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-Project Gutenberg's Contemplazione della morte, by Gabriele D'Annunzio
-
-This eBook is for the use of anyone anywhere in the United States and most
-other parts of the world at no cost and with almost no restrictions
-whatsoever. You may copy it, give it away or re-use it under the terms of
-the Project Gutenberg License included with this eBook or online at
-www.gutenberg.org. If you are not located in the United States, you'll have
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-
-Title: Contemplazione della morte
-
-Author: Gabriele D'Annunzio
-
-Release Date: June 17, 2020 [EBook #62417]
-
-Language: Italian
-
-Character set encoding: UTF-8
-
-*** START OF THIS PROJECT GUTENBERG EBOOK CONTEMPLAZIONE DELLA MORTE ***
-
-
-
-
-Produced by Barbara Magni, elisa and the Distributed
-Proofreading team at DP-test Italia,
-http://dp-test.dm.unipi.it (This file was produced from
-images generously made available by The Internet Archive)
-
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-
- GABRIELE D'ANNUNZIO
-
-
- CONTEMPLAZIONE
- DELLA MORTE
-
-
-
- FRATELLI TREVES EDITORI
- MILANO • MCMXII
-
- _Seconda Edizione_ (4.º a 7.º migliaio).
-
-
-
-
- _Proprietà letteraria.
- Riservati tutti i diritti._
-
- Copyright by Fratelli Treves, 1912.
-
- Tip. Treves.
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-
-MESSAGGIO.
-
-
-_A MARIO PELOSINI DI PISA._
-
-_Mio giovine amico, per quella foglia di lauro che mi coglieste su
-la fresca tomba di Barga pensando al mio lontano dolore, io vi mando
-questo libello dalla Landa oceanica dove tante volte a sera il mio
-ricordo e il mio desiderio cercarono una simiglianza del paese di
-sabbia e di ragia disteso lungo il mar pisano._
-
-_Ben so come profondamente nel vostro petto fedele voi custodiate la
-luce dell'ora in cui per la prima volta, sconosciuto e atteso, varcaste
-la soglia della casa ch'io m'ebbi un tempo alla foce dell'Arno tra i
-ginepri arsicci e le baglie marine. Eravate quasi fanciullo, _generosus
-puer_, ebro di poesia, tremante di riconoscenza e d'amore; e la divina
-virtù dell'entusiasmo ardeva in voi così candidamente ch'io mi credetti
-riveder me stesso giovinetto nell'atto di accostarmi a un puro spirito,
-ora esulato dalla terra, che molto amai e molto ascoltai. La casa era
-tanto prossima al frangente che dalla finestra non si vedeva se non il
-flutto, come da un'alta prora. E mi piacque che intorno a quel nostro
-primo dialogo non paresse stagnare la quiete domestica ma spirare quasi
-la libertà d'una navigazione avventurosa. _Anchoras praecide_. Credo
-che tal fosse il mio primo insegnamento. E ci accomiatammo, secondo il
-costume di coloro che non si riposano su alcuna certezza o promessa,
-come se non dovessimo rivederci più mai._
-
-_Di lontano, non ebbi da voi se non sobrie testimonianze d'un amore
-sempre più forte e d'una fede sempre più tenace. Cosicché, pensando al
-prato sublime che sta tra il Camposanto e il Battistero o alla funebre
-spiaggia tra il Serchio e l'Arno, posso senza discordanza pensare a voi
-prediletto tra i pochissimi che sanno amarmi come solo voglio essere
-amato._
-
-_Ecco che riprendo in queste pagine una contemplazione già iniziata
-nella solitudine di quel Gombo ove vidi in una sera di luglio approdare
-il corpo naufrago del Poeta che s'elesse Antigone e vegliai la salma
-colcata a fianco della vergine regia, tra l'uno e l'altra sorgendo il
-fiore «inespugnabile» nomato pancrazio._
-
- _Poi che non val la possa_
- _della Vita a comprendere tanta_
- _bellezza, ecco la Morte_
- _che braccia più vaste possiede_
- _e silenzii più intenti_
- _e rapidità più sicura;_
- _ecco la Morte, e l'Arte_
- _che è la sua sorella eternale..._
-
-_Ma, di qua d'Arno, nella selva spessa che va sino al Calambrone, in
-un meriggio dello stesso luglio, portai il pensiero della fine su i
-miei piedi nudi come una fiera porta la sua fame o la sua vigilanza.
-Il demone del rischio mi aveva detto: «Va e gioisci. Beviti le musiche
-degli uccelli e dei vènti, abbàgliati delle luci, inèbriati degli
-odori. Una vipera ti ucciderà». Andai, e cercai la mia vipera. Portavo
-leggeri sandali di sparto legati ai malleoli con corregge sottili.
-Tanto era l'attesa che, quando mi sentii mordere la prima volta, non
-potei trattenere il grido. E farmi pallido in quell'aria affocata mi
-pareva una sorta di voluttà eroica. Guardai. Non era se non la puntura
-d'una spina: il sangue gocciolava, e tutte le vene del piede erano
-gonfie per lo sforzo del camminare nella sabbia ardente come la brace
-o su gli aghi arroventati come gli schisti del Deserto. «Non ancóra,»
-E seguitai, senza guardare a terra, entrando sempre nel più folto. E
-a ogni puntura dicevo: «Ecco». E non era se non un aculeo più acerbo.
-E ogni goccia di sangue mi pareva più preziosa. E tutti i miei sensi
-divenivano soprannaturali, perché creavano una natura più potente e più
-bella. Vedevo fumare dai cespugli l'aroma, la vita del pino brillare di
-sotto la scaglia come la porpora nel murice, l'esiguo triangolo chiaro
-nella coccola del ginepro significare il mistero d'un dio verde il cui
-baleno era la lucertola guizzante. E seguitai, seguitai, sanguinando,
-ma senza trovare la mia vipera. Se i miei piedi erano gonfii e dolenti,
-il mio capo era perspicuo e lieve come nel santo digiuno._
-
-_Un'allegoria è nascosta in ogni figura del mondo; e giova, secondo
-la sentenza di san Gregorio, «lo intendimento delle allegorie ridurre
-ad esercizio di moralitade». Sotto il più alto fervore, sotto la più
-profonda conturbazione del mio spirito la mia ferinità persiste,
-o giovine amico. E voi comprenderete perché, tornando dall'aver
-contemplato in ginocchio la beatitudine del Cristiano sul letto
-candido, io abbia palpato in ginocchio le mammelle numerose della Diana
-Efesia sotto la specie brutale._
-
-_Or qual bellezza doveva essere in quel Santo, se pareva che la morte
-le convenisse!_
-
-_Bisogna credere che sempre e in ogni luogo lo spirito dell'uomo
-sia l'iddio verace dell'uomo e che le imagini mitiche o incarnate
-della divinità non sieno se non i modi che conducono a riconoscere
-sol quello: sol quello _che non si può nominare e a cui non si può
-disobbedire_. Gran tempo io diffidai del Galileo come d'un nemico,
-per una provvidenza che nel nemico pone la salute del forte. Pur non
-temendo il «dio senza muscoli», non m'avvenne di guardarlo negli occhi.
-Nella prima giornata di questo Quatriduo si narra come il sùbito pianto
-del vecchio me lo facesse presente. Ora a volte Egli se ne va davanti
-me, cammina sopra queste acque come sopra il mar di Tiberiade. Ieri si
-presentò su la riva e mi disse: «Getta la rete». E quel giovine dalla
-sindone che ora è il mio compagno, del quale si parla nella terza
-giornata di questo Quatriduo, si precipitò nel mare «perciocché egli
-era nudo, _erat enim nudus_». Questi sarà il mio mediatore affinché il
-Figlio dell'Uomo mi conduca a riconoscere compiutamente il mio intimo
-Signore. Così, dopo aver cantato tutti gli iddii, canterò il mio dio
-verace. E vi manderò il libro di Taigete come lo spirital fratello del
-libro di Alcione composto là dove non era altra croce se non quella
-degli staggi sospesa su la fiumana in un miracol d'oro. Ed è grazia
-della sorte che questo novo canto s'alzi dall'estremo Occidente ove
-«per cento milia perigli» era giunto l'ardore dell'Ulisse dantesco.
-E il dio voglia che, di continuo tendendo l'orecchio, riesca io a
-cogliere il ritmo della grande onda occidentale per mescolare con esso
-la mia anima italica._
-
-_Ma qual è il Redentore che voi aspettate, che aspettano i vostri
-eguali? Forse un nuovo sentimento sacro riempie freschi occhi che
-non conosco, che non vedrò mai. Talvolta, se ascolto, mi par d'udire
-pensieri ascendere come l'argento e il cristallo di quel vasto coro
-infantile che saliva dallo Stadio nella Città subalpina. Qualcuno
-scrolla e sfonda porte lontane; e par mi giunga lo strepito indistinto.
-Qualcuno reca in sé tutta una stirpe occulta e bramosa, che chiede di
-nascere. E chi sale contro a me, dall'altro declivio del secolo, in
-silenzio? Colui che io ho annunziato?_
-
-_Ieri, su l'Atlantico, una imaginazione mi venne dal ripensare che in
-Tespia il simulacro di Amore era un sasso greggio. Anche ripensavo a
-quegli zòani primitivi che aveano le gambe congiunte l'una all'altra
-e congiunte le braccia lungo i fianchi sino alle cosce. E consideravo
-la potenza commossa dell'artefice che primo disgiunse le gambe del dio
-rude e primo atteggiò al gesto le braccia. Per ciò guardo e interrogo
-le mani dei giovani pensosi, se sien capaci di tagliare il sasso
-greggio di Tespia. Taluno ha l'aria di aver dormito in un tempio e di
-non voler parlare. E la sua faccia par piena di segni e di segreti come
-la palma della mano._
-
-_Ma non sempre indarno io ho masticata la foglia del lauro, come gli
-indovini, pur temendo gli indovinamenti del mio cuore._
-
-_E vengono verso me fantasmi che non si generano dai miei sogni._
-
-E che può mai essere per me il rinascere, se «io nacqui ogni mattina»?
-Ora la cosa non è più tra me e l'alba._
-
-_E ora so che il dio verace è quello a cui non si può disobbedire,
-quello contro cui non si può commettere peccato. E quello io debbo
-trovare e conoscere._
-
-_E la qualità della mia fede è tale che, quando apro il volume della
-Comedia, io credo aver Dante visitato in carne e in ispirito i tre
-regni._
-
-_E io, il quale volli un tempo essere un Maestro, ora so come nulla di
-ciò che è veramente vivo e divino possa essere insegnato._
-
-_E io, che più d'una volta respinsi l'ingiuria, ora comprendo la
-parola del Crisostomo: «che niuno non può essere offeso, se non da sé
-medesimo»._
-
-_E io ricevo ora la forza di tutti i miei errori vinti e di tutti i
-miei mali superati, come quel cavaliere del romanzo carolingio, il
-quale ereditava il potere di quanti uomini e mostri abbattesse la sua
-lancia._
-
-_E so che gli occhi lontani di quelli che piansero e piangono su i miei
-errori e su i miei mali non possono essere né puri né profondi._
-
-_E chi prende e soppesa taluna delle mie opere, consideri una delle
-tante mie parole che il tumulto impedì d'intendere: «I figli miei
-concetti nell'ebrezza — _come delitti sacri alla dimane_....»_
-
-_E chi mi ama sappia che di ogni mia dimora distrutta io ho sempre
-potuto serbare la pietra che porta inciso l'enigma della mia libertà:
-«_Chi 'l tenerà legato?_»_
-
-_E chi mi segue sappia che perfino nella mia nave piena di sozii
-l'istinto implacabile della liberazione mi spinse più d'una volta a
-gittarmi solo in mare come il poeta di Metimna ma senza ricorrere al
-delfino salvatore._
-
-_E non vorrò mai esser prigioniero, neppure della gloria._
-
-_E non vorrò mai riconoscere i miei limiti._
-
-_E non vacillerò mai dinanzi alla necessità del mio spirito e alla
-cicuta._
-
-_E non farò mai sosta alle incrociate delle mie vie._
-
-_E serberò fresca la vena inestinguibile del mio riso pur nella
-peggiore tristezza._
-
-_E dico che l'elemento del mio dio è il futuro._
-
-_E dico che ciò ch'io non sono, domani altri sarà per mia virtù._
-
-_O giovine amico, ciascuno di questi pensieri non è se non il tema d'un
-inno e non può esser condotto a compimento se non dal ritmo eroico. E
-credo avere accresciuto il numero delle mie corde dopo questi funerali,
-come il costruttore di città, avendo imparato la melodia dei Lidii
-nelle esequie fatte a Tantalo da essi Lidii, aggiunse tre corde alle
-quattro della lira._
-
-_Ma pur saprei soffiare su ciascuno come il fanciullo su la lanugine
-del cardo argentino, per astringermi di considerare nella mia memoria
-quel poco di sole che impallidiva su quel poco di paglia davanti alla
-porta del mio malato e quel poco di vetro rotto che vi luceva come
-lacrime o rugiada._
-
- _Il silenzio era un inno senza voce._
-
-_Tale potrebbe essere allora il mio silenzio. Ma quegli che sale contro
-a me, dall'altro declivio, quando m'incontrerà e gitterà il suo grido?_
-
-_O mio giovine amico, talvolta la giovinezza mi chiama dalle viscere
-della Città come la sirena dall'abisso; e accorro, ansioso, alla
-mia maraviglia e alla mia perdizione. Amo cercare nel traffico e
-nell'ignominia della via gli occhi dell'Ignoto, gli occhi fissi che
-mi sfidano, gli occhi obliqui che mi sfuggono, sotto il rombo senza
-pensiero. Ho su la lingua la cenere dei miei sogni, e la mastico per
-non esserne strozzato._
-
-_La penultima sera d'aprile ebbi nella via un compagno ventenne: un
-volto imberbe modellato dal pollice ferreo del Destino come quello
-del Beethoven; un cuore chiuso in cui forse sonavano le quattro note
-spaventose della Sinfonia Quinta. Andavamo a paro, oppressi da uno di
-quei cieli d'uragano bassi e rossastri, sotto i quali Parigi sembra
-schiumare e fumigare come un bulicame enorme. La carta dei giornali,
-ond'era invasa tutta la città, pareva elettrica come quando esce
-tesa dai cilindri della cartiera nei giorni secchi scoppiettando di
-scintille. Il bandito famoso era morto laggiù, nella casa diroccata e
-arsa, dopo l'assedio feroce e ridevole, gittando l'ingiuria suprema
-fuor del suo capo forato da dodici palle. E, mentre era celebrato
-nei fogli l'eroismo degli assediatori coperto di materassi, l'atroce
-parola plebea pareva fosse per rimaner sospesa su l'immensa adunazione
-dei tetti sicuri, fino al crollo totale. Tutto lo spazio era pieno di
-violenta morte, di bellezza torbida, e di non so che travagli, e di non
-so che presagi, come se il Futuro si chinasse dalla nuvola ferrugigna
-a soffiarci sul viso il suo polline ben più potente che il vivo solfo
-della Landa pinosa. E ci pareva d'entrare in ogni via come il soldato
-entra nella trincea, ed ogni via ci pareva chiusa come i vicoli ciechi,
-e ci pareva di sfondarla con la volontà senza gesto. E un branco di
-bagasce, contro un muro infetto dalla lebbrosìa degli affissi, ci
-guatò di sotto ai grandi cappelli piumati, con qualcosa di selvaggio
-negli occhi pesti e nelle labbra dipinte, simili a menadi sfatte di un
-Dioniso tavernaio. E più in là, dietro una vetrina piena di dolciumi
-stantii e di sciroppi inaciditi, scorgemmo la Parca Atropo. E più in
-là, dentro una meschina bottega d'oriolaio, intravedemmo un Saturno
-barbato e scerpellato che mangiava un lungo rocchio di salsiccia
-figliale, tra orologi morti e decomposti._
-
-_Come il mio compagno povero abitava nel sobborgo, per aspettare l'ora
-del treno entrammo in un piccolo Caffè; e ci sedemmo l'uno accanto
-all'altro davanti a una lastra di marmo su cui la traccia lasciata da
-una sottocoppa sporca disegnava il circolo dell'eternità. E il luogo
-ignobile s'empì del nostro tumulto inespresso, come una conca è piena
-di rombo oceanico che solo un orecchio aderente ode. E, quando il
-tavoleggiante accese sul nostro capo il becco del gas, vidi la bocca
-del mio compagno simile alla bocca dei mutoli che vogliono parlare;
-e forse era piena della parola nuova, o forse soltanto di saliva
-angosciosa. E guardai anche quel chiarore su le sue mani pallide,
-pensando al sasso di Tespia. E non mai ebbi così grande il sentimento
-d'un dio ignoto che divorasse un'anima gonfia._
-
-_«Bisogna che ci separiamo e che poi ci ritroviamo». Tornai indietro
-solo, verso la febbre notturna; e alzavo di tratto in tratto gli occhi
-al volto indistinto che dalla nuvola si chinava verso me come quelle
-strigi gotiche dalle gronde delle cattedrali. E, passando per una via
-angusta, di colpo la bertuccia d'un merciaiuolo ambulante mi saltò
-su le spalle. E tutto il lastrico sonò di risa e di motti plebei. E
-l'ingiuria lugubre dell'uomo dal capo forato era sospesa nel crepuscolo
-pregno d'una forza senza nome. Ma il mio compagno ventenne, traballando
-laggiù nel treno tardo, udiva forse Amfione preludiare sopra un mucchio
-di calcinacci._
-
-_Ora bisogna che anche noi ci separiamo e poi ci ritroviamo, mio
-giovine amico._
-
-_Addio._
-
- Dalle Lande, maggio 1912.
-
- _G. d'A._
-
-
-
-
- ALLA MEMORIA
-
- DI
-
- GIOVANNI PASCOLI
-
- E DI
-
- ADOLPHE BERMOND.
-
-
-
-
-VII APRILE MCMXII
-
-
-Anche una volta il mondo par diminuito di valore. Quando un grande
-poeta volge la fronte verso l'Eternità, la mano pia che gli chiude gli
-occhi sembra suggellare sotto le esangui palpebre la più luminosa parte
-della bellezza terrena. Penso che Maria dolce sorella, la tessitrice
-dalle mani d'oro, a cui Giovanni chiamato dai suoi morti chiedeva un
-giorno in una tenue ode divina il «funebre panno», abbia compiuto pur
-quell'officio, ella che è virile in pietà come Caterina da Siena. E chi
-allora fu di lei più certo che nel cari occhi abbuiati dalla pressura
-scompariva anche l'allegrezza dell'aprile presente?
-
- Fantasma tu giungi,
- tu parti mistero.
- Venisti, o di lungi?
- ché lega già il pero,
- fiorisce il cotogno
- là giù.
-
-Se imagino i suoi occhi nell'ultima ora e se imagino le rondini
-all'Osservanza «quelle dal petto rosso e quelle dal petto bianco»
-traversanti pel vano della finestra nel cielo di Pasqua, mi torna alla
-memoria una sua parola d'or quindici anni, in cui — non so perché —
-parvemi veder riflesso il baleno del balestruccio come in un marmo
-nero levigato. Parlava egli alle volatrici nella favella francescana,
-e diceva: «Vorrei avere tutto il dì, mentre sto curvo sui libri, negli
-occhi intenti ad altro, la vertigine d'ombra del vostro volo!» Oggi
-riodo gli stridi delle sue compagne sotto le grondaie lontane, e vedo
-in que' suoi occhi _intenti ad altro_ la vertigine d'ombra. Quella
-parola ch'egli credeva dire per la sua vita, egli la diceva per la
-sua morte; e io non sapevo che, fra tante di cui sono immemore, mi
-fosse penetrata così a dentro e si fosse accresciuta di questa funebre
-bellezza.
-
-Ieri un caso volgare e ammirabile mi diede il modo di assistere
-continuamente col pensiero il mio amico nella sua agonia. E più tardi,
-per una rispondenza misteriosa, potetti ascoltare la musica infinita
-che la sera faceva intorno al suo silenzio.
-
-Lo credevo quasi guarito, o almeno fuor d'ogni pericolo. Notizie
-recenti mi assicuravano ch'egli fosse per tornare alle sue consuetudini
-cotidiane e per riprendere il lavoro disegnato. Venerdì notte, cedendo
-alla svogliatezza primaverile, lasciai a mezzo la mia pagina; e mi misi
-a sfogliare qualche libro di figure. Mi venne fatto di scorrere la
-raccolta delle acqueforti pascoliane di Vico Viganò. Per confrontare
-il ritratto inciso del poeta con una imagine d'esattezza fotografica,
-cercai il volume illustrato dell'_Inno a Roma_ credendo che ci fosse.
-La memoria m'ingannava: non c'era. Ma mi soffermai su l'impronta
-dell'ascia sepolcrale romana; e rilessi i bellissimi esametri.
-
- _Ascia, teque eadem magnae devovit in oris_
- _omnibus Italiae, dein toto condidit orbe..._
-
-Anche una volta l'evocatore delle auguste forze scomparse aboliva
-nel mio spirito l'errore del tempo. Riconoscevo a quel dilatato
-respiro del mio sogno uno dei più alti suoi doni; perché certe sue
-evocazioni dell'antico si avvicinano ai limiti della magia. Qualcosa di
-magico è nella potenza repentina onde un grande poeta s'impadronisce
-dell'anima nostra. A un tratto l'immensa notte oceanica s'empiva de'
-suoi fantasmi. Il numero del suo verso si prolungava in una lontananza
-solenne, fin là dove la parola dell'inno vedico pareva la sua stessa
-eco ripercossa dall'invisibile confino. «Ciò ch'io ti prendo, o Terra,
-racquisterai presto. Possa io, o pura, non ferire alcuna tua parte
-vitale, non il cuor tuo».
-
- _Roma sed exsistens e sulco pura cruento_
- _sacravit Terrae Matri, qua laeserat et qua_
- _esset per gentes omnes laesura, bipennem._
-
-La notte era tranquilla ma non serena, con istelle forse infauste,
-prese in avvolgimenti di veli e di crini. L'acqua dell'insenata non
-aveva quasi respiro, ma di là dalle dune e dalle selve l'Oceano senza
-sonno faceva il suo rombo. Nondimeno questa quiete comunicava con quel
-tumulto, e la sabbia di quella riva tormentosa era simile alla sabbia
-di questa che si taceva. Così talvolta, nella più agitata angoscia, un
-meandro profondo della nostra coscienza rimane in pace. E dove dunque
-era per approdare l'Ulisse dell'_Ultimo viaggio?_ su questa o su quella
-riva?
-
-Ora mi chiedo con turbamento perché di tratto in tratto il mio spirito
-interrompesse il suo fantasiare per cercar di rinvenire in sé l'aspetto
-mortale del poeta. Non mi pareva di ritrovarlo nell'acquaforte
-dell'artista lombardo, né sapevo dove cercarne un'imagine precisa. E,
-se chiudevo gli occhi e mi sforzavo di ricomporne le linee sul fondo
-buio, il volto indistinto si dissolveva in bagliori. Allora mi ricordai
-d'avergli detto un giorno: «Se tu avessi il viso tutto raso e se tu non
-sorridessi, somiglieresti a Piero de' Medici com'è scolpito da Mino».
-Ma in verità egli non s'era mai lasciato guardare da me fisamente.
-
-La nostra amicizia soffriva d'una strana timidezza che non potemmo
-mai vincere perché i nostri incontri furono sempre troppo brevi. Era
-un'amicizia «di terra lontana» come l'amore di Gianfré Rudel, e per ciò
-forse la più delicata e la più gentile che sia stata mai tra emuli. Si
-alimentava di messaggi e di piccoli doni. Da prima egli temeva che la
-sua rusticità e la sua parsimonia mi dispiacessero, come io temevo che
-gli increscesse la mia diretta discendenza dalla brigata spendereccia.
-Egli forse pensava che qualcosa di vero ci dovesse pur essere in fondo
-alle dicerie della cialtronaglia. Un giorno lo colpì la schiettezza del
-mio riso dinanzi a certe sue esitazioni; e allora gli parve di potermi
-offrire l'ospitalità nella sua casa di Castelvecchio, poiché l'acqua
-il pane e le frutta erano il mio regime consueto di «operaio della
-parola». Ma la sorte volle ch'io non conoscessi il sapore del pane
-intriso rimenato e foggiato a crocette, secondo l'usanza di Romagna,
-dalle mani di Giovanni e di Maria. Spesso, alla buona stagione, eravamo
-vicini; e vedevamo entrambi, al levarci, la Pania e il Monte forato.
-Ma non avemmo agio né forse voglia di visitarci, perché ci sembrava
-pur sempre che qualcosa delle nostre persone facesse ingombro alla
-familiarità dei nostri spiriti. Di Boccadarno io gli mandai un di
-que' coltelli ingegnosi che hanno nel manico tutti gli arnesi del
-giardiniere, dalle cesoie al potaiolo. Di Versilia gli mandai un'ode
-curvata in ghirlanda con l'arte mia più leggera.
-
-
-Ma come c'incontrammo la prima volta? A Roma, per insidia. Già ci
-amavamo da tempo; e avevamo scambiato molti messaggi affettuosi e
-quelle lodi acute, d'artiere ad artiere, che s'inseriscono alla cima
-dello spirito e fanno dimenticare la grossezza dei solenni tangheri
-i quali oggi in Italia giudicano di poesia. Trovandosi in Roma, egli
-certo desiderava di vedermi; ma, nel momento di porre ad effetto il suo
-proposito, la timidezza lo arrestava; né i nostri amici riescivano a
-persuaderlo, né io riescivo a scovarlo in alcun luogo. Allora Adolfo
-de Bosis, il principe del silenzio, il nobilissimo signore di quel
-_Convito_ che fu «presame d'amistade» fra i pochi deliberati d'opporsi
-alla nuova barbarie ond'era minacciata la terra latina, ricorse a un
-grazioso stratagemma. Me lo condusse di buon'ora, all'improvviso, nella
-mia casa, dandogli ad intendere che lo conducesse a veder una statua
-di Calliope ritrovata nel limo del Tevere la sera innanzi, divinamente
-levigata da secoli d'acqua. Io era in giorni di splendida miseria,
-abitando nell'antica selleria dei Borghese, tra Ripetta e il Palazzo,
-tra il fiume torbo e quel «gran clavicembalo d'argento» celebrato
-in un sonetto dell'adolescenza. La vuota selleria principesca era di
-così smisurata grandezza che rammentava la sala padovana del Palazzo
-della Ragione, se bene mancasse non giustamente in su l'ingresso la
-pietra del vitupèro «lapis vituperii et cessionis bonorum». In tanta
-vastità io non avevo se non un letto senza fusto, un pianoforte a
-coda, una panca da tenebre, il gesso del Torso di Belvedere, e la
-gioia del respirar grandemente. Come Adolfo spinse alla soglia il poeta
-delle _Myricae_ e mi chiamò al soccorso, balzai mezzo vestito. E due
-confusioni si abbracciarono senza guardarsi. L'ingannatore rideva nel
-vederci così vergognosi mentre tuttavia ci tenevamo per mano. Poi ci
-sedemmo su la panca, felici, senza far molte parole, nessuno di noi
-temendo il silenzio che è sì soave quando il cuore si colma. Eravamo
-sani e resistenti entrambi, sentivamo la nostra purità nel divino
-amore della poesia, preparati alla disciplina e alla solitudine. L'uno
-promettendo di superar l'altro, eravamo certi di non iscoprir mai su
-i nostri volti «il livido color della petraia». Una potenza oscura
-si accumulava nelle nostre profondità: egli doveva ancóra comporre
-i _Poemi conviviali_ e io dovevo ancóra cantare le _Laudi_. O bel
-mattino in sul principio della state, quando Roma ha gli occhi chiari
-di Minerva che nutre a sua simiglianza i pensieri degli uomini! Entrava
-il sole pe' cancelli delle finestre, e il romore del ponte frequente,
-che pareva l'antico «assiduo murmure» del Tevere. Ma il fiume sacro non
-aveva parlato ancóra a traverso il bronzo dell'inno, non aveva ancor
-chiamato l'anima dei forti gridando:
-
- _Heus, rostro navis qui terram scinditis unco,_
- _quam detraxistis navi iam reddite proram_
- _atque in me longos infindite vomere sulcos_
- _usque ad coeruleum, iuvenes, maris aequor, et ultra._
- _Est operae!_
-
-La grandiosità del Torso erculeo bastava a riempiere le mie mura;
-perché era quel terribile frammento titanico presso cui Michelangelo
-decrepito e quasi cieco si faceva condurre per palparlo. (Or potevan
-dunque le sue mani toccare un marmo senza riscolpirlo intero?) Avevamo
-dinanzi ai nostri occhi un esemplare sovrano e quasi direi il cànone
-eroico; ma ignoravo quale di noi due ne fosse tócco più a dentro. Se
-avessimo potuto saperlo, forse avremmo conosciuto la nostra misura.
-Come gli guardai le mani, delle quali sono sempre curioso, egli
-le ritrasse con un atto quasi fanciullesco. Io volevo osservare le
-dita che avevano foggiato l'odicina per le due sorelle e i madrigali
-dell'_Ultima passeggiata_. Allora sorridendo gli ripetei i primi versi
-del _Contrasto_:
-
- Io prendo un po' di silice e di quarzo:
- lo fondo; aspiro; e soffio poi di lena:
- ve' la fiala, come un dì di marzo,
- azzurra e grigia, torbida e serena!
-
-Con quelle stesse mani che aveva nascoste, egli fece un gesto di
-disdegno potente. Sentii quanto vi fosse di virile in colui che passava
-tra le umili mirici per salire verso la rupe scabra. E poi parlammo
-d'Odisseo e della predizione di Tiresia.
-
-Questo fu il nostro primo incontro. E l'ultimo fu nella sua casa
-bolognese dell'Osservanza, qualche settimana prima della mia partenza
-per l'ultima avventura: triste commiato di chi era per farsi fuoruscito
-a chi restava legato dalla catena scolastica.
-
-Tutto il giorno m'ero lasciato condurre dalla mia malinconia nei luoghi
-ove ella più potesse gravarmi. M'ero indugiato su la piazza solitaria
-che la tomba di Rolandino fa pensosa, e quella dei Foscherari, degna
-d'un cantore, sotto i suoi archetti verdi, alzata sopra le sue
-colonne simili al coro delle Muse nel numero. Ed ero entrato nel
-tempio domenicano di rosso mattone: tra il sepolcro bianconero di
-Taddeo Pepoli e il monumento di Re Enzio avevo sentito soffiare su me
-l'ambascia dell'Olifante senza più suono.
-
- Va, ma non giunge. È un brusìo d'ombre vane
- ch'ode Re Enzio, quale in foglie secche
- notturna fa la pioggia e il vento.
-
-E m'ero poi smarrito nel sacro laberinto di San Stefano, nella Basilica
-delle sette chiese. Misteri ed imagini per ogni dove, e il colore
-del fumo e il colore del grumo. Sanguigno e fumoso il chiostro, e
-sopravi l'ombra della torre quadrata, e nell'ombra il pozzo tra le
-due colonne, la carrucola di legno consunta, che non stride più; e fra
-gli interstizii dell'ammattonato l'erba umile, e intorno intorno, ai
-davanzali delle finestre alte, i vasi di basilico. E poi nell'altro
-cortile, fra il cotto, la grande tazza di pietra, il fonte senz'acqua
-ove nessuno si battezza più; e il tabernacolo d'oro luccicante
-a traverso i vetri appannati; e nel vano della finestra, su una
-colonnetta, il Gallo che canta; e, da presso, il Vescovo colcato nel
-marmo sepolcrale, che il canto non risveglia più; e, dietro l'altare
-irto di candelabri ferrei, le rudi arche di granito che l'ascia
-mistica tagliò nel sangue pietrificato dei Martiri; e la luce che passa
-nell'abside per gli alabastri fulvi come quel miele amaro di cui si
-nutriva il Battezzatore.
-
-Perché oggi, della Città ove per fato si spengono i nostri grandi
-poeti, non vedo se non quella piazza mortuaria e quel laberinto
-cristiano? In quella piazza vuol ripassare il mio dolore seguendo il
-feretro del mio fratello, e nel più profondo dei sette luoghi, nel
-settimo, nella Confessione sotterranea, vuole accompagnarlo e deporlo.
-Bologna non ha oggi per me se non quella faccia misteriosa, se non
-quella bocca piena di freddo alito e di sublime silenzio.
-
-Chi potrà dire quando e dove sien nate le figure che a un tratto
-sorgono dalla parte spessa e opaca di noi e ci appariscono turbandoci?
-Gli eventi più ricchi accadono in noi assai prima che l'anima se
-n'accorga. E, quando noi cominciamo ad aprire gli occhi sul visibile,
-già eravamo da tempo aderenti all'invisibile. Oggi mi sembra che
-quel pellegrinaggio meditativo non fosse veramente una preparazione
-spirituale alla visita ch'io era per fare ma fosse già la visita, e
-che nessuna delle parole ch'io dissi poi valesse quelle che andando io
-diceva al mio compagno senza carne.
-
-Ma, quando mi ritrovai nella strada, pensai a quella creatura divina
-che sempre m'era parso dovesse stargli nella casa a conforto, sola
-quella, con la sua lampada e co' suoi libri. Qualora le Città nobili
-usassero far doni ai poeti, che mai avrebbe potuto donare Bologna
-all'estremo Omeride se non la testa dell'Athena Lemnia? Sembra escita
-da certe visioni tumultuose dei _Poemi conviviali_, sembra una duratura
-bellezza provata dalla strage e dall'incendio, un frammento dissepolto
-di sotto alle rovine d'un antico assedio. Ha il viso e il collo
-chiazzati di ferrugigno, come ingrommati di sangue vetustissimo; e
-sotto il collo, nello sterno e nella clavicola, è come infoscata dal
-fuoco che appiccarono al tempio i saccheggiatori corazzati di bronzo.
-
-E troppo tardi mi ricordai d'avergliene promessa l'impronta. Sapevo che
-n'era stato tratto il gesso, ma per notizia vaga; e i custodi del Museo
-civico non seppero darmi alcun ragguaglio. Tuttavia, non potendo per
-allora portargli l'imagine, quanto di me gli diedi con la meditazione
-ch'io feci dinanzi al cippo, nella grande sala deserta, ove come la sua
-poesia quella forma sovrana era sola tra ruderi e cocci mediocri.
-
-Salii dunque all'Osservanza con qualche fiore. Ero così pieno di
-pensieri che non ritrovo nella memoria l'aspetto delle cose, perché le
-guardai con occhio disattento. Non entravo in una casa ma in un'anima
-che pareva volersi fare per me ancor più bella. Se la vita non mi
-avesse dato altro che quell'alta ora di amicizia, pur la stimerei
-generosa e mi direi contento d'aver vissuto in mezzo agli uomini. Della
-nostra timidezza non si mostrò se non un'ombra, sul principio, quando,
-guardandolo io, egli mosse il capo in non so qual modo sfuggente e
-batté le palpebre come per cancellare la lesione crudele degli anni e
-spandere sul suo volto appesito gli spiriti alacri dell'amore. Volevo
-dirgli: «Non ti peritare, fratello. Vedi quanto anch'io sono leso. Ma
-oggi la carne miserabile non c'ingombra; e io qui respiro la più pura
-essenza della tua poesia. Tu hai l'aspetto della tua forza immortale;
-e non è fatto dalle tue labbra il sorriso della tua tristezza. Siediti
-ancóra accanto a me, come quella volta su la panca da tenebre. Siamo
-due pazienti artieri. Quanto abbiamo travagliato e quanto sopportato,
-da quel mattino di Roma! Non tentò taluno di far verghe de' miei
-allori per batterti, flagelli de' tuoi lauri per flagellarmi? Ma chi
-prevarrà contro la nostra pazienza e contro la nostra fede? Bastava
-che di tratto in tratto, di sopra allo schiamazzo, ci dessimo la voce.
-Ora siediti. Non t'ho mai amato come oggi. Faccio una breve sosta; e
-poi riprendo il mio cammino, lasciando dietro di me tutti i miei beni
-vani».
-
-Mi sedetti su la sua sedia, dinanzi alla sua tavola. Le sue carte, le
-sue penne, i suoi inchiostri erano là. Tutto era semplice ed usuale,
-come in una qualunque stanza di chi abbia un cómpito modesto. Ma un
-sentore di sapienza pareva impregnare ogni oggetto, e le mura e il
-soffitto e il pavimento, come se la qualità stessa di quel cervello
-maschio si fosse appresa al luogo del lavoro. Non so in che modo
-significar tal mistero. Un'aria singolare è nella fucina, anche quando
-non rugge il fuoco; perché gli arnesi, gli ordegni, tutti gli strumenti
-fabrili, anche non maneggiati, quivi esprimono con la loro forma la lor
-destinazione e quasi direi suggeriscono la potenza a cui serviranno.
-Nello studio d'uno scultore fecondo la quantità della creta, le
-armature, i modelli, le forme cave, gli abbozzi coperti dai teli molli,
-le cere da sbavare, i bronzi da rinettare, gli scarpelli, le lime,
-i bossoli, gli odori stessi delle materie plastiche rappresentano
-lo sforzo del creatore. Ebbene, qualcosa di simile mi pareva fosse
-presente in quella piccola stanza tranquilla e ordinata, ove certo le
-mani di Maria avevan dato pace alle pagine scorse: qualcosa che oserei
-chiamare la presenza del dèmone tecnico.
-
-In nessun laboratorio d'uomo di lettere m'era avvenuto di sentire la
-maestria quasi come un potere senza limiti. Penso che nessun artefice
-moderno abbia posseduto l'arte sua come Giovanni Pascoli la possedeva.
-La sua esperienza era infinita, la sua destrezza era infallibile,
-ogni sua invenzione era un profondo ritrovamento. Nessuno meglio di
-lui sapeva e dimostrava come l'arte non sia se non una magìa pratica.
-«Insegnami qualche segreto» gli dissi a voce bassa. E volevo soltanto
-farlo sorridere; ma, in verità, un'ombra di superstizione era sul mio
-sentimento.
-
-Egli prese un'altra sedia e venne a sedermisi accanto, dinanzi
-alla tavola. Parlammo di qualche recente opera. Le sue mani, quando
-soppesavano i volumi, erano una tremenda bilancia. Dal vigore di certi
-suoi giudizii ebbi la riprova che il suo spirito era tuttora immune
-da qualunque debolezza. La sua stima era severa come la sua arte.
-Mescolando egli un che d'amaro al suo discorso, io gli dissi: «Se
-hai tempo, va alla Pinacoteca e cerca d'una tela del Francia, dove
-un Santo Stefano porta sopra un suo libro tre pietre, in segno della
-lapidazione. Metti tre pietre sopra ogni tuo nuovo libro e datti pace».
-Egli rispose col suo riso arguto: «Ma quello stolto dello struzzolo
-m'ingolla il libro e le pietre».
-
-Non più sembrava timido; anzi indovinavo in lui non so che tenerezza
-protettrice e il desiderio contenuto di chiedermi ch'io gli parlassi
-de' miei guai. Io era bene il suo fratello minore, ed egli pareva
-cercasse il modo di sopportare il mio carico. Mi ricordo d'una bella
-parola antica ch'egli mi ripetette con una maravigliosa nobiltà:
-«Acciocché tu più cose possa, più ne sostieni». Questa parola oggi la
-scrivo sul muro della casa straniera, e considero d'averla ricevuta da
-lui per testamento.
-
-Poi fece l'atto d'alzarsi, mi prese per mano e mi disse: «Vieni ora a
-vedere la cameretta che ho per te, quando tu la voglia». Un candore
-infantile ardeva in lui; e il primo verso del sonetto di Francesco
-Petrarca mi sonava nella memoria. Era una piccola stanza chiara, quasi
-una cella di minorita, con un di que' letticciuoli che persuadono
-a serbare una sola attitudine per tutta la durata del sonno. Come
-rispondendo alla domanda sommessa che gli avevo fatta dinanzi alla sua
-tavola prodigiosa, mi mormorò in un orecchio: «Quando sarai qui, allora
-sì che t'insegnerò un segreto». Lietamente gli dissi: «Non potrò venire
-se prima non abbia uccisi tutti quei mostri che sai. Mi bisogna ancora
-andare alla guerra». Ahimè, era egli in pace? Non lo travagliava di
-continuo la stessa abondanza del suo amore?
-
-Si volse per passare nello stretto andito, mostrandomi le spalle. Si
-creò nell'aria uno di quegli attimi di silenzio che serrano il capo di
-un uomo come in un masso di ghiaccio diafano. E guardai la persona del
-mio amico con occhi divenuti straordinariamente lucidi; e la pietà mi
-strinse, che ha talvolta il pugno sì crudele. Pareva egli portasse alle
-spalle tutto il peso della sua tristezza, tutta l'oppressione delle sue
-miserie. La fronte augusta s'era celata, e non si vedeva contro il muro
-biancastro se non l'ingombro corporale vestito di panni che il lungo
-uso aveva fatto quasi dolenti, non rimaneva là se non la soma greve ove
-s'intossica la vita che non è se non il levame della morte.
-
-Volle accompagnarmi fin su la strada, se bene io m'opponessi. La sua
-salute era già minacciata, già dubbioso era il suo passo. Cadeva su noi
-una di quelle sere emiliane, umide e cinericce, che sembrano generarsi
-laggiù, tra la foce del Reno e la bocca del Po di Goro, nella grande
-palude salmastra. Soffiava su noi un vento ambiguo, che pareva dolce e
-poi a un tratto ci dava il brivido con una folata fredda. La vettura
-m'attendeva poco discosto, coperta e nera, con i due cavalli che mal
-reggevano la lor fatica su le gambe arcate. Non parlavamo più. C'era
-intorno a noi una specie di silenzio soffice.
-
- E c'era appena, qua e là, lo strano
- vocìo di gridi piccoli e selvaggi...
-
-Ma udivamo anche le nostre péste «né vicine né lontane.» L'uno chiamò
-il nome dell'altro nell'addio. Ci abbracciammo. Come sul viale il vento
-rinforzava ed egli pareva infreddolito dentro il bavero, gli dissi:
-«Va, va, rientra. Non restar qui». Si voltò per andare; e i cavalli
-avevan messo le radici, tanto stentarono a muoversi. Sicché ebbi tempo
-di seguirlo con lo sguardo e con l'angoscia fino alla porta. Ed ecco,
-lo stesso silenzio repentino della umile stanza mi serrò il capo nello
-stesso ghiaccio trasparente. E, come egli fu alla soglia, si voltò
-ancóra e levò il braccio verso me a risalutarmi. Da quel fagotto di
-panni stracchi s'alzò il braccio possente che su per l'erta aveva
-brandito la «piccozza d'acciar ceruleo».
-
-Una voce d'eroe, quella voce omerica ch'egli aveva tradotto con sì rude
-efficacia, mi scoppiò dentro e franse il gelo.
-
- Datosi un colpo nel petto, al suo cuore drizzò la parola:
- — Cuore, sopporta! ben altro tu hai sopportato più cane!
-
-E non per me, ma per lui. Vedevo, come quel braccio levato, sorgere
-dall'intimo di quell'uomo casalingo e cauteloso la costanza d'una virtù
-virile, la durezza d'una vita fatta di disciplina, di coraggio e di
-dominato dolore. Il suo orgoglio s'era formato a poco a poco nel fondo
-della sua solitudine come il diamante nell'oscurità della terra. «Da
-me, da solo, solo con l'anima...» Egli s'era fatto degno d'incontrarsi
-con Achille e con Elena, e di parlare su la tomba terribile di Dante.
-
-Ancóra non so come sia trapassato; ma voglio esser certo che, s'egli
-talvolta nella vita pianse in disparte, non si velò di lacrime nel
-fisare la morte. Forse escì dalla sua bocca qualche bella e semplice
-parola, prima che la lingua gli si annodasse dietro i denti e che lo
-spirito gli si sciogliesse nel gran ritmo.
-
-Aveva già dato tutto il meglio di sé, o serbava nel cavo della mano
-ancóra qualche ferace semenza? Che importa? Certo, mille e mille
-ancóra speravano in lui. Agguagliandosi alla linea dell'orizzonte,
-egli avrebbe potuto dire verso i suoi fedeli: «Io vi mostro la morte
-compitrice, la morte che per i vivi diviene incitazione e promissione.»
-E costoro nell'acciaio della sua ascia sepolcrale potrebbero veder
-riflesse le stelle dell'Orsa.
-
-
-
-
-XI APRILE MCMXII
-
-
-Non so se nella vertigine d'ombra, quando tutto ritorna per poi
-dileguarsi, io gli sia apparito. Sembra che le cose obliate e gli
-esseri più lontani e gli eventi più remoti e perfino i frantumi dei
-non interpretati sogni abbiano grazia nell'agonia dell'uomo. Se questo
-è vero, forse il fiore della mia amicizia ondeggiò nel suo crepuscolo
-come quel tenue ramo ch'io colsi e curvai per lui tra l'Alpe e il
-Mare, o forse come quel salso giglio della solitudine che pensando ad
-Antigone io mandai alla sua sorella immacolata.
-
-Un'accelerazione della sorte volle ch'io l'assistessi con lo spirito
-nelle sue ultime ore fino al suo transito. La notte del venerdì,
-m'ero beato della sua poesia e l'avevo imaginato convalescente. La
-mattina ch'è innanzi al Resurresso, mentre mi disponevo all'opera, ebbi
-d'improvviso l'annunzio funebre. Qualcuno, dalla patria, mi chiedeva
-una parola per la morte del poeta! E il poeta non era spirato ancóra,
-anzi aveva ancóra da superare un lungo patimento. Ma l'inopportuno, pur
-violando la gentilezza umana, secondava una congiuntura misteriosa a
-cui debbo una delle più profonde ore di mia vita. Credetti il transito
-avvenuto la sera del Venerdì Santo e già deposta la salma sul letto
-mortuario. E dove poteva Maria aver alzato quel letto se non nella
-stanza delle vigilie, nell'angusta fucina del grande artiere, tra le
-mura riarse dalla vampa del cervello maschio? Ero certo di questo; e
-per tutta la mattina il mio pensiero non cessò un attimo dall'insistere
-nel luogo lontano che cercavo di ricostruire con lo sforzo della
-memoria. E a poco a poco la mia coscienza entrò in quello stato che
-precede il canto.
-
-Ora avevo nella Landa un altro amico sospeso da più settimane tra la
-vita e la morte, condannato irremissibilmente. Era il mio ospite, lo
-straniero affabile da cui ebbi la casa tranquilla su la duna, dove
-abito da due anni.
-
-Non ricordo se Gioviano Pontano nel suo capitolo _De tolerando exilio_
-e Pietro Alcionio nella sua giudiziosa dissertazione impressa dal
-Mencken in _Analecta de calamitate litteratorum_ pongano tra le delizie
-del fuoruscito volontario o involontario il delicato sapore dell'amistà
-contratta oltremonte ed oltremare. Ma certo l'aroma della résina verso
-sera e la fragranza delle ginestre sotto vento a levata di sole non mi
-ricrearono mai quanto certi brevi colloquii con quel mirabile vecchio
-che sarebbe stato carissimo al cantore di Paolo Uccello, s'ei l'avesse
-conosciuto.
-
-Si chiamava Adolphe Bermond, nato su la Garonna, nella città vinosa
-ch'ebbe per sindaco il gran savio Michel de Montaigne reduce da Roma e
-per consigliere quel candido e invitto Etienne de la Boëtie imitatore
-del Petrarca e traduttore dell'Ariosto. Aveva quasi ottant'anni; e,
-quando lo conobbi la prima volta, mi parve d'averlo già veduto tra le
-diecimila creature scolpite o dipinte nella cattedrale di Chartres.
-Aveva nel volto la tenuità la spiritualità e non so qual trasparenza
-luminosa, che lo assimigliavano alle imagini delle vetriere e delle
-porte sante.
-
-Venne in un pomeriggio di gennaio, a marea bassa, quando la spiaggia
-è liscia e sparsa d'incerte figure e scritture nericce al modo di
-quelle lapidi terragne cancellate dai piedi e dalle ginocchia dei
-fedeli. Scendeva dalla Cappella di Nostra Donna dell'Imbocco e aveva
-seco il libro del cristiano, legato di cuoio bruno, che anch'esso era
-liscio e lustro d'assiduità come il dosso d'un messale. Entrò nella
-stanza con un passo alacre e lieve, ché la grande età non l'aveva punto
-aggravato; e sùbito sentii ch'egli entrava anche nel mio gradimento.
-Tutto il suo viso era illuminato d'una fresca ingenuità che pareva
-mutasse le grinze da tristi solchi senili in vivaci segni espressivi,
-immuni dalla vecchiezza come le rughe delle arene, delle conchiglie,
-delle selci. I suoi occhi erano più chiari di quel cielo invernale, più
-pallidi dell'acqua intorno al banco di sabbia scoperto; e il sorriso
-vi pullulava di continuo dall'intimo. La sua voce era ancor bella,
-misurata da giuste cadenze; e la consuetudine delle preghiere senza
-suono faceva sì che le parole sembrassero disegnate dalle labbra prima
-d'esser proferite.
-
-Come s'accostò alla mia tavola, scorse spiegata su le carte l'imagine
-intiera della Santa Sindone. Come volse gli occhi in giro, vide le
-pareti interamente coperte delle più diverse imagini di San Sebastiano,
-sul leggìo d'un armònio la _Matthäus-Passion_ del Bach, sul marmo del
-camino i gessi delle quindici statuette di piagnoni appartenenti al
-sepolcro del duca Jean de Berry, su l'assito alcuni frammenti della
-grande Rosa di Reims, in un angolo una delle Virtù che Michel Colombe
-scolpì per la tomba di Francesco II duca di Bretagna. Non dimenticherò
-mai il leggero tremito del suo mento e quel misto di stupefazione e
-di gratulazione, che dava alla sua vecchiaia non so che fervore di
-giovinezza. Una fiammata allegra di pino e di pigne favellava su gli
-alari, con lo scroscio e il friggìo della résina.
-
-Componevo nella lingua cara a Ser Brunetto il _Mistero di San
-Sebastiano_, ed avevo già compiuta la scena tra il Santo e gli Schiavi
-sotto la volta magica ove brillano i sette fuochi planetari, quando gli
-infelici e gli infermi domandano che il novo dio si manifesti per segni
-nel Confessore.
-
- _Esclaves, esclaves, oui, coeurs_
- _épaissis!_
-
-Il vecchio si chinò esitante su le pagine tormentate. V'eran quasi,
-in verità, le tracce d'una lotta sanguinosa, tanto l'inchiostro rosso
-delle didascalie e le cancellature violente e gli emistichii più volte
-riscritti e i margini tempestati di richiami facevano ardua ed aspra la
-carta. «Anche l'arte, come la vita, è una milizia» egli disse «e chi dà
-più di sangue riceve più di grazia.»
-
-Quella parola sùbito mi toccò, tanto la rendeva religiosa l'accento.
-Allora gli parlai della mia opera, con un ardore che lo sbigottiva
-e lo rapiva. In quel servitore di Dio, a cui la carne pesava così
-poco, ritrovavo non so che affinità con la disciplina ascetica
-a cui m'ero costretto per giorni e per notti. Anch'egli era una
-sostanza infinitamente vibrante, un amore attivo e indefesso. La sua
-comprensione era pronta come il gesto della mano che riceve e serra
-quel che le è offerto. Talvolta, nella pausa, mi pareva di veder
-discendere il mio pensiero in lui come un anello gettato in un'acqua
-limpida, sino al fondo, e quetarsi.
-
-Sincero e puro, non dubitò della mia sincerità e della mia purità.
-Cattolico ferventissimo, dedito a tutte le pratiche della divozione,
-non fu turbato da alcuna inquietudine, non fu punto da alcuno scrupolo.
-Mi sentiva ardere, e questo gli bastava. Non sapeva imaginare un poeta
-senza dio, né un dio diverso dal suo. Chi mai restava solo con me
-nelle mie notti? Certo egli credeva che fosse in me lo spirito medesimo
-ond'era nata quella figurina della Rosa di Reims, che chinandosi aveva
-raccolta e teneva ora fra le sue dita magre.
-
-Mi pregò di leggergli una scena del Mistero. Volli leggergli quella
-ch'era ancor calda del travaglio e non ancor distaccata dalle mie
-viscere.
-
- _A toi, nous venons tous à toi,_
- _Seigneur!_
-
-Gli schiavi accorrevano verso il guaritore. La lamentazione si
-prolungava per gli anditi tortuosi. Gli infermi apparivano, portati
-a braccia dai parenti, agitati, illuminati di speranza. Gridavano
-i loro mali, le loro piaghe, le loro angosce. Chiedevano d'essere
-sanati, d'essere liberati. Chiamavano a testimonianza quelli di loro
-che nascondevano nelle pieghe del saio i rotoli delle Scritture,
-perché quelli conoscevano i miracoli operati dal dio novello. Ed
-ecco, tutte le guarigioni erano noverate, l'una dopo l'altra: il
-lebbroso era mondo, il paralitico camminava, il cieco vedeva, il
-lunatico e l'ossesso avevano pace, l'idropico era alleviato delle
-sue acque, il figlio della vedova di Naim sorgeva dalla sua bara.
-Ma un dei leggitori di rotoli ripensava il miracolo più profondo,
-ripensava il cadavere quatriduano, e gridava: «Ti sovvenga di Lazaro!»
-E l'incredulità di Didimo era addotta. Didimo voleva vedere le ossa
-disgiunte ricongiungersi e favellare. Il Cristo gli aveva risposto: «Le
-ossa disgiunte io te le mostrerò ricongiunte. Vieni a Betania, Didimo,
-vieni con me. Gli occhi di Lazaro vuotati della putredine, io te li
-mostrerò pieni di visione. Vieni con me, Didimo. Le labbra imputridite
-su i denti di Lazaro, le vedrai muovere, le udirai favellare. Vieni
-a Betania, Didimo, se vuoi vedere e udire, vieni con me.» Queste
-testimonianze adducevano gli schiavi, per volere il segno. E allora
-Sebastiano balzava a ghermire con mano terribile l'anima dei miseri.
-Egli medesimo evocava il Risuscitato, sembrava con la sua voce far
-presente il miracolo nell'ombra calda di aneliti. Come il pargolo
-nelle fasce, il cadavere era avvolto nelle bende. «Lazaro vieni fuori!»
-Primo, fuor della pietra, sorgeva il ginocchio...
-
- _Le genou surgit le premier._
-
-M'interruppi, perché avevo sentito il vecchio sussultare e levarsi.
-Egli era in piedi davanti a me, sconvolto, senza colore, affannoso.
-Era l'uomo di fede, il servo di Dio, lo spettatore ideale a cui si
-manifestava il mio poema con le virtù della musica e dell'apparizione.
-Ebro, imaginai dietro di lui una moltitudine che gli somigliasse. E non
-volli dargli tregua. Anche la mia parola fu come il tizzo che incendia
-la stoppia quando rinforza il vento.
-
-Ora gli schiavi chiedevano di vedere almeno l'effigie. «Poiché tu
-hai abbattuto tutti gli iddii di sangue e di fango, alza dinanzi a
-noi l'effigie del dio novo, che possiamo conoscerlo, che possiamo
-adorarlo!» Sapevano essi ch'Egli soleva apparire ai discepoli. Non
-era Egli apparso al Confessore? «Il suo volto è celato, il suo corpo è
-velato.» Un'angoscia mortale serrava il petto di Sebastiano, illividiva
-le sue labbra, fiaccava le sue giunture. Implacabili erano i súpplici,
-inappagate le pupille della carne loro. Eglino volevano la presenza del
-dio novo. «Non ha più corpo; sangue più non ha. Ha dato il suo corpo
-e il suo sangue per le creature.» Ma i segreti leggitori dei rotoli
-sapevano che col suo corpo e col suo sangue era apparso ai discepoli,
-sapevano ch'Egli aveva lor mostro le mani e il costato, e ch'essi
-avevan veduto le lividure, e che Didimo aveva posto il dito entro la
-piaga, e che dopo Egli aveva rotto il pane e mangiatolo, aveva anche
-mangiato un pezzo di pesce abbrustolito. «Come potresti amarlo di tanto
-amore? Come potresti chiudere gli occhi, essere così smorto e in tutte
-le vene tremare di tanto amore, se tu non avessi mai conosciuta la sua
-faccia? Tu tremi.» Flutto vermiglio non mai sgorgò da gola recisa né
-onda di lacrime da dolor colmo, come allora dal petto santo scoppiava
-l'angoscia. «Tremo perché su l'anima mia porto peso d'obbrobrio. L'han
-percosso coi pugni, l'hanno schiaffeggiato, gli hanno sputato addosso.
-La sua faccia è contraffatta. Gli sputi e il sangue gli colano per
-le gote. Tutti i denti gli tentennano nella bocca enfia. E le sue
-palpebre, e i suoi occhi, ahimè!»
-
-Credo che in quel punto la voce mi si spegnesse, perché mi si serrava
-la gola. E allora un sentimento mai provato mi scrollò le radici
-dell'essere, perché a un tratto udii il suono d'un pianto umano che
-non avevo udito mai, tra quelle quattro mura deserte e lontanissime da
-ogni rumor del secolo udii il profondo singhiozzo del «consumato Amore»
-che cantò Jacopone, scorsi le medesime lacrime che avevano rigato il
-viso di Francesco in ginocchio dinanzi al Crocifisso di San Damiano o
-errante intorno alle mura della Porziuncola.
-
- O secca anima mia,
- che non puoi lacrimare!
-
-Non mi mossi. Poteva quel pianto essere consolato o interrotto? E quale
-parola poteva esser detta, che valesse in dolcezza una sola di quelle
-lacrime? E, in verità, qual cosa avrei potuto trovare dentro di me più
-bella di quella «nuditate d'amore» che mi si mostrava all'improvviso in
-un vecchio già inchinato verso la tomba? E come potrei ora significare
-la qualità di quel pianto «pieno di consolanza?» Il Beato ha espressa
-la legge dell'ineffabile.
-
- Quello ch'è non si può dire,
- puossi dir quel che non è.
-
-E un rammarico simile al rimorso m'assale, mentre ne scrivo. E avrei
-serbato il dono nel mio segreto, se il mio amico elevato dalla sua
-santa morte alla condizione di mistero glorioso non mi sorridesse oggi
-a traverso quella visiera di cristallo. Ma potrà comprendere soltanto
-colui che fra mille canti sa distinguere la melodia nata dal cuore
-della Terra e tra le parole dei Vangeli la parola che per vero esci
-dalle labbra di Gesù e resta in eterno piena del suo soffio vivente.
-Fino a quell'ora io aveva udito gli uomini piangere in un altro modo,
-e li avevo veduti confinati e fissi nel luogo delle loro lacrime come
-il ferito giace nella pozza del suo sangue, e me medesimo dalla pietà
-ristretto e quasi prigione di miseria. Il pianto di quel cristiano
-pareva sonare su la malinconia del mondo; e il Volto illividito dalle
-gotate, lordo di sputi e di sangue, pareva impresso nel pallido cielo
-come nel pannolino della Veronica ma per me in non so che maniera
-indefinita e futura. E, quando uscimmo, il silenzio dell'immensa Landa,
-con le sue miriadi di tronchi dissanguati dal ferro del resiniere, con
-le innumerevoli sue piaghe di continuo rinfrescate e allargate, con
-il perpetuo suo gemito aulente, era come il silenzio d'una moltitudine
-dolorosa che non si lagna perché accetta il suo cómpito e la sua pena.
-E io compresi quella parola d'avvenire, che dice come la natura sia
-per trasformarsi a poco a poco in cerchio spirituale e il tutto sia per
-sublimarsi in anima.
-
-Chi anche ha parlato di «membra mistiche dell'uomo»? In qualche ora
-sembra che noi non riconosciamo taluno degli atti più consueti della
-nostra vita corporale. Come camminavamo, l'uno a fianco dell'altro, sul
-sordo sentiero coperto dagli aghi dei pini? Non v'era divario tra il
-passo del vecchio e il mio, perché il nostro passo non era delle nostre
-ossa, dei nostri muscoli, dei nostri tendini. Se bene andassimo davanti
-a noi, io aveva in me il sentimento di volgere indietro quel che più
-di me ferveva, come la face trasportata rovescia la cima della sua
-fiamma. Gli occhi del mio amico erano appena rasciutti; e il luogo, ove
-il «consumato Amore» aveva pianto, e l'evento avverato erano già come
-avvolti in un velo di memoria, i cui lembi ondeggiavano verso la mia
-più fresca infanzia. La commozione ancor mi teneva tutto, la realtà non
-soltanto era recente ma presente ancóra; e pure una parte di me faceva
-uno sforzo ansioso per ricordarsi di non so che altro, per raffigurarsi
-non so che cosa di più profondo e di più dolce. Ma può l'attesa avere
-la figura della rimembranza?
-
-Non parlavamo. Di tratto in tratto io lo guardavo con l'angolo
-dell'occhio; e mi stupivo che un viso di tanta vecchiaia, lavato dalle
-lacrime, mi rammentasse per la sua espressione certi episodii patetici
-della fanciullezza: uno tra gli altri. Un giorno avevo fatto piangere
-la mia cara sorella Anna, per un capriccio crudele; e poi l'avevo
-racconsolata, sbigottito, perché ella era tanto sensibile che quando le
-accadeva di piangere, anche per una cosa lieve, pareva l'avesse colpita
-una sciagura irreparabile ed ella fosse per stemprarsi nel suo dolore.
-Vedendomi così pentito e afflitto, ella si sforzava di raffrenare il
-singulto e di rasciugarsi le guance. E mi ricordo che io la presi per
-mano e la condussi per una rèdola, tra due campi di lino; e avevamo con
-noi il nostro cane paziente ch'era stato la causa del litigio. E di
-tratto in tratto io la sogguardavo; ed ella, per non farmi più pena,
-cercava di vincere il singulto ostinato che le scrollava il piccolo
-petto, o, come per togliergli l'acredine, lo preveniva con un sorriso
-che si rompeva sùbito. E allora mostrava d'esser contenta di tutto quel
-cilestro del lino, come s'io gliel'avessi donato; e pareva che non io
-volessi rientrare nella sua grazia ma sì volesse ella farsi perdonare.
-E v'era nella sua attitudine tanta tenerezza e gentilezza che non potei
-più sostenerla, e mi feci tutto lacrimoso anch'io, con suo sgomento.
-
-Non so perché, questo ricordo mi rifiorì dal cuore mentre camminavo
-a fianco del vecchio. E mi pareva di andare errando senza mèta per un
-paese che io non conoscessi; ma egli sapeva la sua via. Ci ritrovammo
-a piè della duna ove sorge la Cappella, e salimmo, tra i giovani pini,
-sino al limitare. Egli non disse alcuna parola per invitarmi a entrare
-nel suo rifugio. Mi tese la mano, e mi diede la sua amicizia come nella
-Domenica delle Palme si dà il rametto d'ulivo su la porta della chiesa
-azzurra d'incenso. Portando meco la cosa preziosa, discesi la china, mi
-dilungai per la Landa.
-
-Era prossima l'ora del vespro, ma l'aria pareva non rattenere della
-luce se non le particelle d'argento. Di là dalla selva non scorgevo
-i lidi, ma ricevevo la quiete della bassa marea; che è come quando la
-febbre decade nel polso cui vien sottratta qualche oncia di sangue. Non
-avevo mai sentito vivere gli alberi di tanta doglia. Taluno aveva un
-sol taglio nel piede; altri l'aveva sino a mezzo il tronco scaglioso;
-altri portava una ferita viva accanto a una rammarginata; altri era
-svenato a morte, con solchi che incavavano l'intero fusto simili alle
-scanalature nella colonna dorica. E il succo vitale stillava e colava
-per tutto: i vaselli d'argilla n'erano colmi. Qualche resiniere ancóra
-s'attardava a rinfrescare una piaga; e s'udiva risonare il ferro nel
-vivo, senza lagno. Ciascun albero aveva il suo martirio, quasi che in
-ciascuno abitasse uno spirito avido di soffrire e di sanguinare come
-l'eroe divino da me eletto.
-
-E in quella sera feci l'invenzione del Lauro ferito. Il corpo di
-Sebastiano si distaccava lasciando tutte le frecce nel tronco del lauro
-d'Apollo. Le asticciuole scomparivano nella carne miracolosa come
-un vanire di raggi. «Rivivrai, rivivrai! Ritornerai!» gridavano gli
-Adoniasti.
-
-D'allora innanzi il mio novello amico mi visitò sovente. Come io faceva
-di notte giorno, egli soleva venire su la fine del pomeriggio, quando
-ero per accendere il mio fuoco. Mi ricordava il principio dell'inno di
-Sant'Ambrogio _Ad completorium_:
-
- _Te lucis ante terminum..._
-
-Entrava in punta di piedi, parlando a voce bassa, come nell'oratorio.
-Temeva di turbare il silenzio e di smuovere le cose invisibili che si
-nutrivano d'esso. Restava seduto per breve tempo dinanzi al camino; e
-io vedevo dalla mia tavola la sua testa d'antico Donatore inginocchiato
-nell'angolo d'una pala d'altare inclinarsi di sotto alle statuette
-dei Piagnoni funerarii. Egli pareva essere per me il messaggero e
-l'interprete di quell'età da cui avevo raccolta una forma d'arte
-caduta in dissuetudine per rinnovellarla. Ma forse egli era assai
-più antico, e aveva partecipato a quel pellegrinaggio che si partì da
-Bordeaux nell'anno 333 seguendo l'_Itinerarium Hierosolymitanum_, come
-io gli dicevo per motteggio. Però nelle sue «stationes» e «mutationes»
-a traverso i secoli egli doveva essersi attardato più lungamente in
-quella immobile serenità che splende nella _Passione_ di Bourges come
-nelle metope arcaiche d'un tempio greco. Egli ne portava tuttavia
-l'illuminazione su la sua fronte.
-
-E, se è vero che tutte le cose certe sono vive e tutte le incerte
-sono morte, la sua meravigliosa certezza lo poneva di là dalla vita
-come una creatura compiuta e immutabile. M'appariva dal suo discorso
-ch'egli considerava la storia del mondo come la rappresentano le
-cattedrali della terra di Francia. A simiglianza dei maestri marmorai
-e vetrai, egli credeva che, dopo l'avvento di Gesù, non avesse il
-mondo avuto altri grandi uomini, se non i confessori i dottori e
-i martiri. Nel suo spirito come nel santuario, i conquistatori e i
-vincitori avevano il luogo più basso. Così nelle vetriere essi sono
-genuflessi ai piedi dei Santi, piccoli come fantolini, gracili come i
-fili d'erba nelle commessure dei gradini sacri. Persisteva in lui la
-coscienza di quegli che compose lo _Speculum historicum_ facendo la
-minor parte agli imperatori e ai re, la massima agli abati, ai monaci,
-ai pastori, ai mendicanti. Per lui, come per il domenicano protetto
-da San Luigi, i più alti fatti non erano i trattati le incoronazioni
-e le battaglie ma la translazione d'una reliquia, la fondazione d'un
-monastero, la guarigione d'un ossesso, la beatificazione d'un eremita.
-La tremenda lotta moderna, combattuta con i congegni più perigliosi
-e con le volontà più crudeli, aveva per lui la medesima importanza
-ch'ebbe per Vincent de Beauvais la grande giornata di Bouvines, posta
-modestamente tra l'istoria di Santa Maria d'Oignies e l'istoria di
-San Francesco poverello. Simile a quei pellegrini che traversavano
-gli eserciti nemici avendo per solo salvacondotto in sul cappello
-il piombo effigiato di San Michele del Periglio o di Sant'Egidio di
-Linguadoca, egli passava immune a traverso il secolo d'acciaio. Anche
-dinanzi ai traffici della sua città operosa e danaiosa egli doveva aver
-di continuo negli occhi quella parete del Camposanto di Pisa ove un
-nostro pittore — che fu, quanto lui, divoto di San Domenico — dipinse
-la Tebaide degli anacoreti come un mondo verace in un mondo fallace. E
-la Via lattea certo era pur sempre per lui il cammino di San Iacopo, e
-i bagliori in cima agli alberi delle navi erano i fuochi di Sant'Elmo;
-e San Medardo era ancóra il signore dell'utile pioggia.
-
-E nulla d'angusto, nulla di meschino s'accompagnava in lui a questa
-ingenua fede. La sua indulgenza era grande come la sua disciplina.
-Egli era venuto verso me con abondanza di cuore non certo attratto da
-odor di santità ma solo dal pregio di un'anima sempre vigile; perché
-una povera serva gli aveva detto che io consumavo nelle mie notti
-più olio d'oliva che non ne bisognasse alla lampada perpetua della
-Cappella. E la finezza della sua mente corrispondeva alla delicatezza
-del suo cuore. Un nobile ritegno governava ogni suo atto e ogni sua
-parola, quando egli era per appressarsi all'intima vita dell'amico. Non
-prodigava i consigli, anzi non ne dava quasi mai; ma la sua semplice
-presenza era un soccorso coperto.
-
-Vidi un giorno su la collina di Francavilla, in un sentiero selvaggio
-che conduceva al Convento ove col mio grande e puro Francesco Paolo
-Michetti mi credo aver vissuto i miei giorni migliori, vidi un giorno
-a maraviglia per una proda il tronco tagliato d'un vecchio alloro
-rimettere un gran numero di germogli che al lor nascere avevan l'aria
-di sprizzare dal legno come faville verdi. Ogni volta che passavo, il
-tronco pareva cangiare tutte quelle cimette vive in lingue loquaci per
-dirmi: «Non disperare, non disperare». Non altrimenti risfavillava di
-sempre fresca speranza il mio amico. Egli conosceva la sentenza e la
-vignetta dell'_Ars moriendi_. «Havvi un sol fallo grave al mondo: il
-fallo di chi dispera. Ben più colpevole fu Giuda in disperare che il
-Giudeo in crocifiggere Gesù.» E, quando andava a visitare i poveri, gli
-infermi, i prigionieri e ogni sorta di peccatori in angustia, soleva
-dire che quattro Santi l'accompagnavano: San Pietro il qual rinnegò
-tre volte il suo Maestro; Maria Maddalena a cui tanto pesò la sua carne
-impura; il persecutore San Paolo che Iddio convertì con la folgore; il
-buon ladrone che non si pentì se non nelle braccia della croce infame.
-
-Come taluno dei nostri Beati italiani, egli conciliava in sé quei
-doni che appartengono alla vita contemplativa con quei doni che
-appartengono alla vita attiva «poiché tutti procedono da uno spirito
-stesso». Per lunghi anni nella sua città natale egli governò le
-corporazioni cattoliche più operose, ed esercitò la carità con tal
-larghezza da meritare il soprannome d'Elemosinario. «Dispersit, dedit
-pauperibus.» Donò grandemente, e senza contare, e sempre di nascosto.
-Non so s'egli abbia mai ricoverato nel suo letto un mendicante, come
-quel Blaise Pascal del quale ignorò sempre i tormenti le vertigini e
-le febbri; ma più volte, come un servo umile e pronto, rigovernò la
-casa de' suoi poveri e de' suoi malati. Quegli che aveva tanta luce
-su la sua fronte, amava aver tanta ombra su le sue mani! Per lui non
-era detto già: «Nesciat sinistra tua quid faciat dextera tua», ma era
-detto: «Non sappia la tua destra quel che la tua destra dà». Quando la
-segreta elemosina ebbe di molto assottigliato il suo patrimonio, lo
-punse carità dei figli, ch'ebbe numerosi e ben nati. Divise tra loro
-il rimanente, avendo altrove conquistato una indivisibile signoria;
-e si ritrasse nella Landa ad abitare seco. Che cosa debba fare colui
-che seco abita, egli lo sapeva dall'Antico ma meglio dalla sua stessa
-aspirazione. «Secum purgatur, orat, legit, et meditatur.»
-
-Divotissimo era di San Domenico; e sotto il vocabolo del sublime amico
-di San Francesco è posto il tetto ch'egli mi concesse. Per umiltà egli
-volle andare ad abitare nell'antica infermeria dei Padri Domenicani,
-che aveva ricomperata a causa d'amore. È una bruna casipola di legno,
-tra l'ombra della Cappella e l'ombra della pineta. In quella scelse la
-stanza più modesta, sapendo che «la cella di continuo abitata diventa
-dolce». Quando la Landa rombava come l'Oceano, allo sforzo del vento,
-egli credeva essere sopra un vascelletto in punto di salpare per
-l'ultimo viaggio. Ma quando l'oro primaverile colava sul balcone giù
-dal minuto crivello dei pini e gli uccelli facevano il lor concerto,
-quella era la casa lieve ch'io m'avevo sognata più d'una volta, era «la
-casa in sul ramo», lieve, sonora, pronta.
-
-Aveva quivi trasportato un piccolo organo da mantici, perché amava
-la musica sacra e sonava con grazia qualche mottetto. Come quel soave
-domenicano Enrico Suso, egli si piaceva di chiamarsi «il servitore»;
-e, come lui, doveva certo ogni mattina, svegliandosi all'ora della
-Salutazione angelica, udire entro di sé una voce cantare nel modo
-minore le parole: «Maria, la Stella del Mare, ecco, si leva».
-
-Un giorno, entrando, lo trovai assopito davanti alle due tastiere; e
-trattenni il piede e il respiro per non isvegliarlo, tanta beatitudine
-mi apparì nel suo volto. Ripensai a quel ch'egli m'aveva narrato del
-giovine Suso. Forse anch'egli sognava d'essere nel mezzo del concerto
-celeste a cantare il Magnificat; e la Vergine gli veniva incontro e,
-per segno d'aver gradito un'offerta di rose, gli comandava di cantare
-il versetto: «O vernalis rosula!»
-
-Fin dalla sua prima visita, fin dall'ora di quel pianto repentino
-che rimase in fondo alla nostra amicizia come non so che misteriosa
-freschezza, credo ch'egli sperasse di volgermi all'esercizio della
-preghiera secondo il suo rito. Ma non mai, neppure per un attimo,
-assunse aspetto e tono di convertitore. Aveva un suo modo gentilissimo
-di farmi sentire che v'era fra noi un bel segreto, del quale non
-conveniva ragionare. Talvolta, se qualche mia parola giusta lo
-toccasse, mi guardava intento, sospeso, con uno sguardo singolare in
-cui pareva quasi direi trasposta l'attenzione d'un'orecchia inclinata,
-fattosi somigliante a tale che abbia udito un suono rivelatore e ne
-segua le onde per ansia di riconoscerlo. Talvolta anche, in certe
-pause, mi dava imagine di un uomo che, stando in una contrada al
-principio della primavera quando i succhi cominciano a muovere, si
-ponga in ascolto per desiderio di cogliere la melodia indistinta della
-linfa che in breve trasfigurerà ogni creatura abbarbicata alla terra.
-Così la sua illusione spiava in me l'opera interiore della Grazia.
-
- Lo raggio della grazia in che s'accende
- verace amore, e che poi cresce amando...
-
-Gli parlavo di Dante; e mi commoveva la sete ch'egli aveva di quella
-gran fonte. Un giorno gli raccontai come io avessi contemplata nella
-cattedrale di Amiens la Speranza scolpita in quel modo che il Poeta la
-canta nel _Paradiso_ quando Beatrice nell'ottavo cielo gli mostra il
-barone
-
- per cui laggiù si visita Galizia,
-
-e San Iacopo lo esorta: «Di' quel che ell'è». Dante e l'ignoto
-marmorario avevano fedelmente tradotto, l'uno nella terza rima, l'altro
-nella materia dura, la diffinizione che della Speranza dà nel Libro
-delle sentenze un teologo di Francia, Pierre Lombard vescovo di Parigi.
-«Spes est certa expectatio futurae beatitudinis....»
-
- «Spene» diss'io «è uno attender certo
- della gloria futura...»
-
-Il mio amico restò lungamente pensoso di quella rispondenza fra
-la cattedrale di pietra e la cattedrale di parole, l'una sorta
-nella sua terra e l'altra nella mia. Pareva che io gli avessi più
-avvicinato Dante e gli avessi scoperto nell'ardua mole gotica un punto
-misteriosamente sensibile in cui potessero i nostri spiriti convergere
-e comunicare. Alla fine del nostro colloquio (il vento occidentale
-squassava tutta la Landa e l'immenso fragore dell'Oceano faceva sembrar
-fragili tutte le cose) egli mi posò le mani su l'uno e su l'altro
-òmero, mi guardò con la sua anima nuda emersa a fiore del suo viso
-diafano, e mi chiese: «Quando? Quando?» Era in me quella malinconia
-potente in cui il cuore batte più robusto e più celere. Gli dissi,
-con dolcezza figliale: «Io sono nato per vedere, per ricordarmi e per
-presentire». Poi soggiunsi: «E forse attenderò me stesso fino alla
-morte».
-
-Rimanemmo qualche tempo senza visitarci, perché io ricominciai a
-vegliare la notte e a dormire il giorno. Egli sapeva che la mia lampada
-era accesa e che avevo in serbo molto olio nel mio orcio. «Lo sposo
-dell'anima suole a mezza notte venire. Guarda che a dormire non ti
-truovi.»
-
-Una sera dello scorso febbraio, dopo compiuto l'anno dall'ora del
-pianto e del legame, uno de' suoi figli mi giunse, inatteso; e mi
-disse: «Mio padre vuole vedervi. Non ha che qualche settimana o qualche
-giorno di vita. Esauditelo».
-
-
-
-
-XV APRILE MCMXII
-
-
-Quando entrai nella piccola infermeria domenicana, al primo sguardo
-conobbi che l'uomo da bene aveva già abbracciata la nostra suora morte
-corporale e se la teneva ben sensata contro il suo petto. Primamente,
-non veduto, lo vidi in uno specchio. Una donna, dolce e severa, che
-poteva essere Sant'Anna col suo mazzo di chiavi appeso al fianco,
-m'aveva condotto sul verone di legno ove s'affacciava la camera
-dell'infermo; e s'era ritratta, per lasciarmi solo con lui, per non
-farsi testimone inopportuna del nostro turbamento. Nell'appressarmi
-alla soglia, scorsi su la parete lo specchio e dentrovi, dentro quella
-specie d'orrore inaccessibile e rischiarato, il vecchio che stava
-seduto, intentissimo, tenendo ambe le mani premute su l'atroce ospite
-carnale che gli rodeva la bocca dello stomaco. Mi soffermai, con
-uno spaventoso tremito nel cuore, perché veramente dentro quel vano
-la morte era _visibile_ come nelle Danze macabre, e tutta l'imagine
-veramente era _di là dal velo_. Egli alzò le ciglia e sussultò
-abbandonando le mani su le ginocchia, perché mi scoperse anch'egli
-nella spera e mi vide venire a lui non dalla vita diurna, non dall'aria
-e dalla luce, ma dal fondo di quel pallido sepolcro. E, com'entrai,
-mi parve non di varcare una soglia comune ma di superare un limite
-tremendo.
-
-Non conosco, nella storia della santità, una preparazione al transito
-più bella di questa. San Francesco, pur conversando con la sua suora
-infermitade, lasciò che i medici tentassero di combatterla. Riconobbe
-d'aver sempre trattato troppo duramente il suo corpo e mostrò di
-pentirsene. «Giubila, frate corpo, e dammi perdonanza; che or mi
-conviene satisfare a' tuoi disii.» I dottori pontificii, a Fonte
-Colombo, gli cavarono sangue, lo vessicarono e cauterizzarono. Col
-ferro rovente gli affocarono le tempie, mentr'egli pregava «frate focu»
-che soffrire non lo facesse oltre sopportazione. Ad Assisi, nella casa
-del Vescovo, di continuo lo curava il medico aretino. Di tratto in
-tratto era preso da qualche strana voglia e mandava in cerca i suoi
-frati che talvolta, come nella notte del prezzemolo, s'impazientivano.
-Alla Porziuncola Giacomina Settesoli gli apprestò quella vivanduzza
-romana prediletta, quel camangiare di mandorle, che durante la malattia
-aveva spesso desiderato. Dopo, sentendo prossima la fine, si fece
-spogliare d'ogni vestimento e colcare su la terra ignudo.
-
-Il mio amico dedusse quest'ultimo esempio fin dal principio, non
-pel suo corpo ma per l'anima sua. Spogliato di tutto egli era come
-mi pareva non potesse mai uomo spogliarsi. E non gli restava se non
-quella «nuditate d'Amore» oltre la quale, in paragone di purezza,
-v'é soltanto la prima luce del mattino. Vidi presso di lui il volume
-della _Imitazione_ chiuso. È certo quello il trattato del totale
-spogliamento: riduce in un pugno di polvere la sostanza in cui
-l'uomo più si compiace, e senza pietà separa l'uomo da ogni diletta
-cosa che non sia il compiuto amore. Egli non aveva più nulla da
-apprendere in quel libro: perciò era desso quivi chiuso, e senza
-segnali. Ed egli l'aveva tanto praticato e meditato non soltanto come
-il libro dell'eternità, ma come quello ch'era nato dalla disciplina
-della sua stirpe «sotto l'ogiva di Francia», vera «conoscenza e
-virtute d'Occidente.» Né gli restava alcun dubbio intorno a tale
-origine; talché una volta ch'egli vide il mio esemplare col nome di
-Tommaso Kempis, scosse il capo. Soleva dire, non senza finezza, che
-l'_Imitazione_ franceseggia in latino. Vi riconosceva trasposti i modi
-e le cadenze della prosa Francesca, e talvolta la levità d'un orecchio
-che aveva ascoltato la voce dell'allodola paesana.
-
-Nelle lunghe settimane di patimento, dal giorno in cui l'insonne
-cancro incominciò a morderlo per finirlo, sino all'ora in cui perse la
-parola terrena per un altro linguaggio, non dimandò d'essere medicato
-né alleviato, non volle intercessore tra l'infermità e la carne, non
-chiese che le sofferenze gli fossero attutite ma soltanto che con
-esse gli fosse accresciuta la forza di sostenerle. «Courage, courage,
-mon âme!» diceva nello spasimo. «Encore un peu, mon Dieu! Faites-moi
-souffrir encore un peu, mais donnez-moi la force de supporter la
-souffrance.» Quando il morso diveniva meno atroce, egli si faceva gaio
-e arguto; non soltanto sorrideva ma anche rideva d'un riso schietto.
-Come dalla città i suoi molti figliuoli e i suoi nipoti numerosissimi
-e i famigliari suoi devoti venivano a visitarlo, ciascuno adduceva,
-per giustificare la visita insolita, un pretesto più o men verisimile,
-credendosi di illuderlo. Egli ben sapeva che quelle erano visite di
-funebre commiato; e un giorno ch'io ero là, tra quegli affettuosi
-dissimulatori, l'udii motteggiare con sì vivace grazia che veramente le
-più celebri delle parole stoiche mi sembrarono cosa ruvida e grossa.
-Una notte di marzo la figliuola maggiore, ch'era venuta a trattenersi
-nella casa per assisterlo, dal suo letto udì nella camera del padre un
-gran ridere. Attonita e un poco sbigottita, si levò e andò a origliare.
-L'ottimo abate Eugène de Vivié, rettore della parrocchia, consolatore
-intrepido, aveva voluto vegliar l'infermo nel martirio notturno.
-Aiutandolo egli a sollevarsi dal guanciale per l'orribile rigurgito
-che lo travagliava, una inattesa facezia del sofferente aveva suscitata
-quella ilarità concorde. Ripensai quel rimbrotto di Frate Elia, quando
-San Francesco giaceva al Vescovado in custodia e voleva che Frate
-Agnolo e Frate Leone gli cantassero ogni ora le laudi di nostra suora
-morte per rallegrarsi nel Signore. «Hacci la scolta alla porta; e niuno
-vorrà credere esser tu un santo uomo, udendo del continovo cantare e
-sonare nella tua cella.»
-
-Finché la volontà potè comandare le membra affievolite, si trascinò
-ogni mattina alla Cappella per ricevere il pane eucaristico; del quale
-solo sembrava nutrirsi, non prendendo nella giornata se non qualche
-sorso di latte o il succo di qualche frutto. Súbito dopo la comunione,
-si ritraeva, non avendo più la forza di assistere alla messa. L'ultima
-volta ch'egli varcò la soglia santa, non ebbe neppure la lena per
-appressarsi alla mensa di Cristo. Sfinito, fu costretto di sedersi; e
-il prete scese dall'altare e andò a portargli l'ostia vivente. Come
-da quel punto nessuno sforzo di volontà più valse, si comunicò per
-viatico, sino al Venerdì Santo.
-
-Comprendemmo qual fosse la sua segreta e inebriante speranza quando
-ripeteva: «Encore un peu, mon Dieu! Faites-moi souffrir encore un peu!»
-Egli sperava di poter vivere sino alla Settimana di Passione, sperava
-di poter congiungere la sua agonia e la sua morte all'agonia e alla
-morte del Salvatore. Fu esaudito.
-
-Il giorno che ricevette il sacramento della Estrema Unzione, mandò per
-me. Egli aveva preso ad amarmi più che s'io gli fossi stato figliuolo
-unico. I suoi prossimi si stupivano nel vederlo tanto illuminarsi
-quando gli apparivo. I suoi occhi si volgevano a me interrogandomi,
-così pallidi che parevano aver perduto quel poco di cilestro a forza
-di fisare chi sa qual bianchezza abbagliante. Sempre i famigliari, se
-erano presenti, escivano l'un dopo l'altro perché rimanessimo soli. Per
-non affaticarlo, non lo lasciavo parlare né gli parlavo con le labbra.
-Stando al suo fianco, seduto, in silenzio, non mi peritavo di guardarlo
-intentamente, tanto m'attraeva la bellezza del suo mistero. Lo sentivo
-morire e vivere. Il suo viso nella macie era come un teschio palese,
-ricoperto d'un tenue velo di fuoco bianco. Non so dov'egli fosse per
-trapassare e per ricominciare; ma è certo che, tacendo, simile a un
-tessitore in sogno, tesseva con la sua morte una vita che non era come
-la mia vita. La mia vita, che è la mia passione e il mio orrore, la mia
-vita, che mi rapisce e mi ripugna, si moltiplicava con un'abondanza
-vorticosa come quando ascolto tra la folla le sinfonie dei grandi
-maestri. L'amore il dolore e la morte rimescolavano l'oceano della mia
-musica con braccia titaniche indistinguibili. Talvolta il morituro
-prendeva il mio polso e lo teneva nella sua mano sul sostegno della
-seggiola. Allora soffrivo d'avere tuttavia tanto sangue, e così rapido.
-Mi ritornava il senso del mio corpo, accompagnato da un'angoscia che
-doveva essere simile allo sforzo vano del generare, quando ne stilla un
-sudore quasi di tramortimento. E non m'ero mai sentito tanto potente e
-tanto miserabile.
-
-«Amico», gli parlavo in silenzio «ho avuto molte primavere travagliate,
-ma non una come questa. So quel che mi significa la dimanda dei vostri
-occhi buoni, ma non so che rispondere. Le parole che talvolta mi
-salgono alle labbra, non oso proferirle; anzi oppongo al loro impeto i
-denti serrati, perché temo di perdermi e di non potermi più ritrovare.
-Nondimeno mai, da che vivo, non ebbi un istinto e un bisogno di
-mutazione tanto profondi e agitati. Un giorno, ahimè, molto lontano,
-nel Camposanto di Pisa, che sembra illuminato dal crepuscolo di quella
-luce verso cui siete vòlto, meditai su me medesimo
-
- tra i due neri
- cipressi nati dal seno
- della morte;
-
-e mi parve che, se avessi dovuto cominciare la mia vita nuova,
-avrei scelto per luogo del cominciamento quel divino chiostro alzato
-dall'arte della mia razza non tanto per serbare la terra del Calvario
-quanto per contenere tra i quattro portici una larva dell'albore
-immobile ch'era intorno alla Croce.
-
- Forse avverrà che quivi un giorno io rechi
- il mio spirito, fuor della tempesta,
- a mutar d'ale.
-
-E da quel giorno un'alta creatura «eletta da me, per me perduta», a
-lunghi intervalli, a traverso le vicende e le lontananze, mi manda il
-messaggio di quelle tre parole: «Mutar d'ale». Il mio presentimento
-è dunque divenuto un comandamento di ferro e di diamante? è divenuto
-alfine la raggiante e lacerante necessità? E la sorte mi mandò fuor
-della mia terra, verso questo paese occidentale di sabbia e di sete,
-che non è se non un deserto imboschito, perché la vecchia spoglia mi
-fosse tratta dalla mano d'un vecchio morente «in verità di santità»?
-Come la spogliazione dei beni vani fu agevole e quasi senza ombra di
-rammarico! Si vide che la magnificenza del mio vivere non era nei miei
-velluti e nei miei cavalli. Un branco di scimmie calpestò e distrusse
-non senza tardità quel che forse, o prima o poi, avrei distrutto io
-medesimo in un'ora, per far largo intorno al mio pensiero impaziente.
-Mi parve che il modo mi offendesse, e m'accorsi che non ero offeso
-in alcun modo. Avendo perduto qualche bel legno tarlato, qualche bel
-vetro incrinato, qualche bel ferro arrugginito, entrai nel possesso
-di questa più bella verità: esser necessario bruciare o smantellare i
-vecchi tetti, sotto i quali abitammo in carne o in ispirito. Soltanto
-mi furono tolti il giubilo e l'orgoglio della volontaria arsione.
-
-Or, quando c'incontrammo, io non aveva se non gli strumenti del mio
-lavoro, la mia lampada fornita, e una vecchia serva che nel servire
-era più nobile dell'antica regina dal piè d'oca. Ahi, non questo era
-l'essenziale. «Dopo aver tutto ottenuto per ingegno, per amore o per
-violenza, bisogna che tu ceda tutto, che tu ti annienti.» Ma che cosa
-è _tutto_ per me? e quale la condizione dell'annientamento? So che,
-per farmi nuovo, io non debbo obbedire a una parola già detta ma a
-una parola non ancor detta. So che la povertà e l'amore della povertà
-non hanno alcuna efficacia spirituale nella conquista ch'io son per
-intraprendere. Ma il Cristo ha veramente detto tutte le sue parole?
-
-Mai Gesù mi fu più vicino, e mai n'ebbi un senso tanto tragico. In un
-libro disegnato or è quindici anni, sacro e sacrilego, io imaginavo
-che il «bellissimo nemico» discendendo dal Golgota dopo il supplizio
-entrasse nella casa della Veronica e quivi s'intrattenesse con la pia
-donna a parlare misteriosamente del Re crocifisso mentre nell'ombra la
-Faccia divina e dolorosa splendeva di sudore e di sangue nel sudario
-spiegato. Dal giorno del vostro pianto, agli interni miei colloquii col
-mio nascosto nemico assiste nell'ombra il sudario della Veronica. Ora
-sento continua sopra il mondo la presenza del sacrifizio di Cristo;
-e sento per ciò in confuso la mia voce e le mie azioni diversamente
-ripercuotersi, come quando taluno con gli occhi bendati entra sotto
-una ignota cupola sonora. Ma chi troverà il luogo dell'eco perfetta
-e l'accento giusto per la grande ripercussione? Da Ferrara, in un
-giorno di novembre, mi mossi per cercare un'eco famosa. Camminai
-per un viale di platani, lungo un argine verde e molle tutto sparso
-di foglie lionate. Avevo in me l'inquietudine della divinazione; e
-di tratto in tratto, credendomi di riconoscere il punto, gettavo un
-richiamo; e ogni richiamo rimaneva senza risposta; e ogni volta più mi
-cresceva una sorta di tristezza fastidiosa e inutile, perché cercavo un
-che di divino e il grido era meccanico, la parola di prova era quasi
-risibile. Allora giunsi a un piccolo poggio verde che ha il nome di
-Montagnola; e quivi era a diporto una compagnia di giovani cappuccini,
-condotta da un frate barbuto, e le tonache dei novizii avevano lo
-stesso colore delle foglie sparse per l'erba. Mi rivolsi al frate
-per dimandargli novelle dell'eco; ed egli n'aveva una memoria vaga,
-come di cosa scomparsa. Solo sapeva di certo che laggiù un muro era
-crollato in una casa visitata dall'incendio. I novizii tonduti rimasero
-pensosi. La luce su la campagna infinita era come quella che passa a
-traverso gli alabastri. Vagai ancóra intorno al poggio e per gli argini
-chiamando, provando; e il tono della mia voce mi faceva soffrire,
-tanto era lontano da quello della mia anima ed estraneo al mistero
-che perseguivo. Nondimeno la qualità del mio scontento era nuova e
-mirabile. Tornai su le mie orme, pei viali molli d'acqua piovana. La
-pianura era senza fine come il cielo. Una campana sonava alla Certosa.
-Rividi sotto il poggio le foglie e le tonache fulve. M'appressai. I
-novizii erano assorti e taciturni; e qualcuno aveva in bocca qualche
-filo d'erba e, tenendo gli occhi bassi, mi pareva che sentisse con le
-palpebre la freschezza della sua anima. Io dissi: «Non c'è più! Forse
-è morta. Era la più bella del mondo». I novizii erano pieni d'ansia,
-e forse di miracolo; e mi pareva che inclinassero verso la terra un
-orecchio musicale. Ma il frate mi disse, placido: «A San Francesco
-ve n'è una sotto la cupola, che ripete Ave tre volte.» Certi ricordi
-chiedono di essere interpretati come le visioni; ma dov'è il mio
-interprete? E, se voi ora per me sollevaste il velo, che scoprireste se
-non la vostra certezza?
-
-Certo, da una limitazione può nascere la più vasta vita; e una
-mutilazione può moltiplicare la potenza, come sa il potatore. Certo,
-qualche parte di me dorme ancora un profondissimo sonno; e me la
-rivelano in certi mattini i sogni non interpretati. È necessario che
-io faccia luogo in me a ciò che sorgerà da quel risveglio. Ho talvolta
-il sentimento delle interne mie lontananze come l'ha di queste Lande
-lo svenatore di pini. Preparo l'arme acconcia perché anch'io, entrato
-nel folto, possa aprire nuove ferite onde sgorghi l'aroma e _possa
-mantenerle sempre aperte_. Tale è l'insegnamento della Landa.
-
-Ora a ciascun mio pensiero è aderente un altro pensiero, oscuro. Così
-nella cattedrale notturna le colonne sono illuminate da una sola banda,
-perché la lampada arde in una sola navata. Bisogna che io accenda
-all'altra banda un'altra lampada, ma senza spegnere la prima. Ho paura
-di spegnerla. Debbo vincere questa paura? E chi m'afferma che diverrò
-più forte? Se mi ritrovassi ottenebrato o diminuito?
-
-Lo so. Gli uomini non edificheranno nuovi templi per nuovi culti. Il
-prodigio unanime della cattedrale non si rinnoverà. Ma il dio medesimo,
-che l'ha rempiuta, può un giorno apparirvi con un aspetto per la
-seconda volta trasfigurato, affacciandosi alla grande Rosa nell'ora in
-cui dietro lei suole coricarsi l'astro come al confino d'una foresta.
-Simile alla foresta, la cattedrale d'Occidente può essere penetrata in
-tutte le sue fibre secolari dalla forza d'una primavera inaudita. Quale
-avvenire osservano i Profeti protesi dì e notte come vedette e scolte
-dai contrafforti del Duomo picardo ove riconoscemmo scolpita la Spene
-di Dante? La pietra commessa e alzata, come quella, al suono degli
-inni, ha in sé l'infinito del canto: non può contenere una fatalità
-compiuta e immota ma sì l'aspirazione a una bellezza di continuo
-perfettibile.
-
-Non vi fu, di là dal torrente di Chedron, nell'Orto degli Ulivi, un
-apostolo ignoto che si unì agli Undici per ricompire il numero, e non
-dormì né la prima né la seconda né la terza volta? Tra tutte le persone
-della tragedia di Cristo due m'attrassero sempre più d'ogni altra, le
-più misteriose: Lazaro di Betania tornato del buio e il giovine dalla
-sindone. Non avete mai pensato chi potesse mai essere quel giovine
-«amictus sindone super nudo», del quale parla il Vangelo di Marco? «E
-tutti, lasciatolo, se ne fuggirono. E un certo giovine lo seguitava,
-involto d'un panno lino sopra la carne ignuda, e i fanti lo presero.
-Ma egli, lasciato il panno, se ne fuggì da loro, ignudo». Chi era quel
-tredicesimo apostolo, che aveva preso il luogo di Giuda nell'ora dello
-spavento e della grande angoscia? Solo egli vide il sudore cadere a
-terra «simile a grumoli di sangue».
-
-Era minore di Giovanni figlio di Salome. Era vestito d'un vestimento
-leggero. Si fuggì ignudo «reiecta sindone, nudus profugit ab eis».
-Nulla più si seppe di lui nel mondo. Forse un giorno dirò una
-imaginazione che di lui mi giunse.»
-
-In tali erramenti divagava il mio spirito, per una specie di
-dormiveglia intimo ove le imagini più rilevate si avvicendavano con
-ombre fluttuanti e il ritmo precedeva i pensieri, come quando il
-sonatore cieco improvvisa su l'organo. E la perplessità si avvicendava
-con la paura. E smisurate masse d'anima erano smosse da taluna
-interrogazione appena distinta, come quando la forza d'un tema entra
-nella sinfonia. «Che avverrà di me se io mi rendo interamente al vostro
-Salvatore?» E poi tutto si abbandonava a una fuga dirotta, come quando
-s'ode rintronare il lastrico sotto la carica dei cavalieri.
-
- E gli uomini cadevano
- intorno a me guardandomi
- negli occhi, come in sogno
- quando uno solo è come moltitudine
- e un viso è come mille
- e il cor supino è pieno di memoria
- vertiginosa.
- Ciascun percosso
- parca gridarmi:
- Per chi m'uccidi?
- Ah, ben io so!
-
-Era la materia della mia arte, che si mescolava a quella della mia
-vita. Una voce della mia tragedia d'amore e di morte, dell'opera che
-componevo nelle mie notti, diveniva oscuramente la voce d'uno di quegli
-esseri incogniti da me contenuti.
-
- L'andito è nero
- per ove ci viene
- tastando con le mani,
- come il cieco mendico;
- ma posta ho in terra
- la lampada perché sotto la porta
- segni il segnale di luce. Or qualcuno
- è tra la lampada e la notte.
-
-Con l'anima mia foggiavo due corpi pieni di nero sangue, e vivevo tutto
-in loro, per comprendere il peccato; poiché è detto che non si possa
-veramente comprendere la bellezza del Cristo «senza comprendere il
-peccato». Ugo da Este e Parisina Malatesta m'erano due esploratori di
-tenebre.
-
- Col peso della carne del mio cuore
- pesava il mio peccato. E disse: «Io so.
- Ma che paventi?»
-
-Camminavamo verso il barlume di levante con la medesima ambascia. Anche
-per la nipote di Francesca l'attesa aveva il volto della rimembranza.
-
- Questa pena
- di sudore Ei sostenne,
- perché da noi
- si spiccasse la febbre del peccato...
- Dici che sogno? Non so quando io chiusi
- gli occhi, non so da qual mai lungo sonno
- io mi svegli; non so,
- non so di quale vita
- io viva, in verità. Tutto ritorna
- dal profondo. Commessa
- fu la mia colpa,
- patito il mio dolore,
- sofferto il mio spavento;
- sospesa fu la mia sciagura, inflitta
- la mia morte. Non sogno,
- o meschina, non sogno: mi rimemoro.
- Non vivo: di mia vita mi sovviene,
- mi sovviene di me come discesa
- nel mondo io sia pe' rami
- d'un nero sangue...
-
-D'un tratto, se bene la mano del morente avvolgesse il mio polso, se
-bene io ne sentissi il gelo nella mia midolla, un turbine mi separava
-da lui, un turbine sorto dall'assito di quella camera quieta. E
-bisognava che io mi levassi a seguitare una virtù che s'era partita da
-me e aveva superata la soglia. Erano ancóra su la tavola i fiori che
-avevo recati, e i frutti d'Italia. Erano le spesse arance siciliane,
-del cui solo succo omai si nutriva il mio amico, a stilla a stilla.
-«Non più ho bisogno dei vostri fiori e dei vostri frutti ma delle
-vostre preghiere». Allora discendevo nella Landa carica di polline
-sulfureo, lasciando dietro di me l'interlocutore silenzioso dei miei
-dialoghi affrontato col muro ove s'apriva il vano dello specchio
-inesorabile. E, come tutto in me era disposto al canto, facevo le mie
-preghiere.
-
-Adunque il giorno che ricevette il sacramento dell'Estrema Unzione,
-mi mandò a chiamare. Come indugiai un'ora, mandò di nuovo. Pareva
-ch'egli fosse in grande ansietà. Salendo su per la duna, mi soffermavo
-per contenere il battito e per guadagnare qualche istante. Intorno
-alla Cappella era l'odore di quelle lacrime di ragia che sovente
-sostituiscono l'incenso e il belzuino nei turiboli delle Lande. Quando
-fui sul verone di legno, incontrai nello specchio il suo sguardo
-d'attesa. Mi spiava nel fondo del cristallo lugubre ove egli voleva
-essere testimone continuo del suo perire. Non stava già nel suo letto
-ma tuttora seduto su la sua seggiola. La sua santità era cresciuta
-di lume. Non soltanto egli era stato unto del crisma ma aveva anche
-ricevuto per messaggio la benedizione del Pontefice di Roma. E una
-reliquia preziosissima era su la tavola, presso di lui.
-
-Soltanto allora seppi ch'egli possedeva nel suo oratorio una scheggia
-della vera Croce, e che da anni le aveva consacrato una lampada
-perpetua.
-
-Non osai di sedermi, se bene invitato. Qualcosa di lontano e
-d'inviolabile era in lui, quasi che il vetro d'un tabernacolo lo
-proteggesse. Ma, quando mi fisò, il più umano tremito scompose le linee
-del suo viso spiritale, così ch'io tutto mi contrassi come a ricevere
-una percossa.
-
-Egli ritrovò in sé il soffio bastante a formare la parola e il
-discorso, perché credeva di obbedire a un comandamento. Non poteva
-più tacere, non poteva più attenersi alla muta interrogazione dello
-sguardo e all'allusione timorosa. Già unto dell'olio santificato, stava
-per entrare con Dio in quel colloquio che non più consente di volgersi
-verso l'uomo. Egli non aveva se non quell'ora, sul limite del sepolcro,
-per indirizzare in via di salute l'anima confidatagli dalla divina
-providenza. Questo diceva il suo tremito.
-
-Rare volte le mie radici ebbero uno scrollo tanto doloroso. Egli parlò.
-Io volgevo le spalle alla luce, e l'ascoltavo inclinato. Dietro di me
-la Landa stormiva al vento di ponente, e io era come ciascun albero
-e come la moltitudine. Potrei ottenere dalla mia anima la confessione
-di ciò che per l'uomo è inconfessabile, ma non otterrò mai ch'ella mi
-ridica quel che udimmo quivi.
-
-Allora il pianto fu più forte della favella. Una creatura che pareva
-non aver più sangue, aveva ancor tante lacrime! Le mie mani erano
-tutte molli; e il rombo di una catastrofe terrestre non m'avrebbe
-dato lo sgomento che mi dava quel singhiozzo senile, lacerante come
-l'implorazione d'un fanciullo. Quel che v'è di più profondo in me
-pareva toccato, e pure conobbi una nuova oltranza; perché mi sentii
-baciar le mani!
-
-Così l'umiltà chiedeva l'umiltà, l'amore chiamava l'amore. Non so
-quale atto altrui, nella mia vita, abbia potuto pesare su me come
-pesò quello. Per lunghe ore fui oppresso da una sofferenza quasi
-corporale, come quando l'equilibrio della vita è sconvolto dal germe
-d'una malattia ignota, che somiglia al presentimento d'una sciagura
-senza nome. E talvolta era come un rimorso confuso; e talvolta era come
-un'atroce durezza che si formasse di tutta la mia sostanza fluida, a
-quel modo che una corrente si congela; e talvolta mi pareva che tutto
-me medesimo non fosse se non un impedimento enorme a me medesimo,
-insuperabile, contro cui non avessi potenza ma soltanto ira.
-
-La sera, sedato in parte il tumulto, accesi la lampada con l'animo
-di sottopormi alla disciplina consueta. Avevo bisogno delle mie mani
-per continuare la mia opera. Le posai su le carte, nel cerchio del
-chiarore, per considerarle. Un gran sussulto mi scosse, al ricordo
-recente. E mi parve, assai più che altre volte, vivessero d'una lor
-vita propria e quasi non mi appartenessero. Le sollevai e le guardai
-contro il lume: un poco tremavano, e tra le dita chiuse ardeva
-una linea rossa. N'ebbi pietà; poi n'ebbi orgoglio. Nel pollice,
-nell'indice e nel medio l'ultima fatica aveva approfondito il segno
-della penna. Pensai ai giovani pallidi e smarriti che me le avevano
-baciate d'improvviso, me repugnante, nell'ombra. Ma che cosa le mie
-mani _dovevano_ a quell'atto del morente immacolato? Forse riposarsi, e
-attendere il novel tempo.
-
-Non si riposarono. Lavorarono fino all'alba.
-
-E in quella notte Ugo disse:
-
- Non v'era in me più forza né coraggio
- né soffio. Avviluppato in una nube
- d'angoscia, profondato
- ero in un'onda amara
- e calda, con l'orrore
- della sorte premuto
- su tutto me. Parole
- udivo escite
- da non so qual potenza, nella notte
- senza vie. La salvezza e il perdimento
- eran senz'occhi entrambi.
- E tutto inevitabile
- era. E non combattevo
- se non per te
- anche una volta, se non pel mio vóto,
- non più nel sangue
- ma nelle lacrime.
-
-E disse Parisina:
-
- O mia vita, o mia morte,
- dove sei? dove siamo?
- Siamo nel luogo profondo, e la lampada
- dell'attesa arde in terra; e suggellata
- è la pietra su noi,
- cementata, afforzata
- con ispranghe di ferro...
-
-Ma di nuovo l'usignuolo cantò, con una melodia ancor più alta dopo la
-pausa. E l'amato implorava:
-
- O voce forte e pura nella notte
- senza vie, nel tremore
- spaventoso degli astri,
- oh dimmi la parola
- ch'è in me, dimmi la muta
- parola che si sforza
- di separarsi dal mio cuore, in vano,
- con sì crudel travaglio!
- Vivere, vivere, o morire? Dimmi!
- Morire o vivere?
-
-E Parisina allora disse:
-
- La notte ha la sua via.
-
-
-
-
-XXIV APRILE MCMXII
-
-
-È mezzogiorno. Un'oscurazione di catastrofe si stende su la terra. Ogni
-cosa ha un aspetto notturno, e sembra rivelar di sé quel che non fu
-mai veduto per innanzi. È una notte non illuminata dalla luna, né dalle
-stelle, né dal primo fiato dell'alba, ma da una lampada soprannaturale
-che spande un egual chiarore e non segna le ombre. Non so perché, penso
-a quel che provai una volta entrando nella camera buia di un dormente,
-con una lanterna cieca, per osservare il segreto del suo viso nel
-sonno.
-
-Vedo nelle cose quella stessa impronta di verità interiore, quello
-stesso segreto palesato. Non è, pel mio spirito, un giorno interrotto
-ma una notte scrutata a fondo. L'anima della terra è notturna, ma
-la luce del sole la nasconde più che non la nasconda la tenebra.
-Soltanto può rivelarla la divinazione dei poeti, che portano nel loro
-cuore un sole velato come quello d'oggi. È l'ora del meriggio, e non
-v'è luce e non v'è tenebra; ma le cose, a questo lume di miracolo,
-mostrano l'aspetto che debbono avere quando nessuno può guardarle né
-riconoscerle. Milioni d'uomini in quest'ora volgono gli occhi verso
-il cielo e per passatempo, a traverso il vetro affumato che simula Io
-smeraldo neroniano, spiano il contrasto del sole e della luna, il disco
-violetto che sormonta la raggiera d'oro, l'estrema falce solare che
-imita il novilunio. Ma il vero miracolo è in terra. Se io guardo gli
-uomini, li vedo smorti come i trapassati; e i loro corpi non gettano
-su la sabbia più ombra che non ne facciano i peccatori nella landa
-sabbiosa del Terzo Girone, laddove scorrono le lacrime che il Veglio
-goccia da tutte le fessure ond'è vulnerato. Così per questo silenzio,
-lungo la sorda riva, vedo venire la larva del Poeta che sa l'«asfòdelo
-prato» e «i freschi mai». E vorrei, come il suo Odisseo nella dimora
-del Buio, scavare nella sabbia una fossa ed empirla di sangue, sicché
-egli potesse come Tiresia abbeverarsi dello squallido sangue e dirmi
-«infallibili cose».
-
- Sol dopo ciò mi parlava il profeta incolpabile, e disse:
- — Tu mi ricerchi il ritorno di miele....
-
-Ma il meriggio dell'anima si trasmuta, a poco a poco perde di mistero
-e d'orrore, vanisce come un sogno divino che al risveglio s'impigli e
-si stempri nel torbidume dei nostri sensi. Il disco violetto trascorre,
-e l'astro diurno sembra riardere fumigando dall'uno all'altro corno.
-La tenzone del sole e della luna ha termine. Ancóra una volta la luce
-nasconde la vera faccia della terra, e la cieca vita fa ingombro alla
-morte perspicace.
-
-Da questa vicenda celeste apprendo come l'eclisse, nel mondo interiore,
-possa essere rivelazione piuttosto che oscurazione. La luce della
-nostra coscienza abituale non ci copre la nostra verità più profonda?
-Se alcuna forza fin allora estranea s'interponga, ecco che dentro a
-noi tutto si trasfigura e si manifesta. Il massimo degli eclissi è la
-follìa. E che grandi e inopinate mutazioni e visioni da lei nacquero!
-Ma vi sono anche meravigliosi eclissi prodotti da una certa specie
-di pensieri dominanti che offuscano la coscienza fallace. Il comune
-linguaggio però non ha modi per significarli.
-
-Forse, laggiù, un pescatore perduto su l'Atlantico ha visto nel
-prodigio meridiano splendere Espero.
-
-Un sentimento di lontananza è rimasto in me; che mi seconda
-mentre rivivo il giorno funebre. Mi sembra che l'istessa lampada
-soprannaturale illuminasse quel Sabato Santo, quasi ritornato fantasma
-di quell'eclisse
-
- che in ciel fue
- quando patì la suprema Possanza.
-
-Era uno di quei mattini oceanici in cui l'aria e l'acqua, luna
-nell'altra convertendosi a vicenda, sembrano formare un solo elemento
-inane. Grandi velarii pallidi sorgevano, si dilatavano, si laceravano,
-cadevano a brandelli, si rammendavano, si ritessevano senza fine. La
-Landa pareva sollevarli e respingerli col suo fiato affannoso, perché
-era travagliata dalla doglia della fecondità. A quando a quando, se
-spirava il ponente, i lembi e le volute s'imbiutavano di fovilla,
-s'ingiallivano del solfo arboreo. Talora una nuvola di polvere ferace
-rimaneva sospesa su le chiome dei pini. ondeggiava, dileguava per
-ispandersi altrove in piogge nuziali. Aerei entrambi, il pòlline e la
-cenere si mescolavano, come se il vento rapinasse i fiori e gli avelli.
-
-E colui che aveva contuso il pòlline e la cenere nell'émpito dei suoi
-più alti canti e divinamente comunicato all'una la virtù dell'altro,
-il poeta annunciatore e intercessore non anche era spirato in quel
-mattino, se bene io lo credessi e vedessi già composto nella sua finale
-santità. Ma, mentre erravo di duna in duna seguendo il mio dolore che
-pareva sopravvanzarmi, mi punse il cuore un'improvvisa sollecitudine
-dell'amico che ancora viveva lì presso; ed ebbi un desiderio
-ansiosissimo di rivederlo perfetto.
-
-Or il suo vóto non era adempiuto? Non aveva egli omai accompagnato
-il Redentore sino all'ultima stazione della _Via Crucis_? Passata
-era l'ora di nona, l'ora del grande grido; passato era l'antisabato;
-Giuseppe e. Nicodemo avevano tolto dal legno il corpo, póstolo nel
-monumento e rotolata all'apritura la pietra. Come poteva ancor durare
-l'agonia del seguace? fino al Resurresso? e oltre, forse?
-
-Dal giorno dell'Estrema Unzione non ero più stato a visitarlo.
-Perseverava in me il turbamento, e non so che terrore indefinito. La
-nostra amicizia terrena era chiusa tra quei due pianti, quasi terra
-compresa da due riviere nate d'una sola sorgente come il Letè e
-l'Eunoè.
-
- Da questa parte, con virtù discende
- che toglie altrui memoria del peccato;
- dall'altra, d'ogni ben fatto la rende.
-
-Ma, pur trovandomi in paese di sete e sitibondo, non m'attentavo
-di bere. Tuttavia rimanevo tra quei due confini senza trascendere
-né l'uno né l'altro (non per rientrare nella mia patria antica,
-non per avanzarmi verso la mia patria futura) quasi in una sosta di
-contemplazione e d'indagine. E quivi pensieri viventi, sin allora a me
-estranei o da me ignorati, mi divenivano familiari come i colombi che
-beccano il frumento nel cavo della mano. E talvolta il giovine dalla
-sindone era meco; il qual serbava in fondo agli occhi notturni una
-imagine del Maestro non veduta da alcuno. E mi lasciava egli scrutare
-il fondo de' suoi occhi, talvolta.
-
-Ricomparire dinanzi all'Unto di Dio, mentre gli stava ancóra in bocca
-il respiro carnale, mi pareva intempestivo; né avrei voluto di nuovo
-toccare la sua mano, assistere agli ultimi istanti, udire i suoi
-rantoli, farmi testimone della sua fine. Piuttosto che commettere un
-tal fallo, sopportavo il dubbio di sembrargli duro o richiuso. Ben so
-come ornai, di quel ch'egli soleva chiamare «il nostro bel segreto» nel
-tempo della reticenza, io non possa più parlare se non con me medesimo,
-e sotto la specie del canto misurato.
-
-Gli mandavo ogni sera i frutti italiani; ché qualche stilla di quel
-succo fu sino all'estremo l'unico suo ristoro. Ma pregavo la sua
-figliuola che non glie li mostrasse, non potendo ella recargli anche
-la preghiera sconosciuta che l'accompagnava. Seguivo col pensiero
-la fresca offerta che giungeva alla casa di legno verso l'ora della
-salutazione angelica. Credevo udire la campanella della porta, il passo
-di quella che andava ad aprire, le parole susurrate, e poi nell'ombra
-lo scroscio dell'arancia sugosa premuta nel bicchiere che riluceva. E
-quella imaginazione mi diveniva presenza quasi reale. Sentivo l'odore
-spandersi; vedevo biancheggiare il morente sul guanciale, e il chiarore
-della sera adunarsi nello specchio come negli stagni della Landa. E si
-generava in me non so che dolcezza accorata e melodiosa, da cui sgorgò
-una sera il canto alterno di Ugo e di Parisina presso il ceppo del
-supplizio, in fondo alla Torre del Leone.
-
-Diceva Parisina:
-
- Udito hai tu,
- udito hai tu sul muro
- della torre crosciare
- la piova? Tutto è fresco,
- tutto è mondato.
- Or mi ricreo
- come il fil d'erba.
- E so che nel ciel ride
- già la stella diana.
-
-E Ugo:
-
- Passato è un tempo,
- passato è un tempo,
- ch'io non posso più dire;
- e quel che innanzi avvenne
- e quel che dopo ancóra,
- io noi viddi, noi seppi.
- Forse or ti nasco;
- e la morte, ch'è sopra,
- par sì lontana.
-
-E l'amata:
-
- Ah tu non sai,
- non sai qual sia
- nella tua bocca
- la voce nova!
- La volta cupa
- ove risuona
- sembra il segreto
- antro d'un fonte.
-
-E l'amato:
-
- Vedi che occhi
- s'apron ne' miei?
- In me tu sali,
- cresci qual mare
- senza amarezza.
- Il flutto è in sommo.
- Non ho il tuo sguardo
- sotto la fronte?
-
-E la melodia sviluppandosi assumeva un che di vitreo e di verde, un che
-d'acqua e d'erba, a imagine di quel giovinetto che un mattino vidi in
-un sandalo falciare, con la falce mortuaria dal lungo manico, le piante
-acquatiche nel fossato fosco intorno al Castello di Ferrara.
-
- O mio fastello d'erbe,
- dove t'ho da posare?
-
-La nepote di Francesca rispondeva:
-
- Pesami accanto al ceppo.
- C'inginocchiammo
- due volte. Anco due volte
- bisogna, o bello
- e dolce amico,
- bisogna a noi due volte
- i ginocchi piegare.
- La prima nel peccato,
- la seconda nell'onta,
- la terza nella morte,
- la quarta nell'eternità...
-
-Quando, molto a notte, salivo alla mia stanza per coricarmi, strani
-brividi attraversavano la mia stanchezza inquieta, e i miei occhi
-sbarrati guardavano da per tutto; che m'attendevo una di quelle
-apparizioni che annunziano il transito delle persone care. E lo
-specchio era pieno d'orrore.
-
-Certo, non cessavo dall'aver paura della morte, se bene per giorni e
-giorni l'avessi veduta abitare un uomo e scavarlo di dentro. Ma sentivo
-che alfine ero per vincere pur quella paura, e per ottenere dal morente
-una tal vittoria. Declinava il meriggio, nei Sabato Santo, quando
-l'angelo neutro per i sentieri sordi della foresta mi condusse nei
-pressi della collina arenosa ove sorgeva la Cappella di Nostra Donna.
-Scopersi in alto, di tra i rami dei pini carichi di fiori nuovi e di
-pigne secche, l'infermeria domenicana col suo verone di legno e sul
-verone la finestra che dava adito alla camera del morente. Così, non
-veduto, rimasi all'agguato della morte.
-
-La casa era tacita; l'adito era vacuo come quelle aperture senza vetri
-e senza imposte, che sfondano all'infinito nelle case abbandonate di
-Assisi. Una donna passò cautamente, s'inclinò su la soglia, si fece il
-segno della croce, disparve nell'ombra. Un uomo ne uscì, s'incontrò
-con una fanciulla dai capelli sciolti, si mise l'indice su le labbra
-per ammutolirla, poi la trasse pel braccio nudo. Nessuno piangeva.
-I lineamenti umani erano come raffermati dalla necessità. L'aspetto
-della casa stessa era come Indurito. L'aria intorno vi pareva senza
-mutamento. Qualcosa come un cristallo spesso la separava dalla
-respirazione del borgo sparso per le sabbie, ov'era sonata l'ora del
-pasto comune.
-
-Stavo accosciato su le radici d'un pino. Giovanni era meco, o la
-parte migliore di me era divenuta simile a lui; perché tutte le
-cose fisse intorno, tutte le cose radicate, erano in me riunite
-da movimenti d'amore come nel ritmo della sua poesia. Le formiche
-salivano e discendevano per le vecchie cicatrici del fusto come per
-le lor vie maestre, in traffico, mentre taluna di loro galleggiava
-morta nel vasetto d'argilla colmo di résina e d'acqua piovana. Pei
-nuovi intagli la ragia colava bianchiccia come la cera che si strugge
-e goccia intorno ai torchietti dell'altare; ma qua e là vi brillavano
-lacrime limpide come acini di cristallo. E dove erano infissi i pezzi
-di bandone obliqui per condurre lo scolo, quivi la piaga pareva più
-dolente. E, se volgevo gli occhi alla cima, sentivo ch'essa non era
-toccata dal dolore ma era assorta in un pensiero d'altezza. _Redolet
-non dolet._
-
-Tutto si santificava in una luce di grazia, in una «bontà senza
-figura.» Il più tenero fiore di cinque petali era schiuso entro una
-povera scarpa accartocciata come una scorza. Un germoglio lanoso
-spuntava dal fóro di una latta arrugginita; e tra gli spigoli della
-lamiera storta brulicavano su per i fili della tela minuscoli ragni,
-gialli come granelli di pòlline. E il minuto pigolìo dei pulcini
-nascosti nel cespuglio era come se quel brulicame divenisse vocale.
-E da ogni più piccola voce si partiva un'onda senza fine confusa
-nell'immensa dissonanza del vento. E il vento era come il rammarico
-di ciò che non è più, era come l'ansia delle geniture non formate
-ancóra, carico di ricordi, gonfio di presagi, fatto d'anime lacere e
-d'ali vane. E forse andava, laggiù, a sfogliare il libro aperto sopra
-il leggìo di quercia, quel libro ch'era antico quando la quercia ancor
-«viveva nella sua selva sonora». E forse l'ascoltava, laggiù, il cieco
-che non sa donde venne, non sa dov'ei vada, né può cansar l'abisso che
-si sente ai piedi... «di fronte? a tergo?»
-
-Tanto era viva la presenza fraterna che mi volsi come se avessi
-udito il mio nome. E Giovanni di San Mauro era là, sotto un gran rovo
-intricato che soffocava una ginestra in fiore. Aveva la sua veste dei
-campi, la sua veste di contadino: il capo scoperto, il collo nudo.
-Sedeva sopra un ceppo tagliato. Col mento nella palma, mi guardava
-dentro il cuore; e, nella fissità, la sua guardatura aveva a destra
-una lieve loschezza come se quella fosse la pupilla sempre «intenta
-ad altro». Era tutto bianco, incanutito; e la fronte era veramente un
-luogo di luce per moltitudini, ma le ritrose dei capelli le davano un
-che di selvaggio in sommo, un che d'indocile su tanta umiltà. Le sue
-mani scarnendosi erano divenute belle. E il silenzio delle sue labbra
-era fatto di quelle profonde pause che ne' suoi poemi contengono il suo
-più umano amore o il suo più divino orrore.
-
-In quel punto scoccò, dalla torre della Cappella, l'ora seconda dopo
-mezzodì. Sul verone il vano dell'adito era come un gorgo d'ombra.
-N'escì una donna che non piangeva, ed entrò nella porta accanto,
-levando le braccia. E vennero alcune altre donne, alcuni uomini,
-una fanciulla, tre giovinetti; e nessuno piangeva. Ma tutta quella
-famiglia adunata sembrava assumere una forma atta a ricevere l'ignoto,
-a ritenere in sé il peso dell'esanime. Il morto entrava nei vivi; e,
-prima di trasformarsi in memoria, riviveva in loro con la sua canizie,
-con le sue rughe, con le sue spalle curve, con i suoi occhi pallidi,
-con la sua voce fievole, con le sue viscere ulcerate. Entrarono l'un
-dopo l'altro nel gorgo d'ombra; s'inginocchiarono, s'accalcarono
-intorno al letto, divennero una cosa compatta su cui il morto pesò come
-su una bara di carne e d'ossa. Tutte le voci della Landa non valevano
-contro il silenzio che serrava la carcassa di legname in quella guisa
-che i ghiacci polari serrano la chiglia della nave prigioniera. La
-casipola rossastra, dentro la sua siepe di biancospino e di giunco
-marino, covava il più chiuso mistero del mondo: il corpo dell'uomo
-santo, la spoglia inerte di colui che ha offerto l'anima a Dio e votato
-sé stesso alla vita eterna.
-
-Passai davanti alla porta, su pel sentiero di sabbia, senza arrestarmi.
-A ogni passo, mi pareva di perdere qualcosa di me, di lasciarmi
-sfuggire qualcosa di più fervido che il sangue, come se fossi premuto
-dal rigore di due ombre. A ciascun fianco avevo la morte, come
-chi cammina fra due compagni per favellare con l'uno e con l'altro
-alternativamente. Vedevo il cadavere nell'aspetto più spaventoso,
-quando non è ancóra immobile, quando non è ancóra in pace, quando il
-rito funebre lo manomette, lo costringe a simulare il gesto, movendolo,
-sollevandolo, nel purificarlo, nel vestirlo. Come giunsi al principio
-della mia viottola, a poca distanza dal cancello, mi riscoppiò nello
-spirito un lampo dell'allucinazione che mi aveva tormentato per tutto
-l'autunno. L'uomo era là, ma senza rilievo.
-
-Quando salii su la mia duna, la bassa marea aveva scoperto
-nell'insenata il lungo banco mediano, simile nella forma sottile a un
-ramo secco di palmizio. Era grande bonaccia, nell'aria e nell'acqua.
-I velarii continuavano a svolgersi e a dissolversi. A tratti il sole
-appariva tra lembo e lembo; e tutte le sabbie si schiarivano, con un
-che di molle come il colore interno della banana. Si velava: e tutte
-scurivano, si facevano brune come gli aghi aridi accumulati, come le
-fascine delle palafitte.
-
-Il corpo dell'annegato si riformò sul banco, intiero come quando
-l'avvistai la prima volta.
-
-Fu una mattina di settembre: un cielo candido, un mare quasi di latte.
-La marea discendeva. Ero seduto su la loggia. Guardando, scorsi sul
-banco non so che cosa solitaria e immobile, la cui tristezza mi gravò
-il cuore prima che la vista la riconoscesse. Era un cadavere deposto
-dalla corrente, era l'annegato del giorno innanzi: una povera cosa
-nuda, più misera d'un rottame, più squallida d'un mucchio d'alghe; ma
-ora pareva che tutti i lineamenti del paese e della marina, da levante
-a ponente, da borea a mezzodì, convergessero in quel punto di miseria.
-Scesi alla spiaggia, chiamai due rematori; e andammo con la barca
-fino alla secca, per ricondurre l'uomo. Stava bocconi, con la testa
-pendente in un cavo della sabbia, con le ginocchia profondate, con le
-calcagna in alto, con le mani conserte presso l'ombelico. Il sangue
-versato dalle orecchie e dalla bocca tingeva la poltiglia acquidosa, e
-la rena scorreva lenta nel cavo e si mescolava al sangue. Un'orecchia
-e i capelli intorno erano ingrommati; il braccio era scarnissimo,
-bianchiccio, debole come un braccio di femmina; le unghie e le falangi
-erano paonazze come quelle del tintore a zàffara; le gambe erano
-pallide sotto i peli bestiali, i piedi erano chiazzati d'azzurro.
-Lo guardavo con l'attenzione terribile dell'arte, come non l'avrebbe
-guardato neppure la sua madre; me lo stampavo dietro le pupille. Tenevo
-curvato su lui il mio ribrezzo angoscioso con le due branche della
-mia volontà. Una vespa ci ronzava intorno insistente, e la sabbia era
-lavorata come i bugni.
-
-I rematori gli presero i malleoli in un nodo scorsoio, e lo trassero
-in acqua con la gomenetta legata a poppa. Il sangue nero rimase nella
-poltiglia, e lo lavò la marea più tardi. Ricevetti per sempre nel
-cervello anche l'orrenda scìa. Poi i due, aiutati da un terzo, lo
-sollevarono all'approdo. Ciascuno lo teneva sotto l'ascella, e il terzo
-per i piedi cerulei. S'inarcava appena, essendo rigido; e la testa
-pendeva giù come nel cavo, col naso pieno di coagulo rossiccio.
-
-La sera me lo rividi ritto su la loggia, nell'ombra. Per gli occhi
-sbarrati dallo spavento m'entrò anche più a dentro. M'era sconosciuto;
-non sapevo nulla di lui, fuorché qualche notizia vaga del suo stato
-modesto, della sua vita volgare. E l'avevo compagno implacabile.
-Calando il sole, cominciavo a temerlo. M'aspettava presso il cancello,
-quando rientravo. Nelle notti di lavoro, quando nella stanza attigua
-la candela s'era strutta, appariva nel rettangolo buio dell'uscio.
-Gli vedevo l'orecchia piena di grumi, la bocca e il naso carichi, il
-braccio scarno. E non m'era più possibile dormire dalla parte del mare.
-
-Poi fu meno assiduo, si mostrò a intervalli sempre più lunghi, si
-scolorò, divenne una larva fievole, si disperse. Ma il pensiero della
-morte restò in me gravato da quell'orrore.
-
-Ed ecco che riappariva, ecco che si rimetteva bocconi su la sabbia ad
-aspettare, come se io dovessi di nuovo imbarcarmi e andare a cercarlo!
-
-Sì, la paura corporale della morte era in me, come se l'uno e l'altro
-amico dipartendosi m'avessero curvato verso il sepolcro, verso la
-putredine l'ossame e la cenere. Le dita invisibili della malattia mi
-sfioravano la nuca, le reni, la gola, i precordii. Camminavo imaginando
-le gambe appesantite da un piombo subitaneo o invase da una sorda
-mollezza di bambagia. Vedevo chino su me il medico che ascolta e che
-palpa. Un soffio, un fremito, un qualche romore di condanna m'esciva
-del cuore; o da una molecola del cervello un offuscamento repentino si
-spandeva su tutto, come il nero che schizza dalla borsa della seppia e
-intorbida l'acqua.
-
-Dominai l'angoscia. Tuttavia le cose mi si manifestavano come se io le
-guardassi da non so che chiusa profondità. I suoni parevano impigliarsi
-nel silenzio come in una sostanza tenace: il gemito fioco d'una sirena
-all'imbocco, il rombo d'un'elica, il tonfo d'un remo, il richiamo d'un
-pescatore, il grido d'un uccello. E le attitudini disperate dei pini,
-davanti la mia loggia, in tanta inerzia dell'aria, mi toccavano per
-un sentimento simile a quello ch'esprimono i gruppi scolpiti della
-Deposizione, ove le Marie si piegano sul divino corpo investite da una
-ráffica di dolore. Lo sforzo iroso del vento aveva torto per anni i
-tronchi e i rami; e l'aspetto della tortura durava, mentre l'aria era
-immobile.
-
-Un fanciullo mi portò l'annunzio dall'infermeria domenicana. Uno dei
-figli mi scriveva come il padre gli avesse raccomandato di annunziare
-la sua fine a me prima che ad ogni altro e di comunicarmi che nel
-Venerdì Santo «all'ora di nona» m'aveva benedetto e poi non aveva più
-parlato in terra.
-
-Mi disposi di visitare il beato, declinando il sole. Non so che
-umida dolcezza s'era diffusa nel cielo: qualcosa di racconsolato e di
-fidente, che mi ricordava il volto del vecchio quando uscimmo insieme
-sul sentiero di paglia, la prima volta, dopo il pianto. I gradini
-della mia scala esterna erano polverosi di pòlline, ove il piede lasciò
-la traccia. Il medesimo solfo vivace ingialliva i margini del viale.
-I miei cuccioli di otto mesi, che l'uomo del canile conduceva su la
-spiaggia per l'esercizio del pomeriggio, mi corsero incontro facendomi
-festa a gara. Alzati su le zampe nervute, mi coprivano della loro vita
-pieghevole e trepidante. I loro denti erano più puri del gelsomino,
-e i loro occhi vai o grigi o lionati parevano scintillare alla cima
-della loro inquietudine. Una pena mi si svegliò nel cuore: pensai ai
-miei cuccioli di cinque giorni, dagli occhi ancóra suggellati. Erano
-nove; e, per non spossare la madre, bisognava risolversi alla scelta
-crudele, al sacrifizio dei meno belli e dei meno forti! Avevo fatto
-cercare da per tutto una nutrice, senza riuscire a trovarla. Entrai nel
-canile, col cuore ammollito da una pietà quasi feminea. La levriera,
-coricata sul fianco, teneva il muso nascosto tra le zampe incrociate,
-con la grazia del cigno che caccia il becco sotto l'ala. I suoi belli
-occhi d'un colore di dattero avevano una lucentezza quasi febrile, e un
-lieve affanno sollevava le sue costole disegnate come i madieri d'una
-carena. Cinque de' suoi piccoli poppavano, con un vigore già pugnace,
-pontando contro il seno materno le due zampette per ispremere la
-mammella, scotendo a tratti il capo per meglio trarre; e un'ondulazione
-di godimento correva dalla grinzolina della collottola alla punta
-della coda di sorcio, parendo quasi render palese il getto irrigante;
-e un fievole fiottìo accompagnava il poppare, un fiottìo lontano che
-faceva pensare a quello mattutino dei gabbiani sospeso su la bonaccia.
-Gli altri quattro, sazii, dormivano sul dorso come bimbi, mostrando il
-ventre roseo dove l'ombelico era appena chiuso, mostrando la pianta dei
-peducci lucida e tenera come certe fogliette appena nate, che sembrano
-di cera e di lanugine. A quando a quando sussultavano e gemevano come
-se già sognassero. Uno seguitava a poppare in aria, con la bocca molle
-modellata su la forma del capezzolo; e la lingua era concava come un
-petalo carnicino; e la gola palpitava come se tuttora la irrigasse il
-latte.
-
-Mai il primo fiore della vita animale m'era parso più miracoloso.
-La cagna aveva alzato il muso verso la mia carezza, poi s'era volta
-a leccare il poppante che succhiava l'ultima mammella già esausta
-premendola con un'insistenza irosa. Ella gli dava leggeri colpi per
-rivoltarlo sul ventre, ma il catellino tenace non lasciava la presa e
-metteva un suono di dispetto simile a un garrito spento. Era bianco
-pezzato di grigio; aveva una stella in fronte, un orecchio bruno e
-uno roseo, ancor nudo, suggellato come gli occhi, occluso da due o tre
-vescichette lustre. Lo conoscevo bene in tutti i suoi segni, come gli
-altri. E ora tutto mi pareva straordinario, divino come la diversità
-dei fiori, con quegli screzii del pelame, con quelle mischianze
-misteriose dei caratteri materni e paterni. Li avevo veduti escire
-a uno a uno, come piccole nuvole opaline, come sfere azzurrognole,
-come mondi informi: spettacolo nauseabondo e sublime. Avevo veduta la
-infaticabile tenerezza della madre nettarli a uno a uno dall'orrenda
-schiuma, troncare il cordone sanguinante, sospingerli ciechi e sordi
-verso la fonte tiepida della sua vita. Tutto m'era parso grande e
-augusto, portento d'amore e di sapienza; tutto ora mi pareva sacro.
-Come avrei potuto scegliere e condannare? Mi sentivo pronto a qualunque
-ufficio più umile e greve per salvare pur la men bella di quelle
-creature viventi.
-
-L'uomo del canile indovinò la mia pena e mi disse: «Aspettiamo ancóra
-qualche giorno. La nutrice si troverà. Me n'hanno promessa una, nella
-Landa».
-
-Mi mossi verso la Cappella di Nostra Donna. Il cuore mi oscillava tra
-la vita e la morte. Avevo preso meco un mazzo di rose che somigliavano
-quelle ch'io non vedo più, quelle di Toscana alternate coi giaggiuoli
-lungh'essi i muri graffiti dei poderi, a Castel Gherardo, o verso
-il Palagio del Sere, o lassù al Crocifisso Alto. Riudivo il versetto
-intonato da Enrico Suso: «O giovinetta rosa di primavera! _O vernalis
-rosula!»_
-
-Nessuno piangeva, nella casa domenicana. Un dolore composto e taciturno
-annobiliva tutta quella genitura discesa dall'uomo santo. Passai pel
-verone di legno, non scorsi rilucere lo specchio, misi il piede sul
-limitare, vidi qualcosa di bianco nascere, presso e lontano. Prima che
-le pupille scoprissero l'immobile forma, nel mio amore e nella mia
-reverenza due bare si congiunsero. L'umile uomo da bene e il poeta
-indimenticabile erano una sola morte. Ed erano un solo sorriso, una
-sola pace, una sola beatitudine.
-
-Non avevo mai veduto la morte vestita di quel divino pudore, se non in
-certe stele funerarie ad Atene, se non in certe pietre sepolcrali di
-questa terra di Francia, nelle quali il marmorario sembra precorrere
-il lavoro dell'Artefice eterno che al novissimo dì riscolpirà tutti
-i volti secondo la bellezza perfetta. Ogni lesione della vita pareva
-cancellata. Non l'anima soltanto, non soltanto l'anima di sacrificio
-e di preghiera, ma la carne di dolore e di colpa aveva ottenuto
-l'indulto. Tanto dunque una carne miserabile, vaso di dissolvimento,
-può divenir bella nelle prime ore della morte? Ero certo che anche nel
-volto del mio fratello, laggiù, su la collina d'Italia, risplendeva
-quella bellezza.
-
-Posai le rose su' suoi piedi congiunti sotto la coltre bianca. Mi
-chinai a baciarlo in fronte, e non ebbi terrore. Una voce sommessa mi
-chiese: «Non volete pregare per lui?» Mi fu offerto un inginocchiatoio
-leggero, che aveva la predella di paglia. M'inginocchiai. Altre
-creature erano in ginocchio e pregavano, senza susurro.
-
-Volgevo le spalle alla luce. La mia ombra cadeva sul letto funebre,
-stava su le ginocchia sparenti del cadavere, incrociata con quel
-corpo tanto sottile che non s'alzava dal piano più d'un bassissimo
-rilievo né sembrava pesare più della mia ombra. Quanti difficili nodi
-ho conosciuto, dai più robusti che fanno con i canapi i marinai a
-quelli che si piacque di disegnare l'ermetico Leonardo! Ma nessuno mai
-arcano come il groppo di quelle due mani esangui intorno al crocifisso
-d'ebano. Nessuno mi parve mai tanto durevole e indissolubile.
-L'osservavo di continuo, gli occhi miei affascinati fisandosi di
-continuo in quel punto; e non riescivo a comprendere come le dita
-fossero tra loro intessute, come quella cosa pallida e solinga fosse
-connessa.
-
-Il chiarore che tante volte avevo veduto nello specchio spaventoso,
-quel medesimo ora occupava la stanza. Mi volsi un poco a sinistra,
-e scorsi lo specchio coperto d'un lenzuolo bianco. Quali visioni
-insostenibili aveva serbato nel profondo?
-
-Da prima in me fu silenzio. L'umile uomo da bene e il sovrano cantore
-del bene erano una sola morte e una sola santità. Volgevo le spalle
-alla luce del giorno occidente, all'immensa Landa deserta. Era in me
-col silenzio un'attesa senz'angoscia. E a poco a poco uno spirito
-musicale entrava in me. Mi sovveniva della sera d'ottobre, della
-sera d'un altro sabato, d'un abituro presso un'altra Cappella, in
-mezzo a un'altra foresta. Mi sovveniva di Francesco alla Porziuncola
-e dell'ultimo cantico cantato nell'ombra, con la faccia rivolta al
-cielo, mentre i fratelli ascoltavano rattenendo il respiro. «_Voce
-mea ad Dominum clamavi._» Tutto il cielo, quando il Serafico si tacque
-alla soglia d'eternità, tutto il cielo della sera fu pieno d'un coro
-miracoloso di allodole.
-
-Ed ecco, dall'immensa Landa, una melodia sorse e si sparse, una melodia
-che forse già riempiva tutta l'ombra degli alberi piagati ma che non
-fu da me udita se non in quel punto. Di duna in duna, di selva in
-selva, di macchia in macchia, la Landa si fece tutta melodiosa, fino
-all'Oceano. Era un cantico d'ali, un inno di piume e di penne, quale
-non s'ebbe più vasto il Serafico, quale non si sognò così pieno Paulo
-di Dono. Era la sinfonia vesperale di tutta la primavera alata, per
-Giovanni di San Mauro, per l'interprete di ogni aerea voce.
-
-Saliva, saliva senza pause. E a poco a poco, di sotto al salmo silvano,
-si moveva una musica fatta di gridi e di strepiti conversi in note
-armoniose da non so qual virtù della lontananza e della poesia. Erano i
-suoi famigliari che avevano cullato i sogni agresti di Castelvecchio:
-risa di bimbi, favellìo di massaie, uggiolìo di cani, péste di
-cavalli, mugghi di mandre, stridore di carretti. E i galli chiamavano
-e rispondevano, dai chiusi di giunco marino e di bianco spino, come
-se il vespro si mutasse in alba, la quiete in risveglio. E le campane
-sonavano come «nei cilestri monti». E la sera varcava la soglia, simile
-a un grande arcangelo velato.
-
- Giova ciò solo che non muore...
-
-La cella era divenuta cupa come una cripta, ma il salmo della Landa la
-riempiva come il rombo dell'Oceano riempie la conca. Il letto bianco
-era divenuto simile a quelle arche d'argento che splendevano nella
-vecchia contea di Sciampagna; e sopra vi giaceva una statua supina.
-E non era l'effigie d'un morto ma d'un immortale: come le figure del
-secolo di fede, aveva gli occhi aperti perché non credeva se non nella
-Vita. Come nell'antifonario di Santa Barbara, era per levarsi e per
-dire con un'allegrezza imperiosa: «_Aperite mihi portas justiciæ.
-Ingredior in locum tabernaculi admirabilis usque ad domum Dei_». Non
-mostrava le tracce degli anni, i solchi senili; ma era ferma nella
-giovinezza del Risorto, nell'età che tutti gli uomini avranno quando
-saranno per risorgere come Lui. E non le stava sul capo la guglia
-trilobata che sovrasta ai Santi nei pilastri e nelle vetriere della
-cattedrale? E il duomo di Dio, la cattedrale unanime e innumerabile,
-non s'alzava di sopra a quella cripta nuda, con la sua selva di simboli
-e di misteri? E il sole gotico non s'era colcato dietro la grande Rosa?
-
-Il salmo non aveva fine. Tutto pareva salire, ancóra salire, sempre
-salire, nel rapimento di quel canto. Il ritmo della Resurrezione
-sollevava la terra. Io non sentivo più i miei ginocchi, né occupavo
-il mio luogo angusto con la mia persona; ma ero una forza ascendente
-e molteplice, una sostanza rinnovellata per alimentare la divinità
-futura. Cose ignote, esseri ignoti erano per nascere al suono della
-mia prossima voce. Non v'era più ombra né paura di morte in me; né pur
-v'era desiderio o speranza di pace. «Non voglio la pace. Voglio morire
-nella passione e nel combattimento. E voglio che la mia morte sia la
-mia più bella vittoria.» Avevo accesa una nuova lampada ma anche rifuso
-un più ricco olio nell'antica perché riardesse. Mi sentivo figlio di
-me, e le mie labbra non avevano appreso a proferire il nome del Padre
-nell'orazione.
-
-«Amici, è sempre sera e presto sarà notte.» Vedendo guizzare su la
-parete un lume improvviso, mi levai. Qualcuno stava per accendere un
-cero a pie dell'arca imaginaria. Mi levai, mi volsi, uscii. L'atto
-fu così rapido che nessuno mi seguì, tranne un giovinetto. Gli aditi
-erano bui. Non lo distinguevo. Quando mi sfiorò il braccio per passarmi
-innanzi, vidi brillare il bianco de' suoi occhi. Quando fummo sotto
-la tettoia, vidi la sua faccia dorata, le ciocche folte e nere de'
-suoi capelli. Lo sentii tremare mentre m'apriva la porta sul sentiero
-di sabbia. Allontanandomi, non udii il rumore del cardine dietro di
-me; e pensai ch'egli fosse rimasto sul limitare a guardarmi. Ma non
-mi voltai. Mi pareva che un viso nuovo mi fosse nato dal mio spirito.
-L'imagine rivelatrice del giovine dalla sindone mi toccò la cima del
-cuore.
-
-Discesi la duna. Il calcagno s'affondava senza sonare. La Landa ora
-taceva, in una nuvola di pòlline, piena di connubio. Il salmo vesperale
-era cessato. Una costellazione misteriosa si accendeva nel cielo
-violetto. Il tuono remoto dell'Oceano era come il vigore del silenzio.
-
- Giova ciò solo che non muore, e solo
- per noi non muore, ciò che muor con noi.
-
-Ero in quello stato di potenza che talvolta ci fa sentire come il
-vivere non sia se non un continuo creare. Passai presso un cespuglio
-fragrante nell'ombra, che mi divenne un sentimento meraviglioso. D'un
-tratto uno scoppio di passione canora trasmutò il silenzio in un'ansia
-intenta. Le stelle s'appressarono alle chiome dei pini feriti. Cantava
-l'usignuolo.
-
-Vidi brillare il Faro laggiù, su l'estrema lingua di sabbia. M'accorsi
-d'esser vicino alla mia duna. Camminai verso la casa, con l'anima
-rovesciata indietro a ricevere il canto. Un'ombra stava diritta presso
-il cancello, nel luogo medesimo ove soleva aspettarmi l'uomo livido.
-M'appressai con un passo più rapido, con gli occhi aguzzati.
-
-Era uno sconosciuto della Landa che mi conduceva la nutrice. Teneva a
-guinzaglio una cagna da caccia, che a quando a quando mandava fuori
-un lamentìo sommesso. E la voce della madre era così straziante che
-non udii più quella dell'usignuolo. «Dove ha lasciato i suoi piccoli?»
-chiesi allo sconosciuto. Il carnefice li aveva annegati in una tinozza
-d'acqua fredda, tutti: erano dodici! Mi curvai verso la disperata, posi
-un ginocchio a terra. Lo sprazzo rosso del Faro illuminò la sua bella
-testa falba dalle larghe orecchie di velluto, la sua faccia possente
-e pacata ove brillavano due occhi folli. E vedevo galleggiare nella
-tinozza i dodici piccoli cadaveri.
-
-Allora, inginocchiato su la sabbia, le palpai le mammelle ch'erano
-gonfie e calde tra i lunghi peli bianchi e bai. Il forte lezzo della
-maternità mal curata e della cuccia negletta mi rendeva più pesante il
-cuore. E lo sprazzo candido del Faro mi passò sul capo chino.
-
-
-
-
-
-Nota del Trascrittore
-
-Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo
-senza annotazione minimi errori tipografici.
-
-
-
-
-
-End of Project Gutenberg's Contemplazione della morte, by Gabriele D'Annunzio
-
-*** END OF THIS PROJECT GUTENBERG EBOOK CONTEMPLAZIONE DELLA MORTE ***
-
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- </head>
-<body>
-
-
-<pre>
-
-Project Gutenberg's Contemplazione della morte, by Gabriele D'Annunzio
-
-This eBook is for the use of anyone anywhere in the United States and most
-other parts of the world at no cost and with almost no restrictions
-whatsoever. You may copy it, give it away or re-use it under the terms of
-the Project Gutenberg License included with this eBook or online at
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-to check the laws of the country where you are located before using this ebook.
-
-Title: Contemplazione della morte
-
-Author: Gabriele D'Annunzio
-
-Release Date: June 17, 2020 [EBook #62417]
-
-Language: Italian
-
-Character set encoding: UTF-8
-
-*** START OF THIS PROJECT GUTENBERG EBOOK CONTEMPLAZIONE DELLA MORTE ***
-
-
-
-
-Produced by Barbara Magni, elisa and the Distributed
-Proofreading team at DP-test Italia,
-http://dp-test.dm.unipi.it (This file was produced from
-images generously made available by The Internet Archive)
-
-
-
-
-
-
-</pre>
-
-
-<div class="booktitle">
-<h1>
-CONTEMPLAZIONE<br />
-DELLA MORTE.
-</h1>
-</div>
-
-<hr class="silver" />
-
-<div class="titlepage">
-<p class="x-large">
-GABRIELE D'ANNUNZIO
-</p>
-
-<p class="pad2 main-t">
-CONTEMPLAZIONE<br />
-DELLA MORTE
-</p>
-
-<p class="pad6">
-FRATELLI TREVES EDITORI<br />
-MILANO • MCMXII
-</p>
-</div>
-
-<div class="verso">
-<p>
-<i>Seconda Edizione</i> (4.º a 7.º migliaio).
-</p>
-
-<hr class="mid" />
-<p>
-<i>Proprietà letteraria.
-Riservati tutti i diritti.</i>
-</p>
-
-<p>
-Copyright by Fratelli Treves, 1912.
-</p>
-
-<p>
-Tip. Treves.
-</p>
-<hr class="mid" />
-</div>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_v">[v]</span>
-</p>
-
-<h2 id="messaggio">MESSAGGIO.</h2>
-</div>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_vii">[vii]</span>
-</p>
-
-<h3>
-<i>A MARIO PELOSINI DI PISA.</i>
-</h3>
-</div>
-
-<p>
-<i>Mio giovine amico, per quella foglia
-di lauro che mi coglieste su la fresca
-tomba di Barga pensando al mio lontano
-dolore, io vi mando questo libello
-dalla Landa oceanica dove tante volte
-a sera il mio ricordo e il mio desiderio
-cercarono una simiglianza del paese
-di sabbia e di ragia disteso lungo
-il mar pisano.</i>
-</p>
-
-<p>
-<i>Ben so come profondamente nel vostro
-petto fedele voi custodiate la luce
-dell'ora in cui per la prima volta, sconosciuto
-e atteso, varcaste la soglia
-della casa ch'io m'ebbi un tempo alla
-foce dell'Arno tra i ginepri arsicci e
-le baglie marine. Eravate quasi fanciullo,
-<span class="pagenum" id="Page_viii">[viii]</span>
-<span class="upright">generosus puer</span>, ebro di poesia,
-tremante di riconoscenza e d'amore;
-e la divina virtù dell'entusiasmo ardeva
-in voi così candidamente ch'io
-mi credetti riveder me stesso giovinetto
-nell'atto di accostarmi a un puro spirito,
-ora esulato dalla terra, che molto
-amai e molto ascoltai. La casa era
-tanto prossima al frangente che dalla
-finestra non si vedeva se non il flutto,
-come da un'alta prora. E mi piacque
-che intorno a quel nostro primo dialogo
-non paresse stagnare la quiete
-domestica ma spirare quasi la libertà
-d'una navigazione avventurosa. <span class="upright">Anchoras
-praecide</span>. Credo che tal fosse il
-mio primo insegnamento. E ci accomiatammo,
-secondo il costume di coloro
-che non si riposano su alcuna
-certezza o promessa, come se non dovessimo
-rivederci più mai.</i>
-</p>
-
-<p>
-<i>Di lontano, non ebbi da voi se non
-sobrie testimonianze d'un amore sempre
-più forte e d'una fede sempre più
-<span class="pagenum" id="Page_ix">[ix]</span>
-tenace. Cosicché, pensando al prato
-sublime che sta tra il Camposanto e
-il Battistero o alla funebre spiaggia
-tra il Serchio e l'Arno, posso senza
-discordanza pensare a voi prediletto
-tra i pochissimi che sanno amarmi
-come solo voglio essere amato.</i>
-</p>
-
-<p>
-<i>Ecco che riprendo in queste pagine
-una contemplazione già iniziata nella
-solitudine di quel Gombo ove vidi in
-una sera di luglio approdare il corpo
-naufrago del Poeta che s'elesse Antigone
-e vegliai la salma colcata a fianco
-della vergine regia, tra l'uno e l'altra
-sorgendo il fiore «inespugnabile» nomato
-pancrazio.</i>
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01"><i>Poi che non val la possa</i></p>
-<p class="i01"><i>della Vita a comprendere tanta</i></p>
-<p class="i01"><i>bellezza, ecco la Morte</i></p>
-<p class="i01"><i>che braccia più vaste possiede</i></p>
-<p class="i01"><i>e silenzii più intenti</i></p>
-<p class="i01"><i>e rapidità più sicura;</i></p>
-<p class="i01"><i>ecco la Morte, e l'Arte</i></p>
-<p class="i01"><i>che è la sua sorella eternale...</i></p>
-</div></div>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_x">[x]</span>
-</p>
-
-<p>
-<i>Ma, di qua d'Arno, nella selva spessa
-che va sino al Calambrone, in un meriggio
-dello stesso luglio, portai il pensiero
-della fine su i miei piedi nudi
-come una fiera porta la sua fame o la
-sua vigilanza. Il demone del rischio
-mi aveva detto: «Va e gioisci. Beviti
-le musiche degli uccelli e dei vènti,
-abbàgliati delle luci, inèbriati degli
-odori. Una vipera ti ucciderà». Andai,
-e cercai la mia vipera. Portavo leggeri
-sandali di sparto legati ai malleoli
-con corregge sottili. Tanto era
-l'attesa che, quando mi sentii mordere
-la prima volta, non potei trattenere il
-grido. E farmi pallido in quell'aria
-affocata mi pareva una sorta di voluttà
-eroica. Guardai. Non era se non
-la puntura d'una spina: il sangue gocciolava,
-e tutte le vene del piede erano
-gonfie per lo sforzo del camminare
-nella sabbia ardente come la brace o
-su gli aghi arroventati come gli schisti
-del Deserto. «Non ancóra,» E seguitai,
-<span class="pagenum" id="Page_xi">[xi]</span>
-senza guardare a terra, entrando
-sempre nel più folto. E a ogni puntura
-dicevo: «Ecco». E non era se non un
-aculeo più acerbo. E ogni goccia di
-sangue mi pareva più preziosa. E tutti
-i miei sensi divenivano soprannaturali,
-perché creavano una natura più
-potente e più bella. Vedevo fumare dai
-cespugli l'aroma, la vita del pino brillare
-di sotto la scaglia come la porpora
-nel murice, l'esiguo triangolo
-chiaro nella coccola del ginepro significare
-il mistero d'un dio verde il cui
-baleno era la lucertola guizzante. E
-seguitai, seguitai, sanguinando, ma
-senza trovare la mia vipera. Se i miei
-piedi erano gonfii e dolenti, il mio
-capo era perspicuo e lieve come nel
-santo digiuno.</i>
-</p>
-
-<p>
-<i>Un'allegoria è nascosta in ogni figura
-del mondo; e giova, secondo la
-sentenza di san Gregorio, «lo intendimento
-delle allegorie ridurre ad esercizio
-di moralitade». Sotto il più alto
-<span class="pagenum" id="Page_xii">[xii]</span>
-fervore, sotto la più profonda conturbazione
-del mio spirito la mia ferinità
-persiste, o giovine amico. E voi comprenderete
-perché, tornando dall'aver
-contemplato in ginocchio la beatitudine
-del Cristiano sul letto candido,
-io abbia palpato in ginocchio le mammelle
-numerose della Diana Efesia
-sotto la specie brutale.</i>
-</p>
-
-<p>
-<i>Or qual bellezza doveva essere in
-quel Santo, se pareva che la morte le
-convenisse!</i>
-</p>
-
-<p>
-<i>Bisogna credere che sempre e in
-ogni luogo lo spirito dell'uomo sia
-l'iddio verace dell'uomo e che le imagini
-mitiche o incarnate della divinità
-non sieno se non i modi che conducono
-a riconoscere sol quello: sol quello
-<span class="upright">che non si può nominare e a cui non
-si può disobbedire</span>. Gran tempo io diffidai
-del Galileo come d'un nemico,
-per una provvidenza che nel nemico
-pone la salute del forte. Pur non temendo
-il «dio senza muscoli», non
-<span class="pagenum" id="Page_xiii">[xiii]</span>
-m'avvenne di guardarlo negli occhi.
-Nella prima giornata di questo Quatriduo
-si narra come il sùbito pianto
-del vecchio me lo facesse presente. Ora
-a volte Egli se ne va davanti me, cammina
-sopra queste acque come sopra
-il mar di Tiberiade. Ieri si presentò
-su la riva e mi disse: «Getta la rete».
-E quel giovine dalla sindone che ora
-è il mio compagno, del quale si parla
-nella terza giornata di questo Quatriduo,
-si precipitò nel mare «perciocché
-egli era nudo, <span class="upright">erat enim nudus</span>».
-Questi sarà il mio mediatore affinché
-il Figlio dell'Uomo mi conduca a riconoscere
-compiutamente il mio intimo
-Signore. Così, dopo aver cantato tutti
-gli iddii, canterò il mio dio verace. E
-vi manderò il libro di Taigete come lo
-spirital fratello del libro di Alcione
-composto là dove non era altra croce
-se non quella degli staggi sospesa su
-la fiumana in un miracol d'oro. Ed è
-grazia della sorte che questo novo
-<span class="pagenum" id="Page_xiv">[xiv]</span>
-canto s'alzi dall'estremo Occidente
-ove «per cento milia perigli» era
-giunto l'ardore dell'Ulisse dantesco. E
-il dio voglia che, di continuo tendendo
-l'orecchio, riesca io a cogliere il ritmo
-della grande onda occidentale per mescolare
-con esso la mia anima italica.</i>
-</p>
-
-<p>
-<i>Ma qual è il Redentore che voi aspettate,
-che aspettano i vostri eguali?
-Forse un nuovo sentimento sacro riempie
-freschi occhi che non conosco, che
-non vedrò mai. Talvolta, se ascolto,
-mi par d'udire pensieri ascendere come
-l'argento e il cristallo di quel vasto
-coro infantile che saliva dallo Stadio
-nella Città subalpina. Qualcuno scrolla
-e sfonda porte lontane; e par mi giunga
-lo strepito indistinto. Qualcuno reca
-in sé tutta una stirpe occulta e bramosa,
-che chiede di nascere. E chi
-sale contro a me, dall'altro declivio
-del secolo, in silenzio? Colui che io
-ho annunziato?</i>
-</p>
-
-<p>
-<i>Ieri, su l'Atlantico, una imaginazione
-<span class="pagenum" id="Page_xv">[xv]</span>
-mi venne dal ripensare che in
-Tespia il simulacro di Amore era un
-sasso greggio. Anche ripensavo a quegli
-zòani primitivi che aveano le gambe
-congiunte l'una all'altra e congiunte le
-braccia lungo i fianchi sino alle cosce.
-E consideravo la potenza commossa
-dell'artefice che primo disgiunse le
-gambe del dio rude e primo atteggiò
-al gesto le braccia. Per ciò guardo e
-interrogo le mani dei giovani pensosi,
-se sien capaci di tagliare il sasso greggio
-di Tespia. Taluno ha l'aria di aver
-dormito in un tempio e di non voler
-parlare. E la sua faccia par piena di
-segni e di segreti come la palma della
-mano.</i>
-</p>
-
-<p>
-<i>Ma non sempre indarno io ho masticata
-la foglia del lauro, come gli
-indovini, pur temendo gli indovinamenti
-del mio cuore.</i>
-</p>
-
-<p>
-<i>E vengono verso me fantasmi che
-non si generano dai miei sogni.</i>
-</p>
-
-<p>
-<i>E che può mai essere per me il rinascere,
-<span class="pagenum" id="Page_xvi">[xvi]</span>
-se «io nacqui ogni mattina»?
-Ora la cosa non è più tra me e l'alba.</i>
-</p>
-
-<p>
-<i>E ora so che il dio verace è quello a
-cui non si può disobbedire, quello contro
-cui non si può commettere peccato.
-E quello io debbo trovare e conoscere.</i>
-</p>
-
-<p>
-<i>E la qualità della mia fede è tale
-che, quando apro il volume della Comedia,
-io credo aver Dante visitato in
-carne e in ispirito i tre regni.</i>
-</p>
-
-<p>
-<i>E io, il quale volli un tempo essere
-un Maestro, ora so come nulla di ciò
-che è veramente vivo e divino possa
-essere insegnato.</i>
-</p>
-
-<p>
-<i>E io, che più d'una volta respinsi
-l'ingiuria, ora comprendo la parola del
-Crisostomo: «che niuno non può essere
-offeso, se non da sé medesimo».</i>
-</p>
-
-<p>
-<i>E io ricevo ora la forza di tutti i
-miei errori vinti e di tutti i miei mali
-superati, come quel cavaliere del romanzo
-carolingio, il quale ereditava
-il potere di quanti uomini e mostri abbattesse
-la sua lancia.</i>
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_xvii">[xvii]</span>
-</p>
-
-<p>
-<i>E so che gli occhi lontani di quelli
-che piansero e piangono su i miei errori
-e su i miei mali non possono essere
-né puri né profondi.</i>
-</p>
-
-<p>
-<i>E chi prende e soppesa taluna delle
-mie opere, consideri una delle tante mie
-parole che il tumulto impedì d'intendere:
-«I figli miei concetti nell'ebrezza — <span class="upright">come
-delitti sacri alla dimane</span>....»</i>
-</p>
-
-<p>
-<i>E chi mi ama sappia che di ogni
-mia dimora distrutta io ho sempre potuto
-serbare la pietra che porta inciso
-l'enigma della mia libertà: «<span class="upright">Chi 'l tenerà
-legato?</span>»</i>
-</p>
-
-<p>
-<i>E chi mi segue sappia che perfino
-nella mia nave piena di sozii l'istinto
-implacabile della liberazione mi spinse
-più d'una volta a gittarmi solo in mare
-come il poeta di Metimna ma senza
-ricorrere al delfino salvatore.</i>
-</p>
-
-<p>
-<i>E non vorrò mai esser prigioniero,
-neppure della gloria.</i>
-</p>
-
-<p>
-<i>E non vorrò mai riconoscere i miei
-limiti.</i>
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_xviii">[xviii]</span>
-</p>
-
-<p>
-<i>E non vacillerò mai dinanzi alla necessità
-del mio spirito e alla cicuta.</i>
-</p>
-
-<p>
-<i>E non farò mai sosta alle incrociate
-delle mie vie.</i>
-</p>
-
-<p>
-<i>E serberò fresca la vena inestinguibile
-del mio riso pur nella peggiore
-tristezza.</i>
-</p>
-
-<p>
-<i>E dico che l'elemento del mio dio è
-il futuro.</i>
-</p>
-
-<p>
-<i>E dico che ciò ch'io non sono, domani
-altri sarà per mia virtù.</i>
-</p>
-
-<p>
-<i>O giovine amico, ciascuno di questi
-pensieri non è se non il tema d'un inno
-e non può esser condotto a compimento
-se non dal ritmo eroico. E credo avere
-accresciuto il numero delle mie corde
-dopo questi funerali, come il costruttore
-di città, avendo imparato la melodia
-dei Lidii nelle esequie fatte a Tantalo
-da essi Lidii, aggiunse tre corde alle
-quattro della lira.</i>
-</p>
-
-<p>
-<i>Ma pur saprei soffiare su ciascuno
-come il fanciullo su la lanugine del
-cardo argentino, per astringermi di
-<span class="pagenum" id="Page_xix">[xix]</span>
-considerare nella mia memoria quel
-poco di sole che impallidiva su quel
-poco di paglia davanti alla porta del
-mio malato e quel poco di vetro rotto
-che vi luceva come lacrime o rugiada.</i>
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01"><i>Il silenzio era un inno senza voce.</i></p>
-</div></div>
-
-<p>
-<i>Tale potrebbe essere allora il mio silenzio.
-Ma quegli che sale contro a
-me, dall'altro declivio, quando m'incontrerà
-e gitterà il suo grido?</i>
-</p>
-
-<p>
-<i>O mio giovine amico, talvolta la giovinezza
-mi chiama dalle viscere della
-Città come la sirena dall'abisso; e accorro,
-ansioso, alla mia maraviglia e
-alla mia perdizione. Amo cercare nel
-traffico e nell'ignominia della via gli
-occhi dell'Ignoto, gli occhi fissi che mi
-sfidano, gli occhi obliqui che mi sfuggono,
-sotto il rombo senza pensiero. Ho
-su la lingua la cenere dei miei sogni,
-e la mastico per non esserne strozzato.</i>
-</p>
-
-<p>
-<i>La penultima sera d'aprile ebbi nella
-via un compagno ventenne: un volto
-<span class="pagenum" id="Page_xx">[xx]</span>
-imberbe modellato dal pollice ferreo
-del Destino come quello del Beethoven;
-un cuore chiuso in cui forse sonavano
-le quattro note spaventose della Sinfonia
-Quinta. Andavamo a paro, oppressi
-da uno di quei cieli d'uragano
-bassi e rossastri, sotto i quali Parigi
-sembra schiumare e fumigare come un
-bulicame enorme. La carta dei giornali,
-ond'era invasa tutta la città, pareva
-elettrica come quando esce tesa
-dai cilindri della cartiera nei giorni
-secchi scoppiettando di scintille. Il bandito
-famoso era morto laggiù, nella casa
-diroccata e arsa, dopo l'assedio feroce
-e ridevole, gittando l'ingiuria suprema
-fuor del suo capo forato da dodici palle.
-E, mentre era celebrato nei fogli l'eroismo
-degli assediatori coperto di materassi,
-l'atroce parola plebea pareva
-fosse per rimaner sospesa su l'immensa
-adunazione dei tetti sicuri, fino al crollo
-totale. Tutto lo spazio era pieno di violenta
-morte, di bellezza torbida, e di
-<span class="pagenum" id="Page_xxi">[xxi]</span>
-non so che travagli, e di non so che
-presagi, come se il Futuro si chinasse
-dalla nuvola ferrugigna a soffiarci sul
-viso il suo polline ben più potente che
-il vivo solfo della Landa pinosa. E ci
-pareva d'entrare in ogni via come il
-soldato entra nella trincea, ed ogni via
-ci pareva chiusa come i vicoli ciechi,
-e ci pareva di sfondarla con la volontà
-senza gesto. E un branco di bagasce,
-contro un muro infetto dalla lebbrosìa
-degli affissi, ci guatò di sotto ai grandi
-cappelli piumati, con qualcosa di selvaggio
-negli occhi pesti e nelle labbra
-dipinte, simili a menadi sfatte di un
-Dioniso tavernaio. E più in là, dietro
-una vetrina piena di dolciumi stantii
-e di sciroppi inaciditi, scorgemmo la
-Parca Atropo. E più in là, dentro una
-meschina bottega d'oriolaio, intravedemmo
-un Saturno barbato e scerpellato
-che mangiava un lungo rocchio
-di salsiccia figliale, tra orologi morti
-e decomposti.</i>
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_xxii">[xxii]</span>
-</p>
-
-<p>
-<i>Come il mio compagno povero abitava
-nel sobborgo, per aspettare l'ora
-del treno entrammo in un piccolo Caffè;
-e ci sedemmo l'uno accanto all'altro
-davanti a una lastra di marmo su cui
-la traccia lasciata da una sottocoppa
-sporca disegnava il circolo dell'eternità.
-E il luogo ignobile s'empì del
-nostro tumulto inespresso, come una
-conca è piena di rombo oceanico che
-solo un orecchio aderente ode. E, quando
-il tavoleggiante accese sul nostro
-capo il becco del gas, vidi la bocca del
-mio compagno simile alla bocca dei
-mutoli che vogliono parlare; e forse
-era piena della parola nuova, o forse
-soltanto di saliva angosciosa. E guardai
-anche quel chiarore su le sue mani
-pallide, pensando al sasso di Tespia.
-E non mai ebbi così grande il sentimento
-d'un dio ignoto che divorasse
-un'anima gonfia.</i>
-</p>
-
-<p>
-<i>«Bisogna che ci separiamo e che
-poi ci ritroviamo». Tornai indietro solo,
-<span class="pagenum" id="Page_xxiii">[xxiii]</span>
-verso la febbre notturna; e alzavo di
-tratto in tratto gli occhi al volto indistinto
-che dalla nuvola si chinava verso
-me come quelle strigi gotiche dalle
-gronde delle cattedrali. E, passando
-per una via angusta, di colpo la bertuccia
-d'un merciaiuolo ambulante mi
-saltò su le spalle. E tutto il lastrico
-sonò di risa e di motti plebei. E l'ingiuria
-lugubre dell'uomo dal capo forato
-era sospesa nel crepuscolo pregno
-d'una forza senza nome. Ma il mio
-compagno ventenne, traballando laggiù
-nel treno tardo, udiva forse Amfione
-preludiare sopra un mucchio di
-calcinacci.</i>
-</p>
-
-<p>
-<i>Ora bisogna che anche noi ci separiamo
-e poi ci ritroviamo, mio giovine
-amico.</i>
-</p>
-
-<p>
-<i>Addio.</i>
-</p>
-
-<p class="indl">
-Dalle Lande, maggio 1912.
-</p>
-
-<p class="indr">
-<i>G. d'A.</i>
-</p>
-
-<div class="dedica">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_1">[1]</span>
-</p>
-
-<p>
-ALLA MEMORIA
-</p>
-
-<p>
-DI
-</p>
-
-<p>
-GIOVANNI PASCOLI
-</p>
-
-<p>
-E DI
-</p>
-
-<p>
-ADOLPHE BERMOND.
-</p>
-</div>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_3">[3]</span>
-</p>
-
-<h2 class="hidden" id="viiaprile">VII APRILE MCMXII</h2>
-
-<div class="figcenter"><a id="fill-003"></a>
- <img src="images/ill-003.jpg" alt="VII APRILE MCMXII" />
-</div>
-</div>
-
-<p>
-Anche una volta il mondo par diminuito
-di valore. Quando un grande poeta
-volge la fronte verso l'Eternità, la mano
-pia che gli chiude gli occhi sembra suggellare
-sotto le esangui palpebre la più
-luminosa parte della bellezza terrena.
-Penso che Maria dolce sorella, la tessitrice
-dalle mani d'oro, a cui Giovanni
-chiamato dai suoi morti chiedeva un
-giorno in una tenue ode divina il «funebre
-panno», abbia compiuto pur quell'officio,
-ella che è virile in pietà come
-Caterina da Siena. E chi allora fu di lei
-<span class="pagenum" id="Page_4">[4]</span>
-più certo che nel cari occhi abbuiati
-dalla pressura scompariva anche l'allegrezza
-dell'aprile presente?
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Fantasma tu giungi,</p>
-<p class="i01">tu parti mistero.</p>
-<p class="i01">Venisti, o di lungi?</p>
-<p class="i01">ché lega già il pero,</p>
-<p class="i01">fiorisce il cotogno</p>
-<p class="i01">là giù.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Se imagino i suoi occhi nell'ultima
-ora e se imagino le rondini all'Osservanza
-«quelle dal petto rosso e quelle
-dal petto bianco» traversanti pel vano
-della finestra nel cielo di Pasqua, mi
-torna alla memoria una sua parola d'or
-quindici anni, in cui — non so perché — parvemi
-veder riflesso il baleno del
-balestruccio come in un marmo nero
-levigato. Parlava egli alle volatrici nella
-favella francescana, e diceva: «Vorrei
-avere tutto il dì, mentre sto curvo sui
-libri, negli occhi intenti ad altro, la vertigine
-d'ombra del vostro volo!» Oggi
-<span class="pagenum" id="Page_5">[5]</span>
-riodo gli stridi delle sue compagne sotto
-le grondaie lontane, e vedo in que' suoi
-occhi <i>intenti ad altro</i> la vertigine d'ombra.
-Quella parola ch'egli credeva dire
-per la sua vita, egli la diceva per la sua
-morte; e io non sapevo che, fra tante
-di cui sono immemore, mi fosse penetrata
-così a dentro e si fosse accresciuta
-di questa funebre bellezza.
-</p>
-
-<p>
-Ieri un caso volgare e ammirabile mi
-diede il modo di assistere continuamente
-col pensiero il mio amico nella sua agonia.
-E più tardi, per una rispondenza
-misteriosa, potetti ascoltare la musica
-infinita che la sera faceva intorno al
-suo silenzio.
-</p>
-
-<p>
-Lo credevo quasi guarito, o almeno
-fuor d'ogni pericolo. Notizie recenti mi
-assicuravano ch'egli fosse per tornare
-alle sue consuetudini cotidiane e per
-riprendere il lavoro disegnato. Venerdì
-notte, cedendo alla svogliatezza primaverile,
-lasciai a mezzo la mia pagina;
-e mi misi a sfogliare qualche libro di
-<span class="pagenum" id="Page_6">[6]</span>
-figure. Mi venne fatto di scorrere la
-raccolta delle acqueforti pascoliane di
-Vico Viganò. Per confrontare il ritratto
-inciso del poeta con una imagine d'esattezza
-fotografica, cercai il volume illustrato
-dell'<i>Inno a Roma</i> credendo che
-ci fosse. La memoria m'ingannava: non
-c'era. Ma mi soffermai su l'impronta
-dell'ascia sepolcrale romana; e rilessi i
-bellissimi esametri.
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01"><i>Ascia, teque eadem magnae devovit in oris</i></p>
-<p class="i01"><i>omnibus Italiae, dein toto condidit orbe...</i></p>
-</div></div>
-
-<p>
-Anche una volta l'evocatore delle auguste
-forze scomparse aboliva nel mio
-spirito l'errore del tempo. Riconoscevo
-a quel dilatato respiro del mio sogno
-uno dei più alti suoi doni; perché certe
-sue evocazioni dell'antico si avvicinano
-ai limiti della magia. Qualcosa di magico
-è nella potenza repentina onde un
-grande poeta s'impadronisce dell'anima
-nostra. A un tratto l'immensa notte
-oceanica s'empiva de' suoi fantasmi. Il
-<span class="pagenum" id="Page_7">[7]</span>
-numero del suo verso si prolungava in
-una lontananza solenne, fin là dove la
-parola dell'inno vedico pareva la sua
-stessa eco ripercossa dall'invisibile confino.
-«Ciò ch'io ti prendo, o Terra,
-racquisterai presto. Possa io, o pura,
-non ferire alcuna tua parte vitale, non
-il cuor tuo».
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01"><i>Roma sed exsistens e sulco pura cruento</i></p>
-<p class="i01"><i>sacravit Terrae Matri, qua laeserat et qua</i></p>
-<p class="i01"><i>esset per gentes omnes laesura, bipennem.</i></p>
-</div></div>
-
-<p>
-La notte era tranquilla ma non serena,
-con istelle forse infauste, prese in
-avvolgimenti di veli e di crini. L'acqua
-dell'insenata non aveva quasi respiro,
-ma di là dalle dune e dalle selve l'Oceano
-senza sonno faceva il suo rombo. Nondimeno
-questa quiete comunicava con
-quel tumulto, e la sabbia di quella riva
-tormentosa era simile alla sabbia di
-questa che si taceva. Così talvolta, nella
-più agitata angoscia, un meandro profondo
-della nostra coscienza rimane in
-<span class="pagenum" id="Page_8">[8]</span>
-pace. E dove dunque era per approdare
-l'Ulisse dell'<i>Ultimo viaggio?</i> su questa
-o su quella riva?
-</p>
-
-<p>
-Ora mi chiedo con turbamento perché
-di tratto in tratto il mio spirito interrompesse
-il suo fantasiare per cercar
-di rinvenire in sé l'aspetto mortale del
-poeta. Non mi pareva di ritrovarlo
-nell'acquaforte dell'artista lombardo, né
-sapevo dove cercarne un'imagine precisa.
-E, se chiudevo gli occhi e mi
-sforzavo di ricomporne le linee sul
-fondo buio, il volto indistinto si dissolveva
-in bagliori. Allora mi ricordai
-d'avergli detto un giorno: «Se tu
-avessi il viso tutto raso e se tu non
-sorridessi, somiglieresti a Piero de' Medici
-com'è scolpito da Mino». Ma in
-verità egli non s'era mai lasciato guardare
-da me fisamente.
-</p>
-
-<p>
-La nostra amicizia soffriva d'una strana
-timidezza che non potemmo mai vincere
-perché i nostri incontri furono sempre
-troppo brevi. Era un'amicizia «di
-<span class="pagenum" id="Page_9">[9]</span>
-terra lontana» come l'amore di Gianfré
-Rudel, e per ciò forse la più delicata e
-la più gentile che sia stata mai tra emuli.
-Si alimentava di messaggi e di piccoli
-doni. Da prima egli temeva che la sua rusticità
-e la sua parsimonia mi dispiacessero,
-come io temevo che gli increscesse
-la mia diretta discendenza dalla brigata
-spendereccia. Egli forse pensava che
-qualcosa di vero ci dovesse pur essere
-in fondo alle dicerie della cialtronaglia.
-Un giorno lo colpì la schiettezza del
-mio riso dinanzi a certe sue esitazioni;
-e allora gli parve di potermi offrire l'ospitalità
-nella sua casa di Castelvecchio,
-poiché l'acqua il pane e le frutta erano
-il mio regime consueto di «operaio della
-parola». Ma la sorte volle ch'io non conoscessi
-il sapore del pane intriso rimenato
-e foggiato a crocette, secondo
-l'usanza di Romagna, dalle mani di Giovanni
-e di Maria. Spesso, alla buona stagione,
-eravamo vicini; e vedevamo entrambi,
-al levarci, la Pania e il Monte
-<span class="pagenum" id="Page_10">[10]</span>
-forato. Ma non avemmo agio né forse
-voglia di visitarci, perché ci sembrava
-pur sempre che qualcosa delle nostre
-persone facesse ingombro alla familiarità
-dei nostri spiriti. Di Boccadarno io
-gli mandai un di que' coltelli ingegnosi
-che hanno nel manico tutti gli arnesi
-del giardiniere, dalle cesoie al potaiolo.
-Di Versilia gli mandai un'ode curvata
-in ghirlanda con l'arte mia più leggera.
-</p>
-
-<hr class="tbs" />
-
-<p>
-Ma come c'incontrammo la prima volta?
-A Roma, per insidia. Già ci amavamo
-da tempo; e avevamo scambiato
-molti messaggi affettuosi e quelle lodi
-acute, d'artiere ad artiere, che s'inseriscono
-alla cima dello spirito e fanno
-dimenticare la grossezza dei solenni tangheri
-i quali oggi in Italia giudicano
-di poesia. Trovandosi in Roma, egli
-certo desiderava di vedermi; ma, nel
-momento di porre ad effetto il suo proposito,
-la timidezza lo arrestava; né i
-<span class="pagenum" id="Page_11">[11]</span>
-nostri amici riescivano a persuaderlo,
-né io riescivo a scovarlo in alcun luogo.
-Allora Adolfo de Bosis, il principe del
-silenzio, il nobilissimo signore di quel
-<i>Convito</i> che fu «presame d'amistade»
-fra i pochi deliberati d'opporsi alla
-nuova barbarie ond'era minacciata la
-terra latina, ricorse a un grazioso stratagemma.
-Me lo condusse di buon'ora,
-all'improvviso, nella mia casa, dandogli
-ad intendere che lo conducesse a veder
-una statua di Calliope ritrovata nel limo
-del Tevere la sera innanzi, divinamente
-levigata da secoli d'acqua. Io era in
-giorni di splendida miseria, abitando
-nell'antica selleria dei Borghese, tra Ripetta
-e il Palazzo, tra il fiume torbo e
-quel «gran clavicembalo d'argento» celebrato
-in un sonetto dell'adolescenza.
-La vuota selleria principesca era di così
-smisurata grandezza che rammentava
-la sala padovana del Palazzo della Ragione,
-se bene mancasse non giustamente
-in su l'ingresso la pietra del vitupèro
-<span class="pagenum" id="Page_12">[12]</span>
-«lapis vituperii et cessionis bonorum».
-In tanta vastità io non avevo se non
-un letto senza fusto, un pianoforte a
-coda, una panca da tenebre, il gesso
-del Torso di Belvedere, e la gioia del respirar
-grandemente. Come Adolfo spinse
-alla soglia il poeta delle <i>Myricae</i> e mi
-chiamò al soccorso, balzai mezzo vestito.
-E due confusioni si abbracciarono senza
-guardarsi. L'ingannatore rideva nel vederci
-così vergognosi mentre tuttavia ci
-tenevamo per mano. Poi ci sedemmo
-su la panca, felici, senza far molte parole,
-nessuno di noi temendo il silenzio
-che è sì soave quando il cuore
-si colma. Eravamo sani e resistenti entrambi,
-sentivamo la nostra purità nel
-divino amore della poesia, preparati alla
-disciplina e alla solitudine. L'uno promettendo
-di superar l'altro, eravamo
-certi di non iscoprir mai su i nostri
-volti «il livido color della petraia». Una
-potenza oscura si accumulava nelle nostre
-profondità: egli doveva ancóra comporre
-<span class="pagenum" id="Page_13">[13]</span>
-i <i>Poemi conviviali</i> e io dovevo
-ancóra cantare le <i>Laudi</i>. O bel mattino
-in sul principio della state, quando Roma
-ha gli occhi chiari di Minerva che nutre
-a sua simiglianza i pensieri degli uomini!
-Entrava il sole pe' cancelli delle
-finestre, e il romore del ponte frequente,
-che pareva l'antico «assiduo murmure»
-del Tevere. Ma il fiume sacro non aveva
-parlato ancóra a traverso il bronzo dell'inno,
-non aveva ancor chiamato l'anima
-dei forti gridando:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01"><i>Heus, rostro navis qui terram scinditis unco,</i></p>
-<p class="i01"><i>quam detraxistis navi iam reddite proram</i></p>
-<p class="i01"><i>atque in me longos infindite vomere sulcos</i></p>
-<p class="i01"><i>usque ad coeruleum, iuvenes, maris aequor, et ultra.</i></p>
-<p class="i01"><i>Est operae!</i></p>
-</div></div>
-
-<p>
-La grandiosità del Torso erculeo bastava
-a riempiere le mie mura; perché era
-quel terribile frammento titanico presso
-cui Michelangelo decrepito e quasi cieco
-si faceva condurre per palparlo. (Or
-potevan dunque le sue mani toccare un
-<span class="pagenum" id="Page_14">[14]</span>
-marmo senza riscolpirlo intero?) Avevamo
-dinanzi ai nostri occhi un esemplare
-sovrano e quasi direi il cànone
-eroico; ma ignoravo quale di noi due
-ne fosse tócco più a dentro. Se avessimo
-potuto saperlo, forse avremmo conosciuto
-la nostra misura. Come gli
-guardai le mani, delle quali sono sempre
-curioso, egli le ritrasse con un atto
-quasi fanciullesco. Io volevo osservare
-le dita che avevano foggiato l'odicina
-per le due sorelle e i madrigali dell'<i>Ultima
-passeggiata</i>. Allora sorridendo gli
-ripetei i primi versi del <i>Contrasto</i>:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Io prendo un po' di silice e di quarzo:</p>
-<p class="i01">lo fondo; aspiro; e soffio poi di lena:</p>
-<p class="i01">ve' la fiala, come un dì di marzo,</p>
-<p class="i01">azzurra e grigia, torbida e serena!</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Con quelle stesse mani che aveva nascoste,
-egli fece un gesto di disdegno
-potente. Sentii quanto vi fosse di virile
-in colui che passava tra le umili mirici
-per salire verso la rupe scabra. E poi
-<span class="pagenum" id="Page_15">[15]</span>
-parlammo d'Odisseo e della predizione
-di Tiresia.
-</p>
-
-<p>
-Questo fu il nostro primo incontro. E
-l'ultimo fu nella sua casa bolognese dell'Osservanza,
-qualche settimana prima
-della mia partenza per l'ultima avventura:
-triste commiato di chi era per
-farsi fuoruscito a chi restava legato dalla
-catena scolastica.
-</p>
-
-<p>
-Tutto il giorno m'ero lasciato condurre
-dalla mia malinconia nei luoghi ove ella
-più potesse gravarmi. M'ero indugiato
-su la piazza solitaria che la tomba di
-Rolandino fa pensosa, e quella dei Foscherari,
-degna d'un cantore, sotto i suoi
-archetti verdi, alzata sopra le sue colonne
-simili al coro delle Muse nel numero.
-Ed ero entrato nel tempio domenicano
-di rosso mattone: tra il sepolcro
-bianconero di Taddeo Pepoli e il monumento
-di Re Enzio avevo sentito soffiare
-su me l'ambascia dell'Olifante senza
-più suono.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_16">[16]</span>
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Va, ma non giunge. È un brusìo d'ombre vane</p>
-<p class="i01">ch'ode Re Enzio, quale in foglie secche</p>
-<p class="i05"> notturna fa la pioggia e il vento.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-E m'ero poi smarrito nel sacro laberinto
-di San Stefano, nella Basilica delle
-sette chiese. Misteri ed imagini per ogni
-dove, e il colore del fumo e il colore
-del grumo. Sanguigno e fumoso il chiostro,
-e sopravi l'ombra della torre quadrata,
-e nell'ombra il pozzo tra le due
-colonne, la carrucola di legno consunta,
-che non stride più; e fra gli interstizii
-dell'ammattonato l'erba umile, e intorno
-intorno, ai davanzali delle finestre alte,
-i vasi di basilico. E poi nell'altro cortile,
-fra il cotto, la grande tazza di pietra,
-il fonte senz'acqua ove nessuno si
-battezza più; e il tabernacolo d'oro luccicante
-a traverso i vetri appannati; e
-nel vano della finestra, su una colonnetta,
-il Gallo che canta; e, da presso,
-il Vescovo colcato nel marmo sepolcrale,
-che il canto non risveglia più; e, dietro
-l'altare irto di candelabri ferrei, le rudi
-<span class="pagenum" id="Page_17">[17]</span>
-arche di granito che l'ascia mistica tagliò
-nel sangue pietrificato dei Martiri;
-e la luce che passa nell'abside per gli
-alabastri fulvi come quel miele amaro
-di cui si nutriva il Battezzatore.
-</p>
-
-<p>
-Perché oggi, della Città ove per fato
-si spengono i nostri grandi poeti, non
-vedo se non quella piazza mortuaria e
-quel laberinto cristiano? In quella piazza
-vuol ripassare il mio dolore seguendo il
-feretro del mio fratello, e nel più profondo
-dei sette luoghi, nel settimo, nella
-Confessione sotterranea, vuole accompagnarlo
-e deporlo. Bologna non ha oggi
-per me se non quella faccia misteriosa,
-se non quella bocca piena di freddo alito
-e di sublime silenzio.
-</p>
-
-<p>
-Chi potrà dire quando e dove sien
-nate le figure che a un tratto sorgono
-dalla parte spessa e opaca di noi e ci
-appariscono turbandoci? Gli eventi più
-ricchi accadono in noi assai prima che
-l'anima se n'accorga. E, quando noi cominciamo
-ad aprire gli occhi sul visibile,
-<span class="pagenum" id="Page_18">[18]</span>
-già eravamo da tempo aderenti all'invisibile.
-Oggi mi sembra che quel
-pellegrinaggio meditativo non fosse veramente
-una preparazione spirituale alla
-visita ch'io era per fare ma fosse già
-la visita, e che nessuna delle parole ch'io
-dissi poi valesse quelle che andando io
-diceva al mio compagno senza carne.
-</p>
-
-<p>
-Ma, quando mi ritrovai nella strada,
-pensai a quella creatura divina che sempre
-m'era parso dovesse stargli nella
-casa a conforto, sola quella, con la sua
-lampada e co' suoi libri. Qualora le Città
-nobili usassero far doni ai poeti, che
-mai avrebbe potuto donare Bologna all'estremo
-Omeride se non la testa dell'Athena
-Lemnia? Sembra escita da certe
-visioni tumultuose dei <i>Poemi conviviali</i>,
-sembra una duratura bellezza provata
-dalla strage e dall'incendio, un frammento
-dissepolto di sotto alle rovine
-d'un antico assedio. Ha il viso e il collo
-chiazzati di ferrugigno, come ingrommati
-di sangue vetustissimo; e sotto il
-<span class="pagenum" id="Page_19">[19]</span>
-collo, nello sterno e nella clavicola, è
-come infoscata dal fuoco che appiccarono
-al tempio i saccheggiatori corazzati
-di bronzo.
-</p>
-
-<p>
-E troppo tardi mi ricordai d'avergliene
-promessa l'impronta. Sapevo che
-n'era stato tratto il gesso, ma per notizia
-vaga; e i custodi del Museo civico
-non seppero darmi alcun ragguaglio.
-Tuttavia, non potendo per allora portargli
-l'imagine, quanto di me gli diedi
-con la meditazione ch'io feci dinanzi al
-cippo, nella grande sala deserta, ove
-come la sua poesia quella forma sovrana
-era sola tra ruderi e cocci mediocri.
-</p>
-
-<p>
-Salii dunque all'Osservanza con qualche
-fiore. Ero così pieno di pensieri che
-non ritrovo nella memoria l'aspetto delle
-cose, perché le guardai con occhio disattento.
-Non entravo in una casa ma in
-un'anima che pareva volersi fare per me
-ancor più bella. Se la vita non mi avesse
-dato altro che quell'alta ora di amicizia,
-pur la stimerei generosa e mi direi contento
-<span class="pagenum" id="Page_20">[20]</span>
-d'aver vissuto in mezzo agli uomini.
-Della nostra timidezza non si mostrò
-se non un'ombra, sul principio,
-quando, guardandolo io, egli mosse il
-capo in non so qual modo sfuggente e
-batté le palpebre come per cancellare la
-lesione crudele degli anni e spandere
-sul suo volto appesito gli spiriti alacri
-dell'amore. Volevo dirgli: «Non ti peritare,
-fratello. Vedi quanto anch'io sono
-leso. Ma oggi la carne miserabile non
-c'ingombra; e io qui respiro la più pura
-essenza della tua poesia. Tu hai l'aspetto
-della tua forza immortale; e non è fatto
-dalle tue labbra il sorriso della tua tristezza.
-Siediti ancóra accanto a me, come
-quella volta su la panca da tenebre.
-Siamo due pazienti artieri. Quanto abbiamo
-travagliato e quanto sopportato,
-da quel mattino di Roma! Non tentò
-taluno di far verghe de' miei allori per
-batterti, flagelli de' tuoi lauri per flagellarmi?
-Ma chi prevarrà contro la nostra
-pazienza e contro la nostra fede? Bastava
-<span class="pagenum" id="Page_21">[21]</span>
-che di tratto in tratto, di sopra
-allo schiamazzo, ci dessimo la voce. Ora
-siediti. Non t'ho mai amato come oggi.
-Faccio una breve sosta; e poi riprendo
-il mio cammino, lasciando dietro di me
-tutti i miei beni vani».
-</p>
-
-<p>
-Mi sedetti su la sua sedia, dinanzi
-alla sua tavola. Le sue carte, le sue
-penne, i suoi inchiostri erano là. Tutto
-era semplice ed usuale, come in una
-qualunque stanza di chi abbia un cómpito
-modesto. Ma un sentore di sapienza
-pareva impregnare ogni oggetto, e le
-mura e il soffitto e il pavimento, come
-se la qualità stessa di quel cervello
-maschio si fosse appresa al luogo del
-lavoro. Non so in che modo significar
-tal mistero. Un'aria singolare è nella
-fucina, anche quando non rugge il fuoco;
-perché gli arnesi, gli ordegni, tutti gli
-strumenti fabrili, anche non maneggiati,
-quivi esprimono con la loro forma la
-lor destinazione e quasi direi suggeriscono
-la potenza a cui serviranno. Nello
-<span class="pagenum" id="Page_22">[22]</span>
-studio d'uno scultore fecondo la quantità
-della creta, le armature, i modelli,
-le forme cave, gli abbozzi coperti dai
-teli molli, le cere da sbavare, i bronzi
-da rinettare, gli scarpelli, le lime, i bossoli,
-gli odori stessi delle materie plastiche
-rappresentano lo sforzo del creatore.
-Ebbene, qualcosa di simile mi pareva
-fosse presente in quella piccola stanza
-tranquilla e ordinata, ove certo le mani
-di Maria avevan dato pace alle pagine
-scorse: qualcosa che oserei chiamare la
-presenza del dèmone tecnico.
-</p>
-
-<p>
-In nessun laboratorio d'uomo di lettere
-m'era avvenuto di sentire la maestria
-quasi come un potere senza limiti. Penso
-che nessun artefice moderno abbia posseduto
-l'arte sua come Giovanni Pascoli
-la possedeva. La sua esperienza era
-infinita, la sua destrezza era infallibile,
-ogni sua invenzione era un profondo
-ritrovamento. Nessuno meglio di lui
-sapeva e dimostrava come l'arte non sia
-se non una magìa pratica. «Insegnami
-<span class="pagenum" id="Page_23">[23]</span>
-qualche segreto» gli dissi a voce bassa.
-E volevo soltanto farlo sorridere; ma,
-in verità, un'ombra di superstizione era
-sul mio sentimento.
-</p>
-
-<p>
-Egli prese un'altra sedia e venne a
-sedermisi accanto, dinanzi alla tavola.
-Parlammo di qualche recente opera.
-Le sue mani, quando soppesavano i
-volumi, erano una tremenda bilancia.
-Dal vigore di certi suoi giudizii ebbi la
-riprova che il suo spirito era tuttora
-immune da qualunque debolezza. La
-sua stima era severa come la sua arte.
-Mescolando egli un che d'amaro al suo
-discorso, io gli dissi: «Se hai tempo,
-va alla Pinacoteca e cerca d'una tela
-del Francia, dove un Santo Stefano porta
-sopra un suo libro tre pietre, in segno
-della lapidazione. Metti tre pietre sopra
-ogni tuo nuovo libro e datti pace». Egli
-rispose col suo riso arguto: «Ma quello
-stolto dello struzzolo m'ingolla il libro
-e le pietre».
-</p>
-
-<p>
-Non più sembrava timido; anzi indovinavo
-<span class="pagenum" id="Page_24">[24]</span>
-in lui non so che tenerezza protettrice
-e il desiderio contenuto di chiedermi
-ch'io gli parlassi de' miei guai.
-Io era bene il suo fratello minore, ed
-egli pareva cercasse il modo di sopportare
-il mio carico. Mi ricordo d'una
-bella parola antica ch'egli mi ripetette
-con una maravigliosa nobiltà: «Acciocché
-tu più cose possa, più ne sostieni».
-Questa parola oggi la scrivo sul muro
-della casa straniera, e considero d'averla
-ricevuta da lui per testamento.
-</p>
-
-<p>
-Poi fece l'atto d'alzarsi, mi prese per
-mano e mi disse: «Vieni ora a vedere
-la cameretta che ho per te, quando tu
-la voglia». Un candore infantile ardeva
-in lui; e il primo verso del sonetto di
-Francesco Petrarca mi sonava nella memoria.
-Era una piccola stanza chiara,
-quasi una cella di minorita, con un di
-que' letticciuoli che persuadono a serbare
-una sola attitudine per tutta la
-durata del sonno. Come rispondendo
-alla domanda sommessa che gli avevo
-<span class="pagenum" id="Page_25">[25]</span>
-fatta dinanzi alla sua tavola prodigiosa,
-mi mormorò in un orecchio: «Quando
-sarai qui, allora sì che t'insegnerò un
-segreto». Lietamente gli dissi: «Non
-potrò venire se prima non abbia uccisi
-tutti quei mostri che sai. Mi bisogna ancora
-andare alla guerra». Ahimè, era egli
-in pace? Non lo travagliava di continuo
-la stessa abondanza del suo amore?
-</p>
-
-<p>
-Si volse per passare nello stretto
-andito, mostrandomi le spalle. Si creò
-nell'aria uno di quegli attimi di silenzio
-che serrano il capo di un uomo come in
-un masso di ghiaccio diafano. E guardai
-la persona del mio amico con occhi
-divenuti straordinariamente lucidi; e la
-pietà mi strinse, che ha talvolta il pugno
-sì crudele. Pareva egli portasse alle
-spalle tutto il peso della sua tristezza,
-tutta l'oppressione delle sue miserie. La
-fronte augusta s'era celata, e non si
-vedeva contro il muro biancastro se
-non l'ingombro corporale vestito di
-panni che il lungo uso aveva fatto quasi
-<span class="pagenum" id="Page_26">[26]</span>
-dolenti, non rimaneva là se non la soma
-greve ove s'intossica la vita che non è
-se non il levame della morte.
-</p>
-
-<p>
-Volle accompagnarmi fin su la strada,
-se bene io m'opponessi. La sua salute
-era già minacciata, già dubbioso era il
-suo passo. Cadeva su noi una di quelle
-sere emiliane, umide e cinericce, che
-sembrano generarsi laggiù, tra la foce
-del Reno e la bocca del Po di Goro,
-nella grande palude salmastra. Soffiava
-su noi un vento ambiguo, che pareva
-dolce e poi a un tratto ci dava il brivido
-con una folata fredda. La vettura
-m'attendeva poco discosto, coperta e
-nera, con i due cavalli che mal reggevano
-la lor fatica su le gambe arcate.
-Non parlavamo più. C'era intorno a noi
-una specie di silenzio soffice.
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">E c'era appena, qua e là, lo strano</p>
-<p class="i01">vocìo di gridi piccoli e selvaggi...</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Ma udivamo anche le nostre péste «né
-vicine né lontane.» L'uno chiamò il nome
-<span class="pagenum" id="Page_27">[27]</span>
-dell'altro nell'addio. Ci abbracciammo.
-Come sul viale il vento rinforzava ed
-egli pareva infreddolito dentro il bavero,
-gli dissi: «Va, va, rientra. Non restar
-qui». Si voltò per andare; e i cavalli
-avevan messo le radici, tanto stentarono
-a muoversi. Sicché ebbi tempo
-di seguirlo con lo sguardo e con l'angoscia
-fino alla porta. Ed ecco, lo stesso
-silenzio repentino della umile stanza mi
-serrò il capo nello stesso ghiaccio trasparente.
-E, come egli fu alla soglia, si
-voltò ancóra e levò il braccio verso me
-a risalutarmi. Da quel fagotto di panni
-stracchi s'alzò il braccio possente che
-su per l'erta aveva brandito la «piccozza
-d'acciar ceruleo».
-</p>
-
-<p>
-Una voce d'eroe, quella voce omerica
-ch'egli aveva tradotto con sì rude efficacia,
-mi scoppiò dentro e franse il gelo.
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Datosi un colpo nel petto, al suo cuore drizzò la parola:</p>
-<p class="i01">— Cuore, sopporta! ben altro tu hai sopportato più cane!</p>
-</div></div>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_28">[28]</span>
-</p>
-
-<p>
-E non per me, ma per lui. Vedevo,
-come quel braccio levato, sorgere dall'intimo
-di quell'uomo casalingo e cauteloso
-la costanza d'una virtù virile, la
-durezza d'una vita fatta di disciplina, di
-coraggio e di dominato dolore. Il suo orgoglio
-s'era formato a poco a poco nel
-fondo della sua solitudine come il diamante
-nell'oscurità della terra. «Da me,
-da solo, solo con l'anima...» Egli s'era
-fatto degno d'incontrarsi con Achille
-e con Elena, e di parlare su la tomba
-terribile di Dante.
-</p>
-
-<p>
-Ancóra non so come sia trapassato;
-ma voglio esser certo che, s'egli talvolta
-nella vita pianse in disparte, non si velò
-di lacrime nel fisare la morte. Forse escì
-dalla sua bocca qualche bella e semplice
-parola, prima che la lingua gli si
-annodasse dietro i denti e che lo spirito
-gli si sciogliesse nel gran ritmo.
-</p>
-
-<p>
-Aveva già dato tutto il meglio di sé,
-o serbava nel cavo della mano ancóra
-qualche ferace semenza? Che importa?
-<span class="pagenum" id="Page_29">[29]</span>
-Certo, mille e mille ancóra speravano
-in lui. Agguagliandosi alla linea dell'orizzonte,
-egli avrebbe potuto dire verso
-i suoi fedeli: «Io vi mostro la morte
-compitrice, la morte che per i vivi diviene
-incitazione e promissione.» E costoro
-nell'acciaio della sua ascia sepolcrale
-potrebbero veder riflesse le stelle
-dell'Orsa.
-</p>
-
-<div class="figcenter"><a id="fill-029"></a>
- <img src="images/ill-029.jpg" alt="" />
-</div>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_31">[31]</span>
-</p>
-
-<h2 class="hidden" id="xiaprile">XI APRILE MCMXII</h2>
-
-<div class="figcenter"><a id="fill-031"></a>
- <img src="images/ill-031.jpg" alt="XI APRILE MCMXII" />
-</div>
-</div>
-
-<p>
-Non so se nella vertigine d'ombra,
-quando tutto ritorna per poi dileguarsi,
-io gli sia apparito. Sembra che le cose
-obliate e gli esseri più lontani e gli
-eventi più remoti e perfino i frantumi
-dei non interpretati sogni abbiano grazia
-nell'agonia dell'uomo. Se questo è
-vero, forse il fiore della mia amicizia
-ondeggiò nel suo crepuscolo come quel
-tenue ramo ch'io colsi e curvai per lui
-tra l'Alpe e il Mare, o forse come quel
-salso giglio della solitudine che pensando
-ad Antigone io mandai alla sua sorella
-immacolata.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_32">[32]</span>
-</p>
-
-<p>
-Un'accelerazione della sorte volle ch'io
-l'assistessi con lo spirito nelle sue ultime
-ore fino al suo transito. La notte del
-venerdì, m'ero beato della sua poesia
-e l'avevo imaginato convalescente. La
-mattina ch'è innanzi al Resurresso, mentre
-mi disponevo all'opera, ebbi d'improvviso
-l'annunzio funebre. Qualcuno,
-dalla patria, mi chiedeva una parola
-per la morte del poeta! E il poeta non
-era spirato ancóra, anzi aveva ancóra
-da superare un lungo patimento. Ma
-l'inopportuno, pur violando la gentilezza
-umana, secondava una congiuntura misteriosa
-a cui debbo una delle più profonde
-ore di mia vita. Credetti il transito
-avvenuto la sera del Venerdì Santo
-e già deposta la salma sul letto mortuario.
-E dove poteva Maria aver alzato
-quel letto se non nella stanza delle vigilie,
-nell'angusta fucina del grande artiere, tra
-le mura riarse dalla vampa del cervello
-maschio? Ero certo di questo; e per
-tutta la mattina il mio pensiero non
-<span class="pagenum" id="Page_33">[33]</span>
-cessò un attimo dall'insistere nel luogo
-lontano che cercavo di ricostruire con
-lo sforzo della memoria. E a poco a
-poco la mia coscienza entrò in quello
-stato che precede il canto.
-</p>
-
-<p>
-Ora avevo nella Landa un altro amico
-sospeso da più settimane tra la vita e
-la morte, condannato irremissibilmente.
-Era il mio ospite, lo straniero affabile
-da cui ebbi la casa tranquilla su la
-duna, dove abito da due anni.
-</p>
-
-<p>
-Non ricordo se Gioviano Pontano nel
-suo capitolo <i>De tolerando exilio</i> e Pietro
-Alcionio nella sua giudiziosa dissertazione
-impressa dal Mencken in
-<i>Analecta de calamitate litteratorum</i>
-pongano tra le delizie del fuoruscito volontario
-o involontario il delicato sapore
-dell'amistà contratta oltremonte ed oltremare.
-Ma certo l'aroma della résina
-verso sera e la fragranza delle ginestre
-sotto vento a levata di sole non mi ricrearono
-mai quanto certi brevi colloquii
-con quel mirabile vecchio che sarebbe
-<span class="pagenum" id="Page_34">[34]</span>
-stato carissimo al cantore di
-Paolo Uccello, s'ei l'avesse conosciuto.
-</p>
-
-<p>
-Si chiamava Adolphe Bermond, nato
-su la Garonna, nella città vinosa ch'ebbe
-per sindaco il gran savio Michel de Montaigne
-reduce da Roma e per consigliere
-quel candido e invitto Etienne de la
-Boëtie imitatore del Petrarca e traduttore
-dell'Ariosto. Aveva quasi ottant'anni;
-e, quando lo conobbi la prima
-volta, mi parve d'averlo già veduto tra
-le diecimila creature scolpite o dipinte
-nella cattedrale di Chartres. Aveva nel
-volto la tenuità la spiritualità e non so
-qual trasparenza luminosa, che lo assimigliavano
-alle imagini delle vetriere e
-delle porte sante.
-</p>
-
-<p>
-Venne in un pomeriggio di gennaio,
-a marea bassa, quando la spiaggia è
-liscia e sparsa d'incerte figure e scritture
-nericce al modo di quelle lapidi
-terragne cancellate dai piedi e dalle
-ginocchia dei fedeli. Scendeva dalla Cappella
-di Nostra Donna dell'Imbocco e
-<span class="pagenum" id="Page_35">[35]</span>
-aveva seco il libro del cristiano, legato
-di cuoio bruno, che anch'esso era liscio
-e lustro d'assiduità come il dosso d'un
-messale. Entrò nella stanza con un passo
-alacre e lieve, ché la grande età non
-l'aveva punto aggravato; e sùbito sentii
-ch'egli entrava anche nel mio gradimento.
-Tutto il suo viso era illuminato
-d'una fresca ingenuità che pareva mutasse
-le grinze da tristi solchi senili in
-vivaci segni espressivi, immuni dalla
-vecchiezza come le rughe delle arene,
-delle conchiglie, delle selci. I suoi occhi
-erano più chiari di quel cielo invernale,
-più pallidi dell'acqua intorno al banco
-di sabbia scoperto; e il sorriso vi pullulava
-di continuo dall'intimo. La sua
-voce era ancor bella, misurata da giuste
-cadenze; e la consuetudine delle preghiere
-senza suono faceva sì che le parole
-sembrassero disegnate dalle labbra
-prima d'esser proferite.
-</p>
-
-<p>
-Come s'accostò alla mia tavola, scorse
-spiegata su le carte l'imagine intiera della
-<span class="pagenum" id="Page_36">[36]</span>
-Santa Sindone. Come volse gli occhi in
-giro, vide le pareti interamente coperte
-delle più diverse imagini di San Sebastiano,
-sul leggìo d'un armònio la <i>Matthäus-Passion</i>
-del Bach, sul marmo
-del camino i gessi delle quindici statuette
-di piagnoni appartenenti al sepolcro
-del duca Jean de Berry, su l'assito
-alcuni frammenti della grande Rosa
-di Reims, in un angolo una delle Virtù
-che Michel Colombe scolpì per la tomba
-di Francesco II duca di Bretagna. Non
-dimenticherò mai il leggero tremito del
-suo mento e quel misto di stupefazione
-e di gratulazione, che dava alla sua vecchiaia
-non so che fervore di giovinezza.
-Una fiammata allegra di pino e di pigne
-favellava su gli alari, con lo scroscio
-e il friggìo della résina.
-</p>
-
-<p>
-Componevo nella lingua cara a Ser
-Brunetto il <i>Mistero di San Sebastiano</i>,
-ed avevo già compiuta la scena tra il
-Santo e gli Schiavi sotto la volta magica
-ove brillano i sette fuochi planetari,
-<span class="pagenum" id="Page_37">[37]</span>
-quando gli infelici e gli infermi domandano
-che il novo dio si manifesti per
-segni nel Confessore.
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01"><i>Esclaves, esclaves, oui, coeurs</i></p>
-<p class="i01"><i>épaissis!</i></p>
-</div></div>
-
-<p>
-Il vecchio si chinò esitante su le pagine
-tormentate. V'eran quasi, in verità,
-le tracce d'una lotta sanguinosa, tanto
-l'inchiostro rosso delle didascalie e le
-cancellature violente e gli emistichii
-più volte riscritti e i margini tempestati
-di richiami facevano ardua ed
-aspra la carta. «Anche l'arte, come
-la vita, è una milizia» egli disse «e
-chi dà più di sangue riceve più di
-grazia.»
-</p>
-
-<p>
-Quella parola sùbito mi toccò, tanto
-la rendeva religiosa l'accento. Allora
-gli parlai della mia opera, con un ardore
-che lo sbigottiva e lo rapiva. In
-quel servitore di Dio, a cui la carne
-pesava così poco, ritrovavo non so che
-affinità con la disciplina ascetica a cui
-<span class="pagenum" id="Page_38">[38]</span>
-m'ero costretto per giorni e per notti.
-Anch'egli era una sostanza infinitamente
-vibrante, un amore attivo e indefesso.
-La sua comprensione era pronta come
-il gesto della mano che riceve e serra
-quel che le è offerto. Talvolta, nella
-pausa, mi pareva di veder discendere
-il mio pensiero in lui come un anello
-gettato in un'acqua limpida, sino al
-fondo, e quetarsi.
-</p>
-
-<p>
-Sincero e puro, non dubitò della mia
-sincerità e della mia purità. Cattolico
-ferventissimo, dedito a tutte le pratiche
-della divozione, non fu turbato da alcuna
-inquietudine, non fu punto da alcuno
-scrupolo. Mi sentiva ardere, e questo
-gli bastava. Non sapeva imaginare un
-poeta senza dio, né un dio diverso dal
-suo. Chi mai restava solo con me nelle
-mie notti? Certo egli credeva che fosse
-in me lo spirito medesimo ond'era nata
-quella figurina della Rosa di Reims, che
-chinandosi aveva raccolta e teneva ora
-fra le sue dita magre.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_39">[39]</span>
-</p>
-
-<p>
-Mi pregò di leggergli una scena del
-Mistero. Volli leggergli quella ch'era
-ancor calda del travaglio e non ancor
-distaccata dalle mie viscere.
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01"><i>A toi, nous venons tous à toi,</i></p>
-<p class="i01"><i>Seigneur!</i></p>
-</div></div>
-
-<p>
-Gli schiavi accorrevano verso il guaritore.
-La lamentazione si prolungava
-per gli anditi tortuosi. Gli infermi apparivano,
-portati a braccia dai parenti,
-agitati, illuminati di speranza. Gridavano
-i loro mali, le loro piaghe, le loro angosce.
-Chiedevano d'essere sanati, d'essere
-liberati. Chiamavano a testimonianza
-quelli di loro che nascondevano
-nelle pieghe del saio i rotoli delle Scritture,
-perché quelli conoscevano i miracoli
-operati dal dio novello. Ed ecco,
-tutte le guarigioni erano noverate, l'una
-dopo l'altra: il lebbroso era mondo, il
-paralitico camminava, il cieco vedeva,
-il lunatico e l'ossesso avevano pace,
-l'idropico era alleviato delle sue acque,
-<span class="pagenum" id="Page_40">[40]</span>
-il figlio della vedova di Naim sorgeva
-dalla sua bara. Ma un dei leggitori di
-rotoli ripensava il miracolo più profondo,
-ripensava il cadavere quatriduano,
-e gridava: «Ti sovvenga di Lazaro!»
-E l'incredulità di Didimo era
-addotta. Didimo voleva vedere le ossa
-disgiunte ricongiungersi e favellare. Il
-Cristo gli aveva risposto: «Le ossa
-disgiunte io te le mostrerò ricongiunte.
-Vieni a Betania, Didimo, vieni con me.
-Gli occhi di Lazaro vuotati della putredine,
-io te li mostrerò pieni di visione.
-Vieni con me, Didimo. Le labbra imputridite
-su i denti di Lazaro, le vedrai
-muovere, le udirai favellare. Vieni a
-Betania, Didimo, se vuoi vedere e udire,
-vieni con me.» Queste testimonianze
-adducevano gli schiavi, per volere il
-segno. E allora Sebastiano balzava a
-ghermire con mano terribile l'anima
-dei miseri. Egli medesimo evocava il
-Risuscitato, sembrava con la sua voce
-far presente il miracolo nell'ombra calda
-<span class="pagenum" id="Page_41">[41]</span>
-di aneliti. Come il pargolo nelle fasce,
-il cadavere era avvolto nelle bende.
-«Lazaro vieni fuori!» Primo, fuor della
-pietra, sorgeva il ginocchio...
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01"><i>Le genou surgit le premier.</i></p>
-</div></div>
-
-<p>
-M'interruppi, perché avevo sentito il
-vecchio sussultare e levarsi. Egli era in
-piedi davanti a me, sconvolto, senza
-colore, affannoso. Era l'uomo di fede,
-il servo di Dio, lo spettatore ideale a
-cui si manifestava il mio poema con le
-virtù della musica e dell'apparizione.
-Ebro, imaginai dietro di lui una moltitudine
-che gli somigliasse. E non volli
-dargli tregua. Anche la mia parola fu
-come il tizzo che incendia la stoppia
-quando rinforza il vento.
-</p>
-
-<p>
-Ora gli schiavi chiedevano di vedere
-almeno l'effigie. «Poiché tu hai abbattuto
-tutti gli iddii di sangue e di fango,
-alza dinanzi a noi l'effigie del dio novo,
-che possiamo conoscerlo, che possiamo
-adorarlo!» Sapevano essi ch'Egli soleva
-<span class="pagenum" id="Page_42">[42]</span>
-apparire ai discepoli. Non era Egli apparso
-al Confessore? «Il suo volto è
-celato, il suo corpo è velato.» Un'angoscia
-mortale serrava il petto di Sebastiano,
-illividiva le sue labbra, fiaccava
-le sue giunture. Implacabili erano i súpplici,
-inappagate le pupille della carne
-loro. Eglino volevano la presenza del
-dio novo. «Non ha più corpo; sangue
-più non ha. Ha dato il suo corpo e il
-suo sangue per le creature.» Ma i segreti
-leggitori dei rotoli sapevano che
-col suo corpo e col suo sangue era apparso
-ai discepoli, sapevano ch'Egli
-aveva lor mostro le mani e il costato,
-e ch'essi avevan veduto le lividure, e che
-Didimo aveva posto il dito entro la piaga,
-e che dopo Egli aveva rotto il pane e
-mangiatolo, aveva anche mangiato un
-pezzo di pesce abbrustolito. «Come
-potresti amarlo di tanto amore? Come
-potresti chiudere gli occhi, essere così
-smorto e in tutte le vene tremare di
-tanto amore, se tu non avessi mai conosciuta
-<span class="pagenum" id="Page_43">[43]</span>
-la sua faccia? Tu tremi.»
-Flutto vermiglio non mai sgorgò da
-gola recisa né onda di lacrime da dolor
-colmo, come allora dal petto santo scoppiava
-l'angoscia. «Tremo perché su l'anima
-mia porto peso d'obbrobrio. L'han
-percosso coi pugni, l'hanno schiaffeggiato,
-gli hanno sputato addosso. La
-sua faccia è contraffatta. Gli sputi e il
-sangue gli colano per le gote. Tutti i
-denti gli tentennano nella bocca enfia.
-E le sue palpebre, e i suoi occhi,
-ahimè!»
-</p>
-
-<p>
-Credo che in quel punto la voce mi
-si spegnesse, perché mi si serrava la gola.
-E allora un sentimento mai provato mi
-scrollò le radici dell'essere, perché a un
-tratto udii il suono d'un pianto umano
-che non avevo udito mai, tra quelle quattro
-mura deserte e lontanissime da ogni
-rumor del secolo udii il profondo singhiozzo
-del «consumato Amore» che
-cantò Jacopone, scorsi le medesime lacrime
-che avevano rigato il viso di Francesco
-<span class="pagenum" id="Page_44">[44]</span>
-in ginocchio dinanzi al Crocifisso
-di San Damiano o errante intorno alle
-mura della Porziuncola.
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">O secca anima mia,</p>
-<p class="i01">che non puoi lacrimare!</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Non mi mossi. Poteva quel pianto essere
-consolato o interrotto? E quale
-parola poteva esser detta, che valesse
-in dolcezza una sola di quelle lacrime?
-E, in verità, qual cosa avrei potuto trovare
-dentro di me più bella di quella
-«nuditate d'amore» che mi si mostrava
-all'improvviso in un vecchio già inchinato
-verso la tomba? E come potrei
-ora significare la qualità di quel pianto
-«pieno di consolanza?» Il Beato ha
-espressa la legge dell'ineffabile.
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Quello ch'è non si può dire,</p>
-<p class="i01">puossi dir quel che non è.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-E un rammarico simile al rimorso m'assale,
-mentre ne scrivo. E avrei serbato
-il dono nel mio segreto, se il mio amico
-<span class="pagenum" id="Page_45">[45]</span>
-elevato dalla sua santa morte alla condizione
-di mistero glorioso non mi sorridesse
-oggi a traverso quella visiera di
-cristallo. Ma potrà comprendere soltanto
-colui che fra mille canti sa distinguere
-la melodia nata dal cuore della Terra
-e tra le parole dei Vangeli la parola
-che per vero esci dalle labbra di Gesù
-e resta in eterno piena del suo soffio
-vivente. Fino a quell'ora io aveva udito
-gli uomini piangere in un altro modo,
-e li avevo veduti confinati e fissi nel
-luogo delle loro lacrime come il ferito
-giace nella pozza del suo sangue, e me
-medesimo dalla pietà ristretto e quasi
-prigione di miseria. Il pianto di quel
-cristiano pareva sonare su la malinconia
-del mondo; e il Volto illividito dalle
-gotate, lordo di sputi e di sangue, pareva
-impresso nel pallido cielo come
-nel pannolino della Veronica ma per
-me in non so che maniera indefinita e
-futura. E, quando uscimmo, il silenzio
-dell'immensa Landa, con le sue miriadi
-<span class="pagenum" id="Page_46">[46]</span>
-di tronchi dissanguati dal ferro del resiniere,
-con le innumerevoli sue piaghe
-di continuo rinfrescate e allargate, con
-il perpetuo suo gemito aulente, era come
-il silenzio d'una moltitudine dolorosa
-che non si lagna perché accetta il suo
-cómpito e la sua pena. E io compresi
-quella parola d'avvenire, che dice come
-la natura sia per trasformarsi a poco a
-poco in cerchio spirituale e il tutto sia
-per sublimarsi in anima.
-</p>
-
-<p>
-Chi anche ha parlato di «membra
-mistiche dell'uomo»? In qualche ora
-sembra che noi non riconosciamo taluno
-degli atti più consueti della nostra
-vita corporale. Come camminavamo,
-l'uno a fianco dell'altro, sul sordo sentiero
-coperto dagli aghi dei pini? Non
-v'era divario tra il passo del vecchio e
-il mio, perché il nostro passo non era
-delle nostre ossa, dei nostri muscoli,
-dei nostri tendini. Se bene andassimo
-davanti a noi, io aveva in me il sentimento
-di volgere indietro quel che più
-<span class="pagenum" id="Page_47">[47]</span>
-di me ferveva, come la face trasportata
-rovescia la cima della sua fiamma. Gli
-occhi del mio amico erano appena rasciutti;
-e il luogo, ove il «consumato
-Amore» aveva pianto, e l'evento avverato
-erano già come avvolti in un velo
-di memoria, i cui lembi ondeggiavano
-verso la mia più fresca infanzia. La
-commozione ancor mi teneva tutto, la
-realtà non soltanto era recente ma presente
-ancóra; e pure una parte di me
-faceva uno sforzo ansioso per ricordarsi
-di non so che altro, per raffigurarsi non
-so che cosa di più profondo e di più
-dolce. Ma può l'attesa avere la figura
-della rimembranza?
-</p>
-
-<p>
-Non parlavamo. Di tratto in tratto io
-lo guardavo con l'angolo dell'occhio; e
-mi stupivo che un viso di tanta vecchiaia,
-lavato dalle lacrime, mi rammentasse
-per la sua espressione certi episodii
-patetici della fanciullezza: uno tra
-gli altri. Un giorno avevo fatto piangere
-la mia cara sorella Anna, per un capriccio
-<span class="pagenum" id="Page_48">[48]</span>
-crudele; e poi l'avevo racconsolata,
-sbigottito, perché ella era tanto
-sensibile che quando le accadeva di piangere,
-anche per una cosa lieve, pareva
-l'avesse colpita una sciagura irreparabile
-ed ella fosse per stemprarsi nel
-suo dolore. Vedendomi così pentito e
-afflitto, ella si sforzava di raffrenare il
-singulto e di rasciugarsi le guance. E
-mi ricordo che io la presi per mano e
-la condussi per una rèdola, tra due
-campi di lino; e avevamo con noi il nostro
-cane paziente ch'era stato la causa
-del litigio. E di tratto in tratto io la
-sogguardavo; ed ella, per non farmi più
-pena, cercava di vincere il singulto ostinato
-che le scrollava il piccolo petto, o,
-come per togliergli l'acredine, lo preveniva
-con un sorriso che si rompeva
-sùbito. E allora mostrava d'esser contenta
-di tutto quel cilestro del lino,
-come s'io gliel'avessi donato; e pareva
-che non io volessi rientrare nella sua
-grazia ma sì volesse ella farsi perdonare.
-<span class="pagenum" id="Page_49">[49]</span>
-E v'era nella sua attitudine tanta
-tenerezza e gentilezza che non potei più
-sostenerla, e mi feci tutto lacrimoso anch'io,
-con suo sgomento.
-</p>
-
-<p>
-Non so perché, questo ricordo mi rifiorì
-dal cuore mentre camminavo a
-fianco del vecchio. E mi pareva di andare
-errando senza mèta per un paese
-che io non conoscessi; ma egli sapeva
-la sua via. Ci ritrovammo a piè della
-duna ove sorge la Cappella, e salimmo,
-tra i giovani pini, sino al limitare. Egli
-non disse alcuna parola per invitarmi a
-entrare nel suo rifugio. Mi tese la mano,
-e mi diede la sua amicizia come nella
-Domenica delle Palme si dà il rametto
-d'ulivo su la porta della chiesa azzurra
-d'incenso. Portando meco la cosa preziosa,
-discesi la china, mi dilungai per
-la Landa.
-</p>
-
-<p>
-Era prossima l'ora del vespro, ma l'aria
-pareva non rattenere della luce se
-non le particelle d'argento. Di là dalla
-selva non scorgevo i lidi, ma ricevevo la
-<span class="pagenum" id="Page_50">[50]</span>
-quiete della bassa marea; che è come
-quando la febbre decade nel polso cui
-vien sottratta qualche oncia di sangue.
-Non avevo mai sentito vivere gli alberi
-di tanta doglia. Taluno aveva un sol taglio
-nel piede; altri l'aveva sino a mezzo
-il tronco scaglioso; altri portava una ferita
-viva accanto a una rammarginata;
-altri era svenato a morte, con solchi che
-incavavano l'intero fusto simili alle scanalature
-nella colonna dorica. E il succo
-vitale stillava e colava per tutto: i vaselli
-d'argilla n'erano colmi. Qualche
-resiniere ancóra s'attardava a rinfrescare
-una piaga; e s'udiva risonare il
-ferro nel vivo, senza lagno. Ciascun albero
-aveva il suo martirio, quasi che in
-ciascuno abitasse uno spirito avido di
-soffrire e di sanguinare come l'eroe divino
-da me eletto.
-</p>
-
-<p>
-E in quella sera feci l'invenzione del
-Lauro ferito. Il corpo di Sebastiano si
-distaccava lasciando tutte le frecce nel
-tronco del lauro d'Apollo. Le asticciuole
-<span class="pagenum" id="Page_51">[51]</span>
-scomparivano nella carne miracolosa come
-un vanire di raggi. «Rivivrai, rivivrai!
-Ritornerai!» gridavano gli Adoniasti.
-</p>
-
-<p>
-D'allora innanzi il mio novello amico
-mi visitò sovente. Come io faceva di
-notte giorno, egli soleva venire su la
-fine del pomeriggio, quando ero per
-accendere il mio fuoco. Mi ricordava il
-principio dell'inno di Sant'Ambrogio
-<i>Ad completorium</i>:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01"><i>Te lucis ante terminum...</i></p>
-</div></div>
-
-<p>
-Entrava in punta di piedi, parlando a
-voce bassa, come nell'oratorio. Temeva
-di turbare il silenzio e di smuovere le
-cose invisibili che si nutrivano d'esso.
-Restava seduto per breve tempo dinanzi
-al camino; e io vedevo dalla mia tavola
-la sua testa d'antico Donatore inginocchiato
-nell'angolo d'una pala d'altare
-inclinarsi di sotto alle statuette dei Piagnoni
-funerarii. Egli pareva essere per
-me il messaggero e l'interprete di quell'età
-<span class="pagenum" id="Page_52">[52]</span>
-da cui avevo raccolta una forma
-d'arte caduta in dissuetudine per rinnovellarla.
-Ma forse egli era assai più
-antico, e aveva partecipato a quel pellegrinaggio
-che si partì da Bordeaux
-nell'anno 333 seguendo l'<i>Itinerarium
-Hierosolymitanum</i>, come io gli dicevo
-per motteggio. Però nelle sue «stationes»
-e «mutationes» a traverso i secoli
-egli doveva essersi attardato più lungamente
-in quella immobile serenità che
-splende nella <i>Passione</i> di Bourges come
-nelle metope arcaiche d'un tempio
-greco. Egli ne portava tuttavia l'illuminazione
-su la sua fronte.
-</p>
-
-<p>
-E, se è vero che tutte le cose certe
-sono vive e tutte le incerte sono morte,
-la sua meravigliosa certezza lo poneva
-di là dalla vita come una creatura compiuta
-e immutabile. M'appariva dal suo
-discorso ch'egli considerava la storia
-del mondo come la rappresentano le
-cattedrali della terra di Francia. A simiglianza
-dei maestri marmorai e vetrai,
-<span class="pagenum" id="Page_53">[53]</span>
-egli credeva che, dopo l'avvento di
-Gesù, non avesse il mondo avuto altri
-grandi uomini, se non i confessori i
-dottori e i martiri. Nel suo spirito come
-nel santuario, i conquistatori e i vincitori
-avevano il luogo più basso. Così
-nelle vetriere essi sono genuflessi ai piedi
-dei Santi, piccoli come fantolini, gracili
-come i fili d'erba nelle commessure dei
-gradini sacri. Persisteva in lui la coscienza
-di quegli che compose lo <i>Speculum
-historicum</i> facendo la minor
-parte agli imperatori e ai re, la massima
-agli abati, ai monaci, ai pastori, ai
-mendicanti. Per lui, come per il domenicano
-protetto da San Luigi, i più
-alti fatti non erano i trattati le incoronazioni
-e le battaglie ma la translazione
-d'una reliquia, la fondazione d'un monastero,
-la guarigione d'un ossesso, la
-beatificazione d'un eremita. La tremenda
-lotta moderna, combattuta con i congegni
-più perigliosi e con le volontà più
-crudeli, aveva per lui la medesima importanza
-<span class="pagenum" id="Page_54">[54]</span>
-ch'ebbe per Vincent de Beauvais
-la grande giornata di Bouvines,
-posta modestamente tra l'istoria di Santa
-Maria d'Oignies e l'istoria di San
-Francesco poverello. Simile a quei pellegrini
-che traversavano gli eserciti nemici
-avendo per solo salvacondotto in
-sul cappello il piombo effigiato di San
-Michele del Periglio o di Sant'Egidio
-di Linguadoca, egli passava immune a
-traverso il secolo d'acciaio. Anche dinanzi
-ai traffici della sua città operosa
-e danaiosa egli doveva aver di continuo
-negli occhi quella parete del Camposanto
-di Pisa ove un nostro pittore — che
-fu, quanto lui, divoto di San Domenico — dipinse
-la Tebaide degli anacoreti
-come un mondo verace in un
-mondo fallace. E la Via lattea certo era
-pur sempre per lui il cammino di San
-Iacopo, e i bagliori in cima agli alberi
-delle navi erano i fuochi di Sant'Elmo;
-e San Medardo era ancóra il signore
-dell'utile pioggia.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_55">[55]</span>
-</p>
-
-<p>
-E nulla d'angusto, nulla di meschino
-s'accompagnava in lui a questa ingenua
-fede. La sua indulgenza era grande come
-la sua disciplina. Egli era venuto
-verso me con abondanza di cuore non
-certo attratto da odor di santità ma
-solo dal pregio di un'anima sempre vigile;
-perché una povera serva gli aveva
-detto che io consumavo nelle mie notti
-più olio d'oliva che non ne bisognasse
-alla lampada perpetua della Cappella.
-E la finezza della sua mente corrispondeva
-alla delicatezza del suo cuore. Un
-nobile ritegno governava ogni suo atto
-e ogni sua parola, quando egli era per
-appressarsi all'intima vita dell'amico.
-Non prodigava i consigli, anzi non ne
-dava quasi mai; ma la sua semplice
-presenza era un soccorso coperto.
-</p>
-
-<p>
-Vidi un giorno su la collina di Francavilla,
-in un sentiero selvaggio che conduceva
-al Convento ove col mio grande
-e puro Francesco Paolo Michetti mi credo
-aver vissuto i miei giorni migliori, vidi
-<span class="pagenum" id="Page_56">[56]</span>
-un giorno a maraviglia per una proda
-il tronco tagliato d'un vecchio alloro
-rimettere un gran numero di germogli
-che al lor nascere avevan l'aria di sprizzare
-dal legno come faville verdi. Ogni
-volta che passavo, il tronco pareva cangiare
-tutte quelle cimette vive in lingue
-loquaci per dirmi: «Non disperare, non
-disperare». Non altrimenti risfavillava
-di sempre fresca speranza il mio amico.
-Egli conosceva la sentenza e la vignetta
-dell'<i>Ars moriendi</i>. «Havvi un sol fallo
-grave al mondo: il fallo di chi dispera.
-Ben più colpevole fu Giuda in disperare
-che il Giudeo in crocifiggere Gesù.» E,
-quando andava a visitare i poveri, gli
-infermi, i prigionieri e ogni sorta di
-peccatori in angustia, soleva dire che
-quattro Santi l'accompagnavano: San
-Pietro il qual rinnegò tre volte il suo
-Maestro; Maria Maddalena a cui tanto
-pesò la sua carne impura; il persecutore
-San Paolo che Iddio convertì con
-la folgore; il buon ladrone che non si
-<span class="pagenum" id="Page_57">[57]</span>
-pentì se non nelle braccia della croce
-infame.
-</p>
-
-<p>
-Come taluno dei nostri Beati italiani,
-egli conciliava in sé quei doni che appartengono
-alla vita contemplativa con
-quei doni che appartengono alla vita
-attiva «poiché tutti procedono da uno
-spirito stesso». Per lunghi anni nella
-sua città natale egli governò le corporazioni
-cattoliche più operose, ed esercitò
-la carità con tal larghezza da meritare
-il soprannome d'Elemosinario.
-«Dispersit, dedit pauperibus.» Donò
-grandemente, e senza contare, e sempre
-di nascosto. Non so s'egli abbia mai ricoverato
-nel suo letto un mendicante,
-come quel Blaise Pascal del quale ignorò
-sempre i tormenti le vertigini e le febbri;
-ma più volte, come un servo umile
-e pronto, rigovernò la casa de' suoi
-poveri e de' suoi malati. Quegli che
-aveva tanta luce su la sua fronte, amava
-aver tanta ombra su le sue mani!
-Per lui non era detto già: «Nesciat sinistra
-<span class="pagenum" id="Page_58">[58]</span>
-tua quid faciat dextera tua», ma era
-detto: «Non sappia la tua destra quel
-che la tua destra dà». Quando la segreta
-elemosina ebbe di molto assottigliato
-il suo patrimonio, lo punse carità
-dei figli, ch'ebbe numerosi e ben
-nati. Divise tra loro il rimanente, avendo
-altrove conquistato una indivisibile signoria;
-e si ritrasse nella Landa ad abitare
-seco. Che cosa debba fare colui
-che seco abita, egli lo sapeva dall'Antico
-ma meglio dalla sua stessa aspirazione.
-«Secum purgatur, orat, legit, et
-meditatur.»
-</p>
-
-<p>
-Divotissimo era di San Domenico; e
-sotto il vocabolo del sublime amico di
-San Francesco è posto il tetto ch'egli
-mi concesse. Per umiltà egli volle andare
-ad abitare nell'antica infermeria
-dei Padri Domenicani, che aveva ricomperata
-a causa d'amore. È una bruna
-casipola di legno, tra l'ombra della Cappella
-e l'ombra della pineta. In quella
-scelse la stanza più modesta, sapendo
-<span class="pagenum" id="Page_59">[59]</span>
-che «la cella di continuo abitata diventa
-dolce». Quando la Landa rombava come
-l'Oceano, allo sforzo del vento, egli
-credeva essere sopra un vascelletto in
-punto di salpare per l'ultimo viaggio.
-Ma quando l'oro primaverile colava
-sul balcone giù dal minuto crivello dei
-pini e gli uccelli facevano il lor concerto,
-quella era la casa lieve ch'io
-m'avevo sognata più d'una volta, era
-«la casa in sul ramo», lieve, sonora,
-pronta.
-</p>
-
-<p>
-Aveva quivi trasportato un piccolo organo
-da mantici, perché amava la musica
-sacra e sonava con grazia qualche
-mottetto. Come quel soave domenicano
-Enrico Suso, egli si piaceva di chiamarsi
-«il servitore»; e, come lui, doveva
-certo ogni mattina, svegliandosi
-all'ora della Salutazione angelica, udire
-entro di sé una voce cantare nel modo
-minore le parole: «Maria, la Stella del
-Mare, ecco, si leva».
-</p>
-
-<p>
-Un giorno, entrando, lo trovai assopito
-<span class="pagenum" id="Page_60">[60]</span>
-davanti alle due tastiere; e trattenni
-il piede e il respiro per non isvegliarlo,
-tanta beatitudine mi apparì nel
-suo volto. Ripensai a quel ch'egli m'aveva
-narrato del giovine Suso. Forse
-anch'egli sognava d'essere nel mezzo
-del concerto celeste a cantare il Magnificat;
-e la Vergine gli veniva incontro
-e, per segno d'aver gradito un'offerta
-di rose, gli comandava di cantare il
-versetto: «O vernalis rosula!»
-</p>
-
-<p>
-Fin dalla sua prima visita, fin dall'ora
-di quel pianto repentino che rimase in
-fondo alla nostra amicizia come non so
-che misteriosa freschezza, credo ch'egli
-sperasse di volgermi all'esercizio della
-preghiera secondo il suo rito. Ma non
-mai, neppure per un attimo, assunse
-aspetto e tono di convertitore. Aveva
-un suo modo gentilissimo di farmi sentire
-che v'era fra noi un bel segreto,
-del quale non conveniva ragionare. Talvolta,
-se qualche mia parola giusta lo
-toccasse, mi guardava intento, sospeso,
-<span class="pagenum" id="Page_61">[61]</span>
-con uno sguardo singolare in cui pareva
-quasi direi trasposta l'attenzione
-d'un'orecchia inclinata, fattosi somigliante
-a tale che abbia udito un suono
-rivelatore e ne segua le onde per ansia
-di riconoscerlo. Talvolta anche, in certe
-pause, mi dava imagine di un uomo
-che, stando in una contrada al principio
-della primavera quando i succhi cominciano
-a muovere, si ponga in ascolto
-per desiderio di cogliere la melodia indistinta
-della linfa che in breve trasfigurerà
-ogni creatura abbarbicata alla
-terra. Così la sua illusione spiava in me
-l'opera interiore della Grazia.
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Lo raggio della grazia in che s'accende</p>
-<p class="i01">verace amore, e che poi cresce amando...</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Gli parlavo di Dante; e mi commoveva
-la sete ch'egli aveva di quella gran
-fonte. Un giorno gli raccontai come io
-avessi contemplata nella cattedrale di
-Amiens la Speranza scolpita in quel
-modo che il Poeta la canta nel <i>Paradiso</i>
-<span class="pagenum" id="Page_62">[62]</span>
-quando Beatrice nell'ottavo cielo
-gli mostra il barone
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">per cui laggiù si visita Galizia,</p>
-</div></div>
-
-<p>
-e San Iacopo lo esorta: «Di' quel che
-ell'è». Dante e l'ignoto marmorario avevano
-fedelmente tradotto, l'uno nella
-terza rima, l'altro nella materia dura,
-la diffinizione che della Speranza dà
-nel Libro delle sentenze un teologo di
-Francia, Pierre Lombard vescovo di Parigi.
-«Spes est certa expectatio futurae
-beatitudinis....»
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">«Spene» diss'io «è uno attender certo</p>
-<p class="i01">della gloria futura...»</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Il mio amico restò lungamente pensoso
-di quella rispondenza fra la cattedrale
-di pietra e la cattedrale di parole,
-l'una sorta nella sua terra e l'altra
-nella mia. Pareva che io gli avessi più
-avvicinato Dante e gli avessi scoperto
-nell'ardua mole gotica un punto misteriosamente
-sensibile in cui potessero i
-<span class="pagenum" id="Page_63">[63]</span>
-nostri spiriti convergere e comunicare.
-Alla fine del nostro colloquio (il vento
-occidentale squassava tutta la Landa e
-l'immenso fragore dell'Oceano faceva
-sembrar fragili tutte le cose) egli mi
-posò le mani su l'uno e su l'altro òmero,
-mi guardò con la sua anima nuda emersa
-a fiore del suo viso diafano, e mi
-chiese: «Quando? Quando?» Era in
-me quella malinconia potente in cui il
-cuore batte più robusto e più celere.
-Gli dissi, con dolcezza figliale: «Io sono
-nato per vedere, per ricordarmi e per
-presentire». Poi soggiunsi: «E forse attenderò
-me stesso fino alla morte».
-</p>
-
-<p>
-Rimanemmo qualche tempo senza visitarci,
-perché io ricominciai a vegliare
-la notte e a dormire il giorno. Egli sapeva
-che la mia lampada era accesa e
-che avevo in serbo molto olio nel mio
-orcio. «Lo sposo dell'anima suole a
-mezza notte venire. Guarda che a dormire
-non ti truovi.»
-</p>
-
-<p>
-Una sera dello scorso febbraio, dopo
-<span class="pagenum" id="Page_64">[64]</span>
-compiuto l'anno dall'ora del pianto e
-del legame, uno de' suoi figli mi giunse,
-inatteso; e mi disse: «Mio padre vuole
-vedervi. Non ha che qualche settimana
-o qualche giorno di vita. Esauditelo».
-</p>
-
-<div class="figcenter"><a id="fill-064"></a>
- <img src="images/ill-064.jpg" alt="" />
-</div>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_65">[65]</span>
-</p>
-
-<h2 class="hidden" id="xvaprile">XV APRILE MCMXII</h2>
-
-<div class="figcenter"><a id="fill-065"></a>
- <img src="images/ill-065.jpg" alt="XV APRILE MCMXII" />
-</div>
-</div>
-
-<p>
-Quando entrai nella piccola infermeria
-domenicana, al primo sguardo conobbi
-che l'uomo da bene aveva già abbracciata
-la nostra suora morte corporale
-e se la teneva ben sensata contro il suo
-petto. Primamente, non veduto, lo vidi
-in uno specchio. Una donna, dolce e
-severa, che poteva essere Sant'Anna col
-suo mazzo di chiavi appeso al fianco,
-m'aveva condotto sul verone di legno
-ove s'affacciava la camera dell'infermo;
-e s'era ritratta, per lasciarmi solo con
-lui, per non farsi testimone inopportuna
-<span class="pagenum" id="Page_66">[66]</span>
-del nostro turbamento. Nell'appressarmi
-alla soglia, scorsi su la parete lo specchio
-e dentrovi, dentro quella specie d'orrore
-inaccessibile e rischiarato, il vecchio
-che stava seduto, intentissimo, tenendo
-ambe le mani premute su l'atroce ospite
-carnale che gli rodeva la bocca dello
-stomaco. Mi soffermai, con uno spaventoso
-tremito nel cuore, perché veramente
-dentro quel vano la morte era <i>visibile</i>
-come nelle Danze macabre, e tutta
-l'imagine veramente era <i>di là dal velo</i>.
-Egli alzò le ciglia e sussultò abbandonando
-le mani su le ginocchia, perché
-mi scoperse anch'egli nella spera e mi
-vide venire a lui non dalla vita diurna,
-non dall'aria e dalla luce, ma dal fondo
-di quel pallido sepolcro. E, com'entrai,
-mi parve non di varcare una soglia comune
-ma di superare un limite tremendo.
-</p>
-
-<p>
-Non conosco, nella storia della santità,
-una preparazione al transito più bella
-di questa. San Francesco, pur conversando
-<span class="pagenum" id="Page_67">[67]</span>
-con la sua suora infermitade,
-lasciò che i medici tentassero di combatterla.
-Riconobbe d'aver sempre trattato
-troppo duramente il suo corpo e
-mostrò di pentirsene. «Giubila, frate
-corpo, e dammi perdonanza; che or mi
-conviene satisfare a' tuoi disii.» I dottori
-pontificii, a Fonte Colombo, gli cavarono
-sangue, lo vessicarono e cauterizzarono.
-Col ferro rovente gli affocarono
-le tempie, mentr'egli pregava «frate
-focu» che soffrire non lo facesse oltre
-sopportazione. Ad Assisi, nella casa del
-Vescovo, di continuo lo curava il medico
-aretino. Di tratto in tratto era
-preso da qualche strana voglia e mandava
-in cerca i suoi frati che talvolta,
-come nella notte del prezzemolo, s'impazientivano.
-Alla Porziuncola Giacomina
-Settesoli gli apprestò quella vivanduzza
-romana prediletta, quel camangiare
-di mandorle, che durante la
-malattia aveva spesso desiderato. Dopo,
-sentendo prossima la fine, si fece spogliare
-<span class="pagenum" id="Page_68">[68]</span>
-d'ogni vestimento e colcare su la
-terra ignudo.
-</p>
-
-<p>
-Il mio amico dedusse quest'ultimo
-esempio fin dal principio, non pel suo
-corpo ma per l'anima sua. Spogliato di
-tutto egli era come mi pareva non potesse
-mai uomo spogliarsi. E non gli restava
-se non quella «nuditate d'Amore»
-oltre la quale, in paragone di purezza,
-v'é soltanto la prima luce del mattino.
-Vidi presso di lui il volume della <i>Imitazione</i>
-chiuso. È certo quello il trattato
-del totale spogliamento: riduce in un
-pugno di polvere la sostanza in cui l'uomo
-più si compiace, e senza pietà separa
-l'uomo da ogni diletta cosa che non
-sia il compiuto amore. Egli non aveva
-più nulla da apprendere in quel libro:
-perciò era desso quivi chiuso, e senza
-segnali. Ed egli l'aveva tanto praticato
-e meditato non soltanto come il libro
-dell'eternità, ma come quello ch'era
-nato dalla disciplina della sua stirpe
-«sotto l'ogiva di Francia», vera «conoscenza
-<span class="pagenum" id="Page_69">[69]</span>
-e virtute d'Occidente.» Né
-gli restava alcun dubbio intorno a tale
-origine; talché una volta ch'egli vide
-il mio esemplare col nome di Tommaso
-Kempis, scosse il capo. Soleva
-dire, non senza finezza, che l'<i>Imitazione</i>
-franceseggia in latino. Vi riconosceva
-trasposti i modi e le cadenze della
-prosa Francesca, e talvolta la levità d'un
-orecchio che aveva ascoltato la voce
-dell'allodola paesana.
-</p>
-
-<p>
-Nelle lunghe settimane di patimento,
-dal giorno in cui l'insonne cancro incominciò
-a morderlo per finirlo, sino
-all'ora in cui perse la parola terrena
-per un altro linguaggio, non dimandò
-d'essere medicato né alleviato, non volle
-intercessore tra l'infermità e la carne,
-non chiese che le sofferenze gli fossero
-attutite ma soltanto che con esse gli
-fosse accresciuta la forza di sostenerle.
-«Courage, courage, mon âme!» diceva
-nello spasimo. «Encore un peu, mon
-Dieu! Faites-moi souffrir encore un
-<span class="pagenum" id="Page_70">[70]</span>
-peu, mais donnez-moi la force de supporter
-la souffrance.» Quando il morso
-diveniva meno atroce, egli si faceva
-gaio e arguto; non soltanto sorrideva
-ma anche rideva d'un riso schietto. Come
-dalla città i suoi molti figliuoli e i suoi
-nipoti numerosissimi e i famigliari suoi
-devoti venivano a visitarlo, ciascuno
-adduceva, per giustificare la visita insolita,
-un pretesto più o men verisimile,
-credendosi di illuderlo. Egli ben sapeva
-che quelle erano visite di funebre commiato;
-e un giorno ch'io ero là, tra
-quegli affettuosi dissimulatori, l'udii
-motteggiare con sì vivace grazia che
-veramente le più celebri delle parole
-stoiche mi sembrarono cosa ruvida e
-grossa. Una notte di marzo la figliuola
-maggiore, ch'era venuta a trattenersi
-nella casa per assisterlo, dal suo letto
-udì nella camera del padre un gran
-ridere. Attonita e un poco sbigottita, si
-levò e andò a origliare. L'ottimo abate
-Eugène de Vivié, rettore della parrocchia,
-<span class="pagenum" id="Page_71">[71]</span>
-consolatore intrepido, aveva voluto
-vegliar l'infermo nel martirio notturno.
-Aiutandolo egli a sollevarsi dal guanciale
-per l'orribile rigurgito che lo travagliava,
-una inattesa facezia del sofferente
-aveva suscitata quella ilarità
-concorde. Ripensai quel rimbrotto di
-Frate Elia, quando San Francesco giaceva
-al Vescovado in custodia e voleva
-che Frate Agnolo e Frate Leone gli
-cantassero ogni ora le laudi di nostra
-suora morte per rallegrarsi nel Signore.
-«Hacci la scolta alla porta; e niuno
-vorrà credere esser tu un santo uomo,
-udendo del continovo cantare e sonare
-nella tua cella.»
-</p>
-
-<p>
-Finché la volontà potè comandare le
-membra affievolite, si trascinò ogni mattina
-alla Cappella per ricevere il pane
-eucaristico; del quale solo sembrava
-nutrirsi, non prendendo nella giornata
-se non qualche sorso di latte o il succo
-di qualche frutto. Súbito dopo la comunione,
-si ritraeva, non avendo più la
-<span class="pagenum" id="Page_72">[72]</span>
-forza di assistere alla messa. L'ultima
-volta ch'egli varcò la soglia santa, non
-ebbe neppure la lena per appressarsi
-alla mensa di Cristo. Sfinito, fu costretto
-di sedersi; e il prete scese dall'altare e
-andò a portargli l'ostia vivente. Come
-da quel punto nessuno sforzo di volontà
-più valse, si comunicò per viatico, sino
-al Venerdì Santo.
-</p>
-
-<p>
-Comprendemmo qual fosse la sua segreta
-e inebriante speranza quando ripeteva:
-«Encore un peu, mon Dieu!
-Faites-moi souffrir encore un peu!»
-Egli sperava di poter vivere sino alla
-Settimana di Passione, sperava di poter
-congiungere la sua agonia e la sua
-morte all'agonia e alla morte del Salvatore.
-Fu esaudito.
-</p>
-
-<p>
-Il giorno che ricevette il sacramento
-della Estrema Unzione, mandò per me.
-Egli aveva preso ad amarmi più che s'io
-gli fossi stato figliuolo unico. I suoi prossimi
-si stupivano nel vederlo tanto illuminarsi
-quando gli apparivo. I suoi occhi
-<span class="pagenum" id="Page_73">[73]</span>
-si volgevano a me interrogandomi,
-così pallidi che parevano aver perduto
-quel poco di cilestro a forza di fisare
-chi sa qual bianchezza abbagliante.
-Sempre i famigliari, se erano presenti,
-escivano l'un dopo l'altro perché rimanessimo
-soli. Per non affaticarlo, non lo
-lasciavo parlare né gli parlavo con le
-labbra. Stando al suo fianco, seduto, in
-silenzio, non mi peritavo di guardarlo
-intentamente, tanto m'attraeva la bellezza
-del suo mistero. Lo sentivo morire
-e vivere. Il suo viso nella macie era
-come un teschio palese, ricoperto d'un
-tenue velo di fuoco bianco. Non so dov'egli
-fosse per trapassare e per ricominciare;
-ma è certo che, tacendo, simile
-a un tessitore in sogno, tesseva con la
-sua morte una vita che non era come
-la mia vita. La mia vita, che è la mia
-passione e il mio orrore, la mia vita,
-che mi rapisce e mi ripugna, si moltiplicava
-con un'abondanza vorticosa come
-quando ascolto tra la folla le sinfonie
-<span class="pagenum" id="Page_74">[74]</span>
-dei grandi maestri. L'amore il dolore
-e la morte rimescolavano l'oceano della
-mia musica con braccia titaniche indistinguibili.
-Talvolta il morituro prendeva
-il mio polso e lo teneva nella sua mano
-sul sostegno della seggiola. Allora soffrivo
-d'avere tuttavia tanto sangue, e
-così rapido. Mi ritornava il senso del
-mio corpo, accompagnato da un'angoscia
-che doveva essere simile allo sforzo
-vano del generare, quando ne stilla un
-sudore quasi di tramortimento. E non
-m'ero mai sentito tanto potente e tanto
-miserabile.
-</p>
-
-<p>
-«Amico», gli parlavo in silenzio «ho
-avuto molte primavere travagliate, ma
-non una come questa. So quel che mi
-significa la dimanda dei vostri occhi
-buoni, ma non so che rispondere. Le
-parole che talvolta mi salgono alle labbra,
-non oso proferirle; anzi oppongo
-al loro impeto i denti serrati, perché
-temo di perdermi e di non potermi più
-ritrovare. Nondimeno mai, da che vivo,
-<span class="pagenum" id="Page_75">[75]</span>
-non ebbi un istinto e un bisogno di mutazione
-tanto profondi e agitati. Un
-giorno, ahimè, molto lontano, nel Camposanto
-di Pisa, che sembra illuminato
-dal crepuscolo di quella luce verso cui
-siete vòlto, meditai su me medesimo
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i04"> tra i due neri</p>
-<p class="i01">cipressi nati dal seno</p>
-<p class="i01">della morte;</p>
-</div></div>
-
-<p>
-e mi parve che, se avessi dovuto cominciare
-la mia vita nuova, avrei scelto per
-luogo del cominciamento quel divino
-chiostro alzato dall'arte della mia razza
-non tanto per serbare la terra del Calvario
-quanto per contenere tra i quattro
-portici una larva dell'albore immobile
-ch'era intorno alla Croce.
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Forse avverrà che quivi un giorno io rechi</p>
-<p class="i01">il mio spirito, fuor della tempesta,</p>
-<p class="i01">a mutar d'ale.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-E da quel giorno un'alta creatura
-«eletta da me, per me perduta», a
-lunghi intervalli, a traverso le vicende
-<span class="pagenum" id="Page_76">[76]</span>
-e le lontananze, mi manda il messaggio
-di quelle tre parole: «Mutar d'ale». Il
-mio presentimento è dunque divenuto
-un comandamento di ferro e di diamante?
-è divenuto alfine la raggiante
-e lacerante necessità? E la sorte mi
-mandò fuor della mia terra, verso questo
-paese occidentale di sabbia e di
-sete, che non è se non un deserto imboschito,
-perché la vecchia spoglia mi
-fosse tratta dalla mano d'un vecchio
-morente «in verità di santità»? Come
-la spogliazione dei beni vani fu agevole
-e quasi senza ombra di rammarico!
-Si vide che la magnificenza del
-mio vivere non era nei miei velluti e
-nei miei cavalli. Un branco di scimmie
-calpestò e distrusse non senza tardità
-quel che forse, o prima o poi, avrei distrutto
-io medesimo in un'ora, per far
-largo intorno al mio pensiero impaziente.
-Mi parve che il modo mi offendesse, e
-m'accorsi che non ero offeso in alcun
-modo. Avendo perduto qualche bel legno
-<span class="pagenum" id="Page_77">[77]</span>
-tarlato, qualche bel vetro incrinato,
-qualche bel ferro arrugginito, entrai nel
-possesso di questa più bella verità: esser
-necessario bruciare o smantellare i
-vecchi tetti, sotto i quali abitammo in
-carne o in ispirito. Soltanto mi furono
-tolti il giubilo e l'orgoglio della volontaria
-arsione.
-</p>
-
-<p>
-Or, quando c'incontrammo, io non
-aveva se non gli strumenti del mio lavoro,
-la mia lampada fornita, e una vecchia
-serva che nel servire era più nobile
-dell'antica regina dal piè d'oca. Ahi,
-non questo era l'essenziale. «Dopo aver
-tutto ottenuto per ingegno, per amore
-o per violenza, bisogna che tu ceda
-tutto, che tu ti annienti.» Ma che cosa
-è <i>tutto</i> per me? e quale la condizione
-dell'annientamento? So che, per farmi
-nuovo, io non debbo obbedire a una parola
-già detta ma a una parola non ancor
-detta. So che la povertà e l'amore
-della povertà non hanno alcuna efficacia
-spirituale nella conquista ch'io
-<span class="pagenum" id="Page_78">[78]</span>
-son per intraprendere. Ma il Cristo
-ha veramente detto tutte le sue parole?
-</p>
-
-<p>
-Mai Gesù mi fu più vicino, e mai
-n'ebbi un senso tanto tragico. In un libro
-disegnato or è quindici anni, sacro
-e sacrilego, io imaginavo che il «bellissimo
-nemico» discendendo dal Golgota
-dopo il supplizio entrasse nella
-casa della Veronica e quivi s'intrattenesse
-con la pia donna a parlare misteriosamente
-del Re crocifisso mentre nell'ombra
-la Faccia divina e dolorosa
-splendeva di sudore e di sangue nel sudario
-spiegato. Dal giorno del vostro
-pianto, agli interni miei colloquii col mio
-nascosto nemico assiste nell'ombra il
-sudario della Veronica. Ora sento continua
-sopra il mondo la presenza del
-sacrifizio di Cristo; e sento per ciò in
-confuso la mia voce e le mie azioni diversamente
-ripercuotersi, come quando
-taluno con gli occhi bendati entra sotto
-una ignota cupola sonora. Ma chi troverà
-<span class="pagenum" id="Page_79">[79]</span>
-il luogo dell'eco perfetta e l'accento
-giusto per la grande ripercussione?
-Da Ferrara, in un giorno di novembre,
-mi mossi per cercare un'eco famosa.
-Camminai per un viale di platani, lungo
-un argine verde e molle tutto sparso di
-foglie lionate. Avevo in me l'inquietudine
-della divinazione; e di tratto in
-tratto, credendomi di riconoscere il punto,
-gettavo un richiamo; e ogni richiamo
-rimaneva senza risposta; e ogni volta
-più mi cresceva una sorta di tristezza
-fastidiosa e inutile, perché cercavo un
-che di divino e il grido era meccanico,
-la parola di prova era quasi risibile.
-Allora giunsi a un piccolo poggio verde
-che ha il nome di Montagnola; e quivi
-era a diporto una compagnia di giovani
-cappuccini, condotta da un frate
-barbuto, e le tonache dei novizii avevano
-lo stesso colore delle foglie sparse
-per l'erba. Mi rivolsi al frate per dimandargli
-novelle dell'eco; ed egli n'aveva
-una memoria vaga, come di cosa
-<span class="pagenum" id="Page_80">[80]</span>
-scomparsa. Solo sapeva di certo che
-laggiù un muro era crollato in una casa
-visitata dall'incendio. I novizii tonduti
-rimasero pensosi. La luce su la campagna
-infinita era come quella che passa
-a traverso gli alabastri. Vagai ancóra
-intorno al poggio e per gli argini chiamando,
-provando; e il tono della mia
-voce mi faceva soffrire, tanto era lontano
-da quello della mia anima ed estraneo
-al mistero che perseguivo. Nondimeno
-la qualità del mio scontento era
-nuova e mirabile. Tornai su le mie orme,
-pei viali molli d'acqua piovana. La pianura
-era senza fine come il cielo. Una
-campana sonava alla Certosa. Rividi
-sotto il poggio le foglie e le tonache
-fulve. M'appressai. I novizii erano assorti
-e taciturni; e qualcuno aveva in bocca
-qualche filo d'erba e, tenendo gli occhi
-bassi, mi pareva che sentisse con le palpebre
-la freschezza della sua anima. Io dissi:
-«Non c'è più! Forse è morta. Era la più
-bella del mondo». I novizii erano pieni
-<span class="pagenum" id="Page_81">[81]</span>
-d'ansia, e forse di miracolo; e mi pareva
-che inclinassero verso la terra un orecchio
-musicale. Ma il frate mi disse, placido:
-«A San Francesco ve n'è una sotto
-la cupola, che ripete Ave tre volte.» Certi
-ricordi chiedono di essere interpretati
-come le visioni; ma dov'è il mio interprete?
-E, se voi ora per me sollevaste il
-velo, che scoprireste se non la vostra certezza?
-</p>
-
-<p>
-Certo, da una limitazione può nascere
-la più vasta vita; e una mutilazione può
-moltiplicare la potenza, come sa il potatore.
-Certo, qualche parte di me dorme
-ancora un profondissimo sonno; e
-me la rivelano in certi mattini i sogni
-non interpretati. È necessario che io
-faccia luogo in me a ciò che sorgerà da
-quel risveglio. Ho talvolta il sentimento
-delle interne mie lontananze come l'ha
-di queste Lande lo svenatore di pini.
-Preparo l'arme acconcia perché anch'io,
-entrato nel folto, possa aprire nuove
-ferite onde sgorghi l'aroma e <i>possa mantenerle
-<span class="pagenum" id="Page_82">[82]</span>
-sempre aperte</i>. Tale è l'insegnamento
-della Landa.
-</p>
-
-<p>
-Ora a ciascun mio pensiero è aderente
-un altro pensiero, oscuro. Così
-nella cattedrale notturna le colonne sono
-illuminate da una sola banda, perché la
-lampada arde in una sola navata. Bisogna
-che io accenda all'altra banda un'altra
-lampada, ma senza spegnere la prima.
-Ho paura di spegnerla. Debbo vincere
-questa paura? E chi m'afferma che diverrò
-più forte? Se mi ritrovassi ottenebrato
-o diminuito?
-</p>
-
-<p>
-Lo so. Gli uomini non edificheranno
-nuovi templi per nuovi culti. Il prodigio
-unanime della cattedrale non si rinnoverà.
-Ma il dio medesimo, che l'ha
-rempiuta, può un giorno apparirvi con
-un aspetto per la seconda volta trasfigurato,
-affacciandosi alla grande Rosa
-nell'ora in cui dietro lei suole coricarsi
-l'astro come al confino d'una foresta.
-Simile alla foresta, la cattedrale d'Occidente
-può essere penetrata in tutte le
-<span class="pagenum" id="Page_83">[83]</span>
-sue fibre secolari dalla forza d'una primavera
-inaudita. Quale avvenire osservano
-i Profeti protesi dì e notte come vedette
-e scolte dai contrafforti del Duomo picardo
-ove riconoscemmo scolpita la Spene
-di Dante? La pietra commessa e alzata,
-come quella, al suono degli inni, ha in
-sé l'infinito del canto: non può contenere
-una fatalità compiuta e immota ma
-sì l'aspirazione a una bellezza di continuo
-perfettibile.
-</p>
-
-<p>
-Non vi fu, di là dal torrente di Chedron,
-nell'Orto degli Ulivi, un apostolo
-ignoto che si unì agli Undici per ricompire
-il numero, e non dormì né la prima
-né la seconda né la terza volta? Tra
-tutte le persone della tragedia di Cristo
-due m'attrassero sempre più d'ogni
-altra, le più misteriose: Lazaro di Betania
-tornato del buio e il giovine dalla
-sindone. Non avete mai pensato chi potesse
-mai essere quel giovine «amictus
-sindone super nudo», del quale parla
-il Vangelo di Marco? «E tutti, lasciatolo,
-<span class="pagenum" id="Page_84">[84]</span>
-se ne fuggirono. E un certo giovine
-lo seguitava, involto d'un panno
-lino sopra la carne ignuda, e i fanti lo
-presero. Ma egli, lasciato il panno, se
-ne fuggì da loro, ignudo». Chi era quel
-tredicesimo apostolo, che aveva preso
-il luogo di Giuda nell'ora dello spavento
-e della grande angoscia? Solo egli vide
-il sudore cadere a terra «simile a grumoli
-di sangue».
-</p>
-
-<p>
-Era minore di Giovanni figlio di Salome.
-Era vestito d'un vestimento leggero.
-Si fuggì ignudo «reiecta sindone,
-nudus profugit ab eis». Nulla più si
-seppe di lui nel mondo. Forse un giorno
-dirò una imaginazione che di lui mi
-giunse.»
-</p>
-
-<p>
-In tali erramenti divagava il mio spirito,
-per una specie di dormiveglia intimo
-ove le imagini più rilevate si avvicendavano
-con ombre fluttuanti e il
-ritmo precedeva i pensieri, come quando
-il sonatore cieco improvvisa su l'organo.
-E la perplessità si avvicendava con la
-<span class="pagenum" id="Page_85">[85]</span>
-paura. E smisurate masse d'anima erano
-smosse da taluna interrogazione appena
-distinta, come quando la forza d'un
-tema entra nella sinfonia. «Che avverrà
-di me se io mi rendo interamente al
-vostro Salvatore?» E poi tutto si abbandonava
-a una fuga dirotta, come
-quando s'ode rintronare il lastrico sotto
-la carica dei cavalieri.
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">E gli uomini cadevano</p>
-<p class="i01">intorno a me guardandomi</p>
-<p class="i01">negli occhi, come in sogno</p>
-<p class="i01">quando uno solo è come moltitudine</p>
-<p class="i01">e un viso è come mille</p>
-<p class="i01">e il cor supino è pieno di memoria</p>
-<p class="i01">vertiginosa.</p>
-<p class="i01">Ciascun percosso</p>
-<p class="i01">parca gridarmi:</p>
-<p class="i01">Per chi m'uccidi?</p>
-<p class="i01">Ah, ben io so!</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Era la materia della mia arte, che si
-mescolava a quella della mia vita. Una
-voce della mia tragedia d'amore e di
-morte, dell'opera che componevo nelle
-<span class="pagenum" id="Page_86">[86]</span>
-mie notti, diveniva oscuramente la voce
-d'uno di quegli esseri incogniti da me
-contenuti.
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">L'andito è nero</p>
-<p class="i01">per ove ci viene</p>
-<p class="i01">tastando con le mani,</p>
-<p class="i01">come il cieco mendico;</p>
-<p class="i01">ma posta ho in terra</p>
-<p class="i01">la lampada perché sotto la porta</p>
-<p class="i01">segni il segnale di luce. Or qualcuno</p>
-<p class="i01">è tra la lampada e la notte.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Con l'anima mia foggiavo due corpi
-pieni di nero sangue, e vivevo tutto in
-loro, per comprendere il peccato; poiché
-è detto che non si possa veramente
-comprendere la bellezza del Cristo «senza
-comprendere il peccato». Ugo da Este
-e Parisina Malatesta m'erano due esploratori
-di tenebre.
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Col peso della carne del mio cuore</p>
-<p class="i01">pesava il mio peccato. E disse: «Io so.</p>
-<p class="i01">Ma che paventi?»</p>
-</div></div>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_87">[87]</span>
-</p>
-
-<p>
-Camminavamo verso il barlume di
-levante con la medesima ambascia. Anche
-per la nipote di Francesca l'attesa
-aveva il volto della rimembranza.
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i09"> Questa pena</p>
-<p class="i01">di sudore Ei sostenne,</p>
-<p class="i01">perché da noi</p>
-<p class="i01">si spiccasse la febbre del peccato...</p>
-<p class="i01">Dici che sogno? Non so quando io chiusi</p>
-<p class="i01">gli occhi, non so da qual mai lungo sonno</p>
-<p class="i01">io mi svegli; non so,</p>
-<p class="i01">non so di quale vita</p>
-<p class="i01">io viva, in verità. Tutto ritorna</p>
-<p class="i01">dal profondo. Commessa</p>
-<p class="i01">fu la mia colpa,</p>
-<p class="i01">patito il mio dolore,</p>
-<p class="i01">sofferto il mio spavento;</p>
-<p class="i01">sospesa fu la mia sciagura, inflitta</p>
-<p class="i01">la mia morte. Non sogno,</p>
-<p class="i01">o meschina, non sogno: mi rimemoro.</p>
-<p class="i01">Non vivo: di mia vita mi sovviene,</p>
-<p class="i01">mi sovviene di me come discesa</p>
-<p class="i01">nel mondo io sia pe' rami</p>
-<p class="i01">d'un nero sangue...</p>
-</div></div>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_88">[88]</span>
-</p>
-
-<p>
-D'un tratto, se bene la mano del morente
-avvolgesse il mio polso, se bene
-io ne sentissi il gelo nella mia midolla,
-un turbine mi separava da lui, un turbine
-sorto dall'assito di quella camera
-quieta. E bisognava che io mi levassi a
-seguitare una virtù che s'era partita da
-me e aveva superata la soglia. Erano
-ancóra su la tavola i fiori che avevo
-recati, e i frutti d'Italia. Erano le spesse
-arance siciliane, del cui solo succo omai
-si nutriva il mio amico, a stilla a stilla.
-«Non più ho bisogno dei vostri fiori e
-dei vostri frutti ma delle vostre preghiere».
-Allora discendevo nella Landa
-carica di polline sulfureo, lasciando dietro
-di me l'interlocutore silenzioso dei
-miei dialoghi affrontato col muro ove
-s'apriva il vano dello specchio inesorabile.
-E, come tutto in me era disposto
-al canto, facevo le mie preghiere.
-</p>
-
-<p>
-Adunque il giorno che ricevette il sacramento
-dell'Estrema Unzione, mi mandò
-a chiamare. Come indugiai un'ora,
-<span class="pagenum" id="Page_89">[89]</span>
-mandò di nuovo. Pareva ch'egli fosse
-in grande ansietà. Salendo su per la
-duna, mi soffermavo per contenere il
-battito e per guadagnare qualche istante.
-Intorno alla Cappella era l'odore di quelle
-lacrime di ragia che sovente sostituiscono
-l'incenso e il belzuino nei turiboli
-delle Lande. Quando fui sul verone di
-legno, incontrai nello specchio il suo
-sguardo d'attesa. Mi spiava nel fondo
-del cristallo lugubre ove egli voleva essere
-testimone continuo del suo perire.
-Non stava già nel suo letto ma tuttora
-seduto su la sua seggiola. La sua santità
-era cresciuta di lume. Non soltanto
-egli era stato unto del crisma ma aveva
-anche ricevuto per messaggio la benedizione
-del Pontefice di Roma. E una
-reliquia preziosissima era su la tavola,
-presso di lui.
-</p>
-
-<p>
-Soltanto allora seppi ch'egli possedeva
-nel suo oratorio una scheggia della vera
-Croce, e che da anni le aveva consacrato
-una lampada perpetua.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_90">[90]</span>
-</p>
-
-<p>
-Non osai di sedermi, se bene invitato.
-Qualcosa di lontano e d'inviolabile era
-in lui, quasi che il vetro d'un tabernacolo
-lo proteggesse. Ma, quando mi fisò,
-il più umano tremito scompose le linee
-del suo viso spiritale, così ch'io tutto
-mi contrassi come a ricevere una percossa.
-</p>
-
-<p>
-Egli ritrovò in sé il soffio bastante a
-formare la parola e il discorso, perché
-credeva di obbedire a un comandamento.
-Non poteva più tacere, non poteva più
-attenersi alla muta interrogazione dello
-sguardo e all'allusione timorosa. Già
-unto dell'olio santificato, stava per entrare
-con Dio in quel colloquio che non
-più consente di volgersi verso l'uomo.
-Egli non aveva se non quell'ora, sul limite
-del sepolcro, per indirizzare in via
-di salute l'anima confidatagli dalla divina
-providenza. Questo diceva il suo
-tremito.
-</p>
-
-<p>
-Rare volte le mie radici ebbero uno
-scrollo tanto doloroso. Egli parlò. Io
-<span class="pagenum" id="Page_91">[91]</span>
-volgevo le spalle alla luce, e l'ascoltavo
-inclinato. Dietro di me la Landa stormiva
-al vento di ponente, e io era come
-ciascun albero e come la moltitudine.
-Potrei ottenere dalla mia anima la confessione
-di ciò che per l'uomo è inconfessabile,
-ma non otterrò mai ch'ella mi
-ridica quel che udimmo quivi.
-</p>
-
-<p>
-Allora il pianto fu più forte della favella.
-Una creatura che pareva non aver
-più sangue, aveva ancor tante lacrime!
-Le mie mani erano tutte molli; e il
-rombo di una catastrofe terrestre non
-m'avrebbe dato lo sgomento che mi
-dava quel singhiozzo senile, lacerante
-come l'implorazione d'un fanciullo. Quel
-che v'è di più profondo in me pareva
-toccato, e pure conobbi una nuova oltranza;
-perché mi sentii baciar le mani!
-</p>
-
-<p>
-Così l'umiltà chiedeva l'umiltà, l'amore
-chiamava l'amore. Non so quale atto
-altrui, nella mia vita, abbia potuto pesare
-su me come pesò quello. Per lunghe
-ore fui oppresso da una sofferenza
-<span class="pagenum" id="Page_92">[92]</span>
-quasi corporale, come quando l'equilibrio
-della vita è sconvolto dal germe
-d'una malattia ignota, che somiglia al
-presentimento d'una sciagura senza nome.
-E talvolta era come un rimorso
-confuso; e talvolta era come un'atroce
-durezza che si formasse di tutta la mia
-sostanza fluida, a quel modo che una
-corrente si congela; e talvolta mi pareva
-che tutto me medesimo non fosse
-se non un impedimento enorme a me
-medesimo, insuperabile, contro cui non
-avessi potenza ma soltanto ira.
-</p>
-
-<p>
-La sera, sedato in parte il tumulto,
-accesi la lampada con l'animo di sottopormi
-alla disciplina consueta. Avevo
-bisogno delle mie mani per continuare
-la mia opera. Le posai su le carte, nel
-cerchio del chiarore, per considerarle.
-Un gran sussulto mi scosse, al ricordo
-recente. E mi parve, assai più che altre
-volte, vivessero d'una lor vita propria
-e quasi non mi appartenessero. Le sollevai
-e le guardai contro il lume: un
-<span class="pagenum" id="Page_93">[93]</span>
-poco tremavano, e tra le dita chiuse
-ardeva una linea rossa. N'ebbi pietà;
-poi n'ebbi orgoglio. Nel pollice, nell'indice
-e nel medio l'ultima fatica aveva approfondito
-il segno della penna. Pensai
-ai giovani pallidi e smarriti che me le
-avevano baciate d'improvviso, me repugnante,
-nell'ombra. Ma che cosa le mie
-mani <i>dovevano</i> a quell'atto del morente
-immacolato? Forse riposarsi, e attendere
-il novel tempo.
-</p>
-
-<p>
-Non si riposarono. Lavorarono fino
-all'alba.
-</p>
-
-<p>
-E in quella notte Ugo disse:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Non v'era in me più forza né coraggio</p>
-<p class="i01">né soffio. Avviluppato in una nube</p>
-<p class="i01">d'angoscia, profondato</p>
-<p class="i01">ero in un'onda amara</p>
-<p class="i01">e calda, con l'orrore</p>
-<p class="i01">della sorte premuto</p>
-<p class="i01">su tutto me. Parole</p>
-<p class="i01">udivo escite</p>
-<p class="i01">da non so qual potenza, nella notte</p>
-<p class="i01">senza vie. La salvezza e il perdimento</p>
-<p class="i01"><span class="pagenum" id="Page_94">[94]</span></p>
-<p class="i01">eran senz'occhi entrambi.</p>
-<p class="i01">E tutto inevitabile</p>
-<p class="i01">era. E non combattevo</p>
-<p class="i01">se non per te</p>
-<p class="i01">anche una volta, se non pel mio vóto,</p>
-<p class="i01">non più nel sangue</p>
-<p class="i01">ma nelle lacrime.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-E disse Parisina:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">O mia vita, o mia morte,</p>
-<p class="i01">dove sei? dove siamo?</p>
-<p class="i01">Siamo nel luogo profondo, e la lampada</p>
-<p class="i01">dell'attesa arde in terra; e suggellata</p>
-<p class="i01">è la pietra su noi,</p>
-<p class="i01">cementata, afforzata</p>
-<p class="i01">con ispranghe di ferro...</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Ma di nuovo l'usignuolo cantò, con una
-melodia ancor più alta dopo la pausa.
-E l'amato implorava:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">O voce forte e pura nella notte</p>
-<p class="i01">senza vie, nel tremore</p>
-<p class="i01">spaventoso degli astri,</p>
-<p class="i01">oh dimmi la parola</p>
-<p class="i01">ch'è in me, dimmi la muta</p>
-<p class="i01">parola che si sforza</p>
-<p class="i01"><span class="pagenum" id="Page_95">[95]</span></p>
-<p class="i01">di separarsi dal mio cuore, in vano,</p>
-<p class="i01">con sì crudel travaglio!</p>
-<p class="i01">Vivere, vivere, o morire? Dimmi!</p>
-<p class="i01">Morire o vivere?</p>
-</div></div>
-
-<p>
-E Parisina allora disse:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">La notte ha la sua via.</p>
-</div></div>
-
-<div class="figcenter"><a id="fill-095"></a>
- <img src="images/ill-095.jpg" alt="" />
-</div>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_97">[97]</span>
-</p>
-
-<h2 class="hidden" id="xxivaprile">XXIV APRILE MCMXII</h2>
-
-<div class="figcenter"><a id="fill-097"></a>
- <img src="images/ill-097.jpg" alt="XXIV APRILE MCMXII" />
-</div>
-</div>
-
-<p>
-È mezzogiorno. Un'oscurazione di catastrofe
-si stende su la terra. Ogni cosa
-ha un aspetto notturno, e sembra rivelar
-di sé quel che non fu mai veduto per
-innanzi. È una notte non illuminata dalla
-luna, né dalle stelle, né dal primo fiato
-dell'alba, ma da una lampada soprannaturale
-che spande un egual chiarore
-e non segna le ombre. Non so perché,
-penso a quel che provai una volta entrando
-nella camera buia di un dormente,
-con una lanterna cieca, per osservare
-il segreto del suo viso nel sonno.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_98">[98]</span>
-</p>
-
-<p>
-Vedo nelle cose quella stessa impronta
-di verità interiore, quello stesso segreto
-palesato. Non è, pel mio spirito, un
-giorno interrotto ma una notte scrutata
-a fondo. L'anima della terra è notturna,
-ma la luce del sole la nasconde più che
-non la nasconda la tenebra. Soltanto
-può rivelarla la divinazione dei poeti,
-che portano nel loro cuore un sole
-velato come quello d'oggi. È l'ora del
-meriggio, e non v'è luce e non v'è tenebra;
-ma le cose, a questo lume di miracolo,
-mostrano l'aspetto che debbono
-avere quando nessuno può guardarle né
-riconoscerle. Milioni d'uomini in quest'ora
-volgono gli occhi verso il cielo e
-per passatempo, a traverso il vetro affumato
-che simula Io smeraldo neroniano,
-spiano il contrasto del sole e della
-luna, il disco violetto che sormonta la
-raggiera d'oro, l'estrema falce solare che
-imita il novilunio. Ma il vero miracolo
-è in terra. Se io guardo gli uomini, li
-vedo smorti come i trapassati; e i loro
-<span class="pagenum" id="Page_99">[99]</span>
-corpi non gettano su la sabbia più ombra
-che non ne facciano i peccatori nella
-landa sabbiosa del Terzo Girone, laddove
-scorrono le lacrime che il Veglio
-goccia da tutte le fessure ond'è vulnerato.
-Così per questo silenzio, lungo la
-sorda riva, vedo venire la larva del
-Poeta che sa l'«asfòdelo prato» e «i
-freschi mai». E vorrei, come il suo
-Odisseo nella dimora del Buio, scavare
-nella sabbia una fossa ed empirla di
-sangue, sicché egli potesse come Tiresia
-abbeverarsi dello squallido sangue e dirmi
-«infallibili cose».
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Sol dopo ciò mi parlava il profeta incolpabile, e disse:</p>
-<p class="i01">— Tu mi ricerchi il ritorno di miele....</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Ma il meriggio dell'anima si trasmuta,
-a poco a poco perde di mistero e d'orrore,
-vanisce come un sogno divino
-che al risveglio s'impigli e si stempri
-nel torbidume dei nostri sensi. Il disco
-violetto trascorre, e l'astro diurno sembra
-<span class="pagenum" id="Page_100">[100]</span>
-riardere fumigando dall'uno all'altro
-corno. La tenzone del sole e della luna
-ha termine. Ancóra una volta la luce
-nasconde la vera faccia della terra, e la
-cieca vita fa ingombro alla morte perspicace.
-</p>
-
-<p>
-Da questa vicenda celeste apprendo
-come l'eclisse, nel mondo interiore, possa
-essere rivelazione piuttosto che oscurazione.
-La luce della nostra coscienza
-abituale non ci copre la nostra verità
-più profonda? Se alcuna forza fin allora
-estranea s'interponga, ecco che dentro
-a noi tutto si trasfigura e si manifesta.
-Il massimo degli eclissi è la follìa. E che
-grandi e inopinate mutazioni e visioni
-da lei nacquero! Ma vi sono anche meravigliosi
-eclissi prodotti da una certa specie
-di pensieri dominanti che offuscano
-la coscienza fallace. Il comune linguaggio
-però non ha modi per significarli.
-</p>
-
-<p>
-Forse, laggiù, un pescatore perduto
-su l'Atlantico ha visto nel prodigio meridiano
-splendere Espero.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_101">[101]</span>
-</p>
-
-<p>
-Un sentimento di lontananza è rimasto
-in me; che mi seconda mentre rivivo
-il giorno funebre. Mi sembra che
-l'istessa lampada soprannaturale illuminasse
-quel Sabato Santo, quasi ritornato
-fantasma di quell'eclisse
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i12"> che in ciel fue</p>
-<p class="i01">quando patì la suprema Possanza.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Era uno di quei mattini oceanici in
-cui l'aria e l'acqua, luna nell'altra convertendosi
-a vicenda, sembrano formare
-un solo elemento inane. Grandi velarii
-pallidi sorgevano, si dilatavano, si laceravano,
-cadevano a brandelli, si rammendavano,
-si ritessevano senza fine.
-La Landa pareva sollevarli e respingerli
-col suo fiato affannoso, perché era
-travagliata dalla doglia della fecondità.
-A quando a quando, se spirava il ponente,
-i lembi e le volute s'imbiutavano
-di fovilla, s'ingiallivano del solfo arboreo.
-Talora una nuvola di polvere ferace
-rimaneva sospesa su le chiome dei pini.
-<span class="pagenum" id="Page_102">[102]</span>
-ondeggiava, dileguava per ispandersi altrove
-in piogge nuziali. Aerei entrambi,
-il pòlline e la cenere si mescolavano,
-come se il vento rapinasse i fiori e gli
-avelli.
-</p>
-
-<p>
-E colui che aveva contuso il pòlline
-e la cenere nell'émpito dei suoi più alti
-canti e divinamente comunicato all'una
-la virtù dell'altro, il poeta annunciatore
-e intercessore non anche era spirato in
-quel mattino, se bene io lo credessi e
-vedessi già composto nella sua finale
-santità. Ma, mentre erravo di duna in
-duna seguendo il mio dolore che pareva
-sopravvanzarmi, mi punse il cuore un'improvvisa
-sollecitudine dell'amico che ancora
-viveva lì presso; ed ebbi un desiderio
-ansiosissimo di rivederlo perfetto.
-</p>
-
-<p>
-Or il suo vóto non era adempiuto?
-Non aveva egli omai accompagnato il
-Redentore sino all'ultima stazione della
-<i>Via Crucis</i>? Passata era l'ora di nona,
-l'ora del grande grido; passato era
-l'antisabato; Giuseppe e. Nicodemo avevano
-<span class="pagenum" id="Page_103">[103]</span>
-tolto dal legno il corpo, póstolo
-nel monumento e rotolata all'apritura
-la pietra. Come poteva ancor durare
-l'agonia del seguace? fino al Resurresso?
-e oltre, forse?
-</p>
-
-<p>
-Dal giorno dell'Estrema Unzione non
-ero più stato a visitarlo. Perseverava in
-me il turbamento, e non so che terrore
-indefinito. La nostra amicizia terrena
-era chiusa tra quei due pianti, quasi
-terra compresa da due riviere nate d'una
-sola sorgente come il Letè e l'Eunoè.
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Da questa parte, con virtù discende</p>
-<p class="i01">che toglie altrui memoria del peccato;</p>
-<p class="i01">dall'altra, d'ogni ben fatto la rende.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Ma, pur trovandomi in paese di sete
-e sitibondo, non m'attentavo di bere.
-Tuttavia rimanevo tra quei due confini
-senza trascendere né l'uno né l'altro
-(non per rientrare nella mia patria antica,
-non per avanzarmi verso la mia
-patria futura) quasi in una sosta di contemplazione
-e d'indagine. E quivi pensieri
-<span class="pagenum" id="Page_104">[104]</span>
-viventi, sin allora a me estranei o
-da me ignorati, mi divenivano familiari
-come i colombi che beccano il frumento
-nel cavo della mano. E talvolta il giovine
-dalla sindone era meco; il qual
-serbava in fondo agli occhi notturni una
-imagine del Maestro non veduta da
-alcuno. E mi lasciava egli scrutare il
-fondo de' suoi occhi, talvolta.
-</p>
-
-<p>
-Ricomparire dinanzi all'Unto di Dio,
-mentre gli stava ancóra in bocca il respiro
-carnale, mi pareva intempestivo;
-né avrei voluto di nuovo toccare la sua
-mano, assistere agli ultimi istanti, udire
-i suoi rantoli, farmi testimone della sua
-fine. Piuttosto che commettere un tal
-fallo, sopportavo il dubbio di sembrargli
-duro o richiuso. Ben so come ornai,
-di quel ch'egli soleva chiamare «il nostro
-bel segreto» nel tempo della reticenza,
-io non possa più parlare se non con
-me medesimo, e sotto la specie del
-canto misurato.
-</p>
-
-<p>
-Gli mandavo ogni sera i frutti italiani;
-<span class="pagenum" id="Page_105">[105]</span>
-ché qualche stilla di quel succo fu sino
-all'estremo l'unico suo ristoro. Ma pregavo
-la sua figliuola che non glie li
-mostrasse, non potendo ella recargli
-anche la preghiera sconosciuta che l'accompagnava.
-Seguivo col pensiero la
-fresca offerta che giungeva alla casa di
-legno verso l'ora della salutazione angelica.
-Credevo udire la campanella della
-porta, il passo di quella che andava ad
-aprire, le parole susurrate, e poi nell'ombra
-lo scroscio dell'arancia sugosa
-premuta nel bicchiere che riluceva. E
-quella imaginazione mi diveniva presenza
-quasi reale. Sentivo l'odore spandersi;
-vedevo biancheggiare il morente
-sul guanciale, e il chiarore della sera
-adunarsi nello specchio come negli
-stagni della Landa. E si generava in me
-non so che dolcezza accorata e melodiosa,
-da cui sgorgò una sera il canto
-alterno di Ugo e di Parisina presso il
-ceppo del supplizio, in fondo alla Torre
-del Leone.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_106">[106]</span>
-</p>
-
-<p>
-Diceva Parisina:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Udito hai tu,</p>
-<p class="i01">udito hai tu sul muro</p>
-<p class="i01">della torre crosciare</p>
-<p class="i01">la piova? Tutto è fresco,</p>
-<p class="i01">tutto è mondato.</p>
-<p class="i01">Or mi ricreo</p>
-<p class="i01">come il fil d'erba.</p>
-<p class="i01">E so che nel ciel ride</p>
-<p class="i01">già la stella diana.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-E Ugo:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Passato è un tempo,</p>
-<p class="i01">passato è un tempo,</p>
-<p class="i01">ch'io non posso più dire;</p>
-<p class="i01">e quel che innanzi avvenne</p>
-<p class="i01">e quel che dopo ancóra,</p>
-<p class="i01">io noi viddi, noi seppi.</p>
-<p class="i01">Forse or ti nasco;</p>
-<p class="i01">e la morte, ch'è sopra,</p>
-<p class="i01">par sì lontana.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-E l'amata:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Ah tu non sai,</p>
-<p class="i01">non sai qual sia</p>
-<p class="i01">nella tua bocca</p>
-<p class="i01"><span class="pagenum" id="Page_107">[107]</span></p>
-<p class="i01">la voce nova!</p>
-<p class="i01">La volta cupa</p>
-<p class="i01">ove risuona</p>
-<p class="i01">sembra il segreto</p>
-<p class="i01">antro d'un fonte.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-E l'amato:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Vedi che occhi</p>
-<p class="i01">s'apron ne' miei?</p>
-<p class="i01">In me tu sali,</p>
-<p class="i01">cresci qual mare</p>
-<p class="i01">senza amarezza.</p>
-<p class="i01">Il flutto è in sommo.</p>
-<p class="i01">Non ho il tuo sguardo</p>
-<p class="i01">sotto la fronte?</p>
-</div></div>
-
-<p>
-E la melodia sviluppandosi assumeva
-un che di vitreo e di verde, un che
-d'acqua e d'erba, a imagine di quel giovinetto
-che un mattino vidi in un sandalo
-falciare, con la falce mortuaria
-dal lungo manico, le piante acquatiche
-nel fossato fosco intorno al Castello di
-Ferrara.
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">O mio fastello d'erbe,</p>
-<p class="i02"> dove t'ho da posare?</p>
-</div></div>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_108">[108]</span>
-</p>
-
-<p>
-La nepote di Francesca rispondeva:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Pesami accanto al ceppo.</p>
-<p class="i01">C'inginocchiammo</p>
-<p class="i01">due volte. Anco due volte</p>
-<p class="i01">bisogna, o bello</p>
-<p class="i01">e dolce amico,</p>
-<p class="i01">bisogna a noi due volte</p>
-<p class="i01">i ginocchi piegare.</p>
-<p class="i01">La prima nel peccato,</p>
-<p class="i01">la seconda nell'onta,</p>
-<p class="i01">la terza nella morte,</p>
-<p class="i01">la quarta nell'eternità...</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Quando, molto a notte, salivo alla mia
-stanza per coricarmi, strani brividi attraversavano
-la mia stanchezza inquieta,
-e i miei occhi sbarrati guardavano da
-per tutto; che m'attendevo una di quelle
-apparizioni che annunziano il transito
-delle persone care. E lo specchio era
-pieno d'orrore.
-</p>
-
-<p>
-Certo, non cessavo dall'aver paura
-della morte, se bene per giorni e giorni
-l'avessi veduta abitare un uomo e scavarlo
-di dentro. Ma sentivo che alfine
-<span class="pagenum" id="Page_109">[109]</span>
-ero per vincere pur quella paura, e per
-ottenere dal morente una tal vittoria.
-Declinava il meriggio, nei Sabato Santo,
-quando l'angelo neutro per i sentieri
-sordi della foresta mi condusse nei pressi
-della collina arenosa ove sorgeva la
-Cappella di Nostra Donna. Scopersi in
-alto, di tra i rami dei pini carichi di
-fiori nuovi e di pigne secche, l'infermeria
-domenicana col suo verone di
-legno e sul verone la finestra che dava
-adito alla camera del morente. Così, non
-veduto, rimasi all'agguato della morte.
-</p>
-
-<p>
-La casa era tacita; l'adito era vacuo
-come quelle aperture senza vetri e senza
-imposte, che sfondano all'infinito nelle
-case abbandonate di Assisi. Una donna
-passò cautamente, s'inclinò su la soglia,
-si fece il segno della croce, disparve
-nell'ombra. Un uomo ne uscì, s'incontrò
-con una fanciulla dai capelli sciolti, si
-mise l'indice su le labbra per ammutolirla,
-poi la trasse pel braccio nudo.
-Nessuno piangeva. I lineamenti umani
-<span class="pagenum" id="Page_110">[110]</span>
-erano come raffermati dalla necessità.
-L'aspetto della casa stessa era come
-Indurito. L'aria intorno vi pareva senza
-mutamento. Qualcosa come un cristallo
-spesso la separava dalla respirazione
-del borgo sparso per le sabbie, ov'era
-sonata l'ora del pasto comune.
-</p>
-
-<p>
-Stavo accosciato su le radici d'un
-pino. Giovanni era meco, o la parte migliore
-di me era divenuta simile a lui;
-perché tutte le cose fisse intorno, tutte
-le cose radicate, erano in me riunite da
-movimenti d'amore come nel ritmo della
-sua poesia. Le formiche salivano e discendevano
-per le vecchie cicatrici del
-fusto come per le lor vie maestre, in
-traffico, mentre taluna di loro galleggiava
-morta nel vasetto d'argilla colmo
-di résina e d'acqua piovana. Pei nuovi
-intagli la ragia colava bianchiccia come
-la cera che si strugge e goccia intorno
-ai torchietti dell'altare; ma qua e là vi
-brillavano lacrime limpide come acini
-di cristallo. E dove erano infissi i pezzi
-<span class="pagenum" id="Page_111">[111]</span>
-di bandone obliqui per condurre lo scolo,
-quivi la piaga pareva più dolente. E,
-se volgevo gli occhi alla cima, sentivo
-ch'essa non era toccata dal dolore ma
-era assorta in un pensiero d'altezza. <i>Redolet
-non dolet.</i>
-</p>
-
-<p>
-Tutto si santificava in una luce di
-grazia, in una «bontà senza figura.» Il
-più tenero fiore di cinque petali era
-schiuso entro una povera scarpa accartocciata
-come una scorza. Un germoglio
-lanoso spuntava dal fóro di una latta
-arrugginita; e tra gli spigoli della lamiera
-storta brulicavano su per i fili della tela
-minuscoli ragni, gialli come granelli di
-pòlline. E il minuto pigolìo dei pulcini
-nascosti nel cespuglio era come se quel
-brulicame divenisse vocale. E da ogni
-più piccola voce si partiva un'onda
-senza fine confusa nell'immensa dissonanza
-del vento. E il vento era come il
-rammarico di ciò che non è più, era
-come l'ansia delle geniture non formate
-ancóra, carico di ricordi, gonfio di presagi,
-<span class="pagenum" id="Page_112">[112]</span>
-fatto d'anime lacere e d'ali vane.
-E forse andava, laggiù, a sfogliare il libro
-aperto sopra il leggìo di quercia,
-quel libro ch'era antico quando la quercia
-ancor «viveva nella sua selva sonora».
-E forse l'ascoltava, laggiù, il cieco che
-non sa donde venne, non sa dov'ei vada,
-né può cansar l'abisso che si sente ai
-piedi... «di fronte? a tergo?»
-</p>
-
-<p>
-Tanto era viva la presenza fraterna
-che mi volsi come se avessi udito il mio
-nome. E Giovanni di San Mauro era là,
-sotto un gran rovo intricato che soffocava
-una ginestra in fiore. Aveva la sua
-veste dei campi, la sua veste di contadino:
-il capo scoperto, il collo nudo.
-Sedeva sopra un ceppo tagliato. Col
-mento nella palma, mi guardava dentro
-il cuore; e, nella fissità, la sua guardatura
-aveva a destra una lieve loschezza
-come se quella fosse la pupilla sempre
-«intenta ad altro». Era tutto bianco,
-incanutito; e la fronte era veramente
-un luogo di luce per moltitudini, ma
-<span class="pagenum" id="Page_113">[113]</span>
-le ritrose dei capelli le davano un che
-di selvaggio in sommo, un che d'indocile
-su tanta umiltà. Le sue mani scarnendosi
-erano divenute belle. E il silenzio
-delle sue labbra era fatto di quelle
-profonde pause che ne' suoi poemi contengono
-il suo più umano amore o il
-suo più divino orrore.
-</p>
-
-<p>
-In quel punto scoccò, dalla torre della
-Cappella, l'ora seconda dopo mezzodì.
-Sul verone il vano dell'adito era come
-un gorgo d'ombra. N'escì una donna
-che non piangeva, ed entrò nella porta
-accanto, levando le braccia. E vennero
-alcune altre donne, alcuni uomini, una
-fanciulla, tre giovinetti; e nessuno piangeva.
-Ma tutta quella famiglia adunata
-sembrava assumere una forma atta a
-ricevere l'ignoto, a ritenere in sé il peso
-dell'esanime. Il morto entrava nei vivi;
-e, prima di trasformarsi in memoria, riviveva
-in loro con la sua canizie, con
-le sue rughe, con le sue spalle curve,
-con i suoi occhi pallidi, con la sua voce
-<span class="pagenum" id="Page_114">[114]</span>
-fievole, con le sue viscere ulcerate. Entrarono
-l'un dopo l'altro nel gorgo d'ombra;
-s'inginocchiarono, s'accalcarono intorno
-al letto, divennero una cosa compatta
-su cui il morto pesò come su una
-bara di carne e d'ossa. Tutte le voci
-della Landa non valevano contro il silenzio
-che serrava la carcassa di legname
-in quella guisa che i ghiacci polari serrano
-la chiglia della nave prigioniera.
-La casipola rossastra, dentro la sua siepe
-di biancospino e di giunco marino, covava
-il più chiuso mistero del mondo:
-il corpo dell'uomo santo, la spoglia inerte
-di colui che ha offerto l'anima a Dio e
-votato sé stesso alla vita eterna.
-</p>
-
-<p>
-Passai davanti alla porta, su pel sentiero
-di sabbia, senza arrestarmi. A ogni
-passo, mi pareva di perdere qualcosa
-di me, di lasciarmi sfuggire qualcosa
-di più fervido che il sangue, come se
-fossi premuto dal rigore di due ombre.
-A ciascun fianco avevo la morte, come
-chi cammina fra due compagni per favellare
-<span class="pagenum" id="Page_115">[115]</span>
-con l'uno e con l'altro alternativamente.
-Vedevo il cadavere nell'aspetto
-più spaventoso, quando non è
-ancóra immobile, quando non è ancóra
-in pace, quando il rito funebre lo manomette,
-lo costringe a simulare il gesto,
-movendolo, sollevandolo, nel purificarlo,
-nel vestirlo. Come giunsi al principio
-della mia viottola, a poca distanza
-dal cancello, mi riscoppiò nello spirito
-un lampo dell'allucinazione che mi aveva
-tormentato per tutto l'autunno. L'uomo
-era là, ma senza rilievo.
-</p>
-
-<p>
-Quando salii su la mia duna, la bassa
-marea aveva scoperto nell'insenata il
-lungo banco mediano, simile nella forma
-sottile a un ramo secco di palmizio. Era
-grande bonaccia, nell'aria e nell'acqua.
-I velarii continuavano a svolgersi e a
-dissolversi. A tratti il sole appariva tra
-lembo e lembo; e tutte le sabbie si schiarivano,
-con un che di molle come il colore
-interno della banana. Si velava: e
-tutte scurivano, si facevano brune come
-<span class="pagenum" id="Page_116">[116]</span>
-gli aghi aridi accumulati, come le fascine
-delle palafitte.
-</p>
-
-<p>
-Il corpo dell'annegato si riformò sul
-banco, intiero come quando l'avvistai la
-prima volta.
-</p>
-
-<p>
-Fu una mattina di settembre: un cielo
-candido, un mare quasi di latte. La marea
-discendeva. Ero seduto su la loggia.
-Guardando, scorsi sul banco non so che
-cosa solitaria e immobile, la cui tristezza
-mi gravò il cuore prima che la vista la
-riconoscesse. Era un cadavere deposto
-dalla corrente, era l'annegato del giorno
-innanzi: una povera cosa nuda, più misera
-d'un rottame, più squallida d'un
-mucchio d'alghe; ma ora pareva che
-tutti i lineamenti del paese e della marina,
-da levante a ponente, da borea a
-mezzodì, convergessero in quel punto
-di miseria. Scesi alla spiaggia, chiamai
-due rematori; e andammo con la barca
-fino alla secca, per ricondurre l'uomo.
-Stava bocconi, con la testa pendente in
-un cavo della sabbia, con le ginocchia
-<span class="pagenum" id="Page_117">[117]</span>
-profondate, con le calcagna in alto, con
-le mani conserte presso l'ombelico. Il
-sangue versato dalle orecchie e dalla
-bocca tingeva la poltiglia acquidosa, e
-la rena scorreva lenta nel cavo e si mescolava
-al sangue. Un'orecchia e i capelli
-intorno erano ingrommati; il braccio
-era scarnissimo, bianchiccio, debole
-come un braccio di femmina; le unghie
-e le falangi erano paonazze come quelle
-del tintore a zàffara; le gambe erano
-pallide sotto i peli bestiali, i piedi erano
-chiazzati d'azzurro. Lo guardavo con
-l'attenzione terribile dell'arte, come non
-l'avrebbe guardato neppure la sua madre;
-me lo stampavo dietro le pupille.
-Tenevo curvato su lui il mio ribrezzo
-angoscioso con le due branche della mia
-volontà. Una vespa ci ronzava intorno
-insistente, e la sabbia era lavorata come
-i bugni.
-</p>
-
-<p>
-I rematori gli presero i malleoli in un
-nodo scorsoio, e lo trassero in acqua
-con la gomenetta legata a poppa. Il
-<span class="pagenum" id="Page_118">[118]</span>
-sangue nero rimase nella poltiglia, e lo
-lavò la marea più tardi. Ricevetti per
-sempre nel cervello anche l'orrenda scìa.
-Poi i due, aiutati da un terzo, lo sollevarono
-all'approdo. Ciascuno lo teneva
-sotto l'ascella, e il terzo per i piedi cerulei.
-S'inarcava appena, essendo rigido;
-e la testa pendeva giù come nel
-cavo, col naso pieno di coagulo rossiccio.
-</p>
-
-<p>
-La sera me lo rividi ritto su la loggia,
-nell'ombra. Per gli occhi sbarrati
-dallo spavento m'entrò anche più a dentro.
-M'era sconosciuto; non sapevo nulla
-di lui, fuorché qualche notizia vaga del
-suo stato modesto, della sua vita volgare.
-E l'avevo compagno implacabile.
-Calando il sole, cominciavo a temerlo.
-M'aspettava presso il cancello, quando
-rientravo. Nelle notti di lavoro, quando
-nella stanza attigua la candela s'era
-strutta, appariva nel rettangolo buio
-dell'uscio. Gli vedevo l'orecchia piena
-di grumi, la bocca e il naso carichi, il
-<span class="pagenum" id="Page_119">[119]</span>
-braccio scarno. E non m'era più possibile
-dormire dalla parte del mare.
-</p>
-
-<p>
-Poi fu meno assiduo, si mostrò a intervalli
-sempre più lunghi, si scolorò,
-divenne una larva fievole, si disperse.
-Ma il pensiero della morte restò in me
-gravato da quell'orrore.
-</p>
-
-<p>
-Ed ecco che riappariva, ecco che si
-rimetteva bocconi su la sabbia ad aspettare,
-come se io dovessi di nuovo imbarcarmi
-e andare a cercarlo!
-</p>
-
-<p>
-Sì, la paura corporale della morte era
-in me, come se l'uno e l'altro amico dipartendosi
-m'avessero curvato verso il
-sepolcro, verso la putredine l'ossame e
-la cenere. Le dita invisibili della malattia
-mi sfioravano la nuca, le reni, la
-gola, i precordii. Camminavo imaginando
-le gambe appesantite da un piombo
-subitaneo o invase da una sorda mollezza
-di bambagia. Vedevo chino su me
-il medico che ascolta e che palpa. Un
-soffio, un fremito, un qualche romore di
-condanna m'esciva del cuore; o da una
-<span class="pagenum" id="Page_120">[120]</span>
-molecola del cervello un offuscamento
-repentino si spandeva su tutto, come il
-nero che schizza dalla borsa della seppia
-e intorbida l'acqua.
-</p>
-
-<p>
-Dominai l'angoscia. Tuttavia le cose
-mi si manifestavano come se io le guardassi
-da non so che chiusa profondità.
-I suoni parevano impigliarsi nel silenzio
-come in una sostanza tenace: il gemito
-fioco d'una sirena all'imbocco, il rombo
-d'un'elica, il tonfo d'un remo, il richiamo
-d'un pescatore, il grido d'un uccello.
-E le attitudini disperate dei pini,
-davanti la mia loggia, in tanta inerzia
-dell'aria, mi toccavano per un sentimento
-simile a quello ch'esprimono i
-gruppi scolpiti della Deposizione, ove
-le Marie si piegano sul divino corpo investite
-da una ráffica di dolore. Lo sforzo
-iroso del vento aveva torto per anni
-i tronchi e i rami; e l'aspetto della tortura
-durava, mentre l'aria era immobile.
-</p>
-
-<p>
-Un fanciullo mi portò l'annunzio dall'infermeria
-domenicana. Uno dei figli
-<span class="pagenum" id="Page_121">[121]</span>
-mi scriveva come il padre gli avesse
-raccomandato di annunziare la sua fine
-a me prima che ad ogni altro e di comunicarmi
-che nel Venerdì Santo «all'ora
-di nona» m'aveva benedetto e poi
-non aveva più parlato in terra.
-</p>
-
-<p>
-Mi disposi di visitare il beato, declinando
-il sole. Non so che umida dolcezza
-s'era diffusa nel cielo: qualcosa di
-racconsolato e di fidente, che mi ricordava
-il volto del vecchio quando uscimmo
-insieme sul sentiero di paglia, la
-prima volta, dopo il pianto. I gradini
-della mia scala esterna erano polverosi
-di pòlline, ove il piede lasciò la traccia.
-Il medesimo solfo vivace ingialliva i
-margini del viale. I miei cuccioli di otto
-mesi, che l'uomo del canile conduceva
-su la spiaggia per l'esercizio del pomeriggio,
-mi corsero incontro facendomi
-festa a gara. Alzati su le zampe nervute,
-mi coprivano della loro vita pieghevole
-e trepidante. I loro denti erano più puri
-del gelsomino, e i loro occhi vai o grigi
-<span class="pagenum" id="Page_122">[122]</span>
-o lionati parevano scintillare alla cima
-della loro inquietudine. Una pena mi si
-svegliò nel cuore: pensai ai miei cuccioli
-di cinque giorni, dagli occhi ancóra
-suggellati. Erano nove; e, per non
-spossare la madre, bisognava risolversi
-alla scelta crudele, al sacrifizio dei meno
-belli e dei meno forti! Avevo fatto cercare
-da per tutto una nutrice, senza
-riuscire a trovarla. Entrai nel canile,
-col cuore ammollito da una pietà quasi
-feminea. La levriera, coricata sul fianco,
-teneva il muso nascosto tra le zampe
-incrociate, con la grazia del cigno che
-caccia il becco sotto l'ala. I suoi belli
-occhi d'un colore di dattero avevano
-una lucentezza quasi febrile, e un lieve
-affanno sollevava le sue costole disegnate
-come i madieri d'una carena. Cinque
-de' suoi piccoli poppavano, con un
-vigore già pugnace, pontando contro il
-seno materno le due zampette per ispremere
-la mammella, scotendo a tratti il
-capo per meglio trarre; e un'ondulazione
-<span class="pagenum" id="Page_123">[123]</span>
-di godimento correva dalla grinzolina
-della collottola alla punta della coda
-di sorcio, parendo quasi render palese
-il getto irrigante; e un fievole fiottìo accompagnava
-il poppare, un fiottìo lontano
-che faceva pensare a quello mattutino
-dei gabbiani sospeso su la bonaccia.
-Gli altri quattro, sazii, dormivano
-sul dorso come bimbi, mostrando il ventre
-roseo dove l'ombelico era appena
-chiuso, mostrando la pianta dei peducci
-lucida e tenera come certe fogliette appena
-nate, che sembrano di cera e di
-lanugine. A quando a quando sussultavano
-e gemevano come se già sognassero.
-Uno seguitava a poppare in aria,
-con la bocca molle modellata su la forma
-del capezzolo; e la lingua era concava
-come un petalo carnicino; e la gola palpitava
-come se tuttora la irrigasse il
-latte.
-</p>
-
-<p>
-Mai il primo fiore della vita animale
-m'era parso più miracoloso. La cagna
-aveva alzato il muso verso la mia carezza,
-<span class="pagenum" id="Page_124">[124]</span>
-poi s'era volta a leccare il poppante
-che succhiava l'ultima mammella
-già esausta premendola con un'insistenza
-irosa. Ella gli dava leggeri colpi per rivoltarlo
-sul ventre, ma il catellino tenace
-non lasciava la presa e metteva
-un suono di dispetto simile a un garrito
-spento. Era bianco pezzato di grigio;
-aveva una stella in fronte, un orecchio
-bruno e uno roseo, ancor nudo, suggellato
-come gli occhi, occluso da due o
-tre vescichette lustre. Lo conoscevo bene
-in tutti i suoi segni, come gli altri. E
-ora tutto mi pareva straordinario, divino
-come la diversità dei fiori, con
-quegli screzii del pelame, con quelle
-mischianze misteriose dei caratteri materni
-e paterni. Li avevo veduti escire
-a uno a uno, come piccole nuvole opaline,
-come sfere azzurrognole, come
-mondi informi: spettacolo nauseabondo
-e sublime. Avevo veduta la infaticabile
-tenerezza della madre nettarli a uno a
-uno dall'orrenda schiuma, troncare il
-<span class="pagenum" id="Page_125">[125]</span>
-cordone sanguinante, sospingerli ciechi
-e sordi verso la fonte tiepida della sua
-vita. Tutto m'era parso grande e augusto,
-portento d'amore e di sapienza;
-tutto ora mi pareva sacro. Come avrei
-potuto scegliere e condannare? Mi sentivo
-pronto a qualunque ufficio più umile
-e greve per salvare pur la men bella di
-quelle creature viventi.
-</p>
-
-<p>
-L'uomo del canile indovinò la mia
-pena e mi disse: «Aspettiamo ancóra
-qualche giorno. La nutrice si troverà.
-Me n'hanno promessa una, nella Landa».
-</p>
-
-<p>
-Mi mossi verso la Cappella di Nostra
-Donna. Il cuore mi oscillava tra la vita
-e la morte. Avevo preso meco un mazzo
-di rose che somigliavano quelle ch'io
-non vedo più, quelle di Toscana alternate
-coi giaggiuoli lungh'essi i muri graffiti
-dei poderi, a Castel Gherardo, o
-verso il Palagio del Sere, o lassù al Crocifisso
-Alto. Riudivo il versetto intonato
-da Enrico Suso: «O giovinetta rosa di
-primavera! <i>O vernalis rosula!»</i>
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_126">[126]</span>
-</p>
-
-<p>
-Nessuno piangeva, nella casa domenicana.
-Un dolore composto e taciturno
-annobiliva tutta quella genitura discesa
-dall'uomo santo. Passai pel verone di
-legno, non scorsi rilucere lo specchio,
-misi il piede sul limitare, vidi qualcosa
-di bianco nascere, presso e lontano.
-Prima che le pupille scoprissero l'immobile
-forma, nel mio amore e nella
-mia reverenza due bare si congiunsero.
-L'umile uomo da bene e il poeta indimenticabile
-erano una sola morte. Ed
-erano un solo sorriso, una sola pace,
-una sola beatitudine.
-</p>
-
-<p>
-Non avevo mai veduto la morte vestita
-di quel divino pudore, se non in certe
-stele funerarie ad Atene, se non in certe
-pietre sepolcrali di questa terra di Francia,
-nelle quali il marmorario sembra
-precorrere il lavoro dell'Artefice eterno
-che al novissimo dì riscolpirà tutti i
-volti secondo la bellezza perfetta. Ogni
-lesione della vita pareva cancellata. Non
-l'anima soltanto, non soltanto l'anima
-<span class="pagenum" id="Page_127">[127]</span>
-di sacrificio e di preghiera, ma la carne
-di dolore e di colpa aveva ottenuto l'indulto.
-Tanto dunque una carne miserabile,
-vaso di dissolvimento, può divenir
-bella nelle prime ore della morte? Ero
-certo che anche nel volto del mio fratello,
-laggiù, su la collina d'Italia, risplendeva
-quella bellezza.
-</p>
-
-<p>
-Posai le rose su' suoi piedi congiunti
-sotto la coltre bianca. Mi chinai a baciarlo
-in fronte, e non ebbi terrore. Una
-voce sommessa mi chiese: «Non volete
-pregare per lui?» Mi fu offerto un inginocchiatoio
-leggero, che aveva la predella
-di paglia. M'inginocchiai. Altre
-creature erano in ginocchio e pregavano,
-senza susurro.
-</p>
-
-<p>
-Volgevo le spalle alla luce. La mia
-ombra cadeva sul letto funebre, stava
-su le ginocchia sparenti del cadavere,
-incrociata con quel corpo tanto sottile
-che non s'alzava dal piano più d'un
-bassissimo rilievo né sembrava pesare
-più della mia ombra. Quanti difficili
-<span class="pagenum" id="Page_128">[128]</span>
-nodi ho conosciuto, dai più robusti che
-fanno con i canapi i marinai a quelli
-che si piacque di disegnare l'ermetico
-Leonardo! Ma nessuno mai arcano come
-il groppo di quelle due mani esangui
-intorno al crocifisso d'ebano. Nessuno
-mi parve mai tanto durevole e indissolubile.
-L'osservavo di continuo, gli occhi
-miei affascinati fisandosi di continuo
-in quel punto; e non riescivo a comprendere
-come le dita fossero tra loro
-intessute, come quella cosa pallida e
-solinga fosse connessa.
-</p>
-
-<p>
-Il chiarore che tante volte avevo veduto
-nello specchio spaventoso, quel
-medesimo ora occupava la stanza. Mi
-volsi un poco a sinistra, e scorsi lo
-specchio coperto d'un lenzuolo bianco.
-Quali visioni insostenibili aveva serbato
-nel profondo?
-</p>
-
-<p>
-Da prima in me fu silenzio. L'umile
-uomo da bene e il sovrano cantore del
-bene erano una sola morte e una sola
-santità. Volgevo le spalle alla luce del
-<span class="pagenum" id="Page_129">[129]</span>
-giorno occidente, all'immensa Landa
-deserta. Era in me col silenzio un'attesa
-senz'angoscia. E a poco a poco uno
-spirito musicale entrava in me. Mi sovveniva
-della sera d'ottobre, della sera
-d'un altro sabato, d'un abituro presso
-un'altra Cappella, in mezzo a un'altra
-foresta. Mi sovveniva di Francesco alla
-Porziuncola e dell'ultimo cantico cantato
-nell'ombra, con la faccia rivolta
-al cielo, mentre i fratelli ascoltavano
-rattenendo il respiro. «<i>Voce mea ad
-Dominum clamavi.</i>» Tutto il cielo,
-quando il Serafico si tacque alla soglia
-d'eternità, tutto il cielo della sera
-fu pieno d'un coro miracoloso di allodole.
-</p>
-
-<p>
-Ed ecco, dall'immensa Landa, una
-melodia sorse e si sparse, una melodia
-che forse già riempiva tutta l'ombra
-degli alberi piagati ma che non fu da me
-udita se non in quel punto. Di duna in
-duna, di selva in selva, di macchia in
-macchia, la Landa si fece tutta melodiosa,
-<span class="pagenum" id="Page_130">[130]</span>
-fino all'Oceano. Era un cantico
-d'ali, un inno di piume e di penne, quale
-non s'ebbe più vasto il Serafico, quale
-non si sognò così pieno Paulo di Dono.
-Era la sinfonia vesperale di tutta la
-primavera alata, per Giovanni di San
-Mauro, per l'interprete di ogni aerea
-voce.
-</p>
-
-<p>
-Saliva, saliva senza pause. E a poco a
-poco, di sotto al salmo silvano, si moveva
-una musica fatta di gridi e di strepiti
-conversi in note armoniose da non
-so qual virtù della lontananza e della
-poesia. Erano i suoi famigliari che
-avevano cullato i sogni agresti di Castelvecchio:
-risa di bimbi, favellìo di
-massaie, uggiolìo di cani, péste di cavalli,
-mugghi di mandre, stridore di
-carretti. E i galli chiamavano e rispondevano,
-dai chiusi di giunco marino e
-di bianco spino, come se il vespro si
-mutasse in alba, la quiete in risveglio.
-E le campane sonavano come «nei
-cilestri monti». E la sera varcava la
-<span class="pagenum" id="Page_131">[131]</span>
-soglia, simile a un grande arcangelo
-velato.
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Giova ciò solo che non muore...</p>
-</div></div>
-
-<p>
-La cella era divenuta cupa come
-una cripta, ma il salmo della Landa la
-riempiva come il rombo dell'Oceano
-riempie la conca. Il letto bianco era
-divenuto simile a quelle arche d'argento
-che splendevano nella vecchia contea di
-Sciampagna; e sopra vi giaceva una
-statua supina. E non era l'effigie d'un
-morto ma d'un immortale: come le
-figure del secolo di fede, aveva gli
-occhi aperti perché non credeva se non
-nella Vita. Come nell'antifonario di
-Santa Barbara, era per levarsi e per
-dire con un'allegrezza imperiosa: «<i>Aperite
-mihi portas justiciæ. Ingredior in
-locum tabernaculi admirabilis usque
-ad domum Dei</i>». Non mostrava le tracce
-degli anni, i solchi senili; ma era ferma
-nella giovinezza del Risorto, nell'età che
-tutti gli uomini avranno quando saranno
-<span class="pagenum" id="Page_132">[132]</span>
-per risorgere come Lui. E non le stava
-sul capo la guglia trilobata che sovrasta
-ai Santi nei pilastri e nelle vetriere della
-cattedrale? E il duomo di Dio, la cattedrale
-unanime e innumerabile, non
-s'alzava di sopra a quella cripta nuda,
-con la sua selva di simboli e di misteri?
-E il sole gotico non s'era colcato dietro
-la grande Rosa?
-</p>
-
-<p>
-Il salmo non aveva fine. Tutto pareva
-salire, ancóra salire, sempre salire, nel
-rapimento di quel canto. Il ritmo della
-Resurrezione sollevava la terra. Io non
-sentivo più i miei ginocchi, né occupavo
-il mio luogo angusto con la mia persona;
-ma ero una forza ascendente e
-molteplice, una sostanza rinnovellata
-per alimentare la divinità futura. Cose
-ignote, esseri ignoti erano per nascere
-al suono della mia prossima voce. Non
-v'era più ombra né paura di morte in
-me; né pur v'era desiderio o speranza
-di pace. «Non voglio la pace. Voglio
-morire nella passione e nel combattimento.
-<span class="pagenum" id="Page_133">[133]</span>
-E voglio che la mia morte sia
-la mia più bella vittoria.» Avevo accesa
-una nuova lampada ma anche rifuso
-un più ricco olio nell'antica perché riardesse.
-Mi sentivo figlio di me, e le mie
-labbra non avevano appreso a proferire
-il nome del Padre nell'orazione.
-</p>
-
-<p>
-«Amici, è sempre sera e presto sarà
-notte.» Vedendo guizzare su la parete
-un lume improvviso, mi levai. Qualcuno
-stava per accendere un cero a pie dell'arca
-imaginaria. Mi levai, mi volsi,
-uscii. L'atto fu così rapido che nessuno
-mi seguì, tranne un giovinetto. Gli aditi
-erano bui. Non lo distinguevo. Quando
-mi sfiorò il braccio per passarmi innanzi,
-vidi brillare il bianco de' suoi occhi.
-Quando fummo sotto la tettoia, vidi la
-sua faccia dorata, le ciocche folte e
-nere de' suoi capelli. Lo sentii tremare
-mentre m'apriva la porta sul sentiero
-di sabbia. Allontanandomi, non udii il
-rumore del cardine dietro di me; e
-pensai ch'egli fosse rimasto sul limitare
-<span class="pagenum" id="Page_134">[134]</span>
-a guardarmi. Ma non mi voltai. Mi
-pareva che un viso nuovo mi fosse nato
-dal mio spirito. L'imagine rivelatrice
-del giovine dalla sindone mi toccò la
-cima del cuore.
-</p>
-
-<p>
-Discesi la duna. Il calcagno s'affondava
-senza sonare. La Landa ora taceva,
-in una nuvola di pòlline, piena di connubio.
-Il salmo vesperale era cessato.
-Una costellazione misteriosa si accendeva
-nel cielo violetto. Il tuono remoto
-dell'Oceano era come il vigore del
-silenzio.
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Giova ciò solo che non muore, e solo</p>
-<p class="i01">per noi non muore, ciò che muor con noi.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Ero in quello stato di potenza che
-talvolta ci fa sentire come il vivere non
-sia se non un continuo creare. Passai
-presso un cespuglio fragrante nell'ombra,
-che mi divenne un sentimento meraviglioso.
-D'un tratto uno scoppio di
-passione canora trasmutò il silenzio in
-un'ansia intenta. Le stelle s'appressarono
-<span class="pagenum" id="Page_135">[135]</span>
-alle chiome dei pini feriti. Cantava
-l'usignuolo.
-</p>
-
-<p>
-Vidi brillare il Faro laggiù, su l'estrema
-lingua di sabbia. M'accorsi d'esser
-vicino alla mia duna. Camminai verso
-la casa, con l'anima rovesciata indietro
-a ricevere il canto. Un'ombra stava diritta
-presso il cancello, nel luogo medesimo
-ove soleva aspettarmi l'uomo livido.
-M'appressai con un passo più rapido,
-con gli occhi aguzzati.
-</p>
-
-<p>
-Era uno sconosciuto della Landa che
-mi conduceva la nutrice. Teneva a guinzaglio
-una cagna da caccia, che a quando
-a quando mandava fuori un lamentìo
-sommesso. E la voce della madre era
-così straziante che non udii più quella
-dell'usignuolo. «Dove ha lasciato i suoi
-piccoli?» chiesi allo sconosciuto. Il carnefice
-li aveva annegati in una tinozza
-d'acqua fredda, tutti: erano dodici! Mi
-curvai verso la disperata, posi un ginocchio
-a terra. Lo sprazzo rosso del
-Faro illuminò la sua bella testa falba
-<span class="pagenum" id="Page_136">[136]</span>
-dalle larghe orecchie di velluto, la sua
-faccia possente e pacata ove brillavano
-due occhi folli. E vedevo galleggiare
-nella tinozza i dodici piccoli cadaveri.
-</p>
-
-<p>
-Allora, inginocchiato su la sabbia, le
-palpai le mammelle ch'erano gonfie e
-calde tra i lunghi peli bianchi e bai. Il
-forte lezzo della maternità mal curata
-e della cuccia negletta mi rendeva più
-pesante il cuore. E lo sprazzo candido
-del Faro mi passò sul capo chino.
-</p>
-
-<div class="figcenter"><a id="fill-136"></a>
- <img src="images/ill-136.jpg" alt="" />
-</div>
-
-<div class="tnote">
-<p class="tntitle">
-Nota del Trascrittore
-</p>
-
-<p>
-Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo senza annotazione
-minimi errori tipografici.
-</p>
-
-<p class="covernote">
-Copertina creata dal trascrittore e posta nel pubblico dominio.
-</p>
-</div>
-
-
-
-
-
-
-
-
-<pre>
-
-
-
-
-
-End of Project Gutenberg's Contemplazione della morte, by Gabriele D'Annunzio
-
-*** END OF THIS PROJECT GUTENBERG EBOOK CONTEMPLAZIONE DELLA MORTE ***
-
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-
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