orsù, Sua
-Maestà è puntigliosa, avrà saputa la vostra ripulsa, l’avrà presa per
-una dichiarazione di guerra, e conoscendo quanto siete uomo superiore,
-e in conseguenza pericoloso, mi avrà comandato, mio caro signor di
-Rochefort, di assicurarmi di voi.... Ed ecco in che modo vi trovate
-alla Bastiglia.
-
-«Ebbene, monsignore, mi pare che se mi ci trovo per un abbaglio....
-
-«Sì sì, tutto questo può aggiustarsi.... Voi siete capace di capire
-certi affari, e una volta capiti, mandarli innanzi per bene.
-
-«Tale era l’opinione del signor di Richelieu, e la mia ammirazione per
-quel grande uomo maggiormente si accresce dacchè vi compiacete dirmi
-ch’è pure la vostra.
-
-«È vero, soggiunse Mazzarino, il defunto ministro aveva molta politica:
-questa costituiva la sua superiorità su di me, che sono un uomo
-semplice e senza secondi fini; è quello il mio danno, di avere una
-franchezza addirittura francese».
-
-Rochefort ai morse il labbro per non ridere.
-
-«Sicchè, vengo alla sostanza: ho bisogno di buoni amici, di servi
-fedeli; quando dico: ho bisogno, voglio dire: ne ha bisogno la regina.
-Io non fo nulla se non per comando della regina, intendete? non sono
-come il signor di Richelieu che faceva tutto a suo capriccio. E perciò
-non sarò mai un grand’uomo a pari suo, ma invece sono un uomo buono,
-signor di Rochefort, e spero di provarvelo».
-
-Rochefort conosceva quella voce melata in cui entrava tratto tratto un
-fischio simile a quel della vipera.
-
-«Sono prontissimo a creder tutto, monsignore, ei rispose, quantunque
-dal canto mio abbia avuto poche prove di quella _bontà_ di cui parla
-Vostra Eccellenza. Non vi dimenticate (seguitò veggendo l’impressione
-che cercava di occultare il ministro) che da cinque anni io sono nella
-Bastiglia, e non v’è niente che guasti tanto le idee come il guardare
-le cose dalle inferriate di un carcere.
-
-«Ah! signor di Rochefort, vi ho di già dichiarato che non ci avevo che
-fare, nella vostra carcerazione.... La regina.... collera di donna e di
-principessa, che volete? ma passa da sè com’è venuta, e poi non ci si
-pensa più....
-
-«L’intendo, monsignore, che non vi pensi più, essa che ha passati quei
-cinque anni nel Palazzo Reale tra le feste ed in mezzo ai cortigiani;
-io però che gli ho consumati in prigione....
-
-«Ma Dio buono! caro di Rochefort, vi figurate che il Palazzo Reale sia
-un soggiorno molto allegro? no no: anche noi, vi assicuro, vi abbiamo
-avuti grandi tormenti. Ma basta, non discorriamo più di questo. Io
-giuoco a giuoco scoperto, al mio solito: orsù, siete dei nostri?
-
-«Monsignore, dovete capire che non bramo di meglio; bensì, non sono
-più a giorno di nulla. Alla Bastiglia non si chiacchiera di politica se
-non con i soldati e i carcerieri, e non avete idea quanto quelle genti
-siano poco istruite di quel che succede. Io sono ancora al signor di
-Bassompierre.... È sempre uno dei diciassette signori?
-
-«È morto, e questa è una gran perdita. Era uomo zelante per la regina,
-e gli uomini zelanti sono rari!
-
-«Per Diana! lo credo, fece Rochefort, quando ne avete li mandate alla
-Bastiglia!
-
-«Ma infatti, disse Mazzarino, che cosa prova la devozione, lo zelo?
-
-«L’azione, replicò Rochefort.
-
-«Ah! sì, l’azione, ripetè il ministro riflettendo, ma dove trovarli gli
-uomini da azione?»
-
-Rochefort tentennò il capo.
-
-«Non ne mancano mai: egli è soltanto, monsignore, che voi cercate male.
-
-«Come, male? che volete dire, mio caro?... Dovete aver imparato di
-molto nell’intima vostra relazione col defunto ministro.... Ah! era un
-uomo sì grande!
-
-«Vostra Eccellenza si sdegnerà se moralizzo un pochino?
-
-«Io? mai; sapete che a me si può dir tutto; procuro di farmi amare, e
-non temere.
-
-«Or bene, monsignore, nella mia prigione è un proverbio scritto sul
-muro colla punta di un chiodo.
-
-«E che proverbio?
-
-«Eccolo: _Tal padrone_.....
-
-«Lo conosco: _tal servo_.
-
-«No: _tal servitore_; egli è un piccolo cambiamento che gli zelanti
-di cui vi parlavo pocanzi vi hanno introdotto per loro particolare
-soddisfazione.
-
-«E che significa il dettato?
-
-«Che il signor di Richelieu seppe trovare dei servitori zelanti, e a
-dozzine.
-
-«Egli! egli, punto di mira di tutti i pugnali! egli che passò tutta la
-vita a parare i colpi che gli si vibravano!
-
-«Ma tanto li parò, eppure erano scagliati fortemente. E che se aveva
-dei buoni nemici, aveva anche buoni amici.
-
-«Ma questo è quanto io chiedo.
-
-«Ho conosciute delle genti, continuò Rochefort stimando giunto il
-momento di mantener la parola a d’Artagnan, che con l’arte loro
-delusero cento volte la penetrazione del ministro; genti, che senza
-danaro, senza appoggio, senza credito, conservarono una corona ad una
-testa coronata e fecero domandar grazia al ministro.
-
-«Ma coloro che voi menzionate, soggiunse Mazzarino sorridendo fra sè
-perchè Rochefort arrivava dov’egli bramava condurlo, coloro non erano
-devoti al ministro, mentre contrastavano contro di lui.
-
-«No, giacchè sarebbero stati ricompensati meglio; ma avevano la
-disgrazia di esser devoti a quella stessa regina per la quale testè
-domandavate dei servitori.
-
-«Ma come potete sapere tutto questo?
-
-«Lo so, perchè coloro erano in quell’epoca miei nemici, perchè
-lottavano contro di me, perchè ad essi io feci quanto male potei,
-perchè me lo resero meglio che poterono, perchè uno di loro con cui
-avevo avuto che fare più particolarmente mi diede una stoccata saranno
-ora sette anni: era la terza che ricevevo dalla medesima mano.... la
-fine di un vecchio conto....
-
-«Ah! disse Mazzarino con somma bonarietà, se conoscessi simili
-soggetti!...
-
-«Eh, monsignore! ne avete uno alla vostra porta da sei anni, e che da
-sei anni non avete giudicato buono a nulla.
-
-«E chi?
-
-«D’Artagnan.
-
-«Quel Guascone! esclamò Mazzarino fingendosi egregiamente sorpreso.
-
-«Quel Guascone salvò una sovrana, e fece confessare al Richelieu che
-in materia di abilità, d’arte e di politica, egli era uno scolare e non
-più.
-
-«Davvero?
-
-«Tal quale ho l’onore di riferire a Vostra Eccellenza.
-
-«Raccontatemi un po’ tutto ciò, caro signor di Rochefort.
-
-«È difficilissimo, monsignore, fece sorridendo il gentiluomo.
-
-«Dunque, me lo racconterà da sè.
-
-«Ne dubito.
-
-«E perchè?
-
-«Perchè non è un segreto suo proprio, perchè, come vi dissi, è il
-segreto di una grande regina.
-
-«Ed era solo per compiere una simile impresa?
-
-«No; aveva tre uomini, tre prodi che lo secondavano; prodi, come voi,
-monsignore, pocanzi ne cercavate.
-
-«E quei quattro uomini erano uniti, voi dite?
-
-«Come se fossero stati uno solo, come se i quattro cuori avessero
-balzato in un petto stesso.... E perciò, che non fecero quei quattro!
-
-«Mio caro Rochefort, voi stimolate la mia curiosità ad un tal segno che
-non ve lo so esprimere. E non potreste narrarmi quella storia?
-
-«No; ma posso dirvi una novella, una vera novella da fate, vi assicuro,
-monsignore.
-
-«Oh! ditemela, signor di Rochefort, mi piacciono assai le novelle.
-
-«Volete voi, monsignore? disse Rochefort procurando di discernere
-un’intenzione su quel viso accortissimo e scaltro.
-
-«Sì, sì....
-
-«Or bene, ascoltate. V’era una volta una regina.... regina potente,
-regina di uno dei più grandi regni del mondo, a cui un gran ministro
-voleva molto male per averle voluto prima molto bene.... Oh! non
-istate a cercare, non indovinereste chi era: tutto ciò accadde molti
-anni avanti che voi veniste nel reame dove regnava quella regina. Or
-dunque, venne alla corte un ambasciatore sì valoroso, sì ricco e sì
-elegante, che tutte le donne ne andavano pazze, e la regina stessa,
-senza dubbio per ricordo della maniera colla quale esso aveva trattati
-gli affari dello Stato, ebbe l’imprudenza di dargli un certo finimento
-di gioje tanto rimarchevole che non gli si poteva sostituirgliene alcun
-altro. Siccome il finimento veniva dal re, il ministro indusse questo
-ad esigere dalla principessa che le dette gioje figurassero addosso
-a lei alla prossima festa da ballo. È inutile dirvi, monsignore,
-che il ministro sapeva da fonte sicura che le gioje erano andate
-coll’ambasciatore, il quale era lontano lontano di là dai mari. La
-gran regina era rovinata, rovinata quanto l’infima delle sue suddite,
-giacchè decadeva da tutta la sua grandezza.
-
-«Davvero! fece Mazzarino.
-
-«Ebbene! quattro uomini decisero di salvarla. Questi non erano
-principi, non duchi, non soggetti potenti, neppur ricchi, ma quattro
-soldati, che avevano cuor grande, braccio buono, franca spada.
-Partirono. L’Eccellenza era informata della loro partenza, ed aveva
-impostati dei servi sulla strada per impedire ch’essi giungessero
-alla loro meta. Tre furono ridotti in grado da non più combattere dai
-numerosi assalitori; ma uno solo arrivò in porto, ferì od uccise quei
-che volevano arrestarlo, varcò il mare, e riportò il finimento alla
-grande regina, che potè ornarsene il giorno stabilito.... per cui il
-ministro fu lì lì per dannarsi. Che dite di quest’azione, monsignore?
-
-«Magnifica! disse Mazzarino fattosi pensieroso.
-
-«Or bene, io ne so dieci consimili».
-
-Mazzarino non parlava più, rifletteva.
-
-Scorsero cinque o sei minuti.
-
-«Non avete più niente da domandarmi, monsignore? fece Rochefort.
-
-«Anzi, sì.... E il signor d’Artagnan era uno di quei quattro?
-
-«Fu esso che diresse tutta l’impresa.
-
-«E gli altri, chi erano?
-
-«Permettetemi di lasciare a d’Artagnan la cura di nominarveli. Erano
-amici suoi e non miei; egli solo avrebbe su di loro qualche influenza,
-ed io nemmeno li conosco pei loro veri nomi.
-
-«Diffidate di me, signor Rochefort! Ebbene, io sarò schietto sino
-all’ultimo: ho bisogno di voi, di lui, di tutti.
-
-«Cominciamo da me, Eccellenza, poichè mi avete mandato a chiamare e
-sono qui; poi passerete a loro. Non vi sorprenderà la mia curiosità:
-quando uno è in prigione non gl’incresce di sapere dove si voglia
-mandarlo.
-
-«Voi, mio caro signor di Rochefort, avrete il posto di confidenza;
-andrete a Vincennes, dov’è prigioniero il signor di Beaufort.... Eh!
-che avete?...
-
-«Ho, che mi proponete una cosa impossibile, rispose Rochefort muovendo
-la testa con sommo dispiacere.
-
-«Come, impossibile! e perchè è impossibile?
-
-«Perchè il signor di Beaufort è amico mio, o piuttosto io sono amico
-suo.... vi dimenticate che fu egli che garantì per me alla regina?
-
-«Da quel tempo in poi, è nemico dello Stato.
-
-«Sì, può darsi; ma siccome io non sono nè re, nè regina, nè ministro,
-non è nemico a me, e non posso accettare la vostra offerta.
-
-«È questa quella che chiamavate devozione? me ne congratulo con voi! la
-vostra non vi obbliga a molto, no!
-
-«E poi, monsignore, comprenderete che uscire dalla Bastiglia per
-entrare a Vincennes non è altro che mutar carcere.
-
-«Dite subito che siete del partito di Beaufort, e userete più
-schiettezza.
-
-«Sono stato rinchiuso tanto tempo che son di un sol partito, cioè
-di quello dell’aria aperta. Impiegatemi a tutt’altro, speditemi con
-qualche missione, occupatemi attivamente, ma sulle strade maestre se si
-può!
-
-«Caro signor di Rochefort, seguitò Mazzarino in atto beffardo, il
-vostro zelo vi trasporta; vi tenete tuttora per giovinotto perchè il
-cuore c’è sempre, ma vi mancherebbero le forze. Date retta a me, quel
-che adesso vi abbisogna è il riposo.... Olà! qualcuno!
-
-«Non decidete dunque nulla, monsignore?
-
-«Al contrario, ho deciso».
-
-Venne Bernouin.
-
-«Chiamate un usciere, disse il ministro, e restate vicino a me»,
-continuò più adagio.
-
-Entrò l’usciere. Mazzarino scrisse poche parole e gliele consegnò. Indi
-fece col capo un saluto, dicendo:
-
-«Addio, signor di Rochefort».
-
-Rochefort fe’ un inchino rispettoso.
-
-«Vedo, monsignore, che mi devono ricondurre alla Bastiglia.
-
-«Avete una grande intelligenza!
-
-«Io ci torno; ma ve lo ripeto, avete torto di non volere impiegarmi.
-
-«Voi! l’amico de’ miei nemici!
-
-«Che volete? dovevate farmi nemico dei vostri nemici.
-
-«Credete che non vi siano altri che voi? statene persuaso, ne troverò
-che vagliano da quanto voi.
-
-«Ve lo auguro, monsignore.
-
-«Va bene; andate, andate.... Appunto, è inutile che mi scriviate più,
-signor di Rochefort, le vostre lettere sarebbero lettere perdute.
-
-«Ho cavato i marroni di sul fuoco! brontolò ritirandosi il gentiluomo,
-e se d’Artagnan non è contento di me quando or ora gli racconterò
-l’elogio che di lui ho fatto, bisogna che sia molto difficile.... Ma
-dove diamine mi conducono?»
-
-Egli è che Rochefort veniva guidato per la scala piccola anzi che
-passare nell’anticamera ove lo attendeva d’Artagnan. Nel cortile trovò
-la sua carrozza e i suoi quattro uomini di scorta, ma invano cercò
-dell’amico.
-
-«Ah ah! disse fra sè, ecco un gran cambiamento di cose, e se v’è sempre
-egual quantità di plebe per le vie, procureremo di provare al Mazzarino
-che siamo tuttora buoni ad altro, grazie a Dio, che a custodire un
-prigioniero».
-
-E Rochefort saltò in carrozza, leggiero e svelto come se avesse avuto
-venticinque anni.
-
-
-
-
-IV.
-
-_La regina Anna sui quarantasei anni._
-
-
-Mazzarino rimasto solo con Bernouin, stette un momento pensoso. Sapeva
-molto, eppure non peranche abbastanza. Egli rubacchiava al giuoco
-(questo è un dettato conservatoci da Brienne), e chiamava ciò: fare il
-suo vantaggio. Risolse di non intavolare la partita con d’Artagnan se
-non quando conoscesse bene tutte le carte dell’avversario.
-
-«Vostra Eccellenza non mi comanda? chiese Bernouin.
-
-«Sì sì, rispose il ministro, fammi lume, vo dalla regina».
-
-Quegli prese un candelliere e andò avanti.
-
-V’era un passaggio segreto che dagli appartamenti e dal gabinetto
-di Mazzarino metteva alle stanze della regina; da quella galleria
-transitava il ministro per recarsi presso alla regina a qualunque ora.
-
-Arrivato nella camera da letto, dove dava quella specie di corridojo,
-Bernouin incontrò madama Beauvais. Madama Beauvais e Bernouin erano
-gl’intimi confidenti di quei rancidi amori, e la Beauvais s’incaricò di
-annunziare la venuta del ministro alla regina Anna, che stava nel suo
-oratorio col giovanetto re Luigi XIV.
-
-La regina, seduta su di un gran seggiolone, con il gomito appoggiato
-sopra un tavolino e la testa sulla mano, guardava il regio fanciullo,
-che sdrajato sul tappeto sfogliava un gran libro di battaglie. Anna
-era la regina che meglio di tutte quante sapesse annojarsi con maestà;
-si tratteneva talvolta ore intere così ritirata nella sua camera o
-nell’oratorio, senza leggere nè pregare.
-
-Il libro con cui si trastullava il re era un Quinto Curzio, arricchito
-d’incisioni che rappresentavano le alte gesta di Alessandro.
-
-La Beauvais comparve sull’uscio, ed annunziò il ministro.
-
-Il fanciullo si rizzò sur un ginocchio, inarcando le ciglia e guardando
-la madre.
-
-«E perchè, disse, entra egli così senza far chiedere udienza?»
-
-Anna arrossì un pochino.
-
-«È importante, rispose, che nei tempi in cui siamo un ministro possa a
-tutte le ore venire a render conto di quanto accade alla regina senza
-aver da eccitare la curiosità od i commenti di tutta la corte.
-
-«Ma mi pare che il signor di Richelieu non entrasse a questo modo.
-
-«Come, vi ricordate ciò che faceva il signor di Richelieu? non potevate
-saperlo, eravate troppo piccolo.
-
-«Non me lo ricordo: l’ho domandato, e mi è stato detto.
-
-«E chi ve lo ho detto? ribattè la regina Anna con mal celata stizza.
-
-«So che non devo mai nominare le persone che rispondono alle
-interrogazioni da me fatte, altrimenti non saprei più niente», replicò
-il giovinetto.
-
-Nel momento si avanzò Mazzarino. Allora il re si alzò affatto, prese
-il volume, lo piegò, e andò a portarlo sul tavolino, accanto al quale
-stette in piedi onde obbligare Mazzarino a stare in piedi esso pure.
-
-Il ministro con occhio intelligente sorvegliava tutta quella scena, da
-cui pareva aspettasse la spiegazione di quella che l’avea preceduta.
-
-Fece un inchino rispettoso alla regina e una profonda riverenza al re,
-il quale gli rese con la testa un saluto molto sbrigativo. Però uno
-sguardo della madre rimproverò a questo di abbandonarsi ai sentimenti
-d’odio che sino dall’infanzia Luigi XIV nudriva pel ministro, ed allora
-egli accolse con un sorriso sul labbro il complimento di quest’ultimo.
-
-La regina Anna tentava indovinare dal sembiante di Mazzarino la cagione
-dell’imprevista visita, perocchè egli non soleva venir da lei se non
-quando tutti se ne fossero andati.
-
-Mazzarino avendo fatto col capo un cenno quasi impercettibile, la
-sovrana disse a madama Beauvais:
-
-«È tempo che il re vada a letto; chiamate Laporte».
-
-Essa aveva già detto al giovane principe due o tre volte di ritirarsi,
-e questi avea sempre insistito teneramente per trattenersi. Questa
-volta ei non fece osservazioni; si morse però le labbra, e impallidì.
-
-Dopo un momento venne Laporte.
-
-Il fanciullo gli andava incontro senza abbracciare la madre.
-
-«Ebbene, Luigi, disse Anna, perchè non mi abbracciate?
-
-«Credevo che foste adirata meco, signora, mi scacciate.
-
-«Non vi scaccio, ma avete avuto ora appunto il vajuolo, siete ancora
-incomodato, e temo che a vegliare vi stanchiate di troppo.
-
-«Non avete avuto lo stesso timore quando oggi mi avete fatto andare
-al palazzo a dare quei brutti editti che hanno fatto mormorar tanto il
-popolo.
-
-«Sire, disse Laporte per fare un diversivo, a chi vuole Vostra Maestà
-ch’io dia il candelliere?
-
-«A chi tu vuoi, Laporte, rispose il re, purchè (aggiunse a voce alta)
-non sia il signor Mancini».
-
-Mancini era un nepote del ministro, cui questi aveva posto presso al
-re come garzoncello d’onore, e su cui Luigi XIV riportava una porzione
-dell’odio che aveva per lo zio di lui.
-
-Ed il piccolo re se ne andò senza dare un bacio alla genitrice nè
-salutare Mazzarino.
-
-«Alla buon’ora! disse il ministro, ho caro di vedere che si educhi Sua
-Maestà nell’orrore contro la dissimulazione.
-
-«Perchè? domandò la sovrana in tuono quasi timido.
-
-«Eh! mi pare che la maniera di andarsene del re non abbisogni di
-commenti.... già Sua Maestà non si prende l’incomodo di occultare il
-poco affetto che ha per me, lo che bensì non m’impedisce di essere
-tutto dedito a servirla come a servire la Maestà Vostra.
-
-«Vi chiedo scusa per lui, fece Anna, è un bambino, e non può ancora
-sapere tutti gli obblighi che ha verso di voi».
-
-Mazzarino sorrise.
-
-«Ma, continuò la regina, eravate venuto senza dubbio per qualche
-oggetto importante: che v’è egli?»
-
-Ed il ministro sedè, o meglio si buttò giù in una larga sedia, ed in
-atto malinconico disse:
-
-«V’è, che secondo ogni probabilità, saremo costretti a lasciarci tra
-poco, ammenochè la vostra premura per me non v’induca a seguirmi in
-Italia.
-
-«E perchè?
-
-«Perchè, come dice l’opera di THISBÈ
-
- _Le monde entier conspire à diviser nos feux._
-
-«Voi scherzate, signore? rispose Anna tentando riassumere alquanto
-della sua antica sostenutezza.
-
-«Ahimè! no, signora, non ischerzo. Piuttosto piangerei, vi prego di
-crederlo, e v’è motivo: giacchè osserverete che ho detto: _Le monde
-entier_, e siccome voi pure formate parte del mondo intero, voglio dire
-che anche voi mi abbandonate.
-
-«Come!
-
-«Mio Dio! non vi vidi l’altro giorno sorridere graziosissimamente al
-signor duca d’Orleans, o meglio alle sue parole?
-
-«E che parole erano?
-
-«Vi diceva: Tutto l’inciampo è il vostro Mazzarino; parta costui, ed
-ogni cosa andrà bene.
-
-«Che volevate che facessi?
-
-«Oh, signora! voi siete la regina, mi pare!
-
-«Bella dignità reale! a discrezione del primo scarabocchiatore di
-fogliacci del Palazzo Reale, o del primo _gentilomuccio_ del regno!
-
-«Bensì siete abbastanza forte per allontanare le genti che vi
-spiacciono.
-
-«Cioè, che spiacciono a voi, ribattè Anna.
-
-«A me!
-
-«Di certo! Chi mandò via madama di Chevreuse, che per dodici anni era
-stata perseguitata sotto l’altro regno?
-
-«Una raggiratrice, che voleva proseguire contro di me gl’intrighi
-cominciati contro al signor di Richelieu!
-
-«Chi mandò via madama di Hautefort, amica così ottima, che aveva
-ricusata la grazia del re per rimanere in grazia mia?
-
-«Una bacchettona, che ogni sera nello spogliarvi vi diceva che amandomi
-vi dannavate l’anima!
-
-«Chi fece arrestare il signor di Beaufort?
-
-«Un imbroglione, che parlava niente meno che di assassinarmi!
-
-«Vedete dunque che i vostri nemici sono anche i miei.
-
-«Non basta: bisognerebbe che inoltre gli amici vostri fossero miei
-puranco.
-
-«Amici! (e la regina tentennava il capo) ahimè! non ne ho più.
-
-«Come! non ne avete più nella prosperità, quando nell’avversità ne
-avevate?
-
-«Perchè nella prosperità ho dimenticato quegli amici; perchè ho fatto
-quanto la regina Maria de’ Medici, che al ritorno dal suo primo esiglio
-sprezzò tutti coloro che avevano sofferto per lei, e proscritta per la
-seconda volta morì a Colonia abbandonata dal mondo intero, e persino da
-suo figlio, dacchè tutti oramai la disprezzavano.
-
-«Or bene, vediamo un poco, disse Mazzarino, non sarebbe tempo di
-riparare il male? cercate fra i vostri amici più antichi.
-
-«Che vorreste dire?
-
-«Niente altro che quel che dico: cercate.
-
-«Ah! invano mi guardo intorno, non ho influenza su veruno: _Monsieur_
-al suo solito si lascia guidare dal suo favorito: jeri era Choisy,
-oggi è la Rivière, domani sarà un altro. Il signor Principe è diretto
-da madama di Longueville, la quale poi si fa dirigere dal principe di
-Marsillac suo amante; il signor di Conti è condotto dal coadjutore, che
-si lascia condurre da madama di Guemenée.
-
-«E perciò, io non vi esorto a guardare fra i vostri amici della
-giornata, ma fra quelli del passato.
-
-«Del passato?
-
-«Sì, del passato; fra coloro che vi ajutarono a lottare col duca di
-Richelieu, ed anche a vincerlo.
-
-«A che punto vorrà egli portarmi? fece Anna, considerando inquieta il
-Mazzarino.
-
-«Sì, questi continuò, in certe circostanze, con la mente potentissima
-e accorta ch’è caratteristica della Maestà Vostra, sapeste, mercè il
-concorso dei vostri amici, respingere gli attacchi di quell’avversario.
-
-«Io? fece la regina, io soffersi, e non altro.
-
-«Sì, ripicchiò Mazzarino, come soffrono le donne, vendicandosi.... or
-via, andiamo alla sostanza: conoscete il signor di Rochefort?
-
-«Rochefort non era mio amico, ma ben anzi uno de’ nemici miei più
-accaniti, uno dei più fidi al ministro. Mi figuravo che lo sapeste.
-
-«Lo so talmente, che lo facemmo porre nella Bastiglia.
-
-«N’è uscito? chiese la sovrana.
-
-«No; state quieta, v’è sempre: non vi discorro di lui se non per
-arrivare ad un altro: conoscete il signor d’Artagnan?»
-
-E Mazzarino fissava attentamente in volto la regina.
-
-Anna ricevè la botta nel cuore.
-
-«Che il Guascone avesse parlato?» bucinò fra sè.
-
-Poi disse forte:
-
-«D’Artagnan?... aspettate, veh!.... sì, gli è un nome a me familiare,
-un moschettiere che era invaghito di una delle mie donne, povera
-meschinella che morì avvelenata per cagion mia.
-
-«Non v’è altro che questo?» domandò Mazzarino.
-
-La regina lo guatò attonita.
-
-«Oh! disse, mi sembra che mi sottoponiate ad un esame.
-
-«A cui rispondete a capriccio, ribattè il ministro con il suo sogghigno
-sempiterno e la voce sdolcinata.
-
-«Signore, esponete chiaro i vostri desiderj, e risponderò nello stesso
-modo, disse Anna come indispettita.
-
-«Or bene, signora, seguitò Mazzarino inchinandosi alquanto, bramo
-mi diate parte dei vostri amici, conforme io ve l’ho data della poca
-industria e del talento che mi concesse il cielo. Le circostanze sono
-gravi, e siam vicini a dover agire con energia.
-
-«Da capo! soggiunse la regina, mi figurava che si fosse finita col
-signor di Beaufort.
-
-«Sì, voi vedeste soltanto il torrente che voleva sconvolgere ogni cosa,
-e non badaste all’acqua stagnante. Eppure in Francia v’è un proverbio
-su le acque morte.
-
-«Concludete! fece Anna.
-
-«Ebbene! ripigliò Mazzarino, io tutti i giorni soffro gli affronti
-che mi fanno i vostri principi e i vostri servitori titolati, tutti
-automi, i quali non veggono che io li tengo per il loro spago, e che
-sotto la mia paziente gravità non hanno discoperto il sorriso dell’uomo
-crucciato che ha giurato fra sè di esser poi una volta il più forte.
-Facemmo arrestare, è vero, il signor di Beaufort, ma egli era il meno
-pericoloso di tutti, v’è ancora il signor Principe.
-
-«Il vincitore di Rocroi? pensereste a lui?
-
-«Sì, sì, ci penso spesso.... ma pazienza! come diciamo noi Italiani.
-Poi, dopo il signor di Condé, v’è il signor duca d’Orleans....
-
-«Che dite mai? il primo principe del sangue, lo zio del re!
-
-«Non già il primo principe del sangue, non lo zio del re, ma il
-vile cospiratore, che sotto l’altro regno, spinto dal suo carattere
-capriccioso e fantastico, tormentato da pensieri meschini, consumato
-da sciocca ambizione, astioso di chiunque lo superasse per lealtà e
-coraggio, sdegnato di essere un nulla, mercè la sua nullità appunto
-si fece l’eco di tutte le voci maligne, si fece la molla di tutti
-i raggiri, accennò di andare innanzi a tutte le brave persone che
-furono assai stolide per dar fede alle parole di un uomo del sangue
-regio, e le rinnegò allorchè esse salirono sul patibolo! Non il primo
-principe del sangue, non lo zio del re, lo ripeto, ma l’assassino di
-Chalais, di Montmorency e di Cinq-Mars, che oggi si prova a giuocare al
-giuoco medesimo, e s’immagina di vincere la partita perchè ha cambiato
-avversario, e perchè invece di aver di fronte un che minacci ha uno
-che sorride. Ma s’inganna, avrà perduto un tanto nel perdere Richelieu,
-ed io non ho interesse a lasciare vicino alla regina quel fermento di
-discordie con cui il defunto ministro fece bollire per venti anni la
-bile del re!»
-
-Anna arrossì e si celò fra le mani la testa.
-
-«Io non voglio umiliare Vostra Maestà, riprese Mazzarino in tuono di
-più calma ma di singolare fermezza, voglio che si rispetti la regina, e
-si rispetti il suo ministro, poichè di faccia a tutti io non sono altro
-che questo. Vostra Maestà sa ch’io non sono, conforme dicono molti, un
-burattino venuto d’Italia, e bisogna che tutti lo sappiano al pari di
-voi, o regina!
-
-«Orsù, che devo fare? domandò Anna, curvatasi sotto quella voce che la
-dominava.
-
-«Dovete ricercare nella vostra memoria i nomi di quegli uomini fidi e
-devoti che passarono il mare ad onta di Richelieu, lasciando ovunque
-tracce del proprio sangue per riportare a Vostra Maestà un certo
-finimento di gioje ch’Ella aveva donato al signor di Buckingham».
-
-Anna si alzò maestosamente ed irritata, quasi l’avesse fatta
-balzare una molla di acciajo, e guardando Mazzarino con la dignità
-e l’alterezza che tanto la rendevano possente in gioventù, ella gli
-disse:
-
-«Signore! voi m’insultate!
-
-«Voglio infine, egli continuò terminando il suo concetto sospeso dal
-movimento di lei, voglio che oggi per vostro marito facciate ciò che in
-addietro faceste pel vostro amante.
-
-«Anche questa calunnia! esclamò la regina, eppure io la credeva estinta
-e soffocata, poichè sinora me l’avevate risparmiata. Ed ecco che me ne
-parlate. Ebbene, meglio così! ne sarà discorso fra noi questa volta, e
-tutto sarà finito: m’intendete?
-
-«Ma signora, fece Mazzarino meravigliandosi di quel ritorno di energia,
-non chiedo già che mi diciate tutto.
-
-«Ed io tutto vuo’ dirvi, rispose la regina Anna. Dunque ascoltatemi:
-vuo’ dirvi che di fatti in quell’epoca v’erano quattro cuori zelanti,
-quattro anime leali, quattro spade fedeli, che mi salvarono più che la
-vita, mi salvarono l’onore.
-
-«Ah! lo confessate!
-
-«E forse dei colpevoli soltanto è esposto l’onore? e forse non si può
-disonorare qualcuno, ed in ispecie una donna, con le apparenze? Sì, le
-apparenze mi stavano contro, ed io era in procinto di esser disonorata;
-eppure, lo giuro, non ero colpevole: lo giuro....»
-
-La regina cercò una cosa sacra su cui potesse giurare, e tolto da un
-armadio nascosto dal parato un cassettino di legno di rosa intarsiato
-d’argento, e posatolo sull’altare, seguitò:
-
-«Lo giuro su queste sacre reliquie! amavo il signor di Buckingham, ma
-esso non era mio amante.
-
-«E che reliquie sono codeste sulle quali giurate? disse il ministro
-sorridendo; ve lo avverto, nella mia qualità di Romano io sono
-incredulo, e vi sono reliquie e reliquie».
-
-La regina si levò di collo una piccola chiave e glie la porse.
-
-«Aprite, gli disse e vedrete da per voi».
-
-Mazzarino, stupefatto, prese la chiave ed aprì il cassetto, in cui
-non trovò se non un coltello guastato dalla ruggine e due lettere, una
-delle quali macchiata di sangue.
-
-«Ch’è mai questo? domandò.
-
-«Che cos’è? replicò Anna con gesto da sovrana, e stendendo sul bauletto
-schiuso un braccio rimasto bellissimo ad onta degli anni, ora ve lo
-dico: queste due lettere sono le sole ch’io abbia mai scritte; il
-coltello è quello con cui Felton lo trafisse.... Leggete, signore, e
-vedrete s’io mentisco».
-
-Non ostante il permesso datogli, Mazzarino, per un sentimento naturale,
-invece di scorrere i due fogli, pigliò il coltello che Buckingham
-moribondo si era tolto dalla ferita ed aveva mandato alla regina per
-mezzo di Laporte. La lama era guastata, essendo il sangue diventato
-ruggine. Dopo un momento di esame, durante il quale Anna era diventata
-bianca in viso quanto la tela che ricuopriva l’altare su cui essa
-appoggiavasi, ei lo rimise nel bauletto con un fremito involontario.
-
-«Basta, signora, ed io sto al vostro giuramento.
-
-«No, no, leggete, ripetè Anna aggrottando le ciglia, leggete: voglio
-così, così v’impongo, acciò conforme ho deciso si finisca tutto in
-questa volta e non ritorniamo più su tale argomento. Credete voi
-(aggiunse con un sorriso terribile) ch’io sia disposta a riaprire
-questa cassetta a ciascuna delle vostre venture accuse?»
-
-Il ministro soggiogato da tanta energia obbedì quasi macchinalmente,
-e lesse le due lettere. Con una, la regina richiedeva indietro gli
-astucci a Buckingham: quella che portata da d’Artagnan era giunta in
-tempo; con l’altra essa lo preveniva che sarebbe assassinato: questa
-consegnata al duca da Laporte era arrivata troppo tardi.
-
-«Basta, signora disse Mazzarino, a ciò non v’è che rispondere.
-
-«Signor sì, continuò la regina Anna richiudendo il piccolo mobile ed
-appoggiandovi sopra la destra, sì, v’è da rispondere qualche cosa:
-è che io fui sempre ingrata verso quegli uomini che mi salvarono e
-fecero quanto poterono per salvar lui; è che nulla io diedi al prode
-d’Artagnan di cui poc’anzi voi parlavate, se non la mia mano al bacio e
-questo diamante».
-
-La regina, presentando la bella mano al ministro, gli mostrava una
-pietra superba che le scintillava in dito.
-
-«Egli lo vendè, per quanto pare, seguitò a dire, in un momento di
-ristrettezza: lo vendè per salvarmi la seconda volta, giacchè fu
-per ispedire al duca un messaggero ad avvertirlo che doveva essere
-assassinato.
-
-«Sicchè d’Artagnan lo sapeva?
-
-«Sapeva tutto. Come faceva mai? Lo ignoro. Ma in somma lo vendè a Des
-Essarts, in dito al quale io lo vidi e da cui lo ricomprai. Per altro
-questo diamante gli appartiene, e quindi voi, signore, restituiteglielo
-a nome mio, e poichè avete la sorte di aver presso di voi un uomo tale,
-procurate di rendervelo utile.
-
-«Grazie, disse Mazzarino, profitterò del consiglio.
-
-«E adesso, fece la regina come abbattuta dalla soverchia emozione,
-avete altro da domandarmi?
-
-«Nulla, signora, disse il ministro col tuono il più carezzevole, se non
-che supplicarvi di perdonarmi i miei ingiusti sospetti; ma vi amo tanto
-che non è meraviglia se sono geloso, anche del passato».
-
-Passò sul labbro alla sovrana un sorriso di espressione impossibile a
-definirsi.
-
-«Or bene, se non avete altro da chiedermi, lasciatemi: dovete
-comprendere che dopo una scena simile ho d’uopo di esser sola».
-
-Mazzarino s’inchinò.
-
-«Io mi ritiro, signora.... mi permettete di tornare?
-
-«Sì, ma domani; non sarà troppo questo tempo per rimettermi in quiete».
-
-Il ministro prese la destra della regina, la baciò con galanteria, e se
-ne andò.
-
-Appena fu uscito, la regina passò nell’appartamento di suo figlio,
-e domandò a Laporte se il re era coricato. Laporte le additò il
-fanciullo, che dormiva.
-
-Anna salì i gradini del letto, appressò le labbra alla fronte alquanto
-rugata del figliuolo, e vi diè sopra un bacio. Indi si ritirò in
-silenzio come era venuta, limitandosi a dire al cameriere:
-
-«Procurate, caro Laporte, che il re faccia più buon viso al ministro, a
-cui esso ed io abbiamo sì grandi obblighi».
-
-
-
-
-V.
-
-_Guascone e Italiano._
-
-
-Nel frattempo il ministro era tornato al suo gabinetto, alla porta del
-quale sorvegliava Bernouin, e richiese a costui se nulla fosse accaduto
-di nuovo, e se fosse venuta alcuna notizia di fuori. Dietro la sua
-risposta negativa, gli fe’ cenno di ritirarsi.
-
-Rimasto solo, andò ad aprir l’uscio della galleria, poi quello
-dell’anticamera. D’Artagnan, stanco, dormiva sopra uno sgabello.
-
-«Signor d’Artagnan!» gli disse con voce dolcissima.
-
-Quegli non si mosse.
-
-«Signor d’Artagnan!» ripetè più forte.
-
-L’altro seguitò il suo sonno.
-
-Il ministro gli si avvicinò e gli toccò la spalla con la punta del dito.
-
-Allora d’Artagnan si scosse, si destò, e destandosi si trovò in piedi
-come un soldato sotto le armi.
-
-«Eccomi, disse, chi mi chiama?
-
-«Son’io, fece Mazzarino nel modo più gentile che potesse.
-
-«Chiedo scusa a Vostra Eccellenza... ma ero così stanco...
-
-«Non mi chiedete scusa, giacchè vi siete affaticato per servir me».
-
-D’Artagnan ammirava l’aspetto graziosissimo del ministro.
-
-«Oh! borbottò fra’ denti, è vero il proverbio francese, che dormendo
-vien la fortuna?
-
-«Seguitemi, signore, soggiunse Mazzarino.
-
-«Animo, mormorò d’Artagnan, Rochefort mi ha mantenuta la parola; ma
-egli, di dove diamine è passato?»
-
-Ed esaminò fino alle ultime cantonate della stanza, ma Rochefort non
-v’era più.
-
-«Signor d’Artagnan, disse il ministro adagiandosi sur una poltrona, mi
-siete sembrato sempre un brav’uomo.
-
-«Sarà! pensò il tenente, ma è stato un pezzo a dirmelo».
-
-Ciononostante riverì curvandosi sino a terra per rispondere al
-complimento.
-
-«Or bene, continuò Mazzarino, è arrivato il momento di porre a profitto
-i vostri talenti ed il vostro valore».
-
-All’ufficiale uscì dagli occhi un lampo di allegrezza, che però
-subito si estinse dacchè ei non sapeva a che punto volesse venire
-l’Eccellenza.
-
-«Comandate, monsignore, sono pronto ad obbedirvi.
-
-«Voi, riprese Mazzarino, sotto l’ultimo regno compieste certe,
-imprese....
-
-«È troppa bontà dell’Eccellenza Vostra il rammentarsele; è vero, feci
-la guerra con molto buon successo....
-
-«Non parlo delle vostre imprese guerresche, mentre queste, quantunque
-abbiano fatto chiasso, sono state superate dalle altre.»
-
-D’Artagnan si mostrò attonito.
-
-«Ebbene, non rispondete?
-
-«Aspetto, monsignore, che mi diciate di quai fatti intendete di
-discorrere.
-
-«Dell’avventura.... eh! sapete ottimamente di che ragiono.
-
-«Ahimè no! rispose d’Artagnan sorpreso.
-
-«Siete segreto, tanto meglio! dico di quell’avventura della regina,
-degli astucci, del vostro viaggio con tre vostri amici...
-
-«Ehi! pensò il Guascone, fosse questo un agguato? stiamo saldi!»
-
-Ed assunse nel volto un’aria di stupefazione che invidiata gli
-avrebbero Mondori e Bellerose, i due migliori comici dell’epoca.
-
-«Benone! aggiunse Mazzarino ridendo, bravo! me lo avevano detto
-ch’eravate l’uomo che mi abbisogna... Orsù, che fareste per me?
-
-«Tutto ciò che mi ordinerà Vostra Eccellenza.
-
-«Fareste per me quel che operaste in addietro per una regina?
-
-«Assolutamente, mugolò fra sè d’Artagnan, e’ vogliono farmi ciarlare.
-Stiamo a vedere: capperi! non è mica più accorto di Richelieu.... Per
-una regina, monsignore? non capisco.
-
-«Non capite che ho bisogno di voi e dei tre vostri amici?
-
-«Di che amici?
-
-«Dei tre vostri di tempo fa.
-
-«Tempo fa non ne avevo tre, ma cinquanta: a’ venti anni si chiaman
-tutti amici.
-
-«Bene bene, signor ufficiale; la segretezza è una bella cosa, ma oggi
-potreste pentirvi di averne usata di troppo.
-
-«Monsignore, Pittagora faceva stare in silenzio cinque anni i suoi
-discepoli per insegnar loro a tacere.
-
-«E voi ci siete stato venti anni, signor mio; sono quindici anni di più
-che un filosofo pittagorico, e mi paiono assai. Oggi dunque parlate,
-poichè la regina stessa vi scioglie dal vostro giuramento.
-
-«La regina! esclamò il Guascone con istupore non più finto.
-
-«Sì; e per prova che vi discorro in nome suo, v’è che mi ha detto
-di mostrarvi questo diamante, cui assicura che conoscete, e che ha
-ricomprato da Des Essarts».
-
-Mazzarino stendeva la mano verso l’ufficiale, il quale sospirò nel
-vedere il brillante ch’era stato proprietà della sovrana.
-
-«È vero, disse questo, riconosco il diamante ch’era della regina.
-
-«Dunque vedete che vi parlo da parte sua; e allora rispondetemi senza
-far più commedie. Ve l’ho detto, e ve lo ripeto, da ciò dipende la
-vostra fortuna.
-
-«Oh! affè, io ho grande necessità di far fortuna. Vostra Eccellenza mi
-ha dimenticato per tanto tempo!
-
-«Bastano otto giorni per ripararvi. Animo, eccovi qua, voi; ma i vostri
-amici dove sono?
-
-«Non lo so.
-
-«Come, non lo sapete?
-
-«No; da un pezzo ci siamo separati, giacchè tutti tre hanno abbandonato
-il servigio.
-
-«Ma dove li ritroverete?
-
-«Dovunque siano: a questo penso io.
-
-«Ottimamente. Le vostre condizioni?
-
-«Danaro, monsignore, finchè ne esigano le nostre intraprese. Troppo mi
-ricordo quanto fummo trattenuti dalla mancanza di soldi, e senza quel
-brillante che fui costretto a vendere saremmo rimasti per la via.
-
-«Diavolo! danari, e molti.... come tirate giù, signor ufficiale! sapete
-che non ve n’è danaro, nei cassoni del re?
-
-«Allora, Eccellenza, fate come feci io, vendete le gioje della Corona;
-datemi retta, non istiamo a stiracchiare; si fanno male le cose grandi
-con mezzi piccoli.
-
-«Ebbene.... si vedrà di soddisfarvi.
-
-«Richelieu (pensò d’Artagnan) mi avrebbe già dato cinque cento doppie
-di caparra.
-
-«Sarete dunque mio?
-
-«Sì, se così vogliono i miei amici.
-
-«Ma in caso di loro rifiuto, potrei contare su di voi?
-
-«Solo non feci mai niente di buono, replicò d’Artagnan muovendo il capo.
-
-«Andate a trovarli, dunque.
-
-«Che dirò ad essi per indurli a servire Vostra Eccellenza?
-
-«Li conoscete meglio di me; secondo il loro carattere, promettete.
-
-«Che prometterò?
-
-«Che servano me come la regina, e somma sarà la mia riconoscenza.
-
-«Che faremo?
-
-«Tutto, giacchè pare che tutto sappiate fare.
-
-«Monsignore, quando s’ha fiducia nelle persone e si vuole ch’esse
-ne abbiano in noi, s’informano meglio di quel che pratica Vostra
-Eccellenza.
-
-«State quieto, allorchè venga il momento di agire saprete tutta la mia
-idea.
-
-«E sino allora?
-
-«Aspettate, e cercate i vostri fidi.
-
-«Eh! forse non saranno a Parigi; è anzi probabilissimo; bisognerà
-viaggiare, io sono un tenente di moschettieri molto povero, e i viaggi
-costano caro.
-
-«Non è mia intenzione che figuriate con gran treno; i miei progetti
-hanno d’uopo di mistero, e patirebbero per troppo grande montatura.
-
-«E di più, monsignore, io non posso viaggiare con la mia paga, mentre
-ella mi è arretrata di tre mesi; e non posso neppure con quel che ho
-messo insieme, mentre in ventidue anni che servo non ho messo insieme
-altro che debiti».
-
-Mazzarino stette alquanto pensoso, come se in lui sorgesse grandissimo
-contrasto; andò poi ad un armadio chiuso con tre serrature, ne levò
-un sacco, e pesandolo fra le mani due o tre volte innanzi di darlo a
-d’Artagnan gli disse con un sospiro:
-
-«Pigliate questo, e sia per la gita.
-
-«Se sono doppie di Spagna, o anche scudi d’oro, fece fra sè d’Artagnan,
-potremo ancora far negozi tra noi».
-
-Salutò il ministro, e si cacciò il sacco nella larga tasca.
-
-«Or via, dunque è conchiuso, disse Mazzarino, vi porrete in viaggio.
-
-«Sì, monsignore.
-
-«Scrivetemi ogni giorno per darmi contezza delle vostre trattative.
-
-«Non mancherò.
-
-«Benissimo.... A proposito, i nomi dei vostri amici?
-
-«I nomi? ripetè il tenente con un avanzo d’inquietudine.
-
-«Sì; frattanto che voi dal canto vostro cercherete, io dal mio
-m’informerò, e forse saprò qualcosa.
-
-«Il signor conte de la Fère, detto altrimenti Athos; il signor Du
-Vallon, detto altrimenti Porthos; e il signor cavaliere d’Herblay, oggi
-abate d’Herblay, detto altrimenti Aramis».
-
-Il ministro sorrideva.
-
-«Cadetti, diss’egli, che si erano arruolati ne’ moschettieri sotto nomi
-falsi per non comprometter quelli delle loro famiglie; spadacce lunghe,
-ma borse leggere.... si sa, si sa.
-
-«Se Dio vuole che quelle spadacce passino al servizio di Vostra
-Eccellenza, ardisco esprimere un mio desiderio, cioè che poi la vostra
-borsa, monsignore, diventi leggera e la loro pesante, perchè con quei
-tre uomini l’Eccellenza Vostra metterà in moto tutta la Francia, ed
-anche tutta l’Europa se le fa comodo.
-
-«Questi Guasconi, replicò ridendo Mazzarino, sono quanto gl’Italiani
-per le smargiassate.
-
-«In ogni caso, ribattè d’Artagnan imitando la risatina del ministro, e’
-sono da meglio per le stoccate».
-
-Ed uscì, dopo aver chiesto un congedo, che gli fu subito accordato e
-firmato da Mazzarino.
-
-Appena fu fuori, si accostò ad un lampione del cortile e guardò in
-fretta nel sacco.
-
-«Scudi d’argento! fece con disprezzo, me lo figuravo! Ah Mazzarino,
-Mazzarino! non hai fiducia in me? peggio per te! questa sarà la tua
-disgrazia!»
-
-Frattanto il ministro si stropicciava le mani.
-
-«Cento doppie, brontolava, cento doppie! per cento doppie ho avuto
-un segreto che Richelieu avrebbe pagato venti mila scudi; senza
-contare questo brillante.... seguitò, volgendo amorosamente gli occhi
-sull’anello che erasi ritenuto invece di darlo a d’Artagnan, che vale
-almeno dieci mila lire».
-
-E tornò nella sua camera, contentissimo della serata cui aveva fatto un
-sì bel guadagno, mise l’anello in uno scrignetto fornito di diamanti
-d’ogni sorta, giacchè aveva genio per le gioje, e chiamò Bernouin
-acciò lo spogliasse, senza più occuparsi dei clamori che continuavano
-a venire tratto tratto a scuotere i vetri, e delle schioppettate che
-ancor si udivano per Parigi, benchè fossero più delle undici ore di
-notte.
-
-Nel frattempo d’Artagnan s’incamminava verso la via Tiquetonne, dove
-abitava all’albergo della _Chevrette_.
-
-Ora, diciamo un po’ in qual modo si fosse indotto a prescegliersi
-quell’abitazione.
-
-
-
-
-VI.
-
-_D’Artagnan sui quarant’anni._
-
-
-Ohimè! dopo l’epoca in cui, nel nostro romanzo dei _Tre Moschettieri_,
-lasciammo d’Artagnan in via dei _Fossoyeurs_ (dei beccamorti), al N.
-12, erano passate molte cose, e soprattutto molti anni.
-
-D’Artagnan non aveva fallito alle circostanze, ma sibbene le
-circostanze a lui. Finchè aveva avuti attorno gli amici era rimasto
-nella sua gioventù e nella sua poesia: era una di quelle indoli
-ingegnose e fini che facilmente s’immedesimano con le qualità altrui:
-Athos gli dava della sua grandezza, Porthos del suo estro, Aramis
-della sua eleganza. S’egli avesse seguitato a vivere con quei tre
-sarebbe divenuto un uomo superiore. Fu il primo Athos a lasciarlo,
-per ritirarsi nella piccola tenuta che aveva ereditata dalla parte
-di Blois; il secondo Porthos, per isposare la sua _procuratrice_; il
-terzo, Aramis, per farsi abate. Da quel punto d’Artagnan, che sembrava
-avesse confuso il suo avvenire con quello de’ suoi tre colleghi, si
-trovò isolato e debole, senza coraggio per seguitare una carriera in
-cui capiva di non poter divenire qualche cosa se non a patto che ognuno
-dei compagni gli cedesse (qualora ciò possa dirsi) una parte del fluido
-elettrico rispettivamente ricevuto in dono.
-
-E quindi, abbenchè fatto tenente dei moschettieri, ei si trovò nello
-stesso isolamento. Non era di nascita assai elevata, come Athos, per
-essere accolto nelle grandissime case; non borioso come Porthos, per
-far credere che frequentasse l’alta società; non abbastanza gentiluomo,
-come Aramis, per mantenersi nella nativa sua eleganza, questa traendo
-da sè medesimo. Per qualche tempo la grata ricordanza di madama
-Bonacieux aveva impressa nello spirito del nostro tenente una tal quale
-poesia; ma questa ricordanza, distruttibile al pari di quella delle
-cose tutte di questo mondo, erasi dileguata. La vita di guarnigione
-è funesta anco alle organizzazioni aristocratiche. Delle due nature
-opposte componenti l’individualità di d’Artagnan la natura materiale a
-poco a poco avea vinto, ed egli pian piano, senza nemmeno accorgersene,
-sempre in campo, sempre a cavallo, era diventato (non so come si
-chiamasse in quell’epoca) quel che ai giorni nostri si dice un vero
-soldataccio (_un véritable troupier_).
-
-Non è che per questo egli avesse perduta la sua primitiva scaltrezza.
-Oh no! anzi codesta scaltrezza erasi pure accresciuta, o pareva almeno
-doppiamente rimarchevole sotto una più rozza apparenza, ma egli l’aveva
-applicata alle piccole e non alle grandi cose della vita, al ben essere
-materiale, al ben essere quale lo intendono i soldati, cioè ad aver
-buona tavola, buon alloggio, buona locandiera.
-
-E tutto questo, ei lo aveva trovato da sei anni in via Tiquetonne,
-all’insegna della _Chevrette_, o sia del Granchio.
-
-Nei primi tempi di sua permanenza in quell’albergo, la padrona di
-casa, bella e fresca Fiamminga di venticinque a ventisei anni, erasi
-invaghita di lui fuor di modo; dopo certi amoretti, inceppati da
-un importuno marito, al quale dieci volte d’Artagnan fece finta di
-passare la spada a traverso al corpo, il detto marito una mattina
-sparì, disertando per sempre, dopo aver venduto di soppiatto alcuni
-barili di vino e portatosi via le gioje e i denari. Fu creduto morto.
-La moglie specialmente lusingandosi nella dolce idea di esser vedova,
-sosteneva arditamente ch’era estinto. Alla perfine, a capo a tre
-anni di una relazione che d’Artagnan non aveva per certo cercato
-di troncare, trovando ogni anno più di suo genio l’alloggio e la
-padrona, conciossiachè questa dava quello a credenza, la donna ebbe la
-stravagante pretensione di diventar moglie, e gli propose di sposarlo.
-
-«Oibò! disse d’Artagnan, bigamia! ma vi pare, mia cara?
-
-«È morto, ne sono sicurissima.
-
-«Era tanto dispettoso che tornerà per farci impiccare.
-
-«Veh! se torna lo ammazzerete; siete sì abile e coraggioso!
-
-«Gnaffe! un altro mezzo per andare sulla forca!
-
-«Dunque rigettate la mia domanda?
-
-«E come! e con tutta fermezza!»
-
-La bella albergatrice si disperò: avrebbe fatto di d’Artagnan non solo
-il suo consorte, ma anche il suo nume! era un uomo tanto bello! aveva
-baffi superbi!...
-
-Verso il quarto anno di quella relazione venne la spedizione di
-Franche-Comté. D’Artagnan fu destinato a farne parte, e si accinse
-alla partenza. Furono grandi dolori, lagrime interminabili, promesse
-di restar fedele, tutto, già s’intende, dal lato della locandiera:
-d’Artagnan era troppo signorone per prometter nulla, e perciò promise
-soltanto di far ciò che potrebbe onde accrescere vieppiù la gloria del
-suo nome.
-
-Su questo particolare, noi conosciamo il suo coraggio; si dedicò
-egregiamente e con la propria persona, e caricando alla testa della
-sua compagnia ricevè a traverso al petto una palla che lo distese per
-il lungo sul campo di battaglia. Fu visto cadere da cavallo, nessuno
-lo vide rialzarsi; lo crederono morto, e tutti coloro che speravano
-di succedergli nel suo grado dissero ad ogni evento che lo era. Di
-leggieri si crede ciò che si brama; e all’armata, dai generali di
-divisione che bramano la morte del generale in capo, sino ai soldati
-che bramano quella dei caporali, tutti desiderano di qualcuno la morte.
-
-D’Artagnan però non era uomo da lasciarsi ammazzare così.
-
-Rimasto, durante i calori della giornata svenuto sul campo, lo fe’
-tornare in sè il fresco della notte; corse ad un villaggio; andò a
-bussare alla più bella casa, fu ricevuto come lo sono dappertutto e
-sempre i Francesi ancorchè feriti, fu accarezzato, curato, guarito,
-e più sano che mai, una mattina s’avviò di nuovo inverso Francia; una
-volta in Francia si diresse a Parigi, ed a Parigi s’incamminò in via
-Tiquetonne.
-
-Ma trovò la sua camera occupata da un cappellinajo pieno d’arredi da
-uomo, meno la spada, appoggiata al muro.
-
-«Sarà tornato; disse fra sè, peggio così; e meglio così!»
-
-Già si capisce che d’Artagnan pensava al marito.
-
-Egli s’informò. Garzoni nuovi, nuova serva; la padrona era ita a spasso.
-
-«Sola? fece d’Artagnan.
-
-«Col padrone.
-
-«Sicchè il padrone è tornato?
-
-«Di certo, rispose semplicemente la fantesca.
-
-«Se avessi soldi, egli disse fra sè, me ne andrei, ma non ne ho:
-bisogna restar qui, e appigliarsi al consiglio della mia locandiera
-coll’impedire i conjugali progetti di quello spettro importuno».
-
-Terminava questo monologo (lo che prova che nelle circostanze gravi
-il monologo è naturalissimo) quando la serva, che faceva la posta
-sull’uscio, esclamò ad un tratto:
-
-«Oh! ecco appunto la padrona che viene col padrone».
-
-D’Artagnan, lanciato uno sguardo sul canto della strada Montmartre,
-vide la locandiera che se ne veniva sospesa al braccio di un enorme
-Svizzero, il quale si tentennava camminando con tali maniere che a lui
-rammentarono gradevolmente l’antico amico Porthos.
-
-«È quello il padrone? disse fra sè d’Artagnan, oh! mi pare cresciuto di
-molto».
-
-E sedè in sala in un luogo bene in vista.
-
-La donna, nell’entrare, lo adocchiò subito, e diede un piccol grido.
-
-Dietro al quale, il tenente, supponendosi riconosciuto, si alzò, le
-corse incontro, e l’abbracciò teneramente.
-
-Lo Svizzero guardava stupefatto l’albergatrice, che impallidiva.
-
-«Ah! siete voi?... che volete? essa chiese nella massima agitazione.
-
-«Il signore è vostro cugino? il signore è vostro fratello? disse
-d’Artagnan».
-
-E senza sconcertarsi nella parte che rappresentava, nè attendere
-ch’ella rispondesse, si gettò al collo all’Elvetico.
-
-Questi si lasciò fare con tutta freddezza.
-
-«Chi è costui? domandò poi».
-
-La donna soffocava, non aveva più fiato.
-
-«Chi è questo Svizzero? la interrogò il tenente.
-
-«Deve sposarmi,.... fece l’ostessa fra due spasimi.
-
-«Dunque vostro marito finalmente è morto?
-
-«Che _inderesse_ voi? disse lo Svizzero.
-
-«_Inderesse_ molto, ribattè d’Artagnan, sendochè non potete sposarla
-senza mio consenso, e che io....
-
-«E _ghe_?... cominciò l’altro.
-
-«E _ghe_, io non lo do, terminò il moschettiere».
-
-L’Elvetico diventò rosso come un fringuello; aveva la bella uniforme
-indorata. D’Artagnan indossava una specie di pastrano bigio; l’Elvetico
-era alto sei piedi, d’Artagnan appena cinque: l’Elvetico si reputava in
-casa sua, d’Artagnan gli pareva un intruso.
-
-«_Folete_ uscire di qua? urlò il forestiere, picchiando forte col piede
-come uno che principii a andare davvero per le furie.
-
-«Io? niente affatto!
-
-«Eh! basta andare a cercare man-forte, suggerì un cameriere, il quale
-non si poteva capacitare che quell’uomiciattolo contrastasse il posto a
-quell’omone.
-
-«Tu, urlò d’Artagnan oramai più incollerito, afferrando per le
-orecchie il garzone, tu comincerai da star qui; e non ti muovere, o
-che ti strappo quel che ti ho già preso. Voi, illustre discendente di
-Guglielmo Tell, farete un fagotto dei vostri abiti, che sono nella mia
-stanza e mi danno impaccio, e partirete subito a procurarvi un altro
-albergo».
-
-Lo Svizzero si mise a ridere fortemente.
-
-«Io _pardire! e perghè?_
-
-«Ah! va bene, disse d’Artagnan; allora, venite meco a fare un giro, e
-vi spiegherò il resto».
-
-La locandiera, che conosceva d’Artagnan per lama fina, si diede a
-piangere, e a svellersi i capelli.
-
-Questi si volse dalla parte della bella piangente.
-
-«Dunque, mandatelo via, signora!
-
-«_Oipò!_ replicò lo Svizzero, a cui era bisognato un dato tempo per
-comprendere la proposizione fattagli dal moschettiere, oipò! prime, chi
-siete per proborre un gire con voi?
-
-«Sono tenente dei moschettieri di Sua Maestà, e in conseguenza vostro
-superiore in tutto; solamente, siccome qua non si tratta di grado, ma
-di biglietto di alloggio, voi conoscete l’usanza: venite a procacciarvi
-il vostro; il primo che qui torni riprenderà la sua camera».
-
-D’Artagnan condusse fuori lo Svizzero, ad onta delle lamentazioni della
-locandiere, la quale in fondo si sentiva propendere il cuore all’antico
-amore, ma non avrebbe sgradito di dare una lezione all’orgoglioso
-moschettiere che le avea fatto l’affronto di ricusare la sua mano.
-
-I due avversari se ne andarono direttamente ai fossi Montmartre.
-Annottava quando vi giunsero. D’Artagnan pregò civilmente l’Elvetico di
-cedergli la stanza e non farsi più vedere: questi rifiutò con un moto
-della testa, e sguainò la spada.
-
-«Allora dormirete qui; disse d’Artagnan, è un brutto alloggio, ma io
-non ci ho colpa, voi lo avete voluto».
-
-E levò il ferro esso pure, e lo incrociò con quello del nemico.
-
-Avea che fare con un pugno duro, ma la sua agilità superava qualunque
-forza.
-
-La draghinassa del Tedesco non incontrava mai quella di d’Artagnan.
-Lo Svizzero ricevè due stoccate innanzi di accorgersene a motivo del
-freddo. Però ad un tratto la perdita del sangue e la debolezza da
-questa prodottagli lo obbligarono a sedersi.
-
-«Là! gridò d’Artagnan, ve lo avevo detto? ci avete guadagnato di molto!
-ostinataccio!... Fortunatamente per voi, sarà il male tutto al più di
-una quindicina di giorni. State costì, e vi manderò subito i vostri
-panni per mezzo del cameriere.... A rivederci.... Oh! appunto, pigliate
-alloggio in via di Montorgueil al _Gatto che passeggia_; ci si ha buona
-tavola, se è sempre la medesima ostessa. Addio».
-
-E se la ribattè allegro e svelto a casa; inviò le sue robe allo
-Svizzero, che il garzone trovò nello stesso posto ov’ei lo aveva
-lasciato, tuttavia dolente della fermezza riscontrata nel suo
-avversario.
-
-Il cameriere, la locandiera, tutti in somma, ebbero per d’Artagnan i
-riguardi che si avrebbero per Ercole s’egli ricomparisse sulla terra a
-ricominciare le sue dodici fatiche.
-
-Ma egli, quando fu solo con l’albergatrice, le disse:
-
-«Ormai, bella Maddalena, sapete che distanza corre da uno Svizzero a
-un gentiluomo. Voi vi siete contenuta da vera locandiera. Peggio per
-voi, giacchè mediante questa condotta perdete la mia stima e la mia
-ricorrenza. Ho scacciato quel Tedesco per umiliarvi, ma non istarò più
-qui: non tengo dimora là dove ho disprezzo.... Ohi, giovanotto, portate
-la mia valigia al _Moggio di Amore_ in via dei Bordonesi. Signora,
-addio».
-
-E bisogna credere che pronunciando tali parole D’Artagnan fosse ad
-un tempo e maestoso e commovente. La donna gli si buttò ai piedi,
-gli chiese scusa, e lo trattenne, ahimè! con dolcissima violenza. Che
-diremo di più? scorreva il girarrosto, friggeva la padella, Maddalena
-lacrimava; d’Artagnan sentì la fame, il freddo e l’amore tornargli
-tutti insieme; perdonò, e perdonando rimase là.
-
-Ed ecco il come egli dimorasse nella strada Tiquetonne all’albergo del
-Granchio, o _de la Chevrette_.
-
-
-
-
-VII.
-
-_D’Artagnan è nell’imbarazzo, e lo viene a soccorrere un antico
-conoscente._
-
-
-Or dunque, d’Artagnan se ne veniva indietro, pensoso, contento di
-portar seco il sacco di Mazzarino, e riflettendo al bel brillante stato
-già suo, e che per un momento avea veduto luccicare in dito al primo
-ministro. E diceva:
-
-«Se mai quel diamante mi cadesse di nuovo fra le mani, ne farei subito
-danari, comprerei qualche effetto attorno alla villa di mio padre, ch’è
-una bella abitazione, ma non ha altre dependenze se non se un giardino
-grande a mala pena quanto il cimitero degli Innocenti; e là, nella
-mia maestosità attenderei che qualche erede incantata dalla mia buona
-cera mi venisse a sposare; poi avrei tre figli maschi; farei il primo
-un signorone come Athos, il secondo un bel soldato come Porthos ed il
-terzo un grazioso abate come Aramis. Per Diana! sarebbe meglio mille
-volte che la vita ch’i’ vo facendo.... Ma pur troppo messer Mazzarino è
-un certo tomo che non si spossederà del diamante a favor mio».
-
-Che avrebbe detto d’Artagnan, ove avesse saputo esser quella pietra
-affidata dalla regina a Mazzarino per renderla a lui?
-
-Entrato nella via Tiquetonne, vide che v’era gran susurro; attorno alla
-sua dimora stava un attruppamento non piccolo.
-
-«Oh oh! fece allora, avesse preso fuoco l’albergo del Granchio, o fosse
-tornato sul serio il consorte di Maddalena?»
-
-Nè uno nè l’altro: avvicinandosi si accorse qualmente la riunione
-avea luogo non davanti alla sua locanda, ma al casamento contiguo. Si
-udivano grida, correva gente con delle fiaccole, ed al lume di queste
-ei distinse delle uniformi.
-
-Domandò che fosse stato.
-
-Gli fu risposto, come un borghese con circa venti suoi amici aveva
-assalita una carrozza scortata dalle guardie del ministro, ma
-sopraggiunto un rinforzo erano essi fuggiti, il capo della riunione
-erasi ricovrato nella casa vicina all’albergo, e là si facevano
-ricerche.
-
-D’Artagnan in gioventù si sarebbe slanciato là dove vedeva uniformi e
-avrebbe dato manforte a’ soldati contro i borghesi; però quei bollori
-di testa gli erano passati, e inoltre aveva nelle saccocce le cento
-doppie di Mazzarino, nè voleva arrischiarsi in una sommossa.
-
-Entrò in locanda senza far altre richieste.
-
-Prima voleva sempre sapere, allora sapeva sempre abbastanza.
-
-Trovò Maddalena, che non lo attendeva, supponendo, secondo le aveva
-detto, che pernottasse al Louvre; essa gli fece molte feste per
-l’imprevisto ritorno, il quale le facea comodo tanto più ch’ella aveva
-paura di ciò che accadeva sulle strade e non aveva alcuno Svizzero a
-farle guardia.
-
-Essa dunque voleva intavolar seco conversazione e raccontargli quanto
-era successo; ma d’Artagnan rifletteva, e in conseguenza non era in
-vena da chiacchierare; essa gli mostrò la cena che fumava, ed egli le
-ordinò la mandasse nella sua camera e vi aggiungesse una bottiglia di
-Borgogna del vecchio.
-
-La bella Maddalena era avvezzata a obbedire militarmente, cioè ad un
-cenno; questa volta d’Artagnan si era degnato di parlare, e quindi fu
-obbedito con doppia lestezza.
-
-Egli prese la chiave e la candela, e salì in camera. Per non recar
-pregiudizio all’appigionamento, si era contentato di una stanza al
-quarto piano. Il nostro rispetto per la verità ci obbliga a dire
-inoltre che la stanza si trovava per l’appunto sotto la grondaja e
-sopra al tetto.
-
-Era quella la sua tenda di Achille. Ei vi si rinchiudeva quando
-intendeva colla sua assenza castigare Maddalena.
-
-Prima sua cura fu di andare a riporre in un vecchio scrigno, che aveva
-la serratura nuova, il sacchetto cui non ebbe tampoco necessità di
-riscontrare per sapere qual somma contenesse; indi, essendogli dopo un
-momento apparecchiato, licenziò il garzone, chiuse l’uscio e si mise a
-tavola.
-
-Non era già per riflettere, conforme taluno potrebbe credere: ma
-d’Artagnan pensava che le cose non si fanno bene se non una dopo
-l’altra; aveva fame, cenò; e dopo andò a letto.
-
-D’Artagnan non era nemmeno di coloro che opinano che la notte dia
-consiglio: la notte dormiva. La mattina, all’incontro, fresco, lucido,
-trovava le migliori inspirazioni. Da gran tempo non aveva avuto
-occasione di pensare la mattina, ma aveva dormito sempre nella nottata.
-
-Si destò all’alba, balzò dal letto con risolutezza veramente militare,
-e passeggiò per la camera ruminando fra sè:
-
-«Nel 43 (diceva), circa sei mesi dopo la morte del defunto ministro,
-ricevei una lettera di Athos.... dove? dove?.... ah! me ne ricordo,
-all’assedio di Besanzone: ero nella trincea.... Che mi diceva egli?....
-Che abitava una piccola tenuta.... sì, piccola tenuta.... ma dove?
-arrivato a quel punto della lettera, il vento me la portò via.... altra
-volta sarei ito a cercarla, benchè il vento l’avesse condotta in un
-luogo molto scoperto.... Ma la gioventù è un gran difetto.... quando,
-non si è più giovani.... Lasciai andare il foglio a portar l’indirizzo
-di Athos agli Spagnuoli, i quali non sanno che farsene e che dovrebbero
-rimandarmelo.... Dunque ad Athos non va pensato. Animo.... Porthos....
-Ebbi una lettera sua; m’invitava a una gran caccia nelle sue terre
-per il settembre 1646. Disgraziatamente, essendo io in quell’epoca
-nel Bearn a motivo della morte di mio padre, la missiva venne colà
-dietro di me; ed io era partito quando essa vi giunse.... mi seguitò,
-e toccò Montmedy pochi giorni dopo ch’io aveva abbandonata anco questa
-città.... Mi capitò in aprile finalmente, ma nell’aprile 47, e poichè
-l’invito era per settembre del 46 non ne potei profittare.... Su, si
-cerchi la missiva; dev’essere con i miei documenti di proprietà....»
-
-D’Artagnan aprì una cassetta che giaceva in un canto, piena di
-pergamene relative alla tenuta di d’Artagnan, la quale da due
-cento anni era uscita affatto dalla sua famiglia, e diede un grido
-dall’allegrezza: aveva riconosciuto il grosso carattere di Porthos,
-e sotto, alcuni versi di scritte piccole piccole fatti dalla mano
-secchissima della degna di lui sposa.
-
-Non si lambiccò il cervello a rileggere la lettera: ne sapeva digià il
-contenuto; andò all’indirizzo.
-
-Questo era al castello du Vallon.
-
-Porthos aveva dimenticato qualunque altro schiarimento. Nel suo
-orgoglio ei si credeva che tutti dovessero conoscere il castello a cui
-egli avea dato il proprio nome.
-
-«Maledetto superbo! fece d’Artagnan, sempre lo stesso!.... Eppure mi
-tornava conto di cominciare da lui, attesochè non deve aver bisogno di
-danari, avendo ereditate le otto cento mila lire di M. Coquenard....
-Eh! ora mi manca il migliore; Athos era diventato melenso a forza di
-bere; Aramis sarà immerso ne’ suoi esercizi di divozione».
-
-D’Artagnan diede un’altra occhiata al foglio di Porthos. V’era un
-_poscritto_, e conteneva questa frase:
-
-— Scrivo con questo stesso corriere al nostro degno Aramis al suo
-convento. —
-
-«Al suo convento, sì, ma a che convento? ve ne sono due cento in
-Parigi, e tremila in Francia. E poi, forse nel mettercisi avrà mutato
-nome per la terza volta.... Ah! se fossi dotto in teologia, e mi
-ricordassi almeno il soggetto delle sue tesi, ch’ei discuteva tanto
-bene a Crevecoeur col curato di Montdidier, vedrei a qual dottrina
-è più propenso e ne dedurrei di qual Santo possa esser divoto a
-preferenza.... Eh! se me ne andassi dal ministro, e gli chiedessi un
-salvocondotto per entrare in tutti i chiostri possibili, sarebbe una
-buona idea, e probabilmente lo rinverrei colà come Achille.... Sì, ma
-questo è un confessare da bel principio la mia impotenza e perdermi di
-botto nel concetto del ministro. I grandi non ci hanno gratitudine se
-non quando si fa per loro l’impossibile. — Se fosse stato possibile (ci
-dicono) lo avrei fatto da me.... — E hanno ragione.... Ma aspettiamo
-un poco.... Ebbi una lettera anche da lui, dal caro amico, e per segno
-mi chiedeva un piccolo favore e glielo feci.... Ah! sì, ma adesso, dove
-diavolo l’ho messa?»
-
-D’Artagnan riflettè un momento, e si avanzò verso il cappellinajo
-dov’erano appesi i suoi abiti vecchi; vi cercò il suo giubbetto del
-1648; e siccome egli era un giovane che teneva le cose a sesto, lo
-ritrovò attaccato a un chiodo. Frugò nella saccoccia e ne levò un
-foglio: era precisamente il dispaccio di Aramis.
-
- «Signor d’Artagnan (ei gli diceva), sapete che ho avuto una contesa
- con un certo gentiluomo che mi ha fissato convegno per questa
- sera in Piazza Reale; siccome sono ecclesiastico e la faccenda mi
- potrebbe nuocere se ne dessi parte ad altri che a voi, vi scrivo
- perchè mi serviate da secondo. Entrerete dalla via S. Caterina;
- sotto il secondo lampione a man diritta sarà il vostro avversario.
- Io sarò col mio sotto il terzo.
-
- Vostro aff.mo
-
- Aramis».
-
-Questa volta non v’erano neppure addio e saluti. D’Artagnan procurò
-di raccogliere le sue rimembranze. Egli era andato all’appuntamento,
-ivi incontrato l’avversario indicato, di cui non avea mai saputo il
-nome, gli aveva favorita una bella stoccata nel braccio, e poi si era
-avvicinato ad Aramis, che dal canto suo gli veniva incontro, avendo
-anch’esso terminata la sua bisogna.
-
-«È finita, gli avea detto Aramis, credo di aver ucciso quell’insolente.
-Ma, amico caro, se avete bisogno di me, sapete che son tutto vostro».
-
-Ed Aramis, datagli una stretta di mano, era sparito sotto gli archi.
-
-D’Artagnan non sapeva dove fosse Aramis niente più che Athos e Porthos,
-e cresceva il suo imbarazzo. Però gli parve udir romore di un vetro che
-si rompesse nella stanza. Pensò subito al sacco ch’era nello scrigno,
-e corse fuori. Non si era ingannato: mentre egli entrava dall’uscio
-entrava un uomo dalla finestra.
-
-«Ah, birbante! urlò d’Artagnan prendendo colui per un ladro e ponendo
-mano alla spada.
-
-«Signore! esclamò l’altro, non sono un ladro, oh no! sono un onesto
-borghese in buono stato, che ho delle case al sole, e mi chiamo.... Ah!
-non fo sbaglio, siete il signor d’Artagnan!
-
-«E tu, Planchet! gridò il tenente.
-
-«Ai vostri comandi, fece Planchet, se potessi ancora esservi utile.
-
-«Forse sì: ma che diamine fai a correr su per i tetti la mattina alle
-sette nel mese di gennajo?
-
-«Signore, avete a sapere.... ma no.... anzi, forse non dovete
-saperlo....
-
-«Che mai? che mai?.... Prima di tutto, metti un tovagliuolo davanti al
-vetro e chiudi la portiera».
-
-Planchet obbedì.
-
-«Ebbene? domandò il tenente.
-
-«Innanzi a tutto, chiese il prudente Planchet, come state col signor de
-Rochefort?
-
-«Ottimamente! Rochefort! ma sai che adesso è uno dei miei più grandi
-amici?
-
-«Ah! meglio così.
-
-«E che ha che vedere Rochefort con la tua maniera d’entrare in camera
-mia?
-
-«Eccoci; v’ho da dire in primo luogo che il signor Rochefort è....»
-
-Planchet titubava alquanto.
-
-«Cappio! fece d’Artagnan, lo so, è alla Bastiglia.
-
-«Cioè, vi era, ribattè Planchet.
-
-«Come, vi era? esclamò d’Artagnan, ha avuto la fortuna di scappare?
-
-«Ah! signore, se la chiamate fortuna, andrà tutto bene.... vi ho
-da dire, dunque, che jeri era stato mandato a prendere il signor di
-Rochefort dalla Bastiglia.
-
-«Eh, cospetto! lo so, poichè andai io a pigliarlo.
-
-«Ma non foste voi che lo riconduceste, per sua buona sorte, giacchè se
-vi avessi riconosciuto fra la scorta, credete pure che ho sempre per
-voi troppo rispetto....
-
-«Finisci, bestia! orsù, che è egli accadute?
-
-«È accaduto che in mezzo alla strada della Ferronnerie, mentre la
-carrozza del signor di Rochefort traversava fra un mucchio di gente e
-quelli della scorta strapazzavano i borghesi, vi fu gran susurro. Il
-prigioniero stimò bellissima l’occasione, disse il suo nome e gridò:
-ajuto! Io ero là, ravvisai il conte, mi risovvenni ch’ei mi avea
-fatto sergente nel reggimento di Piemonte, e dissi forte ch’era un
-detenuto amico del duca di Beaufort. Si radunò il popolo, si fermarono
-i cavalli, si rispinse la scorta. Intanto io aprii lo sportello, ed il
-signor di Rochefort saltò in terra e sparì tra la folla. Per disdetta
-passava una pattuglia; si riunì alle guardie, e ci attaccò. Io battei
-la ritirata dalla parte di via Tiquetonne; ero incalzato fortemente. Mi
-rifugiai nella casa accanto a questa; la fu contornata, perquisita, ma
-inutilmente, chè al quinto piano avevo trovata una persona caritatevole
-che mi avea rimpiattato fra due materasse. Sono restato in quel
-nascondiglio, o poco meno, fino a giorno, e nell’idea che forse a sera
-riprincipierebbero le visite e le indagini, mi sono avventurato su per
-le grondaje, cercando prima un’entratura e poi un’uscita in uno stabile
-qualunque che non fosse guardato a vista. Eccovi la mia storia, e in
-parola d’onore mi dorrebbe al sommo ch’ella vi spiacesse.
-
-«No, tutt’altro; disse d’Artagnan, e ho caro davvero che Rochefort sia
-in libertà. Ma sai una cosa? gli è che se caschi in mano alle genti del
-re, sarai appiccato senza misericordia.
-
-«Per dinci, se lo so! e questo è che mi dà tormento, ed ecco perchè
-sono tanto contento di avervi ritrovato, giacchè se volete nascondermi
-nessuno lo può meglio di voi.
-
-«Sì, volentierissimo, quantunque io arrischi nè più nè meno che il mio
-grado ove fosse noto aver io dato asilo ad un ribelle.
-
-«Ah signore! sapete ch’io arrischierei la vita per voi.
-
-«Potresti anche aggiungere che l’azzardasti, Planchet. Io non
-dimentico se non le cose che vuo’ dimenticare, e di questa voglio
-anzi ricordarmi. Dunque siedi qua, e mangia con tutta pace, poichè
-mi accorgo che guardi gli avanzi della mia cena con occhiate molto
-espressive.
-
-«Signor sì, perchè la credenza della vicina era malissimo provveduta di
-cibi delicati; da jeri a mezzo giorno, non ho mandato giù che una fetta
-di pane colla conserva. Sebbene io non disprezzi le robe dolci quando
-vengono a tempo e luogo opportuno, la cena mi è sembrata leggerina.
-
-«Poveraccio! or via, riaccomodati lo stomaco.
-
-«Ah! mi salvate due volte la vita!»
-
-Planchet si assise, e cominciò a divorare come nei lieti giorni
-della via dei Fossoyeurs. D’Artagnan continuava a camminare su e giù:
-cercava nel suo cervello qual partito potrebbe ricavare da colui nelle
-circostanze in cui era. Intanto colui lavorava a riparare meglio che
-potesse il tempo perduto.
-
-Alla fine mandò quel sospiro di soddisfazione dell’uomo affamato, il
-quale è indizio che avendo preso un primo e solido acconto ei voglia
-fare un piccolo riposo.
-
-«Animo, fece d’Artagnan, figurandosi giunto l’istante da dar mano
-all’interrogatorio, andiamo per ordine: sai tu dove sia Athos?
-
-«Signor no.
-
-«Diamine! sai dov’è Porthos?
-
-«Nemmeno.
-
-«Diamine! diamine! E Aramis?
-
-«Neppure.
-
-«Diamine! diamine! diamine!
-
-«Ma, disse Planchet con aria maliziosa, so dov’è Bazin.
-
-«Come, dov’è Bazin!
-
-«Sicuro.
-
-«E dov’è?
-
-«A Nostra Signora.
-
-«E che ci fa egli?
-
-«È bidello.
-
-«Bazin bidello a Nostra Signora? ne sei certo?
-
-«Certissimo: l’ho visto, gli ho parlato.
-
-«Deve conoscere ove sia il suo padrone?
-
-«Senza dubbio».
-
-D’Artagnan riflettè; poi prese il ferrajuolo e la spada, e si dispose
-ad uscire.
-
-«Signore, seguitò Planchet in tuono lamentevole, mi abbandonereste
-così? Pensate che ho speranza in voi solo!
-
-«Non verranno mica qui a cercarti.
-
-«In somma, se ci venissero, disse il prudente Planchet, badate che per
-la gente di casa che non mi ha visto entrare sono un ladro.
-
-«Va benone, fece d’Artagnan, su via, parlate un dialetto qualunque?
-
-«Parlo anche di meglio, replicò Planchet, parlo una lingua, parlo
-fiammingo.
-
-«E dove diavolo l’hai tu imparata?
-
-«Nell’Artois, dove guerreggiai per due anni: Goeden Morgen, mynheer,
-ich ben begeerig te weeten uwer gerondheyds omstand.
-
-«E vuol dire?
-
-«Buon dì, signor mio, mi sollecito a richieder notizie della vostra
-salute.
-
-«E codesta, la chiami una lingua! ma non importa, cade bene in
-acconcio».
-
-Il tenente andò sino all’uscio, chiamò un cameriere, e gli ordinò
-dicesse alla bella Maddalena di salire.
-
-«Che fate? disse Planchet, affidereste il nostro segreto a una donna?
-
-«Sta quieto, non aprirà bocca».
-
-Venne Maddalena; era accorsa tutta contenta, credendo di trovare
-d’Artagnan solo; al vedere Planchet retrocedè meravigliata.
-
-«Cara locandiera, le disse d’Artagnan, vi presento il vostro signor
-fratello arrivato ora di Fiandra, che prendo al mio servizio per alcuni
-giorni.
-
-«Mio fratello! fece l’ostessa più attonita che mai.
-
-«Master Peter, date il buon dì a vostra sorella.
-
-«Welkom, zuster, disse Planchet.
-
-«Goeden dag, broer, rispose la donna.
-
-«Eccovi tutta la faccenda; seguitò il tenente, questi è vostro
-fratello, che voi forse non conoscete, ma io sì; è venuto da Amsterdam.
-Voi nella mia assenza lo vestite; al mio ritorno, cioè fra un’ora, me
-lo presentate, e in grazia della vostra raccomandazione, benchè egli
-non sappia una parola di francese, pure nulla potendo io ricusarvi, lo
-prendo al mio servizio: capite?
-
-«Cioè, indovino quel che desiderate.
-
-«Siete una donna preziosa e rara, mia bella Maddalena, e mi fido a voi».
-
-E d’Artagnan, fatto un cenno d’intelligenza a Planchet, uscì per
-trasferirsi a Nostra Signora.
-
-
-
-
-VIII.
-
-_Influenze diverse che può avere una mezza doppia sopra un bidello e
-sopra un piccolo cantore._
-
-
-D’Artagnan prese dal Ponte Nuovo, rallegrandosi di aver ritrovato
-Planchet; giacchè per quanto sembrasse ch’ei facesse un favore al degno
-giovanotto, in realtà questi lo faceva a lui. Sicuramente, in quel
-momento nulla poteva giovargli di più che un lacchè capace ed accorto.
-È vero che secondo ogni probabilità Planchet non doveva rimanere
-lungo tempo addetto a d’Artagnan; ma riprendendo poi la sua posizione
-sociale nella contrada dei Lombardi, resterebbe sempre obbligato al
-tenente dei moschettieri, il quale, nascondendolo nella propria casa,
-gli aveva salvato la vita o poco meno; ed il tenente aveva caro di
-avere delle relazioni nel ceto dei borghesi, nella circostanza che
-questo si accingeva a muover guerra alla corte. Era un posseder delle
-intelligenze nel campo nemico, e, per un uomo scaltro come d’Artagnan,
-le piccole cose potevano condurre alle grandi.
-
-In tale disposizione di mente adunque, e soddisfattissimo della
-casualità e di sè stesso, d’Artagnan giunse a Nostra Signora. Salì la
-gradinata, entrò in chiesa, e voltosi ad un sagrestano che scopava una
-cappella gli domandò se conosceva il signor Bazin.
-
-«Il signor Bazin, il bidello? disse il sagrestano.
-
-«Appunto.
-
-«Eccolo laggiù, che serve la messa alla cappella della Vergine».
-
-D’Artagnan balzò dal piacere: non ostante ciò che gli aveva detto
-Planchet non isperava di trovare Bazin; ormai dacchè aveva acchiappata
-una cima del filo, stava certo di arrivare all’altra.
-
-Andò ad inginocchiarsi di faccia alla cappella per non perdere di vista
-chi voleva. Per buona sorte la messa era vicina a finire. Egli, che si
-era scordato le sue orazioni, impiegò il tempo ad esaminare Bazin.
-
-Bazin, ci è d’uopo dirlo, portava l’abito con tanta maestosità quanta
-contentezza. Si comprendeva ch’egli era pervenuto all’apice della sua
-ambizione, e che la mazza di balena guarnita d’argento cui teneva in
-mano gli sembrava onorifica al pari del bastone di comando che Condè
-gettò o non gettò nelle file nemiche alla battaglia di Friburgo. In lui
-il fisico aveva subito un cambiamento analogo a quello del vestiario.
-Era ingrassato in tutto il corpo; non si vedevano più sul viso le parti
-tanto sporgenti; aveva sempre il solito naso, ma le guance, fattesi
-più rotonde, ne tiravano a sè ciascuna una porzione; il mento scappava
-sotto la gola; aveva gli occhi mezzo rinchiusi fra la carne abbondante;
-e i capelli, tagliati in quadro, gli cuoprivano la fronte sino a tre
-linee di sopracciglio. Si avverta d’altronde che anche nei tempi in
-cui era più scoperta, quella fronte non era stata mai larga più di un
-pollice e mezzo.
-
-Il prete terminava la messa quando d’Artagnan terminava il suo esame;
-pronunciò le parole sacramentali, e si ritirò, dopo aver data, con
-grande stupore di d’Artagnan, la sua benedizione che tutti riceverono
-genuflessi. Ma in d’Artagnan cessò la meraviglia quando riconobbe nel
-celebrante il coadjutore, cioè il famoso Giovan-Francesco de Gondi, il
-quale in quell’epoca, presagendo la parte che dovrebbe fare, cominciava
-a forza di elemosine a rendersi assai popolare, e, per rendersi tale
-sempre maggiormente, diceva tratto tratto di quelle messe della mattina
-a cui suole assistere soltanto il volgo.
-
-D’Artagnan s’inginocchiò come gli altri, ricevè la benedizione, si fece
-il segno della croce; ma nel punto che Bazin passava con gli occhi
-alzati al cielo e camminando umilmente ultimo a tutti, ei lo afferrò
-per un lembo della sottana.
-
-Bazin abbassò gli occhi, e fece un salto all’indietro quasi avesse
-veduto un serpente.
-
-«Signor d’Artagnan! esclamò, _vade retro.... Satanas!_
-
-«Oh! mio caro Bazin, disse ridendo l’uffiziale, così accogliete un
-antico amico?
-
-«Signore, i veri amici sono quelli che ci ajutano a salvarci l’anima, e
-non quelli che ce ne distolgono.
-
-«Non vi capisco, nè so come io possa essere di ostacolo alla vostra
-salute.
-
-«Vi dimenticate che foste prossimo a distruggere quella del mio povero
-padrone, e che per cagion vostra egli era in procinto di dannarsi
-l’anima restando moschettiere, mentre la sua vocazione lo traeva verso
-la chiesa?
-
-«Caro Bazin, dal luogo dove m’incontrate dovete comprendere che in
-tutto io mi sono cambiato di molto. L’età porta seco il senno, e
-siccome non dubito che il vostro padrone sia sulla via che assicura la
-sua salute, vengo a domandarvi dov’è, acciò co’ suoi consigli mi ajuti
-a fare io pure la mia.
-
-«Dite piuttosto per ricondurlo con voi verso la società. Fortunatamente
-ignoro dove sia, giacchè essendo noi in un luogo santo non oserei dir
-bugia.
-
-«Come! esclamò d’Artagnan nel massimo disappunto, ignorate dov’è Aramis!
-
-«Prima di tutto, soggiunse Bazin, Aramis era il suo nome di perdizione;
-in Aramis si trova Simara, ch’è nome di demone, ed egli per sua buona
-sorte lo ha lasciato per sempre.
-
-«E per questo, replicò d’Artagnan deciso ad usar pazienza sino alla
-fine, io non cercava Aramis, ma bensì l’abate d’Herblay. Su, caro
-Bazin, ditemi dov’è.
-
-«Non avete inteso che vi ho risposto che lo ignoravo?
-
-«Sì, ma a questo io vi rispondo che non può essere.
-
-«Eppure è vero, è pura verità».
-
-Il tenente vide che da Bazin v’era da ricavar nulla; si scorgeva chiaro
-ch’esso mentiva, ma lo faceva con tale fermezza da non aspettare che si
-disdicesse.
-
-«Va bene, fece d’Artagnan, poichè non sapete ove sia, non ne parliamo
-più, lasciamoci da buoni amici, e prendete questa doppia per bere alla
-mia salute.
-
-«Non bevo, signor mio, disse Bazin respingendo maestosamente la mano
-all’ufficiale: codeste sono cose che si dicono a’ laici!
-
-«Incorruttibile! brontolò il tenente; che disdetta è la mia!»
-
-D’Artagnan, distratto dalle sue riflessioni, non reggeva più per la
-sottana Bazin, e questi profittò della libertà per batter presto la
-ritirata verso la sagrestia, dove non si tenne sicuro se non dopo
-averne chiusa la porta.
-
-Il moschettiere rimaneva immobile, pensoso, e fisse le pupille su
-la porta che lo separava dal bidello.... quando ecco sentì toccarsi
-leggermente la spalla con un dito.
-
-Si girò, ed era per mandare un’esclamazione di sorpresa: ma quegli che
-lo avea tocco con la punta del dito si mise questo sulle labbra per
-accennargli il silenzio.
-
-«Voi qui, caro Rochefort! disse allora sottovoce.
-
-«Zitto! fece Rochefort, sapevate ch’ero libero?
-
-«L’ho saputo di prima mano.
-
-«E da chi?
-
-«Da Planchet.
-
-«Come, Planchet?
-
-«Eh sì! fu egli che vi salvò.
-
-«Realmente.... mi era sembrato di riconoscerlo. E questo prova che un
-benefizio non è mai perduto.
-
-«Che venite a far qui?
-
-«Vengo a ringraziare Iddio della mia fortunatissima salvazione, disse
-Rochefort.
-
-«E poi, per che altro? giacchè mi figuro che codesto non sia il tutto.
-
-«E a prendere gli ordini del coadjutore per vedere se si potesse far un
-poco arrabbiare Mazzarino.
-
-«Testaccia! vi farete cacciar di nuovo nella Bastiglia!
-
-«Oh! a quello ci baderò, vi assicuro. È tanto buona l’aria aperta!
-E perciò (continuava Rochefort respirando forte), vo a fare una
-passeggiata in campagna, un giro in provincia.
-
-«Veh! ed io pure.
-
-«E si può senza essere indiscreto domandarvi dove andiate?
-
-«In cerca de’ miei amici.
-
-«Di quali amici?
-
-«Di coloro di cui jeri mi richiedeste notizie.
-
-«Di Athos, Porthos ed Aramis? li cercate?
-
-«Sì.
-
-«In parola d’onore?
-
-«Che v’è di sorprendente?
-
-«Nulla.... è bizzarra. E da parte di chi ne siete in traccia?
-
-«Non ve lo figurate?
-
-«Oh sì!
-
-«Disgraziatamente non so dove siano.
-
-«E non avete alcun mezzo di averne contezza? aspettate otto giorni e ve
-ne darò io.
-
-«Otto son troppi; bisogna che prima di tre giorni io li abbia trovati.
-
-«Tre son pochi, e la Francia è grande.
-
-«Non serve; voi conoscete il vocabolo bisogna: con questo si fanno
-molte cose.
-
-«E quando vi ponete in traccia di loro?
-
-«Ci sono digià.
-
-«Buona fortuna!
-
-«E a voi buon viaggio!
-
-«Forse c’incontreremo in cammino.
-
-«Non è probabile.
-
-«Chi sa? il caso è tanto capriccioso!
-
-«Addio.
-
-«Addio. Appunto, se il Mazzarino vi parla di me, ditegli che vi ho
-incaricato di fargli sapere che in breve vedrebbe se io sono, conforme
-ei dice, troppo vecchio per agire».
-
-E Rochefort si allontanò, con uno dei sorrisi diabolici che in
-addietro avevano fatto tanto imbrividire d’Artagnan; ma questa volta
-d’Artagnan lo guardò senza angustiarsene e sogghignando anch’esso con
-un’espressione di malinconia, che forse codesta ricordanza soltanto
-poteva dare al suo sembiante.
-
-«Va, demone! egli disse, e fa quel che tu vuoi, poco m’importa: non v’è
-al mondo una seconda Costanza!»
-
-Nel voltarsi vide Bazin, che, deposti gli abiti da ecclesiastico,
-discorreva col sagrestano a cui d’Artagnan aveva già parlato al suo
-ingresso là in chiesa. Bazin pareva animatissimo, e con le braccia
-corte e grosse gestiva fuor di modo. D’Artagnan comprese che, secondo
-ogni probabilità gli raccomandasse la maggior segretezza relativamente
-a lui.
-
-Il nostro tenente profittò dell’occupazione in cui erano i due
-ecclesiastici per uscire dalla cattedrale ed impostarsi sul canto della
-strada delle Canettez. Bazin non potrebbe più andarsene senza essere da
-lui veduto dal posto ove si appiattava.
-
-Dopo cinque minuti, e mentre d’Artagnan se ne stava al suo posto, il
-bidello comparve sul loggiato; guardò per ogni lato onde accertarsi di
-non essere osservato, ma non distingueva l’ufficiale di cui la testa
-sola passava l’angolo di un casamento distante cinquanta passi. Così
-acquietato, si avventurò in via di Nostra Signora. D’Artagnan scappò
-dal suo nascondiglio, ed arrivò a tempo per vederlo girare dalla via
-della Juiverie ed entrare in quella della Calandre in una casa di
-decente apparenza: talchè il nostro tenente non ebbe alcun dubbio che
-ivi dimorasse il degno bidello.
-
-Ma egli non voleva già andare a prendere informazioni in quello
-stabile: se v’era guardaportone, doveva questo essere bell’e prevenuto;
-se non v’era, a chi rivolgersi?
-
-Si recò in una piccola osteria sul canto delle due strade di
-Sant’Eligio e della Calandre, e chiese una tazza d’hypocras. A
-preparare tal bibita occorreva una mezz’ora; egli aveva tempo di far la
-posta a Bazin senza eccitare sospetti.
-
-Adocchiò colà un ragazzo di dodici a quindici anni, vispo alla cera,
-che gli sembrò di riconoscere per averlo veduto venti minuti prima
-vestito da cantore di chiesa. Lo interrogò, e siccome quegli non aveva
-verun interesse a dissimulare, egli intese da esso qualmente la mattina
-dalle sei alle nove faceva da cantore, e dalle nove sino a mezzanotte
-da cameriere di osteria.
-
-Frattanto che d’Artagnan discorreva seco, fu condotto al portone di
-casa di Bazin un cavallo sellato e con la briglia. Dopo un momento
-scese Bazin.
-
-«Veh! disse il giovanetto, ecco il nostro bidello che si mette in
-viaggio.
-
-«E dove va? domandò d’Artagnan.
-
-«Uh! non lo so.
-
-«Mezza doppia, se ti riesce di saperlo.
-
-«Per me? se posso sapere dove va il signor Bazin? non è difficile....
-ma non mi burlate?
-
-«No, da uffiziale che sono; tieni, eccoti la mezza doppia».
-
-Ed il tenente mostrava, ma senza darla, la moneta corruttrice.
-
-«Glielo vo a domandar subito.
-
-«In questo modo non sapresti nulla; attendi che sia partito, e poi,
-cospetto! ricerca, interroga, informati.... ci hai da pensar tu, la
-moneta è qua».
-
-E d’Artagnan se la ripose in saccoccia.
-
-«Capisco, disse il ragazzo con quel sorrisetto di motteggio ch’è
-proprio dei biricchini di Parigi; ebbene, aspetterò».
-
-L’aspettativa non fu lunga. A capo a cinque minuti Bazin se ne andò con
-un trottarello rinforzato a suon di ombrellate addosso al cavallo.
-
-Egli aveva per uso di portare un ombrello a guisa di frustino.
-
-Appena ebbe girato dall’angolo di via della Juiverie, il giovanetto si
-slanciò fuori come un can da caccia.
-
-D’Artagnan si rimise a tavola, dov’erasi seduto avanti, sicurissimo di
-conoscere fra dieci minuti quanto bramava.
-
-Infatti, innanzi che questi fossero passati tornava il fanciullo.
-
-«Ebbene?
-
-«Ebbene, si sa tutto.
-
-«Dov’è andato?
-
-«È sempre mia la mezza doppia?
-
-«Senza dubbio: rispondi.
-
-«La vorrei vedere; imprestatemela, ch’io guardi se non è falsa.
-
-«Eccola.
-
-«Ehi padrone! disse il ragazzo, questo signore vuol barattare in tanti
-piccioli».
-
-Il padrone era al banco, pigliò la moneta e diede i piccioli.
-
-Il ragazzo si cacciò questi in tasca.
-
-«E ora, dov’è ito? chiese d’Artagnan che lo era stato ad osservare
-ridendo.
-
-«A Noisy.
-
-«Come lo sai?
-
-«Eh, per Diana! non c’è voluta grande astuzia. Aveva riconosciuto il
-cavallo ch’è del macellajo, che tratto tratto lo dà a nolo al signor
-Bazin; ho pensato che il macellajo non glielo dava senza domandare
-dove lo conducesse, quantunque non creda il signor Bazin capace di
-rubarglielo.
-
-«E ti ha risposto....
-
-«Che va a Noisy. E poi, pare che così sia solito; ci va due o tre volte
-la settimana.
-
-«E tu conosci Noisy?
-
-«Senti! ci sta la mia balia.
-
-«V’è un convento?
-
-«Altro! convento di minori osservanti.
-
-«Bene! non v’è più dubbio.
-
-«Dunque siete contento?
-
-«Sì.... come ti chiami?
-
-«Friquet»
-
-D’Artagnan scrisse sul suo taccuino il nome del fanciullo e il numero
-della bettola.
-
-«Ohe! signor ufficiale, ci sono da guadagnare altre mezze doppie?
-
-«Forse sì».
-
-E il tenente istruito ormai di quel che desiderava, pagò l’_hypocras_
-che non aveva bevuto, e sollecitamente s’incamminò di nuovo in via
-Tiquetonne.
-
-
-
-
-IX.
-
-_Come d’Artagnan cercando ben lontano Aramis, si accorse ch’era in
-groppa dietro a Planchet._
-
-
-D’Artagnan tornato a casa vide un uomo seduto accanto al fuoco. Era
-Planchet, ma Planchet tanto bene cambiato mercè i panni lasciati
-dal marito nel fuggire, ch’egli stesso stentava a ravvisarlo.
-Maddalena glielo presentò davanti a tutti i camerieri. Planchet disse
-all’ufficiale una bella frase in fiammingo; questi gli rispose con
-alcune parole che non erano di veruna lingua, e fu concluso il negozio:
-il fratello di Maddalena entrava al servizio di d’Artagnan.
-
-Il tenente aveva stabilito bene il suo piano: non voleva arrivare di
-giorno a Noisy, per tema di essere riconosciuto. Sicchè aveva ancora
-tempo, essendo Noisy distante soltanto di tre o quattro leghe da Parigi
-sulla strada di Meaux.
-
-Cominciò da fare una copiosa colazione, lo che sarà forse un cattivo
-principio quando si vuol agire con la testa, ma è un’ottima precauzione
-volendo agire col corpo; indi mutò vestimento per paura che quello
-da tenente de’ moschettieri inspirasse diffidenza; poi prese la più
-forte e solida delle sue tre spade, che teneva unicamente nelle grandi
-occasioni; poscia verso le due ore fece mettere la sella sui due
-cavalli, e seguìto da Planchet uscì dalla barriera di La Villette.
-Nella casa vicina all’albergo del Granchio si continuavano attivamente
-le perquisizioni per ritrovare Planchet.
-
-Una lega e mezza lontano dalla capitale, d’Artagnan accorgendosi che
-per causa della sua impazienza era partito troppo presto, si fermò a
-far respirare i cavalli. La locanda era piena di genti che parevano sul
-punto di tentare qualche intrapresa notturna. Comparve sulla porta un
-uomo inferrajuolato, ma nel mirare un forestiero fece un cenno colla
-mano, e due che bevevano vennero fuori a discorrere con lui.
-
-D’Artagnan si avvicinò con indifferenza alla padrona di bottega,
-lodò il suo vino, ch’era però un pessimo Montreuil, le fece qualche
-interrogazione relativamente a Noisy, ed intese come nel villaggio non
-v’erano che due case di grande apparenza, una appartenente a Monsignore
-Arcivescovo di Parigi ed in cui si trovava in quel momento la sua
-nepote la duchessa di Longueville, l’altra un convento dei Gesuiti e
-proprietà dei medesimi.
-
-Alle quattro ore d’Artagnan si rimise in viaggio, andando di passo,
-mentre non voleva giungere se non a bujo. E quando si va di passo, a
-cavallo, in una giornata d’inverno, all’aria fosca, in mezzo ad una
-campagna non variata, non v’è da far di meglio che ciò che fa (come
-dice la Fontaine) una lepre nella sua buca: pensare. Dunque d’Artagnan
-pensava, e così anche Planchet; se non che conforme ora vedremo, le
-loro riflessioni erano diverse.
-
-Una parola della locandiera aveva data una direzione particolare alle
-idee di d’Artagnan: il nome, cioè, di madama di Longueville.
-
-Infatti, la signora di Longueville aveva quanto abbisognava per far
-pensare: era una delle più grandi dame del reame, una delle più belle
-donne della corte. Maritata al vecchio duca di Longueville, per cui
-non sentiva amore, era stata riguardata prima come amante di Coligny,
-il quale per lei si era fatto ammazzare dal duca di Guise in un duello
-sulla Piazza Reale; poi si era chiaccherato di un affetto troppo
-tenero da essa avuto per il principe di Condé che scandalizzava le
-anime timorose della corte; finalmente si diceva fosse subentrato a
-codesto affetto un odio vero e profondo, e si seguitava a dire che la
-duchessa di Longueville avesse delle relazioni politiche col principe
-di Marsillac, figlio maggiore del vecchio duca di La Rochefoucauld, cui
-cercava di render nemico al principe di Condé.
-
-D’Artagnan pensava a tutto questo; pensava che quando era al Louvre
-si era veduto spesso a passare d’innanzi allegra e brillante la bella
-Longueville; e pensava ad Aramis, che senza essere da più di lui, era
-stato un tempo amante di madama Chevreuse, la quale stava nell’altra
-corte come madama di Longueville in questa. E domandava fra sè perchè
-nel mondo vi sono persone che giungono a tutto quello che bramano, chi
-in ambizione, chi in amore, mentre vi si hanno delle altre che, o sia
-caso, o contrarietà di sorte, o impedimento posto in loro dalla natura,
-rimangono a mezza via in tutte le proprie speranze.
-
-Ed era costretto a confessare che ad onta del suo spirito e della sua
-accortezza, egli era e resterebbe probabilmente nel novero di questi
-ultimi.... quando Planchet gli si accostò dicendo:
-
-«Scommetto, signore, che voi ed io pensiamo alla medesima cosa.
-
-«Ne dubito, fece sorridendo d’Artagnan, ma tu, a che pensi? sentiamo.
-
-«Io? a quegli uomini di trista cera che bevevano nell’albergo ove ci
-siamo fermati.
-
-«Sempre prudente, Planchet!
-
-«Gli è istinto, signor mio.
-
-«Orsù, che ti dice il tuo istinto in questa circostanza?
-
-«E’ mi diceva che coloro erano riuniti nell’albergo per un cattivo
-progetto, e mentre in un cantone bujo della stalla io rifletteva a
-questo suggerimento del mio istinto, entrò nella stessa stalla un uomo
-inferrajuolato, cui seguitarono altri due.
-
-«Ah! Ah! fece d’Artagnan, imperocchè il racconto di Planchet
-corrispondeva con le sue precedenti osservazioni, ebbene?
-
-«Un di quei due diceva:
-
-«Dev’essere di certo a Noisy o venirci stasera, poichè ho riconosciuto
-il suo servitore.
-
-«Ne sei sicuro? domandò l’uomo col pastrano.
-
-«Sì, mio principe....
-
-«Mio principe? interruppe d’Artagnan.
-
-«Ma ascoltate!
-
-«E se v’è, vediamo assolutamente che s’ha da fare, continuò l’altro
-bevitore.
-
-«Quel che si ha da fare? ripetè il principe.
-
-«Sì, non è uomo da lasciarsi prendere bonariamente, adoprerà la spada.
-
-«Or bene, bisognerà fare altrettanto, e non ostante procurare di averlo
-in mano vivo. Avete delle corde per legarlo e una sbarra da mettergli
-in bocca?
-
-«Abbiamo ogni cosa.
-
-«Badate che secondo ogni probabilità sarà travestito da cavalcante.
-
-«Oh! sì, monsignore, non dubitate.
-
-«E poi, ci sarò io e vi guiderò.
-
-«E garantite che la giustizia?....
-
-«Garantisco tutto.
-
-«Va bene, faremo il meglio che si potrà».
-
-E uscirono dalla stalla.
-
-«E che ci riguarda codesto? disse d’Artagnan, questa è qualcuna di
-quelle intraprese che si fanno giornalmente.
-
-«E siete certo che non sia diretta contro a noi?
-
-«Contro a noi! e perchè?
-
-«Eh! riepilogate le loro parole: ho riconosciuto il suo servitore, ha
-detto uno, il che potrebbe riferirsi a me.
-
-«E poi?
-
-«Dev’essere a Noisy o venirci stasera, ha aggiunto l’altro, il che
-potrebbe riferirsi a voi.
-
-«E dopo?
-
-«Dopo? il principe ha avvertito: sarà travestito da cavalcante; lo che
-mi sembra non lasci più dubbio, giacchè voi siete in questo arnese e
-non in quello da tenente dei moschettieri. Ehi! che ne dite?
-
-«Ohimè! caro Planchet, rispose d’Artagnan con un sospiro, io pur troppo
-non sono più nei tempi che i principi volevano farmi assassinare.
-Quelli erano bei tempi!.... Sicchè sta quieto, coloro non l’hanno con
-noi.
-
-«Ne siete sicuro?
-
-«Lo garantisco.
-
-«Allora sta bene, non se ne parli più».
-
-E Planchet riprese il suo posto dietro a d’Artagnan, con la sublime
-confidenza che avea sempre avuta nel suo padrone e non alterata da una
-separazione di quindici anni.
-
-Così fecero appresso a poco una lega.
-
-Dopo di che Planchet tornò ad avvicinarsi a d’Artagnan.
-
-«Signore!
-
-«Ebbene?
-
-«A voi, guardate da quella parte; non vi pare fra ’l bujo di veder
-passare come delle ombre? sentite, mi sembra udire passi di cavalli.
-
-«È impossibile, la terra è molle di pioggia.... però, come tu dici, mi
-pare di veder qualche cosa».
-
-E il tenente si soffermò a guardare e ascoltare.
-
-«Se non si sentono i passi dei cavalli, si ode almeno il loro nitrito».
-
-In fatti, traversando lo spazio e l’oscurità, venne il nitrito di uno
-di quegli animali sino alle orecchie di d’Artagnan.
-
-«Sono coloro che vanno in giro, ma a noi non interessa, seguitiamo pel
-nostro viaggio».
-
-E si avviarono di nuovo.
-
-Mezz’ora dopo giungevano alle prime case di Noisy; potevano essere le
-otto e mezza o le nove di sera.
-
-Secondo l’usanza di campagna tutti erano a letto; in tutto il villaggio
-non brillava un lume.
-
-D’Artagnan e Planchet continuarono a camminare. A mano destra e a
-sinistra, fra il grigio cupo del cielo risaltava il contorno anche
-più oscuro dei tetti delle abitazioni, tratto tratto un cane destatosi
-abbajava dietro una porta, o un gatto impaurito scappava di mezzo alla
-strada per appiattarsi in un mucchio di fascine, ove si scorgevano
-rilucere come carbonchi i suoi occhi spaventati. Quelli erano i soli
-esseri viventi che pareva esistessero nel villaggio.
-
-Verso la metà del borgo, e sovrastando alla piazza principale,
-sorgeva una mole cupa, isolata fra due straduzze, e sulla di cui
-facciata enormi tigli stendevano i bracci scarni. D’Artagnan esaminò
-attentamente quel fabbricato.
-
-«Questo, disse, dev’essere il palazzo dell’Arcivescovo, la dimora della
-bella Longueville, ma il convento dov’è?
-
-«Il convento? fece Planchet, è laggiù in fondo, lo conosco.
-
-«Or via! dà una corsa di galoppo fin là, intanto che io stringo la
-cinghia al mio cavallo, e torna a dirmi se dai Frati v’è qualche
-finestra che abbia lume».
-
-Planchet obbedì, si allontanò al bujo, mentre d’Artagnan, smontato,
-ristringeva la cinghia al suo cavallo.
-
-Indi a cinque minuti ei venne via dicendo:
-
-«Signore, v’è una sola finestra illuminata dalla parte che dà sopra i
-campi.
-
-«Uhm! disse d’Artagnan, se fossi della Fronda busserei qua e sarei
-certo di avere buon alloggio; se fossi frate busserei là e sarei certo
-di aver buona cena; laddove può essere all’incontro che fra il palazzo
-e il convento dormiamo sulla strada morti di fame e di sete.
-
-«Sì, aggiunse Planchet, come il famoso somaro di Buridan. Intanto
-volete ch’io picchi?
-
-«Zitto! s’è aperta l’unica finestra dov’era luce.
-
-«Sentite, signor mio?
-
-«Che rumore è mai?»
-
-Il rumore non era dissimile da quello di un turbine vicino; nel momento
-due brigate, ciascuna di una dozzina d’uomini a cavallo, sboccarono da
-ognuna delle due viottole rasenti alla casa, e chiudendo ogni uscita
-circondarono d’Artagnan e Planchet.
-
-«Ohè! fece il tenente levando fuori la spada e ricovrandosi dietro al
-suo cavallo, mentre il servo eseguiva la stessa manovra, che tu avessi
-pensato bene, e che l’avessero con noi?
-
-«Eccolo! è nostro! gridarono i sopraggiunti.
-
-«Badate che non vi sfugga! urlò una voce fortissima.
-
-«No, monsignore, non dubitate».
-
-Il tenente credè arrivato il momento di prender parte alla
-conversazione, e con la sua pronunzia guascona disse:
-
-«Olà, signore! che volete? che cercate?
-
-«Ora lo saprai! strillarono gli altri in coro.
-
-«Fermatevi! fermatevi! gridò quello che avevano chiamato monsignore,
-fermate! per la vostra testa! non è la sua voce.
-
-«Ma, signori, fece d’Artagnan, forse a Noisy hanno tutti la rabbia
-addosso? Badate però, ve lo avviso, il primo che si avvicina alla
-lunghezza della mia spada, la quale è ben lunga, io lo sventro».
-
-Si accostò il capo.
-
-«Che fate costì? domandò alteramente e come uno avvezzo al comando.
-
-«E voi? gli chiese d’Artagnan.
-
-«Usate civiltà, o che avrete una buona stregghiatura, perchè sebbene
-uno non voglia dare il suo nome, si desidera esser rispettati a seconda
-del rango.
-
-«Non volete dare il vostro nome perchè dirigete un’insidia, un
-tranello, ribattè d’Artagnan, ma io che viaggio tranquillamente col mio
-domestico, non ho le stesse ragioni che voi di tacere il mio.
-
-«Basta! basta! come vi chiamate?
-
-«Ve lo dico, acciò sappiate dove ritrovarmi, signore, monsignore, o
-mio principe, come vi piaccia esser chiamato, disse il nostro Guascone
-che non intendeva mostrare di cedere alla minaccia, conoscete il signor
-d’Artagnan?
-
-«Tenente nei moschettieri del re?
-
-«Appunto.
-
-«Sicuramente!
-
-«Or bene, continuò il guascone, dovete aver inteso dire che ha il pugno
-solido e la lama fine?
-
-«Siete il signor d’Artagnan?
-
-«Son io.
-
-«Dunque venite qui per difenderlo?
-
-«_Chi, come?_
-
-«Quello che noi cerchiamo.
-
-«Ah! fece d’Artagnan, pare che credendo di venire a Noisy io abbia
-approdato senza figurarmelo nel regno degli enigmi!
-
-«Animo, rispondete! riprese la stessa voce altera, lo attendete sotto
-questa finestra? venite a Noisy per difenderlo?
-
-«Non attendo veruno, replicò d’Artagnan che cominciava a perdere la
-pazienza, non ho idea di difendere altro che me, e questo _me_, lo
-difenderò con vigore, ve lo avverto.
-
-«Benissimo; levatevi di qua, e lasciateci il posto.
-
-«Levarmi di qua? fece il tenente a’ di cui progetti quest’ordine si
-opponeva di troppo, non è facile, sendochè sono stanco morto, e così
-pure il mio cavallo, ammenochè siate disposto ad offrirmi da cena e da
-dormire nelle vicinanze.
-
-«Furfante!
-
-«Ehi! disse d’Artagnan, misurate le vostre parole, perchè se ne
-proferiste delle altre simili a questa, quando anche foste marchese,
-duca, principe o re, ve le farei rientrare in corpo, capite?
-
-«Via via, non v’è da sbagliare, soggiunse il capo della brigata, è un
-Guascone quello che parla, e in conseguenza non è quel che cerchiamo.
-Per questa sera il nostro colpo è andato a vuoto; ritiriamoci. Vi
-ritroveremo messer d’Artagnan! continuò alzando la voce.
-
-«Sì, ma non mai cogli stessi vantaggi, rispose burlando il tenente,
-giacchè quando mi ritroverete forse sarete solo, e sarà giorno.
-
-«Bene, bene! andiamo, signori!»
-
-E la comitiva brontolando e mormorando disparve fra le tenebre per
-ritornare dalla parte di Parigi.
-
-D’Artagnan e Planchet stettero ancora un istante in atto di difesa, ma
-allontanandosi poi il rumore rimisero le spade nel fodero.
-
-«Vedi, imbecille, disse tranquillamente d’Artagnan, che non l’avevano
-con noi.
-
-«Ma dunque, con chi? domandò Planchet.
-
-«Oh! non lo so, e poco mi preme. Ciò che m’importa è di entrare nel
-convento. E per questo, presto in sella e andiamo a bussare colà: sarà
-quel che sarà, non ci mangeranno mica».
-
-D’Artagnan saltò in sella.
-
-Planchet fece altrettanto, ma cadde un peso inaspettato sul di dietro
-del suo cavallo, il quale piegò le zampe.
-
-«Ah signore! urlò Planchet, ho in groppa un uomo!»
-
-D’Artagnan si volse, e realmente distinse due forme umane sulla bestia
-di Planchet.
-
-«È dunque il diavolo che ci perseguita! esclamò levando fuori la spada
-onde avventarsi sul sopraggiunto.
-
-«No, mio caro d’Artagnan, disse questi, non è il diavolo; son io,
-Aramis. Di galoppo, Planchet, e in fondo al villaggio piglia a
-sinistra».
-
-E Planchet portandosi in groppa Aramis si partì velocissimo, seguito
-dal tenente, che principiava a credere di essersi fatto qualche sogno
-bizzarro ed incoerente.
-
-
-
-
-X.
-
-_L’Abate d’Herblay._
-
-
-In fondo al villaggio Planchet pigliò a sinistra conforme gli era
-ordinato, e si fermò sotto la finestra illuminata. Aramis balzò a
-terra, e diede tre colpi. Tosto fu aperta la porta.
-
-«Carissimo, disse Aramis, se volete salire, vi riceverò con tutto il
-piacere.
-
-«Ma da voi si entra anco di notte? domandò d’Artagnan.
-
-«Cappio! ho quanti permessi desidero; ma la regola del convento è
-severissima.
-
-«Scusate, osservò d’Artagnan, mi pare che abbiate detto _cappio_?
-
-«Sì? fece ridendo Aramis, sarà, l’è un’antica abitudine. Ma non salite?
-
-«Andate avanti, vi seguo.
-
-«Giusto! come diceva il defunto ministro al defunto re: — Per farvi
-strada, o sire. — »
-
-Aramis avanzò prestamente.
-
-D’Artagnan gli andò appresso, ma più adagio: si scorgeva non esser egli
-assuefatto a camminare in luoghi simili.
-
-«Compatite, gli disse Aramis in ischerzo osservando la sua difficoltà,
-se avessi saputo di avere il bene della vostra visita vi avrei fatto
-preparare delle torce.
-
-«Signor mio, disse Planchet quando vide d’Artagnan avviarsi, va bene
-per il signor Aramis, può stare anche per voi, a tutto rigore starebbe
-pure per me, ma i due cavalli non possono passare, dentro al chiostro.
-
-«Conduceteli sotto la tettoja, replicò Aramis accennando una specie di
-fabbricato sulla pianura, vi troverete per loro paglia e biada.
-
-«E per me? fece Planchet.
-
-«Tornerete qua fuori, darete tre colpi e vi faremo calare della roba da
-mangiare; state quieto, qui non si muore di fame!»
-
-Ed Aramis si chiuse per dentro.
-
-D’Artagnan esaminava la stanza.
-
-Non avea mai veduto un appartamento al tempo stesso più guerresco e
-galante. Ad ogni angolo erano trofei d’armi e spade di ogni specie, e
-quattro grandi quadri rappresentavano nel loro costume da battaglia
-il cardinale di Lorraine, Richelieu, La Vallette e l’arcivescovo di
-Bordeaux; i parati erano di damasco, i tappeti venuti da Alençon, il
-letto guernito di trine col posapiedi ricamato.
-
-«Guardate il mio tugurio? fece Aramis, sono alloggiato assai bene....
-Che cercate cogli occhi?
-
-«Cerco chi vi abbia aperto, non vedo alcuno, eppure...
-
-«Oh! è stato Bazin.
-
-«Ah ah!
-
-«Ma il mio Bazin è bene avvezzo, ed osservando ch’io non tornava solo
-si sarà ritirato per prudenza. Sedete, mio caro, e discorriamo».
-
-Ed Aramis spinse il tenente in un ampio seggiolone, sul quale questi si
-distese e posò le gomita.
-
-«Già, cenerete con me, non è così?
-
-«Sì, se non vi rincresce; e anzi, io ne avrò piacere, ve lo confesso;
-il viaggio mi ha dato un appetito diabolico.
-
-«Ah! povero amico mio, troverete un magro pasto, non eravate aspettato.
-
-«Forse mi minacciate della frittata di Crevacoeur e dei _Tehobromes_?
-non chiamavate così in addietro gli spinaci?
-
-«Eh! bisogna sperare che con l’ajuto di Dio e di Bazin rinverremo
-qualche cosa di meglio in credenza.... Bazin! Bazin! venite qua!»
-
-Si schiuse l’uscio e comparve Bazin; ma nel distinguere d’Artagnan
-diede in una esclamazione che somigliava a un grido di disperazione.
-
-«Caro Bazin, disse il tenente, ho gusto di conoscere con quanta
-fermezza voi mentite.
-
-«Signore, fece quegli, è lecito di mentire quando si fa con buona
-intenzione.
-
-«Animo, disse Aramis, d’Artagnan muore di fame, ed io pure; portateci
-da cena quanto di meglio potete, e specialmente del buon vino».
-
-Bazin s’inchinò in segno di obbedienza, sospirò, e se ne andò.
-
-«Ora che siamo soli, Aramis, cominciò d’Artagnan riportando gli occhi
-dall’appartamento al proprietario, e terminando dagli abiti l’esame
-principiato dai mobili, ditemi di dove diamine venivate quando siete
-caduto in groppa dietro a Planchet!
-
-«Eh, lasciamo stare da parte codeste domande!
-
-«Che sì che me lo figuro? che sì che la vostra gita stuzzicava un poco
-il principe di Marsillac?
-
-«Già, siete sempre allegro, voi! fece Aramis, sempre col solito buon
-umore da Guascone! ma non vi aveste a credere che fossi innamorato di
-madama di Longueville!
-
-«Oh! Dio me ne guardi! ripicchiò d’Artagnan, dopo essere stato sì gran
-tempo in relazione colla signora di Chevreuse, non avreste rivolto il
-cuore alla sua nemica più acerrima.
-
-«Sì, è vero, rispose Aramis, quella povera duchessa, l’amai di molto in
-passato, e bisogna renderle giustizia, ci fu utilissima; ma che volete?
-le toccò abbandonare la Francia.... era un uomo duro quel maladetto
-ministro! (e dava un’occhiata ad uno dei ritratti) egli avea dato
-l’ordine di arrestarla e condurla al castello di Loches; le avrebbe
-fatto tagliare la testa come a Chalais, a Montmorency e a Cinq-Mars;
-ella fuggì travestita da uomo con la Ketty sua cameriera.... Di più,
-per quanto ho inteso, le accadde una singolare avventura, non so in
-qual villaggio, con un curato a cui chiedeva ospitalità, e che avendo
-una camera sola e prendendo lei per un uomo, le offerse di star seco
-nella medesima stanza.... È che portava il vestimento maschile in una
-tal maniera, la cara Maria!.... E perciò erano stati fatti su di lei
-que’ versi:
-
- «_Laboissière, dis moi.... ec._
-
-Li sapete?
-
-«No, cantateli».
-
-Ed Aramis intuonò:
-
- Laboissière, dis moi,
- Suis-je pas bien en homme?
- — Vous chevauchez, ma foi,
- Mieux que tant que nous sommes.
- Elle est,
- Parmi les hallebardes.
- Au régiment des gardes,
- Comme un cadet[6].
-
-«Bravo! disse d’Artagnan, cantate sempre a meraviglia.
-
-«Basta, torniamo all’infelice duchessa.
-
-«A quale? la duchessa di Chevreuse, o di Longueville?
-
-«Vi ho già detto che non v’è nulla fra me e la Longueville; qualche
-scherzetto e non altro. No, vi parlo della Chevreuse: l’avete vista?
-
-«Sì, ed era ancora molto bella.
-
-«Certo, seguitò Aramis; in quell’epoca la vidi qualche volta; le
-avevo dato ottimi consigli, de’ quali non approfittò; mi affaticai
-a dirle che Mazzarino era amante della regina: non mi volle credere,
-sostenendo che conosceva appieno Anna, e ch’essa era troppo superba
-per contraccambiare un villano simile. Poi intanto la s’intricò nel
-complotto del duca di Beaufort, e il villano fece arrestare il signor
-di Beaufort ed esiliò madama di Chevreuse.
-
-«Sapete, continuò il tenente, ch’essa ha ottenuto il permesso di
-tornare?
-
-«Sì; e anche ch’è tornata. Farà qualche altro sproposito.
-
-«Oh! forse questa volta si atterrà a’ vostri consigli.
-
-«Ah! questa volta, fece Aramis, non l’ho veduta. È andata molto male.
-
-«Non fa come voi, carissimo, che siete sempre lo stesso, con i vostri
-bei capelli neri, la vita elegante, le mani da donna.
-
-«È vero, mi tengo con molta cura.... sapete che invecchio? fra poco
-avrò trentasette anni.
-
-«Sentite, mio caro, disse d’Artagnan con un sorrisetto, giacchè
-ci combiniamo qui insieme, andiamo d’accordo dell’età ch’avremo in
-avvenire.
-
-«Come?
-
-«Sì; prima ero io minore a voi di due o tre anni, e se non isbaglio ne
-ho quaranta ben sonati.
-
-«Davvero! allora son io che m’inganno, mentre voi foste sempre
-un egregio matematico. Dunque, secondo il vostro conto, ne avrei
-quarantatrè. Diavolo! non lo aveste a dire al palazzo Rambouillet! mi
-fareste danno.
-
-«Non dubitate, non ci vado.
-
-«Ma che diamine fa Bazin? disse Aramis. Bazin! bricconaccio!
-sbrighiamoci; qui si crepa di fame e di sete!»
-
-Bazin, entrato appunto nel momento, alzò al cielo le mani cariche di
-una bottiglia ciascuna.
-
-«Insomma, siamo lesti? animo! gridò Aramis.
-
-«Sì, signore, subito, fece l’altro, ma bisognava il tempo da portare su
-tutte le....
-
-«Perchè vi occupate di continuo delle cose della chiesa e non delle
-mie, cospettone!»
-
-Bazin, scandalizzato si fece il segno della croce.
-
-D’Artagnan, sorpreso dalle maniere dell’abate d’Herblay, che
-contrastavano cotanto con quelle del moschettiere Aramis, spalancava
-gli occhi davanti all’amico.
-
-Bazin coprì sollecitamente la tavola con una tovaglia damascata e vi
-dispose tante cose ghiotte, indorate, profumate, che il tenente ne
-rimase attonito.
-
-«Dunque, aspettavate gente? questi domandò.
-
-«Oibò! mi tengo sempre pronto per i casi possibili; e poi sapevo che mi
-cercavate.
-
-«Da chi?
-
-«Da messer Bazin, che vi ha preso per il diavolo ed è corso ad
-avvisarmi del pericolo che sovrastava all’anima mia se rivedevo una sì
-trista compagnia com’è quella di un ufficiale dei moschettieri.
-
-«Oh signore! disse Bazin a mani giunte e in atto supplichevole.
-
-«Orsù, bando all’ipocrisia! sapete ch’io non ne voglio. Farete
-meglio ad aprire la finestra, e calare un pane, un po’ di pollo e una
-bottiglia di vino al vostro amico Planchet che da un’ora si strapazza a
-picchiare».
-
-Infatti Planchet, dopo aver dato alle bestie e paglia e biada, era
-venuto lì sotto e ripeteva il segnale.
-
-Bazin obbedì, legò ad una cima di fune i tre oggetti accennati e li
-calò a Planchet, il quale non volendo altro se ne andò sotto alla
-tettoja.
-
-«Adesso ceniamo, disse Aramis».
-
-I due amici sederono a mensa, ed Aramis cominciò a tagliare pollastre,
-pernici e prosciutti.
-
-«Cospetto! fece d’Artagnan, come vi mantenete!
-
-«Sì, sì, ottimamente.... ho per cuoco l’ex-cuciniere di Lafollone, ve
-ne ricordate? l’antico amico del ministro, quel ghiottone famoso che
-dopo pranzo pregava dicendo: Dio mio, concedetemi la grazia di ben
-digerire quel che ho mangiato così bene!
-
-«E non ostante morì d’indigestione, soggiunse ridendo d’Artagnan.
-
-«Che volete? ribattè Aramis in aria di rassegnazione, non si può
-schivare il proprio destino.
-
-«Ma scusate la domanda che sono per farvi, riprese il tenente.
-
-«Fate pure; fra noi non v’è indiscretezza.
-
-«Siete dunque arricchito?
-
-«Oh no! mi raduno da dodici mila lire all’anno, senza contare un
-piccolo benefizio di un migliajo di scudi che mi fece avere il signor
-principe.
-
-«E con che vi radunate le dodici mila lire? co’ vostri poemi?
-
-«No; ho rinunziato alla poesia, non fo altro che prediche.
-
-«Come, prediche?
-
-«Ma bellissime! almeno per quanto pare.
-
-«E le recitate?
-
-«Oibò! le vendo.
-
-«A chi?
-
-«A’ miei colleghi che ambiscono ad esser grandi oratori.
-
-«Veh! e non vi ha tentato la gloria per voi stesso?
-
-«Sì, ma la natura vi si oppone. Sono astratto, la minima cosa serve per
-distogliermi dall’argomento. Una volta un cavaliere mi rise in faccia,
-sospesi il mio discorso per dirgli, che era uno sguajato; il popolo
-uscì a raccogliere delle pietre.... nel frattempo mi ricomposi...:
-cercai di calmarlo.... ed infatti fu lui che in mia vece venne
-lapidato. All’indomani però il cavalierino capitò da me.
-
-«E che resultò dalla sua visita?
-
-«Che ci fissammo il convegno sulla Piazza Reale. Eh per diana! voi lo
-sapete.
-
-«Forse fu contro a quell’impertinente che vi feci da padrino?
-
-«Appunto: vedeste come lo aggiustai.
-
-«Morì?»
-
-«Non lo so.... che m’importa?»
-
-Bazin fece un atto di malcontento all’udir parlare in tal modo.
-
-«Bazin, carino mio, voi non pensate che vi veggo in quello specchio, e
-che una volta per sempre vi ho proibito qualunque segno di approvazione
-o disapprovazione. Favorite darci del vino di Spagna e ritirarvi.
-D’altronde il mio amico d’Artagnan ha da dirmi qualche cosa segreta.
-Non è così d’Artagnan?»
-
-Il tenente fe’ cenno di sì col capo, e Bazin se n’andò dopo aver recata
-la bottiglia richiesta.
-
-I due antichi compagni rimasti soli stettero alquanto cheti; Aramis
-come aspettasse una buona digestione, d’Artagnan come se preparasse il
-suo esordio.
-
-Ciascuno di essi davasi un’occhiata alla sfuggita quando l’altro non lo
-guardava.
-
-Fu Aramis il primo a troncare il silenzio.
-
-
-
-
-XI.
-
-_I due volponi._
-
-
-«A che pensate, richiese Aramis a d’Artagnan, e qual idea vi fa
-sorridere?
-
-«Penso che quando eravate moschettiere propendevate ad uno stato tutto
-pace, ed oggi che vivete in tutta pace mi sembra propendiate di molto
-al moschettiere.
-
-«Così è: vi è pur noto, mio caro, l’uomo è un animale stranissimo,
-tutto composto di contrasti. Io sogno di continuo battaglie.
-
-«E’ si vede dall’addobbo della vostra abitazione: avete là delle spade
-di tutte le forme e da contentare tutti i gusti. Tirate sempre bene?
-
-«Tiro come facevate voi in addietro, e forse anco meglio; mi ci
-esercito indefessamente.
-
-«E con chi?
-
-«Con un ottimo maestro di scherma.
-
-«Sicchè avreste ucciso il signor di Marsillac, se vi avesse assalito
-solo invece che alla testa di venti uomini?
-
-«Certamente; e alla testa pure di coloro, se avessi potuto sguainare la
-spada senza esser riconosciuto.
-
-«Dio mi perdoni! (fece tra sè d’Artagnan) avrebbe ad essere diventato
-più guascone di me? Orsù, caro Aramis, seguitò più forte, mi
-domandavate perchè vi cercassi?
-
-«No, non ve lo domandavo, rispose Aramis con la solita sua aria
-scaltra, ma aspettavo che voi me lo diceste.
-
-«Or bene, era per offerirvi a dirittura un mezzo di uccidere il signor
-di Marsillac quando vogliate, quantunque egli sia principe.
-
-«Sentite, mo! codesta è un’idea!
-
-«Di cui v’invito ad approfittarvi. Animo, con la vostra entrata di
-mille scudi e le dodici mila lire che vi guadagnate, siete ricco?
-rispondetemi schiettamente.
-
-«Io? son povero come Giobbe, e se frugaste saccoccie e cassa credo non
-trovereste cento doppie.
-
-«Capperi! cento doppie, disse fra sè d’Artagnan, e questo ei chiama
-esser povero come Giobbe! io, se le avessi sempre al mio comando, mi
-stimerei ricco quanto un Creso... Siete ambizioso? soggiunse.
-
-«Come Encelado!
-
-«Ed io vi reco l’occorrente per esser ricco, potente e libero di fare
-ciò che vogliate».
-
-Sulla fronte di Aramis passò un nuvolo rapido al pari di quello che
-in agosto scorre su le biade, ma per quanto fosse celere d’Artagnan lo
-notò.
-
-«Parlate, disse Aramis.
-
-«Prima, un’altra interrogazione. Vi occupate di politica?»
-
-Negli occhi di Aramis passò un lampo rapido come il nuvolo comparsogli
-su la fronte, ma non tanto celere che d’Artagnan mancasse di vederlo.
-
-«No, egli replicò.
-
-«Allora ogni proposizione vi piacerà, poichè pel momento non avete
-altro padrone che Dio.
-
-«Può darsi che mi piaccia: sentiamo.
-
-«Avete pensato qualche volta a que’ bei giorni di nostra gioventù, che
-trascorrevamo ridendo, e bevendo, e battendoci?
-
-«Sì, e più volte me li ricordai con rammarico.... tempi felici!
-_Delectabile tempus!_
-
-«Que’ bei giorni possono rinascere, può tornare quel tempo felice.
-Io ho avuto l’incarico di andare a trovare i miei compagni, e ho
-cominciato da voi, ch’eravate l’anima della nostra associazione».
-
-Aramis s’inchinò in modo più civile che affettuoso.
-
-«Rimettermi nella politica? disse con voce fiacca e buttandosi giù
-sulla poltrona, ah! caro d’Artagnan, vedete come vivo regolarmente
-e con tutti i comodi: noi esperimentammo pure la ingratitudine dei
-grandi, lo sapete!
-
-«È vero, ma forse i grandi si pentono di essere stati ingrati.
-
-«Allora sarebbe tutt’altro.... sentiamo: ad ogni peccato
-misericordia.... E poi, avete ragione sur un punto, ed è che se ci
-ripigliasse la volontà d’immischiarci negli affari di Stato, secondo me
-ne sarebbe giunto il momento.
-
-«Come lo sapete, non occupandovi di politica?
-
-«Eh mio Dio! senza ingerirmene personalmente, vivo in relazione con
-persone che se ne ingeriscono. Benchè coltivando la poesia, mi sono
-posto in corrispondenza con Sarrasin ch’è tutto del signor Conti, con
-Voiture ch’è del coadjutore e con Bois-Robert che da quando non è più
-di Richelieu non è di nessuno o è di tutti come meglio vi piace: sicchè
-il movimento politico non mi è sfuggito interamente.
-
-«Me lo immaginavo, fece d’Artagnan.
-
-«Del resto, non avete a prendere ciò ch’io sono per dirvi se non per
-parole da cenobita, da uomo che parla puramente e semplicemente per
-quel che ha inteso a dire. Io ho inteso che in questo punto Mazzarino
-sia molto inquieto sull’andamento delle cose: pare che per i suoi
-ordini non si abbia lo stesso rispetto che in addietro si aveva per
-quelli del nostro antico spauracchio, defunto ministro, di cui vedete
-qua il ritratto, giacchè, se ne sia pur detto quanto si è voluto,
-bisogna convenire ch’era un grand’uomo.
-
-«Su questo proposito non vi contraddirò, caro Aramis: esso fu che mi
-fece tenente.
-
-«La mia prima opinione era stata tutta a favore del ministro; avevo
-considerato che un ministro non è mai amato, ma che col genio che tutti
-attribuiscono a questo e’ finirebbe con trionfare dei suoi nemici e
-farsi temere, lo che è forse meglio che farsi amare».
-
-D’Artagnan fece con la testa un cenno che esprimeva la piena sua
-approvazione di questa massima alquanto dubbia.
-
-«Ecco, seguitò Aramis, quale era la mia opinione prima, ma siccome sono
-molto ignorante in questa sorta di materie, e il tenore di vita che
-ho scelto m’induce naturalmente a non rapportarmi qualche volta al mio
-proprio giudizio, così mi sono informato. Ebbene, amico mio....»
-
-Aramis fece una pausa.
-
-«E che? domandò d’Artagnan.
-
-«Ebbene, mi è d’uopo mortificare il mio orgoglio, mi è d’uopo
-confessare che mi ero ingannato.
-
-«Davvero?
-
-«Sì, m’informai, ed ecco quel che mi risposero parecchie persone tutte
-diverse di gusto e d’ambizione: il ministro Mazzarino non è un uomo di
-genio qual io lo credeva.
-
-«Veh! fece d’Artagnan.
-
-«È un uomo da nulla, stato già servitore del Bentivoglio, e che si è
-tirato innanzi mediante i raggiri; un nuovo ricco, un soggetto senza
-nome che in Francia batterà soltanto la strada da partigiano; ammasserà
-molti scudi, dilapiderà le rendite del re, pagherà a sè stesso tutte
-le pensioni che il defunto Richelieu pagava a tutti gli altri, ma
-non governerà mai col diritto del più forte, del più grande e del più
-onorato. Inoltre sembra non sia gentiluomo per cuore e per maniere,
-ma piuttosto una specie di buffone, un Pantalone, un Pulcinella. Lo
-conoscete voi? io no.
-
-«Eh! borbottò il tenente, in codesto che voi dite v’è un poco di verità.
-
-«Ah! mi fate insuperbire, mio caro, se mercè una tal quale penetrazione
-volgare di cui sono dotato, ho potuto combinarmi con un uomo come siete
-voi che vivete in corte.
-
-«Ma mi avete parlato di lui personalmente, e non del suo partito.
-
-«È vero; ha per sè la regina.
-
-«Ed è qualcosa, mi pare.
-
-«Ma non ha per sè il re
-
-«Un bambino?
-
-«Bambino, che fra quattro anni sarà in età maggiore.
-
-«È il presente.
-
-«Sì, ma non è l’avvenire; ed anche nel presente non ha a suo favore nè
-il parlamento, nè il popolo, cioè il danaro; non ha a suo favore nè la
-nobiltà, nè i principi, cioè la spada».
-
-D’Artagnan si grattò l’orecchio: era costretto a convenire esser quello
-un pensare giustissimo.
-
-«Vedete, povero amico mio, se sono tuttora dotato della mia solita
-perspicacia. Vi dirò che ho forse torto di parlarvi così apertamente,
-giacchè voi mi sembrate inclinato per il Mazzarino.
-
-«Io! esclamò il tenente de’ moschettieri, nemmeno per ombra!
-
-«Discorrevate di un incarico...
-
-«Ho discorso di un incarico?.... Allora ho sbagliato.... No, ho detto
-fra me come voi: ecco che gli affari s’imbrogliano; gettiamo la penna
-al vento, andiamo dalla parte dove il vento la porterà, e riprendiamo
-la vita di ventura. Eravamo quattro prodi cavalieri, quattro cuori
-uniti teneramente; si uniscano di nuovo, non già i nostri cuori non
-mai separatisi, ma le nostre fortune e il nostro coraggio. È buona
-l’occasione per riacquistare qualche cosa da più che un brillante.
-
-«Avete ragione, e ragione sempre, continuò Aramis, la prova si è che
-io avevo la stessa idea che voi; se non che, a me che non ho la vostra
-feconda immaginazione, il vostro estro, la mi era stata suggerita;
-oggidì tutti hanno bisogno di appoggio, mi sono state fatte delle
-proposizioni, è trapelato un certo che delle nostre famose prodezze
-di tempo addietro, e vi confesserò francamente che il coadjutore mi ha
-fatto parlare.
-
-«Il signor di Gondi, il nemico del ministro! esclamò d’Artagnan.
-
-«No, l’amico del re, fece Aramis, m’intendete? Or via, si tratterebbe
-di servire il re, lo che è obbligo di un gentiluomo.
-
-«Ma, mio caro, il re è con Mazzarino.
-
-«Di fatto, ma non di volontà; d’apparenza, e non di cuore; ed ecco
-appunto il laccio che i nemici del re tendono al povero fanciullo.
-
-«Oh! ma codesta che mi proponete, Aramis, è addirittura la guerra
-civile.
-
-«La guerra per il re.
-
-«Ma il re sarà alla testa dell’armata ove sarà Mazzarino.
-
-«Sarà però col cuore nell’armata cui comanderà il signor di Beaufort.
-
-«Beaufort! è a Vincennes.
-
-«Ho detto Beaufort? seguitò Aramis, il signor di Beaufort o un altro;
-Beaufort o il signor Principe.
-
-«Ma il signor Principe parte per l’armata, è tutto del ministro.
-
-«Eh eh! disse Aramis, hanno appunto in questo momento fra loro qualche
-discussione. D’altronde, se non è il signor Principe, il signor di
-Conti....
-
-«Di Conti sarà in breve cardinale; è domandato per lui il cappello.
-
-«E non vi sono cardinali capaci per la guerra? Vedete, ne avete intorno
-quattro che alla testa dell’esercito erano da pari di Guebriant e di
-Gassion.
-
-«Oh! un generale gobbo!
-
-«Sotto la corazza la gobba non si vedrà. E poi, ricordatevi che
-Alessandro zoppicava ed Annibale era guercio.
-
-«Scorgete grandi vantaggi in quel partito? domandò d’Artagnan.
-
-«Vi scorgo la protezione di principi potenti.
-
-«Con la proscrizione del governo.
-
-«Annullata dai parlamenti e dalle sommosse.
-
-«Tutto ciò potrebbe succedere conforme voi dite, se si arrivasse a
-separare il re da sua madre.
-
-«Forse vi si giungerà.
-
-«Mai! no, mai! gridò il tenente ritornato nella sua convinzione.
-Aramis, mi appello a voi, che conoscete al pari di me Anna: credete
-ch’essa possa dimenticare che il suo figlio è la sua sicurezza, il suo
-palladio, il pegno della considerazione, della ricchezza e della vita
-di lei! Bisognerebbe ch’ella passasse con lui dalla parte dei principi
-abbandonando Mazzarino, ma sapete meglio di chiunque come vi siano
-forti ragioni perchè non lo abbandoni.
-
-«Potreste non isbagliarla, soggiunse Aramis pensieroso, e per questo io
-non m’impegnerò.
-
-«Con loro, fece d’Artagnan, ma con me?
-
-«Con nessuno. Vivo a me, e non ho che vedere con la politica; per
-me tutto va bene senza ingerirmene, ed assolutamente non mi ci
-immischierò.
-
-«Ebbene, mio carissimo, continuò d’Artagnan, la vostra filosofia mi
-persuade, in parola d’onore, e non so che diamine d’ambizione mi aveva
-pizzicato; ho una specie di carica che mi alimenta, posso alla morte
-del de Tréville, che ormai invecchia assai, diventar capitano; è un
-bel bastone da maresciallo per un cadetto di Guascogna, e sento che
-mi riaffeziono alle delizie del pane limitato ma quotidiano, invece
-di correre incontro alle avventure. Or via! accetterò gl’inviti di
-Porthos, andrò a caccia nelle sue tenute. Vi è noto che Porthos ha
-delle tenute?
-
-«Eh altro! Io credo dieci leghe di boschi, di paduli e di valli, è
-signor dal monte e dal piano, e litica per diritti feudali contro non
-so qual grande da Noyon.
-
-«Ottimamente, disse fra sè d’Artagnan, ecco quel che volevo sapere:
-Porthos è in Piccardia».
-
-Indi ad alta voce:
-
-«Ed ha ripreso il suo antico nome di du Vallon?
-
-«Aggiungendovi quello di Bracieux, un certo possesso che fu baronia.
-
-«Sicchè lo vedremo barone?
-
-«Io non ne dubito; e specialmente sarà stupenda la baronessa Porthos!»
-
-I due amici diedero in una risata.
-
-«Dunque, ricominciò d’Artagnan, non volete passare dal Mazzarino?
-
-«Nè voi dai principi?
-
-«No; non passiamo da alcuno, e restiamo amici; non siamo nè del
-ministro nè della Fronda.
-
-«Giusto! siamo moschettieri, fece Aramis.
-
-«Anche dopo lo stato che avete abbracciato? disse d’Artagnan.
-
-«Anche dopo.
-
-«Dunque, addio.
-
-«Non vi trattengo, sendochè non saprei dove farvi dormire, nè posso
-decentemente offerirvi metà della tettoja di Planchet.
-
-«E poi, sono appena distante di tre leghe da Parigi, i cavalli son
-riposati, sarò a casa in meno di un’ora».
-
-E d’Artagnan mescendosi l’ultimo bicchier di vino.
-
-«Alla salute del nostro tempo antico!
-
-«Sì, rispose Aramis, pur troppo è un tempo passato! _Fugit irreparabile
-tempus._
-
-«Oibò! forse tornerà. In ogni caso, se avete bisogno di me, via
-Tiquetonne, albergo del Granchio.
-
-«E per me nel convento fra le sei della mattina e le otto di sera;
-e fra le otto di sera e le sei della mattina, s’intende bene, con
-superiore permesso.
-
-«Addio, mio caro.
-
-«Oh! non vi lascio così, aspettate ch’io vi accompagni».
-
-Aramis prese la spada e il ferrajuolo.
-
-«E’ vuole assicurarsi che io parta! pensò d’Artagnan».
-
-Aramis fischiò per chiamare Bazin, ma Bazin dormiva in anticamera
-accanto agli avanzi della sua cena, e bisognò per destarlo che Aramis
-lo tirasse per l’orecchio.
-
-Quegli distese le braccia, si stropicciò gli occhi, e cercò di
-riaddormentarsi.
-
-«Su, dormiglione, presto, fa lume.
-
-«Ma disse Bazin, sbadigliando in maniera da rovinarsi le mascelle, un
-momento....»
-
-D’Artagnan stava per accertare Aramis che ci vedrebbe abbastanza, ma
-gli venne un’idea.
-
-L’idea fece sì che si tacesse.
-
-Bazin diede un grosso sospiro, e andò di là, indi a un momento
-ritornava con una candela accesa.
-
-«Oh! disse d’Artagnan, adesso va anche meglio, ma però....
-affrettiamoci a partire».
-
-Parve che un’occhiata penetrante di Aramis corresse a ricercare il
-pensiero del suo amico nel più profondo del di lui cuore; d’Artagnan
-sostenne l’occhiata in atto di ammirabile semplicità e indifferenza.
-
-D’altronde in quel punto poneva il piede sul primo gradino della scala
-che conduceva alla porta.
-
-Fu abbasso in un attimo.
-
-Bazin rimase affacciato alla finestra.
-
-«Resta costì, gli aveva ordinato Aramis, ora vengo».
-
-I due si avviarono verso la tettoja; avvicinati che si furono, uscì di
-là Planchet reggendo i due cavalli scossi.
-
-«Manco male! fece Aramis, questo è un servitore attivo e vigilante;
-non è come quell’infingardo di Bazin che non è più buono a nulla....
-Veniteci dietro, Planchet, noi andiamo discorrendo sino in fondo al
-villaggio».
-
-Realmente traversarono tutto il villaggio parlando di cose
-indifferenti. Poi arrivati alle ultime abitazioni, Aramis disse:
-
-«Andate, amico carissimo, seguitate la vostra carriera; la fortuna vi
-arride, non ve la lasciate fuggire; rammentatevi ch’è una cortigiana,
-e trattatela come tale; io per me rimango nella mia umiltà e nella mia
-pigrizia.
-
-«Sicchè è propriamente deciso? domandò il tenente, ciò che vi ho
-offerto non vi gradisce?
-
-«Mi gradirebbe molto, al contrario, se fossi un uomo come gli altri;
-ma, ve lo ripeto, in verità sono un impasto di contrasti; quel che oggi
-odio, domani lo adorerò, e viceversa. Vedete che non posso impegnarmi,
-per esempio, come voi che avete delle idee ben ferme.
-
-«Tu menti, malizioso! fece tra sè d’Artagnan, anzi, sei tu il solo che
-sappi sceglierti una meta ed a quella camminare all’oscuro.
-
-«Addio, continuò Aramis, e grazie delle vostre eccellenti intenzioni,
-e soprattutto delle buone rimembranze che in me ha ridestate la vostra
-presenza».
-
-Si abbracciarono. Planchet era di già a cavallo, d’Artagnan saltò in
-sella.
-
-Indi si strinsero ai nuovo la mano.
-
-I cavalcanti diedero di sprone e si diressero dalla parte di Parigi.
-
-Aramis restò in piedi ed immobile in mezzo alla strada sinchè gli ebbe
-perduti di vista.
-
-Ma dopo duecento passi d’Artagnan si fermò in tronco, smontò, gettò
-la briglia sul braccio a Planchet, prese le pistole e se le mise nella
-cintola.
-
-«Che avete, signore? chiese Planchet sgomento.
-
-«Ho, che per quanto ei sia accorto non sarà detto che m’infinocchi; sta
-qua e non ti muovere, mettiti sull’orlo della via ed aspettami».
-
-E d’Artagnan si slanciò dall’altro lato del fosso, e corse a traverso
-alla pianura in modo da passar per dietro il villaggio. Aveva osservato
-tra la dimora d’Aramis e la casa dove abitava madama di Longueville uno
-spazio vuoto chiuso soltanto da una siepe.
-
-Forse un’ora prima avrebbe durato fatica a ritrovare quella siepe,
-ma ormai era comparsa la luna, e sebbene tratto tratto i nuvoli la
-coprissero, ci si vedeva abbastanza per rinvenire la strada.
-
-D’Artagnan arrivò alla chiudenda, e dietro a questa si nascose.
-
-Transitando dinanzi alla casa dov’era accaduta la scena da noi narrata,
-aveva badato che dalla stessa finestra traspariva da capo il lume, ed
-era convinto che Aramis non fosse ancora tornato alla propria dimora.
-
-In fatti, dopo un momento udì rumore di passi e come di voci sommesse.
-
-Poi gli uni si ristettero e le altre si tacquero.
-
-Egli posò in terra il ginocchio, cercando il più fitto della siepe onde
-appiattarvisi.
-
-Nell’istante comparvero due uomini, lo che molto lo sorprese; però, in
-breve cessò in lui lo stupore dacchè intese una voce dolcissima: per
-cui si avvide che uno dei due uomini era una donna travestita.
-
-«State quieto, caro Réné, diceva la vocina soave, non succederà più
-la stessa cosa: ho scoperto una specie di sotterraneo che va per sotto
-la strada, e d’ora innanzi ci basterà alzare una delle lastre che sono
-davanti alla porta per darvi comodo ad entrare ed uscire.
-
-«Oh! disse l’altro che d’Artagnan riconobbe essere Aramis, vi giuro,
-principessa, che se non dipendesse da tali precauzioni la vostra
-reputazione, e s’io arrischiassi solamente la mia vita....
-
-«Sì, sì, so che siete coraggioso e ardito al pari di chiunque, ma voi
-non siete soltanto mio, siete di tutto il nostro partito.... Sicchè
-abbiate prudenza!
-
-«Obbedisco sempre, signora, quando si sa comandarmi così graziosamente».
-
-Ed Aramis baciò la mano al _signorino_.
-
-«Ah! esclamò questo.
-
-«Ch’è stato?
-
-«Non vedete che il vento mi ha portato via il cappello?»
-
-Aramis corse appresso al cappello da uomo ch’era scappato.
-
-D’Artagnan profittò della circostanza per mettersi in un posto meno
-folto, d’onde il suo sguardo potesse andare liberamente su l’uomo
-problematico. Nell’istante appunto, la luna, forse curiosa come il
-nostro ufficiale, sbucava di sotto a un nuvolo, e mediante il suo
-chiarore d’Artagnan riconobbe gli occhi grandi e turchini, i capelli
-color d’oro, e la nobile testa della duchessa di Longueville.
-
-Aramis tornò ridendo con un cappello in capo ed uno in mano, ed
-entrambi continuarono a camminare nella direzione già presa.
-
-«Bene! fece d’Artagnan rialzatosi a spazzolarsi il ginocchio, adesso
-ti ho nelle mie mani: sei della Fronda e in relazione con la signora di
-Longueville!
-
-
-
-
-XII.
-
-_Il signor Porthos Du Vallon de Bracieux di Pierrefonds._
-
-
-Mercè le informazioni attinte presso Aramis, d’Artagnan, al quale era
-noto che Porthos dal suo casato chiamavasi du Vallon, aveva saputo come
-per il nome delle sue terre si chiamava de Bracieux, ed a motivo di
-quel suo possesso era in litigio col vescovo di Noyon.
-
-Quindi, nelle vicinanze di Noyon doveva egli andare a cercare quelle
-terre, cioè sulla frontiera dell’Isola di Francia e della Piccardia.
-
-Ebbe presto fissato il suo itinerario: andrebbe sino a Dammartin,
-dove s’inforcano le due strade, che una porta a Soissons e l’altra
-a Compiegne, là domanderebbe della tenuta de Bracieux, e secondo la
-risposta seguiterebbe a diritto o volterebbe a sinistra.
-
-Planchet, non ancora ben tranquillo in quanto alla sua scappata,
-dichiarò che accompagnerebbe d’Artagnan sino alla fine del mondo, o
-pigliasse a diritta o a man sinistra. Se non che propose all’antico suo
-padrone di partire la sera, offrendo l’oscurità una maggiore garanzia.
-
-D’Artagnan allora gli propose di avvertire la sua moglie, onde almeno
-non fosse inquieta per la di lui sorte, ma Planchet sagacemente rispose
-ch’era certissimo che la sua moglie non sarebbe sgomenta per non sapere
-dove fosse, mentre egli al contrario conoscendo la sfrenatezza della di
-lei lingua sarebbe più che sgomento qualora essa lo sapesse.
-
-Le quali ragioni sembrarono tanto buone a d’Artagnan, ch’egli non
-insistè ulteriormente, e verso le otto di sera quando principiava a
-farsi bujo, mosse dall’albergo delle _Chevrette_ o del Granchio, e
-seguito da Planchet, uscì dalla capitale per la porta S. Dionigi.
-
-A mezzanotte i due viaggiatori erano a Dammartin.
-
-Era troppo tardi per pigliare informazioni. L’oste del _Cigno della
-Croce_ era a letto. D’Artagnan rimise la faccenda all’indomani.
-
-All’indomani chiamò l’oste. Era questi uno di quelli scaltri Normanni
-che non dicono nè sì nè no, e credono sempre di compromettersi
-rispondendo direttamente alle domande che lor vengono fatte; pur
-nonostante, essendo sembrato a d’Artagnan di capire di aver a andare
-in dirittura, si rimise in cammino dietro quella indicazione alquanto
-equivoca. La mattina a nove ore era a Nanteuil, ed ivi si fermò a
-colazione.
-
-Qui il locandiere era un Piccardo buono e schietto, il quale,
-riconosciuto Planchet per suo concittadino, non fece difficoltà a
-dargli i bramati schiarimenti. La tenuta di Bracieux stava distante
-poche leghe da Villers-Cotterets.
-
-D’Artagnan era cognito di Villers-Cotterets, per esservi andato due
-o tre volte al seguito della corte, imperciocchè in quell’epoca era
-quella una residenza regia. Si avviò dunque alla suddetta città, e
-smontò al suo albergo consueto, al _Delfino d’Oro_.
-
-Là i dettagli furono soddisfacentissimi; intese essere la possessione
-di Bracieux situata quattro leghe lontano, ma non doversi in essa
-cercare Porthos. Porthos di fatti aveva avuto delle questioni col
-vescovo di Noyon in proposito della tenuta di Pierrefonds che confinava
-colla sua, ed infastidito da tali dispute giudiciarie di cui non
-intendeva un’ette, aveva, per finirla, acquistato Pierrefonds, e in
-conseguenza aggiunto questo nuovo nome agli altri suoi. Si chiamava,
-ormai du Vallon de Bracieux di Pierrefonds, e dimorava nel nuovo suo
-podere. In mancanza di altre illustrazioni, si vede che Porthos ambiva
-quella del _Marchese di Carabas_.
-
-Bisognò aspettare ancora al dì vegnente: i cavalli, fatte dieci
-leghe nella giornata, erano stanchi. È vero che si poteva prenderne
-degli altri, ma v’era da traversare una grandissima macchia, e noi ci
-rammentiamo che di notte Planchet non aveva punto a genio le macchie.
-
-V’era una cosa di più che non gli andava a genio, cioè di porsi in
-viaggio a digiuno. Talchè d’Artagnan nel destarsi trovò allestita la
-colazione. Di una simile attenzione non v’era da lagnarsi, ed egli sedè
-a tavola. Ci s’intende che Planchet riassunte le sue antiche funzioni,
-riassumeva l’antica umiltà, e non si vergognava di mangiare gli avanzi
-del tenente più che non si vergognassero madama di Motteville e madama
-di Fargis di mangiar quelli della regina Anna.
-
-Sicchè non fu possibile partire sino verso le otto. Non v’era da
-sbagliare, bisognava prender la strada che conduce da Villers-Cotterets
-a Compiegne, ed uscendo dal bosco pigliare a mano destra.
-
-Faceva una bella mattinata di primavera, gli uccelli cantavano su gli
-alti alberi, larghi raggi di sole passavano nelle parti meno folte
-e parevano tante cortine di velo indorato; in altri luoghi la luce
-penetrava tra la fitta volta delle foglie, e i piedi delle vecchie
-quercie (cui correvano precipitosamente nel vedere i viandanti gli
-agili scojattoli) stavano immersi nell’ombra; da tutta quella natura
-scaturiva una fragranza di erbe, di fiori e di fogliame che rallegrava
-il cuore. D’Artagnan annojato dalla puzza di Parigi, diceva fra sè, che
-quando si portavano tre nomi di possessioni infilati uno nell’altro si
-doveva trovarsi contentissimi in un tal paradiso; poi scuoteva il capo
-dicendo:
-
-«Se io fossi Porthos, e venisse d’Artagnan a farmi la proposizione
-ch’io vo a fare a Porthos, so ben io come gli risponderei!»
-
-Planchet dal canto suo a nulla pensava, digeriva.
-
-Sull’orlo del bosco il tenente adocchiò il sentiero indicato, ed alla
-fine di quello le torri di un immenso castello feudale.
-
-«Oh oh! borbottò, mi pareva che il castello appartenesse all’antico
-ramo d’Orleans. Che Porthos ne avesse trattato col duca di Longueville?
-
-«Affè, disse Planchet, sono terreni ben mantenuti, e se sono proprietà
-del signor Porthos me ne congratulerò con lui.
-
-«Cappita! fece d’Artagnan, non lo chiamare Porthos, nè anche du Vallon,
-chiamalo de Bracieux o di Pierrefonds. Faresti andare a monte tutta la
-mia ambasceria».
-
-D’Artagnan, quanto più si avvicinava al castello che prima aveva
-fermati i suoi sguardi, capiva tanto maggiormente che colà non poteva
-dimorare il suo amico: le torri, comunque solide, e che parevano
-fabbricate di fresco, erano aperte e come sconquassate. Avreste detto
-che qualche gigante le avesse sfondate a suon di scure.
-
-Giunto all’estremità della via, d’Artagnan si trovò a sovrastare ad
-una valle amena, in fondo alla quale si vedevano giacere al piè di
-un bel lago alcune case sparse qua e là, che umili, e coperte quali
-di tegoli e quali di stoppie, sembrava riconoscessero per dominante
-(_seigneur suzerain_) un bel castello costrutto verso il principio
-del regno di Enrico IV, cui stavano di sopra banderuole signoresche.
-Allora poi d’Artagnan non pose il menomo dubbio di essere alle viste
-dell’abitazione di Porthos.
-
-La strada metteva direttamente all’elegante castello, che era a petto
-al suo nonno, il castello della montagna, come uno zerbinotto del
-partito del duca di Enghien è a petto ad un cavaliere in armatura di
-ferro del tempo di Carlo VII. D’Artagnan mise il cavallo al trotto e
-seguitò giù pel sentiero; Planchet regolò la andatura della sua bestia
-su quella del padrone.
-
-A capo a dieci minuti il tenente fu all’estremità di un viale in cui
-erano regolarmente piantati bellissimi pioppi, e che terminava ad un
-cancello di ferro di cui le lance e le striscie trasversali erano
-indorate. In mezzo stava una specie di signore vestito di verde, e
-indorato come il cancello, sopra un grosso e robusto cavallo. Aveva a
-destra e a manca due servitori ingallonati su tutte le cuciture; molti
-villani radunati gli porgevano ossequiosissimi omaggi.
-
-«Ah! fece tra sè d’Artagnan, fosse quegli il signore du Vallon de
-Bracieux di Pierrefonds? com’è raggrinzato dacchè non si chiama più
-Porthos!
-
-«Non può esser lui, disse Planchet rispondendo a ciò che il tenente
-discorreva fra sè stesso, il signor Porthos era alto quasi di sei
-piedi, e quello ne ha appena cinque.
-
-«Eppure, continuò d’Artagnan, lo riveriscono molto profondamente!»
-
-E diè di sprone verso il cavallo grosso, l’uomo rispettabile ed i
-servi, ed a misura che si avvicinava gli pareva di ravvisar meglio il
-personaggio.
-
-«Gesù Dio! esclamò Planchet che credeva esso pure di riconoscerlo,
-possibile che fosse _lui_!»
-
-Al qual grido l’uomo ch’era in sella si voltò lento e nobilmente, e i
-due viaggiatori videro brillare in tutto il loro fulgore gli occhioni,
-il muso rosso e bernoccoluto, ed il sorriso espressivo di Mousqueton.
-
-Ed era proprio Mousqueton, Mousqueton grasso e paffuto, traboccante di
-salute, gobbo e zeppo dal bene stare, il quale riconoscendo d’Artagnan
-ben al contrario dell’ipocrita Bazin, si calò giù dal destriero sino a
-terra, e si accostò col cappello in mano all’uffiziale, in guisa che
-gli omaggi dell’adunanza fecero mezzo giro verso quel nuovo sole che
-ecclissava il vecchio.
-
-«Signor d’Artagnan! signor d’Artagnan! ripeteva per dentro alle gote
-enormi Mousqueton sudante per l’allegrezza, signor d’Artagnan! oh che
-piacere sarà per il mio signore e padrone, signor du Vallon de Bracieux
-di Pierrefonds!
-
-«Che caro Mousqueton! è egli qua il tuo padrone?
-
-«Siete sui suoi possessi.
-
-«Ma come sei bello, ma come sei grasso, ma come sei in fiore! badava
-a dire il tenente de’ moschettieri instancabile nell’accennare i
-cambiamenti recati dalla buona fortuna nell’antico affamato.
-
-«Eh! sì, grazie a Dio, sto assai bene.
-
-«E non dici nulla al tuo amico Planchet?
-
-«Al mio amico Planchet! Planchet, sei tu davvero? urlò Mousqueton a
-braccia aperte e con tanto di lacrime negli occhi.
-
-«Io, sì, fece Planchet sempre prudente, ma volevo vedere se avevi messo
-superbia.
-
-«Superbia con un vecchio amico? mai, Planchet, no, mai! e tu non lo
-puoi nemmeno aver pensato, o tu non conosci Mousqueton.
-
-«Manco male! disse Planchet smontando da cavallo e porgendogli le
-braccia, non è come quella canaglia di Bazin che mi piantò due ore
-sotto una tettoja senza neppur mostrare di ricordarsi di me».
-
-E Planchet e Mousqueton si abbracciarono con un trasporto che commosse
-al vivo gli astanti, e ad essi fece credere che Planchet fosse qualche
-gran signore travestito, tanto in alto apprezzavano la posizione di
-Mousqueton.
-
-«E adesso, signor mio, disse questi sbarazzatosi dagli amplessi di
-Planchet che invano avea tentato di unirgli insieme dietro alla schiena
-le sue due mani, adesso permettetemi di lasciarvi, mentre non voglio
-che il mio padrone sappia la nuova del vostro arrivo da altri che da
-me: non mi perdonerebbe di essermi fatto precedere da un terzo.
-
-«Quel caro amico, replicò d’Artagnan evitando di dare a Porthos nè
-l’antico nè il novello suo nome, dunque non si è scordato di me?
-
-«Scordato! anzi, avete a dire che non passa giorno che non ci
-aspettiamo di sentirvi nominato maresciallo o invece del signor di
-Gassion, o invece del signor di Bassompierre».
-
-Il tenente si lasciò comparire sulle labbra uno di quei rari sorrisi
-malinconici che avevano sopravvissuto nel profondo del suo cuore alle
-perdute illusioni degli anni giovanili.
-
-«E voi, villani, seguitò Mousqueton, state appresso al signor conte
-d’Artagnan, e fategli onore meglio che potete, frattanto ch’io vo ad
-avvertire monsignore della sua venuta».
-
-E rimontando, con l’ajuto di due anime caritatevoli, sul suo robusto
-cavallo, mentre Planchet più svelto saltava sopra il suo da per sè,
-prese sull’erbetta del viale un mezzo galoppo il quale dava anche
-migliore opinione de’ fianchi che delle gambe del palafreno.
-
-«Ah! qui le cose si dispongono bene, disse d’Artagnan: non misteri,
-non ferrajuoli, non politica; si ride a scroscio, si piange di giubilo,
-non vedo se non faccie larghe un braccio; in coscienza, mi pare che la
-natura stessa sia in festa, che gli alberi in cambio di foglie e fiori
-siano coperti di fettucce verdi e color di rosa.
-
-«Ed a me, aggiunse Planchet, mi par di sentire di qui il più delizioso
-odore d’arrosto, e di vedere tanti guatteri schierati in fila a
-guardarci a passare. Ah! che cuoco deve avere il signor di Pierrefonds,
-che già amava tanto di mangiar bene quando si chiamava solamente signor
-Porthos!
-
-«Alto là! disse d’Artagnan, tu mi fai paura. Se la realtà corrisponde
-alle apparenze, io sono perduto. Un uomo sì felice non abbandonerà la
-propria felicità, ed io perderò il mio tempo con lui come ho fatto con
-Aramis».
-
-
-
-
-XIII.
-
-_Come d’Artagnan, nel ritrovare Porthos, si accorgesse che non sempre
-le ricchezze formano la felicità._
-
-
-D’Artagnan passò il cancello e si trovò di faccia al castello. Quando
-poneva piedi a terra comparve sul verone una specie di gigante. Si
-renda giustizia a d’Artagnan: a parte da ogni sentimento di egoismo,
-gli balzò il cuore di gioja all’aspetto di quell’alto personale e di
-quel volto marziale che gli rammentavano un uomo buono e prode.
-
-Corse incontro a Porthos e si gettò nelle sue braccia. Tutta la
-servitù disposta in circolo, a distanza rispettosa, guardava con umile
-curiosità. Mousqueton in prima fila si asciugò gli occhi; il povero
-giovinotto non aveva cessato di piangere per l’allegrezza dacchè aveva
-riconosciuti d’Artagnan e Planchet.
-
-Porthos prese a braccetto d’Artagnan, esclamando con voce che dal
-baritono era passata al basso:
-
-«Ah! che piacere di rivedervi! dunque voi non mi avete obliato?
-
-«Obliarvi! oh, caro du Vallon! e si dimenticano i più bei giorni della
-nostra gioventù, e gli amici affezionati, ed i pericoli affrontati
-insieme? e nel rivedervi, tutti i momenti dell’antica nostra esistenza
-si riproducono al mio pensiero.
-
-«Sì, sì, seguitò Porthos procurando di dare alle basette quella piega
-elegante che avevano perduta nella solitudine, sì, al tempo nostro
-ne facemmo delle belle, e si diede da sudare ben bene a quel povero
-ministro!»
-
-E cacciò fuori un sospiro.
-
-D’Artagnan lo guardò fisso.
-
-Ma egli continuò in tuono languido:
-
-«Basta, siate il ben venuto; mi ajuterete a ritrovare la sparita mia
-gioja; domani rincorreremo la lepre nella mia pianura ch’è bellissima,
-o il capriuolo ne’ miei boschi che sono superbi; ho quattro levrieri
-che son tenuti per i più leggieri di tutta la provincia, e una muta che
-non ha l’eguale di qui a venti leghe».
-
-E Porthos mandò un altro sospiro.
-
-«Ohe! fece tra sè d’Artagnan, che fosse meno felice di quello che pare?»
-
-Indi rispose:
-
-«Però, prima di tutto mi presenterete a madama du Vallon, giacchè
-mi rammento di una certa lettera di cortese invito che vi piacque
-scrivermi, ed in fondo alla quale essa favorì mettere alcuni versi».
-
-Terzo sospiro di Porthos.
-
-«Da due anni ho perduta madama du Vallon, egli disse, e ne sono
-tuttavia afflittissimo; perciò lasciai il mio castello du Vallon,
-vicino a Corbeil, per venire ad abitare nella mia tenuta di Bracieux,
-cambiamento che mi ha indotto a comprar questa. Povera madama du
-Vallon! (seguitò con una smorfia di rammarico) non era una donna di
-carattere molto costante e eguale, ma aveva terminato coll’avvezzarsi
-alle mie maniere e adattarsi a’ miei capriccetti.
-
-«Sicchè siete ricco e libero? domandò il tenente.
-
-«Ahimè! son vedovo, ed ho quarantamila lire di rendita. Andiamo a far
-colazione: volete?
-
-«Certamente; l’aria della mattina mi ha dato appetito.
-
-«Sì, fece Porthos, la mia aria è ottima».
-
-Entrarono nel palazzo; da cima a fondo erano tutte indorature; dorati i
-cornicioni, dorati i finimenti, dorato il legno delle seggiole.
-
-Stava pronta una tavola apparecchiata.
-
-«Vedete, disse Porthos, questo è il mio ordinario.
-
-«Caspita! me ne congratulo con voi; il re non lo ha consimile.
-
-«Sì; ho inteso dire che Mazzarino lo tratta male a cibo.... Assaggiate
-questa costoletta, caro d’Artagnan, è de’ miei montoni.
-
-«Avete de’ montoni molto teneri, e di nuovo vi fo i miei complimenti.
-
-«Sì, sono mantenuti nelle mie praterie, che sono stupende.
-
-«Datemene un’altra.
-
-«No; piuttosto, pigliate di questa lepre, che ammazzai jeri in una
-delle mie conigliere.
-
-«Per bacco, che sapore!... ma dunque le nutrite a forza di sermollino
-le vostre lepri?
-
-«E che vi pare del mio vino? è grato, non è vero?
-
-«È delizioso.
-
-«Eppure è del paese.
-
-«Propriamente!
-
-«Di un piccolo terreno lassù sulla mia montagna; mi fornisce da venti
-botti.
-
-«Ma l’è addirittura una vendemmia!»
-
-Porthos sospirò per la quinta volta. D’Artagnan aveva contati i suoi
-sospiri.
-
-«Orsù, disse questi, curioso d’investigare il problema, sembra che
-siate angustiato da qualche cosa; state male forse? la salute....
-
-«Ottima, migliore che non fosse mai; ammazzerei un bove con un pugno.
-
-«Allora, dispiaceri di famiglia.
-
-«Di famiglia? per buona sorte non ho al mondo altri che me.
-
-«E dunque, di che avete da sospirare?
-
-«Ah! sarò schietto con voi.... non sono felice.
-
-«Voi, non felice! voi che avete palazzo, praterie, montagne; voi che
-avete quaranta mila lire di rendita, non siete felice!
-
-«È vero, possiedo tutto questo, e fra tutto questo, son solo.
-
-«Eh! capisco, siete circondato da villani, che non potete frequentare
-senza derogare in certo modo....»
-
-Porthos impallidì alquanto, e vuotò un enorme bicchiere di vino.
-
-«No, disse, all’incontro: figuratevi che son tutti gentiluomini di
-campagna, i quali hanno un qualche titolo, e pretendono di risalire
-a Faramondo, a Carlomagno, o almeno ad Ugo Capeto. Sul principio
-io era l’ultimo venuto, e in conseguenza dovevo essere il primo a
-usare le cortesie; lo feci, ma sapete bene, d’Artagnan, che madama du
-Vallon....»
-
-Parve che nel dir questo Porthos inghiottisse a stento la sciliva.
-
-«Madama du Vallon, continuò, era di una nobiltà assai dubbia; di primo
-letto (non credo raccontarvi cose nuove) aveva sposato un procuratore.
-Qui trovarono che questo era nauseante.... sì, dissero nauseante....
-capite? è una parola da far uccidere trentamila uomini; io ne uccisi
-due, lo che fece tacere gli altri, ma non me li rese amici. Sicchè non
-ho più compagnia, vivo solo, mi annojo, mi struggo».
-
-D’Artagnan sorrise; vedeva la mancanza di usbergo, e preparava la botta.
-
-«Ma insomma, disse, siete nobile di per voi, e la vostra moglie non vi
-può disfare.
-
-«Sì; ma intendete, non essendo di nobiltà storica come i Coucy che si
-contentavano di esser Signori (_sires_), ed i Rohan che non volevano
-esser duchi, tutti coloro che sono visconti o conti, passano avanti
-a me, in chiesa, nelle cerimonie, dappertutto, ed io non ci posso
-ridire.... Ah! se fossi soltanto....
-
-«Barone, non è così? fece d’Artagnan terminando la frase.
-
-«Oh! esclamò Porthos, se fossi barone!
-
-«Bene! pensò il tenente, qui riuscirò».
-
-E rispose:
-
-«Or bene, amico mio, quel titolo che bramate, oggi vengo a portarvelo».
-
-Porthos fece un balzo che scosse tutta la stanza; due o tre bottiglie
-perderono l’equilibrio e ruzzolando in terra si ruppero. Al romore
-accorse Mousqueton, e si vide in prospettiva Planchet con la bocca
-piena e il tovagliuolo in mano.
-
-«Monsignore mi ha chiamato? domandò Mousqueton».
-
-A cui il padrone ammiccò di raccattare i pezzi delle bottiglie.
-
-«Veggo con piacere, disse d’Artagnan, che avete sempre questa bravo
-giovine.
-
-«È mio maggiordomo.... (ed alzando la voce): ha fatto il fatto suo, il
-briccone! e si conosce subito... Ma (seguitò piano) mi è affezionato, e
-non mi lascerebbe per qualunque cosa.
-
-«E lo chiama monsignore! pensò d’Artagnan.
-
-«Uscite, Mouston, disse Porthos.
-
-«Avete detto Mouston?... ah sì! per abbreviazione: Mousqueton era
-troppo lungo a pronunziarsi.
-
-«Sì, replico Porthos, poi puzzava di sergente maggiore da una lega
-lontano.... Noi però discorrevamo di affari; quando è capitato quel
-birbante.
-
-«Appunto, fece d’Artagnan, per altro, si rimetta la conversazione a
-più tardi; i vostri servi potrebbero sospettare di qualcosa; vi possono
-essere delle spie nel paese; comprendete che si tratta di oggetti serj.
-
-«Diamine! or via, per far la digestione, passeggiamo nel mio parco.
-
-«Volentieri».
-
-E perchè entrambi avevano fatta una colazione abbastanza copiosa,
-cominciarono a fare il giro di un giardino magnifico; viali di castagni
-e di tigli racchiudevano uno spazio di trenta jugeri per lo meno; alla
-fine di ciascuno di essi, e nel più folto di alberi e arboscelli, si
-vedevano correre i conigli, e sollazzarsi fra l’erbe le più alte.
-
-«Affè, disse d’Artagnan, il parco corrisponde a tutto il rimanente, e
-se nel vostro stagno vi sono tanti pesci quanti conigli v’hanno nelle
-conigliaje, siete un uomo fortunatissimo, caro Porthos; purchè abbiate
-conservato il genio per la caccia ed acquistato quello della pesca.
-
-«Amico mio, rispose Porthos, io lascio la pesca a Mousqueton: gli è
-un piacere da plebei; ma a volte vado a caccia, cioè quando mi annoio,
-seggo sopra uno di quei sedili di marmo, mi fo portare il mio schioppo;
-mi fo condurre il mio cane prediletto, e tiro a’ conigli.
-
-«Ma è un gran divertimento! fece d’Artagnan.
-
-«Sì, ripetè Porthos con un sospiro, è un gran divertimento!»
-
-D’Artagnan aveva smesso di contarli.
-
-«Poi, aggiunse Porthos, Gredinet va a cercarli, e li porta da sè al
-cuoco: c’è benissimo avvezzato.
-
-«Oh, che cara bestiuolina!
-
-«Ma lasciamo stare Gredinet, che vi darò, se ne avete voglia, perchè
-principio a infastidirmene, e torniamo a’ nostri affari.
-
-«Volentieri: soltanto vi avverto, acciò non diciate ch’io v’abbia preso
-a tradimento, che vi toccherà cambiar vita.
-
-«Come mai?
-
-«Indossare da capo l’armatura, cinger la spada, andare incontro alle
-avventure, lasciare come in passato qualche brano di carne per la
-via.... Sapete, alla maniera di prima....
-
-«Oh diavolo!
-
-«L’intendo; siete mal avvezzo, avete fatto pancia, ed il pugno non ha
-più quella elasticità di cui ebbero tante prove le guardie del signor
-ministro.
-
-«Ah! il pugno è ancora buono, vi giuro, seguitò Porthos stendendo una
-mano non dissimile da una spalla di montone.
-
-«Meglio così!
-
-«Sicchè si ha da fare la guerra?
-
-«Eh sì, Dio buono!
-
-«E contro a chi?
-
-«Siete stato a giorno di politica?
-
-«Io? neppure per ombra.
-
-«E siete per il Mazzarino, o per i principi?
-
-«Io? son per nessuno.
-
-«Vale a dire che siete per noi; bene, bene! questa è la vera posizione
-per fare i fatti suoi. Orsù, mio caro, io vi dirò che vengo da parte
-del ministro».
-
-Queste parole produssero effetto sopra Porthos come se fossero stati
-sempre nel 1640.
-
-«Oh oh! egli disse, che vuol da me sua Eccellenza?
-
-«Avervi al suo servizio.
-
-«E chi le ha parlato di me?
-
-«Rochefort; vi ricordate?
-
-«Sì, cospetto! quello che tempo addietro ci diede tanto tormento, e ci
-fece correr tanto; lo stesso a cui voi somministraste una dopo l’altra
-tre stoccate, che per lui non erano rubate, in sostanza!
-
-«Ma sapete ch’è diventato amico nostro?
-
-«No, non lo sapevo.... Ah! non serba rancore?
-
-«V’ingannate, Porthos; son’io che non lo serbo a lui».
-
-Porthos non capì appieno: ma già noi ci ricordiamo che il suo forte non
-era la facilità di comprensiva.
-
-«Sicchè, continuò, il conte di Rochefort è quello che ha discorso di me
-al ministro?
-
-«Sì, e poi la regina.
-
-«Come, la regina?
-
-«Per ispirarci fiducia, essa gli ha perfino consegnato il famoso
-diamante, vi sovviene? che io aveva venduto al signor des Essarts, e
-che non so come è tornato in suo possesso.
-
-«Ma mi pare, osservò Porthos col suo solito giudizio un po’ rozzo, che
-avrebbe fatto meglio di darlo a voi.
-
-«Così penso anch’io, replicò d’Artagnan; ma che volete? i re e le
-regine hanno talvolta singolari capricci. In conclusione, siccome sono
-essi che tengono le ricchezze e gli onori, che distribuiscono danaro e
-titoli, tutti son dediti a loro.
-
-«Sì, gli si è dediti.... E allora, voi siete dedito in questo
-momento?...
-
-«Al re, alla regina e al ministro; e di più, ho garantito della vostra
-divozione.
-
-«E dite che avete stabilite per me certe condizioni?
-
-«Stupende, caro mio, stupende! Prima di tutto, avete danaro, non è
-vero? quaranta mila lire di rendita, me lo avete detto».
-
-Porthos entrò in diffidenza.
-
-«Eh! ribattè, danari, non se ne ha mai di troppo. Madama du Vallon
-lasciò un patrimonio imbrogliatissimo; io poi non sono un signorone,
-dimodochè vivo a giorno per giorno.
-
-«Ha paura ch’io sia qui per chiedergli de’ soldi in prestito, pensò il
-tenente dei moschettieri.
-
-«Oh! rispose forte, meglio, meglio, se siete in ristrettezze!
-
-«Come, meglio? fece Porthos.
-
-«Sì, perchè sua Eccellenza darà tutto quel che si voglia, terre,
-numerario e titoli.
-
-«Ah! ah! ah! esclamò Porthos, e spalancava gli occhi.
-
-«Sotto l’altro ministro, proseguì d’Artagnan, non sapemmo profittare
-della fortuna; e sì, gli era il caso, veh! non lo dico per voi che
-avevate in vista le vostre quaranta mila lire di entrata e mi parevate
-l’uomo più avventurato di questo mondo».
-
-Nuovo sospiro del signor de Bracieux di Pierrefonds.
-
-«Bensì, tirò innanzi il tenente, non ostante le vostre quaranta mila
-lire, e forse anche per ragione di queste, ho idea che una piccola
-corona farebbe ottima comparsa sulla vostra carrozza.... eh?
-
-«Ma sì, ripicchiò Porthos.
-
-«Or bene, guadagnatevela. Ella sta su la punta della vostra spada. Noi
-non ci nuoceremo. Il vostro scopo è un titolo; il mio è danaro. Che io
-ne guadagni a sufficienza per far ricostruire Artagnan (lasciato andare
-in rovina da’ miei antenati impoveriti mediante le crociate), e per
-comprare intorno a questo una trentina di jugeri, non mi occorre altro:
-mi vi ritiro, e là muojo tranquillo.
-
-«Ed io, disse Porthos, voglio esser barone.
-
-«Lo sarete.
-
-«E non avete pensato pure agli altri nostri amici?
-
-«Sì, ho veduto Aramis.
-
-«Ed egli che desidera? innalzarsi, ci s’intende.
-
-«Aramis, fece d’Artagnan il quale non voleva far perdere a Porthos le
-sue illusioni, Aramis, figuratevi, vive come un orso, rinunzia a tutto,
-non pensa che alla salute dell’anima; le mie esibizioni non valsero a
-deciderlo.
-
-«Male! disse Porthos, aveva tanto spirito! E Athos?
-
-«Non l’ho ancor visto, ma andrò da lui quando vi lascio. Sapete dove lo
-troverò?
-
-«Vicino a Blois, in una piccola tenuta ereditata non so da qual parente.
-
-«E che si chiama?
-
-«Bragelonne. Capite questa, mio caro? Athos, ch’era nobile come
-l’imperatore e ha per eredità una tenuta la quale ha nome di contea! e
-che ne farà egli, di tutte quelle contee? contea di La Fère, contea di
-Bragelonne?
-
-«Di più che non ha figliuoli, aggiunse d’Artagnan.
-
-«Uhm! mugolò Porthos, ho inteso dire che avesse adottato un giovinetto
-che nel volto gli somiglia.
-
-«Athos, ch’era virtuoso come Scipione, lo avete riveduto?
-
-«No.
-
-«Domani, dunque, andrò à dargli le vostre nuove. Temo, a dirla fra noi,
-che la sua inclinazione per il vino lo abbia invecchiato assai.
-
-«Sì, è vero, beveva molto.
-
-«E poi, era maggiore a tutti noi, osservò d’Artagnan.
-
-«Di pochi anni, riprese Porthos; l’aspetto suo grave lo faceva parere
-più vecchio che non fosse.
-
-«Così è. Sicchè, se abbiamo Athos sarà tanto meglio; se non lo abbiamo,
-ne faremo di meno: siamo buoni per dodici, noi due.
-
-«Sì, disse Porthos sorridendo alla rimembranza delle ultime sue
-imprese, ma noi quattro saremmo stati buoni per trentasei.... e di più,
-che, secondo dite, il mestiere sarà scabroso.
-
-«Scabroso per reclute, ma per noi no.
-
-«Sarà lungo?
-
-«Eh! può durare tre o quattro anni.
-
-«Vi sarà da battersi di molto?
-
-«Spererei.
-
-«Bene, alla fine dei conti, benone! esclamò Porthos, non avete idea,
-mio caro, quanto mi sento scricchiolare le ossa dacchè sono qui. Alle
-volte, la domenica, all’uscire dalla messa vo a cavallo per i campi
-e sulle terre dei vicini, onde incontrare qualche piccola disputa,
-giacchè sento che ne ho bisogno; ma nulla! o mi rispettano o mi temono,
-lo che è più probabile, mi lasciano calpestare il trifoglio insieme co’
-miei cani, passare addosso a tutti, e torno indietro più annojato che
-mai.... Almeno, ditemi un poco, a Parigi v’è più facilità di battersi?
-
-«Per cotesto, amico mio, gli è un gusto: non più editti, non guardie
-del ministro, non Jussac nè altri bracchi. Mio Dio! vedete, sotto un
-lampione, in una locanda, da per tutto, siate del Mazzarino, siate
-della Fronda, fuori la spada e basta. Il signor di Guise ha ucciso il
-signor di Coligny sulla Piazza Reale, e non è successo niente.
-
-«Ah! va ottimamente, disse Porthos.
-
-«E poi, tra poco, seguitò d’Artagnan, avremo battaglie ordinate,
-cannone, incendi; sarà una faccenda variata.
-
-«Dunque mi ci decido.
-
-«Mi date la vostra parola?
-
-«Sì, è finita. Tirerò di stocco e di taglio per il Mazzarino.... ma....
-
-«Ma?
-
-«Mi fa barone?
-
-«Ehi perdinci! è cosa stabilita prima; ve l’ho detto e ve lo ripeto, vi
-garantisco la baronia».
-
-Dietro questa promessa, Porthos che non aveva mai dubitato della parola
-del suo amico si avviò nuovamente al palazzo.
-
-
-
-
-XIV.
-
-_Ove si dimostra qualmente se Porthos era scontento del proprio stato,
-Mousqueton però era soddisfattissimo del suo._
-
-
-Tornando verso il palazzo, mentre Porthos nuotava ne’ suoi sogni di
-baronia, d’Artagnan rifletteva alla miseria della povera natura umana
-sempre scontenta di quel che ha, e bramosa di quel che non ha. Egli,
-nei piedi di Porthos, si sarebbe considerato per l’uomo più avventurato
-dell’universo, ed a Porthos per esser tale che mai mancava? sei lettere
-da porre innanzi a tutti i suoi nomi, ed una piccola corona da far
-dipingere su gli sportelli della sua carrozza.
-
-«E dunque, diceva tra se d’Artagnan, starò tutta la vita guardando a
-destra e a sinistra senza veder mai la faccia di un uomo completamente
-felice?»
-
-Quando faceva questa filosofica riflessione, parve che la Provvidenza
-gli volesse dare una mentita. Appena Porthos lo aveva lasciato per dar
-degli ordini al suo cuoco, ei si vide avvicinare Mousqueton. Il viso
-del buon giovanotto, salvo una certa confusione che alla guisa di un
-nuvolo d’estate velava anzi che oscurare la di lui fisionomia, sembrava
-quello di un uomo pago al maggior segno.
-
-«Ecco quel che cercavo, disse fra sè il tenente dei moschettieri, ma
-ohimè! il poveretto non sa perchè io sia venuto qui».
-
-Mousqueton se ne stava alquanto distante. Egli si mise sopra un sedile
-e gli accennò si accostasse.
-
-«Signore, disse colui profittando del permesso, ho da chiedervi una
-grazia.
-
-«Parla, mio caro, rispose d’Artagnan.
-
-«È che non ardisco, ho paura che pensiate che la mia grande prosperità
-mi abbia guastato.
-
-«Sicchè sei soddisfatto?
-
-«Soddisfatto quanto si possa, eppure potete esser cagione ch’io lo sia
-anco di più.
-
-«Di’ su, e s’è cosa che dipenda da me è conclusa.
-
-«Oh! non dipende che da voi.
-
-«Aspetto.
-
-«Signore, la grazia che ho da domandarvi è di non più chiamarmi
-Mousqueton, ma bensì Mouston. Dacchè ho l’onore di esser maggiordomo
-di monsignore, ho preso quest’ultimo nome, ch’è più decoroso e vale a
-farmi rispettare da’ miei subalterni... e sapete quanto è necessaria la
-subordinazione alla servitù».
-
-D’Artagnan sorrise: Porthos allungava i suoi nomi, e Mousqueton
-scorciava il suo.
-
-«Ebbene, signore? fece il buon domestico tremando.
-
-«Oh! sì, mio caro Mouston, sta quieto, non dimenticherò la tua
-richiesta, e se lo gradisci non ti darò nemmeno più del tu.
-
-«Ah! se mi faceste un tale onore ne sarei riconoscente per tutta la
-vita; ma forse sarebbe domandar troppo.
-
-«Ohimè! disse fra sè d’Artagnan, è ben poco in cambio delle inattese
-tribolazioni che reco a questo diavolaccio il quale mi ha accolto tanto
-bene.
-
-«E vossignoria si trattiene dimolto con noi? domandò Mousqueton a cui
-il volto restituitosi in tutta la sua serenità diventava rosso come un
-fringuello.
-
-«Parto domani, mio caro.
-
-«Ah! eravate venuto soltanto per cagionarci un rincrescimento?
-
-«Ho paura di sì, fece d’Artagnan».
-
-Ma tanto piano, che Mousqueton il quale si ritirava salutando non potè
-udirlo.
-
-Passava un rimorso in mente a d’Artagnan, sebbene gli si fosse
-allargato il cuore: non gli spiaceva d’impegnare Porthos in una
-carriera in cui sarebbero compromesse la di lui vita e le fortune,
-giacchè Porthos arrischiava volentieri tutto questo pel titolo di
-barone che desiderava da quindici anni; ma Mousqueton che bramava
-solamente di esser chiamato Mouston, non era crudeltà il toglierlo
-dalla vita deliziosa del suo granajo di abbondanza? Mentre quest’idea
-lo confondeva, ricomparve Porthos.
-
-«A tavola! disse questi.
-
-«Come a tavola? domandò d’Artagnan, e che ore sono?
-
-«È passata l’un’ora.
-
-«La vostra abitazione è un paradiso, Porthos! uno vi dimentica il
-tempo. Vi seguo, ma non ho fame.
-
-«Venite; se non sempre si può mangiare, si può bere però; l’è una delle
-massime del povero Athos di cui ho riconosciuta la solidità dacchè
-m’infastidisco».
-
-D’Artagnan, renduto ognora assai sobrio dal suo naturale guascone,
-non sembrava convinto al pari del suo amico della verità dell’assioma
-di Athos; nulladimeno fece quanto potè per mantenersi a petto del suo
-accoglitore.
-
-Frattanto, stando a veder mangiare Porthos, e bevendo egli benone, gli
-tornava in capo l’idea di Mousqueton, e ciò con tanto più di forza
-in quanto che quest’ultimo, senza servire a tavola (lo che sarebbe
-stato al disotto della nuova sua posizione), compariva tratto tratto
-sull’uscio, e dimostrava la sua gratitudine per il nostro tenente
-mediante la qualità e la vecchiezza dei vini che faceva imbandire.
-
-E quindi, allorchè alle frutta, Porthos dietro un cenno di d’Artagnan
-ebbe mandati via i suoi domestici; e i due amici si trovarono soli,
-d’Artagnan disse:
-
-«Porthos, e chi vi accompagnerà nelle vostre campagne?
-
-«Eh! Mousqueton, mi figuro, rispose Porthos con tutta naturalezza».
-
-Codesto fu un colpo per d’Artagnan; già vedeva cambiarsi in ismorfie di
-dolore, il benevolo sorriso del maggiordomo.
-
-«Peraltro, replicò il tenente, Mouston non è più giovanissimo; inoltre
-è ingrassato assai, ed avrà forse perduta l’abitudine ad un servizio
-attivo.
-
-«Lo so, ma mi sono assuefatto a lui; e poi, non vorrebbe lasciarmi, mi
-è troppo affezionato.
-
-«Oh, cieco amor proprio! pensò d’Artagnan.
-
-«D’altronde, domandò Porthos, voi stesso non avete sempre al
-vostro servizio il medesimo vostro lacchè, quel buono, bravo e
-intelligente.... come lo chiamate?
-
-«Planchet.... sì, l’ho ritrovato ma non è più lacchè.
-
-«E ch’è egli?
-
-«Con le mille sei cento lire, che voi sapete guadagnò all’assedio di La
-Rochelle portando la lettera a lord de Winter, ha messo su una piccola
-bottega in via dei Lombardi; ed è confettiere.
-
-«Ah! è confettiere in via de’ Lombardi! ma come vi serve?
-
-«Ha fatto qualche scappata, e teme di esser molestato.
-
-«Ebbene! fece allora Porthos, se vi avessero detto che un giorno
-Planchet farebbe scappare Rochefort, e che per questo voi lo
-nasconderete?
-
-«Non lo avrei creduto; ma che volete? gli avvenimenti cambiano gli
-uomini.
-
-«Non v’è cosa più vera; bensì quel che non cambia, o cambia soltanto
-per megliorarsi, è il vino. Assaggiate di questo; è d’una qualità di
-Spagna che il nostro amico Athos teneva in grande stima, è Xères».
-
-Nel momento venne il maestro di casa a consultare il padrone sulla
-disposizione di tavola dell’indomani ed anche sulla gita a caccia
-progettata.
-
-«Dimmi, Mouston, chiese Porthos, le mie armi sono in buono stato?»
-
-D’Artagnan cominciò a battere il tempo sulla mensa onde celare il suo
-imbarazzo.
-
-«Le vostre armi, monsignore? rispose Mouston, e quali?
-
-«Eh, per brio! la mia armatura.
-
-«Che armatura?
-
-«Da guerra.
-
-«Ah!... sì!... almeno, credo.
-
-«Domani te ne assicurerai, e le farai pulire se ne hanno bisogno. Qual
-è il mio miglior cavallo da corsa?
-
-«Vulcano.
-
-«E per fatica?
-
-«Bajardo.
-
-«A te, quale piace?
-
-«A me piace Rustaud; è una buona bestia e mi c’intendo a meraviglia.
-
-«È robusto, non è così?
-
-«Normanno, deciso Mecklembourg; andrebbe via di giorno e di notte.
-
-«Ecco quanto ci bisogna. Farai mettere a sesto i tre animali, netterai
-o farai nettare le mie armi; e di più, pistole per te ed un coltello da
-caccia.
-
-«Sicchè viaggeremo, monsignore? domandò Mousqueton digià sgomento».
-
-D’Artagnan che sino allora aveva fatto qualche accordo vago, battè una
-marcia.
-
-«Anco di meglio! rispose Porthos.
-
-«Si fa forse una spedizione? seguitò il maestro di casa, in cui le rose
-delle guance principiavano a convertirsi in gigli.
-
-«Si torna al servizio, replicò il padrone, procurando sempre di rendere
-alle basette la perduta loro piega marziale».
-
-Erano appena pronunciate quelle parole, che assalse Mousqueton un
-tremito tale da scuotergli le gote impallidite. Esso guardò il tenente
-dei moschettieri in atto indicibile, di tenera rampogna, cui d’Artagnan
-non potè sopportare senza sentirsi commuovere; poi vacillò, e disse con
-voce soffocata:
-
-«Servizio? servizio nelle armate del re?
-
-«Forse sì e forse no. Andiamo a rifar campagna, a cercare ogni sorta di
-avventure, a riprendere finalmente la vita di tempo addietro».
-
-L’ultima frase cadde addosso a Mousqueton come un fulmine.
-
-Era quel _tempo addietro_ sì terribile che faceva l’adesso tanto dolce.
-
-«Mio Dio! che sento? esclamò egli con uno sguardo anco più supplice del
-primo diretto a d’Artagnan.
-
-«Che volete, Mouston mio? fece questi, la fatalità....»
-
-Ad onta della precauzione usata dal tenente di non dargli del tu e
-scorciare il suo nome nel modo ch’egli ambiva, la botta fu tremenda per
-Mousqueton, ed esso se ne andò tutto sconvolto dimenticando per fino di
-chiuder l’uscio.
-
-«Che caro Mouston! non cape nella pelle dal contento! disse
-Porthos, nella medesima guisa in cui è da credere che don Chisciotte
-incoraggisse il suo Sancho a por la sella al suo somaro per l’ultima
-campagna».
-
-I due amici rimasti soli si misero a discorrere dell’avvenire ed a
-far mille castelli in aria. Il buon vino faceva vedere a d’Artagnan
-una prospettiva tutta rilucente di doppie e dobloni, ed a Porthos il
-cordone turchino ed il manto ducale. La sostanza si è che dormivano
-sulla tavola quando venne la servitù ad invitarli ad andare a letto.
-
-Nel dì seguente però Mousqueton fu alquanto riconfortato da d’Artagnan,
-il quale gli annunziò come probabilmente la guerra avrebbe sempre luogo
-nel cuor di Parigi, ed a portata del castello di Vallon ch’era vicino
-a Corbeil, di Bracieux ch’era prossimo a Melun, e di Pierrefonds ch’era
-tra Compiegne e Villers-Cotterets.
-
-«Ma mi pare che in passato.... fece timidamente il buon servo.
-
-«Oh! rispose il tenente, non si guerreggia più nella maniera che
-si usava in passato: oggidì sono faccende diplomatiche; domandalo a
-Planchet».
-
-Mousqueton andò a ricercare quegli schiarimenti dall’antico suo
-amico, che confermò appieno ciò che avea detto d’Artagnan, e soltanto
-aggiunse:
-
-«In questa guerra i prigionieri vanno a rischio di essere impiccati.
-
-«Capperi! disse Mousqueton, credo che avrei più a caro l’assedio di la
-Rochelle».
-
-In quanto a Porthos, dopo aver fatto dal suo ospite ammazzare un
-capriolo, dopo averlo condotto da’ suoi boschi alla sua montagna, e
-da questa a’ suoi stagni, dopo avergli mostrato i suoi levrieri e la
-muta, e Gredinet, insomma tutto quel che possedeva, e fattogli rifare
-tre altri pasti de’ più lauti, chiese le sue istruzioni definitive a
-d’Artagnan costretto a lasciarlo per continuare il suo viaggio.
-
-«Ecco, amico carissimo, gli disse il messaggiero; mi occorrono quattro
-giorni per andare di qui a Blois, uno per trattenermici, tre o quattro
-per tornare a Parigi; sicchè, partite fra una settimana col vostro
-equipaggio, smonterete in via Tiquetonne all’albergo della _Chevrette_,
-e mi attenderete.
-
-«Sta bene, rispose Porthos.
-
-«Io vo a fare un giro senza speranza da Athos, seguitò d’Artagnan,
-ma benchè io lo creda diventato inabile conviene osservare la creanza
-cogli amici.
-
-«Se vi andassi con voi, propose Porthos, ciò mi servirebbe di qualche
-distrazione.
-
-«Può essere, ed anche a me; ma non avreste più tempo da terminare i
-vostri preparativi.
-
-«È vero.... Dunque partite, disse Porthos, e coraggio. Per me sono
-tutto ardore.
-
-«A meraviglia! fece il tenente».
-
-E si separarono sui limiti della tenuta di Pierrefonds, sino
-all’estremità della quale Porthos volle accompagnare l’amico.
-
-«Almeno non sarò solo, ruminava fra sè d’Artagnan. Quel diavolaccio
-di Porthos è ancora in tutto il vigore. Se viene Athos saremo tre a
-farci beffe di Aramis, quell’uomo tutto riserbatezza e pien di raggiri
-amorosi».
-
-Da Villers-Cotterets egli scrisse al ministro:
-
- «Monsignore,
-
- «Ne ho di già uno da offrire a Vostra Eccellenza, e quello vale per
- venti uomini. Io parto per Blois, perchè il conte di La Fère abita
- nel castello di Bragelonne nelle vicinanze di questa città».
-
-E s’incamminò verso Blois, chiaccherando con Planchet, che nel
-lunghissimo viaggio gli giovava assai a distrarsi.
-
-
-
-
-XV.
-
-_Due teste da angioli._
-
-
-Si trattava di un lungo cammino, ma d’Artagnan non se ne prendeva
-pensiero; sapeva che i suoi cavalli si erano rinfrescati alle ben
-fornite mangiatoie del signore de Bracieux. Si avventurò quindi con
-tutta confidenza alle quattro o cinque giornate di viaggio che aveva da
-fare, seguito dal fido Planchet.
-
-Siccome già dicemmo, quei due uomini, per iscacciare la noja del
-tragitto, andavano uno accosto all’altro e ciarlavano sempre insieme.
-D’Artagnan a poco a poco si era spogliato della qualità di padrone, e
-Planchet aveva deposta affatto la pelle da servitore. Era un accorto
-volpone, che dopo l’improvvisa sua dignità borghese spesso aveva
-ricordati con rammarico i bei pasti di sulle strade maestre, non meno
-che la conversazione e la brillante compagnia dei gentiluomini, e
-che sentendo di avere un certo valore personale, pativa nel vedersi
-deprezzare dal perpetuo contatto di genti d’idee sciocchissime.
-
-S’inalzò pertanto in breve tempo, verso di quello che tuttavia chiamava
-suo padrone, al rango di confidente. D’Artagnan da molti anni non aveva
-sfogato il proprio cuore. Accadde che ritrovandosi, que’ due soggetti
-si aggiustarono fra di loro egregiamente.
-
-E d’altronde Planchet non era un compagno di avventure del tutto
-volgare: era uomo di buon consiglio; benchè non cercasse il pericolo,
-non retrocedeva in faccia ai colpi, secondo spesso d’Artagnan aveva
-avuto occasione di accorgersene; finalmente era stato soldato, e
-le armi nobilitavano; e poi, a di più di tutto questo, se Planchet
-aveva d’uopo di d’Artagnan, neppure era egli a lui inutile. Talchè
-all’incirca sul tenore di due buoni amici giungevano essi nel Blaisois.
-
-Cammin facendo, d’Artagnan, scuotendo il capo, e reduce ognora a quel
-pensiero che incessantemente l’occupava, diceva:
-
-«So che il mio tentativo presso Athos è inutile ed assurdo, ma debbo
-questo atto di convenienza al mio antico amico, uomo che aveva in sè
-quanto abbisogna al più nobile e generoso di tutti gli uomini.
-
-«Oh! il signor Athos era un famoso gentiluomo! disse Planchet.
-
-«Non è così? riprese d’Artagnan.
-
-«Da lui piovevano danari, come dal cielo la grandine, tirò innanzi
-Planchet ponendo mano alla spada con atto veramente regale. Vi
-rammentate, signor mio, del duello cogli Inglesi nel recinto dei
-_Carmelitani_? Ah! com’era bello e magnifico il signor Athos quando
-disse all’avversario: — Voleste ch’io dicessi il mio nome; peggio per
-voi, mentre ora sarò costretto ad uccidervi! — Io gli stava vicino e lo
-intesi: sono precisamente le sue parole. E quello sguardo quando toccò
-l’avversario conforme aveva avvisato, e questo cascò giù senza nemmeno
-dire _hoi!_ Lo ripeto, sì, sì, era un famoso gentiluomo!
-
-«Va bene, fece d’Artagnan, codesto è vero, è Vangelo, ma egli avrà
-perduti tutti i suoi pregi per un solo difetto.
-
-«Me ne ricordo, gli piaceva bere.... o piuttosto beveva.... ma non come
-gli altri, no! I suoi occhi non esprimevano niente quando si avvicinava
-il gotto alle labbra. In coscienza, non vi fu mai silenzio tanto
-parlante. Per me, mi pare di udirlo a balbettare: — Liquore, entra e
-discaccia il mio dolore! — E come vi riduceva in pezzi il piede di un
-bicchierino o il collo di un fiasco! per codesto non aveva l’eguale.
-
-«Or bene, soggiunse d’Artagnan, oggi ecco il tristo spettacolo che si
-appresta. Quel nobile gentiluomo d’occhio sì fiero, quel bel cavaliere
-sì brillante sotto le armi che tutti si meravigliavano come in mano
-tenesse una semplice spada anzichè il bastone del comando, si sarà
-trasformato in un vecchio curvo, con il naso arrossato e il ciglio
-piagnoloso. Lo troveremo disteso sull’erba, d’onde ci guarderà con
-le pupille fosche, e forse non ci ravviserà. Iddio mi è testimone,
-Planchet, che sfuggirei così triste spettacolo se non m’importasse di
-provare il mio rispetto a quell’ombra illustre del conte di La Fère che
-tanto a noi fu caro».
-
-Planchet tentennò la testa e non fiatò; di leggieri acorgevasi com’egli
-si associasse ai timori del suo padrone.
-
-«E poi, ripigliò a dire il tenente, la decrepitezza, giacchè ormai
-Athos è vecchio; forse la miseria, giacchè avrà trascurato le poche
-sostanze che aveva; il sordido Grimaud più muto che mai e più ubbriaco
-del suo superiore.... Planchet, son cose che mi spezzano il cuore!
-
-«E’ mi par di esserci, e di vederlo là, balbuziente e vacillante....,
-fece Planchet in tuono dolentissimo.
-
-«Lo confesso, replicò d’Artagnan, l’unica mia paura si è che Athos
-accetti le mie proposizioni in un momento di ebbrezza bellicosa. Per me
-e per Porthos sarebbe grande disgrazia, e specialmente sommo imbarazzo;
-ma sul primo del suo trasporto lo lasceremo, e basta; tornando in sè
-stesso capirà.
-
-«In ogni caso, soggiunse Planchet, non tarderemo a venire in chiaro di
-tutto, giacchè io credo che quelle mura tanto alte che si arrossano al
-sole sul tramonto siano appunto di Blois.
-
-«È probabile, e quei campanili appuntati e scolpiti che si scorgono
-laggiù a sinistra nel bosco somigliano a quanto io ho inteso dire di
-Chambord.
-
-«Entreremo in città? domandò Planchet.
-
-«Senza dubbio, per prendere informazioni.
-
-« Signore, se v’entriamo, vi consiglio di assaggiare certi vasetti di
-crema de’ quali ho udito discorrere di molto, ma che disgraziatamente
-non si possono far venire a Parigi, e bisogna mangiarli là sul luogo.
-
-«Ne mangeremo, sta quieto».
-
-Nel momento uno di quei gravi carri tirati da’ buoi che portano la
-legna tagliata nelle belle macchie del paese sino ai porti della
-Loira, sboccò da un sentiero pieno di buche sulla strada che battevano
-i nostri due cavalcanti. Lo accompagnava un uomo, che con una lunga
-pertica avente in cima un chiodo pungolava i lenti animali.
-
-«Ehi, galantuomo! gridò a questo d’Artagnan.
-
-«Che posso fare per servirvi?» disse il villico con la purezza del
-linguaggio particolare alle genti di quella contrada, e che farebbe
-vergognare cittadini puristi della piazza della Sorbona e della via
-dell’Università.
-
-«Cerchiamo la casa del signor conte di la Fère: conoscete questo nome
-tra quelli dei signori delle vicinanze?»
-
-Il contadino, udendo tal nome, si levò il cappello.
-
-«Signori, questa legna ch’io trasporto è sua; l’ho tagliata nel suo
-bosco, e la conduco al castello».
-
-D’Artagnan non volle interrogare colui: temeva forse di sentir ripetere
-da un altro ciò ch’egli stesso aveva detto a Planchet.
-
-«Il _castello!_ fece tra sè, capisco: Athos non ha pazienza, ed avrà
-obbligato come Porthos i suoi contadini a chiamar lui monsignore
-e castello la sua bicocca; aveva la mano pesante, il caro Athos,
-specialmente dopo aver bevuto».
-
-I manzi andavano adagio. D’Artagnan e Planchet camminavano dietro al
-carro; presto s’infastidirono.
-
-«Sicchè, è questa la strada? chiese il tenente al bifolco, e possiamo
-seguirla senza rischio di smarrirci?
-
-«Oh! signor sì; e potete inoltrarvici invece di annojarvi a venire
-appresso a bestie così lente. Avete a far soltanto mezza lega, e
-distinguerete un castello a man destra; di qua non si vede a motivo
-di una fila di pioppi che lo nasconde. Quello non è Bragelonne, è la
-Vallière. Passerete più avanti, ma a tre tiri di schioppo più in là v’è
-una gran casa bianca, col tetto di lavagne, fabbricata sopra un poggio
-adombrato da enormi sicomori, è quella del signor conte di la Fère.
-
-«E la mezza lega è alla lunga? chè nel nostro bel paese di Francia vi
-sono leghe e leghe!
-
-«Dieci minuti di cammino, signore, per le zampe sottili del vostro
-cavallo».
-
-D’Artagnan ringraziò il boaro e diede di sprone. Indi, turbato a suo
-malgrado dall’idea di rivedere quell’uomo singolare che tanto lo aveva
-amato, che tanto aveva contribuito coi consigli e con l’esempio alla
-sua educazione di gentiluomo, rallentò un poco il passo, e continuò ad
-avanzarsi, china la testa a modo di un gran pensatore.
-
-Planchet pure aveva trovato nell’incontro e nell’attitudine di quel
-villico materia a gravi riflessioni. Giammai, nè in Normandia, nè
-nella Franche-Comté, nè in Artois, nè in Piccardia, contrade da esso
-particolarmente abitate, non aveva veduto presso i campagnuoli quel
-contegno disinvolto, l’aspetto civile, la favella purissima. Era quasi
-tentato di credere di essersi imbattuto in qualche gentiluomo al pari
-di lui della _Fronda_, che per causa politica fosse costretto a pari
-suo a travestirsi.
-
-In breve, alla svolta, apparve agli occhi de’ nostri viandanti,
-e secondo aveva avvertito il bifolco, il castello di La Vallière,
-e poscia ad un quarto di lega circa la casa bianca contornata da’
-sicomori si mostrò sul campo di un folto gruppo di alberi che la
-primavera impolverava con una neve di fiori.
-
-A tal vista d’Artagnan, il quale per solito poco si comuoveva, sentiva
-uno strano dubbio penetrargli nel cuore, tanto potenti sono in tutto
-il corso della vita quelle rimembranze di gioventù. Planchet, che non
-aveva gli stessi motivi d’impressione, sbigottito dal mirare il suo
-padrone così agitato, guardava a vicenda e l’abitazione e il tenente.
-
-Quest’ultimo mosse ancora alcuni passi innanzi, e si trovò di faccia ad
-un cancello lavorato con tutto il gusto di quell’epoca.
-
-Dal cancello si scorgevano degli orti mantenuti con la massima cura, un
-cortile assai spazioso in cui battevano i piedi impazienti varj cavalli
-scossi, retti da servi con diverse livree, ed una carrozza alla quale
-erano attaccati due cavalli.
-
-«O facciamo sbaglio, o colui ci ha ingannati, disse d’Artagnan; non
-può essere che colà abiti Athos. Dio mio! fosse morto? il podere
-appartenesse a qualcuno del suo nome? Smonta, Planchet, e va ad
-informarti; per me confesso che non ne ho coraggio».
-
-Planchet smontò.
-
-«E aggiungerai, che un gentiluomo passando di qui brama aver l’onore di
-riverire il signor conte di la Fère, e se sei contento dei dettagli che
-ottieni, allora dà pure il mio nome».
-
-Planchet, trascinando per la briglia il suo cavallo, si avvicinò alla
-porta, fece suonare il campanello, e tosto si presentò a riceverlo un
-uomo di servizio, con i capelli bianchi e il personale diritto ad onta
-dell’età.
-
-«Dimora qui il signor conte di la Fère? domandò Planchet.
-
-«Sì, signore, gli rispose il domestico, poichè Planchet non indossava
-la livrea.
-
-«È un signore ritiratosi dal servizio militare, non è vero?
-
-«Precisamente.
-
-«E che aveva un lacchè chiamato Grimaud, seguitò Planchet, che con la
-sua abituale prudenza non credeva mai troppe le informazioni.
-
-«Il signor Grimaud è per adesso assente dal castello, replicò l’altro
-cominciando a squadrarlo da capo a piedi, essendo poco avvezzo a simili
-interrogazioni.
-
-«Allora! esclamò Planchet tutto allegro, capisco ch’è proprio il conte
-di la Fère che si cerca. Dunque favorite aprirmi, giacchè desidererei
-annunziare al signor conte che il mio padrone, gentiluomo suo amico, è
-qua e vorrebbe salutarlo.
-
-«Perchè non lo dicevate prima? fece il domestico schiudendo il
-cancello; ma il vostro padrone dov’è?
-
-«È dietro a me, mi viene appresso».
-
-Il servitore, avendo aperto, precedè Planchet, e questi fe’ cenno a
-d’Artagnan, che palpitando più che mai entrò a cavallo nel cortile.
-
-E Planchet, quando fu sul verone, udì una voce che usciva da una sala a
-terreno dicendo:
-
-«Ebbene! dov’è quel gentiluomo, e perchè non lo conducete qua?»
-
-La voce, arrivando sino a d’Artagnan, ridestò nel suo cuore mille
-sentimenti, mille ricordanze già dileguatesi. Esso saltò giù da
-cavallo, mentre il suo compagno di viaggio col sorriso sul labbro si
-avanzava verso il proprietario della casa.
-
-«Ma lo conosco io quel giovanotto! disse Athos comparso sulla soglia.
-
-«Oh! sì, signor conte, mi conoscete, e vi conosco anch’io. Sono
-Planchet, Planchet, sapete pure....»
-
-Ma l’onesto servo non potè dir altro, tanto gli aveva fatto specie
-l’inatteso aspetto di quel gentiluomo.
-
-«Come, Planchet! esclamò Athos, è forse qui d’Artagnan?
-
-«Eccomi, amico, eccomi, Athos! gridò d’Artagnan balbettando e quasi
-barcollando».
-
-A tali parole apparve un’emozione visibilissima sopra il bel volto e
-i quieti lineamenti di Athos. Ei fece sollecito due passi verso il
-tenente senza lasciarlo d’occhio, e se lo strinse teneramente fra
-le braccia. Questi, calmatosi alquanto, premè lui al seno con una
-cordialità che gli brillava in lacrime nel ciglio.
-
-Athos lo prese per mano e lo guidò in sala, dov’erano riunite parecchie
-persone. Tutti si alzarono.
-
-«Vi presento, disse Athos, il signor cavalier d’Artagnan, tenente nei
-moschettieri di Sua Maestà, amico affezionato, ed uno dei più prodi ed
-amabili gentiluomini ch’io abbia mai conosciuti».
-
-D’Artagnan, secondò l’uso, ricevè i complimenti degli astanti, li
-restituì come meglio potè, prese posto nel circolo, e mentre la
-conversazione, interrotta un momento, diventava di nuovo generale, si
-mise ad esaminar Athos.
-
-Cosa strana! Athos era appena invecchiato. I suoi begli occhi, liberi
-da quel cerchio paonazzo che segnano le vigilie e le orgie, sembravano
-più grandi e di un fluido più puro che mai: il viso un poco allungato
-aveva acquistato in maestosità ciò che perduto aveva in agitazione
-febbrile; la mano, sempre di mirabile modello e nerboruta, non
-ostante la sottigliezza delle carni, rispondeva sotto i manichini di
-merletti, come certe mani del Tiziano e di Van Dyck; era più svelto
-che non fosse in passato; le spalle ben distese e larghe dinotavano
-vigore non comune; i lunghi capelli neri, frammischiati da pochissimi
-grigi, gli cadevano elegantemente sull’omero ondulandosi come per una
-piega naturale; la voce era sempre fresca quasi che avesse avuto soli
-venticinque anni; e i denti superbi conservatisi bianchi ed intatti
-davano un indicibile incanto al suo sorriso.
-
-Frattanto gli ospiti del conte, accortisi dalla impercettiblle
-freddezza della conversazione che i due amici erano ansiosi di trovarsi
-soli, cominciarono a preparare con l’arte e la cortesia dei tempi
-antichi la loro partenza, quell’affare gravissimo delle genti d’alta
-società, quando vi erano genti di alta società; ma allora echeggiò nel
-cortile grande susurro di cani che abbajavano, e varie persone dissero
-insieme:
-
-«Ecco Raolo che ritorna!»
-
-Al nome di Raolo, Athos guardò d’Artagnan, e sembrò che aspettasse di
-discernere i segni di curiosità che questo nome doveva fargli nascere
-sul volto. D’Artagnan però non capiva ancor nulla; era malamente
-rinvenuto dal suo primo bagliore. Sicchè si girò quasi macchinalmente,
-quando entrò nella stanza un bel giovane di quindici anni, vestito
-con semplicità, ma con un gusto squisito, alzando con molta grazia il
-cappello adorno di lunghe penne rosse.
-
-Eppure quel nuovo personaggio del tutto inaspettato lo sorprese. Un
-mondo d’idee novelle gli corse alla mente, spiegandogli con tutte le
-risorse del suo intendimento il cambiamento di Athos che sino allora
-gli era sembrato incomprensibile. Una singolare somiglianza tra il
-gentiluomo e il garzoncello gli schiariva il mistero di quella vita
-rigenerata. Aspettò guardando attento e stando in ascolto.
-
-«Eccovi di ritorno, Raolo! disse il conte.
-
-«Sì, signore, rispose rispettosamente il giovane; ho disimpegnata
-l’incombenza da voi datami.
-
-«Ma che avete, Raolo? fece Athos con premura; siete pallido, mi parete
-scomposto.
-
-«Gli è, replicò il sopraggiunto, ch’è accaduta una disgrazia alla
-nostra piccola vicina.
-
-«Madamigella di La Vallière? gridò con impeto Athos.
-
-«Che cosa? che cosa? domandarono parecchi.
-
-«Ella passeggiava con la sua Marcellina nel recinto dove i taglialegne
-troncano gli alberi, ed io, passando a cavallo, l’ho veduta e mi sono
-fermato. Essa pure mi ha visto, e nel volere saltar giù da un monte di
-legne dov’era salita, poverina! le è mancato il piede.... non ha potuto
-alzarsi; io credo si sia rotta la noce del piede.
-
-«Oh mio Dio! disse Athos, e madama di S. Remy, sua madre, è stata
-avvisata?
-
-«No, signore; madama di S. Remy è a Blois presso la signora duchessa
-d’Orleans. Io ho avuto paura che i primi soccorsi fossero stati
-apprestati con poca abilità, e correvo a domandarvi consiglio.
-
-«Mandate presto a Blois; o meglio, pigliate il vostro cavallo e
-andateci da per voi».
-
-Raolo s’inchinò.
-
-«Ma dov’è Luigia? continuò il conte.
-
-«L’ho portata sin qui, e l’ho posta dalla moglie di Charlot, che
-frattanto le ha fatto mettere i piedi nell’acqua ghiacciata».
-
-Dopo questa spiegazione, la quale aveva dato un pretesto per alzarsi,
-gli ospiti di Athos da esso si accomiatarono. Il vecchio duca di Barbò
-soltanto, che trattava familiarmente in forza di un’amicizia di venti
-anni con la casa di La Vallière, andò a veder la Luigetta che piangeva,
-e che nel mirare Raolo terse i begli occhi e subito sorrise.
-
-Egli propose di condur seco nella sua carrozza la piccola Luigia.
-
-«Avete ragione, disse Athos, così sarà più presto presso a sua madre.
-In quanto a voi, Raolo, sono persuaso che avete agito da scappato e ne
-avete un po’ di colpa.
-
-«Oh! no, no! ve l’assicuro»; esclamò la ragazzina, mentre il ragazzo
-impallidiva al concetto di poter essere causa di quella disgrazia.
-
-«Ah! vi assicuro....» questi balbuziò.
-
-«Ma tanto andrete a Blois, soggiunse il conte, presenterete a madama di
-S. Remy le vostre scuse e le mie, e poi verrete indietro».
-
-Sulle guancie del giovanetto ricomparvero i bei colori; consultato con
-uno sguardo il signor di la Fère, riprese nelle robuste sue braccia la
-fanciullina che posava su le di lui spalle la testa indolenzita eppur
-sorridente, l’adagiò bene e meglio in carrozza, indi saltato a cavallo
-con l’eleganza e l’agilità di un esperto cavallerizzo, e salutati Athos
-e d’Artagnan, si allontanò velocemente, andando a lato allo sportello
-del legno, nell’interno del quale rimasero fissi costantemente i di lui
-occhi.
-
-
-
-
-XVI.
-
-_Il castello di Bragelonne._
-
-
-D’Artagnan durante quella scena era restato con gli occhi stralunati
-e la bocca aperta; aveva riscontrate le cose sì poco conformi alle sue
-previdenze, che la meraviglia lo aveva istupidito.
-
-Athos lo prese per un braccio e lo condusse in giardino.
-
-«Mentre ci si allestisce la cena, disse sorridendo, non vi increscerà,
-mi figuro, di dilucidare questo mistero che vi dà da pensare?
-
-«Così è, signor conte», rispose d’Artagnan, il quale a grado a grado
-aveva sentito riassumersi da Athos l’immensa superiorità su di lui
-avuta sempre.
-
-Athos lo guatò dolcemente.
-
-«Prima di tutto, caro d’Artagnan, ei replicò, qui non v’è signor conte.
-Se vi ho chiamato cavaliere, è stato per presentarvi ai miei commensali
-e onde sapessero chi siete; ma per voi sono, lo spero, sempre Athos,
-vostro compagno ed amico. Preferite forse il tuono cerimonioso perchè
-mi siete meno affezionato?
-
-«Oh, Dio me ne liberi! fece il Guascone con uno di quei lieti slanci di
-gioventù che di rado ritrovansi nell’età matura.
-
-«Dunque torniamo alle nostre abitudini, e per cominciare siamo
-schietti, principiò il conte. Qui tutto vi sorprende?
-
-«Al maggior segno.
-
-«Ma più di tutto, seguitò Athos sogghignando, io stesso: confessatelo.
-
-«Ve lo confesso.
-
-«Sono ancor giovane, non è vero, nonostante i miei quarantanove anni?
-sono tuttavia in grado da riconoscermi.
-
-«All’incontro! gridò il tenente pronto a portare all’eccesso la
-raccomandazione di Athos di trattare con franchezza, non lo siete per
-niente!
-
-«Ah! intendo, fece Athos, ed arrossiva alquanto, tutto ha il suo fine,
-la follìa come tutt’altro.
-
-«E poi, mi pare sia accaduto un cambiamento nel vostro stato di
-fortuna; avete un’ottima abitazione; questa casa, mi figuro, è vostra.
-
-«Sì, è il piccolo podere che vi dissi aver ereditato quando lasciai il
-militare.
-
-«Avete parco, cavalli, equipaggi....»
-
-Athos sorrise.
-
-«Mio caro, il parco è di una ventina di jugeri, dei quali prendono
-porzione gli orti e i fabbricati; i cavalli sono due, s’intende che
-non conto il cortaldo del mio servitore; gli equipaggi si riducono a
-quattro cani da macchia, due levrieri e un cane da guardia.... Ed anche
-tutta questa muta di lusso non è per me.
-
-«Sì, comprendo, è per il giovanetto, per Raolo, fece d’Artagnan
-guardando sott’occhi Athos.
-
-«Avete indovinato, amico mio, disse questo.
-
-«E quegli è forse vostro commensale, vostro figlioccio, vostro
-parente... Oh! come siete variato, Athos mio!
-
-«È un orfanello, abbandonato da sua madre presso un povero curato di
-campagna; io l’ho mantenuto, allevato.
-
-«E dev’esservi attaccato assai?
-
-«Credo che mi ami come se fossi suo padre.
-
-«È specialmente molto grato?
-
-«Oh! la gratitudine poi è scambievole, disse Athos, io gli debbo quanto
-egli deve a me, e se a lui non lo dico, lo dico però a voi, son io
-quello che abbia più obbligazioni.
-
-«E come mai? fece il moschettiere attonito.
-
-«Eh sì! egli fu che in me cagionò la variazione che osservate: mi
-risecchivo come un povero albero isolato che a nulla abbia rapporto
-sulla terra; non v’era se non se un affetto profondo che potesse farmi
-rimettere radice nella vita: un’amante? ero troppo vecchio; amici? non
-vi avevo più meco. Ebbene! quel fanciullo mi fece ritrovare tutto ciò
-che avevo perduto. Non mi sentivo più il coraggio di campare per me,
-campai per lui. Per un fanciullo le lezioni son molto, l’esempio val di
-più. Io gli ho dato l’esempio. Dei vizi che avevo, mi sono corretto;
-le virtù che non possedevo, ho finto di possederle. Sicchè non credo
-illudermi, d’Artagnan, ma Raolo è destinato ad essere un gentiluomo
-compito quando sia ancora al nostro secolo impoverito concesso di
-darne».
-
-D’Artagnan guardava Athos con sempre maggiore ammirazione.
-
-Passeggiavano insieme sotto un viale fresco e ombroso, ove entravano
-obliquamente alcuni raggi di sole sul tramonto. Uno di questi raggi
-dorati illuminava il volto di Athos, e sembrava che i suoi occhi
-a vicenda rendessero quel fuoco tepido e quieto della sera che
-ricevevano.
-
-Venne a presentarsi allo spirito di d’Artagnan l’idea di milady.
-
-«E siete felice?» domandò all’amico.
-
-Le pupille penetranti di Athos si volsero in fondo al cuore a
-d’Artagnan, e parve vi leggessero il suo concetto.
-
-«Felice per quanto sia dato ad una creatura di Dio di esserlo in questo
-mondo... ma terminate di esprimere il vostro pensiero, non me lo avete
-detto tutto.
-
-«Siete terribile, Athos! nulla si può occultarvi. Or bene, sì, volevo
-domandarvi se avete talvolta qualche improvviso impulso di terrore che
-somigli....
-
-«A rimorsi? continuò Athos, finisco io la vostra frase. Forse sì, forse
-no. Non ho rimorsi, perchè quella donna, io credo, meritava la pena
-che ha subita; non ho rimorsi, perchè se l’avessimo lasciata vivere
-ella avrebbe indubitatamente proseguita l’opera sua di distruzione; ma
-ciò non vuol dire ch’io sia convinto che avessimo diritto di far ciò
-che facemmo. Forse qualunque sangue versato vuole un’espiazione. Ella
-compiè la sua; chi sa che a noi non rimanga da compiere la nostra?
-
-«Io pure con voi lo pensai alcune volte, replicò il tenente.
-
-«Aveva un figlio, colei?
-
-«Sì.
-
-«Ne udiste parlare?
-
-«Giammai.
-
-«Deve avere ventitrè anni, borbottò Athos, io penso spesso a quel
-giovane.
-
-«È singolare! io lo aveva dimenticato».
-
-Athos fece un sorrisetto malinconico.
-
-«E di lord de Winter ne aveste notizia?
-
-«So ch’era in gran favore presso il re Carlo I.
-
-«Avrà seguitata la di lui sorte, che in questo momento è cattiva. Ecco,
-d’Artagnan, con questo si torna a quel ch’io vi diceva poc’anzi; egli
-lasciò scorrere il sangue di Strafford; il sangue chiama sangue. E la
-regina?
-
-«Qual regina?
-
-«Enrichetta d’Inghilterra, figlia di Enrico IV.
-
-«È al Louvre, come sapete.
-
-«Sì, e sprovvista di tutto, non è vero? Dicono che nei forti freddi
-di quest’inverno la sua figliuola ammalata abbia dovuto restarsene a
-letto per mancanza di legna. Capite un po’! (e Athos si stringeva nelle
-spalle) la figlia di Enrico IV a tremare per non avere due fascine
-da accendere! Perchè non venne a chiedere ospitalità al primo di noi,
-invece di domandarla a Mazzarino? nulla le sarebbe mancato.
-
-«La conoscete voi, dunque, Athos?
-
-«No, ma mia madre la vide bambina. Vi ho detto mai che mia madre era
-stata dama d’onore di Maria de’ Medici?
-
-«No, mai; voi non le dite codeste cose.
-
-«Oh! anzi sì, vedete pure.... ma bisogna che ne capiti l’occasione.
-
-«Porthos non l’aspetterebbe con tanta pazienza, fece d’Artagnan
-sorridendo.
-
-«Ognuno ha il suo naturale, mio caro. Porthos, non ostante un poco di
-vanità, ha qualità eccellenti. Lo avete rivisto?
-
-«L’ho lasciato cinque giorni sono», rispose d’Artagnan.
-
-E raccontò con tutta la vivacità dell’indole sua da Guascone le
-magnificenze di Porthos nel suo castello di Pierrefonds, e mentre
-lacerava l’amico mandò due o tre botte all’ottimo signor Mouston.
-
-«Ammiro, replicò Athos sogghignando a quel brio che gli ricordava i
-loro giorni felici, ammiro che in addietro noi abbiamo formato a caso
-una società d’uomini ancora tanto ben collegati uno con l’altro a
-malgrado di venti anni di separazione. L’amicizia pone delle radici
-molto profonde nei cuori onesti, d’Artagnan; credete a me, i malvagi
-soli negano l’amicizia, perchè non la comprendono. Ed Aramis?
-
-«Ho visto anco lui, ma mi è sembrato freddo.
-
-«Ah! avete veduto Aramis? riprese Athos fissando sul tenente un
-occhio indagatore; ma fate a dirittura un pellegrinaggio al tempio
-dell’Amistà, come direbbero i poeti.
-
-«Eh! sì...., fece d’Artagnan imbarazzato.
-
-«Aramis, vi è già noto, continuò Athos, è naturalmente freddo; e poi, è
-sempre confuso negl’intrighi di donne.
-
-«Credo che ne abbia nel momento uno complicatissimo» disse il tenente.
-
-L’altro non rispose.
-
-Non solo Athos non rispose, ma anche cambiò conversazione, ed
-accennando all’amico ch’eran tornati vicini al palazzo dopo un’ora di
-passeggio:
-
-«Ecco, disse, abbiamo già fatto il giro de’ miei dominj.
-
-«In essi tutto è bello, e specialmente dimostra il gentiluomo», replicò
-d’Artagnan.
-
-Nel momento si udì camminare un cavallo.
-
-«È Raolo che ritorna, disse Athos, avremo notizie della povera
-fanciulla».
-
-Realmente comparve al cancello il giovanetto, e rientrò nel cortile
-tutto coperto di polvere; indi smontando dal cavallo, e consegnando
-questo ad una specie di palafreniere, venne a salutare il conte ed il
-tenente con rispettosa civiltà.
-
-«Questo signore, fece Athos volto a Raolo, e posando la mano sulla
-spalla a d’Artagnan, è il cavaliere d’Artagnan di cui mi avete inteso
-spesso a discorrere».
-
-E Raolo direttosi al tenente, e riveritolo più profondamente, soggiunse:
-
-«Il signor conte ha pronunziato davanti a me il vostro nome come un
-esempio ogni volta che gli è occorso di citare un gentiluomo generoso
-ed intrepido».
-
-Il piccolo complimento scese dolcissimo al cuore di d’Artagnan. Questi
-porse la mano a Raolo rispondendogli:
-
-«Giovane amico mio, tutti gli elogi che di me si fanno devono ritornare
-al signor conte, giacchè egli formò la mia educazione in tutte le cose,
-e non è sua colpa se l’allievo abbia profittato poco o punto; ma egli
-si rifarà sopra di voi, ne sono certo. Mi piace il vostro aspetto,
-Raolo, ed ho gradita la vostra cortesia».
-
-Athos fu più contento che non sapremmo esprimere; mirò in viso
-d’Artagnan con riconoscenza: poi volse sopra Raolo uno di quegli
-stranissimi sorrisi di che i ragazzi vanno tanto gloriosi.
-
-«Adesso, ripigliò il tenente a cui non era sfuggito quel giuoco alla
-mutola, adesso ne sono più che sicuro.
-
-«Ebbene? domandò Athos, spero che lo inconveniente accaduto non abbia
-avuto conseguenze?
-
-«Non si sa ancora niente: il medico nulla ha potuto dire a motivo
-dell’enfiagione; teme però che abbia sofferto qualche nervo.
-
-«E non vi siete trattenuto sino a più tardi, presso madama di S. Remy?
-
-«Avrei dubitato di non esser qui all’ora vostra di pranzo e di farvi
-aspettare», rispose Raolo.
-
-In quel punto un ragazzetto mezzo contadino e mezzo lacchè venne ad
-avvisare che la cena era in tavola.
-
-Athos condusse il suo commensale nel salotto da mangiare,
-semplicissimo, ma avente le finestre che da un lato davano sul giardino
-e dall’altro sopra una stufa ove crescevano fiori magnifici.
-
-D’Artagnan diede un’occhiata al servito; il vasellame era superbo;
-ben si scorgeva esser tutta vecchia argenteria di famiglia. Sopra una
-credenza stava un bellissimo mesciroba dello stesso metallo. Ei si
-fermò a contemplarlo.
-
-«Oh! questo è fatto egregiamente! disse poi.
-
-«Sì, fece Athos, è un capolavoro di un sommo artista fiorentino
-chiamato Benvenuto Cellini.
-
-«E la battaglia che rappresenta?
-
-«È quella di Marignano; è il momento in cui uno de’ miei antenati dà
-la sua spada a Francesco I che aveva rotta la sua. Si fu in quella
-circostanza che Enguerrando di La Fère, mio avo, venne fatto cavaliere
-di S. Michele. Inoltre, dopo quindici anni, il re, che non si era
-dimenticato di aver combattuto ancor tre ore col brando dell’amico
-Enguerrando senza che questo si rompesse, gli donò quel mesciroba ed
-una spada che forse avrete vista in addietro da me e ch’è ugualmente un
-bellissimo capo di oreficeria. Quello era il tempo dei giganti, seguitò
-Athos, noi siamo tanti nani a petto a quegli uomini.... Sediamo,
-d’Artagnan, e ceniamo. Oh! (avvertì quindi al piccolo lacchè che aveva
-messa in tavola la zuppa) chiamate Carletto».
-
-Il ragazzo uscì, e indi a un momento venne il domestico a cui i due
-viaggiatori si erano diretti al loro arrivo.
-
-«Caro Carletto, gli disse Athos, vi raccomando particolarmente, per
-tutto il tempo che resterò qui, Planchet, servo del signor d’Artagnan.
-Gli piace il vino buono, voi avete la chiave della cantina; egli ha
-dormito per un pezzo malamente, e non gli deve increscere di aver un
-buon letto: procurateglielo, ve ne fo premura».
-
-Carletto fece un inchino e se ne andò.
-
-«Anch’esso è un brav’uomo, disse il conte, mi serve oramai da diciotto
-anni.
-
-«Voi pensate a tutto, replicò d’Artagnan, e vi ringrazio per Planchet,
-mio caro Athos».
-
-A questo nome Raolo spalancò gli occhi, come per assicurarsi che il
-tenente parlasse propriamente al conte.
-
-«Raolo, gli disse Athos sorridendo, questo nome vi sembra bizzarro?
-Era il mio da guerra, quando il signor d’Artagnan, due valorosi amici,
-ed io, facevamo prodezze a la Rochelle sotto il defunto ministro, e
-sotto Bassompierre ch’è morto esso pure. Il signor d’Artagnan si degna
-conservarmi codesto nome di amicizia, e ad ogni volta che l’odo il mio
-cuore ne esulta.
-
-«Quel nome era celebre, seguitò il tenente de’ moschettieri, e ottenne
-un giorno gli onori del trionfo.
-
-«Che intendete dir mai? domandò Raolo con curiosità.
-
-«Davvero non lo so» fece Athos.
-
-«Che? vi siete scordato del bastione S. Gervasio, e del tovagliolo
-di cui tre palle fecero una bandiera? Io ho la memoria migliore della
-vostra, me ne sovvengo, ed ora, giovanotto, vi racconterò la faccenda».
-
-E d’Artagnan narrò a Raolo tutta la storia del bastione, siccome Athos
-aveva narrata a lui quella del suo avolo.
-
-A tal relazione parve al giovanetto di udire il racconto di uno dei
-fatti descritti dal Tasso, o dall’Ariosto, spettanti ai prestigiosi
-tempi della cavalleria.
-
-«Ma ciò che non vi dice d’Artagnan, soggiunse Athos, si è ch’egli era
-uno de’ migliori combattenti dell’epoca; garretto di ferro, pugno
-d’acciajo, colpo d’occhio sicuro, sguardo di fuoco, ecco quanto
-offeriva all’avversario; aveva diciotto anni, tre anni più di voi,
-Raolo, la prima volta ch’io lo vidi all’opra e contro ad uomini
-sperimentati.
-
-«Ed il signor d’Artagnan fu vincitore? domandò Raolo, a cui brillavano
-le pupille durante quella conversazione e sembrava implorassero
-ulteriori dettagli.
-
-«Ne uccisi uno, se non isbaglio, disse il tenente interrogando Athos
-collo sguardo, l’altro lo disarmai, o lo ferii, non mi ricordo....
-
-«Sì, lo feriste.... Ah, eravate un fiero atleta!
-
-«Ed ancora non ho perduto di troppo; contento, riprese d’Artagnan con
-la risatina da Guascone, ed ultimamente pure....»
-
-Athos lo fissò in viso in maniera che gli chiuse la bocca, e disse a
-Raolo:
-
-«Vuo’ che sappiate voi, mio caro, che vi credete spada fina, e
-nella vostra vanità potreste un giorno soffrirne qualche spiacevole
-disinganno, vuo’ che sappiate quanto è pericoloso l’uomo che congiunge
-il sangue freddo all’agilità, giacchè non potrei mai ritrovarne un più
-chiaro esempio: pregate domani il signor d’Artagnan, qualora non sia
-troppo stanco, di darvi una lezione.
-
-«Diamine! ripicchiò d’Artagnan, voi, Athos, siete pure buon maestro,
-soprattutto per le qualità che di me vantate. Anche oggi Planchet
-mi parlava del famoso duello del recinto dei Carmelitani con lord
-de Winter ed i suoi compagni.... Giovanetto! ei proseguiva, qui
-dev’esservi in qualche luogo una spada, che spesse fiate io chiamai la
-prima del reame.
-
-«Oh, avrò guastata la mia mano con quel fanciullo! fece Athos.
-
-«Mio caro, vi sono mani tali che non si guastano, ma che sciupano le
-altre» disse il tenente.
-
-Raolo avrebbe voluto si prolungasse tutta la notte il colloquio; ma
-il conte gli fece osservare come l’ospite loro doveva essere stanco e
-aver d’uopo di riposo. D’Artagnan si difese con molta cortesia. Athos
-insistè perchè ei pigliasse possesso della sua camera. Raolo condusse
-a quella il forestiero, ed Athos figurandosi che si tratterrebbe più
-tardi che potesse onde fargli riepilogare tutte le prodezze dei tempi
-giovanili, venne a prenderlo dopo un momento, e chiuse quella buona
-serata con una stretta di mano cordialissima, augurando la felice notte
-al moschettiere.
-
-
-
-
-XVII.
-
-_Diplomazia di Athos._
-
-
-D’Artagnan erasi coricato, non tanto per dormire, quanto per esser solo
-e ripensare a tutto ciò che aveva udito e veduto in quella sera.
-
-Essendo egli di ottimo naturale, e avendo avuto per Athos sino da
-principio una spontanea propensione, la quale aveva terminato col
-diventare sincera amicizia, gli fu grato il trovare un uomo che
-brillasse d’intendimento e di vigore anzichè l’abbietto ubriaco
-cui si attendeva di rivedere sdrajato sul letame a digerire il vino
-tracannato; si rassegnò pure senza difficoltà alla costante superiorità
-di Athos sopra di lui, ed invece di risentire il disappunto e l’astio
-che avrebbero attristato un animo men del suo generoso, non provò in
-sostanza che uno schietto e onesto giubilo il quale gli fe’ concepire
-per le sue attrattive le più favorevoli speranze.
-
-Bensì parevagli di non ritrovare Athos chiaro e franco sovra tutti i
-punti. Che giovanetto era quello, ch’egli diceva di aver adottato,
-e che tanto gli somigliava? d’onde il ritorno alla vita di società
-e l’esagerata sobrietà da lui notata nel medesimo a mensa? Ed una
-cosa, in apparenza inconcludente, cioè l’assenza di Grimaud, da cui
-in addietro Athos non poteva separarsi, e del quale neppur si era
-proferito il nome non ostante che si fosse cercato di entrare su
-quel proposito, inquietava d’Artagnan. Dunque egli non possedeva
-più la fiducia dell’amico, ovvero Athos era legato da qualche catena
-invisibile, o anche anticipatamente prevenuto contro la visita ch’ei
-gli faceva?
-
-Non potè a meno di riflettere a Rochefort ed a ciò ch’esso gli aveva
-detto nella chiesa di Nostra Signora. Che Rochefort lo avesse preceduto
-recandosi presso del conte?
-
-D’Artagnan non aveva avuto tempo da perdere in lunghe congetture.
-E quindi risolse venirne l’indomani ad una spiegazione. Le scarse
-fortune di Athos abilmente occultate indicavano desiderio di figurare,
-e manifestavano un resto di ambizione facile a risvegliarsi. La
-robustezza di mente e la lucidezza d’idee rendevano Athos più sollecito
-di un altro ad agitarsi. Egli entrerebbe nei progetti del ministro con
-tanto maggior calore, in quanto che l’attività sua naturale raddoppiata
-sarebbe da una dose di necessità.
-
-Queste idee mantenevano desto d’Artagnan ad onta della sofferta fatica;
-ei preparava il suo piano di attacco, e benchè sapesse essere Athos
-un avversario terribile, fissò di agire subito al dì vegnente dopo la
-colazione.
-
-Però, da un altro lato fra sè diceva, che sopra un terreno così nuovo
-facea mestieri inoltrarsi con prudenza, studiare più giorni le aderenze
-di Athos, abbadare alle sue novelle abitudini e farsene un giusto
-concetto; procurar di trarre dall’ingenuo giovane, o battendosi seco di
-scherma o rincorrendo qualche animale a caccia, le notizie intermedie
-che gli mancavano per riunire l’Athos di prima all’Athos attuale: e ciò
-doveva riuscire agevole, imperocchè il precettore avrebbe sicuramente
-comunicato qualcosa del suo al cuore ed allo spirito dell’alunno. Ma
-d’Artagnan stesso, ch’era accorto abbastanza, comprese tosto quali armi
-fornirebbe contro di sè in caso che un’imprudenza o una inavvertenza
-qualunque discoprisse i suoi raggiri all’occhio esperto di Athos.
-
-E poi, sarà egli d’uopo di dirlo? d’Artagnan pronto a far uso di
-astuzie contro la scaltrezza di Aramis o la vanità di Porthos, si
-vergognava ad andare per vie indirette con Athos, uomo schietto, animo
-leale. Gli sembrava che riconoscendolo per lor maestro in diplomazia,
-Aramis e Porthos lo stimerebbero vieppiù, laddove Athos all’opposto lo
-avrebbe in minor stima.
-
-«Ah! perchè non è qui, egli diceva, Grimaud, il taciturno Grimaud?
-Molte sono le cose che dal suo silenzio io avrei capite. Era tanto
-eloquente il silenzio di Grimaud!»
-
-Frattanto era cessato in casa ogni rumore; egli aveva udito chiudere
-usci ed imposte: indi i cani, dopo essersi scambievolmente risposto per
-la campagna, si erano pure chetati; finalmente un usignolo solo in un
-gruppo d’alberi aveva gorgheggiato alquanto le sue note armoniose e si
-era addormentato. Nel castello non succedeva se non se un movimento di
-passi uguali e monotoni di sotto alla sua camera. Ed ei suppose fosse
-quella la stanza di Athos.
-
-«Passeggia e riflette! fece d’Artagnan, e per che fare? Ecco quel ch’è
-impossibile di sapere. Il resto si poteva indovinare, questo no».
-
-In ultimo Athos certamente si mise in letto, poichè si estinse anco
-quel rumore.
-
-Stanchezza e silenzio insieme uniti vinsero d’Artagnan, ei chiuse gli
-occhi e lo prese il sonno.
-
-Non era solito a dormir molto. Appena l’alba ebbe indorate le sue
-cortine si levò ed aprì la finestra. Allora gli parve di distinguere
-dalla persiana qualcuno che ronzasse pel cortile scansando di farsi
-sentire. Seguendo la sua usanza di non lasciar passare cosa a lui
-vicina senza assicurarsi di ciò che si fosse, guardò attento e senza
-far chiasso, e riconobbe il giustacuore color di granato ed i capelli
-scuri di Raolo.
-
-Il garzoncello (chè era desso) schiuse la porta della stalla, ne tolse
-il cavallo bajo di che si era servito il giorno avanti, gli mise da
-sè la sella e la briglia con la prontezza e la destrezza del più abile
-cavallerizzo, poi trasse fuori l’animale pel viale diritto dell’orto,
-aperse un uscio laterale che dava sopra una strada, lo riserrò; ed
-allora d’Artagnan di cima al muro lo vide scappare come un dardo
-chinandosi sotto i rami pendenti e fioriti degli aceri e degli acacia.
-
-Nella sera precedente d’Artagnan aveva osservato che quel sentiero
-doveva condurre a Blois.
-
-«Eh, eh! disse il Guascone, ecco un bricconcello che già ne fa di
-belle, e che non mi sembra odiare il bel sesso come Athos. Non va a
-caccia, poichè non ha nè armi nè cani; non va per un’incombenza, poichè
-parte di soppiatto.... Di soppiatto da chi? da me, o da suo padre? chè,
-ne sono certissimo, il conte è suo padre.... Cospetto! questo poi lo
-saprò, ne parlerò alla libera ad Athos».
-
-Si faceva sempre più giorno; si risvegliavano i clamori cessati la
-sera innanzi; l’uccello fra i rami, il cane nella stalla, i montoni
-nei campi; anche le barche legate sulla Loira distaccandosi dalla riva
-si lasciavano trascinare dal moto delle acque. D’Artagnan rimase alla
-finestra per non destare alcuno; indi, quando ebbe inteso spalancarsi
-usciali e imposte del palazzo, si accomodò i capelli, si allisciò i
-baffi, per abitudine si spazzolò le tese del cappello con la manica del
-giubbetto e andò abbasso.
-
-Ed aveva appena saltato l’ultimo gradino del verone, che vide Athos
-chinato verso terra come un uomo che cerchi uno scudo tra la rena.
-
-«Oh! buon giorno, mio caro albergatore», disse d’Artagnan.
-
-«Buon giorno, amico: la nottata è andata bene?
-
-«A meraviglia; tutto è andato benone, come il vostro letto, come la
-vostra cena che doveva condurmi al sonno, come la vostra accoglienza.
-Ma che guardavate costì con tanta attenzione? siete forse diventato
-amatore di tulipani?
-
-«Ah! non per questo dovreste burlarmi: in campagna variano di molto i
-gusti, e si arriva ad amare senza accorgersene tutte quelle belle cose
-che lo sguardo di Dio fa scaturire dal più profondo della terra e per
-cui nelle città si ha disprezzo sì grande. Io osservava semplicemente
-alcuni iridi che avevo messi vicino a quella conserva d’acqua, e che
-stamane sono stati schiacciati. Quei giardinieri sono pure sbadati!
-nel menare indietro il cavallo che ha tirata la noria, lo avranno fatto
-camminare sulle cassette».
-
-D’Artagnan sorrise dicendo:
-
-«Uhm?... credete così?»
-
-E condusse Athos giù pel viale, dov’erano impressi molti passi simili a
-quelli che avevano schiacciati l’iridi.
-
-«Eccone degli altri, mi pare, disse con indifferenza.
-
-«Eh si! fece Athos, e passi recenti!
-
-«Recentissimi!
-
-«Chi sarà uscito stamane? domandò Athos come fra sè ed inquieto; fosse
-fuggito un cavallo dalla stalla?
-
-«Non è probabile, ribattè d’Artagnan, perchè le orme sono eguali e ben
-solcate.
-
-«Dov’è Raolo? esclamò Athos, e come va ch’io non lo abbia veduto?
-
-«Zitto! rispose il tenente mettendosi un dito sulla bocca.
-
-«Che c’è?» chiese l’altro.
-
-D’Artagnan raccontò ciò che aveva visto, ma esaminando bene la cera di
-Athos.
-
-Questi replicò facendo un piccolo moto delle spalle.
-
-«Ah, ah! ora capisco; il povero ragazzo sarà andato a Blois.
-
-«A che fare?
-
-«Mio Dio! per aver notizie della piccola La Vallière.... sapete pure,
-della fanciulletta che jeri si stravolse un piede.
-
-«Ne siete persuaso? seguitò d’Artagnan incredulo.
-
-«Non solo persuaso, ma sicurissimo, disse Athos; non avete osservato
-che Raolo è innamorato?
-
-«Eh via! di chi mai? di quella bambina di sette anni?
-
-«Caro mio, alla sua età il cuore è così pieno ch’è necessario
-riversarlo sopra qualche cosa, o sogno o realtà.... E l’amore di lui è
-metà dell’uno e metà dell’altra.
-
-«Via scherzate! come! quella bimba?....
-
-«Non l’avete forse guardata? è la più bella creaturina che sia al
-mondo: capelli biondi e lucidi, occhi azzurri, digià maliziosetti e
-languidi ad un tempo....
-
-«Ma che ne dite di codesta fiamma?
-
-«Io non dico niente; me la rido, e mi fo beffe di Raolo. Peraltro,
-quei primi bisogni del cuore sono sì imperiosi, questi sfoghi della
-malinconia amorosa ne’ giovanetti sono tanto dolci ed insieme amari,
-che spesso, mostrano tutti i caratteri della passione. Io mi ricordo
-che alla di lui età mi ero invaghito di una statua greca data dal buon
-Enrico IV a mio padre, ed ebbi ad impazzire quando mi fu detto che
-l’istoria di Pigmalione era soltanto una favola.
-
-«È tutto effetto d’ozio; voi non date a Raolo occupazione bastante, ed
-esso cerca dal canto suo di occuparsi.
-
-«Non v’è altro; e perciò penso ad allontanarlo di qua.
-
-«E farete bene.
-
-«Senza dubbio; ma sarà uno straziargli il cuore, ed egli ne soffrirà
-quanto per un vero amore. Da tre o quattro anni indietro, ed allora
-esso pure era bambino, si è preso diletto ad abbellire ed ammirare
-quell’idoletto, che un giorno poi finirebbe con adorare se rimanesse
-qui. I due fanciulli stanno insieme giornate intere a riflettere e
-discorrere su molte cose serie come veri amanti di venti anni. Insomma
-per un pezzo i parenti della piccola La Vallière ne ridevano, ma adesso
-credo che comincino a far cipiglio.
-
-«Ragazzate! bensì Raolo ha d’uopo di distrarsi: levatelo di qui presto,
-o per Bacco! non ne farete mai un uomo.
-
-«Ho idea, disse Athos, di mandarlo a Parigi.
-
-«Ah!» fece il tenente de’ moschettieri.
-
-E stimò giunto il momento delle ostilità.
-
-«Se volete, rispose, possiamo fargli uno stato a quel giovinetto.
-
-«Ah! ripetè a vicenda Athos.
-
-«Anzi, vorrei consultarvi sopra una cosa passatami per il capo.
-
-«Dite pure.
-
-«Credete che sia tempo da porsi nel servizio militare?
-
-«E non ci siete sempre, voi, d’Artagnan?
-
-«M’intendo da me.... servizio attivo.... L’antica nostra vita non ha
-più nulla che vi dia tentazione, e se vi fossero riserbati dei vantaggi
-reali, non gradireste di ricominciare in compagnia mia e del nostro
-amico Porthos le imprese di nostra gioventù?
-
-«Dunque mi fate una proposizione? domandò Athos.
-
-«Chiara e schietta.
-
-«Per tornare in campagna?
-
-«Si.
-
-«Dalla parte di chi, e contro a chi? chiese subito Athos fissando
-l’occhio lucido e benevolo sopra al Guascone.
-
-«Cospetto! come siete pressante!
-
-«E specialmente preciso. Sentitemi, d’Artagpan: non v’è più altro che
-una persona, o piuttosto una causa, a cui un uomo par mio possa esser
-utile: quella del re.
-
-«Per l’appunto.
-
-«Sì; ma intendiamoci: se per la causa del re ponete quella del signor
-Mazzarino, non ci capiremo più.
-
-«Non dico a dirittura...» rispose imbarazzato il Guascone.
-
-«Animo d’Artagnan, non facciamo gara di astuzia. La vostra titubanza, i
-vostri ripieghi, mi manifestano da parte di chi venite. Quella causa,
-infatti, non si osa dichiararla apertamente, e chi va reclutando per
-lei lo fa a testa bassa e con voce balbuziente.
-
-«Ah, caro Athos!....
-
-«D’Artagnan, sapete bene che non parlo per voi, che siete la perla
-degli uomini valorosi e audaci; vi discorro di quell’Italiano
-imbroglione e meschino, di quel mascalzone che procura di porsi in capo
-una corona che ha rubata sotto un capezzale; di quel villano che chiama
-il suo partito, partito del re, e si diverte a far porre in carcere i
-principi del sangue perchè non ardisce ucciderli come faceva il nostro
-gran ministro; uno spilorcio che pesa i suoi scudi d’oro e serba i
-più tosati per paura di perderli al giuoco dove ruba di soppiatto; un
-birbante, insomma, che per quanto si accerta strapazza la regina....
-peggio per lei, già s’intende! e che fra tre mesi ci susciterà una
-guerra civile per conservarsi le sue pensioni.... È quello il padrone
-che mi proponete? grazie mille!
-
-«Dio mi perdoni! disse d’Artagnan, siete più focoso di prima, e gli
-anni vi hanno riscaldato il sangue invece di raffreddarlo. E chi vi
-dice ch’egli sia il mio padrone, e che io voglia darlo a voi?»
-
-Il Guascone aveva borbottato fra sè: «Diamine! non si confidino i
-nostri segreti ad un uomo sì mal disposto!»
-
-«E allora, amico mio, soggiunse Athos, che proposte sono codeste?
-
-«Eh! è naturale: voi campate ne’ vostri feudi, e sembra che siate
-felice nella vostra aurea mediocrità; Porthos ha cinquanta o sessanta
-mila lire di rendita; Aramis ha sempre quindici duchesse che fanno a
-gara a possederlo come quando era moschettiere: è tuttavia il cucco
-della sorte: ma io che fo in questo mondo? porto la corazza e la pelle
-di bufalo da venti anni, inchiodato a questo grado insufficiente, senza
-avanzare, senza retrocedere, senza vivere. In conclusione, sono morto!
-E quando per me si tratta di risuscitarmi un tantino, venite tutti
-a esclamarmi: È un villano, è un briccone, è un pessimo padrone! Oh
-cappio! sono anch’io del vostro parere, ma trovatemene uno migliore, o
-assegnatemi una buona pensione».
-
-Athos riflettè per tre minuti secondi, ed in questo piccolo intervallo
-comprese l’astuzia di d’Artagnan, il quale per essersi avanzato di
-troppo sulle prime parava onde nascondere il suo giuoco. Vide chiaro
-che i progetti fattigli erano reali e si sarebbero appalesati in tutto
-il loro sviluppo qualora egli ci avesse prestato orecchio.
-
-«Bene, bene! disse tra sè, d’Artagnan è Mazzarino».
-
-E da tal momento si tenne estremamente guardingo.
-
-D’Artagnan dal lato suo fece giuoco anco più stretto.
-
-«Ma in sostanza, avete un’idea? continuò Athos.
-
-«Di certo: bramavo prender consiglio da voi tutti, e pensare ai mezzi
-di far qualche cosa, giacchè uno senza l’altro saremo sempre scompleti.
-
-«È giusto. Mi parlavate di Porthos: lo avete dunque indotto a cercar
-fortuna? ma le fortune, le ha digià.
-
-«Sì, le ha; ma l’uomo è fatto così, che desidera sempre.
-
-«Ed egli che desidera?
-
-«D’esser barone.
-
-«Ah! è vero, me lo scordavo, disse Athos ridendo.
-
-«È vero! bucinò fra sè il tenente. E di dove lo sa egli? che sia in
-corrispondenza con Aramis? Oh! se sapessi questo, saprei tutto».
-
-Terminò là il colloquio, perchè appunto capitò Raolo. Athos voleva
-dolcemente rimproverarlo; pure nel mirarlo afflitto non n’ebbe
-coraggio, ed anzi sospese il discorso per domandargli che cosa avesse.
-
-«Forse la vostra vicina sta di peggio?» chiese d’Artagnan.
-
-«Ah, signore! replicò Raolo quasi soffocato dall’affanno, la caduta è
-grave, e benchè senza apparente difformità, il medico teme che zoppichi
-sinchè vive.
-
-«Oh, sarebbe terribile! fece Athos».
-
-D’Artagnan aveva una facezia in cima alla lingua, ma visto l’interesse
-che prendeva Athos a quel caso, ei si frenò.
-
-«Quel che più mi fa disperare, continuò Raolo sospirando, è che di
-questa disgrazia son io la cagione.
-
-«Voi! come? l’interrogò Athos.
-
-«Eh sì! non fu per correre incontro a me che saltò giù da quel fascio
-di legna?
-
-«Mio caro, soggiunse d’Artagnan, vi rimane un solo compenso, cioè di
-sposarla per espiazione.
-
-«Signore! replicò il giovanetto, voi scherzate sopra un dolore verace,
-reale.... è mal fatto!»
-
-E perchè aveva bisogno di star solo per piangere in libertà, se ne andò
-in camera sua, e non ne uscì che all’ora di colazione.
-
-La buona intelligenza de’ due amici non era stata minimamente alterata
-dalla scaramuccia della mattina; sicchè fecero colazione con ottimo
-appetito, guardando tratto tratto il povero ragazzo, che con gli occhi
-bagnati e il cuore gonfio poteva appena mangiare.
-
-Alla fin del pasto arrivarono due lettere. Athos le lesse con somma
-attenzione, e non seppe astenersi da scuotersi più volte.
-
-D’Artagnan, che aveva la vista acuta e l’osservava da una estremità
-all’altra della tavola, giurò che riconosceva incontrastabilmente il
-carattere minuto di Aramis; l’altro foglio era d’uno scritto da donna
-lungo e imbrogliato. Ed accorgendosi che Athos bramava di rimaner
-solo o per rispondere alle missive o per riflettervi sopra, ei disse a
-Raolo:
-
-«Andiamo a far un giro alla sala d’armi: vi distrarrete un poco».
-
-Il ragazzo diede un’occhiata ad Athos, il quale fe’ un cenno di assenso.
-
-Passarono entrambi in un salotto a terreno, dov’erano appesi fioretti,
-maschere, guanti, piastroni e tutti gli accessorj della scherma.
-
-«Ebbene? chiese Athos arrivato colà dopo un quarto d’ora.
-
-«Ha digià la vostra mano, Athos mio, rispose il tenente, e se ha il
-vostro sangue freddo, non avrò che da congratularmene con lui».
-
-Il giovane si peritava alquanto. Per una o due volte che aveva toccato
-d’Artagnan o sul braccio o sulla coscia, questo gli aveva dato di
-bottone venti fiate a mezzo al corpo.
-
-Venne Carletto a recare un biglietto di gran premura per d’Artagnan
-portato da un messaggiero.
-
-Toccò ad Athos a guardare con la coda dell’occhio.
-
-Il tenente lesse senza mostrare veruna commozione, e indi tentennando
-un poco il capo, disse:
-
-«Vedete, amico mio, che cos’è il servizio militare; e affè, avete
-ragione di non volerlo riprendere: il signor di Tréville è ammalato,
-ed ecco che la compagnia non può far a meno di me: talchè si trova
-troncata la mia licenza.
-
-«Tornate a Parigi? domandò Athos con impeto.
-
-«Eh sì.... ma non vi venite anche voi?»
-
-Athos arrossì un poco, e rispose:
-
-«Se vi andassi, avrei il massimo piacere nel rivedervici.
-
-«Olà, Planchet! gridò sull’uscio il tenente, si parte fra dieci minuti;
-date la biada ai cavalli».
-
-Poi, voltosi ad Athos:
-
-«Mi pare che qui mi manchi qualcosa, e mi duole davvero di lasciarvi
-senza aver rivisto il buon Grimaud.
-
-«Grimaud?.... ah! sì.... mi stupivo che non me ne ricercaste notizie.
-L’ho imprestato ad un mio amico.
-
-«Che capirà i suoi cenni? fece d’Artagnan.
-
-«Spero di sì».
-
-D’Artagnan ed Athos si abbracciarono cordialmente. Quegli strinse
-la mano a Raolo, si fe’ promettere da Athos di fargli visita qualora
-andasse a Parigi, o di scrivergli in caso contrario, e saltò a cavallo.
-Planchet era già in sella.
-
-«Non venite con me? disse ridendo a Raolo, io passo da Blois».
-
-Il giovane si girò verso Athos, il quale lo trattenne con un gesto
-impercettibile, e perciò rispose:
-
-«No, signore, resto col signor conte.
-
-«Dunque addio a tutti e due, miei buoni amici, seguitò il tenente
-premendo loro di nuovo la destra, e Iddio vi conservi! come dicevamo
-ogni volta che ci lasciavamo a tempo del defunto ministro».
-
-Athos gli fece un cenno colla mano, Raolo un inchino, e d’Artagnan e
-Planchet partirono.
-
-Il conte li seguitò cogli occhi, posando la destra sulla spalla del
-ragazzo ch’era digià alto quasi al pari di lui; ma tosto che coloro
-furono spariti dietro al muro, ei disse:
-
-«Raolo, questa sera partiremo per Parigi.
-
-«Come! esclamò questi, e impallidiva.
-
-«Potete andare a dir addio per voi e per me a madama di S. Remy; vi
-aspetterò qui alle sette ore».
-
-Raolo s’inchinò con espressione di rincrescimento misto a gratitudine,
-e si ritirò per andare a por la sella al suo cavallo.
-
-D’Artagnan poi, appena trovatosi fuori di luogo da esser visto, si era
-tratto di saccoccia il biglietto e lo aveva riletto
-
- «Tornate sul momento a Parigi».
-
- «G. M.»
-
-«È secca, questa lettera, brontolò, e se non ci fosse per fortuna un
-poscritto non l’avrei capita».
-
-E diede una scorsa al poscritto, che gli faceva passar sopra al
-laconismo della missiva:
-
- P. S. «Passate dal tesoriere del re a Blois, dategli il vostro
- nome, e mostrategli la presente, e riscuoterete duecento doppie».
-
-«Ecco! fece il tenente, mi piace questa prosa, e il ministro scrive
-meglio che non mi credevo. Planchet, si vada a far visita al signor
-tesoriere, e poi di galoppo.
-
-«Per Parigi?
-
-«Per Parigi.»
-
-E mossero intanto tutti due di trotto steso.
-
-
-
-
-XVIII.
-
-_Il signor di Beaufort._
-
-
-Ed ora, ecco ciò ch’era successo, e quali cause rendevano necessario il
-ritorno di d’Artagnan alla capitale.
-
-Mazzarino recandosi una sera, secondo la sua abitudine, dalla regina,
-dopo che tutti si erano ritirati, nel passare accanto al salone delle
-guardie di cui un usciale dava sulle sue anticamere, udì parlar forte
-in quella stanza, e volle sapere di che discorrevano i soldati; si
-avvicinò chiotto chiotto al suo solito, spinse la porta, e cacciò il
-capo nella mezza apertura.
-
-Tra le guardie era grande discussione.
-
-«E io vi garantisco, diceva una di esse, che se Coysel ha prognosticata
-questa cosa, l’è certa come se fosse accaduta. Io non lo conosco, ma ho
-inteso dire ch’è non solo astrologo, ma anche mago.
-
-«Capperi! mio caro, s’è tuo amico, badaci! gli fai un brutto servizio!
-
-«Perchè?
-
-«Perchè potrebbe esser messo sotto processo.
-
-«Eh via! oggidì non si abbruciano più gli stregoni.
-
-«No? eppure, mi pare non sia gran tempo dacchè il defunto ministro fece
-abbruciare Urbano Grandier. Lo so ben io! ero di guardia al rogo, e lo
-vidi arrostire.
-
-«Caro mio, Urbano Grandier non era uno stregone, ma un sapiente, lo che
-è tutt’altro. Grandier non prediceva l’avvenire, sapeva il passato, il
-che alle volte è anco di peggio».
-
-Mazzarino scosse la testa per assenso; però bramando conoscere il
-prognostico su cui si discuteva restò allo stesso posto.
-
-«Io non ti dico, soggiunse il militare, che Coysel non sia stregone,
-ma che se pubblica la sua predizione, è la maniera da far che non si
-compia.
-
-«Perchè?
-
-«Senza dubbio. Se ci battiamo fra noi, ti avverto: «Ora ti darò una
-botta diritta, o una in seconda» naturalmente la parerai. E se Coysel
-dice ad alta voce tanto che il ministro lo senta: «Prima del tal giorno
-scapperà il tal prigioniero» è chiaro che il ministro piglierà tante
-precauzioni che il prigioniero non iscappi.
-
-«Ohimè! seguitò un altro che sembrava dormisse disteso sopra una
-panca e non ostante quel sonno figurato non perdeva una parola della
-conversazione, ohimè! v’immaginate che gli uomini possano sottrarsi al
-loro destino? Se lassù sta scritto che il duca di Beaufort si abbia a
-salvare, il signor di Beaufort si salverà, e tutte le precauzioni del
-ministro uon gli faranno un’acca».
-
-Mazzarino palpitò. Era italiano, cioè superstizioso. Si avanzò
-sollecito framezzo alle guardie, che nel mirarlo troncarono la
-conferenza.
-
-«Che dicevate, signori miei? domandò con l’aria sua carezzevole, che il
-signor di Beaufort è fuggito, se non isbaglio?
-
-«Oh! no, monsignore, fece il soldato incredulo, per adesso non ci pensa
-mica; soltanto si diceva che dovesse fuggire.
-
-«E chi lo ha detto?
-
-«Animo, Saint Laurent, ripetete la vostra storia, disse il militare al
-narratore.
-
-«Monsignore, replicò questi, raccontavo pura e semplicemente a questi
-signori quel che ho inteso del prognostico di un certo Coysel, il quale
-pretende che per quanto sia ben custodito Beaufort, si salverà innanzi
-alla Pentecoste.
-
-«E quel Coysel è un sognatore, un pazzo? riprese Mazzarino sempre
-ridendo.
-
-«No no, ribattè il soldato tenacissimo nella sua credulità, ha
-presagito molte cose che sono successe: come per esempio, che la regina
-darebbe alla luce un figliuol maschio, che il signor di Coligny sarebbe
-ucciso nel suo duello col duca di Guise, e finalmente che il Coadiutore
-sarebbe nominato cardinale. Or bene, la regina ha partorito non solo
-un primo figlio, ma dopo due anni un altro, ed il signor di Coligny è
-stato ammazzato.
-
-«Sì, disse Mazzarino, ma il Coadiutore non è per anche cardinale.
-
-«No, monsignore, però lo sarà».
-
-Mazzarino fece una boccaccia che significava: «Non ha ancora il
-cappello».
-
-Indi aggiunse:
-
-«Sicchè, mio caro, la vostra opinione è che Beaufort debba scappare?
-
-«È tanto la mia opinione, che se Vostra Eccellenza mi offerisse adesso
-il posto del signor di Chavigny, vale a dire quello di governatore del
-castello di Vincennes, io non lo accetterei. Oh! all’indomani dalla
-Pentecoste sarebbe un’altra faccenda».
-
-Nulla v’è che convinca meglio di un’intima convinzione: questa
-influisce persino sugl’increduli, e Mazzarino, lungi da esser tale, era
-superstizioso. Quindi si ritirò pensieroso.
-
-«Spilorcio! fece la guardia che teneva il gomito posato al muro, finge
-di non aver fede nel vostro mago, Saint-Laurent, per non avere da darvi
-un soldo, ma appena sia nel suo appartamento si approfitterà del vostro
-presagio».
-
-Infatti, Mazzarino, invece di continuare a camminare verso la camera
-della regina, entrò nel proprio gabinetto, e chiamato Bernouin, ordinò
-che all’indomani all’alba si andasse a cercare il birro che aveva messo
-appresso al signor di Beaufort, e si venisse a destar lui appena quegli
-capitasse.
-
-Il soldato senza immaginarselo aveva toccato col dito la piaga più
-aperta del ministro. Da cinque anni che Beaufort era in carcere
-non passava giorno in cui Mazzarino non pensasse che in un momento
-o nell’altro ei ne uscirebbe. Non si poteva tenere tutta la vita
-prigioniero un nepote di Enrico IV, in ispecie quando questo nepote di
-Enrico aveva appena trent’anni. Ma in qualunque maniera se ne traesse
-fuori, quant’odio doveva nella sua carcerazione aver raccolto nel
-petto contro quello a cui egli era debitore della medesima! che lo
-aveva preso, ricco, valoroso, glorioso, caro alle donne, temuto dagli
-uomini, per togliere alla sua vita gli anni più belli, imperocchè non
-è esistere il vivere in prigione! Intanto Mazzarino accresceva la sua
-sorveglianza contro a de Beaufort. Soltanto egli era simile all’avaro
-della favola, il quale non potea dormire accanto al suo tesoro. Spesse
-fiate di notte si destava trasalendo e sognandosi che alcuno gli avesse
-rubato il Beaufort. E allora ricercava di lui, e ad ogni informazione
-che prendeva aveva il dispiacere di sentire che il detenuto giuocava,
-beveva e cantava a più non posso, ma giuocando, cantando e bevendo,
-sospendeva queste sue operazioni per giurare che Mazzarino gli
-pagherebbe a caro prezzo i divertimenti cui l’obbligava a procurarsi a
-Vincennes.
-
-Codesta idea diede grande molestia al ministro durante i suoi sonni,
-talchè alla mattina alle sette, quando Bernouin entrò in camera per
-isvegliarlo, furono le prime sue parole:
-
-«Ebbene, che c’è? Beaufort è forse scappato da Vincennes?
-
-«Non crederei, monsignore; rispose Bernouin costante nella sua calma
-officiale, ma in ogni caso ora ne avrete le nuove, giacchè il birro la
-Ramée mandato a chiamare a Vincennes è di là ad aspettar gli ordini di
-Vostra Eccellenza.
-
-«Aprite qui, e fatelo passare, fece Mazzarino, accomodandosi i
-guanciali in modo da poter riceverlo stando seduto sul letto».
-
-Entrò l’uffiziale. Era un uomo grande e grosso, paffuto e di buona
-cera. Aveva un’aria di tranquillità, che inquietò il ministro.
-
-«Quel briccone mi pare un imbecille, questi borbottò».
-
-L’altro rimaneva in piedi accanto all’uscio.
-
-«Venite qua, disse Mazzarino».
-
-Ed il birro obbedì.
-
-«Sapete quel che qui si dice? fece il ministro.
-
-«No, Eccellenza.
-
-«Che il signor di Beaufort fuggirà da Vincennes, se non lo ha digià
-fatto».
-
-Sul viso dell’agente si vide grande stupore. Aprì esso ad un tempo
-e i piccoli occhi e la larga bocca per godersi meglio la facezia che
-l’Eccellenza gli faceva l’onore d’indirizzargli; poi non potendo più
-mantenersi serio a tale supposizione, diede in uno scroscio di risa,
-ma sì forte che dall’ilarità gli si scuotevano tutte le membra come per
-effetto di febbre.
-
-A Mazzarino fu grato quello sfogo, poco però rispettoso; non cessò
-peraltro di conservare il suo più grave aspetto.
-
-La Ramée, quando ebbe riso ben bene, e si fu asciugati gli occhi,
-reputò al fine opportuno di parlare e scusare la sconvenienza di
-cotanto suo brio.
-
-«Fuggire, monsignore! fuggire? egli disse, ma dunque, Vostra Eccellenza
-non sa dove è il signor di Beaufort.
-
-«Signor sì, so ch’è nella torre di Vincennes.
-
-«Sì, Eccellenza: in una stanza dove le mura sono grosse di sei piedi
-francesi, e le finestre con inferriate a graticola, di che ogni ferro è
-grosso quanto il mio braccio.
-
-«Eh! fece Mazzarino con la pazienza si forano i muri, con una molla da
-oriuolo si sega una spranga.
-
-«Ma allora Vostra Eccellenza non sa che ha presso di sè otto guardie,
-quattro nell’anticamera e quattro in camera, e queste non lo lasciano
-mai?
-
-«Egli però esce dalla sua stanza, giuoca alla palla e al pallamaglio.
-
-«Sono i divertimenti permessi ai prigionieri; pure se Vostra Eccellenza
-vuole, gli si leveranno.
-
-«No no (rispose il Mazzarino il quale temeva che privandolo di quei
-piaceri, il detenuto uscisse di Vincennes, quando mai ciò accadesse,
-più esacerbato contro di lui) domando soltanto con chi giuoca.
-
-«Monsignore, con l’uffiziale di guardia, o con me, o cogli altri
-prigionieri.
-
-«Ma allora non si avvicina alle muraglie?
-
-«E le muraglie, dunque Vostra Eccellenza non le conosce? sono alte
-sessanta piedi, e non credo che il signor di Beaufort sia ancora tanto
-stanco di vivere da arrischiarsi a rompersi il collo saltando di lassù.
-
-«Uhm! fece il ministro che cominciava ad acquietarsi, sicchè voi dite,
-caro la Ramée....
-
-«Che a meno che il Beaufort trovi modo di diventare un uccellino, io
-garantisco per lui.
-
-«Badate! vi avanzate di molto. Beaufort disse alle guardie le quali
-lo conducevano a Vincennes che spesso aveva pensato al caso di essere
-carcerato, e per quel caso avea raccapezzate quaranta maniere di
-scappare.
-
-«Monsignore, date retta a me, se fra le quaranta maniere ve ne fosse
-stata una buona, egli sarebbe fuori da un bel pezzo.
-
-«Via via, non è tanto sciocco come mi figuravo, mormorò il ministro.
-
-«E poi, Vostra Eccellenza si dimentica che il signor di Chavigny
-è governatore di Vincennes, e che non è punto amico del signor di
-Beaufort.
-
-«Sì, ma Chavigny si assenta qualche volta.
-
-«Quando si assenta ci son io.
-
-«Ma quando voi vi assentate?
-
-«Quando mi assento ho in mia vece un tocco d’uomo che aspira a
-diventar birro di Sua Maestà, e che ve lo accerto, monsignore, gli fa
-buonissima guardia. Da tre settimane l’ho al mio servizio, e non ho da
-rimproverargli se non una cosa: di esser troppo duro per il detenuto.
-
-«E chi è quel cerbero?
-
-«Un certo signor Grimaud.
-
-«E che faceva innanzi di stare presso di voi a Vincennes?
-
-«Era in provincia, secondo mi disse quello che me lo raccomandò; v’ebbe
-non so quale affaraccio a motivo della sua testa calda, e credo non
-gl’increscerebbe di trovare la sua impunità sotto l’uniforme del re.
-
-«Chi ve lo ha raccomandato?
-
-«Il maggiordomo del signor duca di Grammont.
-
-«Allora, a parer vostro, v’è da fidarsene?
-
-«Quanto di me stesso, monsignore.
-
-«Non è un ciarlone?
-
-«Gesù mio! per molto tempo ebbi idea che fosse mutolo; non parla, e non
-risponde che a forza di cenni: pare che il suo antico padrone lo abbia
-avvezzato così.
-
-«Or bene, mio caro La Ramée, ditegli che se ci fa buona e fedel
-guardia, si chiuderà un occhio sulle sue imprudenze di provincia,
-gli si metterà addosso un’uniforme che lo faccia rispettare, e nelle
-saccoccie di questa alcune doppie per bere alla salute del re».
-
-Mazzarino era largo di promesse; era tutto al contrario del bravo
-Grimaud, tanto vantato da La Ramée, che parlava poco ed agiva molto.
-
-Il ministro fece a La Ramée una quantità di altre domande sopra al
-prigioniero, ed al modo in cui esso era stato alloggiato e cibato,
-ed alle quali costui rispose in guisa sì soddisfacente, ch’egli lo
-licenziò quasi tranquillo.
-
-Poi essendo le nove ore, si alzò, si profumò, si vestì e passò dalla
-regina a darle parte dei motivi che lo avevano trattenuto nel proprio
-appartamento.
-
-La regina che temeva di Beaufort quanto ne temeva il ministro, ed era
-superstiziosa poco meno di lui, gli fe’ ripetere esattamente tutte le
-promesse del birro e gli elogi ch’esso prodigava al suo ajutante, e
-dopo che Mazzarino ebbe finito ella disse sotto voce:
-
-«Ahimè! avessimo un Grimaud al fianco ad ogni principe!
-
-«Pazienza! fece Mazzarino col suo sorrisetto all’italiana, forse un
-giorno ci si verrà, ma frattanto....
-
-«Frattanto?
-
-«Io voglio prendere le mie precauzioni, ribattè il ministro».
-
-Dietro di che scrisse a d’Artagnan di sollecitarsi a tornare.
-
-
-
-
-XIX.
-
-_Ricreazioni del duca di Beaufort nella torre di Vincennes._
-
-
-Il prigioniero che incuteva tanta paura al ministro, e i di cui
-quaranta mezzi di fuga turbavano il riposo di tutta la corte, non
-s’immaginava lo spavento che per cagion sua risentivasi nel palazzo
-reale.
-
-Si vedeva sì ben custodito che aveva riconosciuta l’inutilità di ogni
-suo tentativo; tutta la sua vendetta consisteva nel mandare un diluvio
-d’imprecazioni ed ingiurie contro al Mazzarino. Si era pure provato a
-comporre qualche strofetta, e poi ci aveva rinunziato subito. Infatti
-il signor di Beaufort non ricevè dal cielo il dono di tesser versi,
-ed anche in prosa si esprimeva difficilmente: per lo che di lui diceva
-Blot, canzoniere dell’epoca:
-
- Beaufort, de grande renommée,
- Qui sut ravitailler Paris,
- Doit toujours tirer son epée
- Sans jamais dire son avis.
-
- S’il veut servir toute la France,
- Qu’il n’approche pas du barreau!
- Qu’il rengaine son éloquence
- Et tire son fer du fourreau.
-
- Dans un combat, il brille, il tonne,
- On le redoute avec raison;
- Mais de la façon qu’il raisonne,
- On le prendrait pour un oisou.
-
- Gaston, pour faire une harangue,
- Eprouve bien moins d’embarras;
- Pourquoi Beaufort n’a-t-il la langue?
- Pourquoi Gaston n’a-t-il le bras?[7].
-
-Premesso questo, è da capirsi che il detenuto si limitasse ad ingiurie
-e imprecazioni.
-
-Era il duca di Beaufort nepote di Enrico IV e di Gabriella d’Estrée,
-tanto buono, valoroso e fiero, e specialmente tanto guascone, quanto
-il suo avolo, ma molto meno letterato. Dopo essere stato per qualche
-tempo, alla morte del re Luigi XIII, favorito, uomo di confidenza,
-insomma il primo in corte, avea dovuto un giorno cedere il posto a
-Mazzarino e trovarsi secondo, e all’indomani avendo avuto il poco
-giudizio di crucciarsi per tale trasposizione e l’imprudenza di dirlo,
-la regina lo avea fatto arrestare e condurre a Vincennes da quello
-stesso Guitaut che noi vedemmo comparire sul principio di questa
-storia, e che avremo occasione d’incontrare di nuovo. Ben intesi la
-_regina_ vuol dire _Mazzarino_. Non solo si erano sbarazzati così della
-sua persona e delle sue pretensioni, ma anche non si facevano più conti
-con lui, benchè fosse principe popolare, e da cinque anni egli abitava
-in una stanza pochissimo regia nella torre di Vincennes.
-
-Codesto spazio di tempo, che avrebbe maturate le idee di qualunque
-altro, sul cervello del signor di Beaufort non produsse effetto
-alcuno. Infatti, un altro avrebbe riflettuto e qualmente s’ei non
-si fosse piccato ad urtare il ministro, a sprezzare i principi, ad
-andarsene solo senza altri seguaci (come dice il cardinale di Retz)
-che pochi malinconici con faccie da tristi cogitabondi, in cinque
-anni avrebbe ottenuto o la sua libertà o dei difensori. Probabilmente
-queste considerazioni non si presentarono tampoco alla mente del duca;
-la lunga sua detenzione non fece che consolidarlo maggiormente nello
-spirito di dispettosa ribellione, ed ogni giorno il ministro riceveva
-di lui tali notizie ch’erano a Sua Eccellenza oltremodo spiacevoli.
-
-Il signor di Beaufort, dopo aver fatto _fiasco_ in poesia, si era
-provato alla pittura. Disegnava col carbone la figura del ministro,
-e siccome la sua abilità men che mediocre nell’arte suddetta non gli
-permetteva di arrivare ad una grande somiglianza, così non volendo
-che rimanessero dubbi in quanto all’originale, egli scriveva sotto in
-italiano: _Ritratto dell’illustrissimo facchino Mazzarino_.
-
-Il signor di Chavigny si recò a fare una vista al duca, e lo pregò
-di applicarsi ad altri passatempi, o almeno far ritratti senza la
-leggenda. Il giorno dopo la camera era piena di leggende e di ritratti.
-Il signor di Beaufort, secondo avviene però di tutti i prigionieri,
-faceva come i bambini che più si ostinano nelle cose più a loro
-proibite.
-
-Il signor di Chavigny fu avvertito di questa nuova quantità di profili.
-Beaufort non abbastanza sicuro di sè per arrischiarsi alla testa di
-faccia, ne aveva provvista la sua stanza come una sala da esposizione.
-Questa volta il governatore non disse nulla, ma un giorno mentre il
-duca giuocava alla palla ci fece passare una spugna su tutti i disegni
-e dipingere la camera a guazzo.
-
-Il signor di Beaufort ringraziò il Chavigny, che avea tanta bontà da
-ripulire e ridurre a nuovo i suoi cartoni, ed allora divise la camera
-in più compartimenti, dei quali dedicò ciascuno ad un tratto della vita
-del signor Mazzarino.
-
-Il primo doveva rappresentare l’illustrissimo Mazzarino ricevendo un
-fiacco di bastonate dal Bentivogli di cui era stato servitore;
-
-Il secondo, l’illustrissimo stesso, facendo la parte d’Ignazio nella
-tragedia del medesimo nome o titolo;
-
-Il terzo, l’illustrissimo rubando il portafogli da primo ministro al
-signor di Chavigny che già si credeva di possederlo;
-
-E finalmente il quarto, l’illustrissimo negando le lenzuola a Laporte
-cameriere di Luigi XIV, con dirgli che per un re di Francia era
-abbastanza mutare le lenzuola ad ogni trimestre.
-
-Queste erano grandi composizioni, che di certo oltrepassavano la
-misura del talento del carcerato; ed infatti egli si era contentato di
-tracciare i quadri e porvi le iscrizioni.
-
-Per altro le iscrizioni ed i quadri furono sufficienti a risvegliare
-gli scrupoli del signor di Chavigny, il quale fe’ prevenire il signor
-di Beaufort che se non rinunziava ai progettati ritratti ei gli
-toglierebbe tutti i mezzi di eseguirli. Il Beaufort rispose che poichè
-gli si levava il modo di acquistarsi rinomanza nelle armi voleva
-acquistarsela nella pittura, e non potendo essere un Bojardo o un
-Trivulzio intendeva diventare un Michelangiolo o un Raffaello.
-
-Una mattina che il duca passeggiava nel cortile, gli fu tolto il fuoco,
-e col fuoco i carboni, e coi carboni la cenere, talchè quando tornò non
-trovò il più piccolo oggetto di cui servirsi a guisa di matita.
-
-Il Beaufort gridò, strillò, bestemmiò, disse che si voleva farlo morire
-di freddo e di umidità come erano morti Puylaurens, il maresciallo
-Ornano e il gran priore di Vendome; al che gli fu risposto dal
-governatore, che qualora desse parola di abbandonare il disegno, o
-promettesse di non far pitture storiche, gli si renderebbe la legna e
-l’occorrente per accenderla. Egli non volle dare la parola, e rimase
-senza fuoco tutto il resto dell’inverno.
-
-E di più, in un momento che il prigioniero era fuori furono raspate le
-iscrizioni, e la camera si ritrovò bianca e nuda senza il menomo segno
-dei di lui lavori.
-
-Allora il signor di Beaufort comprò da uno de’ suoi guardiani un cane
-chiamato Pistacchio, dappoichè non v’era difficoltà che i carcerati
-avessero un cane. Il signor di Chavigny dette la sua autorizzazione per
-che il quadrupede cambiasse padrone. Il signor di Beaufort se ne stava
-delle ore intiere con quella bestia. Ognuno si figurava che in tali ore
-il detenuto attendesse all’educazione di Pistacchio, ma non si sapeva
-qual direzione a questa egli desse. Una volta, essendo ormai Pistacchio
-assai bene avvezzato, il Beaufort invitò il Chavigny e gli uffiziali
-di Vincennes ad una grande rappresentazione nella sua camera. Giunsero
-gl’invitati. La stanza era illuminata con quanti moccoli aveva il duca
-potuto procurarsi. Cominciarono gli esercizi.
-
-Il signor di Beaufort, con un pezzo di gesso staccato dal muro,
-aveva segnata in mezzo all’appartamento una lunga riga bianca che
-rappresentava una corda. Pistacchio al primo comando si mise su quella
-linea, e si rizzò sulle zampe di dietro, e fra le zampe davanti tenendo
-uno scudiscio da sbattere gli abiti, principiò ad andare su per la riga
-con tutte le contorsioni che fanno i saltatori, poi restituita la mazza
-al padrone, ricominciò le medesime mosse senza equilibrio.
-
-Grandi applausi si prodigarono all’intelligentissimo animale.
-
-Dividevasi lo spettacolo in tre parti. Finita la prima, si passò alla
-seconda.
-
-Bisognava innanzi a tutto dir quante ore erano.
-
-Il signor di Chavigny mostrò il suo oriuolo a Pistacchio. Erano le sei
-e mezza.
-
-Pistacchio alzò ed abbassò la zampa sei volte, ed alla settima restò
-con la zampa per aria. Non si poteva esser più chiari; un quadrante
-solare non avrebbe risposto di meglio: come ognuno sa il quadrante
-solare ha l’inconveniente di non accennare le ore se non se fino a
-tanto che risplende il sole.
-
-Poi si doveva riconoscere fra tutta la comitiva quale fosse il miglior
-carceriere di tutte le prigioni di Francia.
-
-Il cane fece tre volte il giro della stanza, e andò ad accucciarsi
-rispettosamente ai piedi del signor di Chavigny.
-
-Il signor di Chavigny fece mostra di trovare graziosissima la celia,
-e ne rise un pochettino. Poi, finito ch’ebbe di ridere, si morse le
-labbra ed aggrottò le ciglia.
-
-In ultimo il signor di Beaufort propose al cane la questione
-difficilissima, cioè, chi fosse il più gran ladro del mondo conosciuto.
-
-Pistacchio andò attorno attorno, non si fermò vicino a nessuno, e corso
-all’uscio si mise a raspare brontolando.
-
-«Vedete signori, disse il principe, l’interessante animale non trovando
-qui quei che io gli domando va fuori a cercarlo; ma non dubitate, non
-per questo sarete privi di risposta.»
-
-E continuò:
-
-«Pistacchio, qua!»
-
-La bestia obbedì.
-
-«Il più gran ladro del mondo conosciuto, fece il duca, è egli il
-segretario del re Le Camus, che venuto a Parigi con sei lire possiede
-adesso sei milioni?»
-
-Il cane mosse la testa in atto negativo.
-
-«È forse, proseguì il signor di Beaufort, il soprintendente d’Emery,
-che ha dato a suo figlio signor Thorè, nel dargli moglie, trecento
-mila lire di rendite, ed un palazzo a petto al quale le Tuileries è un
-tugurio, e il Louvre un bugigattolo?»
-
-E il suddetto cane mosse la testa in atto negativo.
-
-«Non è neppur quello? fece il principe, cerchiamo a modo: sarebbe egli
-per caso l’illustrissimo facchino Mazzarino di Piscina?»
-
-Pistacchio ammiccò disperatamente di sì, rizzando ed abbassando la
-zucca otto o dieci volte di seguito.
-
-«Signori! capite, disse il Beaufort agli astanti, che questa volta
-nemmeno osavano ridere un pochettino, l’illustrissimo facchino
-Mazzarino di Piscina è il più gran ladro del mondo conosciuto. Così
-almeno dice Pistacchio. Si passi ad un altro esercizio.»
-
-E il duca di Beaufort profittando del silenzio onde produrre il
-programma della parte terza della serata, disse:
-
-«Signori, tutti quanti vi rammenterete che il signor duca di Guise
-aveva insegnato a tutti i cani di Parigi a saltare per madamigella
-de Pons da lui proclamata la bella fra le belle; ebbene! quello era
-un nulla, giacchè quegli animali obbedivano macchinalmente, e non
-sapendo fare dissidenza (il Beaufort intendeva dire _differenza_) tra
-coloro per cui dovevano saltare e coloro per i quali no. Pistacchio vi
-mostrerà, egualmente che al signor governatore, com’egli sia superiore
-a’ suoi colleghi. Signor di Chavigny, abbiate la bontà d’imprestarmi la
-vostra canna d’India».
-
-Il signor di Chavigny porse la canna richiestagli.
-
-Il Beaufort la colloco orizzontalmente all’altezza di mezzo braccio.
-
-«Pistacchio caro, disse poi, fatemi il piacere di saltare per madama di
-Montbazon».
-
-Tutti dettero in uno scroscio di risa: era noto come nel punto in cui
-fu arrestato il Beaufort era amante palese della Montbazon.
-
-E l’animale non fece difficoltà alcuna, e scavalcò allegramente di
-sopra alla mazza.
-
-«Eh! osservò il Chavigny, mi pare che Pistacchio faccia per l’appunto
-quel che facevano i suoi colleghi quando balzavano per la de Pons.
-
-«Aspettate! rispose il principe, Pistacchio, carino mio, saltate per la
-regina».
-
-E alzò il bastone di cinque o sei polzate.
-
-Il quadrupede balzò rispettosamente di sul bastone.
-
-«Pistacchio, amor mio, continuò il duca tirando su la mazza di altri
-sei pollici, saltate per il re».
-
-La bestia si slanciò, e ad onta dell’altezza schizzò sveltamente.
-
-«E adesso, attenti! fece il duca abbassando il giunco sino a terra,
-Pistacchio, mio bello, salta per l’illustrissimo facchino Mazzarino».
-
-Il cane voltò il preterito al giunco.
-
-«Oh! che azioni sono codeste? gridò il Beaufort segnando un semicircolo
-dalla testa alla coda dell’animale, e presentandogli da capo la mazza,
-salta su, Pistacchio!»
-
-Ma Pistacchio, come prima, girò in tondo e volse alla mazza il
-preterito.
-
-Beaufort ripetè il movimento e la frase. Il cane impazientito si
-avventò addosso alla canna d’india, la levò di mano al principe e la
-ruppe coi denti.
-
-Il signor di Beaufort gli tolse di bocca i due pezzi, e con tutta
-serietà li rese al signore di Chavigny, chiedendogli mille scuse, e
-dicendogli che il trattenimento era terminato, ma che se fra tre mesi
-si compiacesse intervenire ad una seduta consimile, Pistacchio avrebbe
-in allora imparato nuovi giuochi.
-
-Dopo tre giorni Pistacchio era avvelenato.
-
-Si cercò il reo, ma il reo (com’è da credere) rimase ignoto.
-
-Il signor di Beaufort fece erigere una tomba col seguente epitaffio:
-
- _Qui giace Pistacchio, uno dei cani più
- intelligenti che mai esisterono._
-
-Su questo elogio non v’era che ridire, nè il signor di Chavigny potè
-proibirlo.
-
-Ma allora il duca disse ben altamente che sul suo cane si era fatta la
-prova delle droghe che si dovevano adoprare per lui, e un giorno dopo
-pranzo si mise a letto gridando che aveva i dolori di corpo e che il
-Mazzarino lo aveva fatto avvelenare.
-
-Questa burletta arrivò alle orecchie del ministro e gli mise gran
-paura. La torre di Vincennes era reputata malsana, e madama di
-Rambouillet aveva detto qualmente la stanza in cui erano morti
-Puylaurens, il maresciallo Ornano e il gran priore di Vendome valeva
-tanto arsenico quanto pesava, e codesto detto aveva fatto molto
-incontro. Ordinò quindi che il prigioniero non mangiasse più cosa
-alcuna senza farsi prima il saggio del vino e delle vivande, ed allora
-fu che il birro La Ramée gli fu posto vicino come assaggiatore.
-
-Frattanto il signor di Chavigny non aveva perdonate al duca le
-impertinenze scontate dall’innocente Pistacchio. Era una creatura del
-defunto ministro, si diceva perfino che fosse suo figlio, e dunque
-doveva intendersi un bricciolino di tirannia. Si piccò a rendere i
-suoi tormenti al signor di Beaufort, gli levò quanti coltelli di ferro
-e forchette di argento gli erano stati lasciati per lo innanzi, e
-gli fece dare coltelli di argento e forchette di legno. Il Beaufort
-si lagnò, ma il Chavigny gli mandò a rispondere come aveva inteso
-appunto che il ministro avendo detto a madama di Vendome che suo figlio
-starebbe tutta la vita nella torre di Vincennes, aveva temuto che il
-prigioniero a sì trista notizia si portasse a qualche tentativo di
-suicidio. Dopo due settimane il signor di Beaufort trovò due file di
-alberi grossi quanto un dito mignolo schierati sulla via che conduce
-al giuoco del pallone, domandò che cosa fosse, e gli fu risposto
-ch’erano là per dargli dell’ombra in un certo giorno. Finalmente, una
-mattina venne da lui il giardiniere, e in apparenza di voler dargli
-nel genio gli annunziò che gli si pianterebbero degli sparagi. Come
-tutti sanno, gli sparagi che ora stanno quattro anni per nascere ne
-richiedevano cinque in quell’epoca in cui era meno perfezionata l’arte
-dell’ortaggio. E tale alto di gentilezza fece andare sulle furie il
-duca di Beaufort.
-
-Quindi pensò esso esser tempo di ricorrere ad uno dei suoi quaranta
-mezzi, e cominciò dal più semplice, ch’era di corrompere la Ramée:
-ma la Ramée aveva comprata la sua carica per mille cinquecento scudi,
-e bramava di conservarsela; sicchè invece di secondare le vedute del
-detenuto andò correndo ad avvertire il signor di Chavigny, il quale
-mise tosto otto uomini nella camera stessa del duca, raddoppiò le
-sentinelle e triplicò i posti di guardia. Da quel momento il principe
-cominciò a camminare, come i re da teatro, con quattro uomini davanti e
-quattro dietro, senza contare quei che andavano in fila.
-
-Sul principio il signor di Beaufort se la rise di molto di questa
-severità, che per lui diventava una distrazione. Ripetè quanto poteva,
-«la mi diverte, la mi _svaria_,» voleva dire _mi svaga_, ma secondo ci
-è noto e’ non diceva sempre ciò che avrebbe voluto. Poi aggiungeva: «E
-d’altronde, quando avrò idea di sottrarmi alle onoranze che mi fate, ho
-altri trentanove mezzi».
-
-A lungo andare però la distrazione si convertì in noja. Per millanteria
-il signor di Beaufort la resse per sei mesi, alla fine dei quali,
-vedendo sempre otto uomini che sedevano quando egli sedeva, si alzavano
-quando egli si alzava, si fermavano quando ei si fermava, cominciò a
-far cipiglio ed a contare i giorni.
-
-Questa nuova persecuzione cagionò un incremento all’odio contro al
-Mazzarino. Il principe bestemmiava da mattina a sera, e non parlava che
-di fare un ammorsellato di orecchie del ministro. Era cosa da fremere;
-il ministro informato di quanto succedeva a Vincennes, si calcava senza
-volere la berretta fin sul collo.
-
-Un giorno il signor di Beaufort, radunò i guardiani, e ad onta della
-sua difficoltà di elocuzione passata già in proverbio, fece ad essi il
-seguente discorso, apparecchiato, ben è vero anticipatamente:
-
-«Signori, e soffrirete che un nepote del buon re Enrico IV sia oppresso
-d’oltraggi e d’ignobilia? (intendeva dire ignominia) cappeterina! come
-diceva mio nonno, io ho quasi regnato in Parigi, sapete? per un’intera
-giornata ho avuto in custodia il re e _monsieur_. Allora la regina
-mi accarezzava e mi chiamava il più onest’uomo del regno. Signori
-borghesi, adesso mettetemi fuori, andrò diritto al Louvre, torcerò il
-collo al Mazzarino, voi sarete le mie guardie del corpo, vi farò tutti
-uffiziali e con buone pensioni. Cappiterina! avanti, marcia!»
-
-Ma comunque si fosse patetica, l’eloquenza del nepote di Enrico IV,
-non commosse quei cuori di macigno; nessuno fece motto. E visto ciò,
-il signor di Beaufort disse loro ch’erano tutta canaglia, e se li fece
-nemici acerrimi.
-
-Alcune fiate, quando il signor di Chavigny si portava a trovarlo, al
-che non mancava mai due o tre volte per settimana, il duca profittava
-del momento per minacciarlo.
-
-«Che fareste, gli diceva, se un bel giorno vedeste comparire un’armata
-di Parigini ricoperti di ferro e carichi di schioppi venuti a
-liberarmi?
-
-«Monsignore, rispondeva Chavigny al principe con una profonda
-riverenza, io ho sulle mura venti pezzi di artiglieria, e nelle
-casematte l’occorrente per tirar trentamila colpi di cannone, e ci
-lavorerei meglio che mi potessi.
-
-«Sì, ma dopo che aveste fatti i trentamila spari, quelli piglierebbero
-la torre, ed io poi sarei costretto a lasciar che v’impiccassero, del
-che, per certo, sarei dolentissimo!»
-
-Ed il principe salutava esso pure Chavigny con estrema cortesia.
-
-«Ma io, monsignore, soggiungeva il Chavigny, al primo ribelle che
-passasse fuori dalle mie porte o ponesse i piedi sui miei bastioni,
-sarei obbligato con mio sommo rincrescimento ad ammazzarvi di mia
-propria mano, attesochè siete affidato a me in particolare e devo
-restituirvi o vivo o morto».
-
-E riveriva di nuovo Sua Altezza.
-
-«Sì, ribatteva il duca, ma siccome quelle brave genti non verrebbero
-qui che dopo aver data una buona impiccatura al signor Giulio
-Mazzarino, vi guardereste bene dal pormi addosso le mani, e mi
-lascereste vivere per paura di essere tirato da quattro cavalli, dai
-Parigini, lo che è più tristo ancora d’essere appiccato, non dubitate!»
-
-Questi scherzi agrodolci andavano innanzi, dieci minuti, quindici, o
-venti al più, ma finivano sempre che Chavigny verso la porta gridava:
-
-«Olà! la Ramée!»
-
-Ed il chiamato accorreva.
-
-«Ehi! gli diceva il signor di Chavigny, vi raccomando in particolar
-modo il signor di Beaufort, trattatelo con tutti i riguardi dovuti al
-suo nome ed al suo rango, e a tale effetto non lo perdete un momento di
-vista».
-
-E poscia si ritirava, salutando il Beaufort con una cortesia cotanto
-ironica che faceva venire a questo la mosca al naso.
-
-La Ramée, adunque, era diventato il commensale obbligato del principe,
-il suo sempiterno guardiano, l’ombra del di lui corpo; ma noi dobbiamo
-pur dirlo, la compagnia di la Ramée, buon gaudente, schietto camerata
-a tavola, bevitore riconosciuto, gran giuocatore, in sostanza buona
-creatura, e non avente per Beaufort se non un solo difetto, quello
-cioè di essere incorruttibile, si era cambiata pel duca da molestia in
-distrazione.
-
-Pur troppo non succedeva altrettanto di la Ramée, e quantunque
-ei valutasse sino a un certo segno l’onore di star rinchiuso con
-un prigioniero di sì alta importanza, pure il piacere di vivere
-familiarmente col nepote di Enrico IV, non gli compensava quello che
-avrebbe provato ad andare di quando in quando a fare una visita alla
-sua famiglia. Uno può essere ottimo birro del re, e nel tempo stesso
-buon padre e buon marito.
-
-E messer la Ramée adorava la moglie e i figliuoli, che ormai vedeva a
-mala pena di cima alla muraglia quando essi per procacciargli quella
-contentezza paterna e conjugale se ne venivano a passeggiare dall’altra
-parte dei fossi, ed assolutamente per lui questo era poco, ed egli
-capiva che il suo umore allegro, da lui considerato qual cagione della
-sua buona salute — non calcolando che probabilmente ne era ben anzi il
-risultato — non reggerebbe lungo tempo ad un simile metodo di vita.
-
-E siffatta persuasione maggiormente si accrebbe nella sua mente
-allorchè poco a poco Beaufort e Chavigny sempre più inaspritisi,
-cessarono totalmente di frequentarsi. Allora la Ramée sentì più forte
-aggravarsi sul suo capo la responsabilità; e siccome giustamente, per
-le ragioni da noi quivi spiegate, ei cercava qualche sollievo, accolse
-premurosamente la proposizione fattagli dal suo amico l’intendente
-del maresciallo di Grammont di dargli un compagno, e tenutone subito
-proposito col signor di Chavigny, gli era stato da questo risposto non
-opporvisi in veruna maniera, con patto che peraltro il soggetto fosse
-di suo genio.
-
-A noi sembra inutilissimo il dare ai nostri leggitori il ritratto
-fisico o morale di Grimaud: se essi, come noi speriamo, non hanno
-dimenticata del tutto la prima parte della presente opera[8] debbono
-aver serbato assai chiara ricordanza di quello stimabile individuo, in
-cui non era avvenuto altro cambiamento se non se di avere venti anni di
-più, il quale acquisto non aveva fatto che renderlo più taciturno che
-mai, ancorchè Athos dopo la variazione in lui succeduta gli avesse resa
-piena licenza di parlare.
-
-Ma in quell’epoca Grimaud aveva già da dodici o quindici anni adottata
-l’abitudine di tacersi, ed un’abitudine di dodici o quindici anni è
-diventata una seconda natura.
-
-
-
-
-XX.
-
-_Entra in funzioni Grimaud._
-
-
-Sicchè Grimaud si presentò alla torre di Vincennes con l’esteriore
-suo favorevole. Il signor di Chavigny si piccava d’aver l’occhio
-infallibile, lo che potrebbe indurci ad opinare che realmente fosse
-figliuolo di Richelieu che aveva in eterno codesta pretensione: quindi
-esaminò attentamente il postulante, e congetturò che i sopraccigli
-accosti, le labbra sottili, il naso ricurvo e i grossi pomelli di
-Grimaud fossero indizi perfetti. Gli disse soltanto dodici parole, e
-Grimaud ne rispose quattro.
-
-«Ecco, fece Chavigny, un giovanotto come si deve; andate a farvi
-accettare da la Ramée, dicendogli che fate ottimamente al caso mio».
-
-Grimaud voltò le calcagna, e andò a passare sotto l’inspezione assai
-più rigorosa di la Ramée. Ciò che rendeva costui più difficile si era
-che Chavigny sapeva di potersi riposare su di lui, ed egli voleva poter
-riposarsi sopra Grimaud.
-
-Aveva Grimaud per l’appunto le qualità capaci di dare nel genio
-ad un birro il qual desideri un sottobirro; dimodochè dopo mille
-interrogazioni che ottennero appena un quarto di risposta, la Ramée
-affascinato da quella sobrietà di parole si stropicciò le mani ed
-arruolò il Grimaud.
-
-«Gli ordini? chiese quest’ultimo.
-
-«Eccoli. Non lasciar mai solo il detenuto, levargli qualunque arnese
-pungente e tagliente, impedirgli di far de’ cenni alle genti di fuori e
-troppe ciarle co’ suoi guardiani.
-
-«Non v’è altro?
-
-«Niente altro pel momento. Nuove circostanze, se ve ne saranno, daranno
-luogo a nuove istruzioni.
-
-«Bene» fece Grimaud.
-
-Ed entrò dal duca di Beaufort.
-
-Questi stava occupato a pettinarsi la barba. La barba, ei se la
-lasciava crescere, ugualmente che i capelli, per far dispetto a
-Mazzarino mostrando la sua miseria e alterando la sua trista figura.
-Però, essendogli sembrato, pochi giorni innanzi, di su dalla torre,
-di riconoscere in fondo ad una carrozza la bella Montbazon, la di cui
-memoria gli era tuttavia cara, non voleva essere per lei qual era per
-Mazzarino, e nella speranza di rivederla aveva chiesto un pettine di
-piombo, che gli era stato concesso.
-
-Il Beaufort aveva domandato il pettine di piombo, perchè alla guisa
-di tutti i biondi egli era di pelo un po’ rossiccio, e pettinandoselo
-veniva a tingerlo più cupo.
-
-Grimaud capitato colà adocchiò il suddetto pettine posato dal principe
-sul tavolino, e lo prese facendo una riverenza.
-
-Il duca guardò attonito quella figura singolare.
-
-La figura si mise in tasca il pettine.
-
-«Ehi! olà! che roba è questa? gridò il duca, e chi è quel birbante?»
-
-Grimaud non fiatò, ma fe’ un altro saluto.
-
-«Sei tu mutolo?» esclamò il duca.
-
-L’altro ammiccò di no.
-
-«Dunque, chi sei? rispondi, te lo comando! disse il Beaufort.
-
-«Guardiano, pronunziò Grimaud.
-
-«Guardiano? strillò il principe, oh bene! non mancava altro alla mia
-raccolta che questo muso da forca!... Ehi! la Ramée! qua, qua gente!»
-
-Venne la Ramée. Disgraziatamente pel duca, questo fidandosi di Grimaud
-stava in procinto di trasferirsi a Parigi; era già nel cortile, e tornò
-su malcontento.
-
-«Che v’è egli, mio principe? domandò.
-
-«Che mascalzone è quello che mi piglia il pettine e se lo mette nella
-sua saccoccia sporca?
-
-«È una delle vostre guardie, monsignore, un giovane pien di merito, e
-che, ne sono certo, apprezzerete come facciamo il signor di Chavigny ed
-io.
-
-«Perchè mi prende il pettine?
-
-«Ma davvero, poi, disse la Ramée, perchè prendete il pettine di
-monsignore?»
-
-Grimaud si cavò di tasca il pettine, ci passò sopra il dito, e
-guardando, e mostrando la zanna si limitò a profferire questa parola:
-
-«Pungente.
-
-«È vero! fece la Ramée.
-
-«Che dice quella bestia? chiese il duca.
-
-«Monsignore, dice che dal re vi è proibito qualunque arnese pungente.
-
-«Ah! ribattè Beaufort, siete forse impazzito, la Ramée? se me lo deste
-voi stesso!
-
-«E feci male, perchè nel darvelo, Altezza, contravvenni agli ordini».
-
-Il principe guatò con collera Grimaud, che aveva restituito a la Ramée
-l’oggetto della questione, e borbottò:
-
-«Prevedo che quel furfante mi darà noja assai!»
-
-Infatti, in carcere non v’hanno sentimenti intermedj: uomini e cose,
-tutto vi è amico o nemico; s’ama e si odia qualche volta con ragione,
-ma più ancora per istinto. Ora, pel motivo semplicissimo che alla prima
-occhiata Grimaud era piaciuto a Chavigny e la Ramée, per questo, i suoi
-pregi di faccia al governatore ed al birro diventando difetti in faccia
-al prigioniero, ei dovea subito spiacere a Beaufort.
-
-Bensì Grimaud non volle tosto al primo giorno romperla col detenuto:
-egli aveva bisogno non di una repugnanza repentina, ma di un odio bello
-e buono e tenace. Per lo che si ritirò, cedendo il posto a quattro
-custodi, i quali avendo fatto colazione potevano riassumere il loro
-servizio appresso al principe.
-
-Il signor di Beaufort dal canto suo aveva da preparare una burla di
-cui faceva gran caso: aveva chiesto dei gamberi per la colazione
-dell’indomani, e divisava di occuparsi tutta la giornata a metter
-su una piccola forca, onde appiccare il più bello di tutti in mezzo
-alla stanza. Il color rosso che doveva dargli la cottura aumenterebbe
-l’illusione, e così egli godrebbe della soddisfazione d’impiccare
-Mazzarino in effigie, aspettando che fosse impiccato in realtà, senza
-però che alcuno potesse a lui rimproverare di aver giustiziato altro
-che un gambero.
-
-Lavorò assiduo all’apparecchio dell’esecuzione. In carcere si
-rimbambisce, e il signor di Beaufort era di tal carattere da subire
-più di chiunque questo inconveniente. Andò a passeggiare al solito,
-strappò due o tre ramoscelli destinati ad aver parte nella sua scena
-buffonesca, dopo aver cercato di molto trovò un pezzo di bicchiere
-rotto (del che si mostrò contentissimo), e tornato in camera sfilacciò
-un fazzoletto.
-
-Nessuno di questi atti sfuggì all’attenzione di Grimaud.
-
-La mattina dipoi la forca fu pronta; e per poterla piantare in mezzo
-alla stanza il signor di Beaufort ne affilava una delle punte col suo
-pezzo di vetro.
-
-La Ramée lo guardava con la curiosità di un padre che pensi di scoprire
-tra poco un nuovo balocco da dare a’ suoi figliuoli, ed i quattro
-custodi con quell’aria d’indolenza che formava in allora, come oggi
-pure, il carattere principale della fisonomia del soldato.
-
-Quando entrò Grimaud, il duca aveva posato il pezzo di bicchiere;
-sebbene non avesse ancora terminato di assottigliare il piede del
-patibolo, aveva sospesa l’operazione per legare il refe alla punta
-opposta.
-
-Il principe diede a Grimaud un’occhiata che manifestava qualche resto
-del mal umore della sera precedente, ma siccome gioiva anticipatamente
-del risultato che avrebbe la sua invenzione, così non gli badò più
-altrimenti.
-
-Se non che quando ebbe finito di fare un nodo fisso ad una cima del
-filo ed all’altra un nodo scorridojo, quando ebbe dato uno sguardo
-al piatto di gamberi e scelto il più maestoso, si girò per andare a
-pigliare l’avanzo di bicchiere, e questo era sparito.
-
-«Chi mi ha preso il vetro?» domandò il duca aggrottando le ciglia.
-
-Grimaud ammiccò esser egli stesso.
-
-«Come! tu? e perchè?
-
-«Ma davvero, chiese la Ramée, perchè avete preso il vetro di Sua
-Altezza?»
-
-Grimaud che aveva in mano il nuovo oggetto di contesa ci passò sopra il
-dito, e disse:
-
-«Tagliente.
-
-«È giusto, monsignore! fece la Ramée, capperi! che prezioso custode
-abbiamo acquistato!
-
-«Signor Grimaud, disse Beaufort, per vostro bene vi scongiuro a badare
-di non trovarvi mai a portata della mia mano».
-
-Grimaud fece una riverenza e si ritirò in fondo alla camera.
-
-«Zitto, zitto, monsignore! seguitò la Ramée, datemi codesto palo, e ve
-lo affilerò col mio coltello.
-
-«Voi? domandò il duca ridendo.
-
-«Io, sì: non era questo che volevate?
-
-«Certo... veh! così sarà più ridicola!... a voi, mio caro la Ramée».
-
-Il birro, che non aveva capita l’esclamazione del principe, assottigliò
-con tutto garbo il piede del palo.
-
-«Bravo! fece il Beaufort, adesso fatemi un buco in terra, intanto ch’io
-vo a prendere il paziente».
-
-L’altro posò un ginocchio al suolo e fece la buca.
-
-Frattanto il duca attaccò il gambero al refe.
-
-Poi fissò il patibolo nel pavimento, dando in uno scroscio di risa.
-
-Rise anche la Ramée, ma senza sapere di che; e le guardie vi si unirono
-in coro.
-
-Grimaud fu il solo che non ridesse. Si avvicinò a la Ramée, e
-additandogli l’animaletto che girava in cima al filo, gli disse:
-
-«Ministro.
-
-«Appiccato da Sua Altezza duca di Beaufort! continuò il principe
-smascellandosi dalle risa, e da messer Jacopo Crisostomo la Ramée birro
-del re».
-
-Il qual birro inorridito cacciò un urlo, si scagliò verso il palo,
-lo levò di terra, e lo ridusse a pezzetti, e questi buttò via dalla
-finestra. Ed altrettanto stava per fare del gambero, mentre era fuori
-di sè, ma Grimaud glielo prese di mano.
-
-«Buono da mangiare», esso disse.
-
-E se lo ripose in saccoccia.
-
-Questa volta il duca si era divertito tanto che quasi perdonò a
-Grimaud la parte da lui fatta. Però, nel corso della giornata riflettè
-all’intenzione avutasi dal guardiano, e questa in fondo gli parve
-pessima, e sentì accrescersi in petto l’odio contro di lui.
-
-Frattanto, con sommo dolore di la Ramée, la storia del gambero fece
-molto strepito nell’interno della torre ed anche fuori. Il signor
-di Chavigny, che in cuore aborriva il ministro, si diè premura di
-confidare l’aneddoto a due o tre amici, che subito lo divulgarono.
-
-E ciò tenne allegro per due o tre giorni il signor di Beaufort.
-
-Il duca aveva osservato fra’ suoi custodi un uomo di buon aspetto, e
-lo accarezzava tanto più quanto ad ogni istante aveva maggior rancore
-contro Grimaud. Una mattina, che aveva preso in disparte quell’uomo, ed
-era riuscito a parlargli qualche tempo da solo a solo, capitò Grimaud,
-esaminò quel che là succedeva, ed accostatosi rispettosamente ai due
-interlocutori pigliò per un braccio il guardiano.
-
-«Che volete?» gli domandò brutalmente il duca.
-
-Grimaud accompagnò il custode quattro passi in là, e gli disse:
-
-«Andate».
-
-Quegli obbedì.
-
-«Oh! esclamò il principe, mi siete insopportabile, vi castigherò».
-
-Grimaud s’inchinò ossequiosamente.
-
-«Vi romperò le ossa!» gridò il principe esacerbato.
-
-Grimaud ossequiosamente s’inchinò.
-
-«Signore spione, continuò il duca, vi strozzerò con le mie mani!»
-
-Grimaud salutò camminando all’indietro.
-
-«E questo, non più tardi di adesso!» soggiunse il signor di Beaufort,
-che pensava esser meglio finirla subito.
-
-E stese i due pugni verso Grimaud.
-
-Grimaud si contentò di spinger fuori il guardiano e chiuder l’uscio.
-
-Al tempo stesso sentì le mani del signor di Beaufort che gli si
-abbassavano sulle spalle come due tanaglie di ferro, ma in vece di
-chiamare o difendersi si limitò a portarsi lentamente l’indice a
-pari altezza delle labbra, ed a profferire a mezza voce sotto un
-graziosissimo sorriso:
-
-«Zitto!»
-
-Erano cose sì rare in Grimaud un gesto, un sorrisetto e una parola,
-che Sua Altezza si fermò in tronco, giunta al massimo grado di
-stupefazione.
-
-Grimaud approfittò del momento per cavarsi dalla fodera della casacca
-un bel bigliettino con sigillo signoresco, a cui la lunga permanenza
-ne’ suoi abiti non aveva fatto perdere del tutto il buon odore, e senza
-pronunziare un accento lo porse al signor duca.
-
-Il quale, vieppiù maravigliato, lasciò libero Grimaud, pigliò il
-biglietto, e riconosciutone il carattere, esclamò:
-
-«Madama di Montbazon!»
-
-Grimaud col capo ammiccò di sì.
-
-Il principe lacerò sollecito la sopraccarta, si passò una mano sugli
-occhi, tant’era il bagliore che provava, e lesse quanto segue:
-
- «Mio caro duca
-
- «Potete fidarvi totalmente al bravo uomo che vi consegnerà il
- presente, essendo egli il domestico di un gentiluomo ch’è tutto
- nostro, e ce lo ha garantito come esperimentato mediante venti anni
- di costante fedeltà. Ha aderito ad entrare al servizio del vostro
- birro e rinchiudersi con voi a Vincennes, onde disporre e secondare
- la vostra fuga, della quale noi ci andiamo occupando.
-
- «Si avvicina il momento della liberazione. Abbiate pazienza
- e coraggio, pensando che non ostante il tempo e la lontananza
- tutti gli amici vostri vi serbano ancora i sentimenti che per voi
- nudrivano.
-
- Vostra affezionatissima
-
- MARIA DE MONTBAZON.
-
- P. S. Firmo per intiero, giacchè sarebbe troppa vanità il supporre
- che dopo cinque anni di assenza riconosceste le mie iniziali».
-
-Per un poco il duca restò sbalordito. Quel che cercava da un
-quinquennio senza aver mai potuto trovarlo, cioè un servo, un ajuto,
-un amico, gli cadeva giù dal cielo in un botto allorchè meno se lo
-aspettava. Guardò Grimaud con istupore, e tornò a leggere da cima a
-fondo la lettera.
-
-«Oh cara Maria!» balbettò dopo ch’ebbe finito, «dunque era dessa che
-avevo veduta in carrozza! come! pensa ancora a me dopo cinque anni di
-separazione! Questa, cospetto! è una costanza che non si vede se non
-nell’_Astrea_!»
-
-Indi volgendosi a Grimaud:
-
-«E tu, brav’uomo, gli domandò, acconsenti ad ajutarci?»
-
-Quegli fe’ segno di sì.
-
-«E venisti qui espressamente per questo?»
-
-Ripetuto il medesimo cenno.
-
-«Ed io che ti voleva strozzare!» esclamò il signor di Beaufort.
-
-Grimaud sogghignava.
-
-«Ma aspetta!» disse il principe.
-
-E si frugò nel taschino.
-
-«Aspetta! continuò, e rinnuovava la prova riuscita inutile la prima
-volta, non sarà detto che rimanga non premiato tanto zelo per un nepote
-di Enrico IV!».
-
-I movimenti del duca di Beaufort indicavano le migliori intenzioni del
-mondo, ma una delle precauzioni prese a Vincennes erasi quella di non
-lasciargli danari.
-
-Per lo che Grimaud ch’ebbe visto il rincrescimento del duca, si levò
-dalla saccoccia una borsa piena d’oro e la presentò a lui.
-
-«Ecco, disse, quel che voi cercate».
-
-Beaufort aprì la borsa per vuotarla nelle mani di Grimaud, ma questi
-scosse la testa e indietreggiando un poco, disse:
-
-«Grazie, monsignore, sono pagato».
-
-Passava il duca da una ad altra sorpresa. Porse la mano a Grimaud,
-costui gliela baciò rispettosamente. Grimaud aveva preso alquanto delle
-maniere alla grande di Athos.
-
-«E adesso, domandò di Beaufort, che faremo?
-
-«Monsignore, sono le undici antimeridiane; alle due chiedete di fare
-una partita alla palla con la Ramée e mandate due o tre palle per
-disopra ai bastioni.
-
-«Ebbene? e poi?
-
-«E poi, vi aggrapperete al muro, e griderete a un uomo che lavora nei
-fossi di rimandarvele.
-
-«Capisco», rispose il principe.
-
-Apparve somma soddisfazione in viso a Grimaud; il poco uso ch’ei faceva
-della favella gli rendeva difficile il conversare.
-
-Egli fece un atto come per andarsene.
-
-«Ma, seguitò il duca, non vuoi accettar nulla?
-
-«Vorrei che Vostra Altezza mi facesse una promessa.
-
-«E quale? di’ pure.
-
-«Che quando scapperemo, io passi sempre e dappertutto il primo; giacchè
-se ripigliano Vostra Altezza, il maggior rischio per lei è di esser
-rimessa nella sua prigione, mentre a me, se mi acchiappano, il meno che
-possa succedere è di essere impiccato.
-
-«È giusto, replicò il duca, e da gentiluomo sarà fatto come tu richiedi.
-
-«Ora, proseguì Grimaud, non ho da domandarvi più altro che una cosa,
-monsignore, ed è di farmi l’onore di aborrirmi quanto prima.
-
-«Procurerò», disse il duca.
-
-Fu bussato.
-
-Il principe si mise in tasca biglietto e borsa, e si gettò sul letto.
-Si sapeva esser quello il suo compenso nei momenti di noja. Grimaud
-andò ad aprire. Era la Ramée che veniva dalle stanze del ministro
-dov’era accaduta la scena già da noi narrata.
-
-La Ramée diede intorno uno sguardo indagatore, e veduti sempre i
-medesimi sintomi di antipatia fra il prigioniero e il custode sorrise
-d’interna soddisfazione.
-
-E poi disse a Grimaud:
-
-«Bene, mio caro, benone. È stato parlato di voi dianzi in buon luogo, e
-spero che abbiate presto delle notizie che non vi spiaceranno».
-
-Grimaud salutò in un modo che cercò di rendere grazioso, e si ritirò
-conforme soleva quando giungeva il suo superiore.
-
-«Ebbene, monsignore! disse la Ramée con la sua risata grossolana, fate
-sempre muso al povero giovanotto?
-
-«Ah! siete voi, la Ramée? rispose il duca, affè gli era tempo che
-veniste. Mi ero buttato sul letto, ed avevo voltato il viso verso
-il muro per non cedere alla tentazione di mantener la promessa con
-istrangolare quello scellerato di Grimaud.
-
-«Dubito però assai, ribattè il birro, spiritosamente alludendo alla
-mutolezza del suo subalterno, che abbia dette a Vostra Altezza cose
-spiacevoli.
-
-«Lo credo, per Diana! un mutolo d’Oriente! vi giuro ch’era tempo che
-veniste, ed avevo premura di rivedervi.
-
-«Troppa bontà, monsignore, seguitò la Ramée sensibile al complimento.
-
-«Sì, in coscienza, continuò il principe, oggi mi sento sì poco agile
-che non vi divertireste a guardarmi.
-
-«Dunque faremo una partita alla palla, propose macchinalmente la Ramée.
-
-«Se non v’incresce.
-
-«Sono ai comandi di Vostra Altezza.
-
-«Gli è, caro mio, che siete molto garbato, e vorrei rimanere
-eternamente a Vincennes per avere la soddisfazione di passare la mia
-vita con voi.
-
-«Monsignore, io credo che non sarà colpa del ministro se non si
-compiono le vostre brame.
-
-«Come, come? lo avete visto da poco in qua?
-
-«Mi ha mandato a chiamare stamane.
-
-«Davvero! per parlarvi di me?
-
-«E di chi volete che mi parli? se siete propriamente il suo tormento,
-il suo incubo, monsignore!»
-
-Il duca sogghignò amaramente.
-
-«Ah! disse, se accettaste le mie offerte!
-
-«Eh via! Altezza, si torna a discorrere di questo? ma ecco, non siete
-ragionevole!
-
-«La Ramée, vi ho detto e vi ripeto, che farei la vostra fortuna.
-
-«E con che cosa? appena usciate di carcere saranno confiscati i vostri
-beni.
-
-«Appena io esca di carcere sarò padrone di Parigi.
-
-«Zitto là! zitto! posso sentire cose simili, io? Bella conversazione da
-tenersi a un ufficiale regio! Comprendo, monsignore, che mi toccherà a
-cercare un secondo Grimaud!
-
-«Animo, non ne parliamo più. Sicchè, fra te e il ministro si è tenuto
-proposito di me? La Ramée, un giorno ch’ei ti mandi a chiamare,
-dovresti indossare le mie vesti, io andrei in vece tua, lo strozzerei,
-e da gentiluomo! se tu esigessi questo patto, tornerei in prigione.
-
-«Monsignore, mi accorgo che mi toccherà far venir qui Grimaud!
-
-«Orsù, ho torto.... E che ti ha detto l’assassino?
-
-«Monsignore, vi meno buona questa parola perchè fa rima con
-Mazzarino.... Che mi ha detto? di sorvegliarvi.
-
-«E perchè sorvegliarmi? richiese inquieto il duca.
-
-«Perchè un astrologo ha prognosticato che scappereste.
-
-«Ah! un astrologo lo ha prognosticato! ripetè Beaufort quasi tremando.
-
-«Eh sì, Dio buono! in parola d’onore, non sanno che diamine ideare per
-tormentare le genti come quegl’imbecilli di stregoni.
-
-«E che hai risposto all’illustrissimo?
-
-«Che se l’astrologo faceva del lunarj, lo consigliavo a non comprarli.
-
-«Perchè?
-
-«Perchè, per fuggire bisognava diventare un fringuello o uno scricciolo.
-
-«E hai ragione pur troppo!... Andiamo a giuocare alla palla, la Ramée.
-
-«Domando scusa a Vostra Altezza, ma occorre che mi conceda una mezz’ora.
-
-«E perchè?
-
-«Perchè il signor Mazzarino ha più superbia di voi, quantunque non sia
-di nascita tanto buona, e si è scordato d’invitarmi a colazione.
-
-«Or bene, vuoi ch’io ti faccia portar da mangiare qui?
-
-«No, no; avete da sapere che il pasticciere che stava dirimpetto al
-castello, e si chiamava maestro Marteau....
-
-«Ebbene?
-
-«Otto giorni sono vendè il suo negozio a un pasticciere di Parigi, al
-quale pare che i medici abbiano ordinata l’aria di campagna.
-
-«E che m’importa?
-
-«Un momento! talchè questo maledetto pasticciere ha davanti alla
-bottega un mucchio di robe che fanno venire l’acquolina alla bocca.
-
-«Ghiottone!
-
-«Eh! non siamo mica ghiottoni, rispose la Ramée, perchè si ha caro
-di mangiar bene. Sta nella natura dell’uomo di cercare la perfezione
-tanto nelle sfogliate come nelle altre cose. Ora quel manigoldo,
-quando mi ha visto fermare dinanzi la sua mostra, mi è venuto incontro
-con la lingua tutta infarinata, dicendo: — Signor la Ramée, mi avete
-da procurare per avventori i prigionieri della torre; ho comprato lo
-stabilimento dal mio predecessore, perchè mi assicurava che provvedeva
-il castello, eppure, sul mio onore, da otto giorni che son qua,
-il signor di Chavigny non ha fatto prendere da me un biscottino. —
-Ma, gli ho risposto, forse il signor di Chavigny avrà paura che le
-vostre paste non siano buone. — Che non sian buone! ecco, signor la
-Ramée, voglio farvene giudice, e ora subito. — Non posso, devo andare
-assolutamente alla torre. — Andate pei fatti vostri, giacchè avete
-premura, ma tornerete fra mezz’ora. — Fra mezz’ora? — Sì: avete fatto
-colazione? — No davvero. — Dunque, ecco un pasticcio che vi aspetterà,
-con una bottiglia di Borgogna vecchio.... — Sicchè, monsignore, capite
-ch’essendo a digiuno, bramerei con licenza di Vostra Altezza....»
-
-E la Ramée fece un inchino.
-
-«Va pure, imbecille! disse il duca, ma bada che ti do una sola mezz’ora.
-
-«Posso promettere al Marteau che sarete suo avventore?
-
-«Sì, purchè non cacci de’ funghi nei pasticci: tu sai che i funghi del
-bosco di Vincennes sono micidiali alla nostra famiglia».
-
-La Ramée uscì senza por mente all’allusione, e dopo cinque minuti
-l’ufficiale di guardia entrò col pretesto di far onore al principe
-tenendogli compagnia, ma in realtà per eseguire gli ordini del
-ministro, il quale conforme ci è noto, raccomandava di non perdere di
-vista il prigioniero.
-
-Ma il duca, nei cinque minuti ch’era stato solo, aveva avuto agio di
-rileggere il biglietto di madama di Montbazon, da cui gli rimaneva
-provato che gli amici non lo dimenticavano ed anzi si occupavano
-della sua liberazione; egli ignorava con qual modo, ma si proponeva di
-finire con far parlare Grimaud, in cui aveva tanto maggior fiducia, in
-quanto che ormai comprendeva tutta la sua condotta, e capiva non aver
-esso inventate le sue piccole persecuzioni contro di lui, se non per
-togliere a’ guardiani ogni sospetto d’intelligenza seco.
-
-Tale astuzia diede al signor di Beaufort una ottima idea del giudizio
-di Grimaud, ed egli risolse di fidarsene interamente.
-
-
-
-
-XXI.
-
-_Ciò che contenevasi ne’ pasticci del successore di maestro Marteau._
-
-
-Mezz’ora dopo tornò la Ramée, svelto ed allegro come uno che abbia
-mangiato bene, e specialmente ben bevuto. Aveva trovato il pasticcio
-stupendo: e il vino delizioso.
-
-Era bel tempo e da permettere la partita progettata. Il giuoco di
-palla di Vincennes era situato all’aria aperta, talchè al duca rimaneva
-facilissimo di eseguire quel che gli aveva raccomandato Grimaud, cioè
-di mandare le palle nei fossi.
-
-Bensì fin che non furono le due il signor di Beaufort non cadde in
-questa svista, perchè quella era l’ora prefissa. E non ostante perdè
-sempre, e così gli fu dato d’incollerirsi, e fare, secondo succede in
-casi simili, uno sbaglio sull’altro.
-
-Al tocco delle due le palle cominciarono a pigliar la via dei fossi,
-con grande soddisfazione di la Ramée, il quale segnava un quindici ad
-ogni fallo che faceva il principe.
-
-Ed i falli furono tanti che presto mancarono le pillotte. La Ramée
-propose d’inviare qualcuno a ripescarle. Il duca giudiziosamente fece
-osservare che sarebbe tempo perduto, ed avvicinatosi al muro del
-bastione, che in quel punto, siccome diceva il birro, era alto per
-lo meno cinquanta piedi; vide un uomo che lavorava in uno dei molti
-giardinetti coltivati dai contadini sul di dietro del fossone.
-
-«Ehi, galantuomo!» disse il duca.
-
-Quegli alzò il capo, ed il principe ebbe a dare un urlo dalla sorpresa.
-L’uomo, il contadino, il giardiniere, era Rochefort, che il principe
-credeva alla Bastiglia.
-
-«Eh! che c’è egli costassù? domandò Rochefort.
-
-«Favorite rigettarci le nostre palle».
-
-Il coltivatore fe’ un cenno con la testa e si mise a buttar le
-pillotte. La Ramée e le guardie le coglievano da terra. Una ne cadde
-ai piedi del duca. Esso che capì essere a lui destinata, se la pose in
-saccoccia.
-
-E fatto un segno di ringraziamento al contadino, ritornò alla partita.
-
-Ma il duca era assolutamente in una giornataccia, continuava a far
-falli anzichè mantenersi nei limiti; due o tre palle balzarono di
-nuovo giù, e rimasero perdute dacchè non v’era più il giardiniere che
-lo rinviasse. Poi il signor di Beaufort dichiarò che aveva persino
-vergogna del suo poco garbo e non voleva seguitare.
-
-La Ramée era contentissimo di aver battuto così un principe del sangue.
-
-Questi se n’andò in camera e si pose a letto. Vi stava quasi tutte le
-giornate intere dacchè gli si erano tolti i libri.
-
-La Ramée prese i panni di Sua Altezza, col pretesto che erano carichi
-di polvere e li farebbe spazzolare, ma in realtà per esser certo che
-Sua Altezza non si movesse. Era un uomo cauto la Ramée!
-
-Per buona sorte il signor di Beaufort aveva avuto tempo di rimpiattare
-la palla sotto il capezzale.
-
-Ne strappò coi denti l’invoglia, perocchè non gli lasciavano alcun
-arnese tagliente: mangiava coi coltelli a lama d’argento flessibili, e
-che non tagliavano.
-
-Sotto l’invoglia trovò una lettera ove erano scritte le seguenti parole:
-
- «Monsignore
-
- «I vostri amici invigilano, e si appressa l’ora della vostra
- liberazione. Domani l’altro chiedete di mangiare un pasticcio fatto
- dal nuovo pasticciere che ha acquistato il negozio dell’antico, e
- che è Noirmont in persona, il vostro maestro di casa; non lo aprite
- se non quando siete solo, e spero che sarete contento di ciò che vi
- è dentro.
-
- «Servitore sempre devoto di Vostra Altezza alla Bastiglia come
- altrove.
-
- «Conte di Rochefort».
-
- PS. ««Vostra Altezza può fidarsi in tutto e per tutto di Grimaud; è
- pieno di intendimento, ed è tutto nostro».
-
-Il duca di Beaufort, a cui era stato restituito il fuoco dacchè egli
-aveva rinunziato alla pittura, abbruciò la lettera conforme avea fatto
-con maggior rincrescimento di quella della Montbazon, e si disponeva ad
-abbruciare ancor la pillotta; ma riflettè che questa potrebbe essergli
-utilissima, per far pervenire a Rochefort la sua risposta.
-
-Egli era ben custodito, giacchè al movimento ch’ei fece capitò
-immediatamente la Ramée.
-
-«Monsignore, domandò questi, vi occorre qualche cosa?
-
-«Avevo freddo, rispose il duca, ed attizzavo la fiamma per aver un
-po’ di caldo. Sapete pure che le stanze della torre di Vincennes
-sono rinomate assai per la freschezza. Vi si potrebbe conservare
-il ghiaccio, e vi si fa raccolta di salnitro. Quelle dove morirono
-Puylaurens, il maresciallo d’Ornano e il gran priore mio zio, valevano
-per codesto verso, secondo diceva madama di Rambouillet, tanto arsenico
-quanto pesavano».
-
-Il signor di Beaufort tornò a coricarsi. La Ramée sorrise un
-pocolino. In fondo era un buon uomo, che aveva preso grande affetto al
-prigioniero e si sarebbe disperato se gli fosse avvenuta una disgrazia.
-E le disgrazie avvenute ai tre soggetti menzionati dal principe non
-ammettevano contrasto.
-
-«Monsignore, ei rispose, non v’avete da abbandonare a queste idee; son
-queste che ammazzano, e non il salnitro.
-
-«Eh mio caro! siete curioso! soggiunse il principe, se potessi come
-voi andare a mangiare i pasticcini e bere la Borgogna dal successore di
-Marteau, mi distrarrei.
-
-«Fatto si è, replicò la Ramée, che la roba di quel negozio è ottima.
-
-«In ogni caso, seguitò il duca, non ci vuol molto perchè la sua cucina
-e la sua cantina siano da meglio di quelle del signor di Chavigny.
-
-«Eh! monsignore, fece l’altro, cadendo nel laccio, chi vi impedisce di
-assaggiarle? e poi, gli ho promesso di farvi essere suo ricorrente.
-
-«Hai ragione: se debbo restar qui in perpetuo, conforme ha avuto la
-bontà di far intendere messer Mazzarino, bisogna ch’io mi crei una
-distrazione per la vecchiaja, conviene che mi faccia ghiottone.
-
-«Date retta a un buon consiglio: per questo, non aspettate ad esser
-vecchio.
-
-«Bene! borbottò da sè il signor di Beaufort, qualunque uomo, per poco
-che attentamente si consideri, sembra, Dio mi perdoni, avere a compagno
-uno dei sette peccati capitali, se non ne ha due, e par che quello di
-messer la Ramée sia la gola. Ne profitteremo».
-
-Indi continuò:
-
-«Ebbene, caro la Ramée, domani l’altro è festa.
-
-«Sì, Altezza, è Pentecoste.
-
-«Volete in quel giorno darmi una lezione?
-
-«Di che?
-
-«Di ghiottoneria.
-
-«Volentieri.
-
-«Ma lezione da solo a solo. Manderemo a desinare le guardie alla cucina
-del signor di Chavigny, e noi faremo qui una colazione di cui lascio la
-direzione a voi.
-
-«Uhm!» mugolò la Ramée.
-
-L’offerta era seducente; ma il nostro birro, per quanto avesse potuto
-pensar di lui svantaggiosamente il ministro, era un volpone che
-conosceva tutte le reti che può tendere un prigioniero: il signor di
-Beaufort, per quel che diceva, aveva preparati quaranta mezzi di uscir
-di carcere: quella colazione non celava qualche agguato?
-
-Riflettè un momento; il resultato fu però che ordinerebbe egli stesso
-le vivande e il vino, ed in conseguenza a quelle nessuna polvere ed
-a questo nessun liquore sarebbe mescolato. Di ubbriacarlo poi il duca
-non poteva aver l’intenzione; anzi ei si mise a ridere all’immaginarlo:
-dopo di che gli venne un’idea atta a conciliar tutto.
-
-Il signor di Beaufort aveva osservato il monologo interno di la Ramée
-con inquietudine, a misura che questa appariva anco dalla di lui
-fisonomia. Alla fine si rasserenò il viso del birro.
-
-«Ebbene? domandò il principe, sta egli così?
-
-«Sì, monsignore, con un patto.
-
-«Cioè?
-
-«Che Grimaud ci serva a tavola».
-
-Non v’era cosa che meglio accomodasse al duca. Eppure ebbe tal capacità
-da assumere nel volto una grossa tinta di mal umore.
-
-«Eh! al diavolo il vostro Grimaud! esclamò, mi guasterà la festa.
-
-«Gli comanderò di starsene dietro a Vostra Altezza, e siccome ei non
-fiata nemmeno, Vostra Altezza non lo vedrà e non lo udrà, e, volendo,
-potrà figurarsi che sia lontano da lei le mille miglia.
-
-«Caro mio, ribattè il principe, sapete che ci veggo chiaro, in tutto
-questo? che non vi fidate di me.
-
-«Monsignore, doman l’altra è Pentecoste?
-
-«E che m’importa della Pentecoste? ha da succedere un miracolo per
-ispalancarmi le porte della carcere?
-
-«No, ma vi ho raccontato ciò che aveva predetto il maledetto stregone.
-
-«E che mai?
-
-«Che non passerebbe il giorno di Pentecoste senza che Vostra Altezza
-fosse fuori di prigione.
-
-«Stupido! e credi agli stregoni?
-
-«Io, me ne curo tanto come di questo! disse la Ramée, e fece schioccare
-insieme le dita, ma il signor Giulio se ne cura, e in qualità
-d’Italiano è superstizioso».
-
-Il duca si strinse nelle spalle.
-
-«Or via, rispose, fingendo la massima bonarietà, accetto Grimaud,
-perchè se no non si finirebbe più, ma non voglio altri che lui; voi
-v’incaricherete di tutto, voi disporrete il pasto a vostro talento.
-L’unico piatto che chiedo io si è uno dei pasticci de’ quali mi avete
-parlato. L’ordinerete per me, acciocchè il successore di maestro
-Marteau faccia portenti, e gli prometterete che mi avrà per avventore,
-non solo in tutto il tempo che ho da star in prigione, ma anche dal
-momento che ne sarò uscito.
-
-«Dunque credete sempre di uscirne?
-
-«Diamine! quando non fosse che alla morte del Mazzarino. Io ho quindici
-anni meno di lui.... È vero (aggiunse il principe sogghignando) che a
-Vincennes la vita va sollecita.
-
-«Monsignore! monsignore!
-
-«O sia che vi si muore più presto.... lo che in sostanza è lo stesso.
-
-«Altezza, vado a ordinare la colazione.
-
-«E vi pensate di fare qualche cosa del vostro discepolo?
-
-«Spererei.
-
-«Se vi dà tempo! borbottò di Beaufort.
-
-«Che dice Vostra Altezza?
-
-«La mia Altezza dice che non facciate risparmio con la borsa del signor
-ministro, il quale si è compiaciuto incaricarsi della nostra pensione».
-
-La Ramée si fermò sulla porta.
-
-«Monsignore, chi volete ch’io vi mandi?
-
-«Chi vi pare, eccetto Grimaud.
-
-«Dunque l’ufficiale delle guardie.
-
-«Col suo giuoco di scacchi.
-
-«Sì».
-
-La Ramée se n’andò.
-
-Indi a cinque minuti entrava l’uffiziale, e il duca sembrava assorto
-profondamente nei calcoli sublimi dello scaccomatto.
-
-È cosa pur singolare il pensiero, e i cambiamenti che vi recano un
-cenno, una parola, una speranza! Da cinque anni il principe era in
-prigione, ed uno sguardo datosi all’indietro gli faceva parere quegli
-anni tanti, passati però ben lungamente, più brevi che i due giorni,
-le quarantott’ore, che ancor lo separavano dall’istante prefisso alla
-fuga.
-
-Ed inoltre, quel che terribilmente l’occupava, era il modo onde si
-effettuerebbe la fuga. Gli si era data lusinga del resultato, ma
-celati i dettagli di quanto contener doveva il pasticcio misterioso.
-Quali amici lo attendevano? dopo un quinquennio di carcerazione
-aveva tuttavia degli amici? In tal caso era un principe veramente
-privilegiato.
-
-Egli obliava che fra’ suoi amici (e codesto era anco più straordinario)
-una donna si era di lui ricordata. È vero che essa forse non gli era
-stata molto fedele, ma non lo aveva dimenticato, lo che era digià
-molto.
-
-In tutto ciò esisteva materia più del bisogno a far riflettere il duca;
-e quindi accadde agli scacchi come alla palla, il signor di Beaufort
-fece uno sbaglio sull’altro, e l’ufficiale lo battè la sera conforme la
-mattina lo avea battuto la Ramée.
-
-Però, le continue sconfitte aveano avuto il vantaggio di condurre il
-principe sino alle otto ore; erano tre ore acquistate, poi verrebbe la
-notte, e con essa il sonno.
-
-Così almeno ei s’immaginava. Ma il sonno è una divinità assai
-capricciosa, ed appunto allorchè uno la invoca si fa aspettare. Il duca
-l’aspettò sino a mezzanotte voltandosi di qua e di là sulle materasse.
-Alla fine si addormentò.
-
-Ma a giorno si destò. Si era fatti dei sogni stravaganti: gli erano
-cresciute le ali; allora naturalmente avea tentato involarsi; sul
-principio le ali lo sostenevano benone; arrivato bensì ad una certa
-altezza, quel singolare appoggio gli era mancato, si rompevano i vanni,
-ed a lui sembrava di ruzzolare in un abisso senza fondo. E così si
-destava con la fronte bagnata di sudore, e tutto tronco quasi avesse
-fatta realmente una caduta aerea.
-
-Si riaddormentava per andar nuovamente errando in un labirinto di
-sogni uno più stolto dell’altro. Appena aveva chiusi gli occhi, la sua
-mente, intenta ad una sola meta, alla fuga, ricominciava a tentare la
-fuga. E allora era tutt’altro: si trovava un passaggio sotterraneo che
-doveva condurlo fuori di Vincennes; egli vi s’inoltrava, e Grimaud
-camminava innanzi a lui con una lanterna in mano; a poco a poco
-il passo diventava più stretto, eppure il duca continuava a andare
-avanti; poi il sotterraneo si faceva sì angusto ch’ei procurava invano
-d’ire più oltre; le muraglie si ristringevano, si assestavano una
-all’altra, egli faceva sforzi tremendi per proseguire, e non poteva....
-E frattanto vedeva da lontano Grimaud colla lanterna che badava a
-camminare; voleva chiamarlo acciò lo ajutasse a togliersi da quel
-luogo ove si sentiva soffocare, e nemmeno gli riusciva di proferire
-un accento. Ed ecco all’estremità opposta a quella da cui era venuto,
-udiva correre quei che lo inseguivano, essi si avvicinavano, egli era
-scoperto, non gli rimaneva più speranza di scampo. Pareva che il muro
-fosse d’accordo coi suoi nemici, e lo incalzasse quanto più d’uopo egli
-aveva di scappare.... Indi udiva la voce di la Ramée.... lo vedeva in
-persona. La Ramée stendeva la mano, e questa mano gliela posava sulla
-spalla dando uno scroscio di risa.... Ed egli era ripreso, e menato
-nella stanza bassa ed a vôlta dov’erano morti il maresciallo Ornano,
-Puylaurens e suo zio. Stavano là le loro tre tombe, là sul terreno, ed
-era aperta una quarta fossa che attendeva un cadavere.
-
-Sicchè il duca, quando si svegliò, fece tanti sforzi per mantenersi
-desto quanti ne aveva fatti per addormentarsi, e la Ramée,
-nell’entrare, lo trovò sì pallido e affaticato che gli domandò se era
-ammalato.
-
-«Difatti, disse uno dei guardiani, il quale era rimasto in camera
-e non avea potuto riposare a motivo di un mal di denti prodottogli
-dall’umidità. Sua Altezza ha avuto una nottata agitatissima, e due o
-tre volte sognando ha chiamato ajuto.
-
-«Che cos’ha Vostra Altezza? chiese la Ramée.
-
-«Eh scimunito! sei tu, che con le tue cianciafruscole di fuga, jeri
-mi rompesti il capo, e sei causa ch’io abbia sognato che scappavo, e
-scappando mi rompevo il collo».
-
-La Ramée rise come un matto.
-
-«Vedete, monsignore, rispose, questo è un avvertimento del cielo;
-sicchè spero che non commetterete mai simili imprudenze altro che in
-sogno.
-
-«E avete ragione, mio caro, disse il duca asciugandosi il sudore che
-tuttavia gli colava dalla fronte, non voglio più pensare che a mangiare
-e bere....
-
-«Zitto!» fece la Ramée.
-
-Ed allontanò uno ad uno i guardiani con frivoli pretesti.
-
-«Ebbene? domandò il principe quando furono soli.
-
-«È ordinato il pasto.
-
-«Ah! e di che si compone? sentiamo, mio signor maggiordomo.
-
-«Monsignore, avete promesso di rapportarvi a me.
-
-«E vi sarà il pasticcio?
-
-«Lo credo! e grosso come una torre.
-
-«Fatto dal successore di mastro Marteau?
-
-«Per l’appunto.
-
-«Gli hai detto ch’è per me?
-
-«Glie l’ho detto.
-
-«E ha risposto?....
-
-«Che farà meglio che potrà per contentare Vostra Altezza.
-
-«Alla buon’ora! esclamò il duca stropicciandosi le mani.
-
-«Corbezzole! seguitò la Ramée, come vi principiate a far ghiotto,
-monsignore! non vi ho mai veduto in viso tanto allegro da cinque anni
-in qua».
-
-Il principe comprese non aver saputo frenarsi abbastanza. Ma, nel
-momento, come se egli avesse ascoltato alla porta e conosciuta urgente
-una distrazione alle idee di la Ramée, capitò Grimaud ed accennò a
-quest’ultimo che avea da dirgli qualcosa.
-
-La Ramée si accostò a Grimaud, il quale gli parlò pian piano.
-
-Intanto il signor di Beaufort si rimise a sesto.
-
-«Ho già proibito a costui, egli disse, di presentarsi qui senza mia
-licenza!
-
-«Altezza, convien perdonarglielo, giacchè son’io che l’ho fatto
-chiamare.
-
-«E perchè, mentre sapete che mi spiace?
-
-«Rammentatevi, monsignore, quel che si è fissato, che deve servirci al
-famoso pasto; Vostra Altezza si è scordata del pasto?
-
-«No, ma mi ero scordato di Grimaud.
-
-«Sapete pure, monsignore, che senza di lui non si va a tavola.
-
-«Ebbene, fate a modo vostro.
-
-«Avvicinatevi, giovanotto, disse la Ramée, e state a sentire quel che
-vi dico».
-
-Grimaud si appressò con la cera più burbera che potesse.
-
-L’altro continuò:
-
-«Monsignore mi fa l’onore d’invitarmi a cena per domani da solo a solo».
-
-Grimaud fece un atto che significava non capire egli in che lo
-risguardasse una tal cosa.
-
-«Sicuro, sicuro; anzi vi riguarda, poichè avrete l’onore di servirci,
-senza contare che per quanto abbiamo buon appetito e gran sete, resterà
-un po’ di roba in fondo ai piatti e alle bottiglie, e quella sarà per
-voi».
-
-Grimaud s’inchinò in segno di ringraziamento.
-
-«E adesso, monsignore, proseguì la Ramée, chiedo licenza a Vostra
-Altezza: pare che il signor di Chavigny debba assentarsi per alcuni
-giorni, e avanti di partire mi avvisa che ha da darmi degli ordini».
-
-Il duca procurò di ricambiare uno sguardo con Grimaud, ma l’occhio di
-questo era senza sguardo.
-
-«Andate, rispose il principe al birro; e tornate al più presto.
-
-«Monsignore, volete forse la rivincita della partita di jeri alla
-palla?»
-
-Grimaud fece col capo un cenno impercettibile di su a giù.
-
-«Sì; replicò il signor di Beaufort, ma badate, la Ramée, non tutte le
-giornate sono eguali, ed oggi io son deciso di battervi ben bene».
-
-La Ramée uscì. Grimaud lo seguì cogli occhi senza che il rimanente del
-suo corpo scartasse di una linea. Quando vide chiusa la porta si levò
-sollecito di tasca un lapis e un pezzo di carta, e disse:
-
-«Monsignore, scrivete.
-
-«E che ho da scrivere?»
-
-Grimaud fece un segno col dito, e poi dettò:
-
- «Tutto è pronto per domani sera; state in guardia dalle sette alle
- nove ore; abbiate allestiti due cavalli; scenderemo dalla prima
- finestra della galleria».
-
-«E poi? domandò il duca.
-
-«E poi? riprese Grimaud attonito, firmate.
-
-«Niente altro?
-
-«E che volete di più, Altezza?» ribattè Grimaud partigiano del più
-rigido laconismo.
-
-Il principe firmò.
-
-«Adesso, soggiunse l’altro, monsignore, avete perduta la palla?
-
-«E quale?
-
-«Quella che conteneva la lettera.
-
-«No; ho pensato che ci potrebbe essere utile: eccola».
-
-Difatti di Beaufort, togliendola di sotto al capezzale, la porgeva a
-Grimaud.
-
-Questi sorrise nel modo più grazioso che stesse in lui.
-
-«E ora? chiese il duca.
-
-«Ora ricucirò il foglio nella pillotta, e voi, giuocando, mandate
-questa nel fosso.
-
-«Ma forse si perderà!
-
-«Non dubitate, vi sarà qualcuno a raccoglierla.
-
-«Un giardiniere?»
-
-Grimaud ammiccò di sì.
-
-«Lo stesso di jeri?»
-
-Uguale specie di affermazione.
-
-«Dunque il conte di Rochefort?»
-
-Tre atti di Grimaud esprimenti di sì.
-
-«Orsù, almeno dammi qualche dettaglio sulla maniera in cui dobbiamo
-fuggire.
-
-«Mi è proibito prima del momento dell’esecuzione.
-
-«Chi sono quelli che mi attenderanno dall’altra parte del fosso?
-
-«Non lo so.
-
-«Ma dimmi almeno che cosa conterrà il famoso pasticcio, se non vuoi
-ch’io impazzisca.
-
-«Conterrà due pugnali, una fune annodata, e una _pera d’angoscia_[9].
-
-«Bene! capisco.
-
-«Vostra Altezza vede che ve ne sarà per tutti.
-
-«Prenderemo per noi i pugnali e la fune, aggiunse il principe.
-
-«E faremo mangiar la pera a la Ramée, rispose Grimaud.
-
-«Mio caro Grimaud, replicò il signor di Beaufort, tu non parli spesso,
-ma quando parli, convien renderti giustizia, dici parole d’oro!»
-
-
-
-
-XXII.
-
-_Un’avventura di Maria Pichon._
-
-
-Verso la stessa epoca in cui si tramavano quei progetti di fuga infra
-’l duca di Beaufort e Grimaud, due uomini a cavallo, seguìti a poca
-distanza da un lacchè, entravano in Parigi pella via del sobborgo San
-Marcello. Erano il conte di la Fère ed il visconte di Bragelonne.
-
-Era quella la prima volta che il giovinetto veniva a Parigi, ed Athos
-non aveva fatto figurare di molto la capitale, sua antica amica,
-mostrandogliela da quella parte: che di certo l’infimo villaggio della
-Touraine era più gradito alla vista che non fosse Parigi preso dal lato
-per cui dà inverso Blois. E quindi n’è duopo il dirlo, a vergogna della
-tanto vantata città, essa non produsse sul garzoncello che un effetto
-mediocre.
-
-Athos si manteneva nel suo aspetto sereno e non curante.
-
-Arrivato a San Medard, egli, che nel grande laberinto faceva da guida
-al suo compagno di viaggio, pigliò dalla strada delle poste, indi da
-quella delle Estrapade, e dopo dai fossi di San Michele, e in seguito
-di Vaugirard. Giunti nella via Feron, entrambi vi s’inoltrarono. Verso
-la metà di questa, Athos, alzando gli occhi sorridendo, ed accennando
-al ragazzo una casa di media apparenza, gli disse:
-
-«Ecco una casa, o Raolo, dove ho passati i sette anni più dolci eppur
-più crudi della mia vita».
-
-Raolo sorrise anch’esso e salutò la dimora. La di lui pietà pel suo
-protettore si manifestava in qualunque atto della sua esistenza.
-
-In quanto ad Athos, conforme già avvertimmo, Raolo era per lui,
-non solamente il centro, ma anche (meno le vecchie rimembranze del
-reggimento) l’unico oggetto d’ogni suo affetto, e ciascuno comprende
-in qual modo e tenero e profondo poteva amare questa volta il cuore di
-Athos.
-
-I due viaggiatori si fermarono in via del Vecchio Colombajo,
-all’insegna della _Volpe verde_. Athos conosceva da lunga pezza quella
-taverna; v’era stato cento volte con gli amici, ma da venti anni erano
-accaduti molti cambiamenti nell’albergo, principiando dalla padrona.
-
-I forestieri consegnarono i palafreni ai garzoni, e siccome quegli
-erano animali di razza nobile, raccomandarono di averne somma cura, e
-che ad essi non si desse altro che paglia e avena, e si lavasse loro il
-petto e le gambe con del vino tepido. Avevano fatte venti leghe nella
-giornata! Indi, occupatisi in primo luogo dei corsieri, come debbono
-fare i veri cavalieri, chiesero eglino per sè due camere.
-
-«Ora vi vestirete meglio, Raolo, disse Athos; vi presenterò a qualcuno.
-
-«Oggi! fece il giovanetto.
-
-«Tra mezz’ora».
-
-Raolo s’inchinò.
-
-Forse meno instancabile di Athos, il qual pareva di ferro, egli avrebbe
-preferito un bagno in quel fiume Senna, di cui aveva inteso a parlar
-tanto, e ch’era persuaso di trovare inferiore alla Loira ed al suo
-letto; ma il conte de la Fère aveva favellato, ed egli non pensò che ad
-obbedire.
-
-«Appunto, disse Athos, adornatevi bene; vuo’ che vi trovino bello.
-
-«Signore, rispose il ragazzo, spero che non si tratti già di
-matrimonio; conoscete gli impegni miei con Luigia.
-
-«No, no, benchè io vi voglia presentare ad una donna.
-
-«A una donna?
-
-«Sì, ed anche desidero che la amiate».
-
-Raolo guardò il conte con una tal quale inquietudine, ma visto ch’esso
-sorrideva si fu presto acquietato.
-
-«E quanti anni ha ella? richiese il visconte di Bragelonne.
-
-«Caro mio, replicò Athos, sappiate una volta per sempre che codesta è
-una domanda da non farsi mai; quando potete scorgere sul viso di una
-donna la sua età è inutile ricercargliela; quando non potete più, è
-imprudenza.
-
-«Ed è bella?
-
-«Sedici anni fa passava non solo per la più leggiadra, ma anco per la
-più graziosa che fosse in tutta la Francia».
-
-Questa risposta tranquillizzò il visconte. Athos non doveva avere
-progetto alcuno su di lui e sopra una femmina reputata la più leggiadra
-e graziosa della Francia un anno prima ch’ei venisse al mondo.
-
-Si ritirò dunque nella sua camera, e con quella vanità che si addice
-alla gioventù, si applicò a seguire le istruzioni di Athos, cioè a
-farsi più bello che potesse. E ciò ben gli era facile con quanto aveva
-già a tal effetto disposto la natura.
-
-Allorchè ei ricomparve, Athos lo accolse con quel sorriso paterno col
-quale in addietro aveva ricevuto d’Artagnan, ma che per Raolo portava
-in sè una maggior tenerezza.
-
-Volse lo sguardo a’ suoi piedi, alle sue mani e a’ suoi capelli, tre
-segni che indicavano la razza. I capelli neri erano scompartiti come
-usavano in quell’epoca e ricadevano inanellati a contornargli il volto
-piuttosto pallidetto; guanti di pelle grigia, e che combinavano col
-colore del cappello, mostravano la vaga forma della mano sottile ed
-elegante, mentre gli stivali del color medesimo che i guanti ed il
-cappello stringevano due piedi che parevano di un fanciullo di dieci
-anni.
-
-«Eh via! disse Athos, se non va superba di lui, conviene che sia pur
-difficile»
-
-Erano le tre pomeridiane, cioè l’ora opportuna per le visite. I due
-s’incamminarono dalla via di Grenelle, presero da quella de’ Rosaj,
-entrarono nell’altra di San Domenico, e si fermarono davanti ad un
-magnifico palazzo, situato dirimpetto ai Giacobini avente in cima le
-armi di Luynes.
-
-«È qui» disse Athos.
-
-Entrò nel palazzo col portamento deciso che accenna al guarda-portone
-come quegli che arriva abbia diritto di agire così. Salì la gradinata,
-e domandò ad un lacchè, che aspettava in gran livrea, se la signora
-duchessa di Chevreuse era visibile e poteva ricevere il conte di la
-Fère.
-
-Indi a un momento il servo ritornò dicendo che quantunque la duchessa
-di Chevreuse non avesse l’onore di conoscere il signor conte pur lo
-pregava di passare.
-
-Athos andò col domestico, e questo gli fece traversare una lunga fila
-di stanze, e si ristette al fine dinanzi ad un usciale chiuso. Athos
-accennò al visconte che si trattenesse là fuori nel salotto.
-
-Il lacchè avendo aperto annunziò il signor conte di La Fère. Madama
-di Chevreuse, di cui fu parlato sovente nella storia dei _Tre
-moschettieri_ senza però che mai si desse occasione di poterla
-conoscere, era tuttora reputata una bellissima donna.
-
-Difatti, benchè in quel tempo avesse digià quarantaquattro o
-quarantacinque anni, ne mostrava appena trentotto o trentanove;
-possedeva tuttavia i bei capelli biondi, gli occhi grandi e vivaci che
-tanto spesso aveva aperti il raggiro e socchiusi l’amore e il personale
-da ninfa, il quale faceva sì che a mirarla per dietro paresse ancora
-la stessa fanciulletta che insieme con Anna saltava di sul famoso fosso
-delle Tuilerie che nel 1623 privò d’un erede la corona di Francia.
-
-Del rimanente, ell’era sempre la medesima pazza creatura che diede
-a’ suoi amori un tal carattere di originalità da far che questi
-diventassero una sorta d’illustrazione pella sua famiglia.
-
-Stava in un piccolo gabinetto che dava con la finestra sul giardino.
-Secondo la moda messa su da madama di Rambouillet nel fabbricare il suo
-palazzo, il parato era tutto di una specie di damasco cilestro a fiori
-color di rosa e foglie d’oro. Grande atto di civetteria era pure in una
-femmina dell’età della Chevreuse lo starsene in un simil gabinetto,
-e soprattutto nella positura in cui si teneva in quel momento, cioè
-distesa in un seggiolone bislungo, con la testa appoggiata alla
-tappezzeria.
-
-Aveva in mano un libro mezz’aperto, e poi un cuscino per reggere il
-braccio che sosteneva il libro.
-
-All’annunzio del lacchè sollevò un poco il capo e lo avanzò curiosetta.
-
-Comparve Athos.
-
-Era vestito di velluto violetto con guarnizione di passamani consimili;
-gli aghetti erano di argento ben brunito, sul suo manto non vi era
-alcun ricamo d’oro, ed una semplice piuma paonazza gli avvolgeva il
-cappello nero.
-
-Ai piedi aveva gli stivali di cuojo nero, e al cinturino inverniciato
-gli pendeva quella spada dalla magnifica impugnatura che tante
-volte Porthos ammirò in via di Feron, ma che Athos non volle mai
-imprestargli. Di superbe trine si formava il collo della camicia, e
-trine eguali ricadevano sulle rivolte degli stivali.
-
-Nell’individuo annunziato a madama di Chevreuse sotto nome al tutto
-ignoto esisteva un tale aspetto di gran gentiluomo, ch’essa si alzò
-un pocolino sulla vita ad accennargli graziosamente che prendesse una
-sedia a lei vicina.
-
-Athos s’inchinò ed obbedì. Il lacchè andava per ritirarsi, ed egli con
-un segno lo trattenne.
-
-«Signora, disse alla duchessa, ho avuto l’audacia di presentarmi nel
-vostro palazzo senza essere da voi conosciuto; ben mi è riuscito,
-poichè vi degnaste ricevermi, e ardisco poi domandarvi una mezz’ora di
-colloquio.
-
-«Ve lo concedo, signore, rispose la duchessa col più gentile dei suoi
-sorrisi.
-
-«Ma ciò non basta, madama. Oh! sono un grande ambizioso! lo so;
-chiedo un colloquio a testa a testa, e bramerei caldamente non essere
-interrotto.
-
-«Andate, ordinò al servo la signora, io non ci sono per alcuno».
-
-E il domestico uscì.
-
-Fuvvi breve silenzio, durante il quale quei due soggetti che
-scambievolmente si riconoscevano per personaggi di altissima schiatta,
-si esaminarono senza provare confusione veruna.
-
-Fu la prima a parlare la duchessa.
-
-«Ebbene, signore, disse con sommo garbo, non vedete che attendo con
-impazienza?
-
-«Ed io, madama, rispose Athos, guardo con ammirazione.
-
-«Dovete scusarmi, soggiunse la signora, se sono ansiosa di sapere con
-chi discorro. Voi siete un uomo di alto rango, non v’ha dubbio, eppure
-mai non vi vidi in corte. Venite forse dalla Bastiglia?
-
-«No, replicò il conte sogghignando, ma forse sono sulla via che ivi
-conduce.
-
-«In tal caso ditemi presto chi siete, e poi andatevene, soggiunse la
-dama con quel modo brioso che aveva in lei tanto pregio.
-
-«Chi sono, signora? vi fu detto il mio nome: conte di la Fère. Questo
-nome non vi fu noto giammai. In passato io ne aveva un altro, che
-probabilmente sapeste, ma che di certo avete obbliato.
-
-«Ditelo pure, non ostante.
-
-«Prima io mi chiamava Athos».
-
-La signora di Chevreuse, maravigliando, spalancò gli occhi. Era
-evidente, secondo le diceva il conte, che quel nome non fosse del tutto
-cancellato dalla sua memoria, ancorchè vi stesse confuso fra altre
-ricordanze.
-
-«Athos?... ella fece...., aspettate....»
-
-E si pose ambe le mani su la fronte, come per ritenere le mille idee
-fugaci che vi stavano rinchiuse a fissarsi un momento onde lasciarle
-discernere chiaro nella lor turba brillantissima.
-
-«Volete ch’io vi ajuti, madama? seguitò Athos sorridendo.
-
-«Oh! disse la duchessa digià stanca di cercare, mi farete piacere.
-
-«Quell’Athos era in istretta relazione con tre giovani moschettieri che
-si chiamavano d’Artagnan, Porthos ed....
-
-«Ed Aramis! finì con impeto la signora, perocchè Athos si era
-soffermato.
-
-«Aramis appunto, questi confermò: non vi siete dunque dimenticata
-affatto di quel nome?
-
-«No, no.... povero Aramis! era un amabile gentiluomo, elegante,
-prudente, e che faceva dei bei versi; credo che non abbia fatto buon
-fine.
-
-«Si fece abate.
-
-«Ohimè! peccato! ribattè la Chevreuse muovendo con indolenza il
-ventaglio. Davvero, signor mio, vi ringrazio.
-
-«Di che, madama?
-
-«D’avermi riprodotta quella rimembranza, ch’è una delle più piacevoli
-di mia gioventù.
-
-«E allora, mi permettete di rendervene presente anche un’altra?
-
-«Che a quella va congiunta?
-
-«Forse sì, forse no.
-
-«Oh! dite pure. Con un uomo come voi, mi arrischio a tutto».
-
-Athos s’inchinò.
-
-«Aramis, esso proseguì, era in istretti rapporti con una giovane
-merciaja di Tours.
-
-«Merciaja di Tours?
-
-«Sì, sua cugina, che si chiamava Maria Michon.
-
-«Ah! la conosco! esclamò la duchessa, è quella a cui egli scriveva
-dall’assedio di la Rochelle onde avvertirla di un complotto che si
-tramava contro al povero Buckingham.
-
-«Precisamente. Mi concedete di favellarvi di lei?»
-
-La dama fissò in volto Athos.
-
-«Sì, rispose, purchè non ne diciate molto male.
-
-«Sarei un ingrato, ed io considero l’ingratitudine, non come difetto o
-delitto, ma come vizio, lo che è di peggio.
-
-«Voi ingrato verso Maria Michon? domandò la signora di Chevreuse,
-procurando di leggere negli occhi di Athos. E come mai potrebbe essere?
-non la conosceste già personalmente.
-
-«Chi sa, madama! v’è un proverbio popolare il quale dice che solo
-le montagne non s’incontrano; e i proverbi popolari sono talvolta
-estremamente giusti.
-
-«Oh! continuate, signore! fece con calore la duchessa, non vi potete
-figurare quanto mi diverta questa conversazione.
-
-«Voi m’incoraggite, ed io seguiterò. Quella cugina di Aramis, Maria
-Michon, la merciaja, ad onta della sua volgare condizione, aveva le più
-elevate conoscenze; chiamava sue amiche le primarie dame della corte, e
-la regina, benchè superba, diceva a lei sorella.
-
-«Ahimè! interruppe la Chevreuse con un leggierissimo sospiro e col
-piccolo moto del ciglio che era proprio di lei sola, da quel tempo le
-cose sono cambiate di molto!
-
-«E la regina aveva ragione, tirò innanzi Athos, giacchè essa le era al
-sommo affezionata e devota; devota a segno da servirle di mediatrice
-col suo fratello re di Spagna.
-
-«Il che, ripigliò la duchessa, oggi le si ascrive a gran delitto.
-
-«A tal punto, rispose Athos, che il ministro, il vero ministro,
-l’altro, una mattina risolse di far arrestare la misera Maria Michon
-e condurla al castello di Loches. Per fortuna ciò non potè eseguirsi
-tanto segretamente che non ne traspirasse qualcosa; il caso era
-preveduto: se a Maria sovrastasse qualche pericolo, la regina dovea
-farle pervenire un libro di orazioni rilegato di velluto verde.
-
-«Giusto così! siete bene informato.
-
-«Una mattina arrivò il libro verde recato dal principe di Marsillac.
-Non v’era tempo da perdere. Per buona sorte Maria Michon ed una
-sua serva, una certa Ketty, portavano egregiamente il vestimento da
-uomo. Il principe procacciò a Maria un abito da cavaliere, a Ketty
-uno da lacchè, diede loro due ottimi cavalli, e le due fuggiasche
-abbandonarono prestamente Tours, avviandosi inverso Spagna, tremando al
-minimo rumore, pigliando strade indirette perchè non osavano battere le
-strade maestre, e chiedendo ospitalità quando non trovavano alberghi.
-
-«Ma davvero, fu propriamente a questo modo! gridò la Chevreuse battendo
-le mani, sarebbe curiosa....»
-
-E si tacque di botto.
-
-«Ch’io seguitassi le due raminghe sino al termine del loro viaggio?
-disse Athos. No, madama, non abuserò in tal guisa del vostro tempo,
-e noi non le accompagneremo se non se ad un piccolo villaggio
-del Limosino situato fra Tulle e Angouleme, e che ha nome di
-Roche-l’Abeille».
-
-La duchessa diede un grido di sorpresa, e mirò in faccia Athos in cotal
-atto di stupore che fece sorridere l’antico moschettiere.
-
-«Aspettate, signora, questi continuò, giacchè ciò che ho da dirvi è
-assai più strano di quel che vi ho detto.
-
-«Eh! replicò la Chevreuse, ormai vi tengo per uno stregone, e da voi mi
-attendo a tutto.... ma basta.... andate pure innanzi.
-
-«La giornata era stata lunga e faticosa; faceva freddo, era il dì 11
-ottobre. Il villaggio non presentava nè locanda, nè palazzo, le case
-dei contadini erano povere e sporche. Maria Michon era una persona
-molto aristocratica; come la regina sua sorella, era essa avvezza
-a odori delicati e biancheria fine.... sicchè si decise a dimandare
-ospitalità al presbiterio».
-
-Athos fece una breve pausa.
-
-«Ah! seguitate, disse la duchessa, vi ho prevenuto che mi aspettavo a
-qualunque cosa.
-
-«I due viaggiatori bussarono alla porta. Era tardi; il prete,
-coricato[10], gridò loro ch’entrassero, ed entrarono mentre la porta
-non era chiusa. Nelle campagne esiste grandissima fiducia. Stava accesa
-una lucerna nella camera. Maria Michon, che pareva il più grazioso
-cavaliere del mondo, spinse l’usciale, avanzò la testa, e chiese
-ospitalità.
-
-« — Volentieri, mio giovane signore, rispose il padrone del luogo,
-se volete adattarvi agli avanzi della mia cena ed a metà della mia
-camera.... —
-
-«Le due viaggiatrici si consultarono un momento; quegli udì che
-ridevano forte, e indi il padrone, o anzi la padrona, replicò:
-
-« — Grazie, signore, accetto.
-
-« — Dunque cenate, questo soggiunse, e fate meno chiasso che potete,
-perchè ancor io ho camminato tutto il giorno e non m’increscerebbe di
-riposare stanotte».
-
-Madama di Chevreuse passava da sorpresa a meraviglia, e da meraviglia a
-stupefazione; osservava Athos in un modo che non sapremmo definire: si
-scorgeva che avrebbe bramato di parlare, eppur si taceva per timore di
-perdere una parola del suo interlocutore.
-
-«E poi? essa disse.
-
-«E poi? fece Athos, ah! qui sta il difficile!
-
-«Dite, dite, dite! a me si può dir tutto.... e d’altronde io non ci ho
-che fare, è cosa che riguarda Maria Michon.
-
-«Oh! questo è giusto; seguitò Athos. Or bene, Maria Michon mangiò
-insieme con la sua serva, e dopo, secondo il permesso datole tornò
-nella stanza dove riposava il suo albergatore, intanto che Kelly si
-sdrajava sopra una poltrona nell’altra dov’erasi fatto il loro piccolo
-pasto.
-
-«In coscienza, riprese la duchessa, ammenochè voi siate il demonio in
-persona, non so come possiate conoscere tutti codesti dettagli.
-
-«Era una cara donnetta, la Maria Michon, continuò Athos, una di quelle
-pazzarelle a cui passano sempre per la mente le idee le più singolari,
-uno di quegli esseri nati espressamente per mandarci in dannazione
-quanti siamo. E pensando che quegli che a lei dava ricovero era un
-abate, saltò in capo alla bricconcella che sarebbe stata una delle più
-allegre memorie per la sua vecchiaja (ella ne aveva digià parecchie
-altre) di fare anche a lui una burla.
-
-«Conte! interruppe la signora di Chevreuse, in parola d’onore, voi mi
-spaventate.
-
-«Ahimè! disse Athos, il povero galantuomo non era un Sant’Ambrogio, e
-lo ripeto, Maria Michon era una creatura adorabile.
-
-«Signore! esclamò la duchessa afferrandogli ambe le mani, spiegatemi
-subito come sapete tutto questo, o che fo venire dal convento dei
-vecchi Agostini uno che vi esorcizzi».
-
-Athos si mise a ridere.
-
-«Madama, non v’è niente di più facile. Un cavaliere incaricato
-d’importante incombenza era venuto un’ora prima di voi a domandare
-ospitalità al presbiterio, nel momento appunto che il curato chiamato
-presso ad un moribondo si assentava non solo da casa sua ma anche dal
-villaggio per tutta la notte; l’uomo di Dio, pien di fiducia nel suo
-ospite, il quale d’altronde era gentiluomo, aveva ad esso abbandonato
-e casa e cena e camera. Quindi all’ospite del prete, e non al prete,
-Maria Michon chiedeva ricovero.
-
-«E il cavaliere, il gentiluomo, l’ospite giunto innanzi a lei?
-
-«Era io, conte di la Fère», disse Athos alzatosi a salutare
-rispettosamente la signora di Chevreuse.
-
-Questa per un istante rimase stupefatta, poi ad un tratto dando una
-forte risata:
-
-«Affè! disse, il caso è curiosissimo; e la pazza Maria Michon si trovò
-meglio che non isperasse. Sedete, conte, e ripigliate il filo della
-vostra narrazione.
-
-«Adesso, o madama, mi resta da incolpare me stesso. Io viaggiava, come
-vi ho detto, per affari di premura. All’alba uscii dalla camera senza
-far rumore, lasciando dormire il mio amabile compagno di alloggio.
-Nella prima stanza dormiva pure con la testa adagiata sulla poltrona
-la serva, degna in tutto e per tutto della padrona. Il suo vago volto
-mi fece sensazione, me le accostai, e riconobbi la piccola Ketty che
-presso di lei avea posta il nostro Aramis. E così fu ch’io seppi che la
-bella viaggiatrice era....
-
-«Maria Michon, interruppe con impeto la duchessa.
-
-«Maria Michon, confermò Athos. Me ne andai di casa, passai nella
-stalla, trovai il mio cavallo con la sella addosso e il lacchè pronto,
-e partimmo.
-
-«Nè più capitaste in quel villaggio? domandò con calore la signora.
-
-«Un anno dopo.
-
-«Ebbene?
-
-«Ebbene! volli rivedere il buon curato. Era inquieto per un avvenimento
-che non comprendeva. Otto giorni avanti aveva ricevuto in una culla
-un grazioso bambinello di tre mesi, con una borsa piena d’oro ed
-un biglietto contenente queste semplici parole: 11 OTTOBRE 1633....
-Egli, poveretto, nella notte di quella data era stato al fianco a un
-moribondo, e Maria si era partita dal presbiterio innanzi il di lui
-ritorno.
-
-«Signore, vi è noto che Maria Michon, reduce in Francia nel 1643,
-ricercò tosto notizie di quel fanciullo; mentre fuggiasca non poteva
-tenerlo seco, ma recatasi di nuovo nella capitale voleva presso di sè
-farlo educare.
-
-«E che le disse l’abate? chiese Athos.
-
-«Che un signore da lui non conosciuto erasi compiaciuto
-d’incaricarsene, si era fatto garante del suo stato avvenire, e lo
-aveva condotto via.
-
-«Era vero.
-
-«Ah! allora capisco: quel signore eravate voi.... suo padre!
-
-«Zitto! non parlate tanto forte, madama! egli è qui.
-
-«È qui! esclamò la duchessa di Chevreuse rizzatasi in piedi, mio
-figlio! il figlio di Maria Michon è qui! voglio vederlo subito!
-
-«Badate, signora, ch’ei non conosce nè suo padre nè sua madre, la
-interruppe Athos.
-
-«Voi serbaste il segreto, e me lo conducete così, persuaso di farmi
-lieta, oh! lietissima! Grazie! grazie! seguitò la dama prendendogli la
-mano e procurando portarsela sulle labbra, grazie! Che cuor nobile è il
-vostro!
-
-«Ve lo conduco, madama, replicò Athos ritirando la destra, acciò voi
-pure facciate per esso qualche cosa. Sinora io solo invigilai alla sua
-educazione, e credo averne fatto un compito gentiluomo; ma è giunto il
-momento in cui mi trovo da capo costretto a riprender la vita errante
-e perigliosa dell’uomo di parte. Domani mi slancierò in un affare
-azzardoso nel quale posso essere ucciso: allora ei non avrà altri che
-voi per avanzarlo nel mondo ov’è chiamato ad occupare un posto.
-
-«Non dubitate! gridò la Chevreuse, disgraziatamente, ho attualmente
-poco credito, ma quel tanto che me ne rimane è per lui. Quanto alle sue
-fortune ed al suo titolo....
-
-«Di ciò non vi pigliate pensiero, signora: io gli ho trasferita in
-sostituzione la tenuta di Bragelonne, che possiedo per eredità, e che
-gli dà il titolo di visconte e dieci mila lire di rendita.
-
-«Sull’anima mia, siete un vero gentiluomo.... Ma io sono ansiosa di
-vederlo! dov’è?
-
-«È di là nel salotto; lo fo venire se lo gradite».
-
-Athos fece un movimento verso la porta. La signora di Chevreuse lo
-trattenne, domandandogli:
-
-«È bello?»
-
-Il conte sorrise, e le rispose:
-
-«Somiglia a sua madre».
-
-Ed aperto l’usciale, fece un cenno al giovanetto, il quale tosto
-comparve sulla soglia.
-
-La donna non potè frenare un grido di giubilo mirando un sì gentil
-cavaliere, che oltrepassava quante speranze avesse mai concepite il suo
-cuore.
-
-«Avvicinatevi, visconte, disse Athos, la signora duchessa di Chevreuse
-vi permette di baciarle la mano».
-
-Quegli si appressò, coll’amabile suo sorriso, a testa scoperta, e messo
-in terra un ginocchio baciò la destra a madama di Chevreuse.
-
-«Signor conte, ei richiese volgendosi ad Athos, forse per usar riguardo
-alla mia timidezza mi dite esser questa la duchessa di Chevreuse, e non
-è ella piuttosto la regina?
-
-«No, visconte, rispose la signora pigliandolo per la mano, facendolo
-sedere al suo fianco, ed osservandolo con occhi che brillavano dal
-contento, no, pur troppo non sono la regina.... chè se lo fossi, farei
-tosto per voi tutto ciò che meritate; ma orsù, tal quale io sono (e si
-tratteneva a stento da posare il labbro su la di lui purissima fronte)
-orsù, qual carriera bramate di seguire?»
-
-Athos in piedi li considerava entrambi con espressione di letizia
-indicibile.
-
-«Signora, disse il garzoncello con voce dolce ad un tempo e sonora,
-mi sembra che per un gentiluomo siavi una sola carriera, quella delle
-armi. Il signor conte mi educava, da quanto io credo, con intenzione
-di farmi soldato, e mi dava lusinga di presentarmi in Parigi a persona
-atta a raccomandarmi al signor Principe.
-
-«Sì, capisco: si conviene ad un giovane soldato par vostro di servire
-sotto un giovane generale suo pari.... ma aspettate.... io nel mio
-particolare sto piuttosto male con esso a motivo delle contese di
-madama di Montbazon mia suocera con la signora di Longueville.... però
-in quanto al principe di Marsillac.... Eh, signor conte, appunto così:
-il principe di Marsillac è mio vecchio amico; raccomanderà il signorino
-a madama di Longueville, la quale gli darà una lettera per suo fratello
-il signor Principe, e questo ama lei troppo teneramente per non fare a
-pro di esso quanto ella gli chiegga.
-
-«Va a meraviglia, rispose il conte, soltanto oserò pregarvi della
-maggiore sollecitudine! ho delle ragioni per desiderare che domani a
-sera il visconte non sia più in Parigi.
-
-«Gradite che si sappia che v’interessate per lui?
-
-«Sarebbe forse meglio pel suo stato avvenire che s’ignorasse avermi
-egli neppur mai conosciuto.
-
-«Oh signore! esclamò il giovanetto.
-
-«Bragelonne, gli replicò Athos, sapete che nulla io fo giammai senza
-ragione.
-
-«Sì, so che in voi è la suprema saggezza, e vi obbedirò com’è mio
-costume.
-
-«Or bene, conte, soggiunse la duchessa, lasciate fare a me; mando a
-chiamare il principe di Marsillac, che per fortuna è adesso in Parigi,
-e non mi divido da lui sinchè la cosa non sia terminata.
-
-«Ottimamente, signora duchessa; mille e mille grazie. Io pure ho per
-oggi da far diverse gite, e al mio ritorno, cioè sulle sei ore di sera,
-attenderò all’albergo il visconte.
-
-«Che farete questa sera?
-
-«Andremo dall’abate Scarron, per cui ho una lettera, e dal quale devo
-incontrare un amico mio.
-
-«Benone; ci passerò ancor io per un momento; sicchè non vi partite
-dalle sue sale finchè non mi abbiate veduta».
-
-Athos salutò madama di Chevreuse e si dispose ad uscire.
-
-«Eh via, signor conte, disse ridendo la duchessa, e si lasciano con
-tanta cerimonia gli antichi amici?
-
-«Ah! balbettò Athos baciandole la mano, se avessi saputo che Maria
-Michon era una creatura tanto amabile!...»
-
-E se ne andò sospirando.
-
-
-
-
-XXIII.
-
-_L’abate Scarron._
-
-
-Nella via _des Tournelles_ v’era una casa nota a tutti i conduttori di
-portantine e lacchè della capitale; eppure, essa non era nè di un gran
-signore nè di un finanziere; non vi si mangiava, non vi si giuocava
-mai, nè vi si ballava.
-
-E contuttociò era il punto di riunione della gentil società, e v’andava
-tutta Parigi.
-
-Io parlo dell’abitazione dell’abate Scarron.
-
-Dallo spiritosissimo abate si rideva tanto, si spacciavano
-tante novità, e sì presto si commentavano, si sminuzzavano, e si
-trasformavano o in novellette o in epigrammi, che ciascuno voleva
-andare a passar un’ora col piccolo Scarron, udir ciò ch’ei diceva, e
-questo riferir poi altrove. Molti ancora avevano smania di lanciarvi
-le loro parolette, e se queste erano graziose, quei tali rimanevano ben
-accolti ed accetti.
-
-L’abate Scarron, il quale era abate soltanto perchè possedeva
-un’abbazia, e non già perchè fosse negli ordini, era stato in addietro
-uno dei più eleganti canonici della città del Mans ove dimorava. Un
-giorno di carnevale gli saltò in capo di tenere allegra quella buona
-città di cui egli era propriamente l’anima; si fece ungere tutto
-di miele dal suo cameriere, e poi aperto un letto pien di piume e
-rotolatosi dentro a questo, diventò il più ridicolo volatile che si
-potesse vedere. Allora cominciò a far visite agli amici ed alle amiche
-in codesto arnese grottesco. Si principiò col seguitarlo attoniti, indi
-colle fischiate, poscia i facchini lo insultarono, dopo i ragazzi gli
-tirarono dei sassi, ed alla fine fu costretto a scappare per iscansare
-i projettili. Fuggito che fu, tutti gli corsero dietro, lo incalzarono,
-lo circuirono. Egli non trovò altro mezzo ond’evitare la scorta che
-di gettarsi nel fiume. Nuotava come un pesce, ma l’acqua era ghiaccia.
-Scarron era sudante, lo prese il freddo, ed arrivato all’opposta riva
-era attrappito.
-
-Allora si procurò con ogni mezzo conosciuto di rendergli l’uso delle
-membra. Tanto lo fecero soffrire nella cura, ch’ei licenziò tutti i
-medici, dichiarando che preferiva starsene ammalato. Tornò a Parigi,
-dov’era già fissata la sua fama d’uomo di grande spirito. Là si
-fece fare una sedia o portantina di sua invenzione; ed una volta che
-trascinato su quella andò a far visita alla regina Anna, questa che lo
-teneva in gran pregio gli addimandò se desiderasse qualche titolo.
-
-«Sì, Maestà, rispose Scarron, ne ambisco uno.
-
-«E quale?
-
-«Quello di vostro infermo» ei replicò.
-
-E Scarron fu nominato _infermo della regina_, con mille cinquecento
-lire di pensione.
-
-Da quel momento, non più inquieto per lo avvenire, condusse
-allegrissima vita, mangiandosi il capitale e la rendita.
-
-Bensì un giorno un emissario del ministro gli fece capire che aveva
-torto di ricever da lui il signor Coadjutore.
-
-«E perchè? egli richiese, non è uomo di alta nascita?
-
-«Sì, cospetto!
-
-«Amabile?
-
-«Senza dubbio.
-
-«Spiritoso?
-
-«Pur troppo!
-
-«E allora, perchè volete ch’io cessi di frequentar un soggetto simile?
-
-«Perchè pensa male.
-
-«Davvero! e di chi?
-
-«Del ministro.
-
-«Come! continuò Scarron, io seguito a bazzicare il signor Gilles
-Despréaux che pensa male di me, e pretendete che smetta di frequentare
-il Coadjutore perchè pensa male di un altro? non è possibile!»
-
-La conversazione finì là, e Scarron per picca si trovava più spesso che
-mai col signor di Gondy.
-
-Ora, la mattina appunto del giorno al quale noi siamo giunti, e ch’era
-la scadenza del suo trimestre, Scarron secondo il solito mandò il suo
-servitore con la ricevuta a riscuotere i tre mesi dalla Cassa delle
-pensioni; ma gli fu risposto:
-
-«Che lo Stato non aveva più danari pel signor abate Scarron».
-
-Quando il lacchè recò a lui questa risposta egli aveva presso di sè
-il duca di Longueville, che si offerse ad assegnargli una pensione del
-doppio di quella toltagli dal Mazzarino; ma lo accortissimo gottoso non
-l’accettò, e fece tanto che alle quattro ore pomeridiane tutta la città
-era istrutta del rifiuto del ministro. Precisamente era giovedì, giorno
-di ricevimento in casa dell’abate; la gente v’intervenne in folla, e
-per tutta Parigi fu uno sparlare e un susurro indiavolato.
-
-Nella contrada di Sant’Onorato, Athos incontrò due gentiluomini a lui
-ignoti, a cavallo come era egli pure, seguiti anch’essi da un lacchè,
-e che seco facevano il medesimo cammino. Un di coloro togliendosi il
-cappello, gli disse:
-
-«Crederete, signore, che quel furfante di Mazzarino ha soppressa la
-pensione al povero Scarron?
-
-«È stravagante! replicò Athos salutando i cavalieri.
-
-«Si vede che voi siete un onest’uomo, soggiunse lo stesso che aveva già
-parlato, e che il Mazzarino è propriamente un flagello.
-
-«Ohimè! fece Athos, e a chi lo dite!»
-
-E si separarono dopo molti scambievoli atti di cortesia.
-
-«Cade bene in acconcio, disse poi Athos al visconte, giacchè dovevamo
-andarci, presenteremo le nostre condoglianze a quel povero uomo.
-
-«E chi è quello Scarron, che così mette a soqquadro Parigi? domandò
-Raolo, forse qualche ministro in disgrazia?
-
-«Oh! no, mio caro, è semplicemente un piccolo gentiluomo, di grande
-spirito, che sarà in disgrazia del ministro per aver fatta qualche
-quartina contra di lui.
-
-«I gentiluomini compongono versi? richiese Raolo ingenuamente; credevo
-che questo fosse un derogare.
-
-«Sì, visconte, replicò Athos ridendo, così è quando e’ si fanno
-cattivi, ma se si fan buoni illustrano anche di più. Vi sia d’esempio
-il signor di Rotrou. Ciò non ostante (continuò col tuono in cui uno
-darebbe un buon consiglio) io penso che sia meglio il non farne.
-
-«Sicchè quel signore Scarron è poeta?
-
-«Sì; ormai siete avvertito, e in quella casa state guardingo, non
-parlate che a gesti, o piuttosto ascoltate soltanto.
-
-«Sì signore.
-
-«Mi vedrete a discorrere molto con un mio amico: sarà l’abate
-d’Herblay, del quale spesso mi udiste a ragionare.
-
-«Me ne rammento.
-
-«Avvicinatevi a noi qualche volta come per parlarci, ma non dite nulla;
-non ascoltate tampoco: codesto lavorìo gioverà perchè gli importuni non
-ci disturbino».
-
-Athos andò a far due visite. Alle sette ore s’incamminarono verso
-la via des Tournelles. Ingombravano la strada portantine, cavalli e
-servitori. Athos si fece largo ed entrò insieme col giovanetto. La
-prima persona che osservò fu Aramis, piantatosi accanto ad un largo
-seggiolone con le ruotine, avente sopra una cupola di drappo, sotto
-la quale si agitava, avvolta in una coperta di broccato, una figura
-piccola, giovane ancora e allegra, ma di quando in quando più pallida,
-di cui gli occhi però esprimevano sempre un sentimento o vivace o
-grazioso. Era l’abate Scarron, ognora ridente, che burlava, faceva
-complimenti, e soffriva, e si grattava con una bacchetta.
-
-Attorno a quella sorta di tenda mobile si affollavano molte dame
-e gentiluomini. La stanza era pulitissima e bene addobbata. Grandi
-cortine di seta lavorate a fiori state già di colori accesi, ma ormai
-alquanto smorti cadevano giù dalle ampie finestre. Il parato non era di
-lusso ma di ottimo gusto. Due domestici assai civili ed accostumati a
-trattare con decenza facevano delicatamente il loro servizio.
-
-Aramis non sì tosto ebbe visto Athos gli venne incontro, e presolo per
-la mano lo presentò a Scarron, che dimostrò al nuovo ospite piacere e
-rispetto, e fece al visconte un complimento gentilissimo. Raolo restò
-sbigottito, perocchè non si era preparato alla maestosità del bello
-spirito, ma salutò con tutto garbo. Indi Athos ricevè le più cortesi
-espressioni di due o tre signori a cui lo presentò Aramis, e cessato
-a poco a poco il tumulto cagionato dal suo arrivo, la conversazione
-diventò generale.
-
-Passati quattro o cinque minuti, che bastarono a Raolo per mettersi a
-sesto e pigliar cognizione topografica dell’adunanza, fu aperto l’uscio
-ed annunziata da un lacchè madamigella Paulet.
-
-Athos con una mano toccò sulla spalla il visconte.
-
-«Raolo, gli disse, guardate quella donna, poichè è un personaggio
-storico; da lei si recava il re Enrico IV allorchè fu assassinato».
-
-Raolo si scosse; da alcuni giorni si alzava ad ogni istante per lui
-qualche portiera a discoprirgli un aspetto eroico: la femmina ancor
-giovine e bella allora capitata colà, aveva conosciuto Enrico IV e gli
-aveva parlato!
-
-Ciascuno si appressò premuroso alla sopraggiunta, secondochè essa era
-tuttavia in gran voga. Era alta, di statura svelta, con un bosco di
-capelli color d’oro, come piacevano tanto a Raffaello e come ne diede
-il Tiziano alle sue Maddalene. E quel color rossiccio, o forse pare la
-superiorità quasi regale da lei acquistata su le altre donne, le aveva
-procacciato il soprannome di Leonessa (la Lionne).
-
-Quindi le nostre leggiadre signore d’oggi giorno che ambiscono a questo
-titolo di moda, sapranno che proviene non già dall’Inghilterra, secondo
-probabilmente si credevano, ma dalla vaga e spiritosa lor concittadina
-madamigella Paulet.
-
-La Paulet se ne andò direttamente fino a Scarron tra mezzo al bisbiglio
-che surse da ogni lato al di lei ingresso.
-
-«Ebbene, mio caro abate, disse con voce tranquilla, eccovi povero; lo
-abbiamo saputo oggi; ce lo ha detto il signor di Grasse.
-
-«Sì, disse Scarron, ma adesso lo Stato è ricco; bisogna sapersi
-sacrificare al proprio paese.
-
-«Il signor ministro si comprerà da mille cinquecento lire più di
-pomate e profumerie all’anno, aggiunse un tale, cui Athos riconobbe pel
-gentiluomo che aveva incontrato in via Sant’Onorato.
-
-«Ma che dirà la musa? continuò Aramis con voce sdolcinata, la musa che
-ha bisogno dell’aurea mediocrità? giacchè in sostanza:
-
- Si Virgilio puer aut tolerabile desit,
- Hospitium, caderent omnes a crinibus Hydri.
-
-«Bene, seguitò Scarron porgendo la destra alla Paulet, ma se non ho più
-la mia idea, mi resta almeno la mia lionessa».
-
-In quella sera tutti i detti di Scarron parevano egregi: tale è il
-privilegio della persecuzione. Il signor Menage saltava e balzava
-dall’entusiasmo.
-
-Madamigella Paulet andò al suo solito posto; ma innanzi di sedersi
-volse da cima a fondo e da tutta la sua grandezza uno sguardo da
-regina, sulla riunione, ed i suoi occhi si fermarono sovra Raolo.
-
-Athos sorrise.
-
-«Visconte, ei disse, madamigella Paulet vi ha osservato; andate a
-riverirla; datevi per quello che siete, per un franco provinciale, ma
-non vi venisse in testa di discorrerle di Enrico IV».
-
-Raolo si avvicinò alla Lionessa facendosi rosso, e in breve si trovò
-confuso tra i signori che circondavano la sua sedia.
-
-Questi formavano digià due comitive assai distinte, quella che
-attorniava Menage e l’altra che attorniava la Paulet.
-
-Scarron correva dall’una all’altra, manovrando con la sua poltrona a
-ruotine in fra tanta gente colla medesima destrezza che adoprerebbe un
-esperto piloto con una barca in mezzo a un mare ingombro di scogli.
-
-«Quando ciarleremo un poco? domandò Athos ad Aramis.
-
-«Or ora, questi rispose, non v’è ancora abbastanza gente, e saremmo
-presi di mira».
-
-Nel momento fu aperta la porta ed annunziato il signor Coadjutore.
-
-Tutti si girarono a quel nome che digià principiava a divenir celebre.
-
-Athos seguì l’esempio; egli non conosceva se non di nome l’abate di
-Gondy.
-
-Vide entrare un uomo piccolo, nero, mal fatto, miope, sgarbato in ogni
-movimento delle mani, tranne nel tirare di spada e di pistola, che andò
-ad inciampare sur un tavolino ed ebbe a buttarlo in terra, ma che ciò
-non ostante aveva nella ciera qualche cosa di elevato e di fiero.
-
-Scarron si volse dalla sua parte e gli si fece incontro col suo
-seggiolone. La Paulet dal proprio posto fece un saluto colla mano.
-
-«Ebbene! disse il Coadjutore quando ebbe visto Scarron, cioè quando gli
-fu addosso, siete dunque in disgrazia?»
-
-Cotesta era la frase sacramentale; era stata profferita cento volte
-nella serata, e cento detti arguti si erano già pronunziati sullo
-stesso soggetto da Scarron; in conseguenza questi fu in procinto di
-restar in tronco, ma si salvò con uno sforzo disperato.
-
-«Il signor ministro Mazzarino, egli disse, si è compiaciuto di pensare
-a me.
-
-«Oh bene! oh bellissima! esclamò Menage.
-
-«Ma come farete per continuare a riceverci? seguitò il Coadjutore. Se
-vi scemano le entrate, mi toccherà farvi nominare canonico di Nostra
-Donna.
-
-«Oh no! disse Scarron, vi comprometterei di troppo.
-
-«Dunque avete dei mezzi che noi non conosciamo?
-
-«Prenderò a prestito dalla regina.
-
-«Ma la regina non ha niente del suo, fece Aramis, non vive ella sotto
-il sistema della comunione?»
-
-Il signor di Gondy si volse sorridendo ad Aramis, facendogli un piccol
-segno amichevole colla punta del dito.
-
-«Scusate, caro abate (così gli parlò poi), siete tuttora indietro, e
-bisogna ch’io vi faccia un regalo.
-
-«E di che? domandò Aramis».
-
-Tutti si girarono verso il Coadjutore, che si levò di tasca un cordone
-di seta di forma singolare.
-
-«Oh! esclamò Scarron, ma codesta è una _fronda_!
-
-«Precisamente, rispose il Coadjutore, adesso si fa tutto a uso
-_fronda_. Madamigella Paulet, tengo per voi un ventaglio a fronda.
-D’Herblay, vi manderò il mio guantajo, che fa i guanti a fronda. E a
-voi Scarron, il mio fornajo con un credito senza limite; impasta dei
-pani a fronda che sono eccellenti».
-
-Aramis prese il cordone e se lo cinse al cappello.
-
-Nel momento fu schiuso l’uscio, ed il lacchè gridò forte:
-
-«La signora duchessa di Chevreuse!»
-
-A quel nome ciascuno si alzò. Scarron avviò prestamente la poltrona
-dal lato della porta. Raolo arrossì. Athos fece un cenno ad Aramis, che
-andò a rannicchiarsi nel vano di una finestra.
-
-Fra mezzo ai rispettosi complimenti che la accoglievano ben si scorgeva
-che la duchessa cercasse qualcuno o qualche cosa.
-
-Alfine adocchiò Raolo, e le brillarono le pupille; adocchiò Athos, e si
-fece pensierosa; adocchiò Aramis nel suo cantone, e dietro al ventaglio
-fe’ un atto quasi impercettibile di stupore.
-
-«A proposito, disse come per iscacciare le idee che l’assalivano a suo
-malgrado, come va il povero Voiture? lo sapete, Scarron?
-
-«Che! il signor Voiture è ammalato? chiese il signore che aveva
-discorso con Athos in via Sant’Onorato, e che altro ha egli fatto?
-
-«Ha giuocato senza badare a far preparare dal servitore le camicie
-per cambiarsi, disse il Coadjutore, talmente che ha acchiappata una
-costipazione e se ne muore lesto lesto.
-
-«Dove?
-
-«Dio buono! in casa mia. Figuratevi che Voiture avea fatto voto
-solenne di non giuocar più. A capo a tre giorni non può più reggere,
-e s’incammina all’arcivescovado perchè io lo sciolga dal voto.
-Disgraziatamente, in quel momento ero in affari serj col buon
-consigliere Broussel in fondo al mio appartamento, quando Voiture
-vede il marchese di Luynes a un tavolino ad aspettare un giuocatore.
-Il marchese lo chiama e lo invita a porsi a tavolino. Egli risponde
-che non può toccare le carte se io non lo libero dall’impegno. Luynes
-si obbliga in nome mio, si assume il peccato. Voiture si mette alla
-partita e perde quattrocento scudi, nell’uscire piglia freddo, e va a
-letto per non più alzarsi.
-
-«E sta proprio tanto male, il caro Voiture? domandò Aramis, mezzo
-nascosto dietro alla portiera.
-
-«Oimè! rispose il signor Menage, sta malissimo, e il grand’uomo è forse
-sul punto di lasciarci, _deseret orbem_.
-
-«E sì! obiettò aspramente la Paulet, vi par che muoja? non ci pensa
-neppure! ha attorno tante sultane quante ne potrebbe avere un Turco.
-Madama di Saintot è corsa a dargli dei brodi, la Benadaut gli scalda le
-lenzuola, e persino la nostra amica marchesa di Rambouillet gli manda i
-decotti.
-
-«Ecco, voi non gli volete bene, mia diletta Partenia? disse scherzando
-Scarron.
-
-«Uh! che ingiustizia, mio caro infermo! gli ho anzi tanto poco odio che
-volentieri farei dire delle messe pel riposo dell’anima sua.
-
-«Non v’hanno mica chiamata per nulla la Lionessa, amor mio! gridò dal
-suo posto la Chevreuse! e mordete ben bene!
-
-«Madama, azzardò Raolo, mi pare che maltrattiate di molto un gran poeta.
-
-«Un gran poeta? eh via! si vede che venite dalla provincia, conforme
-dicevate pocanzi, e che non lo avete mai conosciuto. Egli, gran
-poeta!... oh! s’è alto appena di cinque piedi!
-
-«Brava, brava! strillò un tale, lungo, secco e nero, con i mostacci da
-smargiasso e lo spadone enorme al fianco, brava, bella Paulet! è tempo
-una volta di rimettere quel Voiture al suo posto. Io dichiaro altamente
-che credo d’intendermi di poesia, e che ho trovata sempre pessima la
-sua.
-
-«Chi è quel bravaccio? domandò Raolo ad Athos.
-
-«Il signor di Scudery.
-
-«L’autore della _Clelia_ e del _Gran Ciro_?
-
-«Che lo compose in conto a metà con sua sorella, la quale adesso
-discorre con quella bella signorina laggiù, vicino al signore Scarron».
-
-Raolo volgendosi vide infatti due faccie nuove capitate d’allora: una
-gentile, gracile, mesta, contornata da bei capelli neri, occhi soavi
-come quei vaghi fiori di viole sotto a cui brilla un calice d’oro;
-l’altra pareva tenesse colei sotto la sua tutela, ed era fredda, secca
-e gialla, vero viso da matrona.
-
-Raolo fece conto di non muoversi di sala senza aver favellato
-alla leggiadra giovanetta dagli occhietti dolcissimi, che per uno
-stranissimo giuoco del pensiero, e sebbene senza alcuna somiglianza,
-gli rammentava la sua misera Luigia da lui lasciata ammalata nel
-castello di La Vallière, e che fra mezzo a tanta moltitudine aveva egli
-per un momento obbliata.
-
-Nell’intervallo Aramis si era avvicinato al Coadjutore, che con ciera
-assai gioviale gli aveva insinuata qualche paroletta all’orecchio.
-Aramis, ad onta del dominio che aveva sopra sè stesso, non seppe
-frenare un piccolo movimento.
-
-«Sì! ridete! gli disse il signor di Retz, e’ ci guardano».
-
-E lo piantò per andar a ciarlare con madama di Chevreuse, che aveva
-intorno numerosissimo crocchio.
-
-Aramis finse di ridere per disviare l’attenzione di parecchi uditori
-curiosi, ed accortosi che Athos alla sua volta era ito a cacciarsi nel
-vano della finestra dov’egli era rimasto non poco tempo, se ne andò a
-raggiungerlo senza far mostra di nulla dopo aver lanciate alcune parole
-da una parte e dall’altra.
-
-E costoro appena riunitisi intavolarono una conversazione, accompagnata
-da moltissimi gesti.
-
-Raolo si appressò ad essi, conforme avevagli raccomandato Athos.
-
-«Il signor abate, disse Athos, mi ripete un _rondeau_ di Voiture, che a
-me sembra impareggiabile».
-
-Il visconte si trattenne alcuni istanti vicino a loro, indi si mischiò
-alla comitiva di madama di Chevreuse, a cui si erano accostate da un
-lato la Paulet e dall’altro la Scudery.
-
-«Ebbene! fece il Coadjutore, io mi farò lecito di non essere per
-l’appunto del parere del signore Scudery; io trovo all’incontro
-che Voiture è un poeta, ma puro poeta. Gli mancano affatto le idee
-politiche.
-
-«Sicchè? domandò Athos.
-
-«Domani, rispose precipitosamente Aramis
-
-«A che ora?
-
-«Alle sei.
-
-«Dove?
-
-«A San-Mandé.
-
-«Chi ve lo ha detto?
-
-«Il conte di Rochefort!»
-
-Si appressava qualcuno.
-
-«E le idee filosofiche erano quelle che mancavano all’infelice Voiture.
-Io cedo alla opinione del signor Coadjutore: puro poeta.
-
-«Sì, di certo, soggiunse Menage, per poesia egli era stupendo,
-portentoso, eppure la posterità per quanto lo ammiri gli darà una
-taccia, cioè di aver messo nella fattura de’ suoi versi una soverchia
-licenza; egli ha uccisa la poesia senza saperlo.
-
-«Uccisa! così va detto, confermò Scudery.
-
-«Ma che capolavori sono le sue lettere! obiettò la Chevreuse.
-
-«Oh! sotto quell’aspetto, continuò madamigella di Scudery, è
-assolutamente illustre.
-
-«È vero, replicò la Paulet, ma fino a tanto che scherza; giacchè nel
-genere epistolare serio è insoffribile, e se non dice le cose con molta
-durezza, converrete bensì che le dice malissimo.
-
-«Andrete d’accordo però che nella facezia non ha chi sappia imitarlo.
-
-«Sì, sì, rispose Scudery arricciandosi le basette, trovo soltanto che
-in lui la comica è forzata e la facezia troppo familiare. Guardate un
-po’ la sua lettera del _Carpione al laccio_.
-
-«Senza notare, appoggiò Menage, che le migliori inspirazioni gli
-venivano dal palazzo Rambouillet. Vedi _Zelida_ e _Alcidolea_.
-
-«In quanto a me, disse Aramis appressandosi al circolo e salutando
-ossequiosamente madama di Chevreuse, la quale gli rispose con un
-grazioso sorriso, lo taccerò inoltre di essere stato troppo libero con
-i grandi. Ha mancato talvolta di riguardo alla signora principessa,
-al signor maresciallo d’Albret, al signor di Schonberg, e persino alla
-regina.
-
-«Come, alla regina? domandò Scudery cacciando avanti la gamba diritta
-quasi volesse porsi in guardia, cospettone! questa non la sapevo. E in
-che modo, in che modo ha egli mancato a Sua Maestà?
-
-«Non conoscete la sua operetta: _Je pensais_?
-
-«No, disse madama di Chevreuse.
-
-«No, ripetè madamigella di Scudery.
-
-«No, fece pure la Paulet.
-
-«In sostanza, io credo che la sovrana l’abbia comunicata a poche
-persone; ma io l’ho avuta da fonte sicura.
-
-«E la sapete?
-
-«Me la ricorderò, mi pare.
-
-«Sentiamo! sentiamo! gridarono tutti.
-
-«Ecco in quale occasione la fu fatta, disse Aramis. Voiture era nella
-carrozza della regina, che andava a spasso sola con lui nella foresta
-di Fontainebleau. Ei fece mostra di pensare, acciò la sovrana gli
-richiedesse a che pensasse, e tanto avvenne.
-
-«A che pensate, signor Voiture?» lo interrogò Sua Maestà.
-
-Egli sorrise, finse di riflettere per alcuni minuti secondi onde si
-credesse che improvvisasse, e poi rispose:
-
- Je pensais que le destinée,
- Après tant d’injustes malheurs,
- Vous a justement couronnée
- De gloire, d’éclat et d’honneurs;
- Mais que vous étiez plus heureuse
- Lorsque vous étiez autrefois,
- Je ne dirai pas amoureuse....
- La rime le veut toutefois....[11]
-
-Scudery, Menage e madamigella Paulet si strinsero nelle spalle.
-
-«Aspettate! disse Aramis, sono tre le strofe.
-
-«Oh! fece la Scudery, dite tre stanze; se è tutto al più una canzone!»
-
-Aramis ricominciò:
-
- Je pensais que le pauvre Amour,
- Qui toujours vous prête ses armes,
- Est banni loin de votre cour,
- Sans ses traits, son arc et ses charmes;
- Et de quoi je pois profiter
- En passant près de vous, Marie,
- Si vous pouvez si maltraiter
- Ceux qui vous ont si bien servie?[12]
-
-«Oh! osservò madama di Chevreuse, quanto a questo ultimo tratto, non
-so se stia nelle regole poetiche, ma chiedo grazia a suo favore come
-verità, e la signora di Hautefort, e la signora di Senacey si uniranno
-meco se occorre senza contare il signor di Beaufort.
-
-«Tirate pure innanzi, disse Scarron, non son cose che mi riguardino
-più; da stamane in qua io non sono più il suo infermo.
-
-«E l’ultima stanza? disse madamigella di Scudery, sentiamola!
-
-«Eccola, ribattè Aramis, questa ha il vantaggio che va avanti coi nomi
-propri, dimodochè non v’è da prendere abbaglio.
-
- Je pensais, nous autres poëtes,
- Nous pensons extravagamment,
- Ce qui dans l’humeur où vous êtes
- Vous feriez, si dans ce moment
- Vous avisiez en cette place
- Venir le duc de Buckingham,
- El lequel serait en disgrace,
- Du duc ou du père Vincent[13].
-
-A questa terza strofa, si levò un grido generale sull’impertinenza di
-Voiture.
-
-«Ma, disse pianino la signorina dagli occhietti soavissimi, io ho però
-la sfortuna di trovarli stupendi quei versi!»
-
-E tale era pure l’idea di Raolo, che avvicinatosi a Scarron, lo pregò
-timidamente:
-
-«Signore Scarron, fatemi l’onore di dirmi chi è quella damina che è
-sola della sua opinione contro tutta l’illustre comitiva.
-
-«Ah ah! visconte mio, quegli rispose, se non m’inganno avete voglia di
-proporle un’alleanza offensiva e difensiva».
-
-Raolo diventò più rosso di prima, e replicò:
-
-«Confesso che quei versi mi sembrano graziosissimi.
-
-«E realmente lo sono, soggiunse Scarron, ma zitto! tra poeti queste
-cose non si dicono.
-
-«Io però, riprese il visconte, non ho il bene di esser poeta, e vi
-domandavo....
-
-«Sicuro, chi era quella giovane dama? È la bella Indiana.
-
-«Scusatemi, continuò Raolo più vermiglio che mai, ma ne so quanto
-prima. Ohimè! sono provinciale.
-
-«Lo che significa, che capite poco il guazzabuglio che qui scorre da
-tutte le bocche. Meglio! giovanotto mio, meglio così! non cercate di
-comprenderlo, ci perdereste il vostro tempo, e quando lo intenderete
-bisogna sperare che non sia più in uso il parlarlo.
-
-«Sinchè mi compatite, signore, insistè il visconte, e vi degnerete
-dirmi chi è colei, che chiamate la bella Indiana.
-
-«Sì, certo: è una delle più amabili persone ch’esistano: madamigella
-Francesca d’Aubigné.
-
-«È forse della famiglia del famoso Agrippa amico del re Enrico IV?
-
-«È sua nepote. Viene dalla Martinica, ed ecco perchè la chiamo la bella
-Indiana».
-
-Raolo aprì tanto d’occhi, e gli occhi suoi si incontrarono in quelli
-della signorina, la quale sorrise.
-
-Si seguitava frattanto, a discorrere di Voiture.
-
-«Signore, richiese madamigella d’Aubigné a Scarron come per entrare
-nella conversazione ch’esso aveva col visconte, non ammirate gli amici
-del povero Voiture? ma udite un po’ come lo spennano nel tempo che
-lo lodano! Uno gli toglie il buon senso, l’altro la poesia, questo
-l’originalità, quello il gusto comico, uno l’indipendenza, un altro....
-Dio buono! e che gli lasceranno, all’_assolutamente illustre_, come ha
-detto madamigella di Scudery?»
-
-Scarron si mise a ridere, e Raolo pure. La bella Indiana sorpresa
-dell’effetto da lei prodotto abbassò il ciglio e ritornò nell’ingenuo
-suo aspetto.
-
-«È molto spiritosa!» disse Raolo.
-
-Athos sempre nel vano della finestra osservava tutta la scena con un
-sorriso di disprezzo sul labbro.
-
-«Chiamate un poco il conte de la Fère, disse madama di Chevreuse al
-Coadjutore, ho bisogno di parlargli.
-
-«Ed io, rispose il Coadjutore, ho bisogno che tutti credano che non gli
-parlo. Lo amo e lo ammiro, giacchè conosco le sue antiche avventure,
-almeno parecchie, ma non ho idea di salutarlo che doman l’altro la
-mattina.
-
-«E perchè doman l’altro?
-
-«Lo saprete domani sera, replicò ridendo il signor di Gondy.
-
-«Ma, in coscienza, voi discorrete a suon di geroglifici. Signor
-d’Herblay, aggiunse volgendosi ad Aramis, favorite anche una volta
-esser mio servente questa sera?
-
-«E come, duchessa! disse Aramis, questa sera, domani, sempre!
-
-«Or bene, andate a chiamarmi il conte di la Fère».
-
-Aramis si accostò ad Athos e ritornò indietro seco.
-
-«Signor conte, fece la duchessa consegnando ad Athos una lettera, ecco
-ciò che vi avevo promesso; il nostro protetto sarà benissimo ricevuto.
-
-«Madame, egli è ben fortunato di esservi debitore di qualche cosa.
-
-«In quanto a questo voi non avete invidia, di certo, giacchè io debbo a
-voi l’averlo conosciuto».
-
-La maliziosa donna diede una tal risposta con un sorrisetto che ad
-Athos rammentò Maria Michon.
-
-E indi si alzò e chiese la carrozza.
-
-Madamigella Paulet era già partita; madamigella di Scudery se ne andava.
-
-«Visconte, ordinò Athos a Raolo, seguitate la duchessa di Chevreuse;
-pregatela di accettare la vostra mano per scendere, e andando giù con
-lei ringraziatela».
-
-La bella Indiana si appressò a Scarron per prender da esso commiato.
-
-«Ve n’andate digià? domandò Scarron.
-
-«Vo via una delle ultime, come vedete. Se avete notizie del signor
-Voiture, e specialmente se son buone, fatemi grazia di mandarmele
-domani.
-
-«Oh! oramai può morire.
-
-«Come!
-
-«Senza dubbio: è bell’e fatto il suo panegirico».
-
-E si separarono ridendo, la giovanetta girandosi a guardare il povero
-paralitico con premura, il paralitico seguendola con occhi amorosi.
-
-A poco a poco si diradavano i crocchi. Scarron non fece mostra di
-vedere che taluni si erano parlato misteriosamente, che per diversi
-erano giunte delle lettere, e che il suo trattenimento serale pareva
-avesse avuto uno scopo occulto lontanissimo dalla letteratura di cui
-però si era trattato con tanto calore. Ma a Scarron che importava di
-ciò? ormai in casa sua si poteva _sparlare_ (_fronder_) a bell’agio:
-dalla mattina in poi, conforme aveva detto, egli non era più l’infermo
-della regina.
-
-Raolo accompagnò difatti la duchessa sino alla carrozza, in cui essa
-salì dandogli a baciare la mano; poi per uno di quei capriccetti che
-la rendevano sì adorabile, e soprattutto sì pericolosa, lo afferrò
-improvvisamente per la testa e lo baciò in fronte, dicendogli:
-
-«Visconte, deh! i miei voti e questo bacio vi portino fortuna».
-
-Indi lo rispinse, e ordinò al cocchiere di trottare sino al palazzo di
-Luynes.
-
-La carrozza era corsa via; la signora di Chevreuse aveva fatto dallo
-sportello un piccolo cenno a Raolo, e questi rimaneva là confuso.
-
-Athos comprese quanto era avvenuto.
-
-«Venite, visconte, egli disse; è tempo che vi ritiriate: domani
-partirete per l’armata del signor Principe; dormite bene per l’ultima
-vostra notte di cittadino.
-
-«Sarò dunque soldato? oh, grazie, grazie di cuore.
-
-«Addio, conte, disse l’abate d’Herblay, me ne torno in convento.
-
-«Addio, abate, fece il Coadjutore, domani predicherò, e questa sera ho
-da consultare una ventina di testi.
-
-«Addio, signori, aggiunse Athos, io vo a dormire per ventiquattro ore
-di seguito; non mi reggo dalla stanchezza».
-
-I tre si salutarono, ed uscirono dopo aver ricambiato un ultimo sguardo.
-
-Scarron li seguitava con la coda dell’occhio attraverso alle portiere
-del suo salone.
-
-«Nessun di loro farà quel che dice, borbottò col suo sogghigno da
-scimmia, ma vadano pure, bravi gentiluomini! chi sa se non lavorano a
-farmi restituire la mia pensione? essi possono muovere le braccia, e
-questo è molto; io ahimè! non ho altro che la lingua, ma procurerò di
-provare ch’è pure qualcosa. Ehi, Champenois! venite a trascinarmi verso
-il mio letto.... In verità, è molto amabile la signorina d’Aubigné!»
-
-E il povero paralitico disparve nella sua camera dormitoria, fu chiuso
-l’uscio, ed i lumi si spensero l’un dopo l’altro nel salone della via
-des Tournelles.
-
-
-
-
-XXIV.
-
-_San Dionigi._
-
-
-Principiava ad esser giorno quando Athos si alzò e si fece vestire.
-Dalla sua pallidezza maggiore del consueto, e dai segni che lascia sul
-volto la veglia, si scorgeva che doveva aver passata quasi tutta la
-notte senza dormire. Contro l’abitudine di quest’uomo tanto fermo e
-deciso, esisteva in quella mattina in tutta la sua persona qualche cosa
-di lento e d’irresoluto.
-
-Egli è che si occupava ai preparativi di partenza di Raolo e cercava di
-acquistar tempo. Prima forbì da sè una spada che trasse da un astuccio
-di cuojo profumato, esaminò se la impugnatura era ben in guardia, e se
-la lama reggeva a questa assai solidamente.
-
-Dipoi gettò in fondo ad una valigia destinata al giovanetto un
-sacchetto pieno di luigi, chiamò Olivain (il lacchè che lo aveva
-accompagnato da Blois), e gli fece fare davanti a sè i fagotti,
-invigilando che vi fossero tutti gli oggetti necessarj ad uno che si
-mette in campagna.
-
-Ed avendo impiegato un’ora circa in tali diligenze, aprì l’usciale che
-conduceva in camera del visconte e vi entrò leggermente.
-
-Il sole digià brillante penetrava nella stanza dalla larga finestra di
-cui Raolo, tornato tardi, aveva trascurato di chiudere le portiere la
-sera precedente. Dormiva esso ancora, con la testa graziosamente posata
-sul braccio. I lunghi capelli neri gli cuoprivano per metà la bella
-fronte umida tuttavia di quel vapore che scorre in placide perle giù
-per la guancia dello stanco fanciullo.
-
-Athos si avvicinò, e chinatosi in atto ricolmo di tenera malinconia,
-stette lunga pezza a considerare il giovanetto dal labbro sorridente,
-dalle palpebre quasi chiuse, di cui i sogni dovevano essere dolcissimi
-e lieve il sonno, tanto era l’affetto e la sollecitudine che poneva
-l’angiolo suo protettore nella tacita sua custodia. A grado a grado
-Athos si lasciò trasportare dall’incanto della sua meditazione al
-cospetto di quella gioventù sì ricca e pura, e a lui ricomparve la
-gioventù sua propria, seco recando tutte le sue soavi rimembranze,
-le quali sono piuttosto fragranze che pensieri. Da quel passato al
-presente correva un abisso. Ma l’immaginazione ha il volo dell’angiolo
-e del lampo; varca i mari ove noi fummo presso a naufragare, le
-tenebre in cui si perderono le nostre illusioni, i pregiudizj in cui
-si sommerse la nostra felicità. Ei riflettè che la prima parte della
-sua vita era stata distrutta da una donna; riflettè atterrito a quanta
-influenza aver possa l’amore sovra ad una organizzazione sì delicata e
-vigorosa a un tempo stesso.
-
-Ricordandosi tutto ciò ch’egli aveva sofferto, previde ciò che
-soffrir poteva Raolo, e l’espressione della profonda e tenera pietà
-penetratagli in cuore si risvegliò nell’umido sguardo che ei tenne
-fisso sul fanciullo.
-
-Nel momento Raolo si destò, con quel risveglio scevro da nuvoli, da
-tenebre e da fatiche che caratterizza certi naturali delicati al pari
-di quello degli augelli. I suoi occhi si fermarono su quelli di Athos,
-ed egli senza dubbio comprese quanto passava nell’interno dell’uomo che
-attendeva il suo destarsi nella guisa in cui un amante attende quello
-della sua bella, giacchè gli corse nello sguardo l’espressione di un
-amore infinito.
-
-«Eravate costì, signore! disse in tuono del massimo rispetto.
-
-«Sì, Raolo, era qua, rispose il conte.
-
-«E non mi svegliavate!
-
-«Volevo lasciarvi ancor qualche momento del vostro buon sonno; dovete
-essere stanco della giornata di jeri prolungatasi tanto tardi.
-
-«Oh! quanto siete buono!
-
-«Come vi sentite?
-
-«Benissimo, e quieto e in forze.
-
-«Egli è che crescete tuttora; continuò Athos con interesse paterno e da
-uomo già maturo, e le fatiche all’età vostra son doppie.
-
-«Ah! vi chiedo scusa, signore, disse Raolo confuso da tanta premura, ma
-fra un momento sarò vestito».
-
-Athos chiamò Olivain, e dopo dieci minuti, il suo pupillo con la
-puntualità che gli era stata trasfusa da lui già avvezzo al servizio
-militare, si trovò bell’e pronto.
-
-«Adesso, disse il visconte al domestico, occupatevi del mio bagaglio.
-
-«Il vostro bagaglio vi aspetta, gli rispose Athos; io ho fatto fare la
-valigia sotto i miei occhi, e nulla vi mancherà. Dev’essere digià posta
-addosso ai cavalli, ugualmente che la sacca del servitore, se il mio
-comando si è eseguito esattamente.
-
-«Con ogni precisione e secondo la vostra volontà, signor conte, avvertì
-Olivain, e i cavalli attendono.
-
-«Ed io stava a dormire! esclamò Raolo, mentre voi avevate la bontà
-di provvedere a tutte queste cose! ma davvero mi colmate di tratti
-d’immensa bontà!
-
-«Sicchè mi amate un poco, almeno io lo spero, replicò Athos con molta
-commozione.
-
-«Oh! signore, disse Raolo, che per non manifestare tutta la sua
-tenerezza faceva sforzi onde pativa oltremodo; mi è testimone Iddio che
-vi amo e vi venero!
-
-«Badate di non dimenticar roba alcuna, fece Athos figurando di cercarsi
-attorno per celare la sua agitazione.
-
-«No, no.... signore».
-
-Il lacchè, accostatosi allora ad Athos con un tal qual titubanza, gli
-disse piano:
-
-«Il signor visconte non ha spada, perchè jeri sera vossignoria mi fece
-portar via quella ch’ei si era levata.
-
-«Va bene, ci penso io», rispose il padrone.
-
-Raolo non mostrò accorgersi del breve dialogo. Scese guardando ad ogni
-poco il conte per conoscere se era giunto l’istante dell’addio; ma
-Athos non faceva moto.
-
-Arrivato sul verone, il giovine vide tre corsieri.
-
-«Oh! esclamò esultante, dunque mi accompagnate?
-
-«Voglio condurvi un poco in là, disse il conte».
-
-E negli occhi al garzoncello brillò sommo giubilo, e saltò egli svelto
-a cavallo.
-
-Athos si pose lentamente sul suo dopo aver dette poche parole sotto
-voce al servo, il quale invece di andar subito appresso, salì di
-nuovo a casa. Raolo, contentissimo di essere insieme col conte, non si
-accorse di niente, o di niente parve almeno si accorgesse.
-
-I due gentiluomini presero dal Ponte Nuovo, continuarono su per gli
-scali, o piuttosto da quel che si chiamava inallora l’_Abreuvoir
-Pépin_, e rasente alle mura del _Gran Castelletto_. Quando entravano
-nella contrada di San Dionigi li raggiunse il lacchè.
-
-Fecero il tragitto in silenzio. Il giovanetto capiva che si
-approssimava il momento della separazione: la sera innanzi il conte
-aveva date diverse istruzioni per cose che lo riguardavano nel corso
-della giornata. D’altronde i suoi sguardi divenivano ognora più
-affettuosi, e così pure le poche parole ch’ei si lasciava sfuggire.
-Tratto tratto gli usciva di bocca una riflessione o un consiglio, e la
-sua favella dava indizio di estrema premura.
-
-Oltrepassata la porta San Dionigi, e mentre erano arrivati all’altura
-dei Certosini, Athos diede un’occhiata al palafreno di Raolo.
-
-«Badate, disse al giovane, avete la mano grave; ve l’ho detto più
-volte, e non dovreste dimenticarlo, giacchè è un gran difetto in un
-cavallerizzo. Vedete! il vostro cavallo è digià stanco e butta la
-spuma, intanto che il mio sembra uscito or dianzi dalla scuderia.
-Gl’indurite la bocca stringendogli di troppo il morso, e non potete più
-farlo agire colla prontezza necessaria. La salvezza di un cavalcante
-dipende talora dalla sollecita obbedienza dell’animale ch’egli ha
-sotto. E fra otto giorni, rifletteteci, non avrete da manovrare alla
-cavallerizza, ma sibbene sul campo di battaglia».
-
-In un subito però, e per non dare soverchia importanza alla sua
-osservazione, ei soggiunse:
-
-«Guardate, Raolo, che bella pianura per inseguire le pernici!»
-
-Il fanciullo approfittava della lezione, ed ammirava la delicatezza con
-cui venivagli data.
-
-«L’altro giorno notai anche un’altra cosa, riprese Athos, cioè che
-nello sparare la pistola tenevate il braccio troppo steso. Con questo
-la botta va meno sicura, e realmente mancaste il bersaglio tre volte su
-dodici.
-
-«E voi lo coglieste tutte e dodici, rispose sorridendo Raolo.
-
-«Perchè piegavo il pugno, e riposavo così la mano sul gomito. Mi capite
-bene, mio caro?
-
-«Oh sì; dipoi ho tirato da me solo, attenendomi a questo suggerimento,
-ed ho avuto buonissimo esito.
-
-«Ecco, ricominciò Athos, anco battendovi di scherma incalzate di
-soverchio l’avversario. È difetto proprio dell’età vostra, lo so, ma il
-movimento del corpo in ciò troppo frequente scompone sempre la spada
-dalla linea, e se aveste che fare con un uomo di sangue freddo, vi
-fermerebbe al primo vostro passo con una semplice svolta del ferro, o
-pure con una botta diritta.
-
-«Sì, sì, conforme voi faceste spessissimo, ma non tutti hanno la vostra
-destrezza ed il vostro coraggio.
-
-«Che vento fresco!... è un ricordo dell’inverno.... Appunto, se andate
-al fuoco, e vi andrete perchè siete raccomandato ad un generale assai
-portato pella polvere, sovvenitevi in un impegno da solo a solo,
-secondo accade sovente a noi altri di cavalleria, di non essere mai il
-primo a tirare: chi tira primo tocca di rado l’altro, perchè va col
-timore di essere disarmato davanti ad un nemico armato; indi quando
-quegli vibra il colpo, fate che il vostro cavallo s’impenni: è questa
-una manovra che due o tre fiate mi ha salvata la vita.
-
-«Ed io l’adoprerò, quando non fosse che per gratitudine.
-
-«Oh! fece Athos, non sono cacciatori di contrabbando coloro che son
-laggiù arrestati?... Ma un altro avviso importante: se siete ferito,
-se cadete di sella e vi rimane ancora un po’ di forza, toglietevi
-dalla linea che ha seguitata il vostro reggimento; diversamente esso
-può esser ricondotto indietro e voi calpestato dai cavalli. In ogni
-caso, qualora siate ferito, scrivetemi sul momento o fatemi scrivere;
-c’intendiamo di ferite, noi altri!»
-
-E il conte così dicendo sospirava.
-
-«Grazie, rispose Raolo commosso.
-
-«Eccoci a San Dionigi», balbettò Athos.
-
-Erano appunto alla porta della città custodita da due sentinelle. Una
-di esse disse all’altra:
-
-«Ecco ancora un giovine gentiluomo che mi ha la cera di andare
-all’armata».
-
-Athos si volse: tutti quei che si occupavano anche in modo indiretto di
-Raolo prendevano tosto per lui il maggiore interesse.
-
-«Da che ve ne avvedete? domandò al soldato.
-
-«Dal suo aspetto, colui rispose, e poi egli è dell’età voluta; per oggi
-è il secondo.
-
-«È già passato stamane uno simile a me? richiese Raolo.
-
-«Sì signore, di nobil figura e in bellissimo equipaggio; mi è sembrato
-figliuolo di qualche gran signore.
-
-«Sarà per me un compagno di viaggio, disse il giovanetto ad Athos, ma
-ohimè! non mi farà obliare quello che io perdo.
-
-«Non credo che lo raggiungiate, replicò il conte, perchè io ho da
-parlarvi qua, e ciò che ho da dirvi esigerà forse tanto tempo che quel
-gentiluomo vi preceda di molto.
-
-«Come vi piace, signore».
-
-Così favellando i due traversavano le strade che erano piene di gente
-a motivo della solennità della festa, ed arrivavano di faccia alla
-basilica ove dicevasi una prima Messa.
-
-«Smontiamo, fece Athos, e voi Olivain, custodite i cavalli e date a me
-la spada».
-
-E presa la spada che il servo gli porgeva entrò assieme col visconte.
-
-Athos offerse l’acqua benedetta a Raolo. In certi cuori di padri v’è un
-poco di quel premuroso amore che ha per l’amante sua l’innamorato.
-
-Il giovinetto toccò al conte la destra, salutò, e si fece il segno
-della croce.
-
-Athos disse poche parole ad uno dei custodi, il quale dopo un inchino
-si avviò verso i sotterranei.
-
-«Venite, Raolo, disse Athos, e seguitiamo quell’uomo».
-
-Il guardiano aprì il cancello delle tombe regie, e stette sul gradino
-più alto, mentre i due forestieri discendevano. Le profondità della
-scala sepolcrale erano rischiarate da una lampada d’argento posta
-sull’ultimo gradino, e precisamente sotto quel lume stava avvolto in
-un ampio manto di velluto paonazzo con umili gigli d’oro, un catafalco
-sorretto da cavalletti di ebano.
-
-Raolo, preparato a quella situazione dallo stato del proprio cuore
-ricolmo di mestizia, dalla maestà dei tempio che aveva tutto percorso,
-era sceso con passo lento e solenne; e si teneva in piedi e nuda
-la testa dinanzi a quella spoglia mortale dell’ultimo re, la quale
-non doveva andare a raggiungere gli avi suoi se non quando il suo
-successore verrebbe a raggiungere lui stesso, e che pareva restasse
-colà per dire all’umano orgoglio, facile tanto ad esaltarsi sul trono:
-«Polve terrestre, ti aspetto».
-
-Fuvvi un momento di silenzio.
-
-Dopo di che Athos alzando la mano, e additato il sepolcro, disse:
-
-«Questa incerta sepoltura è quella di un uomo debole e senza alcuna
-grandezza, e che pur non ostante ebbe un regno pieno di avvenimenti....
-perchè al disopra di questo re vegliava lo spirito di un altro uomo,
-come la lampada che qui mirate veglia sopra alla bara e le dà la
-luce. Quegli era re vero; l’altro non era che una larva in cui egli
-poneva l’anima sua. E bensì, tanto è possente presso di noi la maestà
-monarchica, che quell’uomo non ebbe tampoco l’onore di una tomba ai
-piedi di colui per la cui gloria adoprò la sua vita, imperocchè, e di
-ciò vi sovvenga, o Raolo, s’ei fece piccolo il re, fe’ ben grande la
-regale dignità. Codesto regno passò; il ministro temuto, terribile,
-odiato dal suo padrone, calò nella tomba, traendovi seco il re, cui
-non voleva lasciar viver solo, per tema al certo che distruggesse
-l’opera sua, dacchè un re non erige, non edifica, se non quando abbia
-seco o Dio, o lo spirito di Dio. Allora però, tutti considerarono la
-morte di Richelieu come una salvezza, ed io pure, tanto sono ciechi i
-contemporanei! spesso mi opposi ai disegni del gran uomo che teneva
-nelle sue mani la Francia, e che secondo queste apriva o stringeva,
-la soffocava o le dava aria a suo talento. Se non ci annientò me e gli
-amici miei, nella tremenda ira sua, fu di sicuro onde oggi io potessi
-dirvi: Raolo, sappiate sempre rispettare il re e la regale dignità.
-Raolo, ei mi sembra di vedere il vostro avvenire come traverso ad un
-nuvolo. Esso è, per quanto io creda, migliore del nostro. All’opposto
-da noi, che avemmo un ministro senza re, voi avrete un re senza
-ministro. Quindi potrete servire, amare e rispettare il sovrano. Se il
-sovrano divien mai un tiranno, imperciocchè il sommo potere ha tali
-vertigini che lo spingono talvolta alla tirannide, servite, amate e
-rispettate in lui la dignità regale, quella scintilla che fa la polve
-tanto grande e santa, che noi, pur gentiluomini d’alto grado, siamo
-sì poco davanti a quel corpo steso sull’ultimo gradino di questa scala
-com’è il corpo medesimo dinanzi al trono del Signore.
-
-«Adorerò Iddio, disse Raolo, rispetterò la regia potestà, e se muojo
-procurerò di morire pel re, pella potestà regia e per Dio. Vi intesi io
-bene, o signore?»
-
-Athos sorrise.
-
-«Siete d’indole nobilissima, rispose, ed eccovi la vostra spada».
-
-Raolo pose in terra un ginocchio, ed il conte seguitò:
-
-«La portò mio padre, leale gentiluomo; io la portai, e qualche volta
-le feci onore quando in mia mano era l’elsa e mi pendeva al fianco il
-fodero. Se la vostra destra è ancor debole per maneggiare questa spada,
-meglio così! avrete maggior tempo onde imparare a non isguainarla se
-non quando essa debba mostrarsi.
-
-«Signore, replicò il giovanetto, tutto io vi devo, ma questo brando è
-il più prezioso di tutti i vostri doni; lo terrò, ve lo giuro, come si
-spetta ad un uomo riconoscente».
-
-E accostate all’impugnatura le labbra la baciò rispettoso.
-
-«Alzatevi, visconte, ed abbracciamoci», disse Athos.
-
-Raolo si gettò con trasporto nelle sue braccia.
-
-«Addio, balbettò il conte che si sentiva venir meno il cuore, addio, e
-pensate a me.
-
-«Oh sempre! oh, in eterno! sì, lo giuro, e se mi avvenga qualche
-sciagura, il vostro nome sarà l’ultima mia parola, e la memoria di voi
-l’ultimo mio pensiero».
-
-Athos risalì in fretta onde celare la sua emozione, diede una moneta
-d’oro al custode delle tombe, s’inchinò davanti all’altare, e corse al
-loggiato della chiesa, fuori del quale Olivain attendeva con gli altri
-due cavalli.
-
-«Olivain, gli disse, additando il budriere di Raolo, stringete
-la fibbia di questa spada ch’è troppo lenta. Bene.... Adesso
-accompagnerete il signor visconte fintanto che Grimaud vi abbia
-raggiunto, ed allora lo lascerete seco. Intendete, Raolo? Grimaud è un
-vecchio servo pieno di coraggio e di prudenza, egli vi seguirà.
-
-«Come vi piaccia, mio signore.
-
-«Animo, a cavallo, ch’io vi vegga partire».
-
-Raolo obbedì.
-
-«Addio Raolo, addio, figlio caro!
-
-«Addio, signore, addio, mio benefattore!
-
-Athos fe’ un cenno colla mano, chè non osava parlare, e Raolo si
-allontanò tenendo nella destra il cappello.
-
-Athos rimase immobile a guardarlo sinchè ei disparve alla svolta di una
-strada. Allora gettata ad un villico la briglia del suo corsiero, salì
-piano i gradini, rientrò in chiesa, andò ad inginocchiarsi nel luogo
-più oscuro, ed ivi pregò.
-
-
-
-
-XXV.
-
-_Uno dei quaranta mezzi di fuga del sig. di Beaufort._
-
-
-Frattanto passava il tempo per il prigioniero come per quelli che
-occupavansi della sua fuga; se non che per lui trascorreva più
-lentamente. Al contrario degli altri uomini, i quali prendono con
-calore una risoluzione pericolosa e si raffreddano a misura che
-avvicinasi il momento di eseguirla, il duca di Beaufort, il di cui
-coraggio era ormai passato per proverbio ed incatenato da una inazione
-di cinque anni, sembrava spingesse innanzi il tempo e co’ suoi voti
-chiamasse l’ora di agire. Esisteva nella sua fuga, indipendentemente
-dai progetti che faceva per l’avvenire, e, confessiamolo, molto vaghi
-ed incerti, un principio di vendetta che gli consolava il cuore. In
-primo luogo la sua clandestina partenza era un imbroglio pel signor
-di Chavigny, ch’egli aveva preso ad abborrire a motivo delle piccole
-persecuzioni in cui lo aveva assoggettato; poi un grave imbarazzo per
-Mazzarino che detestava ed esecrava a cagione dei grandi rimproveri che
-avea da fargli. Come ognun vede si manteneva l’opportuna proporzione
-tra i sentimenti del signor di Beaufort verso il governatore ed il
-ministro, il subalterno ed il padrone.
-
-Di più il duca, che conosceva tanto bene lo interno del palazzo reale,
-e non ignorava le relazioni della regina col ministro, metteva in scena
-dalla sua carcere tutto quel movimento drammatico che succederebbe
-allorchè dal gabinetto di Mazzarino alla camera di Anna echeggiasse
-il grido «È scappato di Beaufort!» E ripensando a tutto questo, se
-la rideva fra sè, e gli pareva già di esser fuori a respirar l’aria
-delle pianure e delle selve, dando di sprone a un robusto corsiero, ed
-esclamando ben forte: «Son libero!»
-
-È vero che ritornato poi in sè stesso si trovava tra quattro mura,
-vedeva dieci passi distante la Ramée che rigirava un dito pollice
-sull’altro, e nell’anticamera le otto guardie che scherzavano o
-bevevano.
-
-L’unica cosa che lo riposava da quadro sì odioso, tanto è grande
-l’instabilità della mente umana, era la faccia arcigna di Grimaud,
-quella faccia che in sul principio egli aveva presa ad odiare e che
-indi era diventata tutta la sua speranza. Grimaud gli sembrava bello a
-pari d’un Antinoo.
-
-È superfluo il dire che tutto questo era un giuoco dell’immaginazione
-riscaldata del nostro detenuto. Grimaud era sempre lo stesso; e quindi
-si conservava l’intera fiducia del suo superiore. La Ramée che ormai
-avrebbe contato più su di lui che sopra sè medesimo, giacchè, come
-accennammo, la Ramée provava in fondo al cuore una tal qual debolezza a
-favore del sig. di Beaufort.
-
-E perciò il buon la Ramée godeva anticipatamente della cena da fare
-da solo a solo col prigioniero. Ei non aveva che un difetto, la gola;
-aveva trovate squisite le robe del successore di Marteau, e questi gli
-aveva promesso un pasticcio ripieno di fagiani anzi che di galletti,
-e del vino di Chambertin invece del Macon. Lo che abbellito dalla
-presenza dell’ottimo principe, che inventava sì graziose burlette
-contro il Chavigny, e lepidissimi scherzi addosso al Mazzarino, formava
-della bella Pentecoste vicinissima una delle più brillanti feste per
-messer la Ramée.
-
-Sicchè esso attendeva le sei ore di sera con impazienza uguale a quella
-del duca.
-
-Sino dalla mattina si era occupato di tutti i dettagli, e non fidandosi
-di alcuno avea fatta in persona una visita al successore di mastro
-Marteau. Costui aveva operato portenti: gli mostrò un vero pasticcio
-_mostro_, adorno sul coperchio con le armi del signor di Beaufort; era
-vuoto, ma accanto si vedevano un fagiano e due pernici lardellate e
-tonde che parevano tre torsellini da spilli.
-
-Per maggior fortuna, noi già lo avvertimmo, il signor di Chavigny
-riposandosi su la Ramée era andato a fare un piccolo viaggio, e
-partitosi la mattina stessa avea lasciato lui come si direbbe,
-sotto-governatore del castello.
-
-Grimaud poi sembrava in viso più arcigno che mai.
-
-Nel giorno il signor di Beaufort aveva giuocato alla palla con la
-Ramée; un cenno di Grimaud gli avea dato a capire che dovesse badar
-bene a tutto.
-
-Grimaud andando avanti insegnava la strada che doveva farsi la sera.
-Il giuoco della palla era in quello che chiamava il recinto del
-piccolo cortile del castello; luogo assai deserto ove non si ponevano
-sentinelle se non nel momento in cui il duca faceva la partita, ed
-anco a motivo dell’altezza del muro pareva codesta una precauzione
-superflua.
-
-V’erano da aprire tre porte innanzi d’arrivare a quel recinto. Ad
-ognuna serviva una chiave diversa. La Ramée teneva tutte e tre le
-chiavi.
-
-Giunto al locale predetto, Grimaud andò come alla spensierata a sedersi
-vicino ad una feritoja, con le gambe penzoloni fuor della muraglia.
-Diveniva chiaro che in quel punto sarebbe fissata la scala di corde.
-
-Questa manovra, facile a comprendersi pel signor di Beaufort, era però,
-secondo ciascuno lo riconosce, impossibile a intendersi per la Ramée.
-
-S’incominciò la partita. Questa volta il duca era in vena, e v’era
-quasi da dire che posasse colle dita le pillotte dove voleva ch’elle
-andassero. La Ramée fu battuto compiutamente.
-
-Quattro dei guardiani del signor di Beaufort lo avevano accompagnato
-e raccoglievano le palle. Terminato il giuoco, egli burlando la Ramée
-pella sua poca abilità, offerse ai guardiani due luigi acciò andassero
-a bere alla sua salute con gli altri quattro loro camerati.
-
-Coloro chiesero l’autorizzazione a la Ramée, il quale la concesse, ma
-soltanto per la sera. Sino allora egli aveva da occuparsi di faccende
-importanti, e dovendo far varie gite desiderava che in assenza sua il
-prigioniero non si perdesse di vista.
-
-Qualora il signor di Beaufort avesse disposte le cose di per sè,
-probabilmente le avrebbe fatte meno a sua convenienza di quello che le
-accomodasse il suo custode.
-
-Finalmente suonarono le sei! sebbene non s’avesse da porsi a tavola
-sino a sette ore, il pasto era pronto e apparecchiato. Sopra una
-credenza stava il pasticcio colossale con le armi del duca, che pareva
-cotto appuntino, da quanto si poteva giudicare al color dorato della
-crosta.
-
-E tutto il rimanente era sul medesimo genere.
-
-Tutti avevano grande impazienza, le guardie d’ire a bere, la Ramée dì
-mettersi a mensa, e il signor di Beaufort di scappare.
-
-Il solo Grimaud se ne stava impassibile. Avreste detto che Athos lo
-avesse educato nella previdenza di quella grande circostanza.
-
-In certi momenti il duca guardandolo domandava fra sè se pur sognava,
-e se quella figura di marmo era realmente al suo servizio, e se si
-animerebbe arrivato l’istante opportuno.
-
-La Ramée licenziò le guardie, ad esse raccomandando di bere alla salute
-del principe, e indi partite ch’esse si furono serrò le porte, si mise
-in tasca le chiavi, e additò la tavola al duca in modo che significava:
-
-«Quando vorrà monsignore».
-
-Il principe guardò Grimaud, Grimaud guardò l’orologio a pendolo; erano
-appena sei ore e un quarto; la fuga era fissata per le sette, talchè
-restava da aspettare tre quarti d’ora.
-
-Il signor di Beaufort per acquistare uno di quei tre quarti, addusse a
-mo’ di pretesto una certa sua lettura e chiese di finire il capitolo.
-La Ramée si accostò, allumò di su la spalla che libro fosse quello
-avente tanta influenza sopra Sua Altezza da impedirle di sedersi a
-mensa imbandita la cena.
-
-Erano i Commentarj di Cesare, ch’egli stesso ad onta delle istruzioni
-del signor di Chavigny, procacciati gli aveva tre giorni innanzi.
-
-E la Ramée si propose fermamente di non più porsi in contravvenzione
-coi regolamenti della torre.
-
-Intanto sturò le bottiglie, e andò ad annusare un tantino il pasticcio.
-
-Alle sei e mezza il duca si alzò dicendo in aria grave:
-
-«Assolutamente Cesare era l’uomo più grande dell’antichità.
-
-«Vi par proprio così, monsignore? fece la Ramée.
-
-«Sì.
-
-«Ebbene, io ho più caro Annibale.
-
-«E perchè, messer la Ramée?
-
-«Perchè non ha lasciato commentarj», replicò il birro col suo solito
-sorriso assai comune.
-
-Il signor di Beaufort capì l’allusione, e si mise a tavola ammiccando a
-la Ramée si situasse dirimpetto.
-
-E il birro non se lo fece mica dire due volte.
-
-Non v’è faccia tanto espressiva come quella di un vero ghiottone che
-stia davanti a lauta mensa; e la faccia di la Ramée, mentre dalle
-mani di Grimaud ei riceveva la sua scodella di minestra, offeriva il
-sentimento della vera beatitudine.
-
-Il duca lo guatò sogghignando.
-
-«Per bacco! egli disse, ma sapete che se qualcuno mi asserisse esservi
-al mondo un uomo più felice di voi, io non lo crederei?
-
-«E in coscienza avreste ragione, monsignore. Per me confesso che quando
-ho fame non conosco veduta più piacevole che una tavola bene imbandita;
-e se aggiungete che quegli che tratta è il nepote d’Enrico il Grande,
-comprenderete che l’onore che si riceve raddoppia il diletto che si
-gode».
-
-Il principe s’inchinò colla vita, ed apparve un sorriso impercettibile
-sul volto di Grimaud che stava dietro a la Ramée.
-
-«Mio caro la Ramée, disse il signor di Beaufort, non v’è uno eguale a
-voi per far un complimento.
-
-«No, monsignore, rispose l’altro nel calore dell’animo suo, no davvero,
-dico quello che penso, e in questo che vi dico non c’è complimento.
-
-«Dunque mi siete affezionato?
-
-«Cioè, non mi consolerei più se Vostra Altezza uscisse da Vincennes.
-
-«Stranissima maniera di dimostrarmi la vostra _afficione_ (il principe
-voleva dire: la vostra affezione).
-
-«Ma, Altezza, soggiunse la Ramée, fuori di qui che fareste? qualche
-pazzia che vi metterebbe in dissapori con la corte e vi farebbe
-piantare alla Bastiglia invece di Vincennes. Il signor di Chavigny non
-è garbato, ne convengo (seguitò trincando un bicchierino di Madera), ma
-il signor du Tremblay è anco di peggio!
-
-«Veramente? fece il duca, il quale aveva genio all’andamento che
-prendeva il colloquio, e tratto tratto osservava l’orologio la di cui
-lancetta progrediva con tal lentezza da farlo disperare.
-
-«Che volete aspettarvi dal fratello di uno ch’è avvezzato alla scuola
-del Richelieu? Ah! Altezza, date retta a me, l’è una gran sorte che la
-regina, che per quanto ho inteso dire vi ha voluto sempre bene, abbia
-avuta l’idea di mandarvi qui, dove abbiamo passeggio, giuoco di palla,
-buoni pasti ed aria ottima.
-
-«Sicchè a sentir voi, continuò il principe, sono molto ingrato per aver
-concepito un sol momento il pensiero d’uscir di qua?
-
-«È il colmo dell’ingratitudine! ma Vostra Altezza non vi ha mai pensato
-sul serio.
-
-«Sì, anzi, ribattè il Beaufort, e debbo confessarlo, sarà follia, non
-dico di no, ma di quando in quando ci penso tuttora.
-
-«Sempre, con uno dei vostri quaranta mezzi, monsignore?
-
-«Eh sì!
-
-«Ecco, via, giacchè siamo a sfogarci, ditemi una delle quaranta maniere
-inventate da Vostra Altezza.
-
-«Volentieri, rispose il duca, Grimaud, datemi il pasticcio.
-
-«Sto ad ascoltare», disse la Ramée, e buttandosi giù sulla seggiola,
-alzava il bicchiere, e faceva occhiolino per guardare il sole al
-tramonto a traverso al liquore color di rubino che in quello si
-conteneva.
-
-Il signor di Beaufort diede un’occhiata all’orologio: tra dieci minuti
-sonerebbe le sette.
-
-Grimaud recò il pasticcio davanti al principe. Questi pigliò il suo
-coltello con la lama d’argento per togliere il coperchio; ma la Ramée
-per timore che accadesse uno sconcerto a quella bella vivanda, gli
-porse il suo coltello che avea la lama di ferro.
-
-«Grazie, la Ramée, disse il duca prendendolo.
-
-«Ebbene? domandò il birro, quel bellissimo mezzo?
-
-«V’ho io da dire quello su cui facevo maggior conto, e che avevo deciso
-d’impiegare prima d’ogni altro?
-
-«Sì, giusto.
-
-«Or bene! seguitò il signor di Beaufort, con una mano bucando il
-pasticcio e coll’altra segnando dei circoli col coltello, innanzi a
-tutto speravo di avere per guardiano una buona creatura come voi, la
-Ramée.
-
-«Benissimo! l’avete; e poi?
-
-«E me ne congratulo».
-
-La Ramée fece una riverenza.
-
-«E fra me dicevo: se una volta fo tanto d’avere presso di me un buon
-figliuolo come la Ramée, procurerò di fargli raccomandare da qualche
-suo amico, del quale gli siano ignote le relazioni meco, un uomo che mi
-sia dedito affatto e con cui io possa intendermi onde disporre la mia
-fuga.
-
-«Via, via! fece la Ramée, non era immaginato male!
-
-«Non è così? per esempio, il servitore di qualche bravo gentiluomo,
-nemico del Mazzarino, come dev’essere ogni gentiluomo...
-
-«Zitto, monsignore! non discorriamo di politica!
-
-«Quando avrò quel tale vicino a me, purchè sia un poco accorto ed abbia
-saputo inspirar fiducia al mio guardiano, questo si riposerà su di lui,
-e allora avrò notizie di fuori.
-
-«Ah sì! ma come, notizie di fuori?
-
-«Oh! è facilissimo; per esempio, giuocando alla palla.
-
-«Giuocando? domandò la Ramée, e cominciava a prestare la massima
-attenzione alle parole del duca.
-
-«Sicuramente! ecco, io mando una palla nel fosso; v’è un uomo che la
-raccoglie; dentro v’e una lettera; invece di rimandare quella pillotta
-che gli ho chiesta di su dalle mura, me ne manda un’altra; questa
-racchiude una lettera. Così abbiamo ricambiate le nostre idee, e
-nessuno ha veduto un ette.
-
-«Diamine! rispose la Ramée grattandosi l’orecchio, fate bene a dirmi
-codesto, monsignore! invigilerò su coloro che raccolgono le pillotte».
-
-Il duca sorrise.
-
-«Ma, riprese la Ramée, alla fin dei conti questo non è che un mezzo di
-corrispondenza.
-
-«È molto, mi pare.
-
-«Non basta.
-
-«Domando scusa. Mettiamo il caso; dico agli amici miei: trovatevi il
-tal giorno, alla tal’ora, dall’altra parte del fosso con due cavalli
-scossi.
-
-«Ebbene? e poi? fece la Ramée, a meno che i cavalli abbiano le ali per
-salire sul bastione e venirvi a prendere!
-
-«Eh mio Dio! non si tratta ch’essi abbiano le ali per salire, ma ch’io
-abbia un mezzo per scendere.
-
-«E quale?
-
-«Una scala di corde.
-
-«Sì, ripigliò il guardiano procurando di ridere, però una scala simile
-non si manda come un biglietto dentro una palla.
-
-«No, ma si trasmette in qualche altra cosa.
-
-«Altra cosa! altra cosa! e in che?
-
-«Per esempio, in un pasticcio.
-
-«In un pasticcio?
-
-«Sì: supponete.... là! che il mio maestro di casa Noirmont abbia
-trattato l’acquisto della bottega di maestro Marteau....
-
-«Ebbene? chiese la Ramée tremando.
-
-«Ebbene, la Ramée ch’è un ghiottone, vede i suoi pasticci, gli sembrano
-migliori di quelli de’ suoi antecessori, e mi esibisce di farmeli
-assaggiare; io accetto, col patto ch’egli li provi insieme con me; la
-Ramée per esser più libero allontana i guardiani e non trattiene se
-non Grimaud per servirci; Grimaud è l’uomo datomi da un mio amico, il
-servo col quale io m’intendo e pronto a secondarmi in tutto; il momento
-della mia fuga è stabilito per sette ore. Ed io a sette ore meno pochi
-minuti....
-
-«A sette ore meno pochi minuti? ripetè la Ramée, a cui cominciava a
-bagnarsi di sudore la fronte.
-
-«A quel punto, ripigliò a dire il duca unendo l’atto alle parole, tolgo
-via la crosta al pasticcio; vi trovo due pugnali, una scala di corde
-e una sbarra; metto uno dei pugnali sul petto a la Ramée, e gli dico:
-Caro mio, me ne dispiace, ma se tu fai un gesto, se dai un grido, sei
-morto!»
-
-Come indicavamo or dianzi, il signor di Beaufort univa l’azione alla
-favella; stava in piedi accanto a la Ramée, e gli posava la punta
-dell’arme sul seno con tale accento che non permetteva a costui di aver
-il menomo dubbio in quanto alle sue intenzioni.
-
-Frattanto Grimaud, sempre mutolo, levava dal pasticcio l’altra arme, la
-scala e la _pera di angoscia_.
-
-La Ramée aveva osservato ognuno di quegli oggetti con il più fiero
-terrore.
-
-«Oh monsignore! esclamò guardando il duca in atto di tanta stupefazione
-che lo avrebbe fatto scoppiare dalle risa in qualunque altra
-circostanza, non avrete cuore di uccidermi!
-
-«No, se non ti opponi alla mia fuga.
-
-«Ma, se vi lascio scappare, sono un uomo rovinato!
-
-«Ti rimborserò il prezzo della tua carica.
-
-«E siete propriamente deciso ad abbandonare il castello?
-
-«Per bacco!
-
-«Quanto potessi dirvi non muterebbe la vostra risoluzione?
-
-«Questa sera voglio esser libero.
-
-«E se mi difendo, se chiamo, se strillo?
-
-«Ti ammazzo, da gentiluomo ch’io sono».
-
-L’orologio suonò.
-
-«Sette, disse Grimaud che non aveva ancora proferita una parola.
-
-«Le sette! disse il signor di Beaufort, vedi, è tardi oramai».
-
-La Ramée fece un movimento come per isgravio di coscienza.
-
-Il duca inarcò le ciglia, ed il birro sentì la lama che dopo forati i
-suoi panni era in procinto di bucarli il petto.
-
-«Bene, monsignore, balbettò, basta così, non mi muovo.
-
-«Sbrighiamoci, rispose il principe.
-
-«Altezza, un’ultima grazia!
-
-«E quale? di’ su, presto!
-
-«Legatemi stretto.
-
-«Legarti, perchè?
-
-«Perchè non si creda ch’io sia vostro complice.
-
-«Le mani, pronunciò Grimaud.
-
-«Non mica davanti, di dietro, di dietro!
-
-«Ma con che? domandò il signor di Beaufort.
-
-«Colla vostra cintura», replicò la Ramée.
-
-Il duca si levò la cintura e la diede a Grimaud, il quale avvinse il
-birro in maniera da contentarlo.
-
-«I piedi» disse Grimaud.
-
-La Ramée porse le gambe, ed egli preso un tovagliuolo e fattone tante
-striscie lo legò con esse bene e meglio.
-
-«Adesso la mia spada, soggiunse la Ramée, fermate l’impugnatura».
-
-Il duca toltosi un nastro dai calzoni adempiè il desiderio del
-guardiano.
-
-«Ora, continuò il poveretto, la pera di angoscia; ve la domando;
-se no, sarei processato per non aver urlato. Cacciatela ben dentro,
-monsignore».
-
-Grimaud si accinse ad appagare le brame del custode. Questi ammiccò che
-aveva da dire qualche altra cosa.
-
-«Parlate, fece il principe.
-
-«Monsignore, se per cagion vostra mi succedono de’ guaj, non vi
-scordate che ho moglie e quattro figliuoli.
-
-«Sta pur quieto. Caccia dentro, Grimaud!»
-
-In un attimo fu messa la sbarra a la Ramée; si gettarono in terra due
-o tre sedie per dare indizio di lotta accanita; Grimaud prese dalle
-saccoccie del birro tutte le chiavi che contenevano, aprì subito
-l’usciale della stanza ove si trovavano, ed essendone usciti egli e
-il duca si avviarono solleciti alla galleria che conduceva al piccolo
-recinto; le tre porte furono aperte una dopo l’altra con lestezza che
-faceva onore all’abilità di Grimaud; i due arrivarono al giuoco della
-palla; questo era deserto, non sentinelle, nessuno alle finestre.
-
-Il principe corse al muro di bastione, e adocchiò dal lato opposto dei
-fossi tre uomini con tre cavalli scossi; ricambiò con essi un cenno;
-stavano colà assolutamente per lui.
-
-Frattanto Grimaud fissava il filo conduttore. Non era già una scala
-di fune, ma un gomitolo di seta, con un bastone che doveva passarsi
-tra le gambe e dipanarsi da sè mediante il peso che stesse disopra a
-cavalcioni.
-
-«Va, ordinò il duca.
-
-«Primo io? domandò Grimaud.
-
-«Certo; se mi agguantano, arrischio soltanto la carcere; se ti
-agguantano sei tosto impiccato.
-
-«È giusto».
-
-E Grimaud postosi cavalcioni sul bastone principiò la scesa perigliosa.
-Il duca lo seguitava cogli occhi in un involontario timore. Giunto ai
-tre quarti del muro, si ruppe la corda. Grimaud cascò precipitato nel
-fosso.
-
-Il signor di Beaufort mandò un grido. Grimaud non mandò tampoco un
-lamento, eppure doveva essersi ferito gravemente, poichè restava
-disteso nel luogo ov’era caduto.
-
-Subito uno degli uomini che attendevano si calò nel fossone, legò
-sotto alle spalle di Grimaud la cima di una fune, e gli altri due che
-reggevano la cima opposta tirarono su il disgraziato.
-
-«Scendete, monsignore! disse quegli che era andato abbasso, non v’è di
-distanza che una quindicina di piedi, e l’erbetta è morbida».
-
-Il duca era digià all’opra. Per lui la faccenda riusciva più difficile,
-non avendo più bastone a cui sostenersi, e dovendo calarsi a forza di
-pugno da un’altezza di venticinque braccia. Ma era svelto, robusto
-e pieno di sangue freddo, e in meno di cinque minuti fu in fondo al
-cordone: lasciò l’appoggio che lo reggeva sino allora, e cadde ritto
-senza farsi male.
-
-Tosto si arrampicò alla scarpa del fosso, ed arrivato sopra trovò
-Rochefort. Gli altri due gentiluomini gli erano ignoti. Grimaud,
-svenuto, stava legato sur un cavallo.
-
-«Signori, disse il duca di Beaufort, vi ringrazierò poi: adesso non v’è
-da perdere un momento, via, presto! chi mi vuol bene mi segua!»
-
-Saltò a cavallo, si partì di galoppo, respirando comodamente, e
-gridando con espressione di giubilo indescrivibile:
-
-«Libero!.... libero!.... libero!....»
-
-
-
-
-XXVI.
-
-_D’Artagnan giunge opportuno._
-
-
-D’Artagnan riscosse a Blois la somma che Mazzarino, bramoso di riaverlo
-presso di sè, si era deciso a dargli pe’ suoi futuri servigi.
-
-Da Blois a Parigi v’erano quattro giornate di cammino per un cavalcante
-ordinario. Al terzo giorno verso le ore quattro pomeridiane d’Artagnan
-giunse alla barriera di S. Dionigi. Noi già vedemmo come Athos, partito
-tre ore dopo di lui, v’era arrivato ventiquattr’ore innanzi.
-
-Planchet aveva perduto l’uso di quelle passeggiate forzate; d’Artagnan
-lo rimproverò della sua inerzia.
-
-«Eh signor mio! quaranta leghe in tre giorni.... e’ mi pare un bel fare
-per un venditore di confetti!
-
-«Sei realmente diventato mercante, Planchet? e adesso che ci siamo
-ritrovati, ti proponi sul serio di vegetare nella tua botteguccia?
-
-«Oh! in verità, voi solo siete nato per la vita attiva. Guardate un
-po’ il signor Athos, chi direbbe che fosse l’azzardoso cercatore di
-avventure già da noi conosciuto? vive oggidì da signorone campagnuolo,
-da fattore gentiluomo.... Sentite veh! non v’è di meglio che
-un’esistenza quieta.
-
-«Ipocrita! disse d’Artagnan, ben si vede che ti avvicini a Parigi, e
-che a Parigi v’è una corda e una forca che ti aspettano!»
-
-Mentre così conversavano, i due viaggiatori giunsero alla barriera.
-Planchet si calava giù il cappello pensando che passerebbe da
-strade dov’era molto conosciuto, e d’Artagnan si arricciava i baffi
-rammentandosi che Porthos doveva attenderlo in via Tiquetonne, e
-ruminava il modo di fargli dimenticare la sua signoria di Bracieux e le
-omeriche cucine di Pierrefonds.
-
-Voltato il canto della strada Montmartre vide, ad una finestra
-dell’albergo del Granchio, Porthos vestito con uno splendido giubbetto
-celeste tutto ricamato d’argento, che sbadigliava in maniera da
-sganasciarsi, a segno che i viandanti contemplavano con una certa
-ammirazione rispettosa quel signorone così bello e ricco, il quale
-sembrava tanto infastidito della sua grandezza e opulenza.
-
-Ed appena che d’Artagnan e Planchet girarono da quell’angolo, Porthos
-gli ebbe ravvisati ed esclamò:
-
-«D’Artagnan! sia ringraziato Iddio! siete voi?
-
-«Buon dì! buon dì, caro amico!» rispose il tenente dei moschettieri.
-
-In breve si radunò un mucchio di scioperati attorno ai cavalli che già
-i camerieri dell’albergo tenevano per la briglia, ed ai gentiluomini
-che si parlavano di su a giù; ma un brutto cipiglio di d’Artagnan e due
-o tre tristi gesti di Planchet benissimo compresi diradarono la folla
-che tanto più si era accresciuta quanto meno sapeva ella stessa perchè
-là raccoglievasi.
-
-Porthos era digià sceso al portone della locanda.
-
-«Ah! mio caro, egli disse, come stanno male qui i miei cavalli!
-
-«Davvero? fece d’Artagnan, me ne duole assai per quei nobili animali.
-
-«Anch’io stavo maluccio, seguitò Porthos tentennandosi col suo solito
-aspetto d’uomo contento di sè, e se non fosse la locandiera, ch’è
-graziosetta e regge gli scherzi, avrei cercato altro alloggio».
-
-La bella Maddalena, che durante il dialogo si era avvicinata, diventò
-pallida come una morta e mosse un passo indietro udendo le parole di
-Porthos, giacchè temè si rinnovasse la scena dello Svizzero; ma con suo
-grande stupore d’Artagnan non si accigliò, ed anzi sorridendo rispose
-all’amico:
-
-«Sì, sì, capisco, l’aria della via Tiquetonne non è pari a quella
-della valle di Pierrefonds; ma non dubitate, io ve ne farò prendere una
-migliore.
-
-«E quando?
-
-«Oh! prestissimo, io spero.
-
-«Ah, meglio così!»
-
-All’esclamazione di Porthos succedè un gemito lungo e sommesso che si
-partiva dall’angolo di una porta. D’Artagnan ch’era appunto smontato
-vide comparire l’enorme pancia di Mousqueton, dalla mesta bocca del
-quale uscivano dolorosi lamenti.
-
-«E voi pure, povero signor Mouston, vi trovate scomodo in questo
-meschino albergo? domandò d’Artagnan con un tuono comico che poteva
-essere tanto di compassione come di dileggio.
-
-«Trova pessima la cucina, rispose Porthos.
-
-«E perchè non la fa egli da sè come a Chantilly?
-
-«Oh, signore! replicò Mousqueton, qui non avevo come laggiù i paduli
-del signor principe dove pescare i bei carpioni, e le macchie di Sua
-Altezza per pigliarvi le ottime pernici; la cantina poi l’ho visitata
-minutamente, e in verità è cosa di poco.
-
-«Messer Mouston, ribattè d’Artagnan, in coscienza vi compiangerei, se
-nel momento non avessi a far cose di maggior premura».
-
-E preso in disparte Porthos, continuò:
-
-«Mio caro du Vallon, siete bell’e vestito, e si combina a proposito,
-mentre vi conduco subito dal ministro.
-
-«Veh! propriamente?
-
-«Sì, amico mio.
-
-«Una presentazione!
-
-«E che, vi fa paura?
-
-«No, ma mi agita.
-
-«State quieto; non avete più che fare con l’altro ministro, e questo
-non vi opprimerà colla sua maestosità.
-
-«Non importa.... capite d’Artagnan, la corte!
-
-«Eh! non vi è più corte.
-
-«La regina!
-
-«Ero là per dire: non c’è più regina.... ma no no, non dubitate non la
-vedremo.
-
-«E dite che si va sul momento al palazzo reale?
-
-«Sul momento. Soltanto per non tardare, vi tolgo a prestito uno de’
-vostri cavalli.
-
-«Servitevi: son tutti e quattro a vostra disposizione.
-
-«Oh! uno mi basta per adesso.
-
-«Non verranno con noi i nostri domestici?
-
-«Sì; prendete Mousqueton, non vi sarà male. Planchet ha delle ragioni
-per non recarsi alla corte.
-
-«È perchè?
-
-«Eh! sta poco bene con Sua Eccellenza.
-
-«Mouston, ordinò Porthos, mettete la sella a Vulcano e a Bojardo.
-
-«Ed io, signore, ho da pigliare Rustaud?
-
-«No, un altro di lusso, o Febo o Superbo, si va in cerimonia.
-
-«Ah! respirò Mousqueton, non si tratta che di una visita?
-
-«Sì, Mouston, questo solo.... non ostante, ad ogni evento, ponete nelle
-tasche le pistole; troverete sulla mia sella le mie belle e cariche».
-
-Mouston diede un sospiro, capiva poco le visite di cerimonia con armi
-addosso da capo a piedi.
-
-«Realmente, soggiunse Porthos guardando con compiacenza allontanarsi
-il famiglio, avete ragione d’Artagnan, Mouston ci batterà; fa un’ottima
-figura».
-
-Il tenente sorrise.
-
-«E voi, domandò Porthos, non vi vestite meglio?
-
-«No, resto come sono.
-
-«Ma siete molle di sudore e carico di polvere, e avete il fango agli
-stivali.
-
-«Lo stato da viaggio mostrerà la mia premura di correre ai comandi del
-ministro».
-
-Tornò Mousqueton coi tre palafreni. D’Artagnan si rimise in sella come
-se fosse in riposo da una settimana.
-
-«Oh! disse a Planchet, la mia spada lunga.
-
-«Io, disse Porthos, facendo vedere una piccola spada con l’impugnatura
-indorata, io ho la mia da corte.
-
-«Prendete la grande, amico mio.
-
-«E perchè?
-
-«Non so, ma fate a mio modo.
-
-«Ehi Mouston! la grande, ordinò Porthos.
-
-«Ma signore! fece questi, codesto è un apparecchio da guerra! dunque
-si va a far campagna? Allora ditemelo subito, e piglierò le mie
-precauzioni secondo la circostanza.
-
-«Lo sapete pure, gli rispose d’Artagnan, con noi altri le precauzioni
-sono sempre buone. O non avete gran memoria, o vi siete scordato che
-non siamo soliti passar le nottate tra feste da ballo e serenate.
-
-«Ohimè, gli è vero, disse Mousqueton armandosi benissimo, ma lo avevo
-dimenticato».
-
-Partirono velocemente, ed arrivarono al palazzo verso le sette ore
-e un quarto. Nelle strade era gran folla, essendo il giorno della
-Pentecoste, e si osservava con meraviglia passare quei due cavalieri,
-che uno sembrava fresco uscito da uno scatolino, e l’altro sì polveroso
-che potevasi credere proveniente da un campo di battaglia.
-
-Anche Mousqueton richiamava gli sguardi degli scioperati, e siccome il
-romanzo di Don Chisciotte era allora nella massima sua voga, alcuni
-dicevano esser quegli Sancio, il quale perduto un padrone ne aveva
-ritrovati due.
-
-Entrato nell’anticamera d’Artagnan si vide fra’ conoscenti. V’erano
-dei moschettieri della sua compagnia che precisamente erano di
-guardia. Fece chiamare l’usciere, e gli mostrò la lettera del ministro
-che gl’ingiungeva di ritornare senza perdita di un minuto secondo.
-L’usciere s’inchinò e passò da Sua Eccellenza.
-
-D’Artagnan si volse a Porthos, e gli parve osservare che lo agitasse un
-lieve tremore. Laonde, accostatosi, gli disse all’orecchio:
-
-«Coraggio, mio prode amico! non vi sgomentate: state su di me, l’occhio
-dell’aquila è chiuso, e non abbiamo più da fare che con un semplice
-avvoltojo. Tenetevi ritto e impettito come nel giorno del bastione
-di S. Gervasio, e non v’inchinate di troppo a quell’italiano, chè ne
-avrebbe mal concetto di voi.
-
-«Bene, bene! rispose Porthos».
-
-Ricomparve l’usciere.
-
-«Entrate, signori, egli disse, Sua Eccellenza vi aspetta».
-
-Di fatti Mazzarino era seduto nel suo gabinetto, affaticato a
-cancellare più nomi che potesse da una nota di pensioni e benefizj.
-Vide con la coda dell’occhio entrare d’Artagnan e Porthos, e quantunque
-si fosse consolato all’annunzio del messo, non figurò di cambiarsi
-minimamente.
-
-«Ah! siete voi, signor tenente? disse, avete fatto alla lesta,
-ottimamente! siate il ben venuto.
-
-«Grazie, monsignore; eccomi ai comandi di Vostra Eccellenza, ugualmente
-che il signor du Vallon, quello fra i miei antichi amici che celava la
-sua nobiltà sotto il nome di Porthos».
-
-Porthos riverì il ministro.
-
-«Bellissimo cavaliero! fece Mazzarino».
-
-Porthos girò la testa a mano diritta e sinistra, e fece moti di spalle
-pieni di dignità.
-
-«La migliore spada del regno, disse d’Artagnan, e lo sanno molti che
-nol dicono e che non possono dirlo».
-
-Porthos salutò d’Artagnan.
-
-Mazzarino aveva forse tanto genio per i bei soldati quanto n’ebbe in
-appresso Federico di Prussia. Si applicò ad ammirare le mani nerborute,
-le ampie spalle e l’occhio fisso di Porthos. Gli parve avere dinanzi
-la salvezza del suo ministero e del regno tagliata in carne e in ossa.
-E questo gli ricordò come l’antica associazione dei moschettieri si
-formava di quattro individui.
-
-«E gli altri due vostri amici?» domandò Mazzarino.
-
-Porthos apriva bocca credendo fosse momento da dire il fatto suo.
-D’Artagnan gli ammiccò un pocolino coll’occhio.
-
-«Gli altri nostri amici per ora sono impediti; ci raggiungeranno dipoi».
-
-Mazzarino ebbe un tantino di tosse.
-
-«E il signore, più libero di loro, seguitò, tornerà volentieri al
-servizio?
-
-«Sì, Eccellenza, e soltanto per zelo, giacchè il signor di Bracieux è
-ricco.
-
-«Ricco? fece Mazzarino, a cui quel vocabolo per vero privilegio
-inspirava per solito somma considerazione.
-
-«Cinquantamila lire di rendita», ribattè Porthos.
-
-Erano le prime parole che avesse pronunziate.
-
-«Soltanto per zelo? ripetè il ministro col suo scaltro sorrisetto.
-
-«Dunque Vostra Eccellenza non crede in quella parola? chiese d’Artagnan.
-
-«E voi, signor Guascone? fece Mazzarino appoggiando ambe le gomita
-sullo scrittojo, ed il mento sulle due mani.
-
-«Io, disse d’Artagnan, credo in codesta specie di devozione come in un
-nome che dev’essere accompagnato da un casato appartenente a qualche
-tenuta. Certo, si è per naturale più o meno devoti, ma bisogna che in
-fondo a tal divozione vi sia poi qualche cosa.
-
-«E, per esempio, in fondo alla sua che bramerebbe il vostro amico?
-
-«Monsignore, egli ha tre tenute magnifiche: quella del Vallon, a
-Corbeil; quella di Bracieux nel Soissonese, e quella di Pierrefonds nel
-Valois.... E desidererebbe che di una di esse si facesse una baronìa.
-
-«Non v’è altro che questo? rispose Mazzarino a cui brillavano di
-allegrezza le pupille nel vedere che potrebbe premiare le premure di
-Porthos senza por mano alla borsa, non vi è altro? Si potrà combinare.
-
-«Sarò barone! esclamò Porthos muovendo un passo avanti.
-
-«Ve lo avevo detto, ripigliò d’Artagnan trattenendolo con una mano, e
-monsignore ve lo ripete.
-
-«E voi, d’Artagnan, che bramate?
-
-«Eccellenza, saranno per lo meno venti anni a settembre che il signor
-ministro di Richelieu mi fece tenente.
-
-«Sì; e vorreste che il ministro Mazzarino vi facesse capitano?»
-
-D’Artagnan fece una riverenza.
-
-«Ebbene, tutto questo non è già impossibile. Si vedrà, signori miei,
-si vedrà.... E adesso, signor du Vallon, qual servizio preferite? di
-città, di campagna?»
-
-Porthos schiuse le labbra per rispondere.
-
-«Monsignore, disse d’Artagnan, il signor du Vallon è come son io, gli
-piace il servizio straordinario, cioè le imprese che vengono reputate
-stolte e impossibili».
-
-La frase di Guascone non dispiacque al Mazzarino, il quale si diede a
-riflettere.
-
-«Bensì vi confesso che vi avevo fatto venire per darvi un impiego....
-ho certi motivi d’inquietudini.... Eh! che roba è questa?»
-
-Si udiva grande strepito nell’anticamera, e quasi nello stesso tempo
-fu aperto l’usciale del gabinetto ed entrò in fretta un uomo tutto
-polveroso gridando:
-
-«Il signor ministro? dov’è il signor ministro?»
-
-Mazzarino si pensò che volessero assassinarlo, e indietreggiò traendo
-seco la sua poltrona. D’Artagnan e Porthos eseguirono un movimento che
-li situò tra lui e il sopraggiunto.
-
-«Ehi, gridò il ministro, che c’è egli, perchè entriate qui come si
-farebbe al mercato?
-
-«Monsignore, rispose l’ufficiale a cui era diretto il rimbrotto, due
-paroline sole, ma vorrei dirvele presto e segretamente. Io sono de
-Poins, ufficiale delle guardie di servizio alla torre di Vincennes».
-
-Colui era tanto pallido e sbigottito, che Mazzarino, persuaso dover
-egli essere latore d’importante notizia, accennò a d’Artagnan e a
-Porthos di dar posto al messaggiero.
-
-E quelli si ritirarono in un canto del gabinetto.
-
-«Parlate, e subito! fece il ministro, che v’è egli?
-
-«V’è, che il signor di Beaufort è scappato dalla prigione di Vincennes».
-
-Il Mazzarino cacciò un urlo, e diventò più smorto in viso di quello che
-gli recava la nuova. Ricascò sul seggiolone quasi annichilito.
-
-«Scappato! esclamò, scappato di Beaufort!
-
-«Eccellenza, l’ho veduto fuggire di su dalla terrazza.
-
-«E non gli avete fatto sparare addosso?
-
-«Era fuori di tiro.
-
-«Ma il signor di Chavigny che cosa faceva?
-
-«Era assente.
-
-«Ma la Ramée?
-
-«Si è trovato legato in camera del prigioniero, con la sbarra in bocca
-e uno stiletto accanto.
-
-«E l’uomo che gli si era posto appresso per ajuto?
-
-«Complice del duca, e fuggito con lui.»
-
-Mazzarino diè fuori un gemito doloroso.
-
-«Eccellenza.... disse d’Artagnan appressandosi.
-
-«Che c’è?
-
-«Mi pare, monsignore, che perdiate un tempo prezioso.
-
-«In che modo?
-
-«Se l’Eccellenza Vostra ordinasse di correre dietro al prigioniere,
-forse vi sarebbe ancor da raggiungerlo. La Francia è grande, e la
-frontiera più prossima è distante di qua sessanta leghe.
-
-«E chi gli andrebbe appresso? gridò Mazzarino.
-
-«Io, cospettaccio!
-
-«E lo arrestereste?
-
-«Perchè no?
-
-«Come! il duca di Beaufort, armato da battaglia?
-
-«Monsignore, se mi comandaste di arrestare il diavolo, lo piglierei per
-le corna e ve lo porterei.
-
-«Anch’io, confermò Porthos.
-
-«Anco voi? domandò Mazzarino considerando attonito quei due; ma il duca
-non si arrenderà senza accanito combattimento.
-
-«Or bene! replicò d’Artagnan a cui prendevano fuoco gli occhi,
-battaglia! da lunga pezza non ci siamo battuti, non è così, Porthos?
-
-«Battaglia! ripetè Porthos.
-
-«E credete di arrivarlo?
-
-«Di certo, se siamo in miglior equipaggio di lui.
-
-«Dunque pigliate quante guardie trovate qui, e correte.
-
-«Tale è il vostro ordine, monsignore?
-
-«E ve lo firmo», rispose Mazzarino.
-
-E tolto un foglio vi scrisse alcuni versi.
-
-«Eccellenza, aggiungete costà, che potremo prender tutti i cavalli che
-incontriamo per istrada.
-
-«Sicuramente!... servizio regio.... prendete e trottate!
-
-«Ottimamente!
-
-«Signor du Vallon, seguitò il ministro, la vostra baronia sia in groppa
-dietro al Beaufort; non v’è altro che agguantarla. A voi, mio caro
-d’Artagnan, nulla prometto, ma se lo riportate vivo o morto, chiederete
-quel che vi pare.
-
-«A cavallo, Porthos! disse il tenente afferrata la mano all’amico.
-
-«Eccomi», replicò Porthos col sublime suo sangue freddo.
-
-E scesero la scala grande, seco traendo le guardie che scontravano per
-via, e gridando:
-
-«A cavallo! a cavallo!»
-
-Si trovarono riuniti circa dieci uomini.
-
-D’Artagnan e Porthos saltarono uno su Vulcano e l’altro su Bojardo.
-Mousqueton si mise addosso a Febo.
-
-«Seguitemi! urlò d’Artagnan.
-
-«In cammino! strillò Porthos».
-
-E cacciarono gli sproni ne’ fianchi ai loro nobili destrieri, i quali
-si partirono per la contrada di S. Onorato colla rapidità di un lampo.
-
-«Ebbene, signor barone, diceva d’Artagnan, vi avevo promesso di porvi
-in esercizio; vedete che vi mantengo la parola.
-
-«Sì, capitano», rispose Porthos.
-
-Si volsero indietro. Mousqueton, più sudante che la bestia che
-cavalcava, stava a doverosa distanza. A tergo a lui galoppavano le
-dieci guardie.
-
-I borghesi storditi comparivano sulla soglia delle case, e i cani
-istizziti correvano appresso ai cavalli abbajando.
-
-Sul canto del cimitero S. Giovanni, d’Artagnan buttò in terra un uomo,
-ma era un avvenimento troppo piccolo per trattenere genti che avevano
-tanta fretta; sicchè la comitiva continuò pel suo viaggio come se i
-corsieri avessero avuto le ali.
-
-Ahimè! avvenimenti piccoli non vi sono in questo mondo, e noi vedremo
-che quello fu in procinto di rovinare la monarchia.
-
-
-
-
-XXVII.
-
-_La strada maestra._
-
-
-Andarono in tal guisa quanto era lungo il sobborgo S. Antonio e la via
-di Vincennes; in breve furono fuori di città, presto nella macchia, e
-dopo poco alle viste di un villaggio.
-
-Sembrava che i cavalli ad ogni passo si animassero maggiormente, e le
-loro nari principiavano ad arrossarsi come ardenti fornaci. D’Artagnan
-ficcando gli sproni nel ventre al suo, precedeva Porthos di un braccio
-circa. Mousqueton li seguitava, e poi le guardie a varie distanze
-secondo la bontà dei loro animali.
-
-Di cima ad un’eminenza d’Artagnan vide una riunione di persone ferme
-dall’altro lato della torre che dà sopra S. Mauro. Comprese che di
-là fosse fuggito il prigioniero, e che ivi potrebbe egli ottenere
-schiarimento. In cinque minuti arrivò sino a quel punto e le guardie là
-pure lo raggiunsero.
-
-Occupatissimi erano tutti coloro così radunatisi; guardavano la corda
-tuttora pendente dalla feritoja e rottasi dieci braccia più su di
-terra, misuravano cogli occhi l’altezza, e facevano un diluvio di
-congetture. Sulla sommità del bastione andavano e venivano sentinelle
-affaccendate.
-
-Un posto militare comandato da un sergente allontanava la gente dal
-luogo dove il duca era montato a cavallo.
-
-D’Artagnan corse fino al sergente.
-
-«Mio uffiziale, disse questi, qui non è permesso fermarsi.
-
-«Codesti ordini non sono per me, rispose d’Artagnan. Sono stati
-inseguiti i fuggiaschi?
-
-«Sì, ma pur troppo hanno buone bestie.
-
-«E quanti sono?
-
-«Quattro validi ed un ferito.
-
-«Quattro! fece d’Artagnan osservando Porthos, hai inteso, barone? sono
-quattro soltanto!»
-
-Sul labbro a Porthos apparve un allegro sorriso.
-
-«E quanto sono innanzi?
-
-«Due ore e un quarto, mio uffiziale.
-
-«Due ore e un quarto è nulla; noi abbiamo buoni cavalli, non è vero,
-Porthos?»
-
-Porthos diede un sospiro pensando a quel che si preparava pei poveri
-animali.
-
-«Benissimo, continuò d’Artagnan, e da che parte sono andati via?
-
-«Questo poi è proibito di dirlo».
-
-D’Artagnan si levò di tasca un foglio e disse:
-
-«Ordine regio.
-
-«Allora, parlate al governatore.
-
-«E dov’è egli?
-
-«In campagna».
-
-Salì la collera sul volto a d’Artagnan, gli si rugò in fronte, gli si
-colorirono le tempie.
-
-«Ah birbante! gridò al sergente, mi pare che tu mi burli!... aspetta,
-aspetta».
-
-Con una mano gli presentò la carta spiegata e coll’altra prese dalle
-saccoccie una pistola e la caricò.
-
-«Ordine regio, ti dico! leggi e rispondi, o che ti brucio le cervella!
-Che direzione hanno presa?»
-
-Il sergente si accorse che d’Artagnan diceva davvero.
-
-«La strada del Vendomese, rispose.
-
-«E da qual porta sono usciti?
-
-«Da quella di S. Mauro.
-
-«Furfante! se m’inganni, domani sarai impiccato.
-
-«E voi, se li raggiungete, non tornerete indietro a farmi impiccare»,
-brontolò il soldato.
-
-Il tenente si strinse nelle spalle, fece un cenno alla scorta e tirò
-innanzi.
-
-«Di qua, signori, di qua!» disse avviandosi verso la porta del parco
-indicatagli.
-
-Ma ormai che il duca era scappato, il custode aveva stimato opportuno
-di chiudere la porta a due mandate. Bisognò obbligarlo ad aprirla, e si
-perdettero altri dieci minuti.
-
-Superato quest’ultimo ostacolo, la compagnia si rimise alla corsa
-velocissima.
-
-Ma non tutti i cavalli seguitarono col medesimo ardore; alcuni non
-poterono reggere lungamente a quell’andatura sfrenata; tre si fermarono
-dopo aver camminato un’ora, ed uno cascò.
-
-D’Artagnan, che non si voltava, neppur se ne accorse. Porthos
-tranquillamente glielo disse.
-
-«Purchè arriviamo in due, rispose d’Artagnan, gli è quanto basta,
-giacchè son quattro soli.
-
-«È vero, sì», confermò Porthos.
-
-E diede di sprone ben forte.
-
-A capo a due ore i cavalli aveano fatte dodici leghe senza ristarsi
-un momento; cominciavano a piegarsi loro le gambe, e la spuma che
-gettavano marezzava i giubbetti de’ padroni, mentre il sudore bagnava
-ad essi le brache.
-
-«Riposiamoci un poco a far ripigliar fiato a queste disgraziate bestie,
-propose Porthos.
-
-«Anzi, ammazziamole, ma si arrivi! rispose d’Artagnan, veggo delle orme
-recenti; devono esser passati di qua da un quarto d’ora e non più».
-
-Realmente agli ultimi raggi diurni si distinguevano le tracce delle
-pedate.
-
-Ripartirono; ma dopo un pajo di leghe cascò il palafreno di Mousqueton.
-
-«Bene! fece Porthos, ecco Febo sciupato!
-
-«Il ministro ve lo pagherà mille doppie.
-
-«Oh! sono superiore a queste cose, lo!
-
-«Dunque si vada di galoppo!
-
-«Sì, se pure potremo».
-
-Il cavallo di d’Artagnan ricusava però di andar più oltre; non
-respirava più, ed un’ultima bucatura degli sproni, invece di farlo
-avanzare, lo fe’ cadere.
-
-«Oh diamine! disse Porthos, ecco Vulcano attrappato!
-
-«Cospettone! gridò d’Artagnan, strappandosi i capelli, e bisogna dunque
-fermarsi? Porthos, datemi il vostro.... Ehi, che diavolo fate?
-
-«Eh diavolo!... vo giù...., fece Porthos, o piuttosto è Bojardo che va
-in terra».
-
-D’Artagnan tentò di far rialzare l’animale, intanto che Porthos si
-levava alla meglio di sulle staffe, ma si avvide che dalle nari gli
-colava il sangue.
-
-«E tre! esclamò, ora tutto è finito!»
-
-In quell’istante si udì un nitrito.
-
-«Zitto! disse d’Artagnan.
-
-«Che v’è egli?
-
-«Un cavallo!
-
-«Sarà di qualcuno de’ nostri compagni che ci raggiunge.
-
-«No, no.... è avanti.
-
-«Allora è tutt’altro».
-
-Ed anche Porthos si mise ad ascoltare verso la parte accennatagli
-dall’amico.
-
-«Signore, disse Mousqueton, che lasciata la sua bestia sulla strada
-maestra se ne veniva correndo a piedi, Febo non ha potuto resistere,
-e...
-
-«Silenzio! gli ordinò Porthos».
-
-Chè passava un secondo nitrito trasportato dal venticello notturno.
-
-«È cinquecento passi più innanzi di noi, osservò d’Artagnan.
-
-«Difatti, a codesta distanza, disse Mousqueton, v’è una casetta da
-caccia.
-
-«Mousqueton, le tue pistole!
-
-«Le ho in mano.
-
-«Porthos, pigliate le vostre!
-
-«Le ho qua.
-
-«Bene! seguitò d’Artagnan, mi capite, Porthos?
-
-«Non molto.
-
-«Noi corriamo pel servizio del re.
-
-«Ebbene?
-
-«Pel regio servizio vogliamo quei cavalli.
-
-«Giustissimo!
-
-«Allora, non più parole, e all’opra!»
-
-Tutti e tre s’inoltrarono, fra ’l bujo e taciti come tante larve. Ad
-una svolta videro brillare un lume in mezzo agli alberi.
-
-«Ecco la casa, avvertì piano d’Artagnan, lasciatemi fare, e fate come
-fo io».
-
-Arrivarono a venti passi lontano dall’abitazione senza esser visti.
-Lì, mercè un lampione appeso sotto una tettoja distinsero quattro bei
-corridori. Li puliva un servitore: accanto a questi erano le selle e le
-briglie.
-
-D’Artagnan si avvicinò con impeto, accennando ai compagni si
-trattenessero indietro.
-
-«Ti compro i tuoi cavalli, disse al domestico».
-
-Colui si volse attonito, ma senza parlare.
-
-«Non mi hai inteso, mascalzone?
-
-«Sicuro!
-
-«E perchè non rispondi?
-
-«Perchè e’ non sono da vendersi.
-
-«Dunque io li prendo».
-
-E d’Artagnan mise la mano su quello che aveva più prossimo. All’istante
-comparvero i due camerati e fecero lo stesso.
-
-«Ma, signori! gridò il lacchè, hanno fatto una tirata di sei leghe, e
-non è mezz’ora che son fermi.
-
-«Mezz’ora di riposo basta, replicò d’Artagnan, e anzi così saranno più
-vivaci».
-
-Il palafreniere chiamò ajuto. Uscì una specie di maggiordomo, mentre
-appunto d’Artagnan ed i compagni mettevano le selle addosso ai
-destrieri.
-
-Il maggiordomo voleva far da bravo.
-
-«Amicone, gli urlò d’Artagnan, se dite una parola, v’abbrucio le
-cervella».
-
-E gli mostrò la canna d’una pistola, che tosto si pose poi sotto il
-braccio onde continuare la sua bisogna.
-
-«Ma, signore, disse l’intendente, sapete che questi animali
-appartengono al signor di Montbazon?
-
-«Tanto meglio! devono esser buone bestie.
-
-«Ehi! rispose il poveretto camminando all’indietro per procurar di
-arrivare sino alla porta, vi prevengo che chiamerò i miei uomini.
-
-«Ed io pure i miei. Sono tenente de’ moschettieri del re, ho dieci
-guardie che mi seguono, e a voi! le sentite galoppare? ora vedremo».
-
-Non si udiva nulla, ma al maggiordomo impaurito sembrò di aver inteso.
-
-«Ci siete, Porthos? domandò d’Artagnan.
-
-«Ho terminato.
-
-«E voi, Mouston?
-
-«Anch’io.
-
-«Dunque si parta!»
-
-Tutti e tre saltarono su i cavalli.
-
-«Qua i servi! qua le carabine! strillò l’intendente.
-
-«Via presto! fece d’Artagnan, vi saranno delle fucilate».
-
-E i nostri tre scapparono come il vento.
-
-«Qua! qua! urlava colui, mentre il palafreniere correva alla casa
-vicina.
-
-«Badate di non ammazzare le vostre bestie! gli gridò d’Artagnan con uno
-scroscio di risa.
-
-«Fuoco! ordinò il maggiordomo».
-
-Un chiarore simile a quello del lampo illuminò la strada; poi i
-cavalcanti udirono lo scoppio e il fischio delle palle che si perderono
-per l’aria.
-
-«Tirano come tanti lacchè, disse d’Artagnan, oh! si sparava meglio
-a tempo di Richelieu. Vi ricordate della strada di Crevecoeur,
-Mousqueton?
-
-«Ah! signor mio! mi duol sempre la natica diritta!
-
-«Siete sicuro che siamo sull’orme di coloro, d’Artagnan? domandò
-Porthos.
-
-«Per bacco! non avete inteso?
-
-«Che cosa?
-
-«Che questi animali sono di Montbazon.
-
-«Ebbene?
-
-«Montbazon è marito di madama di Montbazon....
-
-«E poi?....
-
-«E madama di Montbazon è _amica_ del signor di Beaufort.
-
-«Ah! comprendo, essa aveva disposte le cambiature.
-
-«Precisamente.
-
-«E noi andiamo appresso al duca con i cavalli da lui lasciati?
-
-«Caro Porthos, avete un giudizio straordinario! disse d’Artagnan col
-suo solito tuono, come suol dirsi, mezzo uva e mezzo fico.
-
-«Eh! io sono così, replicò Porthos».
-
-Corsero un’ora a quel modo.
-
-«Ohe! che vedo laggiù? fece d’Artagnan ad un tratto.
-
-«Buon per voi se vedete qualcosa a questo bujo!
-
-«Delle faville!
-
-«Le ho viste ancor io! seguitò Mousqueton.
-
-«Ah! gli abbiamo forse raggiunti?
-
-«Ohimè! un cavallo morto! gridò d’Artagnan, rialzando il suo corsiero
-da un movimento di paura che questo aveva fatto, pare ch’essi pure non
-ne possano più.
-
-«Sembra udir rumore di una brigata di cavalieri! osservò Porthos,
-chinatosi sulla criniera.
-
-«Non può essere.
-
-«Sono molti.
-
-«Allora è tutt’altro.
-
-«Un altro cavallo! fece d’Artagnan.
-
-«Morto?
-
-«No, moribondo.
-
-«Con la sella, o senza?
-
-«Con la sella.
-
-«Allora son essi.
-
-«Coraggio! son nostri.
-
-«Ma se son molti non saran nostri, e noi saremo di loro, obiettò
-Mousqueton.
-
-«Oibò! rispose d’Artagnan, ci crederanno più forti di loro stessi,
-poichè l’inseguiamo, e sbigottiti si disperderanno.
-
-«È sicuro! approvò Porthos.
-
-«Ah, vedete! esclamò d’Artagnan.
-
-«Sì, nuove faville! questa volta le ho viste anch’io, disse Porthos.
-
-«Avanti! avanti! ordinò d’Artagnan colla sua voce stridula, e fra
-cinque minuti rideremo».
-
-E tornarono a slanciarsi. I cavalli infuriati dal dolore e dalla
-gara volavano sull’oscura via, in mezzo alla quale si cominciava
-a distinguere una mole più compatta e negra che il rimanente
-dell’orizzonte.
-
-
-
-
-XXVIII.
-
-_L’incontro._
-
-
-Continuossi la corsa per anco dieci minuti su quel fare medesimo.
-
-D’improvviso dalla mole che noi menzionavamo, i punti neri si
-avanzarono e crebbero, e crescendo furono due uomini a cavallo.
-
-«Oh oh! disse d’Artagnan, vengono verso di noi.
-
-«Peggio per loro! disse Porthos.
-
-«Chi va là?» gridò una voce rauca.
-
-I tre cavalcanti che avean già preso lo slancio non si ristettero nè
-risposero. Ma si udì il rumore delle spade che uscivano dal fodero e il
-battito del grilletto delle pistole che caricavano i due spettri neri.
-
-«All’arme! fece d’Artagnan; le briglie sui denti!»
-
-Porthos comprese, ed esso e d’Artagnan messo mano ciascuno ad una
-pistola caricarono pure.
-
-«Chi va là? fu ripetuto, non fate un passo di più, o siete morti!
-
-«Oibò! replicò Porthos quasi strangolato dalla polvere e masticando
-la briglia come il suo corsiero si masticava il morso, oibò! ne abbiam
-vedute di più belle!»
-
-A tali detti le ombre chiusero il passo, e alla luce delle stelle si
-vide abbassata la canna delle pistole.
-
-«Indietro! strillò d’Artagnan, o siete morti voi altri!»
-
-Dopo la minaccia vi furono due pistolettate, ma i due assalitori
-venivano con tanta velocità che in un attimo furono addosso agli
-avversarj. Al terzo sparo di d’Artagnan cadde il suo nemico. Porthos
-poi urtò il suo con tal violenza, che lo mandò a ruzzolare dieci passi
-più là del suo destriero.
-
-«Rifiniscilo, Mousqueton! urlò Porthos».
-
-E si scagliò al fianco all’amico che aveva principiato ad agire.
-
-«Ebbene? chiese Porthos.
-
-«Gli ho fracassata la testa, rispose d’Artagnan, e voi?
-
-«L’ho soltanto gittato in terra, ma ecco!»
-
-Si udì un colpo di carabina. Era Mousqueton, che così di volo adempieva
-al comando del padrone.
-
-«Addosso! addosso! continuò d’Artagnan, va bene, e abbiamo la prima
-mano.
-
-«Ah ah! esclamò Porthos, ecco altri due giuocatori!»
-
-Realmente comparivano due nuovi cavalcanti distaccatisi dal gruppo
-principale, e venivano innanzi rapidissimamente per ingombrare da capo
-la via.
-
-Questa volta d’Artagnan non aspettò nemmeno che gli fosse parlato.
-
-«Largo! largo! gridò.
-
-«Che volete? domandò una voce.
-
-«Il duca!» strepitarono insieme d’Artagnan e Porthos.
-
-Rispose loro una risata; ma ella finì con un gemito: d’Artagnan aveva
-trapassato da parte a parte colla spada colui che rideva.
-
-Nel tempo stesso due spari fecero un sol colpo: erano Porthos ed il suo
-avversario che tiravano uno sull’altro.
-
-D’Artagnan, volgendosi, si vide vicino Porthos.
-
-«Bravo! gli disse, lo avete ucciso, mi pare?
-
-«Credo di non aver toccato che il cavallo.
-
-«Che volete, mio caro? non si fanno mica subito le cinque carte allo
-stesso seme.... Oh! cospettaccio che ha egli il mio ronzino?
-
-«Che cos’ha? non può più reggere, e cade», disse Porthos, trattenendo
-il suo.
-
-Veramente il cavallo di d’Artagnan inciampava, e andava giù sulle
-ginocchia; diede un rantolo e si stese.
-
-Aveva ricevuta nel petto la prima palla dell’emulo di d’Artagnan.
-
-Il quale mandò una tal bestemmia da fare inorridire.
-
-«Signore, volete un cavallo?» chiese Mousqueton.
-
-«Capperi! se lo voglio!
-
-«Ecco.
-
-«E come diavolo hai tu queste bestie scosse? interrogò d’Artagnan
-saltando sopra ad uno.
-
-«I lor padroni sono morti, io ho pensato che potessero esserci utili, e
-le ho prese».
-
-Frattanto Porthos aveva ricaricato le armi.
-
-«Attenti! disse d’Artagnan, eccone altri due!
-
-«Ma per Diana! ne avremo così fino a domani? mormorò Porthos».
-
-Infatti si avanzavano due cavalcanti.
-
-«Ohi! signore, avvertì Mousqueton, quello che avete atterrato si rialza.
-
-«Perchè non facesti a lui come al primo.
-
-«Ero imbarazzato, reggevo i cavalli».
-
-Fuvvi uno sparo. Mousqueton cacciò un urlo dal dolore:
-
-«Ah signore! nell’altra natica! là, per l’appunto.... questa botta sarà
-di pendente a quella della strada di Amiens!»
-
-Porthos si volse alla guisa di un leone, piombò sul nemico; questi
-tentò di sguainare la spada, ma avanti che l’avesse tolta dal fodero,
-Porthos, col pomo della sua, gli aveva data sulla testa una percossa sì
-terribile ch’egli era caduto come un bue sotto la mazzuola del beccajo.
-
-Mousqueton, lagnandosi e sospirando, si era calato giù di sella adagio
-adagio, chè la ferita non gli permetteva di restarvi.
-
-D’Artagnan, nel mirare i sopraggiunti si era fermato a ricaricare la
-pistola; inoltre il suo nuovo cavallo aveva agli arcioni una carabina.
-
-«Eccomi! gli disse Porthos, si aspetta, o si tira?
-
-«Tiriamo! fece d’Artagnan.
-
-«Tiriamo! ripetè l’altro».
-
-E cogli sproni bucavano la pancia ai poveri quadrupedi che avevano
-sotto.
-
-Gli avversarj erano ormai distanti di soli venti passi.
-
-«In nome del re! esclamò d’Artagnan, lasciateci passare!
-
-«Qui il re non ha che vedere, rispose una voce sonora e acuta, che
-sembrava scaturisse fuori da un nuvolo, imperciocchè chi la mandava
-arrivava tutto coperto da un turbine di polvere.
-
-«Va benone! ora vedremo se il re non passa da per tutto.
-
-«Vedete!» fece la medesima voce.
-
-Ed in un botto vi furono due spari di pistola, uno da d’Artagnan ed
-uno dall’antagonista di Porthos. La palla di d’Artagnan portò via il
-cappello al nemico; quella di lui entrò in gola al cavallo di Porthos
-che cascò intirizzito.
-
-«Per l’ultima volta, dove andate? domandò la stessa voce.
-
-«A casa al diavolo! replicò adirato d’Artagnan.
-
-«Oh! allora, non dubitate, ci arriverete».
-
-D’Artagnan vide abbassarsi in verso lui la canna di un fucile. Non
-aveva tempo di frugare nelle saccoccie; si ricordò di un consiglio
-datoli in addietro da Athos, e fece che il suo corsiero s’impennasse.
-
-«Ehi! gridò il solito uomo in tuono di dileggio, ma noi facciamo così
-un macello di puledri e non un combattimento tra persone. Di spada,
-signor mio, di spada!»
-
-E smontò in un attimo.
-
-In un balzo d’Artagnan fu sopra all’avversario, e sentì sopra al suo il
-di lui ferro. Egli, con la sua consueta destrezza, aveva messa la spada
-in terza, sua posizione prediletta.
-
-In quell’intervallo, Porthos, inginocchiato dietro al suo palafreno,
-che tremava nelle convulsioni dell’agonia, reggeva in ogni mano una
-pistola.
-
-Ed intanto era principiata la battaglia fra d’Artagnan ed il suo
-avversario. D’Artagnan aveva assalito quello fieramente conforme alla
-sua usanza, ma questa volta aveva incontrato un pugno ed un tal giuoco
-che gli diedero da pensare. Rimesso due volte in quarta, fece un passo
-addietro; l’altro non si mosse; egli tornò a impegnare la spada in
-terza posizione.
-
-Vi furono due o tre botte da ambo i lati senza risultato veruno;
-scaturivano faville dai ferri in gran copia.
-
-Alla fine il nostro tenente stimò opportuno di cavar partito dalla
-finta sua favorita, la diresse abilmente, la eseguì con la rapidità del
-baleno, e scagliò il colpo con un vigore a cui credeva non si potesse
-resistere.
-
-Ma a questo fu parato.
-
-«Cappiterina!» ei gridò nel suo linguaggio guascone.
-
-Ed a codesta esclamazione il suo avversario fece un salto all’indietro,
-e, chinando la testa scoperta, si sforzò di distinguere fra le tenebre
-il volto di d’Artagnan.
-
-Il quale, per timore di un’altra finta, si teneva sulla difesa.
-
-«Badate! disse Porthos al suo emulo, ho ancora due pistole cariche.
-
-«Ragion di più perchè dobbiate essere il primo a tirare» colui rispose.
-
-Porthos sparò; un lampo illuminò il campo di battaglia.
-
-A quella luce gli altri due combattenti diedero ognuno un grido:
-
-«Athos! fu quello di d’Artagnan.
-
-«D’Artagnan! quel di Athos».
-
-Quest’ultimo alzò il brando, l’altro lo abbassò.
-
-«Aramis! urlò Athos, non tirate!
-
-«Ah ah! Aramis, siete voi?» fece Porthos.
-
-E buttò via l’arme.
-
-Aramis ripose la sua pistola, e mise nel fodero la draghinassa.
-
-«Figlio mio!» disse Athos porgendo la destra a d’Artagnan.
-
-Così lo chiamava ne’ tempi trascorsi ne’ momenti di maggior tenerezza.
-
-«Athos! disse d’Artagnan, e si torceva le mani, voi dunque lo
-difendete? ed io aveva giurato di riportarlo o vivo o morto! ah, sono
-disonorato!
-
-«Uccidete me, Athos rispose scuoprendosi il petto, se all’onor vostro è
-d’uopo della mia morte.
-
-«Guai a me! guai! un uomo solo eravi al mondo che potesse trattenermi,
-e la fatalità mi pose dinanzi quest’uomo! Oh! che dirò io al ministro?
-
-«Gli direte, signore, replicò una voce che dominava sul campo di
-battaglia, ch’egli aveva inviati contro a me i due soli uomini capaci
-di atterrarne quattro, di pugnare da soli a soli senza svantaggio
-contro al conte di la Fère e al cavaliere d’Herblay, e di non
-arrendersi che a cinquanta uomini.
-
-«Il principe! esclamarono a un tempo Athos ed Aramis facendo un
-movimento per discuoprire il duca di Beaufort, mentre d’Artagnan e
-Porthos retrocedevano di un passo.
-
-«Cinquanta cavalieri! mormorarono questi due ultimi.
-
-«Guardatevi attorno, signori, se ne avete dubbio» seguitò il duca.
-
-Eglino si mirarono attorno; realmente li circuiva una truppa a cavallo.
-
-«Allo strepito della vostra lotta, continuò il signor di Beaufort,
-io ho creduto che foste venti, e sono ritornato con quelli che mi
-circondavano, stanco di fuggir sempre, e bramoso di sguainare io pure
-la spada: ed eravate due e non più!
-
-«Sì, monsignore, disse Athos, ma conforme diceste, che vagliono per
-venti.
-
-«Orsù, signori, le vostre spade! riprese il duca.
-
-«Oh mai! no, mai! esclamò d’Artagnan tornato in sè stesso ed alzando la
-testa.
-
-«No, mai!» confermò Porthos.
-
-Alcuni uomini fecero un movimento.
-
-«Un momento, monsignore! gridò Athos, due parole!»
-
-E si accostò al principe, che si chinò verso di lui, ed al quale disse
-piano qualche cosa.
-
-«Conte, come vorrete, gli rispose il signor di Beaufort. Vi ho troppi
-obblighi per negarvi la vostra prima richiesta. Allontanatevi, signori
-(ordinò a quei della sua scorta); signori d’Artagnan e du Vallon, siete
-liberi».
-
-Fu eseguito il comando, e d’Artagnan e Porthos si trovarono a formare
-il centro di un ampio circolo.
-
-«Adesso, voi d’Herblay, fece Athos, scendete da cavallo e venite».
-
-Aramis, essendo smontato, si avvicinò a Porthos, frattanto che Athos si
-appressava a d’Artagnan. E tutti quattro si videro riuniti.
-
-«Amico, domandò Athos, vi duole ancora di non aver versato il nostro
-sangue?
-
-«No, replicò d’Artagnan, duolmi di veder noi uno contro all’altro
-dopo essere stati tanto bene uniti; duolmi d’incontrarci in due campi
-opposti. Ah! a nulla più riusciremo.
-
-«Oh no, è finita! aggiunse Porthos.
-
-«Or bene, allora siate de’ nostri, progettò Aramis.
-
-«Silenzio, d’Herblay! gridò Athos, non si fanno tali proposizioni a
-soggetti simili a questi. S’essi sono entrati nel partito di Mazzarino,
-è perchè ivi gli ha spinti la lor coscienza, come la nostra ci spinse a
-quello dei principi.
-
-«Ed intanto eccoci nemici! disse Porthos, cospetto! chi lo avrebbe mai
-creduto!»
-
-D’Artagnan non parlò, ma diede un sospiro.
-
-Athos prese ad entrambi la mano, dicendo:
-
-«Signori, l’affare è gravissimo, ed il mio cuore ne soffre come se
-trafitto lo aveste da parte a parte. Sì, noi siamo separati, ecco la
-grande, la trista verità, ma non peranco ci dichiarammo guerra; forse
-abbiamo da stabilire le nostre condizioni, ed è indispensabile un
-supremo colloquio.
-
-«Io lo reclamo, fece Aramis.
-
-«Io lo accetto», aggiunse alteramente d’Artagnan.
-
-Porthos abbassò il capo in segno di assenso.
-
-«Sicchè si fissi il luogo del convegno adattato a noi tutti, proseguì
-Athos, ed in un’ultima conferenza regoliamo definitivamente la nostra
-situazione reciproca e la condotta che scambievolmente dovremo tenere.
-
-«Bene! approvarono gli altri tre.
-
-«Siete dunque del mio parere?
-
-«Intieramente!
-
-«Or bene, il luogo?
-
-«La Piazza Reale vi accomoda? domandò d’Artagnan.
-
-«A Parigi?
-
-«Sì».
-
-Athos ed Aramis si guardarono. Questo colla testa accennò di sì.
-
-«Sia pure la Piazza Reale! affermò Athos.
-
-«E quando?
-
-«Domani sera, se vi aggrada.
-
-«Sarete di ritorno?
-
-«Certo.
-
-«A che ora?
-
-«Alle dieci: vi conviene?
-
-«A meraviglia.
-
-«Di là, disse Athos, uscirà la pace o la guerra, ma almeno, amici, sarà
-salvo l’onor nostro.
-
-«Ahimè, mormorò d’Artagnan, il nostro onore di soldati è perduto.
-
-«D’Artagnan, gli rispose gravemente Athos, vi giuro che mi fate male
-pensando a codesto, quando io non penso se non ad una cosa, cioè che
-abbiamo testè incrociato il ferro uno contro all’altro.... Sì, sì, voi
-lo diceste, sta su noi la sventura. Aramis, venite.
-
-«E noi, Porthos, fece d’Artagnan, ritorniamo a portare la nostra
-vergogna al ministro.
-
-«E soprattutto gli direte, gridò una voce, ch’io non sono ancora troppo
-vecchio per non essere un uomo da azione».
-
-D’Artagnan riconobbe a quelle parole Rochefort.
-
-«Poss’io fare qualche cosa per voi, signori? chiese il principe.
-
-«Dar testimonianza come facemmo quanto per noi si poteva, monsignore.
-
-«Non dubitate, io la darò. Addio, tra qualche tempo ci rivedremo, io
-spero, sotto Parigi, e forse pure in Parigi, ed allora potrete avere la
-vostra rivincita».
-
-Il duca fe’ con la mano un saluto, rimise al galoppo il cavallo e
-disparve seguito dalla sua scorta, di cui andò a perdersi la vista
-nell’oscurità: ed il rumore nello spazio.
-
-D’Artagnan e Porthos si trovarono soli su la strada maestra con un uomo
-che reggeva due cavalli scossi.
-
-Crederono che fosse Mousqueton, e gli si avvicinarono.
-
-«Che vedo! esclamò d’Artagnan, sei tu, Grimaud?
-
-«Grimaud!» disse Porthos.
-
-Quegli fece segno ai due amici che non s’ingannavano.
-
-«I corsieri di chi sono? domandò d’Artagnan.
-
-«Chi ce li dà? interrogò Porthos.
-
-«Il signor conte di la Fère.
-
-«Athos, Athos, balbettò d’Artagnan, voi pensate a tutto, e siete
-veramente un gentiluomo.
-
-«Manco male, bucinò Porthos, avevo paura di far la tappa a piedi».
-
-E si pose in sella. D’Artagnan vi era digià salito.
-
-«Ebbene, Grimaud, dove vai? chiese questo, lasci forse il tuo padrone?
-
-«Sì, per ordine suo vado a raggiungere il signor visconte di Bragelonne
-all’armata di Fiandra».
-
-Mossero allora alcuni passi in silenzio sulla via maestra venendo verso
-Parigi, ma ad un tratto udirono un lamento che sembrava scaturisse da
-un fosso.
-
-«Ch’è mai questo? fece d’Artagnan.
-
-«È Mousqueton, disse Porthos.
-
-«Eh! sì signore, son io», seguitò una voce querula, mentre sorgeva una
-specie d’ombra dal basso della strada.
-
-Porthos corse appresso al suo maggiordomo, a cui era realmente
-affezionato.
-
-«Sei ferito gravemente, Mouston?
-
-«Mouston! ripetè Grimaud, spalancando gli occhi con istupore.
-
-«No signore, non credo, ma lo sono in maniera che mi dà molto fastidio.
-
-«Dunque non puoi montare a cavallo?
-
-«Ah! che mai mi proponete!
-
-«Puoi tu andare a piedi?
-
-«Procurerò, sino alla prima casa.
-
-«Come si fa? disse d’Artagnan, bisogna pure che ritorniamo alla
-capitale.
-
-«Penserò io a Mousqueton, fece Grimaud.
-
-«Grazie, mio buon Grimaud, rispose Porthos».
-
-Grimaud smontò e andò a dar braccio al suo antico amico, il quale lo
-accolse colle lagrime agli occhi, senza ch’ei potesse però sapere se
-cagione di quel pianto fosse il piacere di rivederlo o il dolor della
-ferita.
-
-D’Artagnan e Porthos continuarono in silenzio il lor viaggio verso la
-capitale.
-
-A capo a tre ore furono oltrepassati da una specie di corriere tutto
-carico di polvere: era un uomo mandato dal duca, che recava al ministro
-una lettera nella quale il principe a tenore della sua promessa
-attestava quanto avevano fatto Porthos e d’Artagnan.
-
-Mazzarino aveva passata una nottata pessima, quando ricevè quel
-dispaccio, in cui il duca di Beaufort gli annunziava di per sè stesso
-qualmente era libero, e farebbe a lui guerra accanita.
-
-Il ministro lo lesse due o tre volte, indi piegandolo e riponendolo
-nella saccoccia, disse:
-
-«Quel che mi consola, giacchè d’Artagnan non lo ha potuto cogliere, si
-è che almeno correndo dietro a lui ha ammazzato Broussel. Il Guascone è
-assolutamente un uomo prezioso, e mi giova anche quando la sbaglia».
-
-Mazzarino alludeva a quel tale che d’Artagnan avea buttato in terra sul
-canto del cimitero San Giovanni in Parigi, e ch’era per l’appunto il
-consigliere Broussel.
-
-
-
-
-XXIX.
-
-_Il buon uomo Broussel._
-
-
-Ma disgraziatamente pel signor Mazzarino, che in quel momento aveva
-proprio disdetta, il buon uomo Broussel non era stato ammazzato.
-
-Diffatti, esso traversava tranquillamente la via sant’Onorato, quando
-il focosissimo cavallo di d’Artagnan lo percosse sulla spalla e lo
-gittò fra la mota. Secondo noi avvertimmo, il nostro tenente dei
-moschettieri non pose mente a così piccolo avvenimento. D’altronde egli
-nutriva la stessa profonda e sprezzante indifferenza che la nobiltà,
-e particolarmente la nobiltà militare, in quell’epoca professava pel
-ceto borghese. Era dunque rimasto più che insensibile alla disgrazia
-accaduta all’omiciattolo nero (quantunque fosse sua colpa) ed anche
-avanti che il povero Broussel avesse tempo di dare un grido era
-transitata tutta la tempesta dei corridori armati. Ed allora soltanto
-il ferito potè essere inteso e rialzato.
-
-Si affollò gente, si vide quel meschinello che gemeva, gli si richiese
-il suo nome, la dimora, il titolo, ed appena ebbe detto chiamarsi
-Broussel, esser consigliere al Parlamento, ed abitare in via di San
-Landry, sorse un grido tra la moltitudine, sì minaccioso e terribile,
-che fece gran paura al caduto quanto l’uragano passatogli sul corpo.
-
-«Broussel! Broussel! tutti esclamavano, nostro padre! quello che
-difende i nostri diritti contro al Mazzarino! Broussel, l’amico del
-popolo! ucciso, calpestato dagli scellerati seguaci del ministro!
-soccorso! all’armi! a morte! a morte!»
-
-In un attimo la folla diventò immensa; fu arrestata una carrozza per
-mettervi dentro il piccolo Broussel: ma avendo uno del volgo fatto
-osservare che nello stato in cui esso era il moto del legno potrebbe
-peggiorare il suo male, vari fanatici proposero di portarlo a braccia,
-lo che fu accolto con entusiasmo, ed accettato a voti unanimi. Detto
-e fatto. Il popolo lo sollevò di peso, in aspetto insieme docile
-e minaccioso, e lo trasportò, simile a quel gigante delle novelle
-fantastiche che mugghia accarezzando e cullando fra le braccia un nano.
-
-Broussel si figurava digià tanta affezione dei Parigini per la
-sua persona. Non aveva durante tre anni seminata l’opposizione
-senza un’occulta speranza di raccogliere la popolarità. Codesta
-dimostrazione, capitata appuntino, gli fu dunque gratissima e lo fe’
-insuperbire, imperocchè gli dava un’idea esatta del suo potere. Ma da
-un altro lato v’era qualche inquietezza che turbava un tal trionfo.
-Oltre alle contusioni che lo facevano soffrire di molto, temeva ad
-ogni angolo di strada di vedere sboccare uno squadrone di guardie e
-di moschettieri per dare addosso a quella moltitudine, ed allora nel
-parapiglia che succederebbe al trionfatore?
-
-Aveva egli sempre dinanzi agli occhi il turbine d’uomini, quell’uragano
-dal piè di ferro da cui era stato atterrato con un soffio.
-
-E perciò ripeteva con voce languidissima:
-
-«Facciamo presto, figliuoli, chè in verità patisco assai!»
-
-Ed a ciascuno di questi suoi lamenti si accrescevano a lui d’intorno ed
-i gemiti e le maledizioni.
-
-Si giunse non senza fatica fino alla casa di Broussel. La calca che
-già ingombrava la via richiamava a’ balconi e su le porte tutta la
-gente del quartiere. Alla finestra di una casa a cui dava ingresso una
-porta strettissima si vedeva agitarsi una vecchia serva la quale urlava
-con quanta forza si avesse, ed una donna pure attempata che piangeva.
-Quelle due femmine, con un’inquietudine visibile abbenchè espressa in
-modo diverso interrogavano il popolo, il quale mandava loro per unica
-risposta urli confusi impossibili ad intendersi.
-
-Ma quando il consigliere, portato da otto uomini, comparve pallido e
-guardando con occhio da moribondo la sua abitazione, la sua moglie e
-la sua serva, la buona signora Broussel svenne, e la serva, levando
-al cielo le mani, si slanciò sulla scala per farsi incontro al padrone
-strillando: «Dio mio! Dio mio! se almeno ci fosse Friquet per andar a
-chiamare un cerusico!»
-
-E v’era Friquet. Dove non è egli, il biricchino di Parigi?
-
-Friquet aveva profittato naturalmente della giornata di Pentecoste
-per chiedere vacanza al padrone dell’osteria, la qual vacanza non gli
-si poteva negare sendochè stava ne’ suoi patti di esser libero alle
-quattro feste principali dell’anno.
-
-Era egli alla testa del corteggio. Gli era venuta, sì, l’idea di correr
-per un medico, ma in sostanza gli pareva più divertevole lo strillar
-fuor di modo: «Hanno ammazzato il signor Broussel padre del popolo!
-evviva il signor di Broussel!» che girare da mille straduzze e dir
-semplicemente ad un uomo nero: «Venite, signor dottore, il consigliere
-Broussel ha bisogno di voi».
-
-Per sua sfortuna, Friquet che nell’accompagnamento faceva una parte
-importante, ebbe l’imprudenza di aggrapparsi all’inferriata della
-finestra a pian terreno per sovrastare alla folla. Quest’ambizione lo
-rovinò: sua madre lo vide e lo mandò pel chirurgo.
-
-Poi pigliò essa in collo il brav’uomo e voleva metterlo così fino al
-primo piano; però in fondo alla scala il consigliere si rimise un poco
-in gambe e dichiarò sentirsi assai forte per salire da sè. Inoltre ei
-pregava la Gervasia (così aveva nome la fantesca) di procurare che la
-gente si ritirasse, ma la Gervasia non gli dava retta.
-
-«Oh povero padrone! oh il mio caro padrone! ella badava a gridare.
-
-«Sì, cara, sì Gervasia, balbettava Broussel onde calmarla, sta quieta,
-non sarà nulla.
-
-«Ch’io stia quieta, quando siete sciupato, rotto, troncato!
-
-«Ma no, ma no! non è niente, o quasi niente!
-
-«Niente! e siete tutto carico di mota! niente, e avete sangue sui
-capelli!.... mio Dio! misero mio padrone!
-
-«Zitto! faceva Broussel, zitto!
-
-«Sangue! santo Dio, sangue! ripeteva la vecchia.
-
-«Un medico! un chirurgo! un dottore! strepitava il popolo, il
-consiglier Broussel è vicino a morire! i Mazzarini l’hanno ammazzato.
-
-«Dio buono! si smaniava Broussel, quei disgraziati faranno dar fuoco al
-casamento!
-
-«Signore! consigliò la Gervasia, affacciatevi alla finestra, che vi
-veggano.
-
-«Fossi gonzo! rispose il tribolato, è cosa buona per il re di farsi
-vedere a quel modo.... Gervasia, di’ loro che sto meglio, di’ loro che
-mi metterò, non mica al balcone, ma in letto, e che se ne ne vadano.
-
-«Ma perchè se n’hanno da andare? E’ vi fa onore, che stiano là!
-
-«Oh! non l’intendi, che mi faranno arrestare, mi faranno impiccare?
-esclamava il vecchietto fuor di sè, ah! ecco che mia moglie è svenuta!
-
-«Broussel! seguitavano di sotto, evviva Broussel! un chirurgo per
-Broussel!»
-
-Fecero tanto schiamazzo che accadde ciò che avea previsto il
-consigliere; un mucchio di guardie scacciò a calciate di fucile quella
-turba, bensì del tutto innocua. Ma alle prime strida di: «soldati!
-pattuglia!» Broussel tremando lo avessero a prendere per istigatore del
-tumulto, si rimpiattò bell’e vestito nel letto.
-
-Mercè lo sgombro fatto dalle guardie, la Gervasia per comando reiterato
-tre volte dall’ammalato, riuscì a chiudere il portone. Ma non sì
-tosto l’ebbe serrato e fu salita presso all’infermo, che venne bussato
-fortemente.
-
-La signora Broussel tornata in sè levava le calze al marito tremando
-come una foglia.
-
-«Guardate chi picchia, disse il consigliere, e non aprite che dopo
-schiarimento».
-
-La Gervasia guardò, e rispose:
-
-«È il signor presidente Blancmesnil.
-
-«Allora aprite, non v’è inconveniente.
-
-«Ebbene! fece nell’entrare il presidente, che v’hanno fatto, mio caro
-Broussel? sento dire che foste in procinto d’essere assassinato!
-
-«Fatto sta, che secondo è probabile, si è tramato qualche cosa contro
-la mia vita, replicò il consigliere con una fermezza che pareva stoica.
-
-«Amico mio, sì, hanno voluto cominciare da voi; però toccherà a noi,
-ciascuno a sua volta, e non potendoci vincere in massa cercheranno di
-distruggerci un dopo l’altro.
-
-«Se la scapolo, disse Broussel, li vuo’ schiacciare sotto il peso della
-mia parola.
-
-«Sì, sì, guarirete, e per far che paghino cara la loro aggressione».
-
-Madama Broussel piangeva dirottamente; Gervasia si tapinava.
-
-«Ch’è stato? esclamò un bello e robusto giovine entrando in camera, mio
-padre ferito!
-
-«Vedete qua una vittima della tirannia, giovanotto! ribattè il signor
-Blancmesnil da vero Spartano.
-
-«Oh padre mio! guai a coloro che vi hanno toccato!»
-
-E il signorino si volgeva verso l’uscio.
-
-«Giacomo, disse il genitore trattenendolo, va piuttosto a cercare un
-medico, mio caro.
-
-«Sento grandi clamori del popolo; avvertì la vecchia, sarà Friquet che
-ce lo conduce.... ma no, è una carrozza».
-
-Blancmesnil si affacciò alla finestra.
-
-«Il signor coadjutore! egli disse.
-
-«Il signor coadjutore! ripetè Broussel, aspettate ch’io vada ad
-incontrarlo!»
-
-E dimentico de’ suoi dolori si avviava verso il signor di Retz, se non
-lo avesse fermato Blancmesnil.
-
-«Ebbene, caro Broussel, disse il coadjutore colà giunto, che c’è?
-che c’è? si discorre di agguati, d’assassinio!... Buon giorno, signor
-Blancmesnil.... Nel passare ho preso meco il mio dottore, e ve l’ho
-condotto.
-
-«Ah! fece Broussel, quanto vi sono obbligato! è vero che sono stato
-crudelmente buttato in terra e calpestato dai moschettieri del re....
-
-«Avete a dire del Mazzarino, ripicchiò il signor di Retz, avete a dire
-del ministro.... Ma gliela faremo pagare, non dubitate.... Non è così,
-signor di Blancmesnil?»
-
-Il presidente s’inchinava, ed ecco spalancarsi ad un tratto l’uscio
-spinto da un corriere. Lo seguiva un lacchè in gran livrea che annunziò
-ad alta voce:
-
-«Il signor duca di Longueville!
-
-«Come! esclamò Broussel! è qui il signor duca? che onore è questo per
-me!... ah, monsignore!...
-
-«Vengo a condolermi, rispose il duca, della sorte del nostro prode
-difensore.... siete ferito, consigliere carissimo?
-
-«Se lo fossi, la vostra visita mi risanerebbe, monsignore.
-
-«Soffrite però?
-
-«Molto.
-
-«Ho qui con me il mio dottore; permettete che passi?
-
-«E come!» fece Broussel.
-
-Il signor di Longueville fe’ un cenno al suo lacchè, il quale
-introdusse un uomo nero.
-
-«Io aveva avuta la stessa idea che voi, mio principe», disse il
-coadjutore.
-
-I due professori si guardarono.
-
-«Oh! siete voi, signor coadjutore? continuò il duca. Gli amici del
-popolo s’incontrano sul loro vero terreno.
-
-«Il tumulto mi aveva spaventato e sono accorso; ma parmi che il più
-urgente sarebbe che i cerusici visitassero il nostro buon consigliere.
-
-«Davanti a voi, signori? domandò timidamente Broussel.
-
-«E perchè no? vi giuro che siamo ansiosi di sapere come vada.
-
-«Ohimè, Dio santo! disse madama Broussel, che cos’è questo nuovo
-schiamazzo?
-
-«Sembrano applausi, rispose Blancmesnil andando al balcone.
-
-«Come! che altro v’è egli? chiese il consigliere pallido, morto.
-
-«La livrea del signor principe di Conti! urlò Blancmesnil, il principe
-in persona!»
-
-Il coadjutore e Longueville avevano la gran voglia di ridere.
-
-I professori si accingevano ad alzare la coperta a Broussel; l’ammalato
-li trattenne.
-
-Capitò il principe di Conti.
-
-«Ah! signori, disse al vedere il signor di Retz, voi mi avete
-prevenuto; ma caro Broussel, non dovete già esser meco sdegnato; quando
-ho intesa la vostra disgrazia, ho pensato che vi mancasse un dottore
-e sono ito a prendere il mio.... Come state, e che assassinio è questo
-del quale si parla?»
-
-Broussel voleva discorrere, ma non ebbe parole, l’oppressero i tanti
-onori che riceveva.
-
-«Orsù, dottore, vedete, disse il principe di Conti a un uomo nero che
-lo accompagnava.
-
-«Oh oh! fece uno dei medici, allora gli è un consulto.
-
-«Sarà quel che volete, ma ponetemi in quiete sulla salute del bravo
-consigliere».
-
-I tre professori si accostarono al letto. Broussel tirava a sè con
-tutta forza la coperta. Ad onta della sua opposizione fu spogliato ed
-esaminato.
-
-V’era soltanto una contusione al braccio ed una alla coscia.
-
-I dottori si guardarono in viso, mal comprendendo come si fossero
-riuniti tre soggetti fra i più dotti della Facoltà di Parigi per una
-simile inezia.
-
-«Ebbene? domandò il coadjutore.
-
-«Ebbene? il duca.
-
-«Ebbene? il principe.
-
-«Speriamo che l’accidente non abbia conseguenze; disse uno dei seguaci
-d’Esculapio; ci ritireremo nella stanza vicina per concertare le
-ricette.
-
-«Broussel! notizie di Broussel! strillava la folla, come sta Broussel?»
-
-Il coadjutore corse alla finestra. Al suo aspetto la turba fe’ silenzio.
-
-«Amici, ei disse, riconfortatevi, egli è fuor di pericolo; ma la ferita
-è grave e abbisogna riposo».
-
-Subito echeggiarono sulla strada altri urli:
-
-«Viva Broussel! viva il coadjutore!»
-
-Longueville per astio si affacciò esso pure.
-
-«Viva il signor di Longueville! fu gridato al momento.
-
-«Amici, ei disse facendo un saluto con la mano, ritiratevi in pace, e
-non date ai nemici nostri il piacere del disordine.
-
-«Bravo, signor duca! approvò dal letto Broussel, codesto è parlare da
-buon Francese.
-
-«Sì, signori Parigini, seguitò il principe di Conti andato ugualmente
-alla finestra onde avere la sua parte degli applausi. E poi il signor
-Broussel ve ne prega, ha necessità di quiete, ed il chiasso potrebbe
-dargli incomodo.
-
-«Viva il principe di Conti!» esclamò la gente di sotto.
-
-E il principe salutò.
-
-Allora tutti tre si accomiatarono dal consigliere, e ad essi fece
-scorta la moltitudine che licenziata avevano a nome di Broussel.
-
-La vecchia serva stupefatta osservava il padrone con ammirazione.
-
-Per lei il consigliere era cresciuto di un palmo.
-
-«Ecco che cos’è servire il proprio paese secondo la sua coscienza»,
-disse Broussel con soddisfazione.
-
-I medici uscirono dopo un’ora di consulto, e ordinarono si lavassero le
-contusioni con acqua e sale.
-
-In tutta la giornata fu processione di carrozze. Tutti quei della
-_fronda_ si fecero scrivere per visita in casa Broussel.
-
-«Che bel trionfo, padre mio!» disse il giovine, il quale non
-comprendendo il vero motivo che traeva tutti coloro nella sua
-abitazione, pigliava sul serio le dimostrazioni dei grandi, dei
-principi e degli amici.
-
-«Ohimè! Giacomo mio, gli rispose il genitore, ho paura di pagarlo caro
-questo trionfo; e o m’inganno, o a quest’ora il signor di Mazzarino mi
-apparecchia il conto degli affanni ch’io gli cagiono».
-
-Friquet tornò a casa a mezza notte. Non aveva potuto trovar medici.
-
-
-
-
-XXX.
-
-_Quattro antichi amici si dispongono a rivedersi._
-
-
-«Ebbene! disse Porthos, seduto nel cortile dell’albergo del Granchio, a
-d’Artagnan che di mal umore, accigliato, tornava dal Palazzo Reale, vi
-ha ricevuto male, mio buon d’Artagnan?
-
-«Oh sì, è assolutamente una brutta bestia, colui.... che mangiate
-costì, Porthos?
-
-«Vedete, inzuppo un biscotto in un bicchiere di vin di Spagna: fate lo
-stesso anche voi.
-
-«Dite benissimo. Gimblou, un bicchiere!»
-
-Il cameriere chiamato con quel nome armonioso, recò ciò ch’eragli
-chiesto, e d’Artagnan si assise accanto all’amico.
-
-«Come è andata?
-
-«Eh! comprenderete che non v’erano due modi di dir le cose; sono
-entrato, mi ha guardato bieco, mi sono stretto nelle spalle, e gli ho
-detto: Monsignore, in conclusione non siamo stati noi i più forti.
-
-«Sì, so tutto questo, ma raccontatemi i dettagli.
-
-«Intendete, Porthos, che non potevo raccontare i dettagli senza
-nominare i nostri amici, e il nominarli era comprometterli.
-
-«Per Diana!
-
-— Monsignore, ho soggiunto, essi erano cinquanta, e noi due.
-
-— Sì, mi ha risposto, ma ciò non toglie che si siano ricambiate delle
-pistolettate, per quanto ho inteso.
-
-— Realmente sono state abbruciate alcune cariche di polvere e da una
-parte e dall’altra.
-
-— E le spade han veduta la luce?
-
-— Cioè le tenebre, Eccellenza.
-
-— Ah ah! ha soggiunto il ministro, vi credevo Guascone, mio caro?
-
-— Non son Guascone se non quando riesco.
-
-— La mia replica gli è piaciuta, giacchè si è messo a ridere.
-
-— Da questo imparerò, ha continuato, a far dare migliori cavalli alle
-mie guardie, mentre s’esse avessero potuto seguitarvi ed avessero fatto
-ciascuna quanto voi e il vostro amico, avreste mantenuta la vostra
-parola e condottolo a me morto o vivo.
-
-«Eh! disse Porthos, mi pare che non vi sia male.
-
-«No, ma tutto sta nella maniera di dirlo.... Non è da credere quanto
-vino prendono questi biscotti! sono assolutamente spugne. Gimblou,
-un’altra bottiglia».
-
-Fu eseguito il comando con tal prontezza da provare l’alta
-considerazione di che godeva d’Artagnan nella locanda. Ed esso
-continuò:
-
-«Mi ritiravo, ed egli mi chiamò indietro.
-
-— Aveste tre cavalli fra morti e attrappati? mi domandò.
-
-— Sì, monsignore.
-
-— Quanto valevano?
-
-«Eh! interruppe Porthos, mi sembra questa una buona idea.
-
-— Mille doppie, io risposi.
-
-«Mille doppie! fece Porthos.... è molto! e se s’intende di cavalli,
-deve aver tirato di prezzo.
-
-«Ne aveva voglia, lo spilorcio, poichè ha fatto un balzo terribile e mi
-ha guardato fisso. Lo guardai io pure, e allora comprese tutto e pigliò
-da un armadio dei biglietti sulla banca di Lione.
-
-«Per mille doppie?
-
-«Appunto, l’usurajo! nemmeno una di più!
-
-«E le avete?
-
-«Eccole.
-
-«Affè, trovo ch’è agire benissimo.
-
-«Benissimo? con persone che non solo hanno arrischiata la vita, ma che
-gli hanno reso un gran servigio!
-
-«E quale?
-
-«Veh! per quanto pare gli ho ammazzato un consigliere del Parlamento.
-
-«Come! quel piccolo uomo nero che gettaste in terra sull’angolo del
-cimitero San Giovanni?
-
-«Precisamente. Ei gli dava gran fastidio; ma disgraziatamente non l’ho
-propriamente ucciso; sembra che abbia a guarire e tornare a dargli
-molestia.
-
-«Oh vedete! disse Porthos, ed io sviai il mio corsiero che gli andava
-veramente addosso! Sarà per un’altra volta.
-
-«Avaraccio! avrebbe dovuto pagarmi il consigliere.
-
-«Eh! se non è ucciso affatto.
-
-«Il signor di Richelieu avrebbe detto subito: cinquecento scudi per il
-consigliere.... Basta, non ne parliamo più. Quanto vi costano le vostre
-bestie, Porthos?
-
-«Ah! se fosse qui il povero Mousqueton, ve lo direbbe a lira, soldo e
-danaro.
-
-«Non serve! all’incirca?
-
-«Vulcano e Bajardo mi costavano intorno a duecento doppie per uno, e
-mettendo Febo a cento cinquanta siamo vicini al conto.
-
-«Rimangono dunque quattrocento cinquanta, azzardò contentissimo
-d’Artagnan.
-
-«Sì, ma vi sono i finimenti.
-
-«Capperi! è vero.... e per quanto?
-
-«Calcolando cento doppie di tutti e tre....
-
-«Sia pure.... allora restano trecento cinquanta».
-
-Porthos abbassò il capo in atto di adesione.
-
-«Diamo le cinquanta alla locandiera per tutta la nostra spesa, propose
-d’Artagnan, e dividiamoci le altre trecento.
-
-«Dividiamocele, approvò Porthos.
-
-«Meschino negozio! borbottò d’Artagnan riponendo i biglietti.
-
-«Uh tant’è, disse Porthos, ma ditemi....
-
-«Che?
-
-«Non vi parlò in alcun modo di me?
-
-«Ah sì! esclamò d’Artagnan, perocchè temeva di scoraggire il camerata
-manifestandogli che il ministro non gli aveva aperto bocca su di lui,
-sì, mi ha detto....
-
-«Che cosa?
-
-«Aspettate.... mi preme ricordarmi le sue proprie parole: ha detto....
-In quanto al vostro amico, annunziategli che può dormire su due
-guanciali.
-
-«Bene! osservò Porthos, prova chiarissima che ha sempre idea di farmi
-barone».
-
-Nel momento suonarono nove ore alla chiesa vicina. D’Artagnan si scosse.
-
-«Ah! è vero, fece Porthos, ecco che suonano le nove, e alle dieci, come
-vi rammentate, abbiamo appuntamento alla Piazza Reale.
-
-«Ah tacete! gridò d’Artagnan con impazienza, non mi ricordate codesto;
-è ciò che da jeri mi tiene di mal umore. Non ci andrò.
-
-«E perchè?
-
-«Perchè mi è doloroso il rivedere quei due uomini che fecero andare a
-vuoto la nostra impresa.
-
-«Eppure, ribattè Porthos, nè uno nè l’altro ne hanno avuto il
-vantaggio. Io aveva ancora una pistola carica, e voi eravate l’uno in
-faccia all’altro con la spada in mano.
-
-«Sì, rispose d’Artagnan, però se in quel convegno è celata qualche cosa?
-
-«Ah! voi non lo credete, disse Porthos».
-
-Ed aveva ragione: d’Artagnan non supponeva Athos capace d’impiegare
-l’astuzia, ma cercava un pretesto per non recarsi all’appuntamento.
-
-«Bisogna andarvi, continuò l’altero signor di Bracieux; si penserebbero
-che avessimo avuto paura.... Eh! mio caro, abbiamo affrontati cinquanta
-nemici su la strada maestra; affronteremo pure due amici sulla Piazza
-Reale.
-
-«Sì, sì, replicò d’Artagnan, lo so; ma hanno abbracciato il partito
-dei principi senza prevenircene; ma Athos ed Aramis hanno fatto meco
-un giuoco che mi spaventa. Jeri scoprimmo la verità. A che giova andar
-oggi a saper qualche altra cosa!
-
-«Realmente siete in diffidenza? domandò Porthos.
-
-«Di Aramis sì, dacchè è abate. Non potete figurarvi com’è diventato;
-egli par che siamo contrarj al suo avanzamento, e forse non gli
-increscerebbe di levarci di mezzo.
-
-«Ah! per Aramis è tutt’altro, confermò Porthos, e non mi sorprenderebbe.
-
-«Il signor di Beaufort può tentare alla sua volta di far arrestar noi.
-
-«Oibò! subito che ci aveva nelle mani e ci ha lasciati liberi! E poi
-mettiamoci in guardia, e conduciamo Planchet colla sua carabina.
-
-«Planchet è della _Fronda_.
-
-«Maledette le guerre civili! non si può più far conto nè su gli amici
-nè su’ propri servi. Ah! se fosse qua il misero Mousqueton! Quegli non
-mi abbandonerà mai!
-
-«Finchè sarete ricco! eh! non sono le guerre civili che ci disuniscono;
-è che non abbiamo più venti anni ciascuno, è che i leali impulsi della
-gioventù sono spariti per dar luogo al mormorio degli interessi, al
-soffio delle ambizioni, ai consigli dell’egoismo. Sì, avete ragione,
-Porthos: andiamoci, ma ben armati. Se no, direbbero che abbiam timore.
-Olà, Planchet!»
-
-Planchet accorse alla chiamata di d’Artagnan.
-
-«Fate porre la sella ai cavalli, e pigliate la vostra carabina.
-
-«Ma, signore, prima di tutto, contro a chi si va?
-
-«Non si va contro ad alcuno, disse d’Artagnan, è una semplice misura di
-precauzione per il caso che fossimo assaliti.
-
-«Sapete, signore, ch’è stato tentato di uccidere il consigliere
-Broussel, il padre del popolo?
-
-«Eh! davvero?
-
-«Sì, ma è stato ben vendicato, poichè il popolo lo ha riportato a casa
-a braccia. Da jeri in qua la sua abitazione è sempre piena. Ha ricevuto
-visita dal coadjutore, dal signor di Longueville e dal principe di
-Conti. Le signore di Chevreuse e di Vendome si son fatte dare in nota
-alla porta, e adesso quando vorrà....
-
-«Ebbene, quando vorrà?...»
-
-Planchet si diede a cantarellare:
-
- Un vent de Fronde
- S’est levé ce matin;
- Je crois qu’il gronde
- Contre le Mazarin.
- Un vent de fronde
- S’est levé ce matin.
-
-«Non mi sorprende più, osservò sotto voce d’Artagnan a Porthos, che il
-Mazzarino avesse avuto più caro ch’io avessi distrutto affatto il suo
-consigliere.
-
-«Comprendete dunque, soggiunse Planchet, che se mi ordinate di pigliare
-la mia carabina per qualche intrapresa simile a quella tramata contro
-il signor Broussel....
-
-«No, no, sta quieto.... Ma da chi avesti tutti questi dettagli?
-
-«Oh da fonte buona! gli ho avuti da Friquet.
-
-«Da Friquet? fece d’Artagnan, codesto nome mi è noto.
-
-«È il figliuolo della serva del signor Broussel, un certo tomo che, vi
-assicuro, in una sommossa non rimarrà indietro.
-
-«Non è egli cantore a Nostra Signora?
-
-«Sì, appunto: è protetto da Bazin.
-
-«Ah! lo so.... e poi cameriere all’osteria della Calanda?
-
-«Precisamente.
-
-«Che v’interessa di quel ragazzaccio? domandò Porthos.
-
-«Eh! mi ha dato digià de’ buoni schiarimenti, e all’occorrenza potrebbe
-somministrarmene degli altri.
-
-«A voi, che foste vicino ad ammazzare il suo padrone?
-
-«E chi glie lo dirà?
-
-«È vero».
-
-Nel momento stesso entravano in Parigi Athos ed Aramis dal sobborgo
-sant’Antonio. Si erano rinfrescati per la strada, e si affrettavano
-onde non mancare al convegno. Li accompagnava il solo Bazin. Grimaud,
-conforme ci rammentiamo, era restato per assistere Mousqueton, e doveva
-raggiungere direttamente il giovine visconte di Bragelonne che si
-recava all’armata di Fiandra.
-
-«Adesso, disse Athos, ci conviene entrare in qualche albergo per
-vestirci da città, posare le pistole e le spade, e disarmare il nostro
-servo.
-
-«Nulla, nulla, caro conte, ed in questo mi permetterete, non solo di
-non essere del vostro parere, ma anche di procurare di condurvi al mio.
-
-«E perchè?
-
-«Perchè andiamo ad un convegno di guerra.
-
-«Aramis, che volete mai dire?
-
-«Che la Piazza Reale è un seguito della strada maestra del Vendomese e
-non altro.
-
-«Come! i nostri amici?...
-
-«Sono diventati i nostri nemici più pericolosi; Athos, credete a me;
-diffidiamo, e diffidate voi specialmente.
-
-«Oh! mio caro d’Herblay!
-
-«Chi vi dice che d’Artagnan non abbia gettata addosso a noi la sua
-sconfitta e prevenuto il ministro? chi vi dice che il ministro non
-profitti di questo appuntamento per farci arrestare?
-
-«E che! v’immaginate che d’Artagnan e Porthos diano mano ad una tale
-iniquità?
-
-«Tra amici, dite benissimo, sarebbe iniquità; fra nemici, ch’è astuzia».
-
-Athos incrociate le braccia calò la testa sul petto.
-
-«Che volete? seguitò Aramis, gli uomini son fatti così, e non son
-sempre in età di venti anni. Noi abbiamo offeso crudelmente, voi
-lo sapete, quell’amor proprio che guida ciecamente le azioni di
-d’Artagnan. Egli è stato vinto. Non lo udiste forse disperarsi sulla
-strada? In quanto a Porthos, la sua baronia dipendeva probabilmente
-dal di lui buon esito in questo affare. Ebbene! esso ha incontrati noi
-come intoppi, e neppur questa volta sarà barone. Chi vi assicura che la
-famosa Baronia non vada collegata col nostro abboccamento di stassera?
-Athos, prendiamo le nostre precauzioni.
-
-«Ma se essi venissero senz’armi, Aramis, che vergogna per noi!
-
-«Non dubitate, vi garantisco che ciò non succederà. D’altronde noi
-abbiamo una scusa: arriviamo da un viaggio, e siamo ribelli.
-
-«Scuse! ci tocca prevedere il caso in cui avessimo bisogno di scuse
-dirimpetto a d’Artagnan, a Porthos! Oh, Aramis! (continuava Athos
-scuotendo mestamente il capo) sull’anima mia, voi mi rendete il più
-disgraziato di tutti gli uomini! togliete ogni dolce illusione ad un
-cuore che non era morto affatto all’amicizia! Ecco, preferirei, ve lo
-giuro, che uno me lo strappasse dal petto. Andateci come vi piace, io
-vi andrò inerme.
-
-«Ed io non lascerò che veniate così. Non più un uomo, non più Athos,
-nemmeno più il conte di la Fère, tradireste con tal debolezza, ma un
-intero partito a cui appartenete e che conta su di voi.
-
-«Sia fatto come voi dite» riprese Athos addolorato.
-
-E proseguirono il loro cammino.
-
-Appena arrivavano dalla via del Passo della Mula ai cancelli della
-piazza deserta, videro sotto l’arcata e sullo sbocco della contrada di
-santa Caterina tre uomini a cavallo.
-
-Erano d’Artagnan e Porthos avvolti nei ferrajuoli, che tenevano in alto
-le spade, e dietro ad essi Planchet col moschetto sulla coscia.
-
-Athos ed Aramis scesero da cavallo scorgendo d’Artagnan e Porthos.
-Questi fecero lo stesso. D’Artagnan osservò che i tre corsieri invece
-di esser retti da Bazin erano legati agli anelli del loggiato, e ordinò
-a Planchet di far come faceva Bazin.
-
-Allora a due per due, seguiti dai rispettivi servi, si avanzarono, e
-salutaronsi scambievolmente con molta cortesia.
-
-«Signori, dove gradite che discorriamo?» domandò Athos.
-
-Egli si era accorto che parecchie persone si fermavano a guardarli
-come si trattasse di uno di quei famosi duelli tuttavia viventi nella
-memoria dei Parigini, e soprattutto di coloro che abitavano sulla
-Piazza Reale.
-
-«Il cancello è chiuso, disse Aramis, ma se questi signori amano il
-fresco sotto gli alberi ed una solitudine inviolabile, piglierò la
-chiave al palazzo di Rohan e staremo egregiamente».
-
-D’Artagnan cacciò lo sguardo fra l’oscurità della piazza, e Porthos
-arrischiò la testa fra due regoli per iscandagliare quelle tenebre.
-
-«Se preferite un altro luogo, seguitò Athos con la sua maniera nobile e
-insinuante, scegliete pure.
-
-«Io credo che codesto posto, qualora il signor d’Herblay possa
-procurarsene la chiave, sarà il migliore di ogni altro».
-
-Aramis si discostò subito, avvertendo Athos di non restar solo
-così vicino a d’Artagnan e Porthos; ma quegli a cui veniva dato tal
-consiglio sorrise in atto sprezzante, e mosse un passo verso i suoi
-antichi amici.
-
-Realmente Aramis era andato a bussare al palazzo di Rohan, e in breve
-ricomparve con un uomo che gli diceva:
-
-«Me lo giurate, signore?
-
-«A voi, fece Aramis dandogli un luigi.
-
-«Ah! mio gentiluomo, non volete giurare? disse il custode di mal umore.
-
-«E si può giurare di nulla?... vi asserisco soltanto che adesso quei
-signori sono amici nostri.
-
-«Sì, certamente» confermarono freddamente Athos, d’Artagnan e Porthos.
-
-D’Artagnan aveva udito il dialogo, e capito ogni cosa.
-
-«Vedete? domandò a Porthos.
-
-«Che ho da vedere?
-
-«Che non ha voluto giurare.
-
-«Giurare di che?
-
-«Quell’uomo intendeva che Aramis gli giurasse che non andavamo sulla
-Piazza Reale per batterci.
-
-«Ed egli vi si è ricusato?
-
-«Sì.
-
-«Dunque attenti!»
-
-Athos non perdeva di vista i due interlocutori. Aramis aprì la porta
-e si trasse da parte acciò potessero entrare d’Artagnan e Porthos. Il
-primo di questi due nel passare impegnò la impugnatura della sua spada
-nei ferri del cancello, e fu costretto a disvolgersi dal ferrajuolo,
-lo che facendo, discoperse il calcio rilucente delle pistole su cui si
-rifletteva un raggio di luna.
-
-«Vedete? disse Aramis, con una mano toccando Athos sulla spalla e con
-l’altra additandogli l’arsenale che portava d’Artagnan alla cintola.
-
-«Ohimè, si!» rispose Athos con un sospiro.
-
-E passò avanti per terzo. Aramis entrò ultimo, e si chiuse dietro
-il cancello. I due domestici rimasero fuori, ma quasi che essi pure
-diffidassero un dell’altro si trattennero a qualche distanza.
-
-
-
-
-XXXI.
-
-_La Piazza Reale._
-
-
-Camminarono in silenzio sino al centro della piazza, ma siccome in
-quel momento era uscita la luna di sotto un nuvolo, rifletterono che in
-luogo tanto scoperto sarebbero veduti, e si diressero verso i tigli ove
-l’ombra era più folta.
-
-Stavano distribuiti a varj spazj dei sedili. I quattro gentiluomini si
-fermarono dinanzi ad uno, Athos fe’ un cenno, d’Artagnan e Porthos si
-assisero; Athos ed Aramis rimasero in piedi davanti ad essi.
-
-Indi a breve pausa, durante la quale ciascuno sentiva la difficoltà
-d’incominciare la spiegazione, Athos disse:
-
-«Signori, una prova del potere dell’antica nostra amicizia si è la
-nostra comparsa al convegno; nessuno v’ha mancato, sicchè nessuno aveva
-da farsi rimproveri.
-
-«Ascoltate, signor conte, rispose d’Artagnan, invece di farci dei
-complimenti che forse non meritiamo, spieghiamoci da uomini di cuore.
-
-«Non bramo di meglio. Vi conosco schietto; parlate con tutta
-franchezza: avete qualche cosa di cui far rampogna a me od al signor
-abate d’Herblay?
-
-«Sì; disse d’Artagnan, quando ebbi l’onore di vedervi al castello di
-Bragelonne, vi recavo delle proposizioni che voi comprendeste; in luogo
-di rispondermi come a un amico, mi burlaste come un bambino, e l’amistà
-che tanto vantate non fu troncata jeri dall’urto delle nostre spade, ma
-dalla vostra dissimulazione nella vostra propria dimora.
-
-«D’Artagnan! fece Athos in dolcissimo tuono di lagnanza.
-
-«Mi chiedete franchezza, ed eccola; domandate che cosa io pensi, e ve
-lo dico; ed ora ho altrettanto per voi, signor abate d’Herblay; con voi
-ho agito egualmente, e parimente m’ingannaste.
-
-«In verità, siete singolare! disse Aramis, veniste per farmi delle
-proposizioni: ma me le faceste? signor no; mi scandagliaste, e niente
-altro. Che vi dissi? che Mazzarino era un mascalzone e che non servirei
-Mazzarino. Ma non più di così. Vi dichiarai forse che non avrei servito
-un altro? Al contrario, mi pare che vi feci intendere ch’ero tutto dei
-principi. Anzi, se non m’inganno, scherzammo piacevolmente sul caso
-probabilissimo in cui riceveste dal ministro l’incarico di arrestarmi.
-Siete uomo di parte? sì, senza alcun dubbio. Or bene, e perchè noi non
-dobbiamo essere uomini di parte? Voi avete il vostro segreto come noi
-abbiamo il nostro; non ce li siamo ricambiati, meglio così! è prova che
-sappiamo custodire i nostri segreti.
-
-«Di nulla vi fo rimprovero, signore; ribattè d’Artagnan, solo perchè il
-signor conte di la Fère parlava di amistà, sono passato ad esaminare il
-vostro contegno.
-
-«E in questo che trovate?» domandò con alterigia Aramis.
-
-Corse il sangue alle tempie a d’Artagnan, ed egli si alzò dicendo:
-
-«Trovo ch’è quello di un ipocrita».
-
-Porthos ancora si era levato in piedi; talchè i quattro signori stavano
-diritti e minacciosi uno di faccia all’altro.
-
-Alla risposta di d’Artagnan, Aramis fece un movimento come per metter
-mano alla spada.
-
-Athos lo trattenne.
-
-«D’Artagnan, esso disse, voi qui venite questa sera, tuttavia furibondo
-per la nostra avventura di jeri. Io vi stimava di cuore assai grande
-perchè in voi un’amicizia di venti anni resistesse ad una disfatta di
-amor proprio di un quarto d’ora. Orsù, ditelo a me: vi sembra di avere
-di che incolparmi? Se sono in fallo, io lo riconoscerò».
-
-La voce grave ed armoniosa di Athos aveva sempre sovra d’Artagnan
-l’usata influenza, laddove quella di Aramis diventata aspra e stridula
-ne’ suoi momenti di mal umore lo irritava. Quindi ci replicò al primo:
-
-«Mi pare, signor conte, che voi avevate da farmi una confidenza nel
-castello di Bragelonne, e che questo signore (ed accennava Aramis)
-aveva da farmene una nel suo convento; io allora non mi sarei slanciato
-in un’avventura in cui dovevate chiudermi la strada. Bensì perchè sono
-stato prudente, non avete già a prendermi per uno stolido. Se avessi
-voluto esaminare a fondo la condotta che tiene il signor d’Herblay, lo
-avrei costretto a parlare.
-
-«Di che cosa v’ingerite? esclamò Aramis pallido dalla collera
-sicuramente pel dubbio che gli nacque che d’Artagnan lo avesse veduto
-con madama di Longueville.
-
-«M’ingerisco di ciò che mi riguarda, e so far mostra di non aver
-visto quel che non mi riguarda; ma aborrisco gl’ipocriti, ed in questa
-categoria pongo i moschettieri che fanno da abati e gli abati che fanno
-da moschettieri, ed il signore qui presente (seguitò volgendosi verso
-Porthos) è della mia opinione».
-
-Porthos che non aveva ancor parlato, non rispose se non con una parola
-ed un gesto.
-
-Disse sì, e diè mano alla spada.
-
-Aramis fece un salto all’indietro e sguainò la sua. D’Artagnan
-s’incurvò, pronto ad attaccare o a difendersi.
-
-Allora Athos stese la destra con quell’atto di supremo comando tutto
-proprio di lui, cavò lentamente e ferro e fodero insieme, spezzò nel
-fodero il ferro battendoselo sul ginocchio, e gettò i due pezzi a man
-dritta.
-
-Indi voltosi ad Aramis gli disse:
-
-«Aramis, troncate la vostra spada».
-
-Questi però titubava.
-
-«Così bisogna» soggiunse Athos.
-
-E poi con voce più bassa e dolce:
-
-«Così voglio».
-
-Aramis, ancor più pallido, ma soggiogato da quel gesto, dominato da
-quella voce, ruppe la lama pieghevole, incrociò le braccia, ed aspettò
-bollendo di rabbia.
-
-Questo movimento fece retrocedere d’Artagnan e Porthos; il primo non
-cavò fuori il brando, l’altro ripose il suo.
-
-«Giammai, disse Athos alzando verso il cielo la destra, giammai, lo
-giuro innanzi a Dio che ne vede e ne ascolta, durante la solennità
-di questa nottata, l’arme mia non toccherà le vostre; giammai il mio
-occhio non avrà per voi uno sguardo d’ira, nè il mio cuore un sol
-palpito d’odio. Noi vivemmo insieme, insieme odiammo ed insieme amammo;
-tra noi si sparse il nostro sangue, e si confuse, e forse aggiungerò
-pure, fra noi v’ha un vincolo più possente di quello dell’amistà,
-forse v’ha il contratto e l’unione del delitto; imperciocchè tutti
-e quattro abbiamo condannato, giudicato, giustiziato un essere umano
-che non avevamo probabilmente diritto di torre da questo mondo, per
-quanto, meglio che a questo mondo sembrasse appartenere all’inferno.
-D’Artagnan, io sempre vi amai come un mio figlio; Porthos, per dieci
-anni dormimmo uno a fianco dell’altro; Aramis è vostro fratello come
-mio, giacchè vi ha amati come io vi amo e vi amerò sempre. Che può
-essere Mazzarino, per noi, che sapemmo forzare la mano e il cuore di un
-uomo qual era Richelieu? Ch’è egli questo o quel principe, per noi che
-abbiamo consolidata la corona sul capo ad una regina? D’Artagnan, io
-vi domando perdono di aver incrociato il ferro con voi; altrettanto fa
-Aramis per Porthos. E adesso, aborritemi, se potete, ma io vi giuro che
-ad onta dell’odio vostro, non avrò per voi se non stima ed amicizia....
-Aramis, ripetete le mie parole, e indi, s’essi il vogliono e voi pure
-il volete, si abbandonino per sempre gli antichi nostri amici».
-
-Fuvvi un istante di silenzio solenne. Così lo troncò poscia Aramis:
-
-«Io giuro (e favellava con la fronte serena e sguardo leale, ma con tal
-voce in cui sentivasi un ultimo tremito di agitazione) giuro che non ho
-più verun odio contro a coloro che furono miei amici; giuro che provo
-rammarico, o Porthos, di aver toccato la vostra spada; giuro alfine,
-che non solo la mia non sarà più rivolta al vostro petto, ma anche
-nelle più arcane profondità del mio pensiero non rimarrà nell’avvenire
-tampoco apparenza di sentimenti ostili contro di voi. Venite, Athos».
-
-Athos fece un moto per ritirarsi.
-
-«Oh no, no! non ve ne andate! esclamò d’Artagnan trasportato da uno di
-quegli impulsi irresistibili che discuoprivano il calore del suo sangue
-e l’ingenua rettitudine dell’animo suo, non ve ne andate! chè anch’io
-ho da fare un giuramento. Giuro che darei fino all’ultima goccia del
-mio sangue, sino all’ultimo brano delle mie carni, per conservare la
-stima di un uomo simile a voi, Athos, l’amicizia di un par vostro,
-Aramis».
-
-E si gettò nelle braccia di Athos.
-
-«Figlio mio! disse Athos premendoselo al seno.
-
-«Ed io, fece Porthos, non giuro niente, ma scoppio, cospettone! Se
-dovessi battermi con voi, credo che mi lascerei infilzare da parte a
-parte, giacchè non ho voluto bene al mondo altro che a voi».
-
-Ed il buon Porthos proruppe in pianto buttandosi fra le braccia di
-Aramis.
-
-«Amici miei, disse Athos, ecco ciò che speravo, ecco ciò che attendevo
-da due cuori come i vostri. Sì, l’ho detto e lo ripeto, i nostri
-destini sono irrevocabilmente congiunti, abbenchè noi seguiamo un
-sentiero diverso. Io rispetto la vostra opinione, d’Artagnan; rispetto
-la vostra convinzione, Porthos; ma quantunque combattiamo per cause
-opposte, manteniamoci amici; i ministri, i principi, i re, passeranno
-come un torrente, la guerra civile a modo di una fiamma, ma noi
-rimarremo, oh sì! ne ho un presentimento.
-
-«Sì, approvò d’Artagnan, siamo pur sempre moschettieri, e serbiamo per
-unica bandiera quel famoso tovagliuolo del bastione di San Gervasio
-dove il gran ministro aveva fatto ricamare tre gigli.
-
-«Sì! esclamò Aramis, o del ministro o della Fronda, a noi che monta?
-Ritroviamo i nostri buoni padrini pei duelli, gli amici zelanti per gli
-affari, i lieti compagni pei piaceri!
-
-«Ed ogni volta, seguitò Athos, che c’incontreremo nella mischia,
-alle sole parole di: _Piazza Reale!_ trasportiamo le spade alla mano
-sinistra, e ci porgiamo la diritta, quando anche fossimo in mezzo alle
-più orribili carneficine.
-
-«Voi parlate divinamente, disse Porthos.
-
-«Siete il più grande fra gli uomini! seguitò d’Artagnan, e ci superate
-almeno di dieci cubiti».
-
-Athos sorrise di gioja ineffabile.
-
-«Sicchè, egli disse, è concluso? Animo, signori, la mano. Siete un
-pochino cristiani?
-
-«E come! rispose d’Artagnan.
-
-«Lo saremo in questa occasione per mantenerci fedeli al nostro
-giuramento, fece Aramis.
-
-«Ah! continuò Porthos, per me sono pronto a giurare. Il diavolo mi
-porti se sono stato mai contento come in questo istante.»
-
-Ed il buonissimo uomo si asciugava gli occhi.
-
-«V’è uno di voi altri che abbia una croce?» domandò Athos.
-
-Porthos e d’Artagnan si guardarono tentennando il capo come gente presa
-alla sprovvista.
-
-Aramis, sorridendo, si trasse di seno una croce di diamanti che teneva
-sospesa al collo con un filo di perle.
-
-«Eccone una, egli disse.
-
-«Or bene, riprese Athos, giuriamo su questa croce di essere uniti
-sempre e a qualunque costo, e possa questo giuramento vincolare non
-solo noi, ma anco i nostri discendenti. Questo giuro vi accomoda?
-
-«Traditore! mormorò piano d’Artagnan chinatosi all’orecchio ad Aramis,
-ci avete fatto giurare sul crocifisso di una della Fronda!»
-
-
-
-
-XXXII.
-
-_La barca dell’Oise._
-
-
-Noi speriamo che il leggitore non abbia dimenticato del tutto il
-giovane viaggiatore che lasciammo su la strada di Fiandra.
-
-Raolo, perduto di vista il suo protettore che era rimasto attento
-a seguirlo cogli occhi di faccia alla basilica reale, spronò il suo
-cavallo, prima per sottrarsi agli angosciosi suoi pensieri, e indi per
-occultare ad Olivain la commozione che gli alterava il sembiante.
-
-Un’ora di rapido cammino ebbe presto dissipati tutti i cupi vapori
-che attristata avevano l’immaginazione tanto ricca del giovanetto. Il
-piacere ignoto di esser libero, piacere ch’è dolce per sino a quelli
-che mai non soffersero la dipendenza, al cospetto di Raolo indorò terra
-e cielo, e soprattutto il lontano ed azzurro orizzonte della vita che
-appellasi _avvenire_.
-
-Bensì, dopo varie tentate conferenze con Olivain, ei si accorse che
-molte giornate trascorse in cotal guisa riuscirebbero triste, e gli
-tornò alla memoria la favella del conte, sì persuadente e interessante,
-in proposito delle città che si percorrevano, e sulle quali nessuno
-poteva più dargli le preziose notizie che avrebbe ricavate da Athos, la
-più dotta e divertevole di quante guide vi fossero.
-
-Ed un’altra rimembranza pure affliggeva Raolo: al suo giungere a
-Louvres, aveva egli veduta, perduto dietro ad un gruppo di pioppi,
-una piccola villa o castello, la quale gli aveva talmente rammentata
-quella di La Vallière, ch’ei si era fermato per dieci minuti a
-contemplarla, ed aveva ricominciato il suo viaggio sospirando, senza
-nemmeno rispondere ad Olivain che rispettosamente lo aveva interrogato
-su la causa di tanta sua attenzione. L’aspetto degli oggetti esteriori
-è un conduttore misterioso che corrisponde alle fibre della memoria
-e talvolta va a risvegliarle a nostro malgrado; ridestato quel
-filo alla guisa di quello di Arianna, e’ conduce in un labirinto di
-pensieri dove uno si smarrisce seguitando l’ombra del passato che
-nomasi _rimembranza_. E l’aspetto di quel castello avea respinto Raolo
-lontano cinquanta leghe dal lato d’occidente, e fatta risalire la sua
-vita al momento in cui egli avea tolto commiato dalla piccola Luigia
-sino a quello in che l’avea veduta pella prima volta, ed ogni gruppo
-di querce, ogni banderuola distinta in cima ad un tetto di lavagne,
-gli ricordava qualmente, anzi che riedere verso gli amici di sua
-fanciullezza, se ne allontanava ad ogni momento di più, e forse ancora
-abbandonati li aveva per sempre.
-
-Gonfio il cuore, grave la testa, ordinò a Olivain di menare i cavalli
-sino a un piccolo albergo che scorgeva sulla strada a mezzo tiro di
-schioppo circa più innanzi del luogo dove erano giunti. Egli smontò,
-soffermossi sotto un bel gruppo di castagni in fiore intorno a’ quali
-ronzavano le api, e domandò ad Olivain di fargli recare dall’oste
-carta da lettere e inchiostro sopra un tavolino che ivi pareva bello e
-apparecchiato per iscrivere.
-
-Olivain obbedì e continuò il suo viaggio, intanto che Raolo sedeva
-appoggiando il gomito sul tavolino, ed i suoi sguardi si perdevano
-confusi sull’ameno paesetto cosparso di verdi campi e gruppi d’alberi,
-e tratto tratto facendosi cadere dai suoi capelli quei fiori che
-scendevano sopra di lui come fiocchi di neve.
-
-Raolo stava colà da quasi dieci minuti, e da cinque circa si smarriva
-nelle sue meditazioni, allorchè nel circolo che abbracciavano i suoi
-sguardi distratti vide muovere una figura rossa, la quale, con un
-tovagliuolo attorno alla vita ed uno sul braccio, ed in testa un
-berretto bianco, gli si avvicinava, tenendo in mano carta inchiostro e
-penna.
-
-«Ah, ah! disse la figura così apparsa, si vede che tutti i gentiluomini
-hanno idee consimili, poichè non è un quarto d’ora che un giovane
-signore a cavallo come voi, di nobile aspetto pari vostro, e a un
-dipresso della stessa età, si è fermato in questo posto, ci ha fatto
-portare codesta tavola e la seggiola, e vi ha pranzato insieme a
-un vecchio che sembrava un ajo, con un pasticcio senza lasciarne un
-pezzetto, e una bottiglia di Macon senza scordarsene una goccia. Ma
-per fortuna abbiamo ancora della roba eguale, e se vossignoria mi
-comanda.....
-
-«No, mio caro, rispose sorridendo Raolo, vi ringrazio; per adesso
-non ho bisogno che delle cose che vi ho fatto chiedere; solamente mi
-sarebbe grato che l’inchiostro fosse nero e la penna buona, e a questo
-patto pagherei quello a prezzo di pasticcio e questa a prezzo di vino.
-
-«Ebbene, soggiunse l’oste, darò la pietanza e la bottiglia al vostro
-domestico, e così avrete per di più l’occorrente per iscrivere.
-
-«Fate come vi pare», replicò il giovane.
-
-Ei cominciava allora ad aver relazione con quella classe assolutamente
-particolare della società, che quando v’erano dei ladri sulle strade
-era con essi associata, e da quando non ve ne son più li rimpiazza.
-
-L’oste, quieto oramai pel suo introito, posò il foglio e il calamajo, e
-Raolo principiò la sua lettera.
-
-Il locandiere era rimasto davanti a lui, e considerava con una sorta
-di ammirazione quel bel volto insieme serio e dolcissimo. La bellezza è
-stata sempre e sarà sempre regina.
-
-«Questo non è un commensale come quello di poc’anzi; disse l’oste ad
-Olivain che tornava presso al visconte per vedere se avesse bisogno di
-nulla; il vostro padrone non ha appetito.
-
-«Tre giorni addietro ne aveva, ma che volete? lo ha perduto da jeri
-l’altro in qua».
-
-Ed Olivain e il taverniere s’incamminarono verso la locanda, e quegli a
-questo raccontava, siccome è uso dei lacchè contenti del loro impiego,
-quanto credeva di poter dire relativamente al giovanetto.
-
-Frattanto Raolo scriveva:
-
- «Signore,
-
- «Dopo quattro ore di viaggio mi fermo per iscrivervi, giacchè ad
- ogni momento sento di più la vostra assenza, e sono sempre pronto
- a girar il capo come per rispondere quando voi mi parlavate. Mi
- ha tanto stordito ed afflitto la vostra partenza e la nostra
- separazione, che debolmente vi espressi la tenerezza e la
- riconoscenza che provavo per voi. Ma mi scuserete, mentre il vostro
- cuore è assai generoso per comprendere ciò che passava nel mio.
- Scrivetemi, signore, ve ne prego, perchè i vostri consigli sono
- una parte della mia esistenza: e d’altronde, io oso dirvelo, sono
- inquieto; mi è sembrato che voi stesso vi accingeste a qualche
- gita perigliosa, su cui non vi ho interrogato una volta che non ne
- discorrevate. Sicchè ho grandissima necessità di ricevere vostre
- nuove. Dacchè non vi ho più vicino, ad ogni istante ho paura di
- mancare; voi mi sostenevate potentemente, ed oggi, ve lo giuro, mi
- trovo pur solo!
-
- «Vi compiacerete, se aveste notizie di Blois, di dirmi qualche
- parola sulla mia piccola amica madamigella de La Vallière, la di
- cui salute, quando noi partimmo, era in grado di dar pensiero!
- Capirete, signore, e mio caro protettore, quanto preziose,
- indispensabili mi siano le rimembranze del tempo che passai al
- vostro fianco. Spero che alcune volte penserete anche a me, e se in
- certe ore vi fo mancanza, se risentite un piccolo rincrescimento
- della mia assenza, mi ricolmerà di gioja l’idea che abbiate
- compreso il mio affetto e la mia premura per voi, e ch’io abbia
- avuta la sorte di persuadervene, mentre avevo la fortuna di vivere
- presso di voi».
-
-Terminata la lettera, Raolo si sentì più in calma; badò attentamente
-che il servo e l’oste non l’osservassero, e diede un bacio a quel
-foglio, tacita e commuovente carezza cui il cuore di Athos era capace
-d’immaginare nello schiudere la lettera.
-
-Nell’intervallo Olivain avea mangiato e bevuto; anco i cavalli si erano
-rinfrescati. Raolo chiamò a sè con un cenno il taverniere, gittò uno
-scudo sul tavolino, saltò a cavallo, ed a Senlis mise alla posta la
-carta.
-
-Il riposo, preso ormai dagli uomini e da’ corsieri, permetteva loro
-di proseguire il cammino senza trattenersi a Verberie. Raolo impose ad
-Olivain di raccor notizie del giovine gentiluomo che lo precedeva. Era
-esso stato veduto a passare tre quarti d’ora prima, e montato sur un
-buon destriero se n’andava alla lesta.
-
-«Procuriamo di raggiungere quel gentiluomo, disse Raolo ad Olivain, va
-come noi all’armata, e ci sarà di gradevole comitiva».
-
-Erano le quattro pomeridiane allorchè Raolo arrivò a Compiegne; vi
-pranzò con ottimo appetito, e nuovamente s’informò del signore che gli
-era avanti. Erasi desso fermato egualmente che Raolo all’albergo della
-Campana e della Bottiglia, ch’era il migliore di Compiegne, ed aveva
-proseguito il tragitto dicendo che voleva andare a pernottare a Noyon.
-
-«Si vada a pernottare a Noyon, fece Raolo.
-
-«Signore, rispose rispettosamente Olivain, permettetemi di farvi
-osservare che questa mattina abbiamo digià stancato di molto i cavalli.
-Sarebbe bene, secondo me, di dormir qui e ripartire domattina presto.
-Bastano diciotto leghe per una prima tappa.
-
-«Il signor conte di la Fère desidera ch’io mi solleciti, disse Raolo,
-e che io abbia raggiunto il signor Principe nella mattinata del quarto
-giorno; affrettiamoci dunque sino a Noyon, sarà una tappa simile
-a quella che abbiamo fatta andando da Blois a Parigi. Arriveremo
-alle otto ore. Le nostre bestie avranno la nottata per riposarsi, e
-domattina alle cinque ci rimetteremo in viaggio».
-
-Olivain non osò opporsi a questa determinazione, ma lo seguitò
-brontolando.
-
-«Andate, andate! diceva fra’ denti, sparate tutto il vostro fuoco alla
-prima giornata; domani invece di venti leghe ne farete dieci; domani
-l’altro cinque, e al dì successivo sarete a letto. E là vi toccherà pur
-riposarvi. Tutti i giovanotti sono veri millantatori!»
-
-Dal che si rileva come Olivain non fosse educato alla scuola dei
-Planchet e dei Grimaud.
-
-Raolo infatti si sentiva stanco; ma bramava esperimentare le proprie
-forze, e pasciuto delle massime d’Athos, sicuro di averlo inteso mille
-fiate a discorrere di tappe di venticinque ore, non voleva restare
-inferiore al suo modello. D’Artagnan, quell’uomo ferreo che sembrava
-tutto costrutto di nervi e di muscoli, gli cagionava somma ammirazione.
-
-Andava dunque innanzi, affrettando ognor più il suo destriero non
-ostante le osservazioni di Olivain, e seguitando per un bel sentiero
-che conduceva a una barca ed abbreviava di una lega la strada, secondo
-eragli stato assicurato, quando ecco giungendo in cima ad un colle si
-vide davanti il fiume. Una piccola comitiva di uomini a cavallo ferma
-sulla sponda stava pronta ad imbarcarsi. Raolo si figurò che fossero
-il gentiluomo e la sua scorta; diede un grido di chiamata, ma era ancor
-troppo lontano per farsi udire; allora, per quanto fosse affaticato il
-suo corsiero, ei lo mise al galoppo; ma un’ondulazione di terreno tolse
-in breve a’ suoi sguardi i viaggiatori, e quando egli pervenne sopra
-una nuova altura, la barca aveva abbandonata la riva e remigava verso
-il lido opposto.
-
-Raolo, accortosi che non potrebbe arrivare a tempo per passare la
-chiatta nel medesimo momento che i forestieri, si ristette ad attendere
-Olivain.
-
-In quel punto s’intese un urlo che sembrava si partisse dal fiume.
-Raolo si volse dalla parte onde questo veniva, e, mettendosi la mano
-sugli occhi abbagliati dal sole sul tramonto, esclamò:
-
-«Olivain, che veggo laggiù?»
-
-Fuvvi un secondo grido più penetrante del primo.
-
-«Eh! fece il servo, la corda della barca si è rotta, e la chiatta
-va alla deriva.... Ma, oh Dio! che v’è mai nell’acqua, che tanto si
-dibatte?
-
-«Oh sì! disse Raolo guardando verso un dato punto del fiume illuminato
-oltremodo da’ raggi solari, un cavallo, un cavaliero!....
-
-«Affondano! sommergono!» strillò Olivain.
-
-Ed era vero, ed anche Raolo si accertava che fosse accaduta una
-disgrazia e che uno si annegasse. Allentò la briglia al suo destriero,
-gli cacciò gli sproni nella pancia, e l’animale, tormentato dal dolore
-e sentitosi aperto il varco, balzò di sopra a una specie di parapetto
-che contornava lo scalo, e cadde nell’acqua, mandando in lontananza
-grossi flutti di spuma.
-
-«Ah signore! urlò Olivain, che fate mai, Signore Iddio!»
-
-Raolo guidava il suo cavallo verso il disgraziato in pericolo. Era
-quello però un esercizio a cui egli era già avvezzo. Allevato sulle
-rive della Loira, era stato per così dire cullato fra le sue onde;
-cento volte l’aveva tragittata cavalcando, e mille a nuoto: chè
-Athos, prevedendo l’epoca in cui sarebbe soldato il visconte, lo aveva
-accostumato a tutte quelle imprese.
-
-«Oh mio Dio! continuava Olivain disperato, che direbbe il signor conte
-se fosse qui!
-
-«Avrebbe fatto come fo io! rispose Raolo spingendo innanzi
-vigorosamente la sua bestia.
-
-«Ma io, ma io! strepitava Olivain pallido e dolente agitandosi sulla
-riva, io come passerò?
-
-«Salta, vigliacco!» replicò Raolo nuotando sempre.
-
-Poi rivoltosi al viaggiatore, che si dibatteva a venti passi di
-distanza da lui, gli disse:
-
-«Coraggio, signore! coraggio! eccovi ajuto!»
-
-Olivain avanzò, rinculò, fece impennare l’animale che aveva sotto,
-e indi, punto nel cuore da vergogna, si slanciò come avea fatto il
-padrone, ma ripetendo:
-
-«Sono morto, siamo perduti!»
-
-Frattanto la chiatta andava rapidamente, trasportata dalla corrente, e
-si udivano le strida di quei ch’erano sopra.
-
-Un uomo coi capelli grigi si era buttato giù dalla barca, e andava a
-nuoto assai vigorosamente incontro a quello che affogava; ma avanzava
-di poco, dovendo muover contro la corrente.
-
-Raolo proseguiva il suo corso ed acquistava assai, ma il cavallo e
-l’uomo, cui non lasciava mai d’occhio, affondavano! Il destriero non
-aveva più altro che le nari fuori dell’acqua, ed il padrone, allentate
-del tutto le redini, stendeva le braccia e mandava indietro la testa.
-Un minuto di più, e sarebbero spariti amendue.
-
-«Coraggio! fece Raolo, coraggio!
-
-«Troppo tardi! balbettò il giovane, troppo tardi!»
-
-Gli passava l’acqua di sul capo e gli estinse la voce in bocca.
-
-Raolo si slanciò dal cavallo, a cui lasciò il pensiero di salvarsi da
-sè, ed in tre o quattro bracciate fu vicino al gentiluomo. Afferrò
-tosto l’animale pel barbazzale, e sollevò la testa fuor dell’acqua;
-quello allora respirò più liberamente, e quasi avesse compreso che
-si veniva a dargli ajuto accrebbe oltre misura i suoi sforzi. Nel
-medesimo tempo Raolo pigliava una mano al giovinotto e la riportava
-sulla criniera, alla quale essa si aggrappò con la tenacità del misero
-ch’è presso ad annegarsi. E poi, Raolo, sicuro che il cavaliero non
-lascerebbe più libera la bestia, si occupò di questa e la diresse verso
-il lido.
-
-Ad un tratto il palafreno inciampò in un basso fondo e si fermò
-sull’arena.
-
-«Salvo! gridò colui dai capelli grigi ristandosi egli pure.
-
-«Salvo!» ripetè macchinalmente il gentiluomo, togliendo la destra di
-sulla criniera e di sopra la sella calandosi fra le braccia di Raolo.
-
-Raolo era lontano due passi e non più dalla sponda; vi portò il
-viaggiatore svenuto, lo distese sull’erba, gli sciolse i cordoni del
-collare e gli sfibbiò il giubbetto.
-
-Dopo un minuto, quel tale dalla chioma bigia stavagli accanto.
-
-Olivain, dopo essersi fatto più volte il segno della croce, era alfine
-approdato, e le genti della chiatta si avviavano meglio che potessero
-alla riva, ajutandosi con una pertica che per casualità si trovava
-nella barca.
-
-A poco a poco, mercè l’assistenza di Raolo e di colui che accompagnava
-il giovine cavalcante, ritornò a mostrarsi la vita sulle pallide
-guancie del moribondo, il quale aprì gli occhi in principio erranti e
-smarriti, ma che ben presto si fissarono su colui che lo aveva salvato.
-
-«Ah signore! esclamò, di voi cercavo! senza di voi ero morto!
-
-«Ma si risuscita, come vedete, rispose Raolo, e tutto il male sarà di
-aver fatto un bagno.
-
-«Oh quanta gratitudine! disse l’uomo dai capelli grigi.
-
-«Eh! siete voi, mio buon d’Arminges! vi ho fatto molta paura, non è
-così? ma è colpa vostra: eravate mio precettore, perchè non mi faceste
-imparare a nuotar meglio?
-
-«Signor conte, fece il vecchio, se vi fosse accaduta una disgrazia, non
-avrei osato giammai presentarmi al maresciallo.
-
-«Ma come fu? domandò Raolo.
-
-«Nel modo il più semplice, replicò quegli a cui erasi dato il titolo
-di conte; eravamo a circa un terzo del fiume, quando si ruppe la fune.
-Agli urli e ai movimenti dei barcaruoli il mio cavallo si è spaventato
-ed è saltato giù. Io nuoto male e non ho ardito slanciarmi. In vece di
-secondare i moti del povero animale li rendevo inutili, l’impedivo, ed
-ero in procinto di affogare graziosamente, quando voi siete capitato a
-puntino per trarmi fuori. Sicchè, signore, ove vogliate, fra noi da ora
-innanzi sarà amicizia costante sino alla morte.
-
-«Sono in tutto e per tutto vostro servo, ve lo accerto, disse Raolo.
-
-«Io ho nome conte di Guiche, continuò l’altro, mio padre è il
-maresciallo di Grammont. E adesso che sapete chi sono, mi accorderete
-l’onore di dirmi chi voi siete?
-
-«Io sono il visconte di Bragelonne, riprese Raolo, ed arrossiva di non
-poter nominare suo padre conforme aveva fatto il signor di Guiche.
-
-«Visconte, il vostro aspetto, la bontà vostra e il vostro coraggio
-mi attraggono verso di voi; digià vi avete tutta la mia riconoscenza.
-Abbracciamoci, vi chieggo la vostra amicizia.
-
-«Signore, soggiunse Raolo rendendo al conte l’amplesso, vi amo già di
-tutto cuore; quindi, fate conto su di me come sopra un amico zelante.
-
-«Dove andate, visconte?
-
-«All’armata del signor Principe.
-
-«E anch’io! esclamò il gentiluomo esultante; meglio, meglio, faremo
-insieme il primo sparo di pistola!
-
-«Ottimamente, ottimamente! disse l’ajo, vogliatevi bene; giovani
-tutti due, non avete di certo che una medesima stella, e dovevate
-incontrarvi».
-
-I due signorini sorrisero con la fiducia degli anni giovanili.
-
-«Ora, seguitò l’ajo, vi conviene mutar panni; i vostri domestici, ai
-quali ho dati degli ordini appena sono usciti dalla chiatta, debbono
-essere digià arrivati alla locanda; e si saranno messi a scaldare
-biancheria e vino. Venite».
-
-I bei gentiluomini non avevano obiezioni da allacciare alla proposta ed
-anzi la trovarono buonissima. Saltarono subito a cavallo, guardandosi e
-ammirandosi scambievolmente. Erano in fatti due eleganti cavalieri, di
-personale snello e alto, e volti nobili, fronte aperta, sguardo dolce
-eppur altero, sorriso gentile e accorto. De Guiche poteva aver diciotto
-anni, ma era poco più grande di Raolo, il quale ne aveva quindici. Si
-porsero la destra con un moto spontaneo, e dando di sprone fecero l’uno
-accanto all’altro il tragitto dal fiume all’albergo, quegli, stimando
-buona e lieta la vita ch’era stato in procinto di perdere, questi,
-ringraziando Iddio di aver vissuto già abbastanza per aver fatto
-qualche cosa ch’esser dovesse gradita al suo protettore.
-
-Olivain poi era il solo non molto soddisfatto della bellissima azione
-del suo padrone. Si torceva le maniche e le falde del giustacuore,
-pensando che una fermata a Compiegne gli avrebbe risparmiato non
-soltanto l’accidente dal quale era egli scapolato, ma anco il mal di
-petto ed i reumatismi che naturalmente dovevano resultarne.
-
-
-
-
-XXXIII.
-
-_Scaramuccia._
-
-
-Fu breve la permanenza a Noyon, ed ivi tutti dormirono di sonno
-profondo. Raolo aveva raccomandato che lo destassero se giungeva
-Grimaud, ma Grimaud non giunse.
-
-I cavalli dal canto loro apprezzarono senza dubbio le ott’ore di
-assoluto riposo e lo strame abbondante che furon loro concessi. Il
-conte di Guiche fu destato la mattina alle cinque da Raolo che venne
-ad augurargli il buon giorno. Fecero colazione prestissimo, ed alle sei
-avevano già fatto un pajo di leghe.
-
-Il conversare del giovane conte era molto interessante per Raolo.
-Perciò questi ascoltava attento, e quegli raccontava sempre. Di
-Guiche, educato in Parigi, dove Raolo non era stato che una volta,
-in corte, che Raolo non avea mai veduta, le sue scappataggini da
-paggio, due duelli che avea saputo procurarsi a dispetto degli editti
-e particolarmente del suo ajo, erano cose curiosissime pel visconte di
-Bragelonne. Raolo non era stato se non in casa di Scarron, e nominò
-a Guiche le persone da lui viste colà. Guiche le conosceva tutte, la
-Neuillan, la d’Aubigné, la Scudery, la Paulet, la Chevreuse; le burlò
-quasi tutte col massimo spirito, e Raolo temeva che burlasse anche
-madama di Chevreuse, per cui egli nudriva vera e profonda simpatia; ma,
-o fosse per istinto, o per affetto verso la duchessa, ei ne disse molto
-bene, e da cotali elogi si accrebbe per lui l’amicizia di Raolo.
-
-Venne poi il capitolo delle galanterie e degli amori. Su questo
-rapporto pure Bragelonne aveva assai più da ascoltare che da
-discorrere, e così fece, e fra tre o quattro avventure, che diremmo un
-po’ trasparenti, gli sembrò di distinguere che il conte avesse in cuore
-a pari di lui un’occulta passione.
-
-Di Guiche, secondo noi accennammo, era stato allevato in corte, e di
-questa conosceva tutti gli intrighi. Era la corte di cui Raolo aveva
-inteso a parlare dal conte di la Fère, se non che aveva mutato faccia
-moltissimo dall’epoca stessa in cui Athos l’aveva veduta. Talchè tutta
-la narrazione di Guiche fu cosa nuova pel suo compagno di viaggio.
-Il contino, spiritoso e maldicente, passò in rivista tutti quanti;
-dettagliò gli antichi amori di madama di Longueville con Coligny, il
-duello di questo sulla Piazza Reale, che gli fu sì funesto, e che la
-Longueville contemplava di dietro alle persiane; e i di lei nuovi amori
-col principe di Marsillac, che, a quanto dicevasi, era tanto geloso
-da voler far ammazzare una quantità di gente, ed anco il d’Herblay;
-gli amori del signor principe di Galles con Madamigella, la quale in
-appresso fu chiamata la Grande Madamigella, tanto celebre dappoi pel
-suo matrimonio segreto con Lauzun; neppur fu risparmiata la regina, e
-toccò la sua parte anche al ministro Mazzarino.
-
-La giornata passò rapida come un’ora. L’ajo del conte, uomo di mondo,
-alla buona, sapientissimo fino ai denti (conforme diceva l’alunno),
-rammentò varie volte a Raolo la somma erudizione e le graziose e
-pungenti ironie di Athos; ma per la delicatezza e la nobiltà delle
-maniere nessuno poteva stare a confronto col signor di la Fère.
-
-I cavalli, strapazzati meno del dì precedente, si fermarono vergo le
-quattro pomeridiane ad Arras. Si avvicinavano al teatro della guerra, e
-fu risoluto di trattenersi in quella città sino all’indomani, perocchè
-alcune brigate di Spagnuoli profittavano spesse fiate della notte per
-far delle corse sino nei dintorni di Arras.
-
-L’armata francese occupava da Pont-à-Marc sino a Valenciennes
-ritornando sopra Douai. Si diceva che il signor Principe fosse in
-persona a Bethune.
-
-L’armata nemica si estendeva da Cassel a Courtray; e siccome commetteva
-ogni sorta di violenze e di saccheggio, le povere genti delle frontiere
-abbandonarono le proprie abitazioni isolate venendo a rifugiarsi
-nelle città forti che promettevano loro un asilo. Arras era piena di
-fuggiaschi.
-
-Si parlava di una prossima battaglia, la quale esser doveva
-decisiva, avendo il signor Principe manovrato fino allora soltanto
-nell’aspettativa dei rinforzi che alla fine erano giunti. I nostri
-giovanotti si rallegravano di esser capitati così a puntino.
-
-Cenarono insieme e dormirono nella stessa camera. Erano nell’età delle
-pronte amicizie, e a lor pareva di conoscersi sin dalla nascita e di
-non potersi lasciare mai più.
-
-S’impiegò la serata a discorrere di guerra; i servidori forbirono le
-armi; i padroni caricarono le pistole pel caso di qualche scaramuccia,
-e alla domane si destarono smaniosi perchè ambedue si erano sognati che
-arrivavano troppo tardi per prender parte alla battaglia.
-
-Nella mattina si sparse la voce che il principe di Condé avesse
-evacuata Bethune per ritirarsi a Carvin, lasciando però guarnigione
-nella prima di queste città; ma siccome codesta notizia nulla
-presentava di positivo, i due giovani risolsero di continuare il loro
-cammino verso Bethune, salvo a voltare a diritta viaggio facendo e
-dirigersi poi a Carvin.
-
-L’ajo del conte di Guiche conosceva perfettamente il paese; in
-conseguenza ei propose di pigliare una scorciatoia ch’era in mezzo fra
-la via di Lens e quella di Bethune. Ad Ablain si ricercherebbero le
-informazioni opportune. Per Grimaud fu lasciato un itinerario.
-
-La partenza ebbe luogo intorno alle sette della mattina.
-
-Guiche, piuttosto caldo, diceva a Raolo:
-
-«Eccoci in tre padroni e tre servi; i nostri servi sono ben armati, ed
-il vostro mi sembra deciso.
-
-«Non l’ho mai veduto all’opra, rispose Raolo, ma è Bretone, e ciò
-promette assai.
-
-«Sì, sì, e son certo che all’occasione tirerebbe la sua schioppettata.
-Io per me ho due uomini sicuri che hanno guerreggiato con mio padre;
-talchè insieme rappresentiamo sei combattenti. Se trovassimo una
-piccola truppa di partigiani uguale per numero alla nostra ed anco
-superiore, forse non faremmo una scarica?
-
-«Sì, signore, rispose il visconte.
-
-«Olà, giovanotti! disse l’ajo immischiandosi nella conversazione,
-cospetto! come andate alla lesta! e le mie istruzioni, signor conte? vi
-dimenticate che ho l’ordine di condurvi sano e salvo presso al signor
-Principe? Una volta che sarete all’armata, fatevi ammazzare se così
-vi piace, ma di qua a là vi prevengo che nella mia qualità di generale
-d’esercito comando la ritirata e volto le spalle al primo spennacchio
-che vedo».
-
-Di Guiche e Bragelonne si guardarono sott’occhi e sorridendo. Tratto
-tratto s’incontravano piccole comitive che si ritiravano mandando
-avanti i loro bestiami, e trascinando nelle carrette o portando a
-braccia le lor robe più preziose.
-
-Si giunse senza disgrazie sino ad Ablain. Ivi si cercarono notizie, e
-si seppe che il signor Principe aveva realmente abbandonato Bethune
-e se ne stava fra Cambrin e la Venthie. Allora si riprese, sempre
-lasciando a Grimaud la sua carta, una scorciatoja che in mezz’ora
-mise la piccola compagnia sulla sponda di un ruscelletto il quale va a
-gettarsi nella Lys.
-
-Era un’amena contrada, troncata da belle valli verdi al pari dello
-smeraldo. Di quando in quando si trovavano piccoli boschi traversati
-dal sentiero su cui si andava. Ad ognuno di que’ boschi, in previsione
-di qualche imboscata l’ajo faceva ire innanzi i lacchè del conte
-che così formavano la vanguardia. L’ajo stesso e i due signorini
-rappresentavano il corpo d’armata, ed Olivain con la carabina sul
-ginocchio e gli occhi attenti invigilava da tergo.
-
-Da un poco di tempo si scorgeva all’orizzonte una folta macchia.
-Il signor d’Arminges, pervenuto che fu a distanza di cento passi
-da quella, prese le sue precauzioni consuete, e mandò avanti i due
-domestici di Guiche.
-
-Costoro dunque erano spariti sotto gli alberi; i due amici e il
-precettore, ciarlando e scherzando, li seguitavano da un centinaio
-di passi indietro. Olivain si manteneva a tergo ad ugual lontananza,
-quando ecco in un subito udirsi cinque o sei spari di moschetto. L’ajo
-gridò di far alto; i gentiluomini obbedirono e fermarono i cavalli. E
-nel medesimo momento si videro tornare indietro i due servi.
-
-Guiche e Raolo, impazienti di conoscere la causa di quella fucilata,
-diedero di sprone per andar verso i domestici. D’Arminges correva
-appresso.
-
-«Siete stati arrestati? domandarono con impeto il contino e il visconte.
-
-«No, risposero i lacchè, è anzi probabile che nessuno ci abbia visti;
-gli spari hanno avuto luogo da cento passi più innanzi di noi, nel più
-folto della macchia, e siamo venuti in qua per domandar consiglio.
-
-«Il mio consiglio, ed in caso di bisogno la mia volontà, fece il signor
-d’Arminges, si è di batter la ritirata; in questo bosco può celarsi un
-agguato.
-
-«Dunque nulla avete veduto? chiese il conte ai suoi famigli.
-
-«Mi è sembrato, rispose uno di costoro, di scorgere due cavalieri
-vestiti di giallo che scorrevano giù nel letto del ruscello.
-
-«Così è! disse l’ajo, siamo caduti in una banda di Spagnuoli. Indietro,
-signori!»
-
-I due giovani si consultarono con uno sguardo furtivo, e nell’istante
-si udì una pistolettata e tre o quattro grida che chiamavano ajuto.
-
-Guiche e Bragelonne con un’altra occhiata fra loro ricambiata si
-accertarono che ognun di loro fosse nell’intenzione di non retrocedere,
-e siccome l’ajo aveva già fatto voltare il suo cavallo, si slanciarono
-avanti, urlando, Raolo: «Qua, Olivain, a me!» e il conte di Guiche:
-«Qua a me, Urbano e Blanchet!»
-
-E prima che il precettore si fosse calmato dall’estremo stupore, erano
-già spariti nella selva.
-
-Nell’atto che cacciavano gli sproni nel ventre ai palafreni impugnavano
-le pistole.
-
-A capo a cinque minuti furono sul sito d’onde pareva fosse venuto il
-rumore. Allora cominciarono ad inoltrarsi più adagio e cautamente.
-
-«Zitto! disse di Guiche, gente a cavallo!
-
-«Sì, tre a cavallo, e tre smontati.
-
-«Che fanno? lo vedete?
-
-«Sì, direi che frugassero addosso ad un morto o ferito.
-
-«Qualche vile assassinio!
-
-«Eppure son soldati, fece Bragelonne.
-
-«Ma partigiani, cioè ladroni.
-
-«Tiriamo! disse Raolo.
-
-«Tiriamo! ripetè di Guiche.
-
-«Signori! esclamò l’ajo, in nome del cielo!....»
-
-Ma quelli non gli davano retta; si erano già mossi a gara, e gli urli
-di d’Arminges non ebbero altro resultato che di far mettere all’erta
-gli Spagnuoli.
-
-Tosto i tre cavalcanti si scagliarono ad incontrare i due nostri
-gentiluomini, mentre gli altri tre a piedi terminavano di spogliare i
-due viaggiatori.
-
-Che in vece di un corpo disteso in terra ve n’erano due.
-
-A distanza, di Guiche sparò pel primo, ma non colse l’uomo a cui
-mirava. Lo Spagnuolo che facevasi innanzi a Raolo sparò esso pure, e
-Raolo si sentì al braccio sinistro un dolore simile a quello di una
-frustata. Mandò egli la botta, e lo Spagnuolo, preso in mezzo al petto,
-stese le braccia e cadde supino sulla groppa del suo destriero, che,
-vinta la mano, girò da una parte e lo trasportò via.
-
-Nel momento Raolo vide come a traverso a un nuvolo la canna di
-un moschetto che su di lui dirigevasi. Gli tornò in mente la
-raccomandazione di Athos, e con un moto rapido quanto il baleno fece
-impennare il suo animale e scoccò la botta.
-
-Il cavallo fece un balzo, mancò dalle quattro zampe, e cascò
-imbarazzando sotto di sè la gamba di Raolo.
-
-Lo Spagnuolo si slanciò afferrando lo schioppo dalla canna onde rompere
-col calcio la testa a Bragelonne.
-
-Disgraziatamente, Raolo, nella sua situazione, non poteva levare la
-spada dal fodero, nè la pistola dalle saccoccie della sella; vide il
-calcio del fucile che gli stava più su del capo, e a suo malgrado era
-per chiuder gli occhi, ma di Guiche arrivò in un balzo addosso allo
-Spagnuolo e gli mise la pistola alla gola.
-
-«Arrendetevi! gli disse, o siete morto!»
-
-Al soldato scivolò di mano il moschetto, ed ei si arrese.
-
-Guiche, chiamato uno dei suoi domestici, gli affidò la custodia del
-prigioniero, con ordine di abbruciargli il cervello se facesse il
-minimo atto onde fuggire; smontò sollecito e si accostò a Raolo.
-
-«Affè, signor mio, gli disse Raolo ridendo, benchè nella sua pallidezza
-s’appalesasse la commozione inevitabile di un primo fatto; voi pagate
-prestissimo i vostri debiti, e non avete voluto restarmi obbligato
-per un pezzo. Senza di voi ero morto! aggiunse ripetendo le parole del
-conte.
-
-«Il mio nemico, fuggendo, replicò di Guiche, mi ha data ogni facilità
-di venirvi a soccorrere. Siete ferito gravemente? vi veggo tutto
-insanguinato!
-
-«Credo, rispose Raolo, di avere al braccio come uno sgraffio. Ajutatemi
-dunque a cavarmi di sotto al cavallo, e spero, che non vi sarà
-impedimento a che si continui il nostro viaggio».
-
-Il signor d’Arminges ed Olivain erano digià a terra, e sollevavano il
-corsiero, il quale si dibatteva nell’agonia. Raolo riuscì a trarre il
-piede dalla staffa e la gamba di sotto all’animale, ed in un attimo si
-trovò ritto.
-
-«Nulla di rotto? chiese di Guiche.
-
-«No, grazie al cielo.... Ma che n’è stato dei disgraziati che quei
-manigoldi assassinavano?
-
-«Siamo arrivati troppo tardi, gli hanno uccisi, secondo me, e sono
-scappati portando seco il loro bottino; i miei due servi sono accanto
-ai cadaveri.
-
-«Andiamo a vedere se sono veramente morti o se si potesse dar loro
-assistenza, disse Raolo; Olivain, abbiamo ereditato due cavalli, ma io
-ho perduto il mio; prendete il migliore dei due per voi, e date a me
-l’altro».
-
-E si appressarono al luogo ove giacevano le due vittime.
-
-
-
-
-XXXIV.
-
-_Il supposto monaco._
-
-
-Stavano stesi due uomini, uno immobile, in terra bocconi, trafitto da
-tre palle, in un botro di sangue. Quegli era morto.
-
-L’altro appoggiato al tronco di un albero dai due lacchè, levando gli
-occhi al cielo e a mani giunte, faceva una caldissima preghiera. Da una
-palla eragli stata rotta la parte superiore della coscia.
-
-I giovani avvicinatisi prima all’estinto, si guardarono attoniti.
-
-«È un prete; disse Bragelonne. Oh! maladetti! che portano le mani sui
-ministri di Dio!
-
-«Venite qui, signore, disse Urbano, vecchio soldato che aveva fatte
-tutte le campagne col duca, venite qui; con quello nulla v’è da far
-più, mentre si può forse tuttora salvar questo».
-
-Il ferito diede un mesto sorriso.
-
-«Salvarmi!.... fece, oh no! ma ajutarmi a morire sì.
-
-«Siete prete? domandò Raolo.
-
-«No, signore.
-
-«Ma il vostro infelice compagno mi è sembrato un ecclesiastico.
-
-«È il curato di Bethune; recava in luogo sicuro i vasi sacri della
-sua chiesa e il tesoro del capitolo, perchè jeri il signor Principe
-abbandonò la nostra città e domani probabilmente vi sarà lo Spagnuolo.
-E siccome si sapeva che delle brigate nemiche percorrevano la campagna,
-e la gita era pericolosa, nessuno ha voluto accompagnarlo, e mi sono
-offerto io.
-
-«E gli sciagurati vi hanno assaliti! e hanno tirato ad un sacerdote!
-
-«Signori, seguitò il meschino osservandosi attorno, soffro di molto,
-eppure bramerei essere trasportato in qualche casa....
-
-«Ove possiate aver assistenza, lo interruppe di Guiche.
-
-«No, ma ove possa confessarmi.
-
-«Ma v’è caso, soggiunse Raolo, che non siate in sì gran rischio quanto
-credete.
-
-«Eh! date retta a me, non v’è tempo da perdere; la palla ha rotto
-l’osso della coscia e penetrato sino agl’intestini.
-
-«Siete medico? domandò il conte.
-
-«No, ma m’intendo un poco di ferite, e la mia è mortale, procurate
-perciò di trasportarmi in luogo ove mi sia dato di trovare un prete, o
-pigliatevi l’incomodo di condurmene uno qui, e Dio vi premierà per così
-santa azione; bisogna salvarmi l’anima, chè il corpo è perduto.
-
-«Oh! morire facendo un’opera buona, non può essere: Iddio vi assisterà.
-
-«Signori, in nome del cielo, disse l’infelice raccogliendo tutte le
-sue forze come per alzarsi, non ispendiamo tempo in parole inutili; o
-ajutatemi ad arrivar al prossimo villaggio, o giuratemi sulla salute
-dell’anima vostra che mi manderete qui il primo monaco, il primo
-curato, il primo prete che incontrate.... Ma (continuava nel massimo
-tuono di disperazione) forse nessuno oserà venire, perchè si dice che
-gli Spagnuoli girano per la campagna, ed io morrò senza assoluzione....
-Mio Dio! mio Dio!.... non permetterete questo, non è vero? sarebbe
-troppo terribile!»
-
-L’accento di terrore con cui quell’uomo mandava quest’ultima
-esclamazione fece raccapricciare i due giovanetti.
-
-«Quietatevi, disse di Guiche, io vi giuro che avrete fra poco la
-consolazione da voi domandata. Diteci soltanto dov’è una abitazione in
-cui possiamo chiedere soccorso, ed un villaggio ove si possa andar in
-cerca di un ecclesiastico.
-
-«Grazie, e Iddio vi ricompensi! v’è una locanda distante di qui mezza
-lega prendendo giù per questa strada, e una lega circa dopo la locanda
-è il villaggio di Grency. Andate dal curato; s’esso non è in casa,
-entrate nel convento degli Agostiniani, che è l’ultimo stabile a man
-diritta, e inviatemi uno, frate o prete, purchè abbia ricevuta dalla
-nostra Santa Chiesa la facoltà di assolvere in _articulo mortis_.
-
-«Signor d’Arminges, disse di Guiche, trattenetevi presso questo
-sventurato e fate che sia trasportato adagio adagio; formate una
-barella con dei rami d’albero; metteteci tutti i nostri ferrajuoli;
-due dei nostri lacchè la sosterranno ed uno starà pronto a subentrare a
-quello che primo sia stanco. Il visconte ed io andiamo in traccia di un
-sacerdote.
-
-«Andate, rispose l’ajo, ma per carità, non vi esponete!
-
-«Non dubitate. E poi, per oggi siamo salvi: conoscete pure l’assioma:
-_Non bis in eodem_.
-
-«Coraggio, signore! disse Bragelonne al ferito, si va ad eseguire la
-vostra brama.
-
-«Dio vi benedica, signori! fece l’infermo con espressione indicibile di
-gratitudine».
-
-E i due gentiluomini si partirono di galoppo nella direzione indicata,
-frattanto che il precettore del conte di Guiche presiedeva alla
-formazione della bara.
-
-In dieci minuti i giovanetti distinsero l’albergo.
-
-Raolo, senza scendere da cavallo, chiamò l’oste, lo avvertì che sarebbe
-condotto là a momenti un ferito, e lo pregò di apparecchiare quanto
-poteva abbisognare alla medicatura, cioè il letto, le fascie, le
-fila, invitandolo inoltre, qualora conoscesse nelle vicinanze qualche
-dottore o chirurgo, a mandarlo a cercare, assumendo egli di pagare il
-messaggiero.
-
-Il locandiere che vide due signori vestiti con isfarzo, promise tutto
-ciò che gli chiesero, e i nostri due cavalieri, dopo aver assistito ai
-preparativi del ricevimento se ne andarono da capo solleciti inverso
-Grency.
-
-Avevano fatto più di una lega e scorgevano già le prime abitazioni
-del villaggio, i di cui tetti coperti da tegoli rossicci spiccavano
-fortemente in fra i verdi alberi che le circondavano, quando ecco
-venire incontro a loro sopra una mula un povero monaco, che dal
-cappellone largo e dalla giubba di lana bigia si ebbero tosto per un
-fratello Agostiniano. E questa volta pareva che il caso mandasse ad
-essi ciò che volevano.
-
-Si appressarono al religioso.
-
-Era un tale da venti a ventitrè anni, ma dalle pratiche ascetiche in
-apparenza invecchiato. Era pallido, non già di quel colore smorto che
-è anco una bellezza, ma di un giallo bilioso; i suoi capelli corti
-oltrepassando appena il cerchio che il cappello gli segnava attorno
-alla fronte, erano di un biondo chiaro, e le pupille di un lievissimo
-color cilestro sembravano prive dello sguardo.
-
-«Signore, disse Raolo con la consueta cortesia, siete ecclesiastico?
-
-«Perchè questa domanda? fece l’altro con indifferenza poco men che
-incivile.
-
-«Per saperlo, ribattè con alterigia de Guiche».
-
-Lo straniero picchiò col calcagno la mula e continuò pel suo viaggio.
-
-Di Guiche in un salto gli fu davanti a impedirgli il passo.
-
-«Rispondete! siete stato interrogato pulitamente, e a qualunque domanda
-conviensi una risposta.
-
-«Suppongo di esser libero di dire o no chi io mi sia alle due prime
-persone che mi capitano col ghiribizzo d’interrogarmi».
-
-Di Guiche stentò a frenarsi dall’estrema volontà venutagli di romper le
-ossa a colui; e procurando vincere sè stesso, gli disse:
-
-«Già noi non siamo _le prime persone che capitino_; questo mio amico è
-il visconte di Bragelonne, ed io sono il conte Guiche. Poi, non è per
-_ghiribizzo_ che vi facciamo la nostra richiesta, poichè là v’è un uomo
-ferito, moribondo, che reclama i soccorsi della Chiesa. Siete prete?
-in nome dell’umanità, io v’intimo di venir meco in soccorso a quel
-tale; non lo siete? Oh! allora è tutt’altro, ed in nome della cortesia,
-che tanto mi pare a voi ignota, vi avverto che saprò gastigarvi della
-vostra insolenza».
-
-Il monaco diventò in viso paonazzo, e sorrise in modo così strano, che
-Raolo, il quale non lo perdeva di vista, sentì quel sorriso premergli
-il cuore alla guisa di un insulto.
-
-«Dev’essere qualche spione spagnuolo o fiammingo, e’ disse ponendo mano
-alle pistole».
-
-A Raolo rispose uno sguardo minaccioso e simile a un baleno.
-
-«Ebbene? fece di Guiche, rispondete sì o no?
-
-«Sono prete, replicò l’altro».
-
-E nel volto assunse di nuovo la solita sua calma.
-
-«Allora, o padre, soggiunse Bragelonne, rimesse le pistole nelle
-tasche e data alla sua favella un accento rispettoso, che però non
-veniva dal cuore, allora, troverete adesso, se siete prete, secondo
-vi ha accennato il mio amico, la occasione di esercitare la vostra
-professione; viene verso noi un infelice ferito e deve fermarsi alla
-vicina locanda; domanda l’assistenza di un ministro di Dio, e lo
-accompagnano i nostri servi.
-
-«Vado sull’atto, disse il monaco».
-
-E coi tacchi delle scarpe picchiava la mula.
-
-«Se mai non vi andaste, gli replicò di Guiche, state pure persuaso
-che abbiamo cavalli capaci di raggiungervi, tanto credito da farvi
-arrestare dovunque siate, e presto sarà deciso il processo: da per
-tutto si trovano un albero ed una corda».
-
-Il monaco ripetè.
-
-«Vado sull’atto».
-
-E s’incamminò.
-
-«Seguitiamolo, propose di Guiche, saremo più sicuri.
-
-«Volevo suggerirvelo, disse Bragelonne».
-
-Ed entrambi si avviarono seguitando il frate a un tiro di pistola.
-
-Indi a cinque minuti quegli si volse a guardare se lo seguivano.
-
-«Che vi pare? fece Raolo, abbiamo fatto bene.
-
-«Che brutta faccia ha egli mai! disse il contino.
-
-«Orribile! e specialmente la fisonomia!.... i capelli, gli occhi
-foschi, le labbra che si contraggono alle minime sue parole.
-
-«Sì, sì, replicò di Guiche, il quale era stato meno a badare a quelle
-circostanze poichè egli chiaccherava mentre Raolo durava ad osservare,
-sì, è una figura stranissima; ma questi frati sono soggetti a tali
-pratiche, a tali digiuni, a tai colpi di disciplina, che a forza di
-piangere i beni della vita per loro perduti e di cui noi godiamo, e’ si
-guastano gli occhi.
-
-«In conclusione, seguitò Raolo, questo pover’uomo avrà il prete, ma in
-verità il penitente mi ha miglior aspetto che il confessore.
-
-«Ah! disse di Guiche, non capite che questo è uno di quei fratelli
-mendicanti che girano in qua o in là? sono forestieri, la maggior parte
-Scozzesi, Danesi, Irlandesi. Ne ho visti parecchi!
-
-«Così macilenti?
-
-«No, ma all’incirca.
-
-«E il misero ferito morrà fra le mani di quest’uomo?
-
-«Mio caro, l’assoluzione viene da Dio stesso.... oh! in quanto a colui
-vi vedevo bene toccare il pomo della pistola quasi aveste voglia di
-spaccargli il cranio.
-
-«È vero, conte; è singolare, e vi sorprenderà, ma all’aspetto di
-quell’uomo ho provato un tale orrore da non potersi definire. Vi è
-accaduto per la via di far muovere un serpente?
-
-«Mai, fece Guiche.
-
-«Ebbene, a me codesto è successo nelle nostre macchie del Blaisois, e
-mi ricordo che all’aspetto del primo che mi guardava con occhio fosco,
-ripiegatosi sopra di sè, scuotendo il capo ed agitando la lingua,
-rimasi pallido e fermo, e come esanime sino al punto in cui il conte di
-la Fère....
-
-«Vostro padre? domandò di Guiche.
-
-«No, il mio tutore, rispose Raolo».
-
-Ed arrossiva.
-
-«Benone!
-
-«Sino al punto in cui il conte di la Fère mi disse: — Animo,
-Bragelonne, sguainate! — Allora poi corsi contro al rettile, e lo
-troncai in due pezzi mentre si rizzava sulla coda per venirmi egli
-stesso dinanzi. Ecco, vi giuro, che provai la medesima sensazione al
-mirare quell’uomo quando pronunziò: — E perchè tal domanda? — e mi
-osservò fisso in volto.
-
-«Sicchè vi duole di non averlo ridotto in due brani come il serpe?
-
-«Direi quasi di sì, confermò Bragelonne».
-
-La comitiva arrivava alle viste della piccola locanda, e dall’altro
-lato si scorgeva l’accompagnamento del ferito che s’inoltrava guidato
-dal signor d’Arminges. Due uomini portavano il moribondo, e conducevano
-a mano i cavalli.
-
-I giovanetti diedero di sprone.
-
-«Ecco il ferito, disse di Guiche passando accanto al creduto frate
-Agostiniano, abbiate la bontà di sollecitarvi».
-
-Allora i due amici precederono il monaco anzi che essergli dietro. Si
-accostarono all’infermo ad annunziargli sì buona notizia. Questi si
-sollevò alquanto a guardare nella direzione indicatagli, e adocchiato
-quei che supponeva un religioso, e che veniva, ricadde supino con un
-raggio di allegrezza nel sembiante.
-
-«Adesso, dissero i due gentiluomini, abbiamo fatto per voi tutto quel
-che potevamo, e siccome abbiamo premura di riunirci all’armata del
-signor Principe, proseguiremo il nostro viaggio; ci scuserete signore?
-si dice che vi debba essere una battaglia, e non vorremmo arrivare un
-giorno dopo.
-
-«Andate signori, replicò l’ammalato e siate benedetti tutti due di
-tanta vostra pietà; realmente, e come dite, per me faceste quanto era
-in vostro potere; io non posso altro che dirvi anco una volta: Dio vi
-conservi, e voi e quelli che vi son cari!
-
-«Signor d’Arminges, avvertì il conte di Guiche, noi andiamo innanzi; ci
-raggiungerete sulla strada di Cambrin».
-
-L’oste stava sul portone, ed aveva apparecchiato tutto, e letto e
-fascie e fila; ed un palafreniere era ito per un medico a Lens, città
-la più prossima.
-
-«Non ci pensate, disse il locandiere, sarà eseguito il vostro
-desiderio; ma voi signore, non vi trattenete a far curare la vostra
-ferita?
-
-«Oh! la mia è un nulla, rispose il visconte, ed avrò tempo di
-occuparmene alla prima fermata. Soltanto favorite se vedete passare
-un cavalcante, e se questo vi domanda di un giovane che va sopra
-un cavallo sauro accompagnato da un lacchè, dirgli che mi avete
-veduto, che ho continuato il mio cammino, e mi propongo di pranzare a
-Mazingarbe e pernottare a Chambrin; quegli è un mio servitore.
-
-«Non sarebbe meglio e per maggior sicurezza, fece l’oste, che io gli
-domandassi il suo nome e gli dicessi il vostro?
-
-«Non v’è male ad usar troppe precauzioni: mi chiamo visconte di
-Bragelonne, ed egli Grimaud».
-
-Nel momento arrivavano da una parte l’infermo e dall’altra il monaco.
-I due giovani si trassero indietro a lasciar passare la barella. Colui
-smontava dalla mula e ordinava la si portasse alla stalla senza levarle
-la sella.
-
-«Padre, disse Guiche, vi raccomandiamo quel buon uomo, e in quanto alla
-vostra spesa qui alla locanda è tutta pagata.
-
-«Grazie, signore, ribattè il religioso con un altro di quei sorrisi che
-aveano fatto raccapricciare Bragelonne.
-
-«Venite, conte, seguitò Raolo che pareva per istinto non potesse
-sopportare la presenza del frate, qui non mi sento bene.
-
-«Grazie! ripetè il ferito, e non vi scordate di me nelle vostre
-orazioni.
-
-«Contateci pure», promise Guiche avviandosi appresso a Bragelonne, che
-era avanti di una ventina di passi.
-
-In quell’istante entrava in casa la barella recata dai due domestici.
-L’oste e la moglie, accorsi subito, stavano ritti sui gradini della
-scala. Il ferito mostrava patire doglie atroci, e non avere bensì altro
-pensiero che di sapere se il sacerdote lo seguiva.
-
-Adocchiato quell’uomo pallido e insanguinato, la donna afferrò con
-impeto pel braccio il marito:
-
-«Che c’è? chiese costui, ti senti male, per combinazione?
-
-«No, ma guarda!»
-
-E la locandiera accennava l’ammalato al consorte.
-
-«Veh, fece questo, e’ mi pare aggravato.
-
-«Non è questo, riprese la moglie tremando, ti domando se lo riconosci.
-
-«Lui?.... ma aspetta un po!....
-
-«Ah! capisco che lo riconosci, poichè anche tu diventi giallo.
-
-«Davvero! esclamò l’oste, guai alla nostra casa! guai! gli è l’antico
-boja di Bethune!
-
-«L’antico boja di Bethune! borbottò il fraticello retrocedendo alquanto
-e dando indizio alla faccia della ripugnanza che gli ispirava il suo
-penitente.
-
-D’Arminges che rimaneva accanto all’uscio si accorse della sua
-titubanza.
-
-«Signore, disse, benchè sia, o sia stato carnefice, per questo non
-cessa d’essere un uomo. Rendetegli l’ultimo ufficio che da voi reclama,
-e l’opera vostra sarà anco più meritoria».
-
-Il religioso non parlò, ma andò in silenzio verso la camera a terreno
-dove i due servi aveano messo il moribondo sur un letto.
-
-I lacchè, vedendo appressarsi il ministro, uscirono e chiusero la porta.
-
-D’Arminges ed Olivain gli attendevano; saltarono a cavallo, e tutti
-quattro corsero via di trotto per la medesima strada alla fine della
-quale erano spariti Raolo ed il suo compagno.
-
-Nel punto in cui se ne andavano l’ajo e la sua scorta, si fermò un
-nuovo viaggiatore all’ingresso dell’albergo.
-
-«Che comanda il signore? domandò l’oste tuttavia pallido e sconcertato
-per la scoperta da lui fatta.
-
-Il forestiero fece il cenno di uno che beva, e smontato ammiccò il suo
-cavallo facendo il cenno di uno che striglia.
-
-«Oh diamine! disse il locandiere fra sè, pare che questo sia mutolo! E
-dove volete bere! lo richiese.
-
-«Qui, disse lo straniero indicando una tavola.
-
-«Avevo sbagliato, si riprese l’oste, non è muto del tutto».
-
-E fe’ una riverenza, e andò a pigliare una bottiglia di vino e dei
-biscotti, e li mise davanti all’ospite suo taciturno.
-
-«Vossignoria non comanda altro?
-
-«Sì.
-
-«Che cosa?
-
-«Sapere se avete veduto passare un giovane gentiluomo di quindici anni
-sopra un caval sauro, seguito da un lacchè.
-
-«Il visconte di Bragelonne?
-
-«Per l’appunto.
-
-«Dunque siete voi il signor Grimaud?»
-
-Il forestiero ammiccò di sì.
-
-«Ebbene! il vostro padroncino era qui un quarto d’ora fa; pranzerà a
-Mazingarde, e pernotterà a Cambrin.
-
-«Quanto c’è da qui a Mazingarde?
-
-«Due leghe e mezza.
-
-«Grazie».
-
-Grimaud, sicuro d’incontrare verso sera il suo padrone, parve più
-quieto, si asciugò la fronte mescendosi un bicchier di vino che trincò
-senza fiatare.
-
-Aveva posato il bicchiere sul tavolino e si disponeva a riempirlo,
-quando si partì un grido terribile dalla camera ov’erano il monaco e il
-moribondo.
-
-Grimaud si alzò in un istante.
-
-«Che roba è? di dove viene quest’urlo?
-
-«Dalla stanza del ferito, disse l’oste.
-
-«Che ferito? domandò Grimaud.
-
-«L’antico boia di Bethune, ch’è stato assassinato da alcuni partigiani
-spagnuoli e portato qui, e adesso si confessa.... sembra che patisca di
-molto.
-
-«Boia di Bethune! fece Grimaud procurando di ricordarsi, un uomo di
-cinquantacinque o sessant’anni, alto, robusto, bruno, di capelli e
-barba nera?
-
-«Giusto! salvo che la barba dà sul bigio e i capelli son diventati
-bianchi. Lo conoscete?
-
-«L’ho visto una volta».
-
-Ed a Grimaud si aggrinzò la fronte pel quadro che gli presentava una
-tale reminiscenza.
-
-La donna era corsa tremando.
-
-«Hai inteso? disse al marito.
-
-«Sì», rispose questi, osservando dalla parte dell’uscio.
-
-Tosto si udì un grido meno forte del primo, ma succeduto da un lungo
-gemito.
-
-I tre si guardarono rabbrividiti.
-
-«Bisogna vedere che cosa v’è, disse Grimaud.
-
-«Pare un urlo di qualcuno che si ammazzi! borbottò l’oste.
-
-«Gesù!» fece la moglie, e si faceva il segno della croce.
-
-Noi sappiamo che Grimaud, se parlava poco, agiva assai. Si slanciò
-verso la porta e la scosse con violenza; ma ella era chiusa per di
-dentro con un chiavistello.
-
-«Aprite! strillò il locandiere, signor monaco, aprite subito!»
-
-Nessuno rispose.
-
-«Aprite, o che sfondo!» strepitò Grimaud.
-
-Uguale silenzio.
-
-Grimaud girò gli occhi attorno, e scorse un palo di ferro che per
-casualità si trovava in un canto; l’afferrò, e prima che l’albergatore
-avesse potuto opporsi al suo disegno, la porta era rotta.
-
-La camera era inondata dal sangue che passava tra le materasse. Il
-ferito non parlava, ma mandava un tristo rantolo. Il frate non v’era
-più.
-
-«Il monaco? gridò il taverniere, dov’è? dov’è?»
-
-Grimaud si affacciò ad una finestra che dava sul cortile ed esclamò:
-
-«Sarà scappato di là!
-
-«Credete? così fece l’oste spaventato. Cameriere, mirate se almeno la
-mula è nella stalla.
-
-«Niente mula!» urlò quello a cui era diretta la domanda.
-
-Grimaud aggrottò le ciglia. Il locandiere, a mani giunte, volgeva
-attorno gli occhi con sospetto. La consorte, non avendo osato
-d’entrare, se ne stava zitta e sbigottita sulla soglia.
-
-Grimaud si appressò al ferito, esaminando quelle fattezze grossolane e
-marcate che gli riproducevano tremende ricordanze.
-
-E dopo un momento di truce e tacita contemplazione egli disse:
-
-«Non v’è più dubbio! è desso!
-
-«E sempre vivo? chiese l’oste»
-
-Grimaud, senza replicare, gli sfibbiò la sottoveste per tastargli
-il cuore mentre il locandiere pure si avvicinava. Però ad un tratto
-rinculavano ambedue, l’oste con un grido di paura, Grimaud impallidito.
-
-La lama del pugnale era cacciata sino all’elsa dalla parte sinistra del
-petto del carnefice.
-
-«Correte a cercare ajuto! disse Grimaud, io resterò presso di lui».
-
-L’oste uscì di camera fuori di sè. La moglie era giù scappata udendo
-l’urlo dello sposo.
-
-
-
-
-XXXV.
-
-_Colloquio segreto._
-
-
-Ecco ciò ch’era avvenuto.
-
-Noi già vedemmo che non per sua volontà, ma anzi a mal in cuore, il
-soggetto qualificatosi per monaco seguitava il ferito raccomandatogli
-in modo tanto singolare; chi sa che non avesse tentato di fuggire ove
-gli fosse riuscito possibile? Ma le minacce dei due gentiluomini,
-la scorta rimasta indietro ad essi, e che di sicuro avea ricevute
-loro istruzioni, e finalmente per dirle tutte, anco la riflessione,
-lo aveano indotto a far sino all’ultimo, senza mostrare troppa
-contrarietà, la parte da lui assunta di confessore, ed entrato oramai
-in camera si accostò al letto dell’ammalato.
-
-Il boia esaminò, con l’occhiata rapida ch’è particolare a quelli che
-stanno per morire e in conseguenza non han tempo da perdere, la faccia
-di colui ch’esser doveva il suo consolatore; fece un atto di sorpresa,
-e disse, come avesse un presentimento:
-
-«Padre, siete molto giovane.
-
-«Non v’è età per le genti che indossano vesti simili alle mie,
-aspramente rispose il frate.
-
-«Ohimè! padre, parlatemi con più dolcezza, ho bisogno di un amico nelle
-ore estreme.
-
-«Patite di molto?
-
-«Sì, ma assai più dell’anima che del corpo.
-
-«Vi salveremo l’anima.... ma prima di entrare in confessione, ditemi:
-siete realmente il carnefice di Bethune come dicevano quelli di fuori?
-
-«Cioè, fece con impeto il ferito, il qual temeva che il titolo di
-carnefice allontanasse da lui gli ultimi soccorsi che reclamava, cioè
-lo fui, ma non lo sono più; da quindici anni ho ceduto il mio impiego.
-Figuro sempre nelle esecuzioni, ma non do il colpo io, oh no!
-
-«Sicchè, avete orrore del vostro mestiere?»
-
-L’infermo diede un sospiro.
-
-«Sino a tanto che non uccisi se non in nome della legge e della
-giustizia, il mio mestiere mi lasciò dormir quieto, protetto com’ero
-dalla giustizia e dalla legge; ma dalla terribil notte in cui servii
-di stromento a una vendetta particolare e con odio levai la spada sopra
-una creatura di Dio, da quel punto....»
-
-Il boia si tacque muovendo il capo in atto di disperazione.
-
-«Parlate, disse l’altro che si era assiso e cominciava a pigliare
-interesse a un racconto che si annunziava in maniera così strana.
-
-«Ah! esclamò il moribondo con lo slancio di un dolore per lungo tempo
-frenato, e che termina con isfogarsi, eppure ho procurato di estinguere
-questo rimorso mediante venti anni di opere buone; mi sono spogliato
-della ferocia naturale a quelli che spargono il sangue; in tutte
-le occasioni ho esposta la mia vita per salvarla a quei ch’erano in
-pericolo, ed ho conservato alla terra delle esistenze umane in ricambio
-delle altre che le avevo tolte. Nè questo basta: i beni acquistati
-nell’esercizio della mia professione, gli ho distribuiti ai poveri,
-sono diventato assiduo a frequentare le chiese, e le genti che mi
-schivavano si sono assuefatte a vedermi. Tutti mi hanno perdonato,
-taluni ancora mi hanno amato, e ora chiedo che Iddio mi perdoni,
-giacchè mi perseguita la rimembranza di quell’esecuzione; ogni notte mi
-pare di veder alzarsi davanti a me lo spettro di quella donna.
-
-«Una donna! dunque assassinaste una donna!
-
-«E anche voi fate uso di codesto vocabolo che mi rintrona alle
-orecchie: — assassinata! — Dunque l’ho assassinata! e non giustiziata?
-sicchè sono un assassino, e non un giustiziere?»
-
-E l’infermo chiuse gli occhi mandando un gemito.
-
-E bisogna che l’altro temesse ch’egli avesse a spirare senza dir di
-più, poichè replicò in fretta:
-
-«Continuate, non so nulla io, e finito che abbiate il vostro racconto,
-penseremo al resto.
-
-«Oh padre! proseguì il boia senza riaprir gli occhi come avesse
-paura che gli si affacciasse qualche oggetto spaventoso, specialmente
-quando si fa notte e passo qualche fiume, si raddoppia quel terrore
-che non so vincere; allora mi sembra che mi si aggravi la mano quasi
-che avesse ancora il peso del mio coltello, e che l’acqua si tinga
-di colore di sangue, e tutte le voci della natura, romorìo di alberi,
-mugghiar di vento, battito delle onde, si riuniscano a formare una voce
-lamentevole, desolata, terribile, la quale mi gridi: — Lasciate passare
-la giustizia di Dio!
-
-«Delirio! balbettò colui che ascoltava».
-
-Il carnefice schiuse i lumi, fece un moto per girarsi dalla parte del
-giovine, e lo afferrò pel braccio.
-
-«Delirio! ripetè, delirio, voi dite! Oh no, no! poichè fu di sera,
-perchè io gettai il suo corpo nel fiume, perchè le parole che mi
-van ripetendo i miei rimorsi, quelle parole, io nel mio orgoglio le
-pronunciai, e dopo essere stato istromento di umana giustizia, mi
-credevo divenuto quello della giustizia di Dio!
-
-«Ma sentiamo.... come andò? spiegatevi....
-
-«Era di sera; venne a cercarmi un tale, e mi mostrò un ordine.
-Andai seco. Altri signori mi attendevano. Mi condussero con loro
-immascherato. Io mi riserbava sempre a far resistenza ove mi paresse
-ingiusto l’ufficio che da me richiedevasi. Facemmo cinque o sei leghe,
-tristi, taciti e quasi senza ricambiare un accento. Al fine, dalle
-finestre di una piccola capanna mi additarono una donna che posava le
-gomita sopra una tavola, e mi dissero:
-
-« — Ecco quella che si deve giustiziare.
-
-«Orrore! e voi obbediste?
-
-«Padre, quella femmina era un mostro; aveva, per quanto asserivasi,
-avvelenato il suo secondo marito, tentato di assassinare il cognato che
-si trovava fra coloro, avvelenata una giovane sua rivale, e innanzi
-di abbandonare l’Inghilterra, anche questo si accertava, avea fatto
-stilettare il favorito del re.
-
-«Buckingham? esclamò il religioso.
-
-«Sì, Buckingham.
-
-«Talchè ella era inglese?
-
-«No, francese, ma maritatasi in Inghilterra».
-
-A tal risposta dell’ammalata, l’altro impallidì, si asciugò la
-fronte, e andò a porre il catenaccio alla porta. Il boia credè che lo
-abbandonasse e ricadde giù piangendo.
-
-«No, no, eccomi, fece quegli riaccostandosi sollecito, seguitate, che
-uomini erano?
-
-«Uno era forestiere, Inglese, se non fo sbaglio; gli altri quattro
-Francesi, e indossavano gli abiti da moschettieri.
-
-«I loro nomi?
-
-«Non li so; se non che i quattro chiamavan l’altro, ch’era Inglese:
-_milord_.
-
-«E la donna, era bella?
-
-«Giovane e bella! Oh sì, bellissima! E’ mi pare ancor di vederla,
-quando genuflessa a’ miei piedi, pregava, con la testa buttata
-indietro.... Nè mai, in appresso, seppi comprendere come avessi potuto
-atterrare quella testa sì bella e pallida!»
-
-Quei che ascoltava tal racconto sembrava agitato da stranissima
-commozione; tremava in tutte membra; si scorgeva ch’era ansioso di fare
-una domanda e non ardiva.
-
-Finalmente, dopo uno sforzo fierissimo, chiese:
-
-«Il nome di colei?
-
-«Lo ignoro. Come vi dico, si era maritata due volte per quanto pareva:
-una in Francia ed una in Inghilterra.
-
-«Era giovine? diceste!
-
-«Di venticinque anni.
-
-«Bella?
-
-«Al sommo!
-
-«Bionda?
-
-«Sì.
-
-«Chiome lunghe, è vero? che le scendevano fino sull’omero?
-
-«Sì.
-
-«Occhi espressivi al maggior grado?
-
-«Quando voleva.... Oh sì! così è!
-
-«Voce di rarissima dolcezza?
-
-«E come lo sapete?»
-
-Il carnefice posò il gomito sulle lenzuola, e fissò lo sguardo attento
-sul suo interlocutore, che si fè smorto in faccia.
-
-«E voi la uccideste! disse quest’ultimo, voi serviste di stromento a
-quei vili che da sè stessi non osavano ucciderla! voi non aveste pietà
-di tanta gioventù, di tanta beltà, di tanta debolezza! voi uccideste
-quella donna!
-
-«Ahimè! padre, ve l’ho pur detto, quella femmina sotto un’invoglia
-celeste celava una mente infernale, e quando la vidi, quando mi
-rammentai tutto il male che aveva fatto a me stesso, a me....
-
-«A voi! e che poteva avervi fatto? sentiamo!
-
-«Avea sedotto e rovinato mio fratello, ed era fuggita seco.
-
-«Con tuo fratello?
-
-«Sì! mio fratello era stato il suo primo amante; ella era stata cagione
-della morte di mio fratello.... Oh padre! non mi guardate così! Ah!
-sono molto colpevole?.... non mi confesserete, non mi concederete il
-perdono?
-
-«Sì, vi confesserò, sì, vi perdonerò, quando mi manifestiate prima in
-questa segreta conferenza tutto ciò che vi concerne.
-
-«Oh! gridò il boia, tutto! sì, tutto!
-
-«Sicchè dite.... Se sedusse il vostro fratello.... dite che lo sedusse,
-non è vero?
-
-«Oh sì, pur troppo!
-
-«Se cagionò la di lui morte.... diceste che cagionò la sua morte?
-
-«Sì, sì.
-
-«Allora, dovete sapere il suo nome da fanciulla.
-
-«Mio Dio! mio Dio! fece il carnefice, mi par di morire! Oh, ricevete la
-mia confessione!
-
-«Dì il nome e la riceverò....
-
-«Si chiamava.... Dio, Dio! abbiate pietà di me!»
-
-Ed il boia cascò sul letto, pallido, tremante, simile ad uno che sia
-prossimo a spirare.
-
-«Il nome! replicò l’altro, chinandosi su di lui come per istrappargli
-di bocca quel nome ch’ei non voleva ancor palesargli; il nome!...
-parla, o non v’è scampo!»
-
-Sembrò che il moribondo raccogliesse tutte le sue forze.
-
-Al supposto monaco brillavano le pupille.
-
-«Anna di Bueil! balbettò il ferito.
-
-«Anna di Bueil! gridò quegli rizzandosi a un tratto, e levate al cielo
-ambe le mani: Anna di Bueil! dicesti pure Anna di Bueil?
-
-«Sì.... così si appellava.... ed ora ascoltatemi, che mi sento morire!
-
-«Io? urlò il frate con un sorriso che fece rizzare in testa i capelli
-dell’infermo, e posso forse ascoltare le tue colpe! io non son prete!
-
-«Non siete prete! e dunque chi siete?
-
-«Te lo dirò, sciagurato!
-
-«Ah! signore! ah, mio Dio!
-
-«Sono John Francis de Winter!
-
-«Non vi conosco! strillò il boia.
-
-«Aspetta, e mi conoscerai; sono John Francis de Winter.... e quella
-donna....
-
-«Quella donna?....
-
-«Era mia madre».
-
-Il carnefice mandò il grido che prima erasi udito.
-
-«Oh! perdonatemi! seguitò, se non in nome di Dio, almeno in nome
-vostro; se non come sacerdote, almeno come figlio!
-
-«Perdonarti! strepitò il finto monaco; perdonarti! Dio forse lo farà,
-ma io non mai!
-
-«Per pietà! diceva il boia stendendo le braccia innanzi.
-
-«Non v’è pietà per chi non ebbe pietà; muori impenitente, muori
-disperato! muori, e sii dannato!»
-
-E toltosi di sotto la giubba un pugnale, e immergendoglielo nel petto:
-
-«Tieni! disse, ecco come io ti ricompenso!»
-
-Allora fu che s’intese il secondo grido più debole dell’altro a cui
-succedeva lunghissimo gemito.
-
-Il carnefice, il quale si era sollevato alquanto, piombò di nuovo
-supino. Il finto monaco, senza tôrre il pugnale dalla piaga, corse
-al balcone, lo aperse, saltò sui fiori di un piccolo giardino, entrò
-nella stalla, prese la sua mula, uscì da una porta di dietro, trottò
-sino al prossimo bosco, vi gittò le sue vesti da ecclesiastico, trasse
-dalla valigia un abbigliamento completo da cavaliere, e lo indossò,
-ed a piedi arrivò alla prima posta, ed ivi, fattosi dare un cavallo,
-continuò a spron battuto il suo viaggio verso Parigi.
-
-
-
-
-XXXVI.
-
-_Grimaud parla._
-
-
-Grimaud era rimasto solo accanto al boia.
-
-L’oste era ito a cercar soccorso; sua moglie pregava.
-
-Dopo un momento l’ammalato schiuse gli occhi.
-
-«Ajuto! balbettò! ajuto! Mio Dio, mio Dio! non troverò in questo mondo
-un amico che mi ajuti a vivere o a morire?»
-
-E si portò a stento la mano sul seno; e la sua mano incontrò il manico
-del pugnale.
-
-«Ah!» disse come uno a cui ritorni la memoria.
-
-E lasciò andare giù il braccio.
-
-«Fatevi coraggio, disse Grimaud, sono andati a cercare assistenza.
-
-«Chi siete? domandò il ferito fissando su Grimaud gli occhi spalancati
-fuor di misura.
-
-«Un antico conoscente, questi rispose.
-
-«Voi?»
-
-L’infermo cercava ricordarsi le sembianze di lui che favellavagli in
-tal guisa.
-
-«In quali circostanze ci incontrammo? indi richiese.
-
-«Venti anni sono, di notte. Il mio padrone vi aveva preso a Bethune e
-vi condusse ad Armentières.
-
-«Vi riconosco, fece il boia, siete uno dei quattro servitori.
-
-«Per l’appunto.
-
-«E d’onde venite?
-
-«Passavo per la strada, mi sono fermato in questa locanda per far
-rinfrescare il mio cavallo; mi raccontavano alcuni che il carnefice di
-Bethune era qua ferito, quando avete cacciato due urli. Al primo siamo
-accorsi subito, al secondo abbiamo sfondato l’uscio.
-
-«E il frate? lo avete visto?
-
-«Che frate?
-
-«Quello ch’era rinchiuso meco.
-
-«No, non v’era più: pare che sia fuggito dalla finestra. È desso che vi
-ha trafitto?
-
-«Ah sì!»
-
-Grimaud si mosse come per partirsi.
-
-«Che andate a fare? domandò il boia.
-
-«Bisogna corrergli appresso!
-
-«Guardatevene bene!
-
-«E perchè?
-
-«Si è vendicato, ed ha fatto benissimo. Adesso che Iddio mi perdoni,
-giacchè v’è espiazione.
-
-«Spiegatevi, disse Grimaud.
-
-«Quella donna che i vostri padroni e voi mi faceste uccidere....
-
-«Milady?
-
-«Milady, sì, così la chiamavate....
-
-«Che ha che fare milady col monaco?
-
-«Era sua madre».
-
-Grimaud vacillò e guatò il moribondo, attonito e come stupido.
-
-«Sua madre! ripetè.
-
-«Sì, sua madre.
-
-«Ma dunque ei sa quel segreto?
-
-«L’ho preso per un sacerdote, e glie l’ho confessato.
-
-«Disgraziato! esclamò Grimaud e gli si bagnavano di sudore i capelli
-all’idea delle conseguenze che potevano resultare da tale rivelazione;
-disgraziato! ma spero che non abbiate nominato veruno?
-
-«Non ho proferito alcun nome, giacchè nessuno ne conoscevo tranne
-quello da zittella della sua genitrice, e da questo egli tutto ha
-compreso; ma sa che suo zio era nel numero de’ suoi giudici».
-
-Il meschino ricascò spossato. Grimaud voleva dargli soccorso e avanzava
-la destra verso il manico dello stiletto.
-
-«Non mi toccate! disse il carnefice, se si cavasse fuori questo ferro,
-io morrei».
-
-Grimaud rimase con la mano stesa; indi in un subito percuotendosi col
-pugno la fronte:
-
-«Ah! se mai colui viene in cognizione chi fossero gli altri, il mio
-padrone è perduto!
-
-«Sollecitatevi! gridò il carnefice, prevenitelo se vive ancora,
-avvertite i suoi amici; la mia morte, oh! credetelo pure, non servirà
-di scioglimento a questa terribile avventura.
-
-«Dove andava? chiese Grimaud.
-
-«Verso Parigi.
-
-«Chi lo arrestò?
-
-«Due giovani gentiluomini che si trasferivano all’armata, e dei quali
-uno, io lo udii a nominare dal suo compagno, si chiamava il visconte di
-Bragelonne.
-
-«E desso fu che vi condusse il monaco?
-
-«Eh sì!»
-
-Grimaud levò lo sguardo al cielo.
-
-«Dunque era questo il volere di Dio! disse poi.
-
-«Senza dubbio! confermò il ferito.
-
-«Oh terribile! oh caso spaventoso!.... e sì, quella femmina aveva
-meritata la sorte che si ebbe.... non pensate in questo modo?
-
-«Sul punto di morire, fece il boja, si veggono gli altrui delitti molto
-piccoli a paragone dei nostri!»
-
-E cadde giù abbattuto chiudendo il ciglio affannoso.
-
-Grimaud stava perplesso fra la pietà che gli vietava di lasciar
-quell’uomo privo di assistenza, ed il timore che gli imponeva di
-partire immediatamente per recare quella notizia al conte di la Fère,
-allorchè udì rumore nel corridojo e vide venir l’oste insieme col
-chirurgo che finalmente erasi ritrovato.
-
-Li seguivano parecchie persone, richiamate da curiosità; chè cominciava
-a spargersi voce dello stranissimo evento.
-
-Il professore si accostò al moribondo che sembrava in deliquio.
-
-«Prima di tutto va estratto il ferro dal petto», disse in tuono
-ch’esprimeva di molto.
-
-Grimaud si ricordò il prognostico fatto dall’ammalato, e si girò da
-parte.
-
-Il cerusico tirò in là il giubbetto, lacerò la camicia e snodò il seno.
-
-Il pugnale, conforme accennammo, era cacciato addentro sino
-all’impugnatura.
-
-Il chirurgo lo prese alla cima dell’elsa; a misura ch’ei lo tirava
-fuori il ferito aprendo gli occhi li fissava in un modo spaventoso.
-Quando la lama fu uscita interamente dalla piaga apparve sulla bocca
-dell’infermo una spuma rossiccia; indi nel momento che respirò sgorgò
-uno sprillo di sangue dall’orifizio della piaga stessa, ed egli diresse
-lo sguardo sopra Grimaud con espressione singolarissima, mandò un
-rantolo e spirò subito.
-
-Grimaud raccolse da terra il pugnale insanguinato che metteva orrore a
-tutti, accennò all’oste che andasse seco, pagò il conto con generosità
-degna del suo padrone, e risalì a cavallo.
-
-Esso aveva pensato sulle prime a tornare direttamente a Parigi; ma
-riflettè all’inquietudine che prolungando la sua assenza cagionerebbe
-a Raolo; si ricordò che Raolo era distante due leghe dal luogo ove si
-trovava egli stesso, che in un quarto d’ora sarebbe a lui vicino, e
-che fra la gita innanzi e indietro e la spiegazione insieme non gli
-piglierebbero un’ora di tempo. Si avviò di galoppo, e dopo dieci minuti
-smontava al _Mulo Incoronato_, unico albergo di Mazingarde.
-
-Dalle prime parole ricambiate col locandiere acquistò certezza di aver
-raggiunto quello che cercava.
-
-Raolo era a tavola con il conte di Guiche ed il suo ajo, ma la trista
-avventura della mattina lasciava sul sembiante de’ due giovani una tale
-mestizia cui non riusciva a dileguare il brio del signor d’Arminges più
-filosofo di loro per la sua grande assuefazione a consimili spettacoli.
-
-Ad un tratto fu schiusa la porta e si presentò Grimaud pallido,
-polveroso e macchiato dal sangue del disgraziato.
-
-«Grimaud, mio buon Grimaud! esclamò Raolo, eccoti al fine! Scusate,
-miei signori, questi non è già un servo, è un amico».
-
-Ed alzatosi a farglisi incontro seguitò:
-
-«Come sta il signor conte? gli duole alquanto della mia assenza? lo
-hai veduto da che ci lasciammo? Rispondi, e poi io ho molte cose da
-dirti.... Oh! da tre giorni ci sono succeduti tanti casi! Ma che hai?
-sei smorto in viso.... E sangue! perchè questo sangue!
-
-«Realmente v’è sangue! confermò di Guiche levandosi pur esso, siete
-ferito, mio caro?
-
-«No, disse Grimaud, questo sangue non è mio.
-
-«E di chi? domandò il visconte.
-
-«Dell’infelice che lasciaste all’albergo, e ch’è morto fra le mie
-braccia».
-
-«Fra le tue braccia! ma sai tu chi era?
-
-«Sì.
-
-«L’antico carnefice di Bethune!
-
-«Lo so.
-
-«E lo conoscevi?
-
-«Lo conoscevo.
-
-«Ed è morto?
-
-«Sì».
-
-I due signori si guardarono.
-
-«Che volete? disse d’Arminges, tale è la legge comune, ed uno non
-n’è mica esente per essere stato boja. Dal momento che ho veduta la
-sua piaga ne ho avuta pessima idea, e ben vi è noto ch’era uguale
-l’opinione di lui, poichè chiedeva un monaco».
-
-Alla parola di monaco Grimaud si accigliò.
-
-«Animo, a tavola! fece d’Arminges, il quale a guisa di tutti gli uomini
-dell’età sua non ammetteva la sensibilità fra due portate.
-
-«Sì, avete ragione, rispose Raolo; orsù, Grimaud, fatti dar
-l’occorrente, ordina, comanda, e dopo che ti sarai riposato
-discorreremo.
-
-«No, no, replicò Grimaud, non posso trattenermi un istante, mi conviene
-ripartire per Parigi.
-
-«Come! oh, t’inganni.... è Olivain che parte, tu resterai qui.
-
-«Anzi Olivain resta ed io vado. Sono venuto espressamente per
-avvisarvelo.
-
-«E perchè tal cambiamento?
-
-«Non posso dirvelo.
-
-«Spiegati.
-
-«Non posso.
-
-«Eh via! che scherzi son questi?
-
-«Sapete, signor visconte, ch’io non ischerzo mai.
-
-«Sì, ma so ancora che il signor conte di la Fère disse che rimarreste
-presso di me ed Olivain andrebbe alla capitale. Io mi atterrò alle
-disposizioni del conte.
-
-«Non in questa circostanza, signore.
-
-«Vorreste forse disobbedirmi?
-
-«Sì, poichè così bisogna.
-
-«Dunque persistete?
-
-«E quindi me ne vo; siate felice, signor visconte».
-
-Grimaud salutò e si volse verso l’uscio per andarsene. Raolo inquieto
-ed anco furibondo corse a fermarlo per un braccio.
-
-«Grimaud! esclamò, trattenetevi; così voglio.
-
-«Sicchè, rispose Grimaud, volete ch’io lasci ammazzare il signor conte?»
-
-E fatto un nuovo inchino si disponeva a partire.
-
-«Grimaud, amico mio! disse Bragelonne, non ve ne andrete in tal modo,
-non mi lascerete in una tale smania. Grimaud parla, deh parla in nome
-del cielo!»
-
-E Raolo barcollava, sinchè cadde sopra una sedia.
-
-«Non posso dirvi se non se una cosa.... chè il segreto non è mio....
-Incontraste uno che prendeste per un frate, è vero?
-
-«Sì».
-
-I due gentiluomini si osservavano atterriti.
-
-«Lo guidaste vicino al ferito?
-
-«Sì.
-
-«Aveste allora tempo di vederlo?
-
-«Sì.
-
-«E forse lo ravvisereste se lo ritrovaste?
-
-«Oh sì! lo giuro, disse Raolo.
-
-«E anch’io, aggiunse di Guiche.
-
-«Or bene, se mai lo ritrovate, in qualunque luogo si sia, sulla strada
-maestra, per le vie, in una chiesa, dovunque egli sia, e dovunque voi
-sarete, ponetegli addosso il piede e schiacciatelo senza pietà, senza
-misericordia, come fareste ad una vipera, ad un serpente, ad un aspide;
-schiacciatelo, e nol lasciate finchè sia morto; per me, tanto ch’ei
-viva starà in dubbio la vita di cinque uomini».
-
-E Grimaud senza dir altro profittò dello stupore e del terrore in cui
-aveva immersi quelli che lo ascoltavano per islanciarsi fuori dallo
-appartamento.
-
-«Or bene, conte, disse Raolo a di Guiche, non dicevo bene che colui mi
-pareva un serpente?»
-
-A capo a due minuti si udì il galoppo di un cavallo. Raolo si affacciò
-sollecito al balcone.
-
-Era Grimaud che s’incamminava verso Parigi. Riverì Bragelonne agitando
-in aria il cappello, e in breve disparve alla svolta della strada.
-
-Ma viaggio facendo riflettè a due cose:
-
-La prima, che di quel passo il suo animale non reggerebbe a far dieci
-leghe;
-
-La seconda, ch’ei non aveva danaro.
-
-Egli aveva però l’immaginazione tanto più feconda quanto meno faceva
-uso della favella.
-
-Ed alla prima cambiatura vendè il cavallo, e col prodotto prese subito
-la posta.
-
-
-
-
-XXXVII.
-
-_Alla vigilia della battaglia._
-
-
-Raolo fu tratto dai tristi suoi pensieri dal locandiere, il quale
-entrò precipitosamente nella stanza ov’era accaduto quanto poc’anzi
-narravamo, gridando:
-
-«Gli Spagnuoli! gli Spagnuoli!»
-
-Era assai importante quel grido perchè ogni altra riflessione cedesse
-a quelle ch’esso doveva cagionare. I giovanetti domandarono qualche
-informazione, ed intesero che realmente si avanzava il nemico da
-Houdain e Bethune.
-
-Mentre il signor d’Arminges dava gli ordini acciò i cavalli che
-si rinfrescavano fossero messi in istato di partenza, Raolo e di
-Guiche salirono alle più alte finestre del casamento che dominava le
-vicinanze, e videro spuntare dalla parte di Mersin e di Sains un corpo
-considerevole d’infanteria e cavalleria. Questa volta non era più una
-brigata errante di partigiani, ma un’intera armata.
-
-Sicchè non rimaneva da far altro che seguire le savie istruzioni
-d’Arminges e battere la ritirata.
-
-Essi scesero rapidamente. D’Arminges era digià in sella. Olivain
-reggeva a mano i due corsieri dei giovanetti, ed i servi del conte
-di Guiche tenevano cautamente fra di loro il prigioniero spagnuolo,
-fermo sopra un ronzino comprato espressamente per lui. E per maggior
-precauzione questi aveva le mani legate.
-
-La piccola comitiva prese di trotto la strada di Cambrai, ove credeva
-di trovare il principe; ma egli dal giorno innanzi non v’era più, ed
-erasi ritirato a la Bassée, avendo inteso per una falsa voce sparsa che
-il nemico doveva transitare da Lys ad Estaire.
-
-Effettivamente il principe, ingannato da tali avvisi, aveva ritirate
-le sue truppe da Bethune, e concentrate tutte le sue forze fra
-Vieille-Chapelle e la Venthie, ed egli stesso, dopo aver esplorata
-tutta la linea col maresciallo di Grammont, era tornato indietro, e
-postosi a tavola, interrogando gli uffiziali seduti a lui d’intorno
-sopra gli schiarimenti che aveva incaricato ciascheduno di essi di
-procurarsi. Niuno però aveva notizie positive.
-
-L’armata nemica era sparita da quarantotto ore, e nulla più se ne
-sapeva.
-
-Ora, un esercito nemico non è mai tanto prossimo, e in conseguenza
-minaccioso, come allorquando è affatto sparito. E perciò il principe
-contro il suo solito se ne stava pensoso e di mal umore, quando venne
-un ufficiale di servizio ad annunziare al maresciallo di Grammont
-esservi alcuno che chiedeva di parlargli.
-
-Il duca di Grammont con uno sguardo domandò licenza, ed uscì.
-
-Il principe lo seguitò cogli occhi, e tenne questi fissi verso la
-porta, mentre nessuno osava discorrere per tema di distrarlo dalle sue
-meditazioni.
-
-Ad un tratto si udì rumore. Il principe si alzò in fretta stendendo la
-mano dal lato onde veniva lo strepito. — Lo strepito gli era ben noto:
-era quello del cannone.
-
-Tutti al pari di lui si erano levati in piedi.
-
-Nel momento fu schiusa la stanza.
-
-«Monsignore, disse allegro il maresciallo di Grammont, vuole Vostra
-Altezza permettere che mio figlio, il conte di Guiche, e il suo
-compagno di viaggio visconte di Bragelonne vengano a darle nuove del
-nemico, che noi cerchiamo e che essi hanno trovato?
-
-«Come, se lo permetto, anzi lo bramo! entrino pure».
-
-Il maresciallo spinse avanti i due giovani, i quali furono così innanzi
-a Sua Altezza.
-
-Questi salutandoli disse:
-
-«Parlate, signori, e poi faremo i complimenti d’uso; quel che per noi
-urge più adesso, è di sapere dove sia il nemico o ciò ch’ei faccia».
-
-Al conte di Guiche incombeva naturalmente di essere il primo a
-favellare; non solo era maggiore di età, ma anche presentato dal
-proprio genitore; inoltre conosceva da lunga pezza il principe, che
-Raolo non aveva mai veduto.
-
-Egli dunque raccontò ciò ch’entrambi avevano visto dall’albergo di
-Mazingarde.
-
-Frattanto Raolo osservava quel giovane generale digià sì famoso per le
-battaglie di Rocroy, di Friburgo e di Nortlingen.
-
-Luigi di Borbone, principe di Condé, che dalla morte di Enrico di
-Borbone suo padre in poi veniva chiamato per abbreviazione e secondo
-l’usanza il Signor Principe, aveva appena ventisei o ventisette anni,
-sguardo da aquila, _occhi grifagni_, come disse Dante, naso ricurvo,
-lunga chioma ondeggiante in belle anella, personale mediocre ma ben
-fatto, e tutte le qualità di un grand’uomo di guerra, cioè colpo
-d’occhio, rapidissima decisione, coraggio quasi favoloso; lo che
-non toglieva che fosse al tempo stesso uomo di spirito e dotato di
-eleganza; talmente che oltre la rivoluzione che faceva nella guerra
-mediante i nuovi calcoli e prospetti che vi recava, aveva fatto altresì
-rivoluzione in Parigi fra i giovani signori della corte, di cui era il
-capo naturale, e che in opposizione agli eleganti dell’antica corte,
-della quale i modelli erano stati Bassompierre, Bellegarde e il duca di
-Angouleme, venivano nomati i damerini.
-
-Ai primi detti di Guiche, ed alla direzione da che si partiva il
-rumore del cannone, il prence aveva compreso tutto. L’inimico doveva
-aver transitata la Lys a Saint-Venant, e marciava sopra Lens, senza
-dubbio coll’intenzione d’impossessarsi di questa città e separare dalla
-Francia l’armata francese. La cannonata che si udiva, e i di cui spari
-dominavano tratto tratto gli altri, era di pezzi di grosso calibro che
-rispondevano alla cannonata spagnuola e lorenese.
-
-Ma di che forza era poi quella truppa? era un corpo destinato a
-produrre un semplice diversivo? oppure l’esercito tutto intero?
-
-In questo consisteva l’ultima domanda di Luigi di Borbone, ed a Guiche
-riusciva impossibile di rispondervi.
-
-Ed essendo poi la più importante, era quella a cui il principe avrebbe
-desiderato una risposta esatta, precisa, positiva.
-
-Allora Raolo sormontò il sentimento assai naturale di timidezza che
-provava a suo malgrado in faccia al prence, ed avvicinandosi disse:
-
-«Mi concederete, monsignore, di azzardare su questo argomento alcune
-parole che forse faranno cessare la vostra perplessità?»
-
-Luigi si volse, e parve che con un solo sguardo squadrasse da cima a
-fondo il visconte; e sorrise nel riconoscere in esso un fanciullo di
-appena quindici anni.
-
-«Certamente, signore, parlate, gli disse mitigando la sua voce per
-solito sonora e fiera, come se questa volta la indirizzasse ad una
-dama.
-
-«Vostra Altezza potrebbe interrogare il prigioniero spagnuolo, replicò
-Raolo, ed arrossiva.
-
-«Avete fatto un prigioniero spagnuolo!
-
-«Sì, monsignore.
-
-«Ah! è vero, riprese di Guiche, lo avevo obliato.
-
-«È cosa semplicissima, conte, ribattè Raolo sorridendo, poichè foste
-voi che lo faceste».
-
-Il vecchio maresciallo si volse al visconte, grato a quell’elogio dato
-a suo figlio, mentre Luigi di Borbone rispondeva:
-
-«Il giovinetto ha ragione, sia qui condotto il prigioniero».
-
-Frattanto il principe pigliò in disparte di Guiche, e lo interrogò sul
-modo in cui era stato preso quell’uomo, e gli richiese chi fosse il
-giovane.
-
-«Signore, disse Luigi tornando a Raolo, so che avete una lettera
-di mia sorella madama di Longueville, ma veggo che avete preferito
-raccomandarvi da per voi col darmi un buon consiglio.
-
-«Monsignore, replicò Bragelonne, e diventava più vermiglio di prima,
-non ho voluto interrompere Vostra Altezza in una conversazione tanto
-importante come quella da lei intavolata col signor conte; ma ecco la
-lettera.
-
-«Va bene, me la darete più tardi; ecco il prigioniero, pensiamo a ciò
-ch’è più urgente».
-
-Difatti veniva condotto il partigiano. Era uno di quei condottieri
-di cui ne rimanevano ancora in quell’epoca, che vendendo il proprio
-sangue a chi avesse a genio comprarlo era invecchiato nelle astuzie e
-nelle ruberie. Dachè era stato preso non aveva pronunziato un accento,
-talmente che coloro che lo avevano arrestato neppur sapevano di qual
-nazione si fosse.
-
-Il principe lo guatò con la massima diffidenza domandandogli:
-
-«Di qual nazione sei?»
-
-Quegli rispose alcune parole in lingua straniera.
-
-«Ah ah! par che sia spagnuolo. Parlate, spagnuolo, Grammont?
-
-«Oh! pochissimo, monsignore.
-
-«Ed io nulla affatto; fece ridendo Luigi; signori (e si volgeva a quei
-che gli stavano attorno) v’è qualcuno fra voi che parli lo spagnuolo e
-voglia farmi da interprete?
-
-«Io, monsignore, disse Raolo.
-
-«Ah, voi parlate spagnuolo?
-
-«Abbastanza, per quanto credo, onde eseguire in quest’occasione gli
-ordini dell’Altezza Vostra».
-
-In tutto quel tempo il prigioniero era rimasto impassibile e quasi non
-avesse capito di che si trattasse.
-
-«Monsignore vi ha fatto richiedere di che nazione siete, gli avvertì
-Raolo in castigliano purissimo.
-
-«Ich bin ein Deutscher, rispose egli.
-
-«Che diavolo borbotta? fece il principe con una risata, e che gergo è
-codesto?
-
-«Dice ch’è tedesco, replicò il visconte, ma io ne dubito, perchè
-l’accento è pessimo e la pronunzia viziosa.
-
-«Dunque sapete anche il tedesco?
-
-«Altezza sì.
-
-«Tanto da potere interrogarlo in quell’idioma?
-
-«Sì, monsignore.
-
-«Allora interrogatelo».
-
-Raolo cominciò, ma vennero i fatti in appoggio alla sua opinione. Colui
-non intendeva, o fingeva non intendere, ciò che gli diceva Bragelonne,
-e Bragelonne dal canto suo comprendeva poco le sue risposte mescolate
-tra fiammingo ed alsaziano.
-
-Nulladimeno in mezzo a tutti gli sforzi del forestiero per eludere un
-esame regolare, Raolo aveva riconosciuta la sua naturale pronunzia.
-
-«Non siete spagnuolo, gli disse, non tedesco, ma italiano».
-
-Il forestiero si scosse e si morse le labbra.
-
-«Ah! questo, lo capisco a meraviglia, seguitò il principe di Condè, e
-poichè è italiano, continuerò io l’esame. Grazie, visconte (aggiunse
-scherzando) da ora vi nomino mio interprete».
-
-Ma l’arrestato non aveva più voglia di appagare le domande in italiano
-che in altre lingue; unica sua premura era anzi lo schivarle. E così
-nulla sapeva, nè il numero dei nemici, nè il nome di chi li comandava,
-nè il piano di marcia stabilito.
-
-«Ottimamente! disse Luigi immaginando appieno le cause di siffatta
-ignoranza, costui è stato preso mentre rubava e assassinava, avrebbe
-potuto riscattar la vita parlando, e non vuole; portatelo via, e sia
-passato per le armi».
-
-Il prigioniero impallidì. I due soldati che ivi lo avevano guidato
-lo afferrarono ciascuno per un braccio e lo trassero verso la porta,
-frattanto che il signor di Condé giratosi dalla parte di Grammont,
-mostrava già aver dimenticato il comando da lui dato.
-
-Ma il disgraziato arrivato sulla soglia, si soffermò; i soldati non
-conoscendo altro che gli ordini volevano obbligarlo a proseguire il suo
-cammino.
-
-«Un momento! disse egli in francese, monsignore, sono pronto a parlare.
-
-«Ah ah! esclamò il principe, sapevo bene che ci si verrebbe. Io ho un
-segreto stupendo per sciogliere la lingua. Giovanotti, vi sia di norma
-per quando toccherà a voi a comandare.
-
-«Ma, seguitò il prigioniero, con patto che Vostra Altezza mi giuri
-salva la vita.
-
-«Sulla mia fede da gentiluomo, rispose Luigi di Condé.
-
-«Allora, a voi, monsignore!
-
-«Dove l’armata ha valicato la Lys?
-
-«Tra Saint-Venant ed Aire.
-
-«Chi la comanda?
-
-«Il conte di Fuonsaldagna, il generale Beck e l’Arciduca in persona.
-
-«E marcia?
-
-«Incontro a Lens.
-
-«Vedete, signori miei! gridò il principe in atto di trionfo al
-maresciallo di Grammont ed agli altri uffiziali.
-
-«Sì, replicò il maresciallo, vostra Altezza aveva indovinato quanto può
-indovinare umano ingegno.
-
-«Richiamate le Plessis, Belliève, Villequier e d’Erlac, richiamate
-tutte le truppe che sono di qua dalla Lys; stiano pronte a marciare
-questa notte, e domani secondo ogni probabilità noi attaccheremo il
-nemico.
-
-«Monsignore, obiettò Grammont, osservate però che riunendo quanti
-uomini abbiamo disponibili arriveremo appena alla cifra di quindici
-mila.
-
-«Signor maresciallo, ripicchiò il prence con quello sguardo ammirabile
-ch’era proprio di lui solo, con le piccole armate si vincono le grandi
-battaglie».
-
-Ed accennando il prigioniero:
-
-«Sia condotto colui fuori di qui e guardato a vista. Dipende la sua
-vita dalle informazioni che ci ha date; se queste sono vere, sarà
-libero; se false, sia fucilato».
-
-L’individuo a cui facevasi tal minaccia fu tratto subito altrove.
-
-«Conte di Guiche, disse Luigi, da molto tempo non vedeste vostro padre,
-rimanete presso di lui. Voi (e si volgeva a Raolo) se non siete troppo
-stanco seguitemi.
-
-«Sino alla fine del mondo, monsignore! gridò Raolo, provando un ignoto
-entusiasmo per il giovane generale che tanto degno sembravagli della
-sua rinomanza».
-
-Il principe sorrise; disprezzava gli adulatori, ma stimava moltissimo
-gli entusiasti.
-
-«Orsù, continuò, siete buono al consiglio, ed ora lo abbiamo
-esperimentato; vedrem domani qual siete nell’azione.
-
-«Ed io che farò monsignore? chiese il maresciallo.
-
-«Trattenetevi a ricevere le truppe; e tornerò da me a prenderle meco, o
-vi manderò un corriere perchè a me la guidiate. Venti uomini con buoni
-cavalli son quel che mi abbisogna pella mia scorta.
-
-«È poco!
-
-«È abbastanza; signor di Bragelonne, avete un buon cavallo?
-
-«Il mio è rimasto ucciso stamane, e adesso provvisoriamente mi prevalgo
-di quello del mio domestico.
-
-«Chiedete, scegliete nelle mie scuderie, quello che vi convenga. Non
-vi prendete soggezione; approfittatevi del corsiero che vi sembri il
-migliore. Stassera forse ne avrete bisogno, e domani di certo».
-
-Raolo non se lo fece dir due volte; sapeva che coi superiori, ed
-in ispecie quando questi sono principi, la suprema civiltà consiste
-nell’obbedire senza ragionamenti e senza indugi. Passò nelle scuderie
-a scegliere un palafreno andalusiano di color sauro, gli pose di per
-sè la sella e la briglia, perocchè Athos gli aveva suggerito pelle
-circostanze di pericolo di non affidare di ciò la cura a veruno, e
-venne a raggiungere il principe che appunto montava a cavallo.
-
-«Adesso, disse questi a Raolo, volete consegnarmi la lettera di cui
-siete latore?»
-
-Ed egli la porse.
-
-«Restate vicino a me», ordinò Luigi di Borbone.
-
-Diede di sprone, fermò le redini al pomo della sella secondo soleva
-fare quando voleva aver libere le mani, dissigillò il foglio della
-signora di Longueville, e si avviò di galoppo sulla strada di Lens,
-accompagnato da Raolo e seguitato dalla sua piccola scorta, mentre
-i messaggieri che dovevano richiamare indietro le truppe, correvano
-frettolosi per opposte direzioni.
-
-E il principe nel tempo del cammino leggeva.
-
-«Signore, disse indi a un momento, qui mi si dice molto bene di voi;
-la sola cosa che posso significare si è che dal poco che ho visto ed
-inteso, penso di voi anco meglio che non mi si decanta».
-
-Raolo fece un inchino.
-
-Intanto ad ogni passo che approssimava a Lens la piccola brigata,
-risuonavano più vicine le cannonate. Luigi teneva lo sguardo fisso
-a quel rumore come farebbe un uccel di rapina. Pareva che avesse il
-potere di penetrare con gli occhi fra gli alberi folti che stendevansi
-a lui davanti e servivano di confine all’orizzonte.
-
-Di quando in quando si dilatavano a lui le narici, quasi fosse ansioso
-di sentir l’odore della polvere, o sbuffava come il suo destriero.
-
-Alfine si udirono gli spari tanto dappresso ch’era evidente trovarsi
-tutto al più lontani di una lega dal campo di battaglia. In fatti alla
-svolta del sentiero, si distinse il piccolo villaggio di Aunay.
-
-I contadini erano in grandissima confusione; si era sparsa la voce
-della crudeltà degli Spagnuoli, e questa a tutti incuteva spavento; le
-donne erano di già scappate rifugiandosi inverso a Vitry; rimanevano
-soli pochi uomini.
-
-Essi al mirare il principe accorsero premurosi; uno di loro lo
-riconobbe.
-
-«Ah monsignore! disse, venite a discacciare quei furfanti di Spagnuoli
-e quei ladroni di Lorenesi?
-
-«Sì, se tu vuoi servirmi di guida.
-
-«Volentieri: dove brama vostra Altezza che io la conduca?
-
-«In qualche luogo elevato d’onde io possa scoprire Lens e i dintorni.
-
-«So quanto bisogna.
-
-«Posso fidarmi di te? Sei buon francese?
-
-«Sono un vecchio soldato di Rocroy.
-
-«Tieni! disse Luigi dando una borsa a colui, eccoti per Rocroy. Ed ora
-vuoi un cavallo, o preferisci ire a piedi?
-
-«A piedi! monsignore, a piedi; ho servito sempre nell’infanteria. E
-poi, mi propongo di far passare Vostra Altezza per tali strade ove sarà
-necessario ch’essa pure smonti.
-
-«Vieni via, e non si perda tempo».
-
-Il villico si mosse trottando innanzi al destriero del prence; indi a
-distanza di un centinajo di passi dal villaggio passò da un piccolo
-sentiero perduto in fondo a una bella valle. Per una mezza lega
-camminarono così sotto una cupola di alberi; gli spari del cannone
-rimbombavano a segno che sembrava ad ognuno di questi doversi udire a
-fischiare le palle. Poscia, si trovò una strada che abbandonava quella
-già battuta per attaccarsi al fianco della montagna. Il contadino vi si
-inoltrò invitando Luigi di Borbone a seguirlo. Questi smontò, ordinò
-ad uno de’ suoi ajutanti di campo ed a Raolo di fare lo stesso, ed
-agli altri di attender le sue istruzioni mantenendosi in ogni maggior
-cautela e vigilanza, e principiò a salire per la strada che accennammo.
-
-A capo a dieci minuti, erano giunti alle ruine di un vecchio castello,
-le quali facevano corona alla sommità di un colle d’onde si sovrastava
-a tutti i luoghi circonvicini. Lontano appena un quarto di lega si
-discopriva Lens ridotta agli estremi, e davanti a questa tutto quanto
-l’esercito nemico.
-
-Con una sola occhiata il principe abbracciò l’estensione che gli
-appariva alla vista da Lens sino a Vismy. In un attimo gli si spiegò
-alla mente tutto il piano della battaglia che alla domane doveva
-salvare per la seconda volta la Francia da un’invasione. Prese un
-lapis, distaccò una pagina del suo taccuino, e scrisse:
-
- «Mio caro maresciallo.
-
- ««Tra un’ora Lens sarà in potere del nemico. Io sarò a Vendin
- per fargli prendere la sua posizione. Domani lo avremo battuto e
- ripreso Lens».
-
-Indi disse a Raolo:
-
-«Andate, partite a spron battuto, e consegnate questo foglio al signor
-di Grammont».
-
-Raolo prese il foglio, scese velocemente la montagna, e saltato in
-sella si avviò di galoppo.
-
-Dopo un quarto d’ora era presso al maresciallo.
-
-Era digià arrivata porzione delle truppe, e da un momento all’altro
-attendevasi il rimanente. Il signor di Grammont si mise alla testa di
-quanta infanteria e cavalleria si trovava disponibile, e s’incamminò
-per Vendin, lasciando il duca di Chatillon ad aspettare e condurre il
-resto.
-
-Tutta l’artiglieria era in grado di partire all’istante, e si mise in
-marcia.
-
-La sera alle sette ore giunse il maresciallo al convegno. Era ivi ad
-attenderlo il principe. Secondo avea preveduto, Lens era caduta in
-potere del nemico quasi subito dopo la partenza di Raolo. D’altronde la
-cessazione delle cannonate aveva annunziato questo avvenimento.
-
-Si soprassedè fino a notte. A misura che si avanzavano le tenebre, i
-militi chiamati dal principe arrivavano di seguito. V’era ordine che
-non si battesse tamburo nè si sonassero le trombe.
-
-A nove ore, ad onta che fosse tardi, un ultimo crepuscolo rischiarava
-tuttavia la pianura. S’incamminarono in silenzio, mentre il principe
-guidava la colonna.
-
-L’armata essendo pervenuta di là da Aunay potè distinguere Lens: due o
-tre case erano in fiamme, e fino ai soldati arrivava un tristo clamore
-che indicava l’agonia di una città presa per assalto.
-
-Il prence segnò a ciascuno il rispettivo posto: il maresciallo di
-Grammont doveva essere all’estrema sinistra ed appoggiarsi a Mericourt;
-il duca di Chatillon formerebbe il centro; il principe che formava
-l’ala destra rimarrebbe davanti ad Aunay.
-
-L’ordine di battaglia della domane sarebbe lo stesso che quello delle
-posizioni prese nel dì precedente. Ognuno si troverebbe sul terreno ove
-dovea manovrare.
-
-Fu eseguito il movimento col massimo silenzio e con la maggior
-precisione. Alle dieci cadauno era al suo posto; alle dieci e
-mezza Luigi di Borbone visitò i posti di guardia e diede l’ordine
-dell’indomani.
-
-Oltre a tutte le cose, tre erano quelle raccomandate ai capi, i quali
-invigilerebbero all’esatta osservanza delle medesime ingiunta ai
-soldati:
-
-La prima, che i diversi corpi si guarderebbero attentamente nella
-marcia, onde cavalli e fanti stessero bene sulla medesima linea, ed
-ognuno si mantenesse negli spazj opportuni;
-
-La seconda di non andare alla carica se non di passo;
-
-La terza, di lasciare che il nemico fosse il primo a tirare.
-
-Il principe diede il conte di Guiche al di lui padre, e tenne per sè
-Bragelonne. Ma i due giovani domandarono di passare insieme quella
-notte, e ciò fu loro accordato.
-
-Venne messa per essi una tenda vicina a quella del maresciallo. Benchè
-molte fossero state le fatiche della giornata, nè l’uno nè l’altro
-aveva bisogno di dormire.
-
-D’altronde è cosa grave ed imponente anco pei vecchi militari la
-vigilia di una battaglia, e tanto più per due giovanetti che pella
-prima volta si accingevano a vedere un tale spettacolo.
-
-Alla vigilia della battaglia si pensa a mille cose, che sino allora
-obliate ritornano in mente; gl’indifferenti diventano amici, gli amici
-diventano fratelli.
-
-E ci s’intende, che se in fondo al cuore si abbia qualche sentimento
-più tenero, questo arriva naturalmente al più alto grado di esaltazione
-a cui possa mai giungere.
-
-È d’uopo credere che ognuno dei due giovanetti provasse un sentimento
-di codesta fatta, poichè a capo a un momento e questo e quello sederono
-ad una opposta estremità della tenda e si diedero a scrivere sulle
-ginocchia.
-
-Le lettere furono lunghe, si copersero quattro pagine di carattere
-minuto e ristretto. Tratto tratto il conte ed il visconte si guardavano
-sorridendo. Si capivano senza dir nulla. Erano due indoli delicate e
-simpatiche fatte per intendersi senza nemmeno parlarsi.
-
-Terminate le lettere, ciascheduno serbò la sua in un doppio involto
-di carta, ove nessuno poteva leggere il nome della persona a cui era
-diretta se non che lacerando il primo invoglio. E poscia entrambi si
-accostarono uno all’altro, e si ricambiarono quelle lettere con un
-nuovo sorriso.
-
-«Se mi accadessero dei guai! disse Bragelonne.
-
-«Se restassi ucciso! disse di Guiche.
-
-«Non dubitate, dissero tutt’e due».
-
-E si abbracciarono come fratelli, e si avvolsero nei ferrajuoli, e si
-addormentarono di quel sonno giovanile e grazioso con cui dormono gli
-augelli, i fiori ed i fanciulli.
-
-
-
-
-XXXVIII.
-
-_Un pranzo del tempo addietro._
-
-
-Il secondo abboccamento degli antichi moschettieri non era stato
-pomposo e minaccioso come il primo. Athos, con il suo senno sempre
-superiore, aveva giudicato che la tavola sarebbe il centro più rapido
-e completo della riunione, e nell’istante che i suoi amici per riguardo
-alla sua distinzione ed alla sobrietà sua non osavano favellare di uno
-di quei buoni pranzi di tempo addietro goduti o al _Pomo del Pino_ o
-al _Parpaillot_, propose egli stesso di ritrovarsi attorno a qualche
-mensa bene inbandita, ed abbandonarsi senza riserva ognuno al proprio
-carattere ed alle proprie maniere, tratto di semplicità che aveva
-mantenuta la buona intelligenza per la quale in un’epoca anteriore
-erano stati chiamati gl’inseparabili.
-
-Fu a tutti accetta la proposta, e specialmente a d’Artagnan, ch’era
-ansioso di ritrovare le gentilezze ed il brio delle conversazioni
-di sua gioventù, conciossiachè da lunga pezza il suo spirito fino
-e geniale non aveva incontrato che soddisfazioni insufficienti, e,
-come diceva egli stesso, un vile pascolo. Porthos sul momento di
-esser barone aveva sommo piacere di imbattersi in quella occasione
-di studiare in Athos ed in Aramis i modi e il tuono della gente di
-qualità. Aramis voleva sapere le notizie del Palazzo Reale per mezzo
-di d’Artagnan e Porthos, e serbarsi per tutte le congiunture amici
-tanto zelanti che in passato sostenevano le sue contese con ispade
-prontissime e invincibili.
-
-Athos poi era il solo che nulla avesse da aspettare o da ricevere
-dagli altri, e che fosse mosso unicamente da un sentimento di semplice
-grandezza e di pura amistà.
-
-Fu quindi convenuto che ognuno darebbe il suo indirizzo ben positivo,
-e che al bisogno di uno dei soci si convocherebbe la riunione da un
-famoso trattore della via della Zecca all’insegna del _Romitorio_. Fu
-fissato il primo appuntamento, pel successivo mercoledì ed alle otto
-precise di sera.
-
-Infatti nel giorno concordato giunsero puntualmente, ciascuno dal
-lato suo, i quattro amici al momento destinato. Porthos aveva avuto
-da provare un nuovo cavallo, d’Artagnan smontava la guardia al Louvre,
-Aramis avea dovuto far visita ad una sua penitente in quella contrada,
-ed Athos che avea preso domicilio in via Guènegaud ci si combinava
-da per sè. Furono dunque assai sorpresi d’incontrarsi al portone del
-_Romitorio_, Athos sboccando dal ponte Nuovo, Porthos dalla strada del
-Roule, d’Artagnan da quella dei Fossi di S. Germano l’Auxerrois, ed
-Aramis dall’altra di Bethisy.
-
-Le prime parole ricambiate fra i quattro individui, appunto per
-l’ostentazione che pose ognuno nelle proprie dimostrazioni, furono
-alquanto forzate, ed il pasto cominciò con qualche freddezza. Si
-vedeva che d’Artagnan faceva violenza a sè stesso per ridere, Athos per
-bere, Aramis per raccontare, Porthos per tacersi. Athos accortosi di
-tale imbarazzo, alfine di rimediarvi, ordinò che si recassero quattro
-bottiglie di Sciampagna.
-
-Al qual comando, da lui dato con la calma sua consueta, si schiarì un
-poco il sembiante al Guascone, e si rasserenò quello di Porthos.
-
-Aramis rimase attonito. Sapeva, non solo che Athos non beveva più, ma
-anche che provava pel vino una tal quale ripugnanza.
-
-E si accrebbe in esso la meraviglia quando ei lo vide mescersi in
-abbondanza e bevere coll’entusiasmo di gran tempo addietro. D’Artagnan
-empiè e vuotò subito un bicchiere. Porthos ed Aramis batterono i loro
-un sull’altro. In un attimo furono vuote le quattro bottiglie. Pareva
-che i commensali anelassero di far divorzio coi loro occulti pensieri.
-
-E realmente, in men che nol diciamo, quell’ottimo specifico ebbe
-dissipato sino al menomo nuvolo che rimaner potesse in fondo ai loro
-cuori. Si misero a parlare più forte, senza aspettare che uno avesse
-terminato perchè un altro principiasse, ed a prendere sulla tavola
-ciascheduno la sua positura favorita. In breve, cosa enorme! Aramis
-allentò due cordoni del suo giubbetto, e Porthos ciò osservando
-disciolse subito tutti i suoi.
-
-Le battaglie, le lunghe strade, le botte date e ricevute formarono il
-primo argomento della conversazione. Indi si passò alla ascosa lotta
-sostenuta contro colui che ormai chiamavasi il gran ministro.
-
-«Affè! disse scherzando Aramis, bastano gli elogi dei morti, sparliamo
-un poco dei vivi. Io vorrei dire un tantinello di Mazzarino: è
-permesso?
-
-«Sempre, sempre! rispose d’Artagnan con uno scroscio di risa; narrate
-la vostra storiella, e vi applaudirò s’ella è buona.
-
-«Un gran principe, seguitò Aramis, di cui il Mazzarino ricercava
-l’alleanza, fu da questi invitato a mandargli la nota delle condizioni
-mediante le quali volesse fargli l’onore di trattare con lui. Il
-principe, che repugnava alquanto a aver che fare con un simile
-gaglioffo, fece e inviò la nota a mal in cuore. Vi erano scritte tre
-condizioni che spiacevano a Mazzarino, ed egli mandò ad offrire al
-principe di rinunziarvi per dieci mila scudi.
-
-«Ah! ah! esclamarono i tre amici, non era caro, ed ei non aveva da
-temere d’esser preso alla parola. Che disse l’Altezza?
-
-«L’Altezza spedì tosto cinquanta mila lire a Mazzarino, pregandolo a
-non iscrivergli mai più, ed offrendogli venti mila lire se si obbligava
-a non più parlargli.
-
-«Che fece il Mazzarino?
-
-«Si sdegnò? chiese Athos.
-
-«Fe’ bastonare il messaggiero? domandò Athos.
-
-«Accettò la somma? disse d’Artagnan.
-
-«Voi, d’Artagnan, l’avete indovinata, replicò Aramis».
-
-E tutti proruppero in sì clamorose risate che salì l’oste a domandare
-se avevano bisogno di qualcosa.
-
-Erasi supposto che si battessero.
-
-Alla fine si calmò l’ilarità.
-
-«Possiamo picchiare il signor di Beaufort? propose d’Artagnan. Ne avrei
-la gran voglia!
-
-«Fate pure, rispose Aramis, il quale conosceva a fondo quell’indole
-guascona sì accorta e prode che non retrocedeva giammai su verun campo.
-
-«E voi, Athos, che ne pensate? seguitò d’Artagnan.
-
-«Io vi giuro da gentiluomo che rideremo se ci avete garbo.
-
-«Dunque comincio, soggiunse d’Artagnan. Un giorno di Beaufort
-discorrendo con un amico del signor Principe, gli disse che sulle prime
-contese di Mazzarino e del Parlamento, ei si era trovato una volta
-in disputa col signor di Chavigny, e che vedendolo attaccato al nuovo
-ministro, lui che in tante maniere era collegato all’antico, lo aveva
-ben bene percosso.
-
-«L’amico, il quale conosceva di Beaufort per uomo di mano assai
-leggiera, non istupì mica del fatto, e se n’andò correndo a riferirlo
-al Principe. Si divulga la faccenda, ed ecco che ognuno volge le spalle
-a Chavigny. Questi ricerca spiegazione della freddezza generale; si va
-titubanti a manifestargliela; poi v’è persona che si azzarda a dirgli
-come a tutti faccia sorpresa essersi egli lasciato _percuotere_ dal
-signor di Beaufort abbenchè principe.
-
-«E chi ha detto che il principe mi aveva percosso? fece il Chavigny.
-
-«Il principe stesso, replica l’amico.
-
-«Si va alla fonte chiara, e si trova la persona a cui il principe ha
-tenuto codesto discorso, e che scongiurata sull’onore a palesare la
-verità, lo ripete e lo afferma.
-
-«Chavigny, dolentissimo di una tale infamia, di cui non capisce un
-ette, dichiara che morrà piuttosto che sopportarla. In conseguenza
-manda due patrini al principe, con l’incarico d’interrogarlo se
-sussista aver egli detto di avere percosso il signor di Chavigny.
-
-«L’ho detto e lo ripeto, fa il principe, giacchè così è.
-
-«Monsignore, soggiunge uno dei patrini di Chavigny, permetteteci di
-avvertire Vostra Altezza qualmente colpi dati a un gentiluomo degradano
-tanto quello che li dà quanto quello che gli riceve. Il re Luigi XIII
-non voleva aver camerieri gentiluomini, per aver diritto di picchiarli.
-
-«Veh! continuò il signor di Beaufort, e chi parla di colpi? e chi
-discorre di picchiare?
-
-«Ma voi, monsignore, che pretendete per percosso....
-
-«Chi?
-
-«Il signor di Chavigny.
-
-«Io?
-
-«Non percuoteste il signor di Chavigny, almeno da quel che dite?
-
-«Sì.
-
-«Ebbene! egli vi smentisce.
-
-«Oh! fece il principe, l’ho percosso così bene, che ecco le mie proprie
-parole che lo gelarono (e il signor di Beaufort vi poneva tutta la sua
-maestà a voi nota): « — signor di Chavigny, siete assai da biasimare
-per aver dato soccorso a un birbante qual è il Mazzarino!»
-
-«Ah! Altezza! esclamò il patrino, comprendo! volevate dire scosso.
-
-«O _scosso_ o _percosso_, che importa? gridò il di Beaufort, non è egli
-lo stesso? Davvero i vostri compositori di frasi sono pure pedanti!»
-
-Furono grandi risate per questo errore filologico del signor di
-Beaufort, i di cui abbagli su tal genere incominciavano a passare
-in proverbio, e si pattuì, che essendo per sempre bandito da quelle
-amichevoli riunioni lo spirito di parte, d’Artagnan e Porthos
-potrebbero burlare i principi, con patto però che Athos ed Aramis
-fossero in facoltà di _percuotere_ il Mazzarino.
-
-«Affè, disse d’Artagnan a’ suoi due amici, avete ragione di volergli
-male, a Mazzarino, giacchè egli dal canto suo, e ve lo giuro, non vi
-vuol punto bene.
-
-«Uh! propriamente? fece Athos. Se credessi che quel mascalzone mi
-conoscesse di nome, mi farei sbattezzare per paura che si supponesse
-ch’io conoscessi lui.
-
-«Non vi conosce per nome ma per i fatti; sa che vi sono due
-gentiluomini che più particolarmente hanno contribuito alla fuga di
-Beaufort, e li fa cercare con grande premura, ve lo accerto.
-
-«Da chi?
-
-«Da me.
-
-«Come, da voi?
-
-«Sì, mi ha mandato a domandare anche stamane se avevo qualche notizia.
-
-«Su quei due gentiluomini?
-
-«Sì.
-
-«E che gli avete risposto?
-
-«Che non ne ho finora, ma che pranzavo con due soggetti i quali
-potrebbero darmene.
-
-«Gli avete detto così? fece Porthos con una grossa risata che gli
-allegrava la grassa faccia. Bravo! e voi, Athos, non avete paura?
-
-«No, disse Athos, non temo già le indagini di Mazzarino.
-
-«Voi! soggiunse Aramis, oh! ditemi un po’ di che temete!
-
-«Nulla, almeno nel presente.
-
-«E nel passato? chiese Porthos.
-
-«Ah! nel passato è tutt’altro, ribattè Athos con un sospiro, nel
-passato e nel futuro.
-
-«Paventate forse per il vostro Raolo? domandò Aramis.
-
-«Eh! disse d’Artagnan, non si rimane mai uccisi nel primo fatto.
-
-«Nè al secondo, ribattè Aramis.
-
-«Nè al terzo, accrebbe Porthos. E poi, quando si è uccisi, si ritorna,
-e la prova ne sia che eccoci qua.
-
-«No, ripigliò Athos, non è tampoco Raolo che mi dia inquietudine,
-mentre spero si conterrà da gentiluomo, e se resta ucciso, ebbene! lo
-sarà valorosamente; ma ecco.... se gli accadesse tal disgrazia....»
-
-Athos si passò la mano sulla fronte scolorita.
-
-«Dite su.... lo spronò Aramis.
-
-«Dico, che quella disgrazia sarebbe da me riguardata come un’espiazione.
-
-«Ah ah! esclamò d’Artagnan, so io di che intendete.
-
-«E anch’io, confermò Aramis, ma non bisogna pensarci, il passato è
-passato.
-
-«Non capisco, obiettò Porthos.
-
-«L’affare di Armentières, bisbigliò piano d’Artagnan.
-
-«D’Armentières?
-
-«Milady....
-
-«Ah sì, fece Porthos, l’avevo dimenticato».
-
-Athos lo guatò con l’occhio suo penetrante, e disse:
-
-«Dimenticato? voi, Porthos!
-
-«Eh sì, è tanto tempo!
-
-«Dunque non vi sta più sulla coscienza?
-
-«Ma no! replicò Porthos.
-
-«Ed a voi, Aramis?
-
-«Ci penso qualche volta come ad uno di quei casi di coscienza che più
-danno luogo a discussione.
-
-«E a voi, d’Artagnan?
-
-«Io confesso che quando la mia mente si ferma su quell’epoca terribile
-non ha altre rimembranze che per il corpo gelido della povera signora
-Bonacieux. Sì, sì...., mormorò, spesso provai de’ rammarici per la
-vittima, non mai rimorsi pel di lei assassino.
-
-«Riflettete, osservò Aramis, che ammessa la divina giustizia e la sua
-partecipazione alle cose di questo mondo, quella donna fu punita per
-volere di Dio. Noi fummo gli stromenti, e non altro.
-
-«Ma il libero arbitrio?
-
-«Che fa il giudice? ha esso pure il suo libero arbitrio, e condanna
-senza paura. Che fa il carnefice? è padrone del proprio braccio, eppure
-colpisce senza rimorso.
-
-«Il carnefice.... borbottò Athos, e ben vedevasi che lo tratteneva una
-qualche ricordanza.
-
-«So ch’è cosa tremenda, proseguì d’Artagnan; ma quando penso che noi
-uccidemmo Inglesi, Roccellesi, Spagnuoli, anco Francesi, i quali non ci
-avevano fatto mai altro male che pigliarci di mira collo schioppo senza
-coglierci, e non avevano avuto verso di noi altro torto che incrociare
-il loro ferro col nostro e non arrivare a tempo a parare, mi scuso per
-la mia parte nell’uccisione di quella femmina, in parola d’onore.
-
-«Io, disse Porthos, adesso che me lo avete rimesso in mente, caro
-Athos, rivedo la stessa scena come se ci fossi sempre. Milady era
-costà, dove voi siete (Athos impallidì); io stava nel posto dov’è ora
-d’Artagnan. Io avevo al fianco una spada che tagliava come una lama
-di Damasco; ve ne rammentate, Aramis, che la chiamavate la Balizarda?
-Or bene! vi giuro a tutti e tre, che se non vi fosse stato il boja di
-Bethune.... È di Bethune?.... sì sì, di Bethune.... avrei troncato il
-collo a quella scellerata, senza rimetterci le mani due volte, e anco
-rimettendole.... l’era una donna iniqua!
-
-«E poi, disse Aramis in tuono di non curante filosofia, a che giova
-pensare a tutto questo? quel ch’è stato è stato. Ci confesseremo di
-quest’azione nell’ora suprema, e Dio saprà meglio di noi se sia un
-delitto, un fallo, o un’azione meritoria. Pentirmene, voi mi direte? oh
-no, per Bacco! non me ne pento se non perchè era una donna.
-
-«Ciò che è più atto a metterci in quiete, osservò d’Artagnan, egli è
-che di tutto quel passato non rimane alcuna traccia.
-
-«Aveva un figlio, notò Athos.
-
-«Ah sì, lo so, disse d’Artagnan, e me ne avete parlato; ma chi sa
-poi che ne sia stato di lui? morto il serpe, estinto il covo! credete
-che di Winter suo zio abbia allevato quel serpentello? Di Winter avrà
-condannato il figliuolo siccome condannò la madre.
-
-«Allora, rilevò Athos, guai a di Winter, giacchè il bambino nulla aveva
-fatto, nulla!
-
-«Il bambino morì, o che il diavolo mi porti! seguitò Porthos. V’è tanta
-nebbia in quel brutto paese, almeno a quel che dice d’Artagnan».
-
-Nel punto in cui questa conclusione di Porthos era forse prossima a
-riportare un certo brio su tutte quelle faccie più o meno accigliate,
-si udì rumore di passi per la scala, e fu bussato all’uscio.
-
-«Entrate! disse Athos.
-
-«Signori, avvertì l’oste, v’è un giovanotto che con molta premura
-chiede di parlare ad uno di voi altri.
-
-«A quale? domandarono in quattro.
-
-«A quello che si chiama conte de la Fère.
-
-«Son io, rispose Athos. E che nome ha colui?
-
-«Grimaud.
-
-«Oh! fece Athos, e diveniva smorto in viso, digià tornato? E che mai
-sarà accaduto a Bragelonne?
-
-«Venga! ordinò d’Artagnan, venga pure!»
-
-Ma Grimaud aveva già fatta tutta la scala ed attendeva sull’ultimo
-gradino. Si slanciò nella stanza, e con un gesto licenziò il
-locandiere.
-
-Il locandiere richiuse l’usciale. I quattro gentiluomini rimasero in
-ansietà. L’azione di Grimaud, pallido, sudante, tutto malconcio dalla
-polvere che aveva addosso, annunziava esser egli messaggero di qualche
-nuova interessante e tremenda.
-
-«Signori, ei disse, quella donna aveva un bambino, il bambino è
-diventato un uomo; la tigre aveva un figliuoletto, ora il tigre è
-cresciuto, vi viene incontro, badate a voi!»
-
-Athos guardò i compagni con un sorriso malinconico; Porthos si
-cercava al fianco la spada che aveva appesa al muro, Aramis afferrò un
-coltello; d’Artagnan si rizzò in piedi.
-
-«Che vuoi tu dire, Grimaud? esclamò questi.
-
-«Che il figlio di Milady ha abbandonato l’Inghilterra, è in Francia,
-viene a Parigi, se a quest’ora non v’è.
-
-«Diamine! disse Porthos, sei sicuro?
-
-«Sicuro» confermò Grimaud.
-
-Lungo silenzio accolse questa dichiarazione. Grimaud era sì stanco ed
-ansante che cascò sopra una seggiola.
-
-Athos avendo riempito un bicchiere di vino di Sciampagna glielo recava.
-
-«Or bene, in sostanza, fece d’Artagnan, quando vivesse, quando venisse
-a Parigi, ne abbiamo vedute di più belle! che venga!
-
-«Sì, aggiunse Porthos esaminando con compiacenza il brando appeso alla
-parete, lo aspettiamo, venga!
-
-«E d’altronde, è un ragazzo!» rimarcò Aramis.
-
-Grimaud si levò fieramente.
-
-«Un ragazzo! gridò, sapete che cosa ha fatto quel ragazzo? Travestito
-da monaco ha scoperto tutta la storia in un colloquio avuto col boja di
-Bethune, il quale credendolo realmente tale, voleva confessarsi, e dopo
-aver da lui saputo tutto, gli ha piantato nel cuore questo pugnale.
-Ecco, esso è ancora rosso e bagnato, giacchè non sono più di trenta ore
-ch’è tratto fuori dalla piaga».
-
-E Grimaud gittò sulla tavola lo stiletto dimenticato dal finto frate
-nella ferita del boja.
-
-D’Artagnan, Porthos ed Aramis si alzarono con un movimento spontaneo, e
-corsero ad impugnare le spade.
-
-Athos solo restò seduto, quieto e pensoso.
-
-«E dici tu, Grimaud, ch’è vestito da monaco?
-
-«Sì.
-
-«E che uomo è egli?
-
-«Del mio personale, secondo mi riferì l’oste, magro, pallido, con occhi
-turchini chiari e capelli biondi.
-
-«E.... non ha veduto Raolo? domandò Athos.
-
-«Anzi, si sono incontrati, ed il visconte stesso lo ha condotto presso
-al letto del moribondo».
-
-Athos senza fiatare si levò a distaccare dal muro il suo brando.
-
-«Ehi, signori! disse d’Artagnan procurando di scherzare, ma sapete che
-facciamo la figura di tante donnicciuole? Come! noi quattro uomini,
-che senza far motto siamo stati a fronte a intere armate, ora tremiamo
-davanti ad un fanciullo!
-
-«Sì, replicò Athos, ma quel fanciullo viene in nome di Dio».
-
-E tutti uscirono in fretta dall’albergo.
-
-
-
-
-XXXIX.
-
-_Lettera di Carlo I._
-
-
-È d’uopo che adesso il leggitore passi con noi la Senna, e ci segua
-sino al convento delle Carmelitane in via di San Jacopo.
-
-Sono le undici della mattina, e le divote suore hanno fatto dire una
-messa pel buon successo delle armi del re Carlo I. Uscite di chiesa,
-una donna ed una giovinetta, vestite di nero, quella come una vedova e
-questa come un’orfanella, sono rientrate nella lor cella.
-
-La donna si è genuflessa sur un inginocchiatojo di legno tinto, e a
-poca distanza da lei la giovane appoggiandosi ad una sedia rimane in
-piedi e piange.
-
-La donna dev’essere stata bella; ma si scorge che le lacrime le hanno
-data l’apparenza di vecchia. La giovinetta è vaghissima, e le lacrime
-l’abbelliscono vie più. La donna mostra aver quarant’anni, la giovane
-ne ha quattordici.
-
-«Mio Dio! diceva la supplice genuflessa, deh! conservate il mio sposo,
-il mio figlio, e vi prendete questa mia vita tanto misera e trista.
-
-«Mio Dio! diceva l’altra, deh! conservatemi mia madre!
-
-«Vostra madre non può fare per voi più cosa alcuna in questo mondo,
-Enrichetta; fece volgendosi l’afflitta che pregava, essa non ha più
-trono, nè consorte, nè figlio, nè danari, nè amici; vostra madre è
-abbandonata dall’universo».
-
-E gittandosi nelle braccia della figliuola che si avanzava a
-sostenerla, proruppe ella pure in singulti.
-
-«Madre mia, fatevi coraggio! seguitò la fanciulla.
-
-«Ah! quest’anno i re sono sfortunati, rispose la più attempata posando
-la testa sulla di lei spalla, e nessuno in questo paese pensa a noi,
-chè ognuno pensa ai propri affari. Sino a tanto che fu con noi vostro
-fratello, ei mi sostenne, ma è partito, ed ora non può dar nuove di sè
-nè a me nè a suo padre. Io ho impegnate le ultime mie gioje, venduti
-i miei panni ed i vostri, onde pagare il salario a’ suoi servi, che
-ricusavano di accompagnarlo se non avessi fatto un tale sacrifizio.
-E noi siamo ridotte a vivere a spese delle figlie del Signore; siamo
-poverelle soccorse da Dio.
-
-«Ma perchè non vi rivolgete alla regina vostra sorella? domandò la
-zittella.
-
-«Ahimè! la regina mia sorella non è più regina, e un altro regna in
-nome di lei. Un giorno potrete comprendere questo.
-
-«Or bene, allora al re vostro nepote. Volete ch’io gli parli? Sapete
-quanto mi ama!
-
-«Ah! il re mio nepote non è ancor re, ed egli stesso, non lo ignorate,
-e venti volte ce lo disse Laporte, egli stesso è sprovvisto di tutto.
-
-«Dunque, volgiamoci a Dio» soggiunse la meschinella.
-
-E s’inginocchiò accanto alla genitrice.
-
-Le due donne così in orazione ad un medesimo inginocchiatojo erano la
-figlia e la nepote di Enrico IV, la moglie e la figliuola di Carlo I.
-
-Terminavano la duplice preghiera, quando una religiosa battè pian piano
-all’uscio della cella.
-
-«Entrate, sorella» disse la più attempata alzatasi ed asciugandosi gli
-occhi.
-
-La monaca schiuse la porta rispettosamente.
-
-«Vostra Maestà si compiacerà scusarmi se la disturbo nelle sue
-meditazioni, essa disse, ma v’è nel parlatorio un signore straniero
-arrivato dall’Inghilterra, che domanda l’onore di presentarle una
-lettera.
-
-«Oh! una lettera! forse del re!... Notizie di vostro padre, al certo!
-sentite, Enrichetta?
-
-«Sì, l’odo, e lo spero.
-
-«E chi è quel signore?
-
-«Un gentiluomo di quaranta a quarantacinque anni.
-
-«Il suo nome? ha detto il suo nome?
-
-«Milord di Winter.
-
-«Milord di Winter! l’amico del mio sposo! Ah, fatelo entrare!...»
-
-E la regina corsa incontro al messaggiero, gli prese la mano con la
-massima premura.
-
-Lord di Winter s’inginocchiò e porse un foglio arrotolato dentro un
-astuccio d’oro.
-
-«Ah! disse la regina, voi ci recate tre cose che da gran tempo non
-vedemmo: oro, un amico zelante, ed una lettera del nostro sposo e
-signore».
-
-Di Winter fece un altro saluto, ma non potè rispondere per la troppa
-commozione.
-
-«Milord, continuò la sovrana accennando la missiva, capite che ho
-ansietà di sapere che contenga questo foglio.
-
-«Signora, io mi ritiro.
-
-«No, trattenetevi: leggeremo davanti a voi: non capite che ho da farvi
-mille domande?»
-
-Di Winter retrocedè di alcuni passi, e rimase in piedi e in silenzio.
-
-Madre e figlia dal canto loro eransi ricovrate nel vano della finestra,
-e scorrevano la seguente epistola:
-
- «Signora e cara sposa
-
- «Eccoci giunti al termine. Tutte le risorse che mi ha lasciate
- Iddio sono concentrate in questo campo di Naseby, d’onde vi scrivo
- in fretta. Qua aspetto l’armata de’ miei sudditi ribelli, e vo a
- contrastare con essi anco una volta. Vincitore, fo perpetuar la
- lotta; vinto, sono del tutto rovinato. In quest’ultimo caso (ahimè!
- quando si è nel grado a cui noi siamo, tutto si dee prevedere)
- voglio tentare di arrivare alle coste di Francia. Ma si potrà, si
- vorrà ivi accogliere un infelice re che rechi sì funesto esempio
- in un paese digià sollevato dalle civili discordie? Mi serviranno
- di guida la vostra saviezza e il vostro affetto. Il latore della
- presente vi dirà ciò ch’io non posso affidare a’ rischi di un
- incidente qualunque. Esso vi spiegherà quali diligenze mi aspetto
- da voi. Gli commetto puranco di recare la mia benedizione a’ miei
- figli, insieme colle espressioni più cordiali per voi, signora e
- diletta sposa».
-
-La lettera era firmata, non già _Carlo re_, ma _Carlo ancora re_.
-
-La trista lettura, di cui di Winter osservava tutte le impressioni sul
-volto della regina, portò pur non ostante nelle di lei pupille un lampo
-di speme.
-
-«Che non sia pur re! ella esclamò, sia vinto, esule, proscritto, ma
-viva!... Ah! il trono è oggi un posto troppo periglioso per ch’io
-desideri ch’ei vi rimanga.... Ma ditemi, milord, non mi occultate
-nulla, dov’è egli? la sua situazione è tanto disperata quanto egli si
-crede?
-
-«Più disperata ch’ei non lo pensi, o signora. Sua Maestà ha il cuore
-sì buono che non comprende l’odio, sì leale che non si figura il
-tradimento. L’Inghilterra è attaccata da uno spirito di vertigine,
-ch’io temo non si estingua se non nel sangue.
-
-«Ma lord Montrose? Io aveva udito a parlare di grandi e rapidi
-successi, di battaglie guadagnate ad Inverlashy, ad Auldone, ad Alfort
-e a Kilsyth. Avevo inteso dire marciasse alla frontiera per riunirsi al
-suo re.
-
-«Sì, ma alla frontiera ha incontrato Lesly. Egli aveva stancata la
-vittoria a forza d’imprese sovrumane, e la vittoria lo ha abbandonato.
-Montrose battuto a Phillippaugh è stato costretto a licenziare i resti
-della sua armata ed a fuggire travestito da lacchè. Egli è a Bergen in
-Norvegia.
-
-«Dio lo salvi! disse la Regina. Almeno è una consolazione il sapere che
-siano in sicuro quei che tante volte arrischiarono per noi la propria
-vita. Ed ora che veggo la posizione del re quale essa è, cioè senza
-scampo, ditemi ciò di che siete incaricato dal mio regio sposo.
-
-«Or bene, rispose di Winter, il re brama che procuriate di penetrare le
-disposizioni del re e della regina a suo riguardo.
-
-«Ma lo sapete pure! il re è un bambinello, e la regina è una donna
-anche ben debole: il signor di Mazzarino è tutto.
-
-«Vorrebbe forse fare in Francia la parte che fa Cromvello in
-Inghilterra?
-
-«No no; è un Italiano scaltro e basso, che probabilmente sogna il
-delitto, ma non oserà mai commetterlo; ed al contrario di Cromvello
-che dispone di ambo le Camere a suo talento, Mazzarino non ha altro
-appoggio che la regina nel suo conflitto col Parlamento.
-
-«Allora, ragione di più perchè protegga un re contro il quale sono
-accaniti i Parlamenti».
-
-La regina scosse il capo, e disse con qualche amarezza:
-
-«Milord, se ho da giudicare da me stessa, il ministro non farà cosa
-alcuna, o forse anco sarà contro a noi. Già gli sono di peso la
-presenza mia e quella di mia figlia in Francia: tanto più quella del
-re. Milord! è cosa trista e quasi vergognosa a dirsi; ma noi abbiamo
-passato l’inverno al Louvre, senza danaro, senza panni, quasi senza
-pane, e spesso non alzandoci dal letto per mancanza di fuoco!
-
-«Orrore! esclamò di Winter, la figlia di Enrico IV, la moglie del re
-Carlo! E perchè non vi rivolgeste a qualunque di noi?
-
-«Ecco l’ospitalità che dà ad una regina il ministro a cui vuole il re
-ora richiederla.
-
-«Io però aveva udito a discorrere di un matrimonio tra monsignore
-principe di Galles e madamigella d’Orleans.
-
-«Sì, lo sperai per un momento; essi si amavano, ma la regina che
-sul principio avea secondato questo amore ha cangiato idee, ma il
-duca d’Orleans, che aveva incoraggito il cominciamento della loro
-familiarità, ha proibito alla figliuola di più pensare ad una tale
-unione. Ah! (continuava la regina senza nemmeno badare a tergere le
-lacrime) è meglio combattere come ha fatto il re, e morire come forse
-ei morrà, che vivere mendicando come fo io.
-
-«Coraggio, signora, coraggio! non disperate; gl’interessi della corona
-di Francia in questo punto tanto compromessi, sono di combattere la
-ribellione presso il popolo il più vicino. Mazzarino è uomo di Stato, e
-comprenderà questa necessità.
-
-«Ma siete sicuro, domandò la regina in atto di dubbio, di non essere
-prevenuto?
-
-«Da chi? fece di Winter.
-
-«Dai Joyce, dai Priedge, dai Cromvello.
-
-«Da un sartore! da un carrettiere! da un birrajo!... Oh! mi lusingo che
-il ministro non entrerebbe in alleanza con simili uomini.
-
-«Ed egli stesso che cos’è? seguitò Enrichetta.
-
-«Ma per l’onore del re, per quello della regina....
-
-«Animo, lusinghiamoci che faccia qualche cosa per questo onore; disse
-Enrichetta. Milord, un amico possiede una sì buona eloquenza che voi mi
-riconfortate. Sicchè datemi la mano, e andiamo dal ministro.
-
-«Signora, replicò di Winter inchinandosi, tanto onore mi confonde.
-
-«Però, alfine, se egli ricusasse, obiettò la regina, ed il re perdesse
-la battaglia?
-
-«Allora Sua Maestà si rifugierebbe in Olanda, dove ho inteso dire
-ch’era monsignore principe di Galles.
-
-«E Sua Maestà potrebbe per la sua fuga riposarsi sopra molti servi
-eguali a voi?
-
-«Ahimè! no; ma il caso è preveduto, ed io vengo a cercare in Francia
-degli alleati.
-
-«Alleati! ripetè la regina scuotendo il capo.
-
-«Pur ch’io ritrovi antichi amici ch’ebbi in passato, ribattè di Winter,
-e tutto garantisco.
-
-«Si vada, milord, riprese Enrichetta colla dolorosa dubitanza delle
-persone che furono per lungo tempo infelici, si vada, e Dio vi
-ascolti!»
-
-Ella salì in carrozza, e di Winter a cavallo, seguito da due domestici
-l’accompagnò vicino allo sportello.
-
-
-
-
-XL.
-
-_Lettera di Cromvello._
-
-
-Nel momento in cui Enrichetta lasciava il convento per recarsi al
-Palazzo Reale, smontava da cavallo al portone di quella dimora un tale
-che avvisava alle guardie aver cose importanti da dire al ministro.
-
-Sebbene Mazzarino avesse sempre paura, siccome aveva però anche più
-sovente bisogno d’informazioni e consigli, era molto accessibile. Non
-alla prima porta si trovava la vera difficoltà, facilmente si passava
-pure la seconda, ma alla terza invigilava oltre la guardia e gli
-uscieri il fido Bernouin, cerbero cui non rimuoveva parola alcuna, cui
-non incantava alcun ramo nemmeno se fosse stato d’oro.
-
-E quindi alla terza che accenniamo dovea subire l’interrogatorio
-formale quegli che chiedeva o reclamava un’udienza.
-
-L’uomo arrivato allora avendo lasciato il suo palafreno legato alle
-inferriate del cortile, salì la scala grande, e domandò alle guardie
-nella prima sala:
-
-«Il signor ministro?
-
-«Passate» quelle risposero senza alzare gli occhi, chi di su le carte
-e chi di su i dadi, e d’altronde contentissime di far capire che non
-toccava a loro il far l’uffizio di servitori.
-
-Il cavaliero entrò nella sala seconda. A questa stavano in custodia i
-moschettieri e gli uscieri.
-
-Ed egli ripetè la richiesta.
-
-«Avete una lettera d’udienza? disse un usciere avanzandosi incontro a
-lui.
-
-«Ne ho una, ma non del ministro.
-
-«Entrate, e fate ricerca del signor Bernouin».
-
-Ciò detto, l’usciere aprì la porta della terza stanza.
-
-Dietro a quella, o per caso o per abitudine, stava in piedi Bernouin,
-ed aveva inteso tutto.
-
-«Son io quello che cercate, egli disse; di chi è la lettera che recate
-a Sua Eccellenza?
-
-«Del generale Oliviero Cromvello; favorite dir questo nome a Sua
-Eccellenza, e riferirmi se vuol ricevermi o no» disse il sopraggiunto.
-
-E rimase là ritto nell’attitudine altera e triste, particolare ai
-puritani.
-
-Bernouin, dopo aver vôlto su tutta la persona del giovane uno sguardo
-indagatore, passò di nuovo nel gabinetto del ministro, a cui trasmise
-le parole del messaggiero.
-
-«Un uomo latore di una lettera di Oliviero Cromvello? disse Mazzarino,
-e che specie d’uomo?
-
-«Un vero Inglese, monsignore; capelli biondi rossicci, piuttosto
-rossicci che biondi; occhio grigio, turchino, piuttosto grigio che
-turchino, e in quanto al resto orgoglio e faccia tosta.
-
-«Dia il dispaccio.
-
-«Monsignore chiede il dispaccio, disse Bernouin venendo fuori dal
-gabinetto.
-
-«Monsignore non vedrà il dispaccio senza il portatore; rispose il
-giovane, ma per convincervi che realmente io l’ho, ecco, guardatelo».
-
-Bernouin guardò il suggello, e visto che il plico veniva veramente dal
-generale Oliviero Cromvello, si disponeva a tornare presso a Mazzarino.
-
-«Aggiungete, disse il forestiero, ch’io sono, non un semplice
-messaggiero, ma un inviato straordinario».
-
-Bernouin passò da capo di là, ed indi a pochi minuti secondi
-ricomparve, dicendo:
-
-«Entrate».
-
-E teneva l’uscio schiuso.
-
-Mazzarino aveva avuto d’uopo di tutte quelle gite in su ed in giù
-onde calmare l’emozione cagionatagli dall’annunzio di quel piego, ma
-per quanta perspicacia si avesse, cercava invano qual motivo potesse
-indurre Cromvello a porsi seco in comunicazione.
-
-Lo straniero si mostrò sulla soglia del gabinetto; teneva in una mano
-il cappello e nell’altra la lettera.
-
-Mazzarino si alzò.
-
-«Signore, disse, avete una lettera di raccomandazione per me?
-
-«Eccola, Eccellenza» rispose il giovine.
-
-Il ministro prese il foglio, lo dissigillò, e lesse:
-
- «Il signor Mordaunt, uno dei miei segretarj, consegnerà la
- presente lettera d’introduzione a Sua Eccellenza il signor ministro
- Mazzarino in Parigi; ed è latore puranco per Sua Eccellenza di una
- seconda lettera confidenziale».
-
- «Oliviero Cromvello».
-
-«Benissimo, signor Mordaunt, disse il ministro, datemi la seconda, e
-sedete».
-
-Il giovanetto si levò di tasca l’altro foglio, e lo diede e si assise.
-
-Intanto Mazzarino tutto assorto nelle sue riflessioni aveva presa
-la missiva, e senza disigillarla se la girava tra le dita; ma per
-confondere il messaggiero si mise ad interrogarlo al suo solito, e
-convinto com’era dall’esperienza che pochi potevano occultargli qualche
-cosa quando guatava fisso interrogando, disse a colui:
-
-«Signor Mordaunt, siete molto giovane per questo scabroso mestiere di
-ambasciatore; in cui male riescono talvolta i più vecchi diplomatici.
-
-«Monsignore, ho ventitrè anni, ma Vostra Eccellenza fa sbaglio nel
-dirmi che son giovane; ho maggiore età che l’Eccellenza Vostra, sebbene
-non abbia la di lei saviezza.
-
-«Come, come? replicò Mazzarino, non vi capisco.
-
-«Dico che gli anni del soffrire contano per doppi, ed io soffro da
-venti anni.
-
-«Ah sì, v’intendo, mancanze di fortune; siete povero, è vero?»
-
-Ed il ministro aggiunse fra sè:
-
-«Questi rivoluzionarj inglesi sono tutti miserabili e villani.
-
-«Monsignore, dovevo aver un giorno un patrimonio di sei milioni, ma mi
-fu preso.
-
-«Dunque non siete un uomo del volgo?
-
-«Se portassi il mio titolo, sarei lord; se portassi il mio nome,
-avreste udito uno dei nomi più illustri dell’Inghilterra
-
-«Come vi chiamate?
-
-«Mi chiamo Mordaunt, rispose il forestiero inchinandosi».
-
-Mazzarino si accorse che l’inviato di Cromvello bramava mantenersi
-incognito.
-
-Si tacque per un momento, ma in quel momento l’osservò anche con più
-attenzione di prima.
-
-L’altro se ne stava impassibile.
-
-«Maledetti questi puritani! brontolò piano il ministro, e’ son fatti di
-marmo».
-
-E poi ad alta voce:
-
-«Ma vi rimangono dei parenti.
-
-«Uno, monsignore.
-
-«E allora, vi ajuta?
-
-«Tre volte mi sono presentato per implorare il suo appoggio, ed
-altrettante mi ha fatto cacciar via da’ suoi domestici.
-
-«Oh mio Dio! caro signor Mordaunt, esclamò Mazzarino lusingandosi di
-far cadere in qualche laccio il suo interlocutore mediante la sua finta
-pietà, quanto m’interessa il vostro racconto! Sicchè non conoscete la
-vostra nascita?
-
-«Non la conosco se non da poco in qua.
-
-«E sino al momento che ne aveste cognizione?...
-
-«Mi consideravo come un fanciullo abbandonato.
-
-«Dunque non vedeste mai vostra madre?
-
-«Sì! quando ero bambino essa venne tre volte dalla mia balia;
-dell’ultima mi ricordo come se fosse oggi.
-
-«Avete buona memoria.
-
-«Oh sì, monsignore! replicò il giovane con un accento tanto singolare
-che il ministro si sentì un brivido nelle vene.
-
-«E chi vi allevava? domandò questi.
-
-«Una nutrice francese, la quale mi mandò via quando ebbi cinque anni,
-perchè nessuno la pagava più, nominandomi quel parente di cui spesso le
-aveva parlato mia madre.
-
-«E che faceste?
-
-«Mentre piangevo e mendicavo sulla strada maestra, un ministro di
-Kingston mi ricovrò, m’istruì nella religione calvinista, mi trasfuse
-tutta la scienza che aveva egli stesso, e mi ajutò nelle ricerche ch’io
-feci della mia famiglia.
-
-«E le ricerche?....
-
-«Sortirono infruttuose: il caso fece tutto.
-
-«Scopriste che ne fosse della vostra genitrice?
-
-«Seppi ch’era stata assassinata da quel congiunto ajutato da quattro
-amici suoi; ma già sapevo ch’ero stato degradato dalla nobiltà e
-spogliato di tutti i miei beni da Carlo I.
-
-«Ah! comprendo adesso perchè servite il signor Cromvello. Voi odiate il
-re.
-
-«Sì, monsignore, io l’odio».
-
-Mazzarino stupì nel mirare l’espressione diabolica apparsa sul viso
-al giovane mentre pronunciò queste parole; come i volti ordinarj si
-colorano di sangue e si arrossano, così il suo colorandosi di fiele
-diventò quasi livido.
-
-«È terribile la vostra storia, signor Mordaunt, e m’interessa
-oltremodo; ma per vostra buona sorte voi servite un padrone
-potentissimo. Esso deve ajutarvi nelle vostre indagini. Abbiamo tante
-maniere d’informazioni noi altri!
-
-«Monsignore, a un buon cane da caccia basta mostrare il principio di
-un’orma perchè arrivi di certo al fine della via.
-
-«Ma al congiunto del quale mi discorrevate, volete voi ch’io gli parli?
-domandò Mazzarino a cui premeva di farsi un amico presso a Cromvello.
-
-«Grazie, Eccellenza, gli parlerò da per me.
-
-«Ma non diceste che vi trattava male?
-
-«Mi tratterà meglio alla prima volta che lo vedrò.
-
-«Avete dunque un mezzo d’intenerirlo?
-
-«Ho un mezzo di farmi temere».
-
-Il ministro guardava il giovane che così favellavagli, ma al lampo
-che gli uscì dagli occhi egli abbassò la fronte, ed imbarazzato per
-continuare una tal conversazione, aperse la lettera di Cromvello.
-
-A poco a poco si oscurarono di nuovo le pupille del messaggiero, ed
-esso piombò in profonda meditazione. Mazzarino, dopo aver letti i primi
-versi, si azzardò a guardare sott’occhi se Mordaunt stesse attento ai
-cambiamenti della sua fisonomia, e vedutolo anzi indifferente, borbottò
-stringendosi nelle spalle:
-
-«Oh! andate a far fare le vostre faccende da genti che nello stesso
-tempo fan le loro proprie! Orsù, vediamo che si vuole da me con questo
-foglio».
-
-Noi ne riproduciamo il tenore preciso:
-
- «A Sua Eccellenza il ministro signor Mazzarino.
-
- «Monsignore,
-
- «Io ho voluto conoscere le vostre intenzioni in proposito degli
- affari attuali dell’Inghilterra. Troppo sono vicini i due regni
- perchè la Francia non si occupi della nostra situazione, siccome
- noi ci occupiamo di quella di lei. Gl’Inglesi sono quasi tutti
- unanimi per combattere la tirannia del re Carlo e dei suoi
- partigiani. Io, posto dalla pubblica fiducia alla testa di
- questo movimento, ne apprezzo meglio di chiunque la natura e
- le conseguenze. Oggi io fo la guerra, vo a dare una battaglia
- decisiva al re Carlo. La vincerò, perocchè ho meco la speranza
- della nazione e lo spirito del Signore. Vinta questa battaglia,
- il re non ha più risorse in Inghilterra nè in Iscozia, e se non
- è preso od ucciso, tenterà di passare in Francia onde reclutare
- soldati e riprovvedersi di armi e danaro. La Francia ha digià
- ricevuta la regina Enrichetta, e, senza dubbio involontariamente ha
- mantenuto un fuoco inestinguibile di guerra civile nel mio paese;
- ma Enrichetta è figlia della Francia, e dalla Francia le era dovuta
- l’ospitalità. Per il re Carlo la questione cambia di aspetto:
- accogliendolo e soccorrendolo, la Francia disapproverebbe gli atti
- del popolo inglese, e nuocerebbe cotanto all’Inghilterra, ed in
- particolare ai procedimenti del governo ch’essa vuol seguire, che
- un tale stato sarebbe equivalente a ostilità manifeste.
-
-A questo punto Mazzarino, inquietissimo per l’andamento che prendeva la
-missiva, cessò da capo di leggere e osservò alla sfuggita il Mordaunt.
-
-Questi stava tuttavia pensieroso, ond’egli seguitò:
-
- «È quindi urgente, monsignore, ch’io sappia quale idea farmi
- delle vedute della Francia. Gl’interessi di questo regno e quei
- dell’Inghilterra, sebbene diretti in senso inverso, sono fra loro
- più collegati che non possa credersi. L’Inghilterra ha bisogno
- di tranquillità interna per compiere l’espulsione del suo re; la
- Francia ha bisogno di questa tranquillità per consolidare il trono
- del suo giovane monarca. Voi avete d’uopo al pari di noi di quella
- pace interiore a cui noi siamo prossimi mercè l’energia del nostro
- governo.
-
- «Le vostre contese col parlamento, le clamorose vostre dissensioni
- coi principj che oggi combattono per voi e domani contro voi
- combatteranno, la tenacità popolare diretta dal coadjutore, dal
- presidente Blancmesnil e dal consigliere Broussel; finalmente
- tutto quel disordine che va percorrendo i diversi gradini dello
- stato, deve farvi considerare con inquietudine l’eventualità di una
- guerra estera, poichè allora l’Inghilterra agitata dall’entusiasmo
- delle idee nuove farebbe alleanza colla Spagna che digià brama
- questa unione. Io ho pensato adunque, monsignore, conoscendo la
- vostra prudenza e la situazione individuale in cui vi pongono
- oggi gli avvenimenti, che preferireste concentrare le vostre forze
- nell’interno del regno di Francia, ed abbandonare alle sue proprie
- il nuovo governo dell’Inghilterra. Questa neutralità consiste
- soltanto ad allontanare il re Carlo dal territorio di Francia, e
- non soccorrere nè con armi, nè con danari, nè con truppe, quel re
- affatto straniero al vostro paese.
-
- «Così la mia lettera è del tutto confidenziale, e perciò ve la
- spedisco per mezzo di un soggetto avente l’intima mia fiducia. Per
- un sentimento che Vostra Eccellenza apprezzerà, essa precederà le
- misure che io prenderò secondo le circostanze. Oliviero Cromvello
- ha stimato che fosse meglio far intendere la ragione ad una
- mente intelligente com’è quella di Mazzarino, che ad una regina,
- certamente ammirabile per la sua fermezza, ma troppo sottomessa ai
- vani pregiudizi della nascita e del regio diritto.
-
- «Addio, monsignore; se non ho risposta fra quindici giorni, terrò
- questa mia come non avvenuta.
-
- «Oliviero Cromvello».
-
-«Signor Mordaunt, disse alzando la voce il ministro, quasi per destare
-il gran meditatore, la mia risposta a questo dispaccio sarà tanto
-più soddisfacente pel generale Cromvello quanto io sarò più sicuro
-che non si sappia avergliela io data. Sicchè andate ad attenderla a
-Boulogne-sur-mer, e promettetemi di partire domattina.
-
-«Ve lo prometto, monsignore; ma quanti giorni Vostra Eccellenza me la
-farà attendere?
-
-«Se non l’avete ricevuta fra dieci giorni, potete partire».
-
-Mordaunt fece un inchino.
-
-«Questo non basta, continuò Mazzarino, le vostre particolari avventure
-mi hanno interessato al sommo; inoltre il dispaccio del signor
-Cromvello vi rende agli occhi miei importante come ambasciadore. Ditemi
-pure, ve lo ripeto, che posso fare per voi?»
-
-Il giovane riflettè un momento, e dopo una visibilissima titubanza era
-per aprir bocca e parlare, ma entrò colà precipitosamente Bernouin, e
-chinatosi all’orecchio al ministro gli discorse piano.
-
-«Monsignore, gli disse, la regina Enrichetta accompagnata da un
-gentiluomo inglese arriva in questo punto al palazzo reale».
-
-Mazzarino fece un balzo sulla seggiola, e questo osservato da Mordaunt
-gli trattenne sul labbro la confidenza che a fare si accingeva.
-
-«Signore, disse il ministro, avete inteso, non è vero? io vi prefiggo
-Boulogne, nell’idea che qualunque città di Francia vi sia indifferente;
-se un’altra ne preferite, nominatela; ma comprenderete facilmente che
-in mezzo a tante influenze alle quali non mi sottraggo se non a forza
-di segretezza, desidero che non sia nota la vostra presenza in Parigi.
-
-«Partirò, Eccellenza, rispose Mordaunt, muovendo alcuni passi verso
-l’uscio da cui era entrato.
-
-«Non di là, no! esclamò con impeto il Mazzarino, compiacetevi passare
-da questa galleria da dove arriverete nell’atrio. Bramo che non siate
-veduto ad uscire. Il nostro abboccamento deve rimaner segreto».
-
-Mordaunt andò con Bernouin, che lo fece passare in un salotto contiguo
-e lo consegnò ad un usciere indicandogli la porta d’onde avesse da
-andarsene.
-
-E Bernouin tornò in fretta dal suo padrone per introdurre presso di lui
-la regina Enrichetta, che già traversava dalla galleria dei cristalli.
-
-
-
-
-XLI.
-
-_Mazzarino ed Enrichetta._
-
-
-Il ministro si alzò e si fece sollecito a ricevere la regina
-d’Inghilterra. La raggiunse in mezzo alla galleria che precedeva il
-gabinetto.
-
-Ei dimostrava tanto maggior rispetto a quella sovrana senza seguito
-nè vestiario di lusso, in quanto che aveva da farsi qualche rimprovero
-sulla sua avarizia e sul suo cattivo cuore.
-
-Ma i supplicanti sanno forzare il proprio volto ad assumere qualunque
-sembianza, e la figlia di Enrico IV sorrideva venendo dinanzi a colui
-che abborriva e disprezzava.
-
-«Ah! fece tra sè Mazzarino, che viso dolce! venisse mai a chiedermi
-danaro a prestito?»
-
-E diede un’occhiata di mal umore al suo forziere; tirò anche in
-dentro il castone del magnifico diamante il di cui fulgore attraeva
-gli sguardi sulla sua mano che d’altronde era bianca e ben fatta.
-Disgraziatamente quell’anello non aveva la virtù di quello di Gygés che
-rendeva il suo padrone invisibile quando faceva l’atto allora fatto da
-Mazzarino.
-
-Ora, il ministro avrebbe bramato assai di essere invisibile in
-quell’istante, giacchè indovinava ch’Enrichetta si recasse da lui a
-domandargli qualche cosa: tosto che una regina da esso trattata tanto
-male compariva col sorriso sul labbro, invece che in tuono minaccioso,
-arrivava di certo a supplicare e non altro.
-
-«Signore, disse l’augusta visitante, sul primo avevo idea di ragionare
-dell’affare che qui mi conduce colla regina mia sorella, ma ho
-riflettuto che le faccende politiche riguardano innanzi a tutto gli
-uomini.
-
-«Vostra Maestà creda pure, rispose il ministro, che ella mi confonde
-con questa lusinghiera distinzione.
-
-«È assai grazioso, pensò la regina; che avesse capito tutto?»
-
-Erano nel gabinetto. Mazzarino fece sedere Enrichetta, e poi le disse:
-
-«Date gli ordini vostri al più rispettoso dei vostri servi.
-
-«Ohimè! ella replicò, ho perduta l’abitudine di dar ordini, e ho preso
-quella di far delle preghiere. Ed una vengo ad avanzare a voi, ben
-fortunata se può essere esaudita.
-
-«Vi ascolto, signora.
-
-«Si tratta della guerra che il re mio consorte sostiene contro i suoi
-sudditi ribelli. Forse ignorate che in Inghilterra v’hanno continui
-combattimenti, ed altri ve ne avranno tra poco, molto più decisivi che
-sinora non fossero?
-
-«Lo ignoro del tutto. (Ed il ministro si stringeva nelle spalle nel
-pronunziare queste parole) eh! le guerre nostre occupano abbastanza il
-tempo e la mente di un povero ministro inetto ed infermo quale io sono.
-
-«Or bene, io dunque vi dirò che Carlo I mio sposo è alla vigilia
-d’impegnare un’azione decisiva. In caso di perdita (Mazzarino fece un
-movimento).... bisogna preveder tutto.... in caso di perdita, desidera
-ritirarsi in Francia e viver quivi da semplice suddito. Che dite di tal
-progetto?»
-
-Mazzarino aveva ascoltato senza che alcuna fibra del suo viso
-manifestasse l’impressione ch’ei risentiva; intanto il suo sorriso si
-manteneva al solito finto e carezzevole, ed allorchè Enrichetta ebbe
-terminato, ei rispose con la voce più melliflua che potesse:
-
-«E credete, signora, che la Francia agitata e bollente com’è per sè
-stessa, sia un porto di salvezza per un re balzato dal soglio? La
-corona sta digià poco solida sulla testa al re Luigi XIV, come potrebbe
-egli sopportare un duplice peso?...
-
-«Codesto peso non è stato molto grave in quanto concerne me, interruppe
-Enrichetta, ed io non chiedo che pel mio consorte si faccia più di ciò
-che per me fu fatto. Vedete che siamo re assai modesti!
-
-«Oh! voi, signora, si affrettò a soggiungere Mazzarino onde troncare
-le spiegazioni che vedeva prossime, per voi è tutt’altro; una figlia di
-Enrico IV, una figlia di quel re, grande, sublime....
-
-«Lo che non v’impedisce di ricusare ospitalità al suo genero, non
-è così? Eppure dovreste ricordarvi che quel re, grande, sublime,
-proscritto un giorno secondo ora sarà il mio marito, andò a chiedere
-soccorso all’Inghilterra, e questa glielo diede: vero è però che la
-regina Elisabetta non era sua nepote.
-
-«Peccato! fece Mazzarino imbrogliato da quella logica sì semplice,
-Vostra Maestà non mi capisce; giudica male le mie intenzioni, e senza
-dubbio perchè mi spiego poco bene in francese.
-
-«Parlate in italiano. La regina Maria dei Medici nostra madre ne
-insegnò quell’idioma innanzi che Richelieu vostro predecessore la
-mandasse a morire nell’esiglio. Se alcun che è pur rimasto di quel
-grande e sublime re Enrico del quale testè faceste menzione, oh! deve
-meravigliare al sommo di codesta ammirazione profonda per lui congiunta
-a così poca pietà per la sua famiglia».
-
-A Mazzarino colavano dalla fronte grosse goccie di sudore.
-
-«Anzi, signora, ripigliò senza accettare l’offerta della sovrana di
-esprimersi in altra lingua, questa ammirazione è tanto grande e verace,
-che se il re Carlo I, che Iddio lo salvi da ogni disgrazia! venisse in
-Francia, io gli esibirei la mia casa, sì, la mia; ma ohimè! sarebbe un
-ricovero poco sicuro. Un giorno o l’altro il popolo incendierà questa
-abitazione come fece con quella del maresciallo d’Ancre. Povero Concino
-Concini! eppure ei voleva soltanto il bene della Francia.
-
-«Sì, Eccellenza, come voi», fece ironicamente la regina.
-
-Mazzarino finse di non capire il doppio senso della frase detta da lui
-stesso, e continuò a commiserare la sorte di Concino Concini.
-
-«Ma insomma, che mi rispondete? domandò Enrichetta impazientitasi.
-
-«Ah signora! egli esclamò più intenerito che mai, Vostra Maestà
-mi permetterebbe di darle un consiglio? bene inteso che innanzi di
-prendermi tanto ardire, comincio dal pormi ai piedi della Maestà Vostra
-per ciò che a lei piaccia.
-
-«Dite pure; il consiglio di un uomo sì prudente come voi siete deve
-essere indubitatamente buonissimo.
-
-«Credete a me, signora, il re deve difendersi sino alla fine.
-
-«Lo ha fatto, e quest’ultima battaglia che è per dare con mezzi di gran
-lunga inferiori a quelli de’ suoi nemici, prova che non ha intenzione
-di arrendersi senza aver pugnato; ma in conclusione, nel caso che fosse
-vinto?...
-
-«In tal caso, so che ardisco di troppo esternando a Vostra Maestà la
-mia opinione, ma io penso che il re non deve abbandonare il suo regno;
-si dimenticano presto i re assenti: s’ei passa in Francia, è perduta la
-sua causa.
-
-«Ma allora, se questo è il vostro parere, se veramente vi interessate
-a lui, mandategli qualche soccorso in uomini e in danari, perchè io
-nulla posso più fare a suo pro; per aiutarlo ho venduto sino all’ultimo
-diamante che possedevo; nulla più mi rimane, e voi lo sapete meglio
-di chiunque. Se mi fossero restate delle gioje, avrei col prodotto di
-queste comperata la legna necessaria per riscaldar me e mia figlia in
-questo inverno.
-
-«Ah! replicò il ministro, Vostra Maestà, non sa qual domanda mi faccia!
-Dal giorno in cui un soccorso di esteri entra al servizio di un re onde
-porlo nuovamente sul trono, si viene a riconoscere ch’ei non abbia più
-ajuto nell’amore dei suoi sudditi.
-
-«Alla sostanza, signor Mazzarino, alla sostanza! disse la regina
-infastidita di seguire quello spirito scaltrissimo nel laberinto di
-parole fra cui si smarriva, rispondetemi o sì o no. Se il re persiste
-a rimanere in Inghilterra, gli invierete dei soccorsi? se viene in
-Francia, gli darete ospitalità?
-
-«Signora, conchiuse il ministro ostentando la maggiore franchezza,
-spero mostrare adesso a Vostra Maestà quanta sia la mia devozione
-per lei, e quanto io brami di terminare un affare che tanto le sta a
-cuore; dopo di che, mi figuro che ella non dubiterà più del mio zelo a
-servirla».
-
-Enrichetta si mordeva le labbra, e si agitava smaniosa sulla sedia
-ov’era assisa.
-
-«Ebbene, che farete? sentiamo, parlate!
-
-«Vado immediatamente a consultare la regina su questa questione, e indi
-rimetteremo subito la cosa al Parlamento.
-
-«Col quale voi siete in guerra, non è così? Incaricherete come relatore
-Broussel? Eh basta, basta, signor mio! Vi comprendo, ed ho agito male.
-Andate infatti al Parlamento, poichè da quel Parlamento nemico del re
-sono venuti alla figlia del grande, del sublime Enrico IV, che tanto
-ammirate, i soli sussidj che le abbiano impedito di morir di fame e di
-freddo in questo inverno!»
-
-Ed Enrichetta si alzò in atto di maestosa indignazione.
-
-Il ministro stese le mani giunte verso di lei.
-
-«Ah signora! mio Dio, come poco mi conoscete!»
-
-Ma la regina, senza nemmeno voltarsi dalla parte di quello che spargeva
-finte lacrime, s’incamminò sino all’uscio del gabinetto, lo aperse, ed
-in mezzo alle numerose guardie dell’Eccellenza, ai cortigiani assidui
-a farle la corte, al lusso di una regina rivale, andò a prendere per
-mano di Winter, rimasto solo, in piedi ed isolato.... povera sovrana
-ormai decaduta davanti alla quale tutti s’inchinavano ancora per mera
-etichetta, ma che infatti non aveva più che un braccio su cui potesse
-appoggiarsi.
-
-«Non importa, disse Mazzarino quando fu solo, mi ha dato non poco
-tormento, e mi tocca una parte assai difficile.... Io però non ho detto
-niente nè all’uno nè all’altra.... Uhm! il Cromvello è un terribile
-cacciatore di re; compiango i suoi ministri, qualora arrivi mai a
-prenderne.... Bernouin!»
-
-Comparve Bernouin.
-
-«Si veda subito se il giovane con il giubbetto nero e i capelli corti
-che dianzi introduceste da me è tuttora in palazzo».
-
-Bernouin uscì.
-
-Mazzarino impiegò il tempo della sua assenza a girare di nuovo in fuori
-il castone dell’anello, a stropicciare il brillante, ad ammirarne la
-bellissima acqua, e siccome aveva ancora negli occhi una lagrima che
-gli offuscava la vista, scosse il capo per farla cadere.
-
-Tornò Bernouin con Comminges ch’era di guardia.
-
-«Monsignore, disse quest’ultimo, mentre accompagnava il giovane di
-cui Vostra Eccellenza fa ricerca, egli si è accostato alla porta coi
-cristalli della galleria, ed ha guardato con meraviglia qualche cosa,
-sicuramente il bel quadro di Raffaello che le sta dirimpetto: poi ha
-pensato un poco, ed ha scesa la scala. Mi è sembrato di vederlo montare
-sopra un cavallo grigio ed uscire dal cortile del palazzo. Ma Vostra
-Eccellenza non va dalla regina?
-
-«A che fare?
-
-«Il signor di Guitaut, mio zio, mi ha detto adesso che Sua Maestà aveva
-ricevuto notizie dall’armata.
-
-«Va bene, vado subito».
-
-Nell’istante capitò il signor di Villequier; veniva infatti a chiamare
-il ministro a nome della regina.
-
-Comminges avea veduto bene, e Mordaunt aveva agito precisamente
-com’egli raccontava. Traversando la galleria paralella a quella co’
-cristalli adocchiò di Winter, il quale attendeva ch’Enrichetta avesse
-terminate le sue trattative.
-
-A tal vista Mordaunt si fermò ritto, non già ad osservare il quadro
-di Raffaello, ma come affascinato dall’aspetto di un oggetto tremendo;
-gli si dilatarono le pupille, gli corse un brivido in tutte le membra,
-pareva che volesse penetrare fra quell’argine di vetro che lo separava
-dal suo nemico, imperocchè se Comminges avesse abbadato all’espressione
-di odio con cui il giovane fissava il ciglio sopra di Winter, di
-leggieri si sarebbe accorto che quel signore inglese era suo mortale
-nemico.
-
-Ma egli si fermò, e certamente per riflettere, poichè invece di
-lasciarsi trasportare dal suo primo impulso, ch’era di andare
-direttamente incontro a milord di Winter, scese lentamente la scala,
-uscì dal palazzo a testa bassa, si pose in sella, si trasse col cavallo
-sul canto della via Richelieu, ed ivi con gli occhi fissi sul cancello,
-attese che dal cortile si partisse la carrozza della regina.
-
-Nè fu lunga la sua aspettativa, mentre Enrichetta erasi trattenuta
-da Mazzarino appena un quarto d’ora; ma il quarto d’ora parve un
-secolo a lui che aspettava. Finalmente la grave macchina che in allora
-chiamavasi carrozza venne fuori con gran rumore, e di Winter sempre a
-cavallo si chinò di nuovo allo sportello per discorrere con Sua Maestà.
-
-I cavalli si mossero di trotto, s’incamminarono al Louvre, ed ivi
-entrarono. Innanzi di partirsi dal convento dei Carmelitani, Enrichetta
-aveva detto alla sua figlia che venisse ad attenderla al palazzo, dove
-aveva dimorato per molto tempo, e indi da lei abbandonato perchè la lor
-miseria pareva ad esse più grave ancora nelle sue sale dorate.
-
-Mordaunt seguitò il cocchio, e quando lo ebbe veduto entrare sotto
-l’arcata oscura, andò col suo corsiero ad accostarsi ad un muro su
-cui stendevasi l’ombra, e restò immobile in mezzo alle modanature di
-Giovanni Goujon, non dissimili da un bassorilievo che rappresenti una
-statua equestre.
-
-Aspettava, conforme avea già fatto al palazzo reale.
-
-
-
-
-XLII.
-
-_Come gl’infelici confondono talvolta il caso con la Provvidenza._
-
-
-«Ebbene, signora? domandò di Winter allorchè la regina ebbe licenziati
-i servitori.
-
-«Ebbene, milord, accadde quel che avevo preveduto.
-
-«Ricusa?
-
-«Non ve lo avevo detto prima?
-
-«Il ministro ricusa di ricevere il re, la Francia ricusa ospitalità ad
-un principe infelice? è questa la prima volta!
-
-«Non dissi la Francia, milord, dissi il ministro, ed il ministro non è
-tampoco francese.
-
-«Ma la regina l’avete vista?
-
-«È inutile, rispose Enrichetta scuotendo mestamente la testa, non
-dirà di sì la regina quando Mazzarino ha detto di no. Non sapete che
-quell’italiano guida tutto, e nell’interno e fuori? V’è di più, ed io
-ritorno a quel che vi ho avvertito: non mi sorprenderebbe che fossimo
-stati prevenuti da Cromvello. Nel parlarmi egli era in sommo imbarazzo,
-e nulladimeno saldo nella volontà di negar tutto. E poi, avete
-osservato la grande agitazione al palazzo reale, l’andare e venire
-di tanta gente affaccendata? Che avessero ricevuta qualche notizia,
-milord?
-
-«Non certo d’Inghilterra, o signora; io ho operato con tal
-sollecitudine da starmi sicuro di non essere stato prevenuto; sono
-partito tre giorni fa, sono passato per miracolo in mezzo all’armata
-puritana, ho presa la posta con Tony, mio lacchè, ed i cavalli che
-abbiamo furono da noi comprati a Parigi. D’altronde son sicuro che
-il re, avanti di arrischiar niente, attenderà la risposta di Vostra
-Maestà.
-
-«Milord, replicò disperata la regina, voi gli riferirete che nulla io
-posso fare, che ho sofferto al pari di lui e più; costretta qual sono a
-mangiare il pane dell’esigilo e chiedere l’ospitalità a falsi amici che
-si ridono delle mie lacrime, e che in quanto alla sua regia persona,
-sarà d’uopo che si sacrifichi generosamente e muoja da re. Ed io ne
-andrò a morire al di lui fianco.
-
-«Signora, signora! esclamò di Winter, Vostra Maestà si abbandona allo
-scoraggiamento, e forse ancor ci rimane qualche lusinga.
-
-«Non più amici, milord! non più amici nel mondo intero, fuori che
-voi.... Mio Dio, mio Dio! gridò Enrichetta alzando le braccia verso
-il cielo, ritraeste a voi tutti i cuori generosi ch’esistevano sulla
-terra!
-
-«Io spero di no...., seguitò di Winter pensoso, vi ho parlato di
-quattro uomini.
-
-«Che volete fare con quattro uomini?
-
-«Quattro pieni di zelo, quattro pronti a morire, possono molto,
-signora, e quelli di che io vi discorro fecero molto in un certo tempo.
-
-«E dove son essi?
-
-«Ah! questo è quello che non so. Da quasi venti anni gli ho perduti di
-vista; eppure in tutte le occasioni in cui ho veduto il re in pericolo
-ho ripensato a loro.
-
-«Ed erano vostri amici?
-
-«Uno di essi ebbe tra le sue mani la mia vita, e me la rese; ignoro se
-sia rimasto mio amico, ma io almeno da quell’epoca sono restato amico
-suo.
-
-«E sono in Francia coloro?
-
-«Così credo.
-
-«Ditene i nomi! forse gli avrò intesi menzionare, e potrò ajutarvi
-nelle vostre ricerche.
-
-«Uno chiamavasi cavaliere d’Artagnan.
-
-«Oh milord! se non m’inganno, quel cavaliere d’Artagnan è tenente delle
-guardie.... ho udito, sì, nominarlo.... ma badate.... quegli mi fa
-paura, è tutto del ministro.
-
-«Allora poi, fece di Winter, sarebbe l’ultima sciagura, e comincierei a
-credere che avessimo davvero la maledizione addosso.
-
-«Ma gli altri, gli altri! continuò la regina che si afferrava a
-quest’ultima speme come un naufrago ai rottami della nave, gli altri,
-gli altri!
-
-«Il secondo.... lo seppi per caso, giacchè innanzi di battersi contro a
-noi i gentiluomini ci avevano dato i loro nomi, il secondo era il conte
-di la Fère... Per i due rimanenti, l’abitudine che avevo a chiamarli
-con nomi posticci mi fece dimenticare quelli veri.
-
-«Ohimè! e sarebbe però urgente di ritrovarli, soggiunse la regina,
-poichè stimate che quei degni gentiluomini possano essere tanto utili
-al re!
-
-«Oh sì, signora! perchè sono quegli stessi, ascoltatemi bene e
-riproducetevi tutte le vostre rimembranze. Non vi fu narrato come la
-regina Anna fosse in addietro salvata dal maggior periglio a cui mai si
-esponesse una sovrana?
-
-«Sì, a tempo de’ suoi amori con Buckingham, e non so per quale
-scrignetto di gioje.
-
-«Appunto, appunto.... coloro sono quegli stessi che la salvarono, ed
-in me muove un sorriso di pietà il pensare che se i lor nomi noti non
-sono a voi, o signora, egli è perchè Anna li dimenticò, mentre avrebbe
-dovuto farli primi signori del suo reame.
-
-«Or dunque, milord, è d’uopo rintracciarli; ma che potranno fare
-quattro uomini, o piuttosto tre, poichè ve lo dico, non dobbiamo
-contare sopra d’Artagnan.
-
-«Sarebbe una buona spada di meno, non lo nego, ma ne resterebbero
-sempre tre altre, senza far caso della mia; e quattro zelanti attorno
-al re a guardarlo da’ suoi nemici, ad assisterlo in battaglia, ad
-ajutarlo in consiglio, a scortarlo nella fuga, sarebbero bastanti, non
-per rendere vincitore il re, ma per salvarlo se fosse vinto, per dargli
-mano a tragittare il mare; e, per quanto ne dica Mazzarino, il vostro
-regio sposo, giunto una volta sulle coste di Francia, vi troverebbe
-asili e ricoveri quanti ne trova l’augello marino in tempo di procella.
-
-«Milord, cercate, cercate quei gentiluomini, e se li rinvenite, e se
-aderiscono a recarsi con voi in Inghilterra, io darò a ciascuno di
-essi un Ducato nel giorno in cui ascenderemo nuovamente sul trono,
-ed inoltre tant’oro quanto ne occorrerebbe a rifare il pavimento del
-castello di White-Hall. Oh, cercate, milord! cercate! ve ne scongiuro.
-
-«E lo farei, signora, e di sicuro li rinverrei, ma mi manca il tempo.
-Si è forse scordata Vostra Maestà che il re attende, e nella massima
-angoscia, la sua risposta?
-
-«Allora siamo perduti! esclamò la regina in tutto lo sfogo di un cuore
-squarciato».
-
-Nel momento fu aperto l’uscio; comparve la giovane Enrichetta, e la
-regina, con quella forza sublime che è tutto l’eroismo delle madri
-si rimandò in fondo al petto le lacrime facendo cenno a di Winter di
-cambiar discorso.
-
-Quella variazione però, comunque fatta abilmente, non isfuggì alla
-principessina; essa si fermò sulla soglia, e dando un sospiro, domandò:
-
-«Madre mia, e perchè sempre piangete senza di me?»
-
-La genitrice sorrise, e invece di risponderle disse:
-
-«A voi, di Winter, almeno ad esser regina soltanto per metà ha
-guadagnato qualche cosa, cioè che i miei figli mi chiamino _madre mia_
-anzi che dirmi _signora_».
-
-E voltasi alla fanciulla:
-
-«Che volete, Enrichetta?
-
-«Entra ora appunto al Louvre un cavaliero, e chiede di presentare
-i suoi ossequj a Vostra Maestà; viene dall’armata, e dice avere una
-lettera da consegnarvi, se non isbaglio, per parte del maresciallo di
-Grammont.
-
-«Ah! fece la regina indirizzandosi a di Winter, è uno dei miei fidi....
-Ma non osservate, caro lord, che stiamo tanto meschinamente riguardo a
-servitù, che la mia figliuola adempie le funzioni d’introduttrice?
-
-«Signora! disse di Winter, abbiate pietà di me, voi mi straziate
-l’anima!
-
-«E chi è quel cavaliero, Enrichetta?
-
-«L’ho veduto dal balcone; è un giovane che mostra avere appena sedici
-anni, chiamato visconte di Bragelonne».
-
-La regina fe’ un cenno col capo, la principessa riaprì la porta, e
-presentossi Raolo.
-
-Il quale mossi tre passi verso la sovrana, s’inginocchiò dicendo:
-
-«Io reco a Vostra Maestà una lettera del mio amico signor conte di
-Guiche, che mi ha detto aver l’onore di essere fra i vostri servi;
-questa contiene una importante notizia e le proteste del suo rispetto».
-
-Al nome del conte di Guiche si copersero di rossore le guancie della
-giovinetta; la genitrice la guardò in atto alquanto severo.
-
-«Ma Enrichetta, ella le disse, mi avete riferito essere la lettera del
-maresciallo di Grammont.
-
-«Così credevo, signora, quella balbettò.
-
-«È mia la colpa, replicò Raolo, difatti io mi annunziai come venuto per
-incarico del maresciallo; ma egli ferito nel braccio diritto, non fu in
-grado di scrivere, ed il conte di Guiche gli fece da segretario.
-
-«Vi è stata dunque battaglia? chiese la regina indicando a Bragelonne
-con un gesto di alzarsi.
-
-«Sì signora», costui rispose.
-
-E diè il foglio a di Winter, che già avanzatosi a riceverlo lo
-trasmetteva alla sovrana.
-
-Alla nuova di un combattimento la giovane principessa schiuse il labbro
-per fare una domanda che senza dubbio la interessava, ma non proferì un
-accento, e le belle rose venutele dapprima sul volto a grado a grado si
-dileguarono.
-
-La regina osservò tutti quei moti, e convien dire che il materno suo
-cuore li traducesse in parole, poichè interrogò così Raolo:
-
-«E non è accaduto alcun danno al contino di Guiche? chè non solo è fra’
-nostri servi, conforme vi disse, ma è ancora nostro amico.
-
-«No signora, al contrario, si è acquistata in questa giornata
-grandissima gloria, ed ha avuto l’onore di ricevere un solenne
-abbraccio dal signor Principe sul campo di battaglia».
-
-La principessina battè palma a palma, ma indi vergognandosi di essersi
-portata a tale dimostrazione di allegrezza si girò verso un vaso di
-fiori, e si chinò come a respirarne la fragranza.
-
-«Si veda cosa ci partecipa il conte, disse la regina.
-
-«Ho prevenuta Vostra Maestà ch’egli scriveva in nome di suo padre, fece
-Raolo.
-
-«È vero, ella replicò».
-
-E disigillò il piego.
-
- «Mia signora e regina.
-
- «Non potendo aver l’onore di scrivervi da per me, per ragione di
- una ferita statami fatta al braccio destro, vi supplisco per mano
- di mio figlio, conte di Guiche, che voi conoscete esser vostro
- servo pari di me, onde annunziarvi che abbiamo vinta la battaglia
- di Lens, e che questa vittoria non potrà a meno di dar molto potere
- al ministro Mazzarino ed alla regina sugli affari dell’Europa.
- Vostra Maestà, adunque, ove le piaccia attenersi al mio consiglio,
- approfitti del momento per insistere in favore del suo augusto
- sposo presso al governo del re. Il signor di Bragelonne, che
- avrà l’onore di consegnarvi il presente dispaccio, è amico di mio
- figlio, a cui secondo ogni probabilità ha egli salvata la vita;
- è un gentiluomo, al quale la Maestà Vostra può totalmente fidarsi
- in caso che avesse da farmi pervenire qualche ordine verbale o in
- iscritto.
-
- «Mi rassegno rispettosamente, ec.
-
- «Maresciallo di Grammont».
-
-Nel punto in cui si trattava del servigio renduto al conte, Raolo
-non aveva potuto astenersi dal volgere la testa verso la giovane
-principessa, e per sè stesso avea visto passare nei di lei occhi
-un’espressione d’immensa gratitudine. Non v’era dunque più dubbio, la
-figlia del re Carlo I amava l’amico di lui.
-
-«Vinta la battaglia di Lens! disse la regina, son fortunati, qui;
-vincono delle battaglie!... Sì, il maresciallo di Grammont ha ragione,
-con ciò cangieranno aspetto i loro affari; ma io temo che non faccia
-niente ai nostri, se pure non nuoce. Questa nuova è recente, vi sono
-grata, signore, di avermela recata con tal sollecitudine; senza di voi,
-senza la lettera, non l’avrei saputa che domani, domani l’altro, forse
-l’ultima in tutta Parigi.
-
-«Signora, rispose Raolo, il Louvre è il secondo palazzo ove sia giunta
-la notizia; nessuno la conosce ancora, ed io aveva giurato al signor
-conte di Guiche di consegnare il plico a Vostra Maestà anche innanzi di
-avere abbracciato il mio tutore.
-
-«Il vostro tutore è come voi un Bragelonne? domandò lord di Winter; io
-conobbi in passato un Bragelonne: vive egli sempre?
-
-«No signore, è morto, e da lui il mio tutore di cui era prossimo
-parente, a quanto io creda, ha ereditata quella tenuta della quale
-porto il nome.
-
-«E il vostro tutore, interrogò la regina, non potendo a meno di
-interessarsi a quel bel giovane, come si chiama?
-
-«Conte di la Fère, replicò questi».
-
-Di Winter fece un atto di sorpresa; la sovrana lo guardò, lieta oltre
-ogni segno.
-
-«Il conte di la Fère! essa esclamò, non diceste così?»
-
-Di Winter non poteva dar fede a ciò che aveva udito.
-
-«Il conte di la Fère! ripetè egli pure, ve ne prego, ditemi, il
-conte di la Fère non è un signore ch’io conobbi bello e prode, che
-fu moschettiere di Luigi XIII, e può avere adesso quarantasette o
-quarantotto anni?
-
-«Sì signore, precisamente.
-
-«E che serviva sotto un nome da lui assunto....
-
-«Sotto nome di Athos. Anche ultimamente intesi il suo amico signor
-d’Artagnan a chiamarlo in tal guisa.
-
-«Appunto, signora, appunto! seguitò il conte. Ah sia lodato Iddio!...
-Ed è in Parigi? (richiese a Raolo).... Sperate, sperate ancora! (disse
-ad Enrichetta) la Provvidenza si manifesta a favor nostro, poichè fa
-ch’io ritrovi questo prode gentiluomo in modo tanto miracoloso. E dove
-abita, signore? dove abita, di grazia?
-
-«Il signor conte di la Fère è alloggiato in via Guénégaud, all’albergo
-del gran re Carlomagno.
-
-«Grazie.... Prevenite il mio degno amico acciò rimanga nelle sue
-stanze.... tra poco andrò ad abbracciarlo.
-
-«Obbedisco con sommo piacere, se Sua Maestà si degna licenziarmi.
-
-«Andate, signor visconte di Bragelonne, disse la regina, e siate certo
-di tutto il nostro affetto».
-
-Raolo, riverite ossequiosamente le due principesse, salutò di Winter e
-partì.
-
-Questo e la regina continuarono a discorrere qualche tempo sotto voce
-acciò la principessa non li udisse; ma la precauzione era superflua,
-dacchè essa era tutta occupata dei propri pensieri.
-
-Indi, mentre di Winter si accingeva a tor commiato, la regina gli disse:
-
-«Milord, ascoltate: io aveva conservato questa croce di diamanti
-venutami da mia madre, e questa placca di S. Michele avuta dal mio
-sposo; valgono circa cinquanta mila lire. Avevo giurato di morir
-di fame con questi preziosi ricordi prima che disfarmene; ma oggi
-che possono esser utili a lui od a’ suoi difensori, tutto devesi
-sacrificare a tale speranza. Prendeteli, e se bisogna danaro per la
-vostra impresa, vendeteli liberamente; bensì, se trovate mezzo di
-serbarli, pensate, milord, ch’io lo terrò come il servigio più grande
-che render possa un gentiluomo ad una regina, e nei giorni di mia
-prosperità quegli che mi riporti e la placca e la croce sarà benedetto
-da me e da’ miei figli.
-
-«Signora, soggiunse di Winter, Vostra Maestà sarà servita da un uomo a
-lei devoto. Io corro a depositare in luogo sicuro questi due oggetti,
-i quali non accetterei se ci restassero risorse delle antiche nostre
-fortune; ma i nostri beni sono confiscati, esausto il contante, e
-siamo arrivati noi pure a trar costrutto da tutto ciò che possediamo.
-Fra un’ora vo dal conte di la Fère, e domani Vostra Maestà avrà una
-risposta definitiva».
-
-La regina porse la mano a di Winter, che la baciò rispettosamente, ed
-accennando la figliuola, seguitò:
-
-«Milord, eravate incaricato di consegnare a questa fanciulla qualche
-cosa da parte di suo padre».
-
-Di Winter rimase attonito: non sapeva che si volesse dirgli.
-
-Allora la giovane Enrichetta si avanzò sorridendo, eppure arrossendo, e
-porse la fronte al gentiluomo.
-
-«Dite a mio padre che re o fuggiasco, vincitore o vinto, possente o
-misero, proferì la principessina, ha in me la figlia più sommessa ed
-amorosa.
-
-«Lo so, lo so», rispose di Winter toccando con le labbra la fronte ad
-Enrichetta.
-
-Poi se ne andò senza che alcuno lo accompagnasse, traversando i vasti
-appartamenti bui e deserti, ed asciugandosi le lacrime, che sebbene
-divenuto indifferente mediante i cinquanta anni vissuti in corte, non
-poteva a meno di spargere al mirare quel regio infortunio a un tempo
-stesso sì profondo e dignitoso.
-
-
-
-
-XLIII.
-
-_Zio e nepote._
-
-
-Lord di Winter era aspettato al portone dal lacchè e dal cavallo.
-S’incamminò alla propria dimora, pensoso e guardandosi dietro tratto
-tratto a contemplare la nera e silenziosa facciata del Louvre. Allora
-fu che vide un cavaliere distaccarsi, per così dire, dal muro, e
-seguitar lui a qualche distanza, e si rammentò di aver osservato
-nell’uscir dal palazzo reale un’ombra a un dipresso consimile.
-
-Il servo di lord Winter, ch’era a tergo a questo di pochi passi,
-esaminava esso pure inquietissimo il cavaliero.
-
-«Tony! chiamò il gentiluomo accennando al domestico di avvicinarsi.
-
-«Eccomi, monsignore».
-
-E il domestico si pose accanto al padrone.
-
-«Avete badato a colui che ci seguita?
-
-«Sì, milord.
-
-«E chi è?
-
-«Non lo so; ma viene appresso a Vostra Grazia sino dal Palazzo Reale,
-si è fermato al Louvre per attendere ch’ella uscisse, ed al Louvre si è
-mosso nuovamente con lei.
-
-«Qualche spione del ministro! fece tra sè di Winter, fingiamo non
-accorgerci della sua sorveglianza».
-
-E dato di sprone s’inoltrò nel laberinto di strade che conducevano
-al suo palazzo situato dalla parte del Marais; avendo abitato lungo
-tempo sulla piazza Reale, era tornato naturalmente ad alloggiarsi in
-prossimità dell’antica sua dimora.
-
-L’incognito spinse al galoppo il suo cavallo.
-
-Di Winter smontò all’albergo, e salì al suo quartiere, proponendosi
-di far osservare quella spia con ogni premura. Ma intanto che posava
-i guanti e il cappello sul tavolino, vide ad uno specchio che aveva
-dinanzi una figura che compariva sulla soglia della camera.
-
-Si volse: gli stava davanti Mordaunt.
-
-Di Winter impallidì e restò immobile.
-
-Mordaunt rimaneva sull’uscio, freddo, minaccioso, e simile alla statua
-del Commendatore.
-
-Fuvvi un momento di silenzio fra i due individui.
-
-«Signore, disse poscia di Winter, credevo avervi digià fatto intendere
-ch’ero stanco di codesta persecuzione. Ritiratevi, o chiamerò gente per
-farvi cacciar via come a Londra. Non sono vostro zio, non vi conosco!
-
-«Zio mio, rispose Mordaunt con la sua voce solita rauca e
-dileggiatrice, v’ingannate; questa volta non mi farete scacciare come
-a Londra; no, non vi ci ardirete. In quanto al negare ch’io sia vostro
-nepote, ci penserete ben bene, or che ho sapute molte cose che ignoravo
-un anno addietro.
-
-«E che mi cale di ciò che avete saputo?
-
-«Vi cale, vi cale assai, zio mio, ne son certo; e ora sarete del mio
-parere (aggiunse il giovane con un sorriso che fece passare il brivido
-nelle vene di quello a cui era diretto). Quando mi presentai da voi in
-Londra la prima volta, era per domandarvi che fosse avvenuto de’ miei
-beni; quando mi presentai la seconda, era per domandarvi da chi mai
-fosse stato denigrato, avvilito il mio nome. Oggi vengo per farvi una
-richiesta molto più terribile di tutte quelle, per dirvi, siccome disse
-Iddio al primo omicida: — Caino, che facesti del fratel tuo Abele? —
-Milord, che faceste di vostra sorella, di vostra sorella ch’era mia
-madre?»
-
-Di Winter retrocedè atterrito dal fuoco che brillava negli occhi del
-giovane.
-
-«Di vostra madre!
-
-«Sì, di mia madre, milord.....»
-
-E Mordaunt così rispondendo scuoteva la testa.
-
-L’altro fece uno sforzo, e immergendosi nelle sue rimembranze come per
-attingere in esse un odio nuovo esclamò:
-
-«Cercate che fu di lei, e domandatene all’inferno; l’inferno forse vi
-risponderà».
-
-Mordaunt si avanzò nella stanza sino a trovarsi faccia a faccia con
-lord di Winter, ed incrociate le braccia, in tuono truce, livido il
-volto per ira ed affanno, gli disse:
-
-«Io ne ho chiesto al boja di Bethune, e il boja mi ha risposto».
-
-Di Winter cadde sopra una sedia come colpito da un fulmine, ed invano
-tentò di parlare.
-
-«Sì! non è vero? proseguì il giovane, con queste parole tutto si
-spiega, con questa chiave si apre l’abisso. La mia genitrice aveva
-ereditato dal suo consorte, e voi, la mia genitrice, assassinaste! Il
-mio nome mi assicurava il patrimonio paterno, e voi del nome mio mi
-degradaste. E poi mi spogliaste de’ miei beni. Ora non più stupisco che
-non mi riconosciate, non più stupisco che ricusiate riconoscermi! Mal
-si addice chiamar nepote, quando uno è ladro infame, l’uomo che si rese
-povero, quando uno è omicida, l’uomo che si rese orfano!»
-
-Questi detti produssero l’effetto contrario a quello atteso da
-Mordaunt. Di Winter si ricordò qual mostro fosse milady. Surse quieto
-e grave frenando quasi col suo sguardo severo lo sguardo infiammato del
-figlio di milady.
-
-«Volete, ei disse, penetrare questo orribile arcano? Or bene! sia
-pure. Sappiate adunque qual’era la donna di cui oggi venite a chiedermi
-ragione: essa, secondo ogni probabilità, aveva avvelenato mio fratello,
-e per aversi la mia eredità si accingeva ad assassinar me. Io ne ho la
-prova. A ciò che direte?
-
-«Dirò ch’era mia madre!
-
-«Ella fece trafiggere da un uomo, stato in prima giusto, buono, puro,
-l’infelice duca di Buckingham. Che direte di questo delitto? io ne ho
-la prova!
-
-«Era mia madre!
-
-«Reduce in Francia, avvelenò nel convento degli Agostiniani di
-Bethune una giovane donna amata da un di lei nemico. Questo delitto vi
-persuaderà che giusto fosse il gastigo? e di questo io ho la prova!
-
-«Era mia madre! ripetè Mordaunt, che alle sue tre esclamazioni aveva
-data una forza sempre progressiva.
-
-«Finalmente sozza di uccisioni, di crapula, a tutti odiosa, minacciante
-tuttavia come una pantera sitibonda di sangue, soccombè sotto i colpi
-di uomini che avea ridotti alla disperazione e che mai non le avevano
-recato il menomo danno; trovò dei giudici, che contro lei richiamarono
-gli esecrandi suoi attentati; e quel carnefice che voi vedeste, quel
-carnefice che tutto vi narrò, deve avervi pur detto ch’egli stesso
-balzava di gioja nel vendicare su di lei il vituperio ed il suicidio
-di suo fratello. Zitella corrotta, moglie adultera, sorella snaturata,
-omicida, avvelenatrice, orribile a tutti quanti conosciuta l’avevano, a
-tutte le nazioni che l’avevano accolta nel lor seno, morì maledetta dal
-cielo e dalla terra.... Ecco, ecco qual’era quella donna!»
-
-Un violento singulto più forte che la volontà di Mordaunt straziò a
-questo la gola e gli rimandò il sangue sul pallido volto; strinse egli
-le pugna, e con la guancia molle di sudore, e i capelli irti sulla
-fronte come quelli di Amleto, ei gridò furibondo:
-
-«Tacete! era mia madre! i suoi disordini non mi son noti; i suoi vizj
-non mi son noti; i suoi delitti non mi son noti! Ma quel ch’io so, è
-che avevo una madre, è che uomini uniti in lega contro una donna la
-uccisero clandestinamente, crudelmente, da vili, da vili! quel ch’io
-so, è che fra costoro eravate ancor voi, signore! voi, mio zio, e
-che diceste al pari degli altri, e più forte degli altri: — È d’uopo
-ch’ella muoja! — E quindi ve ne avverto, e date ascolto a queste
-parole, e vi si scolpiscano nella memoria in guisa che giammai non le
-obbliate: l’assassinio che tutto mi tolse, l’assassinio che mi privò
-del mio nome, l’assassinio che m’impoverì, l’assassinio che mi rese
-depravato, malvagio, implacabile, di questo assassinio vi chiederò
-ragione, prima a voi, e poi a quelli che furon vostri complici, quando
-io venga a conoscerli».
-
-Con l’odio nelle pupille, la spuma sulla bocca, il pugno teso, Mordaunt
-aveva mosso un passo di più, passo terribile, passo minaccioso incontro
-a di Winter.
-
-Questi diè mano alla spada, e disse col sogghigno proprio di un uomo
-che da trent’anni già scherzi con la morte:
-
-«Signore, volete assassinarmi? allora vi riconoscerò per mio nepote,
-perocchè siete veramente figlio di vostra madre.
-
-«No! ribattè Mordaunt, e sforzava a frenarsi e a tornare nel loro stato
-naturale tutte le fibre del volto, tutti i muscoli del corpo, no! non
-vi ucciderò, almeno pel momento, perchè senza di voi non iscuoprirei
-gli altri; ma quando noti essi mi siano, oh tremate! io trafissi
-col mio pugnale il boja di Bethune; senza pietà lo trafissi, senza
-misericordia, ed egli fra tutti era il meno colpevole».
-
-Ciò detto, il giovanetto uscì e scese la scala con calma bastante per
-non essere osservato; indi sul pianerottolo d’abbasso passò davanti
-a Tony, che chinato sulla branca non aspettava se non un grido del
-padrone per correr su da lui.
-
-Ma di Winter non chiamò; oppresso, abbattuto, restò in piedi, porgendo
-l’orecchio.... e soltanto quando ebbe inteso allontanarsi il cavallo
-cadde sopra una sedia dicendo:
-
-«Mio Dio! vi ringrazio.... deh! non conosca egli mai altri che me!»
-
-
-
-
-XLIV.
-
-_Paternità._
-
-
-Mentre aveva luogo presso lord di Winter la scena tremenda, Athos
-assiso accanto alla finestra della sua camera, appoggiando il gomito
-sul tavolino e sulla mano la testa, ascoltava, quasi diremmo con le
-orecchie e cogli occhi, Raolo che gli narrava le avventure del suo
-viaggio e i dettagli della battaglia.
-
-Il bello e nobile viso del gentiluomo esprimeva indicibile contento al
-racconto di quelle prime pure e fresche emozioni; traeva a sè fin anco
-i suoni di quella voce giovanile che gli si appassionava pei sentimenti
-elevati e grandiosi, siccome suolsi ad una musica armoniosissima.
-Dimenticato egli aveva quanto di oscuro era nel passato e nuvoloso
-nell’avvenire. Pareva che il ritorno di quel fanciullo prediletto
-avesse persino convertiti i suoi timori in speranze. Athos era pago,
-più pago che non fosse stato giammai.
-
-«Ed assisteste, e prendeste parte alla grande battaglia, Bragelonne?
-domandava l’antico moschettiere.
-
-«Sì, signore.
-
-«E fu terribile, mi dite?
-
-«Il signor Principe caricò in persona undici volte.
-
-«È un gran guerriero!
-
-«È un eroe! non l’ho perduto un momento di vista... Bella cosa, o
-signore, è il chiamarsi Condé e portar così un tal nome!
-
-«Quieto e brillante, non è vero?
-
-«Quieto come alla parata, brillante come in una festa. Quando andammo
-incontro al nemico movevamo di passo; ci era vietato d’essere i primi
-a tirare, e marciavamo col moschetto posato sulla coscia verso gli
-Spagnuoli che stavano sopra un’altura. Arrivati a distanza da loro
-di trenta passi, il principe si volse ai suoi soldati. «Figliuoli,
-disse, avrete da soffrire una scarica terribile, ma poi, non dubitate,
-vi rifarete facilmente su coloro». Era tale il silenzio, che amici e
-nemici udivano quei di lui detti. Indi alzata la spada gridò: «Suonate,
-trombe!»
-
-«Bene! bene! all’occasione fareste altrettanto, eh, Raolo?
-
-«Ah! ne dubito, perchè a me quei tratti parvero assolutamente
-magnifici. Giunti a minor distanza forse di un terzo, mirammo tutti
-i moschetti abbassarsi come una sola linea splendentissima, giacchè
-il sole ne faceva rilucere le canne. Ed il principe disse: «Al passo,
-figliuoli! ecco il momento.
-
-«Raolo, aveste paura? chiese il conte.
-
-«Sì signore, rispose ingenuamente il giovanetto, mi sentii come un gran
-freddo al cuore, e alla parola: «Fuoco!» che eccheggiò in spagnuolo tra
-le file nemiche, chiusi gli occhi e pensai a voi.
-
-«Davvero? disse Athos stringendogli la destra.
-
-«Oh sì! nell’istante medesimo furono tali spari che si sarebbe creduto
-fosse il cielo per aprirsi, e quei che non restarono uccisi, oh!
-sentirono il calore della fiamma. Io schiusi il ciglio, meravigliando
-di non essere estinto o per lo meno ferito; un terzo dello squadrone
-giaceva al suolo mutilato e insanguinato. In quel punto incontrai
-le pupille del principe, e non badai che a una cosa, cioè ch’ei mi
-guardava. Diedi di sprone, e mi trovai framezzo ai nemici.
-
-«E Sua Altezza fu contenta di voi?
-
-«Così almeno mi disse, quando m’incaricò di accompagnare a Parigi il
-signor di Chatillon, ch’è venuto a dar questa notizia alla regina e
-portare le bandiere grigie. «Andate, mi diceva il prence, il nemico
-non si sarà riunito per una quindicina di giorni, e sino allora non
-ho bisogno di voi; andate ad abbracciare quelli che vi amano, e dite a
-mia sorella di Longueville che la ringrazio del regalo da lei fattomi
-dandovi a me». Ed io (seguitava Raolo volgendo sul conte un sorriso
-di amore profondo) sono venuto, nella certezza che a voi fosse caro di
-rivedermi».
-
-Athos si trasse vicino il garzoncello, e lo baciò in fronte siccome
-avrebbe fatto ad una fanciulla.
-
-«Sicchè, Raolo mio, eccovi digià slanciato; avete amici dei duchi,
-compare un maresciallo di Francia, capitano un principe del sangue, in
-una stessa giornata di ritorno siete stato ricevuto da due regine: è un
-bel fare per un novizio!
-
-«Ah! appunto, aggiunse Bragelonne ad un tratto, mi rammentate una cosa
-di cui mi scordava: che presso Sua Maestà la regina d’Inghilterra si
-trovava un gentiluomo, il quale quando io proferii il vostro nome mandò
-un grido di sorpresa e di gioja; si diede per vostro amico, mi domandò
-il vostro indirizzo, e tra poco verrà a vedervi.
-
-«Come si chiama?
-
-«Non ho osato ricercarglielo; ma quantunque si esprima con eleganza,
-dalla pronunzia l’ho giudicato per inglese.
-
-«Ah! disse Athos».
-
-E chinò il capo quasi volesse riprodursi qualche rimembranza. Indi
-allorchè lo alzò nuovamente lo sorprese la presenza di un uomo che
-ritto davanti all’uscio mezz’aperto lo esaminava con molta commozione.
-
-«Lord di Winter! esclamò il conte.
-
-«Athos! mio caro Athos!»
-
-E i due gentiluomini stettero alquanto abbracciati; dopo di che Athos
-prese ambe le mani a di Winter, gli disse:
-
-«Che avete milord? sembrate tanto afflitto quanto io sono lieto.
-
-«Sì, amico, è vero; e dirò anche di più: che il vostro aspetto accresce
-il mio timore».
-
-Di Winter si osservava d’intorno, come per cercare la solitudine.
-Bragelonne capì che i due avevano da discorrere, ed uscì senza mostrare
-di mettervi importanza.
-
-«Orsù, cominciò Athos, adesso che siam soli, parliamo di voi.
-
-«Mentre siam soli, parliamo di noi, rispose di Winter. Egli è qui.
-
-«Chi mai?
-
-«Il figlio di milady».
-
-Athos colpito anche una volta da quel nome che sembrava lo
-perseguitasse come un eco funesto, esitò un poco, inarcò le ciglia, ed
-in tuono di tutta calma pronunciò:
-
-«Lo so.
-
-«Lo sapete?
-
-«Sì: Grimaud lo ha incontrato fra Bethune ed Arras, ed è corso a
-briglia sciolta ad avvertirmi della sua venuta.
-
-«Grimaud dunque lo conosceva?
-
-«No, ma ha assistito al letto di morte uno che lo conosceva.
-
-«Il carnefice di Bethune! gridò di Winter.
-
-«Lo sapete? esclamò attonito Athos.
-
-«Mi ha lasciato adesso, mi ha detto tutto.... ah, che scena orribile!
-Perchè non annientammo con la madre il figliuolo!»
-
-Athos al pari di tutte le indoli nobilissime non rendeva altrui le
-spiacevoli impressioni che riceveva; ma all’incontro le assorbiva
-sempre in sè stesso, ed invece di esse rimandava speranze e
-consolazioni. Avreste detto che i suoi particolari affanni gli
-uscissero dall’anima trasformati in contento per gli altri.
-
-«Di che paventate? chiese poi superando mediante la ragione il terrore
-d’istinto provato dapprima, non siamo qua per difenderci? Quel giovine
-si è forse fatto assassino di mestiere, omicida a sangue freddo? Può
-aver ucciso il boja di Bethune in un moto di rabbia, ma ormai è sazio
-il suo furore».
-
-Di Winter con un mesto sorriso scuoteva la testa.
-
-«Voi dunque non conoscete più quel sangue?
-
-«Oibò! replicò Athos procurando parer tranquillo, avrà perduta la
-sua ferocia alla seconda generazione. D’altronde la Provvidenza ci ha
-prevenuti onde siamo guardinghi. Null’altro possiam fare che attendere;
-si attenda. Ma come poc’anzi io diceva, discorriamo di voi. Qual motivo
-vi conduce a Parigi?
-
-«Affari importanti di che in breve sarete sciente. Ma che mai ho inteso
-da Sua Maestà la regina d’Inghilterra? D’Artagnan è del Mazzarino?
-Perdonate la mia franchezza, io non odio nè amo il ministro, e le
-vostre opinioni mi saranno sempre sacre. Sareste voi per caso dedito a
-colui?
-
-«D’Artagnan è al servizio, rispose Athos, è soldato, ed obbedisce al
-potere costituito. D’Artagnan non è ricco, e per vivere ha d’uopo del
-suo grado di tenente. Milord, in Francia sono rari i milionarj come
-voi!
-
-«Ahimè! replicò di Winter, oggi io sono tanto povero e più ancora che
-lui... Ma torniamo a voi.
-
-«Ebbene, volete sapere se io sono del Mazzarino? No, no, le mille
-volte! Scusate voi pure o milord, la mia franchezza».
-
-Di Winter si alzò e si strinse al seno l’amico.
-
-«Oh! disse, grazie conte! grazie di sì fausta notizia. Eccomi,
-mi vedete or contento e ringiovanito.... Non siete del Mazzarino?
-benissimo. E poi, non poteva mai essere.... Ma compatite ancora; siete
-libero?
-
-«Che intendereste per libero?
-
-«Domando se non siete ammogliato.
-
-«Oh! per questo poi no».
-
-Ed Athos sorrideva.
-
-«È che quel giovanetto, sì bello, gentile, grazioso...
-
-«È un fanciullo ch’io educo, e che neppur conosce suo padre.
-
-«Ottimamente; siete sempre lo stesso, grande e generoso.
-
-«Orsù, milord, che mi richiedete?
-
-«Avete tuttora amici i signori Porthos ed Aramis?
-
-«E aggiungete d’Artagnan. Siamo tutti e quattro affezionati
-scambievolmente come in passato; ma quando si tratta di servire il
-ministro o di batterlo, d’esser di Mazzarino o della Fronda, allora
-siamo due soli.
-
-«Aramis è con d’Artagnan?
-
-«No, il signor Aramis mi fa l’onore di associarsi alle mie opinioni.
-
-«Potete rimettermi in relazioni con quell’amico sì cortese e spiritoso?
-
-«Certo, appena lo bramiate.
-
-«Si è egli cambiato?
-
-«Si è fatto abate, non v’è altro.
-
-«Mi spaventate; il suo stato deve averlo indotto a rinunziare alle
-grandi imprese.
-
-«All’opposto: disse Athos scherzando, non è stato mai tanto
-moschettiere com’è adesso, ed in lui troverete un vero Galaor. Volete
-ch’io lo mandi a chiamare per mezzo di Raolo?
-
-«No, conte; potrebbe darsi che a quest’ora non fosse reperibile; ma
-poichè credete di poter garantire per lui....
-
-«Quanto per me medesimo.
-
-«Potete impegnarvi a condurmelo domani a dieci ore sul ponte del Louvre?
-
-«Ah, ah! fece Athos, avete un duello?
-
-«Sì, e bellissimo; duello, in cui spero sarete anche voi.
-
-«Dove andremo, milord?
-
-«Da Sua Maestà la regina d’Inghilterra, che mi ha incaricato di
-presentarvi a lei.
-
-«Sua Maestà dunque mi conosce?
-
-«Io, vi conosco.
-
-«Enigma; ma non serve, tosto che a voi è noto il motivo, non vi domando
-di più. Mi farete l’onore di cenare con me, milord?
-
-«Vi ringrazio, conte; ma confesso che la visita di quel giovane mi ha
-tolto l’appetito, e probabilmente mi leverà il sonno. Che intrapresa
-vuol egli compiere in Parigi? non per incontrar me vi è venuto, poichè
-era ignaro del mio viaggio... Ah! egli mi spaventa, in lui v’è un
-avvenire di sangue.
-
-«Che fa esso in Inghilterra?
-
-«È uno dei più caldi seguaci d’Oliviero Cromvello.
-
-«E chi lo ha collegato a quella causa? Sua madre e suo padre, per
-quanto io creda, erano cattolici.
-
-«L’odio che nutre contro il re.
-
-«Contro il re!
-
-«Sì, il re lo dichiarò bastardo, lo spogliò de’ suoi beni, gli proibì
-di portare il nome di Winter.
-
-«Ed ora come si chiama?
-
-«Mordaunt.
-
-«Puritano e travestito da monaco, viaggiando solo per le strade della
-Francia!
-
-«Da monaco?
-
-«Sì: non lo sapete?
-
-«Non so se non ciò ch’ei mi ha detto.
-
-«E come tale, e per caso, egli intese le spiegazioni del carnefice di
-Bethune.
-
-«Allora tutto comprendo: viene inviato da Cromvello.
-
-«A chi?
-
-«A Mazzarino; e la regina lo aveva indovinato, noi fummo prevenuti;
-ormai tutto mi si fa chiaro. Conte, addio a domani.
-
-«Ma è notte molto buja, disse Athos osservando di Winter più agitato
-che non volesse apparire, e voi forse non avete servi?
-
-«Ho Tony, buono e semplice ragazzo.
-
-«Olà! Olivain, Grimaud, Blaisois, qualcuno prenda il moschetto e chiami
-il signor visconte».
-
-Blaisois era quel grazioso garzone, mezzo lacchè e mezzo contadino,
-che noi vedemmo di volo nel castello di Bragelonne entrato ad avvisare
-che il pranzo era pronto, e da Athos battezzato col nome della sua
-provincia.
-
-Cinque minuti dopo dato l’ordine, giunse Raolo.
-
-«Visconte, scorterete milord sino al suo albergo e non lascerete che
-alcuno gli si appressi.
-
-«Ah conte! disse di Winter, e per chi mi prendete?
-
-«Per un forestiero, che non conosce Parigi, ed a cui il visconte
-insegnerà la strada».
-
-Di Winter strinse ad Athos la mano.
-
-«Grimaud! comandò quest’ultimo, mettiti alla testa della comitiva, e
-bada al finto frate!»
-
-Grimaud si scosse, indi fe’ un cenno col capo ed aspettò la partenza
-toccando con tacita eloquenza il calcio del moschetto.
-
-«Addio a domani, ripetè di Winter.
-
-«Sì, milord».
-
-La piccola brigata s’incamminò verso la via San Luigi, Olivain tremando
-come Sosia ad ogni riflesso del lume un po’ dubbio, Blaisois assai
-saldo perchè ignorava che vi fosse qualunque pericolo, Tony guardando a
-destra e a manca, ma senza poter dire una parola attesochè non parlava
-francese.
-
-Di Winter e Raolo andavano uno accanto all’altro, e discorrevano
-insieme.
-
-Grimaud, che secondo eragli ingiunto da Athos precedeva il corteggio
-con una torcia in una mano e nell’altra il moschetto, arrivò alla
-locanda di di Winter, bussò col pugno alla porta, e quando venne gente
-ad aprire salutò milord senza fiatare.
-
-Lo stesso fu al ritorno. I di lui occhi nulla videro di sospetto,
-tranne una specie d’ombra appiattatasi sul canto della via di Guénégaud
-e dell’argine; gli sembrò di aver anche nel passare osservato colui che
-stava in aspettativa. Si diresse incontro ad esso, ma innanzi che lo
-avesse raggiunto l’ombra era sparita in una straduzza ove Grimaud non
-giudicò prudente d’inoltrarsi.
-
-Si rese conto ad Athos del successo della spedizione, ed essendo le
-dieci ore di sera ciascuno si ritirò nel proprio appartamento.
-
-All’indomani nel destarsi il conte si trovò Raolo vicino al letto.
-Questi era bell’e vestito, e leggeva un libro nuovo di Chapelain.
-
-«Digià alzato Raolo? disse il conte.
-
-«Sì, rispose il giovanetto titubando, ho dormito male....
-
-«Dormito male? voi! qualche pensiero vi occupava?
-
-«Signore, direte che ho molta fretta di lasciarvi quando sono appena
-arrivato, ma....
-
-«Dunque la vostra licenza era per due soli giorni?
-
-«Anzi, per dieci... e non bramerei già di andare al campo.
-
-«E dove? fece Athos sorridendo, purchè non sia un segreto, visconte?
-Siete quasi un uomo, poichè avete fatte le prime armi, ed avete
-acquistato il diritto di andare ove vogliate senza dirmelo.
-
-«Giammai, replicò Raolo, finchè avrò la sorte di avervi per mio
-protettore, non crederò essere in diritto di sottrarmi ad una tutela
-che tanto mi è cara.... Desidererei recarmi a passare un giorno e non
-più a Blois.... mi guardate, vi riderete di me!
-
-«No, rispose Athos reprimendo un sospiro, non rido, no... avete voglia
-di riveder Blois, è naturale!
-
-«Sicchè lo permettete? esclamò allegro Bragelonne.
-
-«Certamente.
-
-«In fondo al cuore, non ve n’incresce?
-
-«Niente affatto: perchè deve increscermi ciò ch’è a voi di piacere?
-
-«Oh quanto siete buono!»
-
-Raolo era per saltare al collo ad Athos, ma lo trattenne il rispetto.
-
-Athos gli aprì teneramente le braccia.
-
-«E posso partir subito?
-
-«Quando vi aggrada».
-
-Il giovane mosse tre passi per uscire.
-
-«Signore, disse poi, ho pensato ad una cosa, cioè che alla signora
-duchessa di Chevreuse tanto buona per me, son debitore della mia
-introduzione presso al signor Principe.
-
-«E che dovete ringraziarla, non è vero?
-
-«Mi sembrerebbe.... però a voi spetta il decidere.
-
-«Passate dal palazzo di Luynes, Raolo, e fate domandare se la duchessa
-può ricevervi. Mi piace rivelare che non dimentichiate le convenienze.
-Prenderete con voi Grimaud e Olivain.
-
-«Tutti due?» domandò Raolo attonito.
-
-«Tutti due».
-
-Il visconte salutò ed uscì.
-
-Nel guardarlo chiudere la porta e udirlo a chiamare forte ed
-allegramente Grimaud e Olivain, Athos sospirò.
-
-«Mi abbandona pur presto! pensava, ma obbedisce alla legge comune.
-La natura è così; essa guarda sempre innanzi. Oh! di sicuro egli ama
-quella fanciulla; ma amerà me men di prima perchè ami altre persone?»
-
-Il conte di la Fère confessava che non si era aspettato a sì sollecita
-partenza, ma in lui dileguavasi ogni trista cura considerando che Raolo
-era contento.
-
-Alle dieci ore tutto era pronto per il viaggio. Mentre Athos guardava
-Raolo montare a cavallo, venne un lacchè a riverirlo a nome della
-signora di Chevreuse: era esso incaricato di dire al conte di la Fère
-che avendo ella saputo il ritorno del suo giovine protetto e il suo
-contegno nella recente battaglia, le sarebbe caro di fargliene le sue
-congratulazioni.
-
-«Direte a madama la duchessa, rispose Athos, che il visconte
-s’incamminava appunto al palazzo di Luynes».
-
-E dopo aver rinnovate le sue raccomandazioni a Grimaud, fe’ cenno a
-Raolo che poteva partire.
-
-D’altronde, riflettendo meglio, Athos pensava non esser male che in
-quel momento Raolo si allontanasse da Parigi.
-
-
-
-
-XLV.
-
-_Un’altra regina che chiede soccorso._
-
-
-Athos aveva mandato a prevenire Aramis sino dalla mattina, dando la
-sua lettera a Blaisois, unico servitore che gli fosse rimasto. Blaisois
-trovò Bazin che indossava la sua giubba da bidello; in quel giorno era
-di servizio a Nostra Donna.
-
-Athos aveva fatto premura a Blaisois, onde tentasse parlare ad
-Aramis in persona. Blaisois, giovanotto grande e sempliciotto che
-non conosceva altro che il comando, aveva quindi domandato dell’abate
-d’Herblay, e non ostante che Bazin gli protestasse ch’ei non v’era,
-aveva insistito in tal modo che Bazin si era adirato sul serio.
-Blaisois vedendo Bazin in abito ecclesiastico non aveva curate le sue
-negative, ma insistito ben anzi a andare avanti, supponendo colui con
-il quale aveva che fare dotato di pazienza e cristiana carità.
-
-Ma il Bazin, sempre servitore dei moschettieri quando gli andava il
-sangue al capo, prese un bel manico di granata, e picchiò Blaisois
-dicendogli:
-
-«Avete insultata la Chiesa, caro mio, insultata la Chiesa!»
-
-Nel momento, all’insolito frastuono, era comparso Aramis schiudendo con
-cautela l’usciale della sua camera dormitoria.
-
-Ed allora il suddetto Bazin avea posata rispettosamente la sua granata
-in terra sur una delle punte, conforme gli era accaduto di veder
-fare a Nostra Signora dallo Svizzero colla alabarda, e Blaisois con
-un’occhiataccia di rampogna diretta al cerbero si era levata di tasca
-la lettera e presentatala ad Aramis.
-
-«Del conte di la Fère, disse Aramis, va bene».
-
-E indi ritornò dentro senza tampoco richiedere la causa di tanto
-subbuglio.
-
-Blaisois se ne venne indietro malinconico all’albergo del Gran Re
-Carlomagno. Athos gli domandò ragguaglio della sua commissione, ed egli
-raccontò la sua avventura.
-
-«Imbecille! fece Athos ridendo, e non dicesti ch’eri là da parte mia?
-
-«Signor no.
-
-«E che ha detto Bazin sapendo ch’eravate mio?
-
-«Oh! mi ha fatto un diluvio di scuse, e mi ha obbligato a bere due
-bicchieri di vin moscato eccellente, con inzupparvi tre o quattro
-biscotti squisiti; ma che serve? è brutale fuor di maniera! un bidello!
-oibò!
-
-«Bene! pensò Athos, una volta che Aramis ha avuta la lettera, per
-quanti impedimenti si abbia e’ verrà».
-
-Alle dieci ore, Athos colla sua solita puntualità si trovava sul ponte
-del Louvre. V’incontrò lord di Winter arrivato appunto allora.
-
-Essi aspettarono circa dieci minuti.
-
-Di Winter cominciava a temere che Aramis non capitasse.
-
-«Pazienza! disse Athos che teneva gli occhi fissi nella direzione della
-via del Bac, pazienza; ecco un abate che dà una spinta a un uomo e
-saluta una donna, dev’essere Aramis».
-
-Difatti era desso: un giovinotto che guardava per aria ed aveva
-schizzato di mota Aramis era ito dieci passi più in là per un pugno
-datogli da quest’ultimo, il quale, essendo passata allora una sua
-penitente, l’aveva salutata col suo più grazioso sorrisetto.
-
-Aramis fu dunque da loro in un momento.
-
-E là, com’è da credere, grandissimi amplessi fra lui e di Winter.
-
-«Dove andiamo? domandò Aramis, v’è forse da battersi? stamane non ho
-spada, bisognerà che torni da me a pigliarla.
-
-«No, rispose di Winter, si va a far visita a Sua Maestà la regina
-d’Inghilterra.
-
-«Ottimamente! (ed Aramis si chinava all’orecchio ad Athos) e in quale
-scopo questa visita?
-
-«Affè, forse qualche testimonianza che da noi si reclama.
-
-«Non sarebbe per quel maledetto affare? In tal caso non avrei troppa
-voglia di andarvi, perchè vi sarebbe da prendersi qualche bella
-predica, e dacchè le fo agli altri, non ho caro di averle io.
-
-«Se ciò fosse, non ci condurrebbe da sua Maestà milord di Winter,
-mentre gliene toccherebbe la sua parte, essendo stato dei nostri.
-
-«Ah sì! dite bene. Si vada».
-
-Giunti al Louvre, di Winter passò il primo. D’altronde non istava al
-portone che un solo custode. Alla luce del giorno, Athos, Aramis e
-l’Inglese poterono osservare l’orribile miseria dell’abitazione che
-un’avara carità concedeva all’infelice sovrana. Grandi sale spoglie
-di mobili, mura sconquassate su cui rilucevano ad intervalli antiche
-guarnizioni d’oro che aveano resistito all’incuria, finestre che non
-si chiudevano più e mancanti di vetri; non tappeti, non guardie,
-non famigli, ecco quanto colpì subito gli occhi ad Athos, e ch’ei
-fece tacitamente notare al suo compagno spingendolo col gomito ed
-accennandogli quell’estrema povertà.
-
-«Mazzarino ha migliore alloggio, disse Aramis.
-
-«Mazzarino è quasi re, rispose Athos, ed Enrichetta non è più regina.
-
-«Se vi degnaste di mostrarvi spiritoso, fece Aramis, credo in coscienza
-che lo sareste più che non lo era il disgraziato signor di Voiture».
-
-Sembra che la regina attendesse con impazienza, poichè al primo
-movimento che udì nel salone che precedeva la sua camera venne da sè
-sulla soglia a ricevere i cortigiani del suo infortunio.
-
-«Entrate e siate ben venuti, signori; essa disse».
-
-I gentiluomini passarono, e sul principio rimasero in piedi, ma ad
-un gesto della sovrana che l’invitava a sedersi Athos diede l’esempio
-dell’obbedienza. Egli era tranquillo e grave, ma Aramis all’incontro
-adiratissimo perchè esacerbato da quella regia miseria, di cui studiava
-con lo sguardo ogni nuova traccia che gli si offriva alla vista.
-
-«Esaminate il mio lusso? disse Enrichetta con la massima angustia.
-
-«Chiedo scusa a Vostra Maestà, replico Aramis, ma non saprei nascondere
-la mia indignazione mirando che alla corte di Francia si tratti così la
-figlia di Enrico IV.
-
-«Questo signore non è cavaliere? chiese la regina a lord di Winter.
-
-«È l’abate d’Herblay, questi rispose».
-
-Aramis arrossì.
-
-«Signora, sono abate, ma a mio malgrado e contro mia vocazione, e sono
-sempre pronto a diventar da capo moschettiere. Io dunque sarò l’uomo
-che la Maestà Vostra troverà più zelante a servirla in qualunque cosa
-voglia ordinarmi.
-
-«Il signor cavaliere d’Herblay, soggiunse di Winter, è uno dei valorosi
-moschettieri del re Luigi XIII di cui vi ho parlato, signora».
-
-E volgendosi ad Athos seguitò:
-
-«Questi è il nobile conte di la Fère, la di cui alta rinomanza è ben
-nota a Vostra Maestà.
-
-«Signori, disse la regina, alcuni anni sono io aveva d’intorno
-gentiluomini, tesori, armate; tutti questi ad un mio cenno si
-adopravano in servizio mio. Oggi, guardate qui a me vicino, forse ne
-stupirete, ma per compiere un disegno che dee salvarmi la vita non ho
-altro che lord di Winter, un amico da venti anni, e voi, o signori, che
-veggo per la prima volta e conosco soltanto come miei concittadini.
-
-«E basta, fece Athos con un profondo saluto, se la vita di tre uomini
-può riscattare la vostra.
-
-«Grazie, signori. Ma ascoltatemi: non solo io sono la più misera delle
-regine, sono anche la più sventurata fra le madri, la più disperata
-fra le mogli; i miei figli, due per lo meno, il duca d’York e la
-principessa Carlotta, sono da me lontani, esposti ai colpi degli
-ambiziosi e dei nemici; il re mio consorte conduce in Inghilterra
-una sì dolorosa esistenza che poco io vi dico asserendovi che cerca
-la morte come cosa per lui da bramarsi. Ecco la lettera che mi fece
-pervenire per mezzo di milord di Winter: leggete».
-
-Athos ed Aramis si scusavano.
-
-«Leggete, ripetè la regina».
-
-Athos lesse ad alta voce la missiva a noi nota, nella quale il re Carlo
-domandava se in Francia gli sarebbe accordata l’ospitalità.
-
-«Ebbene? fece poi Athos.
-
-«Ebbene, ribattè Enrichetta, ha ricusato».
-
-I due amici ricambiarono fra loro un sorriso di disprezzo.
-
-«Ed ora che si dee fare? continuò il conte di la Fère.
-
-«Sentite voi qualche compassione per tanta sventura?
-
-«Ho avuto l’onore di domandarvi, Maestà, ciò che desiderate si faccia
-per servirvi da me e dal signor d’Herblay: siamo pronti.
-
-«Ah! avete infatti un cuor nobile! esclamò la regina con uno slancio
-di gratitudine, mentre di Winter la guardava come dicesse: Non vi ero
-forse rimasto garante per loro?
-
-«E voi? domandò Enrichetta ad Aramis.
-
-«Io, egli rispose, ovunque vada il signor conte, quando fosse anche a
-morte, lo seguo senza ricercare il perchè; ma allorchè si tratta di un
-comando di Vostra Maestà (aggiungeva fissandola in volto con tutta la
-grazia di gioventù) io precedo il signor conte.
-
-«Or bene, signori, poichè così è, poichè consentite ad adoprarvi a pro
-di una povera principessa abbandonata dal mondo intero, ecco ciò che
-per me occorre di fare. Il re è solo con alcuni gentiluomini, che ogni
-giorno teme di perdere, in mezzo a Scozzesi dei quali diffida benchè
-egli stesso sia Scozzese. Dacchè lord Winter lo ha lasciato, io più
-non vivo. Ora, domando forse troppo, mentre per domandare non ho verun
-titolo: trasferitevi in Inghilterra, raggiungete il re, siate suoi
-amici, siate suoi custodi, marciate al di lui fianco nelle battaglie,
-camminate presso di lui nell’interno della sua dimora, dove ogni dì
-crescono inganni e insidie anco più perigliose che tutti i rischi della
-guerra; ed in cambio di questo sacrifizio che mi farete, io vi prometto
-non di ricompensarvi, credo che questa parola vi offenderebbe, ma di
-amarvi come una sorella, e di preferirvi a chiunque, tranne al mio
-sposo ed ai miei figli; lo giuro dinanzi a Dio!»
-
-E la regina alzava in atto lento e solenne gli occhi al cielo.
-
-«Maestà, fece Athos, quando convien che partiamo?
-
-«Dunque acconsentite? esclamò con giubilo Enrichetta.
-
-«Certamente. Soltanto la Maestà Vostra va troppo oltre, a parer mio,
-impegnandosi a ricolmarci di un’affezione tanto superiore a’ nostri
-meriti. Noi serviamo a Dio, servendo un principe sì sfortunato e una
-regina tanto virtuosa.... Signora, siamo vostri in corpo e in anima.
-
-«Ah! disse la regina commossa fino al pianto, ecco il primo momento di
-gioja e di speranza che provo da cinque anni. Sì, voi servite a Dio, e
-siccome il poter mio sarà troppo poco per riconoscere un tal servigio,
-Egli vi premierà. Egli che legge nel mio cuore quanta v’ha gratitudine
-e per Lui e per voi. Salvate il mio sposo, salvate il re, e sebbene non
-siate sensibili al premio che può venirvi su questa terra per un’azione
-così bella, lasciatemi la lusinga di rivedervi per ringraziarvene
-io stessa. Frattanto io mi trattengo qui. Avete da farmi qualche
-raccomandazione? Da ora io sono vostra amica, e giacchè voi fate i miei
-affari io deggio occuparmi dei vostri.
-
-«Signora, rispose Athos, non ho da chiedere alla Maestà Vostra altro
-che le sue preci.
-
-«Ed io, aggiunse Aramis, son solo al mondo, e non ho altro che Vostra
-Maestà da servire».
-
-La sovrana porse loro al bacio la destra, e disse piano a di Winter:
-
-«Se vi mancano denari, non esitate, rompete le gioje che vi ho
-date, staccatene i diamanti e vendeteli ad un usurajo; ne ricaverete
-cinquanta o sessanta mila lire; spendetele s’è necessario, ma questi
-gentiluomini siano trattati conforme si meritano, cioè come tanti re».
-
-La regina aveva apparecchiate due lettere, scritte l’una da lei e
-l’altra dalla principessa Enrichetta sua figlia. Entrambe erano dirette
-al re Carlo. Una ne diede ad Athos ed una ad Aramis, onde se il caso
-li separava, potessero dessi farsi riconoscere dal re. Indi eglino si
-ritirarono.
-
-In fondo alla scala di Winter si soffermò.
-
-«Signori, disse, andiamo, voi dalla vostra parte ed io dalla mia,
-acciocchè non risvegliamo sospetti, e questa sera alle nove troviamoci
-alla porta San Dionigi. Dipoi andremo avanti co’ miei cavalli finchè
-essi possano, e dopo prenderemo la posta. Grazie di nuovo, grazie in
-nome mio, grazie in nome della regina».
-
-I tre gentiluomini si strinsero la mano. Il conte di Winter si avviò
-dalla contrada di Sant’Onorato, e Athos e Aramis rimasero insieme.
-
-«Ebbene, disse allora Aramis, che vi pare di questo affare, mio caro
-conte?
-
-«Cattivo, rispose Athos, cattivissimo!
-
-«Ma lo accoglieste con entusiasmo!
-
-«Come accoglierò sempre la difesa di un gran principio, mio buon
-d’Herblay. I re non possono esser forti che mediante la nobiltà, ma la
-nobiltà non può esser grande se non mediante i re. Sosteniamo adunque
-le monarchie, che così sosterremo noi stessi.
-
-«Ci andiamo a fare assassinare laggiù, continuò Aramis; ho in odio
-gl’Inglesi, sono grossolani come tutti quelli che bevono birra.
-
-«Era forse meglio restar qui, e andare a fare un giro alla Bastiglia,
-o alla torre di Vincennes, per aver favorita la fuga del signor
-di Beaufort? Affè, credetemi, non v’è da aver alcun rammarico. Noi
-scansiamo la prigione, e si agisce da eroi: è facile la scelta.
-
-«È vero, ma in tutte le cose bisogna ritornare a questa prima domanda,
-molto sciocca, lo so, ma assai necessaria: avete soldi?
-
-«Un centinajo circa di doppie, che il mio fattore mi aveva spedite
-il giorno innanzi alla mia partenza da Bragelonne; ma devo lasciarne
-una cinquantina a Raolo; bisogna pure che un giovane si mantenga
-decorosamente: sicchè ho a un dipresso cinquanta doppie. E voi?
-
-«Io, son certo che a rivoltarmi le tasche ed aprire tutte le mie
-cantere non troverò in casa mia dieci luigi. Fortunatamente lord di
-Winter è ricco.
-
-«De Winter per il momento è rovinato, poichè Cromvello riscuote le sue
-rendite.
-
-«Ecco dove sarebbe opportuno il barone Porthos, osservò Aramis.
-
-«Ecco dove mi duole di non avere con noi d’Artagnan; fece Athos.
-
-«Che borsa piena!
-
-«Che spada pronta!
-
-«Seduciamoli.
-
-«Il segreto non è nostro; non poniamo veruno nella confidenza.
-D’altronde con un tal passo sembrerebbe che dubitassimo di noi
-medesimi.... Doliamoci pure fra noi, ma non si parli.
-
-«Dite bene, che farete da adesso a stassera? Io sono costretto a
-differire due cose.
-
-«Sono da differirsi?
-
-«Eh! bisognerà adattarvisi.
-
-«E quali erano?
-
-«La prima una bucata di spada al Coadjutore che jeri sera incontrai
-nella società di madama di Rambouillet, e che mi parve usasse a mio
-riguardo maniere singolari.
-
-«Oibò! duello fra colleghi!
-
-«Che volete? egli è traditore, e lo sono anch’io; egli frequenta
-amabili signore, ed io pure. Talvolta mi sembra ch’ei sia Aramis ed
-io il Coadjutore, tanta è l’analogia ch’esiste fra noi. È una specie
-di Sosia, che mi annoja e mi dà ombra. Di più è un imbroglione che
-comprometterà il nostro partito. Sono persuaso che se gli dessi uno
-schiaffo, come ho fatto a quel particolare che mi aveva schizzato di
-mota, gli affari muterebbero aspetto.
-
-«Ed in quanto a me, replicò tranquillamente Athos, penso che non
-si muterebbe se non l’aspetto del signor di Retz. Sicchè datemi
-retta, lasciamo le cose come stanno. E poi non appartenete più l’uno
-all’altro: voi siete della regina d’Inghilterra, ed esso della Fronda.
-Dunque se la seconda faccenda che v’incresce di non potere eseguire non
-è più importante della prima....
-
-«Oh! quella era importantissima.
-
-«Allora fatela subito.
-
-«Pur troppo non sono libero di effettuarla nell’ora che voglio... Era
-di sera, assolutamente di sera.
-
-«Capisco, disse Athos sorridendo, a mezza notte.
-
-«All’incirca.
-
-«Che volete, caro mio? quelle sono faccende che si rimettono ad un
-altro tempo, e così farete voi, soprattutto avendo una tale scusa da
-dare al vostro ritorno.
-
-«Sì, se torno.
-
-«Se non tornate chi v’interessa? Siate un po’ ragionevole; animo,
-Aramis, non siete più un giovanotto di venti anni.
-
-«Pur troppo, cospettaccio! oh se lo fossi!
-
-«Sì sì, secondo me fareste delle belle pazzie. Ma convien che ci
-lasciamo: io ho da fare una visita o due e da scrivere una lettera;
-venite dunque a prendermi alle otto ore, o piuttosto gradite ch’io vi
-aspetti a cena alle sette?
-
-«Benone; rispose Aramis, io ho da far venti visite e da scrivere
-altrettante lettere».
-
-E gli amici si separarono. Athos andò a riverire madama di Vendome,
-lasciò il suo nome da madama di Chevreuse, e scrisse questo biglietto
-diretto a d’Artagnan.
-
- «Amico carissimo.
-
- «Parto con Aramis per affare di premura. Vorrei dirvi addio, ma mi
- manca il tempo. Non vi scordate che vi scrivo per ripetervi quanto
- vi sono affezionato.
-
- «Raolo è andato a Blois, e non è istrutto della mia partenza.
- Invigilate su di esso nella mia assenza meglio che possiate, e se
- per caso di qui a tre mesi non aveste mie notizie ditegli che apra
- un piego sigillato ed al suo indirizzo che troverà a Blois nel mio
- cassettino di bronzo di cui vi mando la chiave.
-
- «Abbracciate Porthos per Aramis e per me. A rivederci, e forse
- addio».
-
-Athos fece recare il biglietto da Blaisois.
-
-Giunse Aramis all’ora stabilita: era vestito da cavaliere, ed aveva al
-fianco l’antica spada che tanto spesso aveva sguainata ed a sguainare
-la quale era più pronto che mai.
-
-«Orsù, disse, mi pare che facciamo male ad andarcene così senza
-lasciare due versi di addio a Porthos e d’Artagnan.
-
-«Ci ho pensato io, rispose Athos, ed ho mandato a tutti due un amplesso
-per voi e per me.
-
-«Siete un uomo ammirabile! pensate a tutto.
-
-«Ebbene, vi siete deciso per questo viaggio?
-
-«Sicuramente, e adesso che ci ho riflettuto ho piacere di abbandonar
-Parigi in questo momento.
-
-«Lo stesso succede a me, replicò Athos, se non che mi duole di non
-aver abbracciato d’Artagnan; ma è un demonio sì scaltro che avrebbe
-indovinati i nostri progetti».
-
-Alla fine della cena venne Blaisois, dicendo:
-
-«Signore, ecco la risposta del signor d’Artagnan.
-
-«Scimunito! non ti avevo mica detto che vi dovesse esser risposta.
-
-«E me m’ero andato senza aspettarla; mi ha fatto richiamare indietro, e
-mi ha dato questo, ribattè Blaisois».
-
-E parse ad Athos un sacchetto di pelle ben rotondetto e sonante.
-
-Questi lo aperse, e principiò da levarne un bigliettino concepito in
-questi termini:
-
- «Caro conte.
-
- «Quando si viaggia, ed in ispecie per tre mesi, non si ha mai
- denaro bastante: io mi rammento dei nostri tempi di penuria, e vi
- spedisco metà della mia borsa. Sono soldi che mi è riuscito di far
- sudare al Mazzarino. Vi prego di non farne cattivo uso.
-
- «In quanto a non più rivedervi, io non ci credo; col vostro cuore e
- colla vostra spada, si passa dappertutto. E perciò _a rivederci_, e
- non _addio_.
-
- «Già s’intende che dal primo giorno che conobbi Raolo lo amai come
- mio figlio; siate però persuaso che chiedo sinceramente a Dio di
- non diventar suo padre, benchè andrei superbo di un figlio simile.
-
- «Il vostro
-
- «D’Artagnan».
-
- «P. S. Ben intesi, i cinquanta luigi che vi invio sono vostri come
- di Aramis, e di Aramis come vostri».
-
-Ad Athos oscurò le pupille una lagrima. D’Artagnan, da lui sempre amato
-teneramente, lo amava dunque ognora ancorchè datosi a Mazzarino!
-
-«Ecco davvero le cinquanta monete d’oro, disse Aramis vuotando il
-sacchetto sul tavolino, tutte con l’effigie del re Luigi XIII. Or bene,
-conte, che ne fate? le tenete o le rimandate?
-
-«Le ritengo, e le riterrei quando anche non ne avessi bisogno; ciò ch’è
-offerto con gran cuore deve pure con cuor grande accettarsi. Prendetene
-venticinque, e date a me le altre.
-
-«Manco male; son contento di trovarvi della stessa mia opinione. Ora,
-si parte?
-
-«Quando vorrete. Ma non avete servitori?
-
-«No, quell’imbecille di Bazin, essendosi fatto bidello, non può
-muoversi da Nostra Donna.
-
-«Bene, piglierete Blaisois, che mi è inutile poichè io ho digià Grimaud.
-
-«Volentieri, fece Aramis».
-
-Comparve sulla soglia Grimaud.
-
-«Pronti, disse col suo consueto laconismo.
-
-«Si vada, soggiunse Athos».
-
-I cavalli avevano addosso la sella. I due amici saltarono ciascuno sul
-suo; e i due domestici l’imitarono.
-
-Sul canto incontrarono Bazin che correva affannoso.
-
-«Ah Signore! diss’egli, sia lodato Dio! arrivo a tempo.
-
-«Che v’è mai?
-
-«Il signor Porthos, uscito adesso di casa, ha lasciato per voi
-questo, dichiarando ch’era cosa di premura da consegnarvisi avanti che
-partiste.
-
-«Oh! esclamò Aramis prendendo una borsa che Bazin gli porgeva, e che
-sarà?
-
-«Aspettate, signor abate, c’è una lettera.
-
-«Sai che ti ho avvisato che se mai mi chiamavi altrimenti che cavaliere
-ti romperei le ossa? Vediamo la lettera.
-
-«Come farete a leggerla? domandò Athos, qui è bujo come in un forno.
-
-«Ecco, ecco, disse Bazin».
-
-E battuto l’acciarino, accese un moccolo che aveva sempre in saccoccia
-pel suo servizio di chiesa.
-
-Al lume del quale, Aramis lesse:
-
- «Mio caro d’Herblay.
-
- «Sento da d’Artagnan, il quale mi saluta da parte vostra e da
- quella del conte di la Fère, che partite per una spedizione da
- durar forse due o tre mesi, e siccome so che non vi va a genio di
- chiedere a’ vostri amici, io vi esibisco da per me. Ecco duecento
- doppie di cui potete disporre, e che mi renderete quando capiti
- l’occasione. Non temete di scomodarmi; se ho bisogno di numerario
- ne farò venire da una delle mie tenute; a Bracieux soltanto ho
- ventimila lire in oro. E così, se non vi spedisco di più, è per
- dubbio che non accettiate una somma troppo considerevole.
-
- «Mi rivolgo a voi, perchè secondo sapete, il conte di la Fère mi
- dà sempre a mio malgrado un po’ di soggezione, sebbene io lo ami
- di cuore; ma s’intende che quel che a voi offro è offerto nel tempo
- stesso a lui.
-
- «Sono, come spero che terrete per sicuro
- Vostro Affezionatissimo
- Duvallon de Bracieux di Pierrefonds.
-
-«Eh! fece Aramis, che ne dite?
-
-«Dico, d’Herblay mio, ch’è un sacrilegio di dubitare della Provvidenza,
-soprattutto quando essa ci dà simili amici.
-
-«Sicchè?
-
-«Sicchè, dividiamoci le doppie di Porthos nella guisa medesima che i
-luigi di D’Artagnan».
-
-Fatta la divisione al lume del moccolino di Bazin, i due compagni
-s’incamminarono di nuovo.
-
-E dopo un quarto d’ora erano alla porta San Dionigi, ove gli attendeva
-lord di Winter.
-
-
-
-
-XLVI.
-
-_Ove si prova che il primo impulso è sempre il migliore._
-
-
-I nostri gentiluomini presero la strada della Piccardia, ad essi tanto
-nota e che ad Athos ed Aramis riproduceva alcune fra le più pittoresche
-rimembranze di loro gioventù.
-
-«Se fosse con noi Mousqueton, disse Athos arrivando al luogo in cui
-aveano avuto contesa con varj selciatori, oh come raccapriccerebbe nel
-passar di qua! ve ne ricordate? qua gli venne quella palla famosa.
-
-«Davvero, glielo menerei buono, fece Aramis, poichè mi sento
-imbrividire nel rammentarmene.... ecco, più là dell’albero un posticino
-ove credei di esser morto a dirittura».
-
-Continuarono innanzi. In breve toccò a Grimaud a scendere col pensiero
-nella propria memoria. Giunto di faccia all’albergo in cui esso ed
-il suo padrone avevano fatta già tempo una sì enorme gozzoviglia, si
-accostò ad Athos, ed accennandoli lo spiraglio della cantina pronunziò.
-
-«Salsicciotti!»
-
-Athos si mise a ridere, e quella follia degli anni suoi giovanili gli
-sembrò divertevole come se taluno gliela narrasse avvenuta ad un altro.
-
-Finalmente dopo due giorni e una notte arrivarono, verso sera e con
-bellissimo tempo, a Boulogne, città in allora poco men che deserta,
-costrutta affatto sull’altura; quella che chiamasi la città bassa non
-esisteva. Boulogne stava in una posizione formidabile.
-
-Quando furono alle porte, di Winter disse:
-
-«Signori, facciamo qui come a Parigi: separiamoci per evitare i
-sospetti; io ho una locanda poco frequentata, ma di cui il padrone è
-tutto dedito a me, ed io ci vado, perchè là devono aspettarmi delle
-lettere; voi, andate al primo albergo della città, per esempio alla
-_Spada del grande Enrico_; rinfrescatevi, e tra due ore trovatevi sullo
-scalo, vi sarà ad attenderci la nostra barca».
-
-Così fu stabilito. Lord di Winter continuò lungo i bastioni esterni
-onde entrare da un’altra porta, mentre i due amici entrarono da quella
-davanti alla quale si trovavano. Dopo duecento passi s’imbatterono
-nella locanda indicata.
-
-Fecero rinfrescare i cavalli, ma senza toglier loro la sella; i servi
-cenarono, giacchè cominciava ad esser tardi, ed i padroni, impazienti
-d’imbarcarsi diedero ad essi il convegno sullo scalo, con ordine di non
-barattar parole con chi si fosse. Ci s’intende che tale raccomandazione
-riguardava unicamente Blaisois; per Grimaud da gran tempo era
-superflua.
-
-Athos ed Aramis scesero verso il porto.
-
-Entrambi, per gli abiti polverosi che avevano addosso, e per quell’aria
-disinvolta che sempre fa riconoscere un uomo assuefatto a viaggiare,
-richiamarono l’attenzione di alcuni che erano colà a spasso.
-
-Ed uno specialmente ne videro a cui il loro arrivo aveva prodotta una
-certa impressione. Quest’uomo, ch’essi erano stati i primi ad osservare
-pelle medesime cause che avevano fatto osservar loro dagli altri,
-andava su e giù malinconico; appena gli ebbe adocchiati non cessò più
-di esaminarli, e si mostrò bramosissimo di rivolger loro la parola.
-
-Era giovane e pallido; aveva gli occhi di un color turchino tanto
-dubbio che pareva variassero come quelli della tigre secondo i colori
-che riflettevano; l’andatura, ancorchè lenta ed incerta, aveva un non
-so che d’ardito; era vestito di nero, e portava con molto garbo la
-spada.
-
-Athos ed Aramis si fermarono a guardare una piccola lancia legata ad un
-piuolo e come apparecchiata per attender gente.
-
-«Sarà la nostra, disse Athos.
-
-«Sì, rispose Aramis, e lo sloop che si mette laggiù alla vela sembra
-sia quello che deve condurci al nostro destino... eh! almeno di Winter
-non si facesse aspettare! non è punto piacevole lo star qui, non passa
-neanche una donna.
-
-«Zitto! fece Athos, v’è chi ci ascolta».
-
-In fatti colui che accennammo, e che considerando attentamente i due
-compagni era passato più volte dietro ad essi, s’era fermato di botto
-udendo il nome di Winter; ma siccome non sembrava che questo nome
-avesse in lui prodotta emozione alcuna, poteva darsi che per caso
-soltanto ei sospendesse il suo cammino.
-
-Però, salutando con somma civiltà, egli disse:
-
-«Signori, compatite la mia curiosità, ma vedo che venite da Parigi, o
-che almeno qui in Boulogne siete forestieri.
-
-«Veniamo da Parigi, signor sì; rispose Athos con uguale cortesia, che
-possiam fare per servirvi?
-
-«Avreste la bontà di dirmi, continuò il giovanotto, s’è vero che il
-signor Mazzarino non sia più ministro?
-
-«Singolare domanda! fece Aramis.
-
-«Lo è, e non lo è, replicò Athos, cioè la metà della Francia lo
-scaccia, e dall’altra metà egli si fa sostenere a suon di raggiri e di
-promesse.... e può durare un pezzo a questo modo, secondo intenderete.
-
-«Ma in somma, non è nè fuggito nè in carcere?
-
-«Oh no.... almeno per il momento.
-
-«Vi ringrazio della vostra compiacenza».
-
-E quegli si allontanò.
-
-«Che vi pare di questo interrogatore? disse Aramis ad Athos.
-
-«Ch’è qualche provinciale annojato o pure una spia.
-
-«E gli avete parlato così?
-
-«Non avevo diritto di parlargli diversamente: usava meco ogni
-pulitezza, ed io l’ho usata con lui.
-
-«Ma peraltro se fosse uno spione....
-
-«Che vorreste che facesse? Non siamo più ai tempi di Richelieu, che al
-minimo sospetto faceva chiudere i porti.
-
-«Non serve, avete fatto male a rispondergli in quella guisa, insistè
-Aramis seguitando a guardare il signorino che spariva a tergo alle
-dune.
-
-«E voi, disse Athos, non pensate che avete commesso ben altra
-imprudenza, cioè di profferire il nome di lord di Winter; non
-riflettete che allora soltanto colui si è fermato?
-
-«Ragione di più, quando vi ha discorso, d’invitarlo a tirare innanzi
-pel suo viaggio.
-
-«Attaccar lite?....
-
-«E da quando in qua vi mette paura una lite?
-
-«Una disputa mi fa sempre paura, quando sono aspettato in qualche luogo
-e la disputa può impedirmi di andarvi. E poi volete che vi confessi una
-cosa? anch’io ero curioso di veder da vicino quel giovane.
-
-«E perchè?
-
-«Aramis, ora mi burlerete; direte che ripeto ognora lo stesso; mi
-chiamerete il più timoroso di tutti i visionarj....
-
-«E poi?
-
-«A chi vi pare ch’ei somigli?
-
-«In bello o in brutto? fece ridendo Aramis.
-
-«In brutto, e per quanto un uomo possa somigliare a una donna.
-
-«Oh per Diana! esclamò Aramis, adesso mi ci fate pensare. No, per
-Diana! non siete visionario, e ora che ci rifletto, sì, sì, avete
-ragione; quel bocchino ritirato, quegli occhi che sembrano al comando
-della mente e non mai al comando del cuore.... è qualche bastardo di
-milady.
-
-«Voi ridete, Aramis?
-
-«Per abitudine e non altro, giacchè vi giuro che non avrei più genio di
-voi d’incontrarmi con quel serpentello!
-
-«Ah! disse Athos, ecco di Winter.
-
-«Bene; ora non mancherebbe che una cosa, che i nostri lacchè si
-facessero attendere.
-
-«No no, li veggo.... vengono, sono dietro a milord di una ventina di
-passi. Riconosco Grimaud dalla testa dritta e le gambe lunghe, Tony
-porta le nostre carabine.
-
-«Dunque c’imbarcheremo di notte? chiese Aramis dando un’occhiata verso
-ponente, ove il sole non lasciava più altro che un nuvolo indorato, il
-qual pareva a poco a poco si estinguesse tuffandosi in mare.
-
-«Può essere di sì.
-
-«Diamine! mi piace poco il mare di giorno, ma di notte anco meno;
-il rumore delle onde, lo strepito dei venti, il terribile moto del
-bastimento.... oh! confesso che preferisco il convento di Noisy».
-
-Athos sorrise mestamente, perchè ascoltando Aramis pensava però a
-tutt’altro, e s’incamminò verso di Winter. Aramis gli andò appresso.
-
-«Che cos’ha il nostro amico? disse quest’ultimo, somiglia ai dannati
-del Dante a cui Satanno ha dislogato il collo e che si guardano le
-calcagna. Che diavolo ha egli per guardarsi dietro a quel modo?»
-
-Di Winter avendo visti i due compagni si sollecitò a venir loro
-incontro, ma con rapidità veramente sorprendente.
-
-«Che avete, milord? domandò Athos, perchè così affannoso?...
-
-«Nulla, nulla.... bensì, nel passare vicino alle dune mi è
-sembrato!...» rispose di Winter.
-
-E si voltò di nuovo. Athos fissò in viso Aramis.
-
-«Partiamo, continuò di Winter, il batello deve aspettarci, lo sloop è
-là all’áncora.... lo vedete? vorrei esservi di già sopra!»
-
-E ritornava a girarsi.
-
-«Ehi! fece Aramis, vi siete forse scordata qualche cosa?
-
-«No no.... è un’idea....
-
-«Lo ha visto, avvertì piano Athos ad Aramis».
-
-Erano giunti alla scala che conduceva alla barca: di Winter fe’
-scendere prima i domestici che recavano le armi e i facchini che
-portavano i bauli, e cominciò ad andar abbasso egli pure.
-
-Nel momento Athos osservò un uomo che seguitava la riva del mare
-paralella allo scalo, e che correva, come per esser presente dall’altra
-parte del porto separata di appena venti passi, al loro imbarco.
-
-Tra l’ombra che cominciava a calare credè di ravvisare il giovane che
-lo aveva interrogato.
-
-«Oh oh! disse fra sè, fosse realmente una spia, e intendesse di opporsi
-alla nostra partenza?»
-
-Ma siccome in caso che lo straniero avesse un tal progetto era digià
-un po’ tardi per eseguirlo, Athos scese anch’esso la scala, quantunque
-senza lasciar d’occhio il giovanotto.
-
-Costui per finirla era comparso sopra una cateratta.
-
-«Di certo è qui per noi, disse Athos; ma imbarchiamoci, e una volta che
-saremo in mare venga, venga!»
-
-E saltò nel battello, il quale subito si partì spinto da quattro
-robusti remiganti.
-
-Il forestiero però si diede a seguitare, o meglio a precedere la
-lancia. Questa doveva passare fra la punta dello scalo a cui sovrastava
-il fanale acceso appunto d’allora, ed uno scoglio ch’era da parte. Egli
-fu veduto da lontano salire sullo scoglio onde sovrastare alla lancia
-quando di là transitasse.
-
-«Cospetto! disse Aramis ad Athos, quel ragazzo è assolutamente uno
-spione.
-
-«Qual ragazzo? domandò di Winter volgendosi.
-
-«Quello che ci ha seguitati, che ci ha parlato, e che ci fa la posta
-lassù. Guardatelo!»
-
-Di Winter osservò nella direzione del dito di Aramis. Il fanale
-spandeva grandissimo chiarore sopra lo stretto per dove si doveva
-transitare e sulla roccia ove rimaneva il giovane, ritto, a testa
-scoperta e colle braccia incrociate.
-
-«È desso! gridò di Winter afferrando Athos per un braccio, è desso!
-credevo pure di averlo ravvisato, non m’ingannavo.
-
-«Chi mai? domandò Aramis.
-
-«Il figlio di milady, rispose Athos.
-
-«Il finto monaco! urlò Grimaud».
-
-Il forestiero udì tali parole. Avreste detto volesse precipitarsi
-abbasso, tanto era venuto sulla punta della rupe e chino verso il mare.
-
-«Sì, son io, mio zio, il figlio di milady; io monaco, io segretario e
-amico di Cromvello, e vi conosco voi ed i vostri compagni».
-
-Nel battello erano tre uomini, valorosi al certo, e dei quali nessuno
-avrebbe osato porre in dubbio il coraggio; ebbene! a quella voce,
-a quell’accento, a quel gesto, si sentirono scorrere nelle vene un
-brivido di terrore.
-
-A Grimaud si erano drizzati in testa i capelli, e dalla fronte gli
-colava il sudore.
-
-«Ah! disse Aramis, è il nepote, è il finto frate, è il figliuol di
-milady, come dice da sè!
-
-«Ohimè, sì! borbottò di Winter.
-
-«Dunque aspettate».
-
-Ed Aramis, col terribile sangue freddo che aveva nelle occasioni
-supreme, prese uno dei due moschetti che reggeva Tony, lo caricò,
-e pigliò di mira quell’uomo che stava in piedi sullo scoglio
-perseguitandolo con la mano e con lo sguardo come l’angiolo delle
-maledizioni.
-
-«Fuoco!» gridò Grimaud fuori di sè.
-
-Athos si slanciò sulla canna della carabina ad impedire la botta.
-
-«Il diavolo vi porti! esclamò Aramis, l’avevo tanto bene messo a punto,
-gli avrei piantata la palla in mezzo al petto.
-
-«Basta aver uccisa la madre, disse truce Athos.
-
-«La madre era una scellerata che ci aveva colpiti in noi stessi o in
-quelli che ci erano cari.
-
-«Sì, ma il figlio nulla ci fece».
-
-Grimaud che si era sollevato alquanto per mirare l’effetto della botta,
-ricadde scoraggito battendo le mani.
-
-Il giovinotto diede in uno scroscio di risa, ed urlò:
-
-«Ah! siete voi, siete voi! ora vi riconosco».
-
-Il suo riso stridulo e le parole sue minacciose passarono di sopra alla
-lancia trasportata dal vento, e andarono a perdersi nella profondità
-dell’orizzonte.
-
-Aramis raccapricciò.
-
-«Calma, calma! disse Athos, che diamine! non siamo più uomini?
-
-«Noi, sì, riprese Aramis, ma egli è un demonio.... E a voi, domandate
-allo zio se avevo torto a volerlo sbarazzare di un simile nepote».
-
-Di Winter non replicò che con un sospiro.
-
-«Tutto sarebbe finito, continuò Aramis. Athos! io temo che colla vostra
-saviezza mi abbiate fatto fare una pazzia».
-
-Athos prese per mano di Winter, e procurando disviare il discorso gli
-domandò:
-
-«Quando approderemo in Inghilterra?»
-
-Ma il gentiluomo non lo intese nè fece motto.
-
-«Ecco, proseguì Aramis, forse sarebbe ancora tempo; guardate, è là
-nello stesso posto».
-
-Athos si girò con dispiacere, l’aspetto di quel giovane eragli assai
-penoso.
-
-Chè realmente egli rimaneva in piedi sullo scoglio, ed il faro gli
-mandava attorno come un’aureola di luce.
-
-«Ma che fa egli a Boulogne? chiese Athos, il quale tutto senno, cercava
-di ogni cosa la causa e poco curava l’effetto.
-
-«Mi seguitava, mi seguitava, disse di Winter che questa volta aveva
-udita la voce di Athos, voce che rispondeva ai suoi pensieri.
-
-«Per ciò, amico mio, ribattè Athos, bisognava che sapesse la nostra
-partenza; e d’altronde, secondo tutte le probabilità, egli ci aveva
-anzi preceduti.
-
-«Allora nulla comprendo, disse l’Inglese scuotendo la testa come
-uno che rifletta essere inutile contrastare contro una forza
-soprannaturale.
-
-«Davvero, approvò Athos ad Aramis, credo di aver avuto torto non
-lasciandovi fare.
-
-«Ah state zitto! borbottò questi, mi fareste piangere se potessi!»
-
-Grimaud mandò fuori un brontolio che somigliava quasi ad un ruggito.
-
-Nel momento li chiamò una voce dal naviglio. Il piloto seduto al timone
-le rispose, e il battello si accostò al bastimento.
-
-In un attimo furono a bordo gentiluomini, servi e bagaglio. Il capitano
-non attendeva se non loro; e tosto ch’ebbero messo piede sul ponte si
-volse la prora in verso Hasting per dove era la destinazione.
-
-Ed i tre amici, a lor malgrado, mandarono un ultimo sguardo dal lato
-dello scoglio, su cui tuttora appariva visibile l’ombra minacciosa.
-
-E minacciosa fu pure una voce che giunse fino ad essi gridando:
-
-«Signori, a rivederci in Inghilterra!»
-
-
-
-
-XLVII.
-
-_Il Te Deum della vittoria di Lens._
-
-
-Il movimento osservato da Enrichetta, e di cui invano ella ricercava il
-motivo, era cagionato dall’annunzio della vittoria di Lens del quale
-il signor Principe aveva fatto messaggiero il duca di Chatillon che
-in essa aveva avuta nobilissima parte, e che inoltre avea l’incarico
-di appendere alle vôlte di Nostra-Donna ventidue bandiere prese ai
-Lorenesi ed agli Spagnuoli.
-
-La notizia era decisiva: troncava il litigio intavolato col Parlamento
-a favore della corte. Tutte le imposte sommariamente registrate ed
-a cui faceva opposizione il Parlamento si motivavano sempre con la
-necessità di sostenere l’onor della Francia e la speranza di battere
-il nemico. E siccome, dopo Nordlingen non si erano avute che delle
-sconfitte, restava campo al Parlamento onde interpellare Mazzarino su
-le vittorie ognor promesse e differite. Ma questa volta era seguita
-la pugna, v’era stato completo trionfo, e quindi ciascuno comprendeva
-esservi pella corte doppia vittoria, cioè all’interno e all’esterno,
-talmentechè persino il giovanetto re all’udire la nuova esclamava:
-
-«Ah ah! signori del Parlamento, sentiremo ora che cosa direte!»
-
-Per cui la regina si strinse al seno il regio fanciullo, i di lui
-sentimenti alteri e indomiti tanto bene si combinavano co’ suoi.
-E nella serata ebbe luogo un consiglio, chiamandosi a questo il
-maresciallo di La Meilleraie e il signor di Willeroy perchè dediti al
-Mazzarino, Chavigny e Seguier perchè odiavano il Parlamento, e Guitaut
-e Comminges perchè divoti alla regina.
-
-Nulla si penetrò di quanto fosse deciso in quel consiglio, e solo
-si seppe che alla seguente domenica vi sarebbe _Te Deum_ cantato a
-Nostra-Donna in onore della vittoria di Lens.
-
-Nella domenica suddetta i Parigini si destarono in somma allegrezza. In
-quell’epoca un _Te Deum_ era cosa grandissima; era molto accetta nel
-pubblico tal cerimonia, ed essa produceva il dovuto effetto. Il sole,
-come prendesse parte alla festa, sorgeva bello e splendido a indorare
-le oscure torri della metropoli digià piena d’immensa quantità di
-popolo, le strade le più buje della città-vecchia avevano una cert’aria
-da festa, e lungo gli argini si vedevano lunghe file di borghesi,
-artieri, donne e bambini, recarsi a Nostra-Donna, simili a un fiume che
-risalisse verso la sua sorgente.
-
-Le botteghe erano abbandonate, le case chiuse, ciascuno aveva voluto
-mirare il giovine re con sua madre ed il famoso signor Mazzarino,
-pel quale si aveva tant’odio che nessuno intendeva privarsi della sua
-presenza.
-
-Del resto fra l’immensa folla regnava la maggior libertà; tutte
-le opinioni si esprimevano apertamente, e per dir così suonavano a
-sommossa, conforme le mille campane di tutte le chiese suonavano a _Te
-Deum_. La polizia della città essendo esercitata dalla città stessa,
-nulla di minaccioso veniva a turbare il concerto dell’odio generale o a
-gelare le parole su quelle labbra maldicenti.
-
-Frattanto, sin dalla mattina alle otto, il reggimento delle guardie
-della regina, comandato da Guitaut, e per secondo dal suo nepote
-Comminges, era venuto, preceduto da tamburi e trombe, a schierarsi dal
-Palazzo Reale fino a Nostra-Donna, la quale manovra i Parigini aveano
-veduta tranquillissimamente, curiosi com’e’ sono di splendide uniformi
-e di musica militare.
-
-Friquet era in gran gala, e col pretesto di una flussione, che si era
-procurata momentaneamente col cacciarsi una quantità di noccioli di
-ciriegie da una parte della bocca, aveva ottenuto dal suo superiore
-Bazin la vacanza per tutta la giornata. Sul principio Bazin gliel’aveva
-ricusata, essendo di mal umore, prima per la partenza di Aramis ch’era
-andato via senza dirgli dove andasse, e poi per dover assistere a una
-messa detta in favore di una vittoria che non istava d’accordo colle
-sue opinioni (Bazin, noi ce lo rammentiamo, era un della _Fronda_, e
-se vi fosse stato caso che in tale solennità il bidello si assentasse
-come un semplice cantore, egli avrebbe di sicuro avanzata al superiore
-la stessa domanda che a lui si faceva); aveva ricusato, noi dicevamo,
-la richiesta vacanza, ma alla sua presenza si accrebbe cotanto la
-flussione di Friquet, che per l’onore del corpo dei cantori il quale
-sarebbe stato compromesso da siffatta deformità, finì col cedere
-benchè brontolando. Friquet arrivato sull’uscio aveva sputata la sua
-flussione, e mandato dalla parte di Bazin uno di quei gesti che rendono
-i monelli di Parigi superiori a tutti gli altri monelli dell’universo.
-E dell’osteria poi si era disbrigato naturalmente col dire che doveva
-servire la messa a Nostra-Donna.
-
-Sicchè Friquet era libero, e conforme accennammo si era vestito col suo
-maggior lusso; teneva specialmente, come ornamento rimarchevole della
-sua persona una di quelle _buffe_ indescrivibili che stanno framezzo al
-berretto del medio evo e al cappello dei tempi di Luigi XIII. La madre
-gli aveva fabbricato quel curioso copri-zucca, e forse per ghiribizzo
-o per mancanza di roba uniforme, si era mostrata poco premurosa di
-assortire i colori, in guisa che quel capolavoro di berretteria del
-secolo decimosettimo era da un lato giallo e verde, e dall’altro bianco
-e rosso. Bensì Friquet, stato sempre propenso per la varietà dei tuoni,
-se lo portava, ad onta di tutto questo, glorioso e trionfante.
-
-Uscito d’appresso a Bazin, si mise a correre verso il Palazzo Reale;
-vi arrivò nel momento che ne veniva fuori il reggimento delle guardie;
-e siccome non era là per altro che per godere della vista di questo e
-profittare della musica, si piantò alla testa della truppa, battendo
-il tamburo con due pezzi di lavagne, e da tale esercizio passando a
-quello della trombetta, che contraffaceva naturalmente con la bocca in
-sì bella maniera da averne riscosso più di una volta grandi elogi per
-parte degli amatori dell’armonia imitativa.
-
-Cotesto divertimento durò dalla barriera dei Sergenti sino alla
-piazza Nostra-Donna, e Friquet v’ebbe veramente piacere; ma quando
-il reggimento si fermò, e le compagnie distendendosi penetrarono
-fino nel cuore della città-vecchia, mettendosi in fila all’estremità
-della via San Cristoforo, vicino alla strada Cocatrix dove abitava
-Broussel, allora Friquet, ricordandosi di non aver fatto colazione,
-cercò da che lato potrebbe volgere il passo onde adempiere a quell’atto
-importantissimo della giornata, ed avendovi maturamente riflettuto
-decise che dovesse toccare al consigliere Broussel di provvedere a quel
-suo piccolo pasto.
-
-In conseguenza prese lo slancio, giunse ansante e affannoso davanti al
-portone del consigliere, e bussò forte.
-
-Sua madre, vecchia serva di Broussel, venne subito ad aprire.
-
-«Che vieni tu a far qui, biricchino? essa disse, e perchè non sei a
-Nostra-Donna?
-
-«C’ero, mamma mia, rispose Friquet, ma ho visto che succedevano cose
-che andavano avvisate a messer Broussel, e col permesso del signor
-Bazin, sapete pure, mamma, Bazin il bidello, son corso qua per parlare
-al signor Broussel.
-
-«E che gli vuoi dire, scimmiotto?
-
-«Vuo’ discorrere proprio con lui.
-
-«Non è possibile, è al lavoro.
-
-«Dunque aspetterò».
-
-E Friquet a cui questo tornava in acconcio, dacchè troverebbe modo
-d’impiegare il tempo, salì alla lesta la scala, che la madre faceva
-molto più adagio andandogli dietro.
-
-«Ma insomma, domandò questa, che vuoi dal signor Broussel?
-
-«Gli vuo’ dire, rispose Friquet urlando quanto più forte potesse, che
-v’è tutto l’intero reggimento delle guardie che se ne viene per in qua;
-e siccome ho sentito a dir dappertutto che in corte v’erano cattive
-disposizioni contro di lui, lo voglio avvertire perchè stia ben cauto».
-
-Broussel udì le grida di quel bricconcello, e, contentissimo del di lui
-zelo, scese al primo piano, giacchè infatti lavorava nel suo gabinetto
-del secondo.
-
-«Eh! caro mio, gli disse, che c’importa del reggimento delle guardie?
-sei matto a venire a far tanto chiasso? non sai che è uso di agire come
-agiscono quei signori, e che il reggimento è solito a schierarsi ove
-deve passare il re?»
-
-Friquet s’infinse da nescio, e girandosi fra le dita la berretta nuova,
-rispose:
-
-«Non è miracolo che le sappiate voi, signor Broussel, che sapete ogni
-cosa, ma io, in verità di Dio benedetto, non lo sapevo, e ho creduto di
-darvi un buon avviso; non v’avete ad adirar con me, signor Broussel.
-
-«Anzi, ragazzo mio, al contrario, mi piace la tua premura.... Ehi!
-(ordinò alla serva) pigliate un po’ le albicocche che ci mandò jeri
-da Noisy madama di Longueville, e datene una mezza dozzina al vostro
-figliuolo con un pezzo di pan fresco.
-
-«Ah! grazie grazie, signor Broussel! giusto! mi piaccion tanto le
-albicocche!»
-
-Il consigliere allora passò dalla moglie, e chiese la colazione. Erano
-le nove e mezza.
-
-Si affacciò alla finestra. La strada era deserta, ma da lontano si
-udiva, come il rumore della marea, il susurrare delle onde popolari che
-già già crescevano attorno a Nostra Donna.
-
-E lo strepito si raddoppiò allorchè d’Artagnan capitò con una compagnia
-di moschettieri ad impostarsi alle porte della chiesa per far della
-medesima il servizio interno. Egli aveva detto a Porthos di profittare
-dell’occasione per essere spettatore della cerimonia, e Porthos in gran
-tenuta, si mise sul più bello de’ suoi cavalli, facendo da moschettiere
-onorario, secondo in addietro spesso avea fatto d’Artagnan. Il sergente
-della compagnia, vecchio soldato delle guerre di Spagna, aveva
-riconosciuto Porthos suo antico compagno, ed informati prestamente
-tutti quanti eran sotto ai suoi ordini delle alte gesta di quel
-gigante, onore dei moschettieri di Tréville, e Porthos non solo era
-stato bene accolto, ma anco considerato con ammirazione.
-
-Alle dieci ore il cannone del Louvre annunziò l’uscire del re.
-
-Un movimento, simile a quello di alberi, le cui cime sieno tormentate
-e curvate da un vento burrascoso, corse in fra la moltitudine, che si
-agitò di dietro ai fucili immobili delle guardie.
-
-Comparve finalmente il re con la regina in una carrozza tutta dorata.
-Lo seguivano altre dieci carrozze che racchiudevano le dame d’onore,
-gli ufficiali del regio palazzo e tutta la corte.
-
-«Viva il re!» fu gridato per ogni banda.
-
-Il giovine sovrano mise gravemente il capo fuor dello sportello, fece
-un cenno di riconoscenza, e salutò anco un tantino, lo che aumentò gli
-urli della folla.
-
-Il corteggio avanzò con lentezza, ed impiegò quasi mezz’ora per
-passare lo spazio che separa il Louvre dalla piazza di Nostra-Donna;
-ed ivi giunto, si recò a poco a poco sotto l’immensa vôlta dell’oscura
-metropoli, e si diede principio al servizio divino.
-
-Nel punto in cui la corte si poneva al suo posto, una carrozza con le
-armi di Comminges abbandonò la fila di quelle della corte stessa, e
-venne adagio a situarsi in fondo alla via di San Cristoforo del tutto
-deserta. Colà arrivata, quattro guardie ed un birro, che la scortavano,
-vi salirono dentro e ne serrarono le stuoje, e poi prevalendosi della
-poca luce prudentemente riserbatasi, il birro si applicò a far la
-posta su per la strada Cocatrix, quasi attendesse che avesse a capitare
-qualcuno.
-
-Tutti erano occupati della cerimonia, talmente che non si badò alla
-vettura, nè alle precauzioni di coloro che in essa stavano.
-
-Friquet, i di cui occhi sempre attenti erano i soli che potessero
-accorgersene, era andato a godersi le albicocche sul cornicione di una
-casa dell’atrio di Nostra Donna, e di là vedeva il re, la regina e il
-signor Mazzarino, e sentiva la messa come l’aveva servita.
-
-Verso il finir della funzione, la regina osservando che Comminges
-in piedi vicino a lei attendeva la conferma dell’ordine da essa già
-datogli avanti di partirsi dal Louvre, gli disse sotto voce:
-
-«Andate, Comminges, e Dio vi assista».
-
-E Comminges si mosse subito, uscì di chiesa, ed entrò nella via di San
-Cristoforo.
-
-Friquet, ch’ebbe adocchiato quel bell’offiziale a camminare così
-seguito da due guardie, si divertì a andargli appresso, e ciò con tanto
-più di allegria dacchè la cerimonia essendo appunto terminata il re
-saliva di nuovo nel suo cocchio.
-
-Il birro, appena vide apparire Comminges all’estremità della via
-Cocatrix, disse due paroline al cocchiere, e questi, messa tosto in
-moto la sua macchina, lo condusse dinanzi alla porta di Broussel.
-
-Comminges bussava al portone precisamente nell’atto che vi si fermava
-la vettura.
-
-E Friquet, dietro a Comminges, attendeva che quello si aprisse.
-
-«Che fai costà, sguajato? domandò Comminges.
-
-«Aspetto per entrare da messer Broussel, signor uffiziale, disse
-Friquet col tuono carezzevole che sanno assumere all’occorrenza i
-ragazzacci di Parigi.
-
-«Abita veramente qua?
-
-«Signor sì.
-
-«E che piano occupa?
-
-«Tutto il casamento.... gli è tutto suo.
-
-«Ma per solito dove sta?
-
-«Per lavorare al secondo piano, ma per mangiare scende al primo; adesso
-dev’essere a pranzo, giacchè è mezzogiorno.
-
-«Bene, bene».
-
-Nell’istante fu aperto. L’ufficiale interrogò il servitore, e seppe
-che Broussel era in casa e realmente desinava. Egli salì appresso il
-servitore, e Friquet salì appresso a lui.
-
-Broussel era a tavola con la sua famiglia, avendo dirimpetto la moglie,
-accanto le due figliuole, ed in fondo alla mensa suo figlio, Louvieres,
-che noi già vedemmo nella circostanza della disgrazia accaduta per la
-strada al consigliere, e da cui questi erasi già rimesso in salute....
-E appunto perchè tornato in sanità, assaggiava le ottime frutta
-mandategli da madama di Longueville.
-
-Comminges, che aveva trattenuto il braccio al domestico mentre questo
-voleva schiudere l’uscio per annunziarlo, lo schiuse da per sè e si
-trovò davanti a quel quadro di famiglia.
-
-All’aspetto dell’uffiziale Broussel si agitò alquanto, ma poichè esso
-lo salutava cortesemente, si alzò e salutò egli pure. Ciò non ostante,
-e ad onta delle scambievoli cortesie, in viso alle donne comparve
-qualche inquietezza, Louvieres impallidì ed attese che l’uffiziale si
-spiegasse.
-
-«Signore, disse Comminges, io son latore di un ordine del re.
-
-«Benissimo, rispose Broussel, che ordine è egli?»
-
-E porgeva la mano.
-
-«Ho l’incarico d’impossessarmi della vostra persona, continuò l’altro
-col medesimo tuono e con la stessa gentilezza, e se date ascolto a me,
-vi risparmierete l’incomodo di leggere questa lunga lettera e verrete
-meco».
-
-Una saetta che fosse caduta framezzo a quelle buone genti
-tranquillamente radunate non avrebbe prodotto effetto più terribile.
-
-Broussel retrocedè tremando. Era in quell’epoca cosa funestissima
-l’essere carcerato per nimicizia del re. Louvieres fece un atto
-come per afferrare la sua spada ch’era sopra una sedia in un canto
-del salotto, ma un’occhiata del bravo consigliere, che fra tutto
-quell’imbroglio non perdeva il giudizio, l’obbligò a trattenersi; la
-signora Broussel, lontana dal marito soltanto di quanto era larga la
-mensa, diede in dirotto pianto; le fanciulle si tenevano stretto il
-padre fra le braccia.
-
-«Orsù, disse Comminges, sollecitiamoci; bisogna obbedire al re.
-
-«Signore, rispose Broussel, sono indisposto di salute, e non posso
-costituirmi prigione in questo stato: domando tempo.
-
-«Non è possibile, l’ordine è formale, e deve eseguirsi subito.
-
-«Non è possibile! replicò Louvieres; signore, badate di non ridurci
-alla disperazione!
-
-«Non è possibile!» urlò una voce acuta di fondo alla stanza.
-
-Comminges si girò, e vide la Gervasia con la granata in mano e gli
-occhi infuocati dalla collera.
-
-«Gervasia cara, siate quieta, ve ne prego! disse il consigliere.
-
-«Star quieta, io, quando arrestano il mio padrone, il sostegno, il
-liberatore, il padre del povero popolo!.... Oh sì, mi conoscete benino!
-Volete andar via? gridò la serva a Comminges».
-
-Questi sorrise.
-
-«Animo, signore, disse a Broussel, fate tacere questa donna, e
-seguitemi.
-
-«Farmi tacere! me?.... ripicchiava Gervasia, oh, ci vuol altro che voi,
-bell’uccello del re! ora vedrete».
-
-E si slanciò alla finestra e la spalancò, e con voce sì penetrante da
-udirsi fino nell’atrio di Nostra-Donna, strillò:
-
-« Ajuto! arrestano il mio padrone! arrestano il consigliere Broussel!
-ajuto!
-
-«Signor mio, fece Comminges, dichiaratevi prontamente: obbedite, o
-volete far ribellione al re?
-
-«Obbedisco! obbedisco! esclamò Broussel: procurando liberarsi dagli
-amplessi delle figliuole e con lo sguardo frenare il figlio sempre
-pronto a sfuggirgli.
-
-«Allora dunque imponete silenzio a questa vecchia.
-
-«Ah! vecchia, vecchia! strepitò Gervasia».
-
-Ed affacciatasi, e reggendosi alle sbarre della finestra, strillava più
-che mai:
-
-«Ajuto, ajuto! per messer Broussel! lo arrestano perchè ha difeso il
-popolo! ajuto!»
-
-Comminges prese la serva per la vita e pretendeva levarla dal suo
-posto; ma nel momento si udì in guisa di falsetto da una sorta di
-mezzanino scaturire le strida:
-
-«Fuoco! assassini! ammazzano il signor Broussel! scannano il signor
-Broussel!»
-
-Era Friquet. E la Gervasia, sentendosi meglio sostenuta, rinforzò gli
-urli e fece coro completo.
-
-Già a’ balconi si mostravano visi curiosi; accorreva la plebe
-richiamata alla fine della contrada; prima uomini, poi comitive, e
-dopo la calca; si sentiva lo strepito, si vedeva una vettura, e nessuno
-capiva. Friquet saltò dal mezzanino sull’imperiale del legno.
-
-«Vogliono arrestare il signor Broussel! gridò; nella carrozza vi sono
-le guardie, e l’uffiziale è lassù!»
-
-La moltitudine, raccoltasi, mormorò, susurrò, e si accostò ai cavalli.
-Le due guardie rimaste nell’andito salirono a dar soccorso a Comminges;
-quelle ch’erano nel legno aprirono lo sportello ed incrociarono le
-lancie.
-
-«Li vedete! esclamava Friquet, li vedete? eccoli! eccoli!»
-
-Il cocchiere, voltatosi, diede a Friquet una buona frustata che lo fece
-urlare dal dolore.
-
-«Ah! vetturino del diavolo! disse questo, ti ci mescoli anco tu!
-aspetta, aspetta!»
-
-E reduce nel mezzanino, scagliò sul degno auriga quanti projettili potè
-ritrovare.
-
-A malgrado delle ostili dimostrazioni delle guardie, e forse anzi a
-motivo di tali dimostrazioni, la folla si diede a schiamazzare e si
-appressò ai cavalli. Le guardie fecero indietreggiare i più facinorosi
-a suon di lanciate.
-
-E cresceva il tumulto; e la strada non era più capace a contenere gli
-spettatori che pullulavano da ogni banda; e la calca ingombrava persino
-lo spazio che fra loro e la carrozza formavano le terribili picche.
-I soldati, respinti come da muraglie viventi, sarebbero a momenti
-schiacciati: fra le assi delle ruote e li sportelli delle vetture.
-Il grido: «In nome del re!» ripetuto ben venti fiate dal birro, a
-nulla giovava contro quella tremenda moltitudine, ed al contrario
-pareva vieppiù la esacerbasse; ed ecco udendo: «In nome del re!»
-scagliarsi un cavaliero, ed al mirare uniformi maltrattate, avventarsi
-fra la mischia, con la spada in mano, e recare alle guardie inattesa
-assistenza.
-
-Il cavaliere era un giovane di quindici a sedici anni, fatto pallido
-dalla collera. Smontò al pari delle altre guardie, si appoggiò al
-timone del legno, del suo cavallo si fece un baluardo, cavò dalle
-saccoccie le pistole e se le pose alla cintura, e cominciò a dar di
-spada come uno a cui fosse familiare il maneggiar codest’arme.
-
-Per una diecina di minuti, esso solo e da sè, resse agli sforzi di
-tutta la gente.
-
-Allora fu visto arrivare Comminges che spingeva avanti Broussel.
-
-«Facciamo in pezzi la carrozza! gridava il popolo.
-
-«Ajuto! gridava la vecchia.
-
-«Assassini! gridava Friquet, buttando addosso alle guardie quanto gli
-capitava fra le mani.
-
-«In nome del re! gridava Comminges.
-
-«Il primo che si avanza è morto! gridò Raolo, il quale, veggendosi
-incalzato, fe’ sentire la punta della sua spada ad una specie di
-gigante ch’era in procinto di schiacciarlo, e che per la ferita
-fattagli rinculò mugolando».
-
-Imperciocchè era appunto Raolo, che tornando da Blois, conforme avea
-promesso al conte di la Fère, dopo un’assenza di cinque giorni, avea
-voluto godere del colpo d’occhio della cerimonia, ed aveva preso dalle
-strade che più direttamente lo avrebbero condotto a Nostra-Donna.
-Giunto nelle vicinanze della via Cocatrix, erasi trovato trascinato
-dall’onda popolare, e al detto di: «In nome del re!» ricordandosi
-quello di Athos: «servite al re», accorreva a combattere pel re di cui
-si maltrattavano le guardie.
-
-Comminges gettò per dir così Broussel nella carrozza e si slanciò
-dietro a questi. Nel momento s’intese una archibugiata, una palla
-attraversò da cima a fondo il cappello a Comminges e ruppe il braccio
-ad une guardia. Comminges alzò il capo, e vide in mezzo alla finestra
-la faccia minacciosa di Louvieres che lo guardava dal secondo piano.
-
-«Ah ah! gli disse, va bene, sentirete parlare di me!
-
-«E anche voi, rispose Louvieres, e si vedrà chi parlerà più forte».
-
-Friquet e la Gervasia strillavano sempre; le grida, lo sparo, l’odore
-della polvere, tanto atto ad eccitare, facevano effetto.
-
-«A morte l’uffizlale! a morte! urlò la folla».
-
-E vi fu grande agitazione.
-
-«Un passo di più, esclamò Comminges calando le stuoje onde si
-distinguesse bene dentro al legno ed appoggiando la spada sul petto
-al consigliere; un passo di più e ammazzo il prigioniero. Ho ordine di
-portarlo o vivo o morto, lo porterò morto e sarà finita».
-
-Echeggiò un grido terribile. La moglie e le figlie di Broussel
-stendevano in atto supplice le mani verso il popolo.
-
-Il popolo comprese che l’uffiziale tanto pallido, ma che parea sì
-risoluto, farebbe come aveva detto; seguitò a minacciare, ma si trasse
-indietro.
-
-Comminges fece salir seco nel legno la guardia ferita, e ordinò alle
-altre di chiudere lo sportello.
-
-«Di galoppo al palazzo!» ordinò poi al cocchiere mezzo morto.
-
-Questo frustò, e gli animali si apersero ampio varco tra la calca.
-Però, arrivati allo scalo, bisognò fermarsi. La vettura ribaltò, i
-cavalli erano trasportati, pigliati, acciaccati dalla gente. Raolo
-a piedi, non avendo avuto agio di montar di nuovo in sella, stanco
-di menar colpi di piatto della spada, come le guardie di darne col
-piatto delle lame, cominciavano a far uso della punta. Però questo
-tremendo ed ultimo compenso non poteva far altro che inasprire la
-moltitudine. Tratto tratto si principiava a veder anche a rilucere tra
-questa o la canna di un moschetto o la lama di una sciabola; si udivano
-delle schioppettate, che, quantunque tirate per aria, scuotevano il
-cuore a tutti, e proseguivano a piovere dai balconi i projettili.
-Si ascoltavano voci che si odono soltanto nei giorni di sommossa, si
-miravano volti che solo si veggono nei giorni più sanguinolenti. Le
-grida: a morte le guardie! nel fiume l’uffiziale! ricoprivano quel
-tumulto ancorchè immenso. Raolo, con il cappello tutto guastato, il
-viso insanguinato, sentiva che non solo le forze ma anco la ragione
-cominciavano ad abbandonarlo; i suoi occhi si avvolgevano in densa
-nebbia rossiccia, ed a traverso a questa scorgeva cento braccia
-accanite stendersi incontro a lui pronte ad afferrarlo appena cadesse.
-Comminges si strappava per la rabbia i capelli nella vettura ribaltata.
-Le guardie non potevano dar ajuto a veruno, occupate ciascune alla
-propria difesa. Era finita! il legno, cavalli, militi, satelliti e
-prigioniero forse anche tutti, stavano sul punto di esser ridotti in
-pezzi.... Ma ad un tratto suonò una voce a Raolo ben cognita, e brillò
-per aria una larga spada, e nel medesimo istante la folla si diradò,
-bucata, atterrata, schiacciata, e un ufficiale dei moschettieri,
-battendo e tagliando a destra e a manca, corse inverso a Raolo, e lo
-prese fra le sue braccia nel momento ch’esso era per cadere.
-
-«Cospettone! esclamò l’ufficiale, lo hanno dunque assassinato! oh in
-tal caso, guai a loro! guai!»
-
-E si volse in atto sì spaventevole per forza e per collera, che i più
-accaniti ribelli si buttarono uno sull’altro onde fuggire, e ve ne
-furono taluni che rotolarono persino nella Senna.
-
-«Signor d’Artagnan! balbettò Bragelonne.
-
-«Sì, cospettone! io in persona, e, secondo pare, per vostra buona
-sorte, amico mio.... Ehi! qua voi altri! urlò d’Artagnan, drizzatosi
-sulle staffe ed alzando la spada, chiamando colla voce e col gesto i
-moschettieri, che non aveano potuto seguirlo tanto era stata rapida
-la sua corsa; Ehi! animo! sgombrate tutta questa gente! ai moschetti!
-portate, armi! caricate, armi!»
-
-A quei comando i monti di plebe si abbassarono sì improvvisamente che
-d’Artagnan non potè frenarsi dal ridere.
-
-«Grazie, d’Artagnan, disse Comminges, mostrandosi per metà dello
-sportello della vettura andata giù, grazie, mio giovane gentiluomo....
-Il vostro nome? acciò io lo riferisca alla regina».
-
-Raolo si accingeva a rispondere. D’Artagnan gli si chinò all’orecchio.
-
-«Tacete, gli disse, e lasciate che risponda io».
-
-E girandosi a Comminges:
-
-«Comminges, non perdete il tempo; uscite dal legno se potete, e fatene
-avanzare un altro.
-
-«Ma quale?
-
-«Per Diana! il primo che passi sul Ponte-Nuovo; quei che vi saran
-dentro si stimeranno fortunatissimi di prestare la loro carrozza pel
-servizio del re.
-
-«Ma non saprei.... fece Comminges.
-
-«Andate, andate! o che fra cinque minuti torneranno tutti que’
-villani con spade o fucili; vi ammazzeranno e libereranno il vostro
-prigioniero.... Andate!.... Oh! appunto, ecco una vettura che viene di
-laggiù».
-
-Ed abbassatosi da capo, d’Artagnan avvertì Raolo all’orecchio:
-
-«E soprattutto, non date il vostro nome!»
-
-Bragelonne lo guardava attonito.
-
-«Va benissimo, io corro, replicò Comminges, e se ritornano fate fuoco.
-
-«No, no! si oppose d’Artagnan, anzi, nessuno si muova; uno sparo fatto
-in questo momento si pagherebbe troppo caro domani».
-
-Comminges prese seco le sue quattro guardie e altrettanti moschettieri,
-e volò incontro alla vettura; ne fece smontare quei che l’occupavano e
-li ricondusse vicino all’altra ribaltata.
-
-Ma quando si dovè trasportare Broussel dal legno rotto nell’altro, il
-popolo, al vedere colui che chiamava suo liberatore, diede urli da non
-idearsi, e si avventò nuovamente addosso alla carrozza.
-
-«Partite, disse d’Artagnan, ecco dieci moschettieri per accompagnarvi,
-io ne ritengo venti per tenere a freno la gente; andate, non perdete un
-istante! Dieci uomini pel signor di Comminges!»
-
-E tanti uomini, quanti ei ne avea destinati, separatisi dalla truppa si
-fecero attorno alla nuova vettura, e mossero di galoppo con essa.
-
-Al partirsi della quale crebbero le strida; e più di diecimila uomini
-si affollavano sull’argine, ingombrando il Ponte-Nuovo e le strade
-adjacenti.
-
-Vi furono alcune schioppettate, un moschettiere restò ferito.
-
-«Avanti! avanti! gridò il nostro tenente arrabbiato e mordendosi i
-baffi».
-
-E co’ suoi venti soldati fece una scarica su tutto quel popolo, che
-scappò spaventato.
-
-Un solo uomo rimase al suo posto coll’archibugio in mano.
-
-«Ah! disse, sei tu che già volevi assassinarlo! aspetta!»
-
-Ed abbassò l’arme verso d’Artagnan, il quale gli correva incontro di
-triplice galoppo.
-
-D’Artagnan si chinò sul collo del proprio destriero. Il giovane fece
-fuoco; la palla tagliò la penna del suo cappello.
-
-Il corsiero, infuriato, urtò l’imprudente che credeva di poter
-trattenere da solo una tempesta, e lo mandò a cadere a ridosso al muro.
-
-D’Artagnan fermò in tronco il suo cavallo, e mentre i suoi moschettieri
-continuavano a caricare, tornò, alzando la spada, su colui che aveva
-atterrato.
-
-«Ah signore! esclamò Raolo, ravvisando il giovane per averlo veduto
-nella via Cocatrix, abbiategli riguardo, è suo figlio!»
-
-D’Artagnan si frenò; aveva il braccio pronto a colpirlo.
-
-«Ah! siete suo figlio? esso disse, allora è tutt’altro.
-
-«Signore, mi arrendo, rispose Louvieres, porgendo all’ufficiale il suo
-fucile scarico.
-
-«Eh no, per Dio! non vi arrendete; anzi scappate e alla lesta; se vi
-prendono, sarete impiccato».
-
-Quegli non se lo fece dire due volte; passò sotto il collo del
-destriero e disparve sul canto della via Guénégaud.
-
-«Affè! disse d’Artagnan a Raolo, mi avete trattenuto a tempo; era un
-uomo bell’e morto, e davvero, quando avessi saputo chi egli era, avrei
-provato rammarico di averlo ucciso.
-
-«Ah signore! replicò Bragelonne, permettete che dopo avervi ringraziato
-per quel povero ragazzo io vi ringrazii per me; anch’io era in procinto
-di morire quando siete capitato.
-
-«Piano, piano, amico mio, disse d’Artagnan, non vi stancate a parlare».
-
-E tolta dalla sacca della sella una boccia ricolma di vino di Spagna,
-soggiunse:
-
-«Bevete un sorso di questa roba».
-
-Raolo bevve, e voleva rinovare i ringraziamenti.
-
-«Mio caro, disse d’Artagnan, ne parleremo poi».
-
-Ed accortosi che i moschettieri aveano sgombrato l’argine del
-Ponte-Nuovo sino a quel di San Michele, e tornavano indietro, levò su
-la spada acciò si sollecitassero.
-
-Coloro arrivarono di trotto; nel medesimo tempo, dal lato opposto,
-giungevano i dieci di scorta dati da d’Artagnan a Comminges.
-
-«Olà, gridò d’Artagnan a costoro, v’è qualcosa di nuovo?
-
-«Signore, rispose il sergente, la loro carrozza è ita in pezzi da capo;
-l’è una vera maledizione!»
-
-D’Artagnan si strinse nelle spalle.
-
-«Non han giudizio, disse; quando si sceglie una vettura la deve esser
-buona e forte; quella con cui si arresta un Broussel deve essere capace
-a portare dieci mila uomini.
-
-«Che ci comandate, tenente?
-
-«Prendete il distaccamento, e conducetelo al quartiere.
-
-«E voi, vi ritirate solo?
-
-«Sicuro! non crederete mica che abbia bisogno di scorta!
-
-«Ma per altro....
-
-«Andate là!....»
-
-I fucilieri si partirono, e d’Artagnan restò solo con Raolo.
-
-«E adesso, soffrite? gli domandò.
-
-«Si, ho la testa grave, e che mi piglia fuoco.
-
-«E che avete su codesta testa?...»
-
-D’Artagnan tirò su il cappello, e disse:
-
-«Ah! ah! una contusione!
-
-«Sì.... credo che mi sia stato gettato sul capo un vaso di fiori.
-
-«Canaglia!.... Ma avete gli sproni!.... dunque eravate a cavallo?
-
-«Sì, ma ero smontato per difendere il signor di Comminges, ed il
-cavallo mi è stato tolto.... Oh! eccolo!....»
-
-Difatti nel momento passava il corsiero di Raolo su cui era Friquet,
-il quale, andando di galoppo, agitava per aria la berretta di quattro
-colori, e gridava:
-
-«Broussel! Broussel!
-
-«Ehi, briccone! fermati! urlò d’Artagnan, e porta qua codesta
-bestia!....»
-
-Friquet udì benissimo, ma fece da sordo, e procurò di seguitare avanti.
-
-Per un poco d’Artagnan ebbe voglia di andargli appresso; ma non gli
-parve opportuno lasciar solo Raolo; e quindi si limitò a cavar fuori
-una pistola e caricarla.
-
-Friquet aveva l’occhio accorto e l’orecchio fino; vide il gesto del
-tenente, udì il rumore del grilletto, fermò di botto il palafreno.
-
-«Oh! siete voi, signor uffiziale, esclamò venendo inverso d’Artagnan!
-davvero, ho caro d’incontrarvi».
-
-Il tenente guardò attento Friquet, e ravvisò il ragazzaccio della via
-della Calandra.
-
-«Ah! disse, sei tu, briccone? vien qua.
-
-«Sì, son io, signor militare, rispose lo sguajato con i suoi modi
-sdolcinati.
-
-«Dunque hai cambiato mestiere? dunque non sei più cantore di chiesa?
-dunque non sei più garzone di osteria? dunque sei ladro di cavalli?
-
-«Uh, signor uffiziale! e s’ha egli a dir codesto? s’ha egli a dire?
-esclamò Friquet, cercavo il gentiluomo padrone di questo animale, bel
-cavaliero veh! coraggioso come un Cesare. (E fingeva veder allora
-Bragelonne per la prima volta) Ohi! non m’inganno, eccolo qua!....
-Signore, non vi scorderete mica del garzone, eh?»
-
-Raolo si mise la mano nel borsellino.
-
-«Che volete fare? gli domandò d’Artagnan.
-
-«Dar dieci lire a questo buon ragazzo, rispose Raolo».
-
-E cavava fuori di tasca una doppia.
-
-«Dieci pedate nella pancia! urlò d’Artagnan. Va via, monello! e
-rammentati che so dove tu abiti».
-
-Friquet, che non si aspettava di uscirne tanto bene, fece un salto solo
-dall’argine alla via Delfina, e là sparì affatto.
-
-Raolo montò a cavallo; d’Artagnan avea cura di lui come fosse suo
-figlio, ed entrambi, andando di passo, s’incamminarono verso la Strada
-Tiquetonne.
-
-Durante il tragitto, vi furono e mormorio e minaccie da lontano, ma
-all’aspetto di quell’ufficiale, di portamento tanto militare, al mirare
-la terribile spada che gli pendeva dal pugno, tutti si discostarono, e
-non fu fatto sul serio verun tentativo contro i due cavalcanti.
-
-Talchè giunsero dessi, senza disgrazie, all’albergo del Granchio.
-
-La bella Maddalena partecipò a d’Artagnan qualmente era tornato
-Planchet conducendo con sè Mousqueton, che aveva sopportata eroicamente
-l’estrazione della palla e stava bene per quanto lo comportava la sua
-situazione.
-
-Allora d’Artagnan ordinò si chiamasse Planchet; ma Planchet, benchè
-chiamato, non comparve. Era sparito.
-
-«Dunque si porti del vino, comandò d’Artagnan».
-
-E il vino essendogli recato, ed egli rimasto solo con Raolo, domandò a
-questo guatandolo sottocchi:
-
-«Siete contento di voi stesso?
-
-«Eh sì! rispose Bragelonne, e’ mi pare di aver fatto l’obbligo mio. Non
-ho difeso il re?
-
-«E chi vi ha detto di difendere il re?
-
-«Oh! il signor conte di la Fère in persona.
-
-«Sì, il re; ma oggi non avete difeso il re, ma bensì il Mazzarino, lo
-che non è lo stesso.
-
-«Però, signore....
-
-«Giovanotto, avete fatto uno sproposito, vi siete ingerito in cose che
-non vi riguardano.
-
-«Eppure voi....
-
-«Oh! per me gli è tutt’altro; io ho dovuto obbedire agli ordini del
-mio capitano. Il capitano vostro è il signor Principe: lo capite? non
-ne avete altri... Ma s’è visto mai (continuava il tenente) una testa
-sventata simile, che è per farsi partigiano del Mazzarino e dà ajuto
-ad arrestare Broussel?.... almeno non fate motto su questo imbroglio, o
-che il conte di la Fère andrebbe sulle furie.
-
-«Credete che il signor conte sarebbe meco adirato?
-
-«Se lo credo! ne sono sicuro. Se no vi ringrazierei, giacchè in
-sostanza avete lavorato per noi. E perciò vi rimprovero in luogo e vece
-di lui, e statene persuaso, la tempesta sarà più mite. E poi, mio caro
-giovanotto, io mi prevalgo del privilegio concessomi dal vostro tutore.
-
-«Non v’intendo, disse Raolo».
-
-D’Artagnan si alzò, e tolta dallo stipo una lettera, a lui la porse.
-
-Tosto che Raolo v’ebbe data una scorsa gli si fe’ torvo lo sguardo.
-
-«Oh mio Dio! (e volgeva sul tenente i begli occhi gonfi di pianto)
-dunque il signor conte ha abbandonato Parigi senza vedermi!
-
-«È partito da quattro giorni.
-
-«Ma dalla sua lettera sembra si accenni ch’ei si espone a rischio
-mortale?....
-
-«Oh sì! rischio mortale a lui!.... non ci pensate: viaggia per
-affari, e sarà reduce in breve.... spero che non abbiate ripugnanza ad
-accettarmi come suo facente funzioni.
-
-«Ah no, signor d’Artagnan! voi siete un sì prode gentiluomo! il conte
-di la Fère vi ama tanto!
-
-«Or bene, amatemi anche voi; non vi tormenterò, ma con patto che siate
-addetto alla _Fronda_, e per bene addetto alla _Fronda_!
-
-«Posso bensì seguitare a frequentare la signora di Chevreuse?
-
-«Eh sì, per Bacco! e anche il Coadjutore, e anche madama di
-Longueville; e se fosse qua il buon uomo Broussel, al di cui arresto
-avete contribuito sconsideratamente, vi direi: Fate presto le vostre
-scuse a messer Broussel e dategli un bacio sopra ognuna delle guancie.
-
-«Allora, signor mio, vi obbedirò sebbene non vi capisca.
-
-«È inutile che m’intendiate. A voi (disse d’Artagnan volgendosi verso
-l’uscio apertosi nel momento), ecco il signor du Vallon che capita qui
-con le vesti tutte lacere.
-
-«Sì, fece Porthos, che grondava di sudore ed era carico di polvere, sì,
-ma in compenso ho lacerata la pelle a molti.... Quei prepotenti non mi
-volevano levare la spada? Capperi! che agitazione popolare! (proseguiva
-il gigante con la sua calma usitata), ma io ne ho accoppata una ventina
-e più col pomo di Balizarda.... D’Artagnan, qua un dito di vino.
-
-«Oh! mi rapporto a voi; gli rispose il Guascone empiendogli il
-bicchiere sino all’orlo, bensì dopo che avrete bevuto, ditemi la vostra
-opinione».
-
-Porthos inghiottì tutto in un sorso; e posato il bicchiere sulla
-tavola, e succiatesi le basette, domandò:
-
-«Su che cosa?
-
-«Sentite, disse d’Artagnan: ecco il signor di Bragelonne che ad ogni
-patto voleva dar mano all’arresto di Broussel, e che a stento io ho
-potuto trattenere dal difendere Comminges.
-
-«Perdinci! esclamò Porthos, e che avrebbe detto il tutore se lo avesse
-saputo?....
-
-«Vedete? interruppe d’Artagnan, amico mio, datevi alla _Fronda_, e
-pensate che io sono subentrato al conte in tutto e per tutto».
-
-E fece suonare la borsa.
-
-Indi giratosi verso il compagno:
-
-«Venite, Porthos, sì o no?
-
-«Dove? chiese questi mescendosi un bicchier di vino.
-
-«A presentare i nostri omaggi al ministro».
-
-Porthos s’ingojò il secondo bicchiere con la medesima pace che il
-primo, riprese il cappello che avea posato sopra una seggiola, e andò
-con d’Artagnan.
-
-Raolo restò là sbalordito da quanto aveva veduto, essendogli vietato
-da d’Artagnan di muoversi dalla stanza prima che fosse calmata ogni
-agitazione.
-
-
-
-
-XLVIII.
-
-_Il mendico di Sant’Eustachio._
-
-
-D’Artagnan aveva calcolato ciò che faceva non recandosi immediatamente
-al Palazzo Reale; aveva dato tempo a Comminges di trasferirvisi prima
-di lui, e in conseguenza di dar parte al ministro degli eminenti
-servigi ch’egli stesso, d’Artagnan ed il suo amico, avevano renduti
-nella mattinata al partito della regina.
-
-Quindi ambedue furono accolti egregiamente da Mazzarino, il quale fece
-ad essi moltissimi complimenti, ed annunziò come ciascun di loro era
-più che a mezza strada di quel che bramava, cioè a dire d’Artagnan del
-capitanato, e Porthos della baronia.
-
-D’Artagnan avrebbe preferito a tutto questo danari, perocchè sapeva
-che il Mazzarino era facile a promettere e duro a mantenere, talchè
-stimava le promesse di Sua Eccellenza come cibo di poca sostanza; ma
-non ostante si mostrò soddisfatto davanti a Porthos cui bramava di non
-far perdere il coraggio.
-
-Intanto che i due amici erano presso al ministro, la regina li fe’
-ricercare. Mazzarino pensò che sarebbe un mezzo di accrescere lo zelo
-de’ suoi due difensori il procacciare ad essi i ringraziamenti della
-sovrana in persona, e accennò loro che andassero seco. D’Artagnan
-e Porthos gli mostrarono i loro abiti polverosi e laceri, ma il
-Mazzarino, tentennando il capo, rispose:
-
-«Codesto vestiario è da meglio di quello di quanti cortigiani troverete
-dalla regina, poichè è vestiario da battaglia».
-
-D’Artagnan e Porthos obbedirono.
-
-La corte della regina Anna era allegra e clamorosa, conciossiachè, in
-conclusione, dopo riportata una vittoria sullo Spagnuolo, un’altra
-se n’era ottenuta sul popolo; Broussel era stato condotto fuori di
-Parigi senza resistenza, ed oramai doveva essere nelle prigioni di San
-Germano, e Blancmesnil, arrestato nel medesimo tempo, ma senza chiasso
-nè difficoltà, era carcerato nel castello di Vincennes.
-
-Comminges se ne stava al fianco alla regina, la quale lo interrogava
-sui dettagli della sua impresa, e ciascuno ascoltava il suo racconto,
-quando ecco gli venne fatto di vedere all’uscio, dietro al ministro
-ch’entrava, d’Artagnan e Porthos.
-
-«Ah signora! disse correndo inverso d’Artagnan, questo signore può
-dirvi il tutto meglio di me, giacchè è il mio salvatore. Senza di lui,
-forse in questo momento sarei acchiappato nelle reti di San Cloud,
-giacchè non si discorreva di niente meno che di buttarmi nel fiume.
-Parlate voi, d’Artagnan».
-
-D’Artagnan, dacchè era tenente dei moschettieri, si era trovato forse
-cento volte nel medesimo appartamento che la sovrana, ma questa mai nè
-poi mai gli avea rivolto il discorso.
-
-«Ebbene? disse Anna, dopo avermi renduto un tal servigio, voi tacete?
-
-«Ah! egli rispose, nulla ho da dire se non che la mia vita è ai comandi
-di Vostra Maestà, e non sarò pago se non nel giorno in cui per Lei io
-la perda.
-
-«Lo so, lo so, replicò la regina, e da un pezzo. E perciò mi è grato
-potervi dare questa pubblica dimostrazione della mia stima e della mia
-riconoscenza.
-
-«Permettetemi, Maestà, soggiunse d’Artagnan, di cederne porzione al mio
-amico, antico moschettiere della compagnia di Tréville, al pari di me
-(e calcava su queste parole) e che fece prodigi.
-
-«Il suo nome? chiese Anna.
-
-«Ne’ moschettieri si chiamava Porthos....»
-
-La regina si scosse.
-
-«Ma il suo vero nome, terminava d’Artagnan, si è cavaliere du Vallon.
-
-«Di Bracieux di Pierrefonds, aumentò Porthos.
-
-«Sono troppi nomi perch’io me li ricordi tutti, e non vuo’ rammentarmi
-che del primo, ribattè graziosamente la regina».
-
-Porthos s’inchinò.
-
-D’Artagnan mosse due passi indietro.
-
-Nel momento fu annunziata la venuta del Coadjutore.
-
-Nella regia comitiva fuvvi un grido di sorpresa. Benchè il Coadjutore
-avesse predicato la mattina, tutti sapevano ch’ei propendeva per la
-_Fronda_, e Mazzarino invitando l’arcivescovo di Parigi a far predicare
-suo nepote, aveva avuto di sicuro l’intenzione di dare al signor di
-Retz una di quelle botte all’italiana che tanto lo divertivano.
-
-Realmente, all’uscire da Nostra-Donna il Coadjutore aveva saputo il
-fatto. Sebbene fosse impegnato coi principali soggetti della _Fronda_,
-non lo era tanto da non poter battere la ritirata se la corte gli
-offeriva i vantaggi da lui ambiti ed ai quali la dignità di Coadjutore
-non era che un semplice avviamento. Il signor di Retz voleva essere
-arcivescovo e rimpiazzare suo zio, e quindi cardinale. Il partito
-popolare difficilmente poteva accordargli questi favori assolutamente
-regali. Egli dunque si recava al palazzo per fare i suoi complimenti
-alla regina sopra la battaglia di Lens, determinato anticipatamente
-ad agire a pro o contro la corte secondo che il suo complimento fosse
-ricevuto o bene o male.
-
-Fu annunziato, entrò; ed al suo aspetto, in tutta la corte trionfante
-si accrebbe la curiosità onde udire le sue parole.
-
-Il Coadjutore aveva di per sè solo tanto spirito quanto tutti coloro
-che stavano là riuniti per burlarlo. E quindi mise tale abilità nel suo
-discorso, che gli astanti vogliosi di ridere non ne trovavano modo nè
-motivo. Egli finì col dire che poneva il debole suo potere al servizio
-di Sua Maestà.
-
-La regina mostrò gustare assai l’arringa del Coadjutore sin che questa
-durò; ma terminata che fu con quella frase, l’unica che diè campo a
-molte facezie, Anna si volse, ed una occhiata che lanciò verso i suoi
-favoriti, indicò ad essi qualmente ella abbandonava in balìa di loro
-il Coadjutore. Tosto i più giovani individui della corte si scagliarono
-nelle burle e nell’ironia.
-
-Nogent-Beautin, buffone del palazzo, esclamò che la regina era molto
-fortunata di trovare i soccorsi del Coadjutore in simile momento.
-
-Vi fu una grandissima risata generale.
-
-Il duca di Villeroy disse che non sapeva come mai si fosse avuto
-timore, mentre per difendere Parigi contro il parlamento e i borghesi,
-si aveva là il signor Coadjutore, che con un cenno poteva mettere su
-un’armata di svizzeri e di bidelli.
-
-Il maresciallo di la Meilleraye aggiunse, che dato il caso di venire
-alle mani e di dovere il signor Coadjutore far egli pure una scarica,
-era peccato ch’ei non potesse esser riconosciuto nella mischia da un
-cappello rosso, come era stato Enrico IV dal pennacchio bianco alla
-battaglia d’Ivry.
-
-Gondy, al cospetto di tale tempesta, che avrebbe potuto rendere funesta
-a quei che lo schernivano, rimase quieto e severo. Allora la regina gli
-domandò se avesse qualche cosa da aggiungere al bel discorso che già le
-aveva fatto.
-
-«Sì, Maestà, egli le rispose, ho da pregarvi di pensarci ben bene prima
-di mettere nel regno la guerra civile».
-
-La sovrana gli voltò le spalle, e tutti ricominciarono a ridere.
-
-Il Coadjutore se n’andò, dando però a Mazzarino che l’osservava uno
-di quegli sguardi che si comprendono fra acerrimi nemici. Lo sguardo
-fu sì acuto che penetrò sino in fondo al cuore del ministro, il quale
-sentendo ch’era una dichiarazione di guerra, afferrò per un braccio
-d’Artagnan e gli disse:
-
-«All’occorrenza, riconoscereste quell’uomo ch’è uscito dianzi, non è
-vero?
-
-«Sì, monsignore, rispose questi».
-
-E voltatosi verso Porthos continuò:
-
-«Ohimè! la faccenda s’imbroglia.... non mi piacciono le contese fra
-persone di tal fatta».
-
-Gondy si ritirò spargendo benedizioni dovunque passava e procurandosi
-maliziosamente il piacere di far inginocchiare ai suoi piedi ancora i
-servi de’ suoi nemici.
-
-«Oh! mormorò quando fu alla porta del palazzo, corte ingrata, corte
-perfida, corte vile! domani t’insegnerò a ridere, ma in ben altra
-maniera!»
-
-Però, mentre al Palazzo Reale si facevano stravaganze di allegrezza
-per aumentare il buon umore della sovrana, Mazzarino, uomo di senno,
-e che d’altronde aveva tutta la previdenza della paura, non perdeva
-già il tempo in ischerzi vani e pericolosi; era uscito subito dopo al
-Coadjutore, chiudeva i suoi conti, serbava il suo oro, e da operaj di
-confidenza faceva fare dei nascondigli nelle pareti.
-
-Il Coadjutore, tornato alla propria dimora, intese che un giovane colà
-venuto, dopo ch’ei si era partito, lo attendeva tuttavia. Domandò il
-nome di colui, e balzò di giubilo all’udire che si chiamava Louvieres.
-
-Corse tosto nel suo gabinetto. Difatto era là il figlio di Broussel,
-ancor furibondo e disperato pel contrasto avuto con le genti del re.
-L’unica precauzione che avesse presa per venire all’arcivescovado era
-stata di lasciare l’archibugio in casa di un amico.
-
-Il Coadjutore gli si fe’ incontro e gli porse la mano. Il giovanetto lo
-guatò come se avesse voluto leggergli nel cuore.
-
-«Caro Louvieres, disse Gondy, siate persuaso che prendo molto interesse
-alla vostra disgrazia.
-
-«Davvero? parlate sul serio?
-
-«Con tutta l’anima.
-
-«In tal caso, monsignore, è passato il tempo delle parole, e siamo
-nell’ora di agire; purchè il vogliate, mio padre fra tre giorni sarà
-fuori del carcere, e voi fra tre mesi sarete cardinale».
-
-Di Gondy si scosse.
-
-«Oh! seguitò Louvieres, parliamoci schietto, giuochiamo a carte
-scoperte. Non si seminano trentamila scudi di elemosine conforme voi
-avete fatto per mera carità cristiana; sarebbe azione troppo bella. Voi
-siete ambizioso, e questo è naturale; siete uomo d’ingegno, e sapete
-quanto valete. Io aborro la corte, e in questo punto non ho che un sol
-desiderio, quello della vendetta. Dateci i vostri seguaci e il popolo
-di cui disponete; io vi do il ceto borghese e il parlamento; con questi
-quattro elementi, fra otto giorni Parigi è nostra, e credetemi pure, la
-corte concederà per paura quel che non accorderebbe per amorevolezza».
-
-Il Coadjutore fissò sopra Louvieres l’occhio penetrante.
-
-«Ma sapete che codesto che mi proponete è a dirittura la guerra civile?
-
-«Voi, monsignore, la preparate assai da lungo tempo perchè noi
-l’accogliamo bene.
-
-«Non serve, capirete che questo esige qualche riflessione.
-
-«E quante ore chiedete a riflettere?
-
-«Dodici.... sono forse troppe?
-
-«È mezzogiorno, sarò da voi a mezzanotte.
-
-«S’io non vi fossi, attendetemi.
-
-«Ottimamente: a mezzanotte, monsignore.
-
-«A mezzanotte, Louvieres carissimo».
-
-Il Coadjutore, rimasto solo, chiamò a sè tutti i sottoposti con cui
-aveva più stretta relazione. A capo a due ore ne ne aveva radunati
-trenta addetti alle parrocchie più popolose di Parigi.
-
-Raccontò ad essi l’insulto fattogli nel Palazzo Reale, e riferì
-le celie di Beautin, del duca di Villeroy e del maresciallo di la
-Meilleraye. E coloro gli domandarono che si avesse da fare.
-
-«La cosa è semplice, ei disse, buttate giù quel miserabile pregiudizio
-del timore e del rispetto pei re; rendete noto che la regina ci
-tiranneggia; ripetete forte, in guisa che ciascuno lo sappia, che le
-sciagure della Francia provengono tutte dal Mazzarino suo amante e
-corruttore; principiate l’opera vostra, oggi, subito, e fra tre dì
-vi aspetto al resultato. Inoltre, se qualcuno di voi ha da darmi un
-consiglio si trattenga e lo ascolterò con piacere».
-
-Rimasero tre dei convocati: quelli di S. Mery, di S. Sulpizio e di S.
-Eustachio.
-
-Gli altri si ritirarono.
-
-«Voi dunque opinate di potermi ajutare anco più efficacemente che i
-vostri colleghi? disse di Gondy.
-
-«Lo speriamo.
-
-«Animo, voi da S. Mery, cominciate.
-
-«Monsignore, nella mia contrada ho un tale che potrebbe esservi
-utilissimo.
-
-«E chi è?
-
-«Un mercatante della via dei Lombardi, avente grande influenza sui
-piccoli negozianti del suo quartiere.
-
-«Come lo chiamate?
-
-«È un certo Planchet; circa sei settimane sono produsse da sè solo una
-sollevazione, ma in seguito di questa lo cercavano per impiccarlo ed è
-sparito.
-
-«E lo ritroverete?
-
-«Me ne lusingo.... Non credo che sia stato arrestato, e se sua moglie
-sa dov’è potrò farmelo dire.
-
-«Bene, cercatelo, e se lo rinvenite conducetelo da me.
-
-«A che ora?
-
-«Alle sei: vi fa comodo?
-
-«Alle sei ore, monsignore, saremo da voi.
-
-«Andate, e Dio vi assista».
-
-Quello di S. Mery se ne andò.
-
-«E voi? disse Gondy all’altro di S. Sulpizio.
-
-«Io, conosco un uomo che ha fatto grandi servigi a un principe molto
-popolare, e sarebbe un ottimo capo di ribellione, e posso porlo a
-disposizione vostra, monsignore.
-
-«Come si chiama?
-
-«Conte di Rochefort.
-
-«Lo conosco anch’io; disgraziatamente non è a Parigi.
-
-«Eh sì! sta in via Cassette.
-
-«Da quando in qua?
-
-«Da tre giorni.
-
-«E perchè non è venuto a vedermi?
-
-«Gli hanno detto.... monsignore, mi perdonerete....
-
-«Sì, sì, dite pure....
-
-«Ch’eravate in trattative colla corte».
-
-Gondy si morse il labbro.
-
-«L’hanno ingannato; menatelo da me alle otto, e Dio vi benedica».
-
-Dopo un inchino, quello di S. Sulpizio uscì.
-
-«Ora a voi; disse il Coadjutore all’ultimo rimasto, avete pure da
-offerirmi tanto bene come quei signori di poc’anzi?
-
-«Di meglio.
-
-«Diamine! badate che vi assumete un grave impegno: uno mi ha esibito un
-mercante e l’altro un conte; voi dunque mi offrirete un principe?
-
-«Un mendico, e nulla più, monsignore.
-
-«Ah ah! fece di Gondy riflettendo, avete ragione: uno che sollevasse
-tutta quella legione di poveri che ingombrano i chiassuoli della
-capitale, e sapesse far loro gridare a voce abbastanza sonora per
-che la Francia intera lo sentisse, che Mazzarino è quello che gli ha
-ridotti alla miseria....
-
-«Precisamente: ho quel che vi occorre.
-
-«Bravo! e chi è colui?
-
-«Un semplice accattone, come vi dicevo; che chiede la carità e dà
-l’acqua benedetta sui gradini della chiesa di Sant’Eustachio da circa
-sei anni.
-
-«E dite che ha molta influenza sopra i suoi simili?
-
-«È la mendicità un corpo organizzato, una specie di associazione di
-quei che non possiedono contro quei che possiedono, una compagnia nella
-quale ciascuno porta la sua tangente, e che dipende da un capo!
-
-«Sì, codesto l’ho già inteso dire.
-
-«Or bene, l’individuo che vi propongo è sindaco generale.
-
-«E di lui che sapete?
-
-«Nulla, se non che mi sembra straziato da qualche rimorso.
-
-«Da che ve lo figurate?
-
-«Al dì 28 di ogni mese fa dire una messa pel riposo di una persona
-morta di morte improvvisa.
-
-«E ha nome?
-
-«Maillard, ma m’immagino non sia il suo vero nome.
-
-«E vi pensate che adesso lo troviamo al suo posto?
-
-«Oh! di sicuro.
-
-«Andiamo a vedere il vostro mendico, e se è qual me lo dipingete, avete
-ragione, voi siete quello che ha raccapezzato il vero tesoro».
-
-Gondy si vestì da cavaliero, si mise un cappellone largo con la penna
-rossa, e alla cintola una lunga spada, e gli sproni agli stivali, ed
-avvoltosi in un ampio ferrajuolo andò col suo subalterno.
-
-Il Coadjutore ed il compagno traversarono tutte le strade che separano
-l’arcivescovado dalla chiesa di Sant’Eustachio, esaminando attentamente
-lo spirito e le disposizioni del popolo. Il popolo era agitato, ma
-simile ad uno sciame di api aizzate, pareva non sapesse su qual luogo
-piombare, ed era evidente che se non gli si trovavano dei capi tutto
-sarebbe finito con un vano ronzio.
-
-Arrivati in via des Prouvaires, quegli che andava col coadjutore stese
-la mano verso l’atrio della chiesa, e disse:
-
-«Eccolo.... è al suo posto».
-
-Gondy guardò dalla parte indicatagli, e vide un povero seduto sopra una
-seggiola ed appoggiato a uno dei cornicioni; aveva desso una piccola
-secchia, e teneva in mano un aspersorio.
-
-«Sta egli là per privilegio? chiese Gondy.
-
-«No, monsignore: si è combinato col suo predecessore per l’incarico di
-dar l’acqua benedetta.
-
-«Combinato?
-
-«Sì, sono incumbenze che qui si affidano a questa classe di persone,
-tra le quali avvi alcuno talvolta che se la passa benone.
-
-«Dunque è forse anche ricco il briccone?
-
-«Taluni di costoro muojono lasciando alle volte venti mila, venticinque
-e trenta mila lire, e anco più!
-
-«Uhm! disse ridendo Gondy, non credevo d’impiegare tanto bene le mie
-limosine».
-
-Frattanto si avanzavano; nel punto che i due ponevano il piede sul
-primo gradino, il mendico si alzò a porgere l’aspersorio.
-
-Era un uomo di sessantasei o sessantotto anni, piccolo, grosso, di
-capelli grigi, occhi scuri. Sul suo sembiante appariva il conflitto di
-due opposti principj: un cattivo naturale, forse domo dalla volontà,
-forse dal pentimento.
-
-Vedendo il cavaliero insieme col compagno, si scosse alquanto e lo
-considerò attonito.
-
-Entrambi allora si fecero il segno della croce; uno di essi gettò una
-moneta nel cappello che stava in terra.
-
-«Maillard, disse il Curato, questo signore ed io siam venuti per
-discorrere un momento con voi.
-
-«Con me! fece il mendico, è un grande onore codesto».
-
-Nella voce dell’accattone esisteva un che di ironia ch’ei non seppe
-nascondere, e che fece meraviglia al signor di Gondy.
-
-«Sì, continuò il Curato che sembrava avvezzo a quel tuono suo ironico,
-abbiamo voluto sapere che pensiate degli avvenimenti di quest’oggi,
-e che abbiate inteso dire dalle persone che entrano in chiesa o che
-n’escono».
-
-Il mendico scosse la testa.
-
-«Sono tristi avvenimenti, rispose, e che al solito ricadono addosso al
-povero. Che si dice? tutti sono malcontenti e si lagnano; ma chi dice
-tutti è come dicesse nessuno.
-
-«Spiegatevi, mio caro, soggiunse il Coadjutore.
-
-«Dico che tutte quelle grida, quei lamenti, quelle maledizioni non
-produrranno altro se non burrasca e baleni; ma la saetta non cascherà
-che quando vi sia un capo a dirigerla.
-
-«Voi mi sembrate un uomo abile, replicò di Gondy; sareste disposto
-a mescolarvi in una piccola guerra civile in caso che l’abbiamo, e
-mettere a disposizione di quel capo, se lo troviamo, il vostro potere
-individuale e l’influenza che avete acquistata sui vostri camerati?
-
-«Sì signore, purchè questa guerra fosse approvata dalla Chiesa, e in
-conseguenza mi conducesse allo scopo ch’io bramo di raggiungere, cioè
-alla remissione de’ miei peccati.
-
-«Sarà più che approvata, in quanto alla remissione dei peccati, il
-signor Arcivescovo di Parigi tiene grandi poteri dalla Corte di Roma,
-il signor Coadjutore ancora possiede delle indulgenze particolari, e
-noi vi raccomanderemmo ad esso.
-
-«Riflettete, Maillard, seguitò l’ecclesiastico, che da me siete stato
-raccomandato a questo potentissimo signore ch’è qui meco, e che mi sono
-fatto per voi garante.
-
-«So, rispose il mendico, che aveste sempre per me molta bontà, e perciò
-dal canto mio sono pronto a secondarvi.
-
-«E credete la vostra influenza sui vostri colleghi così di peso come
-dianzi mi si accertava?
-
-«Credo che mi abbiano una qualche stima, ribattè non senza orgoglio
-l’accattone, e che non solo faranno quanto loro io comandi, ma anche mi
-seguiranno dovunque io vada.
-
-«E potete assicurarmi di cinquanta uomini ben risoluti, anime buone
-e calorose, capaci di far cadere le mura del Palazzo Reale gridando;
-Abbasso il Mazzarino! come avvenne in passato di quelle di Gerico?
-
-«Io ritengo esser tale da potermisi dare degli incarichi assai più
-difficili e importanti.
-
-«Ah ah! vi assumereste dunque in una notte di fare una diecina di
-barricate?
-
-«Di farne cinquanta, e, giunto il giorno, difenderle.
-
-«Per Bacco! disse Gondy, parlate con tal fiducia che mi fa piacere, e
-poichè il signor Curato mi garantisce per voi....
-
-«Oh! lo garantisco, fece l’altro.
-
-«Ecco un sacco di cento cinquanta doppie in oro; fate tutti i vostri
-preparativi, e ditemi dove vi troverò questa sera alle dieci.
-
-«Bisognerebbe che fosse in un luogo alto, di dove un segnale che si
-facesse fosse da vedersi in tutti i quartieri della città.
-
-«Volete ch’io vi dia due versi pel vicario di Sant’Jacques-La
-Boucherie? egli v’introdurrà in una stanza della torre, disse il
-Curato.
-
-«Ottimamente! approvò il povero.
-
-«Sicchè, continuò il Coadjutore, a dieci ore; e se sono contento di
-voi, vi sarà un altro sacco di cinquecento doppie».
-
-Al mendico brillarono gli occhi per la cupidigia, ma si frenò, e disse
-soltanto:
-
-«Signore, tutto sarà pronto».
-
-Riposta in chiesa la sua sedia, accanto vi pose la secchia e
-l’aspersorio, andò alla pila a pigliare l’acqua benedetta, ed uscì dal
-tempio.
-
-
-
-
-XLIX.
-
-_La torre di Saint-Jacques-la-Boucherie._
-
-
-Alle cinque ore e tre quarti, il signor di Gondy eseguite tutte le sue
-gite, era tornato all’arcivescovado.
-
-Alle sei fu annunziato il Curato di S. Mery.
-
-Il Coadjutore guardò con impeto dietro ad esso, e vide che appresso gli
-veniva un altro uomo.
-
-«Fate passare», ordinò.
-
-Fu introdotto il prete, e seco pure Planchet.
-
-«Monsignore, ecco l’individuo del quale ho avuto l’onore di parlarvi».
-
-Planchet salutò colle maniere di uno che abbia frequentato case di
-riguardo.
-
-«Siete disposto a servire alla causa del popolo? domandò Gondy.
-
-«Lo credo! sono della _Fronda_ in corpo e in anima. Così come mi
-vedete, monsignore, sono condannato ad essere impiccato.
-
-«E perchè?
-
-«Ho levato di mano ad uno dei sergenti di Mazzarino un nobile signore
-che riconducevano alla bastiglia, dov’era stato digià cinque anni.
-
-«E lo chiamate?
-
-«Oh monsignore! lo conoscete: è il conte di Rochefort.
-
-«Ah sì... ne avevo inteso discorrere; metteste a soqquadro tutta la
-contrada, mi fu detto.
-
-«Eh! all’incirca, disse Planchet contento di sè stesso.
-
-«E di mestiere, voi siete?...
-
-«Confettiere, in via dei Lombardi.
-
-«Spiegatemi come va ch’esercitando una professione sì pacifica abbiate
-inclinazioni tanto bellicose.
-
-«E come Vostra signoria, appartenendo alla Chiesa, ora mi riceve in
-abito da cavaliero, con la spada al fianco e gli stivali cogli sproni?
-
-«Non è brutta risposta in coscienza; replicò ridendo Gondy; ma lo
-sapete, che ho avuto sempre delle tendenze guerresche.
-
-«Ed io, prima d’esser confettiere, stetti tre anni sergente nel
-reggimento di Piemonte, e avanti di essere per tre anni sergente in
-quel reggimento fui diciotto mesi servitore del signor d’Artagnan.
-
-«Del tenente dei moschettieri? chiese Gondy.
-
-«Per l’appunto.
-
-«Ma dicesi che sia accanito partigiano di Mazzarino.
-
-«Uhm!... fece Planchet.
-
-«Che volete dire?
-
-«Nulla: il signor d’Artagnan è al servizio, e fa il suo mestiere a
-difendere Mazzarino che ci assassina.
-
-«Siete un giovane di giudizio, mio caro: si può contare su di voi?
-
-«Credevo, monsignore, che vi fosse stata garantita la mia premura.
-
-«Sì, di sicuro, ma mi è grato sentirmelo confermare da voi.
-
-«Monsignore, potete far caso su di me, purchè si tratti di fare uno
-sconvolgimento per la città.
-
-«E di questo precisamente siamo in discorso. Quanti uomini sperate
-mettere assieme nella nottata?
-
-«Duecento moschetti e cinquecento alabarde.
-
-«Che vi sia uno per quartiere che faccia altrettanto, e domani
-formeremo un’armata considerevole.
-
-«Oh sì.
-
-«Inclinereste ad obbedire al conte di Rochefort?
-
-«Lo seguirei sino all’inferno, e con questo non dico poco, giacchè lo
-reputo capace di scendervi.
-
-«Bravo!
-
-«Da qual segno si distingueranno domani gli amici dai nemici?
-
-«Ognuno che sia della _Fronda_ può porsi un fiocco di paglia al
-cappello.
-
-«Benissimo: date gli ordini.
-
-«Abbisognate di danaro?
-
-«Il danaro non fa mai male. Se non se ne ha, si farà a meno; avendone,
-le cose andranno meglio e più presto».
-
-Gondy avvicinatosi ad un forziere ne levò fuori un sacchetto.
-
-«Ecco, disse, ecco cinquecento doppie, e se il fatto riesce bene,
-tenetevi per certa domani egual somma.
-
-«Io renderò conto fedelmente a vostra signoria di questi danari, disse
-Planchet ponendosi la borsa sotto il braccio.
-
-«Va bene, vi raccomando il ministro.
-
-«Non dubitate, è in buone mani».
-
-Planchet sorrise; il prete restò un poco indietro.
-
-«Siete contento, monsignore? ei domandò.
-
-«Sì, colui mi pare un soggettaccio risoluto.
-
-«Veh! farà più di quel che ha promesso.
-
-«Allora è un prodigio».
-
-Il Curato andò a ritrovare Planchet, che lo attendeva sulla scala. Di
-là a dieci minuti fu annunziato quello di San Sulpizio.
-
-Appena fu aperta la bussola del gabinetto di Gondy, vi si scagliò un
-uomo: era il conte di Rochefort.
-
-«Siete voi, carissimo conte! disse Gondy porgendogli la mano.
-
-«In somma, monsignore, siete deciso? fece Rochefort.
-
-«Lo fui sempre.
-
-«Non se ne parli più; lo dite, ed io lo credo: ora daremo da sospirare
-al Mazzarino.
-
-«Lo spero anch’io.
-
-«E quando si principia il ballo?
-
-«Gl’inviti sono per questa notte, mormorò il Coadjutore; ma i violini
-principieranno a suonare domattina.
-
-«Potete far conto su di me e su cinquanta soldati promessimi dal
-cavaliere d’Humieres qualora mi abbisognino.
-
-«Cinquanta soldati?
-
-«Sì, egli fa delle reclute e me le impresta; finita la festa, se glie
-ne mancano, io vi rimpiazzerò.
-
-«Bene, mio caro Rochefort, ma ciò non basta.
-
-«E che altro v’è egli? domandò sorridendo Rochefort.
-
-«Del signor di Beaufort, che ne avete fatto?
-
-«È nel Vendomese, dove attende ch’io gli scriva di tornare a Parigi.
-
-«Scrivetegli, è già tempo.
-
-«Sicchè siete sicuro del fatto vostro?
-
-«Sì, ma conviene che si solleciti, giacchè appena il popolo di Parigi
-si ribelli avremo dieci principi, anzi che uno, che vorranno porsi alla
-testa di esso: se tarda, troverà posto preso.
-
-«Posso dargli l’avviso a nome vostro?
-
-«Sì, chiaramente.
-
-«Posso dirgli che deve contare su di voi?
-
-«A meraviglia.
-
-«E gli lascerete ogni facoltà?
-
-«Per la guerra sì; in quanto alla politica....
-
-«Sapete che quello non è il suo forte.
-
-«Mi lascerà trattare a modo mio pel mio cappello da Cardinale.
-
-«Vi preme di molto?
-
-«Di molto.
-
-«Ognuno ha il suo genio; mi fo responsabile di ottenervi il suo
-consenso.
-
-«Gli scrivete stassera?
-
-«Fo di meglio, gl’invio un messaggiero.
-
-«Fra quanti giorni può esser qui?
-
-«Fra cinque.
-
-«Venga, e ci troverà dei cambiamenti.
-
-«Lo desidero.
-
-«Ve lo accerto.
-
-«Dunque?...
-
-«Andate a radunare i vostri cinquanta uomini, e state pronto.
-
-«A che?
-
-«A tutto.
-
-«V’è un segno di riunione?
-
-«Un fiocco di paglia al cappello.
-
-«Va bene. Addio, monsignore.
-
-«Addio, mio caro Rochefort.
-
-«Oh, messer Mazzarino! messer Mazzarino! disse Rochefort strascinando
-via il Curato che non aveva trovato modo di mettere una parola in quel
-dialogo, vedrete se sono troppo vecchio per essere un uomo d’azione!»
-
-Erano le nove e mezza; ci voleva una mezz’ora al Coadjutore
-per trasferirsi dall’arcivescovado alla torre di
-Saint-Jacques-la-Boucherie.
-
-Di Gondy osservò esservi lume alle finestre più alte della torre.
-
-«Bene! disse fra sè, il nostro sindaco è al suo posto!»
-
-Bussò, e gli fu aperto. Il vicario lo attendeva e lo guidò facendogli
-lume sino in cima alla torre; là gli additò una porticella, posò la
-candela in un angolo del muro, e discese.
-
-Benchè fosse la chiave all’uscio, il Coadjutore picchiò.
-
-«Entrate!» disse una voce ch’ei riconobbe esser quella del mendico.
-
-Di Gondy passò innanzi. Era realmente il poverello di Sant’Eustachio.
-Aspettava disteso sopra un lettuccio.
-
-Al veder comparire il coadjutore egli si alzò.
-
-Suonarono le dieci.
-
-«Ebbene, domandò Gondy, mi hai mantenuta la parola?
-
-«Non del tutto, disse il mendico.
-
-«Come mai?
-
-«Mi avevate richiesti cinquecento uomini, non è vero?
-
-«Sì; e poi?
-
-«E poi ne avrò due mila.
-
-«Non esageri?
-
-«Ne bramate una prova?
-
-«Sì».
-
-Erano accese tre candele, ciascuna davanti ad una finestra, che davano,
-questa su la Città-Vecchia, quella sul Palazzo Reale, l’altra sopra la
-contrada San Dionigi.
-
-Colui in silenzio andò sino ad ognuno dei tre moccoli, e li spense un
-dopo l’altro.
-
-Il Coadjutore si trovò al bujo, alla stanza non dava più chiarore se
-non se il dubbio raggio della luna, perdutasi sotto a grossi nuvoli
-negri di cui poneva su gli orli una frangia argentea.
-
-«Che hai tu fatto? disse Gondy.
-
-«Ho dato il segnale.
-
-«E quale?
-
-«Quello delle barricate.
-
-«Ah ah!
-
-«Quando uscirete di qui, vedrete i miei uomini all’opra. Soltanto
-badate a non rompervi le gambe inciampando in qualche catena o cadendo
-in qualche buca.
-
-«Orsù, ecco la somma, uguale a quella che già ricevesti. Adesso
-rammentati che sei un capo, e non andarteli a bere.
-
-«Da venti anni non ho bevuto altro che acqua».
-
-L’uomo prese la borsa dalle mani del Coadjutore, il quale udì il rumore
-che facevano le dita frugando addentro e tasteggiando le monete d’oro.
-
-«Ah ah! disse di Gondy, sei avaro bricconaccio?»
-
-L’accattone diede un sospiro e gittò via il sacchetto.
-
-«E sarò sempre lo stesso? mormorò, e non perverrò giammai a spogliarmi
-del vecchio esser mio? Oh miseria! oh vanità!
-
-«Ma tanto lo prendi!
-
-«Sì, ma fo voto d’innanzi a voi d’impiegare in opere pie quel che mi
-avanzerà».
-
-Aveva la faccia pallida e in contrazione come quella di uno che di
-recente abbia sofferto internamente grandissimo contrasto.
-
-«Che uomo singolare! pensò Gondy».
-
-E prese il cappello per andarsene, ma nel girarsi vide il mendico fra
-sè e la porta.
-
-Prima sua idea si fu che colui gli avesse rancore.
-
-Ma, al contrario, lo vide unire insieme le mani e inginocchiarsi.
-
-«Monsignore! disse il povero, avanti di lasciarvi, deh! ve ne prego, la
-vostra benedizione!
-
-«Monsignore! esclamò Gondy, ma mio caro, tu mi prendi per un altro.
-
-«No no, vi piglio per quello che siete, cioè pel signor coadjutore; vi
-ho riconosciuto alle prime».
-
-Gondy sorrise.
-
-«E vuoi la mia benedizione? diss’egli.
-
-«Ah sì!... ne ho bisogno».
-
-Il mendico proferì queste parole in tuono di sì grande umiltà e di
-sì profondo pentimento, che Gondy stese la mano per dargli la sua
-benedizione.
-
-«Ora, soggiunse il Coadjutore, fra noi v’è una certa relazione....
-Orsù, dimmi, hai commesso qualche delitto a cui stia contro l’umana
-giustizia e da cui io possa garantirti?»
-
-L’accattone tentennò il capo.
-
-«Monsignore, il delitto da me commesso, non è soggetto alla giustizia
-umana, e voi non potete liberarmene se non che col benedirmi spesso
-come ora faceste.
-
-«Animo, via, sii schietto, fece il Coadjutore, non hai fatto tutta la
-vita il mestiere che fai?
-
-«No, monsignore, lo fo soltanto da sei anni.
-
-«E prima, dov’eri?
-
-«Alla Bastiglia.
-
-«E innanzi di essere alla Bastiglia?
-
-«Ve lo dirò a suo tempo.
-
-«Basta così. A qualunque ora mi troverai pronto ad ascoltarti.
-
-«Grazie, monsignore; disse il mendico in tuono truce, ma non è ancora
-il tempo.
-
-«Addio.
-
-«Addio», ripetè il poverello inchinandosi.
-
-Il Coadjutore prese la candela, e scese, e se ne andò tutto assorto ne’
-suoi pensieri.
-
-
-
-
-L.
-
-_La sommossa._
-
-
-Erano all’incirca le undici di notte.
-
-Gondy ebbe fatti appena cento passi nelle vie di Parigi, che si accorse
-del singolare cambiamento avvenuto.
-
-Pareva che tutta la città fosse abitata da esseri fantastici; si
-vedevano tacite e squallide ombre che smovevano il selciato delle
-strade, altre che trascinavano e buttavano giù delle carrette, e
-parecchie che scavavano fosse capaci a seppellire intere compagnie di
-cavalcanti. Tutte quelle persone tanto attive andavano, e venivano,
-e correvano, alla guisa di tanti demoni che compissero qualche opra
-loro a tutti incognita: erano gli accattoni del cortile dei Miracoli,
-erano gli agenti del dispensatore d’acqua benedetta dell’atrio di
-Sant’Eustachio, i quali apparecchiavano le barricate per l’indomani.
-
-Gondy considerava quegli uomini delle tenebre, quegli operai notturni,
-con un tal quale spavento: in fra sè domandava se dopo aver fatto
-uscire dalle loro tane tutte quelle immonde creature, avrebbe tanto
-potere da farvele tornare. Quando alcuno di quegli esseri gli si
-avvicinava, stava lì lì per farsi il segno di croce.
-
-Arrivò in via Sant’Onorato, e seguitò lunghessa fino verso quella della
-Ferronnerie. Ivi cangiò l’aspetto: vi erano mercatanti che correvano da
-una bottega all’altra; le porte sembravano chiuse come li sportelli,
-ma erano soltanto accoste, in guisa che si aprivano e si rinserravano
-subito per dare accesso ad uomini che pareva temessero di lasciar
-vedere ciò che recavano... e cotesti erano i bottegai, i quali avendo
-delle armi ne imprestavano a coloro che non ne avevano.
-
-Un tale correva da un uscio all’altro, cedendo sotto al peso delle
-spade, degli archibugi, de’ moschetti, e d’armi d’ogni genere, che di
-mano in mano andava posando. E al lume di un lampione il Coadjutore
-ebbe in esso ravvisato Planchet.
-
-Il signor di Gondy giunse sull’argine della strada della Zecca;
-colà comitive di borghesi co’ ferrajuoli neri o bigi, secondo che
-appartenevano al ceto alto o basso dei cittadini, se ne stavano
-immobili, mentre diversi uomini soli e isolati si trasferivano da una
-combriccola all’altra. Tutti quei pastrani neri e bigi erano tirati
-in su di dietro dalla punta di una spada, e davanti dalla canna di un
-archibugio o di un moschetto.
-
-Arrivato sul Ponte Nuovo, il Coadjutore trovò un uomo che vi stava di
-guardia.
-
-Il quale gli si appressò dicendo:
-
-«Chi siete? io non vi riconosco per uno dei nostri.
-
-«Perchè non riconoscete i vostri amici, mio caro signor Louvieres»,
-disse il sig. di Gondy levandosi il cappello.
-
-Louvieres allora ravvisatolo fece un inchino.
-
-Gondy continuò la sua ispezione, e scese fino alla torre di Nesle.
-Là vide una lunga fila di gente che andava rasente alle muraglie.
-L’avreste detta una processione di fantasime, perocchè erano tutti
-avvolti in manti bianchi. Pervenuti a un certo punto, tutti quegli
-uomini sembravano annientarsi un dopo l’altro quasi che fosse loro
-mancato il terreno sotto i piedi. Gondy posatosi colle gomita sur un
-angolo della strada, li osservò sparire dal primo sino al penultimo.
-L’ultimo alzò gli occhi, senza dubbio per accertarsi che non si facesse
-la posta a lui ed ai compagni, e ad onta dell’oscurità potè distinguere
-Gondy. S’incamminò direttamente verso a lui, e gli piantò la pistola
-alla gola.
-
-«Olà, signor di Rochefort! disse ridendo il Coadjutore, non burliamo
-con le armi da fuoco».
-
-Rochefort riconobbe la voce.
-
-«Ah! disse, siete voi, monsignore!
-
-«Io, sì... ma che genti conducete così nelle viscere della terra?
-
-«Le mie cinquanta reclute del cavaliere di Humieres, destinate ad
-entrare nei cavalleggeri, e che hanno per unica montura ricevuti i
-pastrani bianchi.
-
-«E andate?...
-
-«Da uno scultore mio amico.... ma scendiamo da una botola per dove
-introduce i suoi lavori di marmo.
-
-«Benissimo!» disse Gondy.
-
-E diede una stretta di mano a Rochefort, il quale andò d’abbasso e si
-chiuse dietro la botola.
-
-Il Coadjutore se ne tornò alla sua dimora. Era l’un’ora dopo
-mezzanotte. Aprì la finestra e si chinò ad ascoltare.
-
-In tutta la città era un susurro straordinario, inaudito, sconosciuto.
-Si comprendeva che in quelle oscure strade, oscure come tanti abissi,
-succedevano cose terribili ed insolite. Tratto tratto si udiva un
-fragore simile a quello della procella che si viene ammucchiando, o
-dell’onde che ascendono, ma nulla di chiaro, di distinto, da spiegarsi,
-da comprendersi, si affacciava alla mente; sembravano quei rumori
-misteriosi e sotterranei che precedono i tremuoti.
-
-Così durò tutta la notte l’apparecchio della sollevazione.
-
-Alla domane sembrava che Parigi destatasi si spaventasse del suo
-proprio aspetto. Pareva una città assediata. Uomini armati stavano
-sulle barricate, con l’occhio minaccioso e lo schioppo in spalla.
-
-Parole d’ordine, pattuglie, arresti, ed anche esecuzioni, erano quanto
-ad ogni passo incontrasse il viandante; si arrestavano coloro che
-avevano il cappello colle penne o la spada indorata, per obbligarli a
-gridare: viva Broussel! abbasso il Mazzarino! e chiunque vi si ricusava
-era fischiato, tormentato e talora percosso. Non si uccideva per anco,
-ma si vedeva che non ne mancava la voglia.
-
-Le barricate eransi portate sino in prossimità del Palazzo Reale.
-Dalla strada des Bon-Enfans a quella della Ferronnerie, dalla via San
-Tommaso del Louvre al Ponte Nuovo, dalla contrada Richelieu alla porta
-Sant’Onorato, v’erano più di dieci mila uomini armati, i più avanzati
-dei quali sfidavano urlando le sentinelle impassibili del reggimento
-delle guardie impostate attorno attorno al Palazzo Reale, i di cui
-cancelli erano chiusi dietro di loro, lo che rendeva molto precaria
-la loro situazione. In mezzo a tutto questo circolavano in comitive di
-cinquanta, di cento, di centocinquanta, e di due cento, uomini pallidi,
-abbronzati, cenciosi, portando certe sorte di bandiere ov’era scritto:
-«_Vedete la miseria del popolo!_» Dovunque e’ passavano si udivano
-grida frenetiche, ed erano tante le comitive di questo genere che
-dappertutto le grida si spargevano.
-
-Fu grande lo stupore della regina Anna e di Mazzarino, allorchè
-alzatisi dal letto si venne ad annunziare ad essi, qualmente la città,
-da loro lasciata quieta la sera innanzi, ormai si destava agitata e
-in istato di febbre, e quindi nè l’uno nè l’altra volevano credere a
-ciò che loro veniva riferito, e dicevano che non darebbero fede se non
-se a’ propri occhi ed alle proprie orecchie. Fu dunque spalancato un
-balcone, videro, intesero, e restarono convinti.
-
-Mazzarino si strinse nelle spalle, e fece mostra di sprezzare
-moltissimo quella plebe, ma in sostanza impallidì fuor di modo, e corse
-tremando nel suo gabinetto a rinchiudere nelle cassette il suo oro e le
-sue gioje, ed infilarsi alle dita i più begli anelli di brillanti. La
-regina, poi, furibonda e abbandonata alla sua volontà, chiamo a sè il
-maresciallo di La Meilleraye, gli ordinò di prendere quanti uomini gli
-piacesse e andare a vedere che _burla_ era quella.
-
-Il maresciallo era per solito azzardoso, e di nulla avea paura, avendo
-per il volgo l’altissimo disprezzo che per esso professavano le _genti
-di spada_; pigliò centocinquanta uomini, e divisò di uscire dal ponte
-del Louvre; ma là incontrò Rochefort e i suoi cinquanta cavalleggieri
-accompagnati da più di mille cinquecento persone. Non v’era modo
-di forzare una simile barriera; il maresciallo neppur vi si provò e
-ritornò su per l’argine.
-
-Però al Ponte Nuovo trovò Louvieres ed i suoi borghesi. Questa volta
-tentò una scarica, ma fu ricevuto a suon di schioppettate, mentre da
-tutte le finestre venivano giù pietre come grandine. Ei vi lasciò tre
-de’ suoi.
-
-Battè la ritirata verso il quartiere dei mercanti; e là s’intoppò in
-Planchet e nei di lui alabardieri. Le alabarde si distesero minacciose
-dalla sua parte; voleva passare addosso a tutti quei cappotti bigi,
-ma i cappotti bigi stettero saldi, ed il maresciallo retrocedè verso
-la strada Sant’Onorato, lasciando sul campo quattro delle sue guardie
-ch’erano state ammazzate pian pianino coll’arme bianca.
-
-Allora si avviò nella contrada Sant’Onorato. Ivi scontrò le barricate
-del mendico di S. Eustachio. Erano queste custodite non solo da uomini
-armati, ma anche da donne e ragazzi. Messer Friquet possessore di una
-pistola e di una spada dategli da Louvieres aveva ordinata una truppa
-di monelli simili a lui, e faceva un susurro da sbalordire.
-
-Il maresciallo reputò quel punto guardato meno bene degli altri, e
-fissò di forzarlo. Fece smontare venti uomini per aprire e sfondare
-la barricata, mentre egli e il resto della sua truppa a cavallo
-proteggerebbero gli assalitori. I venti camminarono direttamente verso
-l’ostacolo, ma là, di dietro ai travi, di fra le ruote dei barrocci, di
-su dalle pietre, si partì una fucilata terribile, ed allo strepito di
-questa gli alabardieri di Planchet comparvero sul canto del cimitero
-degli Innocenti, ed i borghesi di Louvieres sul canto della via della
-Zecca.
-
-Il maresciallo di La Meilleraye era sorpreso in fra due fuochi.
-
-Era coraggioso, e in conseguenza decise di morire là dove si trovava.
-Rese botte per botte, e tra la folla cominciarono ad eccheggiar
-urli di dolore. Le guardie, meglio esperte, tiravano più a segno; i
-borghesi, però, più numerosi le opprimevano con una vera burrasca di
-ferro. Attorno a lui cadevano gli uomini conforme avrebbero potuto
-fare a Rocroy od a Lerida. A Fontrailles, suo ajutante di campo, era
-stato rotto un braccio; il cavallo di questo aveva ricevuto una palla
-nel collo, ed egli stentava a frenarlo, dacchè la doglia lo faceva
-diventare quasi matto. Insomma egli era in quel momento supremo in
-cui il più prode si sente il brivido nelle vene e il sudore della
-fronte, quando ecco ad un tratto diradarsi la folla sulla parte di via
-dell’Albero secco esclamando: «Viva il Coadjutore!» e comparve Gondy,
-tranquillo in mezzo alle schioppettate, distribuendo a diritta e a
-sinistra le sue benedizioni colla stessa calma che se conducesse la
-processione del _Corpus Domini_.
-
-Tutti s’inginocchiarono.
-
-Il maresciallo, riconosciutolo, gli corse incontro.
-
-«In nome del cielo! gli disse, levatemi di qua, o ci lascio la pelle
-insieme con tutti i miei».
-
-Era tale tumulto che non avrebbe dato campo a sentire tuoni e saette.
-Gondy alzò la mano e reclamò il silenzio: ognuno si tacque.
-
-«Figliuoli, ei disse, ecco il signor maresciallo di La Meilleraye,
-sulle di cui intenzioni voi vi siete ingannati, e che s’impegna al suo
-ritorno al Louvre di chiedere in nome vostro alla regina la libertà del
-nostro Broussel. Vi c’impegnate, maresciallo? continuò rivolgendosi a
-La Meilleraye.
-
-«Capperi! Io credo, che mi ci obbligo! esclamò questi, non isperavo di
-scapolarla con tanto poco!
-
-«E vi dà la sua parola da gentiluomo, disse Gondy».
-
-Il maresciallo alzò la mano in segno di assenso.
-
-«Evviva il Coadjutore!» urlò la moltitudine.
-
-Alcune voci aggiunsero pure:
-
-«Evviva il maresciallo!»
-
-Ma tutte fecero in coro:
-
-«Abbasso il Mazzarino!»
-
-Si diradò la calca; la più breve via era per la strada di Sant’Onorato.
-Si aprirono le barricate, e il maresciallo ed il resto della sua truppa
-si ritirarono, preceduti da Friquet e da’ suoi compagni bricconi, che
-alcuni facevano finzione di battere il tamburo, ed altri imitavano il
-suono delle trombette.
-
-Fu quasi una marcia trionfale, se non che dietro alle guardie si
-chiudevano da capo le barricate, e il maresciallo si mordeva le pugna.
-
-Frattanto, secondo noi accennammo, Mazzarino nel suo gabinetto poneva a
-sesto i propri affaretti. Avea fatto ricercare d’Artagnan, ma fra tutto
-quello schiamazzo non isperava vederlo, non essendo egli di servizio.
-Dopo dieci minuti arrivò sulla soglia il tenente, seguito dal suo
-inseparabile Porthos.
-
-«Ah! venite, signor d’Artagnan! gridò il ministro, e siate il
-benvenuto, ugualmente che il vostro amico. Ma che succede mai in questa
-maladetta Parigi?
-
-«Che vi succede, monsignore? nulla di buono, disse d’Artagnan scuotendo
-il capo; la città è in completa sommossa, e poc’anzi, mentre io
-traversavo la via di Montorgueil, col signor du Vallon vostro servo qui
-presente, non ostante la mia uniforme, e chi sa? forse per cagione di
-essa, ci volevano far gridare: «Evviva Broussel!» E poi, ho da dire che
-cosa ci volevano far gridare di più?
-
-«Dite, dite...
-
-«Abbasso il Mazzarino!.... Oh per Bacco! è detta».
-
-Mazzarino fece un sorrisetto, ma diventò giallo.
-
-«E avete urlato? domandò.
-
-«No davvero, non ero in voce: e nemmeno il signor du Vallon ch’è
-infreddato.... E allora, monsignore....
-
-«Allora che?....
-
-«Guardatevi il cappello e il ferrajuolo!»
-
-D’Artagnan mostrò quattro buchi di palle sul ferrajuolo e due sul
-cappello. Porthos aveva l’abito lacerato sul fianco da un colpo di
-alabarda, e lo spennacchio scorciato da una pistolettata.
-
-«Diavolo! io avrei strillato! disse il ministro pensieroso e guardando
-i due amici con ingenua ammirazione».
-
-Nel momento si udì più vicino il tumulto.
-
-Mazzarino si asciugò la fronte osservandosi d’intorno. Aveva voglia di
-affacciarsi alla finestra, e non si ardiva.
-
-«Vedete un po’ che cosa c’è», ordinò a d’Artagnan.
-
-Questi andò al balcone con la sua consueta noncuranza.
-
-«Oh oh! fece poi, che roba è questa? il Maresciallo di la Meilleraye
-che torna senza cappello, Fontrailles col braccio legato al collo,
-guardie ferite, cavalli insanguinati.... Ehi! che diavolo fanno le
-sentinelle? vogliono tirare!....
-
-«Hanno ordine di tirare sul popolo, disse il Mazzarino, se questo si
-accosta al Palazzo Reale.
-
-«Ma se fanno fuoco, tutto è rovinato! esclamò il tenente.
-
-«Noi abbiamo i cancelli.
-
-«I cancelli? son buoni per cinque minuti; i cancelli? saranno torti,
-staccati, spezzati!.... Non tirate, cospettone! urlò d’Artagnan
-spalancando la finestra».
-
-Ad onta della sua raccomandazione che fra il grande susurro non poteva
-essere intesa, si udirono tre o quattro spari di moschetto; poi succedè
-una fucilata terribile; si sentivano battere le palle su la facciata
-del Palazzo Reale; una di esse passò sotto al braccio a d’Artagnan, ed
-andò a rompere uno specchio in cui si guardava Porthos con la massima
-compiacenza.
-
-«Ohimè! brontolò il ministro, uno specchio di Venezia!
-
-«Ah monsignore! disse d’Artagnan chiudendo tranquillamente le imposte,
-non piangete ancora, non merita il conto, giacchè è probabile che
-in tutto il Palazzo Reale fra un’ora non ne resti più uno de’ vostri
-specchi, o siano di Venezia o di Parigi.
-
-«Ma allora di che parere sareste? chiese tremando Mazzarino.
-
-«Per Diana! di render loro Broussel, poichè ve lo domandano. Che
-diavolo volete farvi di un consigliere del parlamento? e’ non è buono a
-nulla!
-
-«E voi, signor du Vallon, di che opinione siete? che fareste?
-
-«Restituirei Broussel, rispose Porthos.
-
-«Venite, venite!.... ne vuo’ parlar subito alla regina».
-
-Mazzarino giunto in fondo alla galleria si fermò.
-
-«Signori, disse, posso contare su di voi?
-
-«Noi non ci diamo due volte, replicò d’Artagnan; ci siamo dati a voi,
-comandate e obbediremo.
-
-«Or bene! soggiunse il ministro, entrate in quel gabinetto ed
-aspettate».
-
-Ed egli entrò in sala da un altro uscio.
-
-
-
-
-LI.
-
-_La sommossa diventa ribellione._
-
-
-Il gabinetto in cui erano stati mandati d’Artagnan e Porthos era
-separato dal salone ove trovavasi la regina, soltanto da cortine
-di drappo di tappezzeria; sicchè la poca grossezza della divisione
-permetteva di udir tutto, e l’apertura esistente fra le due portiere
-concedeva di vedere ogni cosa.
-
-La sovrana stava in piedi, pallida per la collera; eppure aveva tanto
-potere sopra sè stessa che avremmo detto non provasse emozione veruna.
-Dietro di lei erano Comminges, Villequier e Guitaut, e dietro agli
-uomini le donne.
-
-Davanti alla regina, il cancelliere Seguier, quello stesso che
-venti anni prima l’aveva perseguitata tanto, raccontava che la sua
-carrozza era stata fatta in pezzi, ch’egli era stato inseguito, che
-si era ricovrato nel palazzo d’O...., che il palazzo erasi tosto
-ingombrato, devastato, saccheggiato; egli per fortuna aveva avuto
-tempo di cacciarsi in uno stanzino celato dai parati, dove una vecchia
-lo aveva rinchiuso insieme col suo fratello vescovo di Meaux. Là il
-pericolo era divenuto sì terribile, e i forsennati si avvicinavano
-allo stanzino con tali minacce, che il cancelliere avea creduta giunta
-per lui l’ultim’ora, e si era confessato a suo fratello onde esser
-pronto a morire qualora fosse scoperto. Per buona sorte ciò non era
-accaduto; il popolo, supponendolo fuggito da qualche porta di dietro,
-ritirandosi gli aveva lasciato la libertà di andarsene. Allora egli si
-era travestito con gli abiti del marchese d’O...., ed era uscito dal
-palazzo, saltando sulla pancia ad un suo birro e a due guardie rimaste
-uccise nel voler difendere il portone di strada.
-
-Durante codesto racconto, Mazzarino entrato senza far rumore, si
-accostava alla sovrana ed ascoltava.
-
-«Ebbene? domandò Anna quando il cancelliere ebbe terminato, che pensate
-di tutto questo?
-
-«Ch’è un affare gravissimo.
-
-«Che consiglio mi proponete?
-
-«Ne proporrei uno a Vostra Maestà, ma non ardisco.
-
-«Ardite, ardite, signore, disse la regina con un amaro sorriso; vi
-ardiste pure a ben altro!»
-
-Seguier arrossì e balbettò alcune parole.
-
-«Non si tratta del passato, ma del presente, replicò Anna; diceste che
-avevate un consiglio a darmi: qual è?
-
-«Signora, fece titubando Seguier, sarebbe di liberare Broussel».
-
-La regina digià pallida lo divenne maggiormente.
-
-«Liberar Broussel! essa rispose, no, mai!»
-
-Nell’istante si udì camminare nella sala contigua, e senza essere
-annunziato comparve sulla soglia il maresciallo di la Meilleraye.
-
-«Ah! maresciallo, siete qua! esclamò Anna lietissima; spero che abbiate
-ridotta alla ragione tutta quella canaglia?
-
-«Signora, ho lasciati tre uomini al Ponte-Nuovo, quattro ai mercati,
-sei sul canto di via dell’Albero secco e due alla porta del vostro
-palazzo, quindici in tutto; riconduco meco dieci o dodici feriti; il
-mio cappello è rimasto non so dove portato via da una palla, e secondo
-ogni probabilità sarei restato senza ferrajuolo se non fosse venuto il
-signor Coadjutore a darmi ajuto e levarmi dall’impaccio.
-
-«Già! fece la regina, mi avrebbe fatto meraviglia di non vedere quel
-cagnuolo colle gambe torte intricato in questa faccenda!
-
-«Maestà, soggiunse ridendo la Meilleraye, non ne dite molto male
-davanti a me, giacchè il servizio che mi ha renduto è ancora caldo
-caldo.
-
-«Va bene, siategli grato quanto volete, ma io non sono obbligata a
-niente; siete sano e salvo, ed ecco quel che bramavo; siate dunque non
-solo ben venuto, ma anche ben tornato.
-
-«Sì, ma ben tornato con un patto, cioè di trasmettere alla Maestà
-Vostra i voleri del popolo.
-
-«Voleri! disse Anna inarcando le ciglia. Oh! signor maresciallo,
-bisogna che vi siate trovato in grandissimo rischio per incaricarvi di
-sì strana ambasciata!»
-
-Tali parole furono pronunziate con un tuono d’ironia, di che ben si
-accorse la Meilleraye.
-
-«Perdonate, signora, ei rispose, io non sono avvocato, son uomo di
-guerra, e in conseguenza forse comprendo malamente il valore delle
-parole: _desiderio_, e non _volere_, del popolo, avrei dovuto dire. In
-quanto a ciò che mi fate l’onore di rispondermi, credo intendiate dirmi
-che ho avuto paura».
-
-La regina sorrise.
-
-«Ebbene! sì, ho avuto paura; è questa la terza volta in vita mia che
-tanto mi accade; eppure mi sono trovato a dodici grandi battaglie e non
-so quanti fra combattimenti e scaramucce; sì, ho avuto timore, e mi è
-più caro esser davanti a Vostra Maestà, sebbene sia molto minaccioso
-il suo sorriso, che davanti a quei demoni dell’inferno che mi hanno
-accompagnato sin qua e che scaturivano neppur so di dove.
-
-«Bravo! disse sotto voce d’Artagnan a Porthos, bella risposta!
-
-«Orsù, seguitò la regina mordendosi le labbra frattanto che i
-cortigiani si guardavano attoniti, che desiderio è quello del mio
-popolo?
-
-«Che gli si renda Broussel, fece il maresciallo.
-
-«No, mai! no, mai.
-
-«Vostra Maestà è la padrona».
-
-La Meilleraye s’inchinava e muoveva un passo indietro.
-
-«Dove andate, Maresciallo?
-
-«Vo a dar la risposta di Vostra Maestà a quei che l’attendono.
-
-«Trattenetevi: io non voglio mostrare di trattare con dei ribelli.
-
-«Signora, ho data la mia parola.
-
-«Come sarebbe a dire?....
-
-«Che se voi non mi fate arrestare, io sono in obbligo di scendere».
-
-Dalle pupille di Anna schizzaron fuori due lampi.
-
-«Oh! non v’è difficoltà, signor mio; ne ho fatti arrestare più grandi
-di voi.... Guitaut!»
-
-Mazzarino si slanciò.
-
-«Signora! ei disse, se osassi io adesso darvi un consiglio?
-
-«E parimente di restituire Broussel? in tal caso, potete dispensarvene.
-
-«No, fece Mazzarino, quantunque sarebbe da stare a petto a qualche
-altro.
-
-«E qual è, dunque?
-
-«Di chiamare il Coadjutore.
-
-«Il Coadjutore! ripetè la sovrana, quel tremendo imbroglione! egli è
-che ha fatta tutta la sommossa.
-
-«Ragion di più: se l’ha fatta, può disfarla....
-
-«Oh, Maestà! interruppe Comminges che guardava da una finestra; ecco,
-l’occasione è ottima; appunto dà la benedizione sulla piazza del
-Palazzo Reale».
-
-La regina corse al balcone.
-
-«È vero! esclamò, messer ipocrita! guardate là!
-
-«Vedo, disse Mazzarino, che dinanzi a lui tutti s’inginocchiano benchè
-non sia altro che Coadjutore, mentre s’io fossi nelle sue veci mi
-farebbero a pezzi. Quindi persisto nel mio _desiderio_ (e il ministro
-calcava su questo vocabolo) che Vostra Maestà riceva il Coadjutore.
-
-«Perchè non dite anche voi nel vostro _volere_? replicò piano la
-regina».
-
-Mazzarino s’inchinò.
-
-Anna stette alquanto pensosa. Indi alzando la testa:
-
-«Maresciallo, andate a chiamare il Coadjutore, e a me conducetelo.
-
-«E che dirò al popolo? domandò La Meilleraye.
-
-«Che abbia pazienza; ne ho tanta io!»
-
-Nel tuono della superba Spagnuola eravi un che d’imperioso a tal segno,
-che il maresciallo uscì senza far veruna osservazione.
-
-D’Artagnan si volse così a Porthos:
-
-«Come finirà?
-
-«Lo vedremo» ribattè Porthos tranquillamente.
-
-Intanto Anna avvicinatasi a Comminges gli favellava sommesso.
-
-Mazzarino inquieto guatava alla parte dov’erano d’Artagnan e Porthos.
-
-Gli altri individui là presenti ricambiavano qualche discorso.
-
-Fu riaperta la porta; venne il maresciallo, e lo seguiva Gondy.
-
-La sovrana mosse quattro passi a incontrarlo e si fermò, fredda,
-severa, immobile e sporgendo sprezzantemente il labbro inferiore.
-
-Gondy fece una rispettosa riverenza.
-
-«Ebbene, gli chiese la regina, che dite di questa sommossa?
-
-«Maestà, che non è più semplice sommossa, ma bensì ribellione.
-
-«La ribellione sta in coloro che pensano che il mio popolo possa
-ribellarsi! gridò Anna incapace di dissimulare davanti al Coadjutore,
-cui considerava, e forse con ragione, come promotore di tutta
-l’agitazione. Ribellione! ecco come quei che la bramano chiamano il
-movimento cagionato da loro stessi; ma aspettate! vi porrà buon ordine
-l’autorità del re.
-
-«Per dirmi forse codesto, rispose freddamente Gondy, Vostra Maestà mi
-ha ammesso all’onore della sua presenza?
-
-«No, caro Coadjutore, riprese Mazzarino; era per domandarvi il vostro
-parere nella spiacevole circostanza in cui siamo.
-
-«È vero, seguitò di Gondy fingendosi maravigliato, che Sua Maestà mi
-abbia chiamato per domandarmi consiglio?
-
-«Sì, replicò la regina, così hanno voluto».
-
-Il Coadjutore s’inchinò.
-
-«Sua Maestà dunque desidera?...
-
-«Che le diciate ciò che fareste ne’ suoi piedi» sollecitossi a
-terminare Mazzarino.
-
-Di Gondy fissò in volto la sovrana, la quale fe’ un cenno affermativo.
-
-«Nei piedi di Sua Maestà, non esiterei punto, e renderei Broussel.
-
-«E se non lo rendo, gridò ella, che credete che succeda?
-
-«Io credo, disse il maresciallo, che domani in Parigi non vi sarà una
-pietra sull’altra.
-
-«Non interrogo voi, ripicchiò Anna aspramente e senza tampoco girarsi,
-ma il signor di Gondy.
-
-«Se Sua Maestà interroga me, rispose con tutta calma il Coadjutore,
-dichiarerò essere appieno del sentimento del signor maresciallo».
-
-Salì il rossore sul volto alla regina; i begli occhi turchini
-sembravano sul punto di uscirle dal posto, le labbra di corallo, di cui
-i poeti dell’epoca fecero sì magnifiche comparazioni, si scolorirono
-tremando di rabbia: ella mise persino spavento a Mazzarino, che però
-era avvezzo ai furori domestici di quella casa tanto tormentata.
-
-«Render Broussel! ella esclamò finalmente con un sorriso da far paura;
-bel consiglio, davvero! degno di chi osa avanzarlo!»
-
-Gondy stette saldo; pareva che le ingiurie del giorno scorressero
-leggiere su di lui come i sarcasmi del dì precedente, ma l’odio e la
-vendetta si accumulavano in fondo al suo cuore nel silenzio e a stilla
-a stilla. Guardò freddamente la sovrana, la quale spingeva Mazzarino
-per far sì che dicesse egli pure qualche cosa.
-
-Il ministro, al suo solito, pensava molto e parlava poco.
-
-«Eh eh! disse, buon consiglio, da amico.... Anch’io lo restituirei,
-quel caro Broussel, o vivo o morto, e sarebbe finito tutto.
-
-«Se lo rendeste morto, sarebbe finito tutto come voi dite, monsignore;
-ma diversamente da quel che voi intendete.
-
-«Ho detto morto o vivo? riprese Mazzarino, è un modo di parlare;
-sapete che io capisco malamente il francese, che voi signor Coadjutore
-comprendete e scrivete tanto bene.
-
-«Ecco un consiglio di Stato, osservò d’Artagnan a Porthos; ma noi li
-tenevamo migliori a La Rochelle con Athos ed Aramis.
-
-«Al bastione San Gervasio, continuò Porthos.
-
-«E là ed altrove».
-
-Il Coadjutore lasciò passare il diluvio, e indi soggiunse con la
-medesima flemma:
-
-«Se Vostra Maestà non gusta l’opinione che io le sottopongo, è di certo
-perchè ne ha qualcuna di meglio a cui attenersi; io conosco troppo la
-saviezza della regina e de’ suoi consiglieri per immaginarmi che si
-lasci molto tempo la città capitale in un’agitazione che può portare
-alla rivoluzione.
-
-«Sicchè, secondo voi altri, seguitò la Spagnuola stringendo le labbra
-per l’ira estrema, la sommossa di jeri, che oggi è ribellione, può
-diventar rivoluzione domani?
-
-«Sì, Maestà, rispose gravemente di Gondy.
-
-«Ma a sentir voi, i popoli sarebbero dimentichi d’ogni freno?
-
-«È una cattiva annata per i re! disse Gondy tentennando la testa;
-guardate un po’ in Inghilterra, signora.
-
-«Sì, rispose la regina; ma per buona sorte in Francia non abbiamo un
-Oliviero Cromvello.
-
-«Chi sa?... gli uomini sono simili al fulmine: non si conoscono se non
-quando colpiscono».
-
-Ciascuno rabbrividì, e fuvvi un momento di silenzio.
-
-Frattanto Anna si teneva ambo le mani sul petto; si scorgeva che
-tentava reprimere i palpiti precipitosi del cuore.
-
-«Porthos, mormorò d’Artagnan, mirate attento il Coadjutore.
-
-«Lo vedo.... ebbene?
-
-«Ebbene! è un uomo».
-
-Porthos meravigliato fissò gli occhi sul tenente dei moschettieri; era
-evidente che non lo capiva.
-
-«Vostra Maestà, continuò senza pietà di Gondy, prenderà dunque le
-misure opportune; ma io le preveggo terribili e tali da irritare
-maggiormente i rivoltosi.
-
-«Or bene; allora, voi signor Coadjutore che avete un sì gran potere
-su di loro, e siete nostro amico, disse ironicamente la sovrana, li
-calmerete dando ad essi le vostre benedizioni.
-
-«Sarà forse troppo tardi, disse Gondy sempre di ghiaccio, ed è
-probabile che abbia perduta io pure ogni influenza: laddove restituendo
-Broussel, la Maestà Vostra tronca la radice a qualunque sedizione,
-ed acquista il diritto di punire crudelmente ogni nuovo principio di
-ribellione.
-
-«E non l’ho, questo diritto? esclamò Anna.
-
-«Se lo avete, prevaletevene, fece Gondy.
-
-«Capperi! disse d’Artagnan a Porthos, ecco uno di quei caratteri come
-piacciono a me. Perchè non è ministro, e perchè non son io il suo
-d’Artagnan invece di esser di quel furfante di Mazzarino? Per Bacco!
-che bei colpi faremmo insieme!
-
-«Sì» rispose Porthos.
-
-La regina con un cenno licenziò la corte, eccettuato Mazzarino.
-
-Gondy inchinandosi era per ritirarsi al pari degli altri.
-
-«Trattenetevi! gli ordinò Anna.
-
-«Bene! pensò di Gondy, ora cede.
-
-«Ora lo fa ammazzare, disse d’Artagnan a Porthos, ma in ogni caso non
-sarà mai per mio mezzo. Giuro, anzi, sopra a Dio! che se alcuno gli va
-addosso, io piombo addosso agli assalitori.
-
-«Anch’io, confermò Porthos.
-
-«Bene! bucinò Mazzarino prendendo una sedia, ne vedremo delle nuove».
-
-La regina seguiva con gli occhi le persone che uscivano. Quando
-l’ultima di esse ebbe chiusa la porla, ella si voltò. Si scorgeva
-che si sforzava all’eccesso onde frenare lo sdegno: si faceva vento,
-annasava ghiandine odorose, andava in su ed in giù. Mazzarino restava
-assiso mostrando riflettere. Gondy, che principiava a sgomentarsi,
-scandagliava collo sguardo tutti i parati, palpeggiava l’usbergo che
-teneva sotto la toga, e tratto tratto si cercava in seno il manico di
-un buon pugnale spagnuolo che si teneva nascosto a portata della mano.
-
-«Animo, signor Coadjutore, disse la regina, animo, or che siamo soli,
-ripetete il vostro suggerimento.
-
-«Eccolo, Maestà; fingere di averci pensato meglio, convenire
-pubblicamente di un abbaglio, nel che sta la forza dei governi forti;
-fare uscire Broussel dal suo carcere e renderlo al popolo.
-
-«Oh! esclamò Anna, umiliarmi in tal guisa! Sono io, sì o no, la regina?
-tutta quella canaglia che strepita è ella, sì o no, una turba di miei
-sudditi? ho io amici, ho io guardie? Ah per Nostra Donna! come diceva
-la regina Caterina, piuttosto che dar loro l’infame Broussel, lo
-scannerei colle mie mani!»
-
-E si scagliò chiudendo il pugno verso Gondy, cui in quel momento
-aborriva di certo almeno quanto Broussel.
-
-Gondy non si mosse; non agì verun muscolo del suo volto: se non che il
-gelido suo sguardo s’incrociò come un brando collo sguardo furibondo
-della sovrana.
-
-«Questo è un uomo bell’e morto, disse il Guascone, se in corte v’è
-ancora qualche Vitry e il Vitry capita adesso, ma io, prima che tocchi
-quel buon Coadjutore, ammazzo il Vitry!... messer Mazzarino me ne sarà
-grato al sommo.
-
-«Zitto! disse Porthos, state a sentire.
-
-«Signora, esclamò il ministro afferrando pel braccio la regina e
-tirandola indietro, signora, che fate mai?»
-
-Poscia soggiunse in ispagnuolo:
-
-«Anna, siete pazza? fate qui dispute da particolari, da borghesi,
-voi una regina! e non vedete che avete dinanzi, nella persona
-del Coadjutore, tutto il popolo di Parigi che in questo punto è
-pericolosissimo lo insultare, e che se il Coadjutore vuol così, fra
-un’ora non avrete più corona? Animo, animo! in appresso, in altra
-occasione starete ferma, ma oggi non è il momento; oggi accarezzate e
-lusingate, o che siete soltanto una donna volgare».
-
-Dalle prime parole di questo discorso, d’Artagnan aveva preso per un
-braccio Porthos e glielo andava vieppiù stringendo; indi, quando il
-ministro si tacque, egli disse piano:
-
-«Porthos, non dite mai davanti a Mazzarino ch’io intendo lo spagnuolo,
-o che sono un uomo rovinato e voi pure.
-
-«Bene» fece Porthos.
-
-Quella forte ramanzina, ornata di una certa eloquenza, che
-caratterizzava Mazzarino quando ei parlava italiano o spagnuolo, e
-che perdeva affatto quando parlava in francese, fu pronunziata con un
-aspetto impenetrabile, il quale non diede sospetto a Gondy, quantunque
-abilissimo fisionomista, d’altro che di un mero avvertimento ad esser
-più moderata.
-
-La regina così strapazzata, dal canto suo si fe’ più mite; lasciò,
-diremmo, cadersi dagli occhi il fuoco, e dalle guancie il sangue,
-e dalle labbra la collera loquace: si assise, e con voce molle dal
-pianto, buttando giù le braccia, disse tosto:
-
-«Perdonatemi, signor Coadjutore, e attribuite l’impeto mio a quel che
-soffro. Donna, e in conseguenza soggetta alle debolezze del mio sesso,
-mi sbigottisco della guerra civile; regina ed assuefatta ad essere
-obbedita, mi adiro alla prima resistenza.
-
-«Vostra Maestà s’inganna, rispose dolcemente di Gondy, qualificando
-come resistenza il mio sincero suggerimento. Vostra Maestà non ha se
-non sudditi rispettosi e sottomessi. Il popolo non ha rancore contro la
-regina, chiama Broussel, e non altro, fortunatissimo di vivere sotto
-le leggi della Maestà Vostra.... ove però Ella gli renda Broussel»
-aggiungeva sorridendo Gondy.
-
-Mazzarino all’udire _il popolo non ha rancore contro la regina_
-aveva già drizzate le orecchie, credendo che il Coadjutore fosse per
-discorrere delle grida: _abbasso il Mazzarino!_ egli fu anzi grato
-della soppressione fatta, e con la ciera sua più sdolcinata e gentile
-disse:
-
-«Signora, date ascolto al Coadjutore ch’è uno dei più abili politici
-che abbiamo; il primo cappello di cardinale vacante sembra fatto per la
-nobile sua testa.
-
-«Ah briccone! tu hai bisogno di me! disse fra sè di Gondy.
-
-«E che cosa prometterà a noi, disse d’Artagnan, il giorno in cui
-vorranno ucciderlo? Per Diana! se dà a questo modo dei cappelli,
-prepariamoci, Porthos, e chiediamo ciascuno un reggimento domani
-subito.... Cospettone! duri soltanto un anno la guerra civile, e fo
-indorare a nuovo per me la spada di connestabile!
-
-«Ed io? domandò Porthos.
-
-«A te? ti farò dare il bastone di maresciallo del signor di La
-Meilleraye, che in questo punto non mi par molto in favore.
-
-«Dunque, riprese la sovrana, voi temete sul serio l’agitazione popolare?
-
-«Sul serio, replicò Gondy meravigliato di non esser avanzato di più;
-temo, allorchè il torrente ha rotto l’argine, che cagioni gravissimi
-danni.
-
-«Ed io, replicò Anna, stimo che in questo caso gli si debbano opporre
-argini nuovi».
-
-Gondy guardò attonito il Mazzarino; il Mazzarino si accostò alla
-sovrana onde discorrerle; all’istante si udì orribile tumulto sulla
-piazza del Palazzo Reale.
-
-Gondy sorrise, alla regina s’infiammarono le pupille, a Mazzarino
-impallidì la faccia.
-
-«Che altro v’è egli? chiese quest’ultimo».
-
-Entrò in sala precipitosamente Comminges.
-
-«Perdonate, Maestà, esso disse; ma il popolo ha pestate le sentinelle a
-ridosso ai cancelli, ed ora forza le porte: che ordinate?
-
-«Ascoltate!» disse Gondy alla regina.
-
-Il mugghiare delle onde, lo strepito del fulmine, il fragore di un
-vulcano infiammato, non sono da paragonarsi alla tempesta di grida che
-sorse in tal momento.
-
-«Quel che ordino? disse Anna.
-
-«Sì, il tempo stringe.
-
-«Quanti uomini all’incirca avete al Palazzo Reale?
-
-«Seicento.
-
-«Ponetene cento attorno al re, e col rimanente sgombrate quella
-plebaglia.
-
-«Ah signora! che fate? osservava Mazzarino.
-
-«Andate!» comandò Anna.
-
-Comminges uscì con l’obbedienza passiva del soldato.
-
-S’intese un rumore spaventevole; cominciava una porta a cadere.
-
-«Oh Maestà! urlò il ministro, ci perderete tutti, il re, voi e me!»
-
-A quel grido partitosi dall’anima del ministro sgomentato ebbe paura
-ancor la regina; richiamò indietro Comminges.
-
-«È troppo tardi! disse Mazzarino strappandosi i capelli, è troppo
-tardi!»
-
-La porta cessò di resistere. Si udirono urli di allegrezza della plebe.
-D’Artagnan mise mano alla spada, ed accennò a Porthos d’imitarlo.
-
-«Salvate la regina! strillò Mazzarino al Coadjutore».
-
-Gondy corse al balcone e lo aprì; riconobbe Louvieres alla testa di una
-truppa di forse tre o quattro mila uomini.
-
-«Non muovete un passo di più! egli disse, la regina sottoscrive.
-
-«Che dite? domandò Anna.
-
-«La verità, rispose il ministro porgendole carta e penna; così fa
-d’uopo....»
-
-Ed aggiunse:
-
-«Anna, firmate, ve ne prego, voglio così!»
-
-La sovrana cadde sopra una sedia, e firmò.
-
-Il popolo frenato da Louvieres non avea fatto un passo di più, ma
-sempre continuava il tremendo mormorio che dà indizio dello sdegno
-della moltitudine.
-
-La regina scrisse:
-
-«Il custode della prigione di San Germano porrà in libertà il
-consigliere Broussel».
-
-Ed appose il suo nome.
-
-Il Coadjutore, che cogli occhi si divorava ogni menomo suo movimento,
-prese subito il foglio, tornò alla finestra, ed agitandolo con la mano,
-esclamò:
-
-«Ecco l’ordine!»
-
-Parve che tutta Parigi desse unanime un gran grido di gioja; indi si
-udì:
-
-«Evviva Broussel! evviva il Coadjutore!
-
-«Evviva la regina! disse il Coadjutore».
-
-Alcune voci ripeterono questo, ma rade e fiacche. Forse di Gondy aveva
-dato quell’urlo unicamente per far sentire ad Anna quanto ella fosse
-debole.
-
-«E adesso, essa disse, che avete ciò che voleste, andate, signor di
-Gondy.
-
-«Quando la regina avrà bisogno di me, rispose inchinandosi il
-Coadjutore, Sua Maestà sa che sono a’ suoi cenni».
-
-Mazzarino le si avvicinava.
-
-«Lasciatemi! ella strillò, voi non siete un uomo».
-
-Ed uscì.
-
-«Voi, non siete una donna! brontolò il ministro».
-
-Indi, avendo pensato un poco ei si rammentò che d’Artagnan e Porthos
-dovevano esser colà e in conseguenza aver visto ed inteso tutto.
-Aggrottò le ciglia, andò prontamente verso il parato e lo sollevò: il
-gabinetto era vuoto.
-
-Alle ultime parole della regina, d’Artagnan preso per mano Porthos, lo
-trascinava verso la galleria.
-
-Mazzarino, pure entrò nella galleria e trovò i due amici che
-passeggiavano.
-
-«Perchè vi siete partiti dal gabinetto? chiese il ministro.
-
-«Perchè, rispose d’Artagnan, Sua Maestà ha ordinato a tutti di
-andarsene, ed io ho pensato che l’ordine fosse per noi come per gli
-altri.
-
-«Talchè siete qui da....
-
-«Da un quarto d’ora circa, replicò il tenente accennando a Porthos non
-ismentirlo».
-
-Mazzarino si accorse del segno fatto, si convinse che il Guascone
-avesse veduto e udito ogni cosa, ma gli fu grato della bugia.
-
-Laonde gli disse:
-
-«Signor d’Artagnan, siete assolutamente l’uomo ch’io cercava, e potete
-ugualmente, che il vostro amico, contare sopra di me».
-
-E salutatili entrambi col suo più grazioso sorriso, se ne tornò più
-quieto nel proprio gabinetto, sendochè alla partenza di Gondy era
-cessato come per incanto lo schiamazzo.
-
-
-
-
-LII.
-
-_Con le disgrazie viene la memoria._
-
-
-Anna era entrata furibonda nel suo oratorio.
-
-«Come! esclamò torcendosi le bellissime braccia, come il popolo vide il
-sig. di Condé, il primo principe del sangue arrestato dalla mia suocera
-Maria de’ Medici; vide la mia suocera sua antica reggente, discacciata
-dal ministro; vide il signor di Vendome, cioè il figlio di Enrico IV,
-prigioniero a Vincennes, e nulla disse, nulla, mentre s’insultavano,
-si carceravano, si minacciavano que’ grandi personaggi; e per un
-Broussel!... Gesù! ch’è mai diventata la dignità regale?»
-
-Anna senza pensarvi toccava la questione caldissima del momento. Nulla
-aveva detto il popolo per i principi, e si sollevava per Broussel:
-perchè si trattava di un plebeo, ed esso difendendolo sentiva per un
-certo istinto che difendeva sè medesimo.
-
-Frattanto Mazzarino camminava su e giù nel gabinetto, guardando tratto
-tratto il suo bello specchio di Venezia tutto rotto.
-
-«Eh! diceva, è trista faccenda, lo so, esser costretti a cedere in tal
-modo; ma via! ci piglieremo la rivincita: che importa di Broussel? gli
-è un nome, e non una cosa».
-
-Quantunque fosse abile politico, questa volta il ministro la sbagliava:
-Broussel era una cosa, e non un nome.
-
-E perciò alla mattina vegnente, allorchè Broussel fece il suo ingresso
-in Parigi in una grande carrozza, avendo accanto Louvieres suo figlio,
-e Friquet dietro al legno, tutta la folla armata si scagliò dove
-passava; da ogni banda echeggiavano le grida: evviva Broussel! evviva
-il nostro padre! e portavano la morte alle orecchie di Mazzarino;
-per ogni parte gli spioni del ministro e della sovrana riferivano
-spiacevoli notizie, le quali trovavano quello agitatissimo e questa
-assai quieta. Sembrava che Anna maturasse nel suo cervello una grande
-risoluzione, lo che appunto accresceva le smanie di Mazzarino: chè
-egli conosceva l’orgogliosa donna, e delle sue risoluzioni paventava di
-molto.
-
-Il Coadjutore era tornato al Parlamento, più re che non lo fossero il
-re, la regina e il ministro tutti insieme. Dietro un suo consiglio,
-un editto del Parlamento aveva invitati i borghesi a deporre le armi
-e demolire le barricate; costoro ormai sapevano che bastava un’ora per
-riprendere le armi, ed una notte per rifare le barricate.
-
-Planchet si era rimesso nella sua bottega: la vittoria porta amnistia:
-sicchè egli non avea più paura di essere appiccato, e si persuadea che
-se alcuno mostrasse soltanto voler arrestarlo il popolo si solleverebbe
-per lui conforme aveva fatto per Broussel.
-
-Rochefort aveva restituiti i suoi cavalleggieri al cavalier d’Humieres;
-ne mancavano due all’appello, ma il cavaliere tutto della _Fronda_ in
-anima e in corpo non aveva voluto sentir discorrere di risarcimento.
-
-Il mendico avea ripreso il suo posto nell’atrio di Sant’Eustachio,
-dando sempre l’acqua benedetta con una mano, coll’altra chiedendo
-elemosina; e nessuno s’immaginava quelle due mani aver prestato ajuto
-onde cavare dal sociale edifizio la pietra fondamentale della regia
-dignità.
-
-Louvieres era contento e superbo: si era vendicato del Mazzarino, ed
-aveva contribuito molto a fare scarcerare il proprio genitore; il suo
-nome erasi ripetuto con terrore nel Palazzo Reale, ed egli ridendo
-diceva al consigliere restituito alla famiglia:
-
-«Credete, padre mio, che se adesso io chiedessi alla regina il comando
-di una compagnia, ella me lo concederebbe?»
-
-D’Artagnan aveva profittato del momento di calma per rimandar indietro
-Raolo, cui a stento avea tenuto rinchiuso durante la sommossa, e che
-intendeva assolutamente sguainare la spada o per l’uno o per l’altro
-— Raolo sul principio fece qualche obbiezione, d’Artagnah gli parlò
-in nome del conte di la Fère, ed egli, dopo essere andato a fare una
-visita alla signora di Chevreuse, partì per raggiungere l’armata.
-
-Rochefort solo trovava le cose terminate malissimo; scrisse al
-signor duca di Beaufort di venire; il duca arriverebbe quanto prima e
-troverebbe Parigi tranquillo.
-
-Andò dal Coadjutore per domandargli se si dovesse dare avviso al
-principe di fermarsi per la via; ma Gondy riflettè un poco e gli disse:
-
-«Lasciatelo continuare il suo viaggio.
-
-«Ma dunque non è finita? disse Rochefort.
-
-«Eh vi pare! caro conte, siamo ancora al principio.
-
-«Da che lo arguite?
-
-«Dalla cognizione che ho del cuore della regina: non vorrà rimaner
-battuta.
-
-«Apparecchia ella forse qualche cosa?
-
-«Spero di sì.
-
-«Animo, là, che sapete?
-
-«So che ha scritto al signor Principe di tornare sollecitamente
-dall’armata.
-
-«Ah, ah! disse Rochefort, avete ragione; bisogna lasciar venire il
-signor di Beaufort.»
-
-La sera stessa di quella conversazione si sparse voce esser giunto il
-Principe.
-
-Era codesta una notizia semplicissima, naturale, eppure fece uno
-strepito immenso; si diceva essere stata commessa qualche imprudenza di
-parole da madama di Longueville, a cui aveva fatte delle confidenze il
-signor Principe, il quale tutti accertavano nutrisse per la sorella una
-tenerezza anche più grande che l’affetto fraterno, e queste confidenze
-svelavano tristi progetti per parte della regina.
-
-La sera stessa dell’arrivo del signor Principe molti borghesi più
-avanzati degli altri, scabbini, capitani di quartiere, se ne andavano
-dai loro conoscenti dicendo:
-
-«E perchè non dobbiamo prendere il re e metterlo nel palazzo della
-comunità?.... È mal fatto lasciarlo educare dai nostri nemici che gli
-danno cattivi consigli, mentre se fosse diretto dal signor Coadjutore
-succhierebbe massime nazionali ed amerebbe il popolo.»
-
-La notte passò in una sorda agitazione; all’indomani si rividero i
-pastrani bigi e neri, le pattuglie di mercanti armati e le truppe di
-accattoni.
-
-La regina era stata tutta la nottata a conferenza col signor Principe,
-che introdotto a mezzanotte nel di lei oratorio non l’aveva lasciata
-sino alle cinque ore.
-
-Alle cinque Anna si recò nel gabinetto di Mazzarino; s’ella non si era
-ancor coricata, egli però era digià alzato.
-
-Ei redigeva una risposta per Cromvello: erano già trascorsi sei giorni
-dei dieci che aveva presi di tempo da Mordaunt.
-
-«Eh! diceva, l’avrò fatto aspettare un poco; ma il signor Cromvello sa
-troppo bene che cosa sono le rivoluzioni perchè non abbia a scusarmi.»
-
-E rileggeva con tutta compiacenza il primo paragrafo del suo scritto,
-quando fu toccato pianino l’usciale che comunicava agli appartamenti
-della regina. Di là non potea venire altri che Anna. Il ministro si
-alzò e si fece ad aprire.
-
-La sovrana era vestita in succinto, ma questo le stava sempre bene,
-giacchè al pari di Diana di Poitiers e di Ninon, Anna conservò il
-privilegio di rimanere ognora bella; e quella mattina era più bella
-del solito, avendo negli occhi tutto il fulgore che dà allo sguardo
-l’interna allegrezza.
-
-«Che avete, signora? disse inquieto Mazzarino, mi parete superba.
-
-«Sì, Giulio, superba e contenta, che ho trovato il mezzo di soffocare
-quell’idra.
-
-«Siete una grande politica, regina mia; sentiamo il mezzo.»
-
-E Mazzarino nascose la lettera incominciata sotto un foglio bianco.
-
-«Vogliono prendermi il re, come sapete, principiò la sovrana.
-
-«Ohimè sì! e impiccar me.
-
-«Non avranno il re.
-
-«E non m’impiccheranno. Benone!
-
-«Ascoltate: voglio portar via ad essi mio figlio e me stessa, e voi
-meco. Voglio che questo fatto, il quale da un giorno all’altro cambierà
-l’aspetto delle cose, abbia luogo senza che altri lo sappiano fuor che
-voi ed io ed una terza persona.
-
-«E chi è la terza persona?
-
-«Il signor Principe.
-
-«Dunque è giunto, come mi avevano detto?
-
-«Jeri a sera.
-
-«Lo avete veduto?
-
-«L’ho lasciato dianzi.
-
-«E dà mano a questo progetto?
-
-«È suo consiglio.
-
-«E Parigi?
-
-«Lo riduce alla fame, e lo costringe a rendersi a discrezione.
-
-«V’è del grandioso in codesto piano, ma non ci vedo che un ostacolo.
-
-«E quale?
-
-«L’impossibilità.
-
-«Parola vuota di senso. Nulla v’è d’impossibile.
-
-«Per progetto.
-
-«Per esecuzione. Abbiamo danaro?
-
-«Un poco, disse Mazzarino, temendo che Anna chiedesse di attingere alla
-sua borsa.
-
-«Abbiamo truppe?
-
-«Cinque o sei mila uomini.
-
-«Abbiamo coraggio?
-
-«Molto.
-
-«Allora la cosa è fatta. Oh comprendete voi, Giulio? Parigi, l’odioso
-Parigi, destarsi una mattina senza regina e senza re, circuito,
-assediato, affamato, non avendo altra risorsa che il suo stupido
-Parlamento, e il magro Coadjutore colle gambe torte?
-
-«Bello, bello! comprendo l’effetto, ma non vedo il modo di giungervi.
-
-«Lo troverò io!
-
-«Sapete ch’è guerra, guerra civile, ardente, accanita, implacabile?
-
-«Oh sì, sì, la guerra, rispose la sovrana; sì, voglio ridurre in cenere
-questa città ribelle; voglio estinguere il fuoco nel sangue; voglio
-che da un esempio spaventoso si eterni la memoria del delitto e del
-castigo; Parigi, io l’odio! lo aborro!
-
-«Piano piano, Anna, eccovi digià sanguinaria! badate, non siam mica al
-tempo di Malatesta e dei Castruccio Castracani; vi farete decapitare,
-mia bella regina, e sarebbe peccato!
-
-«Ridete!
-
-«Rido pochissimo, io; la guerra è pericolosa contro un intero popolo;
-vedete vostro fratello Carlo I, sta male, male assai.
-
-«Noi siamo in Francia, ed io sono spagnuola.
-
-«Peggio, per Bacco! peggio! avrei più caro che voi foste Francese, ed
-io pure: saremmo meno odiati ambedue.
-
-«Non ostante approvate?
-
-«Sì, se scorgo possibile la faccenda.
-
-«Lo è, ve lo dico io; fate i vostri preparativi per la partenza.
-
-«Io, sono sempre pronto a partire; solamente, lo sapete, non parto
-mai... e probabilmente, questa volta niente più delle altre.
-
-«Ma se io parto, partirete?
-
-«Mi proverò.
-
-«Giulio, mi fate morire d’impazienza coi vostri timori; ma di che avete
-paura?
-
-«Di molte cose.
-
-«Di quali?»
-
-A Mazzarino si fece trista la cera, stata fino allora ironica, ed egli
-disse:
-
-«Anna, voi non siete altro che una donna, e come donna potete insultare
-liberamente gli uomini, sicura dell’impunità. Mi accusate di aver
-timore: non ne ho tanto quanto ne avete voi, poichè non fuggo. Contro
-chi gridano coloro? contro di voi o di me? Di chi si vuol la rovina? la
-vostra o la mia? Eppure, faccio fronte alla burrasca, io che incolpate
-di paura: non già da bravaccio, chè quella non è la mia maniera, ma
-mi reggo. Imitatemi: non tanta apparenza, e più effetto. Voi gridate
-forte, e nulla concludete. Parlate di fuggire!...»
-
-E Mazzarino fece un moto delle spalle, prese per mano la regina, e la
-condusse alla finestra dicendole.
-
-«Guardate!
-
-«Ebbene? fece Anna acciecata dalla sua ostinazione.
-
-«Che vedete da questa finestra? Sono, se io non isbaglio, borghesi con
-la corazza, con l’elmo e con buoni moschetti come a tempo della lega,
-e che guardano tanto bene a questo balcone come li guardate voi, che
-tra un momento sarete vista se scuotete sì forte la cortina. Adesso,
-venite a quest’altra. Che mirate? genti del volgo con alabarde in mano
-a custodia delle vostre porte. Ad ogni apertura del palazzo dov’io vi
-guidassi scorgereste altrettanto: son custodite le porte, custoditi
-anco gli spiragli delle cantine, e vi dirò come diceva a me il caro
-la Ramée del sig. di Beaufort: se non diventate uccello o topo, non
-uscirete.
-
-«Egli però uscì!
-
-«Fareste conto di andarvene nella medesima guisa?
-
-«Dunque sono prigioniera?
-
-«Perdinci! è un’ora che ve lo provo!»
-
-E Mazzarino riprese tranquillamente il dispaccio incominciato, al punto
-ove lo aveva sospeso.
-
-Anna tremante di collera, rossa d’umiliazione, si partì dal gabinetto
-spingendosi dietro con impeto l’usciale.
-
-Mazzarino non voltò tampoco il capo.
-
-La regina entrata nel proprio appartamento si gettò sur un seggiolone,
-e si mise a piangere.
-
-Poi, ad un tratto, ad un idea improvvisa, alzandosi disse:
-
-«Sono salva!.... Oh! sì, sì, conosco un uomo che saprà trarmi fuori di
-Parigi, un uomo che troppo a lungo dimenticai».
-
-E pensosa, benchè con un sentimento di gioja, seguitò:
-
-«Ingrata! per venti anni ho obliato quel soggetto che avrei dovuto fare
-maresciallo di Francia. La mia suocera prodigò oro, dignità e lusinghe
-a Concini che la perdè; il re fece Vitry maresciallo di Francia per
-un assassinio, ed io lascio nell’oblìo, nella miseria, quel nobile
-d’Artagnan che mi salvò!»
-
-E corse a un tavolino su cui erano carta ed inchiostro, e si mise a
-scrivere.
-
-
-
-
-LIII.
-
-_Abboccamento._
-
-
-D’Artagnan in quella mattina era a letto in camera di Porthos. Tale era
-l’abitudine presa dai due amici dopo le insorte turbolenze; tenevano
-sotto il capezzale la spada, e sul tavolino, vicinissimo alla mano, le
-pistole.
-
-D’Artagnan dormiva tuttavia, e si sognava che il cielo si cuoprisse di
-un gran nuvolo giallo, e dal quel nuvolo cadesse una pioggia d’oro, e
-ch’egli porgesse il cappello sotto una grondaja.
-
-Porthos dal canto suo si sognava che lo sportello della sua carrozza
-non fosse abbastanza largo per contenere le armi e gli stemmi che ei vi
-faceva dipingere.
-
-Gli destò entrambi a sett’ore un servo senza livrea che recava una
-lettera a d’Artagnan.
-
-«Da parte di chi? domandò il Guascone.
-
-«Della regina, rispose colui.
-
-«Eh? fece Porthos sollevandosi sulle lenzuola, che cosa dice?»
-
-D’Artagnan invitò il servo a passare in una stanza contigua, e chiusa
-che quegli ebbe la bussola, ei saltò dal letto, e lesse prestamente,
-intanto che Porthos lo guardava cogli occhi spalancati senza osare
-interrogarlo.
-
-«Porthos, disse d’Artagnan dandogli il foglio, questa volta ecco il
-tuo titolo di barone e il mio brevetto di capitano. Tieni, leggi, e
-giudica».
-
-L’altro stese la mano, pigliò la carta, e pronunziò tremando queste
-parole in essa contenute:
-
-— «La regina vuol parlare al signor d’Artagnan; esso segua il
-latore. —
-
-«Ebbene! fece Porthos, in ciò non vedo che una cosa ordinaria.
-
-«Io all’opposto, ce ne veggo di molte straordinarie. Se mi chiamano, è
-segno che gli affari sono assai imbrogliati! Pensa un po’ che disordine
-dev’essere accaduto nella mente della regina, perchè dopo venti anni vi
-ritorni a galla la memoria di me.
-
-«È vero, confermò Porthos.
-
-«Barone, affila la spada, carica le pistole, dà la biada ai cavalli; ti
-garantisco che prima di domani vi saranno delle novità, e zitto!
-
-«Ehi! non fosse poi un laccio teso per isbarazzarsi di noi? obiettò
-Porthos, pensando sempre alla soggezione che dovrebbe dare altrui la
-sua futura grandezza.
-
-«S’è un laccio, io lo fiuterò; sta pur quieto. Se Mazzarino è italiano,
-io son guascone», riprese d’Artagnan.
-
-E si vestì in un attimo.
-
-Mentre Porthos tuttora in letto gli affibbiava il ferrajuolo, fu
-bussato per la seconda volta.
-
-«Passate! disse d’Artagnan».
-
-Entrò un altro domestico, dicendo:
-
-«Da parte di Sua Eccellenza il ministro Mazzarino».
-
-D’Artagnan guardò Porthos.
-
-«L’affare si va complicando! mormorò questo, di dove principieremo?
-
-«Cade benissimo in acconcio; rispose il tenente, Sua Eccellenza mi dà
-l’appuntamento fra mezz’ora.
-
-«Bene.
-
-«Dite a Sua Eccellenza che fra mezz’ora sarò a’ suoi comandi, disse
-d’Artagnan al servitore».
-
-Colui salutò e andò via.
-
-«Fortuna che non abbia veduto l’altro! osservò il tenente.
-
-«Credi dunque che non ti mandino a cercare tutti due per lo stesso
-oggetto?
-
-«Non lo credo, ne son sicuro.
-
-«Animo, animo, fa presto! pensa che la sovrana ti attende; dopo di lei
-il ministro, e dopo il ministro io».
-
-D’Artagnan chiamò indietro il servo della regina.
-
-«Eccomi, disse, conducetemi».
-
-Quegli lo guidò dalla via des Petits-Champs, e voltando a sinistra
-lo fece entrare dalla porticella del giardino che dava sulla
-strada Richelieu; poi salita una scala segreta, ei fu introdotto
-nell’oratorio.
-
-Al nostro tenente faceva balzare il cuore una certa emozione che
-non sapeva spiegarsi. Egli non aveva più la fiducia della gioventù,
-e coll’esperienza aveva imparata tutta la gravità dei passati
-avvenimenti.
-
-Sapeva ormai che si fossero la nobiltà dei principi e la nobiltà
-dei re; si era assuefatto a classare la propria mediocrità dopo le
-illustrazioni della fortuna e della nascita. In addietro si sarebbe
-fatto innanzi ad Anna come un giovane che saluta una donna; allora era
-tutt’altro, e si recava da lei come un umile soldato presso un capo
-illustre.
-
-Un lieve rumore turbò il silenzio dell’oratorio. D’Artagnan si scosse,
-e vide una bianca mano sollevare il parato, e dalla forma, dalla
-bianchezza, dalla beltà di quella riconobbe la regia mano che un giorno
-eragli stata data a baciare.
-
-Entrò la regina.
-
-«Siete voi, signor d’Artagnan? disse fissando sull’ufficiale uno
-sguardo ricolmo di affettuosa malinconia, siete voi, e bene io vi
-ravviso. Guardatemi pur voi, io sono la regina: mi riconoscete?
-
-«No, mia signora, rispose d’Artagnan.
-
-«Ma non vi ricordate, continuò Anna con delizioso accento che dar
-sapeva alla sua voce quando voleva, che in passato la regina ebbe
-bisogno di un giovane cavaliero prode e zelante, e lo trovò, e che
-sebbene questi potesse indi credersi da lei dimenticato ella gli serbò
-un posto in fondo al suo cuore?
-
-«No mia signora, questo m’è ignoto, disse il moschettiere.
-
-«Tanto peggio! fece Anna, almeno tanto peggio per la regina, poichè
-essa ha d’uopo ancor oggi di quello stesso coraggio, di quel medesimo
-zelo.
-
-«E che! replicò d’Artagnan, la regina, circondata com’è da servitori
-sì devoti, da sì saggi consiglieri, da uomini infine tanto grandi per
-merito o per situazione, si degna volgere gli occhi sopra un oscuro
-soldato?»
-
-Anna comprese il velato rimprovero, e ne fu commossa più che irritata.
-Cotanto disinteresse ed annegazione nel gentiluomo Guascone l’avevano
-parecchie volte umiliata; ella si era lasciata superare in generosità.
-
-«Tutto ciò che mi dite di quelli che ho d’intorno, signor d’Artagnan,
-essa soggiunse, sarà forse vero, ma io non ho fiducia che in voi. So
-che siete del signor ministro, ma siate altresì mio, ed io mi assumo
-di far la vostra fortuna. Orsù, fareste oggi per me ciò che fece in
-addietro per la regina il gentiluomo a voi ignoto?
-
-«Farò quanto mi sia imposto da Vostra Maestà».
-
-La sovrana riflettè un momento, ed osservando la circospezione in cui
-tenevasi il moschettiere domandò:
-
-«Forse vi piace il riposo?
-
-«Non so, poichè mai mi sono riposato.
-
-«Avete amici?
-
-«Ne avevo tre: due abbandonarono Parigi, nè so dove siano andati.
-Uno me ne rimane; ma è, a creder mio, uno di coloro che conoscono il
-cavaliere di cui Vostra Maestà mi faceva testè l’onore di parlarmi.
-
-«Va bene: voi ed il vostro amico valete per un’intera armata.
-
-«Che debbo fare, signora?
-
-«Tornate alle cinque ore, e ve lo dirò; ma non discorrete a chicchessia
-del convegno ch’io vi fisso.
-
-«No.
-
-«Giuratelo sul Cristo.
-
-«Non ho mai mancato alla mia parola; quando dico no, è no».
-
-La sovrana, comunque meravigliasse di un tal linguaggio a cui non
-l’avevano accostumata i suoi cortigiani, ne trasse buon presagio per
-l’impegno col quale d’Artagnan la servirebbe nell’effettuazione del suo
-progetto. Era uno degli artifizi del nostro Guascone il celare talora
-la sua somma accortezza sotto le apparenze di una leale brutalità.
-
-«La regina, ei richiese, non ha altro da comandarmi per adesso?
-
-«No signore, e potete ritirarvi sino al momento che vi ho indicato».
-
-Il tenente s’inchinò ed uscì.
-
-«Diamine! borbottò quando fu alla porta, pare che qui abbiano gran
-bisogno di me!»
-
-Ed essendo passata la mezz’ora, traversò la galleria e andò a bussare
-dal ministro.
-
-Lo introdusse Bernouin.
-
-«Sono qui ai vostri cenni, monsignore, egli disse».
-
-E secondo il suo solito d’Artagnan si diede attorno una rapida
-occhiata, ed osservò che Mazzarino aveva dinanzi una lettera
-sigillata.... questa però era posata sul tavolino dalla parte dello
-scritto, talchè non si poteva distinguere a chi fosse diretta.
-
-«Venite d’appresso alla regina? domandò Mazzarino guardando fisso
-d’Artagnan.
-
-«Io, monsignore? chi ve lo ha detto?
-
-«Nessuno, ma lo so.
-
-«Mi duole assai di dire a Vostra Eccellenza che prende un abbaglio,
-rispose sfacciatamente il Guascone, forte per la promessa data alla
-sovrana.
-
-«Io stesso ho aperto l’anticamera, e vi ho visto venire di fondo alla
-galleria.
-
-«Perchè sono stato introdotto dalla scala segreta.
-
-«E come mai?
-
-«Lo ignoro; vi sarà stato un mal inteso».
-
-Mazzarino sapeva non esser facile di far dire al tenente ciò ch’ei
-voleva occultare, e quindi renunziò a dilucidare per allora il mistero
-che gli veniva da esso fatto.
-
-«Parliamo degli affari miei, seguitò, giacchè non gradite discorrere
-dei vostri».
-
-D’Artagnan s’inchinò.
-
-«Vi piacciono i viaggi?
-
-«Ho passata tutta la vita sulle strade maestre.
-
-«V’è alcuna cosa che vi trattenga in Parigi?
-
-«Nulla mi ci tratterrebbe se non se un ordine superiore.
-
-«Bene. Ecco una lettera da consegnare al suo indirizzo.
-
-«Monsignore, l’indirizzo non v’è».
-
-Realmente la parte opposta era intatta da qualunque carattere.
-
-«Vale a dire, replicò Mazzarino, che v’è doppia sopraccarta.
-
-«Intendo; e devo lacerare la prima, arrivato in un luogo determinato.
-
-«Ottimamente. Prendete qua, e partite. Avete un amico, il signor du
-Vallon ch’io amo assai, lo condurrete con voi.
-
-«Diavolo! fece fra sè d’Artagnan, sa che abbiamo udito la sua
-conversazione di jeri, e vuole allontanarci da Parigi.
-
-«Titubate, forse?
-
-«No, Eccellenza, e parto subito.... soltanto bramerei una cosa.
-
-«E quale?
-
-«Che l’Eccellenza Vostra passasse dalla regina.
-
-«Quando?
-
-«Sul momento.
-
-«A che fare?
-
-«A dirle solamente così: Io mando in un luogo d’Artagnan, lo fo partire
-immediatamente.
-
-«Ecco dunque che avete veduta la regina?
-
-«Monsignore, ho avuto l’onore di dirvi che vi poteva essere stato un
-mal inteso.
-
-«Che significa codesto?
-
-«Oserò rinnuovare il mio priego a Vostra Eccellenza?
-
-«Va bene; io ci vado: attendetemi qui».
-
-Mazzarino guardò attentamente di non essersi scordata veruna chiave
-sugli armadj, e sparì.
-
-Per dieci minuti d’Artagnan tentò invano di leggere a traverso alla
-seconda sopraccarta le parole vergate sulla prima.
-
-Tornò il ministro, pallido ed accigliato; andò a sedere a tavolino.
-
-D’Artagnan lo esaminava come avanti avea fatto alla lettera, ma la
-sopraccarta del suo viso era quasi impenetrabile quanto quella del
-dispaccio.
-
-«Eh eh! fece il Guascone, pare adirato: che lo sia contro di me?
-Medita: fosse mai per mandarmi alla Bastiglia! Bel bello, monsignore!
-alla prima parola che ne dite vi scanno e mi do tutto alla _Fronda_;
-sarò portato in trionfo come Broussel, ed Athos mi proclamerà il Bruto
-francese.... Oh sarebbe pur curiosa!»
-
-Il Guascone con la sua immaginazione sempre avviata al galoppo
-distingueva digià tutto il partito che poteva trarre dalla situazione.
-
-Ma il ministro non diede verun ordine di questo genere, e anzi si mise
-ad allisciare il tenente:
-
-«Avete ragione, caro signor d’Artagnan, non potete peranco partire.
-
-«Ah ah!
-
-«Sicchè, di grazia rendetemi il dispaccio».
-
-D’Artagnan obbedì. Mazzarino si assicurò che il suggello fosse intatto.
-
-«Avrò bisogno di voi questa sera; tornate fra due ore.
-
-«Monsignore, fra due ore ho un appuntamento a cui non posso mancare.
-
-«Non ve ne pigliate briga, è tutt’uno, disse il ministro.
-
-«Buono! me le figuravo, pensò il moschettiere.
-
-«Dunque, venite alle cinque, e conducetemi quel caro signor du Vallon;
-lasciatelo però in anticamera; voglio parlare con voi solo».
-
-D’Artagnan fece una riverenza. Ed intanto diceva tra sè:
-
-«Tutti due lo stesso ordine, tutti due la stessa ora, tutti due al
-Palazzo Reale. Oh! la indovino. Ecco un segreto che il signor di Gondy
-avrebbe pagato cento mila lire!
-
-«Riflettete? domandò inquieto Mazzarino.
-
-«Sì, pensavo se dovessimo o no essere armati.
-
-«Armati da capo ai piedi.
-
-«Va benissimo, Eccellenza: lo saremo».
-
-E d’Artagnan corse a ripetere le lusinghiere promesse del ministro a
-Porthos, il quale ne provò un’allegrezza inesprimibile.
-
-
-
-
-LIV.
-
-_Fuga._
-
-
-Ad onta dei segni di agitazione che dava la città, il Palazzo Reale
-presentava il suo più lieto aspetto verso le cinque ore quando vi
-si recò d’Artagnan. Nè v’era da meravigliarsene: la regina aveva
-restituito al popolo Broussel e Blancmesnil, e quindi quello nulla
-aveva da richiedere. L’emozione della sovrana era soltanto un resto di
-turbamento a cui era d’uopo dar tempo a calmarsi, conforme abbisognano
-talora dopo una tempesta più giornate perchè cali la marea.
-
-Eravi stato gran banchetto, al quale serviva di pretesto il ritorno del
-vincitore di Lens. V’erano invitati i principi e le principesse, e le
-loro carrozze ingombravano da mezzogiorno in poi il cortile. Dopo il
-pranzo vi sarebbe giuoco dalla regina.
-
-Anna brillava di grazia e di spirito; nessuno l’aveva mai veduta di
-umore più allegro. La vendetta sul fiore le sfolgorava negli occhi e le
-schiudeva il bel labbro.
-
-Al momento che tutti si alzarono da mensa, Mazzarino sparì.
-
-D’Artagnan stava digià in anticamera ad attenderlo. Mazzarino vi si
-presentò in aria sorridente, lo prese per mano, e lo introdusse nel suo
-gabinetto.
-
-«Carissimo signor d’Artagnan, gli disse, essendosi seduto, vi darò
-adesso la maggior prova di fiducia che possa dare un ministro ad un
-ufficiale.
-
-«Spero, fece d’Artagnan, che monsignore me la dia senza secondo fine, e
-con intima convinzione ch’io ne sia degno.
-
-«Degno più di chiunque, amico mio, giacchè a voi mi rivolgo.
-
-«Or bene, Eccellenza! ve lo confesso, da molto tempo aspetto una simile
-occasione. E perciò ditemi presto quel che avete da dirmi.
-
-«Signor d’Artagnan mio caro, questa sera avrete nelle vostre mani la
-salvezza dello Stato».
-
-E là il ministro si tacque.
-
-«Monsignore, spiegatevi; io aspetto.
-
-«La regina ha risoluto di fare col re un viaggetto a San Germano.
-
-«Ah ah! vuol dire che la regina intende abbandonar Parigi!
-
-«Capite, capricci di donne!
-
-«Sì, intendo benone.
-
-«Per questo vi aveva fatto venire stamane, e vi ha richiesto di tornare
-alle cinque.
-
-«Meritava il conto di farmi giurare che non parlerei ad alcuno di
-quell’appuntamento! bucinò d’Artagnan. Oh donne, donne! siano anco
-regine, le son sempre donne!
-
-«Disapprovereste questo piccolo viaggio, carissimo signor d’Artagnan?
-domandò il Mazzarino nelle smanie.
-
-«Io, monsignore! e perchè?
-
-«Vedo che crollate le spalle!
-
-«L’è una maniera che ho presa di discorrere fra me.
-
-«Dunque, la gita l’approvate?
-
-«Nè approvo nè disapprovo, monsignore; aspetto i vostri cenni.
-
-«Or bene: sopra di voi ho messo gli occhi per portare il re e la regina
-a San Germano.
-
-«Briccone ipocrita! fece tra sè stesso il tenente.
-
-«Vedete, soggiunse il ministro notando la flemma di quest’ultimo, che
-secondo avvertivo, la salvezza dello Stato riposerà nelle vostre mani.
-
-«Sì, Eccellenza, e sento tutta la responsabilità di un tal peso.
-
-«Ma però, accettate?
-
-«Accetto sempre.
-
-«Credete che sia possibile?
-
-«Tutto è possibile.
-
-«Sarete assalito per la via?
-
-«È probabile.
-
-«Ma in tal caso come farete?
-
-«Passerò tramezzo a coloro che mi assalgono.
-
-«E se non ci passate?
-
-«Peggio per loro; passerò ad essi addosso.
-
-«E metterete il re e la regina sani e salvi a San Germano?
-
-«Sì.
-
-«Sulla vostra vita?
-
-«Sulla mia vita.
-
-«Siete un eroe!» disse Mazzarino guardando incantato il moschettiere.
-
-Questi sorrise.
-
-«Ed io?... ripigliò il ministro dopo breve pausa guatandolo fisso.
-
-«Come, Eccellenza, voi?
-
-«Io, se volessi partire?
-
-«Oh! sarà più difficile.
-
-«In che modo?
-
-«L’Eccellenza Vostra può essere riconosciuta.
-
-«Anche così travestito?» disse Mazzarino.
-
-Ed alzò una coperta di sulla poltrona, e sotto la quale era un
-completo vestimento da cavaliere grigio perlato e color di granato, coi
-passamani d’argento.
-
-«Se Vostra Eccellenza si traveste e’ diventa più facile.
-
-«Ah! respirò il Mazzarino.
-
-«Ma bisognerà fare ciò che l’altro giorno dicevate, monsignore, che
-avreste fatto nelle nostre veci.
-
-«E che mai?
-
-«Gridare: abbasso Mazzarino!
-
-«Griderò.
-
-«In francese, pretto francese, veh! badate alla pronunzia; ci furono
-uccisi seimila angiovini in Sicilia perchè pronunziavano malamente
-l’italiano; badate che i Francesi non si abbiano a pigliar su di voi la
-rivincita del vespro siciliano!
-
-«Farò meglio che possa.
-
-«Vi sono molte persone armate nelle strade, continuò d’Artagnan, siete
-certo che nessuno conosca il progetto della regina?»
-
-Il ministro riflettè.
-
-«Monsignore, sarebbe un buon affare per un traditore cotesto che mi
-proponete; i rischi di un assalto scuserebbero tutto».
-
-Mazzarino raccapricciò; ma pensò che uno che avesse intenzione di
-tradire non ne darebbe avviso.
-
-«E perciò, disse con impeto, non mi fido mica di tutti, e la prova si è
-che ho scelto voi per essermi di scorta.
-
-«Non andate colla regina?
-
-«No, fece Mazzarino.
-
-«Dunque, dopo di lei?
-
-«No, egli ripetè.
-
-«Ah! disse d’Artagnan che principiava ad intendere.
-
-«Sì, prosegui il ministro, ho fatto i miei calcoli: con la regina,
-accresco per lei le probabilità sfavorevoli; dopo di essa aumento le
-mie; e poi, salvata la corte, posso esser posto in oblìo: i grandi sono
-ingrati.
-
-«È vero» confermò il tenente volgendo a suo malgrado le pupille sul
-brillante della sovrana che aveva in dito il ministro.
-
-Mazzarino seguitò la direzione di quello sguardo, e adagio adagio girò
-in dentro il castone.
-
-«E voglio dunque, terminò Mazzarino col suo scaltro sorriso, impedire
-che siano meco ingrati.
-
-«È carità cristiana, borbottò d’Artagnan, il non indurre il suo
-prossimo alla tentazione.
-
-«E appunto per questo, finì Mazzarino, vuo’ partire prima di loro».
-
-D’Artagnan sorrise: era uomo da capire egregiamente quell’astuzia
-italiana.
-
-Il ministro che vide quell’atto, profittò del momento.
-
-«Dunque comincerete da farmi uscire di Parigi, carissimo signor
-d’Artagnan?
-
-«Difficile incombenza, monsignore! rispose il moschettiere rimessosi in
-serietà.
-
-«Ma, fece l’Eccellenza osservandolo attento, acciò non gli sfuggisse la
-menoma espressione della fisonomia, non faceste tutte queste obbiezioni
-pel re e per la regina.
-
-«Il re e la regina sono la mia regina ed il mio re: la mia vita è di
-loro, ad essi io la debbo. Me la richiedono, io non ho che ripetere.
-
-«Va d’incanto, mormorò pian piano Mazzarino, ma siccome la tua vita non
-è mia, bisogna che io la compri, non è così?»
-
-E con un grosso sospiro, ritirò infuori il castone dell’anello.
-
-D’Artagnan sogghignava.
-
-Quei due si combinavano da un punto, da quel dell’astuzia. Se
-ugualmente si fossero combinati pel coraggio, l’uno avrebbe fatto
-eseguire all’altro cose grandi.
-
-«Ma anche, soggiunse Mazzarino, intendete che se vi domando questo
-servigio è coll’intenzione di esserne riconoscente.
-
-«Vostra Eccellenza, chiese d’Artagnan, è ancora soltanto all’intenzione?
-
-«Ecco, fece il ministro levandosi dal dito il cerchietto, ecco, mio
-caro signor d’Artagnan, un brillante che tempo addietro fu vostro, ed è
-giusto che ritorni a voi: prendetelo, ve ne supplico».
-
-D’Artagnan non diede campo al Mazzarino d’insistere; lo pigliò, mirò
-ben bene se la pietra fosse la stessa, ed accertatosi dell’acqua pura e
-identica, se lo infilò al dito con soddisfazione indicibile.
-
-«Mi premeva di molto, disse Mazzarino accompagnandolo con un ultimo
-sguardo, ma non serve, ve lo do con gran piacere.
-
-«Ed io, monsignore, lo ricevo come mi è dato.... Orsù, ragioniamo dei
-vostri affaretti: bramate partire prima di tutti?
-
-«Sì, lo desidero.
-
-«A che ora?
-
-«Alle dieci.
-
-«E la regina, a che ora se ne va?
-
-«A mezza notte.
-
-«Allora può essere; io vi fo uscire da Parigi, vi lascio fuori della
-barriera, e torno a prender lei.
-
-«Ottimamente! ma come mi conducete fuor di Parigi?
-
-«Oh! per questo bisogna lasciarmi agire.
-
-«Vi do piene facoltà: pigliate una scorta considerevole quanto vi pare».
-
-D’Artagnan tentennò il capo.
-
-«Eppure mi sembra che sia il mezzo più sicuro, seguitò Mazzarino.
-
-«Sì, Eccellenza, per voi: ma non per la regina».
-
-Il ministro si morse le labbra.
-
-«E allora, disse, come operiamo?
-
-«Conviene lasciar fare a me, monsignore.
-
-«Uhm!
-
-«E darmi l’intera direzione dell’intrapresa....
-
-«Peraltro....
-
-«O cercare un altro, finì d’Artagnan, volgendo le spalle.
-
-«Ohi! fece piano Mazzarino, non se ne avesse da andar via col diamante!»
-
-E lo richiamò indietro con modo carezzevole.
-
-«Signor d’Artagnan! mio caro signor d’Artagnan!
-
-«Eccellenza?
-
-«Mi garantite di tutto?
-
-«Garantisco di nulla, io; farò meglio che possa.
-
-«Meglio che possiate?
-
-«Sì.
-
-«Ebbene, mi affido a voi.
-
-«E anche assai! disse fra sè il tenente.
-
-«Dunque sarete qui alle nove e mezza?
-
-«E troverò pronta Vostra Eccellenza?
-
-«Prontissima.
-
-«Sicchè siamo d’accordo. Adesso, monsignore, volete farmi vedere la
-regina?
-
-«A che giova?
-
-«Bramerei ricevere gli ordini di Sua Maestà dal suo proprio labbro.
-
-«Ha incaricato me di darveli.
-
-«Potrebbe aver dimenticato qualche cosa.
-
-«V’importa di vederla?
-
-«È indispensabile».
-
-Mazzarino stette alquanto perplesso, e d’Artagnan fermo e impassibile
-nella sua volontà.
-
-«Or via, disse il ministro, vi ci condurrò, ma non fate parola del
-nostro dialogo.
-
-«Ciò che fra noi è stato detto riguarda noi soltanto, monsignore.
-
-«Mi giurate di star mutolo?
-
-«Non giuro mai; dico sì e no, e siccome son gentiluomo mantengo la mia
-parola.
-
-«Animo, veggo che mi tocca fidarmi di voi senza restrizioni.
-
-«Eccellenza, questa è la miglior via.
-
-«Venite» disse Mazzarino.
-
-E fatto entrare d’Artagnan nell’oratorio, gli prescrisse di aspettare.
-
-Ma d’Artagnan non aspettò molto. Dopo cinque minuti capitò la regina
-nella massima gala. Così adorna mostrava appena trentacinque anni, ed
-era sempre bella.
-
-«Siete voi, signor d’Artagnan? disse graziosamente sorridendo; vi
-ringrazio di avere insistito per vedermi.
-
-«Chiedo perdono a Vostra Maestà, ma ho voluto ricevere di bocca sua i
-di lei comandi.
-
-«Sapete di che si tratta?
-
-«Sì, mia signora.
-
-«Accettate l’incarico che vi affido?
-
-«Con riconoscenza.
-
-«Dunque, siate qua a mezzanotte.
-
-«Vi sarò.
-
-«Troppo mi è noto il vostro disinteresse per parlarvi in tal momento
-della mia gratitudine; ma vi giuro che non dimenticherò questo secondo
-servizio come dimenticai il primo.
-
-«Vostra Maestà è padrona di ricordarsi e di obliare, nè so che intenda
-dirmi.
-
-«Andate, replicò Anna con tutta gentilezza, e tornate a mezzanotte».
-
-Fece con la mano un gesto d’addio al tenente, ed esso si ritirò; ma
-nell’uscire volse il ciglio verso la cortina per dove era entrata
-la sovrana, e in fondo a quella distinse la punta di una scarpa di
-velluto.
-
-«Bene! disse fra sè, il Mazzarino stava in ascolto per iscuoprire se
-io lo tradivo.... davvero, quel burattino d’Italia non merita di essere
-servito da un onest’uomo».
-
-Ciò non ostante il nostro moschettiere fu puntuale: alle nove e mezza
-era nell’anticamera.
-
-Lo attendeva e lo introdusse Bernouin.
-
-Egli trovò il ministro vestito da cavaliero. Questi aveva un bellissimo
-aspetto sotto quell’abbigliamento, che come già avvertimmo, portava con
-molta eleganza; soltanto era assai pallido e tremava un pochino.
-
-«Solo? fece Mazzarino.
-
-«Sì, monsignore.
-
-«E il bravo signor du Vallon? non godremo della sua compagnia?
-
-«Oh sì! attende nella sua carrozza.
-
-«E dove?
-
-«Alla porta del giardino del Palazzo Reale.
-
-«Sicchè partiamo nella sua carrozza?
-
-«Eccellenza sì.
-
-«Senza altra scorta che voi due?
-
-«E non basta? sarebbe sufficiente uno solo di noi.
-
-«In verità, caro signor d’Artagnan, mi fate paura col vostro sangue
-freddo.
-
-«Credevo anzi che dovesse darvi fiducia.
-
-«E Bernouin, non verrà meco?
-
-«Non v’è posto per lui; verrà a raggiungere Vostra Eccellenza.
-
-«Si vada, disse il ministro, giacchè in tutto bisogna operare a modo
-vostro.
-
-«Monsignore, rispose il tenente, v’è ancora tempo a pentirsi, e siete
-affatto libero.
-
-«No no, andiamo pure».
-
-Scesero entrambi dalla scala segreta, Mazzarino appoggiando il braccio
-su quello di d’Artagnan, ma con un tremore continuo.
-
-Traversarono i cortili del Palazzo Reale ove stavano tuttavia ferme le
-carrozze di parecchi commensali trattenutisi più degli altri, passarono
-nel giardino, ed arrivarono alla porticella.
-
-Mazzarino si provò ad aprirla con una chiave trattasi di tasca; ma tale
-era il tremito della mano, che non trovò il buco della serratura.
-
-«Date qua» disse d’Artagnan.
-
-Da Mazzarino gli fu data la chiave; egli schiuse, e si rimise quella in
-saccoccia, perocchè divisava ritornar dentro da quella via.
-
-Era calato il montatojo, spalancato lo sportello, e accanto a questo
-Mousqueton e Porthos in fondo al legno.
-
-«Salite, monsignore» disse il tenente.
-
-Mazzarino non se lo fece dir due volte e si slanciò nel cocchio.
-
-D’Artagnan vi salì dopo di lui; Mousqueton serrò lo sportello, e con
-sospiri e gemiti si arrampicò dietro alla vettura. Aveva esso opposta
-qualche obbiezione alla partenza, ma d’Artagnan gli aveva parlato così:
-
-«Caro signor Mouston, restate qua se volete, ma vi prevengo che
-stanotte sarà incendiato Parigi».
-
-Dopo di che Mousqueton senza ricercar altro dichiarava esser pronto a
-seguitare il suo padrone e il signor tenente sino alla fin del mondo.
-
-Il legno si mosse a un trotto discreto, tale da non indicare
-minimamente che contenesse persone che avean fretta. Il ministro si
-asciugò la fronte col fazzoletto, e si guardò attorno.
-
-Vide a sinistra Porthos, e a destra d’Artagnan; ciascuno d’essi stava a
-far guardia da una parte, ognuno di loro gli serviva di baluardo.
-
-Dirimpetto, sul sedile davanti, due paja di pistole, uno dinanzi a
-Porthos ed uno dinanzi a d’Artagnan, che avevano inoltre ambedue la
-spada al fianco.
-
-Alla distanza di cento passi dal Palazzo Reale una pattuglia fermò la
-carrozza.
-
-«Chi va là? disse il capo.
-
-«Mazzarino!» rispose d’Artagnan con uno scroscio di risa.
-
-Il ministro si sentì drizzare in testa i capelli.
-
-Lo scherzo sembrò bellissimo ai borghesi, che mirando un legno
-senz’armi nè scorta, non avrebbero creduta mai una simile imprudenza.
-
-«Buon viaggio!» gridarono.
-
-E li lasciaron passare.
-
-«Eh! fece il tenente, che pensa Vostra Eccellenza di questa mia
-risposta?
-
-«Uomo di spirito! esclamò Mazzarino.
-
-«Realmente, seguitò Porthos, comprendo....»
-
-Verso la metà della via des Petits-Champs una seconda pattuglia fermò
-il cocchio.
-
-«Chi va là? urlò il capo.
-
-«Tiratevi da parte, monsignore!» raccomandò d’Artagnan.
-
-E Mazzarino si cacciò talmente fra i due amici, che sparì del tutto da
-essi nascosto.
-
-«Chi va là?» ripetè la voce impazientita.
-
-E d’Artagnan sentì correr gente dalla parte della testa dei cavalli.
-
-Allora si trasse a mezzo corpo fuori dal legno.
-
-«Ehi Planchet!» disse tosto.
-
-Il capo si avvicinò: era infatti Planchet: il tenente avea riconosciuta
-la voce del suo antico lacchè.
-
-«Come, signore! siete voi? disse questi.
-
-«Eh sì, amico mio; questo caro Porthos ha ricevuta una stoccata, e lo
-accompagno alla sua villa di San Cloud.
-
-«Oh! davvero?
-
-«Porthos, mio carissimo, seguitò d’Artagnan, se ancor potete, parlate,
-dite una parola al nostro buon Planchet.
-
-«Planchet, amico, fece Porthos in tuono dolente, sto molto male, e se
-tu incontri un medico, mi farai piacere a mandarmelo.
-
-«Gran Dio! continuò Planchet, che disgrazia! e com’è avvenuto?
-
-«Te lo racconterò io» disse Mousqueton.
-
-Porthos cacciò fuori un gemito.
-
-«Ah Planchet! disse piano d’Artagnan, facci far largo, o ch’ei non
-arriverà vivo, è attaccato il polmone....»
-
-Planchet tentennò la testa come uno che borbotti: «allora è un brutto
-impaccio!»
-
-E voltosi ai suoi uomini ordinò:
-
-«Lasciate passare, sono amici».
-
-La vettura riprese il suo cammino, e Mazzarino che avea tenuto a sè il
-fiato si azzardò a respirare.
-
-«Bricconi» brontolò.
-
-Pochi passi avanti alla porta sant’Onorato si incontrò un’altra truppa;
-questa componevasi di genti di tristo aspetto, che somigliavano più ad
-assassini che ad altro: erano gli uomini del mendico di sant’Eustachio.
-
-«Attento, Porthos!» disse d’Artagnan.
-
-Porthos allungò la mano verso le pistole.
-
-«Che c’è? domandò Mazzarino.
-
-«Monsignore, credo che siamo in pessima compagnia».
-
-Si avanzò un tale allo sportello tenendo in mano una specie di falce.
-
-«Chi va là? urlò costui.
-
-«Eh furfante! disse d’Artagnan, non riconoscete la carrozza del signor
-Principe?
-
-«Principe o no, aprite! siamo a far guardia alla porta, nessuno la
-oltrepasserà fin che non sappiamo chi sia.
-
-«Che s’ha da fare? chiese Porthos.
-
-«Oh bella, passare! rispose d’Artagnan.
-
-«Ma come? fece Mazzarino.
-
-«O fra mezzo, o addosso. Cocchiere, di galoppo!»
-
-Il cocchiere alzò la frusta.
-
-«Non fate un passo di più, gridò quegli che pareva il capo, o che
-tronco i garretti a’ vostri cavalli.
-
-«Per dinci! disse Porthos, sarebbe peccato, bestie che mi costano cento
-doppie l’una.
-
-«Io ve le pagherò due cento, disse Mazzarino.
-
-«Sì, ma tagliate i garretti a loro taglieranno a noi il collo.
-
-«Ne viene uno da uno parte, fece Porthos, l’ho da ammazzare?
-
-«Sì, con un pugno se potete; non facciam fuoco sino all’ultime
-estremità.
-
-«Posso, rispose Porthos.
-
-«Dunque venite ad aprire» disse d’Artagnan all’uomo della falce,
-pigliando una pistola dalla canna accingendosi a percuotere col calcio.
-
-Quegli si accostò.
-
-A misura che ei si accostava, d’Artagnan, per essere più libero di
-muoversi, usciva mezzo fuor dallo sportello; si fissarono i suoi occhi
-su quelli del mendico a cui dava la fiaccola di un lampione.
-
-Di certo colui ravvisò il moschettiere, poichè impallidì; di certo
-il moschettiere lo ravvisò, poichè gli si drizzarono sulla testa i
-capelli.
-
-«Signor d’Artagnan! egli esclamò rinculando alquanto, lasciatelo
-passare!...»
-
-E d’Artagnan si preparava forse a rispondere; ma s’intese un colpo
-simile a quel di una mazzuola che cada sul capo ad un bue: Porthos
-aveva accoppato quello che gli si appressava.
-
-D’Artagnan voltatosi vide il disgraziato disteso in terra.
-
-«Adesso trotta a rolla di collo!» gridò al vetturino.
-
-Il quale scagliò in largo una frustata ai suoi nobili animali. Questi
-balzarono via. Si udirono urli come d’uomini gettati sul suolo. Poi si
-sentì una doppia scossa: due ruote erano passate sopra un corpo rotondo
-e flessibile.
-
-Vi fu breve silenzio. La carrozza varcò la porta.
-
-«Al Corso-la-Regina!» strillò d’Artagnan al cocchiere.
-
-E girandosi verso Mazzarino:
-
-«Ora, monsignore, potete dire cinque Pater e cinque Ave per ringraziare
-Iddio della vostra liberazione; siete salvo! siete libero!»
-
-Mazzarino non rispose che con una specie di gemito; non sapeva credere
-a tanto miracolo.
-
-Dopo cinque minuti la vettura si fermò: era giunta al Corso la Regina.
-
-«Monsignore, siete contento della vostra scorta? domandò il
-moschettiere.
-
-«Contentissimo, replicò il ministro; adesso fate altrettanto per la
-regina.
-
-«Sarà meno difficile, disse d’Artagnan. Signor du Vallon, vi raccomando
-Sua Eccellenza.
-
-«Non dubitate» fece Porthos stendendo la mano.
-
-D’Artagnan presa la mano a Porthos gliela scosse con forza.
-
-«Ahi!» strillò questi.
-
-Ma egli lo guardò attonito, domandandogli:
-
-«Che avete?
-
-«Mi par di avere un pugno rotto.
-
-«Eh diamine! se picchiate come un cieco!
-
-«Per necessità; quel birbante era per darmi una pistolettata; ma voi,
-in che modo vi siete distrigato del vostro?
-
-«Oh! il mio, disse d’Artagnan, non era un uomo.
-
-«E ch’era mai?
-
-«Uno spettro.
-
-«E voi...?
-
-«L’ho scongiurato».
-
-D’Artagnan senza ulteriore spiegazione prese le pistole ch’erano sul
-sedile davanti, se le infilò alla cintola, si avvolse nel ferrajuolo,
-e non volendo tornare dalla stessa barriera d’onde era uscito,
-s’incamminò verso la porta Richelieu.
-
-
-
-
-LV.
-
-_La carrozza del Coadjutore._
-
-
-In vece di rientrare dalla porta sant’Onorato, d’Artagnan avendo ancor
-tempo fece il giro, e venne da quella di Richelieu. Tutti accorsero
-a riconoscerlo, e quando dal cappello colle penne e dal ferrajuolo,
-o piuttosto dal manto ingallonato si vide esser egli uffiziale dei
-moschettieri, ognuno gli si fece attorno con intenzione di obbligarlo
-a gridare: abbasso Mazzarino! Cominciò ad inquietarsi di tale
-dimostrazione, ma allorchè seppe di che si trattava, urlò con sì bella
-voce da soddisfare anche i più esigenti.
-
-Andava lungo la strada di Richelieu, ripensando alla maniera di
-portarsi via pure la regina, giacchè condurla in una carrozza colle
-armi di Francia era impossibile, quando ad un tratto vide un bellissimo
-legno al portone del palazzo di madama di Guemenée.
-
-Lo illuminò un’idea subitanea, e disse:
-
-«Per Diana! questa sarebbe azione di buona guerra».
-
-Si avvicinò alla carrettella, osservò le armi ch’erano su gli sportelli
-e la livrea del cocchiere seduto a cassetta.
-
-E l’esame gli fu tanto più facile dacchè il cocchiere se ne dormiva
-colle pugna chiuse.
-
-«È propriamente la carrozza del signor Coadjutore, continuò; in parola,
-principio a credere che la Providenza sia a favor nostro».
-
-Salì piano dentro al legno, e tirando il cordone di seta corrispondente
-al dito mignolo del vetturino ordinò:
-
-«Al Palazzo Reale».
-
-Quegli, destatosi ad un tratto, si diresse verso il luogo indicatogli,
-senza figurarsi che il comando fosse dato da un altro che dal suo
-padrone.
-
-Lo svizzero si accingeva a serrare i cancelli, ma visto il magnifico
-cocchio, si persuase fosse una visita importante, e lasciò passare la
-carrettella, la quale si fermò sotto il loggiato.
-
-Ivi soltanto il cocchiere si accorse che dietro al legno non erano i
-servitori.
-
-S’immaginò che il Coadjutore avesse di essi disposto; saltò giù senza
-abbandonare le guide, e venne ad aprire.
-
-D’Artagnan balzò a terra, e nel momento che il vetturino spaventato per
-non aver in lui riconosciuto il signor di Gondy retrocedeva un poco,
-egli lo afferrò pel collo con la mano sinistra, e con la diritta gli
-mise sul petto una pistola.
-
-«Se ti provi a dire una parola, sei morto!» gli gridò.
-
-L’altro dalla faccia di quello che gli parlava capì di esser caduto in
-un agguato, e restò con gli occhi aperti e la bocca spalancata.
-
-Passeggiavano nel cortile due moschettieri; d’Artagnan li chiamò per
-nome.
-
-«Signor di Belliere, disse ad uno, fatemi il piacere di prendere le
-redini da quel buon uomo, salire a cassetta, condurre la carrozza alla
-porta della scala segreta, e là aspettarmi; è per affare di premura, e
-relativo al regio servizio».
-
-Il moschettiere, che sapeva essere il suo tenente incapace di scherzare
-in proposito di servizio, obbedì senza fiatare, abbenchè l’ordine gli
-sembrasse singolarissimo.
-
-E d’Artagnan al collega di questo:
-
-«Signor du Verger, ajutatemi a porre in sicuro quest’uomo».
-
-Il du Verger credè che il tenente avesse arrestato qualche principe
-travestito, s’inchinò, e sguainata la spada accennò che era pronto.
-
-D’Artagnan salì la scala, seguito dal suo prigioniero, e con a tergo il
-moschettiere, traversò l’atrio ed entrò nell’anticamera di Mazzarino.
-
-Bernouin attendeva impaziente notizia del suo signore.
-
-«Ebbene? domandò.
-
-«Tutto va a maraviglia, caro Bernouin; ma ecco un uomo che va messo in
-sicuro.
-
-«Dove?
-
-«Dove volete, purchè il luogo che presceglierete abbia imposte da
-chiudersi a chiavistello ed una porta da serrarsi a chiave.
-
-«Abbiamo l’occorrente, rispose Bernouin».
-
-E fu menato il povero cocchiere in uno stanzino che aveva le finestre
-coll’inferriata, e somigliava di molto a una prigione.
-
-«Ora, mio caro, disse a costui d’Artagnan, v’invito a disfarvi in favor
-mio del cappello e del pastrano».
-
-Secondo ognuno intende, il cocchiere non fece opposizione; d’altronde,
-era così attonito che barcollava e balbettava come un ubbriaco.
-D’Artagnan mise ogni cosa sotto il braccio al cameriere. E poi
-soggiunse:
-
-«Signor du Verger, rinchiudetevi con quest’uomo sinchè il signor
-Bernouin venga ad aprirvi; la guardia sarà piuttosto lunga e poco
-divertevole, lo so; ma capite, servizio regio.
-
-«Ai vostri comandi, tenente, replicò il moschettiere vedendo che si
-trattava di affari serj.
-
-«A proposito, terminò d’Artagnan, se colui procurasse fuggire o
-gridare, passategli la spada a traverso la pancia».
-
-Il sottoposto fe’ un moto della testa che indicava che obbedirebbe
-puntualmente alle istruzioni.
-
-Il tenente se ne andò con Bernouin.
-
-Suonava la mezzanotte.
-
-«Conducetemi nell’oratorio della regina, esso disse, avvertitela che io
-ci sono, e andate a piantare questo fagotto con un moschetto ben carico
-sul sedile della carrozza che attende appiè della scala segreta».
-
-Bernouin introdusse nell’oratorio d’Artagnan, il quale vi si assise
-pensieroso.
-
-Nel Palazzo Reale tutto era ito secondo il consueto: a dieci ore,
-conforme notammo, i commensali eransi ritirati; quelli che dovevano
-fuggire colla corte ebbero la parola d’ordine, e ciascuno fu avvisato
-di trovarsi fra mezzanotte e l’un’ora al Corso-la-Regina.
-
-Alle dieci Anna si recò nelle stanze del re; _Monsieur_ era stato
-appunto posto al letto, ed il giovine Luigi, rimasto ultimo, si
-divertiva a schierare in battaglia dei soldatini di piombo, esercizio
-che lo svagava di molto. Seco si trastullavano due _fanciulli d’onore_.
-
-«Laporte, disse la regina, sarebbe tempo di far coricare il re».
-
-Il re chiese di restar alzato, giacchè non aveva voglia di dormire.
-
-Ma la regina insistè:
-
-«Luigi, non dovete andare domattina alle sei a bagnarvi a Conflans? voi
-stesso lo avete domandato, mi pare.
-
-«Avete ragione, signora, rispose Luigi e sono pronto a ritirarmi
-nella mia camera quando vi sarà piaciuto di baciarmi. Laporte, date il
-candeliere al cavaliere di Coislin».
-
-La madre posò le labbra su la fronte bianca e liscia che l’augusto
-bambino le porgeva con una gravità che già sapeva alquanto di
-etichetta.
-
-«Addormentatevi presto, ella disse, perchè sarete destato di buon’ora.
-
-«Farò meglio che possa per obbedirvi, signora; ma non ho la minima
-volontà di dormire.
-
-«Laporte, ordinò piano la sovrana, cercate qualche libro nojoso da
-leggere a Sua Maestà, ma non vi spogliate».
-
-Il re uscì accompagnato dal cavaliere di Coislin, che gli portava il
-lume. L’altro fanciullo d’onore fu ricondotto al suo appartamento.
-
-Allora la regina entrò nelle proprie stanze. Le sue donne, cioè la
-di Bregy, la di Beaumont, la di Motteville e Socratina sua sorella,
-chiamata così a motivo della sua saggezza, le avevano recato nella
-guardaroba alcuni avanzi del pranzo, che usualmente le servivano di
-cena.
-
-Anna diede i suoi ordini, parlò di un gran pasto offertole per il
-posdomani dal marchese di Villequier, indicò le persone che ella
-ammetteva all’onore di prendervi parte, annunziò per l’indomani pure
-una visita alla Val-de-Grace, dove aveva intenzione di far le sue
-devozioni, e diede a Beringhen, suo primo cameriere, le istruzioni
-acciò ve l’accompagnasse.
-
-Terminata la cena delle dame, Anna finse di esser molto stanca e
-passò nella sua camera. La Motteville, che quella sera era di servizio
-particolare, vi andò pur seco e l’ajutò a spogliarsi. La regina si mise
-a letto, le discorse affettuosamente qualche minuto, e la licenziò.
-
-In quel punto d’Artagnan giungeva nel cortile del Palazzo Reale con la
-carrettella del Coadjutore.
-
-Dopo un momento ne uscivano le carrozze delle dame d’onore, e si
-chiudevano i cancelli.
-
-Suonava mezzanotte.
-
-Indi a cinque minuti, Bernouin bussava alla camera della regina,
-venendo dal passaggio segreto del ministro.
-
-Anna andò ad aprire da sè.
-
-Era digià vestita, cioè, si era rimesse le calze ed avvolta in una
-lunga mantellina.
-
-«Siete voi, Bernouin? ella disse, v’è il signor d’Artagnan?
-
-«Maestà, è nel vostro oratorio, ed attende che siate pronta.
-
-«Sono pronta. Dite a Laporte che desti e vesta il re; poi andate dal
-maresciallo di Villeroy ed avvertitelo da parte mia».
-
-Bernouin, fatta una riverenza, uscì subito.
-
-La regina passò nell’oratorio, a cui dava lume una semplice lampada di
-cristalli di Venezia. Vide d’Artagnan in piedi ad aspettarla.
-
-«Siete voi? ella disse.
-
-«Sì signora.
-
-«Siete all’ordine?
-
-«Ma sì!
-
-«E il ministro?
-
-«È andato via senza disgrazie; attende la Maestà Vostra al
-Corso-la-Regina.
-
-«Ma con qual legno si parte?
-
-«Ho preveduto tutto, v’è giù una carrozza ad aspettare la Maestà Vostra.
-
-«Andiamo dal re».
-
-D’Artagnan seguitò la regina.
-
-Il giovinetto Luigi era digià vestito, meno che le scarpe e il
-giubbetto; si lasciava accomodare, là, stupefatto, caricando di domande
-Laporte, il quale non gli rispose se non con queste parole:
-
-«Sire, per comando della regina».
-
-Il letto era aperto, e si scorgevano le lenzuola del re talmente
-logore, che in alcuni luoghi v’erano dei buchi.
-
-Uno degli effetti della lesina di Mazzarino.
-
-La regina entrò, e d’Artagnan stette sulla soglia. Il fanciulletto, al
-vedere la sovrana, scappò di mano a Laporte e corse verso di lei.
-
-Anna ammiccò a d’Artagnan di accostarsi.
-
-E tanto esso fece.
-
-«Figlio mio, disse Anna additando al re il moschettiere, quieto, in
-piedi, e scoperta la testa, ecco il signor d’Artagnan, prode quanto
-quei prodi antichi di cui tanto vi è grato che le mie ancelle vi
-narrino la storia. Ricordatevi il suo nome e guardatelo bene, per non
-dimenticarvi le sue sembianze, giacchè in questa sera ci renderà un
-grandissimo servigio».
-
-Il giovanetto guatò superbamente l’ufficiale e ripetè:
-
-«Signor d’Artagnan.
-
-«Per l’appunto, figlio mio».
-
-Il re alzò lentamente la manina e la porse al moschettiere, il quale
-gliela baciò posto in terra un ginocchio.
-
-«D’Artagnan, ripetè Luigi, va bene, signora».
-
-Nell’istante si udì avvicinarsi gran clamore.
-
-«Ch’è mai? chiese Anna.
-
-«Oh oh! fece d’Artagnan prestando a un tempo l’orecchio attento e
-l’occhio intelligente, è susurro del popolo sollevato.
-
-«Bisogna fuggire, disse la regina.
-
-«Vostra Maestà ha data a me la direzione di tutto: bisogna trattenersi
-e sapere ciò che voglia.
-
-«Signor d’Artagnan!
-
-«Di tutto io resto responsabile».
-
-Non v’è cosa che si comunichi presto quanto la confidenza.
-
-Anna, piena di forza e di coraggio sentiva al più alto grado queste due
-virtù negli altri.
-
-«Fate pure, ella replicò, io mi rapporto a voi.
-
-«Vostra Maestà mi permette in tutto questo affare, di dare degli ordini
-in nome suo?
-
-«Ordinate.
-
-«Che altro vuole quel popolo? domandò il re.
-
-«Sire, tra poco lo sapremo, rispose d’Artagnan».
-
-E si partì sollecito dalla stanza.
-
-Andava crescendo il tumulto, e pareva avvolgesse tutto quanto il
-Palazzo Reale. Dall’interno si udivano grida di cui non si poteva
-comprendere il senso: erano però evidenti clamori a sedizione.
-
-Il re mezzo vestito, la regina e Laporte, rimasero ciascuno nello stato
-e quasi nel posto in cui erano, ad ascoltare ed attendere.
-
-Comminges, il quale in quella sera era di guardia al Palazzo Reale,
-accorse subito; aveva circa duecento uomini nei cortili e nelle
-scuderie, e li poneva a disposizione della sovrana.
-
-«Ebbene? chiese Anna vedendo comparir di nuovo d’Artagnan, che v’è egli?
-
-«Signora, ecco ciò che v’è: si è sparsa voce che la regina avesse
-abbandonato il Palazzo Reale conducendo via il re, ed il popolo domanda
-di aver la prova del contrario, e minaccia di demolire il palazzo.
-
-«Oh! questa volta è troppo, ed io proverò loro che non sono partita».
-
-Dalla cera della sovrana il tenente si accorse ch’era per dare qualche
-comando violentissimo, e le disse sotto voce:
-
-«Vostra Maestà ha sempre fiducia in me?»
-
-Ella si scosse.
-
-«Sì, piena fiducia: dite pure.
-
-«Vostra Maestà si degnerà regolarsi dietro i miei suggerimenti?
-
-«Dite.
-
-«Si compiaccia licenziare il signor di Comminges, imponendogli
-di rinchiudersi non meno che i suoi nel corpo di guardia e nelle
-scuderie».
-
-Comminges diede a d’Artagnan una di quelle occhiate invidiose che vibra
-qualunque cortigiano veggendo spuntare una nuova fortuna.
-
-«Udiste, Comminges? fece la regina».
-
-D’Artagnan si appressò a lui: colla sua consueta sagacia aveva
-riconosciuto lo sguardo inquieto, onde gli disse:
-
-«Signor di Comminges, perdonatemi: noi siamo ambedue servitori della
-regina, non è così? adesso tocca a me ad esserle utile, non m’invidiate
-adunque questa sorte».
-
-L’altro fece un inchino ed uscì.
-
-«Or via! pensò d’Artagnan, eccomi con un nemico di più!
-
-«Ed ora, disse Anna a questo, che si dee fare? lo sentite, in vece di
-calmarsi raddoppia lo strepito.
-
-«Signora, il popolo vuol vedere il re, è d’uopo che lo vegga.
-
-«Come, che lo vegga? e dove? sul balcone?
-
-«No, ma qui nel suo letto, addormentato.
-
-«Ah Maestà! esclamò Laporte, il signor d’Artagnan ha molta ragione».
-
-La regina riflettè e sorrise, da donna in cui non sia nuova la finzione.
-
-«Di fatti.... balbettò.
-
-«Signor Laporte, disse d’Artagnan, andate a traverso ai cancelli del
-Palazzo Reale ad annunziare al popolo che a momenti sarà soddisfatto;
-che fra cinque minuti non solo vedrà il re, ma lo vedrà nel suo letto;
-aggiungete che il re dorme, e la regina prega si faccia silenzio onde
-non destarlo.
-
-«Ma non già tutti, una deputazione di due o quattro persone....
-
-«Tutti, Maestà.
-
-«Ma pensate che ci terranno qua sino a giorno!
-
-«Ne avremo per un quarto d’ora. Io tutto garantisco, signora; credete
-a me, conosco il popolo, è un gran fanciullo, e basta accarezzarlo;
-dinanzi al re dormiente sarà muto, docile e timido come un agnello.
-
-«Andate, Laporte, disse Anna».
-
-Il giovinetto re si accostò alla madre.
-
-«E perchè fare mi domandano quelle genti?
-
-«Così bisogna, figlio mio.
-
-«Oh! allora, se mi si dice: _bisogna_, dunque non sono più re?»
-
-La regina rimase ammutolita.
-
-«Sire, replicò d’Artagnan, vostra Maestà mi permetterà di farle una
-domanda?»
-
-Luigi XIV si volse, sorpreso che alcuno osasse dirigergli la parola. La
-madre gli strinse la mano, ed ei rispose:
-
-«Signor sì.
-
-«La Maestà Vostra si rammenta di aver veduto, mentre scherzava nel
-parco di Fontainebleau o nei cortili del palazzo di Versailles, ad un
-tratto oscurarsi il cielo, e udito scoppiare i tuoni?
-
-«Sì, senza dubbio.
-
-«Or bene, quello scoppio del tuono, per quanta volontà avesse Vostra
-Maestà di continuare a scherzare, le diceva: Sire, tornate dentro, così
-bisogna.
-
-«Sì, ma anche mi fu detto che il fragore del tuono era la voce di Dio.
-
-«Ebbene, sire, ascoltate il fragore del popolo che ha pure la sua
-forza».
-
-Nel momento appunto passava uno strepito terribile come trasportato dal
-vento notturno.
-
-E cessò d’improvviso.
-
-«Ecco, sire, disse il tenente, è stato detto al popolo che voi dormite:
-vedete bene che siete sempre re».
-
-La regina considerava con meraviglia quell’uomo singolare, che pel
-luminoso suo coraggio facevasi uguale ai più prodi, che per lo spirito
-accorto si faceva uguale a tutti.
-
-Tornò Laporte.
-
-«Che v’è? disse Anna.
-
-«Signora, rispose Laporte, si è compiuta la predizione del signor
-d’Artagnan, e si sono calmati come per magia. Si apriranno loro le
-porte, e fra cinque minuti saranno qui.
-
-«Laporte, continuò la regina, se metteste uno de’ vostri figli nel
-posto del re? frattanto noi partiremmo.
-
-«Se sua Maestà lo comanda, i miei figli sono al pari di me al servizio
-della regina.
-
-«No, disse d’Artagnan, chè se uno di loro conoscesse Sua Maestà e si
-accorgesse del sotterfugio, tutto sarebbe perduto.
-
-«Avete ragione, ragione sempre, replicò Anna. Laporte, mettete a letto
-il re».
-
-Laporte vi pose in fatti il re, vestito com’era, e lo cuoprì sino alle
-spalle col lenzuolo.
-
-La madre si chinò su di lui e lo baciò in fronte.
-
-«Luigi, fingete di dormire, essa gli disse.
-
-«Sì, rispose Luigi XIV, ma non voglio esser toccato neppur da uno di
-quegli uomini.
-
-«Sire, sono qua io, fece d’Artagnan, e vi accerto che se uno solo a
-tanto si ardisse pagherebbe l’ardire con la sua vita.
-
-«Adesso che si ha da fare? li sento! chiese la regina.
-
-«Signor Laporte, andate loro incontro, e raccomandate di nuovo il
-silenzio. Signora, attendete là, alla porta. Io sto a capo del letto
-del re pronto a morire per lui».
-
-Laporte uscì; la regina stette accanto al parato, d’Artagnan si cacciò
-dietro al cortinaggio.
-
-Poi si udì il camminare contenuto di grande moltitudine. La regina
-sollevò ella stessa la portiera ponendosi un dito sul labbro.
-
-Al vederla, gli uomini si fermarono in attitudine rispettosa.
-
-«Entrate, entrate, signori, disse Anna».
-
-Fuvvi allora fra tutta quella gente un movimento di titubanza che
-somigliava a vergogna; essa si aspettava a opposizione, a resistenza;
-si figurava di dovere sforzare i cancelli e atterrare le guardie; i
-cancelli erano tutti aperti, ed il re, almeno ostensibilmente, non
-aveva vicino al suo letto altra guardia che la madre.
-
-Quelli ch’erano alla testa della turba balbettarono e cominciavano a
-retrocedere.
-
-«Passate, signori, disse Laporte, poichè la regina lo permette».
-
-Uno de’ più arditi passò la soglia e si avanzò in punta di piedi;
-tutti lo imitarono, e la camera si empiè col maggiore silenzio, quasi
-che tutti coloro fossero stati i cortigiani più umili e devoti. Molto
-indietro alla porta si vedevano le teste di quelli che non avendo
-potuto introdursi si rizzavano in punta di piede.
-
-D’Artagnan osservava tutto da un’apertura che aveva fatta al
-cortinaggio. Nel primo entrato riconobbe Planchet.
-
-«Signore, disse la sovrana a questo che comprese essere il capo della
-turba; voi bramaste di vedere il re, ed io volli mostrarvelo da me
-stessa. Appressatevi, guardatelo, e dite se vi sembriamo persone
-intenzionale a fuggire.
-
-«No certo, rispose Planchet alquanto sorpreso dell’inatteso onore che
-riceveva.
-
-«Riferite dunque a’ miei buoni e fedeli Parigini, continuava Anna con
-un sorriso di cui d’Artagnan capiva appieno il senso, che avete visto
-il re addormentato, e la regina sul punto di coricarsi.
-
-«Lo riferirò, signora, e lo diranno pure quei che sono meco, ma....
-
-«Ma che? domandò la sovrana.
-
-«Vostra Maestà mi perdoni, ma è veramente il re quello disteso nel
-letto?»
-
-Anna rabbrividì.
-
-«Se fra voi v’è alcuno che conosca il re, ella rispose, si accosti e
-dica se è sua Maestà».
-
-Un uomo avvolto in un ferrajuolo col quale si cuopriva anche il viso,
-si avvicinò, si chinò sul letto e guardò.
-
-Per un momento d’Artagnan credè che colui avesse qualche
-tristo progetto, e mise mano alla spada; ma ad un moto che fece
-l’inferrajuolato nell’abbassarsi scuoprendosi parte della faccia,
-d’Artagnan ebbe presto ravvisato il Coadjutore.
-
-«È di fatti il re, disse quegli rialzandosi, Dio benedica Sua Maestà».
-
-E tutti quanti, entrati furibondi, e passati da ira a pietà, benedirono
-un dopo l’altro il regio fanciullo.
-
-«Adesso, amici, disse Planchet, ringraziamo la regina e ritiriamoci».
-
-Tutti s’inchinarono ed uscirono a poco a poco senza far rumore, siccome
-erano venuti. Planchet capitato il primo, se ne andava l’ultimo.
-
-Anna lo trattenne.
-
-«Come vi chiamate?» gli disse.
-
-Planchet si voltò attonito alla domanda.
-
-«Sì, continuò la sovrana, mi tengo a onore di avervi qui ricevuto
-quanto se foste un principe, e bramo sapere il vostro nome.
-
-«Oh sì! pensò Planchet, per trattarmi come un principe... grazie,
-grazie».
-
-D’Artagnan temè che Planchet, allettato alla maniera del corvo della
-favola, dicesse il proprio nome, e che nell’udir questo la regina
-sapesse pure che Planchet era stato a lui addetto.
-
-«Maestà, rispose costui rispettosamente, mi chiamo Dulaurier; a’ vostri
-comandi.
-
-«Bene, signor Dulaurier; e che cosa fate?
-
-«Sono mercante di panni, in via dei Bordonesi.
-
-«Ecco quanto volevo conoscere.... obbligatissima, signor Dulaurier; vi
-sarà parlato di me.
-
-«Animo, borbottò d’Artagnan toltosi di dietro alle cortine,
-assolutamente messer Planchet non è uno sciocco, e si vede che ha
-imparato ad una buona scuola».
-
-I diversi attori di quella stranissima scena stettero un momento uno
-davanti all’altro senza dir più parola, la regina in piedi accanto
-alla porta, d’Artagnan mezzo fuori del suo nascondiglio, il re
-appoggiato sul gomito e pronto a sdrajarsi di nuovo al menomo chiasso
-che indicasse il ritorno di tutta la folla; ma il chiasso invece di
-avvicinarsi si allontanò, e poi si estinse.
-
-Anna sospirò: d’Artagnan si asciugò la fronte: Luigi si calò giù dal
-letto dicendo:
-
-«Partiamo».
-
-Ricomparve Laporte.
-
-«Ebbene! fece la sovrana.
-
-«Li ho seguitati sino ai cancelli, rispose il cameriere, hanno
-annunziato ai compagni che avevano veduto il re, e la regina aveva a
-loro parlato, talchè se ne vanno gloriosi e trionfanti.
-
-«Miserabili! mormorò la regina; pagheranno ben caro il loro ardire, io
-lo prometto».
-
-Indi volgendosi a d’Artagnan:
-
-«Signore, in questa sera voi mi avete dati i migliori consigli che mai
-ricevessi in vita mia. Continuate: adesso che dobbiam fare?
-
-«Signor Laporte, disse il tenente, terminate di vestire Sua Maestà.
-
-«Allora possiamo partire? chiese la regina.
-
-«Quando vuole Vostra Maestà; scenda pure dalla scala segreta, e mi
-troverà alla porta.
-
-«Andate, replicò Anna, io vi seguo».
-
-D’Artagnan scese; la carrozza era al suo posto; il moschettiere a
-cassetta.
-
-D’Artagnan prese il fagotto che aveva incaricato Bernouin di porre a’
-piedi del moschettiere. Questo conteneva, come ben ci rammentiamo, il
-cappello ed il pastrano del cocchiere del signor di Gondy.
-
-Si mise sulle spalle il pastrano, ed in testa il cappello.
-
-Il moschettiere smontò.
-
-«Voi, gli ordinò d’Artagnan, andate a rendere la libertà al vostro
-camerata che fa guardia al cocchiere; monterete tutt’e due a cavallo,
-anderete in via Tiquetonne all’albergo del Granchio a prendere il
-mio cavallo e quello del signor du Vallon, porrete loro la sella e i
-fornimenti da guerra, poi uscirete da Parigi conducendoli a mano, e vi
-recherete al Corso-la-Regina. Se colà non trovaste alcuno, proseguirete
-sino a San Germano. Servizio regio».
-
-Il soldato salutò, e partì per adempiere agli ordini ricevuti.
-
-D’Artagnan salì in serpa.
-
-Aveva un pajo di pistole alla cintola, un moschetto sotto i piedi, la
-spada nuda dietro.
-
-Venne la regina; e appresso ad essa il re e il signor duca d’Angiò suo
-fratello.
-
-«La carozza del Coadjutore! ella esclamò muovendo indietro un passo.
-
-«Sì, rispose d’Artagnan, ma entratevi liberamente; la guiderò io».
-
-Anna diede un grido di sorpresa ed entrò nella carrettella. Il re e
-_Monsieur_ fecero lo stesso e sederono accanto a lei.
-
-«Venite Laporte, disse la regina.
-
-«Come! fece il cameriere, nella medesima carrozza che le Maestà Vostre!
-
-«Questa sera non si tratta di regia etichetta, ma della salvezza del
-re. Salite Laporte».
-
-E quegli obbedì.
-
-«Chiudete le stuoje, disse d’Artagnan.
-
-«Ma con ciò, fece Anna, non si darà qualche sospetto?
-
-«Vostra Maestà stia pur quieta, io ho pronta la risposta».
-
-Si serrarono le stuoje, e si andò di galoppo dalla via Richelieu.
-
-Arrivati alla porta, si avanzò il capo della guardia con una dozzina
-d’uomini, e tenendo in mano una lanterna.
-
-D’Artagnan gli accennò di avvicinarsi.
-
-«Riconoscete la carrettella? disse al sergente.
-
-«No.
-
-«Guardate le armi».
-
-Il sergente accostò il lanternino.
-
-«Del signor Coadjutore!
-
-«Zitto! egli è dentro a testa a testa con madama di Guemenée».
-
-Il capo della guardia si mise a ridere.
-
-«Aprite la porta, ordinò agli altri, so che roba è».
-
-Ed appressatosi alla stuoja calata:
-
-«Buon pro faccia, monsignore!
-
-«Imprudente! gridò d’Artagnan, mi farete licenziare».
-
-La barriera girò stridendo sui cardini, e d’Artagnan vedendosi far
-largo frustò i cavalli, i quali si mossero di trotto steso.
-
-Dopo cinque minuti aveano raggiunto la carrozza del ministro.
-
-«Mousqueton! gridò d’Artagnan, alzate le stuoje del legno di Sua Maestà!
-
-«È desso! fece Porthos.
-
-«Vestito da vetturino! esclamò Mazzarino.
-
-«E col legno del Coadjutore! disse la regina.
-
-«Per Bacco! signor d’Artagnan, terminò Mazzarino, valete tant’oro
-quanto pesate».
-
-
-
-
-LVI.
-
-_Come a vendere della paglia, d’Artagnan e Porthos guadagnassero, uno
-duecentodiciannove luigi e l’altro duecentoquindici._
-
-
-Mazzarino voleva sul momento avviarsi a San Germano, ma Anna dichiarò
-che attenderebbe le persone a cui avea fissato l’appuntamento.
-Soltanto essa esibì il posto di Laporte al ministro, il quale, avendolo
-accettato, passò dall’uno nell’altro legno.
-
-Non senza ragione erasi sparsa voce che il re dovesse nella nottata
-abbandonar Parigi: dalle sei ore di sera erano messi alla confidenza
-dieci o dodici individui, e per quanta segretezza avessero usata,
-non aveano questi potuto dar gli ordini per la partenza senza che
-traspirasse qualche cosa. D’altronde ciascuna di tali persone ne aveva
-una o due altre a cui s’interessava, e siccome si teneva per certo che
-la regina lascerebbe Parigi con dei progetti di vendetta, così ognuno
-aveva avvertito gli amici o i parenti, e quindi la voce della fuga
-corse come un fumo di polvere per tutte le strade della capitale.
-
-La prima carrozza arrivata, dopo quella della regina, fu quella del
-signor Principe; conteneva il signor di Condé, la signora Principessa
-e la Principessa vedova. Queste due erano state destate nella notte, e
-nemmeno sapevano di che si trattasse.
-
-La seconda racchiudeva il duca d’Orleans, la duchessa, la grande
-_Madamigella_, e l’abate di la Rivière favorito inseparabile ed intimo
-consigliere del Principe.
-
-Nella terza stavano il signor di Longueville e il principe di
-Conti fratello e cognato del signor Principe. Essi smontarono, si
-avvicinarono al legno del re e della regina, e presentarono a Sua
-Maestà i loro omaggi.
-
-Anna cacciò lo sguardo sino in fondo alla carrozza di cui era rimasto
-aperto lo sportello e vide ch’era vuota.
-
-«Ma dov’è mai madama di Longueville? domandò.
-
-«Appunto, dov’è mia sorella? fece il Principe.
-
-«Madama di Longueville è indisposta, rispose il duca, e mi ha
-incombenzato di scusarla presso Vostra Maestà».
-
-Anna lanciò una rapida occhiata a Mazzarino, il quale rispose con un
-cenno impercettibile della testa.
-
-«Che ne dite? chiese a questo la regina.
-
-«Dico ch’ella è un ostaggio per i Parigini, ribattè il ministro.
-
-«Perchè non è venuta? interrogò pianino il signor Principe a suo
-fratello.
-
-«Zitto! disse questo, ha di certo le sue ragioni.
-
-«Ci rovina! mormorò il Principe.
-
-«Ci salva», ripicchiò Conti.
-
-Giungevano in folla le vetture; vennero in fila il maresciallo di La
-Meilleraye, il maresciallo di Villeroy, Guitaut, Villequier, Comminges;
-capitarono pure i due moschettieri conducendo a mano i cavalli di
-d’Artagnan e di Porthos. Porthos e d’Artagnan saltarono in sella. Al
-secondo di questi subentrò il cocchiere di Porthos a cassetta del regio
-cocchio. Mousqueton pigliò il posto del cocchiere guidando in piedi,
-per ragioni a lui cognite, e simile all’antico Automedonte.
-
-La regina, benchè occupandosi di mille cosarelle, cercava cogli occhi
-d’Artagnan; ma il Guascone, colla sua consueta prudenza, si era di già
-cacciato fra la moltitudine.
-
-«Facciamo da vanguardia, esso disse a Porthos, e procuriamoci buoni
-alloggi a San Germano, poichè nessuno penserà a noi. Mi sento stanco
-all’eccesso.
-
-«Ed io casco dal sonno, rispose Porthos. E a dire che non abbiamo avuto
-il minimo combattimento! assolutamente i Parigini sono molto sciocchi!
-
-«Non è forse piuttosto perchè noi siamo molto abili?
-
-«Forse sì.
-
-«E il vostro pugno come va?
-
-«Meglio. Ma credete che questa volta li abbiamo?
-
-«Che cosa?
-
-«Voi il vostro grado, ed io il mio titolo?
-
-«Oh! sì; quasi ci scommetterei. E poi, se non si rammentano, li farò
-rammentar io.
-
-«Sento la voce della regina, disse Porthos; mi pare che chieda di
-montare a cavallo.
-
-«Oh! ella vorrebbe, ma....
-
-«Ma che?
-
-«Ma il ministro non vuole, disse d’Artagnan».
-
-E poi a’ due moschettieri:
-
-«Signori, accompagnate la carrozza della regina, non ve ne scostate;
-noi andiamo a far apparecchiare i locali».
-
-Dopo di che il tenente e Porthos diedero di sprone per recarsi a San
-Germano.
-
-«Partiamo», fece la sovrana.
-
-Ed il suo cocchio si avviò, con appresso molti altri e da cinquanta o
-più cavalcanti.
-
-Giunsero a San Germano; ivi scesa dal montatoio, Anna trovò il signor
-Principe che attendeva in piedi e a testa scoperta per offrirle la
-mano.
-
-«Come resteranno destandosi i Parigini! disse lietissima la regina.
-
-«È guerra, rispose il prence.
-
-«Or bene, guerra sia pure. Non abbiamo con noi il vincitore di Rocroy,
-di Nordlingen e di Lens?»
-
-Il principe fece un inchino in segno di ringraziamento.
-
-Erano le tre dopo mezzanotte. La regina entrò la prima nel castello;
-tutti la seguirono; circa duecento persone erano seco fuggite.
-
-«Signori, disse Anna scherzando, alloggiatevi nel castello; è vasto,
-e nulla vi ci mancherà, ma siccome non si aveva idea di venirci sono
-avvertita che vi sono soltanto tre letti: uno pel re, uno per me....
-
-«Ed uno per Mazzarino, terminò sotto voce il signor Principe.
-
-«Ed io dunque dormirò in terra? domandò Gastone d’Orleans sorridendo ma
-di mala voglia.
-
-«No, monsignore, rispose Mazzarino, giacchè il terzo letto è destinato
-a vostra Altezza.
-
-«Ma voi?
-
-«Io non mi coricherò; ho da lavorare».
-
-Gastone si fece indicare la sua camera, senza curarsi del modo in cui
-starebbero sua moglie e la figlia.
-
-«Io sì, mi coricherò, disse d’Artagnan; Porthos, venite con me».
-
-Porthos andò appresso all’amico con quella somma fiducia che aveva nel
-di lui senno.
-
-Camminavano l’uno accanto all’altro sulla piazza del castello, Porthos
-guardando attonito d’Artagnan, che contava colle dita:
-
-«Quattrocento, a una doppia, fanno quattrocento doppie.
-
-«Sì, diceva Porthos, ma chi è che fa quattrocento doppie?
-
-«Una doppia non basta; vale un luigi.
-
-«Che cosa vale un luigi?
-
-«Quattrocento a un luigi, formano quattrocento luigi.
-
-«Quattrocento? fece Porthos.
-
-«Sì; sono duecento, e ce ne vogliono almeno due per ciascuno. Sicchè si
-viene a quattrocento.
-
-«Ma che quattrocento?
-
-«Sentite», disse d’Artagnan.
-
-E siccome v’erano d’ogni sorta di persone, che meravigliate osservavano
-l’arrivo della corte, egli terminò la frase all’orecchio.
-
-«Capisco benissimo, rispose Porthos, duecento luigi ognuno, va
-ottimamente, ma che diranno poi?
-
-«Diranno quel che vogliono. E d’altronde, si saprà forse che siamo noi?
-
-«Ma chi s’incaricherà della distribuzione?
-
-«Non v’è Mousqueton?
-
-«E la mia livrea! esclamò Porthos, riconosceranno la mia livrea.
-
-«Si rivolterà l’abito.
-
-«Avete sempre ragione, mio caro d’Artagnan; ma dove diavolo scavate
-tutte le idee che avete?»
-
-D’Artagnan sorrise.
-
-I due amici presero dalla prima strada che incontrarono. Porthos bussò
-alla casa a mano destra, mentre d’Artagnan faceva lo stesso a quella a
-sinistra.
-
-«Paglia! essi dissero.
-
-«Signore, non ne abbiamo, risposero quei che vennero ad aprire, ma
-rivolgetevi al mercante di foraggi.
-
-«E dov’è colui?
-
-«L’ultimo portone in questa via.
-
-«A diritta o a manca?
-
-«A manca.
-
-«E vi sono altri a San Germano da chi si possa procurarsene?
-
-«V’è il locandiere del Montone Coronato, e il fattore Gros-Luis.
-
-«Dove abitano?
-
-«In via delle Orsoline.
-
-«Tutt’e due?
-
-«Sì.
-
-«Benone».
-
-I due gentiluomini si fecero spiegare il secondo ed il terzo indirizzo
-esattamente quanto il primo; indi d’Artagnan andò dal mercante di
-foraggi, e trattò seco per cinquanta fasci di paglia che possedeva, il
-tutto per tre doppie; di là passò dal locandiere, ove trovò Porthos
-che aveva combinato per duecento fasci per una somma quasi eguale;
-finalmente ottanta ne mise a loro disposizione il fattore Gros-Luis.
-
-Totale quattrocento trenta.
-
-In San Germano non ve n’erano di più.
-
-In tutta la radunata non impiegarono più di mezz’ora. Mousqueton,
-debitamente ammaestrato, fu posto alla direzione di quel traffico
-improvviso; gli fu raccomandato di non lasciarsi uscire di mano un filo
-di paglia al disotto di un luigi per ogni fascio.
-
-Gli veniva affidata tanta paglia per il valore di luigi quattrocento e
-trenta.
-
-Mousqueton tentennava il capo, e non intendeva un ette di quella
-speculazione.
-
-D’Artagnan, portando tre fasci, ritornò al castello, dove tutti
-tremavano di freddo e cascando dal sonno guardavano con astio il re, la
-regina e _Monsieur_ sui loro letti da campo.
-
-All’entrare di d’Artagnan nel gran salone fu uno scroscio di risa
-generale; ma esso non mostrò tampoco di accorgersi d’esser l’oggetto
-dell’attenzione degli astanti, e si mise a disporre con tanta destrezza
-e buon umore il suo lettuccio di paglia, che faceva venire l’acquolina
-in bocca ai poveri insonniti, che non poteano dormire.
-
-«Paglia! gridarono costoro; paglia! dove si trova un po’ di paglia?
-
-«Ora vi ci conduco, disse Porthos».
-
-E guidò gli avventori da Mousqueton, il quale dispensava generosamente
-i suoi fasci a un luigi l’uno. Questi pensarono essere un po’ caro,
-ma quando si ha molta volontà di dormire, chi non pagherebbe due o tre
-luigi qualche ora di un buon sonno?
-
-D’Artagnan cedeva ad ognuno il suo letto, e quindi se lo rifece per sè
-dieci volte consecutive, e siccome si supponeva ch’egli avesse pagato
-da quanto gli altri il suo pacco di paglia, si cacciò in tasca così una
-trentina di luigi in meno di mezz’ora. Alle cinque ore della mattina
-la paglia valeva ottanta lire il pacco, ed anche non se ne raccapezzava
-più.
-
-D’Artagnan aveva avuto cura di serbarsi da parte quattro fasci per sè;
-prese la chiave dello stanzino ove gli aveva nascosti, ed insieme con
-Porthos se ne andò a fare i conti con Mousqueton, il quale candidamente
-e da degno maggiordomo com’era, consegnò loro quattrocentotrenta luigi
-e se ne ritenne altri cento.
-
-Mousqueton, che nulla sapeva di quanto era accaduto nel palazzo, non
-comprendeva come non fosse a lui venuta più presto l’idea di vender la
-paglia.
-
-D’Artagnan si pose l’oro nel cappello, e tornando indietro, faceva
-i conti con Porthos. Spettavano ad ognuno di essi duecento quindici
-luigi.
-
-Allora soltanto Porthos si avvide di non aver paglia per suo uso.
-
-Andò da Mousqueton. Questo avea venduto sino all’ultimo filo, non
-serbandosi niente per sè stesso.
-
-Porthos si recò presso a d’Artagnan, il quale, mediante i suoi quattro
-fasci era occupato a prepararsi, godendone anticipatamente la vista
-deliziosa, un letto così morbido, grosso da capo, coperte da’ piedi,
-che avrebbe fatto invidia anche al re, se il re non avesse riposato
-egregiamente nel suo.
-
-D’Artagnan a nessun costo volle guastarlo, ma essendogli contati da
-Porthos quattro luigi, acconsentì che questi vi si adagiasse con lui.
-
-Accomodò la spada da capo, si posò le pistole accanto, si distese
-a’ piedi il ferrajuolo, su questo mise il cappello e si sdrajò
-maestosamente sopra la paglia che cedeva e scricchiolava. Si pasceva
-digià dei dolci sogni che genera il possesso di duecento diciannove
-luigi guadagnati in un quarto d’ora, quando lo fece scuotere una voce
-alla porta della sala.
-
-«Signor d’Artagnan! questa gridava, signor d’Artagnan!
-
-«Qui, disse Porthos, qui!»
-
-Porthos intendeva che se d’Artagnan se ne andava, il letto resterebbe a
-lui solo.
-
-Si avvicinò un ufficiale.
-
-D’Artagnan si sollevò sul gomito.
-
-«Siete voi il signor d’Artagnan? quegli domandò.
-
-«Sì, signore: che volete da me?
-
-«Vengo a chiamarvi.
-
-«Da parte di chi?
-
-«Di Sua Eccellenza.
-
-«Dite a monsignore che voglio dormire, e lo consiglio da amico a fare
-altrettanto.
-
-«Sua Eccellenza non si è coricata, e non si coricherà, e vi vuole sul
-momento.
-
-«Sia maledetto il Mazzarino, che non sa dormire quando bisogna!
-brontolò d’Artagnan, ma che vuole! È forse per farmi capitano? in tal
-caso glielo perdono».
-
-E si alzò mormorando, pigliò la spada, il cappello, le pistole e il
-ferrajuolo, e andò coll’uffiziale, mentre Porthos, rimasto solo ed
-unico possessore del letto, si provava ad imitare le belle disposizioni
-dell’amico.
-
-Mazzarino, vedendosi avvicinare colui che avea mandato a ricercare in
-momento sì inopportuno, gli disse:
-
-«Signor d’Artagnan, non mi sono dimenticato con quanto zelo voi mi
-serviste, ed ora ve ne darò una prova.
-
-«Buono! pensò il tenente, si comincia bene!»
-
-Il ministro, che l’osservava, notò la sua contentezza.
-
-«Ah, monsignore!
-
-«Signor d’Artagnan, avete molto desiderio di esser capitano?
-
-«Sì, Eccellenza.
-
-«E il vostro amico brama sempre di esser barone?
-
-«Monsignore, in questo istante si sogna di esserlo digià.
-
-«Dunque, fece Mazzarino, togliendo da un portafogli la lettera già
-mostrata al nostro moschettiere, prendete questo dispaccio e portatelo
-in Inghilterra».
-
-D’Artagnan guardò: non v’era indirizzo.
-
-«Non posso sapere a chi debbo consegnarlo?
-
-«Lo saprete giunto che siate a Londra; in Londra solamente lacererete
-la doppia sopraccarta.
-
-«E quali saranno le mie istruzioni?
-
-«D’obbedire in tutto e per tutto a quello a cui va questo plico».
-
-D’Artagnan era per fare altre domande; il ministro soggiunse:
-
-«Voi partite per Boulogne, troverete alle Armi d’Inghilterra un giovane
-gentiluomo chiamato Mordaunt.
-
-«Sì, e di lui che devo farmi?
-
-«Seguitarlo sin dove vi condurrà».
-
-D’Artagnan guardava attonito il ministro.
-
-«Eccovi istruito, disse questo, andate!
-
-«Andate si dice presto, rispose il tenente, ma per andare bisognano
-danari, ed io non ne ho....
-
-«Ah! fece Mazzarino grattandosi l’orecchio, dite di non aver danari?
-
-«No, monsignore.
-
-«Ma il diamante che vi diedi jeri sera?
-
-«Bramo di conservarlo come un ricordo di Vostra Eccellenza».
-
-Mazzarino sospirò.
-
-«Monsignore, in Inghilterra il vivere costa caro, e specialmente in
-qualità d’inviato straordinario.
-
-«Oibó! è un paese molto sobrio, e che campa di semplicità dalla
-rivoluzione in poi, ma non importa».
-
-E Mazzarino, aperto un cassettino, ne cavò una borsa.
-
-«Che dite di questi mille scudi?»
-
-D’Artagnan sporse in fuori smisuratamente il labbro inferiore.
-
-«Dico che son pochi, poichè di certo non partirò solo.
-
-«Sicuro! replicò il ministro, sarà con voi il signor du Vallon,
-degno gentiluomo.... chè dopo di voi, caro signor d’Artagnan, egli è
-positivamente l’uomo che in Francia io ami e stimi più d’ogni altro.
-
-«Allora, monsignore, fece d’Artagnan, accennando il sacchetto non ancor
-datogli da Mazzarino; se tanto lo amate e lo stimate, capirete....
-
-«Là, a riguardo suo, aggiungerò duecento scudi.
-
-«Spilorcio!» bucinò il tenente.
-
-E domandò poi ad alta voce:
-
-«Ma almeno, al nostro ritorno, potremo contare il signor Porthos sulla
-sua baronia, ed io sul mio grado, non è così?
-
-«Sì, da Mazzarino che sono.
-
-«Avrei più caro un altro giuramento, disse fra sè il Guascone».
-
-E indi più forte:
-
-«Non posso presentare i miei ossequi a Sua Maestà la regina?
-
-«Sua Maestà dorme, rispose con impeto l’Eccellenza, e occorre che
-partiate senza indugio; orsù, andate!
-
-«Monsignore, due altre parole: se là dove io vado e’ si battono, mi
-batterò anch’io?
-
-«Farete quanto vi ordini la persona a cui vi dirigo.
-
-«Va bene, seguitò d’Artagnan allungando la mano per pigliare il
-sacchetto, e vi presento i miei rispetti».
-
-E postasi lentamente la borsa in tasca, disse all’ufficiale:
-
-«Favorireste passare a destar pure il signor du Vallon e dirgli che lo
-attendo nelle scuderie?»
-
-L’uffiziale si mosse tosto con una premura nella quale sembrò al nostro
-tenente vi fosse qualche cosa d’interessato.
-
-Porthos si era appena sdrajato, e cominciava a russare armoniosamente
-secondo il suo consueto, ed eccolo sentirsi battere sulla spalla.
-
-Credè che fosse d’Artagnan, e non si mosse.
-
-«Da parte del ministro, disse l’uffiziale.
-
-«Eh? che dite? domandò Porthos aprendo tanto d’occhi.
-
-«Che Sua Eccellenza vi manda in Inghilterra, e il signor d’Artagnan vi
-aspetta nelle scuderie».
-
-Porthos diede un sospiro, si alzò, prese il cappello, le pistole,
-la spada e il ferrajuolo, ed uscì mandando uno sguardo pien di
-rincrescimento al letto in cui si era proposto di riposare tanto bene.
-
-Appena avea volte le spalle vi si era disteso sopra l’ufficiale; e non
-aveva egli passata la soglia, che il suo successore russava in modo da
-sbalordire. E ciò era naturale, dappoichè in quella riunione era egli
-il solo, oltre al re, alla regina e a Gastone d’Orleans, che dormisse
-gratis.
-
-
-
-
-LVII.
-
-_Vengono notizie d’Athos e d’Aramis._
-
-
-D’Artagnan s’era recato a dirittura alle scuderie; si faceva giorno;
-riconobbe il suo cavallo e quello di Porthos legati alla mangiatoja, ma
-mangiatoja vuota; ebbe pietà delle povere bestie, e s’incamminò verso
-un cantone ove distingueva un po’ di paglia senza dubbio sottrattasi
-alla _razzia_ notturna. Ma nel radunare col piede la paglia, la punta
-del suo stivale incontrò un corpo rotondo, il quale, tocco di certo
-in un luogo sensibile, diede un grido e si rizzò sulle ginocchia
-stropicciandosi gli occhi.
-
-Era Mousqueton, che non avendo più paglia per sè si era giovato di
-quella dei cavalli.
-
-«Mousqueton! disse d’Artagnan, animo, in viaggio!»
-
-Colui, riconosciuta la voce dell’amico del suo padrone, si alzò
-precipitosamente, e con quell’atto si lasciò cadere alcuni dei luigi
-guadagnati illecitamente nella notte scorsa.
-
-«Oh oh! fece d’Artagnan annasando un luigi raccattato, ecco dell’oro
-che ha un odore singolare, puzza di paglia».
-
-Mousqueton arrossì tanto onestamente, e parve sì confuso, che il
-guascone si mise a ridere, e seguitò:
-
-«Mio caro Mouston, Porthos andrebbe in collera, ma io vi perdono;
-soltanto ricordiamoci che codest’oro dee servire di farmaco per la
-nostra ferita, e stiamo allegri, su via!»
-
-Il domestico assunse subito un aspetto gioviale, pose con grande
-attività la sella al palafreno del suo signore, e si piantò sul suo
-proprio senza far boccaccia.
-
-Frattanto capitò Porthos con viso burbero, e si maravigliò non poco di
-trovare d’Artagnan e Mousqueton quasi che in brio.
-
-«Ehi! domandò, abbiamo dunque, voi il grado ed io la baronia?
-
-«Andiamo a cercarne i brevetti, rispose d’Artagnan, ed al nostro
-ritorno Mazzarino li firmerà.
-
-«E dove si va?
-
-«Prima a Parigi; voglio regolare colà alcune faccende.
-
-«A Parigi sia pure».
-
-Ed entrambi partirono pella capitale.
-
-Giunti alle porte, stupirono nel mirare l’attitudine minacciosa della
-città. Attorno ad una carrozza rotta in pezzi, il popolo mandava
-imprecazioni, mentre le persone che aveano tentato di fuggire erano
-prigioniere, cioè un uomo e due donne.
-
-Quando al contrario d’Artagnan e Porthos chiesero l’accesso, furono
-ricevuti con mille carezze; erano stati presi per disertori del partito
-realista, e si voleva affezionarseli.
-
-«Che fa il re? fu loro domandato.
-
-«Dorme.
-
-«E la Spagnuola?
-
-«Si sogna.
-
-«E quel maladetto Italiano?
-
-«Sta desto. E perciò mantenetevi saldi; perchè se sono partiti, è di
-sicuro per qualche fine. Ma siccome in sostanza voi siete i più forti,
-continuò d’Artagnan, non vi accanite addosso a donne e a vecchi;
-lasciate andare quelle signore, e attaccatevi alle vere cause».
-
-Il popolo udì con piacere tal discorso, e liberò le signore, le quali
-con un’occhiata eloquente ringraziarono il tenente.
-
-«Ora avanti! disse questo».
-
-E proseguirono il lor cammino, traversando le barricate, saltando di
-sopra alle catene, spingendo o spinti, interrogati o interrogando.
-
-Nella piazza del Palazzo Reale, d’Artagnan adocchiò un sergente che
-facea fare l’esercizio a cinque o sei cento borghesi: era Planchet,
-il quale metteva in opra a vantaggio della milizia urbana le sue
-rimembranze del reggimento di Piemonte.
-
-Esso, nel passare davanti a d’Artagnan, ravvisò il suo antico padrone.
-
-«Buon dì, signor d’Artagnan, disse Planchet con sussiego.
-
-«Buon dì, signor Delaurier, rispose il tenente dei moschettieri».
-
-Planchet si fermò di botto fissando sopra d’Artagnan gli occhi
-attoniti; la prima fila, vedendo fermare il suo capo, si fermò
-parimente, e così di seguito sino all’ultima.
-
-«Son pur ridicoli quei borghesi! disse d’Artagnan a Porthos».
-
-E andarono innanzi.
-
-Dopo cinque minuti smontavano all’albergo del Granchio.
-
-La bella Maddalena corse incontro a d’Artagnan.
-
-«Cara signora Turquaine (così costui le parlò), se avete soldi,
-nascondeteli presto; se avete gioje, rimpiattatele prontamente; se
-avete crediti, fatevi pagare; se avete debiti, non li pagate.
-
-«E perchè? chiese Maddalena.
-
-«Perchè Parigi sarà ridotta in cenere nè più nè meno che Babilonia, di
-cui sicuramente avrete inteso a discorrere.
-
-«E mi lasciate in un momento simile?
-
-«Sull’atto.
-
-«E dove andate?
-
-«Ah! se voi potete dirmelo, mi renderete un vero servizio.
-
-«Mio Dio! mio Dio!
-
-«Avete lettere per me? domandò d’Artagnan facendo cenno colla mano
-all’ostessa che si risparmiasse le lamentazioni attesochè sarebbero
-superflue.
-
-«Ve n’è una arrivata appunto adesso».
-
-Ed ella gliela porse.
-
-«D’Athos! esclamò il tenente osservando lo scritto lungo e fermo
-dell’amico.
-
-«Ah! fece Porthos, vediamo un po’ che ci dice».
-
-D’Artagnan aprì il foglio e lesse:
-
- «Caro d’Artagnan, caro Du Vallon.
-
- «Miei buoni amici, voi forse ricevete mie notizie per l’ultima
- volta. Aramis ed io siam molto infelici, ma Iddio, il nostro
- coraggio e la memoria della nostra amistà ci sostengono. Pensate
- bene a Raolo. Vi raccomando le carte che sono a Blois, e fra
- due mesi e mezzo se non avete mie nuove, prendetene cognizione.
- Abbracciate di tutto cuore il visconte pel vostro affezionatissimo
-
- ATHOS».
-
-«Lo credo, per bacco! che lo abbraccerò; disse d’Artagnan, è digià
-sul nostro stesso sentiero, e se ha la disgrazia di perdere il nostro
-povero Athos, da quel giorno diventa mio figlio.
-
-«Ed io, aggiunse Porthos, lo fo mio legatario universale.
-
-«Vediamo che altro dice egli, Athos?»
-
- «Se per la strada incontrate un tale Mordaunt, non ve ne fidate.
- Non posso colla presente spiegarmi di più».
-
-«Mordaunt! fece con sorpresa d’Artagnan.
-
-«Mordaunt, va bene, seguitò Porthos, ce ne ricorderemo.... Ma guardate
-là, v’è una poscritta di Aramis.
-
-«Sì sì», rispose il tenente.
-
-E lesse:
-
- «Amici cari, vi teniamo celato il luogo di nostra permanenza,
- conoscendo il vostro affetto fraterno, e ben sapendo che verreste a
- morire con noi».
-
-«Corpo di una bomba! interruppe Porthos con un impeto di collera che
-fe’ balzare Mousqueton all’altra estremità della stanza; che siano in
-pericolo di morte?»
-
-D’Artagnan tirò innanzi:
-
- «Athos vi lascia per eredità Raolo, ed io per eredità vi lascio
- una vendetta. Se per buona sorte mettete le mani sopra un certo
- Mordaunt, dite a Porthos che se lo porti in un canto e gli torca il
- collo. In una lettera non oso dirvi di più.
-
- ARAMIS».
-
-«Se non v’è altro, disse Porthos, è cosa facile a farsi.
-
-«Anzi, rispose accigliato d’Artagnan, è impossibile».
-
-«E perchè?
-
-«Perchè è appunto quel Mordaunt che noi andiamo a raggiungere a
-Boulogne, e passiamo seco in Inghilterra.
-
-«Ebbene! se invece di quel signor Mordaunt ci portassimo a raggiungere
-i nostri amici? esclamò Porthos con un gesto capace di spaventar
-un’armata.
-
-«Ci ho pensato, replicò d’Artagnan, ma la lettera non ha data nè bollo.
-
-«È vero», approvò Porthos.
-
-E si mise a correre per la camera come un uomo fuori di sè, gestendo e
-ad ogni poco levando la spada sino a due terzi fuori del fodero.
-
-D’Artagnan rimaneva in piedi come chi sia nella massima costernazione e
-sul viso gli appariva somma angoscia.
-
-«Ah! va male, ei diceva, Athos ci insulta; vuol morir solo, va male».
-
-Mousqueton vedendo quelle due grandi disperazioni, piangeva in un
-cantone.
-
-«Orsù, fece d’Artagnan, tutto questo non giova a nulla; partiamo,
-si vada ad abbracciar Raolo, come abbiamo detto, ed egli forse avrà
-ricevuto notizie di Athos.
-
-«Veh! codesta è un’idea, rispose Porthos; in verità, caro d’Artagnan,
-non so come facciate, ma siete pieno d’idee. Si vada a dare un amplesso
-a Raolo.
-
-«Guai a colui che in questo momento guardasse bieco il mio padrone!
-disse Mousqueton, non gli darei un danaro della sua pelle».
-
-Montarono a cavallo e si avviarono. Alla porta S. Dionigi, i due amici
-trovarono gran concorso di popolo. Arrivava il signor di Beaufort
-dal Vendomese, ed il Coadjutore lo mostrava ai Parigini stupefatti
-ed esultanti, che con il detto di Beaufort si reputavano oramai
-invincibili!
-
-I due compagni presero da una piccola strada onde non incontrare il
-principe, e furono alla barriera S. Dionigi.
-
-«È vero, domandarono ad essi le guardie, che il signor di Beaufort sia
-giunto in Parigi?
-
-«Verissimo, replicò d’Artagnan, e la prova si è che ci manda incontro
-al signor di Vendome suo padre, il quale deve pur capitare quanto
-prima.
-
-«Evviva il signor di Beaufort!» gridarono le guardie.
-
-E si trassero da parte rispettose a lasciar passare gl’inviati del gran
-principe.
-
-Una volta fuor dalla barriera, si divorarono la strada coloro che non
-conoscevano nè stanchezza nè scoraggimento; i loro cavalli volavano, ed
-eglino non cessavano dal parlare di Athos e d’Aramis.
-
-Mousqueton soffriva ogni tormento immaginabile, ma l’ottimo servo
-si consolava nel pensare che i suoi due padroni pativano ben altre
-pene.... conciossiachè era già al punto di considerare d’Artagnan qual
-suo secondo padrone, e gli obbediva anche più pronto ed esattamente che
-a Porthos.
-
-Il campo era fra Saint Omer e Lambe. I due compagni fecero un mezzo
-giro sino al campo, e parteciparono minutamente all’armata la fuga del
-re e della regina pervenuta colà confusamente. Trovarono Raolo vicino
-alla sua tenda disteso sur un fascio di fieno di cui il suo cavallo
-tirava a sè di soppiatto alcuni fili. Il giovanetto aveva gli occhi
-rossi e sembrava abbattuto; ch’essendo tornati a Parigi il maresciallo
-di Grammont ed il conte di Guiche, egli poveretto! rimaneva isolato.
-
-Indi a un momento Raolo alzando gli occhi vide i due cavalieri che lo
-esaminavano, e corse ad essi a braccia aperte.
-
-«Oh! siete voi, cari amici? venite a prendermi? mi conducete via con
-voi? mi recate notizie del mio tutore?
-
-«Non ne avete forse ricevute? gli domandò d’Artagnan.
-
-«No, ahimè! e non so che sia di lui.... e ne sento un’inquietudine che
-mi fa piangere».
-
-Realmente, sulle guancie imbrunite del visconte di Bragelonne
-scorrevano due grosse lacrime.
-
-Porthos si volse da parte per non dimostrare dall’ottima faccia quel
-che provava nel cuore.
-
-«Diamine! disse d’Artagnan più commosso che nol fosse stato da gran
-tempo, non vi disperate.... se non avete lettere del conte.... ne
-abbiamo noi.... una....
-
-«Ah! davvero?
-
-«E anche da tranquillarvi, aggiunse il tenente, visto il giubilo che
-dava a Raolo il suo annunzio....
-
-«L’avete?
-
-«Cioè, l’avevo.... (e d’Artagnan fingeva di cercare) aspettate, deve
-esser qui.... nella saccoccia.... mi parla del suo ritorno, non è così,
-Porthos?»
-
-Per quanto fosse Guascone, d’Artagnan non voleva assumersi solo tutto
-il carico di quella menzogna.
-
-«Sì, disse Porthos con un poco di tosse.
-
-«Ah, datemela!
-
-«Uhm!... la leggevo dianzi, che l’avessi perduta?... oh che
-miracoli!... ho la tasca rotta!...
-
-«Oh sì, signor Raolo.... confermò Mousqueton, la lettera era
-consolantissima; questi signori me l’hanno letta, ed ho pianto
-dall’allegrezza.
-
-«Ma almeno, signor d’Artagnan, sapete dove sia? domandò Raolo mezzo
-rasserenato.
-
-«Ah! ecco....: certo lo so, cospetto! ma è un mistero.
-
-«Non già per me, spererei?
-
-«No, per voi no.... e perciò ora ve lo dico....»
-
-Porthos guardava l’amico con istupore.
-
-«Dove diavolo dirò che è, perchè egli non tenti di andare a ritrovarlo?
-borbottava il tenente.
-
-«Or bene, dov’è? chiese Raolo con voce dolce e carezzevole.
-
-«È a Costantinopoli.
-
-«Presso i Turchi, oh Dio, che mi dite mai!
-
-«Veh! avete forse paura? Ohibò! che cosa sono i Turchi per uomini
-simili al conte di la Fère e all’abate d’Herblay?
-
-«Ah! il suo amico è con lui?... ciò mi quieta alcun poco....
-
-«Che spirito ha questo demonio di d’Artagnan! diceva Porthos incantato
-dall’astuzia del camerata.
-
-«Adesso, fece d’Artagnan che desiderava cambiar soggetto di
-conversazione, ecco cinquanta doppie che col medesimo corriere vi
-mandava il conte. Mi figuro che non abbiate più danari, e ch’esse vi
-vengano opportune.
-
-«Ho tuttavia venti doppie.
-
-«Pigliatele ciò non ostante, così saranno settanta.
-
-«E se ne bramate di più.... offeriva Porthos ponendo mano al borsellino.
-
-«Grazie.... mille grazie....» rispose Raolo, ed arrossiva.
-
-In quel punto comparve all’orizzonte Olivain.
-
-«A proposito, chiese d’Artagnan in maniera che il lacchè lo udisse,
-siete contento di Olivain?
-
-«Sì.... così così...»
-
-Olivain finse di non aver inteso ed entrò nella tenda.
-
-«Di che lo tacciate, quel briccone?
-
-«È un ghiottone, replicò Raolo.
-
-«Oh signore! disse Olivain, che a tale accusa si mostrò subito.
-
-«È un po’ ladro.
-
-«Oh signore! oh!
-
-«E specialmente è molto codardo.
-
-«Oh, oh, oh, signore! voi mi disonorate.
-
-«Capperi! esclamò d’Artagnan, sappiate, messer Olivain, che genti
-come noi non si fanno servire da codardi. Rubate al vostro padrone,
-mangiategli le conserve e bevetegli il vino, ma per Diana! non siate
-codardo, o che vi taglio le orecchie. Guardate Mouston, pregatelo di
-mostrarvi le onorevoli ferite che ha ricevute, e vedete qual dignità
-gli ha posta sul sembiante il suo coraggio».
-
-Mousqueton era al terzo cielo, e se avesse osato avrebbe dato un bacio
-a d’Artagnan, e frattanto si proponeva di farsi ammazzare per esso se
-mai si presentasse l’occasione.
-
-«Licenziate quel furfante, disse d’Artagnan a Raolo, poichè s’è
-vigliacco, un giorno o l’altro si disonorerà.
-
-«Il padrone mi tiene per vigliacco, gridò il servitore, perchè l’altro
-giorno volle battersi con un alfiere del reggimento di Grammont ed io
-ricusai di accompagnarlo.
-
-«Signor Olivain, un lacchè non deve mai disobbedire; rispose il tenente
-con severità».
-
-Poi traendolo in disparte:
-
-«Facesti benissimo, se il tuo padrone aveva torto, ed eccoti uno scudo
-per te; ma se una volta egli è insultato e tu non ti fai fare a pezzi
-al suo fianco, ti taglio la lingua e te la batto sul muso. Tienlo a
-mente per bene!»
-
-Il domestico s’inchinò e si pose in tasca la moneta.
-
-«Ora, amico Raolo, disse d’Artagnan, il signor du Vallon ed io partiamo
-come ambasciadori; non posso dirvi con che scopo, non lo so nemmen io:
-ma se avete bisogno di qualche cosa, scrivete alla signora Maddalena
-Turquaine, al Granchio, in via Tiquetonne, e traete su quella cassa
-come su quella di un banchiere.... pianino però, giacchè vi avverto che
-non è provvista quanto quella del d’Emery».
-
-E dato un amplesso al suo pupillo _provvisorio_, lo passò fra le
-robuste braccia di Porthos, le quali sollevandolo da terra lo tennero
-sospeso un momento sul nobil petto del terribile gigante.
-
-«Si vada» disse d’Artagnan.
-
-E ripartirono per Boulogne, dove fermarono verso sera i loro cavalli
-bagnati di sudore e bianchi di spuma.
-
-Dieci passi distante dal luogo ove si riposavano avanti di entrare in
-città, stava un giovane vestito a nero che pareva attendesse qualcuno,
-e che da quando gli avea veduti a comparire non cessava di guardarli
-fisso.
-
-D’Artagnan gli si accostò, e poichè quegli non finiva di osservarlo,
-gli disse:
-
-«Ehi, amico! non mi piace essere squadrato così da capo ai piedi.
-
-«Signore, fece l’altro senza rispondere alla interpellazione, di
-grazia, non venite da Parigi?»
-
-Il tenente si pensò fosse colui un curioso che desiderasse aver nuove
-della capitale.
-
-«Signor sì, replicò in tuono più mite.
-
-«Non dovete alloggiarvi alle Armi d’Inghilterra?
-
-«Sì.
-
-«Non avete un’incombenza di Sua Eccellenza il ministro Mazzarino?
-
-«Sì sì....
-
-«Dunque avete da far con me: son io Mordaunt».
-
-D’Artagnan disse piano:
-
-«Ah ah! quello di cui Athos mi raccomanda di non fidarmi!
-
-«Oh! mugolò Porthos, quello a cui Aramis vuole ch’io tiri il collo!»
-
-Ambedue considerarono con attenzione il giovanotto.
-
-Questi s’illuse sul motivo delle loro occhiate.
-
-«Dubitate della mia parola? domandò, in tal caso sono pronto a darvene
-qualunque prova.
-
-«No signore, rispose d’Artagnan, e siamo a vostra disposizione.
-
-«Dunque, signori, partiremo senza indugio, perchè oggi è l’ultimo
-giorno del termine richiestomi dal ministro. Il mio bastimento è
-all’ordine, e se non foste venuti mi preparavo ad andarmene senza
-di voi, mentre il generale Oliviero Cromvello deve attendermi con
-impazienza.
-
-«Ah! fece d’Artagnan, siamo dunque spediti al generale Oliviero
-Cromvello?
-
-«Non avete per esso una lettera?
-
-«Ho una lettera da non lacerarne il doppio inviluppo se non a Londra;
-ma poichè mi dite a chi è diretta è inutile ch’io aspetti fino allora».
-
-E d’Artagnan lacerò il foglio disopra al dispaccio.
-
-Difatti v’era scritto:
-
- — Al signor Oliviero Cromvello, generale delle truppe della nazione
- inglese —.
-
-«Singolare incarico! fece il tenente.
-
-«Chi è questo Cromvello? gli domandò sotto voce Porthos.
-
-«Un antico birraio.
-
-«Che il Mazzarino voglia fare una speculazione sulla birra come noi
-l’abbiam fatta sulla paglia?
-
-«Andiamo, signori! pregava Mordaunt impaziente.
-
-«Oh! senza cena? disse Porthos, messer Cromvello non può aspettare un
-pochino?
-
-«Sì, ma io? rispose Mordaunt.
-
-«Ebbene, voi? e poi?
-
-«Io, ho fretta.
-
-«Ah! s’è per voi soltanto, soggiunse Porthos, è cosa che non mi
-riguarda, e cenerò col vostro permesso o senza».
-
-Al giovanotto si accesero gli occhi e parve vicino ad uscirne un lampo;
-ma egli si frenò.
-
-«Signore, continuò d’Artagnan, bisogna compatire dei viaggiatori
-affamati; d’altronde il nostro pasto non vi tratterrà molto. Noi
-corriamo di trotto alla locanda; andate a piedi sino al porto,
-mangieremo un boccone e ci saremo nello stesso tempo che voi.
-
-«Come vi piace, purchè si vada, replicò Mordaunt.
-
-«Manco male! bucinò Porthos.
-
-«Il nome del naviglio? chiese d’Artagnan.
-
-«Lo _Standard_.
-
-«Ottimamente: fra mezz’ora saremo a bordo».
-
-E tutti e due dato di sprone ai cavalli si avviarono all’albergo delle
-_Armi d’Inghilterra_.
-
-«Che dite di quel giovane? domandava correndo d’Artagnan.
-
-«Dico che non mi piace punto, rispose Porthos, e che mi sentivo un gran
-prurito di seguire il consiglio di Aramis.
-
-«Guardatevene bene, mio caro Porthos! è un inviato del generale
-Cromvello, e sarebbe la maniera di farci ricevere malamente, secondo
-me, l’annunziargli di avere strozzato il suo confidente.
-
-«Non serve: ho sempre osservato che Aramis era uomo di buon consiglio.
-
-«Sentite, quando sarà terminata la nostra ambasceria....
-
-«E poi?
-
-«S’egli ci riaccompagna in Francia....
-
-«Ebbene?
-
-«Allora vedremo».
-
-Con questo i due gentiluomini arrivarono all’albergo; vi cenarono con
-molto appetito, e tosto si trasferirono sul porto. Era pronto a salpare
-un brigantino, e sul ponte riconobbero Mordaunt che camminava su e giù
-infastidito.
-
-«È incredibile, diceva d’Artagnan mentre la lancia lo portava sino allo
-_Standard_, come quel ragazzo somiglia a un tale che ho conosciuto, ma
-non so dire a chi».
-
-Giunsero alla scala, e in un momento s’imbarcarono.
-
-L’imbarco dei cavalli fu più lungo che quel degli uomini, e il
-brigantino non potè levar l’áncora che la sera alle otto.
-
-Il Mordaunt batteva i piedi impaziente e comandava si sciogliessero le
-vele.
-
-Porthos, spossato da tre notti senza sonno e da un tragitto di settanta
-leghe a cavallo, erasi ritirato nel camerino e dormiva.
-
-D’Artagnan, superando la sua repugnanza per Mordaunt, passeggiava seco
-sul ponte e inventava cento fandonie per obbligarlo a parlare.
-
-Mousqueton pativa del mal di mare.
-
-
-
-
-LVIII.
-
-_Lo Scozzese spergiuro alla fè, Un danajo vendette il suo re._
-
-
-È d’uopo adesso che i nostri leggitori lascino navigare tranquillamente
-lo _Standard_, non però verso Londra dove si credevano di andare
-d’Artagnan e Porthos, ma inverso Durham, ove da certe lettere ricevute
-d’Inghilterra nella sua permanenza a Boulogne era venuto a Mordaunt
-l’ordine di trasferirsi, e che indi ci seguano sino al campo realista
-di qua dalla Tyne presso alla città di Newcastle.
-
-Colà, situate in fra due fiumi, su la frontiera di Scozia, ma sul suolo
-d’Inghilterra, sono le tende di una picciola armata. È mezza notte.
-Uomini riconoscibili per tanti _highlanders_ dalle gambe ignude, dai
-gonnellini corti, dai pastrani a righe e dalla penna che hanno sulla
-berretta, se ne stanno vegliando nella massima indolenza. La luna, che
-penetra fra grossi nuvoli, rischiara ad ogni spazio che trova sulla
-strada i moschetti delle sentinelle e fa risaltare le mura, i tetti e
-i campanili della città che Carlo I rendeva poc’anzi alle truppe del
-Parlamento, egualmente che Oxford e Newark, le quali si sostenevano
-tuttavia per la parte di lui nella lusinga di un accomodamento.
-
-Ad una delle estremità di quel campo, vicino ad una vastissima tenda,
-piena di uffiziali Scozzesi, i quali tengono una specie di consiglio
-sotto la presidenza del loro capo vecchio conte di Lewen, dorme disteso
-sull’erba un uomo vestito da cavaliere, ferma la mano sulla spada.
-
-Cinquanta passi più in là, un altro, abbigliato pure da cavaliere,
-va discorrendo con una sentinella scozzese; e mercè l’abitudine che
-par ch’egli abbi dell’idioma inglese, comunque straniero, giunge a
-comprendere le risposte che a lui dà il suo interlocutore in dialetto
-della contea di Perth.
-
-Mentre suonava l’un’ora a Newcastle il dormiente si destò, e dopo
-aver fatti tutti quanti i gesti di uno che apra gli occhi al finir di
-lunghissimo sonno, si guardò attorno attentissimo, e vistosi solo, si
-alzò e andò a passare accanto a colui che ragionava colla sentinella.
-Questo di certo aveva terminato le sue interrogazioni, poichè di là a
-un momento si accommiatò da quell’uomo, e senza affettazione seguì la
-stessa strada che il primo cavaliere di cui noi femmo menzione.
-
-L’altro aspettava all’ombra di una tenda situata su quella strada.
-
-«Ebbene, mio caro amico? gli disse in francese, ma del più pretto che
-mai siasi usato da Roano a Tours.
-
-«Ebbene, non v’è tempo da perdere, e bisogna prevenire il re.
-
-«Ma che mai succede?
-
-«Sarebbe lungo il raccontarvelo. E poi fra poco lo udrete. Inoltre la
-minima parola pronunciata qui può rovinare ogni cosa. Si vada a trovare
-milord di Winter».
-
-Ed entrambi s’incamminarono all’estremità opposta del campo; ma siccome
-questo non prendeva di più che una superficie di cinquecento passi
-quadrati, così ben presto giunsero alla tenda di colui che cercavano.
-
-«Tomby, il vostro padrone dorme? domandò in inglese uno dei due
-cavalieri a un domestico coricato in un primo compartimento che serviva
-d’anticamera.
-
-«No, signor conte, rispose il servo, non credo; oppure, sarebbe da poco
-in qua, giacchè ha camminato più di due ore dopo aver lasciato il re,
-e sono appena dieci minuti che è cessato il rumore de’ suoi passi.... E
-poi (aggiunse alzando la portiera) potete vedere».
-
-Realmente di Winter stava seduto davanti ad un’apertura fatta a foggia
-di finestra, da cui penetrava l’aria notturna, e a traverso alla quale
-osservava malinconicamente la luna, perdutasi, come poc’anzi dicemmo,
-fra grossi nuvoli neri.
-
-I due amici si appressavano a di Winter che guardava il cielo tenendosi
-la testa appoggiata sulla mano; ei non gl’intese arrivare, e restò
-nella stessa positura sino al momento che sentì toccarsi la spalla.
-
-Allora si girò, ravvisò Athos ed Aramis, e porse ad essi la destra.
-
-«Avete badato, ei disse loro, come questa sera la luna è di color
-sanguigno?
-
-«No, rispose Athos, e mi è sembrata secondo il suo solito.
-
-«Guardate, cavaliere, seguitò di Winter.
-
-«Vi confesso, replicò Aramis, che io sono come il conte di la Fère, e
-non ci veggo niente di particolare.
-
-«Conte, soggiunse Athos, in una situazione precaria qual è la nostra,
-bisogna esaminare la terra e non il cielo. Avete studiati i nostri
-Scozzesi e ne siete sicuro?
-
-«Gli Scozzesi, domandò di Winter, che Scozzesi?
-
-«I nostri, poffare! quelli a cui si è affidato il re; gli Scozzesi del
-conte di Lewen.
-
-«No, rispose di Winter».
-
-E indi a poco:
-
-«Sicchè, ditemi, non iscorgete al pari di me quella tinta rossiccia che
-ricopre il cielo?
-
-«Nulla affatto, fecero insieme Athos ed Aramis.
-
-«Ma, continuava l’altro sempre occupato dalla medesima idea, non è in
-Francia una tradizione, che Enrico IV il giorno innanzi a quello in cui
-fu assassinato, e mentre giuocava a scacchi col signor di Bassompierre,
-vide delle macchie di sangue sullo scacchiere?
-
-«Sì, approvò Athos, e il maresciallo lo raccontò varie volte a me in
-persona.
-
-«Appunto, e all’indomani Enrico IV fu ucciso.
-
-«Ma, chiese Aramis, che rapporto ha con voi codesta visione del re
-Enrico?
-
-«Nessuno, ed io sono pur pazzo a discorrervi di tali cose, quando la
-vostra venuta in questa tenda mi è indizio che siate latori di qualche
-importante notizia.
-
-«Sì milord, disse Athos, vorrei parlare al re.
-
-«Al re? egli dorme.
-
-«Ho da manifestargli cose di gran peso.
-
-«E non si possono differire a domani?
-
-«Bisogna ch’ei le sappia subito, ed è forse digià tardi.
-
-«Entriamo dunque, signori».
-
-La tenda di di Winter era posta accanto a quella regia; dall’una
-all’altra comunicava una sorta di corridojo. Questo corridojo era
-custodito non da una sentinella ma da un domestico di confidenza di
-Carlo I, acciò in caso urgente il re potesse nel momento abboccarsi col
-suo servo fedele.
-
-«Questi signori sono con me», disse di Winter.
-
-Il domestico, fatto un inchino, lasciò libero il passo.
-
-Il re Carlo, cedendo ad un irresistibile bisogno di sonno, erasi
-addormentato sopra un letto da campo, vestito col suo giubbetto
-nero, con gli stivali lunghi, allentata la cintola, e con accanto il
-cappello. I tre uomini si avanzarono, ed Athos, che andava primo a
-tutti, considerò per un momento in silenzio quel nobile volto tanto
-pallido, contornato dalla lunga chioma nera, cui gli appiccicava
-alle tempie il sudore, e segnata da grosse vene turchine, le quali
-sembravano gonfie di lacrime sotto gli occhi affaticati.
-
-Athos diede un sospiro; il sospiro destò il re, tanto era lieve il suo
-sonno.
-
-Esso aprì gli occhi.
-
-«Ah! disse sollevandosi sul gomito, siete voi, conte di la Fère?
-
-«Sì, sire.
-
-«Vegliate intanto ch’io riposo, e venite a recarmi qualche nuova?
-
-«Ahimè! rispose Athos, Vostra Maestà ha indovinato.
-
-«Dunque è cattiva nuova? seguitò il re con un melanconico sorriso.
-
-«Sì, o sire.
-
-«Non serve, il messaggiero sia pur ben venuto, ed entrando da me mi
-fate sempre piacere, voi che pel vostro zelo non conoscete nè patria nè
-sventura; voi che mi siete inviato da Enrichetta; e così qualunque sia
-la notizia che mi portate, parlate senza esitare.
-
-«Sire, il signor Cromvello è giunto questa notte a Newcastle.
-
-«Ah! fece Carlo, per combattermi?
-
-«No, Maestà, per comprarvi!
-
-«Che dite!
-
-«Dico, che all’armata scozzese sono dovute quattrocento mila lire
-sterline.
-
-«Per paga arretrata, sì, lo so. Da quasi un anno i miei prodi e fidi
-Scozzesi si battono per l’onore».
-
-Athos sorrise.
-
-«Or bene, sire, sebben l’onore sia una bella cosa, e’ si sono stancati
-di battersi per esso, e questa notte vi hanno venduto per duecento mila
-lire, cioè per la metà di quel che loro si doveva.
-
-«Impossibile! e qual è il Giuda che ha fatto quest’infame contratto?
-
-«Il conte di Lewen.
-
-«Ne siete certo?
-
-«L’ho inteso colle mie proprie orecchie».
-
-Il re diede un profondo sospiro come gli si spezzasse il cuore, e si
-lasciò cadere la testa fra le mani.
-
-«Oh, gli Scozzesi che chiamavo i miei fedeli! gli Scozzesi a cui
-mi ero affidato quando potevo fuggire ad Oxford! gli Scozzesi, miei
-compatriotti, gli Scozzesi miei fratelli! Ma ne siete sicuro?
-
-«Coricato dietro alla tenda del conte di Lewen, di cui avevo sollevata
-la cortina, tutto ho veduto, ho udito tutto.
-
-«E quando deve consumarsi l’orribile negoziato?
-
-«Oggi nella mattina. E come vede Vostra Maestà, non v’è tempo da
-perdere.
-
-«Per che fare, se dite che sono venduto?
-
-«Per traversare la Tyne, per trasferirvi in Iscozia, per raggiungere
-lord Montrose, che non vi venderà, no!
-
-«Ed in Iscozia che farei? una guerra di partigiani: una tal guerra è
-indegna di un re.
-
-«Vi assolverà, o sire, l’esempio di Roberto Bruce.
-
-«No no! da troppo tempo io contrasto; se mi venderono, mi consegnino: e
-su di loro ricada l’eterna vergogna del lor tradimento.
-
-«Maestà, disse Athos; forse così deve agire un re, ma non così uno
-sposo ed un padre. Io qui venni in nome della vostra consorte e di
-vostra figlia, e in nome di esse e degli altri due figli che ancora
-avete in Londra vi dico: Vivete, o sire! Iddio vuole che viviate».
-
-Carlo I si alzò, si strinse la cintola, cinse la spada, ed asciugandosi
-la fronte molle di sudore, domandò:
-
-«Ebbene, che si ha da fare?
-
-«Vostra Maestà ha ella in tutta l’armata un reggimento sul quale possa
-contare?
-
-«Di Winter, chiese il re, credete fedele il vostro?
-
-«Sire, son uomini, e gli uomini son diventati o molto deboli o molto
-perversi. Io credo nella lor fedeltà, ma non la garantisco; affiderei
-ad essi la mia vita, ma esito ad affidar loro quella di Vostra Maestà.
-
-«Or via, seguitò Athos, in mancanza di un reggimento, noi siamo tre
-uomini devoti, zelanti, e basteremo noi soli. La Maestà Vostra salga
-pure a cavallo, si ponga in mezzo a noi, traversiamo la Tyne, andiamo
-in Iscozia e siamo salvi.
-
-«È tale la vostra opinione? domandò il re a di Winter.
-
-«Appunto.
-
-«E la vostra, signor d’Herblay?
-
-«Parimente.
-
-«Dunque si faccia come volete. Di Winter, date gli ordini opportuni».
-
-Di Winter uscì. Frattanto il re terminò di vestirsi. Mentre
-cominciavano a penetrare i primi raggi del giorno dalle aperture della
-tenda, ritornò di Winter, e disse:
-
-«Sire, tutto è pronto.
-
-«E noi? fece Athos.
-
-«Grimaud e Blaison reggono i vostri cavalli con la sella addosso.
-
-«Allora non si perda un momento e si parta.
-
-«Si parta, ripetè il re.
-
-«Sire, soggiunse Aramis, non prevenite i vostri amici?
-
-«I miei amici! replicò Carlo I scuotendo afflitto il capo, non ne
-ho più altri che voi tre. Un amico da venti anni che di me non si
-dimenticò giammai; due da otto giorni, ch’io mai non dimenticherò.
-Venite, signori».
-
-Il re uscì dalla tenda, e trovò pronto il suo palafreno: era un caval
-sauro che cavalcava da tre anni, e che gli era assai caro.
-
-Il quale nel vederlo nitrì dal contento.
-
-«Ah! disse Carlo, ero ingiusto, ed ecco ancora, se non un amico, almeno
-un essere che mi ama. Tu, Arturo, mi sarai fedele, non è vero?»
-
-E il corsiero, quasi comprendesse quelle parole, avvicinò le nari
-fumanti al volto del padrone, alzando le labbra e lietamente mostrando
-le zanne bianchissime.
-
-«Sì sì, continuò il re toccandolo come per accarezzarlo, sì, Arturo, va
-bene, sono contento di te».
-
-E con quella leggerezza che lo rendeva uno dei migliori cavalcanti
-d’Europa, Carlo si pose in sella, e volgendosi ad Athos, Aramis e di
-Winter, disse loro:
-
-«Signori, vi aspetto».
-
-Ma Athos stava in piedi, immobile, con gli occhi fissi e la mano stesa
-verso una linea nera, che seguitando lungo la riva della Tyne andava
-sino ad uno spazio doppio a quello del campo.
-
-«Che linea è quella? jeri non la vidi! disse Athos a cui le ultime
-tenebre della notte a conflitto coi primi raggi del giorno non anco
-permettevano di ben distinguere.
-
-«Sarà la nebbia che sorge dal fiume, rispose il re.
-
-«Sire, è oggetto più compatto che un vapore.
-
-«Difatti, scorgo come un argine rossastro! osservò di Winter.
-
-«È il nemico ch’esce da Newcastle e ci circuisce! esclamò Athos.
-
-«Il nemico! ripetè Carlo.
-
-«Sì, è troppo tardi!... Mirate! sotto quel raggio di sole, là, dalla
-parte della città, vedete rilucere le _coste di ferro_?»
-
-Così chiamavansi i corazzieri di cui Cromvello aveva fatte le sue
-guardie.
-
-«Ah! disse il re, ora sapremo s’è vero che gli Scozzesi mi tradiscono.
-
-«Che fate, o sire? gridò Athos.
-
-«Do a loro l’ordine di caricare, e passo con essi addosso a quei
-disgraziati ribelli».
-
-Ed il re, dato di sprone al destriero, si slanciò verso la tenda del
-conte di Lewen.
-
-«Seguitiamolo, fece Athos.
-
-«Si vada, confermò Aramis.
-
-«È forse ferito il re? chiese di Winter, veggo in terra delle macchie
-di sangue».
-
-E si scagliò appresso ai due amici.
-
-Athos lo trattenne dicendogli:
-
-«Andate a raccogliere il vostro reggimento, io presagisco che fra poco
-ne avremo bisogno».
-
-Di Winter voltò la briglia, e i due amici continuarono il loro cammino.
-In due minuti secondi Carlo I arrivava alla tenda del generale in capo
-dell’armata scozzese; smontò ed entrò immediatamente.
-
-Stavano allora d’intorno al generale i primarj capi.
-
-«Il re!» esclamarono alzandosi e guardandosi stupefatti.
-
-Carlo, ritto dinanzi a loro, col cappello in testa, aggrottava le
-ciglia e si batteva lo stivale col frustino.
-
-«Sì, egli disse; il re in persona; il re, che viene a chiedervi conto
-di quanto accade.
-
-«Che v’è mai, sire? domandò il conte di Lewen.
-
-«V’è, rispose il re lasciandosi trasportare dallo sdegno, che il
-generale Cromvello è giunto in questa notte a Newcastle, che voi
-lo sapevate ed io non sono avvertito; v’è, che il nemico esce dalla
-città e ci chiude il passaggio della Tyne, che le vostre sentinelle
-debbono aver veduto questo movimento ed io non sono avvertito; v’è, che
-mediante un infame contratto, voi mi avete venduto per duecentomila
-lire al Parlamento, ma che almeno di questo contratto io sono
-avvertito. Ecco, signori, quel che v’è; rispondetemi e discolpatevi,
-poichè io vi accuso.
-
-«Sire...., balbettò il conte di Lewen, Vostra Maestà sarà stata
-ingannata da qualche falso rapporto.
-
-«Ho veduto coi miei occhi l’armata nemica distendersi fra me e la
-Scozia, rispose Carlo, e posso quasi dire di aver udito colle mie
-proprie orecchie discutere le clausole del contratto».
-
-I capi Scozzesi si guardavano inarcando essi pure le ciglia.
-
-«Sire, fece il conte di Lewen oppresso dalla vergogna, siam pronti a
-darvi qualunque prova.
-
-«Ne chiedo una sola; ponete l’esercito in battaglia, e marciamo contro
-al nemico.
-
-«Vostra Maestà sa che v’è tregua fra noi e l’armata inglese.
-
-«Se v’è tregua, l’armata inglese l’ha rotta uscendo dalla città contro
-le convenzioni che la tenevano ivi rinchiusa; ora, io vel dico, è
-d’uopo passar meco a traverso quell’armata e rientrare in Iscozia, e se
-non lo fate, or bene! scegliete fra i due nomi che pongono gli uomini
-in disprezzo e in esecrazione agli altri uomini: o siete vili, o siete
-traditori!»
-
-Dagli occhi degli Scozzesi scaturivano delle fiamme, e secondo sovente
-avviene in simili occasioni, essi passarono dall’estrema vergogna
-all’estrema impudenza, e due capi di clans avanzandosi a ciascun lato
-del re, dissero:
-
-«Or bene, sì, noi promettemmo di liberare la Scozia e l’Inghilterra
-da colui che da venticinque anni succhia il sangue e l’oro
-dell’Inghilterra e della Scozia; promettemmo e mantenevamo l’impegno.
-Re Carlo Stuart, voi siete nostro prigioniero».
-
-Entrambi stesero nel medesimo tempo la mano onde afferrare il re; ma
-avanti che con la punta del dito toccassero la sua persona, entrambi
-eran caduti, uno svenuto e l’altro morto.
-
-Chè uno era sbalordito da un colpo di pomo di pistola di Athos, ed
-all’altro Aramis avea passata la spada a mezzo il corpo.
-
-Indi, mentre il conte di Lewen e gli altri capi retrocedevano atterriti
-da quell’inatteso soccorso che pareva scendesse dal cielo a lui che già
-credevano lor prigioniero, Athos ed Aramis trascinarono il re fuori
-dalla tenda inospitale, ove imprudentemente egli si era avventurato,
-e saltando sui cavalli che i lacchè tenevano preparati, tutti e tre si
-avviarono alla tenda reale.
-
-Correndo videro venir di Winter alla testa del suo reggimento, ed il re
-gli accennò di accompagnargli.
-
-
-
-
-LIX.
-
-_Il vendicatore._
-
-
-Entrarono tutti e quattro. Nessun piano si era ancor fatto e bisognava
-combinarne uno.
-
-Il re si lasciò cadere sopra una sedia dicendo:
-
-«Sono perduto!
-
-«No sire, rispose Athos, siete soltanto tradito».
-
-Carlo sospirò.
-
-«Tradito dagli Scozzesi, fra’ quali io nacqui, che sempre preferii agli
-Inglesi, oh sciagurati!
-
-«Sire, riprese Athos, non è momento da rampogne, ma da mostrare che
-siete re e gentiluomo. Sorgete, sire! qui almeno avete tre uomini
-che non vi tradiranno, tenetelo per certo.... Ah se fossimo solamente
-cinque! mormorava Athos pensando a d’Artagnan ed a Porthos.
-
-«Che dite mai? domandò Carlo alzandosi.
-
-«Dico che non v’è più altro che un mezzo. Milord di Winter garantisce
-pel suo reggimento o poco meno; non stiamo a sofisticare sui termini;
-egli si pone alla testa de’ suoi uomini; noi ci mettiamo al fianco di
-Sua Maestà; facciamo un vacuo nell’armata di Cromvello, ed arriviamo in
-Scozia.
-
-«Vi sarebbe anche un altro mezzo, propose Aramis, cioè che uno di
-noi prendesse e il vestimento e il cavallo del re; intanto che si
-accanissero addosso a quel tale, forse il re passerebbe.
-
-«Buono è il suggerimento, fece Athos, e ove Sua Maestà voglia concedere
-a uno di noi quest’onore gliene saremo grati.
-
-«Che pensate di questo consiglio, di Winter? chiese Carlo guardando
-con ammirazione quei due uomini che di null’altro occupavansi se non di
-trarre sopra sè stessi i pericoli che a lui sovrastavano.
-
-«Penso che se v’è un modo per salvare Vostra Maestà è quello proposto
-dal signor d’Herblay. Supplico dunque umilmente la Maestà Vostra di far
-prontamente la scelta, poichè non abbiam tempo da perdere.
-
-«Ma se accetto, è morte, o almeno prigionia sicura per quello che
-prenda il mio posto.
-
-«E l’onore di aver salvato il suo re!» esclamò di Winter.
-
-Carlo considerava il suo vecchio amico con le lacrime agli occhi; si
-tolse il cordone dello Spirito-Santo che portava onde far onore ai
-due Francesi che lo accompagnavano, e lo infilò al collo a di Winter,
-il quale ricevè genuflesso questo tremendo contrassegno dell’amistà e
-della fiducia del suo sovrano.
-
-«È giusto, disse Athos; egli lo serve da più tempo di noi».
-
-Il re lo udì, e si volse ancor pieno il ciglio di lacrime.
-
-«Signori, attendete un momento, ho ancora un cordone da dare ad ognuno
-di voi».
-
-Andò ad un armadio ove stavano rinchiusi i suoi propri ordini, e ne
-levò due cordoni della Giarrettiera.
-
-«Quegli ordini non possono essere per noi, disse Athos.
-
-«E perchè? domando Carlo.
-
-«Sono ordini quasi regi, e noi siam semplici gentiluomini.
-
-«Ah! passate in rivista tutti i troni della terra, rispose il re, e
-trovatemi cuori più grandi dei vostri.... No, no, signori, voi non
-rendete giustizia a voi stessi; ma a rendervela sono qua io. Conte,
-inginocchiatevi».
-
-Athos obbedì, il re gli passò il cordone da sinistra a diritta secondo
-l’uso, e alzata la spada, invece della formula consueta: — Io vi fo
-cavaliere, siate prode, fedele e leale, — gli disse: «Signor conte, voi
-siete prode, fedele e leale, io vi fo cavaliero».
-
-Indi ad Aramis.
-
-«Adesso a voi, signor cavaliere».
-
-E la medesima cerimonia ricominciò colle parole medesime, mentre di
-Winter, ajutato dagli scudieri, si scioglieva la corazza di rame per
-esser meglio preso per il re.
-
-Poi, quando Carlo ebbe terminato con Aramis come con Athos, li
-abbracciò amendue.
-
-«Sire, disse di Winter, che al cospetto di tanta divozione aveva
-riacquistata tutta la sua forza e il suo coraggio, noi siamo pronti».
-
-Il re guatò i tre gentiluomini.
-
-«Sicchè, disse, è d’uopo fuggire?
-
-«Maestà, rispose Athos, fuggire a traverso a un’armata, in tutti i
-paesi del mondo si chiama combattere.
-
-«Dunque morrò con la spada in pugno. Signor conte, signor cavaliere, se
-mai io sono re....
-
-«Sire, già ci onoraste ben più che non si spettasse a semplici
-gentiluomini: quindi dal lato nostro è la gratitudine. Ma non si perda
-più tempo, chè troppo n’è perduto».
-
-Carlo prese a tutti tre per l’ultima volta la mano, cambiò il suo
-cappello con quello di di Winter, ed uscì.
-
-Il reggimento di di Winter stava schierato sur una piattaforma che
-sovrastava al campo; il re seguito dai tre amici, in verso a quella si
-diresse.
-
-Pareva alfine che il campo scozzese si fosse risvegliato; gli uomini
-venuti fuori dalle tende aveano preso il loro rango come per ordine di
-battaglia.
-
-«Vedete, disse il re, forse si pentono e sono pronti a marciare!
-
-«Se si pentono, sire, Athos rispose, ci verranno appresso.
-
-«Bene! disse Carlo I, che facciamo?
-
-«Esaminiamo l’esercito nemico».
-
-Tosto si fissarono gli sguardi della piccola comitiva su quella
-linea che all’alba era stata creduta effetto della nebbia, e che
-i primi raggi solari ormai indicavano come un’armata disposta pel
-combattimento. L’aria era pura e limpida siccome suole in quell’ora del
-mattino; si distinguevano benissimo reggimenti, bandiere, e persino il
-colore delle uniformi e de’ corsieri.
-
-Videsi allora sovra un piccolo colle, un poco innanzi alla fronte
-nemica, apparire un uomo basso, grasso e pesante. Aveva intorno
-parecchi officiali; e diresse l’occhialetto su la riunione in cui era
-anche il re.
-
-«Quello là, domandò Aramis, conosce personalmente la Maestà Vostra?»
-
-Carlo sorrise.
-
-«Quello là, rispose, è Cromvello.
-
-«Dunque, sire, calate giù il cappello, che non si accorga della
-sostituzione.
-
-«Ah! fece Athos, quanto tempo abbiamo sprecato!
-
-«Se così è, disse il re, l’ordine, e si parta!
-
-«Lo date voi, o sire? domandò Athos.
-
-«No; vi nomino mio luogotenente generale.
-
-«E allora, seguitò Athos, milord di Winter ascoltate; sire, ve ne
-prego, allontanatevi; ciò che siamo per dire non concerne Vostra
-Maestà».
-
-Il re, sorridendo mosse tre passi indietro.
-
-«Ecco quel ch’io propongo, tirò innanzi il conte di la Fère; noi
-dividiamo il vostro reggimento in due squadroni: voi vi ponete alla
-direzione del primo; Sua Maestà e noi a quella del secondo; se non
-viene alcuno ad ingombrarci il passo, carichiamo tutti insieme per
-forzare la linea avversaria e scagliarci nella Tyne, che varchiamo
-anche occorrendo a nuoto; se al contrario ne vien mandato sul nostro
-cammino qualche ostacolo, voi ed i vostri vi fate uccidere sino
-all’ultimo; noi ed il re continuiamo per la nostra via; giunti una
-volta in riva al fiume, fossero anche tutti di tre file, qualora il
-vostro squadrone faccia l’obbligo suo, pensiamo noi al rimanente.
-
-«A cavallo! disse di Winter.
-
-«A cavallo! ripetè Athos, tutto è già preveduto e deciso.
-
-«Dunque, signori, avanti! fece il re, e riuniamoci all’antico grido
-di Francia: Montjoie e S. Dionigi! il grido dell’Inghilterra è omai
-ripetuto da troppi traditori».
-
-Tutti montarono a cavallo, il re su quello di di Winter, di Winter su
-quel del re; poi di Winter si mise alla prima fila del primo squadrone,
-e il re, avendo a man destra Athos ed a manca Aramis, alle prime file
-del secondo.
-
-L’armata scozzese osservava codesti preparativi nella immobilità e nel
-silenzio della vergogna.
-
-E furon visti alcuni capi uscire dai ranghi e spezzare le spade.
-
-«Animo, fece Carlo, questo mi riconforta; non sono tutti traditori».
-
-Echeggiò in quell’istante la voce di di Winter, che gridava:
-
-«Innanzi! innanzi!»
-
-Si mosse il primo squadrone, il secondo gli fu appresso e scese dalla
-piattaforma. Un reggimento di corazzieri all’incirca eguale pel numero
-si estendeva a tergo alla collina e gli veniva incontro rapidissimo.
-
-Carlo additò ad Athos ed Aramis quanto ivi accadeva.
-
-«Sire, disse Athos, è preveduto il caso, e se gli uomini di di Winter
-fanno il loro dovere, questo avvenimento ci salva invece di rovinarci».
-
-Nel momento s’intese dominare su tutto il rumore dei cavalli che
-galoppando nitrivano, il grido di di Winter:
-
-«In mano la sciabola!»
-
-Al qual comando tutte le sciabole levate dal fodero rilucevano come
-baleni.
-
-«Orsù, signori, urlò il re inebriato e dalla vista e dallo strepito,
-orsù, in mano la sciabola!»
-
-Ma al comando, di che il re diè l’esempio, obbedirono soli Athos ed
-Aramis.
-
-«Siamo traditi, balbettò pian piano Carlo.
-
-«Aspettiamo ancora un poco, disse Athos; può darsi che non abbiano
-riconosciuta la voce di Vostra Maestà, e che attendano il cenno del
-loro capo di squadrone.
-
-«E non hanno udito quello del loro colonnello? fece Carlo, ma vedete,
-vedete!»
-
-E fermò il suo palafreno con tal impeto che gli fece piegare il
-garretto, ed afferrava la briglia di quello di Athos.
-
-«Ah vili! ah sciagurati! ah iniqui!» strillava di Winter intanto che i
-suoi, abbandonate le file, si sperdevano sulla pianura.
-
-Quindici uomini appena gli stavano ragunati attorno ed attendevano
-l’assalto dei corazzieri di Cromvello.
-
-«Si vada a morte con loro! disse il re.
-
-«Si vada a morire! fecero Athos ed Aramis.
-
-«Qua a me i cuori fidi! gridò di Winter».
-
-Quella voce giunse fino ai due amici, i quali si partirono di galoppo.
-
-«Non v’è quartiere!» urlò in francese e rispondendo a di Winter
-qualcuno che li fece scuotere.
-
-Di Winter a quel suono rimase pallido e come impietrito.
-
-Era un cavaliero sopra un bellissimo corsiero nero, che accorreva alla
-testa del reggimento inglese, e nell’estremo ardore lo precedeva di
-dieci passi.
-
-«È desso! mormorò di Winter con le pupille fisse e lasciandosi pendere
-al fianco la spada.
-
-«Il re! il re! strillarono parecchi illusi dal cordone turchino e dal
-cavallo sauro di di Winter, prendetelo vivo!
-
-«No! non è il re! esclamò il cavalcante, non v’illudete!... non è vero,
-milord di Winter, che voi non siete il re! non è vero che siete mio
-zio?»
-
-E Mordaunt, che era egli stesso, diresse verso di di Winter la pistola.
-Scoccò la botta, la palla trapassò il petto al vecchio gentiluomo, il
-quale balzando sulla sella ricadde fra le braccia di Athos balbettando:
-
-«Il vendicatore!...
-
-«Rammentati mia madre! urlò Mordaunt continuando a correre di galoppo
-con tutta la forza del cavallo che aveva sotto.
-
-«Sciagurato!» strillò Aramis.
-
-E gli tirò una pistolettata, quando appunto gli passava accanto; ma non
-lo colse.
-
-All’istante l’intero reggimento piombò addosso ai pochi che aveano
-resistito, e i due Francesi furono circondati, avviluppati, incalzati.
-
-Athos, assicuratosi che di Winter era morto, lasciò andare il cadavere,
-e sguainato il ferro disse:
-
-«Orsù, Aramis, per l’onore della Francia!»
-
-E i due inglesi che si trovavano più prossimi ai due gentiluomini
-caddero ferriti mortalmente.
-
-Nel medesimo punto echeggiò un susurro terribile, e brillarono trenta
-lame più su delle loro teste.
-
-Ad un tratto un uomo si scaglia di fra gli Inglesi, e gli atterra, e
-si avventa sopra Athos, e lo stringe colle sue braccia nerborute, e
-toltogli il brando, gli dice all’orecchio:
-
-«Silenzio! arrendetevi; arrendendovi a me, non vi arrendete».
-
-Un gigante ha afferrati i due pugni ad Aramis, che invano tenta
-sottrarsi alla stretta formidabile.
-
-«Arrendetevi! colui gli dice guardandolo fisso».
-
-Aramis alza il capo, Athos si volge.
-
-«D’Art!...»
-
-Così esclama Athos, che il Guascone con una mano gli chiude la bocca.
-
-«Mi arrendo! fa Aramis porgendo l’arme a Porthos.
-
-«Fuoco! fuoco! gridava Mordaunt tornando addosso alla comitiva
-dov’erano i due amici.
-
-«E perchè fuoco? disse il colonnello, tutti si sono arresi.
-
-«È il figlio di milady! avvertì Athos a d’Artagnan.
-
-«Sì, l’ho riconosciuto.
-
-«È il finto monaco, avvertì Porthos ad Aramis.
-
-«Lo so, lo so».
-
-Cominciarono a diradarsi le file. D’Artagnan reggeva per la briglia
-il cavallo di Athos, e Porthos quello di Aramis. Ciascuno di essi
-procurava di trarre il suo prigioniero lungi dal campo di battaglia.
-
-Quel movimento discoperse il luogo ov’era caduto il corpo di di Winter.
-Coll’istinto dell’odio, Mordaunt lo aveva ritrovato, e lo considerava,
-chinato sul suo destriero con un orribile sorriso.
-
-Athos, per quanto fosse di carattere quieto, pose mano alle saccoccie
-ancor provviste di pistole.
-
-«Che fate? domandò d’Artagnan.
-
-«Lasciate ch’io lo uccida!
-
-«Non fate un gesto che dia da credere che lo conoscete, o siamo perduti
-tutti e quattro».
-
-E poscia volgendosi al giovanotto.
-
-«Buona presa! esclamò, buona presa, amico Mordaunt! abbiamo ognuno il
-nostro, il signor du Vallon ed io: cavalieri della Giarrettiera, niente
-altro, no!
-
-«Ma, gridò Mordaunt mirando Athos ed Aramis con occhi rossi dal sangue,
-ma sono Francesi, mi pare?
-
-«Non lo so io!... Siete francese? domandò ad Athos.
-
-«Sì, sono francese.
-
-«Ebbene, mio caro, eccovi prigioniero di un vostro concittadino.
-
-«Ma il re? ma il re?» chiese con somma angoscia Athos.
-
-D’Artagnan strinse con forza la mano del prigioniere e gli disse:
-
-«Eh! il re è in nostro potere.
-
-«Sì, disse Aramis, per un infame tradimento».
-
-Porthos, premendo il pugno all’amico, fece sorridendo:
-
-«Eh! signor mio, la guerra si fa tanto con la forza che con l’arte:
-guardate».
-
-Infatti, si scorgeva in tal momento lo squadrone che doveva proteggere
-la ritirata di Carlo avanzarsi ad incontrare il reggimento inglese,
-avvolgendo il re, che camminava solo e a piedi in un grande spazio
-vuoto. Il principe era in apparenza tranquillo, ma si discerneva bene
-quanto dovesse patire per sembrar tale; gli colava il sudore dalla
-fronte, e si asciugava le tempie e le labbra con un fazzoletto, che ad
-ogni volta gli si scostava dalla bocca macchiato di sangue.
-
-«Ecco Nabucodonosor! strillò uno dei corazzieri di Cromvello, vecchio
-puritano a cui s’infiammarono le pupille all’aspetto di colui che
-veniva chiamato il tiranno.
-
-«Che dite mai, Nabucodonosor? fece Mordaunt con uno spaventoso
-sogghigno. No! è il re Carlo I, il buon re Carlo, che spoglia i suoi
-sudditi per farsi loro erede!»
-
-Carlo alzò il ciglio verso l’insolente che favellava in tal guisa, ma
-nol riconobbe.
-
-Eppure la serena e religiosa maestà del suo volto fece abbassare lo
-sguardo a Mordaunt.
-
-«Buon dì, signori, disse Carlo ai due gentiluomini che vide uno nelle
-mani di d’Artagnan e l’altro in quelle di Porthos; la giornata è stata
-infausta, ma non è vostra colpa, lode al cielo! Dov’è il mio vecchio di
-Winter?»
-
-I due gentiluomini si girarono da parte e stettero cheti.
-
-«Cerca dove sia Strafford! urlò la voce stridula di Mordaunt».
-
-Il re palpitò, il demone avea colpito nel segno: Strafford era il suo
-rimorso eterno, l’ombra dei giorni suoi, lo spettro delle sue notti.
-
-Si guardò vicino, vide a’ suoi piedi un cadavere.
-
-Il cadavere di di Winter.
-
-Non diede un grido, non versò una lacrima; soltanto gli si cosparse
-sulla guancia un pallore più livido, pose in terra un ginocchio,
-sollevò la testa di di Winter e lo baciò sulla fronte, e ripreso
-il cordone dello Spirito Santo che passato gli aveva al collo,
-religiosamente se lo mise sul petto.
-
-«Dunque di Winter fu ucciso? domandò d’Artagnan affiggendo sul morto le
-pupille.
-
-«Sì, disse Athos, e dal suo nepote.
-
-«Or via! borbottò d’Artagnan, è il primo di noi altri che se ne va,
-riposi in pace, era un prode.
-
-«Carlo Stuart, disse allora il colonnello del reggimento inglese
-facendosi innanzi al re che aveva riprese le regie divise, vi rendete
-voi nostro prigioniero?
-
-«Colonnello Thomlinson, rispose Carlo, il re non si rende; l’uomo cede
-alla forza, e non v’è altro.
-
-«La vostra spada».
-
-Il re levò fuori la spada e la ruppe sul suo ginocchio.
-
-In quell’istante un cavallo senza cavalcante, grondante di schiuma,
-l’occhio infuocato, aperte le nari, che veniva correndo, riconosciuto
-il padrone, gli si fermava accanto: era Arturo.
-
-Il re sorrise, lo accarezzò colla mano, e leggermente si pose sulla
-sella.
-
-«Animo, signori! gli disse, guidatemi dove vi aggrada.»
-
-Ma voltosi con impeto, soggiunse:
-
-«Eh! aspettate! mi pare di aver veduto muovere di Winter: se ancora
-vive, deh! per quanto vi avete di più sacro, non abbandonate questo
-nobile gentiluomo!
-
-«Oh! non dubitate, re Carlo, fece Mordaunt, la palla ha trapassato il
-cuore!
-
-«Ahi! disse d’Artagnan ad Athos e ad Aramis, non proferite un accento,
-non azzardate uno sguardo per me nè per Porthos, giacchè milady non è
-morta, e vive l’anima sua nel corpo di quel demone!»
-
-Il distaccamento si avviò alla città conducendo seco la regale
-sua preda; ma a mezza strada un ajutante di campo del generale
-Cromvello recò l’ordine al colonnello Thomlinson di condurre il re a
-Holdenby-Castle.
-
-Nello stesso tempo partivano corrieri per ogni parte, onde annunziare
-all’Inghilterra e a tutta Europa come il re Carlo Stuart era
-prigioniero del generale Oliviero Cromvello.
-
-E gli Scozzesi stavano ad osservare, col fucile al piede, e la
-_claymore_ nel fodero.
-
-
-
-
-LX.
-
-_Oliviero Cromvello._
-
-
-«Venite voi dal generale? disse Mordaunt a d’Artagnan e Porthos; sapete
-che vi ha fatti chiamare per dopo l’azione.
-
-«Prima di tutto andiamo a porre in luogo sicuro i nostri prigionieri,
-rispose d’Artagnan; sapete, signor mio, che quei gentiluomini vagliono
-mille cinquecento doppie ciascuno!
-
-«Oh! non dubitate, replicò Mordaunt guardandoli con certi occhi di
-cui invano tentava nascondere la ferocia, i miei uomini a cavallo li
-custodiranno, e anche bene, ve lo garantisco!
-
-«Io li custodirò anco meglio, ribattè il tenente dei moschettieri;
-e poi, che ci bisogna? una buona stanza con delle sentinelle, o
-la semplice loro parola che non cercheranno di fuggire. Io vado a
-provvedere a tutto questo, dopo di che avremo l’onore di presentarci
-dal generale e chiedergli i suoi comandi per Sua Eccellenza.
-
-«Vi proponete dunque di partir presto?
-
-«Il nostro incarico è terminato, e non altro ci ritiene in Inghilterra,
-che la volontà del grand’uomo presso il quale fummo inviati».
-
-Il giovanotto si morse le labbra, si chinò all’orecchio al sergente, e
-gli disse:
-
-«Seguiterete questi uomini, non li perderete di vista, e quando saprete
-ove siano alloggiati tornerete ad attendermi alla porta di città».
-
-Il sergente accennò che obbedirebbe.
-
-Allora Mordaunt, invece di andar dietro ai prigionieri che venivano
-ricondotti in città, si incamminò verso la collina da cui Cromvello
-aveva osservata la battaglia, e dove aveva fatto erigere una tenda.
-
-Cromvello aveva proibito che si lasciasse penetrare alcuno presso
-di lui: ma la sentinella conoscendo Mordaunt per uno dei più intimi
-confidenti del generale, pensò che il divieto non lo risguardasse.
-
-Sicchè Mordaunt schiuse un poco la tela, e vide Cromvello seduto
-davanti a un tavolino, con la testa nascosta fra le mani, e che a lui
-volgeva le spalle.
-
-E questi, o udisse o no il rumore da lui fatto nell’entrare, non si
-girò nemmeno.
-
-Il giovane rimase in piedi accanto all’uscio.
-
-Dopo un momento Cromvello alzò la fronte, e come avesse sentito per
-istinto che ivi fosse qualcuno, volse il capo lentamente.
-
-«Avevo detto che volevo esser solo! esclamò.
-
-«Non si è creduto che la proibizione concernesse me; disse Mordaunt,
-non ostante, se l’ordinate, sono pronto a ritirarmi.
-
-«Ah! siete voi, Mordaunt! e il generale diradava come per la forza
-della sua volontà il velo che gli ricuopriva le pupille; poichè siete
-qui, va bene, trattenetevi.
-
-«Vi porto le mie congratulazioni.
-
-«Congratulazioni! e di che?
-
-«Della presa di Carlo Stuart. Ormai voi siete padrone dell’Inghilterra.
-
-«Lo ero anche meglio due ore addietro.
-
-«Come mai, generale?
-
-«L’Inghilterra aveva d’uopo di me per prendere il tiranno: adesso il
-tiranno è preso. Lo avete veduto?
-
-«Sì signore.
-
-«Qual è la sua attitudine?»
-
-Mordaunt esitò, ma parve che la verità gli uscisse per forza dal labbro.
-
-«Quieta e decorosa, ei rispose.
-
-«Che ha egli detto?
-
-«Poche parole d’addio a’ suoi amici.
-
-«A’ suoi amici! borbottò Cromvello, dunque ha degli amici!»
-
-E indi più forte:
-
-«Si è difeso?
-
-«No, è stato abbandonato da tutti, eccetto da tre o quattro uomini;
-sicchè non v’era modo di difendersi.
-
-«A chi ha consegnata la sua spade?
-
-«Non l’ha consegnata, l’ha rotta.
-
-«Ha fatto bene; ma invece di spezzarla, avrebbe operato meglio
-servendosene più utilmente».
-
-Vi fu breve silenzio. Poscia Cromvello, osservando fisso Mordaunt,
-domandò:
-
-«Se non isbaglio, il colonnello del reggimento che faceva scorta al re
-Carlo è stato ucciso?
-
-«Sì signore.
-
-«Da chi?
-
-«Da me.
-
-«Come si chiamava?
-
-«Lord Winter.
-
-«Vostro zio! gridò Cromvello.
-
-«Mio zio? i traditori all’Inghilterra non sono di mia famiglia».
-
-Cromvello stette alquanto pensieroso considerando il giovanetto; e poi
-colla profonda malinconia che tanto bene è dipinta da Shakspeare, gli
-disse:
-
-«Mordaunt, voi siete un terribile servo!
-
-«Quando il Signore ordina, l’altro rispose, non si sta titubanti.
-Abramo alzò il coltello sopra ad Isacco, eppur questi era suo figlio.
-
-«Sì, ma il Signore non lasciò che si compiesse il sagrifizio.
-
-«Io mi guardai intorno, e non vidi tra i cespugli della pianura verun
-capro che fosse fermo, replicò Mordaunt.
-
-«Siete forte tra i forti, soggiunse Cromvello. E i Francesi, come si
-sono contenuti?
-
-«Da gente di gran cuore.
-
-«Sì sì, mormorò Cromvello, i Francesi si battono; e di fatto, se il mio
-cannocchiale è buono, mi pare di averli visti alla prima fila.
-
-«V’erano realmente.
-
-«Ma dopo di voi.
-
-«Per colpa dei lor cavalli, e non di loro».
-
-Vi fu una nuova pausa.
-
-«E gli Scozzesi? chiese il generale.
-
-«Hanno mantenuta la parola, e non si sono mossi.
-
-«Sciagurati!
-
-«Signore, i loro ufficiali domandano di vedervi.
-
-«Non ho tempo. Sono stati pagati?
-
-«Questa notte.
-
-«Dunque partano, ritornino nei loro monti, celino colà la loro
-vergogna, se i monti sono per ciò atti abbastanza; io non ho più che
-fare con essi, nè essi con me. Andate, Mordaunt.
-
-«Innanzi di andarmene, signore, ho da farvi qualche interrogazione....
-ed anche una richiesta, mio padrone.
-
-«A me?»
-
-Mordaunt s’inchinò:
-
-«Vengo da voi, mio eroe, mio protettore, mio padre, e vi dico: Padrone,
-siete contento di me?»
-
-Cromvello guatò fisso Mordaunt.
-
-Questi restò impassibile.
-
-«Sì, dacchè vi conosco, faceste non solo il vostro dovere, ma anche di
-più: foste amico fedele, accorto negoziatore e buon soldato.
-
-«Vi sovviene, mio signore, ch’io fui il primo ad aver l’idea di
-trattare cogli Scozzesi per la consegna del loro re?
-
-«Sì, fu vostro il pensiero: io non portava ancora sino a tal punto il
-disprezzo degli uomini.
-
-«Fui buon ambasciadore in Francia?
-
-«Sì, ed otteneste da Mazzarino ciò ch’io bramava.
-
-«Combattei sempre con calore per la vostra gloria ed i vostri interessi?
-
-«Forse con troppo calore, e di questo appunto io poc’anzi vi faceva
-rimprovero. Ma a che volete arrivare con tante interrogazioni?
-
-«Milord, a dirvi ch’è giunto il momento in cui potete con una sola
-parola ricompensare tutti i miei servigi.
-
-«Ah! fece Oliviero con un piccol moto di sdegno, è vero; dimenticavo
-che ogni servigio merita premio, che voi mi serviste nè ancor foste
-premiato.
-
-«Posso esserlo adesso, subito, ed oltre ad ogni mio desiderio.
-
-«E come?
-
-«Ho vicino alla mano il premio, quasi lo tocco.
-
-«E qual è? vi è stato offerto dell’oro? bramate un grado? bramate un
-governo?
-
-«Signore, mi accorderete la mia domanda?
-
-«Sentiamo prima qual è.
-
-«Quando mi diceste: Eseguirete un mio ordine, vi risposi io mai:
-sentiamo l’ordine?
-
-«Ma se il vostro desiderio fosse impossibile a realizzarsi?
-
-«Quando aveste un desiderio e m’incaricaste di compierlo, vi risposi
-mai: è impossibile?
-
-«Però una richiesta preparata con tanto esordio....
-
-«State pur quieto, signore! disse Mordaunt con un’espressione truce,
-non vi rovinerà.
-
-«Ebbene, vi prometto di aderire alla vostra domanda per quanto sia in
-mia facoltà; esponetela.
-
-«Questa mane furono fatti due prigionieri: questi io vi chieggo.
-
-«Dunque hanno offerto un riscatto considerevole?
-
-«Al contrario, li credo poveri.
-
-«Ma allora, sono vostri amici?
-
-«Sì, signore! esclamò Mordaunt, amici miei, carissimi amici, e darei
-per la lor vita la mia.
-
-«Bene! disse Cromvello riprendendo con qualche gioja migliore opinione
-del giovanetto, io le li dono; neppur voglio sapere chi siano, fanne
-quel che a te piace.
-
-«Oh grazie! grazie! da ora innanzi la mia vita è vostra, e anche
-perdendola, vi sarò sempre debitore; grazie, voi date un premio
-magnifico alla mia servitù».
-
-Mordaunt si gettò ai ginocchi di Cromvello, e ad onta di ogni sforzo
-del generale puritano, il quale non voleva o fingeva non volere,
-lasciarsi rendere quell’omaggio quasi regale, gli prese la destra e la
-baciò.
-
-«Come! disse Cromvello fermandolo mentre egli si alzava, non altra
-ricompensa! non oro! non gradi!
-
-«Milord, voi mi deste quanto potevate darmi, ed io da questo giorno, vi
-sciolgo da ogni debito».
-
-E Mordaunt balzò fuori dalla tenda con un giubilo che gli straboccava
-dal cuore e gli brillava nelle pupille.
-
-Il generale lo seguitò con gli occhi.
-
-«Ha ucciso suo zio! balbettò, ahimè! che servi sono i miei! Forse
-questo che nulla reclama, o nulla par che reclami, ha domandato di più
-dinanzi a Dio che quelli che verranno a chieder l’oro delle provincie
-e il pane degl’infelici; nessuno mi serve per niente. Carlo ch’è mio
-prigioniero, ha forse ancora degli amici, ed io non ne ho!»
-
-E sospirando tornò nelle meditazioni che aveva sospese l’arrivo di
-Mordaunt.
-
-
-
-
-LXI.
-
-_I gentiluomini._
-
-
-Mentre Mordaunt s’incamminava alla tenda di Cromvello, d’Artagnan e
-Porthos riconducevano i lor prigionieri nella casa a loro assegnata per
-alloggio in Newcastle.
-
-Non era già sfuggita al Guascone la raccomandazione fatta da Mordaunt
-al sergente, e quindi esso con un cenno raccomandò ad Athos ed Aramis
-la massima prudenza. In conseguenza, questi andarono in silenzio
-accanto ai loro vincitori, nè ciò riusciva loro difficile, imperciocchè
-ciascuno aveva da fare abbastanza a rispondere a’ suoi propri pensieri.
-
-Se mai vi fu un uomo attonito, si fu Mousqueton, quando di sulla
-soglia vide avanzare i quattro amici accompagnati dal sergente e
-da una diecina d’uomini. Si stropicciò gli occhi, non potendosi
-decidere a riconoscere Athos ed Aramis; ma alla fine gli toccò cedere
-all’evidenza; ed era per dar fuori in grandi esclamazioni, se Porthos
-non gli avesse chiusa la bocca con uno di quegli sguardi che non danno
-campo a discutere.
-
-Mousqueton rimase piantato accanto alla porta attendendo la spiegazione
-di cosa tanto singolare; e quel che più lo confondeva si era che i
-quattro amici mostravano perfino di non più riconoscersi fra loro.
-
-La casa in cui d’Artagnan e Porthos condussero Athos ed Aramis era
-quella dove abitavano dal giorno innanzi e a loro data dal generale
-Cromvello; formava l’angolo di una strada, ed aveva una specie di
-giardino e le scuderie che giravano sulla via attigua.
-
-Le finestre del pian terreno, secondo accade spesso nelle piccole città
-di provincia, avevano le inferriate, talchè somigliavano di molto a
-quelle di una carcere.
-
-I due amici fecero entrare avanti i prigionieri, e si stettero
-sull’ingresso, dopo avere ordinato a Mousqueton di menare alla stalla i
-quattro cavalli.
-
-«Perchè non entriamo con loro? domandò Porthos.
-
-«Perchè prima, rispose d’Artagnan, convien vedere che cosa vogliono da
-noi quel sergente e gli otto o dieci uomini che sono seco».
-
-Il sergente e que’ suoi sottoposti si piantarono nel piccolo giardino.
-
-D’Artagnan li richiese di che cosa bramassero e perchè stessero colà.
-
-«Abbiamo ordine, disse il sergente, di ajutarvi a custodire i vostri
-prigionieri».
-
-Su ciò non v’era da ripetere, ed anzi era un’attenzione assai gentile
-di cui bisognava mostrarsi grati. D’Artagnan ringraziò il militare, e
-gli diede una _corona_ per bere alla salute del general Cromvello.
-
-Colui rispose che i puritani non bevevano, e si mise in tasca la moneta.
-
-«Ah, caro d’Artagnan! fece Porthos, che trista giornata!
-
-«Che dite mai, Porthos! chiamate trista la giornata in cui abbiamo
-ritrovati i nostri amici!
-
-«Sì, ma in qual circostanza?
-
-«È vero che la situazione è scabrosa, replicò d’Artagnan; ma non
-importa, entriamo e procuriamo di veder chiaro nelle nostre faccende.
-
-«Sono imbrogliatissimo, e adesso capisco perchè Aramis mi raccomandava
-tanto di strozzare l’orribile Mordaunt.
-
-«Zitto! non pronunziate quel nome.
-
-«E che fa, se io parlo francese ed essi sono Inglesi?»
-
-D’Artagnan fissò in viso Porthos con quell’aria di ammirazione che un
-uomo ragionevole non può negare agli spropositi di qualunque genere
-siano.
-
-E mentre Porthos fissava lui pure senza comprendere il suo stupore, ei
-lo spinse dicendogli:
-
-«Entriamo».
-
-Porthos fu il primo a passare, e d’Artagnan secondo. Questi chiuse bene
-la porta, e si strinse un dopo l’altro al seno i due amici.
-
-Athos era mesto all’eccesso, Aramis guardava i due sopraggiunti senza
-parlare, ma con tanta espressione che d’Artagnan lo capì.
-
-«Volete sapere com’è che siamo qui? è facilissimo l’indovinarselo:
-Mazzarino ci ha incaricati di recare una lettera al generale Cromvello.
-
-«Ma in che modo vi trovate accanto a Mordaunt, fece Athos, del quale vi
-avevo raccomandato di diffidare?
-
-«E che io vi pregai di scannare, continuò Aramis.
-
-«Sempre per Mazzarino. Cromvello lo aveva inviato a Mazzarino;
-Mazzarino ha inviati noi a Cromvello: in tutto questo v’è una fatalità.
-
-«Sì, avete ragione, d’Artagnan, una fatalità che ci divide e ci rovina.
-Sicchè mio caro Aramis, non ne discorriamo più, e apparecchiamoci a
-subire la nostra sorte.
-
-«Cospetto! al contrario, discorriamone, giacchè una volta per tutte è
-convenuto che siamo sempre insieme benchè in cause opposte.
-
-«Ah sì! molto opposte, seguitò sorridendo Athos, giacchè qui, ve lo
-domando, a qual causa servite? D’Artagnan, vedete a che v’impiega
-quel miserabile Mazzarino. Capite di qual delitto oggi vi rendeste
-colpevole? dell’arresto del re, della sua morte.
-
-«Oh oh! fece Porthos, lo credete davvero?
-
-«Esagerate, disse d’Artagnan, non siamo ancora a tanto.
-
-«Eh, anzi ci avviciniamo, per Bacco! Perchè si arresta un re? Quando
-si vuole rispettarlo come padrone non si compra come uno schiavo. Vi
-pensate che per porlo sul trono, Cromvello lo abbia pagato duecento
-mila lire sterline? Lo uccideranno, siatene certi, ed anche è questo il
-minimo delitto che possono commettere.
-
-«Non dico di no, e in sostanza potrebbe darsi, rispose d’Artagnan, ma a
-noi che interessa? Io sono qui perchè sono soldato, perchè servo i miei
-padroni, cioè quelli che mi pagano il mio soldo. Ho giurato di obbedire
-e obbedisco; ma voi che non faceste giuramenti, a qual causa servite, e
-perchè siete qua?
-
-«La causa la più sacra che esista al mondo, disse Athos, quella della
-sventura, della regale dignità e della religione. Un amico, una sposa,
-una figlia ci fecero l’onore di chiamar noi in loro ajuto; noi li
-secondammo a tenore dei nostri deboli mezzi, e Dio ci terrà conto della
-volontà in difetto del potere. Voi siete libero di pensare altrimenti,
-d’Artagnan, di considerare le cose in altra guisa; io non vuo’
-dissuadervene, ma vi biasimo.
-
-«Oh! oh! replicò d’Artagnan, e che mi fa in conclusione che il signor
-Cromvello, che è Inglese, si ribelli contro il suo re ch’è Scozzese?
-Io sono Francese, e tutte queste cose non mi riguardano: perchè me ne
-vorreste render responsabile?
-
-«Realmente!.... aggiunse Porthos.
-
-«Perchè tutti i gentiluomini son fratelli, perchè voi siete gentiluomo,
-perchè i re di tutti i paesi sono primi fra i gentiluomini; perchè
-la plebe cieca, ingrata, ignorante, si prende sempre piacere ad
-abbassare ciò ch’è a lei superiore, e siete voi, voi, d’Artagnan, uomo
-della vecchia signoria, uomo di bel nome, uomo di buona spada, che
-contribuiste a dare un re in balia a birraj, a sartori, a carrettaj!
-Ah! d’Artagnan, come soldato forse faceste l’obbligo vostro, ma come
-gentiluomo siete reo: io ve lo dico!»
-
-D’Artagnan masticava il gambo di un fiore, non rispondeva, e si sentiva
-conturbato, poichè quando distoglieva lo sguardo da quello di Athos
-incontrava quello di Aramis.
-
-«E voi, Porthos, continuò il conte quasi avesse pietà dell’imbarazzo
-di d’Artagnan, voi il miglior cuore, il miglior amico, il soldato
-migliore ch’io conosca; voi che l’anima vostra faceva degno di nascere
-sui gradini di un soglio, e che presto o tardi sarete premiato da un
-sovrano intelligente; voi, caro Porthos, gentiluomo pei costumi, per le
-inclinazioni e pel coraggio, siete reo al pari di d’Artagnan».
-
-Porthos arrossì, ma di piacere anzi che di confusione, e chinando la
-testa come se fosse molto umiliato, rispose:
-
-«Sì, conte, sì, credo che abbiate ragione».
-
-Athos si alzò.
-
-«Orsù, disse appressandosi a d’Artagnan e porgendogli la destra, non vi
-adirate, figliuol mio; quanto vi ho detto ve l’ho detto se non colla
-voce, col cuore almeno di un padre. Ben mi sarebbe stato più facile,
-siatene pur persuaso, di ringraziarvi per avermi salvata la vita e non
-pronunziare una parola de’ miei sentimenti.
-
-«Senza dubbio, replicò d’Artagnan premendo anche esso la mano ad Athos;
-ma egli è che avete certi benedetti sentimenti che non da tutti possono
-aversi. Chi si va ad immaginare che un uomo di giudizio abbandoni
-la sua casa, la Francia, il suo pupillo, amabile giovanetto (chè lo
-vedemmo al campo) per correre dove? in ajuto ad una regia autorità
-vacillante e tarlata, la quale una di queste mattine crollerà come
-una vecchia baracca? Il sentimento che voi dite è bello sicuramente, e
-tanto bello ch’è sovrumano.
-
-«Qualunque sia, rispose Athos, senza incappare nel laccio che con arte
-da Guascone il suo amico stendeva al paterno suo affetto per Raolo,
-voi in fondo al cuore sapete ch’egli è giusto.... Ma io ho torto di
-discutere col mio padrone. D’Artagnan, io sono vostro prigioniero, e
-come tale trattatemi.
-
-«Per Diana! sapete pure che non lo sarete per molto tempo, disse il
-tenente dei moschettieri.
-
-«No, no, ripicchiò Aramis, perchè si farà a noi come a quei prigionieri
-presi a Philipphaus.
-
-«E che fu fatto a coloro? domandò d’Artagnan.
-
-«Eh! la metà impiccata, e l’altra metà fucilata.
-
-«Ed io vi garantisco, soggiunse d’Artagnan, che sinchè mi rimanga nelle
-vene una stilla di sangue non sarete fucilati nè appiccati. Vengano,
-vengano, cospettone! E poi, Athos, vedete quella porta?
-
-«Ebbene?
-
-«Da quella voi passerete quando vogliate, giacchè da questo punto voi
-ed Aramis siete liberi come l’aria.
-
-«Qui ben riconosco l’indole vostra, mio prode d’Artagnan, fece Athos,
-ma non siete più padrone di noi; la porta è custodita, vi è pur noto.
-
-«Or bene, la sforzerete; seguitò Porthos, chi v’è egli? tutto al più
-dieci uomini.
-
-«Sarebbero nulla per noi quattro, sono troppi per noi due. No, no,
-sentite; come siamo, ci è forza perire. Vedete l’esempio fatale: su
-la strada del Vendomese, voi d’Artagnan, sì coraggioso, voi Porthos sì
-valoroso, foste battuti; oggi lo siamo Aramis ed io, tocca a noi. E ciò
-non ci avvenne giammai quando eravamo tutti e quattro riuniti; si muoja
-dunque conforme è morto Winter: per me, lo dichiaro, non acconsento a
-fuggire se non tutti e quattro insieme.
-
-«È impossibile, disse d’Artagnan, noi siamo sotto gli ordini di
-Mazzarino.
-
-«Lo so, e non vi pungo maggiormente; i miei ragionamenti nulla hanno
-prodotto; bisogna che siano stati cattivi se non hanno avuto alcun
-dominio sopra intelletti tanto giusti come i vostri.
-
-«D’altronde, continuò Aramis, quando anche avessero fatto effetto,
-la migliore si è di non compromettere due ottimi amici quali sono
-d’Artagnan e Porthos. Non dubitate, signori, noi morendo vi faremo
-onore. In quanto a me, mi sento superbo di andare incontro alle palle
-ed anco alla corda con voi, Athos, giacchè mai non mi sembraste sì
-grande come quest’oggi».
-
-D’Artagnan non diceva niente, ma dopo aver rosicato il gambo del fiore
-si rosicava le dita.
-
-«Vi figurate forse, riprese alfine, che si voglia uccidervi? e perchè
-fare? che interesse si ha alla vostra morte? E d’altronde siete nostri
-prigionieri.
-
-«Pazzo, pazzo! rispose Aramis, non conosci dunque Mordaunt? Ebbene,
-io ho ricambiata con lui una sola occhiata, ed in quella sua ho visto
-ch’eravamo condannati.
-
-«Fatto sta che mi rincresce di non averlo strangolato secondo mi
-suggeriste, replicò Porthos ad Aramis.
-
-«Eh, m’importa assai di Mordaunt! esclamò d’Artagnan, cospetto! se
-mi stuzzica un po’ troppo, lo schiaccierò io, quell’insetto! Non
-iscappate, è inutile, mentre, ve lo giuro, siete qui in sicuro quanto
-lo eravate venti anni addietro, Athos, voi in via di Feron, Aramis, voi
-nella via di Vaugirard.
-
-«Oh! disse Athos stendendo la mano verso una delle due finestre colle
-inferriate che davano luce alla stanza, tra poco saprete che pensare,
-giacchè eccolo che corre in qua.
-
-«E chi?
-
-«Mordaunt».
-
-Diffatti, seguendo la direzione accennata da Athos, d’Artagnan vide un
-cavaliero che veniva di galoppo.
-
-Era realmente Mordaunt.
-
-D’Artagnan si scagliò fuori dalla camera.
-
-E perchè Porthos voleva irgli appresso, ei gli disse:
-
-«Restate costì, e non venite se non quando mi udrete battere il tamburo
-colle dita sulla porta».
-
-
-
-
-LXII.
-
-_Gesù Signore!_
-
-
-Allorchè Mordaunt arrivò di faccia alla casa, distinse d’Artagnan sulla
-soglia e i soldati distesi qua e là con le loro armi sopra l’erbetta
-del giardino.
-
-«Olà! gridò con voce soffocata dalla precipitazione della corsa, i
-prigionieri sono sempre costà?
-
-«Sì, signore, disse il sergente».
-
-E si drizzò subito, ugualmente che i suoi uomini, e si toccò come essi
-il cappello.
-
-«Bene. Quattro uomini per prenderli e condurli sul momento al mio
-alloggio».
-
-Si apparecchiarono i quattro richiesti.
-
-«Che c’è? fece d’Artagnan con quell’aria beffarda che i nostri
-leggitori debbono aver in lui riscontrata molte volte dacchè lo
-conoscono, che c’è, di grazia?
-
-«V’è, signor mio, rispose Mordaunt, che ordino a quattro soldati di
-pigliare i prigionieri da noi fatti stamani a menarli al mio alloggio.
-
-«E perchè mo’? domandò d’Artagnan. Scusate la curiosità, ma capite che
-bramo essere schiarito su quest’oggetto.
-
-«Perchè adesso i prigionieri sono miei, fece con alterigia Mordaunt, ed
-io ne dispongo a mio capriccio.
-
-«Con permesso, mio giovane signorino, e’ mi pare che sbagliate; questi
-per solito sono di quelli che gli hanno presi, e non di coloro che sono
-stati a vederli prendere. Voi potevate prendere milord Winter, che per
-quanto si dice era vostro zio, ed avete preferito ucciderlo: va benone;
-il signor du Vallon ed io potevamo uccidere quei due gentiluomini, ed
-abbiamo preferito prenderli: ciascuno ha il suo gusto».
-
-A Mordaunt diventarono bianche le labbra.
-
-D’Artagnan capì che le cose non tarderebbero a guastarsi, e si mise a
-suonare sull’usciale la marcia delle guardie.
-
-Al primo tempo battuto uscì Porthos, e si pose dall’altra parte della
-porta, di cui toccava coi piedi la soglia e col capo la cima.
-
-Nè Mordaunt mancò già di accorgersene, onde disse, principiando a
-mostrare la collera che lo rodeva:
-
-«Signore, fareste una resistenza inutile: i prigionieri mi sono stati
-donati in questo punto dal generale in capo mio illustre proiettore,
-dal signor Oliviero Cromvello».
-
-Queste parole colpirono d’Artagnan alla guisa di un fulmine. Gli salì
-il sangue alle tempie, gli passò una nube avanti agli occhi, comprese
-la feroce speranza del giovanotto, e la sua mano scese per un moto
-naturale sull’impugnatura della sua spada.
-
-Porthos poi lo osservava onde sapere ciò che avesse da fare e regolare
-i propri atti a tenore de’ suoi.
-
-Gli sguardi di Porthos diedero più timore che quiete a d’Artagnan, il
-quale principiò a dolersi di aver richiamata la forza brutale del suo
-compagno in un affare che gli sembrava specialmente andasse maneggiato
-coll’astuzia.
-
-«La violenza, ei diceva fra sè, ci rovinerebbe tutti. D’Artagnan, prova
-a quel serpentello che sei non solo più forte, ma anche più scaltro di
-lui.... Ah ah! signor Mordaunt (disse poscia con un profondo saluto),
-come! venite da parte del signor Oliviero Cromvello, il più illustre
-capitano di questi tempi?
-
-«L’ho lasciato poc’anzi, rispose Mordaunt mettendo piedi a terra e
-dando a reggere il suo cavallo ad uno de’ suoi soldati.
-
-«E perchè non lo dicevate subito, mio caro? tutta l’Inghilterra è del
-signor Cromvello, e poichè mi chiedete in suo nome i prigionieri, io
-m’inchino, signor mio, sono vostri, pigliateli».
-
-Mordaunt si avanzò tutto allegro, e Porthos guardando d’Artagnan col
-massimo stupore apriva bocca per parlare.
-
-Ma quest’ultimo montò sullo stivale a Porthos, il quale allora conobbe
-che l’amico faceva da burla.
-
-Mordaunt mise il piede sul primo gradino accanto alla porta, e col
-cappello in mano si accinse a passare fra i due camerati, accennando a’
-suoi quattro uomini che lo seguissero.
-
-«Per altro scusate, disse il tenente con un grazioso sorriso e posando
-la mano sulla spalla al giovane, se l’illustre generale Oliviero
-Cromvello ha disposto in favor vostro di quegli individui, vi avrà
-fatta di certo cotesta donazione per iscritto».
-
-L’altro si fermò di botto.
-
-«Vi ha dato qualche letterina per me, un fogliaccio qualunque,
-in somma che attesti qualmente siete qui in nome suo? Favorite
-consegnarmelo, acciò almeno io scusi con un pretesto l’abbandono de’
-miei compatriotti. Diversamente, intendete, quantunque io sia sicuro
-che il generale Oliviero Cromvello non possa volere ad essi alcun male,
-ciò farebbe un pessimo effetto».
-
-Mordaunt retrocedè, e sentendo la botta diede un’occhiata terribile
-a d’Artagnan; questi però vi rispose con la ciera più garbata e
-amichevole che potesse immaginarsi.
-
-«Quando vi dico una cosa, fece Mordaunt, mi fate l’ingiuria di
-dubitarne?
-
-«Io! io dubitare di ciò che voi dite? Dio me ne liberi, mio caro! anzi
-vi tengo per degno e perfetto gentiluomo, secondo le apparenze.... E
-poi, volete che vi parli schietto?
-
-«Parlate.
-
-«Il signor du Vallon qui presente è ricco, ha quarantamila lire di
-entrata, ed in conseguenza non tira ai denari; sicchè non discorro per
-lui, ma per me.
-
-«E poi?
-
-«Ebbene, io non sono ricco; in Guascogna questo non fa disonore, non
-v’è alcuno che lo sia, ed Enrico IV di gloriosa memoria, ch’era il
-re delle Guascogne, siccome Sua Maestà Filippo IV è il re di tutte le
-Spagne, non aveva mai un soldo in tasca.
-
-«Terminate, vedo a che punto bramate arrivare, e se vi trattiene quel
-ch’io suppongo, sarà una difficoltà da togliersi di mezzo.
-
-«Ah! lo sapevo, disse d’Artagnan, ch’eravate un ragazzo di spirito.
-Orsù, ecco la sostanza, ecco dove il dente duole. Sono ufficiale
-di fortuna, e non altro. Non ho se non quel che mi frutta la mia
-spada, cioè più busse che biglietti di banca. Ora, stamani prendendo
-due Francesi che mi pajono d’alta nascita, due cavalieri della
-Giarrettiera, dicevo fra di me: È fatta la mia fortuna. Dico due,
-perchè in simile circostanza, il signor du Vallon ch’è facoltoso, cede
-sempre a me i suoi prigionieri».
-
-Mordaunt, illuso appieno dalla loquace bonarietà del suo interlocutore,
-sorrise da uomo che intende benissimo le ragioni addottegli, e con
-dolcezza rispose:
-
-«Fra un momento avrò l’ordine firmato, ed insieme con questo duemila
-doppie; ma intanto lasciatemi condurre via i due Francesi.
-
-«No no; che v’importa di un indugio di mezz’ora? sono molto assestato
-io, facciamo le cose in regola.
-
-«Eppure, soggiunse Mordaunt, potrei forzarvi, qui comando io.
-
-«Oh! signore, fece d’Artagnan gentilmente, si vede che sebbene il
-signor du Vallon ed io abbiamo avuto l’onore di viaggiare in vostra
-compagnia, non ci conoscete. Siamo gentiluomini, siamo Francesi, siamo
-capaci fra noi due soli di uccidere voi ed i vostri otto sottoposti.
-Signor Mordaunt, non fate da caparbio, perchè quando uno si ostina
-mi ostino io pure, e sono un caparbio feroce.... ed ecco questo
-signore ch’è più caparbio ancora di me.... senza contare che siamo
-inviati dal signor ministro Mazzarino, il quale rappresenta il re di
-Francia: ne resulta che in questo istante noi rappresentiamo il re ed
-il ministro, il che fa sì che nella nostra qualità di ambasciadori
-siamo inviolabili, cosa ch’è in grado di capire egregiamente il
-signor Cromvello, grande politico al pari che gran generale. Quindi
-richiedetegli l’ordine scritto. Che cosa vi costa, caro signor
-Mordaunt?
-
-«Sì, l’ordine scritto, seguitò Porthos che cominciava a capire
-l’intenzione di d’Artagnan, non vi si ricerca altro».
-
-Per quanta voglia avesse Mordaunt di ricorrere alla violenza, era
-uomo da riconoscere per buone le ragioni addottegli da d’Artagnan.
-D’altronde la di lui fama gl’imponeva, e aggiungendosi a quella ciò che
-gli aveva veduto operare la mattina, vi riflettè seriamente. Di più,
-ignaro totalmente delle relazioni d’intrinseca amicizia esistenti fra
-i quattro Francesi, eransi dileguate tutte le sue inquietezze di faccia
-al motivo assai plausibile del loro riscatto.
-
-Decise adunque di andare non soltanto a prendere il mandato, ma anche
-le duemila doppie per cui aveva egli stesso valutati i due prigionieri.
-
-E così montò a cavallo, raccomandò al sergente di far buona guardia, e
-sparì.
-
-«Bene! fece d’Artagnan, un quarto d’ora per andare alla tenda, per
-tornare indietro mezz’ora, è più che non ci bisogni».
-
-E venutosene inverso Porthos senza dare indizio al sembiante di verun
-cambiamento, in modo che quei che lo consideravano attenti potessero
-credere ch’ei continuasse la medesima conversazione, e mirandolo ben
-fisso, gli disse:
-
-«Amico Porthos, statemi a sentire. Prima di tutto, nemmeno una parola
-ai nostri amici di ciò che avete udito testè: è inutile che sappiano
-qual servizio ad essi noi rendiamo.
-
-«Bene, capisco.
-
-«Andate alla scuderia, vi troverete Mousqueton, porrete la sella ai
-cavalli e le pistole nelle sacche, e li condurrete nella strada di giù
-affinchè non vi sia più da salir sopra; al resto penserò io».
-
-Porthos non fece obbiezioni, ed obbedì con la sublime fiducia che aveva
-sempre nell’ex-collega.
-
-«Vado subito, rispose; ma, dico, ho da entrare nella stanza dove sono
-quei signori?
-
-«Eh no! non giova a niente.
-
-«Dunque, fatemi il piacere di pigliare la mia borsa che ho lasciata sul
-caminetto.
-
-«State pur tranquillo».
-
-Porthos si avviò con la sua flemma consueta alla scuderia, e passò
-framezzo ai soldati, i quali, comunque ei fosse Francese, non poterono
-astenersi dall’ammirare di lui l’alta statura e le membra robuste.
-
-Sul canto incontrò Mousqueton, e lo menò via seco.
-
-Allora d’Artagnan tornò dentro, fischiando un’arietta che aveva
-incominciata alla partenza di Porthos.
-
-«Carissimo Athos, ho riflettuto ai vostri ragionamenti, ed essi mi
-hanno persuaso; m’incresce assolutamente di essermi trovato in questo
-affare. Voi lo diceste; Mazzarino è un furfante; sicchè io sono
-risoluto a fuggire con voi. Non fate calcoli, ma state pronti; le
-vostre due spade sono in un cantone, non le dimenticate, sono tali
-arnesi che nelle circostanze nostre possono essere utilissimi....
-appunto questo mi fa ricordare della borsa di Porthos: eccola!»
-
-D’Artagnan si ripose in tasca la borsa. Gli altri due lo stavano a
-guardare stupefatti.
-
-«Ebbene, che v’è di sorprendente? disse il Guascone, lo domando a voi.
-Ero cieco, e Athos mi ha fatto veder chiaro: non v’è altro; venite
-qua».
-
-I due gli si avvicinarono.
-
-«Vedete questa strada? ei seguitò, là saranno i cavalli; uscirete dalla
-porta, girerete a sinistra, balzerete in sella, e sarà bell’e finita:
-non vi date pensiero d’altro se non se di ascoltar bene il segnale. E
-il segnale sarà quando io griderò: «Gesù Signore!»
-
-«Ma voi, disse Athos, dateci parola che verrete.
-
-«Ve lo giuro sopra Iddio, rispose d’Artagnan.
-
-«Basta così! esclamò Aramis, al grido «Gesù Signore!» si vien fuori, si
-atterra tutto quanto ci si oppone, si va incontro ai nostri palafreni,
-si cavalcano, e si dà di sprone! va bene?
-
-«A meraviglia!
-
-«Ma se ve lo dico sempre, Aramis! fece Athos, d’Artagnan è il migliore
-di quanti siamo.
-
-«Ahi! mormorò il tenente, complimenti? scappo subito: addio.
-
-«E fuggite con noi, non è così?
-
-«Di certo. Non vi scordate del segnale».
-
-D’Artagnan se n’andò col medesimo passo con che era venuto riprendendo
-l’arietta che fischiava al punto stesso a cui l’aveva sospesa.
-
-I soldati giocavano o dormivano; due stuonavano in un angolo il salmo:
-_Super flumina_.
-
-Il Guascone chiamò il sergente.
-
-«Caro mio, gli disse, il generale Cromvello ha fatto ricercare di me
-dal signor Mordaunt; ve ne prego, invigilate a modo sui prigionieri».
-
-Quegli ammiccò che non intendeva il francese.
-
-Ed egli allora tentò fargli capire co’ gesti ciò che non aveva potuto
-colla favella.
-
-E il sergente accennò di sì.
-
-D’Artagnan scese versò la stalla: trovò i cinque corsieri
-apparecchiati, il suo siccome gli altri.
-
-«Prendetene uno a mano per ciascheduno, suggerì a Porthos e a
-Mousqueton, e voltate a manca in guisa che Athos ed Aramis vi scorgano
-dalla finestra.
-
-«E allora verranno? domandò Porthos.
-
-«In un attimo.
-
-«Non vi siete dimenticata la mia borsa?
-
-«No, non dubitate.
-
-«Benissimo».
-
-Porthos e Mousqueton, guidando a mano un destriero per uno, si
-trasferirono al loro posto.
-
-D’Artagnan rimasto solo battè l’acciarino, accese un pezzo d’esca
-grande per due volte quanto una lente, saltò in sella, e venne a
-fermarsi davanti ai soldati dirimpetto alla porta.
-
-Là, accarezzando con la mano la sua bestia, le introdusse un
-bricciolino d’esca infuocata nell’orecchio.
-
-Bisognava essere buon cavallerizzo com’egli era per avventurare un tal
-mezzo, perocchè appena l’animale ebbe sentita la scottatura cacciò un
-urlo dal dolore, s’impennò e balzò quasi fosse ammattito.
-
-I soldati, che pareva volesse schiacciare, si allontanarono
-precipitevolmente.
-
-«Qua! qua! strillava il tenente de’ moschettieri, fermate! il mio
-cavallo ha un giracapo!»
-
-E di fatti in un momento sembrò gli schizzasse il sangue dagli occhi e
-diventò tutto bianco di spuma.
-
-«Qua! qua! gridava sempre d’Artagnan senza che i soldati si
-arrischiassero a dargli ajuto, mi lascerete ammazzare? Gesù Signore!»
-
-Non sì tosto ebbe egli profferita questa esclamazione, si aperse la
-porta, e si scagliarono con la spada in pugno Athos ed Aramis.
-
-E mercè l’astuzia di d’Artagnan era libero il varco.
-
-«I prigionieri che scappano! gridò il sergente.
-
-«Ferma! ferma! gridò d’Artagnan allentando la briglia al suo corsiero,
-il quale si slanciò buttando in terra due o tre uomini.
-
-«_Stop! stop!_» urlarono i militari correndo a prender le armi.
-
-Ma i due detenuti erano già in sella, e non perderono tempo avviandosi
-verso la porta più prossima.
-
-A mezza strada videro Grimaud e Blaisois che tornavano in cerca di loro.
-
-Athos con un cenno fece comprendere ogni cosa a Grimaud, il quale si
-mise a seguitare la piccola comitiva che andava via come un turbine, e
-che d’Artagnan correndole dietro stimolava vieppiù con la voce.
-
-Passarono sotto la porta come ombre senza che i guardiani pensassero
-tampoco ad arrestarli, e furono in aperta campagna.
-
-Frattanto i soldati badavano a gridare:
-
-«_Stop! stop!_»
-
-Ed il sergente cominciando ad accorgersi di essere stato gabbato, si
-strappava i capelli.
-
-Ed ecco giungere uno a cavallo con un foglio in mano.
-
-Mordaunt che se ne veniva coll’ordine del generale.
-
-«I prigionieri?» strillò smontando sollecito.
-
-Il sergente non ebbe fiato da rispondergli: gli additò la porta
-spalancata e la stanza vuota.
-
-Mordaunt salì qualche scalino, comprese tutto, diede un urlo quasi gli
-avessero squarciate le viscere, e cadde svenuto sulla pietra.
-
-
-
-
-LXIII.
-
-_In cui si prova qualmente nelle più scabrose situazioni i cuori grandi
-non perdono mai il coraggio, nè gli stomachi buoni l’appetito._
-
-
-La piccola comitiva, senza ricambiare una parola, senza guardarsi a
-tergo, andò così di galoppo, traversando un fiumicello di cui nessuno
-sapeva il nome, e lasciandosi a sinistra una città che Athos ebbe in
-idea fosse Durham. Vide al fine un picciol bosco, e diè l’ultimo colpo
-di sprone a quella parte.
-
-Quando i compagni furono dietro ad una stesa di verdura abbastanza
-folta per nasconderli a chi poteva inseguirli, si ristettero alquanto
-onde tener consiglio, dettero a reggere le bestie a due lacchè acciò si
-riposassero senza spogliarli della sella e delle briglie, e misero in
-sentinella Grimaud.
-
-«Prima di tutto venite qua, ch’io vi abbracci, amico mio, disse Athos
-a d’Artagnan; voi nostro salvatore, voi che fra di noi tutti siete il
-vero eroe.
-
-«Athos ha ragione, ed io vi ammiro, continuò Aramis dandogli pure
-un amplesso. A che mai non dovreste pretendere, con un padrone
-intelligente, voi occhio infallibile, braccio di ferro, mente
-vincitrice!
-
-«Adesso, rispose il Guascone, tutto ciò va bene; accetto tutto per me
-e per Porthos, abbracciamenti e ringraziamenti; oh abbiamo tempo da
-perdere, non dubitate!»
-
-I due, richiamati da d’Artagnan a ciò che dovevano ancora a Porthos,
-strinsero ad esso pure la destra.
-
-«Ormai, osservò Athos, bisognerebbe non più andare a caso e come tanti
-pazzi, ma stabilire un piano. Che faremo?
-
-«Che faremo, caspita! non è mica difficile a dirsi.
-
-«Or dunque, dite, d’Artagnan.
-
-«Eccoci: arrivare al porto di mare più vicino, riunire tutte le nostre
-tenui risorse, noleggiare un bastimento e recarci in Francia. Per me,
-c’impiegherò sino all’ultimo mio soldo. Il primo tesoro è la vita, e la
-nostra, è forza dichiararlo, sta attaccata ad un filo.
-
-«Du Vallon, che ve ne pare? domandò Athos.
-
-«Io sono del medesimo parere che d’Artagnan; egli è un triste paese,
-l’Inghilterra!
-
-«Sicchè siete assolutamente deciso ad abbandonarla? chiese Athos al
-Guascone.
-
-«Per diana! fece questi, non so che cosa mi ci possa trattenere».
-
-Athos ricambiò uno sguardo con Aramis.
-
-«Dunque andate, amici miei! disse quindi, e sospirò.
-
-«Come, andate! replicò d’Artagnan, andiamo, mi pare.
-
-«No, mio caro, disse Athos, è d’uopo che ci lasciamo.
-
-«Lasciarci! ripetè il tenente attonito.
-
-«Eh via! seguitò Porthos, e perchè mai, una volta che siamo insieme?
-
-«Perchè il vostro incarico è adempiuto, e potete, anzi dovete,
-ritornare in Francia; ma il nostro non lo è già.
-
-«Il vostro no? fece d’Artagnan vieppiù stupefatto.
-
-«No, amico, replicò Athos con la sua voce per solito sì dolce eppur
-salda. Noi qui venimmo a difendere il re Carlo, lo difendemmo male, e
-ci rimane di salvarlo.
-
-«Salvare il re!» esclamò il tenente.
-
-E guatò Aramis.
-
-Questi si limitò ad un cenno colla testa.
-
-Sul volto a d’Artagnan comparve un che di compassione profonda; ei
-principiava a credere di aver da fare con due insensati.
-
-«Athos, egli disse, non può essere che parliate da senno. Il re è in
-mezzo ad un’armata che lo conduce a Londra. Questa è comandata da un
-macellajo, o figlio di macellajo, poco importa, il colonnello Harrison.
-A Sua Maestà sarà fatto il processo appena giunto a Londra, io ve lo
-accerto; ho inteso abbastanza dalla bocca del generale Cromvello per
-sapere a che aspettarmi».
-
-Athos ed Aramis ricambiarono un’altra occhiata.
-
-«E fatto il processo, continuò d’Artagnan, non tarderà ad eseguirsi
-la sentenza. Oh sono genti che si disbrigano presto, quei signori
-puritani!
-
-«Ed a qual pena supponete che il re sia condannato? chiese Athos.
-
-«Temo assai che sia a morte. Troppo fece contro di lui per ch’egli li
-perdoni, ed a loro non rimane che un mezzo, cioè di ucciderlo. Non vi
-è forse noto quel detto di Oliviero Cromvello allorchè venne a Parigi
-e gli fu mostrata la torre di Vincennes dov’era rinchiuso il signor di
-Vendome?
-
-«Sì, che mi è noto quel detto tremendo, e mel rammento pur troppo, fece
-Athos.
-
-«E credete che non ponga in esecuzione la sua massima, or che tiene il
-re nelle mani?
-
-«Sì, anzi ne sono sicuro; ma è una ragione di più per non abbandonare
-l’augusta testa minacciata.
-
-«Athos, voi impazzite!
-
-«No, amico; rispose dolcemente il gentiluomo, ma Winter è venuto a
-cercarci in Francia, e ci ha condotti presso Enrichetta. Sua Maestà ne
-ha fatto l’onore, a d’Herblay ed a me, di richiederci il nostro ajuto
-a pro del suo sposo; noi abbiamo impegnato con essa la nostra parola:
-la nostra parola racchiudeva tutto; a lei vincolavamo la nostra forza,
-il nostro intelletto, la nostra vita, e dobbiamo mantenere l’impegno.
-Pensate voi così, d’Herblay?
-
-«Sì, disse Aramis, abbiamo promesso.
-
-«E poi, seguitò Athos, v’è un’altra ragione, ed eccola: ascoltatemi. In
-questo momento tutto in Francia è meschino e povero; abbiamo un re di
-dieci anni, che ancor non sa che si voglia — una regina acciecata da
-una tarda passione — un ministro, che amministra la Francia conforme
-farebbe di una vasta fattoria, cioè non curandosi se non dell’oro che
-può cavarvi, coltivandone il terreno con astuzia e raggiro italiano
-— principi che sostengono un’opposizione tutta loro individuale ed
-egoistica, e non giungeranno ad altro che ad estorcere da Mazzarino
-qualche gruppo d’oro, qualche avanzo di potere. Io gli ho serviti,
-non per entusiasmo (Dio sa che gli stimo per quel che vagliono), ma
-per principio. Oggi la cosa è diversa: m’incontro dinanzi un altro
-infortunio, un regio infortunio, un infortunio europeo, ed a questo io
-mi lego. Se perveniamo a salvare il re, sarà un bel tratto; e grande
-sarà se per esso moriamo.
-
-«Dunque sapete anticipatamente di potervi perire? disse d’Artagnan.
-
-«Lo temiamo, e l’unico nostro dolore è di morire lungi da voi.
-
-«Che farete in un paese estero, nemico?
-
-«Da giovane io viaggiai in Inghilterra; parlo l’inglese come un
-Inglese, ed Aramis pure ha qualche cognizione di quella lingua. Ah se
-avessimo anche voi, amici miei! Con voi, d’Artagnan e Porthos, tutti e
-quattro, e riuniti per la prima volta dopo venti anni, faremmo fronte
-non solo all’Inghilterra ma ai tre regni!
-
-«E prometteste a quella regina, riprese d’Artagnan di mal umore,
-di forzare la torre di Londra, di uccidere centomila soldati, di
-contrastare vittoriosamente contro il voto di una nazione e l’ambizione
-di un uomo, quando quest’uomo si chiama Cromvello! Voi nol vedeste,
-quest’uomo, Athos! nè voi, Aramis! Egli è un uomo di genio che assai
-mi ha rammentato il nostro ministro, l’altro, il grande! sapete pure,
-Richelieu. Or dunque non vi fate un’idea esagerata dei vostri obblighi.
-Athos, in nome del cielo, non vi date ad un inutile zelo. Quando vi
-guardo, in verità mi pare di vedere un soggetto ragionevole; quando
-mi rispondete, mi sembra di aver che fare con un pazzo. Orsù, Porthos,
-unitevi a me: che pensate di tutto questo? ditelo schiettamente.
-
-«Nulla di buono, rispose Porthos.
-
-«Animo, continuò d’Artagnan impaziente dacchè Athos invece di
-ascoltarlo mostrava quasi ascoltare una voce interna che gli parlasse,
-non vi trovaste giammai scontento de’ miei consigli. Ebbene! credetemi,
-Athos, la vostra missione è terminata, e nobilmente; tornate in Francia
-con noi.
-
-«Amico, replicò Athos, la nostra risoluzione è immutabile.
-
-«Ma avrete allora altri motivi a noi ignoti?»
-
-Athos sorrise.
-
-D’Artagnan si battè con collera sulla coscia, e balbettò le ragioni più
-convincenti che potè rinvenire; ma l’altro rispondeva a tutte con un
-quieto e dolce sorriso, come Aramis con semplici cenni della testa.
-
-«Or via, esclamò alfine il Guascone furibondo, or via, giacchè così
-volete, si lascino le nostre ossa in questo triste paese dove fa
-sempre freddo, ed il bel tempo è nebbia, la nebbia, pioggia, la pioggia
-diluvio, e dove il sole somiglia alla luna, e la luna ad una forma di
-cacio.... Realmente, morir qua o in altro luogo, poichè si deve morire,
-poco ci cale!
-
-«Bensì, pensateci, mio caro, disse Athos, egli è morire più presto.
-
-«Eh! un po’ più presto o un poco più tardi, non merita il conto di
-sofisticare.
-
-«Se di alcuna cosa io stupisco, aggiunse sentenziosamente Porthos, è
-che non si sia digià fatto.
-
-«Oh! si farà, non dubitate! rispose d’Artagnan».
-
-Indi seguitò:
-
-«Sicchè tutto è stabilito, e se Porthos non vi si oppone....
-
-«Io, interruppe Porthos, farò ciò che vogliate. D’altronde trovo
-bellissimo ciò che ha detto poc’anzi il conte de la Fère.
-
-«Ma il vostro avvenire, d’Artagnan? la vostra ambizione, Porthos?
-
-«Il nostro avvenire, la nostra ambizione! ribattè il Guascone con una
-celerità di favella quasi febbrile, e abbiam bisogno di occuparcene,
-poichè salviamo il re? Salvato il re, raduniamo i suoi amici, battiamo
-i puritani, riconquistiamo l’Inghilterra, rientriamo seco in Londra, e
-lo rimettiamo comodamente sul suo trono.
-
-«Ed egli ci fa duchi e pari, terminò Porthos, a cui brillavano gli
-occhi di allegrezza anco vedendo quel tempo futuro a traverso a una
-favola.
-
-«O si scorda di noi, disse d’Artagnan.
-
-«Oh! fece Porthos.
-
-«Eh! se ne son visti dei casi, caro mio, e mi sembra che in addietro
-rendemmo alla regina Anna un servigio non molto inferiore a quello che
-or vogliamo rendere a Carlo I, lo che non tolse che Anna ci obliasse
-per quasi venti anni.
-
-«Ma ciò non ostante, domandò Athos, vi rincresce forse di averglielo
-reso?
-
-«No davvero; ed anzi, confesso che nei momenti di mia maggior mestizia
-ho trovato un conforto in quella rimembranza.
-
-«Vedete, d’Artagnan, che quei principi ci furono ingrati, ma Iddio non
-lo è mai.
-
-«Sentite, Athos, io credo che se incontraste il diavolo sulla terra,
-fareste tanto che ve lo portereste, starei per dire, con voi su in
-cielo.
-
-«Sicchè...., disse Athos porgendo la destra a d’Artagnan.
-
-«Sicchè è finita; l’Inghilterra mi pare un paese delizioso, e vi
-rimango, ma con un patto.
-
-«E quale?...
-
-«Di non essere obbligato ad imparare l’inglese.
-
-«Or bene, adesso, soggiunse Athos trionfante, ve lo giuro, per quel
-Dio che ci ode, pel nome mio che reputo scevro da ogni macchia, son
-d’opinione che vi sia una potenza la quale invigili su di noi, ed ho
-speranza che tutti e quattro rivediamo la Francia.
-
-«Sarà, replicò d’Artagnan, ma confesso che son persuaso del contrario.
-
-«Questo caro d’Artagnan, disse Aramis, in mezzo a noi rappresenta
-l’opposizione dei Parlamenti, che dicon sempre di no e fanno sempre sì.
-
-«Sì, ma che intanto salvano la patria, ripicchiò Athos.
-
-«Ora che tutto è fissato, propose Porthos stropicciandosi le mani, se
-pensassimo a desinare? mi pare che nelle più critiche circostanze di
-nostra vita abbiamo sempre pranzato.
-
-«Oh sì! discorrete di pranzo in un paese ove per gran banchetto non si
-mangia se non del castrato cotto nell’acqua, e per gran trattamento non
-si beve che birra! Come diavolo veniste in un luogo simile, Athos?...
-Ah, scusate (aggiunse d’Artagnan sorridendo), mi dimenticavo che non
-siete più Athos.... Basta, sentiamo il vostro piano per desinare,
-Porthos.
-
-«Il mio piano?
-
-«Sì, lo avete?
-
-«Io no; ho fame, e non altro.
-
-«Per Bacco! s’è tutto questo, anch’io ho fame; ma ciò non basta,
-bisogna trovare da mangiare, e ammenochè andiamo a pascolar l’erba come
-i nostri cavalli....
-
-«Ah! osservò Aramis, il quale non aveva fatto un tanto distacco dalle
-cose terrestri come Athos, quando eravamo al Parpaillot, vi ricordate
-che belle ostriche c’ingoiavamo?
-
-«E quei cosciotti di montoni delle paludi saline! fece Porthos
-strisciando la lingua sulle labbra.
-
-«Ma, disse d’Artagnan, non abbiamo il nostro Mousqueton che ci faceva
-campare tanto bene a Chantilly?
-
-«Giusto! fece Porthos, abbiamo Mousqueton; ma dacchè è maggiordomo è
-rimminchionito.... che serve? si chiami».
-
-E per esser sicuro che colui rispondesse volentieri, gridò:
-
-«Ehi, Mouston!»
-
-Questi comparve; aveva la cera mesta, afflitta.
-
-«Che avete, caro signor Mouston? gli domandò il Guascone, vi sentile
-forse male?
-
-«Ho fame....
-
-«E appunto per questo v’invitiamo a venir qua. Non potreste procurarvi
-a lacciuolo qualcuno di quei bei conigli, o qualcheduna di quelle
-care pernici con cui facevamo lo stufato e il _salmì_.... alla locanda
-di.... perdinci, non mi sovviene più il nome della locanda.
-
-«All’albergo di.... fece Porthos, affè neppur io me ne ricordo....
-
-«Non importa.... e di soppiatto qualche bottiglia di quel vin vecchio
-di Borgogna che tanto spesso guariva il vostro padrone?
-
-«Ahimè! sospirò Mousqueton, ho paura che le robe che voi ricercate
-siano molto rare in questo brutto paese, e che faremmo meglio andando a
-chiedere ospitalità al padrone di una casuccia che si scorge dall’orlo
-del bosco.
-
-«Che! v’è una casa nelle vicinanze? disse d’Artagnan.
-
-«Signor sì.
-
-«Or bene, secondo voi suggerite, si vada là a domandare da pranzo.
-Che ne pensate, signori? il consiglio di messer Mouston non vi sembra
-giudiziosissimo?
-
-«Eh eh! obbiettò Aramis, e se il padrone è puritano?
-
-«Meglio così, caspita! s’è puritano gli annunzieremo la presa del re, e
-in onore di tal notizia ci darà di belle galline di penne bianche.
-
-«Ma s’è cavaliere? bucinò Porthos.
-
-«Allora, ci porremo in aria da lutto e gli spenneremo i polli neri.
-
-«Avete la gran sorte voi, rispose Athos sorridendo della scappata del
-Guascone, poichè vedete tutto in bell’aspetto.
-
-«Che volete? replicò d’Artagnan, io sono di una terra ove non si
-distingue sul cielo un nuvolo.
-
-«Non è come in questa! disse Porthos».
-
-E stendeva la mano onde accertarsi che una certa freschezza da lui
-sentita sulla guancia fosse propriamente prodotta da una goccia di
-pioggia.
-
-«Andiamo, andiamo! seguitò d’Artagnan, ragione di più per avviarci....
-Olà, Grimaud!»
-
-Grimaud si presentò.
-
-«Ehi? chiese d’Artagnan, avete veduto qualche cosa?
-
-«Nulla, Grimaud rispose.
-
-«Imbecilli! fece Porthos, nemmeno ci hanno inseguiti.... Oh! se fossimo
-stati noi ne’ loro piedi!
-
-«Han fatto male, tirò innanzi d’Artagnan, ed io direi volentieri due
-paroline a Mordaunt in questa Tebaide. Mirate qua, che bel posto per
-distendere un uomo in terra a modo e a verso!
-
-«Io per me stimo, osservò Aramis, che il figliuolo non sia della stessa
-forza che la madre.
-
-«Oh! mio caro, disse Athos, aspettate! sono due ore sole che lo abbiamo
-lasciato; non sa ancora da che parte ci dirigiamo, ignora persino dove
-siamo. Lo diremo men forte di sua madre quando porremo il piede sulla
-terra di Francia, se di qui a lì non siamo nè uccisi, nè avvelenati.
-
-«Ma frattanto pranziamo, propose Porthos.
-
-«Oh sì, cospetto! approvò Athos, chè ho un grande appetito.
-
-«Ed io pure, confermò d’Artagnan.
-
-«Guai a’ polli neri!» fece Aramis.
-
-E i quattro amici guidati da Mousqueton si incamminarono all’abitazione
-indicata, già ritornati alla lor prima noncuranza; conciossiachè si
-trovavano ormai, come aveva detto Athos, tutti quanti riuniti e di
-comune accordo.
-
-
-
-
-LXIV.
-
-_Salve alla decaduta Maestà._
-
-
-I nostri fuggiaschi, a misura che si appressavano alla casa,
-vedevano guasto il terreno, quasi che preceduti gli avesse una turba
-considerevole d’uomini a cavallo; davanti al portone erano ancor più
-visibili le orme: dunque la turba, qualunque si fosse, ivi si era
-fermata.
-
-«Per diana! disse d’Artagnan, è chiaro che qui son passati il re e la
-sua scorta.
-
-«Oh diavolo! mormorò Athos, allora avranno divorato ogni cosa.
-
-«Eh via! avranno lasciato almeno una gallina!»
-
-E d’Artagnan smontò e bussò, ma nessuno gli rispose.
-
-Spinse la porta, che non era chiusa, e si accorse la prima stanza esser
-vuota e abbandonata.
-
-«Ebbene? domandò Porthos.
-
-«Non vedo alcuno.... ah ah!
-
-«Che mai?
-
-«Sangue!»
-
-A tal parola gli altri tre balzarono giù da cavallo ed entrarono.
-
-Ma d’Artagnan aveva di già passato l’uscio della seconda camera, e
-dall’alterazione del suo sembiante si discerneva esser ivi qualche cosa
-di straordinario.
-
-E avvicinatisi tutti videro un uomo ancor giovane disteso al suolo in
-un botro di sangue. Era chiaro che avesse tentato di arrivare sino al
-suo letto, e mancatagli la forza fosse prima caduto.
-
-Athos fu il primo ad appressarsi al disgraziato; gli pareva che avesse
-fatto un moto.
-
-«Ebbene? domandò d’Artagnan.
-
-«Eh! disse Athos, se è morto, lo è da poco tempo, giacchè è ancora
-caldo... Ma no, gli batte il cuore... ohi, amico!»
-
-Il ferito diede un sospiro. D’Artagnan presa dell’acqua sulla palma
-della mano glie la gettò sul viso.
-
-Quegli riaperse gli occhi, fece un atto come per alzare il capo e
-ricascò di nuovo.
-
-Athos si provò a trarselo sulle ginocchia; però conobbe che la ferita
-era un poco più su del cervello e gli spaccava il cranio; ne usciva il
-sangue in abbondanza.
-
-Aramis bagnò un tovagliuolo nell’acqua, e l’applicò su la piaga; il
-fresco richiamò in sè l’infermo; esso riaperse per la seconda volta gli
-occhi.
-
-Guatò attonito coloro, che parea lo compiangessero, e per quanto
-potevano cercavano assisterlo.
-
-«Siete con degli amici, gli disse Athos in inglese; dunque state pur
-quieto, e se avete forza raccontateci che vi è successo.
-
-«Il re, balbettò l’ammalato, il re è prigioniero.
-
-«Lo avete visto? domandò Aramis nel medesimo idioma».
-
-Colui non fiatò.
-
-«Non dubitate, soggiunse Athos, siamo servi fedeli di Sua Maestà.
-
-«È vero ciò che mi dite?
-
-«Sul nostro onore da gentiluomini.
-
-«Dunque posso dirvi tutto.
-
-«Parlate.
-
-«Io son fratello di Parry, cameriere di Sua Maestà».
-
-Athos ed Aramis si rimembrarono che con quel nome Winter aveva chiamato
-il lacchè da loro trovato nel corridojo della regia tenda.
-
-«Lo conosciamo, disse Athos, non lasciava mai il re.
-
-«Appunto. Or bene, vedendo che il re era preso, pensò a me. Passavano
-davanti alla casa, ed egli in nome del re domandò di fermarvisi. Questo
-fu accordato. Si diceva che il re aveva fame; lo fecero entrare nella
-camera dove son io acciò si cibasse, e misero delle sentinelle alle
-porte e alle finestre.
-
-«Parry conosceva questa stanza, giacchè più volte mentre Sua Maestà era
-a Newcastle, era venuto a vedermi; sapeva che v’era una botola la quale
-conduceva in cantina, e di là si poteva andar nell’orto.
-
-«Mi fece un cenno. Io lo capii. Ma di certo i guardiani del re se
-ne accorsero ed entrarono in diffidenza. Io, ignorando che avessero
-qualche sospetto, non ebbi più altro desiderio che di salvare Sua
-Maestà. Finsi dunque di uscire per andare a prendere della legna,
-pensando non esserci tempo da perdere. M’introdussi nel passaggio
-sotterraneo che metteva alla cantina alla quale corrispondeva la
-botola, con la testa sollevai la tavola, e intanto che Parry spingeva
-piano il chiavistello dell’uscio, ammiccai al re che mi seguisse.
-Ahimè! non voleva; pareva che gli repugnasse quella fuga. Ma Parry lo
-supplicò a mani giunte, e anch’io lo implorai onde non lasciasse una
-tale occasione. Alla fine si decise a venire appresso a me. Per buona
-sorte io camminai avanti, e quando il re mi era dietro di poco, ecco ad
-un tratto che nel passaggio sotterraneo vidi dirizzarsi come una grande
-ombra. Volevo gridare per avvertire Sua Maestà, ma non ebbi tempo.
-Sentii un colpo come se mi crollasse sul capo il casamento, e caddi
-svenuto.
-
-«Buono e leale Inglese! servo fedele!» disse Athos.
-
-«Quando ritornai in me ero disteso nel medesimo posto. Mi trascinai
-sino al cortile. Il re e la scorta erano partiti. Impiegai forse un’ora
-a venire dal cortile a qui, ma poi mi mancarono le forze ed ebbi un
-nuovo deliquio.
-
-«E adesso come vi sentite?
-
-«Molto male.
-
-«Possiamo giovarvi a qualche cosa? domandò Athos.
-
-«Ajutatemi a mettermi sul letto; mi pare che ci troverò un po’ di
-sollievo.
-
-«Avete alcuno che vi assista?
-
-«Mia moglie è a Durham, e tornerà a momenti.... Ma voi, signori, non
-avete bisogno di niente? non bramate niente?
-
-«Eravamo venuti con intenzione di chiedervi da mangiare.
-
-«Ohimè! hanno preso tutto, non ci resta un tozzo di pane.
-
-«Capite, d’Artagnan? disse Athos, conviene andar a cercarci altrove il
-pranzo.
-
-«Non m’importa oramai, rispose d’Artagnan, non ho più fame.
-
-«In verità, neppur io» rispose Porthos.
-
-E trasportarono l’uomo sul suo letto. Fu chiamato Grimaud, il quale gli
-curò la ferita. Grimaud al servizio dei quattro camerati aveva avuto
-tante volte occasione di far fila e piumacciuoli, che aveva acquistata
-una certa tinta di chirurgia.
-
-Frattanto i nostri fuggiaschi tornati nella prima stanza tenevano
-consiglio.
-
-«Adesso, cominciò Aramis, sappiamo come va; il re e la sua scorta sono
-quelli passati di qui: è d’uopo prendere dalla parte opposta. Siete di
-quest’opinione?»
-
-Athos, al quale ei dirigeva l’interrogazione, rifletteva, e non rispose.
-
-«Sì, disse Porthos, si pigli dal lato opposto. Se seguitiamo la scorta,
-troveremo tutto divorato e finiremo con morir di fame. Che maladetto
-paese è questa Inghilterra! sarà la prima volta ch’io sia rimasto senza
-desinare; e per me il desinare è il miglior pasto.
-
-«Che pensate, d’Artagnan? domandò Athos, siete del parere di Aramis?
-
-«No; sono anzi del parer contrario.
-
-«Come! volete andare appresso a loro!
-
-«No, ma a fare la medesima strada».
-
-Ad Athos brillarono di gioja le pupille.
-
-«La stessa strada che la scorta! esclamò Aramis.
-
-«Lasciate parlare d’Artagnan, disse Athos, sapete pure ch’è uomo di
-buon consiglio.
-
-«Sicuramente, rispose d’Artagnan, bisogna andare dove non saremo
-cercati; si guarderanno bene dal cercarci fra i puritani, dunque si
-vada fra questi.
-
-«Benissimo, amico! ottimo suggerimento! fece Athos, ero io per darlo,
-quando mi avete prevenuto.
-
-«Siete dunque di questo sentimento? chiese Aramis.
-
-«Sì. Crederanno che vogliamo abbandonare l’Inghilterra, e ci
-cercheranno nei porti; nel frattempo arriviamo a Londra col re; una
-volta là, non siamo più reperibili: in mezzo a un milione d’individui
-non è difficile il nascondersi.... senza contare (continuava Athos
-dando uno sguardo ad Aramis) le eventualità che ci offre un tal
-viaggio.
-
-«Sì, disse Aramis, v’intendo.
-
-«Io non intendo, disse Porthos, ma non serve; giacchè è l’opinione di
-d’Artagnan e di Athos insieme, dev’essere la migliore.
-
-«Ma, obbiettò Aramis, non sembreremo sospetti al colonnello Harrison?
-
-«Eh cospettone! esclamò d’Artagnan, io conto appunto sopra di lui:
-il colonnello Harrison è nostro amico; lo abbiam veduto due volte dal
-generale Cromvello; sa che gli fummo inviati di Francia da Mazzarino,
-e ci riguarderà come fratelli. E d’altronde, non è figlio di un
-macellajo? sì, non è così? or bene, Porthos gl’insegnerà come con un
-pugno si ammazzi un bue, ed io come si atterri un toro afferrandolo per
-le corna, e con ciò ci cattiveremo la sua fiducia».
-
-Athos sorrise, e porgendo la mano al Guascone gli disse:
-
-«Siete il miglior compagno ch’io conosca, e sono pur contento di avervi
-ritrovato, figlio mio».
-
-Codesto, conforme ci è noto, era il nome che Athos soleva dargli ne’
-suoi momenti di cordiale sfogo.
-
-Nell’istante uscì dalla camera Grimaud. Il ferito medicato stava
-alquanto meglio.
-
-I quattro amici tolsero da lui commiato, domandandogli se avesse da
-incombenzargli di alcuna cosa per suo fratello.
-
-«Ditegli, ei rispose, che faccia sapere al re che non mi hanno
-ammazzato del tutto; per poco ch’io mi sia, sono certo che a Sua Maestà
-duole di non avermi e che a sè stessa fa rimprovero della mia morte.
-
-«State quieto, disse d’Artagnan, lo saprà innanzi sera».
-
-La comitiva si rimise in viaggio; non v’era da sbagliar la strada:
-quella per cui voleva incamminarsi era tracciata visibilmente sulla
-pianura.
-
-Dopo un tragitto di due ore in silenzio, d’Artagnan ch’era il primo
-avanti si ristette alla svolta di una via.
-
-«Ah ah! esclamò, ecco i nostri».
-
-Diffatti alla distanza di circa mezza lega compariva una considerevole
-turba di uomini a cavallo.
-
-«Amici cari, disse d’Artagnan, date le vostre spade a Mousqueton, che
-ve le consegnerà a tempo e luogo, e non vi dimenticate che siete nostri
-prigionieri».
-
-Indi si regolarono al trotto i cavalli che cominciavano ad essere
-stanchi, ed in breve si fu raggiunta la scorta.
-
-Il re, alla testa di questa, circondato da porzione del reggimento del
-colonnello Harrison, se n’andava impassibile, sostenuto, con una specie
-di buona volontà.
-
-Scorgendo Athos ed Aramis ai quali neppur gli si era dato campo di
-dire addio, e leggendo ne’ loro sguardi come ei si avesse tuttora degli
-amici poco lontani, sebben credesse quegli amici prigionieri, venne un
-rossore di soddisfazione sulle pallide guancie del sovrano.
-
-D’Artagnan passò sino alla testa della colonna, e lasciati i suoi amici
-in custodia a Porthos, si appressò ad Harrison, il quale lo riconobbe
-per averlo visto da Cromvello, e lo accolse civilmente conforme
-convenivasi ad un uomo di quella condizione e di quel carattere.
-Accadde ciò che aveva preveduto d’Artagnan: il colonnello non aveva nè
-aver poteva alcun sospetto.
-
-Fu fatto alto. A quella fermata doveva pranzare il re. Soltanto questa
-volta furono prese delle precauzioni onde non tentasse di fuggire.
-Nella gran sala dell’albergo s’apparecchiò un tavolino per lui ed una
-tavola grande per gli ufficiali.
-
-«State a pranzo con me? domandò Harrison a d’Artagnan.
-
-«Diamine! disse questi, ne avrei sommo piacere, ma ho il mio compagno
-signor du Vallon, e i miei due prigionieri, che non posso lasciare
-e che ingombrerebbero la vostra mensa. Però facciamo meglio; fatemi
-preparare in un canto una tavola, e mandateci dalla vostra ciò che vi
-parrà, giacchè diversamente andiamo a rischio di morir di fame. Sarà
-sempre desinare insieme, poichè saremo nella stessa stanza.
-
-«Va bene» fece Harrison.
-
-Le cose si accomodarono a norma del desiderio del nostro tenente, e
-quando esso tornò appresso al colonnello trovò il re già seduto al suo
-posto e servito da Parry, Harrison ed i suoi ufficiali tutti uniti, e
-da parte i posti riserbati per lui ed i suoi compagni.
-
-La tavola a cui stavano gli ufficiali era rotonda, ed o fosse per caso,
-o per apposita villania, Harrison volgeva le spalle al re.
-
-Il re vide entrare i quattro gentiluomini, ma non mostrò di badare ad
-essi minimamente.
-
-Questi andarono a porsi attorno al desco a loro destinato, e si
-situarono in guisa da non voltar la schiena a nessuno. Avevano di
-faccia il desco degli uffiziali e quello del re.
-
-Harrison, per onorare i suoi commensali, mandava ad essi i migliori
-piatti. Disgraziatamente pei quattro camerati, mancava il vino. Ciò
-sembrava indifferentissimo ad Athos, ma d’Artagnan, Porthos ed Aramis
-facevano boccaccie ogni qualvolta toccava loro di bere la birra, quella
-bibita puritana.
-
-«Affè, colonnello, disse d’Artagnan, vi siamo assai grati del vostro
-gentile invito, giacchè se non eravate voi andavamo a rischio di stare
-senza pranzo, come siamo rimasti senza colazione, ed ecco il mio amico
-signor du Vallon che si associa alla mia riconoscenza, mentre aveva un
-famosissimo appetito.
-
-«E l’ho tuttavia, disse Porthos salutando il colonnello Harrison.
-
-«E in che modo vi è successo quel gravissimo evento di restare senza
-colazione? domandò ridendo Harrison.
-
-«Per una ragione molto semplice, rispose d’Artagnan. Avevo fretta di
-raggiungervi, e per riuscirvi, avevo presa la stessa strada che voi, lo
-che non avrebbe dovuto fare un vecchio foriere par mio, il quale ha da
-sapere che dov’è passato un buono e prode reggimento come il vostro,
-nulla rimane da spigolare. E quindi figuratevi il nostro disappunto,
-quando arrivati ad una bella casetta situata sull’orlo del bosco, e
-che da lontano coi tetti rossi e con le imposte verdi aveva un’aria da
-festa che dava piacere, invece di trovarvi i polli che ci proponevamo
-di arrostire ed i prosciutti che volevamo mettere sulla gratella, non
-vedemmo che un povero diavolo tutto bagnato.... Caspita! colonnello,
-fate i miei complimenti a quello fra’ vostri uffiziali che ha data
-quella botta; l’ha assegnata bene, e tanto ch’è stata ammirata dal mio
-signor du Vallon, che mena colpi a modo egli pure.
-
-«Sì, fece Harrison ridendo e accennando cogli occhi un officiale che
-aveva vicino, quando Groslow s’incarica di tali faccende, non v’è
-bisogno di rimetterci le mani dopo di lui.
-
-«Ah! è questo signore? disse d’Artagnan salutando il soggetto
-indicatogli, mi rincresce che non parli francese per presentargli le
-mie congratulazioni.
-
-«Sono pronto a riceverle e a rendervele, signore, rispose colui in buon
-francese, giacchè ho dimorato tre anni a Parigi.
-
-«Or bene, continuò il tenente, mi fo premura di dirvi che applicaste sì
-egregiamente il colpo da aver quasi ucciso quell’uomo.
-
-«Credevo averlo ucciso affatto, ribattè Groslow.
-
-«No: è vero che v’è mancato poco, ma non è morto».
-
-Così dicendo d’Artagnan vibrò uno sguardo verso Parry, che stava in
-piedi davanti al re, col pallore di morte sulla fronte, per accennargli
-che quella notizia era diretta a lui.
-
-Il re aveva ascoltato il dialogo col cuore oppresso da inesprimibile
-angoscia, mentre ignorava che fosse per concludere il militare
-francese, e lo irritavano quei dettagli celati sotto l’apparenza di
-assoluta non curanza.
-
-Solamente respirò libero alle ultime parole da questo profferite.
-
-«Ah diamine! disse Groslow, mi pensavo di esser riuscito meglio. Se non
-fosse tanto lontana di qui la casa di quel miserabile, ci tornerei a
-rifinirlo.
-
-«E fareste benone, se avete paura ch’ei la scapoli, rispose d’Artagnan;
-giacchè sapete che quando le ferite in testa non ammazzano sull’atto,
-dopo otto giorni sono bell’e risanate».
-
-E d’Artagnan lanciò una nuova occhiata a Parry, sul volto del quale
-appariva tanta gioja che Carlo gli porse la mano sorridendo.
-
-Parry chinatosi sulla mano del suo padrone, gliela baciava
-rispettosamente.
-
-«In verità, disse Athos a d’Artagnan, siete un uomo di parole e di
-spirito. Ma del re, che ne dite?
-
-«Mi va a genio la sua fisonomia: ha l’aspetto al tempo stesso buono e
-nobile.
-
-«Sì, ma si lascia prendere, seguitò Porthos, e questo è mal fatto.
-
-«Ho voglia di bere alla salute del re, disse Athos.
-
-«Dunque permettete ch’io faccia il brindisi, propose d’Artagnan.
-
-«Fate pure» approvò Aramis.
-
-Porthos guardava d’Artagnan maravigliando delle incessanti risorse che
-gli forniva il suo spirito da Guascone.
-
-Questi prese il bicchiere, ed avendolo empiuto si alzò.
-
-«Signori, disse ai compagni, beviamo, se così vi piace, alla salute di
-quello che presiede al pasto, del nostro colonnello, ed esso sappia che
-siamo a’ suoi comandi sino a Londra e più oltre».
-
-Siccome pronunziando questo, d’Artagnan fissava in viso Harrison,
-Harrison s’immaginò che per lui fosse il brindisi, e riverì i quattro
-amici, i quali ferme le pupille sul re Carlo, trincarono insieme,
-frattanto che Harrison dal canto suo vuotava il suo gotto senza alcuna
-diffidenza.
-
-Carlo porse il bicchiere a Parry, che vi versò qualche goccia di birra,
-giacchè il re stava alla regola di tutti gli altri, e portatoselo
-alle labbra osservando a vicenda i quattro gentiluomini, bevve con un
-sorriso ricolmo di nobiltà e di gratitudine.
-
-«Orsù! esclamò Harrison posando il gotto e senza il minimo riguardo per
-l’illustre prigioniero che conduceva, in viaggio!
-
-«Dove si pernotta, colonnello?
-
-«A Tyrsk.
-
-«Parry, disse il re alzatosi pure e voltosi al suo cameriere, il mio
-cavallo; voglio andare a Tyrsk.
-
-«Affè, disse d’Artagnan ad Athos, il vostro re mi ha propriamente
-sedotto, ed io sono totalmente a sua disposizione.
-
-«Se codesto che mi dite è sincero, rispose Athos, non arriverà sino a
-Londra.
-
-«Come mai?
-
-«Sì, perchè prima di quel momento lo avremo portato via.
-
-«Oh! questa volta poi, in parola d’onore, siete pazzo, fece d’Artagnan.
-
-«Dunque avete già stabilito qualche progetto? domandò Aramis.
-
-«Eh! disse Porthos, non sarebbe impossibile se si avesse un buon
-progetto.
-
-«Io non l’ho, replicò Athos, ma d’Artagnan ne troverà uno».
-
-Il tenente si strinse nelle spalle, e tutti si partirono.
-
-
-
-
-LXV.
-
-_D’Artagnan trova un progetto._
-
-
-Athos conosceva d’Artagnan forse meglio che questi non conoscesse sè
-stesso. Sapeva che in una mente avventurosa come la sua basta lasciar
-cadere un pensiero, alla guisa medesima che in un terreno vigoroso e
-ubertoso basta lasciar cadere un grano. Non si era quindi curato che il
-Guascone si fosse stretto nelle spalle, ed aveva continuato a camminare
-favellandogli di Raolo, argomento che in un’altra circostanza, e noi ce
-ne ricordiamo, aveva ben anzi schivato.
-
-A notte giunsero a Tyrsk. I quattro amici si mostrarono totalmente
-estranei e indifferenti alle misure di precauzione che si prendevano
-per assicurarsi della persona del re. Si ritirarono in una casa
-particolare, ed avendo da un momento all’altro da temere per sè stessi,
-si stabilirono in una sola stanza, riserbandosi la uscita per il caso
-di attacco. I servi furono distribuiti in varj luoghi. Grimaud si
-coricò sur un fascio di paglia traverso all’uscio.
-
-D’Artagnan era pensieroso, ed a momenti pareva che avesse perduta la
-sua loquacità consueta. Non diceva una parola, e fischiava, andando dal
-letto alla finestra. Porthos, il quale non osservava altro mai che le
-cose esterne, gli discorreva secondo il consueto. D’Artagnan rispondeva
-con dei monosillabi. Athos ed Aramis si guatavano sorridendo.
-
-La giornata era stata faticosa, eppure, tranne Porthos che aveva il
-sonno inflessibile quanto l’appetito, gli amici dormirono malamente.
-
-Alla mattina dipoi, il primo in piedi fu d’Artagnan. Era sceso alle
-scuderie, avea visitati i cavalli e date le istruzioni necessarie, ed
-Athos ed Aramis non erano peranco alzati, e Porthos russava ancora.
-
-La mattina alle otto si misero in cammino nello stesso ordine che la
-sera innanzi. Soltanto d’Artagnan lasciò avviarsi gli amici dal loro
-lato, e andò a rinnovare con mastro Groslow la relazione intavolata.
-
-Questi, dolcemente accarezzato in cuore dai suoi elogi, lo accolse con
-un sorriso graziosissimo.
-
-«Davvero, gli disse d’Artagnan, mi stimo fortunato di trovare qualcuno
-che voglia parlare la mia povera lingua. Il signor du Vallon mio amico
-è di carattere molto malinconico, talchè non gli si possono cavar di
-bocca quattro parole al giorno; i nostri due prigionieri, poi, capirete
-che hanno poca volontà di far conversazione.
-
-«Sono realisti nell’anima, disse Groslow.
-
-«Ragione di più perchè ci serbino rancore di aver preso lo Stuart, al
-quale spero che farete adesso un processo bello e buono.
-
-«Eh! fece Groslow, lo conduciamo per questo appunto a Londra.
-
-«E non lo perdete di vista, mi figuro.
-
-«Capperi! lo credo, io! Lo vedete, aggiunse ridendo l’ufficiale, ha una
-scorta veramente regia!
-
-«Oh! di giorno non v’è pericolo che vi sfugga, ma di notte....
-
-«Di notte si raddoppiano le cautele.
-
-«E qual metodo di sorveglianza adoprate?
-
-«Restano costantemente otto uomini nella sua camera.
-
-«Diamine! fece d’Artagnan, è custodito per bene. Ma fra quegli otto,
-voi mettete senza dubbio una guardia fuori? non sono mai troppe le
-precauzioni contro un simile prigioniero.
-
-«Oh no! figuratevi: che volete che facciano due senz’armi contro otto
-uomini armati?
-
-«Come, due?
-
-«Sì, il re ed il suo cameriere.
-
-«Dunque è stato permesso ai camerieri di non abbandonarlo?
-
-«Sì; Stuart ha chiesto gli si concedesse questa grazia, ed il
-colonnello Harrison vi ha aderito. Col pretesto ch’è re, pare non possa
-vestirsi nè spogliarsi da sè solo....
-
-«In verità, capitano, disse d’Artagnan deciso a continuare verso
-l’ufficiale inglese il sistema di lodi riuscitogli tanto bene, più
-vi ascolto, e più stupisco della facilità ed eleganza con cui parlate
-francese. Siete stato in Parigi tre anni, va ottimamente, ma io potrei
-stare a Londra tutta la vita, e di certo non arriverei al grado al
-quale voi siete.... E che facevate in Parigi?
-
-«Mio padre, ch’è negoziante, mi aveva impiegato dal suo corrispondente,
-e questi dal canto suo aveva mandato il suo figliuolo dal mio genitore:
-è uso fra commercianti di far simili cambi.
-
-«E Parigi vi piacque, signor mio?
-
-«Sì, ma avreste gran bisogno di una rivoluzione sul genere della
-nostra: non contro il vostro re, ch’è un ragazzo, ma contro l’Italiano
-spilorcio ch’è amante della vostra regina.
-
-«Ah! sono anch’io del vostro sentimento, e si farebbe presto se
-avessimo solamente dodici uffiziali come voi, senza pregiudizi,
-vigilanti; eh, eh! ci si verrebbe a capo del Mazzarino, e gli si
-farebbe un bel processetto sul gusto di quello che voi siete per fare
-al vostro re.
-
-«Ma, disse l’Inglese, avevo nell’idea che foste al suo servizio, e
-ch’egli appunto vi avesse inviato al generale Cromvello?
-
-«Cioè io sono al servizio del re, e sapendo ch’ei doveva spedire
-qualcuno in Inghilterra, ho procurato di esser io quello, tanto era
-grande in me il desiderio di conoscere l’uomo di genio che attualmente
-comanda ai tre regni. E così, quando ha proposto al signor du Vallon
-ed a me di sguainare la spada in onore della vecchia Inghilterra, avete
-veduto come abbiamo accettato.
-
-«Sì, so che caricaste al fianco al signor Mordaunt.
-
-«Alla sua destra, e alla sua sinistra. Per Diana! che buono e bravo
-giovane è anco quello! come ha sdrucito il suo signore zio! avete
-visto?
-
-«Lo conoscete? domandò l’ufficiale.
-
-«Moltissimo; anzi posso dire che siamo in istretta relazione. Il signor
-du Vallon ed io siam venuti di Francia con lui.
-
-«Sembra pure che lo abbiate fatto aspettare un pezzo a Boulogne.
-
-«Che volete! disse d’Artagnan, ero come voi; avevo da far guardia ad un
-re.
-
-«Ah ah! fece Groslow, e qual re?
-
-«Il nostro, per bacco! il piccolo _King_ Luigi decimoquarto».
-
-D’Artagnan si levò il cappello; l’Inglese per civiltà fece altrettanto.
-
-«E quanto tempo lo aveste in guardia?
-
-«Tre notti, e affè me le rammenterò sempre con piacere.
-
-«Dunque il giovane re è molto amabile?
-
-«Dormiva colle pugna chiuse.
-
-«E allora che mai volete dire?
-
-«Voglio dire che i miei amici ufficiali delle guardie dei moschettieri
-venivano a tenermi compagnia, e passavamo le nottate a bere e giuocare.
-
-«Ah sì! sospirò Groslow, siete allegri compagni, voi altri Francesi.
-
-«Non giuocate forse anche voi quando siete di guardia?
-
-«No, mai.
-
-«In tal caso dovete annojarvi assai, e vi compiango, disse d’Artagnan.
-
-«Fatto sta, soggiunse Groslow, che mi sbigottisce il vedere arrivare il
-mio turno: è lunga una notte intera a vegliare.
-
-«Sì, quando si veglia soli o con stupidi soldati; ma essendo con
-un allegro compagno di giuoco, facendo correre l’oro e i dadi sul
-tavolino, passano le ore come un sogno. Non vi piace il giuoco?
-
-«Anzi!
-
-«Per esempio, la zecchinetta?
-
-«Ci vado matto; in Francia mi ci divertivo tutte la sere.
-
-«E dacchè siete in Inghilterra?
-
-«Non ho toccato una carta nè un bossolo.
-
-«Vi compatisco! disse d’Artagnan in atto di profonda pietà.
-
-«Sentite, seguitò l’inglese, fate una cosa.
-
-«Cioè?
-
-«Domani io sono di guardia.
-
-«Presso a Stuart?
-
-«Sì: venite a far nottata con me.
-
-«È impossibile.
-
-«Impossibile?
-
-«Impossibilissimo.
-
-«Come mai?
-
-«Ogni notte fo la partita col signor du Vallon.... Qualche volta non
-ci mettiamo neppure a letto.... ecco, stamani a giorno stavamo sempre
-giuocando.
-
-«Ebbene?
-
-«Ebbene, s’infastidirebbe se lo lasciassi solo.
-
-«Regge forte a tavolino?
-
-«L’ho veduto perdere sino a duemila doppie ridendo come un pazzo.
-
-«Dunque conducetelo con voi.
-
-«Come volete? e i nostri prigionieri?
-
-«Oh diamine! è vero, rispose Groslow; ma fateli custodire dai vostri
-lacchè.
-
-«Sì, per che scappino! non mi ci arrischio!
-
-«Ma sono uomini d’alta condizione, poichè vi premono tanto?
-
-«Capperi! uno è un ricco signore della Turrena; l’altro un cavaliere di
-Malta di casa grandissima. Abbiamo trattato del riscatto di ciascuno
-a due mila lire sterline arrivando in Francia. Sicchè non vogliamo
-abbandonare un momento soggetti che i nostri servitori sanno esser
-milionarj. Nel prenderli gli abbiamo frugati un poco, e vi confesserò
-di più che ogni notte du Vallon ed io mungiamo alquanto la loro borsa,
-ma possono averci nascosto qualche pietra preziosa, qualche diamante
-di valore, talchè noi siamo simili agli avari che non lasciano il loro
-tesoro; ci siamo costituiti guardiani permanenti di coloro, e quando io
-dormo, du Vallon sta desto.
-
-«Ah ah! fece l’Inglese.
-
-«Adesso capite ciò che mi obbliga al ricusare la vostra garbatezza,
-alla quale però sono tanto più sensibile dacchè nulla v’ha di più
-nojoso che il giuocar sempre con la stessa persona: si compensano di
-continuo in eterno le sorti favorevoli e contrarie, e a capo a un mese
-si trova di non aver fatto nè mal nè bene.
-
-«Ah! disse Groslow sospirando, v’è una cosa ancor più nojosa, ed è di
-non giuocare affatto.
-
-«Lo comprendo! disse d’Artagnan.
-
-«Ma vediamo un po’, seguitò l’altro, son uomini pericolosi quei vostri?
-
-«In quanto a che?
-
-«Son capaci di tentare un colpo di mano?»
-
-D’Artagnan diede in uno scroscio di risa.
-
-«Gesù Dio! esclamò, uno batte la febbre, non potendo assuefarsi al bel
-paese da voi abitato; l’altro è un cavaliere di Malta, timido al pari
-di una fanciulla; e per maggior sicurezza abbiamo tolto loro anche i
-coltelli piegatoj e le cesoje da tasca.
-
-«Or bene, propose Groslow, conducete anco loro.
-
-«Come volete?...
-
-«Ma si, io ho ott’uomini.
-
-«Ebbene?
-
-«Quattro faran guardia ed essi, e quattro al re.
-
-«In sostanza, disse d’Artagnan, si potrebbe aggiustar così, benchè vi
-do un grande incomodo.
-
-«Eh via! venite, e vedrete come sistemerò tutto.
-
-«Oh! io non ci penso, rispose il nostro tenente, con un uomo della
-vostra fatta, vado a occhi chiusi».
-
-Quest’ultimo tratto di adulazione cavò dall’uffiziale uno di quei
-sorrisi di soddisfazione che rendono le persone amiche a quello che li
-provoca, essendo un’evaporazione della vanità accarezzata.
-
-«Ma, disse d’Artagnan, ora che ci penso, e che ostacolo vi sarebbe a
-cominciare stassera?
-
-«Che cosa?
-
-«La nostra partita.
-
-«Nessuno, replicò Groslow.
-
-«Or dunque, stassera venite da noi, e domani vi renderemo la visita.
-Se nei nostri uomini, che secondo sapete sono realisti accaniti, v’è
-qualcosa che vi dia inquietudine, non sarà fatto niente, e avremo
-sempre passata una buona nottata.
-
-«A meraviglia! questa notte da voi, domani da Stuart, doman l’altro da
-me.
-
-«E gli altri giorni a Londra. Eh caspita! vedete che si può far vita
-allegra da per tutto!
-
-«Sì, quando s’incontrano dei Francesi, e Francesi come voi, disse
-Groslow.
-
-«E come du Vallon; vedrete che pezzo è quello! della _Fronda_ in carne
-e in ossa, un uomo ch’è stato in procinto di ammazzare fra uscio e muro
-il Mazzarino. E’ lo impiegano perchè ne hanno paura.
-
-«Sì, confermò Groslow; ha buona ciera, e senza ch’io lo conosca mi va
-veramente a genio.
-
-«E sarà ben altro quando lo conosciate.... Oh! ecco che mi chiama.
-Perdonatemi, siamo in sì stretta relazione che non può star senza di
-me.... mi scusate?
-
-«Eh diamine!
-
-«Addio a questa sera.
-
-«Da voi?
-
-«Da me».
-
-L’Inglese ed il Francese si salutarono, e quest’ultimo ritornò presso i
-suoi camerati.
-
-«Che diavolo avevate da discorrere con quel cane _bouledogue_? domandò
-Porthos.
-
-«Mio caro, disse d’Artagnan, non parlate così del signor Groslow, è
-amico mio intrinseco.
-
-«Vostro amico, quell’ammazzatore di contadini!
-
-«Zitto, Porthos, zitto! è vero, sì, il Groslow è un po’ troppo vivo,
-ma in fondo io ho scoperte in lui delle buone qualità: è sciocco e
-orgoglioso».
-
-Porthos stupefatto spalancava gli occhi; Athos ed Aramis si guardavano
-sorridendo: conoscevano d’Artagnan, e sapevano ch’ei nulla faceva senza
-uno scopo.
-
-«E poi, continuò questi, lo apprezzerete da voi medesimo.
-
-«In qual modo?
-
-«Stassera ve le presento, viene a giuocare con noi.
-
-«Oh oh! disse Porthos a cui si accesero gli occhi, ed è ricco?
-
-«È figliuolo di uno dei più facoltosi negozianti di Londra.
-
-«E sa la zecchinetta?
-
-«È la sua passione.
-
-«La bassetta?
-
-«È la sua smania.
-
-«Il biribisso?
-
-«C’è famoso,
-
-«Bene! fece Porthos, passeremo una piacevole nottata.
-
-«Piacevole tanto più che ce ne prometterà una migliore.
-
-«Come mai?
-
-«Noi lo riceviamo a giuocare stassera; egli riceve noi domani.
-
-«E dove?
-
-«Ve lo dirò. Adesso non ci occupiamo che d’una cosa: di corrispondere
-degnamente all’onore che ci comparte il signor Groslow. Stassera ci
-fermeremo a Derby; Mousqueton vada avanti, e se v’è una sola bottiglia
-di vino in tutta la città, ce la compri. Neppur sarebbe male che
-preparasse una buona cena a cui non prenderete parte, voi Athos, perchè
-avete la febbre, e voi Aramis, perchè siete cavaliere di Malta, e i
-discorsi di beoni pari nostri vi spiacciono e vi fanno arrossire.... mi
-sentite?
-
-«Sì, disse Porthos, ma il diavolo mi porti se vi capisco.
-
-«Porthos, mio caro, voi sapete che io discendo dagli indovini per la
-parte di mio padre, e dalle sibille per quella di mia madre, e non
-parlo se non a enigmi e parabole; coloro che hanno orecchie ascoltino,
-coloro che hanno occhi guardino, per il momento non posso dir altro.
-
-«Fate pure, amico mio, rispose Athos, seno certo che quel che voi fate
-sta bene.
-
-«E voi, Aramis, siete della stessa opinione?
-
-«Interamente, caro d’Artagnan.
-
-«Alla buon’ora! disse d’Artagnan, questi son veri credenti, e per loro
-v’è gusto a tentare dei miracoli; non è come l’incredulo Porthos, che
-vuol sempre vedere e toccare per credere.
-
-«Realmente, fece Porthos maliziosamente, io sono molto incredulo».
-
-D’Artagnan gli diede un colpetto sulla spalla, e siccome erano giunti
-alla fermata della colazione, fu troncata là ogni ciarla.
-
-Verso le cinque ore di sera, a tenore del convenuto, si fece partire
-avanti Mousqueton. Mousqueton non parlava inglese, ma dacchè era in
-Inghilterra aveva osservata una cosa, ciò che Grimaud con l’abitudine
-del gesto aveva questo sostituito pienamente alla favella; sicchè si
-era applicato a studiare il gesto con Grimaud, ed in poche lezioni,
-mercè la superiorità del maestro, era giunto ad una certa forza:
-Blaisois lo accompagnò.
-
-I quattro amici traversando la strada principale di Derby adocchiarono
-Blaisois ritto all’ingresso di un casamento di bellissima apparenza:
-ivi era apparecchiato il loro alloggio.
-
-In tutta la giornata non si erano accostati al re per tema di dar
-sospetto, ed invece di pranzare alla tavola del colonnello Harrison,
-conforme aveano fatto il giorno innanzi, avevano desinato fra di loro.
-
-All’ora stabilita, venne Groslow. D’Artagnan lo accolse siccome
-avrebbe accolto un che gli fosse stato amico da venti anni. Porthos lo
-squadrò da cima a fondo, e sorrise osservando che non ostante il colpo
-rimarchevolissimo da lui dato al fratello di Parry non era di forza
-eguale alla sua. Athos ed Aramis fecero quanto poterono onde occultare
-il disgusto che loro inspirava quell’indole grossolana e brutale.
-
-In conclusione Groslow si mostrò pago del ricevimento.
-
-Athos ed Aramis si mantennero nel loro carattere. A mezzanotte
-si ritirarono nella loro camera, della quale, col pretesto di
-sorveglianza, era stato aperto l’uscio. Inoltre d’Artagnan ve li
-accompagnò, lasciando Porthos alle prese con Groslow.
-
-Porthos guadagnò cinquanta doppie a Groslow, e nell’andarsene lo ebbe
-per miglior compagno che non lo avesse giudicato dapprima.
-
-Groslow, poi, si propose di rifarsi alla domane a pregiudizio di
-d’Artagnan della sconfitta subita con Porthos, e lasciò il Guascone
-rammentandogli il convegno fissato per la sera.
-
-Diciamo la _sera_, imperciocchè i giuocatori si separarono alle quattro
-ore del mattino.
-
-Trascorse la giornata al solito; d’Artagnan andava dal capitano Groslow
-al colonnello Harrison, e da questo a’ suoi amici. Per uno che non lo
-avesse conosciuto e’ pareva nel suo stato ordinario; pe’ suoi amici,
-vale a dire per Athos ed Aramis, il suo brio era tutto febbre.
-
-«Che può egli macchinare? diceva Aramis.
-
-«Aspettiamo, rispondeva Athos».
-
-Porthos non fiatava; ma contava una dopo l’altra nel borsellino con
-aria di soddisfazione ostensibile le cinquanta doppie vinte al Groslow.
-
-La sera arrivato a Ryston, d’Artagnan radunò gli amici. Gli si era
-dileguata dal volto quella maschera di noncurante giovialità che vi
-aveva tenuto sino allora.
-
-Athos strinse la mano ad Aramis, dicendogli:
-
-«Si avvicina il momento.
-
-«Sì, disse d’Artagnan che lo aveva udito, si avvicina, signori; questa
-notte salveremo il re».
-
-Athos palpitò, gli brillarono le pupille; e dubitando dopo che aveva
-sperato, domandò:
-
-«D’Artagnan, non è già questo uno scherzo? oh! mi farebbe troppo male.
-
-«Siete pur singolare, rispose il tenente dei moschettieri, se così di
-me dubitate! Dove e quando mai mi vedeste a scherzare col cuore di un
-amico e colla vita di un re? Vi ho detto, e vi ripeto che questa notte
-salveremo Carlo I. Vi siete rapportati a me per trovare il mezzo, e
-questo è trovato».
-
-Porthos guardava d’Artagnan con ammirazione. Aramis sorrideva come
-chi molto si lusinghi. Athos pallido come un morto tremava in tutte le
-membra.
-
-«Parlate, disse Athos».
-
-Porthos aprì tanto d’occhi; Aramis, quasi diremmo, si sospese alle
-labbra del Guascone.
-
-«Siamo invitati a far nottata da Groslow; lo sapete?
-
-«Sì, rispose Porthos, ci ha fatto promettere di dargli la rivincita.
-
-«Bene; ma vi è noto dove gliela daremo?
-
-«No.
-
-«Dal re.
-
-«Eh! esclamò Athos.
-
-«Sì, dal re. Questa sera mastro Groslow è di guardia presso Sua Maestà,
-e per distrarsi nel far sentinella, ci chiama a fargli compagnia.
-
-«Tutti e quattro? domandò Athos.
-
-«Sì! di certo, tutti: e che forse noi abbandoniamo i nostri prigionieri?
-
-«Ah ah! fece Aramis.
-
-«Sentiamo, disse Athos palpitando.
-
-«Sicchè, si va da Groslow, noi colle nostre spade, voi con dei pugnali;
-e in quattro che siamo c’impossessiamo di quegli otto imbecilli e dello
-stupido loro comandante. Che ne dite, messer Porthos?
-
-«Dico ch’è facile.
-
-«Vestiamo il re da Groslow; Mousqueton, Grimaud e Blaisois ci tengon
-pronti dei cavalli con la sella addosso; alla svolta della prima strada
-ci saltiamo sopra, e innanzi giorno siamo distanti di qui venti leghe.
-Eh? è combinato bene, Athos?»
-
-Athos posate le mani sulle spalle a d’Artagnan, l’osservava con la sua
-calma e il suo dolce sorriso consueto.
-
-«Amico, disse, io dichiaro che non vi è sotto il cielo creatura che vi
-pareggi in nobiltà e coraggio: mentre vi supponevamo indifferente alle
-nostre pene, alle quali senza punto mancare potevate non associarvi,
-fra noi tutti voi solo rinvenite ciò che noi andiamo invano cercando.
-Dunque, te lo ripeto d’Artagnan, tu sei fra noi il migliore, ed io ti
-benedico ed amo, carissimo figlio.
-
-«E a dire ch’io non l’avevo raccapezzato! fece Porthos percuotendosi la
-fronte; è tanto semplice!
-
-«Ma, osservò Aramis, se ho inteso bene, ammazzeremo tutti, non è così?»
-
-Athos impallidì, e rabbrividiva.
-
-«Caspita! gridò d’Artagnan, e’ bisognerà che sia a questo modo! ho
-rintracciato per molto tempo se v’era maniera di scansare la faccenda,
-ma non l’ho trovata.
-
-«Orsù, riprese Aramis, qui non si tratta di sofisticare con la nostra
-posizione; come si procede?
-
-«Ho fatto un duplice piano, rispose il Guascone.
-
-«Sentiamo il primo.
-
-«Se siamo tutti e quattro riuniti al mio segnale, e il segnale sarà
-la parola _finalmente_, voi immergete ciascheduno un pugnale nel
-cuore del soldato che avete più vicino; noi dal canto nostro facciamo
-altrettanto; ecco subito quattro uomini morti; dunque la partita
-diventa pari, giacchè siamo quattro contro cinque; quei cinque si
-arrendono, e si mette loro la sbarra in bocca; o si difendono, e gli
-uccidiamo. Se per caso il nostro ospite cambia parere, e non riceve
-a giuocare con lui altro che Porthos e me, cospettone! bisognerà
-ricorrere a gravi compensi picchiando a doppio: la cosa sarà più lunga
-e clamorosa, ma voi altri starete fuori con buone spade, e udendo il
-chiasso accorrerete.
-
-«E se trafiggessero voi? domandò Athos.
-
-«Non è possibile: rispose d’Artagnan, quei bevitori di birra sono
-troppo pesanti e sgarbati. E di più, Porthos, voi tirerete sulla gola:
-con ciò si ammazza più presto, e s’impedisce anco di urlare.
-
-«Benone! fece Porthos, sarà un graziosissimo scannamento.
-
-«Orribile! orribile! mormorò Athos.
-
-«E via, signor sensibile! disse d’Artagnan, fareste ben di peggio in
-una battaglia. D’altronde, amico, se vi pare che la vita del re non
-vaglia ciò che deve costare, sia il tutto per non detto, ed io fo
-avvisare al signor Groslow che sono ammalato.
-
-«No no, ho torto.... e voi avete ragione; perdonatemi, replicò Athos».
-
-Nel momento fu aperto l’uscio, e venne un soldato dicendo malamente in
-francese:
-
-«Il signor capitano Groslow previene i signori d’Artagnan e du Vallon
-che gli aspetta.
-
-«Dove? domandò il tenente.
-
-«Nella camera del Nabucodonosor inglese, fece il soldato, puritano per
-la vita.
-
-«Va ottimamente, rispose in buon inglese Athos a cui andava il sangue
-al capo udendo quell’insulto fatto alla regia Maestà, dite al capitano
-Groslow che ci andiamo subito».
-
-Poi, uscito il puritano, era dato l’ordine ai lacchè di por la sella
-ad otto cavalli, e ire ad attendere, senza separarsi uno dall’altro,
-nè metter piede a terra, sul canto di una contrada situata all’incirca
-venti passi lontano dalla casa dove il re era alloggiato.
-
-
-
-
-LXVI.
-
-_La partita a zecchinetta._
-
-
-Erano nove ore di sera; si era cambiata la guardia alle otto, e da
-un’ora questa toccava a Groslow.
-
-D’Artagnan e Porthos con le loro spade, ed Athos ed Aramis con un
-pugnale ciascuno nascosto in seno, si avanzarono verso la casa che
-in quella sera serviva di prigione a Carlo Stuart. Questi due ultimi
-seguivano i loro vincitori, umili e inermi in apparenza come due
-detenuti.
-
-«Affè, disse Groslow quando li vide, non vi aspettavo più».
-
-D’Artagnan gli si accostò, e gli disse piano:
-
-«Diffatti, du Vallon ed io abbiamo esitato un pochino a venire.
-
-«E perchè?»
-
-Il tenente accennò con l’occhio Athos ed Aramis.
-
-«Ah ah! fece il capitano inglese, a motivo delle opinioni? poco
-importa! anzi (aggiunse ridendo), se vogliono vedere il loro Stuart lo
-vedranno.
-
-«Si passa la nottata in camera del re? chiese d’Artagnan.
-
-«No, ma in quella contigua, e siccome l’usciale resterà aperto, sarà
-precisamente come se fossimo nella stanza medesima. Vi siete provvisti
-di denari? Vi dichiaro ch’io conto di fare un giuoco precipitoso.
-
-«Sentite mo’? disse d’Artagnan facendosi suonar l’oro nelle saccoccie.
-
-«_Very good!_ fece Groslow».
-
-E schiuse la porta.
-
-«Per insegnarvi la strada, aggiunse».
-
-Ed entrò prima a tutti.
-
-D’Artagnan si girò verso i camerati: Porthos se ne stava noncurante
-quasi si trattasse di una partita ordinaria; Athos pallido, ma
-risoluto; Aramis col fazzoletto si asciugava la fronte bagnata da un
-lieve sudore.
-
-Le otto guardie erano al loro posto: quattro nella camera del re,
-due all’uscio di comunicazione, due a quello d’onde s’introducevano
-i quattro amici. Al mirare le spade nude Athos sorrise: dunque non
-sarebbe più un macello, ma bensì un combattimento.
-
-E da quel punto sembrò ritornasse in tutto il suo buon umore.
-
-Carlo, che ben si scorgeva dalla bussola aperta, stava sul letto bell’e
-vestito: senonchè si era buttato addosso una coperta di lana. A capo al
-suo letto era seduto Parry, che leggeva sotto voce, ma forte abbastanza
-per che lo udisse Carlo il qual l’ascoltava a occhi chiusi, un certo
-rosario in una Bibbia cattolica.
-
-Una brutta candela di sego, posta sur una tavola nera, rischiarava la
-faccia rassegnata del monarca, e il viso assai meno tranquillo del fido
-suo servo.
-
-Tratto tratto Parry s’interrompeva credendo che il sovrano dormisse
-daddovero: allora questi alzava le ciglia e sorridendo dicevagli:
-
-«Mio buon Parry, continua pure, ti sento».
-
-S’inoltrò Groslow fin sulla soglia della camera del re, si rimise
-in testa con ostentazione il cappello che avea tenuto in mano per
-accogliere gli ospiti, considerò un momento con disprezzo quel quadro
-semplice e commovente d’un vecchio domestico intento a leggere la
-Bibbia al suo re prigioniero, si assicurò che ogni uomo fosse per
-l’appunto nel luogo da lui assegnatogli, e voltosi a d’Artagnan lo
-guardò in atto di trionfo come mendicando da esso un elogio della sua
-tattica.
-
-«A meraviglia! fece il Guascone, caspita! vo’ sarete un generale di
-qualche distinzione.
-
-«Ehi! vi credete, domandò l’Inglese, che mentre io sia di guardia
-presso di lui, lo Stuart se la fugga?
-
-«No di sicuro, rispose d’Artagnan, ammenochè dal cielo gli piovano
-degli amici».
-
-Sulle guance a Groslow appariva un vero giubilo.
-
-Siccome Carlo Stuart durante quella scena era stato costantemente
-a occhi serrati, non v’è da decidere se si fosse accorto o no della
-tracotanza del puritano. Ma a suo malgrado, udito ch’ebbe il suono
-della voce di d’Artagnan le sue palpebre non istettero più basse.
-
-E anche Parry si scosse e sospese la lettura.
-
-«Perchè ti fermi? disse il re, tira innanzi, Parry mio.... se però non
-sei troppo stanco.
-
-«No, sire, fece il cameriere».
-
-E ricominciò.
-
-Nella prima stanza era preparato un tavolino coperto da un tappeto; e
-su questo due moccoli accesi, e due bossoli e i dadi.
-
-«Signori (così parlò Groslow), di grazia, accomodatevi: io, dirimpetto
-a Stuart, che tanto mi è caro di vedere, soprattutto dov’è adesso; voi,
-signor d’Artagnan, di faccia a me».
-
-Athos si fece rosso di collera. D’Artagnan lo fissò inarcando le ciglia.
-
-«Così è; rispose quest’ultimo, voi, signor conte di la Fère, a man
-diritta al signor Groslow; voi, cavaliere d’Herblay, a sinistra;
-voi, du Vallon, accanto a me. Voi scommettete dalla mia parte, e quei
-signori da quella di master Groslow».
-
-Così d’Artagnan li teneva, Porthos a manca, e gli parlava col
-ginocchio, Athos ed Aramis dirimpetto, e caricava su di essi il suo
-sguardo.
-
-Al nome del conte di la Fère e del cavaliere d’Herblay, Carlo riaperse
-gli occhi, e ad onta sua sollevando la nobile testa, esaminava tutti
-gli attori della scena.
-
-Nel momento Parry voltò alcune pagine della Bibbia, e lesse ad alta
-voce questo verso di Geremia:
-
-«Disse Iddio, ascoltate le parole de’ profeti, o miei servi, che io
-premurosamente vi mandai e inverso a voi condussi».
-
-I quattro compagni ricambiarono un’occhiata. I termini di che si era
-servito Parry ad essi dinotavano qualmente il re ascrivesse la di loro
-presenza al suo vero movente.
-
-D’Artagnan esultava.
-
-«Poc’anzi mi domandavate, ei disse, se stava bene a soldi».
-
-E posava sulla tavola una ventina di doppie.
-
-«Sì, disse Groslow.
-
-«Or bene; adesso io dico a voi: tenetevi bene stretto il vostro
-tesoro, carissimo signor Groslow, perchè non esciremo di qui se non
-portandovelo via.
-
-«Ma non già senza ch’io l’abbia difeso, ribattè l’Inglese.
-
-«Meglio così! battaglia, capitano mio! battaglia! Sapete o non sapete,
-che questa è quella che vogliamo?
-
-«Ah ah! lo so, fece Groslow con una goffa risata, non cercate altro che
-lividi e piaghe voi altri Francesi».
-
-Carlo infatti aveva udito e capito tutto. Gli ascese sul volto un lieve
-rossore; i soldati che l’osservavano lo videro a poco distendere le
-stanche membra, e col pretesto di un caldo eccessivo provocato dalla
-stufa, scostare la coperta sotto la quale conforme già avvertivamo egli
-si stava coricato ma vestito.
-
-Athos ed Aramis si rallegrarono nel riconoscere che il re non fosse
-nudo.
-
-Incominciò la partita. La sorte si era girata ed era tutta per Groslow;
-egli reggeva ad ogni posta, e vinceva sempre. Così passarono da un
-tavolino all’altro un centinajo di doppie. Il puritano andava matto dal
-contento.
-
-Porthos, il quale aveva riperdute le cinquanta doppie guadagnate la
-sera precedente, ed inoltre una trentina del suo, era molto burbero,
-e col ginocchio interrogava d’Artagnan, quasi per domandargli se fosse
-tempo di cambiar giuoco. Athos ed Aramis lo consideravano attentissimi,
-ma d’Artagnan rimaneva impassibile.
-
-Suonarono le dieci. Si udì a passare la pattuglia.
-
-«Quante pattuglie fate voi a questo modo? richiese d’Artagnan levandosi
-di tasca altre monete.
-
-«Cinque, disse Groslow, una ad ogni due ore.
-
-«Benone! rispose il tenente, è misura prudentissima».
-
-E allora toccò a lui fissare in viso Athos ed Aramis.
-
-S’intesero i passi della ronda che si allontanava.
-
-D’Artagnan rispose per la prima volta alle ginocchiate di Porthos con
-un altro consimile.
-
-Frattanto, attratti dall’allettamento del giuoco e dalla vista
-dell’oro, tanto possente su tutti gli uomini, i soldati, che
-avevano ordine di rimanere nella stanza del re, si erano lemme lemme
-avvicinati all’uscio, e là drizzandosi in punta di piedi, guardavano
-di sopra alla spalla di d’Artagnan e di Porthos; quelli della porta
-si erano pure appressati, secondando per cotal guisa le brame dei
-quattro amici, che preferivano averli tutti così alla mano anzi che
-dover correre a cercarli da un canto all’altro della camera. Le due
-sentinelle sull’ingresso avevano tuttavia la spada nuda, se non che si
-appoggiavano sulla punta ed abbadavano ai giuocatori.
-
-Sembrava che Athos si calmasse a misura che si avvicinava il momento;
-le sue due mani bianche e signorili scherzavano coi luigi che torceva
-e riaddrizzava con tanta facilità come se l’oro fosse stato stagno;
-Aramis, meno padrone di sè, si frugava di continuo sul petto; Porthos,
-infastidito del perder sempre, dava di ginocchio a più non posso.
-
-D’Artagnan voltosi macchinalmente indietro, vide fra due soldati
-Parry in piedi, e Carlo posando il gomito, ma a mani giunte come in
-atto di dirigere a Dio una fervida preghiera. Il tenente capì ch’era
-arrivato l’istante opportuno, che ognuno era al suo posto, e che non
-si attendeva più altro che la parola; «Finalmente!» la quale, noi ce le
-rammentiamo, dovea servire di segnale.
-
-Lanciò uno sguardo preparatorio ad Athos e Aramis, e questi due
-trassero indietro piano piano le loro sedie per aver libertà di
-muoversi.
-
-Dette di nuovo nel ginocchio a Porthos, il quale si rizzò, quasi per
-isciogliersi le gambe intorpidite: però nel levarsi si accertò che la
-sua spada potesse uscire dal fodero facilmente.
-
-«Corpo di Bacco! disse d’Artagnan, altri venti doppie perdute! Ma,
-capitano Groslow, avete troppa fortuna; non può durare così!»
-
-E mise fuori altre venti monete.
-
-«Capitano, un tiro solo; queste venti doppie in un botto, sull’ultimo.
-
-«Sia pure, apprestò l’Inglese».
-
-E voltò due carte, conforme è l’uso, un re per d’Artagnan, un asso per
-sè.
-
-«Re! fece il tenente, è buon augurio.... Ehi! messer Groslow, aggiunse,
-badate al re!»
-
-E non ostante il potere che aveva sovra sè stesso, lasciò trapelare
-dall’accento qualche cosa di straordinario che fece scuotere il suo
-avversario.
-
-Groslow principiò a voltare le carte una dopo l’altra; se voltava prima
-un asso aveva vinto, se un re, avea perduto. Voltò un re.
-
-«Ah! finalmente!» esclamò d’Artagnan.
-
-Tosto si alzarono Athos ed Aramis; Porthos fè un passo indietro. Erano
-prossimi a splendere spade e pugnali. Ma ad un tratto fu aperta la
-porta, e si mostrò sulla soglia Harrison, accompagnato da un uomo
-involto in un ferrajuolo.
-
-A tergo a costui si vedevano rilucere i moschetti di cinque o sei
-soldati.
-
-Groslow si rizzò con impeto, vergognandosi di esser còlto fra mezzo
-alle bottiglie, ai dadi e alle carte. Harrison non pose mente a lui, ed
-entrato nella stanza del re con quello che lo seguiva, disse:
-
-«Carlo Stuart, ci giunge l’ordine di condurvi a Londra senza fermarsi
-nè di notte nè di giorno: apparecchiatevi a partire sull’atto.
-
-«E da parte di chi viene l’ordine? domandò Carlo.
-
-«Dal generale Oliviero Cromvello».
-
-Ed Harrison continuò:
-
-«Ecco il signor Mordaunt, che n’è il latore e incaricato di farlo
-eseguire.
-
-«Mordaunt!...» esclamarono i quattro camerati guatandosi
-scambievolmente.
-
-D’Artagnan tolse di sul tavolino tutto il danaro perduto da lui e da
-Porthos e se lo cacciò nell’ampia saccoccia. Athos ed Aramis gli si
-posero a tergo. A quel movimento Mordaunt si voltò e li riconobbe, e
-diede un’esclamazione di gioja selvaggia.
-
-«Ho idea che siamo presi, disse sommessamente d’Artagnan agli amici.
-
-«Non per anco, fece Porthos.
-
-«Colonnello! colonnello! gridò Mordaunt, fate che si circondi
-questa stanza, siete tradito. Questi quattro Francesi sono fuggiti
-da Newcastle, e vogliono sicuramente portar via il re! siano tosto
-arrestati!
-
-«Oh giovanotto! disse d’Artagnan sguainando la spada, codesto è ordine
-più facile a darsi che ad eseguirsi».
-
-E segnandosi attorno un tratto terribile di molinello:
-
-«Amici! ritirata! ritirata!»
-
-Nel medesimo tempo si avventò sulla porta, ed atterrò due soldati che
-la custodivano prima che avessero campo di caricare i moschetti; Athos
-ed Aramis gli furono appresso; Porthos fece da retroguardia, e innanzi
-che soldati, uffiziali e colonnello avessero agio a prender fiato,
-erano tutti e quattro in istrada.
-
-«Fuoco! gridò Mordaunt, fuoco su coloro!»
-
-Di fatti vi furono due o tre spari di fucile, ma non sortirono altro
-effetto se non di mostrare i quattro fuggiaschi che sani e salvi
-giravano dall’angolo della contrada.
-
-I cavalli erano al luogo prefisso, i servi ebbero soltanto da gettar le
-briglie ai padroni, i quali si trovarono in sella con la leggerezza di
-esperti cavallerizzi.
-
-«Innanzi! disse d’Artagnan, e forte di sprone!»
-
-E tutti seguendo lui corsero ripigliando la stessa via fatta nel
-giorno, cioè dirigendosi in verso Scozia. Il borgo non aveva porta nè
-mura, e quindi essi ne uscirono senza difficoltà.
-
-A distanza di cinquanta passi dall’ultima casa d’Artagnan si soffermò e
-disse agli altri:
-
-«Alto!
-
-«Come alto! esclamò Porthos, anzi di galoppo, volete dire.
-
-«Niente affatto! Questa volta vorranno inseguirci; lasciamoli venir
-fuori dal borgo e correrci appresso sulla strada di Scozia, e quando
-gli avremo visti a passare volando, noi prenderemo il cammino opposto».
-
-A breve spazio di là era un ruscello, e su questo un ponte; d’Artagnan
-menò il suo destriero sotto l’arco dei ponte, gli amici pure vi
-andarono seco.
-
-Dopo dieci minuti appena che stavano colà udirono avvicinarsi di
-galoppo una turba d’uomini a cavallo. E indi a cinque minuti questa
-transitava di sopra alle loro teste, senza figurarsi che quelli di
-cui andava in cerca non erano da lei separati se non che dalla sola
-grossezza della vôlta del ponte.
-
-
-
-
-LXVII.
-
-_Londra._
-
-
-Perduto che si fu in lontananza lo strepito del camminare dei
-destrieri, d’Artagnan tornò sulla riva del fiumicello, e si mise a
-battere la pianura, orizzontandosi quanto fosse possibile inverso
-Londra. I tre amici lo seguitarono in silenzio sino a che mediante un
-mezzo giro si fossero lasciata molto indietro la città.
-
-«Per questa volta, disse il nostro tenente, allorchè si stimò assai
-lungi dal punto della partenza per mutare in trotto il galoppo già
-preso, credo assolutamente che tutto è perduto, e che quanto di meglio
-possiamo fare si è di recarci in Francia. Athos, che vi pare di questa
-proposizione? non la trovate ragionevole?
-
-«Sì, rispose Athos, ma l’altro giorno voi pronunziaste un detto nobile
-e generoso: e fu — Morremo qui! — or io ve lo rammento.
-
-«Oh! soggiunse Porthos, la morte è nulla; non già la morte deve
-inquietarci, poichè non sappiamo ciò ch’ella sia, ma mi tormenta la
-idea di una sconfitta. Dal modo in cui principiano le cose, vedo che ci
-converrà dar battaglia a Londra, alle provincie, a tutta l’Inghilterra,
-e per verità non può mancare che alla fine siamo battuti.
-
-«Dobbiamo assistere sino all’ultimo a quella grande tragedia, disse
-Athos, e non abbandoneremo l’Inghilterra se non dopo lo scioglimento
-qualunque esso sia. Siete della mia opinione, Aramis?
-
-«Interamente, caro conte. D’altronde vi confesso che non
-m’increscerebbe di ritrovare il Mordaunt; mi sembra che abbiamo un
-conto da regolar seco, e che non siamo usi a lasciare i paesi senza
-pagare queste sorte di debiti.
-
-«Oh! questo è tutt’altro, fece d’Artagnan, ed ecco una ragione che mi
-par plausibile. In quanto a me dichiaro che per rinvenire il Mordaunt
-che voi dite resterò in Londra, occorrendo, anche un anno. Bensì
-procuriamoci l’alloggio presso ad una persona sicura, ed in maniera di
-non destare sospetti, giacchè a quest’ora messer Cromvello deve farci
-cercare, e da quel che ho potuto giudicarne e’ non è uomo che scherzi.
-Athos, conoscete in tutta la città una locanda dove si abbiano lenzuola
-pulite, biscotto passabile e vino che non sia fatto con luppolo e
-ginepro?
-
-«Credo di aver quanto bramate, rispose Athos. Di Winter ci condusse
-da un tale che diceva fosse un antico Spagnuolo naturalizzato inglese
-mercè le ghinee dei suoi nuovi concittadini. Che ne pensate, Aramis?
-
-«Eh! il progetto di fermarci dal signor Perez mi sembra
-convenientissimo, sicchè per me io lo adotto. Invocheremo la
-rimembranza del povero di Winter, per cui dimostrava grande
-venerazione; gli diremo che veniamo come amatori per vedere quel che
-succede; spenderemo da lui una ghinea per ciascuno al giorno, e credo
-che con tali precauzioni potremo stare assai quieti.
-
-«Di una però vi dimenticate, Aramis, ed anche importante.
-
-«E quale?
-
-«Di cambiar vestimento.
-
-«Oibò! disse Porthos, perchè cambiarli? ci stiamo tanto comodamente!
-
-«Per non essere riconosciuti, replicò d’Artagnan; i nostri abiti sono
-di un taglio e quasi di un colore tutto eguale che accusa a prima
-vista il _Frenchman_; ed io non sono così attaccato alla forma del
-mio giubbetto o alla tinta delle brache, per arrischiarmi per amor di
-questi ad essere appiccato a Tyburn o andare a fare una passeggiata
-nell’Indie. Mi comprerò subito un abito color marrone: ho osservato che
-tutti quegli imbecilli di puritani ne vanno matti fanatici.
-
-«Ma ritroverete colui? domandò Aramis.
-
-«Oh! di certo; abitava in Green-Hall-street, _Bedford’s tavern_; e poi
-nella Città-Vecchia io andrei a chius’occhi, rispose Athos.
-
-«Vorrei digià esservi, disse d’Artagnan, e il mio sentimento sarebbe
-d’arrivare a Londra innanzi giorno, qualora pure dovessimo fare
-scoppiare le nostre bestie.
-
-«Andiamo, andiamo, fece Athos, giacchè se non m’inganno ne’ miei
-calcoli, non dobbiamo esserne lontani più di otto o dieci leghe».
-
-Tutti si sollecitarono, e giunsero di fatti la mattina intorno
-alle cinque. Alla porta da cui si presentarono li fermò un corpo di
-guardia, ed Athos rispose in buonissimo inglese esser eglino inviati
-dal colonnello Harrison a prevenire il suo collega master Pridge del
-prossimo arrivo del re. Questa risposta trasse ad alcune interrogazioni
-sopra la presa del re, ed Athos diede ragguagli sì precisi e positivi,
-che se pure i guardiani avevano qualche sospetto lo perderono del
-tutto. E quindi fu dato libero il passo a’ quattro camerati con ogni
-specie di congratulazioni puritane.
-
-Athos aveva detto il vero, andò direttamente a _Bedford’s tavern_, e si
-fe’ riconoscere dall’oste, il quale contentissimo di vederlo tornare in
-compagnia sì numerosa e bella, ordinò si allestissero tosto le migliori
-stanze.
-
-Benchè non fosse per anco giorno, i nostri quattro viaggiatori avevano
-trovata tutta Londra sossopra. Erasi sparsa fin dalla sera innanzi la
-voce che il re, condotto dal colonnello Harrison, s’incamminasse verso
-la capitale, e molti non si erano coricati per tema che lo Stuart,
-conforme lo chiamavano, arrivasse di notte, ond’eglino avessero a
-perdere lo spettacolo del di lui ingresso.
-
-Noi ci ricordiamo che il progetto di mutar panni si era adottato a voti
-unanimi, meno la lievissima opposizione di Porthos. Si passò dunque
-a porlo in esecuzione. Il locandiere fece portare abiti di tutte le
-sorta, come se intendesse rimettere a nuovo la sua guardaroba. Athos ne
-pigliò uno nero, che gli dava tutta l’aria di un onesto particolare;
-Aramis, non volendo lasciar la spada, lo scelse verde cupo di taglio
-alla militare; Porthos si sentì allettato da un giubbetto rosso co’
-calzoni verdi; d’Artagnan, che aveva digià fissato anticipatamente il
-colore, non ebbe più da badare che alla gradazione di questo, e sotto
-il vestito marrone che tanto desiderava, rappresentava al naturale un
-negoziante di zuccheri ritiratosi dal commercio.
-
-Grimaud e Mousqueton, che non portavano livrea, si trovarono bell’e
-immascherati. D’altronde, Grimaud offeriva il tipo quieto, magro e
-sostenuto dell’Inglese circospetto; e Mousqueton quello dell’Inglese
-grasso, panciuto e scioperato.
-
-«Adesso, disse d’Artagnan, si passi all’essenziale: tagliamoci i
-capelli, onde non essere insultati dalla plebaglia. Non essendo più
-gentiluomini mediante la spada, siamo puritani pell’acconciatura. È
-questo, come sapete, il punto importante che separa il _covenantaire_
-dal cavaliero.
-
-Su questo _punto importante_ d’Artagnan trovò indocilissimo Aramis:
-esso voleva ad ogni modo conservarsi la chioma che aveva bella e di
-cui aveva grandissima cura, e fu d’uopo che Athos, al quale erano
-indifferenti tutte le quistioni, gli desse l’esempio. Porthos porse
-senza difficoltà la testa a Mousqueton, che recise a larghe forbiciate
-la folta e dura capigliatura. D’Artagnan si accomodò di per sè un
-capo di capriccio che somigliava un poco a una medaglia dei tempi di
-Francesco I e di Carlo IX.
-
-«Siamo pur brutti! disse Athos.
-
-«Mi pare che puzziamo di puritani da far paura! disse Aramis.
-
-«Sento freddo alla zucca, disse Porthos.
-
-«Ed io, disse d’Artagnan, ho voglia di predicare.
-
-«Ora, soggiunse Athos, che neppur da per noi ci riconosciamo, e in
-conseguenza non abbiamo timore che gli altri ci ravvisino, si vada a
-veder entrare il re: se ha camminato tutta la notte, non deve essere
-lontano da Londra».
-
-Infatti non passarono due ore dacchè i quattro camerati si erano
-mischiati tra la folla, che un gran movimento annunziò la venuta di
-Carlo. Gli era stata mandata incontro una carrozza, e il gigantesco
-Porthos che colla sua testa sorpassava tutte le altre avvertì qualmente
-il regio cocchio si avvicinava; d’Artagnan si drizzò in punta di
-piedi, mentre Athos ed Aramis stavano in ascolto onde procurare di
-farsi un’idea dell’opinione generale. Frattanto la carrozza passò
-e d’Artagnan riconobbe Harrison e Mordaunt, ciascuno accanto a uno
-sportello.
-
-Il popolo poi, di cui Athos ed Aramis studiavano le impressioni,
-mandava un precipizio d’imprecazioni contro a Carlo.
-
-Athos ritornò dentro disperato.
-
-«Eh! gli diceva d’Artagnan, vi ostinate inutilmente, ed io vi protesto
-che la situazione è pessima. In quanto a me, non mi ci associo se non
-per cagion vostra, e per un tal quale interesse di artista in politica
-a uso moschettiere, e stimo che sarebbe una bella cosa sottrarre a quei
-clamorosi la lor preda e farci beffe di loro. Ci rifletterò».
-
-All’indomani Athos, affacciatosi al balcone che dava sui quartieri più
-popolosi della Città-Vecchia, udì gridare il _bill_ del parlamento che
-traduceva alla sbarra l’ex-re Carlo I, reo presunto di tradimento e
-abuso di potere.
-
-D’Artagnan gli stava vicino, Aramis esaminava una carta, Porthos era
-assorto nell’ultime delizie di una colazione squisita.
-
-«Il parlamento? esclamò Athos, non può essere che il parlamento abbia
-dato un simile _bill_.
-
-«Ascoltate, fece d’Artagnan; io intendo poco l’inglese, ma siccome
-l’inglese non è altro che un francese mal pronunziato, ecco quel che
-odo: _Parliament’s bill_, lo che significa _bill_ del parlamento, o Dio
-mi danni! come dicono qua».
-
-Nell’istante entrava l’oste; Athos gli accennò di accostarsi e gli
-domandò in inglese:
-
-«Il parlamento ha dato quel _bill_?
-
-«Si, milord, il parlamento puro.
-
-«Come, il parlamento puro? vi sono dunque due parlamenti?
-
-«Amico, interruppe d’Artagnan, siccome io non capisco l’inglese, ma
-noi tutti intendiamo lo spagnuolo, fateci il piacere di discorrerci in
-questa lingua, ch’è la vostra, e che in conseguenza dovete aver genio a
-parlare quando ne trovate l’occasione.
-
-«Benissimo!» soggiunse Aramis.
-
-Di Porthos, già lo avvertimmo, tutta l’attenzione era concentrata
-sull’osso di una costoletta che si occupava a spogliare della polputa
-sua invoglia.
-
-«Sicchè mi domandavate? riprese il locandiere in ispagnuolo.
-
-«Domandavo, rispose Athos nello stesso idioma, se v’erano due
-parlamenti, uno puro ed uno impuro?
-
-«Oh questa è bizzarra! disse Porthos alzando il capo lentamente e
-guardando meravigliato i compagni; dunque adesso capisco l’inglese,
-intendo ciò che voi dite.
-
-«Perchè parliamo spagnuolo, mio caro, gli replicò Athos col suo solito
-sangue freddo.
-
-«Ah diascolo! me ne dispiace, sarebbe stata per me una lingua di più.
-
-«Quando dico il parlamento puro, _señor_, ribattè l’oste, discorro di
-quello appurato dal signor colonnello Pridge.
-
-«Ah! davvero, fece d’Artagnan, queste genti sono molto ingegnose;
-bisognerà che al mio ritorno in Francia io insegni questo mezzo al
-Mazzarino e al Coadjutore: uno appurerà in nome della corte, l’altro in
-nome del popolo, talmentechè non vi sarà affatto più parlamento.
-
-«Chi è il colonnello Pridge? chiese Aramis, e in che maniera si è
-regolato per appurare il parlamento?
-
-«Il colonnello Pridge, rispose lo Spagnuolo, è un antico carrettajo,
-uomo di molto spirito, il quale guidando il suo barroccio aveva
-osservata una cosa, cioè: che quando si trovava davanti per la via una
-pietra, era più breve levar la pietra che provarsi a farci passar sopra
-le ruote. Ora in duecento e cinquantun membro di cui si componeva il
-parlamento, cento novantuno gli davano noja ed avrebbero potuto far
-ribaltare la sua carretta politica; li prese come in addietro pigliava
-i sassi, e li gettò fuori dalla camera.
-
-«Bellissima! disse d’Artagnan, che come uomo di spirito stimava assai
-lo spirito dovunque lo incontrava.
-
-«E tutti quegli espulsi erano Stuartisti? chiese Athos.
-
-«Senza dubbio, _señor_, e comprenderete che avrebbero salvato il re.
-
-«Perdinci! disse maestosamente Porthos, formavano la maggiorità.
-
-«E voi pensate, continuò Aramis, che egli consentirà a comparire
-dinanzi a un tal tribunale?
-
-«Necessariamente, rispose lo Spagnuolo; se tentasse un rifiuto, il
-popolo ve lo costringerebbe.
-
-«Grazie, maestro Perez, fece Athos; ormai sono chiarito abbastanza.
-
-«Principiate voi a credere, Athos, seguitò d’Artagnan, che ell’è
-una causa perduta, e che con gli Harrison, i Joyce, i Pridge ed i
-Cromvelli, non saremo mai in grado di metterci a pari?
-
-«Il re sarà consegnato ai tribunali, ripicchiò Athos; lo stesso
-silenzio de’ suoi partigiani dà indizio di un complotto».
-
-D’Artagnan si strinse nelle spalle.
-
-«Ma, disse Aramis, se osano sentenziare il loro re, lo condanneranno
-all’esiglio o alla carcere, e questo è tutto».
-
-Il nostro tenente guascone fischiettò la sua arietta di incredulità.
-
-«Lo vedremo, fece Athos, giacchè mi figuro che andremo alle sedute.
-
-«Non avrete mica da aspettar di molto, disse l’oste, perchè lo
-incominciano domani.
-
-«Orsù, soggiunse Porthos, ma dunque era istrutto il processo avanti che
-fosse preso il re?
-
-«Di certo! ribattè d’Artagnan, lo principiarono nel giorno ch’ei fu
-comprato.
-
-«Sapete, proseguì Aramis, che il nostro amico Mordaunt fu quello che
-fece, se non il negozio, almeno le prime proposizioni.
-
-«E voi sapete, rispose d’Artagnan, che dovunque mi cada fra le mani, io
-lo ammazzo, il signor Mordaunt!
-
-«Oibò! fece Athos, uno sciagurato simile!
-
-«Appunto perchè è uno sciagurato, lo uccido. Ah! mio caro, io secondo
-bastantemente le vostre volontà, per che siate indulgente alle mie. E
-poi, per questa volta, vi piaccia o no, vi dichiaro che il Mordaunt non
-sarà ammazzato se non da me.
-
-«E da me, aggiunse Porthos.
-
-«E da me, crebbe anco Aramis.
-
-«Commoventissima unione unanime! esclamò d’Artagnan, che ben si
-conviene a buoni cittadini quali noi siamo. Andiamo a far un giro per
-la città; Mordaunt non ci riconoscerà a quattro passi di distanza con
-la nebbia che v’è. Si vada a bere un po’ di nebbia.
-
-«Sì, disse Porthos, sarà un cambiamento dalla birra».
-
-E i quattro amici uscirono, per pigliare, secondo suol dirsi, un po’
-d’aria del paese.
-
-
-
-
-LXVIII.
-
-_Il processo._
-
-
-Al dì seguente numerosa guardia condusse Carlo I. innanzi l’alta corte
-che dovea giudicarlo.
-
-Grandissima folla ingombrava le strade e le case vicine al palazzo; e
-perciò, mossi appena pochi passi, i quattro camerati furono trattenuti
-dall’ostacolo quasi non superabile di quel muro vivente; parecchi del
-volgo, robusti e sdegnati, respinsero persino Aramis sì malamente,
-che Porthos alzò il formidabile pugno e lo lasciò ricadere sul muso
-infarinato di un fornajo, il quale tosto variato il colore si cosparse
-di sangue, acciaccato qual era a modo di un grappolo d’uva matura.
-La faccenda mosse a gran susurro; tre uomini andarono per avventarsi
-addosso a Porthos; Athos ne discostò uno, d’Artagnan il secondo, e
-Porthos si fece balzare il terzo di sopra al capo. Parecchi Inglesi
-dilettanti di pugilato, apprezzarono la maniera veloce e facile con
-cui si era eseguita la manovra, e batterono le mani. E mancò poco
-allora, che invece di essere accoppati, conforme cominciavano a temere,
-Porthos e i suoi compagni fossero portati in trionfo; ma i nostri
-quattro viaggiatori che avevano paura di tutto quanto potesse farli
-troppo comparire, arrivarono a sottrarsi alla ovazione. Non ostante
-guadagnarono una cosa in quella erculea dimostrazione, e fu che la
-folla si diradò davanti a loro, e pervennero al resultato apparso prima
-impossibile, cioè di arrivare al palazzo.
-
-Affollavasi tutta Londra alle porte delle tribune; e così allorchè i
-quattro amici poterono penetrare da una di queste, trovarono occupati
-i tre primi sedili. Era poco male per genti che bramavano di non
-essere riconosciute; sicchè presero i loro posti, soddisfattissimi di
-esser giunti a quel punto, tranne Porthos che desiderava mostrare il
-giubbetto rosso e i calzoni verdi, e a cui incresceva di non essere
-alla prima fila.
-
-Le panche stavano disposte a guisa di anfiteatro, e i quattro colleghi
-dal loro luogo dominavano su tutta l’adunanza. Il caso appunto aveva
-fatto sì che fossero entrati nella tribuna di mezzo e si trovassero di
-faccia al seggiolone apparecchiato per Carlo I.
-
-Verso le undici ore antimeridiane comparve il re sulla soglia del
-salone. Passò, circondato da guardie, ma col cappello in testa, e
-tranquillo all’aspetto, e volse per ogni dove lo sguardo sostenuto,
-quasi venisse a presiedere a una assemblea di sudditi sottomessi, e non
-a rispondere alle accuse di una corte ribelle.
-
-I giudici, superbi di aver da umiliare un re, si accingevano, per
-quanto scorgevasi, a prevalersi di questo diritto arrogatosi. In
-conseguenza, capitò un usciere a dire a Carlo I qualmente era d’uso che
-l’incolpato stesse nuda la testa davanti a’ suoi giudici.
-
-Carlo, senza risponder parola, si cacciò più innanzi che mai il
-cappello, e volse il capo da altro lato: e allontanatosi l’usciere,
-sedè sulla sedia preparata di faccia al presidente, sferzandosi gli
-stivali con un giunchetto che teneva in mano.
-
-Parry, il quale lo accompagnava, stette ritto dietro a lui.
-
-D’Artagnan, ben anzi che badare a tutto quel cerimoniale, guardava
-Athos, sul cui sembiante si riflettevano tutte le emozioni che il
-re pel gran dominio che avea sopra sè stesso sbandiva dal suo. E
-lo spaventò l’agitazione di Athos, comunemente cotanto freddo e
-tranquillo.
-
-«Io spero, gli disse all’orecchio, che prendiate esempio da Sua Maestà,
-e non vi facciate scioccamente uccidere in questa gabbia.
-
-«Non dubitate, fece Athos.
-
-«Ah ah! continuò d’Artagnan, pare che si tema di qualche cosa, giacchè
-ecco che si raddoppiano le guardie; non avevamo che partigiane, e ora
-vi sono moschetti; ormai ve n’è per tutti; le partigiane concernono gli
-auditori del magistrato, i moschetti sono per noi.
-
-«Trenta, quaranta, cinquanta, settanta uomini, disse Porthos contando i
-sopraggiunti.
-
-«Eh! fece Aramis, vi scordate dell’uffiziale; e sì, mi sembra meriti di
-essere tenuto a calcolo.
-
-«Sì sì! disse d’Artagnan».
-
-E impallidì dalla collera, perocchè aveva riconosciuto Mordaunt, che
-con la spada sguainata conduceva i moschettieri dietro al re, vale a
-dire rimpetto alle tribune.
-
-«Ci avesse egli mai riconosciuti? mormorò il tenente, in tal caso
-batterei pulitamente la ritirata. Non ho gusto che mi si imponga un
-modo determinato di morte, e desidero di morire a genio mio..... e non
-mi garba di essere fucilato in una spelonca.
-
-«No, risposo Aramis, non ci ha visti. Egli non vede altro che il
-re. Cospettaccio! con che occhi lo guarda, l’insolente! Avesse mai
-tant’odio per Sua Maestà quanto ne ha contro di noi?
-
-«Caspita! soggiunse Athos, noi non gli abbiamo tolto che la madre, e il
-sovrano lo spogliò del suo nome e del suo patrimonio.
-
-«È vero, confermò Aramis, ma silenzio! ecco il presidente che parla al
-re».
-
-Infatti il presidente Bradshaw interpellava l’augusto imputato.
-
-«Stuart, ei disse, ascoltate l’appello nominale de’ vostri giudici, e
-avanzate le osservazioni che avete da fargli».
-
-Carlo, quasi l’invito non fosse a lui diretto, si girò da altra parte.
-
-Bradshaw aspettò, e non venendo veruna risposta fu un momento di pausa.
-
-In cento sessantatrè membri indicati, settantatrè soltanto potevano
-rispondere, perocchè gli altri atterriti dalla complicità di un tale
-atto si erano astenuti.
-
-«Procedo all’appello, disse Bradshaw senza mostrare di por mente alla
-mancanza di tre quinti dell’assemblea».
-
-E cominciò a nominare un dopo l’altro i membri presenti ed assenti....
-si facevano sentire con voce forte o debole, secondochè aveano o no
-coraggio da sostenere la loro opinione; alla chiamata degli assenti due
-volte ripetuta succedeva breve silenzio.
-
-Venne il nome del colonnello Fairfax, e dopo questo silenzio, corto sì,
-ma solenne, di quelli che manifestavano l’assenza dei membri i quali
-non aveano voluto prender parte personalmente al giudizio.
-
-«Il colonnello Fairfax! ripetè Bradshaw.
-
-«Fairfax? disse in modo di scherno una voce che dal suono si riconobbe
-esser di donna, oh! ha troppo buon senso per esser qui».
-
-Un grande scroscio di risa accolse queste parole, profferite con
-l’audacia che le donne traggono appunto dalla lor debolezza, la quale
-però le sottrae a qualunque vendetta.
-
-«È voce di femmina! esclamò Aramis, ah! quanto darei per che fosse
-bella e giovane!»
-
-E salì sul gradino onde procurar di vedere nella tribuna da cui si
-erano partite quelle parole.
-
-«Oh! sull’anima mia è pure avvenente! fece Aramis stesso, mirate
-un po’, d’Artagnan, tutti la osservano, e non ostante lo sguardo di
-Bradshaw non è impallidita.
-
-«È lady Fairfax in persona, rispose d’Artagnan, Porthos, ve ne
-rammentate? la vedemmo col suo marito dal generale Cromvello».
-
-Indi a poco si ristabilì la calma turbata da questo episodio, e
-ricominciò la chiamata.
-
-«Quei bricconi scioglieranno la seduta quando si accorgeranno di non
-essere in numero sufficiente, disse il conte di la Fère.
-
-«Athos, voi non li conoscete: badate al sorriso di Mordaunt, vedete
-come guarda il re. È quello lo sguardo di uno che tema che gli fugga
-la sua vittima? no no! è il sogghigno dell’odio soddisfatto, della
-vendetta prossima ad esser paga. Ah, maledetto basilisco! bel giorno
-sarà per me quello in cui teco incrocierò ben altro che un’occhiata!
-
-«Il re è veramente bello! disse Porthos, e poi notate, ancorchè
-prigioniero, quanto è ben vestito. La penna che ha al cappello vale per
-lo meno cinquanta doppie; osservatela, Aramis».
-
-Terminato l’appello, il presidente diede ordine di passare alla lettura
-dell’atto di accusa.
-
-Athos si fece smorto: era deluso anco una volta nella sua aspettativa.
-Sebbene i giudici fossero in numero non bastevole s’intavolerebbe il
-processo; il re era condannato anticipatamente.
-
-«Ve lo aveva detto, Athos! fece d’Artagnan con un moto delle spalle,
-ma voi dubitate sempre. Ora dunque prendetevi a due mani il vostro
-coraggio, ed ascoltate senza farvi troppo cattivo sangue, ve ne prego,
-gli orrori che quel signorino abbigliato di nero dirà del suo re, con
-licenza e privilegio».
-
-Diffatti non mai peranche incolpazione più brutale, più vili ingiurie,
-più sanguinosa requisitoria, abbassata avevano la regia maestà. Fino
-allora la gente si era contentata di assassinare i re, ma almeno non si
-erano prodigati gl’insulti se non se a’ loro cadaveri.
-
-Carlo I ascoltava i discorsi dell’accusatore con attenzione
-particolare, lasciando passare le ingiurie, contenendo ogni lagnanza,
-e quando l’odio straboccava di soverchio, quando lo accusatore si
-faceva boja innanzi tempo, ei rispondeva con un sorriso sprezzante. In
-conclusione, era un’opra grande e terribile quella in cui l’infelice re
-ritrovava tutte le sue imprudenze cambiate in insidie, e i suoi errori
-trasformati in delitti.
-
-D’Artagnan, il quale lasciava scorrere quel torrente di oltraggi con
-tutto il disprezzo che meritavano, fermò bensì la sua mente giudiziosa
-sopra alcune delle incolpazioni.
-
-«Fatto sta, egli disse, che se si punisce per imprudenza e leggerezza,
-questo povero re è degno di punizione; ma a me sembra che quella che
-attualmente ei subisce sia troppo cruda.
-
-«In ogni caso, rispose Aramis, il castigo non potrebbe cogliere il re,
-ma soltanto i suoi ministri, poichè la prima legge della costituzione
-inglese si è: _Il re non può fallare_.
-
-«Per me, pensava Porthos mentre guardava Mordaunt e non si occupava se
-non di lui, se non fosse turbare la maestà della circostanza salterei
-giù dalla tribuna, in due balzi mi avventerei sopra il Mordaunt e lo
-strangolerei, e presolo per i piedi picchierei col suo corpo tutti
-questi moschettieri che fanno la parodia ai moschettieri di Francia;
-nel frattempo d’Artagnan pieno di spirito e di prontezza forse
-troverebbe un mezzo di salvare il re. Bisognerà ch’io glie ne parli».
-
-Athos, poi, col fuoco sulla faccia, chiuse le pugna, insanguinatesi
-le labbra a forza di mordersele, buttava spuma dalla bocca, furibondo
-per quel lunghissimo insulto parlamentare e per la costante pazienza
-regale; ed in lui il braccio inflessibile e l’irremovibile cuore si
-erano cangiati in mani tremanti e corpo assalito da’ brividi.
-
-Nel momento l’accusatore terminava il suo ufficio con questi detti:
-
-«La presente accusa si produce da noi in nome del popolo inglese».
-
-A tali parole fuvvi un bisbiglio sulle tribune, e dietro a d’Artagnan
-tuonò una voce, non voce di donna, ma d’uomo, voce sonora e fierissima,
-la quale esclamò:
-
-«Tu menti! e i nove decimi del popolo inglese hanno orrore di ciò che
-tu dici».
-
-Era Athos, che fuori di sè, ritto, col braccio teso, così interpellava
-il pubblico accusatore.
-
-A siffatta apostrofe, re, giudici, spettatori, tutti si volsero verso
-la tribuna dov’erano i quattro amici. Mordaunt fece altrettanto, e
-ravvisò il gentiluomo attorno a cui si erano alzati gli altri due
-Francesi, scolorita la faccia e minacciosi. Gli brillarono gli occhi
-per la gioja, chè ritrovava al fine coloro alla ricerca e alla morte
-dei quali aveva consacrata la propria vita. Con un moto furibondo
-chiamò a sè venti de’ suoi moschettieri, e additando la tribuna dove
-stavano i suoi nemici, gridò:
-
-«Fuoco su quella tribuna!»
-
-Però allora, rapidi al pari del pensiero, d’Artagnan afferrando a
-mezzo al corpo Athos, Porthos portando seco Aramis, balzarono giù dai
-gradini, si slanciarono nei corridoj, scesero velocemente le scale, e
-si perderono tra la folla, mentre nell’interno della sala i moschetti
-abbassati minacciavano tremila spettatori, che con le lor grida, col
-loro spavento, trattennero lo slancio già dato alla strage.
-
-Carlo pure aveva riconosciuti i quattro francesi, e si era posta una
-mano sul cuore onde frenarne i palpiti, e l’altra sugli occhi per non
-vedere uccidere i suoi amici.
-
-Mordaunt, bianco e tremante dalla rabbia, si precipitò fuori dalla
-sala, nuda in pugno la spada, con dieci alabardieri, indagando tra la
-moltitudine, e interrogando, e poi ritornò indietro senza aver trovato
-nulla.
-
-Finalmente si ristabilì la calma.
-
-«Che avete voi da dire per vostra difesa? domandò Bradshaw al re.
-
-«Innanzi d’interrogarmi, disse Carlo, rispondetemi. Io era libero
-in Newcastle, ed avevo colà conchiuso un trattato con le due camere.
-In vece di eseguire per parte vostra il trattato ch’io dal mio lato
-adempieva, mi compraste dagli Scozzesi, non a caro prezzo, lo so, e
-ciò fa onore all’economia del vostro governo; ma perchè mi pagate al
-prezzo di uno schiavo, sperate forse ch’io abbia cessato di essere il
-vostro re? No no! Io dunque non vi risponderò se non quando mi avrete
-giustificati i vostri diritti ad interrogarmi: il rispondervi sarebbe
-come riconoscervi per giudici miei, ed io non vi riconosco che per miei
-carnefici».
-
-E in mezzo a un silenzio di morte, Carlo, tranquillo, altero, e sempre
-coperta la testa, nuovamente si assise.
-
-«Ah! perchè non sono là, i miei Francesi? mormorò poscia con orgoglio e
-volgendo il ciglio verso la tribuna ove essi erano comparsi dapprima,
-vedrebbero che il loro amico, vivo, è degno di esser difeso, e morto,
-di esser pianto».
-
-Invano però ricercava tra la folla, e in certo modo chiedeva a Dio la
-loro dolce e consolante presenza; non vide altro che fisonomie stupide
-ed impaurite, e si sentì alle prese con l’odio e la ferocia.
-
-«Ebbene, disse il presidente dacchè Carlo mantenevasi deciso a tacersi,
-noi vi giudicheremo ad onta del vostro silenzio. Siete accusato di
-tradimento, abuso di potere, ed assassinio. Faranno fede i testimoni.
-Andate, ed una prossima seduta compirà ciò che negate di fare in
-questa».
-
-Carlo si alzò, e voltosi a Parry, cui vedeva pallido e bagnate le
-tempie di sudore, gli domandò:
-
-«Che hai tu, mio buon Parry? e di che tanto ti agiti?
-
-«Oh sire! questi rispose con le lacrime agli occhi e in tuono supplice,
-sire, all’uscire dalla sala non guardate a sinistra!
-
-«E perchè?
-
-«Non guardate, ve ne scongiuro, mio re!
-
-«Ma che v’è mai?.... parla! continuò il re procurando distinguere tra
-la fila di guardie che stavagli a tergo.
-
-«V’è.... ma, sire, non guarderete, è vero? v’è che sopra una tavola
-hanno fatto portare la scure con la quale si giustiziano i rei. È
-orribil vista! non guardate, sire, io ve ne supplico!
-
-«Stupidi! fece Carlo, dunque mi credono vile al pari di loro?....
-Grazie, Parry, facesti bene ad avvertirmi».
-
-Ed essendo il momento di ritirarsi, uscì seguendo i suoi custodi.
-
-In fatti, a sinistra dalla porta brillava di un tristo riflesso, cioè
-di quello del tappeto rosso su cui era posata, la bianca scure col
-lungo manico forbito del carnefice.
-
-Carlo giunto a questa di faccia si soffermò.
-
-«Ah ah! disse ridendo, la mannaja! spauracchio ingegnosissimo
-e degno di coloro i quali non sanno che siasi un gentiluomo; tu
-non mi fai paura, scure del boja, aggiunse sferzandola col giunco
-sottile e pieghevole che aveva in mano, ed io ti percuoto aspettando
-cristianamente e con pazienza che tu a me faccia altrettanto».
-
-Ed in atto di sommo disprezzo proseguì il suo cammino, e lasciò
-attoniti quelli che si erano affollati attorno alla tavola onde vedere
-che ciera avrebbe il re nel mirar la bipenne che separar doveva dal suo
-corpo la testa.
-
-«In verità, Parry, disse il re mentre si allontanavano, quelle genti,
-Dio mi perdoni, mi prendono per un mercante di cotone delle Indie, e
-non per un gentiluomo uso a veder brillare il ferro. Si pensano forse
-ch’io non valga quanto un macellajo?»
-
-Intanto che profferiva queste parole, arrivava alla porta. Era accorsa
-lunga fila di popolo, che non avendo potuto trovar posto nelle tribune
-voleva almeno godere della fine dello spettacolo di cui aveva perduta
-la parte più interessante. Quella innumerevole moltitudine, fra la
-quale abbondavano minacciose fisonomie, fece mandare al re un piccolo
-sospiro.
-
-«Quanta gente, ei pensò, e non un amico zelante!»
-
-E mentre pronunziava fra sè questi accenti di dubbio, di coraggimento,
-una voce a lui vicina disse rispondendo:
-
-«Salve alla decaduta Maestà!»
-
-Il re si volse con impeto; aveva al cuore ed agli occhi le lacrime.
-
-Quegli che sì parlava era un vecchio soldato delle sue guardie, che non
-voleva vedersi a passare dinanzi il suo re prigioniero senza rendergli
-quest’ultimo omaggio.
-
-Ma all’istante medesimo, l’infelice fu quasi ucciso a colpi di pomo di
-spada.
-
-Fra quei che lo accoppavano, il re ravvisò il capitano Groslow.
-
-«Ahimè! disse Carlo, che castigo terribile per fallo sì lieve!»
-
-Ed angustiato continuò ad andare avanti.
-
-Ma non aveva fatto cento passi, che un furibondo, chinandosi fra mezzo
-a due soldati schierati, sputò sul viso al re.
-
-Echeggiarono insieme e risate e tristissimo mormorio; la calca si
-diradò, si riavvicinò, ondulando come un mar burrascoso, ed a Carlo
-sembrò di veder rilucere fra quell’onda vivente gli occhi infuocati di
-Athos.
-
-Carlo si asciugò la guancia, e disse con un mesto sorriso:
-
-«Sciagurato! per mezza lira farebbe altrettanto a suo padre!»
-
-Il sovrano non si era ingannato; avea distinto effettivamente Athos ed
-i suoi amici, che, mescolatisi di nuovo alla turba, scortavano con un
-ultimo sguardo il re martire.
-
-Quando il soldato salutò Carlo, balzò ad Athos il petto dal giubilo,
-e quel misero, allorchè fu in sè rinvenuto, si trovò nella saccoccia
-dieci ghinee depostevi furtivamente dal gentiluomo francese; ma quando
-il vile oltraggiatore sputò sulla faccia al re prigioniero, Athos mise
-mano al pugnale.
-
-Lo trattenne però d’Artagnan, dicendogli con voce rauca:
-
-«Aspetta!»
-
-D’Artagnan non aveva mai dato del _tu_ nè ad Athos nè al conte di la
-Fère.
-
-Athos si ristette.
-
-D’Artagnan si appoggiò su di lui, accennò a Porthos e ad Aramis di
-non allontanarsi, e venne a collocarsi dietro all’uomo, che colle
-braccia ignude rideva tuttavia dell’infame suo scherzo e riceveva le
-congratulazioni di parecchi altri furibondi.
-
-Colui s’incamminò verso la Città-Vecchia. Il nostro tenente Guascone,
-sempre reggendosi ad Athos, lo seguitò, facendo segno ad Aramis e a
-Porthos di andargli appresso.
-
-L’uomo dalle braccia scoperte, che pareva un garzone di macellajo,
-discese con due compagni da una straduzza ripida ed isolata che dava
-sul fiume. D’Artagnan, scioltosi dal braccio dell’amico, andava a tergo
-all’oltraggiatore.
-
-Quei tre, giunti vicini alla riva, si accorsero di esser seguìti: si
-fermarono, e guatando con insolenza i Francesi ricambiarono fra loro
-alcuni lazzi.
-
-«Io non so l’inglese, disse d’Artagnan ad Athos, ma voi lo sapete, e mi
-farete da interprete».
-
-Raddoppiarono il passo, e superarono nel cammino gl’Inglesi. Ma
-d’Artagnan, giratosi ad un tratto, andò incontro al macellajo, il
-quale si ristette, e toccatolo sul petto con la cima dell’indice, disse
-all’amico:
-
-«Athos, ripetetegli questo: — sei stato un vile, hai insultato un uomo
-privo di difesa, hai lordata la faccia del tuo re, ora morrai!.... — »
-
-Athos, pallido come una larva, ed a cui d’Artagnan teneva stretto
-il pugno, tradusse quelle strane parole al disgraziato, che, visti i
-fieri preparativi e l’occhio terribile di d’Artagnan, voleva tentare di
-difendersi. A questo moto Aramis mise mano alla spada.
-
-«No no! il ferro no! gridò d’Artagnan, il ferro è pei gentiluomini!»
-
-Ed afferrato pel collo il beccajo, soggiunse:
-
-«Porthos! voi con un pugno ammazzatemi questo scellerato!»
-
-Porthos alzò il braccio tremendo, lo fece sibilare per aria come una
-frombola, e la pesantissima mole cadde con gran fracasso sul cranio del
-vile e glielo infranse.
-
-L’uomo cascò come farebbe un bue sotto la mazzuola.
-
-I suoi camerati volevano gridare, fuggire, ma nella bocca mancò ad essi
-la voce, e sotto a loro si piegarono le gambe.
-
-«Athos, continuò d’Artagnan, dite a costoro anche questo: — Così
-morranno tutti quelli che dimenticano che un uomo avvinto fra catene è
-una testa sacra, che un re prigioniero è due volte rappresentante del
-Signore — ».
-
-Athos ripetè esattamente.
-
-I due uomini, ammutoliti, irti i capelli, osservavano il corpo del
-compagno che sguazzava in una pozza di sangue nero; indi, ritrovando
-insieme e voce e forze, scapparono strillando a mani giunte.
-
-«È fatta giustizia! disse Porthos asciugandosi la fronte.
-
-«E adesso, disse d’Artagnan ad Athos, non dubitate di me e state
-quieto, assumo io su di me tutto quanto interessa il re Carlo».
-
-
-
-
-LXIX.
-
-_Whitehall._
-
-
-Il Parlamento condannò a morte Carlo Stuart, secondo era agevole
-prevedersi. I giudizj politici sono quasi sempre vane formalità,
-conciossiachè le medesime passioni che fanno accusare fanno condannare
-pur anco. Tale è la terribile logica delle rivoluzioni.
-
-Abbenchè i nostri amici si attendessero quella sentenza, ne provarono
-sommo dolore. D’Artagnan, la di cui mente nei momenti estremi aveva
-maggiori risorse che mai, giurò di nuovo che tutto tenterebbe onde
-impedire lo scioglimento della sanguinosa tragedia. Ma con che mezzi?
-ecco ciò che tuttavia egli vedeva vagamente. Tutto dipenderebbe
-dall’indole delle circostanze. Intanto che si potesse fissare un piano
-completo, era d’uopo ad ogni costo per acquistar tempo porre ostacolo a
-che l’esecuzione avesse luogo all’indomani conforme avevano i giudici
-deciso. L’unico modo era di fare sparire da Londra il carnefice:
-sparito il carnefice, non poteva eseguirsi la sentenza. Certo, sarebbe
-mandato a chiamare quello della città più vicina, ma con questo si
-guadagnerebbe almeno un giorno, e un giorno in casi simili è forse la
-salvezza! D’Artagnan si assunse questa impresa più che difficile.
-
-Era poi cosa non meno essenziale il prevenire Carlo Stuart che si
-procurerebbe di salvarlo, affinchè egli secondasse quanto fosse
-possibile i suoi difensori, o almeno non agisse in senso opposto a
-loro. Ed Aramis s’incaricò di codesta rischiosissima diligenza. Carlo
-aveva richiesto che si permettesse al vescovo Juxon di visitarlo
-nella sua prigione di Whitehall. Mordaunt era venuto in quella stessa
-sera dal vescovo onde fargli noto il desiderio religioso espresso dal
-re, ugualmente che l’autorizzazione di Cromvello. Aramis risolse di
-ottenere dal vescovo, o col terrore o con la persuasione, di lasciar
-lui penetrare in sua vece e rivestito delle sue insegne sacerdotali nel
-palazzo di Whitehall.
-
-Finalmente Athos si addossò di preparare ad ogni evento i mezzi di
-abbandonare l’Inghilterra tanto in caso di riuscita che nell’ipotesi
-contraria.
-
-Fattasi notte, si fissarono l’appuntamento all’albergo per le undici
-ore, e ciascuno si avviò ad eseguire la sua perigliosa incombenza.
-
-Il palazzo di Whitehall era custodito da tre reggimenti di cavalleria,
-ed in ispecie (se così è lecito dire) dall’incessante inquietezza di
-Cromvello, che andava e veniva, e mandava i suoi generali o i suoi
-agenti.
-
-Solo e nella solita sua camera, rischiarata da due candele, il monarca,
-condannato a morte, guardava mestamente il lusso delle sue passate
-grandezze, come si vede nell’ora estrema la immagine della vita più
-brillante e soave che mai.
-
-Parry non erasi discostato dal suo padrone, e dacchè questi era stato
-condannato, non aveva più terminato di piangere.
-
-Carlo Stuart, posate le gomita sovra un tavolino, contemplava un
-medaglione su cui stavano accanto uno all’altro i ritratti della moglie
-e della figlia. Attendeva prima Juxon, e dopo Juxon il martirio.
-
-Fermava talora il suo pensiero su quei prodi gentiluomini che già gli
-parevano lontani le mille leghe, favolosi, chimerici, e simili a quelle
-figure che si scorgono in sogno e si dileguano al destarsi.
-
-Perocchè alcune volte Carlo fra sè domandava se tutto quanto gli era
-avvenuto fosse propriamente un sogno, o per lo meno il delirio della
-febbre.
-
-E a questa idea si alzava, moveva pochi passi quasi per uscire dal suo
-torpore, e andava sino alla finestra: ma tosto sotto a questa vedeva
-risplendere i moschetti delle guardie; e allora gli faceva d’uopo
-convenire ch’era desto e ch’era pur vero il suo sogno sanguinoso.
-
-Ei ritornava in silenzio sul suo seggiolone, rimetteva le gomita sopra
-la tavola, lasciava ricadersi la testa sulla mano, e rifletteva.
-
-«Ahimè! tra sè diceva, se almeno avessi per confessore uno di quei
-luminari della Chiesa la di cui anima ha scandagliati tutti i misteri
-della vita, tutte le piccolezze della grandezza, forse la sua voce
-soffocherebbe quella che va querelandosi nell’anima mia! ma avrò un
-prete di mente non elevata, e di cui mediante il mio infortunio ho
-troncata la carriera e la fortuna. Esso mi parlerà di Dio e della morte
-secondo ne ha parlato ad altri moribondi, senza comprendere che questo
-moribondo regio lascia un trono all’usurpatore, mentre i figli suoi non
-hanno più pane».
-
-Indi, appressandosi alle labbra il ritratto, balbettava a vicenda il
-nome di ciascuno dei suoi figli.
-
-Era, conforme dicemmo, notte oscura e nebbiosa. Suonava lenta l’ora
-all’orologio della chiesa vicina. I pallidi barlumi delle due candele
-spandevano nell’ampia ed alta stanza delle fantasme rischiarate da
-stranissimi riflessi. Le fantasme, le larve, erano gli avi del re
-Carlo, che risaltavano nelle loro cornici d’oro; i riflessi erano gli
-ultimi splendori azzurri del fuoco di carbone che si estingueva.
-
-S’impossessò di Carlo summa tristizia. Ei nascose il capo in fra le due
-mani, pensò al mondo tanto bello quando noi lo lasciamo, o piuttosto
-quando egli ci lascia; agli amplessi de’ nostri pargoletti sì dolci
-e soavi specialmente quando ne siam divisi per non più rivederli, e
-poi alla consorte, nobile e coraggiosa donna, che sostenuto lo aveva
-sino all’ultimo momento. Si trasse di seno la croce di diamanti e la
-placca della Giarrettiera da lei inviategli per mezzo di quegli animosi
-Francesi, e le baciò. Poscia, all’idea ch’ella non rivedrebbe questi
-oggetti se non dopo ch’ei giacesse freddo e mutilato in una tomba, si
-sentì nell’interno scorrere uno di quei brividi gelidi che la morte ci
-getta addosso come primo suo manto.
-
-Allora, in quella camera che a lui riproduceva tante regali
-rimembranze, dov’erano passati tanti cortigiani e tante adulazioni,
-solo con un afflittissimo servo il di cui animo debole non poteva
-essere sostegno all’animo suo, il re lasciò cadere il proprio coraggio
-a pari a quelle debolezze, a quelle tenebre, a quel gelo invernale; e,
-dovremo noi dirlo? questo re, che morì sì grande e sublime, col sorriso
-della rassegnazione sul labbro, asciugò all’ombra una lacrima ch’era
-scesa sul tavolino e tremolava sopra il tappeto ricamato di oro.
-
-Si udì improvvisamente camminare nelle gallerie, fu aperta la porta,
-varie torcie empierono la stanza con la lor luce, ed un ecclesiastico,
-indossando vesti vescovili, entrò seguito da due guardiani ai quali
-Carlo fe’ con la mano un gesto imperioso.
-
-I due guardiani si ritirarono: fu nuovamente oscurità profonda.
-
-«Juxon! esclamò Carlo! Juxon! grazie, ultimo amico mio, voi giungete
-opportuno».
-
-Il vescovo diede un’occhiata inquieta e bieca all’uomo che singhiozzava
-all’angolo del camminetto.
-
-«Orsù, Parry, disse il re, non pianger più, ecco che a noi viene Iddio.
-
-«Se è Parry, disse il supposto vescovo, non ho più di che temere; e
-così, o sire, permettetemi di riverire Vostra Maestà e di dirle chi
-sono e perchè qui vengo».
-
-A tal vista, a tal voce, Carlo era certamente per dare una forte
-esclamazione; Aramis, postosi un dito sul labbro, salutò umilmente il
-re d’Inghilterra.
-
-«Il cavaliere! balbettò Carlo.
-
-«Sì, sire, fece Aramis alzando la voce, sì, il vescovo Juxon, fedel
-cavaliere di Cristo, e che si presta al desiderio di Vostra Maestà».
-
-Il re unì insieme le mani; aveva riconosciuto d’Herblay; rimase
-stupefatto, annichilito, dinanzi a quegli uomini, che, stranieri e
-senza altro movente che un dovere imposto dalla lor propria coscienza,
-si ponevano così a contrasto con il volere di un popolo e il destino di
-un re!
-
-«Voi! disse, voi! e come poteste arrivare sin qua? Dio! Dio! se vi
-riconoscessero, sareste perduti!»
-
-Parry stava in piedi, ed in tutta la sua persona esprimevasi il
-sentimento di somma ed ingenua ammirazione.
-
-«Sire, non pensate a me, rispose Aramis sempre coi gesti raccomandando
-a Carlo il silenzio, pensate a voi soltanto; i vostri invigilano, ben
-lo vedete; che faremo, ancora non lo so, ma quattro uomini risoluti
-ponno far molto. Frattanto non chiudete occhio in tutta la notte, non
-vi stupite di cosa alcuna, ed a tutto attendetevi».
-
-Carlo scosse la lesta.
-
-«Amico, replicò, vi è pur noto che non avete tempo d’avanzo, e se
-volete agire vi è d’uopo sollecitarvi. Sapete che domattina a dieci ore
-io debbo morire?
-
-«Sire, di qui a quel tempo accadrà qualche cosa che renderà impossibile
-l’esecuzione».
-
-Il re guardò Aramis con meraviglia.
-
-Nel momento fuvvi sotto alla finestra un rumore singolare, e come lo
-produrrebbe il discarico di una carrettata di legna.
-
-«Udite?» disse Carlo.
-
-Poi s’intese un grido di dolore.
-
-«Ascolto, fece Aramis, ma non comprendo che sia il rumore, e
-specialmente quel grido....
-
-«Del grido, ignoro chi lo abbia mandato, rispose il re, ma il rumore,
-tosto ve lo spiego. Sapete che debbo essere giustiziato fuori da questa
-finestra?»
-
-E Carlo stendeva la mano verso la piazza buja e deserta, ove non erano
-altro che soldati e sentinelle.
-
-«Lo so, disse Aramis.
-
-«Or bene, la legna che si arreca sono i travi e l’intavolato con che
-vuol costruirsi il mio patibolo. Scaricandola, qualche operajo si sarà
-fatto male».
-
-Aramis rabbrividì.
-
-«Vedete dunque, continuò Carlo, che è inutile ostinarvi più a lungo;
-sono condannato, lasciatemi subire la mia sorte.
-
-«Sire, replicò Aramis, riacquistate la quiete turbata per un istante;
-possono innalzare un patibolo, ma non troveranno un carnefice.
-
-«Che intendete mai dire?
-
-«Dico che a quest’ora il carnefice è portato altrove o comprato; domani
-sarà pronto il palco, ma mancherà il boja, e quindi l’esecuzione verrà
-differita a domani l’altro.
-
-«Ebbene?
-
-«Ebbene, domani, nella notte, noi vi conduciamo fuori di qui.
-
-«Come mai? chiese il re a cui rischiarò la faccia un lampo di gioja.
-
-«Oh signore! balbettò Parry, siate benedetti, e voi ed i vostri!
-
-«Ma come? ripetè Carlo, occorre che io lo sappia, acciò vi secondi se
-bisogna.
-
-«Sire, neppur io lo so, fece Aramis; ma il più valoroso, il più zelante
-di noi quattro mi lasciò dicendomi: — Cavaliere, dite al re che domani
-sera a dieci ore lo condurremo via. — E se lo ha detto, oh! lo farà.
-
-«Palesatemi il nome di quel generoso amico, onde io gli serbi eterna
-gratitudine, o riesca o no il suo progetto.
-
-«D’Artagnan, quello stesso ch’era in procinto di salvarvi, quando sì
-male a proposito capitò il colonnello Harrison.
-
-«In verità, siete uomini meravigliosi! seguitò il re, e se tali cose mi
-si fossero narrate io non le avrei credute.
-
-«Adesso, sire, ascoltatemi. Non vi dimenticate che noi vegliamo pella
-vostra salvezza: il minimo gesto, il minimo canto, il minimo cenno di
-coloro che vi si appresseranno sia da voi osservato, udito, commentato.
-
-«Oh cavaliere! soggiunse il re, che posso dirvi? Niuna parola, quando
-sorgesse dal più profondo del mio cuore, varrebbe a esprimere la mia
-riconoscenza. Se riuscite, non vi dirò che salvate un re: no, vista
-come io la veggo dal patibolo, la regia autorità è pur cosa da poco,
-ve lo giuro; ma conserverete un marito alla moglie, un padre a’ suoi
-figli. Cavaliere, toccate questa mano, la mano di un amico che vi amerà
-sino all’ultimo respiro».
-
-Aramis voleva baciare la destra di Carlo, ma Carlo, presa a lui la sua,
-se la strinse al petto.
-
-Nel momento entrò un uomo senza tampoco bussare all’uscio. Aramis
-andava per ritirare la mano, il re lo trattenne.
-
-Colui che entrava era uno di quei puritani mezzo preti e mezzo soldati
-che tanto abbondavano presso a Cromvello.
-
-«Che volete? domandò il re.
-
-«Desidero sapere s’è terminata la confessione di Carlo Stuart.
-
-«Che v’importa? disse Carlo, noi non siamo della stessa religione.
-
-«Tutti gli uomini son fratelli, rispose il puritano; un mio fratello è
-per morire, ed io vengo ad esortarlo alla morte.
-
-«Andate! gridò Parry, il re non sa che farsi delle vostre esortazioni.
-
-«Sire, avvertì piano Aramis, abbiategli riguardo, è certamente uno
-spione.
-
-«Signore, disse a colui il re, dopo il reverendo dottor vescovo, vi
-udrò con piacere».
-
-L’individuo, di sguardo bieco, se ne andò, non senza avere osservato
-Juxon con tale attenzione di cui Carlo si accorse.
-
-«Cavaliere, disse il re dopo che la porta fu chiusa, credo che avevate
-ragione, e che quell’uomo era venuto qui con triste intenzioni; siate
-cauto nel ritirarvi, badate che non vi accadano disgrazie.
-
-«Sire, replicò Aramis, io ringrazio Vostra Maestà; ma Ella stia pur
-quieta, sotto a questa veste ho il giacco di maglia ed il pugnale.
-
-«Andate dunque, e Dio vi tenga nella sua santa guardia, come dicevo al
-tempo ch’ero re».
-
-Aramis uscì. Carlo lo accompagnò fin sulla soglia.
-
-Aramis sparse la sua benedizione, la quale fece inchinare i custodi,
-passò maestosamente per le anticamere piene di soldati, salì nella sua
-carrozza ove lo seguirono i suoi due guardiani, e si fe’ condurre al
-vescovado dov’essi lo lasciarono.
-
-Juxon attendeva ansioso.
-
-«Ebbene? domandò vedendo Aramis.
-
-«Ebbene, disse questi, tutto è riuscito a seconda delle mie brame:
-spioni, guardie, satelliti, mi hanno preso per voi, ed il re vi
-benedice aspettando che voi lo benediciate.
-
-«Dio vi protegge, figlio mio, ed il vostro esempio mi ha dato insieme
-speranza e coraggio».
-
-Aramis si rimise i suoi abiti e il ferrajuolo, e partì, avvertendo
-Juxon che ricorrerebbe a lui un’altra volta ancora.
-
-Appena ebbe fatto dieci passi in istrada si accorse che lo seguiva un
-tale impastranato; mise mano al pugnale e si fermò.
-
-Quel tale era Porthos.
-
-«Caro amico! disse Aramis, e gli porse la destra.
-
-«Ecco, rispose Porthos, ciascuno di noi aveva il suo incarico; il mio
-si era di far guardia a voi, e così feci. Vedeste il re?
-
-«Sì, e tutto va bene. Ed ora i nostri amici dove sono?
-
-«Abbiamo il convegno per le undici ore all’albergo.
-
-«Dunque non v’è tempo da perdere».
-
-Infatti suonavano le dieci e mezzo alla chiesa di San Paolo.
-
-Bensì i due colleghi essendosi sollecitati arrivarono i primi.
-
-Dopo di loro entrò Athos.
-
-«Tutto va ottimamente, annunziò avanti d’essere interrogato.
-
-«Che faceste? gli chiese Aramis.
-
-«Ho preso a nolo una piccola filuca, stretta come una piroga, leggera
-come una rondine; questa ci attende a Greenwich di faccia all’isola
-dei Cani; ha un capitano e quattro marinaj, che mediante cinquanta lire
-sterline staranno a nostra disposizione per tre notti consecutive. Una
-volta che siamo a bordo col re, profittiamo della marea, scendiamo
-giù pel Tamigi, e in due ore siamo in alto mare. Allora, da veri
-pirati, rasentiamo le coste, ci rimpiattiamo verso le spiagge, o se
-il mare è libero volgiamo la prua sopra Boulogne. Se mai io restassi
-ucciso, sappiate che il padrone si chiama capitano Roger e la barca
-_Il Lampo_. Con questo avviso ritroverete questa e quello. Il segno di
-riconoscimento è un fazzoletto con quattro nodi uno per cantonata».
-
-A capo a poco giunse pure d’Artagnan.
-
-«Vuotatevi le tasche, esso disse, sino a concorrenza di cento lire
-sterline, perchè le mie (e le rivoltava) son vuote affatto».
-
-In un minuto secondo fu messa a parte la somma. D’Artagnan uscì, e
-ritornò indi a un momento.
-
-«Oh! disse, è finita.... uf! non senza fatica però!
-
-«Il boja è partito da Londra? domandò Athos.
-
-«Eh sì! in ciò non v’era sicurezza bastante; poteva uscire da una porta
-e rientrare dall’altra.
-
-«E dov’è?
-
-«In cantina.
-
-«In qual cantina?
-
-«In quella del nostro locandiere; Mousqueton sta seduto sulla porta, ed
-ecco la chiave.
-
-«Bravo! fece Aramis, ma come lo avete indotto a sparire?
-
-«Come s’inducono tutti in questo mondo, col danaro; mi è costato caro,
-ma vi ha acconsentito.
-
-«E quanto vi è costato? ricercò Athos, giacchè capite, amico, che
-adesso che non siamo più a dirittura poveri moschettieri senza casa nè
-tetto; tutte le nostre spese devono essere in comune.
-
-«Dodici mila lire, rispose d’Artagnan.
-
-«E dove le avete trovate? possedevate forse una tal somma?
-
-«E il famoso diamante della regina?
-
-«Ah! è vero, disse Aramis, ve lo avevo riconosciuto in dito.
-
-«Dunque lo avete ricomprato da Des Essarts? disse Porthos.
-
-«Eh sì, mio Dio! replicò d’Artagnan, ma lassù sta scritto ch’io non
-possa conservarlo. Che volete? i diamanti, per quanto è da credere,
-hanno le loro antipatie o simpatie come gli uomini, e sembra che quello
-mi aborrisca.
-
-«Ma, osservò Athos, codesto va bene in quanto al boja; pur troppo ogni
-boja ha il suo ajuto, il suo servo, che so io?
-
-«Anche quello lo aveva; noi però siamo fortunati.
-
-«Come mai?
-
-«Nel momento che credevo di aver da trattare di un secondo negozio,
-hanno portato colui con una coscia rotta. Per eccesso di zelo egli ha
-accompagnata fin sotto alle finestre del re la carretta che conteneva i
-travi e gl’intavolati; un di quei travi gli è caduto sulla gamba e glie
-l’ha fracassata.
-
-«Ah! disse Aramis, era suo l’urlo che io intesi dalla camera del re?
-
-«Può essere, rispose d’Artagnan; ma, essendo un uomo che pensa bene,
-ha promesso nel ritirarsi di mandare in suo luogo e vece quattro operaj
-abili ed esperti per ajutare quei che sono già al lavoro; e tornando a
-casa del suo padrone, benchè fosse ferito, ha scritto subito a maestro
-Tom Lowe, garzone di falegname suo amico, di recarsi a Whitehall ad
-eseguire la sua promessa. Ecco la lettera che egli spediva con un
-espresso, il quale doveva portarla per dieci pence e l’ha venduta a me
-per un luigi.
-
-«E che diamine volete farvi di codesta lettera? fece Athos.
-
-«Non ve lo indovinate? disse d’Artagnan con gli occhi che brillavano di
-accortezza.
-
-«No, sull’anima mia!
-
-«Or bene, caro Athos, voi che parlate inglese come John Bull in
-persona, siete maestro Tom Lowe e noi siamo i vostri tre compagni.
-Adesso capite?»
-
-Athos diede un grido di giubilo e di ammirazione, corse in uno
-stanzino, ne trasse degli abiti da operaj con cui si rivestirono subito
-i quattro amici; dopo di che essi uscirono dall’albergo, Athos portando
-una sega, Porthos un palo di ferro, Aramis una piccozza, e d’Artagnan
-un martello e dei chiodi.
-
-La lettera del servo del carnefice faceva fede qualmente eglino fossero
-quelli ch’erano aspettati.
-
-
-
-
-LXX.
-
-_Gli operaj._
-
-
-Verso la metà della notte Carlo udì grande strepito sotto la finestra:
-erano colpi di martello e di piccozza, puntate di palo, e stridere di
-sega.
-
-Essendosi egli coricato tutto vestito, e cominciando appunto ad
-addormentarsi, si destò trasalito a tal fracasso, e perchè questo oltre
-al suono materiale aveva anche un eco morale e terribile nell’animo
-suo, tornarono ad assalirlo gli orribili pensieri della sera. Solo,
-nell’isolamento e fra le tenebre, non ebbe forza di reggere a quella
-nuova tortura non compresa nel programma del suo supplizio, e mandò
-Parry a dire alla sentinella che pregasse gli operaj di picchiar meno
-forte e aver pietà dell’ultimo sonno di lui ch’era stato loro re.
-
-La sentinella non volle abbandonare il suo posto, ma lasciò passare
-Parry.
-
-Il quale, giunto vicino alla finestra, dopo fatto il giro del palazzo,
-vide a livello col davanzale del quale si era staccata l’inferriata un
-largo palco non peranco terminato, ma su cui cominciavasi ad inchiodare
-un parato di serge nera.
-
-Il palco, a pari altezza della finestra, cioè di circa venti piedi,
-aveva due piani interni.
-
-Parry, per quanto odiosa gli fosse quella vista, cercò in fra otto
-o dieci lavoranti che costruivano la trista macchina, coloro che
-col rumore che facevano doveano dare al re maggior molestia, e sul
-secondo intavolato scôrse due uomini che con un palo staccavano le
-ultime aste del balcone di ferro; uno di essi, vero colosso, faceva
-l’uffizio dell’ariete antico incaricato di atterrare le muraglie; ad
-ogni botta del suo arnese volava in pezzi la pietra; l’altro, stando
-inginocchiato, traeva a sè le pietre rimosse.
-
-Era evidente esser quelli che facevano lo strepito di cui lagnavasi
-Carlo.
-
-Parry salì su la scala di legno e venne da loro.
-
-«Amici, disse, vorreste lavorare un poco più piano? ve ne prego: il re
-dorme, e ha bisogno di sonno».
-
-L’individuo che batteva col palo si fermò e si volse alquanto; però,
-siccome stava in piedi, Parry non potè distinguere il suo viso perduto
-nelle tenebre che si rendevano sempre più dense. Quello ginocchioni,
-si girò esso pure, e perchè essendo più basso che il compagno, il
-lanternino gli rischiarava la faccia, Parry potè vederlo.
-
-Quegli guardò lui molto fisso e si portò un dito alla bocca.
-
-Parry retrocedè stupefatto.
-
-«Va bene, disse l’operajo in ottimo inglese, torna a dire al re che se
-dorme male questa notte dormirà meglio la notte prossima».
-
-Queste acerbe parole, che, prese alla lettera, avevano un senso sì
-terribile, furono accolte dagli artigiani che travagliavano dalle parti
-ed al palco inferiore con atti di atroce gioia.
-
-Parry si ritirò credendo di sognare.
-
-Carlo lo attendeva impaziente.
-
-Nel momento ch’ei tornò dentro, la sentinella della porta passò con
-curiosità la testa dall’apertura onde vedere che cosa facesse il re.
-
-Il re stava con le gomita posate sul letto.
-
-Parry chiuse l’uscio, ed appressandosi a Carlo con la cera più allegra
-del mondo gli disse sommessamente:
-
-«Sire, sapete che operaj sono quelli che fanno tanto chiasso?
-
-«No, rispose il sovrano scuotendo mestamente il capo, come vuol tu
-ch’io lo sappia? conosco io forse coloro?
-
-«Sire, soggiunse Parry anche più sottovoce e chinandosi verso il suo
-padrone; è il conte di La Fère e il suo compagno.
-
-«Che mi costruiscono il patibolo! disse attonito il re.
-
-«Sì, e costruendolo fanno un foro al muro.
-
-«Zitto! fece Carlo guardandosi attorno atterrito, gli hai veduti?
-
-«Ho loro parlato».
-
-Il re, a mani giunte, alzò gli occhi al cielo; indi, dopo breve ma
-fervida preghiera, balzò dal letto, andò alla finestra, e scostò
-le portiere; v’erano sempre le sentinelle, e più là del balcone
-estendevasi un’oscura piattaforma su cui passavano come specie di
-ombre.
-
-Carlo non potè discernere cosa alcuna, ma si sentì sotto i piedi la
-scossa dei colpi che menavano i suoi amici; e ognuno di quei colpi
-ormai corrispondeva a lui nel cuore.
-
-Parry non si era ingannato credendo di ravvisare Athos: questo
-realmente, ajutato da Porthos, faceva una buca su cui doveva posare una
-delle assi trasversali.
-
-Il buco comunicava ad una sorta di tamburo formato sotto il pavimento
-della camera regia; una volta pervenuti in quel tamburo, che somigliava
-ad un mezzanino assai basso, si poteva con un ferro e buone spalle
-(ed a ciò toccava a pensare a Porthos) far saltare una lastra del
-pavimento; allora il re si calava giù da codesta apertura, insieme co’
-suoi liberatori arrivava ad uno dei compartimenti del palco totalmente
-coperto di panno nero, s’imbacuccava esso pure con un abito da operajo
-già apparecchiatogli, e senza ostentazione nè timore scendeva coi
-quattro compagni.
-
-Le sentinelle, scevre d’ogni sospetto, mirando degli artieri che
-avevano lavorato al palco li lasciavano passare.
-
-E secondo noi dicemmo, la filuca era all’ordine.
-
-Questo piano era grande, semplice e facile, come tutte le cose che
-nascono da un’ardimentosa risoluzione.
-
-Athos adunque si squarciava le belle mani tanto bianche e sottili
-levando le pietre che Porthos aveva svelte dalla loro base; poteva
-digià introdurre la testa sotto gli ornamenti di che era guarnito
-il parapetto del balcone. Innanzi giorno il foro sarebbe finito e
-sparirebbe alla vista mercè una tenda interna che porrebbe d’Artagnan.
-D’Artagnan erasi spacciato per operajo francese e metteva i chiodi con
-la regolarità del più abile tappezziere. Aramis tagliava l’eccedenza
-della serge che pendeva sino a terra e dietro alla quale sorgeva
-l’intavolato del patibolo.
-
-Comparve la luce del giorno sulla cima delle case; gran fuoco di zolle
-e di carbone aveva ajutato i lavoranti a passare la fredda nottata
-dal 29 al 30 gennajo; ad ogni momento i più attenti alla lor bisogna
-la sospendevano per andare a scaldarsi. Soltanto Athos e Porthos
-non avevano lasciate le loro faccende. E quindi all’alba la buca era
-terminata. Athos vi entrò, portando seco le vesti destinate pel re
-avvolte in un ritaglio di saja nera; Porthos gli fece avere là dentro
-il palo; e d’Artagnan (lusso grandissimo ma utile) inchiodò un parato
-interno di lana da cui restarono celati e il foro e quello al quale
-questo serviva di nascondiglio.
-
-Ad Athos non mancavano più che un pajo d’ore di lavoro onde poter
-comunicare col re, e secondo i calcoli dei quattro amici, essi
-avrebbero per sè tutta la giornata, poichè non essendovi il carnefice
-occorrerebbe andar a chiamare quello di Bristol.
-
-D’Artagnan tornò a riprendere il suo abito color marrone, e Porthos il
-giubbetto rosso; Aramis si trasferì da Juxon ad oggetto di penetrare se
-pur fosse possibile insieme con esso presso a Carlo.
-
-Tutti e tre si erano dati l’appuntamento pel mezzodì sulla piazza di
-Whitehall per vedere ciò che ivi accaderebbe.
-
-Avanti di muoversi dal palco, Aramis si era avvicinato all’apertura
-dove stava Athos nascosto, onde annunziargli che andrebbe a procurare
-di rivedere il re.
-
-«Sicchè addio e coraggio! disse Athos, riferite al re a che punto
-ormai sono le cose; ditegli che appena sarà solo picchi sul pavimento,
-acciocchè io possa continuare con sicurezza le mie faccende. Se
-Parry fosse in grado di giovarmi, staccando anticipatamente la lastra
-inferiore del caminetto, che è senza dubbio di marmo, sarebbe un tanto
-acquistato. Voi, Aramis, cercate di non lasciare il re. Parlate forte
-e di molto, giacchè staranno alla porta ad ascoltarvi. Se v’è una
-sentinella per dentro all’appartamento, uccidetela senza cerimonie; se
-ve ne son due, Parry ne uccida una e voi l’altra; se son tre, fatevi
-ammazzare, ma salvate il sovrano.
-
-«Non dubitate, rispose Aramis, piglierò due pugnali per darne uno a
-Parry. Basta così?
-
-«Sì, andate. Ma raccomandate al re di non usare una inopportuna
-generosità. Mentre voi vi batterete, ove ciò avvenga, egli fugga;
-una volta rimessa a segno la lastra, e voi su questa o morto o vivo,
-bisogneranno almeno dieci minuti a ritrovare il buco da cui egli sarà
-scappato. In quei dieci minuti noi avremo fatto cammino, e Carlo sarà
-libero.
-
-«Sarà eseguito quanto accennate, Athos. Qua la mano, chè forse non ci
-rivedremo più».
-
-Athos abbracciò Aramis.
-
-«Ecco per voi, egli disse; ora, se muojo, dite a d’Artagnan che lo amo
-come mio figlio, ed abbracciatelo per me.... ed un amplesso ancora date
-al buono e prode Porthos. Addio.
-
-«Addio, rispose Aramis. Io son adesso tanto sicuro che il re si
-salverà, quanto lo sono di stringere in questo punto la mano più leale
-ch’esista al mondo».
-
-Aramis si divise da Athos, e andò all’albergo, fischiarellando l’aria
-di una canzone in lode di Cromvello. Trovò i due amici a tavola,
-accanto al fuoco, che bevevano una bottiglia di Porto-Porto e si
-divoravano un pollo freddo; Porthos mangiava mandando mille ingiurie
-contro gli infami parlamentari: d’Artagnan mangiava in silenzio, ma
-formando nel suo cervello i più audaci pensieri.
-
-Aramis gli raccontò tutto quel ch’era convenuto; d’Artagnan approvò col
-capo, e Porthos con la voce.
-
-«Bravo! disse questi; d’altronde noi saremo là al momento della fuga;
-si è benissimo celati sotto quel palco, e noi possiamo rimanervi. Tra
-d’Artagnan, me, Grimaud e Mousqueton, ne ammazzeremo bene otto; non
-parlo di Blaisois, buono soltanto a badare ai cavalli. A due minuti per
-uomo, sono quattro minuti; Mousqueton ne perderà uno e fanno cinque, ed
-in quei cinque voi potete aver fatto un quarto di lega».
-
-Aramis s’ingojò prestamente un boccone e un bicchier di vino, e cambiò
-vestimento.
-
-«Ora, ei disse, me ne vo da Sua Grandezza; voi, Porthos, incaricatevi
-di preparar le armi; d’Artagnan, sorvegliate a modo il boja.
-
-«State quieto; Grimaud è subentrato a Mousqueton, e tiene il piede
-sopra.
-
-«Non serve, raddoppiate la vigilanza, e non restate inoperoso un
-momento.
-
-«Inoperoso? mio caro, domandate a Porthos: non vivo, son sempre ritto e
-in moto, fo la figura di un ballerino.... Caspita! come amo la Francia
-in questo punto! e bella cosa ell’è pure l’avere una patria di suo,
-quando si sta tanto male in quella degli altri!»
-
-Aramis li lasciò come Athos, cioè abbracciandoli, e si recò dal
-vescovo Juxon, al quale avanzò la sua richiesta. Juxon aderì tanto più
-facilmente a condurre Aramis in quanto che aveva di già avvertito che
-avrebbe d’uopo di un prete in caso che il re volesse aver la comunione,
-e specialmente nel caso probabile che bramasse udire una messa.
-
-Il vescovo, coi panni che il dì precedente indossava d’Herblay,
-montò in carrozza; accanto ad esso salì Aramis più mascherato ancora
-dalla sua pallidezza e dalla sua mestizia che dall’abbigliamento da
-diacono. Il legno si fermò al portone di Whitehall. Erano circa nove
-ore del mattino. Non si scorgeva verun cambiamento; le anticamere e le
-gallerie come il giorno innanzi erano piene di guardie. Due sentinelle
-si mantenevano alla porta del re, altre due passeggiavano davanti al
-balcone sulla piattaforma del patibolo ov’era già posato il ceppo.
-
-Il re era ricolmo di speranza: la speranza si convertì in allegrezza,
-visto ch’egli ebbe Aramis. Strinse a questi la mano, ed abbracciò
-Juxon. Il vescovo affettò di parlar forte a Carlo, e dinanzi a tutti,
-del loro colloquio del giorno prima. Carlo gli rispose che le parole da
-lui dettegli allora aveano avuto buon effetto, e ch’ei desiderava un
-altro colloquio consimile. Juxon volgendosi agli astanti gli pregò di
-lasciarlo solo col re.
-
-Ognuno si ritirò. Chiuso l’uscio, Aramis disse con la massima prontezza:
-
-«Sire, voi siete salvo! il carnefice di Londra è sparito; il suo ajuto
-si ruppe jeri una coscia sotto le finestre di Vostra Maestà. Era suo il
-grido che udimmo. Certamente a quest’ora sarà noto che l’esecutore non
-v’è, ma non v’ha un boja che a Bristol, e vi vuol tempo per andare a
-chiamarlo; talchè abbiamo per lo meno sino a domani.
-
-«Ma il conte di la Fère? domandò Carlo.
-
-«È distante da voi di un braccio al più: prendete il _poker_ del
-braciere e date tre colpi, e lo sentirete rispondervi».
-
-Il re con mano tremante eseguì quanto gli si accennava, tosto di sotto
-al pavimento altri colpi dati con cautela risposero al segnale.
-
-«Sicchè.... quegli che batte da basso?....
-
-«È il conte di la Fère, o sire. Dispone la via per cui potrà fuggire
-Vostra Maestà. Parry solleverà la lastra di marmo, e sarà aperto il
-varco.
-
-«Ma, disse Parry io non ho alcun arnese.
-
-«Prendete questo pugnale; solamente badate di non ispuntarlo, perchè
-può essere che ne abbiate bisogno per bucare tutt’altro che la pietra.
-
-«O Juxon! disse Carlo premendo al vescovo ambe le mani, ritenetevi la
-preghiera di quello che fu vostro re.
-
-«Che lo è tuttora e lo sarà sempre, replicò Juxon baciando la destra al
-principe.
-
-«Pregate sin che avrete vita per questo gentiluomo che vedete, per
-l’altro che udite qua sotto, e per altri due pure, che ovunque siano si
-adoprano, ne son sicuro, per la mia salvezza.
-
-«Sire, sarete obbedito: fin tanto ch’io viva vi sarà ogni giorno
-un’orazione offerta a Dio per quei fidi amici della Maestà Vostra».
-
-Fu continuato ancora, un poco di lavoro da abbasso, che via via
-si sentiva più vicino. Ad un tratto s’intese un romore inaspettato
-nella galleria. Aramis afferrando il _poker_ diede il segnale della
-interruzione.
-
-Il romore si faceva ognor più prossimo: era come, di un certo numero di
-passi eguali e regolari. I quattro uomini rimasero immobili; fissarono
-gli occhi sulla porta, la quale fu aperta lentamente e con una sorta di
-solennità.
-
-Erano schierate delle guardie nella stanza che precedeva quella del re.
-Un commissario del Parlamento, vestito a nero e pieno di gravità di mal
-augurio, entrò, salutò il sovrano, e spiegata una pergamena gli lesse
-la sua sentenza secondo suol farsi ai condannati che denno andare al
-patibolo.
-
-«Che significa codesto? domando Aramis a Juxon».
-
-Questo fe’ un cenno ch’esprimeva non saperne egli niente più di lui.
-
-«Dunque è per oggi? chiese il re con emozione, ch’era visibile
-unicamente a Juxon e ad Aramis.
-
-«Sire, non eravate prevenuto ch’era per questa mattina? disse l’uomo
-vestito di nero.
-
-«E debbo io morire, seguitava Carlo, come un colpevole volgare, per
-mano del carnefice di Londra?
-
-«Il carnefice di Londra è sparito, sire; rispose il commissario del
-Parlamento, ma si è esibito un tale in sua vece. E così l’esecuzione
-non sarà ritardata se non del tempo che chiederete per dar sesto alle
-cose vostre temporali e spirituali».
-
-Un lieve sudore che apparve alla radici dei capelli di Carlo fu l’unico
-indizio di emozione ch’egli desse all’udire tal notizia.
-
-Aramis però diventò livido in volto; non gli batteva più il cuore;
-chiuse gli occhi, ed appoggiò una mano sulla tavola. E Carlo
-all’aspetto del suo duolo profondo parve obliasse quello che opprimeva
-lui stesso.
-
-Gli si accostò, gli prese la destra e lo abbracciò.
-
-«Orsù, amico! disse con dolce eppur triste sorriso, coraggio!»
-
-E voltosi al commissario:
-
-«Signore, io sono pronto. Vedete, non bramo se non due cose, le quali
-non vi recheranno grande indugio: la prima, la comunione; la seconda
-un amplesso a’ miei figli dicendo ad essi addio per l’ultima volta. Mi
-sarà ciò permesso?
-
-«Sì, o Sire, fece l’uomo in abito nero».
-
-Ed uscì.
-
-Aramis tornato in sè, si cacciava le unghie nelle carni; dal petto gli
-esciva un gemito continuo.
-
-«Oh monsignore! esclamò afferrando le mani di Juxon. Dov’è Dio? dov’è
-Dio?
-
-«Figlio, rispose con fermezza il vescovo, voi nol vedete perchè lo
-ascondono le passioni terrestri.
-
-«Figliuol mio, disse il re ad Aramis, non disperarti in tal modo. Tu
-domandi che fa Iddio? Iddio vede il tuo zelo e il mio martirio, e credi
-a me, entrambi avranno il loro premio: sicchè di quanto avviene devi
-dolertene contro gli uomini e non contro a Dio; gli uomini mi fanno
-morire, gli uomini ti fanno piangere.
-
-«Sì, avete ragione, replicò Aramis, dagli uomini debbo volerne ragione,
-e da loro io la vorrò!
-
-«Sedete, Juxon, proseguì Carlo inginocchiandosi, chè ancor rimane a voi
-da udirmi, a me da confessarmi. Trattenetevi pure, disse ad Aramis che
-si accingeva a ritirarsi, trattenetevi, Parry; nulla ho da dire, anche
-nel segreto della penitenza, che dire non possa al cospetto di tutti;
-trattenetevi, e soltanto mi dolgo che il mondo intero non possa udirmi
-come voi e con voi».
-
-Juxon si assise, ed il re genuflesso a lui dinanzi come il più umile
-dei fedeli, incominciò la sua confessione.
-
-
-
-
-LXXI.
-
-_Remember._
-
-
-Terminata la confessione, Carlo I. comunicò, e poi chiese di vedere i
-suoi figli. Suonavano le dieci ore, talchè conforme egli aveva detto
-non era lungo il ritardo.
-
-Non ostante, il popolo era già pronto: sapeva che per le dieci era
-fissata l’esecuzione, si affollava nelle strade adjacenti al palazzo,
-ed il re cominciava a distinguere quel fragore lontano che producono
-la moltitudine e il mare quando sono agitati, quella dalle passioni e
-questo dalle tempeste.
-
-Giunsero i figli del re: prima la principessa Carlotta, indi il duca
-di Glocester, cioè una fanciulletta bella bionda, e molle il ciglio di
-lacrime, e un fanciullo di otto o nove anni, in cui l’occhio asciutto e
-il labbro rialzato disdegnosamente già indicavano la nascente fierezza.
-Il ragazzo aveva pianto tutta la notte, ma davanti a tutta quella gente
-non piangeva più.
-
-Carlo si sentì struggere il cuore all’aspetto di quelle due creature,
-che viste non aveva da più di due anni, e che rivedeva soltanto sul
-punto di morire. Gli corse al ciglio una lacrima, e si volse per
-asciugarla, imperocchè voleva mantenersi forte dinanzi a coloro a’
-quali lasciava un sì pesante retaggio di pene e di sventura.
-
-Parlò prima alla bambina, e traendola a sè, le raccomandò la pietà,
-la rassegnazione e lo amor figliale; poscia prese il giovane duca di
-Glocester, e fattolo sedere sulle sue ginocchia onde potere a un tempo
-stesso stringerlo al cuore e baciarlo in volto, gli disse:
-
-«Figliuol mio, voi vedeste per le strade e nelle anticamere molte genti
-che venivano qui. Quelle genti troncheranno la testa a vostro padre.
-Non lo dimenticate giammai. Forse un giorno, mirandovi presso di loro
-ed avendovi in loro potere, diviseranno farvi re con esclusione del
-principe di Galles o del duca d’York vostri fratelli maggiori, che sono
-l’uno in Francia e l’altro io non so dove; ma voi non siete il re,
-nè tale potete divenire se non mediante la morte di essi. Giuratemi
-adunque di non lasciarvi porre la corona sinchè a questa non abbiate
-legittimo diritto.... chè un giorno, ascoltatemi bene, figlio mio, se
-ciò faceste, un giorno, eglino atterrerebbero tutto, capo e corona,
-ed allora voi non potreste morire quieto e senza rimorsi siccome io
-muojo.... Giurate».
-
-Il ragazzo stese la piccola sua mano fra quelle del genitore, e rispose:
-
-«Sire, giuro a Vostra Maestà....»
-
-Carlo lo interruppe.
-
-«Enrico, disse, chiamami tuo padre.
-
-«Padre mio, vi giuro che mi uccideranno prima che farmi re.
-
-«Bene Enrico.... Adesso abbracciatemi, ed anche voi Carlotta, e di me
-non vi scordate.
-
-«Oh no! mai! mai! esclamarono i due giovanetti cingendo il collo a
-Carlo con le loro braccia.
-
-«Addio.... addio, figli miei, disse il re, Juxon, guidateli altrove; il
-loro pianto mi torrebbe il coraggio di morire».
-
-Juxon levò i poveri bambini dalle braccia del loro padre, li consegnò a
-quelli che ivi gli aveano condotti.
-
-Al loro uscire si apersero le porte, ed ebbe accesso tutta la gente.
-
-Il re vedendosi solo fra mezzo alla turba di guardie e di curiosi che
-cominciavano a riempire la camera, si rammentò che il conte di la Fère
-era lì vicinissimo sotto il pavimento della stanza, non potendo vederlo
-e forse sempre sperando.
-
-Tremava che il minimo rumore sembrasse ad Athos un segnale, e che
-questo rimettendosi al lavoro si scuoprisse da per sè. Procurò quindi
-di stare immobile, e col suo esempio fece rimanere in riposo gli
-astanti.
-
-Il re non s’ingannava: Athos era veramente sotto a’ suoi piedi;
-ascoltava, s’inquietava di non udire il segnale; a volte nella sua
-impazienza riprincipiava a rompere la pietra, ma per timore di essere
-inteso si fermava subito.
-
-Durò due ore sì terribile inazione. Regnava nella regia camera silenzio
-di morte.
-
-Athos allora si decise a ricercare la causa della mesta e tetra
-tranquillità che sola turbava l’immenso strepito della folla. Schiuse
-un poco il parato che nascondeva il loro fatto, e scese sul primo
-piano nel palco. Più su della sua testa appena quattro pollici era
-l’intavolato che si estendeva al livello della piattaforma e che faceva
-il patibolo.
-
-Il rumore che fino a quel punto aveva udito confusamente, ormai
-giungendogli cupo e minaccioso, lo fe’ balzare di spavento. Andò fin
-sull’orlo del palco, scostò il panno nero alla altezza dell’occhio,
-e vide vari cavalieri raccolti sulla terribile macchina; più là di
-questa, una fila di partigianieri, dopo moschettieri, poi le prime file
-del popolo, che simile ad un oceano agitato mugghiava e ribolliva.
-
-«Che sarà accaduto? disse fra sè Athos più tremante che il panno di
-cui stropicciava le pieghe, il popolo accorre, i soldati sono sotto
-le armi, e fra gli spettatori che tutti tengono fissi gli occhi alla
-finestra, io vedo d’Artagnan! che attende mai? che guarda? Gran Dio!
-che abbiano lasciato fuggir via il boja?»
-
-Ad un tratto fuvvi sulla piazza il rullo funebre del tamburo. Di
-sopra al suo capo si sentivano passi gravi e prolungati. Gli sembrò
-che qualche riunione simile ad una processione immensa calpestasse
-i pavimenti di Whitehall. Di lì a poco udì scricchiolare la tavola
-del palco. Diede un ultimo sguardo su la piazza, e l’attitudine
-degli spettatori gli palesò ciò che tuttora impedivagli d’indovinare
-un’ultima speranza in fondo al cuore rimastagli.
-
-Era cessato il bisbiglio esterno. Tutti tenevano attente le ciglia
-verso la finestra di Whitehall; labbra schiuse, respiri trattenuti,
-indicavano l’aspettativa di un tremendo spettacolo.
-
-Lo strepito dei passi, che Athos si era sentito sopra alla testa dal
-luogo ch’egli occupava sotto l’appartamento del re, si riprodusse sul
-palco, il quale cedè al peso in tal modo che le tavole toccarono quasi
-il capo al misero gentiluomo. Erano evidentemente due file di soldati
-che si collocavano al loro posto.
-
-Nel medesimo istante una voce al gentiluomo ben nota, nobile voce, di
-sopra a lui pronunciò queste parole:
-
-«Signor colonnello, io bramo di parlare al popolo».
-
-Athos raccapricciò: era il re sul patibolo quel che così favellava.
-
-In fatti, Carlo, bevute alcune goccie di vino ed assaggiato un pane,
-stanco di attendere la morte, si era deciso improvvisamente a andarle
-incontro, ed avea dato il segnale della marcia.
-
-Allora era stata aperta del tutto la finestra che dava sulla piazza,
-e di fondo alla vasta stanza il popolo avea potuto vedere avanzarsi
-tacitamente prima un uomo immascherato che dalla scure che aveva in
-mano egli aveva riconosciuto pel carnefice; questi, appressatosi al
-ceppo, vi posava la mannaja.
-
-E tale era il primo rumore inteso da Athos.
-
-Poi, dietro a quell’uomo, pallido sì, ma tranquillo, e che camminava
-con tutta fermezza, Carlo Stuart, il quale s’inoltrava fra mezzo a
-due preti, e seguitato da parecchi ufficiali superiori, incaricati di
-presiedere all’esecuzione, e scortato da due file di partigianieri che
-si schierarono su’ due lati del palco.
-
-L’aspetto dell’immascherato provocò lungo bisbiglio. Ciascuno era
-curioso di saper chi fosse quel carnefice incognito presentatosi così
-appuntino perchè potesse aver luogo il terribile spettacolo promesso
-al popolo, mentre questo credeva che lo spettacolo fosse differito
-all’indomani; sicchè ognuno se lo era divorato con gli occhi, ma tutto
-quanto avean potuto vedere si era esser egli un uomo di media statura,
-vestito interamente a nero, il qual pareva di già alquanto attempato,
-perocchè l’estremità della barba un po’ grigia gli oltrepassava la
-maschera che cuoprivagli il volto.
-
-Però alla vista del re, sì giusto, sì nobile, tosto ripristinavasi il
-silenzio, in guisa che da tutti fu udito il desiderio ch’ei manifestava
-di favellare al popolo.
-
-E di certo a questa domanda l’individuo a cui ell’era diretta aveva
-risposto con un cenno affermativo, poichè con voce salda e sonora che
-andò in fondo al cuore ad Athos, il re incominciò la sua parlata.
-
-Spiegava desso alla gente ivi adunata la propria condotta, e le dava
-de’ consigli pel bene dell’Inghilterra.
-
-«Oh! fra sè diceva Athos, è mai possibile ch’io oda ciò che odo, e
-vegga ciò che veggo? è mai possibile che Dio abbia abbandonato il
-suo rappresentante sulla terra a tal segno da lasciarlo morire tanto
-miseramente? Ed io che non l’ho visto! ed io che non gli ho detto un
-addio!»
-
-S’intese un rumore simile a quello che avrebbe prodotto l’istrumento di
-morte rimosso sopra al ceppo.
-
-Il re sospese il discorso.
-
-«Non toccate la scure! disse egli».
-
-E riprincipiò l’arringa d’onde l’aveva interrotta.
-
-Terminata questa, fu di sopra alla testa del conte un gelido silenzio.
-Ei si teneva sulla fronte la mano, e tra la mano e la fronte cadevano
-goccie di sudore abbenchè l’aria fosse diacciata.
-
-Quel silenzio dava indizio degli estremi preparativi.
-
-Il re, dopo finito di parlare, avea volto su la moltitudine uno sguardo
-pien di misericordia, e staccato l’ordine che portava, e ch’era la
-stessa placca di diamanti inviatagli dalla regina, lo consegnò al
-prete che accompagnava Juxon. Indi si levò di seno una piccola croce
-parimente di diamanti, che pure gli proveniva da Enrichetta.
-
-«Signore, disse al sacerdote ch’era insieme con Juxon, io terrò in mano
-questa croce sino all’ultimo mio momento; voi me la torrete allorchè io
-sarò morto.
-
-«Sì, sire, rispose una voce, presto riconosciuta da Athos per quella di
-Aramis».
-
-Allora Carlo, che sino a quel punto era stato a testa coperta, si levò
-il cappello e lo gittò vicino a sè; poscia si sciolse uno per uno tutti
-i bottoni del giubbetto, se ne spogliò e lo buttò accanto al cappello.
-E perchè faceva freddo, chiese la vesta da camera, la quale gli venne
-data.
-
-Tutti questi preparativi eransi fatti con una calma che incuteva
-terrore. Avreste detto che il re fosse per distendersi nel suo letto e
-non già in una bara.
-
-Alfine tirandosi in su i capelli con la mano, domandò al boja:
-
-«Vi daranno forse impaccio? in tal caso si potrebbero fermare con una
-cordellina».
-
-Carlo accompagnò queste parole con un’occhiata che pareva volesse
-penetrare sotto il volto posticcio dell’incognito.... e l’occhiata
-secura e nobile costrinse colui a girarsi da parte.... Ma esso a tergo
-allo sguardo profondo del re trovò quello ardentissimo di Aramis.
-
-Carlo osservando ch’ei non rispondeva, ripetè la richiesta.
-
-«Basterà, disse l’uomo con voce burbera, che li tiriate da un lato sul
-collo».
-
-Il re con ambe le mani si spartì i capelli, e considerato attentamente
-il ceppo disse:
-
-«Quel ceppo è molto basso; non ve ne sarebbe uno più alto?
-
-«È il solito, replicò l’immascherato.
-
-«Credete tagliarmi la testa con un sol colpo? fece il re.
-
-«Spero di sì, rispose l’esecutore».
-
-Nello _spero di sì_ eravi una tale intonazione che fe’ rabbrividire
-tutti quanti tranne il sovrano.
-
-«Va bene, questi soggiunse, ed ora, tu, o boja, ascolta».
-
-Il travestito mosse un passo verso il re, e si appoggiò sulla scure.
-
-«Non voglio che tu mi sorprenda; continuò Carlo, io m’inginocchierò per
-pregare; sicchè non dar peranche il colpo.
-
-«E quando lo darò?
-
-«Allorchè io poserò il collo e stenderò le braccia dicendo: _Remember_
-(_rammentatevi_) allora dà pure liberamente».
-
-Il travestito fece un piccolo inchino.
-
-«Ecco il momento di abbandonare il mondo, disse il re a quei che gli
-erano attorno, signori, io vi lascio in mezzo alla procella, e vi
-precedo in quella patria che non conosce procelle: addio».
-
-Guatò Aramis, e gli fe’ col capo un cenno particolare.
-
-«Adesso, seguitò, allontanatevi e lasciatemi far sommessamente la
-preghiera. Fatti da parte tu pure (disse all’immascherato); è per un
-sol momento, e so che sono cosa tua, ma rammentati di non percuotere se
-non dopo il segnale».
-
-Carlo s’inginocchiò, si fece il segno della croce, accostò la bocca ai
-tavoloni quasi avesse voluto baciare la piattaforma; indi appoggiandosi
-da una mano al pavimento e dall’altra al ceppo disse in francese:
-
-«Conte di la Fère, siete voi costì, e posso parlare?»
-
-Quegli accenti corsero direttamente al cuore di Athos e lo punsero come
-un ferro freddissimo.
-
-«Sì, Maestà, egli rispose tremando.
-
-«Amico fedele, cuor generoso, soggiunse Carlo, non potei essere da te
-salvato, non dovevo esserlo. Ora, quando anche dovessi commettere un
-sacrilegio, io ti dirò: Sì, ho parlato agli uomini, ho parlato a Dio,
-parlo a te per l’ultimo. Per sostenere una causa che ho creduta sacra,
-ho perduto il trono dei padri miei e distrutto il patrimonio de’ miei
-figli. Mi resta un milione in oro, l’ho sotterrato nelle cantine del
-castello di Newcastle al momento di lasciare quella città. Quel danaro,
-tu solo sai ch’esiste; fanne uso quando crederai che sia tempo pel
-maggior bene del figliuol mio primogenito. E adesso, conte di la Fère,
-ditemi addio.
-
-«Addio, Maestà santa e martire, balbettò Athos gelando di terrore».
-
-Vi fu breve silenzio, durante il quale parve ad Athos che il re si
-alzasse e cambiasse posizione.
-
-Poi con voce piena e sonora, in maniera da essere udito non solo sul
-palco ma ben anco su la piazza, il re disse:
-
-«_Remember_».
-
-Appena aveva terminato di profferire questa parola un colpo terribile
-scosse il pavimento del palco; la polvere uscita dal panno acciecò
-il misero gentiluomo. Mentre questi per un moto macchinale alzava
-gli occhi e la testa, gli cadde sulla faccia una goccia calda. Athos
-retrocedè inorridito e nel medesimo istante le goccie si convertirono
-in uno scroscio nero che sprillò sul pavimento.
-
-Athos cascato ginocchioni rimase alquanto come colpito da impotenza
-e demenza. In breve dal romorìo che scemava, ei comprese che si
-allontanava la folla: stette ancora un momento fermo, mutolo, in
-costernazione. Indi volgendosi, andò ad attuffare la cima del suo
-fazzoletto nel sangue del re martire: poscia, siccome la moltitudine
-si allontanava sempre più, egli scese, ruppe il panno, si cacciò fra
-mezzo a due cavalli, si mischiò fra il volgo del quale indossava il
-vestimento, e fu il primo ad arrivare alla taverna.
-
-Salito alla propria camera, si guardò allo specchio, vide che aveva
-sulla fronte una larga macchia rossa, vi si portò la mano, e la ritolse
-piena del sangue del re, e svenne.
-
-
-
-
-LXXII.
-
-_L’immascherato._
-
-
-Quantunque fossero solamente le quattro ore pomeridiane, si faceva
-digià bujo; cadeva fitta e ghiaccia la neve. Aramis essendo tornato
-trovò Athos, se non privo dei sensi, però in sommo abbattimento.
-
-Questi bensì alle prime parole dell’amico uscì dalla specie di letargo
-in cui era piombato.
-
-«Ebbene! disse Aramis, vinti dalla fatalità!
-
-«Vinti! ripetè Athos, re nobile e infelice!
-
-«Siete forse ferito?
-
-«No, questo è sangue suo».
-
-Ed Athos si asciugava la fronte.
-
-«Ov’eravate? domandò Aramis.
-
-«Dove voi mi avete lasciato: sotto il palco.
-
-«E vedeste tutto?
-
-«No, ma intesi: Dio mi liberi da un’altra ora simile a quella che ho
-passata dianzi! non ho i capelli bianchi?
-
-«Dunque sapete ch’io non l’ho abbandonato?
-
-«Ho udita la vostra voce sino all’ultimo momento.
-
-«Ecco la piastra che mi ha data, continuò Aramis, ecco la croce che ho
-ritirata dalla sua destra; era sua brama che fossero consegnate alla
-regina.
-
-«Ed ecco un fazzoletto per avvolgerle dentro, soggiunse Athos».
-
-E si cavava dalla saccoccia la pezzuola che aveva tuffata nel sangue
-del re.
-
-«Adesso, domandò Athos, che ne hanno fatto, del povero cadavere?
-
-«Gli si renderanno per ordine di Cromwello i regi onori. Noi abbiam
-posto il corpo in una bara di piombo; i medici sono occupati a
-imbalsamare quel miseri avanzi, e terminata l’opra loro si metterà il
-re in una cappella ardente.
-
-«Derisione! mormorò Athos, regi onori a quello che hanno assassinato.
-
-«Ciò prova, fece Aramis, che il re muore, ma non muore la dignità
-regale.
-
-«Ahimè! egli è forse l’ultimo re cavaliere che avrà il mondo.
-
-«Orsù, non vi disperate, conte! disse una grossa voce di sulla scala
-dove si udivano i gravi passi di Porthos, siamo tutti mortali, amici
-miei.
-
-«Siete arrivato tardi, caro Porthos, rispose il conte di la Fère.
-
-«Sì, per la strada erano alcune genti che mi hanno fatto ritardare.
-Ballavano, sciagurati! ne ho preso uno pel collo, e credo averlo un
-poco strangolato. Appunto in quel momento è venuta una pattuglia.
-Fortunatamente colui col quale avevo che fare particolarmente è rimasto
-qualche minuto senza poter parlare. Ho profittato della circostanza per
-cacciarmi in una straduzza. Questa mi ha condotto in un’altra anche più
-piccola. Allora mi sono smarrito. Non conosco Londra, non so l’inglese,
-non credevo di avervi a ritrovare mai più. Alla fine eccomi qua.
-
-«Ma d’Artagnan, chiese Aramis, non lo avete veduto? che non gli sia
-successo nulla?
-
-«La folla ci ha separati, e per quanto io abbia fatto non ho potuto
-raggiungerlo.
-
-«Oh! riprese Athos con amarezza, io sì, lo vidi: era nelle prime file
-di quella folla in ottima situazione per non perder niente; e siccome
-in sostanza era curioso spettacolo, avrà voluto contemplarlo sino
-all’ultimo.
-
-«Oh! conte de la Fère, disse una voce tranquilla benchè fiacca pella
-rapidità della corsa, e siete voi che calunniate gli assenti?»
-
-Il rimprovero colpì nel cuore Athos. Per altro, siccome era profonda
-l’impressione in lui prodotta dal mirare d’Artagnan confuso tra quel
-popolo stupido e feroce, si contentò di rispondere:
-
-«Non vi calunnio, amico mio. Qui si stava in pensiero per voi, e ho
-detto dov’eravate. Voi non conoscevate il re Carlo, egli per voi non
-era altro che uno straniero, e non avevate obbligo di amarlo».
-
-Così favellando porse la mano a d’Artagnan.
-
-Ma d’Artagnan finse di non badare al suo gesto e tenne la mano sotto al
-ferrajuolo.
-
-Athos lasciò cadersi al fianco la sua.
-
-«Uf! sono stanco, disse il tenente; e si assise.
-
-«Bevete un bicchiere di Porto-Porto, e questo vi calmerà, gli offerse
-Aramis, presa dal tavolino la bottiglia ed empiuto un bicchiere.
-
-«Sì, beviamo, soggiunse Athos, il quale sensibile al malcontento del
-Guascone voleva toccar seco il bicchiere, e poi abbandoniamo questo
-abbominevol paese. La filuca ci attende, lo sapete; si parta questa
-sera, qui non abbiamo più che fare.
-
-«Avete la gran fretta, signor conte, replicò d’Artagnan.
-
-«Questo suolo insanguinato mi abbrucia i piedi, fece Athos.
-
-«A me la neve non produce codesto effetto, ribattè tranquillamente il
-Guascone.
-
-«Ma che volete che qui facciamo? domandò Athos, adesso che il re è
-morto?
-
-«Sicchè, messer conte, seguitò con indolenza il tenente, non vedete
-anzi che ci rimane da fare qualche cosa in Inghilterra?
-
-«Nulla, nulla, rispose Athos, se non è dubitare della divina bontà e
-sprezzare le mie proprie forze!
-
-«Or bene, continuò d’Artagnan, io meschino, io scioperato e curioso
-sanguinario, che sono andato a piantarmi distante trenta passi dal
-patibolo per veder meglio cadere la testa di quel re che non conoscevo,
-e che per quanto pare mi era indifferente, io penso diversamente dal
-signor conte.... io mi trattengo».
-
-Athos impallidì fuor di modo; ogni rampogna dell’amico gli andava in
-fondo al cuore.
-
-«Ah! restate a Londra? domandò Porthos a d’Artagnan.
-
-«Sì, questi rispose, e voi?
-
-«Eh!.... fece Porthos, un poco confuso dirimpetto ad Athos ed Aramis;
-se voi rimanete, io che sono venuto con voi, con voi soltanto me ne
-andrò; non vi lascerò solo in questo esecrabile paese.
-
-«Grazie, ottimo amico mio. Allora ho da proporvi una piccola impresa,
-che porremo insieme in esecuzione quando sia partito il signor conte,
-e della quale mi è nata l’idea mentre osservavo lo spettacolo che voi
-sapete.
-
-«E quale? disse Porthos.
-
-«Di sapere qual sia l’uomo immascherato che si offerse sì gentilmente
-per troncare il collo al re.
-
-«Un uomo immascherato! esclamò Athos, dunque non lasciaste fuggire il
-carnefice?
-
-«Il carnefice? replicò d’Artagnan, è sempre in cantina, e mi suppongo
-che abbia detto due paroline alle bottiglie del nostro locandiere: ma
-adesso mi ci fate pensare....»
-
-E andò verso l’uscio.
-
-«Mousqueton! chiamò.
-
-«Signore? fu la risposta, che sembrava scaturisse dalle viscere della
-terra.
-
-«Liberate il vostro prigioniero; tutto è finito, ordinò il tenente.
-
-«Ma, soggiunse Athos, e chi è lo sciagurato che portò le mani addosso
-al suo re?
-
-«Un boia dilettante, che però maneggiava la scure con facilità,
-giacchè, secondo _sperava_, gli è bastato un sol colpo, disse Aramis.
-
-«Non lo vedeste in viso? chiese Athos.
-
-«Aveva la maschera, fece d’Artagnan.
-
-«Ma voi, Aramis, che gli stavate vicino?
-
-«Vidi una barba un po’ grigia che veniva fuori dal volto posticcio, e
-non altro.
-
-«Dunque è un uomo piuttosto attempato? seguitò Athos.
-
-«Oh! disse d’Artagnan, ciò non significa niente; chi si mette la
-maschera può mettersi anche la barba posticcia.
-
-«Mi rincresce di non averlo seguitato, aggiunse Porthos.
-
-«Ebbene, caro Porthos, ripigliò il Guascone, ecco appunto l’idea che a
-me è nata».
-
-Athos comprese tutto e si alzò dicendo:
-
-«Perdonami, d’Artagnan; ho dubitato di Dio, potevo dubitare di te;
-perdonami, amico.
-
-«Or ora si vedrà, disse sorridendo il tenente.
-
-«Or dunque? domandò Aramis.
-
-«Or dunque, riprese d’Artagnan, frattanto che guardavo, non già il re,
-come s’immagina il signor conte, poichè so che cos’è un uomo che sta
-per morire, e quantunque dovessi essere assuefatto a questa specie di
-faccende, esse mi fanno sempre male, ma bensì il boia immascherato,
-mi venne l’idea, conforme vi ho detto, di sapere chi egli fosse. Ed
-essendo che noi abbiamo per uso di completarci gli uni mediante gli
-altri e chiamarci in ajuto nella guisa che si chiama la seconda mano
-in soccorso alla prima, così mi guardai macchinalmente attorno per
-vedere se per là v’era Porthos; giacchè, Aramis, io vi aveva ravvisato
-presso al re, e di voi, conte, mi era noto che dovevate essere sotto
-al palco.... lo che fa sì ch’io vi perdoni (e d’Artagnan porgeva ad
-Athos la destra), chè dovete aver sofferto di molto!.... Ecco dunque
-che alla mia diritta vidi una testa ch’era stata spaccata ed alla
-meglio raggiustatasi con del drappo di seta nera. — Cospetto! dissi fra
-me, codesta mi pare una cucitura fatta da me; sì, mi sembra di aver
-ricucito quel cranio in qualche luogo. — Difatto era il disgraziato
-Scozzese, il fratello di Parry, vi ricordate? quello sul quale
-master Groslow si divertì a provare le sue forze, e che quando noi lo
-incontrammo non aveva altro che mezza testa.
-
-«Precisamente, fece Porthos, l’uomo delle galline nere.
-
-«Per l’appunto; faceva dei cenni ad un altro che si trovava a mano
-manca da me; mi voltai, e riconobbi l’onesto Grimaud, tutto occupato
-al pari di me a divorarsi cogli occhi il travestito carnefice. — Oh! —
-gli dissi. E siccome questa sillaba è l’abbreviazione di che si vale il
-signor conte nei giorni che gli parla, Grimaud capì che si chiamava lui
-e si voltò quasi mosso da una molla. Ei mi riconobbe pure, ed allora
-allungando il dito verso l’immascherato, pronunziò: — Eh? — lo che
-voleva esprimere: — Avete visto? — Per Diana! io risposi. — Ci eravamo
-intesi a meraviglia. Mi volsi dalla parte del nostro Scozzese; anche
-quello aveva occhiate parlanti. Alle corte, tutto terminò, già sapete
-il come, in modo molto lugubre. A poco a poco si allontanò il popolo;
-annottava; io m’era ritirato in un canto della piazza con Grimaud e lo
-Scozzese, a cui avevo accennato di rimanere con noi, e di là osservavo
-il boia che rientrato nella regia camera cambiava d’abito, avendo il
-suo senza dubbio insanguinato; dopo di che esso si mise in testa un
-cappello nero e addosso un ferrajuolo, e disparve. Indovinai che presto
-uscirebbe, e corsi dirimpetto alla porta, e realmente in capo a cinque
-minuti lo vedemmo scendere la scala.
-
-«Lo seguitaste? esclamò Athos.
-
-«Capperi! e come! disse d’Artagnan, ma non senza fatica, no! ad ogni
-momento si voltava, e allora noi eravamo costretti a nasconderci o
-assumere una cert’aria d’indifferenza. Gli sarei andato incontro e
-lo avrei ucciso; ma io non sono egoista, ed era questo un piacere
-che serbavo ad Aramis ed a voi, Athos, per consolarvi un poco.
-Finalmente, dopo mezz’ora di cammino per le strade più tortuose della
-Città-Vecchia, egli giunse ad una casetta isolata, dove nè rumore nè
-lume di sorta alcuna davano indizio che vi fosse un uomo. Grimaud si
-levò dalle ampie brache una pistola. — Eh? — fece mostrandomela. — No,
-— io gli dissi. E gli trattenni il braccio.... Ve l’ho detto, avevo la
-mia idea. L’uomo travestito si fermò davanti una porticella, e cavò
-fuori una chiave, ma innanzi di metterla nella serratura si girò a
-vedere se qualcuno lo seguiva. Io stava rannicchiato dietro un albero;
-Grimaud dietro a un muricciuolo. Lo Scozzese, che non aveva con che
-rimpiattarsi, si buttò in terra bocconi. E bisogna che quello che noi
-inseguivamo si credesse solo, poichè intesi stridere la chiave, la
-porta fu aperta ed esso sparì.
-
-«Disgraziato! disse Aramis, intanto che voi siete tornato ci sarà
-fuggito, e non lo ritroveremo.
-
-«Eh via! disse d’Artagnan; ma per chi mi pigliate?
-
-«Bensì, obiettò Athos, in assenza vostra....
-
-«E in assenza mia, non avevo a rimpiazzarmi Grimaud e lo Scozzese?
-Prima ch’egli avesse tempo di far dieci passi per dentro, io avevo
-fatto il giro del casamento. Ad una delle porte, cioè quella donde
-egli era entrato, misi il nostro Scozzese, ammiccandogli che se
-usciva l’individuo dalla maschera nera era d’uopo tenergli dietro
-dove andrebbe, mentre Grimaud andrebbe appresso a lui e verrebbe ad
-attenderci dove eravamo; piantai Grimaud alla seconda uscita con uguale
-raccomandazione; ed eccomi qui! La bestia è attorniata, e adesso chi
-vuole vada a vedere».
-
-Athos si precipitò nelle braccia di d’Artagnan, il quale si asciugava
-la fronte.
-
-«Amico, ei disse, davvero, siete stato buono a perdonarmi; ho torto, ho
-mille torti; dovrei pure conoscervi, ma nel nostro interno v’è qualche
-cosa di tristo che dubita sempre.
-
-«Uhm! fece Porthos, e il boia non sarebbe forse per caso il signor
-Cromvello, che per esser certo che la faccenda fosse fatta, avesse
-voluto farla da sè stesso?
-
-«Eh sì! Cromvello è grosso e corto, e colui alto e sottile, piuttosto
-grande che piccolo.
-
-«Qualche soldato condannato, a cui si sia offerta a quel patto la
-grazia, disse Athos, come si praticò pel misero Chalais.
-
-«No no, continuò d’Artagnan, non ha il camminare misurato di uno
-d’infanteria; nemmeno il passo largo di uno di cavalleria; v’è una
-gamba sottile, un’andatura elegante: o ch’io la sbaglio, o abbiamo che
-fare con un gentiluomo.
-
-«Un gentiluomo! gridò Athos, non è possibile; sarebbe un disonore per
-tutta la signoria.
-
-«Bella caccia! disse Porthos con una tal risata che fe’ tremare i
-vetri, bella caccia, per Bacco!
-
-«Siete sempre di partenza, Athos? domandò il Guascone.
-
-«No, resto qui, rispose Athos con un gesto di minaccia che nulla di
-buono prometteva a quello a cui era diretto.
-
-«Dunque le spade! le spade! fece Aramis, e non si perda un momento».
-
-I quattro amici indossarono prontamente le loro vesti da gentiluomini,
-si cinsero le spade, fecero salire Mousqueton e Blaisois, a’ quali
-ordinarono di aggiustare il conto col locandiere e tener tutto
-allestito pella partenza, essendovi probabilità di abbandonar Londra in
-quella notte medesima.
-
-Era tempo vieppiù bujo, seguitava a cader la neve e somigliava ad un
-ampio lenzuolo disteso sulla città regicida; erano circa le sette ore
-di sera; si vedevano appena pochi viandanti per le strade, ciascuno
-ragionava sommessamente in famiglia dei terribili eventi della giornata
-trascorsa.
-
-I quattro compagni inferrajuolati traversarono tutte le piazze e le vie
-della Città-Vecchia, sì frequentate nel giorno, allora tanto deserte.
-D’Artagnan li guidava, procurando tratto tratto di riconoscere delle
-croci che col suo pugnale aveva fatte sui muri, ma era notte sì oscura
-che si stentava a distinguere tali vestigia indicatrici. Egli però
-si era fitto così bene in mente ogni muricciuolo, ogni fontana, ogni
-insegna, che dopo aver camminato una mezz’ora giunse coi suoi tre
-compagni alle viste dell’abitazione isolata.
-
-Per un momento d’Artagnan credè che il fratello di Parry fosse
-sparito, ma s’ingannava: il robusto Scozzese, avvezzo ai ghiacci
-delle sue montagne, si era disteso in terra, e simile ad una statua
-buttata giù dalla sua base si era lasciato cuoprir tutto di neve, ma
-all’avvicinarsi dei quattro uomini egli si alzò.
-
-«Animo, disse Athos, anche questo è un buon servitore. Vero Dio!
-le brave genti non sono rare come si crede, e questa è cosa che dà
-coraggio.
-
-«Non ci affrettiamo di troppo ad intesser corone pel nostro Scozzese;
-rispose d’Artagnan, secondo me, il briccone è qui per suo proprio
-conto. Io ho inteso dire che quei signori che son nati dall’altra
-parte della Tweed sogliono serbar molto rancore.... giudizio con messer
-Groslow! potrebbe passare un tristo quarto d’ora se lo incontrasse».
-
-E distaccatosi dagli amici, si appressò allo Scozzese e si fece
-riconoscere; indi accennò agli altri che venissero.
-
-«Ebbene? domandò Athos in inglese.
-
-«Non è uscito alcuno, rispose il fratello di Parry.
-
-«Bene; Porthos, restate con quest’uomo, e voi pure, Aramis. D’Artagnan
-mi condurrà presso a Grimaud».
-
-Grimaud, non meno immobile che lo Scozzese, stava come appiccicato a
-un salice rotto, con una buca del quale si era fatto una specie di
-casotto. Per un poco, conforme aveva temuto dell’altra sentinella,
-d’Artagnan credè che l’immascherato fosse uscito e che Grimaud lo
-avesse seguitato.
-
-Ad un tratto comparve una testa e fece udire un piccolo fischio.
-
-«Oh! disse Athos.
-
-«Sì», disse Grimaud.
-
-Si accostarono al salice.
-
-«Orsù, domandò d’Artagnan, è partito qualcuno?
-
-«No, ma qualcuno è entrato, fece Grimaud.
-
-«Uomo o donna?
-
-«Uomo.
-
-«Ah ah! allora sono due.
-
-«Vorrei che fossero quattro, replicò Athos, almeno la partita sarebbe
-uguale.
-
-«Saranno forse quattro, ribattè d’Artagnan.
-
-«Come mai?
-
-«E forse non potevano esser degli altri nella casa ad attenderli?
-
-«Si può vedere, suggerì Grimaud additando una finestra dalle imposte
-della quale trapelava qualche raggio di lume.
-
-«Così è, approvò d’Artagnan, chiamiamo gli altri».
-
-E girarono attorno all’abitazione per far segno di tornare indietro a
-Porthos ed Aramis.
-
-I quali accorsero con tutta premura.
-
-«Avete veduto qualche cosa?
-
-«No, ma ora sapremo», disse d’Artagnan.
-
-E mostrava Grimaud, che aggrappandosi alle punte del muro, era già in
-alto di cinque o sei piedi più su del suolo.
-
-Tutti quattro si avvicinarono. Grimaud continuava a salire con
-l’agilità di un gatto; finalmente gli riuscì di afferrare uno di
-quei ganci che servono a tener ferme le imposte quando sono aperte;
-nello stesso tempo incontrò col piede uno scavo che gli sembrò
-gli presentasse un sufficiente punto d’appoggio, poichè accennò di
-essere arrivato alla meta. E allora mise l’occhio alla fessura dello
-sportello.
-
-«Ebbene?» domandò d’Artagnan.
-
-Grimaud mostrò la mano chiusa con due sole dita ritte.
-
-«Parla, disse Athos, non si veggono i tuoi segni. Quanti sono?»
-
-Grimaud fece uno sforzo inaudito, poichè rispose:
-
-«Due: uno è dirimpetto a me, l’altro mi volge le spalle.
-
-«Ottimamente. E qual è quello di faccia a te?
-
-«L’uomo che ho visto passare.
-
-«Lo conosci?
-
-«Ho creduto di riconoscerlo, e non isbagliavo: grosso e corto.
-
-«Chi è? richiesero insieme e a voce bassa i quattro amici.
-
-«Il generale Oliviero Cromvello».
-
-Eglino si guardarono.
-
-«E l’altro? seguitò ad interrogare Athos.
-
-«Alto e magro.
-
-«È il boja, dissero uniti d’Artagnan ed Aramis.
-
-«Non gli vedo se non la schiena, aggiunse Grimaud, ma aspettate, si
-muove, si gira: si è levata la maschera, potrò distinguere.... Ah!»
-
-Grimaud, quasi avesse avuta una botta al cuore, lasciò andare il gancio
-di ferro e si gittò all’indietro urlando. Porthos lo trattenne fra le
-sue braccia.
-
-«Lo hai visto? dissero i quattro camerati.
-
-«Sì, rispose Grimaud, irti i capelli e col sudore sulla fronte.
-
-«Il grande e magro? fece d’Artagnan.
-
-«Sì.
-
-«Insomma, il boja? chiese Aramis.
-
-«Sì.
-
-«E chi è? disse Porthos.
-
-«_Lui! lui!_ balbettò Grimaud, giallo come un morto, e con la sua mano
-tremante premendo quella del padrone.
-
-«Chi, _lui?_
-
-«Mordaunt!»
-
-D’Artagnan, Porthos ed Aramis diedero una esclamazione di giubilo.
-Athos mosse un passo indietro, si mise la mano sulla fronte, e disse:
-
-«Fatalità, fatalità!»
-
-
-
-
-LXXIII.
-
-_La casa di Cromvello._
-
-
-Difatti era Mordaunt quello che d’Artagnan aveva seguitato senza
-riconoscerlo.
-
-Entrato nella casa si era tolta la maschera e staccata la barba
-grigia postasi onde meglio cambiarsi, aveva salito la scala, aperto un
-usciale, ed in una camera rischiarata da una lampada e parata di colore
-molto oscuro, erasi trovato in faccia ad un uomo che scriveva seduto
-davanti al tavolino.
-
-Era questi Cromvello.
-
-Cromvello aveva in Londra, come è noto, due o tre di quei ricoveri, che
-non si sapevano tampoco da’ suoi amici, e di cui affidava il segreto
-soltanto ai più intimi: e fra questi, noi ce ne rammentiamo, poteva
-essere annoverato Mordaunt.
-
-Quando esso entrò, Cromvello alzò il capo.
-
-«Siete voi, Mordaunt? gli disse, siete venuto assai tardi.
-
-«Generale, rispose il giovane, ho voluto veder la cerimonia sino alla
-fine, e mi ha preso tempo.
-
-«Ah! fece Cromvello, non vi credevo per solito tanto curioso.
-
-«Sono sempre curioso di contemplare la caduta di un nemico di Vostro
-Onore, e quello non era fra i minimi. Ma voi, generale, non eravate a
-White-Hall?
-
-«No» disse Cromvello.
-
-E vi fu un momento di silenzio.
-
-«Avete avuti dei dettagli? domandò Mordaunt.
-
-«Nessuno. Sono qui da stamane: sapevo unicamente che v’era un complotto
-per salvare il re.
-
-«Ah! lo sapevate?
-
-«Poco importa: quattro uomini travestiti da operaj dovevano trarre di
-prigione il re e condurlo a Greenwich, dove lo attendeva una barca.
-
-«E istrutto di tutto questo, Vostro Onore se ne stava qui, distante
-dalla Città-Vecchia, quieto ed inoperoso?
-
-«Quieto sì, disse Cromvello, ma chi vi dice inoperoso?
-
-«Per altro, se riusciva la trama?
-
-«Lo avrei bramato.
-
-«Io pensava che Vostro Onore considerasse la morte di Carlo I come una
-disgrazia necessaria al bene dell’Inghilterra.
-
-«E tale è sempre la mia opinione; ma purchè morisse, non era d’uopo
-d’altro; e forse sarebbe stato meglio che ciò non avvenisse sul
-patibolo.
-
-«Perchè mai?»
-
-Cromvello sorrise.
-
-«Perdonatemi, generale, vi è però noto che io sono apprendista
-politico, e desidero in ogni circostanza approfittarmi delle lezioni
-che si compiace darmi il mio maestro.
-
-«Perchè si sarebbe detto ch’io lo avevo fatto condannare per giustizia
-e lasciato fuggire per misericordia.
-
-«Ma se fuggiva realmente?
-
-«Impossibile.
-
-«Impossibile?
-
-«Erano prese le mie precauzioni.
-
-«E Vostro Onore conosce i quattro che avevano intrapreso di salvare il
-re?
-
-«Sono Francesi: due mandati da Enrichetta a suo marito, e due da
-Mazzarino a me.
-
-«E credete, signore, che Mazzarino li abbia incaricati di far ciò che
-hanno fatto?
-
-«Può darsi, ma ora li biasimerà.
-
-«Lo pensate?
-
-«Ne son certo.
-
-«Perchè?
-
-«Perchè non hanno avuto buon esito.
-
-«Vostro Onore mi aveva donati due di quei Francesi quando non erano
-colpevoli se non di essersi armati a favore di Carlo I; adesso che sono
-rei di complotto contro l’Inghilterra, vuol darmeli tutti quattro?
-
-«Prendeteli» disse Cromvello.
-
-Mordaunt s’inchinò con un sorriso di ferocia trionfante.
-
-«Ma, soggiunse Oliviero, scorgendo che quegli si accingeva a
-ringraziarlo, torniamo di grazia a quell’infelice Carlo. Fra il popolo
-vi sono state delle grida?
-
-«Poche, se non se: _evviva Cromvello!_
-
-«Voi, dove eravate?»
-
-Mordaunt guardò un momento il generale, per discernere da’ suoi occhi
-se gli faceva una domanda inutile e sapeva già tutto.
-
-Ma lo sguardo acuto di Mordaunt non potè penetrare nelle oscure
-profondità di quello di Cromvello.
-
-«Io era situato in maniera da vedere e udir tutto», rispose.
-
-Allora toccò a Cromvello di fissar ben bene Mordaunt, ed a questo toccò
-di rendersi impenetrabile. Dopo pochi minuti secondi di esame girò in
-là il ciglio con indifferenza.
-
-«Pare, soggiunse Oliviero, che il carnefice capitato d’improvviso abbia
-fatto benone l’obbligo suo; almeno, da quanto mi fu riferito, il colpo
-è stato vibrato con mano maestra».
-
-Mordaunt si ricordò come Cromvello gli aveva detto non averne avuto
-verun dettaglio, e quindi fu convinto che il generale fosse stato
-presente all’esecuzione, benchè nascosto dietro ad una cortina o a
-qualche persiana.
-
-«Realmente, replicò Mordaunt con voce quieta e faccia impassibile, è
-bastato un sol colpo.
-
-«Sarà stato forse, osservò Cromvello, un uomo del mestiere.
-
-«Credete così, signore?
-
-«E perchè no?
-
-«Non aveva però la cera di un boja.
-
-«E chi altro che un boja, disse Cromvello, avrebbe voluto esercitare sì
-orribili funzioni?
-
-«Eh! fece Mordaunt, chi sa? un nemico particolare del re Carlo
-che avesse fatto voto di vendetta e compiuto il suo voto; forse un
-gentiluomo che avesse motivi d’odiare il re decaduto, e sapendo ch’esso
-era per fuggire, e per sottrarglisi, si sia impiantato a lui dinanzi,
-mascherato il viso ed in pugno la scure, non più come ajuto del
-carnefice, ma qual mandatario della fatalità.
-
-«Può essere, disse Cromvello.
-
-«E se così fosse, Vostro Onore biasimerebbe la sua azione?
-
-«A me non si spetta a giudicarlo: è un affare tra Dio e quel tale.
-
-«Ma se Vostro Onore conoscesse il gentiluomo?
-
-«Non lo conosco, signor mio, ribattè Cromvello, nè voglio conoscerlo.
-Che importa a me che sia uno o l’altro? Dacchè Carlo era condannato,
-non è un uomo che gli ha troncata la testa, è la mannaja.
-
-«Eppure, aggiunse Mordaunt, senza colui, il re era salvo».
-
-Cromvello sorrise.
-
-«Ma di certo! voi stesso lo diceste, lo portavano via.
-
-«Lo portavano sino a Greenwich. Là s’imbarcava sopra una filuca
-co’ suoi quattro liberatori. Sulla filuca però erano quattro uomini
-miei, e quattro botti di polvere della nazione. In mare i miei uomini
-scendevano nella lancia.... e voi, Mordaunt, siete già troppo abile
-politico perchè io vi spieghi il resto.
-
-«Sì, in mare saltavano tutti per aria.
-
-«Precisamente. L’esplosione operava ciò che non aveva voluto operare
-la mannaja. Il re Carlo spariva annientato. Si diceva che sottratto
-all’umana giustizia, la celeste vendetta lo aveva inseguito e
-raggiunto: noi eravamo soltanto suoi giudici, Dio solo aveva voluta
-la sua morte. Ecco quanto mi ha fatto perdere il vostro immascherato.
-Vedete dunque che avevo ragione quando bramavo non conoscerlo; mentre,
-davvero, ad onta delle sue eccellenti intenzioni, non potrei essergli
-grato di ciò che ei fece.
-
-«Signore, replicò Mordaunt, al solito io m’inchino e mi umilio a voi
-dinanzi; voi siete un pensatore profondo, e (continuò) era sublime la
-vostra idea della barca incendiata.
-
-«Assurda, replicò Cromvello, assurda, poichè è diventata inutile.
-In politica non v’è altra idea sublime fuor di quella che porta al
-risultato; quelle che non l’ottengono sono stolide ed aride. Questa
-sera dunque andrete a Greenwich (seguitava Oliviero alzandosi)
-domanderete del padrone del _Lampo_, gli mostrerete un fazzoletto
-bianco con un nodo a ciascuna delle quattro cocche: tale è il segno
-convenuto; direte alla gente di riprender terra, e farete riportare la
-polvere all’arsenale, ammenochè....
-
-«Ammenochè.... ripetè il giovane a cui brillava il volto di allegrezza
-selvaggia mentre parlava il generale.
-
-«Ammenochè la filuca nello stato in cui è, non possa servire ai vostri
-particolari progetti.
-
-«Ah, milord, milord! Iddio facendovi suo eletto, vi diede anco il suo
-sguardo a cui nulla può sfuggir mai!
-
-«Mi pare che mi chiamiate milord! fece ridendo Cromvello. Va bene
-perchè siamo qui fra noi, ma converrebbe badare che non vi scappasse
-una parola simile davanti agli imbecilli nostri puritani.
-
-«E non sarà Vostro Onore chiamato così fra poco?
-
-«Almeno lo spero, ma non è ancora tempo».
-
-Cromvello si levò e prese il ferrajuolo.
-
-«Partite, mio signore? domandò Mordaunt.
-
-«Sì; ho dormito qui jeri l’altro e jeri, e sapete che non è mio costume
-dormire tre volte nello stesso letto.
-
-«Dunque, Vostro Onore, mi concede piena libertà per tutta la nottata?
-
-«Ed anche per la giornata di domani, se occorre. Da jeri sera
-(aggiungeva Cromvello sogghignando) faceste abbastanza pel mio
-servizio, e se avete qualche affare vostro proprio da regolare è giusto
-che io vi dia il tempo a ciò opportuno.
-
-«Grazie, signore, e mi lusingo che sarà bene impiegato».
-
-Cromvello fece a Mordaunt un cenno col capo; indi volgendosi gli
-domandò:
-
-«Siete armato?
-
-«Ho la mia spada.
-
-«E nessuno che vi attenda alla porta?
-
-«Nessuno.
-
-«Allora dovreste venir meco, signor Mordaunt.
-
-«Grazie, signore: il giro che vi convien fare passando dal sotterraneo
-mi toglierebbe tempo, e da quanto mi avete detto ne ho perduto digià
-troppo. Uscirò dall’altra porta.
-
-«Andate» disse Cromvello.
-
-E posando la mano sopra un bottoncino celato, fece aprire un usciale
-sì ben nascosto dal parato ch’era impossibile all’occhio più pratico il
-riconoscerlo.
-
-E questo mosso da una molla di acciajo, si chiuse dietro di lui.
-
-Era uno di quegli sbocchi segreti che l’istoria ci riferisce
-esistessero in tutte le case misteriose dove abitava Cromvello.
-
-Passava sotto una strada che andava a dare in fondo ad una grotta, nel
-giardino di un’altra casa situata distante cento passi da quella onde
-si era partito il futuro protettore.
-
-Da ciò si spiega come Grimaud non aveva potuto vedere escire alcuno, e
-come nulladimeno fosse escito Cromvello.
-
-Durante codesta ultima parte della scena, dall’apertura che lasciava un
-lembo della cortina mal tirata Grimaud aveva distinti i due uomini, e
-successivamente ravvisati Cromvello e Mordaunt.
-
-Noi già sappiamo l’effetto che produsse questa nuova sui quattro amici.
-
-Fu il primo d’Artagnan a riacquistare per intiero le sue facoltà
-intellettuali.
-
-«Mordaunt! esclamò, ah, Iddio ce lo manda!
-
-«Sì, disse Porthos, si sfondi la porta, ed avventiamoci addosso a lui.
-
-«Anzi, non isfondiamo, non facciamo chiasso. Il rumore richiama gente,
-giacchè se egli è, conforme asserisce Grimaud, col suo degno padrone,
-deve essere nascosto a qualche cinquantina di passi qua lontano un
-corpo di guardia di _coste di ferro_. Olà Grimaud! venite qui, e
-procurate star ritto sulle gambe».
-
-Grimaud si avvicinò. Col sentimento gli era tornato il furore, ma stava
-saldo.
-
-«Bene, fece d’Artagnan, adesso salite di nuovo a quel balcone, e diteci
-se il Mordaunt è tuttora in compagnia, se si dispone ad andarsene o a
-coricarsi; s’è in compagnia, attenderemo che sia solo; se va fuori, lo
-prenderemo all’uscire; se si trattiene, romperemo la finestra. È sempre
-meno difficile e rumoroso che una porta».
-
-Grimaud cominciò ad arrampicarsi cheto cheto.
-
-«Athos ed Aramis, custodite l’altro sbocco; Porthos ed io restiamo qua».
-
-I due camerati obbedirono.
-
-«Ebbene? domandò d’Artagnan.
-
-«È solo, rispose Grimaud.
-
-«Ne sei certo?
-
-«Sì.
-
-«Non abbiam visto partirsi l’altro.
-
-«Sarà andato dal secondo usciale.
-
-«Che fa egli?
-
-«Si avvolge nel ferrajuolo e si mette i guanti.
-
-«A noi!» disse d’Artagnan.
-
-Porthos mise mano al pugnale, e macchinalmente lo trasse dal fodero.
-
-«Riponi, amico Porthos, avvertì il tenente; non si deve tirar subito.
-Lo abbiamo in nostro potere, si proceda con ordine. Abbiamo da
-richiederci qualche scambievole spiegazione, e questa è una copia
-della scena di Armentières: se non che speriamo che costui non abbia
-progenie, e schiacciato lui sia tutto schiacciato.
-
-«Zitto! fece Grimaud, ecco che si apparecchia ad andarsene. Si accosta
-al lume. Lo smorza. Non veggo più niente.
-
-«Dunque in terra, in terra!»
-
-Grimaud saltò all’indietro e cadde in piedi. La neve attutiva il
-rumore; nulla si intese.
-
-«Va a prevenire Athos ed Aramis; si pongano uno per ogni lato della
-porta, come faremo Porthos ed io; battano le mani se lo acchiappano, e
-noi eseguiremo altrettanto se egli è nostro».
-
-Grimaud disparve.
-
-«Porthos! raccomandava il Guascone, tirate meglio indietro le larghe
-spalle; è necessario ch’esca senza scorgere cosa alcuna.
-
-«Purchè venga di qua!
-
-«Silenzio!»
-
-Porthos si pigiò al muro quasi volesse entrarvi dentro; lo stesso fece
-d’Artagnan.
-
-Allora si udì camminare Mordaunt per la scala. Scorse stridendo uno
-sportello non visto nell’intelajatura. Mordaunt guardò, e mercè le
-precauzioni prese dai due amici nulla distinse. Introdusse la chiave
-nella serratura, aprì, e si mostrò su la soglia.
-
-E nel punto medesimo si trovò faccia a faccia con d’Artagnan.
-
-Voleva respingere la porta, ma Porthos slanciandosi ad afferrare il
-bottoncino la spalancò affatto.
-
-Porthos battè tre volte le mani, ed accorsero Athos ed Aramis.
-
-Mordaunt diventò paonazzo, ma non diede un grido, non chiamò ajuto.
-
-D’Artagnan andò direttamente addosso a Mordaunt, e spingendolo per
-così dire col petto gli fece risalire a passi indietro tutta la scala,
-rischiarata da una lampada che permetteva al Guascone di non perdere
-di vista le mani di Mordaunt. Ma questi comprese che anche ucciso
-d’Artagnan, gli resterebbe da disfarsi degli altri tre nemici: sicchè
-non fece un movimento di difesa, non un gesto di minaccia. Mordaunt,
-arrivato all’uscio, si sentì su questo incalzato, e di certo credè che
-là fosse per finir tutto: s’ingannava però, chè il tenente stese la
-mano ed aprì, ed esso e Mordaunt si trovarono nella stanza ove dieci
-minuti prima il giovane se ne stava a discorrere con Cromvello.
-
-Dopo di lui entrò Porthos; aveva disteso il braccio e staccata la
-lampada dal palco, e con questa ne accese un’altra.
-
-Comparvero Athos ed Aramis, e chiusero a chiave.
-
-«Favorite accomodarvi», disse d’Artagnan a Mordaunt porgendogli una
-sedia.
-
-Quegli prese la seggiola e si mise pallido e tranquillo. A tre passi
-di distanza Aramis ne recò altre tre, per sè, per d’Artagnan e per
-Porthos.
-
-Athos andò ad assidersi in un canto, nel luogo più appartato della
-camera, sembrando deciso di rimanere immobile spettatore di quanto
-accadrebbe.
-
-Porthos si situò a mano sinistra, ed Aramis alla destra del Guascone.
-
-Athos pareva abbattuto. Porthos si stropicciava le palme delle mani con
-impazienza febbrile.
-
-Aramis, sogghignando, si mordeva le labbra sino a spremerne il sangue.
-
-D’Artagnan era il solo che si moderasse, almeno in apparenza.
-
-«Signor Mordaunt, esso disse, giacchè dopo tante giornate perdute
-a correrci appresso uno coll’altro, alla fine il caso ci riunisce,
-discorriamola un poco, se non vi dispiace».
-
-
-
-
-LXXIV.
-
-_Conversazione._
-
-
-Mordaunt era stato sorpreso tanto all’improvviso, ed aveva salito
-i gradini agitato da un sentimento tuttavia sì confuso, che le sue
-riflessioni non avevano potuto esser chiare; in realtà, quel primo
-sentimento era stato tutto di emozione, di stupore e d’insormontabile
-terrore, quale lo prova qualunque individuo a cui un nemico acerrimo
-e superiore di forza stringe il braccio nel momento preciso ch’ei lo
-crede in altro luogo ed occupato ad altre cure.
-
-Però una volta che si fu seduto e si accorse che gli si accordava
-una dilazione, un respiro, con qualsivoglia intenzione ciò pur fosse,
-concentrò tutte le proprie idee ed a sè richiamò tutte le sue forze. Il
-fuoco dello sguardo di d’Artagnan, anzi che impaurirlo, quasi diremmo
-lo elettrizzò: conciossiachè quello sguardo, comunque su di lui si
-fissasse bollente di minaccia, era schietto nel suo odio e nel suo
-sdegno. Mordaunt, pronto a cogliere ogni occasione che se gli offerisse
-di trarsi dall’impaccio o col vigore o con l’astuzia, si raggruppò
-sopra sè stesso come fa l’orso incalzato nella tana che con occhio
-apparentemente immobile bensì osserva tutti i gesti del cacciatore da
-cui fu inseguito.
-
-Frattanto quell’occhio, con moto rapidissimo, si portò su la spada
-lunga e solida che gli batteva sull’anca; egli, senza affettazione posò
-la mano sinistra sull’elsa, la ricondusse a portata della man diritta,
-e si assise secondo ne era pregato dal tenente dei moschettieri
-francesi.
-
-Questi di sicuro attendeva qualche parola aggressiva onde intavolare
-una di quelle conversazioni dileggiatrici o terribili come ben sapeva
-sostenerne.
-
-Aramis borbottava:
-
-«Sentiremo ciarle volgari».
-
-Porthos si mordeva i baffi mormorando:
-
-«Cospetto! quante cerimonie per ischiacciare questo serpentello!»
-
-Athos si appiattava nell’angolo della stanza, immobile e pallido quanto
-un bassorilievo di marmo, e non ostante con la fronte molle di sudore.
-
-Mordaunt nulla diceva; e soltanto quando si stimò certo di aver sempre
-a sua disposizione la spada, incrociò imperturbabile le gambe ed
-aspettò.
-
-Non poteva un tal silenzio prolungarsi di più senza dare nel ridicolo.
-D’Artagnan lo comprese, ed avendo egli invitato l’altro ad _accomodarsi
-per discorrere_, pensò che a lui toccava di dar principio al dialogo.
-
-«Mi pare, signor mio, disse con la sua micidiale civiltà, che voi
-mutiate abito quasi con la medesima prontezza ch’io lo vidi fare agli
-istrioni italiani che il signor Mazzarino fece venir da Bergamo, e che
-senza dubbio vi condusse a vedere in occasione del vostro viaggio in
-Francia».
-
-Mordaunt non rispose.
-
-«Poc’anzi, continuò il Guascone, eravate travestito, anzi volevo dire
-vestito, da assassino, e adesso....
-
-«E adesso, al contrario, sembro vestito come un uomo vicino ad essere
-assassinato, non è così? fece Mordaunt con la calma sua solita.
-
-«Oh! soggiunse d’Artagnan, come potete dire cose simili quando siete in
-compagnia di gentiluomini, e avete al fianco una sì buona spada?
-
-«Non v’è spada assai buona da valere contro quattro spade e quattro
-pugnali, senza contare le spade e i pugnali de’ vostri accoliti che vi
-attendono alla porta.
-
-«Scusate, signore, voi fate sbaglio: quelli che ci attendono da basso
-non sono nostri accoliti, ma nostri lacchè. A me preme di ristabilire
-le cose nella loro più scrupolosa verità».
-
-Mordaunt fece un sorriso ironico che gl’increspò le labbra.
-
-«Ma non si tratta di questo, riprese d’Artagnan, ed io ritorno alla
-mia richiesta. Avevo avuto l’onore di domandarvi perchè avete cambiato
-d’esteriore. La maschera, per quanto mi sembra, vi stava assai comoda;
-la barba grigia vi andava a meraviglia; e in quanto alla scure con la
-quale deste un colpo sì illustre, io credo ch’ella non vi starebbe male
-nemmeno in guesto momento. Dunque perchè l’avete abbandonata?
-
-«Perchè, ricordandomi la scena d’Armentières, ho pensato che troverei
-quattro scuri contro una, dacchè ero per trovarmi fra quattro
-carnefici.
-
-«Signore, replicò d’Artagnan con tutta calma, sebbene un piccolo
-movimento delle ciglia dinotasse esser prossimo a riscaldarsi;
-quantunque profondamente vizioso e corrotto, voi siete eccessivamente
-giovane, per lo che io non mi fermerò ai vostri frivoli discorsi....
-Sì, frivoli, mentre ciò che ora dite in proposito d’Armentières non ha
-il minimo rapporto con l’attuale circostanza. Infatti, noi non potevamo
-offerire una spada alla vostra signora madre e pregarla di battersi di
-scherma con noi; ma a voi, signorino, ad un cavaliere che maneggia il
-pugnale e la pistola come vi abbiamo visto fare, e che porta al fianco
-una spada di questa lunghezza, chiunque ha diritto di chiedere il
-favore di battersi seco.
-
-«Ah, ah! disse Mordaunt, volete dunque un duello?»
-
-E si alzò, con l’occhio infuocato quasi fosse disposto a rispondere
-nell’istante alla provocazione.
-
-Si rizzò pure Porthos, pronto, secondo il consueto, a tali sorte di
-avventure.
-
-«Scusate, scusate, disse d’Artagnan con lo stesso sangue freddo, non ci
-diamo tanta fretta, giacchè ognuno di noi deve desiderare che le cose
-succedano in tutta regola. Sicchè, caro Porthos, sedete, e voi, signor
-Mordaunt, favorite star fermo. Stimeremo alla meglio questa faccenda,
-ed io sarò con voi schiettissimo. Confessate, signor Mordaunt, che
-avete la gran voglia di ammazzarci, o gli uni o gli altri?
-
-«E gli uni e gli altri», replicò Mordaunt.
-
-D’Artagnan si volse così ad Aramis:
-
-«Caro Aramis, convenitene meco, è una grande fortuna che messer
-Mordaunt conosca tanto bene le sottigliezze della lingua francese:
-almeno fra di noi non vi saranno male intesi, ed ora regoleremo il
-tutto egregiamente».
-
-E indi disse all’altro:
-
-«Caro signor Mordaunt, vi dirò che questi signori contraccambiano i
-vostri buoni sentimenti a lor riguardo, e anch’essi avrebbero a genio
-di ammazzarvi. Dirò di più: che probabilmente vi ammazzeranno.... ma da
-leali gentiluomini, e la miglior prova ch’io possa darne eccola qua».
-
-E d’Artagnan gittò il cappello sul tappeto, rinculò la sua seggiola al
-muro, accennò agli amici che facessero altrettanto, e salutato Mordaunt
-con una grazia assolutamente francese, continuò:
-
-«Signore, ai vostri comandi; poichè se non avete che ridire sull’onore
-ch’io reclamo, comincerò io con vostra licenza. La mia spada è più
-corta della vostra, è vero, ma basta! spero che il braccio supplisca al
-ferro.
-
-«Alto là! gridò Porthos avanzandosi, son io che principio, e senza
-tanta rettorica.
-
-«Permettete, Porthos», fece Aramis.
-
-Athos non si mosse; pareva una statua: sembrava che gli si fosse
-fermato anco il respiro.
-
-«Signori, signori, disse d’Artagnan, state buoni, toccherà poi a voi
-altri. Guardate gli occhi di questo signore e leggete in essi l’odio
-bellissimo che noi gl’inspiriamo; vedete con che abilità ha sguainato
-il brando; ammirate con quanta circospezione si cerca d’intorno se vi
-sia qualche ostacolo che gl’impedisca di distendersi. Or bene, tutto
-questo forse non vi prova che il signor Mordaunt è un’ottima lama, e
-che voi mi subentrerete fra poco se io lo lascio fare? Dunque statevene
-al vostro posto quieti come Athos, del quale vi raccomando la calma, e
-lasciate a me l’iniziativa che ho digià presa. E poi (continuò levando
-fuori il ferro con un gesto terribile) ho che fare in particolare con
-questo signore, e comincerò; lo bramo, lo voglio!»
-
-Era la prima volta che d’Artagnan profferiva questa parola parlando ai
-suoi amici. Sino allora si era limitato a pensarla.
-
-Porthos indietreggiò, Aramis si cacciò la spada sotto il braccio, Athos
-rimase fermo nel cantone, non quieto, conforme diceva d’Artagnan, ma
-ansante, smanioso.
-
-«Cavaliere, disse d’Artagnan ad Aramis, rimettete l’arme nel fodero,
-questo signore potrebbe supporre delle intenzioni che voi non avete».
-
-E volgendosi a Mordaunt:
-
-«Signore, vi attendo.
-
-«Ed io vi ammiro tutti quanti; discutete fra voi chi debba cominciare
-a battersi meco, e non consultate me, a cui mi sembra che ciò riguardi
-alcun poco. Vi odio tutti, è vero, ma in diversi gradi. Spero tutti
-uccidervi, ma ho più probabilità di uccidere il primo che il secondo,
-il secondo che il terzo, il terzo che l’ultimo. Reclamo quindi
-di scegliere io il mio avversario. Se mi negate questo diritto,
-ammazzatemi, non mi batterò».
-
-I quattro colleghi si guardarono.
-
-«È giusto» dissero Porthos ed Aramis, lusingandosi di essere i
-prescelti.
-
-Athos e d’Artagnan non parlarono, ma lo stesso loro silenzio era un
-assenso.
-
-«Or bene, fece Mordaunt fra il profondo e solenne silenzio che regnava
-nella misteriosa abitazione, io mi eleggo per primo avversario quello
-di voi, che non credendosi più degno di nominarsi conte di la Fère, si
-è fatto chiamare Athos».
-
-Athos si rizzò dalla sedia come se lo avesse fatto balzare in piedi una
-molla; ma con somma sorpresa dei compagni, dopo un momento d’immobilità
-taciturna, disse scuotendo il capo:
-
-«Signor Mordaunt, tra di noi è impossibile qualunque duello: fate a
-qualcun altro l’onore che a me destinavate».
-
-E tornò a sedersi.
-
-«Ah!! disse Mordaunt, eccone uno di già che ha paura!
-
-«Corpo di una bomba! esclamò d’Artagnan scagliatosi verso di lui, e chi
-ha detto qui che Athos aveva paura?
-
-«Lasciatelo dire, fece Athos con un sorriso pieno di mestizia e
-disprezzo.
-
-«Siete deciso così, Athos? domandò il Guascone.
-
-«Immutabilmente.
-
-«Va bene, non se ne parli più.... Signor Mordaunt, avete inteso che il
-conte di la Fère non vuol farvi l’onore di battersi con voi. Scegliete
-fra noi uno che lo rimpiazzi.
-
-«Subito che non mi batto con lui, poco m’importa con chi che sia.
-Ponete i vostri nomi in un cappello, e trarrò a sorte.
-
-«Buona idea! approvò d’Artagnan.
-
-«Realmente con questo mezzo si concilia tutto, confermò Aramis.
-
-«Io non ci avrei pensato, disse Porthos, eppure era tanto semplice!
-
-«Orsù, Aramis, continuò d’Artagnan, scriveteci un po’ codesto col bel
-carattere con cui scrivevate a Maria Michon per avvertirla che la madre
-del signorino voleva far assassinare milord Brougham».
-
-Mordaunt sopportò questo nuovo attacco senza far motto: stava in piedi,
-colle braccia incrociate, e pareva tranquillo quanto può esserlo un
-uomo in tale circostanza. Se non era in lui coraggio, era per lo meno
-orgoglio, lo che assai gli somiglia.
-
-Aramis si accostò al tavolino di Cromvello, tagliò tre pezzi di carta
-di grandezza eguale, segnò sul primo il suo proprio nome e sopra gli
-altri due quelli de’ suoi camerati, li presentò aperti a Mordaunt,
-il quale senza leggerli fe’ con la testa un cenno che esprimeva
-rapportarsi egli a lui pienamente, e ripiegatili li mise in un cappello
-che porse al giovanotto.
-
-Questi cacciò dentro la mano, ne levò uno dei tre fogli, e senza
-leggerlo lo lasciò sprezzantemente ricadere sul tavolino.
-
-«Ah! serpentello, mormorò d’Artagnan, darei tutte le mie speranze al
-grado di capitano dei moschettieri perchè il mio nome fosse su quel
-bigliettino».
-
-Aramis sciolse il foglietto, ma per quanta calma o freddezza
-ostentasse, si scorgeva che gli tremava la voce d’odio e di desiderio.
-
-«D’Artagnan!» disse forte.
-
-Il tenente guascone diede un grido di giubilo.
-
-«Ah! esclamò, dunque v’è in cielo giustizia!»
-
-E direttosi a Mordaunt:
-
-«Spero, signore, che non abbiate da affacciare obbiezioni?
-
-«Nessuna» quegli rispose.
-
-E cavata fuori la spada ne appoggiava la punta sullo stivale.
-
-Tosto che d’Artagnan fu sicuro ch’era esaudita la sua brama e che
-l’uomo non gli sfuggirebbe, ritornò in tutta la sua quiete, la sua
-flemma, ed anche la lentezza che aveva costume di usare nei preparativi
-della grave faccenda che chiamasi duello. Si arricciò le basette,
-stropicciò la suola del piè destro in terra, e ciò non tolse che
-osservasse come per la seconda volta Mordaunt si mandava attorno lo
-sguardo singolare del quale altra fiata ei si era accorto.
-
-«Siete pronto? domandò poi.
-
-«Anzi, sono io che aspetto; replicò Mordaunt sollevando il capo e
-fissando su d’Artagnan un’occhiata che non sapremmo descrivere.
-
-«Dunque badate a voi, fece il Guascone, perchè tiro bene di spada.
-
-«E anch’io.
-
-«Meglio! così ho più quieta la coscienza: in guardia!
-
-«Un momento, disse Mordaunt: signori, datemi la vostra parola di non
-attaccarmi se non se uno dopo l’altro.
-
-«Forse ci domandi codesto per aver il piacere d’insultarci, piccolo
-serpente? rimbrottò Porthos.
-
-«No: per avere, come diceva testè questo signore, la coscienza quieta.
-
-«Dev’essere per qualche altro fine, bucinò d’Artagnan tentennando la
-testa e osservandosi d’appresso con dubbiezza.
-
-«Sulla fede di gentiluomo! risposero insieme Aramis e Porthos.
-
-«Se così è, signori, soggiunse Mordaunt, ritiratevi in un canto come ha
-fatto il signor conte di la Fère, il quale se non vuol battersi mostra
-almeno esser cognito delle regole del combattimento, e dateci libero lo
-spazio: ne avremo bisogno.
-
-«Sia pure, fece Aramis.
-
-«Uh! quante ciancie! mugolò Porthos.
-
-«Da parte, signori! da parte! seguitò d’Artagnan, non va lasciato al
-signorino il menomo pretesto di contenersi malamente, del che, salvo il
-rispetto che gli debbo, mi pare che abbia la gran voglia».
-
-Questo nuovo dileggio andò ad estinguersi sulla faccia impassibile di
-Mordaunt.
-
-Porthos ed Aramis si trassero nell’angolo opposto a quello dov’era
-Athos, talmentechè i due campioni si trovarono ad occupare il posto
-di mezzo della stanza, cioè erano situati in piena luce, stando sul
-tavolino di Cromvello le due lampade che rischiaravano la scena.
-Già s’intende che la luce diventava più fiacca a misura che uno si
-discostava dal centro ov’ella splendeva.
-
-«Orsù, disse d’Artagnan, siete all’ordine alfine?
-
-«Sono all’ordine» rispose Mordaunt.
-
-Amendue fecero nello stesso tempo un passo innanzi, e mercè quest’unico
-e medesimo movimento s’incrociarono i ferri.
-
-D’Artagnan era troppo abile schermidore per trastullarsi, conforme si
-dice in termini di sala, a tasteggiare l’avversario. Fece una bella e
-rapida finta; e questa fu parata da Mordaunt.
-
-«Ah ah!» disse questo con un sorriso di soddisfazione.
-
-E senza perder tempo, credendo di vedere un’apertura, allungò una botta
-diritta, celere, e fiammeggiante come il lampo.
-
-Mordaunt parò una contro di quarta così stretta che non sarebbe uscito
-il ferro dall’anello di una fanciulla.
-
-«Principio a credere che ci divertiremo, disse d’Artagnan.
-
-«Sì, ripicchiò Aramis, ma divertendovi, incalzate a modo.
-
-«Perdinci! amico, state avveduto!» aggiunse Porthos.
-
-Allora Mordaunt si diede a sogghignare.
-
-«Uh! signor mio, gli disse d’Artagnan, che brutto sorriso avete mai!
-gli è il diavolo che vi ha insegnato a sorridere così, non è vero?»
-
-Mordaunt non rispose se non cercando di imbracciare il ferro di
-d’Artagnan con un vigore che questi non s’immaginava di trovare in
-quel corpo in apparenza sì debole; ma mediante una parata non meno ben
-eseguita che quella dell’emulo incontrò a tempo la lama di Mordaunt,
-che sdrucciolò lungo la sua senza toccargli il petto.
-
-Il giovanotto retrocedè sollecito di un passo.
-
-«Ah! vi stendete? disse il Guascone, ah! vi girate? a vostro genio sia
-pure, io ci guadagno anzi qualche cosa: che non vedo più il vostro
-volto maligno. Eccomi del tutto all’ombra: tanto meglio. Non potete
-figurarvi che tristo sguardo è il vostro, in ispecie quando avete
-paura. Guardate un poco i miei occhi, e vedrete una cosa che il vostro
-specchio non vi mostrerà mai, cioè uno sguardo franco e leale».
-
-A cotesta abbondanza di parole, forse non gentili, ma abituali in
-d’Artagnan che aveva per massima di tener distratto l’avversario,
-Mordaunt non replicò nemmeno; ma sempre stendendosi e girando pervenne
-a cambiar posto col tenente.
-
-E vieppiù sorrideva. E il suo sorriso cominciò a dar noja al Guascone.
-
-«Eh via! va finita, disse questi; il birbante ha i garretti di ferro.
-Avanti le botte maestre!»
-
-Ed incalzò Mordaunt, il quale continuò a distendersi, ma evidentemente
-per semplice tattica, senza fare un fallo di cui il tenente potesse
-approfittarsi, senza che la sua spada scartasse un momento dalla linea.
-Peraltro siccome il combattimento avea luogo in una stanza ed era
-scarso lo spazio, in breve il piede di Mordaunt toccò il muro, ed esso
-vi appoggiò la mano sinistra.
-
-«Ah! fece d’Artagnan, mio bell’amico, questa volta non vi allargherete
-più! signori (seguitò stringendo le labbra e aggrottate le ciglia)
-avete mai visto uno scorpione appiccicato a una muraglia? No?
-benissimo, ora lo vedrete».
-
-In un minuto secondo d’Artagnan diè tre colpi tremendi a Mordaunt. Lo
-toccarono tutti, ma leggerissimamente. Il Guascone non ci capiva più
-nulla. I tre amici guardavano ansiosi, con la fronte bagnata di sudore.
-
-Finalmente d’Artagnan, stretto troppo da vicino, fece egli pure
-un passo indietro onde preparare un quarto colpo, o piuttosto per
-eseguirlo: imperciocchè per esso le armi siccome gli scacchi erano
-un vasto calcolo di cui tutti i dettagli andavano concatenati l’uno
-all’altro; ma nel punto che più accanito che mai, si scagliava sul
-nemico, nel punto che dopo una finta celere e forte si avventava ratto
-come un baleno, parve si aprisse il muro; Mordaunt sparì da un vacuo,
-e la spada del tenente inceppata fra due sporti si ruppe quasi fosse di
-vetro.
-
-Egli rinculò alquanto. La parete tornò a chiudersi.
-
-Mordaunt, mentre si difendeva, avea manovrato in tal guisa da venire
-a ridosso alla porta segreta dalla quale noi già vedemmo uscire
-Cromvello. Giunto colà, con la manca cercò e spinse il bottoncino. Poi
-disparve come in teatro spariscono i genj malefici che hanno il dono di
-passare a traverso ai muri.
-
-Il Guascone mandò un’imprecazione furibonda, a cui dal lato opposto
-rispose una risata selvaggia, funebre, la quale fece passare i brividi
-sino nelle vene allo scettico Aramis.
-
-«Qua con me, miei signori! gridò d’Artagnan, si sfondi la porta!
-
-«È il demonio in persona! disse Aramis accorrendo.
-
-«Ci scappa, sangue del diavolo! ci scappa! urlò Porthos posando le
-larghe spalle sul tramezzo, che trattenuto da qualche molla interna non
-si mosse.
-
-«Meglio! mormorò truce Athos.
-
-«Me lo figuravo, caspita! disse d’Artagnan tentando inutili sforzi, me
-lo figuravo quando lo sciagurato girava per la stanza attorno attorno;
-prevedevo qualche infame manovra, indovinavo che tramava qualchecosa;
-chi poteva immaginarsi mai questa?
-
-«È una disgrazia terribile mandataci dal diavolo suo amico! esclamò
-Aramis.
-
-«È una fortuna manifesta inviataci da Dio! ribattè Athos con la massima
-allegrezza.
-
-«In verità, rispose d’Artagnan stringendosi nelle spalle, e
-abbandonando la porta che assolutamente non voleva aprirsi, andate un
-poco giù, Athos! come potete dire cose simili a genti quali noi siamo?
-Caspita! ma dunque non comprendete la situazione?
-
-«Che cose? che situazione? domandò Porthos.
-
-«A quel giuoco chi non uccide è ucciso. Sentiamo, mio caro, sta forse
-nei vostri treni espiatorii che Mordaunt ci sacrifichi alla sua pietà
-figliale? Se tale è la vostra opinione, ditelo francamente.
-
-«Oh d’Artagnan! amico mio!
-
-«È propriamente vergogna considerare le cose sotto questo aspetto. Il
-furfante ci manderà cento coste di ferro che ci pesteranno come tanto
-grano in questo mortajo di messer Cromvello. Animo, animo! si vada! se
-stiamo qui cinque minuti, per noi è finita!
-
-«Sì, avete ragione, si vada! ripeterono Athos ed Aramis.
-
-«E dove si andrà? domandò Porthos.
-
-«All’albergo, a prendere le nostre robe e i nostri cavalli; e di là,
-se piace a Dio, in Francia, dove almeno io conosco l’architettura
-dei casamenti. Il battello ci aspetta; affeddiddio! è anche una gran
-sorte!»
-
-E d’Artagnan, unendo l’esempio al precetto, rimise nel fodero il suo
-pezzo di spada, ripigliò il cappello, schiuse l’uscio di sulla scala, e
-scese velocemente seguito dai tre compagni.
-
-Al portone i fuggiaschi ritrovarono i loro lacchè, e domandarono ad
-essi contezza di Mordaunt, ma eglino non avevano veduto a partirsi
-veruno.
-
-
-
-
-LXXV.
-
-_La filuca. Il Lampo._
-
-
-D’Artagnan non si era ingannato: Mordaunt non aveva tempo da perdere, e
-non lo aveva perduto; conosceva la prontezza nel decidere e nell’agire
-de’ suoi nemici, e risolse di operare in conseguenza. Questa volta i
-moschettieri avevano trovato un avversario degno di loro.
-
-Mordaunt, chiusasi bene la porta dietro, si cacciò nel sotterraneo, e
-riponendo nel fodero il brando inutile, e recandosi alla casa contigua,
-si ristette alquanto per tastarsi e riprender fiato.
-
-«Buono, buono! disse, quasi nulla; qualche sgraffio e non altro....
-due al braccio, uno al petto.... Le ferite che fo io sono migliori!...
-Lo domandino pure al boja di Bethune, a mio zio di Winter e al re
-Carlo!... Adesso non si perda un minuto secondo, chè anche questo può
-salvarli; bisogna che muojano tutti quattro insieme, d’un sol colpo,
-divorati dalla folgore degli uomini poichè nol sono da quella celeste;
-bisogna che spariscano, rotti, dispersi, annientati.... Si corra dunque
-sino a tanto che le gambe non mi possano più reggere, sino a tanto che
-in seno mi si gonfi il cuore; ma si giunga prima di loro».
-
-E Mordaunt si mise a camminare sollecitamente verso la prima caserma di
-cavalleria distante circa un quarto di lega; e il quarto di lega fu da
-lui fatto in quattro o cinque minuti.
-
-Arrivato alla caserma si diede a conoscere, prese il miglior cavallo
-della stalla, vi saltò sopra, e pigliò la strada maestra. Dopo un
-quarto d’ora era a Greenwich.
-
-«Ecco il porto, borbottava, quel punto oscuro laggiù è l’isola dei
-Cani.... Bene! sono avanti a loro di una mezz’oretta.... forse di
-un’ora.... fui pure sciocco! ho avuto da asfissiarmi per la stolida
-mia precipitazione.... E adesso (aggiunse drizzandosi sulle staffe a
-guardare più lontano fra tutti i cordami, fra tutti gli alberi di navi)
-il _Lampo_? dov’è il _Lampo_?»
-
-Nel momento che pronunziava mentalmente queste parole, come per
-rispondere al suo proprio pensiero, si alzò un uomo ch’era sdrajato
-sopra un rotolo di gomene, e mosse alcuni passi incontro a lui.
-
-Mordaunt si levò di saccoccia il fazzoletto, e lo sventolò per aria.
-
-L’uomo sembrò attentissimo, ma non si mosse più nè innanzi, nè indietro.
-
-Mordaunt fece un nodo a ciascuna delle quattro cantonate della
-pezzuola; e allora quegli gli si avvicinò. Tale era, conforme noi ci
-ricordammo, il segnale convenuto. Il marinajo aveva addosso un largo
-cappotto di lana che gli nascondeva il personale e gli cuopriva la
-faccia.
-
-«Il signore (disse colui) non viene forse di Londra per fare una
-passeggiatina in mare?
-
-«Precisamente, rispose Mordaunt, e dalla parte dell’isola dei Cani.
-
-«Appunto. E senza dubbio vossignoria ha una preferenza? avrebbe più
-caro un bastimento che un altro? vorrebbe un bastimento buon veliero,
-un bastimento veloce....
-
-«Come il lampo, replicò Mordaunt.
-
-«Ottimamente; dunque è il mio quello che cerca vossignoria; io sono il
-capitano che le abbisogna.
-
-«Comincio a crederlo, soprattutto se non avete dimenticato un certo
-segno di riconoscimento.
-
-«Eccolo, ribattè il marinaro togliendo dalla tasca del cappotto una
-pezzuola col nodo alle quattro cocche.
-
-«Benissimo! esclamò Mordaunt; e balzò giù da cavallo. Ora non v’è
-da perder tempo: fate condurre il mio cavallo al primo albergo, e
-portatemi qua la vostra barca.
-
-«Ma i vostri compagni? domandò il marinajo, credeva che foste in
-quattro, senza contare i lacchè.
-
-«Sentite, gli disse Mordaunt accostandosi di più; io non son quello
-che aspettate, come voi non siete quello ch’essi sperano di trovare.
-Voi avete preso il posto del capitano Rogers, non è vero? siete qui per
-ordine del generale Cromvello, ed io vengo da parte sua.
-
-«Diffatti vi riconosco: siete il capitano Mordaunt».
-
-Il giovane si scosse.
-
-«Oh! non temete di nulla, fece il padrone discuoprendosi la testa, sono
-un amico.
-
-«Il capitano Groslow!
-
-«Per l’appunto! Il generale si è rammentato che in addietro ero stato
-uffiziale di marina, e mi ha incaricato di questa spedizione. V’è forse
-qualche cambiamento?
-
-«No, niente; anzi, tutto rimane nel medesimo stato.
-
-«Per un poco avevo pensato che la morte del re....
-
-«La morte del re non ha fatto altro che sollecitare la loro fuga; tra
-un quarto d’ora, forse fra dieci minuti, saranno qui.
-
-«E dunque, che venite a fare?
-
-«A imbarcarmi con voi.
-
-«Ah ah! il generale dubita del mio zelo?
-
-«No; ma voglio assistere da me alla mia vendetta. Non avete qualcuno
-che possa sbarazzarmi del mio cavallo?»
-
-Groslow fischiò, e comparve un marinajo.
-
-«Patrick, gli comandò Groslow, menate il cavallo alla stalla del
-più prossimo albergo. Se vi domandano di chi è, dite d’un signore
-irlandese».
-
-Patrick se ne andò senza far veruna osservazione.
-
-«Adesso, disse Mordaunt, non avete paura che vi ravvisino?
-
-«Non v’è pericolo, con questo vestimento avvolto nel cappotto, in una
-nottata così buja. E poi, voi non mi avevate ravvisato, e tanto più
-deve succedere di loro.
-
-«È vero; d’altra parte saranno ben lontani dal pensare a voi. Tutto è
-pronto, non è così!
-
-«Sì.
-
-«Il carico è imbarcato?
-
-«Sì.
-
-«Cinque botti piene?
-
-«E cinquanta vuote.
-
-«Giusto.
-
-«Portiamo ad Anversa del vino di Porto Porto.
-
-«A meraviglia. Conducetemi a bordo, e tornate qui al vostro posto, chè
-non tarderanno molto a capitare.
-
-«Sono all’ordine.
-
-«Interessa assai che nessuno de’ vostri uomini mi vegga entrare.
-
-«Ne ho uno solo sul bastimento, e sono sicuro di lui quanto di me
-stesso. Inoltre e’ non vi conosce, ed al pari de’ suoi compagni è
-pronto ad obbedire ai nostri ordini, ma all’oscuro di tutto.
-
-«Va bene; andiamo».
-
-Scesero verso il Tamigi. Era legata una piccola lancia alla riva con
-una catena di ferro fissata ad un palo. Groslow tirò a sè la barca,
-l’assicurò mentre Mordaunt vi si calava, indi vi saltò dentro esso
-pure, e quasi subito dato di mano ai remi si mise a vogare in maniera
-da provare a Mordaunt la verità di ciò che aveva asserito, cioè di non
-essersi scordato il suo mestiere d’uomo di mare.
-
-In cinque minuti furono districati da quella quantità di navigli, che
-già in quell’epoca ingombravano le vicinanze di Londra, e Mordaunt
-potè distinguere come un punto oscuro la piccola filuca che si muoveva
-sull’áncora non lontana dall’isola dei Cani.
-
-Appressandosi al _Lampo_, Groslow fischiò in un dato modo, e si vide la
-testa di un uomo apparire di sopra al muro.
-
-«Siete voi, capitano? colui domandò.
-
-«Sì, butta giù la scala».
-
-E Groslow passando leggiero e rapido sotto al bompresso venne a
-mettersi accosto a lui.
-
-«Salite» disse poi a Mordaunt.
-
-Mordaunt, senza rispondere, afferrò la fune e si arrampicò su pei
-fianchi del bastimento con abilità e fermezza non comune alle genti di
-terra; è che in esso il desío di vendetta faceva le veci dell’abitudine
-ed a tutto lo rendeva adattato.
-
-Secondo avea preveduto Groslow, il marinajo di guardia sul _Lampo_ non
-mostrò tampoco di accorgersi che il padrone tornasse accompagnato.
-
-Mordaunt e Groslow si avanzarono verso la camera del capitano. Era uno
-stanzino provvisorio formato di tavole sul ponte. L’appartamento di
-gala era stato ceduto ai passeggieri.
-
-«Ed essi, dove stanno? chiese Mordaunt.
-
-«All’altra estremità della filuca, rispose Groslow.
-
-«E non hanno da far niente per qui?
-
-«Nulla assolutamente.
-
-«A meraviglia! io me ne sto nascosto nel vostro camerino. Andate a
-Greenwich e conduceteli subito. Avete una lancia?
-
-«Questa in cui siamo venuti noi.
-
-«Mi è sembrata leggera e di buon taglio.
-
-«Una vera piroga.
-
-«Legatela a poppa con un canapo, metteteci i remi perchè ci segua
-direttamente e non vi sia altro che da troncare la corda. Provvedetela
-di rum e di biscotto. Se per caso fosse mare grosso, ai vostri uomini
-non increscerebbe di aver alla mano con che ristorarsi lo stomaco.
-
-«Tanto sarà fatto. Volete visitare la Santa-Barbara?
-
-«No, al vostro ritorno. Voglio porre la miccia da per me onde esser
-certo che non faccia molto fuoco. Specialmente celatevi bene il viso,
-chè non vi riconoscano.
-
-«Non dubitate.
-
-«Andate, suonano le dieci ore a Greenwich».
-
-Realmente i tocchi di una campana ripetuti dieci volte traversarono
-lugubremente l’aria carica di grossi nuvoli che scorrevano in cielo
-come tante onde tacite e ognor succedentisi.
-
-Groslow spinse l’usciale, che da Mordaunt fu chiuso per di dentro,
-e dato al marinajo di guardia l’ordine d’invigilare colla massima
-attenzione, discese nella barca, e questa si allontanò solcando i
-flutti con il doppio suo remo.
-
-Era vento freddo, e la spiaggia deserta quando Groslow approdava a
-Greenwich. Erano partite varie barche. Nel momento ch’ei mise piede a
-terra udì come il galoppo di cavalli sulla strada cosparsa di ghiaja.
-
-«Oh oh! disse, Mordaunt aveva ragione di farmi premura: non v’era tempo
-d’avanzo, eccoli».
-
-Erano difatti i nostri amici, o piuttosto la loro vanguardia composta
-di d’Artagnan e di Athos. Giunti rimpetto al luogo ove stava Groslow
-si fermarono, quasi indovinassero esser là quello con cui avevano
-da trattare. Athos smontò, sciolse tranquillamente un fazzoletto del
-quale erano annodate le quattro punte, e lo fece sventolare per aria,
-intanto che d’Artagnan, sempre prudente, rimaneva mezzo chinato sul suo
-cavallo, con una mano nella sacca delle pistole.
-
-Groslow, che nel dubbio che i cavalieri fossero o no quei che
-attendeva, si manteneva accosciato dietro ad uno di quei ferri
-conficcati nel terreno che servono ad arrotolare i cavi, si alzò visto
-il segnale stabilito, e si avviò incontro a loro. Aveva sì basso il
-cappuccio del pastrano che non era possibile di distinguergli il volto.
-E di più tale precauzione era superflua con la grande oscurità della
-nottata.
-
-Eppure l’occhio penetrante di Athos, non ostante il bujo, si accorse
-non esser quegli Rogers.
-
-«Che volete da me? disse a Groslow facendo un passo indietro.
-
-«Milord, voglio dirvi, rispose Groslow affettando la pronunzia
-irlandese, che cercate inutilmente il capitano Rogers.
-
-«E come mai?
-
-«Perchè stamane è caduto da un albero di gabbia e s’è rotta la gamba.
-Ma io sono suo cugino; mi ha raccontata tutta la faccenda, e mi ha
-incaricato di riconoscere per lui e condurre in sua vece dovunque
-bramassero i gentiluomini che mi porterebbero una pezzola con un gruppo
-ad ogni cocca come quello che voi avete in mano e questo ch’io ho in
-tasca».
-
-E si traeva dalla saccoccia il fazzoletto di già mostrato a Mordaunt.
-
-«Non c’è altro? domandò Athos.
-
-«Oh, sì, milord: vi sono anche settantacinque lire promessemi s’io vi
-sbarco sani e salvi a Boulogne o su tutt’altro punto della Francia che
-m’indicherete.
-
-«Che ne dite, d’Artagnan? chiese Athos in francese.
-
-«Prima di tutto, che dice costui?
-
-«Ah sì, mi scordavo che non capite l’inglese».
-
-E Athos ripetè a d’Artagnan il dialogo avuto col padrone.
-
-«Mi par verosimile, disse il Guascone.
-
-«E anche a me.
-
-«E poi, se quest’uomo c’inganna, seguitò il tenente, potremo sempre
-fargli saltar il cervello.
-
-«E chi ci condurrà?
-
-«Voi, Athos: sapete tante cose che non dubito saprete anche guidare un
-bastimento.
-
-«Affè, replicò Athos sorridendo, benchè scherziate, avete dato nel
-segno: ero destinato da mio padre a servire nella marina, ed ho qualche
-nozione del pilotaggio.
-
-«Oh vedete! esclamò d’Artagnan.
-
-«Sicchè, mio caro, andate a cercare i nostri amici e tornate; sono le
-undici, non abbiam tempo di soprappiù».
-
-D’Artagnan si avanzò verso due cavalieri, che colla pistola in pugno
-stavano in sentinella alle prime case della città, aspettando e
-sorvegliando; sulla parte opposta della strada, e ritiratisi a ridosso
-di una specie di tettoja, altri tre facevano la posta e parevano pure
-in aspettativa.
-
-Le due sentinelle di mezzo erano Porthos ed Aramis. I tre della
-tettoja, Mousqueton, Blaisois e Grimaud: se non che quest’ultimo, a
-osservarlo bene, era doppio, poichè aveva in groppa Parry, il quale
-doveva ricondurre a Londra i cavalli dei gentiluomini e dei loro
-domestici venduti al locandiere per la spesa che da lui avevano fatta.
-Mediante questo colpo di commercio, i quattro amici avevano potuto
-portar con sè una somma, se non ragguardevole, almeno bastante per far
-fronte ai ritardi ed alle eventualità.
-
-D’Artagnan invitò Porthos ed Aramis a seguirlo, e questi accennarono ai
-servi che scendessero da cavallo e sciogliessero le loro valigie.
-
-Parry si separò, non senza rincrescimento, dai suoi amici; gli era
-stato proposto di venire in Francia, ma aveva ricusato ostinatamente.
-
-«È naturale, diceva Mousqueton, ha le sue idee relativamente a Groslow».
-
-Noi ci rammentiamo che il capitano Groslow gli aveva spaccata la testa.
-
-La piccola comitiva raggiunse Athos. Ma d’Artagnan aveva ripresa la sua
-consueta diffidenza; trovava lo scalo troppo deserto, la notte troppo
-buja, il padrone troppo buono e corrente.
-
-Aveva raccontato ad Aramis l’incidente da noi riferito, ed Aramis
-non meno di lui diffidente, contribuiva di molto ad accrescere i suoi
-sospetti.
-
-Un lieve batter della lingua sui denti palesò ad Athos le inquietezze
-del Guascone.
-
-«Non abbiamo tempo da metterci in sospetto, disse Athos, la barca ci
-attende, entriamoci.
-
-«E d’altronde, fece Aramis, chi c’impedisce di sospettare ed entrar non
-ostante? Si sorveglierà il capitano.
-
-«E se non tira diritto, lo accoppo, ed è finita, continuò Porthos.
-
-«Bene! rispose d’Artagnan, dunque si vada. Passa tu, Mousqueton».
-
-Ma d’Artagnan tratteneva i suoi camerati, facendo che i servi
-precedessero, onde provare il tavolone che portava dalla spiaggia alla
-lancia.
-
-I tre domestici passarono senza disgrazie.
-
-Athos gli seguitò, poi Porthos, indi Aramis. Il tenente fu l’ultimo, e
-non cessava di muover la testa.
-
-«Che diavolo avete, mio caro? gli chiese Porthos, in verità, fareste
-paura a un Cesare.
-
-«Ho, che non veggo su questo porto nè sentinella, nè ispettore, nè
-doganiere.
-
-«Oh sì, lagnatevi! rispose Porthos, tutto va come sui fiori o foglie.
-
-«Tutto va troppo bene! Basta, alla grazia di Dio!»
-
-Tosto fu levata la tavola, il padrone sedè al timone, e fece un cenno
-ad un marinajo, il quale armatosi di un grosso gancio, principiò a
-manovrare per uscire dal laberinto di navigli fra cui era impacciata la
-barca.
-
-L’altro marinaro stava già col remo in mano.
-
-Quando ei potè adoprarlo, il suo compagno si unì a lui, e lo schifo
-cominciò ad andare più lestamente.
-
-«Alla fine si parte! disse Porthos.
-
-«Ahimè! rispose il conte di la Fère, partiamo soli!
-
-«Sì, ma noi quattro insieme, e senza un graffio: è una consolazione.
-
-«Non siamo ancora arrivati, fece d’Artagnan, guai agli incontri!
-
-«Eh! disse Porthos, siete come i corvi, voi! cantate sempre a
-disgrazia! chi può incontrarci in questa notte oscurissima, che non si
-vede a distanza di venti passi?
-
-«Sì, ma domattina?
-
-«Domattina saremo a Boulogne.
-
-«Lo desidero di cuore, soggiunse il Guascone, e confesso la mia
-debolezza: ecco, Athos, adesso riderete, ma sinchè siamo stati a
-tiro di schioppo dallo scalo o dai bastimenti che v’erano attorno, mi
-attendevo qualche terribile fucilata che ci distruggesse tutti.
-
-«Ma, osservò Porthos col suo giudizio un po’ materiale, era
-impossibile, poichè avrebbero ucciso nello stesso tempo e padrone e
-marinai.
-
-«Veh! grande affare per messer Mordaunt! credete che badi a così poco?
-
-«Insomma, disse Porthos, ho piacere che d’Artagnan convenga di aver
-avuto paura.
-
-«Non solo ne convengo, ma me ne vanto: non sono mica un rinoceronte
-come voi.... Ehi! che roba è questa?
-
-«Il _Lampo_, disse il capitano.
-
-«Dunque siamo arrivati? domandò Athos in inglese.
-
-«Si arriva».
-
-E dopo tre colpi di remo, erano accanto al piccolo bastimento.
-Il marinaro aspettava, la scala era apparecchiata, chè egli aveva
-riconosciuta la barca.
-
-Athos salì per il primo con abilità da uomo di mare; Aramis con una
-certa abitudine che aveva ai mezzi ingegnosi di traversare spazi
-proibiti; d’Artagnan come un cacciatore di camosci; Porthos con la
-forza che in lui suppliva a tutto.
-
-In quanto ai servitori l’operazione fu più difficile, non per Grimaud,
-ch’era una specie di gatto magro e sfilato, e trovava sempre modo
-di cacciarsi in qualunque luogo, ma per Mousqueton e Blaisois, che i
-marinaj dovettero sollevare in braccio sino a portata di Porthos, il
-quale afferratili pel collare della casacca li piantò ritti sul ponte.
-
-Il capitano guidò i passeggieri alla stanza ad essi apparecchiata e
-in cui dovevano rimanere tutti insieme, e poi cercava di andarsene col
-pretesto di dare degli ordini.
-
-«Un momento, disse d’Artagnan; padrone, quanti uomini avete a bordo?
-
-«Non capisco, rispose quello in inglese.
-
-«Athos, domandateglielo nella sua lingua».
-
-Athos fece l’interrogazione.
-
-«Tre, disse Groslow, ben inteso senza contar me».
-
-D’Artagnan comprese, perchè il capitano così replicando aveva alzate
-tre dita.
-
-«Oh! egli aggiunse, tre: comincio ad esser più quieto. Ma non serve,
-intanto che voi altri vi accomodate qui, io vo a fare un giro per il
-bastimento.
-
-«Ed io, continuò Porthos, mi occuperò della cena.
-
-«È bello e generoso il vostro progetto, Porthos! ponetelo in
-esecuzione. Voi, Athos, imprestatemi Grimaud che dalla compagnia del
-suo caro Parry ha imparato a borbottare un po’ d’inglese, e mi farà da
-interprete.
-
-«Andate, Grimaud», disse Athos.
-
-V’era sul ponte una lanterna, d’Artagnan l’alzò con una mano,
-nell’altra prese una pistola, e disse al padrone:
-
-«_Come_[14]».
-
-Che unito a _goddam_ era quanto ei sapesse dell’idioma britannico.
-
-Il Guascone pigliò dal boccaporto e scese nella stiva.
-
-La quale stiva dividevasi in tre compartimenti: quello in cui passava
-d’Artagnan, e che poteva estendersi dal terzo alberetto all’estremità
-da poppa, e che in conseguenza era ricoperto dal pavimento della camera
-dove Athos, Porthos ed Aramis si disponevano a pernottare; il secondo,
-che occupava il mezzo del naviglio, e destinato ai domestici; il terzo
-di sotto alla prora, vale a dire sotto al camerino fatto di nuovo in
-cui stava nascosto Mordaunt.
-
-«Oh oh! fece d’Artagnan scendendo la scaletta del boccaporto e
-facendosi precedere dal lampione che teneva steso di tutta la lunghezza
-del braccio, quante botti! pare la caverna di Alì-Baba».
-
-(In quell’epoca appunto erano state tradotte per la prima volta ed
-erano in gran voga le _Mille e una Notte_.)
-
-«Che dite?» domandò in inglese il capitano.
-
-Il tenente capì dall’intuonazione della voce, e rispose:
-
-«Desidero sapere che cosa v’è in quelle botti?»
-
-E posò sopra ad una di queste la lanterna.
-
-Il padrone fece un atto come per ritornar su, ma poi si fermò e disse:
-
-«Porto.
-
-«Ah! vino di Porto Porto! anche questa è una consolazione, non morremo
-di sete», fece d’Artagnan.
-
-E girandosi verso Groslow che si asciugava sulla fronte grosse gocce di
-sudore, lo richiese:
-
-«E sono piene?»
-
-Grimaud tradusse la interrogazione.
-
-«Alcune piene, altre vuote», disse Groslow con tal voce che ad onta
-d’ogni sforzo manifestava grande inquietudine.
-
-D’Artagnan picchiò col dito sui fusti, e riconobbe esserne cinque pieni
-e gli altri vuoti; dipoi introdusse con vie maggiore sbigottimento di
-Groslow, il lume che aveva in mano negli intervalli lasciati fra le
-botti, e visto che quelli erano vacui:
-
-«Animo, andiamo avanti, disse, e s’inoltrava verso l’usciale che dava
-sulla seconda divisione.
-
-«Aspettate, lo avvertì l’Inglese rimasto indietro, sempre nella
-maggiore agitazione; aspettate, ho io la chiave di costì».
-
-Allora, passando innanzi al Guascone e a Grimaud, mise con mano
-tremante la chiave nella serratura, e così furono nel secondo
-compartimento, dove Mousqueton e Blaisois si preparavano a cenare.
-
-In quello evidentemente non trovavasi cosa da cercare o da osservare;
-si scorgeva ogni posto, ogni angolo, mediante una lampada che avevano i
-due degni compagni.
-
-Sicchè, senza fermarsi, andarono a visitare il terzo locale.
-
-Quello era la camera dei marinaj.
-
-Tre o quattro cuccette sospese al palco, una tavola sostenuta da una
-fune doppia passata a ciascuna delle sue estremità, due panche marce
-e zoppe, ne formavano tutta la mobilia. D’Artagnan andò a sollevare
-due o tre vecchie vele che pendevano dalle pareti, e nulla vedendo di
-sospetto, ritornò dal boccaporto sul ponte.
-
-«E questo camerino?» domandò d’Artagnan.
-
-Grimaud fece all’Inglese la versione delle parole del moschettiere.
-
-«È il camerino mio, rispose il padrone; ci volete entrare?
-
-«Aprite», seguitò d’Artagnan.
-
-Groslow obbedì. Il Guascone allungò il braccio munito del lampione,
-cacciò dentro il capo dall’usciale socchiuso, ed osservato che si
-trattava a dirittura di un buco, disse:
-
-«Bene, bene: se a bordo v’è un’armata, di certo la non sarà rimpiattata
-qui. Si vada a sapere se Porthos ha trovato da cena».
-
-E ringraziato con un moto della testa il capitano, si recò nuovamente
-nella stanza dove erano i suoi amici.
-
-Porthos, per quanto pare, non aveva trovato cosa alcuna, e pure la
-stanchezza aveva vinta la fame, e sdraiatosi sul suo ferrajuolo dormiva
-profondamente quando entrò d’Artagnan.
-
-Athos ed Aramis, cedendo ai dolci movimenti cagionati dai primi flutti
-del mare principiavano a chiuder gli occhi: li riapersero al rumore
-fatto dal tenente.
-
-«Ebbene? chiese Aramis.
-
-«Tutto va ottimamente, disse d’Artagnan, e possiamo dormire tranquilli».
-
-Dietro di che Aramis si lasciò nuovamente andar giù la testa; Athos
-colla sua fe’ un cenno affettuoso a d’Artagnan, il quale al pari di
-Porthos aveva più bisogno di sonno che di cibo, licenziò Grimaud e si
-coricò sul suo pastrano, con la spada nuda, in modo tale che col suo
-corpo ingombrava il passo, e che nessuno potrebbe entrare nella camera
-senza urtare addosso a lui.
-
-
-
-
-LXXVI.
-
-_Il vino di Porto Porto._
-
-
-Dopo dieci minuti i padroni dormivano, ma non così i servitori
-affamati, e specialmente assetati.
-
-Blaisois e Mousqueton si accingevano ad apparecchiarsi il letto,
-consistente in un tavolone ed una valigia, mentre sopra una tavola
-sospesa come quella della stanza contigua si tentennavano al moto del
-mare un pane, un boccale di birra e tre bicchieri.
-
-«Maledetto scuotimento! diceva Blaisois, sento che mi ritorna il male
-come quando si arrivò.
-
-«E per combattere questa nausea, rispondeva Mousqueton, non avere altro
-che pane d’orzo e vino di luppoli.... buff!....
-
-«E la vostra fiaschetta di giunchi, signor Mouston, l’avete perduta?
-domandò Blaisois che aveva terminato il suo preparativo e barcollando
-si accostava alla tavola, davanti alla quale Mousqueton era già seduto
-e dove riuscì anche a lui di sedersi.
-
-«No; disse Mousqueton, ma Parry se l’è ritenuta. Quei maledetti
-Scozzesi hanno sempre sete!.... E voi, Grimaud?.... disse poi al
-camerata che appunto capitava dopo aver accompagnato d’Artagnan nel suo
-giro, e voi, avete sete?
-
-«Quanto uno Scozzese, fece Grimaud laconicamente».
-
-E si assise accanto agli altri due, si cavò di tasca un libretto, e si
-mise a fare i conti della società, di cui era l’economo.
-
-«Ohimè, ohimè!.... disse Blaisois, mi si rimescola lo stomaco!
-
-«Se così è, consigliò Mousqueton in tuono da dottore, pigliate un po’
-di cibo.
-
-«E codesto, lo chiamate cibo? replicò Blaisois con cera dolente e
-sprezzante accennando col dito il pan d’orzo e la birra.
-
-«Blaisois, riprese Mousqueton, rammentatevi che il pane è il vero
-nutrimento del Francese, e anche il Francese non ne ha sempre:
-domandatelo a Grimaud.
-
-«Sì, ma la birra, gridò Blaisois con una prontezza che faceva onore al
-suo spirito vivace, ma la birra è ella forse la sua vera bevanda?
-
-«Per questo poi, rispose Mousqueton acchiappato dal dilemma e
-imbrogliatissimo per rispondere, devo confessare di no, ed anzi
-aggiungerò ch’ella gli è tanto antipatica quanto è il vino agli
-Inglesi.
-
-«Come, signor Mouston? seguitò Blaisois, che questa volta dubitava
-delle profonde cognizioni di Mousqueton, per le quali nelle circostanze
-ordinarie della vita aveva però la massima ammirazione, come, agli
-Inglesi non piace il vino?
-
-«Lo abborriscono.
-
-«Eppure, glie l’ho visto bere, io.
-
-«Per penitenza; e la prova, continuò Mouston impettito, si è, che un
-giorno un principe inglese morì per essere stato dentro a una botte di
-malvagia. Io l’ho inteso raccontare dal signor d’Herblay.
-
-«Imbecillone! fece Blaisois, vorrei esser io nel suo posto.
-
-«Lo puoi far benissimo, disse Grimaud mentre accomodava i suoi numeri
-in fila.
-
-«E in che modo?
-
-«Sì sì, confermò Grimaud, e teneva a mente quattro per riportarlo alla
-somma della colonna seguente.
-
-«Posso farlo? spiegatevi, signor Grimaud».
-
-Durante le interrogazioni di Blaisois Mousqueton stava in silenzio,
-ma facilmente si scorgeva dal suo viso non esser questo per effetto
-d’indifferenza.
-
-Grimaud continuò il suo conteggio e stabilì il totale.
-
-«Porto Porto, disse allora stendendo la mano nella direzione del
-primo compartimento visitato da lui e da d’Artagnan in compagnia del
-capitano.
-
-«Come! quelle botti che ho adocchiate dall’usciale socchiuso....
-
-«Porto, ripetè Grimaud, e ricominciò una nuova operazione di aritmetica.
-
-«Ho inteso dire, seguitò Blaisois volgendosi a Mousqueton, che il Porto
-Porto è un vino eccellente di Spagna.
-
-«Eccellente, rispose Mousqueton strisciandosi sulle labbra con la
-lingua, ce n’è nella cantina del signor barone di Bracieux.
-
-«Se pregassimo questi Inglesi di vendercene una bottiglia? progettò
-l’onesto Blaisois.
-
-«Vendere! obbiettò Mousqueton tornando all’antico suo istinto di
-ruberia; ben si capisce, giovanotto, che non avete ancora l’esperienza
-delle cose della vita. Perchè comprare quando si può prendere?
-
-«Prendere! desiderare il bene del prossimo! è proibito, mi pare!
-
-«Dove?
-
-«Nei comandamenti di Dio.... o della Chiesa.... non so.... ma so che
-v’è. _E non desiderare i beni del prossimo tuo, nè la sua sposa_....
-
-«Chiacchere! chiacchere! dove avete mai trovato che gli Inglesi siano
-nostro prossimo?
-
-«In nessun luogo, è vero.... almeno non me ne ricordo.
-
-«Bambinate! bambinate! seguitò Mousqueton. Se aveste guerreggiato dieci
-anni come io e Grimaud, caro Blaisois, sapreste fare la differenza che
-v’è tra il bene del prossimo e il bene del nemico: ora un Inglese è
-nemico, e il vino appartiene agl’Inglesi; dunque appartiene a noi, che
-siamo Francesi....»
-
-Questa facondia, appoggiata da tutta l’autorità che Mousqueton traeva
-dalla sua lunga pratica, incantò Blaisois. Costui chinò il capo come
-per riflettere, e ad un tratto rialzandolo alla maniera di un uomo
-armatosi di un argomento irresistibile, disse:
-
-«Signor Mousqueton, e i padroni saranno della vostra opinione?»
-
-Mousqueton sogghignò con disprezzo.
-
-«Dovrei forse, rispose, andare a disturbare nel sonno quegli illustri
-signori per dir loro: «Signori, il vostro servo Mousqueton ha sete, gli
-permettete di bere?» Ma che importa al signor di Bracieux, ch’io abbia
-sete o no?
-
-«È vino che costa caro! osservò Blaisois scuotendo la testa.
-
-«Fosse anche oro, messer Blaisois, i nostri padroni non se ne
-priverebbero. Sappiate che il signor barone di Bracieux è da sè solo
-assai ricco per bere una botte di Porto Porto, anco dovesse pagarlo
-una doppia ogni goccia. E io non veggo, continuava Mousqueton nel suo
-magnifico orgoglio, giacchè i padroni non so lo farebbero mancare, il
-perchè abbiano a lasciarselo mancare i domestici».
-
-Indi essendosi alzato, pigliò il boccale della birra, lo vuotò da uno
-sportello di bordo sino all’ultima stilla, e si avanzò maestosamente
-verso l’usciale che dava sulla divisione.
-
-«Ah ah! disse, è chiuso. Quei bricconi d’Inglesi, come sono diffidenti!
-
-«Chiuso! fece Blaisois non meno dolente, peccato, in verità! di più che
-mi sento travagliare lo stomaco peggio di prima!....»
-
-Mousqueton si girò verso Blaisois con ciera così mesta che si conosceva
-a quale alto grado si associasse al di lui rincrescimento.
-
-«Chiuso! ripetè.
-
-«Ma, azzardò Blaisois, io vi ho sentito raccontare, signor Mousqueton,
-che una volta nella vostra gioventù, a Chantilly se non isbaglio,
-manteneste il vostro padrone e voi stesso prendendo delle pernici colla
-rete, dei carpioni colla lenza, e delle bottiglie col lacciuolo....
-
-«Positivamente, questo è esattissimo; ed ecco Grimaud che ve lo
-può attestare; ma alla cantina v’era uno spiraglio, e il vino era
-imbottigliato. Non posso gettare il lacciuolo a traverso a questo
-tramezzo, nè tirare con uno spago un fusto che pesa forse duecento
-cantara.
-
-«No, ma dal tramezzo potreste levare due o tre tavoloni, ed a un fusto
-fare un buco colla verrina».
-
-Mousqueton spalancò smisuratamente gli occhi, e guardando Blaisois da
-uomo che stupisce di riscontrare in un altro una capacità di cui non lo
-giudicava suscettibile, replicò:
-
-«È vero, si può; ma lo scalpello per fare saltare le tavole, e la
-verrina per forare la botte?
-
-«L’astuccio, fece Grimaud bilanciando il dare e avere del suo conto.
-
-«Ah sì! l’astuccio, disse Mousqueton, ed io che non ci pensavo!»
-
-Realmente Grimaud era non soltanto economo della compagnia ma anche
-suo armajuolo: oltre al registro aveva l’astuccio. Ed essendo egli uomo
-di grandissime precauzioni, l’astuccio ben ripiegato nella valigia era
-fornito di tutti gli arnesi di prima necessità, e quindi conteneva una
-verrina di grossezza ragionevole.
-
-Mousqueton se ne impossessò.
-
-Per lo scalpello non lo dovè cercare lontano, chè il pugnale che
-portava alla cintura era in grado di essergli sostituito utilmente.
-
-Mousqueton trovò agevolmente un canto ove le tavole fossero disgiunte,
-e si mise subito all’opra.
-
-Blaisois lo stava ad osservare con ammirazione mista ad impazienza,
-tratto tratto avventurando sul modo di staccare un chiodo, o di pigiar
-meglio, delle riflessioni piene di abilità e di chiarezza.
-
-A capo a un momento Mousqueton aveva fatto schizzar via tre tavoloni.
-
-«Là! disse Blaisois».
-
-Mousqueton era tutto all’opposto della rana della favola, che si
-credeva più grossa di quel che la si fosse. Sfortunatamente, se era
-pervenuto a scemare di un terzo il proprio nome, non gli era riuscito
-lo stesso pel suo ventre. Tentò di passare dall’apertura formata, e
-vide con sommo duolo che bisognerebbe togliere altre due o tre tavole
-perchè quella gli bastasse.
-
-Sospirò, e si ritirò per riaccingersi al lavoro.
-
-Ma Grimaud che aveva terminato il conteggio, si era alzato, e col
-massimo interesse per l’operazione che colà si eseguiva si era
-avvicinato a’ suoi due compagni, e scorgeva gli inutili sforzi di
-Mousqueton per arrivare alla terra promessa.
-
-«Io, disse Grimaud».
-
-Questa parola sola valeva quanto un sonetto, che come ognuno sa vale
-quanto un poema.
-
-Mousqueton si voltò domandando:
-
-«Che cosa, voi?
-
-«Io passerò.
-
-«Oh sì, rispose Mousqueton dando un’occhiata al personale lungo e secco
-dell’amico, voi sì, e facilmente.
-
-«Va bene, seguitò Blaisois, e conosce le botti piene, poichè è già
-stato in cantina col signor cavaliere d’Artagnan. Signor Mousqueton,
-lasciate che s’introduca messer Grimaud.
-
-«Mi ci sarei introdotto io pure egualmente che Grimaud, disse
-Mousqueton un po’ sdegnato.
-
-«Sì, ma ci vorrebbe più tempo, ed io ho molta sete.... sento che mi si
-rimescola sempre più lo stomaco.
-
-«Andate dunque, Grimaud, ordinò Mousqueton dando a quello che si recava
-a tentare l’impresa in sua vece il boccale da birra e la verrina.
-
-«Netta i bicchieri, disse Grimaud».
-
-Poi fece un gesto amichevole a Mousqueton, acciò questi gli perdonasse
-di compiere una spedizione cominciata in maniera tanto brillante da un
-altro, ed alla guisa di un serpente si cacciò dentro dall’apertura e
-disparve.
-
-Blaisois sembrava in estasi. Di tutte le imprese fatte dopo il loro
-arrivo in Inghilterra dagli uomini straordinari a’ quali aveva la sorte
-di essere addetto, quella di certo gli sembrava la più miracolosa.
-
-«Ora vedrete, disse allora Mousqueton fissando in viso Blaisois con una
-superiorità a cui questi non cercava tampoco di sottrarsi, ora vedrete,
-Blaisois, come beviamo noi altri soldati quando abbiamo sete.
-
-«Il pastrano, fece Grimaud di fondo alla cantina.
-
-«Ah sì! è giusto, disse Mousqueton.
-
-«Che cosa vuole? domandò Blaisois.
-
-«Che si tappi l’ingresso con un pastrano.
-
-«Per che fare?
-
-«Innocentino! e se entrasse qualcuno?
-
-«Ah! è vero! esclamò Blaisois con sempre maggiore ammirazione, ma sarà
-al bujo, non ci vedrà.
-
-«Grimaud ci vede sempre, di notte come di giorno.
-
-«È fortunato! io quando non ho lume non posso far due passi senza dare
-qualche urtonata!
-
-«Perchè voi non siete stato al servizio; replicò Mousqueton a Blaisois,
-se no, avreste imparato a raccattare un ago dentro a un forno.... Oh
-silenzio! vien gente, se non isbaglio».
-
-Mousqueton diede un piccolo fischio d’allarme già familiare ai lacchè
-nei tempi di loro giovinezza, ripigliò il suo posto a tavola, ed
-ammiccò a Blaisois di fare altrettanto.
-
-Questi obbedì.
-
-Fu schiuso l’uscio, comparvero due uomini inferrajuolati.
-
-«Oh oh! disse uno di essi, alle undici e un quarto, non per anche a
-letto? è contro le regole. Fra un quarto d’ora tutto sia al bujo e
-tutti russino».
-
-I due s’incamminarono verso la porticella del compartimento in cui
-si era cacciato Grimaud, e l’apersero, ed entrarono, e dietro se la
-serrarono di nuovo.
-
-«Ah! fece Blaisois raccapricciando, egli è perduto!
-
-«Grimaud è volpe vecchia! bucinò Mousqueton».
-
-Ed attesero, postisi in orecchio e trattenendo il fiato.
-
-Scorsero dieci minuti, nei quali non si udì alcun rumore da dar
-sospetto che Grimaud fosse stato scoperto.
-
-Passato quell’intervallo, Mousqueton e Blaisois videro riaprirsi la
-porta, ne uscirono i due intabarrati, tornarono a chiudere con la
-medesima precauzione di prima, e si allontanarono ripetendo l’ordine di
-coricarsi e spegnere i lumi.
-
-«Si ha da obbedire? domandò Blaisois, tutto questo mi par brutto.
-
-«Hanno detto un quarto d’ora, ci restano cinque minuti, rispose
-Mousqueton.
-
-«Se avvertissimo i padroni?
-
-«Aspettiamo Grimaud.
-
-«Ma se lo hanno ammazzato?
-
-«Eh! avrebbe urlato.
-
-«Sapete pure ch’è quasi mutolo.
-
-«Si sarebbe inteso il colpo.
-
-«Ma, se non viene più?
-
-«Eccolo!»
-
-Diffatti nello stesso momento Grimaud discostava il pastrano che celava
-il foro, e da questo metteva fuori una faccia livida, di cui gli occhi
-spalancati e rotondi per lo spavento lasciavano distinguere una piccola
-pupilla in un largo cerchio bianco. Teneva in mano il vaso di birra,
-pieno di una sostanza qualunque, l’avvicinò al raggio di luce che
-tramandava la lampada fumosa, e balbettò il semplice monosillabo _Oh!_
-con espressione di sì fiero terrore, che Mousqueton rinculò sbigottito
-e Blaisois fu in procinto di svenire.
-
-Entrambi però diedero un’occhiata al boccale da birra: era pieno di
-polvere.
-
-Grimaud appena convinto essere il bastimento carico di polvere, anzi
-che di vino, si slanciò al boccaporto, ed in un salto fu alla camera
-ove dormivano i quattro amici. Giunto là, spinse piano l’usciale, col
-che destò immediatamente d’Artagnan coricato dietro a questo.
-
-Non sì tosto d’Artagnan ebbe veduta la faccia sconvolta di Grimaud,
-comprese esservi qualchecosa straordinaria, e andava per gridare; il
-domestico però con un gesto più rapido che la parola, si mise un dito
-sulle labbra, e con un soffio di cui nessuno avrebbe avuto idea in un
-corpo sì gracile, estinse il lumicino da tre passi distante.
-
-D’Artagnan si sollevò sul gomito; Grimaud posò in terra un ginocchio,
-e divi, a collo steso, con un’agitazione tremenda, gli bisbigliò
-all’orecchio un racconto, che a tutto rigore era abbastanza drammatico
-per rendere superfluo il gesto e i movimenti della fisonomia.
-
-Durante quella relazione, Athos, Porthos ed Aramis dormivano come
-uomini che non abbiano dormito da otto notti, e nella stiva Mousqueton
-per precauzione si legava gli aghetti, mentre Blaisois inorridito e coi
-capelli ritti in testa si provava a far lo stesso.
-
-Ecco ciò che era accaduto.
-
-Subito che Grimaud fu sparito dal foro e si trovò nel primo
-compartimento, si diede a cercare, ed incontrò una botte; vi picchiò
-sopra: ell’era vuota. Andò ad un’altra: vuota egualmente. Ma la
-terza su cui ripetè l’esperimento diede un tal suono che non v’era da
-ingannarsi, ed egli riconobbe ch’era piena.
-
-Si fermò a questa, cercò un luogo adattato per bucarla con la verrina,
-e nel far ciò posò la mano sur una chiavetta o robinetto.
-
-«Bene! disse fra sè, risparmio di fatica!»
-
-Appressò il vaso di birra, girò la chiavetta, e sentì il contenuto
-passare adagio dall’uno all’altro recipiente.
-
-Grimaud, usata la cautela di richiudere il robinetto, si accingeva ad
-accostarsi alla bocca il vaso suddetto, essendo egli uomo di troppa
-coscienza per recare ai compagni un liquido del quale non potesse
-garantir loro la qualità, quando ecco intese il segnale d’allarme
-datogli da Mousqueton; ebbe sospetto di qualche ronda notturna, si
-cacciò nello spazio esistente tra due fusti, e si rimpiattò dietro ad
-uno di questi.
-
-Realmente, di lì a poco fu aperta la porta e indi richiusa, dopo
-esserne venuti fuori i due individui col ferrajuolo che noi già
-vedemmo andar su e giù dinanzi a Blaisois e Mousqueton col dare ad essi
-l’ordine di smorzare le candele.
-
-Uno dei due teneva una lanterna guarnita di vetri, ben serrata, e tanto
-alta che la fiamma non poteva arrivare sino alla cima; inoltre i vetri
-erano ricoperti da un foglio bianco che mitigava o piuttosto assorbiva
-e la luce e il calore.
-
-Colui era Groslow.
-
-L’altro reggeva una qualche cosa pieghevole e arrotolata come una corda
-bianchiccia. Gli cuopriva il viso un cappello a tese larghe.
-
-Grimaud supponendoli là per lo stesso sentimento per cui egli vi era,
-e credendo che al pari di lui venissero a fare una visita al vino di
-Porto Porto, si rannicchiò sempre più a tergo alla botte, calcolando
-inoltre che qualora fosse scoperto il delitto non era poi molto grave.
-
-I due sopraggiunti, quando furono al fusto dietro al quale appiattavasi
-Grimaud, si fermarono.
-
-«Avete la miccia? domandò in inglese quello del lampione.
-
-«Eccola, disse l’altro».
-
-Alla voce dell’ultimo, Grimaud si scosse e si sentì un brivido sino nel
-midollo delle ossa; si rizzò lentamente sino a tanto che colla testa
-sorpassasse il cerchio di legno, e sotto l’ampio cappellone riconobbe
-il pallido volto di Mordaunt.
-
-«Quanto può durare questa miccia? costui richiese.
-
-«Eh! circa cinque minuti, gli rispose il padrone».
-
-Neppur quella voce era ignota a Grimaud. Egli mandò lo sguardo dal
-primo al secondo, e dopo Mordaunt ravvisò Groslow.
-
-«Dunque, continuò Mordaunt, avvertirete i vostri uomini di star pronti,
-senza dir loro a che. La lancia seguita il bastimento?
-
-«Come un cane seguita il padrone reggendosi a una fune di canapa.
-
-«Allora quando l’orologio toccherà il quarto dopo mezzanotte, riunirete
-i vostri uomini, e scenderete senza far rumore nella lancia.
-
-«Dopo aver dato fuoco alla miccia?
-
-«A questo penso io: voglio esser sicuro della mia vendetta. I remi sono
-nella barca?
-
-«Tutto è apparecchiato.
-
-«Bene.
-
-«Siamo intesi».
-
-Mordaunt s’inginocchiò e fissò una cima della miccia alla chiavetta,
-per non aver più da far altro che dar fuoco all’estremità opposta.
-
-E terminata tale operazione, cavò fuori l’oriuolo.
-
-«Avete inteso? un quarto dopo mezza notte; disse alzandosi, cioè fra
-venti minuti.
-
-«Ottimamente, signore, rispose Groslow. Soltanto, devo farvi
-osservare per l’ultima volta che v’è qualche pericolo nell’incarico
-riserbatovi, e che sarebbe meglio incombenzare un dei nostri subalterni
-nell’accensione.
-
-«Mio caro Groslow, replicò Mordaunt, sapete pure il proverbio: _Chi fa
-da sè fa per tre_, ed io lo metterò in pratica».
-
-Grimaud aveva ascoltato tutto, se tutto non aveva inteso: ma in lui la
-vista suppliva alla mancanza di piena intelligenza dell’idioma; avea
-veduto e riconosciuto i due acerrimi nemici dei moschettieri; avea
-visto Mordaunt preparare la miccia; aveva udito il proverbio detto in
-francese da Mordaunt; finalmente tastava e ritastava il contenuto del
-boccale, ed invece del liquido che attendevano Mousqueton e Blaisois,
-scricchiolavano sotto le sue dita i grani di una grossa polvere da
-botta.
-
-Mordaunt si avviò col capitano; sull’uscio si fermò in ascolto,
-
-«Sentite come dormono? disse».
-
-Difatti si udiva russare Porthos a traverso al palco.
-
-«Iddio li mette in mano vostra! fece Groslow.
-
-«E questa volta, soggiunse Mordaunt, il diavolo non li salverebbe».
-
-Ed uscirono insieme.
-
-Grimaud aspettò sino ad aver inteso stridere la stanghetta della porta,
-e quando fu certo di esser solo si alzò adagio rasente al muro.
-
-«Ah! disse asciugandosi colla manica le grosse goccie di sudore che gli
-correvano sulla fronte, che fortuna che Mousqueton abbia avuto sete!»
-
-Si sollecitò a ripassare dal buco, credendo tuttavia di sognare, ma la
-vista della polvere nel vaso da birra gli provò come quel sogno era un
-incubo mortale.
-
-D’Artagnan, secondo è da pensarsi, ascoltò tutti quei particolari
-col massimo interesse, e senza attendere che Grimaud avesse terminato
-si rizzò senza impeto alcuno, ed accostata la bocca alle orecchie di
-Aramis che dormiva dalla sua parte sinistra, e toccandogli la spalla
-onde impedire qualunque movimento repentino, gli disse:
-
-«Alzatevi! cavaliere, e non fate chiasso».
-
-Aramis si destò. D’Artagnan ripetè l’invito stringendogli la mano, ed
-egli obbedì.
-
-«Accanto a voi è Athos, seguitò a dirgli, prevenitelo come io ho fatto
-a voi».
-
-Aramis svegliò facilmente Athos, che aveva il sonno leggiero conforme
-sogliono tutti i naturali delicati e nervosi. Ma si durò maggior
-fatica a svegliare Porthos. Questi si accingeva a domandare le cause
-e le ragioni di quella interruzione dei suoi sonni, che gli pareva
-spiacevolissima, ma d’Artagnan per unica spiegazione gli piantò una
-mano sulla bocca.
-
-Allora il nostro Guascone, allungate le braccia e ricondottole a sè,
-rinchiuse nel cerchio di esse le tre teste degli amici in maniera che
-per dir così si toccassero.
-
-«Miei cari, avvertì, lasceremo subito questa barca, o che siamo tutti
-morti.
-
-«Veh! da capo? fece Athos.
-
-«Sapete chi e il capitano?
-
-«No.
-
-«Il colonnello Groslow».
-
-Una scossa dei tre moschettieri manifestò a d’Artagnan che il suo
-discorso cominciava a far loro qualche impressione.
-
-«Groslow! disse Aramis, oh diavolo!
-
-«Che roba è questo Groslow? domandò Porthos, non me ne rammento più.
-
-«Quello che ruppe la testa a Parry, e in questo momento si dispone a
-romperla a noi.
-
-«Oh oh!
-
-«E il suo luogotenente, sapete chi è?
-
-«Luogotenente? fece Athos, non se ne hanno in una filuca di quattro
-uomini d’equipaggio.
-
-«Sì, ma messer Groslow non è già un capitano come gli altri. Egli lo
-ha, e nella persona del signor Mordaunt».
-
-Questa volta non bastò ai moschettieri una scossa, vi fu anche
-un grido. Quegli uomini invincibili erano soggetti all’influenza
-misteriosa e fatale che su di loro esercitava quel nome, e sentivano
-terrore al solo udirlo a pronunziare.
-
-«Che si fa? disse Athos.
-
-«Impossessarci della feluca, progettò Aramis.
-
-«E ucciderlo, aggiunse Porthos.
-
-«Nella feluca è fatta una mina, disse d’Artagnan; le botti che ho prese
-per fusti pieni di Porto Porto sono botti di polvere. Quando Mordaunt
-si vegga scoperto farà saltar per aria tutti, amici e nemici, e affè!
-egli è un signorino di troppo trista società perch’io abbia voglia di
-presentarmi con lui nè in cielo nè all’inferno.
-
-«Dunque avete già un piano? richiese Athos.
-
-«Sì.
-
-«E quale?
-
-«Avete fiducia in me?
-
-«Ordinate, risposero i tre moschettieri.
-
-«Or bene, venite qua».
-
-D’Artagnan andò ad un finestrino bassissimo, ma che bastava perchè un
-uomo vi passasse, e lo fece scorrere sulla cerniera.
-
-«Ecco la strada, disse allora.
-
-«Diavolo! fece Aramis, caro mio, fa un gran freddo!
-
-«Restate qui se volete, ma vi avviso che tra poco ci farà troppo caldo.
-
-«Ma non possiamo mica arrivare a nuoto a prender terra!
-
-«La lancia ci seguita legata a un cavo; arriveremo alla lancia, e
-taglieremo il cavo: non v’è altro. Andiamo, signori.
-
-«Un momento.... disse Athos, e i servitori?
-
-«Eccoci, risposero Mousqueton e Blaisois».
-
-Perocchè Grimaud era stato a chiamarli, onde concentrare tutte le forze
-nel camerino, ed essi dal boccaporto quasi attiguo alla porta erano
-entrati senza esser veduti.
-
-Frattanto i tre amici rimanevano immobili dinanzi al terribile
-spettacolo a loro scoperto da d’Artagnan sollevando l’imposta, e che
-osservavano da quella stretta apertura.
-
-Infatti chiunque abbia veduto una volta tale spettacolo, sa che non
-v’ha cosa la quale faccia maggior sensazione che il mare agitato che
-manda i neri suoi flutti con un cupo rumore allo scarso chiarore della
-luna d’inverno.
-
-«Per bacco! disse d’Artagnan, siamo titubanti, mi pare! e se noi lo
-siamo, che faranno i nostri lacchè?
-
-«Io non esito punto, disse Grimaud.
-
-«Signore, soggiunse Blaisois, io ve lo avverto, non so nuotare se non
-nei fiumi.
-
-«Ed io non so nuotare per niente, seguitò Mousqueton».
-
-In quel frattempo d’Artagnan si era messo già fuori dal finestrino.
-
-«Siete dunque deciso? domandò Athos.
-
-«Sì, rispose il Guascone. Animo, Athos! voi che siete l’uomo perfetto,
-ordinate allo spirito di dominare la materia; voi, Aramis, date il
-comando ai servi; voi, Porthos, uccidete quanti ci diano ostacolo».
-
-E d’Artagnan, avendo stretta la mano ad Athos, colse il momento che per
-un moto di ondeggiamento il naviglio si sommergeva da poppa, talchè non
-ebbe da far altro che lasciarsi calare nell’acqua che lo avvolgeva di
-già sino alla cintura.
-
-Athos gli andò appresso anche prima che la feluca fosse rialzata;
-questa si trasse in su, e si vide scaturir dal mare il cavo a cui era
-legata la scialuppa.
-
-D’Artagnan nuotò verso quella corda e la raggiunse.
-
-Poi alla svolta del bastimento si distinsero due teste: quelle di
-Aramis e di Grimaud.
-
-«Blaisois mi dà da pensare, disse Athos; non avete inteso, d’Artagnan,
-che ci ha detto non saper nuotare se non nei fiumi?
-
-«Quando si sa nuotare, si nuota da per tutto, rispose il tenente, al
-bargio! al bargio!
-
-«Ma Porthos? non lo veggo!
-
-«Verrà tra poco, non dubitate; nuota come un leviathan».
-
-Realmente Porthos non compariva, perchè fra esso e Mousqueton e
-Blaisois, aveva luogo una scena buffonesca e mezzo drammatica.
-
-Questi due, spaventati dal rumore dell’acqua, e dal fischiar del
-vento, e dall’aspetto dell’onda nera e gorgogliante in un vortice,
-retrocedevano anzi che avanzarsi.
-
-«Animo, giù! in mare! disse Porthos.
-
-«Ma, signore, non so nuotare, rispondeva Mousqueton; lasciatemi qui.
-
-«E anco me! pregava Blaisois.
-
-«Vi assicuro che vi darò più impaccio che altro in quella barchetta,
-soggiunse Mousqueton.
-
-«Ed io mi annegherò prima di arrivarvi, continuava Blaisois.
-
-«Eh! vi strangolo tutti due se non uscite! fece Porthos afferrandoli
-pel collo; innanzi, Blaisois!»
-
-Questi non diede altra risposta che un gemito soffocato dalla ferrea
-mano di Porthos, perocchè il gigante, tenendolo per la gola e pei
-piedi, lo fe’ sdrucciolare come una tavola dal finestrino e lo mandò
-capovolto nell’acqua.
-
-«Adesso, Mouston, disse Porthos, mi lusingo che non abbandoniate il
-vostro padrone.
-
-«Ah, signore! sospirò colle lacrime agli occhi Mousqueton, perchè
-vi siete rimesso al servizio? stavamo tanto bene nel castello di
-Pierrefonds!»
-
-E senza altra rampogna, diventato obbediente e passivo, o per vero
-zelo, o per l’esempio dato a proposito da Blaisois, Mousqueton si tuffò
-a capo all’ingiù.... atto in ogni caso, sublime, dappoichè ei si teneva
-per morto.
-
-Ma Porthos non era uomo da lasciar così il fedele compagno. Il padrone
-seguitò tanto da vicino il servitore, che la caduta dei due corpi fece
-un solo e medesimo tonfo, talmentechè quando Mousqueton ritornò a galla
-affatto cieco si trovò sorretto dalla larga mano di Porthos, e senza
-aver bisogno di far alcun moto, potè avanzarsi verso la fune, con tutta
-la maestà di un Dio marino.
-
-Nell’istante, Porthos vide scuotersi qualche cosa prossima al suo
-braccio: la qualche cosa era Blaisois, ed egli lo afferrò pei capelli.
-
-Athos gli si faceva di già incontro, ma Porthos disse a questo:
-
-«Andate, conte, andate, non ho necessità di voi».
-
-E veramente con un robusto colpo dei garretti, Porthos si rizzò come
-il gigante Adamastor al di sopra dei flutti, ed in tre slanci ebbe
-raggiunti i camerati.
-
-D’Artagnan, Aramis e Grimaud aiutarono Mousqueton e Blaisois a salire;
-indi toccò a Porthos, il quale scavalcando di su lo sportello del bordo
-ebbe a far travirare il piccolo schifo.
-
-«E Athos? domandò d’Artagnan.
-
-«Eccomi! disse Athos, che alla guisa di un generale che sostenga la
-ritirata non avea voluto andar su se non da ultimo, e stava accanto
-agli orli della barca, siete tutti riuniti?
-
-«Tutti, rispose d’Artagnan. E voi, Athos, avete il pugnale?
-
-«Sì.
-
-«Dunque, tagliate il cavo, e venite».
-
-Athos si levò dalla cintola un pugnale appuntato; la feluca si
-allontanò, la lancia restò ferma senz’altro movimento che quello che le
-davano le onde.
-
-«Venite, Athos» ripetè d’Artagnan.
-
-E porse la mano al conte di la Fère, che si accomodò pure nel battello.
-
-«Era tempo! disse il Guascone, e ora vedrete qualche cosa di curioso!»
-
-
-
-
-LXXVII.
-
-_Fatality._
-
-
-E realmente aveva appena d’Artagnan profferite quelle parole, che sul
-naviglio risuonò un fischio.
-
-«Capite bene, disse il Guascone, che questo significa qualcosa».
-
-E si distinse un lampioncino sul ponte trasparire dall’ombra della
-poppa.
-
-Ad un tratto traversò lo spazio un grido terribile, grido di
-disperazione; e quasi avesse questo discacciati i nuvoli, si diradò il
-velo che nascondeva la luna, e si mostrarono sul cielo inargentato da
-squallida luce il velame grigio e il cordame nero del bastimento.
-
-Correvano ombre smarrite su pel naviglio, ed urli lamentevoli le
-accompagnavano nell’aggirarsi che follemente facevano.
-
-E frattanto si mirò sulla sommità della poppa Mordaunt, con una torcia
-in mano.
-
-Le ombre che andavano come perdute sulla feluca erano Groslow ed i suoi
-uomini, i quali, all’ora da Mordaunt indicata erano stati radunati,
-mentre costui, dopo essere stato a sentire sull’usciale del camerino se
-i moschettieri dormivano sempre, era disceso alla stiva, riconfortato
-dal loro silenzio.
-
-E diffatto, chi avrebbe potuto sospettare ciò ch’era accaduto?
-
-Mordaunt in conseguenza aveva aperta la porta ed era corso alla miccia;
-impetuoso come chi abbia sete di vendetta, e sicuro di sè come quelli
-che accieca la passione, aveva dato fuoco allo zolfo.
-
-Nel frattempo Groslow ed i suoi marinaj si erano riuniti a poppa.
-
-«Allate la gomena! disse Groslow, e tirate a noi il bargio».
-
-Uno dei marinaj scavalcò la parete del bastimento, afferrò il cavo e
-tirò: la corda venne verso di lui senza far resistenza.
-
-«Il cavo è tagliato! esclamò colui, non v’è più lancia!
-
-«Come! non più lancia? fece Groslow scagliandosi sulla impagliatura, è
-impossibile!
-
-«Eppure è così! guardate.... nulla in tutto il solco, e poi ecco la
-cima della fune».
-
-E allora fu che Groslow cacciò il gemito udito dai moschettieri.
-
-«Che c’è egli? esclamò Mordaunt uscito dal boccaporto con in mano la
-torcia.
-
-«C’è che i nemici ci scappano; c’è che hanno tagliato il canapo e
-fuggono con la scialuppa».
-
-Mordaunt fu in un salto sino al camerino e lo sfondò con una pedata.
-
-«Vuoto! strillò, oh demonj!
-
-«Gl’inseguiremo, disse Groslow, non possono esser lontani, e li
-caleremo a fondo passando loro addosso.
-
-«Sì, ma il fuoco! rispose Mordaunt, ho appiccato il fuoco!
-
-«A che?
-
-«Alla miccia!
-
-«Corpo di una saetta! urlò Groslow verso il boccaporto. È forse ancor
-tempo!»
-
-Mordaunt non rispose che con una terribile risata, e scomposto il
-sembiante dall’odio ancor più che dal terrore, cercando cogli occhi
-il cielo come volesse mandar fuori un’ultima bestemmia, buttò prima la
-torcia e indi sè stesso in mare.
-
-Nel medesimo punto, e mentre Groslow poneva il piede sulla scala del
-boccaporto, il naviglio si aperse come il cratere di un vulcano, sorse
-in alto una vampa di fuoco con iscoppio non dissimile da quello di
-cento cannoni che sparassero insieme; l’aria s’incendiò tutta segnata e
-ripercossa da rottami ugualmente incendiati, poscia disparve l’orribile
-lampo, i pezzi infranti ricaddero uno dopo l’altro mugghiando
-nell’abisso in cui si estinguevano, ed eccettuato un certo rimbombo
-rimasto per l’aere, di lì a poco avreste creduto nulla fosse avvenuto.
-
-Se non che la feluca era scomparsa dalla superficie del mare, e
-distrutti, annientati Groslow ed i suoi tre sottoposti.
-
-I quattro amici avevano veduto tutto, non era loro sfuggita veruna
-circostanza di quel tremendo dramma. Innondati per un momento da quel
-lume risplendentissimo che avea rischiarato il mare alla distanza di
-più di una lega, rimanevano ciascuno in diversa attitudine, esprimendo
-lo spavento da cui non potevano astenersi ad onta dei loro cuori di
-bronzo. In breve ricadde intorno a loro la pioggia di fiamme, ed alla
-fine il vulcano si estinse conforme dianzi noi narravamo, e tutto
-ritornò nelle tenebre; barca galleggiante ed oceano agitato.
-
-Eglino stettero per un istante taciti ed abbattuti. Porthos ed Aramis,
-avendo preso un remo per ciascheduno, lo reggevano macchinalmente
-più su dell’acqua, aggrappandovisi sopra con tutto il corpo, e lo
-stringevano con le mani irrigidite.
-
-«Affè, disse Aramis, il primo a troncare quel silenzio di morte, questa
-volta credo che tutto sia finito!
-
-«Qua a me _milords!_ soccorso! ajuto!» gridò una voce lamentevole, i di
-cui accenti giunsero sino ai moschettieri, simile a quella di qualche
-spirito del mare.
-
-Tutti si guardarono; anche Athos palpitò.
-
-«È desso! disse, è la sua voce!»
-
-E tutti avendola di fatti riconosciuta ugualmente che Athos, restarono
-cheti; soltanto le loro pupille si volsero nella direzione onde
-era sparito il bastimento, tentando ad ogni moto di penetrare fra
-l’oscurità.
-
-Di là ad un momento si cominciò a distinguere un uomo.
-
-Nuotava vigorosamente, e si avvicinava.
-
-Athos stese lentamente un braccio dalla sua parte onde additarlo ai
-suoi camerati.
-
-«Sì, sì, disse d’Artagnan, lo veggo.
-
-«Esso da capo! fece Porthos respirando come un mantice, oh! ma dunque è
-di ferro?
-
-«Mio Dio! mio Dio! balbettò Athos».
-
-Aramis e d’Artagnan si parlavano all’orecchio.
-
-Mordaunt fece alcune altre bracciate, e levata in segno di abbandono
-una mano più su del mare:
-
-«Pietà, signore! in nome dei cielo, pietà! sento mancarmi le forze! mi
-muojo!...»
-
-Era così sonora la voce che implorava ajuto che andò a risvegliare la
-compassione in fondo al cuore di Athos.
-
-«Infelice! questi mormorò.
-
-«Bravo! disse d’Artagnan, non mancherebbe altro che lo compiangeste!...
-In verità, mi pare che venga verso di noi.... Si crede forse che lo
-prendiamo? vogate, Porthos, vogate».
-
-E per dar l’esempio ei tuffò il remo, e in due colpi lo schifo si
-allontanò di venti braccia.
-
-«Oh! non mi abbandonerete! non mi lascerete perire! non sarete senza
-pietà! esclamò Mordaunt.
-
-«Ah ah! gli rispose Porthos, se non isbaglio siete nostro finalmente,
-bel signorino, e per salvarvi di qui non avete altra porta che
-l’inferno.
-
-«Oh Porthos! brontolò il conte di la Fère.
-
-«Eh! lasciatemi quieto, Athos; in coscienza, diventate ridicolo con la
-vostra sempiterna generosità! prima di tutto, vi dichiaro che se viene
-dieci passi vicino alla lancia gli spacco la testa col mio remo.
-
-«Di grazia!... signori non mi sfuggite!... di grazia, abbiatemi
-pietà!...» gridava il giovanotto.
-
-E talvolta, quando col capo andava sotto all’onde, il suo respiro
-affannoso faceva gorgogliare l’acqua ghiaccia.
-
-D’Artagnan, che attendendo cogli occhi ad ogni movimento di Mordaunt,
-aveva terminato il suo colloquio con Aramis, si alzò.
-
-«Signor mio, disse a Mordaunt, compiacetevi allontanarvi. Il vostro
-pentimento è di troppo fresca data perchè noi vi abbiamo grande
-fiducia. Badate che il barco nel quale volevate arrostirci fuma ancora
-sott’acqua, e che la situazione in cui voi siete è un letto di rose
-a paragone di quella in che intendevate di metter noi, e nella quale
-avete piantato messer Groslow ed i suoi compagni.
-
-«Signori, replicò Mordaunt in tuono vieppiù disperato, vi giuro ch’è
-verace il mio pentimento; signori, sono tanto giovane, ho appena
-ventitrè anni! signori, sono stato trasportato da un risentimento
-naturale; bramavo di vendicare mia madre, e voi avreste fatto quel
-ch’io feci.
-
-«Eh via! secondo....» fece d’Artagnan che vedeva Athos sempre più
-intenerirsi.
-
-Mordaunt era già molto prossimo alla lancia, perocchè la paura di
-morire quasi gli dava un vigore soprannaturale.
-
-«Ahimè! soggiunse, dunque dovrò morire! dunque ucciderete il figlio
-come uccideste la madre! Eppure, io non era colpevole. Secondo tutte le
-leggi un figlio deve vendicare sua madre.... E poi (seguitava unendo
-ambe le mani) s’è delitto, giacchè me ne pento, giacchè ne chiedo
-perdono, devo essere perdonato».
-
-E come se gli mancassero le forze, sembrò non si potesse sostenere più
-a galla, e un’ondata che gli passò sul capo gli estinse la voce.
-
-«Oh mi fa pur male!» disse Athos.
-
-Mordaunt tornò a mostrarsi.
-
-«Ed io, rispose d’Artagnan, dico che va finita. Signor assassino del
-vostro signor zio, signor boja del re Carlo, signor incendiario, vi
-esorto a lasciarvi calare a fondo, o se vi accostate un tantino di più
-alla scialuppa, vi rompo la testa col mio remo».
-
-Mordaunt, in atto di disperazione, fece una bracciata. D’Artagnan
-pigliò il remo colle due mani.
-
-Athos si alzò.
-
-«D’Artagnan! esclamò esso, d’Artagnan, figliuol mio! ve ne supplico! Il
-disgraziato è per morire, ed è orribile lasciar morire un uomo senza
-stendergli la mano quando ciò basta per salvarlo. Oh! il mio cuore mi
-vieta una simile azione! Non posso resistere; bisogna ch’egli viva.
-
-«Caspita! replicò d’Artagnan, e perchè non ci consegnate subito,
-legandoci i piedi e le braccia, a questo sciagurato? La terminereste
-più alla lesta.... Ah! conte di la Fère, voi volete perire per mezzo
-suo; ebbene io, figliuol vostro, conforme mi chiamate, non voglio!»
-
-Era la prima volta che d’Artagnan si opponesse a un priego fattogli da
-Athos con quel titolo affettuoso.
-
-Aramis sguainò freddamente la spada, che, nuotando, si era portata fra
-i denti.
-
-«Se mette la mano sul legname del bordo, egli disse, gliela taglio come
-a un regicida ch’egli è.
-
-«Ed io, fece Porthos, aspettate!
-
-«Che farete? domandò Athos.
-
-«Mi butto in mare e lo strangolo.
-
-«Oh signori! urlò Athos con un sentimento irresistibile, siamo uomini,
-siamo cristiani!»
-
-D’Artagnan cacciò un sospiro che pareva un gemito, Aramis abbassò il
-ferro, Porthos si rimise a sedere.
-
-«Vedete, continuava Athos, la morte gli sta dipinta sul volto, sono
-esauste le sue forze.... un minuto di più, e precipita nell’abisso....
-Ah! non mi date un sì fiero rimorso; non mi astringete a morire poi
-io di vergogna, amici miei, concedetemi la vita di questo infelice, vi
-benedirò, vi....
-
-«Muojo!.... balbettava Mordaunt, qua a me!.... a me!....
-
-«Acquistiamoci un minuto!» disse Aramis chinandosi a sinistra a parlare
-a d’Artagnan.
-
-E poi calatosi a destra verso Porthos:
-
-«Una buona remata!»
-
-D’Artagnan non rispose nè col gesto nè colla parola; principiava
-ad essere commosso un poco dalle suppliche di Athos, un poco dallo
-spettacolo che aveva dinanzi. Porthos solo diede un colpo col remo, e
-siccome questo non aveva contrappeso, la barca girò soltanto in tondo,
-e quel moto non fece che avvicinare Athos al moribondo.
-
-«Signor conte di la Fère, esclamò Mordaunt, signor conte di là
-Fère!.... a voi mi rivolgo! voi prego e scongiuro! abbiatemi pietà!....
-Oh!.... siete voi, signor conte di la Fère?.... Non ci vedo più....
-muojo.... ajuto a me!.... ajuto!....
-
-«Eccomi, disse Athos chinandosi a porgere il braccio a Mordaunt con gli
-atti di dignità e di nobiltà ch’erano in lui usuali; eccomi, prendete
-la mia mano, ed entrate nella nostra lancia.
-
-«Avrei più caro di non guardare, disse d’Artagnan; tanta debolezza mi
-ripugna».
-
-E si volse ai due amici, i quali si rannicchiarono in fondo alla
-barca quasi temessero di toccare colui a cui Athos solo porgeva senza
-ribrezzo la destra.
-
-Mordaunt fece uno sforzo supremo, si sollevò, afferrò la mano, che
-verso di lui era stesa, e vi si aggrappò con l’impeto dell’ultima
-disperazione.
-
-«Bene! disse Athos, mettete qui l’altra mano».
-
-E gli offerse la sua spalla per secondo punto d’appoggio, talchè la sua
-testa toccava quasi la testa di Mordaunt, e i due acerrimi nemici se ne
-stavano abbracciati come due fratelli.
-
-Mordaunt, colle dita irrigidite, stringeva il collare ad Athos.
-
-«Bene! continuò il conte, ora siete salvo, calmatevi.
-
-«Ah madre mia! gridò Mordaunt con lo sguardo infuocato ed un accento
-d’odio impossibile a descriversi; non posso offrirti che una vittima,
-ma almeno sarà quella che tu stessa ti saresti prescelta!....»
-
-E mentre d’Artagnan dava un urlo, Porthos alzava il remo, Aramis
-cercava in che luogo ferire Mordaunt, una terribile scossa data allo
-schifo trascinò Athos nell’acqua, ed intanto Mordaunt, dato un grido di
-trionfo, stringeva la gola alla vittima, e per impedirle ogni movimento
-avvolgeva le sue gambe con le proprie gambe, siccome avrebbe potuto
-fare col suo corpo un serpente.
-
-Per un momento, senza strillare, senza chiamare ajuto, Athos procurò
-mantenersi a galla, ma il peso lo trasse al basso, e a poco a poco ei
-disparve; in breve non si vide più altro che i suoi lunghi capelli;
-poscia tutto sparì in una larga ondata, che, presto calatasi, lasciò il
-segno soltanto del luogo ove ambedue si erano sommersi.
-
-I tre amici, ammutoliti dall’orrore ed immobili per lo spavento, erano
-rimasti a bocca aperta, con gli occhi stralunati, le braccia distese;
-sembravano tante statue; ma pur si udivano i battiti dei loro cuori.
-
-Porthos fu il primo a tornare in sè, e strappandosi i capelli, proruppe
-con tali singulti che straziavano l’anima, specialmente venendo da un
-uomo della sua fatta:
-
-«Oh Athos! Athos! cuor nobile!.... guai! guai a noi che ti lasciammo
-morire!
-
-«Sì, guai! ripetè d’Artagnan.
-
-«Guai! mormorò Aramis».
-
-Nel momento, in mezzo al vasto cerchio illuminato dai raggi della
-luna, a distanza di quattro o cinque braccia dalla barca, lo stesso
-gorgogliare dell’acqua che già aveva dato annunzio della sommersione
-venne a rinovarsi, e si videro apparire, prima una chioma, poi un
-volto squallido con gli occhi aperti ma smorti, indi un corpo, che
-dopo essersi rizzato sino ai fianchi sopra al mare, ricadde supino
-secondando il capriccioso andamento dei flutti.
-
-Nel petto del cadavere era piantato un pugnale di cui risplendeva il
-pomo d’oro.
-
-«Mordaunt! Mordaunt! Mordaunt! gridarono i tre amici.
-
-«È Mordaunt! ripeterono.
-
-«Ma Athos?» disse d’Artagnan.
-
-Ad un tratto la lancia pendè a sinistra sotto un nuovo peso
-inaspettato, e Grimaud diede un urlo di allegrezza; tutti si volsero
-e videro Athos pallido, con l’occhio estinto e la mano tremante,
-riposarsi appoggiandosi sull’orlo dello schifo. Otto braccia nerborute
-lo alzarono tosto e lo adagiarono nel battello, ove in pochissimo tempo
-Athos si sentì rianimato, rinascendo fra gli amplessi e le premure
-degli amici ebbri tutti di gioja.
-
-«Ma almeno, non siete ferito? domandò d’Artagnan.
-
-«No, rispose Athos, e colui?
-
-«Colui, questa volta, grazie a Dio, è morto davvero! A voi!....»
-
-E d’Artagnan, obbligando Athos a guardare nella direzione che gli
-accennava, gli mostrò il corpo di Mordaunt tuttavia galleggiante
-sull’onde, e che ora abbassandosi ed ora risorgendo, pareva peranco
-perseguitasse i quattro moschettieri con isguardi ricolmi d’insulto e
-di odio acerrimo.
-
-Alla fine si inabissò.
-
-Athos lo aveva osservato con occhio pietoso e afflitto.
-
-«Bravo Athos! fece Aramis con uno slancio in lui molto raro.
-
-«Bellissimo colpo! aggiunse Porthos.
-
-«Avevo un figlio, rispose Athos, e volli vivere.
-
-«Al fine, disse d’Artagnan, Dio ha parlato!
-
-«Non fui io che lo uccisi, balbettò Athos, fu il destino!»
-
-
-
-
-LXXVIII.
-
-_Nel quale Mousqueton, stato in procinto d’essere arrostito, andò a
-rischio di esser mangiato._
-
-
-Vi fu nella lancia lungo silenzio dopo la terribile scena da noi
-raccontata. La luna, mostratasi per un momento, come se Dio avesse
-voluto che nessun dettaglio di quell’avvenimento restasse celato agli
-spettatori, scomparve a tergo alle nuvole; tutto tornò nell’oscurità,
-spaventosa in tutti i deserti, e specialmente sul liquido deserto
-chiamato l’oceano, e non s’intese più altro che il sibilo dei venti
-sulla cima dei flutti.
-
-Porthos fu il primo a parlare, e disse:
-
-«Molte cose io vidi, ma niuna mi commosse quanto quella veduta
-poc’anzi. Eppure, benchè turbato, vi dichiaro che mi sento contento: ho
-sul petto cento libbre di meno, e alfine respiro libero».
-
-E di fatti Porthos respirò con tal fracasso che diè prova vantaggiosa
-della forza dei suoi polmoni.
-
-«Per me, rispose Aramis, non dirò come voi; sono ancora atterrito,
-a segno che non do fede a’ miei proprj occhi; dubito di quel che
-ho visto, cerco attorno alla barca, e mi aspetto ogni minuto che
-comparisca di nuovo quello sciagurato tenendo in mano il pugnale che
-aveva fitto nel cuore.
-
-«Oh! io sto quieto, seguitò Porthos, il colpo è stato vibrato verso
-la sesta costola e cacciato sino all’elsa.... Athos, non ve ne fo
-rimprovero; al contrario quando uno percuote, così deve percuotere. E
-perciò adesso io vivo, respiro, sono lieto.
-
-«Non vi affrettate a cantar vittoria, soggiunse d’Artagnan, mai non
-fummo in maggior rischio che in quest’ora, giacchè un uomo riesce
-contro un uomo, ma non contro un elemento, e noi siamo in mare, di
-notte, senza guida, in una fragile barca: se un colpo di vento fa
-rovesciare la lancia, siamo belli e perduti!»
-
-Mousqueton mandò fuori un sospiro.
-
-«D’Artagnan, voi siete ingrato, replicò Athos, sì, ingrato, nel
-dubitare della Provvidenza nel punto in cui ci ha salvati tutti in
-modo tanto miracoloso. Credete forse ch’ella ci abbia fatti passare
-guidandoci per mano fra tanti perigli per quindi abbandonarci? No no.
-Siamo partiti con vento da ponente, e questo soffia sempre».
-
-Athos si fissava verso la stella polare.
-
-«Ecco l’Orsa minore, e in conseguenza là è la Francia. Lasciamoci
-portare dal vento, e sino che non cambia ci spingerà verso le coste
-di Calais o di Boulogne. Se la barca si rovescia, siamo assai forti e
-buoni nuotatori, almeno noi cinque, per rivoltarla, o per aggrapparci
-ad essa ove l’impresa sia superiore al nostro vigore. Ora, noi ci
-troviamo sul cammino medesimo di tutte le navi che vanno da Douvres a
-Calais e da Portsmouth a Boulogne; se l’acqua conservasse le traccie,
-quelle del loro passaggio avrebbero fatto un solco nel luogo appunto
-ove noi siamo. Sicchè è impossibile che a giorno non incontriamo
-qualche barca da pescatori che ci dia ricovero.
-
-«Ma se per esempio non ne incontrassimo, e il tempo girasse a
-tramontana?
-
-«Allora è tutt’altro, fece Athos; non troveremmo la terra se non
-dall’altra parte dell’Atlantico.
-
-«Lo che vuol dire che si morrebbe di fame, osservò Aramis.
-
-«Questo è più che probabile, disse il conte di la Fère».
-
-Mousqueton mandò un sospiro più affannoso del primo.
-
-«Animo, Mouston, domandò Porthos, di che avete da gemere così? è cosa
-fastidiosa?
-
-«È che ho freddo, signore.
-
-«Non può essere!
-
-«Non può essere?
-
-«Di certo. Voi avete il corpo ricoperto di uno strato di grasso che
-lo rende impenetrabile all’aria; v’è qualche altra cosa, parlate
-schiettamente.
-
-«Or bene, signor sì; e precisamente quel grasso che mi vantate è quello
-che mi sgomenta.
-
-«E perchè, Mouston? dite liberamente: questi signori ve lo permettono.
-
-«Perchè mi ricordavo che nella biblioteca del castello di Bracieux,
-v’è una quantità di libri di viaggi, e tra questi, quelli di Giovanni
-Mouquet, il famoso viaggiatore del re Enrico IV....
-
-«E poi?
-
-«Or bene, in quei libri si discorre di molto di avventure marittime, e
-di avvenimenti simili a quello di che noi siamo adesso minacciati.
-
-«Continuate, Mouston, disse Porthos, codesta analogia è assai
-interessante.
-
-«Or dunque, in tali casi, i viaggiatori affamati, dice Giovanni
-Mouquet, hanno l’orribile usanza di mangiarsi uno coll’altro e di
-cominciare dal....
-
-«Dal più grasso! esclamò d’Artagnan, non potendo far a meno di ridere
-ad onta della scabrosa situazione.
-
-«Signor sì, replicò Mousqueton un po’ stordito da questa sua ilarità, e
-permettetemi di dirvi che non vedo che cosa vi sia da ridere.
-
-«Questo caro Mouston è lo zelo in persona, la divozione in carne e in
-ossa! fece Porthos. Scommettiamo che ti pareva di esser già tagliato a
-pezzi e mangiato dal tuo padrone?
-
-«Sì, signore, benchè confesso che il contento che mi supponete non
-sia senza un qualche miscuglio di tristezza; non ostante non mi
-rincrescerebbe troppo di me stesso, se morendo avessi la certezza di
-esservi ancora utile.
-
-«Mouston! seguitò Porthos intenerito, se mai rivediamo il mio
-castello di Pierrefonds, avrete in assoluta proprietà per voi e vostri
-discendenti il vigneto che sovrasta al podere.
-
-«E gli porrete nome: _Vigneto della fedeltà_, aggiunse Aramis, onde
-trasmettere all’età venture la memoria del vostro sacrifizio.
-
-«Cavaliere, disse ridendo d’Artagnan, non è vero che vi sareste
-mangiato un po’ del Mouston senza grande ripugnanza, in ispecie dopo
-due o tre giorni di dieta?
-
-«No, per Bacco, rispose Aramis, avrei preferito Blaisois; è minor tempo
-che lo conosciamo».
-
-È da comprendersi che durante questo scambio di facezie avente per
-principale scopo di levar di mente ad Athos la scena recente avvenuta,
-i servi (eccetto Grimaud il quale sapeva che in qualunque caso il
-pericolo non toccherebbe a lui) i servi, noi diciamo, non erano punto
-quieti.
-
-Sicchè Grimaud senza prender parte alla conversazione, e mutolo al suo
-solito, si adoprava meglio che potesse con un remo in ogni mano.
-
-«E tu voghi? gli disse Athos».
-
-Grimaud ammiccò di sì.
-
-«E perchè?
-
-«Per aver caldo».
-
-Infatti, mentre gli altri naufraghi tremavano dal freddo, il tacito
-Grimaud sudava a goccioloni.
-
-Ad un tratto Mousqueton diede un grido di allegrezza, alzandosi di
-sopra al capo la mano armata di una bottiglia.
-
-«Oh, signore, oh! disse porgendo questa a Porthos, siamo salvi! la
-lancia è carica di viveri!»
-
-E frugando sollecito sotto la panca da cui aveva già levato il prezioso
-campione, portò su una dopo l’altra dodici bottiglie consimili, e del
-pane ed un pezzo di bove salato.
-
-È superfluo il dire che questa roba trovata rese a tutti il buon umore,
-meno che ad Athos.
-
-«Per Diana! disse Porthos, il quale ci rammentiamo aveva fame sino da
-quando poneva il piede sulla feluca; non è credibile quanto le emozioni
-indeboliscono lo stomaco!»
-
-E s’inghiottì il contenuto di una bottiglia, divorandosi da sè solo un
-terzo del pane e della carne.
-
-«Adesso, signori, disse Athos, dormite, o procurate di dormire, io
-veglierò».
-
-Per altri uomini che i nostri ardimentosi avventurieri, una tale
-proposizione sarebbe stata derisoria. Realmente erano bagnati sino alle
-ossa, soffiava un vento diacciato, e le commozioni provate dovevano
-impedir loro di chiudere occhio; ma a quei naturali straordinari, a
-quei ferrei temperamenti, a que’ corpi avvezzi a tutti gli strapazzi,
-il sonno arrivava all’ora fissa senza mai mancare alla chiamata.
-
-E quindi di là ad un momento, ciascheduno pien di fiducia nel piloto,
-ebbe posate le gomita a suo modo, e procurato di profittare del
-consiglio dato da Athos, il quale, seduto al timone e con gli occhi
-vôlti costantemente al cielo, ove di certo ei cercava non solo il
-cammino per la Francia, ma anche la faccia di Dio, rimase solo,
-conforme aveva promesso, desto e pensoso, dirigendo nella via da
-seguirsi la piccola barca.
-
-Dopo alcune ore di sonno, Athos svegliò i viaggiatori.
-
-I primi barlumi del giorno imbiancavano il mare azzurro, e a dieci tiri
-di schioppo circa verso la prora si scorgeva una mole nera, al di sopra
-della quale estendevasi una vela triangolare lunga e sottile come l’ala
-di una rondine.
-
-«Una barca!» dissero in una voce i tre amici.
-
-E i domestici dal canto loro esprimevano il giubilo in tuoni fra lor
-differenti.
-
-Era un bastimento da trasporto di Dunkerque, che faceva vela per
-Boulogne.
-
-I quattro padroni, Blaisois e Mousqueton mandarono insieme un grido che
-echeggiò sulla superficie delle onde, mentre Grimaud senza dir nulla,
-metteva il suo cappello in cima al remo per richiamare gli sguardi di
-coloro a cui il grido doveva giungere.
-
-Dopo un quarto d’ora la lancia di quel bastimento li rimorchiava; essi
-ponevano il piede sul _trasporto_; Grimaud offeriva venti ghinee al
-capitano a nome del suo padrone; e la mattina a nove ore con buonissimo
-vento i nostri francesi sbarcavano sul suolo della patria.
-
-«Cospettone! come si è forti qua sopra! disse Porthos affondando i
-larghi piedi nell’arena; vengano ora a darmi molestia, a guardarmi
-bieco, a stuzzicarmi, e vedranno con chi avranno che fare! Per Bacco!
-sfiderei un regno intero!
-
-«Ed io, avvertì d’Artagnan, vi esorto a non proferire tanto forte
-questa sfida, giacchè mi pare che qui ci guardino di molto.
-
-«Eh diamine! ci ammirano.
-
-«Ed io, caro Porthos, non ci metto punto amor proprio, ve lo giuro.
-Vedo soltanto degli uomini colla giubba nera, e confesso che nella
-nostra situazione tali genti mi spaventano.
-
-«Sono i _cancellieri_ delle mercanzie del porto, rispose Aramis.
-
-«Sotto l’altro ministro, osservò Athos, sotto il grande, avrebbero
-badato più a noi che alle mercanzie; ma ora non dubitate, baderanno più
-alle merci che a noi.
-
-«Non me ne fido, replicò d’Artagnan, e vo subito su per le dune.
-
-«Perchè non dalla città? fece Porthos; avrei più caro un buon albergo
-che quei tristi deserti di rena creati da Dio solamente per i conigli.
-E poi, ho fame, io.
-
-«Fate come volete, Porthos, soggiunse il Guascone; ma per me, sono
-persuaso che la più sicura per persone nel nostro stato è la campagna
-aperta».
-
-E certo di aver per sè la maggioranza dei voti, d’Artagnan s’inoltrò
-nelle dune senza attender risposta.
-
-Tutti lo seguirono, ed in breve disparvero seco dietro ai monticelli
-di sabbia, non senza però aver richiamato sopra sè medesimi la pubblica
-attenzione.
-
-«Adesso discorriamo, propose Aramis dopo ch’ebbero fatto circa un
-quarto di lega.
-
-«No no, disse d’Artagnan, scappiamo; siamo fuggiti a Cromvello, a
-Mordaunt, al mare; tre abissi ci volevano ingojare, non isfuggiremo al
-signor Mazzarino.
-
-«Avete ragione, approvò Aramis, e la mia opinione è che per più
-sicurezza ci separiamo.
-
-«Sì sì, fece d’Artagnan, separiamoci».
-
-Porthos voleva parlare per opporsi a questa risoluzione; ma il nostro
-Guascone gli fe’ capire, stringendogli la mano, che doveva star cheto.
-Porthos era molto obbediente, e a quei cenni del suo compagno di cui
-riconosceva la superiorità intellettuale, si rimandò addietro le parole
-che gli stavano per uscire dalla bocca.
-
-«Ma perchè dividerci? domandò Athos.
-
-«Perchè, rispose d’Artagnan, fummo mandati da Mazzarino a Cromvello,
-Porthos ed io, ed invece di servire Cromvello servimmo il re Carlo
-I, lo che non è mica lo stesso. Tornando con i signori di la Fère
-e d’Herblay, il nostro delitto è provato; tornando soli, il nostro
-delitto rimane in istato di dubbio, e col dubbio si va molto
-innanzi.... E io ne vuo’ far vedere delle belle al signor di Mazzarino.
-
-«Che! disse Porthos, è vero!
-
-«Voi, osservò Athos, vi scordate che siamo vostri prigionieri, che non
-ci riguardiamo come sciolti dalla nostra parola verso di voi, e che
-riconducendoci prigionieri a Parigi....
-
-«Athos, interruppe d’Artagnan, mi duole che un uomo di spirito quale
-voi siete dica sempre delle meschinità di cui si vergognerebbero
-scolaretti di terza classe. Cavaliere (e si volgeva ad Aramis, che
-superbamente appoggiato sulla sua spada, ed ancorchè avesse prima
-esternata un’opinione contraria, sembrava essersi presto riunito a
-quella del suo collega), cavaliere, intendete che qui come al solito il
-mio carattere diffidente esagera le cose. Porthos ed io in conclusione
-nulla arrischiamo. Ma bensì, se per caso si tentasse di arrestarci
-davanti a voi, ebbene! non si arresteranno mica sette uomini come
-si farebbe a tre; le spade vedrebbero il sole; e la faccenda trista
-per tutti lo sarebbe maggiormente per noi e ci rovinerebbe tutti
-quattro. D’altronde, se accade qualche disgrazia a due di noi, non
-è forse meglio che gli altri due siano in libertà per levar quelli
-dall’impaccio, strisciare, spezzare, congiurare, in somma liberarli?
-E poi, chi sa che non otteniamo separatamente, voi dalla regina e noi
-da Mazzarino, il perdono che insieme ci verrebbe negato? Orsù, Athos
-ed Aramis pigliate a diritta; voi, Porthos, venite meco a sinistra;
-lasciate che quei signori se ne vadano in Normandia, e noi dalla strada
-più corta andiamocene a Parigi.
-
-«Ma se per viaggio siamo presi, come potremo darci reciproco avviso di
-questa catastrofe? domandò Aramis.
-
-«Nulla v’è di più facile. Stabiliamo un itinerario da cui non ci
-dipartiremo. Andate a Saint-Valery, poi a Dieppe, dopo prendete la via
-retta da Dieppe a Parigi; noi piglieremo da Abbeville, Amiens, Peronne,
-Compiegne e Senlis, ed in ogni locanda, in ogni casa dove ci fermeremo,
-scriveremo sul muro colla punta di un coltello, o sui vetri col
-taglio di un diamante, uno schiarimento che possa essere di guida alle
-ricerche di quelli che fossero liberi.
-
-«Ah! amico mio come ammirerei le risorse della vostra testa, se non mi
-fermassi a quelle del vostro cuore per adorarle!»
-
-E porgeva la destra a d’Artagnan.
-
-«E forse la volpe ha ella dell’ingegno? rispose questi scrollando le
-spalle; no, sa rubare le galline, sviare i cacciatori e ritrovare la
-sua strada di giorno come di notte, nient’altro. Or bene, è combinato?
-
-«È combinato.
-
-«Dunque dividiamoci il danaro, continuò d’Artagnan; debbono rimanere
-circa duecento doppie. Quanto resta, Grimaud?
-
-«Cento ottanta mezzi luigi, signore.
-
-«Appunto. Evviva! ecco il sole. Buon giorno, sole amico; sebbene tu non
-sia lo stesso che quello della Guascogna, ti riconosco o m’imagino di
-riconoscerti.... Era un pezzo che non ti vedevo!
-
-«Animo, animo d’Artagnan, disse Athos, non fate da spirito forte, avete
-le lacrime agli occhi. Siamo sempre schietti fra noi, quando anche
-questa schiettezza dovesse fare scorgere le nostre buone qualità.
-
-«Oh! mio caro, credete si lascino a sangue freddo e in un momento non
-esente da pericoli due amici come voi ed Aramis?
-
-«No! e per questo, venite fra le mie braccia, figliuol mio!
-
-«Perdinci! fece singhiozzando Porthos, piango, se non isbaglio: uh che
-sciocchezza!»
-
-Ed i quattro camerati formarono un sol gruppo gettandosi l’uno al seno
-dell’altro. In tale istante, quei quattro uomini riuniti dall’amplesso
-fraterno non ebbero per certo che una sola anima.
-
-Blaisois e Grimaud dovevano andar con Athos ed Aramis; a Porthos e
-d’Artagnan bastava Mousqueton.
-
-Si ripartirono, siccome avevano fatto sempre, il danaro con una
-regolarità da fratelli; e strettasi scambievolmente la mano, e
-ripetutesi le proteste di eterna amistà, i gentiluomini si separarono
-per avviarsi ciascuno nella direzione convenuta, non senza voltarsi,
-non senza mandarsi ancora affettuose parole, cui ridiceva tosto l’eco
-delle dune.
-
-Alfine si perderono di vista.
-
-«Corpo di Bacco! esclamò Porthos, questa, d’Artagnan mio, bisogna
-ch’io ve la dica subito, giacchè non posso tener sul cuore qualche cosa
-contro di voi: in questa circostanza non vi ho riconosciuto.
-
-«Perchè? domandò d’Artagnan col suo sorrisetto malizioso.
-
-«Perchè, se conforme assicurate, Athos ed Aramis son veramente esposti
-ad un rischio, non è momento da abbandonarli. Io vi confesso ch’ero
-pronto ad accompagnarli, e lo sono tuttavia a raggiungerli, non ostante
-tutti i Mazzarini dell’universo.
-
-«Ah! avreste ragione, Porthos, se così fosse; ma sappiate una
-cosarella, che, quantunque piccola, varierà il corso alle vostre idee:
-ell’è che il maggior rischio non è per quei signori, ma bensì per noi;
-è che li lasciamo, non per abbandonarli, ma per non comprometterli.
-
-«Davvero! fece Porthos spalancando gli occhi.
-
-«Eh! senza dubbio: se sono arrestati, per loro v’è la Bastiglia
-semplicemente; per noi, se lo siamo, v’è la piazza di Grève.
-
-«Oh oh! disse Porthos, c’è differenza da questo alla corona da barone
-che mi promettevate!
-
-«Non tanto forse, oibò! voi sapete il proverbio francese: _Tout chemin
-mène à Rome_.
-
-«Ma perchè corriamo maggiori pericoli che Athos ed Aramis?
-
-«Perchè essi non hanno fatto altro che attenersi all’incarico
-ricevuto dalla regina Enrichetta, e noi abbiamo tradito quello datoci
-da Mazzarino; perchè partiti come messaggieri presso a Cromvello,
-siamo diventati partigiani del re Carlo; perchè invece di dar mano
-a far cadere la regia sua testa condannata da quei furfanti chiamati
-Mazzarino, Cromvello, Joyce, Pridge, Farfaix, ec., ec., siamo stati in
-procinto di salvarla.
-
-«È vero, rispose Porthos; però, mio caro, come volete che in mezzo alle
-sue grandi occupazioni di mente il generale Cromvello abbia avuto tempo
-da pensare?....
-
-«Pensa a tutto, ha tempo per tutto; e noi, datemi retta, non perdiamo
-il nostro, ch’è prezioso. Non saremo in sicuro se non dopo aver visto
-Mazzarino, ed anche....
-
-«Diamine! e che gli diremo?
-
-«Lasciate fare a me, ho io il mio piano preparato: Cromvello è forte,
-Mazzarino è scaltro, ma ho più gusto di trattare in diplomazia contro
-di essi che contro il defunto messer Mordaunt.
-
-«Ecco! fece Porthos, eppure v’è piacere a dire: _defunto messer
-Mordaunt_!
-
-«Sì sì, replicò d’Artagnan, ma in viaggio subito».
-
-Ed ambedue senza perdere un momento si diressero verso la strada di
-Parigi, seguiti da Mousqueton, che dopo aver avuto freddo tutta la
-notte, aveva digià troppo caldo a capo a un quarto d’ora.
-
-
-
-
-LXXIX.
-
-_Ritorno._
-
-
-Athos ed Aramis avevano preso l’itinerario indicato da d’Artagnan, e
-camminato quanto più presto potevano; ad essi sembrava che fosse per
-loro più vantaggioso l’essere arrestati vicino a Parigi che lontano.
-
-Ogni sera, nella tema che questo caso avvenisse loro di notte,
-tracciavano o sul muro o sui vetri il pattuito segno di riconoscimento,
-ma ogni mattina con sommo stupore al destarsi si trovavano liberi.
-
-A misura che s’inoltravano verso la capitale, i grandi eventi dei
-quali erano stati spettatori, e che sconvolta avevano l’Inghilterra, si
-andavano dileguando come tanti nuvoli, mentre all’opposto venivano loro
-incontro quelli che avevano scosso Parigi e la provincia.
-
-In quelle sei settimane d’assenza erano succedute in Francia tante
-cose piccole da formare quasi insieme un grandissimo caso. I Parigini,
-svegliatisi la mattina senza regina nè re, furono molto dolenti di
-siffatto abbandono, e l’assenza di Mazzarino sì caldamente bramata non
-compensò il rincrescimento di quella dei due augusti fuggiaschi.
-
-Il primo sentimento che agitasse Parigi, allorchè intese la fuga per
-San Germano, a cui noi già facemmo assistere i nostri leggitori, fu
-dunque quella specie di spavento che assale i bambini quando e’ si
-destano di notte o nella solitudine. Il parlamento si mise in moto,
-e fu deciso che una deputazione si trasferisse presso la sovrana
-a pregarla di non privare più a lungo la capitale della sua regia
-presenza.
-
-Ma la regina era tuttavia sotto la duplice impressione del trionfo di
-Lens e dell’orgoglio della sua scappata eseguita tanto felicemente. I
-deputati non solo non ebbero l’onore di esser da lei ricevuti, ma anche
-si fecero aspettare sulla scala grande, dove il cancelliere (lo stesso
-Seguier che noi vedemmo nella prima parte di quest’opera insistere
-ostinatamente per una lettera ripostasi perfino in seno dalla regina),
-il cancelliere, dicevamo, venne a dare loro l’_ultimatum_ della corte,
-il quale portava che se il Parlamento non si umiliava dinanzi alla
-regale maestà, passando sopra senz’altro a tutte le questioni che
-avevano cagionata la contesa che li divideva, Parigi sarebbe assediata
-all’indomani; che digià, pure, nella previdenza di codesto assedio, il
-duca d’Orleans occupava il ponte di San Cloud, e il signor Principe,
-ancora risplendente della sua vittoria di Lens, stava in possesso di
-Charenton e San Dionigi.
-
-Disgraziatamente per la corte, a cui una risposta moderata avrebbe
-forse restituito un buon numero di partigiani, questa cotanto
-minacciosa produsse un effetto contrario a quel che si attendeva;
-urtò l’orgoglio del Parlamento, che sentendosi robustamente appoggiato
-dal ceto borghese, a cui la grazia di Broussel aveva dato un concetto
-della propria forza, replicò alle lettere patenti, dichiarando che il
-ministro Mazzarino era notoriamente l’autore di tutti i disordini, e
-quindi lo dichiarava nemico del re e dello Stato, e gl’ingiungeva di
-ritirarsi dalla corte nel medesimo giorno, e dalla Francia negli otto
-giorni di tempo, spirato il qual termine, ove non obbedisse, comandava
-a tutti i sudditi del re di scagliarglisi contro.
-
-Questa energica replica, che la corte non si aspettava, metteva Parigi
-e Mazzarino fuor della legge. Rimaneva solamente da sapersi chi la
-vincerebbe, o il parlamento o la corte.
-
-Allora la corte fece i suoi preparativi di attacco, e Parigi quelli
-di difesa. I borghesi adunque erano occupati all’opera consueta dei
-borghesi in tempo di sommossa, cioè a stendere delle catene e tôrre
-il lastrico dalle strade, quando videro arrivare e dar loro ajuto, e
-condotti dal Coadiutore, il principe di Conti, fratello del principe di
-Condé, e il duca di Longueville suo cognato. E tosto si riconfortarono,
-perocchè avevano dalla loro due principi del sangue, e di più il
-vantaggio dal numero.
-
-Nel dì 10 gennajo giungeva a’ Parigini questo non sperato soccorso.
-
-Dopo una burrascosa discussione, il principe di Conti fu nominato
-a generalissimo delle armate del re fuori di Parigi con i duchi di
-Elboeuf e di Bouillon, e il maresciallo La-Mothe per luogotenenti
-generali; il duca di Longueville senza carica, nè titolo, si contentava
-di assistere il cognato.
-
-In quanto al signor di Beaufort, era tornato dal Vendomese, portando
-(dice la cronaca) la sua bella cera, capelli belli e lunghi, e quella
-popolarità che gli procacciò la sovranità delle piazze da mercato.
-
-L’armata parigina erasi allora ordinata con la prontezza con la quale
-i cittadini si travestono da soldati quando a questa trasformazione li
-spinga un sentimento qualunque. Al dì 19, l’esercito, raccoltosi, aveva
-tentata una sortita, piuttosto per assicurare sè medesimo e gli altri
-della propria esistenza che per avventurare qualche cosa di serio,
-facendosi sventolare più su del capo una bandiera su cui leggevasi
-questa singolare divisa: _Cerchiamo il nostro re_.
-
-I giorni seguenti furono impiegati ad alcune piccole operazioni
-parziali, che non ebbero altro risultato se non la preda di varj
-armenti, e l’incendio di due o tre case.
-
-Così si giunse ai primi di febbrajo, e nel primo assolutamente di quel
-mese i nostri quattro camerati approdavano a Boulogne e si avviavano
-solleciti a Parigi, ognuno dalla sua parte.
-
-Verso la fine del quarto giorno di cammino scansarono cautamente
-Nanterre onde non cadere in qualche turba del partito della regina.
-
-Athos pigliava a malincuore simili precauzioni, ma Aramis gli aveva
-fatto giudiziosamente osservare come non aveano diritto di essere
-imprudenti, ed erano incaricati dal re Carlo di una missione suprema
-e sacra, la quale ricevuta appiè del patibolo non si compirebbe che a’
-piedi della regina.
-
-E quindi Athos cedè.
-
-Nei sobborghi i nostri viaggiatori trovarono buona guardia. Tutta
-Parigi era armata. La sentinella ricusò di lasciar passare i due
-gentiluomini, e chiamò il suo sergente.
-
-Il sergente venne subito fuori, ed assumendo tutta l’importanza che
-sogliono assumere i borghesi quando hanno la fortuna di esser rivestiti
-di una dignità militare, domandò:
-
-«Chi siete, signori?
-
-«Due gentiluomini, rispose Athos.
-
-«Di dove venite!
-
-«Da Londra.
-
-«Che venite a fare a Parigi?
-
-«Adempiere ad un incarico presso Sua Maestà la regina d’Inghilterra.
-
-«Ehi dico! ma oggi vanno tutti dalla regina d’Inghilterra! replicò il
-sergente. Abbiamo di già al posto di guardia tre gentiluomini di cui si
-visitano i fogli, e che vanno da Sua Maestà. I vostri fogli dove sono?
-
-«Non ne abbiamo.
-
-«Come! non ne avete?
-
-«No, arriviamo dall’Inghilterra, secondo vi abbiamo detto; ignoriamo
-totalmente a che punto siano gli affari politici, essendo partiti da
-Parigi prima del re.
-
-«Ah! disse il sergente in aria da scaltro, siete tanti _mazzarini_, che
-vorreste entrare da noi per farci la spia!
-
-«Caro amico! replicò Athos, che sino allora aveva lasciato ad Aramis la
-cura di rispondere; se fossimo mazzarini avremmo anzi tutte le carte
-possibili. Nella situazione in cui siete, diffidatevi prima di tutto,
-credete a me, di coloro che sono in piena regola.
-
-«Entrate al corpo di guardia, esporrete le vostre ragioni al superiore».
-
-Il sergente fe’ un cenno alla sentinella; questa si trasse da parte a
-lasciarlo passare, mentre i due gentiluomini lo seguivano.
-
-Il corpo di guardia era interamente occupato da borghesi ed uomini del
-volgo; chi giuocava, chi beveva, chi discorreva.
-
-In un canto, e quasi custoditi a vista, erano i tre gentiluomini primi
-arrivati, e di cui l’ufficiale esaminava i ricapiti. L’ufficiale stava
-nella stanza contigua, perchè l’importanza del suo grado gli concedeva
-l’onore di un alloggio particolare.
-
-Il primo movimento dei primi e degli ultimi giunti, fu dalle due
-estremità del locale di darsi scambievolmente un’occhiata rapida e
-indagatrice. Quelli capitati avanti erano coperti, e ben celati da
-lunghi ferrajuoli. Uno di essi, meno grande che i compagni, si stava
-indietro ed all’ombra.
-
-All’annunzio dato all’entrare dal sergente, che, secondo ogni
-probabilità, conduceva due innanzi, i tre gentiluomini drizzarono le
-orecchie e si fecero attentissimi. Il più piccolo, che aveva mossi due
-passi, ne fece uno all’indietro, e si ritrovò all’ombra.
-
-All’avviso che i nuovi venuti non avevano carte di passo, fu unanime
-parere del corpo di guardia ch’essi non entrassero.
-
-«Anzi, signori, disse Athos, è probabilissimo ch’entriamo, giacchè
-ci sembra di aver che fare con genti ragionevoli. E la maniera sarà
-semplicissima: basterà far trasmettere i nostri nomi a Sua Maestà la
-regina d’Inghilterra, e s’ella si fa per noi responsabile, spero che
-non vedrete più inconveniente a darci libero ingresso».
-
-A tali parole l’attenzione di quello che era nascosto all’ombra
-diventò anco maggiore, e fu pure accompagnata da un moto di stupore sì
-improvviso, che gli cadde il cappello spinto dal ferrajuolo nel quale
-si avviluppava più che mai; egli si chinò prestamente a raccoglierlo.
-
-«Oh mio Dio! disse Aramis dando di gomito ad Athos, avete visto?
-
-«Che cosa? domandò Athos.
-
-«Il più basso di quei tre?
-
-«No.
-
-«È che mi pareva.... ma già non è possibile!»
-
-In quel punto il sergente, ch’era andato nella stanza particolare
-a prender gli ordini dall’uffiziale, uscì, ed accennando i tre
-gentiluomini a cui consegnò un foglio, disse:
-
-«Le carte sono in regola; lasciate passare questi tre signori».
-
-I tre signori fecero un segno colla testa, e si affrettarono a
-profittare del permesso e della strada, che, per comando del sergente,
-veniva lor fatta libera.
-
-Aramis li seguitò cogli occhi, e nell’atto che il più piccolo gli
-passava davanti, strinse la mano ad Athos.
-
-«Che avete, mio caro? chiese questi.
-
-«Ho.... di certo, è una visione....»
-
-Ed Aramis domandò al sergente:
-
-«Ditemi, conoscete i tre gentiluomini usciti adesso di qua?
-
-«Li conosco per i loro fogli: sono i signori di Flamarens, di Chatillon
-e di Bruy, tre della _Fronda_, che vanno a raggiungere il signor duca
-di Longueville.
-
-«È singolare! disse Aramis rispondendo piuttosto al suo proprio
-pensiero che al militare, mi era sembrato di ravvisare il Mazzarino in
-persona».
-
-Il militare diede una grossa risata.
-
-«_Lui!_ disse, arrischiarsi così da noi per esser impiccato! non è
-tanto babbeo!
-
-«Uhm!... potrei essermi ingannato; non ho mica l’occhio infallibile di
-d’Artagnan.
-
-«Chi è che parla di d’Artagnan? fece l’uffiziale, che appunto comparve
-sulla soglia della sua camera.
-
-«Oh! urlò Grimaud spalancando gli occhi.
-
-«Che? domandarono insieme Aramis ed Athos.
-
-«Planchet! rispose Grimaud, Planchet col gorgerino!
-
-«I signori di la Fère e d’Herblay di ritorno a Parigi! esclamò
-l’uffiziale. Oh che allegrezza è questa per me! chè di sicuro, venite a
-unirvi ai signori principi.
-
-«Precisamente, mio caro Planchet, replicò Aramis, mentre Athos
-sorrideva veggendo il grado considerevole che occupava nella milizia
-cittadina l’antico camerata di Mousqueton, di Bazin e di Grimaud.
-
-«E il signor d’Artagnan, del quale discorrevate poc’anzi, signor
-d’Herblay? oserò ricercarvi se ne avete notizia?
-
-«L’abbiamo lasciato, or sono quattro giorni, e tutto ci induce a
-credere che ci avesse preceduti in Parigi.
-
-«No, signore, io ho certezza che non è rientrato nella capitale; in
-sostanza, può essere che sia rimasto a San Germano.
-
-«Non lo credo: abbiamo l’appuntamento al _Granchio_.
-
-«Io ci sono stato oggi appunto.
-
-«E la bella Maddalena non ne aveva nuove? fece sogghignando Aramis.
-
-«No, e anzi non vi nascondo che pareva assai inquieta.
-
-«In conclusione, disse Aramis, non abbiamo ancora perduto tempo, e
-si è fatto alla lesta. Sicchè, permettete, caro Athos, senza che io
-m’informi di più del nostro amico, che faccia i miei complimenti a
-messer Planchet.
-
-«Ah! signor cavaliere, disse Planchet con un inchino.
-
-«Tenente! esclamò Aramis.
-
-«Tenente sì, e con promessa d’esser capitano.
-
-«Bellissima cosa! rispose Aramis, e come sono venuti a voi tutti questi
-onori?
-
-«Già, prima sapete, signori, che fui io che feci scappare il signor di
-Rochefort?
-
-«Sì, cospetto! egli ce lo ha raccontato.
-
-«Ma in quella circostanza stetti in procinto di essere impiccato dal
-Mazzarino, lo che naturalmente mi rese più popolare che nol fossi per
-lo avanti.
-
-«E mercè codesta popolarità?...
-
-«No, mercè qualcosa di meglio. Inoltre vi è noto che ho servito nel
-reggimento di Piemonte, dove avevo l’onore di essere sergente?
-
-«Sicuro.
-
-«Or bene! un giorno che nessuno poteva mettere in fila una quantità di
-paesani armati che si partivano chi col piè sinistro e chi col diritto,
-io riuscii a farli muovere tutti con lo stesso piede, e fui fatto
-tenente sul campo.... delle manovre.
-
-«Ecco la spiegazione, fece Aramis.
-
-«Dimodochè, soggiunse Athos, avete con voi un diluvio di nobiltà?
-
-«Certissimo; in primo luogo abbiamo, conforme saprete senza dubbio, il
-principe di Conti, il duca di Longueville, il duca di Beaufort, il duca
-d’Elboeuf, il duca di Chevreuse, il signor di Brissac, il maresciallo
-di la Mothe, il signor di Luynes, il marchese di Vitry, il principe di
-Marillac, il marchese di Noirmontier, il conte di Fiesques, il marchese
-di Laigues, il conte di Montresor, il marchese di Sevigné, e che so io,
-quanti mai?
-
-«E il signor Raolo di Bragelonne? chiese Athos con qualche agitazione,
-d’Artagnan mi disse avervelo raccomandato nel partire, mio buon
-Planchet.
-
-«Sì, signor conte, e come fosse stato suo figliuolo, e debbo dichiarare
-che non l’ho perduto di vista un momento.
-
-«Dunque sta bene? seguitò Athos con voce alterata dal contento; non gli
-è accaduta alcuna disgrazia?
-
-«Nessuna.
-
-«E abita?...
-
-«Sempre al _Gran Carlomagno_.
-
-«E passa le giornate?...
-
-«Ora dalla regina d’Inghilterra, ora da madama di Chevreuse. Esso e il
-conte di Guiche non si lasciano un istante.
-
-«Grazie, Planchet, grazie».
-
-E Athos gli porgeva la destra.
-
-«Oh! signor conte, fece Planchet toccando quella mano con la punta
-delle dita.
-
-«Conte, ebbene? che fate? ad un antico lacchè! osservò Aramis.
-
-«Amico, mi dà notizie di Raolo.
-
-«E adesso, continuò Planchet il quale non aveva udita l’osservazione di
-Aramis, che avete idea di fare?
-
-«Rientrare in Parigi, se pure voi ci date il permesso, caro signor
-Planchet.
-
-«Come! se vi do il permesso? mi burlate, non sono altro che il vostro
-servo».
-
-E Planchet fece una riverenza.
-
-Poi voltosi a’ suoi uomini:
-
-«Lasciate passare questi signori; li conosco, sono amici del signor di
-Beaufort.
-
-«Evviva il signor di Beaufort! gridò tutto il corpo di guardia facendo
-largo ad Athos ed Aramis».
-
-Il sergente solo si accostò a Planchet.
-
-«Chè? borbottò, senza passaporto?
-
-«Senza passaporto.
-
-«Badate, capitano, ribattè il sergente dando anticipatamente a Planchet
-il titolo promessogli; badate che uno dei tre uomini usciti poco fa mi
-ha detto pianino di non fidarmi di loro.
-
-«Ed io, ripigliò Planchet maestosamente, li conosco e rispondo per
-essi».
-
-E strinse la mano a Grimaud, il quale parve molto onorato da tale
-distinzione.
-
-«Dunque a rivederci capitano, soggiunse Aramis in tuono beffardo, se ci
-accadesse qualche cosa chiameremmo voi in appoggio.
-
-«Signor mio, disse Planchet, in questo come in tutt’altro, sono vostro
-servitore umilissimo.
-
-«Ha spirito e di molto, il briccone! esclamò Aramis montando a cavallo.
-
-«E come non deve averne? fece Athos ponendosi in sella, dopo avere per
-tanto tempo spazzolati i cappelli del suo padrone?»
-
-
-
-
-LXXX.
-
-_Gli ambasciadori._
-
-
-I due amici si avviarono tosto scendendo il ripido pendio del sobborgo.
-Però, giunti appiè di quello, videro con istupore che le strade di
-Parigi si erano cambiate in fiumi e le piazze in tanti laghi: in
-conseguenza delle forti pioggie del mese di gennajo, la Senna aveva
-dato di fuori, e colle sue acque ingombrava metà della capitale.
-
-Athos ed Aramis entrarono animosamente con i loro cavalli in quella
-inondazione; ma in breve i poveri animali vi affondarono sino al
-petto, e bisognò che i due gentiluomini si decidessero a lasciarli ed a
-prendere una barca, dopo avere raccomandato ai loro domestici di andare
-ad attenderli ai mercati.
-
-In conseguenza arrivarono in barchetta al Louvre. Era notte già
-fatta, e Parigi vista così al lume di alcuni lampioni tremolanti fra
-tutti quei paduli, co’ suoi battelli carichi di pattuglie con armi
-risplendenti, con le grida di vigilia che di notte si ricambiano fra
-i posti di guardia, Parigi insomma presentava un aspetto che abbagliò
-Aramis, l’uomo più accessibile che mai potesse incontrarsi a sentimenti
-bellicosi. Giunsero dalla regina; però fu d’uopo far anticamera,
-sendochè nel momento Sua Maestà dava udienza a gentiluomini che
-recavano notizie d’Inghilterra.
-
-«E anche noi, disse Athos al servo che gli dava questa risposta, non
-solo portiamo notizie d’Inghilterra, ma veniamo pure di là.
-
-«Come vi chiamate?
-
-«Il signor conte di la Fère e il signor cavaliere d’Herblay, replicò
-Aramis.
-
-«Oh! allora, signori, fece il servitore udendo quei nomi dalla regina
-proferiti tante volte nella sua speranza, allora è tutt’altro, e
-credo che Sua Maestà non mi perdonerebbe di avervi fatto aspettare un
-momento. Seguitemi, di grazia».
-
-E camminò avanti, precedendo i due forestieri.
-
-Poi quando fu nella stanza ove stava la sovrana fece ad essi cenno di
-attendere, ed aperta la porta, disse:
-
-«Signora, spero che Vostra Maestà mi perdoni di aver disobbedito ai
-di lei ordini, quando saprà che coloro cui vengo ad annunziarle sono i
-signori conte di la Fère e cavaliere d’Herblay».
-
-La regina diè un grido di giubilo, che dai gentiluomini fu inteso dal
-luogo ove si erano trattenuti.
-
-«Povera regina! borbottò Athos.
-
-«Oh, passino, passino! esclamò pure la giovane principessa slanciatasi
-verso l’uscio».
-
-La meschinella non si divideva mai dalla madre, e procurava farle
-obliare mediante le sue premure e la filiale sua tenerezza l’assenza
-dei due fratelli e della sorella.
-
-«Entrate, signori, entrate», disse e terminava da sè di schiudere la
-porta.
-
-Si presentarono Athos ed Aramis. La regina stava seduta sopra una
-poltrona, e a lei dinanzi erano in piedi due dei tre gentiluomini da
-loro incontrati nel corpo di guardia.
-
-Erano questi i signori di Flamarens e Gasparo di Coligny, duca di
-Chantillon, fratello di quello che fu ucciso sette od otto anni prima
-in un duello ch’ebbe luogo a motivo di madama di Longueville.
-
-All’annunziarsi dei due amici costoro indietreggiarono alquanto, e
-sotto voce ricambiarono alcune parole.
-
-«Ebbene, signori! disse la regina, visti ch’ebbe Athos ed Aramis,
-eccovi alfine, fidi amici, ma i corrieri di Stato sono venuti anco
-più presto di voi. La corte è stata istrutta degli affari di Londra
-nel momento che voi arrivavate alle porte di Parigi, ed ecco i signori
-di Flamarens e di Chatillon che mi portano da parte di Sua Maestà la
-regina Anna le più recenti informazioni».
-
-Aramis ed Athos si guardarono; la tranquillità, l’allegrezza persino
-che traluceva in volto alla sovrana, li faceva stupire.
-
-«Favorite continuare, essa disse a Chatillon ed a Flamarens; dicevate
-adunque che Sua Maestà Carlo I, mio augusto signore, era stato
-condannato a morte non ostante il voto della maggioranza dei sudditi
-inglesi....
-
-«Sì signora», balbettò Chatillon.
-
-Athos ed Aramis si fissavano in viso un coll’altro vieppiù attoniti.
-
-«E che, condotto al patibolo, ella proseguiva, al patibolo! o
-mio signore, o mio re!... era stato salvato dal popolo pieno
-d’indignazione.
-
-«Sì signora», rispose Chatillon con voce tanto bassa che a mala
-pena poterono i due gentiluomini, comunque attentissimi, udir questa
-affermazione.
-
-La regina giunse insieme le mani con generosa riconoscenza, mentre la
-figlia le cingeva il collo con un braccio e la stringeva al seno, molle
-il ciglio di pianto.
-
-«Ora, non altro ci rimane che presentare a Vostra Maestà l’umile nostro
-ossequio, disse Chatillon a cui pareva fosse di peso la parte che
-faceva, e che arrossiva sempre più sotto lo sguardo fisso e penetrante
-di Athos.
-
-«Ancora un momento, signori, seguitò la regina trattenendoli con un
-cenno, un momento, di grazia! giacchè ecco i signori di la Fère e
-d’Herblay, che secondo avrete inteso vengono da Londra, e vi daranno
-forse come testimoni oculari dettagli a voi ignoti. Tali dettagli li
-recherete alla regina mia buona madre. Parlate, signori, vi ascolto;
-nulla mi nascondete, non abbiate alcun ritegno: subito che Sua Maestà
-vive, ed è salvo il regio onore, io sono indifferente a tutto il
-resto».
-
-Athos impallidì e si posò una mano sul cuore.
-
-«Ebbene! fece la sovrana che si accorse del pallore e del movimento;
-parlate, giacchè io ve ne prego.
-
-«Perdonate, madama, rispose Athos, ma io nulla voglio aggiungere al
-racconto di questi signori innanzi ch’essi abbiano riconosciuto da per
-sè che forse si sono ingannati.
-
-«Ingannati? esclamò Enrichetta poco meno che soffocando, ingannati!...
-e che v’è egli? mio Dio!
-
-«Signori, disse di Flamarens ad Athos, se abbiamo sbagliato, l’errore
-proviene dalla regina, e voi non avrete, suppongo, intenzione di
-rettificarlo, poichè sarebbe lo stesso che dare una mentita a Sua
-Maestà.
-
-«Dalla regina? gridò Athos con voce quieta ma sonora.
-
-«Sì», balbettò Flamarens, e chinava le pupille.
-
-Athos mandò un doloroso sospiro.
-
-«E non piuttosto da quello che vi accompagnava, e che abbiamo veduto
-con voi al corpo di guardia del Roule, proviene tale errore? disse
-Aramis con la sua insultante cortesia, giacchè se il conte di la Fère
-ed io non abbiam preso abbaglio, eravate in tre all’entrare in Parigi».
-
-Chatillon e Flamarens si scossero.
-
-«Ma spiegatevi, conte! esclamò la regina in angoscia sempre più fiera;
-sulla vostra fronte io leggo la disperazione, il vostro labbro esita
-ad annunziarmi qualche nuova terribile, vi tremano le mani.... Dio mio!
-Dio mio! ch’è accaduto?
-
-«Signore! disse la principessina inginocchiandosi accanto alla madre,
-abbiate pietà di noi!
-
-«Signore, fece Chatillon, se siete latore di una funesta notizia,
-operate da uomo crudele quando la date alla regina».
-
-Aramis si accostò a Chatillon sino quasi a toccarlo, e con le labbra
-strette dalla rabbia e lo sguardo infuocato, gli rispose:
-
-«Ehi! mi figuro che non abbiate già idea di insegnare al conte di la
-Fère ed a me ciò che qui dobbiamo dire».
-
-Durante quel breve alterco, Athos sempre con la mano sul cuore e la
-testa china, appressatosi alla sovrana, le disse con somma commozione:
-
-«Signora, i principi, che per la loro natura sono al disopra degli
-uomini, riceverono dal cielo un cuore atto a sopportare infortunj più
-grandi che quelli del volgo, imperocchè il cuore in essi partecipa alla
-loro superiorità; perciò mi sembra non si debba operare con una grande
-regina qual’è Vostra Maestà nel modo stesso che con una donna del
-nostro ceto. Regina, destinata a tutti i martirj su questa terra, ecco
-il risultato della missione di cui ci onoraste».
-
-Ed Athos, inginocchiatosi dinanzi alla infelice che gelava e palpitava,
-si levò di seno, chiusi in una medesima scatola, l’ordine di diamanti
-che la regina aveva consegnato a lord Winter prima di partire, e
-l’anello nuziale che prima di morire Carlo aveva consegnato ad Aramis.
-Athos non si era mai tolto d’indosso quei due oggetti dacchè gli avea
-ricevuti. Egli aprì il cassettino che li conteneva, e con tacito e
-profondo dolore li porse alla regina.
-
-Questa avanzò la mano, prese l’anello, se lo trasse in atto convulso
-fino sulle labbra, e senza poter dare un sospiro, nè mandare un
-singulto, stese le braccia, impallidì, e cadde priva di sensi fra
-quelle della figlia e delle sue donne.
-
-Athos baciò il lembo della veste della sventurata vedova, e rialzandosi
-con tal maestà che produsse sugli astanti la maggiore impressione,
-parlò così:
-
-«Io, conte di la Fère, gentiluomo che non mentii giammai, giuro prima
-innanzi a Dio e quindi innanzi a questa povera regina, che tutto quanto
-poteva farsi per salvare il re fu da noi fatto sul suolo d’Inghilterra.
-Ed ora (e si volgeva a d’Herblay) cavaliere, si parta, l’obbligo nostro
-è compiuto.
-
-«Non per anche, fece Aramis, ci rimangono da dire due parole a questi
-signori».
-
-E giratosi verso Chatillon:
-
-«Signor mio, gli disse, vi compiacereste di venir fuori, anche per un
-momento, per sentire le poche parole che non posso dirvi davanti alla
-regina?»
-
-Chatillon senza rispondere s’inchinò in segno di assenso.
-
-Athos ed Aramis passarono per i primi; a loro dopo andarono Chatillon
-e Flamarens; traversarono senza far motto il vestibolo: ma giunti ad
-una terrazza ch’era a livello d’una finestra, Aramis si diresse alla
-terrazza in cui non trovavasi veruno, si fermò però alla finestra e
-disse al duca di Chatillon:
-
-«Poc’anzi, mi pare, vi siete fatto lecito di trattarci molto alla
-libera. Ciò non era conveniente in alcun caso, ma assai meno poi in
-persone che venivano a recare alla regina il messaggio di un mentitore.
-
-«Signore! gridò Chatillon.
-
-«Che avete mai fatto del signor di Bruy? domandò ironicamente Aramis.
-Fosse egli andato per combinazione a cambiarsi la faccia che somiglia
-di troppo a quella del signor di Mazzarino? È noto che al palazzo reale
-vi sono molte maschere italiane da muta, da quella di Arlecchino sino a
-quella di Pantalone.
-
-«Ma voi ci provocate, io credo! disse Flamarens.
-
-«Ah! lo credete soltanto?
-
-«Cavaliere! cavaliere! disse Athos.
-
-«Eh! lasciatemi fare; rispose con stizza Aramis, sapete pure che a me
-non piacciono le cose a mezza via.
-
-«Finitele dunque! ribattè Chatillon con non minor alterigia che
-d’Herblay».
-
-Questi fece un inchino, e replicò.
-
-«Signori, un altro fuori di me o del conte di la Fère vi farebbe
-arrestare, giacchè abbiamo in Parigi alcuni amici; ma noi vi offriamo
-un mezzo di partire senza esser molestati. Venite a discorrere con noi
-cinque minuti colla spada in pugno su quel terrazzo abbandonato.
-
-«Volentieri, rispose Chatillon.
-
-«Un momento! esclamò Flamarens, so che la proposta è tale da tentarci,
-ma adesso ci è impossibile accettarla.
-
-«E perchè? domandò Aramis in tuono di scherno, la vicinanza del signor
-Mazzarino è forse quella che vi rende sì prudenti?
-
-«Ah, Flamarens, lo udite? disse Chatillon, non rispondere sarebbe una
-macchia al mio nome e all’onor mio.
-
-«Così la penso io pure, disse freddamente Aramis.
-
-«Voi però non risponderete, e questi signori fra poco saranno, io
-spero, della mia opinione».
-
-Aramis scosse il capo con un gesto di estrema insolenza.
-
-Chatillon vide il gesto, e pose mano alla spada.
-
-«Duca, disse Flamarens, vi dimenticate che per domani avete il comando
-di una spedizione della massima importanza, e che indicato dal signor
-Principe, accettato dalla regina, sino a domani sera non siete padrone
-di voi?
-
-«Benissimo! dunque per domani l’altro mattina, fece Aramis.
-
-«A doman l’altro, osservò Chatillon, è troppo lungo l’indugio!
-
-«E non sono già io, riprese d’Herblay, che fisso questo termine
-o chiedo dilazione, tanto più (aggiunse), che mi sembra, potremmo
-trovarci a quella spedizione.
-
-«Signor sì, avete ragione, esclamò il duca, e con molto piacere, se
-volete pigliarvi l’incomodo di venire sino alle porte di Charenton.
-
-«E come, signor mio! per aver l’onore di incontrarvi andrei a capo al
-mondo; tanto maggiormente farò per ciò una lega o due.
-
-«Dunque a domani.
-
-«Io ci conto. Andate pure a raggiungere il vostro Mazzarino; ma prima,
-giurate sul vostro onore che non lo avvertirete del nostro ritorno.
-
-«Condizione?
-
-«E perchè no?
-
-«Perchè queste si spetta ai vincitori il farle, e voi non siete tali.
-
-«E allora, si sguaini subito il ferro. Ciò poco importa a noi che non
-comandiamo l’impresa di domani».
-
-Chatillon e Flamarens si guardarono; v’era cotanta ironia nel gesto e
-nelle parole di Aramis, che Chatillon specialmente stentava a tener a
-freno la collera. Ma a un detto di Flamarens si fermò.
-
-«Or bene, disse, il nostro compagno, chiunque sia, nulla saprà di quel
-ch’è accaduto. Ma voi mi promettete di esser domani a Charenton, non è
-vero?
-
-«Ah signori! non dubitate! rispose Aramis».
-
-I quattro gentiluomini si salutarono, ma questa volta Chatillon e
-Flamarens uscirono primi dal Louvre, ed Athos e Aramis li seguirono.
-
-«Ma con chi l’avete, con tanta furia? domandò Athos.
-
-«Cospetto! con quelli co’ quali me la rifò!
-
-«Che mai v’hanno fatto?
-
-«Non avete veduto?
-
-«Io no.
-
-«Si sono messi a sogghignare quando voi giuravate che avevamo fatto
-l’obbligo nostro in Inghilterra. Ora, o lo hanno creduto o no: se lo
-credono, sogghignavano per insultarci, se non lo credono, c’insultavano
-parimente, ed è urgente di provare a costoro che siamo buoni a qualche
-cosa. Del rimanente, non m’incresce che abbiano rimessa la faccenda
-a domani: penso che per questa sera abbiam da fare di meglio che
-sguajnare la spada.
-
-«E che abbiam da fare?
-
-«Per Bacco! far prendere il Mazzarino».
-
-Athos fe’ con le labbra un moto di disprezzo.
-
-«Aramis, lo sapete, tali intraprese non mi piacciono.
-
-«Perchè?
-
-«Perchè pajono piuttosto sorprese.
-
-«In verità, Athos, sareste un generale di armata singolare: non
-vi battereste che a chiarissima luce, fareste prevenire il vostro
-avversario dell’ora in cui avreste divisato di attaccarlo, e vi
-asterreste da tentar nulla a suo danno di notte, per timore che vi
-tacciasse di aver profittato dell’oscurità».
-
-Athos sorrise.
-
-«Sapete, disse, che nessuno può cambiare il proprio naturale; e poi,
-avete forse in idea a qual punto siamo, e se l’arresto di Mazzarino non
-sarebbe più mal che bene, più impaccio che trionfo?
-
-«Dite dunque, Athos, che disapprovate la mia proposta.
-
-«No; al contrario, la stimo di buona guerra, ma....
-
-«Ma che?
-
-«Penso che non avreste dovuto farvi giurare da quei signori di non dir
-nulla al ministro, giacchè esigendo tal giuramento, avete quasi assunto
-l’impegno di non far niente.
-
-«Non ho assunto impegno veruno, io, e così mi riguardo come affatto....
-Andiamo, Athos! andiamo!
-
-«Dove?
-
-«Dal signor di Beaufort o dal signor di Bouillon, e ad essi diremo
-com’ella va.
-
-«Sì, ma con un patto, cioè che cominceremo dal Coadjutore, a cui, dotto
-com’è sui casi di coscienza, esporremo il nostro.
-
-«Oh! disse Aramis, guasterà tutto, si approprierà ogni cosa; terminiamo
-con lui, invece di principiare».
-
-Athos se la rideva sotto i baffi, come chi in fondo al cuore abbia un
-pensiero che non vuol esprimere.
-
-«Ebbene, sia pur così, rispose, da quale si comincia?
-
-«Dal signor di Bouillon, se non vi spiace; è il primo che si presenta
-nel nostro cammino.
-
-«Adesso, mi permetterete una cosa, non è vero?
-
-«Ed è?
-
-«Ch’io passi dall’albergo del _Gran Carlomagno_ ad abbracciar Raolo.
-
-«Ma ci vengo con voi! lo abbraccieremo insieme».
-
-Tutti e due avevano ripresa la barca che gli aveva condotti e si
-erano fatti portare ai mercati. Ivi ritrovarono Grimaud e Blaisois
-che custodivano i loro cavalli e tutti quattro si avviarono verso la
-contrada Guénégaud.
-
-Raolo però non era alla locanda del _Gran Carlomagno_; ricevuto nella
-giornata un messaggio dal signor Principe, era partito subito dopo con
-Olivain.
-
-
-
-
-LXXXI.
-
-_I tre luogotenenti del generalissimo._
-
-
-Secondo era stabilito, e nell’ordine fra di loro convenuto, Athos ed
-Aramis usciti dal _Gran Carlomagno_ s’incamminarono verso il palazzo
-del duca di Bouillon.
-
-Era notte oscurissima, e quantunque inoltrata nelle ore di maggior
-silenzio e solitudine, cominciavano ad echeggiare quei clamori che
-destano trasalita una città assediata. Ad ogni passo s’incontravano
-barricate, a tutte le svolte delle strade catene stese, in ciascun
-vicolo dei bivacchi; s’incrociavano le pattuglie ricambiandosi la
-parola d’ordine, i messaggeri spediti dai vari capi traversavano
-le piazze; e finalmente si facevano dialoghi animatissimi, e che
-indicavano l’agitazione degli spiriti, fra i pacifici abitanti, i
-quali se ne stavano affacciati alle finestre e i loro concittadini
-più bellicosi che correvano per le vie con la partigiana in spalla o
-l’archibugio al braccio.
-
-Athos ed Aramis non aveano fatto cento passi senza essere trattenuti
-dalle sentinelle messe alle barricate, che lor chiedevano la parola
-d’ordine; ma rispondevano che andavano dal signor di Bouillon per
-dargli una notizia importante, ed allora quelle si erano contentate
-di dare ad essi una guida, la quale col pretesto di accompagnarli e
-agevolar loro il passo era incaricata di sorvegliarli. E la guida si
-era mossa precedendoli e cantarellando:
-
- Ce brave monsieur de Bouillon
- Est incommodé de la goutte....
-
-nuovissimo componimento del genere dei _triolets_ francesi, non so di
-quante stanze in cui ciascuno aveva la sua parte.
-
-Giunti nelle vicinanze della casa di Bouillon, s’imbatterono in
-una piccola comitiva di tre a cavallo, che avevano tutte le parole
-possibili, poichè andavano senza scorta, e quando arrivavano alle
-barricate non avevano da far altro che ricambiare con coloro che ne
-stavano a guardia certi detti bastanti a far sì che si lasciassero
-tirare innanzi con tutta la deferenza senza dubbio dovuta al loro
-rango.
-
-All’aspetto di quei tali, Athos ed Aramis si fermarono.
-
-«Oh oh! vedete, conte? disse Aramis.
-
-«Sì, rispose Athos.
-
-«Che vi pare di quei tre cavalieri?
-
-«E a voi?
-
-«Che siano i nostri.
-
-«Non v’ingannate, ho riconosciuto benone di Flamarens.
-
-«Ed io, di Chatillon.
-
-«In quanto all’altro col ferrajuolo scuro....
-
-«Era il ministro.
-
-«In persona.
-
-«Come diamine si azzardano così, nei dintorni del palazzo di Bouillon?
-fece Aramis».
-
-Athos sorrise senza rispondere.
-
-Di là a cinque minuti bussavano al portone del principe.
-
-Al portone faceva guardia una sentinella, come si costuma per i
-soggetti rivestiti di gradi superiori; nel cortile era pure un piccol
-corpo di guardia pronto ad obbedire agli ordini del luogotenente del
-principe di Conti.
-
-A forma di quel che diceva la canzone il duca di Bouillon aveva la
-gotta e stava a letto; non ostante questa grave malattia, che da un
-mese gl’impediva di cavalcare, cioè da quando era assediata Parigi,
-fece dire, però, ch’era disposto a ricevere i signori conte di la Fère
-e cavaliere d’Herblay.
-
-I quali furono tosto introdotti. L’ammalato era nella sua camera,
-coricato, ma circondato dall’apparecchio più militare che potesse
-immaginarsi: da per tutto, sospesi alle muraglie, spade, pistole,
-usberghi e archibugi, e agevolmente si scorgeva che il signor
-di Bouillon, appena non avesse più la podagra, darebbe non poca
-briga e molestia ai nemici del Parlamento. Intanto con sommo suo
-rincrescimento, conforme ei diceva, gli toccava starsene in letto.
-
-«Ah! signori, esclamò visti ch’ebbe i due visitanti e tentando per
-sollevarsi un tantino uno sforzo che gli fe’ fare una boccaccia
-pel dolore terribile, siete fortunati, voi altri! potete montare a
-cavallo, andare e venire, combattere, per la causa del popolo. Ma io,
-vedete pure, sono confitto su queste lenzuola!.... Uh maledetta gotta!
-aggiunse con una nuova smorfia, maledettissima gotta!
-
-«Monsignore, disse Athos, veniamo d’Inghilterra e toccando Parigi è
-stata nostra prima cura di portarci a domandar notizie della vostra
-salute.
-
-«Grazie, grazie mille!.... la salute? cattiva, come osserverete....
-maledetta gotta!.... Ah! siete arrivati d’Inghilterra? e il re Carlo
-sta bene, per quanto ho inteso poco fa.
-
-«È morto, monsignore, disse Aramis.
-
-«Veh! fece attonito il duca.
-
-«Morto sopra il patibolo, condannato dal Parlamento.
-
-«È impossibile!
-
-«E giustiziato alla nostra presenza.
-
-«Ma dunque che mi diceva di Flamarens?
-
-«Di Flamarens! esclamò Aramis.
-
-«Sì, è uscito adesso di qua.
-
-«Con due compagni? domandò Athos sogghignando.
-
-«Sì, con due compagni, rispose il duca».
-
-Indi con qualche inquietudine seguitò:
-
-«Gli avete forse incontrati?
-
-«Ma sì.... mi pare, per la strada, replicò Athos».
-
-E guardò sorridendo Aramis, che dal canto suo osservò lui pure alquanto
-meravigliato.
-
-«Maledettissima gotta! ripetè il signor di Bouillon che pativa assai.
-
-«Monsignore, continuò Athos, in verità ci vuol tutta la vostra
-divozione alla causa parigina per rimanere, incomodato come siete,
-alla testa delle armate; tanta perseveranza produce in noi sincera
-ammirazione.
-
-«Che volete, signori miei? bisogna pure (e voi due ne siete un
-esempio, voi sì prodi e zelanti, a cui il mio caro collega duca di
-Beaufort è debitore della libertà e fors’anco della vita) bisogna
-pure sacrificarsi alle pubbliche faccende. E perciò, lo vedete, io mi
-sacrifico. Bensì vi confesso che ho esaurita tutta la mia forza. Il
-cuore è buono, buona è la testa, ma questa podagra briccona mi ammazza,
-e non vi nego che se la corte rendesse paghe le mie domande, d’altronde
-giustissime, poichè non chiedo se non una indennizzazione promessami
-dall’antico ministro stesso quando mi fu tolto il mio principato di
-Sedan, se mi si dessero dominj del medesimo valore; se mi si risarcisse
-del non godimento di quella mia proprietà dacchè mi fu tolta, cioè da
-diciotto anni, se a quelli della mia casa si accordasse il titolo di
-principi; se il mio fratello di Turenne fosse rimesso in possesso del
-suo comando; mi ritirerei immediatamente nelle mie terre, e lascerei la
-corte ed il Parlamento aggiustarsi fra loro come meglio potessero.
-
-«Ed avreste ragione, monsignore, rispose Athos.
-
-«Voi pensate così; non è vero, signor conte di la Fère?
-
-«Assolutamente.
-
-«E anche voi, signor cavaliere d’Herblay.
-
-«Pienissimamente.
-
-«Or bene, vi confesso, che secondo ogni probabilità, mi appiglierò a
-questo partito. Nel momento appunto la corte mi fa alcune proposte, e
-da me solo dipende l’accettarle. Le avevo rigettate finora, ma poichè
-uomini della vostra fatta mi dicono che ho torto, e specialmente
-giacchè questa maladetta gotta mi mette nell’impossibilità di giovare
-alla causa parigina, affè! ho voglia di seguitare il vostro consiglio e
-accogliere la proposta avanzatami dal signor di Chatillon.
-
-«Accettatela, principe, disse Aramis.
-
-«Oh sì! anzi mi dispiace di averla quasi sprezzata questa sera.... ma
-domani v’è conferenza e vedremo».
-
-I due amici riverirono il duca.
-
-«Andate, signori, questi continuò, dovete essere stanchi dal viaggio.
-Povero re Carlo! ma in sostanza egli ne ha un po’ di colpa, e ciò che
-deve consolarci si è che la Francia non ha da farsi alcun rimprovero in
-questa occasione, ed ha fatto tutto quanto ella poteva per salvarlo.
-
-«Oh! di questo siamo noi testimoni, replicò Aramis, particolarmente il
-signor di Mazzarino!....
-
-«Ecco, io ho caro che gli facciate una tale testimonianza; in fondo ha
-del buono, il ministro, e se non fosse forestiero, gli si renderebbe
-giustizia.... Ahi! gotta maladettissima!»
-
-Athos ed Aramis uscirono, ma le grida del signor di Bouillon li
-accompagnarono sino nell’anticamera; era evidente ch’ei soffriva come
-un dannato.
-
-Aramis arrivato al portone domandò:
-
-«Ebbene, Athos, che ne pensate?
-
-«Di che?
-
-«Per diana! del signor di Bouillon.
-
-«Caro mio, quel che ne pensa il _triolet_ della nostra guida:
-
- Ce pauvre monsieur de Bouillon
- Est incommodé de le goutte....
-
-«E perciò, fece Aramis, vedete che non gli ho aperto bocca sull’oggetto
-che qui ci conduceva.
-
-«E avete operato con prudenza; gli avreste mosso un nuovo attacco di
-podagra. Si vada dal signor di Beaufort».
-
-E i due amici si avviarono al palazzo di Vendome.
-
-Suonavano le dieci quando essi vi giungevano.
-
-Il palazzo di Vendome era custodito non meno, e presentava un aspetto
-non meno guerresco di quello di Bouillon. V’erano sentinelle, corpo di
-guardie nel cortile, armi e fasci, cavalli sellati legati agli anelli.
-Due cavalieri, ch’escivano allorchè Athos ed Aramis entravano dovettero
-far fare un passo indietro ai loro palafreni acciò questi passassero.
-
-«Ah ah! signori, disse Aramis, ma l’è assolutamente la nottata
-degl’incontri, e dichiaro che avremmo grande sfortuna se dopo
-di esserci incontrati così spesso, stassera, non pervenissimo ad
-incontrarci domani.
-
-«Oh! in quanto a codesto, rispose Chatillon (ch’era egli insieme con
-Flamarens partito allora da casa di Beaufort) potete star quieto; se
-c’incontriamo di notte senza cercarci, tanto più c’incontreremo di
-giorno cercandoci.
-
-«Lo spero, fece Aramis.
-
-«Ed io ne son sicuro, ribattè il duca».
-
-Di Flamarens e di Chatillon proseguirono la lor via, e Athos ed Aramis
-anzi smontarono.
-
-Avevano appena infilate le briglie dei loro cavalli alle braccia dei
-lacchè, e si erano sbarazzati dei ferrajuoli, che a loro avvicinossi
-un tale, e guardatili un momento al dubbio lume di un lanternino appeso
-in mezzo al cortile diè un grido di sorpresa, e corse a gettarsi fra le
-loro braccia.
-
-«Conte di la Fère! urlò colui, cavaliere d’Herblay! come mai siete in
-Parigi?
-
-«Rochefort! dissero insieme ambedue.
-
-«Sì, di certo! Siamo giunti dal Vendomese or sono quattro o cinque
-giorni, e ci accingiamo a dar da fare ben bene al Mazzarino. Siete
-sempre dei nostri, mi figuro?
-
-«Più che mai. E il duca?
-
-«È indemoniato contro il ministro. Vi sono noti i successi del
-nostro caro duca? È il vero re di Parigi; non può andar fuori senza
-arrischiare di esser soffocato.
-
-«Ah! tanto meglio; disse Aramis, ma ditemi, non sono i signori di
-Flamarens e di Chatillon quelli usciti poc’anzi di qui?
-
-«Giusto! hanno avuto udienza dal duca; vengono da parte del Mazzarino,
-senza dubbio, ma avranno trovato a chi parlare, ve lo garantisco.
-
-«Manco male, rispose Athos; e non si potrebbe aver l’onore di vedere
-Sua Altezza?
-
-«E perchè no? subito! sapete che per voi è sempre visibile. Venite con
-me, io reclamo il bene di presentarvi».
-
-Rochefort andò avanti. Furono aperte tutte le porte: a lui ed ai
-due amici. Trovarono essi il signor di Beaufort sul punto di porsi
-a tavola. Le mille occupazioni della giornata avevano ritardata sino
-allora la sua cena; ma per quanto fosse grave la circostanza, il duca
-ebbe appena uditi i nomi annunziatigli da Rochefort, che si alzò dalla
-sedia che precisamente accostava alla mensa, ed avanzatosi con impeto
-incontro ai due colleghi disse loro:
-
-«Ah per bacco! ben venuti, signori miei. Siete qua a prender parte
-alla mia cena, non è così? Boisjoli, avvertite Noirmont che ho due
-commensali. Lo conoscete, Noirmont, eh signori? è il mio maestro di
-casa, il successore di Mastro Marteau, che fa gli ottimi pasticci a voi
-noti. Boisjoli, di’ che ne mandi uno fatto da lui, ma non del genere di
-quello che aveva preparato per la Ramée.... Grazie a Dio! non abbiamo
-più bisogno di scale, di funi o di pugnali.
-
-«Monsignore, rispose Athos, non istate a disturbare per noi il vostro
-illustre maggiordomo, del quale ci sono cogniti i molti e svariati
-talenti. Questa sera, con licenza di Vostra Altezza, avremo soltanto
-l’onore di domandarle nuove di sua salute e ricevere i di lei comandi.
-
-«Oh! per la salute, ottima. Una salute che ha resistito a cinque annate
-di Bastiglia con la compagnia obbligata di messer di Chavigny, è capace
-di tutto. Per comandi, cospetto! vi confesso che sarei in un grande
-impiccio per conferirveli, sendo che ciascuno dà i suoi dal canto suo,
-e se si va avanti così io finirò con non darne più affatto.
-
-«Davvero? disse Athos, eppure credevo che il Parlamento contasse sopra
-la vostra unione.
-
-«Oh sì! la nostra unione è bella, veh! Con il duca di Bouillon, tanto
-tanto.... ha la podagra e non si leva dal letto, v’è da intendersi;
-ma col signor d’Elboeuf e i suoi figliuoli che son tanti elefanti....
-Signori miei, sapete il componimento (_triolet_) sopra il duca
-d’Elboeuf?
-
-«No monsignore.
-
-«Propriamente?»
-
-Il duca si mise a cantare:
-
- Monsieur d’Elboeuf et ses enfants
- Faut rage à la place Royale.
- Il vont tous quatre piaffants,
- Monsieur d’Elboeuf et ses enfants.
- Mai sitot qui il faut battre aux champs,
- Adieu leur humeur martiale,
- Monsieur d’Elboeuf et ses enfants
- Font rage à la place Royale.
-
-«Ma, soggiunse Athos, spero non sia così del Coadjutore.
-
-«Eh sì! con il Coadjutore è anche peggio. Invece di starsene fermo
-a cantare i _Te Deum_ per le vittorie che noi non riportiamo, o per
-quelle in cui siamo sconfitti, sapete che cosa fa?
-
-«No.
-
-«Mette su un reggimento al quale dà il suo nome: il reggimento di
-Corinto. Fa luogotenenti e capitani nè più nè meno che un maresciallo
-di Francia, e colonnelli quanti ne fa il re.
-
-«Sì, replicò Aramis, ma quando bisogna battersi mi lusingo che stia
-attaccato al suo arcivescovado?
-
-«Niente affatto! Ecco dove sbagliate, mio caro d’Herblay. Allorchè è
-d’uopo battersi, si batte, talmentechè siccome la morte di suo zio gli
-ha dato un seggio nel Parlamento, adesso ce lo troviamo di continuo
-fra’ piedi, al Parlamento, al consiglio e nelle battaglie. Il principe
-di Conti è generale in pittura.... e che pittura! un principe gobbo,
-gli è come dire un sacco di noci. Ah! vanno male le faccende, signori
-miei, vanno male!
-
-«Sicchè, monsignore, Vostra Altezza è scontenta? fece Athos e barattava
-un’occhiata con Aramis.
-
-«Scontenta? Dite pure, conte, che la mia Altezza è per le furie, a
-segno che io dico a voi, ad altri non lo manifesterei, a segno che
-se la regina riconoscesse i torti che ha meco, se richiamasse mia
-madre esule, se mi desse in sopravvivenza l’ammiragliato ch’è del mio
-signor padre e che mi è promesso per l’epoca della sua morte, ebbene!
-non sarei lontano da avvezzare dei cani a cui insegnerei ad accennare
-che vi sono ancora in Francia ladroni più grandi che il signor di
-Mazzarino».
-
-Non più uno sguardo solo, ma sguardo e sorriso, si ricambiarono Athos
-et Aramis, ed ancorchè non gli avessero incontrati avrebbero indovinato
-essere stata colà di Chatillon e di Flamarens. E quindi non fecero
-motto della presenza in Parigi di Mazzarino.
-
-«Monsignore, disse Athos, noi siamo soddisfatti. Venendo a quest’ora da
-Vostra Altezza, non avevamo altro scopo se non se di dar prova della
-nostra devozione e dichiararle che stavamo a sua disposizione come i
-suoi servitori più fedeli.
-
-«Come i miei più fidi amici, signori cari; me lo avete già dimostrato,
-e se mai mi riconcilio con la corte, spero provarvi ch’io pure
-sono rimasto amico vostro come di quei signori.... come diavolo li
-chiamate?.... d’Artagnan e Porthos.
-
-«D’Artagnan e Porthos?
-
-«Ah! sì.... appunto così.... Dunque m’intendete, conte di la Fère,
-m’intendete, cavaliere d’Herblay: tutto e per sempre vostro».
-
-Athos ed Aramis fecero una riverenza e se ne andarono.
-
-«Caro Athos, disse Aramis, credo, Dio mi perdoni, che abbiate aderito
-ad accompagnarmi solamente per darmi una lezione.
-
-«Aspettate, rispose l’altro, sarete a tempo ad accorgervene quando
-usciremo dal Coadjutore.
-
-«Dunque andiamo all’arcivescovado».
-
-E si diressero verso la Città-Vecchia.
-
-Partendo di là trovarono le strade allagate, e dovettero prendere
-una barchetta. Erano più dell’undici ore, ma si sapeva non esservi
-ora prefissa per presentarsi dal Coadjutore, la di cui somma attività
-faceva all’occorrenza di giorno notte, e di notte giorno.
-
-Il palazzo arcivescovile sorgeva di fondo all’acqua, e dal numero di
-battelli legati intorno a questo, vi sareste creduti, non in Parigi
-ma a Venezia. Quei battelli andavano su e giù, incrociandosi in
-ogni senso, inoltrandosi nel labirinto delle vie di Città-Vecchia,
-o allontanandosi nella direzione dell’arsenale o dell’argine di S.
-Vittorio, ed allora nuotavano come in un lago. Alcuni erano misteriosi
-e tenuti in gran silenzio, altri illuminati e clamorosi. I due camerati
-si cacciarono tra quella quantità di schifi ed approdarono essi pure.
-
-Tutto il pian terreno dell’arcivescovado era inondato, ma si erano
-adattate ai muri certe specie di scale, e tutto il cambiamento
-resultato dall’allagamento si riduceva ad entrare dalle finestre
-anzichè dalle porte.
-
-Ed in tal guisa Athos ed Aramis penetrarono nell’anticamera, la quale
-era piena di lacchè, perchè una dozzina di signori stavano ad aspettare
-nella sala d’ingresso,
-
-«Ehi! fece Aramis, ma vedete un poco, Athos: questo sciocco Coadjutore
-vuol egli aver il piacere dì farci fare anticamera?
-
-«Amico mio, rispose Athos, le genti vanno prese con tutti
-gl’inconvenienti della loro situazione. Oggi egli è uno dei sette o
-otto re che regnano in Parigi, ed ha una corte.
-
-«Sì, ma noi non siam mica cortigiani.
-
-«E perciò gli faremo dare i nostri nomi, e se nel riceverli non dà una
-risposta convenevole, lo lasceremo occupato negli affari della Francia
-e ne’ suoi. Non v’è altro che chiamare un servitore e mettergli in mano
-mezza doppia.
-
-«Oh! appunto.... esclamò Aramis.... non m’inganno.... sì.... no.... ma
-certo!.... Bazin, venite qua, furfante!»
-
-Bazin, che precisamente passava in aria maestosa, si voltò inarcando
-le ciglia a guardare chi fosse l’impertinente che lo chiamava in
-simil maniera. Ma non sì tosto ebbe ravvisato Aramis, il tigre diventò
-agnello, ed accostatosi ai due gentiluomini disse:
-
-«Che! siete voi, signor cavaliere! voi, signor conte! tutti due qui
-nel momento ch’eravamo tanto inquieti per voi!.... Oh! ho pur caro di
-rivedervi!
-
-«Va bene, messer Bazin, disse Aramis, da banda i complimenti. Veniamo
-per parlare al signor Coadjutore, ma abbiamo tal fretta che ci
-necessita parlargli subito.
-
-«E come! subito, davvero.... non si fanno già attendere signori della
-vostra specie.... ma soltanto adesso gli è in conferenza segreta con un
-certo signor di Bruy.
-
-«Di Bruy! gridarono insieme i due colleghi.
-
-«Sì, l’ho annunziato io stesso, e mi ricordo esattamente il suo nome.
-Lo conoscete? soggiungeva Bazin interrogando Aramis.
-
-«Mi pare di conoscerlo.
-
-«Io non posso dire altrettanto, giacchè era sì bene inviluppato nel
-ferrajuolo, che per quanto io mi sia ostinato non ho potuto scorgergli
-la minima parte del viso. Ma ora entrerò per annunziarvi, e forse
-questa volta sarò più fortunato.
-
-«È inutile, disse Aramis; per questa sera rinunziamo a vedere il signor
-Coadjutore: non è vero, Athos?
-
-«Come volete, rispose il conte.
-
-«Sì sì, ha da trattare di affari troppo grandi col signor di Bruy.
-
-«E lo devo avvisare che le signorie vostre erano venute?
-
-«Non occorre, no, fece Aramis; Athos andiamo».
-
-I due amici, passando in mezzo alla turba di servidori, si partirono
-dal palazzo seguiti da Bazin che dava indizio della loro importanza
-mediante i suoi ossequiosi saluti.
-
-«Or bene, chiese Athos ad Aramis quando furono entrambi nella barca,
-cominciate a credere che avremmo fatta una trista burla a tutti coloro
-arrestando Mazzarino?
-
-«Athos mio, siete la saggezza in carne ed ossa», replicò Aramis.
-
-Ciò che maggiormente avea prodotto impressione ne’ due camerati,
-sì era il poco peso che davasi nella corte di Francia ai terribili
-avvenimenti, i quali aveano avuto luogo in Inghilterra, e che a loro
-sembravano meritevoli di occupare l’attenzione di tutta Europa.
-
-Di fatti, tranne una misera vedova ed una regia orfanella, che
-piangevano in un canto del Louvre, pareva che nessuno sapesse come
-fosse estinto un re, Carlo I, e questo re fosso morto di recente sul
-patibolo.
-
-I due compagni si erano fissato l’appuntamento per la mattina seguente
-a dieci ore, giacchè quantunque fosse notte molto avanzata quando
-giungevano alla porta del palazzo, Aramis, adducendo aver da fare
-parecchie visite, aveva lasciato Athos solo.
-
-Al tocco delle dieci della domane si erano riuniti. Athos era fuori
-anch’esso fino dalle sei.
-
-«Avete avuta qualche notizia? domandò Athos.
-
-«Nessuna; d’Artagnan non si è visto in verun luogo, e Porthos non è
-ancora comparso. E da voi?
-
-«Niente.
-
-«Diamine!
-
-«Realmente, continuò Athos, questo ritardo non è naturale; hanno presa
-la strada più diretta, e in conseguenza avrebbero dovuto arrivare prima
-di noi.
-
-«Aggiungete, osservò Aramis, che d’Artagnan ci è ben noto per la
-prontezza del suo operare, e non è uomo da aver perduto un’ora sapendo
-che lo attendiamo.
-
-«Se ve ne rammentate, si proponeva di esser qui al 5 di questo mese.
-
-«E siamo al 9. Scade stasera il termine stabilito.
-
-«Che avete idea di fare? chiese Athos, se questa sera non abbiamo nuove?
-
-«Per Bacco! darci a cercarlo.
-
-«Bene!
-
-«Ma Raolo?...» seguitò Aramis.
-
-Sulla fronte del conte passò un piccolo nuvolo.
-
-«Raolo, egli disse, mi dà molta inquietudine; jeri ricevè un messaggio
-dal signor Principe, andò a trovarlo a Saint-Cloud, e non è tornato.
-
-«Non avete veduta madama di Chevreuse?
-
-«Non era in casa. E voi, Aramis, se non isbaglio, dovevate recarvi
-dalla signora di Longueville.
-
-«Ci sono stato.
-
-«Ebbene?
-
-«Nemmeno essa era in casa, ma almeno aveva lasciato l’indirizzo della
-sua nuova dimora.
-
-«Dov’era?
-
-«Indovinate, ve lo do fra mille.
-
-«Come ho da indovinare dov’è a mezzanotte, perchè mi figuro che nel
-dividervi da me vi siate presentato alla sua abitazione, dov’è a
-mezzanotte la più bella ed attiva di tutte le dame della Fronda?
-
-«Al palazzo comunitativo, caro mio!
-
-«Che! è ella forse nominata a prevosto dei mercanti?
-
-«No, ma si è fatta regina provvisoria di Parigi, e non avendo ardito di
-primo botto andare a stabilirsi al Palazzo Reale o alle Tuileries, si è
-accomodata al Palazzo dalla Comunità, dove darà quanto prima un erede o
-maschio o femmina al carissimo duca.
-
-«Non mi avevate dato parte di questa circostanza, disse Athos.
-
-«Davvero! sarà stata mia dimenticanza: scusatemi.
-
-«Adesso, chiese Athos, che faremo di qui a stasera? siamo in ozio, se
-non m’inganno.
-
-«Vi scordate che abbiamo la bisogna bell’e pronta?
-
-«Dove?
-
-«Dalla parte di Charenton, cospettaccio! ho speranza, dietro la
-promessa avutane, d’incontrare colà un certo di Chatillon che aborrisco
-da gran tempo.
-
-«E perchè?
-
-«Perchè è fratello di un tal signore di Coligny.
-
-«Ah sì? non ci pensavo.... il quale pretese l’onore di essere vostro
-rivale. Fu assai crudelmente punito di tanta audacia, mio caro, e
-dovrebbe già bastarvi.
-
-«Sarà, ma che volete? a me non basta.... son uno di quelli che serbano
-rancore.... Del resto, intendete che non siete minimamente obbligato a
-tenermi compagnia.
-
-«Eh via! fece Athos, voi scherzate!
-
-«Allora poi, se siete deciso ad accompagnarmi, non v’è tempo da
-perdere. È battuto il tamburo, ho incontrato i cannoni che partivano,
-ho veduto i borghesi schierarsi in battaglia sulla piazza della
-Comunità; di certo fra poco vi sarà combattimento verso Charenton,
-conforme jeri ci disse il duca di Chatillon.
-
-«Avrei creduto, seguitò Athos, che le conferenze della scorsa notte
-avessero variato d’alquanto codeste bellicose intenzioni.
-
-«Sì, ma non ostante vi sarà zuffa, quando appunto non fosse che per
-meglio mascherare le conferenze stesse.
-
-«Povere genti, che vanno a farsi ammazzare perchè sia restituito
-Sedan a Bouillon, perchè si dia in sopravvivenza l’ammiragliato a di
-Beaufort, e perchè il Coadjutore sia cardinale!
-
-«Animo, animo, Athos! convenite che non sareste tanto filosofo, se non
-dovesse trovarsi mischiato Raolo a tutto quel parapiglia.
-
-«Può essere che abbiate detto il vero, rispose Athos.
-
-«Or dunque, si vada dov’è battaglia, continuò Aramis, è il mezzo certo
-di ritrovare d’Artagnan, Porthos, e chi sa? anco Raolo.
-
-«Ahimè!
-
-«Amico mio, disse Aramis, adesso che siamo a Parigi, credete a me, vi
-convien perdere codesta abitudine di sospirar sempre. Alla guerra!
-cospettone, alla guerra! Non siete più uomo da spada?... eh eh!
-guardate que’ bei borghesi che passano! è roba da dar animo, per Diana!
-E quel capitano, vedete mo’, ha un portamento quasi militare!
-
-«Escono dalla via del Montone.
-
-«Preceduti da’ tamburi, come veri soldati.... Oh! osservate quel
-briccone! come si tentenna e si archeggia sui fianchi!
-
-«Uh! fece Grimaud.
-
-«Che c’è, domandò Athos.
-
-«Planchet, signor mio!
-
-«Jeri tenente, disse Aramis, oggi capitano, domani senza dubbio
-colonnello, fra otto giorni il manigoldo sarà generale di Francia.
-
-«Domandiamogli qualche notizia», propose Athos.
-
-E i due amici si appressarono a Planchet, il quale più superbo che mai
-di esser veduto in funzione, si degnò di spiegare ai due gentiluomini
-qualmente aveva ordine di prendere posizione sulla Piazza Reale con
-duecento uomini formanti la retroguardia dell’esercito parigino, e di
-là avviarsi inverso Charenton quando occorresse.
-
-Siccome Athos ed Aramis andavano dalla stessa parte, così fecero scorta
-a Planchet sino al suo posto.
-
-Planchet fe’ manovrare abilmente i suoi uomini sulla Piazza Reale, e
-li schierò dietro una lunga fila di borghesi situata nella strada e nel
-sobborgo di Sant’Antonio, attendendo il segnale della pugna.
-
-«Sarà calda la giornata! disse Planchet in tuono guerriero.
-
-«Sì, fece Aramis, ma è lontano di qua il nemico.
-
-«Signore, si abbrevierà la distanza, rispose un capodieci».
-
-Aramis lo salutò, e voltosi ad Athos lo avvertì:
-
-«Non ho genio ad accamparmi in Piazza Reale con tutte quelle genti.
-Volete che andiamo avanti? vedremo meglio le cose.
-
-«E poi qui non verrebbe già a cercarvi il signor di Chatillon, non è
-così? Dunque si vada innanzi, mio caro.
-
-«Non avete dal canto vostro da dire due paroline al signor di Flamarens?
-
-«Amico, replicò Athos, io ho presa una risoluzione, cioè di non più
-sguainare il brando se non ci sono assolutamente costretto.
-
-«E da quando in qua?
-
-«Da che levai fuori il pugnale.
-
-«Oh bella! un altra rimembranza di messer Mordaunt? Eh, mio caro, non
-vi mancherebbe più altro che di provar rimorso di aver ucciso colui!
-
-«Zitto! disse Athos ponendosi un dito sulla bocca con quel mesto
-sorriso ch’era proprio di lui solo, non discorriamo più di Mordaunt, ci
-porterebbe disgrazia».
-
-E diè di sprone verso Charenton, rasentando il sobborgo, e poi la valle
-di Fécamp tutta piena di borghesi armati.
-
-Già s’intende che Aramis lo seguitava a mezza lunghezza del cavallo.
-
-
-
-
-LXXXII.
-
-_Combattimento di Charenton._
-
-
-A misura che Athos ed Aramis si avanzavano, e con ciò oltrepassavano
-i diversi corpi schierati sulla strada, vedevano usberghi forbiti e
-risplendenti succedere alle armi rugginose, e moschetti ben lucidi alle
-variopinte partigiane.
-
-«Mi pare che sia qui il vero campo di battaglia; disse Aramis, vedete
-quel corpo di cavalleria che sta davanti al ponte con le pistole in
-pugno? Ehi, badate! ecco che arrivano i cannoni.
-
-«Ma, mio caro, rispose Athos, dove ci avete condotti? mi sembra di
-vedere intorno a noi figure di uffiziali dell’armata reale. Non è il
-signor di Chatillon in persona quello che viene innanzi co’ suoi due
-brigadieri?»
-
-Così parlando, mise mano alla spada, mentre l’amico, credendo infatti
-di avere oltrepassati i limiti del campo parigino, dava di piglio alla
-sacchetta delle pistole.
-
-«Buon giorno, signori, disse il duca avvicinatosi, mi accorgo che nulla
-intendete di quanto succede, ma in due parole io ve lo spiegherò. Per
-il momento siamo in tregua, v’è conferenza; il signor Principe, il
-signor di Retz, il signor di Beaufort e il signor di Bouillon, stanno
-attualmente conversando di politica. Ora dunque, una delle due: o
-le faccende non si aggiusteranno, e noi, cavaliere, ci ritroveremo:
-o si aggiustano, e siccome io sarò disbrigato dal mio comando, ci
-ritroveremo anche allora.
-
-«Signor mio, rispose Aramis, voi discorrete a meraviglia. Sicchè,
-permettetemi di farvi una domanda.
-
-«Fate pure.
-
-«Dove sono i plenipotenziarj?
-
-«A Charenton stesso, nella seconda casa a man dritta venendo dalla
-parte di Parigi.
-
-«E la conferenza non era preveduta?
-
-«No: par che sia il resultato di nuove proposte fatte jer sera dal
-signor di Mazzarino ai Parigini».
-
-Athos ed Aramis si guardarono ridendo: sapevano meglio di chiunque
-quali fossero quelle proposte, a chi erano state avanzate, e da chi.
-
-«E la casa dove sono i plenipotenziarj, chiese Athos, appartiene?...
-
-«Al signor di Chanleu, che comanda le vostre truppe a Charenton. Dico
-vostre truppe, perchè mi figuro che voi, signori, siate della _Fronda_.
-
-«Eh! all’incirca, disse Aramis.
-
-«Come, all’incirca?
-
-«Eh! voi lo sapete meglio di chicchessia: in questo tempo non si può
-dire precisamente che cosa uno è.
-
-«Noi siamo per il re e pei signori principi, conchiuse Athos.
-
-«Bisogna però che c’intendiamo: soggiunse Chatillon, il re è con noi,
-ed ha per generalissimi i signori d’Orleans e di Condé.
-
-«Sì, replicò Athos, ma il suo posto è nelle nostre file con i signori
-di Conti, di Beaufort, d’Elboeuf e di Bouillon.
-
-«Può darsi, ribattè Chatillon, ed è noto che per conto mio ho
-pochissima simpatia pel signor di Mazzarino: anzi i miei interessi sono
-in Parigi: ho colà una lite da cui dipende tutta la mia fortuna, e come
-mi vedete esco da consultare il mio avvocato.
-
-«A Parigi?
-
-«No, a Charenton: messer Viole, che voi conoscete di nome; un uomo
-eccellente, un po’ ostinato, ma non è mica del Parlamento per nulla.
-Avevo idea d’incontrarlo jeri sera, ed il nostro incontro m’impedì
-di occuparmi de’ miei affari, e siccome gli affari in sostanza vanno
-fatti, ho profittato della tregua, ed ecco in che modo mi trovo in
-mezzo a voi altri.
-
-«Dunque messer Viole dà udienza e pareri all’aria aperta? fece ridendo
-Aramis.
-
-«Signor sì, ed anche a cavallo. Per oggi comanda cinquecento
-pistolieri, ed io per onorarlo gli ho fatto visita accompagnato da
-questi due pezzi di cannone, alla testa dei quali mi siete sembrati
-tanto attoniti di vedermi. Sul principio, lo confesso, non lo
-ravvisavo; ha una lunga spada sulla toga e le pistole alla cintola, il
-che gli dà un’aria formidabile, che vi divertirebbe se aveste la sorte
-d’incontrarlo.
-
-«Se è tanto curioso di aspetto, si può prendersi l’incomodo di cercarlo
-espressamente, disse Aramis.
-
-«Converrebbe che vi sollecitaste, perchè le conferenze non possono
-durar più molto.
-
-«E se si sciolgono senza alcun resultato, domandò Athos, tenterete di
-prendere Charenton?
-
-«Tale è l’ordine che ho ricevuto; ho il comando delle truppe di
-attacco, e farò meglio che possa onde riuscire.
-
-«Signore, seguitò Athos, poichè comandate la cavalleria....
-
-«Con licenza, la comando in capo.
-
-«Anco meglio! dovete conoscere tutti i vostri uffiziali; intendo già
-quelli di distinzione.
-
-«Eh sì, a un di presso.
-
-«Abbiate allora la bontà di dirmi se avete sotto i vostri ordini il
-signor cavaliere d’Artagnan, tenente nei moschettieri.
-
-«Signor no, non è con noi; da sei settimane ha abbandonato Parigi, e
-dicesi che sia per una missione in Inghilterra.
-
-«Lo sapevo, ma lo credevo tornato.
-
-«No, e non so che alcuno lo abbia riveduto. Io posso tanto più
-rispondervi su questo proposito in quanto che i moschettieri sono dei
-nostri, ed il signor di Cambon tiene provvisoriamente il posto del
-signor d’Artagnan».
-
-I due amici si guardarono.
-
-«Vedete? disse Athos.
-
-«È singolare! fece Aramis.
-
-«Bisogna che sia loro accaduta qualche disgrazia per viaggio!
-
-«Oggi ne abbiamo 9 del mese, e questa sera spira il termine fissato. Se
-stassera non ne abbiamo notizie, domattina partiremo».
-
-Athos fe’ con la testa un cenno affermativo, e indi continuò:
-
-«E il signor di Bragelonne, un giovinetto di quindici anni, addetto
-al signor Principe... (e provava il massimo imbarazzo dimostrando così
-allo scettico Aramis le sue paterne inquietezze).... ha egli l’onore di
-esservi noto, signor duca?
-
-«Sicuramente, replicò Chatillon, ci è giunto questa mane col signor
-Principe. Amabilissimo giovane! È vostro amico, signor conte?
-
-«Sì signore, rispose Athos dolcemente commosso, a tal segno che avrei
-desiderio di vederlo. Sarebbe ciò possibile?
-
-«Possibilissimo: favorite meco, e vi guiderò al quartier generale.
-
-«Olà! gridò volgendosi Aramis, dietro di noi è grande strepito, se non
-isbaglio.
-
-«Realmente ci viene incontro un corpo di uomini a cavallo.
-
-«Riconosco il Coadjutore dal suo cappello a uso _Fronda_.
-
-«Ed io il signor di Beaufort dalle penne bianche.
-
-«Corrono di galoppo. È con loro il signor Principe.... Oh! ecco che li
-lascia.
-
-«È battuta la chiamata! esclamò Chatillon, la sentite? bisogna
-informarci».
-
-Veramente si scorgevano i soldati correre alle armi, i cavalieri
-ch’erano in piedi saltar di nuovo in sella, suonavano le trombe,
-battevano i tamburi. Il signor di Beaufort cavò fuori la spada.
-
-Il signor Principe dal canto suo fece un segno di riunione, e tutti gli
-ufficiali dell’esercito reale mescolatisi momentaneamente alle truppe
-parigine corsero verso di lui.
-
-«Signori, disse Chatillon, è evidente ch’è rotta la tregua; è per
-cominciare la battaglia; dunque rientrate in Charenton, perchè io tra
-poco darò l’attacco. Ecco il segnale che mi dà il signor Principe».
-
-Diffatti un alfiero alzava in aria per tre volte la bandiera del
-principe.
-
-«A rivederci, signor cavaliere! gridò Chatillon».
-
-E si partì di galoppo a raggiungere la sua scorta.
-
-Athos ed Aramis voltarono la briglia e si fecero a riverire il
-Coadjutore e il signor di Beaufort. In quanto a di Bouillon, esso aveva
-avuto verso la fine della conferenza un attacco di podagra sì terribile
-che fu riportato a Parigi in una lettiga.
-
-Al contrario, il duca d’Elboeuf circondato dai suoi quattro figli come
-da uno stato maggiore, percorreva le file dell’armata parigina.
-
-In quel frattempo, fra Charenton e l’esercito reale si formava un lungo
-spazio bianco che sembrava si preparasse a servire di ultimo letto ai
-cadaveri.
-
-«Quel Mazzarino è una vera vergogna per la Francia! disse il Coadjutore
-stringendosi il cinturino della spada, che portava alla moda degli
-antichi prelati militari sulla zimarra arcivescovile, è un gaglioffo
-che vorrebbe governare la Francia come una fattoria; e perciò la
-Francia non può sperare tranquillità se non quando egli ne sia uscito.
-
-«Pare che non sieno andati d’accordo sul colore dal cappello, borbottò
-Aramis».
-
-Nel momento il signor di Beaufort alzò in aria la spada.
-
-«Signori, ei disse; abbiamo messa in moto una diplomazia inutile;
-volevamo sbarazzarci di quel gaglioffo di Mazzarino, ma la regina che
-n’è incapriccita intende assolutamente conservarselo per ministro:
-talchè non ci resta più che una risorsa, cioè di batterlo in modo
-congruo e adattato.
-
-«Bene! fece il Coadjutore, ecco la solita eloquenza del signor di
-Beaufort!
-
-«Fortunatamente, soggiunse Aramis, corregge gli errori di lingua ed i
-pleonasmi con la punta della spada.
-
-«Uhm! replicò il Coadjutore con disprezzo, vi giuro che in tutta questa
-guerra è molto meschino».
-
-E sguainò anch’esso il ferro, dicendo:
-
-«Signori, ecco il nemico che ci viene incontro; spero gli risparmieremo
-mezza strada».
-
-E si partì senza curarsi di essere o no seguitato. Il suo reggimento,
-che portava il nome di reggimento di Corinto, dal nome del suo
-arcivescovado, si mosse dietro di lui, e incominciò la zuffa.
-
-Di Beaufort dal canto suo lanciava la sua cavalleria sotto la direzione
-del signor di Noirmoutiers, inverso Estampes, ove doveva trovare
-un convoglio di vettovaglie aspettato con ansietà dai Parigini. Di
-Beaufort si accingeva a sostenerlo.
-
-Di Chanleu che comandava la piazza se ne stava col più forte delle sue
-truppe, pronto a resistere all’assalto, ed anche in caso che il nemico
-fosse respinto, a tentare una sortita.
-
-A capo a mezz’ora era principiato il combattimento su tutti i punti.
-
-Il Coadjutore, inasprito dalla fama di coraggioso di che godeva di
-Beaufort, si era scagliato innanzi e faceva in persona prodigi di
-valore. La sua vocazione, conforme sappiamo, era per la spada, ed
-egli andava contento ogni qual volta poteva trarla dal fodero, senza
-badare al perchè. Ma in quella circostanza, se aveva adempiuto bene al
-suo mestiere di soldato, aveva fatto malamente quello di colonnello.
-Con sette o otto cento uomini era ito ad urtarne tremila, i quali
-poi messi tutti in un mucchio riconducevano indietro i soldati del
-Coadjutore che giunsero alle mura nel massimo scompiglio. Però il fuoco
-dell’artiglieria di Chanleu fermò di botto l’armata reale, che per un
-istante sembrò avvilita. Ciò per altro fu di poca durata, ed essa andò
-a formarsi di nuovo a tergo a un gruppo di case ed a un picciol bosco.
-
-Chanleu stimò giunto il momento; corse alla testa di due reggimenti
-per inseguire il regio esercito. Questo, bensì, come accennammo, si era
-ricomposto e riedeva alla carica, guidato dal signore di Chatillon. Fu
-così aspra e ben diretta la carica, che Chanleu ed i suoi si trovarono
-pressochè attorniati. Chanleu ordinò la ritirata, la quale principiò ad
-effettuarsi. Per disgrazia egli cadde ferito mortalmente.
-
-Di Chatillon lo vide piombare a terra, ed annunziò ad alta voce quella
-morte, che accrebbe il coraggio della regia armata e demoralizzò
-appieno i due reggimenti con cui Chanleu aveva fatta la sortita. In
-conseguenza ciascuno pensò alla propria salvezza, e più non si occupò
-di altro che di arrivare ai trinceramenti appiè dei quali il Coadjutore
-tentava di rimettere a sesto il suo reggimento sconquassato.
-
-Ad un tratto uno squadrone di cavalleria venne ad incontrare i
-vincitori, ch’entravano confusi e misti coi fuggiaschi nelle trincee.
-Athos ed Aramis agirono, quegli col brando nel fodero e la pistola
-nelle saccoccie, e questi con la pistola e il brando in pugno. Athos
-era quieto e freddo come alla parata, se non che il bello e nobile
-suo sguardo si attristava nel vedere uccidersi scambievolmente tanti
-uomini sacrificati per un lato dalla regia ostinazione e per l’altro
-dal rancore dei principi; Aramis all’opposto ammazzava, e s’inebbriava
-poco a poco secondo la sua abitudine; gli occhi vivaci gli diventavano
-infuocati; la bocca di un taglio sì delicato sorrideva in modo tetro;
-le narici mezzo aperte traevano a sè l’odore del sangue; ogni suo colpo
-coglieva a segno, ed il pomo della sua pistola accoppava e rifiniva il
-ferito che avesso sperato di rialzarsi.
-
-Dall’altra parte, e nelle file dell’esercito reale, due cavalieri, uno
-con l’usbergo dorato, l’altro con una semplice pelle di bufalo da cui
-uscivano le maniche di un giustacuore di velluto turchino, tiravano nel
-primo rango. Colui dall’usbergo indorato venne ad urtare Aramis e gli
-diè una stoccata, che da questo fu parata con la sua ordinaria abilità.
-
-«Ah! siete voi, signor di Chatillon! fece il sopraggiunto; siate ben
-venuto, vi attendevo.
-
-«Spero non avervi fatto aspettare di troppo, rispose il duca; in tutti
-i casi, eccomi qua.
-
-«Signor di Chatillon, disse Aramis cavando fuori una seconda pistola
-riserbatasi per quella occasione, credo che se la vostra arme è
-scarica, siete bell’e morto.
-
-«Grazie a Dio, non è così!»
-
-E il dura levata in su l’arme, l’assegnò e fece fuoco. Però Aramis
-abbassò la testa nell’atto in cui vide Chatillon pigiare il dito sui
-grilletto, e la palla gli passò di sopra senza toccarlo.
-
-«Oh! avete fallito! gridò Aramis, ma io giuro a Dio di non fallire.
-
-«Se vi do tempo! urlò il signor di Chatillon dando di sprone e
-balzandogli addosso, alto il ferro».
-
-Aramis lo attendeva con quel sorriso terribile che di lui era proprio
-in simili occasioni; e Athos che mirava il duca avanzarsi verso
-d’Herblay con la prontezza del lampo apriva bocca onde strillare:
-«Tirate! tirate!» quando partì la botta, e Chatillon slargate le
-braccia, si gittò supino sulla groppa del cavallo.
-
-Gli era entrata la palla nel petto dallo scavo della corazza.
-
-«Sono morto! balbettò il duca».
-
-E sdrucciolò di sul cavallo al suolo.
-
-«Signore, ve lo avevo detto, e ora mi duole di aver tanto bene
-mantenuta la mia parola. Posso esservi utile in qualche cosa?»
-
-Chatillon fe’ un gesto con la mano, ed Aramis si apprestava a smontare,
-ma ad un tratto ricevè un colpo fortissimo in un fianco.
-
-Era una stoccata; l’usbergo però bastò a pararla.
-
-Egli si volse con impeto, afferrò col pugno quel nuovo antagonista...
-ed ecco due grida mandate in un momento medesimo, uno da lui, uno da
-Athos:
-
-«Raolo!
-
-«Raolo!»
-
-Il giovinetto riconobbe ad un tempo e il volto del cavaliere d’Herblay
-e la voce di suo padre, e lasciò andarsi il ferro di mano.
-
-Parecchi cavalieri dell’armata parigina si slanciavano sopra Raolo:
-Aramis lo coperse col suo brando.
-
-«Prigioniero mio! esclamò, passate al largo!»
-
-Athos frattanto prendeva per la briglia il palafreno di suo figlio e lo
-traeva fuor della mischia.
-
-In quell’atto, il signor Principe, il quale sosteneva Chatillon in
-seconda linea, comparve in mezzo alla zuffa: fu visto a folgoreggiare
-il suo occhio da aquila, fu riconosciuto dalle botte che dava.
-
-Al suo aspetto, il reggimento dell’arcivescovo di Corinto, cui il
-Coadjutore per quanti sforzi tentasse non era valso a riordinare, si
-scagliò fra le truppe parigine, atterrò tutto, e rientrò fuggendo in
-Charenton, e lo percorse per intero senza mai fermarsi. Il Coadjutore
-da quello trascinato ripassò presso al gruppo formato da Athos, Aramis
-e Raolo.
-
-«Ah ah! disse Aramis, che nella sua gelosia non poteva a meno di
-rallegrarsi dello scacco provato dal Coadjutore, monsignore, voi dovete
-conoscere quel che si legge....
-
-«E che ha da fare quel che si legge.... con quel che ora mi avviene?
-
-«Che oggi il signor Principe vi tratta molto bene, per quanto veggo.
-
-«Animo, animo! fece Athos, ma non bisogna aspettar qua le cerimonie.
-Avanti! avanti!.... o piuttosto indietro! giacchè la battaglia mi pare
-perduta per quei della _Fronda_.
-
-«Poco m’importa! rispose Aramis, io non ero venuto se non per
-incontrare il signor di Chatillon; l’ho trovato, e sono contento. Un
-duello con un Chatillon! è cosa che fa onore!
-
-«E di più un prigioniero! soggiunse Athos additando Raolo».
-
-E i tre a cavallo seguitarono il viaggio di galoppo.
-
-Il giovanetto aveva palpitato di gioja ritrovando suo padre. Andavano
-l’uno accanto dell’altro, con la mano sinistra di Raolo nella destra di
-Athos.
-
-Allorchè furono lontani dal campo di battaglia, il conte di la Fère
-domandò al garzoncello:
-
-«Che andavate a fare, mio caro, tanto innanzi nella mischia? Non era
-quello il vostro posto, mi sembra, non essendo armato di meglio per il
-combattimento.
-
-«E realmente non dovevo battermi in quest’oggi. Ero incaricato di una
-missione per il ministro, e partivo per Rueil, quando vedendo il signor
-di Chatillon che caricava, mi è venuto voglia d’imitarlo ponendomi
-al di lui fianco. Allora ei mi disse che due cavalieri dell’armata
-parigina mi cercavano, e mi nominò il conte di la Fère.
-
-«Come! sapevate che eravamo qua, e vi disponevate ad uccidere il vostro
-amico, il cavaliere?
-
-«Non lo avevo ravvisato sotto l’armatura, replicò Raolo ed arrossiva, e
-sì, avrei dovuto riconoscerlo dalla sua destrezza e dal sangue freddo.
-
-«Grazie del complimento, mio giovane amico, disse Aramis, e ben si
-distingue da chi riceveste lezione di cortesia.... Ma dicevate che
-andate a Rueil?
-
-«Sì.
-
-«Dal ministro?
-
-«Certo: ho un dispaccio del signor Principe per Sua Eccellenza.
-
-«Bisogna portarlo, fece Athos.
-
-«Oh! per questo, un momento; non si usino generosità inopportune, conte
-mio. Che diamine! la nostra sorte, e forse quella dei nostri amici, sta
-riposta in quel dispaccio.
-
-«Ma Raolo non deve mancare all’obbligo suo, obbiettò Athos.
-
-«In primo luogo egli è prigioniero, ve ne scordate? Dunque ciò che noi
-facciamo sta nel diritto di buona guerra. E poi i vinti non debbono
-essere schizzinosi su la scelta dei mezzi. Date qua il plico, Raolo».
-
-Raolo esitava guardando Athos come per cercare nei di lui occhi una
-norma alla sua condotta.
-
-«Date il piego; confermò Athos, voi siete prigioniero del cavaliere
-d’Herblay».
-
-Il giovanetto cedè con ripugnanza. Aramis però, meno scrupoloso che
-il conte di la Fère, pigliò premurosamente il dispaccio, lo lesse, e
-restituendolo ad Athos gli disse:
-
-«Voi che siete buon credente, leggete e vedrete, riflettendovi, in
-questa lettera qualche cosa che dalla Provvidenza si giudica importante
-di porre a nostra cognizione».
-
-Athos pigliò la lettera inarcando le ciglia; ma l’idea che in essa si
-trattasse di d’Artagnan lo ajutò a superare il disgusto che provava a
-percorrerla.
-
-Ed ecco quel che v’era scritto:
-
- «Monsignore.
-
- «Io manderò questa sera a Vostra Eccellenza, ad oggetto di
- rinforzare le truppe del signor di Comminges, i dieci uomini
- ch’ella mi richiede. Sono buoni soldati, atti a tenere a dovere i
- due fieri avversari di cui Vostra Eccellenza teme l’abilità e la
- risolutezza».
-
-«Oh oh! disse Athos.
-
-«Eh? domando Aramis, che ve ne pare di due avversarj, per custodire i
-quali bisognano dieci buoni soldati, oltre la truppa di Comminges? Non
-somigliano per l’appunto a d’Artagnan e Porthos?
-
-«Batteremo Parigi tutto il giorno, rispose Athos, e se stassera non
-abbiamo notizie, riprenderemo il nostro cammino per la Piccardia, ed
-io, mercè l’immaginazione di d’Artagnan, garantisco che non tarderemo a
-trovare qualche indicazione da toglierci tutti i nostri dubbi.
-
-«Si ricerchi dunque per tutta Parigi, ed informiamoci specialmente da
-Planchet se abbia udito a parlare del suo antico padrone.
-
-«Povero Planchet! dite presto, voi! senza dubbio oramai è trucidato;
-saranno usciti tutti quei bellicosi borghesi, e ne sarà stato fatto un
-macello».
-
-Essendo ciò assai probabile, fu grande l’inquietezza con la quale i
-due amici rientrarono in Parigi dalla porta del tempio, e si diressero
-verso la piazza reale, ove speravano aver nuove di quei poveri
-borghesi; ma fu anche maggiore il loro stupore quando li ritrovarono
-occupati a bere e celiare, essi ed il loro capitano, sempre accampati
-in piazza reale, e pianti certamente dalle rispettive famiglie che
-udivano lo strepito del cannone di Charenton e li supponevano in mezzo
-al fuoco.
-
-Athos ed Aramis domandarono da capo a Planchet; questi però nulla aveva
-saputo di d’Artagnan. Volevano condurlo via seco, ed egli dichiarò non
-poter lasciare il suo posto senza ordine superiore.
-
-Soltanto alle cinque ore tornarono a casa dicendo che venivano dalla
-battaglia; non avevano perduto di vista il cavallo di bronzo di Luigi
-XIII.
-
-«Corpo di una bomba! disse Planchet rientrando nella sua bottega
-della via dei Lombardi; siamo stati sconfitti addirittura! non me ne
-consolerò mai!...»
-
-
-
-
-LXXXIII.
-
-_La strada della Piccardia._
-
-
-Athos ed Aramis, in piena sicurezza a Parigi, non nascondevano già a sè
-stessi che appena mettessero il piede fuori andrebbero esposti ai più
-gravi pericoli; ma noi sappiamo che cosa sia la questione del periglio,
-per simili soggetti. D’altronde essi sentivano che si avvicinava lo
-scioglimento di quella seconda Odissea, e non v’era da darvi, come suol
-dirsi, altro che l’ultima mano.
-
-Del rimanente, Parigi non era mica quieto; cominciavano a mancare
-i viveri, e secondo che qualcuno dei generali del signor Principe
-di Conti aveva d’uopo di riassumere la sua influenza, sollevava una
-piccola sommossa, la quale egli stesso indi veniva a calmare, e che per
-un momento gli dava la superiorità sui suoi colleghi.
-
-In una di quelle sommosse il signor di Beaufort aveva fatto porre a
-sacco la casa e la biblioteca del signor di Mazzarino, onde dare, così
-egli diceva, qualche cosa da rosicare al povero popolo.
-
-Athos ed Aramis abbandonarono la capitale dopo quel colpo di Stato, che
-aveva avuto luogo alla sera del giorno medesimo in cui i Parigini erano
-stati battuti a Charenton.
-
-Ambedue lasciavano Parigi nella miseria, e vicinissimo alla fame, ed
-agitato dal timore e straziato dalle fazioni. Parigini e Frondisti si
-aspettavano di trovare ugual miseria, pari paure, consimili intrighi,
-nel campo nemico. Furono dunque molto sorpresi allorchè nei passare
-a San Dionigi seppero che a San Germano tutti ridevano, cantavano e
-campavano allegramente.
-
-I due gentiluomini si avviarono per strade indirette, prima di tutto
-per non cadere nelle mani dei _Mazzarini_ sparsi nell’isola di Francia,
-indi per isfuggire ai _Frondisti_ che ingombravano la Normandia, e che
-non avrebbero mancato di condurli dal signor Longueville acciò questi
-li riconoscesse come amici o come nemici. Sottratti che si furono a
-quei due rischi, ripigliarono la strada di Boulogne ad Abbeville e la
-seguitarono passo a passo tutta quanta.
-
-Stettero però un poco indecisi; due o tre locande si erano visitate, ed
-altrettanti locandieri interrogati, senza che verun indizio schiarisse
-i loro dubbi o guidasse le loro indagini, quando però a Montreuil
-Athos sentì sulla tavola qualche cosa di rozzo al tatto delle sue
-dita delicate. Alzò la tovaglia e lesse sul legno questi geroglifici
-intagliati profondamente con la lama di un coltello:
-
- Port... d’Art... 2 febbrajo.
-
-«Ottimamente, disse Athos mostrando l’iscrizione ad Aramis; volevamo
-pernottar qui, ma gli è inutile, si vada più oltre».
-
-Montarono a cavallo ed arrivarono ad Abbeville.
-
-Ivi si fermarono assai perplessi a motivo della grande quantità di
-alberghi; a tutti non si poteva andare, e come indovinare in quale
-fossero stati alloggiati coloro che si cercavano?
-
-«Date retta a me, Athos, suggerì Aramis, non pensiamo a trovar nulla in
-Abbeville. Se noi siamo nell’imbarazzo, vi sono stati anche i nostri
-amici. Se fosse stato solo Porthos, sarebbe ito ad alloggiare nella
-più magnifica locanda, e noi facendocela indicare saremmo sicuri di
-rinvenire le traccie del suo passaggio; ma d’Artagnan non ha tali
-debolezze: invano Porthos gli avrà fatto osservare che moriva di fame,
-egli avrà proseguito il cammino, inesorabile quanto il destino, e noi
-dobbiamo ricercarlo altrove».
-
-Continuarono adunque il viaggio, ma nulla si presentò; era impresa
-delle più ardue, e specialmente fastidiosa, quella assuntasi da Athos
-ed Aramis, e senza il triplice movente dell’onore, dell’amicizia e
-della riconoscenza, fisso nell’animo loro, essi avrebbero rinunziato
-mille volte a frugare tra l’arena, a interrogare i viandanti, a
-commentare i segni, ad osservare i volti.
-
-Andarono così fino a Peronne.
-
-Athos principiava a disperare. Quest’uomo nobile e interessante, faceva
-a sè rimprovero dell’oscurità in che si trovavano egli ed Aramis: o
-non avevano cercato bene, o non avevano usata insistenza abbastanza
-nel domandare, o sufficiente accortezza nello investigare. Erano
-pronti a tornarsene indietro; ed ecco che traversando il sobborgo
-che guidava alle porte della città, sopra un muro bianco, formante
-l’angolo di una strada che girava attorno al bastione, venne fatto ad
-Athos di adocchiare un disegno eseguito con la pietra nera, il quale
-rappresentava con la semplicità delle prime prove di un fanciulletto
-che adopri la matita, due cavalieri correndo come frenetici, ed uno di
-questi tenendo in mano un cartellone ove era scritto in ispagnuolo:
-
- _Siamo seguitati._
-
-«Oh oh! disse Athos, questa è chiara: d’Artagnan, quantunque inseguito,
-si sarà fermato qua cinque minuti; d’altronde ciò prova che non era
-inseguito molto da vicino, e forse gli sarà riuscito di fuggire».
-
-Aramis tentennava il capo:
-
-«Se fosse fuggito, lo avremmo riveduto, o almeno inteso discorrere di
-lui.
-
-«Avete ragione, replicò Athos, continuiamo».
-
-Sarebbe impossibile esprimere l’inquietudine e l’impazienza dei due
-gentiluomini: l’inquietudine era pel cuore tenero ed amichevole di
-Athos, l’impazienza per la mente facile a sconcertarsi di Aramis.
-Sicchè entrambi galopparono per tre o quattro ore, tanto da frenetici
-quanto i due cavalieri dipinti sul muro. Ad un tratto, in una gola
-ristretta fra la scarpa di due muraglie, videro la strada mezzo chiusa
-da una pietra enorme; era accennato di questa il posto primitivo
-sur un lato della scarpa, e il vuoto che vi aveva lasciato mediante
-l’estrazione, provava che non poteva esser caduta di per sè sola,
-mentre il suo peso dimostrava che a farla muovere era abbisognato il
-braccio di un Encelado o di un Briareo.
-
-Aramis si ristette a guardare la pietra.
-
-«Oh! disse, qui v’è dell’Ajace di Telamone o del Porthos. Scendiamo,
-conte, e si esamini questo masso».
-
-Andarono tutti e due abbasso. La pietra era stata portata col
-chiarissimo scopo di chiudere la strada ai cavalieri; dunque era stata
-collocata da prima per traverso; poscia avendo incontrato in essa un
-ostacolo, erano smontati e l’avevano tolta dal posto.
-
-I due amici esaminarono il sasso da tutti i lati esposti alla luce;
-esso non offeriva niente di straordinario. Chiamarono Blaisois e
-Grimaud, e tutti e quattro insieme pervennero a rivoltare il masso: sul
-lato che toccava a terra era scritto:
-
- «C’inseguono otto cavalleggieri. Se arriviamo sino a Compiegne, ci
- tratterremo al _Pavone coronato_; l’oste è amico nostro».
-
-«Ecco qualcosa di positivo, disse Athos, ed in un caso o nell’altro
-sapremo come regolarci; andiamo al _Pavone_.
-
-«Sì, ribattè Aramis, ma se vogliamo giungere sin là, diamo un po’ di
-riposo ai nostri cavalli; in verità, sono quasi attrappati».
-
-Ed Aramis non diceva mica bugia. Si fermarono alla prima frasca; fecero
-inghiottire ad ogni palafreno doppia dose di avena bagnata nel vino;
-dettero a questi tre ore di quiete, e si avviarono da capo. Anche gli
-uomini erano oppressi da stanchezza, ma li reggeva la speranza.
-
-Sei ore dopo, Athos ed Aramis entravano in Compiegne, e ricercavano del
-_Pavone Coronato_. Fu loro additata un’insegna che rappresentava il dio
-Pane con una corona in testa[15].
-
-I due gentiluomini scesero di sella, senza punto por mente alla
-pretensione letteraria della mostra, che in tutt’altro tempo Aramis
-avrebbe criticata rigorosamente. Trovarono un locandiere bonaccio,
-calvo e panciuto come un idolo chinese, a cui domandarono se avesse
-dato alloggio per più o meno spazio di tempo a due gentiluomini
-inseguiti dai cavalleggieri. L’oste, senza rispondere, andò a pigliare
-da un baule una mezza lama di draghinassa, e disse:
-
-«Conoscete questa roba?»
-
-Athos non fece altro che dare un’occhiata alla lama.
-
-E disse:
-
-«È la spada di d’Artagnan.
-
-«Del grande o del piccolo? chiese il trattore.
-
-«Del piccolo.
-
-«Ora vedo che siete loro amico.
-
-«Ebbene! ad essi ch’è accaduto?
-
-«Che sono entrati nel mio cortile coi cavalli attrappati, e avanti che
-avessero tempo di richiudere il portone, sono capitati dopo di loro
-otto cavalleggieri che gl’inseguivano.
-
-«Otto! fece Aramis, ma mi maraviglio che d’Artagnan e Porthos, due
-prodi di quella fatta, si siano lasciati arrestare da otto uomini.
-
-«Certamente, mio signore, e coloro non vi sarebbero riusciti, se
-non avessero raccolto per la città una ventina di soldati del reale
-italiano in guarnigione in questa piazza, talmente che i vostri due
-amici sono stati, come si può dire alla lettera, oppressi dal numero.
-
-«Arrestati! fece Athos, e si sa egli perchè?
-
-«No signore; sono stati condotti via subito, e non hanno avuto campo a
-dirmi nulla; soltanto, quando sono partiti, io ho trovato questo pezzo
-di spada sul campo di battaglia nell’ajutare a levar di terra due morti
-e cinque o sei feriti.
-
-«E a loro, domandò Aramis, non è avvenuto niente?
-
-«No, non crederei.
-
-«Orsù! è sempre una consolazione, seguitò Aramis.
-
-«E sapete dove siano stati condotti? chiese Athos.
-
-«Dalla parte di Louvres.
-
-«Lasciamo qui Blaisois e Grimaud, propose Athos, torneranno domani
-a Parigi coi cavalli che oggi ci lascerebbero a mezza via, e noi
-prendiamo la posta.
-
-«Prendiamo la posta», approvò Aramis.
-
-Si mandarono a cercare i cavalli. In quel frattempo i due amici
-pranzarono in fretta; volevano, qualora rinvenissero a Louvres qualche
-schiarimento, poter continuare il loro viaggio.
-
-Giunsero a Louvres. Non v’era un albergo. Vi si beveva un liquore che
-ha conservato anche ai nostri giorni la sua riputazione, e che già vi
-si faceva in quell’epoca.
-
-«Smontiamo qui, disse Athos, d’Artagnan non avrà perduta questa
-occasione, non di bere un bicchierino, ma di prepararci qualche
-indizio».
-
-Entrarono in una bottega e chiesero due bicchierini di rosolio, sul
-banco, ritti, come dovevano aver fatto d’Artagnan e Porthos. Il banco
-era coperto da una piastra di stagno. Su questa era scritto con la
-punta di un grosso spillo:
-
- Rueil, D.
-
-«Sono a Rueil! esclamò Aramis, vista ch’ebbe l’iscrizione.
-
-«Andiamoci! disse Athos.
-
-«È quanto correre in bocca al lupo.
-
-«Se fossi stato amico di Giona, come lo sono di d’Artagnan, rispose
-Athos, sarei ito con lui anco nel ventre della balena; e voi, Aramis,
-fareste lo stesso.
-
-«In coscienza, caro conte, credo che mi supponiate migliore di quel
-ch’io sono. Se fossi solo, non so se andrei così a Rueil senza grandi
-precauzioni; ma con voi ci vado».
-
-Ed ambedue partirono insieme.
-
-Athos, senza immaginarselo, aveva dato ad Aramis il miglior consiglio
-possibile. I deputati del Parlamento erano appena giunti a Rueil per
-le famose conferenze che dovevano durare tre settimane e portare
-a quella pace zoppa, in seguito della quale il signor Principe fu
-arrestato. Rueil trovavasi piena per parte de’ Parigini, di avvocati,
-presidenti, consiglieri, togati d’ogni sorta; e per parte della
-corte, di gentiluomini, uffiziali e guardie: quindi era facile fra
-tanta confusione restare incogniti quanto si bramasse. D’altronde le
-conferenze avevano recata una tregua, ed arrestare in quel momento due
-gentiluomini, ancorchè addetti alla _Fronda_, era portare offesa al
-diritto delle genti.
-
-I due amici credevano che tutti fossero occupati dal pensiero che
-tormentava loro. Si mischiarono fra le comitive ed i capannelli, nella
-speranza di sentir dire qualche cosa di d’Artagnan e di Porthos, ma
-ciascuno discorreva soltanto di articoli e _ammendamenti_.
-
-Athos opinava di andare direttamente dal ministro.
-
-«Mio caro, obbiettò Aramis, voi dite benissimo, ma badate! la nostra
-sicurezza proviene dalla nostra oscurità. Se ci facciamo conoscere in
-un modo o nell’altro, andremo immediatamente a raggiungere i nostri
-amici in qualche carbonaja, d’onde non ci caverà nè anche il diavolo.
-Procuriamo di non ritrovarli per combinazione, ma bensì a volontà
-nostra. Arrestati a Compiegne, sono stati condotti a Rueil, conforme
-ce ne siamo accertati a Louvres; condotti a Rueil sono stati esaminati
-dal ministro, che dopo l’interrogatorio li ha ritenuti presso di sè
-o mandati a San Germano. Alla Bastiglia essi non sono positivamente,
-poichè la Bastiglia è dei _frondisti_, e vi comanda il figlio di
-Broussel; non sono morti, perchè la morte di d’Artagnan farebbe
-strepito. Porthos, io lo credo eterno. Non disperiamo, aspettiamo e
-rimaniamo a Rueil, mentre io sono convinto che vi siano. Ma che avete,
-impallidite?
-
-«Ho, rispose Athos, e gli tremava la voce, che mi ricordo che nel
-castello di Rueil il signor Richelieu aveva fatto fabbricare una famosa
-prigione perpetua!...
-
-«Ah! state quieto, disse Aramis, il signor di Richelieu era un
-gentiluomo uguale a tutti noi per nascita e superiore per situazione;
-poteva, come un re, toccare i più grandi di noi sulla testa, e
-toccandoci farci vacillare la testa sulle spalle. Ma il signor di
-Mazzarino è un birbante, che può tutto al più pigliarci per il collo
-alla guisa di un birro. State tranquillo, amico mio; io insisto a
-sostenere che d’Artagnan e Porthos sono a Rueil vivi vivissimi.
-
-«Non serve! replicò Athos, ci sarebbe necessario ottenere dal
-Coadjutore di prender parte alle conferenze, e così entreremmo in
-Rueil.
-
-«Con tutti quei brutti togati! Vi pare, mio caro? e vi pensate che
-vi si discuta nemmeno su la libertà o la prigionia di d’Artagnan e
-Porthos? No, io sono di sentimento che cerchiamo qualche altro mezzo.
-
-«Ebbene! riprese Athos, io ritorno al mio primo pensiero; non conosco
-miglior mezzo che operare franco e lealmente. Andrò a trovare, non
-Mazzarino, ma la regina, e le dirò: Signora, restituiteci i vostri due
-servi, nostri amici!»
-
-Aramis scosse il capo e rispose:
-
-«È l’ultima risorsa, di cui sarete sempre in facoltà di far uso;
-ma date retta a me; non ve ne prevalete se non agli estremi; sarà
-sempre tempo di ridurci a quel punto. Intanto si proseguano le nostre
-indagini».
-
-E le continuarono e pigliarono tante informazioni, e con mille
-ingegnosi pretesti fecero parlare tante persone, che terminarono col
-trovare uno dei cavalleggieri, il quale confessò loro essere stato
-della scorta che aveva condotti d’Artagnan e Porthos da Compiegne
-a Rueil. Senza i cavalleggieri neppure si sarebbe saputo ch’erano
-entrati.
-
-Athos tornava in sempiterno alla sua idea di vedere la regina.
-
-«Per veder la regina, diceva Aramis, bisogna vedere il ministro, ed
-appena avrem veduto il ministro, ricordatevi di quel che vi dico,
-saremo riuniti ai nostri amici, ma non nel modo che intendiamo noi. E
-quel modo, ve lo dichiaro, mi va poco a genio. Si operi in libertà per
-operare bene e presto.
-
-«Voglio parlare alla regina, ripetè Athos.
-
-«Ebbene! se siete deciso a far questa pazzia, avvertitemi un giorno
-innanzi, ve ne prego.
-
-«E perchè?
-
-«Perchè profitterò della circostanza per andare a fare una visita a
-Parigi.
-
-«A chi?
-
-«E che so io? forse anche a madama di Longueville. Essa è colà
-onnipotente e mi ajuterà. Soltanto fatemi avvisare da qualcuno se siete
-arrestato, in tal caso io mi rigirerò alla meglio.
-
-«Perchè non vi arrischiate meco all’arresto, Aramis?
-
-«No, grazie!
-
-«Arrestati in quattro e riuniti, credo che nulla più avventuriamo. A
-capo a ventiquattro ore siamo tutti fuori.
-
-«Mio caro, dacchè ho ucciso Chatillon, l’idolo delle dame di S.
-Germano, ho troppo splendore attorno per non temere doppiamente la
-prigione. La regina sarebbe capace di seguitare i consigli di Mazzarino
-in quest’occasione, ed il consiglio ch’ei le darebbe sarebbe di
-mettermi sotto processo.
-
-«Ma vi pensate, Aramis, ch’ella ami quell’italiano a tal segno come
-tutti dicono?
-
-«Amava pure un inglese!
-
-«Eh amico mio! è donna!
-
-«No, Athos, è regina!
-
-«Basta! io mi sacrifico, e vo a chiedere udienza ad Anna.
-
-«Addio, Athos, io vado a mettere su una armata.
-
-«Per che fare?
-
-«Per ritornare ad assediar Rueil.
-
-«Dove ci ritroveremo?
-
-«Appiè della forca del ministro».
-
-I due amici si separarono, Aramis per trasferirsi di nuovo a Parigi,
-Athos per aprirsi mediante qualche tentativo preparatorio la via sino
-presso alla regina.
-
-
-
-
-LXXXIV.
-
-_La riconoscenza della regina Anna._
-
-
-Athos incontrò minor difficoltà che non si credesse a penetrare presso
-ad Anna; anzi, al primo passo tentato tutto riuscì semplicissimo,
-e l’udienza che bramava gli fu accordata per l’indomani dopo il
-ricevimento della mattina a cui gli dava diritto di assistere la sua
-nascita.
-
-Riempieva gli appartamenti di San Germano grandissima moltitudine: Anna
-non aveva mai avuto al Louvre, o al Palazzo Reale, un maggior numero
-di cortigiani. Soltanto erasi fatto un movimento tra quella folla che
-apparteneva alla nobiltà secondaria, mentre tutti i primi gentiluomini
-di Francia stavano attorno al signor di Conti, al signor di Beaufort ed
-al Coadjutore.
-
-Del resto regnava un gran brio in quella corte. Il carattere
-particolare di quella guerra si fu che v’ebbero più strofette composte
-che cannonate tirate. La corte metteva in canzone i Parigini, i quali
-mettevano lei pure in canzone, e le ferite, sebbene non mortali, erano
-assai dolorose, fatte come erano con l’arme del ridicolo.
-
-Però, in mezzo alla generale ilarità ed alla frivolezza apparente,
-tra tutti quei pensieri esisteva una seria preoccupazione. Mazzarino
-rimarrebbe poi ministro o favorito, oppure Mazzarino venuto dal
-mezzogiorno come un nuvolo, se ne andrebbe trasportato dal vento che
-portato lo aveva? Ognuno lo sperava, ognuno lo desiderava, talmente
-che il ministro sentiva che tutti gli omaggi, tutte le lusinghe
-cortigianesche ricoprivano una gran dose di odio mal celata sotto il
-timore e l’interesse; ei si trovava imbarazzato, senza sapere su chi
-far conto nè su chi appoggiarsi.
-
-Il signor Principe stesso che combatteva per lui non si lasciava
-mai fuggire un’occasione o di schernirlo o di umiliarlo; ed avendo
-voluto Mazzarino per due o tre volte davanti al vincitore di Rocroy
-esternare qualche sua volontà imperiosa, questi lo aveva guardato in
-maniera da dargli a comprendere che se lo difendeva ciò non era già per
-convinzione nè per entusiasmo.
-
-Allora il ministro si rivolgeva verso la regina, unico suo sostegno; ma
-due o tre volte gli era sembrato sentirsi vacillare quel sostegno sotto
-la mano.
-
-Arrivata l’ora dell’udienza fu annunziato al conte di la Fère che
-questa avrebbe luogo, ma gli conveniva attendere alquanto, avendo la
-sovrana da tener consiglio col ministro.
-
-E ciò era vero. Parigi aveva mandata appunto una nuova deputazione, la
-quale doveva procurare di dar finalmente un certo giro agli affari,
-ed Anna si consultava con Mazzarino sulla accoglienza da farsi ai
-deputati.
-
-Grande occupazione di mente avevano tutti gli alti personaggi dello
-Stato. Athos non poteva quindi scegliere peggior momento per parlare
-de’ suoi amici, poveri atomi perduti in quel turbine scatenatosi.
-
-Athos però era un uomo inflessibile, che non si ritraeva da una
-decisione presa allorchè questa gli pareva emanata dalla sua coscienza
-e dettata dal suo dovere. Insistè onde essere introdotto, dicendo
-che quantunque non fosse deputato, nè di Conti, nè di Beaufort, nè
-di Bouillon, nè di d’Elboeuf, nè del Coadjutore, nè di madama di
-Longueville, nè del signor Broussel, nè del Parlamento, e venisse per
-suo proprio conto, aveva pur non ostante le cose più importanti da dire
-a Sua Maestà.
-
-Finita la conferenza, la regina lo fece chiamare nel suo gabinetto.
-
-Athos fu introdotto e diede il suo nome. Era un nome che troppe volte
-aveva risuonato alle orecchie di Sua Maestà, ed anche nel suo cuore,
-perchè ella non lo riconoscesse; bensì essa rimase impassibile,
-contentandosi di guardare il gentiluomo in quel modo fisso, che non è
-lecito se non se alle donne regine o per bellezza o per rango.
-
-«Sicchè vi offrite a renderci un servigio, conte, domandò Anna dopo
-breve silenzio.
-
-«Sì signora, un altro servigio», rispose Athos un poco urtato che la
-sovrana non mostrasse ricordarsi di lui.
-
-Athos aveva un cuor grande, e quindi era un meschino cortigiano.
-
-La regina inarcò le ciglia. Mazzarino che, seduto davanti a un tavolino
-sfogliava alcune carte come avrebbe potuto fare un semplice segretario
-di Stato, alzò il capo.
-
-«Parlate», disse Anna.
-
-Mazzarino si rimise a scartabellare i fogli.
-
-«Signora, rispose Athos, due amici nostri, due dei più intrepidi
-servi di Vostra Maestà, i signori d’Artagnan e du Vallon, mandati in
-Inghilterra dal signor ministro, sono spariti tutto ad un tratto nel
-punto in cui ponevano il piede sul suolo di Francia, nè si sa che sia
-di loro.
-
-«Ebbene?
-
-«Ebbene; io mi rivolgo alla benevoglienza di Vostra Maestà per sapere
-che sia, dei due gentiluomini, riservandomi, ove poi faccia d’uopo, di
-ricorrere alla di lei giustizia.
-
-«Signore, disse Anna con quell’alterezza che dirimpetto a certi uomini
-diventava impertinenza, e per questo ci disturbate fra i gravi pensieri
-che ci agitano? per un affare di polizia! Eh! vi è noto, o noto vi
-dev’essere, che non abbiamo più polizia dacchè non siamo più a Parigi.
-
-«Io credo, replicò Athos inchinandosi rispettosamente, che Vostra
-Maestà non avrebbe bisogno di informarsi dalla polizia per conoscere
-ciò che sia stato di d’Artagnan e du Vallon; e che se si compiacesse
-interrogare il signor ministro, esso potrebbe risponderle su tal
-proposito senza consultare altro che le proprie rimembranze.
-
-«Ma Dio mi perdoni! disse Anna con quello sdegnoso moto delle labbra
-che era a lei particolare, mi pare che interroghiate voi stesso!
-
-«Sì signora, e quasi ne ho diritto, poichè si tratta di d’Artagnan; di
-d’Artagnan, m’intendete?»
-
-E ciò proferiva Athos in tal guisa da curvare sotto le ricordanze della
-donna la fronte della regina.
-
-Mazzarino capì esser tempo di ajutare la sovrana.
-
-«Signor conte, egli disse, consentirò io a parteciparvi una cosa
-ignota a Sua Maestà, cioè quel che fu fatto dei due gentiluomini. Hanno
-disobbedito, e sono in arresto.
-
-«Supplico adunque la Maestà Vostra, soggiunse Athos sempre impassibile
-e senza replicare a Mazzarino, di sciogliere l’arresto dei signori
-d’Artagnan e du Vallon.
-
-«Quel che mi domandate è affare di disciplina, e non si spetta a me,
-fece la regina.
-
-«Non rispose mai così d’Artagnan quando si trattò di servire Vostra
-Maestà».
-
-E Athos avendo dette queste parole, salutò sostenuto, e mosse due passi
-indietro per avvicinarsi alla porta.
-
-Mazzarino lo trattenne.
-
-«Venite anche voi d’Inghilterra, signor mio, gli disse facendo un cenno
-ad Anna, la quale impallidiva e si accingeva a dare un ordine rigoroso.
-
-«Ed ho assistito agli ultimi momenti del re Carlo I, ribattè
-Athos; povero re! colpevole tutto al più di debolezza, e punito ben
-severamente dai suoi sudditi, giacchè ormai sono fiacchi i troni, e
-punto non giova ai cuori zelanti il servire agl’interessi dei principi.
-Era la seconda volta che d’Artagnan si recava in Inghilterra: la prima
-fu per l’onore di una grande regina; l’ultima per la vita di un gran
-re.
-
-«Signore, così parlò Anna a Mazzarino con un accento da cui tutta
-la sua abitudine a dissimulare non aveva potuto sbandire la vera
-espressione; vedete se si potesse far nulla per i due gentiluomini.
-
-«Farò tutto quanto piaccia a Vostra Maestà, rispose il ministro.
-
-«Fate quel che richiede il signor conte di la Fére.... non vi chiamate
-così, signore?
-
-«Ho anche un altro nome: mi chiamo Athos.
-
-«Maestà, fece Mazzarino con un sorriso che dimostrava con qual facilità
-comprendeva da una mezza parola, potete star quieta, saranno adempiti i
-vostri desiderj.
-
-«Avete inteso, signore? disse la regina.
-
-«Sì, e non mi aspettavo di meno dalla giustizia di Vostra Maestà....
-Sicchè rivedrò tosto i miei amici, non è vero? è questo quel che
-intende Vostra Maestà?
-
-«Li rivedrete, sì.... Ma a proposito, siete della _Fronda_, voi?
-
-«Signora, servo il re.
-
-«Sì, a modo vostro.
-
-«Il mio modo è quello di tutti i veri gentiluomini, ed io non ne
-conosco due, proferì Athos alteramente.
-
-«Andate, replicò la sovrana licenziandolo con un gesto; avete ottenuto
-ciò che bramavate, e noi sappiamo quel che desideravamo di sapere».
-
-E quando Athos fu partito e calata la portiera, si volse così a
-Mazzarino:
-
-«Fate arrestare quell’insolente gentiluomo innanzi ch’esca dal cortile.
-
-«Ci avevo pensato, fece Mazzarino, e mi è grato che Vostra Maestà mi
-dia un ordine ch’ero appunto per richiederle. Questi smargiassi che
-portano nell’epoca nostra le tradizioni dell’altro regno ci danno sommo
-impaccio, e poichè ve ne sono digià due presi, aggiungiamoci il terzo».
-
-Athos non si era lasciato totalmente illudere dalla sovrana. Nella
-di lei pronunzia esisteva qualche cosa che gli aveva prodotta molta
-impressione, e che gli sembrava minacciasse mentre prometteva. Ma
-egli non era uomo da allontanarsi per un mero sospetto, ed in ispecie
-quando gli si era detto chiaro che in breve rivedrebbe gli amici. E
-perciò attese in una delle stanze attigue al gabinetto dove aveva avuto
-udienza che si conducessero a lui d’Artagnan e Porthos, o si venisse a
-prenderlo per guidarlo da loro.
-
-In tale aspettativa si era accostato alla finestra, e macchinalmente
-guardava nel cortile. Vide entrarvi la deputazione dei Parigini, che
-veniva a regolare il luogo definitivo delle conferenze e a riverire la
-regina. V’erano consiglieri al Parlamento, presidenti, avvocati, fra i
-quali tratto tratto qualche uomo d’arme. Li attendeva fuor dei cancelli
-una scorta imponente.
-
-Athos osservava con maggiore attenzione, imperocchè fra mezzo alla
-moltitudine gli era sembrato di ravvisare qualcuno; ed eccolo sentirsi
-a toccar lieve lieve la spalla.
-
-Si volse e disse:
-
-«Ah, signor di Comminges!
-
-«Sì, signor conte, son io, e incaricato di un’incombenza per la quale
-vi prego di accettare le mie scuse.
-
-«E quale?
-
-«Conte, favorite consegnarmi la vostra spada».
-
-Athos sorrise.
-
-Aperse la finestra e gridò:
-
-«Aramis!»
-
-Si girò un gentiluomo; era quello che ad Athos era sembrato di
-ravvisare. Salutò il conte amichevolmente.
-
-«Aramis! disse Athos, sono arrestato.
-
-«Bene, rispose con flemma Aramis.
-
-«Signore, seguitò Athos presentando civilmente il suo brando a
-Comminges, ecco la mia spada: piacciavi custodirla bene onde rendermela
-quando uscirò di prigione. Mi preme assai: fu data dal re Francesco
-I al mio avolo. Nel tempo suo si armavano i gentiluomini, non si
-disarmavano. Ed ora dove mi guidate?
-
-«Prima di tutto nella mia camera, fece Comminges, dipoi la regina
-fisserà il luogo dell’ulteriore vostro domicilio».
-
-Athos andò appresso a Comminges senza aggiungere parola.
-
-
-
-
-LXXXV.
-
-_Regia autorità di Mazzarino._
-
-
-L’arresto di Athos non aveva fatto strepito, non cagionata pubblicità,
-ed anche era restato quasi ignoto. Così non aveva in verun modo
-incagliato il corso degli avvenimenti, e la deputazione mandata dalla
-città di Parigi fu avvertita solennemente che tosto comparirebbe
-davanti alla sovrana.
-
-E la regina la ricevè, tacita e superba al suo solito; ascoltò le
-lagnanze e le suppliche dei deputati, ma quando essi ebbero terminati i
-loro discorsi, nessuno avrebbe potuto asserire ch’essa li avesse uditi,
-tanto si manteneva al sembiante indifferente.
-
-In compenso di ciò, Mazzarino, presente all’udienza, capiva ottimamente
-ciò che da loro chiedevasi: ed era la dimissione, il licenziamento di
-lui in termini chiari e precisi, puramente e semplicemente.
-
-Ed ultimati i discorsi, e la sovrana mantenendosi mutola, Mazzarino
-disse:
-
-«Signori, mi unirò a voi per pregare la regina di porre un termine ai
-mali de’ suoi sudditi. Io ho fatto quanto ho potuto onde mitigarli,
-eppure è pubblica credenza, secondo voi dite, che quelli provengano
-da me, povero straniero a cui non è riuscito di dar nel genio ai
-Francesi! Ahimè! non sono stato compreso, ed era naturale: succedevo
-all’uomo il più sublime che ancora avesse sostenuto lo scettro dei
-re di Francia. Le ricordanze del signor di Richelieu mi annientano.
-Invano contrasterei con esse qualora fossi ambizioso; ma tale non
-sono e voglio darne una prova. Mi do per vinto; farò ciò che chiede il
-popolo. Se i Parigini hanno qualche torto, e chi v’è che non ne abbia?
-Parigi è punita abbastanza; è stato sparso sangue assai, miseria assai
-opprime una città privata del suo re e della giustizia. Non tocca a me,
-semplice particolare, lo assumere tanta importanza da metter divisioni
-fra una regina e il suo reame. Poichè esigete ch’io mi ritiri, or bene,
-mi ritirerò.
-
-«Allora, disse Aramis all’orecchio al suo vicino, la pace è fatta e le
-conferenze sono inutili. Non v’è altro che mandare sotto buona guardia
-il signor Mazzarino alla frontiera più lontana, e sorvegliare acciò non
-ritorni dentro nè da quella nè da altre.
-
-«Un momento, un momento! fece il togato al quale si era rivolto Aramis.
-Capperi! come fate alla lesta! si vede che voi altri siete uomini
-d’armi. V’è da mettere in pulito il capitolo delle ricompense e delle
-indennizzazioni.
-
-«Signor cancelliere, disse la regina a quello stesso Seguier nostro
-vecchio conoscente, voi aprirete le conferenze; queste avranno luogo
-a Rueil. Il signor ministro ha dette cose che mi hanno commossa
-moltissimo. Ecco perchè non vi rispondo più a lungo. Per quel che sia
-di rimanere o partirsi, io ho troppa gratitudine pel ministro per non
-lasciarlo su qualunque punto libero della sua volontà. Farà quel che
-gli piaccia».
-
-Un momentaneo pallore tinse l’accorta faccia del primo ministro. Egli
-guatò inquieto la regina. Ma la di lei faccia era tanto impassibile
-ch’ei non poteva meglio degli altri discernervi i sensi che le si
-racchiudevano in petto.
-
-«Ma, seguitò Anna, signor di Mazzarino, mentre si attende la decisione,
-di grazia non si ragioni che del re».
-
-I deputati, fatto un inchino, se ne andarono.
-
-«E che! disse la sovrana quando tutti si furono tolti dalla stanza,
-cedereste a quei togati, a quegli avvocati?
-
-«Per il bene di Vostra Maestà, rispose Mazzarino fissandola in viso
-attentissimo, non v’è sacrifizio ch’io non sia pronto ad impormi».
-
-Anna abbassò la testa, e cadde in una di quelle meditazioni che le
-erano tanto usuali. Le tornò in mente la ricordanza di Athos. Lo ardito
-contegno del gentiluomo, la favella ferma e insieme dignitosa, le larve
-che aveva invocate in una sola parola, le riproducevano allo spirito
-un passato ricolmo di deliziosa poesia; la giovinezza, la beltà,
-la vivacità degli amori di venti anni e i fieri contrasti de’ suoi
-sostegni, e la sanguinosa fine di Buckingham, l’unico uomo che mai ella
-avesse realmente amato, e l’eroismo degli oscuri suoi difensori che
-salvata l’avevano dal duplice odio di Richelieu e del re.
-
-Mazzarino la guardava, ed ormai ch’ella si credeva sola e non aveva
-più una folla di nemici intenta ad osservarla, ei seguitava ogni suo
-pensamento sul suo volto, siccome veggonsi nei laghi trasparenti a
-passare i nuvoli, riflessi del cielo ugualmente che i pensieri.
-
-«Sicchè, borbottava Anna, bisognerebbe cedere alla procella, comprar la
-pace, ed attendere con pazienza e religiosamente migliori tempi?»
-
-Mazzarino sorrise amaramente a questa frase, che annunziava aver ella
-presa sul serio la proposta del ministro.
-
-Anna teneva china la testa e non vide il sorriso; però dacchè non si
-dava replica alla sua domanda, alzò la fronte e soggiunse:
-
-«Ebbene, non mi rispondete; che idea è la vostra?
-
-«La mia idea, signora, si è che l’insolente gentiluomo che abbiam
-fatto arrestare da Comminges alludeva a Buckingham, cui lasciaste
-assassinare, alla Chevreuse cui lasciaste esiliare, a Beaufort cui
-faceste imprigionare; ma se alludeva a me, è perchè non sa ciò ch’io
-sono per voi».
-
-Anna si scosse conforme soleva ogni qualvolta alcuno la batteva nel suo
-orgoglio; arrossì, e per non rispondere, si cacciò le unghie appuntate
-nelle bellissime mani.
-
-«È uomo di buon consiglio, d’onore e di spirito, senza contare ch’è
-anche risoluto. Maestà, voi lo sapete, non è così? Io dunque voglio
-dirgli, e in ciò gli fo particolarmente una grazia, in qual punto
-l’abbia sbagliata a riguardo mio: ed è che veramente quella che mi vien
-proposta è quasi un’abdicazione, ed un’abdicazione merita che vi si
-rifletta.
-
-«Abdicazione! disse la regina, io mi credeva, signor mio, che i re
-soltanto abdicassero.
-
-«Ebbene! e non son io quasi re, e re di Francia? Vi assicuro, signora,
-che di notte la mia zimarra da ministro appiè di un regio letto
-somiglia molto al manto di un re».
-
-Era questa una di quelle umiliazioni che Mazzarino faceva subire ad
-Anna assai sovente, ed alle quali essa curvava il capo. Non vi furono
-altre che Elisabetta e Caterina II, che restassero ad un tempo amanti e
-regine pei loro amatori.
-
-Anna adunque considerò con una specie di terrore la fisonomia
-minacciosa del ministro, che in tai momenti non era mancante di una
-certa grandiosità.
-
-«Signore, ella replicò, non dissi io, e voi non udiste che io diceva a
-coloro, che voi fareste ciò che vi piacerebbe?
-
-«In questo caso, mi pare che deve piacermi di restare: in ciò v’ha non
-solo il vostro interesse, ma oso asserire anche la vostra salvezza.
-
-«Dunque restate, io non bramo altro; allora però, non mi lasciate
-insultare.
-
-«Volete parlare delle pretensioni dei rivoltosi e del tuono con cui le
-esprimono? pazienza! Hanno scelto un terreno sul quale io sono generale
-più abile di loro, quello delle conferenze. Basterà a noi temporeggiare
-per vincerli. Hanno digià fame, e peggio sarà fra otto giorni.
-
-«Eh mio Dio, lo so bene che finiremo così; ma non si tratta unicamente
-di loro; non sono essi che mi dirigono le ingiurie per me più
-offensive.
-
-»Ah! vi capisco; voi intendete accennare alle reminiscenze che vanno
-eternamente richiamando quei tre o quattro gentiluomini. Noi per altro
-li abbiamo prigionieri, e sono per l’appunto abbastanza rei perchè li
-lasciamo detenuti quanto tempo ci convenga. Uno solo è ancora fuori del
-nostro potere, e ci schernisce: ma che diavolo! arriveremo ad unirlo
-a’ suoi compagni. Mi sembra che abbiamo fatte cose ben più difficili.
-Prima di tutto, per precauzione, io ho fatto rinchiudere a Rueil, cioè
-vicino a me, sotto a’ miei occhi, a portata della mia mano i due più
-intrattabili. Ed oggi subito ve li raggiungerà il terzo.
-
-«Finchè saranno prigionieri, disse Anna, andrà benissimo, ma un giorno
-usciranno.
-
-«Sì, qualora la Maestà Vostra li ponga in libertà.
-
-«Ah! continuò Anna rispondendo al proprio pensiero, qui si ha rammarico
-di non essere a Parigi!
-
-«E perchè?
-
-«Per la Bastiglia, eh! è tanto forte e segreta.
-
-«Signora, con le conferenze abbiamo la pace, con la pace abbiamo
-Parigi, con Parigi abbiamo la Bastiglia! e i quattro gradassi vi
-marciranno».
-
-La regina aggrottò alquanto le ciglia, mentre Mazzarino le baciava la
-mano per prendere da lei commiato.
-
-Il ministro uscì dopo questo atto mezzo umile e mezzo galante. Anna
-lo seguitò cogli occhi, ed a misura ch’egli si allontanava si scorgeva
-apparirle sul labbro un sorriso sdegnoso.
-
-«Ho disprezzato, mormorò essa, l’amore di un ministro che non diceva
-mai — farò — ma bensì — ho fatto —. Quegli conosceva ricoveri più
-sicuri che Rueil, più oscuri e silenziosi ancora che la Bastiglia....
-Oh, come degenera il mondo!...»
-
-
-
-
-LXXXVI.
-
-_Precauzioni._
-
-
-Mazzarino, lasciata ch’ebbe la regina, si avviò a Rueil dov’era la sua
-casa. Egli andava accompagnato, in quei tempi di turbolenze, e spesso
-pure travestito. In abito da uomo da spada, noi già lo dicemmo, egli
-era un bel gentiluomo.
-
-Nel cortile del vecchio castello salì in carrozza, e prese lungo
-la Senna a Chatou. Il signor Principe gli aveva forniti cinquanta
-cavalleggieri di scorta, non tanto per fargli guardia, come per
-mostrare ai deputati quanto i generali della regina facilmente
-disponevano delle lor truppe, e potevano spargerle qua e là a loro
-capriccio.
-
-Athos, guardato a vista da Comminges, a cavallo e senza spada, seguiva
-il ministro senza dir parola. Grimaud, lasciato dal padrone alla
-porta del castello, aveva udito la nuova del suo arresto, quando Athos
-l’aveva detta forte ad Aramis, e dietro a un cenno del conte era ito,
-non proferendo un accento, a situarsi accanto ad Aramis quasi nulla
-fosse accaduto.
-
-Vero si è che Grimaud da ventidue anni che serviva Athos, aveva veduto
-questo cavarsi fuori da tante avventure, che di nulla si prendeva più
-pensiero.
-
-I deputati, subito dopo la loro udienza, si erano nuovamente avviati
-verso Parigi, il che è quanto dire che precedevano il ministro di un
-cinquecento passi. Sicchè Athos poteva, guardandosi innanzi, veder di
-schiena Aramis, di cui il cinturino indorato e il superbo portamento
-richiamavano la sua attenzione in fra quella moltitudine al pari che
-la lusinga di liberazione che in lui avevano riposta l’abitudine, la
-frequentazione, e la specie di attrazioni risultanti, da qualunque
-amicizia.
-
-Per lo contrario, Aramis non mostrava punto curarsi di essere o no
-seguitato da Athos. Si girò una volta sola: vero egli è che ciò fu
-all’arrivare al castello. Supponeva che Mazzarino lascierebbe forse là
-il suo nuovo prigioniero nel piccolo forte, posto che faceva guardia
-al ponte e governato da un capitano per la regina. Ma non fu così, ed
-Athos passò Chatou egualmente che il ministro.
-
-Sulla crocevia della strada che va da Parigi a Rudi, Aramis si volse
-indietro. Questa volta le sue previsioni non lo avevano ingannato:
-Mazzarino pigliò a man destra, onde Aramis potè distinguere il
-prigioniero sparire a tergo gli alberi. Nel medesimo istante,
-Athos, mosso dallo stesso pensiero, girò pure il capo. I due amici
-ricambiarono fra di loro un semplice cenno della testa, ed Aramis si
-portò il dito al cappello come per salutare. Athos solo comprese che
-l’amico gli accennava qualmente aveva un’idea.
-
-Dopo dieci minuti Mazzarino col suo sèguito entrava nel cortile del
-castello che il ministro suo predecessore avevagli fatto apparecchiare
-a Rueil.
-
-Nel momento in cui poneva piede a terra in fondo alla gradinata, gli si
-appressò Comminges domandando:
-
-«Monsignore, dove piacerebbe a Vostra Eccellenza che dessimo alloggio
-al signor di la Fère?
-
-«Nel padiglione degli agrumi, dirimpetto a quello dov’è il posto di
-guardia. Voglio che gli si faccia ogni onore, benchè sia prigioniero di
-Sua Maestà.
-
-«Monsignore, azzardò Comminges, e’ chiede l’onore di esser condotto
-vicino al signor d’Artagnan, che secondo ordinò Vostra Eccellenza,
-occupa il padiglione da caccia rimpetto a quel degli agrumi».
-
-Mazzarino riflettè alquanto.
-
-Comminges si accorse che titubava, e soggiunse:
-
-«È un posto assai forte; quaranta uomini sicuri, soldati esperimentati,
-quasi tutti Tedeschi, e in conseguenza non aventi relazione veruna coi
-Frondisti nè interesse nella _Fronda_.
-
-«Signor di Comminges, disse Mazzarino, se mettessimo quei tre soggetti
-insieme ci toccherebbe raddoppiare il corpo di guardia, e non siamo
-tanto ricchi in materia di difensori per esser così prodighi».
-
-Comminges sorrise. Mazzarino osservò il sorriso e lo capì.
-
-«Voi non li conoscete, signor di Comminges, ma io sì, prima per loro
-stessi e poi per tradizione. Li avevo incaricati di recar soccorso al
-re Carlo, e fecero cose miracolose; bisognò che così volesse il destino
-perchè quel caro re Carlo non sia a quest’ora in sicuro fra noi.
-
-«Ma se hanno servita bene Vostra Eccellenza, perchè dunque li tiene
-ella in carcere?
-
-«In carcere! e da quando in qua Rueil è un carcere?
-
-«Dacchè vi sono dei prigionieri, rispose Comminges.
-
-«Quei signori non sono miei prigionieri, replicò Mazzarino col suo
-sogghigno malizioso, sono ospiti miei, ospiti tanto preziosi che ho
-fatto mettere le inferriate alle finestre e i catenacci alle porte
-dei loro appartamenti, tale è il timore che ho che si stanchino di
-tenermi compagnia! Ma fatto sta che per quanto a prima vista sembrino
-prigionieri, io li stimo moltissimo, e la prova ne sia che bramo fare
-una visita al signor di la Fère per conversar seco a tu per tu. E
-perchè nessuno ci disturbi dal colloquio, conducetelo come vi ho già
-detto nel padiglione degli agrumi. Voi sapete ch’è il luogo consueto
-delle mie passeggiate, e passeggiando entrerò da lui e discorreremo.
-Ancorchè si pretenda essere egli mio nemico, ho per esso della
-simpatia, e se è ragionevole faremo forse qualche cosa».
-
-Comminges fece un inchino, e tornò da Athos, che attendeva con
-apparente calma, ma con reale inquietudine, l’esito della conferenza.
-
-«Ebbene? domandò questi al luogotenente delle guardie.
-
-«Signore, rispose Comminges, pare che sia impossibile.
-
-«Signor di Comminges, io sono stato soldato tutta la vita, e quindi so
-che cos’è la consegna, potreste rendermi un servigio.
-
-«Con tutto il cuore! dacchè so chi siete e quali servigi voi rendeste
-in addietro a Sua Maestà; dacchè so quanto vi interessi quel giovane
-che venne sì valorosamente in mio soccorso nel giorno dell’arresto di
-quel vecchiaccio di Broussel, mi dichiaro tutto vostro, salva però la
-consegna.
-
-«Mille grazie, ed io non desidero altro, e sto per chiedervi cosa che
-in nessun modo potrà compromettervi.
-
-«Ancorchè comprometta un pocolino, disse sorridendo Comminges,
-chiedetela pure; non sono molto più propenso di voi pel signor
-Mazzarino; servo la regina, il che naturalmente mi porta a servire il
-ministro, ma per quella agisco con piacere e per questo contro voglia.
-Dunque parlate, aspetto e vi ascolto.
-
-«Poichè non v’è inconveniente, fece Athos, ch’io sappia che d’Artagnan
-è qui, non ve ne sarà alcuno, mi suppongo, che a lui sia noto che ci
-sono ancor io?
-
-«Su di ciò non ho ricevuti ordini.
-
-«Or bene, favoritemi dunque di presentargli i miei distinti saluti ed
-avvisarlo che siamo vicini; nello stesso tempo gli annunzierete ciò
-che annunziavate a me poc’anzi, vale a dire che il signor di Mazzarino
-mi ha messo nel padiglione degli agrumi per poter farmi una visita, ed
-aggiungete che profitterò di quest’onore ch’ei vuole concedermi onde
-ottenere che sia resa più mite la nostra prigionia....
-
-«La quale non può durare, interruppe Comminges; il signor ministro me
-lo diceva testè; qui non v’è carcere.
-
-«Vi sono le _perpetue_, rispose sorridendo Athos.
-
-«Oh! codesto è tutt’altro. Sì, so che esistono certe tradizioni su tal
-proposito, ma un uomo di bassa nascita com’è il ministro, un Italiano
-venuto in Francia a cercare fortuna, non oserebbe portarsi a simili
-eccessi verso uomini della nostra fatta: sarebbe cosa enorme! Andava
-bene a tempo dell’altro ministro che era un gran signore; ma con messer
-Mazzarino, oibò! Le _perpetue_ sono vendette regie e non adattate per
-un villano par suo. Si sa il vostro arresto, presto si saprà quello dei
-vostri amici, e tutta la nobiltà di Francia gli domanderebbe ragione
-dell’essere voi spariti. No no, state quieto; da dieci anni in qua le
-carceri perpetue di Rueil sono novelle ad uso dei bambini. Su questo
-punto non abbiate il minimo pensiero. Io dal canto mio avvertirò il
-signor d’Artagnan del vostro arrivo. Chi sa che fra quindici giorni voi
-non facciate a me un favore del medesimo genere?
-
-«Io?
-
-«Sicuramente! non potrei essere poi io prigioniero del signor
-Coadjutore?
-
-«Siate persuaso che in tal caso mi sforzerei a giovarvi, disse Athos.
-
-«Mi farete l’onore di cenare con me, signor conte? disse Comminges.
-
-«Grazie, sono di umore pessimo, e vi farei passar la serata in
-malinconia! grazie mille!»
-
-Comminges guidò il conte in una stanza del terreno del padiglione
-che era in seguito a quello degli agrumi e a livello col medesimo. Al
-padiglione si giungeva da un cortile pieno di soldati e cortigiani. Il
-cortile a forma di ferro di cavallo, aveva nel centro gli appartamenti
-abitati da Mazzarino e a ciascuna delle ale il padiglione da caccia ove
-stava d’Artagnan, e quello degli agrumi in cui era entrato ultimamente
-Athos. Dietro l’estremità delle due ale il parco.
-
-Athos, arrivando nella camera assegnatagli, vide dalla finestra ben
-guarnita d’inferriate, e mura e tetti.
-
-«Che fabbricato è quello? richiese.
-
-«È il di dietro del padiglione da caccia ove son detenuti i vostri
-amici, disse Comminges. Disgraziatamente le finestre che danno da
-quel lato furono murate a tempo dell’altro ministro, perchè più volte
-i due fabbricati servirono di carcere, ed il signor di Mazzarino
-rinchiudendovi non fa se non renderle alla loro prima destinazione:
-se le finestre non fossero murate, avreste la consolazione di
-corrispondere per mezzo di cenni co’ vostri amici.
-
-«E siete certo, signor di Comminges, che il ministro mi onorerà di sua
-visita?
-
-«Almeno me lo ha assicurato».
-
-Athos sospirò guardando le grate.
-
-«Eh sì! fece Comminges, è vero, l’è quasi una prigione; nulla vi manca,
-neppure le spranghe.... Ma anche che singolare idea vi saltò in testa,
-a voi che siete un fior di nobiltà, di andare a guastare il vostro
-valore e la vostra lealtà fra tutti quei funghi della _Fronda_! In
-coscienza, conte, se mai avessi creduto di aver qualche amico nelle
-file dell’armata reale, avrei pensato a voi. Voi, frondista! il conte
-di la Fère, nel partito di un Broussel, di un Blancmesnil, di un Viole!
-
-«Mio caro, rispose Athos, affè, bisognava essere o Mazzarino o
-Frondista. Ho fatto suonare un pezzo alle mie orecchie questi due
-nomi, e mi sono determinato pel secondo: almeno gli è nome francese.
-E poi, io sono tale, non già con Broussel, Blancmesnil e Viole, ma col
-signor di Beaufort, col signor di Bouillon, col signor d’Elboeuf, con
-principi, e non mica con presidenti, consiglieri e togati. D’altronde,
-bel resultato a servire il signor ministro! Guardate quel muro senza
-finestre, e vi spiegherà a modo la riconoscenza mazzarinesca.
-
-«Sì, disse sorridendo Comminges, e me la spiegherà anco meglio
-se ripeto le maledizioni che da otto giorni manda a lui il signor
-d’Artagnan.
-
-«Povero d’Artagnan! sospirò Athos con quell’amabile malinconia ch’era
-una delle parti più distinte del suo carattere, un uomo sì prode, sì
-buono, sì terribile per coloro che non amano quei ch’egli ama! ah!
-signor di Comminges, avete due fieri prigionieri, e vi compiango se
-sono posti sotto la vostra responsabilità quei due uomini impossibili a
-domarsi!
-
-«Eh eh! disse Comminges, ma, signor mio, vorreste mettermi paura!
-Nel primo giorno di sua carcerazione il signor d’Artagnan provocò
-tutti i soldati e tutti i bassi ufficiali, senza dubbio affine di
-avere una spada; la faccenda durò all’indomani, e si estese per sino
-al posdomani; ma dappoi egli è diventato quieto e docile come un
-agnellino. Adesso canta canzoni guascone che ci fanno morir dalle risa.
-
-«E il signor du Vallon? domandò Athos.
-
-«Ah! quello è tutt’altro: confesso ch’è un gentiluomo da fare spavento.
-Il primo giorno con un colpo della spalla sfondò tutti gli usci, e mi
-aspettavo di vederlo uscire da Rueil conforme uscì Sansone da Gaza; ma
-il suo umore ha preso lo stesso andamento di quello del suo compagno
-d’Artagnan. Ed ora, non solamente si avvezza alla sua detenzione, ma
-anco ci scherza sopra.
-
-«Meglio così! disse Athos, meglio così!
-
-«Vi figuravate diversamente? domandò Comminges, che combinando quel che
-aveva detto Mazzarino de’ suoi prigionieri con quello che ne diceva il
-conte di la Fère, cominciava ad avere qualche inquietezza».
-
-Athos dal canto suo rifletteva che per sicuro quel miglioramento
-nel morale de’ suoi camerati nasceva da qualche piano formato da
-d’Artagnan. Quindi non volle ad essi nuocere coll’esaltarli di
-soverchio.
-
-«Di loro? rispose, sono due teste infiammabili; uno è di Guascogna, e
-l’altro di Piccardia; entrambi sono facili ad accendersi, ma presto si
-estinguono. Ne avete avuta la prova, e ciò che ora mi narrate fa fede
-di quanto io vi asserisco».
-
-Tale era pure l’opinione di Comminges, per cui egli si ritirò più
-tranquillo, ed Athos restò solo nella vasta stanza, ove secondo gli
-ordini del ministro fu trattato con gli onori dovuti a un gentiluomo.
-
-D’altronde per farsi un’idea precisa della propria situazione,
-attendeva la famosa visita promessa da Mazzarino.
-
-
-
-
-LXXXVII.
-
-_La mente e il braccio._
-
-
-Ed ora, passiamo dal padiglione degli agrumi a quello di caccia.
-
-In fondo al cortile ove mediante un loggiato formato di colonne joniche
-si scuoprivano i canili, sorgeva un fabbricato bislungo, che pareva si
-estendesse a guisa di un braccio davanti all’altro braccio, lo stanzone
-da agrumi, semicircolo che racchiudeva il cortile d’onore.
-
-In quel padiglione, a pian terreno, erano rinserrati Porthos e
-d’Artagnan, ripartendosi le lunghe ore di detenzione antipatica pei due
-temperamenti.
-
-D’Artagnan andava su e giù come un tigre, con l’occhio fisso, e
-ruggendo talora sulle inferriate di una larga finestra che dava sul
-cortile di servizio.
-
-Porthos digeriva in silenzio un ottimo pranzo di cui erano stati levati
-allora di tavola i rilievi.
-
-Uno pareva privo di ragione, e meditava; l’altro pareva meditasse
-profondamente, e dormiva; se non che il suo sonno era una continua
-agitazione, lo che poteva indovinarsi dal modo interrotto ed incoerente
-con cui russava.
-
-«Ecco che si fa oscuro, disse d’Artagnan, devono esser vicine le
-quattro. Fra poco saranno ottantatrè ore che siamo qui dentro.
-
-«Uhm! fece Porthos, tanto per mostrar di rispondere.
-
-«M’intendete, dormiglione sempiterno? disse d’Artagnan impazientito che
-un altro potesse abbandonarsi al sonno di giorno, mentre egli stentava
-a riposare di notte.
-
-«Che? domandò Porthos.
-
-«Quel che dico.
-
-«E che dite?
-
-«Che a momenti saranno ottantatrè ore dacchè siamo qua.
-
-«Colpa vostra.
-
-«Come, colpa mia?
-
-«Sì; vi avevo offerto di andarcene.
-
-«Staccando i ferri o sfondando le porte?
-
-«Senza dubbio.
-
-«Porthos, genti nostra pari non se ne vanno puramente e semplicemente.
-
-«Oh! io poi, me la batterei con quella purezza e semplicità che mi
-sembra disprezziate un po’ troppo».
-
-D’Artagnan scrollò le spalle, e replicò:
-
-«D’altronde, non istà già il tutto nell’uscire da questa camera.
-
-«E perchè?
-
-«Perchè non avendo nè armi nè parola d’ordine, non faremmo cinquanta
-passi abbasso senza inciampare in una sentinella.
-
-«Ebbene! fece Porthos, accopperemo la sentinella e le torremo le armi.
-
-«Sì, ma prima di esser affatto accoppata (e uno Svizzero è duro a
-morire, durissimo) darà un urlo, o per lo meno un lamento che farà
-venir fuori il corpo di guardia; saremo circuiti e presi come tante
-volpi, noi che siamo leoni, e ci getteranno in qualche carbonaja, dove
-non avremo tampoco la consolazione di vedere quel brutto cielo grigio
-di Rueil, che somiglia al cielo di Tarbes quanto somiglia la luna
-al sole. Caspita! se fuori avessimo qualcuno che potesse darci delle
-informazioni su la topografia morale e fisica di questo castello, su
-ciò che Cesare chiamava _luoghi e costumi_... almeno a quel che mi fu
-detto... Eh! a pensare che in venti anni, ne’ quali non sapevo che
-farmi, non ho avuta l’idea di occupare una di quelle ore a venire a
-studiare Rueil!
-
-«Che importa? soggiunse Porthos, si vada via ciò non ostante.
-
-«Mio caro, ribattè d’Artagnan, sapete perchè i pasticcieri non lavorano
-mai di propria mano?
-
-«No, ma avrei genio a saperlo.
-
-«Perchè davanti ai loro allievi temerebbero di fare qualche pasta
-troppo abbrustolita o una crema col latte rappreso.
-
-«E poi?
-
-«E poi sarebbero burlati, e burlati non devono essere i maestri
-pasticcieri.
-
-«E che rapporto hanno costoro con noi?
-
-«Che noi in materia di avventure non dobbiamo mai avere uno scacco o
-far ridere gli altri. In Inghilterra ultimamente abbiamo fatto fiasco,
-siamo stati battuti, e l’è una macchia per la nostra riputazione.
-
-«E da chi battuti?
-
-«Da Mordaunt.
-
-«Sì, ma femmo annegare messer Mordaunt.
-
-«Lo so, e questo ci rimetterà un poco nel concetto dei posteri,
-se pure i posteri penseranno a noi. Ma sentitemi, Porthos: benchè
-messer Mordaunt non fosse da sprezzarsi, messer Mazzarino mi sembra
-ben altrimenti forte, e non lo faremmo affogare con ugual facilità.
-Badiamo dunque a noi, e stiamo accorti, perchè (aggiunse il guascone
-sospirando) noi due vagliamo forse per otto altri, ma non pei quattro
-che sapete.
-
-«È vero, confermò Porthos corrispondendo con un sospiro a quello già
-mandato da d’Artagnan.
-
-«Or bene, fate come fo io, passeggiate su e giù, sinchè ci arrivi una
-buona nuova dei nostri amici, o ci venga una buona idea; ma non dormite
-sempre come finora: non v’è cosa che intorpidisca la mente quanto il
-sonno. Quel che ci sovrasta sarà forse men grave che non ci figuriamo;
-non credo che Mazzarino abbia intenzione di farci tagliar la testa,
-perchè la testa non si taglierebbe senza il processo, il processo
-cagionerebbe gran fracasso, il fracasso richiamerebbe i nostri amici, e
-allora essi non lascerebbero operare il signor di Mazzarino.
-
-«Ragionate pur bene! disse Porthos con ammirazione.
-
-«Sì, non c’è male.... E poi, capite, se non ci fanno processo, se
-non ci mozzano la testa, bisogna che ci tengano qui o ci trasportino
-altrove.
-
-«Oh! necessariamente.
-
-«Or dunque, è impossibile che messer Aramis, quel braccio finissimo,
-e che Athos, il saggio gentiluomo, non iscuoprano il nostro ritiro. E
-allora, affè saremo a tempo.
-
-«Sì, tanto più che qua non si sta assolutamente male.... ad eccezione
-di una cosa, però....
-
-«E quale?
-
-«D’Artagnan, avete osservato che per tre giorni di seguito ci hanno
-dato del castrato arrosto?
-
-«No, ma se ce lo presentano la quarta volta, mi lagnerò, non dubitate.
-
-«E inoltre di quando in quando mi vien in mente la mia casa; è un pezzo
-che non ho visitate le mie ville.
-
-«Eh via! dimenticatele momentaneamente; le ritroveremo ammenochè il
-signor di Mazzarino le abbia fatte demolire.
-
-«Credete che si sia fatta lecita una tal tirannia? domandò inquieto
-Porthos.
-
-«No: eran buone per l’altro ministro simili risoluzioni; il nostro è
-troppo meschino per arrischiarle.
-
-«Mi riconfortate, d’Artagnan.
-
-«Or dunque fate buon viso come fo io: scherziamo coi custodi,
-interessiamo i soldati, poichè non si possono corrompere; accarezzateli
-di più che sinora, quando verranno sotto le nostre grate. Sino adesso
-siete stato sempre a mostrar loro il pugno, e più il vostro pugno è
-rispettabile meno è seducente.... Ah! quanto darei per aver soltanto
-cinquecento luigi!
-
-«E anch’io, rispose Porthos che non voleva passare per meno generoso di
-d’Artagnan, darei volentieri.... cento doppie».
-
-I due prigionieri stavano a questo punto del loro dialogo, quando entrò
-Comminges, preceduto da un sergente e da due uomini, i quali recavano
-la cena in un paniere pieno di piatti e vassoj.
-
-«Bene! fece Porthos, da capo il castrato!
-
-«Caro signor di Comminges, disse il Guascone, avete da sapere che
-il mio amico signor du Vallon è deciso a portarsi alle più crude
-estremità, se il signor di Mazzarino si ostina a mantenerlo con questa
-sorta di carne.
-
-«E io dichiaro di più, accrebbe Porthos, che non mangio più altro, se
-non me la tolgono davanti.
-
-«Togliete via quel montone, disse Comminges, voglio che il signor du
-Vallon ceni con piacere, tanto più che ho da annunziargli una notizia,
-che di certo gli darà appetito.
-
-«È forse morto il signor Mazzarino? domandò Porthos.
-
-«No, anzi devo con rincrescimento avvisarvi che sta benissimo.
-
-«Male! fece Porthos.
-
-«E che notizia è mai? chiese d’Artagnan, una notizia in prigione, è
-frutto così raro, che spero scuserete la mia impazienza, non è vero,
-signor di Comminges? Maggiormente dacchè ci avete dato a intendere
-ch’era buona la nuova.
-
-«Gradireste sapere che il signor conte di la Fère sta bene?» fece
-Comminges.
-
-Gli occhi per solito piccoli di d’Artagnan, si apersero a dismisura.
-
-«Se lo gradirei.... ma ne sarei contento, beato!
-
-«Ed io sono incaricato da lui stesso di presentarvi i suoi complimenti,
-e dirvi che gode di ottima salute».
-
-D’Artagnan ebbe a svenirsi dall’allegrezza. Una rapida occhiata fu
-interprete a Porthos del di lui concetto. Lo sguardo diceva: se Athos
-sa dove siamo, se ci fa parlare, in breve agirà.
-
-Porthos non aveva molta abilità per comprendere le occhiate; ma questa
-volta la intese, perocchè al nome di Athos aveva provata la stessa
-impressione che d’Artagnan.
-
-«Ma, domandò timidamente il Guascone, voi dite che il conte di la Fère
-vi ha incaricato di fare i suoi complimenti al signor di Vallon ed a
-me?
-
-«Signor sì.
-
-«Dunque lo avete veduto?
-
-«Di certo!
-
-«E dove, senza essere indiscreto?
-
-«Qui vicino, fece Comminges sorridendo.
-
-«Qui vicino? ripetè d’Artagnan, a cui brillarono le pupille.
-
-«Tanto prossimo, che se le finestre che danno sul capannone degli
-agrumi non fossero otturate, potreste vederlo dal posto ove siete.
-
-«Di sicuro, ronza nei dintorni del castello!» pensò d’Artagnan.
-
-E poi disse forte:
-
-«Lo avete incontrato alla caccia, forse nel parco?
-
-«No, più prossimo.... anche più.... ecco, dietro a questo muro, seguitò
-Comminges, e percuoteva la muraglia.
-
-«Dietro?... e che v’è egli qui dietro?... Sono stato condotto qui di
-sera, in modo che il diavolo mi trascini se so dove io mi sia!
-
-«Orsù, continuò Comminges, supponete una cosa.
-
-«Supporrò tutto quel che vogliate.
-
-«Là! che a questa muraglia vi sia una finestra.
-
-«Ebbene?
-
-«Da quella, scorgereste alla sua, il signor di la Fère.
-
-«Sicchè il signor di la Fère è alloggiato nel castello?
-
-«Sì.
-
-«E per qual ragione?
-
-«Per la stessa che voi.
-
-«Athos è prigioniero?
-
-«Vi è pur noto, disse Comminges ridendo, che non vi sono prigionieri a
-Rueil, poichè non v’è prigione.
-
-«Non ischerziamo sulle parole, signore. Athos è stato arrestato?
-
-«Jeri, a S. Germano, all’uscire dalle stanze della regina».
-
-A d’Artagnan caddero giù le braccia inerti sul fianco. Pareva
-fulminato. Il pallore gli corse come un nuvolo bianco su la bruna
-carnagione, ma quasi subito si dileguò.
-
-«Prigioniero! egli ripetè.
-
-«Prigioniero! tornò a dire dopo di lui Porthos oppresso».
-
-Ad un tratto d’Artagnan alzò il capo, e ne’ suoi occhi si vide brillare
-un lampo impercettibile anco per Porthos. Poscia lo stesso abbattimento
-che lo aveva preceduto seguì quel baleno fugace.
-
-«Orsù, disse Comminges, il quale nudriva un vero affetto per d’Artagnan
-dopo il segnalato servigio da questo resogli nel dì dell’arresto di
-Broussel, togliendolo dalle mani ai Parigini, orsù non vi angustiate;
-non pretendevo già darvi una mala nuova, oh! tutt’altro. Con la guerra
-attuale siamo tutti esseri incerti. Dunque ridete della combinazione
-che riavvicina il vostro amico a voi ed al signor du Vallon, anzi che
-addolorarvene».
-
-Quell’invito però non influì minimamente su d’Artagnan, che si mantenne
-in aspetto lugubre.
-
-«E che cera faceva? domandò Porthos, che accortosi come d’Artagnan
-lasciava estinguersi il dialogo, se ne prevalse per metter fuori due
-paroline di suo.
-
-«Ottima cera, rispose Comminges; sul primo era sembrato come voi
-disperatissimo, ma quando ha saputo che il ministro doveva fargli
-visita stasera....
-
-«Ah! fece d’Artagnan, il ministro deve fare una visita al conte di la
-Fère?
-
-«Sì, lo ha fatto avvertire, e il signor conte, nell’udir ciò, mi ha
-incaricato di dirvi, che profitterebbe del favore che gli concedeva Sua
-Eccellenza per patrocinare la vostra e la sua causa.
-
-«Ah che caro conte! disse il Guascone.
-
-«Bell’affare! mugolò Porthos, gran favore, cospettone! il conte di la
-Fère, la di cui famiglia s’imparentò coi Montmorency e coi Rohan, val
-pure quanto il signor Mazzarino.
-
-«Non serve, replicò d’Artagnan nel modo suo più docile, a rifletterci
-bene, mio caro du Vallon, è un grande onore pel signor conte, e dà
-luogo a concepire grandi speranze.... una visita!... ma è tale onore
-per un prigioniero, ch’io mi penso per sino che il signor di Comminges
-prenda abbaglio.
-
-«Come? prendo abbaglio!...
-
-«Non sarà il signor di Mazzarino che andrà a trovare la Fère, ma la
-Fère sarà chiamato dal signor di Mazzarino.
-
-«No, no, no! disse Comminges a cui premeva di precisare le cose; io ho
-inteso benissimo ciò che mi ha detto il ministro: egli andrà a trovare
-il conte».
-
-D’Artagnan procurò di cogliere uno sguardo di Porthos onde discernere
-se questi capiva l’importanza di quella visita, ma Porthos non badava
-nemmeno dalla sua parte.
-
-«Sicchè pel signor ministro è abitudine di passeggiare nel locale degli
-agrumi? domandò il tenente dei moschettieri.
-
-«Ci si rinchiude ogni sera, fece Comminges, pare che colà vada
-meditando su gli affari dello Stato.
-
-«Allora comincio a credere che Sua Eccellenza vada dal signor di la
-Fère; d’altronde, naturalmente si farà accompagnare?
-
-«Sì, da due soldati.
-
-«E discorrerà così di affari davanti a due estranei?
-
-«I soldati sono Svizzeri dei piccoli cantoni, e non parlano se non
-tedesco. E poi, secondo ogni probabilità, aspetteranno alla porta».
-
-D’Artagnan si cacciava le unghie nelle palme delle mani, onde il suo
-volto non esprimesse altro che ciò ch’egli gli permetteva di esprimere.
-
-«Badi bene il signor Mazzarino ad entrar solo dal conte di la Fère!
-soggiunse, giacchè il conte dev’essere sulle furie».
-
-Comminges si mise a ridere.
-
-«Eh! par che siate tanti antropofagi! il signor di la Fère è pien
-di cortesia, e di più non ha armi. Al primo grido di Sua Eccellenza,
-accorrerebbero subito i due soldati che l’accompagnano.
-
-«Due soldati...., disse d’Artagnan quasi raccogliesse le sue
-rimembranze, due soldati.... sì.... per questo dunque odo chiamare
-due uomini ogni sera, e li vedo passeggiare una mezz’ora sotto la mia
-finestra.
-
-«Appunto; attendono il ministro, o piuttosto Bernouin viene a chiamarli
-quando il ministro esce.
-
-«Begli uomini, affè!
-
-«È il reggimento ch’era a Lens, e che il signor Principe diede a Sua
-Eccellenza per farle più onoranza.
-
-«Ah signore! fece d’Artagnan come per riepilogare in poche parole
-tutta quella lunga conversazione, almeno sia Sua Eccellenza più mite, e
-conceda al signor di la Fère la nostra libertà!
-
-«Lo desidero di tutto cuore.
-
-«Sicchè, se si dimenticasse la visita, non trovereste inconveniente a
-rammentargliela?
-
-«Nessuno; al contrario!
-
-«Ah! questo mi consola alquanto».
-
-L’abile cambiamento di conversazione sarebbe sembrato una manovra
-sublime a chiunque avesse potuto leggere nell’animo del Guascone.
-
-«E adesso, egli continuò, ve ne prego, mio caro signor di Comminges,
-un’altra ed ultima grazia.
-
-«Tutto ai vostri comandi.
-
-«Rivedrete il conte di la Fère?
-
-«Domattina.
-
-«Favorireste dargli il buon dì a nome mio, e pregarlo di richiedere per
-me la stessa grazia che per sè avrà ottenuta?
-
-«Desiderate che venga qui il signor ministro?
-
-«No; conosco me stesso, e non sono sì esigente. Sua Eccellenza mi
-faccia l’onore di ascoltarmi, questo è quanto bramo.
-
-«Oh! mormorò Porthos scuotendo il capo, non avrei mai creduto questo da
-lui; come abbatte gli uomini la sventura!
-
-«Così sarà fatto, rispose Comminges.
-
-«Assicurate ancora il signor conte ch’io sto benissimo, e che mi avete
-visto afflitto, ma rassegnato.
-
-«Voi mi date nel genio parlando in tal guisa.
-
-«Altrettanto direte pel signore du Vallon.
-
-«Per me? mainò! esclamò Porthos, non sono niente rassegnato, io!
-
-«Ma vi rassegnerete, amico mio.
-
-«Giammai!
-
-«Si rassegnerà, signor di Comminges. Io lo conosco meglio che non si
-conosca egli stesso, e so che ha mille eccellenti qualità che neppur si
-figura. Tacete, signor du Vallon, e rassegnatevi.
-
-«Addio, signori, disse Comminges; buona notte.
-
-«Procureremo che sia tale».
-
-Comminges salutò ed uscì. D’Artagnan lo seguì cogli occhi nella
-medesima attitudine di dolcezza ed umiltà; ma appena fu chiusa la
-porta si slanciò verso Porthos, e se lo strinse fra le braccia con
-espressione di giubilo che non lasciava alcun dubbio.
-
-«Oh oh! che c’è? disse Porthos, ma che, impazzite, povero amico?
-
-«C’è che siamo salvi!
-
-«Non ne vedo nemmeno l’ombra; anzi veggo che siamo presi tutti,
-eccettuato Aramis, e che scemano per noi la probabilità di andarcene
-dacchè è entrato uno di più nella trappola del signor di Mazzarino.
-
-«Nulla, nulla; la trappola bastava per due, e diventa troppo debole per
-tre.
-
-«Non capisco, fece Porthos.
-
-«È inutile, replicò d’Artagnan, mettiamoci a tavola e ripigliamo forza,
-chè ne avremo d’uopo per la nottata.
-
-«E che faremo sta notte?
-
-«Probabilmente viaggeremo.
-
-«Ma....
-
-«A tavola, mio caro! mangiando vengono delle idee; e dopo cena, quando
-le mie saranno ben complete ve le comunicherò».
-
-Per quanto Porthos bramasse d’essere istruito del progetto di
-d’Artagnan, conoscendo però il modo di agire di questo, si assise a
-mensa senza insistere di più, e mangiò con un appetito che faceva onore
-alla fiducia ch’ei riponeva sempre nell’immaginativa di d’Artagnan.
-
-
-
-
-LXXXVIII.
-
-_Il braccio e la mente._
-
-
-Ebbe luogo la cena in silenzio, ma non in malinconia, perocchè tratto
-tratto rasserenava la faccia a d’Artagnan uno di quei sorrisetti
-maliziosi che gli erano usuali ne’ momenti di buon umore. E di questi
-Porthos non ne perdeva neppur uno, ed anzi ad ognuno che osservava dava
-qualche esclamazione, la quale indicava al suo amico com’egli, anche
-non comprendendolo, facesse gran caso del pensiero che gli bolliva nel
-cervello.
-
-Alle frutta d’Artagnan appoggiò la schiena alla spalliera della
-seggiola, incrociò le gambe una sull’altra, e si tentennò in aria di
-uno che sia veramente contento di sè.
-
-Porthos pose il mento sulle due mani, e i due gomiti sulla tavola, e
-guardò d’Artagnan in quel modo pien di fiducia che dava a quel colosso
-una certa cera di somma bonarietà.
-
-«Ebbene? fece il Guascone dopo un momento.
-
-«Ebbene? ripetè Porthos.
-
-«Dicevate dunque, mio caro?...
-
-«Io? non diceva nulla.
-
-«Sì, sì.... che avevate voglia di andarvene di qua.
-
-«Ah! questo sì, non è la voglia quella che mi manca.
-
-«Ed aggiungevate che perciò bastava staccare una porta e rompere un
-muro.
-
-«È vero, così ho detto, ed anco lo ridico.
-
-«Ed io, Porthos, vi rispondevo esser codesto un tristo compenso, e che
-non faremmo cento passi senza essere ripresi ed accoppati, ammenochè
-avessimo abiti da travestirci ed armi da difenderci.
-
-«Certo, ci occorrerebbero abiti ed armi.
-
-«Or bene, ne abbiamo! disse d’Artagnan alzatosi, e di più qualche cosa
-di meglio.
-
-«Veh! fece Porthos guardandosi attorno.
-
-«Non istate a cercare, sarebbe inutile; tutto ci verrà all’istante
-opportuno. A che ora all’incirca vedemmo jeri passeggiare le guardie
-svizzere?
-
-«Se non isbaglio, un’ora dopo fattasi notte.
-
-«Se escono stassera come jeri, dunque non istaremo un quarto d’ora ad
-attendere il piacere di vederli.
-
-«Fatto sta che resteremo tutto al più quel quarto d’ora.
-
-«Avete sempre il braccio assai buono, non è così?»
-
-Porthos si sbottonò la manica, si tirò in su la camicia, si osservò
-con compiacenza le braccia robuste, grosse come la coscia di un uomo di
-statura ordinaria.
-
-«Eh sì.... rispose, assai buono.
-
-«Talchè fareste, senza disturbarvi di troppo, un cerchio di queste
-mollette, e di questa paletta una specie di rampino?
-
-«Di sicuro!
-
-«Vediamo un po’».
-
-Il gigante prese i due oggetti indicati, ed operò con la maggior
-facilità e senza sforzo apparente, le due metamorfosi richieste dal
-compagno.
-
-«Ecco, disse poi.
-
-«Stupendo! e siete in buonissimo stato, Porthos!
-
-«Io intesi a parlare, disse questi, di un certo Milone da Crotona che
-faceva cose straordinarissime, come stringersi la fronte con una fune
-e farla andar in pezzi, ammazzare un bue con un pugno e portarlo a casa
-sulle spalle, fermare un cavallo dalle zampe di dietro, ec.; mi sentii
-raccontare tutte queste prodezze a Pierrefonds, e feci quanto esso
-faceva, meno che rompere la fune col gonfiarmi le tempie.
-
-«Egli è che la vostra forza non istà nella testa, rispose d’Artagnan.
-
-«No, è nelle braccia e nelle spalle, replicò semplicemente Porthos.
-
-«Ebbene, accostiamoci alla finestra, e valetevi della vostra forza per
-distaccarne un ferro. Aspettate ch’io spenga il lume».
-
-Porthos si avvicinò alla finestra, prese colle due mani uno dei ferri,
-e vi si aggrappò, lo tirò a sè, e lo fe’ piegare come un arco, a
-segno che le due cime uscirono dall’alveola di pietra dove le teneva
-conficcate da trent’anni la calcina.
-
-«Ecco ciò che non sarebbe riuscito al ministro, disse d’Artagnan,
-benchè sia un uomo di genio.
-
-«Ne ho da levar degli altri? domandò Porthos.
-
-«No; questo è sufficiente: ormai può passarvi un uomo».
-
-Porthos provò e mise fuori tutto il busto.
-
-«Sì, disse allora.
-
-«Realmente, è una bella apertura. Adesso infilate il braccio.
-
-«Di dove?
-
-«Da quell’apertura.
-
-«Per che fare?
-
-«Lo saprete tra poco.... infilatelo».
-
-Porthos obbedì, docile come un soldato, e cacciò il braccio tra i ferri.
-
-«Ottimamente! fece d’Artagnan.
-
-«Par che si vada avanti bene?
-
-«A meraviglia, mio caro.
-
-«Meglio! Ed ora che ho da fare?
-
-«Nulla.
-
-«Dunque è finito tutto?
-
-«Ancora no.
-
-«Per altro avrei gusto di capire qualche cosa.
-
-«Sentitemi, e in due parole saprete tutto, si apre la porta del corpo
-di guardia, come vedete.
-
-«Sì, veggo.
-
-«Si manderanno subito nel nostro cortile, che traversa il signor
-Mazzarino per recarsi allo stanzone degli agrumi, le due guardie che lo
-accompagnano.
-
-«Appunto escono.
-
-«Basta che rinchiudano la loro porta!... Ah bene! la serrano.
-
-«E poi?
-
-«Silenzio! ci potrebbero udire.
-
-«Allora non saprò niente.
-
-«Sì, a misura che andrete eseguendo comprenderete.
-
-«Io però avrei preferito....
-
-«Godrete del piacere della sorpresa.
-
-«Oh si! è vero, fece Porthos.
-
-«Zitto!»
-
-Porthos rimase muto ed immobile.
-
-I due soldati si avanzavano dalla parte della finestra stropicciandosi
-le mani, perocchè, secondo avvertimmo, era di febbrajo e tempo freddo.
-
-Nel momento fu riaperta la porta del corpo di guardia e chiamato
-indietro un dei due militari.
-
-Questi lasciò il camerata e tornò dentro.
-
-«Va sempre bene? chiese Porthos.
-
-«Meglio che mai, rispose d’Artagnan. Adesso, ascoltatemi. Io chiamerò
-quel soldato e mi metterò a discorrer seco come feci jeri con uno de’
-suoi compagni, ve ne ricordate?
-
-«Sì, ma non intesi una parola di quel che diceva.
-
-«Veramente aveva una pronunzia un po’ marcata. Ma, Porthos, non perdete
-una parola di ciò che io sono per dirvi: il tutto sta nell’esecuzione.
-
-«Eh! per l’esecuzione io non burlo.
-
-«Lo so, cospetto! e per questo conto sopra di voi.
-
-«Dite su.
-
-«Chiamo il militare e discorro con lui....
-
-«Lo avete detto.
-
-«Mi volgerò a sinistra in maniera ch’egli sia a man destra nel punto
-che salirà sul muricciolo.
-
-«Ma se non ci sale?
-
-«Ci salirà, non dubitate. Nell’atto ch’ei vien sul muricciolo,
-voi allungherete il formidabile braccio e lo piglierete pel collo.
-Poi alzandolo di peso, come Tobia alzò il pesce dalle orecchie, lo
-introdurrete nella nostra camera, avendo cura di stringerlo sì forte
-che non possa urlare.
-
-«Sì.... ma se lo strangolo?
-
-«Prima di tutto, sarà il male di uno Svizzero di meno, ma spero che non
-lo strangolerete. Lo poserete qui pian piano, e noi gli tapperemo la
-bocca e lo legheremo in qualche posto, poco importa il dove. Con ciò
-avremo intanto un’uniforme ed una spada.
-
-«Oh bellissima! disse Porthos con ammirazione.
-
-«Eh? fece d’Artagnan.
-
-«Sì, ma una uniforme ed una spada non sono assai per noi due.
-
-«Ebbene! e non ha il suo camerata?
-
-«Sicuro!
-
-«Dunque, quando io tossirò allungate il braccio, e sarà tempo.
-
-«Benone!».
-
-I due amici si misero ciascuno nel luogo indicato. Porthos, situato
-com’era, stava nascosto del tutto nell’angolo della finestra.
-
-«Buona sera, camerata, disse d’Artagnan colla sua voce più moderata e
-gentile.
-
-«Pone sere, rispose il soldato.
-
-«Non fa caldo a passeggiare, disse d’Artagnan.
-
-«Brrrummm! fece il soldato.
-
-«E credo che non vi spiacerebbe un bicchiere di vino?
-
-«Picchiere di fine sarebbe ben fenute.
-
-«Ci viene il pesciolino! bucinò il tenente a Porthos.
-
-«Capisco, fece questi.
-
-«Ne ho una bottiglia pronta.
-
-«Pottiglia!
-
-«Sì.
-
-«Piena?
-
-«Pienissima, ed è vostra se la volete bere alla mia salute.
-
-«Folentieri! seguitò lo Svizzero avvicinandosi.
-
-«Su, caro, venite a pigliarla, disse il Guascone.
-
-«Perchè no? me pare c’è muricciolo.
-
-«Veh! sembra messo là espressamente, saliteci.... là.... così...
-amicone».
-
-E d’Artagnan tossì.
-
-Nel medesimo istante piombò giù il braccio di Porthos, il suo pugno
-d’acciajo rapido come il baleno e saldo come una tenaglia strinse il
-collo al militare, lo alzò soffocandolo, lo trasse a sè dalla apertura
-a rischio di strozzarlo nel passare, e lo posò in terra, ove d’Artagnan
-lasciandogli a puntino il tempo di riprender fiato gli coperse la
-bocca con la sua ciarpa, e poi subito si accinse a spogliarlo con la
-sollecitudine e la destrezza di chi ha imparato il mestiere sul campo
-di battaglia.
-
-Poscia lo Svizzero legato e manettato fu portato sul camino, di cui i
-nostri amici avevano prima spenta la fiamma.
-
-«Tanto, ecco una spada e un abito, disse Porthos.
-
-«Io li prendo, rispose d’Artagnan; se voi pure volete altrettanto,
-bisogna ricominciare la faccenda. Attenti! veggo appunto l’altro
-soldato ch’esce dal corpo di guardia e viene in qua.
-
-«A me pare, obbiettò Porthos, che sarebbe imprudenza il principiare
-la stessa manovra. Si accerta che non si ottiene buon esito due volte
-col medesimo mezzo. Se mi mancasse, sarebbe perduto tutto. Scenderò,
-lo afferrerò nel momento che non ha sospetto, e ve lo porgerò bell’e
-legato.
-
-«Sarà anche meglio, disse il Guascone.
-
-«State pronto».
-
-Porthos si calò abbasso dall’apertura; le cose andarono com’ei le aveva
-promesse. Il gigante si rimpiattò ove doveva transitare lo Svizzero, e
-quando questi gli fu davanti lo prese per il collo, gli turò la bocca,
-lo spinse a modo di una mummia a traverso ai ferri slargati della
-finestra, e rientrò dietro a lui.
-
-Fu spogliato il secondo prigioniero ugualmente che il primo, e disteso
-sul letto, e fermato con delle cinghie, ed essendo il letto di quercia
-e le cinghie foderate si rimase tranquillissimi per questo al pari che
-pel precedente.
-
-«Va ottimamente, disse d’Artagnan; ora datemi il vestito di quel
-briccone. Dubito che vi stia bene, Porthos, ma se vi è troppo stretto
-non abbiate paura, vi basterà il budriere, e specialmente il cappello
-con le penne rosse».
-
-Si combinò per caso che l’ultimo dei due soldati era uno Svizzero
-gigantesco, talmente che eccetto pochi punti delle cuciture che si
-ruppero, il resto andò egregiamente.
-
-Per qualche tempo non si udì se non lo stropiccio del panno, mentre
-Porthos e d’Artagnan si abbigliavano in fretta.
-
-«È finita, dissero poi insieme. A voi altri, compagni (avvertirono ai
-due militari), nulla succederà se state buoni, ma se vi movete siete
-morti».
-
-Coloro rimasero chiotti; dal pugno di Porthos comprendevano che la
-faccenda era seria, e che non esisteva ombra di scherzo.
-
-«Adesso, disse d’Artagnan, voi, Porthos, avreste caro d’intendere?
-
-«E sì, piuttosto.
-
-«Or dunque, noi scendiamo nel cortile.
-
-«Sì.
-
-«Pigliamo il posto di quei manigoldi.
-
-«Bene.
-
-«Passeggiamo su e giù.
-
-«E sarà un bel vedere, sendochè non fa caldo.
-
-«Fra un momento il cameriere chiama come jeri quei di servizio.
-
-«E rispondiamo?
-
-«No, anzi, non rispondiamo.
-
-«Come vi pare, per me non me ne curo.
-
-«Soltanto ci cacciamo in testa il cappello, e scortiamo Sua Eccellenza.
-
-«Dove?
-
-«Dove va, da Athos. Vi pensate che gl’incresca di vederci?
-
-«Oh! capisco! esclamò Porthos.
-
-«Aspettate un poco ad esclamare, giacchè, in parola, non siete ancora
-al più bello, fece il Guascone con dileggio.
-
-«E che ha da accadere?»
-
-«Venite meco, e vedremo».
-
-D’Artagnan passando dall’apertura si calò leggermente nel cortile.
-
-Porthos fece la stessa strada, ma meno presto e con più stento.
-
-Si sentivano tremare di paura i due Svizzeri manettati in camera.
-
-Appena d’Artagnan e Porthos ebbero toccato terra, fu schiuso un uscio,
-e il cameriere gridò:
-
-«Il servizio!»
-
-Si spalancò anche il posto di guardia, e una voce comandò:
-
-«La Bruyere e du Barthois, andate!
-
-«Pare che io abbia nome la Bruyere, mugolò d’Artagnan.
-
-«Ed io du Barthois, aggiunse Porthos.
-
-«Dove siete? domandò il domestico, che con gli occhi abbagliati dal
-lume, non poteva distinguere fra l’oscurità i nostri due eroi.
-
-«Eccoci» fece d’Artagnan.
-
-E voltosi a Porthos:
-
-«Che ne dite, signor du Vallon?
-
-«Perdinci! pur che la duri, dico che va benone.
-
-
-
-
-LXXXIX.
-
-_Le carceri perpetue del signor di Mazzarino._
-
-
-I due nuovi soldati camminarono con tutta gravità dietro al cameriere;
-questi aprì ad essi una porta del vestibolo, poi un’altra che pareva di
-una sala d’ingresso, e additando loro due sgabelli, disse:
-
-«La consegna è semplicissima; non lasciate entrar qui che una persona,
-una sola, avete inteso! niente più! e a quella persona obbedite in
-tutto. In quanto al ritorno, non vi è da sbagliare, aspettate che io vi
-dia la muta».
-
-D’Artagnan era noto assai al suddetto cameriere, ch’era precisamente
-Bernouin, il quale da sei o otto mesi a questa parte lo aveva
-introdotto una decina di volte presso al ministro; onde egli invece
-di rispondere si limitò a brontolare _jà_ nel modo meno guascone e più
-tedesco che potesse.
-
-In quanto a Porthos, lo aveva obbligato a promettere di non parlare
-in verun caso. Se mal fosse ridotto agli estremi gli era concesso di
-proferire soltanto il _tarteifle_ proverbiale e solenne.
-
-Bernouin chiuse, si allontanò.
-
-«Oh oh! disse Porthos udendo la chiave nella serratura, si vede che qui
-è di moda rinchiudere la gente. Secondo me, non abbiamo fatto altro che
-barattar carcere; senonchè invece di esser carcerati laggiù, lo siamo
-nel capannone degli agrumi. Non so se ci abbiamo guadagnato.
-
-«Amico mio, fece piano d’Artagnan, non dubitate della Provvidenza, e
-lasciatemi riflettere e meditare.
-
-«Riflettete e meditate, brontolò Porthos istizzito nel mirare che le
-cose pigliavano quell’aspetto anzi che un altro.
-
-«Abbiamo fatto ottanta passi.... saliti sei gradini; qui, dunque, come
-ha detto testè il mio illustre amico di Comminges, è l’altro padiglione
-in linea paralella al nostro accennato per padiglione degli agrumi;
-sicchè il conte di la Fère non dev’essere lontano; solamente le porte
-sono chiuse.
-
-«Bella difficoltà! ribattè Porthos, con una spinta delle spalle....
-
-«Per Bacco! tenetevi in riserva codeste vostre forze, o all’occorrenza
-non avranno più il valore che si meritano. Non avete inteso che qui dee
-venire qualcuno?
-
-«Sì.
-
-«Il qualcuno ci aprirà.
-
-«Ma, mio caro, se il qualcuno ci riconosce, e ciò fatto si mette
-ad urlare, siamo perduti.... perchè, in conclusione, m’immagino non
-abbiate idea di farmi accoppare o strangolare quell’uomo! e sarebbero
-maniere buone con Inglesi o Tedeschi, ma....
-
-«Dio me ne liberi, ed anco voi! il giovanetto forse ce ne sarebbe
-alquanto grato, ma la regina non ce lo perdonerebbe, e a lei fa d’uopo
-usar riguardo. D’altronde, sangue inutile, mai! mai! mai! Il mio piano
-è stabilito, e quindi lasciatemi agire, e rideremo.
-
-«Meglio così! disse Porthos, ne sento il bisogno.
-
-«Zitto! fece d’Artagnan, ecco la persona annunziata».
-
-Allora si udì nella stanza precedente, cioè nel vestibolo, un camminare
-leggerissimo. Gli arpioni della porta stridevano, e comparve un uomo
-vestito da cavaliere, avvolto in un mantello scuro, con un cappellone
-calato su gli occhi, e in mano una lanterna.
-
-Porthos si trasse accosto al muro, ma non potè farsi talmente
-invisibile che nol vedesse l’inferrajuolato: quello gli presentò il
-lampioncino, dicendogli:
-
-«Accendete la lampada del soffitto».
-
-E poi a d’Artagnan:
-
-«Sapete pure la consegna.
-
-«_Jà_, replicò il Guascone, deciso a limitarsi a questo piccolo
-campione di lingua tedesca.
-
-«_Tedesco!_ disse in italiano il cavaliere, _va bene_».
-
-Ed avanzatosi verso la porta situata di faccia a quella d’onde era
-venuto, l’aperse e la richiuse poichè fu sparito per dentro.
-
-«Ed ora, domandò Porthos, che faremo?
-
-«Ora, amico Porthos, ci prevarremo di codesta spalla se la porta è
-serrata. Ogni cosa a suo tempo, e tutto viene a punto a chi sappia
-aspettare. Ma avanti si spranghi e impedisca l’uscio in modo opportuno,
-e indi terremo appresso a quel forestiero».
-
-I due compagni si accinsero tosto all’opra, ed ingombrarono l’ingresso
-con quanti mobili trovarono nella sala, lo che rendeva l’adito più
-impraticabile dacchè la bussola si apriva di dentro.
-
-«Oh! disse d’Artagnan, ora siamo sicuri di non essere sorpresi da
-tergo. Andiamo innanzi».
-
-Arrivarono alla porta da cui era sparito Mazzarino; questa era chiusa;
-invano d’Artagnan tentò aprirla.
-
-«Ecco, egli disse, dov’è bisogno di dare un colpo delle vostre spalle;
-spingete, Porthos, ma adagio e senza far rumore, non isfondate,
-staccate gli sporti, e tanto basta».
-
-Porthos appoggiò la robusta spalla ad uno degli sporti, il quale cedè,
-e d’Artagnan introdusse la punta della spada fra la stanghetta e la
-bocchetta della serratura; la stanghetta tagliata a ugnatura non resse,
-e si spalancò l’usciale.
-
-«Ma se ve lo dicevo, Porthos, che si ottien tutto dalle donne o dalle
-porte con la dolcezza.
-
-«Fatto sta, rispose Porthos, che siete un gran moralista!
-
-«Entriamo».
-
-Entrarono. Dietro ad una invetriata, al lume del lanternino del
-ministro posato in terra in mezzo alla galleria, si scorgevano i
-melaranci e i melagrani del castello di Rueil, collocati in lunghe file
-facenti un gran viale e due altri laterali più piccoli.
-
-«Niente ministro, fece d’Artagnan, ma soltanto la sua lucerna; e dunque
-dove diamine sarà?».
-
-E mentre esplorava una delle ali laterali, dopo aver fatto cenno ai
-Porthos di esplorare l’altra, adocchiò ad un tratto alla sua mano manca
-una cassa discostata dalla sua linea, e sul posto di quella una larga
-buca. Dieci uomini avrebbero durato fatica a muovere la cassa, ma per
-un meccanismo qualunque si fosse, essa aveva girato con la lastra che
-la sosteneva.
-
-D’Artagnan, secondo noi avvertimmo, trovò ivi una buca, ed in questa i
-gradini di una scala a chiocciola.
-
-Chiamò Porthos con un gesto e gli additò il vacuo e gli scalini.
-
-Entrambi si guatarono confusi, perplessi.
-
-«Se non volessimo altro che oro, disse sommessamente il Guascone,
-avremmo trovato il nostro bisognevole, e saremmo ricchi in eterno.
-
-«E come?.
-
-«Non intendete, Porthos, che in fondo a questa scala, secondo ogni
-probabilità, è il famoso tesoro di Mazzarino di cui tanto si parla, e
-che a noi basterebbe scendere, vuotare una cassa, rinchiudervi dentro
-il ministro, andarcene portando via quant’oro potessimo tirar con noi,
-rimettere al posto quel melarancio, e nessuno al mondo ci domanderebbe
-donde ci viene la nostra ricchezza, nemmeno il ministro?
-
-«Sarebbe un bel colpo per dei villani, disse Porthos, ma mi pare
-indegno di due gentiluomini.
-
-«Così penso io pure, e perciò vi ho detto: se non volessimo altro che
-oro, ma noi abbiamo altro in mira».
-
-Nell’istante, e quando d’Artagnan si chinava verso il sotterraneo per
-ascoltare, gli colpì l’orecchio un suono metallico e duro come di un
-sacco d’oro che sia mosso. Egli si scosse. Tosto fu chiusa una porta, e
-sulla scala comparvero i primi riflessi di un lume.
-
-Mazzarino aveva lasciata la sua lampada nel locale degli agrumi, per
-far credere che passeggiasse, ma aveva una candela di cera per visitare
-il misterioso suo forziere.
-
-«Eh eh! diceva in italiano intanto che saliva lentamente, esaminando
-un sacco ben rotondo di reali, eh eh! ecco con che pagare cinque
-consiglieri al Parlamento, e due generali di Parigi. Ancor io sono un
-gran capitano; soltanto fo la guerra alla mia maniera».
-
-D’Artagnan e Porthos si erano rannicchiati ciascuno in un viale
-laterale, dietro una cassa, ed attendevano.
-
-Mazzarino venne a distanza di tre passi dal Guascone, a spingere
-una molla celata dal muro. La lastra girò, e il melarancio ch’essa
-sosteneva tornò al suo posto.
-
-Allora il ministro spense la candela e se lo rimise in tasca, e ripresa
-la lampada, disse:
-
-«Si vada a veder il signor di la Fère.
-
-«Bene! pensò d’Artagnan, è la stessa strada che facciamo noi, andremo
-insieme!»
-
-Tutti tre si avviarono, Mazzarino pel viale di mezzo, e Porthos
-e d’Artagnan per quelli dalle parti. Questi due ultimi scansavano
-attentamente le lunghe linee luminose che fra le casse andava segnando
-la lanterna.
-
-Il ministro arrivò ad una seconda porta coi vetri senza accorgersi
-di essere seguitato, perocchè l’arena molle attutiva il rumore che
-facevano gli altri camminando.
-
-Indi voltò a sinistra, prese da un corridojo a cui i due amici non
-avevano ancor badato; ma sul punto di aprirne l’usciale si ristette
-pensoso.
-
-«Ah diavolo! proferì, mi scordavo la raccomandazione di Comminges:
-bisogna che io pigli i soldati e li ponga qui fuori, onde non mettermi
-a discrezione di quel demonio sfrenato».
-
-E con un atto d’impazienza, si girò per tornare indietro.
-
-«Non vi state ad incomodare, monsignore, disse d’Artagnan piantato
-avanti il piede, col cappello in mano, con graziosissima ciera, abbiamo
-seguitato sempre Vostra Eccellenza; e siamo qua.
-
-«Sì, siamo qua, confermò Porthos».
-
-E fe’ lo stesso gesto di garbato saluto.
-
-Mazzarino fece correr gli occhi spaventati dall’uno all’altro, li
-ravvisò ambedue, e si lasciò cadere la lanterna, dando un gemito di
-paura.
-
-D’Artagnan raccolse questa da terra; per buona sorte nel cascare non si
-era smorzata.
-
-«Oh! disse egli, monsignore, che imprudenza! non conviene andar senza
-lume; Vostra Eccellenza potrebbe urtare in una cassa o ruzzolare in una
-buca.
-
-«Signor d’Artagnan! balbettò Mazzarino attonito.
-
-«Sì, monsignore, son io che ho l’onore di presentarvi il signor du
-Vallon, l’ottimo mio amico, a cui l’Eccellenza Vostra ebbe in addietro
-la bontà d’interessarsi cotanto?»
-
-E d’Artagnan diresse la luce della lampada verso la faccia allegra
-di Porthos, che cominciava a comprendere ed era contentissimo. Di poi
-continuò:
-
-«Andavate dal signor di la Fère, monsignore; non vi pigliate soggezione
-di noi; anzi, insegnateci la strada, e vi verremo appresso».
-
-Mazzarino a poco a poco ripigliava fiato.
-
-«Signori, è un pezzo che siete nel locale degli agrumi?» domandò con
-voce tremula pensando alla visita che avea fatta allora al suo tesoro.
-
-Porthos aprì bocca per rispondere, d’Artagnan gli fe’ un cenno, e la
-bocca ammutolitasi, gradatamente si richiuse.
-
-«Siamo giunti adesso» rispose il Guascone.
-
-Il ministro respirò: non temeva più pel tesoro, ma solo per sè stesso.
-Sulle labbra gli corse una specie di sorriso.
-
-«Animo, replicò, mi avete preso nella rete, e mi do per vinto. Volete
-chiedermi la libertà, non è vero? ve la concedo.
-
-«Oh Eccellenza! siete troppo buono, ma la libertà noi l’abbiamo, e
-avremmo più caro di domandarvi tutt’altro.
-
-«Avete la libertà! disse sbigottito il ministro.
-
-«Senza dubbio, ed all’incontro, voi, monsignore, l’avete perduta; e
-adesso, che vuole ella, Eccellenza? tale è la legge della guerra, si
-tratta di ricomprarsela».
-
-Mazzarino si sentì rabbrividire in fondo al cuore. Fissò lo sguardo
-penetrante, ma invano, sul volto beffardo del Guascone e su quello
-impassibile del gigante. Entrambi stavano nascosti all’ombra, e nulla
-vi avrebbe potuto leggere tampoco la Sibilla di Cuma.
-
-«Ricomprare la mia libertà!
-
-«Sì, monsignore.
-
-«E quanto mi costerebbe, signor d’Artagnan?
-
-«Eh.... non lo so ancora; lo domanderemo a momenti al conte di la Fère,
-se Vostra Eccellenza lo permette; sicchè ella si degni aprire la porta
-che guida da lui, e fra dieci minuti saprà l’occorrente».
-
-Il ministro si scosse.
-
-L’altro proseguì:
-
-«L’Eccellenza Vostra vede con quanti riguardi la trattiamo; siamo però
-costretti ad avvertirla che non abbiamo tempo da sprecare; dunque,
-monsignore; aprite di grazia, e favorite ricordarvi una volta per
-sempre, che al minimo movimento che faceste per fuggire, al minimo
-grido che deste, essendo noi in una situazione eccezionale, non
-dovreste avervi a male se ci portassimo a qualche estremità.
-
-«Non dubitate, signori, disse Mazzarino, non farò alcun tentativo, vi
-do la mia parola d’onore».
-
-D’Artagnan ammiccò a Porthos che usasse maggiore sorveglianza, e
-rispose:
-
-«E adesso, monsignore, entriamo, se non vi spiace».
-
-
-
-
-XC.
-
-_Conferenze._
-
-
-Mazzarino mosse il chiavistello di una doppia porta, e sulla soglia
-si trovò Athos pronto a ricevere l’illustre visitante, a tenore dello
-avviso dategli da Comminges.
-
-E visto ch’ebbe il ministro, gli fece un inchino, dicendo:
-
-«Vostra Eccellenza poteva dispensarsi da farsi accompagnare: l’onore
-che mi concede, è troppo grande per ch’io me ne dimentichi.
-
-«E perciò, caro, conte, disse d’Artagnan, Sua Eccellenza non ci
-voleva assolutamente; du Vallon ed io abbiamo insistito, forse in modo
-disdicente, tanto era nostro desiderio di vedervi».
-
-Alla voce, all’accento motteggiatore, al gesto ben noto ch’era compagno
-all’accento e alla voce, Athos balzò stupefatto esclamando:
-
-«D’Artagnan! Porthos!
-
-«In carne e in ossa, amico.
-
-«E che vuol dir codesto? domandò il conte.
-
-«Vuol dire, rispose Mazzarino tentando, conforme già aveva tentato di
-sorridere, e sorridendo mordendosi le labbra, che si sono cambiate le
-parti, e che invece di esser questi signori miei prigionieri, io sono
-prigioniero di loro, talchè mi vedete costretto a ricever qui la legge
-in luogo di dettarla. Ma ve lo avverto, ammenochè mi ammazziate, sarà
-di poca durata la vostra vittoria; toccherà poi a me, e verrà....
-
-«Monsignore! interruppe d’Artagnan, non minacciate, gli è cattivo
-esempio. Noi siamo tanto docili e gentili con l’Eccellenza Vostra!
-Orsù, bando al mal umore, bando ai rancori, e discorriamola
-garbatamente.
-
-«Per me non voglio altro, disse Mazzarino, ma sul punto di discutere
-pel mio riscatto, non vuo’ che stimiate la vostra situazione per
-migliore di quel ch’ella sia. Cogliendo me nel lacciuolo, vi ci siete
-colti anco voi. Come uscirete di qua? Guardate le grate, guardate
-le porte, guardate, o piuttosto figuratevi le sentinelle che sono a
-invigilare dietro di esse, e i soldati che ingombrano i cortili, e
-transigiamo. Ecco, io vi mostrerò che son leale.
-
-«Ahi pensò d’Artagnan, giudizio, ci vuol fare qualche burla!
-
-«Vi esibivo la libertà, continuò il ministro, e tuttora ve la esibisco.
-La volete? Fra men di un’ora sarete scoperti, arrestati, e obbligati
-ad uccidermi, lo che sarebbe delitto orribile e indegno totalmente di
-integri gentiluomini pari vostri.
-
-«Ha ragione!» fece Athos internamente.
-
-E come ogni ragione che passava nell’animo suo, il quale non aveva se
-non se nobili pensamenti, il suo concetto gli apparve negli occhi.
-
-«E perciò, rispose d’Artagnan onde correggere la speranza che la tacita
-adesione di Athos aveva data a Mazzarino, non ci ridurremo a tale atto
-di violenza che agli ultimi estremi.
-
-«Se al contrario, proseguì Mazzarino, mi lasciate andare, accettando la
-vostra libertà....
-
-«E come mai, gli troncò la parola così il Guascone, come mai
-intendereste che accettassimo la nostra libertà, poichè potete
-ritorcela voi stesso cinque minuti dopo avercela data?... E tal quale
-vi conosco, monsignore, ce la ritogliereste!
-
-«No, da ministro che sono! non mi credete?
-
-«Non siete più ministro, monsignore, ma prigioniero.
-
-«Dunque, da Mazzarino! Mazzarino sono, e sarò sempre, lo spero.
-
-«Uhm! borbottò il tenente dei moschettieri, io ho inteso a parlare di
-un Mazzarino poco mantenitore dei giuramenti, ed ho paura che fosse uno
-degli antenati di Vostra Eccellenza.
-
-«Signor d’Artagnan, avete molto spirito, e mi rincresce di essermi
-messo in dissapori con voi.
-
-«Monsignore, riconciliamoci, non chiedo di meglio.
-
-«Or bene, se vi pongo in sicuro, in modo evidente, palpabile?
-
-«Ah! è tutt’altro, fece Porthos.
-
-«Sentiamo, seguitò Athos.
-
-«Si senta, aggiunse d’Artagnan.
-
-«Ma prima di tutto, accettate?
-
-«Spiegateci il vostro piano, monsignore, e si vedrà.
-
-«Badate che siete bell’e presi, e rinserrati.
-
-«Sapete pure che ci riman sempre un’ultima risorsa, ribattè il Guascone.
-
-«E quale?
-
-«Quella di morire insieme».
-
-Mazzarino ebbe addosso un brivido.
-
-«Ecco, egli disse, in fondo al corridojo è una porta, di cui io ho la
-chiave, e che dà sul parco. Andatevene con questa chiave. Siete svelti,
-robusti, armati. A distanza di cento passi, voltando a sinistra,
-incontrerete il muro del parco; lo passerete, e in tre salti sarete
-sulla via maestra e liberi.... Ed io vi conosco abbastanza per esser
-certo che se alcuno vi assalisce, questo non sarà già di ostacolo alla
-vostra fuga.
-
-«Ah cospettone! fece d’Artagnan, manco male! questo si chiama parlare.
-Dov’è la chiave che favorite offerirci?
-
-«Eccola.
-
-«Ma.... Vostra Eccellenza ci condurrà ella stessa sino a quella porta?
-
-«Volentieri, se questo abbisogna per mettervi in quiete».
-
-Mazzarino che non si lusingava di uscirne con sì poco, si avviò allegro
-verso il corridojo ed aprì.
-
-La porta dava sul parco, ed i fuggiaschi se ne accorsero dal vento
-notturno che fece volar loro la neve fin sul viso.
-
-«Diamine! brontolò d’Artagnan, monsignore, è una nottata orribile! non
-conosciamo le località, e non potremo ritrovare la via. Poichè Vostra
-Eccellenza ha fatto tanto di venire fin qua, qualche altro passo, di
-grazia, e ci guidi sino al muro.
-
-«Va bene, disse il ministro».
-
-E prendendo in retta linea, camminò sollecito verso il muro, appiè del
-quale furono in breve tutti quattro.
-
-«Siete contenti, signori? domandò Mazzarino.
-
-«Lo credo, io! bisognerebbe esser troppo difficili! capperi! che tocco
-d’onore! tre poveri gentiluomini scortati da un tal principone!....
-Appunto, Vostra Eccellenza diceva dianzi che eravamo prodi, svelti ed
-armati?
-
-«Sì.
-
-«Ella s’ingannava: armati siamo soltanto io ed il signor du Vallon; il
-conte non lo è, e se c’imbattessimo in qualche pattuglia, bisogna che
-ci possiamo difendere.
-
-«È troppo giusto.
-
-«Ma dove avremo una spada? chiese Porthos.
-
-«Monsignore, disse d’Artagnan, presterà all’occorrenza la sua, che gli
-è inutile.
-
-«Volentieri, rispose il ministro, ed anzi pregherò il signor conte di
-ritenerla per un mio ricordo.
-
-«Questa è galanteria! fece il Guascone giratosi ad Athos.
-
-«E perciò, questi replicò, io prometto a Sua Eccellenza di non mai
-togliermela dal fianco.
-
-«Benone, esclamò d’Artagnan, scambio di cortesie.... che cosa
-commovente! Porthos, e non vi vengono le lacrime agli occhi?
-
-«Sì, rispose Porthos, ma non so se sia tenerezza oppure il vento che mi
-faccia piangere.... Ho idea che sia il vento.
-
-«Ed ora, seguitò d’Artagnan, Athos, salite, e sbrigatevi».
-
-Athos, ajutato da Porthos, che lo sollevò come una penna, arrivò sulla
-gradinata.
-
-«Adesso saltate».
-
-Athos saltò, e sparì dall’altro lato del muro.
-
-«Siete a terra? domandò il tenente.
-
-«Sì.
-
-«Senza disgrazie?
-
-«Sano e salvo.
-
-«Porthos, state ad osservare il signor ministro, intanto che io
-salgo. No, non ho necessità di voi, salirò da per me: badate al signor
-ministro, e tanto basta.
-
-«Bado.... disse Porthos. Ebbene?
-
-«Avete ragione, è più difficile di quel che m’immaginavo. Porgetemi la
-schiena, ma senza lasciare andare monsignor ministro.
-
-«Non lo lascio».
-
-Porthos porse la schiena al Guascone, il quale mercè quell’appoggio fu
-presto cavalcioni sul cornicione.
-
-Mazzarino fingeva di ridere.
-
-«Ci siete? domandò Porthos.
-
-«Sì.... ed ora....
-
-«Ora, che?
-
-«Datemi su il signor ministro, e se grida, strozzatelo».
-
-Mazzarino voleva esclamare, ma Porthos lo strinse con ambe le mani, e
-lo alzò sino a d’Artagnan, che lo pigliò pel collare dell’abito, e se
-lo mise a sedere accanto, e indi strillò minaccioso:
-
-«Signore, balzate subito abbasso vicino al signor di la Fère, o da
-gentiluomo, vi uccido!
-
-«Oh! urlò il Mazzarino, mancate alla fede promessa!
-
-«Io? vi ho promesso forse qualche cosa?»
-
-Il ministro cacciò un sospiro, e rispose:
-
-«Siete libero per dato e fatto mio; la vostra libertà era il mio
-riscatto.
-
-«Sarà; ma il riscatto dell’immenso tesoro nascosto nella galleria, ed a
-cui si scende spingendo una molla celata nella muraglia, che fa girare
-una cassa, la quale poi scuopre una scala, ehi! non si ha da discorrere
-un pochetto anche di quello?
-
-«Gesù! fece Mazzarino quasi soffocando e a mani giunte, Gesù, mio Dio!
-sono un uomo perduto!»
-
-D’Artagnan, però, senza dar mente a’ suoi lamenti, lo afferrò di sotto
-il braccio e lo fe’ scivolare pian piano nelle mani di Athos che era
-rimasto giù fermo.
-
-E voltosi a Porthos, d’Artagnan continuò:
-
-«Pigliatemi per la mano; io mi reggo al muro.»
-
-Porthos fece uno sforzo che scosse il muro, ed a vicenda arrivò in cima.
-
-«Non avevo capito del tutto, esso disse, ma ora capisco: è curiosissima!
-
-«Vi pare così? replicò il Guascone, tanto meglio! ma perchè sia curiosa
-sino all’ultimo, non isprechiamo il tempo».
-
-E balzò abbasso.
-
-E Porthos lo imitò.
-
-«Signori, seguitò d’Artagnan, accompagnate il signor ministro; io
-scandaglio il terreno».
-
-Il tenente cavò fuori la spada, e marciò alla vanguardia.
-
-«Monsignore, domandò, d’onde si deve girare per giungere alla
-strada maestra? Riflettete bene innanzi di rispondere, poichè se
-Vostra Eccellenza prendesse abbaglio, ne potrebbero resultare gravi
-conseguenze, non solo per noi, ma anche per lei.
-
-«Rasentate la muraglia, rispose Mazzarino, e non arrischierete di
-smarrirvi».
-
-I tre amici si sollecitarono, ma indi a poco dovettero rallentare il
-passo, chè ad onta di tutta la buona volontà il ministro non poteva
-tener loro appresso.
-
-Ad un tratto d’Artagnan inciampicò in qualche cosa tepida, la quale si
-mosse.
-
-«Veh! disse egli, un cavallo; signori, ho trovato un cavallo.
-
-«Ed anch’io, aggiunse Athos.
-
-«Io pure, confermò Porthos, che puntuale alla consegna teneva sempre
-Mazzarino per il braccio.
-
-«Questa è sorte, monsignore! fece d’Artagnan, appunto nel momento che
-Vostra Eccellenza si lagnava di dover ire a piedi....»
-
-Però nell’atto che profferiva queste parole, gli si calò sul petto la
-canna di una pistola, ed egli udì a pronunziare gravemente:
-
-«Non toccate!
-
-«Grimaud, esclamò allora, Grimaud, che fai tu costì? Il cielo ti ha
-mandato.
-
-«Signor no, rispose l’onesto domestico, è il signor Aramis che mi ha
-ordinato di badare ai cavalli.
-
-«Dunque Aramis è qui?
-
-«Sì, fino da jeri.
-
-«E che fate?
-
-«Facciamo la posta.
-
-«Come, è qui Aramis? ripetè Athos.
-
-«Alla piccola porta del castello: era là il suo posto.
-
-«Sicchè siete in molti?
-
-«Siamo sessanta.
-
-«Fallo avvertire.
-
-«Subito».
-
-Grimaud, pensando che nessuno eseguirebbe meglio di lui l’incombenza,
-si partì a gambe, mentre i tre amici contenti di essere finalmente
-riuniti rimanevano ad attendere.
-
-Fra tutta la comitiva non v’era altro di mal umore che il signor di
-Mazzarino.
-
-
-
-
-XCI.
-
-_Ove si comincia a credere che alla fine Porthos sarà barone e
-d’Artagnan capitano._
-
-
-A capo a dieci minuti arrivò Aramis, accompagnato da Grimaud e da otto
-o dieci gentiluomini. Era esultante, e si gittò al collo agli antichi
-colleghi.
-
-«Fratelli! dunque siete liberi? liberi senza mio ajuto! e nulla avrò
-potuto io fare a pro vostro, non ostante i miei sforzi?
-
-«Non vi disperate, mio caro: il differito non è perduto; ciò che non
-poteste fare, lo farete.
-
-«Eppure avevo prese bene le mie misure, rispose Aramis, ho ottenuto dal
-Coadjutore sessanta uomini: venti custodiscono le mura del parco, venti
-la strada da Rueil a San Germano, venti sono sparsi per la macchia;
-così, e mediante queste disposizioni di strategia, ho intercettato due
-corrieri di Mazzarino per la regina».
-
-Mazzarino drizzò le orecchie.
-
-«Ma, disse d’Artagnan, mi figuro che gli avrete garbatamente rimandati
-al signor ministro?
-
-«Oh sì! con lui, giusto, mi picchierò di simili delicatezze! In uno
-di quei dispacci Mazzarino dichiara alla sovrana che i forzieri sono
-vuoti e che Sua Maestà non ha più danari; nell’altro annunzia che farà
-trasportare i suoi prigionieri a Melun, non sembrandogli Rueil assai
-sicuro. Capite che quest’ultima lettera mi ha date delle speranze;
-mi sono imboscato co’ miei sessanta, ho attorniato il castello, ho
-fatto preparare dei cavalli scossi, e li ho affidati all’intelligente
-Grimaud, ed ho aspettato che usciste; non me ne lusingavo sino a
-domattina, e non speravo di liberarvi senza una scaramuccia. Siete
-liberi questa sera, liberi, senza battaglia, meglio così! Come avete
-fatto per isfuggire a quel gaglioffo di Mazzarino? dovete aver avuto da
-lagnarvene di molto!
-
-«Non troppo, fece d’Artagnan.
-
-«Davvero?
-
-«Dirò anzi di più: abbiamo avuto da lodarcene.
-
-«È impossibile!
-
-«Sì; in verità: per grazia sua siamo liberi.
-
-«Per grazia sua!
-
-«Certo: ci ha fatti condurre nel locale degli agrumi dal signor
-Bernouin suo cameriere, e di là lo abbiamo seguitato fino dal conte
-di la Fère. Allora ci ha offerto di renderci la libertà; abbiamo
-accettato, ed egli ha portata la compiacenza sino a insegnarci la
-strada e guidarci alla muraglia del parco, la quale avevamo scalata con
-buonissimo esito quando abbiamo incontrato Grimaud.
-
-«Oh bene! continuò Aramis, questo mi rappattuma con lui, e vorrei che
-fosse qui per dirgli che non lo supponevo capace di una azione tanto
-bella.
-
-«Monsignore, disse d’Artagnan che non poteva più frenarsi, permettetemi
-di presentarvi il signor cavaliere d’Herblay, che desidera fare,
-secondo avrete udito, le sue rispettose congratulazioni a Vostra
-Eccellenza».
-
-E si ritirò discuoprendo Mazzarino confuso agli sguardi sbigottiti di
-Aramis.
-
-«Ah ah! gridò questi, il ministro! bella presa! olà, amici! presto! i
-cavalli!»
-
-Accorsero parecchi cavalieri.
-
-«Cospetto! ei continuò, sarò stato utile a qualcosa. Monsignore,
-l’Eccellenza Vostra si degni di ricevere il mio omaggio!.... scommetto
-che è quel Porthos che ha fatto questo buon colpo!.... a proposito, mi
-scordavo....»
-
-E diede sotto voce qualche ordine ad uno de’ suoi.
-
-«Mi pare che sarebbe prudenza andarcene, osservò d’Artagnan.
-
-«Sì, ma io attendo uno.... un amico di Athos....
-
-«Un amico? domandò il conte.
-
-«Ah! eccolo, che viene di galoppo fra i cespugli.
-
-«Signor conte! signor conte! gridò una voce giovanile che fece
-palpitare Athos.
-
-«Raolo! Raolo! esclamò il signor di la Fère».
-
-Per un momento il giovanetto dimenticò il rispetto suo consueto, e si
-gittò al collo a suo padre.
-
-«Vedete, signor ministro, non sarebbe stato peccato di separare persone
-che si amano come noi?.... Signori (disse poscia Aramis ai cavalieri
-che giungevano in numero sempre maggiore), circondate Sua Eccellenza
-onde farle onore; si compiace accordarci il favore della sua compagnia,
-e non dubito che voi gliene sarete grati. Porthos, non perdete di vista
-monsignore».
-
-Ed Aramis, riunitosi a d’Artagnan ed Athos che parlavano, conferì
-insieme con essi.
-
-«Animo, in cammino! fece quindi d’Artagnan.
-
-«E dove si va? chiese Porthos.
-
-«Da voi, mio caro, a Pierrefonds; la vostra bella villa è degna
-di offrire la sua signorile ospitalità a Sua Eccellenza; e di più
-benissimo situata, nè troppo vicina, nè troppo lontana da Parigi; di
-là si potranno stabilire facili comunicazioni colla capitale. Venite,
-monsignore, ci starete da principe come siete.
-
-«Principe decaduto, ribattè in tuono dolente Mazzarino.
-
-«La guerra ha le sue eventualità, replicò Athos, ma siate certo che non
-ne faremo abuso.
-
-«No, ma ne faremo uso», terminò d’Artagnan.
-
-In tutto il resto della nottata, i rapitori corsero con la instancabile
-rapidità dei tempi passati; Mazzarino, cupo e pensoso, si lasciava
-trascinare in mezzo a quel cammino da fantasme.
-
-All’alba avevano fatte dodici leghe in una tirata; la metà della scorta
-era spossata, caddero varj cavalli.
-
-«I cavalli d’oggidì, disse Porthos, non sono come quelli che si avevano
-in addietro; tutto va degenerando.
-
-«Ho mandato Grimaud a Dammatin, rispose Aramis, deve portarci
-cinque palafreni riposati, uno per Sua Eccellenza e quattro per noi.
-L’essenziale si è di non abbandonare monsignore; il rimanente della
-scorta ci seguirà più tardi: una volta che siasi oltrepassato San
-Dionigi, di nulla abbiamo più da temere».
-
-Realmente Grimaud condusse cinque corsieri; il signore, a cui si
-era egli rivolto, essendo amico di Porthos, erasi affrettato, non a
-venderli, conforme gli si proponeva, ma bensì a regalarli. Dopo dieci
-minuti la scorta si fermava ad Ermenonville, ma i quattro camerati
-trottavano con maggiore impegno, facendo guardia al signor ministro.
-
-E a mezzogiorno succedeva l’ingresso nel viale della villa di Porthos.
-
-«Ah! fece Mousqueton, che era accanto a d’Artagnan e non aveva cacciata
-fuori una parola in tutto il tragitto; mi avete a credere se vi pare,
-signor mio, ma questa è la prima volta che respiro da dopo che sono
-partito da Pierrefonds».
-
-E spronò al galoppo per annunziare agli altri servi l’arrivo di du
-Vallon e de’ suoi amici.
-
-«Siamo quattro, disse d’Artagnan ai colleghi, faremo la muta per essere
-di guardia a monsignore, e ciascuno di noi veglierà per tre ore. Athos
-va a visitare il palazzo, che convien rendere inespugnabile in caso di
-assedio; Porthos baderà alle vettovaglie, ed Aramis all’entrata delle
-guarnigioni, lo che vuol dire che Athos sarà ingegnere principale,
-Porthos generale provveditore, ed Aramis governatore della piazza».
-
-Frattanto misero il Mazzarino nel più bell’appartamento.
-
-«Signori, ei disse quando fu ivi stabilito, m’immagino che non abbiate
-idea di tenermi qui gran tempo incognito?
-
-«No, monsignore, rispose d’Artagnan, al contrario, divisiamo annunziare
-prestissimo che vi abbiamo nelle mani.
-
-«E sarete assediati!
-
-«L’abbiam per sicuro.
-
-«E che farete?
-
-«Ci difenderemo. Se fosse vivo il fu ministro signor di Richelieu,
-vi racconterebbe una storia di sul bastione San Gervasio, dove noi
-quattro, con altrettanti nostri lacchè e dodici morti, reggemmo forte
-contro un’intera armata.
-
-«Codeste prodezze si fanno una volta, e non si rinovano.
-
-«E perciò, in quest’oggi non avremo bisogno di tanto eroismo. Domani
-l’armata parigina sarà prevenuta: posdomani la sarà qui. La battaglia,
-anzichè darsi a San Dionigi o a Charenton, si darà dunque verso
-Compiegne o Villers-Cotterets.
-
-«Il signor principe vi batterà come ha fatto sempre.
-
-«Può essere; ma prima del combattimento faremo sgambettare Vostra
-Eccellenza in un’altra tenuta del nostro du Vallon, ed esso ne ha tre
-simili a questa. Non vogliamo esporre l’Eccellenza Vostra ai cimenti
-della guerra.
-
-«Orsù, disse Mazzarino, vedo che converrà capitolare.
-
-«Avanti l’assedio?
-
-«Sì; forse saranno migliori le condizioni.
-
-«Oh! per quanto alle condizioni, osserverete, monsignore, quanto siamo
-ragionevoli.
-
-«Animo, che condizioni sono le vostre?
-
-«Prima, monsignore, riposatevi; e noi ci rifletteremo.
-
-«Non ho necessità di riposo, ma di sapere se sono in mani amiche o
-nemiche.
-
-«Amiche, amiche, Eccellenza!
-
-«Or dunque, ditemi subito ciò che volete, onde io conosca se è
-possibile fra noi un aggiustamento. Parlate, signor conte di la Fère.
-
-«Monsignore, replicò Athos, per me nulla ho da chiedere, e troppo
-per la Francia; quindi mi astengo, e cedo la parola al cavaliere
-d’Herblay».
-
-Ed inchinatosi, mosse un passo all’indietro, e rimase in piedi
-appoggiato al caminetto, come semplice spettatore.
-
-«Dite su, riprese il ministro, che bramate? non vi siano ambiguità, non
-finezze; siate breve, succinto e preciso.
-
-«Io, monsignore, giuocherò a carte scoperte.
-
-«Dunque, fuori il vostro giuoco!
-
-«Ho in saccoccia, disse Aramis, il programma dei patti che venne ad
-imporvi jeri l’altro a San Germano la deputazione nella quale facevo
-parte ancor io. Rispettiamo in primo luogo i diritti antichi: le
-domande inserite nel programma saranno concesse.
-
-«Su quelle, rispose Mazzarino, eravamo quasi d’accordo: si passi perciò
-ai patti particolari.
-
-«Credete dunque che ve n’abbiano da essere? fece Aramis sogghignando.
-
-«Credo che non tutti avrete un disinteresse eguale a quello del signor
-di la Fère, ripicchiò Mazzarino volgendosi a salutare Athos.
-
-«Ah! monsignore, avete ragione, disse Aramis, e sono lieto di scorgere
-che finalmente rendete giustizia al conte: il signor di la Fère è
-una mente superiore, che sorvola sui desiderj volgari e sulle umane
-passioni, è un’anima all’antica ed altera. Il signor conte è un uomo
-diverso dagli altri. Dite bene, monsignore, noi non siamo da suo pari,
-e siamo i primi a confessarlo con voi.
-
-«Aramis! domandò Athos, forse burlate?
-
-«No, caro conte, no.... dico quel che pensiamo e noi e tutti coloro
-che ci conoscono.... ma avete ragione: non si tratta di voi, e bensì di
-monsignore, e dell’indegno suo servo cavaliere d’Herblay.
-
-«Ebbene! che desiderate oltre i patti generali sui quali torneremo a
-discorrere?
-
-«Desidero, Eccellenza, che si dia la Normandia alla signora di
-Longueville, con piena e intera assoluzione, e cinquecento mila lire;
-che Sua Maestà il re si degni esser compare del figliuolo ch’ella ha
-dato alla luce di recente; e che monsignore, dopo avere assistito al
-battesimo, vada a presentare i suoi omaggi al sommo Pontefice.
-
-«Cioè, volete ch’io mi dimetta dalle mie funzioni di ministro, che
-abbandoni la Francia, che me ne vada esule? E voi, signorino? domandò
-Mazzarino a d’Artagnan.
-
-«Io, rispose il Guascone, sono precisamente dell’opinione del cavaliere
-d’Herblay, eccetto che sull’ultimo punto; invece di bramare che
-monsignore lasci la Francia, bramo che resti in Parigi, ed in sostanza
-che rimanga primo ministro, perocchè egli è un gran politico. Procurerò
-ancora, per quanto da me dipenda, ch’egli abbia la preponderanza su
-tutta la _Fronda_, ma a patto che si rammenti alcun poco dei fidi
-servitori del re, e dia la prima compagnia di moschettieri ad uno il
-quale sarà da me accennato. E voi, du Vallon?
-
-«Sì, tocca a voi, fece Mazzarino, parlate.
-
-«Io, replicò Porthos, vorrei che il signor ministro, per onorare la mia
-casa che gli ha dato asilo, in memoria di quest’avventura, favorisse
-erigere le mia tenuta in baronia, con promessa dell’ordine per uno de’
-miei amici alla prima promozione che farà Sua Maestà.
-
-«Sapete pure, signor mio, che per ricever l’ordine bisogna fare delle
-prove.
-
-«E l’amico le farà. D’altronde, se occorresse assolutamente, monsignore
-gli direbbe come si scansa questa formalità».
-
-Mazzarino si morse le labbra; il colpo era diretto, ed egli riprese
-aspramente:
-
-«Tutte queste cose, a parer mio, si combinano malamente, poichè se
-soddisfo alcuni, forzatamente disgusto gli altri. Se sto a Parigi, non
-posso andare a Roma; se ci vado, non posso rimaner ministro, e se non
-lo sono, non posso far capitano messer d’Artagnan e barone messer du
-Vallon.
-
-«È vero, confermò Aramis, e perciò, siccome io formo minorità, ritiro
-la mia proposizione in quel che si spetta alla gita a Roma ed alla
-dimissione di Sua Eccellenza.
-
-«Dunque resto ministro? domandò Mazzarino.
-
-«Ci s’intende! disse d’Artagnan, la Francia ha d’uopo di voi.
-
-«Ed io desisto dalle mie pretese, e Sua Eccellenza rimarrà primo
-ministro, ed anche favorito di Sua Maestà, se vuol concedere a me ed
-agli amici miei ciò che chiediamo per la Francia e per noi.
-
-«Badate a voi, signori, e lasciate che la Francia si accomodi meco come
-intendo, brontolò Mazzarino.
-
-«Signor no! signor no! gridò Aramis, abbisogna ai _Frondisti_ un
-trattato, e l’Eccellenza Vostra si compiacerà redigerlo e firmarlo
-davanti a noi, obbligandosi con quello ad ottenerne la ratifica dalla
-regina.
-
-«Non posso guarentire se non per me, non posso guarentire per la
-regina: e se Sua Maestà ricusa....
-
-«Oh! interruppe il Guascone, voi sapete, monsignore, che nulla può
-ricusarvi la sovrana.
-
-«Ecco, continuò Aramis, ecco il trattato proposto dalla deputazione dei
-Frondisti: si degni Vostra Eccellenza leggerlo ed esaminarlo.
-
-«Lo conosco, disse Mazzarino.
-
-«Dunque sottoscrivetelo.
-
-«Riflettete, signori, che una firma apposta nelle circostanze in cui
-siamo potrebbe considerarsi come carpita con violenza!....
-
-«E Vostra Eccellenza sarà là pronta a dichiarare di averla data
-volontariamente.
-
-«Ma, in conclusione, se io do un rifiuto?
-
-«Ah! fece d’Artagnan, Vostra Eccellenza avrà a dolersi con sè sola
-delle conseguenze del rifiuto.
-
-«Osereste alzar la mano sul ministro!
-
-«Osaste pure alzarla voi sui moschettieri di Sua Maestà.
-
-«La regina mi vendicherà.
-
-«Non lo credo.... benchè la reputi a ciò dispostissima; ma noi andremo
-a Parigi con Vostra Eccellenza, e i Parigini sono gente da difenderci.
-
-«In che inquietudine debbono essere in questo momento a Rueil e a San
-Germano! disse Aramis, come devono domandare ove sia il ministro, ove
-sia passato il favorito! come devono cercarlo da per tutto! quanti
-commenti si debbono fare, e come deve trionfare la _Fronda_ se sa che
-sia sparito monsignore!
-
-«È terribile! mormorò Mazzarino.
-
-«Dunque sottoscrivete il trattato, disse Aramis.
-
-«Ma se io lo firmo, e Sua Maestà nega la sua ratifica?
-
-«Mi assumo io di andare da Sua Maestà e di ottenerla, ribattè il
-Guascone.
-
-«Badate, fece Mazzarino, di non ricevere a San Germano l’accoglienza a
-cui vi credete aver diritto.
-
-«Eh via! mi regolerò in modo da esser colà benvenuto; so bene un mezzo.
-
-«E quale?
-
-«Recherò alla regina la lettera con cui Vostra Eccellenza le annunzia
-totalmente esauste le finanze.
-
-«E poi? disse il ministro fattosi più pallido.
-
-«E poi quando vedrò Sua Maestà nel massimo imbarazzo, la ricondurrò
-a Rueil, la farò entrare nel locale degli agrumi, e le indicherò una
-certa molla che fa muovere una cassa.
-
-«Basta, signore! basta! brontolò il ministro, dov’è il trattato?
-
-«Eccolo, rispose Aramis.
-
-«Vedete che siamo generosi, soggiunse d’Artagnan, poichè molte cose
-potevamo fare con un simil segreto.
-
-«Orsù, firmate, proseguì Aramis porgendo la penna».
-
-Mazzarino si alzò, passeggiò un poco, più pensieroso che abbattuto;
-indi fermatosi ad un tratto:
-
-«Signori, e quando avrò sottoscritto, qual sarà la mia garanzia?
-
-«La mia parola d’onore, proferì Athos».
-
-Mazzarino si scosse, si volse verso il conte di la Fère, esaminò per un
-istante quel volto leale e nobile, e presa la penna, disse:
-
-«Questa mi basta, signor conte».
-
-E firmò.
-
-«Adesso, signor d’Artagnan, soggiunse poi, preparatevi a partire per
-San Germano, ed a portare alla regina una mia lettera».
-
-
-
-
-XCII.
-
-_Qualmente con una penna e una minaccia si fa meglio e più presto che
-con la spada e lo zelo._
-
-
-D’Artagnan era istrutto in mitologia; sapeva che l’occasione ha un
-solo ciuffo di capegli, da cui si possa afferrarla, e non era uomo
-da lasciarla passare senza fermarla dal toppè. Organizzò un metodo
-di viaggio pronto e sicuro, mandando anticipatamente dei cavalli da
-muta a Chantilly, in guisa ch’ei potrebbe essere a Parigi in cinque o
-sei ore. Ma innanzi di partire riflettè che per un giovane di spirito
-e d’esperienza, era una posizione singolare quella di camminare
-all’incerto, e dietro di sè andar lasciando codesta incertezza.
-
-«Infatti, diceva fra sè stesso sul punto di salire a cavallo per
-adempiere al periglioso suo incarico, Athos è un eroe da romanzo per
-la generosità; Porthos, un’indole ottima, ma soggetto alle altrui
-influenze; Aramis, un viso geroglifico, cioè impossibile sempre a
-leggersi. Che produrranno questi tre elementi, quando io non sarò
-più là a ricongiungerli insieme? Forse la liberazione del ministro!
-e questa è la rovina delle nostre speranze, e le speranze nostre sono
-finora l’unica ricompensa di venti anni di fatiche a confronto delle
-quali quelle di Ercole sono opere da pigmei».
-
-D’Artagnan se n’andò da Aramis.
-
-«Voi, caro cavaliere d’Herblay, gli disse, siete la _Fronda_ incarnata;
-diffidatevi adunque di Athos, che non vuol fare gli affari di veruno,
-e tampoco i suoi propri; diffidatevi specialmente di Porthos, che per
-dare nel genio al conte, cui considera come una Divinità sulla terra,
-lo ajuterà a far fuggire Mazzarino, se questi ha tanto giudizio da
-piangere un pochino o da mostrar sentimenti cavallereschi».
-
-Aramis mosse il suo solito sorrisetto scaltro e risoluto.
-
-«Non temete, rispose, ho da stabilire le mie condizioni. Io non lavoro
-per me, ma per gli altri, e bisogna che la mia piccola ambizione tenda
-a profitto di chi si spetta.
-
-«Bene! pensò d’Artagnan, per questo lato sto quieto».
-
-Strinse la mano ad Aramis, e se n’andò da Porthos.
-
-«Amico, gli disse, voi avete lavorato tanto con me per costruire
-l’edifizio della nostra fortuna, che nel momento in cui siamo a
-procinto di cogliere il frutto delle nostre fatiche sarebbe una
-ridicola baggianata se vi lasciaste dominare da Aramis, del quale vi
-è nota la scaltrezza (diciamolo pure fra noi) non sempre scevra da
-egoismo, o da Athos, uomo nobile e disinteressato, ma anche stuccato e
-indifferente, che nulla più bramando per sè stesso, non comprende che
-gli altri bramino qualche cosa. Che direste se uno o l’altro di quei
-nostri amici vi proponesse di lasciar andare Mazzarino?
-
-«Oh! direi che abbiamo stentato troppo a pigliarlo, per levarcelo di
-mano così!
-
-«Bravo, Porthos! ed avreste ragione, mio caro; perchè insieme con lui
-vi levereste di mano la baronia che avete bell’e pronta, senza contare
-che Mazzarino appena fosse fuori di qui vi farebbe appiccare.
-
-«Veramente? lo credete?
-
-«Ne sono sicuro.
-
-«Allora, piuttosto lo ammazzerei che lasciarlo scappare.
-
-«Ed agireste benone. Capite che quando abbiamo pensato di fare i fatti
-nostri, non ci dobbiamo ridurre ad aver travagliato per i Frondisti, i
-quali d’altronde non intendono le quistioni politiche come noi vecchi
-soldati.
-
-«Non abbiate paura, disse Porthos, sto alla finestra a vedervi saltare
-a cavallo, vi seguo con gli occhi sino a che siate sparito, poi torno a
-piantarmi alla porta del ministro, ad un usciale coi vetri che dà sulla
-camera; di là osserverò ogni cosa, ed al minimo gesto sospetto fo un
-esterminio.
-
-«Ottimamente! pensò d’Artagnan, spero che da questo lato il ministro
-sarà custodito a dovere».
-
-E stretta la destra al signor di Pierrefonds, andò da Athos.
-
-«Mio caro Athos, disse allora, io parto; non ho da darvi che un avviso:
-voi conoscete la regina Anna; la detenzione del signor di Mazzarino è
-l’unica mia guarentigia; se ve lo lasciate scivolare, io son morto.
-
-«Non ci voleva meno di questa considerazione, d’Artagnan mio, per
-indurmi a fare il mestiere del carceriere; vi do parola che ritroverete
-il ministro dove ora lo sapete.
-
-«Questo mi pone in quiete meglio che tutte le regie firme, pensò
-il tenente dei moschettieri; ora che ho la promessa di Athos, posso
-partire».
-
-E realmente si avviò, solo, senz’altra scorta che la propria spada,
-e con un semplice passavanti di Mazzarino onde pervenire presso alla
-sovrana. Sei ore dopo essersi mosso da Pierrefonds era a San Germano.
-
-Vi s’ignorava tuttavia che fosse scomparso Mazzarino; lo sapeva
-soltanto Anna, la quale occultava il suo dispiacere anche alle persone
-di sua maggiore intimità. Nella stanza di d’Artagnan e di Porthos
-eransi rinvenuti i due soldati legati e manettati; a questi si era reso
-immediatamente l’uso delle membra e della favella, ma non avevano da
-dire altro se non ciò che stava a lor cognizione, cioè, come fossero
-stati tirati su, avvinti e spogliati; però di quel che avessero fatto
-Porthos e d’Artagnan essendo usciti dalla porta onde eglino erano
-entrati, i meschinelli si rimanevano all’oscuro al pari di tutti gli
-altri abitanti del castello.
-
-Bernouin soltanto era un po’ più informato. Non vedendo ritornare
-il suo padrone, e udita suonare la mezzanotte, si era azzardato a
-penetrare nel locale degli agrumi; la porta chiusa mediante i mobili
-postivi a ridosso gli aveva dato qualche sospetto; bensì egli non
-avea voluto di questi dare comunicazione a veruno, e con pazienza
-erasi aperto il varco sgombrando tutta quella roba. Poi giunto nel
-corridojo lo trovava spalancato da ogni lato; così pure succedeva
-della porta della camera di Athos e di quella del parco. Arrivato
-colà, gli fu facile di seguitare i passi impressi sulla neve; vide che
-questi finivano al muro. Dalla parte opposta scorse la stessa traccia,
-e indi zampate di cavalli, e poscia le orme di una intera compagnia
-di cavalleria allontanatasi nella direzione di Enghien. Allora non
-gli restò più dubbio che il ministro fosse stato portato via dai tre
-prigionieri, dacchè questi insieme con lui erano spariti, e di tutto
-ciò Bernouin correva a dar avviso alla regina a San Germano.
-
-Anna gli raccomandò il silenzio, ed egli lo serbò rigorosamente. Se non
-che ella fece venire a sè il signor Principe, al quale raccontò tutto,
-e che tosto mise in moto cinque o seicento uomini a cavallo, con ordine
-di visitare i contorni, e ricondurre a San Germano qualunque truppa
-sospetta che movesse da Rueil per qual si fosse direzione.
-
-Ed ora, siccome d’Artagnan non formava una truppa, giacchè era solo,
-giacchè non si allontanava da Rueil, giacchè andava a San Germano, così
-niuno gli badò, nè fuvvi il menomo ostacolo al suo viaggio.
-
-La prima persona che il nostro ambasciadore ebbe veduta, all’entrare
-nel cortile del vecchio palazzo fu propriamente messer Bernouin, che,
-ritto sulla soglia, attendeva notizie del padrone.
-
-Bernouin, scorgendo d’Artagnan che passava a cavallo nel cortile
-d’onore, si fregò gli occhi e credè avere sbagliato. Ma d’Artagnan
-col capo gli fece un piccol cenno amichevole, e smontò, e gettata la
-briglia del palafreno sul braccio di un lacchè, si avanzò col sorriso
-sul labbro incontro al gran cameriere.
-
-Il quale alla guisa di uno che preso quasi da incubo parli di notte
-dormendo, esclamò:
-
-«Il signor d’Artagnan!
-
-«Per l’appunto, signor Bernouin.
-
-«E a che venite?
-
-«A recar nuove del signor di Mazzarino, ed anche freschissime.
-
-«Ah! e che n’è stato di lui?
-
-«Sta precisamente come voi ed io.
-
-«Non gli è dunque avvenuta alcuna disgrazia?
-
-«Nessuna assolutamente. Ha provato soltanto il bisogno di fare una gita
-nell’Isola di Francia, e ci ha pregati di accompagnarlo, il conte di
-la Fère, du Vallon e me. Eravamo talmente suoi servi da non potergli
-ricusare una simile domanda. Partimmo jeri sera, ed eccomi qua.
-
-«Eccovi qua!
-
-«Sua Eccellenza aveva da far dire a Sua Maestà qualche cosa, di
-particolare, di segreto, un’ambasciata de non affidarsi che ad un
-soggetto sicuro, e perciò mi ha inviato a San Germano. Sicchè, mio
-caro signor Bernouin, se volete far cosa gradita al vostro padrone,
-avvertite Sua Maestà del mio arrivo e partecipategliene lo scopo».
-
-O parlasse sul serio, o il suo discorso fosse un mero scherzo, essendo
-però evidente che nelle attuali circostanze d’Artagnan era l’unico
-individuo in grado di trarre dall’inquietudine la regina Anna, Bernouin
-non ebbe difficoltà ad andare a riportarle quel singolare messaggio, e
-secondo aveva egli preveduto, la sovrana gli diede ordine d’introdurre
-sul momento il signor d’Artagnan.
-
-D’Artagnan si appressò alla regina con dimostrazioni di profondo
-rispetto. Arrivato a tre passi di distanza da lei, mise a terra un
-ginocchio e le porse il dispaccio.
-
-Era, conforme accennammo, una semplice lettera, mezza d’introduzione e
-mezza di credito. La regina la lesse, riconobbe benissimo il carattere
-del ministro, benchè fosse scritto un po’ tremolante, e siccome il
-foglio non le spiegava niente di quanto era accaduto, ne addimandò dei
-dettagli.
-
-Il Guascone le raccontò ogni cosa con le maniere ingenue che sapeva
-assumere a meraviglia in certe circostanze.
-
-A misura ch’ei favellava Anna lo guardava con maggiore stupore; non
-comprendeva come un uomo osasse immaginare una tale impresa, ed anche
-meno che avesse l’audacia di narrarla a lei, di cui era interesse e
-quasi dovere di punirla.
-
-«Come! ella esclamò quando egli ebbe terminato, come! ardite
-confessarmi il vostro delitto! informarmi così del vostro tradimento!»
-
-E si faceva rossa per la somma indignazione.
-
-«Perdonate, signora, ma mi sembra che o mi sono spiegato male o Vostra
-Maestà non mi ha inteso bene. Non v’è in ciò delitto nè tradimento.
-Il signor di Mazzarino teneva carcerati du Vallon e me, perchè non
-avevamo potuto credere ch’ei ci avesse spediti in Inghilterra onde
-veder tranquillamente tagliar la testa al re Carlo I, cognato del
-defunto re vostro consorte, sposo di Enrichetta vostra sorella, e
-ospite vostra, e che abbiam fatto quanto per noi si poteva onde salvare
-la vita al regio martire. Eravamo dunque convinti, il mio amico ed io,
-che vi fosse sotto qualche errore di cui noi stessi fossimo vittime, e
-ch’esistesse la necessità di una spiegazione nostra con Sua Eccellenza.
-Ora, acciò una spiegazione dia il suo frutto è d’uopo che si faccia
-tranquillamente, lungi da strepiti e da importuni. In conseguenza,
-abbiamo condotto il signor ministro nel castello del mio amico, e là
-si è proceduto agli schiarimenti. Or bene, quel che avevamo preveduto
-era vero, v’era un abbaglio. Il signor di Mazzarino aveva pensato che
-avessimo servito il generale Cromvello invece che il re Carlo: la quale
-sarebbe stata una vergogna che ridonderebbe da noi a lui e da lui a
-Vostra Maestà; una viltà che macchiata avrebbe sul suo primo ceppo la
-regia autorità dell’illustre vostro figlio. E noi gli demmo la prova
-del contrario, e questa prova siamo pronti a darla a Vostra Maestà,
-appellandoci all’augusta vedova che piange in quel Louvre dove le ha
-dato alloggio la vostra regale munificenza. E la prova lo ha appagato
-a tal segno, che in attestato della sua soddisfazione mi ha mandato,
-secondo vede la Maestà Vostra, a ragionare con essolei del risarcimento
-naturalmente dovuto a gentiluomini male apprezzati e perseguitati a
-torto.
-
-«Vi ascolto e vi ammiro! disse Anna. In verità, rade volte ho veduto un
-eguale eccesso d’impudenza!
-
-«Oh! fece d’Artagnan, ecco che adesso anche Vostra Maestà s’inganna
-in proposito delle nostre intenzioni, come era avvenuto al signor di
-Mazzarino.
-
-«Siete in errore, signore, ribattè la regina, e tanto è vero che non
-m’inganno, che fra dieci minuti voi sarete arrestato, e fra un’ora
-io partirò alla testa della mia armata per andar a liberare il mio
-ministro.
-
-«Sono certo che Vostra Maestà non commetterà una tale imprudenza,
-rispose il Guascone, prima perchè sarebbe inutile, e poi perchè
-trarrebbe a risultati gravissimi. Innanzi di esser liberato il signor
-ministro sarebbe morto, e Sua Eccellenza è sì ben persuasa della realtà
-di ciò ch’io asserisco, che mi ha pregato, pel caso ch’io vedessi
-la Maestà Vostra in queste disposizioni, di fare il possibile onde
-ottenere che muti progetto.
-
-«Or bene, dunque mi contenterò di farvi arrestare.
-
-«Neppur questo, signora, perocchè il caso del mio arresto è preveduto
-non meno che quello della liberazione del ministro. Se domani ad un’ora
-fissa io non sono tornato, doman l’altro mattina il signor ministro
-sarà condotto a Parigi.
-
-«Signor mio, ben si vede, che per ragione della vostra situazione
-vivete lungi dagli uomini e dalle faccende; chè diversamente sapreste
-qualmente il ministro è stato cinque o sei volte a Parigi, da quando
-noi ne siamo usciti, e colà ha veduto il signor di Bouillon, il signor
-Coadjutore, il signor d’Elboeuf, e neppur uno di essi ha avuta l’idea
-di farlo arrestare.
-
-«Chiedo scusa, Maestà; tutto ciò mi è noto: e per questo, nè da
-Beaufort, nè da Bouillon, nè dal Coadjutore, i miei amici condurranno
-il ministro, attesochè quei signori fanno la guerra per loro proprio
-conto, ed il signor Mazzarino con accordare ad essi quel che desiderano
-presto si sbrigherebbe, ma bensì al Parlamento, che individualmente,
-in dettaglio, certamente si può comprare, ma per comprarlo in blocco,
-neppure il signor Mazzarino è ricco abbastanza.
-
-«Mi pare, disse Anna fissando uno sguardo che sdegnoso in una donna,
-diventava terribile in una regina, mi pare che minacciate la madre del
-vostro re?
-
-«Minaccio, perchè vi sono costretto. M’ingrandisco, perchè ho d’uopo
-di pormi all’altezza degli eventi e delle persone. Per altro, signora,
-credete una cosa, vera quanto è vero che v’è in questo petto tuttora un
-cuore che balza per voi: credete che voi foste l’idolo costante della
-nostra vita, che arrischiammo, e già il sapete, mio Dio! venti volte
-per la Maestà Vostra.... Or dunque, Vostra Maestà non avrà pietà de’
-suoi servi, che da venti anni hanno vegetato nell’ombra senza lasciarsi
-fuggire in un solo sospiro i segreti sacri e solenni che aveano avuto
-la sorte di dividersi insieme con voi? Miratemi, signora, me che vi
-discorro, me che incolpate di alzar la voce e di assumere un tuono
-minaccioso. Che sono io? un povero ufficiale senza fortune, senza
-rifugio, senza avvenire, se lo sguardo della mia regina, che tanto
-tempo io ricercai, non si ferma su di me un momento. Mirate il conte di
-la Fère, tipo di nobiltà, fiore di cavalleria; egli ha preso partito
-contro la sua regina, o no, piuttosto contro il di lei ministro: e
-quegli non ha esigenze, mi sembra. Mirate finalmente du Vallon, animo
-fido, braccio di ferro; sono venti anni che attende dal vostro labbro
-una parola, la quale mercè il blasone lo faccia quel ch’egli è pel
-sentimento e pel valore. Mirate il vostro popolo, che è qualche cosa,
-poi, per una regina; il vostro popolo, che vi ama, eppur soffre; che
-voi amate, che pure ha fame; che non vorrebbe di meglio che benedirvi,
-e che voi però.... No no, ho torto; il vostro popolo non vi maledirà
-giammai.... Or bene, proferite un accento, e tutto è finito, e la pace
-succede alla guerra, la gioja al pianto, la felicità alle calamità».
-
-Anna considerò con qualche meraviglia la faccia marziale di d’Artagnan,
-su cui poteva scorgersi una singolare espressione di commozione
-interna.
-
-«Perchè non diceste tutto questo prima di agire? domandò.
-
-«Perchè si trattava di provare alla Maestà Vostra un fatto di cui mi
-pare ch’ella dubitava: cioè che abbiamo tuttavia qualche valore, ed è
-giusto che di noi si faccia alcun caso.
-
-«E codesto valore, per quanto io veggo, da nulla sarebbe trattenuto?
-disse Anna.
-
-«Da nulla fu trattenuto in passato; perchè dovrebbe far meno
-all’avvenire?
-
-«E codesto valore, in caso di rifiuto, e in conseguenza di lotta,
-andrebbe sino a portarmi via di mezzo alla mia corte per consegnarmi
-alla _Fronda_ come volete consegnarle il mio ministro?
-
-«Non ci abbiamo mai pensato, rispose d’Artagnan con la smargiassata da
-Guascone che in lui era solo ingenuità, ma se tanto si fosse risoluto
-fra noi quattro, di sicuro lo faremmo.
-
-«Dovevo saperlo! mormorò la sovrana, sono uomini di ferro.
-
-«Ahimè! replicò d’Artagnan, ciò mi prova che da oggi soltanto Vostra
-Maestà ha di noi una giusta idea.
-
-«Bene, ma questa idea, se l’ho finalmente....
-
-«La Maestà Vostra ci renderà giustizia; rendendoci giustizia, non ne
-tratterà più come uomini volgari. Vedrà in me un ambasciadore degno
-degli alti interessi ch’è incaricato di discuter seco.
-
-«Dov’è il trattato?
-
-«Eccolo».
-
-Anna volse gli occhi sul trattato che le porgeva il tenente.
-
-«Non ci veggo, disse, se non che le condizioni generali; vi sono
-fissati gl’interessi dei signori di Conti, di Beaufort, di Bouillon, di
-d’Elboeuf e del signor Coadjutore: ma i vostri?
-
-«Noi ci rendiamo giustizia, signora, mentre ci poniamo all’altezza che
-a noi si conviene. Abbiamo pensato non essere i nostri nomi degni di
-figurare accanto a quei nomi grandiosi.
-
-«Ma voi, m’immagino, non avrete rinunziato ad espormi le vostre pretese?
-
-«Io stimo che voi siate una grande possente regina, e che indegno
-sarebbe della grandezza e possanza vostra il non premiare in modo
-congruo i prodi che ricondurranno Sua Eccellenza a San Germano.
-
-«Tale è la mia intenzione, parlate pure.
-
-«Quegli che ha trattato l’affare (perdonate se incomincio da me, ma è
-d’uopo che io dia a me medesimo l’importanza, non già che ho assunta,
-ma che mi è stata data), quegli che ha trattato l’affare del riscatto
-del signor ministro, a senso mio, acciò il premio non sia al disotto
-della Maestà Vostra, dev’esser fatto capo delle guardie, come diremmo
-colonnello dei moschettieri.
-
-«Così mi chiedete il posto del signor di Tréville!
-
-«Il posto è vacante, e da un anno che fu lasciato dal signor di
-Tréville, questi non è rimpiazzato.
-
-«Ma è una delle prime cariche militari della casa del re!
-
-«Di Tréville era, al pari di me, un semplice cadetto di Guascogna; ebbe
-la carica pel corso di venti anni.
-
-«Trovate risposta a tutto, signore! disse Anna».
-
-E preso di sul tavolino un brevetto, lo riempiè e lo firmò.
-
-«Certo, Maestà, fece d’Artagnan pigliando il brevetto ed inchinandosi,
-è questa una bella e nobile ricompensa: ma le cose di questo mondo sono
-soggette a grande instabilità, ed un uomo che incorresse in disgrazia
-presso Vostra Maestà, perderebbe domani la carica.
-
-«E allora che volete? esclamò la regina, vergognandosi di essere
-scoperta da quello spirito non meno accorto del suo.
-
-«Cento mila scudi per quel povero capitano dei moschettieri, pagabili
-nel giorno in cui i suoi servigi non fossero più graditi dalla Maestà
-Vostra».
-
-Anna rimase perplessa.
-
-«E a dire, seguitò d’Artagnan, che i Parigini offerivano giorni sono,
-per decreto del Parlamento, seicento mila lire a chi consegnasse loro
-il ministro o vivo o morto! vivo per appiccarlo, morto per trascinarlo
-in un letamajo!
-
-«Animo! disse la sovrana, siete ragionevole, poichè non domandate ad
-una regina che il sesto di ciò che proponeva il Parlamento».
-
-E sottoscrisse una promessa di cento mila scudi.
-
-«E poi?.... continuò.
-
-«Signora, il mio amico du Vallon è ricco, e in conseguenza nulla ha da
-bramare dal lato delle fortune; parmi però aver memoria che fra lui e
-il signor di Mazzarino fosse stato discorso di erigere la sua tenuta a
-baronìa.... anzi, per quanto posso sovvenirmi, è cosa promessa.
-
-«Un villano! disse Anna, la gente ne riderà.
-
-«Sarà! ma io son sicuro che quei che ne ridano davanti a lui non
-rideranno due volte.
-
-«Sia pure la baronìa, rispose la regina».
-
-E firmò.
-
-«Adesso resta il cavaliere o l’abate d’Herblay come vorrà la Maestà
-Vostra.
-
-«Vuol esser vescovo?
-
-«No, brama una cosa più facile.
-
-«E quale?
-
-«Che il re si degni esser compare del figlio di madama di Longueville».
-
-Anna sorrise.
-
-«Maestà, fece d’Artagnan, il signor di Longueville è nato da stirpe
-reale.
-
-«Sì, ma il figliuolo!
-
-«Il figliuolo, dev’esserlo, poichè lo è il marito di sua madre.
-
-«E il vostro amico non ha niente da chiedere di più per madama di
-Longueville?
-
-«No.... poichè s’immagina che Sua Maestà il re degnandosi esser compare
-del suo bambino non può fare alla madre un regalo da meno di cinque
-cento mila lire, ben intesi mantenendo al padre il governo della
-Normandia.
-
-«Quanto al governo della Normandia, ribattè la regina, io credo di
-poter impegnarmi, ma per le cinquecento mila lire il ministro non cessa
-di ripetermi che non v’è più danaro nelle casse dello Stato.
-
-«Ne cercheremo insieme, Maestà, s’ella lo permette, e ne troveremo.
-
-«E poi?
-
-«E poi?
-
-«Sì.
-
-«Non v’è altro.
-
-«Non avete il quarto compagno?
-
-«Certo: il conte di la Fère.
-
-«Che chiede?
-
-«Nulla.
-
-«Nulla?
-
-«No.
-
-«E v’è al mondo un uomo che potendo chiedere non chieda?
-
-«V’è il conte di la Fère: il conte di la Fère non è un uomo.
-
-«E che è egli mai?
-
-«È un semidio.
-
-«Non ha un figlio, un giovinetto, un parente, un nepote, di cui di
-Comminges mi tenne proposito come di un bravo ragazzo, e che riportò
-col signor di Chatillon le bandiere di Lens?
-
-«Secondo accenna Vostra Maestà ha un pupillo chiamato il visconte di
-Bragelonne.
-
-«Se gli dessi un reggimento, che direbbe il tutore?
-
-«Forse accetterebbe.
-
-«Forse?
-
-«Sì, qualora Vostra Maestà in persona lo pregasse di accettare.
-
-«Diceste bene, è un uomo singolare. Basta, rifletteremo, e può darsi
-che lo preghiamo. Siete contento?
-
-«Sì, Maestà; ma v’è una cosa non sottoscritta dalla regina.
-
-«Ed è?
-
-«La più importante.
-
-«L’adesione al trattato?
-
-«Appunto.
-
-«Che serve? firmo il trattato domani.
-
-«Credo poter avanzare alla Maestà Vostra un’asserzione: che s’Ella non
-firma oggi quel consenso, non troverà tempo da firmarlo dipoi. Vogliate
-dunque, ve ne supplico, scrivere in piè del programma disteso tutto di
-pugno di Mazzarino come vedete: «acconsento a ratificare il trattato
-proposto dai Parigini».
-
-Anna era presa al laccio; non poteva trarsi indietro e sottoscrisse. Ma
-poi di subito, l’orgoglio irruppe in essa alla guisa di una tempesta,
-ed ella si mise a piangere.
-
-D’Artagnan si scosse al vedere quelle lacrime. Sin da quel tempo le
-regine piangevano come semplici donne.
-
-Egli scosse il capo: pareva che tali lacrime gli abbruciassero il cuore.
-
-«Signora! inginocchiato soggiunse, guardate l’infelice gentiluomo ch’è
-a’ vostri piedi; ei vi prega di credere che ad un cenno di Vostra
-Maestà tutto gli sarebbe possibile. Ha fede in sè, ha fede negli
-amici suoi, vuole aver fede puranco nella sua regina; e la prova
-che di nulla paventa, che su nulla specula, si è che ricondurrà il
-signor di Mazzarino presso la Maestà Vostra senza condizioni. A voi,
-signora, ecco le sacre firme di Vostra Maestà; se crederete dovermele
-restituire, lo farete. Ma da questo momento, più a nulla esse vi
-obbligano».
-
-E d’Artagnan sempre genuflesso, con occhio fiammeggiante di orgoglio e
-maschile intrepidezza, consegnò ad Anna quelle carte che tolte aveale
-di mano con tanta fatica.
-
-V’hanno dei momenti, avvegnachè in questo mondo non è tutto cattivo,
-e non tutto è buono, v’hanno dei momenti in cui ne’ cuori più aridi e
-freddi va germogliando, irrigato dalle lacrime di estrema emozione, un
-sentimento generoso, che dal calcolo e dalla superbia vien soffocato
-se un altro cuore non lo afferra sul nascere. Anna era in uno di quei
-dati istanti. D’Artagnan, cedendo alla propria commozione, in armonia
-con quella della sovrana, avea compiuta l’opera di una profonda
-diplomazia; e quindi fu immediatamente premiato dell’arte sua o del suo
-disinteresse, secondo che vorremo dar onore al suo spirito od al cuor
-suo della ragione che lo fece agire.
-
-«Dite bene, signore, replicò Anna; non avevo saputo conoscervi.
-Ecco gli atti firmati, che liberamente io vi rendo; ed al più presto
-riconducete a me il ministro.
-
-«Signora, disse d’Artagnan, sono già venti anni, ho buona la memoria,
-ch’ebbi l’onore, dietro a un parato del palazzo comunitativo, di
-baciare una di codeste bellissime mani.
-
-«Ed ecco l’altra, fece la regina, ed acciò la sinistra non sia men
-liberale che la destra (e si trasse dal dito un diamante consimile
-all’incirca al primo) prendete e conservate questo anello per mio
-ricordo.
-
-«Regina, disse d’Artagnan alzandosi, non ho che un solo desiderio, che
-la prima cosa che a me richiedete sia la mia vita».
-
-E con quel bel portamento ch’era tutto suo, levatosi in piedi, si
-ritirò.
-
-«Non ho conosciuti costoro, pensò Anna mentre d’Artagnan si
-allontanava, ed ora è tardi per ch’io ne cavi profitto: fra un anno il
-re sarà in maggiorità».
-
-Di là a quindici ore, d’Artagnan e Porthos accompagnavano Mazzarino
-presso alla regina, e ricevevano, uno il brevetto da luogo-tenente
-capitano dei moschettieri, l’altro il diploma da barone.
-
-«Siete contenti? domandò loro Anna».
-
-D’Artagnan fece un inchino; Porthos si girava tra le dita il diploma
-osservando Mazzarino.
-
-«Che altro v’è egli? chiese il ministro.
-
-«Monsignore, v’è che s’era parlato di una promessa di cavaliere
-dell’Ordine alla prima promozione.
-
-«Ma sapete, signor barone, che non si può esser cavaliere dell’Ordine,
-senza aver dato prova di sè.
-
-«Oh! fece Porthos, non già per me richieggo il cordone turchino.
-
-«E per chi? interrogò il ministro.
-
-«Pel mio amico signor conte di la Fère.
-
-«Oh! rispose la sovrana, è tutt’altro! quegli ha date le prove
-necessarie.
-
-«Lo avrà egli?
-
-«Lo ha».
-
-Nel medesimo giorno era sottoscritto il trattato di Parigi, e
-dappertutto si proclamava che il ministro si fosse rinchiuso nelle sue
-stanze onde redigerlo con maggiore attenzione.
-
-Ed ecco ciò che vi guadagnava ciascuno:
-
-Il signor di Conti si aveva Damvilliers, ed avendo fatto mostra di
-sè come generale, otteneva di restare uomo d’arme e non diventare
-cardinale. Di più, erano state lanciate alcune parolette di
-matrimonio con una nepote di Mazzarino, le quali poi eransi raccolte
-favorevolmente dal principe, a cui poco premeva chi si fosse la moglie,
-pur che moglie gli si desse.
-
-Il duca di Beaufort rientrava in corte, con tutte le soddisfazioni
-dovutegli per le fattegli offese, e con gli onori a cui aveva diritto
-pel suo rango. Gli si concedeva la piena e intera grazia di quelli che
-lo avevano ajutato nella fuga, la sopravvivenza all’ammiragliato che
-teneva il duca di Vendome suo padre, ed una indennizzazione per le case
-e ville di suo che il Parlamento di Brettagna avea fatto demolire.
-
-Il duca di Bouillon riceveva delle proprietà di valore eguale al suo
-principato di Sedan, una indennizzazione per le otto annate di non
-godimento del suddetto principato, e il titolo di principe accordato a
-lui ed a quelli di sua casa.
-
-Il duca di Longueville aveva il governo del Ponte-dell’Arca,
-cinquecento mila lire per la sua consorte, e l’onore di vedere il suo
-figlio tenuto a battesimo dal giovane re e dalla giovane Enrichetta
-d’Inghilterra.
-
-Aramis stipulò che Bazin officiasse a quella solennità, e che Planchet
-avesse a vendere i confetti.
-
-Il duca d’Elboeuf ottenne il pagamento di certe somme dovute a sua
-moglie, cento mila lire pel maggiore de’ suoi figli, e venticinque mila
-per ognuno degli altri.
-
-Il Coadjutore soltanto non ebbe nulla; gli fu promesso di trattare
-pel bramato cappello, ma egli sapeva quanto si potesse contare su tali
-promesse di Anna e di Mazzarino; ed all’opposto dal signor di Conti,
-non potendo essere cardinale, gli toccava rimanere uomo di guerra.
-
-E così, quando tutta Parigi si rallegrava del ritorno del re fissato
-al posdomani, Gondi, solo in mezzo alla generale esultanza, era tanto
-di mal umore, che mandò tosto a chiamare due individui cui voleva
-ricercare quando era in pari disposizione di spirito.
-
-Un di costoro era il conte di Rochefort, e l’altro il mendico da
-Sant’Eustachio.
-
-Vennero con la consueta puntualità, e il Coadjutore stette con essi
-porzione della nottata.
-
-
-
-
-XCIII.
-
-_Nel quale si prova come talvolta sia ai re più difficile lo rientrare
-nella capitale del loro reame, che lo uscirne._
-
-
-Mentre d’Artagnan e Porthos erano andati ad accompagnare il ministro
-a San Germano, Athos ed Aramis avendogli lasciati a San Dionigi eran
-tornati a Parigi.
-
-Ciascuno di essi aveva da fare la sua visita.
-
-Aramis appena toltisi gli stivali da viaggio corse al palazzo
-comunitativo dov’era madama di Longueville. Alla prima notizia avuta
-della pace, la bella duchessa strillò ed inveì: la guerra la faceva
-regina, la pace produceva la sua abdicazione; dichiarò che non
-apporrebbe mai la firma al trattato e che voleva guerra eterna.
-
-Ma allorchè Aramis le ebbe presentata quella pace sotto il vero suo
-aspetto, cioè con tutti i suoi vantaggi; allorchè le ebbe mostrato,
-in iscambio della sua sovranità precaria e contrastata in Parigi, la
-dignità di vice-regina al Ponte-dell’Arca, vale a dire dell’intera
-Normandia; allorchè ebbe fatto suonare alle orecchie le cinquecento
-mila lire promesse dal ministro; allorchè le ebbe fatto brillare
-davanti agli occhi l’onore che le concederebbe il re tenendo il suo
-figliuolo sul fonte battesimale: madama di Longueville non disputò più
-altro che per l’abitudine che hanno di disputare le belle donne, e non
-più si difese se non se per arrendersi.
-
-Aramis s’infinse di dar fede alla sua opposizione, e non volle di
-faccia a sè stesso privarsi del merito di averla persuasa.
-
-«Signora, le disse, voi avete voluto battere una volta il signor
-principe vostro fratello, il più grande capitano dell’epoca attuale,
-e quando le donne di genio hanno fissa un’idea vi riescono sempre.
-Voi ci siete dunque riuscita. Il principe è sconfitto, dacchè non può
-più far guerra. Adesso, traetelo nel nostro partito. Distaccatelo
-pian piano dalla regina, ch’ei non ama, e dal signor di Mazzarino,
-ch’ei disprezza. La _Fronda_ è una commedia della quale non abbiamo
-peranche rappresentato se non il primo atto. Aspettiamo Mazzarino allo
-scioglimento, cioè al giorno in cui il principe, vostra mercè, si sarà
-volto contro alla corte».
-
-La Longueville restò convinta. Avea tanta fiducia nel potere de’ suoi
-begli occhi, la duchessa Frondista, che punto non dubitò della loro
-influenza, anche sopra il signor di Condé, e la cronaca di que’ tempi
-diceva che non aveva presunto di troppo.
-
-Athos, lasciando Aramis sulla Piazza Reale, si era recato dalla
-signora di Chevreuse. Essa pure era una Frondista da persuadere, ma
-più difficile che la sua rivale: in favor suo non erasi stipulata
-condizione veruna. Il signor di Chevreuse non era nominato governatore
-di alcuna provincia, e se la regina acconsentiva ad esser comare, non
-poteva ciò essere che del suo nepotino o della nepotina.
-
-E quindi, alle prime parole della pace, madama di Chevreuse inarcò le
-ciglia, e non ostante tutta la logica di Athos per mostrarle essere
-impossibile una guerra più lunga, insistè per le ostilità.
-
-«Bella amica, disse Athos, permettetemi di dirvi che tutti sono stanchi
-della guerra; che eccettuato voi, e forse il signor Coadjutore, tutti
-bramano la pace. Vi farete esigliare come a tempo del re Luigi XIII.
-Credete a me, abbiamo passata l’età dei buoni successi nell’intrigo, e
-i vostri occhi vaghissimi non sono destinati ad estinguersi piangendo
-Parigi, dove saranno ognora due regine sinchè voi vi sarete.
-
-«Oh! disse la duchessa, se non posso far la guerra da me sola, posso
-però vendicarmi di quella ingrata regina e dell’ambizioso favorito....
-e mi vendicherò!
-
-«Signora, rispose Athos, non apprestate un tristo avvenire al signor
-di Bragelonne; oramai è slanciato, il signor Principe lo ha preso a
-benvolere, è giovane, lasciamo che si stabilisca un giovinetto re....
-Ahimè! scusate la mia debolezza: viene il momento in cui l’uomo rivive
-e ringiovanisce ne’ suoi figli».
-
-La Longueville sorrise, un po’ teneramente e un po’ con ironia.
-
-«Conte, essa replicò, temo che siate già devoluto al partito della
-corte. Non avreste per caso in saccoccia qualche cordone turchino?
-
-«Sì signora, ripicchiò Athos, ho quello della Giarrettiera datomi dal
-re Carlo I pochi giorni innanzi la sua morte».
-
-Ei diceva il vero: ignorava la domanda di Porthos, e non sapeva di
-averne altri fuor di quello.
-
-«Animo! bisogna diventar vecchia, sospirò la duchessa pensierosa».
-
-Athos le prese e le baciò la mano. Ella guardandolo diè un altro
-sospiro e soggiunse:
-
-«Conte, dev’essere un’amena dimora Bragelonne; voi siete uomo di buon
-gusto: dovete avervi acqua, boschi, fiori....»
-
-Sospirò di nuovo, ed appoggiò la leggiadrissima testa sulla mano
-graziosamente ricurvata e sempre egregia per la forma e la bianchezza.
-
-«Madama, rispose il conte, che dicevate poc’anzi? io non vi vidi mai
-più giovane, mai non vi vidi più bella».
-
-La signora scosse alquanto il capo.
-
-«Il signor di Bragelonne rimane in Parigi? domandò poi.
-
-«Che ne pensate? chiese a lei Athos.
-
-«Lasciatemelo, conte.
-
-«No signora. Se voi vi siete scordata la storia di Edippo, io me la
-rammento.
-
-«In verità, siete amabilissimo.... e mi piacerebbe vivere un mese a
-Bragelonne.
-
-«Non avete timore di suscitarmi molti invidiosi, duchessa? disse con
-tutta galanteria Athos.
-
-«No, ci andrò incognita, sotto nome di Maria Michon.
-
-«Madama, siete adorabile!
-
-«Ma Raolo, non lo lasciate presso di voi.
-
-«E perchè?
-
-«Perchè è innamorato.
-
-«Egli! un fanciullo!....
-
-«E diffatti, ama da fanciullo».
-
-Il conte si diede a pensare.
-
-«Duchessa, avete ragione, quell’amore singolare per una bambinella di
-sette anni può renderlo un dì molto infelice. Deve esservi battaglia in
-Fiandra, egli vi andrà.
-
-«E al suo ritorno lo manderete a me, io gli farò un usbergo contro
-l’amore.
-
-«Ohimè! oggidì l’amore è come la guerra, e l’usbergo gli è divenuto
-inutile».
-
-Nel momento entrava Raolo; veniva ad annunciare come il conte di Guiche
-suo amico lo aveva allora avvertito che alla domane avrebbe luogo
-l’ingresso solenne del re, della regina e del ministro.
-
-E in fatti, alla domane all’alba la corte fece tutti i suoi preparativi
-onde abbandonare San Germano.
-
-Sin dalla sera avanti la regina aveva chiamato a sè d’Artagnan.
-
-«Signore, gli aveva detto, mi assicurano che Parigi non è quieta; temo
-per il re: ponetevi accanto allo sportello a destra.
-
-«Vostra Maestà stia pur tranquilla, disse d’Artagnan, rispondo io per
-il re».
-
-E salutata la sovrana, uscì.
-
-In quel punto Bernouin si fece ad avvisarlo che il ministro lo
-attendeva per oggetti importanti.
-
-Egli si recò tosto dal ministro.
-
-Il quale gli parlò così:
-
-«Si discorre di sommosse in Parigi; io starò alla parte sinistra presso
-al re, e siccome sarò principalmente minacciato, voi tenetevi allo
-sportello da sinistra.
-
-«Vostra Eccellenza non dubiti, replicò d’Artagnan: al re nessuno
-toccherà un sol capello».
-
-Quando fu nell’anticamera borbottò:
-
-«Diamine! come farò a cavarmene fuori? Non posso mica trovarmi al tempo
-stesso a diritta ed a manca.... Eh sì! io farò guardia al re, e Porthos
-farà guardia a Mazzarino».
-
-Questo compenso fu di genio di tutti, lo che avviene ben di rado: la
-regina fidava nel coraggio di d’Artagnan a lei noto, ed il ministro
-nella forza di Porthos ch’egli aveva provata.
-
-Il corteggio si avviò pella capitale nell’ordine prestabilito; Guitaut
-e Comminges alla testa delle guardie, andavano per i primi; indi la
-regia carrozza, avendo da un lato d’Artagnan e dall’altro Porthos; poi
-i moschettieri i vecchi amici di d’Artagnan da ventidue anni, che da
-venti anni era loro tenente, e dal dì innanzi loro capitano.
-
-Giunta alla barriera, la carrozza fu salutata dalle grida di «Evviva il
-re! evviva la regina!»
-
-Vi si mischiarono alcuni: «Evviva Mazzarino!» ma non ebbero eco.
-
-Si dirigevano a Nostra Donna, ove doveva cantarsi il _Te Deum_.
-
-Tutto il popolo di Parigi era per le strade. Si erano schierati gli
-Svizzeri in tutta la lunghezza della via, ma sendo questa assai lunga
-stavano un dall’altro distante di sei o otto passi e all’altezza di
-un sol uomo. Sicchè il baluardo era insufficiente, e tratto tratto
-quell’argine rotto da un’ondata di gente stentava di molto a tornare a
-formarsi.
-
-Ad ognuna di codeste rotture, fatta però con buona intenzione,
-provenendo dal desiderio che avevano i Parigini di rivedere il lor re
-e la loro regina, dei quali erano privi da un anno, la sovrana guardava
-inquieta d’Artagnan, e questi con un sorriso la riconfortava.
-
-Mazzarino, che aveva speso un migliajo di scudi per fare strillare:
-«Evviva Mazzarino!» e non valutava gli strilli uditi a una ventina
-di doppie, adocchiava pur inquieto Porthos; ma la gigantesca guardia
-del corpo rispondeva all’occhiatina con una voce tanto sonora: «State
-tranquillo monsignore» che monsignore cominciava a tranquillarsi.
-
-Arrivati al Palazzo Reale, trovarono anche maggior folla; essa era
-accorsa sulla piazza di tutte le strade adjacenti, e si vedeva alla
-guisa di un largo fiume agitato, tutta quella calca che veniva incontro
-al cocchio, e tumultuosamente traboccava nella via sant’Onorato.
-
-Quando e’ furono sulla piazza echeggiarono grida clamorosissime
-di «Viva le Loro Maestà!» Mazzarino si chinò un poco in fuori da’
-cristalli; salutarono la sua comparsa due o tre gridi di «Viva
-il ministro!» ma quasi subito una scarica di fischiate le soffocò
-spietatamente. Mazzarino impallidito si cacciò dentro colla massima
-fretta.
-
-«Birbanti!» borbottò Porthos.
-
-D’Artagnan non disse nulla, ma si arricciò i baffi con un gesto
-particolare, il qual significava che gli si cominciava a riscaldare la
-bile da Guascone.
-
-Anna si chinò verso il giovanetto re, e gli disse all’orecchio:
-
-«Figliuolo, fate un gesto grazioso e dite qualche parolina al signor
-d’Artagnan».
-
-Onde il re abbassatosi allo sportello:
-
-«Signor d’Artagnan, non vi ho ancora dato il buon giorno, eppure vi ho
-riconosciuto benissimo; siete voi ch’eravate dietro alle cortine del
-mio letto in quella notte che i Parigini vollero vedermi dormire.
-
-«E se il re lo permette, rispose il capitano, io gli starò al fianco
-ogni qualvolta vi sia per lui alcun rischio.
-
-«Signore, domandò Mazzarino a Porthos, che fareste se tutto il popolo
-si avventasse addosso a noi?
-
-«Ne ammazzerei più che potessi, monsignore.
-
-«Uhm! per quanto siate robusto e animoso, non potreste ammazzarlo tutto.
-
-«È vero, ribattè Porthos rizzandosi sulle staffe a meglio scuoprire
-l’immensa folla, è vero, e’ son di molti!
-
-«Quasi quasi, avrei più caro quell’altro» mugolò Mazzarino, e si buttò
-in fondo alla carrozza.
-
-La regina e il suo ministro avevano ragione di star in pensiero, e
-quest’ultimo specialmente. La moltitudine, benchè serbasse le apparenze
-di rispetto ed anche di affetto per il re e la reggente, principiava ad
-agitarsi in tumulto. Si udivano correre quei tristi rumori, che mentre
-vanno rasentando le onde danno indizio di tempesta, e mentre danno su
-la turba presagiscono sommossa.
-
-D’Artagnan si volse ai moschettieri, e facendo occhiolino venne a far
-un cenno, per la calca impercettibile, ma per quel corpo scelto e prode
-assai chiaro a comprendersi.
-
-Si ristrinsero le file dei cavalli, fra gli uomini fu bisbiglio.
-
-Alla barriera dei Sergenti bisognò fermarsi; Comminges si tolse dalla
-testa della scorta, e si appressò al cocchio della regina.
-
-La sovrana con uno sguardo interrogò d’Artagnan, il quale le rispose
-con lo stesso linguaggio.
-
-«Andate avanti» disse allora Anna.
-
-Comminges ritornò al suo posto. Fu fatto uno sforzo, e si aperse con
-impeto la barriera vivente.
-
-Sorse qualche mormorìo tra la folla, e questa volta diretto ugualmente
-al re che al ministro.
-
-«Avanti! urlò d’Artagnan.
-
-«Avanti! ripetè Porthos».
-
-Ma come se la moltitudine non avesse atteso altro che questa
-dimostrazione per infuriare, si manifestarono insieme tutti i
-sentimenti ostili ch’essa racchiudeva, e da ogni parte gridavasi:
-«Abbasso il Mazzarino! morte al ministro!»
-
-Nello stesso tempo, dalle strade del Gallo e di Grenelle sant’Onorato
-si scagliò un’ondata di popolo che ruppe la debole fila delle
-guardie svizzere e venne romoreggiando sino alle zampe dei cavalli di
-d’Artagnan e di Porthos.
-
-Questa nuova irruzione era più pericolosa delle altre, perocchè
-componevasi di gente armata, e armata meglio che non suol essere in
-simili casi la plebe. Si scorgeva che quest’ultimo movimento non era
-effetto del caso che avesse riunito un dato numero di malcontenti sul
-medesimo punto, ma bensì calcolo di uno spirito ostile che ordinato
-avesse un attacco.
-
-Le due masse erano condotte ciascheduna da un capo, dei quali uno
-sembrava appartenesse non al volgo, ma anzi alla onorevole corporazione
-degli accattoni, e l’altro, ancorchè affettasse d’imitare le maniere
-della plebe, facilmente riconoscevasi essere un gentiluomo.
-
-Agivano ambedue, ed evidentemente pel medesimo impulso.
-
-Fuvvi una forte scossa, che si sentì per sino dentro al regio cocchio;
-di poi migliaja di strida fecero udire immenso clamore, a cui si
-aggiunsero due o tre spari.
-
-«A me i moschettieri!» chiamò d’Artagnan.
-
-La scorta si divise in due file; una passò a man destra dalla carrozza
-e l’altra a sinistra; una in ajuto a d’Artagnan e l’altra a Porthos.
-
-Allora s’impegnò una zuffa tanto più terribile in quanto che era senza
-scopo, tanto più funesto in quanto che nessuno sapeva perchè, e per chi
-si battesse.
-
-Come tutti i movimenti del popolaccio, l’urto di quella folla fu
-tremendo; i moschettieri in piccol numero, male ordinati, non potendo
-framezzo alla turba far circolare i loro cavalli, cominciarono a
-soffrire d’assai.
-
-D’Artagnan aveva ordinato si calassero le stuoje del legno; il
-giovanetto re però stendendo il braccio avea detto:
-
-«No no, signor d’Artagnan, voglio vedere.
-
-«Vostra Maestà vuol vedere? fece d’Artagnan, ebbene, guardi pure!»
-
-E d’Artagnan voltosi con quella furia che lo rendeva terribile, balzò
-verso il capo dei sollevati che con in mano una pistola e nell’altra la
-spada procurava aprirsi il passo, sino allo sportello contrastando con
-due moschettieri.
-
-«Largo, corpo di Diana! egli urlò, largo! largo!»
-
-A quella voce, l’uomo della pistola e della spada alzò la testa; ma era
-già tardi, chè d’Artagnan avea data la botta, e la sua draghinassa gli
-aveva già attraversato il petto.
-
-«Ah, caspita! esclamò d’Artagnan, tentando, ma non più a tempo, di
-trattenere il colpo, conte, e che diavolo venivate a fare qua?
-
-«A compiere il mio destino, rispose Rochefort cadendo con un ginocchio
-in terra, son già scapolato da tre colpi della vostra spada, ma non
-così mi riuscirà dal quarto.
-
-«Conte, disse d’Artagnan con una qualche emozione, ho percosso
-senza sapere che foste voi; mi dorrebbe, se morite, che moriste con
-sentimento d’odio per me».
-
-Rochefort gli porse la destra; voleva parlare, ed il sangue corsogli
-alla bocca gli tolse la parola; s’irrigidì in una convulsione, e spirò.
-
-«Indietro, canaglia! urlò il Guascone, il vostro capo è morto, e qui
-voi altri non avete più che fare».
-
-E realmente, come se il conte di Rochefort fosse stata l’anima
-dell’attacco che rivolgevasi dalla parte della carrozza del re, tutta
-la folla che lo avea seguitato e che gli obbediva si diede alla fuga
-al mirar la sua caduta. D’Artagnan mandò una carica con una ventina
-di moschettieri nella contrada del Gallo, e quella porzione d’insorti
-si dileguò come un fumo disperdendosi su la piazza di San Germano
-l’Auxerrois, e poi scappando giù pei ponti.
-
-D’Artagnan tornò addietro per dar soccorso a Porthos ove ne
-abbisognasse; ma Porthos dal lato suo aveva lavorato con minor
-coscienza di lui. Il lato sinistro della vettura era sgombrato a pari
-del destro, e si rialzava la stuoja dello sporto, che Mazzarino non
-tanto bellicoso quanto il re avea fatto calare.
-
-Porthos sembrava malinconico.
-
-«Che brutta cera fate mai? disse d’Artagnan, che aspetto singolare
-avete così per un uom vittorioso!
-
-«Ma anche voi mi parete agitato!
-
-«E ne ho ben d’onde, caspita! ho ucciso un antico amico.
-
-«Davvero! e chi?
-
-«Il povero conte di Rochefort!...
-
-«Veh! com’è accaduto a me: ho ucciso un tale di cui non mi è ignota la
-faccia; disgraziatamente l’ho percosso sul capo, e in un momento gli si
-è cosparso di sangue tutto il volto.
-
-«E nel cadere non ha detto nulla?
-
-«Anzi sì.... ha detto: uf!
-
-«Capisco, rispose d’Artagnan senza poter frenare le risa, che se non ha
-pronunziato altro, ciò non vi deve avere schiarito molto.
-
-«Ebbene? domandò la regina.
-
-«Maestà, replicò d’Artagnan, la strada è libera; la Maestà Vostra può
-proseguire il tragitto».
-
-Tutto il seguito arrivò senz’altri inconvenienti a Nostra Donna, ove
-sotto al loggiato della porta maggiore, il clero intero, col Coadjutore
-alla testa, attendeva il re, la regina ed il ministro, pel beato
-ritorno di cui dovevasi cantare il _Te Deum_.
-
-Durante il servigio religioso, e verso l’istante che questo si
-avvicinava alla fine, entrò un biricchino in chiesa, tutto ansante,
-corse alla sagrestia, si vestì presto presto da cantore, e mercè la
-rispettabile uniforme indossata, passando fra mezzo alla calca che
-riempieva il tempio, si accostò a Bazin, il quale colla sua cappa
-turchina, e con la mazza di balena guernita di argento in mano, stava
-gravemente impettito di faccia allo svizzero all’ingresso del coro.
-
-Bazin si sentì tirare per la manica. Abbassò verso il suolo gli occhi
-divotamente alzati al cielo, e riconobbe Friquet.
-
-«Ebbene, sguajato! disse il bidello, che v’è egli per osar disturbarmi
-nell’esercizio delle mie funzioni?
-
-«Signor Bazin, e’ v’è che il signor Maillard.... sapete pure, quello
-che dava l’acqua benedetta in sant’Eustachio....»
-
-«Sì.... e poi?...
-
-«Gua’! nella barabuffa ha avuto una botta di spada.... e gliel’ha data
-quel gigantone là, che voi vedete tutto ricami sulle cuciture.
-
-«Sì sì.... oh! allora, deve star male davvero!
-
-«Tanto male, ch’è per morire, e avanti di morire vorrebbe confessarsi
-al signor Coadjutore, che dicono abbia potere di assolvere dai peccati
-grossi.
-
-«E si figura che il signor Coadjutore si scomodi per lui?
-
-«Eh! sì, perchè pare glielo abbia promesso.
-
-«Chi te lo ha detto?
-
-«Il signor Maillard.
-
-«Dunque lo hai veduto?
-
-«Di sicuro; quando è cascato in terra.
-
-«E che facevi laggiù?
-
-«Senti! strillavo: «Abbasso il Mazzarino! a morte il ministro! alla
-forca l’Italiano!» non mi avevate detto di urlare così?
-
-«Vuoi stare zitto, briccone? disse Bazin guardandosi attorno.
-
-«Sicchè, il povero Maillard mi ha detto: «Friquet, va a chiamarmi
-il Coadjutore, e se me lo conduci ti fo mio erede». Ehi, padre
-Bazin? erede del signor Maillard, che dava l’acqua benedetta in
-sant’Eustachio! non avrei più bisogno di far nulla.... Basta, avrei
-caro di fargli questo servizio, che ne dite?
-
-«Vo ad avvertire il signor Coadjutore» rispose Bazin.
-
-E si accostò rispettosamente e lentamente al prelato, e gli pronunziò
-all’orecchio qualche parola, a cui quegli diede in replica un cenno
-affermativo; laonde ritornato col passo medesimo col quale era ito,
-ordinò a Friquet:
-
-«Vattene a dire al moribondo che abbia pazienza, e fra un’ora sarà da
-lui monsignore.
-
-«Bene! fece il ragazzo, ecco fatta la mia fortuna.
-
-«Appunto, domandò il bidello, dov’è stato portato?
-
-«Alla torre San Jacopo la Boucherie».
-
-E Friquet contentissimo della sua ambasciata uscì dalla basilica, e si
-avviò con tutta la lestezza di che era capace alla torre indicata.
-
-Terminato il _Te Deum_, il Coadjutore, conforme avea promesso, e senza
-togliersi neppure le vesti sacerdotali, s’incamminò alla vecchia torre
-a lui ben cognita. Arrivava a tempo: benchè ogni momento peggiorasse,
-il ferito non era ancor morto.
-
-Gli fu aperto l’uscio della stanza ove il mendico stavasi agonizzante.
-
-Indi a poco venne fuori Friquet tenendo in mano un grosso sacco di
-cuojo, e lo sciolse appena partitosi dalla camera, e con sommo stupore
-lo trovò pieno d’oro.
-
-L’accattone gli aveva mantenuta la parola facendolo erede.
-
-«Ah! mamma mia! ah mamma Biagia!» esclamò Friquet.
-
-Non potè profferire altro, ma la forza mancatagli per parlare gli
-rimase per agire. Si diede verso la strada a una corsa disperata, e
-come il Greco di Maratona che cadeva sulla piazza di Atene con l’alloro
-in mano, egli arrivò sulla soglia del consigliere Broussel, ed arrivato
-cadde sul pavimento, spargendo su questo i luigi che straboccavano dal
-sacco.
-
-La Biagia cominciò dal tirar su le monete, e poi tirò su il figliuolo.
-
-Frattanto il corteggio entrava nel Palazzo Reale.
-
-«È un uomo molto prode, madre mia, quel signor d’Artagnan, disse il
-giovine re.
-
-«Sì, figlio mio, e rese grandi servigi a vostro padre: sicchè
-all’avvenire abbiategli riguardo.
-
-«Signor capitano, disse smontando il piccolo re a d’Artagnan, la regina
-m’incarica d’invitarvi a pranzo per oggi, voi ed il vostro amico barone
-du Vallon».
-
-Era questo un grande onore pei due gentiluomini, e quindi Porthos ne
-fu soddisfattissimo; ma non ostante, in tutta la durata del pasto si
-mostrò assai pensieroso.
-
-«Che cosa avevate, barone? gli domandò d’Artagnan scendendo le scale
-del Palazzo Reale, a tavola, avevate la cera pensierosa.
-
-«Cercavo, rispose Porthos, di ricordarmi dove avessi visto quel mendico
-che debbo aver ucciso.
-
-«E non vi riesce?
-
-«No no.
-
-«Or bene, cercate, e quando avrete trovato me lo direte, non è così?
-
-«Eh cospetto! fece Porthos.
-
-
-
-
-CONCLUSIONE.
-
-
-I due amici, trasferitisi alla loro abitazione, trovarono una lettera
-di Athos che fissava loro l’appuntamento al _Gran Carlomagno_ per la
-mattina seguente.
-
-Ambedue si coricarono a buon’ora, ma non dormirono. Non si giunge già
-alla meta di tutte le nostre brame, senza che la meta una volta toccata
-influisca a discacciare il sonno, almeno per la prima notte.
-
-All’indomani all’ora stabilita si recarono da Athos. Trovarono il conte
-ed Aramis vestiti da viaggio.
-
-«Veh! disse Porthos, dunque si parte tutti? anch’io ho fatto il mio
-fardello.
-
-«Eh sì, rispose Aramis, a Parigi nulla vi è da far più tosto che non
-v’ha più _Fronda_. Madama di Longueville mi ha invitato a andar a
-passare alcuni giorni in Normandia, ed intanto che si battezzi il suo
-figliuolo mi ha incaricato di andare a farle apparecchiare la casa a
-Rouen. Vo ad eseguire questa incombenza; di poi, se non v’è niente di
-nuovo, tornerò a seppellirmi nel convento di Noisy-le-Sec.
-
-«Ed io, fece Athos, me ne vo da capo a Bragelonne. Lo sapete pure, caro
-d’Artagnan, oramai non son altro che un bravo e buon campagnuolo; Raolo
-non ha altro patrimonio che il mio; poveretto! e di questo bisogna
-ch’io abbia cura, poichè in certo modo sono soltanto un prestanome.
-
-«E di Raolo, che ne fate?
-
-«Ve lo lascio, amico mio. Va a farsi la guerra in Fiandra, voi lo
-condurrete: temo che il soggiorno di Blois sia pernicioso alla giovane
-sua testa. Guidatelo, ed insegnategli ad esser prode e leale come voi.
-
-«Io dunque, disse d’Artagnan, non vi avrò più meco, Athos, ma almeno
-avrò quella cara testina bionda; e sebbene sia solamente un fanciullo,
-siccome in lui rivive intera l’anima vostra, crederò sempre di avervi
-vicino, ad accompagnarmi e a sostenermi».
-
-I quattro amici si abbracciarono con le lacrime agli occhi, e si
-separarono senza sapere se mai si rivedrebbero.
-
-D’Artagnan tornò in via Tiquetonne, con Porthos sempre pensoso e
-intento a ricercare chi fosse colui ch’egli aveva ucciso. Arrivati
-davanti all’albergo del _Granchio_, videro pronte le carrozze del
-barone, e Mousqueton in sella.
-
-«A voi, d’Artagnan, disse Porthos, lasciate via la spada, e venite
-meco a Pierrefonds, a Bracieux o a du Vallon: invecchieremo insieme
-favellando dei nostri camerati.
-
-«No, disse d’Artagnan, sta per aprirsi la campagna, ed io voglio
-esservi; spero di guadagnarci qualche cosa!
-
-«E che sperate di diventare?
-
-«Capperi! maresciallo di Francia.
-
-«Ah ah! fece Porthos guardando d’Artagnan, alle di cui guasconate non
-aveva mai potuto interamente avvezzarsi.
-
-«Venite con me, Porthos, soggiunse d’Artagnan, vi farò duca.
-
-«No no, Mouston non vuol più guerreggiare; e poi è stata preparata
-un’entratura solenne in casa mia, che farà crepar d’astio tutti i miei
-vicini.
-
-«A ciò non ho che rispondere, riprese il capitano che conosceva la
-vanità del nuovo barone. Sicchè, amico, a rivederci.
-
-«A rivederci, caro capitano. Sapete che quando vorrete venire a
-trovarmi sarete sempre gradito nella mia baronia.
-
-«Sì, al ritorno dalla campagna.
-
-«Le carrozze del signor barone sono all’ordine» avvertì Mousqueton.
-
-E i due antichi colleghi si separarono dopo essersi stretta la mano.
-D’Artagnan restò sul portone, seguitando con occhio malinconico Porthos
-che si allontanava.
-
-Ma dopo venti passi questi si fermò di botto, si picchiò la fronte e
-retrocedè dicendo:
-
-«Mi rammento!
-
-«Che cosa? domandò d’Artagnan.
-
-«Del mendico che ho ammazzato.
-
-«Davvero! e chi è?
-
-«Quel furfante di Bonacieux».
-
-E Porthos contentissimo di aver la mente libera raggiunse Mouston, e
-seco disparve dal canto della strada.
-
-D’Artagnan stette un istante immobile e a riflettere; poscia volgendosi
-vide la bella Maddalena, che dolente delle nuove grandezze di lui
-rimaneva su la soglia senza muoversi.
-
-«Maddalena, le disse il Guascone, datemi l’appartamento dei primo
-piano; sono costretto a figurare ora che sono capitano delle guardie.
-Ma tenetemi sempre a disposizione la camera del quinto piano, chè non
-si sa quel che possa succedere».
-
-
-FINE.
-
-
-
-
-INDICE
-
-
- I. La larva di Richielieu Pag. 5
- II. Ronda notturna 14
- III. Due antichi nemici 21
- IV. La regina Anna sui quarantasei anni 34
- V. Guascone e Italiano 43
- VI. D’Artagnan sui quarant’anni 47
- VII. D’Artagnan è nell’imbarazzo, e lo viene a
- soccorrere un antico conoscente 53
- VIII. Influenze diverse che può avere una mezza doppia
- sopra un bidello e sopra un piccolo cantore 60
- IX. Come d’Artagnan cercando ben lontano Aramis, si
- accorse ch’era in groppa dietro a Planchet 67
- X. L’Abate d’Herblay 74
- XI. I due volponi 79
- XII. Il signor Porthos Du Vallon de Bracieux di
- Pierrefonds 88
- XIII. Come d’Artagnan, nel ritrovare Porthos, si
- accorgesse che non sempre le ricchezze formano
- la felicità 93
- XIV. Ove si dimostra qualmente se Porthos era
- scontento del proprio stato, Mousqueton però
- era soddisfattissimo del suo 101
- XV. Due teste da angioli 106
- XVI. Il castello di Bragelonne 114
- XVII. Diplomazia di Athos 121
- XVIII. Il signor di Beaufort 130
- XIX. Ricreazioni del duca di Beaufort nella torre di
- Vincennes 136
- XX. Entra in funzioni Grimaud 145
- XXI. Ciò che contenevasi ne’ pasticci del successore
- di maestro Marteau 156
- XXII. Un’avventura di Maria Pichon 165
- XXIII. L’abate Scarron 176
- XXIV. San Dionigi 190
- XXV. Uno dei quaranta mezzi di fuga del sig. di
- Beaufort 198
- XXVI. D’Artagnan giunge opportuno 207
- XXVII. La strada maestra 215
- XXVIII. L’incontro 221
- XXIX. Il buon uomo Broussel 229
- XXX. Quattro antichi amici si dispongono a rivedersi 235
- XXXI. La Piazza Reale 243
- XXXII. La barca dell’Oise 247
- XXXIII. Scaramuccia 255
- XXXIV. Il supposto monaco 261
- XXXV. Colloquio segreto 270
- XXXVI. Grimaud parla 275
- XXXVII. Alla vigilia della battaglia 281
- XXXVIII. Un pranzo del tempo addietro 291
- XXXIX. Lettera di Carlo I 299
- XL. Lettera di Cromvello 304
- XLI. Mazzarino ed Enrichetta 311
- XLII. Come gl’infelici confondono talvolta il caso
- con la Provvidenza 316
- XLIII. Zio e nepote 323
- XLIV. Paternità 327
- XLV. Un’altra regina che chiede soccorso 334
- XLVI. Ove si prova che il primo impulso è sempre il
- migliore 344
- XLVII. Il Te Deum della vittoria di Lens 351
- XLVIII. Il mendico di Sant’Eustachio 367
- XLIX. La torre di Saint-Jacques-la-Boucherie 376
- L. La sommossa 381
- LI. La sommossa diventa ribellione 388
- LII. Con le disgrazie viene la memoria 398
- LIII. Abboccamento 404
- LIV. Fuga 410
- LV. La carrozza del Coadjutore 420
- LVI. Come a vendere della paglia, d’Artagnan e Porthos
- guadagnassero, uno duecentodiciannove luigi e
- l’altro duecentoquindici 432
- LVII. Vengono notizie d’Athos e d’Aramis 440
- LVIII. Lo Scozzese spergiuro alla fè
- Un danajo vendette il suo re 449
- LIX. Il vendicatore 457
- LX. Oliviero Cromvello 464
- LXI. I gentiluomini 469
- LXII. Gesù Signore! 474
- LXIII. In cui si prova qualmente nelle più scabros
- situazioni i cuori grandi non perdono mai
- il coraggio, nè gli stomachi buoni l’appetito 481
- LXIV. Salve alla decaduta Maestà 487
- LXV. D’Artagnan trova un progetto 495
- LXVI. La partita a zecchinetta 506
- LXVII. Londra 512
- LXVIII. Il processo 518
- LXIX. Whitehall 527
- LXX. Gli operaj 535
- LXXI. Remember 542
- LXXII. L’immascherato 548
- LXXIII. La casa di Cromvello 556
- LXXIV. Conversazione 563
- LXXV. La filuca. Il _Lampo_ 572
- LXXVI. Il vino di Porto Porto 582
- LXXVII. Fatality 595
- LXXVIII. Nel quale Mousqueton, stato in procinto d’essere
- arrostito, andò a rischio di esser mangiato 601
- LXXIX. Ritorno 609
- LXXX. Gli ambasciadori 617
- LXXXI. I tre luogotenenti del generalissimo 624
- LXXXII. Combattimento di Charenton 636
- LXXXIII. La strada della Piccardia 645
- LXXXIV. La riconoscenza della regina Anna 652
- LXXXV. Regia autorità di Mazzarino 657
- LXXXVI. Precauzioni 661
- LXXXVII. La mente e il braccio 666
- LXXXVIII. Il braccio e la mente 674
- LXXXIX. Le carceri perpetue del signor di Mazzarino 680
- XC. Conferenze 686
- XCI. Ove si comincia a credere che alla fine Porthos
- sarà barone e d’Artagnan capitano 691
- XCII. Qualmente con una penna e una minaccia si fa
- meglio e più presto che con la spada e lo zel 698
- XCIII. Nel quale si prova come talvolta sia ai re più
- difficile lo rientrare nella capitale del
- loro reame, che lo uscirne 711
- Conclusione 721
-
-
-
-
-NOTE:
-
-
-[1] È noto che Mazzarino, non avendo ricevuto alcuno degli ordini
-che vietano il matrimonio, aveva sposata la regina Anna. (Vedansi le
-memorie di Laporte e quelle della principessa Palatina).
-
-[2] Madama di Motteville.
-
-[3] Ciò non ostante il regio procuratore Omer Talon lo chiamava sempre
-signor _Particelle_, seguendo l’abitudine dell’epoca d’infrancesare i
-nomi forestieri.
-
-[4] Questa mane si è alzato un vento di _Fronda_, e credo che vada
-fischiando contro a Mazzarino.
-
-[5] Vedasi _Luigi XIV e il suo secolo_, congiura di Chalais.
-
-[6] Dimmi su, Laboissière, non istò bene da uomo? Affè, voi cavalcate
-meglio che quanti siamo. Ella sta fra le alabarde, nel reggimento delle
-guardie, alla guisa di un cadetto.
-
-[7] Beaufort, di eccelsa fama, che seppe vettovagliar Parigi, deve
-sempre sguajnare la spada ma non dir mai la sua opinione. — Se vuol
-servire la Francia non si accosti alla tribuna: si mandi addietro
-la sua eloquenza, e il brando suo cavi dal fodero. — Ei brilla e
-tuona in battaglia, ed ivi ognuno giustamente lo teme; ma all’udirlo
-ragionare ognuno lo prenderebbe per istupido. — Gastone è men di lui
-nell’imbarazzo quando abbia da pronunziar un’arringa. Ah! perchè a
-Beaufort manca la lingua? Ah! perchè a Gastone manca il braccio?
-
-[8] Qui l’Autore intende riportarsi al suo romanzo _I Tre
-Moschettieri_, di cui il presente romanzo è soltanto un seguito. (Il
-T.)
-
-[9] _Poire d’angoise._ Era una sbarra perfezionata; aveva la forma
-di una pera, si cacciava dentro alla bocca, e mediante una molla si
-dilatava in guisa da distendere le mascelle nella maggior larghezza
-possibile.
-
-[10] Fu per equivoco creduto dalle due fuggiasche che l’uomo coricato
-fosse un prete; si riscontra il contrario dal seguito del racconto.
-
-[11] Io pensava che il destino dopo tante ingiuste sventure,
-giustamente v’incoronò di gloria, onori e splendori; ma ch’eravate più
-felice essendo in passato.... non dirò io innamorata.... ma la rima
-vuol però così.
-
-[12] Io pensava che il povero amore, il qual vi presta sempre le sue
-armi, è sbandito dalla vostra corte senza gli strali e la faretra; e
-di che poss’io prevalermi, o Maria, passando presso di voi, se tanto
-maltrattate quei che sì bene vi servirono?
-
-[13] Io pensava, noi poeti pensiamo con bizzarrìa, a ciò che fareste
-nell’umore in cui vi trovate, se quivi in questo momento vedeste venire
-il duca di Buckingham; e qual dei due sarebbe in disgrazia, o il duca o
-il padre Vincenzo (Padre Vincenzo era il confessore della regina).
-
-[14] In Inglese: _venite_.
-
-[15] I nostri leggitori sanno certamente che _Pan_ Pane (nume
-mitologico) e _Paon_ pavone (uccello) hanno la stessa pronunzia; quindi
-l’equivoco, che ha un significato in francese, ma non in italiano.
-
-
-
-
-
-Nota del Trascrittore
-
-Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo
-senza annotazione minimi errori tipografici.
-
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