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If you are not located in the United States, you'll have -to check the laws of the country where you are located before using this ebook. - -Title: Contemplazione della morte - -Author: Gabriele D'Annunzio - -Release Date: June 17, 2020 [EBook #62417] - -Language: Italian - -Character set encoding: UTF-8 - -*** START OF THIS PROJECT GUTENBERG EBOOK CONTEMPLAZIONE DELLA MORTE *** - - - - -Produced by Barbara Magni, elisa and the Distributed -Proofreading team at DP-test Italia, -http://dp-test.dm.unipi.it (This file was produced from -images generously made available by The Internet Archive) - - - - - - - GABRIELE D'ANNUNZIO - - - CONTEMPLAZIONE - DELLA MORTE - - - - FRATELLI TREVES EDITORI - MILANO • MCMXII - - _Seconda Edizione_ (4.º a 7.º migliaio). - - - - - _Proprietà letteraria. - Riservati tutti i diritti._ - - Copyright by Fratelli Treves, 1912. - - Tip. Treves. - - - - -MESSAGGIO. - - -_A MARIO PELOSINI DI PISA._ - -_Mio giovine amico, per quella foglia di lauro che mi coglieste su -la fresca tomba di Barga pensando al mio lontano dolore, io vi mando -questo libello dalla Landa oceanica dove tante volte a sera il mio -ricordo e il mio desiderio cercarono una simiglianza del paese di -sabbia e di ragia disteso lungo il mar pisano._ - -_Ben so come profondamente nel vostro petto fedele voi custodiate la -luce dell'ora in cui per la prima volta, sconosciuto e atteso, varcaste -la soglia della casa ch'io m'ebbi un tempo alla foce dell'Arno tra i -ginepri arsicci e le baglie marine. Eravate quasi fanciullo, _generosus -puer_, ebro di poesia, tremante di riconoscenza e d'amore; e la divina -virtù dell'entusiasmo ardeva in voi così candidamente ch'io mi credetti -riveder me stesso giovinetto nell'atto di accostarmi a un puro spirito, -ora esulato dalla terra, che molto amai e molto ascoltai. La casa era -tanto prossima al frangente che dalla finestra non si vedeva se non il -flutto, come da un'alta prora. E mi piacque che intorno a quel nostro -primo dialogo non paresse stagnare la quiete domestica ma spirare quasi -la libertà d'una navigazione avventurosa. _Anchoras praecide_. Credo -che tal fosse il mio primo insegnamento. E ci accomiatammo, secondo il -costume di coloro che non si riposano su alcuna certezza o promessa, -come se non dovessimo rivederci più mai._ - -_Di lontano, non ebbi da voi se non sobrie testimonianze d'un amore -sempre più forte e d'una fede sempre più tenace. Cosicché, pensando al -prato sublime che sta tra il Camposanto e il Battistero o alla funebre -spiaggia tra il Serchio e l'Arno, posso senza discordanza pensare a voi -prediletto tra i pochissimi che sanno amarmi come solo voglio essere -amato._ - -_Ecco che riprendo in queste pagine una contemplazione già iniziata -nella solitudine di quel Gombo ove vidi in una sera di luglio approdare -il corpo naufrago del Poeta che s'elesse Antigone e vegliai la salma -colcata a fianco della vergine regia, tra l'uno e l'altra sorgendo il -fiore «inespugnabile» nomato pancrazio._ - - _Poi che non val la possa_ - _della Vita a comprendere tanta_ - _bellezza, ecco la Morte_ - _che braccia più vaste possiede_ - _e silenzii più intenti_ - _e rapidità più sicura;_ - _ecco la Morte, e l'Arte_ - _che è la sua sorella eternale..._ - -_Ma, di qua d'Arno, nella selva spessa che va sino al Calambrone, in -un meriggio dello stesso luglio, portai il pensiero della fine su i -miei piedi nudi come una fiera porta la sua fame o la sua vigilanza. -Il demone del rischio mi aveva detto: «Va e gioisci. Beviti le musiche -degli uccelli e dei vènti, abbàgliati delle luci, inèbriati degli -odori. Una vipera ti ucciderà». Andai, e cercai la mia vipera. Portavo -leggeri sandali di sparto legati ai malleoli con corregge sottili. -Tanto era l'attesa che, quando mi sentii mordere la prima volta, non -potei trattenere il grido. E farmi pallido in quell'aria affocata mi -pareva una sorta di voluttà eroica. Guardai. Non era se non la puntura -d'una spina: il sangue gocciolava, e tutte le vene del piede erano -gonfie per lo sforzo del camminare nella sabbia ardente come la brace -o su gli aghi arroventati come gli schisti del Deserto. «Non ancóra,» -E seguitai, senza guardare a terra, entrando sempre nel più folto. E -a ogni puntura dicevo: «Ecco». E non era se non un aculeo più acerbo. -E ogni goccia di sangue mi pareva più preziosa. E tutti i miei sensi -divenivano soprannaturali, perché creavano una natura più potente e più -bella. Vedevo fumare dai cespugli l'aroma, la vita del pino brillare di -sotto la scaglia come la porpora nel murice, l'esiguo triangolo chiaro -nella coccola del ginepro significare il mistero d'un dio verde il cui -baleno era la lucertola guizzante. E seguitai, seguitai, sanguinando, -ma senza trovare la mia vipera. Se i miei piedi erano gonfii e dolenti, -il mio capo era perspicuo e lieve come nel santo digiuno._ - -_Un'allegoria è nascosta in ogni figura del mondo; e giova, secondo -la sentenza di san Gregorio, «lo intendimento delle allegorie ridurre -ad esercizio di moralitade». Sotto il più alto fervore, sotto la più -profonda conturbazione del mio spirito la mia ferinità persiste, -o giovine amico. E voi comprenderete perché, tornando dall'aver -contemplato in ginocchio la beatitudine del Cristiano sul letto -candido, io abbia palpato in ginocchio le mammelle numerose della Diana -Efesia sotto la specie brutale._ - -_Or qual bellezza doveva essere in quel Santo, se pareva che la morte -le convenisse!_ - -_Bisogna credere che sempre e in ogni luogo lo spirito dell'uomo -sia l'iddio verace dell'uomo e che le imagini mitiche o incarnate -della divinità non sieno se non i modi che conducono a riconoscere -sol quello: sol quello _che non si può nominare e a cui non si può -disobbedire_. Gran tempo io diffidai del Galileo come d'un nemico, -per una provvidenza che nel nemico pone la salute del forte. Pur non -temendo il «dio senza muscoli», non m'avvenne di guardarlo negli occhi. -Nella prima giornata di questo Quatriduo si narra come il sùbito pianto -del vecchio me lo facesse presente. Ora a volte Egli se ne va davanti -me, cammina sopra queste acque come sopra il mar di Tiberiade. Ieri si -presentò su la riva e mi disse: «Getta la rete». E quel giovine dalla -sindone che ora è il mio compagno, del quale si parla nella terza -giornata di questo Quatriduo, si precipitò nel mare «perciocché egli -era nudo, _erat enim nudus_». Questi sarà il mio mediatore affinché il -Figlio dell'Uomo mi conduca a riconoscere compiutamente il mio intimo -Signore. Così, dopo aver cantato tutti gli iddii, canterò il mio dio -verace. E vi manderò il libro di Taigete come lo spirital fratello del -libro di Alcione composto là dove non era altra croce se non quella -degli staggi sospesa su la fiumana in un miracol d'oro. Ed è grazia -della sorte che questo novo canto s'alzi dall'estremo Occidente ove -«per cento milia perigli» era giunto l'ardore dell'Ulisse dantesco. -E il dio voglia che, di continuo tendendo l'orecchio, riesca io a -cogliere il ritmo della grande onda occidentale per mescolare con esso -la mia anima italica._ - -_Ma qual è il Redentore che voi aspettate, che aspettano i vostri -eguali? Forse un nuovo sentimento sacro riempie freschi occhi che -non conosco, che non vedrò mai. Talvolta, se ascolto, mi par d'udire -pensieri ascendere come l'argento e il cristallo di quel vasto coro -infantile che saliva dallo Stadio nella Città subalpina. Qualcuno -scrolla e sfonda porte lontane; e par mi giunga lo strepito indistinto. -Qualcuno reca in sé tutta una stirpe occulta e bramosa, che chiede di -nascere. E chi sale contro a me, dall'altro declivio del secolo, in -silenzio? Colui che io ho annunziato?_ - -_Ieri, su l'Atlantico, una imaginazione mi venne dal ripensare che in -Tespia il simulacro di Amore era un sasso greggio. Anche ripensavo a -quegli zòani primitivi che aveano le gambe congiunte l'una all'altra -e congiunte le braccia lungo i fianchi sino alle cosce. E consideravo -la potenza commossa dell'artefice che primo disgiunse le gambe del dio -rude e primo atteggiò al gesto le braccia. Per ciò guardo e interrogo -le mani dei giovani pensosi, se sien capaci di tagliare il sasso -greggio di Tespia. Taluno ha l'aria di aver dormito in un tempio e di -non voler parlare. E la sua faccia par piena di segni e di segreti come -la palma della mano._ - -_Ma non sempre indarno io ho masticata la foglia del lauro, come gli -indovini, pur temendo gli indovinamenti del mio cuore._ - -_E vengono verso me fantasmi che non si generano dai miei sogni._ - -E che può mai essere per me il rinascere, se «io nacqui ogni mattina»? -Ora la cosa non è più tra me e l'alba._ - -_E ora so che il dio verace è quello a cui non si può disobbedire, -quello contro cui non si può commettere peccato. E quello io debbo -trovare e conoscere._ - -_E la qualità della mia fede è tale che, quando apro il volume della -Comedia, io credo aver Dante visitato in carne e in ispirito i tre -regni._ - -_E io, il quale volli un tempo essere un Maestro, ora so come nulla di -ciò che è veramente vivo e divino possa essere insegnato._ - -_E io, che più d'una volta respinsi l'ingiuria, ora comprendo la -parola del Crisostomo: «che niuno non può essere offeso, se non da sé -medesimo»._ - -_E io ricevo ora la forza di tutti i miei errori vinti e di tutti i -miei mali superati, come quel cavaliere del romanzo carolingio, il -quale ereditava il potere di quanti uomini e mostri abbattesse la sua -lancia._ - -_E so che gli occhi lontani di quelli che piansero e piangono su i miei -errori e su i miei mali non possono essere né puri né profondi._ - -_E chi prende e soppesa taluna delle mie opere, consideri una delle -tante mie parole che il tumulto impedì d'intendere: «I figli miei -concetti nell'ebrezza — _come delitti sacri alla dimane_....»_ - -_E chi mi ama sappia che di ogni mia dimora distrutta io ho sempre -potuto serbare la pietra che porta inciso l'enigma della mia libertà: -«_Chi 'l tenerà legato?_»_ - -_E chi mi segue sappia che perfino nella mia nave piena di sozii -l'istinto implacabile della liberazione mi spinse più d'una volta a -gittarmi solo in mare come il poeta di Metimna ma senza ricorrere al -delfino salvatore._ - -_E non vorrò mai esser prigioniero, neppure della gloria._ - -_E non vorrò mai riconoscere i miei limiti._ - -_E non vacillerò mai dinanzi alla necessità del mio spirito e alla -cicuta._ - -_E non farò mai sosta alle incrociate delle mie vie._ - -_E serberò fresca la vena inestinguibile del mio riso pur nella -peggiore tristezza._ - -_E dico che l'elemento del mio dio è il futuro._ - -_E dico che ciò ch'io non sono, domani altri sarà per mia virtù._ - -_O giovine amico, ciascuno di questi pensieri non è se non il tema d'un -inno e non può esser condotto a compimento se non dal ritmo eroico. E -credo avere accresciuto il numero delle mie corde dopo questi funerali, -come il costruttore di città, avendo imparato la melodia dei Lidii -nelle esequie fatte a Tantalo da essi Lidii, aggiunse tre corde alle -quattro della lira._ - -_Ma pur saprei soffiare su ciascuno come il fanciullo su la lanugine -del cardo argentino, per astringermi di considerare nella mia memoria -quel poco di sole che impallidiva su quel poco di paglia davanti alla -porta del mio malato e quel poco di vetro rotto che vi luceva come -lacrime o rugiada._ - - _Il silenzio era un inno senza voce._ - -_Tale potrebbe essere allora il mio silenzio. Ma quegli che sale contro -a me, dall'altro declivio, quando m'incontrerà e gitterà il suo grido?_ - -_O mio giovine amico, talvolta la giovinezza mi chiama dalle viscere -della Città come la sirena dall'abisso; e accorro, ansioso, alla -mia maraviglia e alla mia perdizione. Amo cercare nel traffico e -nell'ignominia della via gli occhi dell'Ignoto, gli occhi fissi che -mi sfidano, gli occhi obliqui che mi sfuggono, sotto il rombo senza -pensiero. Ho su la lingua la cenere dei miei sogni, e la mastico per -non esserne strozzato._ - -_La penultima sera d'aprile ebbi nella via un compagno ventenne: un -volto imberbe modellato dal pollice ferreo del Destino come quello -del Beethoven; un cuore chiuso in cui forse sonavano le quattro note -spaventose della Sinfonia Quinta. Andavamo a paro, oppressi da uno di -quei cieli d'uragano bassi e rossastri, sotto i quali Parigi sembra -schiumare e fumigare come un bulicame enorme. La carta dei giornali, -ond'era invasa tutta la città, pareva elettrica come quando esce -tesa dai cilindri della cartiera nei giorni secchi scoppiettando di -scintille. Il bandito famoso era morto laggiù, nella casa diroccata e -arsa, dopo l'assedio feroce e ridevole, gittando l'ingiuria suprema -fuor del suo capo forato da dodici palle. E, mentre era celebrato -nei fogli l'eroismo degli assediatori coperto di materassi, l'atroce -parola plebea pareva fosse per rimaner sospesa su l'immensa adunazione -dei tetti sicuri, fino al crollo totale. Tutto lo spazio era pieno di -violenta morte, di bellezza torbida, e di non so che travagli, e di non -so che presagi, come se il Futuro si chinasse dalla nuvola ferrugigna -a soffiarci sul viso il suo polline ben più potente che il vivo solfo -della Landa pinosa. E ci pareva d'entrare in ogni via come il soldato -entra nella trincea, ed ogni via ci pareva chiusa come i vicoli ciechi, -e ci pareva di sfondarla con la volontà senza gesto. E un branco di -bagasce, contro un muro infetto dalla lebbrosìa degli affissi, ci -guatò di sotto ai grandi cappelli piumati, con qualcosa di selvaggio -negli occhi pesti e nelle labbra dipinte, simili a menadi sfatte di un -Dioniso tavernaio. E più in là, dietro una vetrina piena di dolciumi -stantii e di sciroppi inaciditi, scorgemmo la Parca Atropo. E più in -là, dentro una meschina bottega d'oriolaio, intravedemmo un Saturno -barbato e scerpellato che mangiava un lungo rocchio di salsiccia -figliale, tra orologi morti e decomposti._ - -_Come il mio compagno povero abitava nel sobborgo, per aspettare l'ora -del treno entrammo in un piccolo Caffè; e ci sedemmo l'uno accanto -all'altro davanti a una lastra di marmo su cui la traccia lasciata da -una sottocoppa sporca disegnava il circolo dell'eternità. E il luogo -ignobile s'empì del nostro tumulto inespresso, come una conca è piena -di rombo oceanico che solo un orecchio aderente ode. E, quando il -tavoleggiante accese sul nostro capo il becco del gas, vidi la bocca -del mio compagno simile alla bocca dei mutoli che vogliono parlare; -e forse era piena della parola nuova, o forse soltanto di saliva -angosciosa. E guardai anche quel chiarore su le sue mani pallide, -pensando al sasso di Tespia. E non mai ebbi così grande il sentimento -d'un dio ignoto che divorasse un'anima gonfia._ - -_«Bisogna che ci separiamo e che poi ci ritroviamo». Tornai indietro -solo, verso la febbre notturna; e alzavo di tratto in tratto gli occhi -al volto indistinto che dalla nuvola si chinava verso me come quelle -strigi gotiche dalle gronde delle cattedrali. E, passando per una via -angusta, di colpo la bertuccia d'un merciaiuolo ambulante mi saltò -su le spalle. E tutto il lastrico sonò di risa e di motti plebei. E -l'ingiuria lugubre dell'uomo dal capo forato era sospesa nel crepuscolo -pregno d'una forza senza nome. Ma il mio compagno ventenne, traballando -laggiù nel treno tardo, udiva forse Amfione preludiare sopra un mucchio -di calcinacci._ - -_Ora bisogna che anche noi ci separiamo e poi ci ritroviamo, mio -giovine amico._ - -_Addio._ - - Dalle Lande, maggio 1912. - - _G. d'A._ - - - - - ALLA MEMORIA - - DI - - GIOVANNI PASCOLI - - E DI - - ADOLPHE BERMOND. - - - - -VII APRILE MCMXII - - -Anche una volta il mondo par diminuito di valore. Quando un grande -poeta volge la fronte verso l'Eternità, la mano pia che gli chiude gli -occhi sembra suggellare sotto le esangui palpebre la più luminosa parte -della bellezza terrena. Penso che Maria dolce sorella, la tessitrice -dalle mani d'oro, a cui Giovanni chiamato dai suoi morti chiedeva un -giorno in una tenue ode divina il «funebre panno», abbia compiuto pur -quell'officio, ella che è virile in pietà come Caterina da Siena. E chi -allora fu di lei più certo che nel cari occhi abbuiati dalla pressura -scompariva anche l'allegrezza dell'aprile presente? - - Fantasma tu giungi, - tu parti mistero. - Venisti, o di lungi? - ché lega già il pero, - fiorisce il cotogno - là giù. - -Se imagino i suoi occhi nell'ultima ora e se imagino le rondini -all'Osservanza «quelle dal petto rosso e quelle dal petto bianco» -traversanti pel vano della finestra nel cielo di Pasqua, mi torna alla -memoria una sua parola d'or quindici anni, in cui — non so perché — -parvemi veder riflesso il baleno del balestruccio come in un marmo -nero levigato. Parlava egli alle volatrici nella favella francescana, -e diceva: «Vorrei avere tutto il dì, mentre sto curvo sui libri, negli -occhi intenti ad altro, la vertigine d'ombra del vostro volo!» Oggi -riodo gli stridi delle sue compagne sotto le grondaie lontane, e vedo -in que' suoi occhi _intenti ad altro_ la vertigine d'ombra. Quella -parola ch'egli credeva dire per la sua vita, egli la diceva per la -sua morte; e io non sapevo che, fra tante di cui sono immemore, mi -fosse penetrata così a dentro e si fosse accresciuta di questa funebre -bellezza. - -Ieri un caso volgare e ammirabile mi diede il modo di assistere -continuamente col pensiero il mio amico nella sua agonia. E più tardi, -per una rispondenza misteriosa, potetti ascoltare la musica infinita -che la sera faceva intorno al suo silenzio. - -Lo credevo quasi guarito, o almeno fuor d'ogni pericolo. Notizie -recenti mi assicuravano ch'egli fosse per tornare alle sue consuetudini -cotidiane e per riprendere il lavoro disegnato. Venerdì notte, cedendo -alla svogliatezza primaverile, lasciai a mezzo la mia pagina; e mi misi -a sfogliare qualche libro di figure. Mi venne fatto di scorrere la -raccolta delle acqueforti pascoliane di Vico Viganò. Per confrontare -il ritratto inciso del poeta con una imagine d'esattezza fotografica, -cercai il volume illustrato dell'_Inno a Roma_ credendo che ci fosse. -La memoria m'ingannava: non c'era. Ma mi soffermai su l'impronta -dell'ascia sepolcrale romana; e rilessi i bellissimi esametri. - - _Ascia, teque eadem magnae devovit in oris_ - _omnibus Italiae, dein toto condidit orbe..._ - -Anche una volta l'evocatore delle auguste forze scomparse aboliva -nel mio spirito l'errore del tempo. Riconoscevo a quel dilatato -respiro del mio sogno uno dei più alti suoi doni; perché certe sue -evocazioni dell'antico si avvicinano ai limiti della magia. Qualcosa di -magico è nella potenza repentina onde un grande poeta s'impadronisce -dell'anima nostra. A un tratto l'immensa notte oceanica s'empiva de' -suoi fantasmi. Il numero del suo verso si prolungava in una lontananza -solenne, fin là dove la parola dell'inno vedico pareva la sua stessa -eco ripercossa dall'invisibile confino. «Ciò ch'io ti prendo, o Terra, -racquisterai presto. Possa io, o pura, non ferire alcuna tua parte -vitale, non il cuor tuo». - - _Roma sed exsistens e sulco pura cruento_ - _sacravit Terrae Matri, qua laeserat et qua_ - _esset per gentes omnes laesura, bipennem._ - -La notte era tranquilla ma non serena, con istelle forse infauste, -prese in avvolgimenti di veli e di crini. L'acqua dell'insenata non -aveva quasi respiro, ma di là dalle dune e dalle selve l'Oceano senza -sonno faceva il suo rombo. Nondimeno questa quiete comunicava con quel -tumulto, e la sabbia di quella riva tormentosa era simile alla sabbia -di questa che si taceva. Così talvolta, nella più agitata angoscia, un -meandro profondo della nostra coscienza rimane in pace. E dove dunque -era per approdare l'Ulisse dell'_Ultimo viaggio?_ su questa o su quella -riva? - -Ora mi chiedo con turbamento perché di tratto in tratto il mio spirito -interrompesse il suo fantasiare per cercar di rinvenire in sé l'aspetto -mortale del poeta. Non mi pareva di ritrovarlo nell'acquaforte -dell'artista lombardo, né sapevo dove cercarne un'imagine precisa. E, -se chiudevo gli occhi e mi sforzavo di ricomporne le linee sul fondo -buio, il volto indistinto si dissolveva in bagliori. Allora mi ricordai -d'avergli detto un giorno: «Se tu avessi il viso tutto raso e se tu non -sorridessi, somiglieresti a Piero de' Medici com'è scolpito da Mino». -Ma in verità egli non s'era mai lasciato guardare da me fisamente. - -La nostra amicizia soffriva d'una strana timidezza che non potemmo -mai vincere perché i nostri incontri furono sempre troppo brevi. Era -un'amicizia «di terra lontana» come l'amore di Gianfré Rudel, e per ciò -forse la più delicata e la più gentile che sia stata mai tra emuli. Si -alimentava di messaggi e di piccoli doni. Da prima egli temeva che la -sua rusticità e la sua parsimonia mi dispiacessero, come io temevo che -gli increscesse la mia diretta discendenza dalla brigata spendereccia. -Egli forse pensava che qualcosa di vero ci dovesse pur essere in fondo -alle dicerie della cialtronaglia. Un giorno lo colpì la schiettezza del -mio riso dinanzi a certe sue esitazioni; e allora gli parve di potermi -offrire l'ospitalità nella sua casa di Castelvecchio, poiché l'acqua -il pane e le frutta erano il mio regime consueto di «operaio della -parola». Ma la sorte volle ch'io non conoscessi il sapore del pane -intriso rimenato e foggiato a crocette, secondo l'usanza di Romagna, -dalle mani di Giovanni e di Maria. Spesso, alla buona stagione, eravamo -vicini; e vedevamo entrambi, al levarci, la Pania e il Monte forato. -Ma non avemmo agio né forse voglia di visitarci, perché ci sembrava -pur sempre che qualcosa delle nostre persone facesse ingombro alla -familiarità dei nostri spiriti. Di Boccadarno io gli mandai un di -que' coltelli ingegnosi che hanno nel manico tutti gli arnesi del -giardiniere, dalle cesoie al potaiolo. Di Versilia gli mandai un'ode -curvata in ghirlanda con l'arte mia più leggera. - - -Ma come c'incontrammo la prima volta? A Roma, per insidia. Già ci -amavamo da tempo; e avevamo scambiato molti messaggi affettuosi e -quelle lodi acute, d'artiere ad artiere, che s'inseriscono alla cima -dello spirito e fanno dimenticare la grossezza dei solenni tangheri -i quali oggi in Italia giudicano di poesia. Trovandosi in Roma, egli -certo desiderava di vedermi; ma, nel momento di porre ad effetto il suo -proposito, la timidezza lo arrestava; né i nostri amici riescivano a -persuaderlo, né io riescivo a scovarlo in alcun luogo. Allora Adolfo -de Bosis, il principe del silenzio, il nobilissimo signore di quel -_Convito_ che fu «presame d'amistade» fra i pochi deliberati d'opporsi -alla nuova barbarie ond'era minacciata la terra latina, ricorse a un -grazioso stratagemma. Me lo condusse di buon'ora, all'improvviso, nella -mia casa, dandogli ad intendere che lo conducesse a veder una statua -di Calliope ritrovata nel limo del Tevere la sera innanzi, divinamente -levigata da secoli d'acqua. Io era in giorni di splendida miseria, -abitando nell'antica selleria dei Borghese, tra Ripetta e il Palazzo, -tra il fiume torbo e quel «gran clavicembalo d'argento» celebrato -in un sonetto dell'adolescenza. La vuota selleria principesca era di -così smisurata grandezza che rammentava la sala padovana del Palazzo -della Ragione, se bene mancasse non giustamente in su l'ingresso la -pietra del vitupèro «lapis vituperii et cessionis bonorum». In tanta -vastità io non avevo se non un letto senza fusto, un pianoforte a -coda, una panca da tenebre, il gesso del Torso di Belvedere, e la -gioia del respirar grandemente. Come Adolfo spinse alla soglia il poeta -delle _Myricae_ e mi chiamò al soccorso, balzai mezzo vestito. E due -confusioni si abbracciarono senza guardarsi. L'ingannatore rideva nel -vederci così vergognosi mentre tuttavia ci tenevamo per mano. Poi ci -sedemmo su la panca, felici, senza far molte parole, nessuno di noi -temendo il silenzio che è sì soave quando il cuore si colma. Eravamo -sani e resistenti entrambi, sentivamo la nostra purità nel divino -amore della poesia, preparati alla disciplina e alla solitudine. L'uno -promettendo di superar l'altro, eravamo certi di non iscoprir mai su -i nostri volti «il livido color della petraia». Una potenza oscura -si accumulava nelle nostre profondità: egli doveva ancóra comporre -i _Poemi conviviali_ e io dovevo ancóra cantare le _Laudi_. O bel -mattino in sul principio della state, quando Roma ha gli occhi chiari -di Minerva che nutre a sua simiglianza i pensieri degli uomini! Entrava -il sole pe' cancelli delle finestre, e il romore del ponte frequente, -che pareva l'antico «assiduo murmure» del Tevere. Ma il fiume sacro non -aveva parlato ancóra a traverso il bronzo dell'inno, non aveva ancor -chiamato l'anima dei forti gridando: - - _Heus, rostro navis qui terram scinditis unco,_ - _quam detraxistis navi iam reddite proram_ - _atque in me longos infindite vomere sulcos_ - _usque ad coeruleum, iuvenes, maris aequor, et ultra._ - _Est operae!_ - -La grandiosità del Torso erculeo bastava a riempiere le mie mura; -perché era quel terribile frammento titanico presso cui Michelangelo -decrepito e quasi cieco si faceva condurre per palparlo. (Or potevan -dunque le sue mani toccare un marmo senza riscolpirlo intero?) Avevamo -dinanzi ai nostri occhi un esemplare sovrano e quasi direi il cànone -eroico; ma ignoravo quale di noi due ne fosse tócco più a dentro. Se -avessimo potuto saperlo, forse avremmo conosciuto la nostra misura. -Come gli guardai le mani, delle quali sono sempre curioso, egli -le ritrasse con un atto quasi fanciullesco. Io volevo osservare le -dita che avevano foggiato l'odicina per le due sorelle e i madrigali -dell'_Ultima passeggiata_. Allora sorridendo gli ripetei i primi versi -del _Contrasto_: - - Io prendo un po' di silice e di quarzo: - lo fondo; aspiro; e soffio poi di lena: - ve' la fiala, come un dì di marzo, - azzurra e grigia, torbida e serena! - -Con quelle stesse mani che aveva nascoste, egli fece un gesto di -disdegno potente. Sentii quanto vi fosse di virile in colui che passava -tra le umili mirici per salire verso la rupe scabra. E poi parlammo -d'Odisseo e della predizione di Tiresia. - -Questo fu il nostro primo incontro. E l'ultimo fu nella sua casa -bolognese dell'Osservanza, qualche settimana prima della mia partenza -per l'ultima avventura: triste commiato di chi era per farsi fuoruscito -a chi restava legato dalla catena scolastica. - -Tutto il giorno m'ero lasciato condurre dalla mia malinconia nei luoghi -ove ella più potesse gravarmi. M'ero indugiato su la piazza solitaria -che la tomba di Rolandino fa pensosa, e quella dei Foscherari, degna -d'un cantore, sotto i suoi archetti verdi, alzata sopra le sue -colonne simili al coro delle Muse nel numero. Ed ero entrato nel -tempio domenicano di rosso mattone: tra il sepolcro bianconero di -Taddeo Pepoli e il monumento di Re Enzio avevo sentito soffiare su me -l'ambascia dell'Olifante senza più suono. - - Va, ma non giunge. È un brusìo d'ombre vane - ch'ode Re Enzio, quale in foglie secche - notturna fa la pioggia e il vento. - -E m'ero poi smarrito nel sacro laberinto di San Stefano, nella Basilica -delle sette chiese. Misteri ed imagini per ogni dove, e il colore -del fumo e il colore del grumo. Sanguigno e fumoso il chiostro, e -sopravi l'ombra della torre quadrata, e nell'ombra il pozzo tra le -due colonne, la carrucola di legno consunta, che non stride più; e fra -gli interstizii dell'ammattonato l'erba umile, e intorno intorno, ai -davanzali delle finestre alte, i vasi di basilico. E poi nell'altro -cortile, fra il cotto, la grande tazza di pietra, il fonte senz'acqua -ove nessuno si battezza più; e il tabernacolo d'oro luccicante -a traverso i vetri appannati; e nel vano della finestra, su una -colonnetta, il Gallo che canta; e, da presso, il Vescovo colcato nel -marmo sepolcrale, che il canto non risveglia più; e, dietro l'altare -irto di candelabri ferrei, le rudi arche di granito che l'ascia -mistica tagliò nel sangue pietrificato dei Martiri; e la luce che passa -nell'abside per gli alabastri fulvi come quel miele amaro di cui si -nutriva il Battezzatore. - -Perché oggi, della Città ove per fato si spengono i nostri grandi -poeti, non vedo se non quella piazza mortuaria e quel laberinto -cristiano? In quella piazza vuol ripassare il mio dolore seguendo il -feretro del mio fratello, e nel più profondo dei sette luoghi, nel -settimo, nella Confessione sotterranea, vuole accompagnarlo e deporlo. -Bologna non ha oggi per me se non quella faccia misteriosa, se non -quella bocca piena di freddo alito e di sublime silenzio. - -Chi potrà dire quando e dove sien nate le figure che a un tratto -sorgono dalla parte spessa e opaca di noi e ci appariscono turbandoci? -Gli eventi più ricchi accadono in noi assai prima che l'anima se -n'accorga. E, quando noi cominciamo ad aprire gli occhi sul visibile, -già eravamo da tempo aderenti all'invisibile. Oggi mi sembra che -quel pellegrinaggio meditativo non fosse veramente una preparazione -spirituale alla visita ch'io era per fare ma fosse già la visita, e -che nessuna delle parole ch'io dissi poi valesse quelle che andando io -diceva al mio compagno senza carne. - -Ma, quando mi ritrovai nella strada, pensai a quella creatura divina -che sempre m'era parso dovesse stargli nella casa a conforto, sola -quella, con la sua lampada e co' suoi libri. Qualora le Città nobili -usassero far doni ai poeti, che mai avrebbe potuto donare Bologna -all'estremo Omeride se non la testa dell'Athena Lemnia? Sembra escita -da certe visioni tumultuose dei _Poemi conviviali_, sembra una duratura -bellezza provata dalla strage e dall'incendio, un frammento dissepolto -di sotto alle rovine d'un antico assedio. Ha il viso e il collo -chiazzati di ferrugigno, come ingrommati di sangue vetustissimo; e -sotto il collo, nello sterno e nella clavicola, è come infoscata dal -fuoco che appiccarono al tempio i saccheggiatori corazzati di bronzo. - -E troppo tardi mi ricordai d'avergliene promessa l'impronta. Sapevo che -n'era stato tratto il gesso, ma per notizia vaga; e i custodi del Museo -civico non seppero darmi alcun ragguaglio. Tuttavia, non potendo per -allora portargli l'imagine, quanto di me gli diedi con la meditazione -ch'io feci dinanzi al cippo, nella grande sala deserta, ove come la sua -poesia quella forma sovrana era sola tra ruderi e cocci mediocri. - -Salii dunque all'Osservanza con qualche fiore. Ero così pieno di -pensieri che non ritrovo nella memoria l'aspetto delle cose, perché le -guardai con occhio disattento. Non entravo in una casa ma in un'anima -che pareva volersi fare per me ancor più bella. Se la vita non mi -avesse dato altro che quell'alta ora di amicizia, pur la stimerei -generosa e mi direi contento d'aver vissuto in mezzo agli uomini. Della -nostra timidezza non si mostrò se non un'ombra, sul principio, quando, -guardandolo io, egli mosse il capo in non so qual modo sfuggente e -batté le palpebre come per cancellare la lesione crudele degli anni e -spandere sul suo volto appesito gli spiriti alacri dell'amore. Volevo -dirgli: «Non ti peritare, fratello. Vedi quanto anch'io sono leso. Ma -oggi la carne miserabile non c'ingombra; e io qui respiro la più pura -essenza della tua poesia. Tu hai l'aspetto della tua forza immortale; -e non è fatto dalle tue labbra il sorriso della tua tristezza. Siediti -ancóra accanto a me, come quella volta su la panca da tenebre. Siamo -due pazienti artieri. Quanto abbiamo travagliato e quanto sopportato, -da quel mattino di Roma! Non tentò taluno di far verghe de' miei -allori per batterti, flagelli de' tuoi lauri per flagellarmi? Ma chi -prevarrà contro la nostra pazienza e contro la nostra fede? Bastava -che di tratto in tratto, di sopra allo schiamazzo, ci dessimo la voce. -Ora siediti. Non t'ho mai amato come oggi. Faccio una breve sosta; e -poi riprendo il mio cammino, lasciando dietro di me tutti i miei beni -vani». - -Mi sedetti su la sua sedia, dinanzi alla sua tavola. Le sue carte, le -sue penne, i suoi inchiostri erano là. Tutto era semplice ed usuale, -come in una qualunque stanza di chi abbia un cómpito modesto. Ma un -sentore di sapienza pareva impregnare ogni oggetto, e le mura e il -soffitto e il pavimento, come se la qualità stessa di quel cervello -maschio si fosse appresa al luogo del lavoro. Non so in che modo -significar tal mistero. Un'aria singolare è nella fucina, anche quando -non rugge il fuoco; perché gli arnesi, gli ordegni, tutti gli strumenti -fabrili, anche non maneggiati, quivi esprimono con la loro forma la lor -destinazione e quasi direi suggeriscono la potenza a cui serviranno. -Nello studio d'uno scultore fecondo la quantità della creta, le -armature, i modelli, le forme cave, gli abbozzi coperti dai teli molli, -le cere da sbavare, i bronzi da rinettare, gli scarpelli, le lime, -i bossoli, gli odori stessi delle materie plastiche rappresentano -lo sforzo del creatore. Ebbene, qualcosa di simile mi pareva fosse -presente in quella piccola stanza tranquilla e ordinata, ove certo le -mani di Maria avevan dato pace alle pagine scorse: qualcosa che oserei -chiamare la presenza del dèmone tecnico. - -In nessun laboratorio d'uomo di lettere m'era avvenuto di sentire la -maestria quasi come un potere senza limiti. Penso che nessun artefice -moderno abbia posseduto l'arte sua come Giovanni Pascoli la possedeva. -La sua esperienza era infinita, la sua destrezza era infallibile, -ogni sua invenzione era un profondo ritrovamento. Nessuno meglio di -lui sapeva e dimostrava come l'arte non sia se non una magìa pratica. -«Insegnami qualche segreto» gli dissi a voce bassa. E volevo soltanto -farlo sorridere; ma, in verità, un'ombra di superstizione era sul mio -sentimento. - -Egli prese un'altra sedia e venne a sedermisi accanto, dinanzi -alla tavola. Parlammo di qualche recente opera. Le sue mani, quando -soppesavano i volumi, erano una tremenda bilancia. Dal vigore di certi -suoi giudizii ebbi la riprova che il suo spirito era tuttora immune -da qualunque debolezza. La sua stima era severa come la sua arte. -Mescolando egli un che d'amaro al suo discorso, io gli dissi: «Se -hai tempo, va alla Pinacoteca e cerca d'una tela del Francia, dove -un Santo Stefano porta sopra un suo libro tre pietre, in segno della -lapidazione. Metti tre pietre sopra ogni tuo nuovo libro e datti pace». -Egli rispose col suo riso arguto: «Ma quello stolto dello struzzolo -m'ingolla il libro e le pietre». - -Non più sembrava timido; anzi indovinavo in lui non so che tenerezza -protettrice e il desiderio contenuto di chiedermi ch'io gli parlassi -de' miei guai. Io era bene il suo fratello minore, ed egli pareva -cercasse il modo di sopportare il mio carico. Mi ricordo d'una bella -parola antica ch'egli mi ripetette con una maravigliosa nobiltà: -«Acciocché tu più cose possa, più ne sostieni». Questa parola oggi la -scrivo sul muro della casa straniera, e considero d'averla ricevuta da -lui per testamento. - -Poi fece l'atto d'alzarsi, mi prese per mano e mi disse: «Vieni ora a -vedere la cameretta che ho per te, quando tu la voglia». Un candore -infantile ardeva in lui; e il primo verso del sonetto di Francesco -Petrarca mi sonava nella memoria. Era una piccola stanza chiara, quasi -una cella di minorita, con un di que' letticciuoli che persuadono -a serbare una sola attitudine per tutta la durata del sonno. Come -rispondendo alla domanda sommessa che gli avevo fatta dinanzi alla sua -tavola prodigiosa, mi mormorò in un orecchio: «Quando sarai qui, allora -sì che t'insegnerò un segreto». Lietamente gli dissi: «Non potrò venire -se prima non abbia uccisi tutti quei mostri che sai. Mi bisogna ancora -andare alla guerra». Ahimè, era egli in pace? Non lo travagliava di -continuo la stessa abondanza del suo amore? - -Si volse per passare nello stretto andito, mostrandomi le spalle. Si -creò nell'aria uno di quegli attimi di silenzio che serrano il capo di -un uomo come in un masso di ghiaccio diafano. E guardai la persona del -mio amico con occhi divenuti straordinariamente lucidi; e la pietà mi -strinse, che ha talvolta il pugno sì crudele. Pareva egli portasse alle -spalle tutto il peso della sua tristezza, tutta l'oppressione delle sue -miserie. La fronte augusta s'era celata, e non si vedeva contro il muro -biancastro se non l'ingombro corporale vestito di panni che il lungo -uso aveva fatto quasi dolenti, non rimaneva là se non la soma greve ove -s'intossica la vita che non è se non il levame della morte. - -Volle accompagnarmi fin su la strada, se bene io m'opponessi. La sua -salute era già minacciata, già dubbioso era il suo passo. Cadeva su noi -una di quelle sere emiliane, umide e cinericce, che sembrano generarsi -laggiù, tra la foce del Reno e la bocca del Po di Goro, nella grande -palude salmastra. Soffiava su noi un vento ambiguo, che pareva dolce e -poi a un tratto ci dava il brivido con una folata fredda. La vettura -m'attendeva poco discosto, coperta e nera, con i due cavalli che mal -reggevano la lor fatica su le gambe arcate. Non parlavamo più. C'era -intorno a noi una specie di silenzio soffice. - - E c'era appena, qua e là, lo strano - vocìo di gridi piccoli e selvaggi... - -Ma udivamo anche le nostre péste «né vicine né lontane.» L'uno chiamò -il nome dell'altro nell'addio. Ci abbracciammo. Come sul viale il vento -rinforzava ed egli pareva infreddolito dentro il bavero, gli dissi: -«Va, va, rientra. Non restar qui». Si voltò per andare; e i cavalli -avevan messo le radici, tanto stentarono a muoversi. Sicché ebbi tempo -di seguirlo con lo sguardo e con l'angoscia fino alla porta. Ed ecco, -lo stesso silenzio repentino della umile stanza mi serrò il capo nello -stesso ghiaccio trasparente. E, come egli fu alla soglia, si voltò -ancóra e levò il braccio verso me a risalutarmi. Da quel fagotto di -panni stracchi s'alzò il braccio possente che su per l'erta aveva -brandito la «piccozza d'acciar ceruleo». - -Una voce d'eroe, quella voce omerica ch'egli aveva tradotto con sì rude -efficacia, mi scoppiò dentro e franse il gelo. - - Datosi un colpo nel petto, al suo cuore drizzò la parola: - — Cuore, sopporta! ben altro tu hai sopportato più cane! - -E non per me, ma per lui. Vedevo, come quel braccio levato, sorgere -dall'intimo di quell'uomo casalingo e cauteloso la costanza d'una virtù -virile, la durezza d'una vita fatta di disciplina, di coraggio e di -dominato dolore. Il suo orgoglio s'era formato a poco a poco nel fondo -della sua solitudine come il diamante nell'oscurità della terra. «Da -me, da solo, solo con l'anima...» Egli s'era fatto degno d'incontrarsi -con Achille e con Elena, e di parlare su la tomba terribile di Dante. - -Ancóra non so come sia trapassato; ma voglio esser certo che, s'egli -talvolta nella vita pianse in disparte, non si velò di lacrime nel -fisare la morte. Forse escì dalla sua bocca qualche bella e semplice -parola, prima che la lingua gli si annodasse dietro i denti e che lo -spirito gli si sciogliesse nel gran ritmo. - -Aveva già dato tutto il meglio di sé, o serbava nel cavo della mano -ancóra qualche ferace semenza? Che importa? Certo, mille e mille -ancóra speravano in lui. Agguagliandosi alla linea dell'orizzonte, -egli avrebbe potuto dire verso i suoi fedeli: «Io vi mostro la morte -compitrice, la morte che per i vivi diviene incitazione e promissione.» -E costoro nell'acciaio della sua ascia sepolcrale potrebbero veder -riflesse le stelle dell'Orsa. - - - - -XI APRILE MCMXII - - -Non so se nella vertigine d'ombra, quando tutto ritorna per poi -dileguarsi, io gli sia apparito. Sembra che le cose obliate e gli -esseri più lontani e gli eventi più remoti e perfino i frantumi dei -non interpretati sogni abbiano grazia nell'agonia dell'uomo. Se questo -è vero, forse il fiore della mia amicizia ondeggiò nel suo crepuscolo -come quel tenue ramo ch'io colsi e curvai per lui tra l'Alpe e il -Mare, o forse come quel salso giglio della solitudine che pensando ad -Antigone io mandai alla sua sorella immacolata. - -Un'accelerazione della sorte volle ch'io l'assistessi con lo spirito -nelle sue ultime ore fino al suo transito. La notte del venerdì, -m'ero beato della sua poesia e l'avevo imaginato convalescente. La -mattina ch'è innanzi al Resurresso, mentre mi disponevo all'opera, ebbi -d'improvviso l'annunzio funebre. Qualcuno, dalla patria, mi chiedeva -una parola per la morte del poeta! E il poeta non era spirato ancóra, -anzi aveva ancóra da superare un lungo patimento. Ma l'inopportuno, pur -violando la gentilezza umana, secondava una congiuntura misteriosa a -cui debbo una delle più profonde ore di mia vita. Credetti il transito -avvenuto la sera del Venerdì Santo e già deposta la salma sul letto -mortuario. E dove poteva Maria aver alzato quel letto se non nella -stanza delle vigilie, nell'angusta fucina del grande artiere, tra le -mura riarse dalla vampa del cervello maschio? Ero certo di questo; e -per tutta la mattina il mio pensiero non cessò un attimo dall'insistere -nel luogo lontano che cercavo di ricostruire con lo sforzo della -memoria. E a poco a poco la mia coscienza entrò in quello stato che -precede il canto. - -Ora avevo nella Landa un altro amico sospeso da più settimane tra la -vita e la morte, condannato irremissibilmente. Era il mio ospite, lo -straniero affabile da cui ebbi la casa tranquilla su la duna, dove -abito da due anni. - -Non ricordo se Gioviano Pontano nel suo capitolo _De tolerando exilio_ -e Pietro Alcionio nella sua giudiziosa dissertazione impressa dal -Mencken in _Analecta de calamitate litteratorum_ pongano tra le delizie -del fuoruscito volontario o involontario il delicato sapore dell'amistà -contratta oltremonte ed oltremare. Ma certo l'aroma della résina verso -sera e la fragranza delle ginestre sotto vento a levata di sole non mi -ricrearono mai quanto certi brevi colloquii con quel mirabile vecchio -che sarebbe stato carissimo al cantore di Paolo Uccello, s'ei l'avesse -conosciuto. - -Si chiamava Adolphe Bermond, nato su la Garonna, nella città vinosa -ch'ebbe per sindaco il gran savio Michel de Montaigne reduce da Roma e -per consigliere quel candido e invitto Etienne de la Boëtie imitatore -del Petrarca e traduttore dell'Ariosto. Aveva quasi ottant'anni; e, -quando lo conobbi la prima volta, mi parve d'averlo già veduto tra le -diecimila creature scolpite o dipinte nella cattedrale di Chartres. -Aveva nel volto la tenuità la spiritualità e non so qual trasparenza -luminosa, che lo assimigliavano alle imagini delle vetriere e delle -porte sante. - -Venne in un pomeriggio di gennaio, a marea bassa, quando la spiaggia -è liscia e sparsa d'incerte figure e scritture nericce al modo di -quelle lapidi terragne cancellate dai piedi e dalle ginocchia dei -fedeli. Scendeva dalla Cappella di Nostra Donna dell'Imbocco e aveva -seco il libro del cristiano, legato di cuoio bruno, che anch'esso era -liscio e lustro d'assiduità come il dosso d'un messale. Entrò nella -stanza con un passo alacre e lieve, ché la grande età non l'aveva punto -aggravato; e sùbito sentii ch'egli entrava anche nel mio gradimento. -Tutto il suo viso era illuminato d'una fresca ingenuità che pareva -mutasse le grinze da tristi solchi senili in vivaci segni espressivi, -immuni dalla vecchiezza come le rughe delle arene, delle conchiglie, -delle selci. I suoi occhi erano più chiari di quel cielo invernale, più -pallidi dell'acqua intorno al banco di sabbia scoperto; e il sorriso -vi pullulava di continuo dall'intimo. La sua voce era ancor bella, -misurata da giuste cadenze; e la consuetudine delle preghiere senza -suono faceva sì che le parole sembrassero disegnate dalle labbra prima -d'esser proferite. - -Come s'accostò alla mia tavola, scorse spiegata su le carte l'imagine -intiera della Santa Sindone. Come volse gli occhi in giro, vide le -pareti interamente coperte delle più diverse imagini di San Sebastiano, -sul leggìo d'un armònio la _Matthäus-Passion_ del Bach, sul marmo del -camino i gessi delle quindici statuette di piagnoni appartenenti al -sepolcro del duca Jean de Berry, su l'assito alcuni frammenti della -grande Rosa di Reims, in un angolo una delle Virtù che Michel Colombe -scolpì per la tomba di Francesco II duca di Bretagna. Non dimenticherò -mai il leggero tremito del suo mento e quel misto di stupefazione e -di gratulazione, che dava alla sua vecchiaia non so che fervore di -giovinezza. Una fiammata allegra di pino e di pigne favellava su gli -alari, con lo scroscio e il friggìo della résina. - -Componevo nella lingua cara a Ser Brunetto il _Mistero di San -Sebastiano_, ed avevo già compiuta la scena tra il Santo e gli Schiavi -sotto la volta magica ove brillano i sette fuochi planetari, quando gli -infelici e gli infermi domandano che il novo dio si manifesti per segni -nel Confessore. - - _Esclaves, esclaves, oui, coeurs_ - _épaissis!_ - -Il vecchio si chinò esitante su le pagine tormentate. V'eran quasi, -in verità, le tracce d'una lotta sanguinosa, tanto l'inchiostro rosso -delle didascalie e le cancellature violente e gli emistichii più volte -riscritti e i margini tempestati di richiami facevano ardua ed aspra la -carta. «Anche l'arte, come la vita, è una milizia» egli disse «e chi dà -più di sangue riceve più di grazia.» - -Quella parola sùbito mi toccò, tanto la rendeva religiosa l'accento. -Allora gli parlai della mia opera, con un ardore che lo sbigottiva -e lo rapiva. In quel servitore di Dio, a cui la carne pesava così -poco, ritrovavo non so che affinità con la disciplina ascetica -a cui m'ero costretto per giorni e per notti. Anch'egli era una -sostanza infinitamente vibrante, un amore attivo e indefesso. La sua -comprensione era pronta come il gesto della mano che riceve e serra -quel che le è offerto. Talvolta, nella pausa, mi pareva di veder -discendere il mio pensiero in lui come un anello gettato in un'acqua -limpida, sino al fondo, e quetarsi. - -Sincero e puro, non dubitò della mia sincerità e della mia purità. -Cattolico ferventissimo, dedito a tutte le pratiche della divozione, -non fu turbato da alcuna inquietudine, non fu punto da alcuno scrupolo. -Mi sentiva ardere, e questo gli bastava. Non sapeva imaginare un poeta -senza dio, né un dio diverso dal suo. Chi mai restava solo con me -nelle mie notti? Certo egli credeva che fosse in me lo spirito medesimo -ond'era nata quella figurina della Rosa di Reims, che chinandosi aveva -raccolta e teneva ora fra le sue dita magre. - -Mi pregò di leggergli una scena del Mistero. Volli leggergli quella -ch'era ancor calda del travaglio e non ancor distaccata dalle mie -viscere. - - _A toi, nous venons tous à toi,_ - _Seigneur!_ - -Gli schiavi accorrevano verso il guaritore. La lamentazione si -prolungava per gli anditi tortuosi. Gli infermi apparivano, portati -a braccia dai parenti, agitati, illuminati di speranza. Gridavano -i loro mali, le loro piaghe, le loro angosce. Chiedevano d'essere -sanati, d'essere liberati. Chiamavano a testimonianza quelli di loro -che nascondevano nelle pieghe del saio i rotoli delle Scritture, -perché quelli conoscevano i miracoli operati dal dio novello. Ed -ecco, tutte le guarigioni erano noverate, l'una dopo l'altra: il -lebbroso era mondo, il paralitico camminava, il cieco vedeva, il -lunatico e l'ossesso avevano pace, l'idropico era alleviato delle -sue acque, il figlio della vedova di Naim sorgeva dalla sua bara. -Ma un dei leggitori di rotoli ripensava il miracolo più profondo, -ripensava il cadavere quatriduano, e gridava: «Ti sovvenga di Lazaro!» -E l'incredulità di Didimo era addotta. Didimo voleva vedere le ossa -disgiunte ricongiungersi e favellare. Il Cristo gli aveva risposto: «Le -ossa disgiunte io te le mostrerò ricongiunte. Vieni a Betania, Didimo, -vieni con me. Gli occhi di Lazaro vuotati della putredine, io te li -mostrerò pieni di visione. Vieni con me, Didimo. Le labbra imputridite -su i denti di Lazaro, le vedrai muovere, le udirai favellare. Vieni -a Betania, Didimo, se vuoi vedere e udire, vieni con me.» Queste -testimonianze adducevano gli schiavi, per volere il segno. E allora -Sebastiano balzava a ghermire con mano terribile l'anima dei miseri. -Egli medesimo evocava il Risuscitato, sembrava con la sua voce far -presente il miracolo nell'ombra calda di aneliti. Come il pargolo -nelle fasce, il cadavere era avvolto nelle bende. «Lazaro vieni fuori!» -Primo, fuor della pietra, sorgeva il ginocchio... - - _Le genou surgit le premier._ - -M'interruppi, perché avevo sentito il vecchio sussultare e levarsi. -Egli era in piedi davanti a me, sconvolto, senza colore, affannoso. -Era l'uomo di fede, il servo di Dio, lo spettatore ideale a cui si -manifestava il mio poema con le virtù della musica e dell'apparizione. -Ebro, imaginai dietro di lui una moltitudine che gli somigliasse. E non -volli dargli tregua. Anche la mia parola fu come il tizzo che incendia -la stoppia quando rinforza il vento. - -Ora gli schiavi chiedevano di vedere almeno l'effigie. «Poiché tu -hai abbattuto tutti gli iddii di sangue e di fango, alza dinanzi a -noi l'effigie del dio novo, che possiamo conoscerlo, che possiamo -adorarlo!» Sapevano essi ch'Egli soleva apparire ai discepoli. Non -era Egli apparso al Confessore? «Il suo volto è celato, il suo corpo è -velato.» Un'angoscia mortale serrava il petto di Sebastiano, illividiva -le sue labbra, fiaccava le sue giunture. Implacabili erano i súpplici, -inappagate le pupille della carne loro. Eglino volevano la presenza del -dio novo. «Non ha più corpo; sangue più non ha. Ha dato il suo corpo -e il suo sangue per le creature.» Ma i segreti leggitori dei rotoli -sapevano che col suo corpo e col suo sangue era apparso ai discepoli, -sapevano ch'Egli aveva lor mostro le mani e il costato, e ch'essi -avevan veduto le lividure, e che Didimo aveva posto il dito entro la -piaga, e che dopo Egli aveva rotto il pane e mangiatolo, aveva anche -mangiato un pezzo di pesce abbrustolito. «Come potresti amarlo di tanto -amore? Come potresti chiudere gli occhi, essere così smorto e in tutte -le vene tremare di tanto amore, se tu non avessi mai conosciuta la sua -faccia? Tu tremi.» Flutto vermiglio non mai sgorgò da gola recisa né -onda di lacrime da dolor colmo, come allora dal petto santo scoppiava -l'angoscia. «Tremo perché su l'anima mia porto peso d'obbrobrio. L'han -percosso coi pugni, l'hanno schiaffeggiato, gli hanno sputato addosso. -La sua faccia è contraffatta. Gli sputi e il sangue gli colano per -le gote. Tutti i denti gli tentennano nella bocca enfia. E le sue -palpebre, e i suoi occhi, ahimè!» - -Credo che in quel punto la voce mi si spegnesse, perché mi si serrava -la gola. E allora un sentimento mai provato mi scrollò le radici -dell'essere, perché a un tratto udii il suono d'un pianto umano che -non avevo udito mai, tra quelle quattro mura deserte e lontanissime da -ogni rumor del secolo udii il profondo singhiozzo del «consumato Amore» -che cantò Jacopone, scorsi le medesime lacrime che avevano rigato il -viso di Francesco in ginocchio dinanzi al Crocifisso di San Damiano o -errante intorno alle mura della Porziuncola. - - O secca anima mia, - che non puoi lacrimare! - -Non mi mossi. Poteva quel pianto essere consolato o interrotto? E quale -parola poteva esser detta, che valesse in dolcezza una sola di quelle -lacrime? E, in verità, qual cosa avrei potuto trovare dentro di me più -bella di quella «nuditate d'amore» che mi si mostrava all'improvviso in -un vecchio già inchinato verso la tomba? E come potrei ora significare -la qualità di quel pianto «pieno di consolanza?» Il Beato ha espressa -la legge dell'ineffabile. - - Quello ch'è non si può dire, - puossi dir quel che non è. - -E un rammarico simile al rimorso m'assale, mentre ne scrivo. E avrei -serbato il dono nel mio segreto, se il mio amico elevato dalla sua -santa morte alla condizione di mistero glorioso non mi sorridesse oggi -a traverso quella visiera di cristallo. Ma potrà comprendere soltanto -colui che fra mille canti sa distinguere la melodia nata dal cuore -della Terra e tra le parole dei Vangeli la parola che per vero esci -dalle labbra di Gesù e resta in eterno piena del suo soffio vivente. -Fino a quell'ora io aveva udito gli uomini piangere in un altro modo, -e li avevo veduti confinati e fissi nel luogo delle loro lacrime come -il ferito giace nella pozza del suo sangue, e me medesimo dalla pietà -ristretto e quasi prigione di miseria. Il pianto di quel cristiano -pareva sonare su la malinconia del mondo; e il Volto illividito dalle -gotate, lordo di sputi e di sangue, pareva impresso nel pallido cielo -come nel pannolino della Veronica ma per me in non so che maniera -indefinita e futura. E, quando uscimmo, il silenzio dell'immensa Landa, -con le sue miriadi di tronchi dissanguati dal ferro del resiniere, con -le innumerevoli sue piaghe di continuo rinfrescate e allargate, con -il perpetuo suo gemito aulente, era come il silenzio d'una moltitudine -dolorosa che non si lagna perché accetta il suo cómpito e la sua pena. -E io compresi quella parola d'avvenire, che dice come la natura sia -per trasformarsi a poco a poco in cerchio spirituale e il tutto sia per -sublimarsi in anima. - -Chi anche ha parlato di «membra mistiche dell'uomo»? In qualche ora -sembra che noi non riconosciamo taluno degli atti più consueti della -nostra vita corporale. Come camminavamo, l'uno a fianco dell'altro, sul -sordo sentiero coperto dagli aghi dei pini? Non v'era divario tra il -passo del vecchio e il mio, perché il nostro passo non era delle nostre -ossa, dei nostri muscoli, dei nostri tendini. Se bene andassimo davanti -a noi, io aveva in me il sentimento di volgere indietro quel che più -di me ferveva, come la face trasportata rovescia la cima della sua -fiamma. Gli occhi del mio amico erano appena rasciutti; e il luogo, ove -il «consumato Amore» aveva pianto, e l'evento avverato erano già come -avvolti in un velo di memoria, i cui lembi ondeggiavano verso la mia -più fresca infanzia. La commozione ancor mi teneva tutto, la realtà non -soltanto era recente ma presente ancóra; e pure una parte di me faceva -uno sforzo ansioso per ricordarsi di non so che altro, per raffigurarsi -non so che cosa di più profondo e di più dolce. Ma può l'attesa avere -la figura della rimembranza? - -Non parlavamo. Di tratto in tratto io lo guardavo con l'angolo -dell'occhio; e mi stupivo che un viso di tanta vecchiaia, lavato dalle -lacrime, mi rammentasse per la sua espressione certi episodii patetici -della fanciullezza: uno tra gli altri. Un giorno avevo fatto piangere -la mia cara sorella Anna, per un capriccio crudele; e poi l'avevo -racconsolata, sbigottito, perché ella era tanto sensibile che quando le -accadeva di piangere, anche per una cosa lieve, pareva l'avesse colpita -una sciagura irreparabile ed ella fosse per stemprarsi nel suo dolore. -Vedendomi così pentito e afflitto, ella si sforzava di raffrenare il -singulto e di rasciugarsi le guance. E mi ricordo che io la presi per -mano e la condussi per una rèdola, tra due campi di lino; e avevamo con -noi il nostro cane paziente ch'era stato la causa del litigio. E di -tratto in tratto io la sogguardavo; ed ella, per non farmi più pena, -cercava di vincere il singulto ostinato che le scrollava il piccolo -petto, o, come per togliergli l'acredine, lo preveniva con un sorriso -che si rompeva sùbito. E allora mostrava d'esser contenta di tutto quel -cilestro del lino, come s'io gliel'avessi donato; e pareva che non io -volessi rientrare nella sua grazia ma sì volesse ella farsi perdonare. -E v'era nella sua attitudine tanta tenerezza e gentilezza che non potei -più sostenerla, e mi feci tutto lacrimoso anch'io, con suo sgomento. - -Non so perché, questo ricordo mi rifiorì dal cuore mentre camminavo -a fianco del vecchio. E mi pareva di andare errando senza mèta per un -paese che io non conoscessi; ma egli sapeva la sua via. Ci ritrovammo -a piè della duna ove sorge la Cappella, e salimmo, tra i giovani pini, -sino al limitare. Egli non disse alcuna parola per invitarmi a entrare -nel suo rifugio. Mi tese la mano, e mi diede la sua amicizia come nella -Domenica delle Palme si dà il rametto d'ulivo su la porta della chiesa -azzurra d'incenso. Portando meco la cosa preziosa, discesi la china, mi -dilungai per la Landa. - -Era prossima l'ora del vespro, ma l'aria pareva non rattenere della -luce se non le particelle d'argento. Di là dalla selva non scorgevo -i lidi, ma ricevevo la quiete della bassa marea; che è come quando la -febbre decade nel polso cui vien sottratta qualche oncia di sangue. Non -avevo mai sentito vivere gli alberi di tanta doglia. Taluno aveva un -sol taglio nel piede; altri l'aveva sino a mezzo il tronco scaglioso; -altri portava una ferita viva accanto a una rammarginata; altri era -svenato a morte, con solchi che incavavano l'intero fusto simili alle -scanalature nella colonna dorica. E il succo vitale stillava e colava -per tutto: i vaselli d'argilla n'erano colmi. Qualche resiniere ancóra -s'attardava a rinfrescare una piaga; e s'udiva risonare il ferro nel -vivo, senza lagno. Ciascun albero aveva il suo martirio, quasi che in -ciascuno abitasse uno spirito avido di soffrire e di sanguinare come -l'eroe divino da me eletto. - -E in quella sera feci l'invenzione del Lauro ferito. Il corpo di -Sebastiano si distaccava lasciando tutte le frecce nel tronco del lauro -d'Apollo. Le asticciuole scomparivano nella carne miracolosa come -un vanire di raggi. «Rivivrai, rivivrai! Ritornerai!» gridavano gli -Adoniasti. - -D'allora innanzi il mio novello amico mi visitò sovente. Come io faceva -di notte giorno, egli soleva venire su la fine del pomeriggio, quando -ero per accendere il mio fuoco. Mi ricordava il principio dell'inno di -Sant'Ambrogio _Ad completorium_: - - _Te lucis ante terminum..._ - -Entrava in punta di piedi, parlando a voce bassa, come nell'oratorio. -Temeva di turbare il silenzio e di smuovere le cose invisibili che si -nutrivano d'esso. Restava seduto per breve tempo dinanzi al camino; e -io vedevo dalla mia tavola la sua testa d'antico Donatore inginocchiato -nell'angolo d'una pala d'altare inclinarsi di sotto alle statuette -dei Piagnoni funerarii. Egli pareva essere per me il messaggero e -l'interprete di quell'età da cui avevo raccolta una forma d'arte -caduta in dissuetudine per rinnovellarla. Ma forse egli era assai -più antico, e aveva partecipato a quel pellegrinaggio che si partì da -Bordeaux nell'anno 333 seguendo l'_Itinerarium Hierosolymitanum_, come -io gli dicevo per motteggio. Però nelle sue «stationes» e «mutationes» -a traverso i secoli egli doveva essersi attardato più lungamente in -quella immobile serenità che splende nella _Passione_ di Bourges come -nelle metope arcaiche d'un tempio greco. Egli ne portava tuttavia -l'illuminazione su la sua fronte. - -E, se è vero che tutte le cose certe sono vive e tutte le incerte -sono morte, la sua meravigliosa certezza lo poneva di là dalla vita -come una creatura compiuta e immutabile. M'appariva dal suo discorso -ch'egli considerava la storia del mondo come la rappresentano le -cattedrali della terra di Francia. A simiglianza dei maestri marmorai -e vetrai, egli credeva che, dopo l'avvento di Gesù, non avesse il -mondo avuto altri grandi uomini, se non i confessori i dottori e -i martiri. Nel suo spirito come nel santuario, i conquistatori e i -vincitori avevano il luogo più basso. Così nelle vetriere essi sono -genuflessi ai piedi dei Santi, piccoli come fantolini, gracili come i -fili d'erba nelle commessure dei gradini sacri. Persisteva in lui la -coscienza di quegli che compose lo _Speculum historicum_ facendo la -minor parte agli imperatori e ai re, la massima agli abati, ai monaci, -ai pastori, ai mendicanti. Per lui, come per il domenicano protetto -da San Luigi, i più alti fatti non erano i trattati le incoronazioni -e le battaglie ma la translazione d'una reliquia, la fondazione d'un -monastero, la guarigione d'un ossesso, la beatificazione d'un eremita. -La tremenda lotta moderna, combattuta con i congegni più perigliosi -e con le volontà più crudeli, aveva per lui la medesima importanza -ch'ebbe per Vincent de Beauvais la grande giornata di Bouvines, posta -modestamente tra l'istoria di Santa Maria d'Oignies e l'istoria di -San Francesco poverello. Simile a quei pellegrini che traversavano -gli eserciti nemici avendo per solo salvacondotto in sul cappello -il piombo effigiato di San Michele del Periglio o di Sant'Egidio di -Linguadoca, egli passava immune a traverso il secolo d'acciaio. Anche -dinanzi ai traffici della sua città operosa e danaiosa egli doveva aver -di continuo negli occhi quella parete del Camposanto di Pisa ove un -nostro pittore — che fu, quanto lui, divoto di San Domenico — dipinse -la Tebaide degli anacoreti come un mondo verace in un mondo fallace. E -la Via lattea certo era pur sempre per lui il cammino di San Iacopo, e -i bagliori in cima agli alberi delle navi erano i fuochi di Sant'Elmo; -e San Medardo era ancóra il signore dell'utile pioggia. - -E nulla d'angusto, nulla di meschino s'accompagnava in lui a questa -ingenua fede. La sua indulgenza era grande come la sua disciplina. -Egli era venuto verso me con abondanza di cuore non certo attratto da -odor di santità ma solo dal pregio di un'anima sempre vigile; perché -una povera serva gli aveva detto che io consumavo nelle mie notti -più olio d'oliva che non ne bisognasse alla lampada perpetua della -Cappella. E la finezza della sua mente corrispondeva alla delicatezza -del suo cuore. Un nobile ritegno governava ogni suo atto e ogni sua -parola, quando egli era per appressarsi all'intima vita dell'amico. Non -prodigava i consigli, anzi non ne dava quasi mai; ma la sua semplice -presenza era un soccorso coperto. - -Vidi un giorno su la collina di Francavilla, in un sentiero selvaggio -che conduceva al Convento ove col mio grande e puro Francesco Paolo -Michetti mi credo aver vissuto i miei giorni migliori, vidi un giorno -a maraviglia per una proda il tronco tagliato d'un vecchio alloro -rimettere un gran numero di germogli che al lor nascere avevan l'aria -di sprizzare dal legno come faville verdi. Ogni volta che passavo, il -tronco pareva cangiare tutte quelle cimette vive in lingue loquaci per -dirmi: «Non disperare, non disperare». Non altrimenti risfavillava di -sempre fresca speranza il mio amico. Egli conosceva la sentenza e la -vignetta dell'_Ars moriendi_. «Havvi un sol fallo grave al mondo: il -fallo di chi dispera. Ben più colpevole fu Giuda in disperare che il -Giudeo in crocifiggere Gesù.» E, quando andava a visitare i poveri, gli -infermi, i prigionieri e ogni sorta di peccatori in angustia, soleva -dire che quattro Santi l'accompagnavano: San Pietro il qual rinnegò -tre volte il suo Maestro; Maria Maddalena a cui tanto pesò la sua carne -impura; il persecutore San Paolo che Iddio convertì con la folgore; il -buon ladrone che non si pentì se non nelle braccia della croce infame. - -Come taluno dei nostri Beati italiani, egli conciliava in sé quei -doni che appartengono alla vita contemplativa con quei doni che -appartengono alla vita attiva «poiché tutti procedono da uno spirito -stesso». Per lunghi anni nella sua città natale egli governò le -corporazioni cattoliche più operose, ed esercitò la carità con tal -larghezza da meritare il soprannome d'Elemosinario. «Dispersit, dedit -pauperibus.» Donò grandemente, e senza contare, e sempre di nascosto. -Non so s'egli abbia mai ricoverato nel suo letto un mendicante, come -quel Blaise Pascal del quale ignorò sempre i tormenti le vertigini e -le febbri; ma più volte, come un servo umile e pronto, rigovernò la -casa de' suoi poveri e de' suoi malati. Quegli che aveva tanta luce -su la sua fronte, amava aver tanta ombra su le sue mani! Per lui non -era detto già: «Nesciat sinistra tua quid faciat dextera tua», ma era -detto: «Non sappia la tua destra quel che la tua destra dà». Quando la -segreta elemosina ebbe di molto assottigliato il suo patrimonio, lo -punse carità dei figli, ch'ebbe numerosi e ben nati. Divise tra loro -il rimanente, avendo altrove conquistato una indivisibile signoria; -e si ritrasse nella Landa ad abitare seco. Che cosa debba fare colui -che seco abita, egli lo sapeva dall'Antico ma meglio dalla sua stessa -aspirazione. «Secum purgatur, orat, legit, et meditatur.» - -Divotissimo era di San Domenico; e sotto il vocabolo del sublime amico -di San Francesco è posto il tetto ch'egli mi concesse. Per umiltà egli -volle andare ad abitare nell'antica infermeria dei Padri Domenicani, -che aveva ricomperata a causa d'amore. È una bruna casipola di legno, -tra l'ombra della Cappella e l'ombra della pineta. In quella scelse la -stanza più modesta, sapendo che «la cella di continuo abitata diventa -dolce». Quando la Landa rombava come l'Oceano, allo sforzo del vento, -egli credeva essere sopra un vascelletto in punto di salpare per -l'ultimo viaggio. Ma quando l'oro primaverile colava sul balcone giù -dal minuto crivello dei pini e gli uccelli facevano il lor concerto, -quella era la casa lieve ch'io m'avevo sognata più d'una volta, era «la -casa in sul ramo», lieve, sonora, pronta. - -Aveva quivi trasportato un piccolo organo da mantici, perché amava -la musica sacra e sonava con grazia qualche mottetto. Come quel soave -domenicano Enrico Suso, egli si piaceva di chiamarsi «il servitore»; -e, come lui, doveva certo ogni mattina, svegliandosi all'ora della -Salutazione angelica, udire entro di sé una voce cantare nel modo -minore le parole: «Maria, la Stella del Mare, ecco, si leva». - -Un giorno, entrando, lo trovai assopito davanti alle due tastiere; e -trattenni il piede e il respiro per non isvegliarlo, tanta beatitudine -mi apparì nel suo volto. Ripensai a quel ch'egli m'aveva narrato del -giovine Suso. Forse anch'egli sognava d'essere nel mezzo del concerto -celeste a cantare il Magnificat; e la Vergine gli veniva incontro e, -per segno d'aver gradito un'offerta di rose, gli comandava di cantare -il versetto: «O vernalis rosula!» - -Fin dalla sua prima visita, fin dall'ora di quel pianto repentino -che rimase in fondo alla nostra amicizia come non so che misteriosa -freschezza, credo ch'egli sperasse di volgermi all'esercizio della -preghiera secondo il suo rito. Ma non mai, neppure per un attimo, -assunse aspetto e tono di convertitore. Aveva un suo modo gentilissimo -di farmi sentire che v'era fra noi un bel segreto, del quale non -conveniva ragionare. Talvolta, se qualche mia parola giusta lo -toccasse, mi guardava intento, sospeso, con uno sguardo singolare in -cui pareva quasi direi trasposta l'attenzione d'un'orecchia inclinata, -fattosi somigliante a tale che abbia udito un suono rivelatore e ne -segua le onde per ansia di riconoscerlo. Talvolta anche, in certe -pause, mi dava imagine di un uomo che, stando in una contrada al -principio della primavera quando i succhi cominciano a muovere, si -ponga in ascolto per desiderio di cogliere la melodia indistinta della -linfa che in breve trasfigurerà ogni creatura abbarbicata alla terra. -Così la sua illusione spiava in me l'opera interiore della Grazia. - - Lo raggio della grazia in che s'accende - verace amore, e che poi cresce amando... - -Gli parlavo di Dante; e mi commoveva la sete ch'egli aveva di quella -gran fonte. Un giorno gli raccontai come io avessi contemplata nella -cattedrale di Amiens la Speranza scolpita in quel modo che il Poeta la -canta nel _Paradiso_ quando Beatrice nell'ottavo cielo gli mostra il -barone - - per cui laggiù si visita Galizia, - -e San Iacopo lo esorta: «Di' quel che ell'è». Dante e l'ignoto -marmorario avevano fedelmente tradotto, l'uno nella terza rima, l'altro -nella materia dura, la diffinizione che della Speranza dà nel Libro -delle sentenze un teologo di Francia, Pierre Lombard vescovo di Parigi. -«Spes est certa expectatio futurae beatitudinis....» - - «Spene» diss'io «è uno attender certo - della gloria futura...» - -Il mio amico restò lungamente pensoso di quella rispondenza fra -la cattedrale di pietra e la cattedrale di parole, l'una sorta -nella sua terra e l'altra nella mia. Pareva che io gli avessi più -avvicinato Dante e gli avessi scoperto nell'ardua mole gotica un punto -misteriosamente sensibile in cui potessero i nostri spiriti convergere -e comunicare. Alla fine del nostro colloquio (il vento occidentale -squassava tutta la Landa e l'immenso fragore dell'Oceano faceva sembrar -fragili tutte le cose) egli mi posò le mani su l'uno e su l'altro -òmero, mi guardò con la sua anima nuda emersa a fiore del suo viso -diafano, e mi chiese: «Quando? Quando?» Era in me quella malinconia -potente in cui il cuore batte più robusto e più celere. Gli dissi, -con dolcezza figliale: «Io sono nato per vedere, per ricordarmi e per -presentire». Poi soggiunsi: «E forse attenderò me stesso fino alla -morte». - -Rimanemmo qualche tempo senza visitarci, perché io ricominciai a -vegliare la notte e a dormire il giorno. Egli sapeva che la mia lampada -era accesa e che avevo in serbo molto olio nel mio orcio. «Lo sposo -dell'anima suole a mezza notte venire. Guarda che a dormire non ti -truovi.» - -Una sera dello scorso febbraio, dopo compiuto l'anno dall'ora del -pianto e del legame, uno de' suoi figli mi giunse, inatteso; e mi -disse: «Mio padre vuole vedervi. Non ha che qualche settimana o qualche -giorno di vita. Esauditelo». - - - - -XV APRILE MCMXII - - -Quando entrai nella piccola infermeria domenicana, al primo sguardo -conobbi che l'uomo da bene aveva già abbracciata la nostra suora morte -corporale e se la teneva ben sensata contro il suo petto. Primamente, -non veduto, lo vidi in uno specchio. Una donna, dolce e severa, che -poteva essere Sant'Anna col suo mazzo di chiavi appeso al fianco, -m'aveva condotto sul verone di legno ove s'affacciava la camera -dell'infermo; e s'era ritratta, per lasciarmi solo con lui, per non -farsi testimone inopportuna del nostro turbamento. Nell'appressarmi -alla soglia, scorsi su la parete lo specchio e dentrovi, dentro quella -specie d'orrore inaccessibile e rischiarato, il vecchio che stava -seduto, intentissimo, tenendo ambe le mani premute su l'atroce ospite -carnale che gli rodeva la bocca dello stomaco. Mi soffermai, con -uno spaventoso tremito nel cuore, perché veramente dentro quel vano -la morte era _visibile_ come nelle Danze macabre, e tutta l'imagine -veramente era _di là dal velo_. Egli alzò le ciglia e sussultò -abbandonando le mani su le ginocchia, perché mi scoperse anch'egli -nella spera e mi vide venire a lui non dalla vita diurna, non dall'aria -e dalla luce, ma dal fondo di quel pallido sepolcro. E, com'entrai, -mi parve non di varcare una soglia comune ma di superare un limite -tremendo. - -Non conosco, nella storia della santità, una preparazione al transito -più bella di questa. San Francesco, pur conversando con la sua suora -infermitade, lasciò che i medici tentassero di combatterla. Riconobbe -d'aver sempre trattato troppo duramente il suo corpo e mostrò di -pentirsene. «Giubila, frate corpo, e dammi perdonanza; che or mi -conviene satisfare a' tuoi disii.» I dottori pontificii, a Fonte -Colombo, gli cavarono sangue, lo vessicarono e cauterizzarono. Col -ferro rovente gli affocarono le tempie, mentr'egli pregava «frate focu» -che soffrire non lo facesse oltre sopportazione. Ad Assisi, nella casa -del Vescovo, di continuo lo curava il medico aretino. Di tratto in -tratto era preso da qualche strana voglia e mandava in cerca i suoi -frati che talvolta, come nella notte del prezzemolo, s'impazientivano. -Alla Porziuncola Giacomina Settesoli gli apprestò quella vivanduzza -romana prediletta, quel camangiare di mandorle, che durante la malattia -aveva spesso desiderato. Dopo, sentendo prossima la fine, si fece -spogliare d'ogni vestimento e colcare su la terra ignudo. - -Il mio amico dedusse quest'ultimo esempio fin dal principio, non -pel suo corpo ma per l'anima sua. Spogliato di tutto egli era come -mi pareva non potesse mai uomo spogliarsi. E non gli restava se non -quella «nuditate d'Amore» oltre la quale, in paragone di purezza, -v'é soltanto la prima luce del mattino. Vidi presso di lui il volume -della _Imitazione_ chiuso. È certo quello il trattato del totale -spogliamento: riduce in un pugno di polvere la sostanza in cui -l'uomo più si compiace, e senza pietà separa l'uomo da ogni diletta -cosa che non sia il compiuto amore. Egli non aveva più nulla da -apprendere in quel libro: perciò era desso quivi chiuso, e senza -segnali. Ed egli l'aveva tanto praticato e meditato non soltanto come -il libro dell'eternità, ma come quello ch'era nato dalla disciplina -della sua stirpe «sotto l'ogiva di Francia», vera «conoscenza e -virtute d'Occidente.» Né gli restava alcun dubbio intorno a tale -origine; talché una volta ch'egli vide il mio esemplare col nome di -Tommaso Kempis, scosse il capo. Soleva dire, non senza finezza, che -l'_Imitazione_ franceseggia in latino. Vi riconosceva trasposti i modi -e le cadenze della prosa Francesca, e talvolta la levità d'un orecchio -che aveva ascoltato la voce dell'allodola paesana. - -Nelle lunghe settimane di patimento, dal giorno in cui l'insonne -cancro incominciò a morderlo per finirlo, sino all'ora in cui perse la -parola terrena per un altro linguaggio, non dimandò d'essere medicato -né alleviato, non volle intercessore tra l'infermità e la carne, non -chiese che le sofferenze gli fossero attutite ma soltanto che con -esse gli fosse accresciuta la forza di sostenerle. «Courage, courage, -mon âme!» diceva nello spasimo. «Encore un peu, mon Dieu! Faites-moi -souffrir encore un peu, mais donnez-moi la force de supporter la -souffrance.» Quando il morso diveniva meno atroce, egli si faceva gaio -e arguto; non soltanto sorrideva ma anche rideva d'un riso schietto. -Come dalla città i suoi molti figliuoli e i suoi nipoti numerosissimi -e i famigliari suoi devoti venivano a visitarlo, ciascuno adduceva, -per giustificare la visita insolita, un pretesto più o men verisimile, -credendosi di illuderlo. Egli ben sapeva che quelle erano visite di -funebre commiato; e un giorno ch'io ero là, tra quegli affettuosi -dissimulatori, l'udii motteggiare con sì vivace grazia che veramente le -più celebri delle parole stoiche mi sembrarono cosa ruvida e grossa. -Una notte di marzo la figliuola maggiore, ch'era venuta a trattenersi -nella casa per assisterlo, dal suo letto udì nella camera del padre un -gran ridere. Attonita e un poco sbigottita, si levò e andò a origliare. -L'ottimo abate Eugène de Vivié, rettore della parrocchia, consolatore -intrepido, aveva voluto vegliar l'infermo nel martirio notturno. -Aiutandolo egli a sollevarsi dal guanciale per l'orribile rigurgito -che lo travagliava, una inattesa facezia del sofferente aveva suscitata -quella ilarità concorde. Ripensai quel rimbrotto di Frate Elia, quando -San Francesco giaceva al Vescovado in custodia e voleva che Frate -Agnolo e Frate Leone gli cantassero ogni ora le laudi di nostra suora -morte per rallegrarsi nel Signore. «Hacci la scolta alla porta; e niuno -vorrà credere esser tu un santo uomo, udendo del continovo cantare e -sonare nella tua cella.» - -Finché la volontà potè comandare le membra affievolite, si trascinò -ogni mattina alla Cappella per ricevere il pane eucaristico; del quale -solo sembrava nutrirsi, non prendendo nella giornata se non qualche -sorso di latte o il succo di qualche frutto. Súbito dopo la comunione, -si ritraeva, non avendo più la forza di assistere alla messa. L'ultima -volta ch'egli varcò la soglia santa, non ebbe neppure la lena per -appressarsi alla mensa di Cristo. Sfinito, fu costretto di sedersi; e -il prete scese dall'altare e andò a portargli l'ostia vivente. Come -da quel punto nessuno sforzo di volontà più valse, si comunicò per -viatico, sino al Venerdì Santo. - -Comprendemmo qual fosse la sua segreta e inebriante speranza quando -ripeteva: «Encore un peu, mon Dieu! Faites-moi souffrir encore un peu!» -Egli sperava di poter vivere sino alla Settimana di Passione, sperava -di poter congiungere la sua agonia e la sua morte all'agonia e alla -morte del Salvatore. Fu esaudito. - -Il giorno che ricevette il sacramento della Estrema Unzione, mandò per -me. Egli aveva preso ad amarmi più che s'io gli fossi stato figliuolo -unico. I suoi prossimi si stupivano nel vederlo tanto illuminarsi -quando gli apparivo. I suoi occhi si volgevano a me interrogandomi, -così pallidi che parevano aver perduto quel poco di cilestro a forza -di fisare chi sa qual bianchezza abbagliante. Sempre i famigliari, se -erano presenti, escivano l'un dopo l'altro perché rimanessimo soli. Per -non affaticarlo, non lo lasciavo parlare né gli parlavo con le labbra. -Stando al suo fianco, seduto, in silenzio, non mi peritavo di guardarlo -intentamente, tanto m'attraeva la bellezza del suo mistero. Lo sentivo -morire e vivere. Il suo viso nella macie era come un teschio palese, -ricoperto d'un tenue velo di fuoco bianco. Non so dov'egli fosse per -trapassare e per ricominciare; ma è certo che, tacendo, simile a un -tessitore in sogno, tesseva con la sua morte una vita che non era come -la mia vita. La mia vita, che è la mia passione e il mio orrore, la mia -vita, che mi rapisce e mi ripugna, si moltiplicava con un'abondanza -vorticosa come quando ascolto tra la folla le sinfonie dei grandi -maestri. L'amore il dolore e la morte rimescolavano l'oceano della mia -musica con braccia titaniche indistinguibili. Talvolta il morituro -prendeva il mio polso e lo teneva nella sua mano sul sostegno della -seggiola. Allora soffrivo d'avere tuttavia tanto sangue, e così rapido. -Mi ritornava il senso del mio corpo, accompagnato da un'angoscia che -doveva essere simile allo sforzo vano del generare, quando ne stilla un -sudore quasi di tramortimento. E non m'ero mai sentito tanto potente e -tanto miserabile. - -«Amico», gli parlavo in silenzio «ho avuto molte primavere travagliate, -ma non una come questa. So quel che mi significa la dimanda dei vostri -occhi buoni, ma non so che rispondere. Le parole che talvolta mi -salgono alle labbra, non oso proferirle; anzi oppongo al loro impeto i -denti serrati, perché temo di perdermi e di non potermi più ritrovare. -Nondimeno mai, da che vivo, non ebbi un istinto e un bisogno di -mutazione tanto profondi e agitati. Un giorno, ahimè, molto lontano, -nel Camposanto di Pisa, che sembra illuminato dal crepuscolo di quella -luce verso cui siete vòlto, meditai su me medesimo - - tra i due neri - cipressi nati dal seno - della morte; - -e mi parve che, se avessi dovuto cominciare la mia vita nuova, -avrei scelto per luogo del cominciamento quel divino chiostro alzato -dall'arte della mia razza non tanto per serbare la terra del Calvario -quanto per contenere tra i quattro portici una larva dell'albore -immobile ch'era intorno alla Croce. - - Forse avverrà che quivi un giorno io rechi - il mio spirito, fuor della tempesta, - a mutar d'ale. - -E da quel giorno un'alta creatura «eletta da me, per me perduta», a -lunghi intervalli, a traverso le vicende e le lontananze, mi manda il -messaggio di quelle tre parole: «Mutar d'ale». Il mio presentimento -è dunque divenuto un comandamento di ferro e di diamante? è divenuto -alfine la raggiante e lacerante necessità? E la sorte mi mandò fuor -della mia terra, verso questo paese occidentale di sabbia e di sete, -che non è se non un deserto imboschito, perché la vecchia spoglia mi -fosse tratta dalla mano d'un vecchio morente «in verità di santità»? -Come la spogliazione dei beni vani fu agevole e quasi senza ombra di -rammarico! Si vide che la magnificenza del mio vivere non era nei miei -velluti e nei miei cavalli. Un branco di scimmie calpestò e distrusse -non senza tardità quel che forse, o prima o poi, avrei distrutto io -medesimo in un'ora, per far largo intorno al mio pensiero impaziente. -Mi parve che il modo mi offendesse, e m'accorsi che non ero offeso -in alcun modo. Avendo perduto qualche bel legno tarlato, qualche bel -vetro incrinato, qualche bel ferro arrugginito, entrai nel possesso -di questa più bella verità: esser necessario bruciare o smantellare i -vecchi tetti, sotto i quali abitammo in carne o in ispirito. Soltanto -mi furono tolti il giubilo e l'orgoglio della volontaria arsione. - -Or, quando c'incontrammo, io non aveva se non gli strumenti del mio -lavoro, la mia lampada fornita, e una vecchia serva che nel servire -era più nobile dell'antica regina dal piè d'oca. Ahi, non questo era -l'essenziale. «Dopo aver tutto ottenuto per ingegno, per amore o per -violenza, bisogna che tu ceda tutto, che tu ti annienti.» Ma che cosa -è _tutto_ per me? e quale la condizione dell'annientamento? So che, -per farmi nuovo, io non debbo obbedire a una parola già detta ma a -una parola non ancor detta. So che la povertà e l'amore della povertà -non hanno alcuna efficacia spirituale nella conquista ch'io son per -intraprendere. Ma il Cristo ha veramente detto tutte le sue parole? - -Mai Gesù mi fu più vicino, e mai n'ebbi un senso tanto tragico. In un -libro disegnato or è quindici anni, sacro e sacrilego, io imaginavo -che il «bellissimo nemico» discendendo dal Golgota dopo il supplizio -entrasse nella casa della Veronica e quivi s'intrattenesse con la pia -donna a parlare misteriosamente del Re crocifisso mentre nell'ombra la -Faccia divina e dolorosa splendeva di sudore e di sangue nel sudario -spiegato. Dal giorno del vostro pianto, agli interni miei colloquii col -mio nascosto nemico assiste nell'ombra il sudario della Veronica. Ora -sento continua sopra il mondo la presenza del sacrifizio di Cristo; -e sento per ciò in confuso la mia voce e le mie azioni diversamente -ripercuotersi, come quando taluno con gli occhi bendati entra sotto -una ignota cupola sonora. Ma chi troverà il luogo dell'eco perfetta -e l'accento giusto per la grande ripercussione? Da Ferrara, in un -giorno di novembre, mi mossi per cercare un'eco famosa. Camminai -per un viale di platani, lungo un argine verde e molle tutto sparso -di foglie lionate. Avevo in me l'inquietudine della divinazione; e -di tratto in tratto, credendomi di riconoscere il punto, gettavo un -richiamo; e ogni richiamo rimaneva senza risposta; e ogni volta più mi -cresceva una sorta di tristezza fastidiosa e inutile, perché cercavo un -che di divino e il grido era meccanico, la parola di prova era quasi -risibile. Allora giunsi a un piccolo poggio verde che ha il nome di -Montagnola; e quivi era a diporto una compagnia di giovani cappuccini, -condotta da un frate barbuto, e le tonache dei novizii avevano lo -stesso colore delle foglie sparse per l'erba. Mi rivolsi al frate -per dimandargli novelle dell'eco; ed egli n'aveva una memoria vaga, -come di cosa scomparsa. Solo sapeva di certo che laggiù un muro era -crollato in una casa visitata dall'incendio. I novizii tonduti rimasero -pensosi. La luce su la campagna infinita era come quella che passa a -traverso gli alabastri. Vagai ancóra intorno al poggio e per gli argini -chiamando, provando; e il tono della mia voce mi faceva soffrire, -tanto era lontano da quello della mia anima ed estraneo al mistero -che perseguivo. Nondimeno la qualità del mio scontento era nuova e -mirabile. Tornai su le mie orme, pei viali molli d'acqua piovana. La -pianura era senza fine come il cielo. Una campana sonava alla Certosa. -Rividi sotto il poggio le foglie e le tonache fulve. M'appressai. I -novizii erano assorti e taciturni; e qualcuno aveva in bocca qualche -filo d'erba e, tenendo gli occhi bassi, mi pareva che sentisse con le -palpebre la freschezza della sua anima. Io dissi: «Non c'è più! Forse -è morta. Era la più bella del mondo». I novizii erano pieni d'ansia, -e forse di miracolo; e mi pareva che inclinassero verso la terra un -orecchio musicale. Ma il frate mi disse, placido: «A San Francesco -ve n'è una sotto la cupola, che ripete Ave tre volte.» Certi ricordi -chiedono di essere interpretati come le visioni; ma dov'è il mio -interprete? E, se voi ora per me sollevaste il velo, che scoprireste se -non la vostra certezza? - -Certo, da una limitazione può nascere la più vasta vita; e una -mutilazione può moltiplicare la potenza, come sa il potatore. Certo, -qualche parte di me dorme ancora un profondissimo sonno; e me la -rivelano in certi mattini i sogni non interpretati. È necessario che -io faccia luogo in me a ciò che sorgerà da quel risveglio. Ho talvolta -il sentimento delle interne mie lontananze come l'ha di queste Lande -lo svenatore di pini. Preparo l'arme acconcia perché anch'io, entrato -nel folto, possa aprire nuove ferite onde sgorghi l'aroma e _possa -mantenerle sempre aperte_. Tale è l'insegnamento della Landa. - -Ora a ciascun mio pensiero è aderente un altro pensiero, oscuro. Così -nella cattedrale notturna le colonne sono illuminate da una sola banda, -perché la lampada arde in una sola navata. Bisogna che io accenda -all'altra banda un'altra lampada, ma senza spegnere la prima. Ho paura -di spegnerla. Debbo vincere questa paura? E chi m'afferma che diverrò -più forte? Se mi ritrovassi ottenebrato o diminuito? - -Lo so. Gli uomini non edificheranno nuovi templi per nuovi culti. Il -prodigio unanime della cattedrale non si rinnoverà. Ma il dio medesimo, -che l'ha rempiuta, può un giorno apparirvi con un aspetto per la -seconda volta trasfigurato, affacciandosi alla grande Rosa nell'ora in -cui dietro lei suole coricarsi l'astro come al confino d'una foresta. -Simile alla foresta, la cattedrale d'Occidente può essere penetrata in -tutte le sue fibre secolari dalla forza d'una primavera inaudita. Quale -avvenire osservano i Profeti protesi dì e notte come vedette e scolte -dai contrafforti del Duomo picardo ove riconoscemmo scolpita la Spene -di Dante? La pietra commessa e alzata, come quella, al suono degli -inni, ha in sé l'infinito del canto: non può contenere una fatalità -compiuta e immota ma sì l'aspirazione a una bellezza di continuo -perfettibile. - -Non vi fu, di là dal torrente di Chedron, nell'Orto degli Ulivi, un -apostolo ignoto che si unì agli Undici per ricompire il numero, e non -dormì né la prima né la seconda né la terza volta? Tra tutte le persone -della tragedia di Cristo due m'attrassero sempre più d'ogni altra, le -più misteriose: Lazaro di Betania tornato del buio e il giovine dalla -sindone. Non avete mai pensato chi potesse mai essere quel giovine -«amictus sindone super nudo», del quale parla il Vangelo di Marco? «E -tutti, lasciatolo, se ne fuggirono. E un certo giovine lo seguitava, -involto d'un panno lino sopra la carne ignuda, e i fanti lo presero. -Ma egli, lasciato il panno, se ne fuggì da loro, ignudo». Chi era quel -tredicesimo apostolo, che aveva preso il luogo di Giuda nell'ora dello -spavento e della grande angoscia? Solo egli vide il sudore cadere a -terra «simile a grumoli di sangue». - -Era minore di Giovanni figlio di Salome. Era vestito d'un vestimento -leggero. Si fuggì ignudo «reiecta sindone, nudus profugit ab eis». -Nulla più si seppe di lui nel mondo. Forse un giorno dirò una -imaginazione che di lui mi giunse.» - -In tali erramenti divagava il mio spirito, per una specie di -dormiveglia intimo ove le imagini più rilevate si avvicendavano con -ombre fluttuanti e il ritmo precedeva i pensieri, come quando il -sonatore cieco improvvisa su l'organo. E la perplessità si avvicendava -con la paura. E smisurate masse d'anima erano smosse da taluna -interrogazione appena distinta, come quando la forza d'un tema entra -nella sinfonia. «Che avverrà di me se io mi rendo interamente al vostro -Salvatore?» E poi tutto si abbandonava a una fuga dirotta, come quando -s'ode rintronare il lastrico sotto la carica dei cavalieri. - - E gli uomini cadevano - intorno a me guardandomi - negli occhi, come in sogno - quando uno solo è come moltitudine - e un viso è come mille - e il cor supino è pieno di memoria - vertiginosa. - Ciascun percosso - parca gridarmi: - Per chi m'uccidi? - Ah, ben io so! - -Era la materia della mia arte, che si mescolava a quella della mia -vita. Una voce della mia tragedia d'amore e di morte, dell'opera che -componevo nelle mie notti, diveniva oscuramente la voce d'uno di quegli -esseri incogniti da me contenuti. - - L'andito è nero - per ove ci viene - tastando con le mani, - come il cieco mendico; - ma posta ho in terra - la lampada perché sotto la porta - segni il segnale di luce. Or qualcuno - è tra la lampada e la notte. - -Con l'anima mia foggiavo due corpi pieni di nero sangue, e vivevo tutto -in loro, per comprendere il peccato; poiché è detto che non si possa -veramente comprendere la bellezza del Cristo «senza comprendere il -peccato». Ugo da Este e Parisina Malatesta m'erano due esploratori di -tenebre. - - Col peso della carne del mio cuore - pesava il mio peccato. E disse: «Io so. - Ma che paventi?» - -Camminavamo verso il barlume di levante con la medesima ambascia. Anche -per la nipote di Francesca l'attesa aveva il volto della rimembranza. - - Questa pena - di sudore Ei sostenne, - perché da noi - si spiccasse la febbre del peccato... - Dici che sogno? Non so quando io chiusi - gli occhi, non so da qual mai lungo sonno - io mi svegli; non so, - non so di quale vita - io viva, in verità. Tutto ritorna - dal profondo. Commessa - fu la mia colpa, - patito il mio dolore, - sofferto il mio spavento; - sospesa fu la mia sciagura, inflitta - la mia morte. Non sogno, - o meschina, non sogno: mi rimemoro. - Non vivo: di mia vita mi sovviene, - mi sovviene di me come discesa - nel mondo io sia pe' rami - d'un nero sangue... - -D'un tratto, se bene la mano del morente avvolgesse il mio polso, se -bene io ne sentissi il gelo nella mia midolla, un turbine mi separava -da lui, un turbine sorto dall'assito di quella camera quieta. E -bisognava che io mi levassi a seguitare una virtù che s'era partita da -me e aveva superata la soglia. Erano ancóra su la tavola i fiori che -avevo recati, e i frutti d'Italia. Erano le spesse arance siciliane, -del cui solo succo omai si nutriva il mio amico, a stilla a stilla. -«Non più ho bisogno dei vostri fiori e dei vostri frutti ma delle -vostre preghiere». Allora discendevo nella Landa carica di polline -sulfureo, lasciando dietro di me l'interlocutore silenzioso dei miei -dialoghi affrontato col muro ove s'apriva il vano dello specchio -inesorabile. E, come tutto in me era disposto al canto, facevo le mie -preghiere. - -Adunque il giorno che ricevette il sacramento dell'Estrema Unzione, -mi mandò a chiamare. Come indugiai un'ora, mandò di nuovo. Pareva -ch'egli fosse in grande ansietà. Salendo su per la duna, mi soffermavo -per contenere il battito e per guadagnare qualche istante. Intorno -alla Cappella era l'odore di quelle lacrime di ragia che sovente -sostituiscono l'incenso e il belzuino nei turiboli delle Lande. Quando -fui sul verone di legno, incontrai nello specchio il suo sguardo -d'attesa. Mi spiava nel fondo del cristallo lugubre ove egli voleva -essere testimone continuo del suo perire. Non stava già nel suo letto -ma tuttora seduto su la sua seggiola. La sua santità era cresciuta -di lume. Non soltanto egli era stato unto del crisma ma aveva anche -ricevuto per messaggio la benedizione del Pontefice di Roma. E una -reliquia preziosissima era su la tavola, presso di lui. - -Soltanto allora seppi ch'egli possedeva nel suo oratorio una scheggia -della vera Croce, e che da anni le aveva consacrato una lampada -perpetua. - -Non osai di sedermi, se bene invitato. Qualcosa di lontano e -d'inviolabile era in lui, quasi che il vetro d'un tabernacolo lo -proteggesse. Ma, quando mi fisò, il più umano tremito scompose le linee -del suo viso spiritale, così ch'io tutto mi contrassi come a ricevere -una percossa. - -Egli ritrovò in sé il soffio bastante a formare la parola e il -discorso, perché credeva di obbedire a un comandamento. Non poteva -più tacere, non poteva più attenersi alla muta interrogazione dello -sguardo e all'allusione timorosa. Già unto dell'olio santificato, stava -per entrare con Dio in quel colloquio che non più consente di volgersi -verso l'uomo. Egli non aveva se non quell'ora, sul limite del sepolcro, -per indirizzare in via di salute l'anima confidatagli dalla divina -providenza. Questo diceva il suo tremito. - -Rare volte le mie radici ebbero uno scrollo tanto doloroso. Egli parlò. -Io volgevo le spalle alla luce, e l'ascoltavo inclinato. Dietro di me -la Landa stormiva al vento di ponente, e io era come ciascun albero -e come la moltitudine. Potrei ottenere dalla mia anima la confessione -di ciò che per l'uomo è inconfessabile, ma non otterrò mai ch'ella mi -ridica quel che udimmo quivi. - -Allora il pianto fu più forte della favella. Una creatura che pareva -non aver più sangue, aveva ancor tante lacrime! Le mie mani erano -tutte molli; e il rombo di una catastrofe terrestre non m'avrebbe -dato lo sgomento che mi dava quel singhiozzo senile, lacerante come -l'implorazione d'un fanciullo. Quel che v'è di più profondo in me -pareva toccato, e pure conobbi una nuova oltranza; perché mi sentii -baciar le mani! - -Così l'umiltà chiedeva l'umiltà, l'amore chiamava l'amore. Non so -quale atto altrui, nella mia vita, abbia potuto pesare su me come -pesò quello. Per lunghe ore fui oppresso da una sofferenza quasi -corporale, come quando l'equilibrio della vita è sconvolto dal germe -d'una malattia ignota, che somiglia al presentimento d'una sciagura -senza nome. E talvolta era come un rimorso confuso; e talvolta era come -un'atroce durezza che si formasse di tutta la mia sostanza fluida, a -quel modo che una corrente si congela; e talvolta mi pareva che tutto -me medesimo non fosse se non un impedimento enorme a me medesimo, -insuperabile, contro cui non avessi potenza ma soltanto ira. - -La sera, sedato in parte il tumulto, accesi la lampada con l'animo -di sottopormi alla disciplina consueta. Avevo bisogno delle mie mani -per continuare la mia opera. Le posai su le carte, nel cerchio del -chiarore, per considerarle. Un gran sussulto mi scosse, al ricordo -recente. E mi parve, assai più che altre volte, vivessero d'una lor -vita propria e quasi non mi appartenessero. Le sollevai e le guardai -contro il lume: un poco tremavano, e tra le dita chiuse ardeva -una linea rossa. N'ebbi pietà; poi n'ebbi orgoglio. Nel pollice, -nell'indice e nel medio l'ultima fatica aveva approfondito il segno -della penna. Pensai ai giovani pallidi e smarriti che me le avevano -baciate d'improvviso, me repugnante, nell'ombra. Ma che cosa le mie -mani _dovevano_ a quell'atto del morente immacolato? Forse riposarsi, e -attendere il novel tempo. - -Non si riposarono. Lavorarono fino all'alba. - -E in quella notte Ugo disse: - - Non v'era in me più forza né coraggio - né soffio. Avviluppato in una nube - d'angoscia, profondato - ero in un'onda amara - e calda, con l'orrore - della sorte premuto - su tutto me. Parole - udivo escite - da non so qual potenza, nella notte - senza vie. La salvezza e il perdimento - eran senz'occhi entrambi. - E tutto inevitabile - era. E non combattevo - se non per te - anche una volta, se non pel mio vóto, - non più nel sangue - ma nelle lacrime. - -E disse Parisina: - - O mia vita, o mia morte, - dove sei? dove siamo? - Siamo nel luogo profondo, e la lampada - dell'attesa arde in terra; e suggellata - è la pietra su noi, - cementata, afforzata - con ispranghe di ferro... - -Ma di nuovo l'usignuolo cantò, con una melodia ancor più alta dopo la -pausa. E l'amato implorava: - - O voce forte e pura nella notte - senza vie, nel tremore - spaventoso degli astri, - oh dimmi la parola - ch'è in me, dimmi la muta - parola che si sforza - di separarsi dal mio cuore, in vano, - con sì crudel travaglio! - Vivere, vivere, o morire? Dimmi! - Morire o vivere? - -E Parisina allora disse: - - La notte ha la sua via. - - - - -XXIV APRILE MCMXII - - -È mezzogiorno. Un'oscurazione di catastrofe si stende su la terra. Ogni -cosa ha un aspetto notturno, e sembra rivelar di sé quel che non fu -mai veduto per innanzi. È una notte non illuminata dalla luna, né dalle -stelle, né dal primo fiato dell'alba, ma da una lampada soprannaturale -che spande un egual chiarore e non segna le ombre. Non so perché, penso -a quel che provai una volta entrando nella camera buia di un dormente, -con una lanterna cieca, per osservare il segreto del suo viso nel -sonno. - -Vedo nelle cose quella stessa impronta di verità interiore, quello -stesso segreto palesato. Non è, pel mio spirito, un giorno interrotto -ma una notte scrutata a fondo. L'anima della terra è notturna, ma -la luce del sole la nasconde più che non la nasconda la tenebra. -Soltanto può rivelarla la divinazione dei poeti, che portano nel loro -cuore un sole velato come quello d'oggi. È l'ora del meriggio, e non -v'è luce e non v'è tenebra; ma le cose, a questo lume di miracolo, -mostrano l'aspetto che debbono avere quando nessuno può guardarle né -riconoscerle. Milioni d'uomini in quest'ora volgono gli occhi verso -il cielo e per passatempo, a traverso il vetro affumato che simula Io -smeraldo neroniano, spiano il contrasto del sole e della luna, il disco -violetto che sormonta la raggiera d'oro, l'estrema falce solare che -imita il novilunio. Ma il vero miracolo è in terra. Se io guardo gli -uomini, li vedo smorti come i trapassati; e i loro corpi non gettano -su la sabbia più ombra che non ne facciano i peccatori nella landa -sabbiosa del Terzo Girone, laddove scorrono le lacrime che il Veglio -goccia da tutte le fessure ond'è vulnerato. Così per questo silenzio, -lungo la sorda riva, vedo venire la larva del Poeta che sa l'«asfòdelo -prato» e «i freschi mai». E vorrei, come il suo Odisseo nella dimora -del Buio, scavare nella sabbia una fossa ed empirla di sangue, sicché -egli potesse come Tiresia abbeverarsi dello squallido sangue e dirmi -«infallibili cose». - - Sol dopo ciò mi parlava il profeta incolpabile, e disse: - — Tu mi ricerchi il ritorno di miele.... - -Ma il meriggio dell'anima si trasmuta, a poco a poco perde di mistero -e d'orrore, vanisce come un sogno divino che al risveglio s'impigli e -si stempri nel torbidume dei nostri sensi. Il disco violetto trascorre, -e l'astro diurno sembra riardere fumigando dall'uno all'altro corno. -La tenzone del sole e della luna ha termine. Ancóra una volta la luce -nasconde la vera faccia della terra, e la cieca vita fa ingombro alla -morte perspicace. - -Da questa vicenda celeste apprendo come l'eclisse, nel mondo interiore, -possa essere rivelazione piuttosto che oscurazione. La luce della -nostra coscienza abituale non ci copre la nostra verità più profonda? -Se alcuna forza fin allora estranea s'interponga, ecco che dentro a -noi tutto si trasfigura e si manifesta. Il massimo degli eclissi è la -follìa. E che grandi e inopinate mutazioni e visioni da lei nacquero! -Ma vi sono anche meravigliosi eclissi prodotti da una certa specie -di pensieri dominanti che offuscano la coscienza fallace. Il comune -linguaggio però non ha modi per significarli. - -Forse, laggiù, un pescatore perduto su l'Atlantico ha visto nel -prodigio meridiano splendere Espero. - -Un sentimento di lontananza è rimasto in me; che mi seconda -mentre rivivo il giorno funebre. Mi sembra che l'istessa lampada -soprannaturale illuminasse quel Sabato Santo, quasi ritornato fantasma -di quell'eclisse - - che in ciel fue - quando patì la suprema Possanza. - -Era uno di quei mattini oceanici in cui l'aria e l'acqua, luna -nell'altra convertendosi a vicenda, sembrano formare un solo elemento -inane. Grandi velarii pallidi sorgevano, si dilatavano, si laceravano, -cadevano a brandelli, si rammendavano, si ritessevano senza fine. La -Landa pareva sollevarli e respingerli col suo fiato affannoso, perché -era travagliata dalla doglia della fecondità. A quando a quando, se -spirava il ponente, i lembi e le volute s'imbiutavano di fovilla, -s'ingiallivano del solfo arboreo. Talora una nuvola di polvere ferace -rimaneva sospesa su le chiome dei pini. ondeggiava, dileguava per -ispandersi altrove in piogge nuziali. Aerei entrambi, il pòlline e la -cenere si mescolavano, come se il vento rapinasse i fiori e gli avelli. - -E colui che aveva contuso il pòlline e la cenere nell'émpito dei suoi -più alti canti e divinamente comunicato all'una la virtù dell'altro, -il poeta annunciatore e intercessore non anche era spirato in quel -mattino, se bene io lo credessi e vedessi già composto nella sua finale -santità. Ma, mentre erravo di duna in duna seguendo il mio dolore che -pareva sopravvanzarmi, mi punse il cuore un'improvvisa sollecitudine -dell'amico che ancora viveva lì presso; ed ebbi un desiderio -ansiosissimo di rivederlo perfetto. - -Or il suo vóto non era adempiuto? Non aveva egli omai accompagnato -il Redentore sino all'ultima stazione della _Via Crucis_? Passata -era l'ora di nona, l'ora del grande grido; passato era l'antisabato; -Giuseppe e. Nicodemo avevano tolto dal legno il corpo, póstolo nel -monumento e rotolata all'apritura la pietra. Come poteva ancor durare -l'agonia del seguace? fino al Resurresso? e oltre, forse? - -Dal giorno dell'Estrema Unzione non ero più stato a visitarlo. -Perseverava in me il turbamento, e non so che terrore indefinito. La -nostra amicizia terrena era chiusa tra quei due pianti, quasi terra -compresa da due riviere nate d'una sola sorgente come il Letè e -l'Eunoè. - - Da questa parte, con virtù discende - che toglie altrui memoria del peccato; - dall'altra, d'ogni ben fatto la rende. - -Ma, pur trovandomi in paese di sete e sitibondo, non m'attentavo -di bere. Tuttavia rimanevo tra quei due confini senza trascendere -né l'uno né l'altro (non per rientrare nella mia patria antica, -non per avanzarmi verso la mia patria futura) quasi in una sosta di -contemplazione e d'indagine. E quivi pensieri viventi, sin allora a me -estranei o da me ignorati, mi divenivano familiari come i colombi che -beccano il frumento nel cavo della mano. E talvolta il giovine dalla -sindone era meco; il qual serbava in fondo agli occhi notturni una -imagine del Maestro non veduta da alcuno. E mi lasciava egli scrutare -il fondo de' suoi occhi, talvolta. - -Ricomparire dinanzi all'Unto di Dio, mentre gli stava ancóra in bocca -il respiro carnale, mi pareva intempestivo; né avrei voluto di nuovo -toccare la sua mano, assistere agli ultimi istanti, udire i suoi -rantoli, farmi testimone della sua fine. Piuttosto che commettere un -tal fallo, sopportavo il dubbio di sembrargli duro o richiuso. Ben so -come ornai, di quel ch'egli soleva chiamare «il nostro bel segreto» nel -tempo della reticenza, io non possa più parlare se non con me medesimo, -e sotto la specie del canto misurato. - -Gli mandavo ogni sera i frutti italiani; ché qualche stilla di quel -succo fu sino all'estremo l'unico suo ristoro. Ma pregavo la sua -figliuola che non glie li mostrasse, non potendo ella recargli anche -la preghiera sconosciuta che l'accompagnava. Seguivo col pensiero -la fresca offerta che giungeva alla casa di legno verso l'ora della -salutazione angelica. Credevo udire la campanella della porta, il passo -di quella che andava ad aprire, le parole susurrate, e poi nell'ombra -lo scroscio dell'arancia sugosa premuta nel bicchiere che riluceva. E -quella imaginazione mi diveniva presenza quasi reale. Sentivo l'odore -spandersi; vedevo biancheggiare il morente sul guanciale, e il chiarore -della sera adunarsi nello specchio come negli stagni della Landa. E si -generava in me non so che dolcezza accorata e melodiosa, da cui sgorgò -una sera il canto alterno di Ugo e di Parisina presso il ceppo del -supplizio, in fondo alla Torre del Leone. - -Diceva Parisina: - - Udito hai tu, - udito hai tu sul muro - della torre crosciare - la piova? Tutto è fresco, - tutto è mondato. - Or mi ricreo - come il fil d'erba. - E so che nel ciel ride - già la stella diana. - -E Ugo: - - Passato è un tempo, - passato è un tempo, - ch'io non posso più dire; - e quel che innanzi avvenne - e quel che dopo ancóra, - io noi viddi, noi seppi. - Forse or ti nasco; - e la morte, ch'è sopra, - par sì lontana. - -E l'amata: - - Ah tu non sai, - non sai qual sia - nella tua bocca - la voce nova! - La volta cupa - ove risuona - sembra il segreto - antro d'un fonte. - -E l'amato: - - Vedi che occhi - s'apron ne' miei? - In me tu sali, - cresci qual mare - senza amarezza. - Il flutto è in sommo. - Non ho il tuo sguardo - sotto la fronte? - -E la melodia sviluppandosi assumeva un che di vitreo e di verde, un che -d'acqua e d'erba, a imagine di quel giovinetto che un mattino vidi in -un sandalo falciare, con la falce mortuaria dal lungo manico, le piante -acquatiche nel fossato fosco intorno al Castello di Ferrara. - - O mio fastello d'erbe, - dove t'ho da posare? - -La nepote di Francesca rispondeva: - - Pesami accanto al ceppo. - C'inginocchiammo - due volte. Anco due volte - bisogna, o bello - e dolce amico, - bisogna a noi due volte - i ginocchi piegare. - La prima nel peccato, - la seconda nell'onta, - la terza nella morte, - la quarta nell'eternità... - -Quando, molto a notte, salivo alla mia stanza per coricarmi, strani -brividi attraversavano la mia stanchezza inquieta, e i miei occhi -sbarrati guardavano da per tutto; che m'attendevo una di quelle -apparizioni che annunziano il transito delle persone care. E lo -specchio era pieno d'orrore. - -Certo, non cessavo dall'aver paura della morte, se bene per giorni e -giorni l'avessi veduta abitare un uomo e scavarlo di dentro. Ma sentivo -che alfine ero per vincere pur quella paura, e per ottenere dal morente -una tal vittoria. Declinava il meriggio, nei Sabato Santo, quando -l'angelo neutro per i sentieri sordi della foresta mi condusse nei -pressi della collina arenosa ove sorgeva la Cappella di Nostra Donna. -Scopersi in alto, di tra i rami dei pini carichi di fiori nuovi e di -pigne secche, l'infermeria domenicana col suo verone di legno e sul -verone la finestra che dava adito alla camera del morente. Così, non -veduto, rimasi all'agguato della morte. - -La casa era tacita; l'adito era vacuo come quelle aperture senza vetri -e senza imposte, che sfondano all'infinito nelle case abbandonate di -Assisi. Una donna passò cautamente, s'inclinò su la soglia, si fece il -segno della croce, disparve nell'ombra. Un uomo ne uscì, s'incontrò -con una fanciulla dai capelli sciolti, si mise l'indice su le labbra -per ammutolirla, poi la trasse pel braccio nudo. Nessuno piangeva. -I lineamenti umani erano come raffermati dalla necessità. L'aspetto -della casa stessa era come Indurito. L'aria intorno vi pareva senza -mutamento. Qualcosa come un cristallo spesso la separava dalla -respirazione del borgo sparso per le sabbie, ov'era sonata l'ora del -pasto comune. - -Stavo accosciato su le radici d'un pino. Giovanni era meco, o la -parte migliore di me era divenuta simile a lui; perché tutte le -cose fisse intorno, tutte le cose radicate, erano in me riunite -da movimenti d'amore come nel ritmo della sua poesia. Le formiche -salivano e discendevano per le vecchie cicatrici del fusto come per -le lor vie maestre, in traffico, mentre taluna di loro galleggiava -morta nel vasetto d'argilla colmo di résina e d'acqua piovana. Pei -nuovi intagli la ragia colava bianchiccia come la cera che si strugge -e goccia intorno ai torchietti dell'altare; ma qua e là vi brillavano -lacrime limpide come acini di cristallo. E dove erano infissi i pezzi -di bandone obliqui per condurre lo scolo, quivi la piaga pareva più -dolente. E, se volgevo gli occhi alla cima, sentivo ch'essa non era -toccata dal dolore ma era assorta in un pensiero d'altezza. _Redolet -non dolet._ - -Tutto si santificava in una luce di grazia, in una «bontà senza -figura.» Il più tenero fiore di cinque petali era schiuso entro una -povera scarpa accartocciata come una scorza. Un germoglio lanoso -spuntava dal fóro di una latta arrugginita; e tra gli spigoli della -lamiera storta brulicavano su per i fili della tela minuscoli ragni, -gialli come granelli di pòlline. E il minuto pigolìo dei pulcini -nascosti nel cespuglio era come se quel brulicame divenisse vocale. -E da ogni più piccola voce si partiva un'onda senza fine confusa -nell'immensa dissonanza del vento. E il vento era come il rammarico -di ciò che non è più, era come l'ansia delle geniture non formate -ancóra, carico di ricordi, gonfio di presagi, fatto d'anime lacere e -d'ali vane. E forse andava, laggiù, a sfogliare il libro aperto sopra -il leggìo di quercia, quel libro ch'era antico quando la quercia ancor -«viveva nella sua selva sonora». E forse l'ascoltava, laggiù, il cieco -che non sa donde venne, non sa dov'ei vada, né può cansar l'abisso che -si sente ai piedi... «di fronte? a tergo?» - -Tanto era viva la presenza fraterna che mi volsi come se avessi -udito il mio nome. E Giovanni di San Mauro era là, sotto un gran rovo -intricato che soffocava una ginestra in fiore. Aveva la sua veste dei -campi, la sua veste di contadino: il capo scoperto, il collo nudo. -Sedeva sopra un ceppo tagliato. Col mento nella palma, mi guardava -dentro il cuore; e, nella fissità, la sua guardatura aveva a destra -una lieve loschezza come se quella fosse la pupilla sempre «intenta -ad altro». Era tutto bianco, incanutito; e la fronte era veramente un -luogo di luce per moltitudini, ma le ritrose dei capelli le davano un -che di selvaggio in sommo, un che d'indocile su tanta umiltà. Le sue -mani scarnendosi erano divenute belle. E il silenzio delle sue labbra -era fatto di quelle profonde pause che ne' suoi poemi contengono il suo -più umano amore o il suo più divino orrore. - -In quel punto scoccò, dalla torre della Cappella, l'ora seconda dopo -mezzodì. Sul verone il vano dell'adito era come un gorgo d'ombra. -N'escì una donna che non piangeva, ed entrò nella porta accanto, -levando le braccia. E vennero alcune altre donne, alcuni uomini, -una fanciulla, tre giovinetti; e nessuno piangeva. Ma tutta quella -famiglia adunata sembrava assumere una forma atta a ricevere l'ignoto, -a ritenere in sé il peso dell'esanime. Il morto entrava nei vivi; e, -prima di trasformarsi in memoria, riviveva in loro con la sua canizie, -con le sue rughe, con le sue spalle curve, con i suoi occhi pallidi, -con la sua voce fievole, con le sue viscere ulcerate. Entrarono l'un -dopo l'altro nel gorgo d'ombra; s'inginocchiarono, s'accalcarono -intorno al letto, divennero una cosa compatta su cui il morto pesò come -su una bara di carne e d'ossa. Tutte le voci della Landa non valevano -contro il silenzio che serrava la carcassa di legname in quella guisa -che i ghiacci polari serrano la chiglia della nave prigioniera. La -casipola rossastra, dentro la sua siepe di biancospino e di giunco -marino, covava il più chiuso mistero del mondo: il corpo dell'uomo -santo, la spoglia inerte di colui che ha offerto l'anima a Dio e votato -sé stesso alla vita eterna. - -Passai davanti alla porta, su pel sentiero di sabbia, senza arrestarmi. -A ogni passo, mi pareva di perdere qualcosa di me, di lasciarmi -sfuggire qualcosa di più fervido che il sangue, come se fossi premuto -dal rigore di due ombre. A ciascun fianco avevo la morte, come -chi cammina fra due compagni per favellare con l'uno e con l'altro -alternativamente. Vedevo il cadavere nell'aspetto più spaventoso, -quando non è ancóra immobile, quando non è ancóra in pace, quando il -rito funebre lo manomette, lo costringe a simulare il gesto, movendolo, -sollevandolo, nel purificarlo, nel vestirlo. Come giunsi al principio -della mia viottola, a poca distanza dal cancello, mi riscoppiò nello -spirito un lampo dell'allucinazione che mi aveva tormentato per tutto -l'autunno. L'uomo era là, ma senza rilievo. - -Quando salii su la mia duna, la bassa marea aveva scoperto -nell'insenata il lungo banco mediano, simile nella forma sottile a un -ramo secco di palmizio. Era grande bonaccia, nell'aria e nell'acqua. -I velarii continuavano a svolgersi e a dissolversi. A tratti il sole -appariva tra lembo e lembo; e tutte le sabbie si schiarivano, con un -che di molle come il colore interno della banana. Si velava: e tutte -scurivano, si facevano brune come gli aghi aridi accumulati, come le -fascine delle palafitte. - -Il corpo dell'annegato si riformò sul banco, intiero come quando -l'avvistai la prima volta. - -Fu una mattina di settembre: un cielo candido, un mare quasi di latte. -La marea discendeva. Ero seduto su la loggia. Guardando, scorsi sul -banco non so che cosa solitaria e immobile, la cui tristezza mi gravò -il cuore prima che la vista la riconoscesse. Era un cadavere deposto -dalla corrente, era l'annegato del giorno innanzi: una povera cosa -nuda, più misera d'un rottame, più squallida d'un mucchio d'alghe; ma -ora pareva che tutti i lineamenti del paese e della marina, da levante -a ponente, da borea a mezzodì, convergessero in quel punto di miseria. -Scesi alla spiaggia, chiamai due rematori; e andammo con la barca -fino alla secca, per ricondurre l'uomo. Stava bocconi, con la testa -pendente in un cavo della sabbia, con le ginocchia profondate, con le -calcagna in alto, con le mani conserte presso l'ombelico. Il sangue -versato dalle orecchie e dalla bocca tingeva la poltiglia acquidosa, e -la rena scorreva lenta nel cavo e si mescolava al sangue. Un'orecchia -e i capelli intorno erano ingrommati; il braccio era scarnissimo, -bianchiccio, debole come un braccio di femmina; le unghie e le falangi -erano paonazze come quelle del tintore a zàffara; le gambe erano -pallide sotto i peli bestiali, i piedi erano chiazzati d'azzurro. -Lo guardavo con l'attenzione terribile dell'arte, come non l'avrebbe -guardato neppure la sua madre; me lo stampavo dietro le pupille. Tenevo -curvato su lui il mio ribrezzo angoscioso con le due branche della -mia volontà. Una vespa ci ronzava intorno insistente, e la sabbia era -lavorata come i bugni. - -I rematori gli presero i malleoli in un nodo scorsoio, e lo trassero -in acqua con la gomenetta legata a poppa. Il sangue nero rimase nella -poltiglia, e lo lavò la marea più tardi. Ricevetti per sempre nel -cervello anche l'orrenda scìa. Poi i due, aiutati da un terzo, lo -sollevarono all'approdo. Ciascuno lo teneva sotto l'ascella, e il terzo -per i piedi cerulei. S'inarcava appena, essendo rigido; e la testa -pendeva giù come nel cavo, col naso pieno di coagulo rossiccio. - -La sera me lo rividi ritto su la loggia, nell'ombra. Per gli occhi -sbarrati dallo spavento m'entrò anche più a dentro. M'era sconosciuto; -non sapevo nulla di lui, fuorché qualche notizia vaga del suo stato -modesto, della sua vita volgare. E l'avevo compagno implacabile. -Calando il sole, cominciavo a temerlo. M'aspettava presso il cancello, -quando rientravo. Nelle notti di lavoro, quando nella stanza attigua -la candela s'era strutta, appariva nel rettangolo buio dell'uscio. -Gli vedevo l'orecchia piena di grumi, la bocca e il naso carichi, il -braccio scarno. E non m'era più possibile dormire dalla parte del mare. - -Poi fu meno assiduo, si mostrò a intervalli sempre più lunghi, si -scolorò, divenne una larva fievole, si disperse. Ma il pensiero della -morte restò in me gravato da quell'orrore. - -Ed ecco che riappariva, ecco che si rimetteva bocconi su la sabbia ad -aspettare, come se io dovessi di nuovo imbarcarmi e andare a cercarlo! - -Sì, la paura corporale della morte era in me, come se l'uno e l'altro -amico dipartendosi m'avessero curvato verso il sepolcro, verso la -putredine l'ossame e la cenere. Le dita invisibili della malattia mi -sfioravano la nuca, le reni, la gola, i precordii. Camminavo imaginando -le gambe appesantite da un piombo subitaneo o invase da una sorda -mollezza di bambagia. Vedevo chino su me il medico che ascolta e che -palpa. Un soffio, un fremito, un qualche romore di condanna m'esciva -del cuore; o da una molecola del cervello un offuscamento repentino si -spandeva su tutto, come il nero che schizza dalla borsa della seppia e -intorbida l'acqua. - -Dominai l'angoscia. Tuttavia le cose mi si manifestavano come se io le -guardassi da non so che chiusa profondità. I suoni parevano impigliarsi -nel silenzio come in una sostanza tenace: il gemito fioco d'una sirena -all'imbocco, il rombo d'un'elica, il tonfo d'un remo, il richiamo d'un -pescatore, il grido d'un uccello. E le attitudini disperate dei pini, -davanti la mia loggia, in tanta inerzia dell'aria, mi toccavano per -un sentimento simile a quello ch'esprimono i gruppi scolpiti della -Deposizione, ove le Marie si piegano sul divino corpo investite da una -ráffica di dolore. Lo sforzo iroso del vento aveva torto per anni i -tronchi e i rami; e l'aspetto della tortura durava, mentre l'aria era -immobile. - -Un fanciullo mi portò l'annunzio dall'infermeria domenicana. Uno dei -figli mi scriveva come il padre gli avesse raccomandato di annunziare -la sua fine a me prima che ad ogni altro e di comunicarmi che nel -Venerdì Santo «all'ora di nona» m'aveva benedetto e poi non aveva più -parlato in terra. - -Mi disposi di visitare il beato, declinando il sole. Non so che -umida dolcezza s'era diffusa nel cielo: qualcosa di racconsolato e di -fidente, che mi ricordava il volto del vecchio quando uscimmo insieme -sul sentiero di paglia, la prima volta, dopo il pianto. I gradini -della mia scala esterna erano polverosi di pòlline, ove il piede lasciò -la traccia. Il medesimo solfo vivace ingialliva i margini del viale. -I miei cuccioli di otto mesi, che l'uomo del canile conduceva su la -spiaggia per l'esercizio del pomeriggio, mi corsero incontro facendomi -festa a gara. Alzati su le zampe nervute, mi coprivano della loro vita -pieghevole e trepidante. I loro denti erano più puri del gelsomino, -e i loro occhi vai o grigi o lionati parevano scintillare alla cima -della loro inquietudine. Una pena mi si svegliò nel cuore: pensai ai -miei cuccioli di cinque giorni, dagli occhi ancóra suggellati. Erano -nove; e, per non spossare la madre, bisognava risolversi alla scelta -crudele, al sacrifizio dei meno belli e dei meno forti! Avevo fatto -cercare da per tutto una nutrice, senza riuscire a trovarla. Entrai nel -canile, col cuore ammollito da una pietà quasi feminea. La levriera, -coricata sul fianco, teneva il muso nascosto tra le zampe incrociate, -con la grazia del cigno che caccia il becco sotto l'ala. I suoi belli -occhi d'un colore di dattero avevano una lucentezza quasi febrile, e un -lieve affanno sollevava le sue costole disegnate come i madieri d'una -carena. Cinque de' suoi piccoli poppavano, con un vigore già pugnace, -pontando contro il seno materno le due zampette per ispremere la -mammella, scotendo a tratti il capo per meglio trarre; e un'ondulazione -di godimento correva dalla grinzolina della collottola alla punta -della coda di sorcio, parendo quasi render palese il getto irrigante; -e un fievole fiottìo accompagnava il poppare, un fiottìo lontano che -faceva pensare a quello mattutino dei gabbiani sospeso su la bonaccia. -Gli altri quattro, sazii, dormivano sul dorso come bimbi, mostrando il -ventre roseo dove l'ombelico era appena chiuso, mostrando la pianta dei -peducci lucida e tenera come certe fogliette appena nate, che sembrano -di cera e di lanugine. A quando a quando sussultavano e gemevano come -se già sognassero. Uno seguitava a poppare in aria, con la bocca molle -modellata su la forma del capezzolo; e la lingua era concava come un -petalo carnicino; e la gola palpitava come se tuttora la irrigasse il -latte. - -Mai il primo fiore della vita animale m'era parso più miracoloso. -La cagna aveva alzato il muso verso la mia carezza, poi s'era volta -a leccare il poppante che succhiava l'ultima mammella già esausta -premendola con un'insistenza irosa. Ella gli dava leggeri colpi per -rivoltarlo sul ventre, ma il catellino tenace non lasciava la presa e -metteva un suono di dispetto simile a un garrito spento. Era bianco -pezzato di grigio; aveva una stella in fronte, un orecchio bruno e -uno roseo, ancor nudo, suggellato come gli occhi, occluso da due o tre -vescichette lustre. Lo conoscevo bene in tutti i suoi segni, come gli -altri. E ora tutto mi pareva straordinario, divino come la diversità -dei fiori, con quegli screzii del pelame, con quelle mischianze -misteriose dei caratteri materni e paterni. Li avevo veduti escire -a uno a uno, come piccole nuvole opaline, come sfere azzurrognole, -come mondi informi: spettacolo nauseabondo e sublime. Avevo veduta la -infaticabile tenerezza della madre nettarli a uno a uno dall'orrenda -schiuma, troncare il cordone sanguinante, sospingerli ciechi e sordi -verso la fonte tiepida della sua vita. Tutto m'era parso grande e -augusto, portento d'amore e di sapienza; tutto ora mi pareva sacro. -Come avrei potuto scegliere e condannare? Mi sentivo pronto a qualunque -ufficio più umile e greve per salvare pur la men bella di quelle -creature viventi. - -L'uomo del canile indovinò la mia pena e mi disse: «Aspettiamo ancóra -qualche giorno. La nutrice si troverà. Me n'hanno promessa una, nella -Landa». - -Mi mossi verso la Cappella di Nostra Donna. Il cuore mi oscillava tra -la vita e la morte. Avevo preso meco un mazzo di rose che somigliavano -quelle ch'io non vedo più, quelle di Toscana alternate coi giaggiuoli -lungh'essi i muri graffiti dei poderi, a Castel Gherardo, o verso -il Palagio del Sere, o lassù al Crocifisso Alto. Riudivo il versetto -intonato da Enrico Suso: «O giovinetta rosa di primavera! _O vernalis -rosula!»_ - -Nessuno piangeva, nella casa domenicana. Un dolore composto e taciturno -annobiliva tutta quella genitura discesa dall'uomo santo. Passai pel -verone di legno, non scorsi rilucere lo specchio, misi il piede sul -limitare, vidi qualcosa di bianco nascere, presso e lontano. Prima che -le pupille scoprissero l'immobile forma, nel mio amore e nella mia -reverenza due bare si congiunsero. L'umile uomo da bene e il poeta -indimenticabile erano una sola morte. Ed erano un solo sorriso, una -sola pace, una sola beatitudine. - -Non avevo mai veduto la morte vestita di quel divino pudore, se non in -certe stele funerarie ad Atene, se non in certe pietre sepolcrali di -questa terra di Francia, nelle quali il marmorario sembra precorrere -il lavoro dell'Artefice eterno che al novissimo dì riscolpirà tutti -i volti secondo la bellezza perfetta. Ogni lesione della vita pareva -cancellata. Non l'anima soltanto, non soltanto l'anima di sacrificio -e di preghiera, ma la carne di dolore e di colpa aveva ottenuto -l'indulto. Tanto dunque una carne miserabile, vaso di dissolvimento, -può divenir bella nelle prime ore della morte? Ero certo che anche nel -volto del mio fratello, laggiù, su la collina d'Italia, risplendeva -quella bellezza. - -Posai le rose su' suoi piedi congiunti sotto la coltre bianca. Mi -chinai a baciarlo in fronte, e non ebbi terrore. Una voce sommessa mi -chiese: «Non volete pregare per lui?» Mi fu offerto un inginocchiatoio -leggero, che aveva la predella di paglia. M'inginocchiai. Altre -creature erano in ginocchio e pregavano, senza susurro. - -Volgevo le spalle alla luce. La mia ombra cadeva sul letto funebre, -stava su le ginocchia sparenti del cadavere, incrociata con quel -corpo tanto sottile che non s'alzava dal piano più d'un bassissimo -rilievo né sembrava pesare più della mia ombra. Quanti difficili nodi -ho conosciuto, dai più robusti che fanno con i canapi i marinai a -quelli che si piacque di disegnare l'ermetico Leonardo! Ma nessuno mai -arcano come il groppo di quelle due mani esangui intorno al crocifisso -d'ebano. Nessuno mi parve mai tanto durevole e indissolubile. -L'osservavo di continuo, gli occhi miei affascinati fisandosi di -continuo in quel punto; e non riescivo a comprendere come le dita -fossero tra loro intessute, come quella cosa pallida e solinga fosse -connessa. - -Il chiarore che tante volte avevo veduto nello specchio spaventoso, -quel medesimo ora occupava la stanza. Mi volsi un poco a sinistra, -e scorsi lo specchio coperto d'un lenzuolo bianco. Quali visioni -insostenibili aveva serbato nel profondo? - -Da prima in me fu silenzio. L'umile uomo da bene e il sovrano cantore -del bene erano una sola morte e una sola santità. Volgevo le spalle -alla luce del giorno occidente, all'immensa Landa deserta. Era in me -col silenzio un'attesa senz'angoscia. E a poco a poco uno spirito -musicale entrava in me. Mi sovveniva della sera d'ottobre, della -sera d'un altro sabato, d'un abituro presso un'altra Cappella, in -mezzo a un'altra foresta. Mi sovveniva di Francesco alla Porziuncola -e dell'ultimo cantico cantato nell'ombra, con la faccia rivolta al -cielo, mentre i fratelli ascoltavano rattenendo il respiro. «_Voce -mea ad Dominum clamavi._» Tutto il cielo, quando il Serafico si tacque -alla soglia d'eternità, tutto il cielo della sera fu pieno d'un coro -miracoloso di allodole. - -Ed ecco, dall'immensa Landa, una melodia sorse e si sparse, una melodia -che forse già riempiva tutta l'ombra degli alberi piagati ma che non -fu da me udita se non in quel punto. Di duna in duna, di selva in -selva, di macchia in macchia, la Landa si fece tutta melodiosa, fino -all'Oceano. Era un cantico d'ali, un inno di piume e di penne, quale -non s'ebbe più vasto il Serafico, quale non si sognò così pieno Paulo -di Dono. Era la sinfonia vesperale di tutta la primavera alata, per -Giovanni di San Mauro, per l'interprete di ogni aerea voce. - -Saliva, saliva senza pause. E a poco a poco, di sotto al salmo silvano, -si moveva una musica fatta di gridi e di strepiti conversi in note -armoniose da non so qual virtù della lontananza e della poesia. Erano i -suoi famigliari che avevano cullato i sogni agresti di Castelvecchio: -risa di bimbi, favellìo di massaie, uggiolìo di cani, péste di -cavalli, mugghi di mandre, stridore di carretti. E i galli chiamavano -e rispondevano, dai chiusi di giunco marino e di bianco spino, come -se il vespro si mutasse in alba, la quiete in risveglio. E le campane -sonavano come «nei cilestri monti». E la sera varcava la soglia, simile -a un grande arcangelo velato. - - Giova ciò solo che non muore... - -La cella era divenuta cupa come una cripta, ma il salmo della Landa la -riempiva come il rombo dell'Oceano riempie la conca. Il letto bianco -era divenuto simile a quelle arche d'argento che splendevano nella -vecchia contea di Sciampagna; e sopra vi giaceva una statua supina. -E non era l'effigie d'un morto ma d'un immortale: come le figure del -secolo di fede, aveva gli occhi aperti perché non credeva se non nella -Vita. Come nell'antifonario di Santa Barbara, era per levarsi e per -dire con un'allegrezza imperiosa: «_Aperite mihi portas justiciæ. -Ingredior in locum tabernaculi admirabilis usque ad domum Dei_». Non -mostrava le tracce degli anni, i solchi senili; ma era ferma nella -giovinezza del Risorto, nell'età che tutti gli uomini avranno quando -saranno per risorgere come Lui. E non le stava sul capo la guglia -trilobata che sovrasta ai Santi nei pilastri e nelle vetriere della -cattedrale? E il duomo di Dio, la cattedrale unanime e innumerabile, -non s'alzava di sopra a quella cripta nuda, con la sua selva di simboli -e di misteri? E il sole gotico non s'era colcato dietro la grande Rosa? - -Il salmo non aveva fine. Tutto pareva salire, ancóra salire, sempre -salire, nel rapimento di quel canto. Il ritmo della Resurrezione -sollevava la terra. Io non sentivo più i miei ginocchi, né occupavo -il mio luogo angusto con la mia persona; ma ero una forza ascendente -e molteplice, una sostanza rinnovellata per alimentare la divinità -futura. Cose ignote, esseri ignoti erano per nascere al suono della -mia prossima voce. Non v'era più ombra né paura di morte in me; né pur -v'era desiderio o speranza di pace. «Non voglio la pace. Voglio morire -nella passione e nel combattimento. E voglio che la mia morte sia la -mia più bella vittoria.» Avevo accesa una nuova lampada ma anche rifuso -un più ricco olio nell'antica perché riardesse. Mi sentivo figlio di -me, e le mie labbra non avevano appreso a proferire il nome del Padre -nell'orazione. - -«Amici, è sempre sera e presto sarà notte.» Vedendo guizzare su la -parete un lume improvviso, mi levai. Qualcuno stava per accendere un -cero a pie dell'arca imaginaria. Mi levai, mi volsi, uscii. L'atto -fu così rapido che nessuno mi seguì, tranne un giovinetto. Gli aditi -erano bui. Non lo distinguevo. Quando mi sfiorò il braccio per passarmi -innanzi, vidi brillare il bianco de' suoi occhi. Quando fummo sotto -la tettoia, vidi la sua faccia dorata, le ciocche folte e nere de' -suoi capelli. Lo sentii tremare mentre m'apriva la porta sul sentiero -di sabbia. Allontanandomi, non udii il rumore del cardine dietro di -me; e pensai ch'egli fosse rimasto sul limitare a guardarmi. Ma non -mi voltai. Mi pareva che un viso nuovo mi fosse nato dal mio spirito. -L'imagine rivelatrice del giovine dalla sindone mi toccò la cima del -cuore. - -Discesi la duna. Il calcagno s'affondava senza sonare. La Landa ora -taceva, in una nuvola di pòlline, piena di connubio. Il salmo vesperale -era cessato. Una costellazione misteriosa si accendeva nel cielo -violetto. Il tuono remoto dell'Oceano era come il vigore del silenzio. - - Giova ciò solo che non muore, e solo - per noi non muore, ciò che muor con noi. - -Ero in quello stato di potenza che talvolta ci fa sentire come il -vivere non sia se non un continuo creare. Passai presso un cespuglio -fragrante nell'ombra, che mi divenne un sentimento meraviglioso. D'un -tratto uno scoppio di passione canora trasmutò il silenzio in un'ansia -intenta. Le stelle s'appressarono alle chiome dei pini feriti. Cantava -l'usignuolo. - -Vidi brillare il Faro laggiù, su l'estrema lingua di sabbia. M'accorsi -d'esser vicino alla mia duna. Camminai verso la casa, con l'anima -rovesciata indietro a ricevere il canto. Un'ombra stava diritta presso -il cancello, nel luogo medesimo ove soleva aspettarmi l'uomo livido. -M'appressai con un passo più rapido, con gli occhi aguzzati. - -Era uno sconosciuto della Landa che mi conduceva la nutrice. Teneva a -guinzaglio una cagna da caccia, che a quando a quando mandava fuori -un lamentìo sommesso. E la voce della madre era così straziante che -non udii più quella dell'usignuolo. «Dove ha lasciato i suoi piccoli?» -chiesi allo sconosciuto. Il carnefice li aveva annegati in una tinozza -d'acqua fredda, tutti: erano dodici! Mi curvai verso la disperata, posi -un ginocchio a terra. Lo sprazzo rosso del Faro illuminò la sua bella -testa falba dalle larghe orecchie di velluto, la sua faccia possente -e pacata ove brillavano due occhi folli. E vedevo galleggiare nella -tinozza i dodici piccoli cadaveri. - -Allora, inginocchiato su la sabbia, le palpai le mammelle ch'erano -gonfie e calde tra i lunghi peli bianchi e bai. Il forte lezzo della -maternità mal curata e della cuccia negletta mi rendeva più pesante il -cuore. E lo sprazzo candido del Faro mi passò sul capo chino. - - - - - -Nota del Trascrittore - -Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo -senza annotazione minimi errori tipografici. - - - - - -End of Project Gutenberg's Contemplazione della morte, by Gabriele D'Annunzio - -*** END OF THIS PROJECT GUTENBERG EBOOK CONTEMPLAZIONE DELLA MORTE *** - -***** This file should be named 62417-0.txt or 62417-0.zip ***** -This and all associated files of various formats will be found in: - http://www.gutenberg.org/6/2/4/1/62417/ - -Produced by Barbara Magni, elisa and the Distributed -Proofreading team at DP-test Italia, -http://dp-test.dm.unipi.it (This file was produced from -images generously made available by The Internet Archive) - -Updated editions will replace the previous one--the old editions will -be renamed. - -Creating the works from print editions not protected by U.S. copyright -law means that no one owns a United States copyright in these works, -so the Foundation (and you!) can copy and distribute it in the United -States without permission and without paying copyright -royalties. 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If you are not located in the United States, you'll have -to check the laws of the country where you are located before using this ebook. - -Title: Contemplazione della morte - -Author: Gabriele D'Annunzio - -Release Date: June 17, 2020 [EBook #62417] - -Language: Italian - -Character set encoding: UTF-8 - -*** START OF THIS PROJECT GUTENBERG EBOOK CONTEMPLAZIONE DELLA MORTE *** - - - - -Produced by Barbara Magni, elisa and the Distributed -Proofreading team at DP-test Italia, -http://dp-test.dm.unipi.it (This file was produced from -images generously made available by The Internet Archive) - - - - - - -</pre> - - -<div class="booktitle"> -<h1> -CONTEMPLAZIONE<br /> -DELLA MORTE. -</h1> -</div> - -<hr class="silver" /> - -<div class="titlepage"> -<p class="x-large"> -GABRIELE D'ANNUNZIO -</p> - -<p class="pad2 main-t"> -CONTEMPLAZIONE<br /> -DELLA MORTE -</p> - -<p class="pad6"> -FRATELLI TREVES EDITORI<br /> -MILANO • MCMXII -</p> -</div> - -<div class="verso"> -<p> -<i>Seconda Edizione</i> (4.º a 7.º migliaio). -</p> - -<hr class="mid" /> -<p> -<i>Proprietà letteraria. -Riservati tutti i diritti.</i> -</p> - -<p> -Copyright by Fratelli Treves, 1912. -</p> - -<p> -Tip. Treves. -</p> -<hr class="mid" /> -</div> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_v">[v]</span> -</p> - -<h2 id="messaggio">MESSAGGIO.</h2> -</div> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_vii">[vii]</span> -</p> - -<h3> -<i>A MARIO PELOSINI DI PISA.</i> -</h3> -</div> - -<p> -<i>Mio giovine amico, per quella foglia -di lauro che mi coglieste su la fresca -tomba di Barga pensando al mio lontano -dolore, io vi mando questo libello -dalla Landa oceanica dove tante volte -a sera il mio ricordo e il mio desiderio -cercarono una simiglianza del paese -di sabbia e di ragia disteso lungo -il mar pisano.</i> -</p> - -<p> -<i>Ben so come profondamente nel vostro -petto fedele voi custodiate la luce -dell'ora in cui per la prima volta, sconosciuto -e atteso, varcaste la soglia -della casa ch'io m'ebbi un tempo alla -foce dell'Arno tra i ginepri arsicci e -le baglie marine. Eravate quasi fanciullo, -<span class="pagenum" id="Page_viii">[viii]</span> -<span class="upright">generosus puer</span>, ebro di poesia, -tremante di riconoscenza e d'amore; -e la divina virtù dell'entusiasmo ardeva -in voi così candidamente ch'io -mi credetti riveder me stesso giovinetto -nell'atto di accostarmi a un puro spirito, -ora esulato dalla terra, che molto -amai e molto ascoltai. La casa era -tanto prossima al frangente che dalla -finestra non si vedeva se non il flutto, -come da un'alta prora. E mi piacque -che intorno a quel nostro primo dialogo -non paresse stagnare la quiete -domestica ma spirare quasi la libertà -d'una navigazione avventurosa. <span class="upright">Anchoras -praecide</span>. Credo che tal fosse il -mio primo insegnamento. E ci accomiatammo, -secondo il costume di coloro -che non si riposano su alcuna -certezza o promessa, come se non dovessimo -rivederci più mai.</i> -</p> - -<p> -<i>Di lontano, non ebbi da voi se non -sobrie testimonianze d'un amore sempre -più forte e d'una fede sempre più -<span class="pagenum" id="Page_ix">[ix]</span> -tenace. Cosicché, pensando al prato -sublime che sta tra il Camposanto e -il Battistero o alla funebre spiaggia -tra il Serchio e l'Arno, posso senza -discordanza pensare a voi prediletto -tra i pochissimi che sanno amarmi -come solo voglio essere amato.</i> -</p> - -<p> -<i>Ecco che riprendo in queste pagine -una contemplazione già iniziata nella -solitudine di quel Gombo ove vidi in -una sera di luglio approdare il corpo -naufrago del Poeta che s'elesse Antigone -e vegliai la salma colcata a fianco -della vergine regia, tra l'uno e l'altra -sorgendo il fiore «inespugnabile» nomato -pancrazio.</i> -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01"><i>Poi che non val la possa</i></p> -<p class="i01"><i>della Vita a comprendere tanta</i></p> -<p class="i01"><i>bellezza, ecco la Morte</i></p> -<p class="i01"><i>che braccia più vaste possiede</i></p> -<p class="i01"><i>e silenzii più intenti</i></p> -<p class="i01"><i>e rapidità più sicura;</i></p> -<p class="i01"><i>ecco la Morte, e l'Arte</i></p> -<p class="i01"><i>che è la sua sorella eternale...</i></p> -</div></div> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_x">[x]</span> -</p> - -<p> -<i>Ma, di qua d'Arno, nella selva spessa -che va sino al Calambrone, in un meriggio -dello stesso luglio, portai il pensiero -della fine su i miei piedi nudi -come una fiera porta la sua fame o la -sua vigilanza. Il demone del rischio -mi aveva detto: «Va e gioisci. Beviti -le musiche degli uccelli e dei vènti, -abbàgliati delle luci, inèbriati degli -odori. Una vipera ti ucciderà». Andai, -e cercai la mia vipera. Portavo leggeri -sandali di sparto legati ai malleoli -con corregge sottili. Tanto era -l'attesa che, quando mi sentii mordere -la prima volta, non potei trattenere il -grido. E farmi pallido in quell'aria -affocata mi pareva una sorta di voluttà -eroica. Guardai. Non era se non -la puntura d'una spina: il sangue gocciolava, -e tutte le vene del piede erano -gonfie per lo sforzo del camminare -nella sabbia ardente come la brace o -su gli aghi arroventati come gli schisti -del Deserto. «Non ancóra,» E seguitai, -<span class="pagenum" id="Page_xi">[xi]</span> -senza guardare a terra, entrando -sempre nel più folto. E a ogni puntura -dicevo: «Ecco». E non era se non un -aculeo più acerbo. E ogni goccia di -sangue mi pareva più preziosa. E tutti -i miei sensi divenivano soprannaturali, -perché creavano una natura più -potente e più bella. Vedevo fumare dai -cespugli l'aroma, la vita del pino brillare -di sotto la scaglia come la porpora -nel murice, l'esiguo triangolo -chiaro nella coccola del ginepro significare -il mistero d'un dio verde il cui -baleno era la lucertola guizzante. E -seguitai, seguitai, sanguinando, ma -senza trovare la mia vipera. Se i miei -piedi erano gonfii e dolenti, il mio -capo era perspicuo e lieve come nel -santo digiuno.</i> -</p> - -<p> -<i>Un'allegoria è nascosta in ogni figura -del mondo; e giova, secondo la -sentenza di san Gregorio, «lo intendimento -delle allegorie ridurre ad esercizio -di moralitade». Sotto il più alto -<span class="pagenum" id="Page_xii">[xii]</span> -fervore, sotto la più profonda conturbazione -del mio spirito la mia ferinità -persiste, o giovine amico. E voi comprenderete -perché, tornando dall'aver -contemplato in ginocchio la beatitudine -del Cristiano sul letto candido, -io abbia palpato in ginocchio le mammelle -numerose della Diana Efesia -sotto la specie brutale.</i> -</p> - -<p> -<i>Or qual bellezza doveva essere in -quel Santo, se pareva che la morte le -convenisse!</i> -</p> - -<p> -<i>Bisogna credere che sempre e in -ogni luogo lo spirito dell'uomo sia -l'iddio verace dell'uomo e che le imagini -mitiche o incarnate della divinità -non sieno se non i modi che conducono -a riconoscere sol quello: sol quello -<span class="upright">che non si può nominare e a cui non -si può disobbedire</span>. Gran tempo io diffidai -del Galileo come d'un nemico, -per una provvidenza che nel nemico -pone la salute del forte. Pur non temendo -il «dio senza muscoli», non -<span class="pagenum" id="Page_xiii">[xiii]</span> -m'avvenne di guardarlo negli occhi. -Nella prima giornata di questo Quatriduo -si narra come il sùbito pianto -del vecchio me lo facesse presente. Ora -a volte Egli se ne va davanti me, cammina -sopra queste acque come sopra -il mar di Tiberiade. Ieri si presentò -su la riva e mi disse: «Getta la rete». -E quel giovine dalla sindone che ora -è il mio compagno, del quale si parla -nella terza giornata di questo Quatriduo, -si precipitò nel mare «perciocché -egli era nudo, <span class="upright">erat enim nudus</span>». -Questi sarà il mio mediatore affinché -il Figlio dell'Uomo mi conduca a riconoscere -compiutamente il mio intimo -Signore. Così, dopo aver cantato tutti -gli iddii, canterò il mio dio verace. E -vi manderò il libro di Taigete come lo -spirital fratello del libro di Alcione -composto là dove non era altra croce -se non quella degli staggi sospesa su -la fiumana in un miracol d'oro. Ed è -grazia della sorte che questo novo -<span class="pagenum" id="Page_xiv">[xiv]</span> -canto s'alzi dall'estremo Occidente -ove «per cento milia perigli» era -giunto l'ardore dell'Ulisse dantesco. E -il dio voglia che, di continuo tendendo -l'orecchio, riesca io a cogliere il ritmo -della grande onda occidentale per mescolare -con esso la mia anima italica.</i> -</p> - -<p> -<i>Ma qual è il Redentore che voi aspettate, -che aspettano i vostri eguali? -Forse un nuovo sentimento sacro riempie -freschi occhi che non conosco, che -non vedrò mai. Talvolta, se ascolto, -mi par d'udire pensieri ascendere come -l'argento e il cristallo di quel vasto -coro infantile che saliva dallo Stadio -nella Città subalpina. Qualcuno scrolla -e sfonda porte lontane; e par mi giunga -lo strepito indistinto. Qualcuno reca -in sé tutta una stirpe occulta e bramosa, -che chiede di nascere. E chi -sale contro a me, dall'altro declivio -del secolo, in silenzio? Colui che io -ho annunziato?</i> -</p> - -<p> -<i>Ieri, su l'Atlantico, una imaginazione -<span class="pagenum" id="Page_xv">[xv]</span> -mi venne dal ripensare che in -Tespia il simulacro di Amore era un -sasso greggio. Anche ripensavo a quegli -zòani primitivi che aveano le gambe -congiunte l'una all'altra e congiunte le -braccia lungo i fianchi sino alle cosce. -E consideravo la potenza commossa -dell'artefice che primo disgiunse le -gambe del dio rude e primo atteggiò -al gesto le braccia. Per ciò guardo e -interrogo le mani dei giovani pensosi, -se sien capaci di tagliare il sasso greggio -di Tespia. Taluno ha l'aria di aver -dormito in un tempio e di non voler -parlare. E la sua faccia par piena di -segni e di segreti come la palma della -mano.</i> -</p> - -<p> -<i>Ma non sempre indarno io ho masticata -la foglia del lauro, come gli -indovini, pur temendo gli indovinamenti -del mio cuore.</i> -</p> - -<p> -<i>E vengono verso me fantasmi che -non si generano dai miei sogni.</i> -</p> - -<p> -<i>E che può mai essere per me il rinascere, -<span class="pagenum" id="Page_xvi">[xvi]</span> -se «io nacqui ogni mattina»? -Ora la cosa non è più tra me e l'alba.</i> -</p> - -<p> -<i>E ora so che il dio verace è quello a -cui non si può disobbedire, quello contro -cui non si può commettere peccato. -E quello io debbo trovare e conoscere.</i> -</p> - -<p> -<i>E la qualità della mia fede è tale -che, quando apro il volume della Comedia, -io credo aver Dante visitato in -carne e in ispirito i tre regni.</i> -</p> - -<p> -<i>E io, il quale volli un tempo essere -un Maestro, ora so come nulla di ciò -che è veramente vivo e divino possa -essere insegnato.</i> -</p> - -<p> -<i>E io, che più d'una volta respinsi -l'ingiuria, ora comprendo la parola del -Crisostomo: «che niuno non può essere -offeso, se non da sé medesimo».</i> -</p> - -<p> -<i>E io ricevo ora la forza di tutti i -miei errori vinti e di tutti i miei mali -superati, come quel cavaliere del romanzo -carolingio, il quale ereditava -il potere di quanti uomini e mostri abbattesse -la sua lancia.</i> -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_xvii">[xvii]</span> -</p> - -<p> -<i>E so che gli occhi lontani di quelli -che piansero e piangono su i miei errori -e su i miei mali non possono essere -né puri né profondi.</i> -</p> - -<p> -<i>E chi prende e soppesa taluna delle -mie opere, consideri una delle tante mie -parole che il tumulto impedì d'intendere: -«I figli miei concetti nell'ebrezza — <span class="upright">come -delitti sacri alla dimane</span>....»</i> -</p> - -<p> -<i>E chi mi ama sappia che di ogni -mia dimora distrutta io ho sempre potuto -serbare la pietra che porta inciso -l'enigma della mia libertà: «<span class="upright">Chi 'l tenerà -legato?</span>»</i> -</p> - -<p> -<i>E chi mi segue sappia che perfino -nella mia nave piena di sozii l'istinto -implacabile della liberazione mi spinse -più d'una volta a gittarmi solo in mare -come il poeta di Metimna ma senza -ricorrere al delfino salvatore.</i> -</p> - -<p> -<i>E non vorrò mai esser prigioniero, -neppure della gloria.</i> -</p> - -<p> -<i>E non vorrò mai riconoscere i miei -limiti.</i> -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_xviii">[xviii]</span> -</p> - -<p> -<i>E non vacillerò mai dinanzi alla necessità -del mio spirito e alla cicuta.</i> -</p> - -<p> -<i>E non farò mai sosta alle incrociate -delle mie vie.</i> -</p> - -<p> -<i>E serberò fresca la vena inestinguibile -del mio riso pur nella peggiore -tristezza.</i> -</p> - -<p> -<i>E dico che l'elemento del mio dio è -il futuro.</i> -</p> - -<p> -<i>E dico che ciò ch'io non sono, domani -altri sarà per mia virtù.</i> -</p> - -<p> -<i>O giovine amico, ciascuno di questi -pensieri non è se non il tema d'un inno -e non può esser condotto a compimento -se non dal ritmo eroico. E credo avere -accresciuto il numero delle mie corde -dopo questi funerali, come il costruttore -di città, avendo imparato la melodia -dei Lidii nelle esequie fatte a Tantalo -da essi Lidii, aggiunse tre corde alle -quattro della lira.</i> -</p> - -<p> -<i>Ma pur saprei soffiare su ciascuno -come il fanciullo su la lanugine del -cardo argentino, per astringermi di -<span class="pagenum" id="Page_xix">[xix]</span> -considerare nella mia memoria quel -poco di sole che impallidiva su quel -poco di paglia davanti alla porta del -mio malato e quel poco di vetro rotto -che vi luceva come lacrime o rugiada.</i> -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01"><i>Il silenzio era un inno senza voce.</i></p> -</div></div> - -<p> -<i>Tale potrebbe essere allora il mio silenzio. -Ma quegli che sale contro a -me, dall'altro declivio, quando m'incontrerà -e gitterà il suo grido?</i> -</p> - -<p> -<i>O mio giovine amico, talvolta la giovinezza -mi chiama dalle viscere della -Città come la sirena dall'abisso; e accorro, -ansioso, alla mia maraviglia e -alla mia perdizione. Amo cercare nel -traffico e nell'ignominia della via gli -occhi dell'Ignoto, gli occhi fissi che mi -sfidano, gli occhi obliqui che mi sfuggono, -sotto il rombo senza pensiero. Ho -su la lingua la cenere dei miei sogni, -e la mastico per non esserne strozzato.</i> -</p> - -<p> -<i>La penultima sera d'aprile ebbi nella -via un compagno ventenne: un volto -<span class="pagenum" id="Page_xx">[xx]</span> -imberbe modellato dal pollice ferreo -del Destino come quello del Beethoven; -un cuore chiuso in cui forse sonavano -le quattro note spaventose della Sinfonia -Quinta. Andavamo a paro, oppressi -da uno di quei cieli d'uragano -bassi e rossastri, sotto i quali Parigi -sembra schiumare e fumigare come un -bulicame enorme. La carta dei giornali, -ond'era invasa tutta la città, pareva -elettrica come quando esce tesa -dai cilindri della cartiera nei giorni -secchi scoppiettando di scintille. Il bandito -famoso era morto laggiù, nella casa -diroccata e arsa, dopo l'assedio feroce -e ridevole, gittando l'ingiuria suprema -fuor del suo capo forato da dodici palle. -E, mentre era celebrato nei fogli l'eroismo -degli assediatori coperto di materassi, -l'atroce parola plebea pareva -fosse per rimaner sospesa su l'immensa -adunazione dei tetti sicuri, fino al crollo -totale. Tutto lo spazio era pieno di violenta -morte, di bellezza torbida, e di -<span class="pagenum" id="Page_xxi">[xxi]</span> -non so che travagli, e di non so che -presagi, come se il Futuro si chinasse -dalla nuvola ferrugigna a soffiarci sul -viso il suo polline ben più potente che -il vivo solfo della Landa pinosa. E ci -pareva d'entrare in ogni via come il -soldato entra nella trincea, ed ogni via -ci pareva chiusa come i vicoli ciechi, -e ci pareva di sfondarla con la volontà -senza gesto. E un branco di bagasce, -contro un muro infetto dalla lebbrosìa -degli affissi, ci guatò di sotto ai grandi -cappelli piumati, con qualcosa di selvaggio -negli occhi pesti e nelle labbra -dipinte, simili a menadi sfatte di un -Dioniso tavernaio. E più in là, dietro -una vetrina piena di dolciumi stantii -e di sciroppi inaciditi, scorgemmo la -Parca Atropo. E più in là, dentro una -meschina bottega d'oriolaio, intravedemmo -un Saturno barbato e scerpellato -che mangiava un lungo rocchio -di salsiccia figliale, tra orologi morti -e decomposti.</i> -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_xxii">[xxii]</span> -</p> - -<p> -<i>Come il mio compagno povero abitava -nel sobborgo, per aspettare l'ora -del treno entrammo in un piccolo Caffè; -e ci sedemmo l'uno accanto all'altro -davanti a una lastra di marmo su cui -la traccia lasciata da una sottocoppa -sporca disegnava il circolo dell'eternità. -E il luogo ignobile s'empì del -nostro tumulto inespresso, come una -conca è piena di rombo oceanico che -solo un orecchio aderente ode. E, quando -il tavoleggiante accese sul nostro -capo il becco del gas, vidi la bocca del -mio compagno simile alla bocca dei -mutoli che vogliono parlare; e forse -era piena della parola nuova, o forse -soltanto di saliva angosciosa. E guardai -anche quel chiarore su le sue mani -pallide, pensando al sasso di Tespia. -E non mai ebbi così grande il sentimento -d'un dio ignoto che divorasse -un'anima gonfia.</i> -</p> - -<p> -<i>«Bisogna che ci separiamo e che -poi ci ritroviamo». Tornai indietro solo, -<span class="pagenum" id="Page_xxiii">[xxiii]</span> -verso la febbre notturna; e alzavo di -tratto in tratto gli occhi al volto indistinto -che dalla nuvola si chinava verso -me come quelle strigi gotiche dalle -gronde delle cattedrali. E, passando -per una via angusta, di colpo la bertuccia -d'un merciaiuolo ambulante mi -saltò su le spalle. E tutto il lastrico -sonò di risa e di motti plebei. E l'ingiuria -lugubre dell'uomo dal capo forato -era sospesa nel crepuscolo pregno -d'una forza senza nome. Ma il mio -compagno ventenne, traballando laggiù -nel treno tardo, udiva forse Amfione -preludiare sopra un mucchio di -calcinacci.</i> -</p> - -<p> -<i>Ora bisogna che anche noi ci separiamo -e poi ci ritroviamo, mio giovine -amico.</i> -</p> - -<p> -<i>Addio.</i> -</p> - -<p class="indl"> -Dalle Lande, maggio 1912. -</p> - -<p class="indr"> -<i>G. d'A.</i> -</p> - -<div class="dedica"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_1">[1]</span> -</p> - -<p> -ALLA MEMORIA -</p> - -<p> -DI -</p> - -<p> -GIOVANNI PASCOLI -</p> - -<p> -E DI -</p> - -<p> -ADOLPHE BERMOND. -</p> -</div> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_3">[3]</span> -</p> - -<h2 class="hidden" id="viiaprile">VII APRILE MCMXII</h2> - -<div class="figcenter"><a id="fill-003"></a> - <img src="images/ill-003.jpg" alt="VII APRILE MCMXII" /> -</div> -</div> - -<p> -Anche una volta il mondo par diminuito -di valore. Quando un grande poeta -volge la fronte verso l'Eternità, la mano -pia che gli chiude gli occhi sembra suggellare -sotto le esangui palpebre la più -luminosa parte della bellezza terrena. -Penso che Maria dolce sorella, la tessitrice -dalle mani d'oro, a cui Giovanni -chiamato dai suoi morti chiedeva un -giorno in una tenue ode divina il «funebre -panno», abbia compiuto pur quell'officio, -ella che è virile in pietà come -Caterina da Siena. E chi allora fu di lei -<span class="pagenum" id="Page_4">[4]</span> -più certo che nel cari occhi abbuiati -dalla pressura scompariva anche l'allegrezza -dell'aprile presente? -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Fantasma tu giungi,</p> -<p class="i01">tu parti mistero.</p> -<p class="i01">Venisti, o di lungi?</p> -<p class="i01">ché lega già il pero,</p> -<p class="i01">fiorisce il cotogno</p> -<p class="i01">là giù.</p> -</div></div> - -<p> -Se imagino i suoi occhi nell'ultima -ora e se imagino le rondini all'Osservanza -«quelle dal petto rosso e quelle -dal petto bianco» traversanti pel vano -della finestra nel cielo di Pasqua, mi -torna alla memoria una sua parola d'or -quindici anni, in cui — non so perché — parvemi -veder riflesso il baleno del -balestruccio come in un marmo nero -levigato. Parlava egli alle volatrici nella -favella francescana, e diceva: «Vorrei -avere tutto il dì, mentre sto curvo sui -libri, negli occhi intenti ad altro, la vertigine -d'ombra del vostro volo!» Oggi -<span class="pagenum" id="Page_5">[5]</span> -riodo gli stridi delle sue compagne sotto -le grondaie lontane, e vedo in que' suoi -occhi <i>intenti ad altro</i> la vertigine d'ombra. -Quella parola ch'egli credeva dire -per la sua vita, egli la diceva per la sua -morte; e io non sapevo che, fra tante -di cui sono immemore, mi fosse penetrata -così a dentro e si fosse accresciuta -di questa funebre bellezza. -</p> - -<p> -Ieri un caso volgare e ammirabile mi -diede il modo di assistere continuamente -col pensiero il mio amico nella sua agonia. -E più tardi, per una rispondenza -misteriosa, potetti ascoltare la musica -infinita che la sera faceva intorno al -suo silenzio. -</p> - -<p> -Lo credevo quasi guarito, o almeno -fuor d'ogni pericolo. Notizie recenti mi -assicuravano ch'egli fosse per tornare -alle sue consuetudini cotidiane e per -riprendere il lavoro disegnato. Venerdì -notte, cedendo alla svogliatezza primaverile, -lasciai a mezzo la mia pagina; -e mi misi a sfogliare qualche libro di -<span class="pagenum" id="Page_6">[6]</span> -figure. Mi venne fatto di scorrere la -raccolta delle acqueforti pascoliane di -Vico Viganò. Per confrontare il ritratto -inciso del poeta con una imagine d'esattezza -fotografica, cercai il volume illustrato -dell'<i>Inno a Roma</i> credendo che -ci fosse. La memoria m'ingannava: non -c'era. Ma mi soffermai su l'impronta -dell'ascia sepolcrale romana; e rilessi i -bellissimi esametri. -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01"><i>Ascia, teque eadem magnae devovit in oris</i></p> -<p class="i01"><i>omnibus Italiae, dein toto condidit orbe...</i></p> -</div></div> - -<p> -Anche una volta l'evocatore delle auguste -forze scomparse aboliva nel mio -spirito l'errore del tempo. Riconoscevo -a quel dilatato respiro del mio sogno -uno dei più alti suoi doni; perché certe -sue evocazioni dell'antico si avvicinano -ai limiti della magia. Qualcosa di magico -è nella potenza repentina onde un -grande poeta s'impadronisce dell'anima -nostra. A un tratto l'immensa notte -oceanica s'empiva de' suoi fantasmi. Il -<span class="pagenum" id="Page_7">[7]</span> -numero del suo verso si prolungava in -una lontananza solenne, fin là dove la -parola dell'inno vedico pareva la sua -stessa eco ripercossa dall'invisibile confino. -«Ciò ch'io ti prendo, o Terra, -racquisterai presto. Possa io, o pura, -non ferire alcuna tua parte vitale, non -il cuor tuo». -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01"><i>Roma sed exsistens e sulco pura cruento</i></p> -<p class="i01"><i>sacravit Terrae Matri, qua laeserat et qua</i></p> -<p class="i01"><i>esset per gentes omnes laesura, bipennem.</i></p> -</div></div> - -<p> -La notte era tranquilla ma non serena, -con istelle forse infauste, prese in -avvolgimenti di veli e di crini. L'acqua -dell'insenata non aveva quasi respiro, -ma di là dalle dune e dalle selve l'Oceano -senza sonno faceva il suo rombo. Nondimeno -questa quiete comunicava con -quel tumulto, e la sabbia di quella riva -tormentosa era simile alla sabbia di -questa che si taceva. Così talvolta, nella -più agitata angoscia, un meandro profondo -della nostra coscienza rimane in -<span class="pagenum" id="Page_8">[8]</span> -pace. E dove dunque era per approdare -l'Ulisse dell'<i>Ultimo viaggio?</i> su questa -o su quella riva? -</p> - -<p> -Ora mi chiedo con turbamento perché -di tratto in tratto il mio spirito interrompesse -il suo fantasiare per cercar -di rinvenire in sé l'aspetto mortale del -poeta. Non mi pareva di ritrovarlo -nell'acquaforte dell'artista lombardo, né -sapevo dove cercarne un'imagine precisa. -E, se chiudevo gli occhi e mi -sforzavo di ricomporne le linee sul -fondo buio, il volto indistinto si dissolveva -in bagliori. Allora mi ricordai -d'avergli detto un giorno: «Se tu -avessi il viso tutto raso e se tu non -sorridessi, somiglieresti a Piero de' Medici -com'è scolpito da Mino». Ma in -verità egli non s'era mai lasciato guardare -da me fisamente. -</p> - -<p> -La nostra amicizia soffriva d'una strana -timidezza che non potemmo mai vincere -perché i nostri incontri furono sempre -troppo brevi. Era un'amicizia «di -<span class="pagenum" id="Page_9">[9]</span> -terra lontana» come l'amore di Gianfré -Rudel, e per ciò forse la più delicata e -la più gentile che sia stata mai tra emuli. -Si alimentava di messaggi e di piccoli -doni. Da prima egli temeva che la sua rusticità -e la sua parsimonia mi dispiacessero, -come io temevo che gli increscesse -la mia diretta discendenza dalla brigata -spendereccia. Egli forse pensava che -qualcosa di vero ci dovesse pur essere -in fondo alle dicerie della cialtronaglia. -Un giorno lo colpì la schiettezza del -mio riso dinanzi a certe sue esitazioni; -e allora gli parve di potermi offrire l'ospitalità -nella sua casa di Castelvecchio, -poiché l'acqua il pane e le frutta erano -il mio regime consueto di «operaio della -parola». Ma la sorte volle ch'io non conoscessi -il sapore del pane intriso rimenato -e foggiato a crocette, secondo -l'usanza di Romagna, dalle mani di Giovanni -e di Maria. Spesso, alla buona stagione, -eravamo vicini; e vedevamo entrambi, -al levarci, la Pania e il Monte -<span class="pagenum" id="Page_10">[10]</span> -forato. Ma non avemmo agio né forse -voglia di visitarci, perché ci sembrava -pur sempre che qualcosa delle nostre -persone facesse ingombro alla familiarità -dei nostri spiriti. Di Boccadarno io -gli mandai un di que' coltelli ingegnosi -che hanno nel manico tutti gli arnesi -del giardiniere, dalle cesoie al potaiolo. -Di Versilia gli mandai un'ode curvata -in ghirlanda con l'arte mia più leggera. -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -Ma come c'incontrammo la prima volta? -A Roma, per insidia. Già ci amavamo -da tempo; e avevamo scambiato -molti messaggi affettuosi e quelle lodi -acute, d'artiere ad artiere, che s'inseriscono -alla cima dello spirito e fanno -dimenticare la grossezza dei solenni tangheri -i quali oggi in Italia giudicano -di poesia. Trovandosi in Roma, egli -certo desiderava di vedermi; ma, nel -momento di porre ad effetto il suo proposito, -la timidezza lo arrestava; né i -<span class="pagenum" id="Page_11">[11]</span> -nostri amici riescivano a persuaderlo, -né io riescivo a scovarlo in alcun luogo. -Allora Adolfo de Bosis, il principe del -silenzio, il nobilissimo signore di quel -<i>Convito</i> che fu «presame d'amistade» -fra i pochi deliberati d'opporsi alla -nuova barbarie ond'era minacciata la -terra latina, ricorse a un grazioso stratagemma. -Me lo condusse di buon'ora, -all'improvviso, nella mia casa, dandogli -ad intendere che lo conducesse a veder -una statua di Calliope ritrovata nel limo -del Tevere la sera innanzi, divinamente -levigata da secoli d'acqua. Io era in -giorni di splendida miseria, abitando -nell'antica selleria dei Borghese, tra Ripetta -e il Palazzo, tra il fiume torbo e -quel «gran clavicembalo d'argento» celebrato -in un sonetto dell'adolescenza. -La vuota selleria principesca era di così -smisurata grandezza che rammentava -la sala padovana del Palazzo della Ragione, -se bene mancasse non giustamente -in su l'ingresso la pietra del vitupèro -<span class="pagenum" id="Page_12">[12]</span> -«lapis vituperii et cessionis bonorum». -In tanta vastità io non avevo se non -un letto senza fusto, un pianoforte a -coda, una panca da tenebre, il gesso -del Torso di Belvedere, e la gioia del respirar -grandemente. Come Adolfo spinse -alla soglia il poeta delle <i>Myricae</i> e mi -chiamò al soccorso, balzai mezzo vestito. -E due confusioni si abbracciarono senza -guardarsi. L'ingannatore rideva nel vederci -così vergognosi mentre tuttavia ci -tenevamo per mano. Poi ci sedemmo -su la panca, felici, senza far molte parole, -nessuno di noi temendo il silenzio -che è sì soave quando il cuore -si colma. Eravamo sani e resistenti entrambi, -sentivamo la nostra purità nel -divino amore della poesia, preparati alla -disciplina e alla solitudine. L'uno promettendo -di superar l'altro, eravamo -certi di non iscoprir mai su i nostri -volti «il livido color della petraia». Una -potenza oscura si accumulava nelle nostre -profondità: egli doveva ancóra comporre -<span class="pagenum" id="Page_13">[13]</span> -i <i>Poemi conviviali</i> e io dovevo -ancóra cantare le <i>Laudi</i>. O bel mattino -in sul principio della state, quando Roma -ha gli occhi chiari di Minerva che nutre -a sua simiglianza i pensieri degli uomini! -Entrava il sole pe' cancelli delle -finestre, e il romore del ponte frequente, -che pareva l'antico «assiduo murmure» -del Tevere. Ma il fiume sacro non aveva -parlato ancóra a traverso il bronzo dell'inno, -non aveva ancor chiamato l'anima -dei forti gridando: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01"><i>Heus, rostro navis qui terram scinditis unco,</i></p> -<p class="i01"><i>quam detraxistis navi iam reddite proram</i></p> -<p class="i01"><i>atque in me longos infindite vomere sulcos</i></p> -<p class="i01"><i>usque ad coeruleum, iuvenes, maris aequor, et ultra.</i></p> -<p class="i01"><i>Est operae!</i></p> -</div></div> - -<p> -La grandiosità del Torso erculeo bastava -a riempiere le mie mura; perché era -quel terribile frammento titanico presso -cui Michelangelo decrepito e quasi cieco -si faceva condurre per palparlo. (Or -potevan dunque le sue mani toccare un -<span class="pagenum" id="Page_14">[14]</span> -marmo senza riscolpirlo intero?) Avevamo -dinanzi ai nostri occhi un esemplare -sovrano e quasi direi il cànone -eroico; ma ignoravo quale di noi due -ne fosse tócco più a dentro. Se avessimo -potuto saperlo, forse avremmo conosciuto -la nostra misura. Come gli -guardai le mani, delle quali sono sempre -curioso, egli le ritrasse con un atto -quasi fanciullesco. Io volevo osservare -le dita che avevano foggiato l'odicina -per le due sorelle e i madrigali dell'<i>Ultima -passeggiata</i>. Allora sorridendo gli -ripetei i primi versi del <i>Contrasto</i>: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Io prendo un po' di silice e di quarzo:</p> -<p class="i01">lo fondo; aspiro; e soffio poi di lena:</p> -<p class="i01">ve' la fiala, come un dì di marzo,</p> -<p class="i01">azzurra e grigia, torbida e serena!</p> -</div></div> - -<p> -Con quelle stesse mani che aveva nascoste, -egli fece un gesto di disdegno -potente. Sentii quanto vi fosse di virile -in colui che passava tra le umili mirici -per salire verso la rupe scabra. E poi -<span class="pagenum" id="Page_15">[15]</span> -parlammo d'Odisseo e della predizione -di Tiresia. -</p> - -<p> -Questo fu il nostro primo incontro. E -l'ultimo fu nella sua casa bolognese dell'Osservanza, -qualche settimana prima -della mia partenza per l'ultima avventura: -triste commiato di chi era per -farsi fuoruscito a chi restava legato dalla -catena scolastica. -</p> - -<p> -Tutto il giorno m'ero lasciato condurre -dalla mia malinconia nei luoghi ove ella -più potesse gravarmi. M'ero indugiato -su la piazza solitaria che la tomba di -Rolandino fa pensosa, e quella dei Foscherari, -degna d'un cantore, sotto i suoi -archetti verdi, alzata sopra le sue colonne -simili al coro delle Muse nel numero. -Ed ero entrato nel tempio domenicano -di rosso mattone: tra il sepolcro -bianconero di Taddeo Pepoli e il monumento -di Re Enzio avevo sentito soffiare -su me l'ambascia dell'Olifante senza -più suono. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_16">[16]</span> -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Va, ma non giunge. È un brusìo d'ombre vane</p> -<p class="i01">ch'ode Re Enzio, quale in foglie secche</p> -<p class="i05"> notturna fa la pioggia e il vento.</p> -</div></div> - -<p> -E m'ero poi smarrito nel sacro laberinto -di San Stefano, nella Basilica delle -sette chiese. Misteri ed imagini per ogni -dove, e il colore del fumo e il colore -del grumo. Sanguigno e fumoso il chiostro, -e sopravi l'ombra della torre quadrata, -e nell'ombra il pozzo tra le due -colonne, la carrucola di legno consunta, -che non stride più; e fra gli interstizii -dell'ammattonato l'erba umile, e intorno -intorno, ai davanzali delle finestre alte, -i vasi di basilico. E poi nell'altro cortile, -fra il cotto, la grande tazza di pietra, -il fonte senz'acqua ove nessuno si -battezza più; e il tabernacolo d'oro luccicante -a traverso i vetri appannati; e -nel vano della finestra, su una colonnetta, -il Gallo che canta; e, da presso, -il Vescovo colcato nel marmo sepolcrale, -che il canto non risveglia più; e, dietro -l'altare irto di candelabri ferrei, le rudi -<span class="pagenum" id="Page_17">[17]</span> -arche di granito che l'ascia mistica tagliò -nel sangue pietrificato dei Martiri; -e la luce che passa nell'abside per gli -alabastri fulvi come quel miele amaro -di cui si nutriva il Battezzatore. -</p> - -<p> -Perché oggi, della Città ove per fato -si spengono i nostri grandi poeti, non -vedo se non quella piazza mortuaria e -quel laberinto cristiano? In quella piazza -vuol ripassare il mio dolore seguendo il -feretro del mio fratello, e nel più profondo -dei sette luoghi, nel settimo, nella -Confessione sotterranea, vuole accompagnarlo -e deporlo. Bologna non ha oggi -per me se non quella faccia misteriosa, -se non quella bocca piena di freddo alito -e di sublime silenzio. -</p> - -<p> -Chi potrà dire quando e dove sien -nate le figure che a un tratto sorgono -dalla parte spessa e opaca di noi e ci -appariscono turbandoci? Gli eventi più -ricchi accadono in noi assai prima che -l'anima se n'accorga. E, quando noi cominciamo -ad aprire gli occhi sul visibile, -<span class="pagenum" id="Page_18">[18]</span> -già eravamo da tempo aderenti all'invisibile. -Oggi mi sembra che quel -pellegrinaggio meditativo non fosse veramente -una preparazione spirituale alla -visita ch'io era per fare ma fosse già -la visita, e che nessuna delle parole ch'io -dissi poi valesse quelle che andando io -diceva al mio compagno senza carne. -</p> - -<p> -Ma, quando mi ritrovai nella strada, -pensai a quella creatura divina che sempre -m'era parso dovesse stargli nella -casa a conforto, sola quella, con la sua -lampada e co' suoi libri. Qualora le Città -nobili usassero far doni ai poeti, che -mai avrebbe potuto donare Bologna all'estremo -Omeride se non la testa dell'Athena -Lemnia? Sembra escita da certe -visioni tumultuose dei <i>Poemi conviviali</i>, -sembra una duratura bellezza provata -dalla strage e dall'incendio, un frammento -dissepolto di sotto alle rovine -d'un antico assedio. Ha il viso e il collo -chiazzati di ferrugigno, come ingrommati -di sangue vetustissimo; e sotto il -<span class="pagenum" id="Page_19">[19]</span> -collo, nello sterno e nella clavicola, è -come infoscata dal fuoco che appiccarono -al tempio i saccheggiatori corazzati -di bronzo. -</p> - -<p> -E troppo tardi mi ricordai d'avergliene -promessa l'impronta. Sapevo che -n'era stato tratto il gesso, ma per notizia -vaga; e i custodi del Museo civico -non seppero darmi alcun ragguaglio. -Tuttavia, non potendo per allora portargli -l'imagine, quanto di me gli diedi -con la meditazione ch'io feci dinanzi al -cippo, nella grande sala deserta, ove -come la sua poesia quella forma sovrana -era sola tra ruderi e cocci mediocri. -</p> - -<p> -Salii dunque all'Osservanza con qualche -fiore. Ero così pieno di pensieri che -non ritrovo nella memoria l'aspetto delle -cose, perché le guardai con occhio disattento. -Non entravo in una casa ma in -un'anima che pareva volersi fare per me -ancor più bella. Se la vita non mi avesse -dato altro che quell'alta ora di amicizia, -pur la stimerei generosa e mi direi contento -<span class="pagenum" id="Page_20">[20]</span> -d'aver vissuto in mezzo agli uomini. -Della nostra timidezza non si mostrò -se non un'ombra, sul principio, -quando, guardandolo io, egli mosse il -capo in non so qual modo sfuggente e -batté le palpebre come per cancellare la -lesione crudele degli anni e spandere -sul suo volto appesito gli spiriti alacri -dell'amore. Volevo dirgli: «Non ti peritare, -fratello. Vedi quanto anch'io sono -leso. Ma oggi la carne miserabile non -c'ingombra; e io qui respiro la più pura -essenza della tua poesia. Tu hai l'aspetto -della tua forza immortale; e non è fatto -dalle tue labbra il sorriso della tua tristezza. -Siediti ancóra accanto a me, come -quella volta su la panca da tenebre. -Siamo due pazienti artieri. Quanto abbiamo -travagliato e quanto sopportato, -da quel mattino di Roma! Non tentò -taluno di far verghe de' miei allori per -batterti, flagelli de' tuoi lauri per flagellarmi? -Ma chi prevarrà contro la nostra -pazienza e contro la nostra fede? Bastava -<span class="pagenum" id="Page_21">[21]</span> -che di tratto in tratto, di sopra -allo schiamazzo, ci dessimo la voce. Ora -siediti. Non t'ho mai amato come oggi. -Faccio una breve sosta; e poi riprendo -il mio cammino, lasciando dietro di me -tutti i miei beni vani». -</p> - -<p> -Mi sedetti su la sua sedia, dinanzi -alla sua tavola. Le sue carte, le sue -penne, i suoi inchiostri erano là. Tutto -era semplice ed usuale, come in una -qualunque stanza di chi abbia un cómpito -modesto. Ma un sentore di sapienza -pareva impregnare ogni oggetto, e le -mura e il soffitto e il pavimento, come -se la qualità stessa di quel cervello -maschio si fosse appresa al luogo del -lavoro. Non so in che modo significar -tal mistero. Un'aria singolare è nella -fucina, anche quando non rugge il fuoco; -perché gli arnesi, gli ordegni, tutti gli -strumenti fabrili, anche non maneggiati, -quivi esprimono con la loro forma la -lor destinazione e quasi direi suggeriscono -la potenza a cui serviranno. Nello -<span class="pagenum" id="Page_22">[22]</span> -studio d'uno scultore fecondo la quantità -della creta, le armature, i modelli, -le forme cave, gli abbozzi coperti dai -teli molli, le cere da sbavare, i bronzi -da rinettare, gli scarpelli, le lime, i bossoli, -gli odori stessi delle materie plastiche -rappresentano lo sforzo del creatore. -Ebbene, qualcosa di simile mi pareva -fosse presente in quella piccola stanza -tranquilla e ordinata, ove certo le mani -di Maria avevan dato pace alle pagine -scorse: qualcosa che oserei chiamare la -presenza del dèmone tecnico. -</p> - -<p> -In nessun laboratorio d'uomo di lettere -m'era avvenuto di sentire la maestria -quasi come un potere senza limiti. Penso -che nessun artefice moderno abbia posseduto -l'arte sua come Giovanni Pascoli -la possedeva. La sua esperienza era -infinita, la sua destrezza era infallibile, -ogni sua invenzione era un profondo -ritrovamento. Nessuno meglio di lui -sapeva e dimostrava come l'arte non sia -se non una magìa pratica. «Insegnami -<span class="pagenum" id="Page_23">[23]</span> -qualche segreto» gli dissi a voce bassa. -E volevo soltanto farlo sorridere; ma, -in verità, un'ombra di superstizione era -sul mio sentimento. -</p> - -<p> -Egli prese un'altra sedia e venne a -sedermisi accanto, dinanzi alla tavola. -Parlammo di qualche recente opera. -Le sue mani, quando soppesavano i -volumi, erano una tremenda bilancia. -Dal vigore di certi suoi giudizii ebbi la -riprova che il suo spirito era tuttora -immune da qualunque debolezza. La -sua stima era severa come la sua arte. -Mescolando egli un che d'amaro al suo -discorso, io gli dissi: «Se hai tempo, -va alla Pinacoteca e cerca d'una tela -del Francia, dove un Santo Stefano porta -sopra un suo libro tre pietre, in segno -della lapidazione. Metti tre pietre sopra -ogni tuo nuovo libro e datti pace». Egli -rispose col suo riso arguto: «Ma quello -stolto dello struzzolo m'ingolla il libro -e le pietre». -</p> - -<p> -Non più sembrava timido; anzi indovinavo -<span class="pagenum" id="Page_24">[24]</span> -in lui non so che tenerezza protettrice -e il desiderio contenuto di chiedermi -ch'io gli parlassi de' miei guai. -Io era bene il suo fratello minore, ed -egli pareva cercasse il modo di sopportare -il mio carico. Mi ricordo d'una -bella parola antica ch'egli mi ripetette -con una maravigliosa nobiltà: «Acciocché -tu più cose possa, più ne sostieni». -Questa parola oggi la scrivo sul muro -della casa straniera, e considero d'averla -ricevuta da lui per testamento. -</p> - -<p> -Poi fece l'atto d'alzarsi, mi prese per -mano e mi disse: «Vieni ora a vedere -la cameretta che ho per te, quando tu -la voglia». Un candore infantile ardeva -in lui; e il primo verso del sonetto di -Francesco Petrarca mi sonava nella memoria. -Era una piccola stanza chiara, -quasi una cella di minorita, con un di -que' letticciuoli che persuadono a serbare -una sola attitudine per tutta la -durata del sonno. Come rispondendo -alla domanda sommessa che gli avevo -<span class="pagenum" id="Page_25">[25]</span> -fatta dinanzi alla sua tavola prodigiosa, -mi mormorò in un orecchio: «Quando -sarai qui, allora sì che t'insegnerò un -segreto». Lietamente gli dissi: «Non -potrò venire se prima non abbia uccisi -tutti quei mostri che sai. Mi bisogna ancora -andare alla guerra». Ahimè, era egli -in pace? Non lo travagliava di continuo -la stessa abondanza del suo amore? -</p> - -<p> -Si volse per passare nello stretto -andito, mostrandomi le spalle. Si creò -nell'aria uno di quegli attimi di silenzio -che serrano il capo di un uomo come in -un masso di ghiaccio diafano. E guardai -la persona del mio amico con occhi -divenuti straordinariamente lucidi; e la -pietà mi strinse, che ha talvolta il pugno -sì crudele. Pareva egli portasse alle -spalle tutto il peso della sua tristezza, -tutta l'oppressione delle sue miserie. La -fronte augusta s'era celata, e non si -vedeva contro il muro biancastro se -non l'ingombro corporale vestito di -panni che il lungo uso aveva fatto quasi -<span class="pagenum" id="Page_26">[26]</span> -dolenti, non rimaneva là se non la soma -greve ove s'intossica la vita che non è -se non il levame della morte. -</p> - -<p> -Volle accompagnarmi fin su la strada, -se bene io m'opponessi. La sua salute -era già minacciata, già dubbioso era il -suo passo. Cadeva su noi una di quelle -sere emiliane, umide e cinericce, che -sembrano generarsi laggiù, tra la foce -del Reno e la bocca del Po di Goro, -nella grande palude salmastra. Soffiava -su noi un vento ambiguo, che pareva -dolce e poi a un tratto ci dava il brivido -con una folata fredda. La vettura -m'attendeva poco discosto, coperta e -nera, con i due cavalli che mal reggevano -la lor fatica su le gambe arcate. -Non parlavamo più. C'era intorno a noi -una specie di silenzio soffice. -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">E c'era appena, qua e là, lo strano</p> -<p class="i01">vocìo di gridi piccoli e selvaggi...</p> -</div></div> - -<p> -Ma udivamo anche le nostre péste «né -vicine né lontane.» L'uno chiamò il nome -<span class="pagenum" id="Page_27">[27]</span> -dell'altro nell'addio. Ci abbracciammo. -Come sul viale il vento rinforzava ed -egli pareva infreddolito dentro il bavero, -gli dissi: «Va, va, rientra. Non restar -qui». Si voltò per andare; e i cavalli -avevan messo le radici, tanto stentarono -a muoversi. Sicché ebbi tempo -di seguirlo con lo sguardo e con l'angoscia -fino alla porta. Ed ecco, lo stesso -silenzio repentino della umile stanza mi -serrò il capo nello stesso ghiaccio trasparente. -E, come egli fu alla soglia, si -voltò ancóra e levò il braccio verso me -a risalutarmi. Da quel fagotto di panni -stracchi s'alzò il braccio possente che -su per l'erta aveva brandito la «piccozza -d'acciar ceruleo». -</p> - -<p> -Una voce d'eroe, quella voce omerica -ch'egli aveva tradotto con sì rude efficacia, -mi scoppiò dentro e franse il gelo. -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Datosi un colpo nel petto, al suo cuore drizzò la parola:</p> -<p class="i01">— Cuore, sopporta! ben altro tu hai sopportato più cane!</p> -</div></div> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_28">[28]</span> -</p> - -<p> -E non per me, ma per lui. Vedevo, -come quel braccio levato, sorgere dall'intimo -di quell'uomo casalingo e cauteloso -la costanza d'una virtù virile, la -durezza d'una vita fatta di disciplina, di -coraggio e di dominato dolore. Il suo orgoglio -s'era formato a poco a poco nel -fondo della sua solitudine come il diamante -nell'oscurità della terra. «Da me, -da solo, solo con l'anima...» Egli s'era -fatto degno d'incontrarsi con Achille -e con Elena, e di parlare su la tomba -terribile di Dante. -</p> - -<p> -Ancóra non so come sia trapassato; -ma voglio esser certo che, s'egli talvolta -nella vita pianse in disparte, non si velò -di lacrime nel fisare la morte. Forse escì -dalla sua bocca qualche bella e semplice -parola, prima che la lingua gli si -annodasse dietro i denti e che lo spirito -gli si sciogliesse nel gran ritmo. -</p> - -<p> -Aveva già dato tutto il meglio di sé, -o serbava nel cavo della mano ancóra -qualche ferace semenza? Che importa? -<span class="pagenum" id="Page_29">[29]</span> -Certo, mille e mille ancóra speravano -in lui. Agguagliandosi alla linea dell'orizzonte, -egli avrebbe potuto dire verso -i suoi fedeli: «Io vi mostro la morte -compitrice, la morte che per i vivi diviene -incitazione e promissione.» E costoro -nell'acciaio della sua ascia sepolcrale -potrebbero veder riflesse le stelle -dell'Orsa. -</p> - -<div class="figcenter"><a id="fill-029"></a> - <img src="images/ill-029.jpg" alt="" /> -</div> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_31">[31]</span> -</p> - -<h2 class="hidden" id="xiaprile">XI APRILE MCMXII</h2> - -<div class="figcenter"><a id="fill-031"></a> - <img src="images/ill-031.jpg" alt="XI APRILE MCMXII" /> -</div> -</div> - -<p> -Non so se nella vertigine d'ombra, -quando tutto ritorna per poi dileguarsi, -io gli sia apparito. Sembra che le cose -obliate e gli esseri più lontani e gli -eventi più remoti e perfino i frantumi -dei non interpretati sogni abbiano grazia -nell'agonia dell'uomo. Se questo è -vero, forse il fiore della mia amicizia -ondeggiò nel suo crepuscolo come quel -tenue ramo ch'io colsi e curvai per lui -tra l'Alpe e il Mare, o forse come quel -salso giglio della solitudine che pensando -ad Antigone io mandai alla sua sorella -immacolata. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_32">[32]</span> -</p> - -<p> -Un'accelerazione della sorte volle ch'io -l'assistessi con lo spirito nelle sue ultime -ore fino al suo transito. La notte del -venerdì, m'ero beato della sua poesia -e l'avevo imaginato convalescente. La -mattina ch'è innanzi al Resurresso, mentre -mi disponevo all'opera, ebbi d'improvviso -l'annunzio funebre. Qualcuno, -dalla patria, mi chiedeva una parola -per la morte del poeta! E il poeta non -era spirato ancóra, anzi aveva ancóra -da superare un lungo patimento. Ma -l'inopportuno, pur violando la gentilezza -umana, secondava una congiuntura misteriosa -a cui debbo una delle più profonde -ore di mia vita. Credetti il transito -avvenuto la sera del Venerdì Santo -e già deposta la salma sul letto mortuario. -E dove poteva Maria aver alzato -quel letto se non nella stanza delle vigilie, -nell'angusta fucina del grande artiere, tra -le mura riarse dalla vampa del cervello -maschio? Ero certo di questo; e per -tutta la mattina il mio pensiero non -<span class="pagenum" id="Page_33">[33]</span> -cessò un attimo dall'insistere nel luogo -lontano che cercavo di ricostruire con -lo sforzo della memoria. E a poco a -poco la mia coscienza entrò in quello -stato che precede il canto. -</p> - -<p> -Ora avevo nella Landa un altro amico -sospeso da più settimane tra la vita e -la morte, condannato irremissibilmente. -Era il mio ospite, lo straniero affabile -da cui ebbi la casa tranquilla su la -duna, dove abito da due anni. -</p> - -<p> -Non ricordo se Gioviano Pontano nel -suo capitolo <i>De tolerando exilio</i> e Pietro -Alcionio nella sua giudiziosa dissertazione -impressa dal Mencken in -<i>Analecta de calamitate litteratorum</i> -pongano tra le delizie del fuoruscito volontario -o involontario il delicato sapore -dell'amistà contratta oltremonte ed oltremare. -Ma certo l'aroma della résina -verso sera e la fragranza delle ginestre -sotto vento a levata di sole non mi ricrearono -mai quanto certi brevi colloquii -con quel mirabile vecchio che sarebbe -<span class="pagenum" id="Page_34">[34]</span> -stato carissimo al cantore di -Paolo Uccello, s'ei l'avesse conosciuto. -</p> - -<p> -Si chiamava Adolphe Bermond, nato -su la Garonna, nella città vinosa ch'ebbe -per sindaco il gran savio Michel de Montaigne -reduce da Roma e per consigliere -quel candido e invitto Etienne de la -Boëtie imitatore del Petrarca e traduttore -dell'Ariosto. Aveva quasi ottant'anni; -e, quando lo conobbi la prima -volta, mi parve d'averlo già veduto tra -le diecimila creature scolpite o dipinte -nella cattedrale di Chartres. Aveva nel -volto la tenuità la spiritualità e non so -qual trasparenza luminosa, che lo assimigliavano -alle imagini delle vetriere e -delle porte sante. -</p> - -<p> -Venne in un pomeriggio di gennaio, -a marea bassa, quando la spiaggia è -liscia e sparsa d'incerte figure e scritture -nericce al modo di quelle lapidi -terragne cancellate dai piedi e dalle -ginocchia dei fedeli. Scendeva dalla Cappella -di Nostra Donna dell'Imbocco e -<span class="pagenum" id="Page_35">[35]</span> -aveva seco il libro del cristiano, legato -di cuoio bruno, che anch'esso era liscio -e lustro d'assiduità come il dosso d'un -messale. Entrò nella stanza con un passo -alacre e lieve, ché la grande età non -l'aveva punto aggravato; e sùbito sentii -ch'egli entrava anche nel mio gradimento. -Tutto il suo viso era illuminato -d'una fresca ingenuità che pareva mutasse -le grinze da tristi solchi senili in -vivaci segni espressivi, immuni dalla -vecchiezza come le rughe delle arene, -delle conchiglie, delle selci. I suoi occhi -erano più chiari di quel cielo invernale, -più pallidi dell'acqua intorno al banco -di sabbia scoperto; e il sorriso vi pullulava -di continuo dall'intimo. La sua -voce era ancor bella, misurata da giuste -cadenze; e la consuetudine delle preghiere -senza suono faceva sì che le parole -sembrassero disegnate dalle labbra -prima d'esser proferite. -</p> - -<p> -Come s'accostò alla mia tavola, scorse -spiegata su le carte l'imagine intiera della -<span class="pagenum" id="Page_36">[36]</span> -Santa Sindone. Come volse gli occhi in -giro, vide le pareti interamente coperte -delle più diverse imagini di San Sebastiano, -sul leggìo d'un armònio la <i>Matthäus-Passion</i> -del Bach, sul marmo -del camino i gessi delle quindici statuette -di piagnoni appartenenti al sepolcro -del duca Jean de Berry, su l'assito -alcuni frammenti della grande Rosa -di Reims, in un angolo una delle Virtù -che Michel Colombe scolpì per la tomba -di Francesco II duca di Bretagna. Non -dimenticherò mai il leggero tremito del -suo mento e quel misto di stupefazione -e di gratulazione, che dava alla sua vecchiaia -non so che fervore di giovinezza. -Una fiammata allegra di pino e di pigne -favellava su gli alari, con lo scroscio -e il friggìo della résina. -</p> - -<p> -Componevo nella lingua cara a Ser -Brunetto il <i>Mistero di San Sebastiano</i>, -ed avevo già compiuta la scena tra il -Santo e gli Schiavi sotto la volta magica -ove brillano i sette fuochi planetari, -<span class="pagenum" id="Page_37">[37]</span> -quando gli infelici e gli infermi domandano -che il novo dio si manifesti per -segni nel Confessore. -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01"><i>Esclaves, esclaves, oui, coeurs</i></p> -<p class="i01"><i>épaissis!</i></p> -</div></div> - -<p> -Il vecchio si chinò esitante su le pagine -tormentate. V'eran quasi, in verità, -le tracce d'una lotta sanguinosa, tanto -l'inchiostro rosso delle didascalie e le -cancellature violente e gli emistichii -più volte riscritti e i margini tempestati -di richiami facevano ardua ed -aspra la carta. «Anche l'arte, come -la vita, è una milizia» egli disse «e -chi dà più di sangue riceve più di -grazia.» -</p> - -<p> -Quella parola sùbito mi toccò, tanto -la rendeva religiosa l'accento. Allora -gli parlai della mia opera, con un ardore -che lo sbigottiva e lo rapiva. In -quel servitore di Dio, a cui la carne -pesava così poco, ritrovavo non so che -affinità con la disciplina ascetica a cui -<span class="pagenum" id="Page_38">[38]</span> -m'ero costretto per giorni e per notti. -Anch'egli era una sostanza infinitamente -vibrante, un amore attivo e indefesso. -La sua comprensione era pronta come -il gesto della mano che riceve e serra -quel che le è offerto. Talvolta, nella -pausa, mi pareva di veder discendere -il mio pensiero in lui come un anello -gettato in un'acqua limpida, sino al -fondo, e quetarsi. -</p> - -<p> -Sincero e puro, non dubitò della mia -sincerità e della mia purità. Cattolico -ferventissimo, dedito a tutte le pratiche -della divozione, non fu turbato da alcuna -inquietudine, non fu punto da alcuno -scrupolo. Mi sentiva ardere, e questo -gli bastava. Non sapeva imaginare un -poeta senza dio, né un dio diverso dal -suo. Chi mai restava solo con me nelle -mie notti? Certo egli credeva che fosse -in me lo spirito medesimo ond'era nata -quella figurina della Rosa di Reims, che -chinandosi aveva raccolta e teneva ora -fra le sue dita magre. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_39">[39]</span> -</p> - -<p> -Mi pregò di leggergli una scena del -Mistero. Volli leggergli quella ch'era -ancor calda del travaglio e non ancor -distaccata dalle mie viscere. -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01"><i>A toi, nous venons tous à toi,</i></p> -<p class="i01"><i>Seigneur!</i></p> -</div></div> - -<p> -Gli schiavi accorrevano verso il guaritore. -La lamentazione si prolungava -per gli anditi tortuosi. Gli infermi apparivano, -portati a braccia dai parenti, -agitati, illuminati di speranza. Gridavano -i loro mali, le loro piaghe, le loro angosce. -Chiedevano d'essere sanati, d'essere -liberati. Chiamavano a testimonianza -quelli di loro che nascondevano -nelle pieghe del saio i rotoli delle Scritture, -perché quelli conoscevano i miracoli -operati dal dio novello. Ed ecco, -tutte le guarigioni erano noverate, l'una -dopo l'altra: il lebbroso era mondo, il -paralitico camminava, il cieco vedeva, -il lunatico e l'ossesso avevano pace, -l'idropico era alleviato delle sue acque, -<span class="pagenum" id="Page_40">[40]</span> -il figlio della vedova di Naim sorgeva -dalla sua bara. Ma un dei leggitori di -rotoli ripensava il miracolo più profondo, -ripensava il cadavere quatriduano, -e gridava: «Ti sovvenga di Lazaro!» -E l'incredulità di Didimo era -addotta. Didimo voleva vedere le ossa -disgiunte ricongiungersi e favellare. Il -Cristo gli aveva risposto: «Le ossa -disgiunte io te le mostrerò ricongiunte. -Vieni a Betania, Didimo, vieni con me. -Gli occhi di Lazaro vuotati della putredine, -io te li mostrerò pieni di visione. -Vieni con me, Didimo. Le labbra imputridite -su i denti di Lazaro, le vedrai -muovere, le udirai favellare. Vieni a -Betania, Didimo, se vuoi vedere e udire, -vieni con me.» Queste testimonianze -adducevano gli schiavi, per volere il -segno. E allora Sebastiano balzava a -ghermire con mano terribile l'anima -dei miseri. Egli medesimo evocava il -Risuscitato, sembrava con la sua voce -far presente il miracolo nell'ombra calda -<span class="pagenum" id="Page_41">[41]</span> -di aneliti. Come il pargolo nelle fasce, -il cadavere era avvolto nelle bende. -«Lazaro vieni fuori!» Primo, fuor della -pietra, sorgeva il ginocchio... -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01"><i>Le genou surgit le premier.</i></p> -</div></div> - -<p> -M'interruppi, perché avevo sentito il -vecchio sussultare e levarsi. Egli era in -piedi davanti a me, sconvolto, senza -colore, affannoso. Era l'uomo di fede, -il servo di Dio, lo spettatore ideale a -cui si manifestava il mio poema con le -virtù della musica e dell'apparizione. -Ebro, imaginai dietro di lui una moltitudine -che gli somigliasse. E non volli -dargli tregua. Anche la mia parola fu -come il tizzo che incendia la stoppia -quando rinforza il vento. -</p> - -<p> -Ora gli schiavi chiedevano di vedere -almeno l'effigie. «Poiché tu hai abbattuto -tutti gli iddii di sangue e di fango, -alza dinanzi a noi l'effigie del dio novo, -che possiamo conoscerlo, che possiamo -adorarlo!» Sapevano essi ch'Egli soleva -<span class="pagenum" id="Page_42">[42]</span> -apparire ai discepoli. Non era Egli apparso -al Confessore? «Il suo volto è -celato, il suo corpo è velato.» Un'angoscia -mortale serrava il petto di Sebastiano, -illividiva le sue labbra, fiaccava -le sue giunture. Implacabili erano i súpplici, -inappagate le pupille della carne -loro. Eglino volevano la presenza del -dio novo. «Non ha più corpo; sangue -più non ha. Ha dato il suo corpo e il -suo sangue per le creature.» Ma i segreti -leggitori dei rotoli sapevano che -col suo corpo e col suo sangue era apparso -ai discepoli, sapevano ch'Egli -aveva lor mostro le mani e il costato, -e ch'essi avevan veduto le lividure, e che -Didimo aveva posto il dito entro la piaga, -e che dopo Egli aveva rotto il pane e -mangiatolo, aveva anche mangiato un -pezzo di pesce abbrustolito. «Come -potresti amarlo di tanto amore? Come -potresti chiudere gli occhi, essere così -smorto e in tutte le vene tremare di -tanto amore, se tu non avessi mai conosciuta -<span class="pagenum" id="Page_43">[43]</span> -la sua faccia? Tu tremi.» -Flutto vermiglio non mai sgorgò da -gola recisa né onda di lacrime da dolor -colmo, come allora dal petto santo scoppiava -l'angoscia. «Tremo perché su l'anima -mia porto peso d'obbrobrio. L'han -percosso coi pugni, l'hanno schiaffeggiato, -gli hanno sputato addosso. La -sua faccia è contraffatta. Gli sputi e il -sangue gli colano per le gote. Tutti i -denti gli tentennano nella bocca enfia. -E le sue palpebre, e i suoi occhi, -ahimè!» -</p> - -<p> -Credo che in quel punto la voce mi -si spegnesse, perché mi si serrava la gola. -E allora un sentimento mai provato mi -scrollò le radici dell'essere, perché a un -tratto udii il suono d'un pianto umano -che non avevo udito mai, tra quelle quattro -mura deserte e lontanissime da ogni -rumor del secolo udii il profondo singhiozzo -del «consumato Amore» che -cantò Jacopone, scorsi le medesime lacrime -che avevano rigato il viso di Francesco -<span class="pagenum" id="Page_44">[44]</span> -in ginocchio dinanzi al Crocifisso -di San Damiano o errante intorno alle -mura della Porziuncola. -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">O secca anima mia,</p> -<p class="i01">che non puoi lacrimare!</p> -</div></div> - -<p> -Non mi mossi. Poteva quel pianto essere -consolato o interrotto? E quale -parola poteva esser detta, che valesse -in dolcezza una sola di quelle lacrime? -E, in verità, qual cosa avrei potuto trovare -dentro di me più bella di quella -«nuditate d'amore» che mi si mostrava -all'improvviso in un vecchio già inchinato -verso la tomba? E come potrei -ora significare la qualità di quel pianto -«pieno di consolanza?» Il Beato ha -espressa la legge dell'ineffabile. -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Quello ch'è non si può dire,</p> -<p class="i01">puossi dir quel che non è.</p> -</div></div> - -<p> -E un rammarico simile al rimorso m'assale, -mentre ne scrivo. E avrei serbato -il dono nel mio segreto, se il mio amico -<span class="pagenum" id="Page_45">[45]</span> -elevato dalla sua santa morte alla condizione -di mistero glorioso non mi sorridesse -oggi a traverso quella visiera di -cristallo. Ma potrà comprendere soltanto -colui che fra mille canti sa distinguere -la melodia nata dal cuore della Terra -e tra le parole dei Vangeli la parola -che per vero esci dalle labbra di Gesù -e resta in eterno piena del suo soffio -vivente. Fino a quell'ora io aveva udito -gli uomini piangere in un altro modo, -e li avevo veduti confinati e fissi nel -luogo delle loro lacrime come il ferito -giace nella pozza del suo sangue, e me -medesimo dalla pietà ristretto e quasi -prigione di miseria. Il pianto di quel -cristiano pareva sonare su la malinconia -del mondo; e il Volto illividito dalle -gotate, lordo di sputi e di sangue, pareva -impresso nel pallido cielo come -nel pannolino della Veronica ma per -me in non so che maniera indefinita e -futura. E, quando uscimmo, il silenzio -dell'immensa Landa, con le sue miriadi -<span class="pagenum" id="Page_46">[46]</span> -di tronchi dissanguati dal ferro del resiniere, -con le innumerevoli sue piaghe -di continuo rinfrescate e allargate, con -il perpetuo suo gemito aulente, era come -il silenzio d'una moltitudine dolorosa -che non si lagna perché accetta il suo -cómpito e la sua pena. E io compresi -quella parola d'avvenire, che dice come -la natura sia per trasformarsi a poco a -poco in cerchio spirituale e il tutto sia -per sublimarsi in anima. -</p> - -<p> -Chi anche ha parlato di «membra -mistiche dell'uomo»? In qualche ora -sembra che noi non riconosciamo taluno -degli atti più consueti della nostra -vita corporale. Come camminavamo, -l'uno a fianco dell'altro, sul sordo sentiero -coperto dagli aghi dei pini? Non -v'era divario tra il passo del vecchio e -il mio, perché il nostro passo non era -delle nostre ossa, dei nostri muscoli, -dei nostri tendini. Se bene andassimo -davanti a noi, io aveva in me il sentimento -di volgere indietro quel che più -<span class="pagenum" id="Page_47">[47]</span> -di me ferveva, come la face trasportata -rovescia la cima della sua fiamma. Gli -occhi del mio amico erano appena rasciutti; -e il luogo, ove il «consumato -Amore» aveva pianto, e l'evento avverato -erano già come avvolti in un velo -di memoria, i cui lembi ondeggiavano -verso la mia più fresca infanzia. La -commozione ancor mi teneva tutto, la -realtà non soltanto era recente ma presente -ancóra; e pure una parte di me -faceva uno sforzo ansioso per ricordarsi -di non so che altro, per raffigurarsi non -so che cosa di più profondo e di più -dolce. Ma può l'attesa avere la figura -della rimembranza? -</p> - -<p> -Non parlavamo. Di tratto in tratto io -lo guardavo con l'angolo dell'occhio; e -mi stupivo che un viso di tanta vecchiaia, -lavato dalle lacrime, mi rammentasse -per la sua espressione certi episodii -patetici della fanciullezza: uno tra -gli altri. Un giorno avevo fatto piangere -la mia cara sorella Anna, per un capriccio -<span class="pagenum" id="Page_48">[48]</span> -crudele; e poi l'avevo racconsolata, -sbigottito, perché ella era tanto -sensibile che quando le accadeva di piangere, -anche per una cosa lieve, pareva -l'avesse colpita una sciagura irreparabile -ed ella fosse per stemprarsi nel -suo dolore. Vedendomi così pentito e -afflitto, ella si sforzava di raffrenare il -singulto e di rasciugarsi le guance. E -mi ricordo che io la presi per mano e -la condussi per una rèdola, tra due -campi di lino; e avevamo con noi il nostro -cane paziente ch'era stato la causa -del litigio. E di tratto in tratto io la -sogguardavo; ed ella, per non farmi più -pena, cercava di vincere il singulto ostinato -che le scrollava il piccolo petto, o, -come per togliergli l'acredine, lo preveniva -con un sorriso che si rompeva -sùbito. E allora mostrava d'esser contenta -di tutto quel cilestro del lino, -come s'io gliel'avessi donato; e pareva -che non io volessi rientrare nella sua -grazia ma sì volesse ella farsi perdonare. -<span class="pagenum" id="Page_49">[49]</span> -E v'era nella sua attitudine tanta -tenerezza e gentilezza che non potei più -sostenerla, e mi feci tutto lacrimoso anch'io, -con suo sgomento. -</p> - -<p> -Non so perché, questo ricordo mi rifiorì -dal cuore mentre camminavo a -fianco del vecchio. E mi pareva di andare -errando senza mèta per un paese -che io non conoscessi; ma egli sapeva -la sua via. Ci ritrovammo a piè della -duna ove sorge la Cappella, e salimmo, -tra i giovani pini, sino al limitare. Egli -non disse alcuna parola per invitarmi a -entrare nel suo rifugio. Mi tese la mano, -e mi diede la sua amicizia come nella -Domenica delle Palme si dà il rametto -d'ulivo su la porta della chiesa azzurra -d'incenso. Portando meco la cosa preziosa, -discesi la china, mi dilungai per -la Landa. -</p> - -<p> -Era prossima l'ora del vespro, ma l'aria -pareva non rattenere della luce se -non le particelle d'argento. Di là dalla -selva non scorgevo i lidi, ma ricevevo la -<span class="pagenum" id="Page_50">[50]</span> -quiete della bassa marea; che è come -quando la febbre decade nel polso cui -vien sottratta qualche oncia di sangue. -Non avevo mai sentito vivere gli alberi -di tanta doglia. Taluno aveva un sol taglio -nel piede; altri l'aveva sino a mezzo -il tronco scaglioso; altri portava una ferita -viva accanto a una rammarginata; -altri era svenato a morte, con solchi che -incavavano l'intero fusto simili alle scanalature -nella colonna dorica. E il succo -vitale stillava e colava per tutto: i vaselli -d'argilla n'erano colmi. Qualche -resiniere ancóra s'attardava a rinfrescare -una piaga; e s'udiva risonare il -ferro nel vivo, senza lagno. Ciascun albero -aveva il suo martirio, quasi che in -ciascuno abitasse uno spirito avido di -soffrire e di sanguinare come l'eroe divino -da me eletto. -</p> - -<p> -E in quella sera feci l'invenzione del -Lauro ferito. Il corpo di Sebastiano si -distaccava lasciando tutte le frecce nel -tronco del lauro d'Apollo. Le asticciuole -<span class="pagenum" id="Page_51">[51]</span> -scomparivano nella carne miracolosa come -un vanire di raggi. «Rivivrai, rivivrai! -Ritornerai!» gridavano gli Adoniasti. -</p> - -<p> -D'allora innanzi il mio novello amico -mi visitò sovente. Come io faceva di -notte giorno, egli soleva venire su la -fine del pomeriggio, quando ero per -accendere il mio fuoco. Mi ricordava il -principio dell'inno di Sant'Ambrogio -<i>Ad completorium</i>: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01"><i>Te lucis ante terminum...</i></p> -</div></div> - -<p> -Entrava in punta di piedi, parlando a -voce bassa, come nell'oratorio. Temeva -di turbare il silenzio e di smuovere le -cose invisibili che si nutrivano d'esso. -Restava seduto per breve tempo dinanzi -al camino; e io vedevo dalla mia tavola -la sua testa d'antico Donatore inginocchiato -nell'angolo d'una pala d'altare -inclinarsi di sotto alle statuette dei Piagnoni -funerarii. Egli pareva essere per -me il messaggero e l'interprete di quell'età -<span class="pagenum" id="Page_52">[52]</span> -da cui avevo raccolta una forma -d'arte caduta in dissuetudine per rinnovellarla. -Ma forse egli era assai più -antico, e aveva partecipato a quel pellegrinaggio -che si partì da Bordeaux -nell'anno 333 seguendo l'<i>Itinerarium -Hierosolymitanum</i>, come io gli dicevo -per motteggio. Però nelle sue «stationes» -e «mutationes» a traverso i secoli -egli doveva essersi attardato più lungamente -in quella immobile serenità che -splende nella <i>Passione</i> di Bourges come -nelle metope arcaiche d'un tempio -greco. Egli ne portava tuttavia l'illuminazione -su la sua fronte. -</p> - -<p> -E, se è vero che tutte le cose certe -sono vive e tutte le incerte sono morte, -la sua meravigliosa certezza lo poneva -di là dalla vita come una creatura compiuta -e immutabile. M'appariva dal suo -discorso ch'egli considerava la storia -del mondo come la rappresentano le -cattedrali della terra di Francia. A simiglianza -dei maestri marmorai e vetrai, -<span class="pagenum" id="Page_53">[53]</span> -egli credeva che, dopo l'avvento di -Gesù, non avesse il mondo avuto altri -grandi uomini, se non i confessori i -dottori e i martiri. Nel suo spirito come -nel santuario, i conquistatori e i vincitori -avevano il luogo più basso. Così -nelle vetriere essi sono genuflessi ai piedi -dei Santi, piccoli come fantolini, gracili -come i fili d'erba nelle commessure dei -gradini sacri. Persisteva in lui la coscienza -di quegli che compose lo <i>Speculum -historicum</i> facendo la minor -parte agli imperatori e ai re, la massima -agli abati, ai monaci, ai pastori, ai -mendicanti. Per lui, come per il domenicano -protetto da San Luigi, i più -alti fatti non erano i trattati le incoronazioni -e le battaglie ma la translazione -d'una reliquia, la fondazione d'un monastero, -la guarigione d'un ossesso, la -beatificazione d'un eremita. La tremenda -lotta moderna, combattuta con i congegni -più perigliosi e con le volontà più -crudeli, aveva per lui la medesima importanza -<span class="pagenum" id="Page_54">[54]</span> -ch'ebbe per Vincent de Beauvais -la grande giornata di Bouvines, -posta modestamente tra l'istoria di Santa -Maria d'Oignies e l'istoria di San -Francesco poverello. Simile a quei pellegrini -che traversavano gli eserciti nemici -avendo per solo salvacondotto in -sul cappello il piombo effigiato di San -Michele del Periglio o di Sant'Egidio -di Linguadoca, egli passava immune a -traverso il secolo d'acciaio. Anche dinanzi -ai traffici della sua città operosa -e danaiosa egli doveva aver di continuo -negli occhi quella parete del Camposanto -di Pisa ove un nostro pittore — che -fu, quanto lui, divoto di San Domenico — dipinse -la Tebaide degli anacoreti -come un mondo verace in un -mondo fallace. E la Via lattea certo era -pur sempre per lui il cammino di San -Iacopo, e i bagliori in cima agli alberi -delle navi erano i fuochi di Sant'Elmo; -e San Medardo era ancóra il signore -dell'utile pioggia. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_55">[55]</span> -</p> - -<p> -E nulla d'angusto, nulla di meschino -s'accompagnava in lui a questa ingenua -fede. La sua indulgenza era grande come -la sua disciplina. Egli era venuto -verso me con abondanza di cuore non -certo attratto da odor di santità ma -solo dal pregio di un'anima sempre vigile; -perché una povera serva gli aveva -detto che io consumavo nelle mie notti -più olio d'oliva che non ne bisognasse -alla lampada perpetua della Cappella. -E la finezza della sua mente corrispondeva -alla delicatezza del suo cuore. Un -nobile ritegno governava ogni suo atto -e ogni sua parola, quando egli era per -appressarsi all'intima vita dell'amico. -Non prodigava i consigli, anzi non ne -dava quasi mai; ma la sua semplice -presenza era un soccorso coperto. -</p> - -<p> -Vidi un giorno su la collina di Francavilla, -in un sentiero selvaggio che conduceva -al Convento ove col mio grande -e puro Francesco Paolo Michetti mi credo -aver vissuto i miei giorni migliori, vidi -<span class="pagenum" id="Page_56">[56]</span> -un giorno a maraviglia per una proda -il tronco tagliato d'un vecchio alloro -rimettere un gran numero di germogli -che al lor nascere avevan l'aria di sprizzare -dal legno come faville verdi. Ogni -volta che passavo, il tronco pareva cangiare -tutte quelle cimette vive in lingue -loquaci per dirmi: «Non disperare, non -disperare». Non altrimenti risfavillava -di sempre fresca speranza il mio amico. -Egli conosceva la sentenza e la vignetta -dell'<i>Ars moriendi</i>. «Havvi un sol fallo -grave al mondo: il fallo di chi dispera. -Ben più colpevole fu Giuda in disperare -che il Giudeo in crocifiggere Gesù.» E, -quando andava a visitare i poveri, gli -infermi, i prigionieri e ogni sorta di -peccatori in angustia, soleva dire che -quattro Santi l'accompagnavano: San -Pietro il qual rinnegò tre volte il suo -Maestro; Maria Maddalena a cui tanto -pesò la sua carne impura; il persecutore -San Paolo che Iddio convertì con -la folgore; il buon ladrone che non si -<span class="pagenum" id="Page_57">[57]</span> -pentì se non nelle braccia della croce -infame. -</p> - -<p> -Come taluno dei nostri Beati italiani, -egli conciliava in sé quei doni che appartengono -alla vita contemplativa con -quei doni che appartengono alla vita -attiva «poiché tutti procedono da uno -spirito stesso». Per lunghi anni nella -sua città natale egli governò le corporazioni -cattoliche più operose, ed esercitò -la carità con tal larghezza da meritare -il soprannome d'Elemosinario. -«Dispersit, dedit pauperibus.» Donò -grandemente, e senza contare, e sempre -di nascosto. Non so s'egli abbia mai ricoverato -nel suo letto un mendicante, -come quel Blaise Pascal del quale ignorò -sempre i tormenti le vertigini e le febbri; -ma più volte, come un servo umile -e pronto, rigovernò la casa de' suoi -poveri e de' suoi malati. Quegli che -aveva tanta luce su la sua fronte, amava -aver tanta ombra su le sue mani! -Per lui non era detto già: «Nesciat sinistra -<span class="pagenum" id="Page_58">[58]</span> -tua quid faciat dextera tua», ma era -detto: «Non sappia la tua destra quel -che la tua destra dà». Quando la segreta -elemosina ebbe di molto assottigliato -il suo patrimonio, lo punse carità -dei figli, ch'ebbe numerosi e ben -nati. Divise tra loro il rimanente, avendo -altrove conquistato una indivisibile signoria; -e si ritrasse nella Landa ad abitare -seco. Che cosa debba fare colui -che seco abita, egli lo sapeva dall'Antico -ma meglio dalla sua stessa aspirazione. -«Secum purgatur, orat, legit, et -meditatur.» -</p> - -<p> -Divotissimo era di San Domenico; e -sotto il vocabolo del sublime amico di -San Francesco è posto il tetto ch'egli -mi concesse. Per umiltà egli volle andare -ad abitare nell'antica infermeria -dei Padri Domenicani, che aveva ricomperata -a causa d'amore. È una bruna -casipola di legno, tra l'ombra della Cappella -e l'ombra della pineta. In quella -scelse la stanza più modesta, sapendo -<span class="pagenum" id="Page_59">[59]</span> -che «la cella di continuo abitata diventa -dolce». Quando la Landa rombava come -l'Oceano, allo sforzo del vento, egli -credeva essere sopra un vascelletto in -punto di salpare per l'ultimo viaggio. -Ma quando l'oro primaverile colava -sul balcone giù dal minuto crivello dei -pini e gli uccelli facevano il lor concerto, -quella era la casa lieve ch'io -m'avevo sognata più d'una volta, era -«la casa in sul ramo», lieve, sonora, -pronta. -</p> - -<p> -Aveva quivi trasportato un piccolo organo -da mantici, perché amava la musica -sacra e sonava con grazia qualche -mottetto. Come quel soave domenicano -Enrico Suso, egli si piaceva di chiamarsi -«il servitore»; e, come lui, doveva -certo ogni mattina, svegliandosi -all'ora della Salutazione angelica, udire -entro di sé una voce cantare nel modo -minore le parole: «Maria, la Stella del -Mare, ecco, si leva». -</p> - -<p> -Un giorno, entrando, lo trovai assopito -<span class="pagenum" id="Page_60">[60]</span> -davanti alle due tastiere; e trattenni -il piede e il respiro per non isvegliarlo, -tanta beatitudine mi apparì nel -suo volto. Ripensai a quel ch'egli m'aveva -narrato del giovine Suso. Forse -anch'egli sognava d'essere nel mezzo -del concerto celeste a cantare il Magnificat; -e la Vergine gli veniva incontro -e, per segno d'aver gradito un'offerta -di rose, gli comandava di cantare il -versetto: «O vernalis rosula!» -</p> - -<p> -Fin dalla sua prima visita, fin dall'ora -di quel pianto repentino che rimase in -fondo alla nostra amicizia come non so -che misteriosa freschezza, credo ch'egli -sperasse di volgermi all'esercizio della -preghiera secondo il suo rito. Ma non -mai, neppure per un attimo, assunse -aspetto e tono di convertitore. Aveva -un suo modo gentilissimo di farmi sentire -che v'era fra noi un bel segreto, -del quale non conveniva ragionare. Talvolta, -se qualche mia parola giusta lo -toccasse, mi guardava intento, sospeso, -<span class="pagenum" id="Page_61">[61]</span> -con uno sguardo singolare in cui pareva -quasi direi trasposta l'attenzione -d'un'orecchia inclinata, fattosi somigliante -a tale che abbia udito un suono -rivelatore e ne segua le onde per ansia -di riconoscerlo. Talvolta anche, in certe -pause, mi dava imagine di un uomo -che, stando in una contrada al principio -della primavera quando i succhi cominciano -a muovere, si ponga in ascolto -per desiderio di cogliere la melodia indistinta -della linfa che in breve trasfigurerà -ogni creatura abbarbicata alla -terra. Così la sua illusione spiava in me -l'opera interiore della Grazia. -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Lo raggio della grazia in che s'accende</p> -<p class="i01">verace amore, e che poi cresce amando...</p> -</div></div> - -<p> -Gli parlavo di Dante; e mi commoveva -la sete ch'egli aveva di quella gran -fonte. Un giorno gli raccontai come io -avessi contemplata nella cattedrale di -Amiens la Speranza scolpita in quel -modo che il Poeta la canta nel <i>Paradiso</i> -<span class="pagenum" id="Page_62">[62]</span> -quando Beatrice nell'ottavo cielo -gli mostra il barone -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">per cui laggiù si visita Galizia,</p> -</div></div> - -<p> -e San Iacopo lo esorta: «Di' quel che -ell'è». Dante e l'ignoto marmorario avevano -fedelmente tradotto, l'uno nella -terza rima, l'altro nella materia dura, -la diffinizione che della Speranza dà -nel Libro delle sentenze un teologo di -Francia, Pierre Lombard vescovo di Parigi. -«Spes est certa expectatio futurae -beatitudinis....» -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">«Spene» diss'io «è uno attender certo</p> -<p class="i01">della gloria futura...»</p> -</div></div> - -<p> -Il mio amico restò lungamente pensoso -di quella rispondenza fra la cattedrale -di pietra e la cattedrale di parole, -l'una sorta nella sua terra e l'altra -nella mia. Pareva che io gli avessi più -avvicinato Dante e gli avessi scoperto -nell'ardua mole gotica un punto misteriosamente -sensibile in cui potessero i -<span class="pagenum" id="Page_63">[63]</span> -nostri spiriti convergere e comunicare. -Alla fine del nostro colloquio (il vento -occidentale squassava tutta la Landa e -l'immenso fragore dell'Oceano faceva -sembrar fragili tutte le cose) egli mi -posò le mani su l'uno e su l'altro òmero, -mi guardò con la sua anima nuda emersa -a fiore del suo viso diafano, e mi -chiese: «Quando? Quando?» Era in -me quella malinconia potente in cui il -cuore batte più robusto e più celere. -Gli dissi, con dolcezza figliale: «Io sono -nato per vedere, per ricordarmi e per -presentire». Poi soggiunsi: «E forse attenderò -me stesso fino alla morte». -</p> - -<p> -Rimanemmo qualche tempo senza visitarci, -perché io ricominciai a vegliare -la notte e a dormire il giorno. Egli sapeva -che la mia lampada era accesa e -che avevo in serbo molto olio nel mio -orcio. «Lo sposo dell'anima suole a -mezza notte venire. Guarda che a dormire -non ti truovi.» -</p> - -<p> -Una sera dello scorso febbraio, dopo -<span class="pagenum" id="Page_64">[64]</span> -compiuto l'anno dall'ora del pianto e -del legame, uno de' suoi figli mi giunse, -inatteso; e mi disse: «Mio padre vuole -vedervi. Non ha che qualche settimana -o qualche giorno di vita. Esauditelo». -</p> - -<div class="figcenter"><a id="fill-064"></a> - <img src="images/ill-064.jpg" alt="" /> -</div> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_65">[65]</span> -</p> - -<h2 class="hidden" id="xvaprile">XV APRILE MCMXII</h2> - -<div class="figcenter"><a id="fill-065"></a> - <img src="images/ill-065.jpg" alt="XV APRILE MCMXII" /> -</div> -</div> - -<p> -Quando entrai nella piccola infermeria -domenicana, al primo sguardo conobbi -che l'uomo da bene aveva già abbracciata -la nostra suora morte corporale -e se la teneva ben sensata contro il suo -petto. Primamente, non veduto, lo vidi -in uno specchio. Una donna, dolce e -severa, che poteva essere Sant'Anna col -suo mazzo di chiavi appeso al fianco, -m'aveva condotto sul verone di legno -ove s'affacciava la camera dell'infermo; -e s'era ritratta, per lasciarmi solo con -lui, per non farsi testimone inopportuna -<span class="pagenum" id="Page_66">[66]</span> -del nostro turbamento. Nell'appressarmi -alla soglia, scorsi su la parete lo specchio -e dentrovi, dentro quella specie d'orrore -inaccessibile e rischiarato, il vecchio -che stava seduto, intentissimo, tenendo -ambe le mani premute su l'atroce ospite -carnale che gli rodeva la bocca dello -stomaco. Mi soffermai, con uno spaventoso -tremito nel cuore, perché veramente -dentro quel vano la morte era <i>visibile</i> -come nelle Danze macabre, e tutta -l'imagine veramente era <i>di là dal velo</i>. -Egli alzò le ciglia e sussultò abbandonando -le mani su le ginocchia, perché -mi scoperse anch'egli nella spera e mi -vide venire a lui non dalla vita diurna, -non dall'aria e dalla luce, ma dal fondo -di quel pallido sepolcro. E, com'entrai, -mi parve non di varcare una soglia comune -ma di superare un limite tremendo. -</p> - -<p> -Non conosco, nella storia della santità, -una preparazione al transito più bella -di questa. San Francesco, pur conversando -<span class="pagenum" id="Page_67">[67]</span> -con la sua suora infermitade, -lasciò che i medici tentassero di combatterla. -Riconobbe d'aver sempre trattato -troppo duramente il suo corpo e -mostrò di pentirsene. «Giubila, frate -corpo, e dammi perdonanza; che or mi -conviene satisfare a' tuoi disii.» I dottori -pontificii, a Fonte Colombo, gli cavarono -sangue, lo vessicarono e cauterizzarono. -Col ferro rovente gli affocarono -le tempie, mentr'egli pregava «frate -focu» che soffrire non lo facesse oltre -sopportazione. Ad Assisi, nella casa del -Vescovo, di continuo lo curava il medico -aretino. Di tratto in tratto era -preso da qualche strana voglia e mandava -in cerca i suoi frati che talvolta, -come nella notte del prezzemolo, s'impazientivano. -Alla Porziuncola Giacomina -Settesoli gli apprestò quella vivanduzza -romana prediletta, quel camangiare -di mandorle, che durante la -malattia aveva spesso desiderato. Dopo, -sentendo prossima la fine, si fece spogliare -<span class="pagenum" id="Page_68">[68]</span> -d'ogni vestimento e colcare su la -terra ignudo. -</p> - -<p> -Il mio amico dedusse quest'ultimo -esempio fin dal principio, non pel suo -corpo ma per l'anima sua. Spogliato di -tutto egli era come mi pareva non potesse -mai uomo spogliarsi. E non gli restava -se non quella «nuditate d'Amore» -oltre la quale, in paragone di purezza, -v'é soltanto la prima luce del mattino. -Vidi presso di lui il volume della <i>Imitazione</i> -chiuso. È certo quello il trattato -del totale spogliamento: riduce in un -pugno di polvere la sostanza in cui l'uomo -più si compiace, e senza pietà separa -l'uomo da ogni diletta cosa che non -sia il compiuto amore. Egli non aveva -più nulla da apprendere in quel libro: -perciò era desso quivi chiuso, e senza -segnali. Ed egli l'aveva tanto praticato -e meditato non soltanto come il libro -dell'eternità, ma come quello ch'era -nato dalla disciplina della sua stirpe -«sotto l'ogiva di Francia», vera «conoscenza -<span class="pagenum" id="Page_69">[69]</span> -e virtute d'Occidente.» Né -gli restava alcun dubbio intorno a tale -origine; talché una volta ch'egli vide -il mio esemplare col nome di Tommaso -Kempis, scosse il capo. Soleva -dire, non senza finezza, che l'<i>Imitazione</i> -franceseggia in latino. Vi riconosceva -trasposti i modi e le cadenze della -prosa Francesca, e talvolta la levità d'un -orecchio che aveva ascoltato la voce -dell'allodola paesana. -</p> - -<p> -Nelle lunghe settimane di patimento, -dal giorno in cui l'insonne cancro incominciò -a morderlo per finirlo, sino -all'ora in cui perse la parola terrena -per un altro linguaggio, non dimandò -d'essere medicato né alleviato, non volle -intercessore tra l'infermità e la carne, -non chiese che le sofferenze gli fossero -attutite ma soltanto che con esse gli -fosse accresciuta la forza di sostenerle. -«Courage, courage, mon âme!» diceva -nello spasimo. «Encore un peu, mon -Dieu! Faites-moi souffrir encore un -<span class="pagenum" id="Page_70">[70]</span> -peu, mais donnez-moi la force de supporter -la souffrance.» Quando il morso -diveniva meno atroce, egli si faceva -gaio e arguto; non soltanto sorrideva -ma anche rideva d'un riso schietto. Come -dalla città i suoi molti figliuoli e i suoi -nipoti numerosissimi e i famigliari suoi -devoti venivano a visitarlo, ciascuno -adduceva, per giustificare la visita insolita, -un pretesto più o men verisimile, -credendosi di illuderlo. Egli ben sapeva -che quelle erano visite di funebre commiato; -e un giorno ch'io ero là, tra -quegli affettuosi dissimulatori, l'udii -motteggiare con sì vivace grazia che -veramente le più celebri delle parole -stoiche mi sembrarono cosa ruvida e -grossa. Una notte di marzo la figliuola -maggiore, ch'era venuta a trattenersi -nella casa per assisterlo, dal suo letto -udì nella camera del padre un gran -ridere. Attonita e un poco sbigottita, si -levò e andò a origliare. L'ottimo abate -Eugène de Vivié, rettore della parrocchia, -<span class="pagenum" id="Page_71">[71]</span> -consolatore intrepido, aveva voluto -vegliar l'infermo nel martirio notturno. -Aiutandolo egli a sollevarsi dal guanciale -per l'orribile rigurgito che lo travagliava, -una inattesa facezia del sofferente -aveva suscitata quella ilarità -concorde. Ripensai quel rimbrotto di -Frate Elia, quando San Francesco giaceva -al Vescovado in custodia e voleva -che Frate Agnolo e Frate Leone gli -cantassero ogni ora le laudi di nostra -suora morte per rallegrarsi nel Signore. -«Hacci la scolta alla porta; e niuno -vorrà credere esser tu un santo uomo, -udendo del continovo cantare e sonare -nella tua cella.» -</p> - -<p> -Finché la volontà potè comandare le -membra affievolite, si trascinò ogni mattina -alla Cappella per ricevere il pane -eucaristico; del quale solo sembrava -nutrirsi, non prendendo nella giornata -se non qualche sorso di latte o il succo -di qualche frutto. Súbito dopo la comunione, -si ritraeva, non avendo più la -<span class="pagenum" id="Page_72">[72]</span> -forza di assistere alla messa. L'ultima -volta ch'egli varcò la soglia santa, non -ebbe neppure la lena per appressarsi -alla mensa di Cristo. Sfinito, fu costretto -di sedersi; e il prete scese dall'altare e -andò a portargli l'ostia vivente. Come -da quel punto nessuno sforzo di volontà -più valse, si comunicò per viatico, sino -al Venerdì Santo. -</p> - -<p> -Comprendemmo qual fosse la sua segreta -e inebriante speranza quando ripeteva: -«Encore un peu, mon Dieu! -Faites-moi souffrir encore un peu!» -Egli sperava di poter vivere sino alla -Settimana di Passione, sperava di poter -congiungere la sua agonia e la sua -morte all'agonia e alla morte del Salvatore. -Fu esaudito. -</p> - -<p> -Il giorno che ricevette il sacramento -della Estrema Unzione, mandò per me. -Egli aveva preso ad amarmi più che s'io -gli fossi stato figliuolo unico. I suoi prossimi -si stupivano nel vederlo tanto illuminarsi -quando gli apparivo. I suoi occhi -<span class="pagenum" id="Page_73">[73]</span> -si volgevano a me interrogandomi, -così pallidi che parevano aver perduto -quel poco di cilestro a forza di fisare -chi sa qual bianchezza abbagliante. -Sempre i famigliari, se erano presenti, -escivano l'un dopo l'altro perché rimanessimo -soli. Per non affaticarlo, non lo -lasciavo parlare né gli parlavo con le -labbra. Stando al suo fianco, seduto, in -silenzio, non mi peritavo di guardarlo -intentamente, tanto m'attraeva la bellezza -del suo mistero. Lo sentivo morire -e vivere. Il suo viso nella macie era -come un teschio palese, ricoperto d'un -tenue velo di fuoco bianco. Non so dov'egli -fosse per trapassare e per ricominciare; -ma è certo che, tacendo, simile -a un tessitore in sogno, tesseva con la -sua morte una vita che non era come -la mia vita. La mia vita, che è la mia -passione e il mio orrore, la mia vita, -che mi rapisce e mi ripugna, si moltiplicava -con un'abondanza vorticosa come -quando ascolto tra la folla le sinfonie -<span class="pagenum" id="Page_74">[74]</span> -dei grandi maestri. L'amore il dolore -e la morte rimescolavano l'oceano della -mia musica con braccia titaniche indistinguibili. -Talvolta il morituro prendeva -il mio polso e lo teneva nella sua mano -sul sostegno della seggiola. Allora soffrivo -d'avere tuttavia tanto sangue, e -così rapido. Mi ritornava il senso del -mio corpo, accompagnato da un'angoscia -che doveva essere simile allo sforzo -vano del generare, quando ne stilla un -sudore quasi di tramortimento. E non -m'ero mai sentito tanto potente e tanto -miserabile. -</p> - -<p> -«Amico», gli parlavo in silenzio «ho -avuto molte primavere travagliate, ma -non una come questa. So quel che mi -significa la dimanda dei vostri occhi -buoni, ma non so che rispondere. Le -parole che talvolta mi salgono alle labbra, -non oso proferirle; anzi oppongo -al loro impeto i denti serrati, perché -temo di perdermi e di non potermi più -ritrovare. Nondimeno mai, da che vivo, -<span class="pagenum" id="Page_75">[75]</span> -non ebbi un istinto e un bisogno di mutazione -tanto profondi e agitati. Un -giorno, ahimè, molto lontano, nel Camposanto -di Pisa, che sembra illuminato -dal crepuscolo di quella luce verso cui -siete vòlto, meditai su me medesimo -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i04"> tra i due neri</p> -<p class="i01">cipressi nati dal seno</p> -<p class="i01">della morte;</p> -</div></div> - -<p> -e mi parve che, se avessi dovuto cominciare -la mia vita nuova, avrei scelto per -luogo del cominciamento quel divino -chiostro alzato dall'arte della mia razza -non tanto per serbare la terra del Calvario -quanto per contenere tra i quattro -portici una larva dell'albore immobile -ch'era intorno alla Croce. -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Forse avverrà che quivi un giorno io rechi</p> -<p class="i01">il mio spirito, fuor della tempesta,</p> -<p class="i01">a mutar d'ale.</p> -</div></div> - -<p> -E da quel giorno un'alta creatura -«eletta da me, per me perduta», a -lunghi intervalli, a traverso le vicende -<span class="pagenum" id="Page_76">[76]</span> -e le lontananze, mi manda il messaggio -di quelle tre parole: «Mutar d'ale». Il -mio presentimento è dunque divenuto -un comandamento di ferro e di diamante? -è divenuto alfine la raggiante -e lacerante necessità? E la sorte mi -mandò fuor della mia terra, verso questo -paese occidentale di sabbia e di -sete, che non è se non un deserto imboschito, -perché la vecchia spoglia mi -fosse tratta dalla mano d'un vecchio -morente «in verità di santità»? Come -la spogliazione dei beni vani fu agevole -e quasi senza ombra di rammarico! -Si vide che la magnificenza del -mio vivere non era nei miei velluti e -nei miei cavalli. Un branco di scimmie -calpestò e distrusse non senza tardità -quel che forse, o prima o poi, avrei distrutto -io medesimo in un'ora, per far -largo intorno al mio pensiero impaziente. -Mi parve che il modo mi offendesse, e -m'accorsi che non ero offeso in alcun -modo. Avendo perduto qualche bel legno -<span class="pagenum" id="Page_77">[77]</span> -tarlato, qualche bel vetro incrinato, -qualche bel ferro arrugginito, entrai nel -possesso di questa più bella verità: esser -necessario bruciare o smantellare i -vecchi tetti, sotto i quali abitammo in -carne o in ispirito. Soltanto mi furono -tolti il giubilo e l'orgoglio della volontaria -arsione. -</p> - -<p> -Or, quando c'incontrammo, io non -aveva se non gli strumenti del mio lavoro, -la mia lampada fornita, e una vecchia -serva che nel servire era più nobile -dell'antica regina dal piè d'oca. Ahi, -non questo era l'essenziale. «Dopo aver -tutto ottenuto per ingegno, per amore -o per violenza, bisogna che tu ceda -tutto, che tu ti annienti.» Ma che cosa -è <i>tutto</i> per me? e quale la condizione -dell'annientamento? So che, per farmi -nuovo, io non debbo obbedire a una parola -già detta ma a una parola non ancor -detta. So che la povertà e l'amore -della povertà non hanno alcuna efficacia -spirituale nella conquista ch'io -<span class="pagenum" id="Page_78">[78]</span> -son per intraprendere. Ma il Cristo -ha veramente detto tutte le sue parole? -</p> - -<p> -Mai Gesù mi fu più vicino, e mai -n'ebbi un senso tanto tragico. In un libro -disegnato or è quindici anni, sacro -e sacrilego, io imaginavo che il «bellissimo -nemico» discendendo dal Golgota -dopo il supplizio entrasse nella -casa della Veronica e quivi s'intrattenesse -con la pia donna a parlare misteriosamente -del Re crocifisso mentre nell'ombra -la Faccia divina e dolorosa -splendeva di sudore e di sangue nel sudario -spiegato. Dal giorno del vostro -pianto, agli interni miei colloquii col mio -nascosto nemico assiste nell'ombra il -sudario della Veronica. Ora sento continua -sopra il mondo la presenza del -sacrifizio di Cristo; e sento per ciò in -confuso la mia voce e le mie azioni diversamente -ripercuotersi, come quando -taluno con gli occhi bendati entra sotto -una ignota cupola sonora. Ma chi troverà -<span class="pagenum" id="Page_79">[79]</span> -il luogo dell'eco perfetta e l'accento -giusto per la grande ripercussione? -Da Ferrara, in un giorno di novembre, -mi mossi per cercare un'eco famosa. -Camminai per un viale di platani, lungo -un argine verde e molle tutto sparso di -foglie lionate. Avevo in me l'inquietudine -della divinazione; e di tratto in -tratto, credendomi di riconoscere il punto, -gettavo un richiamo; e ogni richiamo -rimaneva senza risposta; e ogni volta -più mi cresceva una sorta di tristezza -fastidiosa e inutile, perché cercavo un -che di divino e il grido era meccanico, -la parola di prova era quasi risibile. -Allora giunsi a un piccolo poggio verde -che ha il nome di Montagnola; e quivi -era a diporto una compagnia di giovani -cappuccini, condotta da un frate -barbuto, e le tonache dei novizii avevano -lo stesso colore delle foglie sparse -per l'erba. Mi rivolsi al frate per dimandargli -novelle dell'eco; ed egli n'aveva -una memoria vaga, come di cosa -<span class="pagenum" id="Page_80">[80]</span> -scomparsa. Solo sapeva di certo che -laggiù un muro era crollato in una casa -visitata dall'incendio. I novizii tonduti -rimasero pensosi. La luce su la campagna -infinita era come quella che passa -a traverso gli alabastri. Vagai ancóra -intorno al poggio e per gli argini chiamando, -provando; e il tono della mia -voce mi faceva soffrire, tanto era lontano -da quello della mia anima ed estraneo -al mistero che perseguivo. Nondimeno -la qualità del mio scontento era -nuova e mirabile. Tornai su le mie orme, -pei viali molli d'acqua piovana. La pianura -era senza fine come il cielo. Una -campana sonava alla Certosa. Rividi -sotto il poggio le foglie e le tonache -fulve. M'appressai. I novizii erano assorti -e taciturni; e qualcuno aveva in bocca -qualche filo d'erba e, tenendo gli occhi -bassi, mi pareva che sentisse con le palpebre -la freschezza della sua anima. Io dissi: -«Non c'è più! Forse è morta. Era la più -bella del mondo». I novizii erano pieni -<span class="pagenum" id="Page_81">[81]</span> -d'ansia, e forse di miracolo; e mi pareva -che inclinassero verso la terra un orecchio -musicale. Ma il frate mi disse, placido: -«A San Francesco ve n'è una sotto -la cupola, che ripete Ave tre volte.» Certi -ricordi chiedono di essere interpretati -come le visioni; ma dov'è il mio interprete? -E, se voi ora per me sollevaste il -velo, che scoprireste se non la vostra certezza? -</p> - -<p> -Certo, da una limitazione può nascere -la più vasta vita; e una mutilazione può -moltiplicare la potenza, come sa il potatore. -Certo, qualche parte di me dorme -ancora un profondissimo sonno; e -me la rivelano in certi mattini i sogni -non interpretati. È necessario che io -faccia luogo in me a ciò che sorgerà da -quel risveglio. Ho talvolta il sentimento -delle interne mie lontananze come l'ha -di queste Lande lo svenatore di pini. -Preparo l'arme acconcia perché anch'io, -entrato nel folto, possa aprire nuove -ferite onde sgorghi l'aroma e <i>possa mantenerle -<span class="pagenum" id="Page_82">[82]</span> -sempre aperte</i>. Tale è l'insegnamento -della Landa. -</p> - -<p> -Ora a ciascun mio pensiero è aderente -un altro pensiero, oscuro. Così -nella cattedrale notturna le colonne sono -illuminate da una sola banda, perché la -lampada arde in una sola navata. Bisogna -che io accenda all'altra banda un'altra -lampada, ma senza spegnere la prima. -Ho paura di spegnerla. Debbo vincere -questa paura? E chi m'afferma che diverrò -più forte? Se mi ritrovassi ottenebrato -o diminuito? -</p> - -<p> -Lo so. Gli uomini non edificheranno -nuovi templi per nuovi culti. Il prodigio -unanime della cattedrale non si rinnoverà. -Ma il dio medesimo, che l'ha -rempiuta, può un giorno apparirvi con -un aspetto per la seconda volta trasfigurato, -affacciandosi alla grande Rosa -nell'ora in cui dietro lei suole coricarsi -l'astro come al confino d'una foresta. -Simile alla foresta, la cattedrale d'Occidente -può essere penetrata in tutte le -<span class="pagenum" id="Page_83">[83]</span> -sue fibre secolari dalla forza d'una primavera -inaudita. Quale avvenire osservano -i Profeti protesi dì e notte come vedette -e scolte dai contrafforti del Duomo picardo -ove riconoscemmo scolpita la Spene -di Dante? La pietra commessa e alzata, -come quella, al suono degli inni, ha in -sé l'infinito del canto: non può contenere -una fatalità compiuta e immota ma -sì l'aspirazione a una bellezza di continuo -perfettibile. -</p> - -<p> -Non vi fu, di là dal torrente di Chedron, -nell'Orto degli Ulivi, un apostolo -ignoto che si unì agli Undici per ricompire -il numero, e non dormì né la prima -né la seconda né la terza volta? Tra -tutte le persone della tragedia di Cristo -due m'attrassero sempre più d'ogni -altra, le più misteriose: Lazaro di Betania -tornato del buio e il giovine dalla -sindone. Non avete mai pensato chi potesse -mai essere quel giovine «amictus -sindone super nudo», del quale parla -il Vangelo di Marco? «E tutti, lasciatolo, -<span class="pagenum" id="Page_84">[84]</span> -se ne fuggirono. E un certo giovine -lo seguitava, involto d'un panno -lino sopra la carne ignuda, e i fanti lo -presero. Ma egli, lasciato il panno, se -ne fuggì da loro, ignudo». Chi era quel -tredicesimo apostolo, che aveva preso -il luogo di Giuda nell'ora dello spavento -e della grande angoscia? Solo egli vide -il sudore cadere a terra «simile a grumoli -di sangue». -</p> - -<p> -Era minore di Giovanni figlio di Salome. -Era vestito d'un vestimento leggero. -Si fuggì ignudo «reiecta sindone, -nudus profugit ab eis». Nulla più si -seppe di lui nel mondo. Forse un giorno -dirò una imaginazione che di lui mi -giunse.» -</p> - -<p> -In tali erramenti divagava il mio spirito, -per una specie di dormiveglia intimo -ove le imagini più rilevate si avvicendavano -con ombre fluttuanti e il -ritmo precedeva i pensieri, come quando -il sonatore cieco improvvisa su l'organo. -E la perplessità si avvicendava con la -<span class="pagenum" id="Page_85">[85]</span> -paura. E smisurate masse d'anima erano -smosse da taluna interrogazione appena -distinta, come quando la forza d'un -tema entra nella sinfonia. «Che avverrà -di me se io mi rendo interamente al -vostro Salvatore?» E poi tutto si abbandonava -a una fuga dirotta, come -quando s'ode rintronare il lastrico sotto -la carica dei cavalieri. -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">E gli uomini cadevano</p> -<p class="i01">intorno a me guardandomi</p> -<p class="i01">negli occhi, come in sogno</p> -<p class="i01">quando uno solo è come moltitudine</p> -<p class="i01">e un viso è come mille</p> -<p class="i01">e il cor supino è pieno di memoria</p> -<p class="i01">vertiginosa.</p> -<p class="i01">Ciascun percosso</p> -<p class="i01">parca gridarmi:</p> -<p class="i01">Per chi m'uccidi?</p> -<p class="i01">Ah, ben io so!</p> -</div></div> - -<p> -Era la materia della mia arte, che si -mescolava a quella della mia vita. Una -voce della mia tragedia d'amore e di -morte, dell'opera che componevo nelle -<span class="pagenum" id="Page_86">[86]</span> -mie notti, diveniva oscuramente la voce -d'uno di quegli esseri incogniti da me -contenuti. -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">L'andito è nero</p> -<p class="i01">per ove ci viene</p> -<p class="i01">tastando con le mani,</p> -<p class="i01">come il cieco mendico;</p> -<p class="i01">ma posta ho in terra</p> -<p class="i01">la lampada perché sotto la porta</p> -<p class="i01">segni il segnale di luce. Or qualcuno</p> -<p class="i01">è tra la lampada e la notte.</p> -</div></div> - -<p> -Con l'anima mia foggiavo due corpi -pieni di nero sangue, e vivevo tutto in -loro, per comprendere il peccato; poiché -è detto che non si possa veramente -comprendere la bellezza del Cristo «senza -comprendere il peccato». Ugo da Este -e Parisina Malatesta m'erano due esploratori -di tenebre. -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Col peso della carne del mio cuore</p> -<p class="i01">pesava il mio peccato. E disse: «Io so.</p> -<p class="i01">Ma che paventi?»</p> -</div></div> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_87">[87]</span> -</p> - -<p> -Camminavamo verso il barlume di -levante con la medesima ambascia. Anche -per la nipote di Francesca l'attesa -aveva il volto della rimembranza. -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i09"> Questa pena</p> -<p class="i01">di sudore Ei sostenne,</p> -<p class="i01">perché da noi</p> -<p class="i01">si spiccasse la febbre del peccato...</p> -<p class="i01">Dici che sogno? Non so quando io chiusi</p> -<p class="i01">gli occhi, non so da qual mai lungo sonno</p> -<p class="i01">io mi svegli; non so,</p> -<p class="i01">non so di quale vita</p> -<p class="i01">io viva, in verità. Tutto ritorna</p> -<p class="i01">dal profondo. Commessa</p> -<p class="i01">fu la mia colpa,</p> -<p class="i01">patito il mio dolore,</p> -<p class="i01">sofferto il mio spavento;</p> -<p class="i01">sospesa fu la mia sciagura, inflitta</p> -<p class="i01">la mia morte. Non sogno,</p> -<p class="i01">o meschina, non sogno: mi rimemoro.</p> -<p class="i01">Non vivo: di mia vita mi sovviene,</p> -<p class="i01">mi sovviene di me come discesa</p> -<p class="i01">nel mondo io sia pe' rami</p> -<p class="i01">d'un nero sangue...</p> -</div></div> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_88">[88]</span> -</p> - -<p> -D'un tratto, se bene la mano del morente -avvolgesse il mio polso, se bene -io ne sentissi il gelo nella mia midolla, -un turbine mi separava da lui, un turbine -sorto dall'assito di quella camera -quieta. E bisognava che io mi levassi a -seguitare una virtù che s'era partita da -me e aveva superata la soglia. Erano -ancóra su la tavola i fiori che avevo -recati, e i frutti d'Italia. Erano le spesse -arance siciliane, del cui solo succo omai -si nutriva il mio amico, a stilla a stilla. -«Non più ho bisogno dei vostri fiori e -dei vostri frutti ma delle vostre preghiere». -Allora discendevo nella Landa -carica di polline sulfureo, lasciando dietro -di me l'interlocutore silenzioso dei -miei dialoghi affrontato col muro ove -s'apriva il vano dello specchio inesorabile. -E, come tutto in me era disposto -al canto, facevo le mie preghiere. -</p> - -<p> -Adunque il giorno che ricevette il sacramento -dell'Estrema Unzione, mi mandò -a chiamare. Come indugiai un'ora, -<span class="pagenum" id="Page_89">[89]</span> -mandò di nuovo. Pareva ch'egli fosse -in grande ansietà. Salendo su per la -duna, mi soffermavo per contenere il -battito e per guadagnare qualche istante. -Intorno alla Cappella era l'odore di quelle -lacrime di ragia che sovente sostituiscono -l'incenso e il belzuino nei turiboli -delle Lande. Quando fui sul verone di -legno, incontrai nello specchio il suo -sguardo d'attesa. Mi spiava nel fondo -del cristallo lugubre ove egli voleva essere -testimone continuo del suo perire. -Non stava già nel suo letto ma tuttora -seduto su la sua seggiola. La sua santità -era cresciuta di lume. Non soltanto -egli era stato unto del crisma ma aveva -anche ricevuto per messaggio la benedizione -del Pontefice di Roma. E una -reliquia preziosissima era su la tavola, -presso di lui. -</p> - -<p> -Soltanto allora seppi ch'egli possedeva -nel suo oratorio una scheggia della vera -Croce, e che da anni le aveva consacrato -una lampada perpetua. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_90">[90]</span> -</p> - -<p> -Non osai di sedermi, se bene invitato. -Qualcosa di lontano e d'inviolabile era -in lui, quasi che il vetro d'un tabernacolo -lo proteggesse. Ma, quando mi fisò, -il più umano tremito scompose le linee -del suo viso spiritale, così ch'io tutto -mi contrassi come a ricevere una percossa. -</p> - -<p> -Egli ritrovò in sé il soffio bastante a -formare la parola e il discorso, perché -credeva di obbedire a un comandamento. -Non poteva più tacere, non poteva più -attenersi alla muta interrogazione dello -sguardo e all'allusione timorosa. Già -unto dell'olio santificato, stava per entrare -con Dio in quel colloquio che non -più consente di volgersi verso l'uomo. -Egli non aveva se non quell'ora, sul limite -del sepolcro, per indirizzare in via -di salute l'anima confidatagli dalla divina -providenza. Questo diceva il suo -tremito. -</p> - -<p> -Rare volte le mie radici ebbero uno -scrollo tanto doloroso. Egli parlò. Io -<span class="pagenum" id="Page_91">[91]</span> -volgevo le spalle alla luce, e l'ascoltavo -inclinato. Dietro di me la Landa stormiva -al vento di ponente, e io era come -ciascun albero e come la moltitudine. -Potrei ottenere dalla mia anima la confessione -di ciò che per l'uomo è inconfessabile, -ma non otterrò mai ch'ella mi -ridica quel che udimmo quivi. -</p> - -<p> -Allora il pianto fu più forte della favella. -Una creatura che pareva non aver -più sangue, aveva ancor tante lacrime! -Le mie mani erano tutte molli; e il -rombo di una catastrofe terrestre non -m'avrebbe dato lo sgomento che mi -dava quel singhiozzo senile, lacerante -come l'implorazione d'un fanciullo. Quel -che v'è di più profondo in me pareva -toccato, e pure conobbi una nuova oltranza; -perché mi sentii baciar le mani! -</p> - -<p> -Così l'umiltà chiedeva l'umiltà, l'amore -chiamava l'amore. Non so quale atto -altrui, nella mia vita, abbia potuto pesare -su me come pesò quello. Per lunghe -ore fui oppresso da una sofferenza -<span class="pagenum" id="Page_92">[92]</span> -quasi corporale, come quando l'equilibrio -della vita è sconvolto dal germe -d'una malattia ignota, che somiglia al -presentimento d'una sciagura senza nome. -E talvolta era come un rimorso -confuso; e talvolta era come un'atroce -durezza che si formasse di tutta la mia -sostanza fluida, a quel modo che una -corrente si congela; e talvolta mi pareva -che tutto me medesimo non fosse -se non un impedimento enorme a me -medesimo, insuperabile, contro cui non -avessi potenza ma soltanto ira. -</p> - -<p> -La sera, sedato in parte il tumulto, -accesi la lampada con l'animo di sottopormi -alla disciplina consueta. Avevo -bisogno delle mie mani per continuare -la mia opera. Le posai su le carte, nel -cerchio del chiarore, per considerarle. -Un gran sussulto mi scosse, al ricordo -recente. E mi parve, assai più che altre -volte, vivessero d'una lor vita propria -e quasi non mi appartenessero. Le sollevai -e le guardai contro il lume: un -<span class="pagenum" id="Page_93">[93]</span> -poco tremavano, e tra le dita chiuse -ardeva una linea rossa. N'ebbi pietà; -poi n'ebbi orgoglio. Nel pollice, nell'indice -e nel medio l'ultima fatica aveva approfondito -il segno della penna. Pensai -ai giovani pallidi e smarriti che me le -avevano baciate d'improvviso, me repugnante, -nell'ombra. Ma che cosa le mie -mani <i>dovevano</i> a quell'atto del morente -immacolato? Forse riposarsi, e attendere -il novel tempo. -</p> - -<p> -Non si riposarono. Lavorarono fino -all'alba. -</p> - -<p> -E in quella notte Ugo disse: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Non v'era in me più forza né coraggio</p> -<p class="i01">né soffio. Avviluppato in una nube</p> -<p class="i01">d'angoscia, profondato</p> -<p class="i01">ero in un'onda amara</p> -<p class="i01">e calda, con l'orrore</p> -<p class="i01">della sorte premuto</p> -<p class="i01">su tutto me. Parole</p> -<p class="i01">udivo escite</p> -<p class="i01">da non so qual potenza, nella notte</p> -<p class="i01">senza vie. La salvezza e il perdimento</p> -<p class="i01"><span class="pagenum" id="Page_94">[94]</span></p> -<p class="i01">eran senz'occhi entrambi.</p> -<p class="i01">E tutto inevitabile</p> -<p class="i01">era. E non combattevo</p> -<p class="i01">se non per te</p> -<p class="i01">anche una volta, se non pel mio vóto,</p> -<p class="i01">non più nel sangue</p> -<p class="i01">ma nelle lacrime.</p> -</div></div> - -<p> -E disse Parisina: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">O mia vita, o mia morte,</p> -<p class="i01">dove sei? dove siamo?</p> -<p class="i01">Siamo nel luogo profondo, e la lampada</p> -<p class="i01">dell'attesa arde in terra; e suggellata</p> -<p class="i01">è la pietra su noi,</p> -<p class="i01">cementata, afforzata</p> -<p class="i01">con ispranghe di ferro...</p> -</div></div> - -<p> -Ma di nuovo l'usignuolo cantò, con una -melodia ancor più alta dopo la pausa. -E l'amato implorava: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">O voce forte e pura nella notte</p> -<p class="i01">senza vie, nel tremore</p> -<p class="i01">spaventoso degli astri,</p> -<p class="i01">oh dimmi la parola</p> -<p class="i01">ch'è in me, dimmi la muta</p> -<p class="i01">parola che si sforza</p> -<p class="i01"><span class="pagenum" id="Page_95">[95]</span></p> -<p class="i01">di separarsi dal mio cuore, in vano,</p> -<p class="i01">con sì crudel travaglio!</p> -<p class="i01">Vivere, vivere, o morire? Dimmi!</p> -<p class="i01">Morire o vivere?</p> -</div></div> - -<p> -E Parisina allora disse: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">La notte ha la sua via.</p> -</div></div> - -<div class="figcenter"><a id="fill-095"></a> - <img src="images/ill-095.jpg" alt="" /> -</div> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_97">[97]</span> -</p> - -<h2 class="hidden" id="xxivaprile">XXIV APRILE MCMXII</h2> - -<div class="figcenter"><a id="fill-097"></a> - <img src="images/ill-097.jpg" alt="XXIV APRILE MCMXII" /> -</div> -</div> - -<p> -È mezzogiorno. Un'oscurazione di catastrofe -si stende su la terra. Ogni cosa -ha un aspetto notturno, e sembra rivelar -di sé quel che non fu mai veduto per -innanzi. È una notte non illuminata dalla -luna, né dalle stelle, né dal primo fiato -dell'alba, ma da una lampada soprannaturale -che spande un egual chiarore -e non segna le ombre. Non so perché, -penso a quel che provai una volta entrando -nella camera buia di un dormente, -con una lanterna cieca, per osservare -il segreto del suo viso nel sonno. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_98">[98]</span> -</p> - -<p> -Vedo nelle cose quella stessa impronta -di verità interiore, quello stesso segreto -palesato. Non è, pel mio spirito, un -giorno interrotto ma una notte scrutata -a fondo. L'anima della terra è notturna, -ma la luce del sole la nasconde più che -non la nasconda la tenebra. Soltanto -può rivelarla la divinazione dei poeti, -che portano nel loro cuore un sole -velato come quello d'oggi. È l'ora del -meriggio, e non v'è luce e non v'è tenebra; -ma le cose, a questo lume di miracolo, -mostrano l'aspetto che debbono -avere quando nessuno può guardarle né -riconoscerle. Milioni d'uomini in quest'ora -volgono gli occhi verso il cielo e -per passatempo, a traverso il vetro affumato -che simula Io smeraldo neroniano, -spiano il contrasto del sole e della -luna, il disco violetto che sormonta la -raggiera d'oro, l'estrema falce solare che -imita il novilunio. Ma il vero miracolo -è in terra. Se io guardo gli uomini, li -vedo smorti come i trapassati; e i loro -<span class="pagenum" id="Page_99">[99]</span> -corpi non gettano su la sabbia più ombra -che non ne facciano i peccatori nella -landa sabbiosa del Terzo Girone, laddove -scorrono le lacrime che il Veglio -goccia da tutte le fessure ond'è vulnerato. -Così per questo silenzio, lungo la -sorda riva, vedo venire la larva del -Poeta che sa l'«asfòdelo prato» e «i -freschi mai». E vorrei, come il suo -Odisseo nella dimora del Buio, scavare -nella sabbia una fossa ed empirla di -sangue, sicché egli potesse come Tiresia -abbeverarsi dello squallido sangue e dirmi -«infallibili cose». -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Sol dopo ciò mi parlava il profeta incolpabile, e disse:</p> -<p class="i01">— Tu mi ricerchi il ritorno di miele....</p> -</div></div> - -<p> -Ma il meriggio dell'anima si trasmuta, -a poco a poco perde di mistero e d'orrore, -vanisce come un sogno divino -che al risveglio s'impigli e si stempri -nel torbidume dei nostri sensi. Il disco -violetto trascorre, e l'astro diurno sembra -<span class="pagenum" id="Page_100">[100]</span> -riardere fumigando dall'uno all'altro -corno. La tenzone del sole e della luna -ha termine. Ancóra una volta la luce -nasconde la vera faccia della terra, e la -cieca vita fa ingombro alla morte perspicace. -</p> - -<p> -Da questa vicenda celeste apprendo -come l'eclisse, nel mondo interiore, possa -essere rivelazione piuttosto che oscurazione. -La luce della nostra coscienza -abituale non ci copre la nostra verità -più profonda? Se alcuna forza fin allora -estranea s'interponga, ecco che dentro -a noi tutto si trasfigura e si manifesta. -Il massimo degli eclissi è la follìa. E che -grandi e inopinate mutazioni e visioni -da lei nacquero! Ma vi sono anche meravigliosi -eclissi prodotti da una certa specie -di pensieri dominanti che offuscano -la coscienza fallace. Il comune linguaggio -però non ha modi per significarli. -</p> - -<p> -Forse, laggiù, un pescatore perduto -su l'Atlantico ha visto nel prodigio meridiano -splendere Espero. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_101">[101]</span> -</p> - -<p> -Un sentimento di lontananza è rimasto -in me; che mi seconda mentre rivivo -il giorno funebre. Mi sembra che -l'istessa lampada soprannaturale illuminasse -quel Sabato Santo, quasi ritornato -fantasma di quell'eclisse -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i12"> che in ciel fue</p> -<p class="i01">quando patì la suprema Possanza.</p> -</div></div> - -<p> -Era uno di quei mattini oceanici in -cui l'aria e l'acqua, luna nell'altra convertendosi -a vicenda, sembrano formare -un solo elemento inane. Grandi velarii -pallidi sorgevano, si dilatavano, si laceravano, -cadevano a brandelli, si rammendavano, -si ritessevano senza fine. -La Landa pareva sollevarli e respingerli -col suo fiato affannoso, perché era -travagliata dalla doglia della fecondità. -A quando a quando, se spirava il ponente, -i lembi e le volute s'imbiutavano -di fovilla, s'ingiallivano del solfo arboreo. -Talora una nuvola di polvere ferace -rimaneva sospesa su le chiome dei pini. -<span class="pagenum" id="Page_102">[102]</span> -ondeggiava, dileguava per ispandersi altrove -in piogge nuziali. Aerei entrambi, -il pòlline e la cenere si mescolavano, -come se il vento rapinasse i fiori e gli -avelli. -</p> - -<p> -E colui che aveva contuso il pòlline -e la cenere nell'émpito dei suoi più alti -canti e divinamente comunicato all'una -la virtù dell'altro, il poeta annunciatore -e intercessore non anche era spirato in -quel mattino, se bene io lo credessi e -vedessi già composto nella sua finale -santità. Ma, mentre erravo di duna in -duna seguendo il mio dolore che pareva -sopravvanzarmi, mi punse il cuore un'improvvisa -sollecitudine dell'amico che ancora -viveva lì presso; ed ebbi un desiderio -ansiosissimo di rivederlo perfetto. -</p> - -<p> -Or il suo vóto non era adempiuto? -Non aveva egli omai accompagnato il -Redentore sino all'ultima stazione della -<i>Via Crucis</i>? Passata era l'ora di nona, -l'ora del grande grido; passato era -l'antisabato; Giuseppe e. Nicodemo avevano -<span class="pagenum" id="Page_103">[103]</span> -tolto dal legno il corpo, póstolo -nel monumento e rotolata all'apritura -la pietra. Come poteva ancor durare -l'agonia del seguace? fino al Resurresso? -e oltre, forse? -</p> - -<p> -Dal giorno dell'Estrema Unzione non -ero più stato a visitarlo. Perseverava in -me il turbamento, e non so che terrore -indefinito. La nostra amicizia terrena -era chiusa tra quei due pianti, quasi -terra compresa da due riviere nate d'una -sola sorgente come il Letè e l'Eunoè. -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Da questa parte, con virtù discende</p> -<p class="i01">che toglie altrui memoria del peccato;</p> -<p class="i01">dall'altra, d'ogni ben fatto la rende.</p> -</div></div> - -<p> -Ma, pur trovandomi in paese di sete -e sitibondo, non m'attentavo di bere. -Tuttavia rimanevo tra quei due confini -senza trascendere né l'uno né l'altro -(non per rientrare nella mia patria antica, -non per avanzarmi verso la mia -patria futura) quasi in una sosta di contemplazione -e d'indagine. E quivi pensieri -<span class="pagenum" id="Page_104">[104]</span> -viventi, sin allora a me estranei o -da me ignorati, mi divenivano familiari -come i colombi che beccano il frumento -nel cavo della mano. E talvolta il giovine -dalla sindone era meco; il qual -serbava in fondo agli occhi notturni una -imagine del Maestro non veduta da -alcuno. E mi lasciava egli scrutare il -fondo de' suoi occhi, talvolta. -</p> - -<p> -Ricomparire dinanzi all'Unto di Dio, -mentre gli stava ancóra in bocca il respiro -carnale, mi pareva intempestivo; -né avrei voluto di nuovo toccare la sua -mano, assistere agli ultimi istanti, udire -i suoi rantoli, farmi testimone della sua -fine. Piuttosto che commettere un tal -fallo, sopportavo il dubbio di sembrargli -duro o richiuso. Ben so come ornai, -di quel ch'egli soleva chiamare «il nostro -bel segreto» nel tempo della reticenza, -io non possa più parlare se non con -me medesimo, e sotto la specie del -canto misurato. -</p> - -<p> -Gli mandavo ogni sera i frutti italiani; -<span class="pagenum" id="Page_105">[105]</span> -ché qualche stilla di quel succo fu sino -all'estremo l'unico suo ristoro. Ma pregavo -la sua figliuola che non glie li -mostrasse, non potendo ella recargli -anche la preghiera sconosciuta che l'accompagnava. -Seguivo col pensiero la -fresca offerta che giungeva alla casa di -legno verso l'ora della salutazione angelica. -Credevo udire la campanella della -porta, il passo di quella che andava ad -aprire, le parole susurrate, e poi nell'ombra -lo scroscio dell'arancia sugosa -premuta nel bicchiere che riluceva. E -quella imaginazione mi diveniva presenza -quasi reale. Sentivo l'odore spandersi; -vedevo biancheggiare il morente -sul guanciale, e il chiarore della sera -adunarsi nello specchio come negli -stagni della Landa. E si generava in me -non so che dolcezza accorata e melodiosa, -da cui sgorgò una sera il canto -alterno di Ugo e di Parisina presso il -ceppo del supplizio, in fondo alla Torre -del Leone. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_106">[106]</span> -</p> - -<p> -Diceva Parisina: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Udito hai tu,</p> -<p class="i01">udito hai tu sul muro</p> -<p class="i01">della torre crosciare</p> -<p class="i01">la piova? Tutto è fresco,</p> -<p class="i01">tutto è mondato.</p> -<p class="i01">Or mi ricreo</p> -<p class="i01">come il fil d'erba.</p> -<p class="i01">E so che nel ciel ride</p> -<p class="i01">già la stella diana.</p> -</div></div> - -<p> -E Ugo: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Passato è un tempo,</p> -<p class="i01">passato è un tempo,</p> -<p class="i01">ch'io non posso più dire;</p> -<p class="i01">e quel che innanzi avvenne</p> -<p class="i01">e quel che dopo ancóra,</p> -<p class="i01">io noi viddi, noi seppi.</p> -<p class="i01">Forse or ti nasco;</p> -<p class="i01">e la morte, ch'è sopra,</p> -<p class="i01">par sì lontana.</p> -</div></div> - -<p> -E l'amata: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Ah tu non sai,</p> -<p class="i01">non sai qual sia</p> -<p class="i01">nella tua bocca</p> -<p class="i01"><span class="pagenum" id="Page_107">[107]</span></p> -<p class="i01">la voce nova!</p> -<p class="i01">La volta cupa</p> -<p class="i01">ove risuona</p> -<p class="i01">sembra il segreto</p> -<p class="i01">antro d'un fonte.</p> -</div></div> - -<p> -E l'amato: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Vedi che occhi</p> -<p class="i01">s'apron ne' miei?</p> -<p class="i01">In me tu sali,</p> -<p class="i01">cresci qual mare</p> -<p class="i01">senza amarezza.</p> -<p class="i01">Il flutto è in sommo.</p> -<p class="i01">Non ho il tuo sguardo</p> -<p class="i01">sotto la fronte?</p> -</div></div> - -<p> -E la melodia sviluppandosi assumeva -un che di vitreo e di verde, un che -d'acqua e d'erba, a imagine di quel giovinetto -che un mattino vidi in un sandalo -falciare, con la falce mortuaria -dal lungo manico, le piante acquatiche -nel fossato fosco intorno al Castello di -Ferrara. -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">O mio fastello d'erbe,</p> -<p class="i02"> dove t'ho da posare?</p> -</div></div> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_108">[108]</span> -</p> - -<p> -La nepote di Francesca rispondeva: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Pesami accanto al ceppo.</p> -<p class="i01">C'inginocchiammo</p> -<p class="i01">due volte. Anco due volte</p> -<p class="i01">bisogna, o bello</p> -<p class="i01">e dolce amico,</p> -<p class="i01">bisogna a noi due volte</p> -<p class="i01">i ginocchi piegare.</p> -<p class="i01">La prima nel peccato,</p> -<p class="i01">la seconda nell'onta,</p> -<p class="i01">la terza nella morte,</p> -<p class="i01">la quarta nell'eternità...</p> -</div></div> - -<p> -Quando, molto a notte, salivo alla mia -stanza per coricarmi, strani brividi attraversavano -la mia stanchezza inquieta, -e i miei occhi sbarrati guardavano da -per tutto; che m'attendevo una di quelle -apparizioni che annunziano il transito -delle persone care. E lo specchio era -pieno d'orrore. -</p> - -<p> -Certo, non cessavo dall'aver paura -della morte, se bene per giorni e giorni -l'avessi veduta abitare un uomo e scavarlo -di dentro. Ma sentivo che alfine -<span class="pagenum" id="Page_109">[109]</span> -ero per vincere pur quella paura, e per -ottenere dal morente una tal vittoria. -Declinava il meriggio, nei Sabato Santo, -quando l'angelo neutro per i sentieri -sordi della foresta mi condusse nei pressi -della collina arenosa ove sorgeva la -Cappella di Nostra Donna. Scopersi in -alto, di tra i rami dei pini carichi di -fiori nuovi e di pigne secche, l'infermeria -domenicana col suo verone di -legno e sul verone la finestra che dava -adito alla camera del morente. Così, non -veduto, rimasi all'agguato della morte. -</p> - -<p> -La casa era tacita; l'adito era vacuo -come quelle aperture senza vetri e senza -imposte, che sfondano all'infinito nelle -case abbandonate di Assisi. Una donna -passò cautamente, s'inclinò su la soglia, -si fece il segno della croce, disparve -nell'ombra. Un uomo ne uscì, s'incontrò -con una fanciulla dai capelli sciolti, si -mise l'indice su le labbra per ammutolirla, -poi la trasse pel braccio nudo. -Nessuno piangeva. I lineamenti umani -<span class="pagenum" id="Page_110">[110]</span> -erano come raffermati dalla necessità. -L'aspetto della casa stessa era come -Indurito. L'aria intorno vi pareva senza -mutamento. Qualcosa come un cristallo -spesso la separava dalla respirazione -del borgo sparso per le sabbie, ov'era -sonata l'ora del pasto comune. -</p> - -<p> -Stavo accosciato su le radici d'un -pino. Giovanni era meco, o la parte migliore -di me era divenuta simile a lui; -perché tutte le cose fisse intorno, tutte -le cose radicate, erano in me riunite da -movimenti d'amore come nel ritmo della -sua poesia. Le formiche salivano e discendevano -per le vecchie cicatrici del -fusto come per le lor vie maestre, in -traffico, mentre taluna di loro galleggiava -morta nel vasetto d'argilla colmo -di résina e d'acqua piovana. Pei nuovi -intagli la ragia colava bianchiccia come -la cera che si strugge e goccia intorno -ai torchietti dell'altare; ma qua e là vi -brillavano lacrime limpide come acini -di cristallo. E dove erano infissi i pezzi -<span class="pagenum" id="Page_111">[111]</span> -di bandone obliqui per condurre lo scolo, -quivi la piaga pareva più dolente. E, -se volgevo gli occhi alla cima, sentivo -ch'essa non era toccata dal dolore ma -era assorta in un pensiero d'altezza. <i>Redolet -non dolet.</i> -</p> - -<p> -Tutto si santificava in una luce di -grazia, in una «bontà senza figura.» Il -più tenero fiore di cinque petali era -schiuso entro una povera scarpa accartocciata -come una scorza. Un germoglio -lanoso spuntava dal fóro di una latta -arrugginita; e tra gli spigoli della lamiera -storta brulicavano su per i fili della tela -minuscoli ragni, gialli come granelli di -pòlline. E il minuto pigolìo dei pulcini -nascosti nel cespuglio era come se quel -brulicame divenisse vocale. E da ogni -più piccola voce si partiva un'onda -senza fine confusa nell'immensa dissonanza -del vento. E il vento era come il -rammarico di ciò che non è più, era -come l'ansia delle geniture non formate -ancóra, carico di ricordi, gonfio di presagi, -<span class="pagenum" id="Page_112">[112]</span> -fatto d'anime lacere e d'ali vane. -E forse andava, laggiù, a sfogliare il libro -aperto sopra il leggìo di quercia, -quel libro ch'era antico quando la quercia -ancor «viveva nella sua selva sonora». -E forse l'ascoltava, laggiù, il cieco che -non sa donde venne, non sa dov'ei vada, -né può cansar l'abisso che si sente ai -piedi... «di fronte? a tergo?» -</p> - -<p> -Tanto era viva la presenza fraterna -che mi volsi come se avessi udito il mio -nome. E Giovanni di San Mauro era là, -sotto un gran rovo intricato che soffocava -una ginestra in fiore. Aveva la sua -veste dei campi, la sua veste di contadino: -il capo scoperto, il collo nudo. -Sedeva sopra un ceppo tagliato. Col -mento nella palma, mi guardava dentro -il cuore; e, nella fissità, la sua guardatura -aveva a destra una lieve loschezza -come se quella fosse la pupilla sempre -«intenta ad altro». Era tutto bianco, -incanutito; e la fronte era veramente -un luogo di luce per moltitudini, ma -<span class="pagenum" id="Page_113">[113]</span> -le ritrose dei capelli le davano un che -di selvaggio in sommo, un che d'indocile -su tanta umiltà. Le sue mani scarnendosi -erano divenute belle. E il silenzio -delle sue labbra era fatto di quelle -profonde pause che ne' suoi poemi contengono -il suo più umano amore o il -suo più divino orrore. -</p> - -<p> -In quel punto scoccò, dalla torre della -Cappella, l'ora seconda dopo mezzodì. -Sul verone il vano dell'adito era come -un gorgo d'ombra. N'escì una donna -che non piangeva, ed entrò nella porta -accanto, levando le braccia. E vennero -alcune altre donne, alcuni uomini, una -fanciulla, tre giovinetti; e nessuno piangeva. -Ma tutta quella famiglia adunata -sembrava assumere una forma atta a -ricevere l'ignoto, a ritenere in sé il peso -dell'esanime. Il morto entrava nei vivi; -e, prima di trasformarsi in memoria, riviveva -in loro con la sua canizie, con -le sue rughe, con le sue spalle curve, -con i suoi occhi pallidi, con la sua voce -<span class="pagenum" id="Page_114">[114]</span> -fievole, con le sue viscere ulcerate. Entrarono -l'un dopo l'altro nel gorgo d'ombra; -s'inginocchiarono, s'accalcarono intorno -al letto, divennero una cosa compatta -su cui il morto pesò come su una -bara di carne e d'ossa. Tutte le voci -della Landa non valevano contro il silenzio -che serrava la carcassa di legname -in quella guisa che i ghiacci polari serrano -la chiglia della nave prigioniera. -La casipola rossastra, dentro la sua siepe -di biancospino e di giunco marino, covava -il più chiuso mistero del mondo: -il corpo dell'uomo santo, la spoglia inerte -di colui che ha offerto l'anima a Dio e -votato sé stesso alla vita eterna. -</p> - -<p> -Passai davanti alla porta, su pel sentiero -di sabbia, senza arrestarmi. A ogni -passo, mi pareva di perdere qualcosa -di me, di lasciarmi sfuggire qualcosa -di più fervido che il sangue, come se -fossi premuto dal rigore di due ombre. -A ciascun fianco avevo la morte, come -chi cammina fra due compagni per favellare -<span class="pagenum" id="Page_115">[115]</span> -con l'uno e con l'altro alternativamente. -Vedevo il cadavere nell'aspetto -più spaventoso, quando non è -ancóra immobile, quando non è ancóra -in pace, quando il rito funebre lo manomette, -lo costringe a simulare il gesto, -movendolo, sollevandolo, nel purificarlo, -nel vestirlo. Come giunsi al principio -della mia viottola, a poca distanza -dal cancello, mi riscoppiò nello spirito -un lampo dell'allucinazione che mi aveva -tormentato per tutto l'autunno. L'uomo -era là, ma senza rilievo. -</p> - -<p> -Quando salii su la mia duna, la bassa -marea aveva scoperto nell'insenata il -lungo banco mediano, simile nella forma -sottile a un ramo secco di palmizio. Era -grande bonaccia, nell'aria e nell'acqua. -I velarii continuavano a svolgersi e a -dissolversi. A tratti il sole appariva tra -lembo e lembo; e tutte le sabbie si schiarivano, -con un che di molle come il colore -interno della banana. Si velava: e -tutte scurivano, si facevano brune come -<span class="pagenum" id="Page_116">[116]</span> -gli aghi aridi accumulati, come le fascine -delle palafitte. -</p> - -<p> -Il corpo dell'annegato si riformò sul -banco, intiero come quando l'avvistai la -prima volta. -</p> - -<p> -Fu una mattina di settembre: un cielo -candido, un mare quasi di latte. La marea -discendeva. Ero seduto su la loggia. -Guardando, scorsi sul banco non so che -cosa solitaria e immobile, la cui tristezza -mi gravò il cuore prima che la vista la -riconoscesse. Era un cadavere deposto -dalla corrente, era l'annegato del giorno -innanzi: una povera cosa nuda, più misera -d'un rottame, più squallida d'un -mucchio d'alghe; ma ora pareva che -tutti i lineamenti del paese e della marina, -da levante a ponente, da borea a -mezzodì, convergessero in quel punto -di miseria. Scesi alla spiaggia, chiamai -due rematori; e andammo con la barca -fino alla secca, per ricondurre l'uomo. -Stava bocconi, con la testa pendente in -un cavo della sabbia, con le ginocchia -<span class="pagenum" id="Page_117">[117]</span> -profondate, con le calcagna in alto, con -le mani conserte presso l'ombelico. Il -sangue versato dalle orecchie e dalla -bocca tingeva la poltiglia acquidosa, e -la rena scorreva lenta nel cavo e si mescolava -al sangue. Un'orecchia e i capelli -intorno erano ingrommati; il braccio -era scarnissimo, bianchiccio, debole -come un braccio di femmina; le unghie -e le falangi erano paonazze come quelle -del tintore a zàffara; le gambe erano -pallide sotto i peli bestiali, i piedi erano -chiazzati d'azzurro. Lo guardavo con -l'attenzione terribile dell'arte, come non -l'avrebbe guardato neppure la sua madre; -me lo stampavo dietro le pupille. -Tenevo curvato su lui il mio ribrezzo -angoscioso con le due branche della mia -volontà. Una vespa ci ronzava intorno -insistente, e la sabbia era lavorata come -i bugni. -</p> - -<p> -I rematori gli presero i malleoli in un -nodo scorsoio, e lo trassero in acqua -con la gomenetta legata a poppa. Il -<span class="pagenum" id="Page_118">[118]</span> -sangue nero rimase nella poltiglia, e lo -lavò la marea più tardi. Ricevetti per -sempre nel cervello anche l'orrenda scìa. -Poi i due, aiutati da un terzo, lo sollevarono -all'approdo. Ciascuno lo teneva -sotto l'ascella, e il terzo per i piedi cerulei. -S'inarcava appena, essendo rigido; -e la testa pendeva giù come nel -cavo, col naso pieno di coagulo rossiccio. -</p> - -<p> -La sera me lo rividi ritto su la loggia, -nell'ombra. Per gli occhi sbarrati -dallo spavento m'entrò anche più a dentro. -M'era sconosciuto; non sapevo nulla -di lui, fuorché qualche notizia vaga del -suo stato modesto, della sua vita volgare. -E l'avevo compagno implacabile. -Calando il sole, cominciavo a temerlo. -M'aspettava presso il cancello, quando -rientravo. Nelle notti di lavoro, quando -nella stanza attigua la candela s'era -strutta, appariva nel rettangolo buio -dell'uscio. Gli vedevo l'orecchia piena -di grumi, la bocca e il naso carichi, il -<span class="pagenum" id="Page_119">[119]</span> -braccio scarno. E non m'era più possibile -dormire dalla parte del mare. -</p> - -<p> -Poi fu meno assiduo, si mostrò a intervalli -sempre più lunghi, si scolorò, -divenne una larva fievole, si disperse. -Ma il pensiero della morte restò in me -gravato da quell'orrore. -</p> - -<p> -Ed ecco che riappariva, ecco che si -rimetteva bocconi su la sabbia ad aspettare, -come se io dovessi di nuovo imbarcarmi -e andare a cercarlo! -</p> - -<p> -Sì, la paura corporale della morte era -in me, come se l'uno e l'altro amico dipartendosi -m'avessero curvato verso il -sepolcro, verso la putredine l'ossame e -la cenere. Le dita invisibili della malattia -mi sfioravano la nuca, le reni, la -gola, i precordii. Camminavo imaginando -le gambe appesantite da un piombo -subitaneo o invase da una sorda mollezza -di bambagia. Vedevo chino su me -il medico che ascolta e che palpa. Un -soffio, un fremito, un qualche romore di -condanna m'esciva del cuore; o da una -<span class="pagenum" id="Page_120">[120]</span> -molecola del cervello un offuscamento -repentino si spandeva su tutto, come il -nero che schizza dalla borsa della seppia -e intorbida l'acqua. -</p> - -<p> -Dominai l'angoscia. Tuttavia le cose -mi si manifestavano come se io le guardassi -da non so che chiusa profondità. -I suoni parevano impigliarsi nel silenzio -come in una sostanza tenace: il gemito -fioco d'una sirena all'imbocco, il rombo -d'un'elica, il tonfo d'un remo, il richiamo -d'un pescatore, il grido d'un uccello. -E le attitudini disperate dei pini, -davanti la mia loggia, in tanta inerzia -dell'aria, mi toccavano per un sentimento -simile a quello ch'esprimono i -gruppi scolpiti della Deposizione, ove -le Marie si piegano sul divino corpo investite -da una ráffica di dolore. Lo sforzo -iroso del vento aveva torto per anni -i tronchi e i rami; e l'aspetto della tortura -durava, mentre l'aria era immobile. -</p> - -<p> -Un fanciullo mi portò l'annunzio dall'infermeria -domenicana. Uno dei figli -<span class="pagenum" id="Page_121">[121]</span> -mi scriveva come il padre gli avesse -raccomandato di annunziare la sua fine -a me prima che ad ogni altro e di comunicarmi -che nel Venerdì Santo «all'ora -di nona» m'aveva benedetto e poi -non aveva più parlato in terra. -</p> - -<p> -Mi disposi di visitare il beato, declinando -il sole. Non so che umida dolcezza -s'era diffusa nel cielo: qualcosa di -racconsolato e di fidente, che mi ricordava -il volto del vecchio quando uscimmo -insieme sul sentiero di paglia, la -prima volta, dopo il pianto. I gradini -della mia scala esterna erano polverosi -di pòlline, ove il piede lasciò la traccia. -Il medesimo solfo vivace ingialliva i -margini del viale. I miei cuccioli di otto -mesi, che l'uomo del canile conduceva -su la spiaggia per l'esercizio del pomeriggio, -mi corsero incontro facendomi -festa a gara. Alzati su le zampe nervute, -mi coprivano della loro vita pieghevole -e trepidante. I loro denti erano più puri -del gelsomino, e i loro occhi vai o grigi -<span class="pagenum" id="Page_122">[122]</span> -o lionati parevano scintillare alla cima -della loro inquietudine. Una pena mi si -svegliò nel cuore: pensai ai miei cuccioli -di cinque giorni, dagli occhi ancóra -suggellati. Erano nove; e, per non -spossare la madre, bisognava risolversi -alla scelta crudele, al sacrifizio dei meno -belli e dei meno forti! Avevo fatto cercare -da per tutto una nutrice, senza -riuscire a trovarla. Entrai nel canile, -col cuore ammollito da una pietà quasi -feminea. La levriera, coricata sul fianco, -teneva il muso nascosto tra le zampe -incrociate, con la grazia del cigno che -caccia il becco sotto l'ala. I suoi belli -occhi d'un colore di dattero avevano -una lucentezza quasi febrile, e un lieve -affanno sollevava le sue costole disegnate -come i madieri d'una carena. Cinque -de' suoi piccoli poppavano, con un -vigore già pugnace, pontando contro il -seno materno le due zampette per ispremere -la mammella, scotendo a tratti il -capo per meglio trarre; e un'ondulazione -<span class="pagenum" id="Page_123">[123]</span> -di godimento correva dalla grinzolina -della collottola alla punta della coda -di sorcio, parendo quasi render palese -il getto irrigante; e un fievole fiottìo accompagnava -il poppare, un fiottìo lontano -che faceva pensare a quello mattutino -dei gabbiani sospeso su la bonaccia. -Gli altri quattro, sazii, dormivano -sul dorso come bimbi, mostrando il ventre -roseo dove l'ombelico era appena -chiuso, mostrando la pianta dei peducci -lucida e tenera come certe fogliette appena -nate, che sembrano di cera e di -lanugine. A quando a quando sussultavano -e gemevano come se già sognassero. -Uno seguitava a poppare in aria, -con la bocca molle modellata su la forma -del capezzolo; e la lingua era concava -come un petalo carnicino; e la gola palpitava -come se tuttora la irrigasse il -latte. -</p> - -<p> -Mai il primo fiore della vita animale -m'era parso più miracoloso. La cagna -aveva alzato il muso verso la mia carezza, -<span class="pagenum" id="Page_124">[124]</span> -poi s'era volta a leccare il poppante -che succhiava l'ultima mammella -già esausta premendola con un'insistenza -irosa. Ella gli dava leggeri colpi per rivoltarlo -sul ventre, ma il catellino tenace -non lasciava la presa e metteva -un suono di dispetto simile a un garrito -spento. Era bianco pezzato di grigio; -aveva una stella in fronte, un orecchio -bruno e uno roseo, ancor nudo, suggellato -come gli occhi, occluso da due o -tre vescichette lustre. Lo conoscevo bene -in tutti i suoi segni, come gli altri. E -ora tutto mi pareva straordinario, divino -come la diversità dei fiori, con -quegli screzii del pelame, con quelle -mischianze misteriose dei caratteri materni -e paterni. Li avevo veduti escire -a uno a uno, come piccole nuvole opaline, -come sfere azzurrognole, come -mondi informi: spettacolo nauseabondo -e sublime. Avevo veduta la infaticabile -tenerezza della madre nettarli a uno a -uno dall'orrenda schiuma, troncare il -<span class="pagenum" id="Page_125">[125]</span> -cordone sanguinante, sospingerli ciechi -e sordi verso la fonte tiepida della sua -vita. Tutto m'era parso grande e augusto, -portento d'amore e di sapienza; -tutto ora mi pareva sacro. Come avrei -potuto scegliere e condannare? Mi sentivo -pronto a qualunque ufficio più umile -e greve per salvare pur la men bella di -quelle creature viventi. -</p> - -<p> -L'uomo del canile indovinò la mia -pena e mi disse: «Aspettiamo ancóra -qualche giorno. La nutrice si troverà. -Me n'hanno promessa una, nella Landa». -</p> - -<p> -Mi mossi verso la Cappella di Nostra -Donna. Il cuore mi oscillava tra la vita -e la morte. Avevo preso meco un mazzo -di rose che somigliavano quelle ch'io -non vedo più, quelle di Toscana alternate -coi giaggiuoli lungh'essi i muri graffiti -dei poderi, a Castel Gherardo, o -verso il Palagio del Sere, o lassù al Crocifisso -Alto. Riudivo il versetto intonato -da Enrico Suso: «O giovinetta rosa di -primavera! <i>O vernalis rosula!»</i> -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_126">[126]</span> -</p> - -<p> -Nessuno piangeva, nella casa domenicana. -Un dolore composto e taciturno -annobiliva tutta quella genitura discesa -dall'uomo santo. Passai pel verone di -legno, non scorsi rilucere lo specchio, -misi il piede sul limitare, vidi qualcosa -di bianco nascere, presso e lontano. -Prima che le pupille scoprissero l'immobile -forma, nel mio amore e nella -mia reverenza due bare si congiunsero. -L'umile uomo da bene e il poeta indimenticabile -erano una sola morte. Ed -erano un solo sorriso, una sola pace, -una sola beatitudine. -</p> - -<p> -Non avevo mai veduto la morte vestita -di quel divino pudore, se non in certe -stele funerarie ad Atene, se non in certe -pietre sepolcrali di questa terra di Francia, -nelle quali il marmorario sembra -precorrere il lavoro dell'Artefice eterno -che al novissimo dì riscolpirà tutti i -volti secondo la bellezza perfetta. Ogni -lesione della vita pareva cancellata. Non -l'anima soltanto, non soltanto l'anima -<span class="pagenum" id="Page_127">[127]</span> -di sacrificio e di preghiera, ma la carne -di dolore e di colpa aveva ottenuto l'indulto. -Tanto dunque una carne miserabile, -vaso di dissolvimento, può divenir -bella nelle prime ore della morte? Ero -certo che anche nel volto del mio fratello, -laggiù, su la collina d'Italia, risplendeva -quella bellezza. -</p> - -<p> -Posai le rose su' suoi piedi congiunti -sotto la coltre bianca. Mi chinai a baciarlo -in fronte, e non ebbi terrore. Una -voce sommessa mi chiese: «Non volete -pregare per lui?» Mi fu offerto un inginocchiatoio -leggero, che aveva la predella -di paglia. M'inginocchiai. Altre -creature erano in ginocchio e pregavano, -senza susurro. -</p> - -<p> -Volgevo le spalle alla luce. La mia -ombra cadeva sul letto funebre, stava -su le ginocchia sparenti del cadavere, -incrociata con quel corpo tanto sottile -che non s'alzava dal piano più d'un -bassissimo rilievo né sembrava pesare -più della mia ombra. Quanti difficili -<span class="pagenum" id="Page_128">[128]</span> -nodi ho conosciuto, dai più robusti che -fanno con i canapi i marinai a quelli -che si piacque di disegnare l'ermetico -Leonardo! Ma nessuno mai arcano come -il groppo di quelle due mani esangui -intorno al crocifisso d'ebano. Nessuno -mi parve mai tanto durevole e indissolubile. -L'osservavo di continuo, gli occhi -miei affascinati fisandosi di continuo -in quel punto; e non riescivo a comprendere -come le dita fossero tra loro -intessute, come quella cosa pallida e -solinga fosse connessa. -</p> - -<p> -Il chiarore che tante volte avevo veduto -nello specchio spaventoso, quel -medesimo ora occupava la stanza. Mi -volsi un poco a sinistra, e scorsi lo -specchio coperto d'un lenzuolo bianco. -Quali visioni insostenibili aveva serbato -nel profondo? -</p> - -<p> -Da prima in me fu silenzio. L'umile -uomo da bene e il sovrano cantore del -bene erano una sola morte e una sola -santità. Volgevo le spalle alla luce del -<span class="pagenum" id="Page_129">[129]</span> -giorno occidente, all'immensa Landa -deserta. Era in me col silenzio un'attesa -senz'angoscia. E a poco a poco uno -spirito musicale entrava in me. Mi sovveniva -della sera d'ottobre, della sera -d'un altro sabato, d'un abituro presso -un'altra Cappella, in mezzo a un'altra -foresta. Mi sovveniva di Francesco alla -Porziuncola e dell'ultimo cantico cantato -nell'ombra, con la faccia rivolta -al cielo, mentre i fratelli ascoltavano -rattenendo il respiro. «<i>Voce mea ad -Dominum clamavi.</i>» Tutto il cielo, -quando il Serafico si tacque alla soglia -d'eternità, tutto il cielo della sera -fu pieno d'un coro miracoloso di allodole. -</p> - -<p> -Ed ecco, dall'immensa Landa, una -melodia sorse e si sparse, una melodia -che forse già riempiva tutta l'ombra -degli alberi piagati ma che non fu da me -udita se non in quel punto. Di duna in -duna, di selva in selva, di macchia in -macchia, la Landa si fece tutta melodiosa, -<span class="pagenum" id="Page_130">[130]</span> -fino all'Oceano. Era un cantico -d'ali, un inno di piume e di penne, quale -non s'ebbe più vasto il Serafico, quale -non si sognò così pieno Paulo di Dono. -Era la sinfonia vesperale di tutta la -primavera alata, per Giovanni di San -Mauro, per l'interprete di ogni aerea -voce. -</p> - -<p> -Saliva, saliva senza pause. E a poco a -poco, di sotto al salmo silvano, si moveva -una musica fatta di gridi e di strepiti -conversi in note armoniose da non -so qual virtù della lontananza e della -poesia. Erano i suoi famigliari che -avevano cullato i sogni agresti di Castelvecchio: -risa di bimbi, favellìo di -massaie, uggiolìo di cani, péste di cavalli, -mugghi di mandre, stridore di -carretti. E i galli chiamavano e rispondevano, -dai chiusi di giunco marino e -di bianco spino, come se il vespro si -mutasse in alba, la quiete in risveglio. -E le campane sonavano come «nei -cilestri monti». E la sera varcava la -<span class="pagenum" id="Page_131">[131]</span> -soglia, simile a un grande arcangelo -velato. -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Giova ciò solo che non muore...</p> -</div></div> - -<p> -La cella era divenuta cupa come -una cripta, ma il salmo della Landa la -riempiva come il rombo dell'Oceano -riempie la conca. Il letto bianco era -divenuto simile a quelle arche d'argento -che splendevano nella vecchia contea di -Sciampagna; e sopra vi giaceva una -statua supina. E non era l'effigie d'un -morto ma d'un immortale: come le -figure del secolo di fede, aveva gli -occhi aperti perché non credeva se non -nella Vita. Come nell'antifonario di -Santa Barbara, era per levarsi e per -dire con un'allegrezza imperiosa: «<i>Aperite -mihi portas justiciæ. Ingredior in -locum tabernaculi admirabilis usque -ad domum Dei</i>». Non mostrava le tracce -degli anni, i solchi senili; ma era ferma -nella giovinezza del Risorto, nell'età che -tutti gli uomini avranno quando saranno -<span class="pagenum" id="Page_132">[132]</span> -per risorgere come Lui. E non le stava -sul capo la guglia trilobata che sovrasta -ai Santi nei pilastri e nelle vetriere della -cattedrale? E il duomo di Dio, la cattedrale -unanime e innumerabile, non -s'alzava di sopra a quella cripta nuda, -con la sua selva di simboli e di misteri? -E il sole gotico non s'era colcato dietro -la grande Rosa? -</p> - -<p> -Il salmo non aveva fine. Tutto pareva -salire, ancóra salire, sempre salire, nel -rapimento di quel canto. Il ritmo della -Resurrezione sollevava la terra. Io non -sentivo più i miei ginocchi, né occupavo -il mio luogo angusto con la mia persona; -ma ero una forza ascendente e -molteplice, una sostanza rinnovellata -per alimentare la divinità futura. Cose -ignote, esseri ignoti erano per nascere -al suono della mia prossima voce. Non -v'era più ombra né paura di morte in -me; né pur v'era desiderio o speranza -di pace. «Non voglio la pace. Voglio -morire nella passione e nel combattimento. -<span class="pagenum" id="Page_133">[133]</span> -E voglio che la mia morte sia -la mia più bella vittoria.» Avevo accesa -una nuova lampada ma anche rifuso -un più ricco olio nell'antica perché riardesse. -Mi sentivo figlio di me, e le mie -labbra non avevano appreso a proferire -il nome del Padre nell'orazione. -</p> - -<p> -«Amici, è sempre sera e presto sarà -notte.» Vedendo guizzare su la parete -un lume improvviso, mi levai. Qualcuno -stava per accendere un cero a pie dell'arca -imaginaria. Mi levai, mi volsi, -uscii. L'atto fu così rapido che nessuno -mi seguì, tranne un giovinetto. Gli aditi -erano bui. Non lo distinguevo. Quando -mi sfiorò il braccio per passarmi innanzi, -vidi brillare il bianco de' suoi occhi. -Quando fummo sotto la tettoia, vidi la -sua faccia dorata, le ciocche folte e -nere de' suoi capelli. Lo sentii tremare -mentre m'apriva la porta sul sentiero -di sabbia. Allontanandomi, non udii il -rumore del cardine dietro di me; e -pensai ch'egli fosse rimasto sul limitare -<span class="pagenum" id="Page_134">[134]</span> -a guardarmi. Ma non mi voltai. Mi -pareva che un viso nuovo mi fosse nato -dal mio spirito. L'imagine rivelatrice -del giovine dalla sindone mi toccò la -cima del cuore. -</p> - -<p> -Discesi la duna. Il calcagno s'affondava -senza sonare. La Landa ora taceva, -in una nuvola di pòlline, piena di connubio. -Il salmo vesperale era cessato. -Una costellazione misteriosa si accendeva -nel cielo violetto. Il tuono remoto -dell'Oceano era come il vigore del -silenzio. -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Giova ciò solo che non muore, e solo</p> -<p class="i01">per noi non muore, ciò che muor con noi.</p> -</div></div> - -<p> -Ero in quello stato di potenza che -talvolta ci fa sentire come il vivere non -sia se non un continuo creare. Passai -presso un cespuglio fragrante nell'ombra, -che mi divenne un sentimento meraviglioso. -D'un tratto uno scoppio di -passione canora trasmutò il silenzio in -un'ansia intenta. Le stelle s'appressarono -<span class="pagenum" id="Page_135">[135]</span> -alle chiome dei pini feriti. Cantava -l'usignuolo. -</p> - -<p> -Vidi brillare il Faro laggiù, su l'estrema -lingua di sabbia. M'accorsi d'esser -vicino alla mia duna. Camminai verso -la casa, con l'anima rovesciata indietro -a ricevere il canto. Un'ombra stava diritta -presso il cancello, nel luogo medesimo -ove soleva aspettarmi l'uomo livido. -M'appressai con un passo più rapido, -con gli occhi aguzzati. -</p> - -<p> -Era uno sconosciuto della Landa che -mi conduceva la nutrice. Teneva a guinzaglio -una cagna da caccia, che a quando -a quando mandava fuori un lamentìo -sommesso. E la voce della madre era -così straziante che non udii più quella -dell'usignuolo. «Dove ha lasciato i suoi -piccoli?» chiesi allo sconosciuto. Il carnefice -li aveva annegati in una tinozza -d'acqua fredda, tutti: erano dodici! Mi -curvai verso la disperata, posi un ginocchio -a terra. Lo sprazzo rosso del -Faro illuminò la sua bella testa falba -<span class="pagenum" id="Page_136">[136]</span> -dalle larghe orecchie di velluto, la sua -faccia possente e pacata ove brillavano -due occhi folli. E vedevo galleggiare -nella tinozza i dodici piccoli cadaveri. -</p> - -<p> -Allora, inginocchiato su la sabbia, le -palpai le mammelle ch'erano gonfie e -calde tra i lunghi peli bianchi e bai. Il -forte lezzo della maternità mal curata -e della cuccia negletta mi rendeva più -pesante il cuore. E lo sprazzo candido -del Faro mi passò sul capo chino. -</p> - -<div class="figcenter"><a id="fill-136"></a> - <img src="images/ill-136.jpg" alt="" /> -</div> - -<div class="tnote"> -<p class="tntitle"> -Nota del Trascrittore -</p> - -<p> -Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo senza annotazione -minimi errori tipografici. -</p> - -<p class="covernote"> -Copertina creata dal trascrittore e posta nel pubblico dominio. -</p> -</div> - - - - - - - - -<pre> - - - - - -End of Project Gutenberg's Contemplazione della morte, by Gabriele D'Annunzio - -*** END OF THIS PROJECT GUTENBERG EBOOK CONTEMPLAZIONE DELLA MORTE *** - -***** This file should be named 62417-h.htm or 62417-h.zip ***** -This and all associated files of various formats will be found in: - http://www.gutenberg.org/6/2/4/1/62417/ - -Produced by Barbara Magni, elisa and the Distributed -Proofreading team at DP-test Italia, -http://dp-test.dm.unipi.it (This file was produced from -images generously made available by The Internet Archive) - -Updated editions will replace the previous one--the old editions will -be renamed. - -Creating the works from print editions not protected by U.S. copyright -law means that no one owns a United States copyright in these works, -so the Foundation (and you!) can copy and distribute it in the United -States without permission and without paying copyright -royalties. 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Redistribution is subject to the -trademark license, especially commercial redistribution. - -START: FULL LICENSE - -THE FULL PROJECT GUTENBERG LICENSE -PLEASE READ THIS BEFORE YOU DISTRIBUTE OR USE THIS WORK - -To protect the Project Gutenberg-tm mission of promoting the free -distribution of electronic works, by using or distributing this work -(or any other work associated in any way with the phrase "Project -Gutenberg"), you agree to comply with all the terms of the Full -Project Gutenberg-tm License available with this file or online at -www.gutenberg.org/license. - -Section 1. General Terms of Use and Redistributing Project -Gutenberg-tm electronic works - -1.A. By reading or using any part of this Project Gutenberg-tm -electronic work, you indicate that you have read, understand, agree to -and accept all the terms of this license and intellectual property -(trademark/copyright) agreement. 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