diff options
Diffstat (limited to 'old/67846-0.txt')
| -rw-r--r-- | old/67846-0.txt | 41665 |
1 files changed, 0 insertions, 41665 deletions
diff --git a/old/67846-0.txt b/old/67846-0.txt deleted file mode 100644 index 4f23489..0000000 --- a/old/67846-0.txt +++ /dev/null @@ -1,41665 +0,0 @@ -The Project Gutenberg eBook of Venti anni dopo, by Alexandre Dumas - -This eBook is for the use of anyone anywhere in the United States and -most other parts of the world at no cost and with almost no restrictions -whatsoever. You may copy it, give it away or re-use it under the terms -of the Project Gutenberg License included with this eBook or online at -www.gutenberg.org. If you are not located in the United States, you -will have to check the laws of the country where you are located before -using this eBook. - -Title: Venti anni dopo - -Author: Alexandre Dumas - -Release Date: April 15, 2022 [eBook #67846] - -Language: Italian - -Produced by: Barbara Magni and the Online Distributed Proofreading Team - at http://www.pgdp.net (This file was produced from images - made available by Google Books) - -*** START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK VENTI ANNI DOPO *** - - - VENTI ANNI DOPO - - - DI - - _Alessandro Dumas_ - - - =Seguito dei tre Moschettieri.= - - PRIMA VERSIONE ITALIANA. - - - - ITALIA - 1848 - - - - -I. - -_La larva di Richelieu._ - - -In una stanza del così detto palazzo _Cardinal_, a noi già noto, -accanto a un tavolino intarsiato su gli angoli d’argento dorato ed -ingombro di fogli e libri, sedeva un uomo, posatasi su le due mani la -testa. - -E dietro ad esso era un largo caminetto, ben acceso e rosso, dove i -tizzi infiammati si consumavano sopra alari indorati. La luce di quel -fuoco rischiarava a tergo il magnifico vestimento di quel cogitabondo, -a cui dava lume davanti un candelabro carico di ceri. - -Al mirar l’abito superbo, i merletti sfarzosi, la fronte scolorita -incurvata a tanta meditazione, e la solitudine del gabinetto; all’udire -il silenzio che regnava nelle anticamere, ed i passi misurati delle -guardie sul pianerottolo, avresti creduto esser l’ombra di Richelieu -tuttora nella sua camera. - -Ahimè! di fatti, era l’ombra, e non altro, del grand’uomo. La Francia -indebolita, l’autorità del re disconosciuta, i grandi infiacchitisi -di bel nuovo e turbolenti, il nemico ritornato in qua dalle frontiere, -tutto attestava non esser più colà Richelieu. - -Ma ciò che meglio di tutto questo dava prova come non si trattasse -più del vecchio ministro, egli era quello isolamento, il quale -sembrava, siccome dicemmo, più proprio di una larva che di un vivo, e -le gallerie vuote di cortigiani, ed i cortili pieni di guardie; e il -sentimento di scherno che ascendeva dalla contrada e penetrava tra i -vetri della camera sconquassata mediante il soffio di un’intera città -postasi in lega contro al ministro; ed infine, lo strepito confuso -ed incessantemente rinnovato di spari, fatti per buona sorte senza -scopo nè resultato, ma solamente per far vedere alle guardie, agli -svizzeri, ai moschettieri ed ai soldati che attorniavano il Palazzo -Reale (conciossiachè il palazzo pure avea mutato nome) come il popolo -possedesse delle armi. - -La larva di Richelieu, era Mazzarino. - -E Mazzarino stava là solo, e si sentiva debole. - -«Straniero! borbottava, Italiano! ecco scagliata la loro grande parola! -con questa assassinarono, impiccarono, divorarono il Concini, e s’io -li lasciassi fare assassinerebbero, impiccherebbero, divorerebbero me -come lui, quantunque io non abbia fatto ad essi mai altro male che di -spremerli un pochetto. Imbecilli! non capiscono che il loro nemico non -è già questo Italiano, il quale parla malamente francese, ma piuttosto -quelli che hanno l’abilità di dir loro belle parole con tanta buona e -pura pronunzia parigina. - -«Sì sì, continuava il ministro con l’accorto sorriso, che in tale -circostanza sembrava stranissimo su le sue labbra smorte; sì, me lo -dicono codesti vostri clamori: è precaria la sorte dei favoriti. Ma -voi, se sapete questo, dovete anche sapere ch’io non sono un favorito -ordinario! Il conte d’Essex aveva un anello di lusso adorno di diamanti -datogli dalla regale sua amante; io non ho che un semplice cerchietto -con una cifra e una data: ma questo cerchietto pure fu benedetto nella -cappella del Palazzo Reale[1]; e per questo, non mi annienteranno, a -seconda delle loro intenzioni. Non si accorgono che col loro grido -sempiterno: — Abbasso il Mazzarino! — io li fo urlare, ora, evviva -Beaufort! ora, evviva il principe! ora, evviva il parlamento! Ebbene! -Beaufort è a Vincennes, il principe andrà a raggiungerlo un giorno o -l’altro, e il parlamento....» - -Qui il venerabile personaggio assunse nel sorriso una certa espressione -d’odio di cui, pareva il suo volto non suscettibile. - -«E il parlamento.... veh! il parlamento.... si vedrà un poco che ne -faremo del parlamento. Abbiamo Orleans e Montargis... Oh! c’impiegherò -il tempo occorrente, ma quelli che avranno cominciato da strillare: -abbasso Mazzarino! finiranno con strillare: abbasso tutta quella -gente!.... A ognuno la sua! - -«Richelieu, che odiavano quando era vivo, e di cui parlano sempre -dacchè è morto, è andato più giù di me, giacchè è stato scacciato -più d’una volta e più ancora ha avuto paura di esserlo. In quanto a -me, la regina non mi discaccerà mai, e se io sono costretto a cedere -al popolo, ella gli cederà meco; se fuggo, ella fuggirà.... e allora -vedremo che faranno i ribelli senza della loro regina e del loro -re?.... - -«Ah! se pur non fossi straniero! ah, se pur fossi francese!.... ah, se -pur fossi gentiluomo!» - -E piombò di bel nuovo nelle sue meditazioni. - -Infatti, era scabrosa la situazione, e complicata l’aveva maggiormente -la giornata trascorsa. Mazzarino, ognora stimolato dalla sordida -sua avarizia, opprimeva di tasse il popolo; ed il popolo, a cui non -restava che l’anima, conforme diceva il procurator regio Talon, ed anco -perchè l’anima sua non si potea vendere all’incanto; il popolo, cui si -procurava di far prendere pazienza mediante lo strepito delle vittorie -che si ottenevano, ma a senso del quale gli allori non erano tal carne -che valesse a cibarlo[2], il popolo già da lunga pezza avea cominciato -a mormorare. - -Nè ciò bastava e imperocchè quando mormora il popolo soltanto, -la corte, separata com’è da esso per mezzo del ceto borghese e -dei gentiluomini, la corte non lo ode; ma Mazzarino aveva usata -l’imprudenza di dare addosso ai magistrati! avea venduti dodici -brevetti da referendarj, e siccome gli ufficiali pagavano assai care -le loro cariche, e l’accrescimento di quei dodici nuovi colleghi dovea -farne ribassare il prezzo, così essi si erano riuniti, aveano giurato -sui santi Vangeli di non sopportare codesto aumento, e di opporsi -a tutte le persecuzioni della corte, promettendosi scambievolmente -che qualora uno di loro per causa di siffatta ribellione perdesse -la propria carica, si tasserebbero ciascuno di un tanto onde -rimborsargliene il prezzo. - -Ed ecco ciò ch’era accaduto da ambe le parti. - -Nel dì 7 gennajo, sette o ottocento mercatanti di Parigi si erano -radunati e sollevati a motivo di una nuova imposta a cui si volevano -assoggettare i proprietari delle case, ed aveano deputati dieci -di essi a parlare in loro nome al duca d’Orleans, che, secondo il -suo solito, si manteneva popolarissimo. Il duca d’Orleans li aveva -ricevuti, ed essi gli avevano dichiarato qualmente erano decisi di non -pagare la nuova imposta, quando anche avessero da difendersi armata -mano contro i funzionari del re che venissero a riscuoterla. Il duca -d’Orleans li aveva ascoltati con molta compiacenza, avea fatto sperare -qualche mitigamento, e promesso di tenerne proposito colla regina, e -licenziatili con le parole consuete: Si vedrà. - -Nel dì 9 i referendarj dal canto loro erano stati a trovare il -ministro, ed uno di costoro, che parlava per tutti, gli aveva favellato -con tanta fermezza e tanto ardire ch’egli n’era rimasto attonito, e -quindi li avea licenziati, dicendo come il duca d’Orleans: Si vedrà. - -Allora, _per vedere_, si era adunato il consiglio, e mandato a chiamare -il soprintendente delle finanze d’Emery. - -Questo d’Emery era sommamente odiato dal popolo, prima perchè era -soprintendente delle finanze, e qualunque soprintendente delle finanze -dev’essere aborrito, e poi, convien dirlo, perchè meritava un pochino -di esserlo. - -Era figlio di un banchiere di Lione, per nome Particelli, e che per -un cambiamento di nome fatto in seguito del suo fallimento si faceva -chiamare d’Emery[3]. Richelieu, avendo in esso riconosciuto un gran -merito in materia finanziaria, lo aveva presentato al re Luigi XIII -sotto nome del signor d’Emery, e volea farlo nominare intendente di -finanze, e ne faceva grandi elogi. - -«Ah! tanto meglio, aveva risposto il re, ho caro che mi parliate del -d’Emery per questo impiego che richiede un onest’uomo. Mi era stato -detto che appoggiavate quel furfante di Particelli, e temevo che mi -obbligaste a riprenderlo. - -«Ah! sire, fece il ministro, Vostra Maestà stia pur quieta, il -Particelli, di cui Ella fa menzione, è stato appiccato. - -«Ah! tanto meglio, ripetè il sovrano, non mi hanno dunque chiamato per -nulla Luigi il Giusto». - -E firmò la nomina di d’Emery. - -Quello stesso d’Emery era diventato soprintendente alle finanze. - -Dal consiglio erasi mandato per esso, ed egli accorreva pallido -e sbigottito, dicendo ch’era mancato poco che suo figlio fosse -assassinato in quel medesimo giorno in piazza del _Palazzo_: la folla, -incontratolo, lo aveva rampognato sul lusso della sua moglie, la quale -teneva un appartamento parato di velluto rosso con la trina d’oro. Era -questa la figlia di Niccola Lecamus, segretario del re nel 1617, che -venuto a Parigi con venti lire, e riserbandosi bensì quarantamila lire -di rendita, aveva diviso in ultimo nove milioni tra i suoi figliuoli. - -Il figlio di d’Emery era stato in procinto di essere soffocato, avendo -uno degli attruppati proposto di strozzarlo sinchè vomitasse l’oro che -si divorava. Il consiglio in quel dì non aveva deciso niente, sendochè -il soprintendente era troppo occupato di quell’avvenimento per aver -libero il capo. - -All’indomani il primo presidente Matteo Molè, il di cui coraggio in -tutte quelle faccende (dice il cardinale di Retz) fu pari a quello -del duca di Beaufort e del principe di Condé, cioè i due uomini che -passassero per i più valorosi in tutta la Francia, il presidente, -dunque, era stato egli pure assalito: il popolo lo minacciava di -fare scontare a lui i mali che volevasi fargli; ma egli, con la sua -calma usuale, senza agitarsi nè maravigliarsi, avea risposto che se i -perturbatori non obbedivano ai voleri del re, farebbe subito piantare -delle forche su le piazze acciò sull’atto si appiccassero i più -facinorosi fra essi.... Al che costoro avevano soggiunto che avrebbero -anzi piacere di veder piantare le forche, le quali servirebbero ad -appiccare i tristi giudici che compravano il favore della corte a costo -della miseria del popolo. - -E vi fu dell’altro: Nel dì 11 la regina, andando alla messa a -Nostra-Donna, secondo soleva regolarmente ogni sabato, era stata -seguitata da duecento e più donne che urlavano e domandavano -giustizia. Esse però non avevano cattive intenzioni, e solo volevano -inginocchiarsi a lei davanti e muoverla a pietà; ma le guardie -impedirono che facessero ciò, e la regina passò altera e superba senza -dar ascolto a’ loro clamori. - -Nel dopopranzo v’era stato nuovamente consiglio, ed in questo erasi -risoluto di mantenere l’autorità del re; ed in conseguenza fu convocato -il parlamento per la domane, cioè per il 12. - -In questo giorno, quello nella serata del quale or da noi si apre -la presente storia, il re, in età allora di dieci anni, e che aveva -avuto di recente il vajuolo, col pretesto di andare a ringraziare -Nostra-Donna della sua guarigione, metteva su le sue guardie, gli -svizzeri e i moschettieri, li poneva in fila attorno al Palazzo -Reale, su gli scali e sul Ponte Nuovo, e dopo udita messa si recava al -parlamento: dove sopra un letto di giustizia fatto espressamente, non -solo manteneva i suoi passati editti, ma ancora ne pronunziava altri -cinque o sei (dice il cardinale di Retz) più rovinosi uno dell’altro; a -segno che il primo presidente, che, secondo si è potuto scorgere, era -giorni innanzi a favore della corte, aveva però arditamente declamato -contro quella maniera di condurre il re al palazzo per sorprendere e -violentare la libertà de’ suffragi. - -Ma quelli che in ispecie inveirono contro alle nuove gravezze furono il -presidente Blancmesnil ed il consigliere Broussel. - -Proferiti quegli editti, il re tornò al Palazzo Reale; lungo la -strada era grande la moltitudine, ma siccome si sapeva venir egli dal -parlamento, e s’ignorava se vi fosse andato per rendere giustizia al -popolo o per opprimerlo un’altra volta, così niun grido di giubilo -s’intese a congratularlo della ricuperata salute. All’incontro tutti -erano in sembiante inquieto, adirato, e taluni persino minacciosi. - -Ad onta del suo ritorno, le truppe rimasero al posto; si era temuta -qualche sollevazione quando si conoscesse il resultato della seduta -del parlamento; e di fatti non sì tosto fu sparsa per le vie la voce -che invece di scemare le tasse il sovrano le aveva accresciute, si -formarono gruppi di gente, e risuonarono grandi clamori strillando: -Abbasso Mazzarino! evviva Broussel! evviva Blancmesnil! imperocchè il -popolo avea saputo che Blancmesnil e Broussel aveano parlato a pro suo, -e sebbene fosse sortita vana la di loro eloquenza, ei ne serbava ad -essi gratitudine. - -Si era tentato di dissipare quei capannelli, e cercato d’impor silenzio -alle grida, e conforme avviene in casi simili, si aumentavano i -capannelli e le grida si raddoppiavano. Era dato l’ordine alle guardie -del re ed alle guardie svizzere, non solamente di star salde, ma anche -di far pattuglie nelle strade di San Dionigi e San Martino, dove le -riunioni sembravano più numerose e riscaldate; ed ecco annunziarsi al -Palazzo Reale il prevosto dei mercanti. - -Fu subito introdotto: veniva ad avvertire che se all’istante non si -cessava dalle ostili dimostrazioni, fra un’ora tutta Parigi sarebbe -sotto le armi. - -Mentre si discuteva su ciò che avea da farsi, tornò Comminges -luogotenente delle guardie, laceri i panni e insanguinato il volto. Al -vederlo comparire la regina diè un urlo di sorpresa, e addimandò che -mai fosse. - -Era che, all’aspetto delle guardie, secondo avea presagito il prevosto -dei mercanti, gli spiriti si erano inaspriti. S’era preso possesso -delle campane e suonato a stormo. Comminges aveva retto benissimo, ed -arrestato un uomo che sembrava uno de’ principali agitatori, e per dare -un esempio, comandato ch’ei fosse appeso alla croce del Trahoir. In -conseguenza i soldati aveano trascinato colui onde eseguir l’ordine; ma -sui mercati questi erano stati assaliti a sassate e colpi di alabarda; -il ribelle avea côlto il momento per fuggire, presa la via Tiquetonne, -e si era cacciato in una casa di cui immediatamente erano state -sfondate le porte. - -Inutile era sortito quell’atto di violenza, nè si aveva saputo -ritrovare il reo. Comminges avea lasciato un corpo di guardia nella -strada, e col resto del suo distaccamento era tornato al Palazzo -Reale a render conto alla regina di quanto accadeva. Giù pel cammino -lo inseguivano grida e minacce; parecchi de’ suoi uomini erano stati -feriti di lancia e di alabarda, ed egli stesso côlto da una palla che -gli aveva spaccato un ciglio. - -Il racconto di Comminges consolidava l’opinione del prevosto dei -mercatanti. Non si era in grado di far fronte ad una grave sommossa. -Il ministro fece sparger voce che le truppe non eransi schierate su -gli scali e il Ponte Nuovo se non per l’opportunità della cerimonia -e immantinente si ritirerebbero. Realmente, intorno alle quattro -ore di sera, si concentrarono tutte verso il Palazzo Reale; fu messo -un corpo di guardia alla barriera dei Sergenti, un altro ai Ciechi -(_Quinze-Vingts_), e il terzo finalmente sul poggetto di San Rocco. Si -empierono i cortili ed i pian terreni di svizzeri e moschettieri, e si -aspettò. - -Ecco a qual punto stavano le cose quando noi introducemmo i nostri -leggitori nel gabinetto di Mazzarino, stato in addietro del Richelieu; -da noi si vide in quale situazione di mente egli ascoltava il mormorio -del popolo che giungeva sino a lui e l’eco delle schioppettate che si -udiva puranco nella sua camera. - -Ad un tratto egli alzò il capo, mezzo aggrottate le ciglia siccome -uno che ormai sia deciso, fissò gli occhi sovra un enorme orologio a -pendolo ch’era prossimo a suonare le sei, e prendendo un fischio di -argento indorato, collocato sul tavolino a portata della sua mano, -diede due fischiate. - -Una porta nascosta dal parato si aperse senza alcun rumore, e si -avanzò in silenzio un uomo vestito a nero, e stette ritto dietro alla -poltrona. - -«Bernouin, disse il ministro senza nemmeno voltarsi, perocchè, avendo -dati due fischi, sapeva che doveva esser là il suo cameriere, quali -sono i moschettieri di guardia al Palazzo? - -«Monsignore, i moschettieri neri. - -«Qual compagnia? - -«Compagnia Tréville. - -«V’è in anticamera qualche ufficiale di essa? - -«Il luogotenente d’Artagnan. - -«Un de’ buoni, mi pare? - -«Sì, monsignore. - -«Datemi un abito da moschettiere, ed ajutatemi a vestirmi». - -Il cameriere uscì nel medesimo silenzio con che era entrato, e indi a -un momento ricomparve col vestimento richiestogli. - -Allora il ministro, cheto e pensoso, incominciò a sbarazzarsi dal -costume di cerimonia che aveva indossato per assistere alla seduta del -parlamento, e a mettersi la casacca militare, che portava con una certa -disinvoltura per grazia delle antiche sue campagne d’Italia; poi quando -fu bene in arnese, disse: - -«Andatemi a cercare d’Artagnan». - -E il servo se ne andò questa volta dall’usciale di mezzo, ma sempre -mutolo. Lo avresti preso per un’ombra. - -Mazzarino, rimasto solo, si guardò con una tal quale soddisfazione allo -specchio: era ancor giovane, avendo appena quarantasei anni, di statura -elegante e un poco al disotto della media, di colorito bello e vivace, -sguardo pieno di fuoco, naso grande ma ben proporzionato, fronte ampia -e maestosa, capelli castagni un tantino cresputi, barba più nera e ben -pettinata col ferro, il che le dava molto garbo. S’infilò il budriere, -si osservò con somma compiacenza le mani che avea bellissime e per le -quali davasi molta cura; dopo di che, buttati via i grossi guanti di -pelle che si era posti e ch’erano da uniforme, si mise semplici guanti -di seta. - -In quel punto fu riaperta la porta. - -«Il signor d’Artagnan», disse il cameriere. - -Entrò un ufficiale. - -Era un uomo di trentanove o quaranta anni, piccolo ma ben tagliato, di -occhio vispo e spiritoso, barba nera e capelli sul grigio, come avvien -sempre a chi abbia avuta la vita troppo buona o troppo cattiva, e -specialmente a chi sia assai bruno. - -D’Artagnan mosse quattro passi nel gabinetto, cui riconosceva per -esservi venuto una volta a tempo di Richelieu, e veggendo non esser -altri colà che un moschettiere della sua compagnia fissò le pupille su -cotestui, sotto ai panni del quale ebbe presto ravvisato il ministro. - -Restò in piedi in attitudine rispettosa ma sostenuta, e qual conviensi -a un individuo d’alta condizione che spesso in vita sua abbia avuto -occasione di trovarsi con dei signoroni. - -Mazzarino gli cacciò addosso un’occhiata più scaltra che profonda, lo -esaminò attentissimo, e dopo alcuni minuti secondi di silenzio domandò: - -«Siete voi il signor d’Artagnan? - -«Per l’appunto, monsignore», quegli rispose. - -Il ministro considerò ancora un poco quella testa piena di -intelligenza, e quel volto di cui l’eccessiva variabilità era frenata -oramai dagli anni e dall’esperienza; ma d’Artagnan sostenne l’ispezione -come uno che in addietro era stato guatato da occhi assai più -penetranti di quelli di cui in allora sopportava le indagini. - -«Signore, fece Mazzarino, ora verrete meco, o piuttosto verrò io con -voi. - -«Ai vostri comandi, monsignore. - -«Vorrei visitare da per me i corpi di guardia che circondano il Palazzo -Reale: credete che vi sia pericolo? - -«Pericolo! e quale? - -«Dicono che il popolo sia in grande sollevazione. - -«Monsignore, l’uniforme dei moschettieri del re è molto rispettata, ed -ove nol fosse, io con altri tre m’impegno di fare scappare un centinajo -di que’ villani. - -«Eppure avete visto ciò ch’è accaduto a Comminges. - -«Il signor di Comminges è nelle guardie, e non nei moschettieri, -replicò d’Artagnan. - -«Lo che significa, soggiunse il ministro sorridendo, che i moschettieri -sono soldati migliori che le guardie. - -«Ognuno ha l’amor proprio della sua uniforme. - -«Fuori che io, ribattè con lo stesso sorriso il ministro, giacchè -vedete che ho deposta la mia per indossare la vostra. - -«Capperi! fece d’Artagnan, codesta è tutta modestia: per me dichiaro -che se avessi quella di Vostra Eccellenza, me ne contenterei. - -«Sì, ma per uscire stasera, forse non sarebbe stata sicura. Bernouin, -il mio cappello». - -Il servo venne, recando un cappelle da uniforme a tese larghe. -Mazzarino se lo pose alla testa, e giratosi verso d’Artagnan: - -«Avete nelle scuderie dei cavalli con la sella bella e messa, non è -così? - -«Sì, monsignore. - -«Dunque andiamo. - -«Quanti uomini vuole Vostra Eccellenza? - -«Avete detto ch’essendo in quattro, v’impegnereste di fare scappare -cento villani: siccome se ne potrebbero incontrare dugento, pigliatene -otto. - -«Monsignore, quando vi piaccia. - -«Vi seguo... o anzi no, si riprese Mazzarino, di qua, di qua.... Facci -lume, Bernouin.» - -Il cameriere diè di mano a una candela, il ministro prese di su lo -scrittojo una chiave bucata, ed aperto l’usciale di una scala segreta, -in un attimo si trovò nel cortile del Palazzo Reale. - - - - -II. - -_Ronda notturna._ - - -Dopo due minuti la piccola comitiva usciva dalla via dei -_Bons-Enfants_, dietro al teatro costruito da Richelieu per farvi -rappresentare _Mirame_, e dove Mazzarino, più amatore di musica che di -letteratura, avea fatto dare di recente le prime opere che siensi mai -esposte al pubblico in Francia. - -L’aspetto della città offeriva tutti i caratteri di somma agitazione; -numerose combriccole percorrevano le strade, e checchè avesse detto -d’Artagnan, si fermavano a veder passare i militari, con un’aria di -dileggio minacciosa, la quale indicava avere i borghesi messa da un -canto l’ordinaria loro mansuetudine per intenzioni più bellicose. -Tratto tratto sorgevano dei rumori dal quartiere dei mercati; -scoppiettavano fucilate dalla parte di via San Dionigi, ed a volte, -tutto in un subito, senza che si sapesse il perchè, cominciavano a -suonare varie campane scosse dal capriccio popolare. - -D’Artagnan seguitava pel suo viaggio con la noncuranza di uno su cui -simili sciocchezze non abbiano veruna influenza. Quando un mucchio -di persone ingombrava il mezzo della strada, ei gli spingeva contro -il suo cavallo senza neppur dire: Badate! e quasi che, o rivoltosi o -no, coloro che lo componevano sapessero con chi si avevano da fare, -si separavano e facevano largo alla pattuglia. Il ministro invidiava -tanta calma, che attribuiva all’assuefazione al pericolo; ma concepiva -per l’ufficiale, sotto i di cui ordini si era posto momentaneamente, -quella specie di considerazione che anco la prudenza concede al freddo -coraggio. - -Avvicinandosi al posto militare della barriera de’ Sergenti, la -sentinella gridò: Chi va là? D’Artagnan rispose, e domandata al -ministro la parola d’ordine si avanzò. La parola d’ordine era _Luigi_ e -_Rocroy_. - -Ricambiati quei segni di riconoscimento, d’Artagnan richiese se -comandava il posto il signor di Comminges. Allora la sentinella gli -additò un ufficiale, che, a piedi, discorreva, con la mano posata sul -collo al cavallo del suo interlocutore. Era quel tale di cui egli aveva -ricercato. - -«Ecco, il signor di Comminges», disse d’Artagnan tornato appresso a -Mazzarino. - -Questi diresse il proprio cavallo inverso loro, mentre d’Artagnan -per prudenza facevasi indietro; bensì dal modo con cui l’uffiziale a -piedi e quello a cavallo si levarono il cappello, ei si accorse che lo -avevano ravvisato. - -«Bravo Guitaut! disse il ministro al cavalcante, vedo che ad onta -de’ vostri sessantaquattro anni siete sempre lo stesso, svelto ed -affezionato. Che dite voi a quel giovane? - -«Monsignore, rispose Guitaut, gli dicevo che vivevamo in un’epoca -singolare, e che la giornata d’oggi somigliava di molto ad una di -quelle della lega che vidi nella mia gioventù. Sapete che nelle strade -di San Dionigi e San Martino non si discorre di meno che di fare delle -barricate? - -«E che vi replicava Comminges, caro Guitaut? - -«Monsignore, soggiunse Comminges, rispondevo che per fare una lega -mancava loro soltanto una cosa, la quale mi sembrava essenziale, cioè -un duca di Guise; d’altronde non si fa due volte la medesima cosa. - -«No, ripicchiò Guitaut, ma faranno una _Fronda_, come e’ la chiamano. - -«Ch’è mai una Fronda? domandò Mazzarino. - -«È il nome che danno al loro partito. - -«E d’onde viene codesto nome? - -«Pare che giorni sono il consigliere Bachaumont dicesse in Palazzo che -tutti i facitori di sommosse somigliavano agli scolari, che sparlavano -nei fossi di Parigi, e si disperdevano al vedere il luogotenente -civile, per riunirsi da capo dopo ch’esso era passato. Allora hanno -preso al balzo il termine _fronder_ (sparlare) conforme fecero i -_gueux_ a Brusselles, e si sono chiamati _Frondeurs_. Ieri e oggi tutto -era ad uso _Fronde_: panni, cappelli, guanti, manicotti, ventagli.... e -poi, sentite:» - -Realmente, in quell’istante fu aperta una finestra, e vi si affacciò un -uomo che principiò a cantare: - - Un vent de Fronde - S’est levé ce matin; - Je crois qu’il gronde - Contre le Mazarin. - Un vent de Fronde - S’est levé ce matin[4]. - -«Insolente! mormorò Guitaut. - -«Monsignore, disse Comminges, messo di mal umore dalla sua ferita, e -che perciò non desiderava che di riscattarsi, volete che io mandi a -quel briccone una palla per insegnargli a cantare stuonando?» - -E posò la mano su gli arcioni del cavallo di suo zio. - -«No no! esclamò il ministro, che diavolo! mio caro, guastereste ogni -cosa; al contrario, tutto va a meraviglia. Conosco i vostri Francesi -come se gli avessi fatti io dal primo all’ultimo: cantano, pagheranno. -Durante la lega di che parlava testè Guitaut si cantava soltanto la -messa. Vieni Guitaut, andiamo a vedere s’è fatta buona guardia ai -Quinze-Vingts come alla barriera dei Sergenti». - -E salutando con un cenno della mano Comminges, raggiunse d’Artagnan, -che si ripose alla testa della sua piccola brigata, seguito -immediatamente da Guitaut e dal ministro, ai quali veniva dopo il -rimanente della scorta. - -«È giusto, borbottò Comminges guardandolo allontanarsi, mi scordavo che -purchè si paghi, a lui non occorre altro». - -Si battè di nuovo la via Sant’Onorato, scomponendo sempre capannelli; -in essi non si ragionava che degli editti della giornata, si -compiangeva il giovine re che rovinava così il popolo senza saperlo, si -buttava tutta la colpa a Mazzarino, si progettava di rivolgersi al duca -d’Orleans ed al signor principe, si esaltavano Blancmesnil e Broussel. - -D’Artagnan transitava fra mezzo a quelle comitive con la massima -noncuranza, come se egli ed il suo cavallo fossero di ferro; Mazzarino -e Guitaut discorrevano piano, i moschettieri, riconosciuto ormai il -ministro, il seguitavano tacendo. - -Arrivarono alla contrada San Tomaso del Louvre dov’era il posto -militare dei Quinze-Vingts. Guitaut chiamò un ufficiale subalterno, che -venne a render conto. - -«Ebbene?» gli domandò Guitaut. - -«Ah! mio capitano, da questa parte tutto va bene, se non che credo -succeda qualche cosa in quel palazzo». - -E additava un casamento magnifico situato precisamente sul luogo ove fu -dipoi il teatro del Vaudeville. - -«Là dentro? fece Guitaut, ma è il palazzo Rambouillet. - -«Non so se sia Rambouillet, ma quel che so è che ci ho visto entrare -molte genti di trista cera. - -«Via! disse Guitaut con una risata, sono poeti. - -«Ohe, Guitaut! disse Mazzarino, ti compiaceresti di non parlare con sì -poco rispetto di quei signori? non sai che da giovane io fui poeta, e -facevo dei versi sul genere di quelli del signor di Benserade? - -«Voi, monsignore? - -«Sì, io: vuoi che te ne reciti? - -«Non serve, non capisco l’italiano. - -«Sì, ma capisci il francese, è vero, mio buono e bravo Guitaut? -continuò Mazzarino posandogli amichevolmente la mano su la spalla, e -qualunque ordine ti sia dato in questa lingua, lo adempirai? - -«Senza dubbio, come ho già praticato, purchè mi venga dalla regina. - -«Ah! sì, rispose il ministro mordendosi il labbro, so che sei dedito a -lei. - -«Sono capitano delle sue guardie da più di venti anni. - -«Andiamo via, signor d’Artagnan; soggiunse il ministro, da questa parte -tutto va benone». - -D’Artagnan tornò alla testa della sua colonna senza più far motto, -e con l’obbedienza passiva che costituisce il carattere del vecchio -soldato. - -Si camminava verso il poggetto di San Rocco dov’era il terzo posto -militare, passando dalle strade Richelieu e Villedo. Quello era il più -isolato, giacchè dava quasi sui bastioni, e da quel lato la città era -poco popolata. - -«Chi comanda questo posto? chiese Mazzarino. - -«Villequier, rispose Guitaut. - -«Diamine! replicò il ministro, parlategli voi solo; vi è noto che -siamo corrucciati dacchè voi foste incaricato di arrestare il duca di -Beaufort: pretendeva che a lui come capitano delle guardie si spettasse -un tale onore. - -«Lo so, e gli ho detto cento volte che aveva torto: il re non poteva -dargli quell’ordine, giacchè in quell’epoca aveva appena quattro anni. - -«Sì, ma io glielo potevo dare, Guitaut, e preferii che toccasse a voi». - -Guitaut, senza rispondere, spinse innanzi il cavallo, e fattosi -riconoscere dalle sentinelle, fece chiamare il signor di Villequier. - -Questi uscì subito. - -«Ah! siete voi, Guitaut? disse col tuono di mal umore in lui consueto, -che diavolo venite a far qua? - -«Vengo a domandarvi se da questa parte v’è qualcosa di nuovo. - -«Che diavolo volete che vi sia? è gridato: Viva il re! e abbasso -Mazzarino! questa non è novità, è anche un bel pezzo che siamo avvezzi -a simili grida! - -«E voi vi fate il coro! ribattè ridendo Guitaut. - -«Affè, alle volte ne avrei voglia, e trovo che hanno ragione; darei di -buon grado cinque annate della mia paga, che non mi vien pagata, perchè -il re avesse cinque anni di più. - -«Davvero? e che accadrebbe se avesse cinque anni di più? - -«Accadrebbe il momento che il re sarebbe in età maggiore, che il re -darebbe i suoi ordini da per sè, e v’è più soddisfazione a obbedire -al nepote di Enrico IV che al figlio di Pietro Mazzarino. Per il re, -cospettone! mi farei ammazzare con piacere, ma se fossi ammazzato -per il Mazzarino, conforme è stato in procinto di esserlo oggi vostro -nepote, non me ne consolerei nemmeno nel mondo di là. - -«Bene, bene, signor di Villequier, disse Mazzarino, non dubitate, -informerò il re della vostra devozione». - -Poi giratosi verso la scorta: - -«Animo, signori, torniamo indietro, tutto va ottimamente. - -«Veh! disse Villequier, era là il Mazzarino! meglio così: da gran tempo -bramavo dirgli in faccia quel che pensavo di lui; voi me ne avete data -l’occasione, Guitaut, e quantunque la vostra intenzione non sia forse -per me delle più favorevoli, pure ve ne ringrazio». - -E voltando le calcagna rientrò in corpo di guardia, fischiando -un’arietta di _Fronda_. - -Frattanto Mazzarino se ne tornava pensieroso: quanto aveva inteso da -Comminges, da Guitaut e da Villequier lo confermava nell’idea che in -caso di avvenimenti gravi ei non avrebbe nessuno per sè, eccettuata la -regina, ed anche la regina aveva abbandonati sì sovente i suoi amici, -che il di lei appoggio gli sembrava, ad onta delle precauzioni da esso -prese, molto incerto e precario. - -In tutto il tempo della durata di quella gita notturna, cioè per un’ora -circa, il ministro, benchè studiasse a vicenda Comminges, Guitaut -e Villequier, aveva esaminato un uomo. Quest’uomo, ch’era rimasto -impassibile davanti alla minaccia popolare, che non si era accigliato -di più agli scherzi detti da Mazzarino che agli altri diretti contro -di lui, gli pareva un essere a parte, e adatto per avvenimenti della -specie di quelli in cui si era allora, e soprattutto di quelli in che -presto si doveva trovarsi. - -D’altronde, il nome di d’Artagnan non gli era totalmente ignoto, e -sebbene egli non fosse venuto in Francia se non verso il 1634 o 1635, -vale a dire sette o otto anni dopo gli eventi da noi narrati in una -precedente storia, pure al ministro sembrava aver udito a proferire tal -nome come appartenente ad un soggetto che in una circostanza non più -presente alla sua mente si era distinto qual modello di coraggio, di -destrezza e di devozione. - -Questa idea s’impossessò cotanto del suo spirito, ch’ei risolse di -schiarirla senza indugio; ma le notizie che desiderava sopra d’Artagnan -non già allo stesso d’Artagnan bisognava richiederle. Dalle poche -parole pronunciate dal tenente dei moschettieri, Mazzarino aveva potuto -discernere l’origine guascona, e Italiani e Guasconi si conoscono -troppo, e troppo si somigliano per rapportarsi gli uni agli altri -di ciò che posson dire di sè stessi. Quindi, arrivato alle mura, che -facevano recinto al giardino del Palazzo Reale, il ministro bussò ad -una porticella situata a un dipresso dov’è adesso il caffè di Foy, e -dopo ringraziato d’Artagnan e invitatolo ad attenderlo nel cortile del -Palazzo Reale, accennò a Guitaut che andasse seco. Ambedue smontarono -da cavallo, consegnarono le redini al lacchè, che aveva loro aperto, e -disparvero nel giardino. - -«Mio caro Guitaut, disse Mazzarino appoggiandosi al braccio del vecchio -capitano delle guardie, mi dicevate poc’anzi che sono quasi venti anni -dacchè siete al servizio della regina. - -«Sì, è la verità, rispose Guitaut. - -«Ora, mio caro, io ho osservato che oltre al vostro coraggio, ch’è -incontrastabile, e la vostra fedeltà, ch’è ad ogni prova, avevate -un’ottima memoria. - -«Avete notato questo, monsignore? diavolo! peggio per me. - -«E perchè?.... - -«Di certo: una delle prime qualità del cortigiano è di saper -dimenticare. - -«Ma voi, Guitaut, non siete un cortigiano, siete un prode soldato, -un di quei capitani come ne restano tuttavia alcuni del tempo del re -Enrico IV, ma come pur troppo in breve non ne resteranno più. - -«Capperi! ma, monsignore, mi avete fatto venire con voi per predirmi la -sorte? - -«No no.... per domandarvi se avevate osservato il nostro tenente de’ -moschettieri. - -«Il signor d’Artagnan? - -«Appunto. - -«Non ne ho avuto bisogno, lo conosco da molto tempo. - -«Dunque che uomo è egli? - -«Eh! fece Guitaut, sorpreso dall’interrogazione, è un Guascone. - -«Sì, lo so, ma volevo ricercarvi se era un uomo in cui si potesse aver -fiducia. - -«Il signor di Tréville lo ha in grande stima, e il signor di Tréville, -non lo ignorate, è amicissimo della regina. - -«Desideravo sapere s’era uno che avesse date prove di sè? - -«Se intendete come valoroso soldato, credo potervi rispondere di sì: -all’assedio di La Rochelle, al passo di Susa, a Perpignano, ho inteso -dire che avesse fatto più del suo dovere. - -«Ma, lo sapete pure, noi altri poveri ministri spesso abbiamo bisogno -di altri uomini che di quei valorosi; ci abbisognano genti accorte. -D’Artagnan non si trovò immischiato al tempo del signor di Richelieu in -qualche intrigo dal quale la pubblica voce vorrebbe che si fosse cavato -fuori abilissimamente? - -«Monsignore, sotto questo rapporto, disse Guitaut, il quale vide -che il ministro intendeva a farlo ciarlare, sono costretto a dire a -V. Eccellenza che non so altro se non quello che la voce pubblica -ha recato a cognizione di lei stessa. Non mi sono mai ingerito in -intrighi per mio conto, e se talvolta ho ricevuta qualche confidenza -in proposito d’intrighi altrui, il segreto, non essendo mio, troverete -opportuno ch’io lo serbi a quelli che me lo affidarono». - -Mazzarino tentennò il capo. - -«Ah! sospirò; in parola, vi sono dei ministri ben fortunati, e che -sanno tutto quanto vogliono sapere. - -«Monsignore, egli è perchè quelli non pesano tutti gli uomini nella -medesima bilancia, e sanno rivolgersi agli uomini di guerra per -la guerra e agli intriganti per gl’intrighi. Rivolgetevi ad alcun -intrigante dell’epoca di cui discorrete, e ne ricaverete ciò che -bramate, già s’intende pagando. - -«Eh cospetto! soggiunse Mazzarino, facendo una certa smorfia che -gli era usuale quando con lui si toccava la questione di danaro nel -senso in cui lo avea fatto Guitaut, si pagherà se non vi sarà da fare -altrimenti. - -«E monsignore mi domanda sul serio d’indicargli un soggetto che sia -stato immischiato in tutti i raggiri di quell’epoca? - -«Per Bacco! riprese Mazzarino che cominciava a perdere la pazienta, da -un’ora non vi ricerco altro, testa di ferro che voi siete! - -«Ve n’è uno, per il quale vi garantisco su questo particolare, se però -vuol parlare. - -«Cotesto è pensier mio. - -«Ah, monsignore! non sempre è facile di far dire alle persone quel che -non vogliono dire. - -«Oibò! con la pazienza ci si viene. Ebbene, colui? - -«È il conte di Rochefort! - -«Il conte di Rochefort! - -«Disgraziatamente è sparito da quattro o cinque anni, e non so più che -ne sia stato. - -«Lo saprò io, Guitaut. - -«E allora, di che si lagnava vostra Eccellenza, di non saper niente? - -«E credete, seguitò Mazzarino, che Rochefort?.... - -«Era l’anima dannata del ministro.... ma vi prevengo, monsignore, che -vi costerà caro; il ministro era prodigo con quella sua creatura. - -«Sì, sì...., replicò Mazzarino, era un grand’uomo, ma aveva questo -difetto.... Grazie, Guitaut, mi approfitterò del vostro consiglio, e -questa sera subito». - -Ed essendo i due interlocutori giunti appunto al cortile del Palazzo -Reale, il ministro fece con la mano un saluto a Guitaut, e veduto un -ufficiale che passeggiava su e giù, gli si accostò. - -Era d’Artagnan, che lo aspettava secondo il suo comando. - -«Venite, d’Artagnan, disse Mazzarino con la sua voce più dolce, ho da -darvi un’incombenza». - -L’altro fe’ un inchino, andò seco per la scala segreta, e dopo poco si -ritrovò nel gabinetto d’onde si era partito. - -Il ministro sedè a tavolino, e preso un foglio vi scrisse alcuni versi. - -D’Artagnan, in piedi, impassibile, attese senza impazienza nè -curiosità. Era diventato un automa militare, che agisse o piuttosto -obbedisse mercè una molla. - -Mazzarino piegò la lettera, e vi appose il suo sigillo. - -«Signor d’Artagnan, porterete questo dispaccio alla Bastiglia, e -condurrete qua la persona a cui concerne; prenderete una carrozza, una -scorta, e farete buona guardia al prigioniero». - -D’Artagnan pigliò il foglio, si toccò il cappello, girò sulle calcagna -come avrebbe potuto fare il più abile sergente istruttore, ed uscì; -indi a un momento si udì che comandava con la sua voce monotona: - -«Quattro uomini di scorta, una carrozza e il mio cavallo». - -Di lì a cinque minuti si udiva il rumore delle ruote del legno e dei -ferri de’ cavalli sulle lastre del cortile. - - - - -III. - -_Due antichi nemici._ - - -Suonavano le otto e mezza, quando d’Artagnan giungeva alla Bastiglia. - -Si fece annunziare al governatore, il quale appena intese ch’ei veniva -da parte e con un ordine di monsignore, gli andò incontro fin sulla -scalinata. - -Governatore della Bastiglia era in allora il signor de Tremblay -fratello del famoso Joseph, quel terribile favorito di Richelieu -sopracchiamato l’Eminenza grigia. - -Allorchè il maresciallo di Bassompierre era nella Bastiglia, dove -stette dodici anni interi, ed i suoi compagni nei loro sogni di libertà -dicevano un coll’altro: Io uscirò nel tal tempo, io in tale epoca, -Bassompierre rispondeva: «Signori, ed io uscirò quando uscirà il signor -de Tremblay»; lo che significava, che alla morte del ministro non -poteva mancare che de Tremblay perdesse il suo posto alla Bastiglia e -Bassompierre ripigliasse il suo in corte. - -Realmente fu vicina a compiersi la sua predizione, ma in altro modo -da quel ch’egli aveva immaginato, imperocchè, morto Richelieu, contro -ogni aspettativa, le cose continuarono a andare come per lo passato; de -Tremblay non venne fuori, e Bassompierre stette in procinto a non venir -più fuori. - -Sicchè il signor de Tremblay era tuttavia governatore della Bastiglia, -quando vi si presentò d’Artagnan per eseguire i cenni di Mazzarino; lo -accolse con la maggior cortesia, ed essendo precisamente per mettersi a -tavola, lo invitò a cena seco. - -«Lo farei con tutto il piacere, disse d’Artagnan, ma se non isbaglio -sulla sopraccarta è scritto: di premura. - -«Sì sì, confermò de Tremblay, olà, maggiore! fate scendere il numero -256». - -Chi entrava nella Bastiglia cessava d’esser uomo e diventava numero. - -D’Artagnan si sentì i brividi udendo stridere le chiavi, e perciò -rimase a cavallo senza volere smontare, guardando le inferriate, le -finestre affondate, i muri enormi che non aveva mai veduti se non dal -lato opposto del fosso, e che una ventina d’anni addietro gli aveano -fatta tanta paura. - -Fu dato un tocco di campana. - -«Vi lascio, gli disse de Tremblay, mi chiamano per sottoscrivere il -permesso di uscita del prigioniero. A rivederci, signor d’Artagnan. - -«Dio mi punisca se ti rendo il tuo augurio! bucinò d’Artagnan, -accompagnando l’imprecazione con un sorriso gentilissimo; per essere -stato cinque soli minuti nel cortile mi sento di già male. Animo, -mi accorgo che ho ancora più genio a morire sulla paglia, lo che -probabilmente mi succederà, che a porre insieme dieci mila lire di -rendita con essere governatore della Bastiglia». - -Appena terminava questo monologo comparve il carcerato. Al mirarlo -d’Artagnan fece un atto di stupore, ma tosto lo represse. Quegli salì -in carrozza senza mostrare di aver ravvisato d’Artagnan. - -«Signori, disse quest’ultimo ai quattro moschettieri, mi è stata -raccomandata la massima sorveglianza sul prigioniero; e siccome la -vettura non ha serratura agli sportelli, io ci salgo accanto a lui. -Signor di Lillebonne, abbiate la compiacenza di condurre scosso il mio -cavallo. - -«Volentieri, mio tenente, rispose Lillebonne». - -D’Artagnan scese a terra, diede la briglia del suo animale al -moschettiere, entrò nel legno, e si mise al fianco del detenuto, e con -voce nella quale non si poteva distinguere la minima emozione disse -poi: - -«Al Palazzo Reale, e di trotto». - -La vettura si partì, ed egli, profittando dell’oscurità che regnava -sotto la volta da traversarsi, si gettò al collo al prigioniero. - -«Rochefort! esclamò, voi! siete voi! non m’inganno? - -«D’Artagnan! esclamò ugualmente Rochefort attonito. - -«Ah, povero amico mio! continuò d’Artagnan, non avendovi rivisto da -quattro o cinque anni, vi credevo morto. - -«Eh! fece l’altro, mi pare non vi sia gran differenza tra un morto e un -sepolto, ed io sono sepolto, o poco meno. - -«E per qual delitto siete nella Bastiglia? - -«Volete ch’io vi dica la verità? - -«Sì. - -«Ebbene, non lo so. - -«Diffidenza con me! - -«No, da gentiluomo, mentre è impossibile ch’io vi sia per la causa di -che sono imputato. - -«Che causa? - -«Come ladro notturno. - -«Voi ladro notturno, Rochefort! oh burlate! - -«Capisco, qui ci vuole spiegazione, non è così? - -«Lo confesso. - -«Or bene, ecco come fu. Una sera, dopo una gozzoviglia da Reinard -alle Tuilerie con il duca d’Harcourt, Fontrailles, de Rieux ed -altri, il duca d’Harcourt propose di andare a rubare i pastrani sul -Ponte-Nuovo.... lo sapete, è un divertimento messo in gran moda dal -signor duca d’Orleans. - -«Eravate pazzo, Rochefort? alla vostra età! - -«No, era ubriaco; eppure siccome il divertimento mi sembrava mediocre, -progettai al cavaliere de Rieux d’essere spettatori invece che attori, -e per vedere la scena dal prim’ordine salire sul cavallo di bronzo. -Detto e fatto. Mediante gli sproni che ci servivano di staffe, in un -attimo fummo in groppa. Stavamo a meraviglia, vedevamo egregiamente. -Erano già stati portati via quattro o cinque ferraiuoli con destrezza -impareggiabile e senza che gli spogliati osassero nemmeno fiatare, ed -ecco che non so quale imbecille, meno sofferente degli altri, si mette -a gridare: pattuglia! e ci richiama a ridosso una brigata di arcieri. -Il duca d’Harcourt, Fontrailles e gli altri scappano. De Rieux vuol -fare lo stesso. Io lo trattengo, assicurandolo che nessuno verrà a -scovarci dove siamo. Egli non mi dà retta e pone il piede sullo sprone -per scendere, questo si rompe, egli cade, si rompe una gamba, e invece -di stare zitto piglia ad urlare come un indiavolato. Tento di saltare -anch’io. Era però troppo tardi, e salto nelle braccia degli arcieri, -i quali mi conducono al Castelletto, e là mi addormento ben e meglio -certissimo di uscirne all’indomani. Passa l’indomani, il posdomani e -otto giorni. Scrivo al ministro. Nel giorno stesso vengono a prendermi, -e mi portano alla Bastiglia. Ci sono da cinque anni. Supponete che sia -per aver commesso il sacrilegio di montare in groppa dietro ad Enrico -IV? - -«No, avete ragione, mio caro Rochefort, non può essere per questo, ma -ora probabilmente siete prossimo a sapere il perchè. - -«Ah sì! giusto, mi dimenticavo di domandarvelo; dove mi conducete? - -«Dal ministro. - -«Che vuol egli da me? - -«Non lo so, poichè ignoravo persino di venire a cercar voi. - -«È impossibile! voi, un favorito! - -«Io favorito? ah! mio povero conte, sono più cadetto di Guascogna che -quando vi vidi a Meung, vi ricorderete, ohimè! più di venti anni fa». - -Ed un grosso sospiro terminò la frase di d’Artagnan. - -«Per altro, venite qui con un ordine. - -«Perchè mi trovavo a caso nell’anticamera e Sua Eccellenza si è -diretta a me come avrebbe fatto ad un altro; ma sono sempre tenente nei -moschettieri, e se fo bene i conti, sono oramai da circa ventun’anno. - -«In somma non vi sono succedute disgrazie, ed è molto. - -«E che disgrazia volevate mi accadesse? come dice non so quel verso -latino, che non mi rammento più, o piuttosto che non seppi mai bene, il -fulmine non batte nelle valli, ed io sono una valle, Rochefort mio, e -delle più basse che vi siano. - -«Dunque il Mazzarino è sempre Mazzarino? - -«Più che mai! lo dicono maritato alla regina. - -«Maritato! - -«Se non le è marito, sarà forse suo amante. - -«Resistere a un Buckingham, e dare ascolto ad un Mazzarino! - -«Ecco come sono le donne, disse filosoficamente d’Artagnan. - -«Le donne sì, ma le regine! - -«Eh, Dio Santo! su questo particolare sarei per dire che le regine sono -donne due volte. - -«E il signor di Beaufort è ancora carcerato? - -«Sempre: perchè? - -«Ah! gli è che siccome mi voleva bene, avrebbe potuto levarmi di guai. - -«Voi siete forse più vicino di esso ad esser libero, e leverete lui di -guai. - -«Allora la guerra? - -«L’avremo quanto prima. - -«Con lo Spagnuolo? - -«No, con Parigi. - -«Che intendete mai dire? - -«Udite voi queste schioppettate? - -«Sì, e poi? - -«E poi, sono i borghesi che palleggiano aspettando partita. - -«E che pensate forse che vi sarebbe da fare qualche cosa dei borghesi? - -«Eh sì; promettono, e se avessero un capo che di tutte le comitive -formasse un attruppamento.... - -«Peccato di non esser libero! - -«Oh! Dio buono, non vi disperate. Se il Mazzarino vi fa chiamare, è che -ha bisogno di voi; e se ne ha bisogno, affè! me ne congratulo con voi. -Da molti anni nessuno ha più necessità di me, e perciò vedete a che -punto sono. - -«Lagnatevi, sì! ve lo consiglio! - -«Ascoltatemi, Rochefort.... una convenzione.... - -«E quale? - -«Sapete che siamo buoni amici.... - -«Gnaffe! e porto i segni della nostra amicizia, tre stoccate!... - -«Or via, se ritornate in credito, in favore, non vi scordate di me. - -«Da Rochefort che sono: ma a cosa reciproca. - -«Fissato: ecco la mano. Sicchè alla prima occasione che incontrate di -parlare di me.... - -«Ne parlo; e voi? - -«Lo stesso. - -«A proposito, e i vostri amici, s’ha da parlare anche di loro? - -«Che amici? - -«Athos, Porthos e Aramis; li avete obliati? - -«Quasi. - -«Cosa è stato di loro? - -«Non lo so. - -«Davvero! - -«Oh sì.... ci siamo lasciati come vi è noto; vivono, questo è quanto -posso dire; tratto tratto ne ho notizie indirette, ma in che luogo del -mondo siano, diavol mi porti se lo so.... no, in parola d’onore! non ho -più altro amico che voi, Rochefort. - -«E l’illustre.... come chiamavate quel ragazzo ch’io feci sergente nel -reggimento di Piemonte? - -«Planchet. - -«Bravo! e dell’illustre Planchet che ne fu? - -«Ha sposata una bottega da confettiere in via dei Lombardi. È un -giovane ch’è stato sempre propenso per le dolcezze, talchè è borghese -di Parigi, e secondo ogni probabilità adesso susurra. Vedrete che quel -briccone sarà scabbino prima ch’io sia capitano. - -«Animo, caro d’Artagnan, un po’ di coraggio; quando appunto uno è sul -più basso della ruota, la ruota gira e vi rialza. Forse stassera subito -si cambierà la vostra sorte. - -«Amen! disse d’Artagnan, facendo fermare la carrozza. - -«Che fate? domandò Rochefort. - -«Fo, che siamo arrivati, e non voglio esser visto a uscire dal vostro -legno: noi non ci conosciamo. - -«Avete ragione: addio. - -«A rivederci; rammentatevi la vostra promessa». - -D’Artagnan rimontò a cavallo, e si rimise alla testa della scorta. - -Dopo cinque minuti entravano tutti nel cortile del Palazzo Reale. - -D’Artagnan guidò il prigioniero per la scala grande e gli fece -traversare l’anticamera e la galleria. Giunto all’usciale del gabinetto -di Mazzarino, si disponeva a farsi annunziare, ma Rochefort gli mise la -mano su la spalla. - -«D’Artagnan, gli disse sorridendo, volete ch’io vi confessi una cosa -a cui ho pensato in tutto il viaggio mirando i gruppi di borghesi che -guardavano voi e i vostri quattro uomini con occhi infuocati? - -«Dite pure. - -«Che mi sarebbe bastato di gridare ajuto, per farvi fare in pezzi voi e -la vostra scorta, ed allora ero libero. - -«Perchè non lo faceste? - -«Oh via! e l’amistà giurata?... se fosse stato un altro fuor di voi che -mi avesse condotto, non direi....» - -D’Artagnan chinò il capo, dicendo: - -«Che Rochefort sia diventato migliore di me?» - -E fe’ dar avviso al ministro d’esser egli colà. - -«Passi il signor di Rochefort, disse Mazzarino impaziente quando -ebbe inteso profferire i due nomi, e pregate il signor d’Artagnan di -aspettare; non ho ancora terminato con lui». - -A queste parole d’Artagnan si rallegrò. Secondo aveva osservato, da -molto tempo nessuno aveva avuto bisogno di lui, e l’insistenza del -ministro a suo riguardo gli parve di buon augurio. - -A Rochefort essa non produsse altro effetto se non di porlo in maggior -cautela. Egli entrò nel gabinetto, e trovò Mazzarino seduto a tavolino -col suo vestimento consueto. - -Furono chiuse le porte. Rochefort sbirciò da un canto Mazzarino, e -sorprese un’occhiata del ministro che incrociavasi colla sua. - -Il ministro era sempre lo stesso, ben pettinato, acconciato, pien -d’odori, e mercè questa sua eleganza non mostrava l’età che aveva. -Di Rochefort il caso era diverso, ed i cinque anni passati in carcere -avevano invecchiato d’assai questo degno amico di Richelieu; i capelli -neri gli erano diventati bianchi, al colore bronzino della carnagione -subentrava una pallidezza che sembrava una specie di sfinimento. Al -vederlo Mazzarino scosse un poco la testa con un atto ch’esprimeva: - -«Ecco un uomo che non mi pare più buono a gran cosa!» - -Dopo un silenzio, che in realtà fu molto lungo, e che a Rochefort parve -un secolo, Mazzarino cavò da un fascio di fogli una lettera aperta, e -mostrandola al gentiluomo, gli disse: - -«Signor de Rochefort, ho trovato una lettera con la quale reclamate la -vostra libertà. Siete dunque in prigione?» - -L’altro balzò a tal domanda. - -«Ma!... mi sembrava che Vostra Eccellenza lo sapesse meglio di chiunque. - -«Io? niente affatto. V’è tuttora nella Bastiglia una quantità di -detenuti che vi stanno sino dal tempo del signor di Richelieu e di cui -neppure so i nomi. - -«Oh! ma di me gli è tutt’altro, monsignore, e il mio vi è noto, giacchè -per un ordine di Vostra Eccellenza fui trasportato dal Castelletto alla -Bastiglia. - -«Credete? - -«Ne son certo. - -«Sì.... mi pare di ricordarmene.... Non ricusaste in addietro di fare -un viaggio per la regina a Brusselles? - -«Ah ah! ecco dunque la vera causa! da cinque anni la ricercavo, e -sciocco che sono! non la rinvenivo. - -«Non vi dico già che quella sia la causa del vostro arresto, -intendiamoci; vi fo soltanto questa interrogazione: non negaste di -andare a Brusselles per servizio della regina, mentre avevate aderito a -andarvi per servizio del defunto Richelieu? - -«Appunto perchè mi ci ero recato per il defunto ministro, non potevo -tornarci per la regina. Ero stato a Brusselles in una terribile -circostanza. Fu all’epoca della congiura di Chalais. V’ero andato per -sorprendere la corrispondenza di Chalais con l’arciduca, e già allora -quando fui riconosciuto ebbi ad esser fatto in pezzi[5]. Come volevate -che vi tornassi? compromettevo la sovrana, anzi che giovarle. - -«Or bene, capite? ecco come sono male interpretate le migliori -intenzioni, mio caro signor di Rochefort. La sovrana vide nel vostro -rifiuto un rifiuto puro e semplice; aveva avuto da dolersi moltissimo -di voi sotto il fu ministro, Sua Maestà la regina!» - -Il gentiluomo sorrise con disprezzo. - -«Precisamente perchè avevo servito bene il signor di Richelieu contro -la regina, morto lui, dovevate comprendere, monsignore, che vi servirei -bene contro a tutti. - -«In verità, signor di Rochefort, io non sono come il signor di -Richelieu che mirava all’onnipotenza; io sono un semplice ministro -che non ho bisogno di servi, essendo io servo della regina. Orsù, Sua -Maestà è puntigliosa, avrà saputa la vostra ripulsa, l’avrà presa per -una dichiarazione di guerra, e conoscendo quanto siete uomo superiore, -e in conseguenza pericoloso, mi avrà comandato, mio caro signor di -Rochefort, di assicurarmi di voi.... Ed ecco in che modo vi trovate -alla Bastiglia. - -«Ebbene, monsignore, mi pare che se mi ci trovo per un abbaglio.... - -«Sì sì, tutto questo può aggiustarsi.... Voi siete capace di capire -certi affari, e una volta capiti, mandarli innanzi per bene. - -«Tale era l’opinione del signor di Richelieu, e la mia ammirazione per -quel grande uomo maggiormente si accresce dacchè vi compiacete dirmi -ch’è pure la vostra. - -«È vero, soggiunse Mazzarino, il defunto ministro aveva molta politica: -questa costituiva la sua superiorità su di me, che sono un uomo -semplice e senza secondi fini; è quello il mio danno, di avere una -franchezza addirittura francese». - -Rochefort ai morse il labbro per non ridere. - -«Sicchè, vengo alla sostanza: ho bisogno di buoni amici, di servi -fedeli; quando dico: ho bisogno, voglio dire: ne ha bisogno la regina. -Io non fo nulla se non per comando della regina, intendete? non sono -come il signor di Richelieu che faceva tutto a suo capriccio. E perciò -non sarò mai un grand’uomo a pari suo, ma invece sono un uomo buono, -signor di Rochefort, e spero di provarvelo». - -Rochefort conosceva quella voce melata in cui entrava tratto tratto un -fischio simile a quel della vipera. - -«Sono prontissimo a creder tutto, monsignore, ei rispose, quantunque -dal canto mio abbia avuto poche prove di quella _bontà_ di cui parla -Vostra Eccellenza. Non vi dimenticate (seguitò veggendo l’impressione -che cercava di occultare il ministro) che da cinque anni io sono nella -Bastiglia, e non v’è niente che guasti tanto le idee come il guardare -le cose dalle inferriate di un carcere. - -«Ah! signor di Rochefort, vi ho di già dichiarato che non ci avevo che -fare, nella vostra carcerazione.... La regina.... collera di donna e di -principessa, che volete? ma passa da sè com’è venuta, e poi non ci si -pensa più.... - -«L’intendo, monsignore, che non vi pensi più, essa che ha passati quei -cinque anni nel Palazzo Reale tra le feste ed in mezzo ai cortigiani; -io però che gli ho consumati in prigione.... - -«Ma Dio buono! caro di Rochefort, vi figurate che il Palazzo Reale sia -un soggiorno molto allegro? no no: anche noi, vi assicuro, vi abbiamo -avuti grandi tormenti. Ma basta, non discorriamo più di questo. Io -giuoco a giuoco scoperto, al mio solito: orsù, siete dei nostri? - -«Monsignore, dovete capire che non bramo di meglio; bensì, non sono -più a giorno di nulla. Alla Bastiglia non si chiacchiera di politica se -non con i soldati e i carcerieri, e non avete idea quanto quelle genti -siano poco istruite di quel che succede. Io sono ancora al signor di -Bassompierre.... È sempre uno dei diciassette signori? - -«È morto, e questa è una gran perdita. Era uomo zelante per la regina, -e gli uomini zelanti sono rari! - -«Per Diana! lo credo, fece Rochefort, quando ne avete li mandate alla -Bastiglia! - -«Ma infatti, disse Mazzarino, che cosa prova la devozione, lo zelo? - -«L’azione, replicò Rochefort. - -«Ah! sì, l’azione, ripetè il ministro riflettendo, ma dove trovarli gli -uomini da azione?» - -Rochefort tentennò il capo. - -«Non ne mancano mai: egli è soltanto, monsignore, che voi cercate male. - -«Come, male? che volete dire, mio caro?... Dovete aver imparato di -molto nell’intima vostra relazione col defunto ministro.... Ah! era un -uomo sì grande! - -«Vostra Eccellenza si sdegnerà se moralizzo un pochino? - -«Io? mai; sapete che a me si può dir tutto; procuro di farmi amare, e -non temere. - -«Or bene, monsignore, nella mia prigione è un proverbio scritto sul -muro colla punta di un chiodo. - -«E che proverbio? - -«Eccolo: _Tal padrone_..... - -«Lo conosco: _tal servo_. - -«No: _tal servitore_; egli è un piccolo cambiamento che gli zelanti -di cui vi parlavo pocanzi vi hanno introdotto per loro particolare -soddisfazione. - -«E che significa il dettato? - -«Che il signor di Richelieu seppe trovare dei servitori zelanti, e a -dozzine. - -«Egli! egli, punto di mira di tutti i pugnali! egli che passò tutta la -vita a parare i colpi che gli si vibravano! - -«Ma tanto li parò, eppure erano scagliati fortemente. E che se aveva -dei buoni nemici, aveva anche buoni amici. - -«Ma questo è quanto io chiedo. - -«Ho conosciute delle genti, continuò Rochefort stimando giunto il -momento di mantener la parola a d’Artagnan, che con l’arte loro -delusero cento volte la penetrazione del ministro; genti, che senza -danaro, senza appoggio, senza credito, conservarono una corona ad una -testa coronata e fecero domandar grazia al ministro. - -«Ma coloro che voi menzionate, soggiunse Mazzarino sorridendo fra sè -perchè Rochefort arrivava dov’egli bramava condurlo, coloro non erano -devoti al ministro, mentre contrastavano contro di lui. - -«No, giacchè sarebbero stati ricompensati meglio; ma avevano la -disgrazia di esser devoti a quella stessa regina per la quale testè -domandavate dei servitori. - -«Ma come potete sapere tutto questo? - -«Lo so, perchè coloro erano in quell’epoca miei nemici, perchè -lottavano contro di me, perchè ad essi io feci quanto male potei, -perchè me lo resero meglio che poterono, perchè uno di loro con cui -avevo avuto che fare più particolarmente mi diede una stoccata saranno -ora sette anni: era la terza che ricevevo dalla medesima mano.... la -fine di un vecchio conto.... - -«Ah! disse Mazzarino con somma bonarietà, se conoscessi simili -soggetti!... - -«Eh, monsignore! ne avete uno alla vostra porta da sei anni, e che da -sei anni non avete giudicato buono a nulla. - -«E chi? - -«D’Artagnan. - -«Quel Guascone! esclamò Mazzarino fingendosi egregiamente sorpreso. - -«Quel Guascone salvò una sovrana, e fece confessare al Richelieu che -in materia di abilità, d’arte e di politica, egli era uno scolare e non -più. - -«Davvero? - -«Tal quale ho l’onore di riferire a Vostra Eccellenza. - -«Raccontatemi un po’ tutto ciò, caro signor di Rochefort. - -«È difficilissimo, monsignore, fece sorridendo il gentiluomo. - -«Dunque, me lo racconterà da sè. - -«Ne dubito. - -«E perchè? - -«Perchè non è un segreto suo proprio, perchè, come vi dissi, è il -segreto di una grande regina. - -«Ed era solo per compiere una simile impresa? - -«No; aveva tre uomini, tre prodi che lo secondavano; prodi, come voi, -monsignore, pocanzi ne cercavate. - -«E quei quattro uomini erano uniti, voi dite? - -«Come se fossero stati uno solo, come se i quattro cuori avessero -balzato in un petto stesso.... E perciò, che non fecero quei quattro! - -«Mio caro Rochefort, voi stimolate la mia curiosità ad un tal segno che -non ve lo so esprimere. E non potreste narrarmi quella storia? - -«No; ma posso dirvi una novella, una vera novella da fate, vi assicuro, -monsignore. - -«Oh! ditemela, signor di Rochefort, mi piacciono assai le novelle. - -«Volete voi, monsignore? disse Rochefort procurando di discernere -un’intenzione su quel viso accortissimo e scaltro. - -«Sì, sì.... - -«Or bene, ascoltate. V’era una volta una regina.... regina potente, -regina di uno dei più grandi regni del mondo, a cui un gran ministro -voleva molto male per averle voluto prima molto bene.... Oh! non -istate a cercare, non indovinereste chi era: tutto ciò accadde molti -anni avanti che voi veniste nel reame dove regnava quella regina. Or -dunque, venne alla corte un ambasciatore sì valoroso, sì ricco e sì -elegante, che tutte le donne ne andavano pazze, e la regina stessa, -senza dubbio per ricordo della maniera colla quale esso aveva trattati -gli affari dello Stato, ebbe l’imprudenza di dargli un certo finimento -di gioje tanto rimarchevole che non gli si poteva sostituirgliene alcun -altro. Siccome il finimento veniva dal re, il ministro indusse questo -ad esigere dalla principessa che le dette gioje figurassero addosso -a lei alla prossima festa da ballo. È inutile dirvi, monsignore, -che il ministro sapeva da fonte sicura che le gioje erano andate -coll’ambasciatore, il quale era lontano lontano di là dai mari. La -gran regina era rovinata, rovinata quanto l’infima delle sue suddite, -giacchè decadeva da tutta la sua grandezza. - -«Davvero! fece Mazzarino. - -«Ebbene! quattro uomini decisero di salvarla. Questi non erano -principi, non duchi, non soggetti potenti, neppur ricchi, ma quattro -soldati, che avevano cuor grande, braccio buono, franca spada. -Partirono. L’Eccellenza era informata della loro partenza, ed aveva -impostati dei servi sulla strada per impedire ch’essi giungessero -alla loro meta. Tre furono ridotti in grado da non più combattere dai -numerosi assalitori; ma uno solo arrivò in porto, ferì od uccise quei -che volevano arrestarlo, varcò il mare, e riportò il finimento alla -grande regina, che potè ornarsene il giorno stabilito.... per cui il -ministro fu lì lì per dannarsi. Che dite di quest’azione, monsignore? - -«Magnifica! disse Mazzarino fattosi pensieroso. - -«Or bene, io ne so dieci consimili». - -Mazzarino non parlava più, rifletteva. - -Scorsero cinque o sei minuti. - -«Non avete più niente da domandarmi, monsignore? fece Rochefort. - -«Anzi, sì.... E il signor d’Artagnan era uno di quei quattro? - -«Fu esso che diresse tutta l’impresa. - -«E gli altri, chi erano? - -«Permettetemi di lasciare a d’Artagnan la cura di nominarveli. Erano -amici suoi e non miei; egli solo avrebbe su di loro qualche influenza, -ed io nemmeno li conosco pei loro veri nomi. - -«Diffidate di me, signor Rochefort! Ebbene, io sarò schietto sino -all’ultimo: ho bisogno di voi, di lui, di tutti. - -«Cominciamo da me, Eccellenza, poichè mi avete mandato a chiamare e -sono qui; poi passerete a loro. Non vi sorprenderà la mia curiosità: -quando uno è in prigione non gl’incresce di sapere dove si voglia -mandarlo. - -«Voi, mio caro signor di Rochefort, avrete il posto di confidenza; -andrete a Vincennes, dov’è prigioniero il signor di Beaufort.... Eh! -che avete?... - -«Ho, che mi proponete una cosa impossibile, rispose Rochefort muovendo -la testa con sommo dispiacere. - -«Come, impossibile! e perchè è impossibile? - -«Perchè il signor di Beaufort è amico mio, o piuttosto io sono amico -suo.... vi dimenticate che fu egli che garantì per me alla regina? - -«Da quel tempo in poi, è nemico dello Stato. - -«Sì, può darsi; ma siccome io non sono nè re, nè regina, nè ministro, -non è nemico a me, e non posso accettare la vostra offerta. - -«È questa quella che chiamavate devozione? me ne congratulo con voi! la -vostra non vi obbliga a molto, no! - -«E poi, monsignore, comprenderete che uscire dalla Bastiglia per -entrare a Vincennes non è altro che mutar carcere. - -«Dite subito che siete del partito di Beaufort, e userete più -schiettezza. - -«Sono stato rinchiuso tanto tempo che son di un sol partito, cioè -di quello dell’aria aperta. Impiegatemi a tutt’altro, speditemi con -qualche missione, occupatemi attivamente, ma sulle strade maestre se si -può! - -«Caro signor di Rochefort, seguitò Mazzarino in atto beffardo, il -vostro zelo vi trasporta; vi tenete tuttora per giovinotto perchè il -cuore c’è sempre, ma vi mancherebbero le forze. Date retta a me, quel -che adesso vi abbisogna è il riposo.... Olà! qualcuno! - -«Non decidete dunque nulla, monsignore? - -«Al contrario, ho deciso». - -Venne Bernouin. - -«Chiamate un usciere, disse il ministro, e restate vicino a me», -continuò più adagio. - -Entrò l’usciere. Mazzarino scrisse poche parole e gliele consegnò. Indi -fece col capo un saluto, dicendo: - -«Addio, signor di Rochefort». - -Rochefort fe’ un inchino rispettoso. - -«Vedo, monsignore, che mi devono ricondurre alla Bastiglia. - -«Avete una grande intelligenza! - -«Io ci torno; ma ve lo ripeto, avete torto di non volere impiegarmi. - -«Voi! l’amico de’ miei nemici! - -«Che volete? dovevate farmi nemico dei vostri nemici. - -«Credete che non vi siano altri che voi? statene persuaso, ne troverò -che vagliano da quanto voi. - -«Ve lo auguro, monsignore. - -«Va bene; andate, andate.... Appunto, è inutile che mi scriviate più, -signor di Rochefort, le vostre lettere sarebbero lettere perdute. - -«Ho cavato i marroni di sul fuoco! brontolò ritirandosi il gentiluomo, -e se d’Artagnan non è contento di me quando or ora gli racconterò -l’elogio che di lui ho fatto, bisogna che sia molto difficile.... Ma -dove diamine mi conducono?» - -Egli è che Rochefort veniva guidato per la scala piccola anzi che -passare nell’anticamera ove lo attendeva d’Artagnan. Nel cortile trovò -la sua carrozza e i suoi quattro uomini di scorta, ma invano cercò -dell’amico. - -«Ah ah! disse fra sè, ecco un gran cambiamento di cose, e se v’è sempre -egual quantità di plebe per le vie, procureremo di provare al Mazzarino -che siamo tuttora buoni ad altro, grazie a Dio, che a custodire un -prigioniero». - -E Rochefort saltò in carrozza, leggiero e svelto come se avesse avuto -venticinque anni. - - - - -IV. - -_La regina Anna sui quarantasei anni._ - - -Mazzarino rimasto solo con Bernouin, stette un momento pensoso. Sapeva -molto, eppure non peranche abbastanza. Egli rubacchiava al giuoco -(questo è un dettato conservatoci da Brienne), e chiamava ciò: fare il -suo vantaggio. Risolse di non intavolare la partita con d’Artagnan se -non quando conoscesse bene tutte le carte dell’avversario. - -«Vostra Eccellenza non mi comanda? chiese Bernouin. - -«Sì sì, rispose il ministro, fammi lume, vo dalla regina». - -Quegli prese un candelliere e andò avanti. - -V’era un passaggio segreto che dagli appartamenti e dal gabinetto -di Mazzarino metteva alle stanze della regina; da quella galleria -transitava il ministro per recarsi presso alla regina a qualunque ora. - -Arrivato nella camera da letto, dove dava quella specie di corridojo, -Bernouin incontrò madama Beauvais. Madama Beauvais e Bernouin erano -gl’intimi confidenti di quei rancidi amori, e la Beauvais s’incaricò di -annunziare la venuta del ministro alla regina Anna, che stava nel suo -oratorio col giovanetto re Luigi XIV. - -La regina, seduta su di un gran seggiolone, con il gomito appoggiato -sopra un tavolino e la testa sulla mano, guardava il regio fanciullo, -che sdrajato sul tappeto sfogliava un gran libro di battaglie. Anna -era la regina che meglio di tutte quante sapesse annojarsi con maestà; -si tratteneva talvolta ore intere così ritirata nella sua camera o -nell’oratorio, senza leggere nè pregare. - -Il libro con cui si trastullava il re era un Quinto Curzio, arricchito -d’incisioni che rappresentavano le alte gesta di Alessandro. - -La Beauvais comparve sull’uscio, ed annunziò il ministro. - -Il fanciullo si rizzò sur un ginocchio, inarcando le ciglia e guardando -la madre. - -«E perchè, disse, entra egli così senza far chiedere udienza?» - -Anna arrossì un pochino. - -«È importante, rispose, che nei tempi in cui siamo un ministro possa a -tutte le ore venire a render conto di quanto accade alla regina senza -aver da eccitare la curiosità od i commenti di tutta la corte. - -«Ma mi pare che il signor di Richelieu non entrasse a questo modo. - -«Come, vi ricordate ciò che faceva il signor di Richelieu? non potevate -saperlo, eravate troppo piccolo. - -«Non me lo ricordo: l’ho domandato, e mi è stato detto. - -«E chi ve lo ho detto? ribattè la regina Anna con mal celata stizza. - -«So che non devo mai nominare le persone che rispondono alle -interrogazioni da me fatte, altrimenti non saprei più niente», replicò -il giovinetto. - -Nel momento si avanzò Mazzarino. Allora il re si alzò affatto, prese -il volume, lo piegò, e andò a portarlo sul tavolino, accanto al quale -stette in piedi onde obbligare Mazzarino a stare in piedi esso pure. - -Il ministro con occhio intelligente sorvegliava tutta quella scena, da -cui pareva aspettasse la spiegazione di quella che l’avea preceduta. - -Fece un inchino rispettoso alla regina e una profonda riverenza al re, -il quale gli rese con la testa un saluto molto sbrigativo. Però uno -sguardo della madre rimproverò a questo di abbandonarsi ai sentimenti -d’odio che sino dall’infanzia Luigi XIV nudriva pel ministro, ed allora -egli accolse con un sorriso sul labbro il complimento di quest’ultimo. - -La regina Anna tentava indovinare dal sembiante di Mazzarino la cagione -dell’imprevista visita, perocchè egli non soleva venir da lei se non -quando tutti se ne fossero andati. - -Mazzarino avendo fatto col capo un cenno quasi impercettibile, la -sovrana disse a madama Beauvais: - -«È tempo che il re vada a letto; chiamate Laporte». - -Essa aveva già detto al giovane principe due o tre volte di ritirarsi, -e questi avea sempre insistito teneramente per trattenersi. Questa -volta ei non fece osservazioni; si morse però le labbra, e impallidì. - -Dopo un momento venne Laporte. - -Il fanciullo gli andava incontro senza abbracciare la madre. - -«Ebbene, Luigi, disse Anna, perchè non mi abbracciate? - -«Credevo che foste adirata meco, signora, mi scacciate. - -«Non vi scaccio, ma avete avuto ora appunto il vajuolo, siete ancora -incomodato, e temo che a vegliare vi stanchiate di troppo. - -«Non avete avuto lo stesso timore quando oggi mi avete fatto andare -al palazzo a dare quei brutti editti che hanno fatto mormorar tanto il -popolo. - -«Sire, disse Laporte per fare un diversivo, a chi vuole Vostra Maestà -ch’io dia il candelliere? - -«A chi tu vuoi, Laporte, rispose il re, purchè (aggiunse a voce alta) -non sia il signor Mancini». - -Mancini era un nepote del ministro, cui questi aveva posto presso al -re come garzoncello d’onore, e su cui Luigi XIV riportava una porzione -dell’odio che aveva per lo zio di lui. - -Ed il piccolo re se ne andò senza dare un bacio alla genitrice nè -salutare Mazzarino. - -«Alla buon’ora! disse il ministro, ho caro di vedere che si educhi Sua -Maestà nell’orrore contro la dissimulazione. - -«Perchè? domandò la sovrana in tuono quasi timido. - -«Eh! mi pare che la maniera di andarsene del re non abbisogni di -commenti.... già Sua Maestà non si prende l’incomodo di occultare il -poco affetto che ha per me, lo che bensì non m’impedisce di essere -tutto dedito a servirla come a servire la Maestà Vostra. - -«Vi chiedo scusa per lui, fece Anna, è un bambino, e non può ancora -sapere tutti gli obblighi che ha verso di voi». - -Mazzarino sorrise. - -«Ma, continuò la regina, eravate venuto senza dubbio per qualche -oggetto importante: che v’è egli?» - -Ed il ministro sedè, o meglio si buttò giù in una larga sedia, ed in -atto malinconico disse: - -«V’è, che secondo ogni probabilità, saremo costretti a lasciarci tra -poco, ammenochè la vostra premura per me non v’induca a seguirmi in -Italia. - -«E perchè? - -«Perchè, come dice l’opera di THISBÈ - - _Le monde entier conspire à diviser nos feux._ - -«Voi scherzate, signore? rispose Anna tentando riassumere alquanto -della sua antica sostenutezza. - -«Ahimè! no, signora, non ischerzo. Piuttosto piangerei, vi prego di -crederlo, e v’è motivo: giacchè osserverete che ho detto: _Le monde -entier_, e siccome voi pure formate parte del mondo intero, voglio dire -che anche voi mi abbandonate. - -«Come! - -«Mio Dio! non vi vidi l’altro giorno sorridere graziosissimamente al -signor duca d’Orleans, o meglio alle sue parole? - -«E che parole erano? - -«Vi diceva: Tutto l’inciampo è il vostro Mazzarino; parta costui, ed -ogni cosa andrà bene. - -«Che volevate che facessi? - -«Oh, signora! voi siete la regina, mi pare! - -«Bella dignità reale! a discrezione del primo scarabocchiatore di -fogliacci del Palazzo Reale, o del primo _gentilomuccio_ del regno! - -«Bensì siete abbastanza forte per allontanare le genti che vi -spiacciono. - -«Cioè, che spiacciono a voi, ribattè Anna. - -«A me! - -«Di certo! Chi mandò via madama di Chevreuse, che per dodici anni era -stata perseguitata sotto l’altro regno? - -«Una raggiratrice, che voleva proseguire contro di me gl’intrighi -cominciati contro al signor di Richelieu! - -«Chi mandò via madama di Hautefort, amica così ottima, che aveva -ricusata la grazia del re per rimanere in grazia mia? - -«Una bacchettona, che ogni sera nello spogliarvi vi diceva che amandomi -vi dannavate l’anima! - -«Chi fece arrestare il signor di Beaufort? - -«Un imbroglione, che parlava niente meno che di assassinarmi! - -«Vedete dunque che i vostri nemici sono anche i miei. - -«Non basta: bisognerebbe che inoltre gli amici vostri fossero miei -puranco. - -«Amici! (e la regina tentennava il capo) ahimè! non ne ho più. - -«Come! non ne avete più nella prosperità, quando nell’avversità ne -avevate? - -«Perchè nella prosperità ho dimenticato quegli amici; perchè ho fatto -quanto la regina Maria de’ Medici, che al ritorno dal suo primo esiglio -sprezzò tutti coloro che avevano sofferto per lei, e proscritta per la -seconda volta morì a Colonia abbandonata dal mondo intero, e persino da -suo figlio, dacchè tutti oramai la disprezzavano. - -«Or bene, vediamo un poco, disse Mazzarino, non sarebbe tempo di -riparare il male? cercate fra i vostri amici più antichi. - -«Che vorreste dire? - -«Niente altro che quel che dico: cercate. - -«Ah! invano mi guardo intorno, non ho influenza su veruno: _Monsieur_ -al suo solito si lascia guidare dal suo favorito: jeri era Choisy, -oggi è la Rivière, domani sarà un altro. Il signor Principe è diretto -da madama di Longueville, la quale poi si fa dirigere dal principe di -Marsillac suo amante; il signor di Conti è condotto dal coadjutore, che -si lascia condurre da madama di Guemenée. - -«E perciò, io non vi esorto a guardare fra i vostri amici della -giornata, ma fra quelli del passato. - -«Del passato? - -«Sì, del passato; fra coloro che vi ajutarono a lottare col duca di -Richelieu, ed anche a vincerlo. - -«A che punto vorrà egli portarmi? fece Anna, considerando inquieta il -Mazzarino. - -«Sì, questi continuò, in certe circostanze, con la mente potentissima -e accorta ch’è caratteristica della Maestà Vostra, sapeste, mercè il -concorso dei vostri amici, respingere gli attacchi di quell’avversario. - -«Io? fece la regina, io soffersi, e non altro. - -«Sì, ripicchiò Mazzarino, come soffrono le donne, vendicandosi.... or -via, andiamo alla sostanza: conoscete il signor di Rochefort? - -«Rochefort non era mio amico, ma ben anzi uno de’ nemici miei più -accaniti, uno dei più fidi al ministro. Mi figuravo che lo sapeste. - -«Lo so talmente, che lo facemmo porre nella Bastiglia. - -«N’è uscito? chiese la sovrana. - -«No; state quieta, v’è sempre: non vi discorro di lui se non per -arrivare ad un altro: conoscete il signor d’Artagnan?» - -E Mazzarino fissava attentamente in volto la regina. - -Anna ricevè la botta nel cuore. - -«Che il Guascone avesse parlato?» bucinò fra sè. - -Poi disse forte: - -«D’Artagnan?... aspettate, veh!.... sì, gli è un nome a me familiare, -un moschettiere che era invaghito di una delle mie donne, povera -meschinella che morì avvelenata per cagion mia. - -«Non v’è altro che questo?» domandò Mazzarino. - -La regina lo guatò attonita. - -«Oh! disse, mi sembra che mi sottoponiate ad un esame. - -«A cui rispondete a capriccio, ribattè il ministro con il suo sogghigno -sempiterno e la voce sdolcinata. - -«Signore, esponete chiaro i vostri desiderj, e risponderò nello stesso -modo, disse Anna come indispettita. - -«Or bene, signora, seguitò Mazzarino inchinandosi alquanto, bramo -mi diate parte dei vostri amici, conforme io ve l’ho data della poca -industria e del talento che mi concesse il cielo. Le circostanze sono -gravi, e siam vicini a dover agire con energia. - -«Da capo! soggiunse la regina, mi figurava che si fosse finita col -signor di Beaufort. - -«Sì, voi vedeste soltanto il torrente che voleva sconvolgere ogni cosa, -e non badaste all’acqua stagnante. Eppure in Francia v’è un proverbio -su le acque morte. - -«Concludete! fece Anna. - -«Ebbene! ripigliò Mazzarino, io tutti i giorni soffro gli affronti -che mi fanno i vostri principi e i vostri servitori titolati, tutti -automi, i quali non veggono che io li tengo per il loro spago, e che -sotto la mia paziente gravità non hanno discoperto il sorriso dell’uomo -crucciato che ha giurato fra sè di esser poi una volta il più forte. -Facemmo arrestare, è vero, il signor di Beaufort, ma egli era il meno -pericoloso di tutti, v’è ancora il signor Principe. - -«Il vincitore di Rocroi? pensereste a lui? - -«Sì, sì, ci penso spesso.... ma pazienza! come diciamo noi Italiani. -Poi, dopo il signor di Condé, v’è il signor duca d’Orleans.... - -«Che dite mai? il primo principe del sangue, lo zio del re! - -«Non già il primo principe del sangue, non lo zio del re, ma il -vile cospiratore, che sotto l’altro regno, spinto dal suo carattere -capriccioso e fantastico, tormentato da pensieri meschini, consumato -da sciocca ambizione, astioso di chiunque lo superasse per lealtà e -coraggio, sdegnato di essere un nulla, mercè la sua nullità appunto -si fece l’eco di tutte le voci maligne, si fece la molla di tutti -i raggiri, accennò di andare innanzi a tutte le brave persone che -furono assai stolide per dar fede alle parole di un uomo del sangue -regio, e le rinnegò allorchè esse salirono sul patibolo! Non il primo -principe del sangue, non lo zio del re, lo ripeto, ma l’assassino di -Chalais, di Montmorency e di Cinq-Mars, che oggi si prova a giuocare al -giuoco medesimo, e s’immagina di vincere la partita perchè ha cambiato -avversario, e perchè invece di aver di fronte un che minacci ha uno -che sorride. Ma s’inganna, avrà perduto un tanto nel perdere Richelieu, -ed io non ho interesse a lasciare vicino alla regina quel fermento di -discordie con cui il defunto ministro fece bollire per venti anni la -bile del re!» - -Anna arrossì e si celò fra le mani la testa. - -«Io non voglio umiliare Vostra Maestà, riprese Mazzarino in tuono di -più calma ma di singolare fermezza, voglio che si rispetti la regina, e -si rispetti il suo ministro, poichè di faccia a tutti io non sono altro -che questo. Vostra Maestà sa ch’io non sono, conforme dicono molti, un -burattino venuto d’Italia, e bisogna che tutti lo sappiano al pari di -voi, o regina! - -«Orsù, che devo fare? domandò Anna, curvatasi sotto quella voce che la -dominava. - -«Dovete ricercare nella vostra memoria i nomi di quegli uomini fidi e -devoti che passarono il mare ad onta di Richelieu, lasciando ovunque -tracce del proprio sangue per riportare a Vostra Maestà un certo -finimento di gioje ch’Ella aveva donato al signor di Buckingham». - -Anna si alzò maestosamente ed irritata, quasi l’avesse fatta -balzare una molla di acciajo, e guardando Mazzarino con la dignità -e l’alterezza che tanto la rendevano possente in gioventù, ella gli -disse: - -«Signore! voi m’insultate! - -«Voglio infine, egli continuò terminando il suo concetto sospeso dal -movimento di lei, voglio che oggi per vostro marito facciate ciò che in -addietro faceste pel vostro amante. - -«Anche questa calunnia! esclamò la regina, eppure io la credeva estinta -e soffocata, poichè sinora me l’avevate risparmiata. Ed ecco che me ne -parlate. Ebbene, meglio così! ne sarà discorso fra noi questa volta, e -tutto sarà finito: m’intendete? - -«Ma signora, fece Mazzarino meravigliandosi di quel ritorno di energia, -non chiedo già che mi diciate tutto. - -«Ed io tutto vuo’ dirvi, rispose la regina Anna. Dunque ascoltatemi: -vuo’ dirvi che di fatti in quell’epoca v’erano quattro cuori zelanti, -quattro anime leali, quattro spade fedeli, che mi salvarono più che la -vita, mi salvarono l’onore. - -«Ah! lo confessate! - -«E forse dei colpevoli soltanto è esposto l’onore? e forse non si può -disonorare qualcuno, ed in ispecie una donna, con le apparenze? Sì, le -apparenze mi stavano contro, ed io era in procinto di esser disonorata; -eppure, lo giuro, non ero colpevole: lo giuro....» - -La regina cercò una cosa sacra su cui potesse giurare, e tolto da un -armadio nascosto dal parato un cassettino di legno di rosa intarsiato -d’argento, e posatolo sull’altare, seguitò: - -«Lo giuro su queste sacre reliquie! amavo il signor di Buckingham, ma -esso non era mio amante. - -«E che reliquie sono codeste sulle quali giurate? disse il ministro -sorridendo; ve lo avverto, nella mia qualità di Romano io sono -incredulo, e vi sono reliquie e reliquie». - -La regina si levò di collo una piccola chiave e glie la porse. - -«Aprite, gli disse e vedrete da per voi». - -Mazzarino, stupefatto, prese la chiave ed aprì il cassetto, in cui -non trovò se non un coltello guastato dalla ruggine e due lettere, una -delle quali macchiata di sangue. - -«Ch’è mai questo? domandò. - -«Che cos’è? replicò Anna con gesto da sovrana, e stendendo sul bauletto -schiuso un braccio rimasto bellissimo ad onta degli anni, ora ve lo -dico: queste due lettere sono le sole ch’io abbia mai scritte; il -coltello è quello con cui Felton lo trafisse.... Leggete, signore, e -vedrete s’io mentisco». - -Non ostante il permesso datogli, Mazzarino, per un sentimento naturale, -invece di scorrere i due fogli, pigliò il coltello che Buckingham -moribondo si era tolto dalla ferita ed aveva mandato alla regina per -mezzo di Laporte. La lama era guastata, essendo il sangue diventato -ruggine. Dopo un momento di esame, durante il quale Anna era diventata -bianca in viso quanto la tela che ricuopriva l’altare su cui essa -appoggiavasi, ei lo rimise nel bauletto con un fremito involontario. - -«Basta, signora, ed io sto al vostro giuramento. - -«No, no, leggete, ripetè Anna aggrottando le ciglia, leggete: voglio -così, così v’impongo, acciò conforme ho deciso si finisca tutto in -questa volta e non ritorniamo più su tale argomento. Credete voi -(aggiunse con un sorriso terribile) ch’io sia disposta a riaprire -questa cassetta a ciascuna delle vostre venture accuse?» - -Il ministro soggiogato da tanta energia obbedì quasi macchinalmente, -e lesse le due lettere. Con una, la regina richiedeva indietro gli -astucci a Buckingham: quella che portata da d’Artagnan era giunta in -tempo; con l’altra essa lo preveniva che sarebbe assassinato: questa -consegnata al duca da Laporte era arrivata troppo tardi. - -«Basta, signora disse Mazzarino, a ciò non v’è che rispondere. - -«Signor sì, continuò la regina Anna richiudendo il piccolo mobile ed -appoggiandovi sopra la destra, sì, v’è da rispondere qualche cosa: -è che io fui sempre ingrata verso quegli uomini che mi salvarono e -fecero quanto poterono per salvar lui; è che nulla io diedi al prode -d’Artagnan di cui poc’anzi voi parlavate, se non la mia mano al bacio e -questo diamante». - -La regina, presentando la bella mano al ministro, gli mostrava una -pietra superba che le scintillava in dito. - -«Egli lo vendè, per quanto pare, seguitò a dire, in un momento di -ristrettezza: lo vendè per salvarmi la seconda volta, giacchè fu -per ispedire al duca un messaggero ad avvertirlo che doveva essere -assassinato. - -«Sicchè d’Artagnan lo sapeva? - -«Sapeva tutto. Come faceva mai? Lo ignoro. Ma in somma lo vendè a Des -Essarts, in dito al quale io lo vidi e da cui lo ricomprai. Per altro -questo diamante gli appartiene, e quindi voi, signore, restituiteglielo -a nome mio, e poichè avete la sorte di aver presso di voi un uomo tale, -procurate di rendervelo utile. - -«Grazie, disse Mazzarino, profitterò del consiglio. - -«E adesso, fece la regina come abbattuta dalla soverchia emozione, -avete altro da domandarmi? - -«Nulla, signora, disse il ministro col tuono il più carezzevole, se non -che supplicarvi di perdonarmi i miei ingiusti sospetti; ma vi amo tanto -che non è meraviglia se sono geloso, anche del passato». - -Passò sul labbro alla sovrana un sorriso di espressione impossibile a -definirsi. - -«Or bene, se non avete altro da chiedermi, lasciatemi: dovete -comprendere che dopo una scena simile ho d’uopo di esser sola». - -Mazzarino s’inchinò. - -«Io mi ritiro, signora.... mi permettete di tornare? - -«Sì, ma domani; non sarà troppo questo tempo per rimettermi in quiete». - -Il ministro prese la destra della regina, la baciò con galanteria, e se -ne andò. - -Appena fu uscito, la regina passò nell’appartamento di suo figlio, -e domandò a Laporte se il re era coricato. Laporte le additò il -fanciullo, che dormiva. - -Anna salì i gradini del letto, appressò le labbra alla fronte alquanto -rugata del figliuolo, e vi diè sopra un bacio. Indi si ritirò in -silenzio come era venuta, limitandosi a dire al cameriere: - -«Procurate, caro Laporte, che il re faccia più buon viso al ministro, a -cui esso ed io abbiamo sì grandi obblighi». - - - - -V. - -_Guascone e Italiano._ - - -Nel frattempo il ministro era tornato al suo gabinetto, alla porta del -quale sorvegliava Bernouin, e richiese a costui se nulla fosse accaduto -di nuovo, e se fosse venuta alcuna notizia di fuori. Dietro la sua -risposta negativa, gli fe’ cenno di ritirarsi. - -Rimasto solo, andò ad aprir l’uscio della galleria, poi quello -dell’anticamera. D’Artagnan, stanco, dormiva sopra uno sgabello. - -«Signor d’Artagnan!» gli disse con voce dolcissima. - -Quegli non si mosse. - -«Signor d’Artagnan!» ripetè più forte. - -L’altro seguitò il suo sonno. - -Il ministro gli si avvicinò e gli toccò la spalla con la punta del dito. - -Allora d’Artagnan si scosse, si destò, e destandosi si trovò in piedi -come un soldato sotto le armi. - -«Eccomi, disse, chi mi chiama? - -«Son’io, fece Mazzarino nel modo più gentile che potesse. - -«Chiedo scusa a Vostra Eccellenza... ma ero così stanco... - -«Non mi chiedete scusa, giacchè vi siete affaticato per servir me». - -D’Artagnan ammirava l’aspetto graziosissimo del ministro. - -«Oh! borbottò fra’ denti, è vero il proverbio francese, che dormendo -vien la fortuna? - -«Seguitemi, signore, soggiunse Mazzarino. - -«Animo, mormorò d’Artagnan, Rochefort mi ha mantenuta la parola; ma -egli, di dove diamine è passato?» - -Ed esaminò fino alle ultime cantonate della stanza, ma Rochefort non -v’era più. - -«Signor d’Artagnan, disse il ministro adagiandosi sur una poltrona, mi -siete sembrato sempre un brav’uomo. - -«Sarà! pensò il tenente, ma è stato un pezzo a dirmelo». - -Ciononostante riverì curvandosi sino a terra per rispondere al -complimento. - -«Or bene, continuò Mazzarino, è arrivato il momento di porre a profitto -i vostri talenti ed il vostro valore». - -All’ufficiale uscì dagli occhi un lampo di allegrezza, che però -subito si estinse dacchè ei non sapeva a che punto volesse venire -l’Eccellenza. - -«Comandate, monsignore, sono pronto ad obbedirvi. - -«Voi, riprese Mazzarino, sotto l’ultimo regno compieste certe, -imprese.... - -«È troppa bontà dell’Eccellenza Vostra il rammentarsele; è vero, feci -la guerra con molto buon successo.... - -«Non parlo delle vostre imprese guerresche, mentre queste, quantunque -abbiano fatto chiasso, sono state superate dalle altre.» - -D’Artagnan si mostrò attonito. - -«Ebbene, non rispondete? - -«Aspetto, monsignore, che mi diciate di quai fatti intendete di -discorrere. - -«Dell’avventura.... eh! sapete ottimamente di che ragiono. - -«Ahimè no! rispose d’Artagnan sorpreso. - -«Siete segreto, tanto meglio! dico di quell’avventura della regina, -degli astucci, del vostro viaggio con tre vostri amici... - -«Ehi! pensò il Guascone, fosse questo un agguato? stiamo saldi!» - -Ed assunse nel volto un’aria di stupefazione che invidiata gli -avrebbero Mondori e Bellerose, i due migliori comici dell’epoca. - -«Benone! aggiunse Mazzarino ridendo, bravo! me lo avevano detto -ch’eravate l’uomo che mi abbisogna... Orsù, che fareste per me? - -«Tutto ciò che mi ordinerà Vostra Eccellenza. - -«Fareste per me quel che operaste in addietro per una regina? - -«Assolutamente, mugolò fra sè d’Artagnan, e’ vogliono farmi ciarlare. -Stiamo a vedere: capperi! non è mica più accorto di Richelieu.... Per -una regina, monsignore? non capisco. - -«Non capite che ho bisogno di voi e dei tre vostri amici? - -«Di che amici? - -«Dei tre vostri di tempo fa. - -«Tempo fa non ne avevo tre, ma cinquanta: a’ venti anni si chiaman -tutti amici. - -«Bene bene, signor ufficiale; la segretezza è una bella cosa, ma oggi -potreste pentirvi di averne usata di troppo. - -«Monsignore, Pittagora faceva stare in silenzio cinque anni i suoi -discepoli per insegnar loro a tacere. - -«E voi ci siete stato venti anni, signor mio; sono quindici anni di più -che un filosofo pittagorico, e mi paiono assai. Oggi dunque parlate, -poichè la regina stessa vi scioglie dal vostro giuramento. - -«La regina! esclamò il Guascone con istupore non più finto. - -«Sì; e per prova che vi discorro in nome suo, v’è che mi ha detto -di mostrarvi questo diamante, cui assicura che conoscete, e che ha -ricomprato da Des Essarts». - -Mazzarino stendeva la mano verso l’ufficiale, il quale sospirò nel -vedere il brillante ch’era stato proprietà della sovrana. - -«È vero, disse questo, riconosco il diamante ch’era della regina. - -«Dunque vedete che vi parlo da parte sua; e allora rispondetemi senza -far più commedie. Ve l’ho detto, e ve lo ripeto, da ciò dipende la -vostra fortuna. - -«Oh! affè, io ho grande necessità di far fortuna. Vostra Eccellenza mi -ha dimenticato per tanto tempo! - -«Bastano otto giorni per ripararvi. Animo, eccovi qua, voi; ma i vostri -amici dove sono? - -«Non lo so. - -«Come, non lo sapete? - -«No; da un pezzo ci siamo separati, giacchè tutti tre hanno abbandonato -il servigio. - -«Ma dove li ritroverete? - -«Dovunque siano: a questo penso io. - -«Ottimamente. Le vostre condizioni? - -«Danaro, monsignore, finchè ne esigano le nostre intraprese. Troppo mi -ricordo quanto fummo trattenuti dalla mancanza di soldi, e senza quel -brillante che fui costretto a vendere saremmo rimasti per la via. - -«Diavolo! danari, e molti.... come tirate giù, signor ufficiale! sapete -che non ve n’è danaro, nei cassoni del re? - -«Allora, Eccellenza, fate come feci io, vendete le gioje della Corona; -datemi retta, non istiamo a stiracchiare; si fanno male le cose grandi -con mezzi piccoli. - -«Ebbene.... si vedrà di soddisfarvi. - -«Richelieu (pensò d’Artagnan) mi avrebbe già dato cinque cento doppie -di caparra. - -«Sarete dunque mio? - -«Sì, se così vogliono i miei amici. - -«Ma in caso di loro rifiuto, potrei contare su di voi? - -«Solo non feci mai niente di buono, replicò d’Artagnan muovendo il capo. - -«Andate a trovarli, dunque. - -«Che dirò ad essi per indurli a servire Vostra Eccellenza? - -«Li conoscete meglio di me; secondo il loro carattere, promettete. - -«Che prometterò? - -«Che servano me come la regina, e somma sarà la mia riconoscenza. - -«Che faremo? - -«Tutto, giacchè pare che tutto sappiate fare. - -«Monsignore, quando s’ha fiducia nelle persone e si vuole ch’esse -ne abbiano in noi, s’informano meglio di quel che pratica Vostra -Eccellenza. - -«State quieto, allorchè venga il momento di agire saprete tutta la mia -idea. - -«E sino allora? - -«Aspettate, e cercate i vostri fidi. - -«Eh! forse non saranno a Parigi; è anzi probabilissimo; bisognerà -viaggiare, io sono un tenente di moschettieri molto povero, e i viaggi -costano caro. - -«Non è mia intenzione che figuriate con gran treno; i miei progetti -hanno d’uopo di mistero, e patirebbero per troppo grande montatura. - -«E di più, monsignore, io non posso viaggiare con la mia paga, mentre -ella mi è arretrata di tre mesi; e non posso neppure con quel che ho -messo insieme, mentre in ventidue anni che servo non ho messo insieme -altro che debiti». - -Mazzarino stette alquanto pensoso, come se in lui sorgesse grandissimo -contrasto; andò poi ad un armadio chiuso con tre serrature, ne levò -un sacco, e pesandolo fra le mani due o tre volte innanzi di darlo a -d’Artagnan gli disse con un sospiro: - -«Pigliate questo, e sia per la gita. - -«Se sono doppie di Spagna, o anche scudi d’oro, fece fra sè d’Artagnan, -potremo ancora far negozi tra noi». - -Salutò il ministro, e si cacciò il sacco nella larga tasca. - -«Or via, dunque è conchiuso, disse Mazzarino, vi porrete in viaggio. - -«Sì, monsignore. - -«Scrivetemi ogni giorno per darmi contezza delle vostre trattative. - -«Non mancherò. - -«Benissimo.... A proposito, i nomi dei vostri amici? - -«I nomi? ripetè il tenente con un avanzo d’inquietudine. - -«Sì; frattanto che voi dal canto vostro cercherete, io dal mio -m’informerò, e forse saprò qualcosa. - -«Il signor conte de la Fère, detto altrimenti Athos; il signor Du -Vallon, detto altrimenti Porthos; e il signor cavaliere d’Herblay, oggi -abate d’Herblay, detto altrimenti Aramis». - -Il ministro sorrideva. - -«Cadetti, diss’egli, che si erano arruolati ne’ moschettieri sotto nomi -falsi per non comprometter quelli delle loro famiglie; spadacce lunghe, -ma borse leggere.... si sa, si sa. - -«Se Dio vuole che quelle spadacce passino al servizio di Vostra -Eccellenza, ardisco esprimere un mio desiderio, cioè che poi la vostra -borsa, monsignore, diventi leggera e la loro pesante, perchè con quei -tre uomini l’Eccellenza Vostra metterà in moto tutta la Francia, ed -anche tutta l’Europa se le fa comodo. - -«Questi Guasconi, replicò ridendo Mazzarino, sono quanto gl’Italiani -per le smargiassate. - -«In ogni caso, ribattè d’Artagnan imitando la risatina del ministro, e’ -sono da meglio per le stoccate». - -Ed uscì, dopo aver chiesto un congedo, che gli fu subito accordato e -firmato da Mazzarino. - -Appena fu fuori, si accostò ad un lampione del cortile e guardò in -fretta nel sacco. - -«Scudi d’argento! fece con disprezzo, me lo figuravo! Ah Mazzarino, -Mazzarino! non hai fiducia in me? peggio per te! questa sarà la tua -disgrazia!» - -Frattanto il ministro si stropicciava le mani. - -«Cento doppie, brontolava, cento doppie! per cento doppie ho avuto -un segreto che Richelieu avrebbe pagato venti mila scudi; senza -contare questo brillante.... seguitò, volgendo amorosamente gli occhi -sull’anello che erasi ritenuto invece di darlo a d’Artagnan, che vale -almeno dieci mila lire». - -E tornò nella sua camera, contentissimo della serata cui aveva fatto un -sì bel guadagno, mise l’anello in uno scrignetto fornito di diamanti -d’ogni sorta, giacchè aveva genio per le gioje, e chiamò Bernouin -acciò lo spogliasse, senza più occuparsi dei clamori che continuavano -a venire tratto tratto a scuotere i vetri, e delle schioppettate che -ancor si udivano per Parigi, benchè fossero più delle undici ore di -notte. - -Nel frattempo d’Artagnan s’incamminava verso la via Tiquetonne, dove -abitava all’albergo della _Chevrette_. - -Ora, diciamo un po’ in qual modo si fosse indotto a prescegliersi -quell’abitazione. - - - - -VI. - -_D’Artagnan sui quarant’anni._ - - -Ohimè! dopo l’epoca in cui, nel nostro romanzo dei _Tre Moschettieri_, -lasciammo d’Artagnan in via dei _Fossoyeurs_ (dei beccamorti), al N. -12, erano passate molte cose, e soprattutto molti anni. - -D’Artagnan non aveva fallito alle circostanze, ma sibbene le -circostanze a lui. Finchè aveva avuti attorno gli amici era rimasto -nella sua gioventù e nella sua poesia: era una di quelle indoli -ingegnose e fini che facilmente s’immedesimano con le qualità altrui: -Athos gli dava della sua grandezza, Porthos del suo estro, Aramis -della sua eleganza. S’egli avesse seguitato a vivere con quei tre -sarebbe divenuto un uomo superiore. Fu il primo Athos a lasciarlo, -per ritirarsi nella piccola tenuta che aveva ereditata dalla parte -di Blois; il secondo Porthos, per isposare la sua _procuratrice_; il -terzo, Aramis, per farsi abate. Da quel punto d’Artagnan, che sembrava -avesse confuso il suo avvenire con quello de’ suoi tre colleghi, si -trovò isolato e debole, senza coraggio per seguitare una carriera in -cui capiva di non poter divenire qualche cosa se non a patto che ognuno -dei compagni gli cedesse (qualora ciò possa dirsi) una parte del fluido -elettrico rispettivamente ricevuto in dono. - -E quindi, abbenchè fatto tenente dei moschettieri, ei si trovò nello -stesso isolamento. Non era di nascita assai elevata, come Athos, per -essere accolto nelle grandissime case; non borioso come Porthos, per -far credere che frequentasse l’alta società; non abbastanza gentiluomo, -come Aramis, per mantenersi nella nativa sua eleganza, questa traendo -da sè medesimo. Per qualche tempo la grata ricordanza di madama -Bonacieux aveva impressa nello spirito del nostro tenente una tal quale -poesia; ma questa ricordanza, distruttibile al pari di quella delle -cose tutte di questo mondo, erasi dileguata. La vita di guarnigione -è funesta anco alle organizzazioni aristocratiche. Delle due nature -opposte componenti l’individualità di d’Artagnan la natura materiale a -poco a poco avea vinto, ed egli pian piano, senza nemmeno accorgersene, -sempre in campo, sempre a cavallo, era diventato (non so come si -chiamasse in quell’epoca) quel che ai giorni nostri si dice un vero -soldataccio (_un véritable troupier_). - -Non è che per questo egli avesse perduta la sua primitiva scaltrezza. -Oh no! anzi codesta scaltrezza erasi pure accresciuta, o pareva almeno -doppiamente rimarchevole sotto una più rozza apparenza, ma egli l’aveva -applicata alle piccole e non alle grandi cose della vita, al ben essere -materiale, al ben essere quale lo intendono i soldati, cioè ad aver -buona tavola, buon alloggio, buona locandiera. - -E tutto questo, ei lo aveva trovato da sei anni in via Tiquetonne, -all’insegna della _Chevrette_, o sia del Granchio. - -Nei primi tempi di sua permanenza in quell’albergo, la padrona di -casa, bella e fresca Fiamminga di venticinque a ventisei anni, erasi -invaghita di lui fuor di modo; dopo certi amoretti, inceppati da -un importuno marito, al quale dieci volte d’Artagnan fece finta di -passare la spada a traverso al corpo, il detto marito una mattina -sparì, disertando per sempre, dopo aver venduto di soppiatto alcuni -barili di vino e portatosi via le gioje e i denari. Fu creduto morto. -La moglie specialmente lusingandosi nella dolce idea di esser vedova, -sosteneva arditamente ch’era estinto. Alla perfine, a capo a tre -anni di una relazione che d’Artagnan non aveva per certo cercato -di troncare, trovando ogni anno più di suo genio l’alloggio e la -padrona, conciossiachè questa dava quello a credenza, la donna ebbe la -stravagante pretensione di diventar moglie, e gli propose di sposarlo. - -«Oibò! disse d’Artagnan, bigamia! ma vi pare, mia cara? - -«È morto, ne sono sicurissima. - -«Era tanto dispettoso che tornerà per farci impiccare. - -«Veh! se torna lo ammazzerete; siete sì abile e coraggioso! - -«Gnaffe! un altro mezzo per andare sulla forca! - -«Dunque rigettate la mia domanda? - -«E come! e con tutta fermezza!» - -La bella albergatrice si disperò: avrebbe fatto di d’Artagnan non solo -il suo consorte, ma anche il suo nume! era un uomo tanto bello! aveva -baffi superbi!... - -Verso il quarto anno di quella relazione venne la spedizione di -Franche-Comté. D’Artagnan fu destinato a farne parte, e si accinse -alla partenza. Furono grandi dolori, lagrime interminabili, promesse -di restar fedele, tutto, già s’intende, dal lato della locandiera: -d’Artagnan era troppo signorone per prometter nulla, e perciò promise -soltanto di far ciò che potrebbe onde accrescere vieppiù la gloria del -suo nome. - -Su questo particolare, noi conosciamo il suo coraggio; si dedicò -egregiamente e con la propria persona, e caricando alla testa della -sua compagnia ricevè a traverso al petto una palla che lo distese per -il lungo sul campo di battaglia. Fu visto cadere da cavallo, nessuno -lo vide rialzarsi; lo crederono morto, e tutti coloro che speravano -di succedergli nel suo grado dissero ad ogni evento che lo era. Di -leggieri si crede ciò che si brama; e all’armata, dai generali di -divisione che bramano la morte del generale in capo, sino ai soldati -che bramano quella dei caporali, tutti desiderano di qualcuno la morte. - -D’Artagnan però non era uomo da lasciarsi ammazzare così. - -Rimasto, durante i calori della giornata svenuto sul campo, lo fe’ -tornare in sè il fresco della notte; corse ad un villaggio; andò a -bussare alla più bella casa, fu ricevuto come lo sono dappertutto e -sempre i Francesi ancorchè feriti, fu accarezzato, curato, guarito, -e più sano che mai, una mattina s’avviò di nuovo inverso Francia; una -volta in Francia si diresse a Parigi, ed a Parigi s’incamminò in via -Tiquetonne. - -Ma trovò la sua camera occupata da un cappellinajo pieno d’arredi da -uomo, meno la spada, appoggiata al muro. - -«Sarà tornato; disse fra sè, peggio così; e meglio così!» - -Già si capisce che d’Artagnan pensava al marito. - -Egli s’informò. Garzoni nuovi, nuova serva; la padrona era ita a spasso. - -«Sola? fece d’Artagnan. - -«Col padrone. - -«Sicchè il padrone è tornato? - -«Di certo, rispose semplicemente la fantesca. - -«Se avessi soldi, egli disse fra sè, me ne andrei, ma non ne ho: -bisogna restar qui, e appigliarsi al consiglio della mia locandiera -coll’impedire i conjugali progetti di quello spettro importuno». - -Terminava questo monologo (lo che prova che nelle circostanze gravi -il monologo è naturalissimo) quando la serva, che faceva la posta -sull’uscio, esclamò ad un tratto: - -«Oh! ecco appunto la padrona che viene col padrone». - -D’Artagnan, lanciato uno sguardo sul canto della strada Montmartre, -vide la locandiera che se ne veniva sospesa al braccio di un enorme -Svizzero, il quale si tentennava camminando con tali maniere che a lui -rammentarono gradevolmente l’antico amico Porthos. - -«È quello il padrone? disse fra sè d’Artagnan, oh! mi pare cresciuto di -molto». - -E sedè in sala in un luogo bene in vista. - -La donna, nell’entrare, lo adocchiò subito, e diede un piccol grido. - -Dietro al quale, il tenente, supponendosi riconosciuto, si alzò, le -corse incontro, e l’abbracciò teneramente. - -Lo Svizzero guardava stupefatto l’albergatrice, che impallidiva. - -«Ah! siete voi?... che volete? essa chiese nella massima agitazione. - -«Il signore è vostro cugino? il signore è vostro fratello? disse -d’Artagnan». - -E senza sconcertarsi nella parte che rappresentava, nè attendere -ch’ella rispondesse, si gettò al collo all’Elvetico. - -Questi si lasciò fare con tutta freddezza. - -«Chi è costui? domandò poi». - -La donna soffocava, non aveva più fiato. - -«Chi è questo Svizzero? la interrogò il tenente. - -«Deve sposarmi,.... fece l’ostessa fra due spasimi. - -«Dunque vostro marito finalmente è morto? - -«Che _inderesse_ voi? disse lo Svizzero. - -«_Inderesse_ molto, ribattè d’Artagnan, sendochè non potete sposarla -senza mio consenso, e che io.... - -«E _ghe_?... cominciò l’altro. - -«E _ghe_, io non lo do, terminò il moschettiere». - -L’Elvetico diventò rosso come un fringuello; aveva la bella uniforme -indorata. D’Artagnan indossava una specie di pastrano bigio; l’Elvetico -era alto sei piedi, d’Artagnan appena cinque: l’Elvetico si reputava in -casa sua, d’Artagnan gli pareva un intruso. - -«_Folete_ uscire di qua? urlò il forestiere, picchiando forte col piede -come uno che principii a andare davvero per le furie. - -«Io? niente affatto! - -«Eh! basta andare a cercare man-forte, suggerì un cameriere, il quale -non si poteva capacitare che quell’uomiciattolo contrastasse il posto a -quell’omone. - -«Tu, urlò d’Artagnan oramai più incollerito, afferrando per le -orecchie il garzone, tu comincerai da star qui; e non ti muovere, o -che ti strappo quel che ti ho già preso. Voi, illustre discendente di -Guglielmo Tell, farete un fagotto dei vostri abiti, che sono nella mia -stanza e mi danno impaccio, e partirete subito a procurarvi un altro -albergo». - -Lo Svizzero si mise a ridere fortemente. - -«Io _pardire! e perghè?_ - -«Ah! va bene, disse d’Artagnan; allora, venite meco a fare un giro, e -vi spiegherò il resto». - -La locandiera, che conosceva d’Artagnan per lama fina, si diede a -piangere, e a svellersi i capelli. - -Questi si volse dalla parte della bella piangente. - -«Dunque, mandatelo via, signora! - -«_Oipò!_ replicò lo Svizzero, a cui era bisognato un dato tempo per -comprendere la proposizione fattagli dal moschettiere, oipò! prime, chi -siete per proborre un gire con voi? - -«Sono tenente dei moschettieri di Sua Maestà, e in conseguenza vostro -superiore in tutto; solamente, siccome qua non si tratta di grado, ma -di biglietto di alloggio, voi conoscete l’usanza: venite a procacciarvi -il vostro; il primo che qui torni riprenderà la sua camera». - -D’Artagnan condusse fuori lo Svizzero, ad onta delle lamentazioni della -locandiere, la quale in fondo si sentiva propendere il cuore all’antico -amore, ma non avrebbe sgradito di dare una lezione all’orgoglioso -moschettiere che le avea fatto l’affronto di ricusare la sua mano. - -I due avversari se ne andarono direttamente ai fossi Montmartre. -Annottava quando vi giunsero. D’Artagnan pregò civilmente l’Elvetico di -cedergli la stanza e non farsi più vedere: questi rifiutò con un moto -della testa, e sguainò la spada. - -«Allora dormirete qui; disse d’Artagnan, è un brutto alloggio, ma io -non ci ho colpa, voi lo avete voluto». - -E levò il ferro esso pure, e lo incrociò con quello del nemico. - -Avea che fare con un pugno duro, ma la sua agilità superava qualunque -forza. - -La draghinassa del Tedesco non incontrava mai quella di d’Artagnan. -Lo Svizzero ricevè due stoccate innanzi di accorgersene a motivo del -freddo. Però ad un tratto la perdita del sangue e la debolezza da -questa prodottagli lo obbligarono a sedersi. - -«Là! gridò d’Artagnan, ve lo avevo detto? ci avete guadagnato di molto! -ostinataccio!... Fortunatamente per voi, sarà il male tutto al più di -una quindicina di giorni. State costì, e vi manderò subito i vostri -panni per mezzo del cameriere.... A rivederci.... Oh! appunto, pigliate -alloggio in via di Montorgueil al _Gatto che passeggia_; ci si ha buona -tavola, se è sempre la medesima ostessa. Addio». - -E se la ribattè allegro e svelto a casa; inviò le sue robe allo -Svizzero, che il garzone trovò nello stesso posto ov’ei lo aveva -lasciato, tuttavia dolente della fermezza riscontrata nel suo -avversario. - -Il cameriere, la locandiera, tutti in somma, ebbero per d’Artagnan i -riguardi che si avrebbero per Ercole s’egli ricomparisse sulla terra a -ricominciare le sue dodici fatiche. - -Ma egli, quando fu solo con l’albergatrice, le disse: - -«Ormai, bella Maddalena, sapete che distanza corre da uno Svizzero a -un gentiluomo. Voi vi siete contenuta da vera locandiera. Peggio per -voi, giacchè mediante questa condotta perdete la mia stima e la mia -ricorrenza. Ho scacciato quel Tedesco per umiliarvi, ma non istarò più -qui: non tengo dimora là dove ho disprezzo.... Ohi, giovanotto, portate -la mia valigia al _Moggio di Amore_ in via dei Bordonesi. Signora, -addio». - -E bisogna credere che pronunciando tali parole D’Artagnan fosse ad -un tempo e maestoso e commovente. La donna gli si buttò ai piedi, -gli chiese scusa, e lo trattenne, ahimè! con dolcissima violenza. Che -diremo di più? scorreva il girarrosto, friggeva la padella, Maddalena -lacrimava; d’Artagnan sentì la fame, il freddo e l’amore tornargli -tutti insieme; perdonò, e perdonando rimase là. - -Ed ecco il come egli dimorasse nella strada Tiquetonne all’albergo del -Granchio, o _de la Chevrette_. - - - - -VII. - -_D’Artagnan è nell’imbarazzo, e lo viene a soccorrere un antico -conoscente._ - - -Or dunque, d’Artagnan se ne veniva indietro, pensoso, contento di -portar seco il sacco di Mazzarino, e riflettendo al bel brillante stato -già suo, e che per un momento avea veduto luccicare in dito al primo -ministro. E diceva: - -«Se mai quel diamante mi cadesse di nuovo fra le mani, ne farei subito -danari, comprerei qualche effetto attorno alla villa di mio padre, ch’è -una bella abitazione, ma non ha altre dependenze se non se un giardino -grande a mala pena quanto il cimitero degli Innocenti; e là, nella -mia maestosità attenderei che qualche erede incantata dalla mia buona -cera mi venisse a sposare; poi avrei tre figli maschi; farei il primo -un signorone come Athos, il secondo un bel soldato come Porthos ed il -terzo un grazioso abate come Aramis. Per Diana! sarebbe meglio mille -volte che la vita ch’i’ vo facendo.... Ma pur troppo messer Mazzarino è -un certo tomo che non si spossederà del diamante a favor mio». - -Che avrebbe detto d’Artagnan, ove avesse saputo esser quella pietra -affidata dalla regina a Mazzarino per renderla a lui? - -Entrato nella via Tiquetonne, vide che v’era gran susurro; attorno alla -sua dimora stava un attruppamento non piccolo. - -«Oh oh! fece allora, avesse preso fuoco l’albergo del Granchio, o fosse -tornato sul serio il consorte di Maddalena?» - -Nè uno nè l’altro: avvicinandosi si accorse qualmente la riunione -avea luogo non davanti alla sua locanda, ma al casamento contiguo. Si -udivano grida, correva gente con delle fiaccole, ed al lume di queste -ei distinse delle uniformi. - -Domandò che fosse stato. - -Gli fu risposto, come un borghese con circa venti suoi amici aveva -assalita una carrozza scortata dalle guardie del ministro, ma -sopraggiunto un rinforzo erano essi fuggiti, il capo della riunione -erasi ricovrato nella casa vicina all’albergo, e là si facevano -ricerche. - -D’Artagnan in gioventù si sarebbe slanciato là dove vedeva uniformi e -avrebbe dato manforte a’ soldati contro i borghesi; però quei bollori -di testa gli erano passati, e inoltre aveva nelle saccocce le cento -doppie di Mazzarino, nè voleva arrischiarsi in una sommossa. - -Entrò in locanda senza far altre richieste. - -Prima voleva sempre sapere, allora sapeva sempre abbastanza. - -Trovò Maddalena, che non lo attendeva, supponendo, secondo le aveva -detto, che pernottasse al Louvre; essa gli fece molte feste per -l’imprevisto ritorno, il quale le facea comodo tanto più ch’ella aveva -paura di ciò che accadeva sulle strade e non aveva alcuno Svizzero a -farle guardia. - -Essa dunque voleva intavolar seco conversazione e raccontargli quanto -era successo; ma d’Artagnan rifletteva, e in conseguenza non era in -vena da chiacchierare; essa gli mostrò la cena che fumava, ed egli le -ordinò la mandasse nella sua camera e vi aggiungesse una bottiglia di -Borgogna del vecchio. - -La bella Maddalena era avvezzata a obbedire militarmente, cioè ad un -cenno; questa volta d’Artagnan si era degnato di parlare, e quindi fu -obbedito con doppia lestezza. - -Egli prese la chiave e la candela, e salì in camera. Per non recar -pregiudizio all’appigionamento, si era contentato di una stanza al -quarto piano. Il nostro rispetto per la verità ci obbliga a dire -inoltre che la stanza si trovava per l’appunto sotto la grondaja e -sopra al tetto. - -Era quella la sua tenda di Achille. Ei vi si rinchiudeva quando -intendeva colla sua assenza castigare Maddalena. - -Prima sua cura fu di andare a riporre in un vecchio scrigno, che aveva -la serratura nuova, il sacchetto cui non ebbe tampoco necessità di -riscontrare per sapere qual somma contenesse; indi, essendogli dopo un -momento apparecchiato, licenziò il garzone, chiuse l’uscio e si mise a -tavola. - -Non era già per riflettere, conforme taluno potrebbe credere: ma -d’Artagnan pensava che le cose non si fanno bene se non una dopo -l’altra; aveva fame, cenò; e dopo andò a letto. - -D’Artagnan non era nemmeno di coloro che opinano che la notte dia -consiglio: la notte dormiva. La mattina, all’incontro, fresco, lucido, -trovava le migliori inspirazioni. Da gran tempo non aveva avuto -occasione di pensare la mattina, ma aveva dormito sempre nella nottata. - -Si destò all’alba, balzò dal letto con risolutezza veramente militare, -e passeggiò per la camera ruminando fra sè: - -«Nel 43 (diceva), circa sei mesi dopo la morte del defunto ministro, -ricevei una lettera di Athos.... dove? dove?.... ah! me ne ricordo, -all’assedio di Besanzone: ero nella trincea.... Che mi diceva egli?.... -Che abitava una piccola tenuta.... sì, piccola tenuta.... ma dove? -arrivato a quel punto della lettera, il vento me la portò via.... altra -volta sarei ito a cercarla, benchè il vento l’avesse condotta in un -luogo molto scoperto.... Ma la gioventù è un gran difetto.... quando, -non si è più giovani.... Lasciai andare il foglio a portar l’indirizzo -di Athos agli Spagnuoli, i quali non sanno che farsene e che dovrebbero -rimandarmelo.... Dunque ad Athos non va pensato. Animo.... Porthos.... -Ebbi una lettera sua; m’invitava a una gran caccia nelle sue terre -per il settembre 1646. Disgraziatamente, essendo io in quell’epoca -nel Bearn a motivo della morte di mio padre, la missiva venne colà -dietro di me; ed io era partito quando essa vi giunse.... mi seguitò, -e toccò Montmedy pochi giorni dopo ch’io aveva abbandonata anco questa -città.... Mi capitò in aprile finalmente, ma nell’aprile 47, e poichè -l’invito era per settembre del 46 non ne potei profittare.... Su, si -cerchi la missiva; dev’essere con i miei documenti di proprietà....» - -D’Artagnan aprì una cassetta che giaceva in un canto, piena di -pergamene relative alla tenuta di d’Artagnan, la quale da due -cento anni era uscita affatto dalla sua famiglia, e diede un grido -dall’allegrezza: aveva riconosciuto il grosso carattere di Porthos, -e sotto, alcuni versi di scritte piccole piccole fatti dalla mano -secchissima della degna di lui sposa. - -Non si lambiccò il cervello a rileggere la lettera: ne sapeva digià il -contenuto; andò all’indirizzo. - -Questo era al castello du Vallon. - -Porthos aveva dimenticato qualunque altro schiarimento. Nel suo -orgoglio ei si credeva che tutti dovessero conoscere il castello a cui -egli avea dato il proprio nome. - -«Maledetto superbo! fece d’Artagnan, sempre lo stesso!.... Eppure mi -tornava conto di cominciare da lui, attesochè non deve aver bisogno di -danari, avendo ereditate le otto cento mila lire di M. Coquenard.... -Eh! ora mi manca il migliore; Athos era diventato melenso a forza di -bere; Aramis sarà immerso ne’ suoi esercizi di divozione». - -D’Artagnan diede un’altra occhiata al foglio di Porthos. V’era un -_poscritto_, e conteneva questa frase: - -— Scrivo con questo stesso corriere al nostro degno Aramis al suo -convento. — - -«Al suo convento, sì, ma a che convento? ve ne sono due cento in -Parigi, e tremila in Francia. E poi, forse nel mettercisi avrà mutato -nome per la terza volta.... Ah! se fossi dotto in teologia, e mi -ricordassi almeno il soggetto delle sue tesi, ch’ei discuteva tanto -bene a Crevecoeur col curato di Montdidier, vedrei a qual dottrina -è più propenso e ne dedurrei di qual Santo possa esser divoto a -preferenza.... Eh! se me ne andassi dal ministro, e gli chiedessi un -salvocondotto per entrare in tutti i chiostri possibili, sarebbe una -buona idea, e probabilmente lo rinverrei colà come Achille.... Sì, ma -questo è un confessare da bel principio la mia impotenza e perdermi di -botto nel concetto del ministro. I grandi non ci hanno gratitudine se -non quando si fa per loro l’impossibile. — Se fosse stato possibile (ci -dicono) lo avrei fatto da me.... — E hanno ragione.... Ma aspettiamo -un poco.... Ebbi una lettera anche da lui, dal caro amico, e per segno -mi chiedeva un piccolo favore e glielo feci.... Ah! sì, ma adesso, dove -diavolo l’ho messa?» - -D’Artagnan riflettè un momento, e si avanzò verso il cappellinajo -dov’erano appesi i suoi abiti vecchi; vi cercò il suo giubbetto del -1648; e siccome egli era un giovane che teneva le cose a sesto, lo -ritrovò attaccato a un chiodo. Frugò nella saccoccia e ne levò un -foglio: era precisamente il dispaccio di Aramis. - - «Signor d’Artagnan (ei gli diceva), sapete che ho avuto una contesa - con un certo gentiluomo che mi ha fissato convegno per questa - sera in Piazza Reale; siccome sono ecclesiastico e la faccenda mi - potrebbe nuocere se ne dessi parte ad altri che a voi, vi scrivo - perchè mi serviate da secondo. Entrerete dalla via S. Caterina; - sotto il secondo lampione a man diritta sarà il vostro avversario. - Io sarò col mio sotto il terzo. - - Vostro aff.mo - - Aramis». - -Questa volta non v’erano neppure addio e saluti. D’Artagnan procurò -di raccogliere le sue rimembranze. Egli era andato all’appuntamento, -ivi incontrato l’avversario indicato, di cui non avea mai saputo il -nome, gli aveva favorita una bella stoccata nel braccio, e poi si era -avvicinato ad Aramis, che dal canto suo gli veniva incontro, avendo -anch’esso terminata la sua bisogna. - -«È finita, gli avea detto Aramis, credo di aver ucciso quell’insolente. -Ma, amico caro, se avete bisogno di me, sapete che son tutto vostro». - -Ed Aramis, datagli una stretta di mano, era sparito sotto gli archi. - -D’Artagnan non sapeva dove fosse Aramis niente più che Athos e Porthos, -e cresceva il suo imbarazzo. Però gli parve udir romore di un vetro che -si rompesse nella stanza. Pensò subito al sacco ch’era nello scrigno, -e corse fuori. Non si era ingannato: mentre egli entrava dall’uscio -entrava un uomo dalla finestra. - -«Ah, birbante! urlò d’Artagnan prendendo colui per un ladro e ponendo -mano alla spada. - -«Signore! esclamò l’altro, non sono un ladro, oh no! sono un onesto -borghese in buono stato, che ho delle case al sole, e mi chiamo.... Ah! -non fo sbaglio, siete il signor d’Artagnan! - -«E tu, Planchet! gridò il tenente. - -«Ai vostri comandi, fece Planchet, se potessi ancora esservi utile. - -«Forse sì: ma che diamine fai a correr su per i tetti la mattina alle -sette nel mese di gennajo? - -«Signore, avete a sapere.... ma no.... anzi, forse non dovete -saperlo.... - -«Che mai? che mai?.... Prima di tutto, metti un tovagliuolo davanti al -vetro e chiudi la portiera». - -Planchet obbedì. - -«Ebbene? domandò il tenente. - -«Innanzi a tutto, chiese il prudente Planchet, come state col signor de -Rochefort? - -«Ottimamente! Rochefort! ma sai che adesso è uno dei miei più grandi -amici? - -«Ah! meglio così. - -«E che ha che vedere Rochefort con la tua maniera d’entrare in camera -mia? - -«Eccoci; v’ho da dire in primo luogo che il signor Rochefort è....» - -Planchet titubava alquanto. - -«Cappio! fece d’Artagnan, lo so, è alla Bastiglia. - -«Cioè, vi era, ribattè Planchet. - -«Come, vi era? esclamò d’Artagnan, ha avuto la fortuna di scappare? - -«Ah! signore, se la chiamate fortuna, andrà tutto bene.... vi ho -da dire, dunque, che jeri era stato mandato a prendere il signor di -Rochefort dalla Bastiglia. - -«Eh, cospetto! lo so, poichè andai io a pigliarlo. - -«Ma non foste voi che lo riconduceste, per sua buona sorte, giacchè se -vi avessi riconosciuto fra la scorta, credete pure che ho sempre per -voi troppo rispetto.... - -«Finisci, bestia! orsù, che è egli accadute? - -«È accaduto che in mezzo alla strada della Ferronnerie, mentre la -carrozza del signor di Rochefort traversava fra un mucchio di gente e -quelli della scorta strapazzavano i borghesi, vi fu gran susurro. Il -prigioniero stimò bellissima l’occasione, disse il suo nome e gridò: -ajuto! Io ero là, ravvisai il conte, mi risovvenni ch’ei mi avea -fatto sergente nel reggimento di Piemonte, e dissi forte ch’era un -detenuto amico del duca di Beaufort. Si radunò il popolo, si fermarono -i cavalli, si rispinse la scorta. Intanto io aprii lo sportello, ed il -signor di Rochefort saltò in terra e sparì tra la folla. Per disdetta -passava una pattuglia; si riunì alle guardie, e ci attaccò. Io battei -la ritirata dalla parte di via Tiquetonne; ero incalzato fortemente. Mi -rifugiai nella casa accanto a questa; la fu contornata, perquisita, ma -inutilmente, chè al quinto piano avevo trovata una persona caritatevole -che mi avea rimpiattato fra due materasse. Sono restato in quel -nascondiglio, o poco meno, fino a giorno, e nell’idea che forse a sera -riprincipierebbero le visite e le indagini, mi sono avventurato su per -le grondaje, cercando prima un’entratura e poi un’uscita in uno stabile -qualunque che non fosse guardato a vista. Eccovi la mia storia, e in -parola d’onore mi dorrebbe al sommo ch’ella vi spiacesse. - -«No, tutt’altro; disse d’Artagnan, e ho caro davvero che Rochefort sia -in libertà. Ma sai una cosa? gli è che se caschi in mano alle genti del -re, sarai appiccato senza misericordia. - -«Per dinci, se lo so! e questo è che mi dà tormento, ed ecco perchè -sono tanto contento di avervi ritrovato, giacchè se volete nascondermi -nessuno lo può meglio di voi. - -«Sì, volentierissimo, quantunque io arrischi nè più nè meno che il mio -grado ove fosse noto aver io dato asilo ad un ribelle. - -«Ah signore! sapete ch’io arrischierei la vita per voi. - -«Potresti anche aggiungere che l’azzardasti, Planchet. Io non -dimentico se non le cose che vuo’ dimenticare, e di questa voglio -anzi ricordarmi. Dunque siedi qua, e mangia con tutta pace, poichè -mi accorgo che guardi gli avanzi della mia cena con occhiate molto -espressive. - -«Signor sì, perchè la credenza della vicina era malissimo provveduta di -cibi delicati; da jeri a mezzo giorno, non ho mandato giù che una fetta -di pane colla conserva. Sebbene io non disprezzi le robe dolci quando -vengono a tempo e luogo opportuno, la cena mi è sembrata leggerina. - -«Poveraccio! or via, riaccomodati lo stomaco. - -«Ah! mi salvate due volte la vita!» - -Planchet si assise, e cominciò a divorare come nei lieti giorni -della via dei Fossoyeurs. D’Artagnan continuava a camminare su e giù: -cercava nel suo cervello qual partito potrebbe ricavare da colui nelle -circostanze in cui era. Intanto colui lavorava a riparare meglio che -potesse il tempo perduto. - -Alla fine mandò quel sospiro di soddisfazione dell’uomo affamato, il -quale è indizio che avendo preso un primo e solido acconto ei voglia -fare un piccolo riposo. - -«Animo, fece d’Artagnan, figurandosi giunto l’istante da dar mano -all’interrogatorio, andiamo per ordine: sai tu dove sia Athos? - -«Signor no. - -«Diamine! sai dov’è Porthos? - -«Nemmeno. - -«Diamine! diamine! E Aramis? - -«Neppure. - -«Diamine! diamine! diamine! - -«Ma, disse Planchet con aria maliziosa, so dov’è Bazin. - -«Come, dov’è Bazin! - -«Sicuro. - -«E dov’è? - -«A Nostra Signora. - -«E che ci fa egli? - -«È bidello. - -«Bazin bidello a Nostra Signora? ne sei certo? - -«Certissimo: l’ho visto, gli ho parlato. - -«Deve conoscere ove sia il suo padrone? - -«Senza dubbio». - -D’Artagnan riflettè; poi prese il ferrajuolo e la spada, e si dispose -ad uscire. - -«Signore, seguitò Planchet in tuono lamentevole, mi abbandonereste -così? Pensate che ho speranza in voi solo! - -«Non verranno mica qui a cercarti. - -«In somma, se ci venissero, disse il prudente Planchet, badate che per -la gente di casa che non mi ha visto entrare sono un ladro. - -«Va benone, fece d’Artagnan, su via, parlate un dialetto qualunque? - -«Parlo anche di meglio, replicò Planchet, parlo una lingua, parlo -fiammingo. - -«E dove diavolo l’hai tu imparata? - -«Nell’Artois, dove guerreggiai per due anni: Goeden Morgen, mynheer, -ich ben begeerig te weeten uwer gerondheyds omstand. - -«E vuol dire? - -«Buon dì, signor mio, mi sollecito a richieder notizie della vostra -salute. - -«E codesta, la chiami una lingua! ma non importa, cade bene in -acconcio». - -Il tenente andò sino all’uscio, chiamò un cameriere, e gli ordinò -dicesse alla bella Maddalena di salire. - -«Che fate? disse Planchet, affidereste il nostro segreto a una donna? - -«Sta quieto, non aprirà bocca». - -Venne Maddalena; era accorsa tutta contenta, credendo di trovare -d’Artagnan solo; al vedere Planchet retrocedè meravigliata. - -«Cara locandiera, le disse d’Artagnan, vi presento il vostro signor -fratello arrivato ora di Fiandra, che prendo al mio servizio per alcuni -giorni. - -«Mio fratello! fece l’ostessa più attonita che mai. - -«Master Peter, date il buon dì a vostra sorella. - -«Welkom, zuster, disse Planchet. - -«Goeden dag, broer, rispose la donna. - -«Eccovi tutta la faccenda; seguitò il tenente, questi è vostro -fratello, che voi forse non conoscete, ma io sì; è venuto da Amsterdam. -Voi nella mia assenza lo vestite; al mio ritorno, cioè fra un’ora, me -lo presentate, e in grazia della vostra raccomandazione, benchè egli -non sappia una parola di francese, pure nulla potendo io ricusarvi, lo -prendo al mio servizio: capite? - -«Cioè, indovino quel che desiderate. - -«Siete una donna preziosa e rara, mia bella Maddalena, e mi fido a voi». - -E d’Artagnan, fatto un cenno d’intelligenza a Planchet, uscì per -trasferirsi a Nostra Signora. - - - - -VIII. - -_Influenze diverse che può avere una mezza doppia sopra un bidello e -sopra un piccolo cantore._ - - -D’Artagnan prese dal Ponte Nuovo, rallegrandosi di aver ritrovato -Planchet; giacchè per quanto sembrasse ch’ei facesse un favore al degno -giovanotto, in realtà questi lo faceva a lui. Sicuramente, in quel -momento nulla poteva giovargli di più che un lacchè capace ed accorto. -È vero che secondo ogni probabilità Planchet non doveva rimanere -lungo tempo addetto a d’Artagnan; ma riprendendo poi la sua posizione -sociale nella contrada dei Lombardi, resterebbe sempre obbligato al -tenente dei moschettieri, il quale, nascondendolo nella propria casa, -gli aveva salvato la vita o poco meno; ed il tenente aveva caro di -avere delle relazioni nel ceto dei borghesi, nella circostanza che -questo si accingeva a muover guerra alla corte. Era un posseder delle -intelligenze nel campo nemico, e, per un uomo scaltro come d’Artagnan, -le piccole cose potevano condurre alle grandi. - -In tale disposizione di mente adunque, e soddisfattissimo della -casualità e di sè stesso, d’Artagnan giunse a Nostra Signora. Salì la -gradinata, entrò in chiesa, e voltosi ad un sagrestano che scopava una -cappella gli domandò se conosceva il signor Bazin. - -«Il signor Bazin, il bidello? disse il sagrestano. - -«Appunto. - -«Eccolo laggiù, che serve la messa alla cappella della Vergine». - -D’Artagnan balzò dal piacere: non ostante ciò che gli aveva detto -Planchet non isperava di trovare Bazin; ormai dacchè aveva acchiappata -una cima del filo, stava certo di arrivare all’altra. - -Andò ad inginocchiarsi di faccia alla cappella per non perdere di vista -chi voleva. Per buona sorte la messa era vicina a finire. Egli, che si -era scordato le sue orazioni, impiegò il tempo ad esaminare Bazin. - -Bazin, ci è d’uopo dirlo, portava l’abito con tanta maestosità quanta -contentezza. Si comprendeva ch’egli era pervenuto all’apice della sua -ambizione, e che la mazza di balena guarnita d’argento cui teneva in -mano gli sembrava onorifica al pari del bastone di comando che Condè -gettò o non gettò nelle file nemiche alla battaglia di Friburgo. In lui -il fisico aveva subito un cambiamento analogo a quello del vestiario. -Era ingrassato in tutto il corpo; non si vedevano più sul viso le parti -tanto sporgenti; aveva sempre il solito naso, ma le guance, fattesi -più rotonde, ne tiravano a sè ciascuna una porzione; il mento scappava -sotto la gola; aveva gli occhi mezzo rinchiusi fra la carne abbondante; -e i capelli, tagliati in quadro, gli cuoprivano la fronte sino a tre -linee di sopracciglio. Si avverta d’altronde che anche nei tempi in -cui era più scoperta, quella fronte non era stata mai larga più di un -pollice e mezzo. - -Il prete terminava la messa quando d’Artagnan terminava il suo esame; -pronunciò le parole sacramentali, e si ritirò, dopo aver data, con -grande stupore di d’Artagnan, la sua benedizione che tutti riceverono -genuflessi. Ma in d’Artagnan cessò la meraviglia quando riconobbe nel -celebrante il coadjutore, cioè il famoso Giovan-Francesco de Gondi, il -quale in quell’epoca, presagendo la parte che dovrebbe fare, cominciava -a forza di elemosine a rendersi assai popolare, e, per rendersi tale -sempre maggiormente, diceva tratto tratto di quelle messe della mattina -a cui suole assistere soltanto il volgo. - -D’Artagnan s’inginocchiò come gli altri, ricevè la benedizione, si fece -il segno della croce; ma nel punto che Bazin passava con gli occhi -alzati al cielo e camminando umilmente ultimo a tutti, ei lo afferrò -per un lembo della sottana. - -Bazin abbassò gli occhi, e fece un salto all’indietro quasi avesse -veduto un serpente. - -«Signor d’Artagnan! esclamò, _vade retro.... Satanas!_ - -«Oh! mio caro Bazin, disse ridendo l’uffiziale, così accogliete un -antico amico? - -«Signore, i veri amici sono quelli che ci ajutano a salvarci l’anima, e -non quelli che ce ne distolgono. - -«Non vi capisco, nè so come io possa essere di ostacolo alla vostra -salute. - -«Vi dimenticate che foste prossimo a distruggere quella del mio povero -padrone, e che per cagion vostra egli era in procinto di dannarsi -l’anima restando moschettiere, mentre la sua vocazione lo traeva verso -la chiesa? - -«Caro Bazin, dal luogo dove m’incontrate dovete comprendere che in -tutto io mi sono cambiato di molto. L’età porta seco il senno, e -siccome non dubito che il vostro padrone sia sulla via che assicura la -sua salute, vengo a domandarvi dov’è, acciò co’ suoi consigli mi ajuti -a fare io pure la mia. - -«Dite piuttosto per ricondurlo con voi verso la società. Fortunatamente -ignoro dove sia, giacchè essendo noi in un luogo santo non oserei dir -bugia. - -«Come! esclamò d’Artagnan nel massimo disappunto, ignorate dov’è Aramis! - -«Prima di tutto, soggiunse Bazin, Aramis era il suo nome di perdizione; -in Aramis si trova Simara, ch’è nome di demone, ed egli per sua buona -sorte lo ha lasciato per sempre. - -«E per questo, replicò d’Artagnan deciso ad usar pazienza sino alla -fine, io non cercava Aramis, ma bensì l’abate d’Herblay. Su, caro -Bazin, ditemi dov’è. - -«Non avete inteso che vi ho risposto che lo ignoravo? - -«Sì, ma a questo io vi rispondo che non può essere. - -«Eppure è vero, è pura verità». - -Il tenente vide che da Bazin v’era da ricavar nulla; si scorgeva chiaro -ch’esso mentiva, ma lo faceva con tale fermezza da non aspettare che si -disdicesse. - -«Va bene, fece d’Artagnan, poichè non sapete ove sia, non ne parliamo -più, lasciamoci da buoni amici, e prendete questa doppia per bere alla -mia salute. - -«Non bevo, signor mio, disse Bazin respingendo maestosamente la mano -all’ufficiale: codeste sono cose che si dicono a’ laici! - -«Incorruttibile! brontolò il tenente; che disdetta è la mia!» - -D’Artagnan, distratto dalle sue riflessioni, non reggeva più per la -sottana Bazin, e questi profittò della libertà per batter presto la -ritirata verso la sagrestia, dove non si tenne sicuro se non dopo -averne chiusa la porta. - -Il moschettiere rimaneva immobile, pensoso, e fisse le pupille su -la porta che lo separava dal bidello.... quando ecco sentì toccarsi -leggermente la spalla con un dito. - -Si girò, ed era per mandare un’esclamazione di sorpresa: ma quegli che -lo avea tocco con la punta del dito si mise questo sulle labbra per -accennargli il silenzio. - -«Voi qui, caro Rochefort! disse allora sottovoce. - -«Zitto! fece Rochefort, sapevate ch’ero libero? - -«L’ho saputo di prima mano. - -«E da chi? - -«Da Planchet. - -«Come, Planchet? - -«Eh sì! fu egli che vi salvò. - -«Realmente.... mi era sembrato di riconoscerlo. E questo prova che un -benefizio non è mai perduto. - -«Che venite a far qui? - -«Vengo a ringraziare Iddio della mia fortunatissima salvazione, disse -Rochefort. - -«E poi, per che altro? giacchè mi figuro che codesto non sia il tutto. - -«E a prendere gli ordini del coadjutore per vedere se si potesse far un -poco arrabbiare Mazzarino. - -«Testaccia! vi farete cacciar di nuovo nella Bastiglia! - -«Oh! a quello ci baderò, vi assicuro. È tanto buona l’aria aperta! -E perciò (continuava Rochefort respirando forte), vo a fare una -passeggiata in campagna, un giro in provincia. - -«Veh! ed io pure. - -«E si può senza essere indiscreto domandarvi dove andiate? - -«In cerca de’ miei amici. - -«Di quali amici? - -«Di coloro di cui jeri mi richiedeste notizie. - -«Di Athos, Porthos ed Aramis? li cercate? - -«Sì. - -«In parola d’onore? - -«Che v’è di sorprendente? - -«Nulla.... è bizzarra. E da parte di chi ne siete in traccia? - -«Non ve lo figurate? - -«Oh sì! - -«Disgraziatamente non so dove siano. - -«E non avete alcun mezzo di averne contezza? aspettate otto giorni e ve -ne darò io. - -«Otto son troppi; bisogna che prima di tre giorni io li abbia trovati. - -«Tre son pochi, e la Francia è grande. - -«Non serve; voi conoscete il vocabolo bisogna: con questo si fanno -molte cose. - -«E quando vi ponete in traccia di loro? - -«Ci sono digià. - -«Buona fortuna! - -«E a voi buon viaggio! - -«Forse c’incontreremo in cammino. - -«Non è probabile. - -«Chi sa? il caso è tanto capriccioso! - -«Addio. - -«Addio. Appunto, se il Mazzarino vi parla di me, ditegli che vi ho -incaricato di fargli sapere che in breve vedrebbe se io sono, conforme -ei dice, troppo vecchio per agire». - -E Rochefort si allontanò, con uno dei sorrisi diabolici che in -addietro avevano fatto tanto imbrividire d’Artagnan; ma questa volta -d’Artagnan lo guardò senza angustiarsene e sogghignando anch’esso con -un’espressione di malinconia, che forse codesta ricordanza soltanto -poteva dare al suo sembiante. - -«Va, demone! egli disse, e fa quel che tu vuoi, poco m’importa: non v’è -al mondo una seconda Costanza!» - -Nel voltarsi vide Bazin, che, deposti gli abiti da ecclesiastico, -discorreva col sagrestano a cui d’Artagnan aveva già parlato al suo -ingresso là in chiesa. Bazin pareva animatissimo, e con le braccia -corte e grosse gestiva fuor di modo. D’Artagnan comprese che, secondo -ogni probabilità gli raccomandasse la maggior segretezza relativamente -a lui. - -Il nostro tenente profittò dell’occupazione in cui erano i due -ecclesiastici per uscire dalla cattedrale ed impostarsi sul canto della -strada delle Canettez. Bazin non potrebbe più andarsene senza essere da -lui veduto dal posto ove si appiattava. - -Dopo cinque minuti, e mentre d’Artagnan se ne stava al suo posto, il -bidello comparve sul loggiato; guardò per ogni lato onde accertarsi di -non essere osservato, ma non distingueva l’ufficiale di cui la testa -sola passava l’angolo di un casamento distante cinquanta passi. Così -acquietato, si avventurò in via di Nostra Signora. D’Artagnan scappò -dal suo nascondiglio, ed arrivò a tempo per vederlo girare dalla via -della Juiverie ed entrare in quella della Calandre in una casa di -decente apparenza: talchè il nostro tenente non ebbe alcun dubbio che -ivi dimorasse il degno bidello. - -Ma egli non voleva già andare a prendere informazioni in quello -stabile: se v’era guardaportone, doveva questo essere bell’e prevenuto; -se non v’era, a chi rivolgersi? - -Si recò in una piccola osteria sul canto delle due strade di -Sant’Eligio e della Calandre, e chiese una tazza d’hypocras. A -preparare tal bibita occorreva una mezz’ora; egli aveva tempo di far la -posta a Bazin senza eccitare sospetti. - -Adocchiò colà un ragazzo di dodici a quindici anni, vispo alla cera, -che gli sembrò di riconoscere per averlo veduto venti minuti prima -vestito da cantore di chiesa. Lo interrogò, e siccome quegli non aveva -verun interesse a dissimulare, egli intese da esso qualmente la mattina -dalle sei alle nove faceva da cantore, e dalle nove sino a mezzanotte -da cameriere di osteria. - -Frattanto che d’Artagnan discorreva seco, fu condotto al portone di -casa di Bazin un cavallo sellato e con la briglia. Dopo un momento -scese Bazin. - -«Veh! disse il giovanetto, ecco il nostro bidello che si mette in -viaggio. - -«E dove va? domandò d’Artagnan. - -«Uh! non lo so. - -«Mezza doppia, se ti riesce di saperlo. - -«Per me? se posso sapere dove va il signor Bazin? non è difficile.... -ma non mi burlate? - -«No, da uffiziale che sono; tieni, eccoti la mezza doppia». - -Ed il tenente mostrava, ma senza darla, la moneta corruttrice. - -«Glielo vo a domandar subito. - -«In questo modo non sapresti nulla; attendi che sia partito, e poi, -cospetto! ricerca, interroga, informati.... ci hai da pensar tu, la -moneta è qua». - -E d’Artagnan se la ripose in saccoccia. - -«Capisco, disse il ragazzo con quel sorrisetto di motteggio ch’è -proprio dei biricchini di Parigi; ebbene, aspetterò». - -L’aspettativa non fu lunga. A capo a cinque minuti Bazin se ne andò con -un trottarello rinforzato a suon di ombrellate addosso al cavallo. - -Egli aveva per uso di portare un ombrello a guisa di frustino. - -Appena ebbe girato dall’angolo di via della Juiverie, il giovanetto si -slanciò fuori come un can da caccia. - -D’Artagnan si rimise a tavola, dov’erasi seduto avanti, sicurissimo di -conoscere fra dieci minuti quanto bramava. - -Infatti, innanzi che questi fossero passati tornava il fanciullo. - -«Ebbene? - -«Ebbene, si sa tutto. - -«Dov’è andato? - -«È sempre mia la mezza doppia? - -«Senza dubbio: rispondi. - -«La vorrei vedere; imprestatemela, ch’io guardi se non è falsa. - -«Eccola. - -«Ehi padrone! disse il ragazzo, questo signore vuol barattare in tanti -piccioli». - -Il padrone era al banco, pigliò la moneta e diede i piccioli. - -Il ragazzo si cacciò questi in tasca. - -«E ora, dov’è ito? chiese d’Artagnan che lo era stato ad osservare -ridendo. - -«A Noisy. - -«Come lo sai? - -«Eh, per Diana! non c’è voluta grande astuzia. Aveva riconosciuto il -cavallo ch’è del macellajo, che tratto tratto lo dà a nolo al signor -Bazin; ho pensato che il macellajo non glielo dava senza domandare -dove lo conducesse, quantunque non creda il signor Bazin capace di -rubarglielo. - -«E ti ha risposto.... - -«Che va a Noisy. E poi, pare che così sia solito; ci va due o tre volte -la settimana. - -«E tu conosci Noisy? - -«Senti! ci sta la mia balia. - -«V’è un convento? - -«Altro! convento di minori osservanti. - -«Bene! non v’è più dubbio. - -«Dunque siete contento? - -«Sì.... come ti chiami? - -«Friquet» - -D’Artagnan scrisse sul suo taccuino il nome del fanciullo e il numero -della bettola. - -«Ohe! signor ufficiale, ci sono da guadagnare altre mezze doppie? - -«Forse sì». - -E il tenente istruito ormai di quel che desiderava, pagò l’_hypocras_ -che non aveva bevuto, e sollecitamente s’incamminò di nuovo in via -Tiquetonne. - - - - -IX. - -_Come d’Artagnan cercando ben lontano Aramis, si accorse ch’era in -groppa dietro a Planchet._ - - -D’Artagnan tornato a casa vide un uomo seduto accanto al fuoco. Era -Planchet, ma Planchet tanto bene cambiato mercè i panni lasciati -dal marito nel fuggire, ch’egli stesso stentava a ravvisarlo. -Maddalena glielo presentò davanti a tutti i camerieri. Planchet disse -all’ufficiale una bella frase in fiammingo; questi gli rispose con -alcune parole che non erano di veruna lingua, e fu concluso il negozio: -il fratello di Maddalena entrava al servizio di d’Artagnan. - -Il tenente aveva stabilito bene il suo piano: non voleva arrivare di -giorno a Noisy, per tema di essere riconosciuto. Sicchè aveva ancora -tempo, essendo Noisy distante soltanto di tre o quattro leghe da Parigi -sulla strada di Meaux. - -Cominciò da fare una copiosa colazione, lo che sarà forse un cattivo -principio quando si vuol agire con la testa, ma è un’ottima precauzione -volendo agire col corpo; indi mutò vestimento per paura che quello -da tenente de’ moschettieri inspirasse diffidenza; poi prese la più -forte e solida delle sue tre spade, che teneva unicamente nelle grandi -occasioni; poscia verso le due ore fece mettere la sella sui due -cavalli, e seguìto da Planchet uscì dalla barriera di La Villette. -Nella casa vicina all’albergo del Granchio si continuavano attivamente -le perquisizioni per ritrovare Planchet. - -Una lega e mezza lontano dalla capitale, d’Artagnan accorgendosi che -per causa della sua impazienza era partito troppo presto, si fermò a -far respirare i cavalli. La locanda era piena di genti che parevano sul -punto di tentare qualche intrapresa notturna. Comparve sulla porta un -uomo inferrajuolato, ma nel mirare un forestiero fece un cenno colla -mano, e due che bevevano vennero fuori a discorrere con lui. - -D’Artagnan si avvicinò con indifferenza alla padrona di bottega, -lodò il suo vino, ch’era però un pessimo Montreuil, le fece qualche -interrogazione relativamente a Noisy, ed intese come nel villaggio non -v’erano che due case di grande apparenza, una appartenente a Monsignore -Arcivescovo di Parigi ed in cui si trovava in quel momento la sua -nepote la duchessa di Longueville, l’altra un convento dei Gesuiti e -proprietà dei medesimi. - -Alle quattro ore d’Artagnan si rimise in viaggio, andando di passo, -mentre non voleva giungere se non a bujo. E quando si va di passo, a -cavallo, in una giornata d’inverno, all’aria fosca, in mezzo ad una -campagna non variata, non v’è da far di meglio che ciò che fa (come -dice la Fontaine) una lepre nella sua buca: pensare. Dunque d’Artagnan -pensava, e così anche Planchet; se non che conforme ora vedremo, le -loro riflessioni erano diverse. - -Una parola della locandiera aveva data una direzione particolare alle -idee di d’Artagnan: il nome, cioè, di madama di Longueville. - -Infatti, la signora di Longueville aveva quanto abbisognava per far -pensare: era una delle più grandi dame del reame, una delle più belle -donne della corte. Maritata al vecchio duca di Longueville, per cui -non sentiva amore, era stata riguardata prima come amante di Coligny, -il quale per lei si era fatto ammazzare dal duca di Guise in un duello -sulla Piazza Reale; poi si era chiaccherato di un affetto troppo -tenero da essa avuto per il principe di Condé che scandalizzava le -anime timorose della corte; finalmente si diceva fosse subentrato a -codesto affetto un odio vero e profondo, e si seguitava a dire che la -duchessa di Longueville avesse delle relazioni politiche col principe -di Marsillac, figlio maggiore del vecchio duca di La Rochefoucauld, cui -cercava di render nemico al principe di Condé. - -D’Artagnan pensava a tutto questo; pensava che quando era al Louvre -si era veduto spesso a passare d’innanzi allegra e brillante la bella -Longueville; e pensava ad Aramis, che senza essere da più di lui, era -stato un tempo amante di madama Chevreuse, la quale stava nell’altra -corte come madama di Longueville in questa. E domandava fra sè perchè -nel mondo vi sono persone che giungono a tutto quello che bramano, chi -in ambizione, chi in amore, mentre vi si hanno delle altre che, o sia -caso, o contrarietà di sorte, o impedimento posto in loro dalla natura, -rimangono a mezza via in tutte le proprie speranze. - -Ed era costretto a confessare che ad onta del suo spirito e della sua -accortezza, egli era e resterebbe probabilmente nel novero di questi -ultimi.... quando Planchet gli si accostò dicendo: - -«Scommetto, signore, che voi ed io pensiamo alla medesima cosa. - -«Ne dubito, fece sorridendo d’Artagnan, ma tu, a che pensi? sentiamo. - -«Io? a quegli uomini di trista cera che bevevano nell’albergo ove ci -siamo fermati. - -«Sempre prudente, Planchet! - -«Gli è istinto, signor mio. - -«Orsù, che ti dice il tuo istinto in questa circostanza? - -«E’ mi diceva che coloro erano riuniti nell’albergo per un cattivo -progetto, e mentre in un cantone bujo della stalla io rifletteva a -questo suggerimento del mio istinto, entrò nella stessa stalla un uomo -inferrajuolato, cui seguitarono altri due. - -«Ah! Ah! fece d’Artagnan, imperocchè il racconto di Planchet -corrispondeva con le sue precedenti osservazioni, ebbene? - -«Un di quei due diceva: - -«Dev’essere di certo a Noisy o venirci stasera, poichè ho riconosciuto -il suo servitore. - -«Ne sei sicuro? domandò l’uomo col pastrano. - -«Sì, mio principe.... - -«Mio principe? interruppe d’Artagnan. - -«Ma ascoltate! - -«E se v’è, vediamo assolutamente che s’ha da fare, continuò l’altro -bevitore. - -«Quel che si ha da fare? ripetè il principe. - -«Sì, non è uomo da lasciarsi prendere bonariamente, adoprerà la spada. - -«Or bene, bisognerà fare altrettanto, e non ostante procurare di averlo -in mano vivo. Avete delle corde per legarlo e una sbarra da mettergli -in bocca? - -«Abbiamo ogni cosa. - -«Badate che secondo ogni probabilità sarà travestito da cavalcante. - -«Oh! sì, monsignore, non dubitate. - -«E poi, ci sarò io e vi guiderò. - -«E garantite che la giustizia?.... - -«Garantisco tutto. - -«Va bene, faremo il meglio che si potrà». - -E uscirono dalla stalla. - -«E che ci riguarda codesto? disse d’Artagnan, questa è qualcuna di -quelle intraprese che si fanno giornalmente. - -«E siete certo che non sia diretta contro a noi? - -«Contro a noi! e perchè? - -«Eh! riepilogate le loro parole: ho riconosciuto il suo servitore, ha -detto uno, il che potrebbe riferirsi a me. - -«E poi? - -«Dev’essere a Noisy o venirci stasera, ha aggiunto l’altro, il che -potrebbe riferirsi a voi. - -«E dopo? - -«Dopo? il principe ha avvertito: sarà travestito da cavalcante; lo che -mi sembra non lasci più dubbio, giacchè voi siete in questo arnese e -non in quello da tenente dei moschettieri. Ehi! che ne dite? - -«Ohimè! caro Planchet, rispose d’Artagnan con un sospiro, io pur troppo -non sono più nei tempi che i principi volevano farmi assassinare. -Quelli erano bei tempi!.... Sicchè sta quieto, coloro non l’hanno con -noi. - -«Ne siete sicuro? - -«Lo garantisco. - -«Allora sta bene, non se ne parli più». - -E Planchet riprese il suo posto dietro a d’Artagnan, con la sublime -confidenza che avea sempre avuta nel suo padrone e non alterata da una -separazione di quindici anni. - -Così fecero appresso a poco una lega. - -Dopo di che Planchet tornò ad avvicinarsi a d’Artagnan. - -«Signore! - -«Ebbene? - -«A voi, guardate da quella parte; non vi pare fra ’l bujo di veder -passare come delle ombre? sentite, mi sembra udire passi di cavalli. - -«È impossibile, la terra è molle di pioggia.... però, come tu dici, mi -pare di veder qualche cosa». - -E il tenente si soffermò a guardare e ascoltare. - -«Se non si sentono i passi dei cavalli, si ode almeno il loro nitrito». - -In fatti, traversando lo spazio e l’oscurità, venne il nitrito di uno -di quegli animali sino alle orecchie di d’Artagnan. - -«Sono coloro che vanno in giro, ma a noi non interessa, seguitiamo pel -nostro viaggio». - -E si avviarono di nuovo. - -Mezz’ora dopo giungevano alle prime case di Noisy; potevano essere le -otto e mezza o le nove di sera. - -Secondo l’usanza di campagna tutti erano a letto; in tutto il villaggio -non brillava un lume. - -D’Artagnan e Planchet continuarono a camminare. A mano destra e a -sinistra, fra il grigio cupo del cielo risaltava il contorno anche -più oscuro dei tetti delle abitazioni, tratto tratto un cane destatosi -abbajava dietro una porta, o un gatto impaurito scappava di mezzo alla -strada per appiattarsi in un mucchio di fascine, ove si scorgevano -rilucere come carbonchi i suoi occhi spaventati. Quelli erano i soli -esseri viventi che pareva esistessero nel villaggio. - -Verso la metà del borgo, e sovrastando alla piazza principale, -sorgeva una mole cupa, isolata fra due straduzze, e sulla di cui -facciata enormi tigli stendevano i bracci scarni. D’Artagnan esaminò -attentamente quel fabbricato. - -«Questo, disse, dev’essere il palazzo dell’Arcivescovo, la dimora della -bella Longueville, ma il convento dov’è? - -«Il convento? fece Planchet, è laggiù in fondo, lo conosco. - -«Or via! dà una corsa di galoppo fin là, intanto che io stringo la -cinghia al mio cavallo, e torna a dirmi se dai Frati v’è qualche -finestra che abbia lume». - -Planchet obbedì, si allontanò al bujo, mentre d’Artagnan, smontato, -ristringeva la cinghia al suo cavallo. - -Indi a cinque minuti ei venne via dicendo: - -«Signore, v’è una sola finestra illuminata dalla parte che dà sopra i -campi. - -«Uhm! disse d’Artagnan, se fossi della Fronda busserei qua e sarei -certo di avere buon alloggio; se fossi frate busserei là e sarei certo -di aver buona cena; laddove può essere all’incontro che fra il palazzo -e il convento dormiamo sulla strada morti di fame e di sete. - -«Sì, aggiunse Planchet, come il famoso somaro di Buridan. Intanto -volete ch’io picchi? - -«Zitto! s’è aperta l’unica finestra dov’era luce. - -«Sentite, signor mio? - -«Che rumore è mai?» - -Il rumore non era dissimile da quello di un turbine vicino; nel momento -due brigate, ciascuna di una dozzina d’uomini a cavallo, sboccarono da -ognuna delle due viottole rasenti alla casa, e chiudendo ogni uscita -circondarono d’Artagnan e Planchet. - -«Ohè! fece il tenente levando fuori la spada e ricovrandosi dietro al -suo cavallo, mentre il servo eseguiva la stessa manovra, che tu avessi -pensato bene, e che l’avessero con noi? - -«Eccolo! è nostro! gridarono i sopraggiunti. - -«Badate che non vi sfugga! urlò una voce fortissima. - -«No, monsignore, non dubitate». - -Il tenente credè arrivato il momento di prender parte alla -conversazione, e con la sua pronunzia guascona disse: - -«Olà, signore! che volete? che cercate? - -«Ora lo saprai! strillarono gli altri in coro. - -«Fermatevi! fermatevi! gridò quello che avevano chiamato monsignore, -fermate! per la vostra testa! non è la sua voce. - -«Ma, signori, fece d’Artagnan, forse a Noisy hanno tutti la rabbia -addosso? Badate però, ve lo avviso, il primo che si avvicina alla -lunghezza della mia spada, la quale è ben lunga, io lo sventro». - -Si accostò il capo. - -«Che fate costì? domandò alteramente e come uno avvezzo al comando. - -«E voi? gli chiese d’Artagnan. - -«Usate civiltà, o che avrete una buona stregghiatura, perchè sebbene -uno non voglia dare il suo nome, si desidera esser rispettati a seconda -del rango. - -«Non volete dare il vostro nome perchè dirigete un’insidia, un -tranello, ribattè d’Artagnan, ma io che viaggio tranquillamente col mio -domestico, non ho le stesse ragioni che voi di tacere il mio. - -«Basta! basta! come vi chiamate? - -«Ve lo dico, acciò sappiate dove ritrovarmi, signore, monsignore, o -mio principe, come vi piaccia esser chiamato, disse il nostro Guascone -che non intendeva mostrare di cedere alla minaccia, conoscete il signor -d’Artagnan? - -«Tenente nei moschettieri del re? - -«Appunto. - -«Sicuramente! - -«Or bene, continuò il guascone, dovete aver inteso dire che ha il pugno -solido e la lama fine? - -«Siete il signor d’Artagnan? - -«Son io. - -«Dunque venite qui per difenderlo? - -«_Chi, come?_ - -«Quello che noi cerchiamo. - -«Ah! fece d’Artagnan, pare che credendo di venire a Noisy io abbia -approdato senza figurarmelo nel regno degli enigmi! - -«Animo, rispondete! riprese la stessa voce altera, lo attendete sotto -questa finestra? venite a Noisy per difenderlo? - -«Non attendo veruno, replicò d’Artagnan che cominciava a perdere la -pazienza, non ho idea di difendere altro che me, e questo _me_, lo -difenderò con vigore, ve lo avverto. - -«Benissimo; levatevi di qua, e lasciateci il posto. - -«Levarmi di qua? fece il tenente a’ di cui progetti quest’ordine si -opponeva di troppo, non è facile, sendochè sono stanco morto, e così -pure il mio cavallo, ammenochè siate disposto ad offrirmi da cena e da -dormire nelle vicinanze. - -«Furfante! - -«Ehi! disse d’Artagnan, misurate le vostre parole, perchè se ne -proferiste delle altre simili a questa, quando anche foste marchese, -duca, principe o re, ve le farei rientrare in corpo, capite? - -«Via via, non v’è da sbagliare, soggiunse il capo della brigata, è un -Guascone quello che parla, e in conseguenza non è quel che cerchiamo. -Per questa sera il nostro colpo è andato a vuoto; ritiriamoci. Vi -ritroveremo messer d’Artagnan! continuò alzando la voce. - -«Sì, ma non mai cogli stessi vantaggi, rispose burlando il tenente, -giacchè quando mi ritroverete forse sarete solo, e sarà giorno. - -«Bene, bene! andiamo, signori!» - -E la comitiva brontolando e mormorando disparve fra le tenebre per -ritornare dalla parte di Parigi. - -D’Artagnan e Planchet stettero ancora un istante in atto di difesa, ma -allontanandosi poi il rumore rimisero le spade nel fodero. - -«Vedi, imbecille, disse tranquillamente d’Artagnan, che non l’avevano -con noi. - -«Ma dunque, con chi? domandò Planchet. - -«Oh! non lo so, e poco mi preme. Ciò che m’importa è di entrare nel -convento. E per questo, presto in sella e andiamo a bussare colà: sarà -quel che sarà, non ci mangeranno mica». - -D’Artagnan saltò in sella. - -Planchet fece altrettanto, ma cadde un peso inaspettato sul di dietro -del suo cavallo, il quale piegò le zampe. - -«Ah signore! urlò Planchet, ho in groppa un uomo!» - -D’Artagnan si volse, e realmente distinse due forme umane sulla bestia -di Planchet. - -«È dunque il diavolo che ci perseguita! esclamò levando fuori la spada -onde avventarsi sul sopraggiunto. - -«No, mio caro d’Artagnan, disse questi, non è il diavolo; son io, -Aramis. Di galoppo, Planchet, e in fondo al villaggio piglia a -sinistra». - -E Planchet portandosi in groppa Aramis si partì velocissimo, seguito -dal tenente, che principiava a credere di essersi fatto qualche sogno -bizzarro ed incoerente. - - - - -X. - -_L’Abate d’Herblay._ - - -In fondo al villaggio Planchet pigliò a sinistra conforme gli era -ordinato, e si fermò sotto la finestra illuminata. Aramis balzò a -terra, e diede tre colpi. Tosto fu aperta la porta. - -«Carissimo, disse Aramis, se volete salire, vi riceverò con tutto il -piacere. - -«Ma da voi si entra anco di notte? domandò d’Artagnan. - -«Cappio! ho quanti permessi desidero; ma la regola del convento è -severissima. - -«Scusate, osservò d’Artagnan, mi pare che abbiate detto _cappio_? - -«Sì? fece ridendo Aramis, sarà, l’è un’antica abitudine. Ma non salite? - -«Andate avanti, vi seguo. - -«Giusto! come diceva il defunto ministro al defunto re: — Per farvi -strada, o sire. — » - -Aramis avanzò prestamente. - -D’Artagnan gli andò appresso, ma più adagio: si scorgeva non esser egli -assuefatto a camminare in luoghi simili. - -«Compatite, gli disse Aramis in ischerzo osservando la sua difficoltà, -se avessi saputo di avere il bene della vostra visita vi avrei fatto -preparare delle torce. - -«Signor mio, disse Planchet quando vide d’Artagnan avviarsi, va bene -per il signor Aramis, può stare anche per voi, a tutto rigore starebbe -pure per me, ma i due cavalli non possono passare, dentro al chiostro. - -«Conduceteli sotto la tettoja, replicò Aramis accennando una specie di -fabbricato sulla pianura, vi troverete per loro paglia e biada. - -«E per me? fece Planchet. - -«Tornerete qua fuori, darete tre colpi e vi faremo calare della roba da -mangiare; state quieto, qui non si muore di fame!» - -Ed Aramis si chiuse per dentro. - -D’Artagnan esaminava la stanza. - -Non avea mai veduto un appartamento al tempo stesso più guerresco e -galante. Ad ogni angolo erano trofei d’armi e spade di ogni specie, e -quattro grandi quadri rappresentavano nel loro costume da battaglia -il cardinale di Lorraine, Richelieu, La Vallette e l’arcivescovo di -Bordeaux; i parati erano di damasco, i tappeti venuti da Alençon, il -letto guernito di trine col posapiedi ricamato. - -«Guardate il mio tugurio? fece Aramis, sono alloggiato assai bene.... -Che cercate cogli occhi? - -«Cerco chi vi abbia aperto, non vedo alcuno, eppure... - -«Oh! è stato Bazin. - -«Ah ah! - -«Ma il mio Bazin è bene avvezzo, ed osservando ch’io non tornava solo -si sarà ritirato per prudenza. Sedete, mio caro, e discorriamo». - -Ed Aramis spinse il tenente in un ampio seggiolone, sul quale questi si -distese e posò le gomita. - -«Già, cenerete con me, non è così? - -«Sì, se non vi rincresce; e anzi, io ne avrò piacere, ve lo confesso; -il viaggio mi ha dato un appetito diabolico. - -«Ah! povero amico mio, troverete un magro pasto, non eravate aspettato. - -«Forse mi minacciate della frittata di Crevacoeur e dei _Tehobromes_? -non chiamavate così in addietro gli spinaci? - -«Eh! bisogna sperare che con l’ajuto di Dio e di Bazin rinverremo -qualche cosa di meglio in credenza.... Bazin! Bazin! venite qua!» - -Si schiuse l’uscio e comparve Bazin; ma nel distinguere d’Artagnan -diede in una esclamazione che somigliava a un grido di disperazione. - -«Caro Bazin, disse il tenente, ho gusto di conoscere con quanta -fermezza voi mentite. - -«Signore, fece quegli, è lecito di mentire quando si fa con buona -intenzione. - -«Animo, disse Aramis, d’Artagnan muore di fame, ed io pure; portateci -da cena quanto di meglio potete, e specialmente del buon vino». - -Bazin s’inchinò in segno di obbedienza, sospirò, e se ne andò. - -«Ora che siamo soli, Aramis, cominciò d’Artagnan riportando gli occhi -dall’appartamento al proprietario, e terminando dagli abiti l’esame -principiato dai mobili, ditemi di dove diamine venivate quando siete -caduto in groppa dietro a Planchet! - -«Eh, lasciamo stare da parte codeste domande! - -«Che sì che me lo figuro? che sì che la vostra gita stuzzicava un poco -il principe di Marsillac? - -«Già, siete sempre allegro, voi! fece Aramis, sempre col solito buon -umore da Guascone! ma non vi aveste a credere che fossi innamorato di -madama di Longueville! - -«Oh! Dio me ne guardi! ripicchiò d’Artagnan, dopo essere stato sì gran -tempo in relazione colla signora di Chevreuse, non avreste rivolto il -cuore alla sua nemica più acerrima. - -«Sì, è vero, rispose Aramis, quella povera duchessa, l’amai di molto in -passato, e bisogna renderle giustizia, ci fu utilissima; ma che volete? -le toccò abbandonare la Francia.... era un uomo duro quel maladetto -ministro! (e dava un’occhiata ad uno dei ritratti) egli avea dato -l’ordine di arrestarla e condurla al castello di Loches; le avrebbe -fatto tagliare la testa come a Chalais, a Montmorency e a Cinq-Mars; -ella fuggì travestita da uomo con la Ketty sua cameriera.... Di più, -per quanto ho inteso, le accadde una singolare avventura, non so in -qual villaggio, con un curato a cui chiedeva ospitalità, e che avendo -una camera sola e prendendo lei per un uomo, le offerse di star seco -nella medesima stanza.... È che portava il vestimento maschile in una -tal maniera, la cara Maria!.... E perciò erano stati fatti su di lei -que’ versi: - - «_Laboissière, dis moi.... ec._ - -Li sapete? - -«No, cantateli». - -Ed Aramis intuonò: - - Laboissière, dis moi, - Suis-je pas bien en homme? - — Vous chevauchez, ma foi, - Mieux que tant que nous sommes. - Elle est, - Parmi les hallebardes. - Au régiment des gardes, - Comme un cadet[6]. - -«Bravo! disse d’Artagnan, cantate sempre a meraviglia. - -«Basta, torniamo all’infelice duchessa. - -«A quale? la duchessa di Chevreuse, o di Longueville? - -«Vi ho già detto che non v’è nulla fra me e la Longueville; qualche -scherzetto e non altro. No, vi parlo della Chevreuse: l’avete vista? - -«Sì, ed era ancora molto bella. - -«Certo, seguitò Aramis; in quell’epoca la vidi qualche volta; le -avevo dato ottimi consigli, de’ quali non approfittò; mi affaticai -a dirle che Mazzarino era amante della regina: non mi volle credere, -sostenendo che conosceva appieno Anna, e ch’essa era troppo superba -per contraccambiare un villano simile. Poi intanto la s’intricò nel -complotto del duca di Beaufort, e il villano fece arrestare il signor -di Beaufort ed esiliò madama di Chevreuse. - -«Sapete, continuò il tenente, ch’essa ha ottenuto il permesso di -tornare? - -«Sì; e anche ch’è tornata. Farà qualche altro sproposito. - -«Oh! forse questa volta si atterrà a’ vostri consigli. - -«Ah! questa volta, fece Aramis, non l’ho veduta. È andata molto male. - -«Non fa come voi, carissimo, che siete sempre lo stesso, con i vostri -bei capelli neri, la vita elegante, le mani da donna. - -«È vero, mi tengo con molta cura.... sapete che invecchio? fra poco -avrò trentasette anni. - -«Sentite, mio caro, disse d’Artagnan con un sorrisetto, giacchè -ci combiniamo qui insieme, andiamo d’accordo dell’età ch’avremo in -avvenire. - -«Come? - -«Sì; prima ero io minore a voi di due o tre anni, e se non isbaglio ne -ho quaranta ben sonati. - -«Davvero! allora son io che m’inganno, mentre voi foste sempre -un egregio matematico. Dunque, secondo il vostro conto, ne avrei -quarantatrè. Diavolo! non lo aveste a dire al palazzo Rambouillet! mi -fareste danno. - -«Non dubitate, non ci vado. - -«Ma che diamine fa Bazin? disse Aramis. Bazin! bricconaccio! -sbrighiamoci; qui si crepa di fame e di sete!» - -Bazin, entrato appunto nel momento, alzò al cielo le mani cariche di -una bottiglia ciascuna. - -«Insomma, siamo lesti? animo! gridò Aramis. - -«Sì, signore, subito, fece l’altro, ma bisognava il tempo da portare su -tutte le.... - -«Perchè vi occupate di continuo delle cose della chiesa e non delle -mie, cospettone!» - -Bazin, scandalizzato si fece il segno della croce. - -D’Artagnan, sorpreso dalle maniere dell’abate d’Herblay, che -contrastavano cotanto con quelle del moschettiere Aramis, spalancava -gli occhi davanti all’amico. - -Bazin coprì sollecitamente la tavola con una tovaglia damascata e vi -dispose tante cose ghiotte, indorate, profumate, che il tenente ne -rimase attonito. - -«Dunque, aspettavate gente? questi domandò. - -«Oibò! mi tengo sempre pronto per i casi possibili; e poi sapevo che mi -cercavate. - -«Da chi? - -«Da messer Bazin, che vi ha preso per il diavolo ed è corso ad -avvisarmi del pericolo che sovrastava all’anima mia se rivedevo una sì -trista compagnia com’è quella di un ufficiale dei moschettieri. - -«Oh signore! disse Bazin a mani giunte e in atto supplichevole. - -«Orsù, bando all’ipocrisia! sapete ch’io non ne voglio. Farete -meglio ad aprire la finestra, e calare un pane, un po’ di pollo e una -bottiglia di vino al vostro amico Planchet che da un’ora si strapazza a -picchiare». - -Infatti Planchet, dopo aver dato alle bestie e paglia e biada, era -venuto lì sotto e ripeteva il segnale. - -Bazin obbedì, legò ad una cima di fune i tre oggetti accennati e li -calò a Planchet, il quale non volendo altro se ne andò sotto alla -tettoja. - -«Adesso ceniamo, disse Aramis». - -I due amici sederono a mensa, ed Aramis cominciò a tagliare pollastre, -pernici e prosciutti. - -«Cospetto! fece d’Artagnan, come vi mantenete! - -«Sì, sì, ottimamente.... ho per cuoco l’ex-cuciniere di Lafollone, ve -ne ricordate? l’antico amico del ministro, quel ghiottone famoso che -dopo pranzo pregava dicendo: Dio mio, concedetemi la grazia di ben -digerire quel che ho mangiato così bene! - -«E non ostante morì d’indigestione, soggiunse ridendo d’Artagnan. - -«Che volete? ribattè Aramis in aria di rassegnazione, non si può -schivare il proprio destino. - -«Ma scusate la domanda che sono per farvi, riprese il tenente. - -«Fate pure; fra noi non v’è indiscretezza. - -«Siete dunque arricchito? - -«Oh no! mi raduno da dodici mila lire all’anno, senza contare un -piccolo benefizio di un migliajo di scudi che mi fece avere il signor -principe. - -«E con che vi radunate le dodici mila lire? co’ vostri poemi? - -«No; ho rinunziato alla poesia, non fo altro che prediche. - -«Come, prediche? - -«Ma bellissime! almeno per quanto pare. - -«E le recitate? - -«Oibò! le vendo. - -«A chi? - -«A’ miei colleghi che ambiscono ad esser grandi oratori. - -«Veh! e non vi ha tentato la gloria per voi stesso? - -«Sì, ma la natura vi si oppone. Sono astratto, la minima cosa serve per -distogliermi dall’argomento. Una volta un cavaliere mi rise in faccia, -sospesi il mio discorso per dirgli, che era uno sguajato; il popolo -uscì a raccogliere delle pietre.... nel frattempo mi ricomposi...: -cercai di calmarlo.... ed infatti fu lui che in mia vece venne -lapidato. All’indomani però il cavalierino capitò da me. - -«E che resultò dalla sua visita? - -«Che ci fissammo il convegno sulla Piazza Reale. Eh per diana! voi lo -sapete. - -«Forse fu contro a quell’impertinente che vi feci da padrino? - -«Appunto: vedeste come lo aggiustai. - -«Morì?» - -«Non lo so.... che m’importa?» - -Bazin fece un atto di malcontento all’udir parlare in tal modo. - -«Bazin, carino mio, voi non pensate che vi veggo in quello specchio, e -che una volta per sempre vi ho proibito qualunque segno di approvazione -o disapprovazione. Favorite darci del vino di Spagna e ritirarvi. -D’altronde il mio amico d’Artagnan ha da dirmi qualche cosa segreta. -Non è così d’Artagnan?» - -Il tenente fe’ cenno di sì col capo, e Bazin se n’andò dopo aver recata -la bottiglia richiesta. - -I due antichi compagni rimasti soli stettero alquanto cheti; Aramis -come aspettasse una buona digestione, d’Artagnan come se preparasse il -suo esordio. - -Ciascuno di essi davasi un’occhiata alla sfuggita quando l’altro non lo -guardava. - -Fu Aramis il primo a troncare il silenzio. - - - - -XI. - -_I due volponi._ - - -«A che pensate, richiese Aramis a d’Artagnan, e qual idea vi fa -sorridere? - -«Penso che quando eravate moschettiere propendevate ad uno stato tutto -pace, ed oggi che vivete in tutta pace mi sembra propendiate di molto -al moschettiere. - -«Così è: vi è pur noto, mio caro, l’uomo è un animale stranissimo, -tutto composto di contrasti. Io sogno di continuo battaglie. - -«E’ si vede dall’addobbo della vostra abitazione: avete là delle spade -di tutte le forme e da contentare tutti i gusti. Tirate sempre bene? - -«Tiro come facevate voi in addietro, e forse anco meglio; mi ci -esercito indefessamente. - -«E con chi? - -«Con un ottimo maestro di scherma. - -«Sicchè avreste ucciso il signor di Marsillac, se vi avesse assalito -solo invece che alla testa di venti uomini? - -«Certamente; e alla testa pure di coloro, se avessi potuto sguainare la -spada senza esser riconosciuto. - -«Dio mi perdoni! (fece tra sè d’Artagnan) avrebbe ad essere diventato -più guascone di me? Orsù, caro Aramis, seguitò più forte, mi -domandavate perchè vi cercassi? - -«No, non ve lo domandavo, rispose Aramis con la solita sua aria -scaltra, ma aspettavo che voi me lo diceste. - -«Or bene, era per offerirvi a dirittura un mezzo di uccidere il signor -di Marsillac quando vogliate, quantunque egli sia principe. - -«Sentite, mo! codesta è un’idea! - -«Di cui v’invito ad approfittarvi. Animo, con la vostra entrata di -mille scudi e le dodici mila lire che vi guadagnate, siete ricco? -rispondetemi schiettamente. - -«Io? son povero come Giobbe, e se frugaste saccoccie e cassa credo non -trovereste cento doppie. - -«Capperi! cento doppie, disse fra sè d’Artagnan, e questo ei chiama -esser povero come Giobbe! io, se le avessi sempre al mio comando, mi -stimerei ricco quanto un Creso... Siete ambizioso? soggiunse. - -«Come Encelado! - -«Ed io vi reco l’occorrente per esser ricco, potente e libero di fare -ciò che vogliate». - -Sulla fronte di Aramis passò un nuvolo rapido al pari di quello che -in agosto scorre su le biade, ma per quanto fosse celere d’Artagnan lo -notò. - -«Parlate, disse Aramis. - -«Prima, un’altra interrogazione. Vi occupate di politica?» - -Negli occhi di Aramis passò un lampo rapido come il nuvolo comparsogli -su la fronte, ma non tanto celere che d’Artagnan mancasse di vederlo. - -«No, egli replicò. - -«Allora ogni proposizione vi piacerà, poichè pel momento non avete -altro padrone che Dio. - -«Può darsi che mi piaccia: sentiamo. - -«Avete pensato qualche volta a que’ bei giorni di nostra gioventù, che -trascorrevamo ridendo, e bevendo, e battendoci? - -«Sì, e più volte me li ricordai con rammarico.... tempi felici! -_Delectabile tempus!_ - -«Que’ bei giorni possono rinascere, può tornare quel tempo felice. -Io ho avuto l’incarico di andare a trovare i miei compagni, e ho -cominciato da voi, ch’eravate l’anima della nostra associazione». - -Aramis s’inchinò in modo più civile che affettuoso. - -«Rimettermi nella politica? disse con voce fiacca e buttandosi giù -sulla poltrona, ah! caro d’Artagnan, vedete come vivo regolarmente -e con tutti i comodi: noi esperimentammo pure la ingratitudine dei -grandi, lo sapete! - -«È vero, ma forse i grandi si pentono di essere stati ingrati. - -«Allora sarebbe tutt’altro.... sentiamo: ad ogni peccato -misericordia.... E poi, avete ragione sur un punto, ed è che se ci -ripigliasse la volontà d’immischiarci negli affari di Stato, secondo me -ne sarebbe giunto il momento. - -«Come lo sapete, non occupandovi di politica? - -«Eh mio Dio! senza ingerirmene personalmente, vivo in relazione con -persone che se ne ingeriscono. Benchè coltivando la poesia, mi sono -posto in corrispondenza con Sarrasin ch’è tutto del signor Conti, con -Voiture ch’è del coadjutore e con Bois-Robert che da quando non è più -di Richelieu non è di nessuno o è di tutti come meglio vi piace: sicchè -il movimento politico non mi è sfuggito interamente. - -«Me lo immaginavo, fece d’Artagnan. - -«Del resto, non avete a prendere ciò ch’io sono per dirvi se non per -parole da cenobita, da uomo che parla puramente e semplicemente per -quel che ha inteso a dire. Io ho inteso che in questo punto Mazzarino -sia molto inquieto sull’andamento delle cose: pare che per i suoi -ordini non si abbia lo stesso rispetto che in addietro si aveva per -quelli del nostro antico spauracchio, defunto ministro, di cui vedete -qua il ritratto, giacchè, se ne sia pur detto quanto si è voluto, -bisogna convenire ch’era un grand’uomo. - -«Su questo proposito non vi contraddirò, caro Aramis: esso fu che mi -fece tenente. - -«La mia prima opinione era stata tutta a favore del ministro; avevo -considerato che un ministro non è mai amato, ma che col genio che tutti -attribuiscono a questo e’ finirebbe con trionfare dei suoi nemici e -farsi temere, lo che è forse meglio che farsi amare». - -D’Artagnan fece con la testa un cenno che esprimeva la piena sua -approvazione di questa massima alquanto dubbia. - -«Ecco, seguitò Aramis, quale era la mia opinione prima, ma siccome sono -molto ignorante in questa sorta di materie, e il tenore di vita che -ho scelto m’induce naturalmente a non rapportarmi qualche volta al mio -proprio giudizio, così mi sono informato. Ebbene, amico mio....» - -Aramis fece una pausa. - -«E che? domandò d’Artagnan. - -«Ebbene, mi è d’uopo mortificare il mio orgoglio, mi è d’uopo -confessare che mi ero ingannato. - -«Davvero? - -«Sì, m’informai, ed ecco quel che mi risposero parecchie persone tutte -diverse di gusto e d’ambizione: il ministro Mazzarino non è un uomo di -genio qual io lo credeva. - -«Veh! fece d’Artagnan. - -«È un uomo da nulla, stato già servitore del Bentivoglio, e che si è -tirato innanzi mediante i raggiri; un nuovo ricco, un soggetto senza -nome che in Francia batterà soltanto la strada da partigiano; ammasserà -molti scudi, dilapiderà le rendite del re, pagherà a sè stesso tutte -le pensioni che il defunto Richelieu pagava a tutti gli altri, ma -non governerà mai col diritto del più forte, del più grande e del più -onorato. Inoltre sembra non sia gentiluomo per cuore e per maniere, -ma piuttosto una specie di buffone, un Pantalone, un Pulcinella. Lo -conoscete voi? io no. - -«Eh! borbottò il tenente, in codesto che voi dite v’è un poco di verità. - -«Ah! mi fate insuperbire, mio caro, se mercè una tal quale penetrazione -volgare di cui sono dotato, ho potuto combinarmi con un uomo come siete -voi che vivete in corte. - -«Ma mi avete parlato di lui personalmente, e non del suo partito. - -«È vero; ha per sè la regina. - -«Ed è qualcosa, mi pare. - -«Ma non ha per sè il re - -«Un bambino? - -«Bambino, che fra quattro anni sarà in età maggiore. - -«È il presente. - -«Sì, ma non è l’avvenire; ed anche nel presente non ha a suo favore nè -il parlamento, nè il popolo, cioè il danaro; non ha a suo favore nè la -nobiltà, nè i principi, cioè la spada». - -D’Artagnan si grattò l’orecchio: era costretto a convenire esser quello -un pensare giustissimo. - -«Vedete, povero amico mio, se sono tuttora dotato della mia solita -perspicacia. Vi dirò che ho forse torto di parlarvi così apertamente, -giacchè voi mi sembrate inclinato per il Mazzarino. - -«Io! esclamò il tenente de’ moschettieri, nemmeno per ombra! - -«Discorrevate di un incarico... - -«Ho discorso di un incarico?.... Allora ho sbagliato.... No, ho detto -fra me come voi: ecco che gli affari s’imbrogliano; gettiamo la penna -al vento, andiamo dalla parte dove il vento la porterà, e riprendiamo -la vita di ventura. Eravamo quattro prodi cavalieri, quattro cuori -uniti teneramente; si uniscano di nuovo, non già i nostri cuori non -mai separatisi, ma le nostre fortune e il nostro coraggio. È buona -l’occasione per riacquistare qualche cosa da più che un brillante. - -«Avete ragione, e ragione sempre, continuò Aramis, la prova si è che -io avevo la stessa idea che voi; se non che, a me che non ho la vostra -feconda immaginazione, il vostro estro, la mi era stata suggerita; -oggidì tutti hanno bisogno di appoggio, mi sono state fatte delle -proposizioni, è trapelato un certo che delle nostre famose prodezze -di tempo addietro, e vi confesserò francamente che il coadjutore mi ha -fatto parlare. - -«Il signor di Gondi, il nemico del ministro! esclamò d’Artagnan. - -«No, l’amico del re, fece Aramis, m’intendete? Or via, si tratterebbe -di servire il re, lo che è obbligo di un gentiluomo. - -«Ma, mio caro, il re è con Mazzarino. - -«Di fatto, ma non di volontà; d’apparenza, e non di cuore; ed ecco -appunto il laccio che i nemici del re tendono al povero fanciullo. - -«Oh! ma codesta che mi proponete, Aramis, è addirittura la guerra -civile. - -«La guerra per il re. - -«Ma il re sarà alla testa dell’armata ove sarà Mazzarino. - -«Sarà però col cuore nell’armata cui comanderà il signor di Beaufort. - -«Beaufort! è a Vincennes. - -«Ho detto Beaufort? seguitò Aramis, il signor di Beaufort o un altro; -Beaufort o il signor Principe. - -«Ma il signor Principe parte per l’armata, è tutto del ministro. - -«Eh eh! disse Aramis, hanno appunto in questo momento fra loro qualche -discussione. D’altronde, se non è il signor Principe, il signor di -Conti.... - -«Di Conti sarà in breve cardinale; è domandato per lui il cappello. - -«E non vi sono cardinali capaci per la guerra? Vedete, ne avete intorno -quattro che alla testa dell’esercito erano da pari di Guebriant e di -Gassion. - -«Oh! un generale gobbo! - -«Sotto la corazza la gobba non si vedrà. E poi, ricordatevi che -Alessandro zoppicava ed Annibale era guercio. - -«Scorgete grandi vantaggi in quel partito? domandò d’Artagnan. - -«Vi scorgo la protezione di principi potenti. - -«Con la proscrizione del governo. - -«Annullata dai parlamenti e dalle sommosse. - -«Tutto ciò potrebbe succedere conforme voi dite, se si arrivasse a -separare il re da sua madre. - -«Forse vi si giungerà. - -«Mai! no, mai! gridò il tenente ritornato nella sua convinzione. -Aramis, mi appello a voi, che conoscete al pari di me Anna: credete -ch’essa possa dimenticare che il suo figlio è la sua sicurezza, il suo -palladio, il pegno della considerazione, della ricchezza e della vita -di lei! Bisognerebbe ch’ella passasse con lui dalla parte dei principi -abbandonando Mazzarino, ma sapete meglio di chiunque come vi siano -forti ragioni perchè non lo abbandoni. - -«Potreste non isbagliarla, soggiunse Aramis pensieroso, e per questo io -non m’impegnerò. - -«Con loro, fece d’Artagnan, ma con me? - -«Con nessuno. Vivo a me, e non ho che vedere con la politica; per -me tutto va bene senza ingerirmene, ed assolutamente non mi ci -immischierò. - -«Ebbene, mio carissimo, continuò d’Artagnan, la vostra filosofia mi -persuade, in parola d’onore, e non so che diamine d’ambizione mi aveva -pizzicato; ho una specie di carica che mi alimenta, posso alla morte -del de Tréville, che ormai invecchia assai, diventar capitano; è un -bel bastone da maresciallo per un cadetto di Guascogna, e sento che -mi riaffeziono alle delizie del pane limitato ma quotidiano, invece -di correre incontro alle avventure. Or via! accetterò gl’inviti di -Porthos, andrò a caccia nelle sue tenute. Vi è noto che Porthos ha -delle tenute? - -«Eh altro! Io credo dieci leghe di boschi, di paduli e di valli, è -signor dal monte e dal piano, e litica per diritti feudali contro non -so qual grande da Noyon. - -«Ottimamente, disse fra sè d’Artagnan, ecco quel che volevo sapere: -Porthos è in Piccardia». - -Indi ad alta voce: - -«Ed ha ripreso il suo antico nome di du Vallon? - -«Aggiungendovi quello di Bracieux, un certo possesso che fu baronia. - -«Sicchè lo vedremo barone? - -«Io non ne dubito; e specialmente sarà stupenda la baronessa Porthos!» - -I due amici diedero in una risata. - -«Dunque, ricominciò d’Artagnan, non volete passare dal Mazzarino? - -«Nè voi dai principi? - -«No; non passiamo da alcuno, e restiamo amici; non siamo nè del -ministro nè della Fronda. - -«Giusto! siamo moschettieri, fece Aramis. - -«Anche dopo lo stato che avete abbracciato? disse d’Artagnan. - -«Anche dopo. - -«Dunque, addio. - -«Non vi trattengo, sendochè non saprei dove farvi dormire, nè posso -decentemente offerirvi metà della tettoja di Planchet. - -«E poi, sono appena distante di tre leghe da Parigi, i cavalli son -riposati, sarò a casa in meno di un’ora». - -E d’Artagnan mescendosi l’ultimo bicchier di vino. - -«Alla salute del nostro tempo antico! - -«Sì, rispose Aramis, pur troppo è un tempo passato! _Fugit irreparabile -tempus._ - -«Oibò! forse tornerà. In ogni caso, se avete bisogno di me, via -Tiquetonne, albergo del Granchio. - -«E per me nel convento fra le sei della mattina e le otto di sera; -e fra le otto di sera e le sei della mattina, s’intende bene, con -superiore permesso. - -«Addio, mio caro. - -«Oh! non vi lascio così, aspettate ch’io vi accompagni». - -Aramis prese la spada e il ferrajuolo. - -«E’ vuole assicurarsi che io parta! pensò d’Artagnan». - -Aramis fischiò per chiamare Bazin, ma Bazin dormiva in anticamera -accanto agli avanzi della sua cena, e bisognò per destarlo che Aramis -lo tirasse per l’orecchio. - -Quegli distese le braccia, si stropicciò gli occhi, e cercò di -riaddormentarsi. - -«Su, dormiglione, presto, fa lume. - -«Ma disse Bazin, sbadigliando in maniera da rovinarsi le mascelle, un -momento....» - -D’Artagnan stava per accertare Aramis che ci vedrebbe abbastanza, ma -gli venne un’idea. - -L’idea fece sì che si tacesse. - -Bazin diede un grosso sospiro, e andò di là, indi a un momento -ritornava con una candela accesa. - -«Oh! disse d’Artagnan, adesso va anche meglio, ma però.... -affrettiamoci a partire». - -Parve che un’occhiata penetrante di Aramis corresse a ricercare il -pensiero del suo amico nel più profondo del di lui cuore; d’Artagnan -sostenne l’occhiata in atto di ammirabile semplicità e indifferenza. - -D’altronde in quel punto poneva il piede sul primo gradino della scala -che conduceva alla porta. - -Fu abbasso in un attimo. - -Bazin rimase affacciato alla finestra. - -«Resta costì, gli aveva ordinato Aramis, ora vengo». - -I due si avviarono verso la tettoja; avvicinati che si furono, uscì di -là Planchet reggendo i due cavalli scossi. - -«Manco male! fece Aramis, questo è un servitore attivo e vigilante; -non è come quell’infingardo di Bazin che non è più buono a nulla.... -Veniteci dietro, Planchet, noi andiamo discorrendo sino in fondo al -villaggio». - -Realmente traversarono tutto il villaggio parlando di cose -indifferenti. Poi arrivati alle ultime abitazioni, Aramis disse: - -«Andate, amico carissimo, seguitate la vostra carriera; la fortuna vi -arride, non ve la lasciate fuggire; rammentatevi ch’è una cortigiana, -e trattatela come tale; io per me rimango nella mia umiltà e nella mia -pigrizia. - -«Sicchè è propriamente deciso? domandò il tenente, ciò che vi ho -offerto non vi gradisce? - -«Mi gradirebbe molto, al contrario, se fossi un uomo come gli altri; -ma, ve lo ripeto, in verità sono un impasto di contrasti; quel che oggi -odio, domani lo adorerò, e viceversa. Vedete che non posso impegnarmi, -per esempio, come voi che avete delle idee ben ferme. - -«Tu menti, malizioso! fece tra sè d’Artagnan, anzi, sei tu il solo che -sappi sceglierti una meta ed a quella camminare all’oscuro. - -«Addio, continuò Aramis, e grazie delle vostre eccellenti intenzioni, -e soprattutto delle buone rimembranze che in me ha ridestate la vostra -presenza». - -Si abbracciarono. Planchet era di già a cavallo, d’Artagnan saltò in -sella. - -Indi si strinsero ai nuovo la mano. - -I cavalcanti diedero di sprone e si diressero dalla parte di Parigi. - -Aramis restò in piedi ed immobile in mezzo alla strada sinchè gli ebbe -perduti di vista. - -Ma dopo duecento passi d’Artagnan si fermò in tronco, smontò, gettò -la briglia sul braccio a Planchet, prese le pistole e se le mise nella -cintola. - -«Che avete, signore? chiese Planchet sgomento. - -«Ho, che per quanto ei sia accorto non sarà detto che m’infinocchi; sta -qua e non ti muovere, mettiti sull’orlo della via ed aspettami». - -E d’Artagnan si slanciò dall’altro lato del fosso, e corse a traverso -alla pianura in modo da passar per dietro il villaggio. Aveva osservato -tra la dimora d’Aramis e la casa dove abitava madama di Longueville uno -spazio vuoto chiuso soltanto da una siepe. - -Forse un’ora prima avrebbe durato fatica a ritrovare quella siepe, -ma ormai era comparsa la luna, e sebbene tratto tratto i nuvoli la -coprissero, ci si vedeva abbastanza per rinvenire la strada. - -D’Artagnan arrivò alla chiudenda, e dietro a questa si nascose. - -Transitando dinanzi alla casa dov’era accaduta la scena da noi narrata, -aveva badato che dalla stessa finestra traspariva da capo il lume, ed -era convinto che Aramis non fosse ancora tornato alla propria dimora. - -In fatti, dopo un momento udì rumore di passi e come di voci sommesse. - -Poi gli uni si ristettero e le altre si tacquero. - -Egli posò in terra il ginocchio, cercando il più fitto della siepe onde -appiattarvisi. - -Nell’istante comparvero due uomini, lo che molto lo sorprese; però, in -breve cessò in lui lo stupore dacchè intese una voce dolcissima: per -cui si avvide che uno dei due uomini era una donna travestita. - -«State quieto, caro Réné, diceva la vocina soave, non succederà più -la stessa cosa: ho scoperto una specie di sotterraneo che va per sotto -la strada, e d’ora innanzi ci basterà alzare una delle lastre che sono -davanti alla porta per darvi comodo ad entrare ed uscire. - -«Oh! disse l’altro che d’Artagnan riconobbe essere Aramis, vi giuro, -principessa, che se non dipendesse da tali precauzioni la vostra -reputazione, e s’io arrischiassi solamente la mia vita.... - -«Sì, sì, so che siete coraggioso e ardito al pari di chiunque, ma voi -non siete soltanto mio, siete di tutto il nostro partito.... Sicchè -abbiate prudenza! - -«Obbedisco sempre, signora, quando si sa comandarmi così graziosamente». - -Ed Aramis baciò la mano al _signorino_. - -«Ah! esclamò questo. - -«Ch’è stato? - -«Non vedete che il vento mi ha portato via il cappello?» - -Aramis corse appresso al cappello da uomo ch’era scappato. - -D’Artagnan profittò della circostanza per mettersi in un posto meno -folto, d’onde il suo sguardo potesse andare liberamente su l’uomo -problematico. Nell’istante appunto, la luna, forse curiosa come il -nostro ufficiale, sbucava di sotto a un nuvolo, e mediante il suo -chiarore d’Artagnan riconobbe gli occhi grandi e turchini, i capelli -color d’oro, e la nobile testa della duchessa di Longueville. - -Aramis tornò ridendo con un cappello in capo ed uno in mano, ed -entrambi continuarono a camminare nella direzione già presa. - -«Bene! fece d’Artagnan rialzatosi a spazzolarsi il ginocchio, adesso -ti ho nelle mie mani: sei della Fronda e in relazione con la signora di -Longueville! - - - - -XII. - -_Il signor Porthos Du Vallon de Bracieux di Pierrefonds._ - - -Mercè le informazioni attinte presso Aramis, d’Artagnan, al quale era -noto che Porthos dal suo casato chiamavasi du Vallon, aveva saputo come -per il nome delle sue terre si chiamava de Bracieux, ed a motivo di -quel suo possesso era in litigio col vescovo di Noyon. - -Quindi, nelle vicinanze di Noyon doveva egli andare a cercare quelle -terre, cioè sulla frontiera dell’Isola di Francia e della Piccardia. - -Ebbe presto fissato il suo itinerario: andrebbe sino a Dammartin, -dove s’inforcano le due strade, che una porta a Soissons e l’altra -a Compiegne, là domanderebbe della tenuta de Bracieux, e secondo la -risposta seguiterebbe a diritto o volterebbe a sinistra. - -Planchet, non ancora ben tranquillo in quanto alla sua scappata, -dichiarò che accompagnerebbe d’Artagnan sino alla fine del mondo, o -pigliasse a diritta o a man sinistra. Se non che propose all’antico suo -padrone di partire la sera, offrendo l’oscurità una maggiore garanzia. - -D’Artagnan allora gli propose di avvertire la sua moglie, onde almeno -non fosse inquieta per la di lui sorte, ma Planchet sagacemente rispose -ch’era certissimo che la sua moglie non sarebbe sgomenta per non sapere -dove fosse, mentre egli al contrario conoscendo la sfrenatezza della di -lei lingua sarebbe più che sgomento qualora essa lo sapesse. - -Le quali ragioni sembrarono tanto buone a d’Artagnan, ch’egli non -insistè ulteriormente, e verso le otto di sera quando principiava a -farsi bujo, mosse dall’albergo delle _Chevrette_ o del Granchio, e -seguito da Planchet, uscì dalla capitale per la porta S. Dionigi. - -A mezzanotte i due viaggiatori erano a Dammartin. - -Era troppo tardi per pigliare informazioni. L’oste del _Cigno della -Croce_ era a letto. D’Artagnan rimise la faccenda all’indomani. - -All’indomani chiamò l’oste. Era questi uno di quelli scaltri Normanni -che non dicono nè sì nè no, e credono sempre di compromettersi -rispondendo direttamente alle domande che lor vengono fatte; pur -nonostante, essendo sembrato a d’Artagnan di capire di aver a andare -in dirittura, si rimise in cammino dietro quella indicazione alquanto -equivoca. La mattina a nove ore era a Nanteuil, ed ivi si fermò a -colazione. - -Qui il locandiere era un Piccardo buono e schietto, il quale, -riconosciuto Planchet per suo concittadino, non fece difficoltà a -dargli i bramati schiarimenti. La tenuta di Bracieux stava distante -poche leghe da Villers-Cotterets. - -D’Artagnan era cognito di Villers-Cotterets, per esservi andato due -o tre volte al seguito della corte, imperciocchè in quell’epoca era -quella una residenza regia. Si avviò dunque alla suddetta città, e -smontò al suo albergo consueto, al _Delfino d’Oro_. - -Là i dettagli furono soddisfacentissimi; intese essere la possessione -di Bracieux situata quattro leghe lontano, ma non doversi in essa -cercare Porthos. Porthos di fatti aveva avuto delle questioni col -vescovo di Noyon in proposito della tenuta di Pierrefonds che confinava -colla sua, ed infastidito da tali dispute giudiciarie di cui non -intendeva un’ette, aveva, per finirla, acquistato Pierrefonds, e in -conseguenza aggiunto questo nuovo nome agli altri suoi. Si chiamava, -ormai du Vallon de Bracieux di Pierrefonds, e dimorava nel nuovo suo -podere. In mancanza di altre illustrazioni, si vede che Porthos ambiva -quella del _Marchese di Carabas_. - -Bisognò aspettare ancora al dì vegnente: i cavalli, fatte dieci -leghe nella giornata, erano stanchi. È vero che si poteva prenderne -degli altri, ma v’era da traversare una grandissima macchia, e noi ci -rammentiamo che di notte Planchet non aveva punto a genio le macchie. - -V’era una cosa di più che non gli andava a genio, cioè di porsi in -viaggio a digiuno. Talchè d’Artagnan nel destarsi trovò allestita la -colazione. Di una simile attenzione non v’era da lagnarsi, ed egli sedè -a tavola. Ci s’intende che Planchet riassunte le sue antiche funzioni, -riassumeva l’antica umiltà, e non si vergognava di mangiare gli avanzi -del tenente più che non si vergognassero madama di Motteville e madama -di Fargis di mangiar quelli della regina Anna. - -Sicchè non fu possibile partire sino verso le otto. Non v’era da -sbagliare, bisognava prender la strada che conduce da Villers-Cotterets -a Compiegne, ed uscendo dal bosco pigliare a mano destra. - -Faceva una bella mattinata di primavera, gli uccelli cantavano su gli -alti alberi, larghi raggi di sole passavano nelle parti meno folte -e parevano tante cortine di velo indorato; in altri luoghi la luce -penetrava tra la fitta volta delle foglie, e i piedi delle vecchie -quercie (cui correvano precipitosamente nel vedere i viandanti gli -agili scojattoli) stavano immersi nell’ombra; da tutta quella natura -scaturiva una fragranza di erbe, di fiori e di fogliame che rallegrava -il cuore. D’Artagnan annojato dalla puzza di Parigi, diceva fra sè, che -quando si portavano tre nomi di possessioni infilati uno nell’altro si -doveva trovarsi contentissimi in un tal paradiso; poi scuoteva il capo -dicendo: - -«Se io fossi Porthos, e venisse d’Artagnan a farmi la proposizione -ch’io vo a fare a Porthos, so ben io come gli risponderei!» - -Planchet dal canto suo a nulla pensava, digeriva. - -Sull’orlo del bosco il tenente adocchiò il sentiero indicato, ed alla -fine di quello le torri di un immenso castello feudale. - -«Oh oh! borbottò, mi pareva che il castello appartenesse all’antico -ramo d’Orleans. Che Porthos ne avesse trattato col duca di Longueville? - -«Affè, disse Planchet, sono terreni ben mantenuti, e se sono proprietà -del signor Porthos me ne congratulerò con lui. - -«Cappita! fece d’Artagnan, non lo chiamare Porthos, nè anche du Vallon, -chiamalo de Bracieux o di Pierrefonds. Faresti andare a monte tutta la -mia ambasceria». - -D’Artagnan, quanto più si avvicinava al castello che prima aveva -fermati i suoi sguardi, capiva tanto maggiormente che colà non poteva -dimorare il suo amico: le torri, comunque solide, e che parevano -fabbricate di fresco, erano aperte e come sconquassate. Avreste detto -che qualche gigante le avesse sfondate a suon di scure. - -Giunto all’estremità della via, d’Artagnan si trovò a sovrastare ad -una valle amena, in fondo alla quale si vedevano giacere al piè di -un bel lago alcune case sparse qua e là, che umili, e coperte quali -di tegoli e quali di stoppie, sembrava riconoscessero per dominante -(_seigneur suzerain_) un bel castello costrutto verso il principio -del regno di Enrico IV, cui stavano di sopra banderuole signoresche. -Allora poi d’Artagnan non pose il menomo dubbio di essere alle viste -dell’abitazione di Porthos. - -La strada metteva direttamente all’elegante castello, che era a petto -al suo nonno, il castello della montagna, come uno zerbinotto del -partito del duca di Enghien è a petto ad un cavaliere in armatura di -ferro del tempo di Carlo VII. D’Artagnan mise il cavallo al trotto e -seguitò giù pel sentiero; Planchet regolò la andatura della sua bestia -su quella del padrone. - -A capo a dieci minuti il tenente fu all’estremità di un viale in cui -erano regolarmente piantati bellissimi pioppi, e che terminava ad un -cancello di ferro di cui le lance e le striscie trasversali erano -indorate. In mezzo stava una specie di signore vestito di verde, e -indorato come il cancello, sopra un grosso e robusto cavallo. Aveva a -destra e a manca due servitori ingallonati su tutte le cuciture; molti -villani radunati gli porgevano ossequiosissimi omaggi. - -«Ah! fece tra sè d’Artagnan, fosse quegli il signore du Vallon de -Bracieux di Pierrefonds? com’è raggrinzato dacchè non si chiama più -Porthos! - -«Non può esser lui, disse Planchet rispondendo a ciò che il tenente -discorreva fra sè stesso, il signor Porthos era alto quasi di sei -piedi, e quello ne ha appena cinque. - -«Eppure, continuò d’Artagnan, lo riveriscono molto profondamente!» - -E diè di sprone verso il cavallo grosso, l’uomo rispettabile ed i -servi, ed a misura che si avvicinava gli pareva di ravvisar meglio il -personaggio. - -«Gesù Dio! esclamò Planchet che credeva esso pure di riconoscerlo, -possibile che fosse _lui_!» - -Al qual grido l’uomo ch’era in sella si voltò lento e nobilmente, e i -due viaggiatori videro brillare in tutto il loro fulgore gli occhioni, -il muso rosso e bernoccoluto, ed il sorriso espressivo di Mousqueton. - -Ed era proprio Mousqueton, Mousqueton grasso e paffuto, traboccante di -salute, gobbo e zeppo dal bene stare, il quale riconoscendo d’Artagnan -ben al contrario dell’ipocrita Bazin, si calò giù dal destriero sino a -terra, e si accostò col cappello in mano all’uffiziale, in guisa che -gli omaggi dell’adunanza fecero mezzo giro verso quel nuovo sole che -ecclissava il vecchio. - -«Signor d’Artagnan! signor d’Artagnan! ripeteva per dentro alle gote -enormi Mousqueton sudante per l’allegrezza, signor d’Artagnan! oh che -piacere sarà per il mio signore e padrone, signor du Vallon de Bracieux -di Pierrefonds! - -«Che caro Mousqueton! è egli qua il tuo padrone? - -«Siete sui suoi possessi. - -«Ma come sei bello, ma come sei grasso, ma come sei in fiore! badava -a dire il tenente de’ moschettieri instancabile nell’accennare i -cambiamenti recati dalla buona fortuna nell’antico affamato. - -«Eh! sì, grazie a Dio, sto assai bene. - -«E non dici nulla al tuo amico Planchet? - -«Al mio amico Planchet! Planchet, sei tu davvero? urlò Mousqueton a -braccia aperte e con tanto di lacrime negli occhi. - -«Io, sì, fece Planchet sempre prudente, ma volevo vedere se avevi messo -superbia. - -«Superbia con un vecchio amico? mai, Planchet, no, mai! e tu non lo -puoi nemmeno aver pensato, o tu non conosci Mousqueton. - -«Manco male! disse Planchet smontando da cavallo e porgendogli le -braccia, non è come quella canaglia di Bazin che mi piantò due ore -sotto una tettoja senza neppur mostrare di ricordarsi di me». - -E Planchet e Mousqueton si abbracciarono con un trasporto che commosse -al vivo gli astanti, e ad essi fece credere che Planchet fosse qualche -gran signore travestito, tanto in alto apprezzavano la posizione di -Mousqueton. - -«E adesso, signor mio, disse questi sbarazzatosi dagli amplessi di -Planchet che invano avea tentato di unirgli insieme dietro alla schiena -le sue due mani, adesso permettetemi di lasciarvi, mentre non voglio -che il mio padrone sappia la nuova del vostro arrivo da altri che da -me: non mi perdonerebbe di essermi fatto precedere da un terzo. - -«Quel caro amico, replicò d’Artagnan evitando di dare a Porthos nè -l’antico nè il novello suo nome, dunque non si è scordato di me? - -«Scordato! anzi, avete a dire che non passa giorno che non ci -aspettiamo di sentirvi nominato maresciallo o invece del signor di -Gassion, o invece del signor di Bassompierre». - -Il tenente si lasciò comparire sulle labbra uno di quei rari sorrisi -malinconici che avevano sopravvissuto nel profondo del suo cuore alle -perdute illusioni degli anni giovanili. - -«E voi, villani, seguitò Mousqueton, state appresso al signor conte -d’Artagnan, e fategli onore meglio che potete, frattanto ch’io vo ad -avvertire monsignore della sua venuta». - -E rimontando, con l’ajuto di due anime caritatevoli, sul suo robusto -cavallo, mentre Planchet più svelto saltava sopra il suo da per sè, -prese sull’erbetta del viale un mezzo galoppo il quale dava anche -migliore opinione de’ fianchi che delle gambe del palafreno. - -«Ah! qui le cose si dispongono bene, disse d’Artagnan: non misteri, -non ferrajuoli, non politica; si ride a scroscio, si piange di giubilo, -non vedo se non faccie larghe un braccio; in coscienza, mi pare che la -natura stessa sia in festa, che gli alberi in cambio di foglie e fiori -siano coperti di fettucce verdi e color di rosa. - -«Ed a me, aggiunse Planchet, mi par di sentire di qui il più delizioso -odore d’arrosto, e di vedere tanti guatteri schierati in fila a -guardarci a passare. Ah! che cuoco deve avere il signor di Pierrefonds, -che già amava tanto di mangiar bene quando si chiamava solamente signor -Porthos! - -«Alto là! disse d’Artagnan, tu mi fai paura. Se la realtà corrisponde -alle apparenze, io sono perduto. Un uomo sì felice non abbandonerà la -propria felicità, ed io perderò il mio tempo con lui come ho fatto con -Aramis». - - - - -XIII. - -_Come d’Artagnan, nel ritrovare Porthos, si accorgesse che non sempre -le ricchezze formano la felicità._ - - -D’Artagnan passò il cancello e si trovò di faccia al castello. Quando -poneva piedi a terra comparve sul verone una specie di gigante. Si -renda giustizia a d’Artagnan: a parte da ogni sentimento di egoismo, -gli balzò il cuore di gioja all’aspetto di quell’alto personale e di -quel volto marziale che gli rammentavano un uomo buono e prode. - -Corse incontro a Porthos e si gettò nelle sue braccia. Tutta la -servitù disposta in circolo, a distanza rispettosa, guardava con umile -curiosità. Mousqueton in prima fila si asciugò gli occhi; il povero -giovinotto non aveva cessato di piangere per l’allegrezza dacchè aveva -riconosciuti d’Artagnan e Planchet. - -Porthos prese a braccetto d’Artagnan, esclamando con voce che dal -baritono era passata al basso: - -«Ah! che piacere di rivedervi! dunque voi non mi avete obliato? - -«Obliarvi! oh, caro du Vallon! e si dimenticano i più bei giorni della -nostra gioventù, e gli amici affezionati, ed i pericoli affrontati -insieme? e nel rivedervi, tutti i momenti dell’antica nostra esistenza -si riproducono al mio pensiero. - -«Sì, sì, seguitò Porthos procurando di dare alle basette quella piega -elegante che avevano perduta nella solitudine, sì, al tempo nostro -ne facemmo delle belle, e si diede da sudare ben bene a quel povero -ministro!» - -E cacciò fuori un sospiro. - -D’Artagnan lo guardò fisso. - -Ma egli continuò in tuono languido: - -«Basta, siate il ben venuto; mi ajuterete a ritrovare la sparita mia -gioja; domani rincorreremo la lepre nella mia pianura ch’è bellissima, -o il capriuolo ne’ miei boschi che sono superbi; ho quattro levrieri -che son tenuti per i più leggieri di tutta la provincia, e una muta che -non ha l’eguale di qui a venti leghe». - -E Porthos mandò un altro sospiro. - -«Ohe! fece tra sè d’Artagnan, che fosse meno felice di quello che pare?» - -Indi rispose: - -«Però, prima di tutto mi presenterete a madama du Vallon, giacchè -mi rammento di una certa lettera di cortese invito che vi piacque -scrivermi, ed in fondo alla quale essa favorì mettere alcuni versi». - -Terzo sospiro di Porthos. - -«Da due anni ho perduta madama du Vallon, egli disse, e ne sono -tuttavia afflittissimo; perciò lasciai il mio castello du Vallon, -vicino a Corbeil, per venire ad abitare nella mia tenuta di Bracieux, -cambiamento che mi ha indotto a comprar questa. Povera madama du -Vallon! (seguitò con una smorfia di rammarico) non era una donna di -carattere molto costante e eguale, ma aveva terminato coll’avvezzarsi -alle mie maniere e adattarsi a’ miei capriccetti. - -«Sicchè siete ricco e libero? domandò il tenente. - -«Ahimè! son vedovo, ed ho quarantamila lire di rendita. Andiamo a far -colazione: volete? - -«Certamente; l’aria della mattina mi ha dato appetito. - -«Sì, fece Porthos, la mia aria è ottima». - -Entrarono nel palazzo; da cima a fondo erano tutte indorature; dorati i -cornicioni, dorati i finimenti, dorato il legno delle seggiole. - -Stava pronta una tavola apparecchiata. - -«Vedete, disse Porthos, questo è il mio ordinario. - -«Caspita! me ne congratulo con voi; il re non lo ha consimile. - -«Sì; ho inteso dire che Mazzarino lo tratta male a cibo.... Assaggiate -questa costoletta, caro d’Artagnan, è de’ miei montoni. - -«Avete de’ montoni molto teneri, e di nuovo vi fo i miei complimenti. - -«Sì, sono mantenuti nelle mie praterie, che sono stupende. - -«Datemene un’altra. - -«No; piuttosto, pigliate di questa lepre, che ammazzai jeri in una -delle mie conigliere. - -«Per bacco, che sapore!... ma dunque le nutrite a forza di sermollino -le vostre lepri? - -«E che vi pare del mio vino? è grato, non è vero? - -«È delizioso. - -«Eppure è del paese. - -«Propriamente! - -«Di un piccolo terreno lassù sulla mia montagna; mi fornisce da venti -botti. - -«Ma l’è addirittura una vendemmia!» - -Porthos sospirò per la quinta volta. D’Artagnan aveva contati i suoi -sospiri. - -«Orsù, disse questi, curioso d’investigare il problema, sembra che -siate angustiato da qualche cosa; state male forse? la salute.... - -«Ottima, migliore che non fosse mai; ammazzerei un bove con un pugno. - -«Allora, dispiaceri di famiglia. - -«Di famiglia? per buona sorte non ho al mondo altri che me. - -«E dunque, di che avete da sospirare? - -«Ah! sarò schietto con voi.... non sono felice. - -«Voi, non felice! voi che avete palazzo, praterie, montagne; voi che -avete quaranta mila lire di rendita, non siete felice! - -«È vero, possiedo tutto questo, e fra tutto questo, son solo. - -«Eh! capisco, siete circondato da villani, che non potete frequentare -senza derogare in certo modo....» - -Porthos impallidì alquanto, e vuotò un enorme bicchiere di vino. - -«No, disse, all’incontro: figuratevi che son tutti gentiluomini di -campagna, i quali hanno un qualche titolo, e pretendono di risalire -a Faramondo, a Carlomagno, o almeno ad Ugo Capeto. Sul principio -io era l’ultimo venuto, e in conseguenza dovevo essere il primo a -usare le cortesie; lo feci, ma sapete bene, d’Artagnan, che madama du -Vallon....» - -Parve che nel dir questo Porthos inghiottisse a stento la sciliva. - -«Madama du Vallon, continuò, era di una nobiltà assai dubbia; di primo -letto (non credo raccontarvi cose nuove) aveva sposato un procuratore. -Qui trovarono che questo era nauseante.... sì, dissero nauseante.... -capite? è una parola da far uccidere trentamila uomini; io ne uccisi -due, lo che fece tacere gli altri, ma non me li rese amici. Sicchè non -ho più compagnia, vivo solo, mi annojo, mi struggo». - -D’Artagnan sorrise; vedeva la mancanza di usbergo, e preparava la botta. - -«Ma insomma, disse, siete nobile di per voi, e la vostra moglie non vi -può disfare. - -«Sì; ma intendete, non essendo di nobiltà storica come i Coucy che si -contentavano di esser Signori (_sires_), ed i Rohan che non volevano -esser duchi, tutti coloro che sono visconti o conti, passano avanti -a me, in chiesa, nelle cerimonie, dappertutto, ed io non ci posso -ridire.... Ah! se fossi soltanto.... - -«Barone, non è così? fece d’Artagnan terminando la frase. - -«Oh! esclamò Porthos, se fossi barone! - -«Bene! pensò il tenente, qui riuscirò». - -E rispose: - -«Or bene, amico mio, quel titolo che bramate, oggi vengo a portarvelo». - -Porthos fece un balzo che scosse tutta la stanza; due o tre bottiglie -perderono l’equilibrio e ruzzolando in terra si ruppero. Al romore -accorse Mousqueton, e si vide in prospettiva Planchet con la bocca -piena e il tovagliuolo in mano. - -«Monsignore mi ha chiamato? domandò Mousqueton». - -A cui il padrone ammiccò di raccattare i pezzi delle bottiglie. - -«Veggo con piacere, disse d’Artagnan, che avete sempre questa bravo -giovine. - -«È mio maggiordomo.... (ed alzando la voce): ha fatto il fatto suo, il -briccone! e si conosce subito... Ma (seguitò piano) mi è affezionato, e -non mi lascerebbe per qualunque cosa. - -«E lo chiama monsignore! pensò d’Artagnan. - -«Uscite, Mouston, disse Porthos. - -«Avete detto Mouston?... ah sì! per abbreviazione: Mousqueton era -troppo lungo a pronunziarsi. - -«Sì, replico Porthos, poi puzzava di sergente maggiore da una lega -lontano.... Noi però discorrevamo di affari; quando è capitato quel -birbante. - -«Appunto, fece d’Artagnan, per altro, si rimetta la conversazione a -più tardi; i vostri servi potrebbero sospettare di qualcosa; vi possono -essere delle spie nel paese; comprendete che si tratta di oggetti serj. - -«Diamine! or via, per far la digestione, passeggiamo nel mio parco. - -«Volentieri». - -E perchè entrambi avevano fatta una colazione abbastanza copiosa, -cominciarono a fare il giro di un giardino magnifico; viali di castagni -e di tigli racchiudevano uno spazio di trenta jugeri per lo meno; alla -fine di ciascuno di essi, e nel più folto di alberi e arboscelli, si -vedevano correre i conigli, e sollazzarsi fra l’erbe le più alte. - -«Affè, disse d’Artagnan, il parco corrisponde a tutto il rimanente, e -se nel vostro stagno vi sono tanti pesci quanti conigli v’hanno nelle -conigliaje, siete un uomo fortunatissimo, caro Porthos; purchè abbiate -conservato il genio per la caccia ed acquistato quello della pesca. - -«Amico mio, rispose Porthos, io lascio la pesca a Mousqueton: gli è -un piacere da plebei; ma a volte vado a caccia, cioè quando mi annoio, -seggo sopra uno di quei sedili di marmo, mi fo portare il mio schioppo; -mi fo condurre il mio cane prediletto, e tiro a’ conigli. - -«Ma è un gran divertimento! fece d’Artagnan. - -«Sì, ripetè Porthos con un sospiro, è un gran divertimento!» - -D’Artagnan aveva smesso di contarli. - -«Poi, aggiunse Porthos, Gredinet va a cercarli, e li porta da sè al -cuoco: c’è benissimo avvezzato. - -«Oh, che cara bestiuolina! - -«Ma lasciamo stare Gredinet, che vi darò, se ne avete voglia, perchè -principio a infastidirmene, e torniamo a’ nostri affari. - -«Volentieri: soltanto vi avverto, acciò non diciate ch’io v’abbia preso -a tradimento, che vi toccherà cambiar vita. - -«Come mai? - -«Indossare da capo l’armatura, cinger la spada, andare incontro alle -avventure, lasciare come in passato qualche brano di carne per la -via.... Sapete, alla maniera di prima.... - -«Oh diavolo! - -«L’intendo; siete mal avvezzo, avete fatto pancia, ed il pugno non ha -più quella elasticità di cui ebbero tante prove le guardie del signor -ministro. - -«Ah! il pugno è ancora buono, vi giuro, seguitò Porthos stendendo una -mano non dissimile da una spalla di montone. - -«Meglio così! - -«Sicchè si ha da fare la guerra? - -«Eh sì, Dio buono! - -«E contro a chi? - -«Siete stato a giorno di politica? - -«Io? neppure per ombra. - -«E siete per il Mazzarino, o per i principi? - -«Io? son per nessuno. - -«Vale a dire che siete per noi; bene, bene! questa è la vera posizione -per fare i fatti suoi. Orsù, mio caro, io vi dirò che vengo da parte -del ministro». - -Queste parole produssero effetto sopra Porthos come se fossero stati -sempre nel 1640. - -«Oh oh! egli disse, che vuol da me sua Eccellenza? - -«Avervi al suo servizio. - -«E chi le ha parlato di me? - -«Rochefort; vi ricordate? - -«Sì, cospetto! quello che tempo addietro ci diede tanto tormento, e ci -fece correr tanto; lo stesso a cui voi somministraste una dopo l’altra -tre stoccate, che per lui non erano rubate, in sostanza! - -«Ma sapete ch’è diventato amico nostro? - -«No, non lo sapevo.... Ah! non serba rancore? - -«V’ingannate, Porthos; son’io che non lo serbo a lui». - -Porthos non capì appieno: ma già noi ci ricordiamo che il suo forte non -era la facilità di comprensiva. - -«Sicchè, continuò, il conte di Rochefort è quello che ha discorso di me -al ministro? - -«Sì, e poi la regina. - -«Come, la regina? - -«Per ispirarci fiducia, essa gli ha perfino consegnato il famoso -diamante, vi sovviene? che io aveva venduto al signor des Essarts, e -che non so come è tornato in suo possesso. - -«Ma mi pare, osservò Porthos col suo solito giudizio un po’ rozzo, che -avrebbe fatto meglio di darlo a voi. - -«Così penso anch’io, replicò d’Artagnan; ma che volete? i re e le -regine hanno talvolta singolari capricci. In conclusione, siccome sono -essi che tengono le ricchezze e gli onori, che distribuiscono danaro e -titoli, tutti son dediti a loro. - -«Sì, gli si è dediti.... E allora, voi siete dedito in questo -momento?... - -«Al re, alla regina e al ministro; e di più, ho garantito della vostra -divozione. - -«E dite che avete stabilite per me certe condizioni? - -«Stupende, caro mio, stupende! Prima di tutto, avete danaro, non è -vero? quaranta mila lire di rendita, me lo avete detto». - -Porthos entrò in diffidenza. - -«Eh! ribattè, danari, non se ne ha mai di troppo. Madama du Vallon -lasciò un patrimonio imbrogliatissimo; io poi non sono un signorone, -dimodochè vivo a giorno per giorno. - -«Ha paura ch’io sia qui per chiedergli de’ soldi in prestito, pensò il -tenente dei moschettieri. - -«Oh! rispose forte, meglio, meglio, se siete in ristrettezze! - -«Come, meglio? fece Porthos. - -«Sì, perchè sua Eccellenza darà tutto quel che si voglia, terre, -numerario e titoli. - -«Ah! ah! ah! esclamò Porthos, e spalancava gli occhi. - -«Sotto l’altro ministro, proseguì d’Artagnan, non sapemmo profittare -della fortuna; e sì, gli era il caso, veh! non lo dico per voi che -avevate in vista le vostre quaranta mila lire di entrata e mi parevate -l’uomo più avventurato di questo mondo». - -Nuovo sospiro del signor de Bracieux di Pierrefonds. - -«Bensì, tirò innanzi il tenente, non ostante le vostre quaranta mila -lire, e forse anche per ragione di queste, ho idea che una piccola -corona farebbe ottima comparsa sulla vostra carrozza.... eh? - -«Ma sì, ripicchiò Porthos. - -«Or bene, guadagnatevela. Ella sta su la punta della vostra spada. Noi -non ci nuoceremo. Il vostro scopo è un titolo; il mio è danaro. Che io -ne guadagni a sufficienza per far ricostruire Artagnan (lasciato andare -in rovina da’ miei antenati impoveriti mediante le crociate), e per -comprare intorno a questo una trentina di jugeri, non mi occorre altro: -mi vi ritiro, e là muojo tranquillo. - -«Ed io, disse Porthos, voglio esser barone. - -«Lo sarete. - -«E non avete pensato pure agli altri nostri amici? - -«Sì, ho veduto Aramis. - -«Ed egli che desidera? innalzarsi, ci s’intende. - -«Aramis, fece d’Artagnan il quale non voleva far perdere a Porthos le -sue illusioni, Aramis, figuratevi, vive come un orso, rinunzia a tutto, -non pensa che alla salute dell’anima; le mie esibizioni non valsero a -deciderlo. - -«Male! disse Porthos, aveva tanto spirito! E Athos? - -«Non l’ho ancor visto, ma andrò da lui quando vi lascio. Sapete dove lo -troverò? - -«Vicino a Blois, in una piccola tenuta ereditata non so da qual parente. - -«E che si chiama? - -«Bragelonne. Capite questa, mio caro? Athos, ch’era nobile come -l’imperatore e ha per eredità una tenuta la quale ha nome di contea! e -che ne farà egli, di tutte quelle contee? contea di La Fère, contea di -Bragelonne? - -«Di più che non ha figliuoli, aggiunse d’Artagnan. - -«Uhm! mugolò Porthos, ho inteso dire che avesse adottato un giovinetto -che nel volto gli somiglia. - -«Athos, ch’era virtuoso come Scipione, lo avete riveduto? - -«No. - -«Domani, dunque, andrò à dargli le vostre nuove. Temo, a dirla fra noi, -che la sua inclinazione per il vino lo abbia invecchiato assai. - -«Sì, è vero, beveva molto. - -«E poi, era maggiore a tutti noi, osservò d’Artagnan. - -«Di pochi anni, riprese Porthos; l’aspetto suo grave lo faceva parere -più vecchio che non fosse. - -«Così è. Sicchè, se abbiamo Athos sarà tanto meglio; se non lo abbiamo, -ne faremo di meno: siamo buoni per dodici, noi due. - -«Sì, disse Porthos sorridendo alla rimembranza delle ultime sue -imprese, ma noi quattro saremmo stati buoni per trentasei.... e di più, -che, secondo dite, il mestiere sarà scabroso. - -«Scabroso per reclute, ma per noi no. - -«Sarà lungo? - -«Eh! può durare tre o quattro anni. - -«Vi sarà da battersi di molto? - -«Spererei. - -«Bene, alla fine dei conti, benone! esclamò Porthos, non avete idea, -mio caro, quanto mi sento scricchiolare le ossa dacchè sono qui. Alle -volte, la domenica, all’uscire dalla messa vo a cavallo per i campi -e sulle terre dei vicini, onde incontrare qualche piccola disputa, -giacchè sento che ne ho bisogno; ma nulla! o mi rispettano o mi temono, -lo che è più probabile, mi lasciano calpestare il trifoglio insieme co’ -miei cani, passare addosso a tutti, e torno indietro più annojato che -mai.... Almeno, ditemi un poco, a Parigi v’è più facilità di battersi? - -«Per cotesto, amico mio, gli è un gusto: non più editti, non guardie -del ministro, non Jussac nè altri bracchi. Mio Dio! vedete, sotto un -lampione, in una locanda, da per tutto, siate del Mazzarino, siate -della Fronda, fuori la spada e basta. Il signor di Guise ha ucciso il -signor di Coligny sulla Piazza Reale, e non è successo niente. - -«Ah! va ottimamente, disse Porthos. - -«E poi, tra poco, seguitò d’Artagnan, avremo battaglie ordinate, -cannone, incendi; sarà una faccenda variata. - -«Dunque mi ci decido. - -«Mi date la vostra parola? - -«Sì, è finita. Tirerò di stocco e di taglio per il Mazzarino.... ma.... - -«Ma? - -«Mi fa barone? - -«Ehi perdinci! è cosa stabilita prima; ve l’ho detto e ve lo ripeto, vi -garantisco la baronia». - -Dietro questa promessa, Porthos che non aveva mai dubitato della parola -del suo amico si avviò nuovamente al palazzo. - - - - -XIV. - -_Ove si dimostra qualmente se Porthos era scontento del proprio stato, -Mousqueton però era soddisfattissimo del suo._ - - -Tornando verso il palazzo, mentre Porthos nuotava ne’ suoi sogni di -baronia, d’Artagnan rifletteva alla miseria della povera natura umana -sempre scontenta di quel che ha, e bramosa di quel che non ha. Egli, -nei piedi di Porthos, si sarebbe considerato per l’uomo più avventurato -dell’universo, ed a Porthos per esser tale che mai mancava? sei lettere -da porre innanzi a tutti i suoi nomi, ed una piccola corona da far -dipingere su gli sportelli della sua carrozza. - -«E dunque, diceva tra se d’Artagnan, starò tutta la vita guardando a -destra e a sinistra senza veder mai la faccia di un uomo completamente -felice?» - -Quando faceva questa filosofica riflessione, parve che la Provvidenza -gli volesse dare una mentita. Appena Porthos lo aveva lasciato per dar -degli ordini al suo cuoco, ei si vide avvicinare Mousqueton. Il viso -del buon giovanotto, salvo una certa confusione che alla guisa di un -nuvolo d’estate velava anzi che oscurare la di lui fisionomia, sembrava -quello di un uomo pago al maggior segno. - -«Ecco quel che cercavo, disse fra sè il tenente dei moschettieri, ma -ohimè! il poveretto non sa perchè io sia venuto qui». - -Mousqueton se ne stava alquanto distante. Egli si mise sopra un sedile -e gli accennò si accostasse. - -«Signore, disse colui profittando del permesso, ho da chiedervi una -grazia. - -«Parla, mio caro, rispose d’Artagnan. - -«È che non ardisco, ho paura che pensiate che la mia grande prosperità -mi abbia guastato. - -«Sicchè sei soddisfatto? - -«Soddisfatto quanto si possa, eppure potete esser cagione ch’io lo sia -anco di più. - -«Di’ su, e s’è cosa che dipenda da me è conclusa. - -«Oh! non dipende che da voi. - -«Aspetto. - -«Signore, la grazia che ho da domandarvi è di non più chiamarmi -Mousqueton, ma bensì Mouston. Dacchè ho l’onore di esser maggiordomo -di monsignore, ho preso quest’ultimo nome, ch’è più decoroso e vale a -farmi rispettare da’ miei subalterni... e sapete quanto è necessaria la -subordinazione alla servitù». - -D’Artagnan sorrise: Porthos allungava i suoi nomi, e Mousqueton -scorciava il suo. - -«Ebbene, signore? fece il buon domestico tremando. - -«Oh! sì, mio caro Mouston, sta quieto, non dimenticherò la tua -richiesta, e se lo gradisci non ti darò nemmeno più del tu. - -«Ah! se mi faceste un tale onore ne sarei riconoscente per tutta la -vita; ma forse sarebbe domandar troppo. - -«Ohimè! disse fra sè d’Artagnan, è ben poco in cambio delle inattese -tribolazioni che reco a questo diavolaccio il quale mi ha accolto tanto -bene. - -«E vossignoria si trattiene dimolto con noi? domandò Mousqueton a cui -il volto restituitosi in tutta la sua serenità diventava rosso come un -fringuello. - -«Parto domani, mio caro. - -«Ah! eravate venuto soltanto per cagionarci un rincrescimento? - -«Ho paura di sì, fece d’Artagnan». - -Ma tanto piano, che Mousqueton il quale si ritirava salutando non potè -udirlo. - -Passava un rimorso in mente a d’Artagnan, sebbene gli si fosse -allargato il cuore: non gli spiaceva d’impegnare Porthos in una -carriera in cui sarebbero compromesse la di lui vita e le fortune, -giacchè Porthos arrischiava volentieri tutto questo pel titolo di -barone che desiderava da quindici anni; ma Mousqueton che bramava -solamente di esser chiamato Mouston, non era crudeltà il toglierlo -dalla vita deliziosa del suo granajo di abbondanza? Mentre quest’idea -lo confondeva, ricomparve Porthos. - -«A tavola! disse questi. - -«Come a tavola? domandò d’Artagnan, e che ore sono? - -«È passata l’un’ora. - -«La vostra abitazione è un paradiso, Porthos! uno vi dimentica il -tempo. Vi seguo, ma non ho fame. - -«Venite; se non sempre si può mangiare, si può bere però; l’è una delle -massime del povero Athos di cui ho riconosciuta la solidità dacchè -m’infastidisco». - -D’Artagnan, renduto ognora assai sobrio dal suo naturale guascone, -non sembrava convinto al pari del suo amico della verità dell’assioma -di Athos; nulladimeno fece quanto potè per mantenersi a petto del suo -accoglitore. - -Frattanto, stando a veder mangiare Porthos, e bevendo egli benone, gli -tornava in capo l’idea di Mousqueton, e ciò con tanto più di forza -in quanto che quest’ultimo, senza servire a tavola (lo che sarebbe -stato al disotto della nuova sua posizione), compariva tratto tratto -sull’uscio, e dimostrava la sua gratitudine per il nostro tenente -mediante la qualità e la vecchiezza dei vini che faceva imbandire. - -E quindi, allorchè alle frutta, Porthos dietro un cenno di d’Artagnan -ebbe mandati via i suoi domestici; e i due amici si trovarono soli, -d’Artagnan disse: - -«Porthos, e chi vi accompagnerà nelle vostre campagne? - -«Eh! Mousqueton, mi figuro, rispose Porthos con tutta naturalezza». - -Codesto fu un colpo per d’Artagnan; già vedeva cambiarsi in ismorfie di -dolore, il benevolo sorriso del maggiordomo. - -«Peraltro, replicò il tenente, Mouston non è più giovanissimo; inoltre -è ingrassato assai, ed avrà forse perduta l’abitudine ad un servizio -attivo. - -«Lo so, ma mi sono assuefatto a lui; e poi, non vorrebbe lasciarmi, mi -è troppo affezionato. - -«Oh, cieco amor proprio! pensò d’Artagnan. - -«D’altronde, domandò Porthos, voi stesso non avete sempre al -vostro servizio il medesimo vostro lacchè, quel buono, bravo e -intelligente.... come lo chiamate? - -«Planchet.... sì, l’ho ritrovato ma non è più lacchè. - -«E ch’è egli? - -«Con le mille sei cento lire, che voi sapete guadagnò all’assedio di La -Rochelle portando la lettera a lord de Winter, ha messo su una piccola -bottega in via dei Lombardi; ed è confettiere. - -«Ah! è confettiere in via de’ Lombardi! ma come vi serve? - -«Ha fatto qualche scappata, e teme di esser molestato. - -«Ebbene! fece allora Porthos, se vi avessero detto che un giorno -Planchet farebbe scappare Rochefort, e che per questo voi lo -nasconderete? - -«Non lo avrei creduto; ma che volete? gli avvenimenti cambiano gli -uomini. - -«Non v’è cosa più vera; bensì quel che non cambia, o cambia soltanto -per megliorarsi, è il vino. Assaggiate di questo; è d’una qualità di -Spagna che il nostro amico Athos teneva in grande stima, è Xères». - -Nel momento venne il maestro di casa a consultare il padrone sulla -disposizione di tavola dell’indomani ed anche sulla gita a caccia -progettata. - -«Dimmi, Mouston, chiese Porthos, le mie armi sono in buono stato?» - -D’Artagnan cominciò a battere il tempo sulla mensa onde celare il suo -imbarazzo. - -«Le vostre armi, monsignore? rispose Mouston, e quali? - -«Eh, per brio! la mia armatura. - -«Che armatura? - -«Da guerra. - -«Ah!... sì!... almeno, credo. - -«Domani te ne assicurerai, e le farai pulire se ne hanno bisogno. Qual -è il mio miglior cavallo da corsa? - -«Vulcano. - -«E per fatica? - -«Bajardo. - -«A te, quale piace? - -«A me piace Rustaud; è una buona bestia e mi c’intendo a meraviglia. - -«È robusto, non è così? - -«Normanno, deciso Mecklembourg; andrebbe via di giorno e di notte. - -«Ecco quanto ci bisogna. Farai mettere a sesto i tre animali, netterai -o farai nettare le mie armi; e di più, pistole per te ed un coltello da -caccia. - -«Sicchè viaggeremo, monsignore? domandò Mousqueton digià sgomento». - -D’Artagnan che sino allora aveva fatto qualche accordo vago, battè una -marcia. - -«Anco di meglio! rispose Porthos. - -«Si fa forse una spedizione? seguitò il maestro di casa, in cui le rose -delle guance principiavano a convertirsi in gigli. - -«Si torna al servizio, replicò il padrone, procurando sempre di rendere -alle basette la perduta loro piega marziale». - -Erano appena pronunciate quelle parole, che assalse Mousqueton un -tremito tale da scuotergli le gote impallidite. Esso guardò il tenente -dei moschettieri in atto indicibile, di tenera rampogna, cui d’Artagnan -non potè sopportare senza sentirsi commuovere; poi vacillò, e disse con -voce soffocata: - -«Servizio? servizio nelle armate del re? - -«Forse sì e forse no. Andiamo a rifar campagna, a cercare ogni sorta di -avventure, a riprendere finalmente la vita di tempo addietro». - -L’ultima frase cadde addosso a Mousqueton come un fulmine. - -Era quel _tempo addietro_ sì terribile che faceva l’adesso tanto dolce. - -«Mio Dio! che sento? esclamò egli con uno sguardo anco più supplice del -primo diretto a d’Artagnan. - -«Che volete, Mouston mio? fece questi, la fatalità....» - -Ad onta della precauzione usata dal tenente di non dargli del tu e -scorciare il suo nome nel modo ch’egli ambiva, la botta fu tremenda per -Mousqueton, ed esso se ne andò tutto sconvolto dimenticando per fino di -chiuder l’uscio. - -«Che caro Mouston! non cape nella pelle dal contento! disse -Porthos, nella medesima guisa in cui è da credere che don Chisciotte -incoraggisse il suo Sancho a por la sella al suo somaro per l’ultima -campagna». - -I due amici rimasti soli si misero a discorrere dell’avvenire ed a -far mille castelli in aria. Il buon vino faceva vedere a d’Artagnan -una prospettiva tutta rilucente di doppie e dobloni, ed a Porthos il -cordone turchino ed il manto ducale. La sostanza si è che dormivano -sulla tavola quando venne la servitù ad invitarli ad andare a letto. - -Nel dì seguente però Mousqueton fu alquanto riconfortato da d’Artagnan, -il quale gli annunziò come probabilmente la guerra avrebbe sempre luogo -nel cuor di Parigi, ed a portata del castello di Vallon ch’era vicino -a Corbeil, di Bracieux ch’era prossimo a Melun, e di Pierrefonds ch’era -tra Compiegne e Villers-Cotterets. - -«Ma mi pare che in passato.... fece timidamente il buon servo. - -«Oh! rispose il tenente, non si guerreggia più nella maniera che -si usava in passato: oggidì sono faccende diplomatiche; domandalo a -Planchet». - -Mousqueton andò a ricercare quegli schiarimenti dall’antico suo -amico, che confermò appieno ciò che avea detto d’Artagnan, e soltanto -aggiunse: - -«In questa guerra i prigionieri vanno a rischio di essere impiccati. - -«Capperi! disse Mousqueton, credo che avrei più a caro l’assedio di la -Rochelle». - -In quanto a Porthos, dopo aver fatto dal suo ospite ammazzare un -capriolo, dopo averlo condotto da’ suoi boschi alla sua montagna, e -da questa a’ suoi stagni, dopo avergli mostrato i suoi levrieri e la -muta, e Gredinet, insomma tutto quel che possedeva, e fattogli rifare -tre altri pasti de’ più lauti, chiese le sue istruzioni definitive a -d’Artagnan costretto a lasciarlo per continuare il suo viaggio. - -«Ecco, amico carissimo, gli disse il messaggiero; mi occorrono quattro -giorni per andare di qui a Blois, uno per trattenermici, tre o quattro -per tornare a Parigi; sicchè, partite fra una settimana col vostro -equipaggio, smonterete in via Tiquetonne all’albergo della _Chevrette_, -e mi attenderete. - -«Sta bene, rispose Porthos. - -«Io vo a fare un giro senza speranza da Athos, seguitò d’Artagnan, -ma benchè io lo creda diventato inabile conviene osservare la creanza -cogli amici. - -«Se vi andassi con voi, propose Porthos, ciò mi servirebbe di qualche -distrazione. - -«Può essere, ed anche a me; ma non avreste più tempo da terminare i -vostri preparativi. - -«È vero.... Dunque partite, disse Porthos, e coraggio. Per me sono -tutto ardore. - -«A meraviglia! fece il tenente». - -E si separarono sui limiti della tenuta di Pierrefonds, sino -all’estremità della quale Porthos volle accompagnare l’amico. - -«Almeno non sarò solo, ruminava fra sè d’Artagnan. Quel diavolaccio -di Porthos è ancora in tutto il vigore. Se viene Athos saremo tre a -farci beffe di Aramis, quell’uomo tutto riserbatezza e pien di raggiri -amorosi». - -Da Villers-Cotterets egli scrisse al ministro: - - «Monsignore, - - «Ne ho di già uno da offrire a Vostra Eccellenza, e quello vale per - venti uomini. Io parto per Blois, perchè il conte di La Fère abita - nel castello di Bragelonne nelle vicinanze di questa città». - -E s’incamminò verso Blois, chiaccherando con Planchet, che nel -lunghissimo viaggio gli giovava assai a distrarsi. - - - - -XV. - -_Due teste da angioli._ - - -Si trattava di un lungo cammino, ma d’Artagnan non se ne prendeva -pensiero; sapeva che i suoi cavalli si erano rinfrescati alle ben -fornite mangiatoie del signore de Bracieux. Si avventurò quindi con -tutta confidenza alle quattro o cinque giornate di viaggio che aveva da -fare, seguito dal fido Planchet. - -Siccome già dicemmo, quei due uomini, per iscacciare la noja del -tragitto, andavano uno accosto all’altro e ciarlavano sempre insieme. -D’Artagnan a poco a poco si era spogliato della qualità di padrone, e -Planchet aveva deposta affatto la pelle da servitore. Era un accorto -volpone, che dopo l’improvvisa sua dignità borghese spesso aveva -ricordati con rammarico i bei pasti di sulle strade maestre, non meno -che la conversazione e la brillante compagnia dei gentiluomini, e -che sentendo di avere un certo valore personale, pativa nel vedersi -deprezzare dal perpetuo contatto di genti d’idee sciocchissime. - -S’inalzò pertanto in breve tempo, verso di quello che tuttavia chiamava -suo padrone, al rango di confidente. D’Artagnan da molti anni non aveva -sfogato il proprio cuore. Accadde che ritrovandosi, que’ due soggetti -si aggiustarono fra di loro egregiamente. - -E d’altronde Planchet non era un compagno di avventure del tutto -volgare: era uomo di buon consiglio; benchè non cercasse il pericolo, -non retrocedeva in faccia ai colpi, secondo spesso d’Artagnan aveva -avuto occasione di accorgersene; finalmente era stato soldato, e -le armi nobilitavano; e poi, a di più di tutto questo, se Planchet -aveva d’uopo di d’Artagnan, neppure era egli a lui inutile. Talchè -all’incirca sul tenore di due buoni amici giungevano essi nel Blaisois. - -Cammin facendo, d’Artagnan, scuotendo il capo, e reduce ognora a quel -pensiero che incessantemente l’occupava, diceva: - -«So che il mio tentativo presso Athos è inutile ed assurdo, ma debbo -questo atto di convenienza al mio antico amico, uomo che aveva in sè -quanto abbisogna al più nobile e generoso di tutti gli uomini. - -«Oh! il signor Athos era un famoso gentiluomo! disse Planchet. - -«Non è così? riprese d’Artagnan. - -«Da lui piovevano danari, come dal cielo la grandine, tirò innanzi -Planchet ponendo mano alla spada con atto veramente regale. Vi -rammentate, signor mio, del duello cogli Inglesi nel recinto dei -_Carmelitani_? Ah! com’era bello e magnifico il signor Athos quando -disse all’avversario: — Voleste ch’io dicessi il mio nome; peggio per -voi, mentre ora sarò costretto ad uccidervi! — Io gli stava vicino e lo -intesi: sono precisamente le sue parole. E quello sguardo quando toccò -l’avversario conforme aveva avvisato, e questo cascò giù senza nemmeno -dire _hoi!_ Lo ripeto, sì, sì, era un famoso gentiluomo! - -«Va bene, fece d’Artagnan, codesto è vero, è Vangelo, ma egli avrà -perduti tutti i suoi pregi per un solo difetto. - -«Me ne ricordo, gli piaceva bere.... o piuttosto beveva.... ma non come -gli altri, no! I suoi occhi non esprimevano niente quando si avvicinava -il gotto alle labbra. In coscienza, non vi fu mai silenzio tanto -parlante. Per me, mi pare di udirlo a balbettare: — Liquore, entra e -discaccia il mio dolore! — E come vi riduceva in pezzi il piede di un -bicchierino o il collo di un fiasco! per codesto non aveva l’eguale. - -«Or bene, soggiunse d’Artagnan, oggi ecco il tristo spettacolo che si -appresta. Quel nobile gentiluomo d’occhio sì fiero, quel bel cavaliere -sì brillante sotto le armi che tutti si meravigliavano come in mano -tenesse una semplice spada anzichè il bastone del comando, si sarà -trasformato in un vecchio curvo, con il naso arrossato e il ciglio -piagnoloso. Lo troveremo disteso sull’erba, d’onde ci guarderà con -le pupille fosche, e forse non ci ravviserà. Iddio mi è testimone, -Planchet, che sfuggirei così triste spettacolo se non m’importasse di -provare il mio rispetto a quell’ombra illustre del conte di La Fère che -tanto a noi fu caro». - -Planchet tentennò la testa e non fiatò; di leggieri acorgevasi com’egli -si associasse ai timori del suo padrone. - -«E poi, ripigliò a dire il tenente, la decrepitezza, giacchè ormai -Athos è vecchio; forse la miseria, giacchè avrà trascurato le poche -sostanze che aveva; il sordido Grimaud più muto che mai e più ubbriaco -del suo superiore.... Planchet, son cose che mi spezzano il cuore! - -«E’ mi par di esserci, e di vederlo là, balbuziente e vacillante...., -fece Planchet in tuono dolentissimo. - -«Lo confesso, replicò d’Artagnan, l’unica mia paura si è che Athos -accetti le mie proposizioni in un momento di ebbrezza bellicosa. Per me -e per Porthos sarebbe grande disgrazia, e specialmente sommo imbarazzo; -ma sul primo del suo trasporto lo lasceremo, e basta; tornando in sè -stesso capirà. - -«In ogni caso, soggiunse Planchet, non tarderemo a venire in chiaro di -tutto, giacchè io credo che quelle mura tanto alte che si arrossano al -sole sul tramonto siano appunto di Blois. - -«È probabile, e quei campanili appuntati e scolpiti che si scorgono -laggiù a sinistra nel bosco somigliano a quanto io ho inteso dire di -Chambord. - -«Entreremo in città? domandò Planchet. - -«Senza dubbio, per prendere informazioni. - -« Signore, se v’entriamo, vi consiglio di assaggiare certi vasetti di -crema de’ quali ho udito discorrere di molto, ma che disgraziatamente -non si possono far venire a Parigi, e bisogna mangiarli là sul luogo. - -«Ne mangeremo, sta quieto». - -Nel momento uno di quei gravi carri tirati da’ buoi che portano la -legna tagliata nelle belle macchie del paese sino ai porti della -Loira, sboccò da un sentiero pieno di buche sulla strada che battevano -i nostri due cavalcanti. Lo accompagnava un uomo, che con una lunga -pertica avente in cima un chiodo pungolava i lenti animali. - -«Ehi, galantuomo! gridò a questo d’Artagnan. - -«Che posso fare per servirvi?» disse il villico con la purezza del -linguaggio particolare alle genti di quella contrada, e che farebbe -vergognare cittadini puristi della piazza della Sorbona e della via -dell’Università. - -«Cerchiamo la casa del signor conte di la Fère: conoscete questo nome -tra quelli dei signori delle vicinanze?» - -Il contadino, udendo tal nome, si levò il cappello. - -«Signori, questa legna ch’io trasporto è sua; l’ho tagliata nel suo -bosco, e la conduco al castello». - -D’Artagnan non volle interrogare colui: temeva forse di sentir ripetere -da un altro ciò ch’egli stesso aveva detto a Planchet. - -«Il _castello!_ fece tra sè, capisco: Athos non ha pazienza, ed avrà -obbligato come Porthos i suoi contadini a chiamar lui monsignore -e castello la sua bicocca; aveva la mano pesante, il caro Athos, -specialmente dopo aver bevuto». - -I manzi andavano adagio. D’Artagnan e Planchet camminavano dietro al -carro; presto s’infastidirono. - -«Sicchè, è questa la strada? chiese il tenente al bifolco, e possiamo -seguirla senza rischio di smarrirci? - -«Oh! signor sì; e potete inoltrarvici invece di annojarvi a venire -appresso a bestie così lente. Avete a far soltanto mezza lega, e -distinguerete un castello a man destra; di qua non si vede a motivo -di una fila di pioppi che lo nasconde. Quello non è Bragelonne, è la -Vallière. Passerete più avanti, ma a tre tiri di schioppo più in là v’è -una gran casa bianca, col tetto di lavagne, fabbricata sopra un poggio -adombrato da enormi sicomori, è quella del signor conte di la Fère. - -«E la mezza lega è alla lunga? chè nel nostro bel paese di Francia vi -sono leghe e leghe! - -«Dieci minuti di cammino, signore, per le zampe sottili del vostro -cavallo». - -D’Artagnan ringraziò il boaro e diede di sprone. Indi, turbato a suo -malgrado dall’idea di rivedere quell’uomo singolare che tanto lo aveva -amato, che tanto aveva contribuito coi consigli e con l’esempio alla -sua educazione di gentiluomo, rallentò un poco il passo, e continuò ad -avanzarsi, china la testa a modo di un gran pensatore. - -Planchet pure aveva trovato nell’incontro e nell’attitudine di quel -villico materia a gravi riflessioni. Giammai, nè in Normandia, nè -nella Franche-Comté, nè in Artois, nè in Piccardia, contrade da esso -particolarmente abitate, non aveva veduto presso i campagnuoli quel -contegno disinvolto, l’aspetto civile, la favella purissima. Era quasi -tentato di credere di essersi imbattuto in qualche gentiluomo al pari -di lui della _Fronda_, che per causa politica fosse costretto a pari -suo a travestirsi. - -In breve, alla svolta, apparve agli occhi de’ nostri viandanti, -e secondo aveva avvertito il bifolco, il castello di La Vallière, -e poscia ad un quarto di lega circa la casa bianca contornata da’ -sicomori si mostrò sul campo di un folto gruppo di alberi che la -primavera impolverava con una neve di fiori. - -A tal vista d’Artagnan, il quale per solito poco si comuoveva, sentiva -uno strano dubbio penetrargli nel cuore, tanto potenti sono in tutto -il corso della vita quelle rimembranze di gioventù. Planchet, che non -aveva gli stessi motivi d’impressione, sbigottito dal mirare il suo -padrone così agitato, guardava a vicenda e l’abitazione e il tenente. - -Quest’ultimo mosse ancora alcuni passi innanzi, e si trovò di faccia ad -un cancello lavorato con tutto il gusto di quell’epoca. - -Dal cancello si scorgevano degli orti mantenuti con la massima cura, un -cortile assai spazioso in cui battevano i piedi impazienti varj cavalli -scossi, retti da servi con diverse livree, ed una carrozza alla quale -erano attaccati due cavalli. - -«O facciamo sbaglio, o colui ci ha ingannati, disse d’Artagnan; non -può essere che colà abiti Athos. Dio mio! fosse morto? il podere -appartenesse a qualcuno del suo nome? Smonta, Planchet, e va ad -informarti; per me confesso che non ne ho coraggio». - -Planchet smontò. - -«E aggiungerai, che un gentiluomo passando di qui brama aver l’onore di -riverire il signor conte di la Fère, e se sei contento dei dettagli che -ottieni, allora dà pure il mio nome». - -Planchet, trascinando per la briglia il suo cavallo, si avvicinò alla -porta, fece suonare il campanello, e tosto si presentò a riceverlo un -uomo di servizio, con i capelli bianchi e il personale diritto ad onta -dell’età. - -«Dimora qui il signor conte di la Fère? domandò Planchet. - -«Sì, signore, gli rispose il domestico, poichè Planchet non indossava -la livrea. - -«È un signore ritiratosi dal servizio militare, non è vero? - -«Precisamente. - -«E che aveva un lacchè chiamato Grimaud, seguitò Planchet, che con la -sua abituale prudenza non credeva mai troppe le informazioni. - -«Il signor Grimaud è per adesso assente dal castello, replicò l’altro -cominciando a squadrarlo da capo a piedi, essendo poco avvezzo a simili -interrogazioni. - -«Allora! esclamò Planchet tutto allegro, capisco ch’è proprio il conte -di la Fère che si cerca. Dunque favorite aprirmi, giacchè desidererei -annunziare al signor conte che il mio padrone, gentiluomo suo amico, è -qua e vorrebbe salutarlo. - -«Perchè non lo dicevate prima? fece il domestico schiudendo il -cancello; ma il vostro padrone dov’è? - -«È dietro a me, mi viene appresso». - -Il servitore, avendo aperto, precedè Planchet, e questi fe’ cenno a -d’Artagnan, che palpitando più che mai entrò a cavallo nel cortile. - -E Planchet, quando fu sul verone, udì una voce che usciva da una sala a -terreno dicendo: - -«Ebbene! dov’è quel gentiluomo, e perchè non lo conducete qua?» - -La voce, arrivando sino a d’Artagnan, ridestò nel suo cuore mille -sentimenti, mille ricordanze già dileguatesi. Esso saltò giù da -cavallo, mentre il suo compagno di viaggio col sorriso sul labbro si -avanzava verso il proprietario della casa. - -«Ma lo conosco io quel giovanotto! disse Athos comparso sulla soglia. - -«Oh! sì, signor conte, mi conoscete, e vi conosco anch’io. Sono -Planchet, Planchet, sapete pure....» - -Ma l’onesto servo non potè dir altro, tanto gli aveva fatto specie -l’inatteso aspetto di quel gentiluomo. - -«Come, Planchet! esclamò Athos, è forse qui d’Artagnan? - -«Eccomi, amico, eccomi, Athos! gridò d’Artagnan balbettando e quasi -barcollando». - -A tali parole apparve un’emozione visibilissima sopra il bel volto e -i quieti lineamenti di Athos. Ei fece sollecito due passi verso il -tenente senza lasciarlo d’occhio, e se lo strinse teneramente fra -le braccia. Questi, calmatosi alquanto, premè lui al seno con una -cordialità che gli brillava in lacrime nel ciglio. - -Athos lo prese per mano e lo guidò in sala, dov’erano riunite parecchie -persone. Tutti si alzarono. - -«Vi presento, disse Athos, il signor cavalier d’Artagnan, tenente nei -moschettieri di Sua Maestà, amico affezionato, ed uno dei più prodi ed -amabili gentiluomini ch’io abbia mai conosciuti». - -D’Artagnan, secondò l’uso, ricevè i complimenti degli astanti, li -restituì come meglio potè, prese posto nel circolo, e mentre la -conversazione, interrotta un momento, diventava di nuovo generale, si -mise ad esaminar Athos. - -Cosa strana! Athos era appena invecchiato. I suoi begli occhi, liberi -da quel cerchio paonazzo che segnano le vigilie e le orgie, sembravano -più grandi e di un fluido più puro che mai: il viso un poco allungato -aveva acquistato in maestosità ciò che perduto aveva in agitazione -febbrile; la mano, sempre di mirabile modello e nerboruta, non -ostante la sottigliezza delle carni, rispondeva sotto i manichini di -merletti, come certe mani del Tiziano e di Van Dyck; era più svelto -che non fosse in passato; le spalle ben distese e larghe dinotavano -vigore non comune; i lunghi capelli neri, frammischiati da pochissimi -grigi, gli cadevano elegantemente sull’omero ondulandosi come per una -piega naturale; la voce era sempre fresca quasi che avesse avuto soli -venticinque anni; e i denti superbi conservatisi bianchi ed intatti -davano un indicibile incanto al suo sorriso. - -Frattanto gli ospiti del conte, accortisi dalla impercettiblle -freddezza della conversazione che i due amici erano ansiosi di trovarsi -soli, cominciarono a preparare con l’arte e la cortesia dei tempi -antichi la loro partenza, quell’affare gravissimo delle genti d’alta -società, quando vi erano genti di alta società; ma allora echeggiò nel -cortile grande susurro di cani che abbajavano, e varie persone dissero -insieme: - -«Ecco Raolo che ritorna!» - -Al nome di Raolo, Athos guardò d’Artagnan, e sembrò che aspettasse di -discernere i segni di curiosità che questo nome doveva fargli nascere -sul volto. D’Artagnan però non capiva ancor nulla; era malamente -rinvenuto dal suo primo bagliore. Sicchè si girò quasi macchinalmente, -quando entrò nella stanza un bel giovane di quindici anni, vestito -con semplicità, ma con un gusto squisito, alzando con molta grazia il -cappello adorno di lunghe penne rosse. - -Eppure quel nuovo personaggio del tutto inaspettato lo sorprese. Un -mondo d’idee novelle gli corse alla mente, spiegandogli con tutte le -risorse del suo intendimento il cambiamento di Athos che sino allora -gli era sembrato incomprensibile. Una singolare somiglianza tra il -gentiluomo e il garzoncello gli schiariva il mistero di quella vita -rigenerata. Aspettò guardando attento e stando in ascolto. - -«Eccovi di ritorno, Raolo! disse il conte. - -«Sì, signore, rispose rispettosamente il giovane; ho disimpegnata -l’incombenza da voi datami. - -«Ma che avete, Raolo? fece Athos con premura; siete pallido, mi parete -scomposto. - -«Gli è, replicò il sopraggiunto, ch’è accaduta una disgrazia alla -nostra piccola vicina. - -«Madamigella di La Vallière? gridò con impeto Athos. - -«Che cosa? che cosa? domandarono parecchi. - -«Ella passeggiava con la sua Marcellina nel recinto dove i taglialegne -troncano gli alberi, ed io, passando a cavallo, l’ho veduta e mi sono -fermato. Essa pure mi ha visto, e nel volere saltar giù da un monte di -legne dov’era salita, poverina! le è mancato il piede.... non ha potuto -alzarsi; io credo si sia rotta la noce del piede. - -«Oh mio Dio! disse Athos, e madama di S. Remy, sua madre, è stata -avvisata? - -«No, signore; madama di S. Remy è a Blois presso la signora duchessa -d’Orleans. Io ho avuto paura che i primi soccorsi fossero stati -apprestati con poca abilità, e correvo a domandarvi consiglio. - -«Mandate presto a Blois; o meglio, pigliate il vostro cavallo e -andateci da per voi». - -Raolo s’inchinò. - -«Ma dov’è Luigia? continuò il conte. - -«L’ho portata sin qui, e l’ho posta dalla moglie di Charlot, che -frattanto le ha fatto mettere i piedi nell’acqua ghiacciata». - -Dopo questa spiegazione, la quale aveva dato un pretesto per alzarsi, -gli ospiti di Athos da esso si accomiatarono. Il vecchio duca di Barbò -soltanto, che trattava familiarmente in forza di un’amicizia di venti -anni con la casa di La Vallière, andò a veder la Luigetta che piangeva, -e che nel mirare Raolo terse i begli occhi e subito sorrise. - -Egli propose di condur seco nella sua carrozza la piccola Luigia. - -«Avete ragione, disse Athos, così sarà più presto presso a sua madre. -In quanto a voi, Raolo, sono persuaso che avete agito da scappato e ne -avete un po’ di colpa. - -«Oh! no, no! ve l’assicuro»; esclamò la ragazzina, mentre il ragazzo -impallidiva al concetto di poter essere causa di quella disgrazia. - -«Ah! vi assicuro....» questi balbuziò. - -«Ma tanto andrete a Blois, soggiunse il conte, presenterete a madama di -S. Remy le vostre scuse e le mie, e poi verrete indietro». - -Sulle guancie del giovanetto ricomparvero i bei colori; consultato con -uno sguardo il signor di la Fère, riprese nelle robuste sue braccia la -fanciullina che posava su le di lui spalle la testa indolenzita eppur -sorridente, l’adagiò bene e meglio in carrozza, indi saltato a cavallo -con l’eleganza e l’agilità di un esperto cavallerizzo, e salutati Athos -e d’Artagnan, si allontanò velocemente, andando a lato allo sportello -del legno, nell’interno del quale rimasero fissi costantemente i di lui -occhi. - - - - -XVI. - -_Il castello di Bragelonne._ - - -D’Artagnan durante quella scena era restato con gli occhi stralunati -e la bocca aperta; aveva riscontrate le cose sì poco conformi alle sue -previdenze, che la meraviglia lo aveva istupidito. - -Athos lo prese per un braccio e lo condusse in giardino. - -«Mentre ci si allestisce la cena, disse sorridendo, non vi increscerà, -mi figuro, di dilucidare questo mistero che vi dà da pensare? - -«Così è, signor conte», rispose d’Artagnan, il quale a grado a grado -aveva sentito riassumersi da Athos l’immensa superiorità su di lui -avuta sempre. - -Athos lo guatò dolcemente. - -«Prima di tutto, caro d’Artagnan, ei replicò, qui non v’è signor conte. -Se vi ho chiamato cavaliere, è stato per presentarvi ai miei commensali -e onde sapessero chi siete; ma per voi sono, lo spero, sempre Athos, -vostro compagno ed amico. Preferite forse il tuono cerimonioso perchè -mi siete meno affezionato? - -«Oh, Dio me ne liberi! fece il Guascone con uno di quei lieti slanci di -gioventù che di rado ritrovansi nell’età matura. - -«Dunque torniamo alle nostre abitudini, e per cominciare siamo -schietti, principiò il conte. Qui tutto vi sorprende? - -«Al maggior segno. - -«Ma più di tutto, seguitò Athos sogghignando, io stesso: confessatelo. - -«Ve lo confesso. - -«Sono ancor giovane, non è vero, nonostante i miei quarantanove anni? -sono tuttavia in grado da riconoscermi. - -«All’incontro! gridò il tenente pronto a portare all’eccesso la -raccomandazione di Athos di trattare con franchezza, non lo siete per -niente! - -«Ah! intendo, fece Athos, ed arrossiva alquanto, tutto ha il suo fine, -la follìa come tutt’altro. - -«E poi, mi pare sia accaduto un cambiamento nel vostro stato di -fortuna; avete un’ottima abitazione; questa casa, mi figuro, è vostra. - -«Sì, è il piccolo podere che vi dissi aver ereditato quando lasciai il -militare. - -«Avete parco, cavalli, equipaggi....» - -Athos sorrise. - -«Mio caro, il parco è di una ventina di jugeri, dei quali prendono -porzione gli orti e i fabbricati; i cavalli sono due, s’intende che -non conto il cortaldo del mio servitore; gli equipaggi si riducono a -quattro cani da macchia, due levrieri e un cane da guardia.... Ed anche -tutta questa muta di lusso non è per me. - -«Sì, comprendo, è per il giovanetto, per Raolo, fece d’Artagnan -guardando sott’occhi Athos. - -«Avete indovinato, amico mio, disse questo. - -«E quegli è forse vostro commensale, vostro figlioccio, vostro -parente... Oh! come siete variato, Athos mio! - -«È un orfanello, abbandonato da sua madre presso un povero curato di -campagna; io l’ho mantenuto, allevato. - -«E dev’esservi attaccato assai? - -«Credo che mi ami come se fossi suo padre. - -«È specialmente molto grato? - -«Oh! la gratitudine poi è scambievole, disse Athos, io gli debbo quanto -egli deve a me, e se a lui non lo dico, lo dico però a voi, son io -quello che abbia più obbligazioni. - -«E come mai? fece il moschettiere attonito. - -«Eh sì! egli fu che in me cagionò la variazione che osservate: mi -risecchivo come un povero albero isolato che a nulla abbia rapporto -sulla terra; non v’era se non se un affetto profondo che potesse farmi -rimettere radice nella vita: un’amante? ero troppo vecchio; amici? non -vi avevo più meco. Ebbene! quel fanciullo mi fece ritrovare tutto ciò -che avevo perduto. Non mi sentivo più il coraggio di campare per me, -campai per lui. Per un fanciullo le lezioni son molto, l’esempio val di -più. Io gli ho dato l’esempio. Dei vizi che avevo, mi sono corretto; -le virtù che non possedevo, ho finto di possederle. Sicchè non credo -illudermi, d’Artagnan, ma Raolo è destinato ad essere un gentiluomo -compito quando sia ancora al nostro secolo impoverito concesso di -darne». - -D’Artagnan guardava Athos con sempre maggiore ammirazione. - -Passeggiavano insieme sotto un viale fresco e ombroso, ove entravano -obliquamente alcuni raggi di sole sul tramonto. Uno di questi raggi -dorati illuminava il volto di Athos, e sembrava che i suoi occhi -a vicenda rendessero quel fuoco tepido e quieto della sera che -ricevevano. - -Venne a presentarsi allo spirito di d’Artagnan l’idea di milady. - -«E siete felice?» domandò all’amico. - -Le pupille penetranti di Athos si volsero in fondo al cuore a -d’Artagnan, e parve vi leggessero il suo concetto. - -«Felice per quanto sia dato ad una creatura di Dio di esserlo in questo -mondo... ma terminate di esprimere il vostro pensiero, non me lo avete -detto tutto. - -«Siete terribile, Athos! nulla si può occultarvi. Or bene, sì, volevo -domandarvi se avete talvolta qualche improvviso impulso di terrore che -somigli.... - -«A rimorsi? continuò Athos, finisco io la vostra frase. Forse sì, forse -no. Non ho rimorsi, perchè quella donna, io credo, meritava la pena -che ha subita; non ho rimorsi, perchè se l’avessimo lasciata vivere -ella avrebbe indubitatamente proseguita l’opera sua di distruzione; ma -ciò non vuol dire ch’io sia convinto che avessimo diritto di far ciò -che facemmo. Forse qualunque sangue versato vuole un’espiazione. Ella -compiè la sua; chi sa che a noi non rimanga da compiere la nostra? - -«Io pure con voi lo pensai alcune volte, replicò il tenente. - -«Aveva un figlio, colei? - -«Sì. - -«Ne udiste parlare? - -«Giammai. - -«Deve avere ventitrè anni, borbottò Athos, io penso spesso a quel -giovane. - -«È singolare! io lo aveva dimenticato». - -Athos fece un sorrisetto malinconico. - -«E di lord de Winter ne aveste notizia? - -«So ch’era in gran favore presso il re Carlo I. - -«Avrà seguitata la di lui sorte, che in questo momento è cattiva. Ecco, -d’Artagnan, con questo si torna a quel ch’io vi diceva poc’anzi; egli -lasciò scorrere il sangue di Strafford; il sangue chiama sangue. E la -regina? - -«Qual regina? - -«Enrichetta d’Inghilterra, figlia di Enrico IV. - -«È al Louvre, come sapete. - -«Sì, e sprovvista di tutto, non è vero? Dicono che nei forti freddi -di quest’inverno la sua figliuola ammalata abbia dovuto restarsene a -letto per mancanza di legna. Capite un po’! (e Athos si stringeva nelle -spalle) la figlia di Enrico IV a tremare per non avere due fascine -da accendere! Perchè non venne a chiedere ospitalità al primo di noi, -invece di domandarla a Mazzarino? nulla le sarebbe mancato. - -«La conoscete voi, dunque, Athos? - -«No, ma mia madre la vide bambina. Vi ho detto mai che mia madre era -stata dama d’onore di Maria de’ Medici? - -«No, mai; voi non le dite codeste cose. - -«Oh! anzi sì, vedete pure.... ma bisogna che ne capiti l’occasione. - -«Porthos non l’aspetterebbe con tanta pazienza, fece d’Artagnan -sorridendo. - -«Ognuno ha il suo naturale, mio caro. Porthos, non ostante un poco di -vanità, ha qualità eccellenti. Lo avete rivisto? - -«L’ho lasciato cinque giorni sono», rispose d’Artagnan. - -E raccontò con tutta la vivacità dell’indole sua da Guascone le -magnificenze di Porthos nel suo castello di Pierrefonds, e mentre -lacerava l’amico mandò due o tre botte all’ottimo signor Mouston. - -«Ammiro, replicò Athos sogghignando a quel brio che gli ricordava i -loro giorni felici, ammiro che in addietro noi abbiamo formato a caso -una società d’uomini ancora tanto ben collegati uno con l’altro a -malgrado di venti anni di separazione. L’amicizia pone delle radici -molto profonde nei cuori onesti, d’Artagnan; credete a me, i malvagi -soli negano l’amicizia, perchè non la comprendono. Ed Aramis? - -«Ho visto anco lui, ma mi è sembrato freddo. - -«Ah! avete veduto Aramis? riprese Athos fissando sul tenente un -occhio indagatore; ma fate a dirittura un pellegrinaggio al tempio -dell’Amistà, come direbbero i poeti. - -«Eh! sì...., fece d’Artagnan imbarazzato. - -«Aramis, vi è già noto, continuò Athos, è naturalmente freddo; e poi, è -sempre confuso negl’intrighi di donne. - -«Credo che ne abbia nel momento uno complicatissimo» disse il tenente. - -L’altro non rispose. - -Non solo Athos non rispose, ma anche cambiò conversazione, ed -accennando all’amico ch’eran tornati vicini al palazzo dopo un’ora di -passeggio: - -«Ecco, disse, abbiamo già fatto il giro de’ miei dominj. - -«In essi tutto è bello, e specialmente dimostra il gentiluomo», replicò -d’Artagnan. - -Nel momento si udì camminare un cavallo. - -«È Raolo che ritorna, disse Athos, avremo notizie della povera -fanciulla». - -Realmente comparve al cancello il giovanetto, e rientrò nel cortile -tutto coperto di polvere; indi smontando dal cavallo, e consegnando -questo ad una specie di palafreniere, venne a salutare il conte ed il -tenente con rispettosa civiltà. - -«Questo signore, fece Athos volto a Raolo, e posando la mano sulla -spalla a d’Artagnan, è il cavaliere d’Artagnan di cui mi avete inteso -spesso a discorrere». - -E Raolo direttosi al tenente, e riveritolo più profondamente, soggiunse: - -«Il signor conte ha pronunziato davanti a me il vostro nome come un -esempio ogni volta che gli è occorso di citare un gentiluomo generoso -ed intrepido». - -Il piccolo complimento scese dolcissimo al cuore di d’Artagnan. Questi -porse la mano a Raolo rispondendogli: - -«Giovane amico mio, tutti gli elogi che di me si fanno devono ritornare -al signor conte, giacchè egli formò la mia educazione in tutte le cose, -e non è sua colpa se l’allievo abbia profittato poco o punto; ma egli -si rifarà sopra di voi, ne sono certo. Mi piace il vostro aspetto, -Raolo, ed ho gradita la vostra cortesia». - -Athos fu più contento che non sapremmo esprimere; mirò in viso -d’Artagnan con riconoscenza: poi volse sopra Raolo uno di quegli -stranissimi sorrisi di che i ragazzi vanno tanto gloriosi. - -«Adesso, ripigliò il tenente a cui non era sfuggito quel giuoco alla -mutola, adesso ne sono più che sicuro. - -«Ebbene? domandò Athos, spero che lo inconveniente accaduto non abbia -avuto conseguenze? - -«Non si sa ancora niente: il medico nulla ha potuto dire a motivo -dell’enfiagione; teme però che abbia sofferto qualche nervo. - -«E non vi siete trattenuto sino a più tardi, presso madama di S. Remy? - -«Avrei dubitato di non esser qui all’ora vostra di pranzo e di farvi -aspettare», rispose Raolo. - -In quel punto un ragazzetto mezzo contadino e mezzo lacchè venne ad -avvisare che la cena era in tavola. - -Athos condusse il suo commensale nel salotto da mangiare, -semplicissimo, ma avente le finestre che da un lato davano sul giardino -e dall’altro sopra una stufa ove crescevano fiori magnifici. - -D’Artagnan diede un’occhiata al servito; il vasellame era superbo; -ben si scorgeva esser tutta vecchia argenteria di famiglia. Sopra una -credenza stava un bellissimo mesciroba dello stesso metallo. Ei si -fermò a contemplarlo. - -«Oh! questo è fatto egregiamente! disse poi. - -«Sì, fece Athos, è un capolavoro di un sommo artista fiorentino -chiamato Benvenuto Cellini. - -«E la battaglia che rappresenta? - -«È quella di Marignano; è il momento in cui uno de’ miei antenati dà -la sua spada a Francesco I che aveva rotta la sua. Si fu in quella -circostanza che Enguerrando di La Fère, mio avo, venne fatto cavaliere -di S. Michele. Inoltre, dopo quindici anni, il re, che non si era -dimenticato di aver combattuto ancor tre ore col brando dell’amico -Enguerrando senza che questo si rompesse, gli donò quel mesciroba ed -una spada che forse avrete vista in addietro da me e ch’è ugualmente un -bellissimo capo di oreficeria. Quello era il tempo dei giganti, seguitò -Athos, noi siamo tanti nani a petto a quegli uomini.... Sediamo, -d’Artagnan, e ceniamo. Oh! (avvertì quindi al piccolo lacchè che aveva -messa in tavola la zuppa) chiamate Carletto». - -Il ragazzo uscì, e indi a un momento venne il domestico a cui i due -viaggiatori si erano diretti al loro arrivo. - -«Caro Carletto, gli disse Athos, vi raccomando particolarmente, per -tutto il tempo che resterò qui, Planchet, servo del signor d’Artagnan. -Gli piace il vino buono, voi avete la chiave della cantina; egli ha -dormito per un pezzo malamente, e non gli deve increscere di aver un -buon letto: procurateglielo, ve ne fo premura». - -Carletto fece un inchino e se ne andò. - -«Anch’esso è un brav’uomo, disse il conte, mi serve oramai da diciotto -anni. - -«Voi pensate a tutto, replicò d’Artagnan, e vi ringrazio per Planchet, -mio caro Athos». - -A questo nome Raolo spalancò gli occhi, come per assicurarsi che il -tenente parlasse propriamente al conte. - -«Raolo, gli disse Athos sorridendo, questo nome vi sembra bizzarro? -Era il mio da guerra, quando il signor d’Artagnan, due valorosi amici, -ed io, facevamo prodezze a la Rochelle sotto il defunto ministro, e -sotto Bassompierre ch’è morto esso pure. Il signor d’Artagnan si degna -conservarmi codesto nome di amicizia, e ad ogni volta che l’odo il mio -cuore ne esulta. - -«Quel nome era celebre, seguitò il tenente de’ moschettieri, e ottenne -un giorno gli onori del trionfo. - -«Che intendete dir mai? domandò Raolo con curiosità. - -«Davvero non lo so» fece Athos. - -«Che? vi siete scordato del bastione S. Gervasio, e del tovagliolo -di cui tre palle fecero una bandiera? Io ho la memoria migliore della -vostra, me ne sovvengo, ed ora, giovanotto, vi racconterò la faccenda». - -E d’Artagnan narrò a Raolo tutta la storia del bastione, siccome Athos -aveva narrata a lui quella del suo avolo. - -A tal relazione parve al giovanetto di udire il racconto di uno dei -fatti descritti dal Tasso, o dall’Ariosto, spettanti ai prestigiosi -tempi della cavalleria. - -«Ma ciò che non vi dice d’Artagnan, soggiunse Athos, si è ch’egli era -uno de’ migliori combattenti dell’epoca; garretto di ferro, pugno -d’acciajo, colpo d’occhio sicuro, sguardo di fuoco, ecco quanto -offeriva all’avversario; aveva diciotto anni, tre anni più di voi, -Raolo, la prima volta ch’io lo vidi all’opra e contro ad uomini -sperimentati. - -«Ed il signor d’Artagnan fu vincitore? domandò Raolo, a cui brillavano -le pupille durante quella conversazione e sembrava implorassero -ulteriori dettagli. - -«Ne uccisi uno, se non isbaglio, disse il tenente interrogando Athos -collo sguardo, l’altro lo disarmai, o lo ferii, non mi ricordo.... - -«Sì, lo feriste.... Ah, eravate un fiero atleta! - -«Ed ancora non ho perduto di troppo; contento, riprese d’Artagnan con -la risatina da Guascone, ed ultimamente pure....» - -Athos lo fissò in viso in maniera che gli chiuse la bocca, e disse a -Raolo: - -«Vuo’ che sappiate voi, mio caro, che vi credete spada fina, e -nella vostra vanità potreste un giorno soffrirne qualche spiacevole -disinganno, vuo’ che sappiate quanto è pericoloso l’uomo che congiunge -il sangue freddo all’agilità, giacchè non potrei mai ritrovarne un più -chiaro esempio: pregate domani il signor d’Artagnan, qualora non sia -troppo stanco, di darvi una lezione. - -«Diamine! ripicchiò d’Artagnan, voi, Athos, siete pure buon maestro, -soprattutto per le qualità che di me vantate. Anche oggi Planchet -mi parlava del famoso duello del recinto dei Carmelitani con lord -de Winter ed i suoi compagni.... Giovanetto! ei proseguiva, qui -dev’esservi in qualche luogo una spada, che spesse fiate io chiamai la -prima del reame. - -«Oh, avrò guastata la mia mano con quel fanciullo! fece Athos. - -«Mio caro, vi sono mani tali che non si guastano, ma che sciupano le -altre» disse il tenente. - -Raolo avrebbe voluto si prolungasse tutta la notte il colloquio; ma -il conte gli fece osservare come l’ospite loro doveva essere stanco e -aver d’uopo di riposo. D’Artagnan si difese con molta cortesia. Athos -insistè perchè ei pigliasse possesso della sua camera. Raolo condusse -a quella il forestiero, ed Athos figurandosi che si tratterrebbe più -tardi che potesse onde fargli riepilogare tutte le prodezze dei tempi -giovanili, venne a prenderlo dopo un momento, e chiuse quella buona -serata con una stretta di mano cordialissima, augurando la felice notte -al moschettiere. - - - - -XVII. - -_Diplomazia di Athos._ - - -D’Artagnan erasi coricato, non tanto per dormire, quanto per esser solo -e ripensare a tutto ciò che aveva udito e veduto in quella sera. - -Essendo egli di ottimo naturale, e avendo avuto per Athos sino da -principio una spontanea propensione, la quale aveva terminato col -diventare sincera amicizia, gli fu grato il trovare un uomo che -brillasse d’intendimento e di vigore anzichè l’abbietto ubriaco -cui si attendeva di rivedere sdrajato sul letame a digerire il vino -tracannato; si rassegnò pure senza difficoltà alla costante superiorità -di Athos sopra di lui, ed invece di risentire il disappunto e l’astio -che avrebbero attristato un animo men del suo generoso, non provò in -sostanza che uno schietto e onesto giubilo il quale gli fe’ concepire -per le sue attrattive le più favorevoli speranze. - -Bensì parevagli di non ritrovare Athos chiaro e franco sovra tutti i -punti. Che giovanetto era quello, ch’egli diceva di aver adottato, -e che tanto gli somigliava? d’onde il ritorno alla vita di società -e l’esagerata sobrietà da lui notata nel medesimo a mensa? Ed una -cosa, in apparenza inconcludente, cioè l’assenza di Grimaud, da cui -in addietro Athos non poteva separarsi, e del quale neppur si era -proferito il nome non ostante che si fosse cercato di entrare su -quel proposito, inquietava d’Artagnan. Dunque egli non possedeva -più la fiducia dell’amico, ovvero Athos era legato da qualche catena -invisibile, o anche anticipatamente prevenuto contro la visita ch’ei -gli faceva? - -Non potè a meno di riflettere a Rochefort ed a ciò ch’esso gli aveva -detto nella chiesa di Nostra Signora. Che Rochefort lo avesse preceduto -recandosi presso del conte? - -D’Artagnan non aveva avuto tempo da perdere in lunghe congetture. -E quindi risolse venirne l’indomani ad una spiegazione. Le scarse -fortune di Athos abilmente occultate indicavano desiderio di figurare, -e manifestavano un resto di ambizione facile a risvegliarsi. La -robustezza di mente e la lucidezza d’idee rendevano Athos più sollecito -di un altro ad agitarsi. Egli entrerebbe nei progetti del ministro con -tanto maggior calore, in quanto che l’attività sua naturale raddoppiata -sarebbe da una dose di necessità. - -Queste idee mantenevano desto d’Artagnan ad onta della sofferta fatica; -ei preparava il suo piano di attacco, e benchè sapesse essere Athos -un avversario terribile, fissò di agire subito al dì vegnente dopo la -colazione. - -Però, da un altro lato fra sè diceva, che sopra un terreno così nuovo -facea mestieri inoltrarsi con prudenza, studiare più giorni le aderenze -di Athos, abbadare alle sue novelle abitudini e farsene un giusto -concetto; procurar di trarre dall’ingenuo giovane, o battendosi seco di -scherma o rincorrendo qualche animale a caccia, le notizie intermedie -che gli mancavano per riunire l’Athos di prima all’Athos attuale: e ciò -doveva riuscire agevole, imperocchè il precettore avrebbe sicuramente -comunicato qualcosa del suo al cuore ed allo spirito dell’alunno. Ma -d’Artagnan stesso, ch’era accorto abbastanza, comprese tosto quali armi -fornirebbe contro di sè in caso che un’imprudenza o una inavvertenza -qualunque discoprisse i suoi raggiri all’occhio esperto di Athos. - -E poi, sarà egli d’uopo di dirlo? d’Artagnan pronto a far uso di -astuzie contro la scaltrezza di Aramis o la vanità di Porthos, si -vergognava ad andare per vie indirette con Athos, uomo schietto, animo -leale. Gli sembrava che riconoscendolo per lor maestro in diplomazia, -Aramis e Porthos lo stimerebbero vieppiù, laddove Athos all’opposto lo -avrebbe in minor stima. - -«Ah! perchè non è qui, egli diceva, Grimaud, il taciturno Grimaud? -Molte sono le cose che dal suo silenzio io avrei capite. Era tanto -eloquente il silenzio di Grimaud!» - -Frattanto era cessato in casa ogni rumore; egli aveva udito chiudere -usci ed imposte: indi i cani, dopo essersi scambievolmente risposto per -la campagna, si erano pure chetati; finalmente un usignolo solo in un -gruppo d’alberi aveva gorgheggiato alquanto le sue note armoniose e si -era addormentato. Nel castello non succedeva se non se un movimento di -passi uguali e monotoni di sotto alla sua camera. Ed ei suppose fosse -quella la stanza di Athos. - -«Passeggia e riflette! fece d’Artagnan, e per che fare? Ecco quel ch’è -impossibile di sapere. Il resto si poteva indovinare, questo no». - -In ultimo Athos certamente si mise in letto, poichè si estinse anco -quel rumore. - -Stanchezza e silenzio insieme uniti vinsero d’Artagnan, ei chiuse gli -occhi e lo prese il sonno. - -Non era solito a dormir molto. Appena l’alba ebbe indorate le sue -cortine si levò ed aprì la finestra. Allora gli parve di distinguere -dalla persiana qualcuno che ronzasse pel cortile scansando di farsi -sentire. Seguendo la sua usanza di non lasciar passare cosa a lui -vicina senza assicurarsi di ciò che si fosse, guardò attento e senza -far chiasso, e riconobbe il giustacuore color di granato ed i capelli -scuri di Raolo. - -Il garzoncello (chè era desso) schiuse la porta della stalla, ne tolse -il cavallo bajo di che si era servito il giorno avanti, gli mise da -sè la sella e la briglia con la prontezza e la destrezza del più abile -cavallerizzo, poi trasse fuori l’animale pel viale diritto dell’orto, -aperse un uscio laterale che dava sopra una strada, lo riserrò; ed -allora d’Artagnan di cima al muro lo vide scappare come un dardo -chinandosi sotto i rami pendenti e fioriti degli aceri e degli acacia. - -Nella sera precedente d’Artagnan aveva osservato che quel sentiero -doveva condurre a Blois. - -«Eh, eh! disse il Guascone, ecco un bricconcello che già ne fa di -belle, e che non mi sembra odiare il bel sesso come Athos. Non va a -caccia, poichè non ha nè armi nè cani; non va per un’incombenza, poichè -parte di soppiatto.... Di soppiatto da chi? da me, o da suo padre? chè, -ne sono certissimo, il conte è suo padre.... Cospetto! questo poi lo -saprò, ne parlerò alla libera ad Athos». - -Si faceva sempre più giorno; si risvegliavano i clamori cessati la -sera innanzi; l’uccello fra i rami, il cane nella stalla, i montoni -nei campi; anche le barche legate sulla Loira distaccandosi dalla riva -si lasciavano trascinare dal moto delle acque. D’Artagnan rimase alla -finestra per non destare alcuno; indi, quando ebbe inteso spalancarsi -usciali e imposte del palazzo, si accomodò i capelli, si allisciò i -baffi, per abitudine si spazzolò le tese del cappello con la manica del -giubbetto e andò abbasso. - -Ed aveva appena saltato l’ultimo gradino del verone, che vide Athos -chinato verso terra come un uomo che cerchi uno scudo tra la rena. - -«Oh! buon giorno, mio caro albergatore», disse d’Artagnan. - -«Buon giorno, amico: la nottata è andata bene? - -«A meraviglia; tutto è andato benone, come il vostro letto, come la -vostra cena che doveva condurmi al sonno, come la vostra accoglienza. -Ma che guardavate costì con tanta attenzione? siete forse diventato -amatore di tulipani? - -«Ah! non per questo dovreste burlarmi: in campagna variano di molto i -gusti, e si arriva ad amare senza accorgersene tutte quelle belle cose -che lo sguardo di Dio fa scaturire dal più profondo della terra e per -cui nelle città si ha disprezzo sì grande. Io osservava semplicemente -alcuni iridi che avevo messi vicino a quella conserva d’acqua, e che -stamane sono stati schiacciati. Quei giardinieri sono pure sbadati! -nel menare indietro il cavallo che ha tirata la noria, lo avranno fatto -camminare sulle cassette». - -D’Artagnan sorrise dicendo: - -«Uhm?... credete così?» - -E condusse Athos giù pel viale, dov’erano impressi molti passi simili a -quelli che avevano schiacciati l’iridi. - -«Eccone degli altri, mi pare, disse con indifferenza. - -«Eh si! fece Athos, e passi recenti! - -«Recentissimi! - -«Chi sarà uscito stamane? domandò Athos come fra sè ed inquieto; fosse -fuggito un cavallo dalla stalla? - -«Non è probabile, ribattè d’Artagnan, perchè le orme sono eguali e ben -solcate. - -«Dov’è Raolo? esclamò Athos, e come va ch’io non lo abbia veduto? - -«Zitto! rispose il tenente mettendosi un dito sulla bocca. - -«Che c’è?» chiese l’altro. - -D’Artagnan raccontò ciò che aveva visto, ma esaminando bene la cera di -Athos. - -Questi replicò facendo un piccolo moto delle spalle. - -«Ah, ah! ora capisco; il povero ragazzo sarà andato a Blois. - -«A che fare? - -«Mio Dio! per aver notizie della piccola La Vallière.... sapete pure, -della fanciulletta che jeri si stravolse un piede. - -«Ne siete persuaso? seguitò d’Artagnan incredulo. - -«Non solo persuaso, ma sicurissimo, disse Athos; non avete osservato -che Raolo è innamorato? - -«Eh via! di chi mai? di quella bambina di sette anni? - -«Caro mio, alla sua età il cuore è così pieno ch’è necessario -riversarlo sopra qualche cosa, o sogno o realtà.... E l’amore di lui è -metà dell’uno e metà dell’altra. - -«Via scherzate! come! quella bimba?.... - -«Non l’avete forse guardata? è la più bella creaturina che sia al -mondo: capelli biondi e lucidi, occhi azzurri, digià maliziosetti e -languidi ad un tempo.... - -«Ma che ne dite di codesta fiamma? - -«Io non dico niente; me la rido, e mi fo beffe di Raolo. Peraltro, -quei primi bisogni del cuore sono sì imperiosi, questi sfoghi della -malinconia amorosa ne’ giovanetti sono tanto dolci ed insieme amari, -che spesso, mostrano tutti i caratteri della passione. Io mi ricordo -che alla di lui età mi ero invaghito di una statua greca data dal buon -Enrico IV a mio padre, ed ebbi ad impazzire quando mi fu detto che -l’istoria di Pigmalione era soltanto una favola. - -«È tutto effetto d’ozio; voi non date a Raolo occupazione bastante, ed -esso cerca dal canto suo di occuparsi. - -«Non v’è altro; e perciò penso ad allontanarlo di qua. - -«E farete bene. - -«Senza dubbio; ma sarà uno straziargli il cuore, ed egli ne soffrirà -quanto per un vero amore. Da tre o quattro anni indietro, ed allora -esso pure era bambino, si è preso diletto ad abbellire ed ammirare -quell’idoletto, che un giorno poi finirebbe con adorare se rimanesse -qui. I due fanciulli stanno insieme giornate intere a riflettere e -discorrere su molte cose serie come veri amanti di venti anni. Insomma -per un pezzo i parenti della piccola La Vallière ne ridevano, ma adesso -credo che comincino a far cipiglio. - -«Ragazzate! bensì Raolo ha d’uopo di distrarsi: levatelo di qui presto, -o per Bacco! non ne farete mai un uomo. - -«Ho idea, disse Athos, di mandarlo a Parigi. - -«Ah!» fece il tenente de’ moschettieri. - -E stimò giunto il momento delle ostilità. - -«Se volete, rispose, possiamo fargli uno stato a quel giovinetto. - -«Ah! ripetè a vicenda Athos. - -«Anzi, vorrei consultarvi sopra una cosa passatami per il capo. - -«Dite pure. - -«Credete che sia tempo da porsi nel servizio militare? - -«E non ci siete sempre, voi, d’Artagnan? - -«M’intendo da me.... servizio attivo.... L’antica nostra vita non ha -più nulla che vi dia tentazione, e se vi fossero riserbati dei vantaggi -reali, non gradireste di ricominciare in compagnia mia e del nostro -amico Porthos le imprese di nostra gioventù? - -«Dunque mi fate una proposizione? domandò Athos. - -«Chiara e schietta. - -«Per tornare in campagna? - -«Si. - -«Dalla parte di chi, e contro a chi? chiese subito Athos fissando -l’occhio lucido e benevolo sopra al Guascone. - -«Cospetto! come siete pressante! - -«E specialmente preciso. Sentitemi, d’Artagpan: non v’è più altro che -una persona, o piuttosto una causa, a cui un uomo par mio possa esser -utile: quella del re. - -«Per l’appunto. - -«Sì; ma intendiamoci: se per la causa del re ponete quella del signor -Mazzarino, non ci capiremo più. - -«Non dico a dirittura...» rispose imbarazzato il Guascone. - -«Animo d’Artagnan, non facciamo gara di astuzia. La vostra titubanza, i -vostri ripieghi, mi manifestano da parte di chi venite. Quella causa, -infatti, non si osa dichiararla apertamente, e chi va reclutando per -lei lo fa a testa bassa e con voce balbuziente. - -«Ah, caro Athos!.... - -«D’Artagnan, sapete bene che non parlo per voi, che siete la perla -degli uomini valorosi e audaci; vi discorro di quell’Italiano -imbroglione e meschino, di quel mascalzone che procura di porsi in capo -una corona che ha rubata sotto un capezzale; di quel villano che chiama -il suo partito, partito del re, e si diverte a far porre in carcere i -principi del sangue perchè non ardisce ucciderli come faceva il nostro -gran ministro; uno spilorcio che pesa i suoi scudi d’oro e serba i -più tosati per paura di perderli al giuoco dove ruba di soppiatto; un -birbante, insomma, che per quanto si accerta strapazza la regina.... -peggio per lei, già s’intende! e che fra tre mesi ci susciterà una -guerra civile per conservarsi le sue pensioni.... È quello il padrone -che mi proponete? grazie mille! - -«Dio mi perdoni! disse d’Artagnan, siete più focoso di prima, e gli -anni vi hanno riscaldato il sangue invece di raffreddarlo. E chi vi -dice ch’egli sia il mio padrone, e che io voglia darlo a voi?» - -Il Guascone aveva borbottato fra sè: «Diamine! non si confidino i -nostri segreti ad un uomo sì mal disposto!» - -«E allora, amico mio, soggiunse Athos, che proposte sono codeste? - -«Eh! è naturale: voi campate ne’ vostri feudi, e sembra che siate -felice nella vostra aurea mediocrità; Porthos ha cinquanta o sessanta -mila lire di rendita; Aramis ha sempre quindici duchesse che fanno a -gara a possederlo come quando era moschettiere: è tuttavia il cucco -della sorte: ma io che fo in questo mondo? porto la corazza e la pelle -di bufalo da venti anni, inchiodato a questo grado insufficiente, senza -avanzare, senza retrocedere, senza vivere. In conclusione, sono morto! -E quando per me si tratta di risuscitarmi un tantino, venite tutti -a esclamarmi: È un villano, è un briccone, è un pessimo padrone! Oh -cappio! sono anch’io del vostro parere, ma trovatemene uno migliore, o -assegnatemi una buona pensione». - -Athos riflettè per tre minuti secondi, ed in questo piccolo intervallo -comprese l’astuzia di d’Artagnan, il quale per essersi avanzato di -troppo sulle prime parava onde nascondere il suo giuoco. Vide chiaro -che i progetti fattigli erano reali e si sarebbero appalesati in tutto -il loro sviluppo qualora egli ci avesse prestato orecchio. - -«Bene, bene! disse tra sè, d’Artagnan è Mazzarino». - -E da tal momento si tenne estremamente guardingo. - -D’Artagnan dal lato suo fece giuoco anco più stretto. - -«Ma in sostanza, avete un’idea? continuò Athos. - -«Di certo: bramavo prender consiglio da voi tutti, e pensare ai mezzi -di far qualche cosa, giacchè uno senza l’altro saremo sempre scompleti. - -«È giusto. Mi parlavate di Porthos: lo avete dunque indotto a cercar -fortuna? ma le fortune, le ha digià. - -«Sì, le ha; ma l’uomo è fatto così, che desidera sempre. - -«Ed egli che desidera? - -«D’esser barone. - -«Ah! è vero, me lo scordavo, disse Athos ridendo. - -«È vero! bucinò fra sè il tenente. E di dove lo sa egli? che sia in -corrispondenza con Aramis? Oh! se sapessi questo, saprei tutto». - -Terminò là il colloquio, perchè appunto capitò Raolo. Athos voleva -dolcemente rimproverarlo; pure nel mirarlo afflitto non n’ebbe -coraggio, ed anzi sospese il discorso per domandargli che cosa avesse. - -«Forse la vostra vicina sta di peggio?» chiese d’Artagnan. - -«Ah, signore! replicò Raolo quasi soffocato dall’affanno, la caduta è -grave, e benchè senza apparente difformità, il medico teme che zoppichi -sinchè vive. - -«Oh, sarebbe terribile! fece Athos». - -D’Artagnan aveva una facezia in cima alla lingua, ma visto l’interesse -che prendeva Athos a quel caso, ei si frenò. - -«Quel che più mi fa disperare, continuò Raolo sospirando, è che di -questa disgrazia son io la cagione. - -«Voi! come? l’interrogò Athos. - -«Eh sì! non fu per correre incontro a me che saltò giù da quel fascio -di legna? - -«Mio caro, soggiunse d’Artagnan, vi rimane un solo compenso, cioè di -sposarla per espiazione. - -«Signore! replicò il giovanetto, voi scherzate sopra un dolore verace, -reale.... è mal fatto!» - -E perchè aveva bisogno di star solo per piangere in libertà, se ne andò -in camera sua, e non ne uscì che all’ora di colazione. - -La buona intelligenza de’ due amici non era stata minimamente alterata -dalla scaramuccia della mattina; sicchè fecero colazione con ottimo -appetito, guardando tratto tratto il povero ragazzo, che con gli occhi -bagnati e il cuore gonfio poteva appena mangiare. - -Alla fin del pasto arrivarono due lettere. Athos le lesse con somma -attenzione, e non seppe astenersi da scuotersi più volte. - -D’Artagnan, che aveva la vista acuta e l’osservava da una estremità -all’altra della tavola, giurò che riconosceva incontrastabilmente il -carattere minuto di Aramis; l’altro foglio era d’uno scritto da donna -lungo e imbrogliato. Ed accorgendosi che Athos bramava di rimaner -solo o per rispondere alle missive o per riflettervi sopra, ei disse a -Raolo: - -«Andiamo a far un giro alla sala d’armi: vi distrarrete un poco». - -Il ragazzo diede un’occhiata ad Athos, il quale fe’ un cenno di assenso. - -Passarono entrambi in un salotto a terreno, dov’erano appesi fioretti, -maschere, guanti, piastroni e tutti gli accessorj della scherma. - -«Ebbene? chiese Athos arrivato colà dopo un quarto d’ora. - -«Ha digià la vostra mano, Athos mio, rispose il tenente, e se ha il -vostro sangue freddo, non avrò che da congratularmene con lui». - -Il giovane si peritava alquanto. Per una o due volte che aveva toccato -d’Artagnan o sul braccio o sulla coscia, questo gli aveva dato di -bottone venti fiate a mezzo al corpo. - -Venne Carletto a recare un biglietto di gran premura per d’Artagnan -portato da un messaggiero. - -Toccò ad Athos a guardare con la coda dell’occhio. - -Il tenente lesse senza mostrare veruna commozione, e indi tentennando -un poco il capo, disse: - -«Vedete, amico mio, che cos’è il servizio militare; e affè, avete -ragione di non volerlo riprendere: il signor di Tréville è ammalato, -ed ecco che la compagnia non può far a meno di me: talchè si trova -troncata la mia licenza. - -«Tornate a Parigi? domandò Athos con impeto. - -«Eh sì.... ma non vi venite anche voi?» - -Athos arrossì un poco, e rispose: - -«Se vi andassi, avrei il massimo piacere nel rivedervici. - -«Olà, Planchet! gridò sull’uscio il tenente, si parte fra dieci minuti; -date la biada ai cavalli». - -Poi, voltosi ad Athos: - -«Mi pare che qui mi manchi qualcosa, e mi duole davvero di lasciarvi -senza aver rivisto il buon Grimaud. - -«Grimaud?.... ah! sì.... mi stupivo che non me ne ricercaste notizie. -L’ho imprestato ad un mio amico. - -«Che capirà i suoi cenni? fece d’Artagnan. - -«Spero di sì». - -D’Artagnan ed Athos si abbracciarono cordialmente. Quegli strinse -la mano a Raolo, si fe’ promettere da Athos di fargli visita qualora -andasse a Parigi, o di scrivergli in caso contrario, e saltò a cavallo. -Planchet era già in sella. - -«Non venite con me? disse ridendo a Raolo, io passo da Blois». - -Il giovane si girò verso Athos, il quale lo trattenne con un gesto -impercettibile, e perciò rispose: - -«No, signore, resto col signor conte. - -«Dunque addio a tutti e due, miei buoni amici, seguitò il tenente -premendo loro di nuovo la destra, e Iddio vi conservi! come dicevamo -ogni volta che ci lasciavamo a tempo del defunto ministro». - -Athos gli fece un cenno colla mano, Raolo un inchino, e d’Artagnan e -Planchet partirono. - -Il conte li seguitò cogli occhi, posando la destra sulla spalla del -ragazzo ch’era digià alto quasi al pari di lui; ma tosto che coloro -furono spariti dietro al muro, ei disse: - -«Raolo, questa sera partiremo per Parigi. - -«Come! esclamò questi, e impallidiva. - -«Potete andare a dir addio per voi e per me a madama di S. Remy; vi -aspetterò qui alle sette ore». - -Raolo s’inchinò con espressione di rincrescimento misto a gratitudine, -e si ritirò per andare a por la sella al suo cavallo. - -D’Artagnan poi, appena trovatosi fuori di luogo da esser visto, si era -tratto di saccoccia il biglietto e lo aveva riletto - - «Tornate sul momento a Parigi». - - «G. M.» - -«È secca, questa lettera, brontolò, e se non ci fosse per fortuna un -poscritto non l’avrei capita». - -E diede una scorsa al poscritto, che gli faceva passar sopra al -laconismo della missiva: - - P. S. «Passate dal tesoriere del re a Blois, dategli il vostro - nome, e mostrategli la presente, e riscuoterete duecento doppie». - -«Ecco! fece il tenente, mi piace questa prosa, e il ministro scrive -meglio che non mi credevo. Planchet, si vada a far visita al signor -tesoriere, e poi di galoppo. - -«Per Parigi? - -«Per Parigi.» - -E mossero intanto tutti due di trotto steso. - - - - -XVIII. - -_Il signor di Beaufort._ - - -Ed ora, ecco ciò ch’era successo, e quali cause rendevano necessario il -ritorno di d’Artagnan alla capitale. - -Mazzarino recandosi una sera, secondo la sua abitudine, dalla regina, -dopo che tutti si erano ritirati, nel passare accanto al salone delle -guardie di cui un usciale dava sulle sue anticamere, udì parlar forte -in quella stanza, e volle sapere di che discorrevano i soldati; si -avvicinò chiotto chiotto al suo solito, spinse la porta, e cacciò il -capo nella mezza apertura. - -Tra le guardie era grande discussione. - -«E io vi garantisco, diceva una di esse, che se Coysel ha prognosticata -questa cosa, l’è certa come se fosse accaduta. Io non lo conosco, ma ho -inteso dire ch’è non solo astrologo, ma anche mago. - -«Capperi! mio caro, s’è tuo amico, badaci! gli fai un brutto servizio! - -«Perchè? - -«Perchè potrebbe esser messo sotto processo. - -«Eh via! oggidì non si abbruciano più gli stregoni. - -«No? eppure, mi pare non sia gran tempo dacchè il defunto ministro fece -abbruciare Urbano Grandier. Lo so ben io! ero di guardia al rogo, e lo -vidi arrostire. - -«Caro mio, Urbano Grandier non era uno stregone, ma un sapiente, lo che -è tutt’altro. Grandier non prediceva l’avvenire, sapeva il passato, il -che alle volte è anco di peggio». - -Mazzarino scosse la testa per assenso; però bramando conoscere il -prognostico su cui si discuteva restò allo stesso posto. - -«Io non ti dico, soggiunse il militare, che Coysel non sia stregone, -ma che se pubblica la sua predizione, è la maniera da far che non si -compia. - -«Perchè? - -«Senza dubbio. Se ci battiamo fra noi, ti avverto: «Ora ti darò una -botta diritta, o una in seconda» naturalmente la parerai. E se Coysel -dice ad alta voce tanto che il ministro lo senta: «Prima del tal giorno -scapperà il tal prigioniero» è chiaro che il ministro piglierà tante -precauzioni che il prigioniero non iscappi. - -«Ohimè! seguitò un altro che sembrava dormisse disteso sopra una -panca e non ostante quel sonno figurato non perdeva una parola della -conversazione, ohimè! v’immaginate che gli uomini possano sottrarsi al -loro destino? Se lassù sta scritto che il duca di Beaufort si abbia a -salvare, il signor di Beaufort si salverà, e tutte le precauzioni del -ministro uon gli faranno un’acca». - -Mazzarino palpitò. Era italiano, cioè superstizioso. Si avanzò -sollecito framezzo alle guardie, che nel mirarlo troncarono la -conferenza. - -«Che dicevate, signori miei? domandò con l’aria sua carezzevole, che il -signor di Beaufort è fuggito, se non isbaglio? - -«Oh! no, monsignore, fece il soldato incredulo, per adesso non ci pensa -mica; soltanto si diceva che dovesse fuggire. - -«E chi lo ha detto? - -«Animo, Saint Laurent, ripetete la vostra storia, disse il militare al -narratore. - -«Monsignore, replicò questi, raccontavo pura e semplicemente a questi -signori quel che ho inteso del prognostico di un certo Coysel, il quale -pretende che per quanto sia ben custodito Beaufort, si salverà innanzi -alla Pentecoste. - -«E quel Coysel è un sognatore, un pazzo? riprese Mazzarino sempre -ridendo. - -«No no, ribattè il soldato tenacissimo nella sua credulità, ha -presagito molte cose che sono successe: come per esempio, che la regina -darebbe alla luce un figliuol maschio, che il signor di Coligny sarebbe -ucciso nel suo duello col duca di Guise, e finalmente che il Coadiutore -sarebbe nominato cardinale. Or bene, la regina ha partorito non solo -un primo figlio, ma dopo due anni un altro, ed il signor di Coligny è -stato ammazzato. - -«Sì, disse Mazzarino, ma il Coadiutore non è per anche cardinale. - -«No, monsignore, però lo sarà». - -Mazzarino fece una boccaccia che significava: «Non ha ancora il -cappello». - -Indi aggiunse: - -«Sicchè, mio caro, la vostra opinione è che Beaufort debba scappare? - -«È tanto la mia opinione, che se Vostra Eccellenza mi offerisse adesso -il posto del signor di Chavigny, vale a dire quello di governatore del -castello di Vincennes, io non lo accetterei. Oh! all’indomani dalla -Pentecoste sarebbe un’altra faccenda». - -Nulla v’è che convinca meglio di un’intima convinzione: questa -influisce persino sugl’increduli, e Mazzarino, lungi da esser tale, era -superstizioso. Quindi si ritirò pensieroso. - -«Spilorcio! fece la guardia che teneva il gomito posato al muro, finge -di non aver fede nel vostro mago, Saint-Laurent, per non avere da darvi -un soldo, ma appena sia nel suo appartamento si approfitterà del vostro -presagio». - -Infatti, Mazzarino, invece di continuare a camminare verso la camera -della regina, entrò nel proprio gabinetto, e chiamato Bernouin, ordinò -che all’indomani all’alba si andasse a cercare il birro che aveva messo -appresso al signor di Beaufort, e si venisse a destar lui appena quegli -capitasse. - -Il soldato senza immaginarselo aveva toccato col dito la piaga più -aperta del ministro. Da cinque anni che Beaufort era in carcere -non passava giorno in cui Mazzarino non pensasse che in un momento -o nell’altro ei ne uscirebbe. Non si poteva tenere tutta la vita -prigioniero un nepote di Enrico IV, in ispecie quando questo nepote di -Enrico aveva appena trent’anni. Ma in qualunque maniera se ne traesse -fuori, quant’odio doveva nella sua carcerazione aver raccolto nel -petto contro quello a cui egli era debitore della medesima! che lo -aveva preso, ricco, valoroso, glorioso, caro alle donne, temuto dagli -uomini, per togliere alla sua vita gli anni più belli, imperocchè non -è esistere il vivere in prigione! Intanto Mazzarino accresceva la sua -sorveglianza contro a de Beaufort. Soltanto egli era simile all’avaro -della favola, il quale non potea dormire accanto al suo tesoro. Spesse -fiate di notte si destava trasalendo e sognandosi che alcuno gli avesse -rubato il Beaufort. E allora ricercava di lui, e ad ogni informazione -che prendeva aveva il dispiacere di sentire che il detenuto giuocava, -beveva e cantava a più non posso, ma giuocando, cantando e bevendo, -sospendeva queste sue operazioni per giurare che Mazzarino gli -pagherebbe a caro prezzo i divertimenti cui l’obbligava a procurarsi a -Vincennes. - -Codesta idea diede grande molestia al ministro durante i suoi sonni, -talchè alla mattina alle sette, quando Bernouin entrò in camera per -isvegliarlo, furono le prime sue parole: - -«Ebbene, che c’è? Beaufort è forse scappato da Vincennes? - -«Non crederei, monsignore; rispose Bernouin costante nella sua calma -officiale, ma in ogni caso ora ne avrete le nuove, giacchè il birro la -Ramée mandato a chiamare a Vincennes è di là ad aspettar gli ordini di -Vostra Eccellenza. - -«Aprite qui, e fatelo passare, fece Mazzarino, accomodandosi i -guanciali in modo da poter riceverlo stando seduto sul letto». - -Entrò l’uffiziale. Era un uomo grande e grosso, paffuto e di buona -cera. Aveva un’aria di tranquillità, che inquietò il ministro. - -«Quel briccone mi pare un imbecille, questi borbottò». - -L’altro rimaneva in piedi accanto all’uscio. - -«Venite qua, disse Mazzarino». - -Ed il birro obbedì. - -«Sapete quel che qui si dice? fece il ministro. - -«No, Eccellenza. - -«Che il signor di Beaufort fuggirà da Vincennes, se non lo ha digià -fatto». - -Sul viso dell’agente si vide grande stupore. Aprì esso ad un tempo -e i piccoli occhi e la larga bocca per godersi meglio la facezia che -l’Eccellenza gli faceva l’onore d’indirizzargli; poi non potendo più -mantenersi serio a tale supposizione, diede in uno scroscio di risa, -ma sì forte che dall’ilarità gli si scuotevano tutte le membra come per -effetto di febbre. - -A Mazzarino fu grato quello sfogo, poco però rispettoso; non cessò -peraltro di conservare il suo più grave aspetto. - -La Ramée, quando ebbe riso ben bene, e si fu asciugati gli occhi, -reputò al fine opportuno di parlare e scusare la sconvenienza di -cotanto suo brio. - -«Fuggire, monsignore! fuggire? egli disse, ma dunque, Vostra Eccellenza -non sa dove è il signor di Beaufort. - -«Signor sì, so ch’è nella torre di Vincennes. - -«Sì, Eccellenza: in una stanza dove le mura sono grosse di sei piedi -francesi, e le finestre con inferriate a graticola, di che ogni ferro è -grosso quanto il mio braccio. - -«Eh! fece Mazzarino con la pazienza si forano i muri, con una molla da -oriuolo si sega una spranga. - -«Ma allora Vostra Eccellenza non sa che ha presso di sè otto guardie, -quattro nell’anticamera e quattro in camera, e queste non lo lasciano -mai? - -«Egli però esce dalla sua stanza, giuoca alla palla e al pallamaglio. - -«Sono i divertimenti permessi ai prigionieri; pure se Vostra Eccellenza -vuole, gli si leveranno. - -«No no (rispose il Mazzarino il quale temeva che privandolo di quei -piaceri, il detenuto uscisse di Vincennes, quando mai ciò accadesse, -più esacerbato contro di lui) domando soltanto con chi giuoca. - -«Monsignore, con l’uffiziale di guardia, o con me, o cogli altri -prigionieri. - -«Ma allora non si avvicina alle muraglie? - -«E le muraglie, dunque Vostra Eccellenza non le conosce? sono alte -sessanta piedi, e non credo che il signor di Beaufort sia ancora tanto -stanco di vivere da arrischiarsi a rompersi il collo saltando di lassù. - -«Uhm! fece il ministro che cominciava ad acquietarsi, sicchè voi dite, -caro la Ramée.... - -«Che a meno che il Beaufort trovi modo di diventare un uccellino, io -garantisco per lui. - -«Badate! vi avanzate di molto. Beaufort disse alle guardie le quali -lo conducevano a Vincennes che spesso aveva pensato al caso di essere -carcerato, e per quel caso avea raccapezzate quaranta maniere di -scappare. - -«Monsignore, date retta a me, se fra le quaranta maniere ve ne fosse -stata una buona, egli sarebbe fuori da un bel pezzo. - -«Via via, non è tanto sciocco come mi figuravo, mormorò il ministro. - -«E poi, Vostra Eccellenza si dimentica che il signor di Chavigny -è governatore di Vincennes, e che non è punto amico del signor di -Beaufort. - -«Sì, ma Chavigny si assenta qualche volta. - -«Quando si assenta ci son io. - -«Ma quando voi vi assentate? - -«Quando mi assento ho in mia vece un tocco d’uomo che aspira a -diventar birro di Sua Maestà, e che ve lo accerto, monsignore, gli fa -buonissima guardia. Da tre settimane l’ho al mio servizio, e non ho da -rimproverargli se non una cosa: di esser troppo duro per il detenuto. - -«E chi è quel cerbero? - -«Un certo signor Grimaud. - -«E che faceva innanzi di stare presso di voi a Vincennes? - -«Era in provincia, secondo mi disse quello che me lo raccomandò; v’ebbe -non so quale affaraccio a motivo della sua testa calda, e credo non -gl’increscerebbe di trovare la sua impunità sotto l’uniforme del re. - -«Chi ve lo ha raccomandato? - -«Il maggiordomo del signor duca di Grammont. - -«Allora, a parer vostro, v’è da fidarsene? - -«Quanto di me stesso, monsignore. - -«Non è un ciarlone? - -«Gesù mio! per molto tempo ebbi idea che fosse mutolo; non parla, e non -risponde che a forza di cenni: pare che il suo antico padrone lo abbia -avvezzato così. - -«Or bene, mio caro La Ramée, ditegli che se ci fa buona e fedel -guardia, si chiuderà un occhio sulle sue imprudenze di provincia, -gli si metterà addosso un’uniforme che lo faccia rispettare, e nelle -saccoccie di questa alcune doppie per bere alla salute del re». - -Mazzarino era largo di promesse; era tutto al contrario del bravo -Grimaud, tanto vantato da La Ramée, che parlava poco ed agiva molto. - -Il ministro fece a La Ramée una quantità di altre domande sopra al -prigioniero, ed al modo in cui esso era stato alloggiato e cibato, -ed alle quali costui rispose in guisa sì soddisfacente, ch’egli lo -licenziò quasi tranquillo. - -Poi essendo le nove ore, si alzò, si profumò, si vestì e passò dalla -regina a darle parte dei motivi che lo avevano trattenuto nel proprio -appartamento. - -La regina che temeva di Beaufort quanto ne temeva il ministro, ed era -superstiziosa poco meno di lui, gli fe’ ripetere esattamente tutte le -promesse del birro e gli elogi ch’esso prodigava al suo ajutante, e -dopo che Mazzarino ebbe finito ella disse sotto voce: - -«Ahimè! avessimo un Grimaud al fianco ad ogni principe! - -«Pazienza! fece Mazzarino col suo sorrisetto all’italiana, forse un -giorno ci si verrà, ma frattanto.... - -«Frattanto? - -«Io voglio prendere le mie precauzioni, ribattè il ministro». - -Dietro di che scrisse a d’Artagnan di sollecitarsi a tornare. - - - - -XIX. - -_Ricreazioni del duca di Beaufort nella torre di Vincennes._ - - -Il prigioniero che incuteva tanta paura al ministro, e i di cui -quaranta mezzi di fuga turbavano il riposo di tutta la corte, non -s’immaginava lo spavento che per cagion sua risentivasi nel palazzo -reale. - -Si vedeva sì ben custodito che aveva riconosciuta l’inutilità di ogni -suo tentativo; tutta la sua vendetta consisteva nel mandare un diluvio -d’imprecazioni ed ingiurie contro al Mazzarino. Si era pure provato a -comporre qualche strofetta, e poi ci aveva rinunziato subito. Infatti -il signor di Beaufort non ricevè dal cielo il dono di tesser versi, -ed anche in prosa si esprimeva difficilmente: per lo che di lui diceva -Blot, canzoniere dell’epoca: - - Beaufort, de grande renommée, - Qui sut ravitailler Paris, - Doit toujours tirer son epée - Sans jamais dire son avis. - - S’il veut servir toute la France, - Qu’il n’approche pas du barreau! - Qu’il rengaine son éloquence - Et tire son fer du fourreau. - - Dans un combat, il brille, il tonne, - On le redoute avec raison; - Mais de la façon qu’il raisonne, - On le prendrait pour un oisou. - - Gaston, pour faire une harangue, - Eprouve bien moins d’embarras; - Pourquoi Beaufort n’a-t-il la langue? - Pourquoi Gaston n’a-t-il le bras?[7]. - -Premesso questo, è da capirsi che il detenuto si limitasse ad ingiurie -e imprecazioni. - -Era il duca di Beaufort nepote di Enrico IV e di Gabriella d’Estrée, -tanto buono, valoroso e fiero, e specialmente tanto guascone, quanto -il suo avolo, ma molto meno letterato. Dopo essere stato per qualche -tempo, alla morte del re Luigi XIII, favorito, uomo di confidenza, -insomma il primo in corte, avea dovuto un giorno cedere il posto a -Mazzarino e trovarsi secondo, e all’indomani avendo avuto il poco -giudizio di crucciarsi per tale trasposizione e l’imprudenza di dirlo, -la regina lo avea fatto arrestare e condurre a Vincennes da quello -stesso Guitaut che noi vedemmo comparire sul principio di questa -storia, e che avremo occasione d’incontrare di nuovo. Ben intesi la -_regina_ vuol dire _Mazzarino_. Non solo si erano sbarazzati così della -sua persona e delle sue pretensioni, ma anche non si facevano più conti -con lui, benchè fosse principe popolare, e da cinque anni egli abitava -in una stanza pochissimo regia nella torre di Vincennes. - -Codesto spazio di tempo, che avrebbe maturate le idee di qualunque -altro, sul cervello del signor di Beaufort non produsse effetto -alcuno. Infatti, un altro avrebbe riflettuto e qualmente s’ei non -si fosse piccato ad urtare il ministro, a sprezzare i principi, ad -andarsene solo senza altri seguaci (come dice il cardinale di Retz) -che pochi malinconici con faccie da tristi cogitabondi, in cinque -anni avrebbe ottenuto o la sua libertà o dei difensori. Probabilmente -queste considerazioni non si presentarono tampoco alla mente del duca; -la lunga sua detenzione non fece che consolidarlo maggiormente nello -spirito di dispettosa ribellione, ed ogni giorno il ministro riceveva -di lui tali notizie ch’erano a Sua Eccellenza oltremodo spiacevoli. - -Il signor di Beaufort, dopo aver fatto _fiasco_ in poesia, si era -provato alla pittura. Disegnava col carbone la figura del ministro, -e siccome la sua abilità men che mediocre nell’arte suddetta non gli -permetteva di arrivare ad una grande somiglianza, così non volendo -che rimanessero dubbi in quanto all’originale, egli scriveva sotto in -italiano: _Ritratto dell’illustrissimo facchino Mazzarino_. - -Il signor di Chavigny si recò a fare una vista al duca, e lo pregò -di applicarsi ad altri passatempi, o almeno far ritratti senza la -leggenda. Il giorno dopo la camera era piena di leggende e di ritratti. -Il signor di Beaufort, secondo avviene però di tutti i prigionieri, -faceva come i bambini che più si ostinano nelle cose più a loro -proibite. - -Il signor di Chavigny fu avvertito di questa nuova quantità di profili. -Beaufort non abbastanza sicuro di sè per arrischiarsi alla testa di -faccia, ne aveva provvista la sua stanza come una sala da esposizione. -Questa volta il governatore non disse nulla, ma un giorno mentre il -duca giuocava alla palla ci fece passare una spugna su tutti i disegni -e dipingere la camera a guazzo. - -Il signor di Beaufort ringraziò il Chavigny, che avea tanta bontà da -ripulire e ridurre a nuovo i suoi cartoni, ed allora divise la camera -in più compartimenti, dei quali dedicò ciascuno ad un tratto della vita -del signor Mazzarino. - -Il primo doveva rappresentare l’illustrissimo Mazzarino ricevendo un -fiacco di bastonate dal Bentivogli di cui era stato servitore; - -Il secondo, l’illustrissimo stesso, facendo la parte d’Ignazio nella -tragedia del medesimo nome o titolo; - -Il terzo, l’illustrissimo rubando il portafogli da primo ministro al -signor di Chavigny che già si credeva di possederlo; - -E finalmente il quarto, l’illustrissimo negando le lenzuola a Laporte -cameriere di Luigi XIV, con dirgli che per un re di Francia era -abbastanza mutare le lenzuola ad ogni trimestre. - -Queste erano grandi composizioni, che di certo oltrepassavano la -misura del talento del carcerato; ed infatti egli si era contentato di -tracciare i quadri e porvi le iscrizioni. - -Per altro le iscrizioni ed i quadri furono sufficienti a risvegliare -gli scrupoli del signor di Chavigny, il quale fe’ prevenire il signor -di Beaufort che se non rinunziava ai progettati ritratti ei gli -toglierebbe tutti i mezzi di eseguirli. Il Beaufort rispose che poichè -gli si levava il modo di acquistarsi rinomanza nelle armi voleva -acquistarsela nella pittura, e non potendo essere un Bojardo o un -Trivulzio intendeva diventare un Michelangiolo o un Raffaello. - -Una mattina che il duca passeggiava nel cortile, gli fu tolto il fuoco, -e col fuoco i carboni, e coi carboni la cenere, talchè quando tornò non -trovò il più piccolo oggetto di cui servirsi a guisa di matita. - -Il Beaufort gridò, strillò, bestemmiò, disse che si voleva farlo morire -di freddo e di umidità come erano morti Puylaurens, il maresciallo -Ornano e il gran priore di Vendome; al che gli fu risposto dal -governatore, che qualora desse parola di abbandonare il disegno, o -promettesse di non far pitture storiche, gli si renderebbe la legna e -l’occorrente per accenderla. Egli non volle dare la parola, e rimase -senza fuoco tutto il resto dell’inverno. - -E di più, in un momento che il prigioniero era fuori furono raspate le -iscrizioni, e la camera si ritrovò bianca e nuda senza il menomo segno -dei di lui lavori. - -Allora il signor di Beaufort comprò da uno de’ suoi guardiani un cane -chiamato Pistacchio, dappoichè non v’era difficoltà che i carcerati -avessero un cane. Il signor di Chavigny dette la sua autorizzazione per -che il quadrupede cambiasse padrone. Il signor di Beaufort se ne stava -delle ore intiere con quella bestia. Ognuno si figurava che in tali ore -il detenuto attendesse all’educazione di Pistacchio, ma non si sapeva -qual direzione a questa egli desse. Una volta, essendo ormai Pistacchio -assai bene avvezzato, il Beaufort invitò il Chavigny e gli uffiziali -di Vincennes ad una grande rappresentazione nella sua camera. Giunsero -gl’invitati. La stanza era illuminata con quanti moccoli aveva il duca -potuto procurarsi. Cominciarono gli esercizi. - -Il signor di Beaufort, con un pezzo di gesso staccato dal muro, -aveva segnata in mezzo all’appartamento una lunga riga bianca che -rappresentava una corda. Pistacchio al primo comando si mise su quella -linea, e si rizzò sulle zampe di dietro, e fra le zampe davanti tenendo -uno scudiscio da sbattere gli abiti, principiò ad andare su per la riga -con tutte le contorsioni che fanno i saltatori, poi restituita la mazza -al padrone, ricominciò le medesime mosse senza equilibrio. - -Grandi applausi si prodigarono all’intelligentissimo animale. - -Dividevasi lo spettacolo in tre parti. Finita la prima, si passò alla -seconda. - -Bisognava innanzi a tutto dir quante ore erano. - -Il signor di Chavigny mostrò il suo oriuolo a Pistacchio. Erano le sei -e mezza. - -Pistacchio alzò ed abbassò la zampa sei volte, ed alla settima restò -con la zampa per aria. Non si poteva esser più chiari; un quadrante -solare non avrebbe risposto di meglio: come ognuno sa il quadrante -solare ha l’inconveniente di non accennare le ore se non se fino a -tanto che risplende il sole. - -Poi si doveva riconoscere fra tutta la comitiva quale fosse il miglior -carceriere di tutte le prigioni di Francia. - -Il cane fece tre volte il giro della stanza, e andò ad accucciarsi -rispettosamente ai piedi del signor di Chavigny. - -Il signor di Chavigny fece mostra di trovare graziosissima la celia, -e ne rise un pochettino. Poi, finito ch’ebbe di ridere, si morse le -labbra ed aggrottò le ciglia. - -In ultimo il signor di Beaufort propose al cane la questione -difficilissima, cioè, chi fosse il più gran ladro del mondo conosciuto. - -Pistacchio andò attorno attorno, non si fermò vicino a nessuno, e corso -all’uscio si mise a raspare brontolando. - -«Vedete signori, disse il principe, l’interessante animale non trovando -qui quei che io gli domando va fuori a cercarlo; ma non dubitate, non -per questo sarete privi di risposta.» - -E continuò: - -«Pistacchio, qua!» - -La bestia obbedì. - -«Il più gran ladro del mondo conosciuto, fece il duca, è egli il -segretario del re Le Camus, che venuto a Parigi con sei lire possiede -adesso sei milioni?» - -Il cane mosse la testa in atto negativo. - -«È forse, proseguì il signor di Beaufort, il soprintendente d’Emery, -che ha dato a suo figlio signor Thorè, nel dargli moglie, trecento -mila lire di rendite, ed un palazzo a petto al quale le Tuileries è un -tugurio, e il Louvre un bugigattolo?» - -E il suddetto cane mosse la testa in atto negativo. - -«Non è neppur quello? fece il principe, cerchiamo a modo: sarebbe egli -per caso l’illustrissimo facchino Mazzarino di Piscina?» - -Pistacchio ammiccò disperatamente di sì, rizzando ed abbassando la -zucca otto o dieci volte di seguito. - -«Signori! capite, disse il Beaufort agli astanti, che questa volta -nemmeno osavano ridere un pochettino, l’illustrissimo facchino -Mazzarino di Piscina è il più gran ladro del mondo conosciuto. Così -almeno dice Pistacchio. Si passi ad un altro esercizio.» - -E il duca di Beaufort profittando del silenzio onde produrre il -programma della parte terza della serata, disse: - -«Signori, tutti quanti vi rammenterete che il signor duca di Guise -aveva insegnato a tutti i cani di Parigi a saltare per madamigella -de Pons da lui proclamata la bella fra le belle; ebbene! quello era -un nulla, giacchè quegli animali obbedivano macchinalmente, e non -sapendo fare dissidenza (il Beaufort intendeva dire _differenza_) tra -coloro per cui dovevano saltare e coloro per i quali no. Pistacchio vi -mostrerà, egualmente che al signor governatore, com’egli sia superiore -a’ suoi colleghi. Signor di Chavigny, abbiate la bontà d’imprestarmi la -vostra canna d’India». - -Il signor di Chavigny porse la canna richiestagli. - -Il Beaufort la colloco orizzontalmente all’altezza di mezzo braccio. - -«Pistacchio caro, disse poi, fatemi il piacere di saltare per madama di -Montbazon». - -Tutti dettero in uno scroscio di risa: era noto come nel punto in cui -fu arrestato il Beaufort era amante palese della Montbazon. - -E l’animale non fece difficoltà alcuna, e scavalcò allegramente di -sopra alla mazza. - -«Eh! osservò il Chavigny, mi pare che Pistacchio faccia per l’appunto -quel che facevano i suoi colleghi quando balzavano per la de Pons. - -«Aspettate! rispose il principe, Pistacchio, carino mio, saltate per la -regina». - -E alzò il bastone di cinque o sei polzate. - -Il quadrupede balzò rispettosamente di sul bastone. - -«Pistacchio, amor mio, continuò il duca tirando su la mazza di altri -sei pollici, saltate per il re». - -La bestia si slanciò, e ad onta dell’altezza schizzò sveltamente. - -«E adesso, attenti! fece il duca abbassando il giunco sino a terra, -Pistacchio, mio bello, salta per l’illustrissimo facchino Mazzarino». - -Il cane voltò il preterito al giunco. - -«Oh! che azioni sono codeste? gridò il Beaufort segnando un semicircolo -dalla testa alla coda dell’animale, e presentandogli da capo la mazza, -salta su, Pistacchio!» - -Ma Pistacchio, come prima, girò in tondo e volse alla mazza il -preterito. - -Beaufort ripetè il movimento e la frase. Il cane impazientito si -avventò addosso alla canna d’india, la levò di mano al principe e la -ruppe coi denti. - -Il signor di Beaufort gli tolse di bocca i due pezzi, e con tutta -serietà li rese al signore di Chavigny, chiedendogli mille scuse, e -dicendogli che il trattenimento era terminato, ma che se fra tre mesi -si compiacesse intervenire ad una seduta consimile, Pistacchio avrebbe -in allora imparato nuovi giuochi. - -Dopo tre giorni Pistacchio era avvelenato. - -Si cercò il reo, ma il reo (com’è da credere) rimase ignoto. - -Il signor di Beaufort fece erigere una tomba col seguente epitaffio: - - _Qui giace Pistacchio, uno dei cani più - intelligenti che mai esisterono._ - -Su questo elogio non v’era che ridire, nè il signor di Chavigny potè -proibirlo. - -Ma allora il duca disse ben altamente che sul suo cane si era fatta la -prova delle droghe che si dovevano adoprare per lui, e un giorno dopo -pranzo si mise a letto gridando che aveva i dolori di corpo e che il -Mazzarino lo aveva fatto avvelenare. - -Questa burletta arrivò alle orecchie del ministro e gli mise gran -paura. La torre di Vincennes era reputata malsana, e madama di -Rambouillet aveva detto qualmente la stanza in cui erano morti -Puylaurens, il maresciallo Ornano e il gran priore di Vendome valeva -tanto arsenico quanto pesava, e codesto detto aveva fatto molto -incontro. Ordinò quindi che il prigioniero non mangiasse più cosa -alcuna senza farsi prima il saggio del vino e delle vivande, ed allora -fu che il birro La Ramée gli fu posto vicino come assaggiatore. - -Frattanto il signor di Chavigny non aveva perdonate al duca le -impertinenze scontate dall’innocente Pistacchio. Era una creatura del -defunto ministro, si diceva perfino che fosse suo figlio, e dunque -doveva intendersi un bricciolino di tirannia. Si piccò a rendere i -suoi tormenti al signor di Beaufort, gli levò quanti coltelli di ferro -e forchette di argento gli erano stati lasciati per lo innanzi, e -gli fece dare coltelli di argento e forchette di legno. Il Beaufort -si lagnò, ma il Chavigny gli mandò a rispondere come aveva inteso -appunto che il ministro avendo detto a madama di Vendome che suo figlio -starebbe tutta la vita nella torre di Vincennes, aveva temuto che il -prigioniero a sì trista notizia si portasse a qualche tentativo di -suicidio. Dopo due settimane il signor di Beaufort trovò due file di -alberi grossi quanto un dito mignolo schierati sulla via che conduce -al giuoco del pallone, domandò che cosa fosse, e gli fu risposto -ch’erano là per dargli dell’ombra in un certo giorno. Finalmente, una -mattina venne da lui il giardiniere, e in apparenza di voler dargli -nel genio gli annunziò che gli si pianterebbero degli sparagi. Come -tutti sanno, gli sparagi che ora stanno quattro anni per nascere ne -richiedevano cinque in quell’epoca in cui era meno perfezionata l’arte -dell’ortaggio. E tale alto di gentilezza fece andare sulle furie il -duca di Beaufort. - -Quindi pensò esso esser tempo di ricorrere ad uno dei suoi quaranta -mezzi, e cominciò dal più semplice, ch’era di corrompere la Ramée: -ma la Ramée aveva comprata la sua carica per mille cinquecento scudi, -e bramava di conservarsela; sicchè invece di secondare le vedute del -detenuto andò correndo ad avvertire il signor di Chavigny, il quale -mise tosto otto uomini nella camera stessa del duca, raddoppiò le -sentinelle e triplicò i posti di guardia. Da quel momento il principe -cominciò a camminare, come i re da teatro, con quattro uomini davanti e -quattro dietro, senza contare quei che andavano in fila. - -Sul principio il signor di Beaufort se la rise di molto di questa -severità, che per lui diventava una distrazione. Ripetè quanto poteva, -«la mi diverte, la mi _svaria_,» voleva dire _mi svaga_, ma secondo ci -è noto e’ non diceva sempre ciò che avrebbe voluto. Poi aggiungeva: «E -d’altronde, quando avrò idea di sottrarmi alle onoranze che mi fate, ho -altri trentanove mezzi». - -A lungo andare però la distrazione si convertì in noja. Per millanteria -il signor di Beaufort la resse per sei mesi, alla fine dei quali, -vedendo sempre otto uomini che sedevano quando egli sedeva, si alzavano -quando egli si alzava, si fermavano quando ei si fermava, cominciò a -far cipiglio ed a contare i giorni. - -Questa nuova persecuzione cagionò un incremento all’odio contro al -Mazzarino. Il principe bestemmiava da mattina a sera, e non parlava che -di fare un ammorsellato di orecchie del ministro. Era cosa da fremere; -il ministro informato di quanto succedeva a Vincennes, si calcava senza -volere la berretta fin sul collo. - -Un giorno il signor di Beaufort, radunò i guardiani, e ad onta della -sua difficoltà di elocuzione passata già in proverbio, fece ad essi il -seguente discorso, apparecchiato, ben è vero anticipatamente: - -«Signori, e soffrirete che un nepote del buon re Enrico IV sia oppresso -d’oltraggi e d’ignobilia? (intendeva dire ignominia) cappeterina! come -diceva mio nonno, io ho quasi regnato in Parigi, sapete? per un’intera -giornata ho avuto in custodia il re e _monsieur_. Allora la regina -mi accarezzava e mi chiamava il più onest’uomo del regno. Signori -borghesi, adesso mettetemi fuori, andrò diritto al Louvre, torcerò il -collo al Mazzarino, voi sarete le mie guardie del corpo, vi farò tutti -uffiziali e con buone pensioni. Cappiterina! avanti, marcia!» - -Ma comunque si fosse patetica, l’eloquenza del nepote di Enrico IV, -non commosse quei cuori di macigno; nessuno fece motto. E visto ciò, -il signor di Beaufort disse loro ch’erano tutta canaglia, e se li fece -nemici acerrimi. - -Alcune fiate, quando il signor di Chavigny si portava a trovarlo, al -che non mancava mai due o tre volte per settimana, il duca profittava -del momento per minacciarlo. - -«Che fareste, gli diceva, se un bel giorno vedeste comparire un’armata -di Parigini ricoperti di ferro e carichi di schioppi venuti a -liberarmi? - -«Monsignore, rispondeva Chavigny al principe con una profonda -riverenza, io ho sulle mura venti pezzi di artiglieria, e nelle -casematte l’occorrente per tirar trentamila colpi di cannone, e ci -lavorerei meglio che mi potessi. - -«Sì, ma dopo che aveste fatti i trentamila spari, quelli piglierebbero -la torre, ed io poi sarei costretto a lasciar che v’impiccassero, del -che, per certo, sarei dolentissimo!» - -Ed il principe salutava esso pure Chavigny con estrema cortesia. - -«Ma io, monsignore, soggiungeva il Chavigny, al primo ribelle che -passasse fuori dalle mie porte o ponesse i piedi sui miei bastioni, -sarei obbligato con mio sommo rincrescimento ad ammazzarvi di mia -propria mano, attesochè siete affidato a me in particolare e devo -restituirvi o vivo o morto». - -E riveriva di nuovo Sua Altezza. - -«Sì, ribatteva il duca, ma siccome quelle brave genti non verrebbero -qui che dopo aver data una buona impiccatura al signor Giulio -Mazzarino, vi guardereste bene dal pormi addosso le mani, e mi -lascereste vivere per paura di essere tirato da quattro cavalli, dai -Parigini, lo che è più tristo ancora d’essere appiccato, non dubitate!» - -Questi scherzi agrodolci andavano innanzi, dieci minuti, quindici, o -venti al più, ma finivano sempre che Chavigny verso la porta gridava: - -«Olà! la Ramée!» - -Ed il chiamato accorreva. - -«Ehi! gli diceva il signor di Chavigny, vi raccomando in particolar -modo il signor di Beaufort, trattatelo con tutti i riguardi dovuti al -suo nome ed al suo rango, e a tale effetto non lo perdete un momento di -vista». - -E poscia si ritirava, salutando il Beaufort con una cortesia cotanto -ironica che faceva venire a questo la mosca al naso. - -La Ramée, adunque, era diventato il commensale obbligato del principe, -il suo sempiterno guardiano, l’ombra del di lui corpo; ma noi dobbiamo -pur dirlo, la compagnia di la Ramée, buon gaudente, schietto camerata -a tavola, bevitore riconosciuto, gran giuocatore, in sostanza buona -creatura, e non avente per Beaufort se non un solo difetto, quello -cioè di essere incorruttibile, si era cambiata pel duca da molestia in -distrazione. - -Pur troppo non succedeva altrettanto di la Ramée, e quantunque -ei valutasse sino a un certo segno l’onore di star rinchiuso con -un prigioniero di sì alta importanza, pure il piacere di vivere -familiarmente col nepote di Enrico IV, non gli compensava quello che -avrebbe provato ad andare di quando in quando a fare una visita alla -sua famiglia. Uno può essere ottimo birro del re, e nel tempo stesso -buon padre e buon marito. - -E messer la Ramée adorava la moglie e i figliuoli, che ormai vedeva a -mala pena di cima alla muraglia quando essi per procacciargli quella -contentezza paterna e conjugale se ne venivano a passeggiare dall’altra -parte dei fossi, ed assolutamente per lui questo era poco, ed egli -capiva che il suo umore allegro, da lui considerato qual cagione della -sua buona salute — non calcolando che probabilmente ne era ben anzi il -risultato — non reggerebbe lungo tempo ad un simile metodo di vita. - -E siffatta persuasione maggiormente si accrebbe nella sua mente -allorchè poco a poco Beaufort e Chavigny sempre più inaspritisi, -cessarono totalmente di frequentarsi. Allora la Ramée sentì più forte -aggravarsi sul suo capo la responsabilità; e siccome giustamente, per -le ragioni da noi quivi spiegate, ei cercava qualche sollievo, accolse -premurosamente la proposizione fattagli dal suo amico l’intendente -del maresciallo di Grammont di dargli un compagno, e tenutone subito -proposito col signor di Chavigny, gli era stato da questo risposto non -opporvisi in veruna maniera, con patto che peraltro il soggetto fosse -di suo genio. - -A noi sembra inutilissimo il dare ai nostri leggitori il ritratto -fisico o morale di Grimaud: se essi, come noi speriamo, non hanno -dimenticata del tutto la prima parte della presente opera[8] debbono -aver serbato assai chiara ricordanza di quello stimabile individuo, in -cui non era avvenuto altro cambiamento se non se di avere venti anni di -più, il quale acquisto non aveva fatto che renderlo più taciturno che -mai, ancorchè Athos dopo la variazione in lui succeduta gli avesse resa -piena licenza di parlare. - -Ma in quell’epoca Grimaud aveva già da dodici o quindici anni adottata -l’abitudine di tacersi, ed un’abitudine di dodici o quindici anni è -diventata una seconda natura. - - - - -XX. - -_Entra in funzioni Grimaud._ - - -Sicchè Grimaud si presentò alla torre di Vincennes con l’esteriore -suo favorevole. Il signor di Chavigny si piccava d’aver l’occhio -infallibile, lo che potrebbe indurci ad opinare che realmente fosse -figliuolo di Richelieu che aveva in eterno codesta pretensione: quindi -esaminò attentamente il postulante, e congetturò che i sopraccigli -accosti, le labbra sottili, il naso ricurvo e i grossi pomelli di -Grimaud fossero indizi perfetti. Gli disse soltanto dodici parole, e -Grimaud ne rispose quattro. - -«Ecco, fece Chavigny, un giovanotto come si deve; andate a farvi -accettare da la Ramée, dicendogli che fate ottimamente al caso mio». - -Grimaud voltò le calcagna, e andò a passare sotto l’inspezione assai -più rigorosa di la Ramée. Ciò che rendeva costui più difficile si era -che Chavigny sapeva di potersi riposare su di lui, ed egli voleva poter -riposarsi sopra Grimaud. - -Aveva Grimaud per l’appunto le qualità capaci di dare nel genio -ad un birro il qual desideri un sottobirro; dimodochè dopo mille -interrogazioni che ottennero appena un quarto di risposta, la Ramée -affascinato da quella sobrietà di parole si stropicciò le mani ed -arruolò il Grimaud. - -«Gli ordini? chiese quest’ultimo. - -«Eccoli. Non lasciar mai solo il detenuto, levargli qualunque arnese -pungente e tagliente, impedirgli di far de’ cenni alle genti di fuori e -troppe ciarle co’ suoi guardiani. - -«Non v’è altro? - -«Niente altro pel momento. Nuove circostanze, se ve ne saranno, daranno -luogo a nuove istruzioni. - -«Bene» fece Grimaud. - -Ed entrò dal duca di Beaufort. - -Questi stava occupato a pettinarsi la barba. La barba, ei se la -lasciava crescere, ugualmente che i capelli, per far dispetto a -Mazzarino mostrando la sua miseria e alterando la sua trista figura. -Però, essendogli sembrato, pochi giorni innanzi, di su dalla torre, -di riconoscere in fondo ad una carrozza la bella Montbazon, la di cui -memoria gli era tuttavia cara, non voleva essere per lei qual era per -Mazzarino, e nella speranza di rivederla aveva chiesto un pettine di -piombo, che gli era stato concesso. - -Il Beaufort aveva domandato il pettine di piombo, perchè alla guisa -di tutti i biondi egli era di pelo un po’ rossiccio, e pettinandoselo -veniva a tingerlo più cupo. - -Grimaud capitato colà adocchiò il suddetto pettine posato dal principe -sul tavolino, e lo prese facendo una riverenza. - -Il duca guardò attonito quella figura singolare. - -La figura si mise in tasca il pettine. - -«Ehi! olà! che roba è questa? gridò il duca, e chi è quel birbante?» - -Grimaud non fiatò, ma fe’ un altro saluto. - -«Sei tu mutolo?» esclamò il duca. - -L’altro ammiccò di no. - -«Dunque, chi sei? rispondi, te lo comando! disse il Beaufort. - -«Guardiano, pronunziò Grimaud. - -«Guardiano? strillò il principe, oh bene! non mancava altro alla mia -raccolta che questo muso da forca!... Ehi! la Ramée! qua, qua gente!» - -Venne la Ramée. Disgraziatamente pel duca, questo fidandosi di Grimaud -stava in procinto di trasferirsi a Parigi; era già nel cortile, e tornò -su malcontento. - -«Che v’è egli, mio principe? domandò. - -«Che mascalzone è quello che mi piglia il pettine e se lo mette nella -sua saccoccia sporca? - -«È una delle vostre guardie, monsignore, un giovane pien di merito, e -che, ne sono certo, apprezzerete come facciamo il signor di Chavigny ed -io. - -«Perchè mi prende il pettine? - -«Ma davvero, poi, disse la Ramée, perchè prendete il pettine di -monsignore?» - -Grimaud si cavò di tasca il pettine, ci passò sopra il dito, e -guardando, e mostrando la zanna si limitò a profferire questa parola: - -«Pungente. - -«È vero! fece la Ramée. - -«Che dice quella bestia? chiese il duca. - -«Monsignore, dice che dal re vi è proibito qualunque arnese pungente. - -«Ah! ribattè Beaufort, siete forse impazzito, la Ramée? se me lo deste -voi stesso! - -«E feci male, perchè nel darvelo, Altezza, contravvenni agli ordini». - -Il principe guatò con collera Grimaud, che aveva restituito a la Ramée -l’oggetto della questione, e borbottò: - -«Prevedo che quel furfante mi darà noja assai!» - -Infatti, in carcere non v’hanno sentimenti intermedj: uomini e cose, -tutto vi è amico o nemico; s’ama e si odia qualche volta con ragione, -ma più ancora per istinto. Ora, pel motivo semplicissimo che alla prima -occhiata Grimaud era piaciuto a Chavigny e la Ramée, per questo, i suoi -pregi di faccia al governatore ed al birro diventando difetti in faccia -al prigioniero, ei dovea subito spiacere a Beaufort. - -Bensì Grimaud non volle tosto al primo giorno romperla col detenuto: -egli aveva bisogno non di una repugnanza repentina, ma di un odio bello -e buono e tenace. Per lo che si ritirò, cedendo il posto a quattro -custodi, i quali avendo fatto colazione potevano riassumere il loro -servizio appresso al principe. - -Il signor di Beaufort dal canto suo aveva da preparare una burla di -cui faceva gran caso: aveva chiesto dei gamberi per la colazione -dell’indomani, e divisava di occuparsi tutta la giornata a metter -su una piccola forca, onde appiccare il più bello di tutti in mezzo -alla stanza. Il color rosso che doveva dargli la cottura aumenterebbe -l’illusione, e così egli godrebbe della soddisfazione d’impiccare -Mazzarino in effigie, aspettando che fosse impiccato in realtà, senza -però che alcuno potesse a lui rimproverare di aver giustiziato altro -che un gambero. - -Lavorò assiduo all’apparecchio dell’esecuzione. In carcere si -rimbambisce, e il signor di Beaufort era di tal carattere da subire -più di chiunque questo inconveniente. Andò a passeggiare al solito, -strappò due o tre ramoscelli destinati ad aver parte nella sua scena -buffonesca, dopo aver cercato di molto trovò un pezzo di bicchiere -rotto (del che si mostrò contentissimo), e tornato in camera sfilacciò -un fazzoletto. - -Nessuno di questi atti sfuggì all’attenzione di Grimaud. - -La mattina dipoi la forca fu pronta; e per poterla piantare in mezzo -alla stanza il signor di Beaufort ne affilava una delle punte col suo -pezzo di vetro. - -La Ramée lo guardava con la curiosità di un padre che pensi di scoprire -tra poco un nuovo balocco da dare a’ suoi figliuoli, ed i quattro -custodi con quell’aria d’indolenza che formava in allora, come oggi -pure, il carattere principale della fisonomia del soldato. - -Quando entrò Grimaud, il duca aveva posato il pezzo di bicchiere; -sebbene non avesse ancora terminato di assottigliare il piede del -patibolo, aveva sospesa l’operazione per legare il refe alla punta -opposta. - -Il principe diede a Grimaud un’occhiata che manifestava qualche resto -del mal umore della sera precedente, ma siccome gioiva anticipatamente -del risultato che avrebbe la sua invenzione, così non gli badò più -altrimenti. - -Se non che quando ebbe finito di fare un nodo fisso ad una cima del -filo ed all’altra un nodo scorridojo, quando ebbe dato uno sguardo -al piatto di gamberi e scelto il più maestoso, si girò per andare a -pigliare l’avanzo di bicchiere, e questo era sparito. - -«Chi mi ha preso il vetro?» domandò il duca aggrottando le ciglia. - -Grimaud ammiccò esser egli stesso. - -«Come! tu? e perchè? - -«Ma davvero, chiese la Ramée, perchè avete preso il vetro di Sua -Altezza?» - -Grimaud che aveva in mano il nuovo oggetto di contesa ci passò sopra il -dito, e disse: - -«Tagliente. - -«È giusto, monsignore! fece la Ramée, capperi! che prezioso custode -abbiamo acquistato! - -«Signor Grimaud, disse Beaufort, per vostro bene vi scongiuro a badare -di non trovarvi mai a portata della mia mano». - -Grimaud fece una riverenza e si ritirò in fondo alla camera. - -«Zitto, zitto, monsignore! seguitò la Ramée, datemi codesto palo, e ve -lo affilerò col mio coltello. - -«Voi? domandò il duca ridendo. - -«Io, sì: non era questo che volevate? - -«Certo... veh! così sarà più ridicola!... a voi, mio caro la Ramée». - -Il birro, che non aveva capita l’esclamazione del principe, assottigliò -con tutto garbo il piede del palo. - -«Bravo! fece il Beaufort, adesso fatemi un buco in terra, intanto ch’io -vo a prendere il paziente». - -L’altro posò un ginocchio al suolo e fece la buca. - -Frattanto il duca attaccò il gambero al refe. - -Poi fissò il patibolo nel pavimento, dando in uno scroscio di risa. - -Rise anche la Ramée, ma senza sapere di che; e le guardie vi si unirono -in coro. - -Grimaud fu il solo che non ridesse. Si avvicinò a la Ramée, e -additandogli l’animaletto che girava in cima al filo, gli disse: - -«Ministro. - -«Appiccato da Sua Altezza duca di Beaufort! continuò il principe -smascellandosi dalle risa, e da messer Jacopo Crisostomo la Ramée birro -del re». - -Il qual birro inorridito cacciò un urlo, si scagliò verso il palo, -lo levò di terra, e lo ridusse a pezzetti, e questi buttò via dalla -finestra. Ed altrettanto stava per fare del gambero, mentre era fuori -di sè, ma Grimaud glielo prese di mano. - -«Buono da mangiare», esso disse. - -E se lo ripose in saccoccia. - -Questa volta il duca si era divertito tanto che quasi perdonò a -Grimaud la parte da lui fatta. Però, nel corso della giornata riflettè -all’intenzione avutasi dal guardiano, e questa in fondo gli parve -pessima, e sentì accrescersi in petto l’odio contro di lui. - -Frattanto, con sommo dolore di la Ramée, la storia del gambero fece -molto strepito nell’interno della torre ed anche fuori. Il signor -di Chavigny, che in cuore aborriva il ministro, si diè premura di -confidare l’aneddoto a due o tre amici, che subito lo divulgarono. - -E ciò tenne allegro per due o tre giorni il signor di Beaufort. - -Il duca aveva osservato fra’ suoi custodi un uomo di buon aspetto, e -lo accarezzava tanto più quanto ad ogni istante aveva maggior rancore -contro Grimaud. Una mattina, che aveva preso in disparte quell’uomo, ed -era riuscito a parlargli qualche tempo da solo a solo, capitò Grimaud, -esaminò quel che là succedeva, ed accostatosi rispettosamente ai due -interlocutori pigliò per un braccio il guardiano. - -«Che volete?» gli domandò brutalmente il duca. - -Grimaud accompagnò il custode quattro passi in là, e gli disse: - -«Andate». - -Quegli obbedì. - -«Oh! esclamò il principe, mi siete insopportabile, vi castigherò». - -Grimaud s’inchinò ossequiosamente. - -«Vi romperò le ossa!» gridò il principe esacerbato. - -Grimaud ossequiosamente s’inchinò. - -«Signore spione, continuò il duca, vi strozzerò con le mie mani!» - -Grimaud salutò camminando all’indietro. - -«E questo, non più tardi di adesso!» soggiunse il signor di Beaufort, -che pensava esser meglio finirla subito. - -E stese i due pugni verso Grimaud. - -Grimaud si contentò di spinger fuori il guardiano e chiuder l’uscio. - -Al tempo stesso sentì le mani del signor di Beaufort che gli si -abbassavano sulle spalle come due tanaglie di ferro, ma in vece di -chiamare o difendersi si limitò a portarsi lentamente l’indice a -pari altezza delle labbra, ed a profferire a mezza voce sotto un -graziosissimo sorriso: - -«Zitto!» - -Erano cose sì rare in Grimaud un gesto, un sorrisetto e una parola, -che Sua Altezza si fermò in tronco, giunta al massimo grado di -stupefazione. - -Grimaud approfittò del momento per cavarsi dalla fodera della casacca -un bel bigliettino con sigillo signoresco, a cui la lunga permanenza -ne’ suoi abiti non aveva fatto perdere del tutto il buon odore, e senza -pronunziare un accento lo porse al signor duca. - -Il quale, vieppiù maravigliato, lasciò libero Grimaud, pigliò il -biglietto, e riconosciutone il carattere, esclamò: - -«Madama di Montbazon!» - -Grimaud col capo ammiccò di sì. - -Il principe lacerò sollecito la sopraccarta, si passò una mano sugli -occhi, tant’era il bagliore che provava, e lesse quanto segue: - - «Mio caro duca - - «Potete fidarvi totalmente al bravo uomo che vi consegnerà il - presente, essendo egli il domestico di un gentiluomo ch’è tutto - nostro, e ce lo ha garantito come esperimentato mediante venti anni - di costante fedeltà. Ha aderito ad entrare al servizio del vostro - birro e rinchiudersi con voi a Vincennes, onde disporre e secondare - la vostra fuga, della quale noi ci andiamo occupando. - - «Si avvicina il momento della liberazione. Abbiate pazienza - e coraggio, pensando che non ostante il tempo e la lontananza - tutti gli amici vostri vi serbano ancora i sentimenti che per voi - nudrivano. - - Vostra affezionatissima - - MARIA DE MONTBAZON. - - P. S. Firmo per intiero, giacchè sarebbe troppa vanità il supporre - che dopo cinque anni di assenza riconosceste le mie iniziali». - -Per un poco il duca restò sbalordito. Quel che cercava da un -quinquennio senza aver mai potuto trovarlo, cioè un servo, un ajuto, -un amico, gli cadeva giù dal cielo in un botto allorchè meno se lo -aspettava. Guardò Grimaud con istupore, e tornò a leggere da cima a -fondo la lettera. - -«Oh cara Maria!» balbettò dopo ch’ebbe finito, «dunque era dessa che -avevo veduta in carrozza! come! pensa ancora a me dopo cinque anni di -separazione! Questa, cospetto! è una costanza che non si vede se non -nell’_Astrea_!» - -Indi volgendosi a Grimaud: - -«E tu, brav’uomo, gli domandò, acconsenti ad ajutarci?» - -Quegli fe’ segno di sì. - -«E venisti qui espressamente per questo?» - -Ripetuto il medesimo cenno. - -«Ed io che ti voleva strozzare!» esclamò il signor di Beaufort. - -Grimaud sogghignava. - -«Ma aspetta!» disse il principe. - -E si frugò nel taschino. - -«Aspetta! continuò, e rinnuovava la prova riuscita inutile la prima -volta, non sarà detto che rimanga non premiato tanto zelo per un nepote -di Enrico IV!». - -I movimenti del duca di Beaufort indicavano le migliori intenzioni del -mondo, ma una delle precauzioni prese a Vincennes erasi quella di non -lasciargli danari. - -Per lo che Grimaud ch’ebbe visto il rincrescimento del duca, si levò -dalla saccoccia una borsa piena d’oro e la presentò a lui. - -«Ecco, disse, quel che voi cercate». - -Beaufort aprì la borsa per vuotarla nelle mani di Grimaud, ma questi -scosse la testa e indietreggiando un poco, disse: - -«Grazie, monsignore, sono pagato». - -Passava il duca da una ad altra sorpresa. Porse la mano a Grimaud, -costui gliela baciò rispettosamente. Grimaud aveva preso alquanto delle -maniere alla grande di Athos. - -«E adesso, domandò di Beaufort, che faremo? - -«Monsignore, sono le undici antimeridiane; alle due chiedete di fare -una partita alla palla con la Ramée e mandate due o tre palle per -disopra ai bastioni. - -«Ebbene? e poi? - -«E poi, vi aggrapperete al muro, e griderete a un uomo che lavora nei -fossi di rimandarvele. - -«Capisco», rispose il principe. - -Apparve somma soddisfazione in viso a Grimaud; il poco uso ch’ei faceva -della favella gli rendeva difficile il conversare. - -Egli fece un atto come per andarsene. - -«Ma, seguitò il duca, non vuoi accettar nulla? - -«Vorrei che Vostra Altezza mi facesse una promessa. - -«E quale? di’ pure. - -«Che quando scapperemo, io passi sempre e dappertutto il primo; giacchè -se ripigliano Vostra Altezza, il maggior rischio per lei è di esser -rimessa nella sua prigione, mentre a me, se mi acchiappano, il meno che -possa succedere è di essere impiccato. - -«È giusto, replicò il duca, e da gentiluomo sarà fatto come tu richiedi. - -«Ora, proseguì Grimaud, non ho da domandarvi più altro che una cosa, -monsignore, ed è di farmi l’onore di aborrirmi quanto prima. - -«Procurerò», disse il duca. - -Fu bussato. - -Il principe si mise in tasca biglietto e borsa, e si gettò sul letto. -Si sapeva esser quello il suo compenso nei momenti di noja. Grimaud -andò ad aprire. Era la Ramée che veniva dalle stanze del ministro -dov’era accaduta la scena già da noi narrata. - -La Ramée diede intorno uno sguardo indagatore, e veduti sempre i -medesimi sintomi di antipatia fra il prigioniero e il custode sorrise -d’interna soddisfazione. - -E poi disse a Grimaud: - -«Bene, mio caro, benone. È stato parlato di voi dianzi in buon luogo, e -spero che abbiate presto delle notizie che non vi spiaceranno». - -Grimaud salutò in un modo che cercò di rendere grazioso, e si ritirò -conforme soleva quando giungeva il suo superiore. - -«Ebbene, monsignore! disse la Ramée con la sua risata grossolana, fate -sempre muso al povero giovanotto? - -«Ah! siete voi, la Ramée? rispose il duca, affè gli era tempo che -veniste. Mi ero buttato sul letto, ed avevo voltato il viso verso -il muro per non cedere alla tentazione di mantener la promessa con -istrangolare quello scellerato di Grimaud. - -«Dubito però assai, ribattè il birro, spiritosamente alludendo alla -mutolezza del suo subalterno, che abbia dette a Vostra Altezza cose -spiacevoli. - -«Lo credo, per Diana! un mutolo d’Oriente! vi giuro ch’era tempo che -veniste, ed avevo premura di rivedervi. - -«Troppa bontà, monsignore, seguitò la Ramée sensibile al complimento. - -«Sì, in coscienza, continuò il principe, oggi mi sento sì poco agile -che non vi divertireste a guardarmi. - -«Dunque faremo una partita alla palla, propose macchinalmente la Ramée. - -«Se non v’incresce. - -«Sono ai comandi di Vostra Altezza. - -«Gli è, caro mio, che siete molto garbato, e vorrei rimanere -eternamente a Vincennes per avere la soddisfazione di passare la mia -vita con voi. - -«Monsignore, io credo che non sarà colpa del ministro se non si -compiono le vostre brame. - -«Come, come? lo avete visto da poco in qua? - -«Mi ha mandato a chiamare stamane. - -«Davvero! per parlarvi di me? - -«E di chi volete che mi parli? se siete propriamente il suo tormento, -il suo incubo, monsignore!» - -Il duca sogghignò amaramente. - -«Ah! disse, se accettaste le mie offerte! - -«Eh via! Altezza, si torna a discorrere di questo? ma ecco, non siete -ragionevole! - -«La Ramée, vi ho detto e vi ripeto, che farei la vostra fortuna. - -«E con che cosa? appena usciate di carcere saranno confiscati i vostri -beni. - -«Appena io esca di carcere sarò padrone di Parigi. - -«Zitto là! zitto! posso sentire cose simili, io? Bella conversazione da -tenersi a un ufficiale regio! Comprendo, monsignore, che mi toccherà a -cercare un secondo Grimaud! - -«Animo, non ne parliamo più. Sicchè, fra te e il ministro si è tenuto -proposito di me? La Ramée, un giorno ch’ei ti mandi a chiamare, -dovresti indossare le mie vesti, io andrei in vece tua, lo strozzerei, -e da gentiluomo! se tu esigessi questo patto, tornerei in prigione. - -«Monsignore, mi accorgo che mi toccherà far venir qui Grimaud! - -«Orsù, ho torto.... E che ti ha detto l’assassino? - -«Monsignore, vi meno buona questa parola perchè fa rima con -Mazzarino.... Che mi ha detto? di sorvegliarvi. - -«E perchè sorvegliarmi? richiese inquieto il duca. - -«Perchè un astrologo ha prognosticato che scappereste. - -«Ah! un astrologo lo ha prognosticato! ripetè Beaufort quasi tremando. - -«Eh sì, Dio buono! in parola d’onore, non sanno che diamine ideare per -tormentare le genti come quegl’imbecilli di stregoni. - -«E che hai risposto all’illustrissimo? - -«Che se l’astrologo faceva del lunarj, lo consigliavo a non comprarli. - -«Perchè? - -«Perchè, per fuggire bisognava diventare un fringuello o uno scricciolo. - -«E hai ragione pur troppo!... Andiamo a giuocare alla palla, la Ramée. - -«Domando scusa a Vostra Altezza, ma occorre che mi conceda una mezz’ora. - -«E perchè? - -«Perchè il signor Mazzarino ha più superbia di voi, quantunque non sia -di nascita tanto buona, e si è scordato d’invitarmi a colazione. - -«Or bene, vuoi ch’io ti faccia portar da mangiare qui? - -«No, no; avete da sapere che il pasticciere che stava dirimpetto al -castello, e si chiamava maestro Marteau.... - -«Ebbene? - -«Otto giorni sono vendè il suo negozio a un pasticciere di Parigi, al -quale pare che i medici abbiano ordinata l’aria di campagna. - -«E che m’importa? - -«Un momento! talchè questo maledetto pasticciere ha davanti alla -bottega un mucchio di robe che fanno venire l’acquolina alla bocca. - -«Ghiottone! - -«Eh! non siamo mica ghiottoni, rispose la Ramée, perchè si ha caro -di mangiar bene. Sta nella natura dell’uomo di cercare la perfezione -tanto nelle sfogliate come nelle altre cose. Ora quel manigoldo, -quando mi ha visto fermare dinanzi la sua mostra, mi è venuto incontro -con la lingua tutta infarinata, dicendo: — Signor la Ramée, mi avete -da procurare per avventori i prigionieri della torre; ho comprato lo -stabilimento dal mio predecessore, perchè mi assicurava che provvedeva -il castello, eppure, sul mio onore, da otto giorni che son qua, -il signor di Chavigny non ha fatto prendere da me un biscottino. — -Ma, gli ho risposto, forse il signor di Chavigny avrà paura che le -vostre paste non siano buone. — Che non sian buone! ecco, signor la -Ramée, voglio farvene giudice, e ora subito. — Non posso, devo andare -assolutamente alla torre. — Andate pei fatti vostri, giacchè avete -premura, ma tornerete fra mezz’ora. — Fra mezz’ora? — Sì: avete fatto -colazione? — No davvero. — Dunque, ecco un pasticcio che vi aspetterà, -con una bottiglia di Borgogna vecchio.... — Sicchè, monsignore, capite -ch’essendo a digiuno, bramerei con licenza di Vostra Altezza....» - -E la Ramée fece un inchino. - -«Va pure, imbecille! disse il duca, ma bada che ti do una sola mezz’ora. - -«Posso promettere al Marteau che sarete suo avventore? - -«Sì, purchè non cacci de’ funghi nei pasticci: tu sai che i funghi del -bosco di Vincennes sono micidiali alla nostra famiglia». - -La Ramée uscì senza por mente all’allusione, e dopo cinque minuti -l’ufficiale di guardia entrò col pretesto di far onore al principe -tenendogli compagnia, ma in realtà per eseguire gli ordini del -ministro, il quale conforme ci è noto, raccomandava di non perdere di -vista il prigioniero. - -Ma il duca, nei cinque minuti ch’era stato solo, aveva avuto agio di -rileggere il biglietto di madama di Montbazon, da cui gli rimaneva -provato che gli amici non lo dimenticavano ed anzi si occupavano -della sua liberazione; egli ignorava con qual modo, ma si proponeva di -finire con far parlare Grimaud, in cui aveva tanto maggior fiducia, in -quanto che ormai comprendeva tutta la sua condotta, e capiva non aver -esso inventate le sue piccole persecuzioni contro di lui, se non per -togliere a’ guardiani ogni sospetto d’intelligenza seco. - -Tale astuzia diede al signor di Beaufort una ottima idea del giudizio -di Grimaud, ed egli risolse di fidarsene interamente. - - - - -XXI. - -_Ciò che contenevasi ne’ pasticci del successore di maestro Marteau._ - - -Mezz’ora dopo tornò la Ramée, svelto ed allegro come uno che abbia -mangiato bene, e specialmente ben bevuto. Aveva trovato il pasticcio -stupendo: e il vino delizioso. - -Era bel tempo e da permettere la partita progettata. Il giuoco di -palla di Vincennes era situato all’aria aperta, talchè al duca rimaneva -facilissimo di eseguire quel che gli aveva raccomandato Grimaud, cioè -di mandare le palle nei fossi. - -Bensì fin che non furono le due il signor di Beaufort non cadde in -questa svista, perchè quella era l’ora prefissa. E non ostante perdè -sempre, e così gli fu dato d’incollerirsi, e fare, secondo succede in -casi simili, uno sbaglio sull’altro. - -Al tocco delle due le palle cominciarono a pigliar la via dei fossi, -con grande soddisfazione di la Ramée, il quale segnava un quindici ad -ogni fallo che faceva il principe. - -Ed i falli furono tanti che presto mancarono le pillotte. La Ramée -propose d’inviare qualcuno a ripescarle. Il duca giudiziosamente fece -osservare che sarebbe tempo perduto, ed avvicinatosi al muro del -bastione, che in quel punto, siccome diceva il birro, era alto per -lo meno cinquanta piedi; vide un uomo che lavorava in uno dei molti -giardinetti coltivati dai contadini sul di dietro del fossone. - -«Ehi, galantuomo!» disse il duca. - -Quegli alzò il capo, ed il principe ebbe a dare un urlo dalla sorpresa. -L’uomo, il contadino, il giardiniere, era Rochefort, che il principe -credeva alla Bastiglia. - -«Eh! che c’è egli costassù? domandò Rochefort. - -«Favorite rigettarci le nostre palle». - -Il coltivatore fe’ un cenno con la testa e si mise a buttar le -pillotte. La Ramée e le guardie le coglievano da terra. Una ne cadde -ai piedi del duca. Esso che capì essere a lui destinata, se la pose in -saccoccia. - -E fatto un segno di ringraziamento al contadino, ritornò alla partita. - -Ma il duca era assolutamente in una giornataccia, continuava a far -falli anzichè mantenersi nei limiti; due o tre palle balzarono di -nuovo giù, e rimasero perdute dacchè non v’era più il giardiniere che -lo rinviasse. Poi il signor di Beaufort dichiarò che aveva persino -vergogna del suo poco garbo e non voleva seguitare. - -La Ramée era contentissimo di aver battuto così un principe del sangue. - -Questi se n’andò in camera e si pose a letto. Vi stava quasi tutte le -giornate intere dacchè gli si erano tolti i libri. - -La Ramée prese i panni di Sua Altezza, col pretesto che erano carichi -di polvere e li farebbe spazzolare, ma in realtà per esser certo che -Sua Altezza non si movesse. Era un uomo cauto la Ramée! - -Per buona sorte il signor di Beaufort aveva avuto tempo di rimpiattare -la palla sotto il capezzale. - -Ne strappò coi denti l’invoglia, perocchè non gli lasciavano alcun -arnese tagliente: mangiava coi coltelli a lama d’argento flessibili, e -che non tagliavano. - -Sotto l’invoglia trovò una lettera ove erano scritte le seguenti parole: - - «Monsignore - - «I vostri amici invigilano, e si appressa l’ora della vostra - liberazione. Domani l’altro chiedete di mangiare un pasticcio fatto - dal nuovo pasticciere che ha acquistato il negozio dell’antico, e - che è Noirmont in persona, il vostro maestro di casa; non lo aprite - se non quando siete solo, e spero che sarete contento di ciò che vi - è dentro. - - «Servitore sempre devoto di Vostra Altezza alla Bastiglia come - altrove. - - «Conte di Rochefort». - - PS. ««Vostra Altezza può fidarsi in tutto e per tutto di Grimaud; è - pieno di intendimento, ed è tutto nostro». - -Il duca di Beaufort, a cui era stato restituito il fuoco dacchè egli -aveva rinunziato alla pittura, abbruciò la lettera conforme avea fatto -con maggior rincrescimento di quella della Montbazon, e si disponeva ad -abbruciare ancor la pillotta; ma riflettè che questa potrebbe essergli -utilissima, per far pervenire a Rochefort la sua risposta. - -Egli era ben custodito, giacchè al movimento ch’ei fece capitò -immediatamente la Ramée. - -«Monsignore, domandò questi, vi occorre qualche cosa? - -«Avevo freddo, rispose il duca, ed attizzavo la fiamma per aver un -po’ di caldo. Sapete pure che le stanze della torre di Vincennes -sono rinomate assai per la freschezza. Vi si potrebbe conservare -il ghiaccio, e vi si fa raccolta di salnitro. Quelle dove morirono -Puylaurens, il maresciallo d’Ornano e il gran priore mio zio, valevano -per codesto verso, secondo diceva madama di Rambouillet, tanto arsenico -quanto pesavano». - -Il signor di Beaufort tornò a coricarsi. La Ramée sorrise un -pocolino. In fondo era un buon uomo, che aveva preso grande affetto al -prigioniero e si sarebbe disperato se gli fosse avvenuta una disgrazia. -E le disgrazie avvenute ai tre soggetti menzionati dal principe non -ammettevano contrasto. - -«Monsignore, ei rispose, non v’avete da abbandonare a queste idee; son -queste che ammazzano, e non il salnitro. - -«Eh mio caro! siete curioso! soggiunse il principe, se potessi come -voi andare a mangiare i pasticcini e bere la Borgogna dal successore di -Marteau, mi distrarrei. - -«Fatto si è, replicò la Ramée, che la roba di quel negozio è ottima. - -«In ogni caso, seguitò il duca, non ci vuol molto perchè la sua cucina -e la sua cantina siano da meglio di quelle del signor di Chavigny. - -«Eh! monsignore, fece l’altro, cadendo nel laccio, chi vi impedisce di -assaggiarle? e poi, gli ho promesso di farvi essere suo ricorrente. - -«Hai ragione: se debbo restar qui in perpetuo, conforme ha avuto la -bontà di far intendere messer Mazzarino, bisogna ch’io mi crei una -distrazione per la vecchiaja, conviene che mi faccia ghiottone. - -«Date retta a un buon consiglio: per questo, non aspettate ad esser -vecchio. - -«Bene! borbottò da sè il signor di Beaufort, qualunque uomo, per poco -che attentamente si consideri, sembra, Dio mi perdoni, avere a compagno -uno dei sette peccati capitali, se non ne ha due, e par che quello di -messer la Ramée sia la gola. Ne profitteremo». - -Indi continuò: - -«Ebbene, caro la Ramée, domani l’altro è festa. - -«Sì, Altezza, è Pentecoste. - -«Volete in quel giorno darmi una lezione? - -«Di che? - -«Di ghiottoneria. - -«Volentieri. - -«Ma lezione da solo a solo. Manderemo a desinare le guardie alla cucina -del signor di Chavigny, e noi faremo qui una colazione di cui lascio la -direzione a voi. - -«Uhm!» mugolò la Ramée. - -L’offerta era seducente; ma il nostro birro, per quanto avesse potuto -pensar di lui svantaggiosamente il ministro, era un volpone che -conosceva tutte le reti che può tendere un prigioniero: il signor di -Beaufort, per quel che diceva, aveva preparati quaranta mezzi di uscir -di carcere: quella colazione non celava qualche agguato? - -Riflettè un momento; il resultato fu però che ordinerebbe egli stesso -le vivande e il vino, ed in conseguenza a quelle nessuna polvere ed -a questo nessun liquore sarebbe mescolato. Di ubbriacarlo poi il duca -non poteva aver l’intenzione; anzi ei si mise a ridere all’immaginarlo: -dopo di che gli venne un’idea atta a conciliar tutto. - -Il signor di Beaufort aveva osservato il monologo interno di la Ramée -con inquietudine, a misura che questa appariva anco dalla di lui -fisonomia. Alla fine si rasserenò il viso del birro. - -«Ebbene? domandò il principe, sta egli così? - -«Sì, monsignore, con un patto. - -«Cioè? - -«Che Grimaud ci serva a tavola». - -Non v’era cosa che meglio accomodasse al duca. Eppure ebbe tal capacità -da assumere nel volto una grossa tinta di mal umore. - -«Eh! al diavolo il vostro Grimaud! esclamò, mi guasterà la festa. - -«Gli comanderò di starsene dietro a Vostra Altezza, e siccome ei non -fiata nemmeno, Vostra Altezza non lo vedrà e non lo udrà, e, volendo, -potrà figurarsi che sia lontano da lei le mille miglia. - -«Caro mio, ribattè il principe, sapete che ci veggo chiaro, in tutto -questo? che non vi fidate di me. - -«Monsignore, doman l’altra è Pentecoste? - -«E che m’importa della Pentecoste? ha da succedere un miracolo per -ispalancarmi le porte della carcere? - -«No, ma vi ho raccontato ciò che aveva predetto il maledetto stregone. - -«E che mai? - -«Che non passerebbe il giorno di Pentecoste senza che Vostra Altezza -fosse fuori di prigione. - -«Stupido! e credi agli stregoni? - -«Io, me ne curo tanto come di questo! disse la Ramée, e fece schioccare -insieme le dita, ma il signor Giulio se ne cura, e in qualità -d’Italiano è superstizioso». - -Il duca si strinse nelle spalle. - -«Or via, rispose, fingendo la massima bonarietà, accetto Grimaud, -perchè se no non si finirebbe più, ma non voglio altri che lui; voi -v’incaricherete di tutto, voi disporrete il pasto a vostro talento. -L’unico piatto che chiedo io si è uno dei pasticci de’ quali mi avete -parlato. L’ordinerete per me, acciocchè il successore di maestro -Marteau faccia portenti, e gli prometterete che mi avrà per avventore, -non solo in tutto il tempo che ho da star in prigione, ma anche dal -momento che ne sarò uscito. - -«Dunque credete sempre di uscirne? - -«Diamine! quando non fosse che alla morte del Mazzarino. Io ho quindici -anni meno di lui.... È vero (aggiunse il principe sogghignando) che a -Vincennes la vita va sollecita. - -«Monsignore! monsignore! - -«O sia che vi si muore più presto.... lo che in sostanza è lo stesso. - -«Altezza, vado a ordinare la colazione. - -«E vi pensate di fare qualche cosa del vostro discepolo? - -«Spererei. - -«Se vi dà tempo! borbottò di Beaufort. - -«Che dice Vostra Altezza? - -«La mia Altezza dice che non facciate risparmio con la borsa del signor -ministro, il quale si è compiaciuto incaricarsi della nostra pensione». - -La Ramée si fermò sulla porta. - -«Monsignore, chi volete ch’io vi mandi? - -«Chi vi pare, eccetto Grimaud. - -«Dunque l’ufficiale delle guardie. - -«Col suo giuoco di scacchi. - -«Sì». - -La Ramée se n’andò. - -Indi a cinque minuti entrava l’uffiziale, e il duca sembrava assorto -profondamente nei calcoli sublimi dello scaccomatto. - -È cosa pur singolare il pensiero, e i cambiamenti che vi recano un -cenno, una parola, una speranza! Da cinque anni il principe era in -prigione, ed uno sguardo datosi all’indietro gli faceva parere quegli -anni tanti, passati però ben lungamente, più brevi che i due giorni, -le quarantott’ore, che ancor lo separavano dall’istante prefisso alla -fuga. - -Ed inoltre, quel che terribilmente l’occupava, era il modo onde si -effettuerebbe la fuga. Gli si era data lusinga del resultato, ma -celati i dettagli di quanto contener doveva il pasticcio misterioso. -Quali amici lo attendevano? dopo un quinquennio di carcerazione -aveva tuttavia degli amici? In tal caso era un principe veramente -privilegiato. - -Egli obliava che fra’ suoi amici (e codesto era anco più straordinario) -una donna si era di lui ricordata. È vero che essa forse non gli era -stata molto fedele, ma non lo aveva dimenticato, lo che era digià -molto. - -In tutto ciò esisteva materia più del bisogno a far riflettere il duca; -e quindi accadde agli scacchi come alla palla, il signor di Beaufort -fece uno sbaglio sull’altro, e l’ufficiale lo battè la sera conforme la -mattina lo avea battuto la Ramée. - -Però, le continue sconfitte aveano avuto il vantaggio di condurre il -principe sino alle otto ore; erano tre ore acquistate, poi verrebbe la -notte, e con essa il sonno. - -Così almeno ei s’immaginava. Ma il sonno è una divinità assai -capricciosa, ed appunto allorchè uno la invoca si fa aspettare. Il duca -l’aspettò sino a mezzanotte voltandosi di qua e di là sulle materasse. -Alla fine si addormentò. - -Ma a giorno si destò. Si era fatti dei sogni stravaganti: gli erano -cresciute le ali; allora naturalmente avea tentato involarsi; sul -principio le ali lo sostenevano benone; arrivato bensì ad una certa -altezza, quel singolare appoggio gli era mancato, si rompevano i vanni, -ed a lui sembrava di ruzzolare in un abisso senza fondo. E così si -destava con la fronte bagnata di sudore, e tutto tronco quasi avesse -fatta realmente una caduta aerea. - -Si riaddormentava per andar nuovamente errando in un labirinto di -sogni uno più stolto dell’altro. Appena aveva chiusi gli occhi, la sua -mente, intenta ad una sola meta, alla fuga, ricominciava a tentare la -fuga. E allora era tutt’altro: si trovava un passaggio sotterraneo che -doveva condurlo fuori di Vincennes; egli vi s’inoltrava, e Grimaud -camminava innanzi a lui con una lanterna in mano; a poco a poco -il passo diventava più stretto, eppure il duca continuava a andare -avanti; poi il sotterraneo si faceva sì angusto ch’ei procurava invano -d’ire più oltre; le muraglie si ristringevano, si assestavano una -all’altra, egli faceva sforzi tremendi per proseguire, e non poteva.... -E frattanto vedeva da lontano Grimaud colla lanterna che badava a -camminare; voleva chiamarlo acciò lo ajutasse a togliersi da quel -luogo ove si sentiva soffocare, e nemmeno gli riusciva di proferire -un accento. Ed ecco all’estremità opposta a quella da cui era venuto, -udiva correre quei che lo inseguivano, essi si avvicinavano, egli era -scoperto, non gli rimaneva più speranza di scampo. Pareva che il muro -fosse d’accordo coi suoi nemici, e lo incalzasse quanto più d’uopo egli -aveva di scappare.... Indi udiva la voce di la Ramée.... lo vedeva in -persona. La Ramée stendeva la mano, e questa mano gliela posava sulla -spalla dando uno scroscio di risa.... Ed egli era ripreso, e menato -nella stanza bassa ed a vôlta dov’erano morti il maresciallo Ornano, -Puylaurens e suo zio. Stavano là le loro tre tombe, là sul terreno, ed -era aperta una quarta fossa che attendeva un cadavere. - -Sicchè il duca, quando si svegliò, fece tanti sforzi per mantenersi -desto quanti ne aveva fatti per addormentarsi, e la Ramée, -nell’entrare, lo trovò sì pallido e affaticato che gli domandò se era -ammalato. - -«Difatti, disse uno dei guardiani, il quale era rimasto in camera -e non avea potuto riposare a motivo di un mal di denti prodottogli -dall’umidità. Sua Altezza ha avuto una nottata agitatissima, e due o -tre volte sognando ha chiamato ajuto. - -«Che cos’ha Vostra Altezza? chiese la Ramée. - -«Eh scimunito! sei tu, che con le tue cianciafruscole di fuga, jeri -mi rompesti il capo, e sei causa ch’io abbia sognato che scappavo, e -scappando mi rompevo il collo». - -La Ramée rise come un matto. - -«Vedete, monsignore, rispose, questo è un avvertimento del cielo; -sicchè spero che non commetterete mai simili imprudenze altro che in -sogno. - -«E avete ragione, mio caro, disse il duca asciugandosi il sudore che -tuttavia gli colava dalla fronte, non voglio più pensare che a mangiare -e bere.... - -«Zitto!» fece la Ramée. - -Ed allontanò uno ad uno i guardiani con frivoli pretesti. - -«Ebbene? domandò il principe quando furono soli. - -«È ordinato il pasto. - -«Ah! e di che si compone? sentiamo, mio signor maggiordomo. - -«Monsignore, avete promesso di rapportarvi a me. - -«E vi sarà il pasticcio? - -«Lo credo! e grosso come una torre. - -«Fatto dal successore di mastro Marteau? - -«Per l’appunto. - -«Gli hai detto ch’è per me? - -«Glie l’ho detto. - -«E ha risposto?.... - -«Che farà meglio che potrà per contentare Vostra Altezza. - -«Alla buon’ora! esclamò il duca stropicciandosi le mani. - -«Corbezzole! seguitò la Ramée, come vi principiate a far ghiotto, -monsignore! non vi ho mai veduto in viso tanto allegro da cinque anni -in qua». - -Il principe comprese non aver saputo frenarsi abbastanza. Ma, nel -momento, come se egli avesse ascoltato alla porta e conosciuta urgente -una distrazione alle idee di la Ramée, capitò Grimaud ed accennò a -quest’ultimo che avea da dirgli qualcosa. - -La Ramée si accostò a Grimaud, il quale gli parlò pian piano. - -Intanto il signor di Beaufort si rimise a sesto. - -«Ho già proibito a costui, egli disse, di presentarsi qui senza mia -licenza! - -«Altezza, convien perdonarglielo, giacchè son’io che l’ho fatto -chiamare. - -«E perchè, mentre sapete che mi spiace? - -«Rammentatevi, monsignore, quel che si è fissato, che deve servirci al -famoso pasto; Vostra Altezza si è scordata del pasto? - -«No, ma mi ero scordato di Grimaud. - -«Sapete pure, monsignore, che senza di lui non si va a tavola. - -«Ebbene, fate a modo vostro. - -«Avvicinatevi, giovanotto, disse la Ramée, e state a sentire quel che -vi dico». - -Grimaud si appressò con la cera più burbera che potesse. - -L’altro continuò: - -«Monsignore mi fa l’onore d’invitarmi a cena per domani da solo a solo». - -Grimaud fece un atto che significava non capire egli in che lo -risguardasse una tal cosa. - -«Sicuro, sicuro; anzi vi riguarda, poichè avrete l’onore di servirci, -senza contare che per quanto abbiamo buon appetito e gran sete, resterà -un po’ di roba in fondo ai piatti e alle bottiglie, e quella sarà per -voi». - -Grimaud s’inchinò in segno di ringraziamento. - -«E adesso, monsignore, proseguì la Ramée, chiedo licenza a Vostra -Altezza: pare che il signor di Chavigny debba assentarsi per alcuni -giorni, e avanti di partire mi avvisa che ha da darmi degli ordini». - -Il duca procurò di ricambiare uno sguardo con Grimaud, ma l’occhio di -questo era senza sguardo. - -«Andate, rispose il principe al birro; e tornate al più presto. - -«Monsignore, volete forse la rivincita della partita di jeri alla -palla?» - -Grimaud fece col capo un cenno impercettibile di su a giù. - -«Sì; replicò il signor di Beaufort, ma badate, la Ramée, non tutte le -giornate sono eguali, ed oggi io son deciso di battervi ben bene». - -La Ramée uscì. Grimaud lo seguì cogli occhi senza che il rimanente del -suo corpo scartasse di una linea. Quando vide chiusa la porta si levò -sollecito di tasca un lapis e un pezzo di carta, e disse: - -«Monsignore, scrivete. - -«E che ho da scrivere?» - -Grimaud fece un segno col dito, e poi dettò: - - «Tutto è pronto per domani sera; state in guardia dalle sette alle - nove ore; abbiate allestiti due cavalli; scenderemo dalla prima - finestra della galleria». - -«E poi? domandò il duca. - -«E poi? riprese Grimaud attonito, firmate. - -«Niente altro? - -«E che volete di più, Altezza?» ribattè Grimaud partigiano del più -rigido laconismo. - -Il principe firmò. - -«Adesso, soggiunse l’altro, monsignore, avete perduta la palla? - -«E quale? - -«Quella che conteneva la lettera. - -«No; ho pensato che ci potrebbe essere utile: eccola». - -Difatti di Beaufort, togliendola di sotto al capezzale, la porgeva a -Grimaud. - -Questi sorrise nel modo più grazioso che stesse in lui. - -«E ora? chiese il duca. - -«Ora ricucirò il foglio nella pillotta, e voi, giuocando, mandate -questa nel fosso. - -«Ma forse si perderà! - -«Non dubitate, vi sarà qualcuno a raccoglierla. - -«Un giardiniere?» - -Grimaud ammiccò di sì. - -«Lo stesso di jeri?» - -Uguale specie di affermazione. - -«Dunque il conte di Rochefort?» - -Tre atti di Grimaud esprimenti di sì. - -«Orsù, almeno dammi qualche dettaglio sulla maniera in cui dobbiamo -fuggire. - -«Mi è proibito prima del momento dell’esecuzione. - -«Chi sono quelli che mi attenderanno dall’altra parte del fosso? - -«Non lo so. - -«Ma dimmi almeno che cosa conterrà il famoso pasticcio, se non vuoi -ch’io impazzisca. - -«Conterrà due pugnali, una fune annodata, e una _pera d’angoscia_[9]. - -«Bene! capisco. - -«Vostra Altezza vede che ve ne sarà per tutti. - -«Prenderemo per noi i pugnali e la fune, aggiunse il principe. - -«E faremo mangiar la pera a la Ramée, rispose Grimaud. - -«Mio caro Grimaud, replicò il signor di Beaufort, tu non parli spesso, -ma quando parli, convien renderti giustizia, dici parole d’oro!» - - - - -XXII. - -_Un’avventura di Maria Pichon._ - - -Verso la stessa epoca in cui si tramavano quei progetti di fuga infra -’l duca di Beaufort e Grimaud, due uomini a cavallo, seguìti a poca -distanza da un lacchè, entravano in Parigi pella via del sobborgo San -Marcello. Erano il conte di la Fère ed il visconte di Bragelonne. - -Era quella la prima volta che il giovinetto veniva a Parigi, ed Athos -non aveva fatto figurare di molto la capitale, sua antica amica, -mostrandogliela da quella parte: che di certo l’infimo villaggio della -Touraine era più gradito alla vista che non fosse Parigi preso dal lato -per cui dà inverso Blois. E quindi n’è duopo il dirlo, a vergogna della -tanto vantata città, essa non produsse sul garzoncello che un effetto -mediocre. - -Athos si manteneva nel suo aspetto sereno e non curante. - -Arrivato a San Medard, egli, che nel grande laberinto faceva da guida -al suo compagno di viaggio, pigliò dalla strada delle poste, indi da -quella delle Estrapade, e dopo dai fossi di San Michele, e in seguito -di Vaugirard. Giunti nella via Feron, entrambi vi s’inoltrarono. Verso -la metà di questa, Athos, alzando gli occhi sorridendo, ed accennando -al ragazzo una casa di media apparenza, gli disse: - -«Ecco una casa, o Raolo, dove ho passati i sette anni più dolci eppur -più crudi della mia vita». - -Raolo sorrise anch’esso e salutò la dimora. La di lui pietà pel suo -protettore si manifestava in qualunque atto della sua esistenza. - -In quanto ad Athos, conforme già avvertimmo, Raolo era per lui, -non solamente il centro, ma anche (meno le vecchie rimembranze del -reggimento) l’unico oggetto d’ogni suo affetto, e ciascuno comprende -in qual modo e tenero e profondo poteva amare questa volta il cuore di -Athos. - -I due viaggiatori si fermarono in via del Vecchio Colombajo, -all’insegna della _Volpe verde_. Athos conosceva da lunga pezza quella -taverna; v’era stato cento volte con gli amici, ma da venti anni erano -accaduti molti cambiamenti nell’albergo, principiando dalla padrona. - -I forestieri consegnarono i palafreni ai garzoni, e siccome quegli -erano animali di razza nobile, raccomandarono di averne somma cura, e -che ad essi non si desse altro che paglia e avena, e si lavasse loro il -petto e le gambe con del vino tepido. Avevano fatte venti leghe nella -giornata! Indi, occupatisi in primo luogo dei corsieri, come debbono -fare i veri cavalieri, chiesero eglino per sè due camere. - -«Ora vi vestirete meglio, Raolo, disse Athos; vi presenterò a qualcuno. - -«Oggi! fece il giovanetto. - -«Tra mezz’ora». - -Raolo s’inchinò. - -Forse meno instancabile di Athos, il qual pareva di ferro, egli avrebbe -preferito un bagno in quel fiume Senna, di cui aveva inteso a parlar -tanto, e ch’era persuaso di trovare inferiore alla Loira ed al suo -letto; ma il conte de la Fère aveva favellato, ed egli non pensò che ad -obbedire. - -«Appunto, disse Athos, adornatevi bene; vuo’ che vi trovino bello. - -«Signore, rispose il ragazzo, spero che non si tratti già di -matrimonio; conoscete gli impegni miei con Luigia. - -«No, no, benchè io vi voglia presentare ad una donna. - -«A una donna? - -«Sì, ed anche desidero che la amiate». - -Raolo guardò il conte con una tal quale inquietudine, ma visto ch’esso -sorrideva si fu presto acquietato. - -«E quanti anni ha ella? richiese il visconte di Bragelonne. - -«Caro mio, replicò Athos, sappiate una volta per sempre che codesta è -una domanda da non farsi mai; quando potete scorgere sul viso di una -donna la sua età è inutile ricercargliela; quando non potete più, è -imprudenza. - -«Ed è bella? - -«Sedici anni fa passava non solo per la più leggiadra, ma anco per la -più graziosa che fosse in tutta la Francia». - -Questa risposta tranquillizzò il visconte. Athos non doveva avere -progetto alcuno su di lui e sopra una femmina reputata la più leggiadra -e graziosa della Francia un anno prima ch’ei venisse al mondo. - -Si ritirò dunque nella sua camera, e con quella vanità che si addice -alla gioventù, si applicò a seguire le istruzioni di Athos, cioè a -farsi più bello che potesse. E ciò ben gli era facile con quanto aveva -già a tal effetto disposto la natura. - -Allorchè ei ricomparve, Athos lo accolse con quel sorriso paterno col -quale in addietro aveva ricevuto d’Artagnan, ma che per Raolo portava -in sè una maggior tenerezza. - -Volse lo sguardo a’ suoi piedi, alle sue mani e a’ suoi capelli, tre -segni che indicavano la razza. I capelli neri erano scompartiti come -usavano in quell’epoca e ricadevano inanellati a contornargli il volto -piuttosto pallidetto; guanti di pelle grigia, e che combinavano col -colore del cappello, mostravano la vaga forma della mano sottile ed -elegante, mentre gli stivali del color medesimo che i guanti ed il -cappello stringevano due piedi che parevano di un fanciullo di dieci -anni. - -«Eh via! disse Athos, se non va superba di lui, conviene che sia pur -difficile» - -Erano le tre pomeridiane, cioè l’ora opportuna per le visite. I due -s’incamminarono dalla via di Grenelle, presero da quella de’ Rosaj, -entrarono nell’altra di San Domenico, e si fermarono davanti ad un -magnifico palazzo, situato dirimpetto ai Giacobini avente in cima le -armi di Luynes. - -«È qui» disse Athos. - -Entrò nel palazzo col portamento deciso che accenna al guarda-portone -come quegli che arriva abbia diritto di agire così. Salì la gradinata, -e domandò ad un lacchè, che aspettava in gran livrea, se la signora -duchessa di Chevreuse era visibile e poteva ricevere il conte di la -Fère. - -Indi a un momento il servo ritornò dicendo che quantunque la duchessa -di Chevreuse non avesse l’onore di conoscere il signor conte pur lo -pregava di passare. - -Athos andò col domestico, e questo gli fece traversare una lunga fila -di stanze, e si ristette al fine dinanzi ad un usciale chiuso. Athos -accennò al visconte che si trattenesse là fuori nel salotto. - -Il lacchè avendo aperto annunziò il signor conte di La Fère. Madama -di Chevreuse, di cui fu parlato sovente nella storia dei _Tre -moschettieri_ senza però che mai si desse occasione di poterla -conoscere, era tuttora reputata una bellissima donna. - -Difatti, benchè in quel tempo avesse digià quarantaquattro o -quarantacinque anni, ne mostrava appena trentotto o trentanove; -possedeva tuttavia i bei capelli biondi, gli occhi grandi e vivaci che -tanto spesso aveva aperti il raggiro e socchiusi l’amore e il personale -da ninfa, il quale faceva sì che a mirarla per dietro paresse ancora -la stessa fanciulletta che insieme con Anna saltava di sul famoso fosso -delle Tuilerie che nel 1623 privò d’un erede la corona di Francia. - -Del rimanente, ell’era sempre la medesima pazza creatura che diede -a’ suoi amori un tal carattere di originalità da far che questi -diventassero una sorta d’illustrazione pella sua famiglia. - -Stava in un piccolo gabinetto che dava con la finestra sul giardino. -Secondo la moda messa su da madama di Rambouillet nel fabbricare il suo -palazzo, il parato era tutto di una specie di damasco cilestro a fiori -color di rosa e foglie d’oro. Grande atto di civetteria era pure in una -femmina dell’età della Chevreuse lo starsene in un simil gabinetto, -e soprattutto nella positura in cui si teneva in quel momento, cioè -distesa in un seggiolone bislungo, con la testa appoggiata alla -tappezzeria. - -Aveva in mano un libro mezz’aperto, e poi un cuscino per reggere il -braccio che sosteneva il libro. - -All’annunzio del lacchè sollevò un poco il capo e lo avanzò curiosetta. - -Comparve Athos. - -Era vestito di velluto violetto con guarnizione di passamani consimili; -gli aghetti erano di argento ben brunito, sul suo manto non vi era -alcun ricamo d’oro, ed una semplice piuma paonazza gli avvolgeva il -cappello nero. - -Ai piedi aveva gli stivali di cuojo nero, e al cinturino inverniciato -gli pendeva quella spada dalla magnifica impugnatura che tante -volte Porthos ammirò in via di Feron, ma che Athos non volle mai -imprestargli. Di superbe trine si formava il collo della camicia, e -trine eguali ricadevano sulle rivolte degli stivali. - -Nell’individuo annunziato a madama di Chevreuse sotto nome al tutto -ignoto esisteva un tale aspetto di gran gentiluomo, ch’essa si alzò -un pocolino sulla vita ad accennargli graziosamente che prendesse una -sedia a lei vicina. - -Athos s’inchinò ed obbedì. Il lacchè andava per ritirarsi, ed egli con -un segno lo trattenne. - -«Signora, disse alla duchessa, ho avuto l’audacia di presentarmi nel -vostro palazzo senza essere da voi conosciuto; ben mi è riuscito, -poichè vi degnaste ricevermi, e ardisco poi domandarvi una mezz’ora di -colloquio. - -«Ve lo concedo, signore, rispose la duchessa col più gentile dei suoi -sorrisi. - -«Ma ciò non basta, madama. Oh! sono un grande ambizioso! lo so; -chiedo un colloquio a testa a testa, e bramerei caldamente non essere -interrotto. - -«Andate, ordinò al servo la signora, io non ci sono per alcuno». - -E il domestico uscì. - -Fuvvi breve silenzio, durante il quale quei due soggetti che -scambievolmente si riconoscevano per personaggi di altissima schiatta, -si esaminarono senza provare confusione veruna. - -Fu la prima a parlare la duchessa. - -«Ebbene, signore, disse con sommo garbo, non vedete che attendo con -impazienza? - -«Ed io, madama, rispose Athos, guardo con ammirazione. - -«Dovete scusarmi, soggiunse la signora, se sono ansiosa di sapere con -chi discorro. Voi siete un uomo di alto rango, non v’ha dubbio, eppure -mai non vi vidi in corte. Venite forse dalla Bastiglia? - -«No, replicò il conte sogghignando, ma forse sono sulla via che ivi -conduce. - -«In tal caso ditemi presto chi siete, e poi andatevene, soggiunse la -dama con quel modo brioso che aveva in lei tanto pregio. - -«Chi sono, signora? vi fu detto il mio nome: conte di la Fère. Questo -nome non vi fu noto giammai. In passato io ne aveva un altro, che -probabilmente sapeste, ma che di certo avete obbliato. - -«Ditelo pure, non ostante. - -«Prima io mi chiamava Athos». - -La signora di Chevreuse, maravigliando, spalancò gli occhi. Era -evidente, secondo le diceva il conte, che quel nome non fosse del tutto -cancellato dalla sua memoria, ancorchè vi stesse confuso fra altre -ricordanze. - -«Athos?... ella fece...., aspettate....» - -E si pose ambe le mani su la fronte, come per ritenere le mille idee -fugaci che vi stavano rinchiuse a fissarsi un momento onde lasciarle -discernere chiaro nella lor turba brillantissima. - -«Volete ch’io vi ajuti, madama? seguitò Athos sorridendo. - -«Oh! disse la duchessa digià stanca di cercare, mi farete piacere. - -«Quell’Athos era in istretta relazione con tre giovani moschettieri che -si chiamavano d’Artagnan, Porthos ed.... - -«Ed Aramis! finì con impeto la signora, perocchè Athos si era -soffermato. - -«Aramis appunto, questi confermò: non vi siete dunque dimenticata -affatto di quel nome? - -«No, no.... povero Aramis! era un amabile gentiluomo, elegante, -prudente, e che faceva dei bei versi; credo che non abbia fatto buon -fine. - -«Si fece abate. - -«Ohimè! peccato! ribattè la Chevreuse muovendo con indolenza il -ventaglio. Davvero, signor mio, vi ringrazio. - -«Di che, madama? - -«D’avermi riprodotta quella rimembranza, ch’è una delle più piacevoli -di mia gioventù. - -«E allora, mi permettete di rendervene presente anche un’altra? - -«Che a quella va congiunta? - -«Forse sì, forse no. - -«Oh! dite pure. Con un uomo come voi, mi arrischio a tutto». - -Athos s’inchinò. - -«Aramis, esso proseguì, era in istretti rapporti con una giovane -merciaja di Tours. - -«Merciaja di Tours? - -«Sì, sua cugina, che si chiamava Maria Michon. - -«Ah! la conosco! esclamò la duchessa, è quella a cui egli scriveva -dall’assedio di la Rochelle onde avvertirla di un complotto che si -tramava contro al povero Buckingham. - -«Precisamente. Mi concedete di favellarvi di lei?» - -La dama fissò in volto Athos. - -«Sì, rispose, purchè non ne diciate molto male. - -«Sarei un ingrato, ed io considero l’ingratitudine, non come difetto o -delitto, ma come vizio, lo che è di peggio. - -«Voi ingrato verso Maria Michon? domandò la signora di Chevreuse, -procurando di leggere negli occhi di Athos. E come mai potrebbe essere? -non la conosceste già personalmente. - -«Chi sa, madama! v’è un proverbio popolare il quale dice che solo -le montagne non s’incontrano; e i proverbi popolari sono talvolta -estremamente giusti. - -«Oh! continuate, signore! fece con calore la duchessa, non vi potete -figurare quanto mi diverta questa conversazione. - -«Voi m’incoraggite, ed io seguiterò. Quella cugina di Aramis, Maria -Michon, la merciaja, ad onta della sua volgare condizione, aveva le più -elevate conoscenze; chiamava sue amiche le primarie dame della corte, e -la regina, benchè superba, diceva a lei sorella. - -«Ahimè! interruppe la Chevreuse con un leggierissimo sospiro e col -piccolo moto del ciglio che era proprio di lei sola, da quel tempo le -cose sono cambiate di molto! - -«E la regina aveva ragione, tirò innanzi Athos, giacchè essa le era al -sommo affezionata e devota; devota a segno da servirle di mediatrice -col suo fratello re di Spagna. - -«Il che, ripigliò la duchessa, oggi le si ascrive a gran delitto. - -«A tal punto, rispose Athos, che il ministro, il vero ministro, -l’altro, una mattina risolse di far arrestare la misera Maria Michon -e condurla al castello di Loches. Per fortuna ciò non potè eseguirsi -tanto segretamente che non ne traspirasse qualcosa; il caso era -preveduto: se a Maria sovrastasse qualche pericolo, la regina dovea -farle pervenire un libro di orazioni rilegato di velluto verde. - -«Giusto così! siete bene informato. - -«Una mattina arrivò il libro verde recato dal principe di Marsillac. -Non v’era tempo da perdere. Per buona sorte Maria Michon ed una -sua serva, una certa Ketty, portavano egregiamente il vestimento da -uomo. Il principe procacciò a Maria un abito da cavaliere, a Ketty -uno da lacchè, diede loro due ottimi cavalli, e le due fuggiasche -abbandonarono prestamente Tours, avviandosi inverso Spagna, tremando al -minimo rumore, pigliando strade indirette perchè non osavano battere le -strade maestre, e chiedendo ospitalità quando non trovavano alberghi. - -«Ma davvero, fu propriamente a questo modo! gridò la Chevreuse battendo -le mani, sarebbe curiosa....» - -E si tacque di botto. - -«Ch’io seguitassi le due raminghe sino al termine del loro viaggio? -disse Athos. No, madama, non abuserò in tal guisa del vostro tempo, -e noi non le accompagneremo se non se ad un piccolo villaggio -del Limosino situato fra Tulle e Angouleme, e che ha nome di -Roche-l’Abeille». - -La duchessa diede un grido di sorpresa, e mirò in faccia Athos in cotal -atto di stupore che fece sorridere l’antico moschettiere. - -«Aspettate, signora, questi continuò, giacchè ciò che ho da dirvi è -assai più strano di quel che vi ho detto. - -«Eh! replicò la Chevreuse, ormai vi tengo per uno stregone, e da voi mi -attendo a tutto.... ma basta.... andate pure innanzi. - -«La giornata era stata lunga e faticosa; faceva freddo, era il dì 11 -ottobre. Il villaggio non presentava nè locanda, nè palazzo, le case -dei contadini erano povere e sporche. Maria Michon era una persona -molto aristocratica; come la regina sua sorella, era essa avvezza -a odori delicati e biancheria fine.... sicchè si decise a dimandare -ospitalità al presbiterio». - -Athos fece una breve pausa. - -«Ah! seguitate, disse la duchessa, vi ho prevenuto che mi aspettavo a -qualunque cosa. - -«I due viaggiatori bussarono alla porta. Era tardi; il prete, -coricato[10], gridò loro ch’entrassero, ed entrarono mentre la porta -non era chiusa. Nelle campagne esiste grandissima fiducia. Stava accesa -una lucerna nella camera. Maria Michon, che pareva il più grazioso -cavaliere del mondo, spinse l’usciale, avanzò la testa, e chiese -ospitalità. - -« — Volentieri, mio giovane signore, rispose il padrone del luogo, -se volete adattarvi agli avanzi della mia cena ed a metà della mia -camera.... — - -«Le due viaggiatrici si consultarono un momento; quegli udì che -ridevano forte, e indi il padrone, o anzi la padrona, replicò: - -« — Grazie, signore, accetto. - -« — Dunque cenate, questo soggiunse, e fate meno chiasso che potete, -perchè ancor io ho camminato tutto il giorno e non m’increscerebbe di -riposare stanotte». - -Madama di Chevreuse passava da sorpresa a meraviglia, e da meraviglia a -stupefazione; osservava Athos in un modo che non sapremmo definire: si -scorgeva che avrebbe bramato di parlare, eppur si taceva per timore di -perdere una parola del suo interlocutore. - -«E poi? essa disse. - -«E poi? fece Athos, ah! qui sta il difficile! - -«Dite, dite, dite! a me si può dir tutto.... e d’altronde io non ci ho -che fare, è cosa che riguarda Maria Michon. - -«Oh! questo è giusto; seguitò Athos. Or bene, Maria Michon mangiò -insieme con la sua serva, e dopo, secondo il permesso datole tornò -nella stanza dove riposava il suo albergatore, intanto che Kelly si -sdrajava sopra una poltrona nell’altra dov’erasi fatto il loro piccolo -pasto. - -«In coscienza, riprese la duchessa, ammenochè voi siate il demonio in -persona, non so come possiate conoscere tutti codesti dettagli. - -«Era una cara donnetta, la Maria Michon, continuò Athos, una di quelle -pazzarelle a cui passano sempre per la mente le idee le più singolari, -uno di quegli esseri nati espressamente per mandarci in dannazione -quanti siamo. E pensando che quegli che a lei dava ricovero era un -abate, saltò in capo alla bricconcella che sarebbe stata una delle più -allegre memorie per la sua vecchiaja (ella ne aveva digià parecchie -altre) di fare anche a lui una burla. - -«Conte! interruppe la signora di Chevreuse, in parola d’onore, voi mi -spaventate. - -«Ahimè! disse Athos, il povero galantuomo non era un Sant’Ambrogio, e -lo ripeto, Maria Michon era una creatura adorabile. - -«Signore! esclamò la duchessa afferrandogli ambe le mani, spiegatemi -subito come sapete tutto questo, o che fo venire dal convento dei -vecchi Agostini uno che vi esorcizzi». - -Athos si mise a ridere. - -«Madama, non v’è niente di più facile. Un cavaliere incaricato -d’importante incombenza era venuto un’ora prima di voi a domandare -ospitalità al presbiterio, nel momento appunto che il curato chiamato -presso ad un moribondo si assentava non solo da casa sua ma anche dal -villaggio per tutta la notte; l’uomo di Dio, pien di fiducia nel suo -ospite, il quale d’altronde era gentiluomo, aveva ad esso abbandonato -e casa e cena e camera. Quindi all’ospite del prete, e non al prete, -Maria Michon chiedeva ricovero. - -«E il cavaliere, il gentiluomo, l’ospite giunto innanzi a lei? - -«Era io, conte di la Fère», disse Athos alzatosi a salutare -rispettosamente la signora di Chevreuse. - -Questa per un istante rimase stupefatta, poi ad un tratto dando una -forte risata: - -«Affè! disse, il caso è curiosissimo; e la pazza Maria Michon si trovò -meglio che non isperasse. Sedete, conte, e ripigliate il filo della -vostra narrazione. - -«Adesso, o madama, mi resta da incolpare me stesso. Io viaggiava, come -vi ho detto, per affari di premura. All’alba uscii dalla camera senza -far rumore, lasciando dormire il mio amabile compagno di alloggio. -Nella prima stanza dormiva pure con la testa adagiata sulla poltrona -la serva, degna in tutto e per tutto della padrona. Il suo vago volto -mi fece sensazione, me le accostai, e riconobbi la piccola Ketty che -presso di lei avea posta il nostro Aramis. E così fu ch’io seppi che la -bella viaggiatrice era.... - -«Maria Michon, interruppe con impeto la duchessa. - -«Maria Michon, confermò Athos. Me ne andai di casa, passai nella -stalla, trovai il mio cavallo con la sella addosso e il lacchè pronto, -e partimmo. - -«Nè più capitaste in quel villaggio? domandò con calore la signora. - -«Un anno dopo. - -«Ebbene? - -«Ebbene! volli rivedere il buon curato. Era inquieto per un avvenimento -che non comprendeva. Otto giorni avanti aveva ricevuto in una culla -un grazioso bambinello di tre mesi, con una borsa piena d’oro ed -un biglietto contenente queste semplici parole: 11 OTTOBRE 1633.... -Egli, poveretto, nella notte di quella data era stato al fianco a un -moribondo, e Maria si era partita dal presbiterio innanzi il di lui -ritorno. - -«Signore, vi è noto che Maria Michon, reduce in Francia nel 1643, -ricercò tosto notizie di quel fanciullo; mentre fuggiasca non poteva -tenerlo seco, ma recatasi di nuovo nella capitale voleva presso di sè -farlo educare. - -«E che le disse l’abate? chiese Athos. - -«Che un signore da lui non conosciuto erasi compiaciuto -d’incaricarsene, si era fatto garante del suo stato avvenire, e lo -aveva condotto via. - -«Era vero. - -«Ah! allora capisco: quel signore eravate voi.... suo padre! - -«Zitto! non parlate tanto forte, madama! egli è qui. - -«È qui! esclamò la duchessa di Chevreuse rizzatasi in piedi, mio -figlio! il figlio di Maria Michon è qui! voglio vederlo subito! - -«Badate, signora, ch’ei non conosce nè suo padre nè sua madre, la -interruppe Athos. - -«Voi serbaste il segreto, e me lo conducete così, persuaso di farmi -lieta, oh! lietissima! Grazie! grazie! seguitò la dama prendendogli la -mano e procurando portarsela sulle labbra, grazie! Che cuor nobile è il -vostro! - -«Ve lo conduco, madama, replicò Athos ritirando la destra, acciò voi -pure facciate per esso qualche cosa. Sinora io solo invigilai alla sua -educazione, e credo averne fatto un compito gentiluomo; ma è giunto il -momento in cui mi trovo da capo costretto a riprender la vita errante -e perigliosa dell’uomo di parte. Domani mi slancierò in un affare -azzardoso nel quale posso essere ucciso: allora ei non avrà altri che -voi per avanzarlo nel mondo ov’è chiamato ad occupare un posto. - -«Non dubitate! gridò la Chevreuse, disgraziatamente, ho attualmente -poco credito, ma quel tanto che me ne rimane è per lui. Quanto alle sue -fortune ed al suo titolo.... - -«Di ciò non vi pigliate pensiero, signora: io gli ho trasferita in -sostituzione la tenuta di Bragelonne, che possiedo per eredità, e che -gli dà il titolo di visconte e dieci mila lire di rendita. - -«Sull’anima mia, siete un vero gentiluomo.... Ma io sono ansiosa di -vederlo! dov’è? - -«È di là nel salotto; lo fo venire se lo gradite». - -Athos fece un movimento verso la porta. La signora di Chevreuse lo -trattenne, domandandogli: - -«È bello?» - -Il conte sorrise, e le rispose: - -«Somiglia a sua madre». - -Ed aperto l’usciale, fece un cenno al giovanetto, il quale tosto -comparve sulla soglia. - -La donna non potè frenare un grido di giubilo mirando un sì gentil -cavaliere, che oltrepassava quante speranze avesse mai concepite il suo -cuore. - -«Avvicinatevi, visconte, disse Athos, la signora duchessa di Chevreuse -vi permette di baciarle la mano». - -Quegli si appressò, coll’amabile suo sorriso, a testa scoperta, e messo -in terra un ginocchio baciò la destra a madama di Chevreuse. - -«Signor conte, ei richiese volgendosi ad Athos, forse per usar riguardo -alla mia timidezza mi dite esser questa la duchessa di Chevreuse, e non -è ella piuttosto la regina? - -«No, visconte, rispose la signora pigliandolo per la mano, facendolo -sedere al suo fianco, ed osservandolo con occhi che brillavano dal -contento, no, pur troppo non sono la regina.... chè se lo fossi, farei -tosto per voi tutto ciò che meritate; ma orsù, tal quale io sono (e si -tratteneva a stento da posare il labbro su la di lui purissima fronte) -orsù, qual carriera bramate di seguire?» - -Athos in piedi li considerava entrambi con espressione di letizia -indicibile. - -«Signora, disse il garzoncello con voce dolce ad un tempo e sonora, -mi sembra che per un gentiluomo siavi una sola carriera, quella delle -armi. Il signor conte mi educava, da quanto io credo, con intenzione -di farmi soldato, e mi dava lusinga di presentarmi in Parigi a persona -atta a raccomandarmi al signor Principe. - -«Sì, capisco: si conviene ad un giovane soldato par vostro di servire -sotto un giovane generale suo pari.... ma aspettate.... io nel mio -particolare sto piuttosto male con esso a motivo delle contese di -madama di Montbazon mia suocera con la signora di Longueville.... però -in quanto al principe di Marsillac.... Eh, signor conte, appunto così: -il principe di Marsillac è mio vecchio amico; raccomanderà il signorino -a madama di Longueville, la quale gli darà una lettera per suo fratello -il signor Principe, e questo ama lei troppo teneramente per non fare a -pro di esso quanto ella gli chiegga. - -«Va a meraviglia, rispose il conte, soltanto oserò pregarvi della -maggiore sollecitudine! ho delle ragioni per desiderare che domani a -sera il visconte non sia più in Parigi. - -«Gradite che si sappia che v’interessate per lui? - -«Sarebbe forse meglio pel suo stato avvenire che s’ignorasse avermi -egli neppur mai conosciuto. - -«Oh signore! esclamò il giovanetto. - -«Bragelonne, gli replicò Athos, sapete che nulla io fo giammai senza -ragione. - -«Sì, so che in voi è la suprema saggezza, e vi obbedirò com’è mio -costume. - -«Or bene, conte, soggiunse la duchessa, lasciate fare a me; mando a -chiamare il principe di Marsillac, che per fortuna è adesso in Parigi, -e non mi divido da lui sinchè la cosa non sia terminata. - -«Ottimamente, signora duchessa; mille e mille grazie. Io pure ho per -oggi da far diverse gite, e al mio ritorno, cioè sulle sei ore di sera, -attenderò all’albergo il visconte. - -«Che farete questa sera? - -«Andremo dall’abate Scarron, per cui ho una lettera, e dal quale devo -incontrare un amico mio. - -«Benone; ci passerò ancor io per un momento; sicchè non vi partite -dalle sue sale finchè non mi abbiate veduta». - -Athos salutò madama di Chevreuse e si dispose ad uscire. - -«Eh via, signor conte, disse ridendo la duchessa, e si lasciano con -tanta cerimonia gli antichi amici? - -«Ah! balbettò Athos baciandole la mano, se avessi saputo che Maria -Michon era una creatura tanto amabile!...» - -E se ne andò sospirando. - - - - -XXIII. - -_L’abate Scarron._ - - -Nella via _des Tournelles_ v’era una casa nota a tutti i conduttori di -portantine e lacchè della capitale; eppure, essa non era nè di un gran -signore nè di un finanziere; non vi si mangiava, non vi si giuocava -mai, nè vi si ballava. - -E contuttociò era il punto di riunione della gentil società, e v’andava -tutta Parigi. - -Io parlo dell’abitazione dell’abate Scarron. - -Dallo spiritosissimo abate si rideva tanto, si spacciavano -tante novità, e sì presto si commentavano, si sminuzzavano, e si -trasformavano o in novellette o in epigrammi, che ciascuno voleva -andare a passar un’ora col piccolo Scarron, udir ciò ch’ei diceva, e -questo riferir poi altrove. Molti ancora avevano smania di lanciarvi -le loro parolette, e se queste erano graziose, quei tali rimanevano ben -accolti ed accetti. - -L’abate Scarron, il quale era abate soltanto perchè possedeva -un’abbazia, e non già perchè fosse negli ordini, era stato in addietro -uno dei più eleganti canonici della città del Mans ove dimorava. Un -giorno di carnevale gli saltò in capo di tenere allegra quella buona -città di cui egli era propriamente l’anima; si fece ungere tutto -di miele dal suo cameriere, e poi aperto un letto pien di piume e -rotolatosi dentro a questo, diventò il più ridicolo volatile che si -potesse vedere. Allora cominciò a far visite agli amici ed alle amiche -in codesto arnese grottesco. Si principiò col seguitarlo attoniti, indi -colle fischiate, poscia i facchini lo insultarono, dopo i ragazzi gli -tirarono dei sassi, ed alla fine fu costretto a scappare per iscansare -i projettili. Fuggito che fu, tutti gli corsero dietro, lo incalzarono, -lo circuirono. Egli non trovò altro mezzo ond’evitare la scorta che -di gettarsi nel fiume. Nuotava come un pesce, ma l’acqua era ghiaccia. -Scarron era sudante, lo prese il freddo, ed arrivato all’opposta riva -era attrappito. - -Allora si procurò con ogni mezzo conosciuto di rendergli l’uso delle -membra. Tanto lo fecero soffrire nella cura, ch’ei licenziò tutti i -medici, dichiarando che preferiva starsene ammalato. Tornò a Parigi, -dov’era già fissata la sua fama d’uomo di grande spirito. Là si -fece fare una sedia o portantina di sua invenzione; ed una volta che -trascinato su quella andò a far visita alla regina Anna, questa che lo -teneva in gran pregio gli addimandò se desiderasse qualche titolo. - -«Sì, Maestà, rispose Scarron, ne ambisco uno. - -«E quale? - -«Quello di vostro infermo» ei replicò. - -E Scarron fu nominato _infermo della regina_, con mille cinquecento -lire di pensione. - -Da quel momento, non più inquieto per lo avvenire, condusse -allegrissima vita, mangiandosi il capitale e la rendita. - -Bensì un giorno un emissario del ministro gli fece capire che aveva -torto di ricever da lui il signor Coadjutore. - -«E perchè? egli richiese, non è uomo di alta nascita? - -«Sì, cospetto! - -«Amabile? - -«Senza dubbio. - -«Spiritoso? - -«Pur troppo! - -«E allora, perchè volete ch’io cessi di frequentar un soggetto simile? - -«Perchè pensa male. - -«Davvero! e di chi? - -«Del ministro. - -«Come! continuò Scarron, io seguito a bazzicare il signor Gilles -Despréaux che pensa male di me, e pretendete che smetta di frequentare -il Coadjutore perchè pensa male di un altro? non è possibile!» - -La conversazione finì là, e Scarron per picca si trovava più spesso che -mai col signor di Gondy. - -Ora, la mattina appunto del giorno al quale noi siamo giunti, e ch’era -la scadenza del suo trimestre, Scarron secondo il solito mandò il suo -servitore con la ricevuta a riscuotere i tre mesi dalla Cassa delle -pensioni; ma gli fu risposto: - -«Che lo Stato non aveva più danari pel signor abate Scarron». - -Quando il lacchè recò a lui questa risposta egli aveva presso di sè -il duca di Longueville, che si offerse ad assegnargli una pensione del -doppio di quella toltagli dal Mazzarino; ma lo accortissimo gottoso non -l’accettò, e fece tanto che alle quattro ore pomeridiane tutta la città -era istrutta del rifiuto del ministro. Precisamente era giovedì, giorno -di ricevimento in casa dell’abate; la gente v’intervenne in folla, e -per tutta Parigi fu uno sparlare e un susurro indiavolato. - -Nella contrada di Sant’Onorato, Athos incontrò due gentiluomini a lui -ignoti, a cavallo come era egli pure, seguiti anch’essi da un lacchè, -e che seco facevano il medesimo cammino. Un di coloro togliendosi il -cappello, gli disse: - -«Crederete, signore, che quel furfante di Mazzarino ha soppressa la -pensione al povero Scarron? - -«È stravagante! replicò Athos salutando i cavalieri. - -«Si vede che voi siete un onest’uomo, soggiunse lo stesso che aveva già -parlato, e che il Mazzarino è propriamente un flagello. - -«Ohimè! fece Athos, e a chi lo dite!» - -E si separarono dopo molti scambievoli atti di cortesia. - -«Cade bene in acconcio, disse poi Athos al visconte, giacchè dovevamo -andarci, presenteremo le nostre condoglianze a quel povero uomo. - -«E chi è quello Scarron, che così mette a soqquadro Parigi? domandò -Raolo, forse qualche ministro in disgrazia? - -«Oh! no, mio caro, è semplicemente un piccolo gentiluomo, di grande -spirito, che sarà in disgrazia del ministro per aver fatta qualche -quartina contra di lui. - -«I gentiluomini compongono versi? richiese Raolo ingenuamente; credevo -che questo fosse un derogare. - -«Sì, visconte, replicò Athos ridendo, così è quando e’ si fanno -cattivi, ma se si fan buoni illustrano anche di più. Vi sia d’esempio -il signor di Rotrou. Ciò non ostante (continuò col tuono in cui uno -darebbe un buon consiglio) io penso che sia meglio il non farne. - -«Sicchè quel signore Scarron è poeta? - -«Sì; ormai siete avvertito, e in quella casa state guardingo, non -parlate che a gesti, o piuttosto ascoltate soltanto. - -«Sì signore. - -«Mi vedrete a discorrere molto con un mio amico: sarà l’abate -d’Herblay, del quale spesso mi udiste a ragionare. - -«Me ne rammento. - -«Avvicinatevi a noi qualche volta come per parlarci, ma non dite nulla; -non ascoltate tampoco: codesto lavorìo gioverà perchè gli importuni non -ci disturbino». - -Athos andò a far due visite. Alle sette ore s’incamminarono verso -la via des Tournelles. Ingombravano la strada portantine, cavalli e -servitori. Athos si fece largo ed entrò insieme col giovanetto. La -prima persona che osservò fu Aramis, piantatosi accanto ad un largo -seggiolone con le ruotine, avente sopra una cupola di drappo, sotto -la quale si agitava, avvolta in una coperta di broccato, una figura -piccola, giovane ancora e allegra, ma di quando in quando più pallida, -di cui gli occhi però esprimevano sempre un sentimento o vivace o -grazioso. Era l’abate Scarron, ognora ridente, che burlava, faceva -complimenti, e soffriva, e si grattava con una bacchetta. - -Attorno a quella sorta di tenda mobile si affollavano molte dame -e gentiluomini. La stanza era pulitissima e bene addobbata. Grandi -cortine di seta lavorate a fiori state già di colori accesi, ma ormai -alquanto smorti cadevano giù dalle ampie finestre. Il parato non era di -lusso ma di ottimo gusto. Due domestici assai civili ed accostumati a -trattare con decenza facevano delicatamente il loro servizio. - -Aramis non sì tosto ebbe visto Athos gli venne incontro, e presolo per -la mano lo presentò a Scarron, che dimostrò al nuovo ospite piacere e -rispetto, e fece al visconte un complimento gentilissimo. Raolo restò -sbigottito, perocchè non si era preparato alla maestosità del bello -spirito, ma salutò con tutto garbo. Indi Athos ricevè le più cortesi -espressioni di due o tre signori a cui lo presentò Aramis, e cessato -a poco a poco il tumulto cagionato dal suo arrivo, la conversazione -diventò generale. - -Passati quattro o cinque minuti, che bastarono a Raolo per mettersi a -sesto e pigliar cognizione topografica dell’adunanza, fu aperto l’uscio -ed annunziata da un lacchè madamigella Paulet. - -Athos con una mano toccò sulla spalla il visconte. - -«Raolo, gli disse, guardate quella donna, poichè è un personaggio -storico; da lei si recava il re Enrico IV allorchè fu assassinato». - -Raolo si scosse; da alcuni giorni si alzava ad ogni istante per lui -qualche portiera a discoprirgli un aspetto eroico: la femmina ancor -giovine e bella allora capitata colà, aveva conosciuto Enrico IV e gli -aveva parlato! - -Ciascuno si appressò premuroso alla sopraggiunta, secondochè essa era -tuttavia in gran voga. Era alta, di statura svelta, con un bosco di -capelli color d’oro, come piacevano tanto a Raffaello e come ne diede -il Tiziano alle sue Maddalene. E quel color rossiccio, o forse pare la -superiorità quasi regale da lei acquistata su le altre donne, le aveva -procacciato il soprannome di Leonessa (la Lionne). - -Quindi le nostre leggiadre signore d’oggi giorno che ambiscono a questo -titolo di moda, sapranno che proviene non già dall’Inghilterra, secondo -probabilmente si credevano, ma dalla vaga e spiritosa lor concittadina -madamigella Paulet. - -La Paulet se ne andò direttamente fino a Scarron tra mezzo al bisbiglio -che surse da ogni lato al di lei ingresso. - -«Ebbene, mio caro abate, disse con voce tranquilla, eccovi povero; lo -abbiamo saputo oggi; ce lo ha detto il signor di Grasse. - -«Sì, disse Scarron, ma adesso lo Stato è ricco; bisogna sapersi -sacrificare al proprio paese. - -«Il signor ministro si comprerà da mille cinquecento lire più di -pomate e profumerie all’anno, aggiunse un tale, cui Athos riconobbe pel -gentiluomo che aveva incontrato in via Sant’Onorato. - -«Ma che dirà la musa? continuò Aramis con voce sdolcinata, la musa che -ha bisogno dell’aurea mediocrità? giacchè in sostanza: - - Si Virgilio puer aut tolerabile desit, - Hospitium, caderent omnes a crinibus Hydri. - -«Bene, seguitò Scarron porgendo la destra alla Paulet, ma se non ho più -la mia idea, mi resta almeno la mia lionessa». - -In quella sera tutti i detti di Scarron parevano egregi: tale è il -privilegio della persecuzione. Il signor Menage saltava e balzava -dall’entusiasmo. - -Madamigella Paulet andò al suo solito posto; ma innanzi di sedersi -volse da cima a fondo e da tutta la sua grandezza uno sguardo da -regina, sulla riunione, ed i suoi occhi si fermarono sovra Raolo. - -Athos sorrise. - -«Visconte, ei disse, madamigella Paulet vi ha osservato; andate a -riverirla; datevi per quello che siete, per un franco provinciale, ma -non vi venisse in testa di discorrerle di Enrico IV». - -Raolo si avvicinò alla Lionessa facendosi rosso, e in breve si trovò -confuso tra i signori che circondavano la sua sedia. - -Questi formavano digià due comitive assai distinte, quella che -attorniava Menage e l’altra che attorniava la Paulet. - -Scarron correva dall’una all’altra, manovrando con la sua poltrona a -ruotine in fra tanta gente colla medesima destrezza che adoprerebbe un -esperto piloto con una barca in mezzo a un mare ingombro di scogli. - -«Quando ciarleremo un poco? domandò Athos ad Aramis. - -«Or ora, questi rispose, non v’è ancora abbastanza gente, e saremmo -presi di mira». - -Nel momento fu aperta la porta ed annunziato il signor Coadjutore. - -Tutti si girarono a quel nome che digià principiava a divenir celebre. - -Athos seguì l’esempio; egli non conosceva se non di nome l’abate di -Gondy. - -Vide entrare un uomo piccolo, nero, mal fatto, miope, sgarbato in ogni -movimento delle mani, tranne nel tirare di spada e di pistola, che andò -ad inciampare sur un tavolino ed ebbe a buttarlo in terra, ma che ciò -non ostante aveva nella ciera qualche cosa di elevato e di fiero. - -Scarron si volse dalla sua parte e gli si fece incontro col suo -seggiolone. La Paulet dal proprio posto fece un saluto colla mano. - -«Ebbene! disse il Coadjutore quando ebbe visto Scarron, cioè quando gli -fu addosso, siete dunque in disgrazia?» - -Cotesta era la frase sacramentale; era stata profferita cento volte -nella serata, e cento detti arguti si erano già pronunziati sullo -stesso soggetto da Scarron; in conseguenza questi fu in procinto di -restar in tronco, ma si salvò con uno sforzo disperato. - -«Il signor ministro Mazzarino, egli disse, si è compiaciuto di pensare -a me. - -«Oh bene! oh bellissima! esclamò Menage. - -«Ma come farete per continuare a riceverci? seguitò il Coadjutore. Se -vi scemano le entrate, mi toccherà farvi nominare canonico di Nostra -Donna. - -«Oh no! disse Scarron, vi comprometterei di troppo. - -«Dunque avete dei mezzi che noi non conosciamo? - -«Prenderò a prestito dalla regina. - -«Ma la regina non ha niente del suo, fece Aramis, non vive ella sotto -il sistema della comunione?» - -Il signor di Gondy si volse sorridendo ad Aramis, facendogli un piccol -segno amichevole colla punta del dito. - -«Scusate, caro abate (così gli parlò poi), siete tuttora indietro, e -bisogna ch’io vi faccia un regalo. - -«E di che? domandò Aramis». - -Tutti si girarono verso il Coadjutore, che si levò di tasca un cordone -di seta di forma singolare. - -«Oh! esclamò Scarron, ma codesta è una _fronda_! - -«Precisamente, rispose il Coadjutore, adesso si fa tutto a uso -_fronda_. Madamigella Paulet, tengo per voi un ventaglio a fronda. -D’Herblay, vi manderò il mio guantajo, che fa i guanti a fronda. E a -voi Scarron, il mio fornajo con un credito senza limite; impasta dei -pani a fronda che sono eccellenti». - -Aramis prese il cordone e se lo cinse al cappello. - -Nel momento fu schiuso l’uscio, ed il lacchè gridò forte: - -«La signora duchessa di Chevreuse!» - -A quel nome ciascuno si alzò. Scarron avviò prestamente la poltrona -dal lato della porta. Raolo arrossì. Athos fece un cenno ad Aramis, che -andò a rannicchiarsi nel vano di una finestra. - -Fra mezzo ai rispettosi complimenti che la accoglievano ben si scorgeva -che la duchessa cercasse qualcuno o qualche cosa. - -Alfine adocchiò Raolo, e le brillarono le pupille; adocchiò Athos, e si -fece pensierosa; adocchiò Aramis nel suo cantone, e dietro al ventaglio -fe’ un atto quasi impercettibile di stupore. - -«A proposito, disse come per iscacciare le idee che l’assalivano a suo -malgrado, come va il povero Voiture? lo sapete, Scarron? - -«Che! il signor Voiture è ammalato? chiese il signore che aveva -discorso con Athos in via Sant’Onorato, e che altro ha egli fatto? - -«Ha giuocato senza badare a far preparare dal servitore le camicie -per cambiarsi, disse il Coadjutore, talmente che ha acchiappata una -costipazione e se ne muore lesto lesto. - -«Dove? - -«Dio buono! in casa mia. Figuratevi che Voiture avea fatto voto -solenne di non giuocar più. A capo a tre giorni non può più reggere, -e s’incammina all’arcivescovado perchè io lo sciolga dal voto. -Disgraziatamente, in quel momento ero in affari serj col buon -consigliere Broussel in fondo al mio appartamento, quando Voiture -vede il marchese di Luynes a un tavolino ad aspettare un giuocatore. -Il marchese lo chiama e lo invita a porsi a tavolino. Egli risponde -che non può toccare le carte se io non lo libero dall’impegno. Luynes -si obbliga in nome mio, si assume il peccato. Voiture si mette alla -partita e perde quattrocento scudi, nell’uscire piglia freddo, e va a -letto per non più alzarsi. - -«E sta proprio tanto male, il caro Voiture? domandò Aramis, mezzo -nascosto dietro alla portiera. - -«Oimè! rispose il signor Menage, sta malissimo, e il grand’uomo è forse -sul punto di lasciarci, _deseret orbem_. - -«E sì! obiettò aspramente la Paulet, vi par che muoja? non ci pensa -neppure! ha attorno tante sultane quante ne potrebbe avere un Turco. -Madama di Saintot è corsa a dargli dei brodi, la Benadaut gli scalda le -lenzuola, e persino la nostra amica marchesa di Rambouillet gli manda i -decotti. - -«Ecco, voi non gli volete bene, mia diletta Partenia? disse scherzando -Scarron. - -«Uh! che ingiustizia, mio caro infermo! gli ho anzi tanto poco odio che -volentieri farei dire delle messe pel riposo dell’anima sua. - -«Non v’hanno mica chiamata per nulla la Lionessa, amor mio! gridò dal -suo posto la Chevreuse! e mordete ben bene! - -«Madama, azzardò Raolo, mi pare che maltrattiate di molto un gran poeta. - -«Un gran poeta? eh via! si vede che venite dalla provincia, conforme -dicevate pocanzi, e che non lo avete mai conosciuto. Egli, gran -poeta!... oh! s’è alto appena di cinque piedi! - -«Brava, brava! strillò un tale, lungo, secco e nero, con i mostacci da -smargiasso e lo spadone enorme al fianco, brava, bella Paulet! è tempo -una volta di rimettere quel Voiture al suo posto. Io dichiaro altamente -che credo d’intendermi di poesia, e che ho trovata sempre pessima la -sua. - -«Chi è quel bravaccio? domandò Raolo ad Athos. - -«Il signor di Scudery. - -«L’autore della _Clelia_ e del _Gran Ciro_? - -«Che lo compose in conto a metà con sua sorella, la quale adesso -discorre con quella bella signorina laggiù, vicino al signore Scarron». - -Raolo volgendosi vide infatti due faccie nuove capitate d’allora: una -gentile, gracile, mesta, contornata da bei capelli neri, occhi soavi -come quei vaghi fiori di viole sotto a cui brilla un calice d’oro; -l’altra pareva tenesse colei sotto la sua tutela, ed era fredda, secca -e gialla, vero viso da matrona. - -Raolo fece conto di non muoversi di sala senza aver favellato -alla leggiadra giovanetta dagli occhietti dolcissimi, che per uno -stranissimo giuoco del pensiero, e sebbene senza alcuna somiglianza, -gli rammentava la sua misera Luigia da lui lasciata ammalata nel -castello di La Vallière, e che fra mezzo a tanta moltitudine aveva egli -per un momento obbliata. - -Nell’intervallo Aramis si era avvicinato al Coadjutore, che con ciera -assai gioviale gli aveva insinuata qualche paroletta all’orecchio. -Aramis, ad onta del dominio che aveva sopra sè stesso, non seppe -frenare un piccolo movimento. - -«Sì! ridete! gli disse il signor di Retz, e’ ci guardano». - -E lo piantò per andar a ciarlare con madama di Chevreuse, che aveva -intorno numerosissimo crocchio. - -Aramis finse di ridere per disviare l’attenzione di parecchi uditori -curiosi, ed accortosi che Athos alla sua volta era ito a cacciarsi nel -vano della finestra dov’egli era rimasto non poco tempo, se ne andò a -raggiungerlo senza far mostra di nulla dopo aver lanciate alcune parole -da una parte e dall’altra. - -E costoro appena riunitisi intavolarono una conversazione, accompagnata -da moltissimi gesti. - -Raolo si appressò ad essi, conforme avevagli raccomandato Athos. - -«Il signor abate, disse Athos, mi ripete un _rondeau_ di Voiture, che a -me sembra impareggiabile». - -Il visconte si trattenne alcuni istanti vicino a loro, indi si mischiò -alla comitiva di madama di Chevreuse, a cui si erano accostate da un -lato la Paulet e dall’altro la Scudery. - -«Ebbene! fece il Coadjutore, io mi farò lecito di non essere per -l’appunto del parere del signore Scudery; io trovo all’incontro -che Voiture è un poeta, ma puro poeta. Gli mancano affatto le idee -politiche. - -«Sicchè? domandò Athos. - -«Domani, rispose precipitosamente Aramis - -«A che ora? - -«Alle sei. - -«Dove? - -«A San-Mandé. - -«Chi ve lo ha detto? - -«Il conte di Rochefort!» - -Si appressava qualcuno. - -«E le idee filosofiche erano quelle che mancavano all’infelice Voiture. -Io cedo alla opinione del signor Coadjutore: puro poeta. - -«Sì, di certo, soggiunse Menage, per poesia egli era stupendo, -portentoso, eppure la posterità per quanto lo ammiri gli darà una -taccia, cioè di aver messo nella fattura de’ suoi versi una soverchia -licenza; egli ha uccisa la poesia senza saperlo. - -«Uccisa! così va detto, confermò Scudery. - -«Ma che capolavori sono le sue lettere! obiettò la Chevreuse. - -«Oh! sotto quell’aspetto, continuò madamigella di Scudery, è -assolutamente illustre. - -«È vero, replicò la Paulet, ma fino a tanto che scherza; giacchè nel -genere epistolare serio è insoffribile, e se non dice le cose con molta -durezza, converrete bensì che le dice malissimo. - -«Andrete d’accordo però che nella facezia non ha chi sappia imitarlo. - -«Sì, sì, rispose Scudery arricciandosi le basette, trovo soltanto che -in lui la comica è forzata e la facezia troppo familiare. Guardate un -po’ la sua lettera del _Carpione al laccio_. - -«Senza notare, appoggiò Menage, che le migliori inspirazioni gli -venivano dal palazzo Rambouillet. Vedi _Zelida_ e _Alcidolea_. - -«In quanto a me, disse Aramis appressandosi al circolo e salutando -ossequiosamente madama di Chevreuse, la quale gli rispose con un -grazioso sorriso, lo taccerò inoltre di essere stato troppo libero con -i grandi. Ha mancato talvolta di riguardo alla signora principessa, -al signor maresciallo d’Albret, al signor di Schonberg, e persino alla -regina. - -«Come, alla regina? domandò Scudery cacciando avanti la gamba diritta -quasi volesse porsi in guardia, cospettone! questa non la sapevo. E in -che modo, in che modo ha egli mancato a Sua Maestà? - -«Non conoscete la sua operetta: _Je pensais_? - -«No, disse madama di Chevreuse. - -«No, ripetè madamigella di Scudery. - -«No, fece pure la Paulet. - -«In sostanza, io credo che la sovrana l’abbia comunicata a poche -persone; ma io l’ho avuta da fonte sicura. - -«E la sapete? - -«Me la ricorderò, mi pare. - -«Sentiamo! sentiamo! gridarono tutti. - -«Ecco in quale occasione la fu fatta, disse Aramis. Voiture era nella -carrozza della regina, che andava a spasso sola con lui nella foresta -di Fontainebleau. Ei fece mostra di pensare, acciò la sovrana gli -richiedesse a che pensasse, e tanto avvenne. - -«A che pensate, signor Voiture?» lo interrogò Sua Maestà. - -Egli sorrise, finse di riflettere per alcuni minuti secondi onde si -credesse che improvvisasse, e poi rispose: - - Je pensais que le destinée, - Après tant d’injustes malheurs, - Vous a justement couronnée - De gloire, d’éclat et d’honneurs; - Mais que vous étiez plus heureuse - Lorsque vous étiez autrefois, - Je ne dirai pas amoureuse.... - La rime le veut toutefois....[11] - -Scudery, Menage e madamigella Paulet si strinsero nelle spalle. - -«Aspettate! disse Aramis, sono tre le strofe. - -«Oh! fece la Scudery, dite tre stanze; se è tutto al più una canzone!» - -Aramis ricominciò: - - Je pensais que le pauvre Amour, - Qui toujours vous prête ses armes, - Est banni loin de votre cour, - Sans ses traits, son arc et ses charmes; - Et de quoi je pois profiter - En passant près de vous, Marie, - Si vous pouvez si maltraiter - Ceux qui vous ont si bien servie?[12] - -«Oh! osservò madama di Chevreuse, quanto a questo ultimo tratto, non -so se stia nelle regole poetiche, ma chiedo grazia a suo favore come -verità, e la signora di Hautefort, e la signora di Senacey si uniranno -meco se occorre senza contare il signor di Beaufort. - -«Tirate pure innanzi, disse Scarron, non son cose che mi riguardino -più; da stamane in qua io non sono più il suo infermo. - -«E l’ultima stanza? disse madamigella di Scudery, sentiamola! - -«Eccola, ribattè Aramis, questa ha il vantaggio che va avanti coi nomi -propri, dimodochè non v’è da prendere abbaglio. - - Je pensais, nous autres poëtes, - Nous pensons extravagamment, - Ce qui dans l’humeur où vous êtes - Vous feriez, si dans ce moment - Vous avisiez en cette place - Venir le duc de Buckingham, - El lequel serait en disgrace, - Du duc ou du père Vincent[13]. - -A questa terza strofa, si levò un grido generale sull’impertinenza di -Voiture. - -«Ma, disse pianino la signorina dagli occhietti soavissimi, io ho però -la sfortuna di trovarli stupendi quei versi!» - -E tale era pure l’idea di Raolo, che avvicinatosi a Scarron, lo pregò -timidamente: - -«Signore Scarron, fatemi l’onore di dirmi chi è quella damina che è -sola della sua opinione contro tutta l’illustre comitiva. - -«Ah ah! visconte mio, quegli rispose, se non m’inganno avete voglia di -proporle un’alleanza offensiva e difensiva». - -Raolo diventò più rosso di prima, e replicò: - -«Confesso che quei versi mi sembrano graziosissimi. - -«E realmente lo sono, soggiunse Scarron, ma zitto! tra poeti queste -cose non si dicono. - -«Io però, riprese il visconte, non ho il bene di esser poeta, e vi -domandavo.... - -«Sicuro, chi era quella giovane dama? È la bella Indiana. - -«Scusatemi, continuò Raolo più vermiglio che mai, ma ne so quanto -prima. Ohimè! sono provinciale. - -«Lo che significa, che capite poco il guazzabuglio che qui scorre da -tutte le bocche. Meglio! giovanotto mio, meglio così! non cercate di -comprenderlo, ci perdereste il vostro tempo, e quando lo intenderete -bisogna sperare che non sia più in uso il parlarlo. - -«Sinchè mi compatite, signore, insistè il visconte, e vi degnerete -dirmi chi è colei, che chiamate la bella Indiana. - -«Sì, certo: è una delle più amabili persone ch’esistano: madamigella -Francesca d’Aubigné. - -«È forse della famiglia del famoso Agrippa amico del re Enrico IV? - -«È sua nepote. Viene dalla Martinica, ed ecco perchè la chiamo la bella -Indiana». - -Raolo aprì tanto d’occhi, e gli occhi suoi si incontrarono in quelli -della signorina, la quale sorrise. - -Si seguitava frattanto, a discorrere di Voiture. - -«Signore, richiese madamigella d’Aubigné a Scarron come per entrare -nella conversazione ch’esso aveva col visconte, non ammirate gli amici -del povero Voiture? ma udite un po’ come lo spennano nel tempo che -lo lodano! Uno gli toglie il buon senso, l’altro la poesia, questo -l’originalità, quello il gusto comico, uno l’indipendenza, un altro.... -Dio buono! e che gli lasceranno, all’_assolutamente illustre_, come ha -detto madamigella di Scudery?» - -Scarron si mise a ridere, e Raolo pure. La bella Indiana sorpresa -dell’effetto da lei prodotto abbassò il ciglio e ritornò nell’ingenuo -suo aspetto. - -«È molto spiritosa!» disse Raolo. - -Athos sempre nel vano della finestra osservava tutta la scena con un -sorriso di disprezzo sul labbro. - -«Chiamate un poco il conte de la Fère, disse madama di Chevreuse al -Coadjutore, ho bisogno di parlargli. - -«Ed io, rispose il Coadjutore, ho bisogno che tutti credano che non gli -parlo. Lo amo e lo ammiro, giacchè conosco le sue antiche avventure, -almeno parecchie, ma non ho idea di salutarlo che doman l’altro la -mattina. - -«E perchè doman l’altro? - -«Lo saprete domani sera, replicò ridendo il signor di Gondy. - -«Ma, in coscienza, voi discorrete a suon di geroglifici. Signor -d’Herblay, aggiunse volgendosi ad Aramis, favorite anche una volta -esser mio servente questa sera? - -«E come, duchessa! disse Aramis, questa sera, domani, sempre! - -«Or bene, andate a chiamarmi il conte di la Fère». - -Aramis si accostò ad Athos e ritornò indietro seco. - -«Signor conte, fece la duchessa consegnando ad Athos una lettera, ecco -ciò che vi avevo promesso; il nostro protetto sarà benissimo ricevuto. - -«Madame, egli è ben fortunato di esservi debitore di qualche cosa. - -«In quanto a questo voi non avete invidia, di certo, giacchè io debbo a -voi l’averlo conosciuto». - -La maliziosa donna diede una tal risposta con un sorrisetto che ad -Athos rammentò Maria Michon. - -E indi si alzò e chiese la carrozza. - -Madamigella Paulet era già partita; madamigella di Scudery se ne andava. - -«Visconte, ordinò Athos a Raolo, seguitate la duchessa di Chevreuse; -pregatela di accettare la vostra mano per scendere, e andando giù con -lei ringraziatela». - -La bella Indiana si appressò a Scarron per prender da esso commiato. - -«Ve n’andate digià? domandò Scarron. - -«Vo via una delle ultime, come vedete. Se avete notizie del signor -Voiture, e specialmente se son buone, fatemi grazia di mandarmele -domani. - -«Oh! oramai può morire. - -«Come! - -«Senza dubbio: è bell’e fatto il suo panegirico». - -E si separarono ridendo, la giovanetta girandosi a guardare il povero -paralitico con premura, il paralitico seguendola con occhi amorosi. - -A poco a poco si diradavano i crocchi. Scarron non fece mostra di -vedere che taluni si erano parlato misteriosamente, che per diversi -erano giunte delle lettere, e che il suo trattenimento serale pareva -avesse avuto uno scopo occulto lontanissimo dalla letteratura di cui -però si era trattato con tanto calore. Ma a Scarron che importava di -ciò? ormai in casa sua si poteva _sparlare_ (_fronder_) a bell’agio: -dalla mattina in poi, conforme aveva detto, egli non era più l’infermo -della regina. - -Raolo accompagnò difatti la duchessa sino alla carrozza, in cui essa -salì dandogli a baciare la mano; poi per uno di quei capriccetti che -la rendevano sì adorabile, e soprattutto sì pericolosa, lo afferrò -improvvisamente per la testa e lo baciò in fronte, dicendogli: - -«Visconte, deh! i miei voti e questo bacio vi portino fortuna». - -Indi lo rispinse, e ordinò al cocchiere di trottare sino al palazzo di -Luynes. - -La carrozza era corsa via; la signora di Chevreuse aveva fatto dallo -sportello un piccolo cenno a Raolo, e questi rimaneva là confuso. - -Athos comprese quanto era avvenuto. - -«Venite, visconte, egli disse; è tempo che vi ritiriate: domani -partirete per l’armata del signor Principe; dormite bene per l’ultima -vostra notte di cittadino. - -«Sarò dunque soldato? oh, grazie, grazie di cuore. - -«Addio, conte, disse l’abate d’Herblay, me ne torno in convento. - -«Addio, abate, fece il Coadjutore, domani predicherò, e questa sera ho -da consultare una ventina di testi. - -«Addio, signori, aggiunse Athos, io vo a dormire per ventiquattro ore -di seguito; non mi reggo dalla stanchezza». - -I tre si salutarono, ed uscirono dopo aver ricambiato un ultimo sguardo. - -Scarron li seguitava con la coda dell’occhio attraverso alle portiere -del suo salone. - -«Nessun di loro farà quel che dice, borbottò col suo sogghigno da -scimmia, ma vadano pure, bravi gentiluomini! chi sa se non lavorano a -farmi restituire la mia pensione? essi possono muovere le braccia, e -questo è molto; io ahimè! non ho altro che la lingua, ma procurerò di -provare ch’è pure qualcosa. Ehi, Champenois! venite a trascinarmi verso -il mio letto.... In verità, è molto amabile la signorina d’Aubigné!» - -E il povero paralitico disparve nella sua camera dormitoria, fu chiuso -l’uscio, ed i lumi si spensero l’un dopo l’altro nel salone della via -des Tournelles. - - - - -XXIV. - -_San Dionigi._ - - -Principiava ad esser giorno quando Athos si alzò e si fece vestire. -Dalla sua pallidezza maggiore del consueto, e dai segni che lascia sul -volto la veglia, si scorgeva che doveva aver passata quasi tutta la -notte senza dormire. Contro l’abitudine di quest’uomo tanto fermo e -deciso, esisteva in quella mattina in tutta la sua persona qualche cosa -di lento e d’irresoluto. - -Egli è che si occupava ai preparativi di partenza di Raolo e cercava di -acquistar tempo. Prima forbì da sè una spada che trasse da un astuccio -di cuojo profumato, esaminò se la impugnatura era ben in guardia, e se -la lama reggeva a questa assai solidamente. - -Dipoi gettò in fondo ad una valigia destinata al giovanetto un -sacchetto pieno di luigi, chiamò Olivain (il lacchè che lo aveva -accompagnato da Blois), e gli fece fare davanti a sè i fagotti, -invigilando che vi fossero tutti gli oggetti necessarj ad uno che si -mette in campagna. - -Ed avendo impiegato un’ora circa in tali diligenze, aprì l’usciale che -conduceva in camera del visconte e vi entrò leggermente. - -Il sole digià brillante penetrava nella stanza dalla larga finestra di -cui Raolo, tornato tardi, aveva trascurato di chiudere le portiere la -sera precedente. Dormiva esso ancora, con la testa graziosamente posata -sul braccio. I lunghi capelli neri gli cuoprivano per metà la bella -fronte umida tuttavia di quel vapore che scorre in placide perle giù -per la guancia dello stanco fanciullo. - -Athos si avvicinò, e chinatosi in atto ricolmo di tenera malinconia, -stette lunga pezza a considerare il giovanetto dal labbro sorridente, -dalle palpebre quasi chiuse, di cui i sogni dovevano essere dolcissimi -e lieve il sonno, tanto era l’affetto e la sollecitudine che poneva -l’angiolo suo protettore nella tacita sua custodia. A grado a grado -Athos si lasciò trasportare dall’incanto della sua meditazione al -cospetto di quella gioventù sì ricca e pura, e a lui ricomparve la -gioventù sua propria, seco recando tutte le sue soavi rimembranze, -le quali sono piuttosto fragranze che pensieri. Da quel passato al -presente correva un abisso. Ma l’immaginazione ha il volo dell’angiolo -e del lampo; varca i mari ove noi fummo presso a naufragare, le -tenebre in cui si perderono le nostre illusioni, i pregiudizj in cui -si sommerse la nostra felicità. Ei riflettè che la prima parte della -sua vita era stata distrutta da una donna; riflettè atterrito a quanta -influenza aver possa l’amore sovra ad una organizzazione sì delicata e -vigorosa a un tempo stesso. - -Ricordandosi tutto ciò ch’egli aveva sofferto, previde ciò che -soffrir poteva Raolo, e l’espressione della profonda e tenera pietà -penetratagli in cuore si risvegliò nell’umido sguardo che ei tenne -fisso sul fanciullo. - -Nel momento Raolo si destò, con quel risveglio scevro da nuvoli, da -tenebre e da fatiche che caratterizza certi naturali delicati al pari -di quello degli augelli. I suoi occhi si fermarono su quelli di Athos, -ed egli senza dubbio comprese quanto passava nell’interno dell’uomo che -attendeva il suo destarsi nella guisa in cui un amante attende quello -della sua bella, giacchè gli corse nello sguardo l’espressione di un -amore infinito. - -«Eravate costì, signore! disse in tuono del massimo rispetto. - -«Sì, Raolo, era qua, rispose il conte. - -«E non mi svegliavate! - -«Volevo lasciarvi ancor qualche momento del vostro buon sonno; dovete -essere stanco della giornata di jeri prolungatasi tanto tardi. - -«Oh! quanto siete buono! - -«Come vi sentite? - -«Benissimo, e quieto e in forze. - -«Egli è che crescete tuttora; continuò Athos con interesse paterno e da -uomo già maturo, e le fatiche all’età vostra son doppie. - -«Ah! vi chiedo scusa, signore, disse Raolo confuso da tanta premura, ma -fra un momento sarò vestito». - -Athos chiamò Olivain, e dopo dieci minuti, il suo pupillo con la -puntualità che gli era stata trasfusa da lui già avvezzo al servizio -militare, si trovò bell’e pronto. - -«Adesso, disse il visconte al domestico, occupatevi del mio bagaglio. - -«Il vostro bagaglio vi aspetta, gli rispose Athos; io ho fatto fare la -valigia sotto i miei occhi, e nulla vi mancherà. Dev’essere digià posta -addosso ai cavalli, ugualmente che la sacca del servitore, se il mio -comando si è eseguito esattamente. - -«Con ogni precisione e secondo la vostra volontà, signor conte, avvertì -Olivain, e i cavalli attendono. - -«Ed io stava a dormire! esclamò Raolo, mentre voi avevate la bontà -di provvedere a tutte queste cose! ma davvero mi colmate di tratti -d’immensa bontà! - -«Sicchè mi amate un poco, almeno io lo spero, replicò Athos con molta -commozione. - -«Oh! signore, disse Raolo, che per non manifestare tutta la sua -tenerezza faceva sforzi onde pativa oltremodo; mi è testimone Iddio che -vi amo e vi venero! - -«Badate di non dimenticar roba alcuna, fece Athos figurando di cercarsi -attorno per celare la sua agitazione. - -«No, no.... signore». - -Il lacchè, accostatosi allora ad Athos con un tal qual titubanza, gli -disse piano: - -«Il signor visconte non ha spada, perchè jeri sera vossignoria mi fece -portar via quella ch’ei si era levata. - -«Va bene, ci penso io», rispose il padrone. - -Raolo non mostrò accorgersi del breve dialogo. Scese guardando ad ogni -poco il conte per conoscere se era giunto l’istante dell’addio; ma -Athos non faceva moto. - -Arrivato sul verone, il giovine vide tre corsieri. - -«Oh! esclamò esultante, dunque mi accompagnate? - -«Voglio condurvi un poco in là, disse il conte». - -E negli occhi al garzoncello brillò sommo giubilo, e saltò egli svelto -a cavallo. - -Athos si pose lentamente sul suo dopo aver dette poche parole sotto -voce al servo, il quale invece di andar subito appresso, salì di -nuovo a casa. Raolo, contentissimo di essere insieme col conte, non si -accorse di niente, o di niente parve almeno si accorgesse. - -I due gentiluomini presero dal Ponte Nuovo, continuarono su per gli -scali, o piuttosto da quel che si chiamava inallora l’_Abreuvoir -Pépin_, e rasente alle mura del _Gran Castelletto_. Quando entravano -nella contrada di San Dionigi li raggiunse il lacchè. - -Fecero il tragitto in silenzio. Il giovanetto capiva che si -approssimava il momento della separazione: la sera innanzi il conte -aveva date diverse istruzioni per cose che lo riguardavano nel corso -della giornata. D’altronde i suoi sguardi divenivano ognora più -affettuosi, e così pure le poche parole ch’ei si lasciava sfuggire. -Tratto tratto gli usciva di bocca una riflessione o un consiglio, e la -sua favella dava indizio di estrema premura. - -Oltrepassata la porta San Dionigi, e mentre erano arrivati all’altura -dei Certosini, Athos diede un’occhiata al palafreno di Raolo. - -«Badate, disse al giovane, avete la mano grave; ve l’ho detto più -volte, e non dovreste dimenticarlo, giacchè è un gran difetto in un -cavallerizzo. Vedete! il vostro cavallo è digià stanco e butta la -spuma, intanto che il mio sembra uscito or dianzi dalla scuderia. -Gl’indurite la bocca stringendogli di troppo il morso, e non potete più -farlo agire colla prontezza necessaria. La salvezza di un cavalcante -dipende talora dalla sollecita obbedienza dell’animale ch’egli ha -sotto. E fra otto giorni, rifletteteci, non avrete da manovrare alla -cavallerizza, ma sibbene sul campo di battaglia». - -In un subito però, e per non dare soverchia importanza alla sua -osservazione, ei soggiunse: - -«Guardate, Raolo, che bella pianura per inseguire le pernici!» - -Il fanciullo approfittava della lezione, ed ammirava la delicatezza con -cui venivagli data. - -«L’altro giorno notai anche un’altra cosa, riprese Athos, cioè che -nello sparare la pistola tenevate il braccio troppo steso. Con questo -la botta va meno sicura, e realmente mancaste il bersaglio tre volte su -dodici. - -«E voi lo coglieste tutte e dodici, rispose sorridendo Raolo. - -«Perchè piegavo il pugno, e riposavo così la mano sul gomito. Mi capite -bene, mio caro? - -«Oh sì; dipoi ho tirato da me solo, attenendomi a questo suggerimento, -ed ho avuto buonissimo esito. - -«Ecco, ricominciò Athos, anco battendovi di scherma incalzate di -soverchio l’avversario. È difetto proprio dell’età vostra, lo so, ma il -movimento del corpo in ciò troppo frequente scompone sempre la spada -dalla linea, e se aveste che fare con un uomo di sangue freddo, vi -fermerebbe al primo vostro passo con una semplice svolta del ferro, o -pure con una botta diritta. - -«Sì, sì, conforme voi faceste spessissimo, ma non tutti hanno la vostra -destrezza ed il vostro coraggio. - -«Che vento fresco!... è un ricordo dell’inverno.... Appunto, se andate -al fuoco, e vi andrete perchè siete raccomandato ad un generale assai -portato pella polvere, sovvenitevi in un impegno da solo a solo, -secondo accade sovente a noi altri di cavalleria, di non essere mai il -primo a tirare: chi tira primo tocca di rado l’altro, perchè va col -timore di essere disarmato davanti ad un nemico armato; indi quando -quegli vibra il colpo, fate che il vostro cavallo s’impenni: è questa -una manovra che due o tre fiate mi ha salvata la vita. - -«Ed io l’adoprerò, quando non fosse che per gratitudine. - -«Oh! fece Athos, non sono cacciatori di contrabbando coloro che son -laggiù arrestati?... Ma un altro avviso importante: se siete ferito, -se cadete di sella e vi rimane ancora un po’ di forza, toglietevi -dalla linea che ha seguitata il vostro reggimento; diversamente esso -può esser ricondotto indietro e voi calpestato dai cavalli. In ogni -caso, qualora siate ferito, scrivetemi sul momento o fatemi scrivere; -c’intendiamo di ferite, noi altri!» - -E il conte così dicendo sospirava. - -«Grazie, rispose Raolo commosso. - -«Eccoci a San Dionigi», balbettò Athos. - -Erano appunto alla porta della città custodita da due sentinelle. Una -di esse disse all’altra: - -«Ecco ancora un giovine gentiluomo che mi ha la cera di andare -all’armata». - -Athos si volse: tutti quei che si occupavano anche in modo indiretto di -Raolo prendevano tosto per lui il maggiore interesse. - -«Da che ve ne avvedete? domandò al soldato. - -«Dal suo aspetto, colui rispose, e poi egli è dell’età voluta; per oggi -è il secondo. - -«È già passato stamane uno simile a me? richiese Raolo. - -«Sì signore, di nobil figura e in bellissimo equipaggio; mi è sembrato -figliuolo di qualche gran signore. - -«Sarà per me un compagno di viaggio, disse il giovanetto ad Athos, ma -ohimè! non mi farà obliare quello che io perdo. - -«Non credo che lo raggiungiate, replicò il conte, perchè io ho da -parlarvi qua, e ciò che ho da dirvi esigerà forse tanto tempo che quel -gentiluomo vi preceda di molto. - -«Come vi piace, signore». - -Così favellando i due traversavano le strade che erano piene di gente -a motivo della solennità della festa, ed arrivavano di faccia alla -basilica ove dicevasi una prima Messa. - -«Smontiamo, fece Athos, e voi Olivain, custodite i cavalli e date a me -la spada». - -E presa la spada che il servo gli porgeva entrò assieme col visconte. - -Athos offerse l’acqua benedetta a Raolo. In certi cuori di padri v’è un -poco di quel premuroso amore che ha per l’amante sua l’innamorato. - -Il giovinetto toccò al conte la destra, salutò, e si fece il segno -della croce. - -Athos disse poche parole ad uno dei custodi, il quale dopo un inchino -si avviò verso i sotterranei. - -«Venite, Raolo, disse Athos, e seguitiamo quell’uomo». - -Il guardiano aprì il cancello delle tombe regie, e stette sul gradino -più alto, mentre i due forestieri discendevano. Le profondità della -scala sepolcrale erano rischiarate da una lampada d’argento posta -sull’ultimo gradino, e precisamente sotto quel lume stava avvolto in -un ampio manto di velluto paonazzo con umili gigli d’oro, un catafalco -sorretto da cavalletti di ebano. - -Raolo, preparato a quella situazione dallo stato del proprio cuore -ricolmo di mestizia, dalla maestà dei tempio che aveva tutto percorso, -era sceso con passo lento e solenne; e si teneva in piedi e nuda -la testa dinanzi a quella spoglia mortale dell’ultimo re, la quale -non doveva andare a raggiungere gli avi suoi se non quando il suo -successore verrebbe a raggiungere lui stesso, e che pareva restasse -colà per dire all’umano orgoglio, facile tanto ad esaltarsi sul trono: -«Polve terrestre, ti aspetto». - -Fuvvi un momento di silenzio. - -Dopo di che Athos alzando la mano, e additato il sepolcro, disse: - -«Questa incerta sepoltura è quella di un uomo debole e senza alcuna -grandezza, e che pur non ostante ebbe un regno pieno di avvenimenti.... -perchè al disopra di questo re vegliava lo spirito di un altro uomo, -come la lampada che qui mirate veglia sopra alla bara e le dà la -luce. Quegli era re vero; l’altro non era che una larva in cui egli -poneva l’anima sua. E bensì, tanto è possente presso di noi la maestà -monarchica, che quell’uomo non ebbe tampoco l’onore di una tomba ai -piedi di colui per la cui gloria adoprò la sua vita, imperocchè, e di -ciò vi sovvenga, o Raolo, s’ei fece piccolo il re, fe’ ben grande la -regale dignità. Codesto regno passò; il ministro temuto, terribile, -odiato dal suo padrone, calò nella tomba, traendovi seco il re, cui -non voleva lasciar viver solo, per tema al certo che distruggesse -l’opera sua, dacchè un re non erige, non edifica, se non quando abbia -seco o Dio, o lo spirito di Dio. Allora però, tutti considerarono la -morte di Richelieu come una salvezza, ed io pure, tanto sono ciechi i -contemporanei! spesso mi opposi ai disegni del gran uomo che teneva -nelle sue mani la Francia, e che secondo queste apriva o stringeva, -la soffocava o le dava aria a suo talento. Se non ci annientò me e gli -amici miei, nella tremenda ira sua, fu di sicuro onde oggi io potessi -dirvi: Raolo, sappiate sempre rispettare il re e la regale dignità. -Raolo, ei mi sembra di vedere il vostro avvenire come traverso ad un -nuvolo. Esso è, per quanto io creda, migliore del nostro. All’opposto -da noi, che avemmo un ministro senza re, voi avrete un re senza -ministro. Quindi potrete servire, amare e rispettare il sovrano. Se il -sovrano divien mai un tiranno, imperciocchè il sommo potere ha tali -vertigini che lo spingono talvolta alla tirannide, servite, amate e -rispettate in lui la dignità regale, quella scintilla che fa la polve -tanto grande e santa, che noi, pur gentiluomini d’alto grado, siamo -sì poco davanti a quel corpo steso sull’ultimo gradino di questa scala -com’è il corpo medesimo dinanzi al trono del Signore. - -«Adorerò Iddio, disse Raolo, rispetterò la regia potestà, e se muojo -procurerò di morire pel re, pella potestà regia e per Dio. Vi intesi io -bene, o signore?» - -Athos sorrise. - -«Siete d’indole nobilissima, rispose, ed eccovi la vostra spada». - -Raolo pose in terra un ginocchio, ed il conte seguitò: - -«La portò mio padre, leale gentiluomo; io la portai, e qualche volta -le feci onore quando in mia mano era l’elsa e mi pendeva al fianco il -fodero. Se la vostra destra è ancor debole per maneggiare questa spada, -meglio così! avrete maggior tempo onde imparare a non isguainarla se -non quando essa debba mostrarsi. - -«Signore, replicò il giovanetto, tutto io vi devo, ma questo brando è -il più prezioso di tutti i vostri doni; lo terrò, ve lo giuro, come si -spetta ad un uomo riconoscente». - -E accostate all’impugnatura le labbra la baciò rispettoso. - -«Alzatevi, visconte, ed abbracciamoci», disse Athos. - -Raolo si gettò con trasporto nelle sue braccia. - -«Addio, balbettò il conte che si sentiva venir meno il cuore, addio, e -pensate a me. - -«Oh sempre! oh, in eterno! sì, lo giuro, e se mi avvenga qualche -sciagura, il vostro nome sarà l’ultima mia parola, e la memoria di voi -l’ultimo mio pensiero». - -Athos risalì in fretta onde celare la sua emozione, diede una moneta -d’oro al custode delle tombe, s’inchinò davanti all’altare, e corse al -loggiato della chiesa, fuori del quale Olivain attendeva con gli altri -due cavalli. - -«Olivain, gli disse, additando il budriere di Raolo, stringete -la fibbia di questa spada ch’è troppo lenta. Bene.... Adesso -accompagnerete il signor visconte fintanto che Grimaud vi abbia -raggiunto, ed allora lo lascerete seco. Intendete, Raolo? Grimaud è un -vecchio servo pieno di coraggio e di prudenza, egli vi seguirà. - -«Come vi piaccia, mio signore. - -«Animo, a cavallo, ch’io vi vegga partire». - -Raolo obbedì. - -«Addio Raolo, addio, figlio caro! - -«Addio, signore, addio, mio benefattore! - -Athos fe’ un cenno colla mano, chè non osava parlare, e Raolo si -allontanò tenendo nella destra il cappello. - -Athos rimase immobile a guardarlo sinchè ei disparve alla svolta di una -strada. Allora gettata ad un villico la briglia del suo corsiero, salì -piano i gradini, rientrò in chiesa, andò ad inginocchiarsi nel luogo -più oscuro, ed ivi pregò. - - - - -XXV. - -_Uno dei quaranta mezzi di fuga del sig. di Beaufort._ - - -Frattanto passava il tempo per il prigioniero come per quelli che -occupavansi della sua fuga; se non che per lui trascorreva più -lentamente. Al contrario degli altri uomini, i quali prendono con -calore una risoluzione pericolosa e si raffreddano a misura che -avvicinasi il momento di eseguirla, il duca di Beaufort, il di cui -coraggio era ormai passato per proverbio ed incatenato da una inazione -di cinque anni, sembrava spingesse innanzi il tempo e co’ suoi voti -chiamasse l’ora di agire. Esisteva nella sua fuga, indipendentemente -dai progetti che faceva per l’avvenire, e, confessiamolo, molto vaghi -ed incerti, un principio di vendetta che gli consolava il cuore. In -primo luogo la sua clandestina partenza era un imbroglio pel signor -di Chavigny, ch’egli aveva preso ad abborrire a motivo delle piccole -persecuzioni in cui lo aveva assoggettato; poi un grave imbarazzo per -Mazzarino che detestava ed esecrava a cagione dei grandi rimproveri che -avea da fargli. Come ognun vede si manteneva l’opportuna proporzione -tra i sentimenti del signor di Beaufort verso il governatore ed il -ministro, il subalterno ed il padrone. - -Di più il duca, che conosceva tanto bene lo interno del palazzo reale, -e non ignorava le relazioni della regina col ministro, metteva in scena -dalla sua carcere tutto quel movimento drammatico che succederebbe -allorchè dal gabinetto di Mazzarino alla camera di Anna echeggiasse -il grido «È scappato di Beaufort!» E ripensando a tutto questo, se -la rideva fra sè, e gli pareva già di esser fuori a respirar l’aria -delle pianure e delle selve, dando di sprone a un robusto corsiero, ed -esclamando ben forte: «Son libero!» - -È vero che ritornato poi in sè stesso si trovava tra quattro mura, -vedeva dieci passi distante la Ramée che rigirava un dito pollice -sull’altro, e nell’anticamera le otto guardie che scherzavano o -bevevano. - -L’unica cosa che lo riposava da quadro sì odioso, tanto è grande -l’instabilità della mente umana, era la faccia arcigna di Grimaud, -quella faccia che in sul principio egli aveva presa ad odiare e che -indi era diventata tutta la sua speranza. Grimaud gli sembrava bello a -pari d’un Antinoo. - -È superfluo il dire che tutto questo era un giuoco dell’immaginazione -riscaldata del nostro detenuto. Grimaud era sempre lo stesso; e quindi -si conservava l’intera fiducia del suo superiore. La Ramée che ormai -avrebbe contato più su di lui che sopra sè medesimo, giacchè, come -accennammo, la Ramée provava in fondo al cuore una tal qual debolezza a -favore del sig. di Beaufort. - -E perciò il buon la Ramée godeva anticipatamente della cena da fare -da solo a solo col prigioniero. Ei non aveva che un difetto, la gola; -aveva trovate squisite le robe del successore di Marteau, e questi gli -aveva promesso un pasticcio ripieno di fagiani anzi che di galletti, -e del vino di Chambertin invece del Macon. Lo che abbellito dalla -presenza dell’ottimo principe, che inventava sì graziose burlette -contro il Chavigny, e lepidissimi scherzi addosso al Mazzarino, formava -della bella Pentecoste vicinissima una delle più brillanti feste per -messer la Ramée. - -Sicchè esso attendeva le sei ore di sera con impazienza uguale a quella -del duca. - -Sino dalla mattina si era occupato di tutti i dettagli, e non fidandosi -di alcuno avea fatta in persona una visita al successore di mastro -Marteau. Costui aveva operato portenti: gli mostrò un vero pasticcio -_mostro_, adorno sul coperchio con le armi del signor di Beaufort; era -vuoto, ma accanto si vedevano un fagiano e due pernici lardellate e -tonde che parevano tre torsellini da spilli. - -Per maggior fortuna, noi già lo avvertimmo, il signor di Chavigny -riposandosi su la Ramée era andato a fare un piccolo viaggio, e -partitosi la mattina stessa avea lasciato lui come si direbbe, -sotto-governatore del castello. - -Grimaud poi sembrava in viso più arcigno che mai. - -Nel giorno il signor di Beaufort aveva giuocato alla palla con la -Ramée; un cenno di Grimaud gli avea dato a capire che dovesse badar -bene a tutto. - -Grimaud andando avanti insegnava la strada che doveva farsi la sera. -Il giuoco della palla era in quello che chiamava il recinto del -piccolo cortile del castello; luogo assai deserto ove non si ponevano -sentinelle se non nel momento in cui il duca faceva la partita, ed -anco a motivo dell’altezza del muro pareva codesta una precauzione -superflua. - -V’erano da aprire tre porte innanzi d’arrivare a quel recinto. Ad -ognuna serviva una chiave diversa. La Ramée teneva tutte e tre le -chiavi. - -Giunto al locale predetto, Grimaud andò come alla spensierata a sedersi -vicino ad una feritoja, con le gambe penzoloni fuor della muraglia. -Diveniva chiaro che in quel punto sarebbe fissata la scala di corde. - -Questa manovra, facile a comprendersi pel signor di Beaufort, era però, -secondo ciascuno lo riconosce, impossibile a intendersi per la Ramée. - -S’incominciò la partita. Questa volta il duca era in vena, e v’era -quasi da dire che posasse colle dita le pillotte dove voleva ch’elle -andassero. La Ramée fu battuto compiutamente. - -Quattro dei guardiani del signor di Beaufort lo avevano accompagnato -e raccoglievano le palle. Terminato il giuoco, egli burlando la Ramée -pella sua poca abilità, offerse ai guardiani due luigi acciò andassero -a bere alla sua salute con gli altri quattro loro camerati. - -Coloro chiesero l’autorizzazione a la Ramée, il quale la concesse, ma -soltanto per la sera. Sino allora egli aveva da occuparsi di faccende -importanti, e dovendo far varie gite desiderava che in assenza sua il -prigioniero non si perdesse di vista. - -Qualora il signor di Beaufort avesse disposte le cose di per sè, -probabilmente le avrebbe fatte meno a sua convenienza di quello che le -accomodasse il suo custode. - -Finalmente suonarono le sei! sebbene non s’avesse da porsi a tavola -sino a sette ore, il pasto era pronto e apparecchiato. Sopra una -credenza stava il pasticcio colossale con le armi del duca, che pareva -cotto appuntino, da quanto si poteva giudicare al color dorato della -crosta. - -E tutto il rimanente era sul medesimo genere. - -Tutti avevano grande impazienza, le guardie d’ire a bere, la Ramée dì -mettersi a mensa, e il signor di Beaufort di scappare. - -Il solo Grimaud se ne stava impassibile. Avreste detto che Athos lo -avesse educato nella previdenza di quella grande circostanza. - -In certi momenti il duca guardandolo domandava fra sè se pur sognava, -e se quella figura di marmo era realmente al suo servizio, e se si -animerebbe arrivato l’istante opportuno. - -La Ramée licenziò le guardie, ad esse raccomandando di bere alla salute -del principe, e indi partite ch’esse si furono serrò le porte, si mise -in tasca le chiavi, e additò la tavola al duca in modo che significava: - -«Quando vorrà monsignore». - -Il principe guardò Grimaud, Grimaud guardò l’orologio a pendolo; erano -appena sei ore e un quarto; la fuga era fissata per le sette, talchè -restava da aspettare tre quarti d’ora. - -Il signor di Beaufort per acquistare uno di quei tre quarti, addusse a -mo’ di pretesto una certa sua lettura e chiese di finire il capitolo. -La Ramée si accostò, allumò di su la spalla che libro fosse quello -avente tanta influenza sopra Sua Altezza da impedirle di sedersi a -mensa imbandita la cena. - -Erano i Commentarj di Cesare, ch’egli stesso ad onta delle istruzioni -del signor di Chavigny, procacciati gli aveva tre giorni innanzi. - -E la Ramée si propose fermamente di non più porsi in contravvenzione -coi regolamenti della torre. - -Intanto sturò le bottiglie, e andò ad annusare un tantino il pasticcio. - -Alle sei e mezza il duca si alzò dicendo in aria grave: - -«Assolutamente Cesare era l’uomo più grande dell’antichità. - -«Vi par proprio così, monsignore? fece la Ramée. - -«Sì. - -«Ebbene, io ho più caro Annibale. - -«E perchè, messer la Ramée? - -«Perchè non ha lasciato commentarj», replicò il birro col suo solito -sorriso assai comune. - -Il signor di Beaufort capì l’allusione, e si mise a tavola ammiccando a -la Ramée si situasse dirimpetto. - -E il birro non se lo fece mica dire due volte. - -Non v’è faccia tanto espressiva come quella di un vero ghiottone che -stia davanti a lauta mensa; e la faccia di la Ramée, mentre dalle -mani di Grimaud ei riceveva la sua scodella di minestra, offeriva il -sentimento della vera beatitudine. - -Il duca lo guatò sogghignando. - -«Per bacco! egli disse, ma sapete che se qualcuno mi asserisse esservi -al mondo un uomo più felice di voi, io non lo crederei? - -«E in coscienza avreste ragione, monsignore. Per me confesso che quando -ho fame non conosco veduta più piacevole che una tavola bene imbandita; -e se aggiungete che quegli che tratta è il nepote d’Enrico il Grande, -comprenderete che l’onore che si riceve raddoppia il diletto che si -gode». - -Il principe s’inchinò colla vita, ed apparve un sorriso impercettibile -sul volto di Grimaud che stava dietro a la Ramée. - -«Mio caro la Ramée, disse il signor di Beaufort, non v’è uno eguale a -voi per far un complimento. - -«No, monsignore, rispose l’altro nel calore dell’animo suo, no davvero, -dico quello che penso, e in questo che vi dico non c’è complimento. - -«Dunque mi siete affezionato? - -«Cioè, non mi consolerei più se Vostra Altezza uscisse da Vincennes. - -«Stranissima maniera di dimostrarmi la vostra _afficione_ (il principe -voleva dire: la vostra affezione). - -«Ma, Altezza, soggiunse la Ramée, fuori di qui che fareste? qualche -pazzia che vi metterebbe in dissapori con la corte e vi farebbe -piantare alla Bastiglia invece di Vincennes. Il signor di Chavigny non -è garbato, ne convengo (seguitò trincando un bicchierino di Madera), ma -il signor du Tremblay è anco di peggio! - -«Veramente? fece il duca, il quale aveva genio all’andamento che -prendeva il colloquio, e tratto tratto osservava l’orologio la di cui -lancetta progrediva con tal lentezza da farlo disperare. - -«Che volete aspettarvi dal fratello di uno ch’è avvezzato alla scuola -del Richelieu? Ah! Altezza, date retta a me, l’è una gran sorte che la -regina, che per quanto ho inteso dire vi ha voluto sempre bene, abbia -avuta l’idea di mandarvi qui, dove abbiamo passeggio, giuoco di palla, -buoni pasti ed aria ottima. - -«Sicchè a sentir voi, continuò il principe, sono molto ingrato per aver -concepito un sol momento il pensiero d’uscir di qua? - -«È il colmo dell’ingratitudine! ma Vostra Altezza non vi ha mai pensato -sul serio. - -«Sì, anzi, ribattè il Beaufort, e debbo confessarlo, sarà follia, non -dico di no, ma di quando in quando ci penso tuttora. - -«Sempre, con uno dei vostri quaranta mezzi, monsignore? - -«Eh sì! - -«Ecco, via, giacchè siamo a sfogarci, ditemi una delle quaranta maniere -inventate da Vostra Altezza. - -«Volentieri, rispose il duca, Grimaud, datemi il pasticcio. - -«Sto ad ascoltare», disse la Ramée, e buttandosi giù sulla seggiola, -alzava il bicchiere, e faceva occhiolino per guardare il sole al -tramonto a traverso al liquore color di rubino che in quello si -conteneva. - -Il signor di Beaufort diede un’occhiata all’orologio: tra dieci minuti -sonerebbe le sette. - -Grimaud recò il pasticcio davanti al principe. Questi pigliò il suo -coltello con la lama d’argento per togliere il coperchio; ma la Ramée -per timore che accadesse uno sconcerto a quella bella vivanda, gli -porse il suo coltello che avea la lama di ferro. - -«Grazie, la Ramée, disse il duca prendendolo. - -«Ebbene? domandò il birro, quel bellissimo mezzo? - -«V’ho io da dire quello su cui facevo maggior conto, e che avevo deciso -d’impiegare prima d’ogni altro? - -«Sì, giusto. - -«Or bene! seguitò il signor di Beaufort, con una mano bucando il -pasticcio e coll’altra segnando dei circoli col coltello, innanzi a -tutto speravo di avere per guardiano una buona creatura come voi, la -Ramée. - -«Benissimo! l’avete; e poi? - -«E me ne congratulo». - -La Ramée fece una riverenza. - -«E fra me dicevo: se una volta fo tanto d’avere presso di me un buon -figliuolo come la Ramée, procurerò di fargli raccomandare da qualche -suo amico, del quale gli siano ignote le relazioni meco, un uomo che mi -sia dedito affatto e con cui io possa intendermi onde disporre la mia -fuga. - -«Via, via! fece la Ramée, non era immaginato male! - -«Non è così? per esempio, il servitore di qualche bravo gentiluomo, -nemico del Mazzarino, come dev’essere ogni gentiluomo... - -«Zitto, monsignore! non discorriamo di politica! - -«Quando avrò quel tale vicino a me, purchè sia un poco accorto ed abbia -saputo inspirar fiducia al mio guardiano, questo si riposerà su di lui, -e allora avrò notizie di fuori. - -«Ah sì! ma come, notizie di fuori? - -«Oh! è facilissimo; per esempio, giuocando alla palla. - -«Giuocando? domandò la Ramée, e cominciava a prestare la massima -attenzione alle parole del duca. - -«Sicuramente! ecco, io mando una palla nel fosso; v’è un uomo che la -raccoglie; dentro v’e una lettera; invece di rimandare quella pillotta -che gli ho chiesta di su dalle mura, me ne manda un’altra; questa -racchiude una lettera. Così abbiamo ricambiate le nostre idee, e -nessuno ha veduto un ette. - -«Diamine! rispose la Ramée grattandosi l’orecchio, fate bene a dirmi -codesto, monsignore! invigilerò su coloro che raccolgono le pillotte». - -Il duca sorrise. - -«Ma, riprese la Ramée, alla fin dei conti questo non è che un mezzo di -corrispondenza. - -«È molto, mi pare. - -«Non basta. - -«Domando scusa. Mettiamo il caso; dico agli amici miei: trovatevi il -tal giorno, alla tal’ora, dall’altra parte del fosso con due cavalli -scossi. - -«Ebbene? e poi? fece la Ramée, a meno che i cavalli abbiano le ali per -salire sul bastione e venirvi a prendere! - -«Eh mio Dio! non si tratta ch’essi abbiano le ali per salire, ma ch’io -abbia un mezzo per scendere. - -«E quale? - -«Una scala di corde. - -«Sì, ripigliò il guardiano procurando di ridere, però una scala simile -non si manda come un biglietto dentro una palla. - -«No, ma si trasmette in qualche altra cosa. - -«Altra cosa! altra cosa! e in che? - -«Per esempio, in un pasticcio. - -«In un pasticcio? - -«Sì: supponete.... là! che il mio maestro di casa Noirmont abbia -trattato l’acquisto della bottega di maestro Marteau.... - -«Ebbene? chiese la Ramée tremando. - -«Ebbene, la Ramée ch’è un ghiottone, vede i suoi pasticci, gli sembrano -migliori di quelli de’ suoi antecessori, e mi esibisce di farmeli -assaggiare; io accetto, col patto ch’egli li provi insieme con me; la -Ramée per esser più libero allontana i guardiani e non trattiene se -non Grimaud per servirci; Grimaud è l’uomo datomi da un mio amico, il -servo col quale io m’intendo e pronto a secondarmi in tutto; il momento -della mia fuga è stabilito per sette ore. Ed io a sette ore meno pochi -minuti.... - -«A sette ore meno pochi minuti? ripetè la Ramée, a cui cominciava a -bagnarsi di sudore la fronte. - -«A quel punto, ripigliò a dire il duca unendo l’atto alle parole, tolgo -via la crosta al pasticcio; vi trovo due pugnali, una scala di corde -e una sbarra; metto uno dei pugnali sul petto a la Ramée, e gli dico: -Caro mio, me ne dispiace, ma se tu fai un gesto, se dai un grido, sei -morto!» - -Come indicavamo or dianzi, il signor di Beaufort univa l’azione alla -favella; stava in piedi accanto a la Ramée, e gli posava la punta -dell’arme sul seno con tale accento che non permetteva a costui di aver -il menomo dubbio in quanto alle sue intenzioni. - -Frattanto Grimaud, sempre mutolo, levava dal pasticcio l’altra arme, la -scala e la _pera di angoscia_. - -La Ramée aveva osservato ognuno di quegli oggetti con il più fiero -terrore. - -«Oh monsignore! esclamò guardando il duca in atto di tanta stupefazione -che lo avrebbe fatto scoppiare dalle risa in qualunque altra -circostanza, non avrete cuore di uccidermi! - -«No, se non ti opponi alla mia fuga. - -«Ma, se vi lascio scappare, sono un uomo rovinato! - -«Ti rimborserò il prezzo della tua carica. - -«E siete propriamente deciso ad abbandonare il castello? - -«Per bacco! - -«Quanto potessi dirvi non muterebbe la vostra risoluzione? - -«Questa sera voglio esser libero. - -«E se mi difendo, se chiamo, se strillo? - -«Ti ammazzo, da gentiluomo ch’io sono». - -L’orologio suonò. - -«Sette, disse Grimaud che non aveva ancora proferita una parola. - -«Le sette! disse il signor di Beaufort, vedi, è tardi oramai». - -La Ramée fece un movimento come per isgravio di coscienza. - -Il duca inarcò le ciglia, ed il birro sentì la lama che dopo forati i -suoi panni era in procinto di bucarli il petto. - -«Bene, monsignore, balbettò, basta così, non mi muovo. - -«Sbrighiamoci, rispose il principe. - -«Altezza, un’ultima grazia! - -«E quale? di’ su, presto! - -«Legatemi stretto. - -«Legarti, perchè? - -«Perchè non si creda ch’io sia vostro complice. - -«Le mani, pronunciò Grimaud. - -«Non mica davanti, di dietro, di dietro! - -«Ma con che? domandò il signor di Beaufort. - -«Colla vostra cintura», replicò la Ramée. - -Il duca si levò la cintura e la diede a Grimaud, il quale avvinse il -birro in maniera da contentarlo. - -«I piedi» disse Grimaud. - -La Ramée porse le gambe, ed egli preso un tovagliuolo e fattone tante -striscie lo legò con esse bene e meglio. - -«Adesso la mia spada, soggiunse la Ramée, fermate l’impugnatura». - -Il duca toltosi un nastro dai calzoni adempiè il desiderio del -guardiano. - -«Ora, continuò il poveretto, la pera di angoscia; ve la domando; -se no, sarei processato per non aver urlato. Cacciatela ben dentro, -monsignore». - -Grimaud si accinse ad appagare le brame del custode. Questi ammiccò che -aveva da dire qualche altra cosa. - -«Parlate, fece il principe. - -«Monsignore, se per cagion vostra mi succedono de’ guaj, non vi -scordate che ho moglie e quattro figliuoli. - -«Sta pur quieto. Caccia dentro, Grimaud!» - -In un attimo fu messa la sbarra a la Ramée; si gettarono in terra due -o tre sedie per dare indizio di lotta accanita; Grimaud prese dalle -saccoccie del birro tutte le chiavi che contenevano, aprì subito -l’usciale della stanza ove si trovavano, ed essendone usciti egli e -il duca si avviarono solleciti alla galleria che conduceva al piccolo -recinto; le tre porte furono aperte una dopo l’altra con lestezza che -faceva onore all’abilità di Grimaud; i due arrivarono al giuoco della -palla; questo era deserto, non sentinelle, nessuno alle finestre. - -Il principe corse al muro di bastione, e adocchiò dal lato opposto dei -fossi tre uomini con tre cavalli scossi; ricambiò con essi un cenno; -stavano colà assolutamente per lui. - -Frattanto Grimaud fissava il filo conduttore. Non era già una scala -di fune, ma un gomitolo di seta, con un bastone che doveva passarsi -tra le gambe e dipanarsi da sè mediante il peso che stesse disopra a -cavalcioni. - -«Va, ordinò il duca. - -«Primo io? domandò Grimaud. - -«Certo; se mi agguantano, arrischio soltanto la carcere; se ti -agguantano sei tosto impiccato. - -«È giusto». - -E Grimaud postosi cavalcioni sul bastone principiò la scesa perigliosa. -Il duca lo seguitava cogli occhi in un involontario timore. Giunto ai -tre quarti del muro, si ruppe la corda. Grimaud cascò precipitato nel -fosso. - -Il signor di Beaufort mandò un grido. Grimaud non mandò tampoco un -lamento, eppure doveva essersi ferito gravemente, poichè restava -disteso nel luogo ov’era caduto. - -Subito uno degli uomini che attendevano si calò nel fossone, legò -sotto alle spalle di Grimaud la cima di una fune, e gli altri due che -reggevano la cima opposta tirarono su il disgraziato. - -«Scendete, monsignore! disse quegli che era andato abbasso, non v’è di -distanza che una quindicina di piedi, e l’erbetta è morbida». - -Il duca era digià all’opra. Per lui la faccenda riusciva più difficile, -non avendo più bastone a cui sostenersi, e dovendo calarsi a forza di -pugno da un’altezza di venticinque braccia. Ma era svelto, robusto -e pieno di sangue freddo, e in meno di cinque minuti fu in fondo al -cordone: lasciò l’appoggio che lo reggeva sino allora, e cadde ritto -senza farsi male. - -Tosto si arrampicò alla scarpa del fosso, ed arrivato sopra trovò -Rochefort. Gli altri due gentiluomini gli erano ignoti. Grimaud, -svenuto, stava legato sur un cavallo. - -«Signori, disse il duca di Beaufort, vi ringrazierò poi: adesso non v’è -da perdere un momento, via, presto! chi mi vuol bene mi segua!» - -Saltò a cavallo, si partì di galoppo, respirando comodamente, e -gridando con espressione di giubilo indescrivibile: - -«Libero!.... libero!.... libero!....» - - - - -XXVI. - -_D’Artagnan giunge opportuno._ - - -D’Artagnan riscosse a Blois la somma che Mazzarino, bramoso di riaverlo -presso di sè, si era deciso a dargli pe’ suoi futuri servigi. - -Da Blois a Parigi v’erano quattro giornate di cammino per un cavalcante -ordinario. Al terzo giorno verso le ore quattro pomeridiane d’Artagnan -giunse alla barriera di S. Dionigi. Noi già vedemmo come Athos, partito -tre ore dopo di lui, v’era arrivato ventiquattr’ore innanzi. - -Planchet aveva perduto l’uso di quelle passeggiate forzate; d’Artagnan -lo rimproverò della sua inerzia. - -«Eh signor mio! quaranta leghe in tre giorni.... e’ mi pare un bel fare -per un venditore di confetti! - -«Sei realmente diventato mercante, Planchet? e adesso che ci siamo -ritrovati, ti proponi sul serio di vegetare nella tua botteguccia? - -«Oh! in verità, voi solo siete nato per la vita attiva. Guardate un -po’ il signor Athos, chi direbbe che fosse l’azzardoso cercatore di -avventure già da noi conosciuto? vive oggidì da signorone campagnuolo, -da fattore gentiluomo.... Sentite veh! non v’è di meglio che -un’esistenza quieta. - -«Ipocrita! disse d’Artagnan, ben si vede che ti avvicini a Parigi, e -che a Parigi v’è una corda e una forca che ti aspettano!» - -Mentre così conversavano, i due viaggiatori giunsero alla barriera. -Planchet si calava giù il cappello pensando che passerebbe da -strade dov’era molto conosciuto, e d’Artagnan si arricciava i baffi -rammentandosi che Porthos doveva attenderlo in via Tiquetonne, e -ruminava il modo di fargli dimenticare la sua signoria di Bracieux e le -omeriche cucine di Pierrefonds. - -Voltato il canto della strada Montmartre vide, ad una finestra -dell’albergo del Granchio, Porthos vestito con uno splendido giubbetto -celeste tutto ricamato d’argento, che sbadigliava in maniera da -sganasciarsi, a segno che i viandanti contemplavano con una certa -ammirazione rispettosa quel signorone così bello e ricco, il quale -sembrava tanto infastidito della sua grandezza e opulenza. - -Ed appena che d’Artagnan e Planchet girarono da quell’angolo, Porthos -gli ebbe ravvisati ed esclamò: - -«D’Artagnan! sia ringraziato Iddio! siete voi? - -«Buon dì! buon dì, caro amico!» rispose il tenente dei moschettieri. - -In breve si radunò un mucchio di scioperati attorno ai cavalli che già -i camerieri dell’albergo tenevano per la briglia, ed ai gentiluomini -che si parlavano di su a giù; ma un brutto cipiglio di d’Artagnan e due -o tre tristi gesti di Planchet benissimo compresi diradarono la folla -che tanto più si era accresciuta quanto meno sapeva ella stessa perchè -là raccoglievasi. - -Porthos era digià sceso al portone della locanda. - -«Ah! mio caro, egli disse, come stanno male qui i miei cavalli! - -«Davvero? fece d’Artagnan, me ne duole assai per quei nobili animali. - -«Anch’io stavo maluccio, seguitò Porthos tentennandosi col suo solito -aspetto d’uomo contento di sè, e se non fosse la locandiera, ch’è -graziosetta e regge gli scherzi, avrei cercato altro alloggio». - -La bella Maddalena, che durante il dialogo si era avvicinata, diventò -pallida come una morta e mosse un passo indietro udendo le parole di -Porthos, giacchè temè si rinnovasse la scena dello Svizzero; ma con suo -grande stupore d’Artagnan non si accigliò, ed anzi sorridendo rispose -all’amico: - -«Sì, sì, capisco, l’aria della via Tiquetonne non è pari a quella -della valle di Pierrefonds; ma non dubitate, io ve ne farò prendere una -migliore. - -«E quando? - -«Oh! prestissimo, io spero. - -«Ah, meglio così!» - -All’esclamazione di Porthos succedè un gemito lungo e sommesso che si -partiva dall’angolo di una porta. D’Artagnan ch’era appunto smontato -vide comparire l’enorme pancia di Mousqueton, dalla mesta bocca del -quale uscivano dolorosi lamenti. - -«E voi pure, povero signor Mouston, vi trovate scomodo in questo -meschino albergo? domandò d’Artagnan con un tuono comico che poteva -essere tanto di compassione come di dileggio. - -«Trova pessima la cucina, rispose Porthos. - -«E perchè non la fa egli da sè come a Chantilly? - -«Oh, signore! replicò Mousqueton, qui non avevo come laggiù i paduli -del signor principe dove pescare i bei carpioni, e le macchie di Sua -Altezza per pigliarvi le ottime pernici; la cantina poi l’ho visitata -minutamente, e in verità è cosa di poco. - -«Messer Mouston, ribattè d’Artagnan, in coscienza vi compiangerei, se -nel momento non avessi a far cose di maggior premura». - -E preso in disparte Porthos, continuò: - -«Mio caro du Vallon, siete bell’e vestito, e si combina a proposito, -mentre vi conduco subito dal ministro. - -«Veh! propriamente? - -«Sì, amico mio. - -«Una presentazione! - -«E che, vi fa paura? - -«No, ma mi agita. - -«State quieto; non avete più che fare con l’altro ministro, e questo -non vi opprimerà colla sua maestosità. - -«Non importa.... capite d’Artagnan, la corte! - -«Eh! non vi è più corte. - -«La regina! - -«Ero là per dire: non c’è più regina.... ma no no, non dubitate non la -vedremo. - -«E dite che si va sul momento al palazzo reale? - -«Sul momento. Soltanto per non tardare, vi tolgo a prestito uno de’ -vostri cavalli. - -«Servitevi: son tutti e quattro a vostra disposizione. - -«Oh! uno mi basta per adesso. - -«Non verranno con noi i nostri domestici? - -«Sì; prendete Mousqueton, non vi sarà male. Planchet ha delle ragioni -per non recarsi alla corte. - -«È perchè? - -«Eh! sta poco bene con Sua Eccellenza. - -«Mouston, ordinò Porthos, mettete la sella a Vulcano e a Bojardo. - -«Ed io, signore, ho da pigliare Rustaud? - -«No, un altro di lusso, o Febo o Superbo, si va in cerimonia. - -«Ah! respirò Mousqueton, non si tratta che di una visita? - -«Sì, Mouston, questo solo.... non ostante, ad ogni evento, ponete nelle -tasche le pistole; troverete sulla mia sella le mie belle e cariche». - -Mouston diede un sospiro, capiva poco le visite di cerimonia con armi -addosso da capo a piedi. - -«Realmente, soggiunse Porthos guardando con compiacenza allontanarsi -il famiglio, avete ragione d’Artagnan, Mouston ci batterà; fa un’ottima -figura». - -Il tenente sorrise. - -«E voi, domandò Porthos, non vi vestite meglio? - -«No, resto come sono. - -«Ma siete molle di sudore e carico di polvere, e avete il fango agli -stivali. - -«Lo stato da viaggio mostrerà la mia premura di correre ai comandi del -ministro». - -Tornò Mousqueton coi tre palafreni. D’Artagnan si rimise in sella come -se fosse in riposo da una settimana. - -«Oh! disse a Planchet, la mia spada lunga. - -«Io, disse Porthos, facendo vedere una piccola spada con l’impugnatura -indorata, io ho la mia da corte. - -«Prendete la grande, amico mio. - -«E perchè? - -«Non so, ma fate a mio modo. - -«Ehi Mouston! la grande, ordinò Porthos. - -«Ma signore! fece questi, codesto è un apparecchio da guerra! dunque -si va a far campagna? Allora ditemelo subito, e piglierò le mie -precauzioni secondo la circostanza. - -«Lo sapete pure, gli rispose d’Artagnan, con noi altri le precauzioni -sono sempre buone. O non avete gran memoria, o vi siete scordato che -non siamo soliti passar le nottate tra feste da ballo e serenate. - -«Ohimè, gli è vero, disse Mousqueton armandosi benissimo, ma lo avevo -dimenticato». - -Partirono velocemente, ed arrivarono al palazzo verso le sette ore -e un quarto. Nelle strade era gran folla, essendo il giorno della -Pentecoste, e si osservava con meraviglia passare quei due cavalieri, -che uno sembrava fresco uscito da uno scatolino, e l’altro sì polveroso -che potevasi credere proveniente da un campo di battaglia. - -Anche Mousqueton richiamava gli sguardi degli scioperati, e siccome il -romanzo di Don Chisciotte era allora nella massima sua voga, alcuni -dicevano esser quegli Sancio, il quale perduto un padrone ne aveva -ritrovati due. - -Entrato nell’anticamera d’Artagnan si vide fra’ conoscenti. V’erano -dei moschettieri della sua compagnia che precisamente erano di -guardia. Fece chiamare l’usciere, e gli mostrò la lettera del ministro -che gl’ingiungeva di ritornare senza perdita di un minuto secondo. -L’usciere s’inchinò e passò da Sua Eccellenza. - -D’Artagnan si volse a Porthos, e gli parve osservare che lo agitasse un -lieve tremore. Laonde, accostatosi, gli disse all’orecchio: - -«Coraggio, mio prode amico! non vi sgomentate: state su di me, l’occhio -dell’aquila è chiuso, e non abbiamo più da fare che con un semplice -avvoltojo. Tenetevi ritto e impettito come nel giorno del bastione -di S. Gervasio, e non v’inchinate di troppo a quell’italiano, chè ne -avrebbe mal concetto di voi. - -«Bene, bene! rispose Porthos». - -Ricomparve l’usciere. - -«Entrate, signori, egli disse, Sua Eccellenza vi aspetta». - -Di fatti Mazzarino era seduto nel suo gabinetto, affaticato a -cancellare più nomi che potesse da una nota di pensioni e benefizj. -Vide con la coda dell’occhio entrare d’Artagnan e Porthos, e quantunque -si fosse consolato all’annunzio del messo, non figurò di cambiarsi -minimamente. - -«Ah! siete voi, signor tenente? disse, avete fatto alla lesta, -ottimamente! siate il ben venuto. - -«Grazie, monsignore; eccomi ai comandi di Vostra Eccellenza, ugualmente -che il signor du Vallon, quello fra i miei antichi amici che celava la -sua nobiltà sotto il nome di Porthos». - -Porthos riverì il ministro. - -«Bellissimo cavaliero! fece Mazzarino». - -Porthos girò la testa a mano diritta e sinistra, e fece moti di spalle -pieni di dignità. - -«La migliore spada del regno, disse d’Artagnan, e lo sanno molti che -nol dicono e che non possono dirlo». - -Porthos salutò d’Artagnan. - -Mazzarino aveva forse tanto genio per i bei soldati quanto n’ebbe in -appresso Federico di Prussia. Si applicò ad ammirare le mani nerborute, -le ampie spalle e l’occhio fisso di Porthos. Gli parve avere dinanzi -la salvezza del suo ministero e del regno tagliata in carne e in ossa. -E questo gli ricordò come l’antica associazione dei moschettieri si -formava di quattro individui. - -«E gli altri due vostri amici?» domandò Mazzarino. - -Porthos apriva bocca credendo fosse momento da dire il fatto suo. -D’Artagnan gli ammiccò un pocolino coll’occhio. - -«Gli altri nostri amici per ora sono impediti; ci raggiungeranno dipoi». - -Mazzarino ebbe un tantino di tosse. - -«E il signore, più libero di loro, seguitò, tornerà volentieri al -servizio? - -«Sì, Eccellenza, e soltanto per zelo, giacchè il signor di Bracieux è -ricco. - -«Ricco? fece Mazzarino, a cui quel vocabolo per vero privilegio -inspirava per solito somma considerazione. - -«Cinquantamila lire di rendita», ribattè Porthos. - -Erano le prime parole che avesse pronunziate. - -«Soltanto per zelo? ripetè il ministro col suo scaltro sorrisetto. - -«Dunque Vostra Eccellenza non crede in quella parola? chiese d’Artagnan. - -«E voi, signor Guascone? fece Mazzarino appoggiando ambe le gomita -sullo scrittojo, ed il mento sulle due mani. - -«Io, disse d’Artagnan, credo in codesta specie di devozione come in un -nome che dev’essere accompagnato da un casato appartenente a qualche -tenuta. Certo, si è per naturale più o meno devoti, ma bisogna che in -fondo a tal divozione vi sia poi qualche cosa. - -«E, per esempio, in fondo alla sua che bramerebbe il vostro amico? - -«Monsignore, egli ha tre tenute magnifiche: quella del Vallon, a -Corbeil; quella di Bracieux nel Soissonese, e quella di Pierrefonds nel -Valois.... E desidererebbe che di una di esse si facesse una baronìa. - -«Non v’è altro che questo? rispose Mazzarino a cui brillavano di -allegrezza le pupille nel vedere che potrebbe premiare le premure di -Porthos senza por mano alla borsa, non vi è altro? Si potrà combinare. - -«Sarò barone! esclamò Porthos muovendo un passo avanti. - -«Ve lo avevo detto, ripigliò d’Artagnan trattenendolo con una mano, e -monsignore ve lo ripete. - -«E voi, d’Artagnan, che bramate? - -«Eccellenza, saranno per lo meno venti anni a settembre che il signor -ministro di Richelieu mi fece tenente. - -«Sì; e vorreste che il ministro Mazzarino vi facesse capitano?» - -D’Artagnan fece una riverenza. - -«Ebbene, tutto questo non è già impossibile. Si vedrà, signori miei, -si vedrà.... E adesso, signor du Vallon, qual servizio preferite? di -città, di campagna?» - -Porthos schiuse le labbra per rispondere. - -«Monsignore, disse d’Artagnan, il signor du Vallon è come son io, gli -piace il servizio straordinario, cioè le imprese che vengono reputate -stolte e impossibili». - -La frase di Guascone non dispiacque al Mazzarino, il quale si diede a -riflettere. - -«Bensì vi confesso che vi avevo fatto venire per darvi un impiego.... -ho certi motivi d’inquietudini.... Eh! che roba è questa?» - -Si udiva grande strepito nell’anticamera, e quasi nello stesso tempo -fu aperto l’usciale del gabinetto ed entrò in fretta un uomo tutto -polveroso gridando: - -«Il signor ministro? dov’è il signor ministro?» - -Mazzarino si pensò che volessero assassinarlo, e indietreggiò traendo -seco la sua poltrona. D’Artagnan e Porthos eseguirono un movimento che -li situò tra lui e il sopraggiunto. - -«Ehi, gridò il ministro, che c’è egli, perchè entriate qui come si -farebbe al mercato? - -«Monsignore, rispose l’ufficiale a cui era diretto il rimbrotto, due -paroline sole, ma vorrei dirvele presto e segretamente. Io sono de -Poins, ufficiale delle guardie di servizio alla torre di Vincennes». - -Colui era tanto pallido e sbigottito, che Mazzarino, persuaso dover -egli essere latore d’importante notizia, accennò a d’Artagnan e a -Porthos di dar posto al messaggiero. - -E quelli si ritirarono in un canto del gabinetto. - -«Parlate, e subito! fece il ministro, che v’è egli? - -«V’è, che il signor di Beaufort è scappato dalla prigione di Vincennes». - -Il Mazzarino cacciò un urlo, e diventò più smorto in viso di quello che -gli recava la nuova. Ricascò sul seggiolone quasi annichilito. - -«Scappato! esclamò, scappato di Beaufort! - -«Eccellenza, l’ho veduto fuggire di su dalla terrazza. - -«E non gli avete fatto sparare addosso? - -«Era fuori di tiro. - -«Ma il signor di Chavigny che cosa faceva? - -«Era assente. - -«Ma la Ramée? - -«Si è trovato legato in camera del prigioniero, con la sbarra in bocca -e uno stiletto accanto. - -«E l’uomo che gli si era posto appresso per ajuto? - -«Complice del duca, e fuggito con lui.» - -Mazzarino diè fuori un gemito doloroso. - -«Eccellenza.... disse d’Artagnan appressandosi. - -«Che c’è? - -«Mi pare, monsignore, che perdiate un tempo prezioso. - -«In che modo? - -«Se l’Eccellenza Vostra ordinasse di correre dietro al prigioniere, -forse vi sarebbe ancor da raggiungerlo. La Francia è grande, e la -frontiera più prossima è distante di qua sessanta leghe. - -«E chi gli andrebbe appresso? gridò Mazzarino. - -«Io, cospettaccio! - -«E lo arrestereste? - -«Perchè no? - -«Come! il duca di Beaufort, armato da battaglia? - -«Monsignore, se mi comandaste di arrestare il diavolo, lo piglierei per -le corna e ve lo porterei. - -«Anch’io, confermò Porthos. - -«Anco voi? domandò Mazzarino considerando attonito quei due; ma il duca -non si arrenderà senza accanito combattimento. - -«Or bene! replicò d’Artagnan a cui prendevano fuoco gli occhi, -battaglia! da lunga pezza non ci siamo battuti, non è così, Porthos? - -«Battaglia! ripetè Porthos. - -«E credete di arrivarlo? - -«Di certo, se siamo in miglior equipaggio di lui. - -«Dunque pigliate quante guardie trovate qui, e correte. - -«Tale è il vostro ordine, monsignore? - -«E ve lo firmo», rispose Mazzarino. - -E tolto un foglio vi scrisse alcuni versi. - -«Eccellenza, aggiungete costà, che potremo prender tutti i cavalli che -incontriamo per istrada. - -«Sicuramente!... servizio regio.... prendete e trottate! - -«Ottimamente! - -«Signor du Vallon, seguitò il ministro, la vostra baronia sia in groppa -dietro al Beaufort; non v’è altro che agguantarla. A voi, mio caro -d’Artagnan, nulla prometto, ma se lo riportate vivo o morto, chiederete -quel che vi pare. - -«A cavallo, Porthos! disse il tenente afferrata la mano all’amico. - -«Eccomi», replicò Porthos col sublime suo sangue freddo. - -E scesero la scala grande, seco traendo le guardie che scontravano per -via, e gridando: - -«A cavallo! a cavallo!» - -Si trovarono riuniti circa dieci uomini. - -D’Artagnan e Porthos saltarono uno su Vulcano e l’altro su Bojardo. -Mousqueton si mise addosso a Febo. - -«Seguitemi! urlò d’Artagnan. - -«In cammino! strillò Porthos». - -E cacciarono gli sproni ne’ fianchi ai loro nobili destrieri, i quali -si partirono per la contrada di S. Onorato colla rapidità di un lampo. - -«Ebbene, signor barone, diceva d’Artagnan, vi avevo promesso di porvi -in esercizio; vedete che vi mantengo la parola. - -«Sì, capitano», rispose Porthos. - -Si volsero indietro. Mousqueton, più sudante che la bestia che -cavalcava, stava a doverosa distanza. A tergo a lui galoppavano le -dieci guardie. - -I borghesi storditi comparivano sulla soglia delle case, e i cani -istizziti correvano appresso ai cavalli abbajando. - -Sul canto del cimitero S. Giovanni, d’Artagnan buttò in terra un uomo, -ma era un avvenimento troppo piccolo per trattenere genti che avevano -tanta fretta; sicchè la comitiva continuò pel suo viaggio come se i -corsieri avessero avuto le ali. - -Ahimè! avvenimenti piccoli non vi sono in questo mondo, e noi vedremo -che quello fu in procinto di rovinare la monarchia. - - - - -XXVII. - -_La strada maestra._ - - -Andarono in tal guisa quanto era lungo il sobborgo S. Antonio e la via -di Vincennes; in breve furono fuori di città, presto nella macchia, e -dopo poco alle viste di un villaggio. - -Sembrava che i cavalli ad ogni passo si animassero maggiormente, e le -loro nari principiavano ad arrossarsi come ardenti fornaci. D’Artagnan -ficcando gli sproni nel ventre al suo, precedeva Porthos di un braccio -circa. Mousqueton li seguitava, e poi le guardie a varie distanze -secondo la bontà dei loro animali. - -Di cima ad un’eminenza d’Artagnan vide una riunione di persone ferme -dall’altro lato della torre che dà sopra S. Mauro. Comprese che di -là fosse fuggito il prigioniero, e che ivi potrebbe egli ottenere -schiarimento. In cinque minuti arrivò sino a quel punto e le guardie là -pure lo raggiunsero. - -Occupatissimi erano tutti coloro così radunatisi; guardavano la corda -tuttora pendente dalla feritoja e rottasi dieci braccia più su di -terra, misuravano cogli occhi l’altezza, e facevano un diluvio di -congetture. Sulla sommità del bastione andavano e venivano sentinelle -affaccendate. - -Un posto militare comandato da un sergente allontanava la gente dal -luogo dove il duca era montato a cavallo. - -D’Artagnan corse fino al sergente. - -«Mio uffiziale, disse questi, qui non è permesso fermarsi. - -«Codesti ordini non sono per me, rispose d’Artagnan. Sono stati -inseguiti i fuggiaschi? - -«Sì, ma pur troppo hanno buone bestie. - -«E quanti sono? - -«Quattro validi ed un ferito. - -«Quattro! fece d’Artagnan osservando Porthos, hai inteso, barone? sono -quattro soltanto!» - -Sul labbro a Porthos apparve un allegro sorriso. - -«E quanto sono innanzi? - -«Due ore e un quarto, mio uffiziale. - -«Due ore e un quarto è nulla; noi abbiamo buoni cavalli, non è vero, -Porthos?» - -Porthos diede un sospiro pensando a quel che si preparava pei poveri -animali. - -«Benissimo, continuò d’Artagnan, e da che parte sono andati via? - -«Questo poi è proibito di dirlo». - -D’Artagnan si levò di tasca un foglio e disse: - -«Ordine regio. - -«Allora, parlate al governatore. - -«E dov’è egli? - -«In campagna». - -Salì la collera sul volto a d’Artagnan, gli si rugò in fronte, gli si -colorirono le tempie. - -«Ah birbante! gridò al sergente, mi pare che tu mi burli!... aspetta, -aspetta». - -Con una mano gli presentò la carta spiegata e coll’altra prese dalle -saccoccie una pistola e la caricò. - -«Ordine regio, ti dico! leggi e rispondi, o che ti brucio le cervella! -Che direzione hanno presa?» - -Il sergente si accorse che d’Artagnan diceva davvero. - -«La strada del Vendomese, rispose. - -«E da qual porta sono usciti? - -«Da quella di S. Mauro. - -«Furfante! se m’inganni, domani sarai impiccato. - -«E voi, se li raggiungete, non tornerete indietro a farmi impiccare», -brontolò il soldato. - -Il tenente si strinse nelle spalle, fece un cenno alla scorta e tirò -innanzi. - -«Di qua, signori, di qua!» disse avviandosi verso la porta del parco -indicatagli. - -Ma ormai che il duca era scappato, il custode aveva stimato opportuno -di chiudere la porta a due mandate. Bisognò obbligarlo ad aprirla, e si -perdettero altri dieci minuti. - -Superato quest’ultimo ostacolo, la compagnia si rimise alla corsa -velocissima. - -Ma non tutti i cavalli seguitarono col medesimo ardore; alcuni non -poterono reggere lungamente a quell’andatura sfrenata; tre si fermarono -dopo aver camminato un’ora, ed uno cascò. - -D’Artagnan, che non si voltava, neppur se ne accorse. Porthos -tranquillamente glielo disse. - -«Purchè arriviamo in due, rispose d’Artagnan, gli è quanto basta, -giacchè son quattro soli. - -«È vero, sì», confermò Porthos. - -E diede di sprone ben forte. - -A capo a due ore i cavalli aveano fatte dodici leghe senza ristarsi -un momento; cominciavano a piegarsi loro le gambe, e la spuma che -gettavano marezzava i giubbetti de’ padroni, mentre il sudore bagnava -ad essi le brache. - -«Riposiamoci un poco a far ripigliar fiato a queste disgraziate bestie, -propose Porthos. - -«Anzi, ammazziamole, ma si arrivi! rispose d’Artagnan, veggo delle orme -recenti; devono esser passati di qua da un quarto d’ora e non più». - -Realmente agli ultimi raggi diurni si distinguevano le tracce delle -pedate. - -Ripartirono; ma dopo un pajo di leghe cascò il palafreno di Mousqueton. - -«Bene! fece Porthos, ecco Febo sciupato! - -«Il ministro ve lo pagherà mille doppie. - -«Oh! sono superiore a queste cose, lo! - -«Dunque si vada di galoppo! - -«Sì, se pure potremo». - -Il cavallo di d’Artagnan ricusava però di andar più oltre; non -respirava più, ed un’ultima bucatura degli sproni, invece di farlo -avanzare, lo fe’ cadere. - -«Oh diamine! disse Porthos, ecco Vulcano attrappato! - -«Cospettone! gridò d’Artagnan, strappandosi i capelli, e bisogna dunque -fermarsi? Porthos, datemi il vostro.... Ehi, che diavolo fate? - -«Eh diavolo!... vo giù...., fece Porthos, o piuttosto è Bojardo che va -in terra». - -D’Artagnan tentò di far rialzare l’animale, intanto che Porthos si -levava alla meglio di sulle staffe, ma si avvide che dalle nari gli -colava il sangue. - -«E tre! esclamò, ora tutto è finito!» - -In quell’istante si udì un nitrito. - -«Zitto! disse d’Artagnan. - -«Che v’è egli? - -«Un cavallo! - -«Sarà di qualcuno de’ nostri compagni che ci raggiunge. - -«No, no.... è avanti. - -«Allora è tutt’altro». - -Ed anche Porthos si mise ad ascoltare verso la parte accennatagli -dall’amico. - -«Signore, disse Mousqueton, che lasciata la sua bestia sulla strada -maestra se ne veniva correndo a piedi, Febo non ha potuto resistere, -e... - -«Silenzio! gli ordinò Porthos». - -Chè passava un secondo nitrito trasportato dal venticello notturno. - -«È cinquecento passi più innanzi di noi, osservò d’Artagnan. - -«Difatti, a codesta distanza, disse Mousqueton, v’è una casetta da -caccia. - -«Mousqueton, le tue pistole! - -«Le ho in mano. - -«Porthos, pigliate le vostre! - -«Le ho qua. - -«Bene! seguitò d’Artagnan, mi capite, Porthos? - -«Non molto. - -«Noi corriamo pel servizio del re. - -«Ebbene? - -«Pel regio servizio vogliamo quei cavalli. - -«Giustissimo! - -«Allora, non più parole, e all’opra!» - -Tutti e tre s’inoltrarono, fra ’l bujo e taciti come tante larve. Ad -una svolta videro brillare un lume in mezzo agli alberi. - -«Ecco la casa, avvertì piano d’Artagnan, lasciatemi fare, e fate come -fo io». - -Arrivarono a venti passi lontano dall’abitazione senza esser visti. -Lì, mercè un lampione appeso sotto una tettoja distinsero quattro bei -corridori. Li puliva un servitore: accanto a questi erano le selle e le -briglie. - -D’Artagnan si avvicinò con impeto, accennando ai compagni si -trattenessero indietro. - -«Ti compro i tuoi cavalli, disse al domestico». - -Colui si volse attonito, ma senza parlare. - -«Non mi hai inteso, mascalzone? - -«Sicuro! - -«E perchè non rispondi? - -«Perchè e’ non sono da vendersi. - -«Dunque io li prendo». - -E d’Artagnan mise la mano su quello che aveva più prossimo. All’istante -comparvero i due camerati e fecero lo stesso. - -«Ma, signori! gridò il lacchè, hanno fatto una tirata di sei leghe, e -non è mezz’ora che son fermi. - -«Mezz’ora di riposo basta, replicò d’Artagnan, e anzi così saranno più -vivaci». - -Il palafreniere chiamò ajuto. Uscì una specie di maggiordomo, mentre -appunto d’Artagnan ed i compagni mettevano le selle addosso ai -destrieri. - -Il maggiordomo voleva far da bravo. - -«Amicone, gli urlò d’Artagnan, se dite una parola, v’abbrucio le -cervella». - -E gli mostrò la canna d’una pistola, che tosto si pose poi sotto il -braccio onde continuare la sua bisogna. - -«Ma, signore, disse l’intendente, sapete che questi animali -appartengono al signor di Montbazon? - -«Tanto meglio! devono esser buone bestie. - -«Ehi! rispose il poveretto camminando all’indietro per procurar di -arrivare sino alla porta, vi prevengo che chiamerò i miei uomini. - -«Ed io pure i miei. Sono tenente de’ moschettieri del re, ho dieci -guardie che mi seguono, e a voi! le sentite galoppare? ora vedremo». - -Non si udiva nulla, ma al maggiordomo impaurito sembrò di aver inteso. - -«Ci siete, Porthos? domandò d’Artagnan. - -«Ho terminato. - -«E voi, Mouston? - -«Anch’io. - -«Dunque si parta!» - -Tutti e tre saltarono su i cavalli. - -«Qua i servi! qua le carabine! strillò l’intendente. - -«Via presto! fece d’Artagnan, vi saranno delle fucilate». - -E i nostri tre scapparono come il vento. - -«Qua! qua! urlava colui, mentre il palafreniere correva alla casa -vicina. - -«Badate di non ammazzare le vostre bestie! gli gridò d’Artagnan con uno -scroscio di risa. - -«Fuoco! ordinò il maggiordomo». - -Un chiarore simile a quello del lampo illuminò la strada; poi i -cavalcanti udirono lo scoppio e il fischio delle palle che si perderono -per l’aria. - -«Tirano come tanti lacchè, disse d’Artagnan, oh! si sparava meglio -a tempo di Richelieu. Vi ricordate della strada di Crevecoeur, -Mousqueton? - -«Ah! signor mio! mi duol sempre la natica diritta! - -«Siete sicuro che siamo sull’orme di coloro, d’Artagnan? domandò -Porthos. - -«Per bacco! non avete inteso? - -«Che cosa? - -«Che questi animali sono di Montbazon. - -«Ebbene? - -«Montbazon è marito di madama di Montbazon.... - -«E poi?.... - -«E madama di Montbazon è _amica_ del signor di Beaufort. - -«Ah! comprendo, essa aveva disposte le cambiature. - -«Precisamente. - -«E noi andiamo appresso al duca con i cavalli da lui lasciati? - -«Caro Porthos, avete un giudizio straordinario! disse d’Artagnan col -suo solito tuono, come suol dirsi, mezzo uva e mezzo fico. - -«Eh! io sono così, replicò Porthos». - -Corsero un’ora a quel modo. - -«Ohe! che vedo laggiù? fece d’Artagnan ad un tratto. - -«Buon per voi se vedete qualcosa a questo bujo! - -«Delle faville! - -«Le ho viste ancor io! seguitò Mousqueton. - -«Ah! gli abbiamo forse raggiunti? - -«Ohimè! un cavallo morto! gridò d’Artagnan, rialzando il suo corsiero -da un movimento di paura che questo aveva fatto, pare ch’essi pure non -ne possano più. - -«Sembra udir rumore di una brigata di cavalieri! osservò Porthos, -chinatosi sulla criniera. - -«Non può essere. - -«Sono molti. - -«Allora è tutt’altro. - -«Un altro cavallo! fece d’Artagnan. - -«Morto? - -«No, moribondo. - -«Con la sella, o senza? - -«Con la sella. - -«Allora son essi. - -«Coraggio! son nostri. - -«Ma se son molti non saran nostri, e noi saremo di loro, obiettò -Mousqueton. - -«Oibò! rispose d’Artagnan, ci crederanno più forti di loro stessi, -poichè l’inseguiamo, e sbigottiti si disperderanno. - -«È sicuro! approvò Porthos. - -«Ah, vedete! esclamò d’Artagnan. - -«Sì, nuove faville! questa volta le ho viste anch’io, disse Porthos. - -«Avanti! avanti! ordinò d’Artagnan colla sua voce stridula, e fra -cinque minuti rideremo». - -E tornarono a slanciarsi. I cavalli infuriati dal dolore e dalla -gara volavano sull’oscura via, in mezzo alla quale si cominciava -a distinguere una mole più compatta e negra che il rimanente -dell’orizzonte. - - - - -XXVIII. - -_L’incontro._ - - -Continuossi la corsa per anco dieci minuti su quel fare medesimo. - -D’improvviso dalla mole che noi menzionavamo, i punti neri si -avanzarono e crebbero, e crescendo furono due uomini a cavallo. - -«Oh oh! disse d’Artagnan, vengono verso di noi. - -«Peggio per loro! disse Porthos. - -«Chi va là?» gridò una voce rauca. - -I tre cavalcanti che avean già preso lo slancio non si ristettero nè -risposero. Ma si udì il rumore delle spade che uscivano dal fodero e il -battito del grilletto delle pistole che caricavano i due spettri neri. - -«All’arme! fece d’Artagnan; le briglie sui denti!» - -Porthos comprese, ed esso e d’Artagnan messo mano ciascuno ad una -pistola caricarono pure. - -«Chi va là? fu ripetuto, non fate un passo di più, o siete morti! - -«Oibò! replicò Porthos quasi strangolato dalla polvere e masticando -la briglia come il suo corsiero si masticava il morso, oibò! ne abbiam -vedute di più belle!» - -A tali detti le ombre chiusero il passo, e alla luce delle stelle si -vide abbassata la canna delle pistole. - -«Indietro! strillò d’Artagnan, o siete morti voi altri!» - -Dopo la minaccia vi furono due pistolettate, ma i due assalitori -venivano con tanta velocità che in un attimo furono addosso agli -avversarj. Al terzo sparo di d’Artagnan cadde il suo nemico. Porthos -poi urtò il suo con tal violenza, che lo mandò a ruzzolare dieci passi -più là del suo destriero. - -«Rifiniscilo, Mousqueton! urlò Porthos». - -E si scagliò al fianco all’amico che aveva principiato ad agire. - -«Ebbene? chiese Porthos. - -«Gli ho fracassata la testa, rispose d’Artagnan, e voi? - -«L’ho soltanto gittato in terra, ma ecco!» - -Si udì un colpo di carabina. Era Mousqueton, che così di volo adempieva -al comando del padrone. - -«Addosso! addosso! continuò d’Artagnan, va bene, e abbiamo la prima -mano. - -«Ah ah! esclamò Porthos, ecco altri due giuocatori!» - -Realmente comparivano due nuovi cavalcanti distaccatisi dal gruppo -principale, e venivano innanzi rapidissimamente per ingombrare da capo -la via. - -Questa volta d’Artagnan non aspettò nemmeno che gli fosse parlato. - -«Largo! largo! gridò. - -«Che volete? domandò una voce. - -«Il duca!» strepitarono insieme d’Artagnan e Porthos. - -Rispose loro una risata; ma ella finì con un gemito: d’Artagnan aveva -trapassato da parte a parte colla spada colui che rideva. - -Nel tempo stesso due spari fecero un sol colpo: erano Porthos ed il suo -avversario che tiravano uno sull’altro. - -D’Artagnan, volgendosi, si vide vicino Porthos. - -«Bravo! gli disse, lo avete ucciso, mi pare? - -«Credo di non aver toccato che il cavallo. - -«Che volete, mio caro? non si fanno mica subito le cinque carte allo -stesso seme.... Oh! cospettaccio che ha egli il mio ronzino? - -«Che cos’ha? non può più reggere, e cade», disse Porthos, trattenendo -il suo. - -Veramente il cavallo di d’Artagnan inciampava, e andava giù sulle -ginocchia; diede un rantolo e si stese. - -Aveva ricevuta nel petto la prima palla dell’emulo di d’Artagnan. - -Il quale mandò una tal bestemmia da fare inorridire. - -«Signore, volete un cavallo?» chiese Mousqueton. - -«Capperi! se lo voglio! - -«Ecco. - -«E come diavolo hai tu queste bestie scosse? interrogò d’Artagnan -saltando sopra ad uno. - -«I lor padroni sono morti, io ho pensato che potessero esserci utili, e -le ho prese». - -Frattanto Porthos aveva ricaricato le armi. - -«Attenti! disse d’Artagnan, eccone altri due! - -«Ma per Diana! ne avremo così fino a domani? mormorò Porthos». - -Infatti si avanzavano due cavalcanti. - -«Ohi! signore, avvertì Mousqueton, quello che avete atterrato si rialza. - -«Perchè non facesti a lui come al primo. - -«Ero imbarazzato, reggevo i cavalli». - -Fuvvi uno sparo. Mousqueton cacciò un urlo dal dolore: - -«Ah signore! nell’altra natica! là, per l’appunto.... questa botta sarà -di pendente a quella della strada di Amiens!» - -Porthos si volse alla guisa di un leone, piombò sul nemico; questi -tentò di sguainare la spada, ma avanti che l’avesse tolta dal fodero, -Porthos, col pomo della sua, gli aveva data sulla testa una percossa sì -terribile ch’egli era caduto come un bue sotto la mazzuola del beccajo. - -Mousqueton, lagnandosi e sospirando, si era calato giù di sella adagio -adagio, chè la ferita non gli permetteva di restarvi. - -D’Artagnan, nel mirare i sopraggiunti si era fermato a ricaricare la -pistola; inoltre il suo nuovo cavallo aveva agli arcioni una carabina. - -«Eccomi! gli disse Porthos, si aspetta, o si tira? - -«Tiriamo! fece d’Artagnan. - -«Tiriamo! ripetè l’altro». - -E cogli sproni bucavano la pancia ai poveri quadrupedi che avevano -sotto. - -Gli avversarj erano ormai distanti di soli venti passi. - -«In nome del re! esclamò d’Artagnan, lasciateci passare! - -«Qui il re non ha che vedere, rispose una voce sonora e acuta, che -sembrava scaturisse fuori da un nuvolo, imperciocchè chi la mandava -arrivava tutto coperto da un turbine di polvere. - -«Va benone! ora vedremo se il re non passa da per tutto. - -«Vedete!» fece la medesima voce. - -Ed in un botto vi furono due spari di pistola, uno da d’Artagnan ed -uno dall’antagonista di Porthos. La palla di d’Artagnan portò via il -cappello al nemico; quella di lui entrò in gola al cavallo di Porthos -che cascò intirizzito. - -«Per l’ultima volta, dove andate? domandò la stessa voce. - -«A casa al diavolo! replicò adirato d’Artagnan. - -«Oh! allora, non dubitate, ci arriverete». - -D’Artagnan vide abbassarsi in verso lui la canna di un fucile. Non -aveva tempo di frugare nelle saccoccie; si ricordò di un consiglio -datoli in addietro da Athos, e fece che il suo corsiero s’impennasse. - -«Ehi! gridò il solito uomo in tuono di dileggio, ma noi facciamo così -un macello di puledri e non un combattimento tra persone. Di spada, -signor mio, di spada!» - -E smontò in un attimo. - -In un balzo d’Artagnan fu sopra all’avversario, e sentì sopra al suo il -di lui ferro. Egli, con la sua consueta destrezza, aveva messa la spada -in terza, sua posizione prediletta. - -In quell’intervallo, Porthos, inginocchiato dietro al suo palafreno, -che tremava nelle convulsioni dell’agonia, reggeva in ogni mano una -pistola. - -Ed intanto era principiata la battaglia fra d’Artagnan ed il suo -avversario. D’Artagnan aveva assalito quello fieramente conforme alla -sua usanza, ma questa volta aveva incontrato un pugno ed un tal giuoco -che gli diedero da pensare. Rimesso due volte in quarta, fece un passo -addietro; l’altro non si mosse; egli tornò a impegnare la spada in -terza posizione. - -Vi furono due o tre botte da ambo i lati senza risultato veruno; -scaturivano faville dai ferri in gran copia. - -Alla fine il nostro tenente stimò opportuno di cavar partito dalla -finta sua favorita, la diresse abilmente, la eseguì con la rapidità del -baleno, e scagliò il colpo con un vigore a cui credeva non si potesse -resistere. - -Ma a questo fu parato. - -«Cappiterina!» ei gridò nel suo linguaggio guascone. - -Ed a codesta esclamazione il suo avversario fece un salto all’indietro, -e, chinando la testa scoperta, si sforzò di distinguere fra le tenebre -il volto di d’Artagnan. - -Il quale, per timore di un’altra finta, si teneva sulla difesa. - -«Badate! disse Porthos al suo emulo, ho ancora due pistole cariche. - -«Ragion di più perchè dobbiate essere il primo a tirare» colui rispose. - -Porthos sparò; un lampo illuminò il campo di battaglia. - -A quella luce gli altri due combattenti diedero ognuno un grido: - -«Athos! fu quello di d’Artagnan. - -«D’Artagnan! quel di Athos». - -Quest’ultimo alzò il brando, l’altro lo abbassò. - -«Aramis! urlò Athos, non tirate! - -«Ah ah! Aramis, siete voi?» fece Porthos. - -E buttò via l’arme. - -Aramis ripose la sua pistola, e mise nel fodero la draghinassa. - -«Figlio mio!» disse Athos porgendo la destra a d’Artagnan. - -Così lo chiamava ne’ tempi trascorsi ne’ momenti di maggior tenerezza. - -«Athos! disse d’Artagnan, e si torceva le mani, voi dunque lo -difendete? ed io aveva giurato di riportarlo o vivo o morto! ah, sono -disonorato! - -«Uccidete me, Athos rispose scuoprendosi il petto, se all’onor vostro è -d’uopo della mia morte. - -«Guai a me! guai! un uomo solo eravi al mondo che potesse trattenermi, -e la fatalità mi pose dinanzi quest’uomo! Oh! che dirò io al ministro? - -«Gli direte, signore, replicò una voce che dominava sul campo di -battaglia, ch’egli aveva inviati contro a me i due soli uomini capaci -di atterrarne quattro, di pugnare da soli a soli senza svantaggio -contro al conte di la Fère e al cavaliere d’Herblay, e di non -arrendersi che a cinquanta uomini. - -«Il principe! esclamarono a un tempo Athos ed Aramis facendo un -movimento per discuoprire il duca di Beaufort, mentre d’Artagnan e -Porthos retrocedevano di un passo. - -«Cinquanta cavalieri! mormorarono questi due ultimi. - -«Guardatevi attorno, signori, se ne avete dubbio» seguitò il duca. - -Eglino si mirarono attorno; realmente li circuiva una truppa a cavallo. - -«Allo strepito della vostra lotta, continuò il signor di Beaufort, -io ho creduto che foste venti, e sono ritornato con quelli che mi -circondavano, stanco di fuggir sempre, e bramoso di sguainare io pure -la spada: ed eravate due e non più! - -«Sì, monsignore, disse Athos, ma conforme diceste, che vagliono per -venti. - -«Orsù, signori, le vostre spade! riprese il duca. - -«Oh mai! no, mai! esclamò d’Artagnan tornato in sè stesso ed alzando la -testa. - -«No, mai!» confermò Porthos. - -Alcuni uomini fecero un movimento. - -«Un momento, monsignore! gridò Athos, due parole!» - -E si accostò al principe, che si chinò verso di lui, ed al quale disse -piano qualche cosa. - -«Conte, come vorrete, gli rispose il signor di Beaufort. Vi ho troppi -obblighi per negarvi la vostra prima richiesta. Allontanatevi, signori -(ordinò a quei della sua scorta); signori d’Artagnan e du Vallon, siete -liberi». - -Fu eseguito il comando, e d’Artagnan e Porthos si trovarono a formare -il centro di un ampio circolo. - -«Adesso, voi d’Herblay, fece Athos, scendete da cavallo e venite». - -Aramis, essendo smontato, si avvicinò a Porthos, frattanto che Athos si -appressava a d’Artagnan. E tutti quattro si videro riuniti. - -«Amico, domandò Athos, vi duole ancora di non aver versato il nostro -sangue? - -«No, replicò d’Artagnan, duolmi di veder noi uno contro all’altro -dopo essere stati tanto bene uniti; duolmi d’incontrarci in due campi -opposti. Ah! a nulla più riusciremo. - -«Oh no, è finita! aggiunse Porthos. - -«Or bene, allora siate de’ nostri, progettò Aramis. - -«Silenzio, d’Herblay! gridò Athos, non si fanno tali proposizioni a -soggetti simili a questi. S’essi sono entrati nel partito di Mazzarino, -è perchè ivi gli ha spinti la lor coscienza, come la nostra ci spinse a -quello dei principi. - -«Ed intanto eccoci nemici! disse Porthos, cospetto! chi lo avrebbe mai -creduto!» - -D’Artagnan non parlò, ma diede un sospiro. - -Athos prese ad entrambi la mano, dicendo: - -«Signori, l’affare è gravissimo, ed il mio cuore ne soffre come se -trafitto lo aveste da parte a parte. Sì, noi siamo separati, ecco la -grande, la trista verità, ma non peranco ci dichiarammo guerra; forse -abbiamo da stabilire le nostre condizioni, ed è indispensabile un -supremo colloquio. - -«Io lo reclamo, fece Aramis. - -«Io lo accetto», aggiunse alteramente d’Artagnan. - -Porthos abbassò il capo in segno di assenso. - -«Sicchè si fissi il luogo del convegno adattato a noi tutti, proseguì -Athos, ed in un’ultima conferenza regoliamo definitivamente la nostra -situazione reciproca e la condotta che scambievolmente dovremo tenere. - -«Bene! approvarono gli altri tre. - -«Siete dunque del mio parere? - -«Intieramente! - -«Or bene, il luogo? - -«La Piazza Reale vi accomoda? domandò d’Artagnan. - -«A Parigi? - -«Sì». - -Athos ed Aramis si guardarono. Questo colla testa accennò di sì. - -«Sia pure la Piazza Reale! affermò Athos. - -«E quando? - -«Domani sera, se vi aggrada. - -«Sarete di ritorno? - -«Certo. - -«A che ora? - -«Alle dieci: vi conviene? - -«A meraviglia. - -«Di là, disse Athos, uscirà la pace o la guerra, ma almeno, amici, sarà -salvo l’onor nostro. - -«Ahimè, mormorò d’Artagnan, il nostro onore di soldati è perduto. - -«D’Artagnan, gli rispose gravemente Athos, vi giuro che mi fate male -pensando a codesto, quando io non penso se non ad una cosa, cioè che -abbiamo testè incrociato il ferro uno contro all’altro.... Sì, sì, voi -lo diceste, sta su noi la sventura. Aramis, venite. - -«E noi, Porthos, fece d’Artagnan, ritorniamo a portare la nostra -vergogna al ministro. - -«E soprattutto gli direte, gridò una voce, ch’io non sono ancora troppo -vecchio per non essere un uomo da azione». - -D’Artagnan riconobbe a quelle parole Rochefort. - -«Poss’io fare qualche cosa per voi, signori? chiese il principe. - -«Dar testimonianza come facemmo quanto per noi si poteva, monsignore. - -«Non dubitate, io la darò. Addio, tra qualche tempo ci rivedremo, io -spero, sotto Parigi, e forse pure in Parigi, ed allora potrete avere la -vostra rivincita». - -Il duca fe’ con la mano un saluto, rimise al galoppo il cavallo e -disparve seguito dalla sua scorta, di cui andò a perdersi la vista -nell’oscurità: ed il rumore nello spazio. - -D’Artagnan e Porthos si trovarono soli su la strada maestra con un uomo -che reggeva due cavalli scossi. - -Crederono che fosse Mousqueton, e gli si avvicinarono. - -«Che vedo! esclamò d’Artagnan, sei tu, Grimaud? - -«Grimaud!» disse Porthos. - -Quegli fece segno ai due amici che non s’ingannavano. - -«I corsieri di chi sono? domandò d’Artagnan. - -«Chi ce li dà? interrogò Porthos. - -«Il signor conte di la Fère. - -«Athos, Athos, balbettò d’Artagnan, voi pensate a tutto, e siete -veramente un gentiluomo. - -«Manco male, bucinò Porthos, avevo paura di far la tappa a piedi». - -E si pose in sella. D’Artagnan vi era digià salito. - -«Ebbene, Grimaud, dove vai? chiese questo, lasci forse il tuo padrone? - -«Sì, per ordine suo vado a raggiungere il signor visconte di Bragelonne -all’armata di Fiandra». - -Mossero allora alcuni passi in silenzio sulla via maestra venendo verso -Parigi, ma ad un tratto udirono un lamento che sembrava scaturisse da -un fosso. - -«Ch’è mai questo? fece d’Artagnan. - -«È Mousqueton, disse Porthos. - -«Eh! sì signore, son io», seguitò una voce querula, mentre sorgeva una -specie d’ombra dal basso della strada. - -Porthos corse appresso al suo maggiordomo, a cui era realmente -affezionato. - -«Sei ferito gravemente, Mouston? - -«Mouston! ripetè Grimaud, spalancando gli occhi con istupore. - -«No signore, non credo, ma lo sono in maniera che mi dà molto fastidio. - -«Dunque non puoi montare a cavallo? - -«Ah! che mai mi proponete! - -«Puoi tu andare a piedi? - -«Procurerò, sino alla prima casa. - -«Come si fa? disse d’Artagnan, bisogna pure che ritorniamo alla -capitale. - -«Penserò io a Mousqueton, fece Grimaud. - -«Grazie, mio buon Grimaud, rispose Porthos». - -Grimaud smontò e andò a dar braccio al suo antico amico, il quale lo -accolse colle lagrime agli occhi, senza ch’ei potesse però sapere se -cagione di quel pianto fosse il piacere di rivederlo o il dolor della -ferita. - -D’Artagnan e Porthos continuarono in silenzio il lor viaggio verso la -capitale. - -A capo a tre ore furono oltrepassati da una specie di corriere tutto -carico di polvere: era un uomo mandato dal duca, che recava al ministro -una lettera nella quale il principe a tenore della sua promessa -attestava quanto avevano fatto Porthos e d’Artagnan. - -Mazzarino aveva passata una nottata pessima, quando ricevè quel -dispaccio, in cui il duca di Beaufort gli annunziava di per sè stesso -qualmente era libero, e farebbe a lui guerra accanita. - -Il ministro lo lesse due o tre volte, indi piegandolo e riponendolo -nella saccoccia, disse: - -«Quel che mi consola, giacchè d’Artagnan non lo ha potuto cogliere, si -è che almeno correndo dietro a lui ha ammazzato Broussel. Il Guascone è -assolutamente un uomo prezioso, e mi giova anche quando la sbaglia». - -Mazzarino alludeva a quel tale che d’Artagnan avea buttato in terra sul -canto del cimitero San Giovanni in Parigi, e ch’era per l’appunto il -consigliere Broussel. - - - - -XXIX. - -_Il buon uomo Broussel._ - - -Ma disgraziatamente pel signor Mazzarino, che in quel momento aveva -proprio disdetta, il buon uomo Broussel non era stato ammazzato. - -Diffatti, esso traversava tranquillamente la via sant’Onorato, quando -il focosissimo cavallo di d’Artagnan lo percosse sulla spalla e lo -gittò fra la mota. Secondo noi avvertimmo, il nostro tenente dei -moschettieri non pose mente a così piccolo avvenimento. D’altronde egli -nutriva la stessa profonda e sprezzante indifferenza che la nobiltà, -e particolarmente la nobiltà militare, in quell’epoca professava pel -ceto borghese. Era dunque rimasto più che insensibile alla disgrazia -accaduta all’omiciattolo nero (quantunque fosse sua colpa) ed anche -avanti che il povero Broussel avesse tempo di dare un grido era -transitata tutta la tempesta dei corridori armati. Ed allora soltanto -il ferito potè essere inteso e rialzato. - -Si affollò gente, si vide quel meschinello che gemeva, gli si richiese -il suo nome, la dimora, il titolo, ed appena ebbe detto chiamarsi -Broussel, esser consigliere al Parlamento, ed abitare in via di San -Landry, sorse un grido tra la moltitudine, sì minaccioso e terribile, -che fece gran paura al caduto quanto l’uragano passatogli sul corpo. - -«Broussel! Broussel! tutti esclamavano, nostro padre! quello che -difende i nostri diritti contro al Mazzarino! Broussel, l’amico del -popolo! ucciso, calpestato dagli scellerati seguaci del ministro! -soccorso! all’armi! a morte! a morte!» - -In un attimo la folla diventò immensa; fu arrestata una carrozza per -mettervi dentro il piccolo Broussel: ma avendo uno del volgo fatto -osservare che nello stato in cui esso era il moto del legno potrebbe -peggiorare il suo male, vari fanatici proposero di portarlo a braccia, -lo che fu accolto con entusiasmo, ed accettato a voti unanimi. Detto -e fatto. Il popolo lo sollevò di peso, in aspetto insieme docile -e minaccioso, e lo trasportò, simile a quel gigante delle novelle -fantastiche che mugghia accarezzando e cullando fra le braccia un nano. - -Broussel si figurava digià tanta affezione dei Parigini per la -sua persona. Non aveva durante tre anni seminata l’opposizione -senza un’occulta speranza di raccogliere la popolarità. Codesta -dimostrazione, capitata appuntino, gli fu dunque gratissima e lo fe’ -insuperbire, imperocchè gli dava un’idea esatta del suo potere. Ma da -un altro lato v’era qualche inquietezza che turbava un tal trionfo. -Oltre alle contusioni che lo facevano soffrire di molto, temeva ad -ogni angolo di strada di vedere sboccare uno squadrone di guardie e -di moschettieri per dare addosso a quella moltitudine, ed allora nel -parapiglia che succederebbe al trionfatore? - -Aveva egli sempre dinanzi agli occhi il turbine d’uomini, quell’uragano -dal piè di ferro da cui era stato atterrato con un soffio. - -E perciò ripeteva con voce languidissima: - -«Facciamo presto, figliuoli, chè in verità patisco assai!» - -Ed a ciascuno di questi suoi lamenti si accrescevano a lui d’intorno ed -i gemiti e le maledizioni. - -Si giunse non senza fatica fino alla casa di Broussel. La calca che -già ingombrava la via richiamava a’ balconi e su le porte tutta la -gente del quartiere. Alla finestra di una casa a cui dava ingresso una -porta strettissima si vedeva agitarsi una vecchia serva la quale urlava -con quanta forza si avesse, ed una donna pure attempata che piangeva. -Quelle due femmine, con un’inquietudine visibile abbenchè espressa in -modo diverso interrogavano il popolo, il quale mandava loro per unica -risposta urli confusi impossibili ad intendersi. - -Ma quando il consigliere, portato da otto uomini, comparve pallido e -guardando con occhio da moribondo la sua abitazione, la sua moglie e -la sua serva, la buona signora Broussel svenne, e la serva, levando -al cielo le mani, si slanciò sulla scala per farsi incontro al padrone -strillando: «Dio mio! Dio mio! se almeno ci fosse Friquet per andar a -chiamare un cerusico!» - -E v’era Friquet. Dove non è egli, il biricchino di Parigi? - -Friquet aveva profittato naturalmente della giornata di Pentecoste -per chiedere vacanza al padrone dell’osteria, la qual vacanza non gli -si poteva negare sendochè stava ne’ suoi patti di esser libero alle -quattro feste principali dell’anno. - -Era egli alla testa del corteggio. Gli era venuta, sì, l’idea di correr -per un medico, ma in sostanza gli pareva più divertevole lo strillar -fuor di modo: «Hanno ammazzato il signor Broussel padre del popolo! -evviva il signor di Broussel!» che girare da mille straduzze e dir -semplicemente ad un uomo nero: «Venite, signor dottore, il consigliere -Broussel ha bisogno di voi». - -Per sua sfortuna, Friquet che nell’accompagnamento faceva una parte -importante, ebbe l’imprudenza di aggrapparsi all’inferriata della -finestra a pian terreno per sovrastare alla folla. Quest’ambizione lo -rovinò: sua madre lo vide e lo mandò pel chirurgo. - -Poi pigliò essa in collo il brav’uomo e voleva metterlo così fino al -primo piano; però in fondo alla scala il consigliere si rimise un poco -in gambe e dichiarò sentirsi assai forte per salire da sè. Inoltre ei -pregava la Gervasia (così aveva nome la fantesca) di procurare che la -gente si ritirasse, ma la Gervasia non gli dava retta. - -«Oh povero padrone! oh il mio caro padrone! ella badava a gridare. - -«Sì, cara, sì Gervasia, balbettava Broussel onde calmarla, sta quieta, -non sarà nulla. - -«Ch’io stia quieta, quando siete sciupato, rotto, troncato! - -«Ma no, ma no! non è niente, o quasi niente! - -«Niente! e siete tutto carico di mota! niente, e avete sangue sui -capelli!.... mio Dio! misero mio padrone! - -«Zitto! faceva Broussel, zitto! - -«Sangue! santo Dio, sangue! ripeteva la vecchia. - -«Un medico! un chirurgo! un dottore! strepitava il popolo, il -consiglier Broussel è vicino a morire! i Mazzarini l’hanno ammazzato. - -«Dio buono! si smaniava Broussel, quei disgraziati faranno dar fuoco al -casamento! - -«Signore! consigliò la Gervasia, affacciatevi alla finestra, che vi -veggano. - -«Fossi gonzo! rispose il tribolato, è cosa buona per il re di farsi -vedere a quel modo.... Gervasia, di’ loro che sto meglio, di’ loro che -mi metterò, non mica al balcone, ma in letto, e che se ne ne vadano. - -«Ma perchè se n’hanno da andare? E’ vi fa onore, che stiano là! - -«Oh! non l’intendi, che mi faranno arrestare, mi faranno impiccare? -esclamava il vecchietto fuor di sè, ah! ecco che mia moglie è svenuta! - -«Broussel! seguitavano di sotto, evviva Broussel! un chirurgo per -Broussel!» - -Fecero tanto schiamazzo che accadde ciò che avea previsto il -consigliere; un mucchio di guardie scacciò a calciate di fucile quella -turba, bensì del tutto innocua. Ma alle prime strida di: «soldati! -pattuglia!» Broussel tremando lo avessero a prendere per istigatore del -tumulto, si rimpiattò bell’e vestito nel letto. - -Mercè lo sgombro fatto dalle guardie, la Gervasia per comando reiterato -tre volte dall’ammalato, riuscì a chiudere il portone. Ma non sì -tosto l’ebbe serrato e fu salita presso all’infermo, che venne bussato -fortemente. - -La signora Broussel tornata in sè levava le calze al marito tremando -come una foglia. - -«Guardate chi picchia, disse il consigliere, e non aprite che dopo -schiarimento». - -La Gervasia guardò, e rispose: - -«È il signor presidente Blancmesnil. - -«Allora aprite, non v’è inconveniente. - -«Ebbene! fece nell’entrare il presidente, che v’hanno fatto, mio caro -Broussel? sento dire che foste in procinto d’essere assassinato! - -«Fatto sta, che secondo è probabile, si è tramato qualche cosa contro -la mia vita, replicò il consigliere con una fermezza che pareva stoica. - -«Amico mio, sì, hanno voluto cominciare da voi; però toccherà a noi, -ciascuno a sua volta, e non potendoci vincere in massa cercheranno di -distruggerci un dopo l’altro. - -«Se la scapolo, disse Broussel, li vuo’ schiacciare sotto il peso della -mia parola. - -«Sì, sì, guarirete, e per far che paghino cara la loro aggressione». - -Madama Broussel piangeva dirottamente; Gervasia si tapinava. - -«Ch’è stato? esclamò un bello e robusto giovine entrando in camera, mio -padre ferito! - -«Vedete qua una vittima della tirannia, giovanotto! ribattè il signor -Blancmesnil da vero Spartano. - -«Oh padre mio! guai a coloro che vi hanno toccato!» - -E il signorino si volgeva verso l’uscio. - -«Giacomo, disse il genitore trattenendolo, va piuttosto a cercare un -medico, mio caro. - -«Sento grandi clamori del popolo; avvertì la vecchia, sarà Friquet che -ce lo conduce.... ma no, è una carrozza». - -Blancmesnil si affacciò alla finestra. - -«Il signor coadjutore! egli disse. - -«Il signor coadjutore! ripetè Broussel, aspettate ch’io vada ad -incontrarlo!» - -E dimentico de’ suoi dolori si avviava verso il signor di Retz, se non -lo avesse fermato Blancmesnil. - -«Ebbene, caro Broussel, disse il coadjutore colà giunto, che c’è? -che c’è? si discorre di agguati, d’assassinio!... Buon giorno, signor -Blancmesnil.... Nel passare ho preso meco il mio dottore, e ve l’ho -condotto. - -«Ah! fece Broussel, quanto vi sono obbligato! è vero che sono stato -crudelmente buttato in terra e calpestato dai moschettieri del re.... - -«Avete a dire del Mazzarino, ripicchiò il signor di Retz, avete a dire -del ministro.... Ma gliela faremo pagare, non dubitate.... Non è così, -signor di Blancmesnil?» - -Il presidente s’inchinava, ed ecco spalancarsi ad un tratto l’uscio -spinto da un corriere. Lo seguiva un lacchè in gran livrea che annunziò -ad alta voce: - -«Il signor duca di Longueville! - -«Come! esclamò Broussel! è qui il signor duca? che onore è questo per -me!... ah, monsignore!... - -«Vengo a condolermi, rispose il duca, della sorte del nostro prode -difensore.... siete ferito, consigliere carissimo? - -«Se lo fossi, la vostra visita mi risanerebbe, monsignore. - -«Soffrite però? - -«Molto. - -«Ho qui con me il mio dottore; permettete che passi? - -«E come!» fece Broussel. - -Il signor di Longueville fe’ un cenno al suo lacchè, il quale -introdusse un uomo nero. - -«Io aveva avuta la stessa idea che voi, mio principe», disse il -coadjutore. - -I due professori si guardarono. - -«Oh! siete voi, signor coadjutore? continuò il duca. Gli amici del -popolo s’incontrano sul loro vero terreno. - -«Il tumulto mi aveva spaventato e sono accorso; ma parmi che il più -urgente sarebbe che i cerusici visitassero il nostro buon consigliere. - -«Davanti a voi, signori? domandò timidamente Broussel. - -«E perchè no? vi giuro che siamo ansiosi di sapere come vada. - -«Ohimè, Dio santo! disse madama Broussel, che cos’è questo nuovo -schiamazzo? - -«Sembrano applausi, rispose Blancmesnil andando al balcone. - -«Come! che altro v’è egli? chiese il consigliere pallido, morto. - -«La livrea del signor principe di Conti! urlò Blancmesnil, il principe -in persona!» - -Il coadjutore e Longueville avevano la gran voglia di ridere. - -I professori si accingevano ad alzare la coperta a Broussel; l’ammalato -li trattenne. - -Capitò il principe di Conti. - -«Ah! signori, disse al vedere il signor di Retz, voi mi avete -prevenuto; ma caro Broussel, non dovete già esser meco sdegnato; quando -ho intesa la vostra disgrazia, ho pensato che vi mancasse un dottore -e sono ito a prendere il mio.... Come state, e che assassinio è questo -del quale si parla?» - -Broussel voleva discorrere, ma non ebbe parole, l’oppressero i tanti -onori che riceveva. - -«Orsù, dottore, vedete, disse il principe di Conti a un uomo nero che -lo accompagnava. - -«Oh oh! fece uno dei medici, allora gli è un consulto. - -«Sarà quel che volete, ma ponetemi in quiete sulla salute del bravo -consigliere». - -I tre professori si accostarono al letto. Broussel tirava a sè con -tutta forza la coperta. Ad onta della sua opposizione fu spogliato ed -esaminato. - -V’era soltanto una contusione al braccio ed una alla coscia. - -I dottori si guardarono in viso, mal comprendendo come si fossero -riuniti tre soggetti fra i più dotti della Facoltà di Parigi per una -simile inezia. - -«Ebbene? domandò il coadjutore. - -«Ebbene? il duca. - -«Ebbene? il principe. - -«Speriamo che l’accidente non abbia conseguenze; disse uno dei seguaci -d’Esculapio; ci ritireremo nella stanza vicina per concertare le -ricette. - -«Broussel! notizie di Broussel! strillava la folla, come sta Broussel?» - -Il coadjutore corse alla finestra. Al suo aspetto la turba fe’ silenzio. - -«Amici, ei disse, riconfortatevi, egli è fuor di pericolo; ma la ferita -è grave e abbisogna riposo». - -Subito echeggiarono sulla strada altri urli: - -«Viva Broussel! viva il coadjutore!» - -Longueville per astio si affacciò esso pure. - -«Viva il signor di Longueville! fu gridato al momento. - -«Amici, ei disse facendo un saluto con la mano, ritiratevi in pace, e -non date ai nemici nostri il piacere del disordine. - -«Bravo, signor duca! approvò dal letto Broussel, codesto è parlare da -buon Francese. - -«Sì, signori Parigini, seguitò il principe di Conti andato ugualmente -alla finestra onde avere la sua parte degli applausi. E poi il signor -Broussel ve ne prega, ha necessità di quiete, ed il chiasso potrebbe -dargli incomodo. - -«Viva il principe di Conti!» esclamò la gente di sotto. - -E il principe salutò. - -Allora tutti tre si accomiatarono dal consigliere, e ad essi fece -scorta la moltitudine che licenziata avevano a nome di Broussel. - -La vecchia serva stupefatta osservava il padrone con ammirazione. - -Per lei il consigliere era cresciuto di un palmo. - -«Ecco che cos’è servire il proprio paese secondo la sua coscienza», -disse Broussel con soddisfazione. - -I medici uscirono dopo un’ora di consulto, e ordinarono si lavassero le -contusioni con acqua e sale. - -In tutta la giornata fu processione di carrozze. Tutti quei della -_fronda_ si fecero scrivere per visita in casa Broussel. - -«Che bel trionfo, padre mio!» disse il giovine, il quale non -comprendendo il vero motivo che traeva tutti coloro nella sua -abitazione, pigliava sul serio le dimostrazioni dei grandi, dei -principi e degli amici. - -«Ohimè! Giacomo mio, gli rispose il genitore, ho paura di pagarlo caro -questo trionfo; e o m’inganno, o a quest’ora il signor di Mazzarino mi -apparecchia il conto degli affanni ch’io gli cagiono». - -Friquet tornò a casa a mezza notte. Non aveva potuto trovar medici. - - - - -XXX. - -_Quattro antichi amici si dispongono a rivedersi._ - - -«Ebbene! disse Porthos, seduto nel cortile dell’albergo del Granchio, a -d’Artagnan che di mal umore, accigliato, tornava dal Palazzo Reale, vi -ha ricevuto male, mio buon d’Artagnan? - -«Oh sì, è assolutamente una brutta bestia, colui.... che mangiate -costì, Porthos? - -«Vedete, inzuppo un biscotto in un bicchiere di vin di Spagna: fate lo -stesso anche voi. - -«Dite benissimo. Gimblou, un bicchiere!» - -Il cameriere chiamato con quel nome armonioso, recò ciò ch’eragli -chiesto, e d’Artagnan si assise accanto all’amico. - -«Come è andata? - -«Eh! comprenderete che non v’erano due modi di dir le cose; sono -entrato, mi ha guardato bieco, mi sono stretto nelle spalle, e gli ho -detto: Monsignore, in conclusione non siamo stati noi i più forti. - -«Sì, so tutto questo, ma raccontatemi i dettagli. - -«Intendete, Porthos, che non potevo raccontare i dettagli senza -nominare i nostri amici, e il nominarli era comprometterli. - -«Per Diana! - -— Monsignore, ho soggiunto, essi erano cinquanta, e noi due. - -— Sì, mi ha risposto, ma ciò non toglie che si siano ricambiate delle -pistolettate, per quanto ho inteso. - -— Realmente sono state abbruciate alcune cariche di polvere e da una -parte e dall’altra. - -— E le spade han veduta la luce? - -— Cioè le tenebre, Eccellenza. - -— Ah ah! ha soggiunto il ministro, vi credevo Guascone, mio caro? - -— Non son Guascone se non quando riesco. - -— La mia replica gli è piaciuta, giacchè si è messo a ridere. - -— Da questo imparerò, ha continuato, a far dare migliori cavalli alle -mie guardie, mentre s’esse avessero potuto seguitarvi ed avessero fatto -ciascuna quanto voi e il vostro amico, avreste mantenuta la vostra -parola e condottolo a me morto o vivo. - -«Eh! disse Porthos, mi pare che non vi sia male. - -«No, ma tutto sta nella maniera di dirlo.... Non è da credere quanto -vino prendono questi biscotti! sono assolutamente spugne. Gimblou, -un’altra bottiglia». - -Fu eseguito il comando con tal prontezza da provare l’alta -considerazione di che godeva d’Artagnan nella locanda. Ed esso -continuò: - -«Mi ritiravo, ed egli mi chiamò indietro. - -— Aveste tre cavalli fra morti e attrappati? mi domandò. - -— Sì, monsignore. - -— Quanto valevano? - -«Eh! interruppe Porthos, mi sembra questa una buona idea. - -— Mille doppie, io risposi. - -«Mille doppie! fece Porthos.... è molto! e se s’intende di cavalli, -deve aver tirato di prezzo. - -«Ne aveva voglia, lo spilorcio, poichè ha fatto un balzo terribile e mi -ha guardato fisso. Lo guardai io pure, e allora comprese tutto e pigliò -da un armadio dei biglietti sulla banca di Lione. - -«Per mille doppie? - -«Appunto, l’usurajo! nemmeno una di più! - -«E le avete? - -«Eccole. - -«Affè, trovo ch’è agire benissimo. - -«Benissimo? con persone che non solo hanno arrischiata la vita, ma che -gli hanno reso un gran servigio! - -«E quale? - -«Veh! per quanto pare gli ho ammazzato un consigliere del Parlamento. - -«Come! quel piccolo uomo nero che gettaste in terra sull’angolo del -cimitero San Giovanni? - -«Precisamente. Ei gli dava gran fastidio; ma disgraziatamente non l’ho -propriamente ucciso; sembra che abbia a guarire e tornare a dargli -molestia. - -«Oh vedete! disse Porthos, ed io sviai il mio corsiero che gli andava -veramente addosso! Sarà per un’altra volta. - -«Avaraccio! avrebbe dovuto pagarmi il consigliere. - -«Eh! se non è ucciso affatto. - -«Il signor di Richelieu avrebbe detto subito: cinquecento scudi per il -consigliere.... Basta, non ne parliamo più. Quanto vi costano le vostre -bestie, Porthos? - -«Ah! se fosse qui il povero Mousqueton, ve lo direbbe a lira, soldo e -danaro. - -«Non serve! all’incirca? - -«Vulcano e Bajardo mi costavano intorno a duecento doppie per uno, e -mettendo Febo a cento cinquanta siamo vicini al conto. - -«Rimangono dunque quattrocento cinquanta, azzardò contentissimo -d’Artagnan. - -«Sì, ma vi sono i finimenti. - -«Capperi! è vero.... e per quanto? - -«Calcolando cento doppie di tutti e tre.... - -«Sia pure.... allora restano trecento cinquanta». - -Porthos abbassò il capo in atto di adesione. - -«Diamo le cinquanta alla locandiera per tutta la nostra spesa, propose -d’Artagnan, e dividiamoci le altre trecento. - -«Dividiamocele, approvò Porthos. - -«Meschino negozio! borbottò d’Artagnan riponendo i biglietti. - -«Uh tant’è, disse Porthos, ma ditemi.... - -«Che? - -«Non vi parlò in alcun modo di me? - -«Ah sì! esclamò d’Artagnan, perocchè temeva di scoraggire il camerata -manifestandogli che il ministro non gli aveva aperto bocca su di lui, -sì, mi ha detto.... - -«Che cosa? - -«Aspettate.... mi preme ricordarmi le sue proprie parole: ha detto.... -In quanto al vostro amico, annunziategli che può dormire su due -guanciali. - -«Bene! osservò Porthos, prova chiarissima che ha sempre idea di farmi -barone». - -Nel momento suonarono nove ore alla chiesa vicina. D’Artagnan si scosse. - -«Ah! è vero, fece Porthos, ecco che suonano le nove, e alle dieci, come -vi rammentate, abbiamo appuntamento alla Piazza Reale. - -«Ah tacete! gridò d’Artagnan con impazienza, non mi ricordate codesto; -è ciò che da jeri mi tiene di mal umore. Non ci andrò. - -«E perchè? - -«Perchè mi è doloroso il rivedere quei due uomini che fecero andare a -vuoto la nostra impresa. - -«Eppure, ribattè Porthos, nè uno nè l’altro ne hanno avuto il -vantaggio. Io aveva ancora una pistola carica, e voi eravate l’uno in -faccia all’altro con la spada in mano. - -«Sì, rispose d’Artagnan, però se in quel convegno è celata qualche cosa? - -«Ah! voi non lo credete, disse Porthos». - -Ed aveva ragione: d’Artagnan non supponeva Athos capace d’impiegare -l’astuzia, ma cercava un pretesto per non recarsi all’appuntamento. - -«Bisogna andarvi, continuò l’altero signor di Bracieux; si penserebbero -che avessimo avuto paura.... Eh! mio caro, abbiamo affrontati cinquanta -nemici su la strada maestra; affronteremo pure due amici sulla Piazza -Reale. - -«Sì, sì, replicò d’Artagnan, lo so; ma hanno abbracciato il partito -dei principi senza prevenircene; ma Athos ed Aramis hanno fatto meco -un giuoco che mi spaventa. Jeri scoprimmo la verità. A che giova andar -oggi a saper qualche altra cosa! - -«Realmente siete in diffidenza? domandò Porthos. - -«Di Aramis sì, dacchè è abate. Non potete figurarvi com’è diventato; -egli par che siamo contrarj al suo avanzamento, e forse non gli -increscerebbe di levarci di mezzo. - -«Ah! per Aramis è tutt’altro, confermò Porthos, e non mi sorprenderebbe. - -«Il signor di Beaufort può tentare alla sua volta di far arrestar noi. - -«Oibò! subito che ci aveva nelle mani e ci ha lasciati liberi! E poi -mettiamoci in guardia, e conduciamo Planchet colla sua carabina. - -«Planchet è della _Fronda_. - -«Maledette le guerre civili! non si può più far conto nè su gli amici -nè su’ propri servi. Ah! se fosse qua il misero Mousqueton! Quegli non -mi abbandonerà mai! - -«Finchè sarete ricco! eh! non sono le guerre civili che ci disuniscono; -è che non abbiamo più venti anni ciascuno, è che i leali impulsi della -gioventù sono spariti per dar luogo al mormorio degli interessi, al -soffio delle ambizioni, ai consigli dell’egoismo. Sì, avete ragione, -Porthos: andiamoci, ma ben armati. Se no, direbbero che abbiam timore. -Olà, Planchet!» - -Planchet accorse alla chiamata di d’Artagnan. - -«Fate porre la sella ai cavalli, e pigliate la vostra carabina. - -«Ma, signore, prima di tutto, contro a chi si va? - -«Non si va contro ad alcuno, disse d’Artagnan, è una semplice misura di -precauzione per il caso che fossimo assaliti. - -«Sapete, signore, ch’è stato tentato di uccidere il consigliere -Broussel, il padre del popolo? - -«Eh! davvero? - -«Sì, ma è stato ben vendicato, poichè il popolo lo ha riportato a casa -a braccia. Da jeri in qua la sua abitazione è sempre piena. Ha ricevuto -visita dal coadjutore, dal signor di Longueville e dal principe di -Conti. Le signore di Chevreuse e di Vendome si son fatte dare in nota -alla porta, e adesso quando vorrà.... - -«Ebbene, quando vorrà?...» - -Planchet si diede a cantarellare: - - Un vent de Fronde - S’est levé ce matin; - Je crois qu’il gronde - Contre le Mazarin. - Un vent de fronde - S’est levé ce matin. - -«Non mi sorprende più, osservò sotto voce d’Artagnan a Porthos, che il -Mazzarino avesse avuto più caro ch’io avessi distrutto affatto il suo -consigliere. - -«Comprendete dunque, soggiunse Planchet, che se mi ordinate di pigliare -la mia carabina per qualche intrapresa simile a quella tramata contro -il signor Broussel.... - -«No, no, sta quieto.... Ma da chi avesti tutti questi dettagli? - -«Oh da fonte buona! gli ho avuti da Friquet. - -«Da Friquet? fece d’Artagnan, codesto nome mi è noto. - -«È il figliuolo della serva del signor Broussel, un certo tomo che, vi -assicuro, in una sommossa non rimarrà indietro. - -«Non è egli cantore a Nostra Signora? - -«Sì, appunto: è protetto da Bazin. - -«Ah! lo so.... e poi cameriere all’osteria della Calanda? - -«Precisamente. - -«Che v’interessa di quel ragazzaccio? domandò Porthos. - -«Eh! mi ha dato digià de’ buoni schiarimenti, e all’occorrenza potrebbe -somministrarmene degli altri. - -«A voi, che foste vicino ad ammazzare il suo padrone? - -«E chi glie lo dirà? - -«È vero». - -Nel momento stesso entravano in Parigi Athos ed Aramis dal sobborgo -sant’Antonio. Si erano rinfrescati per la strada, e si affrettavano -onde non mancare al convegno. Li accompagnava il solo Bazin. Grimaud, -conforme ci rammentiamo, era restato per assistere Mousqueton, e doveva -raggiungere direttamente il giovine visconte di Bragelonne che si -recava all’armata di Fiandra. - -«Adesso, disse Athos, ci conviene entrare in qualche albergo per -vestirci da città, posare le pistole e le spade, e disarmare il nostro -servo. - -«Nulla, nulla, caro conte, ed in questo mi permetterete, non solo di -non essere del vostro parere, ma anche di procurare di condurvi al mio. - -«E perchè? - -«Perchè andiamo ad un convegno di guerra. - -«Aramis, che volete mai dire? - -«Che la Piazza Reale è un seguito della strada maestra del Vendomese e -non altro. - -«Come! i nostri amici?... - -«Sono diventati i nostri nemici più pericolosi; Athos, credete a me; -diffidiamo, e diffidate voi specialmente. - -«Oh! mio caro d’Herblay! - -«Chi vi dice che d’Artagnan non abbia gettata addosso a noi la sua -sconfitta e prevenuto il ministro? chi vi dice che il ministro non -profitti di questo appuntamento per farci arrestare? - -«E che! v’immaginate che d’Artagnan e Porthos diano mano ad una tale -iniquità? - -«Tra amici, dite benissimo, sarebbe iniquità; fra nemici, ch’è astuzia». - -Athos incrociate le braccia calò la testa sul petto. - -«Che volete? seguitò Aramis, gli uomini son fatti così, e non son -sempre in età di venti anni. Noi abbiamo offeso crudelmente, voi -lo sapete, quell’amor proprio che guida ciecamente le azioni di -d’Artagnan. Egli è stato vinto. Non lo udiste forse disperarsi sulla -strada? In quanto a Porthos, la sua baronia dipendeva probabilmente -dal di lui buon esito in questo affare. Ebbene! esso ha incontrati noi -come intoppi, e neppur questa volta sarà barone. Chi vi assicura che la -famosa Baronia non vada collegata col nostro abboccamento di stassera? -Athos, prendiamo le nostre precauzioni. - -«Ma se essi venissero senz’armi, Aramis, che vergogna per noi! - -«Non dubitate, vi garantisco che ciò non succederà. D’altronde noi -abbiamo una scusa: arriviamo da un viaggio, e siamo ribelli. - -«Scuse! ci tocca prevedere il caso in cui avessimo bisogno di scuse -dirimpetto a d’Artagnan, a Porthos! Oh, Aramis! (continuava Athos -scuotendo mestamente il capo) sull’anima mia, voi mi rendete il più -disgraziato di tutti gli uomini! togliete ogni dolce illusione ad un -cuore che non era morto affatto all’amicizia! Ecco, preferirei, ve lo -giuro, che uno me lo strappasse dal petto. Andateci come vi piace, io -vi andrò inerme. - -«Ed io non lascerò che veniate così. Non più un uomo, non più Athos, -nemmeno più il conte di la Fère, tradireste con tal debolezza, ma un -intero partito a cui appartenete e che conta su di voi. - -«Sia fatto come voi dite» riprese Athos addolorato. - -E proseguirono il loro cammino. - -Appena arrivavano dalla via del Passo della Mula ai cancelli della -piazza deserta, videro sotto l’arcata e sullo sbocco della contrada di -santa Caterina tre uomini a cavallo. - -Erano d’Artagnan e Porthos avvolti nei ferrajuoli, che tenevano in alto -le spade, e dietro ad essi Planchet col moschetto sulla coscia. - -Athos ed Aramis scesero da cavallo scorgendo d’Artagnan e Porthos. -Questi fecero lo stesso. D’Artagnan osservò che i tre corsieri invece -di esser retti da Bazin erano legati agli anelli del loggiato, e ordinò -a Planchet di far come faceva Bazin. - -Allora a due per due, seguiti dai rispettivi servi, si avanzarono, e -salutaronsi scambievolmente con molta cortesia. - -«Signori, dove gradite che discorriamo?» domandò Athos. - -Egli si era accorto che parecchie persone si fermavano a guardarli -come si trattasse di uno di quei famosi duelli tuttavia viventi nella -memoria dei Parigini, e soprattutto di coloro che abitavano sulla -Piazza Reale. - -«Il cancello è chiuso, disse Aramis, ma se questi signori amano il -fresco sotto gli alberi ed una solitudine inviolabile, piglierò la -chiave al palazzo di Rohan e staremo egregiamente». - -D’Artagnan cacciò lo sguardo fra l’oscurità della piazza, e Porthos -arrischiò la testa fra due regoli per iscandagliare quelle tenebre. - -«Se preferite un altro luogo, seguitò Athos con la sua maniera nobile e -insinuante, scegliete pure. - -«Io credo che codesto posto, qualora il signor d’Herblay possa -procurarsene la chiave, sarà il migliore di ogni altro». - -Aramis si discostò subito, avvertendo Athos di non restar solo -così vicino a d’Artagnan e Porthos; ma quegli a cui veniva dato tal -consiglio sorrise in atto sprezzante, e mosse un passo verso i suoi -antichi amici. - -Realmente Aramis era andato a bussare al palazzo di Rohan, e in breve -ricomparve con un uomo che gli diceva: - -«Me lo giurate, signore? - -«A voi, fece Aramis dandogli un luigi. - -«Ah! mio gentiluomo, non volete giurare? disse il custode di mal umore. - -«E si può giurare di nulla?... vi asserisco soltanto che adesso quei -signori sono amici nostri. - -«Sì, certamente» confermarono freddamente Athos, d’Artagnan e Porthos. - -D’Artagnan aveva udito il dialogo, e capito ogni cosa. - -«Vedete? domandò a Porthos. - -«Che ho da vedere? - -«Che non ha voluto giurare. - -«Giurare di che? - -«Quell’uomo intendeva che Aramis gli giurasse che non andavamo sulla -Piazza Reale per batterci. - -«Ed egli vi si è ricusato? - -«Sì. - -«Dunque attenti!» - -Athos non perdeva di vista i due interlocutori. Aramis aprì la porta -e si trasse da parte acciò potessero entrare d’Artagnan e Porthos. Il -primo di questi due nel passare impegnò la impugnatura della sua spada -nei ferri del cancello, e fu costretto a disvolgersi dal ferrajuolo, -lo che facendo, discoperse il calcio rilucente delle pistole su cui si -rifletteva un raggio di luna. - -«Vedete? disse Aramis, con una mano toccando Athos sulla spalla e con -l’altra additandogli l’arsenale che portava d’Artagnan alla cintola. - -«Ohimè, si!» rispose Athos con un sospiro. - -E passò avanti per terzo. Aramis entrò ultimo, e si chiuse dietro -il cancello. I due domestici rimasero fuori, ma quasi che essi pure -diffidassero un dell’altro si trattennero a qualche distanza. - - - - -XXXI. - -_La Piazza Reale._ - - -Camminarono in silenzio sino al centro della piazza, ma siccome in -quel momento era uscita la luna di sotto un nuvolo, rifletterono che in -luogo tanto scoperto sarebbero veduti, e si diressero verso i tigli ove -l’ombra era più folta. - -Stavano distribuiti a varj spazj dei sedili. I quattro gentiluomini si -fermarono dinanzi ad uno, Athos fe’ un cenno, d’Artagnan e Porthos si -assisero; Athos ed Aramis rimasero in piedi davanti ad essi. - -Indi a breve pausa, durante la quale ciascuno sentiva la difficoltà -d’incominciare la spiegazione, Athos disse: - -«Signori, una prova del potere dell’antica nostra amicizia si è la -nostra comparsa al convegno; nessuno v’ha mancato, sicchè nessuno aveva -da farsi rimproveri. - -«Ascoltate, signor conte, rispose d’Artagnan, invece di farci dei -complimenti che forse non meritiamo, spieghiamoci da uomini di cuore. - -«Non bramo di meglio. Vi conosco schietto; parlate con tutta -franchezza: avete qualche cosa di cui far rampogna a me od al signor -abate d’Herblay? - -«Sì; disse d’Artagnan, quando ebbi l’onore di vedervi al castello di -Bragelonne, vi recavo delle proposizioni che voi comprendeste; in luogo -di rispondermi come a un amico, mi burlaste come un bambino, e l’amistà -che tanto vantate non fu troncata jeri dall’urto delle nostre spade, ma -dalla vostra dissimulazione nella vostra propria dimora. - -«D’Artagnan! fece Athos in dolcissimo tuono di lagnanza. - -«Mi chiedete franchezza, ed eccola; domandate che cosa io pensi, e ve -lo dico; ed ora ho altrettanto per voi, signor abate d’Herblay; con voi -ho agito egualmente, e parimente m’ingannaste. - -«In verità, siete singolare! disse Aramis, veniste per farmi delle -proposizioni: ma me le faceste? signor no; mi scandagliaste, e niente -altro. Che vi dissi? che Mazzarino era un mascalzone e che non servirei -Mazzarino. Ma non più di così. Vi dichiarai forse che non avrei servito -un altro? Al contrario, mi pare che vi feci intendere ch’ero tutto dei -principi. Anzi, se non m’inganno, scherzammo piacevolmente sul caso -probabilissimo in cui riceveste dal ministro l’incarico di arrestarmi. -Siete uomo di parte? sì, senza alcun dubbio. Or bene, e perchè noi non -dobbiamo essere uomini di parte? Voi avete il vostro segreto come noi -abbiamo il nostro; non ce li siamo ricambiati, meglio così! è prova che -sappiamo custodire i nostri segreti. - -«Di nulla vi fo rimprovero, signore; ribattè d’Artagnan, solo perchè il -signor conte di la Fère parlava di amistà, sono passato ad esaminare il -vostro contegno. - -«E in questo che trovate?» domandò con alterigia Aramis. - -Corse il sangue alle tempie a d’Artagnan, ed egli si alzò dicendo: - -«Trovo ch’è quello di un ipocrita». - -Porthos ancora si era levato in piedi; talchè i quattro signori stavano -diritti e minacciosi uno di faccia all’altro. - -Alla risposta di d’Artagnan, Aramis fece un movimento come per metter -mano alla spada. - -Athos lo trattenne. - -«D’Artagnan, esso disse, voi qui venite questa sera, tuttavia furibondo -per la nostra avventura di jeri. Io vi stimava di cuore assai grande -perchè in voi un’amicizia di venti anni resistesse ad una disfatta di -amor proprio di un quarto d’ora. Orsù, ditelo a me: vi sembra di avere -di che incolparmi? Se sono in fallo, io lo riconoscerò». - -La voce grave ed armoniosa di Athos aveva sempre sovra d’Artagnan -l’usata influenza, laddove quella di Aramis diventata aspra e stridula -ne’ suoi momenti di mal umore lo irritava. Quindi ci replicò al primo: - -«Mi pare, signor conte, che voi avevate da farmi una confidenza nel -castello di Bragelonne, e che questo signore (ed accennava Aramis) -aveva da farmene una nel suo convento; io allora non mi sarei slanciato -in un’avventura in cui dovevate chiudermi la strada. Bensì perchè sono -stato prudente, non avete già a prendermi per uno stolido. Se avessi -voluto esaminare a fondo la condotta che tiene il signor d’Herblay, lo -avrei costretto a parlare. - -«Di che cosa v’ingerite? esclamò Aramis pallido dalla collera -sicuramente pel dubbio che gli nacque che d’Artagnan lo avesse veduto -con madama di Longueville. - -«M’ingerisco di ciò che mi riguarda, e so far mostra di non aver -visto quel che non mi riguarda; ma aborrisco gl’ipocriti, ed in questa -categoria pongo i moschettieri che fanno da abati e gli abati che fanno -da moschettieri, ed il signore qui presente (seguitò volgendosi verso -Porthos) è della mia opinione». - -Porthos che non aveva ancor parlato, non rispose se non con una parola -ed un gesto. - -Disse sì, e diè mano alla spada. - -Aramis fece un salto all’indietro e sguainò la sua. D’Artagnan -s’incurvò, pronto ad attaccare o a difendersi. - -Allora Athos stese la destra con quell’atto di supremo comando tutto -proprio di lui, cavò lentamente e ferro e fodero insieme, spezzò nel -fodero il ferro battendoselo sul ginocchio, e gettò i due pezzi a man -dritta. - -Indi voltosi ad Aramis gli disse: - -«Aramis, troncate la vostra spada». - -Questi però titubava. - -«Così bisogna» soggiunse Athos. - -E poi con voce più bassa e dolce: - -«Così voglio». - -Aramis, ancor più pallido, ma soggiogato da quel gesto, dominato da -quella voce, ruppe la lama pieghevole, incrociò le braccia, ed aspettò -bollendo di rabbia. - -Questo movimento fece retrocedere d’Artagnan e Porthos; il primo non -cavò fuori il brando, l’altro ripose il suo. - -«Giammai, disse Athos alzando verso il cielo la destra, giammai, lo -giuro innanzi a Dio che ne vede e ne ascolta, durante la solennità -di questa nottata, l’arme mia non toccherà le vostre; giammai il mio -occhio non avrà per voi uno sguardo d’ira, nè il mio cuore un sol -palpito d’odio. Noi vivemmo insieme, insieme odiammo ed insieme amammo; -tra noi si sparse il nostro sangue, e si confuse, e forse aggiungerò -pure, fra noi v’ha un vincolo più possente di quello dell’amistà, -forse v’ha il contratto e l’unione del delitto; imperciocchè tutti -e quattro abbiamo condannato, giudicato, giustiziato un essere umano -che non avevamo probabilmente diritto di torre da questo mondo, per -quanto, meglio che a questo mondo sembrasse appartenere all’inferno. -D’Artagnan, io sempre vi amai come un mio figlio; Porthos, per dieci -anni dormimmo uno a fianco dell’altro; Aramis è vostro fratello come -mio, giacchè vi ha amati come io vi amo e vi amerò sempre. Che può -essere Mazzarino, per noi, che sapemmo forzare la mano e il cuore di un -uomo qual era Richelieu? Ch’è egli questo o quel principe, per noi che -abbiamo consolidata la corona sul capo ad una regina? D’Artagnan, io -vi domando perdono di aver incrociato il ferro con voi; altrettanto fa -Aramis per Porthos. E adesso, aborritemi, se potete, ma io vi giuro che -ad onta dell’odio vostro, non avrò per voi se non stima ed amicizia.... -Aramis, ripetete le mie parole, e indi, s’essi il vogliono e voi pure -il volete, si abbandonino per sempre gli antichi nostri amici». - -Fuvvi un istante di silenzio solenne. Così lo troncò poscia Aramis: - -«Io giuro (e favellava con la fronte serena e sguardo leale, ma con tal -voce in cui sentivasi un ultimo tremito di agitazione) giuro che non ho -più verun odio contro a coloro che furono miei amici; giuro che provo -rammarico, o Porthos, di aver toccato la vostra spada; giuro alfine, -che non solo la mia non sarà più rivolta al vostro petto, ma anche -nelle più arcane profondità del mio pensiero non rimarrà nell’avvenire -tampoco apparenza di sentimenti ostili contro di voi. Venite, Athos». - -Athos fece un moto per ritirarsi. - -«Oh no, no! non ve ne andate! esclamò d’Artagnan trasportato da uno di -quegli impulsi irresistibili che discuoprivano il calore del suo sangue -e l’ingenua rettitudine dell’animo suo, non ve ne andate! chè anch’io -ho da fare un giuramento. Giuro che darei fino all’ultima goccia del -mio sangue, sino all’ultimo brano delle mie carni, per conservare la -stima di un uomo simile a voi, Athos, l’amicizia di un par vostro, -Aramis». - -E si gettò nelle braccia di Athos. - -«Figlio mio! disse Athos premendoselo al seno. - -«Ed io, fece Porthos, non giuro niente, ma scoppio, cospettone! Se -dovessi battermi con voi, credo che mi lascerei infilzare da parte a -parte, giacchè non ho voluto bene al mondo altro che a voi». - -Ed il buon Porthos proruppe in pianto buttandosi fra le braccia di -Aramis. - -«Amici miei, disse Athos, ecco ciò che speravo, ecco ciò che attendevo -da due cuori come i vostri. Sì, l’ho detto e lo ripeto, i nostri -destini sono irrevocabilmente congiunti, abbenchè noi seguiamo un -sentiero diverso. Io rispetto la vostra opinione, d’Artagnan; rispetto -la vostra convinzione, Porthos; ma quantunque combattiamo per cause -opposte, manteniamoci amici; i ministri, i principi, i re, passeranno -come un torrente, la guerra civile a modo di una fiamma, ma noi -rimarremo, oh sì! ne ho un presentimento. - -«Sì, approvò d’Artagnan, siamo pur sempre moschettieri, e serbiamo per -unica bandiera quel famoso tovagliuolo del bastione di San Gervasio -dove il gran ministro aveva fatto ricamare tre gigli. - -«Sì! esclamò Aramis, o del ministro o della Fronda, a noi che monta? -Ritroviamo i nostri buoni padrini pei duelli, gli amici zelanti per gli -affari, i lieti compagni pei piaceri! - -«Ed ogni volta, seguitò Athos, che c’incontreremo nella mischia, -alle sole parole di: _Piazza Reale!_ trasportiamo le spade alla mano -sinistra, e ci porgiamo la diritta, quando anche fossimo in mezzo alle -più orribili carneficine. - -«Voi parlate divinamente, disse Porthos. - -«Siete il più grande fra gli uomini! seguitò d’Artagnan, e ci superate -almeno di dieci cubiti». - -Athos sorrise di gioja ineffabile. - -«Sicchè, egli disse, è concluso? Animo, signori, la mano. Siete un -pochino cristiani? - -«E come! rispose d’Artagnan. - -«Lo saremo in questa occasione per mantenerci fedeli al nostro -giuramento, fece Aramis. - -«Ah! continuò Porthos, per me sono pronto a giurare. Il diavolo mi -porti se sono stato mai contento come in questo istante.» - -Ed il buonissimo uomo si asciugava gli occhi. - -«V’è uno di voi altri che abbia una croce?» domandò Athos. - -Porthos e d’Artagnan si guardarono tentennando il capo come gente presa -alla sprovvista. - -Aramis, sorridendo, si trasse di seno una croce di diamanti che teneva -sospesa al collo con un filo di perle. - -«Eccone una, egli disse. - -«Or bene, riprese Athos, giuriamo su questa croce di essere uniti -sempre e a qualunque costo, e possa questo giuramento vincolare non -solo noi, ma anco i nostri discendenti. Questo giuro vi accomoda? - -«Traditore! mormorò piano d’Artagnan chinatosi all’orecchio ad Aramis, -ci avete fatto giurare sul crocifisso di una della Fronda!» - - - - -XXXII. - -_La barca dell’Oise._ - - -Noi speriamo che il leggitore non abbia dimenticato del tutto il -giovane viaggiatore che lasciammo su la strada di Fiandra. - -Raolo, perduto di vista il suo protettore che era rimasto attento -a seguirlo cogli occhi di faccia alla basilica reale, spronò il suo -cavallo, prima per sottrarsi agli angosciosi suoi pensieri, e indi per -occultare ad Olivain la commozione che gli alterava il sembiante. - -Un’ora di rapido cammino ebbe presto dissipati tutti i cupi vapori -che attristata avevano l’immaginazione tanto ricca del giovanetto. Il -piacere ignoto di esser libero, piacere ch’è dolce per sino a quelli -che mai non soffersero la dipendenza, al cospetto di Raolo indorò terra -e cielo, e soprattutto il lontano ed azzurro orizzonte della vita che -appellasi _avvenire_. - -Bensì, dopo varie tentate conferenze con Olivain, ei si accorse che -molte giornate trascorse in cotal guisa riuscirebbero triste, e gli -tornò alla memoria la favella del conte, sì persuadente e interessante, -in proposito delle città che si percorrevano, e sulle quali nessuno -poteva più dargli le preziose notizie che avrebbe ricavate da Athos, la -più dotta e divertevole di quante guide vi fossero. - -Ed un’altra rimembranza pure affliggeva Raolo: al suo giungere a -Louvres, aveva egli veduta, perduto dietro ad un gruppo di pioppi, -una piccola villa o castello, la quale gli aveva talmente rammentata -quella di La Vallière, ch’ei si era fermato per dieci minuti a -contemplarla, ed aveva ricominciato il suo viaggio sospirando, senza -nemmeno rispondere ad Olivain che rispettosamente lo aveva interrogato -su la causa di tanta sua attenzione. L’aspetto degli oggetti esteriori -è un conduttore misterioso che corrisponde alle fibre della memoria -e talvolta va a risvegliarle a nostro malgrado; ridestato quel -filo alla guisa di quello di Arianna, e’ conduce in un labirinto di -pensieri dove uno si smarrisce seguitando l’ombra del passato che -nomasi _rimembranza_. E l’aspetto di quel castello avea respinto Raolo -lontano cinquanta leghe dal lato d’occidente, e fatta risalire la sua -vita al momento in cui egli avea tolto commiato dalla piccola Luigia -sino a quello in che l’avea veduta pella prima volta, ed ogni gruppo -di querce, ogni banderuola distinta in cima ad un tetto di lavagne, -gli ricordava qualmente, anzi che riedere verso gli amici di sua -fanciullezza, se ne allontanava ad ogni momento di più, e forse ancora -abbandonati li aveva per sempre. - -Gonfio il cuore, grave la testa, ordinò a Olivain di menare i cavalli -sino a un piccolo albergo che scorgeva sulla strada a mezzo tiro di -schioppo circa più innanzi del luogo dove erano giunti. Egli smontò, -soffermossi sotto un bel gruppo di castagni in fiore intorno a’ quali -ronzavano le api, e domandò ad Olivain di fargli recare dall’oste -carta da lettere e inchiostro sopra un tavolino che ivi pareva bello e -apparecchiato per iscrivere. - -Olivain obbedì e continuò il suo viaggio, intanto che Raolo sedeva -appoggiando il gomito sul tavolino, ed i suoi sguardi si perdevano -confusi sull’ameno paesetto cosparso di verdi campi e gruppi d’alberi, -e tratto tratto facendosi cadere dai suoi capelli quei fiori che -scendevano sopra di lui come fiocchi di neve. - -Raolo stava colà da quasi dieci minuti, e da cinque circa si smarriva -nelle sue meditazioni, allorchè nel circolo che abbracciavano i suoi -sguardi distratti vide muovere una figura rossa, la quale, con un -tovagliuolo attorno alla vita ed uno sul braccio, ed in testa un -berretto bianco, gli si avvicinava, tenendo in mano carta inchiostro e -penna. - -«Ah, ah! disse la figura così apparsa, si vede che tutti i gentiluomini -hanno idee consimili, poichè non è un quarto d’ora che un giovane -signore a cavallo come voi, di nobile aspetto pari vostro, e a un -dipresso della stessa età, si è fermato in questo posto, ci ha fatto -portare codesta tavola e la seggiola, e vi ha pranzato insieme a -un vecchio che sembrava un ajo, con un pasticcio senza lasciarne un -pezzetto, e una bottiglia di Macon senza scordarsene una goccia. Ma -per fortuna abbiamo ancora della roba eguale, e se vossignoria mi -comanda..... - -«No, mio caro, rispose sorridendo Raolo, vi ringrazio; per adesso -non ho bisogno che delle cose che vi ho fatto chiedere; solamente mi -sarebbe grato che l’inchiostro fosse nero e la penna buona, e a questo -patto pagherei quello a prezzo di pasticcio e questa a prezzo di vino. - -«Ebbene, soggiunse l’oste, darò la pietanza e la bottiglia al vostro -domestico, e così avrete per di più l’occorrente per iscrivere. - -«Fate come vi pare», replicò il giovane. - -Ei cominciava allora ad aver relazione con quella classe assolutamente -particolare della società, che quando v’erano dei ladri sulle strade -era con essi associata, e da quando non ve ne son più li rimpiazza. - -L’oste, quieto oramai pel suo introito, posò il foglio e il calamajo, e -Raolo principiò la sua lettera. - -Il locandiere era rimasto davanti a lui, e considerava con una sorta -di ammirazione quel bel volto insieme serio e dolcissimo. La bellezza è -stata sempre e sarà sempre regina. - -«Questo non è un commensale come quello di poc’anzi; disse l’oste ad -Olivain che tornava presso al visconte per vedere se avesse bisogno di -nulla; il vostro padrone non ha appetito. - -«Tre giorni addietro ne aveva, ma che volete? lo ha perduto da jeri -l’altro in qua». - -Ed Olivain e il taverniere s’incamminarono verso la locanda, e quegli a -questo raccontava, siccome è uso dei lacchè contenti del loro impiego, -quanto credeva di poter dire relativamente al giovanetto. - -Frattanto Raolo scriveva: - - «Signore, - - «Dopo quattro ore di viaggio mi fermo per iscrivervi, giacchè ad - ogni momento sento di più la vostra assenza, e sono sempre pronto - a girar il capo come per rispondere quando voi mi parlavate. Mi - ha tanto stordito ed afflitto la vostra partenza e la nostra - separazione, che debolmente vi espressi la tenerezza e la - riconoscenza che provavo per voi. Ma mi scuserete, mentre il vostro - cuore è assai generoso per comprendere ciò che passava nel mio. - Scrivetemi, signore, ve ne prego, perchè i vostri consigli sono - una parte della mia esistenza: e d’altronde, io oso dirvelo, sono - inquieto; mi è sembrato che voi stesso vi accingeste a qualche - gita perigliosa, su cui non vi ho interrogato una volta che non ne - discorrevate. Sicchè ho grandissima necessità di ricevere vostre - nuove. Dacchè non vi ho più vicino, ad ogni istante ho paura di - mancare; voi mi sostenevate potentemente, ed oggi, ve lo giuro, mi - trovo pur solo! - - «Vi compiacerete, se aveste notizie di Blois, di dirmi qualche - parola sulla mia piccola amica madamigella de La Vallière, la di - cui salute, quando noi partimmo, era in grado di dar pensiero! - Capirete, signore, e mio caro protettore, quanto preziose, - indispensabili mi siano le rimembranze del tempo che passai al - vostro fianco. Spero che alcune volte penserete anche a me, e se in - certe ore vi fo mancanza, se risentite un piccolo rincrescimento - della mia assenza, mi ricolmerà di gioja l’idea che abbiate - compreso il mio affetto e la mia premura per voi, e ch’io abbia - avuta la sorte di persuadervene, mentre avevo la fortuna di vivere - presso di voi». - -Terminata la lettera, Raolo si sentì più in calma; badò attentamente -che il servo e l’oste non l’osservassero, e diede un bacio a quel -foglio, tacita e commuovente carezza cui il cuore di Athos era capace -d’immaginare nello schiudere la lettera. - -Nell’intervallo Olivain avea mangiato e bevuto; anco i cavalli si erano -rinfrescati. Raolo chiamò a sè con un cenno il taverniere, gittò uno -scudo sul tavolino, saltò a cavallo, ed a Senlis mise alla posta la -carta. - -Il riposo, preso ormai dagli uomini e da’ corsieri, permetteva loro -di proseguire il cammino senza trattenersi a Verberie. Raolo impose ad -Olivain di raccor notizie del giovine gentiluomo che lo precedeva. Era -esso stato veduto a passare tre quarti d’ora prima, e montato sur un -buon destriero se n’andava alla lesta. - -«Procuriamo di raggiungere quel gentiluomo, disse Raolo ad Olivain, va -come noi all’armata, e ci sarà di gradevole comitiva». - -Erano le quattro pomeridiane allorchè Raolo arrivò a Compiegne; vi -pranzò con ottimo appetito, e nuovamente s’informò del signore che gli -era avanti. Erasi desso fermato egualmente che Raolo all’albergo della -Campana e della Bottiglia, ch’era il migliore di Compiegne, ed aveva -proseguito il tragitto dicendo che voleva andare a pernottare a Noyon. - -«Si vada a pernottare a Noyon, fece Raolo. - -«Signore, rispose rispettosamente Olivain, permettetemi di farvi -osservare che questa mattina abbiamo digià stancato di molto i cavalli. -Sarebbe bene, secondo me, di dormir qui e ripartire domattina presto. -Bastano diciotto leghe per una prima tappa. - -«Il signor conte di la Fère desidera ch’io mi solleciti, disse Raolo, -e che io abbia raggiunto il signor Principe nella mattinata del quarto -giorno; affrettiamoci dunque sino a Noyon, sarà una tappa simile -a quella che abbiamo fatta andando da Blois a Parigi. Arriveremo -alle otto ore. Le nostre bestie avranno la nottata per riposarsi, e -domattina alle cinque ci rimetteremo in viaggio». - -Olivain non osò opporsi a questa determinazione, ma lo seguitò -brontolando. - -«Andate, andate! diceva fra’ denti, sparate tutto il vostro fuoco alla -prima giornata; domani invece di venti leghe ne farete dieci; domani -l’altro cinque, e al dì successivo sarete a letto. E là vi toccherà pur -riposarvi. Tutti i giovanotti sono veri millantatori!» - -Dal che si rileva come Olivain non fosse educato alla scuola dei -Planchet e dei Grimaud. - -Raolo infatti si sentiva stanco; ma bramava esperimentare le proprie -forze, e pasciuto delle massime d’Athos, sicuro di averlo inteso mille -fiate a discorrere di tappe di venticinque ore, non voleva restare -inferiore al suo modello. D’Artagnan, quell’uomo ferreo che sembrava -tutto costrutto di nervi e di muscoli, gli cagionava somma ammirazione. - -Andava dunque innanzi, affrettando ognor più il suo destriero non -ostante le osservazioni di Olivain, e seguitando per un bel sentiero -che conduceva a una barca ed abbreviava di una lega la strada, secondo -eragli stato assicurato, quando ecco giungendo in cima ad un colle si -vide davanti il fiume. Una piccola comitiva di uomini a cavallo ferma -sulla sponda stava pronta ad imbarcarsi. Raolo si figurò che fossero -il gentiluomo e la sua scorta; diede un grido di chiamata, ma era ancor -troppo lontano per farsi udire; allora, per quanto fosse affaticato il -suo corsiero, ei lo mise al galoppo; ma un’ondulazione di terreno tolse -in breve a’ suoi sguardi i viaggiatori, e quando egli pervenne sopra -una nuova altura, la barca aveva abbandonata la riva e remigava verso -il lido opposto. - -Raolo, accortosi che non potrebbe arrivare a tempo per passare la -chiatta nel medesimo momento che i forestieri, si ristette ad attendere -Olivain. - -In quel punto s’intese un urlo che sembrava si partisse dal fiume. -Raolo si volse dalla parte onde questo veniva, e, mettendosi la mano -sugli occhi abbagliati dal sole sul tramonto, esclamò: - -«Olivain, che veggo laggiù?» - -Fuvvi un secondo grido più penetrante del primo. - -«Eh! fece il servo, la corda della barca si è rotta, e la chiatta -va alla deriva.... Ma, oh Dio! che v’è mai nell’acqua, che tanto si -dibatte? - -«Oh sì! disse Raolo guardando verso un dato punto del fiume illuminato -oltremodo da’ raggi solari, un cavallo, un cavaliero!.... - -«Affondano! sommergono!» strillò Olivain. - -Ed era vero, ed anche Raolo si accertava che fosse accaduta una -disgrazia e che uno si annegasse. Allentò la briglia al suo destriero, -gli cacciò gli sproni nella pancia, e l’animale, tormentato dal dolore -e sentitosi aperto il varco, balzò di sopra a una specie di parapetto -che contornava lo scalo, e cadde nell’acqua, mandando in lontananza -grossi flutti di spuma. - -«Ah signore! urlò Olivain, che fate mai, Signore Iddio!» - -Raolo guidava il suo cavallo verso il disgraziato in pericolo. Era -quello però un esercizio a cui egli era già avvezzo. Allevato sulle -rive della Loira, era stato per così dire cullato fra le sue onde; -cento volte l’aveva tragittata cavalcando, e mille a nuoto: chè -Athos, prevedendo l’epoca in cui sarebbe soldato il visconte, lo aveva -accostumato a tutte quelle imprese. - -«Oh mio Dio! continuava Olivain disperato, che direbbe il signor conte -se fosse qui! - -«Avrebbe fatto come fo io! rispose Raolo spingendo innanzi -vigorosamente la sua bestia. - -«Ma io, ma io! strepitava Olivain pallido e dolente agitandosi sulla -riva, io come passerò? - -«Salta, vigliacco!» replicò Raolo nuotando sempre. - -Poi rivoltosi al viaggiatore, che si dibatteva a venti passi di -distanza da lui, gli disse: - -«Coraggio, signore! coraggio! eccovi ajuto!» - -Olivain avanzò, rinculò, fece impennare l’animale che aveva sotto, -e indi, punto nel cuore da vergogna, si slanciò come avea fatto il -padrone, ma ripetendo: - -«Sono morto, siamo perduti!» - -Frattanto la chiatta andava rapidamente, trasportata dalla corrente, e -si udivano le strida di quei ch’erano sopra. - -Un uomo coi capelli grigi si era buttato giù dalla barca, e andava a -nuoto assai vigorosamente incontro a quello che affogava; ma avanzava -di poco, dovendo muover contro la corrente. - -Raolo proseguiva il suo corso ed acquistava assai, ma il cavallo e -l’uomo, cui non lasciava mai d’occhio, affondavano! Il destriero non -aveva più altro che le nari fuori dell’acqua, ed il padrone, allentate -del tutto le redini, stendeva le braccia e mandava indietro la testa. -Un minuto di più, e sarebbero spariti amendue. - -«Coraggio! fece Raolo, coraggio! - -«Troppo tardi! balbettò il giovane, troppo tardi!» - -Gli passava l’acqua di sul capo e gli estinse la voce in bocca. - -Raolo si slanciò dal cavallo, a cui lasciò il pensiero di salvarsi da -sè, ed in tre o quattro bracciate fu vicino al gentiluomo. Afferrò -tosto l’animale pel barbazzale, e sollevò la testa fuor dell’acqua; -quello allora respirò più liberamente, e quasi avesse compreso che -si veniva a dargli ajuto accrebbe oltre misura i suoi sforzi. Nel -medesimo tempo Raolo pigliava una mano al giovinotto e la riportava -sulla criniera, alla quale essa si aggrappò con la tenacità del misero -ch’è presso ad annegarsi. E poi, Raolo, sicuro che il cavaliero non -lascerebbe più libera la bestia, si occupò di questa e la diresse verso -il lido. - -Ad un tratto il palafreno inciampò in un basso fondo e si fermò -sull’arena. - -«Salvo! gridò colui dai capelli grigi ristandosi egli pure. - -«Salvo!» ripetè macchinalmente il gentiluomo, togliendo la destra di -sulla criniera e di sopra la sella calandosi fra le braccia di Raolo. - -Raolo era lontano due passi e non più dalla sponda; vi portò il -viaggiatore svenuto, lo distese sull’erba, gli sciolse i cordoni del -collare e gli sfibbiò il giubbetto. - -Dopo un minuto, quel tale dalla chioma bigia stavagli accanto. - -Olivain, dopo essersi fatto più volte il segno della croce, era alfine -approdato, e le genti della chiatta si avviavano meglio che potessero -alla riva, ajutandosi con una pertica che per casualità si trovava -nella barca. - -A poco a poco, mercè l’assistenza di Raolo e di colui che accompagnava -il giovine cavalcante, ritornò a mostrarsi la vita sulle pallide -guancie del moribondo, il quale aprì gli occhi in principio erranti e -smarriti, ma che ben presto si fissarono su colui che lo aveva salvato. - -«Ah signore! esclamò, di voi cercavo! senza di voi ero morto! - -«Ma si risuscita, come vedete, rispose Raolo, e tutto il male sarà di -aver fatto un bagno. - -«Oh quanta gratitudine! disse l’uomo dai capelli grigi. - -«Eh! siete voi, mio buon d’Arminges! vi ho fatto molta paura, non è -così? ma è colpa vostra: eravate mio precettore, perchè non mi faceste -imparare a nuotar meglio? - -«Signor conte, fece il vecchio, se vi fosse accaduta una disgrazia, non -avrei osato giammai presentarmi al maresciallo. - -«Ma come fu? domandò Raolo. - -«Nel modo il più semplice, replicò quegli a cui erasi dato il titolo -di conte; eravamo a circa un terzo del fiume, quando si ruppe la fune. -Agli urli e ai movimenti dei barcaruoli il mio cavallo si è spaventato -ed è saltato giù. Io nuoto male e non ho ardito slanciarmi. In vece di -secondare i moti del povero animale li rendevo inutili, l’impedivo, ed -ero in procinto di affogare graziosamente, quando voi siete capitato a -puntino per trarmi fuori. Sicchè, signore, ove vogliate, fra noi da ora -innanzi sarà amicizia costante sino alla morte. - -«Sono in tutto e per tutto vostro servo, ve lo accerto, disse Raolo. - -«Io ho nome conte di Guiche, continuò l’altro, mio padre è il -maresciallo di Grammont. E adesso che sapete chi sono, mi accorderete -l’onore di dirmi chi voi siete? - -«Io sono il visconte di Bragelonne, riprese Raolo, ed arrossiva di non -poter nominare suo padre conforme aveva fatto il signor di Guiche. - -«Visconte, il vostro aspetto, la bontà vostra e il vostro coraggio -mi attraggono verso di voi; digià vi avete tutta la mia riconoscenza. -Abbracciamoci, vi chieggo la vostra amicizia. - -«Signore, soggiunse Raolo rendendo al conte l’amplesso, vi amo già di -tutto cuore; quindi, fate conto su di me come sopra un amico zelante. - -«Dove andate, visconte? - -«All’armata del signor Principe. - -«E anch’io! esclamò il gentiluomo esultante; meglio, meglio, faremo -insieme il primo sparo di pistola! - -«Ottimamente, ottimamente! disse l’ajo, vogliatevi bene; giovani -tutti due, non avete di certo che una medesima stella, e dovevate -incontrarvi». - -I due signorini sorrisero con la fiducia degli anni giovanili. - -«Ora, seguitò l’ajo, vi conviene mutar panni; i vostri domestici, ai -quali ho dati degli ordini appena sono usciti dalla chiatta, debbono -essere digià arrivati alla locanda; e si saranno messi a scaldare -biancheria e vino. Venite». - -I bei gentiluomini non avevano obiezioni da allacciare alla proposta ed -anzi la trovarono buonissima. Saltarono subito a cavallo, guardandosi e -ammirandosi scambievolmente. Erano in fatti due eleganti cavalieri, di -personale snello e alto, e volti nobili, fronte aperta, sguardo dolce -eppur altero, sorriso gentile e accorto. De Guiche poteva aver diciotto -anni, ma era poco più grande di Raolo, il quale ne aveva quindici. Si -porsero la destra con un moto spontaneo, e dando di sprone fecero l’uno -accanto all’altro il tragitto dal fiume all’albergo, quegli, stimando -buona e lieta la vita ch’era stato in procinto di perdere, questi, -ringraziando Iddio di aver vissuto già abbastanza per aver fatto -qualche cosa ch’esser dovesse gradita al suo protettore. - -Olivain poi era il solo non molto soddisfatto della bellissima azione -del suo padrone. Si torceva le maniche e le falde del giustacuore, -pensando che una fermata a Compiegne gli avrebbe risparmiato non -soltanto l’accidente dal quale era egli scapolato, ma anco il mal di -petto ed i reumatismi che naturalmente dovevano resultarne. - - - - -XXXIII. - -_Scaramuccia._ - - -Fu breve la permanenza a Noyon, ed ivi tutti dormirono di sonno -profondo. Raolo aveva raccomandato che lo destassero se giungeva -Grimaud, ma Grimaud non giunse. - -I cavalli dal canto loro apprezzarono senza dubbio le ott’ore di -assoluto riposo e lo strame abbondante che furon loro concessi. Il -conte di Guiche fu destato la mattina alle cinque da Raolo che venne -ad augurargli il buon giorno. Fecero colazione prestissimo, ed alle sei -avevano già fatto un pajo di leghe. - -Il conversare del giovane conte era molto interessante per Raolo. -Perciò questi ascoltava attento, e quegli raccontava sempre. Di -Guiche, educato in Parigi, dove Raolo non era stato che una volta, -in corte, che Raolo non avea mai veduta, le sue scappataggini da -paggio, due duelli che avea saputo procurarsi a dispetto degli editti -e particolarmente del suo ajo, erano cose curiosissime pel visconte di -Bragelonne. Raolo non era stato se non in casa di Scarron, e nominò -a Guiche le persone da lui viste colà. Guiche le conosceva tutte, la -Neuillan, la d’Aubigné, la Scudery, la Paulet, la Chevreuse; le burlò -quasi tutte col massimo spirito, e Raolo temeva che burlasse anche -madama di Chevreuse, per cui egli nudriva vera e profonda simpatia; ma, -o fosse per istinto, o per affetto verso la duchessa, ei ne disse molto -bene, e da cotali elogi si accrebbe per lui l’amicizia di Raolo. - -Venne poi il capitolo delle galanterie e degli amori. Su questo -rapporto pure Bragelonne aveva assai più da ascoltare che da -discorrere, e così fece, e fra tre o quattro avventure, che diremmo un -po’ trasparenti, gli sembrò di distinguere che il conte avesse in cuore -a pari di lui un’occulta passione. - -Di Guiche, secondo noi accennammo, era stato allevato in corte, e di -questa conosceva tutti gli intrighi. Era la corte di cui Raolo aveva -inteso a parlare dal conte di la Fère, se non che aveva mutato faccia -moltissimo dall’epoca stessa in cui Athos l’aveva veduta. Talchè tutta -la narrazione di Guiche fu cosa nuova pel suo compagno di viaggio. -Il contino, spiritoso e maldicente, passò in rivista tutti quanti; -dettagliò gli antichi amori di madama di Longueville con Coligny, il -duello di questo sulla Piazza Reale, che gli fu sì funesto, e che la -Longueville contemplava di dietro alle persiane; e i di lei nuovi amori -col principe di Marsillac, che, a quanto dicevasi, era tanto geloso -da voler far ammazzare una quantità di gente, ed anco il d’Herblay; -gli amori del signor principe di Galles con Madamigella, la quale in -appresso fu chiamata la Grande Madamigella, tanto celebre dappoi pel -suo matrimonio segreto con Lauzun; neppur fu risparmiata la regina, e -toccò la sua parte anche al ministro Mazzarino. - -La giornata passò rapida come un’ora. L’ajo del conte, uomo di mondo, -alla buona, sapientissimo fino ai denti (conforme diceva l’alunno), -rammentò varie volte a Raolo la somma erudizione e le graziose e -pungenti ironie di Athos; ma per la delicatezza e la nobiltà delle -maniere nessuno poteva stare a confronto col signor di la Fère. - -I cavalli, strapazzati meno del dì precedente, si fermarono vergo le -quattro pomeridiane ad Arras. Si avvicinavano al teatro della guerra, e -fu risoluto di trattenersi in quella città sino all’indomani, perocchè -alcune brigate di Spagnuoli profittavano spesse fiate della notte per -far delle corse sino nei dintorni di Arras. - -L’armata francese occupava da Pont-à-Marc sino a Valenciennes -ritornando sopra Douai. Si diceva che il signor Principe fosse in -persona a Bethune. - -L’armata nemica si estendeva da Cassel a Courtray; e siccome commetteva -ogni sorta di violenze e di saccheggio, le povere genti delle frontiere -abbandonarono le proprie abitazioni isolate venendo a rifugiarsi -nelle città forti che promettevano loro un asilo. Arras era piena di -fuggiaschi. - -Si parlava di una prossima battaglia, la quale esser doveva -decisiva, avendo il signor Principe manovrato fino allora soltanto -nell’aspettativa dei rinforzi che alla fine erano giunti. I nostri -giovanotti si rallegravano di esser capitati così a puntino. - -Cenarono insieme e dormirono nella stessa camera. Erano nell’età delle -pronte amicizie, e a lor pareva di conoscersi sin dalla nascita e di -non potersi lasciare mai più. - -S’impiegò la serata a discorrere di guerra; i servidori forbirono le -armi; i padroni caricarono le pistole pel caso di qualche scaramuccia, -e alla domane si destarono smaniosi perchè ambedue si erano sognati che -arrivavano troppo tardi per prender parte alla battaglia. - -Nella mattina si sparse la voce che il principe di Condé avesse -evacuata Bethune per ritirarsi a Carvin, lasciando però guarnigione -nella prima di queste città; ma siccome codesta notizia nulla -presentava di positivo, i due giovani risolsero di continuare il loro -cammino verso Bethune, salvo a voltare a diritta viaggio facendo e -dirigersi poi a Carvin. - -L’ajo del conte di Guiche conosceva perfettamente il paese; in -conseguenza ei propose di pigliare una scorciatoia ch’era in mezzo fra -la via di Lens e quella di Bethune. Ad Ablain si ricercherebbero le -informazioni opportune. Per Grimaud fu lasciato un itinerario. - -La partenza ebbe luogo intorno alle sette della mattina. - -Guiche, piuttosto caldo, diceva a Raolo: - -«Eccoci in tre padroni e tre servi; i nostri servi sono ben armati, ed -il vostro mi sembra deciso. - -«Non l’ho mai veduto all’opra, rispose Raolo, ma è Bretone, e ciò -promette assai. - -«Sì, sì, e son certo che all’occasione tirerebbe la sua schioppettata. -Io per me ho due uomini sicuri che hanno guerreggiato con mio padre; -talchè insieme rappresentiamo sei combattenti. Se trovassimo una -piccola truppa di partigiani uguale per numero alla nostra ed anco -superiore, forse non faremmo una scarica? - -«Sì, signore, rispose il visconte. - -«Olà, giovanotti! disse l’ajo immischiandosi nella conversazione, -cospetto! come andate alla lesta! e le mie istruzioni, signor conte? vi -dimenticate che ho l’ordine di condurvi sano e salvo presso al signor -Principe? Una volta che sarete all’armata, fatevi ammazzare se così -vi piace, ma di qua a là vi prevengo che nella mia qualità di generale -d’esercito comando la ritirata e volto le spalle al primo spennacchio -che vedo». - -Di Guiche e Bragelonne si guardarono sott’occhi e sorridendo. Tratto -tratto s’incontravano piccole comitive che si ritiravano mandando -avanti i loro bestiami, e trascinando nelle carrette o portando a -braccia le lor robe più preziose. - -Si giunse senza disgrazie sino ad Ablain. Ivi si cercarono notizie, e -si seppe che il signor Principe aveva realmente abbandonato Bethune -e se ne stava fra Cambrin e la Venthie. Allora si riprese, sempre -lasciando a Grimaud la sua carta, una scorciatoja che in mezz’ora -mise la piccola compagnia sulla sponda di un ruscelletto il quale va a -gettarsi nella Lys. - -Era un’amena contrada, troncata da belle valli verdi al pari dello -smeraldo. Di quando in quando si trovavano piccoli boschi traversati -dal sentiero su cui si andava. Ad ognuno di que’ boschi, in previsione -di qualche imboscata l’ajo faceva ire innanzi i lacchè del conte -che così formavano la vanguardia. L’ajo stesso e i due signorini -rappresentavano il corpo d’armata, ed Olivain con la carabina sul -ginocchio e gli occhi attenti invigilava da tergo. - -Da un poco di tempo si scorgeva all’orizzonte una folta macchia. -Il signor d’Arminges, pervenuto che fu a distanza di cento passi -da quella, prese le sue precauzioni consuete, e mandò avanti i due -domestici di Guiche. - -Costoro dunque erano spariti sotto gli alberi; i due amici e il -precettore, ciarlando e scherzando, li seguitavano da un centinaio -di passi indietro. Olivain si manteneva a tergo ad ugual lontananza, -quando ecco in un subito udirsi cinque o sei spari di moschetto. L’ajo -gridò di far alto; i gentiluomini obbedirono e fermarono i cavalli. E -nel medesimo momento si videro tornare indietro i due servi. - -Guiche e Raolo, impazienti di conoscere la causa di quella fucilata, -diedero di sprone per andar verso i domestici. D’Arminges correva -appresso. - -«Siete stati arrestati? domandarono con impeto il contino e il visconte. - -«No, risposero i lacchè, è anzi probabile che nessuno ci abbia visti; -gli spari hanno avuto luogo da cento passi più innanzi di noi, nel più -folto della macchia, e siamo venuti in qua per domandar consiglio. - -«Il mio consiglio, ed in caso di bisogno la mia volontà, fece il signor -d’Arminges, si è di batter la ritirata; in questo bosco può celarsi un -agguato. - -«Dunque nulla avete veduto? chiese il conte ai suoi famigli. - -«Mi è sembrato, rispose uno di costoro, di scorgere due cavalieri -vestiti di giallo che scorrevano giù nel letto del ruscello. - -«Così è! disse l’ajo, siamo caduti in una banda di Spagnuoli. Indietro, -signori!» - -I due giovani si consultarono con uno sguardo furtivo, e nell’istante -si udì una pistolettata e tre o quattro grida che chiamavano ajuto. - -Guiche e Bragelonne con un’altra occhiata fra loro ricambiata si -accertarono che ognun di loro fosse nell’intenzione di non retrocedere, -e siccome l’ajo aveva già fatto voltare il suo cavallo, si slanciarono -avanti, urlando, Raolo: «Qua, Olivain, a me!» e il conte di Guiche: -«Qua a me, Urbano e Blanchet!» - -E prima che il precettore si fosse calmato dall’estremo stupore, erano -già spariti nella selva. - -Nell’atto che cacciavano gli sproni nel ventre ai palafreni impugnavano -le pistole. - -A capo a cinque minuti furono sul sito d’onde pareva fosse venuto il -rumore. Allora cominciarono ad inoltrarsi più adagio e cautamente. - -«Zitto! disse di Guiche, gente a cavallo! - -«Sì, tre a cavallo, e tre smontati. - -«Che fanno? lo vedete? - -«Sì, direi che frugassero addosso ad un morto o ferito. - -«Qualche vile assassinio! - -«Eppure son soldati, fece Bragelonne. - -«Ma partigiani, cioè ladroni. - -«Tiriamo! disse Raolo. - -«Tiriamo! ripetè di Guiche. - -«Signori! esclamò l’ajo, in nome del cielo!....» - -Ma quelli non gli davano retta; si erano già mossi a gara, e gli urli -di d’Arminges non ebbero altro resultato che di far mettere all’erta -gli Spagnuoli. - -Tosto i tre cavalcanti si scagliarono ad incontrare i due nostri -gentiluomini, mentre gli altri tre a piedi terminavano di spogliare i -due viaggiatori. - -Che in vece di un corpo disteso in terra ve n’erano due. - -A distanza, di Guiche sparò pel primo, ma non colse l’uomo a cui -mirava. Lo Spagnuolo che facevasi innanzi a Raolo sparò esso pure, e -Raolo si sentì al braccio sinistro un dolore simile a quello di una -frustata. Mandò egli la botta, e lo Spagnuolo, preso in mezzo al petto, -stese le braccia e cadde supino sulla groppa del suo destriero, che, -vinta la mano, girò da una parte e lo trasportò via. - -Nel momento Raolo vide come a traverso a un nuvolo la canna di -un moschetto che su di lui dirigevasi. Gli tornò in mente la -raccomandazione di Athos, e con un moto rapido quanto il baleno fece -impennare il suo animale e scoccò la botta. - -Il cavallo fece un balzo, mancò dalle quattro zampe, e cascò -imbarazzando sotto di sè la gamba di Raolo. - -Lo Spagnuolo si slanciò afferrando lo schioppo dalla canna onde rompere -col calcio la testa a Bragelonne. - -Disgraziatamente, Raolo, nella sua situazione, non poteva levare la -spada dal fodero, nè la pistola dalle saccoccie della sella; vide il -calcio del fucile che gli stava più su del capo, e a suo malgrado era -per chiuder gli occhi, ma di Guiche arrivò in un balzo addosso allo -Spagnuolo e gli mise la pistola alla gola. - -«Arrendetevi! gli disse, o siete morto!» - -Al soldato scivolò di mano il moschetto, ed ei si arrese. - -Guiche, chiamato uno dei suoi domestici, gli affidò la custodia del -prigioniero, con ordine di abbruciargli il cervello se facesse il -minimo atto onde fuggire; smontò sollecito e si accostò a Raolo. - -«Affè, signor mio, gli disse Raolo ridendo, benchè nella sua pallidezza -s’appalesasse la commozione inevitabile di un primo fatto; voi pagate -prestissimo i vostri debiti, e non avete voluto restarmi obbligato -per un pezzo. Senza di voi ero morto! aggiunse ripetendo le parole del -conte. - -«Il mio nemico, fuggendo, replicò di Guiche, mi ha data ogni facilità -di venirvi a soccorrere. Siete ferito gravemente? vi veggo tutto -insanguinato! - -«Credo, rispose Raolo, di avere al braccio come uno sgraffio. Ajutatemi -dunque a cavarmi di sotto al cavallo, e spero, che non vi sarà -impedimento a che si continui il nostro viaggio». - -Il signor d’Arminges ed Olivain erano digià a terra, e sollevavano il -corsiero, il quale si dibatteva nell’agonia. Raolo riuscì a trarre il -piede dalla staffa e la gamba di sotto all’animale, ed in un attimo si -trovò ritto. - -«Nulla di rotto? chiese di Guiche. - -«No, grazie al cielo.... Ma che n’è stato dei disgraziati che quei -manigoldi assassinavano? - -«Siamo arrivati troppo tardi, gli hanno uccisi, secondo me, e sono -scappati portando seco il loro bottino; i miei due servi sono accanto -ai cadaveri. - -«Andiamo a vedere se sono veramente morti o se si potesse dar loro -assistenza, disse Raolo; Olivain, abbiamo ereditato due cavalli, ma io -ho perduto il mio; prendete il migliore dei due per voi, e date a me -l’altro». - -E si appressarono al luogo ove giacevano le due vittime. - - - - -XXXIV. - -_Il supposto monaco._ - - -Stavano stesi due uomini, uno immobile, in terra bocconi, trafitto da -tre palle, in un botro di sangue. Quegli era morto. - -L’altro appoggiato al tronco di un albero dai due lacchè, levando gli -occhi al cielo e a mani giunte, faceva una caldissima preghiera. Da una -palla eragli stata rotta la parte superiore della coscia. - -I giovani avvicinatisi prima all’estinto, si guardarono attoniti. - -«È un prete; disse Bragelonne. Oh! maladetti! che portano le mani sui -ministri di Dio! - -«Venite qui, signore, disse Urbano, vecchio soldato che aveva fatte -tutte le campagne col duca, venite qui; con quello nulla v’è da far -più, mentre si può forse tuttora salvar questo». - -Il ferito diede un mesto sorriso. - -«Salvarmi!.... fece, oh no! ma ajutarmi a morire sì. - -«Siete prete? domandò Raolo. - -«No, signore. - -«Ma il vostro infelice compagno mi è sembrato un ecclesiastico. - -«È il curato di Bethune; recava in luogo sicuro i vasi sacri della -sua chiesa e il tesoro del capitolo, perchè jeri il signor Principe -abbandonò la nostra città e domani probabilmente vi sarà lo Spagnuolo. -E siccome si sapeva che delle brigate nemiche percorrevano la campagna, -e la gita era pericolosa, nessuno ha voluto accompagnarlo, e mi sono -offerto io. - -«E gli sciagurati vi hanno assaliti! e hanno tirato ad un sacerdote! - -«Signori, seguitò il meschino osservandosi attorno, soffro di molto, -eppure bramerei essere trasportato in qualche casa.... - -«Ove possiate aver assistenza, lo interruppe di Guiche. - -«No, ma ove possa confessarmi. - -«Ma v’è caso, soggiunse Raolo, che non siate in sì gran rischio quanto -credete. - -«Eh! date retta a me, non v’è tempo da perdere; la palla ha rotto -l’osso della coscia e penetrato sino agl’intestini. - -«Siete medico? domandò il conte. - -«No, ma m’intendo un poco di ferite, e la mia è mortale, procurate -perciò di trasportarmi in luogo ove mi sia dato di trovare un prete, o -pigliatevi l’incomodo di condurmene uno qui, e Dio vi premierà per così -santa azione; bisogna salvarmi l’anima, chè il corpo è perduto. - -«Oh! morire facendo un’opera buona, non può essere: Iddio vi assisterà. - -«Signori, in nome del cielo, disse l’infelice raccogliendo tutte le -sue forze come per alzarsi, non ispendiamo tempo in parole inutili; o -ajutatemi ad arrivar al prossimo villaggio, o giuratemi sulla salute -dell’anima vostra che mi manderete qui il primo monaco, il primo -curato, il primo prete che incontrate.... Ma (continuava nel massimo -tuono di disperazione) forse nessuno oserà venire, perchè si dice che -gli Spagnuoli girano per la campagna, ed io morrò senza assoluzione.... -Mio Dio! mio Dio!.... non permetterete questo, non è vero? sarebbe -troppo terribile!» - -L’accento di terrore con cui quell’uomo mandava quest’ultima -esclamazione fece raccapricciare i due giovanetti. - -«Quietatevi, disse di Guiche, io vi giuro che avrete fra poco la -consolazione da voi domandata. Diteci soltanto dov’è una abitazione in -cui possiamo chiedere soccorso, ed un villaggio ove si possa andar in -cerca di un ecclesiastico. - -«Grazie, e Iddio vi ricompensi! v’è una locanda distante di qui mezza -lega prendendo giù per questa strada, e una lega circa dopo la locanda -è il villaggio di Grency. Andate dal curato; s’esso non è in casa, -entrate nel convento degli Agostiniani, che è l’ultimo stabile a man -diritta, e inviatemi uno, frate o prete, purchè abbia ricevuta dalla -nostra Santa Chiesa la facoltà di assolvere in _articulo mortis_. - -«Signor d’Arminges, disse di Guiche, trattenetevi presso questo -sventurato e fate che sia trasportato adagio adagio; formate una -barella con dei rami d’albero; metteteci tutti i nostri ferrajuoli; -due dei nostri lacchè la sosterranno ed uno starà pronto a subentrare a -quello che primo sia stanco. Il visconte ed io andiamo in traccia di un -sacerdote. - -«Andate, rispose l’ajo, ma per carità, non vi esponete! - -«Non dubitate. E poi, per oggi siamo salvi: conoscete pure l’assioma: -_Non bis in eodem_. - -«Coraggio, signore! disse Bragelonne al ferito, si va ad eseguire la -vostra brama. - -«Dio vi benedica, signori! fece l’infermo con espressione indicibile di -gratitudine». - -E i due gentiluomini si partirono di galoppo nella direzione indicata, -frattanto che il precettore del conte di Guiche presiedeva alla -formazione della bara. - -In dieci minuti i giovanetti distinsero l’albergo. - -Raolo, senza scendere da cavallo, chiamò l’oste, lo avvertì che sarebbe -condotto là a momenti un ferito, e lo pregò di apparecchiare quanto -poteva abbisognare alla medicatura, cioè il letto, le fascie, le -fila, invitandolo inoltre, qualora conoscesse nelle vicinanze qualche -dottore o chirurgo, a mandarlo a cercare, assumendo egli di pagare il -messaggiero. - -Il locandiere che vide due signori vestiti con isfarzo, promise tutto -ciò che gli chiesero, e i nostri due cavalieri, dopo aver assistito ai -preparativi del ricevimento se ne andarono da capo solleciti inverso -Grency. - -Avevano fatto più di una lega e scorgevano già le prime abitazioni -del villaggio, i di cui tetti coperti da tegoli rossicci spiccavano -fortemente in fra i verdi alberi che le circondavano, quando ecco -venire incontro a loro sopra una mula un povero monaco, che dal -cappellone largo e dalla giubba di lana bigia si ebbero tosto per un -fratello Agostiniano. E questa volta pareva che il caso mandasse ad -essi ciò che volevano. - -Si appressarono al religioso. - -Era un tale da venti a ventitrè anni, ma dalle pratiche ascetiche in -apparenza invecchiato. Era pallido, non già di quel colore smorto che -è anco una bellezza, ma di un giallo bilioso; i suoi capelli corti -oltrepassando appena il cerchio che il cappello gli segnava attorno -alla fronte, erano di un biondo chiaro, e le pupille di un lievissimo -color cilestro sembravano prive dello sguardo. - -«Signore, disse Raolo con la consueta cortesia, siete ecclesiastico? - -«Perchè questa domanda? fece l’altro con indifferenza poco men che -incivile. - -«Per saperlo, ribattè con alterigia de Guiche». - -Lo straniero picchiò col calcagno la mula e continuò pel suo viaggio. - -Di Guiche in un salto gli fu davanti a impedirgli il passo. - -«Rispondete! siete stato interrogato pulitamente, e a qualunque domanda -conviensi una risposta. - -«Suppongo di esser libero di dire o no chi io mi sia alle due prime -persone che mi capitano col ghiribizzo d’interrogarmi». - -Di Guiche stentò a frenarsi dall’estrema volontà venutagli di romper le -ossa a colui; e procurando vincere sè stesso, gli disse: - -«Già noi non siamo _le prime persone che capitino_; questo mio amico è -il visconte di Bragelonne, ed io sono il conte Guiche. Poi, non è per -_ghiribizzo_ che vi facciamo la nostra richiesta, poichè là v’è un uomo -ferito, moribondo, che reclama i soccorsi della Chiesa. Siete prete? -in nome dell’umanità, io v’intimo di venir meco in soccorso a quel -tale; non lo siete? Oh! allora è tutt’altro, ed in nome della cortesia, -che tanto mi pare a voi ignota, vi avverto che saprò gastigarvi della -vostra insolenza». - -Il monaco diventò in viso paonazzo, e sorrise in modo così strano, che -Raolo, il quale non lo perdeva di vista, sentì quel sorriso premergli -il cuore alla guisa di un insulto. - -«Dev’essere qualche spione spagnuolo o fiammingo, e’ disse ponendo mano -alle pistole». - -A Raolo rispose uno sguardo minaccioso e simile a un baleno. - -«Ebbene? fece di Guiche, rispondete sì o no? - -«Sono prete, replicò l’altro». - -E nel volto assunse di nuovo la solita sua calma. - -«Allora, o padre, soggiunse Bragelonne, rimesse le pistole nelle -tasche e data alla sua favella un accento rispettoso, che però non -veniva dal cuore, allora, troverete adesso, se siete prete, secondo -vi ha accennato il mio amico, la occasione di esercitare la vostra -professione; viene verso noi un infelice ferito e deve fermarsi alla -vicina locanda; domanda l’assistenza di un ministro di Dio, e lo -accompagnano i nostri servi. - -«Vado sull’atto, disse il monaco». - -E coi tacchi delle scarpe picchiava la mula. - -«Se mai non vi andaste, gli replicò di Guiche, state pure persuaso -che abbiamo cavalli capaci di raggiungervi, tanto credito da farvi -arrestare dovunque siate, e presto sarà deciso il processo: da per -tutto si trovano un albero ed una corda». - -Il monaco ripetè. - -«Vado sull’atto». - -E s’incamminò. - -«Seguitiamolo, propose di Guiche, saremo più sicuri. - -«Volevo suggerirvelo, disse Bragelonne». - -Ed entrambi si avviarono seguitando il frate a un tiro di pistola. - -Indi a cinque minuti quegli si volse a guardare se lo seguivano. - -«Che vi pare? fece Raolo, abbiamo fatto bene. - -«Che brutta faccia ha egli mai! disse il contino. - -«Orribile! e specialmente la fisonomia!.... i capelli, gli occhi -foschi, le labbra che si contraggono alle minime sue parole. - -«Sì, sì, replicò di Guiche, il quale era stato meno a badare a quelle -circostanze poichè egli chiaccherava mentre Raolo durava ad osservare, -sì, è una figura stranissima; ma questi frati sono soggetti a tali -pratiche, a tali digiuni, a tai colpi di disciplina, che a forza di -piangere i beni della vita per loro perduti e di cui noi godiamo, e’ si -guastano gli occhi. - -«In conclusione, seguitò Raolo, questo pover’uomo avrà il prete, ma in -verità il penitente mi ha miglior aspetto che il confessore. - -«Ah! disse di Guiche, non capite che questo è uno di quei fratelli -mendicanti che girano in qua o in là? sono forestieri, la maggior parte -Scozzesi, Danesi, Irlandesi. Ne ho visti parecchi! - -«Così macilenti? - -«No, ma all’incirca. - -«E il misero ferito morrà fra le mani di quest’uomo? - -«Mio caro, l’assoluzione viene da Dio stesso.... oh! in quanto a colui -vi vedevo bene toccare il pomo della pistola quasi aveste voglia di -spaccargli il cranio. - -«È vero, conte; è singolare, e vi sorprenderà, ma all’aspetto di -quell’uomo ho provato un tale orrore da non potersi definire. Vi è -accaduto per la via di far muovere un serpente? - -«Mai, fece Guiche. - -«Ebbene, a me codesto è successo nelle nostre macchie del Blaisois, e -mi ricordo che all’aspetto del primo che mi guardava con occhio fosco, -ripiegatosi sopra di sè, scuotendo il capo ed agitando la lingua, -rimasi pallido e fermo, e come esanime sino al punto in cui il conte di -la Fère.... - -«Vostro padre? domandò di Guiche. - -«No, il mio tutore, rispose Raolo». - -Ed arrossiva. - -«Benone! - -«Sino al punto in cui il conte di la Fère mi disse: — Animo, -Bragelonne, sguainate! — Allora poi corsi contro al rettile, e lo -troncai in due pezzi mentre si rizzava sulla coda per venirmi egli -stesso dinanzi. Ecco, vi giuro, che provai la medesima sensazione al -mirare quell’uomo quando pronunziò: — E perchè tal domanda? — e mi -osservò fisso in volto. - -«Sicchè vi duole di non averlo ridotto in due brani come il serpe? - -«Direi quasi di sì, confermò Bragelonne». - -La comitiva arrivava alle viste della piccola locanda, e dall’altro -lato si scorgeva l’accompagnamento del ferito che s’inoltrava guidato -dal signor d’Arminges. Due uomini portavano il moribondo, e conducevano -a mano i cavalli. - -I giovanetti diedero di sprone. - -«Ecco il ferito, disse di Guiche passando accanto al creduto frate -Agostiniano, abbiate la bontà di sollecitarvi». - -Allora i due amici precederono il monaco anzi che essergli dietro. Si -accostarono all’infermo ad annunziargli sì buona notizia. Questi si -sollevò alquanto a guardare nella direzione indicatagli, e adocchiato -quei che supponeva un religioso, e che veniva, ricadde supino con un -raggio di allegrezza nel sembiante. - -«Adesso, dissero i due gentiluomini, abbiamo fatto per voi tutto quel -che potevamo, e siccome abbiamo premura di riunirci all’armata del -signor Principe, proseguiremo il nostro viaggio; ci scuserete signore? -si dice che vi debba essere una battaglia, e non vorremmo arrivare un -giorno dopo. - -«Andate signori, replicò l’ammalato e siate benedetti tutti due di -tanta vostra pietà; realmente, e come dite, per me faceste quanto era -in vostro potere; io non posso altro che dirvi anco una volta: Dio vi -conservi, e voi e quelli che vi son cari! - -«Signor d’Arminges, avvertì il conte di Guiche, noi andiamo innanzi; ci -raggiungerete sulla strada di Cambrin». - -L’oste stava sul portone, ed aveva apparecchiato tutto, e letto e -fascie e fila; ed un palafreniere era ito per un medico a Lens, città -la più prossima. - -«Non ci pensate, disse il locandiere, sarà eseguito il vostro -desiderio; ma voi signore, non vi trattenete a far curare la vostra -ferita? - -«Oh! la mia è un nulla, rispose il visconte, ed avrò tempo di -occuparmene alla prima fermata. Soltanto favorite se vedete passare -un cavalcante, e se questo vi domanda di un giovane che va sopra -un cavallo sauro accompagnato da un lacchè, dirgli che mi avete -veduto, che ho continuato il mio cammino, e mi propongo di pranzare a -Mazingarbe e pernottare a Chambrin; quegli è un mio servitore. - -«Non sarebbe meglio e per maggior sicurezza, fece l’oste, che io gli -domandassi il suo nome e gli dicessi il vostro? - -«Non v’è male ad usar troppe precauzioni: mi chiamo visconte di -Bragelonne, ed egli Grimaud». - -Nel momento arrivavano da una parte l’infermo e dall’altra il monaco. -I due giovani si trassero indietro a lasciar passare la barella. Colui -smontava dalla mula e ordinava la si portasse alla stalla senza levarle -la sella. - -«Padre, disse Guiche, vi raccomandiamo quel buon uomo, e in quanto alla -vostra spesa qui alla locanda è tutta pagata. - -«Grazie, signore, ribattè il religioso con un altro di quei sorrisi che -aveano fatto raccapricciare Bragelonne. - -«Venite, conte, seguitò Raolo che pareva per istinto non potesse -sopportare la presenza del frate, qui non mi sento bene. - -«Grazie! ripetè il ferito, e non vi scordate di me nelle vostre -orazioni. - -«Contateci pure», promise Guiche avviandosi appresso a Bragelonne, che -era avanti di una ventina di passi. - -In quell’istante entrava in casa la barella recata dai due domestici. -L’oste e la moglie, accorsi subito, stavano ritti sui gradini della -scala. Il ferito mostrava patire doglie atroci, e non avere bensì altro -pensiero che di sapere se il sacerdote lo seguiva. - -Adocchiato quell’uomo pallido e insanguinato, la donna afferrò con -impeto pel braccio il marito: - -«Che c’è? chiese costui, ti senti male, per combinazione? - -«No, ma guarda!» - -E la locandiera accennava l’ammalato al consorte. - -«Veh, fece questo, e’ mi pare aggravato. - -«Non è questo, riprese la moglie tremando, ti domando se lo riconosci. - -«Lui?.... ma aspetta un po!.... - -«Ah! capisco che lo riconosci, poichè anche tu diventi giallo. - -«Davvero! esclamò l’oste, guai alla nostra casa! guai! gli è l’antico -boja di Bethune! - -«L’antico boja di Bethune! borbottò il fraticello retrocedendo alquanto -e dando indizio alla faccia della ripugnanza che gli ispirava il suo -penitente. - -D’Arminges che rimaneva accanto all’uscio si accorse della sua -titubanza. - -«Signore, disse, benchè sia, o sia stato carnefice, per questo non -cessa d’essere un uomo. Rendetegli l’ultimo ufficio che da voi reclama, -e l’opera vostra sarà anco più meritoria». - -Il religioso non parlò, ma andò in silenzio verso la camera a terreno -dove i due servi aveano messo il moribondo sur un letto. - -I lacchè, vedendo appressarsi il ministro, uscirono e chiusero la porta. - -D’Arminges ed Olivain gli attendevano; saltarono a cavallo, e tutti -quattro corsero via di trotto per la medesima strada alla fine della -quale erano spariti Raolo ed il suo compagno. - -Nel punto in cui se ne andavano l’ajo e la sua scorta, si fermò un -nuovo viaggiatore all’ingresso dell’albergo. - -«Che comanda il signore? domandò l’oste tuttavia pallido e sconcertato -per la scoperta da lui fatta. - -Il forestiero fece il cenno di uno che beva, e smontato ammiccò il suo -cavallo facendo il cenno di uno che striglia. - -«Oh diamine! disse il locandiere fra sè, pare che questo sia mutolo! E -dove volete bere! lo richiese. - -«Qui, disse lo straniero indicando una tavola. - -«Avevo sbagliato, si riprese l’oste, non è muto del tutto». - -E fe’ una riverenza, e andò a pigliare una bottiglia di vino e dei -biscotti, e li mise davanti all’ospite suo taciturno. - -«Vossignoria non comanda altro? - -«Sì. - -«Che cosa? - -«Sapere se avete veduto passare un giovane gentiluomo di quindici anni -sopra un caval sauro, seguito da un lacchè. - -«Il visconte di Bragelonne? - -«Per l’appunto. - -«Dunque siete voi il signor Grimaud?» - -Il forestiero ammiccò di sì. - -«Ebbene! il vostro padroncino era qui un quarto d’ora fa; pranzerà a -Mazingarde, e pernotterà a Cambrin. - -«Quanto c’è da qui a Mazingarde? - -«Due leghe e mezza. - -«Grazie». - -Grimaud, sicuro d’incontrare verso sera il suo padrone, parve più -quieto, si asciugò la fronte mescendosi un bicchier di vino che trincò -senza fiatare. - -Aveva posato il bicchiere sul tavolino e si disponeva a riempirlo, -quando si partì un grido terribile dalla camera ov’erano il monaco e il -moribondo. - -Grimaud si alzò in un istante. - -«Che roba è? di dove viene quest’urlo? - -«Dalla stanza del ferito, disse l’oste. - -«Che ferito? domandò Grimaud. - -«L’antico boia di Bethune, ch’è stato assassinato da alcuni partigiani -spagnuoli e portato qui, e adesso si confessa.... sembra che patisca di -molto. - -«Boia di Bethune! fece Grimaud procurando di ricordarsi, un uomo di -cinquantacinque o sessant’anni, alto, robusto, bruno, di capelli e -barba nera? - -«Giusto! salvo che la barba dà sul bigio e i capelli son diventati -bianchi. Lo conoscete? - -«L’ho visto una volta». - -Ed a Grimaud si aggrinzò la fronte pel quadro che gli presentava una -tale reminiscenza. - -La donna era corsa tremando. - -«Hai inteso? disse al marito. - -«Sì», rispose questi, osservando dalla parte dell’uscio. - -Tosto si udì un grido meno forte del primo, ma succeduto da un lungo -gemito. - -I tre si guardarono rabbrividiti. - -«Bisogna vedere che cosa v’è, disse Grimaud. - -«Pare un urlo di qualcuno che si ammazzi! borbottò l’oste. - -«Gesù!» fece la moglie, e si faceva il segno della croce. - -Noi sappiamo che Grimaud, se parlava poco, agiva assai. Si slanciò -verso la porta e la scosse con violenza; ma ella era chiusa per di -dentro con un chiavistello. - -«Aprite! strillò il locandiere, signor monaco, aprite subito!» - -Nessuno rispose. - -«Aprite, o che sfondo!» strepitò Grimaud. - -Uguale silenzio. - -Grimaud girò gli occhi attorno, e scorse un palo di ferro che per -casualità si trovava in un canto; l’afferrò, e prima che l’albergatore -avesse potuto opporsi al suo disegno, la porta era rotta. - -La camera era inondata dal sangue che passava tra le materasse. Il -ferito non parlava, ma mandava un tristo rantolo. Il frate non v’era -più. - -«Il monaco? gridò il taverniere, dov’è? dov’è?» - -Grimaud si affacciò ad una finestra che dava sul cortile ed esclamò: - -«Sarà scappato di là! - -«Credete? così fece l’oste spaventato. Cameriere, mirate se almeno la -mula è nella stalla. - -«Niente mula!» urlò quello a cui era diretta la domanda. - -Grimaud aggrottò le ciglia. Il locandiere, a mani giunte, volgeva -attorno gli occhi con sospetto. La consorte, non avendo osato -d’entrare, se ne stava zitta e sbigottita sulla soglia. - -Grimaud si appressò al ferito, esaminando quelle fattezze grossolane e -marcate che gli riproducevano tremende ricordanze. - -E dopo un momento di truce e tacita contemplazione egli disse: - -«Non v’è più dubbio! è desso! - -«E sempre vivo? chiese l’oste» - -Grimaud, senza replicare, gli sfibbiò la sottoveste per tastargli -il cuore mentre il locandiere pure si avvicinava. Però ad un tratto -rinculavano ambedue, l’oste con un grido di paura, Grimaud impallidito. - -La lama del pugnale era cacciata sino all’elsa dalla parte sinistra del -petto del carnefice. - -«Correte a cercare ajuto! disse Grimaud, io resterò presso di lui». - -L’oste uscì di camera fuori di sè. La moglie era giù scappata udendo -l’urlo dello sposo. - - - - -XXXV. - -_Colloquio segreto._ - - -Ecco ciò ch’era avvenuto. - -Noi già vedemmo che non per sua volontà, ma anzi a mal in cuore, il -soggetto qualificatosi per monaco seguitava il ferito raccomandatogli -in modo tanto singolare; chi sa che non avesse tentato di fuggire ove -gli fosse riuscito possibile? Ma le minacce dei due gentiluomini, -la scorta rimasta indietro ad essi, e che di sicuro avea ricevute -loro istruzioni, e finalmente per dirle tutte, anco la riflessione, -lo aveano indotto a far sino all’ultimo, senza mostrare troppa -contrarietà, la parte da lui assunta di confessore, ed entrato oramai -in camera si accostò al letto dell’ammalato. - -Il boia esaminò, con l’occhiata rapida ch’è particolare a quelli che -stanno per morire e in conseguenza non han tempo da perdere, la faccia -di colui ch’esser doveva il suo consolatore; fece un atto di sorpresa, -e disse, come avesse un presentimento: - -«Padre, siete molto giovane. - -«Non v’è età per le genti che indossano vesti simili alle mie, -aspramente rispose il frate. - -«Ohimè! padre, parlatemi con più dolcezza, ho bisogno di un amico nelle -ore estreme. - -«Patite di molto? - -«Sì, ma assai più dell’anima che del corpo. - -«Vi salveremo l’anima.... ma prima di entrare in confessione, ditemi: -siete realmente il carnefice di Bethune come dicevano quelli di fuori? - -«Cioè, fece con impeto il ferito, il qual temeva che il titolo di -carnefice allontanasse da lui gli ultimi soccorsi che reclamava, cioè -lo fui, ma non lo sono più; da quindici anni ho ceduto il mio impiego. -Figuro sempre nelle esecuzioni, ma non do il colpo io, oh no! - -«Sicchè, avete orrore del vostro mestiere?» - -L’infermo diede un sospiro. - -«Sino a tanto che non uccisi se non in nome della legge e della -giustizia, il mio mestiere mi lasciò dormir quieto, protetto com’ero -dalla giustizia e dalla legge; ma dalla terribil notte in cui servii -di stromento a una vendetta particolare e con odio levai la spada sopra -una creatura di Dio, da quel punto....» - -Il boia si tacque muovendo il capo in atto di disperazione. - -«Parlate, disse l’altro che si era assiso e cominciava a pigliare -interesse a un racconto che si annunziava in maniera così strana. - -«Ah! esclamò il moribondo con lo slancio di un dolore per lungo tempo -frenato, e che termina con isfogarsi, eppure ho procurato di estinguere -questo rimorso mediante venti anni di opere buone; mi sono spogliato -della ferocia naturale a quelli che spargono il sangue; in tutte -le occasioni ho esposta la mia vita per salvarla a quei ch’erano in -pericolo, ed ho conservato alla terra delle esistenze umane in ricambio -delle altre che le avevo tolte. Nè questo basta: i beni acquistati -nell’esercizio della mia professione, gli ho distribuiti ai poveri, -sono diventato assiduo a frequentare le chiese, e le genti che mi -schivavano si sono assuefatte a vedermi. Tutti mi hanno perdonato, -taluni ancora mi hanno amato, e ora chiedo che Iddio mi perdoni, -giacchè mi perseguita la rimembranza di quell’esecuzione; ogni notte mi -pare di veder alzarsi davanti a me lo spettro di quella donna. - -«Una donna! dunque assassinaste una donna! - -«E anche voi fate uso di codesto vocabolo che mi rintrona alle -orecchie: — assassinata! — Dunque l’ho assassinata! e non giustiziata? -sicchè sono un assassino, e non un giustiziere?» - -E l’infermo chiuse gli occhi mandando un gemito. - -E bisogna che l’altro temesse ch’egli avesse a spirare senza dir di -più, poichè replicò in fretta: - -«Continuate, non so nulla io, e finito che abbiate il vostro racconto, -penseremo al resto. - -«Oh padre! proseguì il boia senza riaprir gli occhi come avesse -paura che gli si affacciasse qualche oggetto spaventoso, specialmente -quando si fa notte e passo qualche fiume, si raddoppia quel terrore -che non so vincere; allora mi sembra che mi si aggravi la mano quasi -che avesse ancora il peso del mio coltello, e che l’acqua si tinga -di colore di sangue, e tutte le voci della natura, romorìo di alberi, -mugghiar di vento, battito delle onde, si riuniscano a formare una voce -lamentevole, desolata, terribile, la quale mi gridi: — Lasciate passare -la giustizia di Dio! - -«Delirio! balbettò colui che ascoltava». - -Il carnefice schiuse i lumi, fece un moto per girarsi dalla parte del -giovine, e lo afferrò pel braccio. - -«Delirio! ripetè, delirio, voi dite! Oh no, no! poichè fu di sera, -perchè io gettai il suo corpo nel fiume, perchè le parole che mi -van ripetendo i miei rimorsi, quelle parole, io nel mio orgoglio le -pronunciai, e dopo essere stato istromento di umana giustizia, mi -credevo divenuto quello della giustizia di Dio! - -«Ma sentiamo.... come andò? spiegatevi.... - -«Era di sera; venne a cercarmi un tale, e mi mostrò un ordine. -Andai seco. Altri signori mi attendevano. Mi condussero con loro -immascherato. Io mi riserbava sempre a far resistenza ove mi paresse -ingiusto l’ufficio che da me richiedevasi. Facemmo cinque o sei leghe, -tristi, taciti e quasi senza ricambiare un accento. Al fine, dalle -finestre di una piccola capanna mi additarono una donna che posava le -gomita sopra una tavola, e mi dissero: - -« — Ecco quella che si deve giustiziare. - -«Orrore! e voi obbediste? - -«Padre, quella femmina era un mostro; aveva, per quanto asserivasi, -avvelenato il suo secondo marito, tentato di assassinare il cognato che -si trovava fra coloro, avvelenata una giovane sua rivale, e innanzi -di abbandonare l’Inghilterra, anche questo si accertava, avea fatto -stilettare il favorito del re. - -«Buckingham? esclamò il religioso. - -«Sì, Buckingham. - -«Talchè ella era inglese? - -«No, francese, ma maritatasi in Inghilterra». - -A tal risposta dell’ammalata, l’altro impallidì, si asciugò la -fronte, e andò a porre il catenaccio alla porta. Il boia credè che lo -abbandonasse e ricadde giù piangendo. - -«No, no, eccomi, fece quegli riaccostandosi sollecito, seguitate, che -uomini erano? - -«Uno era forestiere, Inglese, se non fo sbaglio; gli altri quattro -Francesi, e indossavano gli abiti da moschettieri. - -«I loro nomi? - -«Non li so; se non che i quattro chiamavan l’altro, ch’era Inglese: -_milord_. - -«E la donna, era bella? - -«Giovane e bella! Oh sì, bellissima! E’ mi pare ancor di vederla, -quando genuflessa a’ miei piedi, pregava, con la testa buttata -indietro.... Nè mai, in appresso, seppi comprendere come avessi potuto -atterrare quella testa sì bella e pallida!» - -Quei che ascoltava tal racconto sembrava agitato da stranissima -commozione; tremava in tutte membra; si scorgeva ch’era ansioso di fare -una domanda e non ardiva. - -Finalmente, dopo uno sforzo fierissimo, chiese: - -«Il nome di colei? - -«Lo ignoro. Come vi dico, si era maritata due volte per quanto pareva: -una in Francia ed una in Inghilterra. - -«Era giovine? diceste! - -«Di venticinque anni. - -«Bella? - -«Al sommo! - -«Bionda? - -«Sì. - -«Chiome lunghe, è vero? che le scendevano fino sull’omero? - -«Sì. - -«Occhi espressivi al maggior grado? - -«Quando voleva.... Oh sì! così è! - -«Voce di rarissima dolcezza? - -«E come lo sapete?» - -Il carnefice posò il gomito sulle lenzuola, e fissò lo sguardo attento -sul suo interlocutore, che si fè smorto in faccia. - -«E voi la uccideste! disse quest’ultimo, voi serviste di stromento a -quei vili che da sè stessi non osavano ucciderla! voi non aveste pietà -di tanta gioventù, di tanta beltà, di tanta debolezza! voi uccideste -quella donna! - -«Ahimè! padre, ve l’ho pur detto, quella femmina sotto un’invoglia -celeste celava una mente infernale, e quando la vidi, quando mi -rammentai tutto il male che aveva fatto a me stesso, a me.... - -«A voi! e che poteva avervi fatto? sentiamo! - -«Avea sedotto e rovinato mio fratello, ed era fuggita seco. - -«Con tuo fratello? - -«Sì! mio fratello era stato il suo primo amante; ella era stata cagione -della morte di mio fratello.... Oh padre! non mi guardate così! Ah! -sono molto colpevole?.... non mi confesserete, non mi concederete il -perdono? - -«Sì, vi confesserò, sì, vi perdonerò, quando mi manifestiate prima in -questa segreta conferenza tutto ciò che vi concerne. - -«Oh! gridò il boia, tutto! sì, tutto! - -«Sicchè dite.... Se sedusse il vostro fratello.... dite che lo sedusse, -non è vero? - -«Oh sì, pur troppo! - -«Se cagionò la di lui morte.... diceste che cagionò la sua morte? - -«Sì, sì. - -«Allora, dovete sapere il suo nome da fanciulla. - -«Mio Dio! mio Dio! fece il carnefice, mi par di morire! Oh, ricevete la -mia confessione! - -«Dì il nome e la riceverò.... - -«Si chiamava.... Dio, Dio! abbiate pietà di me!» - -Ed il boia cascò sul letto, pallido, tremante, simile ad uno che sia -prossimo a spirare. - -«Il nome! replicò l’altro, chinandosi su di lui come per istrappargli -di bocca quel nome ch’ei non voleva ancor palesargli; il nome!... -parla, o non v’è scampo!» - -Sembrò che il moribondo raccogliesse tutte le sue forze. - -Al supposto monaco brillavano le pupille. - -«Anna di Bueil! balbettò il ferito. - -«Anna di Bueil! gridò quegli rizzandosi a un tratto, e levate al cielo -ambe le mani: Anna di Bueil! dicesti pure Anna di Bueil? - -«Sì.... così si appellava.... ed ora ascoltatemi, che mi sento morire! - -«Io? urlò il frate con un sorriso che fece rizzare in testa i capelli -dell’infermo, e posso forse ascoltare le tue colpe! io non son prete! - -«Non siete prete! e dunque chi siete? - -«Te lo dirò, sciagurato! - -«Ah! signore! ah, mio Dio! - -«Sono John Francis de Winter! - -«Non vi conosco! strillò il boia. - -«Aspetta, e mi conoscerai; sono John Francis de Winter.... e quella -donna.... - -«Quella donna?.... - -«Era mia madre». - -Il carnefice mandò il grido che prima erasi udito. - -«Oh! perdonatemi! seguitò, se non in nome di Dio, almeno in nome -vostro; se non come sacerdote, almeno come figlio! - -«Perdonarti! strepitò il finto monaco; perdonarti! Dio forse lo farà, -ma io non mai! - -«Per pietà! diceva il boia stendendo le braccia innanzi. - -«Non v’è pietà per chi non ebbe pietà; muori impenitente, muori -disperato! muori, e sii dannato!» - -E toltosi di sotto la giubba un pugnale, e immergendoglielo nel petto: - -«Tieni! disse, ecco come io ti ricompenso!» - -Allora fu che s’intese il secondo grido più debole dell’altro a cui -succedeva lunghissimo gemito. - -Il carnefice, il quale si era sollevato alquanto, piombò di nuovo -supino. Il finto monaco, senza tôrre il pugnale dalla piaga, corse -al balcone, lo aperse, saltò sui fiori di un piccolo giardino, entrò -nella stalla, prese la sua mula, uscì da una porta di dietro, trottò -sino al prossimo bosco, vi gittò le sue vesti da ecclesiastico, trasse -dalla valigia un abbigliamento completo da cavaliere, e lo indossò, -ed a piedi arrivò alla prima posta, ed ivi, fattosi dare un cavallo, -continuò a spron battuto il suo viaggio verso Parigi. - - - - -XXXVI. - -_Grimaud parla._ - - -Grimaud era rimasto solo accanto al boia. - -L’oste era ito a cercar soccorso; sua moglie pregava. - -Dopo un momento l’ammalato schiuse gli occhi. - -«Ajuto! balbettò! ajuto! Mio Dio, mio Dio! non troverò in questo mondo -un amico che mi ajuti a vivere o a morire?» - -E si portò a stento la mano sul seno; e la sua mano incontrò il manico -del pugnale. - -«Ah!» disse come uno a cui ritorni la memoria. - -E lasciò andare giù il braccio. - -«Fatevi coraggio, disse Grimaud, sono andati a cercare assistenza. - -«Chi siete? domandò il ferito fissando su Grimaud gli occhi spalancati -fuor di misura. - -«Un antico conoscente, questi rispose. - -«Voi?» - -L’infermo cercava ricordarsi le sembianze di lui che favellavagli in -tal guisa. - -«In quali circostanze ci incontrammo? indi richiese. - -«Venti anni sono, di notte. Il mio padrone vi aveva preso a Bethune e -vi condusse ad Armentières. - -«Vi riconosco, fece il boia, siete uno dei quattro servitori. - -«Per l’appunto. - -«E d’onde venite? - -«Passavo per la strada, mi sono fermato in questa locanda per far -rinfrescare il mio cavallo; mi raccontavano alcuni che il carnefice di -Bethune era qua ferito, quando avete cacciato due urli. Al primo siamo -accorsi subito, al secondo abbiamo sfondato l’uscio. - -«E il frate? lo avete visto? - -«Che frate? - -«Quello ch’era rinchiuso meco. - -«No, non v’era più: pare che sia fuggito dalla finestra. È desso che vi -ha trafitto? - -«Ah sì!» - -Grimaud si mosse come per partirsi. - -«Che andate a fare? domandò il boia. - -«Bisogna corrergli appresso! - -«Guardatevene bene! - -«E perchè? - -«Si è vendicato, ed ha fatto benissimo. Adesso che Iddio mi perdoni, -giacchè v’è espiazione. - -«Spiegatevi, disse Grimaud. - -«Quella donna che i vostri padroni e voi mi faceste uccidere.... - -«Milady? - -«Milady, sì, così la chiamavate.... - -«Che ha che fare milady col monaco? - -«Era sua madre». - -Grimaud vacillò e guatò il moribondo, attonito e come stupido. - -«Sua madre! ripetè. - -«Sì, sua madre. - -«Ma dunque ei sa quel segreto? - -«L’ho preso per un sacerdote, e glie l’ho confessato. - -«Disgraziato! esclamò Grimaud e gli si bagnavano di sudore i capelli -all’idea delle conseguenze che potevano resultare da tale rivelazione; -disgraziato! ma spero che non abbiate nominato veruno? - -«Non ho proferito alcun nome, giacchè nessuno ne conoscevo tranne -quello da zittella della sua genitrice, e da questo egli tutto ha -compreso; ma sa che suo zio era nel numero de’ suoi giudici». - -Il meschino ricascò spossato. Grimaud voleva dargli soccorso e avanzava -la destra verso il manico dello stiletto. - -«Non mi toccate! disse il carnefice, se si cavasse fuori questo ferro, -io morrei». - -Grimaud rimase con la mano stesa; indi in un subito percuotendosi col -pugno la fronte: - -«Ah! se mai colui viene in cognizione chi fossero gli altri, il mio -padrone è perduto! - -«Sollecitatevi! gridò il carnefice, prevenitelo se vive ancora, -avvertite i suoi amici; la mia morte, oh! credetelo pure, non servirà -di scioglimento a questa terribile avventura. - -«Dove andava? chiese Grimaud. - -«Verso Parigi. - -«Chi lo arrestò? - -«Due giovani gentiluomini che si trasferivano all’armata, e dei quali -uno, io lo udii a nominare dal suo compagno, si chiamava il visconte di -Bragelonne. - -«E desso fu che vi condusse il monaco? - -«Eh sì!» - -Grimaud levò lo sguardo al cielo. - -«Dunque era questo il volere di Dio! disse poi. - -«Senza dubbio! confermò il ferito. - -«Oh terribile! oh caso spaventoso!.... e sì, quella femmina aveva -meritata la sorte che si ebbe.... non pensate in questo modo? - -«Sul punto di morire, fece il boja, si veggono gli altrui delitti molto -piccoli a paragone dei nostri!» - -E cadde giù abbattuto chiudendo il ciglio affannoso. - -Grimaud stava perplesso fra la pietà che gli vietava di lasciar -quell’uomo privo di assistenza, ed il timore che gli imponeva di -partire immediatamente per recare quella notizia al conte di la Fère, -allorchè udì rumore nel corridojo e vide venir l’oste insieme col -chirurgo che finalmente erasi ritrovato. - -Li seguivano parecchie persone, richiamate da curiosità; chè cominciava -a spargersi voce dello stranissimo evento. - -Il professore si accostò al moribondo che sembrava in deliquio. - -«Prima di tutto va estratto il ferro dal petto», disse in tuono -ch’esprimeva di molto. - -Grimaud si ricordò il prognostico fatto dall’ammalato, e si girò da -parte. - -Il cerusico tirò in là il giubbetto, lacerò la camicia e snodò il seno. - -Il pugnale, conforme accennammo, era cacciato addentro sino -all’impugnatura. - -Il chirurgo lo prese alla cima dell’elsa; a misura ch’ei lo tirava -fuori il ferito aprendo gli occhi li fissava in un modo spaventoso. -Quando la lama fu uscita interamente dalla piaga apparve sulla bocca -dell’infermo una spuma rossiccia; indi nel momento che respirò sgorgò -uno sprillo di sangue dall’orifizio della piaga stessa, ed egli diresse -lo sguardo sopra Grimaud con espressione singolarissima, mandò un -rantolo e spirò subito. - -Grimaud raccolse da terra il pugnale insanguinato che metteva orrore a -tutti, accennò all’oste che andasse seco, pagò il conto con generosità -degna del suo padrone, e risalì a cavallo. - -Esso aveva pensato sulle prime a tornare direttamente a Parigi; ma -riflettè all’inquietudine che prolungando la sua assenza cagionerebbe -a Raolo; si ricordò che Raolo era distante due leghe dal luogo ove si -trovava egli stesso, che in un quarto d’ora sarebbe a lui vicino, e -che fra la gita innanzi e indietro e la spiegazione insieme non gli -piglierebbero un’ora di tempo. Si avviò di galoppo, e dopo dieci minuti -smontava al _Mulo Incoronato_, unico albergo di Mazingarde. - -Dalle prime parole ricambiate col locandiere acquistò certezza di aver -raggiunto quello che cercava. - -Raolo era a tavola con il conte di Guiche ed il suo ajo, ma la trista -avventura della mattina lasciava sul sembiante de’ due giovani una tale -mestizia cui non riusciva a dileguare il brio del signor d’Arminges più -filosofo di loro per la sua grande assuefazione a consimili spettacoli. - -Ad un tratto fu schiusa la porta e si presentò Grimaud pallido, -polveroso e macchiato dal sangue del disgraziato. - -«Grimaud, mio buon Grimaud! esclamò Raolo, eccoti al fine! Scusate, -miei signori, questi non è già un servo, è un amico». - -Ed alzatosi a farglisi incontro seguitò: - -«Come sta il signor conte? gli duole alquanto della mia assenza? lo -hai veduto da che ci lasciammo? Rispondi, e poi io ho molte cose da -dirti.... Oh! da tre giorni ci sono succeduti tanti casi! Ma che hai? -sei smorto in viso.... E sangue! perchè questo sangue! - -«Realmente v’è sangue! confermò di Guiche levandosi pur esso, siete -ferito, mio caro? - -«No, disse Grimaud, questo sangue non è mio. - -«E di chi? domandò il visconte. - -«Dell’infelice che lasciaste all’albergo, e ch’è morto fra le mie -braccia». - -«Fra le tue braccia! ma sai tu chi era? - -«Sì. - -«L’antico carnefice di Bethune! - -«Lo so. - -«E lo conoscevi? - -«Lo conoscevo. - -«Ed è morto? - -«Sì». - -I due signori si guardarono. - -«Che volete? disse d’Arminges, tale è la legge comune, ed uno non -n’è mica esente per essere stato boja. Dal momento che ho veduta la -sua piaga ne ho avuta pessima idea, e ben vi è noto ch’era uguale -l’opinione di lui, poichè chiedeva un monaco». - -Alla parola di monaco Grimaud si accigliò. - -«Animo, a tavola! fece d’Arminges, il quale a guisa di tutti gli uomini -dell’età sua non ammetteva la sensibilità fra due portate. - -«Sì, avete ragione, rispose Raolo; orsù, Grimaud, fatti dar -l’occorrente, ordina, comanda, e dopo che ti sarai riposato -discorreremo. - -«No, no, replicò Grimaud, non posso trattenermi un istante, mi conviene -ripartire per Parigi. - -«Come! oh, t’inganni.... è Olivain che parte, tu resterai qui. - -«Anzi Olivain resta ed io vado. Sono venuto espressamente per -avvisarvelo. - -«E perchè tal cambiamento? - -«Non posso dirvelo. - -«Spiegati. - -«Non posso. - -«Eh via! che scherzi son questi? - -«Sapete, signor visconte, ch’io non ischerzo mai. - -«Sì, ma so ancora che il signor conte di la Fère disse che rimarreste -presso di me ed Olivain andrebbe alla capitale. Io mi atterrò alle -disposizioni del conte. - -«Non in questa circostanza, signore. - -«Vorreste forse disobbedirmi? - -«Sì, poichè così bisogna. - -«Dunque persistete? - -«E quindi me ne vo; siate felice, signor visconte». - -Grimaud salutò e si volse verso l’uscio per andarsene. Raolo inquieto -ed anco furibondo corse a fermarlo per un braccio. - -«Grimaud! esclamò, trattenetevi; così voglio. - -«Sicchè, rispose Grimaud, volete ch’io lasci ammazzare il signor conte?» - -E fatto un nuovo inchino si disponeva a partire. - -«Grimaud, amico mio! disse Bragelonne, non ve ne andrete in tal modo, -non mi lascerete in una tale smania. Grimaud parla, deh parla in nome -del cielo!» - -E Raolo barcollava, sinchè cadde sopra una sedia. - -«Non posso dirvi se non se una cosa.... chè il segreto non è mio.... -Incontraste uno che prendeste per un frate, è vero? - -«Sì». - -I due gentiluomini si osservavano atterriti. - -«Lo guidaste vicino al ferito? - -«Sì. - -«Aveste allora tempo di vederlo? - -«Sì. - -«E forse lo ravvisereste se lo ritrovaste? - -«Oh sì! lo giuro, disse Raolo. - -«E anch’io, aggiunse di Guiche. - -«Or bene, se mai lo ritrovate, in qualunque luogo si sia, sulla strada -maestra, per le vie, in una chiesa, dovunque egli sia, e dovunque voi -sarete, ponetegli addosso il piede e schiacciatelo senza pietà, senza -misericordia, come fareste ad una vipera, ad un serpente, ad un aspide; -schiacciatelo, e nol lasciate finchè sia morto; per me, tanto ch’ei -viva starà in dubbio la vita di cinque uomini». - -E Grimaud senza dir altro profittò dello stupore e del terrore in cui -aveva immersi quelli che lo ascoltavano per islanciarsi fuori dallo -appartamento. - -«Or bene, conte, disse Raolo a di Guiche, non dicevo bene che colui mi -pareva un serpente?» - -A capo a due minuti si udì il galoppo di un cavallo. Raolo si affacciò -sollecito al balcone. - -Era Grimaud che s’incamminava verso Parigi. Riverì Bragelonne agitando -in aria il cappello, e in breve disparve alla svolta della strada. - -Ma viaggio facendo riflettè a due cose: - -La prima, che di quel passo il suo animale non reggerebbe a far dieci -leghe; - -La seconda, ch’ei non aveva danaro. - -Egli aveva però l’immaginazione tanto più feconda quanto meno faceva -uso della favella. - -Ed alla prima cambiatura vendè il cavallo, e col prodotto prese subito -la posta. - - - - -XXXVII. - -_Alla vigilia della battaglia._ - - -Raolo fu tratto dai tristi suoi pensieri dal locandiere, il quale -entrò precipitosamente nella stanza ov’era accaduto quanto poc’anzi -narravamo, gridando: - -«Gli Spagnuoli! gli Spagnuoli!» - -Era assai importante quel grido perchè ogni altra riflessione cedesse -a quelle ch’esso doveva cagionare. I giovanetti domandarono qualche -informazione, ed intesero che realmente si avanzava il nemico da -Houdain e Bethune. - -Mentre il signor d’Arminges dava gli ordini acciò i cavalli che -si rinfrescavano fossero messi in istato di partenza, Raolo e di -Guiche salirono alle più alte finestre del casamento che dominava le -vicinanze, e videro spuntare dalla parte di Mersin e di Sains un corpo -considerevole d’infanteria e cavalleria. Questa volta non era più una -brigata errante di partigiani, ma un’intera armata. - -Sicchè non rimaneva da far altro che seguire le savie istruzioni -d’Arminges e battere la ritirata. - -Essi scesero rapidamente. D’Arminges era digià in sella. Olivain -reggeva a mano i due corsieri dei giovanetti, ed i servi del conte -di Guiche tenevano cautamente fra di loro il prigioniero spagnuolo, -fermo sopra un ronzino comprato espressamente per lui. E per maggior -precauzione questi aveva le mani legate. - -La piccola comitiva prese di trotto la strada di Cambrai, ove credeva -di trovare il principe; ma egli dal giorno innanzi non v’era più, ed -erasi ritirato a la Bassée, avendo inteso per una falsa voce sparsa che -il nemico doveva transitare da Lys ad Estaire. - -Effettivamente il principe, ingannato da tali avvisi, aveva ritirate -le sue truppe da Bethune, e concentrate tutte le sue forze fra -Vieille-Chapelle e la Venthie, ed egli stesso, dopo aver esplorata -tutta la linea col maresciallo di Grammont, era tornato indietro, e -postosi a tavola, interrogando gli uffiziali seduti a lui d’intorno -sopra gli schiarimenti che aveva incaricato ciascheduno di essi di -procurarsi. Niuno però aveva notizie positive. - -L’armata nemica era sparita da quarantotto ore, e nulla più se ne -sapeva. - -Ora, un esercito nemico non è mai tanto prossimo, e in conseguenza -minaccioso, come allorquando è affatto sparito. E perciò il principe -contro il suo solito se ne stava pensoso e di mal umore, quando venne -un ufficiale di servizio ad annunziare al maresciallo di Grammont -esservi alcuno che chiedeva di parlargli. - -Il duca di Grammont con uno sguardo domandò licenza, ed uscì. - -Il principe lo seguitò cogli occhi, e tenne questi fissi verso la -porta, mentre nessuno osava discorrere per tema di distrarlo dalle sue -meditazioni. - -Ad un tratto si udì rumore. Il principe si alzò in fretta stendendo la -mano dal lato onde veniva lo strepito. — Lo strepito gli era ben noto: -era quello del cannone. - -Tutti al pari di lui si erano levati in piedi. - -Nel momento fu schiusa la stanza. - -«Monsignore, disse allegro il maresciallo di Grammont, vuole Vostra -Altezza permettere che mio figlio, il conte di Guiche, e il suo -compagno di viaggio visconte di Bragelonne vengano a darle nuove del -nemico, che noi cerchiamo e che essi hanno trovato? - -«Come, se lo permetto, anzi lo bramo! entrino pure». - -Il maresciallo spinse avanti i due giovani, i quali furono così innanzi -a Sua Altezza. - -Questi salutandoli disse: - -«Parlate, signori, e poi faremo i complimenti d’uso; quel che per noi -urge più adesso, è di sapere dove sia il nemico o ciò ch’ei faccia». - -Al conte di Guiche incombeva naturalmente di essere il primo a -favellare; non solo era maggiore di età, ma anche presentato dal -proprio genitore; inoltre conosceva da lunga pezza il principe, che -Raolo non aveva mai veduto. - -Egli dunque raccontò ciò ch’entrambi avevano visto dall’albergo di -Mazingarde. - -Frattanto Raolo osservava quel giovane generale digià sì famoso per le -battaglie di Rocroy, di Friburgo e di Nortlingen. - -Luigi di Borbone, principe di Condé, che dalla morte di Enrico di -Borbone suo padre in poi veniva chiamato per abbreviazione e secondo -l’usanza il Signor Principe, aveva appena ventisei o ventisette anni, -sguardo da aquila, _occhi grifagni_, come disse Dante, naso ricurvo, -lunga chioma ondeggiante in belle anella, personale mediocre ma ben -fatto, e tutte le qualità di un grand’uomo di guerra, cioè colpo -d’occhio, rapidissima decisione, coraggio quasi favoloso; lo che -non toglieva che fosse al tempo stesso uomo di spirito e dotato di -eleganza; talmente che oltre la rivoluzione che faceva nella guerra -mediante i nuovi calcoli e prospetti che vi recava, aveva fatto altresì -rivoluzione in Parigi fra i giovani signori della corte, di cui era il -capo naturale, e che in opposizione agli eleganti dell’antica corte, -della quale i modelli erano stati Bassompierre, Bellegarde e il duca di -Angouleme, venivano nomati i damerini. - -Ai primi detti di Guiche, ed alla direzione da che si partiva il -rumore del cannone, il prence aveva compreso tutto. L’inimico doveva -aver transitata la Lys a Saint-Venant, e marciava sopra Lens, senza -dubbio coll’intenzione d’impossessarsi di questa città e separare dalla -Francia l’armata francese. La cannonata che si udiva, e i di cui spari -dominavano tratto tratto gli altri, era di pezzi di grosso calibro che -rispondevano alla cannonata spagnuola e lorenese. - -Ma di che forza era poi quella truppa? era un corpo destinato a -produrre un semplice diversivo? oppure l’esercito tutto intero? - -In questo consisteva l’ultima domanda di Luigi di Borbone, ed a Guiche -riusciva impossibile di rispondervi. - -Ed essendo poi la più importante, era quella a cui il principe avrebbe -desiderato una risposta esatta, precisa, positiva. - -Allora Raolo sormontò il sentimento assai naturale di timidezza che -provava a suo malgrado in faccia al prence, ed avvicinandosi disse: - -«Mi concederete, monsignore, di azzardare su questo argomento alcune -parole che forse faranno cessare la vostra perplessità?» - -Luigi si volse, e parve che con un solo sguardo squadrasse da cima a -fondo il visconte; e sorrise nel riconoscere in esso un fanciullo di -appena quindici anni. - -«Certamente, signore, parlate, gli disse mitigando la sua voce per -solito sonora e fiera, come se questa volta la indirizzasse ad una -dama. - -«Vostra Altezza potrebbe interrogare il prigioniero spagnuolo, replicò -Raolo, ed arrossiva. - -«Avete fatto un prigioniero spagnuolo! - -«Sì, monsignore. - -«Ah! è vero, riprese di Guiche, lo avevo obliato. - -«È cosa semplicissima, conte, ribattè Raolo sorridendo, poichè foste -voi che lo faceste». - -Il vecchio maresciallo si volse al visconte, grato a quell’elogio dato -a suo figlio, mentre Luigi di Borbone rispondeva: - -«Il giovinetto ha ragione, sia qui condotto il prigioniero». - -Frattanto il principe pigliò in disparte di Guiche, e lo interrogò sul -modo in cui era stato preso quell’uomo, e gli richiese chi fosse il -giovane. - -«Signore, disse Luigi tornando a Raolo, so che avete una lettera -di mia sorella madama di Longueville, ma veggo che avete preferito -raccomandarvi da per voi col darmi un buon consiglio. - -«Monsignore, replicò Bragelonne, e diventava più vermiglio di prima, -non ho voluto interrompere Vostra Altezza in una conversazione tanto -importante come quella da lei intavolata col signor conte; ma ecco la -lettera. - -«Va bene, me la darete più tardi; ecco il prigioniero, pensiamo a ciò -ch’è più urgente». - -Difatti veniva condotto il partigiano. Era uno di quei condottieri -di cui ne rimanevano ancora in quell’epoca, che vendendo il proprio -sangue a chi avesse a genio comprarlo era invecchiato nelle astuzie e -nelle ruberie. Dachè era stato preso non aveva pronunziato un accento, -talmente che coloro che lo avevano arrestato neppur sapevano di qual -nazione si fosse. - -Il principe lo guatò con la massima diffidenza domandandogli: - -«Di qual nazione sei?» - -Quegli rispose alcune parole in lingua straniera. - -«Ah ah! par che sia spagnuolo. Parlate, spagnuolo, Grammont? - -«Oh! pochissimo, monsignore. - -«Ed io nulla affatto; fece ridendo Luigi; signori (e si volgeva a quei -che gli stavano attorno) v’è qualcuno fra voi che parli lo spagnuolo e -voglia farmi da interprete? - -«Io, monsignore, disse Raolo. - -«Ah, voi parlate spagnuolo? - -«Abbastanza, per quanto credo, onde eseguire in quest’occasione gli -ordini dell’Altezza Vostra». - -In tutto quel tempo il prigioniero era rimasto impassibile e quasi non -avesse capito di che si trattasse. - -«Monsignore vi ha fatto richiedere di che nazione siete, gli avvertì -Raolo in castigliano purissimo. - -«Ich bin ein Deutscher, rispose egli. - -«Che diavolo borbotta? fece il principe con una risata, e che gergo è -codesto? - -«Dice ch’è tedesco, replicò il visconte, ma io ne dubito, perchè -l’accento è pessimo e la pronunzia viziosa. - -«Dunque sapete anche il tedesco? - -«Altezza sì. - -«Tanto da potere interrogarlo in quell’idioma? - -«Sì, monsignore. - -«Allora interrogatelo». - -Raolo cominciò, ma vennero i fatti in appoggio alla sua opinione. Colui -non intendeva, o fingeva non intendere, ciò che gli diceva Bragelonne, -e Bragelonne dal canto suo comprendeva poco le sue risposte mescolate -tra fiammingo ed alsaziano. - -Nulladimeno in mezzo a tutti gli sforzi del forestiero per eludere un -esame regolare, Raolo aveva riconosciuta la sua naturale pronunzia. - -«Non siete spagnuolo, gli disse, non tedesco, ma italiano». - -Il forestiero si scosse e si morse le labbra. - -«Ah! questo, lo capisco a meraviglia, seguitò il principe di Condè, e -poichè è italiano, continuerò io l’esame. Grazie, visconte (aggiunse -scherzando) da ora vi nomino mio interprete». - -Ma l’arrestato non aveva più voglia di appagare le domande in italiano -che in altre lingue; unica sua premura era anzi lo schivarle. E così -nulla sapeva, nè il numero dei nemici, nè il nome di chi li comandava, -nè il piano di marcia stabilito. - -«Ottimamente! disse Luigi immaginando appieno le cause di siffatta -ignoranza, costui è stato preso mentre rubava e assassinava, avrebbe -potuto riscattar la vita parlando, e non vuole; portatelo via, e sia -passato per le armi». - -Il prigioniero impallidì. I due soldati che ivi lo avevano guidato -lo afferrarono ciascuno per un braccio e lo trassero verso la porta, -frattanto che il signor di Condé giratosi dalla parte di Grammont, -mostrava già aver dimenticato il comando da lui dato. - -Ma il disgraziato arrivato sulla soglia, si soffermò; i soldati non -conoscendo altro che gli ordini volevano obbligarlo a proseguire il suo -cammino. - -«Un momento! disse egli in francese, monsignore, sono pronto a parlare. - -«Ah ah! esclamò il principe, sapevo bene che ci si verrebbe. Io ho un -segreto stupendo per sciogliere la lingua. Giovanotti, vi sia di norma -per quando toccherà a voi a comandare. - -«Ma, seguitò il prigioniero, con patto che Vostra Altezza mi giuri -salva la vita. - -«Sulla mia fede da gentiluomo, rispose Luigi di Condé. - -«Allora, a voi, monsignore! - -«Dove l’armata ha valicato la Lys? - -«Tra Saint-Venant ed Aire. - -«Chi la comanda? - -«Il conte di Fuonsaldagna, il generale Beck e l’Arciduca in persona. - -«E marcia? - -«Incontro a Lens. - -«Vedete, signori miei! gridò il principe in atto di trionfo al -maresciallo di Grammont ed agli altri uffiziali. - -«Sì, replicò il maresciallo, vostra Altezza aveva indovinato quanto può -indovinare umano ingegno. - -«Richiamate le Plessis, Belliève, Villequier e d’Erlac, richiamate -tutte le truppe che sono di qua dalla Lys; stiano pronte a marciare -questa notte, e domani secondo ogni probabilità noi attaccheremo il -nemico. - -«Monsignore, obiettò Grammont, osservate però che riunendo quanti -uomini abbiamo disponibili arriveremo appena alla cifra di quindici -mila. - -«Signor maresciallo, ripicchiò il prence con quello sguardo ammirabile -ch’era proprio di lui solo, con le piccole armate si vincono le grandi -battaglie». - -Ed accennando il prigioniero: - -«Sia condotto colui fuori di qui e guardato a vista. Dipende la sua -vita dalle informazioni che ci ha date; se queste sono vere, sarà -libero; se false, sia fucilato». - -L’individuo a cui facevasi tal minaccia fu tratto subito altrove. - -«Conte di Guiche, disse Luigi, da molto tempo non vedeste vostro padre, -rimanete presso di lui. Voi (e si volgeva a Raolo) se non siete troppo -stanco seguitemi. - -«Sino alla fine del mondo, monsignore! gridò Raolo, provando un ignoto -entusiasmo per il giovane generale che tanto degno sembravagli della -sua rinomanza». - -Il principe sorrise; disprezzava gli adulatori, ma stimava moltissimo -gli entusiasti. - -«Orsù, continuò, siete buono al consiglio, ed ora lo abbiamo -esperimentato; vedrem domani qual siete nell’azione. - -«Ed io che farò monsignore? chiese il maresciallo. - -«Trattenetevi a ricevere le truppe; e tornerò da me a prenderle meco, o -vi manderò un corriere perchè a me la guidiate. Venti uomini con buoni -cavalli son quel che mi abbisogna pella mia scorta. - -«È poco! - -«È abbastanza; signor di Bragelonne, avete un buon cavallo? - -«Il mio è rimasto ucciso stamane, e adesso provvisoriamente mi prevalgo -di quello del mio domestico. - -«Chiedete, scegliete nelle mie scuderie, quello che vi convenga. Non -vi prendete soggezione; approfittatevi del corsiero che vi sembri il -migliore. Stassera forse ne avrete bisogno, e domani di certo». - -Raolo non se lo fece dir due volte; sapeva che coi superiori, ed -in ispecie quando questi sono principi, la suprema civiltà consiste -nell’obbedire senza ragionamenti e senza indugi. Passò nelle scuderie -a scegliere un palafreno andalusiano di color sauro, gli pose di per -sè la sella e la briglia, perocchè Athos gli aveva suggerito pelle -circostanze di pericolo di non affidare di ciò la cura a veruno, e -venne a raggiungere il principe che appunto montava a cavallo. - -«Adesso, disse questi a Raolo, volete consegnarmi la lettera di cui -siete latore?» - -Ed egli la porse. - -«Restate vicino a me», ordinò Luigi di Borbone. - -Diede di sprone, fermò le redini al pomo della sella secondo soleva -fare quando voleva aver libere le mani, dissigillò il foglio della -signora di Longueville, e si avviò di galoppo sulla strada di Lens, -accompagnato da Raolo e seguitato dalla sua piccola scorta, mentre -i messaggieri che dovevano richiamare indietro le truppe, correvano -frettolosi per opposte direzioni. - -E il principe nel tempo del cammino leggeva. - -«Signore, disse indi a un momento, qui mi si dice molto bene di voi; -la sola cosa che posso significare si è che dal poco che ho visto ed -inteso, penso di voi anco meglio che non mi si decanta». - -Raolo fece un inchino. - -Intanto ad ogni passo che approssimava a Lens la piccola brigata, -risuonavano più vicine le cannonate. Luigi teneva lo sguardo fisso -a quel rumore come farebbe un uccel di rapina. Pareva che avesse il -potere di penetrare con gli occhi fra gli alberi folti che stendevansi -a lui davanti e servivano di confine all’orizzonte. - -Di quando in quando si dilatavano a lui le narici, quasi fosse ansioso -di sentir l’odore della polvere, o sbuffava come il suo destriero. - -Alfine si udirono gli spari tanto dappresso ch’era evidente trovarsi -tutto al più lontani di una lega dal campo di battaglia. In fatti alla -svolta del sentiero, si distinse il piccolo villaggio di Aunay. - -I contadini erano in grandissima confusione; si era sparsa la voce -della crudeltà degli Spagnuoli, e questa a tutti incuteva spavento; le -donne erano di già scappate rifugiandosi inverso a Vitry; rimanevano -soli pochi uomini. - -Essi al mirare il principe accorsero premurosi; uno di loro lo -riconobbe. - -«Ah monsignore! disse, venite a discacciare quei furfanti di Spagnuoli -e quei ladroni di Lorenesi? - -«Sì, se tu vuoi servirmi di guida. - -«Volentieri: dove brama vostra Altezza che io la conduca? - -«In qualche luogo elevato d’onde io possa scoprire Lens e i dintorni. - -«So quanto bisogna. - -«Posso fidarmi di te? Sei buon francese? - -«Sono un vecchio soldato di Rocroy. - -«Tieni! disse Luigi dando una borsa a colui, eccoti per Rocroy. Ed ora -vuoi un cavallo, o preferisci ire a piedi? - -«A piedi! monsignore, a piedi; ho servito sempre nell’infanteria. E -poi, mi propongo di far passare Vostra Altezza per tali strade ove sarà -necessario ch’essa pure smonti. - -«Vieni via, e non si perda tempo». - -Il villico si mosse trottando innanzi al destriero del prence; indi a -distanza di un centinajo di passi dal villaggio passò da un piccolo -sentiero perduto in fondo a una bella valle. Per una mezza lega -camminarono così sotto una cupola di alberi; gli spari del cannone -rimbombavano a segno che sembrava ad ognuno di questi doversi udire a -fischiare le palle. Poscia, si trovò una strada che abbandonava quella -già battuta per attaccarsi al fianco della montagna. Il contadino vi si -inoltrò invitando Luigi di Borbone a seguirlo. Questi smontò, ordinò -ad uno de’ suoi ajutanti di campo ed a Raolo di fare lo stesso, ed -agli altri di attender le sue istruzioni mantenendosi in ogni maggior -cautela e vigilanza, e principiò a salire per la strada che accennammo. - -A capo a dieci minuti, erano giunti alle ruine di un vecchio castello, -le quali facevano corona alla sommità di un colle d’onde si sovrastava -a tutti i luoghi circonvicini. Lontano appena un quarto di lega si -discopriva Lens ridotta agli estremi, e davanti a questa tutto quanto -l’esercito nemico. - -Con una sola occhiata il principe abbracciò l’estensione che gli -appariva alla vista da Lens sino a Vismy. In un attimo gli si spiegò -alla mente tutto il piano della battaglia che alla domane doveva -salvare per la seconda volta la Francia da un’invasione. Prese un -lapis, distaccò una pagina del suo taccuino, e scrisse: - - «Mio caro maresciallo. - - ««Tra un’ora Lens sarà in potere del nemico. Io sarò a Vendin - per fargli prendere la sua posizione. Domani lo avremo battuto e - ripreso Lens». - -Indi disse a Raolo: - -«Andate, partite a spron battuto, e consegnate questo foglio al signor -di Grammont». - -Raolo prese il foglio, scese velocemente la montagna, e saltato in -sella si avviò di galoppo. - -Dopo un quarto d’ora era presso al maresciallo. - -Era digià arrivata porzione delle truppe, e da un momento all’altro -attendevasi il rimanente. Il signor di Grammont si mise alla testa di -quanta infanteria e cavalleria si trovava disponibile, e s’incamminò -per Vendin, lasciando il duca di Chatillon ad aspettare e condurre il -resto. - -Tutta l’artiglieria era in grado di partire all’istante, e si mise in -marcia. - -La sera alle sette ore giunse il maresciallo al convegno. Era ivi ad -attenderlo il principe. Secondo avea preveduto, Lens era caduta in -potere del nemico quasi subito dopo la partenza di Raolo. D’altronde la -cessazione delle cannonate aveva annunziato questo avvenimento. - -Si soprassedè fino a notte. A misura che si avanzavano le tenebre, i -militi chiamati dal principe arrivavano di seguito. V’era ordine che -non si battesse tamburo nè si sonassero le trombe. - -A nove ore, ad onta che fosse tardi, un ultimo crepuscolo rischiarava -tuttavia la pianura. S’incamminarono in silenzio, mentre il principe -guidava la colonna. - -L’armata essendo pervenuta di là da Aunay potè distinguere Lens: due o -tre case erano in fiamme, e fino ai soldati arrivava un tristo clamore -che indicava l’agonia di una città presa per assalto. - -Il prence segnò a ciascuno il rispettivo posto: il maresciallo di -Grammont doveva essere all’estrema sinistra ed appoggiarsi a Mericourt; -il duca di Chatillon formerebbe il centro; il principe che formava -l’ala destra rimarrebbe davanti ad Aunay. - -L’ordine di battaglia della domane sarebbe lo stesso che quello delle -posizioni prese nel dì precedente. Ognuno si troverebbe sul terreno ove -dovea manovrare. - -Fu eseguito il movimento col massimo silenzio e con la maggior -precisione. Alle dieci cadauno era al suo posto; alle dieci e -mezza Luigi di Borbone visitò i posti di guardia e diede l’ordine -dell’indomani. - -Oltre a tutte le cose, tre erano quelle raccomandate ai capi, i quali -invigilerebbero all’esatta osservanza delle medesime ingiunta ai -soldati: - -La prima, che i diversi corpi si guarderebbero attentamente nella -marcia, onde cavalli e fanti stessero bene sulla medesima linea, ed -ognuno si mantenesse negli spazj opportuni; - -La seconda di non andare alla carica se non di passo; - -La terza, di lasciare che il nemico fosse il primo a tirare. - -Il principe diede il conte di Guiche al di lui padre, e tenne per sè -Bragelonne. Ma i due giovani domandarono di passare insieme quella -notte, e ciò fu loro accordato. - -Venne messa per essi una tenda vicina a quella del maresciallo. Benchè -molte fossero state le fatiche della giornata, nè l’uno nè l’altro -aveva bisogno di dormire. - -D’altronde è cosa grave ed imponente anco pei vecchi militari la -vigilia di una battaglia, e tanto più per due giovanetti che pella -prima volta si accingevano a vedere un tale spettacolo. - -Alla vigilia della battaglia si pensa a mille cose, che sino allora -obliate ritornano in mente; gl’indifferenti diventano amici, gli amici -diventano fratelli. - -E ci s’intende, che se in fondo al cuore si abbia qualche sentimento -più tenero, questo arriva naturalmente al più alto grado di esaltazione -a cui possa mai giungere. - -È d’uopo credere che ognuno dei due giovanetti provasse un sentimento -di codesta fatta, poichè a capo a un momento e questo e quello sederono -ad una opposta estremità della tenda e si diedero a scrivere sulle -ginocchia. - -Le lettere furono lunghe, si copersero quattro pagine di carattere -minuto e ristretto. Tratto tratto il conte ed il visconte si guardavano -sorridendo. Si capivano senza dir nulla. Erano due indoli delicate e -simpatiche fatte per intendersi senza nemmeno parlarsi. - -Terminate le lettere, ciascheduno serbò la sua in un doppio involto -di carta, ove nessuno poteva leggere il nome della persona a cui era -diretta se non che lacerando il primo invoglio. E poscia entrambi si -accostarono uno all’altro, e si ricambiarono quelle lettere con un -nuovo sorriso. - -«Se mi accadessero dei guai! disse Bragelonne. - -«Se restassi ucciso! disse di Guiche. - -«Non dubitate, dissero tutt’e due». - -E si abbracciarono come fratelli, e si avvolsero nei ferrajuoli, e si -addormentarono di quel sonno giovanile e grazioso con cui dormono gli -augelli, i fiori ed i fanciulli. - - - - -XXXVIII. - -_Un pranzo del tempo addietro._ - - -Il secondo abboccamento degli antichi moschettieri non era stato -pomposo e minaccioso come il primo. Athos, con il suo senno sempre -superiore, aveva giudicato che la tavola sarebbe il centro più rapido -e completo della riunione, e nell’istante che i suoi amici per riguardo -alla sua distinzione ed alla sobrietà sua non osavano favellare di uno -di quei buoni pranzi di tempo addietro goduti o al _Pomo del Pino_ o -al _Parpaillot_, propose egli stesso di ritrovarsi attorno a qualche -mensa bene inbandita, ed abbandonarsi senza riserva ognuno al proprio -carattere ed alle proprie maniere, tratto di semplicità che aveva -mantenuta la buona intelligenza per la quale in un’epoca anteriore -erano stati chiamati gl’inseparabili. - -Fu a tutti accetta la proposta, e specialmente a d’Artagnan, ch’era -ansioso di ritrovare le gentilezze ed il brio delle conversazioni -di sua gioventù, conciossiachè da lunga pezza il suo spirito fino -e geniale non aveva incontrato che soddisfazioni insufficienti, e, -come diceva egli stesso, un vile pascolo. Porthos sul momento di -esser barone aveva sommo piacere di imbattersi in quella occasione -di studiare in Athos ed in Aramis i modi e il tuono della gente di -qualità. Aramis voleva sapere le notizie del Palazzo Reale per mezzo -di d’Artagnan e Porthos, e serbarsi per tutte le congiunture amici -tanto zelanti che in passato sostenevano le sue contese con ispade -prontissime e invincibili. - -Athos poi era il solo che nulla avesse da aspettare o da ricevere -dagli altri, e che fosse mosso unicamente da un sentimento di semplice -grandezza e di pura amistà. - -Fu quindi convenuto che ognuno darebbe il suo indirizzo ben positivo, -e che al bisogno di uno dei soci si convocherebbe la riunione da un -famoso trattore della via della Zecca all’insegna del _Romitorio_. Fu -fissato il primo appuntamento, pel successivo mercoledì ed alle otto -precise di sera. - -Infatti nel giorno concordato giunsero puntualmente, ciascuno dal -lato suo, i quattro amici al momento destinato. Porthos aveva avuto -da provare un nuovo cavallo, d’Artagnan smontava la guardia al Louvre, -Aramis avea dovuto far visita ad una sua penitente in quella contrada, -ed Athos che avea preso domicilio in via Guènegaud ci si combinava -da per sè. Furono dunque assai sorpresi d’incontrarsi al portone del -_Romitorio_, Athos sboccando dal ponte Nuovo, Porthos dalla strada del -Roule, d’Artagnan da quella dei Fossi di S. Germano l’Auxerrois, ed -Aramis dall’altra di Bethisy. - -Le prime parole ricambiate fra i quattro individui, appunto per -l’ostentazione che pose ognuno nelle proprie dimostrazioni, furono -alquanto forzate, ed il pasto cominciò con qualche freddezza. Si -vedeva che d’Artagnan faceva violenza a sè stesso per ridere, Athos per -bere, Aramis per raccontare, Porthos per tacersi. Athos accortosi di -tale imbarazzo, alfine di rimediarvi, ordinò che si recassero quattro -bottiglie di Sciampagna. - -Al qual comando, da lui dato con la calma sua consueta, si schiarì un -poco il sembiante al Guascone, e si rasserenò quello di Porthos. - -Aramis rimase attonito. Sapeva, non solo che Athos non beveva più, ma -anche che provava pel vino una tal quale ripugnanza. - -E si accrebbe in esso la meraviglia quando ei lo vide mescersi in -abbondanza e bevere coll’entusiasmo di gran tempo addietro. D’Artagnan -empiè e vuotò subito un bicchiere. Porthos ed Aramis batterono i loro -un sull’altro. In un attimo furono vuote le quattro bottiglie. Pareva -che i commensali anelassero di far divorzio coi loro occulti pensieri. - -E realmente, in men che nol diciamo, quell’ottimo specifico ebbe -dissipato sino al menomo nuvolo che rimaner potesse in fondo ai loro -cuori. Si misero a parlare più forte, senza aspettare che uno avesse -terminato perchè un altro principiasse, ed a prendere sulla tavola -ciascheduno la sua positura favorita. In breve, cosa enorme! Aramis -allentò due cordoni del suo giubbetto, e Porthos ciò osservando -disciolse subito tutti i suoi. - -Le battaglie, le lunghe strade, le botte date e ricevute formarono il -primo argomento della conversazione. Indi si passò alla ascosa lotta -sostenuta contro colui che ormai chiamavasi il gran ministro. - -«Affè! disse scherzando Aramis, bastano gli elogi dei morti, sparliamo -un poco dei vivi. Io vorrei dire un tantinello di Mazzarino: è -permesso? - -«Sempre, sempre! rispose d’Artagnan con uno scroscio di risa; narrate -la vostra storiella, e vi applaudirò s’ella è buona. - -«Un gran principe, seguitò Aramis, di cui il Mazzarino ricercava -l’alleanza, fu da questi invitato a mandargli la nota delle condizioni -mediante le quali volesse fargli l’onore di trattare con lui. Il -principe, che repugnava alquanto a aver che fare con un simile -gaglioffo, fece e inviò la nota a mal in cuore. Vi erano scritte tre -condizioni che spiacevano a Mazzarino, ed egli mandò ad offrire al -principe di rinunziarvi per dieci mila scudi. - -«Ah! ah! esclamarono i tre amici, non era caro, ed ei non aveva da -temere d’esser preso alla parola. Che disse l’Altezza? - -«L’Altezza spedì tosto cinquanta mila lire a Mazzarino, pregandolo a -non iscrivergli mai più, ed offrendogli venti mila lire se si obbligava -a non più parlargli. - -«Che fece il Mazzarino? - -«Si sdegnò? chiese Athos. - -«Fe’ bastonare il messaggiero? domandò Athos. - -«Accettò la somma? disse d’Artagnan. - -«Voi, d’Artagnan, l’avete indovinata, replicò Aramis». - -E tutti proruppero in sì clamorose risate che salì l’oste a domandare -se avevano bisogno di qualcosa. - -Erasi supposto che si battessero. - -Alla fine si calmò l’ilarità. - -«Possiamo picchiare il signor di Beaufort? propose d’Artagnan. Ne avrei -la gran voglia! - -«Fate pure, rispose Aramis, il quale conosceva a fondo quell’indole -guascona sì accorta e prode che non retrocedeva giammai su verun campo. - -«E voi, Athos, che ne pensate? seguitò d’Artagnan. - -«Io vi giuro da gentiluomo che rideremo se ci avete garbo. - -«Dunque comincio, soggiunse d’Artagnan. Un giorno di Beaufort -discorrendo con un amico del signor Principe, gli disse che sulle prime -contese di Mazzarino e del Parlamento, ei si era trovato una volta -in disputa col signor di Chavigny, e che vedendolo attaccato al nuovo -ministro, lui che in tante maniere era collegato all’antico, lo aveva -ben bene percosso. - -«L’amico, il quale conosceva di Beaufort per uomo di mano assai -leggiera, non istupì mica del fatto, e se n’andò correndo a riferirlo -al Principe. Si divulga la faccenda, ed ecco che ognuno volge le spalle -a Chavigny. Questi ricerca spiegazione della freddezza generale; si va -titubanti a manifestargliela; poi v’è persona che si azzarda a dirgli -come a tutti faccia sorpresa essersi egli lasciato _percuotere_ dal -signor di Beaufort abbenchè principe. - -«E chi ha detto che il principe mi aveva percosso? fece il Chavigny. - -«Il principe stesso, replica l’amico. - -«Si va alla fonte chiara, e si trova la persona a cui il principe ha -tenuto codesto discorso, e che scongiurata sull’onore a palesare la -verità, lo ripete e lo afferma. - -«Chavigny, dolentissimo di una tale infamia, di cui non capisce un -ette, dichiara che morrà piuttosto che sopportarla. In conseguenza -manda due patrini al principe, con l’incarico d’interrogarlo se -sussista aver egli detto di avere percosso il signor di Chavigny. - -«L’ho detto e lo ripeto, fa il principe, giacchè così è. - -«Monsignore, soggiunge uno dei patrini di Chavigny, permetteteci di -avvertire Vostra Altezza qualmente colpi dati a un gentiluomo degradano -tanto quello che li dà quanto quello che gli riceve. Il re Luigi XIII -non voleva aver camerieri gentiluomini, per aver diritto di picchiarli. - -«Veh! continuò il signor di Beaufort, e chi parla di colpi? e chi -discorre di picchiare? - -«Ma voi, monsignore, che pretendete per percosso.... - -«Chi? - -«Il signor di Chavigny. - -«Io? - -«Non percuoteste il signor di Chavigny, almeno da quel che dite? - -«Sì. - -«Ebbene! egli vi smentisce. - -«Oh! fece il principe, l’ho percosso così bene, che ecco le mie proprie -parole che lo gelarono (e il signor di Beaufort vi poneva tutta la sua -maestà a voi nota): « — signor di Chavigny, siete assai da biasimare -per aver dato soccorso a un birbante qual è il Mazzarino!» - -«Ah! Altezza! esclamò il patrino, comprendo! volevate dire scosso. - -«O _scosso_ o _percosso_, che importa? gridò il di Beaufort, non è egli -lo stesso? Davvero i vostri compositori di frasi sono pure pedanti!» - -Furono grandi risate per questo errore filologico del signor di -Beaufort, i di cui abbagli su tal genere incominciavano a passare -in proverbio, e si pattuì, che essendo per sempre bandito da quelle -amichevoli riunioni lo spirito di parte, d’Artagnan e Porthos -potrebbero burlare i principi, con patto però che Athos ed Aramis -fossero in facoltà di _percuotere_ il Mazzarino. - -«Affè, disse d’Artagnan a’ suoi due amici, avete ragione di volergli -male, a Mazzarino, giacchè egli dal canto suo, e ve lo giuro, non vi -vuol punto bene. - -«Uh! propriamente? fece Athos. Se credessi che quel mascalzone mi -conoscesse di nome, mi farei sbattezzare per paura che si supponesse -ch’io conoscessi lui. - -«Non vi conosce per nome ma per i fatti; sa che vi sono due -gentiluomini che più particolarmente hanno contribuito alla fuga di -Beaufort, e li fa cercare con grande premura, ve lo accerto. - -«Da chi? - -«Da me. - -«Come, da voi? - -«Sì, mi ha mandato a domandare anche stamane se avevo qualche notizia. - -«Su quei due gentiluomini? - -«Sì. - -«E che gli avete risposto? - -«Che non ne ho finora, ma che pranzavo con due soggetti i quali -potrebbero darmene. - -«Gli avete detto così? fece Porthos con una grossa risata che gli -allegrava la grassa faccia. Bravo! e voi, Athos, non avete paura? - -«No, disse Athos, non temo già le indagini di Mazzarino. - -«Voi! soggiunse Aramis, oh! ditemi un po’ di che temete! - -«Nulla, almeno nel presente. - -«E nel passato? chiese Porthos. - -«Ah! nel passato è tutt’altro, ribattè Athos con un sospiro, nel -passato e nel futuro. - -«Paventate forse per il vostro Raolo? domandò Aramis. - -«Eh! disse d’Artagnan, non si rimane mai uccisi nel primo fatto. - -«Nè al secondo, ribattè Aramis. - -«Nè al terzo, accrebbe Porthos. E poi, quando si è uccisi, si ritorna, -e la prova ne sia che eccoci qua. - -«No, ripigliò Athos, non è tampoco Raolo che mi dia inquietudine, -mentre spero si conterrà da gentiluomo, e se resta ucciso, ebbene! lo -sarà valorosamente; ma ecco.... se gli accadesse tal disgrazia....» - -Athos si passò la mano sulla fronte scolorita. - -«Dite su.... lo spronò Aramis. - -«Dico, che quella disgrazia sarebbe da me riguardata come un’espiazione. - -«Ah ah! esclamò d’Artagnan, so io di che intendete. - -«E anch’io, confermò Aramis, ma non bisogna pensarci, il passato è -passato. - -«Non capisco, obiettò Porthos. - -«L’affare di Armentières, bisbigliò piano d’Artagnan. - -«D’Armentières? - -«Milady.... - -«Ah sì, fece Porthos, l’avevo dimenticato». - -Athos lo guatò con l’occhio suo penetrante, e disse: - -«Dimenticato? voi, Porthos! - -«Eh sì, è tanto tempo! - -«Dunque non vi sta più sulla coscienza? - -«Ma no! replicò Porthos. - -«Ed a voi, Aramis? - -«Ci penso qualche volta come ad uno di quei casi di coscienza che più -danno luogo a discussione. - -«E a voi, d’Artagnan? - -«Io confesso che quando la mia mente si ferma su quell’epoca terribile -non ha altre rimembranze che per il corpo gelido della povera signora -Bonacieux. Sì, sì...., mormorò, spesso provai de’ rammarici per la -vittima, non mai rimorsi pel di lei assassino. - -«Riflettete, osservò Aramis, che ammessa la divina giustizia e la sua -partecipazione alle cose di questo mondo, quella donna fu punita per -volere di Dio. Noi fummo gli stromenti, e non altro. - -«Ma il libero arbitrio? - -«Che fa il giudice? ha esso pure il suo libero arbitrio, e condanna -senza paura. Che fa il carnefice? è padrone del proprio braccio, eppure -colpisce senza rimorso. - -«Il carnefice.... borbottò Athos, e ben vedevasi che lo tratteneva una -qualche ricordanza. - -«So ch’è cosa tremenda, proseguì d’Artagnan; ma quando penso che noi -uccidemmo Inglesi, Roccellesi, Spagnuoli, anco Francesi, i quali non ci -avevano fatto mai altro male che pigliarci di mira collo schioppo senza -coglierci, e non avevano avuto verso di noi altro torto che incrociare -il loro ferro col nostro e non arrivare a tempo a parare, mi scuso per -la mia parte nell’uccisione di quella femmina, in parola d’onore. - -«Io, disse Porthos, adesso che me lo avete rimesso in mente, caro -Athos, rivedo la stessa scena come se ci fossi sempre. Milady era -costà, dove voi siete (Athos impallidì); io stava nel posto dov’è ora -d’Artagnan. Io avevo al fianco una spada che tagliava come una lama -di Damasco; ve ne rammentate, Aramis, che la chiamavate la Balizarda? -Or bene! vi giuro a tutti e tre, che se non vi fosse stato il boja di -Bethune.... È di Bethune?.... sì sì, di Bethune.... avrei troncato il -collo a quella scellerata, senza rimetterci le mani due volte, e anco -rimettendole.... l’era una donna iniqua! - -«E poi, disse Aramis in tuono di non curante filosofia, a che giova -pensare a tutto questo? quel ch’è stato è stato. Ci confesseremo di -quest’azione nell’ora suprema, e Dio saprà meglio di noi se sia un -delitto, un fallo, o un’azione meritoria. Pentirmene, voi mi direte? oh -no, per Bacco! non me ne pento se non perchè era una donna. - -«Ciò che è più atto a metterci in quiete, osservò d’Artagnan, egli è -che di tutto quel passato non rimane alcuna traccia. - -«Aveva un figlio, notò Athos. - -«Ah sì, lo so, disse d’Artagnan, e me ne avete parlato; ma chi sa -poi che ne sia stato di lui? morto il serpe, estinto il covo! credete -che di Winter suo zio abbia allevato quel serpentello? Di Winter avrà -condannato il figliuolo siccome condannò la madre. - -«Allora, rilevò Athos, guai a di Winter, giacchè il bambino nulla aveva -fatto, nulla! - -«Il bambino morì, o che il diavolo mi porti! seguitò Porthos. V’è tanta -nebbia in quel brutto paese, almeno a quel che dice d’Artagnan». - -Nel punto in cui questa conclusione di Porthos era forse prossima a -riportare un certo brio su tutte quelle faccie più o meno accigliate, -si udì rumore di passi per la scala, e fu bussato all’uscio. - -«Entrate! disse Athos. - -«Signori, avvertì l’oste, v’è un giovanotto che con molta premura -chiede di parlare ad uno di voi altri. - -«A quale? domandarono in quattro. - -«A quello che si chiama conte de la Fère. - -«Son io, rispose Athos. E che nome ha colui? - -«Grimaud. - -«Oh! fece Athos, e diveniva smorto in viso, digià tornato? E che mai -sarà accaduto a Bragelonne? - -«Venga! ordinò d’Artagnan, venga pure!» - -Ma Grimaud aveva già fatta tutta la scala ed attendeva sull’ultimo -gradino. Si slanciò nella stanza, e con un gesto licenziò il -locandiere. - -Il locandiere richiuse l’usciale. I quattro gentiluomini rimasero in -ansietà. L’azione di Grimaud, pallido, sudante, tutto malconcio dalla -polvere che aveva addosso, annunziava esser egli messaggero di qualche -nuova interessante e tremenda. - -«Signori, ei disse, quella donna aveva un bambino, il bambino è -diventato un uomo; la tigre aveva un figliuoletto, ora il tigre è -cresciuto, vi viene incontro, badate a voi!» - -Athos guardò i compagni con un sorriso malinconico; Porthos si -cercava al fianco la spada che aveva appesa al muro, Aramis afferrò un -coltello; d’Artagnan si rizzò in piedi. - -«Che vuoi tu dire, Grimaud? esclamò questi. - -«Che il figlio di Milady ha abbandonato l’Inghilterra, è in Francia, -viene a Parigi, se a quest’ora non v’è. - -«Diamine! disse Porthos, sei sicuro? - -«Sicuro» confermò Grimaud. - -Lungo silenzio accolse questa dichiarazione. Grimaud era sì stanco ed -ansante che cascò sopra una seggiola. - -Athos avendo riempito un bicchiere di vino di Sciampagna glielo recava. - -«Or bene, in sostanza, fece d’Artagnan, quando vivesse, quando venisse -a Parigi, ne abbiamo vedute di più belle! che venga! - -«Sì, aggiunse Porthos esaminando con compiacenza il brando appeso alla -parete, lo aspettiamo, venga! - -«E d’altronde, è un ragazzo!» rimarcò Aramis. - -Grimaud si levò fieramente. - -«Un ragazzo! gridò, sapete che cosa ha fatto quel ragazzo? Travestito -da monaco ha scoperto tutta la storia in un colloquio avuto col boja di -Bethune, il quale credendolo realmente tale, voleva confessarsi, e dopo -aver da lui saputo tutto, gli ha piantato nel cuore questo pugnale. -Ecco, esso è ancora rosso e bagnato, giacchè non sono più di trenta ore -ch’è tratto fuori dalla piaga». - -E Grimaud gittò sulla tavola lo stiletto dimenticato dal finto frate -nella ferita del boja. - -D’Artagnan, Porthos ed Aramis si alzarono con un movimento spontaneo, e -corsero ad impugnare le spade. - -Athos solo restò seduto, quieto e pensoso. - -«E dici tu, Grimaud, ch’è vestito da monaco? - -«Sì. - -«E che uomo è egli? - -«Del mio personale, secondo mi riferì l’oste, magro, pallido, con occhi -turchini chiari e capelli biondi. - -«E.... non ha veduto Raolo? domandò Athos. - -«Anzi, si sono incontrati, ed il visconte stesso lo ha condotto presso -al letto del moribondo». - -Athos senza fiatare si levò a distaccare dal muro il suo brando. - -«Ehi, signori! disse d’Artagnan procurando di scherzare, ma sapete che -facciamo la figura di tante donnicciuole? Come! noi quattro uomini, -che senza far motto siamo stati a fronte a intere armate, ora tremiamo -davanti ad un fanciullo! - -«Sì, replicò Athos, ma quel fanciullo viene in nome di Dio». - -E tutti uscirono in fretta dall’albergo. - - - - -XXXIX. - -_Lettera di Carlo I._ - - -È d’uopo che adesso il leggitore passi con noi la Senna, e ci segua -sino al convento delle Carmelitane in via di San Jacopo. - -Sono le undici della mattina, e le divote suore hanno fatto dire una -messa pel buon successo delle armi del re Carlo I. Uscite di chiesa, -una donna ed una giovinetta, vestite di nero, quella come una vedova e -questa come un’orfanella, sono rientrate nella lor cella. - -La donna si è genuflessa sur un inginocchiatojo di legno tinto, e a -poca distanza da lei la giovane appoggiandosi ad una sedia rimane in -piedi e piange. - -La donna dev’essere stata bella; ma si scorge che le lacrime le hanno -data l’apparenza di vecchia. La giovinetta è vaghissima, e le lacrime -l’abbelliscono vie più. La donna mostra aver quarant’anni, la giovane -ne ha quattordici. - -«Mio Dio! diceva la supplice genuflessa, deh! conservate il mio sposo, -il mio figlio, e vi prendete questa mia vita tanto misera e trista. - -«Mio Dio! diceva l’altra, deh! conservatemi mia madre! - -«Vostra madre non può fare per voi più cosa alcuna in questo mondo, -Enrichetta; fece volgendosi l’afflitta che pregava, essa non ha più -trono, nè consorte, nè figlio, nè danari, nè amici; vostra madre è -abbandonata dall’universo». - -E gittandosi nelle braccia della figliuola che si avanzava a -sostenerla, proruppe ella pure in singulti. - -«Madre mia, fatevi coraggio! seguitò la fanciulla. - -«Ah! quest’anno i re sono sfortunati, rispose la più attempata posando -la testa sulla di lei spalla, e nessuno in questo paese pensa a noi, -chè ognuno pensa ai propri affari. Sino a tanto che fu con noi vostro -fratello, ei mi sostenne, ma è partito, ed ora non può dar nuove di sè -nè a me nè a suo padre. Io ho impegnate le ultime mie gioje, venduti -i miei panni ed i vostri, onde pagare il salario a’ suoi servi, che -ricusavano di accompagnarlo se non avessi fatto un tale sacrifizio. -E noi siamo ridotte a vivere a spese delle figlie del Signore; siamo -poverelle soccorse da Dio. - -«Ma perchè non vi rivolgete alla regina vostra sorella? domandò la -zittella. - -«Ahimè! la regina mia sorella non è più regina, e un altro regna in -nome di lei. Un giorno potrete comprendere questo. - -«Or bene, allora al re vostro nepote. Volete ch’io gli parli? Sapete -quanto mi ama! - -«Ah! il re mio nepote non è ancor re, ed egli stesso, non lo ignorate, -e venti volte ce lo disse Laporte, egli stesso è sprovvisto di tutto. - -«Dunque, volgiamoci a Dio» soggiunse la meschinella. - -E s’inginocchiò accanto alla genitrice. - -Le due donne così in orazione ad un medesimo inginocchiatojo erano la -figlia e la nepote di Enrico IV, la moglie e la figliuola di Carlo I. - -Terminavano la duplice preghiera, quando una religiosa battè pian piano -all’uscio della cella. - -«Entrate, sorella» disse la più attempata alzatasi ed asciugandosi gli -occhi. - -La monaca schiuse la porta rispettosamente. - -«Vostra Maestà si compiacerà scusarmi se la disturbo nelle sue -meditazioni, essa disse, ma v’è nel parlatorio un signore straniero -arrivato dall’Inghilterra, che domanda l’onore di presentarle una -lettera. - -«Oh! una lettera! forse del re!... Notizie di vostro padre, al certo! -sentite, Enrichetta? - -«Sì, l’odo, e lo spero. - -«E chi è quel signore? - -«Un gentiluomo di quaranta a quarantacinque anni. - -«Il suo nome? ha detto il suo nome? - -«Milord di Winter. - -«Milord di Winter! l’amico del mio sposo! Ah, fatelo entrare!...» - -E la regina corsa incontro al messaggiero, gli prese la mano con la -massima premura. - -Lord di Winter s’inginocchiò e porse un foglio arrotolato dentro un -astuccio d’oro. - -«Ah! disse la regina, voi ci recate tre cose che da gran tempo non -vedemmo: oro, un amico zelante, ed una lettera del nostro sposo e -signore». - -Di Winter fece un altro saluto, ma non potè rispondere per la troppa -commozione. - -«Milord, continuò la sovrana accennando la missiva, capite che ho -ansietà di sapere che contenga questo foglio. - -«Signora, io mi ritiro. - -«No, trattenetevi: leggeremo davanti a voi: non capite che ho da farvi -mille domande?» - -Di Winter retrocedè di alcuni passi, e rimase in piedi e in silenzio. - -Madre e figlia dal canto loro eransi ricovrate nel vano della finestra, -e scorrevano la seguente epistola: - - «Signora e cara sposa - - «Eccoci giunti al termine. Tutte le risorse che mi ha lasciate - Iddio sono concentrate in questo campo di Naseby, d’onde vi scrivo - in fretta. Qua aspetto l’armata de’ miei sudditi ribelli, e vo a - contrastare con essi anco una volta. Vincitore, fo perpetuar la - lotta; vinto, sono del tutto rovinato. In quest’ultimo caso (ahimè! - quando si è nel grado a cui noi siamo, tutto si dee prevedere) - voglio tentare di arrivare alle coste di Francia. Ma si potrà, si - vorrà ivi accogliere un infelice re che rechi sì funesto esempio - in un paese digià sollevato dalle civili discordie? Mi serviranno - di guida la vostra saviezza e il vostro affetto. Il latore della - presente vi dirà ciò ch’io non posso affidare a’ rischi di un - incidente qualunque. Esso vi spiegherà quali diligenze mi aspetto - da voi. Gli commetto puranco di recare la mia benedizione a’ miei - figli, insieme colle espressioni più cordiali per voi, signora e - diletta sposa». - -La lettera era firmata, non già _Carlo re_, ma _Carlo ancora re_. - -La trista lettura, di cui di Winter osservava tutte le impressioni sul -volto della regina, portò pur non ostante nelle di lei pupille un lampo -di speme. - -«Che non sia pur re! ella esclamò, sia vinto, esule, proscritto, ma -viva!... Ah! il trono è oggi un posto troppo periglioso per ch’io -desideri ch’ei vi rimanga.... Ma ditemi, milord, non mi occultate -nulla, dov’è egli? la sua situazione è tanto disperata quanto egli si -crede? - -«Più disperata ch’ei non lo pensi, o signora. Sua Maestà ha il cuore -sì buono che non comprende l’odio, sì leale che non si figura il -tradimento. L’Inghilterra è attaccata da uno spirito di vertigine, -ch’io temo non si estingua se non nel sangue. - -«Ma lord Montrose? Io aveva udito a parlare di grandi e rapidi -successi, di battaglie guadagnate ad Inverlashy, ad Auldone, ad Alfort -e a Kilsyth. Avevo inteso dire marciasse alla frontiera per riunirsi al -suo re. - -«Sì, ma alla frontiera ha incontrato Lesly. Egli aveva stancata la -vittoria a forza d’imprese sovrumane, e la vittoria lo ha abbandonato. -Montrose battuto a Phillippaugh è stato costretto a licenziare i resti -della sua armata ed a fuggire travestito da lacchè. Egli è a Bergen in -Norvegia. - -«Dio lo salvi! disse la Regina. Almeno è una consolazione il sapere che -siano in sicuro quei che tante volte arrischiarono per noi la propria -vita. Ed ora che veggo la posizione del re quale essa è, cioè senza -scampo, ditemi ciò di che siete incaricato dal mio regio sposo. - -«Or bene, rispose di Winter, il re brama che procuriate di penetrare le -disposizioni del re e della regina a suo riguardo. - -«Ma lo sapete pure! il re è un bambinello, e la regina è una donna -anche ben debole: il signor di Mazzarino è tutto. - -«Vorrebbe forse fare in Francia la parte che fa Cromvello in -Inghilterra? - -«No no; è un Italiano scaltro e basso, che probabilmente sogna il -delitto, ma non oserà mai commetterlo; ed al contrario di Cromvello -che dispone di ambo le Camere a suo talento, Mazzarino non ha altro -appoggio che la regina nel suo conflitto col Parlamento. - -«Allora, ragione di più perchè protegga un re contro il quale sono -accaniti i Parlamenti». - -La regina scosse il capo, e disse con qualche amarezza: - -«Milord, se ho da giudicare da me stessa, il ministro non farà cosa -alcuna, o forse anco sarà contro a noi. Già gli sono di peso la -presenza mia e quella di mia figlia in Francia: tanto più quella del -re. Milord! è cosa trista e quasi vergognosa a dirsi; ma noi abbiamo -passato l’inverno al Louvre, senza danaro, senza panni, quasi senza -pane, e spesso non alzandoci dal letto per mancanza di fuoco! - -«Orrore! esclamò di Winter, la figlia di Enrico IV, la moglie del re -Carlo! E perchè non vi rivolgeste a qualunque di noi? - -«Ecco l’ospitalità che dà ad una regina il ministro a cui vuole il re -ora richiederla. - -«Io però aveva udito a discorrere di un matrimonio tra monsignore -principe di Galles e madamigella d’Orleans. - -«Sì, lo sperai per un momento; essi si amavano, ma la regina che -sul principio avea secondato questo amore ha cangiato idee, ma il -duca d’Orleans, che aveva incoraggito il cominciamento della loro -familiarità, ha proibito alla figliuola di più pensare ad una tale -unione. Ah! (continuava la regina senza nemmeno badare a tergere le -lacrime) è meglio combattere come ha fatto il re, e morire come forse -ei morrà, che vivere mendicando come fo io. - -«Coraggio, signora, coraggio! non disperate; gl’interessi della corona -di Francia in questo punto tanto compromessi, sono di combattere la -ribellione presso il popolo il più vicino. Mazzarino è uomo di Stato, e -comprenderà questa necessità. - -«Ma siete sicuro, domandò la regina in atto di dubbio, di non essere -prevenuto? - -«Da chi? fece di Winter. - -«Dai Joyce, dai Priedge, dai Cromvello. - -«Da un sartore! da un carrettiere! da un birrajo!... Oh! mi lusingo che -il ministro non entrerebbe in alleanza con simili uomini. - -«Ed egli stesso che cos’è? seguitò Enrichetta. - -«Ma per l’onore del re, per quello della regina.... - -«Animo, lusinghiamoci che faccia qualche cosa per questo onore; disse -Enrichetta. Milord, un amico possiede una sì buona eloquenza che voi mi -riconfortate. Sicchè datemi la mano, e andiamo dal ministro. - -«Signora, replicò di Winter inchinandosi, tanto onore mi confonde. - -«Però, alfine, se egli ricusasse, obiettò la regina, ed il re perdesse -la battaglia? - -«Allora Sua Maestà si rifugierebbe in Olanda, dove ho inteso dire -ch’era monsignore principe di Galles. - -«E Sua Maestà potrebbe per la sua fuga riposarsi sopra molti servi -eguali a voi? - -«Ahimè! no; ma il caso è preveduto, ed io vengo a cercare in Francia -degli alleati. - -«Alleati! ripetè la regina scuotendo il capo. - -«Pur ch’io ritrovi antichi amici ch’ebbi in passato, ribattè di Winter, -e tutto garantisco. - -«Si vada, milord, riprese Enrichetta colla dolorosa dubitanza delle -persone che furono per lungo tempo infelici, si vada, e Dio vi -ascolti!» - -Ella salì in carrozza, e di Winter a cavallo, seguito da due domestici -l’accompagnò vicino allo sportello. - - - - -XL. - -_Lettera di Cromvello._ - - -Nel momento in cui Enrichetta lasciava il convento per recarsi al -Palazzo Reale, smontava da cavallo al portone di quella dimora un tale -che avvisava alle guardie aver cose importanti da dire al ministro. - -Sebbene Mazzarino avesse sempre paura, siccome aveva però anche più -sovente bisogno d’informazioni e consigli, era molto accessibile. Non -alla prima porta si trovava la vera difficoltà, facilmente si passava -pure la seconda, ma alla terza invigilava oltre la guardia e gli -uscieri il fido Bernouin, cerbero cui non rimuoveva parola alcuna, cui -non incantava alcun ramo nemmeno se fosse stato d’oro. - -E quindi alla terza che accenniamo dovea subire l’interrogatorio -formale quegli che chiedeva o reclamava un’udienza. - -L’uomo arrivato allora avendo lasciato il suo palafreno legato alle -inferriate del cortile, salì la scala grande, e domandò alle guardie -nella prima sala: - -«Il signor ministro? - -«Passate» quelle risposero senza alzare gli occhi, chi di su le carte -e chi di su i dadi, e d’altronde contentissime di far capire che non -toccava a loro il far l’uffizio di servitori. - -Il cavaliero entrò nella sala seconda. A questa stavano in custodia i -moschettieri e gli uscieri. - -Ed egli ripetè la richiesta. - -«Avete una lettera d’udienza? disse un usciere avanzandosi incontro a -lui. - -«Ne ho una, ma non del ministro. - -«Entrate, e fate ricerca del signor Bernouin». - -Ciò detto, l’usciere aprì la porta della terza stanza. - -Dietro a quella, o per caso o per abitudine, stava in piedi Bernouin, -ed aveva inteso tutto. - -«Son io quello che cercate, egli disse; di chi è la lettera che recate -a Sua Eccellenza? - -«Del generale Oliviero Cromvello; favorite dir questo nome a Sua -Eccellenza, e riferirmi se vuol ricevermi o no» disse il sopraggiunto. - -E rimase là ritto nell’attitudine altera e triste, particolare ai -puritani. - -Bernouin, dopo aver vôlto su tutta la persona del giovane uno sguardo -indagatore, passò di nuovo nel gabinetto del ministro, a cui trasmise -le parole del messaggiero. - -«Un uomo latore di una lettera di Oliviero Cromvello? disse Mazzarino, -e che specie d’uomo? - -«Un vero Inglese, monsignore; capelli biondi rossicci, piuttosto -rossicci che biondi; occhio grigio, turchino, piuttosto grigio che -turchino, e in quanto al resto orgoglio e faccia tosta. - -«Dia il dispaccio. - -«Monsignore chiede il dispaccio, disse Bernouin venendo fuori dal -gabinetto. - -«Monsignore non vedrà il dispaccio senza il portatore; rispose il -giovane, ma per convincervi che realmente io l’ho, ecco, guardatelo». - -Bernouin guardò il suggello, e visto che il plico veniva veramente dal -generale Oliviero Cromvello, si disponeva a tornare presso a Mazzarino. - -«Aggiungete, disse il forestiero, ch’io sono, non un semplice -messaggiero, ma un inviato straordinario». - -Bernouin passò da capo di là, ed indi a pochi minuti secondi -ricomparve, dicendo: - -«Entrate». - -E teneva l’uscio schiuso. - -Mazzarino aveva avuto d’uopo di tutte quelle gite in su ed in giù -onde calmare l’emozione cagionatagli dall’annunzio di quel piego, ma -per quanta perspicacia si avesse, cercava invano qual motivo potesse -indurre Cromvello a porsi seco in comunicazione. - -Lo straniero si mostrò sulla soglia del gabinetto; teneva in una mano -il cappello e nell’altra la lettera. - -Mazzarino si alzò. - -«Signore, disse, avete una lettera di raccomandazione per me? - -«Eccola, Eccellenza» rispose il giovine. - -Il ministro prese il foglio, lo dissigillò, e lesse: - - «Il signor Mordaunt, uno dei miei segretarj, consegnerà la - presente lettera d’introduzione a Sua Eccellenza il signor ministro - Mazzarino in Parigi; ed è latore puranco per Sua Eccellenza di una - seconda lettera confidenziale». - - «Oliviero Cromvello». - -«Benissimo, signor Mordaunt, disse il ministro, datemi la seconda, e -sedete». - -Il giovanetto si levò di tasca l’altro foglio, e lo diede e si assise. - -Intanto Mazzarino tutto assorto nelle sue riflessioni aveva presa -la missiva, e senza disigillarla se la girava tra le dita; ma per -confondere il messaggiero si mise ad interrogarlo al suo solito, e -convinto com’era dall’esperienza che pochi potevano occultargli qualche -cosa quando guatava fisso interrogando, disse a colui: - -«Signor Mordaunt, siete molto giovane per questo scabroso mestiere di -ambasciatore; in cui male riescono talvolta i più vecchi diplomatici. - -«Monsignore, ho ventitrè anni, ma Vostra Eccellenza fa sbaglio nel -dirmi che son giovane; ho maggiore età che l’Eccellenza Vostra, sebbene -non abbia la di lei saviezza. - -«Come, come? replicò Mazzarino, non vi capisco. - -«Dico che gli anni del soffrire contano per doppi, ed io soffro da -venti anni. - -«Ah sì, v’intendo, mancanze di fortune; siete povero, è vero?» - -Ed il ministro aggiunse fra sè: - -«Questi rivoluzionarj inglesi sono tutti miserabili e villani. - -«Monsignore, dovevo aver un giorno un patrimonio di sei milioni, ma mi -fu preso. - -«Dunque non siete un uomo del volgo? - -«Se portassi il mio titolo, sarei lord; se portassi il mio nome, -avreste udito uno dei nomi più illustri dell’Inghilterra - -«Come vi chiamate? - -«Mi chiamo Mordaunt, rispose il forestiero inchinandosi». - -Mazzarino si accorse che l’inviato di Cromvello bramava mantenersi -incognito. - -Si tacque per un momento, ma in quel momento l’osservò anche con più -attenzione di prima. - -L’altro se ne stava impassibile. - -«Maledetti questi puritani! brontolò piano il ministro, e’ son fatti di -marmo». - -E poi ad alta voce: - -«Ma vi rimangono dei parenti. - -«Uno, monsignore. - -«E allora, vi ajuta? - -«Tre volte mi sono presentato per implorare il suo appoggio, ed -altrettante mi ha fatto cacciar via da’ suoi domestici. - -«Oh mio Dio! caro signor Mordaunt, esclamò Mazzarino lusingandosi di -far cadere in qualche laccio il suo interlocutore mediante la sua finta -pietà, quanto m’interessa il vostro racconto! Sicchè non conoscete la -vostra nascita? - -«Non la conosco se non da poco in qua. - -«E sino al momento che ne aveste cognizione?... - -«Mi consideravo come un fanciullo abbandonato. - -«Dunque non vedeste mai vostra madre? - -«Sì! quando ero bambino essa venne tre volte dalla mia balia; -dell’ultima mi ricordo come se fosse oggi. - -«Avete buona memoria. - -«Oh sì, monsignore! replicò il giovane con un accento tanto singolare -che il ministro si sentì un brivido nelle vene. - -«E chi vi allevava? domandò questi. - -«Una nutrice francese, la quale mi mandò via quando ebbi cinque anni, -perchè nessuno la pagava più, nominandomi quel parente di cui spesso le -aveva parlato mia madre. - -«E che faceste? - -«Mentre piangevo e mendicavo sulla strada maestra, un ministro di -Kingston mi ricovrò, m’istruì nella religione calvinista, mi trasfuse -tutta la scienza che aveva egli stesso, e mi ajutò nelle ricerche ch’io -feci della mia famiglia. - -«E le ricerche?.... - -«Sortirono infruttuose: il caso fece tutto. - -«Scopriste che ne fosse della vostra genitrice? - -«Seppi ch’era stata assassinata da quel congiunto ajutato da quattro -amici suoi; ma già sapevo ch’ero stato degradato dalla nobiltà e -spogliato di tutti i miei beni da Carlo I. - -«Ah! comprendo adesso perchè servite il signor Cromvello. Voi odiate il -re. - -«Sì, monsignore, io l’odio». - -Mazzarino stupì nel mirare l’espressione diabolica apparsa sul viso -al giovane mentre pronunciò queste parole; come i volti ordinarj si -colorano di sangue e si arrossano, così il suo colorandosi di fiele -diventò quasi livido. - -«È terribile la vostra storia, signor Mordaunt, e m’interessa -oltremodo; ma per vostra buona sorte voi servite un padrone -potentissimo. Esso deve ajutarvi nelle vostre indagini. Abbiamo tante -maniere d’informazioni noi altri! - -«Monsignore, a un buon cane da caccia basta mostrare il principio di -un’orma perchè arrivi di certo al fine della via. - -«Ma al congiunto del quale mi discorrevate, volete voi ch’io gli parli? -domandò Mazzarino a cui premeva di farsi un amico presso a Cromvello. - -«Grazie, Eccellenza, gli parlerò da per me. - -«Ma non diceste che vi trattava male? - -«Mi tratterà meglio alla prima volta che lo vedrò. - -«Avete dunque un mezzo d’intenerirlo? - -«Ho un mezzo di farmi temere». - -Il ministro guardava il giovane che così favellavagli, ma al lampo -che gli uscì dagli occhi egli abbassò la fronte, ed imbarazzato per -continuare una tal conversazione, aperse la lettera di Cromvello. - -A poco a poco si oscurarono di nuovo le pupille del messaggiero, ed -esso piombò in profonda meditazione. Mazzarino, dopo aver letti i primi -versi, si azzardò a guardare sott’occhi se Mordaunt stesse attento ai -cambiamenti della sua fisonomia, e vedutolo anzi indifferente, borbottò -stringendosi nelle spalle: - -«Oh! andate a far fare le vostre faccende da genti che nello stesso -tempo fan le loro proprie! Orsù, vediamo che si vuole da me con questo -foglio». - -Noi ne riproduciamo il tenore preciso: - - «A Sua Eccellenza il ministro signor Mazzarino. - - «Monsignore, - - «Io ho voluto conoscere le vostre intenzioni in proposito degli - affari attuali dell’Inghilterra. Troppo sono vicini i due regni - perchè la Francia non si occupi della nostra situazione, siccome - noi ci occupiamo di quella di lei. Gl’Inglesi sono quasi tutti - unanimi per combattere la tirannia del re Carlo e dei suoi - partigiani. Io, posto dalla pubblica fiducia alla testa di - questo movimento, ne apprezzo meglio di chiunque la natura e - le conseguenze. Oggi io fo la guerra, vo a dare una battaglia - decisiva al re Carlo. La vincerò, perocchè ho meco la speranza - della nazione e lo spirito del Signore. Vinta questa battaglia, - il re non ha più risorse in Inghilterra nè in Iscozia, e se non - è preso od ucciso, tenterà di passare in Francia onde reclutare - soldati e riprovvedersi di armi e danaro. La Francia ha digià - ricevuta la regina Enrichetta, e, senza dubbio involontariamente ha - mantenuto un fuoco inestinguibile di guerra civile nel mio paese; - ma Enrichetta è figlia della Francia, e dalla Francia le era dovuta - l’ospitalità. Per il re Carlo la questione cambia di aspetto: - accogliendolo e soccorrendolo, la Francia disapproverebbe gli atti - del popolo inglese, e nuocerebbe cotanto all’Inghilterra, ed in - particolare ai procedimenti del governo ch’essa vuol seguire, che - un tale stato sarebbe equivalente a ostilità manifeste. - -A questo punto Mazzarino, inquietissimo per l’andamento che prendeva la -missiva, cessò da capo di leggere e osservò alla sfuggita il Mordaunt. - -Questi stava tuttavia pensieroso, ond’egli seguitò: - - «È quindi urgente, monsignore, ch’io sappia quale idea farmi - delle vedute della Francia. Gl’interessi di questo regno e quei - dell’Inghilterra, sebbene diretti in senso inverso, sono fra loro - più collegati che non possa credersi. L’Inghilterra ha bisogno - di tranquillità interna per compiere l’espulsione del suo re; la - Francia ha bisogno di questa tranquillità per consolidare il trono - del suo giovane monarca. Voi avete d’uopo al pari di noi di quella - pace interiore a cui noi siamo prossimi mercè l’energia del nostro - governo. - - «Le vostre contese col parlamento, le clamorose vostre dissensioni - coi principj che oggi combattono per voi e domani contro voi - combatteranno, la tenacità popolare diretta dal coadjutore, dal - presidente Blancmesnil e dal consigliere Broussel; finalmente - tutto quel disordine che va percorrendo i diversi gradini dello - stato, deve farvi considerare con inquietudine l’eventualità di una - guerra estera, poichè allora l’Inghilterra agitata dall’entusiasmo - delle idee nuove farebbe alleanza colla Spagna che digià brama - questa unione. Io ho pensato adunque, monsignore, conoscendo la - vostra prudenza e la situazione individuale in cui vi pongono - oggi gli avvenimenti, che preferireste concentrare le vostre forze - nell’interno del regno di Francia, ed abbandonare alle sue proprie - il nuovo governo dell’Inghilterra. Questa neutralità consiste - soltanto ad allontanare il re Carlo dal territorio di Francia, e - non soccorrere nè con armi, nè con danari, nè con truppe, quel re - affatto straniero al vostro paese. - - «Così la mia lettera è del tutto confidenziale, e perciò ve la - spedisco per mezzo di un soggetto avente l’intima mia fiducia. Per - un sentimento che Vostra Eccellenza apprezzerà, essa precederà le - misure che io prenderò secondo le circostanze. Oliviero Cromvello - ha stimato che fosse meglio far intendere la ragione ad una - mente intelligente com’è quella di Mazzarino, che ad una regina, - certamente ammirabile per la sua fermezza, ma troppo sottomessa ai - vani pregiudizi della nascita e del regio diritto. - - «Addio, monsignore; se non ho risposta fra quindici giorni, terrò - questa mia come non avvenuta. - - «Oliviero Cromvello». - -«Signor Mordaunt, disse alzando la voce il ministro, quasi per destare -il gran meditatore, la mia risposta a questo dispaccio sarà tanto -più soddisfacente pel generale Cromvello quanto io sarò più sicuro -che non si sappia avergliela io data. Sicchè andate ad attenderla a -Boulogne-sur-mer, e promettetemi di partire domattina. - -«Ve lo prometto, monsignore; ma quanti giorni Vostra Eccellenza me la -farà attendere? - -«Se non l’avete ricevuta fra dieci giorni, potete partire». - -Mordaunt fece un inchino. - -«Questo non basta, continuò Mazzarino, le vostre particolari avventure -mi hanno interessato al sommo; inoltre il dispaccio del signor -Cromvello vi rende agli occhi miei importante come ambasciadore. Ditemi -pure, ve lo ripeto, che posso fare per voi?» - -Il giovane riflettè un momento, e dopo una visibilissima titubanza era -per aprir bocca e parlare, ma entrò colà precipitosamente Bernouin, e -chinatosi all’orecchio al ministro gli discorse piano. - -«Monsignore, gli disse, la regina Enrichetta accompagnata da un -gentiluomo inglese arriva in questo punto al palazzo reale». - -Mazzarino fece un balzo sulla seggiola, e questo osservato da Mordaunt -gli trattenne sul labbro la confidenza che a fare si accingeva. - -«Signore, disse il ministro, avete inteso, non è vero? io vi prefiggo -Boulogne, nell’idea che qualunque città di Francia vi sia indifferente; -se un’altra ne preferite, nominatela; ma comprenderete facilmente che -in mezzo a tante influenze alle quali non mi sottraggo se non a forza -di segretezza, desidero che non sia nota la vostra presenza in Parigi. - -«Partirò, Eccellenza, rispose Mordaunt, muovendo alcuni passi verso -l’uscio da cui era entrato. - -«Non di là, no! esclamò con impeto il Mazzarino, compiacetevi passare -da questa galleria da dove arriverete nell’atrio. Bramo che non siate -veduto ad uscire. Il nostro abboccamento deve rimaner segreto». - -Mordaunt andò con Bernouin, che lo fece passare in un salotto contiguo -e lo consegnò ad un usciere indicandogli la porta d’onde avesse da -andarsene. - -E Bernouin tornò in fretta dal suo padrone per introdurre presso di lui -la regina Enrichetta, che già traversava dalla galleria dei cristalli. - - - - -XLI. - -_Mazzarino ed Enrichetta._ - - -Il ministro si alzò e si fece sollecito a ricevere la regina -d’Inghilterra. La raggiunse in mezzo alla galleria che precedeva il -gabinetto. - -Ei dimostrava tanto maggior rispetto a quella sovrana senza seguito -nè vestiario di lusso, in quanto che aveva da farsi qualche rimprovero -sulla sua avarizia e sul suo cattivo cuore. - -Ma i supplicanti sanno forzare il proprio volto ad assumere qualunque -sembianza, e la figlia di Enrico IV sorrideva venendo dinanzi a colui -che abborriva e disprezzava. - -«Ah! fece tra sè Mazzarino, che viso dolce! venisse mai a chiedermi -danaro a prestito?» - -E diede un’occhiata di mal umore al suo forziere; tirò anche in -dentro il castone del magnifico diamante il di cui fulgore attraeva -gli sguardi sulla sua mano che d’altronde era bianca e ben fatta. -Disgraziatamente quell’anello non aveva la virtù di quello di Gygés che -rendeva il suo padrone invisibile quando faceva l’atto allora fatto da -Mazzarino. - -Ora, il ministro avrebbe bramato assai di essere invisibile in -quell’istante, giacchè indovinava ch’Enrichetta si recasse da lui a -domandargli qualche cosa: tosto che una regina da esso trattata tanto -male compariva col sorriso sul labbro, invece che in tuono minaccioso, -arrivava di certo a supplicare e non altro. - -«Signore, disse l’augusta visitante, sul primo avevo idea di ragionare -dell’affare che qui mi conduce colla regina mia sorella, ma ho -riflettuto che le faccende politiche riguardano innanzi a tutto gli -uomini. - -«Vostra Maestà creda pure, rispose il ministro, che ella mi confonde -con questa lusinghiera distinzione. - -«È assai grazioso, pensò la regina; che avesse capito tutto?» - -Erano nel gabinetto. Mazzarino fece sedere Enrichetta, e poi le disse: - -«Date gli ordini vostri al più rispettoso dei vostri servi. - -«Ohimè! ella replicò, ho perduta l’abitudine di dar ordini, e ho preso -quella di far delle preghiere. Ed una vengo ad avanzare a voi, ben -fortunata se può essere esaudita. - -«Vi ascolto, signora. - -«Si tratta della guerra che il re mio consorte sostiene contro i suoi -sudditi ribelli. Forse ignorate che in Inghilterra v’hanno continui -combattimenti, ed altri ve ne avranno tra poco, molto più decisivi che -sinora non fossero? - -«Lo ignoro del tutto. (Ed il ministro si stringeva nelle spalle nel -pronunziare queste parole) eh! le guerre nostre occupano abbastanza il -tempo e la mente di un povero ministro inetto ed infermo quale io sono. - -«Or bene, io dunque vi dirò che Carlo I mio sposo è alla vigilia -d’impegnare un’azione decisiva. In caso di perdita (Mazzarino fece un -movimento).... bisogna preveder tutto.... in caso di perdita, desidera -ritirarsi in Francia e viver quivi da semplice suddito. Che dite di tal -progetto?» - -Mazzarino aveva ascoltato senza che alcuna fibra del suo viso -manifestasse l’impressione ch’ei risentiva; intanto il suo sorriso si -manteneva al solito finto e carezzevole, ed allorchè Enrichetta ebbe -terminato, ei rispose con la voce più melliflua che potesse: - -«E credete, signora, che la Francia agitata e bollente com’è per sè -stessa, sia un porto di salvezza per un re balzato dal soglio? La -corona sta digià poco solida sulla testa al re Luigi XIV, come potrebbe -egli sopportare un duplice peso?... - -«Codesto peso non è stato molto grave in quanto concerne me, interruppe -Enrichetta, ed io non chiedo che pel mio consorte si faccia più di ciò -che per me fu fatto. Vedete che siamo re assai modesti! - -«Oh! voi, signora, si affrettò a soggiungere Mazzarino onde troncare -le spiegazioni che vedeva prossime, per voi è tutt’altro; una figlia di -Enrico IV, una figlia di quel re, grande, sublime.... - -«Lo che non v’impedisce di ricusare ospitalità al suo genero, non -è così? Eppure dovreste ricordarvi che quel re, grande, sublime, -proscritto un giorno secondo ora sarà il mio marito, andò a chiedere -soccorso all’Inghilterra, e questa glielo diede: vero è però che la -regina Elisabetta non era sua nepote. - -«Peccato! fece Mazzarino imbrogliato da quella logica sì semplice, -Vostra Maestà non mi capisce; giudica male le mie intenzioni, e senza -dubbio perchè mi spiego poco bene in francese. - -«Parlate in italiano. La regina Maria dei Medici nostra madre ne -insegnò quell’idioma innanzi che Richelieu vostro predecessore la -mandasse a morire nell’esiglio. Se alcun che è pur rimasto di quel -grande e sublime re Enrico del quale testè faceste menzione, oh! deve -meravigliare al sommo di codesta ammirazione profonda per lui congiunta -a così poca pietà per la sua famiglia». - -A Mazzarino colavano dalla fronte grosse goccie di sudore. - -«Anzi, signora, ripigliò senza accettare l’offerta della sovrana di -esprimersi in altra lingua, questa ammirazione è tanto grande e verace, -che se il re Carlo I, che Iddio lo salvi da ogni disgrazia! venisse in -Francia, io gli esibirei la mia casa, sì, la mia; ma ohimè! sarebbe un -ricovero poco sicuro. Un giorno o l’altro il popolo incendierà questa -abitazione come fece con quella del maresciallo d’Ancre. Povero Concino -Concini! eppure ei voleva soltanto il bene della Francia. - -«Sì, Eccellenza, come voi», fece ironicamente la regina. - -Mazzarino finse di non capire il doppio senso della frase detta da lui -stesso, e continuò a commiserare la sorte di Concino Concini. - -«Ma insomma, che mi rispondete? domandò Enrichetta impazientitasi. - -«Ah signora! egli esclamò più intenerito che mai, Vostra Maestà -mi permetterebbe di darle un consiglio? bene inteso che innanzi di -prendermi tanto ardire, comincio dal pormi ai piedi della Maestà Vostra -per ciò che a lei piaccia. - -«Dite pure; il consiglio di un uomo sì prudente come voi siete deve -essere indubitatamente buonissimo. - -«Credete a me, signora, il re deve difendersi sino alla fine. - -«Lo ha fatto, e quest’ultima battaglia che è per dare con mezzi di gran -lunga inferiori a quelli de’ suoi nemici, prova che non ha intenzione -di arrendersi senza aver pugnato; ma in conclusione, nel caso che fosse -vinto?... - -«In tal caso, so che ardisco di troppo esternando a Vostra Maestà la -mia opinione, ma io penso che il re non deve abbandonare il suo regno; -si dimenticano presto i re assenti: s’ei passa in Francia, è perduta la -sua causa. - -«Ma allora, se questo è il vostro parere, se veramente vi interessate -a lui, mandategli qualche soccorso in uomini e in danari, perchè io -nulla posso più fare a suo pro; per aiutarlo ho venduto sino all’ultimo -diamante che possedevo; nulla più mi rimane, e voi lo sapete meglio -di chiunque. Se mi fossero restate delle gioje, avrei col prodotto di -queste comperata la legna necessaria per riscaldar me e mia figlia in -questo inverno. - -«Ah! replicò il ministro, Vostra Maestà, non sa qual domanda mi faccia! -Dal giorno in cui un soccorso di esteri entra al servizio di un re onde -porlo nuovamente sul trono, si viene a riconoscere ch’ei non abbia più -ajuto nell’amore dei suoi sudditi. - -«Alla sostanza, signor Mazzarino, alla sostanza! disse la regina -infastidita di seguire quello spirito scaltrissimo nel laberinto di -parole fra cui si smarriva, rispondetemi o sì o no. Se il re persiste -a rimanere in Inghilterra, gli invierete dei soccorsi? se viene in -Francia, gli darete ospitalità? - -«Signora, conchiuse il ministro ostentando la maggiore franchezza, -spero mostrare adesso a Vostra Maestà quanta sia la mia devozione -per lei, e quanto io brami di terminare un affare che tanto le sta a -cuore; dopo di che, mi figuro che ella non dubiterà più del mio zelo a -servirla». - -Enrichetta si mordeva le labbra, e si agitava smaniosa sulla sedia -ov’era assisa. - -«Ebbene, che farete? sentiamo, parlate! - -«Vado immediatamente a consultare la regina su questa questione, e indi -rimetteremo subito la cosa al Parlamento. - -«Col quale voi siete in guerra, non è così? Incaricherete come relatore -Broussel? Eh basta, basta, signor mio! Vi comprendo, ed ho agito male. -Andate infatti al Parlamento, poichè da quel Parlamento nemico del re -sono venuti alla figlia del grande, del sublime Enrico IV, che tanto -ammirate, i soli sussidj che le abbiano impedito di morir di fame e di -freddo in questo inverno!» - -Ed Enrichetta si alzò in atto di maestosa indignazione. - -Il ministro stese le mani giunte verso di lei. - -«Ah signora! mio Dio, come poco mi conoscete!» - -Ma la regina, senza nemmeno voltarsi dalla parte di quello che spargeva -finte lacrime, s’incamminò sino all’uscio del gabinetto, lo aperse, ed -in mezzo alle numerose guardie dell’Eccellenza, ai cortigiani assidui -a farle la corte, al lusso di una regina rivale, andò a prendere per -mano di Winter, rimasto solo, in piedi ed isolato.... povera sovrana -ormai decaduta davanti alla quale tutti s’inchinavano ancora per mera -etichetta, ma che infatti non aveva più che un braccio su cui potesse -appoggiarsi. - -«Non importa, disse Mazzarino quando fu solo, mi ha dato non poco -tormento, e mi tocca una parte assai difficile.... Io però non ho detto -niente nè all’uno nè all’altra.... Uhm! il Cromvello è un terribile -cacciatore di re; compiango i suoi ministri, qualora arrivi mai a -prenderne.... Bernouin!» - -Comparve Bernouin. - -«Si veda subito se il giovane con il giubbetto nero e i capelli corti -che dianzi introduceste da me è tuttora in palazzo». - -Bernouin uscì. - -Mazzarino impiegò il tempo della sua assenza a girare di nuovo in fuori -il castone dell’anello, a stropicciare il brillante, ad ammirarne la -bellissima acqua, e siccome aveva ancora negli occhi una lagrima che -gli offuscava la vista, scosse il capo per farla cadere. - -Tornò Bernouin con Comminges ch’era di guardia. - -«Monsignore, disse quest’ultimo, mentre accompagnava il giovane di -cui Vostra Eccellenza fa ricerca, egli si è accostato alla porta coi -cristalli della galleria, ed ha guardato con meraviglia qualche cosa, -sicuramente il bel quadro di Raffaello che le sta dirimpetto: poi ha -pensato un poco, ed ha scesa la scala. Mi è sembrato di vederlo montare -sopra un cavallo grigio ed uscire dal cortile del palazzo. Ma Vostra -Eccellenza non va dalla regina? - -«A che fare? - -«Il signor di Guitaut, mio zio, mi ha detto adesso che Sua Maestà aveva -ricevuto notizie dall’armata. - -«Va bene, vado subito». - -Nell’istante capitò il signor di Villequier; veniva infatti a chiamare -il ministro a nome della regina. - -Comminges avea veduto bene, e Mordaunt aveva agito precisamente -com’egli raccontava. Traversando la galleria paralella a quella co’ -cristalli adocchiò di Winter, il quale attendeva ch’Enrichetta avesse -terminate le sue trattative. - -A tal vista Mordaunt si fermò ritto, non già ad osservare il quadro -di Raffaello, ma come affascinato dall’aspetto di un oggetto tremendo; -gli si dilatarono le pupille, gli corse un brivido in tutte le membra, -pareva che volesse penetrare fra quell’argine di vetro che lo separava -dal suo nemico, imperocchè se Comminges avesse abbadato all’espressione -di odio con cui il giovane fissava il ciglio sopra di Winter, di -leggieri si sarebbe accorto che quel signore inglese era suo mortale -nemico. - -Ma egli si fermò, e certamente per riflettere, poichè invece di -lasciarsi trasportare dal suo primo impulso, ch’era di andare -direttamente incontro a milord di Winter, scese lentamente la scala, -uscì dal palazzo a testa bassa, si pose in sella, si trasse col cavallo -sul canto della via Richelieu, ed ivi con gli occhi fissi sul cancello, -attese che dal cortile si partisse la carrozza della regina. - -Nè fu lunga la sua aspettativa, mentre Enrichetta erasi trattenuta -da Mazzarino appena un quarto d’ora; ma il quarto d’ora parve un -secolo a lui che aspettava. Finalmente la grave macchina che in allora -chiamavasi carrozza venne fuori con gran rumore, e di Winter sempre a -cavallo si chinò di nuovo allo sportello per discorrere con Sua Maestà. - -I cavalli si mossero di trotto, s’incamminarono al Louvre, ed ivi -entrarono. Innanzi di partirsi dal convento dei Carmelitani, Enrichetta -aveva detto alla sua figlia che venisse ad attenderla al palazzo, dove -aveva dimorato per molto tempo, e indi da lei abbandonato perchè la lor -miseria pareva ad esse più grave ancora nelle sue sale dorate. - -Mordaunt seguitò il cocchio, e quando lo ebbe veduto entrare sotto -l’arcata oscura, andò col suo corsiero ad accostarsi ad un muro su -cui stendevasi l’ombra, e restò immobile in mezzo alle modanature di -Giovanni Goujon, non dissimili da un bassorilievo che rappresenti una -statua equestre. - -Aspettava, conforme avea già fatto al palazzo reale. - - - - -XLII. - -_Come gl’infelici confondono talvolta il caso con la Provvidenza._ - - -«Ebbene, signora? domandò di Winter allorchè la regina ebbe licenziati -i servitori. - -«Ebbene, milord, accadde quel che avevo preveduto. - -«Ricusa? - -«Non ve lo avevo detto prima? - -«Il ministro ricusa di ricevere il re, la Francia ricusa ospitalità ad -un principe infelice? è questa la prima volta! - -«Non dissi la Francia, milord, dissi il ministro, ed il ministro non è -tampoco francese. - -«Ma la regina l’avete vista? - -«È inutile, rispose Enrichetta scuotendo mestamente la testa, non -dirà di sì la regina quando Mazzarino ha detto di no. Non sapete che -quell’italiano guida tutto, e nell’interno e fuori? V’è di più, ed io -ritorno a quel che vi ho avvertito: non mi sorprenderebbe che fossimo -stati prevenuti da Cromvello. Nel parlarmi egli era in sommo imbarazzo, -e nulladimeno saldo nella volontà di negar tutto. E poi, avete -osservato la grande agitazione al palazzo reale, l’andare e venire -di tanta gente affaccendata? Che avessero ricevuta qualche notizia, -milord? - -«Non certo d’Inghilterra, o signora; io ho operato con tal -sollecitudine da starmi sicuro di non essere stato prevenuto; sono -partito tre giorni fa, sono passato per miracolo in mezzo all’armata -puritana, ho presa la posta con Tony, mio lacchè, ed i cavalli che -abbiamo furono da noi comprati a Parigi. D’altronde son sicuro che -il re, avanti di arrischiar niente, attenderà la risposta di Vostra -Maestà. - -«Milord, replicò disperata la regina, voi gli riferirete che nulla io -posso fare, che ho sofferto al pari di lui e più; costretta qual sono a -mangiare il pane dell’esigilo e chiedere l’ospitalità a falsi amici che -si ridono delle mie lacrime, e che in quanto alla sua regia persona, -sarà d’uopo che si sacrifichi generosamente e muoja da re. Ed io ne -andrò a morire al di lui fianco. - -«Signora, signora! esclamò di Winter, Vostra Maestà si abbandona allo -scoraggiamento, e forse ancor ci rimane qualche lusinga. - -«Non più amici, milord! non più amici nel mondo intero, fuori che -voi.... Mio Dio, mio Dio! gridò Enrichetta alzando le braccia verso -il cielo, ritraeste a voi tutti i cuori generosi ch’esistevano sulla -terra! - -«Io spero di no...., seguitò di Winter pensoso, vi ho parlato di -quattro uomini. - -«Che volete fare con quattro uomini? - -«Quattro pieni di zelo, quattro pronti a morire, possono molto, -signora, e quelli di che io vi discorro fecero molto in un certo tempo. - -«E dove son essi? - -«Ah! questo è quello che non so. Da quasi venti anni gli ho perduti di -vista; eppure in tutte le occasioni in cui ho veduto il re in pericolo -ho ripensato a loro. - -«Ed erano vostri amici? - -«Uno di essi ebbe tra le sue mani la mia vita, e me la rese; ignoro se -sia rimasto mio amico, ma io almeno da quell’epoca sono restato amico -suo. - -«E sono in Francia coloro? - -«Così credo. - -«Ditene i nomi! forse gli avrò intesi menzionare, e potrò ajutarvi -nelle vostre ricerche. - -«Uno chiamavasi cavaliere d’Artagnan. - -«Oh milord! se non m’inganno, quel cavaliere d’Artagnan è tenente delle -guardie.... ho udito, sì, nominarlo.... ma badate.... quegli mi fa -paura, è tutto del ministro. - -«Allora poi, fece di Winter, sarebbe l’ultima sciagura, e comincierei a -credere che avessimo davvero la maledizione addosso. - -«Ma gli altri, gli altri! continuò la regina che si afferrava a -quest’ultima speme come un naufrago ai rottami della nave, gli altri, -gli altri! - -«Il secondo.... lo seppi per caso, giacchè innanzi di battersi contro a -noi i gentiluomini ci avevano dato i loro nomi, il secondo era il conte -di la Fère... Per i due rimanenti, l’abitudine che avevo a chiamarli -con nomi posticci mi fece dimenticare quelli veri. - -«Ohimè! e sarebbe però urgente di ritrovarli, soggiunse la regina, -poichè stimate che quei degni gentiluomini possano essere tanto utili -al re! - -«Oh sì, signora! perchè sono quegli stessi, ascoltatemi bene e -riproducetevi tutte le vostre rimembranze. Non vi fu narrato come la -regina Anna fosse in addietro salvata dal maggior periglio a cui mai si -esponesse una sovrana? - -«Sì, a tempo de’ suoi amori con Buckingham, e non so per quale -scrignetto di gioje. - -«Appunto, appunto.... coloro sono quegli stessi che la salvarono, ed -in me muove un sorriso di pietà il pensare che se i lor nomi noti non -sono a voi, o signora, egli è perchè Anna li dimenticò, mentre avrebbe -dovuto farli primi signori del suo reame. - -«Or dunque, milord, è d’uopo rintracciarli; ma che potranno fare -quattro uomini, o piuttosto tre, poichè ve lo dico, non dobbiamo -contare sopra d’Artagnan. - -«Sarebbe una buona spada di meno, non lo nego, ma ne resterebbero -sempre tre altre, senza far caso della mia; e quattro zelanti attorno -al re a guardarlo da’ suoi nemici, ad assisterlo in battaglia, ad -ajutarlo in consiglio, a scortarlo nella fuga, sarebbero bastanti, non -per rendere vincitore il re, ma per salvarlo se fosse vinto, per dargli -mano a tragittare il mare; e, per quanto ne dica Mazzarino, il vostro -regio sposo, giunto una volta sulle coste di Francia, vi troverebbe -asili e ricoveri quanti ne trova l’augello marino in tempo di procella. - -«Milord, cercate, cercate quei gentiluomini, e se li rinvenite, e se -aderiscono a recarsi con voi in Inghilterra, io darò a ciascuno di -essi un Ducato nel giorno in cui ascenderemo nuovamente sul trono, -ed inoltre tant’oro quanto ne occorrerebbe a rifare il pavimento del -castello di White-Hall. Oh, cercate, milord! cercate! ve ne scongiuro. - -«E lo farei, signora, e di sicuro li rinverrei, ma mi manca il tempo. -Si è forse scordata Vostra Maestà che il re attende, e nella massima -angoscia, la sua risposta? - -«Allora siamo perduti! esclamò la regina in tutto lo sfogo di un cuore -squarciato». - -Nel momento fu aperto l’uscio; comparve la giovane Enrichetta, e la -regina, con quella forza sublime che è tutto l’eroismo delle madri -si rimandò in fondo al petto le lacrime facendo cenno a di Winter di -cambiar discorso. - -Quella variazione però, comunque fatta abilmente, non isfuggì alla -principessina; essa si fermò sulla soglia, e dando un sospiro, domandò: - -«Madre mia, e perchè sempre piangete senza di me?» - -La genitrice sorrise, e invece di risponderle disse: - -«A voi, di Winter, almeno ad esser regina soltanto per metà ha -guadagnato qualche cosa, cioè che i miei figli mi chiamino _madre mia_ -anzi che dirmi _signora_». - -E voltasi alla fanciulla: - -«Che volete, Enrichetta? - -«Entra ora appunto al Louvre un cavaliero, e chiede di presentare -i suoi ossequj a Vostra Maestà; viene dall’armata, e dice avere una -lettera da consegnarvi, se non isbaglio, per parte del maresciallo di -Grammont. - -«Ah! fece la regina indirizzandosi a di Winter, è uno dei miei fidi.... -Ma non osservate, caro lord, che stiamo tanto meschinamente riguardo a -servitù, che la mia figliuola adempie le funzioni d’introduttrice? - -«Signora! disse di Winter, abbiate pietà di me, voi mi straziate -l’anima! - -«E chi è quel cavaliero, Enrichetta? - -«L’ho veduto dal balcone; è un giovane che mostra avere appena sedici -anni, chiamato visconte di Bragelonne». - -La regina fe’ un cenno col capo, la principessa riaprì la porta, e -presentossi Raolo. - -Il quale mossi tre passi verso la sovrana, s’inginocchiò dicendo: - -«Io reco a Vostra Maestà una lettera del mio amico signor conte di -Guiche, che mi ha detto aver l’onore di essere fra i vostri servi; -questa contiene una importante notizia e le proteste del suo rispetto». - -Al nome del conte di Guiche si copersero di rossore le guancie della -giovinetta; la genitrice la guardò in atto alquanto severo. - -«Ma Enrichetta, ella le disse, mi avete riferito essere la lettera del -maresciallo di Grammont. - -«Così credevo, signora, quella balbettò. - -«È mia la colpa, replicò Raolo, difatti io mi annunziai come venuto per -incarico del maresciallo; ma egli ferito nel braccio diritto, non fu in -grado di scrivere, ed il conte di Guiche gli fece da segretario. - -«Vi è stata dunque battaglia? chiese la regina indicando a Bragelonne -con un gesto di alzarsi. - -«Sì signora», costui rispose. - -E diè il foglio a di Winter, che già avanzatosi a riceverlo lo -trasmetteva alla sovrana. - -Alla nuova di un combattimento la giovane principessa schiuse il labbro -per fare una domanda che senza dubbio la interessava, ma non proferì un -accento, e le belle rose venutele dapprima sul volto a grado a grado si -dileguarono. - -La regina osservò tutti quei moti, e convien dire che il materno suo -cuore li traducesse in parole, poichè interrogò così Raolo: - -«E non è accaduto alcun danno al contino di Guiche? chè non solo è fra’ -nostri servi, conforme vi disse, ma è ancora nostro amico. - -«No signora, al contrario, si è acquistata in questa giornata -grandissima gloria, ed ha avuto l’onore di ricevere un solenne -abbraccio dal signor Principe sul campo di battaglia». - -La principessina battè palma a palma, ma indi vergognandosi di essersi -portata a tale dimostrazione di allegrezza si girò verso un vaso di -fiori, e si chinò come a respirarne la fragranza. - -«Si veda cosa ci partecipa il conte, disse la regina. - -«Ho prevenuta Vostra Maestà ch’egli scriveva in nome di suo padre, fece -Raolo. - -«È vero, ella replicò». - -E disigillò il piego. - - «Mia signora e regina. - - «Non potendo aver l’onore di scrivervi da per me, per ragione di - una ferita statami fatta al braccio destro, vi supplisco per mano - di mio figlio, conte di Guiche, che voi conoscete esser vostro - servo pari di me, onde annunziarvi che abbiamo vinta la battaglia - di Lens, e che questa vittoria non potrà a meno di dar molto potere - al ministro Mazzarino ed alla regina sugli affari dell’Europa. - Vostra Maestà, adunque, ove le piaccia attenersi al mio consiglio, - approfitti del momento per insistere in favore del suo augusto - sposo presso al governo del re. Il signor di Bragelonne, che - avrà l’onore di consegnarvi il presente dispaccio, è amico di mio - figlio, a cui secondo ogni probabilità ha egli salvata la vita; - è un gentiluomo, al quale la Maestà Vostra può totalmente fidarsi - in caso che avesse da farmi pervenire qualche ordine verbale o in - iscritto. - - «Mi rassegno rispettosamente, ec. - - «Maresciallo di Grammont». - -Nel punto in cui si trattava del servigio renduto al conte, Raolo -non aveva potuto astenersi dal volgere la testa verso la giovane -principessa, e per sè stesso avea visto passare nei di lei occhi -un’espressione d’immensa gratitudine. Non v’era dunque più dubbio, la -figlia del re Carlo I amava l’amico di lui. - -«Vinta la battaglia di Lens! disse la regina, son fortunati, qui; -vincono delle battaglie!... Sì, il maresciallo di Grammont ha ragione, -con ciò cangieranno aspetto i loro affari; ma io temo che non faccia -niente ai nostri, se pure non nuoce. Questa nuova è recente, vi sono -grata, signore, di avermela recata con tal sollecitudine; senza di voi, -senza la lettera, non l’avrei saputa che domani, domani l’altro, forse -l’ultima in tutta Parigi. - -«Signora, rispose Raolo, il Louvre è il secondo palazzo ove sia giunta -la notizia; nessuno la conosce ancora, ed io aveva giurato al signor -conte di Guiche di consegnare il plico a Vostra Maestà anche innanzi di -avere abbracciato il mio tutore. - -«Il vostro tutore è come voi un Bragelonne? domandò lord di Winter; io -conobbi in passato un Bragelonne: vive egli sempre? - -«No signore, è morto, e da lui il mio tutore di cui era prossimo -parente, a quanto io creda, ha ereditata quella tenuta della quale -porto il nome. - -«E il vostro tutore, interrogò la regina, non potendo a meno di -interessarsi a quel bel giovane, come si chiama? - -«Conte di la Fère, replicò questi». - -Di Winter fece un atto di sorpresa; la sovrana lo guardò, lieta oltre -ogni segno. - -«Il conte di la Fère! essa esclamò, non diceste così?» - -Di Winter non poteva dar fede a ciò che aveva udito. - -«Il conte di la Fère! ripetè egli pure, ve ne prego, ditemi, il -conte di la Fère non è un signore ch’io conobbi bello e prode, che -fu moschettiere di Luigi XIII, e può avere adesso quarantasette o -quarantotto anni? - -«Sì signore, precisamente. - -«E che serviva sotto un nome da lui assunto.... - -«Sotto nome di Athos. Anche ultimamente intesi il suo amico signor -d’Artagnan a chiamarlo in tal guisa. - -«Appunto, signora, appunto! seguitò il conte. Ah sia lodato Iddio!... -Ed è in Parigi? (richiese a Raolo).... Sperate, sperate ancora! (disse -ad Enrichetta) la Provvidenza si manifesta a favor nostro, poichè fa -ch’io ritrovi questo prode gentiluomo in modo tanto miracoloso. E dove -abita, signore? dove abita, di grazia? - -«Il signor conte di la Fère è alloggiato in via Guénégaud, all’albergo -del gran re Carlomagno. - -«Grazie.... Prevenite il mio degno amico acciò rimanga nelle sue -stanze.... tra poco andrò ad abbracciarlo. - -«Obbedisco con sommo piacere, se Sua Maestà si degna licenziarmi. - -«Andate, signor visconte di Bragelonne, disse la regina, e siate certo -di tutto il nostro affetto». - -Raolo, riverite ossequiosamente le due principesse, salutò di Winter e -partì. - -Questo e la regina continuarono a discorrere qualche tempo sotto voce -acciò la principessa non li udisse; ma la precauzione era superflua, -dacchè essa era tutta occupata dei propri pensieri. - -Indi, mentre di Winter si accingeva a tor commiato, la regina gli disse: - -«Milord, ascoltate: io aveva conservato questa croce di diamanti -venutami da mia madre, e questa placca di S. Michele avuta dal mio -sposo; valgono circa cinquanta mila lire. Avevo giurato di morir -di fame con questi preziosi ricordi prima che disfarmene; ma oggi -che possono esser utili a lui od a’ suoi difensori, tutto devesi -sacrificare a tale speranza. Prendeteli, e se bisogna danaro per la -vostra impresa, vendeteli liberamente; bensì, se trovate mezzo di -serbarli, pensate, milord, ch’io lo terrò come il servigio più grande -che render possa un gentiluomo ad una regina, e nei giorni di mia -prosperità quegli che mi riporti e la placca e la croce sarà benedetto -da me e da’ miei figli. - -«Signora, soggiunse di Winter, Vostra Maestà sarà servita da un uomo a -lei devoto. Io corro a depositare in luogo sicuro questi due oggetti, -i quali non accetterei se ci restassero risorse delle antiche nostre -fortune; ma i nostri beni sono confiscati, esausto il contante, e -siamo arrivati noi pure a trar costrutto da tutto ciò che possediamo. -Fra un’ora vo dal conte di la Fère, e domani Vostra Maestà avrà una -risposta definitiva». - -La regina porse la mano a di Winter, che la baciò rispettosamente, ed -accennando la figliuola, seguitò: - -«Milord, eravate incaricato di consegnare a questa fanciulla qualche -cosa da parte di suo padre». - -Di Winter rimase attonito: non sapeva che si volesse dirgli. - -Allora la giovane Enrichetta si avanzò sorridendo, eppure arrossendo, e -porse la fronte al gentiluomo. - -«Dite a mio padre che re o fuggiasco, vincitore o vinto, possente o -misero, proferì la principessina, ha in me la figlia più sommessa ed -amorosa. - -«Lo so, lo so», rispose di Winter toccando con le labbra la fronte ad -Enrichetta. - -Poi se ne andò senza che alcuno lo accompagnasse, traversando i vasti -appartamenti bui e deserti, ed asciugandosi le lacrime, che sebbene -divenuto indifferente mediante i cinquanta anni vissuti in corte, non -poteva a meno di spargere al mirare quel regio infortunio a un tempo -stesso sì profondo e dignitoso. - - - - -XLIII. - -_Zio e nepote._ - - -Lord di Winter era aspettato al portone dal lacchè e dal cavallo. -S’incamminò alla propria dimora, pensoso e guardandosi dietro tratto -tratto a contemplare la nera e silenziosa facciata del Louvre. Allora -fu che vide un cavaliere distaccarsi, per così dire, dal muro, e -seguitar lui a qualche distanza, e si rammentò di aver osservato -nell’uscir dal palazzo reale un’ombra a un dipresso consimile. - -Il servo di lord Winter, ch’era a tergo a questo di pochi passi, -esaminava esso pure inquietissimo il cavaliero. - -«Tony! chiamò il gentiluomo accennando al domestico di avvicinarsi. - -«Eccomi, monsignore». - -E il domestico si pose accanto al padrone. - -«Avete badato a colui che ci seguita? - -«Sì, milord. - -«E chi è? - -«Non lo so; ma viene appresso a Vostra Grazia sino dal Palazzo Reale, -si è fermato al Louvre per attendere ch’ella uscisse, ed al Louvre si è -mosso nuovamente con lei. - -«Qualche spione del ministro! fece tra sè di Winter, fingiamo non -accorgerci della sua sorveglianza». - -E dato di sprone s’inoltrò nel laberinto di strade che conducevano -al suo palazzo situato dalla parte del Marais; avendo abitato lungo -tempo sulla piazza Reale, era tornato naturalmente ad alloggiarsi in -prossimità dell’antica sua dimora. - -L’incognito spinse al galoppo il suo cavallo. - -Di Winter smontò all’albergo, e salì al suo quartiere, proponendosi -di far osservare quella spia con ogni premura. Ma intanto che posava -i guanti e il cappello sul tavolino, vide ad uno specchio che aveva -dinanzi una figura che compariva sulla soglia della camera. - -Si volse: gli stava davanti Mordaunt. - -Di Winter impallidì e restò immobile. - -Mordaunt rimaneva sull’uscio, freddo, minaccioso, e simile alla statua -del Commendatore. - -Fuvvi un momento di silenzio fra i due individui. - -«Signore, disse poscia di Winter, credevo avervi digià fatto intendere -ch’ero stanco di codesta persecuzione. Ritiratevi, o chiamerò gente per -farvi cacciar via come a Londra. Non sono vostro zio, non vi conosco! - -«Zio mio, rispose Mordaunt con la sua voce solita rauca e -dileggiatrice, v’ingannate; questa volta non mi farete scacciare come -a Londra; no, non vi ci ardirete. In quanto al negare ch’io sia vostro -nepote, ci penserete ben bene, or che ho sapute molte cose che ignoravo -un anno addietro. - -«E che mi cale di ciò che avete saputo? - -«Vi cale, vi cale assai, zio mio, ne son certo; e ora sarete del mio -parere (aggiunse il giovane con un sorriso che fece passare il brivido -nelle vene di quello a cui era diretto). Quando mi presentai da voi in -Londra la prima volta, era per domandarvi che fosse avvenuto de’ miei -beni; quando mi presentai la seconda, era per domandarvi da chi mai -fosse stato denigrato, avvilito il mio nome. Oggi vengo per farvi una -richiesta molto più terribile di tutte quelle, per dirvi, siccome disse -Iddio al primo omicida: — Caino, che facesti del fratel tuo Abele? — -Milord, che faceste di vostra sorella, di vostra sorella ch’era mia -madre?» - -Di Winter retrocedè atterrito dal fuoco che brillava negli occhi del -giovane. - -«Di vostra madre! - -«Sì, di mia madre, milord.....» - -E Mordaunt così rispondendo scuoteva la testa. - -L’altro fece uno sforzo, e immergendosi nelle sue rimembranze come per -attingere in esse un odio nuovo esclamò: - -«Cercate che fu di lei, e domandatene all’inferno; l’inferno forse vi -risponderà». - -Mordaunt si avanzò nella stanza sino a trovarsi faccia a faccia con -lord di Winter, ed incrociate le braccia, in tuono truce, livido il -volto per ira ed affanno, gli disse: - -«Io ne ho chiesto al boja di Bethune, e il boja mi ha risposto». - -Di Winter cadde sopra una sedia come colpito da un fulmine, ed invano -tentò di parlare. - -«Sì! non è vero? proseguì il giovane, con queste parole tutto si -spiega, con questa chiave si apre l’abisso. La mia genitrice aveva -ereditato dal suo consorte, e voi, la mia genitrice, assassinaste! Il -mio nome mi assicurava il patrimonio paterno, e voi del nome mio mi -degradaste. E poi mi spogliaste de’ miei beni. Ora non più stupisco che -non mi riconosciate, non più stupisco che ricusiate riconoscermi! Mal -si addice chiamar nepote, quando uno è ladro infame, l’uomo che si rese -povero, quando uno è omicida, l’uomo che si rese orfano!» - -Questi detti produssero l’effetto contrario a quello atteso da -Mordaunt. Di Winter si ricordò qual mostro fosse milady. Surse quieto -e grave frenando quasi col suo sguardo severo lo sguardo infiammato del -figlio di milady. - -«Volete, ei disse, penetrare questo orribile arcano? Or bene! sia -pure. Sappiate adunque qual’era la donna di cui oggi venite a chiedermi -ragione: essa, secondo ogni probabilità, aveva avvelenato mio fratello, -e per aversi la mia eredità si accingeva ad assassinar me. Io ne ho la -prova. A ciò che direte? - -«Dirò ch’era mia madre! - -«Ella fece trafiggere da un uomo, stato in prima giusto, buono, puro, -l’infelice duca di Buckingham. Che direte di questo delitto? io ne ho -la prova! - -«Era mia madre! - -«Reduce in Francia, avvelenò nel convento degli Agostiniani di -Bethune una giovane donna amata da un di lei nemico. Questo delitto vi -persuaderà che giusto fosse il gastigo? e di questo io ho la prova! - -«Era mia madre! ripetè Mordaunt, che alle sue tre esclamazioni aveva -data una forza sempre progressiva. - -«Finalmente sozza di uccisioni, di crapula, a tutti odiosa, minacciante -tuttavia come una pantera sitibonda di sangue, soccombè sotto i colpi -di uomini che avea ridotti alla disperazione e che mai non le avevano -recato il menomo danno; trovò dei giudici, che contro lei richiamarono -gli esecrandi suoi attentati; e quel carnefice che voi vedeste, quel -carnefice che tutto vi narrò, deve avervi pur detto ch’egli stesso -balzava di gioja nel vendicare su di lei il vituperio ed il suicidio -di suo fratello. Zitella corrotta, moglie adultera, sorella snaturata, -omicida, avvelenatrice, orribile a tutti quanti conosciuta l’avevano, a -tutte le nazioni che l’avevano accolta nel lor seno, morì maledetta dal -cielo e dalla terra.... Ecco, ecco qual’era quella donna!» - -Un violento singulto più forte che la volontà di Mordaunt straziò a -questo la gola e gli rimandò il sangue sul pallido volto; strinse egli -le pugna, e con la guancia molle di sudore, e i capelli irti sulla -fronte come quelli di Amleto, ei gridò furibondo: - -«Tacete! era mia madre! i suoi disordini non mi son noti; i suoi vizj -non mi son noti; i suoi delitti non mi son noti! Ma quel ch’io so, è -che avevo una madre, è che uomini uniti in lega contro una donna la -uccisero clandestinamente, crudelmente, da vili, da vili! quel ch’io -so, è che fra costoro eravate ancor voi, signore! voi, mio zio, e -che diceste al pari degli altri, e più forte degli altri: — È d’uopo -ch’ella muoja! — E quindi ve ne avverto, e date ascolto a queste -parole, e vi si scolpiscano nella memoria in guisa che giammai non le -obbliate: l’assassinio che tutto mi tolse, l’assassinio che mi privò -del mio nome, l’assassinio che m’impoverì, l’assassinio che mi rese -depravato, malvagio, implacabile, di questo assassinio vi chiederò -ragione, prima a voi, e poi a quelli che furon vostri complici, quando -io venga a conoscerli». - -Con l’odio nelle pupille, la spuma sulla bocca, il pugno teso, Mordaunt -aveva mosso un passo di più, passo terribile, passo minaccioso incontro -a di Winter. - -Questi diè mano alla spada, e disse col sogghigno proprio di un uomo -che da trent’anni già scherzi con la morte: - -«Signore, volete assassinarmi? allora vi riconoscerò per mio nepote, -perocchè siete veramente figlio di vostra madre. - -«No! ribattè Mordaunt, e sforzava a frenarsi e a tornare nel loro stato -naturale tutte le fibre del volto, tutti i muscoli del corpo, no! non -vi ucciderò, almeno pel momento, perchè senza di voi non iscuoprirei -gli altri; ma quando noti essi mi siano, oh tremate! io trafissi -col mio pugnale il boja di Bethune; senza pietà lo trafissi, senza -misericordia, ed egli fra tutti era il meno colpevole». - -Ciò detto, il giovanetto uscì e scese la scala con calma bastante per -non essere osservato; indi sul pianerottolo d’abbasso passò davanti -a Tony, che chinato sulla branca non aspettava se non un grido del -padrone per correr su da lui. - -Ma di Winter non chiamò; oppresso, abbattuto, restò in piedi, porgendo -l’orecchio.... e soltanto quando ebbe inteso allontanarsi il cavallo -cadde sopra una sedia dicendo: - -«Mio Dio! vi ringrazio.... deh! non conosca egli mai altri che me!» - - - - -XLIV. - -_Paternità._ - - -Mentre aveva luogo presso lord di Winter la scena tremenda, Athos -assiso accanto alla finestra della sua camera, appoggiando il gomito -sul tavolino e sulla mano la testa, ascoltava, quasi diremmo con le -orecchie e cogli occhi, Raolo che gli narrava le avventure del suo -viaggio e i dettagli della battaglia. - -Il bello e nobile viso del gentiluomo esprimeva indicibile contento al -racconto di quelle prime pure e fresche emozioni; traeva a sè fin anco -i suoni di quella voce giovanile che gli si appassionava pei sentimenti -elevati e grandiosi, siccome suolsi ad una musica armoniosissima. -Dimenticato egli aveva quanto di oscuro era nel passato e nuvoloso -nell’avvenire. Pareva che il ritorno di quel fanciullo prediletto -avesse persino convertiti i suoi timori in speranze. Athos era pago, -più pago che non fosse stato giammai. - -«Ed assisteste, e prendeste parte alla grande battaglia, Bragelonne? -domandava l’antico moschettiere. - -«Sì, signore. - -«E fu terribile, mi dite? - -«Il signor Principe caricò in persona undici volte. - -«È un gran guerriero! - -«È un eroe! non l’ho perduto un momento di vista... Bella cosa, o -signore, è il chiamarsi Condé e portar così un tal nome! - -«Quieto e brillante, non è vero? - -«Quieto come alla parata, brillante come in una festa. Quando andammo -incontro al nemico movevamo di passo; ci era vietato d’essere i primi -a tirare, e marciavamo col moschetto posato sulla coscia verso gli -Spagnuoli che stavano sopra un’altura. Arrivati a distanza da loro -di trenta passi, il principe si volse ai suoi soldati. «Figliuoli, -disse, avrete da soffrire una scarica terribile, ma poi, non dubitate, -vi rifarete facilmente su coloro». Era tale il silenzio, che amici e -nemici udivano quei di lui detti. Indi alzata la spada gridò: «Suonate, -trombe!» - -«Bene! bene! all’occasione fareste altrettanto, eh, Raolo? - -«Ah! ne dubito, perchè a me quei tratti parvero assolutamente -magnifici. Giunti a minor distanza forse di un terzo, mirammo tutti -i moschetti abbassarsi come una sola linea splendentissima, giacchè -il sole ne faceva rilucere le canne. Ed il principe disse: «Al passo, -figliuoli! ecco il momento. - -«Raolo, aveste paura? chiese il conte. - -«Sì signore, rispose ingenuamente il giovanetto, mi sentii come un gran -freddo al cuore, e alla parola: «Fuoco!» che eccheggiò in spagnuolo tra -le file nemiche, chiusi gli occhi e pensai a voi. - -«Davvero? disse Athos stringendogli la destra. - -«Oh sì! nell’istante medesimo furono tali spari che si sarebbe creduto -fosse il cielo per aprirsi, e quei che non restarono uccisi, oh! -sentirono il calore della fiamma. Io schiusi il ciglio, meravigliando -di non essere estinto o per lo meno ferito; un terzo dello squadrone -giaceva al suolo mutilato e insanguinato. In quel punto incontrai -le pupille del principe, e non badai che a una cosa, cioè ch’ei mi -guardava. Diedi di sprone, e mi trovai framezzo ai nemici. - -«E Sua Altezza fu contenta di voi? - -«Così almeno mi disse, quando m’incaricò di accompagnare a Parigi il -signor di Chatillon, ch’è venuto a dar questa notizia alla regina e -portare le bandiere grigie. «Andate, mi diceva il prence, il nemico -non si sarà riunito per una quindicina di giorni, e sino allora non -ho bisogno di voi; andate ad abbracciare quelli che vi amano, e dite a -mia sorella di Longueville che la ringrazio del regalo da lei fattomi -dandovi a me». Ed io (seguitava Raolo volgendo sul conte un sorriso -di amore profondo) sono venuto, nella certezza che a voi fosse caro di -rivedermi». - -Athos si trasse vicino il garzoncello, e lo baciò in fronte siccome -avrebbe fatto ad una fanciulla. - -«Sicchè, Raolo mio, eccovi digià slanciato; avete amici dei duchi, -compare un maresciallo di Francia, capitano un principe del sangue, in -una stessa giornata di ritorno siete stato ricevuto da due regine: è un -bel fare per un novizio! - -«Ah! appunto, aggiunse Bragelonne ad un tratto, mi rammentate una cosa -di cui mi scordava: che presso Sua Maestà la regina d’Inghilterra si -trovava un gentiluomo, il quale quando io proferii il vostro nome mandò -un grido di sorpresa e di gioja; si diede per vostro amico, mi domandò -il vostro indirizzo, e tra poco verrà a vedervi. - -«Come si chiama? - -«Non ho osato ricercarglielo; ma quantunque si esprima con eleganza, -dalla pronunzia l’ho giudicato per inglese. - -«Ah! disse Athos». - -E chinò il capo quasi volesse riprodursi qualche rimembranza. Indi -allorchè lo alzò nuovamente lo sorprese la presenza di un uomo che -ritto davanti all’uscio mezz’aperto lo esaminava con molta commozione. - -«Lord di Winter! esclamò il conte. - -«Athos! mio caro Athos!» - -E i due gentiluomini stettero alquanto abbracciati; dopo di che Athos -prese ambe le mani a di Winter, gli disse: - -«Che avete milord? sembrate tanto afflitto quanto io sono lieto. - -«Sì, amico, è vero; e dirò anche di più: che il vostro aspetto accresce -il mio timore». - -Di Winter si osservava d’intorno, come per cercare la solitudine. -Bragelonne capì che i due avevano da discorrere, ed uscì senza mostrare -di mettervi importanza. - -«Orsù, cominciò Athos, adesso che siam soli, parliamo di voi. - -«Mentre siam soli, parliamo di noi, rispose di Winter. Egli è qui. - -«Chi mai? - -«Il figlio di milady». - -Athos colpito anche una volta da quel nome che sembrava lo -perseguitasse come un eco funesto, esitò un poco, inarcò le ciglia, ed -in tuono di tutta calma pronunciò: - -«Lo so. - -«Lo sapete? - -«Sì: Grimaud lo ha incontrato fra Bethune ed Arras, ed è corso a -briglia sciolta ad avvertirmi della sua venuta. - -«Grimaud dunque lo conosceva? - -«No, ma ha assistito al letto di morte uno che lo conosceva. - -«Il carnefice di Bethune! gridò di Winter. - -«Lo sapete? esclamò attonito Athos. - -«Mi ha lasciato adesso, mi ha detto tutto.... ah, che scena orribile! -Perchè non annientammo con la madre il figliuolo!» - -Athos al pari di tutte le indoli nobilissime non rendeva altrui le -spiacevoli impressioni che riceveva; ma all’incontro le assorbiva -sempre in sè stesso, ed invece di esse rimandava speranze e -consolazioni. Avreste detto che i suoi particolari affanni gli -uscissero dall’anima trasformati in contento per gli altri. - -«Di che paventate? chiese poi superando mediante la ragione il terrore -d’istinto provato dapprima, non siamo qua per difenderci? Quel giovine -si è forse fatto assassino di mestiere, omicida a sangue freddo? Può -aver ucciso il boja di Bethune in un moto di rabbia, ma ormai è sazio -il suo furore». - -Di Winter con un mesto sorriso scuoteva la testa. - -«Voi dunque non conoscete più quel sangue? - -«Oibò! replicò Athos procurando parer tranquillo, avrà perduta la -sua ferocia alla seconda generazione. D’altronde la Provvidenza ci ha -prevenuti onde siamo guardinghi. Null’altro possiam fare che attendere; -si attenda. Ma come poc’anzi io diceva, discorriamo di voi. Qual motivo -vi conduce a Parigi? - -«Affari importanti di che in breve sarete sciente. Ma che mai ho inteso -da Sua Maestà la regina d’Inghilterra? D’Artagnan è del Mazzarino? -Perdonate la mia franchezza, io non odio nè amo il ministro, e le -vostre opinioni mi saranno sempre sacre. Sareste voi per caso dedito a -colui? - -«D’Artagnan è al servizio, rispose Athos, è soldato, ed obbedisce al -potere costituito. D’Artagnan non è ricco, e per vivere ha d’uopo del -suo grado di tenente. Milord, in Francia sono rari i milionarj come -voi! - -«Ahimè! replicò di Winter, oggi io sono tanto povero e più ancora che -lui... Ma torniamo a voi. - -«Ebbene, volete sapere se io sono del Mazzarino? No, no, le mille -volte! Scusate voi pure o milord, la mia franchezza». - -Di Winter si alzò e si strinse al seno l’amico. - -«Oh! disse, grazie conte! grazie di sì fausta notizia. Eccomi, -mi vedete or contento e ringiovanito.... Non siete del Mazzarino? -benissimo. E poi, non poteva mai essere.... Ma compatite ancora; siete -libero? - -«Che intendereste per libero? - -«Domando se non siete ammogliato. - -«Oh! per questo poi no». - -Ed Athos sorrideva. - -«È che quel giovanetto, sì bello, gentile, grazioso... - -«È un fanciullo ch’io educo, e che neppur conosce suo padre. - -«Ottimamente; siete sempre lo stesso, grande e generoso. - -«Orsù, milord, che mi richiedete? - -«Avete tuttora amici i signori Porthos ed Aramis? - -«E aggiungete d’Artagnan. Siamo tutti e quattro affezionati -scambievolmente come in passato; ma quando si tratta di servire il -ministro o di batterlo, d’esser di Mazzarino o della Fronda, allora -siamo due soli. - -«Aramis è con d’Artagnan? - -«No, il signor Aramis mi fa l’onore di associarsi alle mie opinioni. - -«Potete rimettermi in relazioni con quell’amico sì cortese e spiritoso? - -«Certo, appena lo bramiate. - -«Si è egli cambiato? - -«Si è fatto abate, non v’è altro. - -«Mi spaventate; il suo stato deve averlo indotto a rinunziare alle -grandi imprese. - -«All’opposto: disse Athos scherzando, non è stato mai tanto -moschettiere com’è adesso, ed in lui troverete un vero Galaor. Volete -ch’io lo mandi a chiamare per mezzo di Raolo? - -«No, conte; potrebbe darsi che a quest’ora non fosse reperibile; ma -poichè credete di poter garantire per lui.... - -«Quanto per me medesimo. - -«Potete impegnarvi a condurmelo domani a dieci ore sul ponte del Louvre? - -«Ah, ah! fece Athos, avete un duello? - -«Sì, e bellissimo; duello, in cui spero sarete anche voi. - -«Dove andremo, milord? - -«Da Sua Maestà la regina d’Inghilterra, che mi ha incaricato di -presentarvi a lei. - -«Sua Maestà dunque mi conosce? - -«Io, vi conosco. - -«Enigma; ma non serve, tosto che a voi è noto il motivo, non vi domando -di più. Mi farete l’onore di cenare con me, milord? - -«Vi ringrazio, conte; ma confesso che la visita di quel giovane mi ha -tolto l’appetito, e probabilmente mi leverà il sonno. Che intrapresa -vuol egli compiere in Parigi? non per incontrar me vi è venuto, poichè -era ignaro del mio viaggio... Ah! egli mi spaventa, in lui v’è un -avvenire di sangue. - -«Che fa esso in Inghilterra? - -«È uno dei più caldi seguaci d’Oliviero Cromvello. - -«E chi lo ha collegato a quella causa? Sua madre e suo padre, per -quanto io creda, erano cattolici. - -«L’odio che nutre contro il re. - -«Contro il re! - -«Sì, il re lo dichiarò bastardo, lo spogliò de’ suoi beni, gli proibì -di portare il nome di Winter. - -«Ed ora come si chiama? - -«Mordaunt. - -«Puritano e travestito da monaco, viaggiando solo per le strade della -Francia! - -«Da monaco? - -«Sì: non lo sapete? - -«Non so se non ciò ch’ei mi ha detto. - -«E come tale, e per caso, egli intese le spiegazioni del carnefice di -Bethune. - -«Allora tutto comprendo: viene inviato da Cromvello. - -«A chi? - -«A Mazzarino; e la regina lo aveva indovinato, noi fummo prevenuti; -ormai tutto mi si fa chiaro. Conte, addio a domani. - -«Ma è notte molto buja, disse Athos osservando di Winter più agitato -che non volesse apparire, e voi forse non avete servi? - -«Ho Tony, buono e semplice ragazzo. - -«Olà! Olivain, Grimaud, Blaisois, qualcuno prenda il moschetto e chiami -il signor visconte». - -Blaisois era quel grazioso garzone, mezzo lacchè e mezzo contadino, -che noi vedemmo di volo nel castello di Bragelonne entrato ad avvisare -che il pranzo era pronto, e da Athos battezzato col nome della sua -provincia. - -Cinque minuti dopo dato l’ordine, giunse Raolo. - -«Visconte, scorterete milord sino al suo albergo e non lascerete che -alcuno gli si appressi. - -«Ah conte! disse di Winter, e per chi mi prendete? - -«Per un forestiero, che non conosce Parigi, ed a cui il visconte -insegnerà la strada». - -Di Winter strinse ad Athos la mano. - -«Grimaud! comandò quest’ultimo, mettiti alla testa della comitiva, e -bada al finto frate!» - -Grimaud si scosse, indi fe’ un cenno col capo ed aspettò la partenza -toccando con tacita eloquenza il calcio del moschetto. - -«Addio a domani, ripetè di Winter. - -«Sì, milord». - -La piccola brigata s’incamminò verso la via San Luigi, Olivain tremando -come Sosia ad ogni riflesso del lume un po’ dubbio, Blaisois assai -saldo perchè ignorava che vi fosse qualunque pericolo, Tony guardando a -destra e a manca, ma senza poter dire una parola attesochè non parlava -francese. - -Di Winter e Raolo andavano uno accanto all’altro, e discorrevano -insieme. - -Grimaud, che secondo eragli ingiunto da Athos precedeva il corteggio -con una torcia in una mano e nell’altra il moschetto, arrivò alla -locanda di di Winter, bussò col pugno alla porta, e quando venne gente -ad aprire salutò milord senza fiatare. - -Lo stesso fu al ritorno. I di lui occhi nulla videro di sospetto, -tranne una specie d’ombra appiattatasi sul canto della via di Guénégaud -e dell’argine; gli sembrò di aver anche nel passare osservato colui che -stava in aspettativa. Si diresse incontro ad esso, ma innanzi che lo -avesse raggiunto l’ombra era sparita in una straduzza ove Grimaud non -giudicò prudente d’inoltrarsi. - -Si rese conto ad Athos del successo della spedizione, ed essendo le -dieci ore di sera ciascuno si ritirò nel proprio appartamento. - -All’indomani nel destarsi il conte si trovò Raolo vicino al letto. -Questi era bell’e vestito, e leggeva un libro nuovo di Chapelain. - -«Digià alzato Raolo? disse il conte. - -«Sì, rispose il giovanetto titubando, ho dormito male.... - -«Dormito male? voi! qualche pensiero vi occupava? - -«Signore, direte che ho molta fretta di lasciarvi quando sono appena -arrivato, ma.... - -«Dunque la vostra licenza era per due soli giorni? - -«Anzi, per dieci... e non bramerei già di andare al campo. - -«E dove? fece Athos sorridendo, purchè non sia un segreto, visconte? -Siete quasi un uomo, poichè avete fatte le prime armi, ed avete -acquistato il diritto di andare ove vogliate senza dirmelo. - -«Giammai, replicò Raolo, finchè avrò la sorte di avervi per mio -protettore, non crederò essere in diritto di sottrarmi ad una tutela -che tanto mi è cara.... Desidererei recarmi a passare un giorno e non -più a Blois.... mi guardate, vi riderete di me! - -«No, rispose Athos reprimendo un sospiro, non rido, no... avete voglia -di riveder Blois, è naturale! - -«Sicchè lo permettete? esclamò allegro Bragelonne. - -«Certamente. - -«In fondo al cuore, non ve n’incresce? - -«Niente affatto: perchè deve increscermi ciò ch’è a voi di piacere? - -«Oh quanto siete buono!» - -Raolo era per saltare al collo ad Athos, ma lo trattenne il rispetto. - -Athos gli aprì teneramente le braccia. - -«E posso partir subito? - -«Quando vi aggrada». - -Il giovane mosse tre passi per uscire. - -«Signore, disse poi, ho pensato ad una cosa, cioè che alla signora -duchessa di Chevreuse tanto buona per me, son debitore della mia -introduzione presso al signor Principe. - -«E che dovete ringraziarla, non è vero? - -«Mi sembrerebbe.... però a voi spetta il decidere. - -«Passate dal palazzo di Luynes, Raolo, e fate domandare se la duchessa -può ricevervi. Mi piace rivelare che non dimentichiate le convenienze. -Prenderete con voi Grimaud e Olivain. - -«Tutti due?» domandò Raolo attonito. - -«Tutti due». - -Il visconte salutò ed uscì. - -Nel guardarlo chiudere la porta e udirlo a chiamare forte ed -allegramente Grimaud e Olivain, Athos sospirò. - -«Mi abbandona pur presto! pensava, ma obbedisce alla legge comune. -La natura è così; essa guarda sempre innanzi. Oh! di sicuro egli ama -quella fanciulla; ma amerà me men di prima perchè ami altre persone?» - -Il conte di la Fère confessava che non si era aspettato a sì sollecita -partenza, ma in lui dileguavasi ogni trista cura considerando che Raolo -era contento. - -Alle dieci ore tutto era pronto per il viaggio. Mentre Athos guardava -Raolo montare a cavallo, venne un lacchè a riverirlo a nome della -signora di Chevreuse: era esso incaricato di dire al conte di la Fère -che avendo ella saputo il ritorno del suo giovine protetto e il suo -contegno nella recente battaglia, le sarebbe caro di fargliene le sue -congratulazioni. - -«Direte a madama la duchessa, rispose Athos, che il visconte -s’incamminava appunto al palazzo di Luynes». - -E dopo aver rinnovate le sue raccomandazioni a Grimaud, fe’ cenno a -Raolo che poteva partire. - -D’altronde, riflettendo meglio, Athos pensava non esser male che in -quel momento Raolo si allontanasse da Parigi. - - - - -XLV. - -_Un’altra regina che chiede soccorso._ - - -Athos aveva mandato a prevenire Aramis sino dalla mattina, dando la -sua lettera a Blaisois, unico servitore che gli fosse rimasto. Blaisois -trovò Bazin che indossava la sua giubba da bidello; in quel giorno era -di servizio a Nostra Donna. - -Athos aveva fatto premura a Blaisois, onde tentasse parlare ad -Aramis in persona. Blaisois, giovanotto grande e sempliciotto che -non conosceva altro che il comando, aveva quindi domandato dell’abate -d’Herblay, e non ostante che Bazin gli protestasse ch’ei non v’era, -aveva insistito in tal modo che Bazin si era adirato sul serio. -Blaisois vedendo Bazin in abito ecclesiastico non aveva curate le sue -negative, ma insistito ben anzi a andare avanti, supponendo colui con -il quale aveva che fare dotato di pazienza e cristiana carità. - -Ma il Bazin, sempre servitore dei moschettieri quando gli andava il -sangue al capo, prese un bel manico di granata, e picchiò Blaisois -dicendogli: - -«Avete insultata la Chiesa, caro mio, insultata la Chiesa!» - -Nel momento, all’insolito frastuono, era comparso Aramis schiudendo con -cautela l’usciale della sua camera dormitoria. - -Ed allora il suddetto Bazin avea posata rispettosamente la sua granata -in terra sur una delle punte, conforme gli era accaduto di veder -fare a Nostra Signora dallo Svizzero colla alabarda, e Blaisois con -un’occhiataccia di rampogna diretta al cerbero si era levata di tasca -la lettera e presentatala ad Aramis. - -«Del conte di la Fère, disse Aramis, va bene». - -E indi ritornò dentro senza tampoco richiedere la causa di tanto -subbuglio. - -Blaisois se ne venne indietro malinconico all’albergo del Gran Re -Carlomagno. Athos gli domandò ragguaglio della sua commissione, ed egli -raccontò la sua avventura. - -«Imbecille! fece Athos ridendo, e non dicesti ch’eri là da parte mia? - -«Signor no. - -«E che ha detto Bazin sapendo ch’eravate mio? - -«Oh! mi ha fatto un diluvio di scuse, e mi ha obbligato a bere due -bicchieri di vin moscato eccellente, con inzupparvi tre o quattro -biscotti squisiti; ma che serve? è brutale fuor di maniera! un bidello! -oibò! - -«Bene! pensò Athos, una volta che Aramis ha avuta la lettera, per -quanti impedimenti si abbia e’ verrà». - -Alle dieci ore, Athos colla sua solita puntualità si trovava sul ponte -del Louvre. V’incontrò lord di Winter arrivato appunto allora. - -Essi aspettarono circa dieci minuti. - -Di Winter cominciava a temere che Aramis non capitasse. - -«Pazienza! disse Athos che teneva gli occhi fissi nella direzione della -via del Bac, pazienza; ecco un abate che dà una spinta a un uomo e -saluta una donna, dev’essere Aramis». - -Difatti era desso: un giovinotto che guardava per aria ed aveva -schizzato di mota Aramis era ito dieci passi più in là per un pugno -datogli da quest’ultimo, il quale, essendo passata allora una sua -penitente, l’aveva salutata col suo più grazioso sorrisetto. - -Aramis fu dunque da loro in un momento. - -E là, com’è da credere, grandissimi amplessi fra lui e di Winter. - -«Dove andiamo? domandò Aramis, v’è forse da battersi? stamane non ho -spada, bisognerà che torni da me a pigliarla. - -«No, rispose di Winter, si va a far visita a Sua Maestà la regina -d’Inghilterra. - -«Ottimamente! (ed Aramis si chinava all’orecchio ad Athos) e in quale -scopo questa visita? - -«Affè, forse qualche testimonianza che da noi si reclama. - -«Non sarebbe per quel maledetto affare? In tal caso non avrei troppa -voglia di andarvi, perchè vi sarebbe da prendersi qualche bella -predica, e dacchè le fo agli altri, non ho caro di averle io. - -«Se ciò fosse, non ci condurrebbe da sua Maestà milord di Winter, -mentre gliene toccherebbe la sua parte, essendo stato dei nostri. - -«Ah sì! dite bene. Si vada». - -Giunti al Louvre, di Winter passò il primo. D’altronde non istava al -portone che un solo custode. Alla luce del giorno, Athos, Aramis e -l’Inglese poterono osservare l’orribile miseria dell’abitazione che -un’avara carità concedeva all’infelice sovrana. Grandi sale spoglie -di mobili, mura sconquassate su cui rilucevano ad intervalli antiche -guarnizioni d’oro che aveano resistito all’incuria, finestre che non -si chiudevano più e mancanti di vetri; non tappeti, non guardie, -non famigli, ecco quanto colpì subito gli occhi ad Athos, e ch’ei -fece tacitamente notare al suo compagno spingendolo col gomito ed -accennandogli quell’estrema povertà. - -«Mazzarino ha migliore alloggio, disse Aramis. - -«Mazzarino è quasi re, rispose Athos, ed Enrichetta non è più regina. - -«Se vi degnaste di mostrarvi spiritoso, fece Aramis, credo in coscienza -che lo sareste più che non lo era il disgraziato signor di Voiture». - -Sembra che la regina attendesse con impazienza, poichè al primo -movimento che udì nel salone che precedeva la sua camera venne da sè -sulla soglia a ricevere i cortigiani del suo infortunio. - -«Entrate e siate ben venuti, signori; essa disse». - -I gentiluomini passarono, e sul principio rimasero in piedi, ma ad -un gesto della sovrana che l’invitava a sedersi Athos diede l’esempio -dell’obbedienza. Egli era tranquillo e grave, ma Aramis all’incontro -adiratissimo perchè esacerbato da quella regia miseria, di cui studiava -con lo sguardo ogni nuova traccia che gli si offriva alla vista. - -«Esaminate il mio lusso? disse Enrichetta con la massima angustia. - -«Chiedo scusa a Vostra Maestà, replico Aramis, ma non saprei nascondere -la mia indignazione mirando che alla corte di Francia si tratti così la -figlia di Enrico IV. - -«Questo signore non è cavaliere? chiese la regina a lord di Winter. - -«È l’abate d’Herblay, questi rispose». - -Aramis arrossì. - -«Signora, sono abate, ma a mio malgrado e contro mia vocazione, e sono -sempre pronto a diventar da capo moschettiere. Io dunque sarò l’uomo -che la Maestà Vostra troverà più zelante a servirla in qualunque cosa -voglia ordinarmi. - -«Il signor cavaliere d’Herblay, soggiunse di Winter, è uno dei valorosi -moschettieri del re Luigi XIII di cui vi ho parlato, signora». - -E volgendosi ad Athos seguitò: - -«Questi è il nobile conte di la Fère, la di cui alta rinomanza è ben -nota a Vostra Maestà. - -«Signori, disse la regina, alcuni anni sono io aveva d’intorno -gentiluomini, tesori, armate; tutti questi ad un mio cenno si -adopravano in servizio mio. Oggi, guardate qui a me vicino, forse ne -stupirete, ma per compiere un disegno che dee salvarmi la vita non ho -altro che lord di Winter, un amico da venti anni, e voi, o signori, che -veggo per la prima volta e conosco soltanto come miei concittadini. - -«E basta, fece Athos con un profondo saluto, se la vita di tre uomini -può riscattare la vostra. - -«Grazie, signori. Ma ascoltatemi: non solo io sono la più misera delle -regine, sono anche la più sventurata fra le madri, la più disperata -fra le mogli; i miei figli, due per lo meno, il duca d’York e la -principessa Carlotta, sono da me lontani, esposti ai colpi degli -ambiziosi e dei nemici; il re mio consorte conduce in Inghilterra -una sì dolorosa esistenza che poco io vi dico asserendovi che cerca -la morte come cosa per lui da bramarsi. Ecco la lettera che mi fece -pervenire per mezzo di milord di Winter: leggete». - -Athos ed Aramis si scusavano. - -«Leggete, ripetè la regina». - -Athos lesse ad alta voce la missiva a noi nota, nella quale il re Carlo -domandava se in Francia gli sarebbe accordata l’ospitalità. - -«Ebbene? fece poi Athos. - -«Ebbene, ribattè Enrichetta, ha ricusato». - -I due amici ricambiarono fra loro un sorriso di disprezzo. - -«Ed ora che si dee fare? continuò il conte di la Fère. - -«Sentite voi qualche compassione per tanta sventura? - -«Ho avuto l’onore di domandarvi, Maestà, ciò che desiderate si faccia -per servirvi da me e dal signor d’Herblay: siamo pronti. - -«Ah! avete infatti un cuor nobile! esclamò la regina con uno slancio -di gratitudine, mentre di Winter la guardava come dicesse: Non vi ero -forse rimasto garante per loro? - -«E voi? domandò Enrichetta ad Aramis. - -«Io, egli rispose, ovunque vada il signor conte, quando fosse anche a -morte, lo seguo senza ricercare il perchè; ma allorchè si tratta di un -comando di Vostra Maestà (aggiungeva fissandola in volto con tutta la -grazia di gioventù) io precedo il signor conte. - -«Or bene, signori, poichè così è, poichè consentite ad adoprarvi a pro -di una povera principessa abbandonata dal mondo intero, ecco ciò che -per me occorre di fare. Il re è solo con alcuni gentiluomini, che ogni -giorno teme di perdere, in mezzo a Scozzesi dei quali diffida benchè -egli stesso sia Scozzese. Dacchè lord Winter lo ha lasciato, io più -non vivo. Ora, domando forse troppo, mentre per domandare non ho verun -titolo: trasferitevi in Inghilterra, raggiungete il re, siate suoi -amici, siate suoi custodi, marciate al di lui fianco nelle battaglie, -camminate presso di lui nell’interno della sua dimora, dove ogni dì -crescono inganni e insidie anco più perigliose che tutti i rischi della -guerra; ed in cambio di questo sacrifizio che mi farete, io vi prometto -non di ricompensarvi, credo che questa parola vi offenderebbe, ma di -amarvi come una sorella, e di preferirvi a chiunque, tranne al mio -sposo ed ai miei figli; lo giuro dinanzi a Dio!» - -E la regina alzava in atto lento e solenne gli occhi al cielo. - -«Maestà, fece Athos, quando convien che partiamo? - -«Dunque acconsentite? esclamò con giubilo Enrichetta. - -«Certamente. Soltanto la Maestà Vostra va troppo oltre, a parer mio, -impegnandosi a ricolmarci di un’affezione tanto superiore a’ nostri -meriti. Noi serviamo a Dio, servendo un principe sì sfortunato e una -regina tanto virtuosa.... Signora, siamo vostri in corpo e in anima. - -«Ah! disse la regina commossa fino al pianto, ecco il primo momento di -gioja e di speranza che provo da cinque anni. Sì, voi servite a Dio, e -siccome il poter mio sarà troppo poco per riconoscere un tal servigio, -Egli vi premierà. Egli che legge nel mio cuore quanta v’ha gratitudine -e per Lui e per voi. Salvate il mio sposo, salvate il re, e sebbene non -siate sensibili al premio che può venirvi su questa terra per un’azione -così bella, lasciatemi la lusinga di rivedervi per ringraziarvene -io stessa. Frattanto io mi trattengo qui. Avete da farmi qualche -raccomandazione? Da ora io sono vostra amica, e giacchè voi fate i miei -affari io deggio occuparmi dei vostri. - -«Signora, rispose Athos, non ho da chiedere alla Maestà Vostra altro -che le sue preci. - -«Ed io, aggiunse Aramis, son solo al mondo, e non ho altro che Vostra -Maestà da servire». - -La sovrana porse loro al bacio la destra, e disse piano a di Winter: - -«Se vi mancano denari, non esitate, rompete le gioje che vi ho -date, staccatene i diamanti e vendeteli ad un usurajo; ne ricaverete -cinquanta o sessanta mila lire; spendetele s’è necessario, ma questi -gentiluomini siano trattati conforme si meritano, cioè come tanti re». - -La regina aveva apparecchiate due lettere, scritte l’una da lei e -l’altra dalla principessa Enrichetta sua figlia. Entrambe erano dirette -al re Carlo. Una ne diede ad Athos ed una ad Aramis, onde se il caso -li separava, potessero dessi farsi riconoscere dal re. Indi eglino si -ritirarono. - -In fondo alla scala di Winter si soffermò. - -«Signori, disse, andiamo, voi dalla vostra parte ed io dalla mia, -acciocchè non risvegliamo sospetti, e questa sera alle nove troviamoci -alla porta San Dionigi. Dipoi andremo avanti co’ miei cavalli finchè -essi possano, e dopo prenderemo la posta. Grazie di nuovo, grazie in -nome mio, grazie in nome della regina». - -I tre gentiluomini si strinsero la mano. Il conte di Winter si avviò -dalla contrada di Sant’Onorato, e Athos e Aramis rimasero insieme. - -«Ebbene, disse allora Aramis, che vi pare di questo affare, mio caro -conte? - -«Cattivo, rispose Athos, cattivissimo! - -«Ma lo accoglieste con entusiasmo! - -«Come accoglierò sempre la difesa di un gran principio, mio buon -d’Herblay. I re non possono esser forti che mediante la nobiltà, ma la -nobiltà non può esser grande se non mediante i re. Sosteniamo adunque -le monarchie, che così sosterremo noi stessi. - -«Ci andiamo a fare assassinare laggiù, continuò Aramis; ho in odio -gl’Inglesi, sono grossolani come tutti quelli che bevono birra. - -«Era forse meglio restar qui, e andare a fare un giro alla Bastiglia, -o alla torre di Vincennes, per aver favorita la fuga del signor -di Beaufort? Affè, credetemi, non v’è da aver alcun rammarico. Noi -scansiamo la prigione, e si agisce da eroi: è facile la scelta. - -«È vero, ma in tutte le cose bisogna ritornare a questa prima domanda, -molto sciocca, lo so, ma assai necessaria: avete soldi? - -«Un centinajo circa di doppie, che il mio fattore mi aveva spedite -il giorno innanzi alla mia partenza da Bragelonne; ma devo lasciarne -una cinquantina a Raolo; bisogna pure che un giovane si mantenga -decorosamente: sicchè ho a un dipresso cinquanta doppie. E voi? - -«Io, son certo che a rivoltarmi le tasche ed aprire tutte le mie -cantere non troverò in casa mia dieci luigi. Fortunatamente lord di -Winter è ricco. - -«De Winter per il momento è rovinato, poichè Cromvello riscuote le sue -rendite. - -«Ecco dove sarebbe opportuno il barone Porthos, osservò Aramis. - -«Ecco dove mi duole di non avere con noi d’Artagnan; fece Athos. - -«Che borsa piena! - -«Che spada pronta! - -«Seduciamoli. - -«Il segreto non è nostro; non poniamo veruno nella confidenza. -D’altronde con un tal passo sembrerebbe che dubitassimo di noi -medesimi.... Doliamoci pure fra noi, ma non si parli. - -«Dite bene, che farete da adesso a stassera? Io sono costretto a -differire due cose. - -«Sono da differirsi? - -«Eh! bisognerà adattarvisi. - -«E quali erano? - -«La prima una bucata di spada al Coadjutore che jeri sera incontrai -nella società di madama di Rambouillet, e che mi parve usasse a mio -riguardo maniere singolari. - -«Oibò! duello fra colleghi! - -«Che volete? egli è traditore, e lo sono anch’io; egli frequenta -amabili signore, ed io pure. Talvolta mi sembra ch’ei sia Aramis ed -io il Coadjutore, tanta è l’analogia ch’esiste fra noi. È una specie -di Sosia, che mi annoja e mi dà ombra. Di più è un imbroglione che -comprometterà il nostro partito. Sono persuaso che se gli dessi uno -schiaffo, come ho fatto a quel particolare che mi aveva schizzato di -mota, gli affari muterebbero aspetto. - -«Ed in quanto a me, replicò tranquillamente Athos, penso che non -si muterebbe se non l’aspetto del signor di Retz. Sicchè datemi -retta, lasciamo le cose come stanno. E poi non appartenete più l’uno -all’altro: voi siete della regina d’Inghilterra, ed esso della Fronda. -Dunque se la seconda faccenda che v’incresce di non potere eseguire non -è più importante della prima.... - -«Oh! quella era importantissima. - -«Allora fatela subito. - -«Pur troppo non sono libero di effettuarla nell’ora che voglio... Era -di sera, assolutamente di sera. - -«Capisco, disse Athos sorridendo, a mezza notte. - -«All’incirca. - -«Che volete, caro mio? quelle sono faccende che si rimettono ad un -altro tempo, e così farete voi, soprattutto avendo una tale scusa da -dare al vostro ritorno. - -«Sì, se torno. - -«Se non tornate chi v’interessa? Siate un po’ ragionevole; animo, -Aramis, non siete più un giovanotto di venti anni. - -«Pur troppo, cospettaccio! oh se lo fossi! - -«Sì sì, secondo me fareste delle belle pazzie. Ma convien che ci -lasciamo: io ho da fare una visita o due e da scrivere una lettera; -venite dunque a prendermi alle otto ore, o piuttosto gradite ch’io vi -aspetti a cena alle sette? - -«Benone; rispose Aramis, io ho da far venti visite e da scrivere -altrettante lettere». - -E gli amici si separarono. Athos andò a riverire madama di Vendome, -lasciò il suo nome da madama di Chevreuse, e scrisse questo biglietto -diretto a d’Artagnan. - - «Amico carissimo. - - «Parto con Aramis per affare di premura. Vorrei dirvi addio, ma mi - manca il tempo. Non vi scordate che vi scrivo per ripetervi quanto - vi sono affezionato. - - «Raolo è andato a Blois, e non è istrutto della mia partenza. - Invigilate su di esso nella mia assenza meglio che possiate, e se - per caso di qui a tre mesi non aveste mie notizie ditegli che apra - un piego sigillato ed al suo indirizzo che troverà a Blois nel mio - cassettino di bronzo di cui vi mando la chiave. - - «Abbracciate Porthos per Aramis e per me. A rivederci, e forse - addio». - -Athos fece recare il biglietto da Blaisois. - -Giunse Aramis all’ora stabilita: era vestito da cavaliere, ed aveva al -fianco l’antica spada che tanto spesso aveva sguainata ed a sguainare -la quale era più pronto che mai. - -«Orsù, disse, mi pare che facciamo male ad andarcene così senza -lasciare due versi di addio a Porthos e d’Artagnan. - -«Ci ho pensato io, rispose Athos, ed ho mandato a tutti due un amplesso -per voi e per me. - -«Siete un uomo ammirabile! pensate a tutto. - -«Ebbene, vi siete deciso per questo viaggio? - -«Sicuramente, e adesso che ci ho riflettuto ho piacere di abbandonar -Parigi in questo momento. - -«Lo stesso succede a me, replicò Athos, se non che mi duole di non -aver abbracciato d’Artagnan; ma è un demonio sì scaltro che avrebbe -indovinati i nostri progetti». - -Alla fine della cena venne Blaisois, dicendo: - -«Signore, ecco la risposta del signor d’Artagnan. - -«Scimunito! non ti avevo mica detto che vi dovesse esser risposta. - -«E me m’ero andato senza aspettarla; mi ha fatto richiamare indietro, e -mi ha dato questo, ribattè Blaisois». - -E parse ad Athos un sacchetto di pelle ben rotondetto e sonante. - -Questi lo aperse, e principiò da levarne un bigliettino concepito in -questi termini: - - «Caro conte. - - «Quando si viaggia, ed in ispecie per tre mesi, non si ha mai - denaro bastante: io mi rammento dei nostri tempi di penuria, e vi - spedisco metà della mia borsa. Sono soldi che mi è riuscito di far - sudare al Mazzarino. Vi prego di non farne cattivo uso. - - «In quanto a non più rivedervi, io non ci credo; col vostro cuore e - colla vostra spada, si passa dappertutto. E perciò _a rivederci_, e - non _addio_. - - «Già s’intende che dal primo giorno che conobbi Raolo lo amai come - mio figlio; siate però persuaso che chiedo sinceramente a Dio di - non diventar suo padre, benchè andrei superbo di un figlio simile. - - «Il vostro - - «D’Artagnan». - - «P. S. Ben intesi, i cinquanta luigi che vi invio sono vostri come - di Aramis, e di Aramis come vostri». - -Ad Athos oscurò le pupille una lagrima. D’Artagnan, da lui sempre amato -teneramente, lo amava dunque ognora ancorchè datosi a Mazzarino! - -«Ecco davvero le cinquanta monete d’oro, disse Aramis vuotando il -sacchetto sul tavolino, tutte con l’effigie del re Luigi XIII. Or bene, -conte, che ne fate? le tenete o le rimandate? - -«Le ritengo, e le riterrei quando anche non ne avessi bisogno; ciò ch’è -offerto con gran cuore deve pure con cuor grande accettarsi. Prendetene -venticinque, e date a me le altre. - -«Manco male; son contento di trovarvi della stessa mia opinione. Ora, -si parte? - -«Quando vorrete. Ma non avete servitori? - -«No, quell’imbecille di Bazin, essendosi fatto bidello, non può -muoversi da Nostra Donna. - -«Bene, piglierete Blaisois, che mi è inutile poichè io ho digià Grimaud. - -«Volentieri, fece Aramis». - -Comparve sulla soglia Grimaud. - -«Pronti, disse col suo consueto laconismo. - -«Si vada, soggiunse Athos». - -I cavalli avevano addosso la sella. I due amici saltarono ciascuno sul -suo; e i due domestici l’imitarono. - -Sul canto incontrarono Bazin che correva affannoso. - -«Ah Signore! diss’egli, sia lodato Dio! arrivo a tempo. - -«Che v’è mai? - -«Il signor Porthos, uscito adesso di casa, ha lasciato per voi -questo, dichiarando ch’era cosa di premura da consegnarvisi avanti che -partiste. - -«Oh! esclamò Aramis prendendo una borsa che Bazin gli porgeva, e che -sarà? - -«Aspettate, signor abate, c’è una lettera. - -«Sai che ti ho avvisato che se mai mi chiamavi altrimenti che cavaliere -ti romperei le ossa? Vediamo la lettera. - -«Come farete a leggerla? domandò Athos, qui è bujo come in un forno. - -«Ecco, ecco, disse Bazin». - -E battuto l’acciarino, accese un moccolo che aveva sempre in saccoccia -pel suo servizio di chiesa. - -Al lume del quale, Aramis lesse: - - «Mio caro d’Herblay. - - «Sento da d’Artagnan, il quale mi saluta da parte vostra e da - quella del conte di la Fère, che partite per una spedizione da - durar forse due o tre mesi, e siccome so che non vi va a genio di - chiedere a’ vostri amici, io vi esibisco da per me. Ecco duecento - doppie di cui potete disporre, e che mi renderete quando capiti - l’occasione. Non temete di scomodarmi; se ho bisogno di numerario - ne farò venire da una delle mie tenute; a Bracieux soltanto ho - ventimila lire in oro. E così, se non vi spedisco di più, è per - dubbio che non accettiate una somma troppo considerevole. - - «Mi rivolgo a voi, perchè secondo sapete, il conte di la Fère mi - dà sempre a mio malgrado un po’ di soggezione, sebbene io lo ami - di cuore; ma s’intende che quel che a voi offro è offerto nel tempo - stesso a lui. - - «Sono, come spero che terrete per sicuro - Vostro Affezionatissimo - Duvallon de Bracieux di Pierrefonds. - -«Eh! fece Aramis, che ne dite? - -«Dico, d’Herblay mio, ch’è un sacrilegio di dubitare della Provvidenza, -soprattutto quando essa ci dà simili amici. - -«Sicchè? - -«Sicchè, dividiamoci le doppie di Porthos nella guisa medesima che i -luigi di D’Artagnan». - -Fatta la divisione al lume del moccolino di Bazin, i due compagni -s’incamminarono di nuovo. - -E dopo un quarto d’ora erano alla porta San Dionigi, ove gli attendeva -lord di Winter. - - - - -XLVI. - -_Ove si prova che il primo impulso è sempre il migliore._ - - -I nostri gentiluomini presero la strada della Piccardia, ad essi tanto -nota e che ad Athos ed Aramis riproduceva alcune fra le più pittoresche -rimembranze di loro gioventù. - -«Se fosse con noi Mousqueton, disse Athos arrivando al luogo in cui -aveano avuto contesa con varj selciatori, oh come raccapriccerebbe nel -passar di qua! ve ne ricordate? qua gli venne quella palla famosa. - -«Davvero, glielo menerei buono, fece Aramis, poichè mi sento -imbrividire nel rammentarmene.... ecco, più là dell’albero un posticino -ove credei di esser morto a dirittura». - -Continuarono innanzi. In breve toccò a Grimaud a scendere col pensiero -nella propria memoria. Giunto di faccia all’albergo in cui esso ed -il suo padrone avevano fatta già tempo una sì enorme gozzoviglia, si -accostò ad Athos, ed accennandoli lo spiraglio della cantina pronunziò. - -«Salsicciotti!» - -Athos si mise a ridere, e quella follia degli anni suoi giovanili gli -sembrò divertevole come se taluno gliela narrasse avvenuta ad un altro. - -Finalmente dopo due giorni e una notte arrivarono, verso sera e con -bellissimo tempo, a Boulogne, città in allora poco men che deserta, -costrutta affatto sull’altura; quella che chiamasi la città bassa non -esisteva. Boulogne stava in una posizione formidabile. - -Quando furono alle porte, di Winter disse: - -«Signori, facciamo qui come a Parigi: separiamoci per evitare i -sospetti; io ho una locanda poco frequentata, ma di cui il padrone è -tutto dedito a me, ed io ci vado, perchè là devono aspettarmi delle -lettere; voi, andate al primo albergo della città, per esempio alla -_Spada del grande Enrico_; rinfrescatevi, e tra due ore trovatevi sullo -scalo, vi sarà ad attenderci la nostra barca». - -Così fu stabilito. Lord di Winter continuò lungo i bastioni esterni -onde entrare da un’altra porta, mentre i due amici entrarono da quella -davanti alla quale si trovavano. Dopo duecento passi s’imbatterono -nella locanda indicata. - -Fecero rinfrescare i cavalli, ma senza toglier loro la sella; i servi -cenarono, giacchè cominciava ad esser tardi, ed i padroni, impazienti -d’imbarcarsi diedero ad essi il convegno sullo scalo, con ordine di non -barattar parole con chi si fosse. Ci s’intende che tale raccomandazione -riguardava unicamente Blaisois; per Grimaud da gran tempo era -superflua. - -Athos ed Aramis scesero verso il porto. - -Entrambi, per gli abiti polverosi che avevano addosso, e per quell’aria -disinvolta che sempre fa riconoscere un uomo assuefatto a viaggiare, -richiamarono l’attenzione di alcuni che erano colà a spasso. - -Ed uno specialmente ne videro a cui il loro arrivo aveva prodotta una -certa impressione. Quest’uomo, ch’essi erano stati i primi ad osservare -pelle medesime cause che avevano fatto osservar loro dagli altri, -andava su e giù malinconico; appena gli ebbe adocchiati non cessò più -di esaminarli, e si mostrò bramosissimo di rivolger loro la parola. - -Era giovane e pallido; aveva gli occhi di un color turchino tanto -dubbio che pareva variassero come quelli della tigre secondo i colori -che riflettevano; l’andatura, ancorchè lenta ed incerta, aveva un non -so che d’ardito; era vestito di nero, e portava con molto garbo la -spada. - -Athos ed Aramis si fermarono a guardare una piccola lancia legata ad un -piuolo e come apparecchiata per attender gente. - -«Sarà la nostra, disse Athos. - -«Sì, rispose Aramis, e lo sloop che si mette laggiù alla vela sembra -sia quello che deve condurci al nostro destino... eh! almeno di Winter -non si facesse aspettare! non è punto piacevole lo star qui, non passa -neanche una donna. - -«Zitto! fece Athos, v’è chi ci ascolta». - -In fatti colui che accennammo, e che considerando attentamente i due -compagni era passato più volte dietro ad essi, s’era fermato di botto -udendo il nome di Winter; ma siccome non sembrava che questo nome -avesse in lui prodotta emozione alcuna, poteva darsi che per caso -soltanto ei sospendesse il suo cammino. - -Però, salutando con somma civiltà, egli disse: - -«Signori, compatite la mia curiosità, ma vedo che venite da Parigi, o -che almeno qui in Boulogne siete forestieri. - -«Veniamo da Parigi, signor sì; rispose Athos con uguale cortesia, che -possiam fare per servirvi? - -«Avreste la bontà di dirmi, continuò il giovanotto, s’è vero che il -signor Mazzarino non sia più ministro? - -«Singolare domanda! fece Aramis. - -«Lo è, e non lo è, replicò Athos, cioè la metà della Francia lo -scaccia, e dall’altra metà egli si fa sostenere a suon di raggiri e di -promesse.... e può durare un pezzo a questo modo, secondo intenderete. - -«Ma in somma, non è nè fuggito nè in carcere? - -«Oh no.... almeno per il momento. - -«Vi ringrazio della vostra compiacenza». - -E quegli si allontanò. - -«Che vi pare di questo interrogatore? disse Aramis ad Athos. - -«Ch’è qualche provinciale annojato o pure una spia. - -«E gli avete parlato così? - -«Non avevo diritto di parlargli diversamente: usava meco ogni -pulitezza, ed io l’ho usata con lui. - -«Ma peraltro se fosse uno spione.... - -«Che vorreste che facesse? Non siamo più ai tempi di Richelieu, che al -minimo sospetto faceva chiudere i porti. - -«Non serve, avete fatto male a rispondergli in quella guisa, insistè -Aramis seguitando a guardare il signorino che spariva a tergo alle -dune. - -«E voi, disse Athos, non pensate che avete commesso ben altra -imprudenza, cioè di profferire il nome di lord di Winter; non -riflettete che allora soltanto colui si è fermato? - -«Ragione di più, quando vi ha discorso, d’invitarlo a tirare innanzi -pel suo viaggio. - -«Attaccar lite?.... - -«E da quando in qua vi mette paura una lite? - -«Una disputa mi fa sempre paura, quando sono aspettato in qualche luogo -e la disputa può impedirmi di andarvi. E poi volete che vi confessi una -cosa? anch’io ero curioso di veder da vicino quel giovane. - -«E perchè? - -«Aramis, ora mi burlerete; direte che ripeto ognora lo stesso; mi -chiamerete il più timoroso di tutti i visionarj.... - -«E poi? - -«A chi vi pare ch’ei somigli? - -«In bello o in brutto? fece ridendo Aramis. - -«In brutto, e per quanto un uomo possa somigliare a una donna. - -«Oh per Diana! esclamò Aramis, adesso mi ci fate pensare. No, per -Diana! non siete visionario, e ora che ci rifletto, sì, sì, avete -ragione; quel bocchino ritirato, quegli occhi che sembrano al comando -della mente e non mai al comando del cuore.... è qualche bastardo di -milady. - -«Voi ridete, Aramis? - -«Per abitudine e non altro, giacchè vi giuro che non avrei più genio di -voi d’incontrarmi con quel serpentello! - -«Ah! disse Athos, ecco di Winter. - -«Bene; ora non mancherebbe che una cosa, che i nostri lacchè si -facessero attendere. - -«No no, li veggo.... vengono, sono dietro a milord di una ventina di -passi. Riconosco Grimaud dalla testa dritta e le gambe lunghe, Tony -porta le nostre carabine. - -«Dunque c’imbarcheremo di notte? chiese Aramis dando un’occhiata verso -ponente, ove il sole non lasciava più altro che un nuvolo indorato, il -qual pareva a poco a poco si estinguesse tuffandosi in mare. - -«Può essere di sì. - -«Diamine! mi piace poco il mare di giorno, ma di notte anco meno; -il rumore delle onde, lo strepito dei venti, il terribile moto del -bastimento.... oh! confesso che preferisco il convento di Noisy». - -Athos sorrise mestamente, perchè ascoltando Aramis pensava però a -tutt’altro, e s’incamminò verso di Winter. Aramis gli andò appresso. - -«Che cos’ha il nostro amico? disse quest’ultimo, somiglia ai dannati -del Dante a cui Satanno ha dislogato il collo e che si guardano le -calcagna. Che diavolo ha egli per guardarsi dietro a quel modo?» - -Di Winter avendo visti i due compagni si sollecitò a venir loro -incontro, ma con rapidità veramente sorprendente. - -«Che avete, milord? domandò Athos, perchè così affannoso?... - -«Nulla, nulla.... bensì, nel passare vicino alle dune mi è -sembrato!...» rispose di Winter. - -E si voltò di nuovo. Athos fissò in viso Aramis. - -«Partiamo, continuò di Winter, il batello deve aspettarci, lo sloop è -là all’áncora.... lo vedete? vorrei esservi di già sopra!» - -E ritornava a girarsi. - -«Ehi! fece Aramis, vi siete forse scordata qualche cosa? - -«No no.... è un’idea.... - -«Lo ha visto, avvertì piano Athos ad Aramis». - -Erano giunti alla scala che conduceva alla barca: di Winter fe’ -scendere prima i domestici che recavano le armi e i facchini che -portavano i bauli, e cominciò ad andar abbasso egli pure. - -Nel momento Athos osservò un uomo che seguitava la riva del mare -paralella allo scalo, e che correva, come per esser presente dall’altra -parte del porto separata di appena venti passi, al loro imbarco. - -Tra l’ombra che cominciava a calare credè di ravvisare il giovane che -lo aveva interrogato. - -«Oh oh! disse fra sè, fosse realmente una spia, e intendesse di opporsi -alla nostra partenza?» - -Ma siccome in caso che lo straniero avesse un tal progetto era digià -un po’ tardi per eseguirlo, Athos scese anch’esso la scala, quantunque -senza lasciar d’occhio il giovanotto. - -Costui per finirla era comparso sopra una cateratta. - -«Di certo è qui per noi, disse Athos; ma imbarchiamoci, e una volta che -saremo in mare venga, venga!» - -E saltò nel battello, il quale subito si partì spinto da quattro -robusti remiganti. - -Il forestiero però si diede a seguitare, o meglio a precedere la -lancia. Questa doveva passare fra la punta dello scalo a cui sovrastava -il fanale acceso appunto d’allora, ed uno scoglio ch’era da parte. Egli -fu veduto da lontano salire sullo scoglio onde sovrastare alla lancia -quando di là transitasse. - -«Cospetto! disse Aramis ad Athos, quel ragazzo è assolutamente uno -spione. - -«Qual ragazzo? domandò di Winter volgendosi. - -«Quello che ci ha seguitati, che ci ha parlato, e che ci fa la posta -lassù. Guardatelo!» - -Di Winter osservò nella direzione del dito di Aramis. Il fanale -spandeva grandissimo chiarore sopra lo stretto per dove si doveva -transitare e sulla roccia ove rimaneva il giovane, ritto, a testa -scoperta e colle braccia incrociate. - -«È desso! gridò di Winter afferrando Athos per un braccio, è desso! -credevo pure di averlo ravvisato, non m’ingannavo. - -«Chi mai? domandò Aramis. - -«Il figlio di milady, rispose Athos. - -«Il finto monaco! urlò Grimaud». - -Il forestiero udì tali parole. Avreste detto volesse precipitarsi -abbasso, tanto era venuto sulla punta della rupe e chino verso il mare. - -«Sì, son io, mio zio, il figlio di milady; io monaco, io segretario e -amico di Cromvello, e vi conosco voi ed i vostri compagni». - -Nel battello erano tre uomini, valorosi al certo, e dei quali nessuno -avrebbe osato porre in dubbio il coraggio; ebbene! a quella voce, -a quell’accento, a quel gesto, si sentirono scorrere nelle vene un -brivido di terrore. - -A Grimaud si erano drizzati in testa i capelli, e dalla fronte gli -colava il sudore. - -«Ah! disse Aramis, è il nepote, è il finto frate, è il figliuol di -milady, come dice da sè! - -«Ohimè, sì! borbottò di Winter. - -«Dunque aspettate». - -Ed Aramis, col terribile sangue freddo che aveva nelle occasioni -supreme, prese uno dei due moschetti che reggeva Tony, lo caricò, -e pigliò di mira quell’uomo che stava in piedi sullo scoglio -perseguitandolo con la mano e con lo sguardo come l’angiolo delle -maledizioni. - -«Fuoco!» gridò Grimaud fuori di sè. - -Athos si slanciò sulla canna della carabina ad impedire la botta. - -«Il diavolo vi porti! esclamò Aramis, l’avevo tanto bene messo a punto, -gli avrei piantata la palla in mezzo al petto. - -«Basta aver uccisa la madre, disse truce Athos. - -«La madre era una scellerata che ci aveva colpiti in noi stessi o in -quelli che ci erano cari. - -«Sì, ma il figlio nulla ci fece». - -Grimaud che si era sollevato alquanto per mirare l’effetto della botta, -ricadde scoraggito battendo le mani. - -Il giovinotto diede in uno scroscio di risa, ed urlò: - -«Ah! siete voi, siete voi! ora vi riconosco». - -Il suo riso stridulo e le parole sue minacciose passarono di sopra alla -lancia trasportata dal vento, e andarono a perdersi nella profondità -dell’orizzonte. - -Aramis raccapricciò. - -«Calma, calma! disse Athos, che diamine! non siamo più uomini? - -«Noi, sì, riprese Aramis, ma egli è un demonio.... E a voi, domandate -allo zio se avevo torto a volerlo sbarazzare di un simile nepote». - -Di Winter non replicò che con un sospiro. - -«Tutto sarebbe finito, continuò Aramis. Athos! io temo che colla vostra -saviezza mi abbiate fatto fare una pazzia». - -Athos prese per mano di Winter, e procurando disviare il discorso gli -domandò: - -«Quando approderemo in Inghilterra?» - -Ma il gentiluomo non lo intese nè fece motto. - -«Ecco, proseguì Aramis, forse sarebbe ancora tempo; guardate, è là -nello stesso posto». - -Athos si girò con dispiacere, l’aspetto di quel giovane eragli assai -penoso. - -Chè realmente egli rimaneva in piedi sullo scoglio, ed il faro gli -mandava attorno come un’aureola di luce. - -«Ma che fa egli a Boulogne? chiese Athos, il quale tutto senno, cercava -di ogni cosa la causa e poco curava l’effetto. - -«Mi seguitava, mi seguitava, disse di Winter che questa volta aveva -udita la voce di Athos, voce che rispondeva ai suoi pensieri. - -«Per ciò, amico mio, ribattè Athos, bisognava che sapesse la nostra -partenza; e d’altronde, secondo tutte le probabilità, egli ci aveva -anzi preceduti. - -«Allora nulla comprendo, disse l’Inglese scuotendo la testa come -uno che rifletta essere inutile contrastare contro una forza -soprannaturale. - -«Davvero, approvò Athos ad Aramis, credo di aver avuto torto non -lasciandovi fare. - -«Ah state zitto! borbottò questi, mi fareste piangere se potessi!» - -Grimaud mandò fuori un brontolio che somigliava quasi ad un ruggito. - -Nel momento li chiamò una voce dal naviglio. Il piloto seduto al timone -le rispose, e il battello si accostò al bastimento. - -In un attimo furono a bordo gentiluomini, servi e bagaglio. Il capitano -non attendeva se non loro; e tosto ch’ebbero messo piede sul ponte si -volse la prora in verso Hasting per dove era la destinazione. - -Ed i tre amici, a lor malgrado, mandarono un ultimo sguardo dal lato -dello scoglio, su cui tuttora appariva visibile l’ombra minacciosa. - -E minacciosa fu pure una voce che giunse fino ad essi gridando: - -«Signori, a rivederci in Inghilterra!» - - - - -XLVII. - -_Il Te Deum della vittoria di Lens._ - - -Il movimento osservato da Enrichetta, e di cui invano ella ricercava il -motivo, era cagionato dall’annunzio della vittoria di Lens del quale -il signor Principe aveva fatto messaggiero il duca di Chatillon che -in essa aveva avuta nobilissima parte, e che inoltre avea l’incarico -di appendere alle vôlte di Nostra-Donna ventidue bandiere prese ai -Lorenesi ed agli Spagnuoli. - -La notizia era decisiva: troncava il litigio intavolato col Parlamento -a favore della corte. Tutte le imposte sommariamente registrate ed -a cui faceva opposizione il Parlamento si motivavano sempre con la -necessità di sostenere l’onor della Francia e la speranza di battere -il nemico. E siccome, dopo Nordlingen non si erano avute che delle -sconfitte, restava campo al Parlamento onde interpellare Mazzarino su -le vittorie ognor promesse e differite. Ma questa volta era seguita -la pugna, v’era stato completo trionfo, e quindi ciascuno comprendeva -esservi pella corte doppia vittoria, cioè all’interno e all’esterno, -talmentechè persino il giovanetto re all’udire la nuova esclamava: - -«Ah ah! signori del Parlamento, sentiremo ora che cosa direte!» - -Per cui la regina si strinse al seno il regio fanciullo, i di lui -sentimenti alteri e indomiti tanto bene si combinavano co’ suoi. -E nella serata ebbe luogo un consiglio, chiamandosi a questo il -maresciallo di La Meilleraie e il signor di Willeroy perchè dediti al -Mazzarino, Chavigny e Seguier perchè odiavano il Parlamento, e Guitaut -e Comminges perchè divoti alla regina. - -Nulla si penetrò di quanto fosse deciso in quel consiglio, e solo -si seppe che alla seguente domenica vi sarebbe _Te Deum_ cantato a -Nostra-Donna in onore della vittoria di Lens. - -Nella domenica suddetta i Parigini si destarono in somma allegrezza. In -quell’epoca un _Te Deum_ era cosa grandissima; era molto accetta nel -pubblico tal cerimonia, ed essa produceva il dovuto effetto. Il sole, -come prendesse parte alla festa, sorgeva bello e splendido a indorare -le oscure torri della metropoli digià piena d’immensa quantità di -popolo, le strade le più buje della città-vecchia avevano una cert’aria -da festa, e lungo gli argini si vedevano lunghe file di borghesi, -artieri, donne e bambini, recarsi a Nostra-Donna, simili a un fiume che -risalisse verso la sua sorgente. - -Le botteghe erano abbandonate, le case chiuse, ciascuno aveva voluto -mirare il giovine re con sua madre ed il famoso signor Mazzarino, -pel quale si aveva tant’odio che nessuno intendeva privarsi della sua -presenza. - -Del resto fra l’immensa folla regnava la maggior libertà; tutte -le opinioni si esprimevano apertamente, e per dir così suonavano a -sommossa, conforme le mille campane di tutte le chiese suonavano a _Te -Deum_. La polizia della città essendo esercitata dalla città stessa, -nulla di minaccioso veniva a turbare il concerto dell’odio generale o a -gelare le parole su quelle labbra maldicenti. - -Frattanto, sin dalla mattina alle otto, il reggimento delle guardie -della regina, comandato da Guitaut, e per secondo dal suo nepote -Comminges, era venuto, preceduto da tamburi e trombe, a schierarsi dal -Palazzo Reale fino a Nostra-Donna, la quale manovra i Parigini aveano -veduta tranquillissimamente, curiosi com’e’ sono di splendide uniformi -e di musica militare. - -Friquet era in gran gala, e col pretesto di una flussione, che si era -procurata momentaneamente col cacciarsi una quantità di noccioli di -ciriegie da una parte della bocca, aveva ottenuto dal suo superiore -Bazin la vacanza per tutta la giornata. Sul principio Bazin gliel’aveva -ricusata, essendo di mal umore, prima per la partenza di Aramis ch’era -andato via senza dirgli dove andasse, e poi per dover assistere a una -messa detta in favore di una vittoria che non istava d’accordo colle -sue opinioni (Bazin, noi ce lo rammentiamo, era un della _Fronda_, e -se vi fosse stato caso che in tale solennità il bidello si assentasse -come un semplice cantore, egli avrebbe di sicuro avanzata al superiore -la stessa domanda che a lui si faceva); aveva ricusato, noi dicevamo, -la richiesta vacanza, ma alla sua presenza si accrebbe cotanto la -flussione di Friquet, che per l’onore del corpo dei cantori il quale -sarebbe stato compromesso da siffatta deformità, finì col cedere -benchè brontolando. Friquet arrivato sull’uscio aveva sputata la sua -flussione, e mandato dalla parte di Bazin uno di quei gesti che rendono -i monelli di Parigi superiori a tutti gli altri monelli dell’universo. -E dell’osteria poi si era disbrigato naturalmente col dire che doveva -servire la messa a Nostra-Donna. - -Sicchè Friquet era libero, e conforme accennammo si era vestito col suo -maggior lusso; teneva specialmente, come ornamento rimarchevole della -sua persona una di quelle _buffe_ indescrivibili che stanno framezzo al -berretto del medio evo e al cappello dei tempi di Luigi XIII. La madre -gli aveva fabbricato quel curioso copri-zucca, e forse per ghiribizzo -o per mancanza di roba uniforme, si era mostrata poco premurosa di -assortire i colori, in guisa che quel capolavoro di berretteria del -secolo decimosettimo era da un lato giallo e verde, e dall’altro bianco -e rosso. Bensì Friquet, stato sempre propenso per la varietà dei tuoni, -se lo portava, ad onta di tutto questo, glorioso e trionfante. - -Uscito d’appresso a Bazin, si mise a correre verso il Palazzo Reale; -vi arrivò nel momento che ne veniva fuori il reggimento delle guardie; -e siccome non era là per altro che per godere della vista di questo e -profittare della musica, si piantò alla testa della truppa, battendo -il tamburo con due pezzi di lavagne, e da tale esercizio passando a -quello della trombetta, che contraffaceva naturalmente con la bocca in -sì bella maniera da averne riscosso più di una volta grandi elogi per -parte degli amatori dell’armonia imitativa. - -Cotesto divertimento durò dalla barriera dei Sergenti sino alla -piazza Nostra-Donna, e Friquet v’ebbe veramente piacere; ma quando -il reggimento si fermò, e le compagnie distendendosi penetrarono -fino nel cuore della città-vecchia, mettendosi in fila all’estremità -della via San Cristoforo, vicino alla strada Cocatrix dove abitava -Broussel, allora Friquet, ricordandosi di non aver fatto colazione, -cercò da che lato potrebbe volgere il passo onde adempiere a quell’atto -importantissimo della giornata, ed avendovi maturamente riflettuto -decise che dovesse toccare al consigliere Broussel di provvedere a quel -suo piccolo pasto. - -In conseguenza prese lo slancio, giunse ansante e affannoso davanti al -portone del consigliere, e bussò forte. - -Sua madre, vecchia serva di Broussel, venne subito ad aprire. - -«Che vieni tu a far qui, biricchino? essa disse, e perchè non sei a -Nostra-Donna? - -«C’ero, mamma mia, rispose Friquet, ma ho visto che succedevano cose -che andavano avvisate a messer Broussel, e col permesso del signor -Bazin, sapete pure, mamma, Bazin il bidello, son corso qua per parlare -al signor Broussel. - -«E che gli vuoi dire, scimmiotto? - -«Vuo’ discorrere proprio con lui. - -«Non è possibile, è al lavoro. - -«Dunque aspetterò». - -E Friquet a cui questo tornava in acconcio, dacchè troverebbe modo -d’impiegare il tempo, salì alla lesta la scala, che la madre faceva -molto più adagio andandogli dietro. - -«Ma insomma, domandò questa, che vuoi dal signor Broussel? - -«Gli vuo’ dire, rispose Friquet urlando quanto più forte potesse, che -v’è tutto l’intero reggimento delle guardie che se ne viene per in qua; -e siccome ho sentito a dir dappertutto che in corte v’erano cattive -disposizioni contro di lui, lo voglio avvertire perchè stia ben cauto». - -Broussel udì le grida di quel bricconcello, e, contentissimo del di lui -zelo, scese al primo piano, giacchè infatti lavorava nel suo gabinetto -del secondo. - -«Eh! caro mio, gli disse, che c’importa del reggimento delle guardie? -sei matto a venire a far tanto chiasso? non sai che è uso di agire come -agiscono quei signori, e che il reggimento è solito a schierarsi ove -deve passare il re?» - -Friquet s’infinse da nescio, e girandosi fra le dita la berretta nuova, -rispose: - -«Non è miracolo che le sappiate voi, signor Broussel, che sapete ogni -cosa, ma io, in verità di Dio benedetto, non lo sapevo, e ho creduto di -darvi un buon avviso; non v’avete ad adirar con me, signor Broussel. - -«Anzi, ragazzo mio, al contrario, mi piace la tua premura.... Ehi! -(ordinò alla serva) pigliate un po’ le albicocche che ci mandò jeri -da Noisy madama di Longueville, e datene una mezza dozzina al vostro -figliuolo con un pezzo di pan fresco. - -«Ah! grazie grazie, signor Broussel! giusto! mi piaccion tanto le -albicocche!» - -Il consigliere allora passò dalla moglie, e chiese la colazione. Erano -le nove e mezza. - -Si affacciò alla finestra. La strada era deserta, ma da lontano si -udiva, come il rumore della marea, il susurrare delle onde popolari che -già già crescevano attorno a Nostra Donna. - -E lo strepito si raddoppiò allorchè d’Artagnan capitò con una compagnia -di moschettieri ad impostarsi alle porte della chiesa per far della -medesima il servizio interno. Egli aveva detto a Porthos di profittare -dell’occasione per essere spettatore della cerimonia, e Porthos in gran -tenuta, si mise sul più bello de’ suoi cavalli, facendo da moschettiere -onorario, secondo in addietro spesso avea fatto d’Artagnan. Il sergente -della compagnia, vecchio soldato delle guerre di Spagna, aveva -riconosciuto Porthos suo antico compagno, ed informati prestamente -tutti quanti eran sotto ai suoi ordini delle alte gesta di quel -gigante, onore dei moschettieri di Tréville, e Porthos non solo era -stato bene accolto, ma anco considerato con ammirazione. - -Alle dieci ore il cannone del Louvre annunziò l’uscire del re. - -Un movimento, simile a quello di alberi, le cui cime sieno tormentate -e curvate da un vento burrascoso, corse in fra la moltitudine, che si -agitò di dietro ai fucili immobili delle guardie. - -Comparve finalmente il re con la regina in una carrozza tutta dorata. -Lo seguivano altre dieci carrozze che racchiudevano le dame d’onore, -gli ufficiali del regio palazzo e tutta la corte. - -«Viva il re!» fu gridato per ogni banda. - -Il giovine sovrano mise gravemente il capo fuor dello sportello, fece -un cenno di riconoscenza, e salutò anco un tantino, lo che aumentò gli -urli della folla. - -Il corteggio avanzò con lentezza, ed impiegò quasi mezz’ora per -passare lo spazio che separa il Louvre dalla piazza di Nostra-Donna; -ed ivi giunto, si recò a poco a poco sotto l’immensa vôlta dell’oscura -metropoli, e si diede principio al servizio divino. - -Nel punto in cui la corte si poneva al suo posto, una carrozza con le -armi di Comminges abbandonò la fila di quelle della corte stessa, e -venne adagio a situarsi in fondo alla via di San Cristoforo del tutto -deserta. Colà arrivata, quattro guardie ed un birro, che la scortavano, -vi salirono dentro e ne serrarono le stuoje, e poi prevalendosi della -poca luce prudentemente riserbatasi, il birro si applicò a far la -posta su per la strada Cocatrix, quasi attendesse che avesse a capitare -qualcuno. - -Tutti erano occupati della cerimonia, talmente che non si badò alla -vettura, nè alle precauzioni di coloro che in essa stavano. - -Friquet, i di cui occhi sempre attenti erano i soli che potessero -accorgersene, era andato a godersi le albicocche sul cornicione di una -casa dell’atrio di Nostra Donna, e di là vedeva il re, la regina e il -signor Mazzarino, e sentiva la messa come l’aveva servita. - -Verso il finir della funzione, la regina osservando che Comminges -in piedi vicino a lei attendeva la conferma dell’ordine da essa già -datogli avanti di partirsi dal Louvre, gli disse sotto voce: - -«Andate, Comminges, e Dio vi assista». - -E Comminges si mosse subito, uscì di chiesa, ed entrò nella via di San -Cristoforo. - -Friquet, ch’ebbe adocchiato quel bell’offiziale a camminare così -seguito da due guardie, si divertì a andargli appresso, e ciò con tanto -più di allegria dacchè la cerimonia essendo appunto terminata il re -saliva di nuovo nel suo cocchio. - -Il birro, appena vide apparire Comminges all’estremità della via -Cocatrix, disse due paroline al cocchiere, e questi, messa tosto in -moto la sua macchina, lo condusse dinanzi alla porta di Broussel. - -Comminges bussava al portone precisamente nell’atto che vi si fermava -la vettura. - -E Friquet, dietro a Comminges, attendeva che quello si aprisse. - -«Che fai costà, sguajato? domandò Comminges. - -«Aspetto per entrare da messer Broussel, signor uffiziale, disse -Friquet col tuono carezzevole che sanno assumere all’occorrenza i -ragazzacci di Parigi. - -«Abita veramente qua? - -«Signor sì. - -«E che piano occupa? - -«Tutto il casamento.... gli è tutto suo. - -«Ma per solito dove sta? - -«Per lavorare al secondo piano, ma per mangiare scende al primo; adesso -dev’essere a pranzo, giacchè è mezzogiorno. - -«Bene, bene». - -Nell’istante fu aperto. L’ufficiale interrogò il servitore, e seppe -che Broussel era in casa e realmente desinava. Egli salì appresso il -servitore, e Friquet salì appresso a lui. - -Broussel era a tavola con la sua famiglia, avendo dirimpetto la moglie, -accanto le due figliuole, ed in fondo alla mensa suo figlio, Louvieres, -che noi già vedemmo nella circostanza della disgrazia accaduta per la -strada al consigliere, e da cui questi erasi già rimesso in salute.... -E appunto perchè tornato in sanità, assaggiava le ottime frutta -mandategli da madama di Longueville. - -Comminges, che aveva trattenuto il braccio al domestico mentre questo -voleva schiudere l’uscio per annunziarlo, lo schiuse da per sè e si -trovò davanti a quel quadro di famiglia. - -All’aspetto dell’uffiziale Broussel si agitò alquanto, ma poichè esso -lo salutava cortesemente, si alzò e salutò egli pure. Ciò non ostante, -e ad onta delle scambievoli cortesie, in viso alle donne comparve -qualche inquietezza, Louvieres impallidì ed attese che l’uffiziale si -spiegasse. - -«Signore, disse Comminges, io son latore di un ordine del re. - -«Benissimo, rispose Broussel, che ordine è egli?» - -E porgeva la mano. - -«Ho l’incarico d’impossessarmi della vostra persona, continuò l’altro -col medesimo tuono e con la stessa gentilezza, e se date ascolto a me, -vi risparmierete l’incomodo di leggere questa lunga lettera e verrete -meco». - -Una saetta che fosse caduta framezzo a quelle buone genti -tranquillamente radunate non avrebbe prodotto effetto più terribile. - -Broussel retrocedè tremando. Era in quell’epoca cosa funestissima -l’essere carcerato per nimicizia del re. Louvieres fece un atto -come per afferrare la sua spada ch’era sopra una sedia in un canto -del salotto, ma un’occhiata del bravo consigliere, che fra tutto -quell’imbroglio non perdeva il giudizio, l’obbligò a trattenersi; la -signora Broussel, lontana dal marito soltanto di quanto era larga la -mensa, diede in dirotto pianto; le fanciulle si tenevano stretto il -padre fra le braccia. - -«Orsù, disse Comminges, sollecitiamoci; bisogna obbedire al re. - -«Signore, rispose Broussel, sono indisposto di salute, e non posso -costituirmi prigione in questo stato: domando tempo. - -«Non è possibile, l’ordine è formale, e deve eseguirsi subito. - -«Non è possibile! replicò Louvieres; signore, badate di non ridurci -alla disperazione! - -«Non è possibile!» urlò una voce acuta di fondo alla stanza. - -Comminges si girò, e vide la Gervasia con la granata in mano e gli -occhi infuocati dalla collera. - -«Gervasia cara, siate quieta, ve ne prego! disse il consigliere. - -«Star quieta, io, quando arrestano il mio padrone, il sostegno, il -liberatore, il padre del povero popolo!.... Oh sì, mi conoscete benino! -Volete andar via? gridò la serva a Comminges». - -Questi sorrise. - -«Animo, signore, disse a Broussel, fate tacere questa donna, e -seguitemi. - -«Farmi tacere! me?.... ripicchiava Gervasia, oh, ci vuol altro che voi, -bell’uccello del re! ora vedrete». - -E si slanciò alla finestra e la spalancò, e con voce sì penetrante da -udirsi fino nell’atrio di Nostra-Donna, strillò: - -« Ajuto! arrestano il mio padrone! arrestano il consigliere Broussel! -ajuto! - -«Signor mio, fece Comminges, dichiaratevi prontamente: obbedite, o -volete far ribellione al re? - -«Obbedisco! obbedisco! esclamò Broussel: procurando liberarsi dagli -amplessi delle figliuole e con lo sguardo frenare il figlio sempre -pronto a sfuggirgli. - -«Allora dunque imponete silenzio a questa vecchia. - -«Ah! vecchia, vecchia! strepitò Gervasia». - -Ed affacciatasi, e reggendosi alle sbarre della finestra, strillava più -che mai: - -«Ajuto, ajuto! per messer Broussel! lo arrestano perchè ha difeso il -popolo! ajuto!» - -Comminges prese la serva per la vita e pretendeva levarla dal suo -posto; ma nel momento si udì in guisa di falsetto da una sorta di -mezzanino scaturire le strida: - -«Fuoco! assassini! ammazzano il signor Broussel! scannano il signor -Broussel!» - -Era Friquet. E la Gervasia, sentendosi meglio sostenuta, rinforzò gli -urli e fece coro completo. - -Già a’ balconi si mostravano visi curiosi; accorreva la plebe -richiamata alla fine della contrada; prima uomini, poi comitive, e -dopo la calca; si sentiva lo strepito, si vedeva una vettura, e nessuno -capiva. Friquet saltò dal mezzanino sull’imperiale del legno. - -«Vogliono arrestare il signor Broussel! gridò; nella carrozza vi sono -le guardie, e l’uffiziale è lassù!» - -La moltitudine, raccoltasi, mormorò, susurrò, e si accostò ai cavalli. -Le due guardie rimaste nell’andito salirono a dar soccorso a Comminges; -quelle ch’erano nel legno aprirono lo sportello ed incrociarono le -lancie. - -«Li vedete! esclamava Friquet, li vedete? eccoli! eccoli!» - -Il cocchiere, voltatosi, diede a Friquet una buona frustata che lo fece -urlare dal dolore. - -«Ah! vetturino del diavolo! disse questo, ti ci mescoli anco tu! -aspetta, aspetta!» - -E reduce nel mezzanino, scagliò sul degno auriga quanti projettili potè -ritrovare. - -A malgrado delle ostili dimostrazioni delle guardie, e forse anzi a -motivo di tali dimostrazioni, la folla si diede a schiamazzare e si -appressò ai cavalli. Le guardie fecero indietreggiare i più facinorosi -a suon di lanciate. - -E cresceva il tumulto; e la strada non era più capace a contenere gli -spettatori che pullulavano da ogni banda; e la calca ingombrava persino -lo spazio che fra loro e la carrozza formavano le terribili picche. -I soldati, respinti come da muraglie viventi, sarebbero a momenti -schiacciati: fra le assi delle ruote e li sportelli delle vetture. -Il grido: «In nome del re!» ripetuto ben venti fiate dal birro, a -nulla giovava contro quella tremenda moltitudine, ed al contrario -pareva vieppiù la esacerbasse; ed ecco udendo: «In nome del re!» -scagliarsi un cavaliero, ed al mirare uniformi maltrattate, avventarsi -fra la mischia, con la spada in mano, e recare alle guardie inattesa -assistenza. - -Il cavaliere era un giovane di quindici a sedici anni, fatto pallido -dalla collera. Smontò al pari delle altre guardie, si appoggiò al -timone del legno, del suo cavallo si fece un baluardo, cavò dalle -saccoccie le pistole e se le pose alla cintura, e cominciò a dar di -spada come uno a cui fosse familiare il maneggiar codest’arme. - -Per una diecina di minuti, esso solo e da sè, resse agli sforzi di -tutta la gente. - -Allora fu visto arrivare Comminges che spingeva avanti Broussel. - -«Facciamo in pezzi la carrozza! gridava il popolo. - -«Ajuto! gridava la vecchia. - -«Assassini! gridava Friquet, buttando addosso alle guardie quanto gli -capitava fra le mani. - -«In nome del re! gridava Comminges. - -«Il primo che si avanza è morto! gridò Raolo, il quale, veggendosi -incalzato, fe’ sentire la punta della sua spada ad una specie di -gigante ch’era in procinto di schiacciarlo, e che per la ferita -fattagli rinculò mugolando». - -Imperciocchè era appunto Raolo, che tornando da Blois, conforme avea -promesso al conte di la Fère, dopo un’assenza di cinque giorni, avea -voluto godere del colpo d’occhio della cerimonia, ed aveva preso dalle -strade che più direttamente lo avrebbero condotto a Nostra-Donna. -Giunto nelle vicinanze della via Cocatrix, erasi trovato trascinato -dall’onda popolare, e al detto di: «In nome del re!» ricordandosi -quello di Athos: «servite al re», accorreva a combattere pel re di cui -si maltrattavano le guardie. - -Comminges gettò per dir così Broussel nella carrozza e si slanciò -dietro a questi. Nel momento s’intese una archibugiata, una palla -attraversò da cima a fondo il cappello a Comminges e ruppe il braccio -ad une guardia. Comminges alzò il capo, e vide in mezzo alla finestra -la faccia minacciosa di Louvieres che lo guardava dal secondo piano. - -«Ah ah! gli disse, va bene, sentirete parlare di me! - -«E anche voi, rispose Louvieres, e si vedrà chi parlerà più forte». - -Friquet e la Gervasia strillavano sempre; le grida, lo sparo, l’odore -della polvere, tanto atto ad eccitare, facevano effetto. - -«A morte l’uffizlale! a morte! urlò la folla». - -E vi fu grande agitazione. - -«Un passo di più, esclamò Comminges calando le stuoje onde si -distinguesse bene dentro al legno ed appoggiando la spada sul petto -al consigliere; un passo di più e ammazzo il prigioniero. Ho ordine di -portarlo o vivo o morto, lo porterò morto e sarà finita». - -Echeggiò un grido terribile. La moglie e le figlie di Broussel -stendevano in atto supplice le mani verso il popolo. - -Il popolo comprese che l’uffiziale tanto pallido, ma che parea sì -risoluto, farebbe come aveva detto; seguitò a minacciare, ma si trasse -indietro. - -Comminges fece salir seco nel legno la guardia ferita, e ordinò alle -altre di chiudere lo sportello. - -«Di galoppo al palazzo!» ordinò poi al cocchiere mezzo morto. - -Questo frustò, e gli animali si apersero ampio varco tra la calca. -Però, arrivati allo scalo, bisognò fermarsi. La vettura ribaltò, i -cavalli erano trasportati, pigliati, acciaccati dalla gente. Raolo -a piedi, non avendo avuto agio di montar di nuovo in sella, stanco -di menar colpi di piatto della spada, come le guardie di darne col -piatto delle lame, cominciavano a far uso della punta. Però questo -tremendo ed ultimo compenso non poteva far altro che inasprire la -moltitudine. Tratto tratto si principiava a veder anche a rilucere tra -questa o la canna di un moschetto o la lama di una sciabola; si udivano -delle schioppettate, che, quantunque tirate per aria, scuotevano il -cuore a tutti, e proseguivano a piovere dai balconi i projettili. -Si ascoltavano voci che si odono soltanto nei giorni di sommossa, si -miravano volti che solo si veggono nei giorni più sanguinolenti. Le -grida: a morte le guardie! nel fiume l’uffiziale! ricoprivano quel -tumulto ancorchè immenso. Raolo, con il cappello tutto guastato, il -viso insanguinato, sentiva che non solo le forze ma anco la ragione -cominciavano ad abbandonarlo; i suoi occhi si avvolgevano in densa -nebbia rossiccia, ed a traverso a questa scorgeva cento braccia -accanite stendersi incontro a lui pronte ad afferrarlo appena cadesse. -Comminges si strappava per la rabbia i capelli nella vettura ribaltata. -Le guardie non potevano dar ajuto a veruno, occupate ciascune alla -propria difesa. Era finita! il legno, cavalli, militi, satelliti e -prigioniero forse anche tutti, stavano sul punto di esser ridotti in -pezzi.... Ma ad un tratto suonò una voce a Raolo ben cognita, e brillò -per aria una larga spada, e nel medesimo istante la folla si diradò, -bucata, atterrata, schiacciata, e un ufficiale dei moschettieri, -battendo e tagliando a destra e a manca, corse inverso a Raolo, e lo -prese fra le sue braccia nel momento ch’esso era per cadere. - -«Cospettone! esclamò l’ufficiale, lo hanno dunque assassinato! oh in -tal caso, guai a loro! guai!» - -E si volse in atto sì spaventevole per forza e per collera, che i più -accaniti ribelli si buttarono uno sull’altro onde fuggire, e ve ne -furono taluni che rotolarono persino nella Senna. - -«Signor d’Artagnan! balbettò Bragelonne. - -«Sì, cospettone! io in persona, e, secondo pare, per vostra buona -sorte, amico mio.... Ehi! qua voi altri! urlò d’Artagnan, drizzatosi -sulle staffe ed alzando la spada, chiamando colla voce e col gesto i -moschettieri, che non aveano potuto seguirlo tanto era stata rapida -la sua corsa; Ehi! animo! sgombrate tutta questa gente! ai moschetti! -portate, armi! caricate, armi!» - -A quei comando i monti di plebe si abbassarono sì improvvisamente che -d’Artagnan non potè frenarsi dal ridere. - -«Grazie, d’Artagnan, disse Comminges, mostrandosi per metà dello -sportello della vettura andata giù, grazie, mio giovane gentiluomo.... -Il vostro nome? acciò io lo riferisca alla regina». - -Raolo si accingeva a rispondere. D’Artagnan gli si chinò all’orecchio. - -«Tacete, gli disse, e lasciate che risponda io». - -E girandosi a Comminges: - -«Comminges, non perdete il tempo; uscite dal legno se potete, e fatene -avanzare un altro. - -«Ma quale? - -«Per Diana! il primo che passi sul Ponte-Nuovo; quei che vi saran -dentro si stimeranno fortunatissimi di prestare la loro carrozza pel -servizio del re. - -«Ma non saprei.... fece Comminges. - -«Andate, andate! o che fra cinque minuti torneranno tutti que’ -villani con spade o fucili; vi ammazzeranno e libereranno il vostro -prigioniero.... Andate!.... Oh! appunto, ecco una vettura che viene di -laggiù». - -Ed abbassatosi da capo, d’Artagnan avvertì Raolo all’orecchio: - -«E soprattutto, non date il vostro nome!» - -Bragelonne lo guardava attonito. - -«Va benissimo, io corro, replicò Comminges, e se ritornano fate fuoco. - -«No, no! si oppose d’Artagnan, anzi, nessuno si muova; uno sparo fatto -in questo momento si pagherebbe troppo caro domani». - -Comminges prese seco le sue quattro guardie e altrettanti moschettieri, -e volò incontro alla vettura; ne fece smontare quei che l’occupavano e -li ricondusse vicino all’altra ribaltata. - -Ma quando si dovè trasportare Broussel dal legno rotto nell’altro, il -popolo, al vedere colui che chiamava suo liberatore, diede urli da non -idearsi, e si avventò nuovamente addosso alla carrozza. - -«Partite, disse d’Artagnan, ecco dieci moschettieri per accompagnarvi, -io ne ritengo venti per tenere a freno la gente; andate, non perdete un -istante! Dieci uomini pel signor di Comminges!» - -E tanti uomini, quanti ei ne avea destinati, separatisi dalla truppa si -fecero attorno alla nuova vettura, e mossero di galoppo con essa. - -Al partirsi della quale crebbero le strida; e più di diecimila uomini -si affollavano sull’argine, ingombrando il Ponte-Nuovo e le strade -adjacenti. - -Vi furono alcune schioppettate, un moschettiere restò ferito. - -«Avanti! avanti! gridò il nostro tenente arrabbiato e mordendosi i -baffi». - -E co’ suoi venti soldati fece una scarica su tutto quel popolo, che -scappò spaventato. - -Un solo uomo rimase al suo posto coll’archibugio in mano. - -«Ah! disse, sei tu che già volevi assassinarlo! aspetta!» - -Ed abbassò l’arme verso d’Artagnan, il quale gli correva incontro di -triplice galoppo. - -D’Artagnan si chinò sul collo del proprio destriero. Il giovane fece -fuoco; la palla tagliò la penna del suo cappello. - -Il corsiero, infuriato, urtò l’imprudente che credeva di poter -trattenere da solo una tempesta, e lo mandò a cadere a ridosso al muro. - -D’Artagnan fermò in tronco il suo cavallo, e mentre i suoi moschettieri -continuavano a caricare, tornò, alzando la spada, su colui che aveva -atterrato. - -«Ah signore! esclamò Raolo, ravvisando il giovane per averlo veduto -nella via Cocatrix, abbiategli riguardo, è suo figlio!» - -D’Artagnan si frenò; aveva il braccio pronto a colpirlo. - -«Ah! siete suo figlio? esso disse, allora è tutt’altro. - -«Signore, mi arrendo, rispose Louvieres, porgendo all’ufficiale il suo -fucile scarico. - -«Eh no, per Dio! non vi arrendete; anzi scappate e alla lesta; se vi -prendono, sarete impiccato». - -Quegli non se lo fece dire due volte; passò sotto il collo del -destriero e disparve sul canto della via Guénégaud. - -«Affè! disse d’Artagnan a Raolo, mi avete trattenuto a tempo; era un -uomo bell’e morto, e davvero, quando avessi saputo chi egli era, avrei -provato rammarico di averlo ucciso. - -«Ah signore! replicò Bragelonne, permettete che dopo avervi ringraziato -per quel povero ragazzo io vi ringrazii per me; anch’io era in procinto -di morire quando siete capitato. - -«Piano, piano, amico mio, disse d’Artagnan, non vi stancate a parlare». - -E tolta dalla sacca della sella una boccia ricolma di vino di Spagna, -soggiunse: - -«Bevete un sorso di questa roba». - -Raolo bevve, e voleva rinovare i ringraziamenti. - -«Mio caro, disse d’Artagnan, ne parleremo poi». - -Ed accortosi che i moschettieri aveano sgombrato l’argine del -Ponte-Nuovo sino a quel di San Michele, e tornavano indietro, levò su -la spada acciò si sollecitassero. - -Coloro arrivarono di trotto; nel medesimo tempo, dal lato opposto, -giungevano i dieci di scorta dati da d’Artagnan a Comminges. - -«Olà, gridò d’Artagnan a costoro, v’è qualcosa di nuovo? - -«Signore, rispose il sergente, la loro carrozza è ita in pezzi da capo; -l’è una vera maledizione!» - -D’Artagnan si strinse nelle spalle. - -«Non han giudizio, disse; quando si sceglie una vettura la deve esser -buona e forte; quella con cui si arresta un Broussel deve essere capace -a portare dieci mila uomini. - -«Che ci comandate, tenente? - -«Prendete il distaccamento, e conducetelo al quartiere. - -«E voi, vi ritirate solo? - -«Sicuro! non crederete mica che abbia bisogno di scorta! - -«Ma per altro.... - -«Andate là!....» - -I fucilieri si partirono, e d’Artagnan restò solo con Raolo. - -«E adesso, soffrite? gli domandò. - -«Si, ho la testa grave, e che mi piglia fuoco. - -«E che avete su codesta testa?...» - -D’Artagnan tirò su il cappello, e disse: - -«Ah! ah! una contusione! - -«Sì.... credo che mi sia stato gettato sul capo un vaso di fiori. - -«Canaglia!.... Ma avete gli sproni!.... dunque eravate a cavallo? - -«Sì, ma ero smontato per difendere il signor di Comminges, ed il -cavallo mi è stato tolto.... Oh! eccolo!....» - -Difatti nel momento passava il corsiero di Raolo su cui era Friquet, -il quale, andando di galoppo, agitava per aria la berretta di quattro -colori, e gridava: - -«Broussel! Broussel! - -«Ehi, briccone! fermati! urlò d’Artagnan, e porta qua codesta -bestia!....» - -Friquet udì benissimo, ma fece da sordo, e procurò di seguitare avanti. - -Per un poco d’Artagnan ebbe voglia di andargli appresso; ma non gli -parve opportuno lasciar solo Raolo; e quindi si limitò a cavar fuori -una pistola e caricarla. - -Friquet aveva l’occhio accorto e l’orecchio fino; vide il gesto del -tenente, udì il rumore del grilletto, fermò di botto il palafreno. - -«Oh! siete voi, signor uffiziale, esclamò venendo inverso d’Artagnan! -davvero, ho caro d’incontrarvi». - -Il tenente guardò attento Friquet, e ravvisò il ragazzaccio della via -della Calandra. - -«Ah! disse, sei tu, briccone? vien qua. - -«Sì, son io, signor militare, rispose lo sguajato con i suoi modi -sdolcinati. - -«Dunque hai cambiato mestiere? dunque non sei più cantore di chiesa? -dunque non sei più garzone di osteria? dunque sei ladro di cavalli? - -«Uh, signor uffiziale! e s’ha egli a dir codesto? s’ha egli a dire? -esclamò Friquet, cercavo il gentiluomo padrone di questo animale, bel -cavaliero veh! coraggioso come un Cesare. (E fingeva veder allora -Bragelonne per la prima volta) Ohi! non m’inganno, eccolo qua!.... -Signore, non vi scorderete mica del garzone, eh?» - -Raolo si mise la mano nel borsellino. - -«Che volete fare? gli domandò d’Artagnan. - -«Dar dieci lire a questo buon ragazzo, rispose Raolo». - -E cavava fuori di tasca una doppia. - -«Dieci pedate nella pancia! urlò d’Artagnan. Va via, monello! e -rammentati che so dove tu abiti». - -Friquet, che non si aspettava di uscirne tanto bene, fece un salto solo -dall’argine alla via Delfina, e là sparì affatto. - -Raolo montò a cavallo; d’Artagnan avea cura di lui come fosse suo -figlio, ed entrambi, andando di passo, s’incamminarono verso la Strada -Tiquetonne. - -Durante il tragitto, vi furono e mormorio e minaccie da lontano, ma -all’aspetto di quell’ufficiale, di portamento tanto militare, al mirare -la terribile spada che gli pendeva dal pugno, tutti si discostarono, e -non fu fatto sul serio verun tentativo contro i due cavalcanti. - -Talchè giunsero dessi, senza disgrazie, all’albergo del Granchio. - -La bella Maddalena partecipò a d’Artagnan qualmente era tornato -Planchet conducendo con sè Mousqueton, che aveva sopportata eroicamente -l’estrazione della palla e stava bene per quanto lo comportava la sua -situazione. - -Allora d’Artagnan ordinò si chiamasse Planchet; ma Planchet, benchè -chiamato, non comparve. Era sparito. - -«Dunque si porti del vino, comandò d’Artagnan». - -E il vino essendogli recato, ed egli rimasto solo con Raolo, domandò a -questo guatandolo sottocchi: - -«Siete contento di voi stesso? - -«Eh sì! rispose Bragelonne, e’ mi pare di aver fatto l’obbligo mio. Non -ho difeso il re? - -«E chi vi ha detto di difendere il re? - -«Oh! il signor conte di la Fère in persona. - -«Sì, il re; ma oggi non avete difeso il re, ma bensì il Mazzarino, lo -che non è lo stesso. - -«Però, signore.... - -«Giovanotto, avete fatto uno sproposito, vi siete ingerito in cose che -non vi riguardano. - -«Eppure voi.... - -«Oh! per me gli è tutt’altro; io ho dovuto obbedire agli ordini del -mio capitano. Il capitano vostro è il signor Principe: lo capite? non -ne avete altri... Ma s’è visto mai (continuava il tenente) una testa -sventata simile, che è per farsi partigiano del Mazzarino e dà ajuto -ad arrestare Broussel?.... almeno non fate motto su questo imbroglio, o -che il conte di la Fère andrebbe sulle furie. - -«Credete che il signor conte sarebbe meco adirato? - -«Se lo credo! ne sono sicuro. Se no vi ringrazierei, giacchè in -sostanza avete lavorato per noi. E perciò vi rimprovero in luogo e vece -di lui, e statene persuaso, la tempesta sarà più mite. E poi, mio caro -giovanotto, io mi prevalgo del privilegio concessomi dal vostro tutore. - -«Non v’intendo, disse Raolo». - -D’Artagnan si alzò, e tolta dallo stipo una lettera, a lui la porse. - -Tosto che Raolo v’ebbe data una scorsa gli si fe’ torvo lo sguardo. - -«Oh mio Dio! (e volgeva sul tenente i begli occhi gonfi di pianto) -dunque il signor conte ha abbandonato Parigi senza vedermi! - -«È partito da quattro giorni. - -«Ma dalla sua lettera sembra si accenni ch’ei si espone a rischio -mortale?.... - -«Oh sì! rischio mortale a lui!.... non ci pensate: viaggia per -affari, e sarà reduce in breve.... spero che non abbiate ripugnanza ad -accettarmi come suo facente funzioni. - -«Ah no, signor d’Artagnan! voi siete un sì prode gentiluomo! il conte -di la Fère vi ama tanto! - -«Or bene, amatemi anche voi; non vi tormenterò, ma con patto che siate -addetto alla _Fronda_, e per bene addetto alla _Fronda_! - -«Posso bensì seguitare a frequentare la signora di Chevreuse? - -«Eh sì, per Bacco! e anche il Coadjutore, e anche madama di -Longueville; e se fosse qua il buon uomo Broussel, al di cui arresto -avete contribuito sconsideratamente, vi direi: Fate presto le vostre -scuse a messer Broussel e dategli un bacio sopra ognuna delle guancie. - -«Allora, signor mio, vi obbedirò sebbene non vi capisca. - -«È inutile che m’intendiate. A voi (disse d’Artagnan volgendosi verso -l’uscio apertosi nel momento), ecco il signor du Vallon che capita qui -con le vesti tutte lacere. - -«Sì, fece Porthos, che grondava di sudore ed era carico di polvere, sì, -ma in compenso ho lacerata la pelle a molti.... Quei prepotenti non mi -volevano levare la spada? Capperi! che agitazione popolare! (proseguiva -il gigante con la sua calma usitata), ma io ne ho accoppata una ventina -e più col pomo di Balizarda.... D’Artagnan, qua un dito di vino. - -«Oh! mi rapporto a voi; gli rispose il Guascone empiendogli il -bicchiere sino all’orlo, bensì dopo che avrete bevuto, ditemi la vostra -opinione». - -Porthos inghiottì tutto in un sorso; e posato il bicchiere sulla -tavola, e succiatesi le basette, domandò: - -«Su che cosa? - -«Sentite, disse d’Artagnan: ecco il signor di Bragelonne che ad ogni -patto voleva dar mano all’arresto di Broussel, e che a stento io ho -potuto trattenere dal difendere Comminges. - -«Perdinci! esclamò Porthos, e che avrebbe detto il tutore se lo avesse -saputo?.... - -«Vedete? interruppe d’Artagnan, amico mio, datevi alla _Fronda_, e -pensate che io sono subentrato al conte in tutto e per tutto». - -E fece suonare la borsa. - -Indi giratosi verso il compagno: - -«Venite, Porthos, sì o no? - -«Dove? chiese questi mescendosi un bicchier di vino. - -«A presentare i nostri omaggi al ministro». - -Porthos s’ingojò il secondo bicchiere con la medesima pace che il -primo, riprese il cappello che avea posato sopra una seggiola, e andò -con d’Artagnan. - -Raolo restò là sbalordito da quanto aveva veduto, essendogli vietato -da d’Artagnan di muoversi dalla stanza prima che fosse calmata ogni -agitazione. - - - - -XLVIII. - -_Il mendico di Sant’Eustachio._ - - -D’Artagnan aveva calcolato ciò che faceva non recandosi immediatamente -al Palazzo Reale; aveva dato tempo a Comminges di trasferirvisi prima -di lui, e in conseguenza di dar parte al ministro degli eminenti -servigi ch’egli stesso, d’Artagnan ed il suo amico, avevano renduti -nella mattinata al partito della regina. - -Quindi ambedue furono accolti egregiamente da Mazzarino, il quale fece -ad essi moltissimi complimenti, ed annunziò come ciascun di loro era -più che a mezza strada di quel che bramava, cioè a dire d’Artagnan del -capitanato, e Porthos della baronia. - -D’Artagnan avrebbe preferito a tutto questo danari, perocchè sapeva -che il Mazzarino era facile a promettere e duro a mantenere, talchè -stimava le promesse di Sua Eccellenza come cibo di poca sostanza; ma -non ostante si mostrò soddisfatto davanti a Porthos cui bramava di non -far perdere il coraggio. - -Intanto che i due amici erano presso al ministro, la regina li fe’ -ricercare. Mazzarino pensò che sarebbe un mezzo di accrescere lo zelo -de’ suoi due difensori il procacciare ad essi i ringraziamenti della -sovrana in persona, e accennò loro che andassero seco. D’Artagnan -e Porthos gli mostrarono i loro abiti polverosi e laceri, ma il -Mazzarino, tentennando il capo, rispose: - -«Codesto vestiario è da meglio di quello di quanti cortigiani troverete -dalla regina, poichè è vestiario da battaglia». - -D’Artagnan e Porthos obbedirono. - -La corte della regina Anna era allegra e clamorosa, conciossiachè, in -conclusione, dopo riportata una vittoria sullo Spagnuolo, un’altra -se n’era ottenuta sul popolo; Broussel era stato condotto fuori di -Parigi senza resistenza, ed oramai doveva essere nelle prigioni di San -Germano, e Blancmesnil, arrestato nel medesimo tempo, ma senza chiasso -nè difficoltà, era carcerato nel castello di Vincennes. - -Comminges se ne stava al fianco alla regina, la quale lo interrogava -sui dettagli della sua impresa, e ciascuno ascoltava il suo racconto, -quando ecco gli venne fatto di vedere all’uscio, dietro al ministro -ch’entrava, d’Artagnan e Porthos. - -«Ah signora! disse correndo inverso d’Artagnan, questo signore può -dirvi il tutto meglio di me, giacchè è il mio salvatore. Senza di lui, -forse in questo momento sarei acchiappato nelle reti di San Cloud, -giacchè non si discorreva di niente meno che di buttarmi nel fiume. -Parlate voi, d’Artagnan». - -D’Artagnan, dacchè era tenente dei moschettieri, si era trovato forse -cento volte nel medesimo appartamento che la sovrana, ma questa mai nè -poi mai gli avea rivolto il discorso. - -«Ebbene? disse Anna, dopo avermi renduto un tal servigio, voi tacete? - -«Ah! egli rispose, nulla ho da dire se non che la mia vita è ai comandi -di Vostra Maestà, e non sarò pago se non nel giorno in cui per Lei io -la perda. - -«Lo so, lo so, replicò la regina, e da un pezzo. E perciò mi è grato -potervi dare questa pubblica dimostrazione della mia stima e della mia -riconoscenza. - -«Permettetemi, Maestà, soggiunse d’Artagnan, di cederne porzione al mio -amico, antico moschettiere della compagnia di Tréville, al pari di me -(e calcava su queste parole) e che fece prodigi. - -«Il suo nome? chiese Anna. - -«Ne’ moschettieri si chiamava Porthos....» - -La regina si scosse. - -«Ma il suo vero nome, terminava d’Artagnan, si è cavaliere du Vallon. - -«Di Bracieux di Pierrefonds, aumentò Porthos. - -«Sono troppi nomi perch’io me li ricordi tutti, e non vuo’ rammentarmi -che del primo, ribattè graziosamente la regina». - -Porthos s’inchinò. - -D’Artagnan mosse due passi indietro. - -Nel momento fu annunziata la venuta del Coadjutore. - -Nella regia comitiva fuvvi un grido di sorpresa. Benchè il Coadjutore -avesse predicato la mattina, tutti sapevano ch’ei propendeva per la -_Fronda_, e Mazzarino invitando l’arcivescovo di Parigi a far predicare -suo nepote, aveva avuto di sicuro l’intenzione di dare al signor di -Retz una di quelle botte all’italiana che tanto lo divertivano. - -Realmente, all’uscire da Nostra-Donna il Coadjutore aveva saputo il -fatto. Sebbene fosse impegnato coi principali soggetti della _Fronda_, -non lo era tanto da non poter battere la ritirata se la corte gli -offeriva i vantaggi da lui ambiti ed ai quali la dignità di Coadjutore -non era che un semplice avviamento. Il signor di Retz voleva essere -arcivescovo e rimpiazzare suo zio, e quindi cardinale. Il partito -popolare difficilmente poteva accordargli questi favori assolutamente -regali. Egli dunque si recava al palazzo per fare i suoi complimenti -alla regina sopra la battaglia di Lens, determinato anticipatamente -ad agire a pro o contro la corte secondo che il suo complimento fosse -ricevuto o bene o male. - -Fu annunziato, entrò; ed al suo aspetto, in tutta la corte trionfante -si accrebbe la curiosità onde udire le sue parole. - -Il Coadjutore aveva di per sè solo tanto spirito quanto tutti coloro -che stavano là riuniti per burlarlo. E quindi mise tale abilità nel suo -discorso, che gli astanti vogliosi di ridere non ne trovavano modo nè -motivo. Egli finì col dire che poneva il debole suo potere al servizio -di Sua Maestà. - -La regina mostrò gustare assai l’arringa del Coadjutore sin che questa -durò; ma terminata che fu con quella frase, l’unica che diè campo a -molte facezie, Anna si volse, ed una occhiata che lanciò verso i suoi -favoriti, indicò ad essi qualmente ella abbandonava in balìa di loro -il Coadjutore. Tosto i più giovani individui della corte si scagliarono -nelle burle e nell’ironia. - -Nogent-Beautin, buffone del palazzo, esclamò che la regina era molto -fortunata di trovare i soccorsi del Coadjutore in simile momento. - -Vi fu una grandissima risata generale. - -Il duca di Villeroy disse che non sapeva come mai si fosse avuto -timore, mentre per difendere Parigi contro il parlamento e i borghesi, -si aveva là il signor Coadjutore, che con un cenno poteva mettere su -un’armata di svizzeri e di bidelli. - -Il maresciallo di la Meilleraye aggiunse, che dato il caso di venire -alle mani e di dovere il signor Coadjutore far egli pure una scarica, -era peccato ch’ei non potesse esser riconosciuto nella mischia da un -cappello rosso, come era stato Enrico IV dal pennacchio bianco alla -battaglia d’Ivry. - -Gondy, al cospetto di tale tempesta, che avrebbe potuto rendere funesta -a quei che lo schernivano, rimase quieto e severo. Allora la regina gli -domandò se avesse qualche cosa da aggiungere al bel discorso che già le -aveva fatto. - -«Sì, Maestà, egli le rispose, ho da pregarvi di pensarci ben bene prima -di mettere nel regno la guerra civile». - -La sovrana gli voltò le spalle, e tutti ricominciarono a ridere. - -Il Coadjutore se n’andò, dando però a Mazzarino che l’osservava uno -di quegli sguardi che si comprendono fra acerrimi nemici. Lo sguardo -fu sì acuto che penetrò sino in fondo al cuore del ministro, il quale -sentendo ch’era una dichiarazione di guerra, afferrò per un braccio -d’Artagnan e gli disse: - -«All’occorrenza, riconoscereste quell’uomo ch’è uscito dianzi, non è -vero? - -«Sì, monsignore, rispose questi». - -E voltatosi verso Porthos continuò: - -«Ohimè! la faccenda s’imbroglia.... non mi piacciono le contese fra -persone di tal fatta». - -Gondy si ritirò spargendo benedizioni dovunque passava e procurandosi -maliziosamente il piacere di far inginocchiare ai suoi piedi ancora i -servi de’ suoi nemici. - -«Oh! mormorò quando fu alla porta del palazzo, corte ingrata, corte -perfida, corte vile! domani t’insegnerò a ridere, ma in ben altra -maniera!» - -Però, mentre al Palazzo Reale si facevano stravaganze di allegrezza -per aumentare il buon umore della sovrana, Mazzarino, uomo di senno, -e che d’altronde aveva tutta la previdenza della paura, non perdeva -già il tempo in ischerzi vani e pericolosi; era uscito subito dopo al -Coadjutore, chiudeva i suoi conti, serbava il suo oro, e da operaj di -confidenza faceva fare dei nascondigli nelle pareti. - -Il Coadjutore, tornato alla propria dimora, intese che un giovane colà -venuto, dopo ch’ei si era partito, lo attendeva tuttavia. Domandò il -nome di colui, e balzò di giubilo all’udire che si chiamava Louvieres. - -Corse tosto nel suo gabinetto. Difatto era là il figlio di Broussel, -ancor furibondo e disperato pel contrasto avuto con le genti del re. -L’unica precauzione che avesse presa per venire all’arcivescovado era -stata di lasciare l’archibugio in casa di un amico. - -Il Coadjutore gli si fe’ incontro e gli porse la mano. Il giovanetto lo -guatò come se avesse voluto leggergli nel cuore. - -«Caro Louvieres, disse Gondy, siate persuaso che prendo molto interesse -alla vostra disgrazia. - -«Davvero? parlate sul serio? - -«Con tutta l’anima. - -«In tal caso, monsignore, è passato il tempo delle parole, e siamo -nell’ora di agire; purchè il vogliate, mio padre fra tre giorni sarà -fuori del carcere, e voi fra tre mesi sarete cardinale». - -Di Gondy si scosse. - -«Oh! seguitò Louvieres, parliamoci schietto, giuochiamo a carte -scoperte. Non si seminano trentamila scudi di elemosine conforme voi -avete fatto per mera carità cristiana; sarebbe azione troppo bella. Voi -siete ambizioso, e questo è naturale; siete uomo d’ingegno, e sapete -quanto valete. Io aborro la corte, e in questo punto non ho che un sol -desiderio, quello della vendetta. Dateci i vostri seguaci e il popolo -di cui disponete; io vi do il ceto borghese e il parlamento; con questi -quattro elementi, fra otto giorni Parigi è nostra, e credetemi pure, la -corte concederà per paura quel che non accorderebbe per amorevolezza». - -Il Coadjutore fissò sopra Louvieres l’occhio penetrante. - -«Ma sapete che codesto che mi proponete è a dirittura la guerra civile? - -«Voi, monsignore, la preparate assai da lungo tempo perchè noi -l’accogliamo bene. - -«Non serve, capirete che questo esige qualche riflessione. - -«E quante ore chiedete a riflettere? - -«Dodici.... sono forse troppe? - -«È mezzogiorno, sarò da voi a mezzanotte. - -«S’io non vi fossi, attendetemi. - -«Ottimamente: a mezzanotte, monsignore. - -«A mezzanotte, Louvieres carissimo». - -Il Coadjutore, rimasto solo, chiamò a sè tutti i sottoposti con cui -aveva più stretta relazione. A capo a due ore ne ne aveva radunati -trenta addetti alle parrocchie più popolose di Parigi. - -Raccontò ad essi l’insulto fattogli nel Palazzo Reale, e riferì -le celie di Beautin, del duca di Villeroy e del maresciallo di la -Meilleraye. E coloro gli domandarono che si avesse da fare. - -«La cosa è semplice, ei disse, buttate giù quel miserabile pregiudizio -del timore e del rispetto pei re; rendete noto che la regina ci -tiranneggia; ripetete forte, in guisa che ciascuno lo sappia, che le -sciagure della Francia provengono tutte dal Mazzarino suo amante e -corruttore; principiate l’opera vostra, oggi, subito, e fra tre dì -vi aspetto al resultato. Inoltre, se qualcuno di voi ha da darmi un -consiglio si trattenga e lo ascolterò con piacere». - -Rimasero tre dei convocati: quelli di S. Mery, di S. Sulpizio e di S. -Eustachio. - -Gli altri si ritirarono. - -«Voi dunque opinate di potermi ajutare anco più efficacemente che i -vostri colleghi? disse di Gondy. - -«Lo speriamo. - -«Animo, voi da S. Mery, cominciate. - -«Monsignore, nella mia contrada ho un tale che potrebbe esservi -utilissimo. - -«E chi è? - -«Un mercatante della via dei Lombardi, avente grande influenza sui -piccoli negozianti del suo quartiere. - -«Come lo chiamate? - -«È un certo Planchet; circa sei settimane sono produsse da sè solo una -sollevazione, ma in seguito di questa lo cercavano per impiccarlo ed è -sparito. - -«E lo ritroverete? - -«Me ne lusingo.... Non credo che sia stato arrestato, e se sua moglie -sa dov’è potrò farmelo dire. - -«Bene, cercatelo, e se lo rinvenite conducetelo da me. - -«A che ora? - -«Alle sei: vi fa comodo? - -«Alle sei ore, monsignore, saremo da voi. - -«Andate, e Dio vi assista». - -Quello di S. Mery se ne andò. - -«E voi? disse Gondy all’altro di S. Sulpizio. - -«Io, conosco un uomo che ha fatto grandi servigi a un principe molto -popolare, e sarebbe un ottimo capo di ribellione, e posso porlo a -disposizione vostra, monsignore. - -«Come si chiama? - -«Conte di Rochefort. - -«Lo conosco anch’io; disgraziatamente non è a Parigi. - -«Eh sì! sta in via Cassette. - -«Da quando in qua? - -«Da tre giorni. - -«E perchè non è venuto a vedermi? - -«Gli hanno detto.... monsignore, mi perdonerete.... - -«Sì, sì, dite pure.... - -«Ch’eravate in trattative colla corte». - -Gondy si morse il labbro. - -«L’hanno ingannato; menatelo da me alle otto, e Dio vi benedica». - -Dopo un inchino, quello di S. Sulpizio uscì. - -«Ora a voi; disse il Coadjutore all’ultimo rimasto, avete pure da -offerirmi tanto bene come quei signori di poc’anzi? - -«Di meglio. - -«Diamine! badate che vi assumete un grave impegno: uno mi ha esibito un -mercante e l’altro un conte; voi dunque mi offrirete un principe? - -«Un mendico, e nulla più, monsignore. - -«Ah ah! fece di Gondy riflettendo, avete ragione: uno che sollevasse -tutta quella legione di poveri che ingombrano i chiassuoli della -capitale, e sapesse far loro gridare a voce abbastanza sonora per -che la Francia intera lo sentisse, che Mazzarino è quello che gli ha -ridotti alla miseria.... - -«Precisamente: ho quel che vi occorre. - -«Bravo! e chi è colui? - -«Un semplice accattone, come vi dicevo; che chiede la carità e dà -l’acqua benedetta sui gradini della chiesa di Sant’Eustachio da circa -sei anni. - -«E dite che ha molta influenza sopra i suoi simili? - -«È la mendicità un corpo organizzato, una specie di associazione di -quei che non possiedono contro quei che possiedono, una compagnia nella -quale ciascuno porta la sua tangente, e che dipende da un capo! - -«Sì, codesto l’ho già inteso dire. - -«Or bene, l’individuo che vi propongo è sindaco generale. - -«E di lui che sapete? - -«Nulla, se non che mi sembra straziato da qualche rimorso. - -«Da che ve lo figurate? - -«Al dì 28 di ogni mese fa dire una messa pel riposo di una persona -morta di morte improvvisa. - -«E ha nome? - -«Maillard, ma m’immagino non sia il suo vero nome. - -«E vi pensate che adesso lo troviamo al suo posto? - -«Oh! di sicuro. - -«Andiamo a vedere il vostro mendico, e se è qual me lo dipingete, avete -ragione, voi siete quello che ha raccapezzato il vero tesoro». - -Gondy si vestì da cavaliero, si mise un cappellone largo con la penna -rossa, e alla cintola una lunga spada, e gli sproni agli stivali, ed -avvoltosi in un ampio ferrajuolo andò col suo subalterno. - -Il Coadjutore ed il compagno traversarono tutte le strade che separano -l’arcivescovado dalla chiesa di Sant’Eustachio, esaminando attentamente -lo spirito e le disposizioni del popolo. Il popolo era agitato, ma -simile ad uno sciame di api aizzate, pareva non sapesse su qual luogo -piombare, ed era evidente che se non gli si trovavano dei capi tutto -sarebbe finito con un vano ronzio. - -Arrivati in via des Prouvaires, quegli che andava col coadjutore stese -la mano verso l’atrio della chiesa, e disse: - -«Eccolo.... è al suo posto». - -Gondy guardò dalla parte indicatagli, e vide un povero seduto sopra una -seggiola ed appoggiato a uno dei cornicioni; aveva desso una piccola -secchia, e teneva in mano un aspersorio. - -«Sta egli là per privilegio? chiese Gondy. - -«No, monsignore: si è combinato col suo predecessore per l’incarico di -dar l’acqua benedetta. - -«Combinato? - -«Sì, sono incumbenze che qui si affidano a questa classe di persone, -tra le quali avvi alcuno talvolta che se la passa benone. - -«Dunque è forse anche ricco il briccone? - -«Taluni di costoro muojono lasciando alle volte venti mila, venticinque -e trenta mila lire, e anco più! - -«Uhm! disse ridendo Gondy, non credevo d’impiegare tanto bene le mie -limosine». - -Frattanto si avanzavano; nel punto che i due ponevano il piede sul -primo gradino, il mendico si alzò a porgere l’aspersorio. - -Era un uomo di sessantasei o sessantotto anni, piccolo, grosso, di -capelli grigi, occhi scuri. Sul suo sembiante appariva il conflitto di -due opposti principj: un cattivo naturale, forse domo dalla volontà, -forse dal pentimento. - -Vedendo il cavaliero insieme col compagno, si scosse alquanto e lo -considerò attonito. - -Entrambi allora si fecero il segno della croce; uno di essi gettò una -moneta nel cappello che stava in terra. - -«Maillard, disse il Curato, questo signore ed io siam venuti per -discorrere un momento con voi. - -«Con me! fece il mendico, è un grande onore codesto». - -Nella voce dell’accattone esisteva un che di ironia ch’ei non seppe -nascondere, e che fece meraviglia al signor di Gondy. - -«Sì, continuò il Curato che sembrava avvezzo a quel tuono suo ironico, -abbiamo voluto sapere che pensiate degli avvenimenti di quest’oggi, -e che abbiate inteso dire dalle persone che entrano in chiesa o che -n’escono». - -Il mendico scosse la testa. - -«Sono tristi avvenimenti, rispose, e che al solito ricadono addosso al -povero. Che si dice? tutti sono malcontenti e si lagnano; ma chi dice -tutti è come dicesse nessuno. - -«Spiegatevi, mio caro, soggiunse il Coadjutore. - -«Dico che tutte quelle grida, quei lamenti, quelle maledizioni non -produrranno altro se non burrasca e baleni; ma la saetta non cascherà -che quando vi sia un capo a dirigerla. - -«Voi mi sembrate un uomo abile, replicò di Gondy; sareste disposto -a mescolarvi in una piccola guerra civile in caso che l’abbiamo, e -mettere a disposizione di quel capo, se lo troviamo, il vostro potere -individuale e l’influenza che avete acquistata sui vostri camerati? - -«Sì signore, purchè questa guerra fosse approvata dalla Chiesa, e in -conseguenza mi conducesse allo scopo ch’io bramo di raggiungere, cioè -alla remissione de’ miei peccati. - -«Sarà più che approvata, in quanto alla remissione dei peccati, il -signor Arcivescovo di Parigi tiene grandi poteri dalla Corte di Roma, -il signor Coadjutore ancora possiede delle indulgenze particolari, e -noi vi raccomanderemmo ad esso. - -«Riflettete, Maillard, seguitò l’ecclesiastico, che da me siete stato -raccomandato a questo potentissimo signore ch’è qui meco, e che mi sono -fatto per voi garante. - -«So, rispose il mendico, che aveste sempre per me molta bontà, e perciò -dal canto mio sono pronto a secondarvi. - -«E credete la vostra influenza sui vostri colleghi così di peso come -dianzi mi si accertava? - -«Credo che mi abbiano una qualche stima, ribattè non senza orgoglio -l’accattone, e che non solo faranno quanto loro io comandi, ma anche mi -seguiranno dovunque io vada. - -«E potete assicurarmi di cinquanta uomini ben risoluti, anime buone -e calorose, capaci di far cadere le mura del Palazzo Reale gridando; -Abbasso il Mazzarino! come avvenne in passato di quelle di Gerico? - -«Io ritengo esser tale da potermisi dare degli incarichi assai più -difficili e importanti. - -«Ah ah! vi assumereste dunque in una notte di fare una diecina di -barricate? - -«Di farne cinquanta, e, giunto il giorno, difenderle. - -«Per Bacco! disse Gondy, parlate con tal fiducia che mi fa piacere, e -poichè il signor Curato mi garantisce per voi.... - -«Oh! lo garantisco, fece l’altro. - -«Ecco un sacco di cento cinquanta doppie in oro; fate tutti i vostri -preparativi, e ditemi dove vi troverò questa sera alle dieci. - -«Bisognerebbe che fosse in un luogo alto, di dove un segnale che si -facesse fosse da vedersi in tutti i quartieri della città. - -«Volete ch’io vi dia due versi pel vicario di Sant’Jacques-La -Boucherie? egli v’introdurrà in una stanza della torre, disse il -Curato. - -«Ottimamente! approvò il povero. - -«Sicchè, continuò il Coadjutore, a dieci ore; e se sono contento di -voi, vi sarà un altro sacco di cinquecento doppie». - -Al mendico brillarono gli occhi per la cupidigia, ma si frenò, e disse -soltanto: - -«Signore, tutto sarà pronto». - -Riposta in chiesa la sua sedia, accanto vi pose la secchia e -l’aspersorio, andò alla pila a pigliare l’acqua benedetta, ed uscì dal -tempio. - - - - -XLIX. - -_La torre di Saint-Jacques-la-Boucherie._ - - -Alle cinque ore e tre quarti, il signor di Gondy eseguite tutte le sue -gite, era tornato all’arcivescovado. - -Alle sei fu annunziato il Curato di S. Mery. - -Il Coadjutore guardò con impeto dietro ad esso, e vide che appresso gli -veniva un altro uomo. - -«Fate passare», ordinò. - -Fu introdotto il prete, e seco pure Planchet. - -«Monsignore, ecco l’individuo del quale ho avuto l’onore di parlarvi». - -Planchet salutò colle maniere di uno che abbia frequentato case di -riguardo. - -«Siete disposto a servire alla causa del popolo? domandò Gondy. - -«Lo credo! sono della _Fronda_ in corpo e in anima. Così come mi -vedete, monsignore, sono condannato ad essere impiccato. - -«E perchè? - -«Ho levato di mano ad uno dei sergenti di Mazzarino un nobile signore -che riconducevano alla bastiglia, dov’era stato digià cinque anni. - -«E lo chiamate? - -«Oh monsignore! lo conoscete: è il conte di Rochefort. - -«Ah sì... ne avevo inteso discorrere; metteste a soqquadro tutta la -contrada, mi fu detto. - -«Eh! all’incirca, disse Planchet contento di sè stesso. - -«E di mestiere, voi siete?... - -«Confettiere, in via dei Lombardi. - -«Spiegatemi come va ch’esercitando una professione sì pacifica abbiate -inclinazioni tanto bellicose. - -«E come Vostra signoria, appartenendo alla Chiesa, ora mi riceve in -abito da cavaliero, con la spada al fianco e gli stivali cogli sproni? - -«Non è brutta risposta in coscienza; replicò ridendo Gondy; ma lo -sapete, che ho avuto sempre delle tendenze guerresche. - -«Ed io, prima d’esser confettiere, stetti tre anni sergente nel -reggimento di Piemonte, e avanti di essere per tre anni sergente in -quel reggimento fui diciotto mesi servitore del signor d’Artagnan. - -«Del tenente dei moschettieri? chiese Gondy. - -«Per l’appunto. - -«Ma dicesi che sia accanito partigiano di Mazzarino. - -«Uhm!... fece Planchet. - -«Che volete dire? - -«Nulla: il signor d’Artagnan è al servizio, e fa il suo mestiere a -difendere Mazzarino che ci assassina. - -«Siete un giovane di giudizio, mio caro: si può contare su di voi? - -«Credevo, monsignore, che vi fosse stata garantita la mia premura. - -«Sì, di sicuro, ma mi è grato sentirmelo confermare da voi. - -«Monsignore, potete far caso su di me, purchè si tratti di fare uno -sconvolgimento per la città. - -«E di questo precisamente siamo in discorso. Quanti uomini sperate -mettere assieme nella nottata? - -«Duecento moschetti e cinquecento alabarde. - -«Che vi sia uno per quartiere che faccia altrettanto, e domani -formeremo un’armata considerevole. - -«Oh sì. - -«Inclinereste ad obbedire al conte di Rochefort? - -«Lo seguirei sino all’inferno, e con questo non dico poco, giacchè lo -reputo capace di scendervi. - -«Bravo! - -«Da qual segno si distingueranno domani gli amici dai nemici? - -«Ognuno che sia della _Fronda_ può porsi un fiocco di paglia al -cappello. - -«Benissimo: date gli ordini. - -«Abbisognate di danaro? - -«Il danaro non fa mai male. Se non se ne ha, si farà a meno; avendone, -le cose andranno meglio e più presto». - -Gondy avvicinatosi ad un forziere ne levò fuori un sacchetto. - -«Ecco, disse, ecco cinquecento doppie, e se il fatto riesce bene, -tenetevi per certa domani egual somma. - -«Io renderò conto fedelmente a vostra signoria di questi danari, disse -Planchet ponendosi la borsa sotto il braccio. - -«Va bene, vi raccomando il ministro. - -«Non dubitate, è in buone mani». - -Planchet sorrise; il prete restò un poco indietro. - -«Siete contento, monsignore? ei domandò. - -«Sì, colui mi pare un soggettaccio risoluto. - -«Veh! farà più di quel che ha promesso. - -«Allora è un prodigio». - -Il Curato andò a ritrovare Planchet, che lo attendeva sulla scala. Di -là a dieci minuti fu annunziato quello di San Sulpizio. - -Appena fu aperta la bussola del gabinetto di Gondy, vi si scagliò un -uomo: era il conte di Rochefort. - -«Siete voi, carissimo conte! disse Gondy porgendogli la mano. - -«In somma, monsignore, siete deciso? fece Rochefort. - -«Lo fui sempre. - -«Non se ne parli più; lo dite, ed io lo credo: ora daremo da sospirare -al Mazzarino. - -«Lo spero anch’io. - -«E quando si principia il ballo? - -«Gl’inviti sono per questa notte, mormorò il Coadjutore; ma i violini -principieranno a suonare domattina. - -«Potete far conto su di me e su cinquanta soldati promessimi dal -cavaliere d’Humieres qualora mi abbisognino. - -«Cinquanta soldati? - -«Sì, egli fa delle reclute e me le impresta; finita la festa, se glie -ne mancano, io vi rimpiazzerò. - -«Bene, mio caro Rochefort, ma ciò non basta. - -«E che altro v’è egli? domandò sorridendo Rochefort. - -«Del signor di Beaufort, che ne avete fatto? - -«È nel Vendomese, dove attende ch’io gli scriva di tornare a Parigi. - -«Scrivetegli, è già tempo. - -«Sicchè siete sicuro del fatto vostro? - -«Sì, ma conviene che si solleciti, giacchè appena il popolo di Parigi -si ribelli avremo dieci principi, anzi che uno, che vorranno porsi alla -testa di esso: se tarda, troverà posto preso. - -«Posso dargli l’avviso a nome vostro? - -«Sì, chiaramente. - -«Posso dirgli che deve contare su di voi? - -«A meraviglia. - -«E gli lascerete ogni facoltà? - -«Per la guerra sì; in quanto alla politica.... - -«Sapete che quello non è il suo forte. - -«Mi lascerà trattare a modo mio pel mio cappello da Cardinale. - -«Vi preme di molto? - -«Di molto. - -«Ognuno ha il suo genio; mi fo responsabile di ottenervi il suo -consenso. - -«Gli scrivete stassera? - -«Fo di meglio, gl’invio un messaggiero. - -«Fra quanti giorni può esser qui? - -«Fra cinque. - -«Venga, e ci troverà dei cambiamenti. - -«Lo desidero. - -«Ve lo accerto. - -«Dunque?... - -«Andate a radunare i vostri cinquanta uomini, e state pronto. - -«A che? - -«A tutto. - -«V’è un segno di riunione? - -«Un fiocco di paglia al cappello. - -«Va bene. Addio, monsignore. - -«Addio, mio caro Rochefort. - -«Oh, messer Mazzarino! messer Mazzarino! disse Rochefort strascinando -via il Curato che non aveva trovato modo di mettere una parola in quel -dialogo, vedrete se sono troppo vecchio per essere un uomo d’azione!» - -Erano le nove e mezza; ci voleva una mezz’ora al Coadjutore -per trasferirsi dall’arcivescovado alla torre di -Saint-Jacques-la-Boucherie. - -Di Gondy osservò esservi lume alle finestre più alte della torre. - -«Bene! disse fra sè, il nostro sindaco è al suo posto!» - -Bussò, e gli fu aperto. Il vicario lo attendeva e lo guidò facendogli -lume sino in cima alla torre; là gli additò una porticella, posò la -candela in un angolo del muro, e discese. - -Benchè fosse la chiave all’uscio, il Coadjutore picchiò. - -«Entrate!» disse una voce ch’ei riconobbe esser quella del mendico. - -Di Gondy passò innanzi. Era realmente il poverello di Sant’Eustachio. -Aspettava disteso sopra un lettuccio. - -Al veder comparire il coadjutore egli si alzò. - -Suonarono le dieci. - -«Ebbene, domandò Gondy, mi hai mantenuta la parola? - -«Non del tutto, disse il mendico. - -«Come mai? - -«Mi avevate richiesti cinquecento uomini, non è vero? - -«Sì; e poi? - -«E poi ne avrò due mila. - -«Non esageri? - -«Ne bramate una prova? - -«Sì». - -Erano accese tre candele, ciascuna davanti ad una finestra, che davano, -questa su la Città-Vecchia, quella sul Palazzo Reale, l’altra sopra la -contrada San Dionigi. - -Colui in silenzio andò sino ad ognuno dei tre moccoli, e li spense un -dopo l’altro. - -Il Coadjutore si trovò al bujo, alla stanza non dava più chiarore se -non se il dubbio raggio della luna, perdutasi sotto a grossi nuvoli -negri di cui poneva su gli orli una frangia argentea. - -«Che hai tu fatto? disse Gondy. - -«Ho dato il segnale. - -«E quale? - -«Quello delle barricate. - -«Ah ah! - -«Quando uscirete di qui, vedrete i miei uomini all’opra. Soltanto -badate a non rompervi le gambe inciampando in qualche catena o cadendo -in qualche buca. - -«Orsù, ecco la somma, uguale a quella che già ricevesti. Adesso -rammentati che sei un capo, e non andarteli a bere. - -«Da venti anni non ho bevuto altro che acqua». - -L’uomo prese la borsa dalle mani del Coadjutore, il quale udì il rumore -che facevano le dita frugando addentro e tasteggiando le monete d’oro. - -«Ah ah! disse di Gondy, sei avaro bricconaccio?» - -L’accattone diede un sospiro e gittò via il sacchetto. - -«E sarò sempre lo stesso? mormorò, e non perverrò giammai a spogliarmi -del vecchio esser mio? Oh miseria! oh vanità! - -«Ma tanto lo prendi! - -«Sì, ma fo voto d’innanzi a voi d’impiegare in opere pie quel che mi -avanzerà». - -Aveva la faccia pallida e in contrazione come quella di uno che di -recente abbia sofferto internamente grandissimo contrasto. - -«Che uomo singolare! pensò Gondy». - -E prese il cappello per andarsene, ma nel girarsi vide il mendico fra -sè e la porta. - -Prima sua idea si fu che colui gli avesse rancore. - -Ma, al contrario, lo vide unire insieme le mani e inginocchiarsi. - -«Monsignore! disse il povero, avanti di lasciarvi, deh! ve ne prego, la -vostra benedizione! - -«Monsignore! esclamò Gondy, ma mio caro, tu mi prendi per un altro. - -«No no, vi piglio per quello che siete, cioè pel signor coadjutore; vi -ho riconosciuto alle prime». - -Gondy sorrise. - -«E vuoi la mia benedizione? diss’egli. - -«Ah sì!... ne ho bisogno». - -Il mendico proferì queste parole in tuono di sì grande umiltà e di -sì profondo pentimento, che Gondy stese la mano per dargli la sua -benedizione. - -«Ora, soggiunse il Coadjutore, fra noi v’è una certa relazione.... -Orsù, dimmi, hai commesso qualche delitto a cui stia contro l’umana -giustizia e da cui io possa garantirti?» - -L’accattone tentennò il capo. - -«Monsignore, il delitto da me commesso, non è soggetto alla giustizia -umana, e voi non potete liberarmene se non che col benedirmi spesso -come ora faceste. - -«Animo, via, sii schietto, fece il Coadjutore, non hai fatto tutta la -vita il mestiere che fai? - -«No, monsignore, lo fo soltanto da sei anni. - -«E prima, dov’eri? - -«Alla Bastiglia. - -«E innanzi di essere alla Bastiglia? - -«Ve lo dirò a suo tempo. - -«Basta così. A qualunque ora mi troverai pronto ad ascoltarti. - -«Grazie, monsignore; disse il mendico in tuono truce, ma non è ancora -il tempo. - -«Addio. - -«Addio», ripetè il poverello inchinandosi. - -Il Coadjutore prese la candela, e scese, e se ne andò tutto assorto ne’ -suoi pensieri. - - - - -L. - -_La sommossa._ - - -Erano all’incirca le undici di notte. - -Gondy ebbe fatti appena cento passi nelle vie di Parigi, che si accorse -del singolare cambiamento avvenuto. - -Pareva che tutta la città fosse abitata da esseri fantastici; si -vedevano tacite e squallide ombre che smovevano il selciato delle -strade, altre che trascinavano e buttavano giù delle carrette, e -parecchie che scavavano fosse capaci a seppellire intere compagnie di -cavalcanti. Tutte quelle persone tanto attive andavano, e venivano, -e correvano, alla guisa di tanti demoni che compissero qualche opra -loro a tutti incognita: erano gli accattoni del cortile dei Miracoli, -erano gli agenti del dispensatore d’acqua benedetta dell’atrio di -Sant’Eustachio, i quali apparecchiavano le barricate per l’indomani. - -Gondy considerava quegli uomini delle tenebre, quegli operai notturni, -con un tal quale spavento: in fra sè domandava se dopo aver fatto -uscire dalle loro tane tutte quelle immonde creature, avrebbe tanto -potere da farvele tornare. Quando alcuno di quegli esseri gli si -avvicinava, stava lì lì per farsi il segno di croce. - -Arrivò in via Sant’Onorato, e seguitò lunghessa fino verso quella della -Ferronnerie. Ivi cangiò l’aspetto: vi erano mercatanti che correvano da -una bottega all’altra; le porte sembravano chiuse come li sportelli, -ma erano soltanto accoste, in guisa che si aprivano e si rinserravano -subito per dare accesso ad uomini che pareva temessero di lasciar -vedere ciò che recavano... e cotesti erano i bottegai, i quali avendo -delle armi ne imprestavano a coloro che non ne avevano. - -Un tale correva da un uscio all’altro, cedendo sotto al peso delle -spade, degli archibugi, de’ moschetti, e d’armi d’ogni genere, che di -mano in mano andava posando. E al lume di un lampione il Coadjutore -ebbe in esso ravvisato Planchet. - -Il signor di Gondy giunse sull’argine della strada della Zecca; -colà comitive di borghesi co’ ferrajuoli neri o bigi, secondo che -appartenevano al ceto alto o basso dei cittadini, se ne stavano -immobili, mentre diversi uomini soli e isolati si trasferivano da una -combriccola all’altra. Tutti quei pastrani neri e bigi erano tirati -in su di dietro dalla punta di una spada, e davanti dalla canna di un -archibugio o di un moschetto. - -Arrivato sul Ponte Nuovo, il Coadjutore trovò un uomo che vi stava di -guardia. - -Il quale gli si appressò dicendo: - -«Chi siete? io non vi riconosco per uno dei nostri. - -«Perchè non riconoscete i vostri amici, mio caro signor Louvieres», -disse il sig. di Gondy levandosi il cappello. - -Louvieres allora ravvisatolo fece un inchino. - -Gondy continuò la sua ispezione, e scese fino alla torre di Nesle. -Là vide una lunga fila di gente che andava rasente alle muraglie. -L’avreste detta una processione di fantasime, perocchè erano tutti -avvolti in manti bianchi. Pervenuti a un certo punto, tutti quegli -uomini sembravano annientarsi un dopo l’altro quasi che fosse loro -mancato il terreno sotto i piedi. Gondy posatosi colle gomita sur un -angolo della strada, li osservò sparire dal primo sino al penultimo. -L’ultimo alzò gli occhi, senza dubbio per accertarsi che non si facesse -la posta a lui ed ai compagni, e ad onta dell’oscurità potè distinguere -Gondy. S’incamminò direttamente verso a lui, e gli piantò la pistola -alla gola. - -«Olà, signor di Rochefort! disse ridendo il Coadjutore, non burliamo -con le armi da fuoco». - -Rochefort riconobbe la voce. - -«Ah! disse, siete voi, monsignore! - -«Io, sì... ma che genti conducete così nelle viscere della terra? - -«Le mie cinquanta reclute del cavaliere di Humieres, destinate ad -entrare nei cavalleggeri, e che hanno per unica montura ricevuti i -pastrani bianchi. - -«E andate?... - -«Da uno scultore mio amico.... ma scendiamo da una botola per dove -introduce i suoi lavori di marmo. - -«Benissimo!» disse Gondy. - -E diede una stretta di mano a Rochefort, il quale andò d’abbasso e si -chiuse dietro la botola. - -Il Coadjutore se ne tornò alla sua dimora. Era l’un’ora dopo -mezzanotte. Aprì la finestra e si chinò ad ascoltare. - -In tutta la città era un susurro straordinario, inaudito, sconosciuto. -Si comprendeva che in quelle oscure strade, oscure come tanti abissi, -succedevano cose terribili ed insolite. Tratto tratto si udiva un -fragore simile a quello della procella che si viene ammucchiando, o -dell’onde che ascendono, ma nulla di chiaro, di distinto, da spiegarsi, -da comprendersi, si affacciava alla mente; sembravano quei rumori -misteriosi e sotterranei che precedono i tremuoti. - -Così durò tutta la notte l’apparecchio della sollevazione. - -Alla domane sembrava che Parigi destatasi si spaventasse del suo -proprio aspetto. Pareva una città assediata. Uomini armati stavano -sulle barricate, con l’occhio minaccioso e lo schioppo in spalla. - -Parole d’ordine, pattuglie, arresti, ed anche esecuzioni, erano quanto -ad ogni passo incontrasse il viandante; si arrestavano coloro che -avevano il cappello colle penne o la spada indorata, per obbligarli a -gridare: viva Broussel! abbasso il Mazzarino! e chiunque vi si ricusava -era fischiato, tormentato e talora percosso. Non si uccideva per anco, -ma si vedeva che non ne mancava la voglia. - -Le barricate eransi portate sino in prossimità del Palazzo Reale. -Dalla strada des Bon-Enfans a quella della Ferronnerie, dalla via San -Tommaso del Louvre al Ponte Nuovo, dalla contrada Richelieu alla porta -Sant’Onorato, v’erano più di dieci mila uomini armati, i più avanzati -dei quali sfidavano urlando le sentinelle impassibili del reggimento -delle guardie impostate attorno attorno al Palazzo Reale, i di cui -cancelli erano chiusi dietro di loro, lo che rendeva molto precaria -la loro situazione. In mezzo a tutto questo circolavano in comitive di -cinquanta, di cento, di centocinquanta, e di due cento, uomini pallidi, -abbronzati, cenciosi, portando certe sorte di bandiere ov’era scritto: -«_Vedete la miseria del popolo!_» Dovunque e’ passavano si udivano -grida frenetiche, ed erano tante le comitive di questo genere che -dappertutto le grida si spargevano. - -Fu grande lo stupore della regina Anna e di Mazzarino, allorchè -alzatisi dal letto si venne ad annunziare ad essi, qualmente la città, -da loro lasciata quieta la sera innanzi, ormai si destava agitata e -in istato di febbre, e quindi nè l’uno nè l’altra volevano credere a -ciò che loro veniva riferito, e dicevano che non darebbero fede se non -se a’ propri occhi ed alle proprie orecchie. Fu dunque spalancato un -balcone, videro, intesero, e restarono convinti. - -Mazzarino si strinse nelle spalle, e fece mostra di sprezzare -moltissimo quella plebe, ma in sostanza impallidì fuor di modo, e corse -tremando nel suo gabinetto a rinchiudere nelle cassette il suo oro e le -sue gioje, ed infilarsi alle dita i più begli anelli di brillanti. La -regina, poi, furibonda e abbandonata alla sua volontà, chiamo a sè il -maresciallo di La Meilleraye, gli ordinò di prendere quanti uomini gli -piacesse e andare a vedere che _burla_ era quella. - -Il maresciallo era per solito azzardoso, e di nulla avea paura, avendo -per il volgo l’altissimo disprezzo che per esso professavano le _genti -di spada_; pigliò centocinquanta uomini, e divisò di uscire dal ponte -del Louvre; ma là incontrò Rochefort e i suoi cinquanta cavalleggieri -accompagnati da più di mille cinquecento persone. Non v’era modo -di forzare una simile barriera; il maresciallo neppur vi si provò e -ritornò su per l’argine. - -Però al Ponte Nuovo trovò Louvieres ed i suoi borghesi. Questa volta -tentò una scarica, ma fu ricevuto a suon di schioppettate, mentre da -tutte le finestre venivano giù pietre come grandine. Ei vi lasciò tre -de’ suoi. - -Battè la ritirata verso il quartiere dei mercanti; e là s’intoppò in -Planchet e nei di lui alabardieri. Le alabarde si distesero minacciose -dalla sua parte; voleva passare addosso a tutti quei cappotti bigi, -ma i cappotti bigi stettero saldi, ed il maresciallo retrocedè verso -la strada Sant’Onorato, lasciando sul campo quattro delle sue guardie -ch’erano state ammazzate pian pianino coll’arme bianca. - -Allora si avviò nella contrada Sant’Onorato. Ivi scontrò le barricate -del mendico di S. Eustachio. Erano queste custodite non solo da uomini -armati, ma anche da donne e ragazzi. Messer Friquet possessore di una -pistola e di una spada dategli da Louvieres aveva ordinata una truppa -di monelli simili a lui, e faceva un susurro da sbalordire. - -Il maresciallo reputò quel punto guardato meno bene degli altri, e -fissò di forzarlo. Fece smontare venti uomini per aprire e sfondare -la barricata, mentre egli e il resto della sua truppa a cavallo -proteggerebbero gli assalitori. I venti camminarono direttamente verso -l’ostacolo, ma là, di dietro ai travi, di fra le ruote dei barrocci, di -su dalle pietre, si partì una fucilata terribile, ed allo strepito di -questa gli alabardieri di Planchet comparvero sul canto del cimitero -degli Innocenti, ed i borghesi di Louvieres sul canto della via della -Zecca. - -Il maresciallo di La Meilleraye era sorpreso in fra due fuochi. - -Era coraggioso, e in conseguenza decise di morire là dove si trovava. -Rese botte per botte, e tra la folla cominciarono ad eccheggiar -urli di dolore. Le guardie, meglio esperte, tiravano più a segno; i -borghesi, però, più numerosi le opprimevano con una vera burrasca di -ferro. Attorno a lui cadevano gli uomini conforme avrebbero potuto -fare a Rocroy od a Lerida. A Fontrailles, suo ajutante di campo, era -stato rotto un braccio; il cavallo di questo aveva ricevuto una palla -nel collo, ed egli stentava a frenarlo, dacchè la doglia lo faceva -diventare quasi matto. Insomma egli era in quel momento supremo in -cui il più prode si sente il brivido nelle vene e il sudore della -fronte, quando ecco ad un tratto diradarsi la folla sulla parte di via -dell’Albero secco esclamando: «Viva il Coadjutore!» e comparve Gondy, -tranquillo in mezzo alle schioppettate, distribuendo a diritta e a -sinistra le sue benedizioni colla stessa calma che se conducesse la -processione del _Corpus Domini_. - -Tutti s’inginocchiarono. - -Il maresciallo, riconosciutolo, gli corse incontro. - -«In nome del cielo! gli disse, levatemi di qua, o ci lascio la pelle -insieme con tutti i miei». - -Era tale tumulto che non avrebbe dato campo a sentire tuoni e saette. -Gondy alzò la mano e reclamò il silenzio: ognuno si tacque. - -«Figliuoli, ei disse, ecco il signor maresciallo di La Meilleraye, -sulle di cui intenzioni voi vi siete ingannati, e che s’impegna al suo -ritorno al Louvre di chiedere in nome vostro alla regina la libertà del -nostro Broussel. Vi c’impegnate, maresciallo? continuò rivolgendosi a -La Meilleraye. - -«Capperi! Io credo, che mi ci obbligo! esclamò questi, non isperavo di -scapolarla con tanto poco! - -«E vi dà la sua parola da gentiluomo, disse Gondy». - -Il maresciallo alzò la mano in segno di assenso. - -«Evviva il Coadjutore!» urlò la moltitudine. - -Alcune voci aggiunsero pure: - -«Evviva il maresciallo!» - -Ma tutte fecero in coro: - -«Abbasso il Mazzarino!» - -Si diradò la calca; la più breve via era per la strada di Sant’Onorato. -Si aprirono le barricate, e il maresciallo ed il resto della sua truppa -si ritirarono, preceduti da Friquet e da’ suoi compagni bricconi, che -alcuni facevano finzione di battere il tamburo, ed altri imitavano il -suono delle trombette. - -Fu quasi una marcia trionfale, se non che dietro alle guardie si -chiudevano da capo le barricate, e il maresciallo si mordeva le pugna. - -Frattanto, secondo noi accennammo, Mazzarino nel suo gabinetto poneva a -sesto i propri affaretti. Avea fatto ricercare d’Artagnan, ma fra tutto -quello schiamazzo non isperava vederlo, non essendo egli di servizio. -Dopo dieci minuti arrivò sulla soglia il tenente, seguito dal suo -inseparabile Porthos. - -«Ah! venite, signor d’Artagnan! gridò il ministro, e siate il -benvenuto, ugualmente che il vostro amico. Ma che succede mai in questa -maladetta Parigi? - -«Che vi succede, monsignore? nulla di buono, disse d’Artagnan scuotendo -il capo; la città è in completa sommossa, e poc’anzi, mentre io -traversavo la via di Montorgueil, col signor du Vallon vostro servo qui -presente, non ostante la mia uniforme, e chi sa? forse per cagione di -essa, ci volevano far gridare: «Evviva Broussel!» E poi, ho da dire che -cosa ci volevano far gridare di più? - -«Dite, dite... - -«Abbasso il Mazzarino!.... Oh per Bacco! è detta». - -Mazzarino fece un sorrisetto, ma diventò giallo. - -«E avete urlato? domandò. - -«No davvero, non ero in voce: e nemmeno il signor du Vallon ch’è -infreddato.... E allora, monsignore.... - -«Allora che?.... - -«Guardatevi il cappello e il ferrajuolo!» - -D’Artagnan mostrò quattro buchi di palle sul ferrajuolo e due sul -cappello. Porthos aveva l’abito lacerato sul fianco da un colpo di -alabarda, e lo spennacchio scorciato da una pistolettata. - -«Diavolo! io avrei strillato! disse il ministro pensieroso e guardando -i due amici con ingenua ammirazione». - -Nel momento si udì più vicino il tumulto. - -Mazzarino si asciugò la fronte osservandosi d’intorno. Aveva voglia di -affacciarsi alla finestra, e non si ardiva. - -«Vedete un po’ che cosa c’è», ordinò a d’Artagnan. - -Questi andò al balcone con la sua consueta noncuranza. - -«Oh oh! fece poi, che roba è questa? il Maresciallo di la Meilleraye -che torna senza cappello, Fontrailles col braccio legato al collo, -guardie ferite, cavalli insanguinati.... Ehi! che diavolo fanno le -sentinelle? vogliono tirare!.... - -«Hanno ordine di tirare sul popolo, disse il Mazzarino, se questo si -accosta al Palazzo Reale. - -«Ma se fanno fuoco, tutto è rovinato! esclamò il tenente. - -«Noi abbiamo i cancelli. - -«I cancelli? son buoni per cinque minuti; i cancelli? saranno torti, -staccati, spezzati!.... Non tirate, cospettone! urlò d’Artagnan -spalancando la finestra». - -Ad onta della sua raccomandazione che fra il grande susurro non poteva -essere intesa, si udirono tre o quattro spari di moschetto; poi succedè -una fucilata terribile; si sentivano battere le palle su la facciata -del Palazzo Reale; una di esse passò sotto al braccio a d’Artagnan, ed -andò a rompere uno specchio in cui si guardava Porthos con la massima -compiacenza. - -«Ohimè! brontolò il ministro, uno specchio di Venezia! - -«Ah monsignore! disse d’Artagnan chiudendo tranquillamente le imposte, -non piangete ancora, non merita il conto, giacchè è probabile che -in tutto il Palazzo Reale fra un’ora non ne resti più uno de’ vostri -specchi, o siano di Venezia o di Parigi. - -«Ma allora di che parere sareste? chiese tremando Mazzarino. - -«Per Diana! di render loro Broussel, poichè ve lo domandano. Che -diavolo volete farvi di un consigliere del parlamento? e’ non è buono a -nulla! - -«E voi, signor du Vallon, di che opinione siete? che fareste? - -«Restituirei Broussel, rispose Porthos. - -«Venite, venite!.... ne vuo’ parlar subito alla regina». - -Mazzarino giunto in fondo alla galleria si fermò. - -«Signori, disse, posso contare su di voi? - -«Noi non ci diamo due volte, replicò d’Artagnan; ci siamo dati a voi, -comandate e obbediremo. - -«Or bene! soggiunse il ministro, entrate in quel gabinetto ed -aspettate». - -Ed egli entrò in sala da un altro uscio. - - - - -LI. - -_La sommossa diventa ribellione._ - - -Il gabinetto in cui erano stati mandati d’Artagnan e Porthos era -separato dal salone ove trovavasi la regina, soltanto da cortine -di drappo di tappezzeria; sicchè la poca grossezza della divisione -permetteva di udir tutto, e l’apertura esistente fra le due portiere -concedeva di vedere ogni cosa. - -La sovrana stava in piedi, pallida per la collera; eppure aveva tanto -potere sopra sè stessa che avremmo detto non provasse emozione veruna. -Dietro di lei erano Comminges, Villequier e Guitaut, e dietro agli -uomini le donne. - -Davanti alla regina, il cancelliere Seguier, quello stesso che -venti anni prima l’aveva perseguitata tanto, raccontava che la sua -carrozza era stata fatta in pezzi, ch’egli era stato inseguito, che -si era ricovrato nel palazzo d’O...., che il palazzo erasi tosto -ingombrato, devastato, saccheggiato; egli per fortuna aveva avuto -tempo di cacciarsi in uno stanzino celato dai parati, dove una vecchia -lo aveva rinchiuso insieme col suo fratello vescovo di Meaux. Là il -pericolo era divenuto sì terribile, e i forsennati si avvicinavano -allo stanzino con tali minacce, che il cancelliere avea creduta giunta -per lui l’ultim’ora, e si era confessato a suo fratello onde esser -pronto a morire qualora fosse scoperto. Per buona sorte ciò non era -accaduto; il popolo, supponendolo fuggito da qualche porta di dietro, -ritirandosi gli aveva lasciato la libertà di andarsene. Allora egli si -era travestito con gli abiti del marchese d’O...., ed era uscito dal -palazzo, saltando sulla pancia ad un suo birro e a due guardie rimaste -uccise nel voler difendere il portone di strada. - -Durante codesto racconto, Mazzarino entrato senza far rumore, si -accostava alla sovrana ed ascoltava. - -«Ebbene? domandò Anna quando il cancelliere ebbe terminato, che pensate -di tutto questo? - -«Ch’è un affare gravissimo. - -«Che consiglio mi proponete? - -«Ne proporrei uno a Vostra Maestà, ma non ardisco. - -«Ardite, ardite, signore, disse la regina con un amaro sorriso; vi -ardiste pure a ben altro!» - -Seguier arrossì e balbettò alcune parole. - -«Non si tratta del passato, ma del presente, replicò Anna; diceste che -avevate un consiglio a darmi: qual è? - -«Signora, fece titubando Seguier, sarebbe di liberare Broussel». - -La regina digià pallida lo divenne maggiormente. - -«Liberar Broussel! essa rispose, no, mai!» - -Nell’istante si udì camminare nella sala contigua, e senza essere -annunziato comparve sulla soglia il maresciallo di la Meilleraye. - -«Ah! maresciallo, siete qua! esclamò Anna lietissima; spero che abbiate -ridotta alla ragione tutta quella canaglia? - -«Signora, ho lasciati tre uomini al Ponte-Nuovo, quattro ai mercati, -sei sul canto di via dell’Albero secco e due alla porta del vostro -palazzo, quindici in tutto; riconduco meco dieci o dodici feriti; il -mio cappello è rimasto non so dove portato via da una palla, e secondo -ogni probabilità sarei restato senza ferrajuolo se non fosse venuto il -signor Coadjutore a darmi ajuto e levarmi dall’impaccio. - -«Già! fece la regina, mi avrebbe fatto meraviglia di non vedere quel -cagnuolo colle gambe torte intricato in questa faccenda! - -«Maestà, soggiunse ridendo la Meilleraye, non ne dite molto male -davanti a me, giacchè il servizio che mi ha renduto è ancora caldo -caldo. - -«Va bene, siategli grato quanto volete, ma io non sono obbligata a -niente; siete sano e salvo, ed ecco quel che bramavo; siate dunque non -solo ben venuto, ma anche ben tornato. - -«Sì, ma ben tornato con un patto, cioè di trasmettere alla Maestà -Vostra i voleri del popolo. - -«Voleri! disse Anna inarcando le ciglia. Oh! signor maresciallo, -bisogna che vi siate trovato in grandissimo rischio per incaricarvi di -sì strana ambasciata!» - -Tali parole furono pronunziate con un tuono d’ironia, di che ben si -accorse la Meilleraye. - -«Perdonate, signora, ei rispose, io non sono avvocato, son uomo di -guerra, e in conseguenza forse comprendo malamente il valore delle -parole: _desiderio_, e non _volere_, del popolo, avrei dovuto dire. In -quanto a ciò che mi fate l’onore di rispondermi, credo intendiate dirmi -che ho avuto paura». - -La regina sorrise. - -«Ebbene! sì, ho avuto paura; è questa la terza volta in vita mia che -tanto mi accade; eppure mi sono trovato a dodici grandi battaglie e non -so quanti fra combattimenti e scaramucce; sì, ho avuto timore, e mi è -più caro esser davanti a Vostra Maestà, sebbene sia molto minaccioso -il suo sorriso, che davanti a quei demoni dell’inferno che mi hanno -accompagnato sin qua e che scaturivano neppur so di dove. - -«Bravo! disse sotto voce d’Artagnan a Porthos, bella risposta! - -«Orsù, seguitò la regina mordendosi le labbra frattanto che i -cortigiani si guardavano attoniti, che desiderio è quello del mio -popolo? - -«Che gli si renda Broussel, fece il maresciallo. - -«No, mai! no, mai. - -«Vostra Maestà è la padrona». - -La Meilleraye s’inchinava e muoveva un passo indietro. - -«Dove andate, Maresciallo? - -«Vo a dar la risposta di Vostra Maestà a quei che l’attendono. - -«Trattenetevi: io non voglio mostrare di trattare con dei ribelli. - -«Signora, ho data la mia parola. - -«Come sarebbe a dire?.... - -«Che se voi non mi fate arrestare, io sono in obbligo di scendere». - -Dalle pupille di Anna schizzaron fuori due lampi. - -«Oh! non v’è difficoltà, signor mio; ne ho fatti arrestare più grandi -di voi.... Guitaut!» - -Mazzarino si slanciò. - -«Signora! ei disse, se osassi io adesso darvi un consiglio? - -«E parimente di restituire Broussel? in tal caso, potete dispensarvene. - -«No, fece Mazzarino, quantunque sarebbe da stare a petto a qualche -altro. - -«E qual è, dunque? - -«Di chiamare il Coadjutore. - -«Il Coadjutore! ripetè la sovrana, quel tremendo imbroglione! egli è -che ha fatta tutta la sommossa. - -«Ragion di più: se l’ha fatta, può disfarla.... - -«Oh, Maestà! interruppe Comminges che guardava da una finestra; ecco, -l’occasione è ottima; appunto dà la benedizione sulla piazza del -Palazzo Reale». - -La regina corse al balcone. - -«È vero! esclamò, messer ipocrita! guardate là! - -«Vedo, disse Mazzarino, che dinanzi a lui tutti s’inginocchiano benchè -non sia altro che Coadjutore, mentre s’io fossi nelle sue veci mi -farebbero a pezzi. Quindi persisto nel mio _desiderio_ (e il ministro -calcava su questo vocabolo) che Vostra Maestà riceva il Coadjutore. - -«Perchè non dite anche voi nel vostro _volere_? replicò piano la -regina». - -Mazzarino s’inchinò. - -Anna stette alquanto pensosa. Indi alzando la testa: - -«Maresciallo, andate a chiamare il Coadjutore, e a me conducetelo. - -«E che dirò al popolo? domandò La Meilleraye. - -«Che abbia pazienza; ne ho tanta io!» - -Nel tuono della superba Spagnuola eravi un che d’imperioso a tal segno, -che il maresciallo uscì senza far veruna osservazione. - -D’Artagnan si volse così a Porthos: - -«Come finirà? - -«Lo vedremo» ribattè Porthos tranquillamente. - -Intanto Anna avvicinatasi a Comminges gli favellava sommesso. - -Mazzarino inquieto guatava alla parte dov’erano d’Artagnan e Porthos. - -Gli altri individui là presenti ricambiavano qualche discorso. - -Fu riaperta la porta; venne il maresciallo, e lo seguiva Gondy. - -La sovrana mosse quattro passi a incontrarlo e si fermò, fredda, -severa, immobile e sporgendo sprezzantemente il labbro inferiore. - -Gondy fece una rispettosa riverenza. - -«Ebbene, gli chiese la regina, che dite di questa sommossa? - -«Maestà, che non è più semplice sommossa, ma bensì ribellione. - -«La ribellione sta in coloro che pensano che il mio popolo possa -ribellarsi! gridò Anna incapace di dissimulare davanti al Coadjutore, -cui considerava, e forse con ragione, come promotore di tutta -l’agitazione. Ribellione! ecco come quei che la bramano chiamano il -movimento cagionato da loro stessi; ma aspettate! vi porrà buon ordine -l’autorità del re. - -«Per dirmi forse codesto, rispose freddamente Gondy, Vostra Maestà mi -ha ammesso all’onore della sua presenza? - -«No, caro Coadjutore, riprese Mazzarino; era per domandarvi il vostro -parere nella spiacevole circostanza in cui siamo. - -«È vero, seguitò di Gondy fingendosi maravigliato, che Sua Maestà mi -abbia chiamato per domandarmi consiglio? - -«Sì, replicò la regina, così hanno voluto». - -Il Coadjutore s’inchinò. - -«Sua Maestà dunque desidera?... - -«Che le diciate ciò che fareste ne’ suoi piedi» sollecitossi a -terminare Mazzarino. - -Di Gondy fissò in volto la sovrana, la quale fe’ un cenno affermativo. - -«Nei piedi di Sua Maestà, non esiterei punto, e renderei Broussel. - -«E se non lo rendo, gridò ella, che credete che succeda? - -«Io credo, disse il maresciallo, che domani in Parigi non vi sarà una -pietra sull’altra. - -«Non interrogo voi, ripicchiò Anna aspramente e senza tampoco girarsi, -ma il signor di Gondy. - -«Se Sua Maestà interroga me, rispose con tutta calma il Coadjutore, -dichiarerò essere appieno del sentimento del signor maresciallo». - -Salì il rossore sul volto alla regina; i begli occhi turchini -sembravano sul punto di uscirle dal posto, le labbra di corallo, di cui -i poeti dell’epoca fecero sì magnifiche comparazioni, si scolorirono -tremando di rabbia: ella mise persino spavento a Mazzarino, che però -era avvezzo ai furori domestici di quella casa tanto tormentata. - -«Render Broussel! ella esclamò finalmente con un sorriso da far paura; -bel consiglio, davvero! degno di chi osa avanzarlo!» - -Gondy stette saldo; pareva che le ingiurie del giorno scorressero -leggiere su di lui come i sarcasmi del dì precedente, ma l’odio e la -vendetta si accumulavano in fondo al suo cuore nel silenzio e a stilla -a stilla. Guardò freddamente la sovrana, la quale spingeva Mazzarino -per far sì che dicesse egli pure qualche cosa. - -Il ministro, al suo solito, pensava molto e parlava poco. - -«Eh eh! disse, buon consiglio, da amico.... Anch’io lo restituirei, -quel caro Broussel, o vivo o morto, e sarebbe finito tutto. - -«Se lo rendeste morto, sarebbe finito tutto come voi dite, monsignore; -ma diversamente da quel che voi intendete. - -«Ho detto morto o vivo? riprese Mazzarino, è un modo di parlare; -sapete che io capisco malamente il francese, che voi signor Coadjutore -comprendete e scrivete tanto bene. - -«Ecco un consiglio di Stato, osservò d’Artagnan a Porthos; ma noi li -tenevamo migliori a La Rochelle con Athos ed Aramis. - -«Al bastione San Gervasio, continuò Porthos. - -«E là ed altrove». - -Il Coadjutore lasciò passare il diluvio, e indi soggiunse con la -medesima flemma: - -«Se Vostra Maestà non gusta l’opinione che io le sottopongo, è di certo -perchè ne ha qualcuna di meglio a cui attenersi; io conosco troppo la -saviezza della regina e de’ suoi consiglieri per immaginarmi che si -lasci molto tempo la città capitale in un’agitazione che può portare -alla rivoluzione. - -«Sicchè, secondo voi altri, seguitò la Spagnuola stringendo le labbra -per l’ira estrema, la sommossa di jeri, che oggi è ribellione, può -diventar rivoluzione domani? - -«Sì, Maestà, rispose gravemente di Gondy. - -«Ma a sentir voi, i popoli sarebbero dimentichi d’ogni freno? - -«È una cattiva annata per i re! disse Gondy tentennando la testa; -guardate un po’ in Inghilterra, signora. - -«Sì, rispose la regina; ma per buona sorte in Francia non abbiamo un -Oliviero Cromvello. - -«Chi sa?... gli uomini sono simili al fulmine: non si conoscono se non -quando colpiscono». - -Ciascuno rabbrividì, e fuvvi un momento di silenzio. - -Frattanto Anna si teneva ambo le mani sul petto; si scorgeva che -tentava reprimere i palpiti precipitosi del cuore. - -«Porthos, mormorò d’Artagnan, mirate attento il Coadjutore. - -«Lo vedo.... ebbene? - -«Ebbene! è un uomo». - -Porthos meravigliato fissò gli occhi sul tenente dei moschettieri; era -evidente che non lo capiva. - -«Vostra Maestà, continuò senza pietà di Gondy, prenderà dunque le -misure opportune; ma io le preveggo terribili e tali da irritare -maggiormente i rivoltosi. - -«Or bene; allora, voi signor Coadjutore che avete un sì gran potere -su di loro, e siete nostro amico, disse ironicamente la sovrana, li -calmerete dando ad essi le vostre benedizioni. - -«Sarà forse troppo tardi, disse Gondy sempre di ghiaccio, ed è -probabile che abbia perduta io pure ogni influenza: laddove restituendo -Broussel, la Maestà Vostra tronca la radice a qualunque sedizione, -ed acquista il diritto di punire crudelmente ogni nuovo principio di -ribellione. - -«E non l’ho, questo diritto? esclamò Anna. - -«Se lo avete, prevaletevene, fece Gondy. - -«Capperi! disse d’Artagnan a Porthos, ecco uno di quei caratteri come -piacciono a me. Perchè non è ministro, e perchè non son io il suo -d’Artagnan invece di esser di quel furfante di Mazzarino? Per Bacco! -che bei colpi faremmo insieme! - -«Sì» rispose Porthos. - -La regina con un cenno licenziò la corte, eccettuato Mazzarino. - -Gondy inchinandosi era per ritirarsi al pari degli altri. - -«Trattenetevi! gli ordinò Anna. - -«Bene! pensò di Gondy, ora cede. - -«Ora lo fa ammazzare, disse d’Artagnan a Porthos, ma in ogni caso non -sarà mai per mio mezzo. Giuro, anzi, sopra a Dio! che se alcuno gli va -addosso, io piombo addosso agli assalitori. - -«Anch’io, confermò Porthos. - -«Bene! bucinò Mazzarino prendendo una sedia, ne vedremo delle nuove». - -La regina seguiva con gli occhi le persone che uscivano. Quando -l’ultima di esse ebbe chiusa la porla, ella si voltò. Si scorgeva -che si sforzava all’eccesso onde frenare lo sdegno: si faceva vento, -annasava ghiandine odorose, andava in su ed in giù. Mazzarino restava -assiso mostrando riflettere. Gondy, che principiava a sgomentarsi, -scandagliava collo sguardo tutti i parati, palpeggiava l’usbergo che -teneva sotto la toga, e tratto tratto si cercava in seno il manico di -un buon pugnale spagnuolo che si teneva nascosto a portata della mano. - -«Animo, signor Coadjutore, disse la regina, animo, or che siamo soli, -ripetete il vostro suggerimento. - -«Eccolo, Maestà; fingere di averci pensato meglio, convenire -pubblicamente di un abbaglio, nel che sta la forza dei governi forti; -fare uscire Broussel dal suo carcere e renderlo al popolo. - -«Oh! esclamò Anna, umiliarmi in tal guisa! Sono io, sì o no, la regina? -tutta quella canaglia che strepita è ella, sì o no, una turba di miei -sudditi? ho io amici, ho io guardie? Ah per Nostra Donna! come diceva -la regina Caterina, piuttosto che dar loro l’infame Broussel, lo -scannerei colle mie mani!» - -E si scagliò chiudendo il pugno verso Gondy, cui in quel momento -aborriva di certo almeno quanto Broussel. - -Gondy non si mosse; non agì verun muscolo del suo volto: se non che il -gelido suo sguardo s’incrociò come un brando collo sguardo furibondo -della sovrana. - -«Questo è un uomo bell’e morto, disse il Guascone, se in corte v’è -ancora qualche Vitry e il Vitry capita adesso, ma io, prima che tocchi -quel buon Coadjutore, ammazzo il Vitry!... messer Mazzarino me ne sarà -grato al sommo. - -«Zitto! disse Porthos, state a sentire. - -«Signora, esclamò il ministro afferrando pel braccio la regina e -tirandola indietro, signora, che fate mai?» - -Poscia soggiunse in ispagnuolo: - -«Anna, siete pazza? fate qui dispute da particolari, da borghesi, -voi una regina! e non vedete che avete dinanzi, nella persona -del Coadjutore, tutto il popolo di Parigi che in questo punto è -pericolosissimo lo insultare, e che se il Coadjutore vuol così, fra -un’ora non avrete più corona? Animo, animo! in appresso, in altra -occasione starete ferma, ma oggi non è il momento; oggi accarezzate e -lusingate, o che siete soltanto una donna volgare». - -Dalle prime parole di questo discorso, d’Artagnan aveva preso per un -braccio Porthos e glielo andava vieppiù stringendo; indi, quando il -ministro si tacque, egli disse piano: - -«Porthos, non dite mai davanti a Mazzarino ch’io intendo lo spagnuolo, -o che sono un uomo rovinato e voi pure. - -«Bene» fece Porthos. - -Quella forte ramanzina, ornata di una certa eloquenza, che -caratterizzava Mazzarino quando ei parlava italiano o spagnuolo, e -che perdeva affatto quando parlava in francese, fu pronunziata con un -aspetto impenetrabile, il quale non diede sospetto a Gondy, quantunque -abilissimo fisionomista, d’altro che di un mero avvertimento ad esser -più moderata. - -La regina così strapazzata, dal canto suo si fe’ più mite; lasciò, -diremmo, cadersi dagli occhi il fuoco, e dalle guancie il sangue, -e dalle labbra la collera loquace: si assise, e con voce molle dal -pianto, buttando giù le braccia, disse tosto: - -«Perdonatemi, signor Coadjutore, e attribuite l’impeto mio a quel che -soffro. Donna, e in conseguenza soggetta alle debolezze del mio sesso, -mi sbigottisco della guerra civile; regina ed assuefatta ad essere -obbedita, mi adiro alla prima resistenza. - -«Vostra Maestà s’inganna, rispose dolcemente di Gondy, qualificando -come resistenza il mio sincero suggerimento. Vostra Maestà non ha se -non sudditi rispettosi e sottomessi. Il popolo non ha rancore contro la -regina, chiama Broussel, e non altro, fortunatissimo di vivere sotto -le leggi della Maestà Vostra.... ove però Ella gli renda Broussel» -aggiungeva sorridendo Gondy. - -Mazzarino all’udire _il popolo non ha rancore contro la regina_ -aveva già drizzate le orecchie, credendo che il Coadjutore fosse per -discorrere delle grida: _abbasso il Mazzarino!_ egli fu anzi grato -della soppressione fatta, e con la ciera sua più sdolcinata e gentile -disse: - -«Signora, date ascolto al Coadjutore ch’è uno dei più abili politici -che abbiamo; il primo cappello di cardinale vacante sembra fatto per la -nobile sua testa. - -«Ah briccone! tu hai bisogno di me! disse fra sè di Gondy. - -«E che cosa prometterà a noi, disse d’Artagnan, il giorno in cui -vorranno ucciderlo? Per Diana! se dà a questo modo dei cappelli, -prepariamoci, Porthos, e chiediamo ciascuno un reggimento domani -subito.... Cospettone! duri soltanto un anno la guerra civile, e fo -indorare a nuovo per me la spada di connestabile! - -«Ed io? domandò Porthos. - -«A te? ti farò dare il bastone di maresciallo del signor di La -Meilleraye, che in questo punto non mi par molto in favore. - -«Dunque, riprese la sovrana, voi temete sul serio l’agitazione popolare? - -«Sul serio, replicò Gondy meravigliato di non esser avanzato di più; -temo, allorchè il torrente ha rotto l’argine, che cagioni gravissimi -danni. - -«Ed io, replicò Anna, stimo che in questo caso gli si debbano opporre -argini nuovi». - -Gondy guardò attonito il Mazzarino; il Mazzarino si accostò alla -sovrana onde discorrerle; all’istante si udì orribile tumulto sulla -piazza del Palazzo Reale. - -Gondy sorrise, alla regina s’infiammarono le pupille, a Mazzarino -impallidì la faccia. - -«Che altro v’è egli? chiese quest’ultimo». - -Entrò in sala precipitosamente Comminges. - -«Perdonate, Maestà, esso disse; ma il popolo ha pestate le sentinelle a -ridosso ai cancelli, ed ora forza le porte: che ordinate? - -«Ascoltate!» disse Gondy alla regina. - -Il mugghiare delle onde, lo strepito del fulmine, il fragore di un -vulcano infiammato, non sono da paragonarsi alla tempesta di grida che -sorse in tal momento. - -«Quel che ordino? disse Anna. - -«Sì, il tempo stringe. - -«Quanti uomini all’incirca avete al Palazzo Reale? - -«Seicento. - -«Ponetene cento attorno al re, e col rimanente sgombrate quella -plebaglia. - -«Ah signora! che fate? osservava Mazzarino. - -«Andate!» comandò Anna. - -Comminges uscì con l’obbedienza passiva del soldato. - -S’intese un rumore spaventevole; cominciava una porta a cadere. - -«Oh Maestà! urlò il ministro, ci perderete tutti, il re, voi e me!» - -A quel grido partitosi dall’anima del ministro sgomentato ebbe paura -ancor la regina; richiamò indietro Comminges. - -«È troppo tardi! disse Mazzarino strappandosi i capelli, è troppo -tardi!» - -La porta cessò di resistere. Si udirono urli di allegrezza della plebe. -D’Artagnan mise mano alla spada, ed accennò a Porthos d’imitarlo. - -«Salvate la regina! strillò Mazzarino al Coadjutore». - -Gondy corse al balcone e lo aprì; riconobbe Louvieres alla testa di una -truppa di forse tre o quattro mila uomini. - -«Non muovete un passo di più! egli disse, la regina sottoscrive. - -«Che dite? domandò Anna. - -«La verità, rispose il ministro porgendole carta e penna; così fa -d’uopo....» - -Ed aggiunse: - -«Anna, firmate, ve ne prego, voglio così!» - -La sovrana cadde sopra una sedia, e firmò. - -Il popolo frenato da Louvieres non avea fatto un passo di più, ma -sempre continuava il tremendo mormorio che dà indizio dello sdegno -della moltitudine. - -La regina scrisse: - -«Il custode della prigione di San Germano porrà in libertà il -consigliere Broussel». - -Ed appose il suo nome. - -Il Coadjutore, che cogli occhi si divorava ogni menomo suo movimento, -prese subito il foglio, tornò alla finestra, ed agitandolo con la mano, -esclamò: - -«Ecco l’ordine!» - -Parve che tutta Parigi desse unanime un gran grido di gioja; indi si -udì: - -«Evviva Broussel! evviva il Coadjutore! - -«Evviva la regina! disse il Coadjutore». - -Alcune voci ripeterono questo, ma rade e fiacche. Forse di Gondy aveva -dato quell’urlo unicamente per far sentire ad Anna quanto ella fosse -debole. - -«E adesso, essa disse, che avete ciò che voleste, andate, signor di -Gondy. - -«Quando la regina avrà bisogno di me, rispose inchinandosi il -Coadjutore, Sua Maestà sa che sono a’ suoi cenni». - -Mazzarino le si avvicinava. - -«Lasciatemi! ella strillò, voi non siete un uomo». - -Ed uscì. - -«Voi, non siete una donna! brontolò il ministro». - -Indi, avendo pensato un poco ei si rammentò che d’Artagnan e Porthos -dovevano esser colà e in conseguenza aver visto ed inteso tutto. -Aggrottò le ciglia, andò prontamente verso il parato e lo sollevò: il -gabinetto era vuoto. - -Alle ultime parole della regina, d’Artagnan preso per mano Porthos, lo -trascinava verso la galleria. - -Mazzarino, pure entrò nella galleria e trovò i due amici che -passeggiavano. - -«Perchè vi siete partiti dal gabinetto? chiese il ministro. - -«Perchè, rispose d’Artagnan, Sua Maestà ha ordinato a tutti di -andarsene, ed io ho pensato che l’ordine fosse per noi come per gli -altri. - -«Talchè siete qui da.... - -«Da un quarto d’ora circa, replicò il tenente accennando a Porthos non -ismentirlo». - -Mazzarino si accorse del segno fatto, si convinse che il Guascone -avesse veduto e udito ogni cosa, ma gli fu grato della bugia. - -Laonde gli disse: - -«Signor d’Artagnan, siete assolutamente l’uomo ch’io cercava, e potete -ugualmente, che il vostro amico, contare sopra di me». - -E salutatili entrambi col suo più grazioso sorriso, se ne tornò più -quieto nel proprio gabinetto, sendochè alla partenza di Gondy era -cessato come per incanto lo schiamazzo. - - - - -LII. - -_Con le disgrazie viene la memoria._ - - -Anna era entrata furibonda nel suo oratorio. - -«Come! esclamò torcendosi le bellissime braccia, come il popolo vide il -sig. di Condé, il primo principe del sangue arrestato dalla mia suocera -Maria de’ Medici; vide la mia suocera sua antica reggente, discacciata -dal ministro; vide il signor di Vendome, cioè il figlio di Enrico IV, -prigioniero a Vincennes, e nulla disse, nulla, mentre s’insultavano, -si carceravano, si minacciavano que’ grandi personaggi; e per un -Broussel!... Gesù! ch’è mai diventata la dignità regale?» - -Anna senza pensarvi toccava la questione caldissima del momento. Nulla -aveva detto il popolo per i principi, e si sollevava per Broussel: -perchè si trattava di un plebeo, ed esso difendendolo sentiva per un -certo istinto che difendeva sè medesimo. - -Frattanto Mazzarino camminava su e giù nel gabinetto, guardando tratto -tratto il suo bello specchio di Venezia tutto rotto. - -«Eh! diceva, è trista faccenda, lo so, esser costretti a cedere in tal -modo; ma via! ci piglieremo la rivincita: che importa di Broussel? gli -è un nome, e non una cosa». - -Quantunque fosse abile politico, questa volta il ministro la sbagliava: -Broussel era una cosa, e non un nome. - -E perciò alla mattina vegnente, allorchè Broussel fece il suo ingresso -in Parigi in una grande carrozza, avendo accanto Louvieres suo figlio, -e Friquet dietro al legno, tutta la folla armata si scagliò dove -passava; da ogni banda echeggiavano le grida: evviva Broussel! evviva -il nostro padre! e portavano la morte alle orecchie di Mazzarino; -per ogni parte gli spioni del ministro e della sovrana riferivano -spiacevoli notizie, le quali trovavano quello agitatissimo e questa -assai quieta. Sembrava che Anna maturasse nel suo cervello una grande -risoluzione, lo che appunto accresceva le smanie di Mazzarino: chè -egli conosceva l’orgogliosa donna, e delle sue risoluzioni paventava di -molto. - -Il Coadjutore era tornato al Parlamento, più re che non lo fossero il -re, la regina e il ministro tutti insieme. Dietro un suo consiglio, -un editto del Parlamento aveva invitati i borghesi a deporre le armi -e demolire le barricate; costoro ormai sapevano che bastava un’ora per -riprendere le armi, ed una notte per rifare le barricate. - -Planchet si era rimesso nella sua bottega: la vittoria porta amnistia: -sicchè egli non avea più paura di essere appiccato, e si persuadea che -se alcuno mostrasse soltanto voler arrestarlo il popolo si solleverebbe -per lui conforme aveva fatto per Broussel. - -Rochefort aveva restituiti i suoi cavalleggieri al cavalier d’Humieres; -ne mancavano due all’appello, ma il cavaliere tutto della _Fronda_ in -anima e in corpo non aveva voluto sentir discorrere di risarcimento. - -Il mendico avea ripreso il suo posto nell’atrio di Sant’Eustachio, -dando sempre l’acqua benedetta con una mano, coll’altra chiedendo -elemosina; e nessuno s’immaginava quelle due mani aver prestato ajuto -onde cavare dal sociale edifizio la pietra fondamentale della regia -dignità. - -Louvieres era contento e superbo: si era vendicato del Mazzarino, ed -aveva contribuito molto a fare scarcerare il proprio genitore; il suo -nome erasi ripetuto con terrore nel Palazzo Reale, ed egli ridendo -diceva al consigliere restituito alla famiglia: - -«Credete, padre mio, che se adesso io chiedessi alla regina il comando -di una compagnia, ella me lo concederebbe?» - -D’Artagnan aveva profittato del momento di calma per rimandar indietro -Raolo, cui a stento avea tenuto rinchiuso durante la sommossa, e che -intendeva assolutamente sguainare la spada o per l’uno o per l’altro -— Raolo sul principio fece qualche obbiezione, d’Artagnah gli parlò -in nome del conte di la Fère, ed egli, dopo essere andato a fare una -visita alla signora di Chevreuse, partì per raggiungere l’armata. - -Rochefort solo trovava le cose terminate malissimo; scrisse al -signor duca di Beaufort di venire; il duca arriverebbe quanto prima e -troverebbe Parigi tranquillo. - -Andò dal Coadjutore per domandargli se si dovesse dare avviso al -principe di fermarsi per la via; ma Gondy riflettè un poco e gli disse: - -«Lasciatelo continuare il suo viaggio. - -«Ma dunque non è finita? disse Rochefort. - -«Eh vi pare! caro conte, siamo ancora al principio. - -«Da che lo arguite? - -«Dalla cognizione che ho del cuore della regina: non vorrà rimaner -battuta. - -«Apparecchia ella forse qualche cosa? - -«Spero di sì. - -«Animo, là, che sapete? - -«So che ha scritto al signor Principe di tornare sollecitamente -dall’armata. - -«Ah, ah! disse Rochefort, avete ragione; bisogna lasciar venire il -signor di Beaufort.» - -La sera stessa di quella conversazione si sparse voce esser giunto il -Principe. - -Era codesta una notizia semplicissima, naturale, eppure fece uno -strepito immenso; si diceva essere stata commessa qualche imprudenza di -parole da madama di Longueville, a cui aveva fatte delle confidenze il -signor Principe, il quale tutti accertavano nutrisse per la sorella una -tenerezza anche più grande che l’affetto fraterno, e queste confidenze -svelavano tristi progetti per parte della regina. - -La sera stessa dell’arrivo del signor Principe molti borghesi più -avanzati degli altri, scabbini, capitani di quartiere, se ne andavano -dai loro conoscenti dicendo: - -«E perchè non dobbiamo prendere il re e metterlo nel palazzo della -comunità?.... È mal fatto lasciarlo educare dai nostri nemici che gli -danno cattivi consigli, mentre se fosse diretto dal signor Coadjutore -succhierebbe massime nazionali ed amerebbe il popolo.» - -La notte passò in una sorda agitazione; all’indomani si rividero i -pastrani bigi e neri, le pattuglie di mercanti armati e le truppe di -accattoni. - -La regina era stata tutta la nottata a conferenza col signor Principe, -che introdotto a mezzanotte nel di lei oratorio non l’aveva lasciata -sino alle cinque ore. - -Alle cinque Anna si recò nel gabinetto di Mazzarino; s’ella non si era -ancor coricata, egli però era digià alzato. - -Ei redigeva una risposta per Cromvello: erano già trascorsi sei giorni -dei dieci che aveva presi di tempo da Mordaunt. - -«Eh! diceva, l’avrò fatto aspettare un poco; ma il signor Cromvello sa -troppo bene che cosa sono le rivoluzioni perchè non abbia a scusarmi.» - -E rileggeva con tutta compiacenza il primo paragrafo del suo scritto, -quando fu toccato pianino l’usciale che comunicava agli appartamenti -della regina. Di là non potea venire altri che Anna. Il ministro si -alzò e si fece ad aprire. - -La sovrana era vestita in succinto, ma questo le stava sempre bene, -giacchè al pari di Diana di Poitiers e di Ninon, Anna conservò il -privilegio di rimanere ognora bella; e quella mattina era più bella -del solito, avendo negli occhi tutto il fulgore che dà allo sguardo -l’interna allegrezza. - -«Che avete, signora? disse inquieto Mazzarino, mi parete superba. - -«Sì, Giulio, superba e contenta, che ho trovato il mezzo di soffocare -quell’idra. - -«Siete una grande politica, regina mia; sentiamo il mezzo.» - -E Mazzarino nascose la lettera incominciata sotto un foglio bianco. - -«Vogliono prendermi il re, come sapete, principiò la sovrana. - -«Ohimè sì! e impiccar me. - -«Non avranno il re. - -«E non m’impiccheranno. Benone! - -«Ascoltate: voglio portar via ad essi mio figlio e me stessa, e voi -meco. Voglio che questo fatto, il quale da un giorno all’altro cambierà -l’aspetto delle cose, abbia luogo senza che altri lo sappiano fuor che -voi ed io ed una terza persona. - -«E chi è la terza persona? - -«Il signor Principe. - -«Dunque è giunto, come mi avevano detto? - -«Jeri a sera. - -«Lo avete veduto? - -«L’ho lasciato dianzi. - -«E dà mano a questo progetto? - -«È suo consiglio. - -«E Parigi? - -«Lo riduce alla fame, e lo costringe a rendersi a discrezione. - -«V’è del grandioso in codesto piano, ma non ci vedo che un ostacolo. - -«E quale? - -«L’impossibilità. - -«Parola vuota di senso. Nulla v’è d’impossibile. - -«Per progetto. - -«Per esecuzione. Abbiamo danaro? - -«Un poco, disse Mazzarino, temendo che Anna chiedesse di attingere alla -sua borsa. - -«Abbiamo truppe? - -«Cinque o sei mila uomini. - -«Abbiamo coraggio? - -«Molto. - -«Allora la cosa è fatta. Oh comprendete voi, Giulio? Parigi, l’odioso -Parigi, destarsi una mattina senza regina e senza re, circuito, -assediato, affamato, non avendo altra risorsa che il suo stupido -Parlamento, e il magro Coadjutore colle gambe torte? - -«Bello, bello! comprendo l’effetto, ma non vedo il modo di giungervi. - -«Lo troverò io! - -«Sapete ch’è guerra, guerra civile, ardente, accanita, implacabile? - -«Oh sì, sì, la guerra, rispose la sovrana; sì, voglio ridurre in cenere -questa città ribelle; voglio estinguere il fuoco nel sangue; voglio -che da un esempio spaventoso si eterni la memoria del delitto e del -castigo; Parigi, io l’odio! lo aborro! - -«Piano piano, Anna, eccovi digià sanguinaria! badate, non siam mica al -tempo di Malatesta e dei Castruccio Castracani; vi farete decapitare, -mia bella regina, e sarebbe peccato! - -«Ridete! - -«Rido pochissimo, io; la guerra è pericolosa contro un intero popolo; -vedete vostro fratello Carlo I, sta male, male assai. - -«Noi siamo in Francia, ed io sono spagnuola. - -«Peggio, per Bacco! peggio! avrei più caro che voi foste Francese, ed -io pure: saremmo meno odiati ambedue. - -«Non ostante approvate? - -«Sì, se scorgo possibile la faccenda. - -«Lo è, ve lo dico io; fate i vostri preparativi per la partenza. - -«Io, sono sempre pronto a partire; solamente, lo sapete, non parto -mai... e probabilmente, questa volta niente più delle altre. - -«Ma se io parto, partirete? - -«Mi proverò. - -«Giulio, mi fate morire d’impazienza coi vostri timori; ma di che avete -paura? - -«Di molte cose. - -«Di quali?» - -A Mazzarino si fece trista la cera, stata fino allora ironica, ed egli -disse: - -«Anna, voi non siete altro che una donna, e come donna potete insultare -liberamente gli uomini, sicura dell’impunità. Mi accusate di aver -timore: non ne ho tanto quanto ne avete voi, poichè non fuggo. Contro -chi gridano coloro? contro di voi o di me? Di chi si vuol la rovina? la -vostra o la mia? Eppure, faccio fronte alla burrasca, io che incolpate -di paura: non già da bravaccio, chè quella non è la mia maniera, ma -mi reggo. Imitatemi: non tanta apparenza, e più effetto. Voi gridate -forte, e nulla concludete. Parlate di fuggire!...» - -E Mazzarino fece un moto delle spalle, prese per mano la regina, e la -condusse alla finestra dicendole. - -«Guardate! - -«Ebbene? fece Anna acciecata dalla sua ostinazione. - -«Che vedete da questa finestra? Sono, se io non isbaglio, borghesi con -la corazza, con l’elmo e con buoni moschetti come a tempo della lega, -e che guardano tanto bene a questo balcone come li guardate voi, che -tra un momento sarete vista se scuotete sì forte la cortina. Adesso, -venite a quest’altra. Che mirate? genti del volgo con alabarde in mano -a custodia delle vostre porte. Ad ogni apertura del palazzo dov’io vi -guidassi scorgereste altrettanto: son custodite le porte, custoditi -anco gli spiragli delle cantine, e vi dirò come diceva a me il caro -la Ramée del sig. di Beaufort: se non diventate uccello o topo, non -uscirete. - -«Egli però uscì! - -«Fareste conto di andarvene nella medesima guisa? - -«Dunque sono prigioniera? - -«Perdinci! è un’ora che ve lo provo!» - -E Mazzarino riprese tranquillamente il dispaccio incominciato, al punto -ove lo aveva sospeso. - -Anna tremante di collera, rossa d’umiliazione, si partì dal gabinetto -spingendosi dietro con impeto l’usciale. - -Mazzarino non voltò tampoco il capo. - -La regina entrata nel proprio appartamento si gettò sur un seggiolone, -e si mise a piangere. - -Poi, ad un tratto, ad un idea improvvisa, alzandosi disse: - -«Sono salva!.... Oh! sì, sì, conosco un uomo che saprà trarmi fuori di -Parigi, un uomo che troppo a lungo dimenticai». - -E pensosa, benchè con un sentimento di gioja, seguitò: - -«Ingrata! per venti anni ho obliato quel soggetto che avrei dovuto fare -maresciallo di Francia. La mia suocera prodigò oro, dignità e lusinghe -a Concini che la perdè; il re fece Vitry maresciallo di Francia per -un assassinio, ed io lascio nell’oblìo, nella miseria, quel nobile -d’Artagnan che mi salvò!» - -E corse a un tavolino su cui erano carta ed inchiostro, e si mise a -scrivere. - - - - -LIII. - -_Abboccamento._ - - -D’Artagnan in quella mattina era a letto in camera di Porthos. Tale era -l’abitudine presa dai due amici dopo le insorte turbolenze; tenevano -sotto il capezzale la spada, e sul tavolino, vicinissimo alla mano, le -pistole. - -D’Artagnan dormiva tuttavia, e si sognava che il cielo si cuoprisse di -un gran nuvolo giallo, e dal quel nuvolo cadesse una pioggia d’oro, e -ch’egli porgesse il cappello sotto una grondaja. - -Porthos dal canto suo si sognava che lo sportello della sua carrozza -non fosse abbastanza largo per contenere le armi e gli stemmi che ei vi -faceva dipingere. - -Gli destò entrambi a sett’ore un servo senza livrea che recava una -lettera a d’Artagnan. - -«Da parte di chi? domandò il Guascone. - -«Della regina, rispose colui. - -«Eh? fece Porthos sollevandosi sulle lenzuola, che cosa dice?» - -D’Artagnan invitò il servo a passare in una stanza contigua, e chiusa -che quegli ebbe la bussola, ei saltò dal letto, e lesse prestamente, -intanto che Porthos lo guardava cogli occhi spalancati senza osare -interrogarlo. - -«Porthos, disse d’Artagnan dandogli il foglio, questa volta ecco il -tuo titolo di barone e il mio brevetto di capitano. Tieni, leggi, e -giudica». - -L’altro stese la mano, pigliò la carta, e pronunziò tremando queste -parole in essa contenute: - -— «La regina vuol parlare al signor d’Artagnan; esso segua il -latore. — - -«Ebbene! fece Porthos, in ciò non vedo che una cosa ordinaria. - -«Io all’opposto, ce ne veggo di molte straordinarie. Se mi chiamano, è -segno che gli affari sono assai imbrogliati! Pensa un po’ che disordine -dev’essere accaduto nella mente della regina, perchè dopo venti anni vi -ritorni a galla la memoria di me. - -«È vero, confermò Porthos. - -«Barone, affila la spada, carica le pistole, dà la biada ai cavalli; ti -garantisco che prima di domani vi saranno delle novità, e zitto! - -«Ehi! non fosse poi un laccio teso per isbarazzarsi di noi? obiettò -Porthos, pensando sempre alla soggezione che dovrebbe dare altrui la -sua futura grandezza. - -«S’è un laccio, io lo fiuterò; sta pur quieto. Se Mazzarino è italiano, -io son guascone», riprese d’Artagnan. - -E si vestì in un attimo. - -Mentre Porthos tuttora in letto gli affibbiava il ferrajuolo, fu -bussato per la seconda volta. - -«Passate! disse d’Artagnan». - -Entrò un altro domestico, dicendo: - -«Da parte di Sua Eccellenza il ministro Mazzarino». - -D’Artagnan guardò Porthos. - -«L’affare si va complicando! mormorò questo, di dove principieremo? - -«Cade benissimo in acconcio; rispose il tenente, Sua Eccellenza mi dà -l’appuntamento fra mezz’ora. - -«Bene. - -«Dite a Sua Eccellenza che fra mezz’ora sarò a’ suoi comandi, disse -d’Artagnan al servitore». - -Colui salutò e andò via. - -«Fortuna che non abbia veduto l’altro! osservò il tenente. - -«Credi dunque che non ti mandino a cercare tutti due per lo stesso -oggetto? - -«Non lo credo, ne son sicuro. - -«Animo, animo, fa presto! pensa che la sovrana ti attende; dopo di lei -il ministro, e dopo il ministro io». - -D’Artagnan chiamò indietro il servo della regina. - -«Eccomi, disse, conducetemi». - -Quegli lo guidò dalla via des Petits-Champs, e voltando a sinistra -lo fece entrare dalla porticella del giardino che dava sulla -strada Richelieu; poi salita una scala segreta, ei fu introdotto -nell’oratorio. - -Al nostro tenente faceva balzare il cuore una certa emozione che -non sapeva spiegarsi. Egli non aveva più la fiducia della gioventù, -e coll’esperienza aveva imparata tutta la gravità dei passati -avvenimenti. - -Sapeva ormai che si fossero la nobiltà dei principi e la nobiltà -dei re; si era assuefatto a classare la propria mediocrità dopo le -illustrazioni della fortuna e della nascita. In addietro si sarebbe -fatto innanzi ad Anna come un giovane che saluta una donna; allora era -tutt’altro, e si recava da lei come un umile soldato presso un capo -illustre. - -Un lieve rumore turbò il silenzio dell’oratorio. D’Artagnan si scosse, -e vide una bianca mano sollevare il parato, e dalla forma, dalla -bianchezza, dalla beltà di quella riconobbe la regia mano che un giorno -eragli stata data a baciare. - -Entrò la regina. - -«Siete voi, signor d’Artagnan? disse fissando sull’ufficiale uno -sguardo ricolmo di affettuosa malinconia, siete voi, e bene io vi -ravviso. Guardatemi pur voi, io sono la regina: mi riconoscete? - -«No, mia signora, rispose d’Artagnan. - -«Ma non vi ricordate, continuò Anna con delizioso accento che dar -sapeva alla sua voce quando voleva, che in passato la regina ebbe -bisogno di un giovane cavaliero prode e zelante, e lo trovò, e che -sebbene questi potesse indi credersi da lei dimenticato ella gli serbò -un posto in fondo al suo cuore? - -«No mia signora, questo m’è ignoto, disse il moschettiere. - -«Tanto peggio! fece Anna, almeno tanto peggio per la regina, poichè -essa ha d’uopo ancor oggi di quello stesso coraggio, di quel medesimo -zelo. - -«E che! replicò d’Artagnan, la regina, circondata com’è da servitori -sì devoti, da sì saggi consiglieri, da uomini infine tanto grandi per -merito o per situazione, si degna volgere gli occhi sopra un oscuro -soldato?» - -Anna comprese il velato rimprovero, e ne fu commossa più che irritata. -Cotanto disinteresse ed annegazione nel gentiluomo Guascone l’avevano -parecchie volte umiliata; ella si era lasciata superare in generosità. - -«Tutto ciò che mi dite di quelli che ho d’intorno, signor d’Artagnan, -essa soggiunse, sarà forse vero, ma io non ho fiducia che in voi. So -che siete del signor ministro, ma siate altresì mio, ed io mi assumo -di far la vostra fortuna. Orsù, fareste oggi per me ciò che fece in -addietro per la regina il gentiluomo a voi ignoto? - -«Farò quanto mi sia imposto da Vostra Maestà». - -La sovrana riflettè un momento, ed osservando la circospezione in cui -tenevasi il moschettiere domandò: - -«Forse vi piace il riposo? - -«Non so, poichè mai mi sono riposato. - -«Avete amici? - -«Ne avevo tre: due abbandonarono Parigi, nè so dove siano andati. -Uno me ne rimane; ma è, a creder mio, uno di coloro che conoscono il -cavaliere di cui Vostra Maestà mi faceva testè l’onore di parlarmi. - -«Va bene: voi ed il vostro amico valete per un’intera armata. - -«Che debbo fare, signora? - -«Tornate alle cinque ore, e ve lo dirò; ma non discorrete a chicchessia -del convegno ch’io vi fisso. - -«No. - -«Giuratelo sul Cristo. - -«Non ho mai mancato alla mia parola; quando dico no, è no». - -La sovrana, comunque meravigliasse di un tal linguaggio a cui non -l’avevano accostumata i suoi cortigiani, ne trasse buon presagio per -l’impegno col quale d’Artagnan la servirebbe nell’effettuazione del suo -progetto. Era uno degli artifizi del nostro Guascone il celare talora -la sua somma accortezza sotto le apparenze di una leale brutalità. - -«La regina, ei richiese, non ha altro da comandarmi per adesso? - -«No signore, e potete ritirarvi sino al momento che vi ho indicato». - -Il tenente s’inchinò ed uscì. - -«Diamine! borbottò quando fu alla porta, pare che qui abbiano gran -bisogno di me!» - -Ed essendo passata la mezz’ora, traversò la galleria e andò a bussare -dal ministro. - -Lo introdusse Bernouin. - -«Sono qui ai vostri cenni, monsignore, egli disse». - -E secondo il suo solito d’Artagnan si diede attorno una rapida -occhiata, ed osservò che Mazzarino aveva dinanzi una lettera -sigillata.... questa però era posata sul tavolino dalla parte dello -scritto, talchè non si poteva distinguere a chi fosse diretta. - -«Venite d’appresso alla regina? domandò Mazzarino guardando fisso -d’Artagnan. - -«Io, monsignore? chi ve lo ha detto? - -«Nessuno, ma lo so. - -«Mi duole assai di dire a Vostra Eccellenza che prende un abbaglio, -rispose sfacciatamente il Guascone, forte per la promessa data alla -sovrana. - -«Io stesso ho aperto l’anticamera, e vi ho visto venire di fondo alla -galleria. - -«Perchè sono stato introdotto dalla scala segreta. - -«E come mai? - -«Lo ignoro; vi sarà stato un mal inteso». - -Mazzarino sapeva non esser facile di far dire al tenente ciò ch’ei -voleva occultare, e quindi renunziò a dilucidare per allora il mistero -che gli veniva da esso fatto. - -«Parliamo degli affari miei, seguitò, giacchè non gradite discorrere -dei vostri». - -D’Artagnan s’inchinò. - -«Vi piacciono i viaggi? - -«Ho passata tutta la vita sulle strade maestre. - -«V’è alcuna cosa che vi trattenga in Parigi? - -«Nulla mi ci tratterrebbe se non se un ordine superiore. - -«Bene. Ecco una lettera da consegnare al suo indirizzo. - -«Monsignore, l’indirizzo non v’è». - -Realmente la parte opposta era intatta da qualunque carattere. - -«Vale a dire, replicò Mazzarino, che v’è doppia sopraccarta. - -«Intendo; e devo lacerare la prima, arrivato in un luogo determinato. - -«Ottimamente. Prendete qua, e partite. Avete un amico, il signor du -Vallon ch’io amo assai, lo condurrete con voi. - -«Diavolo! fece fra sè d’Artagnan, sa che abbiamo udito la sua -conversazione di jeri, e vuole allontanarci da Parigi. - -«Titubate, forse? - -«No, Eccellenza, e parto subito.... soltanto bramerei una cosa. - -«E quale? - -«Che l’Eccellenza Vostra passasse dalla regina. - -«Quando? - -«Sul momento. - -«A che fare? - -«A dirle solamente così: Io mando in un luogo d’Artagnan, lo fo partire -immediatamente. - -«Ecco dunque che avete veduta la regina? - -«Monsignore, ho avuto l’onore di dirvi che vi poteva essere stato un -mal inteso. - -«Che significa codesto? - -«Oserò rinnuovare il mio priego a Vostra Eccellenza? - -«Va bene; io ci vado: attendetemi qui». - -Mazzarino guardò attentamente di non essersi scordata veruna chiave -sugli armadj, e sparì. - -Per dieci minuti d’Artagnan tentò invano di leggere a traverso alla -seconda sopraccarta le parole vergate sulla prima. - -Tornò il ministro, pallido ed accigliato; andò a sedere a tavolino. - -D’Artagnan lo esaminava come avanti avea fatto alla lettera, ma la -sopraccarta del suo viso era quasi impenetrabile quanto quella del -dispaccio. - -«Eh eh! fece il Guascone, pare adirato: che lo sia contro di me? -Medita: fosse mai per mandarmi alla Bastiglia! Bel bello, monsignore! -alla prima parola che ne dite vi scanno e mi do tutto alla _Fronda_; -sarò portato in trionfo come Broussel, ed Athos mi proclamerà il Bruto -francese.... Oh sarebbe pur curiosa!» - -Il Guascone con la sua immaginazione sempre avviata al galoppo -distingueva digià tutto il partito che poteva trarre dalla situazione. - -Ma il ministro non diede verun ordine di questo genere, e anzi si mise -ad allisciare il tenente: - -«Avete ragione, caro signor d’Artagnan, non potete peranco partire. - -«Ah ah! - -«Sicchè, di grazia rendetemi il dispaccio». - -D’Artagnan obbedì. Mazzarino si assicurò che il suggello fosse intatto. - -«Avrò bisogno di voi questa sera; tornate fra due ore. - -«Monsignore, fra due ore ho un appuntamento a cui non posso mancare. - -«Non ve ne pigliate briga, è tutt’uno, disse il ministro. - -«Buono! me le figuravo, pensò il moschettiere. - -«Dunque, venite alle cinque, e conducetemi quel caro signor du Vallon; -lasciatelo però in anticamera; voglio parlare con voi solo». - -D’Artagnan fece una riverenza. Ed intanto diceva tra sè: - -«Tutti due lo stesso ordine, tutti due la stessa ora, tutti due al -Palazzo Reale. Oh! la indovino. Ecco un segreto che il signor di Gondy -avrebbe pagato cento mila lire! - -«Riflettete? domandò inquieto Mazzarino. - -«Sì, pensavo se dovessimo o no essere armati. - -«Armati da capo ai piedi. - -«Va benissimo, Eccellenza: lo saremo». - -E d’Artagnan corse a ripetere le lusinghiere promesse del ministro a -Porthos, il quale ne provò un’allegrezza inesprimibile. - - - - -LIV. - -_Fuga._ - - -Ad onta dei segni di agitazione che dava la città, il Palazzo Reale -presentava il suo più lieto aspetto verso le cinque ore quando vi -si recò d’Artagnan. Nè v’era da meravigliarsene: la regina aveva -restituito al popolo Broussel e Blancmesnil, e quindi quello nulla -aveva da richiedere. L’emozione della sovrana era soltanto un resto di -turbamento a cui era d’uopo dar tempo a calmarsi, conforme abbisognano -talora dopo una tempesta più giornate perchè cali la marea. - -Eravi stato gran banchetto, al quale serviva di pretesto il ritorno del -vincitore di Lens. V’erano invitati i principi e le principesse, e le -loro carrozze ingombravano da mezzogiorno in poi il cortile. Dopo il -pranzo vi sarebbe giuoco dalla regina. - -Anna brillava di grazia e di spirito; nessuno l’aveva mai veduta di -umore più allegro. La vendetta sul fiore le sfolgorava negli occhi e le -schiudeva il bel labbro. - -Al momento che tutti si alzarono da mensa, Mazzarino sparì. - -D’Artagnan stava digià in anticamera ad attenderlo. Mazzarino vi si -presentò in aria sorridente, lo prese per mano, e lo introdusse nel suo -gabinetto. - -«Carissimo signor d’Artagnan, gli disse, essendosi seduto, vi darò -adesso la maggior prova di fiducia che possa dare un ministro ad un -ufficiale. - -«Spero, fece d’Artagnan, che monsignore me la dia senza secondo fine, e -con intima convinzione ch’io ne sia degno. - -«Degno più di chiunque, amico mio, giacchè a voi mi rivolgo. - -«Or bene, Eccellenza! ve lo confesso, da molto tempo aspetto una simile -occasione. E perciò ditemi presto quel che avete da dirmi. - -«Signor d’Artagnan mio caro, questa sera avrete nelle vostre mani la -salvezza dello Stato». - -E là il ministro si tacque. - -«Monsignore, spiegatevi; io aspetto. - -«La regina ha risoluto di fare col re un viaggetto a San Germano. - -«Ah ah! vuol dire che la regina intende abbandonar Parigi! - -«Capite, capricci di donne! - -«Sì, intendo benone. - -«Per questo vi aveva fatto venire stamane, e vi ha richiesto di tornare -alle cinque. - -«Meritava il conto di farmi giurare che non parlerei ad alcuno di -quell’appuntamento! bucinò d’Artagnan. Oh donne, donne! siano anco -regine, le son sempre donne! - -«Disapprovereste questo piccolo viaggio, carissimo signor d’Artagnan? -domandò il Mazzarino nelle smanie. - -«Io, monsignore! e perchè? - -«Vedo che crollate le spalle! - -«L’è una maniera che ho presa di discorrere fra me. - -«Dunque, la gita l’approvate? - -«Nè approvo nè disapprovo, monsignore; aspetto i vostri cenni. - -«Or bene: sopra di voi ho messo gli occhi per portare il re e la regina -a San Germano. - -«Briccone ipocrita! fece tra sè stesso il tenente. - -«Vedete, soggiunse il ministro notando la flemma di quest’ultimo, che -secondo avvertivo, la salvezza dello Stato riposerà nelle vostre mani. - -«Sì, Eccellenza, e sento tutta la responsabilità di un tal peso. - -«Ma però, accettate? - -«Accetto sempre. - -«Credete che sia possibile? - -«Tutto è possibile. - -«Sarete assalito per la via? - -«È probabile. - -«Ma in tal caso come farete? - -«Passerò tramezzo a coloro che mi assalgono. - -«E se non ci passate? - -«Peggio per loro; passerò ad essi addosso. - -«E metterete il re e la regina sani e salvi a San Germano? - -«Sì. - -«Sulla vostra vita? - -«Sulla mia vita. - -«Siete un eroe!» disse Mazzarino guardando incantato il moschettiere. - -Questi sorrise. - -«Ed io?... ripigliò il ministro dopo breve pausa guatandolo fisso. - -«Come, Eccellenza, voi? - -«Io, se volessi partire? - -«Oh! sarà più difficile. - -«In che modo? - -«L’Eccellenza Vostra può essere riconosciuta. - -«Anche così travestito?» disse Mazzarino. - -Ed alzò una coperta di sulla poltrona, e sotto la quale era un -completo vestimento da cavaliere grigio perlato e color di granato, coi -passamani d’argento. - -«Se Vostra Eccellenza si traveste e’ diventa più facile. - -«Ah! respirò il Mazzarino. - -«Ma bisognerà fare ciò che l’altro giorno dicevate, monsignore, che -avreste fatto nelle nostre veci. - -«E che mai? - -«Gridare: abbasso Mazzarino! - -«Griderò. - -«In francese, pretto francese, veh! badate alla pronunzia; ci furono -uccisi seimila angiovini in Sicilia perchè pronunziavano malamente -l’italiano; badate che i Francesi non si abbiano a pigliar su di voi la -rivincita del vespro siciliano! - -«Farò meglio che possa. - -«Vi sono molte persone armate nelle strade, continuò d’Artagnan, siete -certo che nessuno conosca il progetto della regina?» - -Il ministro riflettè. - -«Monsignore, sarebbe un buon affare per un traditore cotesto che mi -proponete; i rischi di un assalto scuserebbero tutto». - -Mazzarino raccapricciò; ma pensò che uno che avesse intenzione di -tradire non ne darebbe avviso. - -«E perciò, disse con impeto, non mi fido mica di tutti, e la prova si è -che ho scelto voi per essermi di scorta. - -«Non andate colla regina? - -«No, fece Mazzarino. - -«Dunque, dopo di lei? - -«No, egli ripetè. - -«Ah! disse d’Artagnan che principiava ad intendere. - -«Sì, prosegui il ministro, ho fatto i miei calcoli: con la regina, -accresco per lei le probabilità sfavorevoli; dopo di essa aumento le -mie; e poi, salvata la corte, posso esser posto in oblìo: i grandi sono -ingrati. - -«È vero» confermò il tenente volgendo a suo malgrado le pupille sul -brillante della sovrana che aveva in dito il ministro. - -Mazzarino seguitò la direzione di quello sguardo, e adagio adagio girò -in dentro il castone. - -«E voglio dunque, terminò Mazzarino col suo scaltro sorriso, impedire -che siano meco ingrati. - -«È carità cristiana, borbottò d’Artagnan, il non indurre il suo -prossimo alla tentazione. - -«E appunto per questo, finì Mazzarino, vuo’ partire prima di loro». - -D’Artagnan sorrise: era uomo da capire egregiamente quell’astuzia -italiana. - -Il ministro che vide quell’atto, profittò del momento. - -«Dunque comincerete da farmi uscire di Parigi, carissimo signor -d’Artagnan? - -«Difficile incombenza, monsignore! rispose il moschettiere rimessosi in -serietà. - -«Ma, fece l’Eccellenza osservandolo attento, acciò non gli sfuggisse la -menoma espressione della fisonomia, non faceste tutte queste obbiezioni -pel re e per la regina. - -«Il re e la regina sono la mia regina ed il mio re: la mia vita è di -loro, ad essi io la debbo. Me la richiedono, io non ho che ripetere. - -«Va d’incanto, mormorò pian piano Mazzarino, ma siccome la tua vita non -è mia, bisogna che io la compri, non è così?» - -E con un grosso sospiro, ritirò infuori il castone dell’anello. - -D’Artagnan sogghignava. - -Quei due si combinavano da un punto, da quel dell’astuzia. Se -ugualmente si fossero combinati pel coraggio, l’uno avrebbe fatto -eseguire all’altro cose grandi. - -«Ma anche, soggiunse Mazzarino, intendete che se vi domando questo -servigio è coll’intenzione di esserne riconoscente. - -«Vostra Eccellenza, chiese d’Artagnan, è ancora soltanto all’intenzione? - -«Ecco, fece il ministro levandosi dal dito il cerchietto, ecco, mio -caro signor d’Artagnan, un brillante che tempo addietro fu vostro, ed è -giusto che ritorni a voi: prendetelo, ve ne supplico». - -D’Artagnan non diede campo al Mazzarino d’insistere; lo pigliò, mirò -ben bene se la pietra fosse la stessa, ed accertatosi dell’acqua pura e -identica, se lo infilò al dito con soddisfazione indicibile. - -«Mi premeva di molto, disse Mazzarino accompagnandolo con un ultimo -sguardo, ma non serve, ve lo do con gran piacere. - -«Ed io, monsignore, lo ricevo come mi è dato.... Orsù, ragioniamo dei -vostri affaretti: bramate partire prima di tutti? - -«Sì, lo desidero. - -«A che ora? - -«Alle dieci. - -«E la regina, a che ora se ne va? - -«A mezza notte. - -«Allora può essere; io vi fo uscire da Parigi, vi lascio fuori della -barriera, e torno a prender lei. - -«Ottimamente! ma come mi conducete fuor di Parigi? - -«Oh! per questo bisogna lasciarmi agire. - -«Vi do piene facoltà: pigliate una scorta considerevole quanto vi pare». - -D’Artagnan tentennò il capo. - -«Eppure mi sembra che sia il mezzo più sicuro, seguitò Mazzarino. - -«Sì, Eccellenza, per voi: ma non per la regina». - -Il ministro si morse le labbra. - -«E allora, disse, come operiamo? - -«Conviene lasciar fare a me, monsignore. - -«Uhm! - -«E darmi l’intera direzione dell’intrapresa.... - -«Peraltro.... - -«O cercare un altro, finì d’Artagnan, volgendo le spalle. - -«Ohi! fece piano Mazzarino, non se ne avesse da andar via col diamante!» - -E lo richiamò indietro con modo carezzevole. - -«Signor d’Artagnan! mio caro signor d’Artagnan! - -«Eccellenza? - -«Mi garantite di tutto? - -«Garantisco di nulla, io; farò meglio che possa. - -«Meglio che possiate? - -«Sì. - -«Ebbene, mi affido a voi. - -«E anche assai! disse fra sè il tenente. - -«Dunque sarete qui alle nove e mezza? - -«E troverò pronta Vostra Eccellenza? - -«Prontissima. - -«Sicchè siamo d’accordo. Adesso, monsignore, volete farmi vedere la -regina? - -«A che giova? - -«Bramerei ricevere gli ordini di Sua Maestà dal suo proprio labbro. - -«Ha incaricato me di darveli. - -«Potrebbe aver dimenticato qualche cosa. - -«V’importa di vederla? - -«È indispensabile». - -Mazzarino stette alquanto perplesso, e d’Artagnan fermo e impassibile -nella sua volontà. - -«Or via, disse il ministro, vi ci condurrò, ma non fate parola del -nostro dialogo. - -«Ciò che fra noi è stato detto riguarda noi soltanto, monsignore. - -«Mi giurate di star mutolo? - -«Non giuro mai; dico sì e no, e siccome son gentiluomo mantengo la mia -parola. - -«Animo, veggo che mi tocca fidarmi di voi senza restrizioni. - -«Eccellenza, questa è la miglior via. - -«Venite» disse Mazzarino. - -E fatto entrare d’Artagnan nell’oratorio, gli prescrisse di aspettare. - -Ma d’Artagnan non aspettò molto. Dopo cinque minuti capitò la regina -nella massima gala. Così adorna mostrava appena trentacinque anni, ed -era sempre bella. - -«Siete voi, signor d’Artagnan? disse graziosamente sorridendo; vi -ringrazio di avere insistito per vedermi. - -«Chiedo perdono a Vostra Maestà, ma ho voluto ricevere di bocca sua i -di lei comandi. - -«Sapete di che si tratta? - -«Sì, mia signora. - -«Accettate l’incarico che vi affido? - -«Con riconoscenza. - -«Dunque, siate qua a mezzanotte. - -«Vi sarò. - -«Troppo mi è noto il vostro disinteresse per parlarvi in tal momento -della mia gratitudine; ma vi giuro che non dimenticherò questo secondo -servizio come dimenticai il primo. - -«Vostra Maestà è padrona di ricordarsi e di obliare, nè so che intenda -dirmi. - -«Andate, replicò Anna con tutta gentilezza, e tornate a mezzanotte». - -Fece con la mano un gesto d’addio al tenente, ed esso si ritirò; ma -nell’uscire volse il ciglio verso la cortina per dove era entrata -la sovrana, e in fondo a quella distinse la punta di una scarpa di -velluto. - -«Bene! disse fra sè, il Mazzarino stava in ascolto per iscuoprire se -io lo tradivo.... davvero, quel burattino d’Italia non merita di essere -servito da un onest’uomo». - -Ciò non ostante il nostro moschettiere fu puntuale: alle nove e mezza -era nell’anticamera. - -Lo attendeva e lo introdusse Bernouin. - -Egli trovò il ministro vestito da cavaliero. Questi aveva un bellissimo -aspetto sotto quell’abbigliamento, che come già avvertimmo, portava con -molta eleganza; soltanto era assai pallido e tremava un pochino. - -«Solo? fece Mazzarino. - -«Sì, monsignore. - -«E il bravo signor du Vallon? non godremo della sua compagnia? - -«Oh sì! attende nella sua carrozza. - -«E dove? - -«Alla porta del giardino del Palazzo Reale. - -«Sicchè partiamo nella sua carrozza? - -«Eccellenza sì. - -«Senza altra scorta che voi due? - -«E non basta? sarebbe sufficiente uno solo di noi. - -«In verità, caro signor d’Artagnan, mi fate paura col vostro sangue -freddo. - -«Credevo anzi che dovesse darvi fiducia. - -«E Bernouin, non verrà meco? - -«Non v’è posto per lui; verrà a raggiungere Vostra Eccellenza. - -«Si vada, disse il ministro, giacchè in tutto bisogna operare a modo -vostro. - -«Monsignore, rispose il tenente, v’è ancora tempo a pentirsi, e siete -affatto libero. - -«No no, andiamo pure». - -Scesero entrambi dalla scala segreta, Mazzarino appoggiando il braccio -su quello di d’Artagnan, ma con un tremore continuo. - -Traversarono i cortili del Palazzo Reale ove stavano tuttavia ferme le -carrozze di parecchi commensali trattenutisi più degli altri, passarono -nel giardino, ed arrivarono alla porticella. - -Mazzarino si provò ad aprirla con una chiave trattasi di tasca; ma tale -era il tremito della mano, che non trovò il buco della serratura. - -«Date qua» disse d’Artagnan. - -Da Mazzarino gli fu data la chiave; egli schiuse, e si rimise quella in -saccoccia, perocchè divisava ritornar dentro da quella via. - -Era calato il montatojo, spalancato lo sportello, e accanto a questo -Mousqueton e Porthos in fondo al legno. - -«Salite, monsignore» disse il tenente. - -Mazzarino non se lo fece dir due volte e si slanciò nel cocchio. - -D’Artagnan vi salì dopo di lui; Mousqueton serrò lo sportello, e con -sospiri e gemiti si arrampicò dietro alla vettura. Aveva esso opposta -qualche obbiezione alla partenza, ma d’Artagnan gli aveva parlato così: - -«Caro signor Mouston, restate qua se volete, ma vi prevengo che -stanotte sarà incendiato Parigi». - -Dopo di che Mousqueton senza ricercar altro dichiarava esser pronto a -seguitare il suo padrone e il signor tenente sino alla fin del mondo. - -Il legno si mosse a un trotto discreto, tale da non indicare -minimamente che contenesse persone che avean fretta. Il ministro si -asciugò la fronte col fazzoletto, e si guardò attorno. - -Vide a sinistra Porthos, e a destra d’Artagnan; ciascuno d’essi stava a -far guardia da una parte, ognuno di loro gli serviva di baluardo. - -Dirimpetto, sul sedile davanti, due paja di pistole, uno dinanzi a -Porthos ed uno dinanzi a d’Artagnan, che avevano inoltre ambedue la -spada al fianco. - -Alla distanza di cento passi dal Palazzo Reale una pattuglia fermò la -carrozza. - -«Chi va là? disse il capo. - -«Mazzarino!» rispose d’Artagnan con uno scroscio di risa. - -Il ministro si sentì drizzare in testa i capelli. - -Lo scherzo sembrò bellissimo ai borghesi, che mirando un legno -senz’armi nè scorta, non avrebbero creduta mai una simile imprudenza. - -«Buon viaggio!» gridarono. - -E li lasciaron passare. - -«Eh! fece il tenente, che pensa Vostra Eccellenza di questa mia -risposta? - -«Uomo di spirito! esclamò Mazzarino. - -«Realmente, seguitò Porthos, comprendo....» - -Verso la metà della via des Petits-Champs una seconda pattuglia fermò -il cocchio. - -«Chi va là? urlò il capo. - -«Tiratevi da parte, monsignore!» raccomandò d’Artagnan. - -E Mazzarino si cacciò talmente fra i due amici, che sparì del tutto da -essi nascosto. - -«Chi va là?» ripetè la voce impazientita. - -E d’Artagnan sentì correr gente dalla parte della testa dei cavalli. - -Allora si trasse a mezzo corpo fuori dal legno. - -«Ehi Planchet!» disse tosto. - -Il capo si avvicinò: era infatti Planchet: il tenente avea riconosciuta -la voce del suo antico lacchè. - -«Come, signore! siete voi? disse questi. - -«Eh sì, amico mio; questo caro Porthos ha ricevuta una stoccata, e lo -accompagno alla sua villa di San Cloud. - -«Oh! davvero? - -«Porthos, mio carissimo, seguitò d’Artagnan, se ancor potete, parlate, -dite una parola al nostro buon Planchet. - -«Planchet, amico, fece Porthos in tuono dolente, sto molto male, e se -tu incontri un medico, mi farai piacere a mandarmelo. - -«Gran Dio! continuò Planchet, che disgrazia! e com’è avvenuto? - -«Te lo racconterò io» disse Mousqueton. - -Porthos cacciò fuori un gemito. - -«Ah Planchet! disse piano d’Artagnan, facci far largo, o ch’ei non -arriverà vivo, è attaccato il polmone....» - -Planchet tentennò la testa come uno che borbotti: «allora è un brutto -impaccio!» - -E voltosi ai suoi uomini ordinò: - -«Lasciate passare, sono amici». - -La vettura riprese il suo cammino, e Mazzarino che avea tenuto a sè il -fiato si azzardò a respirare. - -«Bricconi» brontolò. - -Pochi passi avanti alla porta sant’Onorato si incontrò un’altra truppa; -questa componevasi di genti di tristo aspetto, che somigliavano più ad -assassini che ad altro: erano gli uomini del mendico di sant’Eustachio. - -«Attento, Porthos!» disse d’Artagnan. - -Porthos allungò la mano verso le pistole. - -«Che c’è? domandò Mazzarino. - -«Monsignore, credo che siamo in pessima compagnia». - -Si avanzò un tale allo sportello tenendo in mano una specie di falce. - -«Chi va là? urlò costui. - -«Eh furfante! disse d’Artagnan, non riconoscete la carrozza del signor -Principe? - -«Principe o no, aprite! siamo a far guardia alla porta, nessuno la -oltrepasserà fin che non sappiamo chi sia. - -«Che s’ha da fare? chiese Porthos. - -«Oh bella, passare! rispose d’Artagnan. - -«Ma come? fece Mazzarino. - -«O fra mezzo, o addosso. Cocchiere, di galoppo!» - -Il cocchiere alzò la frusta. - -«Non fate un passo di più, gridò quegli che pareva il capo, o che -tronco i garretti a’ vostri cavalli. - -«Per dinci! disse Porthos, sarebbe peccato, bestie che mi costano cento -doppie l’una. - -«Io ve le pagherò due cento, disse Mazzarino. - -«Sì, ma tagliate i garretti a loro taglieranno a noi il collo. - -«Ne viene uno da uno parte, fece Porthos, l’ho da ammazzare? - -«Sì, con un pugno se potete; non facciam fuoco sino all’ultime -estremità. - -«Posso, rispose Porthos. - -«Dunque venite ad aprire» disse d’Artagnan all’uomo della falce, -pigliando una pistola dalla canna accingendosi a percuotere col calcio. - -Quegli si accostò. - -A misura che ei si accostava, d’Artagnan, per essere più libero di -muoversi, usciva mezzo fuor dallo sportello; si fissarono i suoi occhi -su quelli del mendico a cui dava la fiaccola di un lampione. - -Di certo colui ravvisò il moschettiere, poichè impallidì; di certo -il moschettiere lo ravvisò, poichè gli si drizzarono sulla testa i -capelli. - -«Signor d’Artagnan! egli esclamò rinculando alquanto, lasciatelo -passare!...» - -E d’Artagnan si preparava forse a rispondere; ma s’intese un colpo -simile a quel di una mazzuola che cada sul capo ad un bue: Porthos -aveva accoppato quello che gli si appressava. - -D’Artagnan voltatosi vide il disgraziato disteso in terra. - -«Adesso trotta a rolla di collo!» gridò al vetturino. - -Il quale scagliò in largo una frustata ai suoi nobili animali. Questi -balzarono via. Si udirono urli come d’uomini gettati sul suolo. Poi si -sentì una doppia scossa: due ruote erano passate sopra un corpo rotondo -e flessibile. - -Vi fu breve silenzio. La carrozza varcò la porta. - -«Al Corso-la-Regina!» strillò d’Artagnan al cocchiere. - -E girandosi verso Mazzarino: - -«Ora, monsignore, potete dire cinque Pater e cinque Ave per ringraziare -Iddio della vostra liberazione; siete salvo! siete libero!» - -Mazzarino non rispose che con una specie di gemito; non sapeva credere -a tanto miracolo. - -Dopo cinque minuti la vettura si fermò: era giunta al Corso la Regina. - -«Monsignore, siete contento della vostra scorta? domandò il -moschettiere. - -«Contentissimo, replicò il ministro; adesso fate altrettanto per la -regina. - -«Sarà meno difficile, disse d’Artagnan. Signor du Vallon, vi raccomando -Sua Eccellenza. - -«Non dubitate» fece Porthos stendendo la mano. - -D’Artagnan presa la mano a Porthos gliela scosse con forza. - -«Ahi!» strillò questi. - -Ma egli lo guardò attonito, domandandogli: - -«Che avete? - -«Mi par di avere un pugno rotto. - -«Eh diamine! se picchiate come un cieco! - -«Per necessità; quel birbante era per darmi una pistolettata; ma voi, -in che modo vi siete distrigato del vostro? - -«Oh! il mio, disse d’Artagnan, non era un uomo. - -«E ch’era mai? - -«Uno spettro. - -«E voi...? - -«L’ho scongiurato». - -D’Artagnan senza ulteriore spiegazione prese le pistole ch’erano sul -sedile davanti, se le infilò alla cintola, si avvolse nel ferrajuolo, -e non volendo tornare dalla stessa barriera d’onde era uscito, -s’incamminò verso la porta Richelieu. - - - - -LV. - -_La carrozza del Coadjutore._ - - -In vece di rientrare dalla porta sant’Onorato, d’Artagnan avendo ancor -tempo fece il giro, e venne da quella di Richelieu. Tutti accorsero -a riconoscerlo, e quando dal cappello colle penne e dal ferrajuolo, -o piuttosto dal manto ingallonato si vide esser egli uffiziale dei -moschettieri, ognuno gli si fece attorno con intenzione di obbligarlo -a gridare: abbasso Mazzarino! Cominciò ad inquietarsi di tale -dimostrazione, ma allorchè seppe di che si trattava, urlò con sì bella -voce da soddisfare anche i più esigenti. - -Andava lungo la strada di Richelieu, ripensando alla maniera di -portarsi via pure la regina, giacchè condurla in una carrozza colle -armi di Francia era impossibile, quando ad un tratto vide un bellissimo -legno al portone del palazzo di madama di Guemenée. - -Lo illuminò un’idea subitanea, e disse: - -«Per Diana! questa sarebbe azione di buona guerra». - -Si avvicinò alla carrettella, osservò le armi ch’erano su gli sportelli -e la livrea del cocchiere seduto a cassetta. - -E l’esame gli fu tanto più facile dacchè il cocchiere se ne dormiva -colle pugna chiuse. - -«È propriamente la carrozza del signor Coadjutore, continuò; in parola, -principio a credere che la Providenza sia a favor nostro». - -Salì piano dentro al legno, e tirando il cordone di seta corrispondente -al dito mignolo del vetturino ordinò: - -«Al Palazzo Reale». - -Quegli, destatosi ad un tratto, si diresse verso il luogo indicatogli, -senza figurarsi che il comando fosse dato da un altro che dal suo -padrone. - -Lo svizzero si accingeva a serrare i cancelli, ma visto il magnifico -cocchio, si persuase fosse una visita importante, e lasciò passare la -carrettella, la quale si fermò sotto il loggiato. - -Ivi soltanto il cocchiere si accorse che dietro al legno non erano i -servitori. - -S’immaginò che il Coadjutore avesse di essi disposto; saltò giù senza -abbandonare le guide, e venne ad aprire. - -D’Artagnan balzò a terra, e nel momento che il vetturino spaventato per -non aver in lui riconosciuto il signor di Gondy retrocedeva un poco, -egli lo afferrò pel collo con la mano sinistra, e con la diritta gli -mise sul petto una pistola. - -«Se ti provi a dire una parola, sei morto!» gli gridò. - -L’altro dalla faccia di quello che gli parlava capì di esser caduto in -un agguato, e restò con gli occhi aperti e la bocca spalancata. - -Passeggiavano nel cortile due moschettieri; d’Artagnan li chiamò per -nome. - -«Signor di Belliere, disse ad uno, fatemi il piacere di prendere le -redini da quel buon uomo, salire a cassetta, condurre la carrozza alla -porta della scala segreta, e là aspettarmi; è per affare di premura, e -relativo al regio servizio». - -Il moschettiere, che sapeva essere il suo tenente incapace di scherzare -in proposito di servizio, obbedì senza fiatare, abbenchè l’ordine gli -sembrasse singolarissimo. - -E d’Artagnan al collega di questo: - -«Signor du Verger, ajutatemi a porre in sicuro quest’uomo». - -Il du Verger credè che il tenente avesse arrestato qualche principe -travestito, s’inchinò, e sguainata la spada accennò che era pronto. - -D’Artagnan salì la scala, seguito dal suo prigioniero, e con a tergo il -moschettiere, traversò l’atrio ed entrò nell’anticamera di Mazzarino. - -Bernouin attendeva impaziente notizia del suo signore. - -«Ebbene? domandò. - -«Tutto va a maraviglia, caro Bernouin; ma ecco un uomo che va messo in -sicuro. - -«Dove? - -«Dove volete, purchè il luogo che presceglierete abbia imposte da -chiudersi a chiavistello ed una porta da serrarsi a chiave. - -«Abbiamo l’occorrente, rispose Bernouin». - -E fu menato il povero cocchiere in uno stanzino che aveva le finestre -coll’inferriata, e somigliava di molto a una prigione. - -«Ora, mio caro, disse a costui d’Artagnan, v’invito a disfarvi in favor -mio del cappello e del pastrano». - -Secondo ognuno intende, il cocchiere non fece opposizione; d’altronde, -era così attonito che barcollava e balbettava come un ubbriaco. -D’Artagnan mise ogni cosa sotto il braccio al cameriere. E poi -soggiunse: - -«Signor du Verger, rinchiudetevi con quest’uomo sinchè il signor -Bernouin venga ad aprirvi; la guardia sarà piuttosto lunga e poco -divertevole, lo so; ma capite, servizio regio. - -«Ai vostri comandi, tenente, replicò il moschettiere vedendo che si -trattava di affari serj. - -«A proposito, terminò d’Artagnan, se colui procurasse fuggire o -gridare, passategli la spada a traverso la pancia». - -Il sottoposto fe’ un moto della testa che indicava che obbedirebbe -puntualmente alle istruzioni. - -Il tenente se ne andò con Bernouin. - -Suonava la mezzanotte. - -«Conducetemi nell’oratorio della regina, esso disse, avvertitela che io -ci sono, e andate a piantare questo fagotto con un moschetto ben carico -sul sedile della carrozza che attende appiè della scala segreta». - -Bernouin introdusse nell’oratorio d’Artagnan, il quale vi si assise -pensieroso. - -Nel Palazzo Reale tutto era ito secondo il consueto: a dieci ore, -conforme notammo, i commensali eransi ritirati; quelli che dovevano -fuggire colla corte ebbero la parola d’ordine, e ciascuno fu avvisato -di trovarsi fra mezzanotte e l’un’ora al Corso-la-Regina. - -Alle dieci Anna si recò nelle stanze del re; _Monsieur_ era stato -appunto posto al letto, ed il giovine Luigi, rimasto ultimo, si -divertiva a schierare in battaglia dei soldatini di piombo, esercizio -che lo svagava di molto. Seco si trastullavano due _fanciulli d’onore_. - -«Laporte, disse la regina, sarebbe tempo di far coricare il re». - -Il re chiese di restar alzato, giacchè non aveva voglia di dormire. - -Ma la regina insistè: - -«Luigi, non dovete andare domattina alle sei a bagnarvi a Conflans? voi -stesso lo avete domandato, mi pare. - -«Avete ragione, signora, rispose Luigi e sono pronto a ritirarmi -nella mia camera quando vi sarà piaciuto di baciarmi. Laporte, date il -candeliere al cavaliere di Coislin». - -La madre posò le labbra su la fronte bianca e liscia che l’augusto -bambino le porgeva con una gravità che già sapeva alquanto di -etichetta. - -«Addormentatevi presto, ella disse, perchè sarete destato di buon’ora. - -«Farò meglio che possa per obbedirvi, signora; ma non ho la minima -volontà di dormire. - -«Laporte, ordinò piano la sovrana, cercate qualche libro nojoso da -leggere a Sua Maestà, ma non vi spogliate». - -Il re uscì accompagnato dal cavaliere di Coislin, che gli portava il -lume. L’altro fanciullo d’onore fu ricondotto al suo appartamento. - -Allora la regina entrò nelle proprie stanze. Le sue donne, cioè la -di Bregy, la di Beaumont, la di Motteville e Socratina sua sorella, -chiamata così a motivo della sua saggezza, le avevano recato nella -guardaroba alcuni avanzi del pranzo, che usualmente le servivano di -cena. - -Anna diede i suoi ordini, parlò di un gran pasto offertole per il -posdomani dal marchese di Villequier, indicò le persone che ella -ammetteva all’onore di prendervi parte, annunziò per l’indomani pure -una visita alla Val-de-Grace, dove aveva intenzione di far le sue -devozioni, e diede a Beringhen, suo primo cameriere, le istruzioni -acciò ve l’accompagnasse. - -Terminata la cena delle dame, Anna finse di esser molto stanca e -passò nella sua camera. La Motteville, che quella sera era di servizio -particolare, vi andò pur seco e l’ajutò a spogliarsi. La regina si mise -a letto, le discorse affettuosamente qualche minuto, e la licenziò. - -In quel punto d’Artagnan giungeva nel cortile del Palazzo Reale con la -carrettella del Coadjutore. - -Dopo un momento ne uscivano le carrozze delle dame d’onore, e si -chiudevano i cancelli. - -Suonava mezzanotte. - -Indi a cinque minuti, Bernouin bussava alla camera della regina, -venendo dal passaggio segreto del ministro. - -Anna andò ad aprire da sè. - -Era digià vestita, cioè, si era rimesse le calze ed avvolta in una -lunga mantellina. - -«Siete voi, Bernouin? ella disse, v’è il signor d’Artagnan? - -«Maestà, è nel vostro oratorio, ed attende che siate pronta. - -«Sono pronta. Dite a Laporte che desti e vesta il re; poi andate dal -maresciallo di Villeroy ed avvertitelo da parte mia». - -Bernouin, fatta una riverenza, uscì subito. - -La regina passò nell’oratorio, a cui dava lume una semplice lampada di -cristalli di Venezia. Vide d’Artagnan in piedi ad aspettarla. - -«Siete voi? ella disse. - -«Sì signora. - -«Siete all’ordine? - -«Ma sì! - -«E il ministro? - -«È andato via senza disgrazie; attende la Maestà Vostra al -Corso-la-Regina. - -«Ma con qual legno si parte? - -«Ho preveduto tutto, v’è giù una carrozza ad aspettare la Maestà Vostra. - -«Andiamo dal re». - -D’Artagnan seguitò la regina. - -Il giovinetto Luigi era digià vestito, meno che le scarpe e il -giubbetto; si lasciava accomodare, là, stupefatto, caricando di domande -Laporte, il quale non gli rispose se non con queste parole: - -«Sire, per comando della regina». - -Il letto era aperto, e si scorgevano le lenzuola del re talmente -logore, che in alcuni luoghi v’erano dei buchi. - -Uno degli effetti della lesina di Mazzarino. - -La regina entrò, e d’Artagnan stette sulla soglia. Il fanciulletto, al -vedere la sovrana, scappò di mano a Laporte e corse verso di lei. - -Anna ammiccò a d’Artagnan di accostarsi. - -E tanto esso fece. - -«Figlio mio, disse Anna additando al re il moschettiere, quieto, in -piedi, e scoperta la testa, ecco il signor d’Artagnan, prode quanto -quei prodi antichi di cui tanto vi è grato che le mie ancelle vi -narrino la storia. Ricordatevi il suo nome e guardatelo bene, per non -dimenticarvi le sue sembianze, giacchè in questa sera ci renderà un -grandissimo servigio». - -Il giovanetto guatò superbamente l’ufficiale e ripetè: - -«Signor d’Artagnan. - -«Per l’appunto, figlio mio». - -Il re alzò lentamente la manina e la porse al moschettiere, il quale -gliela baciò posto in terra un ginocchio. - -«D’Artagnan, ripetè Luigi, va bene, signora». - -Nell’istante si udì avvicinarsi gran clamore. - -«Ch’è mai? chiese Anna. - -«Oh oh! fece d’Artagnan prestando a un tempo l’orecchio attento e -l’occhio intelligente, è susurro del popolo sollevato. - -«Bisogna fuggire, disse la regina. - -«Vostra Maestà ha data a me la direzione di tutto: bisogna trattenersi -e sapere ciò che voglia. - -«Signor d’Artagnan! - -«Di tutto io resto responsabile». - -Non v’è cosa che si comunichi presto quanto la confidenza. - -Anna, piena di forza e di coraggio sentiva al più alto grado queste due -virtù negli altri. - -«Fate pure, ella replicò, io mi rapporto a voi. - -«Vostra Maestà mi permette in tutto questo affare, di dare degli ordini -in nome suo? - -«Ordinate. - -«Che altro vuole quel popolo? domandò il re. - -«Sire, tra poco lo sapremo, rispose d’Artagnan». - -E si partì sollecito dalla stanza. - -Andava crescendo il tumulto, e pareva avvolgesse tutto quanto il -Palazzo Reale. Dall’interno si udivano grida di cui non si poteva -comprendere il senso: erano però evidenti clamori a sedizione. - -Il re mezzo vestito, la regina e Laporte, rimasero ciascuno nello stato -e quasi nel posto in cui erano, ad ascoltare ed attendere. - -Comminges, il quale in quella sera era di guardia al Palazzo Reale, -accorse subito; aveva circa duecento uomini nei cortili e nelle -scuderie, e li poneva a disposizione della sovrana. - -«Ebbene? chiese Anna vedendo comparir di nuovo d’Artagnan, che v’è egli? - -«Signora, ecco ciò che v’è: si è sparsa voce che la regina avesse -abbandonato il Palazzo Reale conducendo via il re, ed il popolo domanda -di aver la prova del contrario, e minaccia di demolire il palazzo. - -«Oh! questa volta è troppo, ed io proverò loro che non sono partita». - -Dalla cera della sovrana il tenente si accorse ch’era per dare qualche -comando violentissimo, e le disse sotto voce: - -«Vostra Maestà ha sempre fiducia in me?» - -Ella si scosse. - -«Sì, piena fiducia: dite pure. - -«Vostra Maestà si degnerà regolarsi dietro i miei suggerimenti? - -«Dite. - -«Si compiaccia licenziare il signor di Comminges, imponendogli -di rinchiudersi non meno che i suoi nel corpo di guardia e nelle -scuderie». - -Comminges diede a d’Artagnan una di quelle occhiate invidiose che vibra -qualunque cortigiano veggendo spuntare una nuova fortuna. - -«Udiste, Comminges? fece la regina». - -D’Artagnan si appressò a lui: colla sua consueta sagacia aveva -riconosciuto lo sguardo inquieto, onde gli disse: - -«Signor di Comminges, perdonatemi: noi siamo ambedue servitori della -regina, non è così? adesso tocca a me ad esserle utile, non m’invidiate -adunque questa sorte». - -L’altro fece un inchino ed uscì. - -«Or via! pensò d’Artagnan, eccomi con un nemico di più! - -«Ed ora, disse Anna a questo, che si dee fare? lo sentite, in vece di -calmarsi raddoppia lo strepito. - -«Signora, il popolo vuol vedere il re, è d’uopo che lo vegga. - -«Come, che lo vegga? e dove? sul balcone? - -«No, ma qui nel suo letto, addormentato. - -«Ah Maestà! esclamò Laporte, il signor d’Artagnan ha molta ragione». - -La regina riflettè e sorrise, da donna in cui non sia nuova la finzione. - -«Di fatti.... balbettò. - -«Signor Laporte, disse d’Artagnan, andate a traverso ai cancelli del -Palazzo Reale ad annunziare al popolo che a momenti sarà soddisfatto; -che fra cinque minuti non solo vedrà il re, ma lo vedrà nel suo letto; -aggiungete che il re dorme, e la regina prega si faccia silenzio onde -non destarlo. - -«Ma non già tutti, una deputazione di due o quattro persone.... - -«Tutti, Maestà. - -«Ma pensate che ci terranno qua sino a giorno! - -«Ne avremo per un quarto d’ora. Io tutto garantisco, signora; credete -a me, conosco il popolo, è un gran fanciullo, e basta accarezzarlo; -dinanzi al re dormiente sarà muto, docile e timido come un agnello. - -«Andate, Laporte, disse Anna». - -Il giovinetto re si accostò alla madre. - -«E perchè fare mi domandano quelle genti? - -«Così bisogna, figlio mio. - -«Oh! allora, se mi si dice: _bisogna_, dunque non sono più re?» - -La regina rimase ammutolita. - -«Sire, replicò d’Artagnan, vostra Maestà mi permetterà di farle una -domanda?» - -Luigi XIV si volse, sorpreso che alcuno osasse dirigergli la parola. La -madre gli strinse la mano, ed ei rispose: - -«Signor sì. - -«La Maestà Vostra si rammenta di aver veduto, mentre scherzava nel -parco di Fontainebleau o nei cortili del palazzo di Versailles, ad un -tratto oscurarsi il cielo, e udito scoppiare i tuoni? - -«Sì, senza dubbio. - -«Or bene, quello scoppio del tuono, per quanta volontà avesse Vostra -Maestà di continuare a scherzare, le diceva: Sire, tornate dentro, così -bisogna. - -«Sì, ma anche mi fu detto che il fragore del tuono era la voce di Dio. - -«Ebbene, sire, ascoltate il fragore del popolo che ha pure la sua -forza». - -Nel momento appunto passava uno strepito terribile come trasportato dal -vento notturno. - -E cessò d’improvviso. - -«Ecco, sire, disse il tenente, è stato detto al popolo che voi dormite: -vedete bene che siete sempre re». - -La regina considerava con meraviglia quell’uomo singolare, che pel -luminoso suo coraggio facevasi uguale ai più prodi, che per lo spirito -accorto si faceva uguale a tutti. - -Tornò Laporte. - -«Che v’è? disse Anna. - -«Signora, rispose Laporte, si è compiuta la predizione del signor -d’Artagnan, e si sono calmati come per magia. Si apriranno loro le -porte, e fra cinque minuti saranno qui. - -«Laporte, continuò la regina, se metteste uno de’ vostri figli nel -posto del re? frattanto noi partiremmo. - -«Se sua Maestà lo comanda, i miei figli sono al pari di me al servizio -della regina. - -«No, disse d’Artagnan, chè se uno di loro conoscesse Sua Maestà e si -accorgesse del sotterfugio, tutto sarebbe perduto. - -«Avete ragione, ragione sempre, replicò Anna. Laporte, mettete a letto -il re». - -Laporte vi pose in fatti il re, vestito com’era, e lo cuoprì sino alle -spalle col lenzuolo. - -La madre si chinò su di lui e lo baciò in fronte. - -«Luigi, fingete di dormire, essa gli disse. - -«Sì, rispose Luigi XIV, ma non voglio esser toccato neppur da uno di -quegli uomini. - -«Sire, sono qua io, fece d’Artagnan, e vi accerto che se uno solo a -tanto si ardisse pagherebbe l’ardire con la sua vita. - -«Adesso che si ha da fare? li sento! chiese la regina. - -«Signor Laporte, andate loro incontro, e raccomandate di nuovo il -silenzio. Signora, attendete là, alla porta. Io sto a capo del letto -del re pronto a morire per lui». - -Laporte uscì; la regina stette accanto al parato, d’Artagnan si cacciò -dietro al cortinaggio. - -Poi si udì il camminare contenuto di grande moltitudine. La regina -sollevò ella stessa la portiera ponendosi un dito sul labbro. - -Al vederla, gli uomini si fermarono in attitudine rispettosa. - -«Entrate, entrate, signori, disse Anna». - -Fuvvi allora fra tutta quella gente un movimento di titubanza che -somigliava a vergogna; essa si aspettava a opposizione, a resistenza; -si figurava di dovere sforzare i cancelli e atterrare le guardie; i -cancelli erano tutti aperti, ed il re, almeno ostensibilmente, non -aveva vicino al suo letto altra guardia che la madre. - -Quelli ch’erano alla testa della turba balbettarono e cominciavano a -retrocedere. - -«Passate, signori, disse Laporte, poichè la regina lo permette». - -Uno de’ più arditi passò la soglia e si avanzò in punta di piedi; -tutti lo imitarono, e la camera si empiè col maggiore silenzio, quasi -che tutti coloro fossero stati i cortigiani più umili e devoti. Molto -indietro alla porta si vedevano le teste di quelli che non avendo -potuto introdursi si rizzavano in punta di piede. - -D’Artagnan osservava tutto da un’apertura che aveva fatta al -cortinaggio. Nel primo entrato riconobbe Planchet. - -«Signore, disse la sovrana a questo che comprese essere il capo della -turba; voi bramaste di vedere il re, ed io volli mostrarvelo da me -stessa. Appressatevi, guardatelo, e dite se vi sembriamo persone -intenzionale a fuggire. - -«No certo, rispose Planchet alquanto sorpreso dell’inatteso onore che -riceveva. - -«Riferite dunque a’ miei buoni e fedeli Parigini, continuava Anna con -un sorriso di cui d’Artagnan capiva appieno il senso, che avete visto -il re addormentato, e la regina sul punto di coricarsi. - -«Lo riferirò, signora, e lo diranno pure quei che sono meco, ma.... - -«Ma che? domandò la sovrana. - -«Vostra Maestà mi perdoni, ma è veramente il re quello disteso nel -letto?» - -Anna rabbrividì. - -«Se fra voi v’è alcuno che conosca il re, ella rispose, si accosti e -dica se è sua Maestà». - -Un uomo avvolto in un ferrajuolo col quale si cuopriva anche il viso, -si avvicinò, si chinò sul letto e guardò. - -Per un momento d’Artagnan credè che colui avesse qualche -tristo progetto, e mise mano alla spada; ma ad un moto che fece -l’inferrajuolato nell’abbassarsi scuoprendosi parte della faccia, -d’Artagnan ebbe presto ravvisato il Coadjutore. - -«È di fatti il re, disse quegli rialzandosi, Dio benedica Sua Maestà». - -E tutti quanti, entrati furibondi, e passati da ira a pietà, benedirono -un dopo l’altro il regio fanciullo. - -«Adesso, amici, disse Planchet, ringraziamo la regina e ritiriamoci». - -Tutti s’inchinarono ed uscirono a poco a poco senza far rumore, siccome -erano venuti. Planchet capitato il primo, se ne andava l’ultimo. - -Anna lo trattenne. - -«Come vi chiamate?» gli disse. - -Planchet si voltò attonito alla domanda. - -«Sì, continuò la sovrana, mi tengo a onore di avervi qui ricevuto -quanto se foste un principe, e bramo sapere il vostro nome. - -«Oh sì! pensò Planchet, per trattarmi come un principe... grazie, -grazie». - -D’Artagnan temè che Planchet, allettato alla maniera del corvo della -favola, dicesse il proprio nome, e che nell’udir questo la regina -sapesse pure che Planchet era stato a lui addetto. - -«Maestà, rispose costui rispettosamente, mi chiamo Dulaurier; a’ vostri -comandi. - -«Bene, signor Dulaurier; e che cosa fate? - -«Sono mercante di panni, in via dei Bordonesi. - -«Ecco quanto volevo conoscere.... obbligatissima, signor Dulaurier; vi -sarà parlato di me. - -«Animo, borbottò d’Artagnan toltosi di dietro alle cortine, -assolutamente messer Planchet non è uno sciocco, e si vede che ha -imparato ad una buona scuola». - -I diversi attori di quella stranissima scena stettero un momento uno -davanti all’altro senza dir più parola, la regina in piedi accanto -alla porta, d’Artagnan mezzo fuori del suo nascondiglio, il re -appoggiato sul gomito e pronto a sdrajarsi di nuovo al menomo chiasso -che indicasse il ritorno di tutta la folla; ma il chiasso invece di -avvicinarsi si allontanò, e poi si estinse. - -Anna sospirò: d’Artagnan si asciugò la fronte: Luigi si calò giù dal -letto dicendo: - -«Partiamo». - -Ricomparve Laporte. - -«Ebbene! fece la sovrana. - -«Li ho seguitati sino ai cancelli, rispose il cameriere, hanno -annunziato ai compagni che avevano veduto il re, e la regina aveva a -loro parlato, talchè se ne vanno gloriosi e trionfanti. - -«Miserabili! mormorò la regina; pagheranno ben caro il loro ardire, io -lo prometto». - -Indi volgendosi a d’Artagnan: - -«Signore, in questa sera voi mi avete dati i migliori consigli che mai -ricevessi in vita mia. Continuate: adesso che dobbiam fare? - -«Signor Laporte, disse il tenente, terminate di vestire Sua Maestà. - -«Allora possiamo partire? chiese la regina. - -«Quando vuole Vostra Maestà; scenda pure dalla scala segreta, e mi -troverà alla porta. - -«Andate, replicò Anna, io vi seguo». - -D’Artagnan scese; la carrozza era al suo posto; il moschettiere a -cassetta. - -D’Artagnan prese il fagotto che aveva incaricato Bernouin di porre a’ -piedi del moschettiere. Questo conteneva, come ben ci rammentiamo, il -cappello ed il pastrano del cocchiere del signor di Gondy. - -Si mise sulle spalle il pastrano, ed in testa il cappello. - -Il moschettiere smontò. - -«Voi, gli ordinò d’Artagnan, andate a rendere la libertà al vostro -camerata che fa guardia al cocchiere; monterete tutt’e due a cavallo, -anderete in via Tiquetonne all’albergo del Granchio a prendere il -mio cavallo e quello del signor du Vallon, porrete loro la sella e i -fornimenti da guerra, poi uscirete da Parigi conducendoli a mano, e vi -recherete al Corso-la-Regina. Se colà non trovaste alcuno, proseguirete -sino a San Germano. Servizio regio». - -Il soldato salutò, e partì per adempiere agli ordini ricevuti. - -D’Artagnan salì in serpa. - -Aveva un pajo di pistole alla cintola, un moschetto sotto i piedi, la -spada nuda dietro. - -Venne la regina; e appresso ad essa il re e il signor duca d’Angiò suo -fratello. - -«La carozza del Coadjutore! ella esclamò muovendo indietro un passo. - -«Sì, rispose d’Artagnan, ma entratevi liberamente; la guiderò io». - -Anna diede un grido di sorpresa ed entrò nella carrettella. Il re e -_Monsieur_ fecero lo stesso e sederono accanto a lei. - -«Venite Laporte, disse la regina. - -«Come! fece il cameriere, nella medesima carrozza che le Maestà Vostre! - -«Questa sera non si tratta di regia etichetta, ma della salvezza del -re. Salite Laporte». - -E quegli obbedì. - -«Chiudete le stuoje, disse d’Artagnan. - -«Ma con ciò, fece Anna, non si darà qualche sospetto? - -«Vostra Maestà stia pur quieta, io ho pronta la risposta». - -Si serrarono le stuoje, e si andò di galoppo dalla via Richelieu. - -Arrivati alla porta, si avanzò il capo della guardia con una dozzina -d’uomini, e tenendo in mano una lanterna. - -D’Artagnan gli accennò di avvicinarsi. - -«Riconoscete la carrettella? disse al sergente. - -«No. - -«Guardate le armi». - -Il sergente accostò il lanternino. - -«Del signor Coadjutore! - -«Zitto! egli è dentro a testa a testa con madama di Guemenée». - -Il capo della guardia si mise a ridere. - -«Aprite la porta, ordinò agli altri, so che roba è». - -Ed appressatosi alla stuoja calata: - -«Buon pro faccia, monsignore! - -«Imprudente! gridò d’Artagnan, mi farete licenziare». - -La barriera girò stridendo sui cardini, e d’Artagnan vedendosi far -largo frustò i cavalli, i quali si mossero di trotto steso. - -Dopo cinque minuti aveano raggiunto la carrozza del ministro. - -«Mousqueton! gridò d’Artagnan, alzate le stuoje del legno di Sua Maestà! - -«È desso! fece Porthos. - -«Vestito da vetturino! esclamò Mazzarino. - -«E col legno del Coadjutore! disse la regina. - -«Per Bacco! signor d’Artagnan, terminò Mazzarino, valete tant’oro -quanto pesate». - - - - -LVI. - -_Come a vendere della paglia, d’Artagnan e Porthos guadagnassero, uno -duecentodiciannove luigi e l’altro duecentoquindici._ - - -Mazzarino voleva sul momento avviarsi a San Germano, ma Anna dichiarò -che attenderebbe le persone a cui avea fissato l’appuntamento. -Soltanto essa esibì il posto di Laporte al ministro, il quale, avendolo -accettato, passò dall’uno nell’altro legno. - -Non senza ragione erasi sparsa voce che il re dovesse nella nottata -abbandonar Parigi: dalle sei ore di sera erano messi alla confidenza -dieci o dodici individui, e per quanta segretezza avessero usata, -non aveano questi potuto dar gli ordini per la partenza senza che -traspirasse qualche cosa. D’altronde ciascuna di tali persone ne aveva -una o due altre a cui s’interessava, e siccome si teneva per certo che -la regina lascerebbe Parigi con dei progetti di vendetta, così ognuno -aveva avvertito gli amici o i parenti, e quindi la voce della fuga -corse come un fumo di polvere per tutte le strade della capitale. - -La prima carrozza arrivata, dopo quella della regina, fu quella del -signor Principe; conteneva il signor di Condé, la signora Principessa -e la Principessa vedova. Queste due erano state destate nella notte, e -nemmeno sapevano di che si trattasse. - -La seconda racchiudeva il duca d’Orleans, la duchessa, la grande -_Madamigella_, e l’abate di la Rivière favorito inseparabile ed intimo -consigliere del Principe. - -Nella terza stavano il signor di Longueville e il principe di -Conti fratello e cognato del signor Principe. Essi smontarono, si -avvicinarono al legno del re e della regina, e presentarono a Sua -Maestà i loro omaggi. - -Anna cacciò lo sguardo sino in fondo alla carrozza di cui era rimasto -aperto lo sportello e vide ch’era vuota. - -«Ma dov’è mai madama di Longueville? domandò. - -«Appunto, dov’è mia sorella? fece il Principe. - -«Madama di Longueville è indisposta, rispose il duca, e mi ha -incombenzato di scusarla presso Vostra Maestà». - -Anna lanciò una rapida occhiata a Mazzarino, il quale rispose con un -cenno impercettibile della testa. - -«Che ne dite? chiese a questo la regina. - -«Dico ch’ella è un ostaggio per i Parigini, ribattè il ministro. - -«Perchè non è venuta? interrogò pianino il signor Principe a suo -fratello. - -«Zitto! disse questo, ha di certo le sue ragioni. - -«Ci rovina! mormorò il Principe. - -«Ci salva», ripicchiò Conti. - -Giungevano in folla le vetture; vennero in fila il maresciallo di La -Meilleraye, il maresciallo di Villeroy, Guitaut, Villequier, Comminges; -capitarono pure i due moschettieri conducendo a mano i cavalli di -d’Artagnan e di Porthos. Porthos e d’Artagnan saltarono in sella. Al -secondo di questi subentrò il cocchiere di Porthos a cassetta del regio -cocchio. Mousqueton pigliò il posto del cocchiere guidando in piedi, -per ragioni a lui cognite, e simile all’antico Automedonte. - -La regina, benchè occupandosi di mille cosarelle, cercava cogli occhi -d’Artagnan; ma il Guascone, colla sua consueta prudenza, si era di già -cacciato fra la moltitudine. - -«Facciamo da vanguardia, esso disse a Porthos, e procuriamoci buoni -alloggi a San Germano, poichè nessuno penserà a noi. Mi sento stanco -all’eccesso. - -«Ed io casco dal sonno, rispose Porthos. E a dire che non abbiamo avuto -il minimo combattimento! assolutamente i Parigini sono molto sciocchi! - -«Non è forse piuttosto perchè noi siamo molto abili? - -«Forse sì. - -«E il vostro pugno come va? - -«Meglio. Ma credete che questa volta li abbiamo? - -«Che cosa? - -«Voi il vostro grado, ed io il mio titolo? - -«Oh! sì; quasi ci scommetterei. E poi, se non si rammentano, li farò -rammentar io. - -«Sento la voce della regina, disse Porthos; mi pare che chieda di -montare a cavallo. - -«Oh! ella vorrebbe, ma.... - -«Ma che? - -«Ma il ministro non vuole, disse d’Artagnan». - -E poi a’ due moschettieri: - -«Signori, accompagnate la carrozza della regina, non ve ne scostate; -noi andiamo a far apparecchiare i locali». - -Dopo di che il tenente e Porthos diedero di sprone per recarsi a San -Germano. - -«Partiamo», fece la sovrana. - -Ed il suo cocchio si avviò, con appresso molti altri e da cinquanta o -più cavalcanti. - -Giunsero a San Germano; ivi scesa dal montatoio, Anna trovò il signor -Principe che attendeva in piedi e a testa scoperta per offrirle la -mano. - -«Come resteranno destandosi i Parigini! disse lietissima la regina. - -«È guerra, rispose il prence. - -«Or bene, guerra sia pure. Non abbiamo con noi il vincitore di Rocroy, -di Nordlingen e di Lens?» - -Il principe fece un inchino in segno di ringraziamento. - -Erano le tre dopo mezzanotte. La regina entrò la prima nel castello; -tutti la seguirono; circa duecento persone erano seco fuggite. - -«Signori, disse Anna scherzando, alloggiatevi nel castello; è vasto, -e nulla vi ci mancherà, ma siccome non si aveva idea di venirci sono -avvertita che vi sono soltanto tre letti: uno pel re, uno per me.... - -«Ed uno per Mazzarino, terminò sotto voce il signor Principe. - -«Ed io dunque dormirò in terra? domandò Gastone d’Orleans sorridendo ma -di mala voglia. - -«No, monsignore, rispose Mazzarino, giacchè il terzo letto è destinato -a vostra Altezza. - -«Ma voi? - -«Io non mi coricherò; ho da lavorare». - -Gastone si fece indicare la sua camera, senza curarsi del modo in cui -starebbero sua moglie e la figlia. - -«Io sì, mi coricherò, disse d’Artagnan; Porthos, venite con me». - -Porthos andò appresso all’amico con quella somma fiducia che aveva nel -di lui senno. - -Camminavano l’uno accanto all’altro sulla piazza del castello, Porthos -guardando attonito d’Artagnan, che contava colle dita: - -«Quattrocento, a una doppia, fanno quattrocento doppie. - -«Sì, diceva Porthos, ma chi è che fa quattrocento doppie? - -«Una doppia non basta; vale un luigi. - -«Che cosa vale un luigi? - -«Quattrocento a un luigi, formano quattrocento luigi. - -«Quattrocento? fece Porthos. - -«Sì; sono duecento, e ce ne vogliono almeno due per ciascuno. Sicchè si -viene a quattrocento. - -«Ma che quattrocento? - -«Sentite», disse d’Artagnan. - -E siccome v’erano d’ogni sorta di persone, che meravigliate osservavano -l’arrivo della corte, egli terminò la frase all’orecchio. - -«Capisco benissimo, rispose Porthos, duecento luigi ognuno, va -ottimamente, ma che diranno poi? - -«Diranno quel che vogliono. E d’altronde, si saprà forse che siamo noi? - -«Ma chi s’incaricherà della distribuzione? - -«Non v’è Mousqueton? - -«E la mia livrea! esclamò Porthos, riconosceranno la mia livrea. - -«Si rivolterà l’abito. - -«Avete sempre ragione, mio caro d’Artagnan; ma dove diavolo scavate -tutte le idee che avete?» - -D’Artagnan sorrise. - -I due amici presero dalla prima strada che incontrarono. Porthos bussò -alla casa a mano destra, mentre d’Artagnan faceva lo stesso a quella a -sinistra. - -«Paglia! essi dissero. - -«Signore, non ne abbiamo, risposero quei che vennero ad aprire, ma -rivolgetevi al mercante di foraggi. - -«E dov’è colui? - -«L’ultimo portone in questa via. - -«A diritta o a manca? - -«A manca. - -«E vi sono altri a San Germano da chi si possa procurarsene? - -«V’è il locandiere del Montone Coronato, e il fattore Gros-Luis. - -«Dove abitano? - -«In via delle Orsoline. - -«Tutt’e due? - -«Sì. - -«Benone». - -I due gentiluomini si fecero spiegare il secondo ed il terzo indirizzo -esattamente quanto il primo; indi d’Artagnan andò dal mercante di -foraggi, e trattò seco per cinquanta fasci di paglia che possedeva, il -tutto per tre doppie; di là passò dal locandiere, ove trovò Porthos -che aveva combinato per duecento fasci per una somma quasi eguale; -finalmente ottanta ne mise a loro disposizione il fattore Gros-Luis. - -Totale quattrocento trenta. - -In San Germano non ve n’erano di più. - -In tutta la radunata non impiegarono più di mezz’ora. Mousqueton, -debitamente ammaestrato, fu posto alla direzione di quel traffico -improvviso; gli fu raccomandato di non lasciarsi uscire di mano un filo -di paglia al disotto di un luigi per ogni fascio. - -Gli veniva affidata tanta paglia per il valore di luigi quattrocento e -trenta. - -Mousqueton tentennava il capo, e non intendeva un ette di quella -speculazione. - -D’Artagnan, portando tre fasci, ritornò al castello, dove tutti -tremavano di freddo e cascando dal sonno guardavano con astio il re, la -regina e _Monsieur_ sui loro letti da campo. - -All’entrare di d’Artagnan nel gran salone fu uno scroscio di risa -generale; ma esso non mostrò tampoco di accorgersi d’esser l’oggetto -dell’attenzione degli astanti, e si mise a disporre con tanta destrezza -e buon umore il suo lettuccio di paglia, che faceva venire l’acquolina -in bocca ai poveri insonniti, che non poteano dormire. - -«Paglia! gridarono costoro; paglia! dove si trova un po’ di paglia? - -«Ora vi ci conduco, disse Porthos». - -E guidò gli avventori da Mousqueton, il quale dispensava generosamente -i suoi fasci a un luigi l’uno. Questi pensarono essere un po’ caro, -ma quando si ha molta volontà di dormire, chi non pagherebbe due o tre -luigi qualche ora di un buon sonno? - -D’Artagnan cedeva ad ognuno il suo letto, e quindi se lo rifece per sè -dieci volte consecutive, e siccome si supponeva ch’egli avesse pagato -da quanto gli altri il suo pacco di paglia, si cacciò in tasca così una -trentina di luigi in meno di mezz’ora. Alle cinque ore della mattina -la paglia valeva ottanta lire il pacco, ed anche non se ne raccapezzava -più. - -D’Artagnan aveva avuto cura di serbarsi da parte quattro fasci per sè; -prese la chiave dello stanzino ove gli aveva nascosti, ed insieme con -Porthos se ne andò a fare i conti con Mousqueton, il quale candidamente -e da degno maggiordomo com’era, consegnò loro quattrocentotrenta luigi -e se ne ritenne altri cento. - -Mousqueton, che nulla sapeva di quanto era accaduto nel palazzo, non -comprendeva come non fosse a lui venuta più presto l’idea di vender la -paglia. - -D’Artagnan si pose l’oro nel cappello, e tornando indietro, faceva -i conti con Porthos. Spettavano ad ognuno di essi duecento quindici -luigi. - -Allora soltanto Porthos si avvide di non aver paglia per suo uso. - -Andò da Mousqueton. Questo avea venduto sino all’ultimo filo, non -serbandosi niente per sè stesso. - -Porthos si recò presso a d’Artagnan, il quale, mediante i suoi quattro -fasci era occupato a prepararsi, godendone anticipatamente la vista -deliziosa, un letto così morbido, grosso da capo, coperte da’ piedi, -che avrebbe fatto invidia anche al re, se il re non avesse riposato -egregiamente nel suo. - -D’Artagnan a nessun costo volle guastarlo, ma essendogli contati da -Porthos quattro luigi, acconsentì che questi vi si adagiasse con lui. - -Accomodò la spada da capo, si posò le pistole accanto, si distese -a’ piedi il ferrajuolo, su questo mise il cappello e si sdrajò -maestosamente sopra la paglia che cedeva e scricchiolava. Si pasceva -digià dei dolci sogni che genera il possesso di duecento diciannove -luigi guadagnati in un quarto d’ora, quando lo fece scuotere una voce -alla porta della sala. - -«Signor d’Artagnan! questa gridava, signor d’Artagnan! - -«Qui, disse Porthos, qui!» - -Porthos intendeva che se d’Artagnan se ne andava, il letto resterebbe a -lui solo. - -Si avvicinò un ufficiale. - -D’Artagnan si sollevò sul gomito. - -«Siete voi il signor d’Artagnan? quegli domandò. - -«Sì, signore: che volete da me? - -«Vengo a chiamarvi. - -«Da parte di chi? - -«Di Sua Eccellenza. - -«Dite a monsignore che voglio dormire, e lo consiglio da amico a fare -altrettanto. - -«Sua Eccellenza non si è coricata, e non si coricherà, e vi vuole sul -momento. - -«Sia maledetto il Mazzarino, che non sa dormire quando bisogna! -brontolò d’Artagnan, ma che vuole! È forse per farmi capitano? in tal -caso glielo perdono». - -E si alzò mormorando, pigliò la spada, il cappello, le pistole e il -ferrajuolo, e andò coll’uffiziale, mentre Porthos, rimasto solo ed -unico possessore del letto, si provava ad imitare le belle disposizioni -dell’amico. - -Mazzarino, vedendosi avvicinare colui che avea mandato a ricercare in -momento sì inopportuno, gli disse: - -«Signor d’Artagnan, non mi sono dimenticato con quanto zelo voi mi -serviste, ed ora ve ne darò una prova. - -«Buono! pensò il tenente, si comincia bene!» - -Il ministro, che l’osservava, notò la sua contentezza. - -«Ah, monsignore! - -«Signor d’Artagnan, avete molto desiderio di esser capitano? - -«Sì, Eccellenza. - -«E il vostro amico brama sempre di esser barone? - -«Monsignore, in questo istante si sogna di esserlo digià. - -«Dunque, fece Mazzarino, togliendo da un portafogli la lettera già -mostrata al nostro moschettiere, prendete questo dispaccio e portatelo -in Inghilterra». - -D’Artagnan guardò: non v’era indirizzo. - -«Non posso sapere a chi debbo consegnarlo? - -«Lo saprete giunto che siate a Londra; in Londra solamente lacererete -la doppia sopraccarta. - -«E quali saranno le mie istruzioni? - -«D’obbedire in tutto e per tutto a quello a cui va questo plico». - -D’Artagnan era per fare altre domande; il ministro soggiunse: - -«Voi partite per Boulogne, troverete alle Armi d’Inghilterra un giovane -gentiluomo chiamato Mordaunt. - -«Sì, e di lui che devo farmi? - -«Seguitarlo sin dove vi condurrà». - -D’Artagnan guardava attonito il ministro. - -«Eccovi istruito, disse questo, andate! - -«Andate si dice presto, rispose il tenente, ma per andare bisognano -danari, ed io non ne ho.... - -«Ah! fece Mazzarino grattandosi l’orecchio, dite di non aver danari? - -«No, monsignore. - -«Ma il diamante che vi diedi jeri sera? - -«Bramo di conservarlo come un ricordo di Vostra Eccellenza». - -Mazzarino sospirò. - -«Monsignore, in Inghilterra il vivere costa caro, e specialmente in -qualità d’inviato straordinario. - -«Oibó! è un paese molto sobrio, e che campa di semplicità dalla -rivoluzione in poi, ma non importa». - -E Mazzarino, aperto un cassettino, ne cavò una borsa. - -«Che dite di questi mille scudi?» - -D’Artagnan sporse in fuori smisuratamente il labbro inferiore. - -«Dico che son pochi, poichè di certo non partirò solo. - -«Sicuro! replicò il ministro, sarà con voi il signor du Vallon, -degno gentiluomo.... chè dopo di voi, caro signor d’Artagnan, egli è -positivamente l’uomo che in Francia io ami e stimi più d’ogni altro. - -«Allora, monsignore, fece d’Artagnan, accennando il sacchetto non ancor -datogli da Mazzarino; se tanto lo amate e lo stimate, capirete.... - -«Là, a riguardo suo, aggiungerò duecento scudi. - -«Spilorcio!» bucinò il tenente. - -E domandò poi ad alta voce: - -«Ma almeno, al nostro ritorno, potremo contare il signor Porthos sulla -sua baronia, ed io sul mio grado, non è così? - -«Sì, da Mazzarino che sono. - -«Avrei più caro un altro giuramento, disse fra sè il Guascone». - -E indi più forte: - -«Non posso presentare i miei ossequi a Sua Maestà la regina? - -«Sua Maestà dorme, rispose con impeto l’Eccellenza, e occorre che -partiate senza indugio; orsù, andate! - -«Monsignore, due altre parole: se là dove io vado e’ si battono, mi -batterò anch’io? - -«Farete quanto vi ordini la persona a cui vi dirigo. - -«Va bene, seguitò d’Artagnan allungando la mano per pigliare il -sacchetto, e vi presento i miei rispetti». - -E postasi lentamente la borsa in tasca, disse all’ufficiale: - -«Favorireste passare a destar pure il signor du Vallon e dirgli che lo -attendo nelle scuderie?» - -L’uffiziale si mosse tosto con una premura nella quale sembrò al nostro -tenente vi fosse qualche cosa d’interessato. - -Porthos si era appena sdrajato, e cominciava a russare armoniosamente -secondo il suo consueto, ed eccolo sentirsi battere sulla spalla. - -Credè che fosse d’Artagnan, e non si mosse. - -«Da parte del ministro, disse l’uffiziale. - -«Eh? che dite? domandò Porthos aprendo tanto d’occhi. - -«Che Sua Eccellenza vi manda in Inghilterra, e il signor d’Artagnan vi -aspetta nelle scuderie». - -Porthos diede un sospiro, si alzò, prese il cappello, le pistole, -la spada e il ferrajuolo, ed uscì mandando uno sguardo pien di -rincrescimento al letto in cui si era proposto di riposare tanto bene. - -Appena avea volte le spalle vi si era disteso sopra l’ufficiale; e non -aveva egli passata la soglia, che il suo successore russava in modo da -sbalordire. E ciò era naturale, dappoichè in quella riunione era egli -il solo, oltre al re, alla regina e a Gastone d’Orleans, che dormisse -gratis. - - - - -LVII. - -_Vengono notizie d’Athos e d’Aramis._ - - -D’Artagnan s’era recato a dirittura alle scuderie; si faceva giorno; -riconobbe il suo cavallo e quello di Porthos legati alla mangiatoja, ma -mangiatoja vuota; ebbe pietà delle povere bestie, e s’incamminò verso -un cantone ove distingueva un po’ di paglia senza dubbio sottrattasi -alla _razzia_ notturna. Ma nel radunare col piede la paglia, la punta -del suo stivale incontrò un corpo rotondo, il quale, tocco di certo -in un luogo sensibile, diede un grido e si rizzò sulle ginocchia -stropicciandosi gli occhi. - -Era Mousqueton, che non avendo più paglia per sè si era giovato di -quella dei cavalli. - -«Mousqueton! disse d’Artagnan, animo, in viaggio!» - -Colui, riconosciuta la voce dell’amico del suo padrone, si alzò -precipitosamente, e con quell’atto si lasciò cadere alcuni dei luigi -guadagnati illecitamente nella notte scorsa. - -«Oh oh! fece d’Artagnan annasando un luigi raccattato, ecco dell’oro -che ha un odore singolare, puzza di paglia». - -Mousqueton arrossì tanto onestamente, e parve sì confuso, che il -guascone si mise a ridere, e seguitò: - -«Mio caro Mouston, Porthos andrebbe in collera, ma io vi perdono; -soltanto ricordiamoci che codest’oro dee servire di farmaco per la -nostra ferita, e stiamo allegri, su via!» - -Il domestico assunse subito un aspetto gioviale, pose con grande -attività la sella al palafreno del suo signore, e si piantò sul suo -proprio senza far boccaccia. - -Frattanto capitò Porthos con viso burbero, e si maravigliò non poco di -trovare d’Artagnan e Mousqueton quasi che in brio. - -«Ehi! domandò, abbiamo dunque, voi il grado ed io la baronia? - -«Andiamo a cercarne i brevetti, rispose d’Artagnan, ed al nostro -ritorno Mazzarino li firmerà. - -«E dove si va? - -«Prima a Parigi; voglio regolare colà alcune faccende. - -«A Parigi sia pure». - -Ed entrambi partirono pella capitale. - -Giunti alle porte, stupirono nel mirare l’attitudine minacciosa della -città. Attorno ad una carrozza rotta in pezzi, il popolo mandava -imprecazioni, mentre le persone che aveano tentato di fuggire erano -prigioniere, cioè un uomo e due donne. - -Quando al contrario d’Artagnan e Porthos chiesero l’accesso, furono -ricevuti con mille carezze; erano stati presi per disertori del partito -realista, e si voleva affezionarseli. - -«Che fa il re? fu loro domandato. - -«Dorme. - -«E la Spagnuola? - -«Si sogna. - -«E quel maladetto Italiano? - -«Sta desto. E perciò mantenetevi saldi; perchè se sono partiti, è di -sicuro per qualche fine. Ma siccome in sostanza voi siete i più forti, -continuò d’Artagnan, non vi accanite addosso a donne e a vecchi; -lasciate andare quelle signore, e attaccatevi alle vere cause». - -Il popolo udì con piacere tal discorso, e liberò le signore, le quali -con un’occhiata eloquente ringraziarono il tenente. - -«Ora avanti! disse questo». - -E proseguirono il lor cammino, traversando le barricate, saltando di -sopra alle catene, spingendo o spinti, interrogati o interrogando. - -Nella piazza del Palazzo Reale, d’Artagnan adocchiò un sergente che -facea fare l’esercizio a cinque o sei cento borghesi: era Planchet, -il quale metteva in opra a vantaggio della milizia urbana le sue -rimembranze del reggimento di Piemonte. - -Esso, nel passare davanti a d’Artagnan, ravvisò il suo antico padrone. - -«Buon dì, signor d’Artagnan, disse Planchet con sussiego. - -«Buon dì, signor Delaurier, rispose il tenente dei moschettieri». - -Planchet si fermò di botto fissando sopra d’Artagnan gli occhi -attoniti; la prima fila, vedendo fermare il suo capo, si fermò -parimente, e così di seguito sino all’ultima. - -«Son pur ridicoli quei borghesi! disse d’Artagnan a Porthos». - -E andarono innanzi. - -Dopo cinque minuti smontavano all’albergo del Granchio. - -La bella Maddalena corse incontro a d’Artagnan. - -«Cara signora Turquaine (così costui le parlò), se avete soldi, -nascondeteli presto; se avete gioje, rimpiattatele prontamente; se -avete crediti, fatevi pagare; se avete debiti, non li pagate. - -«E perchè? chiese Maddalena. - -«Perchè Parigi sarà ridotta in cenere nè più nè meno che Babilonia, di -cui sicuramente avrete inteso a discorrere. - -«E mi lasciate in un momento simile? - -«Sull’atto. - -«E dove andate? - -«Ah! se voi potete dirmelo, mi renderete un vero servizio. - -«Mio Dio! mio Dio! - -«Avete lettere per me? domandò d’Artagnan facendo cenno colla mano -all’ostessa che si risparmiasse le lamentazioni attesochè sarebbero -superflue. - -«Ve n’è una arrivata appunto adesso». - -Ed ella gliela porse. - -«D’Athos! esclamò il tenente osservando lo scritto lungo e fermo -dell’amico. - -«Ah! fece Porthos, vediamo un po’ che ci dice». - -D’Artagnan aprì il foglio e lesse: - - «Caro d’Artagnan, caro Du Vallon. - - «Miei buoni amici, voi forse ricevete mie notizie per l’ultima - volta. Aramis ed io siam molto infelici, ma Iddio, il nostro - coraggio e la memoria della nostra amistà ci sostengono. Pensate - bene a Raolo. Vi raccomando le carte che sono a Blois, e fra - due mesi e mezzo se non avete mie nuove, prendetene cognizione. - Abbracciate di tutto cuore il visconte pel vostro affezionatissimo - - ATHOS». - -«Lo credo, per bacco! che lo abbraccerò; disse d’Artagnan, è digià -sul nostro stesso sentiero, e se ha la disgrazia di perdere il nostro -povero Athos, da quel giorno diventa mio figlio. - -«Ed io, aggiunse Porthos, lo fo mio legatario universale. - -«Vediamo che altro dice egli, Athos?» - - «Se per la strada incontrate un tale Mordaunt, non ve ne fidate. - Non posso colla presente spiegarmi di più». - -«Mordaunt! fece con sorpresa d’Artagnan. - -«Mordaunt, va bene, seguitò Porthos, ce ne ricorderemo.... Ma guardate -là, v’è una poscritta di Aramis. - -«Sì sì», rispose il tenente. - -E lesse: - - «Amici cari, vi teniamo celato il luogo di nostra permanenza, - conoscendo il vostro affetto fraterno, e ben sapendo che verreste a - morire con noi». - -«Corpo di una bomba! interruppe Porthos con un impeto di collera che -fe’ balzare Mousqueton all’altra estremità della stanza; che siano in -pericolo di morte?» - -D’Artagnan tirò innanzi: - - «Athos vi lascia per eredità Raolo, ed io per eredità vi lascio - una vendetta. Se per buona sorte mettete le mani sopra un certo - Mordaunt, dite a Porthos che se lo porti in un canto e gli torca il - collo. In una lettera non oso dirvi di più. - - ARAMIS». - -«Se non v’è altro, disse Porthos, è cosa facile a farsi. - -«Anzi, rispose accigliato d’Artagnan, è impossibile». - -«E perchè? - -«Perchè è appunto quel Mordaunt che noi andiamo a raggiungere a -Boulogne, e passiamo seco in Inghilterra. - -«Ebbene! se invece di quel signor Mordaunt ci portassimo a raggiungere -i nostri amici? esclamò Porthos con un gesto capace di spaventar -un’armata. - -«Ci ho pensato, replicò d’Artagnan, ma la lettera non ha data nè bollo. - -«È vero», approvò Porthos. - -E si mise a correre per la camera come un uomo fuori di sè, gestendo e -ad ogni poco levando la spada sino a due terzi fuori del fodero. - -D’Artagnan rimaneva in piedi come chi sia nella massima costernazione e -sul viso gli appariva somma angoscia. - -«Ah! va male, ei diceva, Athos ci insulta; vuol morir solo, va male». - -Mousqueton vedendo quelle due grandi disperazioni, piangeva in un -cantone. - -«Orsù, fece d’Artagnan, tutto questo non giova a nulla; partiamo, -si vada ad abbracciar Raolo, come abbiamo detto, ed egli forse avrà -ricevuto notizie di Athos. - -«Veh! codesta è un’idea, rispose Porthos; in verità, caro d’Artagnan, -non so come facciate, ma siete pieno d’idee. Si vada a dare un amplesso -a Raolo. - -«Guai a colui che in questo momento guardasse bieco il mio padrone! -disse Mousqueton, non gli darei un danaro della sua pelle». - -Montarono a cavallo e si avviarono. Alla porta S. Dionigi, i due amici -trovarono gran concorso di popolo. Arrivava il signor di Beaufort -dal Vendomese, ed il Coadjutore lo mostrava ai Parigini stupefatti -ed esultanti, che con il detto di Beaufort si reputavano oramai -invincibili! - -I due compagni presero da una piccola strada onde non incontrare il -principe, e furono alla barriera S. Dionigi. - -«È vero, domandarono ad essi le guardie, che il signor di Beaufort sia -giunto in Parigi? - -«Verissimo, replicò d’Artagnan, e la prova si è che ci manda incontro -al signor di Vendome suo padre, il quale deve pur capitare quanto -prima. - -«Evviva il signor di Beaufort!» gridarono le guardie. - -E si trassero da parte rispettose a lasciar passare gl’inviati del gran -principe. - -Una volta fuor dalla barriera, si divorarono la strada coloro che non -conoscevano nè stanchezza nè scoraggimento; i loro cavalli volavano, ed -eglino non cessavano dal parlare di Athos e d’Aramis. - -Mousqueton soffriva ogni tormento immaginabile, ma l’ottimo servo -si consolava nel pensare che i suoi due padroni pativano ben altre -pene.... conciossiachè era già al punto di considerare d’Artagnan qual -suo secondo padrone, e gli obbediva anche più pronto ed esattamente che -a Porthos. - -Il campo era fra Saint Omer e Lambe. I due compagni fecero un mezzo -giro sino al campo, e parteciparono minutamente all’armata la fuga del -re e della regina pervenuta colà confusamente. Trovarono Raolo vicino -alla sua tenda disteso sur un fascio di fieno di cui il suo cavallo -tirava a sè di soppiatto alcuni fili. Il giovanetto aveva gli occhi -rossi e sembrava abbattuto; ch’essendo tornati a Parigi il maresciallo -di Grammont ed il conte di Guiche, egli poveretto! rimaneva isolato. - -Indi a un momento Raolo alzando gli occhi vide i due cavalieri che lo -esaminavano, e corse ad essi a braccia aperte. - -«Oh! siete voi, cari amici? venite a prendermi? mi conducete via con -voi? mi recate notizie del mio tutore? - -«Non ne avete forse ricevute? gli domandò d’Artagnan. - -«No, ahimè! e non so che sia di lui.... e ne sento un’inquietudine che -mi fa piangere». - -Realmente, sulle guancie imbrunite del visconte di Bragelonne -scorrevano due grosse lacrime. - -Porthos si volse da parte per non dimostrare dall’ottima faccia quel -che provava nel cuore. - -«Diamine! disse d’Artagnan più commosso che nol fosse stato da gran -tempo, non vi disperate.... se non avete lettere del conte.... ne -abbiamo noi.... una.... - -«Ah! davvero? - -«E anche da tranquillarvi, aggiunse il tenente, visto il giubilo che -dava a Raolo il suo annunzio.... - -«L’avete? - -«Cioè, l’avevo.... (e d’Artagnan fingeva di cercare) aspettate, deve -esser qui.... nella saccoccia.... mi parla del suo ritorno, non è così, -Porthos?» - -Per quanto fosse Guascone, d’Artagnan non voleva assumersi solo tutto -il carico di quella menzogna. - -«Sì, disse Porthos con un poco di tosse. - -«Ah, datemela! - -«Uhm!... la leggevo dianzi, che l’avessi perduta?... oh che -miracoli!... ho la tasca rotta!... - -«Oh sì, signor Raolo.... confermò Mousqueton, la lettera era -consolantissima; questi signori me l’hanno letta, ed ho pianto -dall’allegrezza. - -«Ma almeno, signor d’Artagnan, sapete dove sia? domandò Raolo mezzo -rasserenato. - -«Ah! ecco....: certo lo so, cospetto! ma è un mistero. - -«Non già per me, spererei? - -«No, per voi no.... e perciò ora ve lo dico....» - -Porthos guardava l’amico con istupore. - -«Dove diavolo dirò che è, perchè egli non tenti di andare a ritrovarlo? -borbottava il tenente. - -«Or bene, dov’è? chiese Raolo con voce dolce e carezzevole. - -«È a Costantinopoli. - -«Presso i Turchi, oh Dio, che mi dite mai! - -«Veh! avete forse paura? Ohibò! che cosa sono i Turchi per uomini -simili al conte di la Fère e all’abate d’Herblay? - -«Ah! il suo amico è con lui?... ciò mi quieta alcun poco.... - -«Che spirito ha questo demonio di d’Artagnan! diceva Porthos incantato -dall’astuzia del camerata. - -«Adesso, fece d’Artagnan che desiderava cambiar soggetto di -conversazione, ecco cinquanta doppie che col medesimo corriere vi -mandava il conte. Mi figuro che non abbiate più danari, e ch’esse vi -vengano opportune. - -«Ho tuttavia venti doppie. - -«Pigliatele ciò non ostante, così saranno settanta. - -«E se ne bramate di più.... offeriva Porthos ponendo mano al borsellino. - -«Grazie.... mille grazie....» rispose Raolo, ed arrossiva. - -In quel punto comparve all’orizzonte Olivain. - -«A proposito, chiese d’Artagnan in maniera che il lacchè lo udisse, -siete contento di Olivain? - -«Sì.... così così...» - -Olivain finse di non aver inteso ed entrò nella tenda. - -«Di che lo tacciate, quel briccone? - -«È un ghiottone, replicò Raolo. - -«Oh signore! disse Olivain, che a tale accusa si mostrò subito. - -«È un po’ ladro. - -«Oh signore! oh! - -«E specialmente è molto codardo. - -«Oh, oh, oh, signore! voi mi disonorate. - -«Capperi! esclamò d’Artagnan, sappiate, messer Olivain, che genti -come noi non si fanno servire da codardi. Rubate al vostro padrone, -mangiategli le conserve e bevetegli il vino, ma per Diana! non siate -codardo, o che vi taglio le orecchie. Guardate Mouston, pregatelo di -mostrarvi le onorevoli ferite che ha ricevute, e vedete qual dignità -gli ha posta sul sembiante il suo coraggio». - -Mousqueton era al terzo cielo, e se avesse osato avrebbe dato un bacio -a d’Artagnan, e frattanto si proponeva di farsi ammazzare per esso se -mai si presentasse l’occasione. - -«Licenziate quel furfante, disse d’Artagnan a Raolo, poichè s’è -vigliacco, un giorno o l’altro si disonorerà. - -«Il padrone mi tiene per vigliacco, gridò il servitore, perchè l’altro -giorno volle battersi con un alfiere del reggimento di Grammont ed io -ricusai di accompagnarlo. - -«Signor Olivain, un lacchè non deve mai disobbedire; rispose il tenente -con severità». - -Poi traendolo in disparte: - -«Facesti benissimo, se il tuo padrone aveva torto, ed eccoti uno scudo -per te; ma se una volta egli è insultato e tu non ti fai fare a pezzi -al suo fianco, ti taglio la lingua e te la batto sul muso. Tienlo a -mente per bene!» - -Il domestico s’inchinò e si pose in tasca la moneta. - -«Ora, amico Raolo, disse d’Artagnan, il signor du Vallon ed io partiamo -come ambasciadori; non posso dirvi con che scopo, non lo so nemmen io: -ma se avete bisogno di qualche cosa, scrivete alla signora Maddalena -Turquaine, al Granchio, in via Tiquetonne, e traete su quella cassa -come su quella di un banchiere.... pianino però, giacchè vi avverto che -non è provvista quanto quella del d’Emery». - -E dato un amplesso al suo pupillo _provvisorio_, lo passò fra le -robuste braccia di Porthos, le quali sollevandolo da terra lo tennero -sospeso un momento sul nobil petto del terribile gigante. - -«Si vada» disse d’Artagnan. - -E ripartirono per Boulogne, dove fermarono verso sera i loro cavalli -bagnati di sudore e bianchi di spuma. - -Dieci passi distante dal luogo ove si riposavano avanti di entrare in -città, stava un giovane vestito a nero che pareva attendesse qualcuno, -e che da quando gli avea veduti a comparire non cessava di guardarli -fisso. - -D’Artagnan gli si accostò, e poichè quegli non finiva di osservarlo, -gli disse: - -«Ehi, amico! non mi piace essere squadrato così da capo ai piedi. - -«Signore, fece l’altro senza rispondere alla interpellazione, di -grazia, non venite da Parigi?» - -Il tenente si pensò fosse colui un curioso che desiderasse aver nuove -della capitale. - -«Signor sì, replicò in tuono più mite. - -«Non dovete alloggiarvi alle Armi d’Inghilterra? - -«Sì. - -«Non avete un’incombenza di Sua Eccellenza il ministro Mazzarino? - -«Sì sì.... - -«Dunque avete da far con me: son io Mordaunt». - -D’Artagnan disse piano: - -«Ah ah! quello di cui Athos mi raccomanda di non fidarmi! - -«Oh! mugolò Porthos, quello a cui Aramis vuole ch’io tiri il collo!» - -Ambedue considerarono con attenzione il giovanotto. - -Questi s’illuse sul motivo delle loro occhiate. - -«Dubitate della mia parola? domandò, in tal caso sono pronto a darvene -qualunque prova. - -«No signore, rispose d’Artagnan, e siamo a vostra disposizione. - -«Dunque, signori, partiremo senza indugio, perchè oggi è l’ultimo -giorno del termine richiestomi dal ministro. Il mio bastimento è -all’ordine, e se non foste venuti mi preparavo ad andarmene senza -di voi, mentre il generale Oliviero Cromvello deve attendermi con -impazienza. - -«Ah! fece d’Artagnan, siamo dunque spediti al generale Oliviero -Cromvello? - -«Non avete per esso una lettera? - -«Ho una lettera da non lacerarne il doppio inviluppo se non a Londra; -ma poichè mi dite a chi è diretta è inutile ch’io aspetti fino allora». - -E d’Artagnan lacerò il foglio disopra al dispaccio. - -Difatti v’era scritto: - - — Al signor Oliviero Cromvello, generale delle truppe della nazione - inglese —. - -«Singolare incarico! fece il tenente. - -«Chi è questo Cromvello? gli domandò sotto voce Porthos. - -«Un antico birraio. - -«Che il Mazzarino voglia fare una speculazione sulla birra come noi -l’abbiam fatta sulla paglia? - -«Andiamo, signori! pregava Mordaunt impaziente. - -«Oh! senza cena? disse Porthos, messer Cromvello non può aspettare un -pochino? - -«Sì, ma io? rispose Mordaunt. - -«Ebbene, voi? e poi? - -«Io, ho fretta. - -«Ah! s’è per voi soltanto, soggiunse Porthos, è cosa che non mi -riguarda, e cenerò col vostro permesso o senza». - -Al giovanotto si accesero gli occhi e parve vicino ad uscirne un lampo; -ma egli si frenò. - -«Signore, continuò d’Artagnan, bisogna compatire dei viaggiatori -affamati; d’altronde il nostro pasto non vi tratterrà molto. Noi -corriamo di trotto alla locanda; andate a piedi sino al porto, -mangieremo un boccone e ci saremo nello stesso tempo che voi. - -«Come vi piace, purchè si vada, replicò Mordaunt. - -«Manco male! bucinò Porthos. - -«Il nome del naviglio? chiese d’Artagnan. - -«Lo _Standard_. - -«Ottimamente: fra mezz’ora saremo a bordo». - -E tutti e due dato di sprone ai cavalli si avviarono all’albergo delle -_Armi d’Inghilterra_. - -«Che dite di quel giovane? domandava correndo d’Artagnan. - -«Dico che non mi piace punto, rispose Porthos, e che mi sentivo un gran -prurito di seguire il consiglio di Aramis. - -«Guardatevene bene, mio caro Porthos! è un inviato del generale -Cromvello, e sarebbe la maniera di farci ricevere malamente, secondo -me, l’annunziargli di avere strozzato il suo confidente. - -«Non serve: ho sempre osservato che Aramis era uomo di buon consiglio. - -«Sentite, quando sarà terminata la nostra ambasceria.... - -«E poi? - -«S’egli ci riaccompagna in Francia.... - -«Ebbene? - -«Allora vedremo». - -Con questo i due gentiluomini arrivarono all’albergo; vi cenarono con -molto appetito, e tosto si trasferirono sul porto. Era pronto a salpare -un brigantino, e sul ponte riconobbero Mordaunt che camminava su e giù -infastidito. - -«È incredibile, diceva d’Artagnan mentre la lancia lo portava sino allo -_Standard_, come quel ragazzo somiglia a un tale che ho conosciuto, ma -non so dire a chi». - -Giunsero alla scala, e in un momento s’imbarcarono. - -L’imbarco dei cavalli fu più lungo che quel degli uomini, e il -brigantino non potè levar l’áncora che la sera alle otto. - -Il Mordaunt batteva i piedi impaziente e comandava si sciogliessero le -vele. - -Porthos, spossato da tre notti senza sonno e da un tragitto di settanta -leghe a cavallo, erasi ritirato nel camerino e dormiva. - -D’Artagnan, superando la sua repugnanza per Mordaunt, passeggiava seco -sul ponte e inventava cento fandonie per obbligarlo a parlare. - -Mousqueton pativa del mal di mare. - - - - -LVIII. - -_Lo Scozzese spergiuro alla fè, Un danajo vendette il suo re._ - - -È d’uopo adesso che i nostri leggitori lascino navigare tranquillamente -lo _Standard_, non però verso Londra dove si credevano di andare -d’Artagnan e Porthos, ma inverso Durham, ove da certe lettere ricevute -d’Inghilterra nella sua permanenza a Boulogne era venuto a Mordaunt -l’ordine di trasferirsi, e che indi ci seguano sino al campo realista -di qua dalla Tyne presso alla città di Newcastle. - -Colà, situate in fra due fiumi, su la frontiera di Scozia, ma sul suolo -d’Inghilterra, sono le tende di una picciola armata. È mezza notte. -Uomini riconoscibili per tanti _highlanders_ dalle gambe ignude, dai -gonnellini corti, dai pastrani a righe e dalla penna che hanno sulla -berretta, se ne stanno vegliando nella massima indolenza. La luna, che -penetra fra grossi nuvoli, rischiara ad ogni spazio che trova sulla -strada i moschetti delle sentinelle e fa risaltare le mura, i tetti e -i campanili della città che Carlo I rendeva poc’anzi alle truppe del -Parlamento, egualmente che Oxford e Newark, le quali si sostenevano -tuttavia per la parte di lui nella lusinga di un accomodamento. - -Ad una delle estremità di quel campo, vicino ad una vastissima tenda, -piena di uffiziali Scozzesi, i quali tengono una specie di consiglio -sotto la presidenza del loro capo vecchio conte di Lewen, dorme disteso -sull’erba un uomo vestito da cavaliere, ferma la mano sulla spada. - -Cinquanta passi più in là, un altro, abbigliato pure da cavaliere, -va discorrendo con una sentinella scozzese; e mercè l’abitudine che -par ch’egli abbi dell’idioma inglese, comunque straniero, giunge a -comprendere le risposte che a lui dà il suo interlocutore in dialetto -della contea di Perth. - -Mentre suonava l’un’ora a Newcastle il dormiente si destò, e dopo -aver fatti tutti quanti i gesti di uno che apra gli occhi al finir di -lunghissimo sonno, si guardò attorno attentissimo, e vistosi solo, si -alzò e andò a passare accanto a colui che ragionava colla sentinella. -Questo di certo aveva terminato le sue interrogazioni, poichè di là a -un momento si accommiatò da quell’uomo, e senza affettazione seguì la -stessa strada che il primo cavaliere di cui noi femmo menzione. - -L’altro aspettava all’ombra di una tenda situata su quella strada. - -«Ebbene, mio caro amico? gli disse in francese, ma del più pretto che -mai siasi usato da Roano a Tours. - -«Ebbene, non v’è tempo da perdere, e bisogna prevenire il re. - -«Ma che mai succede? - -«Sarebbe lungo il raccontarvelo. E poi fra poco lo udrete. Inoltre la -minima parola pronunciata qui può rovinare ogni cosa. Si vada a trovare -milord di Winter». - -Ed entrambi s’incamminarono all’estremità opposta del campo; ma siccome -questo non prendeva di più che una superficie di cinquecento passi -quadrati, così ben presto giunsero alla tenda di colui che cercavano. - -«Tomby, il vostro padrone dorme? domandò in inglese uno dei due -cavalieri a un domestico coricato in un primo compartimento che serviva -d’anticamera. - -«No, signor conte, rispose il servo, non credo; oppure, sarebbe da poco -in qua, giacchè ha camminato più di due ore dopo aver lasciato il re, -e sono appena dieci minuti che è cessato il rumore de’ suoi passi.... E -poi (aggiunse alzando la portiera) potete vedere». - -Realmente di Winter stava seduto davanti ad un’apertura fatta a foggia -di finestra, da cui penetrava l’aria notturna, e a traverso alla quale -osservava malinconicamente la luna, perdutasi, come poc’anzi dicemmo, -fra grossi nuvoli neri. - -I due amici si appressavano a di Winter che guardava il cielo tenendosi -la testa appoggiata sulla mano; ei non gl’intese arrivare, e restò -nella stessa positura sino al momento che sentì toccarsi la spalla. - -Allora si girò, ravvisò Athos ed Aramis, e porse ad essi la destra. - -«Avete badato, ei disse loro, come questa sera la luna è di color -sanguigno? - -«No, rispose Athos, e mi è sembrata secondo il suo solito. - -«Guardate, cavaliere, seguitò di Winter. - -«Vi confesso, replicò Aramis, che io sono come il conte di la Fère, e -non ci veggo niente di particolare. - -«Conte, soggiunse Athos, in una situazione precaria qual è la nostra, -bisogna esaminare la terra e non il cielo. Avete studiati i nostri -Scozzesi e ne siete sicuro? - -«Gli Scozzesi, domandò di Winter, che Scozzesi? - -«I nostri, poffare! quelli a cui si è affidato il re; gli Scozzesi del -conte di Lewen. - -«No, rispose di Winter». - -E indi a poco: - -«Sicchè, ditemi, non iscorgete al pari di me quella tinta rossiccia che -ricopre il cielo? - -«Nulla affatto, fecero insieme Athos ed Aramis. - -«Ma, continuava l’altro sempre occupato dalla medesima idea, non è in -Francia una tradizione, che Enrico IV il giorno innanzi a quello in cui -fu assassinato, e mentre giuocava a scacchi col signor di Bassompierre, -vide delle macchie di sangue sullo scacchiere? - -«Sì, approvò Athos, e il maresciallo lo raccontò varie volte a me in -persona. - -«Appunto, e all’indomani Enrico IV fu ucciso. - -«Ma, chiese Aramis, che rapporto ha con voi codesta visione del re -Enrico? - -«Nessuno, ed io sono pur pazzo a discorrervi di tali cose, quando la -vostra venuta in questa tenda mi è indizio che siate latori di qualche -importante notizia. - -«Sì milord, disse Athos, vorrei parlare al re. - -«Al re? egli dorme. - -«Ho da manifestargli cose di gran peso. - -«E non si possono differire a domani? - -«Bisogna ch’ei le sappia subito, ed è forse digià tardi. - -«Entriamo dunque, signori». - -La tenda di di Winter era posta accanto a quella regia; dall’una -all’altra comunicava una sorta di corridojo. Questo corridojo era -custodito non da una sentinella ma da un domestico di confidenza di -Carlo I, acciò in caso urgente il re potesse nel momento abboccarsi col -suo servo fedele. - -«Questi signori sono con me», disse di Winter. - -Il domestico, fatto un inchino, lasciò libero il passo. - -Il re Carlo, cedendo ad un irresistibile bisogno di sonno, erasi -addormentato sopra un letto da campo, vestito col suo giubbetto -nero, con gli stivali lunghi, allentata la cintola, e con accanto il -cappello. I tre uomini si avanzarono, ed Athos, che andava primo a -tutti, considerò per un momento in silenzio quel nobile volto tanto -pallido, contornato dalla lunga chioma nera, cui gli appiccicava -alle tempie il sudore, e segnata da grosse vene turchine, le quali -sembravano gonfie di lacrime sotto gli occhi affaticati. - -Athos diede un sospiro; il sospiro destò il re, tanto era lieve il suo -sonno. - -Esso aprì gli occhi. - -«Ah! disse sollevandosi sul gomito, siete voi, conte di la Fère? - -«Sì, sire. - -«Vegliate intanto ch’io riposo, e venite a recarmi qualche nuova? - -«Ahimè! rispose Athos, Vostra Maestà ha indovinato. - -«Dunque è cattiva nuova? seguitò il re con un melanconico sorriso. - -«Sì, o sire. - -«Non serve, il messaggiero sia pur ben venuto, ed entrando da me mi -fate sempre piacere, voi che pel vostro zelo non conoscete nè patria nè -sventura; voi che mi siete inviato da Enrichetta; e così qualunque sia -la notizia che mi portate, parlate senza esitare. - -«Sire, il signor Cromvello è giunto questa notte a Newcastle. - -«Ah! fece Carlo, per combattermi? - -«No, Maestà, per comprarvi! - -«Che dite! - -«Dico, che all’armata scozzese sono dovute quattrocento mila lire -sterline. - -«Per paga arretrata, sì, lo so. Da quasi un anno i miei prodi e fidi -Scozzesi si battono per l’onore». - -Athos sorrise. - -«Or bene, sire, sebben l’onore sia una bella cosa, e’ si sono stancati -di battersi per esso, e questa notte vi hanno venduto per duecento mila -lire, cioè per la metà di quel che loro si doveva. - -«Impossibile! e qual è il Giuda che ha fatto quest’infame contratto? - -«Il conte di Lewen. - -«Ne siete certo? - -«L’ho inteso colle mie proprie orecchie». - -Il re diede un profondo sospiro come gli si spezzasse il cuore, e si -lasciò cadere la testa fra le mani. - -«Oh, gli Scozzesi che chiamavo i miei fedeli! gli Scozzesi a cui -mi ero affidato quando potevo fuggire ad Oxford! gli Scozzesi, miei -compatriotti, gli Scozzesi miei fratelli! Ma ne siete sicuro? - -«Coricato dietro alla tenda del conte di Lewen, di cui avevo sollevata -la cortina, tutto ho veduto, ho udito tutto. - -«E quando deve consumarsi l’orribile negoziato? - -«Oggi nella mattina. E come vede Vostra Maestà, non v’è tempo da -perdere. - -«Per che fare, se dite che sono venduto? - -«Per traversare la Tyne, per trasferirvi in Iscozia, per raggiungere -lord Montrose, che non vi venderà, no! - -«Ed in Iscozia che farei? una guerra di partigiani: una tal guerra è -indegna di un re. - -«Vi assolverà, o sire, l’esempio di Roberto Bruce. - -«No no! da troppo tempo io contrasto; se mi venderono, mi consegnino: e -su di loro ricada l’eterna vergogna del lor tradimento. - -«Maestà, disse Athos; forse così deve agire un re, ma non così uno -sposo ed un padre. Io qui venni in nome della vostra consorte e di -vostra figlia, e in nome di esse e degli altri due figli che ancora -avete in Londra vi dico: Vivete, o sire! Iddio vuole che viviate». - -Carlo I si alzò, si strinse la cintola, cinse la spada, ed asciugandosi -la fronte molle di sudore, domandò: - -«Ebbene, che si ha da fare? - -«Vostra Maestà ha ella in tutta l’armata un reggimento sul quale possa -contare? - -«Di Winter, chiese il re, credete fedele il vostro? - -«Sire, son uomini, e gli uomini son diventati o molto deboli o molto -perversi. Io credo nella lor fedeltà, ma non la garantisco; affiderei -ad essi la mia vita, ma esito ad affidar loro quella di Vostra Maestà. - -«Or via, seguitò Athos, in mancanza di un reggimento, noi siamo tre -uomini devoti, zelanti, e basteremo noi soli. La Maestà Vostra salga -pure a cavallo, si ponga in mezzo a noi, traversiamo la Tyne, andiamo -in Iscozia e siamo salvi. - -«È tale la vostra opinione? domandò il re a di Winter. - -«Appunto. - -«E la vostra, signor d’Herblay? - -«Parimente. - -«Dunque si faccia come volete. Di Winter, date gli ordini opportuni». - -Di Winter uscì. Frattanto il re terminò di vestirsi. Mentre -cominciavano a penetrare i primi raggi del giorno dalle aperture della -tenda, ritornò di Winter, e disse: - -«Sire, tutto è pronto. - -«E noi? fece Athos. - -«Grimaud e Blaison reggono i vostri cavalli con la sella addosso. - -«Allora non si perda un momento e si parta. - -«Si parta, ripetè il re. - -«Sire, soggiunse Aramis, non prevenite i vostri amici? - -«I miei amici! replicò Carlo I scuotendo afflitto il capo, non ne -ho più altri che voi tre. Un amico da venti anni che di me non si -dimenticò giammai; due da otto giorni, ch’io mai non dimenticherò. -Venite, signori». - -Il re uscì dalla tenda, e trovò pronto il suo palafreno: era un caval -sauro che cavalcava da tre anni, e che gli era assai caro. - -Il quale nel vederlo nitrì dal contento. - -«Ah! disse Carlo, ero ingiusto, ed ecco ancora, se non un amico, almeno -un essere che mi ama. Tu, Arturo, mi sarai fedele, non è vero?» - -E il corsiero, quasi comprendesse quelle parole, avvicinò le nari -fumanti al volto del padrone, alzando le labbra e lietamente mostrando -le zanne bianchissime. - -«Sì sì, continuò il re toccandolo come per accarezzarlo, sì, Arturo, va -bene, sono contento di te». - -E con quella leggerezza che lo rendeva uno dei migliori cavalcanti -d’Europa, Carlo si pose in sella, e volgendosi ad Athos, Aramis e di -Winter, disse loro: - -«Signori, vi aspetto». - -Ma Athos stava in piedi, immobile, con gli occhi fissi e la mano stesa -verso una linea nera, che seguitando lungo la riva della Tyne andava -sino ad uno spazio doppio a quello del campo. - -«Che linea è quella? jeri non la vidi! disse Athos a cui le ultime -tenebre della notte a conflitto coi primi raggi del giorno non anco -permettevano di ben distinguere. - -«Sarà la nebbia che sorge dal fiume, rispose il re. - -«Sire, è oggetto più compatto che un vapore. - -«Difatti, scorgo come un argine rossastro! osservò di Winter. - -«È il nemico ch’esce da Newcastle e ci circuisce! esclamò Athos. - -«Il nemico! ripetè Carlo. - -«Sì, è troppo tardi!... Mirate! sotto quel raggio di sole, là, dalla -parte della città, vedete rilucere le _coste di ferro_?» - -Così chiamavansi i corazzieri di cui Cromvello aveva fatte le sue -guardie. - -«Ah! disse il re, ora sapremo s’è vero che gli Scozzesi mi tradiscono. - -«Che fate, o sire? gridò Athos. - -«Do a loro l’ordine di caricare, e passo con essi addosso a quei -disgraziati ribelli». - -Ed il re, dato di sprone al destriero, si slanciò verso la tenda del -conte di Lewen. - -«Seguitiamolo, fece Athos. - -«Si vada, confermò Aramis. - -«È forse ferito il re? chiese di Winter, veggo in terra delle macchie -di sangue». - -E si scagliò appresso ai due amici. - -Athos lo trattenne dicendogli: - -«Andate a raccogliere il vostro reggimento, io presagisco che fra poco -ne avremo bisogno». - -Di Winter voltò la briglia, e i due amici continuarono il loro cammino. -In due minuti secondi Carlo I arrivava alla tenda del generale in capo -dell’armata scozzese; smontò ed entrò immediatamente. - -Stavano allora d’intorno al generale i primarj capi. - -«Il re!» esclamarono alzandosi e guardandosi stupefatti. - -Carlo, ritto dinanzi a loro, col cappello in testa, aggrottava le -ciglia e si batteva lo stivale col frustino. - -«Sì, egli disse; il re in persona; il re, che viene a chiedervi conto -di quanto accade. - -«Che v’è mai, sire? domandò il conte di Lewen. - -«V’è, rispose il re lasciandosi trasportare dallo sdegno, che il -generale Cromvello è giunto in questa notte a Newcastle, che voi -lo sapevate ed io non sono avvertito; v’è, che il nemico esce dalla -città e ci chiude il passaggio della Tyne, che le vostre sentinelle -debbono aver veduto questo movimento ed io non sono avvertito; v’è, che -mediante un infame contratto, voi mi avete venduto per duecentomila -lire al Parlamento, ma che almeno di questo contratto io sono -avvertito. Ecco, signori, quel che v’è; rispondetemi e discolpatevi, -poichè io vi accuso. - -«Sire...., balbettò il conte di Lewen, Vostra Maestà sarà stata -ingannata da qualche falso rapporto. - -«Ho veduto coi miei occhi l’armata nemica distendersi fra me e la -Scozia, rispose Carlo, e posso quasi dire di aver udito colle mie -proprie orecchie discutere le clausole del contratto». - -I capi Scozzesi si guardavano inarcando essi pure le ciglia. - -«Sire, fece il conte di Lewen oppresso dalla vergogna, siam pronti a -darvi qualunque prova. - -«Ne chiedo una sola; ponete l’esercito in battaglia, e marciamo contro -al nemico. - -«Vostra Maestà sa che v’è tregua fra noi e l’armata inglese. - -«Se v’è tregua, l’armata inglese l’ha rotta uscendo dalla città contro -le convenzioni che la tenevano ivi rinchiusa; ora, io vel dico, è -d’uopo passar meco a traverso quell’armata e rientrare in Iscozia, e se -non lo fate, or bene! scegliete fra i due nomi che pongono gli uomini -in disprezzo e in esecrazione agli altri uomini: o siete vili, o siete -traditori!» - -Dagli occhi degli Scozzesi scaturivano delle fiamme, e secondo sovente -avviene in simili occasioni, essi passarono dall’estrema vergogna -all’estrema impudenza, e due capi di clans avanzandosi a ciascun lato -del re, dissero: - -«Or bene, sì, noi promettemmo di liberare la Scozia e l’Inghilterra -da colui che da venticinque anni succhia il sangue e l’oro -dell’Inghilterra e della Scozia; promettemmo e mantenevamo l’impegno. -Re Carlo Stuart, voi siete nostro prigioniero». - -Entrambi stesero nel medesimo tempo la mano onde afferrare il re; ma -avanti che con la punta del dito toccassero la sua persona, entrambi -eran caduti, uno svenuto e l’altro morto. - -Chè uno era sbalordito da un colpo di pomo di pistola di Athos, ed -all’altro Aramis avea passata la spada a mezzo il corpo. - -Indi, mentre il conte di Lewen e gli altri capi retrocedevano atterriti -da quell’inatteso soccorso che pareva scendesse dal cielo a lui che già -credevano lor prigioniero, Athos ed Aramis trascinarono il re fuori -dalla tenda inospitale, ove imprudentemente egli si era avventurato, -e saltando sui cavalli che i lacchè tenevano preparati, tutti e tre si -avviarono alla tenda reale. - -Correndo videro venir di Winter alla testa del suo reggimento, ed il re -gli accennò di accompagnargli. - - - - -LIX. - -_Il vendicatore._ - - -Entrarono tutti e quattro. Nessun piano si era ancor fatto e bisognava -combinarne uno. - -Il re si lasciò cadere sopra una sedia dicendo: - -«Sono perduto! - -«No sire, rispose Athos, siete soltanto tradito». - -Carlo sospirò. - -«Tradito dagli Scozzesi, fra’ quali io nacqui, che sempre preferii agli -Inglesi, oh sciagurati! - -«Sire, riprese Athos, non è momento da rampogne, ma da mostrare che -siete re e gentiluomo. Sorgete, sire! qui almeno avete tre uomini -che non vi tradiranno, tenetelo per certo.... Ah se fossimo solamente -cinque! mormorava Athos pensando a d’Artagnan ed a Porthos. - -«Che dite mai? domandò Carlo alzandosi. - -«Dico che non v’è più altro che un mezzo. Milord di Winter garantisce -pel suo reggimento o poco meno; non stiamo a sofisticare sui termini; -egli si pone alla testa de’ suoi uomini; noi ci mettiamo al fianco di -Sua Maestà; facciamo un vacuo nell’armata di Cromvello, ed arriviamo in -Scozia. - -«Vi sarebbe anche un altro mezzo, propose Aramis, cioè che uno di -noi prendesse e il vestimento e il cavallo del re; intanto che si -accanissero addosso a quel tale, forse il re passerebbe. - -«Buono è il suggerimento, fece Athos, e ove Sua Maestà voglia concedere -a uno di noi quest’onore gliene saremo grati. - -«Che pensate di questo consiglio, di Winter? chiese Carlo guardando -con ammirazione quei due uomini che di null’altro occupavansi se non di -trarre sopra sè stessi i pericoli che a lui sovrastavano. - -«Penso che se v’è un modo per salvare Vostra Maestà è quello proposto -dal signor d’Herblay. Supplico dunque umilmente la Maestà Vostra di far -prontamente la scelta, poichè non abbiam tempo da perdere. - -«Ma se accetto, è morte, o almeno prigionia sicura per quello che -prenda il mio posto. - -«E l’onore di aver salvato il suo re!» esclamò di Winter. - -Carlo considerava il suo vecchio amico con le lacrime agli occhi; si -tolse il cordone dello Spirito-Santo che portava onde far onore ai -due Francesi che lo accompagnavano, e lo infilò al collo a di Winter, -il quale ricevè genuflesso questo tremendo contrassegno dell’amistà e -della fiducia del suo sovrano. - -«È giusto, disse Athos; egli lo serve da più tempo di noi». - -Il re lo udì, e si volse ancor pieno il ciglio di lacrime. - -«Signori, attendete un momento, ho ancora un cordone da dare ad ognuno -di voi». - -Andò ad un armadio ove stavano rinchiusi i suoi propri ordini, e ne -levò due cordoni della Giarrettiera. - -«Quegli ordini non possono essere per noi, disse Athos. - -«E perchè? domando Carlo. - -«Sono ordini quasi regi, e noi siam semplici gentiluomini. - -«Ah! passate in rivista tutti i troni della terra, rispose il re, e -trovatemi cuori più grandi dei vostri.... No, no, signori, voi non -rendete giustizia a voi stessi; ma a rendervela sono qua io. Conte, -inginocchiatevi». - -Athos obbedì, il re gli passò il cordone da sinistra a diritta secondo -l’uso, e alzata la spada, invece della formula consueta: — Io vi fo -cavaliere, siate prode, fedele e leale, — gli disse: «Signor conte, voi -siete prode, fedele e leale, io vi fo cavaliero». - -Indi ad Aramis. - -«Adesso a voi, signor cavaliere». - -E la medesima cerimonia ricominciò colle parole medesime, mentre di -Winter, ajutato dagli scudieri, si scioglieva la corazza di rame per -esser meglio preso per il re. - -Poi, quando Carlo ebbe terminato con Aramis come con Athos, li -abbracciò amendue. - -«Sire, disse di Winter, che al cospetto di tanta divozione aveva -riacquistata tutta la sua forza e il suo coraggio, noi siamo pronti». - -Il re guatò i tre gentiluomini. - -«Sicchè, disse, è d’uopo fuggire? - -«Maestà, rispose Athos, fuggire a traverso a un’armata, in tutti i -paesi del mondo si chiama combattere. - -«Dunque morrò con la spada in pugno. Signor conte, signor cavaliere, se -mai io sono re.... - -«Sire, già ci onoraste ben più che non si spettasse a semplici -gentiluomini: quindi dal lato nostro è la gratitudine. Ma non si perda -più tempo, chè troppo n’è perduto». - -Carlo prese a tutti tre per l’ultima volta la mano, cambiò il suo -cappello con quello di di Winter, ed uscì. - -Il reggimento di di Winter stava schierato sur una piattaforma che -sovrastava al campo; il re seguito dai tre amici, in verso a quella si -diresse. - -Pareva alfine che il campo scozzese si fosse risvegliato; gli uomini -venuti fuori dalle tende aveano preso il loro rango come per ordine di -battaglia. - -«Vedete, disse il re, forse si pentono e sono pronti a marciare! - -«Se si pentono, sire, Athos rispose, ci verranno appresso. - -«Bene! disse Carlo I, che facciamo? - -«Esaminiamo l’esercito nemico». - -Tosto si fissarono gli sguardi della piccola comitiva su quella -linea che all’alba era stata creduta effetto della nebbia, e che -i primi raggi solari ormai indicavano come un’armata disposta pel -combattimento. L’aria era pura e limpida siccome suole in quell’ora del -mattino; si distinguevano benissimo reggimenti, bandiere, e persino il -colore delle uniformi e de’ corsieri. - -Videsi allora sovra un piccolo colle, un poco innanzi alla fronte -nemica, apparire un uomo basso, grasso e pesante. Aveva intorno -parecchi officiali; e diresse l’occhialetto su la riunione in cui era -anche il re. - -«Quello là, domandò Aramis, conosce personalmente la Maestà Vostra?» - -Carlo sorrise. - -«Quello là, rispose, è Cromvello. - -«Dunque, sire, calate giù il cappello, che non si accorga della -sostituzione. - -«Ah! fece Athos, quanto tempo abbiamo sprecato! - -«Se così è, disse il re, l’ordine, e si parta! - -«Lo date voi, o sire? domandò Athos. - -«No; vi nomino mio luogotenente generale. - -«E allora, seguitò Athos, milord di Winter ascoltate; sire, ve ne -prego, allontanatevi; ciò che siamo per dire non concerne Vostra -Maestà». - -Il re, sorridendo mosse tre passi indietro. - -«Ecco quel ch’io propongo, tirò innanzi il conte di la Fère; noi -dividiamo il vostro reggimento in due squadroni: voi vi ponete alla -direzione del primo; Sua Maestà e noi a quella del secondo; se non -viene alcuno ad ingombrarci il passo, carichiamo tutti insieme per -forzare la linea avversaria e scagliarci nella Tyne, che varchiamo -anche occorrendo a nuoto; se al contrario ne vien mandato sul nostro -cammino qualche ostacolo, voi ed i vostri vi fate uccidere sino -all’ultimo; noi ed il re continuiamo per la nostra via; giunti una -volta in riva al fiume, fossero anche tutti di tre file, qualora il -vostro squadrone faccia l’obbligo suo, pensiamo noi al rimanente. - -«A cavallo! disse di Winter. - -«A cavallo! ripetè Athos, tutto è già preveduto e deciso. - -«Dunque, signori, avanti! fece il re, e riuniamoci all’antico grido -di Francia: Montjoie e S. Dionigi! il grido dell’Inghilterra è omai -ripetuto da troppi traditori». - -Tutti montarono a cavallo, il re su quello di di Winter, di Winter su -quel del re; poi di Winter si mise alla prima fila del primo squadrone, -e il re, avendo a man destra Athos ed a manca Aramis, alle prime file -del secondo. - -L’armata scozzese osservava codesti preparativi nella immobilità e nel -silenzio della vergogna. - -E furon visti alcuni capi uscire dai ranghi e spezzare le spade. - -«Animo, fece Carlo, questo mi riconforta; non sono tutti traditori». - -Echeggiò in quell’istante la voce di di Winter, che gridava: - -«Innanzi! innanzi!» - -Si mosse il primo squadrone, il secondo gli fu appresso e scese dalla -piattaforma. Un reggimento di corazzieri all’incirca eguale pel numero -si estendeva a tergo alla collina e gli veniva incontro rapidissimo. - -Carlo additò ad Athos ed Aramis quanto ivi accadeva. - -«Sire, disse Athos, è preveduto il caso, e se gli uomini di di Winter -fanno il loro dovere, questo avvenimento ci salva invece di rovinarci». - -Nel momento s’intese dominare su tutto il rumore dei cavalli che -galoppando nitrivano, il grido di di Winter: - -«In mano la sciabola!» - -Al qual comando tutte le sciabole levate dal fodero rilucevano come -baleni. - -«Orsù, signori, urlò il re inebriato e dalla vista e dallo strepito, -orsù, in mano la sciabola!» - -Ma al comando, di che il re diè l’esempio, obbedirono soli Athos ed -Aramis. - -«Siamo traditi, balbettò pian piano Carlo. - -«Aspettiamo ancora un poco, disse Athos; può darsi che non abbiano -riconosciuta la voce di Vostra Maestà, e che attendano il cenno del -loro capo di squadrone. - -«E non hanno udito quello del loro colonnello? fece Carlo, ma vedete, -vedete!» - -E fermò il suo palafreno con tal impeto che gli fece piegare il -garretto, ed afferrava la briglia di quello di Athos. - -«Ah vili! ah sciagurati! ah iniqui!» strillava di Winter intanto che i -suoi, abbandonate le file, si sperdevano sulla pianura. - -Quindici uomini appena gli stavano ragunati attorno ed attendevano -l’assalto dei corazzieri di Cromvello. - -«Si vada a morte con loro! disse il re. - -«Si vada a morire! fecero Athos ed Aramis. - -«Qua a me i cuori fidi! gridò di Winter». - -Quella voce giunse fino ai due amici, i quali si partirono di galoppo. - -«Non v’è quartiere!» urlò in francese e rispondendo a di Winter -qualcuno che li fece scuotere. - -Di Winter a quel suono rimase pallido e come impietrito. - -Era un cavaliero sopra un bellissimo corsiero nero, che accorreva alla -testa del reggimento inglese, e nell’estremo ardore lo precedeva di -dieci passi. - -«È desso! mormorò di Winter con le pupille fisse e lasciandosi pendere -al fianco la spada. - -«Il re! il re! strillarono parecchi illusi dal cordone turchino e dal -cavallo sauro di di Winter, prendetelo vivo! - -«No! non è il re! esclamò il cavalcante, non v’illudete!... non è vero, -milord di Winter, che voi non siete il re! non è vero che siete mio -zio?» - -E Mordaunt, che era egli stesso, diresse verso di di Winter la pistola. -Scoccò la botta, la palla trapassò il petto al vecchio gentiluomo, il -quale balzando sulla sella ricadde fra le braccia di Athos balbettando: - -«Il vendicatore!... - -«Rammentati mia madre! urlò Mordaunt continuando a correre di galoppo -con tutta la forza del cavallo che aveva sotto. - -«Sciagurato!» strillò Aramis. - -E gli tirò una pistolettata, quando appunto gli passava accanto; ma non -lo colse. - -All’istante l’intero reggimento piombò addosso ai pochi che aveano -resistito, e i due Francesi furono circondati, avviluppati, incalzati. - -Athos, assicuratosi che di Winter era morto, lasciò andare il cadavere, -e sguainato il ferro disse: - -«Orsù, Aramis, per l’onore della Francia!» - -E i due inglesi che si trovavano più prossimi ai due gentiluomini -caddero ferriti mortalmente. - -Nel medesimo punto echeggiò un susurro terribile, e brillarono trenta -lame più su delle loro teste. - -Ad un tratto un uomo si scaglia di fra gli Inglesi, e gli atterra, e -si avventa sopra Athos, e lo stringe colle sue braccia nerborute, e -toltogli il brando, gli dice all’orecchio: - -«Silenzio! arrendetevi; arrendendovi a me, non vi arrendete». - -Un gigante ha afferrati i due pugni ad Aramis, che invano tenta -sottrarsi alla stretta formidabile. - -«Arrendetevi! colui gli dice guardandolo fisso». - -Aramis alza il capo, Athos si volge. - -«D’Art!...» - -Così esclama Athos, che il Guascone con una mano gli chiude la bocca. - -«Mi arrendo! fa Aramis porgendo l’arme a Porthos. - -«Fuoco! fuoco! gridava Mordaunt tornando addosso alla comitiva -dov’erano i due amici. - -«E perchè fuoco? disse il colonnello, tutti si sono arresi. - -«È il figlio di milady! avvertì Athos a d’Artagnan. - -«Sì, l’ho riconosciuto. - -«È il finto monaco, avvertì Porthos ad Aramis. - -«Lo so, lo so». - -Cominciarono a diradarsi le file. D’Artagnan reggeva per la briglia -il cavallo di Athos, e Porthos quello di Aramis. Ciascuno di essi -procurava di trarre il suo prigioniero lungi dal campo di battaglia. - -Quel movimento discoperse il luogo ov’era caduto il corpo di di Winter. -Coll’istinto dell’odio, Mordaunt lo aveva ritrovato, e lo considerava, -chinato sul suo destriero con un orribile sorriso. - -Athos, per quanto fosse di carattere quieto, pose mano alle saccoccie -ancor provviste di pistole. - -«Che fate? domandò d’Artagnan. - -«Lasciate ch’io lo uccida! - -«Non fate un gesto che dia da credere che lo conoscete, o siamo perduti -tutti e quattro». - -E poscia volgendosi al giovanotto. - -«Buona presa! esclamò, buona presa, amico Mordaunt! abbiamo ognuno il -nostro, il signor du Vallon ed io: cavalieri della Giarrettiera, niente -altro, no! - -«Ma, gridò Mordaunt mirando Athos ed Aramis con occhi rossi dal sangue, -ma sono Francesi, mi pare? - -«Non lo so io!... Siete francese? domandò ad Athos. - -«Sì, sono francese. - -«Ebbene, mio caro, eccovi prigioniero di un vostro concittadino. - -«Ma il re? ma il re?» chiese con somma angoscia Athos. - -D’Artagnan strinse con forza la mano del prigioniere e gli disse: - -«Eh! il re è in nostro potere. - -«Sì, disse Aramis, per un infame tradimento». - -Porthos, premendo il pugno all’amico, fece sorridendo: - -«Eh! signor mio, la guerra si fa tanto con la forza che con l’arte: -guardate». - -Infatti, si scorgeva in tal momento lo squadrone che doveva proteggere -la ritirata di Carlo avanzarsi ad incontrare il reggimento inglese, -avvolgendo il re, che camminava solo e a piedi in un grande spazio -vuoto. Il principe era in apparenza tranquillo, ma si discerneva bene -quanto dovesse patire per sembrar tale; gli colava il sudore dalla -fronte, e si asciugava le tempie e le labbra con un fazzoletto, che ad -ogni volta gli si scostava dalla bocca macchiato di sangue. - -«Ecco Nabucodonosor! strillò uno dei corazzieri di Cromvello, vecchio -puritano a cui s’infiammarono le pupille all’aspetto di colui che -veniva chiamato il tiranno. - -«Che dite mai, Nabucodonosor? fece Mordaunt con uno spaventoso -sogghigno. No! è il re Carlo I, il buon re Carlo, che spoglia i suoi -sudditi per farsi loro erede!» - -Carlo alzò il ciglio verso l’insolente che favellava in tal guisa, ma -nol riconobbe. - -Eppure la serena e religiosa maestà del suo volto fece abbassare lo -sguardo a Mordaunt. - -«Buon dì, signori, disse Carlo ai due gentiluomini che vide uno nelle -mani di d’Artagnan e l’altro in quelle di Porthos; la giornata è stata -infausta, ma non è vostra colpa, lode al cielo! Dov’è il mio vecchio di -Winter?» - -I due gentiluomini si girarono da parte e stettero cheti. - -«Cerca dove sia Strafford! urlò la voce stridula di Mordaunt». - -Il re palpitò, il demone avea colpito nel segno: Strafford era il suo -rimorso eterno, l’ombra dei giorni suoi, lo spettro delle sue notti. - -Si guardò vicino, vide a’ suoi piedi un cadavere. - -Il cadavere di di Winter. - -Non diede un grido, non versò una lacrima; soltanto gli si cosparse -sulla guancia un pallore più livido, pose in terra un ginocchio, -sollevò la testa di di Winter e lo baciò sulla fronte, e ripreso -il cordone dello Spirito Santo che passato gli aveva al collo, -religiosamente se lo mise sul petto. - -«Dunque di Winter fu ucciso? domandò d’Artagnan affiggendo sul morto le -pupille. - -«Sì, disse Athos, e dal suo nepote. - -«Or via! borbottò d’Artagnan, è il primo di noi altri che se ne va, -riposi in pace, era un prode. - -«Carlo Stuart, disse allora il colonnello del reggimento inglese -facendosi innanzi al re che aveva riprese le regie divise, vi rendete -voi nostro prigioniero? - -«Colonnello Thomlinson, rispose Carlo, il re non si rende; l’uomo cede -alla forza, e non v’è altro. - -«La vostra spada». - -Il re levò fuori la spada e la ruppe sul suo ginocchio. - -In quell’istante un cavallo senza cavalcante, grondante di schiuma, -l’occhio infuocato, aperte le nari, che veniva correndo, riconosciuto -il padrone, gli si fermava accanto: era Arturo. - -Il re sorrise, lo accarezzò colla mano, e leggermente si pose sulla -sella. - -«Animo, signori! gli disse, guidatemi dove vi aggrada.» - -Ma voltosi con impeto, soggiunse: - -«Eh! aspettate! mi pare di aver veduto muovere di Winter: se ancora -vive, deh! per quanto vi avete di più sacro, non abbandonate questo -nobile gentiluomo! - -«Oh! non dubitate, re Carlo, fece Mordaunt, la palla ha trapassato il -cuore! - -«Ahi! disse d’Artagnan ad Athos e ad Aramis, non proferite un accento, -non azzardate uno sguardo per me nè per Porthos, giacchè milady non è -morta, e vive l’anima sua nel corpo di quel demone!» - -Il distaccamento si avviò alla città conducendo seco la regale -sua preda; ma a mezza strada un ajutante di campo del generale -Cromvello recò l’ordine al colonnello Thomlinson di condurre il re a -Holdenby-Castle. - -Nello stesso tempo partivano corrieri per ogni parte, onde annunziare -all’Inghilterra e a tutta Europa come il re Carlo Stuart era -prigioniero del generale Oliviero Cromvello. - -E gli Scozzesi stavano ad osservare, col fucile al piede, e la -_claymore_ nel fodero. - - - - -LX. - -_Oliviero Cromvello._ - - -«Venite voi dal generale? disse Mordaunt a d’Artagnan e Porthos; sapete -che vi ha fatti chiamare per dopo l’azione. - -«Prima di tutto andiamo a porre in luogo sicuro i nostri prigionieri, -rispose d’Artagnan; sapete, signor mio, che quei gentiluomini vagliono -mille cinquecento doppie ciascuno! - -«Oh! non dubitate, replicò Mordaunt guardandoli con certi occhi di -cui invano tentava nascondere la ferocia, i miei uomini a cavallo li -custodiranno, e anche bene, ve lo garantisco! - -«Io li custodirò anco meglio, ribattè il tenente dei moschettieri; -e poi, che ci bisogna? una buona stanza con delle sentinelle, o -la semplice loro parola che non cercheranno di fuggire. Io vado a -provvedere a tutto questo, dopo di che avremo l’onore di presentarci -dal generale e chiedergli i suoi comandi per Sua Eccellenza. - -«Vi proponete dunque di partir presto? - -«Il nostro incarico è terminato, e non altro ci ritiene in Inghilterra, -che la volontà del grand’uomo presso il quale fummo inviati». - -Il giovanotto si morse le labbra, si chinò all’orecchio al sergente, e -gli disse: - -«Seguiterete questi uomini, non li perderete di vista, e quando saprete -ove siano alloggiati tornerete ad attendermi alla porta di città». - -Il sergente accennò che obbedirebbe. - -Allora Mordaunt, invece di andar dietro ai prigionieri che venivano -ricondotti in città, si incamminò verso la collina da cui Cromvello -aveva osservata la battaglia, e dove aveva fatto erigere una tenda. - -Cromvello aveva proibito che si lasciasse penetrare alcuno presso -di lui: ma la sentinella conoscendo Mordaunt per uno dei più intimi -confidenti del generale, pensò che il divieto non lo risguardasse. - -Sicchè Mordaunt schiuse un poco la tela, e vide Cromvello seduto -davanti a un tavolino, con la testa nascosta fra le mani, e che a lui -volgeva le spalle. - -E questi, o udisse o no il rumore da lui fatto nell’entrare, non si -girò nemmeno. - -Il giovane rimase in piedi accanto all’uscio. - -Dopo un momento Cromvello alzò la fronte, e come avesse sentito per -istinto che ivi fosse qualcuno, volse il capo lentamente. - -«Avevo detto che volevo esser solo! esclamò. - -«Non si è creduto che la proibizione concernesse me; disse Mordaunt, -non ostante, se l’ordinate, sono pronto a ritirarmi. - -«Ah! siete voi, Mordaunt! e il generale diradava come per la forza -della sua volontà il velo che gli ricuopriva le pupille; poichè siete -qui, va bene, trattenetevi. - -«Vi porto le mie congratulazioni. - -«Congratulazioni! e di che? - -«Della presa di Carlo Stuart. Ormai voi siete padrone dell’Inghilterra. - -«Lo ero anche meglio due ore addietro. - -«Come mai, generale? - -«L’Inghilterra aveva d’uopo di me per prendere il tiranno: adesso il -tiranno è preso. Lo avete veduto? - -«Sì signore. - -«Qual è la sua attitudine?» - -Mordaunt esitò, ma parve che la verità gli uscisse per forza dal labbro. - -«Quieta e decorosa, ei rispose. - -«Che ha egli detto? - -«Poche parole d’addio a’ suoi amici. - -«A’ suoi amici! borbottò Cromvello, dunque ha degli amici!» - -E indi più forte: - -«Si è difeso? - -«No, è stato abbandonato da tutti, eccetto da tre o quattro uomini; -sicchè non v’era modo di difendersi. - -«A chi ha consegnata la sua spade? - -«Non l’ha consegnata, l’ha rotta. - -«Ha fatto bene; ma invece di spezzarla, avrebbe operato meglio -servendosene più utilmente». - -Vi fu breve silenzio. Poscia Cromvello, osservando fisso Mordaunt, -domandò: - -«Se non isbaglio, il colonnello del reggimento che faceva scorta al re -Carlo è stato ucciso? - -«Sì signore. - -«Da chi? - -«Da me. - -«Come si chiamava? - -«Lord Winter. - -«Vostro zio! gridò Cromvello. - -«Mio zio? i traditori all’Inghilterra non sono di mia famiglia». - -Cromvello stette alquanto pensieroso considerando il giovanetto; e poi -colla profonda malinconia che tanto bene è dipinta da Shakspeare, gli -disse: - -«Mordaunt, voi siete un terribile servo! - -«Quando il Signore ordina, l’altro rispose, non si sta titubanti. -Abramo alzò il coltello sopra ad Isacco, eppur questi era suo figlio. - -«Sì, ma il Signore non lasciò che si compiesse il sagrifizio. - -«Io mi guardai intorno, e non vidi tra i cespugli della pianura verun -capro che fosse fermo, replicò Mordaunt. - -«Siete forte tra i forti, soggiunse Cromvello. E i Francesi, come si -sono contenuti? - -«Da gente di gran cuore. - -«Sì sì, mormorò Cromvello, i Francesi si battono; e di fatto, se il mio -cannocchiale è buono, mi pare di averli visti alla prima fila. - -«V’erano realmente. - -«Ma dopo di voi. - -«Per colpa dei lor cavalli, e non di loro». - -Vi fu una nuova pausa. - -«E gli Scozzesi? chiese il generale. - -«Hanno mantenuta la parola, e non si sono mossi. - -«Sciagurati! - -«Signore, i loro ufficiali domandano di vedervi. - -«Non ho tempo. Sono stati pagati? - -«Questa notte. - -«Dunque partano, ritornino nei loro monti, celino colà la loro -vergogna, se i monti sono per ciò atti abbastanza; io non ho più che -fare con essi, nè essi con me. Andate, Mordaunt. - -«Innanzi di andarmene, signore, ho da farvi qualche interrogazione.... -ed anche una richiesta, mio padrone. - -«A me?» - -Mordaunt s’inchinò: - -«Vengo da voi, mio eroe, mio protettore, mio padre, e vi dico: Padrone, -siete contento di me?» - -Cromvello guatò fisso Mordaunt. - -Questi restò impassibile. - -«Sì, dacchè vi conosco, faceste non solo il vostro dovere, ma anche di -più: foste amico fedele, accorto negoziatore e buon soldato. - -«Vi sovviene, mio signore, ch’io fui il primo ad aver l’idea di -trattare cogli Scozzesi per la consegna del loro re? - -«Sì, fu vostro il pensiero: io non portava ancora sino a tal punto il -disprezzo degli uomini. - -«Fui buon ambasciadore in Francia? - -«Sì, ed otteneste da Mazzarino ciò ch’io bramava. - -«Combattei sempre con calore per la vostra gloria ed i vostri interessi? - -«Forse con troppo calore, e di questo appunto io poc’anzi vi faceva -rimprovero. Ma a che volete arrivare con tante interrogazioni? - -«Milord, a dirvi ch’è giunto il momento in cui potete con una sola -parola ricompensare tutti i miei servigi. - -«Ah! fece Oliviero con un piccol moto di sdegno, è vero; dimenticavo -che ogni servigio merita premio, che voi mi serviste nè ancor foste -premiato. - -«Posso esserlo adesso, subito, ed oltre ad ogni mio desiderio. - -«E come? - -«Ho vicino alla mano il premio, quasi lo tocco. - -«E qual è? vi è stato offerto dell’oro? bramate un grado? bramate un -governo? - -«Signore, mi accorderete la mia domanda? - -«Sentiamo prima qual è. - -«Quando mi diceste: Eseguirete un mio ordine, vi risposi io mai: -sentiamo l’ordine? - -«Ma se il vostro desiderio fosse impossibile a realizzarsi? - -«Quando aveste un desiderio e m’incaricaste di compierlo, vi risposi -mai: è impossibile? - -«Però una richiesta preparata con tanto esordio.... - -«State pur quieto, signore! disse Mordaunt con un’espressione truce, -non vi rovinerà. - -«Ebbene, vi prometto di aderire alla vostra domanda per quanto sia in -mia facoltà; esponetela. - -«Questa mane furono fatti due prigionieri: questi io vi chieggo. - -«Dunque hanno offerto un riscatto considerevole? - -«Al contrario, li credo poveri. - -«Ma allora, sono vostri amici? - -«Sì, signore! esclamò Mordaunt, amici miei, carissimi amici, e darei -per la lor vita la mia. - -«Bene! disse Cromvello riprendendo con qualche gioja migliore opinione -del giovanetto, io le li dono; neppur voglio sapere chi siano, fanne -quel che a te piace. - -«Oh grazie! grazie! da ora innanzi la mia vita è vostra, e anche -perdendola, vi sarò sempre debitore; grazie, voi date un premio -magnifico alla mia servitù». - -Mordaunt si gettò ai ginocchi di Cromvello, e ad onta di ogni sforzo -del generale puritano, il quale non voleva o fingeva non volere, -lasciarsi rendere quell’omaggio quasi regale, gli prese la destra e la -baciò. - -«Come! disse Cromvello fermandolo mentre egli si alzava, non altra -ricompensa! non oro! non gradi! - -«Milord, voi mi deste quanto potevate darmi, ed io da questo giorno, vi -sciolgo da ogni debito». - -E Mordaunt balzò fuori dalla tenda con un giubilo che gli straboccava -dal cuore e gli brillava nelle pupille. - -Il generale lo seguitò con gli occhi. - -«Ha ucciso suo zio! balbettò, ahimè! che servi sono i miei! Forse -questo che nulla reclama, o nulla par che reclami, ha domandato di più -dinanzi a Dio che quelli che verranno a chieder l’oro delle provincie -e il pane degl’infelici; nessuno mi serve per niente. Carlo ch’è mio -prigioniero, ha forse ancora degli amici, ed io non ne ho!» - -E sospirando tornò nelle meditazioni che aveva sospese l’arrivo di -Mordaunt. - - - - -LXI. - -_I gentiluomini._ - - -Mentre Mordaunt s’incamminava alla tenda di Cromvello, d’Artagnan e -Porthos riconducevano i lor prigionieri nella casa a loro assegnata per -alloggio in Newcastle. - -Non era già sfuggita al Guascone la raccomandazione fatta da Mordaunt -al sergente, e quindi esso con un cenno raccomandò ad Athos ed Aramis -la massima prudenza. In conseguenza, questi andarono in silenzio -accanto ai loro vincitori, nè ciò riusciva loro difficile, imperciocchè -ciascuno aveva da fare abbastanza a rispondere a’ suoi propri pensieri. - -Se mai vi fu un uomo attonito, si fu Mousqueton, quando di sulla -soglia vide avanzare i quattro amici accompagnati dal sergente e -da una diecina d’uomini. Si stropicciò gli occhi, non potendosi -decidere a riconoscere Athos ed Aramis; ma alla fine gli toccò cedere -all’evidenza; ed era per dar fuori in grandi esclamazioni, se Porthos -non gli avesse chiusa la bocca con uno di quegli sguardi che non danno -campo a discutere. - -Mousqueton rimase piantato accanto alla porta attendendo la spiegazione -di cosa tanto singolare; e quel che più lo confondeva si era che i -quattro amici mostravano perfino di non più riconoscersi fra loro. - -La casa in cui d’Artagnan e Porthos condussero Athos ed Aramis era -quella dove abitavano dal giorno innanzi e a loro data dal generale -Cromvello; formava l’angolo di una strada, ed aveva una specie di -giardino e le scuderie che giravano sulla via attigua. - -Le finestre del pian terreno, secondo accade spesso nelle piccole città -di provincia, avevano le inferriate, talchè somigliavano di molto a -quelle di una carcere. - -I due amici fecero entrare avanti i prigionieri, e si stettero -sull’ingresso, dopo avere ordinato a Mousqueton di menare alla stalla i -quattro cavalli. - -«Perchè non entriamo con loro? domandò Porthos. - -«Perchè prima, rispose d’Artagnan, convien vedere che cosa vogliono da -noi quel sergente e gli otto o dieci uomini che sono seco». - -Il sergente e que’ suoi sottoposti si piantarono nel piccolo giardino. - -D’Artagnan li richiese di che cosa bramassero e perchè stessero colà. - -«Abbiamo ordine, disse il sergente, di ajutarvi a custodire i vostri -prigionieri». - -Su ciò non v’era da ripetere, ed anzi era un’attenzione assai gentile -di cui bisognava mostrarsi grati. D’Artagnan ringraziò il militare, e -gli diede una _corona_ per bere alla salute del general Cromvello. - -Colui rispose che i puritani non bevevano, e si mise in tasca la moneta. - -«Ah, caro d’Artagnan! fece Porthos, che trista giornata! - -«Che dite mai, Porthos! chiamate trista la giornata in cui abbiamo -ritrovati i nostri amici! - -«Sì, ma in qual circostanza? - -«È vero che la situazione è scabrosa, replicò d’Artagnan; ma non -importa, entriamo e procuriamo di veder chiaro nelle nostre faccende. - -«Sono imbrogliatissimo, e adesso capisco perchè Aramis mi raccomandava -tanto di strozzare l’orribile Mordaunt. - -«Zitto! non pronunziate quel nome. - -«E che fa, se io parlo francese ed essi sono Inglesi?» - -D’Artagnan fissò in viso Porthos con quell’aria di ammirazione che un -uomo ragionevole non può negare agli spropositi di qualunque genere -siano. - -E mentre Porthos fissava lui pure senza comprendere il suo stupore, ei -lo spinse dicendogli: - -«Entriamo». - -Porthos fu il primo a passare, e d’Artagnan secondo. Questi chiuse bene -la porta, e si strinse un dopo l’altro al seno i due amici. - -Athos era mesto all’eccesso, Aramis guardava i due sopraggiunti senza -parlare, ma con tanta espressione che d’Artagnan lo capì. - -«Volete sapere com’è che siamo qui? è facilissimo l’indovinarselo: -Mazzarino ci ha incaricati di recare una lettera al generale Cromvello. - -«Ma in che modo vi trovate accanto a Mordaunt, fece Athos, del quale vi -avevo raccomandato di diffidare? - -«E che io vi pregai di scannare, continuò Aramis. - -«Sempre per Mazzarino. Cromvello lo aveva inviato a Mazzarino; -Mazzarino ha inviati noi a Cromvello: in tutto questo v’è una fatalità. - -«Sì, avete ragione, d’Artagnan, una fatalità che ci divide e ci rovina. -Sicchè mio caro Aramis, non ne discorriamo più, e apparecchiamoci a -subire la nostra sorte. - -«Cospetto! al contrario, discorriamone, giacchè una volta per tutte è -convenuto che siamo sempre insieme benchè in cause opposte. - -«Ah sì! molto opposte, seguitò sorridendo Athos, giacchè qui, ve lo -domando, a qual causa servite? D’Artagnan, vedete a che v’impiega -quel miserabile Mazzarino. Capite di qual delitto oggi vi rendeste -colpevole? dell’arresto del re, della sua morte. - -«Oh oh! fece Porthos, lo credete davvero? - -«Esagerate, disse d’Artagnan, non siamo ancora a tanto. - -«Eh, anzi ci avviciniamo, per Bacco! Perchè si arresta un re? Quando -si vuole rispettarlo come padrone non si compra come uno schiavo. Vi -pensate che per porlo sul trono, Cromvello lo abbia pagato duecento -mila lire sterline? Lo uccideranno, siatene certi, ed anche è questo il -minimo delitto che possono commettere. - -«Non dico di no, e in sostanza potrebbe darsi, rispose d’Artagnan, ma a -noi che interessa? Io sono qui perchè sono soldato, perchè servo i miei -padroni, cioè quelli che mi pagano il mio soldo. Ho giurato di obbedire -e obbedisco; ma voi che non faceste giuramenti, a qual causa servite, e -perchè siete qua? - -«La causa la più sacra che esista al mondo, disse Athos, quella della -sventura, della regale dignità e della religione. Un amico, una sposa, -una figlia ci fecero l’onore di chiamar noi in loro ajuto; noi li -secondammo a tenore dei nostri deboli mezzi, e Dio ci terrà conto della -volontà in difetto del potere. Voi siete libero di pensare altrimenti, -d’Artagnan, di considerare le cose in altra guisa; io non vuo’ -dissuadervene, ma vi biasimo. - -«Oh! oh! replicò d’Artagnan, e che mi fa in conclusione che il signor -Cromvello, che è Inglese, si ribelli contro il suo re ch’è Scozzese? -Io sono Francese, e tutte queste cose non mi riguardano: perchè me ne -vorreste render responsabile? - -«Realmente!.... aggiunse Porthos. - -«Perchè tutti i gentiluomini son fratelli, perchè voi siete gentiluomo, -perchè i re di tutti i paesi sono primi fra i gentiluomini; perchè -la plebe cieca, ingrata, ignorante, si prende sempre piacere ad -abbassare ciò ch’è a lei superiore, e siete voi, voi, d’Artagnan, uomo -della vecchia signoria, uomo di bel nome, uomo di buona spada, che -contribuiste a dare un re in balia a birraj, a sartori, a carrettaj! -Ah! d’Artagnan, come soldato forse faceste l’obbligo vostro, ma come -gentiluomo siete reo: io ve lo dico!» - -D’Artagnan masticava il gambo di un fiore, non rispondeva, e si sentiva -conturbato, poichè quando distoglieva lo sguardo da quello di Athos -incontrava quello di Aramis. - -«E voi, Porthos, continuò il conte quasi avesse pietà dell’imbarazzo -di d’Artagnan, voi il miglior cuore, il miglior amico, il soldato -migliore ch’io conosca; voi che l’anima vostra faceva degno di nascere -sui gradini di un soglio, e che presto o tardi sarete premiato da un -sovrano intelligente; voi, caro Porthos, gentiluomo pei costumi, per le -inclinazioni e pel coraggio, siete reo al pari di d’Artagnan». - -Porthos arrossì, ma di piacere anzi che di confusione, e chinando la -testa come se fosse molto umiliato, rispose: - -«Sì, conte, sì, credo che abbiate ragione». - -Athos si alzò. - -«Orsù, disse appressandosi a d’Artagnan e porgendogli la destra, non vi -adirate, figliuol mio; quanto vi ho detto ve l’ho detto se non colla -voce, col cuore almeno di un padre. Ben mi sarebbe stato più facile, -siatene pur persuaso, di ringraziarvi per avermi salvata la vita e non -pronunziare una parola de’ miei sentimenti. - -«Senza dubbio, replicò d’Artagnan premendo anche esso la mano ad Athos; -ma egli è che avete certi benedetti sentimenti che non da tutti possono -aversi. Chi si va ad immaginare che un uomo di giudizio abbandoni -la sua casa, la Francia, il suo pupillo, amabile giovanetto (chè lo -vedemmo al campo) per correre dove? in ajuto ad una regia autorità -vacillante e tarlata, la quale una di queste mattine crollerà come -una vecchia baracca? Il sentimento che voi dite è bello sicuramente, e -tanto bello ch’è sovrumano. - -«Qualunque sia, rispose Athos, senza incappare nel laccio che con arte -da Guascone il suo amico stendeva al paterno suo affetto per Raolo, -voi in fondo al cuore sapete ch’egli è giusto.... Ma io ho torto di -discutere col mio padrone. D’Artagnan, io sono vostro prigioniero, e -come tale trattatemi. - -«Per Diana! sapete pure che non lo sarete per molto tempo, disse il -tenente dei moschettieri. - -«No, no, ripicchiò Aramis, perchè si farà a noi come a quei prigionieri -presi a Philipphaus. - -«E che fu fatto a coloro? domandò d’Artagnan. - -«Eh! la metà impiccata, e l’altra metà fucilata. - -«Ed io vi garantisco, soggiunse d’Artagnan, che sinchè mi rimanga nelle -vene una stilla di sangue non sarete fucilati nè appiccati. Vengano, -vengano, cospettone! E poi, Athos, vedete quella porta? - -«Ebbene? - -«Da quella voi passerete quando vogliate, giacchè da questo punto voi -ed Aramis siete liberi come l’aria. - -«Qui ben riconosco l’indole vostra, mio prode d’Artagnan, fece Athos, -ma non siete più padrone di noi; la porta è custodita, vi è pur noto. - -«Or bene, la sforzerete; seguitò Porthos, chi v’è egli? tutto al più -dieci uomini. - -«Sarebbero nulla per noi quattro, sono troppi per noi due. No, no, -sentite; come siamo, ci è forza perire. Vedete l’esempio fatale: su -la strada del Vendomese, voi d’Artagnan, sì coraggioso, voi Porthos sì -valoroso, foste battuti; oggi lo siamo Aramis ed io, tocca a noi. E ciò -non ci avvenne giammai quando eravamo tutti e quattro riuniti; si muoja -dunque conforme è morto Winter: per me, lo dichiaro, non acconsento a -fuggire se non tutti e quattro insieme. - -«È impossibile, disse d’Artagnan, noi siamo sotto gli ordini di -Mazzarino. - -«Lo so, e non vi pungo maggiormente; i miei ragionamenti nulla hanno -prodotto; bisogna che siano stati cattivi se non hanno avuto alcun -dominio sopra intelletti tanto giusti come i vostri. - -«D’altronde, continuò Aramis, quando anche avessero fatto effetto, -la migliore si è di non compromettere due ottimi amici quali sono -d’Artagnan e Porthos. Non dubitate, signori, noi morendo vi faremo -onore. In quanto a me, mi sento superbo di andare incontro alle palle -ed anco alla corda con voi, Athos, giacchè mai non mi sembraste sì -grande come quest’oggi». - -D’Artagnan non diceva niente, ma dopo aver rosicato il gambo del fiore -si rosicava le dita. - -«Vi figurate forse, riprese alfine, che si voglia uccidervi? e perchè -fare? che interesse si ha alla vostra morte? E d’altronde siete nostri -prigionieri. - -«Pazzo, pazzo! rispose Aramis, non conosci dunque Mordaunt? Ebbene, -io ho ricambiata con lui una sola occhiata, ed in quella sua ho visto -ch’eravamo condannati. - -«Fatto sta che mi rincresce di non averlo strangolato secondo mi -suggeriste, replicò Porthos ad Aramis. - -«Eh, m’importa assai di Mordaunt! esclamò d’Artagnan, cospetto! se -mi stuzzica un po’ troppo, lo schiaccierò io, quell’insetto! Non -iscappate, è inutile, mentre, ve lo giuro, siete qui in sicuro quanto -lo eravate venti anni addietro, Athos, voi in via di Feron, Aramis, voi -nella via di Vaugirard. - -«Oh! disse Athos stendendo la mano verso una delle due finestre colle -inferriate che davano luce alla stanza, tra poco saprete che pensare, -giacchè eccolo che corre in qua. - -«E chi? - -«Mordaunt». - -Diffatti, seguendo la direzione accennata da Athos, d’Artagnan vide un -cavaliero che veniva di galoppo. - -Era realmente Mordaunt. - -D’Artagnan si scagliò fuori dalla camera. - -E perchè Porthos voleva irgli appresso, ei gli disse: - -«Restate costì, e non venite se non quando mi udrete battere il tamburo -colle dita sulla porta». - - - - -LXII. - -_Gesù Signore!_ - - -Allorchè Mordaunt arrivò di faccia alla casa, distinse d’Artagnan sulla -soglia e i soldati distesi qua e là con le loro armi sopra l’erbetta -del giardino. - -«Olà! gridò con voce soffocata dalla precipitazione della corsa, i -prigionieri sono sempre costà? - -«Sì, signore, disse il sergente». - -E si drizzò subito, ugualmente che i suoi uomini, e si toccò come essi -il cappello. - -«Bene. Quattro uomini per prenderli e condurli sul momento al mio -alloggio». - -Si apparecchiarono i quattro richiesti. - -«Che c’è? fece d’Artagnan con quell’aria beffarda che i nostri -leggitori debbono aver in lui riscontrata molte volte dacchè lo -conoscono, che c’è, di grazia? - -«V’è, signor mio, rispose Mordaunt, che ordino a quattro soldati di -pigliare i prigionieri da noi fatti stamani a menarli al mio alloggio. - -«E perchè mo’? domandò d’Artagnan. Scusate la curiosità, ma capite che -bramo essere schiarito su quest’oggetto. - -«Perchè adesso i prigionieri sono miei, fece con alterigia Mordaunt, ed -io ne dispongo a mio capriccio. - -«Con permesso, mio giovane signorino, e’ mi pare che sbagliate; questi -per solito sono di quelli che gli hanno presi, e non di coloro che sono -stati a vederli prendere. Voi potevate prendere milord Winter, che per -quanto si dice era vostro zio, ed avete preferito ucciderlo: va benone; -il signor du Vallon ed io potevamo uccidere quei due gentiluomini, ed -abbiamo preferito prenderli: ciascuno ha il suo gusto». - -A Mordaunt diventarono bianche le labbra. - -D’Artagnan capì che le cose non tarderebbero a guastarsi, e si mise a -suonare sull’usciale la marcia delle guardie. - -Al primo tempo battuto uscì Porthos, e si pose dall’altra parte della -porta, di cui toccava coi piedi la soglia e col capo la cima. - -Nè Mordaunt mancò già di accorgersene, onde disse, principiando a -mostrare la collera che lo rodeva: - -«Signore, fareste una resistenza inutile: i prigionieri mi sono stati -donati in questo punto dal generale in capo mio illustre proiettore, -dal signor Oliviero Cromvello». - -Queste parole colpirono d’Artagnan alla guisa di un fulmine. Gli salì -il sangue alle tempie, gli passò una nube avanti agli occhi, comprese -la feroce speranza del giovanotto, e la sua mano scese per un moto -naturale sull’impugnatura della sua spada. - -Porthos poi lo osservava onde sapere ciò che avesse da fare e regolare -i propri atti a tenore de’ suoi. - -Gli sguardi di Porthos diedero più timore che quiete a d’Artagnan, il -quale principiò a dolersi di aver richiamata la forza brutale del suo -compagno in un affare che gli sembrava specialmente andasse maneggiato -coll’astuzia. - -«La violenza, ei diceva fra sè, ci rovinerebbe tutti. D’Artagnan, prova -a quel serpentello che sei non solo più forte, ma anche più scaltro di -lui.... Ah ah! signor Mordaunt (disse poscia con un profondo saluto), -come! venite da parte del signor Oliviero Cromvello, il più illustre -capitano di questi tempi? - -«L’ho lasciato poc’anzi, rispose Mordaunt mettendo piedi a terra e -dando a reggere il suo cavallo ad uno de’ suoi soldati. - -«E perchè non lo dicevate subito, mio caro? tutta l’Inghilterra è del -signor Cromvello, e poichè mi chiedete in suo nome i prigionieri, io -m’inchino, signor mio, sono vostri, pigliateli». - -Mordaunt si avanzò tutto allegro, e Porthos guardando d’Artagnan col -massimo stupore apriva bocca per parlare. - -Ma quest’ultimo montò sullo stivale a Porthos, il quale allora conobbe -che l’amico faceva da burla. - -Mordaunt mise il piede sul primo gradino accanto alla porta, e col -cappello in mano si accinse a passare fra i due camerati, accennando a’ -suoi quattro uomini che lo seguissero. - -«Per altro scusate, disse il tenente con un grazioso sorriso e posando -la mano sulla spalla al giovane, se l’illustre generale Oliviero -Cromvello ha disposto in favor vostro di quegli individui, vi avrà -fatta di certo cotesta donazione per iscritto». - -L’altro si fermò di botto. - -«Vi ha dato qualche letterina per me, un fogliaccio qualunque, -in somma che attesti qualmente siete qui in nome suo? Favorite -consegnarmelo, acciò almeno io scusi con un pretesto l’abbandono de’ -miei compatriotti. Diversamente, intendete, quantunque io sia sicuro -che il generale Oliviero Cromvello non possa volere ad essi alcun male, -ciò farebbe un pessimo effetto». - -Mordaunt retrocedè, e sentendo la botta diede un’occhiata terribile -a d’Artagnan; questi però vi rispose con la ciera più garbata e -amichevole che potesse immaginarsi. - -«Quando vi dico una cosa, fece Mordaunt, mi fate l’ingiuria di -dubitarne? - -«Io! io dubitare di ciò che voi dite? Dio me ne liberi, mio caro! anzi -vi tengo per degno e perfetto gentiluomo, secondo le apparenze.... E -poi, volete che vi parli schietto? - -«Parlate. - -«Il signor du Vallon qui presente è ricco, ha quarantamila lire di -entrata, ed in conseguenza non tira ai denari; sicchè non discorro per -lui, ma per me. - -«E poi? - -«Ebbene, io non sono ricco; in Guascogna questo non fa disonore, non -v’è alcuno che lo sia, ed Enrico IV di gloriosa memoria, ch’era il -re delle Guascogne, siccome Sua Maestà Filippo IV è il re di tutte le -Spagne, non aveva mai un soldo in tasca. - -«Terminate, vedo a che punto bramate arrivare, e se vi trattiene quel -ch’io suppongo, sarà una difficoltà da togliersi di mezzo. - -«Ah! lo sapevo, disse d’Artagnan, ch’eravate un ragazzo di spirito. -Orsù, ecco la sostanza, ecco dove il dente duole. Sono ufficiale -di fortuna, e non altro. Non ho se non quel che mi frutta la mia -spada, cioè più busse che biglietti di banca. Ora, stamani prendendo -due Francesi che mi pajono d’alta nascita, due cavalieri della -Giarrettiera, dicevo fra di me: È fatta la mia fortuna. Dico due, -perchè in simile circostanza, il signor du Vallon ch’è facoltoso, cede -sempre a me i suoi prigionieri». - -Mordaunt, illuso appieno dalla loquace bonarietà del suo interlocutore, -sorrise da uomo che intende benissimo le ragioni addottegli, e con -dolcezza rispose: - -«Fra un momento avrò l’ordine firmato, ed insieme con questo duemila -doppie; ma intanto lasciatemi condurre via i due Francesi. - -«No no; che v’importa di un indugio di mezz’ora? sono molto assestato -io, facciamo le cose in regola. - -«Eppure, soggiunse Mordaunt, potrei forzarvi, qui comando io. - -«Oh! signore, fece d’Artagnan gentilmente, si vede che sebbene il -signor du Vallon ed io abbiamo avuto l’onore di viaggiare in vostra -compagnia, non ci conoscete. Siamo gentiluomini, siamo Francesi, siamo -capaci fra noi due soli di uccidere voi ed i vostri otto sottoposti. -Signor Mordaunt, non fate da caparbio, perchè quando uno si ostina -mi ostino io pure, e sono un caparbio feroce.... ed ecco questo -signore ch’è più caparbio ancora di me.... senza contare che siamo -inviati dal signor ministro Mazzarino, il quale rappresenta il re di -Francia: ne resulta che in questo istante noi rappresentiamo il re ed -il ministro, il che fa sì che nella nostra qualità di ambasciadori -siamo inviolabili, cosa ch’è in grado di capire egregiamente il -signor Cromvello, grande politico al pari che gran generale. Quindi -richiedetegli l’ordine scritto. Che cosa vi costa, caro signor -Mordaunt? - -«Sì, l’ordine scritto, seguitò Porthos che cominciava a capire -l’intenzione di d’Artagnan, non vi si ricerca altro». - -Per quanta voglia avesse Mordaunt di ricorrere alla violenza, era -uomo da riconoscere per buone le ragioni addottegli da d’Artagnan. -D’altronde la di lui fama gl’imponeva, e aggiungendosi a quella ciò che -gli aveva veduto operare la mattina, vi riflettè seriamente. Di più, -ignaro totalmente delle relazioni d’intrinseca amicizia esistenti fra -i quattro Francesi, eransi dileguate tutte le sue inquietezze di faccia -al motivo assai plausibile del loro riscatto. - -Decise adunque di andare non soltanto a prendere il mandato, ma anche -le duemila doppie per cui aveva egli stesso valutati i due prigionieri. - -E così montò a cavallo, raccomandò al sergente di far buona guardia, e -sparì. - -«Bene! fece d’Artagnan, un quarto d’ora per andare alla tenda, per -tornare indietro mezz’ora, è più che non ci bisogni». - -E venutosene inverso Porthos senza dare indizio al sembiante di verun -cambiamento, in modo che quei che lo consideravano attenti potessero -credere ch’ei continuasse la medesima conversazione, e mirandolo ben -fisso, gli disse: - -«Amico Porthos, statemi a sentire. Prima di tutto, nemmeno una parola -ai nostri amici di ciò che avete udito testè: è inutile che sappiano -qual servizio ad essi noi rendiamo. - -«Bene, capisco. - -«Andate alla scuderia, vi troverete Mousqueton, porrete la sella ai -cavalli e le pistole nelle sacche, e li condurrete nella strada di giù -affinchè non vi sia più da salir sopra; al resto penserò io». - -Porthos non fece obbiezioni, ed obbedì con la sublime fiducia che aveva -sempre nell’ex-collega. - -«Vado subito, rispose; ma, dico, ho da entrare nella stanza dove sono -quei signori? - -«Eh no! non giova a niente. - -«Dunque, fatemi il piacere di pigliare la mia borsa che ho lasciata sul -caminetto. - -«State pur tranquillo». - -Porthos si avviò con la sua flemma consueta alla scuderia, e passò -framezzo ai soldati, i quali, comunque ei fosse Francese, non poterono -astenersi dall’ammirare di lui l’alta statura e le membra robuste. - -Sul canto incontrò Mousqueton, e lo menò via seco. - -Allora d’Artagnan tornò dentro, fischiando un’arietta che aveva -incominciata alla partenza di Porthos. - -«Carissimo Athos, ho riflettuto ai vostri ragionamenti, ed essi mi -hanno persuaso; m’incresce assolutamente di essermi trovato in questo -affare. Voi lo diceste; Mazzarino è un furfante; sicchè io sono -risoluto a fuggire con voi. Non fate calcoli, ma state pronti; le -vostre due spade sono in un cantone, non le dimenticate, sono tali -arnesi che nelle circostanze nostre possono essere utilissimi.... -appunto questo mi fa ricordare della borsa di Porthos: eccola!» - -D’Artagnan si ripose in tasca la borsa. Gli altri due lo stavano a -guardare stupefatti. - -«Ebbene, che v’è di sorprendente? disse il Guascone, lo domando a voi. -Ero cieco, e Athos mi ha fatto veder chiaro: non v’è altro; venite -qua». - -I due gli si avvicinarono. - -«Vedete questa strada? ei seguitò, là saranno i cavalli; uscirete dalla -porta, girerete a sinistra, balzerete in sella, e sarà bell’e finita: -non vi date pensiero d’altro se non se di ascoltar bene il segnale. E -il segnale sarà quando io griderò: «Gesù Signore!» - -«Ma voi, disse Athos, dateci parola che verrete. - -«Ve lo giuro sopra Iddio, rispose d’Artagnan. - -«Basta così! esclamò Aramis, al grido «Gesù Signore!» si vien fuori, si -atterra tutto quanto ci si oppone, si va incontro ai nostri palafreni, -si cavalcano, e si dà di sprone! va bene? - -«A meraviglia! - -«Ma se ve lo dico sempre, Aramis! fece Athos, d’Artagnan è il migliore -di quanti siamo. - -«Ahi! mormorò il tenente, complimenti? scappo subito: addio. - -«E fuggite con noi, non è così? - -«Di certo. Non vi scordate del segnale». - -D’Artagnan se n’andò col medesimo passo con che era venuto riprendendo -l’arietta che fischiava al punto stesso a cui l’aveva sospesa. - -I soldati giocavano o dormivano; due stuonavano in un angolo il salmo: -_Super flumina_. - -Il Guascone chiamò il sergente. - -«Caro mio, gli disse, il generale Cromvello ha fatto ricercare di me -dal signor Mordaunt; ve ne prego, invigilate a modo sui prigionieri». - -Quegli ammiccò che non intendeva il francese. - -Ed egli allora tentò fargli capire co’ gesti ciò che non aveva potuto -colla favella. - -E il sergente accennò di sì. - -D’Artagnan scese versò la stalla: trovò i cinque corsieri -apparecchiati, il suo siccome gli altri. - -«Prendetene uno a mano per ciascheduno, suggerì a Porthos e a -Mousqueton, e voltate a manca in guisa che Athos ed Aramis vi scorgano -dalla finestra. - -«E allora verranno? domandò Porthos. - -«In un attimo. - -«Non vi siete dimenticata la mia borsa? - -«No, non dubitate. - -«Benissimo». - -Porthos e Mousqueton, guidando a mano un destriero per uno, si -trasferirono al loro posto. - -D’Artagnan rimasto solo battè l’acciarino, accese un pezzo d’esca -grande per due volte quanto una lente, saltò in sella, e venne a -fermarsi davanti ai soldati dirimpetto alla porta. - -Là, accarezzando con la mano la sua bestia, le introdusse un -bricciolino d’esca infuocata nell’orecchio. - -Bisognava essere buon cavallerizzo com’egli era per avventurare un tal -mezzo, perocchè appena l’animale ebbe sentita la scottatura cacciò un -urlo dal dolore, s’impennò e balzò quasi fosse ammattito. - -I soldati, che pareva volesse schiacciare, si allontanarono -precipitevolmente. - -«Qua! qua! strillava il tenente de’ moschettieri, fermate! il mio -cavallo ha un giracapo!» - -E di fatti in un momento sembrò gli schizzasse il sangue dagli occhi e -diventò tutto bianco di spuma. - -«Qua! qua! gridava sempre d’Artagnan senza che i soldati si -arrischiassero a dargli ajuto, mi lascerete ammazzare? Gesù Signore!» - -Non sì tosto ebbe egli profferita questa esclamazione, si aperse la -porta, e si scagliarono con la spada in pugno Athos ed Aramis. - -E mercè l’astuzia di d’Artagnan era libero il varco. - -«I prigionieri che scappano! gridò il sergente. - -«Ferma! ferma! gridò d’Artagnan allentando la briglia al suo corsiero, -il quale si slanciò buttando in terra due o tre uomini. - -«_Stop! stop!_» urlarono i militari correndo a prender le armi. - -Ma i due detenuti erano già in sella, e non perderono tempo avviandosi -verso la porta più prossima. - -A mezza strada videro Grimaud e Blaisois che tornavano in cerca di loro. - -Athos con un cenno fece comprendere ogni cosa a Grimaud, il quale si -mise a seguitare la piccola comitiva che andava via come un turbine, e -che d’Artagnan correndole dietro stimolava vieppiù con la voce. - -Passarono sotto la porta come ombre senza che i guardiani pensassero -tampoco ad arrestarli, e furono in aperta campagna. - -Frattanto i soldati badavano a gridare: - -«_Stop! stop!_» - -Ed il sergente cominciando ad accorgersi di essere stato gabbato, si -strappava i capelli. - -Ed ecco giungere uno a cavallo con un foglio in mano. - -Mordaunt che se ne veniva coll’ordine del generale. - -«I prigionieri?» strillò smontando sollecito. - -Il sergente non ebbe fiato da rispondergli: gli additò la porta -spalancata e la stanza vuota. - -Mordaunt salì qualche scalino, comprese tutto, diede un urlo quasi gli -avessero squarciate le viscere, e cadde svenuto sulla pietra. - - - - -LXIII. - -_In cui si prova qualmente nelle più scabrose situazioni i cuori grandi -non perdono mai il coraggio, nè gli stomachi buoni l’appetito._ - - -La piccola comitiva, senza ricambiare una parola, senza guardarsi a -tergo, andò così di galoppo, traversando un fiumicello di cui nessuno -sapeva il nome, e lasciandosi a sinistra una città che Athos ebbe in -idea fosse Durham. Vide al fine un picciol bosco, e diè l’ultimo colpo -di sprone a quella parte. - -Quando i compagni furono dietro ad una stesa di verdura abbastanza -folta per nasconderli a chi poteva inseguirli, si ristettero alquanto -onde tener consiglio, dettero a reggere le bestie a due lacchè acciò si -riposassero senza spogliarli della sella e delle briglie, e misero in -sentinella Grimaud. - -«Prima di tutto venite qua, ch’io vi abbracci, amico mio, disse Athos -a d’Artagnan; voi nostro salvatore, voi che fra di noi tutti siete il -vero eroe. - -«Athos ha ragione, ed io vi ammiro, continuò Aramis dandogli pure -un amplesso. A che mai non dovreste pretendere, con un padrone -intelligente, voi occhio infallibile, braccio di ferro, mente -vincitrice! - -«Adesso, rispose il Guascone, tutto ciò va bene; accetto tutto per me -e per Porthos, abbracciamenti e ringraziamenti; oh abbiamo tempo da -perdere, non dubitate!» - -I due, richiamati da d’Artagnan a ciò che dovevano ancora a Porthos, -strinsero ad esso pure la destra. - -«Ormai, osservò Athos, bisognerebbe non più andare a caso e come tanti -pazzi, ma stabilire un piano. Che faremo? - -«Che faremo, caspita! non è mica difficile a dirsi. - -«Or dunque, dite, d’Artagnan. - -«Eccoci: arrivare al porto di mare più vicino, riunire tutte le nostre -tenui risorse, noleggiare un bastimento e recarci in Francia. Per me, -c’impiegherò sino all’ultimo mio soldo. Il primo tesoro è la vita, e la -nostra, è forza dichiararlo, sta attaccata ad un filo. - -«Du Vallon, che ve ne pare? domandò Athos. - -«Io sono del medesimo parere che d’Artagnan; egli è un triste paese, -l’Inghilterra! - -«Sicchè siete assolutamente deciso ad abbandonarla? chiese Athos al -Guascone. - -«Per diana! fece questi, non so che cosa mi ci possa trattenere». - -Athos ricambiò uno sguardo con Aramis. - -«Dunque andate, amici miei! disse quindi, e sospirò. - -«Come, andate! replicò d’Artagnan, andiamo, mi pare. - -«No, mio caro, disse Athos, è d’uopo che ci lasciamo. - -«Lasciarci! ripetè il tenente attonito. - -«Eh via! seguitò Porthos, e perchè mai, una volta che siamo insieme? - -«Perchè il vostro incarico è adempiuto, e potete, anzi dovete, -ritornare in Francia; ma il nostro non lo è già. - -«Il vostro no? fece d’Artagnan vieppiù stupefatto. - -«No, amico, replicò Athos con la sua voce per solito sì dolce eppur -salda. Noi qui venimmo a difendere il re Carlo, lo difendemmo male, e -ci rimane di salvarlo. - -«Salvare il re!» esclamò il tenente. - -E guatò Aramis. - -Questi si limitò ad un cenno colla testa. - -Sul volto a d’Artagnan comparve un che di compassione profonda; ei -principiava a credere di aver da fare con due insensati. - -«Athos, egli disse, non può essere che parliate da senno. Il re è in -mezzo ad un’armata che lo conduce a Londra. Questa è comandata da un -macellajo, o figlio di macellajo, poco importa, il colonnello Harrison. -A Sua Maestà sarà fatto il processo appena giunto a Londra, io ve lo -accerto; ho inteso abbastanza dalla bocca del generale Cromvello per -sapere a che aspettarmi». - -Athos ed Aramis ricambiarono un’altra occhiata. - -«E fatto il processo, continuò d’Artagnan, non tarderà ad eseguirsi -la sentenza. Oh sono genti che si disbrigano presto, quei signori -puritani! - -«Ed a qual pena supponete che il re sia condannato? chiese Athos. - -«Temo assai che sia a morte. Troppo fece contro di lui per ch’egli li -perdoni, ed a loro non rimane che un mezzo, cioè di ucciderlo. Non vi -è forse noto quel detto di Oliviero Cromvello allorchè venne a Parigi -e gli fu mostrata la torre di Vincennes dov’era rinchiuso il signor di -Vendome? - -«Sì, che mi è noto quel detto tremendo, e mel rammento pur troppo, fece -Athos. - -«E credete che non ponga in esecuzione la sua massima, or che tiene il -re nelle mani? - -«Sì, anzi ne sono sicuro; ma è una ragione di più per non abbandonare -l’augusta testa minacciata. - -«Athos, voi impazzite! - -«No, amico; rispose dolcemente il gentiluomo, ma Winter è venuto a -cercarci in Francia, e ci ha condotti presso Enrichetta. Sua Maestà ne -ha fatto l’onore, a d’Herblay ed a me, di richiederci il nostro ajuto -a pro del suo sposo; noi abbiamo impegnato con essa la nostra parola: -la nostra parola racchiudeva tutto; a lei vincolavamo la nostra forza, -il nostro intelletto, la nostra vita, e dobbiamo mantenere l’impegno. -Pensate voi così, d’Herblay? - -«Sì, disse Aramis, abbiamo promesso. - -«E poi, seguitò Athos, v’è un’altra ragione, ed eccola: ascoltatemi. In -questo momento tutto in Francia è meschino e povero; abbiamo un re di -dieci anni, che ancor non sa che si voglia — una regina acciecata da -una tarda passione — un ministro, che amministra la Francia conforme -farebbe di una vasta fattoria, cioè non curandosi se non dell’oro che -può cavarvi, coltivandone il terreno con astuzia e raggiro italiano -— principi che sostengono un’opposizione tutta loro individuale ed -egoistica, e non giungeranno ad altro che ad estorcere da Mazzarino -qualche gruppo d’oro, qualche avanzo di potere. Io gli ho serviti, -non per entusiasmo (Dio sa che gli stimo per quel che vagliono), ma -per principio. Oggi la cosa è diversa: m’incontro dinanzi un altro -infortunio, un regio infortunio, un infortunio europeo, ed a questo io -mi lego. Se perveniamo a salvare il re, sarà un bel tratto; e grande -sarà se per esso moriamo. - -«Dunque sapete anticipatamente di potervi perire? disse d’Artagnan. - -«Lo temiamo, e l’unico nostro dolore è di morire lungi da voi. - -«Che farete in un paese estero, nemico? - -«Da giovane io viaggiai in Inghilterra; parlo l’inglese come un -Inglese, ed Aramis pure ha qualche cognizione di quella lingua. Ah se -avessimo anche voi, amici miei! Con voi, d’Artagnan e Porthos, tutti e -quattro, e riuniti per la prima volta dopo venti anni, faremmo fronte -non solo all’Inghilterra ma ai tre regni! - -«E prometteste a quella regina, riprese d’Artagnan di mal umore, -di forzare la torre di Londra, di uccidere centomila soldati, di -contrastare vittoriosamente contro il voto di una nazione e l’ambizione -di un uomo, quando quest’uomo si chiama Cromvello! Voi nol vedeste, -quest’uomo, Athos! nè voi, Aramis! Egli è un uomo di genio che assai -mi ha rammentato il nostro ministro, l’altro, il grande! sapete pure, -Richelieu. Or dunque non vi fate un’idea esagerata dei vostri obblighi. -Athos, in nome del cielo, non vi date ad un inutile zelo. Quando vi -guardo, in verità mi pare di vedere un soggetto ragionevole; quando -mi rispondete, mi sembra di aver che fare con un pazzo. Orsù, Porthos, -unitevi a me: che pensate di tutto questo? ditelo schiettamente. - -«Nulla di buono, rispose Porthos. - -«Animo, continuò d’Artagnan impaziente dacchè Athos invece di -ascoltarlo mostrava quasi ascoltare una voce interna che gli parlasse, -non vi trovaste giammai scontento de’ miei consigli. Ebbene! credetemi, -Athos, la vostra missione è terminata, e nobilmente; tornate in Francia -con noi. - -«Amico, replicò Athos, la nostra risoluzione è immutabile. - -«Ma avrete allora altri motivi a noi ignoti?» - -Athos sorrise. - -D’Artagnan si battè con collera sulla coscia, e balbettò le ragioni più -convincenti che potè rinvenire; ma l’altro rispondeva a tutte con un -quieto e dolce sorriso, come Aramis con semplici cenni della testa. - -«Or via, esclamò alfine il Guascone furibondo, or via, giacchè così -volete, si lascino le nostre ossa in questo triste paese dove fa -sempre freddo, ed il bel tempo è nebbia, la nebbia, pioggia, la pioggia -diluvio, e dove il sole somiglia alla luna, e la luna ad una forma di -cacio.... Realmente, morir qua o in altro luogo, poichè si deve morire, -poco ci cale! - -«Bensì, pensateci, mio caro, disse Athos, egli è morire più presto. - -«Eh! un po’ più presto o un poco più tardi, non merita il conto di -sofisticare. - -«Se di alcuna cosa io stupisco, aggiunse sentenziosamente Porthos, è -che non si sia digià fatto. - -«Oh! si farà, non dubitate! rispose d’Artagnan». - -Indi seguitò: - -«Sicchè tutto è stabilito, e se Porthos non vi si oppone.... - -«Io, interruppe Porthos, farò ciò che vogliate. D’altronde trovo -bellissimo ciò che ha detto poc’anzi il conte de la Fère. - -«Ma il vostro avvenire, d’Artagnan? la vostra ambizione, Porthos? - -«Il nostro avvenire, la nostra ambizione! ribattè il Guascone con una -celerità di favella quasi febbrile, e abbiam bisogno di occuparcene, -poichè salviamo il re? Salvato il re, raduniamo i suoi amici, battiamo -i puritani, riconquistiamo l’Inghilterra, rientriamo seco in Londra, e -lo rimettiamo comodamente sul suo trono. - -«Ed egli ci fa duchi e pari, terminò Porthos, a cui brillavano gli -occhi di allegrezza anco vedendo quel tempo futuro a traverso a una -favola. - -«O si scorda di noi, disse d’Artagnan. - -«Oh! fece Porthos. - -«Eh! se ne son visti dei casi, caro mio, e mi sembra che in addietro -rendemmo alla regina Anna un servigio non molto inferiore a quello che -or vogliamo rendere a Carlo I, lo che non tolse che Anna ci obliasse -per quasi venti anni. - -«Ma ciò non ostante, domandò Athos, vi rincresce forse di averglielo -reso? - -«No davvero; ed anzi, confesso che nei momenti di mia maggior mestizia -ho trovato un conforto in quella rimembranza. - -«Vedete, d’Artagnan, che quei principi ci furono ingrati, ma Iddio non -lo è mai. - -«Sentite, Athos, io credo che se incontraste il diavolo sulla terra, -fareste tanto che ve lo portereste, starei per dire, con voi su in -cielo. - -«Sicchè...., disse Athos porgendo la destra a d’Artagnan. - -«Sicchè è finita; l’Inghilterra mi pare un paese delizioso, e vi -rimango, ma con un patto. - -«E quale?... - -«Di non essere obbligato ad imparare l’inglese. - -«Or bene, adesso, soggiunse Athos trionfante, ve lo giuro, per quel -Dio che ci ode, pel nome mio che reputo scevro da ogni macchia, son -d’opinione che vi sia una potenza la quale invigili su di noi, ed ho -speranza che tutti e quattro rivediamo la Francia. - -«Sarà, replicò d’Artagnan, ma confesso che son persuaso del contrario. - -«Questo caro d’Artagnan, disse Aramis, in mezzo a noi rappresenta -l’opposizione dei Parlamenti, che dicon sempre di no e fanno sempre sì. - -«Sì, ma che intanto salvano la patria, ripicchiò Athos. - -«Ora che tutto è fissato, propose Porthos stropicciandosi le mani, se -pensassimo a desinare? mi pare che nelle più critiche circostanze di -nostra vita abbiamo sempre pranzato. - -«Oh sì! discorrete di pranzo in un paese ove per gran banchetto non si -mangia se non del castrato cotto nell’acqua, e per gran trattamento non -si beve che birra! Come diavolo veniste in un luogo simile, Athos?... -Ah, scusate (aggiunse d’Artagnan sorridendo), mi dimenticavo che non -siete più Athos.... Basta, sentiamo il vostro piano per desinare, -Porthos. - -«Il mio piano? - -«Sì, lo avete? - -«Io no; ho fame, e non altro. - -«Per Bacco! s’è tutto questo, anch’io ho fame; ma ciò non basta, -bisogna trovare da mangiare, e ammenochè andiamo a pascolar l’erba come -i nostri cavalli.... - -«Ah! osservò Aramis, il quale non aveva fatto un tanto distacco dalle -cose terrestri come Athos, quando eravamo al Parpaillot, vi ricordate -che belle ostriche c’ingoiavamo? - -«E quei cosciotti di montoni delle paludi saline! fece Porthos -strisciando la lingua sulle labbra. - -«Ma, disse d’Artagnan, non abbiamo il nostro Mousqueton che ci faceva -campare tanto bene a Chantilly? - -«Giusto! fece Porthos, abbiamo Mousqueton; ma dacchè è maggiordomo è -rimminchionito.... che serve? si chiami». - -E per esser sicuro che colui rispondesse volentieri, gridò: - -«Ehi, Mouston!» - -Questi comparve; aveva la cera mesta, afflitta. - -«Che avete, caro signor Mouston? gli domandò il Guascone, vi sentile -forse male? - -«Ho fame.... - -«E appunto per questo v’invitiamo a venir qua. Non potreste procurarvi -a lacciuolo qualcuno di quei bei conigli, o qualcheduna di quelle -care pernici con cui facevamo lo stufato e il _salmì_.... alla locanda -di.... perdinci, non mi sovviene più il nome della locanda. - -«All’albergo di.... fece Porthos, affè neppur io me ne ricordo.... - -«Non importa.... e di soppiatto qualche bottiglia di quel vin vecchio -di Borgogna che tanto spesso guariva il vostro padrone? - -«Ahimè! sospirò Mousqueton, ho paura che le robe che voi ricercate -siano molto rare in questo brutto paese, e che faremmo meglio andando a -chiedere ospitalità al padrone di una casuccia che si scorge dall’orlo -del bosco. - -«Che! v’è una casa nelle vicinanze? disse d’Artagnan. - -«Signor sì. - -«Or bene, secondo voi suggerite, si vada là a domandare da pranzo. -Che ne pensate, signori? il consiglio di messer Mouston non vi sembra -giudiziosissimo? - -«Eh eh! obbiettò Aramis, e se il padrone è puritano? - -«Meglio così, caspita! s’è puritano gli annunzieremo la presa del re, e -in onore di tal notizia ci darà di belle galline di penne bianche. - -«Ma s’è cavaliere? bucinò Porthos. - -«Allora, ci porremo in aria da lutto e gli spenneremo i polli neri. - -«Avete la gran sorte voi, rispose Athos sorridendo della scappata del -Guascone, poichè vedete tutto in bell’aspetto. - -«Che volete? replicò d’Artagnan, io sono di una terra ove non si -distingue sul cielo un nuvolo. - -«Non è come in questa! disse Porthos». - -E stendeva la mano onde accertarsi che una certa freschezza da lui -sentita sulla guancia fosse propriamente prodotta da una goccia di -pioggia. - -«Andiamo, andiamo! seguitò d’Artagnan, ragione di più per avviarci.... -Olà, Grimaud!» - -Grimaud si presentò. - -«Ehi? chiese d’Artagnan, avete veduto qualche cosa? - -«Nulla, Grimaud rispose. - -«Imbecilli! fece Porthos, nemmeno ci hanno inseguiti.... Oh! se fossimo -stati noi ne’ loro piedi! - -«Han fatto male, tirò innanzi d’Artagnan, ed io direi volentieri due -paroline a Mordaunt in questa Tebaide. Mirate qua, che bel posto per -distendere un uomo in terra a modo e a verso! - -«Io per me stimo, osservò Aramis, che il figliuolo non sia della stessa -forza che la madre. - -«Oh! mio caro, disse Athos, aspettate! sono due ore sole che lo abbiamo -lasciato; non sa ancora da che parte ci dirigiamo, ignora persino dove -siamo. Lo diremo men forte di sua madre quando porremo il piede sulla -terra di Francia, se di qui a lì non siamo nè uccisi, nè avvelenati. - -«Ma frattanto pranziamo, propose Porthos. - -«Oh sì, cospetto! approvò Athos, chè ho un grande appetito. - -«Ed io pure, confermò d’Artagnan. - -«Guai a’ polli neri!» fece Aramis. - -E i quattro amici guidati da Mousqueton si incamminarono all’abitazione -indicata, già ritornati alla lor prima noncuranza; conciossiachè si -trovavano ormai, come aveva detto Athos, tutti quanti riuniti e di -comune accordo. - - - - -LXIV. - -_Salve alla decaduta Maestà._ - - -I nostri fuggiaschi, a misura che si appressavano alla casa, -vedevano guasto il terreno, quasi che preceduti gli avesse una turba -considerevole d’uomini a cavallo; davanti al portone erano ancor più -visibili le orme: dunque la turba, qualunque si fosse, ivi si era -fermata. - -«Per diana! disse d’Artagnan, è chiaro che qui son passati il re e la -sua scorta. - -«Oh diavolo! mormorò Athos, allora avranno divorato ogni cosa. - -«Eh via! avranno lasciato almeno una gallina!» - -E d’Artagnan smontò e bussò, ma nessuno gli rispose. - -Spinse la porta, che non era chiusa, e si accorse la prima stanza esser -vuota e abbandonata. - -«Ebbene? domandò Porthos. - -«Non vedo alcuno.... ah ah! - -«Che mai? - -«Sangue!» - -A tal parola gli altri tre balzarono giù da cavallo ed entrarono. - -Ma d’Artagnan aveva di già passato l’uscio della seconda camera, e -dall’alterazione del suo sembiante si discerneva esser ivi qualche cosa -di straordinario. - -E avvicinatisi tutti videro un uomo ancor giovane disteso al suolo in -un botro di sangue. Era chiaro che avesse tentato di arrivare sino al -suo letto, e mancatagli la forza fosse prima caduto. - -Athos fu il primo ad appressarsi al disgraziato; gli pareva che avesse -fatto un moto. - -«Ebbene? domandò d’Artagnan. - -«Eh! disse Athos, se è morto, lo è da poco tempo, giacchè è ancora -caldo... Ma no, gli batte il cuore... ohi, amico!» - -Il ferito diede un sospiro. D’Artagnan presa dell’acqua sulla palma -della mano glie la gettò sul viso. - -Quegli riaperse gli occhi, fece un atto come per alzare il capo e -ricascò di nuovo. - -Athos si provò a trarselo sulle ginocchia; però conobbe che la ferita -era un poco più su del cervello e gli spaccava il cranio; ne usciva il -sangue in abbondanza. - -Aramis bagnò un tovagliuolo nell’acqua, e l’applicò su la piaga; il -fresco richiamò in sè l’infermo; esso riaperse per la seconda volta gli -occhi. - -Guatò attonito coloro, che parea lo compiangessero, e per quanto -potevano cercavano assisterlo. - -«Siete con degli amici, gli disse Athos in inglese; dunque state pur -quieto, e se avete forza raccontateci che vi è successo. - -«Il re, balbettò l’ammalato, il re è prigioniero. - -«Lo avete visto? domandò Aramis nel medesimo idioma». - -Colui non fiatò. - -«Non dubitate, soggiunse Athos, siamo servi fedeli di Sua Maestà. - -«È vero ciò che mi dite? - -«Sul nostro onore da gentiluomini. - -«Dunque posso dirvi tutto. - -«Parlate. - -«Io son fratello di Parry, cameriere di Sua Maestà». - -Athos ed Aramis si rimembrarono che con quel nome Winter aveva chiamato -il lacchè da loro trovato nel corridojo della regia tenda. - -«Lo conosciamo, disse Athos, non lasciava mai il re. - -«Appunto. Or bene, vedendo che il re era preso, pensò a me. Passavano -davanti alla casa, ed egli in nome del re domandò di fermarvisi. Questo -fu accordato. Si diceva che il re aveva fame; lo fecero entrare nella -camera dove son io acciò si cibasse, e misero delle sentinelle alle -porte e alle finestre. - -«Parry conosceva questa stanza, giacchè più volte mentre Sua Maestà era -a Newcastle, era venuto a vedermi; sapeva che v’era una botola la quale -conduceva in cantina, e di là si poteva andar nell’orto. - -«Mi fece un cenno. Io lo capii. Ma di certo i guardiani del re se -ne accorsero ed entrarono in diffidenza. Io, ignorando che avessero -qualche sospetto, non ebbi più altro desiderio che di salvare Sua -Maestà. Finsi dunque di uscire per andare a prendere della legna, -pensando non esserci tempo da perdere. M’introdussi nel passaggio -sotterraneo che metteva alla cantina alla quale corrispondeva la -botola, con la testa sollevai la tavola, e intanto che Parry spingeva -piano il chiavistello dell’uscio, ammiccai al re che mi seguisse. -Ahimè! non voleva; pareva che gli repugnasse quella fuga. Ma Parry lo -supplicò a mani giunte, e anch’io lo implorai onde non lasciasse una -tale occasione. Alla fine si decise a venire appresso a me. Per buona -sorte io camminai avanti, e quando il re mi era dietro di poco, ecco ad -un tratto che nel passaggio sotterraneo vidi dirizzarsi come una grande -ombra. Volevo gridare per avvertire Sua Maestà, ma non ebbi tempo. -Sentii un colpo come se mi crollasse sul capo il casamento, e caddi -svenuto. - -«Buono e leale Inglese! servo fedele!» disse Athos. - -«Quando ritornai in me ero disteso nel medesimo posto. Mi trascinai -sino al cortile. Il re e la scorta erano partiti. Impiegai forse un’ora -a venire dal cortile a qui, ma poi mi mancarono le forze ed ebbi un -nuovo deliquio. - -«E adesso come vi sentite? - -«Molto male. - -«Possiamo giovarvi a qualche cosa? domandò Athos. - -«Ajutatemi a mettermi sul letto; mi pare che ci troverò un po’ di -sollievo. - -«Avete alcuno che vi assista? - -«Mia moglie è a Durham, e tornerà a momenti.... Ma voi, signori, non -avete bisogno di niente? non bramate niente? - -«Eravamo venuti con intenzione di chiedervi da mangiare. - -«Ohimè! hanno preso tutto, non ci resta un tozzo di pane. - -«Capite, d’Artagnan? disse Athos, conviene andar a cercarci altrove il -pranzo. - -«Non m’importa oramai, rispose d’Artagnan, non ho più fame. - -«In verità, neppur io» rispose Porthos. - -E trasportarono l’uomo sul suo letto. Fu chiamato Grimaud, il quale gli -curò la ferita. Grimaud al servizio dei quattro camerati aveva avuto -tante volte occasione di far fila e piumacciuoli, che aveva acquistata -una certa tinta di chirurgia. - -Frattanto i nostri fuggiaschi tornati nella prima stanza tenevano -consiglio. - -«Adesso, cominciò Aramis, sappiamo come va; il re e la sua scorta sono -quelli passati di qui: è d’uopo prendere dalla parte opposta. Siete di -quest’opinione?» - -Athos, al quale ei dirigeva l’interrogazione, rifletteva, e non rispose. - -«Sì, disse Porthos, si pigli dal lato opposto. Se seguitiamo la scorta, -troveremo tutto divorato e finiremo con morir di fame. Che maladetto -paese è questa Inghilterra! sarà la prima volta ch’io sia rimasto senza -desinare; e per me il desinare è il miglior pasto. - -«Che pensate, d’Artagnan? domandò Athos, siete del parere di Aramis? - -«No; sono anzi del parer contrario. - -«Come! volete andare appresso a loro! - -«No, ma a fare la medesima strada». - -Ad Athos brillarono di gioja le pupille. - -«La stessa strada che la scorta! esclamò Aramis. - -«Lasciate parlare d’Artagnan, disse Athos, sapete pure ch’è uomo di -buon consiglio. - -«Sicuramente, rispose d’Artagnan, bisogna andare dove non saremo -cercati; si guarderanno bene dal cercarci fra i puritani, dunque si -vada fra questi. - -«Benissimo, amico! ottimo suggerimento! fece Athos, ero io per darlo, -quando mi avete prevenuto. - -«Siete dunque di questo sentimento? chiese Aramis. - -«Sì. Crederanno che vogliamo abbandonare l’Inghilterra, e ci -cercheranno nei porti; nel frattempo arriviamo a Londra col re; una -volta là, non siamo più reperibili: in mezzo a un milione d’individui -non è difficile il nascondersi.... senza contare (continuava Athos -dando uno sguardo ad Aramis) le eventualità che ci offre un tal -viaggio. - -«Sì, disse Aramis, v’intendo. - -«Io non intendo, disse Porthos, ma non serve; giacchè è l’opinione di -d’Artagnan e di Athos insieme, dev’essere la migliore. - -«Ma, obbiettò Aramis, non sembreremo sospetti al colonnello Harrison? - -«Eh cospettone! esclamò d’Artagnan, io conto appunto sopra di lui: -il colonnello Harrison è nostro amico; lo abbiam veduto due volte dal -generale Cromvello; sa che gli fummo inviati di Francia da Mazzarino, -e ci riguarderà come fratelli. E d’altronde, non è figlio di un -macellajo? sì, non è così? or bene, Porthos gl’insegnerà come con un -pugno si ammazzi un bue, ed io come si atterri un toro afferrandolo per -le corna, e con ciò ci cattiveremo la sua fiducia». - -Athos sorrise, e porgendo la mano al Guascone gli disse: - -«Siete il miglior compagno ch’io conosca, e sono pur contento di avervi -ritrovato, figlio mio». - -Codesto, conforme ci è noto, era il nome che Athos soleva dargli ne’ -suoi momenti di cordiale sfogo. - -Nell’istante uscì dalla camera Grimaud. Il ferito medicato stava -alquanto meglio. - -I quattro amici tolsero da lui commiato, domandandogli se avesse da -incombenzargli di alcuna cosa per suo fratello. - -«Ditegli, ei rispose, che faccia sapere al re che non mi hanno -ammazzato del tutto; per poco ch’io mi sia, sono certo che a Sua Maestà -duole di non avermi e che a sè stessa fa rimprovero della mia morte. - -«State quieto, disse d’Artagnan, lo saprà innanzi sera». - -La comitiva si rimise in viaggio; non v’era da sbagliar la strada: -quella per cui voleva incamminarsi era tracciata visibilmente sulla -pianura. - -Dopo un tragitto di due ore in silenzio, d’Artagnan ch’era il primo -avanti si ristette alla svolta di una via. - -«Ah ah! esclamò, ecco i nostri». - -Diffatti alla distanza di circa mezza lega compariva una considerevole -turba di uomini a cavallo. - -«Amici cari, disse d’Artagnan, date le vostre spade a Mousqueton, che -ve le consegnerà a tempo e luogo, e non vi dimenticate che siete nostri -prigionieri». - -Indi si regolarono al trotto i cavalli che cominciavano ad essere -stanchi, ed in breve si fu raggiunta la scorta. - -Il re, alla testa di questa, circondato da porzione del reggimento del -colonnello Harrison, se n’andava impassibile, sostenuto, con una specie -di buona volontà. - -Scorgendo Athos ed Aramis ai quali neppur gli si era dato campo di -dire addio, e leggendo ne’ loro sguardi come ei si avesse tuttora degli -amici poco lontani, sebben credesse quegli amici prigionieri, venne un -rossore di soddisfazione sulle pallide guancie del sovrano. - -D’Artagnan passò sino alla testa della colonna, e lasciati i suoi amici -in custodia a Porthos, si appressò ad Harrison, il quale lo riconobbe -per averlo visto da Cromvello, e lo accolse civilmente conforme -convenivasi ad un uomo di quella condizione e di quel carattere. -Accadde ciò che aveva preveduto d’Artagnan: il colonnello non aveva nè -aver poteva alcun sospetto. - -Fu fatto alto. A quella fermata doveva pranzare il re. Soltanto questa -volta furono prese delle precauzioni onde non tentasse di fuggire. -Nella gran sala dell’albergo s’apparecchiò un tavolino per lui ed una -tavola grande per gli ufficiali. - -«State a pranzo con me? domandò Harrison a d’Artagnan. - -«Diamine! disse questi, ne avrei sommo piacere, ma ho il mio compagno -signor du Vallon, e i miei due prigionieri, che non posso lasciare -e che ingombrerebbero la vostra mensa. Però facciamo meglio; fatemi -preparare in un canto una tavola, e mandateci dalla vostra ciò che vi -parrà, giacchè diversamente andiamo a rischio di morir di fame. Sarà -sempre desinare insieme, poichè saremo nella stessa stanza. - -«Va bene» fece Harrison. - -Le cose si accomodarono a norma del desiderio del nostro tenente, e -quando esso tornò appresso al colonnello trovò il re già seduto al suo -posto e servito da Parry, Harrison ed i suoi ufficiali tutti uniti, e -da parte i posti riserbati per lui ed i suoi compagni. - -La tavola a cui stavano gli ufficiali era rotonda, ed o fosse per caso, -o per apposita villania, Harrison volgeva le spalle al re. - -Il re vide entrare i quattro gentiluomini, ma non mostrò di badare ad -essi minimamente. - -Questi andarono a porsi attorno al desco a loro destinato, e si -situarono in guisa da non voltar la schiena a nessuno. Avevano di -faccia il desco degli uffiziali e quello del re. - -Harrison, per onorare i suoi commensali, mandava ad essi i migliori -piatti. Disgraziatamente pei quattro camerati, mancava il vino. Ciò -sembrava indifferentissimo ad Athos, ma d’Artagnan, Porthos ed Aramis -facevano boccaccie ogni qualvolta toccava loro di bere la birra, quella -bibita puritana. - -«Affè, colonnello, disse d’Artagnan, vi siamo assai grati del vostro -gentile invito, giacchè se non eravate voi andavamo a rischio di stare -senza pranzo, come siamo rimasti senza colazione, ed ecco il mio amico -signor du Vallon che si associa alla mia riconoscenza, mentre aveva un -famosissimo appetito. - -«E l’ho tuttavia, disse Porthos salutando il colonnello Harrison. - -«E in che modo vi è successo quel gravissimo evento di restare senza -colazione? domandò ridendo Harrison. - -«Per una ragione molto semplice, rispose d’Artagnan. Avevo fretta di -raggiungervi, e per riuscirvi, avevo presa la stessa strada che voi, lo -che non avrebbe dovuto fare un vecchio foriere par mio, il quale ha da -sapere che dov’è passato un buono e prode reggimento come il vostro, -nulla rimane da spigolare. E quindi figuratevi il nostro disappunto, -quando arrivati ad una bella casetta situata sull’orlo del bosco, e -che da lontano coi tetti rossi e con le imposte verdi aveva un’aria da -festa che dava piacere, invece di trovarvi i polli che ci proponevamo -di arrostire ed i prosciutti che volevamo mettere sulla gratella, non -vedemmo che un povero diavolo tutto bagnato.... Caspita! colonnello, -fate i miei complimenti a quello fra’ vostri uffiziali che ha data -quella botta; l’ha assegnata bene, e tanto ch’è stata ammirata dal mio -signor du Vallon, che mena colpi a modo egli pure. - -«Sì, fece Harrison ridendo e accennando cogli occhi un officiale che -aveva vicino, quando Groslow s’incarica di tali faccende, non v’è -bisogno di rimetterci le mani dopo di lui. - -«Ah! è questo signore? disse d’Artagnan salutando il soggetto -indicatogli, mi rincresce che non parli francese per presentargli le -mie congratulazioni. - -«Sono pronto a riceverle e a rendervele, signore, rispose colui in buon -francese, giacchè ho dimorato tre anni a Parigi. - -«Or bene, continuò il tenente, mi fo premura di dirvi che applicaste sì -egregiamente il colpo da aver quasi ucciso quell’uomo. - -«Credevo averlo ucciso affatto, ribattè Groslow. - -«No: è vero che v’è mancato poco, ma non è morto». - -Così dicendo d’Artagnan vibrò uno sguardo verso Parry, che stava in -piedi davanti al re, col pallore di morte sulla fronte, per accennargli -che quella notizia era diretta a lui. - -Il re aveva ascoltato il dialogo col cuore oppresso da inesprimibile -angoscia, mentre ignorava che fosse per concludere il militare -francese, e lo irritavano quei dettagli celati sotto l’apparenza di -assoluta non curanza. - -Solamente respirò libero alle ultime parole da questo profferite. - -«Ah diamine! disse Groslow, mi pensavo di esser riuscito meglio. Se non -fosse tanto lontana di qui la casa di quel miserabile, ci tornerei a -rifinirlo. - -«E fareste benone, se avete paura ch’ei la scapoli, rispose d’Artagnan; -giacchè sapete che quando le ferite in testa non ammazzano sull’atto, -dopo otto giorni sono bell’e risanate». - -E d’Artagnan lanciò una nuova occhiata a Parry, sul volto del quale -appariva tanta gioja che Carlo gli porse la mano sorridendo. - -Parry chinatosi sulla mano del suo padrone, gliela baciava -rispettosamente. - -«In verità, disse Athos a d’Artagnan, siete un uomo di parole e di -spirito. Ma del re, che ne dite? - -«Mi va a genio la sua fisonomia: ha l’aspetto al tempo stesso buono e -nobile. - -«Sì, ma si lascia prendere, seguitò Porthos, e questo è mal fatto. - -«Ho voglia di bere alla salute del re, disse Athos. - -«Dunque permettete ch’io faccia il brindisi, propose d’Artagnan. - -«Fate pure» approvò Aramis. - -Porthos guardava d’Artagnan maravigliando delle incessanti risorse che -gli forniva il suo spirito da Guascone. - -Questi prese il bicchiere, ed avendolo empiuto si alzò. - -«Signori, disse ai compagni, beviamo, se così vi piace, alla salute di -quello che presiede al pasto, del nostro colonnello, ed esso sappia che -siamo a’ suoi comandi sino a Londra e più oltre». - -Siccome pronunziando questo, d’Artagnan fissava in viso Harrison, -Harrison s’immaginò che per lui fosse il brindisi, e riverì i quattro -amici, i quali ferme le pupille sul re Carlo, trincarono insieme, -frattanto che Harrison dal canto suo vuotava il suo gotto senza alcuna -diffidenza. - -Carlo porse il bicchiere a Parry, che vi versò qualche goccia di birra, -giacchè il re stava alla regola di tutti gli altri, e portatoselo -alle labbra osservando a vicenda i quattro gentiluomini, bevve con un -sorriso ricolmo di nobiltà e di gratitudine. - -«Orsù! esclamò Harrison posando il gotto e senza il minimo riguardo per -l’illustre prigioniero che conduceva, in viaggio! - -«Dove si pernotta, colonnello? - -«A Tyrsk. - -«Parry, disse il re alzatosi pure e voltosi al suo cameriere, il mio -cavallo; voglio andare a Tyrsk. - -«Affè, disse d’Artagnan ad Athos, il vostro re mi ha propriamente -sedotto, ed io sono totalmente a sua disposizione. - -«Se codesto che mi dite è sincero, rispose Athos, non arriverà sino a -Londra. - -«Come mai? - -«Sì, perchè prima di quel momento lo avremo portato via. - -«Oh! questa volta poi, in parola d’onore, siete pazzo, fece d’Artagnan. - -«Dunque avete già stabilito qualche progetto? domandò Aramis. - -«Eh! disse Porthos, non sarebbe impossibile se si avesse un buon -progetto. - -«Io non l’ho, replicò Athos, ma d’Artagnan ne troverà uno». - -Il tenente si strinse nelle spalle, e tutti si partirono. - - - - -LXV. - -_D’Artagnan trova un progetto._ - - -Athos conosceva d’Artagnan forse meglio che questi non conoscesse sè -stesso. Sapeva che in una mente avventurosa come la sua basta lasciar -cadere un pensiero, alla guisa medesima che in un terreno vigoroso e -ubertoso basta lasciar cadere un grano. Non si era quindi curato che il -Guascone si fosse stretto nelle spalle, ed aveva continuato a camminare -favellandogli di Raolo, argomento che in un’altra circostanza, e noi ce -ne ricordiamo, aveva ben anzi schivato. - -A notte giunsero a Tyrsk. I quattro amici si mostrarono totalmente -estranei e indifferenti alle misure di precauzione che si prendevano -per assicurarsi della persona del re. Si ritirarono in una casa -particolare, ed avendo da un momento all’altro da temere per sè stessi, -si stabilirono in una sola stanza, riserbandosi la uscita per il caso -di attacco. I servi furono distribuiti in varj luoghi. Grimaud si -coricò sur un fascio di paglia traverso all’uscio. - -D’Artagnan era pensieroso, ed a momenti pareva che avesse perduta la -sua loquacità consueta. Non diceva una parola, e fischiava, andando dal -letto alla finestra. Porthos, il quale non osservava altro mai che le -cose esterne, gli discorreva secondo il consueto. D’Artagnan rispondeva -con dei monosillabi. Athos ed Aramis si guatavano sorridendo. - -La giornata era stata faticosa, eppure, tranne Porthos che aveva il -sonno inflessibile quanto l’appetito, gli amici dormirono malamente. - -Alla mattina dipoi, il primo in piedi fu d’Artagnan. Era sceso alle -scuderie, avea visitati i cavalli e date le istruzioni necessarie, ed -Athos ed Aramis non erano peranco alzati, e Porthos russava ancora. - -La mattina alle otto si misero in cammino nello stesso ordine che la -sera innanzi. Soltanto d’Artagnan lasciò avviarsi gli amici dal loro -lato, e andò a rinnovare con mastro Groslow la relazione intavolata. - -Questi, dolcemente accarezzato in cuore dai suoi elogi, lo accolse con -un sorriso graziosissimo. - -«Davvero, gli disse d’Artagnan, mi stimo fortunato di trovare qualcuno -che voglia parlare la mia povera lingua. Il signor du Vallon mio amico -è di carattere molto malinconico, talchè non gli si possono cavar di -bocca quattro parole al giorno; i nostri due prigionieri, poi, capirete -che hanno poca volontà di far conversazione. - -«Sono realisti nell’anima, disse Groslow. - -«Ragione di più perchè ci serbino rancore di aver preso lo Stuart, al -quale spero che farete adesso un processo bello e buono. - -«Eh! fece Groslow, lo conduciamo per questo appunto a Londra. - -«E non lo perdete di vista, mi figuro. - -«Capperi! lo credo, io! Lo vedete, aggiunse ridendo l’ufficiale, ha una -scorta veramente regia! - -«Oh! di giorno non v’è pericolo che vi sfugga, ma di notte.... - -«Di notte si raddoppiano le cautele. - -«E qual metodo di sorveglianza adoprate? - -«Restano costantemente otto uomini nella sua camera. - -«Diamine! fece d’Artagnan, è custodito per bene. Ma fra quegli otto, -voi mettete senza dubbio una guardia fuori? non sono mai troppe le -precauzioni contro un simile prigioniero. - -«Oh no! figuratevi: che volete che facciano due senz’armi contro otto -uomini armati? - -«Come, due? - -«Sì, il re ed il suo cameriere. - -«Dunque è stato permesso ai camerieri di non abbandonarlo? - -«Sì; Stuart ha chiesto gli si concedesse questa grazia, ed il -colonnello Harrison vi ha aderito. Col pretesto ch’è re, pare non possa -vestirsi nè spogliarsi da sè solo.... - -«In verità, capitano, disse d’Artagnan deciso a continuare verso -l’ufficiale inglese il sistema di lodi riuscitogli tanto bene, più -vi ascolto, e più stupisco della facilità ed eleganza con cui parlate -francese. Siete stato in Parigi tre anni, va ottimamente, ma io potrei -stare a Londra tutta la vita, e di certo non arriverei al grado al -quale voi siete.... E che facevate in Parigi? - -«Mio padre, ch’è negoziante, mi aveva impiegato dal suo corrispondente, -e questi dal canto suo aveva mandato il suo figliuolo dal mio genitore: -è uso fra commercianti di far simili cambi. - -«E Parigi vi piacque, signor mio? - -«Sì, ma avreste gran bisogno di una rivoluzione sul genere della -nostra: non contro il vostro re, ch’è un ragazzo, ma contro l’Italiano -spilorcio ch’è amante della vostra regina. - -«Ah! sono anch’io del vostro sentimento, e si farebbe presto se -avessimo solamente dodici uffiziali come voi, senza pregiudizi, -vigilanti; eh, eh! ci si verrebbe a capo del Mazzarino, e gli si -farebbe un bel processetto sul gusto di quello che voi siete per fare -al vostro re. - -«Ma, disse l’Inglese, avevo nell’idea che foste al suo servizio, e -ch’egli appunto vi avesse inviato al generale Cromvello? - -«Cioè io sono al servizio del re, e sapendo ch’ei doveva spedire -qualcuno in Inghilterra, ho procurato di esser io quello, tanto era -grande in me il desiderio di conoscere l’uomo di genio che attualmente -comanda ai tre regni. E così, quando ha proposto al signor du Vallon -ed a me di sguainare la spada in onore della vecchia Inghilterra, avete -veduto come abbiamo accettato. - -«Sì, so che caricaste al fianco al signor Mordaunt. - -«Alla sua destra, e alla sua sinistra. Per Diana! che buono e bravo -giovane è anco quello! come ha sdrucito il suo signore zio! avete -visto? - -«Lo conoscete? domandò l’ufficiale. - -«Moltissimo; anzi posso dire che siamo in istretta relazione. Il signor -du Vallon ed io siam venuti di Francia con lui. - -«Sembra pure che lo abbiate fatto aspettare un pezzo a Boulogne. - -«Che volete! disse d’Artagnan, ero come voi; avevo da far guardia ad un -re. - -«Ah ah! fece Groslow, e qual re? - -«Il nostro, per bacco! il piccolo _King_ Luigi decimoquarto». - -D’Artagnan si levò il cappello; l’Inglese per civiltà fece altrettanto. - -«E quanto tempo lo aveste in guardia? - -«Tre notti, e affè me le rammenterò sempre con piacere. - -«Dunque il giovane re è molto amabile? - -«Dormiva colle pugna chiuse. - -«E allora che mai volete dire? - -«Voglio dire che i miei amici ufficiali delle guardie dei moschettieri -venivano a tenermi compagnia, e passavamo le nottate a bere e giuocare. - -«Ah sì! sospirò Groslow, siete allegri compagni, voi altri Francesi. - -«Non giuocate forse anche voi quando siete di guardia? - -«No, mai. - -«In tal caso dovete annojarvi assai, e vi compiango, disse d’Artagnan. - -«Fatto sta, soggiunse Groslow, che mi sbigottisce il vedere arrivare il -mio turno: è lunga una notte intera a vegliare. - -«Sì, quando si veglia soli o con stupidi soldati; ma essendo con -un allegro compagno di giuoco, facendo correre l’oro e i dadi sul -tavolino, passano le ore come un sogno. Non vi piace il giuoco? - -«Anzi! - -«Per esempio, la zecchinetta? - -«Ci vado matto; in Francia mi ci divertivo tutte la sere. - -«E dacchè siete in Inghilterra? - -«Non ho toccato una carta nè un bossolo. - -«Vi compatisco! disse d’Artagnan in atto di profonda pietà. - -«Sentite, seguitò l’inglese, fate una cosa. - -«Cioè? - -«Domani io sono di guardia. - -«Presso a Stuart? - -«Sì: venite a far nottata con me. - -«È impossibile. - -«Impossibile? - -«Impossibilissimo. - -«Come mai? - -«Ogni notte fo la partita col signor du Vallon.... Qualche volta non -ci mettiamo neppure a letto.... ecco, stamani a giorno stavamo sempre -giuocando. - -«Ebbene? - -«Ebbene, s’infastidirebbe se lo lasciassi solo. - -«Regge forte a tavolino? - -«L’ho veduto perdere sino a duemila doppie ridendo come un pazzo. - -«Dunque conducetelo con voi. - -«Come volete? e i nostri prigionieri? - -«Oh diamine! è vero, rispose Groslow; ma fateli custodire dai vostri -lacchè. - -«Sì, per che scappino! non mi ci arrischio! - -«Ma sono uomini d’alta condizione, poichè vi premono tanto? - -«Capperi! uno è un ricco signore della Turrena; l’altro un cavaliere di -Malta di casa grandissima. Abbiamo trattato del riscatto di ciascuno -a due mila lire sterline arrivando in Francia. Sicchè non vogliamo -abbandonare un momento soggetti che i nostri servitori sanno esser -milionarj. Nel prenderli gli abbiamo frugati un poco, e vi confesserò -di più che ogni notte du Vallon ed io mungiamo alquanto la loro borsa, -ma possono averci nascosto qualche pietra preziosa, qualche diamante -di valore, talchè noi siamo simili agli avari che non lasciano il loro -tesoro; ci siamo costituiti guardiani permanenti di coloro, e quando io -dormo, du Vallon sta desto. - -«Ah ah! fece l’Inglese. - -«Adesso capite ciò che mi obbliga al ricusare la vostra garbatezza, -alla quale però sono tanto più sensibile dacchè nulla v’ha di più -nojoso che il giuocar sempre con la stessa persona: si compensano di -continuo in eterno le sorti favorevoli e contrarie, e a capo a un mese -si trova di non aver fatto nè mal nè bene. - -«Ah! disse Groslow sospirando, v’è una cosa ancor più nojosa, ed è di -non giuocare affatto. - -«Lo comprendo! disse d’Artagnan. - -«Ma vediamo un po’, seguitò l’altro, son uomini pericolosi quei vostri? - -«In quanto a che? - -«Son capaci di tentare un colpo di mano?» - -D’Artagnan diede in uno scroscio di risa. - -«Gesù Dio! esclamò, uno batte la febbre, non potendo assuefarsi al bel -paese da voi abitato; l’altro è un cavaliere di Malta, timido al pari -di una fanciulla; e per maggior sicurezza abbiamo tolto loro anche i -coltelli piegatoj e le cesoje da tasca. - -«Or bene, propose Groslow, conducete anco loro. - -«Come volete?... - -«Ma si, io ho ott’uomini. - -«Ebbene? - -«Quattro faran guardia ed essi, e quattro al re. - -«In sostanza, disse d’Artagnan, si potrebbe aggiustar così, benchè vi -do un grande incomodo. - -«Eh via! venite, e vedrete come sistemerò tutto. - -«Oh! io non ci penso, rispose il nostro tenente, con un uomo della -vostra fatta, vado a occhi chiusi». - -Quest’ultimo tratto di adulazione cavò dall’uffiziale uno di quei -sorrisi di soddisfazione che rendono le persone amiche a quello che li -provoca, essendo un’evaporazione della vanità accarezzata. - -«Ma, disse d’Artagnan, ora che ci penso, e che ostacolo vi sarebbe a -cominciare stassera? - -«Che cosa? - -«La nostra partita. - -«Nessuno, replicò Groslow. - -«Or dunque, stassera venite da noi, e domani vi renderemo la visita. -Se nei nostri uomini, che secondo sapete sono realisti accaniti, v’è -qualcosa che vi dia inquietudine, non sarà fatto niente, e avremo -sempre passata una buona nottata. - -«A meraviglia! questa notte da voi, domani da Stuart, doman l’altro da -me. - -«E gli altri giorni a Londra. Eh caspita! vedete che si può far vita -allegra da per tutto! - -«Sì, quando s’incontrano dei Francesi, e Francesi come voi, disse -Groslow. - -«E come du Vallon; vedrete che pezzo è quello! della _Fronda_ in carne -e in ossa, un uomo ch’è stato in procinto di ammazzare fra uscio e muro -il Mazzarino. E’ lo impiegano perchè ne hanno paura. - -«Sì, confermò Groslow; ha buona ciera, e senza ch’io lo conosca mi va -veramente a genio. - -«E sarà ben altro quando lo conosciate.... Oh! ecco che mi chiama. -Perdonatemi, siamo in sì stretta relazione che non può star senza di -me.... mi scusate? - -«Eh diamine! - -«Addio a questa sera. - -«Da voi? - -«Da me». - -L’Inglese ed il Francese si salutarono, e quest’ultimo ritornò presso i -suoi camerati. - -«Che diavolo avevate da discorrere con quel cane _bouledogue_? domandò -Porthos. - -«Mio caro, disse d’Artagnan, non parlate così del signor Groslow, è -amico mio intrinseco. - -«Vostro amico, quell’ammazzatore di contadini! - -«Zitto, Porthos, zitto! è vero, sì, il Groslow è un po’ troppo vivo, -ma in fondo io ho scoperte in lui delle buone qualità: è sciocco e -orgoglioso». - -Porthos stupefatto spalancava gli occhi; Athos ed Aramis si guardavano -sorridendo: conoscevano d’Artagnan, e sapevano ch’ei nulla faceva senza -uno scopo. - -«E poi, continuò questi, lo apprezzerete da voi medesimo. - -«In qual modo? - -«Stassera ve le presento, viene a giuocare con noi. - -«Oh oh! disse Porthos a cui si accesero gli occhi, ed è ricco? - -«È figliuolo di uno dei più facoltosi negozianti di Londra. - -«E sa la zecchinetta? - -«È la sua passione. - -«La bassetta? - -«È la sua smania. - -«Il biribisso? - -«C’è famoso, - -«Bene! fece Porthos, passeremo una piacevole nottata. - -«Piacevole tanto più che ce ne prometterà una migliore. - -«Come mai? - -«Noi lo riceviamo a giuocare stassera; egli riceve noi domani. - -«E dove? - -«Ve lo dirò. Adesso non ci occupiamo che d’una cosa: di corrispondere -degnamente all’onore che ci comparte il signor Groslow. Stassera ci -fermeremo a Derby; Mousqueton vada avanti, e se v’è una sola bottiglia -di vino in tutta la città, ce la compri. Neppur sarebbe male che -preparasse una buona cena a cui non prenderete parte, voi Athos, perchè -avete la febbre, e voi Aramis, perchè siete cavaliere di Malta, e i -discorsi di beoni pari nostri vi spiacciono e vi fanno arrossire.... mi -sentite? - -«Sì, disse Porthos, ma il diavolo mi porti se vi capisco. - -«Porthos, mio caro, voi sapete che io discendo dagli indovini per la -parte di mio padre, e dalle sibille per quella di mia madre, e non -parlo se non a enigmi e parabole; coloro che hanno orecchie ascoltino, -coloro che hanno occhi guardino, per il momento non posso dir altro. - -«Fate pure, amico mio, rispose Athos, seno certo che quel che voi fate -sta bene. - -«E voi, Aramis, siete della stessa opinione? - -«Interamente, caro d’Artagnan. - -«Alla buon’ora! disse d’Artagnan, questi son veri credenti, e per loro -v’è gusto a tentare dei miracoli; non è come l’incredulo Porthos, che -vuol sempre vedere e toccare per credere. - -«Realmente, fece Porthos maliziosamente, io sono molto incredulo». - -D’Artagnan gli diede un colpetto sulla spalla, e siccome erano giunti -alla fermata della colazione, fu troncata là ogni ciarla. - -Verso le cinque ore di sera, a tenore del convenuto, si fece partire -avanti Mousqueton. Mousqueton non parlava inglese, ma dacchè era in -Inghilterra aveva osservata una cosa, ciò che Grimaud con l’abitudine -del gesto aveva questo sostituito pienamente alla favella; sicchè si -era applicato a studiare il gesto con Grimaud, ed in poche lezioni, -mercè la superiorità del maestro, era giunto ad una certa forza: -Blaisois lo accompagnò. - -I quattro amici traversando la strada principale di Derby adocchiarono -Blaisois ritto all’ingresso di un casamento di bellissima apparenza: -ivi era apparecchiato il loro alloggio. - -In tutta la giornata non si erano accostati al re per tema di dar -sospetto, ed invece di pranzare alla tavola del colonnello Harrison, -conforme aveano fatto il giorno innanzi, avevano desinato fra di loro. - -All’ora stabilita, venne Groslow. D’Artagnan lo accolse siccome -avrebbe accolto un che gli fosse stato amico da venti anni. Porthos lo -squadrò da cima a fondo, e sorrise osservando che non ostante il colpo -rimarchevolissimo da lui dato al fratello di Parry non era di forza -eguale alla sua. Athos ed Aramis fecero quanto poterono onde occultare -il disgusto che loro inspirava quell’indole grossolana e brutale. - -In conclusione Groslow si mostrò pago del ricevimento. - -Athos ed Aramis si mantennero nel loro carattere. A mezzanotte -si ritirarono nella loro camera, della quale, col pretesto di -sorveglianza, era stato aperto l’uscio. Inoltre d’Artagnan ve li -accompagnò, lasciando Porthos alle prese con Groslow. - -Porthos guadagnò cinquanta doppie a Groslow, e nell’andarsene lo ebbe -per miglior compagno che non lo avesse giudicato dapprima. - -Groslow, poi, si propose di rifarsi alla domane a pregiudizio di -d’Artagnan della sconfitta subita con Porthos, e lasciò il Guascone -rammentandogli il convegno fissato per la sera. - -Diciamo la _sera_, imperciocchè i giuocatori si separarono alle quattro -ore del mattino. - -Trascorse la giornata al solito; d’Artagnan andava dal capitano Groslow -al colonnello Harrison, e da questo a’ suoi amici. Per uno che non lo -avesse conosciuto e’ pareva nel suo stato ordinario; pe’ suoi amici, -vale a dire per Athos ed Aramis, il suo brio era tutto febbre. - -«Che può egli macchinare? diceva Aramis. - -«Aspettiamo, rispondeva Athos». - -Porthos non fiatava; ma contava una dopo l’altra nel borsellino con -aria di soddisfazione ostensibile le cinquanta doppie vinte al Groslow. - -La sera arrivato a Ryston, d’Artagnan radunò gli amici. Gli si era -dileguata dal volto quella maschera di noncurante giovialità che vi -aveva tenuto sino allora. - -Athos strinse la mano ad Aramis, dicendogli: - -«Si avvicina il momento. - -«Sì, disse d’Artagnan che lo aveva udito, si avvicina, signori; questa -notte salveremo il re». - -Athos palpitò, gli brillarono le pupille; e dubitando dopo che aveva -sperato, domandò: - -«D’Artagnan, non è già questo uno scherzo? oh! mi farebbe troppo male. - -«Siete pur singolare, rispose il tenente dei moschettieri, se così di -me dubitate! Dove e quando mai mi vedeste a scherzare col cuore di un -amico e colla vita di un re? Vi ho detto, e vi ripeto che questa notte -salveremo Carlo I. Vi siete rapportati a me per trovare il mezzo, e -questo è trovato». - -Porthos guardava d’Artagnan con ammirazione. Aramis sorrideva come -chi molto si lusinghi. Athos pallido come un morto tremava in tutte le -membra. - -«Parlate, disse Athos». - -Porthos aprì tanto d’occhi; Aramis, quasi diremmo, si sospese alle -labbra del Guascone. - -«Siamo invitati a far nottata da Groslow; lo sapete? - -«Sì, rispose Porthos, ci ha fatto promettere di dargli la rivincita. - -«Bene; ma vi è noto dove gliela daremo? - -«No. - -«Dal re. - -«Eh! esclamò Athos. - -«Sì, dal re. Questa sera mastro Groslow è di guardia presso Sua Maestà, -e per distrarsi nel far sentinella, ci chiama a fargli compagnia. - -«Tutti e quattro? domandò Athos. - -«Sì! di certo, tutti: e che forse noi abbandoniamo i nostri prigionieri? - -«Ah ah! fece Aramis. - -«Sentiamo, disse Athos palpitando. - -«Sicchè, si va da Groslow, noi colle nostre spade, voi con dei pugnali; -e in quattro che siamo c’impossessiamo di quegli otto imbecilli e dello -stupido loro comandante. Che ne dite, messer Porthos? - -«Dico ch’è facile. - -«Vestiamo il re da Groslow; Mousqueton, Grimaud e Blaisois ci tengon -pronti dei cavalli con la sella addosso; alla svolta della prima strada -ci saltiamo sopra, e innanzi giorno siamo distanti di qui venti leghe. -Eh? è combinato bene, Athos?» - -Athos posate le mani sulle spalle a d’Artagnan, l’osservava con la sua -calma e il suo dolce sorriso consueto. - -«Amico, disse, io dichiaro che non vi è sotto il cielo creatura che vi -pareggi in nobiltà e coraggio: mentre vi supponevamo indifferente alle -nostre pene, alle quali senza punto mancare potevate non associarvi, -fra noi tutti voi solo rinvenite ciò che noi andiamo invano cercando. -Dunque, te lo ripeto d’Artagnan, tu sei fra noi il migliore, ed io ti -benedico ed amo, carissimo figlio. - -«E a dire ch’io non l’avevo raccapezzato! fece Porthos percuotendosi la -fronte; è tanto semplice! - -«Ma, osservò Aramis, se ho inteso bene, ammazzeremo tutti, non è così?» - -Athos impallidì, e rabbrividiva. - -«Caspita! gridò d’Artagnan, e’ bisognerà che sia a questo modo! ho -rintracciato per molto tempo se v’era maniera di scansare la faccenda, -ma non l’ho trovata. - -«Orsù, riprese Aramis, qui non si tratta di sofisticare con la nostra -posizione; come si procede? - -«Ho fatto un duplice piano, rispose il Guascone. - -«Sentiamo il primo. - -«Se siamo tutti e quattro riuniti al mio segnale, e il segnale sarà -la parola _finalmente_, voi immergete ciascheduno un pugnale nel -cuore del soldato che avete più vicino; noi dal canto nostro facciamo -altrettanto; ecco subito quattro uomini morti; dunque la partita -diventa pari, giacchè siamo quattro contro cinque; quei cinque si -arrendono, e si mette loro la sbarra in bocca; o si difendono, e gli -uccidiamo. Se per caso il nostro ospite cambia parere, e non riceve -a giuocare con lui altro che Porthos e me, cospettone! bisognerà -ricorrere a gravi compensi picchiando a doppio: la cosa sarà più lunga -e clamorosa, ma voi altri starete fuori con buone spade, e udendo il -chiasso accorrerete. - -«E se trafiggessero voi? domandò Athos. - -«Non è possibile: rispose d’Artagnan, quei bevitori di birra sono -troppo pesanti e sgarbati. E di più, Porthos, voi tirerete sulla gola: -con ciò si ammazza più presto, e s’impedisce anco di urlare. - -«Benone! fece Porthos, sarà un graziosissimo scannamento. - -«Orribile! orribile! mormorò Athos. - -«E via, signor sensibile! disse d’Artagnan, fareste ben di peggio in -una battaglia. D’altronde, amico, se vi pare che la vita del re non -vaglia ciò che deve costare, sia il tutto per non detto, ed io fo -avvisare al signor Groslow che sono ammalato. - -«No no, ho torto.... e voi avete ragione; perdonatemi, replicò Athos». - -Nel momento fu aperto l’uscio, e venne un soldato dicendo malamente in -francese: - -«Il signor capitano Groslow previene i signori d’Artagnan e du Vallon -che gli aspetta. - -«Dove? domandò il tenente. - -«Nella camera del Nabucodonosor inglese, fece il soldato, puritano per -la vita. - -«Va ottimamente, rispose in buon inglese Athos a cui andava il sangue -al capo udendo quell’insulto fatto alla regia Maestà, dite al capitano -Groslow che ci andiamo subito». - -Poi, uscito il puritano, era dato l’ordine ai lacchè di por la sella -ad otto cavalli, e ire ad attendere, senza separarsi uno dall’altro, -nè metter piede a terra, sul canto di una contrada situata all’incirca -venti passi lontano dalla casa dove il re era alloggiato. - - - - -LXVI. - -_La partita a zecchinetta._ - - -Erano nove ore di sera; si era cambiata la guardia alle otto, e da -un’ora questa toccava a Groslow. - -D’Artagnan e Porthos con le loro spade, ed Athos ed Aramis con un -pugnale ciascuno nascosto in seno, si avanzarono verso la casa che -in quella sera serviva di prigione a Carlo Stuart. Questi due ultimi -seguivano i loro vincitori, umili e inermi in apparenza come due -detenuti. - -«Affè, disse Groslow quando li vide, non vi aspettavo più». - -D’Artagnan gli si accostò, e gli disse piano: - -«Diffatti, du Vallon ed io abbiamo esitato un pochino a venire. - -«E perchè?» - -Il tenente accennò con l’occhio Athos ed Aramis. - -«Ah ah! fece il capitano inglese, a motivo delle opinioni? poco -importa! anzi (aggiunse ridendo), se vogliono vedere il loro Stuart lo -vedranno. - -«Si passa la nottata in camera del re? chiese d’Artagnan. - -«No, ma in quella contigua, e siccome l’usciale resterà aperto, sarà -precisamente come se fossimo nella stanza medesima. Vi siete provvisti -di denari? Vi dichiaro ch’io conto di fare un giuoco precipitoso. - -«Sentite mo’? disse d’Artagnan facendosi suonar l’oro nelle saccoccie. - -«_Very good!_ fece Groslow». - -E schiuse la porta. - -«Per insegnarvi la strada, aggiunse». - -Ed entrò prima a tutti. - -D’Artagnan si girò verso i camerati: Porthos se ne stava noncurante -quasi si trattasse di una partita ordinaria; Athos pallido, ma -risoluto; Aramis col fazzoletto si asciugava la fronte bagnata da un -lieve sudore. - -Le otto guardie erano al loro posto: quattro nella camera del re, -due all’uscio di comunicazione, due a quello d’onde s’introducevano -i quattro amici. Al mirare le spade nude Athos sorrise: dunque non -sarebbe più un macello, ma bensì un combattimento. - -E da quel punto sembrò ritornasse in tutto il suo buon umore. - -Carlo, che ben si scorgeva dalla bussola aperta, stava sul letto bell’e -vestito: senonchè si era buttato addosso una coperta di lana. A capo al -suo letto era seduto Parry, che leggeva sotto voce, ma forte abbastanza -per che lo udisse Carlo il qual l’ascoltava a occhi chiusi, un certo -rosario in una Bibbia cattolica. - -Una brutta candela di sego, posta sur una tavola nera, rischiarava la -faccia rassegnata del monarca, e il viso assai meno tranquillo del fido -suo servo. - -Tratto tratto Parry s’interrompeva credendo che il sovrano dormisse -daddovero: allora questi alzava le ciglia e sorridendo dicevagli: - -«Mio buon Parry, continua pure, ti sento». - -S’inoltrò Groslow fin sulla soglia della camera del re, si rimise -in testa con ostentazione il cappello che avea tenuto in mano per -accogliere gli ospiti, considerò un momento con disprezzo quel quadro -semplice e commovente d’un vecchio domestico intento a leggere la -Bibbia al suo re prigioniero, si assicurò che ogni uomo fosse per -l’appunto nel luogo da lui assegnatogli, e voltosi a d’Artagnan lo -guardò in atto di trionfo come mendicando da esso un elogio della sua -tattica. - -«A meraviglia! fece il Guascone, caspita! vo’ sarete un generale di -qualche distinzione. - -«Ehi! vi credete, domandò l’Inglese, che mentre io sia di guardia -presso di lui, lo Stuart se la fugga? - -«No di sicuro, rispose d’Artagnan, ammenochè dal cielo gli piovano -degli amici». - -Sulle guance a Groslow appariva un vero giubilo. - -Siccome Carlo Stuart durante quella scena era stato costantemente -a occhi serrati, non v’è da decidere se si fosse accorto o no della -tracotanza del puritano. Ma a suo malgrado, udito ch’ebbe il suono -della voce di d’Artagnan le sue palpebre non istettero più basse. - -E anche Parry si scosse e sospese la lettura. - -«Perchè ti fermi? disse il re, tira innanzi, Parry mio.... se però non -sei troppo stanco. - -«No, sire, fece il cameriere». - -E ricominciò. - -Nella prima stanza era preparato un tavolino coperto da un tappeto; e -su questo due moccoli accesi, e due bossoli e i dadi. - -«Signori (così parlò Groslow), di grazia, accomodatevi: io, dirimpetto -a Stuart, che tanto mi è caro di vedere, soprattutto dov’è adesso; voi, -signor d’Artagnan, di faccia a me». - -Athos si fece rosso di collera. D’Artagnan lo fissò inarcando le ciglia. - -«Così è; rispose quest’ultimo, voi, signor conte di la Fère, a man -diritta al signor Groslow; voi, cavaliere d’Herblay, a sinistra; -voi, du Vallon, accanto a me. Voi scommettete dalla mia parte, e quei -signori da quella di master Groslow». - -Così d’Artagnan li teneva, Porthos a manca, e gli parlava col -ginocchio, Athos ed Aramis dirimpetto, e caricava su di essi il suo -sguardo. - -Al nome del conte di la Fère e del cavaliere d’Herblay, Carlo riaperse -gli occhi, e ad onta sua sollevando la nobile testa, esaminava tutti -gli attori della scena. - -Nel momento Parry voltò alcune pagine della Bibbia, e lesse ad alta -voce questo verso di Geremia: - -«Disse Iddio, ascoltate le parole de’ profeti, o miei servi, che io -premurosamente vi mandai e inverso a voi condussi». - -I quattro compagni ricambiarono un’occhiata. I termini di che si era -servito Parry ad essi dinotavano qualmente il re ascrivesse la di loro -presenza al suo vero movente. - -D’Artagnan esultava. - -«Poc’anzi mi domandavate, ei disse, se stava bene a soldi». - -E posava sulla tavola una ventina di doppie. - -«Sì, disse Groslow. - -«Or bene; adesso io dico a voi: tenetevi bene stretto il vostro -tesoro, carissimo signor Groslow, perchè non esciremo di qui se non -portandovelo via. - -«Ma non già senza ch’io l’abbia difeso, ribattè l’Inglese. - -«Meglio così! battaglia, capitano mio! battaglia! Sapete o non sapete, -che questa è quella che vogliamo? - -«Ah ah! lo so, fece Groslow con una goffa risata, non cercate altro che -lividi e piaghe voi altri Francesi». - -Carlo infatti aveva udito e capito tutto. Gli ascese sul volto un lieve -rossore; i soldati che l’osservavano lo videro a poco distendere le -stanche membra, e col pretesto di un caldo eccessivo provocato dalla -stufa, scostare la coperta sotto la quale conforme già avvertivamo egli -si stava coricato ma vestito. - -Athos ed Aramis si rallegrarono nel riconoscere che il re non fosse -nudo. - -Incominciò la partita. La sorte si era girata ed era tutta per Groslow; -egli reggeva ad ogni posta, e vinceva sempre. Così passarono da un -tavolino all’altro un centinajo di doppie. Il puritano andava matto dal -contento. - -Porthos, il quale aveva riperdute le cinquanta doppie guadagnate la -sera precedente, ed inoltre una trentina del suo, era molto burbero, -e col ginocchio interrogava d’Artagnan, quasi per domandargli se fosse -tempo di cambiar giuoco. Athos ed Aramis lo consideravano attentissimi, -ma d’Artagnan rimaneva impassibile. - -Suonarono le dieci. Si udì a passare la pattuglia. - -«Quante pattuglie fate voi a questo modo? richiese d’Artagnan levandosi -di tasca altre monete. - -«Cinque, disse Groslow, una ad ogni due ore. - -«Benone! rispose il tenente, è misura prudentissima». - -E allora toccò a lui fissare in viso Athos ed Aramis. - -S’intesero i passi della ronda che si allontanava. - -D’Artagnan rispose per la prima volta alle ginocchiate di Porthos con -un altro consimile. - -Frattanto, attratti dall’allettamento del giuoco e dalla vista -dell’oro, tanto possente su tutti gli uomini, i soldati, che -avevano ordine di rimanere nella stanza del re, si erano lemme lemme -avvicinati all’uscio, e là drizzandosi in punta di piedi, guardavano -di sopra alla spalla di d’Artagnan e di Porthos; quelli della porta -si erano pure appressati, secondando per cotal guisa le brame dei -quattro amici, che preferivano averli tutti così alla mano anzi che -dover correre a cercarli da un canto all’altro della camera. Le due -sentinelle sull’ingresso avevano tuttavia la spada nuda, se non che si -appoggiavano sulla punta ed abbadavano ai giuocatori. - -Sembrava che Athos si calmasse a misura che si avvicinava il momento; -le sue due mani bianche e signorili scherzavano coi luigi che torceva -e riaddrizzava con tanta facilità come se l’oro fosse stato stagno; -Aramis, meno padrone di sè, si frugava di continuo sul petto; Porthos, -infastidito del perder sempre, dava di ginocchio a più non posso. - -D’Artagnan voltosi macchinalmente indietro, vide fra due soldati -Parry in piedi, e Carlo posando il gomito, ma a mani giunte come in -atto di dirigere a Dio una fervida preghiera. Il tenente capì ch’era -arrivato l’istante opportuno, che ognuno era al suo posto, e che non -si attendeva più altro che la parola; «Finalmente!» la quale, noi ce le -rammentiamo, dovea servire di segnale. - -Lanciò uno sguardo preparatorio ad Athos e Aramis, e questi due -trassero indietro piano piano le loro sedie per aver libertà di -muoversi. - -Dette di nuovo nel ginocchio a Porthos, il quale si rizzò, quasi per -isciogliersi le gambe intorpidite: però nel levarsi si accertò che la -sua spada potesse uscire dal fodero facilmente. - -«Corpo di Bacco! disse d’Artagnan, altri venti doppie perdute! Ma, -capitano Groslow, avete troppa fortuna; non può durare così!» - -E mise fuori altre venti monete. - -«Capitano, un tiro solo; queste venti doppie in un botto, sull’ultimo. - -«Sia pure, apprestò l’Inglese». - -E voltò due carte, conforme è l’uso, un re per d’Artagnan, un asso per -sè. - -«Re! fece il tenente, è buon augurio.... Ehi! messer Groslow, aggiunse, -badate al re!» - -E non ostante il potere che aveva sovra sè stesso, lasciò trapelare -dall’accento qualche cosa di straordinario che fece scuotere il suo -avversario. - -Groslow principiò a voltare le carte una dopo l’altra; se voltava prima -un asso aveva vinto, se un re, avea perduto. Voltò un re. - -«Ah! finalmente!» esclamò d’Artagnan. - -Tosto si alzarono Athos ed Aramis; Porthos fè un passo indietro. Erano -prossimi a splendere spade e pugnali. Ma ad un tratto fu aperta la -porta, e si mostrò sulla soglia Harrison, accompagnato da un uomo -involto in un ferrajuolo. - -A tergo a costui si vedevano rilucere i moschetti di cinque o sei -soldati. - -Groslow si rizzò con impeto, vergognandosi di esser còlto fra mezzo -alle bottiglie, ai dadi e alle carte. Harrison non pose mente a lui, ed -entrato nella stanza del re con quello che lo seguiva, disse: - -«Carlo Stuart, ci giunge l’ordine di condurvi a Londra senza fermarsi -nè di notte nè di giorno: apparecchiatevi a partire sull’atto. - -«E da parte di chi viene l’ordine? domandò Carlo. - -«Dal generale Oliviero Cromvello». - -Ed Harrison continuò: - -«Ecco il signor Mordaunt, che n’è il latore e incaricato di farlo -eseguire. - -«Mordaunt!...» esclamarono i quattro camerati guatandosi -scambievolmente. - -D’Artagnan tolse di sul tavolino tutto il danaro perduto da lui e da -Porthos e se lo cacciò nell’ampia saccoccia. Athos ed Aramis gli si -posero a tergo. A quel movimento Mordaunt si voltò e li riconobbe, e -diede un’esclamazione di gioja selvaggia. - -«Ho idea che siamo presi, disse sommessamente d’Artagnan agli amici. - -«Non per anco, fece Porthos. - -«Colonnello! colonnello! gridò Mordaunt, fate che si circondi -questa stanza, siete tradito. Questi quattro Francesi sono fuggiti -da Newcastle, e vogliono sicuramente portar via il re! siano tosto -arrestati! - -«Oh giovanotto! disse d’Artagnan sguainando la spada, codesto è ordine -più facile a darsi che ad eseguirsi». - -E segnandosi attorno un tratto terribile di molinello: - -«Amici! ritirata! ritirata!» - -Nel medesimo tempo si avventò sulla porta, ed atterrò due soldati che -la custodivano prima che avessero campo di caricare i moschetti; Athos -ed Aramis gli furono appresso; Porthos fece da retroguardia, e innanzi -che soldati, uffiziali e colonnello avessero agio a prender fiato, -erano tutti e quattro in istrada. - -«Fuoco! gridò Mordaunt, fuoco su coloro!» - -Di fatti vi furono due o tre spari di fucile, ma non sortirono altro -effetto se non di mostrare i quattro fuggiaschi che sani e salvi -giravano dall’angolo della contrada. - -I cavalli erano al luogo prefisso, i servi ebbero soltanto da gettar le -briglie ai padroni, i quali si trovarono in sella con la leggerezza di -esperti cavallerizzi. - -«Innanzi! disse d’Artagnan, e forte di sprone!» - -E tutti seguendo lui corsero ripigliando la stessa via fatta nel -giorno, cioè dirigendosi in verso Scozia. Il borgo non aveva porta nè -mura, e quindi essi ne uscirono senza difficoltà. - -A distanza di cinquanta passi dall’ultima casa d’Artagnan si soffermò e -disse agli altri: - -«Alto! - -«Come alto! esclamò Porthos, anzi di galoppo, volete dire. - -«Niente affatto! Questa volta vorranno inseguirci; lasciamoli venir -fuori dal borgo e correrci appresso sulla strada di Scozia, e quando -gli avremo visti a passare volando, noi prenderemo il cammino opposto». - -A breve spazio di là era un ruscello, e su questo un ponte; d’Artagnan -menò il suo destriero sotto l’arco dei ponte, gli amici pure vi -andarono seco. - -Dopo dieci minuti appena che stavano colà udirono avvicinarsi di -galoppo una turba d’uomini a cavallo. E indi a cinque minuti questa -transitava di sopra alle loro teste, senza figurarsi che quelli di -cui andava in cerca non erano da lei separati se non che dalla sola -grossezza della vôlta del ponte. - - - - -LXVII. - -_Londra._ - - -Perduto che si fu in lontananza lo strepito del camminare dei -destrieri, d’Artagnan tornò sulla riva del fiumicello, e si mise a -battere la pianura, orizzontandosi quanto fosse possibile inverso -Londra. I tre amici lo seguitarono in silenzio sino a che mediante un -mezzo giro si fossero lasciata molto indietro la città. - -«Per questa volta, disse il nostro tenente, allorchè si stimò assai -lungi dal punto della partenza per mutare in trotto il galoppo già -preso, credo assolutamente che tutto è perduto, e che quanto di meglio -possiamo fare si è di recarci in Francia. Athos, che vi pare di questa -proposizione? non la trovate ragionevole? - -«Sì, rispose Athos, ma l’altro giorno voi pronunziaste un detto nobile -e generoso: e fu — Morremo qui! — or io ve lo rammento. - -«Oh! soggiunse Porthos, la morte è nulla; non già la morte deve -inquietarci, poichè non sappiamo ciò ch’ella sia, ma mi tormenta la -idea di una sconfitta. Dal modo in cui principiano le cose, vedo che ci -converrà dar battaglia a Londra, alle provincie, a tutta l’Inghilterra, -e per verità non può mancare che alla fine siamo battuti. - -«Dobbiamo assistere sino all’ultimo a quella grande tragedia, disse -Athos, e non abbandoneremo l’Inghilterra se non dopo lo scioglimento -qualunque esso sia. Siete della mia opinione, Aramis? - -«Interamente, caro conte. D’altronde vi confesso che non -m’increscerebbe di ritrovare il Mordaunt; mi sembra che abbiamo un -conto da regolar seco, e che non siamo usi a lasciare i paesi senza -pagare queste sorte di debiti. - -«Oh! questo è tutt’altro, fece d’Artagnan, ed ecco una ragione che mi -par plausibile. In quanto a me dichiaro che per rinvenire il Mordaunt -che voi dite resterò in Londra, occorrendo, anche un anno. Bensì -procuriamoci l’alloggio presso ad una persona sicura, ed in maniera di -non destare sospetti, giacchè a quest’ora messer Cromvello deve farci -cercare, e da quel che ho potuto giudicarne e’ non è uomo che scherzi. -Athos, conoscete in tutta la città una locanda dove si abbiano lenzuola -pulite, biscotto passabile e vino che non sia fatto con luppolo e -ginepro? - -«Credo di aver quanto bramate, rispose Athos. Di Winter ci condusse -da un tale che diceva fosse un antico Spagnuolo naturalizzato inglese -mercè le ghinee dei suoi nuovi concittadini. Che ne pensate, Aramis? - -«Eh! il progetto di fermarci dal signor Perez mi sembra -convenientissimo, sicchè per me io lo adotto. Invocheremo la -rimembranza del povero di Winter, per cui dimostrava grande -venerazione; gli diremo che veniamo come amatori per vedere quel che -succede; spenderemo da lui una ghinea per ciascuno al giorno, e credo -che con tali precauzioni potremo stare assai quieti. - -«Di una però vi dimenticate, Aramis, ed anche importante. - -«E quale? - -«Di cambiar vestimento. - -«Oibò! disse Porthos, perchè cambiarli? ci stiamo tanto comodamente! - -«Per non essere riconosciuti, replicò d’Artagnan; i nostri abiti sono -di un taglio e quasi di un colore tutto eguale che accusa a prima -vista il _Frenchman_; ed io non sono così attaccato alla forma del -mio giubbetto o alla tinta delle brache, per arrischiarmi per amor di -questi ad essere appiccato a Tyburn o andare a fare una passeggiata -nell’Indie. Mi comprerò subito un abito color marrone: ho osservato che -tutti quegli imbecilli di puritani ne vanno matti fanatici. - -«Ma ritroverete colui? domandò Aramis. - -«Oh! di certo; abitava in Green-Hall-street, _Bedford’s tavern_; e poi -nella Città-Vecchia io andrei a chius’occhi, rispose Athos. - -«Vorrei digià esservi, disse d’Artagnan, e il mio sentimento sarebbe -d’arrivare a Londra innanzi giorno, qualora pure dovessimo fare -scoppiare le nostre bestie. - -«Andiamo, andiamo, fece Athos, giacchè se non m’inganno ne’ miei -calcoli, non dobbiamo esserne lontani più di otto o dieci leghe». - -Tutti si sollecitarono, e giunsero di fatti la mattina intorno -alle cinque. Alla porta da cui si presentarono li fermò un corpo di -guardia, ed Athos rispose in buonissimo inglese esser eglino inviati -dal colonnello Harrison a prevenire il suo collega master Pridge del -prossimo arrivo del re. Questa risposta trasse ad alcune interrogazioni -sopra la presa del re, ed Athos diede ragguagli sì precisi e positivi, -che se pure i guardiani avevano qualche sospetto lo perderono del -tutto. E quindi fu dato libero il passo a’ quattro camerati con ogni -specie di congratulazioni puritane. - -Athos aveva detto il vero, andò direttamente a _Bedford’s tavern_, e si -fe’ riconoscere dall’oste, il quale contentissimo di vederlo tornare in -compagnia sì numerosa e bella, ordinò si allestissero tosto le migliori -stanze. - -Benchè non fosse per anco giorno, i nostri quattro viaggiatori avevano -trovata tutta Londra sossopra. Erasi sparsa fin dalla sera innanzi la -voce che il re, condotto dal colonnello Harrison, s’incamminasse verso -la capitale, e molti non si erano coricati per tema che lo Stuart, -conforme lo chiamavano, arrivasse di notte, ond’eglino avessero a -perdere lo spettacolo del di lui ingresso. - -Noi ci ricordiamo che il progetto di mutar panni si era adottato a voti -unanimi, meno la lievissima opposizione di Porthos. Si passò dunque -a porlo in esecuzione. Il locandiere fece portare abiti di tutte le -sorta, come se intendesse rimettere a nuovo la sua guardaroba. Athos ne -pigliò uno nero, che gli dava tutta l’aria di un onesto particolare; -Aramis, non volendo lasciar la spada, lo scelse verde cupo di taglio -alla militare; Porthos si sentì allettato da un giubbetto rosso co’ -calzoni verdi; d’Artagnan, che aveva digià fissato anticipatamente il -colore, non ebbe più da badare che alla gradazione di questo, e sotto -il vestito marrone che tanto desiderava, rappresentava al naturale un -negoziante di zuccheri ritiratosi dal commercio. - -Grimaud e Mousqueton, che non portavano livrea, si trovarono bell’e -immascherati. D’altronde, Grimaud offeriva il tipo quieto, magro e -sostenuto dell’Inglese circospetto; e Mousqueton quello dell’Inglese -grasso, panciuto e scioperato. - -«Adesso, disse d’Artagnan, si passi all’essenziale: tagliamoci i -capelli, onde non essere insultati dalla plebaglia. Non essendo più -gentiluomini mediante la spada, siamo puritani pell’acconciatura. È -questo, come sapete, il punto importante che separa il _covenantaire_ -dal cavaliero. - -Su questo _punto importante_ d’Artagnan trovò indocilissimo Aramis: -esso voleva ad ogni modo conservarsi la chioma che aveva bella e di -cui aveva grandissima cura, e fu d’uopo che Athos, al quale erano -indifferenti tutte le quistioni, gli desse l’esempio. Porthos porse -senza difficoltà la testa a Mousqueton, che recise a larghe forbiciate -la folta e dura capigliatura. D’Artagnan si accomodò di per sè un -capo di capriccio che somigliava un poco a una medaglia dei tempi di -Francesco I e di Carlo IX. - -«Siamo pur brutti! disse Athos. - -«Mi pare che puzziamo di puritani da far paura! disse Aramis. - -«Sento freddo alla zucca, disse Porthos. - -«Ed io, disse d’Artagnan, ho voglia di predicare. - -«Ora, soggiunse Athos, che neppur da per noi ci riconosciamo, e in -conseguenza non abbiamo timore che gli altri ci ravvisino, si vada a -veder entrare il re: se ha camminato tutta la notte, non deve essere -lontano da Londra». - -Infatti non passarono due ore dacchè i quattro camerati si erano -mischiati tra la folla, che un gran movimento annunziò la venuta di -Carlo. Gli era stata mandata incontro una carrozza, e il gigantesco -Porthos che colla sua testa sorpassava tutte le altre avvertì qualmente -il regio cocchio si avvicinava; d’Artagnan si drizzò in punta di -piedi, mentre Athos ed Aramis stavano in ascolto onde procurare di -farsi un’idea dell’opinione generale. Frattanto la carrozza passò -e d’Artagnan riconobbe Harrison e Mordaunt, ciascuno accanto a uno -sportello. - -Il popolo poi, di cui Athos ed Aramis studiavano le impressioni, -mandava un precipizio d’imprecazioni contro a Carlo. - -Athos ritornò dentro disperato. - -«Eh! gli diceva d’Artagnan, vi ostinate inutilmente, ed io vi protesto -che la situazione è pessima. In quanto a me, non mi ci associo se non -per cagion vostra, e per un tal quale interesse di artista in politica -a uso moschettiere, e stimo che sarebbe una bella cosa sottrarre a quei -clamorosi la lor preda e farci beffe di loro. Ci rifletterò». - -All’indomani Athos, affacciatosi al balcone che dava sui quartieri più -popolosi della Città-Vecchia, udì gridare il _bill_ del parlamento che -traduceva alla sbarra l’ex-re Carlo I, reo presunto di tradimento e -abuso di potere. - -D’Artagnan gli stava vicino, Aramis esaminava una carta, Porthos era -assorto nell’ultime delizie di una colazione squisita. - -«Il parlamento? esclamò Athos, non può essere che il parlamento abbia -dato un simile _bill_. - -«Ascoltate, fece d’Artagnan; io intendo poco l’inglese, ma siccome -l’inglese non è altro che un francese mal pronunziato, ecco quel che -odo: _Parliament’s bill_, lo che significa _bill_ del parlamento, o Dio -mi danni! come dicono qua». - -Nell’istante entrava l’oste; Athos gli accennò di accostarsi e gli -domandò in inglese: - -«Il parlamento ha dato quel _bill_? - -«Si, milord, il parlamento puro. - -«Come, il parlamento puro? vi sono dunque due parlamenti? - -«Amico, interruppe d’Artagnan, siccome io non capisco l’inglese, ma -noi tutti intendiamo lo spagnuolo, fateci il piacere di discorrerci in -questa lingua, ch’è la vostra, e che in conseguenza dovete aver genio a -parlare quando ne trovate l’occasione. - -«Benissimo!» soggiunse Aramis. - -Di Porthos, già lo avvertimmo, tutta l’attenzione era concentrata -sull’osso di una costoletta che si occupava a spogliare della polputa -sua invoglia. - -«Sicchè mi domandavate? riprese il locandiere in ispagnuolo. - -«Domandavo, rispose Athos nello stesso idioma, se v’erano due -parlamenti, uno puro ed uno impuro? - -«Oh questa è bizzarra! disse Porthos alzando il capo lentamente e -guardando meravigliato i compagni; dunque adesso capisco l’inglese, -intendo ciò che voi dite. - -«Perchè parliamo spagnuolo, mio caro, gli replicò Athos col suo solito -sangue freddo. - -«Ah diascolo! me ne dispiace, sarebbe stata per me una lingua di più. - -«Quando dico il parlamento puro, _señor_, ribattè l’oste, discorro di -quello appurato dal signor colonnello Pridge. - -«Ah! davvero, fece d’Artagnan, queste genti sono molto ingegnose; -bisognerà che al mio ritorno in Francia io insegni questo mezzo al -Mazzarino e al Coadjutore: uno appurerà in nome della corte, l’altro in -nome del popolo, talmentechè non vi sarà affatto più parlamento. - -«Chi è il colonnello Pridge? chiese Aramis, e in che maniera si è -regolato per appurare il parlamento? - -«Il colonnello Pridge, rispose lo Spagnuolo, è un antico carrettajo, -uomo di molto spirito, il quale guidando il suo barroccio aveva -osservata una cosa, cioè: che quando si trovava davanti per la via una -pietra, era più breve levar la pietra che provarsi a farci passar sopra -le ruote. Ora in duecento e cinquantun membro di cui si componeva il -parlamento, cento novantuno gli davano noja ed avrebbero potuto far -ribaltare la sua carretta politica; li prese come in addietro pigliava -i sassi, e li gettò fuori dalla camera. - -«Bellissima! disse d’Artagnan, che come uomo di spirito stimava assai -lo spirito dovunque lo incontrava. - -«E tutti quegli espulsi erano Stuartisti? chiese Athos. - -«Senza dubbio, _señor_, e comprenderete che avrebbero salvato il re. - -«Perdinci! disse maestosamente Porthos, formavano la maggiorità. - -«E voi pensate, continuò Aramis, che egli consentirà a comparire -dinanzi a un tal tribunale? - -«Necessariamente, rispose lo Spagnuolo; se tentasse un rifiuto, il -popolo ve lo costringerebbe. - -«Grazie, maestro Perez, fece Athos; ormai sono chiarito abbastanza. - -«Principiate voi a credere, Athos, seguitò d’Artagnan, che ell’è -una causa perduta, e che con gli Harrison, i Joyce, i Pridge ed i -Cromvelli, non saremo mai in grado di metterci a pari? - -«Il re sarà consegnato ai tribunali, ripicchiò Athos; lo stesso -silenzio de’ suoi partigiani dà indizio di un complotto». - -D’Artagnan si strinse nelle spalle. - -«Ma, disse Aramis, se osano sentenziare il loro re, lo condanneranno -all’esiglio o alla carcere, e questo è tutto». - -Il nostro tenente guascone fischiettò la sua arietta di incredulità. - -«Lo vedremo, fece Athos, giacchè mi figuro che andremo alle sedute. - -«Non avrete mica da aspettar di molto, disse l’oste, perchè lo -incominciano domani. - -«Orsù, soggiunse Porthos, ma dunque era istrutto il processo avanti che -fosse preso il re? - -«Di certo! ribattè d’Artagnan, lo principiarono nel giorno ch’ei fu -comprato. - -«Sapete, proseguì Aramis, che il nostro amico Mordaunt fu quello che -fece, se non il negozio, almeno le prime proposizioni. - -«E voi sapete, rispose d’Artagnan, che dovunque mi cada fra le mani, io -lo ammazzo, il signor Mordaunt! - -«Oibò! fece Athos, uno sciagurato simile! - -«Appunto perchè è uno sciagurato, lo uccido. Ah! mio caro, io secondo -bastantemente le vostre volontà, per che siate indulgente alle mie. E -poi, per questa volta, vi piaccia o no, vi dichiaro che il Mordaunt non -sarà ammazzato se non da me. - -«E da me, aggiunse Porthos. - -«E da me, crebbe anco Aramis. - -«Commoventissima unione unanime! esclamò d’Artagnan, che ben si -conviene a buoni cittadini quali noi siamo. Andiamo a far un giro per -la città; Mordaunt non ci riconoscerà a quattro passi di distanza con -la nebbia che v’è. Si vada a bere un po’ di nebbia. - -«Sì, disse Porthos, sarà un cambiamento dalla birra». - -E i quattro amici uscirono, per pigliare, secondo suol dirsi, un po’ -d’aria del paese. - - - - -LXVIII. - -_Il processo._ - - -Al dì seguente numerosa guardia condusse Carlo I. innanzi l’alta corte -che dovea giudicarlo. - -Grandissima folla ingombrava le strade e le case vicine al palazzo; e -perciò, mossi appena pochi passi, i quattro camerati furono trattenuti -dall’ostacolo quasi non superabile di quel muro vivente; parecchi del -volgo, robusti e sdegnati, respinsero persino Aramis sì malamente, -che Porthos alzò il formidabile pugno e lo lasciò ricadere sul muso -infarinato di un fornajo, il quale tosto variato il colore si cosparse -di sangue, acciaccato qual era a modo di un grappolo d’uva matura. -La faccenda mosse a gran susurro; tre uomini andarono per avventarsi -addosso a Porthos; Athos ne discostò uno, d’Artagnan il secondo, e -Porthos si fece balzare il terzo di sopra al capo. Parecchi Inglesi -dilettanti di pugilato, apprezzarono la maniera veloce e facile con -cui si era eseguita la manovra, e batterono le mani. E mancò poco -allora, che invece di essere accoppati, conforme cominciavano a temere, -Porthos e i suoi compagni fossero portati in trionfo; ma i nostri -quattro viaggiatori che avevano paura di tutto quanto potesse farli -troppo comparire, arrivarono a sottrarsi alla ovazione. Non ostante -guadagnarono una cosa in quella erculea dimostrazione, e fu che la -folla si diradò davanti a loro, e pervennero al resultato apparso prima -impossibile, cioè di arrivare al palazzo. - -Affollavasi tutta Londra alle porte delle tribune; e così allorchè i -quattro amici poterono penetrare da una di queste, trovarono occupati -i tre primi sedili. Era poco male per genti che bramavano di non -essere riconosciute; sicchè presero i loro posti, soddisfattissimi di -esser giunti a quel punto, tranne Porthos che desiderava mostrare il -giubbetto rosso e i calzoni verdi, e a cui incresceva di non essere -alla prima fila. - -Le panche stavano disposte a guisa di anfiteatro, e i quattro colleghi -dal loro luogo dominavano su tutta l’adunanza. Il caso appunto aveva -fatto sì che fossero entrati nella tribuna di mezzo e si trovassero di -faccia al seggiolone apparecchiato per Carlo I. - -Verso le undici ore antimeridiane comparve il re sulla soglia del -salone. Passò, circondato da guardie, ma col cappello in testa, e -tranquillo all’aspetto, e volse per ogni dove lo sguardo sostenuto, -quasi venisse a presiedere a una assemblea di sudditi sottomessi, e non -a rispondere alle accuse di una corte ribelle. - -I giudici, superbi di aver da umiliare un re, si accingevano, per -quanto scorgevasi, a prevalersi di questo diritto arrogatosi. In -conseguenza, capitò un usciere a dire a Carlo I qualmente era d’uso che -l’incolpato stesse nuda la testa davanti a’ suoi giudici. - -Carlo, senza risponder parola, si cacciò più innanzi che mai il -cappello, e volse il capo da altro lato: e allontanatosi l’usciere, -sedè sulla sedia preparata di faccia al presidente, sferzandosi gli -stivali con un giunchetto che teneva in mano. - -Parry, il quale lo accompagnava, stette ritto dietro a lui. - -D’Artagnan, ben anzi che badare a tutto quel cerimoniale, guardava -Athos, sul cui sembiante si riflettevano tutte le emozioni che il -re pel gran dominio che avea sopra sè stesso sbandiva dal suo. E -lo spaventò l’agitazione di Athos, comunemente cotanto freddo e -tranquillo. - -«Io spero, gli disse all’orecchio, che prendiate esempio da Sua Maestà, -e non vi facciate scioccamente uccidere in questa gabbia. - -«Non dubitate, fece Athos. - -«Ah ah! continuò d’Artagnan, pare che si tema di qualche cosa, giacchè -ecco che si raddoppiano le guardie; non avevamo che partigiane, e ora -vi sono moschetti; ormai ve n’è per tutti; le partigiane concernono gli -auditori del magistrato, i moschetti sono per noi. - -«Trenta, quaranta, cinquanta, settanta uomini, disse Porthos contando i -sopraggiunti. - -«Eh! fece Aramis, vi scordate dell’uffiziale; e sì, mi sembra meriti di -essere tenuto a calcolo. - -«Sì sì! disse d’Artagnan». - -E impallidì dalla collera, perocchè aveva riconosciuto Mordaunt, che -con la spada sguainata conduceva i moschettieri dietro al re, vale a -dire rimpetto alle tribune. - -«Ci avesse egli mai riconosciuti? mormorò il tenente, in tal caso -batterei pulitamente la ritirata. Non ho gusto che mi si imponga un -modo determinato di morte, e desidero di morire a genio mio..... e non -mi garba di essere fucilato in una spelonca. - -«No, risposo Aramis, non ci ha visti. Egli non vede altro che il -re. Cospettaccio! con che occhi lo guarda, l’insolente! Avesse mai -tant’odio per Sua Maestà quanto ne ha contro di noi? - -«Caspita! soggiunse Athos, noi non gli abbiamo tolto che la madre, e il -sovrano lo spogliò del suo nome e del suo patrimonio. - -«È vero, confermò Aramis, ma silenzio! ecco il presidente che parla al -re». - -Infatti il presidente Bradshaw interpellava l’augusto imputato. - -«Stuart, ei disse, ascoltate l’appello nominale de’ vostri giudici, e -avanzate le osservazioni che avete da fargli». - -Carlo, quasi l’invito non fosse a lui diretto, si girò da altra parte. - -Bradshaw aspettò, e non venendo veruna risposta fu un momento di pausa. - -In cento sessantatrè membri indicati, settantatrè soltanto potevano -rispondere, perocchè gli altri atterriti dalla complicità di un tale -atto si erano astenuti. - -«Procedo all’appello, disse Bradshaw senza mostrare di por mente alla -mancanza di tre quinti dell’assemblea». - -E cominciò a nominare un dopo l’altro i membri presenti ed assenti.... -si facevano sentire con voce forte o debole, secondochè aveano o no -coraggio da sostenere la loro opinione; alla chiamata degli assenti due -volte ripetuta succedeva breve silenzio. - -Venne il nome del colonnello Fairfax, e dopo questo silenzio, corto sì, -ma solenne, di quelli che manifestavano l’assenza dei membri i quali -non aveano voluto prender parte personalmente al giudizio. - -«Il colonnello Fairfax! ripetè Bradshaw. - -«Fairfax? disse in modo di scherno una voce che dal suono si riconobbe -esser di donna, oh! ha troppo buon senso per esser qui». - -Un grande scroscio di risa accolse queste parole, profferite con -l’audacia che le donne traggono appunto dalla lor debolezza, la quale -però le sottrae a qualunque vendetta. - -«È voce di femmina! esclamò Aramis, ah! quanto darei per che fosse -bella e giovane!» - -E salì sul gradino onde procurar di vedere nella tribuna da cui si -erano partite quelle parole. - -«Oh! sull’anima mia è pure avvenente! fece Aramis stesso, mirate -un po’, d’Artagnan, tutti la osservano, e non ostante lo sguardo di -Bradshaw non è impallidita. - -«È lady Fairfax in persona, rispose d’Artagnan, Porthos, ve ne -rammentate? la vedemmo col suo marito dal generale Cromvello». - -Indi a poco si ristabilì la calma turbata da questo episodio, e -ricominciò la chiamata. - -«Quei bricconi scioglieranno la seduta quando si accorgeranno di non -essere in numero sufficiente, disse il conte di la Fère. - -«Athos, voi non li conoscete: badate al sorriso di Mordaunt, vedete -come guarda il re. È quello lo sguardo di uno che tema che gli fugga -la sua vittima? no no! è il sogghigno dell’odio soddisfatto, della -vendetta prossima ad esser paga. Ah, maledetto basilisco! bel giorno -sarà per me quello in cui teco incrocierò ben altro che un’occhiata! - -«Il re è veramente bello! disse Porthos, e poi notate, ancorchè -prigioniero, quanto è ben vestito. La penna che ha al cappello vale per -lo meno cinquanta doppie; osservatela, Aramis». - -Terminato l’appello, il presidente diede ordine di passare alla lettura -dell’atto di accusa. - -Athos si fece smorto: era deluso anco una volta nella sua aspettativa. -Sebbene i giudici fossero in numero non bastevole s’intavolerebbe il -processo; il re era condannato anticipatamente. - -«Ve lo aveva detto, Athos! fece d’Artagnan con un moto delle spalle, -ma voi dubitate sempre. Ora dunque prendetevi a due mani il vostro -coraggio, ed ascoltate senza farvi troppo cattivo sangue, ve ne prego, -gli orrori che quel signorino abbigliato di nero dirà del suo re, con -licenza e privilegio». - -Diffatti non mai peranche incolpazione più brutale, più vili ingiurie, -più sanguinosa requisitoria, abbassata avevano la regia maestà. Fino -allora la gente si era contentata di assassinare i re, ma almeno non si -erano prodigati gl’insulti se non se a’ loro cadaveri. - -Carlo I ascoltava i discorsi dell’accusatore con attenzione -particolare, lasciando passare le ingiurie, contenendo ogni lagnanza, -e quando l’odio straboccava di soverchio, quando lo accusatore si -faceva boja innanzi tempo, ei rispondeva con un sorriso sprezzante. In -conclusione, era un’opra grande e terribile quella in cui l’infelice re -ritrovava tutte le sue imprudenze cambiate in insidie, e i suoi errori -trasformati in delitti. - -D’Artagnan, il quale lasciava scorrere quel torrente di oltraggi con -tutto il disprezzo che meritavano, fermò bensì la sua mente giudiziosa -sopra alcune delle incolpazioni. - -«Fatto sta, egli disse, che se si punisce per imprudenza e leggerezza, -questo povero re è degno di punizione; ma a me sembra che quella che -attualmente ei subisce sia troppo cruda. - -«In ogni caso, rispose Aramis, il castigo non potrebbe cogliere il re, -ma soltanto i suoi ministri, poichè la prima legge della costituzione -inglese si è: _Il re non può fallare_. - -«Per me, pensava Porthos mentre guardava Mordaunt e non si occupava se -non di lui, se non fosse turbare la maestà della circostanza salterei -giù dalla tribuna, in due balzi mi avventerei sopra il Mordaunt e lo -strangolerei, e presolo per i piedi picchierei col suo corpo tutti -questi moschettieri che fanno la parodia ai moschettieri di Francia; -nel frattempo d’Artagnan pieno di spirito e di prontezza forse -troverebbe un mezzo di salvare il re. Bisognerà ch’io glie ne parli». - -Athos, poi, col fuoco sulla faccia, chiuse le pugna, insanguinatesi -le labbra a forza di mordersele, buttava spuma dalla bocca, furibondo -per quel lunghissimo insulto parlamentare e per la costante pazienza -regale; ed in lui il braccio inflessibile e l’irremovibile cuore si -erano cangiati in mani tremanti e corpo assalito da’ brividi. - -Nel momento l’accusatore terminava il suo ufficio con questi detti: - -«La presente accusa si produce da noi in nome del popolo inglese». - -A tali parole fuvvi un bisbiglio sulle tribune, e dietro a d’Artagnan -tuonò una voce, non voce di donna, ma d’uomo, voce sonora e fierissima, -la quale esclamò: - -«Tu menti! e i nove decimi del popolo inglese hanno orrore di ciò che -tu dici». - -Era Athos, che fuori di sè, ritto, col braccio teso, così interpellava -il pubblico accusatore. - -A siffatta apostrofe, re, giudici, spettatori, tutti si volsero verso -la tribuna dov’erano i quattro amici. Mordaunt fece altrettanto, e -ravvisò il gentiluomo attorno a cui si erano alzati gli altri due -Francesi, scolorita la faccia e minacciosi. Gli brillarono gli occhi -per la gioja, chè ritrovava al fine coloro alla ricerca e alla morte -dei quali aveva consacrata la propria vita. Con un moto furibondo -chiamò a sè venti de’ suoi moschettieri, e additando la tribuna dove -stavano i suoi nemici, gridò: - -«Fuoco su quella tribuna!» - -Però allora, rapidi al pari del pensiero, d’Artagnan afferrando a -mezzo al corpo Athos, Porthos portando seco Aramis, balzarono giù dai -gradini, si slanciarono nei corridoj, scesero velocemente le scale, e -si perderono tra la folla, mentre nell’interno della sala i moschetti -abbassati minacciavano tremila spettatori, che con le lor grida, col -loro spavento, trattennero lo slancio già dato alla strage. - -Carlo pure aveva riconosciuti i quattro francesi, e si era posta una -mano sul cuore onde frenarne i palpiti, e l’altra sugli occhi per non -vedere uccidere i suoi amici. - -Mordaunt, bianco e tremante dalla rabbia, si precipitò fuori dalla -sala, nuda in pugno la spada, con dieci alabardieri, indagando tra la -moltitudine, e interrogando, e poi ritornò indietro senza aver trovato -nulla. - -Finalmente si ristabilì la calma. - -«Che avete voi da dire per vostra difesa? domandò Bradshaw al re. - -«Innanzi d’interrogarmi, disse Carlo, rispondetemi. Io era libero -in Newcastle, ed avevo colà conchiuso un trattato con le due camere. -In vece di eseguire per parte vostra il trattato ch’io dal mio lato -adempieva, mi compraste dagli Scozzesi, non a caro prezzo, lo so, e -ciò fa onore all’economia del vostro governo; ma perchè mi pagate al -prezzo di uno schiavo, sperate forse ch’io abbia cessato di essere il -vostro re? No no! Io dunque non vi risponderò se non quando mi avrete -giustificati i vostri diritti ad interrogarmi: il rispondervi sarebbe -come riconoscervi per giudici miei, ed io non vi riconosco che per miei -carnefici». - -E in mezzo a un silenzio di morte, Carlo, tranquillo, altero, e sempre -coperta la testa, nuovamente si assise. - -«Ah! perchè non sono là, i miei Francesi? mormorò poscia con orgoglio e -volgendo il ciglio verso la tribuna ove essi erano comparsi dapprima, -vedrebbero che il loro amico, vivo, è degno di esser difeso, e morto, -di esser pianto». - -Invano però ricercava tra la folla, e in certo modo chiedeva a Dio la -loro dolce e consolante presenza; non vide altro che fisonomie stupide -ed impaurite, e si sentì alle prese con l’odio e la ferocia. - -«Ebbene, disse il presidente dacchè Carlo mantenevasi deciso a tacersi, -noi vi giudicheremo ad onta del vostro silenzio. Siete accusato di -tradimento, abuso di potere, ed assassinio. Faranno fede i testimoni. -Andate, ed una prossima seduta compirà ciò che negate di fare in -questa». - -Carlo si alzò, e voltosi a Parry, cui vedeva pallido e bagnate le -tempie di sudore, gli domandò: - -«Che hai tu, mio buon Parry? e di che tanto ti agiti? - -«Oh sire! questi rispose con le lacrime agli occhi e in tuono supplice, -sire, all’uscire dalla sala non guardate a sinistra! - -«E perchè? - -«Non guardate, ve ne scongiuro, mio re! - -«Ma che v’è mai?.... parla! continuò il re procurando distinguere tra -la fila di guardie che stavagli a tergo. - -«V’è.... ma, sire, non guarderete, è vero? v’è che sopra una tavola -hanno fatto portare la scure con la quale si giustiziano i rei. È -orribil vista! non guardate, sire, io ve ne supplico! - -«Stupidi! fece Carlo, dunque mi credono vile al pari di loro?.... -Grazie, Parry, facesti bene ad avvertirmi». - -Ed essendo il momento di ritirarsi, uscì seguendo i suoi custodi. - -In fatti, a sinistra dalla porta brillava di un tristo riflesso, cioè -di quello del tappeto rosso su cui era posata, la bianca scure col -lungo manico forbito del carnefice. - -Carlo giunto a questa di faccia si soffermò. - -«Ah ah! disse ridendo, la mannaja! spauracchio ingegnosissimo -e degno di coloro i quali non sanno che siasi un gentiluomo; tu -non mi fai paura, scure del boja, aggiunse sferzandola col giunco -sottile e pieghevole che aveva in mano, ed io ti percuoto aspettando -cristianamente e con pazienza che tu a me faccia altrettanto». - -Ed in atto di sommo disprezzo proseguì il suo cammino, e lasciò -attoniti quelli che si erano affollati attorno alla tavola onde vedere -che ciera avrebbe il re nel mirar la bipenne che separar doveva dal suo -corpo la testa. - -«In verità, Parry, disse il re mentre si allontanavano, quelle genti, -Dio mi perdoni, mi prendono per un mercante di cotone delle Indie, e -non per un gentiluomo uso a veder brillare il ferro. Si pensano forse -ch’io non valga quanto un macellajo?» - -Intanto che profferiva queste parole, arrivava alla porta. Era accorsa -lunga fila di popolo, che non avendo potuto trovar posto nelle tribune -voleva almeno godere della fine dello spettacolo di cui aveva perduta -la parte più interessante. Quella innumerevole moltitudine, fra la -quale abbondavano minacciose fisonomie, fece mandare al re un piccolo -sospiro. - -«Quanta gente, ei pensò, e non un amico zelante!» - -E mentre pronunziava fra sè questi accenti di dubbio, di coraggimento, -una voce a lui vicina disse rispondendo: - -«Salve alla decaduta Maestà!» - -Il re si volse con impeto; aveva al cuore ed agli occhi le lacrime. - -Quegli che sì parlava era un vecchio soldato delle sue guardie, che non -voleva vedersi a passare dinanzi il suo re prigioniero senza rendergli -quest’ultimo omaggio. - -Ma all’istante medesimo, l’infelice fu quasi ucciso a colpi di pomo di -spada. - -Fra quei che lo accoppavano, il re ravvisò il capitano Groslow. - -«Ahimè! disse Carlo, che castigo terribile per fallo sì lieve!» - -Ed angustiato continuò ad andare avanti. - -Ma non aveva fatto cento passi, che un furibondo, chinandosi fra mezzo -a due soldati schierati, sputò sul viso al re. - -Echeggiarono insieme e risate e tristissimo mormorio; la calca si -diradò, si riavvicinò, ondulando come un mar burrascoso, ed a Carlo -sembrò di veder rilucere fra quell’onda vivente gli occhi infuocati di -Athos. - -Carlo si asciugò la guancia, e disse con un mesto sorriso: - -«Sciagurato! per mezza lira farebbe altrettanto a suo padre!» - -Il sovrano non si era ingannato; avea distinto effettivamente Athos ed -i suoi amici, che, mescolatisi di nuovo alla turba, scortavano con un -ultimo sguardo il re martire. - -Quando il soldato salutò Carlo, balzò ad Athos il petto dal giubilo, -e quel misero, allorchè fu in sè rinvenuto, si trovò nella saccoccia -dieci ghinee depostevi furtivamente dal gentiluomo francese; ma quando -il vile oltraggiatore sputò sulla faccia al re prigioniero, Athos mise -mano al pugnale. - -Lo trattenne però d’Artagnan, dicendogli con voce rauca: - -«Aspetta!» - -D’Artagnan non aveva mai dato del _tu_ nè ad Athos nè al conte di la -Fère. - -Athos si ristette. - -D’Artagnan si appoggiò su di lui, accennò a Porthos e ad Aramis di -non allontanarsi, e venne a collocarsi dietro all’uomo, che colle -braccia ignude rideva tuttavia dell’infame suo scherzo e riceveva le -congratulazioni di parecchi altri furibondi. - -Colui s’incamminò verso la Città-Vecchia. Il nostro tenente Guascone, -sempre reggendosi ad Athos, lo seguitò, facendo segno ad Aramis e a -Porthos di andargli appresso. - -L’uomo dalle braccia scoperte, che pareva un garzone di macellajo, -discese con due compagni da una straduzza ripida ed isolata che dava -sul fiume. D’Artagnan, scioltosi dal braccio dell’amico, andava a tergo -all’oltraggiatore. - -Quei tre, giunti vicini alla riva, si accorsero di esser seguìti: si -fermarono, e guatando con insolenza i Francesi ricambiarono fra loro -alcuni lazzi. - -«Io non so l’inglese, disse d’Artagnan ad Athos, ma voi lo sapete, e mi -farete da interprete». - -Raddoppiarono il passo, e superarono nel cammino gl’Inglesi. Ma -d’Artagnan, giratosi ad un tratto, andò incontro al macellajo, il -quale si ristette, e toccatolo sul petto con la cima dell’indice, disse -all’amico: - -«Athos, ripetetegli questo: — sei stato un vile, hai insultato un uomo -privo di difesa, hai lordata la faccia del tuo re, ora morrai!.... — » - -Athos, pallido come una larva, ed a cui d’Artagnan teneva stretto -il pugno, tradusse quelle strane parole al disgraziato, che, visti i -fieri preparativi e l’occhio terribile di d’Artagnan, voleva tentare di -difendersi. A questo moto Aramis mise mano alla spada. - -«No no! il ferro no! gridò d’Artagnan, il ferro è pei gentiluomini!» - -Ed afferrato pel collo il beccajo, soggiunse: - -«Porthos! voi con un pugno ammazzatemi questo scellerato!» - -Porthos alzò il braccio tremendo, lo fece sibilare per aria come una -frombola, e la pesantissima mole cadde con gran fracasso sul cranio del -vile e glielo infranse. - -L’uomo cascò come farebbe un bue sotto la mazzuola. - -I suoi camerati volevano gridare, fuggire, ma nella bocca mancò ad essi -la voce, e sotto a loro si piegarono le gambe. - -«Athos, continuò d’Artagnan, dite a costoro anche questo: — Così -morranno tutti quelli che dimenticano che un uomo avvinto fra catene è -una testa sacra, che un re prigioniero è due volte rappresentante del -Signore — ». - -Athos ripetè esattamente. - -I due uomini, ammutoliti, irti i capelli, osservavano il corpo del -compagno che sguazzava in una pozza di sangue nero; indi, ritrovando -insieme e voce e forze, scapparono strillando a mani giunte. - -«È fatta giustizia! disse Porthos asciugandosi la fronte. - -«E adesso, disse d’Artagnan ad Athos, non dubitate di me e state -quieto, assumo io su di me tutto quanto interessa il re Carlo». - - - - -LXIX. - -_Whitehall._ - - -Il Parlamento condannò a morte Carlo Stuart, secondo era agevole -prevedersi. I giudizj politici sono quasi sempre vane formalità, -conciossiachè le medesime passioni che fanno accusare fanno condannare -pur anco. Tale è la terribile logica delle rivoluzioni. - -Abbenchè i nostri amici si attendessero quella sentenza, ne provarono -sommo dolore. D’Artagnan, la di cui mente nei momenti estremi aveva -maggiori risorse che mai, giurò di nuovo che tutto tenterebbe onde -impedire lo scioglimento della sanguinosa tragedia. Ma con che mezzi? -ecco ciò che tuttavia egli vedeva vagamente. Tutto dipenderebbe -dall’indole delle circostanze. Intanto che si potesse fissare un piano -completo, era d’uopo ad ogni costo per acquistar tempo porre ostacolo a -che l’esecuzione avesse luogo all’indomani conforme avevano i giudici -deciso. L’unico modo era di fare sparire da Londra il carnefice: -sparito il carnefice, non poteva eseguirsi la sentenza. Certo, sarebbe -mandato a chiamare quello della città più vicina, ma con questo si -guadagnerebbe almeno un giorno, e un giorno in casi simili è forse la -salvezza! D’Artagnan si assunse questa impresa più che difficile. - -Era poi cosa non meno essenziale il prevenire Carlo Stuart che si -procurerebbe di salvarlo, affinchè egli secondasse quanto fosse -possibile i suoi difensori, o almeno non agisse in senso opposto a -loro. Ed Aramis s’incaricò di codesta rischiosissima diligenza. Carlo -aveva richiesto che si permettesse al vescovo Juxon di visitarlo -nella sua prigione di Whitehall. Mordaunt era venuto in quella stessa -sera dal vescovo onde fargli noto il desiderio religioso espresso dal -re, ugualmente che l’autorizzazione di Cromvello. Aramis risolse di -ottenere dal vescovo, o col terrore o con la persuasione, di lasciar -lui penetrare in sua vece e rivestito delle sue insegne sacerdotali nel -palazzo di Whitehall. - -Finalmente Athos si addossò di preparare ad ogni evento i mezzi di -abbandonare l’Inghilterra tanto in caso di riuscita che nell’ipotesi -contraria. - -Fattasi notte, si fissarono l’appuntamento all’albergo per le undici -ore, e ciascuno si avviò ad eseguire la sua perigliosa incombenza. - -Il palazzo di Whitehall era custodito da tre reggimenti di cavalleria, -ed in ispecie (se così è lecito dire) dall’incessante inquietezza di -Cromvello, che andava e veniva, e mandava i suoi generali o i suoi -agenti. - -Solo e nella solita sua camera, rischiarata da due candele, il monarca, -condannato a morte, guardava mestamente il lusso delle sue passate -grandezze, come si vede nell’ora estrema la immagine della vita più -brillante e soave che mai. - -Parry non erasi discostato dal suo padrone, e dacchè questi era stato -condannato, non aveva più terminato di piangere. - -Carlo Stuart, posate le gomita sovra un tavolino, contemplava un -medaglione su cui stavano accanto uno all’altro i ritratti della moglie -e della figlia. Attendeva prima Juxon, e dopo Juxon il martirio. - -Fermava talora il suo pensiero su quei prodi gentiluomini che già gli -parevano lontani le mille leghe, favolosi, chimerici, e simili a quelle -figure che si scorgono in sogno e si dileguano al destarsi. - -Perocchè alcune volte Carlo fra sè domandava se tutto quanto gli era -avvenuto fosse propriamente un sogno, o per lo meno il delirio della -febbre. - -E a questa idea si alzava, moveva pochi passi quasi per uscire dal suo -torpore, e andava sino alla finestra: ma tosto sotto a questa vedeva -risplendere i moschetti delle guardie; e allora gli faceva d’uopo -convenire ch’era desto e ch’era pur vero il suo sogno sanguinoso. - -Ei ritornava in silenzio sul suo seggiolone, rimetteva le gomita sopra -la tavola, lasciava ricadersi la testa sulla mano, e rifletteva. - -«Ahimè! tra sè diceva, se almeno avessi per confessore uno di quei -luminari della Chiesa la di cui anima ha scandagliati tutti i misteri -della vita, tutte le piccolezze della grandezza, forse la sua voce -soffocherebbe quella che va querelandosi nell’anima mia! ma avrò un -prete di mente non elevata, e di cui mediante il mio infortunio ho -troncata la carriera e la fortuna. Esso mi parlerà di Dio e della morte -secondo ne ha parlato ad altri moribondi, senza comprendere che questo -moribondo regio lascia un trono all’usurpatore, mentre i figli suoi non -hanno più pane». - -Indi, appressandosi alle labbra il ritratto, balbettava a vicenda il -nome di ciascuno dei suoi figli. - -Era, conforme dicemmo, notte oscura e nebbiosa. Suonava lenta l’ora -all’orologio della chiesa vicina. I pallidi barlumi delle due candele -spandevano nell’ampia ed alta stanza delle fantasme rischiarate da -stranissimi riflessi. Le fantasme, le larve, erano gli avi del re -Carlo, che risaltavano nelle loro cornici d’oro; i riflessi erano gli -ultimi splendori azzurri del fuoco di carbone che si estingueva. - -S’impossessò di Carlo summa tristizia. Ei nascose il capo in fra le due -mani, pensò al mondo tanto bello quando noi lo lasciamo, o piuttosto -quando egli ci lascia; agli amplessi de’ nostri pargoletti sì dolci -e soavi specialmente quando ne siam divisi per non più rivederli, e -poi alla consorte, nobile e coraggiosa donna, che sostenuto lo aveva -sino all’ultimo momento. Si trasse di seno la croce di diamanti e la -placca della Giarrettiera da lei inviategli per mezzo di quegli animosi -Francesi, e le baciò. Poscia, all’idea ch’ella non rivedrebbe questi -oggetti se non dopo ch’ei giacesse freddo e mutilato in una tomba, si -sentì nell’interno scorrere uno di quei brividi gelidi che la morte ci -getta addosso come primo suo manto. - -Allora, in quella camera che a lui riproduceva tante regali -rimembranze, dov’erano passati tanti cortigiani e tante adulazioni, -solo con un afflittissimo servo il di cui animo debole non poteva -essere sostegno all’animo suo, il re lasciò cadere il proprio coraggio -a pari a quelle debolezze, a quelle tenebre, a quel gelo invernale; e, -dovremo noi dirlo? questo re, che morì sì grande e sublime, col sorriso -della rassegnazione sul labbro, asciugò all’ombra una lacrima ch’era -scesa sul tavolino e tremolava sopra il tappeto ricamato di oro. - -Si udì improvvisamente camminare nelle gallerie, fu aperta la porta, -varie torcie empierono la stanza con la lor luce, ed un ecclesiastico, -indossando vesti vescovili, entrò seguito da due guardiani ai quali -Carlo fe’ con la mano un gesto imperioso. - -I due guardiani si ritirarono: fu nuovamente oscurità profonda. - -«Juxon! esclamò Carlo! Juxon! grazie, ultimo amico mio, voi giungete -opportuno». - -Il vescovo diede un’occhiata inquieta e bieca all’uomo che singhiozzava -all’angolo del camminetto. - -«Orsù, Parry, disse il re, non pianger più, ecco che a noi viene Iddio. - -«Se è Parry, disse il supposto vescovo, non ho più di che temere; e -così, o sire, permettetemi di riverire Vostra Maestà e di dirle chi -sono e perchè qui vengo». - -A tal vista, a tal voce, Carlo era certamente per dare una forte -esclamazione; Aramis, postosi un dito sul labbro, salutò umilmente il -re d’Inghilterra. - -«Il cavaliere! balbettò Carlo. - -«Sì, sire, fece Aramis alzando la voce, sì, il vescovo Juxon, fedel -cavaliere di Cristo, e che si presta al desiderio di Vostra Maestà». - -Il re unì insieme le mani; aveva riconosciuto d’Herblay; rimase -stupefatto, annichilito, dinanzi a quegli uomini, che, stranieri e -senza altro movente che un dovere imposto dalla lor propria coscienza, -si ponevano così a contrasto con il volere di un popolo e il destino di -un re! - -«Voi! disse, voi! e come poteste arrivare sin qua? Dio! Dio! se vi -riconoscessero, sareste perduti!» - -Parry stava in piedi, ed in tutta la sua persona esprimevasi il -sentimento di somma ed ingenua ammirazione. - -«Sire, non pensate a me, rispose Aramis sempre coi gesti raccomandando -a Carlo il silenzio, pensate a voi soltanto; i vostri invigilano, ben -lo vedete; che faremo, ancora non lo so, ma quattro uomini risoluti -ponno far molto. Frattanto non chiudete occhio in tutta la notte, non -vi stupite di cosa alcuna, ed a tutto attendetevi». - -Carlo scosse la lesta. - -«Amico, replicò, vi è pur noto che non avete tempo d’avanzo, e se -volete agire vi è d’uopo sollecitarvi. Sapete che domattina a dieci ore -io debbo morire? - -«Sire, di qui a quel tempo accadrà qualche cosa che renderà impossibile -l’esecuzione». - -Il re guardò Aramis con meraviglia. - -Nel momento fuvvi sotto alla finestra un rumore singolare, e come lo -produrrebbe il discarico di una carrettata di legna. - -«Udite?» disse Carlo. - -Poi s’intese un grido di dolore. - -«Ascolto, fece Aramis, ma non comprendo che sia il rumore, e -specialmente quel grido.... - -«Del grido, ignoro chi lo abbia mandato, rispose il re, ma il rumore, -tosto ve lo spiego. Sapete che debbo essere giustiziato fuori da questa -finestra?» - -E Carlo stendeva la mano verso la piazza buja e deserta, ove non erano -altro che soldati e sentinelle. - -«Lo so, disse Aramis. - -«Or bene, la legna che si arreca sono i travi e l’intavolato con che -vuol costruirsi il mio patibolo. Scaricandola, qualche operajo si sarà -fatto male». - -Aramis rabbrividì. - -«Vedete dunque, continuò Carlo, che è inutile ostinarvi più a lungo; -sono condannato, lasciatemi subire la mia sorte. - -«Sire, replicò Aramis, riacquistate la quiete turbata per un istante; -possono innalzare un patibolo, ma non troveranno un carnefice. - -«Che intendete mai dire? - -«Dico che a quest’ora il carnefice è portato altrove o comprato; domani -sarà pronto il palco, ma mancherà il boja, e quindi l’esecuzione verrà -differita a domani l’altro. - -«Ebbene? - -«Ebbene, domani, nella notte, noi vi conduciamo fuori di qui. - -«Come mai? chiese il re a cui rischiarò la faccia un lampo di gioja. - -«Oh signore! balbettò Parry, siate benedetti, e voi ed i vostri! - -«Ma come? ripetè Carlo, occorre che io lo sappia, acciò vi secondi se -bisogna. - -«Sire, neppur io lo so, fece Aramis; ma il più valoroso, il più zelante -di noi quattro mi lasciò dicendomi: — Cavaliere, dite al re che domani -sera a dieci ore lo condurremo via. — E se lo ha detto, oh! lo farà. - -«Palesatemi il nome di quel generoso amico, onde io gli serbi eterna -gratitudine, o riesca o no il suo progetto. - -«D’Artagnan, quello stesso ch’era in procinto di salvarvi, quando sì -male a proposito capitò il colonnello Harrison. - -«In verità, siete uomini meravigliosi! seguitò il re, e se tali cose mi -si fossero narrate io non le avrei credute. - -«Adesso, sire, ascoltatemi. Non vi dimenticate che noi vegliamo pella -vostra salvezza: il minimo gesto, il minimo canto, il minimo cenno di -coloro che vi si appresseranno sia da voi osservato, udito, commentato. - -«Oh cavaliere! soggiunse il re, che posso dirvi? Niuna parola, quando -sorgesse dal più profondo del mio cuore, varrebbe a esprimere la mia -riconoscenza. Se riuscite, non vi dirò che salvate un re: no, vista -come io la veggo dal patibolo, la regia autorità è pur cosa da poco, -ve lo giuro; ma conserverete un marito alla moglie, un padre a’ suoi -figli. Cavaliere, toccate questa mano, la mano di un amico che vi amerà -sino all’ultimo respiro». - -Aramis voleva baciare la destra di Carlo, ma Carlo, presa a lui la sua, -se la strinse al petto. - -Nel momento entrò un uomo senza tampoco bussare all’uscio. Aramis -andava per ritirare la mano, il re lo trattenne. - -Colui che entrava era uno di quei puritani mezzo preti e mezzo soldati -che tanto abbondavano presso a Cromvello. - -«Che volete? domandò il re. - -«Desidero sapere s’è terminata la confessione di Carlo Stuart. - -«Che v’importa? disse Carlo, noi non siamo della stessa religione. - -«Tutti gli uomini son fratelli, rispose il puritano; un mio fratello è -per morire, ed io vengo ad esortarlo alla morte. - -«Andate! gridò Parry, il re non sa che farsi delle vostre esortazioni. - -«Sire, avvertì piano Aramis, abbiategli riguardo, è certamente uno -spione. - -«Signore, disse a colui il re, dopo il reverendo dottor vescovo, vi -udrò con piacere». - -L’individuo, di sguardo bieco, se ne andò, non senza avere osservato -Juxon con tale attenzione di cui Carlo si accorse. - -«Cavaliere, disse il re dopo che la porta fu chiusa, credo che avevate -ragione, e che quell’uomo era venuto qui con triste intenzioni; siate -cauto nel ritirarvi, badate che non vi accadano disgrazie. - -«Sire, replicò Aramis, io ringrazio Vostra Maestà; ma Ella stia pur -quieta, sotto a questa veste ho il giacco di maglia ed il pugnale. - -«Andate dunque, e Dio vi tenga nella sua santa guardia, come dicevo al -tempo ch’ero re». - -Aramis uscì. Carlo lo accompagnò fin sulla soglia. - -Aramis sparse la sua benedizione, la quale fece inchinare i custodi, -passò maestosamente per le anticamere piene di soldati, salì nella sua -carrozza ove lo seguirono i suoi due guardiani, e si fe’ condurre al -vescovado dov’essi lo lasciarono. - -Juxon attendeva ansioso. - -«Ebbene? domandò vedendo Aramis. - -«Ebbene, disse questi, tutto è riuscito a seconda delle mie brame: -spioni, guardie, satelliti, mi hanno preso per voi, ed il re vi -benedice aspettando che voi lo benediciate. - -«Dio vi protegge, figlio mio, ed il vostro esempio mi ha dato insieme -speranza e coraggio». - -Aramis si rimise i suoi abiti e il ferrajuolo, e partì, avvertendo -Juxon che ricorrerebbe a lui un’altra volta ancora. - -Appena ebbe fatto dieci passi in istrada si accorse che lo seguiva un -tale impastranato; mise mano al pugnale e si fermò. - -Quel tale era Porthos. - -«Caro amico! disse Aramis, e gli porse la destra. - -«Ecco, rispose Porthos, ciascuno di noi aveva il suo incarico; il mio -si era di far guardia a voi, e così feci. Vedeste il re? - -«Sì, e tutto va bene. Ed ora i nostri amici dove sono? - -«Abbiamo il convegno per le undici ore all’albergo. - -«Dunque non v’è tempo da perdere». - -Infatti suonavano le dieci e mezzo alla chiesa di San Paolo. - -Bensì i due colleghi essendosi sollecitati arrivarono i primi. - -Dopo di loro entrò Athos. - -«Tutto va ottimamente, annunziò avanti d’essere interrogato. - -«Che faceste? gli chiese Aramis. - -«Ho preso a nolo una piccola filuca, stretta come una piroga, leggera -come una rondine; questa ci attende a Greenwich di faccia all’isola -dei Cani; ha un capitano e quattro marinaj, che mediante cinquanta lire -sterline staranno a nostra disposizione per tre notti consecutive. Una -volta che siamo a bordo col re, profittiamo della marea, scendiamo -giù pel Tamigi, e in due ore siamo in alto mare. Allora, da veri -pirati, rasentiamo le coste, ci rimpiattiamo verso le spiagge, o se -il mare è libero volgiamo la prua sopra Boulogne. Se mai io restassi -ucciso, sappiate che il padrone si chiama capitano Roger e la barca -_Il Lampo_. Con questo avviso ritroverete questa e quello. Il segno di -riconoscimento è un fazzoletto con quattro nodi uno per cantonata». - -A capo a poco giunse pure d’Artagnan. - -«Vuotatevi le tasche, esso disse, sino a concorrenza di cento lire -sterline, perchè le mie (e le rivoltava) son vuote affatto». - -In un minuto secondo fu messa a parte la somma. D’Artagnan uscì, e -ritornò indi a un momento. - -«Oh! disse, è finita.... uf! non senza fatica però! - -«Il boja è partito da Londra? domandò Athos. - -«Eh sì! in ciò non v’era sicurezza bastante; poteva uscire da una porta -e rientrare dall’altra. - -«E dov’è? - -«In cantina. - -«In qual cantina? - -«In quella del nostro locandiere; Mousqueton sta seduto sulla porta, ed -ecco la chiave. - -«Bravo! fece Aramis, ma come lo avete indotto a sparire? - -«Come s’inducono tutti in questo mondo, col danaro; mi è costato caro, -ma vi ha acconsentito. - -«E quanto vi è costato? ricercò Athos, giacchè capite, amico, che -adesso che non siamo più a dirittura poveri moschettieri senza casa nè -tetto; tutte le nostre spese devono essere in comune. - -«Dodici mila lire, rispose d’Artagnan. - -«E dove le avete trovate? possedevate forse una tal somma? - -«E il famoso diamante della regina? - -«Ah! è vero, disse Aramis, ve lo avevo riconosciuto in dito. - -«Dunque lo avete ricomprato da Des Essarts? disse Porthos. - -«Eh sì, mio Dio! replicò d’Artagnan, ma lassù sta scritto ch’io non -possa conservarlo. Che volete? i diamanti, per quanto è da credere, -hanno le loro antipatie o simpatie come gli uomini, e sembra che quello -mi aborrisca. - -«Ma, osservò Athos, codesto va bene in quanto al boja; pur troppo ogni -boja ha il suo ajuto, il suo servo, che so io? - -«Anche quello lo aveva; noi però siamo fortunati. - -«Come mai? - -«Nel momento che credevo di aver da trattare di un secondo negozio, -hanno portato colui con una coscia rotta. Per eccesso di zelo egli ha -accompagnata fin sotto alle finestre del re la carretta che conteneva i -travi e gl’intavolati; un di quei travi gli è caduto sulla gamba e glie -l’ha fracassata. - -«Ah! disse Aramis, era suo l’urlo che io intesi dalla camera del re? - -«Può essere, rispose d’Artagnan; ma, essendo un uomo che pensa bene, -ha promesso nel ritirarsi di mandare in suo luogo e vece quattro operaj -abili ed esperti per ajutare quei che sono già al lavoro; e tornando a -casa del suo padrone, benchè fosse ferito, ha scritto subito a maestro -Tom Lowe, garzone di falegname suo amico, di recarsi a Whitehall ad -eseguire la sua promessa. Ecco la lettera che egli spediva con un -espresso, il quale doveva portarla per dieci pence e l’ha venduta a me -per un luigi. - -«E che diamine volete farvi di codesta lettera? fece Athos. - -«Non ve lo indovinate? disse d’Artagnan con gli occhi che brillavano di -accortezza. - -«No, sull’anima mia! - -«Or bene, caro Athos, voi che parlate inglese come John Bull in -persona, siete maestro Tom Lowe e noi siamo i vostri tre compagni. -Adesso capite?» - -Athos diede un grido di giubilo e di ammirazione, corse in uno -stanzino, ne trasse degli abiti da operaj con cui si rivestirono subito -i quattro amici; dopo di che essi uscirono dall’albergo, Athos portando -una sega, Porthos un palo di ferro, Aramis una piccozza, e d’Artagnan -un martello e dei chiodi. - -La lettera del servo del carnefice faceva fede qualmente eglino fossero -quelli ch’erano aspettati. - - - - -LXX. - -_Gli operaj._ - - -Verso la metà della notte Carlo udì grande strepito sotto la finestra: -erano colpi di martello e di piccozza, puntate di palo, e stridere di -sega. - -Essendosi egli coricato tutto vestito, e cominciando appunto ad -addormentarsi, si destò trasalito a tal fracasso, e perchè questo oltre -al suono materiale aveva anche un eco morale e terribile nell’animo -suo, tornarono ad assalirlo gli orribili pensieri della sera. Solo, -nell’isolamento e fra le tenebre, non ebbe forza di reggere a quella -nuova tortura non compresa nel programma del suo supplizio, e mandò -Parry a dire alla sentinella che pregasse gli operaj di picchiar meno -forte e aver pietà dell’ultimo sonno di lui ch’era stato loro re. - -La sentinella non volle abbandonare il suo posto, ma lasciò passare -Parry. - -Il quale, giunto vicino alla finestra, dopo fatto il giro del palazzo, -vide a livello col davanzale del quale si era staccata l’inferriata un -largo palco non peranco terminato, ma su cui cominciavasi ad inchiodare -un parato di serge nera. - -Il palco, a pari altezza della finestra, cioè di circa venti piedi, -aveva due piani interni. - -Parry, per quanto odiosa gli fosse quella vista, cercò in fra otto -o dieci lavoranti che costruivano la trista macchina, coloro che -col rumore che facevano doveano dare al re maggior molestia, e sul -secondo intavolato scôrse due uomini che con un palo staccavano le -ultime aste del balcone di ferro; uno di essi, vero colosso, faceva -l’uffizio dell’ariete antico incaricato di atterrare le muraglie; ad -ogni botta del suo arnese volava in pezzi la pietra; l’altro, stando -inginocchiato, traeva a sè le pietre rimosse. - -Era evidente esser quelli che facevano lo strepito di cui lagnavasi -Carlo. - -Parry salì su la scala di legno e venne da loro. - -«Amici, disse, vorreste lavorare un poco più piano? ve ne prego: il re -dorme, e ha bisogno di sonno». - -L’individuo che batteva col palo si fermò e si volse alquanto; però, -siccome stava in piedi, Parry non potè distinguere il suo viso perduto -nelle tenebre che si rendevano sempre più dense. Quello ginocchioni, -si girò esso pure, e perchè essendo più basso che il compagno, il -lanternino gli rischiarava la faccia, Parry potè vederlo. - -Quegli guardò lui molto fisso e si portò un dito alla bocca. - -Parry retrocedè stupefatto. - -«Va bene, disse l’operajo in ottimo inglese, torna a dire al re che se -dorme male questa notte dormirà meglio la notte prossima». - -Queste acerbe parole, che, prese alla lettera, avevano un senso sì -terribile, furono accolte dagli artigiani che travagliavano dalle parti -ed al palco inferiore con atti di atroce gioia. - -Parry si ritirò credendo di sognare. - -Carlo lo attendeva impaziente. - -Nel momento ch’ei tornò dentro, la sentinella della porta passò con -curiosità la testa dall’apertura onde vedere che cosa facesse il re. - -Il re stava con le gomita posate sul letto. - -Parry chiuse l’uscio, ed appressandosi a Carlo con la cera più allegra -del mondo gli disse sommessamente: - -«Sire, sapete che operaj sono quelli che fanno tanto chiasso? - -«No, rispose il sovrano scuotendo mestamente il capo, come vuol tu -ch’io lo sappia? conosco io forse coloro? - -«Sire, soggiunse Parry anche più sottovoce e chinandosi verso il suo -padrone; è il conte di La Fère e il suo compagno. - -«Che mi costruiscono il patibolo! disse attonito il re. - -«Sì, e costruendolo fanno un foro al muro. - -«Zitto! fece Carlo guardandosi attorno atterrito, gli hai veduti? - -«Ho loro parlato». - -Il re, a mani giunte, alzò gli occhi al cielo; indi, dopo breve ma -fervida preghiera, balzò dal letto, andò alla finestra, e scostò -le portiere; v’erano sempre le sentinelle, e più là del balcone -estendevasi un’oscura piattaforma su cui passavano come specie di -ombre. - -Carlo non potè discernere cosa alcuna, ma si sentì sotto i piedi la -scossa dei colpi che menavano i suoi amici; e ognuno di quei colpi -ormai corrispondeva a lui nel cuore. - -Parry non si era ingannato credendo di ravvisare Athos: questo -realmente, ajutato da Porthos, faceva una buca su cui doveva posare una -delle assi trasversali. - -Il buco comunicava ad una sorta di tamburo formato sotto il pavimento -della camera regia; una volta pervenuti in quel tamburo, che somigliava -ad un mezzanino assai basso, si poteva con un ferro e buone spalle -(ed a ciò toccava a pensare a Porthos) far saltare una lastra del -pavimento; allora il re si calava giù da codesta apertura, insieme co’ -suoi liberatori arrivava ad uno dei compartimenti del palco totalmente -coperto di panno nero, s’imbacuccava esso pure con un abito da operajo -già apparecchiatogli, e senza ostentazione nè timore scendeva coi -quattro compagni. - -Le sentinelle, scevre d’ogni sospetto, mirando degli artieri che -avevano lavorato al palco li lasciavano passare. - -E secondo noi dicemmo, la filuca era all’ordine. - -Questo piano era grande, semplice e facile, come tutte le cose che -nascono da un’ardimentosa risoluzione. - -Athos adunque si squarciava le belle mani tanto bianche e sottili -levando le pietre che Porthos aveva svelte dalla loro base; poteva -digià introdurre la testa sotto gli ornamenti di che era guarnito -il parapetto del balcone. Innanzi giorno il foro sarebbe finito e -sparirebbe alla vista mercè una tenda interna che porrebbe d’Artagnan. -D’Artagnan erasi spacciato per operajo francese e metteva i chiodi con -la regolarità del più abile tappezziere. Aramis tagliava l’eccedenza -della serge che pendeva sino a terra e dietro alla quale sorgeva -l’intavolato del patibolo. - -Comparve la luce del giorno sulla cima delle case; gran fuoco di zolle -e di carbone aveva ajutato i lavoranti a passare la fredda nottata -dal 29 al 30 gennajo; ad ogni momento i più attenti alla lor bisogna -la sospendevano per andare a scaldarsi. Soltanto Athos e Porthos -non avevano lasciate le loro faccende. E quindi all’alba la buca era -terminata. Athos vi entrò, portando seco le vesti destinate pel re -avvolte in un ritaglio di saja nera; Porthos gli fece avere là dentro -il palo; e d’Artagnan (lusso grandissimo ma utile) inchiodò un parato -interno di lana da cui restarono celati e il foro e quello al quale -questo serviva di nascondiglio. - -Ad Athos non mancavano più che un pajo d’ore di lavoro onde poter -comunicare col re, e secondo i calcoli dei quattro amici, essi -avrebbero per sè tutta la giornata, poichè non essendovi il carnefice -occorrerebbe andar a chiamare quello di Bristol. - -D’Artagnan tornò a riprendere il suo abito color marrone, e Porthos il -giubbetto rosso; Aramis si trasferì da Juxon ad oggetto di penetrare se -pur fosse possibile insieme con esso presso a Carlo. - -Tutti e tre si erano dati l’appuntamento pel mezzodì sulla piazza di -Whitehall per vedere ciò che ivi accaderebbe. - -Avanti di muoversi dal palco, Aramis si era avvicinato all’apertura -dove stava Athos nascosto, onde annunziargli che andrebbe a procurare -di rivedere il re. - -«Sicchè addio e coraggio! disse Athos, riferite al re a che punto -ormai sono le cose; ditegli che appena sarà solo picchi sul pavimento, -acciocchè io possa continuare con sicurezza le mie faccende. Se -Parry fosse in grado di giovarmi, staccando anticipatamente la lastra -inferiore del caminetto, che è senza dubbio di marmo, sarebbe un tanto -acquistato. Voi, Aramis, cercate di non lasciare il re. Parlate forte -e di molto, giacchè staranno alla porta ad ascoltarvi. Se v’è una -sentinella per dentro all’appartamento, uccidetela senza cerimonie; se -ve ne son due, Parry ne uccida una e voi l’altra; se son tre, fatevi -ammazzare, ma salvate il sovrano. - -«Non dubitate, rispose Aramis, piglierò due pugnali per darne uno a -Parry. Basta così? - -«Sì, andate. Ma raccomandate al re di non usare una inopportuna -generosità. Mentre voi vi batterete, ove ciò avvenga, egli fugga; -una volta rimessa a segno la lastra, e voi su questa o morto o vivo, -bisogneranno almeno dieci minuti a ritrovare il buco da cui egli sarà -scappato. In quei dieci minuti noi avremo fatto cammino, e Carlo sarà -libero. - -«Sarà eseguito quanto accennate, Athos. Qua la mano, chè forse non ci -rivedremo più». - -Athos abbracciò Aramis. - -«Ecco per voi, egli disse; ora, se muojo, dite a d’Artagnan che lo amo -come mio figlio, ed abbracciatelo per me.... ed un amplesso ancora date -al buono e prode Porthos. Addio. - -«Addio, rispose Aramis. Io son adesso tanto sicuro che il re si -salverà, quanto lo sono di stringere in questo punto la mano più leale -ch’esista al mondo». - -Aramis si divise da Athos, e andò all’albergo, fischiarellando l’aria -di una canzone in lode di Cromvello. Trovò i due amici a tavola, -accanto al fuoco, che bevevano una bottiglia di Porto-Porto e si -divoravano un pollo freddo; Porthos mangiava mandando mille ingiurie -contro gli infami parlamentari: d’Artagnan mangiava in silenzio, ma -formando nel suo cervello i più audaci pensieri. - -Aramis gli raccontò tutto quel ch’era convenuto; d’Artagnan approvò col -capo, e Porthos con la voce. - -«Bravo! disse questi; d’altronde noi saremo là al momento della fuga; -si è benissimo celati sotto quel palco, e noi possiamo rimanervi. Tra -d’Artagnan, me, Grimaud e Mousqueton, ne ammazzeremo bene otto; non -parlo di Blaisois, buono soltanto a badare ai cavalli. A due minuti per -uomo, sono quattro minuti; Mousqueton ne perderà uno e fanno cinque, ed -in quei cinque voi potete aver fatto un quarto di lega». - -Aramis s’ingojò prestamente un boccone e un bicchier di vino, e cambiò -vestimento. - -«Ora, ei disse, me ne vo da Sua Grandezza; voi, Porthos, incaricatevi -di preparar le armi; d’Artagnan, sorvegliate a modo il boja. - -«State quieto; Grimaud è subentrato a Mousqueton, e tiene il piede -sopra. - -«Non serve, raddoppiate la vigilanza, e non restate inoperoso un -momento. - -«Inoperoso? mio caro, domandate a Porthos: non vivo, son sempre ritto e -in moto, fo la figura di un ballerino.... Caspita! come amo la Francia -in questo punto! e bella cosa ell’è pure l’avere una patria di suo, -quando si sta tanto male in quella degli altri!» - -Aramis li lasciò come Athos, cioè abbracciandoli, e si recò dal -vescovo Juxon, al quale avanzò la sua richiesta. Juxon aderì tanto più -facilmente a condurre Aramis in quanto che aveva di già avvertito che -avrebbe d’uopo di un prete in caso che il re volesse aver la comunione, -e specialmente nel caso probabile che bramasse udire una messa. - -Il vescovo, coi panni che il dì precedente indossava d’Herblay, -montò in carrozza; accanto ad esso salì Aramis più mascherato ancora -dalla sua pallidezza e dalla sua mestizia che dall’abbigliamento da -diacono. Il legno si fermò al portone di Whitehall. Erano circa nove -ore del mattino. Non si scorgeva verun cambiamento; le anticamere e le -gallerie come il giorno innanzi erano piene di guardie. Due sentinelle -si mantenevano alla porta del re, altre due passeggiavano davanti al -balcone sulla piattaforma del patibolo ov’era già posato il ceppo. - -Il re era ricolmo di speranza: la speranza si convertì in allegrezza, -visto ch’egli ebbe Aramis. Strinse a questi la mano, ed abbracciò -Juxon. Il vescovo affettò di parlar forte a Carlo, e dinanzi a tutti, -del loro colloquio del giorno prima. Carlo gli rispose che le parole da -lui dettegli allora aveano avuto buon effetto, e ch’ei desiderava un -altro colloquio consimile. Juxon volgendosi agli astanti gli pregò di -lasciarlo solo col re. - -Ognuno si ritirò. Chiuso l’uscio, Aramis disse con la massima prontezza: - -«Sire, voi siete salvo! il carnefice di Londra è sparito; il suo ajuto -si ruppe jeri una coscia sotto le finestre di Vostra Maestà. Era suo il -grido che udimmo. Certamente a quest’ora sarà noto che l’esecutore non -v’è, ma non v’ha un boja che a Bristol, e vi vuol tempo per andare a -chiamarlo; talchè abbiamo per lo meno sino a domani. - -«Ma il conte di la Fère? domandò Carlo. - -«È distante da voi di un braccio al più: prendete il _poker_ del -braciere e date tre colpi, e lo sentirete rispondervi». - -Il re con mano tremante eseguì quanto gli si accennava, tosto di sotto -al pavimento altri colpi dati con cautela risposero al segnale. - -«Sicchè.... quegli che batte da basso?.... - -«È il conte di la Fère, o sire. Dispone la via per cui potrà fuggire -Vostra Maestà. Parry solleverà la lastra di marmo, e sarà aperto il -varco. - -«Ma, disse Parry io non ho alcun arnese. - -«Prendete questo pugnale; solamente badate di non ispuntarlo, perchè -può essere che ne abbiate bisogno per bucare tutt’altro che la pietra. - -«O Juxon! disse Carlo premendo al vescovo ambe le mani, ritenetevi la -preghiera di quello che fu vostro re. - -«Che lo è tuttora e lo sarà sempre, replicò Juxon baciando la destra al -principe. - -«Pregate sin che avrete vita per questo gentiluomo che vedete, per -l’altro che udite qua sotto, e per altri due pure, che ovunque siano si -adoprano, ne son sicuro, per la mia salvezza. - -«Sire, sarete obbedito: fin tanto ch’io viva vi sarà ogni giorno -un’orazione offerta a Dio per quei fidi amici della Maestà Vostra». - -Fu continuato ancora, un poco di lavoro da abbasso, che via via -si sentiva più vicino. Ad un tratto s’intese un romore inaspettato -nella galleria. Aramis afferrando il _poker_ diede il segnale della -interruzione. - -Il romore si faceva ognor più prossimo: era come, di un certo numero di -passi eguali e regolari. I quattro uomini rimasero immobili; fissarono -gli occhi sulla porta, la quale fu aperta lentamente e con una sorta di -solennità. - -Erano schierate delle guardie nella stanza che precedeva quella del re. -Un commissario del Parlamento, vestito a nero e pieno di gravità di mal -augurio, entrò, salutò il sovrano, e spiegata una pergamena gli lesse -la sua sentenza secondo suol farsi ai condannati che denno andare al -patibolo. - -«Che significa codesto? domando Aramis a Juxon». - -Questo fe’ un cenno ch’esprimeva non saperne egli niente più di lui. - -«Dunque è per oggi? chiese il re con emozione, ch’era visibile -unicamente a Juxon e ad Aramis. - -«Sire, non eravate prevenuto ch’era per questa mattina? disse l’uomo -vestito di nero. - -«E debbo io morire, seguitava Carlo, come un colpevole volgare, per -mano del carnefice di Londra? - -«Il carnefice di Londra è sparito, sire; rispose il commissario del -Parlamento, ma si è esibito un tale in sua vece. E così l’esecuzione -non sarà ritardata se non del tempo che chiederete per dar sesto alle -cose vostre temporali e spirituali». - -Un lieve sudore che apparve alla radici dei capelli di Carlo fu l’unico -indizio di emozione ch’egli desse all’udire tal notizia. - -Aramis però diventò livido in volto; non gli batteva più il cuore; -chiuse gli occhi, ed appoggiò una mano sulla tavola. E Carlo -all’aspetto del suo duolo profondo parve obliasse quello che opprimeva -lui stesso. - -Gli si accostò, gli prese la destra e lo abbracciò. - -«Orsù, amico! disse con dolce eppur triste sorriso, coraggio!» - -E voltosi al commissario: - -«Signore, io sono pronto. Vedete, non bramo se non due cose, le quali -non vi recheranno grande indugio: la prima, la comunione; la seconda -un amplesso a’ miei figli dicendo ad essi addio per l’ultima volta. Mi -sarà ciò permesso? - -«Sì, o Sire, fece l’uomo in abito nero». - -Ed uscì. - -Aramis tornato in sè, si cacciava le unghie nelle carni; dal petto gli -esciva un gemito continuo. - -«Oh monsignore! esclamò afferrando le mani di Juxon. Dov’è Dio? dov’è -Dio? - -«Figlio, rispose con fermezza il vescovo, voi nol vedete perchè lo -ascondono le passioni terrestri. - -«Figliuol mio, disse il re ad Aramis, non disperarti in tal modo. Tu -domandi che fa Iddio? Iddio vede il tuo zelo e il mio martirio, e credi -a me, entrambi avranno il loro premio: sicchè di quanto avviene devi -dolertene contro gli uomini e non contro a Dio; gli uomini mi fanno -morire, gli uomini ti fanno piangere. - -«Sì, avete ragione, replicò Aramis, dagli uomini debbo volerne ragione, -e da loro io la vorrò! - -«Sedete, Juxon, proseguì Carlo inginocchiandosi, chè ancor rimane a voi -da udirmi, a me da confessarmi. Trattenetevi pure, disse ad Aramis che -si accingeva a ritirarsi, trattenetevi, Parry; nulla ho da dire, anche -nel segreto della penitenza, che dire non possa al cospetto di tutti; -trattenetevi, e soltanto mi dolgo che il mondo intero non possa udirmi -come voi e con voi». - -Juxon si assise, ed il re genuflesso a lui dinanzi come il più umile -dei fedeli, incominciò la sua confessione. - - - - -LXXI. - -_Remember._ - - -Terminata la confessione, Carlo I. comunicò, e poi chiese di vedere i -suoi figli. Suonavano le dieci ore, talchè conforme egli aveva detto -non era lungo il ritardo. - -Non ostante, il popolo era già pronto: sapeva che per le dieci era -fissata l’esecuzione, si affollava nelle strade adjacenti al palazzo, -ed il re cominciava a distinguere quel fragore lontano che producono -la moltitudine e il mare quando sono agitati, quella dalle passioni e -questo dalle tempeste. - -Giunsero i figli del re: prima la principessa Carlotta, indi il duca -di Glocester, cioè una fanciulletta bella bionda, e molle il ciglio di -lacrime, e un fanciullo di otto o nove anni, in cui l’occhio asciutto e -il labbro rialzato disdegnosamente già indicavano la nascente fierezza. -Il ragazzo aveva pianto tutta la notte, ma davanti a tutta quella gente -non piangeva più. - -Carlo si sentì struggere il cuore all’aspetto di quelle due creature, -che viste non aveva da più di due anni, e che rivedeva soltanto sul -punto di morire. Gli corse al ciglio una lacrima, e si volse per -asciugarla, imperocchè voleva mantenersi forte dinanzi a coloro a’ -quali lasciava un sì pesante retaggio di pene e di sventura. - -Parlò prima alla bambina, e traendola a sè, le raccomandò la pietà, -la rassegnazione e lo amor figliale; poscia prese il giovane duca di -Glocester, e fattolo sedere sulle sue ginocchia onde potere a un tempo -stesso stringerlo al cuore e baciarlo in volto, gli disse: - -«Figliuol mio, voi vedeste per le strade e nelle anticamere molte genti -che venivano qui. Quelle genti troncheranno la testa a vostro padre. -Non lo dimenticate giammai. Forse un giorno, mirandovi presso di loro -ed avendovi in loro potere, diviseranno farvi re con esclusione del -principe di Galles o del duca d’York vostri fratelli maggiori, che sono -l’uno in Francia e l’altro io non so dove; ma voi non siete il re, -nè tale potete divenire se non mediante la morte di essi. Giuratemi -adunque di non lasciarvi porre la corona sinchè a questa non abbiate -legittimo diritto.... chè un giorno, ascoltatemi bene, figlio mio, se -ciò faceste, un giorno, eglino atterrerebbero tutto, capo e corona, -ed allora voi non potreste morire quieto e senza rimorsi siccome io -muojo.... Giurate». - -Il ragazzo stese la piccola sua mano fra quelle del genitore, e rispose: - -«Sire, giuro a Vostra Maestà....» - -Carlo lo interruppe. - -«Enrico, disse, chiamami tuo padre. - -«Padre mio, vi giuro che mi uccideranno prima che farmi re. - -«Bene Enrico.... Adesso abbracciatemi, ed anche voi Carlotta, e di me -non vi scordate. - -«Oh no! mai! mai! esclamarono i due giovanetti cingendo il collo a -Carlo con le loro braccia. - -«Addio.... addio, figli miei, disse il re, Juxon, guidateli altrove; il -loro pianto mi torrebbe il coraggio di morire». - -Juxon levò i poveri bambini dalle braccia del loro padre, li consegnò a -quelli che ivi gli aveano condotti. - -Al loro uscire si apersero le porte, ed ebbe accesso tutta la gente. - -Il re vedendosi solo fra mezzo alla turba di guardie e di curiosi che -cominciavano a riempire la camera, si rammentò che il conte di la Fère -era lì vicinissimo sotto il pavimento della stanza, non potendo vederlo -e forse sempre sperando. - -Tremava che il minimo rumore sembrasse ad Athos un segnale, e che -questo rimettendosi al lavoro si scuoprisse da per sè. Procurò quindi -di stare immobile, e col suo esempio fece rimanere in riposo gli -astanti. - -Il re non s’ingannava: Athos era veramente sotto a’ suoi piedi; -ascoltava, s’inquietava di non udire il segnale; a volte nella sua -impazienza riprincipiava a rompere la pietra, ma per timore di essere -inteso si fermava subito. - -Durò due ore sì terribile inazione. Regnava nella regia camera silenzio -di morte. - -Athos allora si decise a ricercare la causa della mesta e tetra -tranquillità che sola turbava l’immenso strepito della folla. Schiuse -un poco il parato che nascondeva il loro fatto, e scese sul primo -piano nel palco. Più su della sua testa appena quattro pollici era -l’intavolato che si estendeva al livello della piattaforma e che faceva -il patibolo. - -Il rumore che fino a quel punto aveva udito confusamente, ormai -giungendogli cupo e minaccioso, lo fe’ balzare di spavento. Andò fin -sull’orlo del palco, scostò il panno nero alla altezza dell’occhio, -e vide vari cavalieri raccolti sulla terribile macchina; più là di -questa, una fila di partigianieri, dopo moschettieri, poi le prime file -del popolo, che simile ad un oceano agitato mugghiava e ribolliva. - -«Che sarà accaduto? disse fra sè Athos più tremante che il panno di -cui stropicciava le pieghe, il popolo accorre, i soldati sono sotto -le armi, e fra gli spettatori che tutti tengono fissi gli occhi alla -finestra, io vedo d’Artagnan! che attende mai? che guarda? Gran Dio! -che abbiano lasciato fuggir via il boja?» - -Ad un tratto fuvvi sulla piazza il rullo funebre del tamburo. Di -sopra al suo capo si sentivano passi gravi e prolungati. Gli sembrò -che qualche riunione simile ad una processione immensa calpestasse -i pavimenti di Whitehall. Di lì a poco udì scricchiolare la tavola -del palco. Diede un ultimo sguardo su la piazza, e l’attitudine -degli spettatori gli palesò ciò che tuttora impedivagli d’indovinare -un’ultima speranza in fondo al cuore rimastagli. - -Era cessato il bisbiglio esterno. Tutti tenevano attente le ciglia -verso la finestra di Whitehall; labbra schiuse, respiri trattenuti, -indicavano l’aspettativa di un tremendo spettacolo. - -Lo strepito dei passi, che Athos si era sentito sopra alla testa dal -luogo ch’egli occupava sotto l’appartamento del re, si riprodusse sul -palco, il quale cedè al peso in tal modo che le tavole toccarono quasi -il capo al misero gentiluomo. Erano evidentemente due file di soldati -che si collocavano al loro posto. - -Nel medesimo istante una voce al gentiluomo ben nota, nobile voce, di -sopra a lui pronunciò queste parole: - -«Signor colonnello, io bramo di parlare al popolo». - -Athos raccapricciò: era il re sul patibolo quel che così favellava. - -In fatti, Carlo, bevute alcune goccie di vino ed assaggiato un pane, -stanco di attendere la morte, si era deciso improvvisamente a andarle -incontro, ed avea dato il segnale della marcia. - -Allora era stata aperta del tutto la finestra che dava sulla piazza, -e di fondo alla vasta stanza il popolo avea potuto vedere avanzarsi -tacitamente prima un uomo immascherato che dalla scure che aveva in -mano egli aveva riconosciuto pel carnefice; questi, appressatosi al -ceppo, vi posava la mannaja. - -E tale era il primo rumore inteso da Athos. - -Poi, dietro a quell’uomo, pallido sì, ma tranquillo, e che camminava -con tutta fermezza, Carlo Stuart, il quale s’inoltrava fra mezzo a -due preti, e seguitato da parecchi ufficiali superiori, incaricati di -presiedere all’esecuzione, e scortato da due file di partigianieri che -si schierarono su’ due lati del palco. - -L’aspetto dell’immascherato provocò lungo bisbiglio. Ciascuno era -curioso di saper chi fosse quel carnefice incognito presentatosi così -appuntino perchè potesse aver luogo il terribile spettacolo promesso -al popolo, mentre questo credeva che lo spettacolo fosse differito -all’indomani; sicchè ognuno se lo era divorato con gli occhi, ma tutto -quanto avean potuto vedere si era esser egli un uomo di media statura, -vestito interamente a nero, il qual pareva di già alquanto attempato, -perocchè l’estremità della barba un po’ grigia gli oltrepassava la -maschera che cuoprivagli il volto. - -Però alla vista del re, sì giusto, sì nobile, tosto ripristinavasi il -silenzio, in guisa che da tutti fu udito il desiderio ch’ei manifestava -di favellare al popolo. - -E di certo a questa domanda l’individuo a cui ell’era diretta aveva -risposto con un cenno affermativo, poichè con voce salda e sonora che -andò in fondo al cuore ad Athos, il re incominciò la sua parlata. - -Spiegava desso alla gente ivi adunata la propria condotta, e le dava -de’ consigli pel bene dell’Inghilterra. - -«Oh! fra sè diceva Athos, è mai possibile ch’io oda ciò che odo, e -vegga ciò che veggo? è mai possibile che Dio abbia abbandonato il -suo rappresentante sulla terra a tal segno da lasciarlo morire tanto -miseramente? Ed io che non l’ho visto! ed io che non gli ho detto un -addio!» - -S’intese un rumore simile a quello che avrebbe prodotto l’istrumento di -morte rimosso sopra al ceppo. - -Il re sospese il discorso. - -«Non toccate la scure! disse egli». - -E riprincipiò l’arringa d’onde l’aveva interrotta. - -Terminata questa, fu di sopra alla testa del conte un gelido silenzio. -Ei si teneva sulla fronte la mano, e tra la mano e la fronte cadevano -goccie di sudore abbenchè l’aria fosse diacciata. - -Quel silenzio dava indizio degli estremi preparativi. - -Il re, dopo finito di parlare, avea volto su la moltitudine uno sguardo -pien di misericordia, e staccato l’ordine che portava, e ch’era la -stessa placca di diamanti inviatagli dalla regina, lo consegnò al -prete che accompagnava Juxon. Indi si levò di seno una piccola croce -parimente di diamanti, che pure gli proveniva da Enrichetta. - -«Signore, disse al sacerdote ch’era insieme con Juxon, io terrò in mano -questa croce sino all’ultimo mio momento; voi me la torrete allorchè io -sarò morto. - -«Sì, sire, rispose una voce, presto riconosciuta da Athos per quella di -Aramis». - -Allora Carlo, che sino a quel punto era stato a testa coperta, si levò -il cappello e lo gittò vicino a sè; poscia si sciolse uno per uno tutti -i bottoni del giubbetto, se ne spogliò e lo buttò accanto al cappello. -E perchè faceva freddo, chiese la vesta da camera, la quale gli venne -data. - -Tutti questi preparativi eransi fatti con una calma che incuteva -terrore. Avreste detto che il re fosse per distendersi nel suo letto e -non già in una bara. - -Alfine tirandosi in su i capelli con la mano, domandò al boja: - -«Vi daranno forse impaccio? in tal caso si potrebbero fermare con una -cordellina». - -Carlo accompagnò queste parole con un’occhiata che pareva volesse -penetrare sotto il volto posticcio dell’incognito.... e l’occhiata -secura e nobile costrinse colui a girarsi da parte.... Ma esso a tergo -allo sguardo profondo del re trovò quello ardentissimo di Aramis. - -Carlo osservando ch’ei non rispondeva, ripetè la richiesta. - -«Basterà, disse l’uomo con voce burbera, che li tiriate da un lato sul -collo». - -Il re con ambe le mani si spartì i capelli, e considerato attentamente -il ceppo disse: - -«Quel ceppo è molto basso; non ve ne sarebbe uno più alto? - -«È il solito, replicò l’immascherato. - -«Credete tagliarmi la testa con un sol colpo? fece il re. - -«Spero di sì, rispose l’esecutore». - -Nello _spero di sì_ eravi una tale intonazione che fe’ rabbrividire -tutti quanti tranne il sovrano. - -«Va bene, questi soggiunse, ed ora, tu, o boja, ascolta». - -Il travestito mosse un passo verso il re, e si appoggiò sulla scure. - -«Non voglio che tu mi sorprenda; continuò Carlo, io m’inginocchierò per -pregare; sicchè non dar peranche il colpo. - -«E quando lo darò? - -«Allorchè io poserò il collo e stenderò le braccia dicendo: _Remember_ -(_rammentatevi_) allora dà pure liberamente». - -Il travestito fece un piccolo inchino. - -«Ecco il momento di abbandonare il mondo, disse il re a quei che gli -erano attorno, signori, io vi lascio in mezzo alla procella, e vi -precedo in quella patria che non conosce procelle: addio». - -Guatò Aramis, e gli fe’ col capo un cenno particolare. - -«Adesso, seguitò, allontanatevi e lasciatemi far sommessamente la -preghiera. Fatti da parte tu pure (disse all’immascherato); è per un -sol momento, e so che sono cosa tua, ma rammentati di non percuotere se -non dopo il segnale». - -Carlo s’inginocchiò, si fece il segno della croce, accostò la bocca ai -tavoloni quasi avesse voluto baciare la piattaforma; indi appoggiandosi -da una mano al pavimento e dall’altra al ceppo disse in francese: - -«Conte di la Fère, siete voi costì, e posso parlare?» - -Quegli accenti corsero direttamente al cuore di Athos e lo punsero come -un ferro freddissimo. - -«Sì, Maestà, egli rispose tremando. - -«Amico fedele, cuor generoso, soggiunse Carlo, non potei essere da te -salvato, non dovevo esserlo. Ora, quando anche dovessi commettere un -sacrilegio, io ti dirò: Sì, ho parlato agli uomini, ho parlato a Dio, -parlo a te per l’ultimo. Per sostenere una causa che ho creduta sacra, -ho perduto il trono dei padri miei e distrutto il patrimonio de’ miei -figli. Mi resta un milione in oro, l’ho sotterrato nelle cantine del -castello di Newcastle al momento di lasciare quella città. Quel danaro, -tu solo sai ch’esiste; fanne uso quando crederai che sia tempo pel -maggior bene del figliuol mio primogenito. E adesso, conte di la Fère, -ditemi addio. - -«Addio, Maestà santa e martire, balbettò Athos gelando di terrore». - -Vi fu breve silenzio, durante il quale parve ad Athos che il re si -alzasse e cambiasse posizione. - -Poi con voce piena e sonora, in maniera da essere udito non solo sul -palco ma ben anco su la piazza, il re disse: - -«_Remember_». - -Appena aveva terminato di profferire questa parola un colpo terribile -scosse il pavimento del palco; la polvere uscita dal panno acciecò -il misero gentiluomo. Mentre questi per un moto macchinale alzava -gli occhi e la testa, gli cadde sulla faccia una goccia calda. Athos -retrocedè inorridito e nel medesimo istante le goccie si convertirono -in uno scroscio nero che sprillò sul pavimento. - -Athos cascato ginocchioni rimase alquanto come colpito da impotenza -e demenza. In breve dal romorìo che scemava, ei comprese che si -allontanava la folla: stette ancora un momento fermo, mutolo, in -costernazione. Indi volgendosi, andò ad attuffare la cima del suo -fazzoletto nel sangue del re martire: poscia, siccome la moltitudine -si allontanava sempre più, egli scese, ruppe il panno, si cacciò fra -mezzo a due cavalli, si mischiò fra il volgo del quale indossava il -vestimento, e fu il primo ad arrivare alla taverna. - -Salito alla propria camera, si guardò allo specchio, vide che aveva -sulla fronte una larga macchia rossa, vi si portò la mano, e la ritolse -piena del sangue del re, e svenne. - - - - -LXXII. - -_L’immascherato._ - - -Quantunque fossero solamente le quattro ore pomeridiane, si faceva -digià bujo; cadeva fitta e ghiaccia la neve. Aramis essendo tornato -trovò Athos, se non privo dei sensi, però in sommo abbattimento. - -Questi bensì alle prime parole dell’amico uscì dalla specie di letargo -in cui era piombato. - -«Ebbene! disse Aramis, vinti dalla fatalità! - -«Vinti! ripetè Athos, re nobile e infelice! - -«Siete forse ferito? - -«No, questo è sangue suo». - -Ed Athos si asciugava la fronte. - -«Ov’eravate? domandò Aramis. - -«Dove voi mi avete lasciato: sotto il palco. - -«E vedeste tutto? - -«No, ma intesi: Dio mi liberi da un’altra ora simile a quella che ho -passata dianzi! non ho i capelli bianchi? - -«Dunque sapete ch’io non l’ho abbandonato? - -«Ho udita la vostra voce sino all’ultimo momento. - -«Ecco la piastra che mi ha data, continuò Aramis, ecco la croce che ho -ritirata dalla sua destra; era sua brama che fossero consegnate alla -regina. - -«Ed ecco un fazzoletto per avvolgerle dentro, soggiunse Athos». - -E si cavava dalla saccoccia la pezzuola che aveva tuffata nel sangue -del re. - -«Adesso, domandò Athos, che ne hanno fatto, del povero cadavere? - -«Gli si renderanno per ordine di Cromwello i regi onori. Noi abbiam -posto il corpo in una bara di piombo; i medici sono occupati a -imbalsamare quel miseri avanzi, e terminata l’opra loro si metterà il -re in una cappella ardente. - -«Derisione! mormorò Athos, regi onori a quello che hanno assassinato. - -«Ciò prova, fece Aramis, che il re muore, ma non muore la dignità -regale. - -«Ahimè! egli è forse l’ultimo re cavaliere che avrà il mondo. - -«Orsù, non vi disperate, conte! disse una grossa voce di sulla scala -dove si udivano i gravi passi di Porthos, siamo tutti mortali, amici -miei. - -«Siete arrivato tardi, caro Porthos, rispose il conte di la Fère. - -«Sì, per la strada erano alcune genti che mi hanno fatto ritardare. -Ballavano, sciagurati! ne ho preso uno pel collo, e credo averlo un -poco strangolato. Appunto in quel momento è venuta una pattuglia. -Fortunatamente colui col quale avevo che fare particolarmente è rimasto -qualche minuto senza poter parlare. Ho profittato della circostanza per -cacciarmi in una straduzza. Questa mi ha condotto in un’altra anche più -piccola. Allora mi sono smarrito. Non conosco Londra, non so l’inglese, -non credevo di avervi a ritrovare mai più. Alla fine eccomi qua. - -«Ma d’Artagnan, chiese Aramis, non lo avete veduto? che non gli sia -successo nulla? - -«La folla ci ha separati, e per quanto io abbia fatto non ho potuto -raggiungerlo. - -«Oh! riprese Athos con amarezza, io sì, lo vidi: era nelle prime file -di quella folla in ottima situazione per non perder niente; e siccome -in sostanza era curioso spettacolo, avrà voluto contemplarlo sino -all’ultimo. - -«Oh! conte de la Fère, disse una voce tranquilla benchè fiacca pella -rapidità della corsa, e siete voi che calunniate gli assenti?» - -Il rimprovero colpì nel cuore Athos. Per altro, siccome era profonda -l’impressione in lui prodotta dal mirare d’Artagnan confuso tra quel -popolo stupido e feroce, si contentò di rispondere: - -«Non vi calunnio, amico mio. Qui si stava in pensiero per voi, e ho -detto dov’eravate. Voi non conoscevate il re Carlo, egli per voi non -era altro che uno straniero, e non avevate obbligo di amarlo». - -Così favellando porse la mano a d’Artagnan. - -Ma d’Artagnan finse di non badare al suo gesto e tenne la mano sotto al -ferrajuolo. - -Athos lasciò cadersi al fianco la sua. - -«Uf! sono stanco, disse il tenente; e si assise. - -«Bevete un bicchiere di Porto-Porto, e questo vi calmerà, gli offerse -Aramis, presa dal tavolino la bottiglia ed empiuto un bicchiere. - -«Sì, beviamo, soggiunse Athos, il quale sensibile al malcontento del -Guascone voleva toccar seco il bicchiere, e poi abbandoniamo questo -abbominevol paese. La filuca ci attende, lo sapete; si parta questa -sera, qui non abbiamo più che fare. - -«Avete la gran fretta, signor conte, replicò d’Artagnan. - -«Questo suolo insanguinato mi abbrucia i piedi, fece Athos. - -«A me la neve non produce codesto effetto, ribattè tranquillamente il -Guascone. - -«Ma che volete che qui facciamo? domandò Athos, adesso che il re è -morto? - -«Sicchè, messer conte, seguitò con indolenza il tenente, non vedete -anzi che ci rimane da fare qualche cosa in Inghilterra? - -«Nulla, nulla, rispose Athos, se non è dubitare della divina bontà e -sprezzare le mie proprie forze! - -«Or bene, continuò d’Artagnan, io meschino, io scioperato e curioso -sanguinario, che sono andato a piantarmi distante trenta passi dal -patibolo per veder meglio cadere la testa di quel re che non conoscevo, -e che per quanto pare mi era indifferente, io penso diversamente dal -signor conte.... io mi trattengo». - -Athos impallidì fuor di modo; ogni rampogna dell’amico gli andava in -fondo al cuore. - -«Ah! restate a Londra? domandò Porthos a d’Artagnan. - -«Sì, questi rispose, e voi? - -«Eh!.... fece Porthos, un poco confuso dirimpetto ad Athos ed Aramis; -se voi rimanete, io che sono venuto con voi, con voi soltanto me ne -andrò; non vi lascerò solo in questo esecrabile paese. - -«Grazie, ottimo amico mio. Allora ho da proporvi una piccola impresa, -che porremo insieme in esecuzione quando sia partito il signor conte, -e della quale mi è nata l’idea mentre osservavo lo spettacolo che voi -sapete. - -«E quale? disse Porthos. - -«Di sapere qual sia l’uomo immascherato che si offerse sì gentilmente -per troncare il collo al re. - -«Un uomo immascherato! esclamò Athos, dunque non lasciaste fuggire il -carnefice? - -«Il carnefice? replicò d’Artagnan, è sempre in cantina, e mi suppongo -che abbia detto due paroline alle bottiglie del nostro locandiere: ma -adesso mi ci fate pensare....» - -E andò verso l’uscio. - -«Mousqueton! chiamò. - -«Signore? fu la risposta, che sembrava scaturisse dalle viscere della -terra. - -«Liberate il vostro prigioniero; tutto è finito, ordinò il tenente. - -«Ma, soggiunse Athos, e chi è lo sciagurato che portò le mani addosso -al suo re? - -«Un boia dilettante, che però maneggiava la scure con facilità, -giacchè, secondo _sperava_, gli è bastato un sol colpo, disse Aramis. - -«Non lo vedeste in viso? chiese Athos. - -«Aveva la maschera, fece d’Artagnan. - -«Ma voi, Aramis, che gli stavate vicino? - -«Vidi una barba un po’ grigia che veniva fuori dal volto posticcio, e -non altro. - -«Dunque è un uomo piuttosto attempato? seguitò Athos. - -«Oh! disse d’Artagnan, ciò non significa niente; chi si mette la -maschera può mettersi anche la barba posticcia. - -«Mi rincresce di non averlo seguitato, aggiunse Porthos. - -«Ebbene, caro Porthos, ripigliò il Guascone, ecco appunto l’idea che a -me è nata». - -Athos comprese tutto e si alzò dicendo: - -«Perdonami, d’Artagnan; ho dubitato di Dio, potevo dubitare di te; -perdonami, amico. - -«Or ora si vedrà, disse sorridendo il tenente. - -«Or dunque? domandò Aramis. - -«Or dunque, riprese d’Artagnan, frattanto che guardavo, non già il re, -come s’immagina il signor conte, poichè so che cos’è un uomo che sta -per morire, e quantunque dovessi essere assuefatto a questa specie di -faccende, esse mi fanno sempre male, ma bensì il boia immascherato, -mi venne l’idea, conforme vi ho detto, di sapere chi egli fosse. Ed -essendo che noi abbiamo per uso di completarci gli uni mediante gli -altri e chiamarci in ajuto nella guisa che si chiama la seconda mano -in soccorso alla prima, così mi guardai macchinalmente attorno per -vedere se per là v’era Porthos; giacchè, Aramis, io vi aveva ravvisato -presso al re, e di voi, conte, mi era noto che dovevate essere sotto -al palco.... lo che fa sì ch’io vi perdoni (e d’Artagnan porgeva ad -Athos la destra), chè dovete aver sofferto di molto!.... Ecco dunque -che alla mia diritta vidi una testa ch’era stata spaccata ed alla -meglio raggiustatasi con del drappo di seta nera. — Cospetto! dissi fra -me, codesta mi pare una cucitura fatta da me; sì, mi sembra di aver -ricucito quel cranio in qualche luogo. — Difatto era il disgraziato -Scozzese, il fratello di Parry, vi ricordate? quello sul quale -master Groslow si divertì a provare le sue forze, e che quando noi lo -incontrammo non aveva altro che mezza testa. - -«Precisamente, fece Porthos, l’uomo delle galline nere. - -«Per l’appunto; faceva dei cenni ad un altro che si trovava a mano -manca da me; mi voltai, e riconobbi l’onesto Grimaud, tutto occupato -al pari di me a divorarsi cogli occhi il travestito carnefice. — Oh! — -gli dissi. E siccome questa sillaba è l’abbreviazione di che si vale il -signor conte nei giorni che gli parla, Grimaud capì che si chiamava lui -e si voltò quasi mosso da una molla. Ei mi riconobbe pure, ed allora -allungando il dito verso l’immascherato, pronunziò: — Eh? — lo che -voleva esprimere: — Avete visto? — Per Diana! io risposi. — Ci eravamo -intesi a meraviglia. Mi volsi dalla parte del nostro Scozzese; anche -quello aveva occhiate parlanti. Alle corte, tutto terminò, già sapete -il come, in modo molto lugubre. A poco a poco si allontanò il popolo; -annottava; io m’era ritirato in un canto della piazza con Grimaud e lo -Scozzese, a cui avevo accennato di rimanere con noi, e di là osservavo -il boia che rientrato nella regia camera cambiava d’abito, avendo il -suo senza dubbio insanguinato; dopo di che esso si mise in testa un -cappello nero e addosso un ferrajuolo, e disparve. Indovinai che presto -uscirebbe, e corsi dirimpetto alla porta, e realmente in capo a cinque -minuti lo vedemmo scendere la scala. - -«Lo seguitaste? esclamò Athos. - -«Capperi! e come! disse d’Artagnan, ma non senza fatica, no! ad ogni -momento si voltava, e allora noi eravamo costretti a nasconderci o -assumere una cert’aria d’indifferenza. Gli sarei andato incontro e -lo avrei ucciso; ma io non sono egoista, ed era questo un piacere -che serbavo ad Aramis ed a voi, Athos, per consolarvi un poco. -Finalmente, dopo mezz’ora di cammino per le strade più tortuose della -Città-Vecchia, egli giunse ad una casetta isolata, dove nè rumore nè -lume di sorta alcuna davano indizio che vi fosse un uomo. Grimaud si -levò dalle ampie brache una pistola. — Eh? — fece mostrandomela. — No, -— io gli dissi. E gli trattenni il braccio.... Ve l’ho detto, avevo la -mia idea. L’uomo travestito si fermò davanti una porticella, e cavò -fuori una chiave, ma innanzi di metterla nella serratura si girò a -vedere se qualcuno lo seguiva. Io stava rannicchiato dietro un albero; -Grimaud dietro a un muricciuolo. Lo Scozzese, che non aveva con che -rimpiattarsi, si buttò in terra bocconi. E bisogna che quello che noi -inseguivamo si credesse solo, poichè intesi stridere la chiave, la -porta fu aperta ed esso sparì. - -«Disgraziato! disse Aramis, intanto che voi siete tornato ci sarà -fuggito, e non lo ritroveremo. - -«Eh via! disse d’Artagnan; ma per chi mi pigliate? - -«Bensì, obiettò Athos, in assenza vostra.... - -«E in assenza mia, non avevo a rimpiazzarmi Grimaud e lo Scozzese? -Prima ch’egli avesse tempo di far dieci passi per dentro, io avevo -fatto il giro del casamento. Ad una delle porte, cioè quella donde -egli era entrato, misi il nostro Scozzese, ammiccandogli che se -usciva l’individuo dalla maschera nera era d’uopo tenergli dietro -dove andrebbe, mentre Grimaud andrebbe appresso a lui e verrebbe ad -attenderci dove eravamo; piantai Grimaud alla seconda uscita con uguale -raccomandazione; ed eccomi qui! La bestia è attorniata, e adesso chi -vuole vada a vedere». - -Athos si precipitò nelle braccia di d’Artagnan, il quale si asciugava -la fronte. - -«Amico, ei disse, davvero, siete stato buono a perdonarmi; ho torto, ho -mille torti; dovrei pure conoscervi, ma nel nostro interno v’è qualche -cosa di tristo che dubita sempre. - -«Uhm! fece Porthos, e il boia non sarebbe forse per caso il signor -Cromvello, che per esser certo che la faccenda fosse fatta, avesse -voluto farla da sè stesso? - -«Eh sì! Cromvello è grosso e corto, e colui alto e sottile, piuttosto -grande che piccolo. - -«Qualche soldato condannato, a cui si sia offerta a quel patto la -grazia, disse Athos, come si praticò pel misero Chalais. - -«No no, continuò d’Artagnan, non ha il camminare misurato di uno -d’infanteria; nemmeno il passo largo di uno di cavalleria; v’è una -gamba sottile, un’andatura elegante: o ch’io la sbaglio, o abbiamo che -fare con un gentiluomo. - -«Un gentiluomo! gridò Athos, non è possibile; sarebbe un disonore per -tutta la signoria. - -«Bella caccia! disse Porthos con una tal risata che fe’ tremare i -vetri, bella caccia, per Bacco! - -«Siete sempre di partenza, Athos? domandò il Guascone. - -«No, resto qui, rispose Athos con un gesto di minaccia che nulla di -buono prometteva a quello a cui era diretto. - -«Dunque le spade! le spade! fece Aramis, e non si perda un momento». - -I quattro amici indossarono prontamente le loro vesti da gentiluomini, -si cinsero le spade, fecero salire Mousqueton e Blaisois, a’ quali -ordinarono di aggiustare il conto col locandiere e tener tutto -allestito pella partenza, essendovi probabilità di abbandonar Londra in -quella notte medesima. - -Era tempo vieppiù bujo, seguitava a cader la neve e somigliava ad un -ampio lenzuolo disteso sulla città regicida; erano circa le sette ore -di sera; si vedevano appena pochi viandanti per le strade, ciascuno -ragionava sommessamente in famiglia dei terribili eventi della giornata -trascorsa. - -I quattro compagni inferrajuolati traversarono tutte le piazze e le vie -della Città-Vecchia, sì frequentate nel giorno, allora tanto deserte. -D’Artagnan li guidava, procurando tratto tratto di riconoscere delle -croci che col suo pugnale aveva fatte sui muri, ma era notte sì oscura -che si stentava a distinguere tali vestigia indicatrici. Egli però -si era fitto così bene in mente ogni muricciuolo, ogni fontana, ogni -insegna, che dopo aver camminato una mezz’ora giunse coi suoi tre -compagni alle viste dell’abitazione isolata. - -Per un momento d’Artagnan credè che il fratello di Parry fosse -sparito, ma s’ingannava: il robusto Scozzese, avvezzo ai ghiacci -delle sue montagne, si era disteso in terra, e simile ad una statua -buttata giù dalla sua base si era lasciato cuoprir tutto di neve, ma -all’avvicinarsi dei quattro uomini egli si alzò. - -«Animo, disse Athos, anche questo è un buon servitore. Vero Dio! -le brave genti non sono rare come si crede, e questa è cosa che dà -coraggio. - -«Non ci affrettiamo di troppo ad intesser corone pel nostro Scozzese; -rispose d’Artagnan, secondo me, il briccone è qui per suo proprio -conto. Io ho inteso dire che quei signori che son nati dall’altra -parte della Tweed sogliono serbar molto rancore.... giudizio con messer -Groslow! potrebbe passare un tristo quarto d’ora se lo incontrasse». - -E distaccatosi dagli amici, si appressò allo Scozzese e si fece -riconoscere; indi accennò agli altri che venissero. - -«Ebbene? domandò Athos in inglese. - -«Non è uscito alcuno, rispose il fratello di Parry. - -«Bene; Porthos, restate con quest’uomo, e voi pure, Aramis. D’Artagnan -mi condurrà presso a Grimaud». - -Grimaud, non meno immobile che lo Scozzese, stava come appiccicato a -un salice rotto, con una buca del quale si era fatto una specie di -casotto. Per un poco, conforme aveva temuto dell’altra sentinella, -d’Artagnan credè che l’immascherato fosse uscito e che Grimaud lo -avesse seguitato. - -Ad un tratto comparve una testa e fece udire un piccolo fischio. - -«Oh! disse Athos. - -«Sì», disse Grimaud. - -Si accostarono al salice. - -«Orsù, domandò d’Artagnan, è partito qualcuno? - -«No, ma qualcuno è entrato, fece Grimaud. - -«Uomo o donna? - -«Uomo. - -«Ah ah! allora sono due. - -«Vorrei che fossero quattro, replicò Athos, almeno la partita sarebbe -uguale. - -«Saranno forse quattro, ribattè d’Artagnan. - -«Come mai? - -«E forse non potevano esser degli altri nella casa ad attenderli? - -«Si può vedere, suggerì Grimaud additando una finestra dalle imposte -della quale trapelava qualche raggio di lume. - -«Così è, approvò d’Artagnan, chiamiamo gli altri». - -E girarono attorno all’abitazione per far segno di tornare indietro a -Porthos ed Aramis. - -I quali accorsero con tutta premura. - -«Avete veduto qualche cosa? - -«No, ma ora sapremo», disse d’Artagnan. - -E mostrava Grimaud, che aggrappandosi alle punte del muro, era già in -alto di cinque o sei piedi più su del suolo. - -Tutti quattro si avvicinarono. Grimaud continuava a salire con -l’agilità di un gatto; finalmente gli riuscì di afferrare uno di -quei ganci che servono a tener ferme le imposte quando sono aperte; -nello stesso tempo incontrò col piede uno scavo che gli sembrò -gli presentasse un sufficiente punto d’appoggio, poichè accennò di -essere arrivato alla meta. E allora mise l’occhio alla fessura dello -sportello. - -«Ebbene?» domandò d’Artagnan. - -Grimaud mostrò la mano chiusa con due sole dita ritte. - -«Parla, disse Athos, non si veggono i tuoi segni. Quanti sono?» - -Grimaud fece uno sforzo inaudito, poichè rispose: - -«Due: uno è dirimpetto a me, l’altro mi volge le spalle. - -«Ottimamente. E qual è quello di faccia a te? - -«L’uomo che ho visto passare. - -«Lo conosci? - -«Ho creduto di riconoscerlo, e non isbagliavo: grosso e corto. - -«Chi è? richiesero insieme e a voce bassa i quattro amici. - -«Il generale Oliviero Cromvello». - -Eglino si guardarono. - -«E l’altro? seguitò ad interrogare Athos. - -«Alto e magro. - -«È il boja, dissero uniti d’Artagnan ed Aramis. - -«Non gli vedo se non la schiena, aggiunse Grimaud, ma aspettate, si -muove, si gira: si è levata la maschera, potrò distinguere.... Ah!» - -Grimaud, quasi avesse avuta una botta al cuore, lasciò andare il gancio -di ferro e si gittò all’indietro urlando. Porthos lo trattenne fra le -sue braccia. - -«Lo hai visto? dissero i quattro camerati. - -«Sì, rispose Grimaud, irti i capelli e col sudore sulla fronte. - -«Il grande e magro? fece d’Artagnan. - -«Sì. - -«Insomma, il boja? chiese Aramis. - -«Sì. - -«E chi è? disse Porthos. - -«_Lui! lui!_ balbettò Grimaud, giallo come un morto, e con la sua mano -tremante premendo quella del padrone. - -«Chi, _lui?_ - -«Mordaunt!» - -D’Artagnan, Porthos ed Aramis diedero una esclamazione di giubilo. -Athos mosse un passo indietro, si mise la mano sulla fronte, e disse: - -«Fatalità, fatalità!» - - - - -LXXIII. - -_La casa di Cromvello._ - - -Difatti era Mordaunt quello che d’Artagnan aveva seguitato senza -riconoscerlo. - -Entrato nella casa si era tolta la maschera e staccata la barba -grigia postasi onde meglio cambiarsi, aveva salito la scala, aperto un -usciale, ed in una camera rischiarata da una lampada e parata di colore -molto oscuro, erasi trovato in faccia ad un uomo che scriveva seduto -davanti al tavolino. - -Era questi Cromvello. - -Cromvello aveva in Londra, come è noto, due o tre di quei ricoveri, che -non si sapevano tampoco da’ suoi amici, e di cui affidava il segreto -soltanto ai più intimi: e fra questi, noi ce ne rammentiamo, poteva -essere annoverato Mordaunt. - -Quando esso entrò, Cromvello alzò il capo. - -«Siete voi, Mordaunt? gli disse, siete venuto assai tardi. - -«Generale, rispose il giovane, ho voluto veder la cerimonia sino alla -fine, e mi ha preso tempo. - -«Ah! fece Cromvello, non vi credevo per solito tanto curioso. - -«Sono sempre curioso di contemplare la caduta di un nemico di Vostro -Onore, e quello non era fra i minimi. Ma voi, generale, non eravate a -White-Hall? - -«No» disse Cromvello. - -E vi fu un momento di silenzio. - -«Avete avuti dei dettagli? domandò Mordaunt. - -«Nessuno. Sono qui da stamane: sapevo unicamente che v’era un complotto -per salvare il re. - -«Ah! lo sapevate? - -«Poco importa: quattro uomini travestiti da operaj dovevano trarre di -prigione il re e condurlo a Greenwich, dove lo attendeva una barca. - -«E istrutto di tutto questo, Vostro Onore se ne stava qui, distante -dalla Città-Vecchia, quieto ed inoperoso? - -«Quieto sì, disse Cromvello, ma chi vi dice inoperoso? - -«Per altro, se riusciva la trama? - -«Lo avrei bramato. - -«Io pensava che Vostro Onore considerasse la morte di Carlo I come una -disgrazia necessaria al bene dell’Inghilterra. - -«E tale è sempre la mia opinione; ma purchè morisse, non era d’uopo -d’altro; e forse sarebbe stato meglio che ciò non avvenisse sul -patibolo. - -«Perchè mai?» - -Cromvello sorrise. - -«Perdonatemi, generale, vi è però noto che io sono apprendista -politico, e desidero in ogni circostanza approfittarmi delle lezioni -che si compiace darmi il mio maestro. - -«Perchè si sarebbe detto ch’io lo avevo fatto condannare per giustizia -e lasciato fuggire per misericordia. - -«Ma se fuggiva realmente? - -«Impossibile. - -«Impossibile? - -«Erano prese le mie precauzioni. - -«E Vostro Onore conosce i quattro che avevano intrapreso di salvare il -re? - -«Sono Francesi: due mandati da Enrichetta a suo marito, e due da -Mazzarino a me. - -«E credete, signore, che Mazzarino li abbia incaricati di far ciò che -hanno fatto? - -«Può darsi, ma ora li biasimerà. - -«Lo pensate? - -«Ne son certo. - -«Perchè? - -«Perchè non hanno avuto buon esito. - -«Vostro Onore mi aveva donati due di quei Francesi quando non erano -colpevoli se non di essersi armati a favore di Carlo I; adesso che sono -rei di complotto contro l’Inghilterra, vuol darmeli tutti quattro? - -«Prendeteli» disse Cromvello. - -Mordaunt s’inchinò con un sorriso di ferocia trionfante. - -«Ma, soggiunse Oliviero, scorgendo che quegli si accingeva a -ringraziarlo, torniamo di grazia a quell’infelice Carlo. Fra il popolo -vi sono state delle grida? - -«Poche, se non se: _evviva Cromvello!_ - -«Voi, dove eravate?» - -Mordaunt guardò un momento il generale, per discernere da’ suoi occhi -se gli faceva una domanda inutile e sapeva già tutto. - -Ma lo sguardo acuto di Mordaunt non potè penetrare nelle oscure -profondità di quello di Cromvello. - -«Io era situato in maniera da vedere e udir tutto», rispose. - -Allora toccò a Cromvello di fissar ben bene Mordaunt, ed a questo toccò -di rendersi impenetrabile. Dopo pochi minuti secondi di esame girò in -là il ciglio con indifferenza. - -«Pare, soggiunse Oliviero, che il carnefice capitato d’improvviso abbia -fatto benone l’obbligo suo; almeno, da quanto mi fu riferito, il colpo -è stato vibrato con mano maestra». - -Mordaunt si ricordò come Cromvello gli aveva detto non averne avuto -verun dettaglio, e quindi fu convinto che il generale fosse stato -presente all’esecuzione, benchè nascosto dietro ad una cortina o a -qualche persiana. - -«Realmente, replicò Mordaunt con voce quieta e faccia impassibile, è -bastato un sol colpo. - -«Sarà stato forse, osservò Cromvello, un uomo del mestiere. - -«Credete così, signore? - -«E perchè no? - -«Non aveva però la cera di un boja. - -«E chi altro che un boja, disse Cromvello, avrebbe voluto esercitare sì -orribili funzioni? - -«Eh! fece Mordaunt, chi sa? un nemico particolare del re Carlo -che avesse fatto voto di vendetta e compiuto il suo voto; forse un -gentiluomo che avesse motivi d’odiare il re decaduto, e sapendo ch’esso -era per fuggire, e per sottrarglisi, si sia impiantato a lui dinanzi, -mascherato il viso ed in pugno la scure, non più come ajuto del -carnefice, ma qual mandatario della fatalità. - -«Può essere, disse Cromvello. - -«E se così fosse, Vostro Onore biasimerebbe la sua azione? - -«A me non si spetta a giudicarlo: è un affare tra Dio e quel tale. - -«Ma se Vostro Onore conoscesse il gentiluomo? - -«Non lo conosco, signor mio, ribattè Cromvello, nè voglio conoscerlo. -Che importa a me che sia uno o l’altro? Dacchè Carlo era condannato, -non è un uomo che gli ha troncata la testa, è la mannaja. - -«Eppure, aggiunse Mordaunt, senza colui, il re era salvo». - -Cromvello sorrise. - -«Ma di certo! voi stesso lo diceste, lo portavano via. - -«Lo portavano sino a Greenwich. Là s’imbarcava sopra una filuca -co’ suoi quattro liberatori. Sulla filuca però erano quattro uomini -miei, e quattro botti di polvere della nazione. In mare i miei uomini -scendevano nella lancia.... e voi, Mordaunt, siete già troppo abile -politico perchè io vi spieghi il resto. - -«Sì, in mare saltavano tutti per aria. - -«Precisamente. L’esplosione operava ciò che non aveva voluto operare -la mannaja. Il re Carlo spariva annientato. Si diceva che sottratto -all’umana giustizia, la celeste vendetta lo aveva inseguito e -raggiunto: noi eravamo soltanto suoi giudici, Dio solo aveva voluta -la sua morte. Ecco quanto mi ha fatto perdere il vostro immascherato. -Vedete dunque che avevo ragione quando bramavo non conoscerlo; mentre, -davvero, ad onta delle sue eccellenti intenzioni, non potrei essergli -grato di ciò che ei fece. - -«Signore, replicò Mordaunt, al solito io m’inchino e mi umilio a voi -dinanzi; voi siete un pensatore profondo, e (continuò) era sublime la -vostra idea della barca incendiata. - -«Assurda, replicò Cromvello, assurda, poichè è diventata inutile. -In politica non v’è altra idea sublime fuor di quella che porta al -risultato; quelle che non l’ottengono sono stolide ed aride. Questa -sera dunque andrete a Greenwich (seguitava Oliviero alzandosi) -domanderete del padrone del _Lampo_, gli mostrerete un fazzoletto -bianco con un nodo a ciascuna delle quattro cocche: tale è il segno -convenuto; direte alla gente di riprender terra, e farete riportare la -polvere all’arsenale, ammenochè.... - -«Ammenochè.... ripetè il giovane a cui brillava il volto di allegrezza -selvaggia mentre parlava il generale. - -«Ammenochè la filuca nello stato in cui è, non possa servire ai vostri -particolari progetti. - -«Ah, milord, milord! Iddio facendovi suo eletto, vi diede anco il suo -sguardo a cui nulla può sfuggir mai! - -«Mi pare che mi chiamiate milord! fece ridendo Cromvello. Va bene -perchè siamo qui fra noi, ma converrebbe badare che non vi scappasse -una parola simile davanti agli imbecilli nostri puritani. - -«E non sarà Vostro Onore chiamato così fra poco? - -«Almeno lo spero, ma non è ancora tempo». - -Cromvello si levò e prese il ferrajuolo. - -«Partite, mio signore? domandò Mordaunt. - -«Sì; ho dormito qui jeri l’altro e jeri, e sapete che non è mio costume -dormire tre volte nello stesso letto. - -«Dunque, Vostro Onore, mi concede piena libertà per tutta la nottata? - -«Ed anche per la giornata di domani, se occorre. Da jeri sera -(aggiungeva Cromvello sogghignando) faceste abbastanza pel mio -servizio, e se avete qualche affare vostro proprio da regolare è giusto -che io vi dia il tempo a ciò opportuno. - -«Grazie, signore, e mi lusingo che sarà bene impiegato». - -Cromvello fece a Mordaunt un cenno col capo; indi volgendosi gli -domandò: - -«Siete armato? - -«Ho la mia spada. - -«E nessuno che vi attenda alla porta? - -«Nessuno. - -«Allora dovreste venir meco, signor Mordaunt. - -«Grazie, signore: il giro che vi convien fare passando dal sotterraneo -mi toglierebbe tempo, e da quanto mi avete detto ne ho perduto digià -troppo. Uscirò dall’altra porta. - -«Andate» disse Cromvello. - -E posando la mano sopra un bottoncino celato, fece aprire un usciale -sì ben nascosto dal parato ch’era impossibile all’occhio più pratico il -riconoscerlo. - -E questo mosso da una molla di acciajo, si chiuse dietro di lui. - -Era uno di quegli sbocchi segreti che l’istoria ci riferisce -esistessero in tutte le case misteriose dove abitava Cromvello. - -Passava sotto una strada che andava a dare in fondo ad una grotta, nel -giardino di un’altra casa situata distante cento passi da quella onde -si era partito il futuro protettore. - -Da ciò si spiega come Grimaud non aveva potuto vedere escire alcuno, e -come nulladimeno fosse escito Cromvello. - -Durante codesta ultima parte della scena, dall’apertura che lasciava un -lembo della cortina mal tirata Grimaud aveva distinti i due uomini, e -successivamente ravvisati Cromvello e Mordaunt. - -Noi già sappiamo l’effetto che produsse questa nuova sui quattro amici. - -Fu il primo d’Artagnan a riacquistare per intiero le sue facoltà -intellettuali. - -«Mordaunt! esclamò, ah, Iddio ce lo manda! - -«Sì, disse Porthos, si sfondi la porta, ed avventiamoci addosso a lui. - -«Anzi, non isfondiamo, non facciamo chiasso. Il rumore richiama gente, -giacchè se egli è, conforme asserisce Grimaud, col suo degno padrone, -deve essere nascosto a qualche cinquantina di passi qua lontano un -corpo di guardia di _coste di ferro_. Olà Grimaud! venite qui, e -procurate star ritto sulle gambe». - -Grimaud si avvicinò. Col sentimento gli era tornato il furore, ma stava -saldo. - -«Bene, fece d’Artagnan, adesso salite di nuovo a quel balcone, e diteci -se il Mordaunt è tuttora in compagnia, se si dispone ad andarsene o a -coricarsi; s’è in compagnia, attenderemo che sia solo; se va fuori, lo -prenderemo all’uscire; se si trattiene, romperemo la finestra. È sempre -meno difficile e rumoroso che una porta». - -Grimaud cominciò ad arrampicarsi cheto cheto. - -«Athos ed Aramis, custodite l’altro sbocco; Porthos ed io restiamo qua». - -I due camerati obbedirono. - -«Ebbene? domandò d’Artagnan. - -«È solo, rispose Grimaud. - -«Ne sei certo? - -«Sì. - -«Non abbiam visto partirsi l’altro. - -«Sarà andato dal secondo usciale. - -«Che fa egli? - -«Si avvolge nel ferrajuolo e si mette i guanti. - -«A noi!» disse d’Artagnan. - -Porthos mise mano al pugnale, e macchinalmente lo trasse dal fodero. - -«Riponi, amico Porthos, avvertì il tenente; non si deve tirar subito. -Lo abbiamo in nostro potere, si proceda con ordine. Abbiamo da -richiederci qualche scambievole spiegazione, e questa è una copia -della scena di Armentières: se non che speriamo che costui non abbia -progenie, e schiacciato lui sia tutto schiacciato. - -«Zitto! fece Grimaud, ecco che si apparecchia ad andarsene. Si accosta -al lume. Lo smorza. Non veggo più niente. - -«Dunque in terra, in terra!» - -Grimaud saltò all’indietro e cadde in piedi. La neve attutiva il -rumore; nulla si intese. - -«Va a prevenire Athos ed Aramis; si pongano uno per ogni lato della -porta, come faremo Porthos ed io; battano le mani se lo acchiappano, e -noi eseguiremo altrettanto se egli è nostro». - -Grimaud disparve. - -«Porthos! raccomandava il Guascone, tirate meglio indietro le larghe -spalle; è necessario ch’esca senza scorgere cosa alcuna. - -«Purchè venga di qua! - -«Silenzio!» - -Porthos si pigiò al muro quasi volesse entrarvi dentro; lo stesso fece -d’Artagnan. - -Allora si udì camminare Mordaunt per la scala. Scorse stridendo uno -sportello non visto nell’intelajatura. Mordaunt guardò, e mercè le -precauzioni prese dai due amici nulla distinse. Introdusse la chiave -nella serratura, aprì, e si mostrò su la soglia. - -E nel punto medesimo si trovò faccia a faccia con d’Artagnan. - -Voleva respingere la porta, ma Porthos slanciandosi ad afferrare il -bottoncino la spalancò affatto. - -Porthos battè tre volte le mani, ed accorsero Athos ed Aramis. - -Mordaunt diventò paonazzo, ma non diede un grido, non chiamò ajuto. - -D’Artagnan andò direttamente addosso a Mordaunt, e spingendolo per -così dire col petto gli fece risalire a passi indietro tutta la scala, -rischiarata da una lampada che permetteva al Guascone di non perdere -di vista le mani di Mordaunt. Ma questi comprese che anche ucciso -d’Artagnan, gli resterebbe da disfarsi degli altri tre nemici: sicchè -non fece un movimento di difesa, non un gesto di minaccia. Mordaunt, -arrivato all’uscio, si sentì su questo incalzato, e di certo credè che -là fosse per finir tutto: s’ingannava però, chè il tenente stese la -mano ed aprì, ed esso e Mordaunt si trovarono nella stanza ove dieci -minuti prima il giovane se ne stava a discorrere con Cromvello. - -Dopo di lui entrò Porthos; aveva disteso il braccio e staccata la -lampada dal palco, e con questa ne accese un’altra. - -Comparvero Athos ed Aramis, e chiusero a chiave. - -«Favorite accomodarvi», disse d’Artagnan a Mordaunt porgendogli una -sedia. - -Quegli prese la seggiola e si mise pallido e tranquillo. A tre passi -di distanza Aramis ne recò altre tre, per sè, per d’Artagnan e per -Porthos. - -Athos andò ad assidersi in un canto, nel luogo più appartato della -camera, sembrando deciso di rimanere immobile spettatore di quanto -accadrebbe. - -Porthos si situò a mano sinistra, ed Aramis alla destra del Guascone. - -Athos pareva abbattuto. Porthos si stropicciava le palme delle mani con -impazienza febbrile. - -Aramis, sogghignando, si mordeva le labbra sino a spremerne il sangue. - -D’Artagnan era il solo che si moderasse, almeno in apparenza. - -«Signor Mordaunt, esso disse, giacchè dopo tante giornate perdute -a correrci appresso uno coll’altro, alla fine il caso ci riunisce, -discorriamola un poco, se non vi dispiace». - - - - -LXXIV. - -_Conversazione._ - - -Mordaunt era stato sorpreso tanto all’improvviso, ed aveva salito -i gradini agitato da un sentimento tuttavia sì confuso, che le sue -riflessioni non avevano potuto esser chiare; in realtà, quel primo -sentimento era stato tutto di emozione, di stupore e d’insormontabile -terrore, quale lo prova qualunque individuo a cui un nemico acerrimo -e superiore di forza stringe il braccio nel momento preciso ch’ei lo -crede in altro luogo ed occupato ad altre cure. - -Però una volta che si fu seduto e si accorse che gli si accordava -una dilazione, un respiro, con qualsivoglia intenzione ciò pur fosse, -concentrò tutte le proprie idee ed a sè richiamò tutte le sue forze. Il -fuoco dello sguardo di d’Artagnan, anzi che impaurirlo, quasi diremmo -lo elettrizzò: conciossiachè quello sguardo, comunque su di lui si -fissasse bollente di minaccia, era schietto nel suo odio e nel suo -sdegno. Mordaunt, pronto a cogliere ogni occasione che se gli offerisse -di trarsi dall’impaccio o col vigore o con l’astuzia, si raggruppò -sopra sè stesso come fa l’orso incalzato nella tana che con occhio -apparentemente immobile bensì osserva tutti i gesti del cacciatore da -cui fu inseguito. - -Frattanto quell’occhio, con moto rapidissimo, si portò su la spada -lunga e solida che gli batteva sull’anca; egli, senza affettazione posò -la mano sinistra sull’elsa, la ricondusse a portata della man diritta, -e si assise secondo ne era pregato dal tenente dei moschettieri -francesi. - -Questi di sicuro attendeva qualche parola aggressiva onde intavolare -una di quelle conversazioni dileggiatrici o terribili come ben sapeva -sostenerne. - -Aramis borbottava: - -«Sentiremo ciarle volgari». - -Porthos si mordeva i baffi mormorando: - -«Cospetto! quante cerimonie per ischiacciare questo serpentello!» - -Athos si appiattava nell’angolo della stanza, immobile e pallido quanto -un bassorilievo di marmo, e non ostante con la fronte molle di sudore. - -Mordaunt nulla diceva; e soltanto quando si stimò certo di aver sempre -a sua disposizione la spada, incrociò imperturbabile le gambe ed -aspettò. - -Non poteva un tal silenzio prolungarsi di più senza dare nel ridicolo. -D’Artagnan lo comprese, ed avendo egli invitato l’altro ad _accomodarsi -per discorrere_, pensò che a lui toccava di dar principio al dialogo. - -«Mi pare, signor mio, disse con la sua micidiale civiltà, che voi -mutiate abito quasi con la medesima prontezza ch’io lo vidi fare agli -istrioni italiani che il signor Mazzarino fece venir da Bergamo, e che -senza dubbio vi condusse a vedere in occasione del vostro viaggio in -Francia». - -Mordaunt non rispose. - -«Poc’anzi, continuò il Guascone, eravate travestito, anzi volevo dire -vestito, da assassino, e adesso.... - -«E adesso, al contrario, sembro vestito come un uomo vicino ad essere -assassinato, non è così? fece Mordaunt con la calma sua solita. - -«Oh! soggiunse d’Artagnan, come potete dire cose simili quando siete in -compagnia di gentiluomini, e avete al fianco una sì buona spada? - -«Non v’è spada assai buona da valere contro quattro spade e quattro -pugnali, senza contare le spade e i pugnali de’ vostri accoliti che vi -attendono alla porta. - -«Scusate, signore, voi fate sbaglio: quelli che ci attendono da basso -non sono nostri accoliti, ma nostri lacchè. A me preme di ristabilire -le cose nella loro più scrupolosa verità». - -Mordaunt fece un sorriso ironico che gl’increspò le labbra. - -«Ma non si tratta di questo, riprese d’Artagnan, ed io ritorno alla -mia richiesta. Avevo avuto l’onore di domandarvi perchè avete cambiato -d’esteriore. La maschera, per quanto mi sembra, vi stava assai comoda; -la barba grigia vi andava a meraviglia; e in quanto alla scure con la -quale deste un colpo sì illustre, io credo ch’ella non vi starebbe male -nemmeno in guesto momento. Dunque perchè l’avete abbandonata? - -«Perchè, ricordandomi la scena d’Armentières, ho pensato che troverei -quattro scuri contro una, dacchè ero per trovarmi fra quattro -carnefici. - -«Signore, replicò d’Artagnan con tutta calma, sebbene un piccolo -movimento delle ciglia dinotasse esser prossimo a riscaldarsi; -quantunque profondamente vizioso e corrotto, voi siete eccessivamente -giovane, per lo che io non mi fermerò ai vostri frivoli discorsi.... -Sì, frivoli, mentre ciò che ora dite in proposito d’Armentières non ha -il minimo rapporto con l’attuale circostanza. Infatti, noi non potevamo -offerire una spada alla vostra signora madre e pregarla di battersi di -scherma con noi; ma a voi, signorino, ad un cavaliere che maneggia il -pugnale e la pistola come vi abbiamo visto fare, e che porta al fianco -una spada di questa lunghezza, chiunque ha diritto di chiedere il -favore di battersi seco. - -«Ah, ah! disse Mordaunt, volete dunque un duello?» - -E si alzò, con l’occhio infuocato quasi fosse disposto a rispondere -nell’istante alla provocazione. - -Si rizzò pure Porthos, pronto, secondo il consueto, a tali sorte di -avventure. - -«Scusate, scusate, disse d’Artagnan con lo stesso sangue freddo, non ci -diamo tanta fretta, giacchè ognuno di noi deve desiderare che le cose -succedano in tutta regola. Sicchè, caro Porthos, sedete, e voi, signor -Mordaunt, favorite star fermo. Stimeremo alla meglio questa faccenda, -ed io sarò con voi schiettissimo. Confessate, signor Mordaunt, che -avete la gran voglia di ammazzarci, o gli uni o gli altri? - -«E gli uni e gli altri», replicò Mordaunt. - -D’Artagnan si volse così ad Aramis: - -«Caro Aramis, convenitene meco, è una grande fortuna che messer -Mordaunt conosca tanto bene le sottigliezze della lingua francese: -almeno fra di noi non vi saranno male intesi, ed ora regoleremo il -tutto egregiamente». - -E indi disse all’altro: - -«Caro signor Mordaunt, vi dirò che questi signori contraccambiano i -vostri buoni sentimenti a lor riguardo, e anch’essi avrebbero a genio -di ammazzarvi. Dirò di più: che probabilmente vi ammazzeranno.... ma da -leali gentiluomini, e la miglior prova ch’io possa darne eccola qua». - -E d’Artagnan gittò il cappello sul tappeto, rinculò la sua seggiola al -muro, accennò agli amici che facessero altrettanto, e salutato Mordaunt -con una grazia assolutamente francese, continuò: - -«Signore, ai vostri comandi; poichè se non avete che ridire sull’onore -ch’io reclamo, comincerò io con vostra licenza. La mia spada è più -corta della vostra, è vero, ma basta! spero che il braccio supplisca al -ferro. - -«Alto là! gridò Porthos avanzandosi, son io che principio, e senza -tanta rettorica. - -«Permettete, Porthos», fece Aramis. - -Athos non si mosse; pareva una statua: sembrava che gli si fosse -fermato anco il respiro. - -«Signori, signori, disse d’Artagnan, state buoni, toccherà poi a voi -altri. Guardate gli occhi di questo signore e leggete in essi l’odio -bellissimo che noi gl’inspiriamo; vedete con che abilità ha sguainato -il brando; ammirate con quanta circospezione si cerca d’intorno se vi -sia qualche ostacolo che gl’impedisca di distendersi. Or bene, tutto -questo forse non vi prova che il signor Mordaunt è un’ottima lama, e -che voi mi subentrerete fra poco se io lo lascio fare? Dunque statevene -al vostro posto quieti come Athos, del quale vi raccomando la calma, e -lasciate a me l’iniziativa che ho digià presa. E poi (continuò levando -fuori il ferro con un gesto terribile) ho che fare in particolare con -questo signore, e comincerò; lo bramo, lo voglio!» - -Era la prima volta che d’Artagnan profferiva questa parola parlando ai -suoi amici. Sino allora si era limitato a pensarla. - -Porthos indietreggiò, Aramis si cacciò la spada sotto il braccio, Athos -rimase fermo nel cantone, non quieto, conforme diceva d’Artagnan, ma -ansante, smanioso. - -«Cavaliere, disse d’Artagnan ad Aramis, rimettete l’arme nel fodero, -questo signore potrebbe supporre delle intenzioni che voi non avete». - -E volgendosi a Mordaunt: - -«Signore, vi attendo. - -«Ed io vi ammiro tutti quanti; discutete fra voi chi debba cominciare -a battersi meco, e non consultate me, a cui mi sembra che ciò riguardi -alcun poco. Vi odio tutti, è vero, ma in diversi gradi. Spero tutti -uccidervi, ma ho più probabilità di uccidere il primo che il secondo, -il secondo che il terzo, il terzo che l’ultimo. Reclamo quindi -di scegliere io il mio avversario. Se mi negate questo diritto, -ammazzatemi, non mi batterò». - -I quattro colleghi si guardarono. - -«È giusto» dissero Porthos ed Aramis, lusingandosi di essere i -prescelti. - -Athos e d’Artagnan non parlarono, ma lo stesso loro silenzio era un -assenso. - -«Or bene, fece Mordaunt fra il profondo e solenne silenzio che regnava -nella misteriosa abitazione, io mi eleggo per primo avversario quello -di voi, che non credendosi più degno di nominarsi conte di la Fère, si -è fatto chiamare Athos». - -Athos si rizzò dalla sedia come se lo avesse fatto balzare in piedi una -molla; ma con somma sorpresa dei compagni, dopo un momento d’immobilità -taciturna, disse scuotendo il capo: - -«Signor Mordaunt, tra di noi è impossibile qualunque duello: fate a -qualcun altro l’onore che a me destinavate». - -E tornò a sedersi. - -«Ah!! disse Mordaunt, eccone uno di già che ha paura! - -«Corpo di una bomba! esclamò d’Artagnan scagliatosi verso di lui, e chi -ha detto qui che Athos aveva paura? - -«Lasciatelo dire, fece Athos con un sorriso pieno di mestizia e -disprezzo. - -«Siete deciso così, Athos? domandò il Guascone. - -«Immutabilmente. - -«Va bene, non se ne parli più.... Signor Mordaunt, avete inteso che il -conte di la Fère non vuol farvi l’onore di battersi con voi. Scegliete -fra noi uno che lo rimpiazzi. - -«Subito che non mi batto con lui, poco m’importa con chi che sia. -Ponete i vostri nomi in un cappello, e trarrò a sorte. - -«Buona idea! approvò d’Artagnan. - -«Realmente con questo mezzo si concilia tutto, confermò Aramis. - -«Io non ci avrei pensato, disse Porthos, eppure era tanto semplice! - -«Orsù, Aramis, continuò d’Artagnan, scriveteci un po’ codesto col bel -carattere con cui scrivevate a Maria Michon per avvertirla che la madre -del signorino voleva far assassinare milord Brougham». - -Mordaunt sopportò questo nuovo attacco senza far motto: stava in piedi, -colle braccia incrociate, e pareva tranquillo quanto può esserlo un -uomo in tale circostanza. Se non era in lui coraggio, era per lo meno -orgoglio, lo che assai gli somiglia. - -Aramis si accostò al tavolino di Cromvello, tagliò tre pezzi di carta -di grandezza eguale, segnò sul primo il suo proprio nome e sopra gli -altri due quelli de’ suoi camerati, li presentò aperti a Mordaunt, -il quale senza leggerli fe’ con la testa un cenno che esprimeva -rapportarsi egli a lui pienamente, e ripiegatili li mise in un cappello -che porse al giovanotto. - -Questi cacciò dentro la mano, ne levò uno dei tre fogli, e senza -leggerlo lo lasciò sprezzantemente ricadere sul tavolino. - -«Ah! serpentello, mormorò d’Artagnan, darei tutte le mie speranze al -grado di capitano dei moschettieri perchè il mio nome fosse su quel -bigliettino». - -Aramis sciolse il foglietto, ma per quanta calma o freddezza -ostentasse, si scorgeva che gli tremava la voce d’odio e di desiderio. - -«D’Artagnan!» disse forte. - -Il tenente guascone diede un grido di giubilo. - -«Ah! esclamò, dunque v’è in cielo giustizia!» - -E direttosi a Mordaunt: - -«Spero, signore, che non abbiate da affacciare obbiezioni? - -«Nessuna» quegli rispose. - -E cavata fuori la spada ne appoggiava la punta sullo stivale. - -Tosto che d’Artagnan fu sicuro ch’era esaudita la sua brama e che -l’uomo non gli sfuggirebbe, ritornò in tutta la sua quiete, la sua -flemma, ed anche la lentezza che aveva costume di usare nei preparativi -della grave faccenda che chiamasi duello. Si arricciò le basette, -stropicciò la suola del piè destro in terra, e ciò non tolse che -osservasse come per la seconda volta Mordaunt si mandava attorno lo -sguardo singolare del quale altra fiata ei si era accorto. - -«Siete pronto? domandò poi. - -«Anzi, sono io che aspetto; replicò Mordaunt sollevando il capo e -fissando su d’Artagnan un’occhiata che non sapremmo descrivere. - -«Dunque badate a voi, fece il Guascone, perchè tiro bene di spada. - -«E anch’io. - -«Meglio! così ho più quieta la coscienza: in guardia! - -«Un momento, disse Mordaunt: signori, datemi la vostra parola di non -attaccarmi se non se uno dopo l’altro. - -«Forse ci domandi codesto per aver il piacere d’insultarci, piccolo -serpente? rimbrottò Porthos. - -«No: per avere, come diceva testè questo signore, la coscienza quieta. - -«Dev’essere per qualche altro fine, bucinò d’Artagnan tentennando la -testa e osservandosi d’appresso con dubbiezza. - -«Sulla fede di gentiluomo! risposero insieme Aramis e Porthos. - -«Se così è, signori, soggiunse Mordaunt, ritiratevi in un canto come ha -fatto il signor conte di la Fère, il quale se non vuol battersi mostra -almeno esser cognito delle regole del combattimento, e dateci libero lo -spazio: ne avremo bisogno. - -«Sia pure, fece Aramis. - -«Uh! quante ciancie! mugolò Porthos. - -«Da parte, signori! da parte! seguitò d’Artagnan, non va lasciato al -signorino il menomo pretesto di contenersi malamente, del che, salvo il -rispetto che gli debbo, mi pare che abbia la gran voglia». - -Questo nuovo dileggio andò ad estinguersi sulla faccia impassibile di -Mordaunt. - -Porthos ed Aramis si trassero nell’angolo opposto a quello dov’era -Athos, talmentechè i due campioni si trovarono ad occupare il posto -di mezzo della stanza, cioè erano situati in piena luce, stando sul -tavolino di Cromvello le due lampade che rischiaravano la scena. -Già s’intende che la luce diventava più fiacca a misura che uno si -discostava dal centro ov’ella splendeva. - -«Orsù, disse d’Artagnan, siete all’ordine alfine? - -«Sono all’ordine» rispose Mordaunt. - -Amendue fecero nello stesso tempo un passo innanzi, e mercè quest’unico -e medesimo movimento s’incrociarono i ferri. - -D’Artagnan era troppo abile schermidore per trastullarsi, conforme si -dice in termini di sala, a tasteggiare l’avversario. Fece una bella e -rapida finta; e questa fu parata da Mordaunt. - -«Ah ah!» disse questo con un sorriso di soddisfazione. - -E senza perder tempo, credendo di vedere un’apertura, allungò una botta -diritta, celere, e fiammeggiante come il lampo. - -Mordaunt parò una contro di quarta così stretta che non sarebbe uscito -il ferro dall’anello di una fanciulla. - -«Principio a credere che ci divertiremo, disse d’Artagnan. - -«Sì, ripicchiò Aramis, ma divertendovi, incalzate a modo. - -«Perdinci! amico, state avveduto!» aggiunse Porthos. - -Allora Mordaunt si diede a sogghignare. - -«Uh! signor mio, gli disse d’Artagnan, che brutto sorriso avete mai! -gli è il diavolo che vi ha insegnato a sorridere così, non è vero?» - -Mordaunt non rispose se non cercando di imbracciare il ferro di -d’Artagnan con un vigore che questi non s’immaginava di trovare in -quel corpo in apparenza sì debole; ma mediante una parata non meno ben -eseguita che quella dell’emulo incontrò a tempo la lama di Mordaunt, -che sdrucciolò lungo la sua senza toccargli il petto. - -Il giovanotto retrocedè sollecito di un passo. - -«Ah! vi stendete? disse il Guascone, ah! vi girate? a vostro genio sia -pure, io ci guadagno anzi qualche cosa: che non vedo più il vostro -volto maligno. Eccomi del tutto all’ombra: tanto meglio. Non potete -figurarvi che tristo sguardo è il vostro, in ispecie quando avete -paura. Guardate un poco i miei occhi, e vedrete una cosa che il vostro -specchio non vi mostrerà mai, cioè uno sguardo franco e leale». - -A cotesta abbondanza di parole, forse non gentili, ma abituali in -d’Artagnan che aveva per massima di tener distratto l’avversario, -Mordaunt non replicò nemmeno; ma sempre stendendosi e girando pervenne -a cambiar posto col tenente. - -E vieppiù sorrideva. E il suo sorriso cominciò a dar noja al Guascone. - -«Eh via! va finita, disse questi; il birbante ha i garretti di ferro. -Avanti le botte maestre!» - -Ed incalzò Mordaunt, il quale continuò a distendersi, ma evidentemente -per semplice tattica, senza fare un fallo di cui il tenente potesse -approfittarsi, senza che la sua spada scartasse un momento dalla linea. -Peraltro siccome il combattimento avea luogo in una stanza ed era -scarso lo spazio, in breve il piede di Mordaunt toccò il muro, ed esso -vi appoggiò la mano sinistra. - -«Ah! fece d’Artagnan, mio bell’amico, questa volta non vi allargherete -più! signori (seguitò stringendo le labbra e aggrottate le ciglia) -avete mai visto uno scorpione appiccicato a una muraglia? No? -benissimo, ora lo vedrete». - -In un minuto secondo d’Artagnan diè tre colpi tremendi a Mordaunt. Lo -toccarono tutti, ma leggerissimamente. Il Guascone non ci capiva più -nulla. I tre amici guardavano ansiosi, con la fronte bagnata di sudore. - -Finalmente d’Artagnan, stretto troppo da vicino, fece egli pure -un passo indietro onde preparare un quarto colpo, o piuttosto per -eseguirlo: imperciocchè per esso le armi siccome gli scacchi erano -un vasto calcolo di cui tutti i dettagli andavano concatenati l’uno -all’altro; ma nel punto che più accanito che mai, si scagliava sul -nemico, nel punto che dopo una finta celere e forte si avventava ratto -come un baleno, parve si aprisse il muro; Mordaunt sparì da un vacuo, -e la spada del tenente inceppata fra due sporti si ruppe quasi fosse di -vetro. - -Egli rinculò alquanto. La parete tornò a chiudersi. - -Mordaunt, mentre si difendeva, avea manovrato in tal guisa da venire -a ridosso alla porta segreta dalla quale noi già vedemmo uscire -Cromvello. Giunto colà, con la manca cercò e spinse il bottoncino. Poi -disparve come in teatro spariscono i genj malefici che hanno il dono di -passare a traverso ai muri. - -Il Guascone mandò un’imprecazione furibonda, a cui dal lato opposto -rispose una risata selvaggia, funebre, la quale fece passare i brividi -sino nelle vene allo scettico Aramis. - -«Qua con me, miei signori! gridò d’Artagnan, si sfondi la porta! - -«È il demonio in persona! disse Aramis accorrendo. - -«Ci scappa, sangue del diavolo! ci scappa! urlò Porthos posando le -larghe spalle sul tramezzo, che trattenuto da qualche molla interna non -si mosse. - -«Meglio! mormorò truce Athos. - -«Me lo figuravo, caspita! disse d’Artagnan tentando inutili sforzi, me -lo figuravo quando lo sciagurato girava per la stanza attorno attorno; -prevedevo qualche infame manovra, indovinavo che tramava qualchecosa; -chi poteva immaginarsi mai questa? - -«È una disgrazia terribile mandataci dal diavolo suo amico! esclamò -Aramis. - -«È una fortuna manifesta inviataci da Dio! ribattè Athos con la massima -allegrezza. - -«In verità, rispose d’Artagnan stringendosi nelle spalle, e -abbandonando la porta che assolutamente non voleva aprirsi, andate un -poco giù, Athos! come potete dire cose simili a genti quali noi siamo? -Caspita! ma dunque non comprendete la situazione? - -«Che cose? che situazione? domandò Porthos. - -«A quel giuoco chi non uccide è ucciso. Sentiamo, mio caro, sta forse -nei vostri treni espiatorii che Mordaunt ci sacrifichi alla sua pietà -figliale? Se tale è la vostra opinione, ditelo francamente. - -«Oh d’Artagnan! amico mio! - -«È propriamente vergogna considerare le cose sotto questo aspetto. Il -furfante ci manderà cento coste di ferro che ci pesteranno come tanto -grano in questo mortajo di messer Cromvello. Animo, animo! si vada! se -stiamo qui cinque minuti, per noi è finita! - -«Sì, avete ragione, si vada! ripeterono Athos ed Aramis. - -«E dove si andrà? domandò Porthos. - -«All’albergo, a prendere le nostre robe e i nostri cavalli; e di là, -se piace a Dio, in Francia, dove almeno io conosco l’architettura -dei casamenti. Il battello ci aspetta; affeddiddio! è anche una gran -sorte!» - -E d’Artagnan, unendo l’esempio al precetto, rimise nel fodero il suo -pezzo di spada, ripigliò il cappello, schiuse l’uscio di sulla scala, e -scese velocemente seguito dai tre compagni. - -Al portone i fuggiaschi ritrovarono i loro lacchè, e domandarono ad -essi contezza di Mordaunt, ma eglino non avevano veduto a partirsi -veruno. - - - - -LXXV. - -_La filuca. Il Lampo._ - - -D’Artagnan non si era ingannato: Mordaunt non aveva tempo da perdere, e -non lo aveva perduto; conosceva la prontezza nel decidere e nell’agire -de’ suoi nemici, e risolse di operare in conseguenza. Questa volta i -moschettieri avevano trovato un avversario degno di loro. - -Mordaunt, chiusasi bene la porta dietro, si cacciò nel sotterraneo, e -riponendo nel fodero il brando inutile, e recandosi alla casa contigua, -si ristette alquanto per tastarsi e riprender fiato. - -«Buono, buono! disse, quasi nulla; qualche sgraffio e non altro.... -due al braccio, uno al petto.... Le ferite che fo io sono migliori!... -Lo domandino pure al boja di Bethune, a mio zio di Winter e al re -Carlo!... Adesso non si perda un minuto secondo, chè anche questo può -salvarli; bisogna che muojano tutti quattro insieme, d’un sol colpo, -divorati dalla folgore degli uomini poichè nol sono da quella celeste; -bisogna che spariscano, rotti, dispersi, annientati.... Si corra dunque -sino a tanto che le gambe non mi possano più reggere, sino a tanto che -in seno mi si gonfi il cuore; ma si giunga prima di loro». - -E Mordaunt si mise a camminare sollecitamente verso la prima caserma di -cavalleria distante circa un quarto di lega; e il quarto di lega fu da -lui fatto in quattro o cinque minuti. - -Arrivato alla caserma si diede a conoscere, prese il miglior cavallo -della stalla, vi saltò sopra, e pigliò la strada maestra. Dopo un -quarto d’ora era a Greenwich. - -«Ecco il porto, borbottava, quel punto oscuro laggiù è l’isola dei -Cani.... Bene! sono avanti a loro di una mezz’oretta.... forse di -un’ora.... fui pure sciocco! ho avuto da asfissiarmi per la stolida -mia precipitazione.... E adesso (aggiunse drizzandosi sulle staffe a -guardare più lontano fra tutti i cordami, fra tutti gli alberi di navi) -il _Lampo_? dov’è il _Lampo_?» - -Nel momento che pronunziava mentalmente queste parole, come per -rispondere al suo proprio pensiero, si alzò un uomo ch’era sdrajato -sopra un rotolo di gomene, e mosse alcuni passi incontro a lui. - -Mordaunt si levò di saccoccia il fazzoletto, e lo sventolò per aria. - -L’uomo sembrò attentissimo, ma non si mosse più nè innanzi, nè indietro. - -Mordaunt fece un nodo a ciascuna delle quattro cantonate della -pezzuola; e allora quegli gli si avvicinò. Tale era, conforme noi ci -ricordammo, il segnale convenuto. Il marinajo aveva addosso un largo -cappotto di lana che gli nascondeva il personale e gli cuopriva la -faccia. - -«Il signore (disse colui) non viene forse di Londra per fare una -passeggiatina in mare? - -«Precisamente, rispose Mordaunt, e dalla parte dell’isola dei Cani. - -«Appunto. E senza dubbio vossignoria ha una preferenza? avrebbe più -caro un bastimento che un altro? vorrebbe un bastimento buon veliero, -un bastimento veloce.... - -«Come il lampo, replicò Mordaunt. - -«Ottimamente; dunque è il mio quello che cerca vossignoria; io sono il -capitano che le abbisogna. - -«Comincio a crederlo, soprattutto se non avete dimenticato un certo -segno di riconoscimento. - -«Eccolo, ribattè il marinaro togliendo dalla tasca del cappotto una -pezzuola col nodo alle quattro cocche. - -«Benissimo! esclamò Mordaunt; e balzò giù da cavallo. Ora non v’è -da perder tempo: fate condurre il mio cavallo al primo albergo, e -portatemi qua la vostra barca. - -«Ma i vostri compagni? domandò il marinajo, credeva che foste in -quattro, senza contare i lacchè. - -«Sentite, gli disse Mordaunt accostandosi di più; io non son quello -che aspettate, come voi non siete quello ch’essi sperano di trovare. -Voi avete preso il posto del capitano Rogers, non è vero? siete qui per -ordine del generale Cromvello, ed io vengo da parte sua. - -«Diffatti vi riconosco: siete il capitano Mordaunt». - -Il giovane si scosse. - -«Oh! non temete di nulla, fece il padrone discuoprendosi la testa, sono -un amico. - -«Il capitano Groslow! - -«Per l’appunto! Il generale si è rammentato che in addietro ero stato -uffiziale di marina, e mi ha incaricato di questa spedizione. V’è forse -qualche cambiamento? - -«No, niente; anzi, tutto rimane nel medesimo stato. - -«Per un poco avevo pensato che la morte del re.... - -«La morte del re non ha fatto altro che sollecitare la loro fuga; tra -un quarto d’ora, forse fra dieci minuti, saranno qui. - -«E dunque, che venite a fare? - -«A imbarcarmi con voi. - -«Ah ah! il generale dubita del mio zelo? - -«No; ma voglio assistere da me alla mia vendetta. Non avete qualcuno -che possa sbarazzarmi del mio cavallo?» - -Groslow fischiò, e comparve un marinajo. - -«Patrick, gli comandò Groslow, menate il cavallo alla stalla del -più prossimo albergo. Se vi domandano di chi è, dite d’un signore -irlandese». - -Patrick se ne andò senza far veruna osservazione. - -«Adesso, disse Mordaunt, non avete paura che vi ravvisino? - -«Non v’è pericolo, con questo vestimento avvolto nel cappotto, in una -nottata così buja. E poi, voi non mi avevate ravvisato, e tanto più -deve succedere di loro. - -«È vero; d’altra parte saranno ben lontani dal pensare a voi. Tutto è -pronto, non è così! - -«Sì. - -«Il carico è imbarcato? - -«Sì. - -«Cinque botti piene? - -«E cinquanta vuote. - -«Giusto. - -«Portiamo ad Anversa del vino di Porto Porto. - -«A meraviglia. Conducetemi a bordo, e tornate qui al vostro posto, chè -non tarderanno molto a capitare. - -«Sono all’ordine. - -«Interessa assai che nessuno de’ vostri uomini mi vegga entrare. - -«Ne ho uno solo sul bastimento, e sono sicuro di lui quanto di me -stesso. Inoltre e’ non vi conosce, ed al pari de’ suoi compagni è -pronto ad obbedire ai nostri ordini, ma all’oscuro di tutto. - -«Va bene; andiamo». - -Scesero verso il Tamigi. Era legata una piccola lancia alla riva con -una catena di ferro fissata ad un palo. Groslow tirò a sè la barca, -l’assicurò mentre Mordaunt vi si calava, indi vi saltò dentro esso -pure, e quasi subito dato di mano ai remi si mise a vogare in maniera -da provare a Mordaunt la verità di ciò che aveva asserito, cioè di non -essersi scordato il suo mestiere d’uomo di mare. - -In cinque minuti furono districati da quella quantità di navigli, che -già in quell’epoca ingombravano le vicinanze di Londra, e Mordaunt -potè distinguere come un punto oscuro la piccola filuca che si muoveva -sull’áncora non lontana dall’isola dei Cani. - -Appressandosi al _Lampo_, Groslow fischiò in un dato modo, e si vide la -testa di un uomo apparire di sopra al muro. - -«Siete voi, capitano? colui domandò. - -«Sì, butta giù la scala». - -E Groslow passando leggiero e rapido sotto al bompresso venne a -mettersi accosto a lui. - -«Salite» disse poi a Mordaunt. - -Mordaunt, senza rispondere, afferrò la fune e si arrampicò su pei -fianchi del bastimento con abilità e fermezza non comune alle genti di -terra; è che in esso il desío di vendetta faceva le veci dell’abitudine -ed a tutto lo rendeva adattato. - -Secondo avea preveduto Groslow, il marinajo di guardia sul _Lampo_ non -mostrò tampoco di accorgersi che il padrone tornasse accompagnato. - -Mordaunt e Groslow si avanzarono verso la camera del capitano. Era uno -stanzino provvisorio formato di tavole sul ponte. L’appartamento di -gala era stato ceduto ai passeggieri. - -«Ed essi, dove stanno? chiese Mordaunt. - -«All’altra estremità della filuca, rispose Groslow. - -«E non hanno da far niente per qui? - -«Nulla assolutamente. - -«A meraviglia! io me ne sto nascosto nel vostro camerino. Andate a -Greenwich e conduceteli subito. Avete una lancia? - -«Questa in cui siamo venuti noi. - -«Mi è sembrata leggera e di buon taglio. - -«Una vera piroga. - -«Legatela a poppa con un canapo, metteteci i remi perchè ci segua -direttamente e non vi sia altro che da troncare la corda. Provvedetela -di rum e di biscotto. Se per caso fosse mare grosso, ai vostri uomini -non increscerebbe di aver alla mano con che ristorarsi lo stomaco. - -«Tanto sarà fatto. Volete visitare la Santa-Barbara? - -«No, al vostro ritorno. Voglio porre la miccia da per me onde esser -certo che non faccia molto fuoco. Specialmente celatevi bene il viso, -chè non vi riconoscano. - -«Non dubitate. - -«Andate, suonano le dieci ore a Greenwich». - -Realmente i tocchi di una campana ripetuti dieci volte traversarono -lugubremente l’aria carica di grossi nuvoli che scorrevano in cielo -come tante onde tacite e ognor succedentisi. - -Groslow spinse l’usciale, che da Mordaunt fu chiuso per di dentro, -e dato al marinajo di guardia l’ordine d’invigilare colla massima -attenzione, discese nella barca, e questa si allontanò solcando i -flutti con il doppio suo remo. - -Era vento freddo, e la spiaggia deserta quando Groslow approdava a -Greenwich. Erano partite varie barche. Nel momento ch’ei mise piede a -terra udì come il galoppo di cavalli sulla strada cosparsa di ghiaja. - -«Oh oh! disse, Mordaunt aveva ragione di farmi premura: non v’era tempo -d’avanzo, eccoli». - -Erano difatti i nostri amici, o piuttosto la loro vanguardia composta -di d’Artagnan e di Athos. Giunti rimpetto al luogo ove stava Groslow -si fermarono, quasi indovinassero esser là quello con cui avevano -da trattare. Athos smontò, sciolse tranquillamente un fazzoletto del -quale erano annodate le quattro punte, e lo fece sventolare per aria, -intanto che d’Artagnan, sempre prudente, rimaneva mezzo chinato sul suo -cavallo, con una mano nella sacca delle pistole. - -Groslow, che nel dubbio che i cavalieri fossero o no quei che -attendeva, si manteneva accosciato dietro ad uno di quei ferri -conficcati nel terreno che servono ad arrotolare i cavi, si alzò visto -il segnale stabilito, e si avviò incontro a loro. Aveva sì basso il -cappuccio del pastrano che non era possibile di distinguergli il volto. -E di più tale precauzione era superflua con la grande oscurità della -nottata. - -Eppure l’occhio penetrante di Athos, non ostante il bujo, si accorse -non esser quegli Rogers. - -«Che volete da me? disse a Groslow facendo un passo indietro. - -«Milord, voglio dirvi, rispose Groslow affettando la pronunzia -irlandese, che cercate inutilmente il capitano Rogers. - -«E come mai? - -«Perchè stamane è caduto da un albero di gabbia e s’è rotta la gamba. -Ma io sono suo cugino; mi ha raccontata tutta la faccenda, e mi ha -incaricato di riconoscere per lui e condurre in sua vece dovunque -bramassero i gentiluomini che mi porterebbero una pezzola con un gruppo -ad ogni cocca come quello che voi avete in mano e questo ch’io ho in -tasca». - -E si traeva dalla saccoccia il fazzoletto di già mostrato a Mordaunt. - -«Non c’è altro? domandò Athos. - -«Oh, sì, milord: vi sono anche settantacinque lire promessemi s’io vi -sbarco sani e salvi a Boulogne o su tutt’altro punto della Francia che -m’indicherete. - -«Che ne dite, d’Artagnan? chiese Athos in francese. - -«Prima di tutto, che dice costui? - -«Ah sì, mi scordavo che non capite l’inglese». - -E Athos ripetè a d’Artagnan il dialogo avuto col padrone. - -«Mi par verosimile, disse il Guascone. - -«E anche a me. - -«E poi, se quest’uomo c’inganna, seguitò il tenente, potremo sempre -fargli saltar il cervello. - -«E chi ci condurrà? - -«Voi, Athos: sapete tante cose che non dubito saprete anche guidare un -bastimento. - -«Affè, replicò Athos sorridendo, benchè scherziate, avete dato nel -segno: ero destinato da mio padre a servire nella marina, ed ho qualche -nozione del pilotaggio. - -«Oh vedete! esclamò d’Artagnan. - -«Sicchè, mio caro, andate a cercare i nostri amici e tornate; sono le -undici, non abbiam tempo di soprappiù». - -D’Artagnan si avanzò verso due cavalieri, che colla pistola in pugno -stavano in sentinella alle prime case della città, aspettando e -sorvegliando; sulla parte opposta della strada, e ritiratisi a ridosso -di una specie di tettoja, altri tre facevano la posta e parevano pure -in aspettativa. - -Le due sentinelle di mezzo erano Porthos ed Aramis. I tre della -tettoja, Mousqueton, Blaisois e Grimaud: se non che quest’ultimo, a -osservarlo bene, era doppio, poichè aveva in groppa Parry, il quale -doveva ricondurre a Londra i cavalli dei gentiluomini e dei loro -domestici venduti al locandiere per la spesa che da lui avevano fatta. -Mediante questo colpo di commercio, i quattro amici avevano potuto -portar con sè una somma, se non ragguardevole, almeno bastante per far -fronte ai ritardi ed alle eventualità. - -D’Artagnan invitò Porthos ed Aramis a seguirlo, e questi accennarono ai -servi che scendessero da cavallo e sciogliessero le loro valigie. - -Parry si separò, non senza rincrescimento, dai suoi amici; gli era -stato proposto di venire in Francia, ma aveva ricusato ostinatamente. - -«È naturale, diceva Mousqueton, ha le sue idee relativamente a Groslow». - -Noi ci rammentiamo che il capitano Groslow gli aveva spaccata la testa. - -La piccola comitiva raggiunse Athos. Ma d’Artagnan aveva ripresa la sua -consueta diffidenza; trovava lo scalo troppo deserto, la notte troppo -buja, il padrone troppo buono e corrente. - -Aveva raccontato ad Aramis l’incidente da noi riferito, ed Aramis -non meno di lui diffidente, contribuiva di molto ad accrescere i suoi -sospetti. - -Un lieve batter della lingua sui denti palesò ad Athos le inquietezze -del Guascone. - -«Non abbiamo tempo da metterci in sospetto, disse Athos, la barca ci -attende, entriamoci. - -«E d’altronde, fece Aramis, chi c’impedisce di sospettare ed entrar non -ostante? Si sorveglierà il capitano. - -«E se non tira diritto, lo accoppo, ed è finita, continuò Porthos. - -«Bene! rispose d’Artagnan, dunque si vada. Passa tu, Mousqueton». - -Ma d’Artagnan tratteneva i suoi camerati, facendo che i servi -precedessero, onde provare il tavolone che portava dalla spiaggia alla -lancia. - -I tre domestici passarono senza disgrazie. - -Athos gli seguitò, poi Porthos, indi Aramis. Il tenente fu l’ultimo, e -non cessava di muover la testa. - -«Che diavolo avete, mio caro? gli chiese Porthos, in verità, fareste -paura a un Cesare. - -«Ho, che non veggo su questo porto nè sentinella, nè ispettore, nè -doganiere. - -«Oh sì, lagnatevi! rispose Porthos, tutto va come sui fiori o foglie. - -«Tutto va troppo bene! Basta, alla grazia di Dio!» - -Tosto fu levata la tavola, il padrone sedè al timone, e fece un cenno -ad un marinajo, il quale armatosi di un grosso gancio, principiò a -manovrare per uscire dal laberinto di navigli fra cui era impacciata la -barca. - -L’altro marinaro stava già col remo in mano. - -Quando ei potè adoprarlo, il suo compagno si unì a lui, e lo schifo -cominciò ad andare più lestamente. - -«Alla fine si parte! disse Porthos. - -«Ahimè! rispose il conte di la Fère, partiamo soli! - -«Sì, ma noi quattro insieme, e senza un graffio: è una consolazione. - -«Non siamo ancora arrivati, fece d’Artagnan, guai agli incontri! - -«Eh! disse Porthos, siete come i corvi, voi! cantate sempre a -disgrazia! chi può incontrarci in questa notte oscurissima, che non si -vede a distanza di venti passi? - -«Sì, ma domattina? - -«Domattina saremo a Boulogne. - -«Lo desidero di cuore, soggiunse il Guascone, e confesso la mia -debolezza: ecco, Athos, adesso riderete, ma sinchè siamo stati a -tiro di schioppo dallo scalo o dai bastimenti che v’erano attorno, mi -attendevo qualche terribile fucilata che ci distruggesse tutti. - -«Ma, osservò Porthos col suo giudizio un po’ materiale, era -impossibile, poichè avrebbero ucciso nello stesso tempo e padrone e -marinai. - -«Veh! grande affare per messer Mordaunt! credete che badi a così poco? - -«Insomma, disse Porthos, ho piacere che d’Artagnan convenga di aver -avuto paura. - -«Non solo ne convengo, ma me ne vanto: non sono mica un rinoceronte -come voi.... Ehi! che roba è questa? - -«Il _Lampo_, disse il capitano. - -«Dunque siamo arrivati? domandò Athos in inglese. - -«Si arriva». - -E dopo tre colpi di remo, erano accanto al piccolo bastimento. -Il marinaro aspettava, la scala era apparecchiata, chè egli aveva -riconosciuta la barca. - -Athos salì per il primo con abilità da uomo di mare; Aramis con una -certa abitudine che aveva ai mezzi ingegnosi di traversare spazi -proibiti; d’Artagnan come un cacciatore di camosci; Porthos con la -forza che in lui suppliva a tutto. - -In quanto ai servitori l’operazione fu più difficile, non per Grimaud, -ch’era una specie di gatto magro e sfilato, e trovava sempre modo -di cacciarsi in qualunque luogo, ma per Mousqueton e Blaisois, che i -marinaj dovettero sollevare in braccio sino a portata di Porthos, il -quale afferratili pel collare della casacca li piantò ritti sul ponte. - -Il capitano guidò i passeggieri alla stanza ad essi apparecchiata e -in cui dovevano rimanere tutti insieme, e poi cercava di andarsene col -pretesto di dare degli ordini. - -«Un momento, disse d’Artagnan; padrone, quanti uomini avete a bordo? - -«Non capisco, rispose quello in inglese. - -«Athos, domandateglielo nella sua lingua». - -Athos fece l’interrogazione. - -«Tre, disse Groslow, ben inteso senza contar me». - -D’Artagnan comprese, perchè il capitano così replicando aveva alzate -tre dita. - -«Oh! egli aggiunse, tre: comincio ad esser più quieto. Ma non serve, -intanto che voi altri vi accomodate qui, io vo a fare un giro per il -bastimento. - -«Ed io, continuò Porthos, mi occuperò della cena. - -«È bello e generoso il vostro progetto, Porthos! ponetelo in -esecuzione. Voi, Athos, imprestatemi Grimaud che dalla compagnia del -suo caro Parry ha imparato a borbottare un po’ d’inglese, e mi farà da -interprete. - -«Andate, Grimaud», disse Athos. - -V’era sul ponte una lanterna, d’Artagnan l’alzò con una mano, -nell’altra prese una pistola, e disse al padrone: - -«_Come_[14]». - -Che unito a _goddam_ era quanto ei sapesse dell’idioma britannico. - -Il Guascone pigliò dal boccaporto e scese nella stiva. - -La quale stiva dividevasi in tre compartimenti: quello in cui passava -d’Artagnan, e che poteva estendersi dal terzo alberetto all’estremità -da poppa, e che in conseguenza era ricoperto dal pavimento della camera -dove Athos, Porthos ed Aramis si disponevano a pernottare; il secondo, -che occupava il mezzo del naviglio, e destinato ai domestici; il terzo -di sotto alla prora, vale a dire sotto al camerino fatto di nuovo in -cui stava nascosto Mordaunt. - -«Oh oh! fece d’Artagnan scendendo la scaletta del boccaporto e -facendosi precedere dal lampione che teneva steso di tutta la lunghezza -del braccio, quante botti! pare la caverna di Alì-Baba». - -(In quell’epoca appunto erano state tradotte per la prima volta ed -erano in gran voga le _Mille e una Notte_.) - -«Che dite?» domandò in inglese il capitano. - -Il tenente capì dall’intuonazione della voce, e rispose: - -«Desidero sapere che cosa v’è in quelle botti?» - -E posò sopra ad una di queste la lanterna. - -Il padrone fece un atto come per ritornar su, ma poi si fermò e disse: - -«Porto. - -«Ah! vino di Porto Porto! anche questa è una consolazione, non morremo -di sete», fece d’Artagnan. - -E girandosi verso Groslow che si asciugava sulla fronte grosse gocce di -sudore, lo richiese: - -«E sono piene?» - -Grimaud tradusse la interrogazione. - -«Alcune piene, altre vuote», disse Groslow con tal voce che ad onta -d’ogni sforzo manifestava grande inquietudine. - -D’Artagnan picchiò col dito sui fusti, e riconobbe esserne cinque pieni -e gli altri vuoti; dipoi introdusse con vie maggiore sbigottimento di -Groslow, il lume che aveva in mano negli intervalli lasciati fra le -botti, e visto che quelli erano vacui: - -«Animo, andiamo avanti, disse, e s’inoltrava verso l’usciale che dava -sulla seconda divisione. - -«Aspettate, lo avvertì l’Inglese rimasto indietro, sempre nella -maggiore agitazione; aspettate, ho io la chiave di costì». - -Allora, passando innanzi al Guascone e a Grimaud, mise con mano -tremante la chiave nella serratura, e così furono nel secondo -compartimento, dove Mousqueton e Blaisois si preparavano a cenare. - -In quello evidentemente non trovavasi cosa da cercare o da osservare; -si scorgeva ogni posto, ogni angolo, mediante una lampada che avevano i -due degni compagni. - -Sicchè, senza fermarsi, andarono a visitare il terzo locale. - -Quello era la camera dei marinaj. - -Tre o quattro cuccette sospese al palco, una tavola sostenuta da una -fune doppia passata a ciascuna delle sue estremità, due panche marce -e zoppe, ne formavano tutta la mobilia. D’Artagnan andò a sollevare -due o tre vecchie vele che pendevano dalle pareti, e nulla vedendo di -sospetto, ritornò dal boccaporto sul ponte. - -«E questo camerino?» domandò d’Artagnan. - -Grimaud fece all’Inglese la versione delle parole del moschettiere. - -«È il camerino mio, rispose il padrone; ci volete entrare? - -«Aprite», seguitò d’Artagnan. - -Groslow obbedì. Il Guascone allungò il braccio munito del lampione, -cacciò dentro il capo dall’usciale socchiuso, ed osservato che si -trattava a dirittura di un buco, disse: - -«Bene, bene: se a bordo v’è un’armata, di certo la non sarà rimpiattata -qui. Si vada a sapere se Porthos ha trovato da cena». - -E ringraziato con un moto della testa il capitano, si recò nuovamente -nella stanza dove erano i suoi amici. - -Porthos, per quanto pare, non aveva trovato cosa alcuna, e pure la -stanchezza aveva vinta la fame, e sdraiatosi sul suo ferrajuolo dormiva -profondamente quando entrò d’Artagnan. - -Athos ed Aramis, cedendo ai dolci movimenti cagionati dai primi flutti -del mare principiavano a chiuder gli occhi: li riapersero al rumore -fatto dal tenente. - -«Ebbene? chiese Aramis. - -«Tutto va ottimamente, disse d’Artagnan, e possiamo dormire tranquilli». - -Dietro di che Aramis si lasciò nuovamente andar giù la testa; Athos -colla sua fe’ un cenno affettuoso a d’Artagnan, il quale al pari di -Porthos aveva più bisogno di sonno che di cibo, licenziò Grimaud e si -coricò sul suo pastrano, con la spada nuda, in modo tale che col suo -corpo ingombrava il passo, e che nessuno potrebbe entrare nella camera -senza urtare addosso a lui. - - - - -LXXVI. - -_Il vino di Porto Porto._ - - -Dopo dieci minuti i padroni dormivano, ma non così i servitori -affamati, e specialmente assetati. - -Blaisois e Mousqueton si accingevano ad apparecchiarsi il letto, -consistente in un tavolone ed una valigia, mentre sopra una tavola -sospesa come quella della stanza contigua si tentennavano al moto del -mare un pane, un boccale di birra e tre bicchieri. - -«Maledetto scuotimento! diceva Blaisois, sento che mi ritorna il male -come quando si arrivò. - -«E per combattere questa nausea, rispondeva Mousqueton, non avere altro -che pane d’orzo e vino di luppoli.... buff!.... - -«E la vostra fiaschetta di giunchi, signor Mouston, l’avete perduta? -domandò Blaisois che aveva terminato il suo preparativo e barcollando -si accostava alla tavola, davanti alla quale Mousqueton era già seduto -e dove riuscì anche a lui di sedersi. - -«No; disse Mousqueton, ma Parry se l’è ritenuta. Quei maledetti -Scozzesi hanno sempre sete!.... E voi, Grimaud?.... disse poi al -camerata che appunto capitava dopo aver accompagnato d’Artagnan nel suo -giro, e voi, avete sete? - -«Quanto uno Scozzese, fece Grimaud laconicamente». - -E si assise accanto agli altri due, si cavò di tasca un libretto, e si -mise a fare i conti della società, di cui era l’economo. - -«Ohimè, ohimè!.... disse Blaisois, mi si rimescola lo stomaco! - -«Se così è, consigliò Mousqueton in tuono da dottore, pigliate un po’ -di cibo. - -«E codesto, lo chiamate cibo? replicò Blaisois con cera dolente e -sprezzante accennando col dito il pan d’orzo e la birra. - -«Blaisois, riprese Mousqueton, rammentatevi che il pane è il vero -nutrimento del Francese, e anche il Francese non ne ha sempre: -domandatelo a Grimaud. - -«Sì, ma la birra, gridò Blaisois con una prontezza che faceva onore al -suo spirito vivace, ma la birra è ella forse la sua vera bevanda? - -«Per questo poi, rispose Mousqueton acchiappato dal dilemma e -imbrogliatissimo per rispondere, devo confessare di no, ed anzi -aggiungerò ch’ella gli è tanto antipatica quanto è il vino agli -Inglesi. - -«Come, signor Mouston? seguitò Blaisois, che questa volta dubitava -delle profonde cognizioni di Mousqueton, per le quali nelle circostanze -ordinarie della vita aveva però la massima ammirazione, come, agli -Inglesi non piace il vino? - -«Lo abborriscono. - -«Eppure, glie l’ho visto bere, io. - -«Per penitenza; e la prova, continuò Mouston impettito, si è, che un -giorno un principe inglese morì per essere stato dentro a una botte di -malvagia. Io l’ho inteso raccontare dal signor d’Herblay. - -«Imbecillone! fece Blaisois, vorrei esser io nel suo posto. - -«Lo puoi far benissimo, disse Grimaud mentre accomodava i suoi numeri -in fila. - -«E in che modo? - -«Sì sì, confermò Grimaud, e teneva a mente quattro per riportarlo alla -somma della colonna seguente. - -«Posso farlo? spiegatevi, signor Grimaud». - -Durante le interrogazioni di Blaisois Mousqueton stava in silenzio, -ma facilmente si scorgeva dal suo viso non esser questo per effetto -d’indifferenza. - -Grimaud continuò il suo conteggio e stabilì il totale. - -«Porto Porto, disse allora stendendo la mano nella direzione del -primo compartimento visitato da lui e da d’Artagnan in compagnia del -capitano. - -«Come! quelle botti che ho adocchiate dall’usciale socchiuso.... - -«Porto, ripetè Grimaud, e ricominciò una nuova operazione di aritmetica. - -«Ho inteso dire, seguitò Blaisois volgendosi a Mousqueton, che il Porto -Porto è un vino eccellente di Spagna. - -«Eccellente, rispose Mousqueton strisciandosi sulle labbra con la -lingua, ce n’è nella cantina del signor barone di Bracieux. - -«Se pregassimo questi Inglesi di vendercene una bottiglia? progettò -l’onesto Blaisois. - -«Vendere! obbiettò Mousqueton tornando all’antico suo istinto di -ruberia; ben si capisce, giovanotto, che non avete ancora l’esperienza -delle cose della vita. Perchè comprare quando si può prendere? - -«Prendere! desiderare il bene del prossimo! è proibito, mi pare! - -«Dove? - -«Nei comandamenti di Dio.... o della Chiesa.... non so.... ma so che -v’è. _E non desiderare i beni del prossimo tuo, nè la sua sposa_.... - -«Chiacchere! chiacchere! dove avete mai trovato che gli Inglesi siano -nostro prossimo? - -«In nessun luogo, è vero.... almeno non me ne ricordo. - -«Bambinate! bambinate! seguitò Mousqueton. Se aveste guerreggiato dieci -anni come io e Grimaud, caro Blaisois, sapreste fare la differenza che -v’è tra il bene del prossimo e il bene del nemico: ora un Inglese è -nemico, e il vino appartiene agl’Inglesi; dunque appartiene a noi, che -siamo Francesi....» - -Questa facondia, appoggiata da tutta l’autorità che Mousqueton traeva -dalla sua lunga pratica, incantò Blaisois. Costui chinò il capo come -per riflettere, e ad un tratto rialzandolo alla maniera di un uomo -armatosi di un argomento irresistibile, disse: - -«Signor Mousqueton, e i padroni saranno della vostra opinione?» - -Mousqueton sogghignò con disprezzo. - -«Dovrei forse, rispose, andare a disturbare nel sonno quegli illustri -signori per dir loro: «Signori, il vostro servo Mousqueton ha sete, gli -permettete di bere?» Ma che importa al signor di Bracieux, ch’io abbia -sete o no? - -«È vino che costa caro! osservò Blaisois scuotendo la testa. - -«Fosse anche oro, messer Blaisois, i nostri padroni non se ne -priverebbero. Sappiate che il signor barone di Bracieux è da sè solo -assai ricco per bere una botte di Porto Porto, anco dovesse pagarlo -una doppia ogni goccia. E io non veggo, continuava Mousqueton nel suo -magnifico orgoglio, giacchè i padroni non so lo farebbero mancare, il -perchè abbiano a lasciarselo mancare i domestici». - -Indi essendosi alzato, pigliò il boccale della birra, lo vuotò da uno -sportello di bordo sino all’ultima stilla, e si avanzò maestosamente -verso l’usciale che dava sulla divisione. - -«Ah ah! disse, è chiuso. Quei bricconi d’Inglesi, come sono diffidenti! - -«Chiuso! fece Blaisois non meno dolente, peccato, in verità! di più che -mi sento travagliare lo stomaco peggio di prima!....» - -Mousqueton si girò verso Blaisois con ciera così mesta che si conosceva -a quale alto grado si associasse al di lui rincrescimento. - -«Chiuso! ripetè. - -«Ma, azzardò Blaisois, io vi ho sentito raccontare, signor Mousqueton, -che una volta nella vostra gioventù, a Chantilly se non isbaglio, -manteneste il vostro padrone e voi stesso prendendo delle pernici colla -rete, dei carpioni colla lenza, e delle bottiglie col lacciuolo.... - -«Positivamente, questo è esattissimo; ed ecco Grimaud che ve lo -può attestare; ma alla cantina v’era uno spiraglio, e il vino era -imbottigliato. Non posso gettare il lacciuolo a traverso a questo -tramezzo, nè tirare con uno spago un fusto che pesa forse duecento -cantara. - -«No, ma dal tramezzo potreste levare due o tre tavoloni, ed a un fusto -fare un buco colla verrina». - -Mousqueton spalancò smisuratamente gli occhi, e guardando Blaisois da -uomo che stupisce di riscontrare in un altro una capacità di cui non lo -giudicava suscettibile, replicò: - -«È vero, si può; ma lo scalpello per fare saltare le tavole, e la -verrina per forare la botte? - -«L’astuccio, fece Grimaud bilanciando il dare e avere del suo conto. - -«Ah sì! l’astuccio, disse Mousqueton, ed io che non ci pensavo!» - -Realmente Grimaud era non soltanto economo della compagnia ma anche -suo armajuolo: oltre al registro aveva l’astuccio. Ed essendo egli uomo -di grandissime precauzioni, l’astuccio ben ripiegato nella valigia era -fornito di tutti gli arnesi di prima necessità, e quindi conteneva una -verrina di grossezza ragionevole. - -Mousqueton se ne impossessò. - -Per lo scalpello non lo dovè cercare lontano, chè il pugnale che -portava alla cintura era in grado di essergli sostituito utilmente. - -Mousqueton trovò agevolmente un canto ove le tavole fossero disgiunte, -e si mise subito all’opra. - -Blaisois lo stava ad osservare con ammirazione mista ad impazienza, -tratto tratto avventurando sul modo di staccare un chiodo, o di pigiar -meglio, delle riflessioni piene di abilità e di chiarezza. - -A capo a un momento Mousqueton aveva fatto schizzar via tre tavoloni. - -«Là! disse Blaisois». - -Mousqueton era tutto all’opposto della rana della favola, che si -credeva più grossa di quel che la si fosse. Sfortunatamente, se era -pervenuto a scemare di un terzo il proprio nome, non gli era riuscito -lo stesso pel suo ventre. Tentò di passare dall’apertura formata, e -vide con sommo duolo che bisognerebbe togliere altre due o tre tavole -perchè quella gli bastasse. - -Sospirò, e si ritirò per riaccingersi al lavoro. - -Ma Grimaud che aveva terminato il conteggio, si era alzato, e col -massimo interesse per l’operazione che colà si eseguiva si era -avvicinato a’ suoi due compagni, e scorgeva gli inutili sforzi di -Mousqueton per arrivare alla terra promessa. - -«Io, disse Grimaud». - -Questa parola sola valeva quanto un sonetto, che come ognuno sa vale -quanto un poema. - -Mousqueton si voltò domandando: - -«Che cosa, voi? - -«Io passerò. - -«Oh sì, rispose Mousqueton dando un’occhiata al personale lungo e secco -dell’amico, voi sì, e facilmente. - -«Va bene, seguitò Blaisois, e conosce le botti piene, poichè è già -stato in cantina col signor cavaliere d’Artagnan. Signor Mousqueton, -lasciate che s’introduca messer Grimaud. - -«Mi ci sarei introdotto io pure egualmente che Grimaud, disse -Mousqueton un po’ sdegnato. - -«Sì, ma ci vorrebbe più tempo, ed io ho molta sete.... sento che mi si -rimescola sempre più lo stomaco. - -«Andate dunque, Grimaud, ordinò Mousqueton dando a quello che si recava -a tentare l’impresa in sua vece il boccale da birra e la verrina. - -«Netta i bicchieri, disse Grimaud». - -Poi fece un gesto amichevole a Mousqueton, acciò questi gli perdonasse -di compiere una spedizione cominciata in maniera tanto brillante da un -altro, ed alla guisa di un serpente si cacciò dentro dall’apertura e -disparve. - -Blaisois sembrava in estasi. Di tutte le imprese fatte dopo il loro -arrivo in Inghilterra dagli uomini straordinari a’ quali aveva la sorte -di essere addetto, quella di certo gli sembrava la più miracolosa. - -«Ora vedrete, disse allora Mousqueton fissando in viso Blaisois con una -superiorità a cui questi non cercava tampoco di sottrarsi, ora vedrete, -Blaisois, come beviamo noi altri soldati quando abbiamo sete. - -«Il pastrano, fece Grimaud di fondo alla cantina. - -«Ah sì! è giusto, disse Mousqueton. - -«Che cosa vuole? domandò Blaisois. - -«Che si tappi l’ingresso con un pastrano. - -«Per che fare? - -«Innocentino! e se entrasse qualcuno? - -«Ah! è vero! esclamò Blaisois con sempre maggiore ammirazione, ma sarà -al bujo, non ci vedrà. - -«Grimaud ci vede sempre, di notte come di giorno. - -«È fortunato! io quando non ho lume non posso far due passi senza dare -qualche urtonata! - -«Perchè voi non siete stato al servizio; replicò Mousqueton a Blaisois, -se no, avreste imparato a raccattare un ago dentro a un forno.... Oh -silenzio! vien gente, se non isbaglio». - -Mousqueton diede un piccolo fischio d’allarme già familiare ai lacchè -nei tempi di loro giovinezza, ripigliò il suo posto a tavola, ed -ammiccò a Blaisois di fare altrettanto. - -Questi obbedì. - -Fu schiuso l’uscio, comparvero due uomini inferrajuolati. - -«Oh oh! disse uno di essi, alle undici e un quarto, non per anche a -letto? è contro le regole. Fra un quarto d’ora tutto sia al bujo e -tutti russino». - -I due s’incamminarono verso la porticella del compartimento in cui -si era cacciato Grimaud, e l’apersero, ed entrarono, e dietro se la -serrarono di nuovo. - -«Ah! fece Blaisois raccapricciando, egli è perduto! - -«Grimaud è volpe vecchia! bucinò Mousqueton». - -Ed attesero, postisi in orecchio e trattenendo il fiato. - -Scorsero dieci minuti, nei quali non si udì alcun rumore da dar -sospetto che Grimaud fosse stato scoperto. - -Passato quell’intervallo, Mousqueton e Blaisois videro riaprirsi la -porta, ne uscirono i due intabarrati, tornarono a chiudere con la -medesima precauzione di prima, e si allontanarono ripetendo l’ordine di -coricarsi e spegnere i lumi. - -«Si ha da obbedire? domandò Blaisois, tutto questo mi par brutto. - -«Hanno detto un quarto d’ora, ci restano cinque minuti, rispose -Mousqueton. - -«Se avvertissimo i padroni? - -«Aspettiamo Grimaud. - -«Ma se lo hanno ammazzato? - -«Eh! avrebbe urlato. - -«Sapete pure ch’è quasi mutolo. - -«Si sarebbe inteso il colpo. - -«Ma, se non viene più? - -«Eccolo!» - -Diffatti nello stesso momento Grimaud discostava il pastrano che celava -il foro, e da questo metteva fuori una faccia livida, di cui gli occhi -spalancati e rotondi per lo spavento lasciavano distinguere una piccola -pupilla in un largo cerchio bianco. Teneva in mano il vaso di birra, -pieno di una sostanza qualunque, l’avvicinò al raggio di luce che -tramandava la lampada fumosa, e balbettò il semplice monosillabo _Oh!_ -con espressione di sì fiero terrore, che Mousqueton rinculò sbigottito -e Blaisois fu in procinto di svenire. - -Entrambi però diedero un’occhiata al boccale da birra: era pieno di -polvere. - -Grimaud appena convinto essere il bastimento carico di polvere, anzi -che di vino, si slanciò al boccaporto, ed in un salto fu alla camera -ove dormivano i quattro amici. Giunto là, spinse piano l’usciale, col -che destò immediatamente d’Artagnan coricato dietro a questo. - -Non sì tosto d’Artagnan ebbe veduta la faccia sconvolta di Grimaud, -comprese esservi qualchecosa straordinaria, e andava per gridare; il -domestico però con un gesto più rapido che la parola, si mise un dito -sulle labbra, e con un soffio di cui nessuno avrebbe avuto idea in un -corpo sì gracile, estinse il lumicino da tre passi distante. - -D’Artagnan si sollevò sul gomito; Grimaud posò in terra un ginocchio, -e divi, a collo steso, con un’agitazione tremenda, gli bisbigliò -all’orecchio un racconto, che a tutto rigore era abbastanza drammatico -per rendere superfluo il gesto e i movimenti della fisonomia. - -Durante quella relazione, Athos, Porthos ed Aramis dormivano come -uomini che non abbiano dormito da otto notti, e nella stiva Mousqueton -per precauzione si legava gli aghetti, mentre Blaisois inorridito e coi -capelli ritti in testa si provava a far lo stesso. - -Ecco ciò che era accaduto. - -Subito che Grimaud fu sparito dal foro e si trovò nel primo -compartimento, si diede a cercare, ed incontrò una botte; vi picchiò -sopra: ell’era vuota. Andò ad un’altra: vuota egualmente. Ma la -terza su cui ripetè l’esperimento diede un tal suono che non v’era da -ingannarsi, ed egli riconobbe ch’era piena. - -Si fermò a questa, cercò un luogo adattato per bucarla con la verrina, -e nel far ciò posò la mano sur una chiavetta o robinetto. - -«Bene! disse fra sè, risparmio di fatica!» - -Appressò il vaso di birra, girò la chiavetta, e sentì il contenuto -passare adagio dall’uno all’altro recipiente. - -Grimaud, usata la cautela di richiudere il robinetto, si accingeva ad -accostarsi alla bocca il vaso suddetto, essendo egli uomo di troppa -coscienza per recare ai compagni un liquido del quale non potesse -garantir loro la qualità, quando ecco intese il segnale d’allarme -datogli da Mousqueton; ebbe sospetto di qualche ronda notturna, si -cacciò nello spazio esistente tra due fusti, e si rimpiattò dietro ad -uno di questi. - -Realmente, di lì a poco fu aperta la porta e indi richiusa, dopo -esserne venuti fuori i due individui col ferrajuolo che noi già -vedemmo andar su e giù dinanzi a Blaisois e Mousqueton col dare ad essi -l’ordine di smorzare le candele. - -Uno dei due teneva una lanterna guarnita di vetri, ben serrata, e tanto -alta che la fiamma non poteva arrivare sino alla cima; inoltre i vetri -erano ricoperti da un foglio bianco che mitigava o piuttosto assorbiva -e la luce e il calore. - -Colui era Groslow. - -L’altro reggeva una qualche cosa pieghevole e arrotolata come una corda -bianchiccia. Gli cuopriva il viso un cappello a tese larghe. - -Grimaud supponendoli là per lo stesso sentimento per cui egli vi era, -e credendo che al pari di lui venissero a fare una visita al vino di -Porto Porto, si rannicchiò sempre più a tergo alla botte, calcolando -inoltre che qualora fosse scoperto il delitto non era poi molto grave. - -I due sopraggiunti, quando furono al fusto dietro al quale appiattavasi -Grimaud, si fermarono. - -«Avete la miccia? domandò in inglese quello del lampione. - -«Eccola, disse l’altro». - -Alla voce dell’ultimo, Grimaud si scosse e si sentì un brivido sino nel -midollo delle ossa; si rizzò lentamente sino a tanto che colla testa -sorpassasse il cerchio di legno, e sotto l’ampio cappellone riconobbe -il pallido volto di Mordaunt. - -«Quanto può durare questa miccia? costui richiese. - -«Eh! circa cinque minuti, gli rispose il padrone». - -Neppur quella voce era ignota a Grimaud. Egli mandò lo sguardo dal -primo al secondo, e dopo Mordaunt ravvisò Groslow. - -«Dunque, continuò Mordaunt, avvertirete i vostri uomini di star pronti, -senza dir loro a che. La lancia seguita il bastimento? - -«Come un cane seguita il padrone reggendosi a una fune di canapa. - -«Allora quando l’orologio toccherà il quarto dopo mezzanotte, riunirete -i vostri uomini, e scenderete senza far rumore nella lancia. - -«Dopo aver dato fuoco alla miccia? - -«A questo penso io: voglio esser sicuro della mia vendetta. I remi sono -nella barca? - -«Tutto è apparecchiato. - -«Bene. - -«Siamo intesi». - -Mordaunt s’inginocchiò e fissò una cima della miccia alla chiavetta, -per non aver più da far altro che dar fuoco all’estremità opposta. - -E terminata tale operazione, cavò fuori l’oriuolo. - -«Avete inteso? un quarto dopo mezza notte; disse alzandosi, cioè fra -venti minuti. - -«Ottimamente, signore, rispose Groslow. Soltanto, devo farvi -osservare per l’ultima volta che v’è qualche pericolo nell’incarico -riserbatovi, e che sarebbe meglio incombenzare un dei nostri subalterni -nell’accensione. - -«Mio caro Groslow, replicò Mordaunt, sapete pure il proverbio: _Chi fa -da sè fa per tre_, ed io lo metterò in pratica». - -Grimaud aveva ascoltato tutto, se tutto non aveva inteso: ma in lui la -vista suppliva alla mancanza di piena intelligenza dell’idioma; avea -veduto e riconosciuto i due acerrimi nemici dei moschettieri; avea -visto Mordaunt preparare la miccia; aveva udito il proverbio detto in -francese da Mordaunt; finalmente tastava e ritastava il contenuto del -boccale, ed invece del liquido che attendevano Mousqueton e Blaisois, -scricchiolavano sotto le sue dita i grani di una grossa polvere da -botta. - -Mordaunt si avviò col capitano; sull’uscio si fermò in ascolto, - -«Sentite come dormono? disse». - -Difatti si udiva russare Porthos a traverso al palco. - -«Iddio li mette in mano vostra! fece Groslow. - -«E questa volta, soggiunse Mordaunt, il diavolo non li salverebbe». - -Ed uscirono insieme. - -Grimaud aspettò sino ad aver inteso stridere la stanghetta della porta, -e quando fu certo di esser solo si alzò adagio rasente al muro. - -«Ah! disse asciugandosi colla manica le grosse goccie di sudore che gli -correvano sulla fronte, che fortuna che Mousqueton abbia avuto sete!» - -Si sollecitò a ripassare dal buco, credendo tuttavia di sognare, ma la -vista della polvere nel vaso da birra gli provò come quel sogno era un -incubo mortale. - -D’Artagnan, secondo è da pensarsi, ascoltò tutti quei particolari -col massimo interesse, e senza attendere che Grimaud avesse terminato -si rizzò senza impeto alcuno, ed accostata la bocca alle orecchie di -Aramis che dormiva dalla sua parte sinistra, e toccandogli la spalla -onde impedire qualunque movimento repentino, gli disse: - -«Alzatevi! cavaliere, e non fate chiasso». - -Aramis si destò. D’Artagnan ripetè l’invito stringendogli la mano, ed -egli obbedì. - -«Accanto a voi è Athos, seguitò a dirgli, prevenitelo come io ho fatto -a voi». - -Aramis svegliò facilmente Athos, che aveva il sonno leggiero conforme -sogliono tutti i naturali delicati e nervosi. Ma si durò maggior -fatica a svegliare Porthos. Questi si accingeva a domandare le cause -e le ragioni di quella interruzione dei suoi sonni, che gli pareva -spiacevolissima, ma d’Artagnan per unica spiegazione gli piantò una -mano sulla bocca. - -Allora il nostro Guascone, allungate le braccia e ricondottole a sè, -rinchiuse nel cerchio di esse le tre teste degli amici in maniera che -per dir così si toccassero. - -«Miei cari, avvertì, lasceremo subito questa barca, o che siamo tutti -morti. - -«Veh! da capo? fece Athos. - -«Sapete chi e il capitano? - -«No. - -«Il colonnello Groslow». - -Una scossa dei tre moschettieri manifestò a d’Artagnan che il suo -discorso cominciava a far loro qualche impressione. - -«Groslow! disse Aramis, oh diavolo! - -«Che roba è questo Groslow? domandò Porthos, non me ne rammento più. - -«Quello che ruppe la testa a Parry, e in questo momento si dispone a -romperla a noi. - -«Oh oh! - -«E il suo luogotenente, sapete chi è? - -«Luogotenente? fece Athos, non se ne hanno in una filuca di quattro -uomini d’equipaggio. - -«Sì, ma messer Groslow non è già un capitano come gli altri. Egli lo -ha, e nella persona del signor Mordaunt». - -Questa volta non bastò ai moschettieri una scossa, vi fu anche -un grido. Quegli uomini invincibili erano soggetti all’influenza -misteriosa e fatale che su di loro esercitava quel nome, e sentivano -terrore al solo udirlo a pronunziare. - -«Che si fa? disse Athos. - -«Impossessarci della feluca, progettò Aramis. - -«E ucciderlo, aggiunse Porthos. - -«Nella feluca è fatta una mina, disse d’Artagnan; le botti che ho prese -per fusti pieni di Porto Porto sono botti di polvere. Quando Mordaunt -si vegga scoperto farà saltar per aria tutti, amici e nemici, e affè! -egli è un signorino di troppo trista società perch’io abbia voglia di -presentarmi con lui nè in cielo nè all’inferno. - -«Dunque avete già un piano? richiese Athos. - -«Sì. - -«E quale? - -«Avete fiducia in me? - -«Ordinate, risposero i tre moschettieri. - -«Or bene, venite qua». - -D’Artagnan andò ad un finestrino bassissimo, ma che bastava perchè un -uomo vi passasse, e lo fece scorrere sulla cerniera. - -«Ecco la strada, disse allora. - -«Diavolo! fece Aramis, caro mio, fa un gran freddo! - -«Restate qui se volete, ma vi avviso che tra poco ci farà troppo caldo. - -«Ma non possiamo mica arrivare a nuoto a prender terra! - -«La lancia ci seguita legata a un cavo; arriveremo alla lancia, e -taglieremo il cavo: non v’è altro. Andiamo, signori. - -«Un momento.... disse Athos, e i servitori? - -«Eccoci, risposero Mousqueton e Blaisois». - -Perocchè Grimaud era stato a chiamarli, onde concentrare tutte le forze -nel camerino, ed essi dal boccaporto quasi attiguo alla porta erano -entrati senza esser veduti. - -Frattanto i tre amici rimanevano immobili dinanzi al terribile -spettacolo a loro scoperto da d’Artagnan sollevando l’imposta, e che -osservavano da quella stretta apertura. - -Infatti chiunque abbia veduto una volta tale spettacolo, sa che non -v’ha cosa la quale faccia maggior sensazione che il mare agitato che -manda i neri suoi flutti con un cupo rumore allo scarso chiarore della -luna d’inverno. - -«Per bacco! disse d’Artagnan, siamo titubanti, mi pare! e se noi lo -siamo, che faranno i nostri lacchè? - -«Io non esito punto, disse Grimaud. - -«Signore, soggiunse Blaisois, io ve lo avverto, non so nuotare se non -nei fiumi. - -«Ed io non so nuotare per niente, seguitò Mousqueton». - -In quel frattempo d’Artagnan si era messo già fuori dal finestrino. - -«Siete dunque deciso? domandò Athos. - -«Sì, rispose il Guascone. Animo, Athos! voi che siete l’uomo perfetto, -ordinate allo spirito di dominare la materia; voi, Aramis, date il -comando ai servi; voi, Porthos, uccidete quanti ci diano ostacolo». - -E d’Artagnan, avendo stretta la mano ad Athos, colse il momento che per -un moto di ondeggiamento il naviglio si sommergeva da poppa, talchè non -ebbe da far altro che lasciarsi calare nell’acqua che lo avvolgeva di -già sino alla cintura. - -Athos gli andò appresso anche prima che la feluca fosse rialzata; -questa si trasse in su, e si vide scaturir dal mare il cavo a cui era -legata la scialuppa. - -D’Artagnan nuotò verso quella corda e la raggiunse. - -Poi alla svolta del bastimento si distinsero due teste: quelle di -Aramis e di Grimaud. - -«Blaisois mi dà da pensare, disse Athos; non avete inteso, d’Artagnan, -che ci ha detto non saper nuotare se non nei fiumi? - -«Quando si sa nuotare, si nuota da per tutto, rispose il tenente, al -bargio! al bargio! - -«Ma Porthos? non lo veggo! - -«Verrà tra poco, non dubitate; nuota come un leviathan». - -Realmente Porthos non compariva, perchè fra esso e Mousqueton e -Blaisois, aveva luogo una scena buffonesca e mezzo drammatica. - -Questi due, spaventati dal rumore dell’acqua, e dal fischiar del -vento, e dall’aspetto dell’onda nera e gorgogliante in un vortice, -retrocedevano anzi che avanzarsi. - -«Animo, giù! in mare! disse Porthos. - -«Ma, signore, non so nuotare, rispondeva Mousqueton; lasciatemi qui. - -«E anco me! pregava Blaisois. - -«Vi assicuro che vi darò più impaccio che altro in quella barchetta, -soggiunse Mousqueton. - -«Ed io mi annegherò prima di arrivarvi, continuava Blaisois. - -«Eh! vi strangolo tutti due se non uscite! fece Porthos afferrandoli -pel collo; innanzi, Blaisois!» - -Questi non diede altra risposta che un gemito soffocato dalla ferrea -mano di Porthos, perocchè il gigante, tenendolo per la gola e pei -piedi, lo fe’ sdrucciolare come una tavola dal finestrino e lo mandò -capovolto nell’acqua. - -«Adesso, Mouston, disse Porthos, mi lusingo che non abbandoniate il -vostro padrone. - -«Ah, signore! sospirò colle lacrime agli occhi Mousqueton, perchè -vi siete rimesso al servizio? stavamo tanto bene nel castello di -Pierrefonds!» - -E senza altra rampogna, diventato obbediente e passivo, o per vero -zelo, o per l’esempio dato a proposito da Blaisois, Mousqueton si tuffò -a capo all’ingiù.... atto in ogni caso, sublime, dappoichè ei si teneva -per morto. - -Ma Porthos non era uomo da lasciar così il fedele compagno. Il padrone -seguitò tanto da vicino il servitore, che la caduta dei due corpi fece -un solo e medesimo tonfo, talmentechè quando Mousqueton ritornò a galla -affatto cieco si trovò sorretto dalla larga mano di Porthos, e senza -aver bisogno di far alcun moto, potè avanzarsi verso la fune, con tutta -la maestà di un Dio marino. - -Nell’istante, Porthos vide scuotersi qualche cosa prossima al suo -braccio: la qualche cosa era Blaisois, ed egli lo afferrò pei capelli. - -Athos gli si faceva di già incontro, ma Porthos disse a questo: - -«Andate, conte, andate, non ho necessità di voi». - -E veramente con un robusto colpo dei garretti, Porthos si rizzò come -il gigante Adamastor al di sopra dei flutti, ed in tre slanci ebbe -raggiunti i camerati. - -D’Artagnan, Aramis e Grimaud aiutarono Mousqueton e Blaisois a salire; -indi toccò a Porthos, il quale scavalcando di su lo sportello del bordo -ebbe a far travirare il piccolo schifo. - -«E Athos? domandò d’Artagnan. - -«Eccomi! disse Athos, che alla guisa di un generale che sostenga la -ritirata non avea voluto andar su se non da ultimo, e stava accanto -agli orli della barca, siete tutti riuniti? - -«Tutti, rispose d’Artagnan. E voi, Athos, avete il pugnale? - -«Sì. - -«Dunque, tagliate il cavo, e venite». - -Athos si levò dalla cintola un pugnale appuntato; la feluca si -allontanò, la lancia restò ferma senz’altro movimento che quello che le -davano le onde. - -«Venite, Athos» ripetè d’Artagnan. - -E porse la mano al conte di la Fère, che si accomodò pure nel battello. - -«Era tempo! disse il Guascone, e ora vedrete qualche cosa di curioso!» - - - - -LXXVII. - -_Fatality._ - - -E realmente aveva appena d’Artagnan profferite quelle parole, che sul -naviglio risuonò un fischio. - -«Capite bene, disse il Guascone, che questo significa qualcosa». - -E si distinse un lampioncino sul ponte trasparire dall’ombra della -poppa. - -Ad un tratto traversò lo spazio un grido terribile, grido di -disperazione; e quasi avesse questo discacciati i nuvoli, si diradò il -velo che nascondeva la luna, e si mostrarono sul cielo inargentato da -squallida luce il velame grigio e il cordame nero del bastimento. - -Correvano ombre smarrite su pel naviglio, ed urli lamentevoli le -accompagnavano nell’aggirarsi che follemente facevano. - -E frattanto si mirò sulla sommità della poppa Mordaunt, con una torcia -in mano. - -Le ombre che andavano come perdute sulla feluca erano Groslow ed i suoi -uomini, i quali, all’ora da Mordaunt indicata erano stati radunati, -mentre costui, dopo essere stato a sentire sull’usciale del camerino se -i moschettieri dormivano sempre, era disceso alla stiva, riconfortato -dal loro silenzio. - -E diffatto, chi avrebbe potuto sospettare ciò ch’era accaduto? - -Mordaunt in conseguenza aveva aperta la porta ed era corso alla miccia; -impetuoso come chi abbia sete di vendetta, e sicuro di sè come quelli -che accieca la passione, aveva dato fuoco allo zolfo. - -Nel frattempo Groslow ed i suoi marinaj si erano riuniti a poppa. - -«Allate la gomena! disse Groslow, e tirate a noi il bargio». - -Uno dei marinaj scavalcò la parete del bastimento, afferrò il cavo e -tirò: la corda venne verso di lui senza far resistenza. - -«Il cavo è tagliato! esclamò colui, non v’è più lancia! - -«Come! non più lancia? fece Groslow scagliandosi sulla impagliatura, è -impossibile! - -«Eppure è così! guardate.... nulla in tutto il solco, e poi ecco la -cima della fune». - -E allora fu che Groslow cacciò il gemito udito dai moschettieri. - -«Che c’è egli? esclamò Mordaunt uscito dal boccaporto con in mano la -torcia. - -«C’è che i nemici ci scappano; c’è che hanno tagliato il canapo e -fuggono con la scialuppa». - -Mordaunt fu in un salto sino al camerino e lo sfondò con una pedata. - -«Vuoto! strillò, oh demonj! - -«Gl’inseguiremo, disse Groslow, non possono esser lontani, e li -caleremo a fondo passando loro addosso. - -«Sì, ma il fuoco! rispose Mordaunt, ho appiccato il fuoco! - -«A che? - -«Alla miccia! - -«Corpo di una saetta! urlò Groslow verso il boccaporto. È forse ancor -tempo!» - -Mordaunt non rispose che con una terribile risata, e scomposto il -sembiante dall’odio ancor più che dal terrore, cercando cogli occhi -il cielo come volesse mandar fuori un’ultima bestemmia, buttò prima la -torcia e indi sè stesso in mare. - -Nel medesimo punto, e mentre Groslow poneva il piede sulla scala del -boccaporto, il naviglio si aperse come il cratere di un vulcano, sorse -in alto una vampa di fuoco con iscoppio non dissimile da quello di -cento cannoni che sparassero insieme; l’aria s’incendiò tutta segnata e -ripercossa da rottami ugualmente incendiati, poscia disparve l’orribile -lampo, i pezzi infranti ricaddero uno dopo l’altro mugghiando -nell’abisso in cui si estinguevano, ed eccettuato un certo rimbombo -rimasto per l’aere, di lì a poco avreste creduto nulla fosse avvenuto. - -Se non che la feluca era scomparsa dalla superficie del mare, e -distrutti, annientati Groslow ed i suoi tre sottoposti. - -I quattro amici avevano veduto tutto, non era loro sfuggita veruna -circostanza di quel tremendo dramma. Innondati per un momento da quel -lume risplendentissimo che avea rischiarato il mare alla distanza di -più di una lega, rimanevano ciascuno in diversa attitudine, esprimendo -lo spavento da cui non potevano astenersi ad onta dei loro cuori di -bronzo. In breve ricadde intorno a loro la pioggia di fiamme, ed alla -fine il vulcano si estinse conforme dianzi noi narravamo, e tutto -ritornò nelle tenebre; barca galleggiante ed oceano agitato. - -Eglino stettero per un istante taciti ed abbattuti. Porthos ed Aramis, -avendo preso un remo per ciascheduno, lo reggevano macchinalmente -più su dell’acqua, aggrappandovisi sopra con tutto il corpo, e lo -stringevano con le mani irrigidite. - -«Affè, disse Aramis, il primo a troncare quel silenzio di morte, questa -volta credo che tutto sia finito! - -«Qua a me _milords!_ soccorso! ajuto!» gridò una voce lamentevole, i di -cui accenti giunsero sino ai moschettieri, simile a quella di qualche -spirito del mare. - -Tutti si guardarono; anche Athos palpitò. - -«È desso! disse, è la sua voce!» - -E tutti avendola di fatti riconosciuta ugualmente che Athos, restarono -cheti; soltanto le loro pupille si volsero nella direzione onde -era sparito il bastimento, tentando ad ogni moto di penetrare fra -l’oscurità. - -Di là ad un momento si cominciò a distinguere un uomo. - -Nuotava vigorosamente, e si avvicinava. - -Athos stese lentamente un braccio dalla sua parte onde additarlo ai -suoi camerati. - -«Sì, sì, disse d’Artagnan, lo veggo. - -«Esso da capo! fece Porthos respirando come un mantice, oh! ma dunque è -di ferro? - -«Mio Dio! mio Dio! balbettò Athos». - -Aramis e d’Artagnan si parlavano all’orecchio. - -Mordaunt fece alcune altre bracciate, e levata in segno di abbandono -una mano più su del mare: - -«Pietà, signore! in nome dei cielo, pietà! sento mancarmi le forze! mi -muojo!...» - -Era così sonora la voce che implorava ajuto che andò a risvegliare la -compassione in fondo al cuore di Athos. - -«Infelice! questi mormorò. - -«Bravo! disse d’Artagnan, non mancherebbe altro che lo compiangeste!... -In verità, mi pare che venga verso di noi.... Si crede forse che lo -prendiamo? vogate, Porthos, vogate». - -E per dar l’esempio ei tuffò il remo, e in due colpi lo schifo si -allontanò di venti braccia. - -«Oh! non mi abbandonerete! non mi lascerete perire! non sarete senza -pietà! esclamò Mordaunt. - -«Ah ah! gli rispose Porthos, se non isbaglio siete nostro finalmente, -bel signorino, e per salvarvi di qui non avete altra porta che -l’inferno. - -«Oh Porthos! brontolò il conte di la Fère. - -«Eh! lasciatemi quieto, Athos; in coscienza, diventate ridicolo con la -vostra sempiterna generosità! prima di tutto, vi dichiaro che se viene -dieci passi vicino alla lancia gli spacco la testa col mio remo. - -«Di grazia!... signori non mi sfuggite!... di grazia, abbiatemi -pietà!...» gridava il giovanotto. - -E talvolta, quando col capo andava sotto all’onde, il suo respiro -affannoso faceva gorgogliare l’acqua ghiaccia. - -D’Artagnan, che attendendo cogli occhi ad ogni movimento di Mordaunt, -aveva terminato il suo colloquio con Aramis, si alzò. - -«Signor mio, disse a Mordaunt, compiacetevi allontanarvi. Il vostro -pentimento è di troppo fresca data perchè noi vi abbiamo grande -fiducia. Badate che il barco nel quale volevate arrostirci fuma ancora -sott’acqua, e che la situazione in cui voi siete è un letto di rose -a paragone di quella in che intendevate di metter noi, e nella quale -avete piantato messer Groslow ed i suoi compagni. - -«Signori, replicò Mordaunt in tuono vieppiù disperato, vi giuro ch’è -verace il mio pentimento; signori, sono tanto giovane, ho appena -ventitrè anni! signori, sono stato trasportato da un risentimento -naturale; bramavo di vendicare mia madre, e voi avreste fatto quel -ch’io feci. - -«Eh via! secondo....» fece d’Artagnan che vedeva Athos sempre più -intenerirsi. - -Mordaunt era già molto prossimo alla lancia, perocchè la paura di -morire quasi gli dava un vigore soprannaturale. - -«Ahimè! soggiunse, dunque dovrò morire! dunque ucciderete il figlio -come uccideste la madre! Eppure, io non era colpevole. Secondo tutte le -leggi un figlio deve vendicare sua madre.... E poi (seguitava unendo -ambe le mani) s’è delitto, giacchè me ne pento, giacchè ne chiedo -perdono, devo essere perdonato». - -E come se gli mancassero le forze, sembrò non si potesse sostenere più -a galla, e un’ondata che gli passò sul capo gli estinse la voce. - -«Oh mi fa pur male!» disse Athos. - -Mordaunt tornò a mostrarsi. - -«Ed io, rispose d’Artagnan, dico che va finita. Signor assassino del -vostro signor zio, signor boja del re Carlo, signor incendiario, vi -esorto a lasciarvi calare a fondo, o se vi accostate un tantino di più -alla scialuppa, vi rompo la testa col mio remo». - -Mordaunt, in atto di disperazione, fece una bracciata. D’Artagnan -pigliò il remo colle due mani. - -Athos si alzò. - -«D’Artagnan! esclamò esso, d’Artagnan, figliuol mio! ve ne supplico! Il -disgraziato è per morire, ed è orribile lasciar morire un uomo senza -stendergli la mano quando ciò basta per salvarlo. Oh! il mio cuore mi -vieta una simile azione! Non posso resistere; bisogna ch’egli viva. - -«Caspita! replicò d’Artagnan, e perchè non ci consegnate subito, -legandoci i piedi e le braccia, a questo sciagurato? La terminereste -più alla lesta.... Ah! conte di la Fère, voi volete perire per mezzo -suo; ebbene io, figliuol vostro, conforme mi chiamate, non voglio!» - -Era la prima volta che d’Artagnan si opponesse a un priego fattogli da -Athos con quel titolo affettuoso. - -Aramis sguainò freddamente la spada, che, nuotando, si era portata fra -i denti. - -«Se mette la mano sul legname del bordo, egli disse, gliela taglio come -a un regicida ch’egli è. - -«Ed io, fece Porthos, aspettate! - -«Che farete? domandò Athos. - -«Mi butto in mare e lo strangolo. - -«Oh signori! urlò Athos con un sentimento irresistibile, siamo uomini, -siamo cristiani!» - -D’Artagnan cacciò un sospiro che pareva un gemito, Aramis abbassò il -ferro, Porthos si rimise a sedere. - -«Vedete, continuava Athos, la morte gli sta dipinta sul volto, sono -esauste le sue forze.... un minuto di più, e precipita nell’abisso.... -Ah! non mi date un sì fiero rimorso; non mi astringete a morire poi -io di vergogna, amici miei, concedetemi la vita di questo infelice, vi -benedirò, vi.... - -«Muojo!.... balbettava Mordaunt, qua a me!.... a me!.... - -«Acquistiamoci un minuto!» disse Aramis chinandosi a sinistra a parlare -a d’Artagnan. - -E poi calatosi a destra verso Porthos: - -«Una buona remata!» - -D’Artagnan non rispose nè col gesto nè colla parola; principiava -ad essere commosso un poco dalle suppliche di Athos, un poco dallo -spettacolo che aveva dinanzi. Porthos solo diede un colpo col remo, e -siccome questo non aveva contrappeso, la barca girò soltanto in tondo, -e quel moto non fece che avvicinare Athos al moribondo. - -«Signor conte di la Fère, esclamò Mordaunt, signor conte di là -Fère!.... a voi mi rivolgo! voi prego e scongiuro! abbiatemi pietà!.... -Oh!.... siete voi, signor conte di la Fère?.... Non ci vedo più.... -muojo.... ajuto a me!.... ajuto!.... - -«Eccomi, disse Athos chinandosi a porgere il braccio a Mordaunt con gli -atti di dignità e di nobiltà ch’erano in lui usuali; eccomi, prendete -la mia mano, ed entrate nella nostra lancia. - -«Avrei più caro di non guardare, disse d’Artagnan; tanta debolezza mi -ripugna». - -E si volse ai due amici, i quali si rannicchiarono in fondo alla -barca quasi temessero di toccare colui a cui Athos solo porgeva senza -ribrezzo la destra. - -Mordaunt fece uno sforzo supremo, si sollevò, afferrò la mano, che -verso di lui era stesa, e vi si aggrappò con l’impeto dell’ultima -disperazione. - -«Bene! disse Athos, mettete qui l’altra mano». - -E gli offerse la sua spalla per secondo punto d’appoggio, talchè la sua -testa toccava quasi la testa di Mordaunt, e i due acerrimi nemici se ne -stavano abbracciati come due fratelli. - -Mordaunt, colle dita irrigidite, stringeva il collare ad Athos. - -«Bene! continuò il conte, ora siete salvo, calmatevi. - -«Ah madre mia! gridò Mordaunt con lo sguardo infuocato ed un accento -d’odio impossibile a descriversi; non posso offrirti che una vittima, -ma almeno sarà quella che tu stessa ti saresti prescelta!....» - -E mentre d’Artagnan dava un urlo, Porthos alzava il remo, Aramis -cercava in che luogo ferire Mordaunt, una terribile scossa data allo -schifo trascinò Athos nell’acqua, ed intanto Mordaunt, dato un grido di -trionfo, stringeva la gola alla vittima, e per impedirle ogni movimento -avvolgeva le sue gambe con le proprie gambe, siccome avrebbe potuto -fare col suo corpo un serpente. - -Per un momento, senza strillare, senza chiamare ajuto, Athos procurò -mantenersi a galla, ma il peso lo trasse al basso, e a poco a poco ei -disparve; in breve non si vide più altro che i suoi lunghi capelli; -poscia tutto sparì in una larga ondata, che, presto calatasi, lasciò il -segno soltanto del luogo ove ambedue si erano sommersi. - -I tre amici, ammutoliti dall’orrore ed immobili per lo spavento, erano -rimasti a bocca aperta, con gli occhi stralunati, le braccia distese; -sembravano tante statue; ma pur si udivano i battiti dei loro cuori. - -Porthos fu il primo a tornare in sè, e strappandosi i capelli, proruppe -con tali singulti che straziavano l’anima, specialmente venendo da un -uomo della sua fatta: - -«Oh Athos! Athos! cuor nobile!.... guai! guai a noi che ti lasciammo -morire! - -«Sì, guai! ripetè d’Artagnan. - -«Guai! mormorò Aramis». - -Nel momento, in mezzo al vasto cerchio illuminato dai raggi della -luna, a distanza di quattro o cinque braccia dalla barca, lo stesso -gorgogliare dell’acqua che già aveva dato annunzio della sommersione -venne a rinovarsi, e si videro apparire, prima una chioma, poi un -volto squallido con gli occhi aperti ma smorti, indi un corpo, che -dopo essersi rizzato sino ai fianchi sopra al mare, ricadde supino -secondando il capriccioso andamento dei flutti. - -Nel petto del cadavere era piantato un pugnale di cui risplendeva il -pomo d’oro. - -«Mordaunt! Mordaunt! Mordaunt! gridarono i tre amici. - -«È Mordaunt! ripeterono. - -«Ma Athos?» disse d’Artagnan. - -Ad un tratto la lancia pendè a sinistra sotto un nuovo peso -inaspettato, e Grimaud diede un urlo di allegrezza; tutti si volsero -e videro Athos pallido, con l’occhio estinto e la mano tremante, -riposarsi appoggiandosi sull’orlo dello schifo. Otto braccia nerborute -lo alzarono tosto e lo adagiarono nel battello, ove in pochissimo tempo -Athos si sentì rianimato, rinascendo fra gli amplessi e le premure -degli amici ebbri tutti di gioja. - -«Ma almeno, non siete ferito? domandò d’Artagnan. - -«No, rispose Athos, e colui? - -«Colui, questa volta, grazie a Dio, è morto davvero! A voi!....» - -E d’Artagnan, obbligando Athos a guardare nella direzione che gli -accennava, gli mostrò il corpo di Mordaunt tuttavia galleggiante -sull’onde, e che ora abbassandosi ed ora risorgendo, pareva peranco -perseguitasse i quattro moschettieri con isguardi ricolmi d’insulto e -di odio acerrimo. - -Alla fine si inabissò. - -Athos lo aveva osservato con occhio pietoso e afflitto. - -«Bravo Athos! fece Aramis con uno slancio in lui molto raro. - -«Bellissimo colpo! aggiunse Porthos. - -«Avevo un figlio, rispose Athos, e volli vivere. - -«Al fine, disse d’Artagnan, Dio ha parlato! - -«Non fui io che lo uccisi, balbettò Athos, fu il destino!» - - - - -LXXVIII. - -_Nel quale Mousqueton, stato in procinto d’essere arrostito, andò a -rischio di esser mangiato._ - - -Vi fu nella lancia lungo silenzio dopo la terribile scena da noi -raccontata. La luna, mostratasi per un momento, come se Dio avesse -voluto che nessun dettaglio di quell’avvenimento restasse celato agli -spettatori, scomparve a tergo alle nuvole; tutto tornò nell’oscurità, -spaventosa in tutti i deserti, e specialmente sul liquido deserto -chiamato l’oceano, e non s’intese più altro che il sibilo dei venti -sulla cima dei flutti. - -Porthos fu il primo a parlare, e disse: - -«Molte cose io vidi, ma niuna mi commosse quanto quella veduta -poc’anzi. Eppure, benchè turbato, vi dichiaro che mi sento contento: ho -sul petto cento libbre di meno, e alfine respiro libero». - -E di fatti Porthos respirò con tal fracasso che diè prova vantaggiosa -della forza dei suoi polmoni. - -«Per me, rispose Aramis, non dirò come voi; sono ancora atterrito, -a segno che non do fede a’ miei proprj occhi; dubito di quel che -ho visto, cerco attorno alla barca, e mi aspetto ogni minuto che -comparisca di nuovo quello sciagurato tenendo in mano il pugnale che -aveva fitto nel cuore. - -«Oh! io sto quieto, seguitò Porthos, il colpo è stato vibrato verso -la sesta costola e cacciato sino all’elsa.... Athos, non ve ne fo -rimprovero; al contrario quando uno percuote, così deve percuotere. E -perciò adesso io vivo, respiro, sono lieto. - -«Non vi affrettate a cantar vittoria, soggiunse d’Artagnan, mai non -fummo in maggior rischio che in quest’ora, giacchè un uomo riesce -contro un uomo, ma non contro un elemento, e noi siamo in mare, di -notte, senza guida, in una fragile barca: se un colpo di vento fa -rovesciare la lancia, siamo belli e perduti!» - -Mousqueton mandò fuori un sospiro. - -«D’Artagnan, voi siete ingrato, replicò Athos, sì, ingrato, nel -dubitare della Provvidenza nel punto in cui ci ha salvati tutti in -modo tanto miracoloso. Credete forse ch’ella ci abbia fatti passare -guidandoci per mano fra tanti perigli per quindi abbandonarci? No no. -Siamo partiti con vento da ponente, e questo soffia sempre». - -Athos si fissava verso la stella polare. - -«Ecco l’Orsa minore, e in conseguenza là è la Francia. Lasciamoci -portare dal vento, e sino che non cambia ci spingerà verso le coste -di Calais o di Boulogne. Se la barca si rovescia, siamo assai forti e -buoni nuotatori, almeno noi cinque, per rivoltarla, o per aggrapparci -ad essa ove l’impresa sia superiore al nostro vigore. Ora, noi ci -troviamo sul cammino medesimo di tutte le navi che vanno da Douvres a -Calais e da Portsmouth a Boulogne; se l’acqua conservasse le traccie, -quelle del loro passaggio avrebbero fatto un solco nel luogo appunto -ove noi siamo. Sicchè è impossibile che a giorno non incontriamo -qualche barca da pescatori che ci dia ricovero. - -«Ma se per esempio non ne incontrassimo, e il tempo girasse a -tramontana? - -«Allora è tutt’altro, fece Athos; non troveremmo la terra se non -dall’altra parte dell’Atlantico. - -«Lo che vuol dire che si morrebbe di fame, osservò Aramis. - -«Questo è più che probabile, disse il conte di la Fère». - -Mousqueton mandò un sospiro più affannoso del primo. - -«Animo, Mouston, domandò Porthos, di che avete da gemere così? è cosa -fastidiosa? - -«È che ho freddo, signore. - -«Non può essere! - -«Non può essere? - -«Di certo. Voi avete il corpo ricoperto di uno strato di grasso che -lo rende impenetrabile all’aria; v’è qualche altra cosa, parlate -schiettamente. - -«Or bene, signor sì; e precisamente quel grasso che mi vantate è quello -che mi sgomenta. - -«E perchè, Mouston? dite liberamente: questi signori ve lo permettono. - -«Perchè mi ricordavo che nella biblioteca del castello di Bracieux, -v’è una quantità di libri di viaggi, e tra questi, quelli di Giovanni -Mouquet, il famoso viaggiatore del re Enrico IV.... - -«E poi? - -«Or bene, in quei libri si discorre di molto di avventure marittime, e -di avvenimenti simili a quello di che noi siamo adesso minacciati. - -«Continuate, Mouston, disse Porthos, codesta analogia è assai -interessante. - -«Or dunque, in tali casi, i viaggiatori affamati, dice Giovanni -Mouquet, hanno l’orribile usanza di mangiarsi uno coll’altro e di -cominciare dal.... - -«Dal più grasso! esclamò d’Artagnan, non potendo far a meno di ridere -ad onta della scabrosa situazione. - -«Signor sì, replicò Mousqueton un po’ stordito da questa sua ilarità, e -permettetemi di dirvi che non vedo che cosa vi sia da ridere. - -«Questo caro Mouston è lo zelo in persona, la divozione in carne e in -ossa! fece Porthos. Scommettiamo che ti pareva di esser già tagliato a -pezzi e mangiato dal tuo padrone? - -«Sì, signore, benchè confesso che il contento che mi supponete non -sia senza un qualche miscuglio di tristezza; non ostante non mi -rincrescerebbe troppo di me stesso, se morendo avessi la certezza di -esservi ancora utile. - -«Mouston! seguitò Porthos intenerito, se mai rivediamo il mio -castello di Pierrefonds, avrete in assoluta proprietà per voi e vostri -discendenti il vigneto che sovrasta al podere. - -«E gli porrete nome: _Vigneto della fedeltà_, aggiunse Aramis, onde -trasmettere all’età venture la memoria del vostro sacrifizio. - -«Cavaliere, disse ridendo d’Artagnan, non è vero che vi sareste -mangiato un po’ del Mouston senza grande ripugnanza, in ispecie dopo -due o tre giorni di dieta? - -«No, per Bacco, rispose Aramis, avrei preferito Blaisois; è minor tempo -che lo conosciamo». - -È da comprendersi che durante questo scambio di facezie avente per -principale scopo di levar di mente ad Athos la scena recente avvenuta, -i servi (eccetto Grimaud il quale sapeva che in qualunque caso il -pericolo non toccherebbe a lui) i servi, noi diciamo, non erano punto -quieti. - -Sicchè Grimaud senza prender parte alla conversazione, e mutolo al suo -solito, si adoprava meglio che potesse con un remo in ogni mano. - -«E tu voghi? gli disse Athos». - -Grimaud ammiccò di sì. - -«E perchè? - -«Per aver caldo». - -Infatti, mentre gli altri naufraghi tremavano dal freddo, il tacito -Grimaud sudava a goccioloni. - -Ad un tratto Mousqueton diede un grido di allegrezza, alzandosi di -sopra al capo la mano armata di una bottiglia. - -«Oh, signore, oh! disse porgendo questa a Porthos, siamo salvi! la -lancia è carica di viveri!» - -E frugando sollecito sotto la panca da cui aveva già levato il prezioso -campione, portò su una dopo l’altra dodici bottiglie consimili, e del -pane ed un pezzo di bove salato. - -È superfluo il dire che questa roba trovata rese a tutti il buon umore, -meno che ad Athos. - -«Per Diana! disse Porthos, il quale ci rammentiamo aveva fame sino da -quando poneva il piede sulla feluca; non è credibile quanto le emozioni -indeboliscono lo stomaco!» - -E s’inghiottì il contenuto di una bottiglia, divorandosi da sè solo un -terzo del pane e della carne. - -«Adesso, signori, disse Athos, dormite, o procurate di dormire, io -veglierò». - -Per altri uomini che i nostri ardimentosi avventurieri, una tale -proposizione sarebbe stata derisoria. Realmente erano bagnati sino alle -ossa, soffiava un vento diacciato, e le commozioni provate dovevano -impedir loro di chiudere occhio; ma a quei naturali straordinari, a -quei ferrei temperamenti, a que’ corpi avvezzi a tutti gli strapazzi, -il sonno arrivava all’ora fissa senza mai mancare alla chiamata. - -E quindi di là ad un momento, ciascheduno pien di fiducia nel piloto, -ebbe posate le gomita a suo modo, e procurato di profittare del -consiglio dato da Athos, il quale, seduto al timone e con gli occhi -vôlti costantemente al cielo, ove di certo ei cercava non solo il -cammino per la Francia, ma anche la faccia di Dio, rimase solo, -conforme aveva promesso, desto e pensoso, dirigendo nella via da -seguirsi la piccola barca. - -Dopo alcune ore di sonno, Athos svegliò i viaggiatori. - -I primi barlumi del giorno imbiancavano il mare azzurro, e a dieci tiri -di schioppo circa verso la prora si scorgeva una mole nera, al di sopra -della quale estendevasi una vela triangolare lunga e sottile come l’ala -di una rondine. - -«Una barca!» dissero in una voce i tre amici. - -E i domestici dal canto loro esprimevano il giubilo in tuoni fra lor -differenti. - -Era un bastimento da trasporto di Dunkerque, che faceva vela per -Boulogne. - -I quattro padroni, Blaisois e Mousqueton mandarono insieme un grido che -echeggiò sulla superficie delle onde, mentre Grimaud senza dir nulla, -metteva il suo cappello in cima al remo per richiamare gli sguardi di -coloro a cui il grido doveva giungere. - -Dopo un quarto d’ora la lancia di quel bastimento li rimorchiava; essi -ponevano il piede sul _trasporto_; Grimaud offeriva venti ghinee al -capitano a nome del suo padrone; e la mattina a nove ore con buonissimo -vento i nostri francesi sbarcavano sul suolo della patria. - -«Cospettone! come si è forti qua sopra! disse Porthos affondando i -larghi piedi nell’arena; vengano ora a darmi molestia, a guardarmi -bieco, a stuzzicarmi, e vedranno con chi avranno che fare! Per Bacco! -sfiderei un regno intero! - -«Ed io, avvertì d’Artagnan, vi esorto a non proferire tanto forte -questa sfida, giacchè mi pare che qui ci guardino di molto. - -«Eh diamine! ci ammirano. - -«Ed io, caro Porthos, non ci metto punto amor proprio, ve lo giuro. -Vedo soltanto degli uomini colla giubba nera, e confesso che nella -nostra situazione tali genti mi spaventano. - -«Sono i _cancellieri_ delle mercanzie del porto, rispose Aramis. - -«Sotto l’altro ministro, osservò Athos, sotto il grande, avrebbero -badato più a noi che alle mercanzie; ma ora non dubitate, baderanno più -alle merci che a noi. - -«Non me ne fido, replicò d’Artagnan, e vo subito su per le dune. - -«Perchè non dalla città? fece Porthos; avrei più caro un buon albergo -che quei tristi deserti di rena creati da Dio solamente per i conigli. -E poi, ho fame, io. - -«Fate come volete, Porthos, soggiunse il Guascone; ma per me, sono -persuaso che la più sicura per persone nel nostro stato è la campagna -aperta». - -E certo di aver per sè la maggioranza dei voti, d’Artagnan s’inoltrò -nelle dune senza attender risposta. - -Tutti lo seguirono, ed in breve disparvero seco dietro ai monticelli -di sabbia, non senza però aver richiamato sopra sè medesimi la pubblica -attenzione. - -«Adesso discorriamo, propose Aramis dopo ch’ebbero fatto circa un -quarto di lega. - -«No no, disse d’Artagnan, scappiamo; siamo fuggiti a Cromvello, a -Mordaunt, al mare; tre abissi ci volevano ingojare, non isfuggiremo al -signor Mazzarino. - -«Avete ragione, approvò Aramis, e la mia opinione è che per più -sicurezza ci separiamo. - -«Sì sì, fece d’Artagnan, separiamoci». - -Porthos voleva parlare per opporsi a questa risoluzione; ma il nostro -Guascone gli fe’ capire, stringendogli la mano, che doveva star cheto. -Porthos era molto obbediente, e a quei cenni del suo compagno di cui -riconosceva la superiorità intellettuale, si rimandò addietro le parole -che gli stavano per uscire dalla bocca. - -«Ma perchè dividerci? domandò Athos. - -«Perchè, rispose d’Artagnan, fummo mandati da Mazzarino a Cromvello, -Porthos ed io, ed invece di servire Cromvello servimmo il re Carlo -I, lo che non è mica lo stesso. Tornando con i signori di la Fère -e d’Herblay, il nostro delitto è provato; tornando soli, il nostro -delitto rimane in istato di dubbio, e col dubbio si va molto -innanzi.... E io ne vuo’ far vedere delle belle al signor di Mazzarino. - -«Che! disse Porthos, è vero! - -«Voi, osservò Athos, vi scordate che siamo vostri prigionieri, che non -ci riguardiamo come sciolti dalla nostra parola verso di voi, e che -riconducendoci prigionieri a Parigi.... - -«Athos, interruppe d’Artagnan, mi duole che un uomo di spirito quale -voi siete dica sempre delle meschinità di cui si vergognerebbero -scolaretti di terza classe. Cavaliere (e si volgeva ad Aramis, che -superbamente appoggiato sulla sua spada, ed ancorchè avesse prima -esternata un’opinione contraria, sembrava essersi presto riunito a -quella del suo collega), cavaliere, intendete che qui come al solito il -mio carattere diffidente esagera le cose. Porthos ed io in conclusione -nulla arrischiamo. Ma bensì, se per caso si tentasse di arrestarci -davanti a voi, ebbene! non si arresteranno mica sette uomini come -si farebbe a tre; le spade vedrebbero il sole; e la faccenda trista -per tutti lo sarebbe maggiormente per noi e ci rovinerebbe tutti -quattro. D’altronde, se accade qualche disgrazia a due di noi, non -è forse meglio che gli altri due siano in libertà per levar quelli -dall’impaccio, strisciare, spezzare, congiurare, in somma liberarli? -E poi, chi sa che non otteniamo separatamente, voi dalla regina e noi -da Mazzarino, il perdono che insieme ci verrebbe negato? Orsù, Athos -ed Aramis pigliate a diritta; voi, Porthos, venite meco a sinistra; -lasciate che quei signori se ne vadano in Normandia, e noi dalla strada -più corta andiamocene a Parigi. - -«Ma se per viaggio siamo presi, come potremo darci reciproco avviso di -questa catastrofe? domandò Aramis. - -«Nulla v’è di più facile. Stabiliamo un itinerario da cui non ci -dipartiremo. Andate a Saint-Valery, poi a Dieppe, dopo prendete la via -retta da Dieppe a Parigi; noi piglieremo da Abbeville, Amiens, Peronne, -Compiegne e Senlis, ed in ogni locanda, in ogni casa dove ci fermeremo, -scriveremo sul muro colla punta di un coltello, o sui vetri col -taglio di un diamante, uno schiarimento che possa essere di guida alle -ricerche di quelli che fossero liberi. - -«Ah! amico mio come ammirerei le risorse della vostra testa, se non mi -fermassi a quelle del vostro cuore per adorarle!» - -E porgeva la destra a d’Artagnan. - -«E forse la volpe ha ella dell’ingegno? rispose questi scrollando le -spalle; no, sa rubare le galline, sviare i cacciatori e ritrovare la -sua strada di giorno come di notte, nient’altro. Or bene, è combinato? - -«È combinato. - -«Dunque dividiamoci il danaro, continuò d’Artagnan; debbono rimanere -circa duecento doppie. Quanto resta, Grimaud? - -«Cento ottanta mezzi luigi, signore. - -«Appunto. Evviva! ecco il sole. Buon giorno, sole amico; sebbene tu non -sia lo stesso che quello della Guascogna, ti riconosco o m’imagino di -riconoscerti.... Era un pezzo che non ti vedevo! - -«Animo, animo d’Artagnan, disse Athos, non fate da spirito forte, avete -le lacrime agli occhi. Siamo sempre schietti fra noi, quando anche -questa schiettezza dovesse fare scorgere le nostre buone qualità. - -«Oh! mio caro, credete si lascino a sangue freddo e in un momento non -esente da pericoli due amici come voi ed Aramis? - -«No! e per questo, venite fra le mie braccia, figliuol mio! - -«Perdinci! fece singhiozzando Porthos, piango, se non isbaglio: uh che -sciocchezza!» - -Ed i quattro camerati formarono un sol gruppo gettandosi l’uno al seno -dell’altro. In tale istante, quei quattro uomini riuniti dall’amplesso -fraterno non ebbero per certo che una sola anima. - -Blaisois e Grimaud dovevano andar con Athos ed Aramis; a Porthos e -d’Artagnan bastava Mousqueton. - -Si ripartirono, siccome avevano fatto sempre, il danaro con una -regolarità da fratelli; e strettasi scambievolmente la mano, e -ripetutesi le proteste di eterna amistà, i gentiluomini si separarono -per avviarsi ciascuno nella direzione convenuta, non senza voltarsi, -non senza mandarsi ancora affettuose parole, cui ridiceva tosto l’eco -delle dune. - -Alfine si perderono di vista. - -«Corpo di Bacco! esclamò Porthos, questa, d’Artagnan mio, bisogna -ch’io ve la dica subito, giacchè non posso tener sul cuore qualche cosa -contro di voi: in questa circostanza non vi ho riconosciuto. - -«Perchè? domandò d’Artagnan col suo sorrisetto malizioso. - -«Perchè, se conforme assicurate, Athos ed Aramis son veramente esposti -ad un rischio, non è momento da abbandonarli. Io vi confesso ch’ero -pronto ad accompagnarli, e lo sono tuttavia a raggiungerli, non ostante -tutti i Mazzarini dell’universo. - -«Ah! avreste ragione, Porthos, se così fosse; ma sappiate una -cosarella, che, quantunque piccola, varierà il corso alle vostre idee: -ell’è che il maggior rischio non è per quei signori, ma bensì per noi; -è che li lasciamo, non per abbandonarli, ma per non comprometterli. - -«Davvero! fece Porthos spalancando gli occhi. - -«Eh! senza dubbio: se sono arrestati, per loro v’è la Bastiglia -semplicemente; per noi, se lo siamo, v’è la piazza di Grève. - -«Oh oh! disse Porthos, c’è differenza da questo alla corona da barone -che mi promettevate! - -«Non tanto forse, oibò! voi sapete il proverbio francese: _Tout chemin -mène à Rome_. - -«Ma perchè corriamo maggiori pericoli che Athos ed Aramis? - -«Perchè essi non hanno fatto altro che attenersi all’incarico -ricevuto dalla regina Enrichetta, e noi abbiamo tradito quello datoci -da Mazzarino; perchè partiti come messaggieri presso a Cromvello, -siamo diventati partigiani del re Carlo; perchè invece di dar mano -a far cadere la regia sua testa condannata da quei furfanti chiamati -Mazzarino, Cromvello, Joyce, Pridge, Farfaix, ec., ec., siamo stati in -procinto di salvarla. - -«È vero, rispose Porthos; però, mio caro, come volete che in mezzo alle -sue grandi occupazioni di mente il generale Cromvello abbia avuto tempo -da pensare?.... - -«Pensa a tutto, ha tempo per tutto; e noi, datemi retta, non perdiamo -il nostro, ch’è prezioso. Non saremo in sicuro se non dopo aver visto -Mazzarino, ed anche.... - -«Diamine! e che gli diremo? - -«Lasciate fare a me, ho io il mio piano preparato: Cromvello è forte, -Mazzarino è scaltro, ma ho più gusto di trattare in diplomazia contro -di essi che contro il defunto messer Mordaunt. - -«Ecco! fece Porthos, eppure v’è piacere a dire: _defunto messer -Mordaunt_! - -«Sì sì, replicò d’Artagnan, ma in viaggio subito». - -Ed ambedue senza perdere un momento si diressero verso la strada di -Parigi, seguiti da Mousqueton, che dopo aver avuto freddo tutta la -notte, aveva digià troppo caldo a capo a un quarto d’ora. - - - - -LXXIX. - -_Ritorno._ - - -Athos ed Aramis avevano preso l’itinerario indicato da d’Artagnan, e -camminato quanto più presto potevano; ad essi sembrava che fosse per -loro più vantaggioso l’essere arrestati vicino a Parigi che lontano. - -Ogni sera, nella tema che questo caso avvenisse loro di notte, -tracciavano o sul muro o sui vetri il pattuito segno di riconoscimento, -ma ogni mattina con sommo stupore al destarsi si trovavano liberi. - -A misura che s’inoltravano verso la capitale, i grandi eventi dei -quali erano stati spettatori, e che sconvolta avevano l’Inghilterra, si -andavano dileguando come tanti nuvoli, mentre all’opposto venivano loro -incontro quelli che avevano scosso Parigi e la provincia. - -In quelle sei settimane d’assenza erano succedute in Francia tante -cose piccole da formare quasi insieme un grandissimo caso. I Parigini, -svegliatisi la mattina senza regina nè re, furono molto dolenti di -siffatto abbandono, e l’assenza di Mazzarino sì caldamente bramata non -compensò il rincrescimento di quella dei due augusti fuggiaschi. - -Il primo sentimento che agitasse Parigi, allorchè intese la fuga per -San Germano, a cui noi già facemmo assistere i nostri leggitori, fu -dunque quella specie di spavento che assale i bambini quando e’ si -destano di notte o nella solitudine. Il parlamento si mise in moto, -e fu deciso che una deputazione si trasferisse presso la sovrana -a pregarla di non privare più a lungo la capitale della sua regia -presenza. - -Ma la regina era tuttavia sotto la duplice impressione del trionfo di -Lens e dell’orgoglio della sua scappata eseguita tanto felicemente. I -deputati non solo non ebbero l’onore di esser da lei ricevuti, ma anche -si fecero aspettare sulla scala grande, dove il cancelliere (lo stesso -Seguier che noi vedemmo nella prima parte di quest’opera insistere -ostinatamente per una lettera ripostasi perfino in seno dalla regina), -il cancelliere, dicevamo, venne a dare loro l’_ultimatum_ della corte, -il quale portava che se il Parlamento non si umiliava dinanzi alla -regale maestà, passando sopra senz’altro a tutte le questioni che -avevano cagionata la contesa che li divideva, Parigi sarebbe assediata -all’indomani; che digià, pure, nella previdenza di codesto assedio, il -duca d’Orleans occupava il ponte di San Cloud, e il signor Principe, -ancora risplendente della sua vittoria di Lens, stava in possesso di -Charenton e San Dionigi. - -Disgraziatamente per la corte, a cui una risposta moderata avrebbe -forse restituito un buon numero di partigiani, questa cotanto -minacciosa produsse un effetto contrario a quel che si attendeva; -urtò l’orgoglio del Parlamento, che sentendosi robustamente appoggiato -dal ceto borghese, a cui la grazia di Broussel aveva dato un concetto -della propria forza, replicò alle lettere patenti, dichiarando che il -ministro Mazzarino era notoriamente l’autore di tutti i disordini, e -quindi lo dichiarava nemico del re e dello Stato, e gl’ingiungeva di -ritirarsi dalla corte nel medesimo giorno, e dalla Francia negli otto -giorni di tempo, spirato il qual termine, ove non obbedisse, comandava -a tutti i sudditi del re di scagliarglisi contro. - -Questa energica replica, che la corte non si aspettava, metteva Parigi -e Mazzarino fuor della legge. Rimaneva solamente da sapersi chi la -vincerebbe, o il parlamento o la corte. - -Allora la corte fece i suoi preparativi di attacco, e Parigi quelli -di difesa. I borghesi adunque erano occupati all’opera consueta dei -borghesi in tempo di sommossa, cioè a stendere delle catene e tôrre -il lastrico dalle strade, quando videro arrivare e dar loro ajuto, e -condotti dal Coadiutore, il principe di Conti, fratello del principe di -Condé, e il duca di Longueville suo cognato. E tosto si riconfortarono, -perocchè avevano dalla loro due principi del sangue, e di più il -vantaggio dal numero. - -Nel dì 10 gennajo giungeva a’ Parigini questo non sperato soccorso. - -Dopo una burrascosa discussione, il principe di Conti fu nominato -a generalissimo delle armate del re fuori di Parigi con i duchi di -Elboeuf e di Bouillon, e il maresciallo La-Mothe per luogotenenti -generali; il duca di Longueville senza carica, nè titolo, si contentava -di assistere il cognato. - -In quanto al signor di Beaufort, era tornato dal Vendomese, portando -(dice la cronaca) la sua bella cera, capelli belli e lunghi, e quella -popolarità che gli procacciò la sovranità delle piazze da mercato. - -L’armata parigina erasi allora ordinata con la prontezza con la quale -i cittadini si travestono da soldati quando a questa trasformazione li -spinga un sentimento qualunque. Al dì 19, l’esercito, raccoltosi, aveva -tentata una sortita, piuttosto per assicurare sè medesimo e gli altri -della propria esistenza che per avventurare qualche cosa di serio, -facendosi sventolare più su del capo una bandiera su cui leggevasi -questa singolare divisa: _Cerchiamo il nostro re_. - -I giorni seguenti furono impiegati ad alcune piccole operazioni -parziali, che non ebbero altro risultato se non la preda di varj -armenti, e l’incendio di due o tre case. - -Così si giunse ai primi di febbrajo, e nel primo assolutamente di quel -mese i nostri quattro camerati approdavano a Boulogne e si avviavano -solleciti a Parigi, ognuno dalla sua parte. - -Verso la fine del quarto giorno di cammino scansarono cautamente -Nanterre onde non cadere in qualche turba del partito della regina. - -Athos pigliava a malincuore simili precauzioni, ma Aramis gli aveva -fatto giudiziosamente osservare come non aveano diritto di essere -imprudenti, ed erano incaricati dal re Carlo di una missione suprema -e sacra, la quale ricevuta appiè del patibolo non si compirebbe che a’ -piedi della regina. - -E quindi Athos cedè. - -Nei sobborghi i nostri viaggiatori trovarono buona guardia. Tutta -Parigi era armata. La sentinella ricusò di lasciar passare i due -gentiluomini, e chiamò il suo sergente. - -Il sergente venne subito fuori, ed assumendo tutta l’importanza che -sogliono assumere i borghesi quando hanno la fortuna di esser rivestiti -di una dignità militare, domandò: - -«Chi siete, signori? - -«Due gentiluomini, rispose Athos. - -«Di dove venite! - -«Da Londra. - -«Che venite a fare a Parigi? - -«Adempiere ad un incarico presso Sua Maestà la regina d’Inghilterra. - -«Ehi dico! ma oggi vanno tutti dalla regina d’Inghilterra! replicò il -sergente. Abbiamo di già al posto di guardia tre gentiluomini di cui si -visitano i fogli, e che vanno da Sua Maestà. I vostri fogli dove sono? - -«Non ne abbiamo. - -«Come! non ne avete? - -«No, arriviamo dall’Inghilterra, secondo vi abbiamo detto; ignoriamo -totalmente a che punto siano gli affari politici, essendo partiti da -Parigi prima del re. - -«Ah! disse il sergente in aria da scaltro, siete tanti _mazzarini_, che -vorreste entrare da noi per farci la spia! - -«Caro amico! replicò Athos, che sino allora aveva lasciato ad Aramis la -cura di rispondere; se fossimo mazzarini avremmo anzi tutte le carte -possibili. Nella situazione in cui siete, diffidatevi prima di tutto, -credete a me, di coloro che sono in piena regola. - -«Entrate al corpo di guardia, esporrete le vostre ragioni al superiore». - -Il sergente fe’ un cenno alla sentinella; questa si trasse da parte a -lasciarlo passare, mentre i due gentiluomini lo seguivano. - -Il corpo di guardia era interamente occupato da borghesi ed uomini del -volgo; chi giuocava, chi beveva, chi discorreva. - -In un canto, e quasi custoditi a vista, erano i tre gentiluomini primi -arrivati, e di cui l’ufficiale esaminava i ricapiti. L’ufficiale stava -nella stanza contigua, perchè l’importanza del suo grado gli concedeva -l’onore di un alloggio particolare. - -Il primo movimento dei primi e degli ultimi giunti, fu dalle due -estremità del locale di darsi scambievolmente un’occhiata rapida e -indagatrice. Quelli capitati avanti erano coperti, e ben celati da -lunghi ferrajuoli. Uno di essi, meno grande che i compagni, si stava -indietro ed all’ombra. - -All’annunzio dato all’entrare dal sergente, che, secondo ogni -probabilità, conduceva due innanzi, i tre gentiluomini drizzarono le -orecchie e si fecero attentissimi. Il più piccolo, che aveva mossi due -passi, ne fece uno all’indietro, e si ritrovò all’ombra. - -All’avviso che i nuovi venuti non avevano carte di passo, fu unanime -parere del corpo di guardia ch’essi non entrassero. - -«Anzi, signori, disse Athos, è probabilissimo ch’entriamo, giacchè -ci sembra di aver che fare con genti ragionevoli. E la maniera sarà -semplicissima: basterà far trasmettere i nostri nomi a Sua Maestà la -regina d’Inghilterra, e s’ella si fa per noi responsabile, spero che -non vedrete più inconveniente a darci libero ingresso». - -A tali parole l’attenzione di quello che era nascosto all’ombra -diventò anco maggiore, e fu pure accompagnata da un moto di stupore sì -improvviso, che gli cadde il cappello spinto dal ferrajuolo nel quale -si avviluppava più che mai; egli si chinò prestamente a raccoglierlo. - -«Oh mio Dio! disse Aramis dando di gomito ad Athos, avete visto? - -«Che cosa? domandò Athos. - -«Il più basso di quei tre? - -«No. - -«È che mi pareva.... ma già non è possibile!» - -In quel punto il sergente, ch’era andato nella stanza particolare -a prender gli ordini dall’uffiziale, uscì, ed accennando i tre -gentiluomini a cui consegnò un foglio, disse: - -«Le carte sono in regola; lasciate passare questi tre signori». - -I tre signori fecero un segno colla testa, e si affrettarono a -profittare del permesso e della strada, che, per comando del sergente, -veniva lor fatta libera. - -Aramis li seguitò cogli occhi, e nell’atto che il più piccolo gli -passava davanti, strinse la mano ad Athos. - -«Che avete, mio caro? chiese questi. - -«Ho.... di certo, è una visione....» - -Ed Aramis domandò al sergente: - -«Ditemi, conoscete i tre gentiluomini usciti adesso di qua? - -«Li conosco per i loro fogli: sono i signori di Flamarens, di Chatillon -e di Bruy, tre della _Fronda_, che vanno a raggiungere il signor duca -di Longueville. - -«È singolare! disse Aramis rispondendo piuttosto al suo proprio -pensiero che al militare, mi era sembrato di ravvisare il Mazzarino in -persona». - -Il militare diede una grossa risata. - -«_Lui!_ disse, arrischiarsi così da noi per esser impiccato! non è -tanto babbeo! - -«Uhm!... potrei essermi ingannato; non ho mica l’occhio infallibile di -d’Artagnan. - -«Chi è che parla di d’Artagnan? fece l’uffiziale, che appunto comparve -sulla soglia della sua camera. - -«Oh! urlò Grimaud spalancando gli occhi. - -«Che? domandarono insieme Aramis ed Athos. - -«Planchet! rispose Grimaud, Planchet col gorgerino! - -«I signori di la Fère e d’Herblay di ritorno a Parigi! esclamò -l’uffiziale. Oh che allegrezza è questa per me! chè di sicuro, venite a -unirvi ai signori principi. - -«Precisamente, mio caro Planchet, replicò Aramis, mentre Athos -sorrideva veggendo il grado considerevole che occupava nella milizia -cittadina l’antico camerata di Mousqueton, di Bazin e di Grimaud. - -«E il signor d’Artagnan, del quale discorrevate poc’anzi, signor -d’Herblay? oserò ricercarvi se ne avete notizia? - -«L’abbiamo lasciato, or sono quattro giorni, e tutto ci induce a -credere che ci avesse preceduti in Parigi. - -«No, signore, io ho certezza che non è rientrato nella capitale; in -sostanza, può essere che sia rimasto a San Germano. - -«Non lo credo: abbiamo l’appuntamento al _Granchio_. - -«Io ci sono stato oggi appunto. - -«E la bella Maddalena non ne aveva nuove? fece sogghignando Aramis. - -«No, e anzi non vi nascondo che pareva assai inquieta. - -«In conclusione, disse Aramis, non abbiamo ancora perduto tempo, e -si è fatto alla lesta. Sicchè, permettete, caro Athos, senza che io -m’informi di più del nostro amico, che faccia i miei complimenti a -messer Planchet. - -«Ah! signor cavaliere, disse Planchet con un inchino. - -«Tenente! esclamò Aramis. - -«Tenente sì, e con promessa d’esser capitano. - -«Bellissima cosa! rispose Aramis, e come sono venuti a voi tutti questi -onori? - -«Già, prima sapete, signori, che fui io che feci scappare il signor di -Rochefort? - -«Sì, cospetto! egli ce lo ha raccontato. - -«Ma in quella circostanza stetti in procinto di essere impiccato dal -Mazzarino, lo che naturalmente mi rese più popolare che nol fossi per -lo avanti. - -«E mercè codesta popolarità?... - -«No, mercè qualcosa di meglio. Inoltre vi è noto che ho servito nel -reggimento di Piemonte, dove avevo l’onore di essere sergente? - -«Sicuro. - -«Or bene! un giorno che nessuno poteva mettere in fila una quantità di -paesani armati che si partivano chi col piè sinistro e chi col diritto, -io riuscii a farli muovere tutti con lo stesso piede, e fui fatto -tenente sul campo.... delle manovre. - -«Ecco la spiegazione, fece Aramis. - -«Dimodochè, soggiunse Athos, avete con voi un diluvio di nobiltà? - -«Certissimo; in primo luogo abbiamo, conforme saprete senza dubbio, il -principe di Conti, il duca di Longueville, il duca di Beaufort, il duca -d’Elboeuf, il duca di Chevreuse, il signor di Brissac, il maresciallo -di la Mothe, il signor di Luynes, il marchese di Vitry, il principe di -Marillac, il marchese di Noirmontier, il conte di Fiesques, il marchese -di Laigues, il conte di Montresor, il marchese di Sevigné, e che so io, -quanti mai? - -«E il signor Raolo di Bragelonne? chiese Athos con qualche agitazione, -d’Artagnan mi disse avervelo raccomandato nel partire, mio buon -Planchet. - -«Sì, signor conte, e come fosse stato suo figliuolo, e debbo dichiarare -che non l’ho perduto di vista un momento. - -«Dunque sta bene? seguitò Athos con voce alterata dal contento; non gli -è accaduta alcuna disgrazia? - -«Nessuna. - -«E abita?... - -«Sempre al _Gran Carlomagno_. - -«E passa le giornate?... - -«Ora dalla regina d’Inghilterra, ora da madama di Chevreuse. Esso e il -conte di Guiche non si lasciano un istante. - -«Grazie, Planchet, grazie». - -E Athos gli porgeva la destra. - -«Oh! signor conte, fece Planchet toccando quella mano con la punta -delle dita. - -«Conte, ebbene? che fate? ad un antico lacchè! osservò Aramis. - -«Amico, mi dà notizie di Raolo. - -«E adesso, continuò Planchet il quale non aveva udita l’osservazione di -Aramis, che avete idea di fare? - -«Rientrare in Parigi, se pure voi ci date il permesso, caro signor -Planchet. - -«Come! se vi do il permesso? mi burlate, non sono altro che il vostro -servo». - -E Planchet fece una riverenza. - -Poi voltosi a’ suoi uomini: - -«Lasciate passare questi signori; li conosco, sono amici del signor di -Beaufort. - -«Evviva il signor di Beaufort! gridò tutto il corpo di guardia facendo -largo ad Athos ed Aramis». - -Il sergente solo si accostò a Planchet. - -«Chè? borbottò, senza passaporto? - -«Senza passaporto. - -«Badate, capitano, ribattè il sergente dando anticipatamente a Planchet -il titolo promessogli; badate che uno dei tre uomini usciti poco fa mi -ha detto pianino di non fidarmi di loro. - -«Ed io, ripigliò Planchet maestosamente, li conosco e rispondo per -essi». - -E strinse la mano a Grimaud, il quale parve molto onorato da tale -distinzione. - -«Dunque a rivederci capitano, soggiunse Aramis in tuono beffardo, se ci -accadesse qualche cosa chiameremmo voi in appoggio. - -«Signor mio, disse Planchet, in questo come in tutt’altro, sono vostro -servitore umilissimo. - -«Ha spirito e di molto, il briccone! esclamò Aramis montando a cavallo. - -«E come non deve averne? fece Athos ponendosi in sella, dopo avere per -tanto tempo spazzolati i cappelli del suo padrone?» - - - - -LXXX. - -_Gli ambasciadori._ - - -I due amici si avviarono tosto scendendo il ripido pendio del sobborgo. -Però, giunti appiè di quello, videro con istupore che le strade di -Parigi si erano cambiate in fiumi e le piazze in tanti laghi: in -conseguenza delle forti pioggie del mese di gennajo, la Senna aveva -dato di fuori, e colle sue acque ingombrava metà della capitale. - -Athos ed Aramis entrarono animosamente con i loro cavalli in quella -inondazione; ma in breve i poveri animali vi affondarono sino al -petto, e bisognò che i due gentiluomini si decidessero a lasciarli ed a -prendere una barca, dopo avere raccomandato ai loro domestici di andare -ad attenderli ai mercati. - -In conseguenza arrivarono in barchetta al Louvre. Era notte già -fatta, e Parigi vista così al lume di alcuni lampioni tremolanti fra -tutti quei paduli, co’ suoi battelli carichi di pattuglie con armi -risplendenti, con le grida di vigilia che di notte si ricambiano fra -i posti di guardia, Parigi insomma presentava un aspetto che abbagliò -Aramis, l’uomo più accessibile che mai potesse incontrarsi a sentimenti -bellicosi. Giunsero dalla regina; però fu d’uopo far anticamera, -sendochè nel momento Sua Maestà dava udienza a gentiluomini che -recavano notizie d’Inghilterra. - -«E anche noi, disse Athos al servo che gli dava questa risposta, non -solo portiamo notizie d’Inghilterra, ma veniamo pure di là. - -«Come vi chiamate? - -«Il signor conte di la Fère e il signor cavaliere d’Herblay, replicò -Aramis. - -«Oh! allora, signori, fece il servitore udendo quei nomi dalla regina -proferiti tante volte nella sua speranza, allora è tutt’altro, e -credo che Sua Maestà non mi perdonerebbe di avervi fatto aspettare un -momento. Seguitemi, di grazia». - -E camminò avanti, precedendo i due forestieri. - -Poi quando fu nella stanza ove stava la sovrana fece ad essi cenno di -attendere, ed aperta la porta, disse: - -«Signora, spero che Vostra Maestà mi perdoni di aver disobbedito ai -di lei ordini, quando saprà che coloro cui vengo ad annunziarle sono i -signori conte di la Fère e cavaliere d’Herblay». - -La regina diè un grido di giubilo, che dai gentiluomini fu inteso dal -luogo ove si erano trattenuti. - -«Povera regina! borbottò Athos. - -«Oh, passino, passino! esclamò pure la giovane principessa slanciatasi -verso l’uscio». - -La meschinella non si divideva mai dalla madre, e procurava farle -obliare mediante le sue premure e la filiale sua tenerezza l’assenza -dei due fratelli e della sorella. - -«Entrate, signori, entrate», disse e terminava da sè di schiudere la -porta. - -Si presentarono Athos ed Aramis. La regina stava seduta sopra una -poltrona, e a lei dinanzi erano in piedi due dei tre gentiluomini da -loro incontrati nel corpo di guardia. - -Erano questi i signori di Flamarens e Gasparo di Coligny, duca di -Chantillon, fratello di quello che fu ucciso sette od otto anni prima -in un duello ch’ebbe luogo a motivo di madama di Longueville. - -All’annunziarsi dei due amici costoro indietreggiarono alquanto, e -sotto voce ricambiarono alcune parole. - -«Ebbene, signori! disse la regina, visti ch’ebbe Athos ed Aramis, -eccovi alfine, fidi amici, ma i corrieri di Stato sono venuti anco -più presto di voi. La corte è stata istrutta degli affari di Londra -nel momento che voi arrivavate alle porte di Parigi, ed ecco i signori -di Flamarens e di Chatillon che mi portano da parte di Sua Maestà la -regina Anna le più recenti informazioni». - -Aramis ed Athos si guardarono; la tranquillità, l’allegrezza persino -che traluceva in volto alla sovrana, li faceva stupire. - -«Favorite continuare, essa disse a Chatillon ed a Flamarens; dicevate -adunque che Sua Maestà Carlo I, mio augusto signore, era stato -condannato a morte non ostante il voto della maggioranza dei sudditi -inglesi.... - -«Sì signora», balbettò Chatillon. - -Athos ed Aramis si fissavano in viso un coll’altro vieppiù attoniti. - -«E che, condotto al patibolo, ella proseguiva, al patibolo! o -mio signore, o mio re!... era stato salvato dal popolo pieno -d’indignazione. - -«Sì signora», rispose Chatillon con voce tanto bassa che a mala -pena poterono i due gentiluomini, comunque attentissimi, udir questa -affermazione. - -La regina giunse insieme le mani con generosa riconoscenza, mentre la -figlia le cingeva il collo con un braccio e la stringeva al seno, molle -il ciglio di pianto. - -«Ora, non altro ci rimane che presentare a Vostra Maestà l’umile nostro -ossequio, disse Chatillon a cui pareva fosse di peso la parte che -faceva, e che arrossiva sempre più sotto lo sguardo fisso e penetrante -di Athos. - -«Ancora un momento, signori, seguitò la regina trattenendoli con un -cenno, un momento, di grazia! giacchè ecco i signori di la Fère e -d’Herblay, che secondo avrete inteso vengono da Londra, e vi daranno -forse come testimoni oculari dettagli a voi ignoti. Tali dettagli li -recherete alla regina mia buona madre. Parlate, signori, vi ascolto; -nulla mi nascondete, non abbiate alcun ritegno: subito che Sua Maestà -vive, ed è salvo il regio onore, io sono indifferente a tutto il -resto». - -Athos impallidì e si posò una mano sul cuore. - -«Ebbene! fece la sovrana che si accorse del pallore e del movimento; -parlate, giacchè io ve ne prego. - -«Perdonate, madama, rispose Athos, ma io nulla voglio aggiungere al -racconto di questi signori innanzi ch’essi abbiano riconosciuto da per -sè che forse si sono ingannati. - -«Ingannati? esclamò Enrichetta poco meno che soffocando, ingannati!... -e che v’è egli? mio Dio! - -«Signori, disse di Flamarens ad Athos, se abbiamo sbagliato, l’errore -proviene dalla regina, e voi non avrete, suppongo, intenzione di -rettificarlo, poichè sarebbe lo stesso che dare una mentita a Sua -Maestà. - -«Dalla regina? gridò Athos con voce quieta ma sonora. - -«Sì», balbettò Flamarens, e chinava le pupille. - -Athos mandò un doloroso sospiro. - -«E non piuttosto da quello che vi accompagnava, e che abbiamo veduto -con voi al corpo di guardia del Roule, proviene tale errore? disse -Aramis con la sua insultante cortesia, giacchè se il conte di la Fère -ed io non abbiam preso abbaglio, eravate in tre all’entrare in Parigi». - -Chatillon e Flamarens si scossero. - -«Ma spiegatevi, conte! esclamò la regina in angoscia sempre più fiera; -sulla vostra fronte io leggo la disperazione, il vostro labbro esita -ad annunziarmi qualche nuova terribile, vi tremano le mani.... Dio mio! -Dio mio! ch’è accaduto? - -«Signore! disse la principessina inginocchiandosi accanto alla madre, -abbiate pietà di noi! - -«Signore, fece Chatillon, se siete latore di una funesta notizia, -operate da uomo crudele quando la date alla regina». - -Aramis si accostò a Chatillon sino quasi a toccarlo, e con le labbra -strette dalla rabbia e lo sguardo infuocato, gli rispose: - -«Ehi! mi figuro che non abbiate già idea di insegnare al conte di la -Fère ed a me ciò che qui dobbiamo dire». - -Durante quel breve alterco, Athos sempre con la mano sul cuore e la -testa china, appressatosi alla sovrana, le disse con somma commozione: - -«Signora, i principi, che per la loro natura sono al disopra degli -uomini, riceverono dal cielo un cuore atto a sopportare infortunj più -grandi che quelli del volgo, imperocchè il cuore in essi partecipa alla -loro superiorità; perciò mi sembra non si debba operare con una grande -regina qual’è Vostra Maestà nel modo stesso che con una donna del -nostro ceto. Regina, destinata a tutti i martirj su questa terra, ecco -il risultato della missione di cui ci onoraste». - -Ed Athos, inginocchiatosi dinanzi alla infelice che gelava e palpitava, -si levò di seno, chiusi in una medesima scatola, l’ordine di diamanti -che la regina aveva consegnato a lord Winter prima di partire, e -l’anello nuziale che prima di morire Carlo aveva consegnato ad Aramis. -Athos non si era mai tolto d’indosso quei due oggetti dacchè gli avea -ricevuti. Egli aprì il cassettino che li conteneva, e con tacito e -profondo dolore li porse alla regina. - -Questa avanzò la mano, prese l’anello, se lo trasse in atto convulso -fino sulle labbra, e senza poter dare un sospiro, nè mandare un -singulto, stese le braccia, impallidì, e cadde priva di sensi fra -quelle della figlia e delle sue donne. - -Athos baciò il lembo della veste della sventurata vedova, e rialzandosi -con tal maestà che produsse sugli astanti la maggiore impressione, -parlò così: - -«Io, conte di la Fère, gentiluomo che non mentii giammai, giuro prima -innanzi a Dio e quindi innanzi a questa povera regina, che tutto quanto -poteva farsi per salvare il re fu da noi fatto sul suolo d’Inghilterra. -Ed ora (e si volgeva a d’Herblay) cavaliere, si parta, l’obbligo nostro -è compiuto. - -«Non per anche, fece Aramis, ci rimangono da dire due parole a questi -signori». - -E giratosi verso Chatillon: - -«Signor mio, gli disse, vi compiacereste di venir fuori, anche per un -momento, per sentire le poche parole che non posso dirvi davanti alla -regina?» - -Chatillon senza rispondere s’inchinò in segno di assenso. - -Athos ed Aramis passarono per i primi; a loro dopo andarono Chatillon -e Flamarens; traversarono senza far motto il vestibolo: ma giunti ad -una terrazza ch’era a livello d’una finestra, Aramis si diresse alla -terrazza in cui non trovavasi veruno, si fermò però alla finestra e -disse al duca di Chatillon: - -«Poc’anzi, mi pare, vi siete fatto lecito di trattarci molto alla -libera. Ciò non era conveniente in alcun caso, ma assai meno poi in -persone che venivano a recare alla regina il messaggio di un mentitore. - -«Signore! gridò Chatillon. - -«Che avete mai fatto del signor di Bruy? domandò ironicamente Aramis. -Fosse egli andato per combinazione a cambiarsi la faccia che somiglia -di troppo a quella del signor di Mazzarino? È noto che al palazzo reale -vi sono molte maschere italiane da muta, da quella di Arlecchino sino a -quella di Pantalone. - -«Ma voi ci provocate, io credo! disse Flamarens. - -«Ah! lo credete soltanto? - -«Cavaliere! cavaliere! disse Athos. - -«Eh! lasciatemi fare; rispose con stizza Aramis, sapete pure che a me -non piacciono le cose a mezza via. - -«Finitele dunque! ribattè Chatillon con non minor alterigia che -d’Herblay». - -Questi fece un inchino, e replicò. - -«Signori, un altro fuori di me o del conte di la Fère vi farebbe -arrestare, giacchè abbiamo in Parigi alcuni amici; ma noi vi offriamo -un mezzo di partire senza esser molestati. Venite a discorrere con noi -cinque minuti colla spada in pugno su quel terrazzo abbandonato. - -«Volentieri, rispose Chatillon. - -«Un momento! esclamò Flamarens, so che la proposta è tale da tentarci, -ma adesso ci è impossibile accettarla. - -«E perchè? domandò Aramis in tuono di scherno, la vicinanza del signor -Mazzarino è forse quella che vi rende sì prudenti? - -«Ah, Flamarens, lo udite? disse Chatillon, non rispondere sarebbe una -macchia al mio nome e all’onor mio. - -«Così la penso io pure, disse freddamente Aramis. - -«Voi però non risponderete, e questi signori fra poco saranno, io -spero, della mia opinione». - -Aramis scosse il capo con un gesto di estrema insolenza. - -Chatillon vide il gesto, e pose mano alla spada. - -«Duca, disse Flamarens, vi dimenticate che per domani avete il comando -di una spedizione della massima importanza, e che indicato dal signor -Principe, accettato dalla regina, sino a domani sera non siete padrone -di voi? - -«Benissimo! dunque per domani l’altro mattina, fece Aramis. - -«A doman l’altro, osservò Chatillon, è troppo lungo l’indugio! - -«E non sono già io, riprese d’Herblay, che fisso questo termine -o chiedo dilazione, tanto più (aggiunse), che mi sembra, potremmo -trovarci a quella spedizione. - -«Signor sì, avete ragione, esclamò il duca, e con molto piacere, se -volete pigliarvi l’incomodo di venire sino alle porte di Charenton. - -«E come, signor mio! per aver l’onore di incontrarvi andrei a capo al -mondo; tanto maggiormente farò per ciò una lega o due. - -«Dunque a domani. - -«Io ci conto. Andate pure a raggiungere il vostro Mazzarino; ma prima, -giurate sul vostro onore che non lo avvertirete del nostro ritorno. - -«Condizione? - -«E perchè no? - -«Perchè queste si spetta ai vincitori il farle, e voi non siete tali. - -«E allora, si sguaini subito il ferro. Ciò poco importa a noi che non -comandiamo l’impresa di domani». - -Chatillon e Flamarens si guardarono; v’era cotanta ironia nel gesto e -nelle parole di Aramis, che Chatillon specialmente stentava a tener a -freno la collera. Ma a un detto di Flamarens si fermò. - -«Or bene, disse, il nostro compagno, chiunque sia, nulla saprà di quel -ch’è accaduto. Ma voi mi promettete di esser domani a Charenton, non è -vero? - -«Ah signori! non dubitate! rispose Aramis». - -I quattro gentiluomini si salutarono, ma questa volta Chatillon e -Flamarens uscirono primi dal Louvre, ed Athos e Aramis li seguirono. - -«Ma con chi l’avete, con tanta furia? domandò Athos. - -«Cospetto! con quelli co’ quali me la rifò! - -«Che mai v’hanno fatto? - -«Non avete veduto? - -«Io no. - -«Si sono messi a sogghignare quando voi giuravate che avevamo fatto -l’obbligo nostro in Inghilterra. Ora, o lo hanno creduto o no: se lo -credono, sogghignavano per insultarci, se non lo credono, c’insultavano -parimente, ed è urgente di provare a costoro che siamo buoni a qualche -cosa. Del rimanente, non m’incresce che abbiano rimessa la faccenda -a domani: penso che per questa sera abbiam da fare di meglio che -sguajnare la spada. - -«E che abbiam da fare? - -«Per Bacco! far prendere il Mazzarino». - -Athos fe’ con le labbra un moto di disprezzo. - -«Aramis, lo sapete, tali intraprese non mi piacciono. - -«Perchè? - -«Perchè pajono piuttosto sorprese. - -«In verità, Athos, sareste un generale di armata singolare: non -vi battereste che a chiarissima luce, fareste prevenire il vostro -avversario dell’ora in cui avreste divisato di attaccarlo, e vi -asterreste da tentar nulla a suo danno di notte, per timore che vi -tacciasse di aver profittato dell’oscurità». - -Athos sorrise. - -«Sapete, disse, che nessuno può cambiare il proprio naturale; e poi, -avete forse in idea a qual punto siamo, e se l’arresto di Mazzarino non -sarebbe più mal che bene, più impaccio che trionfo? - -«Dite dunque, Athos, che disapprovate la mia proposta. - -«No; al contrario, la stimo di buona guerra, ma.... - -«Ma che? - -«Penso che non avreste dovuto farvi giurare da quei signori di non dir -nulla al ministro, giacchè esigendo tal giuramento, avete quasi assunto -l’impegno di non far niente. - -«Non ho assunto impegno veruno, io, e così mi riguardo come affatto.... -Andiamo, Athos! andiamo! - -«Dove? - -«Dal signor di Beaufort o dal signor di Bouillon, e ad essi diremo -com’ella va. - -«Sì, ma con un patto, cioè che cominceremo dal Coadjutore, a cui, dotto -com’è sui casi di coscienza, esporremo il nostro. - -«Oh! disse Aramis, guasterà tutto, si approprierà ogni cosa; terminiamo -con lui, invece di principiare». - -Athos se la rideva sotto i baffi, come chi in fondo al cuore abbia un -pensiero che non vuol esprimere. - -«Ebbene, sia pur così, rispose, da quale si comincia? - -«Dal signor di Bouillon, se non vi spiace; è il primo che si presenta -nel nostro cammino. - -«Adesso, mi permetterete una cosa, non è vero? - -«Ed è? - -«Ch’io passi dall’albergo del _Gran Carlomagno_ ad abbracciar Raolo. - -«Ma ci vengo con voi! lo abbraccieremo insieme». - -Tutti e due avevano ripresa la barca che gli aveva condotti e si -erano fatti portare ai mercati. Ivi ritrovarono Grimaud e Blaisois -che custodivano i loro cavalli e tutti quattro si avviarono verso la -contrada Guénégaud. - -Raolo però non era alla locanda del _Gran Carlomagno_; ricevuto nella -giornata un messaggio dal signor Principe, era partito subito dopo con -Olivain. - - - - -LXXXI. - -_I tre luogotenenti del generalissimo._ - - -Secondo era stabilito, e nell’ordine fra di loro convenuto, Athos ed -Aramis usciti dal _Gran Carlomagno_ s’incamminarono verso il palazzo -del duca di Bouillon. - -Era notte oscurissima, e quantunque inoltrata nelle ore di maggior -silenzio e solitudine, cominciavano ad echeggiare quei clamori che -destano trasalita una città assediata. Ad ogni passo s’incontravano -barricate, a tutte le svolte delle strade catene stese, in ciascun -vicolo dei bivacchi; s’incrociavano le pattuglie ricambiandosi la -parola d’ordine, i messaggeri spediti dai vari capi traversavano -le piazze; e finalmente si facevano dialoghi animatissimi, e che -indicavano l’agitazione degli spiriti, fra i pacifici abitanti, i -quali se ne stavano affacciati alle finestre e i loro concittadini -più bellicosi che correvano per le vie con la partigiana in spalla o -l’archibugio al braccio. - -Athos ed Aramis non aveano fatto cento passi senza essere trattenuti -dalle sentinelle messe alle barricate, che lor chiedevano la parola -d’ordine; ma rispondevano che andavano dal signor di Bouillon per -dargli una notizia importante, ed allora quelle si erano contentate -di dare ad essi una guida, la quale col pretesto di accompagnarli e -agevolar loro il passo era incaricata di sorvegliarli. E la guida si -era mossa precedendoli e cantarellando: - - Ce brave monsieur de Bouillon - Est incommodé de la goutte.... - -nuovissimo componimento del genere dei _triolets_ francesi, non so di -quante stanze in cui ciascuno aveva la sua parte. - -Giunti nelle vicinanze della casa di Bouillon, s’imbatterono in -una piccola comitiva di tre a cavallo, che avevano tutte le parole -possibili, poichè andavano senza scorta, e quando arrivavano alle -barricate non avevano da far altro che ricambiare con coloro che ne -stavano a guardia certi detti bastanti a far sì che si lasciassero -tirare innanzi con tutta la deferenza senza dubbio dovuta al loro -rango. - -All’aspetto di quei tali, Athos ed Aramis si fermarono. - -«Oh oh! vedete, conte? disse Aramis. - -«Sì, rispose Athos. - -«Che vi pare di quei tre cavalieri? - -«E a voi? - -«Che siano i nostri. - -«Non v’ingannate, ho riconosciuto benone di Flamarens. - -«Ed io, di Chatillon. - -«In quanto all’altro col ferrajuolo scuro.... - -«Era il ministro. - -«In persona. - -«Come diamine si azzardano così, nei dintorni del palazzo di Bouillon? -fece Aramis». - -Athos sorrise senza rispondere. - -Di là a cinque minuti bussavano al portone del principe. - -Al portone faceva guardia una sentinella, come si costuma per i -soggetti rivestiti di gradi superiori; nel cortile era pure un piccol -corpo di guardia pronto ad obbedire agli ordini del luogotenente del -principe di Conti. - -A forma di quel che diceva la canzone il duca di Bouillon aveva la -gotta e stava a letto; non ostante questa grave malattia, che da un -mese gl’impediva di cavalcare, cioè da quando era assediata Parigi, -fece dire, però, ch’era disposto a ricevere i signori conte di la Fère -e cavaliere d’Herblay. - -I quali furono tosto introdotti. L’ammalato era nella sua camera, -coricato, ma circondato dall’apparecchio più militare che potesse -immaginarsi: da per tutto, sospesi alle muraglie, spade, pistole, -usberghi e archibugi, e agevolmente si scorgeva che il signor -di Bouillon, appena non avesse più la podagra, darebbe non poca -briga e molestia ai nemici del Parlamento. Intanto con sommo suo -rincrescimento, conforme ei diceva, gli toccava starsene in letto. - -«Ah! signori, esclamò visti ch’ebbe i due visitanti e tentando per -sollevarsi un tantino uno sforzo che gli fe’ fare una boccaccia -pel dolore terribile, siete fortunati, voi altri! potete montare a -cavallo, andare e venire, combattere, per la causa del popolo. Ma io, -vedete pure, sono confitto su queste lenzuola!.... Uh maledetta gotta! -aggiunse con una nuova smorfia, maledettissima gotta! - -«Monsignore, disse Athos, veniamo d’Inghilterra e toccando Parigi è -stata nostra prima cura di portarci a domandar notizie della vostra -salute. - -«Grazie, grazie mille!.... la salute? cattiva, come osserverete.... -maledetta gotta!.... Ah! siete arrivati d’Inghilterra? e il re Carlo -sta bene, per quanto ho inteso poco fa. - -«È morto, monsignore, disse Aramis. - -«Veh! fece attonito il duca. - -«Morto sopra il patibolo, condannato dal Parlamento. - -«È impossibile! - -«E giustiziato alla nostra presenza. - -«Ma dunque che mi diceva di Flamarens? - -«Di Flamarens! esclamò Aramis. - -«Sì, è uscito adesso di qua. - -«Con due compagni? domandò Athos sogghignando. - -«Sì, con due compagni, rispose il duca». - -Indi con qualche inquietudine seguitò: - -«Gli avete forse incontrati? - -«Ma sì.... mi pare, per la strada, replicò Athos». - -E guardò sorridendo Aramis, che dal canto suo osservò lui pure alquanto -meravigliato. - -«Maledettissima gotta! ripetè il signor di Bouillon che pativa assai. - -«Monsignore, continuò Athos, in verità ci vuol tutta la vostra -divozione alla causa parigina per rimanere, incomodato come siete, -alla testa delle armate; tanta perseveranza produce in noi sincera -ammirazione. - -«Che volete, signori miei? bisogna pure (e voi due ne siete un -esempio, voi sì prodi e zelanti, a cui il mio caro collega duca di -Beaufort è debitore della libertà e fors’anco della vita) bisogna -pure sacrificarsi alle pubbliche faccende. E perciò, lo vedete, io mi -sacrifico. Bensì vi confesso che ho esaurita tutta la mia forza. Il -cuore è buono, buona è la testa, ma questa podagra briccona mi ammazza, -e non vi nego che se la corte rendesse paghe le mie domande, d’altronde -giustissime, poichè non chiedo se non una indennizzazione promessami -dall’antico ministro stesso quando mi fu tolto il mio principato di -Sedan, se mi si dessero dominj del medesimo valore; se mi si risarcisse -del non godimento di quella mia proprietà dacchè mi fu tolta, cioè da -diciotto anni, se a quelli della mia casa si accordasse il titolo di -principi; se il mio fratello di Turenne fosse rimesso in possesso del -suo comando; mi ritirerei immediatamente nelle mie terre, e lascerei la -corte ed il Parlamento aggiustarsi fra loro come meglio potessero. - -«Ed avreste ragione, monsignore, rispose Athos. - -«Voi pensate così; non è vero, signor conte di la Fère? - -«Assolutamente. - -«E anche voi, signor cavaliere d’Herblay. - -«Pienissimamente. - -«Or bene, vi confesso, che secondo ogni probabilità, mi appiglierò a -questo partito. Nel momento appunto la corte mi fa alcune proposte, e -da me solo dipende l’accettarle. Le avevo rigettate finora, ma poichè -uomini della vostra fatta mi dicono che ho torto, e specialmente -giacchè questa maladetta gotta mi mette nell’impossibilità di giovare -alla causa parigina, affè! ho voglia di seguitare il vostro consiglio e -accogliere la proposta avanzatami dal signor di Chatillon. - -«Accettatela, principe, disse Aramis. - -«Oh sì! anzi mi dispiace di averla quasi sprezzata questa sera.... ma -domani v’è conferenza e vedremo». - -I due amici riverirono il duca. - -«Andate, signori, questi continuò, dovete essere stanchi dal viaggio. -Povero re Carlo! ma in sostanza egli ne ha un po’ di colpa, e ciò che -deve consolarci si è che la Francia non ha da farsi alcun rimprovero in -questa occasione, ed ha fatto tutto quanto ella poteva per salvarlo. - -«Oh! di questo siamo noi testimoni, replicò Aramis, particolarmente il -signor di Mazzarino!.... - -«Ecco, io ho caro che gli facciate una tale testimonianza; in fondo ha -del buono, il ministro, e se non fosse forestiero, gli si renderebbe -giustizia.... Ahi! gotta maladettissima!» - -Athos ed Aramis uscirono, ma le grida del signor di Bouillon li -accompagnarono sino nell’anticamera; era evidente ch’ei soffriva come -un dannato. - -Aramis arrivato al portone domandò: - -«Ebbene, Athos, che ne pensate? - -«Di che? - -«Per diana! del signor di Bouillon. - -«Caro mio, quel che ne pensa il _triolet_ della nostra guida: - - Ce pauvre monsieur de Bouillon - Est incommodé de le goutte.... - -«E perciò, fece Aramis, vedete che non gli ho aperto bocca sull’oggetto -che qui ci conduceva. - -«E avete operato con prudenza; gli avreste mosso un nuovo attacco di -podagra. Si vada dal signor di Beaufort». - -E i due amici si avviarono al palazzo di Vendome. - -Suonavano le dieci quando essi vi giungevano. - -Il palazzo di Vendome era custodito non meno, e presentava un aspetto -non meno guerresco di quello di Bouillon. V’erano sentinelle, corpo di -guardie nel cortile, armi e fasci, cavalli sellati legati agli anelli. -Due cavalieri, ch’escivano allorchè Athos ed Aramis entravano dovettero -far fare un passo indietro ai loro palafreni acciò questi passassero. - -«Ah ah! signori, disse Aramis, ma l’è assolutamente la nottata -degl’incontri, e dichiaro che avremmo grande sfortuna se dopo -di esserci incontrati così spesso, stassera, non pervenissimo ad -incontrarci domani. - -«Oh! in quanto a codesto, rispose Chatillon (ch’era egli insieme con -Flamarens partito allora da casa di Beaufort) potete star quieto; se -c’incontriamo di notte senza cercarci, tanto più c’incontreremo di -giorno cercandoci. - -«Lo spero, fece Aramis. - -«Ed io ne son sicuro, ribattè il duca». - -Di Flamarens e di Chatillon proseguirono la lor via, e Athos ed Aramis -anzi smontarono. - -Avevano appena infilate le briglie dei loro cavalli alle braccia dei -lacchè, e si erano sbarazzati dei ferrajuoli, che a loro avvicinossi -un tale, e guardatili un momento al dubbio lume di un lanternino appeso -in mezzo al cortile diè un grido di sorpresa, e corse a gettarsi fra le -loro braccia. - -«Conte di la Fère! urlò colui, cavaliere d’Herblay! come mai siete in -Parigi? - -«Rochefort! dissero insieme ambedue. - -«Sì, di certo! Siamo giunti dal Vendomese or sono quattro o cinque -giorni, e ci accingiamo a dar da fare ben bene al Mazzarino. Siete -sempre dei nostri, mi figuro? - -«Più che mai. E il duca? - -«È indemoniato contro il ministro. Vi sono noti i successi del -nostro caro duca? È il vero re di Parigi; non può andar fuori senza -arrischiare di esser soffocato. - -«Ah! tanto meglio; disse Aramis, ma ditemi, non sono i signori di -Flamarens e di Chatillon quelli usciti poc’anzi di qui? - -«Giusto! hanno avuto udienza dal duca; vengono da parte del Mazzarino, -senza dubbio, ma avranno trovato a chi parlare, ve lo garantisco. - -«Manco male, rispose Athos; e non si potrebbe aver l’onore di vedere -Sua Altezza? - -«E perchè no? subito! sapete che per voi è sempre visibile. Venite con -me, io reclamo il bene di presentarvi». - -Rochefort andò avanti. Furono aperte tutte le porte: a lui ed ai -due amici. Trovarono essi il signor di Beaufort sul punto di porsi -a tavola. Le mille occupazioni della giornata avevano ritardata sino -allora la sua cena; ma per quanto fosse grave la circostanza, il duca -ebbe appena uditi i nomi annunziatigli da Rochefort, che si alzò dalla -sedia che precisamente accostava alla mensa, ed avanzatosi con impeto -incontro ai due colleghi disse loro: - -«Ah per bacco! ben venuti, signori miei. Siete qua a prender parte -alla mia cena, non è così? Boisjoli, avvertite Noirmont che ho due -commensali. Lo conoscete, Noirmont, eh signori? è il mio maestro di -casa, il successore di Mastro Marteau, che fa gli ottimi pasticci a voi -noti. Boisjoli, di’ che ne mandi uno fatto da lui, ma non del genere di -quello che aveva preparato per la Ramée.... Grazie a Dio! non abbiamo -più bisogno di scale, di funi o di pugnali. - -«Monsignore, rispose Athos, non istate a disturbare per noi il vostro -illustre maggiordomo, del quale ci sono cogniti i molti e svariati -talenti. Questa sera, con licenza di Vostra Altezza, avremo soltanto -l’onore di domandarle nuove di sua salute e ricevere i di lei comandi. - -«Oh! per la salute, ottima. Una salute che ha resistito a cinque annate -di Bastiglia con la compagnia obbligata di messer di Chavigny, è capace -di tutto. Per comandi, cospetto! vi confesso che sarei in un grande -impiccio per conferirveli, sendo che ciascuno dà i suoi dal canto suo, -e se si va avanti così io finirò con non darne più affatto. - -«Davvero? disse Athos, eppure credevo che il Parlamento contasse sopra -la vostra unione. - -«Oh sì! la nostra unione è bella, veh! Con il duca di Bouillon, tanto -tanto.... ha la podagra e non si leva dal letto, v’è da intendersi; -ma col signor d’Elboeuf e i suoi figliuoli che son tanti elefanti.... -Signori miei, sapete il componimento (_triolet_) sopra il duca -d’Elboeuf? - -«No monsignore. - -«Propriamente?» - -Il duca si mise a cantare: - - Monsieur d’Elboeuf et ses enfants - Faut rage à la place Royale. - Il vont tous quatre piaffants, - Monsieur d’Elboeuf et ses enfants. - Mai sitot qui il faut battre aux champs, - Adieu leur humeur martiale, - Monsieur d’Elboeuf et ses enfants - Font rage à la place Royale. - -«Ma, soggiunse Athos, spero non sia così del Coadjutore. - -«Eh sì! con il Coadjutore è anche peggio. Invece di starsene fermo -a cantare i _Te Deum_ per le vittorie che noi non riportiamo, o per -quelle in cui siamo sconfitti, sapete che cosa fa? - -«No. - -«Mette su un reggimento al quale dà il suo nome: il reggimento di -Corinto. Fa luogotenenti e capitani nè più nè meno che un maresciallo -di Francia, e colonnelli quanti ne fa il re. - -«Sì, replicò Aramis, ma quando bisogna battersi mi lusingo che stia -attaccato al suo arcivescovado? - -«Niente affatto! Ecco dove sbagliate, mio caro d’Herblay. Allorchè è -d’uopo battersi, si batte, talmentechè siccome la morte di suo zio gli -ha dato un seggio nel Parlamento, adesso ce lo troviamo di continuo -fra’ piedi, al Parlamento, al consiglio e nelle battaglie. Il principe -di Conti è generale in pittura.... e che pittura! un principe gobbo, -gli è come dire un sacco di noci. Ah! vanno male le faccende, signori -miei, vanno male! - -«Sicchè, monsignore, Vostra Altezza è scontenta? fece Athos e barattava -un’occhiata con Aramis. - -«Scontenta? Dite pure, conte, che la mia Altezza è per le furie, a -segno che io dico a voi, ad altri non lo manifesterei, a segno che -se la regina riconoscesse i torti che ha meco, se richiamasse mia -madre esule, se mi desse in sopravvivenza l’ammiragliato ch’è del mio -signor padre e che mi è promesso per l’epoca della sua morte, ebbene! -non sarei lontano da avvezzare dei cani a cui insegnerei ad accennare -che vi sono ancora in Francia ladroni più grandi che il signor di -Mazzarino». - -Non più uno sguardo solo, ma sguardo e sorriso, si ricambiarono Athos -et Aramis, ed ancorchè non gli avessero incontrati avrebbero indovinato -essere stata colà di Chatillon e di Flamarens. E quindi non fecero -motto della presenza in Parigi di Mazzarino. - -«Monsignore, disse Athos, noi siamo soddisfatti. Venendo a quest’ora da -Vostra Altezza, non avevamo altro scopo se non se di dar prova della -nostra devozione e dichiararle che stavamo a sua disposizione come i -suoi servitori più fedeli. - -«Come i miei più fidi amici, signori cari; me lo avete già dimostrato, -e se mai mi riconcilio con la corte, spero provarvi ch’io pure -sono rimasto amico vostro come di quei signori.... come diavolo li -chiamate?.... d’Artagnan e Porthos. - -«D’Artagnan e Porthos? - -«Ah! sì.... appunto così.... Dunque m’intendete, conte di la Fère, -m’intendete, cavaliere d’Herblay: tutto e per sempre vostro». - -Athos ed Aramis fecero una riverenza e se ne andarono. - -«Caro Athos, disse Aramis, credo, Dio mi perdoni, che abbiate aderito -ad accompagnarmi solamente per darmi una lezione. - -«Aspettate, rispose l’altro, sarete a tempo ad accorgervene quando -usciremo dal Coadjutore. - -«Dunque andiamo all’arcivescovado». - -E si diressero verso la Città-Vecchia. - -Partendo di là trovarono le strade allagate, e dovettero prendere -una barchetta. Erano più dell’undici ore, ma si sapeva non esservi -ora prefissa per presentarsi dal Coadjutore, la di cui somma attività -faceva all’occorrenza di giorno notte, e di notte giorno. - -Il palazzo arcivescovile sorgeva di fondo all’acqua, e dal numero di -battelli legati intorno a questo, vi sareste creduti, non in Parigi -ma a Venezia. Quei battelli andavano su e giù, incrociandosi in -ogni senso, inoltrandosi nel labirinto delle vie di Città-Vecchia, -o allontanandosi nella direzione dell’arsenale o dell’argine di S. -Vittorio, ed allora nuotavano come in un lago. Alcuni erano misteriosi -e tenuti in gran silenzio, altri illuminati e clamorosi. I due camerati -si cacciarono tra quella quantità di schifi ed approdarono essi pure. - -Tutto il pian terreno dell’arcivescovado era inondato, ma si erano -adattate ai muri certe specie di scale, e tutto il cambiamento -resultato dall’allagamento si riduceva ad entrare dalle finestre -anzichè dalle porte. - -Ed in tal guisa Athos ed Aramis penetrarono nell’anticamera, la quale -era piena di lacchè, perchè una dozzina di signori stavano ad aspettare -nella sala d’ingresso, - -«Ehi! fece Aramis, ma vedete un poco, Athos: questo sciocco Coadjutore -vuol egli aver il piacere dì farci fare anticamera? - -«Amico mio, rispose Athos, le genti vanno prese con tutti -gl’inconvenienti della loro situazione. Oggi egli è uno dei sette o -otto re che regnano in Parigi, ed ha una corte. - -«Sì, ma noi non siam mica cortigiani. - -«E perciò gli faremo dare i nostri nomi, e se nel riceverli non dà una -risposta convenevole, lo lasceremo occupato negli affari della Francia -e ne’ suoi. Non v’è altro che chiamare un servitore e mettergli in mano -mezza doppia. - -«Oh! appunto.... esclamò Aramis.... non m’inganno.... sì.... no.... ma -certo!.... Bazin, venite qua, furfante!» - -Bazin, che precisamente passava in aria maestosa, si voltò inarcando -le ciglia a guardare chi fosse l’impertinente che lo chiamava in -simil maniera. Ma non sì tosto ebbe ravvisato Aramis, il tigre diventò -agnello, ed accostatosi ai due gentiluomini disse: - -«Che! siete voi, signor cavaliere! voi, signor conte! tutti due qui -nel momento ch’eravamo tanto inquieti per voi!.... Oh! ho pur caro di -rivedervi! - -«Va bene, messer Bazin, disse Aramis, da banda i complimenti. Veniamo -per parlare al signor Coadjutore, ma abbiamo tal fretta che ci -necessita parlargli subito. - -«E come! subito, davvero.... non si fanno già attendere signori della -vostra specie.... ma soltanto adesso gli è in conferenza segreta con un -certo signor di Bruy. - -«Di Bruy! gridarono insieme i due colleghi. - -«Sì, l’ho annunziato io stesso, e mi ricordo esattamente il suo nome. -Lo conoscete? soggiungeva Bazin interrogando Aramis. - -«Mi pare di conoscerlo. - -«Io non posso dire altrettanto, giacchè era sì bene inviluppato nel -ferrajuolo, che per quanto io mi sia ostinato non ho potuto scorgergli -la minima parte del viso. Ma ora entrerò per annunziarvi, e forse -questa volta sarò più fortunato. - -«È inutile, disse Aramis; per questa sera rinunziamo a vedere il signor -Coadjutore: non è vero, Athos? - -«Come volete, rispose il conte. - -«Sì sì, ha da trattare di affari troppo grandi col signor di Bruy. - -«E lo devo avvisare che le signorie vostre erano venute? - -«Non occorre, no, fece Aramis; Athos andiamo». - -I due amici, passando in mezzo alla turba di servidori, si partirono -dal palazzo seguiti da Bazin che dava indizio della loro importanza -mediante i suoi ossequiosi saluti. - -«Or bene, chiese Athos ad Aramis quando furono entrambi nella barca, -cominciate a credere che avremmo fatta una trista burla a tutti coloro -arrestando Mazzarino? - -«Athos mio, siete la saggezza in carne ed ossa», replicò Aramis. - -Ciò che maggiormente avea prodotto impressione ne’ due camerati, -sì era il poco peso che davasi nella corte di Francia ai terribili -avvenimenti, i quali aveano avuto luogo in Inghilterra, e che a loro -sembravano meritevoli di occupare l’attenzione di tutta Europa. - -Di fatti, tranne una misera vedova ed una regia orfanella, che -piangevano in un canto del Louvre, pareva che nessuno sapesse come -fosse estinto un re, Carlo I, e questo re fosso morto di recente sul -patibolo. - -I due compagni si erano fissato l’appuntamento per la mattina seguente -a dieci ore, giacchè quantunque fosse notte molto avanzata quando -giungevano alla porta del palazzo, Aramis, adducendo aver da fare -parecchie visite, aveva lasciato Athos solo. - -Al tocco delle dieci della domane si erano riuniti. Athos era fuori -anch’esso fino dalle sei. - -«Avete avuta qualche notizia? domandò Athos. - -«Nessuna; d’Artagnan non si è visto in verun luogo, e Porthos non è -ancora comparso. E da voi? - -«Niente. - -«Diamine! - -«Realmente, continuò Athos, questo ritardo non è naturale; hanno presa -la strada più diretta, e in conseguenza avrebbero dovuto arrivare prima -di noi. - -«Aggiungete, osservò Aramis, che d’Artagnan ci è ben noto per la -prontezza del suo operare, e non è uomo da aver perduto un’ora sapendo -che lo attendiamo. - -«Se ve ne rammentate, si proponeva di esser qui al 5 di questo mese. - -«E siamo al 9. Scade stasera il termine stabilito. - -«Che avete idea di fare? chiese Athos, se questa sera non abbiamo nuove? - -«Per Bacco! darci a cercarlo. - -«Bene! - -«Ma Raolo?...» seguitò Aramis. - -Sulla fronte del conte passò un piccolo nuvolo. - -«Raolo, egli disse, mi dà molta inquietudine; jeri ricevè un messaggio -dal signor Principe, andò a trovarlo a Saint-Cloud, e non è tornato. - -«Non avete veduta madama di Chevreuse? - -«Non era in casa. E voi, Aramis, se non isbaglio, dovevate recarvi -dalla signora di Longueville. - -«Ci sono stato. - -«Ebbene? - -«Nemmeno essa era in casa, ma almeno aveva lasciato l’indirizzo della -sua nuova dimora. - -«Dov’era? - -«Indovinate, ve lo do fra mille. - -«Come ho da indovinare dov’è a mezzanotte, perchè mi figuro che nel -dividervi da me vi siate presentato alla sua abitazione, dov’è a -mezzanotte la più bella ed attiva di tutte le dame della Fronda? - -«Al palazzo comunitativo, caro mio! - -«Che! è ella forse nominata a prevosto dei mercanti? - -«No, ma si è fatta regina provvisoria di Parigi, e non avendo ardito di -primo botto andare a stabilirsi al Palazzo Reale o alle Tuileries, si è -accomodata al Palazzo dalla Comunità, dove darà quanto prima un erede o -maschio o femmina al carissimo duca. - -«Non mi avevate dato parte di questa circostanza, disse Athos. - -«Davvero! sarà stata mia dimenticanza: scusatemi. - -«Adesso, chiese Athos, che faremo di qui a stasera? siamo in ozio, se -non m’inganno. - -«Vi scordate che abbiamo la bisogna bell’e pronta? - -«Dove? - -«Dalla parte di Charenton, cospettaccio! ho speranza, dietro la -promessa avutane, d’incontrare colà un certo di Chatillon che aborrisco -da gran tempo. - -«E perchè? - -«Perchè è fratello di un tal signore di Coligny. - -«Ah sì? non ci pensavo.... il quale pretese l’onore di essere vostro -rivale. Fu assai crudelmente punito di tanta audacia, mio caro, e -dovrebbe già bastarvi. - -«Sarà, ma che volete? a me non basta.... son uno di quelli che serbano -rancore.... Del resto, intendete che non siete minimamente obbligato a -tenermi compagnia. - -«Eh via! fece Athos, voi scherzate! - -«Allora poi, se siete deciso ad accompagnarmi, non v’è tempo da -perdere. È battuto il tamburo, ho incontrato i cannoni che partivano, -ho veduto i borghesi schierarsi in battaglia sulla piazza della -Comunità; di certo fra poco vi sarà combattimento verso Charenton, -conforme jeri ci disse il duca di Chatillon. - -«Avrei creduto, seguitò Athos, che le conferenze della scorsa notte -avessero variato d’alquanto codeste bellicose intenzioni. - -«Sì, ma non ostante vi sarà zuffa, quando appunto non fosse che per -meglio mascherare le conferenze stesse. - -«Povere genti, che vanno a farsi ammazzare perchè sia restituito -Sedan a Bouillon, perchè si dia in sopravvivenza l’ammiragliato a di -Beaufort, e perchè il Coadjutore sia cardinale! - -«Animo, animo, Athos! convenite che non sareste tanto filosofo, se non -dovesse trovarsi mischiato Raolo a tutto quel parapiglia. - -«Può essere che abbiate detto il vero, rispose Athos. - -«Or dunque, si vada dov’è battaglia, continuò Aramis, è il mezzo certo -di ritrovare d’Artagnan, Porthos, e chi sa? anco Raolo. - -«Ahimè! - -«Amico mio, disse Aramis, adesso che siamo a Parigi, credete a me, vi -convien perdere codesta abitudine di sospirar sempre. Alla guerra! -cospettone, alla guerra! Non siete più uomo da spada?... eh eh! -guardate que’ bei borghesi che passano! è roba da dar animo, per Diana! -E quel capitano, vedete mo’, ha un portamento quasi militare! - -«Escono dalla via del Montone. - -«Preceduti da’ tamburi, come veri soldati.... Oh! osservate quel -briccone! come si tentenna e si archeggia sui fianchi! - -«Uh! fece Grimaud. - -«Che c’è, domandò Athos. - -«Planchet, signor mio! - -«Jeri tenente, disse Aramis, oggi capitano, domani senza dubbio -colonnello, fra otto giorni il manigoldo sarà generale di Francia. - -«Domandiamogli qualche notizia», propose Athos. - -E i due amici si appressarono a Planchet, il quale più superbo che mai -di esser veduto in funzione, si degnò di spiegare ai due gentiluomini -qualmente aveva ordine di prendere posizione sulla Piazza Reale con -duecento uomini formanti la retroguardia dell’esercito parigino, e di -là avviarsi inverso Charenton quando occorresse. - -Siccome Athos ed Aramis andavano dalla stessa parte, così fecero scorta -a Planchet sino al suo posto. - -Planchet fe’ manovrare abilmente i suoi uomini sulla Piazza Reale, e -li schierò dietro una lunga fila di borghesi situata nella strada e nel -sobborgo di Sant’Antonio, attendendo il segnale della pugna. - -«Sarà calda la giornata! disse Planchet in tuono guerriero. - -«Sì, fece Aramis, ma è lontano di qua il nemico. - -«Signore, si abbrevierà la distanza, rispose un capodieci». - -Aramis lo salutò, e voltosi ad Athos lo avvertì: - -«Non ho genio ad accamparmi in Piazza Reale con tutte quelle genti. -Volete che andiamo avanti? vedremo meglio le cose. - -«E poi qui non verrebbe già a cercarvi il signor di Chatillon, non è -così? Dunque si vada innanzi, mio caro. - -«Non avete dal canto vostro da dire due paroline al signor di Flamarens? - -«Amico, replicò Athos, io ho presa una risoluzione, cioè di non più -sguainare il brando se non ci sono assolutamente costretto. - -«E da quando in qua? - -«Da che levai fuori il pugnale. - -«Oh bella! un altra rimembranza di messer Mordaunt? Eh, mio caro, non -vi mancherebbe più altro che di provar rimorso di aver ucciso colui! - -«Zitto! disse Athos ponendosi un dito sulla bocca con quel mesto -sorriso ch’era proprio di lui solo, non discorriamo più di Mordaunt, ci -porterebbe disgrazia». - -E diè di sprone verso Charenton, rasentando il sobborgo, e poi la valle -di Fécamp tutta piena di borghesi armati. - -Già s’intende che Aramis lo seguitava a mezza lunghezza del cavallo. - - - - -LXXXII. - -_Combattimento di Charenton._ - - -A misura che Athos ed Aramis si avanzavano, e con ciò oltrepassavano -i diversi corpi schierati sulla strada, vedevano usberghi forbiti e -risplendenti succedere alle armi rugginose, e moschetti ben lucidi alle -variopinte partigiane. - -«Mi pare che sia qui il vero campo di battaglia; disse Aramis, vedete -quel corpo di cavalleria che sta davanti al ponte con le pistole in -pugno? Ehi, badate! ecco che arrivano i cannoni. - -«Ma, mio caro, rispose Athos, dove ci avete condotti? mi sembra di -vedere intorno a noi figure di uffiziali dell’armata reale. Non è il -signor di Chatillon in persona quello che viene innanzi co’ suoi due -brigadieri?» - -Così parlando, mise mano alla spada, mentre l’amico, credendo infatti -di avere oltrepassati i limiti del campo parigino, dava di piglio alla -sacchetta delle pistole. - -«Buon giorno, signori, disse il duca avvicinatosi, mi accorgo che nulla -intendete di quanto succede, ma in due parole io ve lo spiegherò. Per -il momento siamo in tregua, v’è conferenza; il signor Principe, il -signor di Retz, il signor di Beaufort e il signor di Bouillon, stanno -attualmente conversando di politica. Ora dunque, una delle due: o -le faccende non si aggiusteranno, e noi, cavaliere, ci ritroveremo: -o si aggiustano, e siccome io sarò disbrigato dal mio comando, ci -ritroveremo anche allora. - -«Signor mio, rispose Aramis, voi discorrete a meraviglia. Sicchè, -permettetemi di farvi una domanda. - -«Fate pure. - -«Dove sono i plenipotenziarj? - -«A Charenton stesso, nella seconda casa a man dritta venendo dalla -parte di Parigi. - -«E la conferenza non era preveduta? - -«No: par che sia il resultato di nuove proposte fatte jer sera dal -signor di Mazzarino ai Parigini». - -Athos ed Aramis si guardarono ridendo: sapevano meglio di chiunque -quali fossero quelle proposte, a chi erano state avanzate, e da chi. - -«E la casa dove sono i plenipotenziarj, chiese Athos, appartiene?... - -«Al signor di Chanleu, che comanda le vostre truppe a Charenton. Dico -vostre truppe, perchè mi figuro che voi, signori, siate della _Fronda_. - -«Eh! all’incirca, disse Aramis. - -«Come, all’incirca? - -«Eh! voi lo sapete meglio di chicchessia: in questo tempo non si può -dire precisamente che cosa uno è. - -«Noi siamo per il re e pei signori principi, conchiuse Athos. - -«Bisogna però che c’intendiamo: soggiunse Chatillon, il re è con noi, -ed ha per generalissimi i signori d’Orleans e di Condé. - -«Sì, replicò Athos, ma il suo posto è nelle nostre file con i signori -di Conti, di Beaufort, d’Elboeuf e di Bouillon. - -«Può darsi, ribattè Chatillon, ed è noto che per conto mio ho -pochissima simpatia pel signor di Mazzarino: anzi i miei interessi sono -in Parigi: ho colà una lite da cui dipende tutta la mia fortuna, e come -mi vedete esco da consultare il mio avvocato. - -«A Parigi? - -«No, a Charenton: messer Viole, che voi conoscete di nome; un uomo -eccellente, un po’ ostinato, ma non è mica del Parlamento per nulla. -Avevo idea d’incontrarlo jeri sera, ed il nostro incontro m’impedì -di occuparmi de’ miei affari, e siccome gli affari in sostanza vanno -fatti, ho profittato della tregua, ed ecco in che modo mi trovo in -mezzo a voi altri. - -«Dunque messer Viole dà udienza e pareri all’aria aperta? fece ridendo -Aramis. - -«Signor sì, ed anche a cavallo. Per oggi comanda cinquecento -pistolieri, ed io per onorarlo gli ho fatto visita accompagnato da -questi due pezzi di cannone, alla testa dei quali mi siete sembrati -tanto attoniti di vedermi. Sul principio, lo confesso, non lo -ravvisavo; ha una lunga spada sulla toga e le pistole alla cintola, il -che gli dà un’aria formidabile, che vi divertirebbe se aveste la sorte -d’incontrarlo. - -«Se è tanto curioso di aspetto, si può prendersi l’incomodo di cercarlo -espressamente, disse Aramis. - -«Converrebbe che vi sollecitaste, perchè le conferenze non possono -durar più molto. - -«E se si sciolgono senza alcun resultato, domandò Athos, tenterete di -prendere Charenton? - -«Tale è l’ordine che ho ricevuto; ho il comando delle truppe di -attacco, e farò meglio che possa onde riuscire. - -«Signore, seguitò Athos, poichè comandate la cavalleria.... - -«Con licenza, la comando in capo. - -«Anco meglio! dovete conoscere tutti i vostri uffiziali; intendo già -quelli di distinzione. - -«Eh sì, a un di presso. - -«Abbiate allora la bontà di dirmi se avete sotto i vostri ordini il -signor cavaliere d’Artagnan, tenente nei moschettieri. - -«Signor no, non è con noi; da sei settimane ha abbandonato Parigi, e -dicesi che sia per una missione in Inghilterra. - -«Lo sapevo, ma lo credevo tornato. - -«No, e non so che alcuno lo abbia riveduto. Io posso tanto più -rispondervi su questo proposito in quanto che i moschettieri sono dei -nostri, ed il signor di Cambon tiene provvisoriamente il posto del -signor d’Artagnan». - -I due amici si guardarono. - -«Vedete? disse Athos. - -«È singolare! fece Aramis. - -«Bisogna che sia loro accaduta qualche disgrazia per viaggio! - -«Oggi ne abbiamo 9 del mese, e questa sera spira il termine fissato. Se -stassera non ne abbiamo notizie, domattina partiremo». - -Athos fe’ con la testa un cenno affermativo, e indi continuò: - -«E il signor di Bragelonne, un giovinetto di quindici anni, addetto -al signor Principe... (e provava il massimo imbarazzo dimostrando così -allo scettico Aramis le sue paterne inquietezze).... ha egli l’onore di -esservi noto, signor duca? - -«Sicuramente, replicò Chatillon, ci è giunto questa mane col signor -Principe. Amabilissimo giovane! È vostro amico, signor conte? - -«Sì signore, rispose Athos dolcemente commosso, a tal segno che avrei -desiderio di vederlo. Sarebbe ciò possibile? - -«Possibilissimo: favorite meco, e vi guiderò al quartier generale. - -«Olà! gridò volgendosi Aramis, dietro di noi è grande strepito, se non -isbaglio. - -«Realmente ci viene incontro un corpo di uomini a cavallo. - -«Riconosco il Coadjutore dal suo cappello a uso _Fronda_. - -«Ed io il signor di Beaufort dalle penne bianche. - -«Corrono di galoppo. È con loro il signor Principe.... Oh! ecco che li -lascia. - -«È battuta la chiamata! esclamò Chatillon, la sentite? bisogna -informarci». - -Veramente si scorgevano i soldati correre alle armi, i cavalieri -ch’erano in piedi saltar di nuovo in sella, suonavano le trombe, -battevano i tamburi. Il signor di Beaufort cavò fuori la spada. - -Il signor Principe dal canto suo fece un segno di riunione, e tutti gli -ufficiali dell’esercito reale mescolatisi momentaneamente alle truppe -parigine corsero verso di lui. - -«Signori, disse Chatillon, è evidente ch’è rotta la tregua; è per -cominciare la battaglia; dunque rientrate in Charenton, perchè io tra -poco darò l’attacco. Ecco il segnale che mi dà il signor Principe». - -Diffatti un alfiero alzava in aria per tre volte la bandiera del -principe. - -«A rivederci, signor cavaliere! gridò Chatillon». - -E si partì di galoppo a raggiungere la sua scorta. - -Athos ed Aramis voltarono la briglia e si fecero a riverire il -Coadjutore e il signor di Beaufort. In quanto a di Bouillon, esso aveva -avuto verso la fine della conferenza un attacco di podagra sì terribile -che fu riportato a Parigi in una lettiga. - -Al contrario, il duca d’Elboeuf circondato dai suoi quattro figli come -da uno stato maggiore, percorreva le file dell’armata parigina. - -In quel frattempo, fra Charenton e l’esercito reale si formava un lungo -spazio bianco che sembrava si preparasse a servire di ultimo letto ai -cadaveri. - -«Quel Mazzarino è una vera vergogna per la Francia! disse il Coadjutore -stringendosi il cinturino della spada, che portava alla moda degli -antichi prelati militari sulla zimarra arcivescovile, è un gaglioffo -che vorrebbe governare la Francia come una fattoria; e perciò la -Francia non può sperare tranquillità se non quando egli ne sia uscito. - -«Pare che non sieno andati d’accordo sul colore dal cappello, borbottò -Aramis». - -Nel momento il signor di Beaufort alzò in aria la spada. - -«Signori, ei disse; abbiamo messa in moto una diplomazia inutile; -volevamo sbarazzarci di quel gaglioffo di Mazzarino, ma la regina che -n’è incapriccita intende assolutamente conservarselo per ministro: -talchè non ci resta più che una risorsa, cioè di batterlo in modo -congruo e adattato. - -«Bene! fece il Coadjutore, ecco la solita eloquenza del signor di -Beaufort! - -«Fortunatamente, soggiunse Aramis, corregge gli errori di lingua ed i -pleonasmi con la punta della spada. - -«Uhm! replicò il Coadjutore con disprezzo, vi giuro che in tutta questa -guerra è molto meschino». - -E sguainò anch’esso il ferro, dicendo: - -«Signori, ecco il nemico che ci viene incontro; spero gli risparmieremo -mezza strada». - -E si partì senza curarsi di essere o no seguitato. Il suo reggimento, -che portava il nome di reggimento di Corinto, dal nome del suo -arcivescovado, si mosse dietro di lui, e incominciò la zuffa. - -Di Beaufort dal canto suo lanciava la sua cavalleria sotto la direzione -del signor di Noirmoutiers, inverso Estampes, ove doveva trovare -un convoglio di vettovaglie aspettato con ansietà dai Parigini. Di -Beaufort si accingeva a sostenerlo. - -Di Chanleu che comandava la piazza se ne stava col più forte delle sue -truppe, pronto a resistere all’assalto, ed anche in caso che il nemico -fosse respinto, a tentare una sortita. - -A capo a mezz’ora era principiato il combattimento su tutti i punti. - -Il Coadjutore, inasprito dalla fama di coraggioso di che godeva di -Beaufort, si era scagliato innanzi e faceva in persona prodigi di -valore. La sua vocazione, conforme sappiamo, era per la spada, ed -egli andava contento ogni qual volta poteva trarla dal fodero, senza -badare al perchè. Ma in quella circostanza, se aveva adempiuto bene al -suo mestiere di soldato, aveva fatto malamente quello di colonnello. -Con sette o otto cento uomini era ito ad urtarne tremila, i quali -poi messi tutti in un mucchio riconducevano indietro i soldati del -Coadjutore che giunsero alle mura nel massimo scompiglio. Però il fuoco -dell’artiglieria di Chanleu fermò di botto l’armata reale, che per un -istante sembrò avvilita. Ciò per altro fu di poca durata, ed essa andò -a formarsi di nuovo a tergo a un gruppo di case ed a un picciol bosco. - -Chanleu stimò giunto il momento; corse alla testa di due reggimenti -per inseguire il regio esercito. Questo, bensì, come accennammo, si era -ricomposto e riedeva alla carica, guidato dal signore di Chatillon. Fu -così aspra e ben diretta la carica, che Chanleu ed i suoi si trovarono -pressochè attorniati. Chanleu ordinò la ritirata, la quale principiò ad -effettuarsi. Per disgrazia egli cadde ferito mortalmente. - -Di Chatillon lo vide piombare a terra, ed annunziò ad alta voce quella -morte, che accrebbe il coraggio della regia armata e demoralizzò -appieno i due reggimenti con cui Chanleu aveva fatta la sortita. In -conseguenza ciascuno pensò alla propria salvezza, e più non si occupò -di altro che di arrivare ai trinceramenti appiè dei quali il Coadjutore -tentava di rimettere a sesto il suo reggimento sconquassato. - -Ad un tratto uno squadrone di cavalleria venne ad incontrare i -vincitori, ch’entravano confusi e misti coi fuggiaschi nelle trincee. -Athos ed Aramis agirono, quegli col brando nel fodero e la pistola -nelle saccoccie, e questi con la pistola e il brando in pugno. Athos -era quieto e freddo come alla parata, se non che il bello e nobile -suo sguardo si attristava nel vedere uccidersi scambievolmente tanti -uomini sacrificati per un lato dalla regia ostinazione e per l’altro -dal rancore dei principi; Aramis all’opposto ammazzava, e s’inebbriava -poco a poco secondo la sua abitudine; gli occhi vivaci gli diventavano -infuocati; la bocca di un taglio sì delicato sorrideva in modo tetro; -le narici mezzo aperte traevano a sè l’odore del sangue; ogni suo colpo -coglieva a segno, ed il pomo della sua pistola accoppava e rifiniva il -ferito che avesso sperato di rialzarsi. - -Dall’altra parte, e nelle file dell’esercito reale, due cavalieri, uno -con l’usbergo dorato, l’altro con una semplice pelle di bufalo da cui -uscivano le maniche di un giustacuore di velluto turchino, tiravano nel -primo rango. Colui dall’usbergo indorato venne ad urtare Aramis e gli -diè una stoccata, che da questo fu parata con la sua ordinaria abilità. - -«Ah! siete voi, signor di Chatillon! fece il sopraggiunto; siate ben -venuto, vi attendevo. - -«Spero non avervi fatto aspettare di troppo, rispose il duca; in tutti -i casi, eccomi qua. - -«Signor di Chatillon, disse Aramis cavando fuori una seconda pistola -riserbatasi per quella occasione, credo che se la vostra arme è -scarica, siete bell’e morto. - -«Grazie a Dio, non è così!» - -E il dura levata in su l’arme, l’assegnò e fece fuoco. Però Aramis -abbassò la testa nell’atto in cui vide Chatillon pigiare il dito sui -grilletto, e la palla gli passò di sopra senza toccarlo. - -«Oh! avete fallito! gridò Aramis, ma io giuro a Dio di non fallire. - -«Se vi do tempo! urlò il signor di Chatillon dando di sprone e -balzandogli addosso, alto il ferro». - -Aramis lo attendeva con quel sorriso terribile che di lui era proprio -in simili occasioni; e Athos che mirava il duca avanzarsi verso -d’Herblay con la prontezza del lampo apriva bocca onde strillare: -«Tirate! tirate!» quando partì la botta, e Chatillon slargate le -braccia, si gittò supino sulla groppa del cavallo. - -Gli era entrata la palla nel petto dallo scavo della corazza. - -«Sono morto! balbettò il duca». - -E sdrucciolò di sul cavallo al suolo. - -«Signore, ve lo avevo detto, e ora mi duole di aver tanto bene -mantenuta la mia parola. Posso esservi utile in qualche cosa?» - -Chatillon fe’ un gesto con la mano, ed Aramis si apprestava a smontare, -ma ad un tratto ricevè un colpo fortissimo in un fianco. - -Era una stoccata; l’usbergo però bastò a pararla. - -Egli si volse con impeto, afferrò col pugno quel nuovo antagonista... -ed ecco due grida mandate in un momento medesimo, uno da lui, uno da -Athos: - -«Raolo! - -«Raolo!» - -Il giovinetto riconobbe ad un tempo e il volto del cavaliere d’Herblay -e la voce di suo padre, e lasciò andarsi il ferro di mano. - -Parecchi cavalieri dell’armata parigina si slanciavano sopra Raolo: -Aramis lo coperse col suo brando. - -«Prigioniero mio! esclamò, passate al largo!» - -Athos frattanto prendeva per la briglia il palafreno di suo figlio e lo -traeva fuor della mischia. - -In quell’atto, il signor Principe, il quale sosteneva Chatillon in -seconda linea, comparve in mezzo alla zuffa: fu visto a folgoreggiare -il suo occhio da aquila, fu riconosciuto dalle botte che dava. - -Al suo aspetto, il reggimento dell’arcivescovo di Corinto, cui il -Coadjutore per quanti sforzi tentasse non era valso a riordinare, si -scagliò fra le truppe parigine, atterrò tutto, e rientrò fuggendo in -Charenton, e lo percorse per intero senza mai fermarsi. Il Coadjutore -da quello trascinato ripassò presso al gruppo formato da Athos, Aramis -e Raolo. - -«Ah ah! disse Aramis, che nella sua gelosia non poteva a meno di -rallegrarsi dello scacco provato dal Coadjutore, monsignore, voi dovete -conoscere quel che si legge.... - -«E che ha da fare quel che si legge.... con quel che ora mi avviene? - -«Che oggi il signor Principe vi tratta molto bene, per quanto veggo. - -«Animo, animo! fece Athos, ma non bisogna aspettar qua le cerimonie. -Avanti! avanti!.... o piuttosto indietro! giacchè la battaglia mi pare -perduta per quei della _Fronda_. - -«Poco m’importa! rispose Aramis, io non ero venuto se non per -incontrare il signor di Chatillon; l’ho trovato, e sono contento. Un -duello con un Chatillon! è cosa che fa onore! - -«E di più un prigioniero! soggiunse Athos additando Raolo». - -E i tre a cavallo seguitarono il viaggio di galoppo. - -Il giovanetto aveva palpitato di gioja ritrovando suo padre. Andavano -l’uno accanto dell’altro, con la mano sinistra di Raolo nella destra di -Athos. - -Allorchè furono lontani dal campo di battaglia, il conte di la Fère -domandò al garzoncello: - -«Che andavate a fare, mio caro, tanto innanzi nella mischia? Non era -quello il vostro posto, mi sembra, non essendo armato di meglio per il -combattimento. - -«E realmente non dovevo battermi in quest’oggi. Ero incaricato di una -missione per il ministro, e partivo per Rueil, quando vedendo il signor -di Chatillon che caricava, mi è venuto voglia d’imitarlo ponendomi -al di lui fianco. Allora ei mi disse che due cavalieri dell’armata -parigina mi cercavano, e mi nominò il conte di la Fère. - -«Come! sapevate che eravamo qua, e vi disponevate ad uccidere il vostro -amico, il cavaliere? - -«Non lo avevo ravvisato sotto l’armatura, replicò Raolo ed arrossiva, e -sì, avrei dovuto riconoscerlo dalla sua destrezza e dal sangue freddo. - -«Grazie del complimento, mio giovane amico, disse Aramis, e ben si -distingue da chi riceveste lezione di cortesia.... Ma dicevate che -andate a Rueil? - -«Sì. - -«Dal ministro? - -«Certo: ho un dispaccio del signor Principe per Sua Eccellenza. - -«Bisogna portarlo, fece Athos. - -«Oh! per questo, un momento; non si usino generosità inopportune, conte -mio. Che diamine! la nostra sorte, e forse quella dei nostri amici, sta -riposta in quel dispaccio. - -«Ma Raolo non deve mancare all’obbligo suo, obbiettò Athos. - -«In primo luogo egli è prigioniero, ve ne scordate? Dunque ciò che noi -facciamo sta nel diritto di buona guerra. E poi i vinti non debbono -essere schizzinosi su la scelta dei mezzi. Date qua il plico, Raolo». - -Raolo esitava guardando Athos come per cercare nei di lui occhi una -norma alla sua condotta. - -«Date il piego; confermò Athos, voi siete prigioniero del cavaliere -d’Herblay». - -Il giovanetto cedè con ripugnanza. Aramis però, meno scrupoloso che -il conte di la Fère, pigliò premurosamente il dispaccio, lo lesse, e -restituendolo ad Athos gli disse: - -«Voi che siete buon credente, leggete e vedrete, riflettendovi, in -questa lettera qualche cosa che dalla Provvidenza si giudica importante -di porre a nostra cognizione». - -Athos pigliò la lettera inarcando le ciglia; ma l’idea che in essa si -trattasse di d’Artagnan lo ajutò a superare il disgusto che provava a -percorrerla. - -Ed ecco quel che v’era scritto: - - «Monsignore. - - «Io manderò questa sera a Vostra Eccellenza, ad oggetto di - rinforzare le truppe del signor di Comminges, i dieci uomini - ch’ella mi richiede. Sono buoni soldati, atti a tenere a dovere i - due fieri avversari di cui Vostra Eccellenza teme l’abilità e la - risolutezza». - -«Oh oh! disse Athos. - -«Eh? domando Aramis, che ve ne pare di due avversarj, per custodire i -quali bisognano dieci buoni soldati, oltre la truppa di Comminges? Non -somigliano per l’appunto a d’Artagnan e Porthos? - -«Batteremo Parigi tutto il giorno, rispose Athos, e se stassera non -abbiamo notizie, riprenderemo il nostro cammino per la Piccardia, ed -io, mercè l’immaginazione di d’Artagnan, garantisco che non tarderemo a -trovare qualche indicazione da toglierci tutti i nostri dubbi. - -«Si ricerchi dunque per tutta Parigi, ed informiamoci specialmente da -Planchet se abbia udito a parlare del suo antico padrone. - -«Povero Planchet! dite presto, voi! senza dubbio oramai è trucidato; -saranno usciti tutti quei bellicosi borghesi, e ne sarà stato fatto un -macello». - -Essendo ciò assai probabile, fu grande l’inquietezza con la quale i -due amici rientrarono in Parigi dalla porta del tempio, e si diressero -verso la piazza reale, ove speravano aver nuove di quei poveri -borghesi; ma fu anche maggiore il loro stupore quando li ritrovarono -occupati a bere e celiare, essi ed il loro capitano, sempre accampati -in piazza reale, e pianti certamente dalle rispettive famiglie che -udivano lo strepito del cannone di Charenton e li supponevano in mezzo -al fuoco. - -Athos ed Aramis domandarono da capo a Planchet; questi però nulla aveva -saputo di d’Artagnan. Volevano condurlo via seco, ed egli dichiarò non -poter lasciare il suo posto senza ordine superiore. - -Soltanto alle cinque ore tornarono a casa dicendo che venivano dalla -battaglia; non avevano perduto di vista il cavallo di bronzo di Luigi -XIII. - -«Corpo di una bomba! disse Planchet rientrando nella sua bottega -della via dei Lombardi; siamo stati sconfitti addirittura! non me ne -consolerò mai!...» - - - - -LXXXIII. - -_La strada della Piccardia._ - - -Athos ed Aramis, in piena sicurezza a Parigi, non nascondevano già a sè -stessi che appena mettessero il piede fuori andrebbero esposti ai più -gravi pericoli; ma noi sappiamo che cosa sia la questione del periglio, -per simili soggetti. D’altronde essi sentivano che si avvicinava lo -scioglimento di quella seconda Odissea, e non v’era da darvi, come suol -dirsi, altro che l’ultima mano. - -Del rimanente, Parigi non era mica quieto; cominciavano a mancare -i viveri, e secondo che qualcuno dei generali del signor Principe -di Conti aveva d’uopo di riassumere la sua influenza, sollevava una -piccola sommossa, la quale egli stesso indi veniva a calmare, e che per -un momento gli dava la superiorità sui suoi colleghi. - -In una di quelle sommosse il signor di Beaufort aveva fatto porre a -sacco la casa e la biblioteca del signor di Mazzarino, onde dare, così -egli diceva, qualche cosa da rosicare al povero popolo. - -Athos ed Aramis abbandonarono la capitale dopo quel colpo di Stato, che -aveva avuto luogo alla sera del giorno medesimo in cui i Parigini erano -stati battuti a Charenton. - -Ambedue lasciavano Parigi nella miseria, e vicinissimo alla fame, ed -agitato dal timore e straziato dalle fazioni. Parigini e Frondisti si -aspettavano di trovare ugual miseria, pari paure, consimili intrighi, -nel campo nemico. Furono dunque molto sorpresi allorchè nei passare -a San Dionigi seppero che a San Germano tutti ridevano, cantavano e -campavano allegramente. - -I due gentiluomini si avviarono per strade indirette, prima di tutto -per non cadere nelle mani dei _Mazzarini_ sparsi nell’isola di Francia, -indi per isfuggire ai _Frondisti_ che ingombravano la Normandia, e che -non avrebbero mancato di condurli dal signor Longueville acciò questi -li riconoscesse come amici o come nemici. Sottratti che si furono a -quei due rischi, ripigliarono la strada di Boulogne ad Abbeville e la -seguitarono passo a passo tutta quanta. - -Stettero però un poco indecisi; due o tre locande si erano visitate, ed -altrettanti locandieri interrogati, senza che verun indizio schiarisse -i loro dubbi o guidasse le loro indagini, quando però a Montreuil -Athos sentì sulla tavola qualche cosa di rozzo al tatto delle sue -dita delicate. Alzò la tovaglia e lesse sul legno questi geroglifici -intagliati profondamente con la lama di un coltello: - - Port... d’Art... 2 febbrajo. - -«Ottimamente, disse Athos mostrando l’iscrizione ad Aramis; volevamo -pernottar qui, ma gli è inutile, si vada più oltre». - -Montarono a cavallo ed arrivarono ad Abbeville. - -Ivi si fermarono assai perplessi a motivo della grande quantità di -alberghi; a tutti non si poteva andare, e come indovinare in quale -fossero stati alloggiati coloro che si cercavano? - -«Date retta a me, Athos, suggerì Aramis, non pensiamo a trovar nulla in -Abbeville. Se noi siamo nell’imbarazzo, vi sono stati anche i nostri -amici. Se fosse stato solo Porthos, sarebbe ito ad alloggiare nella -più magnifica locanda, e noi facendocela indicare saremmo sicuri di -rinvenire le traccie del suo passaggio; ma d’Artagnan non ha tali -debolezze: invano Porthos gli avrà fatto osservare che moriva di fame, -egli avrà proseguito il cammino, inesorabile quanto il destino, e noi -dobbiamo ricercarlo altrove». - -Continuarono adunque il viaggio, ma nulla si presentò; era impresa -delle più ardue, e specialmente fastidiosa, quella assuntasi da Athos -ed Aramis, e senza il triplice movente dell’onore, dell’amicizia e -della riconoscenza, fisso nell’animo loro, essi avrebbero rinunziato -mille volte a frugare tra l’arena, a interrogare i viandanti, a -commentare i segni, ad osservare i volti. - -Andarono così fino a Peronne. - -Athos principiava a disperare. Quest’uomo nobile e interessante, faceva -a sè rimprovero dell’oscurità in che si trovavano egli ed Aramis: o -non avevano cercato bene, o non avevano usata insistenza abbastanza -nel domandare, o sufficiente accortezza nello investigare. Erano -pronti a tornarsene indietro; ed ecco che traversando il sobborgo -che guidava alle porte della città, sopra un muro bianco, formante -l’angolo di una strada che girava attorno al bastione, venne fatto ad -Athos di adocchiare un disegno eseguito con la pietra nera, il quale -rappresentava con la semplicità delle prime prove di un fanciulletto -che adopri la matita, due cavalieri correndo come frenetici, ed uno di -questi tenendo in mano un cartellone ove era scritto in ispagnuolo: - - _Siamo seguitati._ - -«Oh oh! disse Athos, questa è chiara: d’Artagnan, quantunque inseguito, -si sarà fermato qua cinque minuti; d’altronde ciò prova che non era -inseguito molto da vicino, e forse gli sarà riuscito di fuggire». - -Aramis tentennava il capo: - -«Se fosse fuggito, lo avremmo riveduto, o almeno inteso discorrere di -lui. - -«Avete ragione, replicò Athos, continuiamo». - -Sarebbe impossibile esprimere l’inquietudine e l’impazienza dei due -gentiluomini: l’inquietudine era pel cuore tenero ed amichevole di -Athos, l’impazienza per la mente facile a sconcertarsi di Aramis. -Sicchè entrambi galopparono per tre o quattro ore, tanto da frenetici -quanto i due cavalieri dipinti sul muro. Ad un tratto, in una gola -ristretta fra la scarpa di due muraglie, videro la strada mezzo chiusa -da una pietra enorme; era accennato di questa il posto primitivo -sur un lato della scarpa, e il vuoto che vi aveva lasciato mediante -l’estrazione, provava che non poteva esser caduta di per sè sola, -mentre il suo peso dimostrava che a farla muovere era abbisognato il -braccio di un Encelado o di un Briareo. - -Aramis si ristette a guardare la pietra. - -«Oh! disse, qui v’è dell’Ajace di Telamone o del Porthos. Scendiamo, -conte, e si esamini questo masso». - -Andarono tutti e due abbasso. La pietra era stata portata col -chiarissimo scopo di chiudere la strada ai cavalieri; dunque era stata -collocata da prima per traverso; poscia avendo incontrato in essa un -ostacolo, erano smontati e l’avevano tolta dal posto. - -I due amici esaminarono il sasso da tutti i lati esposti alla luce; -esso non offeriva niente di straordinario. Chiamarono Blaisois e -Grimaud, e tutti e quattro insieme pervennero a rivoltare il masso: sul -lato che toccava a terra era scritto: - - «C’inseguono otto cavalleggieri. Se arriviamo sino a Compiegne, ci - tratterremo al _Pavone coronato_; l’oste è amico nostro». - -«Ecco qualcosa di positivo, disse Athos, ed in un caso o nell’altro -sapremo come regolarci; andiamo al _Pavone_. - -«Sì, ribattè Aramis, ma se vogliamo giungere sin là, diamo un po’ di -riposo ai nostri cavalli; in verità, sono quasi attrappati». - -Ed Aramis non diceva mica bugia. Si fermarono alla prima frasca; fecero -inghiottire ad ogni palafreno doppia dose di avena bagnata nel vino; -dettero a questi tre ore di quiete, e si avviarono da capo. Anche gli -uomini erano oppressi da stanchezza, ma li reggeva la speranza. - -Sei ore dopo, Athos ed Aramis entravano in Compiegne, e ricercavano del -_Pavone Coronato_. Fu loro additata un’insegna che rappresentava il dio -Pane con una corona in testa[15]. - -I due gentiluomini scesero di sella, senza punto por mente alla -pretensione letteraria della mostra, che in tutt’altro tempo Aramis -avrebbe criticata rigorosamente. Trovarono un locandiere bonaccio, -calvo e panciuto come un idolo chinese, a cui domandarono se avesse -dato alloggio per più o meno spazio di tempo a due gentiluomini -inseguiti dai cavalleggieri. L’oste, senza rispondere, andò a pigliare -da un baule una mezza lama di draghinassa, e disse: - -«Conoscete questa roba?» - -Athos non fece altro che dare un’occhiata alla lama. - -E disse: - -«È la spada di d’Artagnan. - -«Del grande o del piccolo? chiese il trattore. - -«Del piccolo. - -«Ora vedo che siete loro amico. - -«Ebbene! ad essi ch’è accaduto? - -«Che sono entrati nel mio cortile coi cavalli attrappati, e avanti che -avessero tempo di richiudere il portone, sono capitati dopo di loro -otto cavalleggieri che gl’inseguivano. - -«Otto! fece Aramis, ma mi maraviglio che d’Artagnan e Porthos, due -prodi di quella fatta, si siano lasciati arrestare da otto uomini. - -«Certamente, mio signore, e coloro non vi sarebbero riusciti, se -non avessero raccolto per la città una ventina di soldati del reale -italiano in guarnigione in questa piazza, talmente che i vostri due -amici sono stati, come si può dire alla lettera, oppressi dal numero. - -«Arrestati! fece Athos, e si sa egli perchè? - -«No signore; sono stati condotti via subito, e non hanno avuto campo a -dirmi nulla; soltanto, quando sono partiti, io ho trovato questo pezzo -di spada sul campo di battaglia nell’ajutare a levar di terra due morti -e cinque o sei feriti. - -«E a loro, domandò Aramis, non è avvenuto niente? - -«No, non crederei. - -«Orsù! è sempre una consolazione, seguitò Aramis. - -«E sapete dove siano stati condotti? chiese Athos. - -«Dalla parte di Louvres. - -«Lasciamo qui Blaisois e Grimaud, propose Athos, torneranno domani -a Parigi coi cavalli che oggi ci lascerebbero a mezza via, e noi -prendiamo la posta. - -«Prendiamo la posta», approvò Aramis. - -Si mandarono a cercare i cavalli. In quel frattempo i due amici -pranzarono in fretta; volevano, qualora rinvenissero a Louvres qualche -schiarimento, poter continuare il loro viaggio. - -Giunsero a Louvres. Non v’era un albergo. Vi si beveva un liquore che -ha conservato anche ai nostri giorni la sua riputazione, e che già vi -si faceva in quell’epoca. - -«Smontiamo qui, disse Athos, d’Artagnan non avrà perduta questa -occasione, non di bere un bicchierino, ma di prepararci qualche -indizio». - -Entrarono in una bottega e chiesero due bicchierini di rosolio, sul -banco, ritti, come dovevano aver fatto d’Artagnan e Porthos. Il banco -era coperto da una piastra di stagno. Su questa era scritto con la -punta di un grosso spillo: - - Rueil, D. - -«Sono a Rueil! esclamò Aramis, vista ch’ebbe l’iscrizione. - -«Andiamoci! disse Athos. - -«È quanto correre in bocca al lupo. - -«Se fossi stato amico di Giona, come lo sono di d’Artagnan, rispose -Athos, sarei ito con lui anco nel ventre della balena; e voi, Aramis, -fareste lo stesso. - -«In coscienza, caro conte, credo che mi supponiate migliore di quel -ch’io sono. Se fossi solo, non so se andrei così a Rueil senza grandi -precauzioni; ma con voi ci vado». - -Ed ambedue partirono insieme. - -Athos, senza immaginarselo, aveva dato ad Aramis il miglior consiglio -possibile. I deputati del Parlamento erano appena giunti a Rueil per -le famose conferenze che dovevano durare tre settimane e portare -a quella pace zoppa, in seguito della quale il signor Principe fu -arrestato. Rueil trovavasi piena per parte de’ Parigini, di avvocati, -presidenti, consiglieri, togati d’ogni sorta; e per parte della -corte, di gentiluomini, uffiziali e guardie: quindi era facile fra -tanta confusione restare incogniti quanto si bramasse. D’altronde le -conferenze avevano recata una tregua, ed arrestare in quel momento due -gentiluomini, ancorchè addetti alla _Fronda_, era portare offesa al -diritto delle genti. - -I due amici credevano che tutti fossero occupati dal pensiero che -tormentava loro. Si mischiarono fra le comitive ed i capannelli, nella -speranza di sentir dire qualche cosa di d’Artagnan e di Porthos, ma -ciascuno discorreva soltanto di articoli e _ammendamenti_. - -Athos opinava di andare direttamente dal ministro. - -«Mio caro, obbiettò Aramis, voi dite benissimo, ma badate! la nostra -sicurezza proviene dalla nostra oscurità. Se ci facciamo conoscere in -un modo o nell’altro, andremo immediatamente a raggiungere i nostri -amici in qualche carbonaja, d’onde non ci caverà nè anche il diavolo. -Procuriamo di non ritrovarli per combinazione, ma bensì a volontà -nostra. Arrestati a Compiegne, sono stati condotti a Rueil, conforme -ce ne siamo accertati a Louvres; condotti a Rueil sono stati esaminati -dal ministro, che dopo l’interrogatorio li ha ritenuti presso di sè -o mandati a San Germano. Alla Bastiglia essi non sono positivamente, -poichè la Bastiglia è dei _frondisti_, e vi comanda il figlio di -Broussel; non sono morti, perchè la morte di d’Artagnan farebbe -strepito. Porthos, io lo credo eterno. Non disperiamo, aspettiamo e -rimaniamo a Rueil, mentre io sono convinto che vi siano. Ma che avete, -impallidite? - -«Ho, rispose Athos, e gli tremava la voce, che mi ricordo che nel -castello di Rueil il signor Richelieu aveva fatto fabbricare una famosa -prigione perpetua!... - -«Ah! state quieto, disse Aramis, il signor di Richelieu era un -gentiluomo uguale a tutti noi per nascita e superiore per situazione; -poteva, come un re, toccare i più grandi di noi sulla testa, e -toccandoci farci vacillare la testa sulle spalle. Ma il signor di -Mazzarino è un birbante, che può tutto al più pigliarci per il collo -alla guisa di un birro. State tranquillo, amico mio; io insisto a -sostenere che d’Artagnan e Porthos sono a Rueil vivi vivissimi. - -«Non serve! replicò Athos, ci sarebbe necessario ottenere dal -Coadjutore di prender parte alle conferenze, e così entreremmo in -Rueil. - -«Con tutti quei brutti togati! Vi pare, mio caro? e vi pensate che -vi si discuta nemmeno su la libertà o la prigionia di d’Artagnan e -Porthos? No, io sono di sentimento che cerchiamo qualche altro mezzo. - -«Ebbene! riprese Athos, io ritorno al mio primo pensiero; non conosco -miglior mezzo che operare franco e lealmente. Andrò a trovare, non -Mazzarino, ma la regina, e le dirò: Signora, restituiteci i vostri due -servi, nostri amici!» - -Aramis scosse il capo e rispose: - -«È l’ultima risorsa, di cui sarete sempre in facoltà di far uso; -ma date retta a me; non ve ne prevalete se non agli estremi; sarà -sempre tempo di ridurci a quel punto. Intanto si proseguano le nostre -indagini». - -E le continuarono e pigliarono tante informazioni, e con mille -ingegnosi pretesti fecero parlare tante persone, che terminarono col -trovare uno dei cavalleggieri, il quale confessò loro essere stato -della scorta che aveva condotti d’Artagnan e Porthos da Compiegne -a Rueil. Senza i cavalleggieri neppure si sarebbe saputo ch’erano -entrati. - -Athos tornava in sempiterno alla sua idea di vedere la regina. - -«Per veder la regina, diceva Aramis, bisogna vedere il ministro, ed -appena avrem veduto il ministro, ricordatevi di quel che vi dico, -saremo riuniti ai nostri amici, ma non nel modo che intendiamo noi. E -quel modo, ve lo dichiaro, mi va poco a genio. Si operi in libertà per -operare bene e presto. - -«Voglio parlare alla regina, ripetè Athos. - -«Ebbene! se siete deciso a far questa pazzia, avvertitemi un giorno -innanzi, ve ne prego. - -«E perchè? - -«Perchè profitterò della circostanza per andare a fare una visita a -Parigi. - -«A chi? - -«E che so io? forse anche a madama di Longueville. Essa è colà -onnipotente e mi ajuterà. Soltanto fatemi avvisare da qualcuno se siete -arrestato, in tal caso io mi rigirerò alla meglio. - -«Perchè non vi arrischiate meco all’arresto, Aramis? - -«No, grazie! - -«Arrestati in quattro e riuniti, credo che nulla più avventuriamo. A -capo a ventiquattro ore siamo tutti fuori. - -«Mio caro, dacchè ho ucciso Chatillon, l’idolo delle dame di S. -Germano, ho troppo splendore attorno per non temere doppiamente la -prigione. La regina sarebbe capace di seguitare i consigli di Mazzarino -in quest’occasione, ed il consiglio ch’ei le darebbe sarebbe di -mettermi sotto processo. - -«Ma vi pensate, Aramis, ch’ella ami quell’italiano a tal segno come -tutti dicono? - -«Amava pure un inglese! - -«Eh amico mio! è donna! - -«No, Athos, è regina! - -«Basta! io mi sacrifico, e vo a chiedere udienza ad Anna. - -«Addio, Athos, io vado a mettere su una armata. - -«Per che fare? - -«Per ritornare ad assediar Rueil. - -«Dove ci ritroveremo? - -«Appiè della forca del ministro». - -I due amici si separarono, Aramis per trasferirsi di nuovo a Parigi, -Athos per aprirsi mediante qualche tentativo preparatorio la via sino -presso alla regina. - - - - -LXXXIV. - -_La riconoscenza della regina Anna._ - - -Athos incontrò minor difficoltà che non si credesse a penetrare presso -ad Anna; anzi, al primo passo tentato tutto riuscì semplicissimo, -e l’udienza che bramava gli fu accordata per l’indomani dopo il -ricevimento della mattina a cui gli dava diritto di assistere la sua -nascita. - -Riempieva gli appartamenti di San Germano grandissima moltitudine: Anna -non aveva mai avuto al Louvre, o al Palazzo Reale, un maggior numero -di cortigiani. Soltanto erasi fatto un movimento tra quella folla che -apparteneva alla nobiltà secondaria, mentre tutti i primi gentiluomini -di Francia stavano attorno al signor di Conti, al signor di Beaufort ed -al Coadjutore. - -Del resto regnava un gran brio in quella corte. Il carattere -particolare di quella guerra si fu che v’ebbero più strofette composte -che cannonate tirate. La corte metteva in canzone i Parigini, i quali -mettevano lei pure in canzone, e le ferite, sebbene non mortali, erano -assai dolorose, fatte come erano con l’arme del ridicolo. - -Però, in mezzo alla generale ilarità ed alla frivolezza apparente, -tra tutti quei pensieri esisteva una seria preoccupazione. Mazzarino -rimarrebbe poi ministro o favorito, oppure Mazzarino venuto dal -mezzogiorno come un nuvolo, se ne andrebbe trasportato dal vento che -portato lo aveva? Ognuno lo sperava, ognuno lo desiderava, talmente -che il ministro sentiva che tutti gli omaggi, tutte le lusinghe -cortigianesche ricoprivano una gran dose di odio mal celata sotto il -timore e l’interesse; ei si trovava imbarazzato, senza sapere su chi -far conto nè su chi appoggiarsi. - -Il signor Principe stesso che combatteva per lui non si lasciava -mai fuggire un’occasione o di schernirlo o di umiliarlo; ed avendo -voluto Mazzarino per due o tre volte davanti al vincitore di Rocroy -esternare qualche sua volontà imperiosa, questi lo aveva guardato in -maniera da dargli a comprendere che se lo difendeva ciò non era già per -convinzione nè per entusiasmo. - -Allora il ministro si rivolgeva verso la regina, unico suo sostegno; ma -due o tre volte gli era sembrato sentirsi vacillare quel sostegno sotto -la mano. - -Arrivata l’ora dell’udienza fu annunziato al conte di la Fère che -questa avrebbe luogo, ma gli conveniva attendere alquanto, avendo la -sovrana da tener consiglio col ministro. - -E ciò era vero. Parigi aveva mandata appunto una nuova deputazione, la -quale doveva procurare di dar finalmente un certo giro agli affari, -ed Anna si consultava con Mazzarino sulla accoglienza da farsi ai -deputati. - -Grande occupazione di mente avevano tutti gli alti personaggi dello -Stato. Athos non poteva quindi scegliere peggior momento per parlare -de’ suoi amici, poveri atomi perduti in quel turbine scatenatosi. - -Athos però era un uomo inflessibile, che non si ritraeva da una -decisione presa allorchè questa gli pareva emanata dalla sua coscienza -e dettata dal suo dovere. Insistè onde essere introdotto, dicendo -che quantunque non fosse deputato, nè di Conti, nè di Beaufort, nè -di Bouillon, nè di d’Elboeuf, nè del Coadjutore, nè di madama di -Longueville, nè del signor Broussel, nè del Parlamento, e venisse per -suo proprio conto, aveva pur non ostante le cose più importanti da dire -a Sua Maestà. - -Finita la conferenza, la regina lo fece chiamare nel suo gabinetto. - -Athos fu introdotto e diede il suo nome. Era un nome che troppe volte -aveva risuonato alle orecchie di Sua Maestà, ed anche nel suo cuore, -perchè ella non lo riconoscesse; bensì essa rimase impassibile, -contentandosi di guardare il gentiluomo in quel modo fisso, che non è -lecito se non se alle donne regine o per bellezza o per rango. - -«Sicchè vi offrite a renderci un servigio, conte, domandò Anna dopo -breve silenzio. - -«Sì signora, un altro servigio», rispose Athos un poco urtato che la -sovrana non mostrasse ricordarsi di lui. - -Athos aveva un cuor grande, e quindi era un meschino cortigiano. - -La regina inarcò le ciglia. Mazzarino che, seduto davanti a un tavolino -sfogliava alcune carte come avrebbe potuto fare un semplice segretario -di Stato, alzò il capo. - -«Parlate», disse Anna. - -Mazzarino si rimise a scartabellare i fogli. - -«Signora, rispose Athos, due amici nostri, due dei più intrepidi -servi di Vostra Maestà, i signori d’Artagnan e du Vallon, mandati in -Inghilterra dal signor ministro, sono spariti tutto ad un tratto nel -punto in cui ponevano il piede sul suolo di Francia, nè si sa che sia -di loro. - -«Ebbene? - -«Ebbene; io mi rivolgo alla benevoglienza di Vostra Maestà per sapere -che sia, dei due gentiluomini, riservandomi, ove poi faccia d’uopo, di -ricorrere alla di lei giustizia. - -«Signore, disse Anna con quell’alterezza che dirimpetto a certi uomini -diventava impertinenza, e per questo ci disturbate fra i gravi pensieri -che ci agitano? per un affare di polizia! Eh! vi è noto, o noto vi -dev’essere, che non abbiamo più polizia dacchè non siamo più a Parigi. - -«Io credo, replicò Athos inchinandosi rispettosamente, che Vostra -Maestà non avrebbe bisogno di informarsi dalla polizia per conoscere -ciò che sia stato di d’Artagnan e du Vallon; e che se si compiacesse -interrogare il signor ministro, esso potrebbe risponderle su tal -proposito senza consultare altro che le proprie rimembranze. - -«Ma Dio mi perdoni! disse Anna con quello sdegnoso moto delle labbra -che era a lei particolare, mi pare che interroghiate voi stesso! - -«Sì signora, e quasi ne ho diritto, poichè si tratta di d’Artagnan; di -d’Artagnan, m’intendete?» - -E ciò proferiva Athos in tal guisa da curvare sotto le ricordanze della -donna la fronte della regina. - -Mazzarino capì esser tempo di ajutare la sovrana. - -«Signor conte, egli disse, consentirò io a parteciparvi una cosa -ignota a Sua Maestà, cioè quel che fu fatto dei due gentiluomini. Hanno -disobbedito, e sono in arresto. - -«Supplico adunque la Maestà Vostra, soggiunse Athos sempre impassibile -e senza replicare a Mazzarino, di sciogliere l’arresto dei signori -d’Artagnan e du Vallon. - -«Quel che mi domandate è affare di disciplina, e non si spetta a me, -fece la regina. - -«Non rispose mai così d’Artagnan quando si trattò di servire Vostra -Maestà». - -E Athos avendo dette queste parole, salutò sostenuto, e mosse due passi -indietro per avvicinarsi alla porta. - -Mazzarino lo trattenne. - -«Venite anche voi d’Inghilterra, signor mio, gli disse facendo un cenno -ad Anna, la quale impallidiva e si accingeva a dare un ordine rigoroso. - -«Ed ho assistito agli ultimi momenti del re Carlo I, ribattè -Athos; povero re! colpevole tutto al più di debolezza, e punito ben -severamente dai suoi sudditi, giacchè ormai sono fiacchi i troni, e -punto non giova ai cuori zelanti il servire agl’interessi dei principi. -Era la seconda volta che d’Artagnan si recava in Inghilterra: la prima -fu per l’onore di una grande regina; l’ultima per la vita di un gran -re. - -«Signore, così parlò Anna a Mazzarino con un accento da cui tutta -la sua abitudine a dissimulare non aveva potuto sbandire la vera -espressione; vedete se si potesse far nulla per i due gentiluomini. - -«Farò tutto quanto piaccia a Vostra Maestà, rispose il ministro. - -«Fate quel che richiede il signor conte di la Fére.... non vi chiamate -così, signore? - -«Ho anche un altro nome: mi chiamo Athos. - -«Maestà, fece Mazzarino con un sorriso che dimostrava con qual facilità -comprendeva da una mezza parola, potete star quieta, saranno adempiti i -vostri desiderj. - -«Avete inteso, signore? disse la regina. - -«Sì, e non mi aspettavo di meno dalla giustizia di Vostra Maestà.... -Sicchè rivedrò tosto i miei amici, non è vero? è questo quel che -intende Vostra Maestà? - -«Li rivedrete, sì.... Ma a proposito, siete della _Fronda_, voi? - -«Signora, servo il re. - -«Sì, a modo vostro. - -«Il mio modo è quello di tutti i veri gentiluomini, ed io non ne -conosco due, proferì Athos alteramente. - -«Andate, replicò la sovrana licenziandolo con un gesto; avete ottenuto -ciò che bramavate, e noi sappiamo quel che desideravamo di sapere». - -E quando Athos fu partito e calata la portiera, si volse così a -Mazzarino: - -«Fate arrestare quell’insolente gentiluomo innanzi ch’esca dal cortile. - -«Ci avevo pensato, fece Mazzarino, e mi è grato che Vostra Maestà mi -dia un ordine ch’ero appunto per richiederle. Questi smargiassi che -portano nell’epoca nostra le tradizioni dell’altro regno ci danno sommo -impaccio, e poichè ve ne sono digià due presi, aggiungiamoci il terzo». - -Athos non si era lasciato totalmente illudere dalla sovrana. Nella -di lei pronunzia esisteva qualche cosa che gli aveva prodotta molta -impressione, e che gli sembrava minacciasse mentre prometteva. Ma -egli non era uomo da allontanarsi per un mero sospetto, ed in ispecie -quando gli si era detto chiaro che in breve rivedrebbe gli amici. E -perciò attese in una delle stanze attigue al gabinetto dove aveva avuto -udienza che si conducessero a lui d’Artagnan e Porthos, o si venisse a -prenderlo per guidarlo da loro. - -In tale aspettativa si era accostato alla finestra, e macchinalmente -guardava nel cortile. Vide entrarvi la deputazione dei Parigini, che -veniva a regolare il luogo definitivo delle conferenze e a riverire la -regina. V’erano consiglieri al Parlamento, presidenti, avvocati, fra i -quali tratto tratto qualche uomo d’arme. Li attendeva fuor dei cancelli -una scorta imponente. - -Athos osservava con maggiore attenzione, imperocchè fra mezzo alla -moltitudine gli era sembrato di ravvisare qualcuno; ed eccolo sentirsi -a toccar lieve lieve la spalla. - -Si volse e disse: - -«Ah, signor di Comminges! - -«Sì, signor conte, son io, e incaricato di un’incombenza per la quale -vi prego di accettare le mie scuse. - -«E quale? - -«Conte, favorite consegnarmi la vostra spada». - -Athos sorrise. - -Aperse la finestra e gridò: - -«Aramis!» - -Si girò un gentiluomo; era quello che ad Athos era sembrato di -ravvisare. Salutò il conte amichevolmente. - -«Aramis! disse Athos, sono arrestato. - -«Bene, rispose con flemma Aramis. - -«Signore, seguitò Athos presentando civilmente il suo brando a -Comminges, ecco la mia spada: piacciavi custodirla bene onde rendermela -quando uscirò di prigione. Mi preme assai: fu data dal re Francesco -I al mio avolo. Nel tempo suo si armavano i gentiluomini, non si -disarmavano. Ed ora dove mi guidate? - -«Prima di tutto nella mia camera, fece Comminges, dipoi la regina -fisserà il luogo dell’ulteriore vostro domicilio». - -Athos andò appresso a Comminges senza aggiungere parola. - - - - -LXXXV. - -_Regia autorità di Mazzarino._ - - -L’arresto di Athos non aveva fatto strepito, non cagionata pubblicità, -ed anche era restato quasi ignoto. Così non aveva in verun modo -incagliato il corso degli avvenimenti, e la deputazione mandata dalla -città di Parigi fu avvertita solennemente che tosto comparirebbe -davanti alla sovrana. - -E la regina la ricevè, tacita e superba al suo solito; ascoltò le -lagnanze e le suppliche dei deputati, ma quando essi ebbero terminati i -loro discorsi, nessuno avrebbe potuto asserire ch’essa li avesse uditi, -tanto si manteneva al sembiante indifferente. - -In compenso di ciò, Mazzarino, presente all’udienza, capiva ottimamente -ciò che da loro chiedevasi: ed era la dimissione, il licenziamento di -lui in termini chiari e precisi, puramente e semplicemente. - -Ed ultimati i discorsi, e la sovrana mantenendosi mutola, Mazzarino -disse: - -«Signori, mi unirò a voi per pregare la regina di porre un termine ai -mali de’ suoi sudditi. Io ho fatto quanto ho potuto onde mitigarli, -eppure è pubblica credenza, secondo voi dite, che quelli provengano -da me, povero straniero a cui non è riuscito di dar nel genio ai -Francesi! Ahimè! non sono stato compreso, ed era naturale: succedevo -all’uomo il più sublime che ancora avesse sostenuto lo scettro dei -re di Francia. Le ricordanze del signor di Richelieu mi annientano. -Invano contrasterei con esse qualora fossi ambizioso; ma tale non -sono e voglio darne una prova. Mi do per vinto; farò ciò che chiede il -popolo. Se i Parigini hanno qualche torto, e chi v’è che non ne abbia? -Parigi è punita abbastanza; è stato sparso sangue assai, miseria assai -opprime una città privata del suo re e della giustizia. Non tocca a me, -semplice particolare, lo assumere tanta importanza da metter divisioni -fra una regina e il suo reame. Poichè esigete ch’io mi ritiri, or bene, -mi ritirerò. - -«Allora, disse Aramis all’orecchio al suo vicino, la pace è fatta e le -conferenze sono inutili. Non v’è altro che mandare sotto buona guardia -il signor Mazzarino alla frontiera più lontana, e sorvegliare acciò non -ritorni dentro nè da quella nè da altre. - -«Un momento, un momento! fece il togato al quale si era rivolto Aramis. -Capperi! come fate alla lesta! si vede che voi altri siete uomini -d’armi. V’è da mettere in pulito il capitolo delle ricompense e delle -indennizzazioni. - -«Signor cancelliere, disse la regina a quello stesso Seguier nostro -vecchio conoscente, voi aprirete le conferenze; queste avranno luogo -a Rueil. Il signor ministro ha dette cose che mi hanno commossa -moltissimo. Ecco perchè non vi rispondo più a lungo. Per quel che sia -di rimanere o partirsi, io ho troppa gratitudine pel ministro per non -lasciarlo su qualunque punto libero della sua volontà. Farà quel che -gli piaccia». - -Un momentaneo pallore tinse l’accorta faccia del primo ministro. Egli -guatò inquieto la regina. Ma la di lei faccia era tanto impassibile -ch’ei non poteva meglio degli altri discernervi i sensi che le si -racchiudevano in petto. - -«Ma, seguitò Anna, signor di Mazzarino, mentre si attende la decisione, -di grazia non si ragioni che del re». - -I deputati, fatto un inchino, se ne andarono. - -«E che! disse la sovrana quando tutti si furono tolti dalla stanza, -cedereste a quei togati, a quegli avvocati? - -«Per il bene di Vostra Maestà, rispose Mazzarino fissandola in viso -attentissimo, non v’è sacrifizio ch’io non sia pronto ad impormi». - -Anna abbassò la testa, e cadde in una di quelle meditazioni che le -erano tanto usuali. Le tornò in mente la ricordanza di Athos. Lo ardito -contegno del gentiluomo, la favella ferma e insieme dignitosa, le larve -che aveva invocate in una sola parola, le riproducevano allo spirito -un passato ricolmo di deliziosa poesia; la giovinezza, la beltà, -la vivacità degli amori di venti anni e i fieri contrasti de’ suoi -sostegni, e la sanguinosa fine di Buckingham, l’unico uomo che mai ella -avesse realmente amato, e l’eroismo degli oscuri suoi difensori che -salvata l’avevano dal duplice odio di Richelieu e del re. - -Mazzarino la guardava, ed ormai ch’ella si credeva sola e non aveva -più una folla di nemici intenta ad osservarla, ei seguitava ogni suo -pensamento sul suo volto, siccome veggonsi nei laghi trasparenti a -passare i nuvoli, riflessi del cielo ugualmente che i pensieri. - -«Sicchè, borbottava Anna, bisognerebbe cedere alla procella, comprar la -pace, ed attendere con pazienza e religiosamente migliori tempi?» - -Mazzarino sorrise amaramente a questa frase, che annunziava aver ella -presa sul serio la proposta del ministro. - -Anna teneva china la testa e non vide il sorriso; però dacchè non si -dava replica alla sua domanda, alzò la fronte e soggiunse: - -«Ebbene, non mi rispondete; che idea è la vostra? - -«La mia idea, signora, si è che l’insolente gentiluomo che abbiam -fatto arrestare da Comminges alludeva a Buckingham, cui lasciaste -assassinare, alla Chevreuse cui lasciaste esiliare, a Beaufort cui -faceste imprigionare; ma se alludeva a me, è perchè non sa ciò ch’io -sono per voi». - -Anna si scosse conforme soleva ogni qualvolta alcuno la batteva nel suo -orgoglio; arrossì, e per non rispondere, si cacciò le unghie appuntate -nelle bellissime mani. - -«È uomo di buon consiglio, d’onore e di spirito, senza contare ch’è -anche risoluto. Maestà, voi lo sapete, non è così? Io dunque voglio -dirgli, e in ciò gli fo particolarmente una grazia, in qual punto -l’abbia sbagliata a riguardo mio: ed è che veramente quella che mi vien -proposta è quasi un’abdicazione, ed un’abdicazione merita che vi si -rifletta. - -«Abdicazione! disse la regina, io mi credeva, signor mio, che i re -soltanto abdicassero. - -«Ebbene! e non son io quasi re, e re di Francia? Vi assicuro, signora, -che di notte la mia zimarra da ministro appiè di un regio letto -somiglia molto al manto di un re». - -Era questa una di quelle umiliazioni che Mazzarino faceva subire ad -Anna assai sovente, ed alle quali essa curvava il capo. Non vi furono -altre che Elisabetta e Caterina II, che restassero ad un tempo amanti e -regine pei loro amatori. - -Anna adunque considerò con una specie di terrore la fisonomia -minacciosa del ministro, che in tai momenti non era mancante di una -certa grandiosità. - -«Signore, ella replicò, non dissi io, e voi non udiste che io diceva a -coloro, che voi fareste ciò che vi piacerebbe? - -«In questo caso, mi pare che deve piacermi di restare: in ciò v’ha non -solo il vostro interesse, ma oso asserire anche la vostra salvezza. - -«Dunque restate, io non bramo altro; allora però, non mi lasciate -insultare. - -«Volete parlare delle pretensioni dei rivoltosi e del tuono con cui le -esprimono? pazienza! Hanno scelto un terreno sul quale io sono generale -più abile di loro, quello delle conferenze. Basterà a noi temporeggiare -per vincerli. Hanno digià fame, e peggio sarà fra otto giorni. - -«Eh mio Dio, lo so bene che finiremo così; ma non si tratta unicamente -di loro; non sono essi che mi dirigono le ingiurie per me più -offensive. - -»Ah! vi capisco; voi intendete accennare alle reminiscenze che vanno -eternamente richiamando quei tre o quattro gentiluomini. Noi per altro -li abbiamo prigionieri, e sono per l’appunto abbastanza rei perchè li -lasciamo detenuti quanto tempo ci convenga. Uno solo è ancora fuori del -nostro potere, e ci schernisce: ma che diavolo! arriveremo ad unirlo -a’ suoi compagni. Mi sembra che abbiamo fatte cose ben più difficili. -Prima di tutto, per precauzione, io ho fatto rinchiudere a Rueil, cioè -vicino a me, sotto a’ miei occhi, a portata della mia mano i due più -intrattabili. Ed oggi subito ve li raggiungerà il terzo. - -«Finchè saranno prigionieri, disse Anna, andrà benissimo, ma un giorno -usciranno. - -«Sì, qualora la Maestà Vostra li ponga in libertà. - -«Ah! continuò Anna rispondendo al proprio pensiero, qui si ha rammarico -di non essere a Parigi! - -«E perchè? - -«Per la Bastiglia, eh! è tanto forte e segreta. - -«Signora, con le conferenze abbiamo la pace, con la pace abbiamo -Parigi, con Parigi abbiamo la Bastiglia! e i quattro gradassi vi -marciranno». - -La regina aggrottò alquanto le ciglia, mentre Mazzarino le baciava la -mano per prendere da lei commiato. - -Il ministro uscì dopo questo atto mezzo umile e mezzo galante. Anna -lo seguitò cogli occhi, ed a misura ch’egli si allontanava si scorgeva -apparirle sul labbro un sorriso sdegnoso. - -«Ho disprezzato, mormorò essa, l’amore di un ministro che non diceva -mai — farò — ma bensì — ho fatto —. Quegli conosceva ricoveri più -sicuri che Rueil, più oscuri e silenziosi ancora che la Bastiglia.... -Oh, come degenera il mondo!...» - - - - -LXXXVI. - -_Precauzioni._ - - -Mazzarino, lasciata ch’ebbe la regina, si avviò a Rueil dov’era la sua -casa. Egli andava accompagnato, in quei tempi di turbolenze, e spesso -pure travestito. In abito da uomo da spada, noi già lo dicemmo, egli -era un bel gentiluomo. - -Nel cortile del vecchio castello salì in carrozza, e prese lungo -la Senna a Chatou. Il signor Principe gli aveva forniti cinquanta -cavalleggieri di scorta, non tanto per fargli guardia, come per -mostrare ai deputati quanto i generali della regina facilmente -disponevano delle lor truppe, e potevano spargerle qua e là a loro -capriccio. - -Athos, guardato a vista da Comminges, a cavallo e senza spada, seguiva -il ministro senza dir parola. Grimaud, lasciato dal padrone alla -porta del castello, aveva udito la nuova del suo arresto, quando Athos -l’aveva detta forte ad Aramis, e dietro a un cenno del conte era ito, -non proferendo un accento, a situarsi accanto ad Aramis quasi nulla -fosse accaduto. - -Vero si è che Grimaud da ventidue anni che serviva Athos, aveva veduto -questo cavarsi fuori da tante avventure, che di nulla si prendeva più -pensiero. - -I deputati, subito dopo la loro udienza, si erano nuovamente avviati -verso Parigi, il che è quanto dire che precedevano il ministro di un -cinquecento passi. Sicchè Athos poteva, guardandosi innanzi, veder di -schiena Aramis, di cui il cinturino indorato e il superbo portamento -richiamavano la sua attenzione in fra quella moltitudine al pari che -la lusinga di liberazione che in lui avevano riposta l’abitudine, la -frequentazione, e la specie di attrazioni risultanti, da qualunque -amicizia. - -Per lo contrario, Aramis non mostrava punto curarsi di essere o no -seguitato da Athos. Si girò una volta sola: vero egli è che ciò fu -all’arrivare al castello. Supponeva che Mazzarino lascierebbe forse là -il suo nuovo prigioniero nel piccolo forte, posto che faceva guardia -al ponte e governato da un capitano per la regina. Ma non fu così, ed -Athos passò Chatou egualmente che il ministro. - -Sulla crocevia della strada che va da Parigi a Rudi, Aramis si volse -indietro. Questa volta le sue previsioni non lo avevano ingannato: -Mazzarino pigliò a man destra, onde Aramis potè distinguere il -prigioniero sparire a tergo gli alberi. Nel medesimo istante, -Athos, mosso dallo stesso pensiero, girò pure il capo. I due amici -ricambiarono fra di loro un semplice cenno della testa, ed Aramis si -portò il dito al cappello come per salutare. Athos solo comprese che -l’amico gli accennava qualmente aveva un’idea. - -Dopo dieci minuti Mazzarino col suo sèguito entrava nel cortile del -castello che il ministro suo predecessore avevagli fatto apparecchiare -a Rueil. - -Nel momento in cui poneva piede a terra in fondo alla gradinata, gli si -appressò Comminges domandando: - -«Monsignore, dove piacerebbe a Vostra Eccellenza che dessimo alloggio -al signor di la Fère? - -«Nel padiglione degli agrumi, dirimpetto a quello dov’è il posto di -guardia. Voglio che gli si faccia ogni onore, benchè sia prigioniero di -Sua Maestà. - -«Monsignore, azzardò Comminges, e’ chiede l’onore di esser condotto -vicino al signor d’Artagnan, che secondo ordinò Vostra Eccellenza, -occupa il padiglione da caccia rimpetto a quel degli agrumi». - -Mazzarino riflettè alquanto. - -Comminges si accorse che titubava, e soggiunse: - -«È un posto assai forte; quaranta uomini sicuri, soldati esperimentati, -quasi tutti Tedeschi, e in conseguenza non aventi relazione veruna coi -Frondisti nè interesse nella _Fronda_. - -«Signor di Comminges, disse Mazzarino, se mettessimo quei tre soggetti -insieme ci toccherebbe raddoppiare il corpo di guardia, e non siamo -tanto ricchi in materia di difensori per esser così prodighi». - -Comminges sorrise. Mazzarino osservò il sorriso e lo capì. - -«Voi non li conoscete, signor di Comminges, ma io sì, prima per loro -stessi e poi per tradizione. Li avevo incaricati di recar soccorso al -re Carlo, e fecero cose miracolose; bisognò che così volesse il destino -perchè quel caro re Carlo non sia a quest’ora in sicuro fra noi. - -«Ma se hanno servita bene Vostra Eccellenza, perchè dunque li tiene -ella in carcere? - -«In carcere! e da quando in qua Rueil è un carcere? - -«Dacchè vi sono dei prigionieri, rispose Comminges. - -«Quei signori non sono miei prigionieri, replicò Mazzarino col suo -sogghigno malizioso, sono ospiti miei, ospiti tanto preziosi che ho -fatto mettere le inferriate alle finestre e i catenacci alle porte -dei loro appartamenti, tale è il timore che ho che si stanchino di -tenermi compagnia! Ma fatto sta che per quanto a prima vista sembrino -prigionieri, io li stimo moltissimo, e la prova ne sia che bramo fare -una visita al signor di la Fère per conversar seco a tu per tu. E -perchè nessuno ci disturbi dal colloquio, conducetelo come vi ho già -detto nel padiglione degli agrumi. Voi sapete ch’è il luogo consueto -delle mie passeggiate, e passeggiando entrerò da lui e discorreremo. -Ancorchè si pretenda essere egli mio nemico, ho per esso della -simpatia, e se è ragionevole faremo forse qualche cosa». - -Comminges fece un inchino, e tornò da Athos, che attendeva con -apparente calma, ma con reale inquietudine, l’esito della conferenza. - -«Ebbene? domandò questi al luogotenente delle guardie. - -«Signore, rispose Comminges, pare che sia impossibile. - -«Signor di Comminges, io sono stato soldato tutta la vita, e quindi so -che cos’è la consegna, potreste rendermi un servigio. - -«Con tutto il cuore! dacchè so chi siete e quali servigi voi rendeste -in addietro a Sua Maestà; dacchè so quanto vi interessi quel giovane -che venne sì valorosamente in mio soccorso nel giorno dell’arresto di -quel vecchiaccio di Broussel, mi dichiaro tutto vostro, salva però la -consegna. - -«Mille grazie, ed io non desidero altro, e sto per chiedervi cosa che -in nessun modo potrà compromettervi. - -«Ancorchè comprometta un pocolino, disse sorridendo Comminges, -chiedetela pure; non sono molto più propenso di voi pel signor -Mazzarino; servo la regina, il che naturalmente mi porta a servire il -ministro, ma per quella agisco con piacere e per questo contro voglia. -Dunque parlate, aspetto e vi ascolto. - -«Poichè non v’è inconveniente, fece Athos, ch’io sappia che d’Artagnan -è qui, non ve ne sarà alcuno, mi suppongo, che a lui sia noto che ci -sono ancor io? - -«Su di ciò non ho ricevuti ordini. - -«Or bene, favoritemi dunque di presentargli i miei distinti saluti ed -avvisarlo che siamo vicini; nello stesso tempo gli annunzierete ciò -che annunziavate a me poc’anzi, vale a dire che il signor di Mazzarino -mi ha messo nel padiglione degli agrumi per poter farmi una visita, ed -aggiungete che profitterò di quest’onore ch’ei vuole concedermi onde -ottenere che sia resa più mite la nostra prigionia.... - -«La quale non può durare, interruppe Comminges; il signor ministro me -lo diceva testè; qui non v’è carcere. - -«Vi sono le _perpetue_, rispose sorridendo Athos. - -«Oh! codesto è tutt’altro. Sì, so che esistono certe tradizioni su tal -proposito, ma un uomo di bassa nascita com’è il ministro, un Italiano -venuto in Francia a cercare fortuna, non oserebbe portarsi a simili -eccessi verso uomini della nostra fatta: sarebbe cosa enorme! Andava -bene a tempo dell’altro ministro che era un gran signore; ma con messer -Mazzarino, oibò! Le _perpetue_ sono vendette regie e non adattate per -un villano par suo. Si sa il vostro arresto, presto si saprà quello dei -vostri amici, e tutta la nobiltà di Francia gli domanderebbe ragione -dell’essere voi spariti. No no, state quieto; da dieci anni in qua le -carceri perpetue di Rueil sono novelle ad uso dei bambini. Su questo -punto non abbiate il minimo pensiero. Io dal canto mio avvertirò il -signor d’Artagnan del vostro arrivo. Chi sa che fra quindici giorni voi -non facciate a me un favore del medesimo genere? - -«Io? - -«Sicuramente! non potrei essere poi io prigioniero del signor -Coadjutore? - -«Siate persuaso che in tal caso mi sforzerei a giovarvi, disse Athos. - -«Mi farete l’onore di cenare con me, signor conte? disse Comminges. - -«Grazie, sono di umore pessimo, e vi farei passar la serata in -malinconia! grazie mille!» - -Comminges guidò il conte in una stanza del terreno del padiglione -che era in seguito a quello degli agrumi e a livello col medesimo. Al -padiglione si giungeva da un cortile pieno di soldati e cortigiani. Il -cortile a forma di ferro di cavallo, aveva nel centro gli appartamenti -abitati da Mazzarino e a ciascuna delle ale il padiglione da caccia ove -stava d’Artagnan, e quello degli agrumi in cui era entrato ultimamente -Athos. Dietro l’estremità delle due ale il parco. - -Athos, arrivando nella camera assegnatagli, vide dalla finestra ben -guarnita d’inferriate, e mura e tetti. - -«Che fabbricato è quello? richiese. - -«È il di dietro del padiglione da caccia ove son detenuti i vostri -amici, disse Comminges. Disgraziatamente le finestre che danno da -quel lato furono murate a tempo dell’altro ministro, perchè più volte -i due fabbricati servirono di carcere, ed il signor di Mazzarino -rinchiudendovi non fa se non renderle alla loro prima destinazione: -se le finestre non fossero murate, avreste la consolazione di -corrispondere per mezzo di cenni co’ vostri amici. - -«E siete certo, signor di Comminges, che il ministro mi onorerà di sua -visita? - -«Almeno me lo ha assicurato». - -Athos sospirò guardando le grate. - -«Eh sì! fece Comminges, è vero, l’è quasi una prigione; nulla vi manca, -neppure le spranghe.... Ma anche che singolare idea vi saltò in testa, -a voi che siete un fior di nobiltà, di andare a guastare il vostro -valore e la vostra lealtà fra tutti quei funghi della _Fronda_! In -coscienza, conte, se mai avessi creduto di aver qualche amico nelle -file dell’armata reale, avrei pensato a voi. Voi, frondista! il conte -di la Fère, nel partito di un Broussel, di un Blancmesnil, di un Viole! - -«Mio caro, rispose Athos, affè, bisognava essere o Mazzarino o -Frondista. Ho fatto suonare un pezzo alle mie orecchie questi due -nomi, e mi sono determinato pel secondo: almeno gli è nome francese. -E poi, io sono tale, non già con Broussel, Blancmesnil e Viole, ma col -signor di Beaufort, col signor di Bouillon, col signor d’Elboeuf, con -principi, e non mica con presidenti, consiglieri e togati. D’altronde, -bel resultato a servire il signor ministro! Guardate quel muro senza -finestre, e vi spiegherà a modo la riconoscenza mazzarinesca. - -«Sì, disse sorridendo Comminges, e me la spiegherà anco meglio -se ripeto le maledizioni che da otto giorni manda a lui il signor -d’Artagnan. - -«Povero d’Artagnan! sospirò Athos con quell’amabile malinconia ch’era -una delle parti più distinte del suo carattere, un uomo sì prode, sì -buono, sì terribile per coloro che non amano quei ch’egli ama! ah! -signor di Comminges, avete due fieri prigionieri, e vi compiango se -sono posti sotto la vostra responsabilità quei due uomini impossibili a -domarsi! - -«Eh eh! disse Comminges, ma, signor mio, vorreste mettermi paura! -Nel primo giorno di sua carcerazione il signor d’Artagnan provocò -tutti i soldati e tutti i bassi ufficiali, senza dubbio affine di -avere una spada; la faccenda durò all’indomani, e si estese per sino -al posdomani; ma dappoi egli è diventato quieto e docile come un -agnellino. Adesso canta canzoni guascone che ci fanno morir dalle risa. - -«E il signor du Vallon? domandò Athos. - -«Ah! quello è tutt’altro: confesso ch’è un gentiluomo da fare spavento. -Il primo giorno con un colpo della spalla sfondò tutti gli usci, e mi -aspettavo di vederlo uscire da Rueil conforme uscì Sansone da Gaza; ma -il suo umore ha preso lo stesso andamento di quello del suo compagno -d’Artagnan. Ed ora, non solamente si avvezza alla sua detenzione, ma -anco ci scherza sopra. - -«Meglio così! disse Athos, meglio così! - -«Vi figuravate diversamente? domandò Comminges, che combinando quel che -aveva detto Mazzarino de’ suoi prigionieri con quello che ne diceva il -conte di la Fère, cominciava ad avere qualche inquietezza». - -Athos dal canto suo rifletteva che per sicuro quel miglioramento -nel morale de’ suoi camerati nasceva da qualche piano formato da -d’Artagnan. Quindi non volle ad essi nuocere coll’esaltarli di -soverchio. - -«Di loro? rispose, sono due teste infiammabili; uno è di Guascogna, e -l’altro di Piccardia; entrambi sono facili ad accendersi, ma presto si -estinguono. Ne avete avuta la prova, e ciò che ora mi narrate fa fede -di quanto io vi asserisco». - -Tale era pure l’opinione di Comminges, per cui egli si ritirò più -tranquillo, ed Athos restò solo nella vasta stanza, ove secondo gli -ordini del ministro fu trattato con gli onori dovuti a un gentiluomo. - -D’altronde per farsi un’idea precisa della propria situazione, -attendeva la famosa visita promessa da Mazzarino. - - - - -LXXXVII. - -_La mente e il braccio._ - - -Ed ora, passiamo dal padiglione degli agrumi a quello di caccia. - -In fondo al cortile ove mediante un loggiato formato di colonne joniche -si scuoprivano i canili, sorgeva un fabbricato bislungo, che pareva si -estendesse a guisa di un braccio davanti all’altro braccio, lo stanzone -da agrumi, semicircolo che racchiudeva il cortile d’onore. - -In quel padiglione, a pian terreno, erano rinserrati Porthos e -d’Artagnan, ripartendosi le lunghe ore di detenzione antipatica pei due -temperamenti. - -D’Artagnan andava su e giù come un tigre, con l’occhio fisso, e -ruggendo talora sulle inferriate di una larga finestra che dava sul -cortile di servizio. - -Porthos digeriva in silenzio un ottimo pranzo di cui erano stati levati -allora di tavola i rilievi. - -Uno pareva privo di ragione, e meditava; l’altro pareva meditasse -profondamente, e dormiva; se non che il suo sonno era una continua -agitazione, lo che poteva indovinarsi dal modo interrotto ed incoerente -con cui russava. - -«Ecco che si fa oscuro, disse d’Artagnan, devono esser vicine le -quattro. Fra poco saranno ottantatrè ore che siamo qui dentro. - -«Uhm! fece Porthos, tanto per mostrar di rispondere. - -«M’intendete, dormiglione sempiterno? disse d’Artagnan impazientito che -un altro potesse abbandonarsi al sonno di giorno, mentre egli stentava -a riposare di notte. - -«Che? domandò Porthos. - -«Quel che dico. - -«E che dite? - -«Che a momenti saranno ottantatrè ore dacchè siamo qua. - -«Colpa vostra. - -«Come, colpa mia? - -«Sì; vi avevo offerto di andarcene. - -«Staccando i ferri o sfondando le porte? - -«Senza dubbio. - -«Porthos, genti nostra pari non se ne vanno puramente e semplicemente. - -«Oh! io poi, me la batterei con quella purezza e semplicità che mi -sembra disprezziate un po’ troppo». - -D’Artagnan scrollò le spalle, e replicò: - -«D’altronde, non istà già il tutto nell’uscire da questa camera. - -«E perchè? - -«Perchè non avendo nè armi nè parola d’ordine, non faremmo cinquanta -passi abbasso senza inciampare in una sentinella. - -«Ebbene! fece Porthos, accopperemo la sentinella e le torremo le armi. - -«Sì, ma prima di esser affatto accoppata (e uno Svizzero è duro a -morire, durissimo) darà un urlo, o per lo meno un lamento che farà -venir fuori il corpo di guardia; saremo circuiti e presi come tante -volpi, noi che siamo leoni, e ci getteranno in qualche carbonaja, dove -non avremo tampoco la consolazione di vedere quel brutto cielo grigio -di Rueil, che somiglia al cielo di Tarbes quanto somiglia la luna -al sole. Caspita! se fuori avessimo qualcuno che potesse darci delle -informazioni su la topografia morale e fisica di questo castello, su -ciò che Cesare chiamava _luoghi e costumi_... almeno a quel che mi fu -detto... Eh! a pensare che in venti anni, ne’ quali non sapevo che -farmi, non ho avuta l’idea di occupare una di quelle ore a venire a -studiare Rueil! - -«Che importa? soggiunse Porthos, si vada via ciò non ostante. - -«Mio caro, ribattè d’Artagnan, sapete perchè i pasticcieri non lavorano -mai di propria mano? - -«No, ma avrei genio a saperlo. - -«Perchè davanti ai loro allievi temerebbero di fare qualche pasta -troppo abbrustolita o una crema col latte rappreso. - -«E poi? - -«E poi sarebbero burlati, e burlati non devono essere i maestri -pasticcieri. - -«E che rapporto hanno costoro con noi? - -«Che noi in materia di avventure non dobbiamo mai avere uno scacco o -far ridere gli altri. In Inghilterra ultimamente abbiamo fatto fiasco, -siamo stati battuti, e l’è una macchia per la nostra riputazione. - -«E da chi battuti? - -«Da Mordaunt. - -«Sì, ma femmo annegare messer Mordaunt. - -«Lo so, e questo ci rimetterà un poco nel concetto dei posteri, -se pure i posteri penseranno a noi. Ma sentitemi, Porthos: benchè -messer Mordaunt non fosse da sprezzarsi, messer Mazzarino mi sembra -ben altrimenti forte, e non lo faremmo affogare con ugual facilità. -Badiamo dunque a noi, e stiamo accorti, perchè (aggiunse il guascone -sospirando) noi due vagliamo forse per otto altri, ma non pei quattro -che sapete. - -«È vero, confermò Porthos corrispondendo con un sospiro a quello già -mandato da d’Artagnan. - -«Or bene, fate come fo io, passeggiate su e giù, sinchè ci arrivi una -buona nuova dei nostri amici, o ci venga una buona idea; ma non dormite -sempre come finora: non v’è cosa che intorpidisca la mente quanto il -sonno. Quel che ci sovrasta sarà forse men grave che non ci figuriamo; -non credo che Mazzarino abbia intenzione di farci tagliar la testa, -perchè la testa non si taglierebbe senza il processo, il processo -cagionerebbe gran fracasso, il fracasso richiamerebbe i nostri amici, e -allora essi non lascerebbero operare il signor di Mazzarino. - -«Ragionate pur bene! disse Porthos con ammirazione. - -«Sì, non c’è male.... E poi, capite, se non ci fanno processo, se -non ci mozzano la testa, bisogna che ci tengano qui o ci trasportino -altrove. - -«Oh! necessariamente. - -«Or dunque, è impossibile che messer Aramis, quel braccio finissimo, -e che Athos, il saggio gentiluomo, non iscuoprano il nostro ritiro. E -allora, affè saremo a tempo. - -«Sì, tanto più che qua non si sta assolutamente male.... ad eccezione -di una cosa, però.... - -«E quale? - -«D’Artagnan, avete osservato che per tre giorni di seguito ci hanno -dato del castrato arrosto? - -«No, ma se ce lo presentano la quarta volta, mi lagnerò, non dubitate. - -«E inoltre di quando in quando mi vien in mente la mia casa; è un pezzo -che non ho visitate le mie ville. - -«Eh via! dimenticatele momentaneamente; le ritroveremo ammenochè il -signor di Mazzarino le abbia fatte demolire. - -«Credete che si sia fatta lecita una tal tirannia? domandò inquieto -Porthos. - -«No: eran buone per l’altro ministro simili risoluzioni; il nostro è -troppo meschino per arrischiarle. - -«Mi riconfortate, d’Artagnan. - -«Or dunque fate buon viso come fo io: scherziamo coi custodi, -interessiamo i soldati, poichè non si possono corrompere; accarezzateli -di più che sinora, quando verranno sotto le nostre grate. Sino adesso -siete stato sempre a mostrar loro il pugno, e più il vostro pugno è -rispettabile meno è seducente.... Ah! quanto darei per aver soltanto -cinquecento luigi! - -«E anch’io, rispose Porthos che non voleva passare per meno generoso di -d’Artagnan, darei volentieri.... cento doppie». - -I due prigionieri stavano a questo punto del loro dialogo, quando entrò -Comminges, preceduto da un sergente e da due uomini, i quali recavano -la cena in un paniere pieno di piatti e vassoj. - -«Bene! fece Porthos, da capo il castrato! - -«Caro signor di Comminges, disse il Guascone, avete da sapere che -il mio amico signor du Vallon è deciso a portarsi alle più crude -estremità, se il signor di Mazzarino si ostina a mantenerlo con questa -sorta di carne. - -«E io dichiaro di più, accrebbe Porthos, che non mangio più altro, se -non me la tolgono davanti. - -«Togliete via quel montone, disse Comminges, voglio che il signor du -Vallon ceni con piacere, tanto più che ho da annunziargli una notizia, -che di certo gli darà appetito. - -«È forse morto il signor Mazzarino? domandò Porthos. - -«No, anzi devo con rincrescimento avvisarvi che sta benissimo. - -«Male! fece Porthos. - -«E che notizia è mai? chiese d’Artagnan, una notizia in prigione, è -frutto così raro, che spero scuserete la mia impazienza, non è vero, -signor di Comminges? Maggiormente dacchè ci avete dato a intendere -ch’era buona la nuova. - -«Gradireste sapere che il signor conte di la Fère sta bene?» fece -Comminges. - -Gli occhi per solito piccoli di d’Artagnan, si apersero a dismisura. - -«Se lo gradirei.... ma ne sarei contento, beato! - -«Ed io sono incaricato da lui stesso di presentarvi i suoi complimenti, -e dirvi che gode di ottima salute». - -D’Artagnan ebbe a svenirsi dall’allegrezza. Una rapida occhiata fu -interprete a Porthos del di lui concetto. Lo sguardo diceva: se Athos -sa dove siamo, se ci fa parlare, in breve agirà. - -Porthos non aveva molta abilità per comprendere le occhiate; ma questa -volta la intese, perocchè al nome di Athos aveva provata la stessa -impressione che d’Artagnan. - -«Ma, domandò timidamente il Guascone, voi dite che il conte di la Fère -vi ha incaricato di fare i suoi complimenti al signor di Vallon ed a -me? - -«Signor sì. - -«Dunque lo avete veduto? - -«Di certo! - -«E dove, senza essere indiscreto? - -«Qui vicino, fece Comminges sorridendo. - -«Qui vicino? ripetè d’Artagnan, a cui brillarono le pupille. - -«Tanto prossimo, che se le finestre che danno sul capannone degli -agrumi non fossero otturate, potreste vederlo dal posto ove siete. - -«Di sicuro, ronza nei dintorni del castello!» pensò d’Artagnan. - -E poi disse forte: - -«Lo avete incontrato alla caccia, forse nel parco? - -«No, più prossimo.... anche più.... ecco, dietro a questo muro, seguitò -Comminges, e percuoteva la muraglia. - -«Dietro?... e che v’è egli qui dietro?... Sono stato condotto qui di -sera, in modo che il diavolo mi trascini se so dove io mi sia! - -«Orsù, continuò Comminges, supponete una cosa. - -«Supporrò tutto quel che vogliate. - -«Là! che a questa muraglia vi sia una finestra. - -«Ebbene? - -«Da quella, scorgereste alla sua, il signor di la Fère. - -«Sicchè il signor di la Fère è alloggiato nel castello? - -«Sì. - -«E per qual ragione? - -«Per la stessa che voi. - -«Athos è prigioniero? - -«Vi è pur noto, disse Comminges ridendo, che non vi sono prigionieri a -Rueil, poichè non v’è prigione. - -«Non ischerziamo sulle parole, signore. Athos è stato arrestato? - -«Jeri, a S. Germano, all’uscire dalle stanze della regina». - -A d’Artagnan caddero giù le braccia inerti sul fianco. Pareva -fulminato. Il pallore gli corse come un nuvolo bianco su la bruna -carnagione, ma quasi subito si dileguò. - -«Prigioniero! egli ripetè. - -«Prigioniero! tornò a dire dopo di lui Porthos oppresso». - -Ad un tratto d’Artagnan alzò il capo, e ne’ suoi occhi si vide brillare -un lampo impercettibile anco per Porthos. Poscia lo stesso abbattimento -che lo aveva preceduto seguì quel baleno fugace. - -«Orsù, disse Comminges, il quale nudriva un vero affetto per d’Artagnan -dopo il segnalato servigio da questo resogli nel dì dell’arresto di -Broussel, togliendolo dalle mani ai Parigini, orsù non vi angustiate; -non pretendevo già darvi una mala nuova, oh! tutt’altro. Con la guerra -attuale siamo tutti esseri incerti. Dunque ridete della combinazione -che riavvicina il vostro amico a voi ed al signor du Vallon, anzi che -addolorarvene». - -Quell’invito però non influì minimamente su d’Artagnan, che si mantenne -in aspetto lugubre. - -«E che cera faceva? domandò Porthos, che accortosi come d’Artagnan -lasciava estinguersi il dialogo, se ne prevalse per metter fuori due -paroline di suo. - -«Ottima cera, rispose Comminges; sul primo era sembrato come voi -disperatissimo, ma quando ha saputo che il ministro doveva fargli -visita stasera.... - -«Ah! fece d’Artagnan, il ministro deve fare una visita al conte di la -Fère? - -«Sì, lo ha fatto avvertire, e il signor conte, nell’udir ciò, mi ha -incaricato di dirvi, che profitterebbe del favore che gli concedeva Sua -Eccellenza per patrocinare la vostra e la sua causa. - -«Ah che caro conte! disse il Guascone. - -«Bell’affare! mugolò Porthos, gran favore, cospettone! il conte di la -Fère, la di cui famiglia s’imparentò coi Montmorency e coi Rohan, val -pure quanto il signor Mazzarino. - -«Non serve, replicò d’Artagnan nel modo suo più docile, a rifletterci -bene, mio caro du Vallon, è un grande onore pel signor conte, e dà -luogo a concepire grandi speranze.... una visita!... ma è tale onore -per un prigioniero, ch’io mi penso per sino che il signor di Comminges -prenda abbaglio. - -«Come? prendo abbaglio!... - -«Non sarà il signor di Mazzarino che andrà a trovare la Fère, ma la -Fère sarà chiamato dal signor di Mazzarino. - -«No, no, no! disse Comminges a cui premeva di precisare le cose; io ho -inteso benissimo ciò che mi ha detto il ministro: egli andrà a trovare -il conte». - -D’Artagnan procurò di cogliere uno sguardo di Porthos onde discernere -se questi capiva l’importanza di quella visita, ma Porthos non badava -nemmeno dalla sua parte. - -«Sicchè pel signor ministro è abitudine di passeggiare nel locale degli -agrumi? domandò il tenente dei moschettieri. - -«Ci si rinchiude ogni sera, fece Comminges, pare che colà vada -meditando su gli affari dello Stato. - -«Allora comincio a credere che Sua Eccellenza vada dal signor di la -Fère; d’altronde, naturalmente si farà accompagnare? - -«Sì, da due soldati. - -«E discorrerà così di affari davanti a due estranei? - -«I soldati sono Svizzeri dei piccoli cantoni, e non parlano se non -tedesco. E poi, secondo ogni probabilità, aspetteranno alla porta». - -D’Artagnan si cacciava le unghie nelle palme delle mani, onde il suo -volto non esprimesse altro che ciò ch’egli gli permetteva di esprimere. - -«Badi bene il signor Mazzarino ad entrar solo dal conte di la Fère! -soggiunse, giacchè il conte dev’essere sulle furie». - -Comminges si mise a ridere. - -«Eh! par che siate tanti antropofagi! il signor di la Fère è pien -di cortesia, e di più non ha armi. Al primo grido di Sua Eccellenza, -accorrerebbero subito i due soldati che l’accompagnano. - -«Due soldati...., disse d’Artagnan quasi raccogliesse le sue -rimembranze, due soldati.... sì.... per questo dunque odo chiamare -due uomini ogni sera, e li vedo passeggiare una mezz’ora sotto la mia -finestra. - -«Appunto; attendono il ministro, o piuttosto Bernouin viene a chiamarli -quando il ministro esce. - -«Begli uomini, affè! - -«È il reggimento ch’era a Lens, e che il signor Principe diede a Sua -Eccellenza per farle più onoranza. - -«Ah signore! fece d’Artagnan come per riepilogare in poche parole -tutta quella lunga conversazione, almeno sia Sua Eccellenza più mite, e -conceda al signor di la Fère la nostra libertà! - -«Lo desidero di tutto cuore. - -«Sicchè, se si dimenticasse la visita, non trovereste inconveniente a -rammentargliela? - -«Nessuno; al contrario! - -«Ah! questo mi consola alquanto». - -L’abile cambiamento di conversazione sarebbe sembrato una manovra -sublime a chiunque avesse potuto leggere nell’animo del Guascone. - -«E adesso, egli continuò, ve ne prego, mio caro signor di Comminges, -un’altra ed ultima grazia. - -«Tutto ai vostri comandi. - -«Rivedrete il conte di la Fère? - -«Domattina. - -«Favorireste dargli il buon dì a nome mio, e pregarlo di richiedere per -me la stessa grazia che per sè avrà ottenuta? - -«Desiderate che venga qui il signor ministro? - -«No; conosco me stesso, e non sono sì esigente. Sua Eccellenza mi -faccia l’onore di ascoltarmi, questo è quanto bramo. - -«Oh! mormorò Porthos scuotendo il capo, non avrei mai creduto questo da -lui; come abbatte gli uomini la sventura! - -«Così sarà fatto, rispose Comminges. - -«Assicurate ancora il signor conte ch’io sto benissimo, e che mi avete -visto afflitto, ma rassegnato. - -«Voi mi date nel genio parlando in tal guisa. - -«Altrettanto direte pel signore du Vallon. - -«Per me? mainò! esclamò Porthos, non sono niente rassegnato, io! - -«Ma vi rassegnerete, amico mio. - -«Giammai! - -«Si rassegnerà, signor di Comminges. Io lo conosco meglio che non si -conosca egli stesso, e so che ha mille eccellenti qualità che neppur si -figura. Tacete, signor du Vallon, e rassegnatevi. - -«Addio, signori, disse Comminges; buona notte. - -«Procureremo che sia tale». - -Comminges salutò ed uscì. D’Artagnan lo seguì cogli occhi nella -medesima attitudine di dolcezza ed umiltà; ma appena fu chiusa la -porta si slanciò verso Porthos, e se lo strinse fra le braccia con -espressione di giubilo che non lasciava alcun dubbio. - -«Oh oh! che c’è? disse Porthos, ma che, impazzite, povero amico? - -«C’è che siamo salvi! - -«Non ne vedo nemmeno l’ombra; anzi veggo che siamo presi tutti, -eccettuato Aramis, e che scemano per noi la probabilità di andarcene -dacchè è entrato uno di più nella trappola del signor di Mazzarino. - -«Nulla, nulla; la trappola bastava per due, e diventa troppo debole per -tre. - -«Non capisco, fece Porthos. - -«È inutile, replicò d’Artagnan, mettiamoci a tavola e ripigliamo forza, -chè ne avremo d’uopo per la nottata. - -«E che faremo sta notte? - -«Probabilmente viaggeremo. - -«Ma.... - -«A tavola, mio caro! mangiando vengono delle idee; e dopo cena, quando -le mie saranno ben complete ve le comunicherò». - -Per quanto Porthos bramasse d’essere istruito del progetto di -d’Artagnan, conoscendo però il modo di agire di questo, si assise a -mensa senza insistere di più, e mangiò con un appetito che faceva onore -alla fiducia ch’ei riponeva sempre nell’immaginativa di d’Artagnan. - - - - -LXXXVIII. - -_Il braccio e la mente._ - - -Ebbe luogo la cena in silenzio, ma non in malinconia, perocchè tratto -tratto rasserenava la faccia a d’Artagnan uno di quei sorrisetti -maliziosi che gli erano usuali ne’ momenti di buon umore. E di questi -Porthos non ne perdeva neppur uno, ed anzi ad ognuno che osservava dava -qualche esclamazione, la quale indicava al suo amico com’egli, anche -non comprendendolo, facesse gran caso del pensiero che gli bolliva nel -cervello. - -Alle frutta d’Artagnan appoggiò la schiena alla spalliera della -seggiola, incrociò le gambe una sull’altra, e si tentennò in aria di -uno che sia veramente contento di sè. - -Porthos pose il mento sulle due mani, e i due gomiti sulla tavola, e -guardò d’Artagnan in quel modo pien di fiducia che dava a quel colosso -una certa cera di somma bonarietà. - -«Ebbene? fece il Guascone dopo un momento. - -«Ebbene? ripetè Porthos. - -«Dicevate dunque, mio caro?... - -«Io? non diceva nulla. - -«Sì, sì.... che avevate voglia di andarvene di qua. - -«Ah! questo sì, non è la voglia quella che mi manca. - -«Ed aggiungevate che perciò bastava staccare una porta e rompere un -muro. - -«È vero, così ho detto, ed anco lo ridico. - -«Ed io, Porthos, vi rispondevo esser codesto un tristo compenso, e che -non faremmo cento passi senza essere ripresi ed accoppati, ammenochè -avessimo abiti da travestirci ed armi da difenderci. - -«Certo, ci occorrerebbero abiti ed armi. - -«Or bene, ne abbiamo! disse d’Artagnan alzatosi, e di più qualche cosa -di meglio. - -«Veh! fece Porthos guardandosi attorno. - -«Non istate a cercare, sarebbe inutile; tutto ci verrà all’istante -opportuno. A che ora all’incirca vedemmo jeri passeggiare le guardie -svizzere? - -«Se non isbaglio, un’ora dopo fattasi notte. - -«Se escono stassera come jeri, dunque non istaremo un quarto d’ora ad -attendere il piacere di vederli. - -«Fatto sta che resteremo tutto al più quel quarto d’ora. - -«Avete sempre il braccio assai buono, non è così?» - -Porthos si sbottonò la manica, si tirò in su la camicia, si osservò -con compiacenza le braccia robuste, grosse come la coscia di un uomo di -statura ordinaria. - -«Eh sì.... rispose, assai buono. - -«Talchè fareste, senza disturbarvi di troppo, un cerchio di queste -mollette, e di questa paletta una specie di rampino? - -«Di sicuro! - -«Vediamo un po’». - -Il gigante prese i due oggetti indicati, ed operò con la maggior -facilità e senza sforzo apparente, le due metamorfosi richieste dal -compagno. - -«Ecco, disse poi. - -«Stupendo! e siete in buonissimo stato, Porthos! - -«Io intesi a parlare, disse questi, di un certo Milone da Crotona che -faceva cose straordinarissime, come stringersi la fronte con una fune -e farla andar in pezzi, ammazzare un bue con un pugno e portarlo a casa -sulle spalle, fermare un cavallo dalle zampe di dietro, ec.; mi sentii -raccontare tutte queste prodezze a Pierrefonds, e feci quanto esso -faceva, meno che rompere la fune col gonfiarmi le tempie. - -«Egli è che la vostra forza non istà nella testa, rispose d’Artagnan. - -«No, è nelle braccia e nelle spalle, replicò semplicemente Porthos. - -«Ebbene, accostiamoci alla finestra, e valetevi della vostra forza per -distaccarne un ferro. Aspettate ch’io spenga il lume». - -Porthos si avvicinò alla finestra, prese colle due mani uno dei ferri, -e vi si aggrappò, lo tirò a sè, e lo fe’ piegare come un arco, a -segno che le due cime uscirono dall’alveola di pietra dove le teneva -conficcate da trent’anni la calcina. - -«Ecco ciò che non sarebbe riuscito al ministro, disse d’Artagnan, -benchè sia un uomo di genio. - -«Ne ho da levar degli altri? domandò Porthos. - -«No; questo è sufficiente: ormai può passarvi un uomo». - -Porthos provò e mise fuori tutto il busto. - -«Sì, disse allora. - -«Realmente, è una bella apertura. Adesso infilate il braccio. - -«Di dove? - -«Da quell’apertura. - -«Per che fare? - -«Lo saprete tra poco.... infilatelo». - -Porthos obbedì, docile come un soldato, e cacciò il braccio tra i ferri. - -«Ottimamente! fece d’Artagnan. - -«Par che si vada avanti bene? - -«A meraviglia, mio caro. - -«Meglio! Ed ora che ho da fare? - -«Nulla. - -«Dunque è finito tutto? - -«Ancora no. - -«Per altro avrei gusto di capire qualche cosa. - -«Sentitemi, e in due parole saprete tutto, si apre la porta del corpo -di guardia, come vedete. - -«Sì, veggo. - -«Si manderanno subito nel nostro cortile, che traversa il signor -Mazzarino per recarsi allo stanzone degli agrumi, le due guardie che lo -accompagnano. - -«Appunto escono. - -«Basta che rinchiudano la loro porta!... Ah bene! la serrano. - -«E poi? - -«Silenzio! ci potrebbero udire. - -«Allora non saprò niente. - -«Sì, a misura che andrete eseguendo comprenderete. - -«Io però avrei preferito.... - -«Godrete del piacere della sorpresa. - -«Oh si! è vero, fece Porthos. - -«Zitto!» - -Porthos rimase muto ed immobile. - -I due soldati si avanzavano dalla parte della finestra stropicciandosi -le mani, perocchè, secondo avvertimmo, era di febbrajo e tempo freddo. - -Nel momento fu riaperta la porta del corpo di guardia e chiamato -indietro un dei due militari. - -Questi lasciò il camerata e tornò dentro. - -«Va sempre bene? chiese Porthos. - -«Meglio che mai, rispose d’Artagnan. Adesso, ascoltatemi. Io chiamerò -quel soldato e mi metterò a discorrer seco come feci jeri con uno de’ -suoi compagni, ve ne ricordate? - -«Sì, ma non intesi una parola di quel che diceva. - -«Veramente aveva una pronunzia un po’ marcata. Ma, Porthos, non perdete -una parola di ciò che io sono per dirvi: il tutto sta nell’esecuzione. - -«Eh! per l’esecuzione io non burlo. - -«Lo so, cospetto! e per questo conto sopra di voi. - -«Dite su. - -«Chiamo il militare e discorro con lui.... - -«Lo avete detto. - -«Mi volgerò a sinistra in maniera ch’egli sia a man destra nel punto -che salirà sul muricciolo. - -«Ma se non ci sale? - -«Ci salirà, non dubitate. Nell’atto ch’ei vien sul muricciolo, -voi allungherete il formidabile braccio e lo piglierete pel collo. -Poi alzandolo di peso, come Tobia alzò il pesce dalle orecchie, lo -introdurrete nella nostra camera, avendo cura di stringerlo sì forte -che non possa urlare. - -«Sì.... ma se lo strangolo? - -«Prima di tutto, sarà il male di uno Svizzero di meno, ma spero che non -lo strangolerete. Lo poserete qui pian piano, e noi gli tapperemo la -bocca e lo legheremo in qualche posto, poco importa il dove. Con ciò -avremo intanto un’uniforme ed una spada. - -«Oh bellissima! disse Porthos con ammirazione. - -«Eh? fece d’Artagnan. - -«Sì, ma una uniforme ed una spada non sono assai per noi due. - -«Ebbene! e non ha il suo camerata? - -«Sicuro! - -«Dunque, quando io tossirò allungate il braccio, e sarà tempo. - -«Benone!». - -I due amici si misero ciascuno nel luogo indicato. Porthos, situato -com’era, stava nascosto del tutto nell’angolo della finestra. - -«Buona sera, camerata, disse d’Artagnan colla sua voce più moderata e -gentile. - -«Pone sere, rispose il soldato. - -«Non fa caldo a passeggiare, disse d’Artagnan. - -«Brrrummm! fece il soldato. - -«E credo che non vi spiacerebbe un bicchiere di vino? - -«Picchiere di fine sarebbe ben fenute. - -«Ci viene il pesciolino! bucinò il tenente a Porthos. - -«Capisco, fece questi. - -«Ne ho una bottiglia pronta. - -«Pottiglia! - -«Sì. - -«Piena? - -«Pienissima, ed è vostra se la volete bere alla mia salute. - -«Folentieri! seguitò lo Svizzero avvicinandosi. - -«Su, caro, venite a pigliarla, disse il Guascone. - -«Perchè no? me pare c’è muricciolo. - -«Veh! sembra messo là espressamente, saliteci.... là.... così... -amicone». - -E d’Artagnan tossì. - -Nel medesimo istante piombò giù il braccio di Porthos, il suo pugno -d’acciajo rapido come il baleno e saldo come una tenaglia strinse il -collo al militare, lo alzò soffocandolo, lo trasse a sè dalla apertura -a rischio di strozzarlo nel passare, e lo posò in terra, ove d’Artagnan -lasciandogli a puntino il tempo di riprender fiato gli coperse la -bocca con la sua ciarpa, e poi subito si accinse a spogliarlo con la -sollecitudine e la destrezza di chi ha imparato il mestiere sul campo -di battaglia. - -Poscia lo Svizzero legato e manettato fu portato sul camino, di cui i -nostri amici avevano prima spenta la fiamma. - -«Tanto, ecco una spada e un abito, disse Porthos. - -«Io li prendo, rispose d’Artagnan; se voi pure volete altrettanto, -bisogna ricominciare la faccenda. Attenti! veggo appunto l’altro -soldato ch’esce dal corpo di guardia e viene in qua. - -«A me pare, obbiettò Porthos, che sarebbe imprudenza il principiare -la stessa manovra. Si accerta che non si ottiene buon esito due volte -col medesimo mezzo. Se mi mancasse, sarebbe perduto tutto. Scenderò, -lo afferrerò nel momento che non ha sospetto, e ve lo porgerò bell’e -legato. - -«Sarà anche meglio, disse il Guascone. - -«State pronto». - -Porthos si calò abbasso dall’apertura; le cose andarono com’ei le aveva -promesse. Il gigante si rimpiattò ove doveva transitare lo Svizzero, e -quando questi gli fu davanti lo prese per il collo, gli turò la bocca, -lo spinse a modo di una mummia a traverso ai ferri slargati della -finestra, e rientrò dietro a lui. - -Fu spogliato il secondo prigioniero ugualmente che il primo, e disteso -sul letto, e fermato con delle cinghie, ed essendo il letto di quercia -e le cinghie foderate si rimase tranquillissimi per questo al pari che -pel precedente. - -«Va ottimamente, disse d’Artagnan; ora datemi il vestito di quel -briccone. Dubito che vi stia bene, Porthos, ma se vi è troppo stretto -non abbiate paura, vi basterà il budriere, e specialmente il cappello -con le penne rosse». - -Si combinò per caso che l’ultimo dei due soldati era uno Svizzero -gigantesco, talmente che eccetto pochi punti delle cuciture che si -ruppero, il resto andò egregiamente. - -Per qualche tempo non si udì se non lo stropiccio del panno, mentre -Porthos e d’Artagnan si abbigliavano in fretta. - -«È finita, dissero poi insieme. A voi altri, compagni (avvertirono ai -due militari), nulla succederà se state buoni, ma se vi movete siete -morti». - -Coloro rimasero chiotti; dal pugno di Porthos comprendevano che la -faccenda era seria, e che non esisteva ombra di scherzo. - -«Adesso, disse d’Artagnan, voi, Porthos, avreste caro d’intendere? - -«E sì, piuttosto. - -«Or dunque, noi scendiamo nel cortile. - -«Sì. - -«Pigliamo il posto di quei manigoldi. - -«Bene. - -«Passeggiamo su e giù. - -«E sarà un bel vedere, sendochè non fa caldo. - -«Fra un momento il cameriere chiama come jeri quei di servizio. - -«E rispondiamo? - -«No, anzi, non rispondiamo. - -«Come vi pare, per me non me ne curo. - -«Soltanto ci cacciamo in testa il cappello, e scortiamo Sua Eccellenza. - -«Dove? - -«Dove va, da Athos. Vi pensate che gl’incresca di vederci? - -«Oh! capisco! esclamò Porthos. - -«Aspettate un poco ad esclamare, giacchè, in parola, non siete ancora -al più bello, fece il Guascone con dileggio. - -«E che ha da accadere?» - -«Venite meco, e vedremo». - -D’Artagnan passando dall’apertura si calò leggermente nel cortile. - -Porthos fece la stessa strada, ma meno presto e con più stento. - -Si sentivano tremare di paura i due Svizzeri manettati in camera. - -Appena d’Artagnan e Porthos ebbero toccato terra, fu schiuso un uscio, -e il cameriere gridò: - -«Il servizio!» - -Si spalancò anche il posto di guardia, e una voce comandò: - -«La Bruyere e du Barthois, andate! - -«Pare che io abbia nome la Bruyere, mugolò d’Artagnan. - -«Ed io du Barthois, aggiunse Porthos. - -«Dove siete? domandò il domestico, che con gli occhi abbagliati dal -lume, non poteva distinguere fra l’oscurità i nostri due eroi. - -«Eccoci» fece d’Artagnan. - -E voltosi a Porthos: - -«Che ne dite, signor du Vallon? - -«Perdinci! pur che la duri, dico che va benone. - - - - -LXXXIX. - -_Le carceri perpetue del signor di Mazzarino._ - - -I due nuovi soldati camminarono con tutta gravità dietro al cameriere; -questi aprì ad essi una porta del vestibolo, poi un’altra che pareva di -una sala d’ingresso, e additando loro due sgabelli, disse: - -«La consegna è semplicissima; non lasciate entrar qui che una persona, -una sola, avete inteso! niente più! e a quella persona obbedite in -tutto. In quanto al ritorno, non vi è da sbagliare, aspettate che io vi -dia la muta». - -D’Artagnan era noto assai al suddetto cameriere, ch’era precisamente -Bernouin, il quale da sei o otto mesi a questa parte lo aveva -introdotto una decina di volte presso al ministro; onde egli invece -di rispondere si limitò a brontolare _jà_ nel modo meno guascone e più -tedesco che potesse. - -In quanto a Porthos, lo aveva obbligato a promettere di non parlare -in verun caso. Se mal fosse ridotto agli estremi gli era concesso di -proferire soltanto il _tarteifle_ proverbiale e solenne. - -Bernouin chiuse, si allontanò. - -«Oh oh! disse Porthos udendo la chiave nella serratura, si vede che qui -è di moda rinchiudere la gente. Secondo me, non abbiamo fatto altro che -barattar carcere; senonchè invece di esser carcerati laggiù, lo siamo -nel capannone degli agrumi. Non so se ci abbiamo guadagnato. - -«Amico mio, fece piano d’Artagnan, non dubitate della Provvidenza, e -lasciatemi riflettere e meditare. - -«Riflettete e meditate, brontolò Porthos istizzito nel mirare che le -cose pigliavano quell’aspetto anzi che un altro. - -«Abbiamo fatto ottanta passi.... saliti sei gradini; qui, dunque, come -ha detto testè il mio illustre amico di Comminges, è l’altro padiglione -in linea paralella al nostro accennato per padiglione degli agrumi; -sicchè il conte di la Fère non dev’essere lontano; solamente le porte -sono chiuse. - -«Bella difficoltà! ribattè Porthos, con una spinta delle spalle.... - -«Per Bacco! tenetevi in riserva codeste vostre forze, o all’occorrenza -non avranno più il valore che si meritano. Non avete inteso che qui dee -venire qualcuno? - -«Sì. - -«Il qualcuno ci aprirà. - -«Ma, mio caro, se il qualcuno ci riconosce, e ciò fatto si mette -ad urlare, siamo perduti.... perchè, in conclusione, m’immagino non -abbiate idea di farmi accoppare o strangolare quell’uomo! e sarebbero -maniere buone con Inglesi o Tedeschi, ma.... - -«Dio me ne liberi, ed anco voi! il giovanetto forse ce ne sarebbe -alquanto grato, ma la regina non ce lo perdonerebbe, e a lei fa d’uopo -usar riguardo. D’altronde, sangue inutile, mai! mai! mai! Il mio piano -è stabilito, e quindi lasciatemi agire, e rideremo. - -«Meglio così! disse Porthos, ne sento il bisogno. - -«Zitto! fece d’Artagnan, ecco la persona annunziata». - -Allora si udì nella stanza precedente, cioè nel vestibolo, un camminare -leggerissimo. Gli arpioni della porta stridevano, e comparve un uomo -vestito da cavaliere, avvolto in un mantello scuro, con un cappellone -calato su gli occhi, e in mano una lanterna. - -Porthos si trasse accosto al muro, ma non potè farsi talmente -invisibile che nol vedesse l’inferrajuolato: quello gli presentò il -lampioncino, dicendogli: - -«Accendete la lampada del soffitto». - -E poi a d’Artagnan: - -«Sapete pure la consegna. - -«_Jà_, replicò il Guascone, deciso a limitarsi a questo piccolo -campione di lingua tedesca. - -«_Tedesco!_ disse in italiano il cavaliere, _va bene_». - -Ed avanzatosi verso la porta situata di faccia a quella d’onde era -venuto, l’aperse e la richiuse poichè fu sparito per dentro. - -«Ed ora, domandò Porthos, che faremo? - -«Ora, amico Porthos, ci prevarremo di codesta spalla se la porta è -serrata. Ogni cosa a suo tempo, e tutto viene a punto a chi sappia -aspettare. Ma avanti si spranghi e impedisca l’uscio in modo opportuno, -e indi terremo appresso a quel forestiero». - -I due compagni si accinsero tosto all’opra, ed ingombrarono l’ingresso -con quanti mobili trovarono nella sala, lo che rendeva l’adito più -impraticabile dacchè la bussola si apriva di dentro. - -«Oh! disse d’Artagnan, ora siamo sicuri di non essere sorpresi da -tergo. Andiamo innanzi». - -Arrivarono alla porta da cui era sparito Mazzarino; questa era chiusa; -invano d’Artagnan tentò aprirla. - -«Ecco, egli disse, dov’è bisogno di dare un colpo delle vostre spalle; -spingete, Porthos, ma adagio e senza far rumore, non isfondate, -staccate gli sporti, e tanto basta». - -Porthos appoggiò la robusta spalla ad uno degli sporti, il quale cedè, -e d’Artagnan introdusse la punta della spada fra la stanghetta e la -bocchetta della serratura; la stanghetta tagliata a ugnatura non resse, -e si spalancò l’usciale. - -«Ma se ve lo dicevo, Porthos, che si ottien tutto dalle donne o dalle -porte con la dolcezza. - -«Fatto sta, rispose Porthos, che siete un gran moralista! - -«Entriamo». - -Entrarono. Dietro ad una invetriata, al lume del lanternino del -ministro posato in terra in mezzo alla galleria, si scorgevano i -melaranci e i melagrani del castello di Rueil, collocati in lunghe file -facenti un gran viale e due altri laterali più piccoli. - -«Niente ministro, fece d’Artagnan, ma soltanto la sua lucerna; e dunque -dove diamine sarà?». - -E mentre esplorava una delle ali laterali, dopo aver fatto cenno ai -Porthos di esplorare l’altra, adocchiò ad un tratto alla sua mano manca -una cassa discostata dalla sua linea, e sul posto di quella una larga -buca. Dieci uomini avrebbero durato fatica a muovere la cassa, ma per -un meccanismo qualunque si fosse, essa aveva girato con la lastra che -la sosteneva. - -D’Artagnan, secondo noi avvertimmo, trovò ivi una buca, ed in questa i -gradini di una scala a chiocciola. - -Chiamò Porthos con un gesto e gli additò il vacuo e gli scalini. - -Entrambi si guatarono confusi, perplessi. - -«Se non volessimo altro che oro, disse sommessamente il Guascone, -avremmo trovato il nostro bisognevole, e saremmo ricchi in eterno. - -«E come?. - -«Non intendete, Porthos, che in fondo a questa scala, secondo ogni -probabilità, è il famoso tesoro di Mazzarino di cui tanto si parla, e -che a noi basterebbe scendere, vuotare una cassa, rinchiudervi dentro -il ministro, andarcene portando via quant’oro potessimo tirar con noi, -rimettere al posto quel melarancio, e nessuno al mondo ci domanderebbe -donde ci viene la nostra ricchezza, nemmeno il ministro? - -«Sarebbe un bel colpo per dei villani, disse Porthos, ma mi pare -indegno di due gentiluomini. - -«Così penso io pure, e perciò vi ho detto: se non volessimo altro che -oro, ma noi abbiamo altro in mira». - -Nell’istante, e quando d’Artagnan si chinava verso il sotterraneo per -ascoltare, gli colpì l’orecchio un suono metallico e duro come di un -sacco d’oro che sia mosso. Egli si scosse. Tosto fu chiusa una porta, e -sulla scala comparvero i primi riflessi di un lume. - -Mazzarino aveva lasciata la sua lampada nel locale degli agrumi, per -far credere che passeggiasse, ma aveva una candela di cera per visitare -il misterioso suo forziere. - -«Eh eh! diceva in italiano intanto che saliva lentamente, esaminando -un sacco ben rotondo di reali, eh eh! ecco con che pagare cinque -consiglieri al Parlamento, e due generali di Parigi. Ancor io sono un -gran capitano; soltanto fo la guerra alla mia maniera». - -D’Artagnan e Porthos si erano rannicchiati ciascuno in un viale -laterale, dietro una cassa, ed attendevano. - -Mazzarino venne a distanza di tre passi dal Guascone, a spingere -una molla celata dal muro. La lastra girò, e il melarancio ch’essa -sosteneva tornò al suo posto. - -Allora il ministro spense la candela e se lo rimise in tasca, e ripresa -la lampada, disse: - -«Si vada a veder il signor di la Fère. - -«Bene! pensò d’Artagnan, è la stessa strada che facciamo noi, andremo -insieme!» - -Tutti tre si avviarono, Mazzarino pel viale di mezzo, e Porthos -e d’Artagnan per quelli dalle parti. Questi due ultimi scansavano -attentamente le lunghe linee luminose che fra le casse andava segnando -la lanterna. - -Il ministro arrivò ad una seconda porta coi vetri senza accorgersi -di essere seguitato, perocchè l’arena molle attutiva il rumore che -facevano gli altri camminando. - -Indi voltò a sinistra, prese da un corridojo a cui i due amici non -avevano ancor badato; ma sul punto di aprirne l’usciale si ristette -pensoso. - -«Ah diavolo! proferì, mi scordavo la raccomandazione di Comminges: -bisogna che io pigli i soldati e li ponga qui fuori, onde non mettermi -a discrezione di quel demonio sfrenato». - -E con un atto d’impazienza, si girò per tornare indietro. - -«Non vi state ad incomodare, monsignore, disse d’Artagnan piantato -avanti il piede, col cappello in mano, con graziosissima ciera, abbiamo -seguitato sempre Vostra Eccellenza; e siamo qua. - -«Sì, siamo qua, confermò Porthos». - -E fe’ lo stesso gesto di garbato saluto. - -Mazzarino fece correr gli occhi spaventati dall’uno all’altro, li -ravvisò ambedue, e si lasciò cadere la lanterna, dando un gemito di -paura. - -D’Artagnan raccolse questa da terra; per buona sorte nel cascare non si -era smorzata. - -«Oh! disse egli, monsignore, che imprudenza! non conviene andar senza -lume; Vostra Eccellenza potrebbe urtare in una cassa o ruzzolare in una -buca. - -«Signor d’Artagnan! balbettò Mazzarino attonito. - -«Sì, monsignore, son io che ho l’onore di presentarvi il signor du -Vallon, l’ottimo mio amico, a cui l’Eccellenza Vostra ebbe in addietro -la bontà d’interessarsi cotanto?» - -E d’Artagnan diresse la luce della lampada verso la faccia allegra -di Porthos, che cominciava a comprendere ed era contentissimo. Di poi -continuò: - -«Andavate dal signor di la Fère, monsignore; non vi pigliate soggezione -di noi; anzi, insegnateci la strada, e vi verremo appresso». - -Mazzarino a poco a poco ripigliava fiato. - -«Signori, è un pezzo che siete nel locale degli agrumi?» domandò con -voce tremula pensando alla visita che avea fatta allora al suo tesoro. - -Porthos aprì bocca per rispondere, d’Artagnan gli fe’ un cenno, e la -bocca ammutolitasi, gradatamente si richiuse. - -«Siamo giunti adesso» rispose il Guascone. - -Il ministro respirò: non temeva più pel tesoro, ma solo per sè stesso. -Sulle labbra gli corse una specie di sorriso. - -«Animo, replicò, mi avete preso nella rete, e mi do per vinto. Volete -chiedermi la libertà, non è vero? ve la concedo. - -«Oh Eccellenza! siete troppo buono, ma la libertà noi l’abbiamo, e -avremmo più caro di domandarvi tutt’altro. - -«Avete la libertà! disse sbigottito il ministro. - -«Senza dubbio, ed all’incontro, voi, monsignore, l’avete perduta; e -adesso, che vuole ella, Eccellenza? tale è la legge della guerra, si -tratta di ricomprarsela». - -Mazzarino si sentì rabbrividire in fondo al cuore. Fissò lo sguardo -penetrante, ma invano, sul volto beffardo del Guascone e su quello -impassibile del gigante. Entrambi stavano nascosti all’ombra, e nulla -vi avrebbe potuto leggere tampoco la Sibilla di Cuma. - -«Ricomprare la mia libertà! - -«Sì, monsignore. - -«E quanto mi costerebbe, signor d’Artagnan? - -«Eh.... non lo so ancora; lo domanderemo a momenti al conte di la Fère, -se Vostra Eccellenza lo permette; sicchè ella si degni aprire la porta -che guida da lui, e fra dieci minuti saprà l’occorrente». - -Il ministro si scosse. - -L’altro proseguì: - -«L’Eccellenza Vostra vede con quanti riguardi la trattiamo; siamo però -costretti ad avvertirla che non abbiamo tempo da sprecare; dunque, -monsignore; aprite di grazia, e favorite ricordarvi una volta per -sempre, che al minimo movimento che faceste per fuggire, al minimo -grido che deste, essendo noi in una situazione eccezionale, non -dovreste avervi a male se ci portassimo a qualche estremità. - -«Non dubitate, signori, disse Mazzarino, non farò alcun tentativo, vi -do la mia parola d’onore». - -D’Artagnan ammiccò a Porthos che usasse maggiore sorveglianza, e -rispose: - -«E adesso, monsignore, entriamo, se non vi spiace». - - - - -XC. - -_Conferenze._ - - -Mazzarino mosse il chiavistello di una doppia porta, e sulla soglia -si trovò Athos pronto a ricevere l’illustre visitante, a tenore dello -avviso dategli da Comminges. - -E visto ch’ebbe il ministro, gli fece un inchino, dicendo: - -«Vostra Eccellenza poteva dispensarsi da farsi accompagnare: l’onore -che mi concede, è troppo grande per ch’io me ne dimentichi. - -«E perciò, caro, conte, disse d’Artagnan, Sua Eccellenza non ci -voleva assolutamente; du Vallon ed io abbiamo insistito, forse in modo -disdicente, tanto era nostro desiderio di vedervi». - -Alla voce, all’accento motteggiatore, al gesto ben noto ch’era compagno -all’accento e alla voce, Athos balzò stupefatto esclamando: - -«D’Artagnan! Porthos! - -«In carne e in ossa, amico. - -«E che vuol dir codesto? domandò il conte. - -«Vuol dire, rispose Mazzarino tentando, conforme già aveva tentato di -sorridere, e sorridendo mordendosi le labbra, che si sono cambiate le -parti, e che invece di esser questi signori miei prigionieri, io sono -prigioniero di loro, talchè mi vedete costretto a ricever qui la legge -in luogo di dettarla. Ma ve lo avverto, ammenochè mi ammazziate, sarà -di poca durata la vostra vittoria; toccherà poi a me, e verrà.... - -«Monsignore! interruppe d’Artagnan, non minacciate, gli è cattivo -esempio. Noi siamo tanto docili e gentili con l’Eccellenza Vostra! -Orsù, bando al mal umore, bando ai rancori, e discorriamola -garbatamente. - -«Per me non voglio altro, disse Mazzarino, ma sul punto di discutere -pel mio riscatto, non vuo’ che stimiate la vostra situazione per -migliore di quel ch’ella sia. Cogliendo me nel lacciuolo, vi ci siete -colti anco voi. Come uscirete di qua? Guardate le grate, guardate -le porte, guardate, o piuttosto figuratevi le sentinelle che sono a -invigilare dietro di esse, e i soldati che ingombrano i cortili, e -transigiamo. Ecco, io vi mostrerò che son leale. - -«Ahi pensò d’Artagnan, giudizio, ci vuol fare qualche burla! - -«Vi esibivo la libertà, continuò il ministro, e tuttora ve la esibisco. -La volete? Fra men di un’ora sarete scoperti, arrestati, e obbligati -ad uccidermi, lo che sarebbe delitto orribile e indegno totalmente di -integri gentiluomini pari vostri. - -«Ha ragione!» fece Athos internamente. - -E come ogni ragione che passava nell’animo suo, il quale non aveva se -non se nobili pensamenti, il suo concetto gli apparve negli occhi. - -«E perciò, rispose d’Artagnan onde correggere la speranza che la tacita -adesione di Athos aveva data a Mazzarino, non ci ridurremo a tale atto -di violenza che agli ultimi estremi. - -«Se al contrario, proseguì Mazzarino, mi lasciate andare, accettando la -vostra libertà.... - -«E come mai, gli troncò la parola così il Guascone, come mai -intendereste che accettassimo la nostra libertà, poichè potete -ritorcela voi stesso cinque minuti dopo avercela data?... E tal quale -vi conosco, monsignore, ce la ritogliereste! - -«No, da ministro che sono! non mi credete? - -«Non siete più ministro, monsignore, ma prigioniero. - -«Dunque, da Mazzarino! Mazzarino sono, e sarò sempre, lo spero. - -«Uhm! borbottò il tenente dei moschettieri, io ho inteso a parlare di -un Mazzarino poco mantenitore dei giuramenti, ed ho paura che fosse uno -degli antenati di Vostra Eccellenza. - -«Signor d’Artagnan, avete molto spirito, e mi rincresce di essermi -messo in dissapori con voi. - -«Monsignore, riconciliamoci, non chiedo di meglio. - -«Or bene, se vi pongo in sicuro, in modo evidente, palpabile? - -«Ah! è tutt’altro, fece Porthos. - -«Sentiamo, seguitò Athos. - -«Si senta, aggiunse d’Artagnan. - -«Ma prima di tutto, accettate? - -«Spiegateci il vostro piano, monsignore, e si vedrà. - -«Badate che siete bell’e presi, e rinserrati. - -«Sapete pure che ci riman sempre un’ultima risorsa, ribattè il Guascone. - -«E quale? - -«Quella di morire insieme». - -Mazzarino ebbe addosso un brivido. - -«Ecco, egli disse, in fondo al corridojo è una porta, di cui io ho la -chiave, e che dà sul parco. Andatevene con questa chiave. Siete svelti, -robusti, armati. A distanza di cento passi, voltando a sinistra, -incontrerete il muro del parco; lo passerete, e in tre salti sarete -sulla via maestra e liberi.... Ed io vi conosco abbastanza per esser -certo che se alcuno vi assalisce, questo non sarà già di ostacolo alla -vostra fuga. - -«Ah cospettone! fece d’Artagnan, manco male! questo si chiama parlare. -Dov’è la chiave che favorite offerirci? - -«Eccola. - -«Ma.... Vostra Eccellenza ci condurrà ella stessa sino a quella porta? - -«Volentieri, se questo abbisogna per mettervi in quiete». - -Mazzarino che non si lusingava di uscirne con sì poco, si avviò allegro -verso il corridojo ed aprì. - -La porta dava sul parco, ed i fuggiaschi se ne accorsero dal vento -notturno che fece volar loro la neve fin sul viso. - -«Diamine! brontolò d’Artagnan, monsignore, è una nottata orribile! non -conosciamo le località, e non potremo ritrovare la via. Poichè Vostra -Eccellenza ha fatto tanto di venire fin qua, qualche altro passo, di -grazia, e ci guidi sino al muro. - -«Va bene, disse il ministro». - -E prendendo in retta linea, camminò sollecito verso il muro, appiè del -quale furono in breve tutti quattro. - -«Siete contenti, signori? domandò Mazzarino. - -«Lo credo, io! bisognerebbe esser troppo difficili! capperi! che tocco -d’onore! tre poveri gentiluomini scortati da un tal principone!.... -Appunto, Vostra Eccellenza diceva dianzi che eravamo prodi, svelti ed -armati? - -«Sì. - -«Ella s’ingannava: armati siamo soltanto io ed il signor du Vallon; il -conte non lo è, e se c’imbattessimo in qualche pattuglia, bisogna che -ci possiamo difendere. - -«È troppo giusto. - -«Ma dove avremo una spada? chiese Porthos. - -«Monsignore, disse d’Artagnan, presterà all’occorrenza la sua, che gli -è inutile. - -«Volentieri, rispose il ministro, ed anzi pregherò il signor conte di -ritenerla per un mio ricordo. - -«Questa è galanteria! fece il Guascone giratosi ad Athos. - -«E perciò, questi replicò, io prometto a Sua Eccellenza di non mai -togliermela dal fianco. - -«Benone, esclamò d’Artagnan, scambio di cortesie.... che cosa -commovente! Porthos, e non vi vengono le lacrime agli occhi? - -«Sì, rispose Porthos, ma non so se sia tenerezza oppure il vento che mi -faccia piangere.... Ho idea che sia il vento. - -«Ed ora, seguitò d’Artagnan, Athos, salite, e sbrigatevi». - -Athos, ajutato da Porthos, che lo sollevò come una penna, arrivò sulla -gradinata. - -«Adesso saltate». - -Athos saltò, e sparì dall’altro lato del muro. - -«Siete a terra? domandò il tenente. - -«Sì. - -«Senza disgrazie? - -«Sano e salvo. - -«Porthos, state ad osservare il signor ministro, intanto che io -salgo. No, non ho necessità di voi, salirò da per me: badate al signor -ministro, e tanto basta. - -«Bado.... disse Porthos. Ebbene? - -«Avete ragione, è più difficile di quel che m’immaginavo. Porgetemi la -schiena, ma senza lasciare andare monsignor ministro. - -«Non lo lascio». - -Porthos porse la schiena al Guascone, il quale mercè quell’appoggio fu -presto cavalcioni sul cornicione. - -Mazzarino fingeva di ridere. - -«Ci siete? domandò Porthos. - -«Sì.... ed ora.... - -«Ora, che? - -«Datemi su il signor ministro, e se grida, strozzatelo». - -Mazzarino voleva esclamare, ma Porthos lo strinse con ambe le mani, e -lo alzò sino a d’Artagnan, che lo pigliò pel collare dell’abito, e se -lo mise a sedere accanto, e indi strillò minaccioso: - -«Signore, balzate subito abbasso vicino al signor di la Fère, o da -gentiluomo, vi uccido! - -«Oh! urlò il Mazzarino, mancate alla fede promessa! - -«Io? vi ho promesso forse qualche cosa?» - -Il ministro cacciò un sospiro, e rispose: - -«Siete libero per dato e fatto mio; la vostra libertà era il mio -riscatto. - -«Sarà; ma il riscatto dell’immenso tesoro nascosto nella galleria, ed a -cui si scende spingendo una molla celata nella muraglia, che fa girare -una cassa, la quale poi scuopre una scala, ehi! non si ha da discorrere -un pochetto anche di quello? - -«Gesù! fece Mazzarino quasi soffocando e a mani giunte, Gesù, mio Dio! -sono un uomo perduto!» - -D’Artagnan, però, senza dar mente a’ suoi lamenti, lo afferrò di sotto -il braccio e lo fe’ scivolare pian piano nelle mani di Athos che era -rimasto giù fermo. - -E voltosi a Porthos, d’Artagnan continuò: - -«Pigliatemi per la mano; io mi reggo al muro.» - -Porthos fece uno sforzo che scosse il muro, ed a vicenda arrivò in cima. - -«Non avevo capito del tutto, esso disse, ma ora capisco: è curiosissima! - -«Vi pare così? replicò il Guascone, tanto meglio! ma perchè sia curiosa -sino all’ultimo, non isprechiamo il tempo». - -E balzò abbasso. - -E Porthos lo imitò. - -«Signori, seguitò d’Artagnan, accompagnate il signor ministro; io -scandaglio il terreno». - -Il tenente cavò fuori la spada, e marciò alla vanguardia. - -«Monsignore, domandò, d’onde si deve girare per giungere alla -strada maestra? Riflettete bene innanzi di rispondere, poichè se -Vostra Eccellenza prendesse abbaglio, ne potrebbero resultare gravi -conseguenze, non solo per noi, ma anche per lei. - -«Rasentate la muraglia, rispose Mazzarino, e non arrischierete di -smarrirvi». - -I tre amici si sollecitarono, ma indi a poco dovettero rallentare il -passo, chè ad onta di tutta la buona volontà il ministro non poteva -tener loro appresso. - -Ad un tratto d’Artagnan inciampicò in qualche cosa tepida, la quale si -mosse. - -«Veh! disse egli, un cavallo; signori, ho trovato un cavallo. - -«Ed anch’io, aggiunse Athos. - -«Io pure, confermò Porthos, che puntuale alla consegna teneva sempre -Mazzarino per il braccio. - -«Questa è sorte, monsignore! fece d’Artagnan, appunto nel momento che -Vostra Eccellenza si lagnava di dover ire a piedi....» - -Però nell’atto che profferiva queste parole, gli si calò sul petto la -canna di una pistola, ed egli udì a pronunziare gravemente: - -«Non toccate! - -«Grimaud, esclamò allora, Grimaud, che fai tu costì? Il cielo ti ha -mandato. - -«Signor no, rispose l’onesto domestico, è il signor Aramis che mi ha -ordinato di badare ai cavalli. - -«Dunque Aramis è qui? - -«Sì, fino da jeri. - -«E che fate? - -«Facciamo la posta. - -«Come, è qui Aramis? ripetè Athos. - -«Alla piccola porta del castello: era là il suo posto. - -«Sicchè siete in molti? - -«Siamo sessanta. - -«Fallo avvertire. - -«Subito». - -Grimaud, pensando che nessuno eseguirebbe meglio di lui l’incombenza, -si partì a gambe, mentre i tre amici contenti di essere finalmente -riuniti rimanevano ad attendere. - -Fra tutta la comitiva non v’era altro di mal umore che il signor di -Mazzarino. - - - - -XCI. - -_Ove si comincia a credere che alla fine Porthos sarà barone e -d’Artagnan capitano._ - - -A capo a dieci minuti arrivò Aramis, accompagnato da Grimaud e da otto -o dieci gentiluomini. Era esultante, e si gittò al collo agli antichi -colleghi. - -«Fratelli! dunque siete liberi? liberi senza mio ajuto! e nulla avrò -potuto io fare a pro vostro, non ostante i miei sforzi? - -«Non vi disperate, mio caro: il differito non è perduto; ciò che non -poteste fare, lo farete. - -«Eppure avevo prese bene le mie misure, rispose Aramis, ho ottenuto dal -Coadjutore sessanta uomini: venti custodiscono le mura del parco, venti -la strada da Rueil a San Germano, venti sono sparsi per la macchia; -così, e mediante queste disposizioni di strategia, ho intercettato due -corrieri di Mazzarino per la regina». - -Mazzarino drizzò le orecchie. - -«Ma, disse d’Artagnan, mi figuro che gli avrete garbatamente rimandati -al signor ministro? - -«Oh sì! con lui, giusto, mi picchierò di simili delicatezze! In uno -di quei dispacci Mazzarino dichiara alla sovrana che i forzieri sono -vuoti e che Sua Maestà non ha più danari; nell’altro annunzia che farà -trasportare i suoi prigionieri a Melun, non sembrandogli Rueil assai -sicuro. Capite che quest’ultima lettera mi ha date delle speranze; -mi sono imboscato co’ miei sessanta, ho attorniato il castello, ho -fatto preparare dei cavalli scossi, e li ho affidati all’intelligente -Grimaud, ed ho aspettato che usciste; non me ne lusingavo sino a -domattina, e non speravo di liberarvi senza una scaramuccia. Siete -liberi questa sera, liberi, senza battaglia, meglio così! Come avete -fatto per isfuggire a quel gaglioffo di Mazzarino? dovete aver avuto da -lagnarvene di molto! - -«Non troppo, fece d’Artagnan. - -«Davvero? - -«Dirò anzi di più: abbiamo avuto da lodarcene. - -«È impossibile! - -«Sì; in verità: per grazia sua siamo liberi. - -«Per grazia sua! - -«Certo: ci ha fatti condurre nel locale degli agrumi dal signor -Bernouin suo cameriere, e di là lo abbiamo seguitato fino dal conte -di la Fère. Allora ci ha offerto di renderci la libertà; abbiamo -accettato, ed egli ha portata la compiacenza sino a insegnarci la -strada e guidarci alla muraglia del parco, la quale avevamo scalata con -buonissimo esito quando abbiamo incontrato Grimaud. - -«Oh bene! continuò Aramis, questo mi rappattuma con lui, e vorrei che -fosse qui per dirgli che non lo supponevo capace di una azione tanto -bella. - -«Monsignore, disse d’Artagnan che non poteva più frenarsi, permettetemi -di presentarvi il signor cavaliere d’Herblay, che desidera fare, -secondo avrete udito, le sue rispettose congratulazioni a Vostra -Eccellenza». - -E si ritirò discuoprendo Mazzarino confuso agli sguardi sbigottiti di -Aramis. - -«Ah ah! gridò questi, il ministro! bella presa! olà, amici! presto! i -cavalli!» - -Accorsero parecchi cavalieri. - -«Cospetto! ei continuò, sarò stato utile a qualcosa. Monsignore, -l’Eccellenza Vostra si degni di ricevere il mio omaggio!.... scommetto -che è quel Porthos che ha fatto questo buon colpo!.... a proposito, mi -scordavo....» - -E diede sotto voce qualche ordine ad uno de’ suoi. - -«Mi pare che sarebbe prudenza andarcene, osservò d’Artagnan. - -«Sì, ma io attendo uno.... un amico di Athos.... - -«Un amico? domandò il conte. - -«Ah! eccolo, che viene di galoppo fra i cespugli. - -«Signor conte! signor conte! gridò una voce giovanile che fece -palpitare Athos. - -«Raolo! Raolo! esclamò il signor di la Fère». - -Per un momento il giovanetto dimenticò il rispetto suo consueto, e si -gittò al collo a suo padre. - -«Vedete, signor ministro, non sarebbe stato peccato di separare persone -che si amano come noi?.... Signori (disse poscia Aramis ai cavalieri -che giungevano in numero sempre maggiore), circondate Sua Eccellenza -onde farle onore; si compiace accordarci il favore della sua compagnia, -e non dubito che voi gliene sarete grati. Porthos, non perdete di vista -monsignore». - -Ed Aramis, riunitosi a d’Artagnan ed Athos che parlavano, conferì -insieme con essi. - -«Animo, in cammino! fece quindi d’Artagnan. - -«E dove si va? chiese Porthos. - -«Da voi, mio caro, a Pierrefonds; la vostra bella villa è degna -di offrire la sua signorile ospitalità a Sua Eccellenza; e di più -benissimo situata, nè troppo vicina, nè troppo lontana da Parigi; di -là si potranno stabilire facili comunicazioni colla capitale. Venite, -monsignore, ci starete da principe come siete. - -«Principe decaduto, ribattè in tuono dolente Mazzarino. - -«La guerra ha le sue eventualità, replicò Athos, ma siate certo che non -ne faremo abuso. - -«No, ma ne faremo uso», terminò d’Artagnan. - -In tutto il resto della nottata, i rapitori corsero con la instancabile -rapidità dei tempi passati; Mazzarino, cupo e pensoso, si lasciava -trascinare in mezzo a quel cammino da fantasme. - -All’alba avevano fatte dodici leghe in una tirata; la metà della scorta -era spossata, caddero varj cavalli. - -«I cavalli d’oggidì, disse Porthos, non sono come quelli che si avevano -in addietro; tutto va degenerando. - -«Ho mandato Grimaud a Dammatin, rispose Aramis, deve portarci -cinque palafreni riposati, uno per Sua Eccellenza e quattro per noi. -L’essenziale si è di non abbandonare monsignore; il rimanente della -scorta ci seguirà più tardi: una volta che siasi oltrepassato San -Dionigi, di nulla abbiamo più da temere». - -Realmente Grimaud condusse cinque corsieri; il signore, a cui si -era egli rivolto, essendo amico di Porthos, erasi affrettato, non a -venderli, conforme gli si proponeva, ma bensì a regalarli. Dopo dieci -minuti la scorta si fermava ad Ermenonville, ma i quattro camerati -trottavano con maggiore impegno, facendo guardia al signor ministro. - -E a mezzogiorno succedeva l’ingresso nel viale della villa di Porthos. - -«Ah! fece Mousqueton, che era accanto a d’Artagnan e non aveva cacciata -fuori una parola in tutto il tragitto; mi avete a credere se vi pare, -signor mio, ma questa è la prima volta che respiro da dopo che sono -partito da Pierrefonds». - -E spronò al galoppo per annunziare agli altri servi l’arrivo di du -Vallon e de’ suoi amici. - -«Siamo quattro, disse d’Artagnan ai colleghi, faremo la muta per essere -di guardia a monsignore, e ciascuno di noi veglierà per tre ore. Athos -va a visitare il palazzo, che convien rendere inespugnabile in caso di -assedio; Porthos baderà alle vettovaglie, ed Aramis all’entrata delle -guarnigioni, lo che vuol dire che Athos sarà ingegnere principale, -Porthos generale provveditore, ed Aramis governatore della piazza». - -Frattanto misero il Mazzarino nel più bell’appartamento. - -«Signori, ei disse quando fu ivi stabilito, m’immagino che non abbiate -idea di tenermi qui gran tempo incognito? - -«No, monsignore, rispose d’Artagnan, al contrario, divisiamo annunziare -prestissimo che vi abbiamo nelle mani. - -«E sarete assediati! - -«L’abbiam per sicuro. - -«E che farete? - -«Ci difenderemo. Se fosse vivo il fu ministro signor di Richelieu, -vi racconterebbe una storia di sul bastione San Gervasio, dove noi -quattro, con altrettanti nostri lacchè e dodici morti, reggemmo forte -contro un’intera armata. - -«Codeste prodezze si fanno una volta, e non si rinovano. - -«E perciò, in quest’oggi non avremo bisogno di tanto eroismo. Domani -l’armata parigina sarà prevenuta: posdomani la sarà qui. La battaglia, -anzichè darsi a San Dionigi o a Charenton, si darà dunque verso -Compiegne o Villers-Cotterets. - -«Il signor principe vi batterà come ha fatto sempre. - -«Può essere; ma prima del combattimento faremo sgambettare Vostra -Eccellenza in un’altra tenuta del nostro du Vallon, ed esso ne ha tre -simili a questa. Non vogliamo esporre l’Eccellenza Vostra ai cimenti -della guerra. - -«Orsù, disse Mazzarino, vedo che converrà capitolare. - -«Avanti l’assedio? - -«Sì; forse saranno migliori le condizioni. - -«Oh! per quanto alle condizioni, osserverete, monsignore, quanto siamo -ragionevoli. - -«Animo, che condizioni sono le vostre? - -«Prima, monsignore, riposatevi; e noi ci rifletteremo. - -«Non ho necessità di riposo, ma di sapere se sono in mani amiche o -nemiche. - -«Amiche, amiche, Eccellenza! - -«Or dunque, ditemi subito ciò che volete, onde io conosca se è -possibile fra noi un aggiustamento. Parlate, signor conte di la Fère. - -«Monsignore, replicò Athos, per me nulla ho da chiedere, e troppo -per la Francia; quindi mi astengo, e cedo la parola al cavaliere -d’Herblay». - -Ed inchinatosi, mosse un passo all’indietro, e rimase in piedi -appoggiato al caminetto, come semplice spettatore. - -«Dite su, riprese il ministro, che bramate? non vi siano ambiguità, non -finezze; siate breve, succinto e preciso. - -«Io, monsignore, giuocherò a carte scoperte. - -«Dunque, fuori il vostro giuoco! - -«Ho in saccoccia, disse Aramis, il programma dei patti che venne ad -imporvi jeri l’altro a San Germano la deputazione nella quale facevo -parte ancor io. Rispettiamo in primo luogo i diritti antichi: le -domande inserite nel programma saranno concesse. - -«Su quelle, rispose Mazzarino, eravamo quasi d’accordo: si passi perciò -ai patti particolari. - -«Credete dunque che ve n’abbiano da essere? fece Aramis sogghignando. - -«Credo che non tutti avrete un disinteresse eguale a quello del signor -di la Fère, ripicchiò Mazzarino volgendosi a salutare Athos. - -«Ah! monsignore, avete ragione, disse Aramis, e sono lieto di scorgere -che finalmente rendete giustizia al conte: il signor di la Fère è -una mente superiore, che sorvola sui desiderj volgari e sulle umane -passioni, è un’anima all’antica ed altera. Il signor conte è un uomo -diverso dagli altri. Dite bene, monsignore, noi non siamo da suo pari, -e siamo i primi a confessarlo con voi. - -«Aramis! domandò Athos, forse burlate? - -«No, caro conte, no.... dico quel che pensiamo e noi e tutti coloro -che ci conoscono.... ma avete ragione: non si tratta di voi, e bensì di -monsignore, e dell’indegno suo servo cavaliere d’Herblay. - -«Ebbene! che desiderate oltre i patti generali sui quali torneremo a -discorrere? - -«Desidero, Eccellenza, che si dia la Normandia alla signora di -Longueville, con piena e intera assoluzione, e cinquecento mila lire; -che Sua Maestà il re si degni esser compare del figliuolo ch’ella ha -dato alla luce di recente; e che monsignore, dopo avere assistito al -battesimo, vada a presentare i suoi omaggi al sommo Pontefice. - -«Cioè, volete ch’io mi dimetta dalle mie funzioni di ministro, che -abbandoni la Francia, che me ne vada esule? E voi, signorino? domandò -Mazzarino a d’Artagnan. - -«Io, rispose il Guascone, sono precisamente dell’opinione del cavaliere -d’Herblay, eccetto che sull’ultimo punto; invece di bramare che -monsignore lasci la Francia, bramo che resti in Parigi, ed in sostanza -che rimanga primo ministro, perocchè egli è un gran politico. Procurerò -ancora, per quanto da me dipenda, ch’egli abbia la preponderanza su -tutta la _Fronda_, ma a patto che si rammenti alcun poco dei fidi -servitori del re, e dia la prima compagnia di moschettieri ad uno il -quale sarà da me accennato. E voi, du Vallon? - -«Sì, tocca a voi, fece Mazzarino, parlate. - -«Io, replicò Porthos, vorrei che il signor ministro, per onorare la mia -casa che gli ha dato asilo, in memoria di quest’avventura, favorisse -erigere le mia tenuta in baronia, con promessa dell’ordine per uno de’ -miei amici alla prima promozione che farà Sua Maestà. - -«Sapete pure, signor mio, che per ricever l’ordine bisogna fare delle -prove. - -«E l’amico le farà. D’altronde, se occorresse assolutamente, monsignore -gli direbbe come si scansa questa formalità». - -Mazzarino si morse le labbra; il colpo era diretto, ed egli riprese -aspramente: - -«Tutte queste cose, a parer mio, si combinano malamente, poichè se -soddisfo alcuni, forzatamente disgusto gli altri. Se sto a Parigi, non -posso andare a Roma; se ci vado, non posso rimaner ministro, e se non -lo sono, non posso far capitano messer d’Artagnan e barone messer du -Vallon. - -«È vero, confermò Aramis, e perciò, siccome io formo minorità, ritiro -la mia proposizione in quel che si spetta alla gita a Roma ed alla -dimissione di Sua Eccellenza. - -«Dunque resto ministro? domandò Mazzarino. - -«Ci s’intende! disse d’Artagnan, la Francia ha d’uopo di voi. - -«Ed io desisto dalle mie pretese, e Sua Eccellenza rimarrà primo -ministro, ed anche favorito di Sua Maestà, se vuol concedere a me ed -agli amici miei ciò che chiediamo per la Francia e per noi. - -«Badate a voi, signori, e lasciate che la Francia si accomodi meco come -intendo, brontolò Mazzarino. - -«Signor no! signor no! gridò Aramis, abbisogna ai _Frondisti_ un -trattato, e l’Eccellenza Vostra si compiacerà redigerlo e firmarlo -davanti a noi, obbligandosi con quello ad ottenerne la ratifica dalla -regina. - -«Non posso guarentire se non per me, non posso guarentire per la -regina: e se Sua Maestà ricusa.... - -«Oh! interruppe il Guascone, voi sapete, monsignore, che nulla può -ricusarvi la sovrana. - -«Ecco, continuò Aramis, ecco il trattato proposto dalla deputazione dei -Frondisti: si degni Vostra Eccellenza leggerlo ed esaminarlo. - -«Lo conosco, disse Mazzarino. - -«Dunque sottoscrivetelo. - -«Riflettete, signori, che una firma apposta nelle circostanze in cui -siamo potrebbe considerarsi come carpita con violenza!.... - -«E Vostra Eccellenza sarà là pronta a dichiarare di averla data -volontariamente. - -«Ma, in conclusione, se io do un rifiuto? - -«Ah! fece d’Artagnan, Vostra Eccellenza avrà a dolersi con sè sola -delle conseguenze del rifiuto. - -«Osereste alzar la mano sul ministro! - -«Osaste pure alzarla voi sui moschettieri di Sua Maestà. - -«La regina mi vendicherà. - -«Non lo credo.... benchè la reputi a ciò dispostissima; ma noi andremo -a Parigi con Vostra Eccellenza, e i Parigini sono gente da difenderci. - -«In che inquietudine debbono essere in questo momento a Rueil e a San -Germano! disse Aramis, come devono domandare ove sia il ministro, ove -sia passato il favorito! come devono cercarlo da per tutto! quanti -commenti si debbono fare, e come deve trionfare la _Fronda_ se sa che -sia sparito monsignore! - -«È terribile! mormorò Mazzarino. - -«Dunque sottoscrivete il trattato, disse Aramis. - -«Ma se io lo firmo, e Sua Maestà nega la sua ratifica? - -«Mi assumo io di andare da Sua Maestà e di ottenerla, ribattè il -Guascone. - -«Badate, fece Mazzarino, di non ricevere a San Germano l’accoglienza a -cui vi credete aver diritto. - -«Eh via! mi regolerò in modo da esser colà benvenuto; so bene un mezzo. - -«E quale? - -«Recherò alla regina la lettera con cui Vostra Eccellenza le annunzia -totalmente esauste le finanze. - -«E poi? disse il ministro fattosi più pallido. - -«E poi quando vedrò Sua Maestà nel massimo imbarazzo, la ricondurrò -a Rueil, la farò entrare nel locale degli agrumi, e le indicherò una -certa molla che fa muovere una cassa. - -«Basta, signore! basta! brontolò il ministro, dov’è il trattato? - -«Eccolo, rispose Aramis. - -«Vedete che siamo generosi, soggiunse d’Artagnan, poichè molte cose -potevamo fare con un simil segreto. - -«Orsù, firmate, proseguì Aramis porgendo la penna». - -Mazzarino si alzò, passeggiò un poco, più pensieroso che abbattuto; -indi fermatosi ad un tratto: - -«Signori, e quando avrò sottoscritto, qual sarà la mia garanzia? - -«La mia parola d’onore, proferì Athos». - -Mazzarino si scosse, si volse verso il conte di la Fère, esaminò per un -istante quel volto leale e nobile, e presa la penna, disse: - -«Questa mi basta, signor conte». - -E firmò. - -«Adesso, signor d’Artagnan, soggiunse poi, preparatevi a partire per -San Germano, ed a portare alla regina una mia lettera». - - - - -XCII. - -_Qualmente con una penna e una minaccia si fa meglio e più presto che -con la spada e lo zelo._ - - -D’Artagnan era istrutto in mitologia; sapeva che l’occasione ha un -solo ciuffo di capegli, da cui si possa afferrarla, e non era uomo -da lasciarla passare senza fermarla dal toppè. Organizzò un metodo -di viaggio pronto e sicuro, mandando anticipatamente dei cavalli da -muta a Chantilly, in guisa ch’ei potrebbe essere a Parigi in cinque o -sei ore. Ma innanzi di partire riflettè che per un giovane di spirito -e d’esperienza, era una posizione singolare quella di camminare -all’incerto, e dietro di sè andar lasciando codesta incertezza. - -«Infatti, diceva fra sè stesso sul punto di salire a cavallo per -adempiere al periglioso suo incarico, Athos è un eroe da romanzo per -la generosità; Porthos, un’indole ottima, ma soggetto alle altrui -influenze; Aramis, un viso geroglifico, cioè impossibile sempre a -leggersi. Che produrranno questi tre elementi, quando io non sarò -più là a ricongiungerli insieme? Forse la liberazione del ministro! -e questa è la rovina delle nostre speranze, e le speranze nostre sono -finora l’unica ricompensa di venti anni di fatiche a confronto delle -quali quelle di Ercole sono opere da pigmei». - -D’Artagnan se n’andò da Aramis. - -«Voi, caro cavaliere d’Herblay, gli disse, siete la _Fronda_ incarnata; -diffidatevi adunque di Athos, che non vuol fare gli affari di veruno, -e tampoco i suoi propri; diffidatevi specialmente di Porthos, che per -dare nel genio al conte, cui considera come una Divinità sulla terra, -lo ajuterà a far fuggire Mazzarino, se questi ha tanto giudizio da -piangere un pochino o da mostrar sentimenti cavallereschi». - -Aramis mosse il suo solito sorrisetto scaltro e risoluto. - -«Non temete, rispose, ho da stabilire le mie condizioni. Io non lavoro -per me, ma per gli altri, e bisogna che la mia piccola ambizione tenda -a profitto di chi si spetta. - -«Bene! pensò d’Artagnan, per questo lato sto quieto». - -Strinse la mano ad Aramis, e se n’andò da Porthos. - -«Amico, gli disse, voi avete lavorato tanto con me per costruire -l’edifizio della nostra fortuna, che nel momento in cui siamo a -procinto di cogliere il frutto delle nostre fatiche sarebbe una -ridicola baggianata se vi lasciaste dominare da Aramis, del quale vi -è nota la scaltrezza (diciamolo pure fra noi) non sempre scevra da -egoismo, o da Athos, uomo nobile e disinteressato, ma anche stuccato e -indifferente, che nulla più bramando per sè stesso, non comprende che -gli altri bramino qualche cosa. Che direste se uno o l’altro di quei -nostri amici vi proponesse di lasciar andare Mazzarino? - -«Oh! direi che abbiamo stentato troppo a pigliarlo, per levarcelo di -mano così! - -«Bravo, Porthos! ed avreste ragione, mio caro; perchè insieme con lui -vi levereste di mano la baronia che avete bell’e pronta, senza contare -che Mazzarino appena fosse fuori di qui vi farebbe appiccare. - -«Veramente? lo credete? - -«Ne sono sicuro. - -«Allora, piuttosto lo ammazzerei che lasciarlo scappare. - -«Ed agireste benone. Capite che quando abbiamo pensato di fare i fatti -nostri, non ci dobbiamo ridurre ad aver travagliato per i Frondisti, i -quali d’altronde non intendono le quistioni politiche come noi vecchi -soldati. - -«Non abbiate paura, disse Porthos, sto alla finestra a vedervi saltare -a cavallo, vi seguo con gli occhi sino a che siate sparito, poi torno a -piantarmi alla porta del ministro, ad un usciale coi vetri che dà sulla -camera; di là osserverò ogni cosa, ed al minimo gesto sospetto fo un -esterminio. - -«Ottimamente! pensò d’Artagnan, spero che da questo lato il ministro -sarà custodito a dovere». - -E stretta la destra al signor di Pierrefonds, andò da Athos. - -«Mio caro Athos, disse allora, io parto; non ho da darvi che un avviso: -voi conoscete la regina Anna; la detenzione del signor di Mazzarino è -l’unica mia guarentigia; se ve lo lasciate scivolare, io son morto. - -«Non ci voleva meno di questa considerazione, d’Artagnan mio, per -indurmi a fare il mestiere del carceriere; vi do parola che ritroverete -il ministro dove ora lo sapete. - -«Questo mi pone in quiete meglio che tutte le regie firme, pensò -il tenente dei moschettieri; ora che ho la promessa di Athos, posso -partire». - -E realmente si avviò, solo, senz’altra scorta che la propria spada, -e con un semplice passavanti di Mazzarino onde pervenire presso alla -sovrana. Sei ore dopo essersi mosso da Pierrefonds era a San Germano. - -Vi s’ignorava tuttavia che fosse scomparso Mazzarino; lo sapeva -soltanto Anna, la quale occultava il suo dispiacere anche alle persone -di sua maggiore intimità. Nella stanza di d’Artagnan e di Porthos -eransi rinvenuti i due soldati legati e manettati; a questi si era reso -immediatamente l’uso delle membra e della favella, ma non avevano da -dire altro se non ciò che stava a lor cognizione, cioè, come fossero -stati tirati su, avvinti e spogliati; però di quel che avessero fatto -Porthos e d’Artagnan essendo usciti dalla porta onde eglino erano -entrati, i meschinelli si rimanevano all’oscuro al pari di tutti gli -altri abitanti del castello. - -Bernouin soltanto era un po’ più informato. Non vedendo ritornare -il suo padrone, e udita suonare la mezzanotte, si era azzardato a -penetrare nel locale degli agrumi; la porta chiusa mediante i mobili -postivi a ridosso gli aveva dato qualche sospetto; bensì egli non -avea voluto di questi dare comunicazione a veruno, e con pazienza -erasi aperto il varco sgombrando tutta quella roba. Poi giunto nel -corridojo lo trovava spalancato da ogni lato; così pure succedeva -della porta della camera di Athos e di quella del parco. Arrivato -colà, gli fu facile di seguitare i passi impressi sulla neve; vide che -questi finivano al muro. Dalla parte opposta scorse la stessa traccia, -e indi zampate di cavalli, e poscia le orme di una intera compagnia -di cavalleria allontanatasi nella direzione di Enghien. Allora non -gli restò più dubbio che il ministro fosse stato portato via dai tre -prigionieri, dacchè questi insieme con lui erano spariti, e di tutto -ciò Bernouin correva a dar avviso alla regina a San Germano. - -Anna gli raccomandò il silenzio, ed egli lo serbò rigorosamente. Se non -che ella fece venire a sè il signor Principe, al quale raccontò tutto, -e che tosto mise in moto cinque o seicento uomini a cavallo, con ordine -di visitare i contorni, e ricondurre a San Germano qualunque truppa -sospetta che movesse da Rueil per qual si fosse direzione. - -Ed ora, siccome d’Artagnan non formava una truppa, giacchè era solo, -giacchè non si allontanava da Rueil, giacchè andava a San Germano, così -niuno gli badò, nè fuvvi il menomo ostacolo al suo viaggio. - -La prima persona che il nostro ambasciadore ebbe veduta, all’entrare -nel cortile del vecchio palazzo fu propriamente messer Bernouin, che, -ritto sulla soglia, attendeva notizie del padrone. - -Bernouin, scorgendo d’Artagnan che passava a cavallo nel cortile -d’onore, si fregò gli occhi e credè avere sbagliato. Ma d’Artagnan -col capo gli fece un piccol cenno amichevole, e smontò, e gettata la -briglia del palafreno sul braccio di un lacchè, si avanzò col sorriso -sul labbro incontro al gran cameriere. - -Il quale alla guisa di uno che preso quasi da incubo parli di notte -dormendo, esclamò: - -«Il signor d’Artagnan! - -«Per l’appunto, signor Bernouin. - -«E a che venite? - -«A recar nuove del signor di Mazzarino, ed anche freschissime. - -«Ah! e che n’è stato di lui? - -«Sta precisamente come voi ed io. - -«Non gli è dunque avvenuta alcuna disgrazia? - -«Nessuna assolutamente. Ha provato soltanto il bisogno di fare una gita -nell’Isola di Francia, e ci ha pregati di accompagnarlo, il conte di -la Fère, du Vallon e me. Eravamo talmente suoi servi da non potergli -ricusare una simile domanda. Partimmo jeri sera, ed eccomi qua. - -«Eccovi qua! - -«Sua Eccellenza aveva da far dire a Sua Maestà qualche cosa, di -particolare, di segreto, un’ambasciata de non affidarsi che ad un -soggetto sicuro, e perciò mi ha inviato a San Germano. Sicchè, mio -caro signor Bernouin, se volete far cosa gradita al vostro padrone, -avvertite Sua Maestà del mio arrivo e partecipategliene lo scopo». - -O parlasse sul serio, o il suo discorso fosse un mero scherzo, essendo -però evidente che nelle attuali circostanze d’Artagnan era l’unico -individuo in grado di trarre dall’inquietudine la regina Anna, Bernouin -non ebbe difficoltà ad andare a riportarle quel singolare messaggio, e -secondo aveva egli preveduto, la sovrana gli diede ordine d’introdurre -sul momento il signor d’Artagnan. - -D’Artagnan si appressò alla regina con dimostrazioni di profondo -rispetto. Arrivato a tre passi di distanza da lei, mise a terra un -ginocchio e le porse il dispaccio. - -Era, conforme accennammo, una semplice lettera, mezza d’introduzione e -mezza di credito. La regina la lesse, riconobbe benissimo il carattere -del ministro, benchè fosse scritto un po’ tremolante, e siccome il -foglio non le spiegava niente di quanto era accaduto, ne addimandò dei -dettagli. - -Il Guascone le raccontò ogni cosa con le maniere ingenue che sapeva -assumere a meraviglia in certe circostanze. - -A misura ch’ei favellava Anna lo guardava con maggiore stupore; non -comprendeva come un uomo osasse immaginare una tale impresa, ed anche -meno che avesse l’audacia di narrarla a lei, di cui era interesse e -quasi dovere di punirla. - -«Come! ella esclamò quando egli ebbe terminato, come! ardite -confessarmi il vostro delitto! informarmi così del vostro tradimento!» - -E si faceva rossa per la somma indignazione. - -«Perdonate, signora, ma mi sembra che o mi sono spiegato male o Vostra -Maestà non mi ha inteso bene. Non v’è in ciò delitto nè tradimento. -Il signor di Mazzarino teneva carcerati du Vallon e me, perchè non -avevamo potuto credere ch’ei ci avesse spediti in Inghilterra onde -veder tranquillamente tagliar la testa al re Carlo I, cognato del -defunto re vostro consorte, sposo di Enrichetta vostra sorella, e -ospite vostra, e che abbiam fatto quanto per noi si poteva onde salvare -la vita al regio martire. Eravamo dunque convinti, il mio amico ed io, -che vi fosse sotto qualche errore di cui noi stessi fossimo vittime, e -ch’esistesse la necessità di una spiegazione nostra con Sua Eccellenza. -Ora, acciò una spiegazione dia il suo frutto è d’uopo che si faccia -tranquillamente, lungi da strepiti e da importuni. In conseguenza, -abbiamo condotto il signor ministro nel castello del mio amico, e là -si è proceduto agli schiarimenti. Or bene, quel che avevamo preveduto -era vero, v’era un abbaglio. Il signor di Mazzarino aveva pensato che -avessimo servito il generale Cromvello invece che il re Carlo: la quale -sarebbe stata una vergogna che ridonderebbe da noi a lui e da lui a -Vostra Maestà; una viltà che macchiata avrebbe sul suo primo ceppo la -regia autorità dell’illustre vostro figlio. E noi gli demmo la prova -del contrario, e questa prova siamo pronti a darla a Vostra Maestà, -appellandoci all’augusta vedova che piange in quel Louvre dove le ha -dato alloggio la vostra regale munificenza. E la prova lo ha appagato -a tal segno, che in attestato della sua soddisfazione mi ha mandato, -secondo vede la Maestà Vostra, a ragionare con essolei del risarcimento -naturalmente dovuto a gentiluomini male apprezzati e perseguitati a -torto. - -«Vi ascolto e vi ammiro! disse Anna. In verità, rade volte ho veduto un -eguale eccesso d’impudenza! - -«Oh! fece d’Artagnan, ecco che adesso anche Vostra Maestà s’inganna -in proposito delle nostre intenzioni, come era avvenuto al signor di -Mazzarino. - -«Siete in errore, signore, ribattè la regina, e tanto è vero che non -m’inganno, che fra dieci minuti voi sarete arrestato, e fra un’ora -io partirò alla testa della mia armata per andar a liberare il mio -ministro. - -«Sono certo che Vostra Maestà non commetterà una tale imprudenza, -rispose il Guascone, prima perchè sarebbe inutile, e poi perchè -trarrebbe a risultati gravissimi. Innanzi di esser liberato il signor -ministro sarebbe morto, e Sua Eccellenza è sì ben persuasa della realtà -di ciò ch’io asserisco, che mi ha pregato, pel caso ch’io vedessi -la Maestà Vostra in queste disposizioni, di fare il possibile onde -ottenere che muti progetto. - -«Or bene, dunque mi contenterò di farvi arrestare. - -«Neppur questo, signora, perocchè il caso del mio arresto è preveduto -non meno che quello della liberazione del ministro. Se domani ad un’ora -fissa io non sono tornato, doman l’altro mattina il signor ministro -sarà condotto a Parigi. - -«Signor mio, ben si vede, che per ragione della vostra situazione -vivete lungi dagli uomini e dalle faccende; chè diversamente sapreste -qualmente il ministro è stato cinque o sei volte a Parigi, da quando -noi ne siamo usciti, e colà ha veduto il signor di Bouillon, il signor -Coadjutore, il signor d’Elboeuf, e neppur uno di essi ha avuta l’idea -di farlo arrestare. - -«Chiedo scusa, Maestà; tutto ciò mi è noto: e per questo, nè da -Beaufort, nè da Bouillon, nè dal Coadjutore, i miei amici condurranno -il ministro, attesochè quei signori fanno la guerra per loro proprio -conto, ed il signor Mazzarino con accordare ad essi quel che desiderano -presto si sbrigherebbe, ma bensì al Parlamento, che individualmente, -in dettaglio, certamente si può comprare, ma per comprarlo in blocco, -neppure il signor Mazzarino è ricco abbastanza. - -«Mi pare, disse Anna fissando uno sguardo che sdegnoso in una donna, -diventava terribile in una regina, mi pare che minacciate la madre del -vostro re? - -«Minaccio, perchè vi sono costretto. M’ingrandisco, perchè ho d’uopo -di pormi all’altezza degli eventi e delle persone. Per altro, signora, -credete una cosa, vera quanto è vero che v’è in questo petto tuttora un -cuore che balza per voi: credete che voi foste l’idolo costante della -nostra vita, che arrischiammo, e già il sapete, mio Dio! venti volte -per la Maestà Vostra.... Or dunque, Vostra Maestà non avrà pietà de’ -suoi servi, che da venti anni hanno vegetato nell’ombra senza lasciarsi -fuggire in un solo sospiro i segreti sacri e solenni che aveano avuto -la sorte di dividersi insieme con voi? Miratemi, signora, me che vi -discorro, me che incolpate di alzar la voce e di assumere un tuono -minaccioso. Che sono io? un povero ufficiale senza fortune, senza -rifugio, senza avvenire, se lo sguardo della mia regina, che tanto -tempo io ricercai, non si ferma su di me un momento. Mirate il conte di -la Fère, tipo di nobiltà, fiore di cavalleria; egli ha preso partito -contro la sua regina, o no, piuttosto contro il di lei ministro: e -quegli non ha esigenze, mi sembra. Mirate finalmente du Vallon, animo -fido, braccio di ferro; sono venti anni che attende dal vostro labbro -una parola, la quale mercè il blasone lo faccia quel ch’egli è pel -sentimento e pel valore. Mirate il vostro popolo, che è qualche cosa, -poi, per una regina; il vostro popolo, che vi ama, eppur soffre; che -voi amate, che pure ha fame; che non vorrebbe di meglio che benedirvi, -e che voi però.... No no, ho torto; il vostro popolo non vi maledirà -giammai.... Or bene, proferite un accento, e tutto è finito, e la pace -succede alla guerra, la gioja al pianto, la felicità alle calamità». - -Anna considerò con qualche meraviglia la faccia marziale di d’Artagnan, -su cui poteva scorgersi una singolare espressione di commozione -interna. - -«Perchè non diceste tutto questo prima di agire? domandò. - -«Perchè si trattava di provare alla Maestà Vostra un fatto di cui mi -pare ch’ella dubitava: cioè che abbiamo tuttavia qualche valore, ed è -giusto che di noi si faccia alcun caso. - -«E codesto valore, per quanto io veggo, da nulla sarebbe trattenuto? -disse Anna. - -«Da nulla fu trattenuto in passato; perchè dovrebbe far meno -all’avvenire? - -«E codesto valore, in caso di rifiuto, e in conseguenza di lotta, -andrebbe sino a portarmi via di mezzo alla mia corte per consegnarmi -alla _Fronda_ come volete consegnarle il mio ministro? - -«Non ci abbiamo mai pensato, rispose d’Artagnan con la smargiassata da -Guascone che in lui era solo ingenuità, ma se tanto si fosse risoluto -fra noi quattro, di sicuro lo faremmo. - -«Dovevo saperlo! mormorò la sovrana, sono uomini di ferro. - -«Ahimè! replicò d’Artagnan, ciò mi prova che da oggi soltanto Vostra -Maestà ha di noi una giusta idea. - -«Bene, ma questa idea, se l’ho finalmente.... - -«La Maestà Vostra ci renderà giustizia; rendendoci giustizia, non ne -tratterà più come uomini volgari. Vedrà in me un ambasciadore degno -degli alti interessi ch’è incaricato di discuter seco. - -«Dov’è il trattato? - -«Eccolo». - -Anna volse gli occhi sul trattato che le porgeva il tenente. - -«Non ci veggo, disse, se non che le condizioni generali; vi sono -fissati gl’interessi dei signori di Conti, di Beaufort, di Bouillon, di -d’Elboeuf e del signor Coadjutore: ma i vostri? - -«Noi ci rendiamo giustizia, signora, mentre ci poniamo all’altezza che -a noi si conviene. Abbiamo pensato non essere i nostri nomi degni di -figurare accanto a quei nomi grandiosi. - -«Ma voi, m’immagino, non avrete rinunziato ad espormi le vostre pretese? - -«Io stimo che voi siate una grande possente regina, e che indegno -sarebbe della grandezza e possanza vostra il non premiare in modo -congruo i prodi che ricondurranno Sua Eccellenza a San Germano. - -«Tale è la mia intenzione, parlate pure. - -«Quegli che ha trattato l’affare (perdonate se incomincio da me, ma è -d’uopo che io dia a me medesimo l’importanza, non già che ho assunta, -ma che mi è stata data), quegli che ha trattato l’affare del riscatto -del signor ministro, a senso mio, acciò il premio non sia al disotto -della Maestà Vostra, dev’esser fatto capo delle guardie, come diremmo -colonnello dei moschettieri. - -«Così mi chiedete il posto del signor di Tréville! - -«Il posto è vacante, e da un anno che fu lasciato dal signor di -Tréville, questi non è rimpiazzato. - -«Ma è una delle prime cariche militari della casa del re! - -«Di Tréville era, al pari di me, un semplice cadetto di Guascogna; ebbe -la carica pel corso di venti anni. - -«Trovate risposta a tutto, signore! disse Anna». - -E preso di sul tavolino un brevetto, lo riempiè e lo firmò. - -«Certo, Maestà, fece d’Artagnan pigliando il brevetto ed inchinandosi, -è questa una bella e nobile ricompensa: ma le cose di questo mondo sono -soggette a grande instabilità, ed un uomo che incorresse in disgrazia -presso Vostra Maestà, perderebbe domani la carica. - -«E allora che volete? esclamò la regina, vergognandosi di essere -scoperta da quello spirito non meno accorto del suo. - -«Cento mila scudi per quel povero capitano dei moschettieri, pagabili -nel giorno in cui i suoi servigi non fossero più graditi dalla Maestà -Vostra». - -Anna rimase perplessa. - -«E a dire, seguitò d’Artagnan, che i Parigini offerivano giorni sono, -per decreto del Parlamento, seicento mila lire a chi consegnasse loro -il ministro o vivo o morto! vivo per appiccarlo, morto per trascinarlo -in un letamajo! - -«Animo! disse la sovrana, siete ragionevole, poichè non domandate ad -una regina che il sesto di ciò che proponeva il Parlamento». - -E sottoscrisse una promessa di cento mila scudi. - -«E poi?.... continuò. - -«Signora, il mio amico du Vallon è ricco, e in conseguenza nulla ha da -bramare dal lato delle fortune; parmi però aver memoria che fra lui e -il signor di Mazzarino fosse stato discorso di erigere la sua tenuta a -baronìa.... anzi, per quanto posso sovvenirmi, è cosa promessa. - -«Un villano! disse Anna, la gente ne riderà. - -«Sarà! ma io son sicuro che quei che ne ridano davanti a lui non -rideranno due volte. - -«Sia pure la baronìa, rispose la regina». - -E firmò. - -«Adesso resta il cavaliere o l’abate d’Herblay come vorrà la Maestà -Vostra. - -«Vuol esser vescovo? - -«No, brama una cosa più facile. - -«E quale? - -«Che il re si degni esser compare del figlio di madama di Longueville». - -Anna sorrise. - -«Maestà, fece d’Artagnan, il signor di Longueville è nato da stirpe -reale. - -«Sì, ma il figliuolo! - -«Il figliuolo, dev’esserlo, poichè lo è il marito di sua madre. - -«E il vostro amico non ha niente da chiedere di più per madama di -Longueville? - -«No.... poichè s’immagina che Sua Maestà il re degnandosi esser compare -del suo bambino non può fare alla madre un regalo da meno di cinque -cento mila lire, ben intesi mantenendo al padre il governo della -Normandia. - -«Quanto al governo della Normandia, ribattè la regina, io credo di -poter impegnarmi, ma per le cinquecento mila lire il ministro non cessa -di ripetermi che non v’è più danaro nelle casse dello Stato. - -«Ne cercheremo insieme, Maestà, s’ella lo permette, e ne troveremo. - -«E poi? - -«E poi? - -«Sì. - -«Non v’è altro. - -«Non avete il quarto compagno? - -«Certo: il conte di la Fère. - -«Che chiede? - -«Nulla. - -«Nulla? - -«No. - -«E v’è al mondo un uomo che potendo chiedere non chieda? - -«V’è il conte di la Fère: il conte di la Fère non è un uomo. - -«E che è egli mai? - -«È un semidio. - -«Non ha un figlio, un giovinetto, un parente, un nepote, di cui di -Comminges mi tenne proposito come di un bravo ragazzo, e che riportò -col signor di Chatillon le bandiere di Lens? - -«Secondo accenna Vostra Maestà ha un pupillo chiamato il visconte di -Bragelonne. - -«Se gli dessi un reggimento, che direbbe il tutore? - -«Forse accetterebbe. - -«Forse? - -«Sì, qualora Vostra Maestà in persona lo pregasse di accettare. - -«Diceste bene, è un uomo singolare. Basta, rifletteremo, e può darsi -che lo preghiamo. Siete contento? - -«Sì, Maestà; ma v’è una cosa non sottoscritta dalla regina. - -«Ed è? - -«La più importante. - -«L’adesione al trattato? - -«Appunto. - -«Che serve? firmo il trattato domani. - -«Credo poter avanzare alla Maestà Vostra un’asserzione: che s’Ella non -firma oggi quel consenso, non troverà tempo da firmarlo dipoi. Vogliate -dunque, ve ne supplico, scrivere in piè del programma disteso tutto di -pugno di Mazzarino come vedete: «acconsento a ratificare il trattato -proposto dai Parigini». - -Anna era presa al laccio; non poteva trarsi indietro e sottoscrisse. Ma -poi di subito, l’orgoglio irruppe in essa alla guisa di una tempesta, -ed ella si mise a piangere. - -D’Artagnan si scosse al vedere quelle lacrime. Sin da quel tempo le -regine piangevano come semplici donne. - -Egli scosse il capo: pareva che tali lacrime gli abbruciassero il cuore. - -«Signora! inginocchiato soggiunse, guardate l’infelice gentiluomo ch’è -a’ vostri piedi; ei vi prega di credere che ad un cenno di Vostra -Maestà tutto gli sarebbe possibile. Ha fede in sè, ha fede negli -amici suoi, vuole aver fede puranco nella sua regina; e la prova -che di nulla paventa, che su nulla specula, si è che ricondurrà il -signor di Mazzarino presso la Maestà Vostra senza condizioni. A voi, -signora, ecco le sacre firme di Vostra Maestà; se crederete dovermele -restituire, lo farete. Ma da questo momento, più a nulla esse vi -obbligano». - -E d’Artagnan sempre genuflesso, con occhio fiammeggiante di orgoglio e -maschile intrepidezza, consegnò ad Anna quelle carte che tolte aveale -di mano con tanta fatica. - -V’hanno dei momenti, avvegnachè in questo mondo non è tutto cattivo, -e non tutto è buono, v’hanno dei momenti in cui ne’ cuori più aridi e -freddi va germogliando, irrigato dalle lacrime di estrema emozione, un -sentimento generoso, che dal calcolo e dalla superbia vien soffocato -se un altro cuore non lo afferra sul nascere. Anna era in uno di quei -dati istanti. D’Artagnan, cedendo alla propria commozione, in armonia -con quella della sovrana, avea compiuta l’opera di una profonda -diplomazia; e quindi fu immediatamente premiato dell’arte sua o del suo -disinteresse, secondo che vorremo dar onore al suo spirito od al cuor -suo della ragione che lo fece agire. - -«Dite bene, signore, replicò Anna; non avevo saputo conoscervi. -Ecco gli atti firmati, che liberamente io vi rendo; ed al più presto -riconducete a me il ministro. - -«Signora, disse d’Artagnan, sono già venti anni, ho buona la memoria, -ch’ebbi l’onore, dietro a un parato del palazzo comunitativo, di -baciare una di codeste bellissime mani. - -«Ed ecco l’altra, fece la regina, ed acciò la sinistra non sia men -liberale che la destra (e si trasse dal dito un diamante consimile -all’incirca al primo) prendete e conservate questo anello per mio -ricordo. - -«Regina, disse d’Artagnan alzandosi, non ho che un solo desiderio, che -la prima cosa che a me richiedete sia la mia vita». - -E con quel bel portamento ch’era tutto suo, levatosi in piedi, si -ritirò. - -«Non ho conosciuti costoro, pensò Anna mentre d’Artagnan si -allontanava, ed ora è tardi per ch’io ne cavi profitto: fra un anno il -re sarà in maggiorità». - -Di là a quindici ore, d’Artagnan e Porthos accompagnavano Mazzarino -presso alla regina, e ricevevano, uno il brevetto da luogo-tenente -capitano dei moschettieri, l’altro il diploma da barone. - -«Siete contenti? domandò loro Anna». - -D’Artagnan fece un inchino; Porthos si girava tra le dita il diploma -osservando Mazzarino. - -«Che altro v’è egli? chiese il ministro. - -«Monsignore, v’è che s’era parlato di una promessa di cavaliere -dell’Ordine alla prima promozione. - -«Ma sapete, signor barone, che non si può esser cavaliere dell’Ordine, -senza aver dato prova di sè. - -«Oh! fece Porthos, non già per me richieggo il cordone turchino. - -«E per chi? interrogò il ministro. - -«Pel mio amico signor conte di la Fère. - -«Oh! rispose la sovrana, è tutt’altro! quegli ha date le prove -necessarie. - -«Lo avrà egli? - -«Lo ha». - -Nel medesimo giorno era sottoscritto il trattato di Parigi, e -dappertutto si proclamava che il ministro si fosse rinchiuso nelle sue -stanze onde redigerlo con maggiore attenzione. - -Ed ecco ciò che vi guadagnava ciascuno: - -Il signor di Conti si aveva Damvilliers, ed avendo fatto mostra di -sè come generale, otteneva di restare uomo d’arme e non diventare -cardinale. Di più, erano state lanciate alcune parolette di -matrimonio con una nepote di Mazzarino, le quali poi eransi raccolte -favorevolmente dal principe, a cui poco premeva chi si fosse la moglie, -pur che moglie gli si desse. - -Il duca di Beaufort rientrava in corte, con tutte le soddisfazioni -dovutegli per le fattegli offese, e con gli onori a cui aveva diritto -pel suo rango. Gli si concedeva la piena e intera grazia di quelli che -lo avevano ajutato nella fuga, la sopravvivenza all’ammiragliato che -teneva il duca di Vendome suo padre, ed una indennizzazione per le case -e ville di suo che il Parlamento di Brettagna avea fatto demolire. - -Il duca di Bouillon riceveva delle proprietà di valore eguale al suo -principato di Sedan, una indennizzazione per le otto annate di non -godimento del suddetto principato, e il titolo di principe accordato a -lui ed a quelli di sua casa. - -Il duca di Longueville aveva il governo del Ponte-dell’Arca, -cinquecento mila lire per la sua consorte, e l’onore di vedere il suo -figlio tenuto a battesimo dal giovane re e dalla giovane Enrichetta -d’Inghilterra. - -Aramis stipulò che Bazin officiasse a quella solennità, e che Planchet -avesse a vendere i confetti. - -Il duca d’Elboeuf ottenne il pagamento di certe somme dovute a sua -moglie, cento mila lire pel maggiore de’ suoi figli, e venticinque mila -per ognuno degli altri. - -Il Coadjutore soltanto non ebbe nulla; gli fu promesso di trattare -pel bramato cappello, ma egli sapeva quanto si potesse contare su tali -promesse di Anna e di Mazzarino; ed all’opposto dal signor di Conti, -non potendo essere cardinale, gli toccava rimanere uomo di guerra. - -E così, quando tutta Parigi si rallegrava del ritorno del re fissato -al posdomani, Gondi, solo in mezzo alla generale esultanza, era tanto -di mal umore, che mandò tosto a chiamare due individui cui voleva -ricercare quando era in pari disposizione di spirito. - -Un di costoro era il conte di Rochefort, e l’altro il mendico da -Sant’Eustachio. - -Vennero con la consueta puntualità, e il Coadjutore stette con essi -porzione della nottata. - - - - -XCIII. - -_Nel quale si prova come talvolta sia ai re più difficile lo rientrare -nella capitale del loro reame, che lo uscirne._ - - -Mentre d’Artagnan e Porthos erano andati ad accompagnare il ministro -a San Germano, Athos ed Aramis avendogli lasciati a San Dionigi eran -tornati a Parigi. - -Ciascuno di essi aveva da fare la sua visita. - -Aramis appena toltisi gli stivali da viaggio corse al palazzo -comunitativo dov’era madama di Longueville. Alla prima notizia avuta -della pace, la bella duchessa strillò ed inveì: la guerra la faceva -regina, la pace produceva la sua abdicazione; dichiarò che non -apporrebbe mai la firma al trattato e che voleva guerra eterna. - -Ma allorchè Aramis le ebbe presentata quella pace sotto il vero suo -aspetto, cioè con tutti i suoi vantaggi; allorchè le ebbe mostrato, -in iscambio della sua sovranità precaria e contrastata in Parigi, la -dignità di vice-regina al Ponte-dell’Arca, vale a dire dell’intera -Normandia; allorchè ebbe fatto suonare alle orecchie le cinquecento -mila lire promesse dal ministro; allorchè le ebbe fatto brillare -davanti agli occhi l’onore che le concederebbe il re tenendo il suo -figliuolo sul fonte battesimale: madama di Longueville non disputò più -altro che per l’abitudine che hanno di disputare le belle donne, e non -più si difese se non se per arrendersi. - -Aramis s’infinse di dar fede alla sua opposizione, e non volle di -faccia a sè stesso privarsi del merito di averla persuasa. - -«Signora, le disse, voi avete voluto battere una volta il signor -principe vostro fratello, il più grande capitano dell’epoca attuale, -e quando le donne di genio hanno fissa un’idea vi riescono sempre. -Voi ci siete dunque riuscita. Il principe è sconfitto, dacchè non può -più far guerra. Adesso, traetelo nel nostro partito. Distaccatelo -pian piano dalla regina, ch’ei non ama, e dal signor di Mazzarino, -ch’ei disprezza. La _Fronda_ è una commedia della quale non abbiamo -peranche rappresentato se non il primo atto. Aspettiamo Mazzarino allo -scioglimento, cioè al giorno in cui il principe, vostra mercè, si sarà -volto contro alla corte». - -La Longueville restò convinta. Avea tanta fiducia nel potere de’ suoi -begli occhi, la duchessa Frondista, che punto non dubitò della loro -influenza, anche sopra il signor di Condé, e la cronaca di que’ tempi -diceva che non aveva presunto di troppo. - -Athos, lasciando Aramis sulla Piazza Reale, si era recato dalla -signora di Chevreuse. Essa pure era una Frondista da persuadere, ma -più difficile che la sua rivale: in favor suo non erasi stipulata -condizione veruna. Il signor di Chevreuse non era nominato governatore -di alcuna provincia, e se la regina acconsentiva ad esser comare, non -poteva ciò essere che del suo nepotino o della nepotina. - -E quindi, alle prime parole della pace, madama di Chevreuse inarcò le -ciglia, e non ostante tutta la logica di Athos per mostrarle essere -impossibile una guerra più lunga, insistè per le ostilità. - -«Bella amica, disse Athos, permettetemi di dirvi che tutti sono stanchi -della guerra; che eccettuato voi, e forse il signor Coadjutore, tutti -bramano la pace. Vi farete esigliare come a tempo del re Luigi XIII. -Credete a me, abbiamo passata l’età dei buoni successi nell’intrigo, e -i vostri occhi vaghissimi non sono destinati ad estinguersi piangendo -Parigi, dove saranno ognora due regine sinchè voi vi sarete. - -«Oh! disse la duchessa, se non posso far la guerra da me sola, posso -però vendicarmi di quella ingrata regina e dell’ambizioso favorito.... -e mi vendicherò! - -«Signora, rispose Athos, non apprestate un tristo avvenire al signor -di Bragelonne; oramai è slanciato, il signor Principe lo ha preso a -benvolere, è giovane, lasciamo che si stabilisca un giovinetto re.... -Ahimè! scusate la mia debolezza: viene il momento in cui l’uomo rivive -e ringiovanisce ne’ suoi figli». - -La Longueville sorrise, un po’ teneramente e un po’ con ironia. - -«Conte, essa replicò, temo che siate già devoluto al partito della -corte. Non avreste per caso in saccoccia qualche cordone turchino? - -«Sì signora, ripicchiò Athos, ho quello della Giarrettiera datomi dal -re Carlo I pochi giorni innanzi la sua morte». - -Ei diceva il vero: ignorava la domanda di Porthos, e non sapeva di -averne altri fuor di quello. - -«Animo! bisogna diventar vecchia, sospirò la duchessa pensierosa». - -Athos le prese e le baciò la mano. Ella guardandolo diè un altro -sospiro e soggiunse: - -«Conte, dev’essere un’amena dimora Bragelonne; voi siete uomo di buon -gusto: dovete avervi acqua, boschi, fiori....» - -Sospirò di nuovo, ed appoggiò la leggiadrissima testa sulla mano -graziosamente ricurvata e sempre egregia per la forma e la bianchezza. - -«Madama, rispose il conte, che dicevate poc’anzi? io non vi vidi mai -più giovane, mai non vi vidi più bella». - -La signora scosse alquanto il capo. - -«Il signor di Bragelonne rimane in Parigi? domandò poi. - -«Che ne pensate? chiese a lei Athos. - -«Lasciatemelo, conte. - -«No signora. Se voi vi siete scordata la storia di Edippo, io me la -rammento. - -«In verità, siete amabilissimo.... e mi piacerebbe vivere un mese a -Bragelonne. - -«Non avete timore di suscitarmi molti invidiosi, duchessa? disse con -tutta galanteria Athos. - -«No, ci andrò incognita, sotto nome di Maria Michon. - -«Madama, siete adorabile! - -«Ma Raolo, non lo lasciate presso di voi. - -«E perchè? - -«Perchè è innamorato. - -«Egli! un fanciullo!.... - -«E diffatti, ama da fanciullo». - -Il conte si diede a pensare. - -«Duchessa, avete ragione, quell’amore singolare per una bambinella di -sette anni può renderlo un dì molto infelice. Deve esservi battaglia in -Fiandra, egli vi andrà. - -«E al suo ritorno lo manderete a me, io gli farò un usbergo contro -l’amore. - -«Ohimè! oggidì l’amore è come la guerra, e l’usbergo gli è divenuto -inutile». - -Nel momento entrava Raolo; veniva ad annunciare come il conte di Guiche -suo amico lo aveva allora avvertito che alla domane avrebbe luogo -l’ingresso solenne del re, della regina e del ministro. - -E in fatti, alla domane all’alba la corte fece tutti i suoi preparativi -onde abbandonare San Germano. - -Sin dalla sera avanti la regina aveva chiamato a sè d’Artagnan. - -«Signore, gli aveva detto, mi assicurano che Parigi non è quieta; temo -per il re: ponetevi accanto allo sportello a destra. - -«Vostra Maestà stia pur tranquilla, disse d’Artagnan, rispondo io per -il re». - -E salutata la sovrana, uscì. - -In quel punto Bernouin si fece ad avvisarlo che il ministro lo -attendeva per oggetti importanti. - -Egli si recò tosto dal ministro. - -Il quale gli parlò così: - -«Si discorre di sommosse in Parigi; io starò alla parte sinistra presso -al re, e siccome sarò principalmente minacciato, voi tenetevi allo -sportello da sinistra. - -«Vostra Eccellenza non dubiti, replicò d’Artagnan: al re nessuno -toccherà un sol capello». - -Quando fu nell’anticamera borbottò: - -«Diamine! come farò a cavarmene fuori? Non posso mica trovarmi al tempo -stesso a diritta ed a manca.... Eh sì! io farò guardia al re, e Porthos -farà guardia a Mazzarino». - -Questo compenso fu di genio di tutti, lo che avviene ben di rado: la -regina fidava nel coraggio di d’Artagnan a lei noto, ed il ministro -nella forza di Porthos ch’egli aveva provata. - -Il corteggio si avviò pella capitale nell’ordine prestabilito; Guitaut -e Comminges alla testa delle guardie, andavano per i primi; indi la -regia carrozza, avendo da un lato d’Artagnan e dall’altro Porthos; poi -i moschettieri i vecchi amici di d’Artagnan da ventidue anni, che da -venti anni era loro tenente, e dal dì innanzi loro capitano. - -Giunta alla barriera, la carrozza fu salutata dalle grida di «Evviva il -re! evviva la regina!» - -Vi si mischiarono alcuni: «Evviva Mazzarino!» ma non ebbero eco. - -Si dirigevano a Nostra Donna, ove doveva cantarsi il _Te Deum_. - -Tutto il popolo di Parigi era per le strade. Si erano schierati gli -Svizzeri in tutta la lunghezza della via, ma sendo questa assai lunga -stavano un dall’altro distante di sei o otto passi e all’altezza di -un sol uomo. Sicchè il baluardo era insufficiente, e tratto tratto -quell’argine rotto da un’ondata di gente stentava di molto a tornare a -formarsi. - -Ad ognuna di codeste rotture, fatta però con buona intenzione, -provenendo dal desiderio che avevano i Parigini di rivedere il lor re -e la loro regina, dei quali erano privi da un anno, la sovrana guardava -inquieta d’Artagnan, e questi con un sorriso la riconfortava. - -Mazzarino, che aveva speso un migliajo di scudi per fare strillare: -«Evviva Mazzarino!» e non valutava gli strilli uditi a una ventina -di doppie, adocchiava pur inquieto Porthos; ma la gigantesca guardia -del corpo rispondeva all’occhiatina con una voce tanto sonora: «State -tranquillo monsignore» che monsignore cominciava a tranquillarsi. - -Arrivati al Palazzo Reale, trovarono anche maggior folla; essa era -accorsa sulla piazza di tutte le strade adjacenti, e si vedeva alla -guisa di un largo fiume agitato, tutta quella calca che veniva incontro -al cocchio, e tumultuosamente traboccava nella via sant’Onorato. - -Quando e’ furono sulla piazza echeggiarono grida clamorosissime -di «Viva le Loro Maestà!» Mazzarino si chinò un poco in fuori da’ -cristalli; salutarono la sua comparsa due o tre gridi di «Viva -il ministro!» ma quasi subito una scarica di fischiate le soffocò -spietatamente. Mazzarino impallidito si cacciò dentro colla massima -fretta. - -«Birbanti!» borbottò Porthos. - -D’Artagnan non disse nulla, ma si arricciò i baffi con un gesto -particolare, il qual significava che gli si cominciava a riscaldare la -bile da Guascone. - -Anna si chinò verso il giovanetto re, e gli disse all’orecchio: - -«Figliuolo, fate un gesto grazioso e dite qualche parolina al signor -d’Artagnan». - -Onde il re abbassatosi allo sportello: - -«Signor d’Artagnan, non vi ho ancora dato il buon giorno, eppure vi ho -riconosciuto benissimo; siete voi ch’eravate dietro alle cortine del -mio letto in quella notte che i Parigini vollero vedermi dormire. - -«E se il re lo permette, rispose il capitano, io gli starò al fianco -ogni qualvolta vi sia per lui alcun rischio. - -«Signore, domandò Mazzarino a Porthos, che fareste se tutto il popolo -si avventasse addosso a noi? - -«Ne ammazzerei più che potessi, monsignore. - -«Uhm! per quanto siate robusto e animoso, non potreste ammazzarlo tutto. - -«È vero, ribattè Porthos rizzandosi sulle staffe a meglio scuoprire -l’immensa folla, è vero, e’ son di molti! - -«Quasi quasi, avrei più caro quell’altro» mugolò Mazzarino, e si buttò -in fondo alla carrozza. - -La regina e il suo ministro avevano ragione di star in pensiero, e -quest’ultimo specialmente. La moltitudine, benchè serbasse le apparenze -di rispetto ed anche di affetto per il re e la reggente, principiava ad -agitarsi in tumulto. Si udivano correre quei tristi rumori, che mentre -vanno rasentando le onde danno indizio di tempesta, e mentre danno su -la turba presagiscono sommossa. - -D’Artagnan si volse ai moschettieri, e facendo occhiolino venne a far -un cenno, per la calca impercettibile, ma per quel corpo scelto e prode -assai chiaro a comprendersi. - -Si ristrinsero le file dei cavalli, fra gli uomini fu bisbiglio. - -Alla barriera dei Sergenti bisognò fermarsi; Comminges si tolse dalla -testa della scorta, e si appressò al cocchio della regina. - -La sovrana con uno sguardo interrogò d’Artagnan, il quale le rispose -con lo stesso linguaggio. - -«Andate avanti» disse allora Anna. - -Comminges ritornò al suo posto. Fu fatto uno sforzo, e si aperse con -impeto la barriera vivente. - -Sorse qualche mormorìo tra la folla, e questa volta diretto ugualmente -al re che al ministro. - -«Avanti! urlò d’Artagnan. - -«Avanti! ripetè Porthos». - -Ma come se la moltitudine non avesse atteso altro che questa -dimostrazione per infuriare, si manifestarono insieme tutti i -sentimenti ostili ch’essa racchiudeva, e da ogni parte gridavasi: -«Abbasso il Mazzarino! morte al ministro!» - -Nello stesso tempo, dalle strade del Gallo e di Grenelle sant’Onorato -si scagliò un’ondata di popolo che ruppe la debole fila delle -guardie svizzere e venne romoreggiando sino alle zampe dei cavalli di -d’Artagnan e di Porthos. - -Questa nuova irruzione era più pericolosa delle altre, perocchè -componevasi di gente armata, e armata meglio che non suol essere in -simili casi la plebe. Si scorgeva che quest’ultimo movimento non era -effetto del caso che avesse riunito un dato numero di malcontenti sul -medesimo punto, ma bensì calcolo di uno spirito ostile che ordinato -avesse un attacco. - -Le due masse erano condotte ciascheduna da un capo, dei quali uno -sembrava appartenesse non al volgo, ma anzi alla onorevole corporazione -degli accattoni, e l’altro, ancorchè affettasse d’imitare le maniere -della plebe, facilmente riconoscevasi essere un gentiluomo. - -Agivano ambedue, ed evidentemente pel medesimo impulso. - -Fuvvi una forte scossa, che si sentì per sino dentro al regio cocchio; -di poi migliaja di strida fecero udire immenso clamore, a cui si -aggiunsero due o tre spari. - -«A me i moschettieri!» chiamò d’Artagnan. - -La scorta si divise in due file; una passò a man destra dalla carrozza -e l’altra a sinistra; una in ajuto a d’Artagnan e l’altra a Porthos. - -Allora s’impegnò una zuffa tanto più terribile in quanto che era senza -scopo, tanto più funesto in quanto che nessuno sapeva perchè, e per chi -si battesse. - -Come tutti i movimenti del popolaccio, l’urto di quella folla fu -tremendo; i moschettieri in piccol numero, male ordinati, non potendo -framezzo alla turba far circolare i loro cavalli, cominciarono a -soffrire d’assai. - -D’Artagnan aveva ordinato si calassero le stuoje del legno; il -giovanetto re però stendendo il braccio avea detto: - -«No no, signor d’Artagnan, voglio vedere. - -«Vostra Maestà vuol vedere? fece d’Artagnan, ebbene, guardi pure!» - -E d’Artagnan voltosi con quella furia che lo rendeva terribile, balzò -verso il capo dei sollevati che con in mano una pistola e nell’altra la -spada procurava aprirsi il passo, sino allo sportello contrastando con -due moschettieri. - -«Largo, corpo di Diana! egli urlò, largo! largo!» - -A quella voce, l’uomo della pistola e della spada alzò la testa; ma era -già tardi, chè d’Artagnan avea data la botta, e la sua draghinassa gli -aveva già attraversato il petto. - -«Ah, caspita! esclamò d’Artagnan, tentando, ma non più a tempo, di -trattenere il colpo, conte, e che diavolo venivate a fare qua? - -«A compiere il mio destino, rispose Rochefort cadendo con un ginocchio -in terra, son già scapolato da tre colpi della vostra spada, ma non -così mi riuscirà dal quarto. - -«Conte, disse d’Artagnan con una qualche emozione, ho percosso -senza sapere che foste voi; mi dorrebbe, se morite, che moriste con -sentimento d’odio per me». - -Rochefort gli porse la destra; voleva parlare, ed il sangue corsogli -alla bocca gli tolse la parola; s’irrigidì in una convulsione, e spirò. - -«Indietro, canaglia! urlò il Guascone, il vostro capo è morto, e qui -voi altri non avete più che fare». - -E realmente, come se il conte di Rochefort fosse stata l’anima -dell’attacco che rivolgevasi dalla parte della carrozza del re, tutta -la folla che lo avea seguitato e che gli obbediva si diede alla fuga -al mirar la sua caduta. D’Artagnan mandò una carica con una ventina -di moschettieri nella contrada del Gallo, e quella porzione d’insorti -si dileguò come un fumo disperdendosi su la piazza di San Germano -l’Auxerrois, e poi scappando giù pei ponti. - -D’Artagnan tornò addietro per dar soccorso a Porthos ove ne -abbisognasse; ma Porthos dal lato suo aveva lavorato con minor -coscienza di lui. Il lato sinistro della vettura era sgombrato a pari -del destro, e si rialzava la stuoja dello sporto, che Mazzarino non -tanto bellicoso quanto il re avea fatto calare. - -Porthos sembrava malinconico. - -«Che brutta cera fate mai? disse d’Artagnan, che aspetto singolare -avete così per un uom vittorioso! - -«Ma anche voi mi parete agitato! - -«E ne ho ben d’onde, caspita! ho ucciso un antico amico. - -«Davvero! e chi? - -«Il povero conte di Rochefort!... - -«Veh! com’è accaduto a me: ho ucciso un tale di cui non mi è ignota la -faccia; disgraziatamente l’ho percosso sul capo, e in un momento gli si -è cosparso di sangue tutto il volto. - -«E nel cadere non ha detto nulla? - -«Anzi sì.... ha detto: uf! - -«Capisco, rispose d’Artagnan senza poter frenare le risa, che se non ha -pronunziato altro, ciò non vi deve avere schiarito molto. - -«Ebbene? domandò la regina. - -«Maestà, replicò d’Artagnan, la strada è libera; la Maestà Vostra può -proseguire il tragitto». - -Tutto il seguito arrivò senz’altri inconvenienti a Nostra Donna, ove -sotto al loggiato della porta maggiore, il clero intero, col Coadjutore -alla testa, attendeva il re, la regina ed il ministro, pel beato -ritorno di cui dovevasi cantare il _Te Deum_. - -Durante il servigio religioso, e verso l’istante che questo si -avvicinava alla fine, entrò un biricchino in chiesa, tutto ansante, -corse alla sagrestia, si vestì presto presto da cantore, e mercè la -rispettabile uniforme indossata, passando fra mezzo alla calca che -riempieva il tempio, si accostò a Bazin, il quale colla sua cappa -turchina, e con la mazza di balena guernita di argento in mano, stava -gravemente impettito di faccia allo svizzero all’ingresso del coro. - -Bazin si sentì tirare per la manica. Abbassò verso il suolo gli occhi -divotamente alzati al cielo, e riconobbe Friquet. - -«Ebbene, sguajato! disse il bidello, che v’è egli per osar disturbarmi -nell’esercizio delle mie funzioni? - -«Signor Bazin, e’ v’è che il signor Maillard.... sapete pure, quello -che dava l’acqua benedetta in sant’Eustachio....» - -«Sì.... e poi?... - -«Gua’! nella barabuffa ha avuto una botta di spada.... e gliel’ha data -quel gigantone là, che voi vedete tutto ricami sulle cuciture. - -«Sì sì.... oh! allora, deve star male davvero! - -«Tanto male, ch’è per morire, e avanti di morire vorrebbe confessarsi -al signor Coadjutore, che dicono abbia potere di assolvere dai peccati -grossi. - -«E si figura che il signor Coadjutore si scomodi per lui? - -«Eh! sì, perchè pare glielo abbia promesso. - -«Chi te lo ha detto? - -«Il signor Maillard. - -«Dunque lo hai veduto? - -«Di sicuro; quando è cascato in terra. - -«E che facevi laggiù? - -«Senti! strillavo: «Abbasso il Mazzarino! a morte il ministro! alla -forca l’Italiano!» non mi avevate detto di urlare così? - -«Vuoi stare zitto, briccone? disse Bazin guardandosi attorno. - -«Sicchè, il povero Maillard mi ha detto: «Friquet, va a chiamarmi -il Coadjutore, e se me lo conduci ti fo mio erede». Ehi, padre -Bazin? erede del signor Maillard, che dava l’acqua benedetta in -sant’Eustachio! non avrei più bisogno di far nulla.... Basta, avrei -caro di fargli questo servizio, che ne dite? - -«Vo ad avvertire il signor Coadjutore» rispose Bazin. - -E si accostò rispettosamente e lentamente al prelato, e gli pronunziò -all’orecchio qualche parola, a cui quegli diede in replica un cenno -affermativo; laonde ritornato col passo medesimo col quale era ito, -ordinò a Friquet: - -«Vattene a dire al moribondo che abbia pazienza, e fra un’ora sarà da -lui monsignore. - -«Bene! fece il ragazzo, ecco fatta la mia fortuna. - -«Appunto, domandò il bidello, dov’è stato portato? - -«Alla torre San Jacopo la Boucherie». - -E Friquet contentissimo della sua ambasciata uscì dalla basilica, e si -avviò con tutta la lestezza di che era capace alla torre indicata. - -Terminato il _Te Deum_, il Coadjutore, conforme avea promesso, e senza -togliersi neppure le vesti sacerdotali, s’incamminò alla vecchia torre -a lui ben cognita. Arrivava a tempo: benchè ogni momento peggiorasse, -il ferito non era ancor morto. - -Gli fu aperto l’uscio della stanza ove il mendico stavasi agonizzante. - -Indi a poco venne fuori Friquet tenendo in mano un grosso sacco di -cuojo, e lo sciolse appena partitosi dalla camera, e con sommo stupore -lo trovò pieno d’oro. - -L’accattone gli aveva mantenuta la parola facendolo erede. - -«Ah! mamma mia! ah mamma Biagia!» esclamò Friquet. - -Non potè profferire altro, ma la forza mancatagli per parlare gli -rimase per agire. Si diede verso la strada a una corsa disperata, e -come il Greco di Maratona che cadeva sulla piazza di Atene con l’alloro -in mano, egli arrivò sulla soglia del consigliere Broussel, ed arrivato -cadde sul pavimento, spargendo su questo i luigi che straboccavano dal -sacco. - -La Biagia cominciò dal tirar su le monete, e poi tirò su il figliuolo. - -Frattanto il corteggio entrava nel Palazzo Reale. - -«È un uomo molto prode, madre mia, quel signor d’Artagnan, disse il -giovine re. - -«Sì, figlio mio, e rese grandi servigi a vostro padre: sicchè -all’avvenire abbiategli riguardo. - -«Signor capitano, disse smontando il piccolo re a d’Artagnan, la regina -m’incarica d’invitarvi a pranzo per oggi, voi ed il vostro amico barone -du Vallon». - -Era questo un grande onore pei due gentiluomini, e quindi Porthos ne -fu soddisfattissimo; ma non ostante, in tutta la durata del pasto si -mostrò assai pensieroso. - -«Che cosa avevate, barone? gli domandò d’Artagnan scendendo le scale -del Palazzo Reale, a tavola, avevate la cera pensierosa. - -«Cercavo, rispose Porthos, di ricordarmi dove avessi visto quel mendico -che debbo aver ucciso. - -«E non vi riesce? - -«No no. - -«Or bene, cercate, e quando avrete trovato me lo direte, non è così? - -«Eh cospetto! fece Porthos. - - - - -CONCLUSIONE. - - -I due amici, trasferitisi alla loro abitazione, trovarono una lettera -di Athos che fissava loro l’appuntamento al _Gran Carlomagno_ per la -mattina seguente. - -Ambedue si coricarono a buon’ora, ma non dormirono. Non si giunge già -alla meta di tutte le nostre brame, senza che la meta una volta toccata -influisca a discacciare il sonno, almeno per la prima notte. - -All’indomani all’ora stabilita si recarono da Athos. Trovarono il conte -ed Aramis vestiti da viaggio. - -«Veh! disse Porthos, dunque si parte tutti? anch’io ho fatto il mio -fardello. - -«Eh sì, rispose Aramis, a Parigi nulla vi è da far più tosto che non -v’ha più _Fronda_. Madama di Longueville mi ha invitato a andar a -passare alcuni giorni in Normandia, ed intanto che si battezzi il suo -figliuolo mi ha incaricato di andare a farle apparecchiare la casa a -Rouen. Vo ad eseguire questa incombenza; di poi, se non v’è niente di -nuovo, tornerò a seppellirmi nel convento di Noisy-le-Sec. - -«Ed io, fece Athos, me ne vo da capo a Bragelonne. Lo sapete pure, caro -d’Artagnan, oramai non son altro che un bravo e buon campagnuolo; Raolo -non ha altro patrimonio che il mio; poveretto! e di questo bisogna -ch’io abbia cura, poichè in certo modo sono soltanto un prestanome. - -«E di Raolo, che ne fate? - -«Ve lo lascio, amico mio. Va a farsi la guerra in Fiandra, voi lo -condurrete: temo che il soggiorno di Blois sia pernicioso alla giovane -sua testa. Guidatelo, ed insegnategli ad esser prode e leale come voi. - -«Io dunque, disse d’Artagnan, non vi avrò più meco, Athos, ma almeno -avrò quella cara testina bionda; e sebbene sia solamente un fanciullo, -siccome in lui rivive intera l’anima vostra, crederò sempre di avervi -vicino, ad accompagnarmi e a sostenermi». - -I quattro amici si abbracciarono con le lacrime agli occhi, e si -separarono senza sapere se mai si rivedrebbero. - -D’Artagnan tornò in via Tiquetonne, con Porthos sempre pensoso e -intento a ricercare chi fosse colui ch’egli aveva ucciso. Arrivati -davanti all’albergo del _Granchio_, videro pronte le carrozze del -barone, e Mousqueton in sella. - -«A voi, d’Artagnan, disse Porthos, lasciate via la spada, e venite -meco a Pierrefonds, a Bracieux o a du Vallon: invecchieremo insieme -favellando dei nostri camerati. - -«No, disse d’Artagnan, sta per aprirsi la campagna, ed io voglio -esservi; spero di guadagnarci qualche cosa! - -«E che sperate di diventare? - -«Capperi! maresciallo di Francia. - -«Ah ah! fece Porthos guardando d’Artagnan, alle di cui guasconate non -aveva mai potuto interamente avvezzarsi. - -«Venite con me, Porthos, soggiunse d’Artagnan, vi farò duca. - -«No no, Mouston non vuol più guerreggiare; e poi è stata preparata -un’entratura solenne in casa mia, che farà crepar d’astio tutti i miei -vicini. - -«A ciò non ho che rispondere, riprese il capitano che conosceva la -vanità del nuovo barone. Sicchè, amico, a rivederci. - -«A rivederci, caro capitano. Sapete che quando vorrete venire a -trovarmi sarete sempre gradito nella mia baronia. - -«Sì, al ritorno dalla campagna. - -«Le carrozze del signor barone sono all’ordine» avvertì Mousqueton. - -E i due antichi colleghi si separarono dopo essersi stretta la mano. -D’Artagnan restò sul portone, seguitando con occhio malinconico Porthos -che si allontanava. - -Ma dopo venti passi questi si fermò di botto, si picchiò la fronte e -retrocedè dicendo: - -«Mi rammento! - -«Che cosa? domandò d’Artagnan. - -«Del mendico che ho ammazzato. - -«Davvero! e chi è? - -«Quel furfante di Bonacieux». - -E Porthos contentissimo di aver la mente libera raggiunse Mouston, e -seco disparve dal canto della strada. - -D’Artagnan stette un istante immobile e a riflettere; poscia volgendosi -vide la bella Maddalena, che dolente delle nuove grandezze di lui -rimaneva su la soglia senza muoversi. - -«Maddalena, le disse il Guascone, datemi l’appartamento dei primo -piano; sono costretto a figurare ora che sono capitano delle guardie. -Ma tenetemi sempre a disposizione la camera del quinto piano, chè non -si sa quel che possa succedere». - - -FINE. - - - - -INDICE - - - I. La larva di Richielieu Pag. 5 - II. Ronda notturna 14 - III. Due antichi nemici 21 - IV. La regina Anna sui quarantasei anni 34 - V. Guascone e Italiano 43 - VI. D’Artagnan sui quarant’anni 47 - VII. D’Artagnan è nell’imbarazzo, e lo viene a - soccorrere un antico conoscente 53 - VIII. Influenze diverse che può avere una mezza doppia - sopra un bidello e sopra un piccolo cantore 60 - IX. Come d’Artagnan cercando ben lontano Aramis, si - accorse ch’era in groppa dietro a Planchet 67 - X. L’Abate d’Herblay 74 - XI. I due volponi 79 - XII. Il signor Porthos Du Vallon de Bracieux di - Pierrefonds 88 - XIII. Come d’Artagnan, nel ritrovare Porthos, si - accorgesse che non sempre le ricchezze formano - la felicità 93 - XIV. Ove si dimostra qualmente se Porthos era - scontento del proprio stato, Mousqueton però - era soddisfattissimo del suo 101 - XV. Due teste da angioli 106 - XVI. Il castello di Bragelonne 114 - XVII. Diplomazia di Athos 121 - XVIII. Il signor di Beaufort 130 - XIX. Ricreazioni del duca di Beaufort nella torre di - Vincennes 136 - XX. Entra in funzioni Grimaud 145 - XXI. Ciò che contenevasi ne’ pasticci del successore - di maestro Marteau 156 - XXII. Un’avventura di Maria Pichon 165 - XXIII. L’abate Scarron 176 - XXIV. San Dionigi 190 - XXV. Uno dei quaranta mezzi di fuga del sig. di - Beaufort 198 - XXVI. D’Artagnan giunge opportuno 207 - XXVII. La strada maestra 215 - XXVIII. L’incontro 221 - XXIX. Il buon uomo Broussel 229 - XXX. Quattro antichi amici si dispongono a rivedersi 235 - XXXI. La Piazza Reale 243 - XXXII. La barca dell’Oise 247 - XXXIII. Scaramuccia 255 - XXXIV. Il supposto monaco 261 - XXXV. Colloquio segreto 270 - XXXVI. Grimaud parla 275 - XXXVII. Alla vigilia della battaglia 281 - XXXVIII. Un pranzo del tempo addietro 291 - XXXIX. Lettera di Carlo I 299 - XL. Lettera di Cromvello 304 - XLI. Mazzarino ed Enrichetta 311 - XLII. Come gl’infelici confondono talvolta il caso - con la Provvidenza 316 - XLIII. Zio e nepote 323 - XLIV. Paternità 327 - XLV. Un’altra regina che chiede soccorso 334 - XLVI. Ove si prova che il primo impulso è sempre il - migliore 344 - XLVII. Il Te Deum della vittoria di Lens 351 - XLVIII. Il mendico di Sant’Eustachio 367 - XLIX. La torre di Saint-Jacques-la-Boucherie 376 - L. La sommossa 381 - LI. La sommossa diventa ribellione 388 - LII. Con le disgrazie viene la memoria 398 - LIII. Abboccamento 404 - LIV. Fuga 410 - LV. La carrozza del Coadjutore 420 - LVI. Come a vendere della paglia, d’Artagnan e Porthos - guadagnassero, uno duecentodiciannove luigi e - l’altro duecentoquindici 432 - LVII. Vengono notizie d’Athos e d’Aramis 440 - LVIII. Lo Scozzese spergiuro alla fè - Un danajo vendette il suo re 449 - LIX. Il vendicatore 457 - LX. Oliviero Cromvello 464 - LXI. I gentiluomini 469 - LXII. Gesù Signore! 474 - LXIII. In cui si prova qualmente nelle più scabros - situazioni i cuori grandi non perdono mai - il coraggio, nè gli stomachi buoni l’appetito 481 - LXIV. Salve alla decaduta Maestà 487 - LXV. D’Artagnan trova un progetto 495 - LXVI. La partita a zecchinetta 506 - LXVII. Londra 512 - LXVIII. Il processo 518 - LXIX. Whitehall 527 - LXX. Gli operaj 535 - LXXI. Remember 542 - LXXII. L’immascherato 548 - LXXIII. La casa di Cromvello 556 - LXXIV. Conversazione 563 - LXXV. La filuca. Il _Lampo_ 572 - LXXVI. Il vino di Porto Porto 582 - LXXVII. Fatality 595 - LXXVIII. Nel quale Mousqueton, stato in procinto d’essere - arrostito, andò a rischio di esser mangiato 601 - LXXIX. Ritorno 609 - LXXX. Gli ambasciadori 617 - LXXXI. I tre luogotenenti del generalissimo 624 - LXXXII. Combattimento di Charenton 636 - LXXXIII. La strada della Piccardia 645 - LXXXIV. La riconoscenza della regina Anna 652 - LXXXV. Regia autorità di Mazzarino 657 - LXXXVI. Precauzioni 661 - LXXXVII. La mente e il braccio 666 - LXXXVIII. Il braccio e la mente 674 - LXXXIX. Le carceri perpetue del signor di Mazzarino 680 - XC. Conferenze 686 - XCI. Ove si comincia a credere che alla fine Porthos - sarà barone e d’Artagnan capitano 691 - XCII. Qualmente con una penna e una minaccia si fa - meglio e più presto che con la spada e lo zel 698 - XCIII. Nel quale si prova come talvolta sia ai re più - difficile lo rientrare nella capitale del - loro reame, che lo uscirne 711 - Conclusione 721 - - - - -NOTE: - - -[1] È noto che Mazzarino, non avendo ricevuto alcuno degli ordini -che vietano il matrimonio, aveva sposata la regina Anna. (Vedansi le -memorie di Laporte e quelle della principessa Palatina). - -[2] Madama di Motteville. - -[3] Ciò non ostante il regio procuratore Omer Talon lo chiamava sempre -signor _Particelle_, seguendo l’abitudine dell’epoca d’infrancesare i -nomi forestieri. - -[4] Questa mane si è alzato un vento di _Fronda_, e credo che vada -fischiando contro a Mazzarino. - -[5] Vedasi _Luigi XIV e il suo secolo_, congiura di Chalais. - -[6] Dimmi su, Laboissière, non istò bene da uomo? Affè, voi cavalcate -meglio che quanti siamo. Ella sta fra le alabarde, nel reggimento delle -guardie, alla guisa di un cadetto. - -[7] Beaufort, di eccelsa fama, che seppe vettovagliar Parigi, deve -sempre sguajnare la spada ma non dir mai la sua opinione. — Se vuol -servire la Francia non si accosti alla tribuna: si mandi addietro -la sua eloquenza, e il brando suo cavi dal fodero. — Ei brilla e -tuona in battaglia, ed ivi ognuno giustamente lo teme; ma all’udirlo -ragionare ognuno lo prenderebbe per istupido. — Gastone è men di lui -nell’imbarazzo quando abbia da pronunziar un’arringa. Ah! perchè a -Beaufort manca la lingua? Ah! perchè a Gastone manca il braccio? - -[8] Qui l’Autore intende riportarsi al suo romanzo _I Tre -Moschettieri_, di cui il presente romanzo è soltanto un seguito. (Il -T.) - -[9] _Poire d’angoise._ Era una sbarra perfezionata; aveva la forma -di una pera, si cacciava dentro alla bocca, e mediante una molla si -dilatava in guisa da distendere le mascelle nella maggior larghezza -possibile. - -[10] Fu per equivoco creduto dalle due fuggiasche che l’uomo coricato -fosse un prete; si riscontra il contrario dal seguito del racconto. - -[11] Io pensava che il destino dopo tante ingiuste sventure, -giustamente v’incoronò di gloria, onori e splendori; ma ch’eravate più -felice essendo in passato.... non dirò io innamorata.... ma la rima -vuol però così. - -[12] Io pensava che il povero amore, il qual vi presta sempre le sue -armi, è sbandito dalla vostra corte senza gli strali e la faretra; e -di che poss’io prevalermi, o Maria, passando presso di voi, se tanto -maltrattate quei che sì bene vi servirono? - -[13] Io pensava, noi poeti pensiamo con bizzarrìa, a ciò che fareste -nell’umore in cui vi trovate, se quivi in questo momento vedeste venire -il duca di Buckingham; e qual dei due sarebbe in disgrazia, o il duca o -il padre Vincenzo (Padre Vincenzo era il confessore della regina). - -[14] In Inglese: _venite_. - -[15] I nostri leggitori sanno certamente che _Pan_ Pane (nume -mitologico) e _Paon_ pavone (uccello) hanno la stessa pronunzia; quindi -l’equivoco, che ha un significato in francese, ma non in italiano. - - - - - -Nota del Trascrittore - -Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo -senza annotazione minimi errori tipografici. - -*** END OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK VENTI ANNI DOPO *** - -Updated editions will replace the previous one--the old editions will -be renamed. - -Creating the works from print editions not protected by U.S. copyright -law means that no one owns a United States copyright in these works, -so the Foundation (and you!) can copy and distribute it in the -United States without permission and without paying copyright -royalties. Special rules, set forth in the General Terms of Use part -of this license, apply to copying and distributing Project -Gutenberg-tm electronic works to protect the PROJECT GUTENBERG-tm -concept and trademark. Project Gutenberg is a registered trademark, -and may not be used if you charge for an eBook, except by following -the terms of the trademark license, including paying royalties for use -of the Project Gutenberg trademark. If you do not charge anything for -copies of this eBook, complying with the trademark license is very -easy. You may use this eBook for nearly any purpose such as creation -of derivative works, reports, performances and research. Project -Gutenberg eBooks may be modified and printed and given away--you may -do practically ANYTHING in the United States with eBooks not protected -by U.S. copyright law. Redistribution is subject to the trademark -license, especially commercial redistribution. - -START: FULL LICENSE - -THE FULL PROJECT GUTENBERG LICENSE -PLEASE READ THIS BEFORE YOU DISTRIBUTE OR USE THIS WORK - -To protect the Project Gutenberg-tm mission of promoting the free -distribution of electronic works, by using or distributing this work -(or any other work associated in any way with the phrase "Project -Gutenberg"), you agree to comply with all the terms of the Full -Project Gutenberg-tm License available with this file or online at -www.gutenberg.org/license. - -Section 1. General Terms of Use and Redistributing Project -Gutenberg-tm electronic works - -1.A. By reading or using any part of this Project Gutenberg-tm -electronic work, you indicate that you have read, understand, agree to -and accept all the terms of this license and intellectual property -(trademark/copyright) agreement. If you do not agree to abide by all -the terms of this agreement, you must cease using and return or -destroy all copies of Project Gutenberg-tm electronic works in your -possession. If you paid a fee for obtaining a copy of or access to a -Project Gutenberg-tm electronic work and you do not agree to be bound -by the terms of this agreement, you may obtain a refund from the -person or entity to whom you paid the fee as set forth in paragraph -1.E.8. - -1.B. "Project Gutenberg" is a registered trademark. It may only be -used on or associated in any way with an electronic work by people who -agree to be bound by the terms of this agreement. There are a few -things that you can do with most Project Gutenberg-tm electronic works -even without complying with the full terms of this agreement. See -paragraph 1.C below. There are a lot of things you can do with Project -Gutenberg-tm electronic works if you follow the terms of this -agreement and help preserve free future access to Project Gutenberg-tm -electronic works. See paragraph 1.E below. - -1.C. The Project Gutenberg Literary Archive Foundation ("the -Foundation" or PGLAF), owns a compilation copyright in the collection -of Project Gutenberg-tm electronic works. Nearly all the individual -works in the collection are in the public domain in the United -States. If an individual work is unprotected by copyright law in the -United States and you are located in the United States, we do not -claim a right to prevent you from copying, distributing, performing, -displaying or creating derivative works based on the work as long as -all references to Project Gutenberg are removed. Of course, we hope -that you will support the Project Gutenberg-tm mission of promoting -free access to electronic works by freely sharing Project Gutenberg-tm -works in compliance with the terms of this agreement for keeping the -Project Gutenberg-tm name associated with the work. You can easily -comply with the terms of this agreement by keeping this work in the -same format with its attached full Project Gutenberg-tm License when -you share it without charge with others. - -1.D. The copyright laws of the place where you are located also govern -what you can do with this work. Copyright laws in most countries are -in a constant state of change. If you are outside the United States, -check the laws of your country in addition to the terms of this -agreement before downloading, copying, displaying, performing, -distributing or creating derivative works based on this work or any -other Project Gutenberg-tm work. The Foundation makes no -representations concerning the copyright status of any work in any -country other than the United States. - -1.E. Unless you have removed all references to Project Gutenberg: - -1.E.1. The following sentence, with active links to, or other -immediate access to, the full Project Gutenberg-tm License must appear -prominently whenever any copy of a Project Gutenberg-tm work (any work -on which the phrase "Project Gutenberg" appears, or with which the -phrase "Project Gutenberg" is associated) is accessed, displayed, -performed, viewed, copied or distributed: - - This eBook is for the use of anyone anywhere in the United States and - most other parts of the world at no cost and with almost no - restrictions whatsoever. You may copy it, give it away or re-use it - under the terms of the Project Gutenberg License included with this - eBook or online at www.gutenberg.org. If you are not located in the - United States, you will have to check the laws of the country where - you are located before using this eBook. - -1.E.2. If an individual Project Gutenberg-tm electronic work is -derived from texts not protected by U.S. copyright law (does not -contain a notice indicating that it is posted with permission of the -copyright holder), the work can be copied and distributed to anyone in -the United States without paying any fees or charges. If you are -redistributing or providing access to a work with the phrase "Project -Gutenberg" associated with or appearing on the work, you must comply -either with the requirements of paragraphs 1.E.1 through 1.E.7 or -obtain permission for the use of the work and the Project Gutenberg-tm -trademark as set forth in paragraphs 1.E.8 or 1.E.9. - -1.E.3. If an individual Project Gutenberg-tm electronic work is posted -with the permission of the copyright holder, your use and distribution -must comply with both paragraphs 1.E.1 through 1.E.7 and any -additional terms imposed by the copyright holder. Additional terms -will be linked to the Project Gutenberg-tm License for all works -posted with the permission of the copyright holder found at the -beginning of this work. - -1.E.4. Do not unlink or detach or remove the full Project Gutenberg-tm -License terms from this work, or any files containing a part of this -work or any other work associated with Project Gutenberg-tm. - -1.E.5. Do not copy, display, perform, distribute or redistribute this -electronic work, or any part of this electronic work, without -prominently displaying the sentence set forth in paragraph 1.E.1 with -active links or immediate access to the full terms of the Project -Gutenberg-tm License. - -1.E.6. You may convert to and distribute this work in any binary, -compressed, marked up, nonproprietary or proprietary form, including -any word processing or hypertext form. However, if you provide access -to or distribute copies of a Project Gutenberg-tm work in a format -other than "Plain Vanilla ASCII" or other format used in the official -version posted on the official Project Gutenberg-tm website -(www.gutenberg.org), you must, at no additional cost, fee or expense -to the user, provide a copy, a means of exporting a copy, or a means -of obtaining a copy upon request, of the work in its original "Plain -Vanilla ASCII" or other form. Any alternate format must include the -full Project Gutenberg-tm License as specified in paragraph 1.E.1. - -1.E.7. Do not charge a fee for access to, viewing, displaying, -performing, copying or distributing any Project Gutenberg-tm works -unless you comply with paragraph 1.E.8 or 1.E.9. - -1.E.8. You may charge a reasonable fee for copies of or providing -access to or distributing Project Gutenberg-tm electronic works -provided that: - -* You pay a royalty fee of 20% of the gross profits you derive from - the use of Project Gutenberg-tm works calculated using the method - you already use to calculate your applicable taxes. The fee is owed - to the owner of the Project Gutenberg-tm trademark, but he has - agreed to donate royalties under this paragraph to the Project - Gutenberg Literary Archive Foundation. Royalty payments must be paid - within 60 days following each date on which you prepare (or are - legally required to prepare) your periodic tax returns. Royalty - payments should be clearly marked as such and sent to the Project - Gutenberg Literary Archive Foundation at the address specified in - Section 4, "Information about donations to the Project Gutenberg - Literary Archive Foundation." - -* You provide a full refund of any money paid by a user who notifies - you in writing (or by e-mail) within 30 days of receipt that s/he - does not agree to the terms of the full Project Gutenberg-tm - License. You must require such a user to return or destroy all - copies of the works possessed in a physical medium and discontinue - all use of and all access to other copies of Project Gutenberg-tm - works. - -* You provide, in accordance with paragraph 1.F.3, a full refund of - any money paid for a work or a replacement copy, if a defect in the - electronic work is discovered and reported to you within 90 days of - receipt of the work. - -* You comply with all other terms of this agreement for free - distribution of Project Gutenberg-tm works. - -1.E.9. If you wish to charge a fee or distribute a Project -Gutenberg-tm electronic work or group of works on different terms than -are set forth in this agreement, you must obtain permission in writing -from the Project Gutenberg Literary Archive Foundation, the manager of -the Project Gutenberg-tm trademark. Contact the Foundation as set -forth in Section 3 below. - -1.F. - -1.F.1. Project Gutenberg volunteers and employees expend considerable -effort to identify, do copyright research on, transcribe and proofread -works not protected by U.S. copyright law in creating the Project -Gutenberg-tm collection. Despite these efforts, Project Gutenberg-tm -electronic works, and the medium on which they may be stored, may -contain "Defects," such as, but not limited to, incomplete, inaccurate -or corrupt data, transcription errors, a copyright or other -intellectual property infringement, a defective or damaged disk or -other medium, a computer virus, or computer codes that damage or -cannot be read by your equipment. - -1.F.2. LIMITED WARRANTY, DISCLAIMER OF DAMAGES - Except for the "Right -of Replacement or Refund" described in paragraph 1.F.3, the Project -Gutenberg Literary Archive Foundation, the owner of the Project -Gutenberg-tm trademark, and any other party distributing a Project -Gutenberg-tm electronic work under this agreement, disclaim all -liability to you for damages, costs and expenses, including legal -fees. YOU AGREE THAT YOU HAVE NO REMEDIES FOR NEGLIGENCE, STRICT -LIABILITY, BREACH OF WARRANTY OR BREACH OF CONTRACT EXCEPT THOSE -PROVIDED IN PARAGRAPH 1.F.3. YOU AGREE THAT THE FOUNDATION, THE -TRADEMARK OWNER, AND ANY DISTRIBUTOR UNDER THIS AGREEMENT WILL NOT BE -LIABLE TO YOU FOR ACTUAL, DIRECT, INDIRECT, CONSEQUENTIAL, PUNITIVE OR -INCIDENTAL DAMAGES EVEN IF YOU GIVE NOTICE OF THE POSSIBILITY OF SUCH -DAMAGE. - -1.F.3. LIMITED RIGHT OF REPLACEMENT OR REFUND - If you discover a -defect in this electronic work within 90 days of receiving it, you can -receive a refund of the money (if any) you paid for it by sending a -written explanation to the person you received the work from. If you -received the work on a physical medium, you must return the medium -with your written explanation. The person or entity that provided you -with the defective work may elect to provide a replacement copy in -lieu of a refund. If you received the work electronically, the person -or entity providing it to you may choose to give you a second -opportunity to receive the work electronically in lieu of a refund. If -the second copy is also defective, you may demand a refund in writing -without further opportunities to fix the problem. - -1.F.4. Except for the limited right of replacement or refund set forth -in paragraph 1.F.3, this work is provided to you 'AS-IS', WITH NO -OTHER WARRANTIES OF ANY KIND, EXPRESS OR IMPLIED, INCLUDING BUT NOT -LIMITED TO WARRANTIES OF MERCHANTABILITY OR FITNESS FOR ANY PURPOSE. - -1.F.5. Some states do not allow disclaimers of certain implied -warranties or the exclusion or limitation of certain types of -damages. If any disclaimer or limitation set forth in this agreement -violates the law of the state applicable to this agreement, the -agreement shall be interpreted to make the maximum disclaimer or -limitation permitted by the applicable state law. The invalidity or -unenforceability of any provision of this agreement shall not void the -remaining provisions. - -1.F.6. INDEMNITY - You agree to indemnify and hold the Foundation, the -trademark owner, any agent or employee of the Foundation, anyone -providing copies of Project Gutenberg-tm electronic works in -accordance with this agreement, and any volunteers associated with the -production, promotion and distribution of Project Gutenberg-tm -electronic works, harmless from all liability, costs and expenses, -including legal fees, that arise directly or indirectly from any of -the following which you do or cause to occur: (a) distribution of this -or any Project Gutenberg-tm work, (b) alteration, modification, or -additions or deletions to any Project Gutenberg-tm work, and (c) any -Defect you cause. - -Section 2. Information about the Mission of Project Gutenberg-tm - -Project Gutenberg-tm is synonymous with the free distribution of -electronic works in formats readable by the widest variety of -computers including obsolete, old, middle-aged and new computers. It -exists because of the efforts of hundreds of volunteers and donations -from people in all walks of life. - -Volunteers and financial support to provide volunteers with the -assistance they need are critical to reaching Project Gutenberg-tm's -goals and ensuring that the Project Gutenberg-tm collection will -remain freely available for generations to come. In 2001, the Project -Gutenberg Literary Archive Foundation was created to provide a secure -and permanent future for Project Gutenberg-tm and future -generations. To learn more about the Project Gutenberg Literary -Archive Foundation and how your efforts and donations can help, see -Sections 3 and 4 and the Foundation information page at -www.gutenberg.org - -Section 3. Information about the Project Gutenberg Literary -Archive Foundation - -The Project Gutenberg Literary Archive Foundation is a non-profit -501(c)(3) educational corporation organized under the laws of the -state of Mississippi and granted tax exempt status by the Internal -Revenue Service. The Foundation's EIN or federal tax identification -number is 64-6221541. Contributions to the Project Gutenberg Literary -Archive Foundation are tax deductible to the full extent permitted by -U.S. federal laws and your state's laws. - -The Foundation's business office is located at 809 North 1500 West, -Salt Lake City, UT 84116, (801) 596-1887. Email contact links and up -to date contact information can be found at the Foundation's website -and official page at www.gutenberg.org/contact - -Section 4. Information about Donations to the Project Gutenberg -Literary Archive Foundation - -Project Gutenberg-tm depends upon and cannot survive without -widespread public support and donations to carry out its mission of -increasing the number of public domain and licensed works that can be -freely distributed in machine-readable form accessible by the widest -array of equipment including outdated equipment. Many small donations -($1 to $5,000) are particularly important to maintaining tax exempt -status with the IRS. - -The Foundation is committed to complying with the laws regulating -charities and charitable donations in all 50 states of the United -States. Compliance requirements are not uniform and it takes a -considerable effort, much paperwork and many fees to meet and keep up -with these requirements. We do not solicit donations in locations -where we have not received written confirmation of compliance. To SEND -DONATIONS or determine the status of compliance for any particular -state visit www.gutenberg.org/donate - -While we cannot and do not solicit contributions from states where we -have not met the solicitation requirements, we know of no prohibition -against accepting unsolicited donations from donors in such states who -approach us with offers to donate. - -International donations are gratefully accepted, but we cannot make -any statements concerning tax treatment of donations received from -outside the United States. U.S. laws alone swamp our small staff. - -Please check the Project Gutenberg web pages for current donation -methods and addresses. Donations are accepted in a number of other -ways including checks, online payments and credit card donations. To -donate, please visit: www.gutenberg.org/donate - -Section 5. General Information About Project Gutenberg-tm electronic works - -Professor Michael S. Hart was the originator of the Project -Gutenberg-tm concept of a library of electronic works that could be -freely shared with anyone. For forty years, he produced and -distributed Project Gutenberg-tm eBooks with only a loose network of -volunteer support. - -Project Gutenberg-tm eBooks are often created from several printed -editions, all of which are confirmed as not protected by copyright in -the U.S. unless a copyright notice is included. Thus, we do not -necessarily keep eBooks in compliance with any particular paper -edition. - -Most people start at our website which has the main PG search -facility: www.gutenberg.org - -This website includes information about Project Gutenberg-tm, -including how to make donations to the Project Gutenberg Literary -Archive Foundation, how to help produce our new eBooks, and how to -subscribe to our email newsletter to hear about new eBooks. |
