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If you are not located in the United States, you'll have -to check the laws of the country where you are located before using this ebook. - - - -Title: Leopardi - -Author: Federico De Roberto - -Release Date: October 6, 2016 [EBook #53223] - -Language: Italian - -Character set encoding: UTF-8 - -*** START OF THIS PROJECT GUTENBERG EBOOK LEOPARDI *** - - - - -Produced by Carlo Traverso, Barbara Magni and the Online -Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net (This -file was produced from images generously made available -by The Internet Archive) - - - - - - - F. DE ROBERTO - - - LEOPARDI - - - NUOVA EDIZIONE - con un avvertimento dell'autore - e il fac-simile di una lettera di - GIOSUE CARDUCCI - - - - MILANO - FRATELLI TREVES, EDITORI - 1921. - - - - - PROPRIETÀ LETTERARIA. - - _I diritti di riproduzione e di traduzione sono riservati - per tutti i paesi, compresi la Svezia, la Norvegia e l'Olanda,_ - - Si riterrà contraffatto qualunque esemplare di quest'opera che - non porti il timbro a secco della Società Italiana degli Autori. - - Milano, Tip. Treves. - - - - -AVVERTIMENTO. - - -_Il presente libriccino fu composto prima della ricorrenza del -Centenario leopardiano e vide la luce durante quella memorabile -celebrazione, cioè mentre l'immensa miniera dello _Zibaldone_, per -mezzo secolo rimasta ignorata o inaccessibile, si veniva appena -schiudendo. Dopo che fu tutta aperta ed in ogni senso percorsa, -l'autore di questo breve studio credette suo debito tener conto dei -nuovi preziosissimi materiali per una futura nuova edizione del suo -lavoretto, e si accinse infatti all'opera; sennonchè fu ben presto -costretto a riconoscere che per giovarsi quanto era necessario dei -sette volumi dei _Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura_ -non bastava ritoccare le pagine che egli aveva scritte, ma bisognava -rifarsi dal primo principio e comporre un altro libro, se non di -diverso disegno, certamente di più largo respiro._ - -_Poichè non gli è finora riuscito di portarlo a compimento, e -propriamente dispera che gli riesca mai più, egli non ha saputo che -cosa fare del suo primo saggio: se lasciarlo, cioè, esaurito, come è da -tanto tempo, o ripubblicarlo tale e quale. A questo secondo consiglio -si apprende oggi, confortato dal giudizio del quale volle onorarlo, -ventitrè anni addietro, il Maestro dei maestri. La lettera di Giosue -Carducci qui riprodotta sarà la migliore giustificazione della presente -ristampa, come fu ed è il massimo premio che l'autore potesse mai -ripromettersi._ - - 28 giugno 1921. - - - [Illustrazione: Lettera di Giosue Carducci.] - - Bol. 18 f. 1898 - - Caro signore, - - Grazie del libro. Mi pare una enciclopedia del pensiero e del - sentimento leopardiano di fonte, condotta con metodo esatto e - fedele, molto buona e utile. - - Può addomesticare, e lo spero e l'auguro, la gente, sempre e per - lo più grossolana e pregiudicata e declamatrice, alla cognizione - della imagine del poeta e pensatore. - - La saluto. - - Giosue Carducci - - - - -L'INDOLE - - - - -I. - -IL SENTIMENTO POETICO. - - -Fanciullo di otto anni, per divertire i suoi fratellini, Giacomo -Leopardi inventava fiabe e novelle, alcune delle quali duravano più -giorni come romanzi; una specialmente, piena di strane e fantastiche -avventure improvvisate secondo che l'azione si veniva svolgendo, -durò più settimane. I personaggi erano però tolti dal vero: il conte -Monaldo suo padre si chiamava Asmodante, Lelio il fratello Carlo, il -brillante eroe Filzero era lo stesso narratore. Egli sapeva trasfondere -tanta vita in questi tipi, che tre quarti di secolo più tardi il -conte Carlo, udendo qualche tratto di spirito, esclamava: “Questa è -_filzerica!_....„ A dieci anni, Giacomo cominciò a comporre i suoi -primi libri. Nel 1810, a dodici anni, scrisse al padre scusandosi di -non potergli nulla offrire in occasione delle feste: “Crescendo l'età -crebbe l'audacia, ma non crebbe il tempo dell'applicazione. Ardii -intraprendere opere più vaste, ma il breve spazio, che mi è dato di -occupare nello studio, fece che laddove altra volta compiva i miei -libercoli nella estensione di un mese, ora per condurli a termine -ho d'uopo di anni.„ Le sue composizioni di quel tempo sono tragedie, -poemetti, cantiche sacre e profane: il _Pompeo in Egitto_, il _Catone -in Africa_, le _Notti puniche_, il _Balaamo_. - -Questo ingegno straordinariamente precoce comincia dunque a dar -prova di fervida immaginazione. Il giovanetto ben presto si dà tutto -agli studi severi delle lingue e delle letterature antiche; sembra -allora che questa sua dote debba restare inutile, che questo lume -interiore debba spegnersi: in luogo d'inventare egli traduce; in -luogo d'esprimere idee proprie, ricerca, raccoglie, discute quelle -degli altri. Tuttavia, quando pare che la sua facoltà immaginativa sia -isterilita sotto la polvere dei vecchi libri, fra le grammatiche, fra -i dizionarii greci ed ebraici, dà ancora prova di forza. Il Creuzer -trova nel suo lavoro sul Porfirio “plus d'effervescence juvénile et -d'imagination que de maturité d'esprit.„ Studiando filologia, trattando -di ingrate quistioni etimologiche, egli segue una “ispirazione -indovinatoria„ e “quella certezza intima che per quanto non si possa -trasfondere facilmente in altri, con tutto questo è fortissima e nasce -da una gagliarda apprensione di certe probabilità, la quale ci farebbe -giurare che la cosa sta così, nonostante che non se ne possa portare -alcuna prova irrepugnabile.„ Nell'immenso cimitero dell'antichità egli -rimescola le ceneri dei grandi morti, interroga le lapidi, decifra i -nomi; ma quante volte lo stesso nome è cancellato! Tra il cielo della -gloria e le profondità dell'oblio sembra che vi sia un luogo dubbio -come il limbo cristiano: chi furono Elio Aristide, Dione, Crisostomo, -Cornelio, Frontone? Nulla, quasi nulla si conosce della loro vita; -il loro pensiero è perito, è disperso. Ed ecco l'erudito adolescente -attendere, con le poche e incerte notizie che i suoi libri glie ne -danno, a ricostruire la loro vita, a rifare le loro opere. La sola idea -d'un simile lavoro non prova il fervore d'una immaginazione che, per -poco costretta nell'aridità degli studi filologici e storici, troverà -più tardi altri campi dove spaziare? Fantasia ed erudizione si danno -ancora meglio la mano quando, “innamorato della poesia greca„, egli -tenta un'impresa simile a quella di Michelangelo, “che sotterrò il -suo Cupido, e a chi dissotterrato lo credeva d'antico portò il braccio -mancante„: grazie alla sua scienza dell'antichità ellenica compone un -_Inno a Nettuno_ che finge d'aver tradotto dal greco, e che greco fu -veramente stimato; ma l'opera sua è originale, è dovuta alla nativa -facoltà creatrice, ravvivatrice, animatrice. Simonide celebrò il -successo delle Termopili, e il suo canto andò perduto: il Leopardi, -commiserando il destino di quegli Italiani che morivano in guerra per -una causa non propria, ricorda i Trecento caduti sul colle d'Antelo -e procura “rappresentarsi alla mente le disposizioni dell'animo del -loro poeta in quel tempo„, e così rifarne il canto. Dalle sue stesse -parole noi vediamo di che specie sia la facoltà immaginativa dello -scrittore. Essa non si esercita tanto sulle cose quanto intorno ai -sentimenti, non gli suggerisce tanto forme quanto idee. Per questo suo -speciale carattere si può antivedere che l'immaginazione del Leopardi -sarà associata con la facoltà di pensare e di riflettere; ma essa -naturalmente dipende da quella di sentire e di commuoversi. Come mai -il fanciullo sarebbe capace di creare tanti tipi e d'inventare così -belle favole, se le figure e gli atti delle persone reali non avessero -lasciato profonde impressioni dentro di lui? Come mai il giovanetto -darebbe vita a tanti eroi, a tanti fantasmi, se egli stesso non vivesse -intensamente? - -La sensibilità del Leopardi è infatti grande e precoce quanto la sua -immaginazione: bambino di quattro anni e mezzo, dinanzi al cadavere -di un fratellino scoppia in un pianto così dirotto che il padre ne è -maravigliato ed esprime questa maraviglia in un suo Diario. Misurare -la capacità degli organi dei sensi di un morto, sulla fede dei suoi -scritti, contando gli aggettivi da lui adoperati, interpretando il -valore delle sue espressioni, è malagevole tanto, che gli scienziati -i quali hanno tentato questo lavoro intorno al Leopardi non sono -venuti a conclusioni concordi. Certo è che lo sviluppo fisico e morale -del Recanatese fu anticipato di quattro o cinque anni e che la sua -salute si rovinò irreparabilmente. Narreremo più tardi la storia dei -suoi mali; questo è il luogo di notarne il principale: un disordine -nervoso, una irritabilità sensoria, una disposizione a risentire -intensamente, fino allo spasimo, tutte le impressioni del mondo -esterno. Le impressioni grate sono in lui più forti che negli altri -uomini; ma le dolorose sono più forti e più frequenti: sono continue. -I suoi occhi non possono sostenere la luce del sole e spesso neppur -quella delle candele; il suo udito è letteralmente ferito dai rumori; -la sua cute non resiste nè al freddo nè al caldo. Moralmente noi -troviamo in lui la stessa esagerazione. Egli si commuove al sorriso dei -campi, al canto degli uccelli, al raggio della luna; una sera “prima -di coricarmi, aperta la finestra della mia stanza, e vedendo un cielo -puro, un bel raggio di luna, e sentendo un'aria tepida e certi cani -che abbaiavano da lontano, mi si svegliarono alcune immagini antiche, -e mi parve di sentire un moto nel cuore, onde mi posi a gridare come -un forsennato....„ Nel commercio degli uomini le cerimonie sono per -lui “sciagurate„ perchè “ci tolgono e difficultano una delle massime -consolazioni che ci sieno concesse in questa misera vita, voglio dire -quella del manifestarsi e diffondersi i cuori sensitivi gli uni negli -altri.„ Tutto quello che impedisce l'espressione vera del cuore gli -riesce odioso: egli ha sempre avuto ed avrà sempre bisogno “della -comunicazione del cuore e dei sentimenti.„ Nulla al mondo è per lui -desiderabile “se non i diletti del cuore e la contemplazione della -bellezza.„ Alla bellezza poetica è sensibile in modo che i parenti, per -richiamare la sua attenzione quando lo vedono assorto, usano citare ad -alta voce qualche verso di Virgilio, d'Orazio, del Petrarca: allora -egli si scuote e si desta. La viva ed animata bellezza è a lui fonte -“inenarrabile„ di pensieri e sentimenti “eccelsi ed immensi„, e segno e -sicura speranza “di fati sovrumani, di fortunati regni ed aurei mondi.„ -La bellezza di Aspasia gli appare qual “raggio divino„: - - simile effetto - Fan la bellezza e i musicali accordi - Ch'alto mistero d'ignorati Elisi - Paion sovente rivelar. - -E se i rumori lo feriscono, la musica è una delle sue grandi passioni, -“e dev'esserlo di tutte le anime capaci d'entusiasmo.„ Egli grida al -fratello: “Ho bisogno d'amore, amore, amore, fuoco, entusiasmo, vita.„ -E quando la sorella gli scrive con la sua “consueta sensibilità„, -egli ne resta consolato in più modi: “perchè mostri di volermi -tanto bene, perchè mi persuadi che la sensibilità si trova al mondo, -perchè risvegli la mia non verso te in particolare, ma verso tutto -l'universo„. L'amor fraterno è in lui un “amor di sogno„; pensando al -fratello suo spesso egli piange di tenerezza. Vedremo più tardi altre -prove della forza di questo suo sentimento; vedremo ancora sino a qual -grado saliranno in lui i sentimenti dell'amore e dell'amor proprio -e dell'amor patrio: osserviamo per ora qualche altro segno della -sua acuta sensibilità morale. La sua corrispondenza epistolare col -Giordani pare quella d'un innamorato. Aspettando la visita dell'amico, -egli crede che resterà qualche giorno senza dirgli niente, “per non -sapere da che cominciare. Non sarà poco se vi darò spazio di mangiare -e di dormire.„ E visto che l'avrà, potrà dire “che non tutti quei -desideri più focosi ch'io ho sentito in mia vita sono stati vani.„ -Dovendo immaginare qualche cosa di sua grande allegrezza, non crede -che ne proverebbe una maggiore di quella che il diletto amico gli reca -dandogli buone notizie della sua salute. E se manca di sue notizie -cade in una “ansietà spaventosa„ e scrive al Mai una lettera piena -d'angoscia. Rivolgendosi direttamente al pigro corrispondente, gli -dice: “Ho pensato di voi quelle più acerbe cose che si possono pensare -di persona più cara che la vita propria. Ho provato strette di cuore -così dolorose, che altre tali non mi ricordo di aver mai provato in -vita mia.„ Nè si lagna tanto del silenzio dell'amico quanto della -propria esagerazione: “di questo amor mio che le cose più ordinarie -e naturali se le figura stranissime e miracolose„: dove noi possiamo -vedere come gli eccessi della sensibilità determinano gli eccessi -dell'immaginazione. Questo medesimo rapporto fra i sentimenti e le -immagini troviamo espresso in un altro luogo dove egli parla del -fratello Carlo: lasciando Recanati nel 1822 egli sa che Carlo resta in -angustie; da Roma gli scrive: “Questo pensiero mi pungeva infinitamente -quel primo giorno ch'io ti lasciai e che io mi dipingeva alla fantasia -tutto il nero, tutto il freddo, tutto il morto dell'abbandono in cui ti -trovavi.„ - -Sin da questo momento è da prevedere che un uomo così fatto non -sarà felice. Con tanta esasperazione della sensibilità fisica e -morale, con tanta esorbitanza dell'immaginazione, i suoi spasimi -saranno ineffabili. Certo, anche le sue gioie saranno più intense -che non quelle degli uomini comuni; ma i dolori saranno più copiosi, -e le stesse gioie gli riusciranno spesso intollerabili. Guardate, -per esempio: agli uomini medii la speranza suol essere una grata -consolatrice: in lui diventa “passione turbolentissima.„ Egli non si -maraviglia che la speranza travagli “assai più della disperazione e del -dolore„ la sorella Paolina, tanto simile a lui moralmente. Sperando con -tutte le sue forze, temendo che la cosa tanto sperata non succeda, egli -giudica che la disperazione e lo stesso dolore sono “più sopportabili -della speranza.„ Quando gli accade qualche cosa che non ha previsto, -egli l'apprezza esattamente; ma che cosa non prevede un'immaginazione -fervida come la sua? Essa gli anticipa le impressioni della vita, le -eccita in lui prima che gli avvenimenti reali si producano; e la sua -sensibilità smodata si mette a vibrare dinanzi a questi fantasmi, -dinanzi a queste vanità, come dinanzi alle cose. Quando sopraggiungono -le impressioni reali, esse gli sembrano scialbe ed insipide. Pertanto -egli giudica scarsi il piacere e la bellezza nel mondo, e la fantasia -gli pare preferibile alla realtà. Allora egli non trova altro porto -“che quello dei fantasmi e delle immaginazioni„, e non solo disprezza -la realtà, ma la nega, la considera “un nulla„, ed afferma che solo le -“care illusioni„ sono cose consistenti. Così egli ragiona al rovescio -degli uomini comuni, ed all'invertito ragionamento corrisponde un -sentimento d'orgoglio: perchè l'anima sua, capace di creare le sole -cose belle e vere, sarà diversa dalle altre, anzi migliore di tutte: -“alta, gentile e pura„. - -Basterà per il momento avere accennato a questi danni: quantunque essi -non siano lievi, vediamo ora come altri se ne producano per un'altra, -per una nuova ragione. Poichè egli antepone le illusioni alla realtà, -non le tiene “per mere vanità, ma per cose in certo modo sostanziali, -giacchè non sono capricci particolari di questo e di quello, ma -naturali e ingenite essenzialmente in ciascheduno.„ Dall'osservazione -di ciò che accade in lui trae così un'affermazione generale: e certo -l'identità dell'umana natura deve consentirci di estendere a tutti gli -uomini ciò che è proprio ad uno di loro; ma questi uomini tanto simili -sono pure tanto diversi che non se ne trovano due del tutto eguali; -e il Leopardi non sarebbe singolarissimo se tutti attribuissero, come -egli fa, tanta importanza alle illusioni. La capacità di considerare -il mondo reale “un nulla„ e di preferirgli il mondo suscitato dalla -fervida fantasia ed apprezzato dall'acuta sensibilità, è propria -dei poeti: il sentimento poetico è appunto fatto di sensibilità e di -fantasia. Tali doti portate dalla nascita fanno poeta il Leopardi; la -loro esagerazione spiega la sua parentela con tutti gli altri poeti -dolenti; ma l'indole sua si specifica perchè egli possiede un'altra -dote eminente che col sentimento poetico d'ordinario non s'accorda, che -anzi lo contrasta. - - - - -II. - -LO SPIRITO FILOSOFICO. - - -Tra la scienza e la poesia, tra la forza dello spirito e l'intensità -del sentimento c'è d'ordinario opposizione e contrasto: gli uomini -maggiormente impressionabili non sogliono essere i più riflessivi. Le -due capacità si trovano tuttavia insieme unite in alcune anime che da -questa unione riconoscono la loro potenza. - -La facoltà che agguaglia i poeti e gli artisti agli uomini di scienza è -l'immaginazione. Il Leopardi, componendo l'inno a Nettuno, ricomponendo -il canto di Simonide, eccitando il Missirini a “render corpo e vita -alle ossature e agli scheletri dell'antico teatro greco e romano„, -fa opera simile a quella del naturalista che da alcuni frammenti -fossili ricostruisce tutto l'ignoto essere vivente al quale questi -appartennero. La concezione dell'ipotesi della quale lo scienziato si -serve per ispiegare i fatti osservati è simile alla concezione poetica -e romanzesca. La scienza delle scienze, la filosofia, è ancora più -vicina alla poesia che non tutte le altre. L'importanza dell'ipotesi -è senza fine maggiore in filosofia che non nelle scienze esatte: anzi, -considerando i problemi massimi ed insolubili — l'origine, la natura, -il fine della vita e del mondo — la filosofia riposa tutta quanta sopra -ipotesi. E poichè l'ipotesi è opera di quella potenza immaginativa -alla quale il poeta deve i suoi concepimenti, la parentela tra il -poeta ed il filosofo è manifesta. “Abbi per cosa certa,„ dice lo stesso -Leopardi, buon giudice, “che a far progressi notabili nella filosofia -non bastano sottilità d'ingegno e facoltà grande di ragionare, ma si -cerca eziandio molta forza immaginativa; e che il Descartes, Galileo, -il Leibniz, il Newton, il Vico, in quanto all'innata disposizione dei -loro ingegni, sarebbero potuti essere sommi poeti, e per lo contrario -Omero, Dante, lo Shakespeare, sommi filosofi.„ Filosofia e poesia -sono ancora affini per questo: che molto spesso, anzi quasi sempre si -esercitano intorno allo stesso oggetto: l'anima umana: “E ben sai che -egli è comune al poeta e al filosofo l'internarsi nel profondo degli -animi umani, e trarre in luce le loro intime qualità e varietà, gli -andamenti, i moti e i successi occulti, le cause e gli effetti dell'une -e degli altri„. - -Ma questa affinità, sia grande quanto si voglia, non arriva -all'identità; al contrario. Un poeta può rassomigliare molto ad uno -scienziato e moltissimo ad un filosofo; ciascuno ha tuttavia i suoi -particolari e indelebili segni. Per la potenza dell'immaginazione -essi si somigliano; ma l'immaginazione è unita con la sensibilità nel -poeta, con la ragione nello scienziato e nel filosofo. Facoltà propria -del filosofo è, secondo lo stesso Leopardi, quella di “penetrare coi -pensieri nell'intimo delle cose„; di “sciorre e dividere le proprie -idee nelle loro minime parti„; di “ragunare e stringere insieme un -buon numero di esse idee„; di “contemplare con la mente in un tratto -molti particolari in modo da poterne trarre uno generale„; di “seguire -indefessamente coll'occhio dell'intelletto un lungo ordine di verità -connesse tra loro a mano a mano„; di “scoprire le sottili e recondite -congiunture che ha ciascuna verità con cento altre.„ Più brevemente: -il filosofo non considera i fatti nelle loro apparenze, ma ne misura il -valore, ne esprime il significato e ne discopre le leggi. - -Abbiamo visto che il Leopardi, a otto anni, è novellatore e poeta; -ancora adolescente, quando gli altri non hanno finito di apprendere -le lingue egli è maestro di filologia. L'opera sua è di vero -scienziato: le sue emendazioni dei testi, le sue illustrazioni, i -suoi commentarii, tutto il suo minuto ed acuto lavoro di critica, se -è aiutato dall'intuito, dal “tatto quasi divinatorio„ del quale parla -suo fratello Carlo, è pur dovuto principalmente alla potenza riflessiva -della sua mente. Ma egli non si può contentare di questo esercizio; -mira a più vasti orizzonti: dalle regole grammaticali passa alle leggi -dell'anima. Già vedemmo come, osservata in sè stesso la preminenza -delle illusioni e considerato che la natura umana è essenzialmente una, -egli estende a tutti gli uomini quel che gli è proprio. Vediamo qualche -altro esempio di questa sua attitudine ad astrarre e generalizzare. -Un giorno, rivolgendosi ad un maestro perchè riveda l'opera sua, egli -prova un senso di rimorso nel distoglierlo da altre occupazioni: -il bisogno dei consigli e la paura di essere indiscreto vengono in -contrasto; l'interesse proprio trionfa; dall'osservazione di questo -fatto egli ricava una sentenza: “Veggo bene che io usurpo momenti che -dovrebbero essere sacri a tutta la repubblica delle lettere „, scrive -al Mai, “svolgendola da occupazioni utili all'universale letteratura, -e ne ho rimorso; ma che debbo dirle? L'amor proprio è assai potente, -e fa che si desideri per sè solo quello che si dovrebbe impiegare per -il bene di tutti....„ Quando noi ci troviamo soli in un'opinione anche -vera sprezziamo l'altrui opposizione; pure il dubbio di essere in -inganno può tormentarci e una secreta voce dirci che l'ostinazione ci -fuorvia; se noi non siamo filosofi ci ostiniamo o dubitiamo senz'altro; -un pensatore come il Leopardi formula una legge della quale misura -l'estensione: “Certo quel trovarsi solo in una sentenza vera fa paura, -e a noi medesimi spesso la costanza pare caponaggine, la noncuranza -degli sciocchi giudizi, superbia, il credere d'intenderla meglio degli -altri, presunzione.„ Ancora: ripensando ad un nostro piacere passato, -noi possiamo sentire che esso non fu tanto grande quanto poteva essere, -e rammaricarcene; il Leopardi, in una condizione simile, esprime -una verità: il pentimento di non aver goduto appieno, dice, ci grava -l'anima - - e il piacer che passò cangia in veleno. - -Non occorre moltiplicare gli esempii. Il risultato è che in età quasi -fanciullesca egli ha già “certezza e squisitezza di giudizio sopra -le grandi verità non insegnate agli altri se non dall'esperienza, -cognizione quasi intera del mondo e di sè stesso.„ - -Ma quest'abito filosofico così presto contratto grazie alla capacità -indagatrice della mente, ostacola gli slanci del poeta. Guidati -dalla comune potenza immaginativa, poeta e filosofo procedono per vie -parallele; essi divergono obbedendo all'impulso particolare della loro -natura. Il poeta vuol sentire: il filosofo vuol ragionare. La singolare -capacità del poeta è di apprezzare le cose che l'immaginazione gli pone -dinanzi: di vibrare, di fremere, di gioire, di spasimare; la singolare -capacità del filosofo è quella di spiegare le cose che l'immaginazione -gli rappresenta: di paragonare, di dedurre, di astrarre, di intendere. -Certo, non è possibile al poeta sentire senza giudicare; nè al filosofo -giudicare senza sentire; ciò spiega ancora la loro affinità; ma come il -giudizio del poeta, se pure è esatto, si altera perchè egli obbedisce -troppo alle simpatie, alle antipatie, e in generale alle passioni; così -il sentimento del filosofo, se pure è schietto, si altera perchè egli -troppo lo indaga ed esamina. - -Immaginate che il cielo a un tratto si oscuri, che il vento, la -pioggia, la folgore muovano guerra alla terra ed alle sue creature. La -tempesta le rende fredde, tacite, smorte. Torni la quiete, si sgombri -il cielo, riapparisca chiaro il fiume giù nella valle: ogni cuore si -rallegra, da ogni parte la vita riprende con nuovo ardore il suo corso. -Il poeta che si è sentito opprimere come tutti gli altri durante la -bufera, dovrebbe come tutti gli altri gustare la letizia del sereno; -ma se questo poeta si chiama Giacomo Leopardi, il filosofo che c'è in -lui non si abbandona al piacere del momento: come il chimico che saggia -e scompone i corpi per conoscerne la natura, così il filosofo saggia -e scompone i sentimenti. Egli ragiona così: “Prima che scoppiasse la -tempesta il cielo era chiaro, l'aria era quieta, il sole splendeva; ma -chi godeva di queste cose? Non solamente pochi ne godevano, ma quasi -passavano inosservate dai più. Ora, sì, ne godiamo tutti; perchè? Che -cosa è avvenuto? È avvenuto questo: che le perdemmo per un momento. -Dallo stato d'indifferenza nel quale eravamo prima, passammo a uno -stato di paura e d'angoscia. Il nostro piacere d'ora che cosa è dunque? -È una cosa negativa, è la fine del dolore sopravvenuto.„ Ed egli scrive -la _Quiete dopo la tempesta_, che è tutt'insieme una poesia squisita -ed una pagina di filosofia; ma dove se ne è andata la sua sensazione -piacevole? È finita; è stata dispersa dal ragionamento che l'ha trovata -tutta relativa e fallace. - -L'esempio è significante. Il Leopardi è un poeta sensibilissimo, -ma c'è anche in lui un freddo speculatore; e appunto per questa -complessità della sua mente egli è molto più infelice che non sarebbe -se fosse soltanto poeta troppo vibrante. Naturalmente la capacità di -pensare viene dopo quella di sentire. Noi tutti cominciamo a sentire -appena dischiusi gli occhi alla luce; l'intelletto lavora più tardi. -Il Leopardi vive pertanto, nei primissimi tempi, al modo poetico, -sentendo, vibrando, illudendosi; se questa sua capacità non fosse -grandissima, il pensiero, la ragione, cominciando ad operare più -tardi, forse ne trionferebbe; e se la capacità di pensare non fosse -in lui massima, forse trionferebbe il sentimento: il suo strazio per -questo è ineffabile: perchè dentro di lui si urtano e lottano due -anime diverse di tempra, ma egualmente gagliarde. Uditelo lagnarsi -col Giordani dei danni che ha prodotti in lui la ragione: “Vi vedo -molto malinconico e potete credere che non so come consolarvi, se -non pregandovi a concedere qualche cosa alle illusioni che vengono, -sostanzialmente dalla natura benefattrice universale, dove la ragione -è la carnefice del genere umano, e una fiaccola che deve illuminare, ma -non incendiare, come pur troppo fa....„ Come pur troppo ha fatto in lui -e nei suoi pari, sarebbe più giusto dire. Ma il suo spirito non è così -fatto da cercare nei casi particolari ciò che è generale, da estendere -a tutta la natura umana ciò che è proprio di alcuni uomini? - -E tutta la storia della sua vita morale è piena dei dolori prodotti dal -dissidio tra il sentimento e lo spirito, tra la fantasia e la ragione. - - A noi ti vieta - Il vero appena è giunto, - O caro immaginar.... - -Il pensiero lo fa soffrire, la verità nuda gli incute paura, la visione -poetica dell'esistenza gli è parsa solo amabile; più tardi “ogni cosa -che sa di affettuoso e di eloquente mi annoia, mi sa di scherzo e di -fanciullaggine ridicola. Non cerco altro fuorchè il vero, che ho già -tanto odiato e detestato.„ E se la verità alla quale egli perviene -non gli è grata, tuttavia la soddisfazione di trovarla è dilettosa; ma -perchè questo diletto sia possibile bisogna che “l'ultima scintilla„ -si spenga nel suo cuore; finchè il cuore ardeva egli non la poteva -comprendere; la ragione e la fantasia erano incompatibili. Questa -incompatibilità è l'origine delle sue contraddizioni. Giudicato, per -la sua natura troppo poeticamente immaginosa, che le illusioni e le -speranze sono le cose più amabili, egli asserisce che la fantasia è -la sola fonte di felicità in questa vita; ma l'asserzione è dovuta al -filosofo, la legge è formulata dal filosofo; e questo filosofo non può -assegnare una parte secondaria alla ragione sulla quale è poggiata -la sua filosofia; quindi un urto continuo. Ed egli sa qual danno -derivi “dal voler troppo far uso della ragione„ — della ragione che -gli fa riconoscere “tutta la verità„ intorno ai funesti effetti della -fantasia.... - -In tanto contrasto, che cosa accade di un'altra facoltà dell'anima, -d'una facoltà necessaria a vivere in mezzo agli uomini: della volontà? -Sentire, immaginare, ragionare, sono cose belle e buone; ma bisogna -anche volere ed agire. Nelle crisi continue prodotte dall'intimo -dissidio dell'imperiosa ragione e della fantasia smodata, Giacomo -Leopardi perde la capacità di operare. Per un tempo troppo breve, prima -che egli immagini e quando ancora non indaga, è attivo e prepotente: -fanciullo, nelle finte battaglie romane, a lui debbono toccare le più -belle parti; dietro al suo carro di trionfatore si debbono trascinare -i fratellini in atteggiamento di schiavi. La volontà dà ancora prova -di tenacia quando egli studia per lunghi anni, eroicamente, da mattina -a sera, finchè la lucerna dà gli ultimi guizzi; quando apprende senza -maestro il greco e l'ebraico; quando non resta in ozio neppure per -aspettare che l'inchiostro della fresca scrittura si asciughi, ed -impiega questi minuti a leggere grammatiche spagnuole ed inglesi; ma -già la volontà sua non è più quella che rende capaci di agire. Studiare -è un altro modo di pensare, è la condizione necessaria per avere di che -ragionare: l'energia, la forza di muoversi, di lottare, scema a poco -a poco e si disperde. Egli è andato troppo dietro alle finzioni; ha -troppo disperso la sua capacità vitale vivendo in un mondo immaginario. -Se vuole operare, se vuole esercitare la sua sensibilità avida e -ingorda nel mondo reale, la forza stessa dell'attività interiore gli -è d'impaccio. Egli non sa come fare, da qual parte cominciare. “Il -embrasse tout, il voudrait toujours être rempli; cependant tous les -objets lui échappent, précisément parce qu'ils sont plus petits que sa -capacité. Il exige même de ses moindres actions, de ses paroles, de ses -gestes, de ses mouvements, plus de grâce et de perfection qu'il n'est -possible à l'homme d'atteindre. Ainsi, ne pouvant jamais être content -de soi-même, ni cesser de s'examiner, et se défiant toujours de ses -propres forces, il ne sait pas faire ce que font tous les autres.„ -Egli descrive con mano maestra questa impotenza per averla studiata -direttamente in sè stesso. Quando si lamenta del pensiero, quando -dice che il pensiero lo cruccia e lo martora, che è il suo carnefice -e il suo distruttore “per questo solo che m'ha avuto sempre e m'ha -interamente in sua balìa„, egli significa l'impotenza dolorosa alla -quale è condannato, contro sua voglia, “senza alcun desiderio„, anzi -col desiderio opposto, di muoversi, di operare, di vivere attivamente. -Questa impotenza gli è tanto propria che più e più volte egli la -significa nelle sue composizioni artistiche. Egli loda l'amore perchè, -mercè sua, - - Sapïente in opre - Non in pensiero invan, siccome suole, - Divien l'umana prole. - -Egli invidia gli uccelli perchè “cangiano luogo ad ogni tratto; passano -da paese a paese quanto tu vuoi lontano, e dall'infima alla somma -parte dell'aria, in poco spazio di tempo, e con facilità mirabile; -veggono e provano nella vita loro cose infinite e diversissime; -esercitano continuamente il loro corpo; abbondano soprammodo della vita -estrinseca.„ E il suo Filippo Ottonieri narra che Socrate “inchinando -naturalmente alle azioni molto più che alle speculazioni, non si -volgeva al discorrere, se non per le difficoltà che gl'impedivano -l'operare.„ - -Questo impedimento fu il suo; tanto più doloroso quanto che egli -ne ebbe nitida coscienza. Di tutti i mali derivanti dalla sua -costituzione psichica noi abbiamo visto che egli ebbe coscienza; i -quali, riassumendo, furono: l'esagerazione del sentimento poetico, -cioè della sensibilità e della fantasia; il contrasto fra questo -squisito sentimento poetico con un altissimo spirito filosofico, e per -conseguenza la depressione e la dispersione della volontà. - - - - -L'EDUCAZIONE - - - - -CLASSICISMO E ROMANTICISMO. - - -Un terreno arido s'irriga, un albero che pende si raddrizza: l'arte -corregge la natura. Quali mezzi furono posti in opera per modificare -la pericolosa disposizione di Giacomo Leopardi? Parleremo a suo luogo -dell'azione della famiglia: questo è il momento di narrare la sua -educazione intellettuale. - -Con tanta smania d'azione, con tanta e tanto precoce capacità di -vivere, il giovanetto recanatese passa i migliori anni dell'adolescenza -sui libri. “Io sono andato un pezzo in traccia della erudizione più -pellegrina e recondita, e dai 13 anni ai 17 ho dato dentro a questo -studio profondamente, tanto che ho scritto da sei a sette tomi non -piccoli sopra cose erudite (la qual fatica appunto è quella che mi -ha rovinato).„ Non soltanto la salute del corpo è rovinata; ma quella -dello spirito è peggiorata. Il lavoro della mente diviene, a scapito -dell'attività dei muscoli, il suo bisogno, il suo amore. Infermo, -egli lavora ancora sei ore il giorno; e dice d'essersi così moderato -“assaissimo.„ E oltre che l'eccesso, il genere stesso del suo lavoro -mentale gli è pernicioso. Lo studio d'una disciplina esatta, di una -scienza sperimentale, sviluppando il senso dell'osservazione reale, -fomentando la nativa facoltà del raziocinio, avrebbe, se non soffocato, -moderato almeno la fantasia; e se non aiutato, almeno non repressa -la capacità d'azione. Egli studia invece quella filologia, quelle -“spente lingue dei prischi eroi„ che lo segregano dal mondo moderno, -che lo fanno vivere nel passato, che popolano il suo cervello di -figure antiche e favolose. La sua fantasia è capace di dar corpo alle -ombre, il suo sentimento s'infiamma per esse. Quando egli legge un -classico, la sua mente “tumulta e si confonde„; quando legge Virgilio -“m'innamoro „, confessa, “di lui.„ Abbiamo visto che rifà i canti ed -eccita dentro di sè i sentimenti di Simonide, dei fedeli al nume del -mare; reciprocamente: attribuisce i sentimenti suoi proprii a Saffo, -a Bruto minore. Leggete le sue lettere: egli non parla d'altro che -di scrittori greci e latini: di Omero, di Virgilio, di Callimaco, di -Orazio: chiede notizie ai suoi corrispondenti di Giulio Africano, ne dà -intorno a Dionigi e all'Eusebio del Mai; quando il dotto abate ritrova -i libri di Cicerone della Repubblica si commuove sino a scrivere una -canzone. E traduce la _Batracomiomachia_, due volte; la _Titanomachia_, -gl'_Idillii_ di Mosco, un canto dell'_Odissea_, un altro dell'_Eneide_; -e ragiona delle Arpie, e compone tutto un libro sugli errori popolari -degli antichi. Non si contenta di studiare e tradurre: se pensa di -scrivere un romanzo storico, intende che debba essere “sul gusto della -_Ciropedia_.„ Un simile proposito dimostra sino a che segno egli è -lontano dal suo tempo. Quando egli porge l'orecchio alle voci che -vengono di fuori, ode gli echi d'una lotta vivace: classici e romantici -si accapigliano. Naturalmente egli è coi classici; lo farebbe ridere -chi pensasse di ascriverlo all'altro partito. E nondimeno s'inganna. - -Classicismo e romanticismo non sono soltanto due scuole letterarie, -ma due stati della coscienza e quasi due diverse qualità di anime. -L'indole di chi ha seguito le tradizioni è calma ed equilibrata, o -capace di frenarsi e di obbedire a certi consigli di moderazione e -di prudenza, a certi precetti di ordine e di misura. Nature ribelli -hanno sempre tentato di esprimersi liberamente; ma tanto forte è stata -l'efficacia dell'insegnamento, che o si sono ultimamente piegate, -oppure il loro esempio è rimasto senza imitatori. Altrettanto è -avvenuto in politica: i tentativi di affermare i diritti dell'individuo -contro le potestà consecrate dalle leggi secolari sono rimasti -lungamente sterili. E la rivoluzione politica coincide con la -rivoluzione letteraria. L'autorità dei maestri vien meno per quella -stessa causa che distrugge ogni altra autorità nel consorzio sociale: -la filosofia del secolo XVIII, tutto esaminando e tutto ponendo in -forse, prepara una nuova era nel mondo; il primo romantico è il primo -rivoluzionario: Gian Giacomo Rousseau. Ma le origini del romanticismo -sono ancora più remote. La signora de Staël ha ragione di dire che -la divisione della letteratura in classica e romantica si riferisce -alle due grandi età del mondo: a quella che precedette e a quella che -seguì lo stabilimento del cristianesimo. L'anima pagana, idealizzando -la natura, aveva estrinsecato un certo tipo di perfezione e se n'era -appagata; ma lo spirito umano, irrequieto indagatore, non poteva -trovar sempre nella natura un pascolo adeguato; doveva anzi presto o -tardi riconoscere che il mondo della coscienza è senza fine più vasto -e ricco che non il mondo delle cose. Questo scontento della realtà, -quest'ansia di novità, questa specie di ripiegamento dell'anima in sè -stessa, furono in grandissima parte opera della predicazione cristiana. -Se l'ideale classico, cioè pagano, continuò ad essere onorato lungo -tempo dopo che la dottrina di Cristo mutò la faccia del mondo, ciò -dipese in gran parte dalla prevalenza della razza latina, nella quale -il paganesimo, come serenità di sentimento, come ludicità di visione, -era quasi connaturato. Quel che c'è di triste e di dolente nella fede -cristiana era quasi inaccessibile a una gente vissuta sotto cieli -chiari, in riva ai mari tranquilli, sopra terre feconde quasi sempre -sorrise dal sole. Inconsapevolmente essa professava il nuovo culto -con le forme antiche; i vecchi riti e i vecchi miti sopravvivevano: -un giorno, quando la rinnovazione dell'ideale pareva compita, il -paganesimo rifiorì e il classicismo trionfò con la Rinascenza. Ma la -nuova fede, intanto, penetrava più a dentro fra la gente del Nord. -Gli uomini vissuti sotto cieli foschi, sulle rive di mari lividi, -su terre ingrate, erano meglio preparati al nuovo verbo che insegna -a disamare la terra, che dice la vita terrena un doloroso viaggio. -Questi uomini non potevano vivere all'aperto, dissipando la loro -attività in giuochi e feste; il raccoglimento dell'anima, l'esame -della coscienza riusciva loro più facile; alla mortificazione della -carne erano meglio preparati. Quando essi videro che cosa i Latini -avevano fatto del cristianesimo, protestarono e fecero valere la loro -protesta. Lungo tempo ignorati o mal noti, questi Nordici cominciarono -a prender parte alla storia del mondo, produssero ingegni che ne -espressero gl'ideali: a poco a poco il loro genio esercitò come un -fascino sui Latini, disposti dalla stanchezza ad apprezzare la novità. -Se pertanto la filosofia del secolo decimottavo, con i suoi dubbii e -con le sue negazioni, fa impeto contro la scuola classica, l'invasione -delle letterature nordiche accresce la vigoria dell'assalto. E la -rivoluzione francese scuote la società dalle fondamenta, e Napoleone -sconvolge il mondo: il sangue scorre a fiumi, dalle ghigliottine, sui -campi di battaglia; gli Stati si trasformano, i confini si slargano, -gli eserciti corrono dall'uno all'altro capo dell'Europa, i popoli si -avvicinano: nuove visioni di cose tragiche o insolite passano dinanzi -agli occhi della nuova progenie: i consigli di chi vorrebbe tornare -alla compostezza, alla semplicità, alla serenità del passato non -sono più uditi; ma gli ansiosi che hanno iniziato il mutamento non vi -trovano la quiete, sibbene un'ansia nuova, più acuta. In questo tempo -nasce Giacomo Leopardi. - -Egli può ben credersi classico, può bene appartarsi dal mondo moderno, -può bene suscitare dentro di sè l'antico: non potrà far mai che -questo antico torni realmente, non può distruggere in sè o d'intorno -a sè gli effetti dei secolari o dei nuovi rivolgimenti. Chi più vuol -essere classico, chi è animato da un più vivo sdegno contro i moderni, -partecipa nondimeno a questa modernità e, senza volerlo, lo dimostra. -Il Leopardi confessa apertamente d'essere stato durante un certo tempo -con i moderni. Questo tempo è lo stesso durante il quale egli è ancora -vivace, capace di muoversi, di operare. “Io da principio aveva il capo -pieno delle massime moderne, disprezzava, anzi calpestava lo studio -della lingua nostra; tutti i miei scrittacci originali erano traduzioni -dal francese.„ Rammentiamoci di Chateaubriand il quale disse di sè: -“J'étais Anglais, de manières, de goût et jusqu'à un certain point -de pensées.„ Come il Francese cerca il nuovo in Inghilterra, così -l'Italiano lo cerca in Francia: l'indirizzo è diverso, ma identica è -la spinta interiore per la quale le cose note e vicine sono sdegnate, -e ricercate le insolite e nuove. Così mentre in Germania le menti si -nutriscono di Young e di Ossian, e Schiller e Goethe si appassionano -per Shakespeare; in Francia la signora de Staël introduce il -romanticismo tedesco; e Alfredo de Musset a diciassette anni preferisce -non esser nulla se non potrà essere Schiller o Shakespeare, e -Chateaubriand legge _Werther_ prima di scrivere _Renato_ — Ugo Foscolo -lo ha letto in Italia prima di scrivere _Jacopo Ortis_ — e Sainte-Beuve -parla con tenerezza di Klopstock, e Carlo Nodier trae l'ispirazione da -“cette merveilleuse Allemagne, la dernière patrie des poésies et des -croyances de l'Occident.„ L'ardente e immaginoso fanciullo recanatese -cerca anch'egli ed ama gli stranieri; e tale è la foga che egli mette -in questa come in ogni altra sua passione, che arriva a disprezzare -Omero, Dante, tutti i classici; ma il giovanetto riflessivo tosto -comprende che la disciplina della vecchia scuola è la più adatta a -formare lo spirito, che questi classici, seguendo i principii ora -disprezzati hanno espresso cose d'una imperitura bellezza. Allora -egli si converte, s'immerge “sino alla gola„ nei “suoi„ classici; gli -scrittori che cercano ispirazioni oltre l'Alpi eccitano il suo sdegno; -lo _Spettatore italiano_, foglio romantico, gli pare “un mucchio -di letame„; la _Biblioteca italiana_, giornale dei classici, ha le -sue preferenze. Allora egli è considerato come uno dei campioni del -classicismo; Pietro Giordani lo stima classico non soltanto di studii, -ma anche di animo: “Più volte m'è venuto in mente che se ci fosse -ancora lecito di ripetere i sogni platonici.... io vorrei dire ch'egli -fosse una di quelle anime preparate da natura per incarnarsi in Grecia -sotto i tempi di Pericle e di Anassagora; e da non so qual errore -tardata sino a questi miseri giorni ultimi d'Italia; per mezzo i quali, -parlando con voce italiana pensieri greci, come straniera passò.„ Ma il -Giordani s'inganna anch'egli; l'anima che pareva greca era nondimeno -del suo tempo; per quanto grande fosse la seduzione del mondo antico, -il suo proprio mondo dal quale voleva fuggire la tratteneva con mille -sottilissimi fili ed esercitava un'influenza costante su lei. - -Consideriamo ad uno ad uno i caratteri del romanticismo come metodo -letterario e come stato psicologico: vedremo quanti se ne trovano nel -Leopardi. Letterariamente, i romantici insorgono contro l'imitazione. -Per lungo tempo i grandi antichi sono stati considerati insuperabili; -studio e dovere degli scrittori è stato quello imitarli. E il Leopardi, -con tutta la sua infatuazione per gli antichi, quantunque anch'egli -li abbia non poco imitati, pure critica il Monti perchè questo poeta -“va con una ributtante freddezza ed aridità in traccia di luoghi di -classici greci e latini, di espressioni, di concetti, di movimenti -classici, per esprimerli elegantemente; lasciando con ciò freddissimo -l'uditore„; e giudica che la coltura classica, così adoperata “più -quasi nuoce di quello che giovi.„ - -Un altro punto intorno al quale romantici e classici battagliano -è questo: l'arte deve figurare il brutto? o attenersi soltanto al -bello? I classici sono per questo secondo partito, escludendo il -primo rigorosamente; gli altri invece vogliono che il campo dell'arte -si slarghi, che comprenda tutta quanta la natura. E intorno a questo -argomento il Leopardi discorda dal Giordani. “Ella ricorda in generale -ai giovani pittori che senza stringente necessità della storia (e -anche allora con buon giudizio e garbo) non si dee mai figurare il -brutto. Poichè, soggiugne, l'ufficio delle belle arti è di moltiplicare -e perpetuare le immagini di quelle cose o di quelle azioni cui la -natura o gli uomini producono più vaghi e desiderabili: e quale -consiglio o qual diletto crescere il numero o la durata delle cose -moleste di che già troppo abbonda la terra?„ Rispettosamente egli -espone al maestro il suo concetto tutto diverso. “A me parrebbe che -l'ufficio delle belle arti sia d'imitare il bello nel verisimile„. È -vero che si appoggia all'autorità dei classici, di Omero, di Virgilio, -di Dante, dei tragici; ma non è detto che i classici sieno tali in -tutto e che i precetti dei romantici siano senza esempio di sorta. -Nuova è la forza con la quale essi li affermano; e il Leopardi non si -contenta dell'esempio, ricorre alla dimostrazione: “Certamente le arti -hanno da dilettare, ma chi può negare che il piangere, il palpitare, -l'inorridire alla lettura di un poeta non sia dilettoso? Perchè il -diletto nasce appunto dalla maraviglia di veder così bene imitata la -natura, che ci paia vivo e presente quello che è o nulla, o morto, -o lontano. Ond'è che il bello, il quale veduto nella natura, vale a -dire nella realtà, non ci diletta più che tanto, veduto in poesia o -in pittura, vale a dire in immagine, ci reca piacere infinito. E così -il brutto imitato dall'arte, da questa imitazione piglia facoltà di -dilettare. Se un uomo è di deformità incredibile, ritrar questa non -sarebbe sano consiglio, benchè vera, perchè le arti debbono persuadere -e far credere che il finto sia reale, e l'incredibile non si può far -credere. Ma se la deformità è nel verisimile, a me pare che il vederla -ritratta al naturale debba dilettare non poco....„ Non si sente già -venire Vittor Hugo il quale estenderà quest'idea e le darà forza di -domma, protestando contro i pedanti che vogliono escludere il difforme, -il brutto e il grottesco dalla riproduzione artistica, ed affermando -superbamente: “Tout ce qui est dans la nature est dans l'art„? - -Ancora: l'antica mitologia, della quale i poeti hanno fatto un -secolare abuso, fuor della quale non si è trovata bellezza artistica, -è sdegnata e derisa dai novatori: la fede cristiana torna invece ad -essere onorata, le credenze religiose si ridestano e si affermano: -l'arte narra i _Martiri_, celebra il _Genio del Cristianesimo_. Con -tutto il suo paganesimo letterario, il Leopardi è pure nato nella fede -di Cristo, ne sente pure la rinnovata seduzione; egli pensa pertanto -di comporre ed abbozza gl'_Inni Cristiani_. I romantici non cantano -solamente Dio, ma anche il diavolo; perchè essi credono che l'arte -non debba escludere nulla, neppure l'orrido; e che dai contrasti -nascono effetti nuovi, più potenti: essi dicono: “Nous vous donnerons -de l'incroyable, de l'affreux, du terrible, de l'extravagant, et s'il -le faut, le diable lui-même remplacera votre vieux Apollon....„ E il -Leopardi abbozza anche un'invocazione ad Arimane, al genio del male. - -I classici si rivoltano contro questa novità, vorrebbero attenersi -esclusivamente alle letterature antiche, e bandire i moderni, -gli stranieri, i nordici, dai quali vengono i maggiori ardimenti. -Pietro Giordani divulga il consiglio che dà agli scrittori nostri la -signora de Staël: “Dovrebbero, a mio avviso, gl'Italiani, tradurre -diligentemente assai delle recenti poesie inglesi e tedesche, onde -mostrare qualche novità a' loro cittadini, i quali per lo più stanno -contenti all'antica mitologia; nè pensano che quelle favole sono da -un pezzo anticate; anzi il resto d'Europa le ha già abbandonate e -dimenticate.„ Ma il Piacentino, che pare abbia fatto sue queste parole, -traducendole, si schiera tosto dall'altra parte; e come il Monti si -lagna che - - Audace scuola boreal, dannando - Tutti a morte gli dèi che di leggiadre - Fantasie già fiorîr le carte argive - E le latine, di spaventi ha pieno - Delle Muse il bel regno; - -così egli si duole che le nostre assonnate immaginazioni domandino, -per risvegliarsi, “il fracasso, e quanto hanno di più frenetico e -tempestoso le fantasie settentrionali„, e si ferma a dimostrare come -siano diversi e discordi i genii delle due contrade. E il Leopardi -si è doluto, come abbiamo visto, d'aver disprezzato Omero, Dante e -tutti i classici e d'aver ammirato gli stranieri; nondimeno, se egli -passa dal disprezzo all'ammirazione per i primi, e viceversa, non -è già che segua da ultimo rigorosamente il nuovo indirizzo. Mentre -il Giordani lo giudica classico d'animo e di letture, il Belloni, -romantico, può dargli lode e cantare di lui, tanto moderato è l'uso -che egli fa della mitologia. E, quanto agli stranieri, per comporre -un trattato sulla _Condizione presente delle lettere italiane_, egli -sente il bisogno di “infinite letture anche di libri stranieri.„ Egli -legge, studia e cita l'iniziatore del romanticismo: il Rousseau, e -si rallegra caldamente col Brighenti “della conoscenza ch'ella avrà -fatta con Lord Byron, uomo certamente segnalato„; e giudica questo -romantico, questo settentrionale, questo gran ribelle nell'arte e nella -vita “uno dei pochi poeti degni del secolo, e delle anime sensitive -e calde.„ E dà lode al Goethe perchè ha preso dalla realtà i casi di -_Werther_; e se più circospetto è il suo giudizio sulle Memorie del -grande poeta tedesco, noi vedremo che lo modifica. Queste Memorie, dice -“hanno molte cose nuove e proprie, come tutte le cose di quell'autore, -e gran parte delle scritture tedesche; ma sono scritte con una così -salvatica oscurità e confusione, e mostrano certi sentimenti e certi -principii così bizzarri, mistici e da visionario, che, se ho da dirne -il mio parere, non mi piacciono molto.„ Ma più tardi al fratello Carlo, -romantico deciso, più di lui ammiratore degli stranieri, scrive: “È -vero che le tue lettere sono triste, ma son care e belle, ed io amo -meglio di sentirti lamentare, che di lasciarti tacere. Il tuo stile si -rassomiglia a quello del Goethe nelle Memorie della sua vita che ha -pubblicato ultimamente. Io comprendo benissimo tutta la pena del tuo -stato....„ Egli comprende anche lo stile del poeta di _Faust_ dopo aver -compreso lo stato d'animo che lo ha dettato. - -Perchè, infatti, lo stile dei romantici e dei classici non è diverso -per la diversità dei precetti retorici delle due scuole; ma perchè -diversa è la condizione e l'indole dell'animo loro. Lo stesso Goethe -spiega bene che i moderni non sono romantici perchè moderni, ma perchè -deboli, malaticci, infermi; l'antico non è classico perchè antico, ma -perchè vigoroso, forte, sereno. E se Giacomo Leopardi propende, quasi -contro sua voglia, verso i romantici, ciò avviene perchè la sensibilità -estrema e l'immaginazione esorbitante che abbiamo trovato in lui, -sono i segni particolari di tutta la nuova fazione. “Noi Leopardi -siam pieni di fuoco„, diceva Paolina, la sorella del poeta; due anni -prima che Giacomo nascesse, l'autore delle _Lettres Westphaliennes_ -scriveva: “Toutes les imaginations sont en feu.... Jamais cette -affection de l'âme qu'on nomme sensibilité ne fut exaltée autant que -dans nôtre siècle; jamais le sentiment ne fut aussi analysé, aussi -délicat, cela peut se remarquer même dans ses influences physiques, -dans la prodigieuse quantité de maladies nerveuses qui se voit tous -les jours. Les gens qui sont organisées d'une manière si irritable -ont les passions plus vives.... On pourrait les nommer la secte des -sentimentaux....„ E per il Recanatese il cuore è tutto, la sensibilità -è tutto; egli si duole che tutti non sieno sensibili, “car je ne fais -aucune différence de la sensibilité à ce qu'on appelle vertu.„ - -L'artista romantico, sdegnando l'imitazione dei vecchi scrittori, -lasciando da parte le favole antiche, cupido di esprimere cose -viste e sentite, capace di sentimenti che stima nuovi, squisiti, -straordinarii, studia direttamente le sue passioni e la natura. Il -Leopardi, discutendo col Giordani intorno alla prosa ed alla poesia -afferma: “Da che ho cominciato a conoscere un poco il bello, a me -quel calore e quel desiderio ardentissimo di tradurre e di far mio -quello che leggo, non hanno dato altri che i poeti, e quella smania -violentissima di comporre altri che la natura e le passioni; ma in -modo forte ed elevato, facendomi quasi ingigantire l'anima in tutte -le sue parti, e dire fra me: questa è poesia; e per esprimere quello -che io sento ci voglion versi e non prosa, e darmi a far versi.„ Se -quindi legge assiduamente i suoi classici latini e greci, e quanto più -li legge tanto più gli s'impiccoliscono i nostri anche degli ottimi -secoli, egli preferisce tuttavia i poeti ai prosatori; Cicerone, “una -volta che la mia mente si trovava, come accade, in certa disposizione -da bramare impressioni vive e gagliarde, mi parve (e fu in un trattato -filosofico) più lento e grave che non si conveniva al mio desiderio -di quel momento....„ Prosa e poesia non sono soltanto modi diversi -d'espressione, ma anche diversi atteggiamenti dell'animo: la poesia -è più sentimento, la prosa è più riflessione. Tra i più classici -scrittori, in tempi che del romanticismo non esiste neppure il nome, i -poeti sono naturalmente sensibili e immaginosi, hanno parte di quelle -qualità che saranno proprie dei romantici e li distingueranno. Del pari -i romantici sono naturalmente poeti per il calore degli affetti, per -la vivacità dei fantasmi, anche quando non compongono versi. E la loro -prosa è poetica, e il Leopardi che giudica il suo secolo poco o niente -poetico e alle volte consiglia di porre da parte i versi e loda la -prosa, linguaggio della riflessione e della filosofia; stima pure altra -volta, perchè così vuole la duplicità dell'animo suo, che la prosa, per -essere veramente bella, debba avere “sempre qualche cosa del poetico, -non già qualche cosa particolare, ma una mezza tinta generale.„ C'è -in lui un filosofo che si compiace nella lettura della classica prosa -ciceroniana; ma c'è anche un poeta che, quando vede la natura dei -luoghi ameni, nella bella stagione, si sente così trasportare fuori -di sè stesso, “che mi parrebbe di far peccato mortale a non curarmene, -e a lasciar passare questo ardore di gioventù e a voler divenire buon -prosatore, e aspettare una ventina d'anni per darmi alla poesia.„ Non -solamente egli preferisce la poesia, ma adora la musica: come tutte -le anime sensibili del suo tempo, è deliziato da quest'arte che più -e meglio della poesia parla al sentimento e all'immaginazione. Se la -poesia è più romantica della prosa, la musica è l'arte romantica per -eccellenza, l'arte nuova, l'ambiguo linguaggio delle nuove passioni -perplesse, indefinite, inappagabili. - - Desiderii infiniti - E visïoni altere - Crea nel vago pensiere, - Per natural virtù, dotto concento; - Onde per mar delizïoso, arcano - Erra lo spirto umano, - Quasi come a diporto - Ardito notator per l'Oceàno.... - -Mentre il poeta romantico attribuisce tanta potenza alla melodia, -mentre chiama “mirabili„ le commozioni suscitate dalla musica, il -filologo classico torna agli studii pazienti, all'esame dei testi -antichi. L'uomo che risente alla lettura della _Storia Romana_ del -Niebuhr un piacere indicibile e che annovera fra le pochissime felicità -della sua vita l'averne conosciuto l'autore, è lo stesso che sente le -lacrime salirgli agli occhi udendo all'Argentina _la Donna del lago_. - -Così l'intimo contrasto che abbiamo trovato fra le due potenti -facoltà del suo spirito è accresciuto dall'educazione, dal dissidio -delle influenze che ora lo spingono in un senso ora nell'altro. Ma, -in verità, il contagio romantico gli si apprende ogni giorno più -gravemente. Noi abbiamo considerato alcuni dei caratteri letterarii, -rettorici, formali, del romanticismo; e abbiamo visto che, nonostante -la sua fedeltà ai grandi antichi, il Leopardi pur s'accosta per questo -rispetto ai moderni; ma se consideriamo il romanticismo non come forma -ma come contenuto, non come metodo di scrivere ma come modo di sentire, -troviamo nel Recanatese tutti i caratteri dei romantici veri. - -L'immaginazione eccedente e la smodata sensibilità anticipano, tra -costoro, la vita; prima e più che alle cose vere essi si affezionano -alle figurazioni della loro fantasia. L'_Harold_ di quel Byron che -Giacomo amava tanto già prova il disgusto della sazietà quando ancora -il primo tempo della sua vita non è trascorso. E la malinconia di -Chateaubriand nasce quando “nos facultés jeunes et actives, mais -renfermées, ne se sont exercées que sur elles-mêmes sans but et sans -objet.„ E la fantasia dipinge ad _Ortis_ “così realmente la felicità -ch'io desidero, e me la pone davanti agli occhi, e sto lì lì per -toccarla con mano, e mi mancano ancora pochi passi — e poi? il tristo -mio cuore se la vede svanire e piange quasi perdesse un bene posseduto -da lungo tempo.„ E il Lamartine, nel giorno che compie vent'anni è -stanco come se ne avesse vissuti cento. Il Leopardi dice che in lui -“l'attività interna si è consumata assai presto da sè medesima per il -suo proprio eccesso.„ - -Le anime avvezze a spaziare nel mondo dei sogni, che non ha confini nè -obbligazioni, potranno mai essere appagate dalla realtà precisamente -circoscritta e severamente governata? “Quand tous mes rêves se seraient -tournés en réalité,„ dice il Rousseau, “ils ne m'auraient pas suffi; -j'aurais imaginé, rêvé, désiré encore. Je trouvais en moi un vide -inexplicable que rien n'aurait pu remplir, un certain élancement du -coeur vers une autre sorte de jouissance dont je n'avais pas l'idée -et dont pourtant j'avais le besoin.„ E Chateaubriand: “On m'accuse -de passer toujours le but que je puis atteindre; hélas! je cherche -seulement un bien inconnu dont l'instinct me poursuit. Est-ce ma -faute si je trouve partout des bornes, si ce qui est fini n'a pour -moi aucune valeur?„ E il Leopardi vorrebbe “toujours sentir, toujours -aimer, toujours espérer„ ma “le bonheur de l'homme ne peut consister -dans ce qui est réel. Il n'appartient qu'à l'imagination de procurer -à l'homme la seule espèce de bonheur positif dont il soit capable. -C'est la véritable sagesse que de chercher le bonheur dans l'ideal....„ -L'identità di queste disposizioni intime è manifesta. Ancora: Gian -Giacomo preferisce le immagini agli oggetti che le hanno suscitate e, -alle Charmettes, ama meglio la signora de Warens quando le è lontano -che non quando le sta da presso. “Plusieurs fois j'ai évité pendant -quelques jours l'objet qui m'avait charmé dans un songe délicieux. Je -savais que ce charme aurait été détruit en s'approchant de la réalité. -Cependant je pensais toujours à cet objet, mais je ne le considérais -pas d'après ce qu'il était: je le contemplais dans mon imagination, -tel qu'il m'avait paru dans mon songe.„ Sono parole del Ginevrino? E -il Recanatese quello che le scrive. Egli chiede: “Suis-je romanesque?„ -Sì, o, per meglio dire, egli è romantico. Romanzeschi chiama ancora, -invece che romantici, i sentimenti idilliaci dell'amico Brighenti; ma -poi, come la parola _romantico_ è stata la prima volta adoperata per -qualificare un paesaggio, così anch'egli l'adopera per qualificare un -paese: a Pisa trova “un certo misto di città grande e di città piccola, -di cittadino e di villereccio, un misto veramente romantico.„ - -Nel sentire diversamente e maggiormente che gli altri, nel fuggire il -mondo reale, nel concepirne uno idealmente migliore, i romantici si -credono singolari, ottimi, unici. Il Rousseau scrive: “J'étais fait -pour être le meilleur ami qui fut jamais; mais celui qui devait me -répondre est encore à venir.„ Il Lamartine loda “ces âmes concentrées, -quoique errantes, qui désespèrent de trouver dans les autres âmes -ce qu'elles rêvent de perfection en elles-mêmes.„ E il Leopardi loda -“quei pochissimi che sortirono le facoltà del cuore, i quali possono -avere dalla loro parte alcuni di questo numero„, e crede che nell'amore -nessuno lo eguagli: “non nasce un altrettale amor„ dice di sè stesso -il suo Consalvo. Egli crede ancora che nell'amicizia nessuno senta -come lui: “Chiamo voi medesimo in testimonio che un'altra persona che -vi amasse ardentemente e immutabilmente come fo io, non l'avete ancora -trovata nè sperate di trovarla: ed io come bramerei che ci fosse, non -altrimenti, considerando me stesso, mi persuado affatto che non si -trova.„ E il suo dolore e quello del fratello Carlo, che è un altro sè -stesso, per la morte del fratello Luigi, non ha il simile: “Scrivimi -come vuoi; scrivimi due sole parole come fo anch'io, perchè le cose che -noi sentiamo non si possono esprimere, ed è ben naturale che le nostre -lettere sieno come le grandi passioni, cioè mute.„ - -Per questo sentimento orgoglioso combinato con lo sdegno della realtà -nascono nei romantici la misantropia e l'amore della solitudine. -L'anima è sola, il mondo è un deserto, la civiltà un tradimento fatto -alla natura; il ritorno allo stato patriarcale il solo saggio partito. -Il Leopardi scioglie un inno ai Patriarchi; detesta i raffinamenti, i -pervertimenti della società; ama di caldo amore la semplice natura. -“Senza fallo„ scrive al Giordani, “io spero che vi sentiate meglio -anche voi, contemplando questa natura innocente, fra la malvagità -degli uomini.„ Il _Renato_ dello Chateaubriand ha chiamato la folla -“vasto deserto di uomini„; il Leopardi dice: “veramente per me non -c'è maggior solitudine della gran compagnia.„ Il suo carattere “è di -chiudere nel profondo di me stesso tutti gli affanni e le affezioni -vere„; naturalmente è inclinato alla vita solitaria, e la canta, -e canta il passero solitario, il costume del quale tanto somiglia -al suo. Questo raccoglimento dà luogo più tardi a una smania, a -un bisogno di dissipazione; allora egli dice che non è “nato alla -pazienza„, che la solitudine “non è fatta per quelli che si bruciano -e si consumano da loro stessi„; e insomma, come tutti i romantici, -egli è inquieto, incontentabile, non sa quel che vuole: “A me piace -moltissimo la compagnia quando son solo, e la solitudine quando sono -in compagnia....„ Dopo aver educato sentimenti idilliaci, si compiace, -come i suoi maestri, degli spettacoli tragici, delle convulsioni della -natura: la sua Saffo classicamente esprime un pensiero romantico: - - Noi l'insueto allor gaudio ravviva - Quando per l'etra liquido si volve - E per li campi trepidanti il flutto - Polveroso de' Noti, e quando il carro, - Grave carro di Giove a noi sul capo - Tonando, il tenebroso aere divide. - Noi per le balze e le profonde valli - Natar giova tra' nembi, e noi la vasta - Fuga de' greggi sbigottiti, o d'alto - Fiume alla dubbia sponda - Il suono e la vittrice ira dell'onda. - -Ma il suo stato abituale è il tedio, il fastidio, la noia; come -quello dei romantici che, non contenti di annoiarsi all'italiana, alla -francese o alla tedesca, hanno preso ad imprestito lo _spleen_ inglese. -Il tedio lo affoga, la noia non solamente lo “opprime e stanca„ ma -lo “affanna e lacera„; e tanto gli è abituale, tanto è connaturata in -lui, che gli pare naturale, lodevole e grata: “la noia non è se non di -quelli in cui lo spirito è qualche cosa.„ - -Noi dovremo tornare più tardi su questi punti: notiamo per ora -come altri sintomi del male romantico si riscontrino nel Leopardi. -Sdegnando il mondo e i loro simili, che faranno gli annoiati? Niente -nella vita gli attira; essi soli sono perfetti: passeranno pertanto -il loro tempo osservando sè stessi; l'analisi psicologica viene in -grande onore. L'abito filosofico di studiare nella propria la natura -di tutti gli uomini è afforzato nel Recanatese da questa mania del suo -tempo; egli pensa che nessuno scritto è più eloquente di quello dove -altri parla di sè stesso. E mentre una forma d'arte, il romanzo, già -cronaca degli avvenimenti, diventa ora lo specchio dell'anima; mentre -Stendhal compone i suoi primi romanzi psicologici; Giacomo Leopardi, -quello stesso classico Leopardi il quale voleva scrivere un romanzo -storico “sul gusto della _Ciropedia_„, pensa di comporre la _Storia -d'un'anima_: “romanzo che avrebbe poche avventure estrinseche, ma -racconterebbe le vicende interne di un'anima nata nobile e tenera, -dal tempo delle sue prime ricordanze fino alla morte„; pensa anche di -comporre i _Colloquii_ “dell'io antico e dell'io nuovo, cioè di quello -che io fui, con quello ch'io sono; dell'uomo anteriore all'esperienza -della vita e dell'uomo esperimentato.„ - -Se pure i romantici non fossero sdegnosi della realtà, se pure -stimassero i loro simili e volessero frequentarli ed imitarli, vivendo -come essi, ne sarebbero capaci? Le assidue analisi intime, l'intensità -del pensiero, prima che nel Leopardi, in tutti gli altri romantici e -nell'iniziatore della scuola attenuano l'energia volitiva e rendono -incapaci di vivere: lo stesso Leopardi nota questa sua parentela col -Ginevrino quando, enumerato nel _Filippo Ottonieri_ i diversi generi -di uomini, ragiona di quelli nella cui natura “è congiunta e mista -alla forza una sorta di debolezza e di timidità: in modo che essa -natura combatte seco medesima. Perocchè gli uomini di questa seconda -specie.... non vengono a capo, nonostante qualunque cura e diligenza -vi pongano, di addentrarsi all'uso pratico della vita, nè di rendersi -nella conversazione tollerabili a sè non che altrui. Tali essere stati -negli ultimi tempi, ed essere nell'età nostra, se bene l'uno più, -l'altro meno, non pochi degl'ingegni maggiori e più delicati. E per un -esempio insigne, recava Gian Giacomo Rousseau.„ - -L'incapacità di vivere come gli altri, l'assiduità delle meditazioni, -la noia, l'inquietudine, la solitudine, producono la malattia del -secolo: la malinconia, la disperazione, l'amor della morte. Se -l'anima immaginosa e sensibile ha esaurito prima di vivere la sua -forza vitale, se l'esperienza la scontenta, se il mondo la disgusta, -se la solitudine la snerva, se gli altri la offendono, se la propria -compagnia la stanca, dove resterà un rifugio? Nella morte, unicamente. -A questa conclusione arrivano tutti i romantici. Werther si uccide, -Ortis si uccide; i loro imitatori non sono soltanto legione nell'arte, -ma anche nella vita. Una donna, la Staël, fa l'elogio del suicidio; -un'altra donna, Elisa Mercoeur, tenta di asfissiarsi col profumo -dei fiori. Vittorio Escousse a 19 anni e Augusto Lebras a 16, si -asfissiano insieme perchè non si sentono al loro posto quaggiù, perchè -manca loro la forza a ogni passo fatto avanti o indietro. Alfredo -de Vigny riconosce che il suicidio è un delitto per la religione e -per la morale, ma la disperazione può più che la ragione; e, se la -vince, sarà da chiamar colpevole il suicida, il poeta, o non piuttosto -il mondo?... Non occorre citare altri esempi. Miglior partito sarà -dimostrare la forza di questo contagio. Giacomo Leopardi forse anche -senza l'epidemia romantica avrebbe disperato; ma, senza le cause della -sua disperazione che indagheremo fra poco ad una ad una, i germi del -male diffusi nell'aria del suo tempo avrebbero attecchito e prodotto -una grande rovina dentro di lui. Questi germi erano così virulenti che -attaccarono e minacciarono per un momento la salute morale d'un uomo -d'azione, dell'uomo destinato ad operare cose grandissime, dell'uomo -che ebbe la massima energia e il massimo impero sopra sè stesso, -sopra i suoi simili e sul mondo: Napoleone Bonaparte. “Je suis ennuyé -de la nature humaine,„ scrive egli un giorno al fratello Giuseppe: -“Les grandeurs m'ennuyent, le sentiment est desséché, la gloire est -fade.„ Ed anch'egli si duole: “Un jour, au milieu des hommes, je -rentre pour rêver en moi-même, et me livrer à toute la vivacité de ma -mélancolie. De quel côté est elle tournée aujourd'hui?„ Ed anch'egli -pensa alla morte: “Du côté de la mort. Dans l'aurore de mes jours, -je puis encore espérer de vivre longtemps, et quelle fureur me porte -à vouloir ma destruction?... Que faire dans ce monde?... Puisque je -dois mourir, ne vaut-il pas autant se tuer? Si j'avais passé soixante -ans, je respecterais les préjugés de mes contemporains et j'attendrais -patiemment que la nature eût achevé son cours; mais puisque je commence -à éprouver des malheurs, que rien n'est plaisir pour moi, pourquoi -supporterais-je des jours on rien ne me prospère?...„ - -Se Bonaparte non sfuggì al contagio nei primi tempi dell'epidemia, con -quanta violenza non deve essa comunicarsi più tardi, nell'infuriare -del romanticismo, ad un'anima sensitiva e fantasiosa come quella del -Recanatese?... Abbiamo visto che la potenza del sentimento poetico e -dello spirito filosofico è in lui causa di un intimo disagio; questo -disagio potrebbe essere, ma non è curato dall'educazione; tutt'altro. -Una disciplina uniforme avrebbe potuto essergli salutare; ma egli -nasce in un tempo travagliato, in mezzo a un campo di battaglia. -Senza l'avvelenamento romantico, non è da credere che le sue facoltà -poetiche, l'immaginazione e la sensibilità, sarebbero state represse -a vantaggio delle altre; ma non sarebbero state esasperate come -furono. E se pure il poeta avesse potuto sentire come i romantici, -senz'altro, certo non sarebbe stato contento, come non furono contenti -i suoi predecessori e compagni e seguaci; ma non avrebbe sofferto, -come soffrì, per avere nello stesso tempo tanto assiduamente ripensato -il pensiero antico. Mentre intorno a lui ciascuno scrittore lotta -contro un altro, egli lotta con sè stesso: è classico e romantico a -un tempo, è attratto dall'una all'opposta parte. Fra le due retoriche -cerca un accomodamento: la letteratura s'indirizzi “verso il classico -e l'antico„ col soccorso della filosofia, trattando soggetti “del -tempo„, riconoscendo “la necessità di adattarsi al gusto corrente„; -ma i sentimenti, gli atteggiamenti morali, grazie ai quali ogni altro -scrittore si mette piuttosto con l'una che con l'altra fazione, non si -conciliano dentro di lui o si conciliano per farlo soffrire; perchè, -mentre il romanticismo lo disgusta del reale, il classicismo lo rende -incapace di adattarsi al mondo moderno. Leggete il suo canto _Alla -primavera_, che porta anche un secondo titolo: _Delle favole antiche_: -vedrete che egli loda i tempi quando tutta la natura era animata, -quando le candide ninfe e gli agresti Pani popolavano i fonti ed i -campi, quando i fiori e l'erbe ed i boschi vivevano, quando Eco non era -un “vano error di venti„ ma il dolente spirito di una ninfa infelice. -Il sentimento che glie lo detta non potrebbe essere più classico; -consideratelo più attentamente: troverete che non è tanto classico -quanto pare; c'è dentro quella stessa scontentezza del presente e del -vicino che spinge i romantici verso il passato e l'esotico. I romantici -puri si rifugiano col pensiero nel medio-evo cavalleresco e cristiano; -il Leopardi lo evoca una volta: - - O torri, o celle, - O donne, o cavalieri, - O giardini, o palagi!... - -ma gl'immensi studii fatti intorno all'antichità lo rivolgono di -preferenza a quel mondo pagano dal quale dovrebbe rifuggire interamente -per essere romantico del tutto; nel quale dovrebbe serenamente -rifugiarsi per essere del tutto classico. Nato più presto o più tardi, -il suo spirito avrebbe forse seguito una sola corrente e nella nettezza -delle visioni e nella saldezza dei convincimenti avrebbe trovato forza -e sostegno: l'età perplessa nel quale vive accresce il suo disagio. Se -egli possedesse una nativa capacità d'equilibrio, a lui si potrebbe -riferire ciò che il Giordani dice del Canova, e “pietosa„ sarebbe -stata la provvidenza ponendolo “sul doppio confine della memoria e -dell'immaginazione umana a congiungere due spazii infiniti, richiamando -a noi i passati secoli, e de' nostri tempi facendo ritratto agli -avvenire„; ma questa congiunzione, alla quale il Leopardi artista deve -la sua grandezza, è anche un'altra causa del dolore dell'uomo. - - - - -L'ESPERIENZA - - - - -I. - -LA SALUTE. - - -Quantunque, per la nativa sua tempra e per effetto dell'educazione, -Giacomo Leopardi sia un'anima in pena, mal preparata a trovare e ad -apprezzare la felicità, che è il bisogno di ogni uomo; nondimeno, se -la fortuna gli sorridesse, se i beni gli si offrissero ed egli non li -sapesse apprezzare, non avrebbe ragione di negarli. Ma che cosa gli -prepara la vita? - -Il primo, il più necessario, il più urgente dei beni è la salute, la -pienezza, l'interezza delle facoltà organiche; senza di che nessun -altro piacere, nessun'altra gioia è possibile, e lo stesso sentimento -dell'essere è leso e menomato. “Il corpo è l'uomo„ fa dire lo stesso -Leopardi al suo Tristano: “perchè (lasciando tutto il resto) la -magnanimità, il coraggio, le passioni, la potenza di fare, la potenza -di godere, tutto ciò che fa nobile e viva la vita dipende dal vigore -del corpo, e senza quello non ha luogo. Uno che sia debole di corpo, -non è uomo, ma bambino; anzi peggio; perchè la sua sorte è di stare a -vedere gli altri che vivono, ed esso al più chiacchierare, ma la vita -non è per lui.„ Questo vigore corporale, la salute, il sommo bene, a -pochi è negato: tanto esso è frequente e necessario, che il primo posto -si dà ordinariamente ad altri, perchè “la vita è principalmente dei -sani, i quali, come sempre accade, o disprezzano o non credono di poter -perdere ciò che posseggono.„ Il Leopardi ne è privo. - -Noi lo abbiamo visto scontento perchè, mentre la fantasia vivacissima -gli dipinge arcani mondi ed arcana felicità, la ragione lo contrasta; -e perchè mentre sente troppo, è poco capace di volere; ma insomma, -con tutta la straordinaria sua precocità, egli è ancora un fanciullo, -un adolescente, che impiega il suo tempo nello studio, che ha una -gran febbre di sapere, che non si stanca di leggere, di annotare, -di commentare, di trasportare sulle esili braccia i pesanti volumi -dai palchetti della biblioteca alla scrivania. Supponiamo che in -gioventù, nella maturità, egli goda d'una buona salute: il mondo, -nonostante che egli lo sdegni, tosto o tardi, debolmente o fortemente, -pure lo allaccerà. Invece, a diciassette anni, egli esce dagli -studii portentosi con la schiena curva, i muscoli emaciati, la vista -rovinata: il fanciullo vivace, l'eroe Filzero che le dava a tutti e -non ne toccava da nessuno, Giacomo “il prepotente„ è un povero gobbo -minacciato di cecità, oggetto di riso e di compassione. Senza dubbio -non la sola enormità dello sforzo lo ha così ridotto; egli porta -dalla nascita, nelle vene, un principio maligno. Le morti precoci, -le malattie nervose e la pazzia sono state frequenti tra i suoi -antenati; il sangue della vecchia stirpe si è impoverito e corrotto -nei molteplici matrimonii tra consanguinei: troppe volte i Leopardi -s'imparentano con gli Antici, ai quali appartiene anche la madre di -Giacomo. Ella lo concepisce giovanissima, in tempi di spavento, quando -il marito di lei è perseguitato dai Francesi invasori. L'eredità -morbosa e il formidabile sforzo mentale spiegano la rovina della sua -salute: la rachitide e quella che oggi si chiama neurastenia. Nel -primo fiore della gioventù egli si sente morire, crede che non gli -restino più di due o tre anni da vivere. Non ne ha ancora venti, e già -la sua vita consiste nell'alzarsi tardi, nel mettersi a passeggiare -sino all'ora del desinare, nel riprendere poi la passeggiata sino -alla sera: non può scrivere un rigo e appena riesce a leggere per -un'ora. Così dura sette mesi. Si rimette alla peggio, e allora capisce -qual è la sua condanna: “ho potuto accorgermi e persuadermi, non -lusingandomi, o caro, nè ingannandomi, che il lusingarmi e l'ingannarmi -pur troppo è impossibile, che in me veramente non è cagione necessaria -di morir presto, e purchè m'abbia infinita cura, potrò vivere, bensì -strascinando la vita coi denti, e servendomi di me stesso appena per la -metà di quello che facciano gli altri uomini, e sempre in pericolo che -ogni piccolo accidente e ogni minimo sproposito mi pregiudichi, o mi -uccida.„ - -A ventun anno, nella primavera del 1819 comincia a soffrire d'una -debolezza dei nervi oculari che gl'impedisce di poter leggere anche -una sola riga; trascorre allora i suoi giorni sedendo con le braccia -in croce, o passeggiando per le stanze, in modo che gli fa spavento. -“Nell'età che le complessioni ordinariamente si rassodano, io vo -scemando ogni giorno di vigore, e le facoltà corporali mi abbandonano -ad una ad una.„ Ripiglia un po' di forza al rinfrescarsi della -stagione, “ma l'imbecillità degli occhi, e però la miseria della mia -vita, è sempre la stessa e maggiore.„ Il primo d'ottobre comincia -una lettera al Giordani, ma un'oftalmia sopravvenuta alla debolezza -non gli consente di finirla se non in sul finire del mese. L'amico lo -sollecita a studiare; “gli studi,„ risponde il poveretto, “non so da -otto mesi che cosa sieno, trovandomi i nervi degli occhi e della testa -indeboliti in maniera, che non posso non solamente leggere nè prestare -attenzione a checchessivoglia, ma fissar la mente in nessun pensiero -di molto o poco rilievo.„ Egli si duole “di avere un cervello nel -cranio„, perchè non può pensare minimi e fugacissimi pensieri “senza -contrazione e dolore de' nervi„; il male degli occhi lo riduce “alla -natura dei gufi, odiando e fuggendo il giorno.„ Ha una tregua di quasi -un anno; ma nell'autunno del '20 “o che la fatica mi ha pregiudicato, -se bene è stata moderatissima, o per qualunque altra ragione, sento -che la mia povera testa ricade nella debolezza passata.„ Così va -avanti, “come Dio vuole: quando peggio, quando meglio, sempre inetto a -lunghe applicazioni.... Io studio la notte e il dì fino a tanto che la -salute me lo comporta. Quando ella non mi sostiene, io passeggio per -la camera qualche mese; e poi torno agli studi, e così vivo.„ In ogni -inverno i suoi mali s'incrudiscono, il freddo è per lui “una malattia -grave„, un “carnefice e nemico mortale„; nè la primavera gli è del -tutto propizia, perchè gli produce ogni anno una penosa “inquietezza -di nervi.„ Nel marzo del '25 è ridotto a tale, che non può “fissar la -mente in una menoma applicazione, neppure per un istante, senza che -lo stomaco vada sossopra immediatamente, come m'accade appunto adesso, -per la sola applicazione di scrivere questa lettera.„ A Bologna, poco -dopo, si sente un altro, quasi guarito della testa e degli occhi; ma il -caldo patito in viaggio gli produce una grave e penosa infiammazione -d'intestini che si prolunga sino all'anno seguente; e il primo freddo -lo avvilisce, e il rigido inverno lo tormenta in modo straordinario, -“perchè la mia ostinata riscaldazione d'intestini e di reni m'impedisce -l'uso del fuoco, il camminare e lo stare in letto.„ Soffre pertanto -pene indescrivibili, “quanto forse in tutto il rimanente della mia -vita insieme.„ Con la primavera si sente tornare in vita “da una -vera morte„; ma se appena appena in aprile il tempo si guasta, egli -deve ritirarsi dal mondo e chiudersi in casa. Finalmente con l'estate -migliora; ma ricade appena fa una gita a Ravenna. Si propone di fuggire -da Bologna, tanto lo spaventa l'idea di passarvi un altro inverno; ma -prima che ne fugga gli sopravviene un reuma di capo, di gola e di petto -con febbre e sordità. Nel cuore dell'inverno del '27 guarisce, a casa -sua, dopo quattordici mesi, del male degli intestini; ma ricominciano -a patire gli occhi “miserabilmente.„ Tornato a Bologna, gli danno un -fastidio sempre più grave; a Firenze la flussione e l'enfiagione delle -palpebre peggiorano: non può vedere la città, non può sostenere la -luce. Guarita la flussione, gli resta la consueta debolezza dei nervi -ottici e della testa, complicata dal male dei denti; e quantunque -l'inverno lo atterrisca, è ridotto a sperare che sopravvenga tosto, -perchè il freddo, pregiudicandolo in tutto il resto, gli giova per -gli occhi. Intanto non può “nè leggere, nè scrivere, nè pensare„; -ricomincia a starsene giorni interi seduto, con le braccia in croce, -in un ozio “più tristo assai della morte. Certo è che un morto passa la -sua giornata meglio di me.„ L'8 di settembre scrive: “La mia debolezza -degli occhi è la più grave ed ostinata che io abbia sofferto da otto -anni in qua. Sto bene, eccetto incomodi leggieri di flussioni e di -stomaco.„ Vedete: è ridotto a tale che, con la vista rovinata, con -altri incomodi di flussioni e di stomaco, pure dice che sta bene! Spera -la guarigione “provvisoria e non radicale„ della vista con l'inverno, -ma il primo freddo lo disturba; poi, se migliorano gli occhi e i denti, -torna a soffrire con lo stomaco, “perchè, per paura di farmi male, non -mangiavo più quasi nulla.„ - -Lo hanno accusato di vagabondaggio, mentre il disgraziato è costretto -a mutar di luogo per tentar di alleviare le sue pene. Va a Pisa -nell'autunno del '27, e lì si sente assai meglio, quantunque gli occhi -non guariscano interamente; e se il freddo gli fa bene, egli trema -dalla mattina alla sera non potendo far uso del fuoco: “l'uso del -camminetto mi è impossibile assolutamente e totalmente; giacchè anche -lo scaldino, il quale adopero con moderazione infinita, m'incomoda -assaissimo.„ Il 31 di gennaio così descrive il suo stato: “Questi miei -nervi non mi lasciano più speranza; nè il mangiar poco, nè il mangiar -molto, nè il vino, nè l'acqua, nè il passeggiare le mezze giornate, -nè lo star sempre in riposo, insomma nessuna dieta e nessun metodo -mi giova. Non posso fissar la mente in un pensiero serio per un solo -minuto, senza sentirmi muovere una convulsione interna, e senza che -lo stomaco mi si turbi, la bocca mi divenga amara e cose simili.„ La -sua vita “è noia e pena: pochissimo posso studiare.... La mia salute -è tale da farmi impossibile ogni godimento: ogni menomo piacere mi -ammazzerebbe„; e l'infelice trova un'espressione terribilmente efficace -per dipingere la sua miseria: “Se non voglio morire, bisogna ch'io non -viva....„ Dovendo tornare a Firenze viaggia di notte: nondimeno sta -male più giorni con gl'intestini e si persuade che non è più fatto -per muoversi. “_Tutti_ i miei organi, dicono i medici, son sani: ma -_nessuno_ può essere adoperato senza gran pena, a causa di un'estrema, -inaudita _sensibilità_ che da tre anni ostinatissimamente cresce _ogni_ -giorno: quasi ogni azione e quasi ogni sensazione mi dà dolore.„ -Per stare tollerabilmente, deve aversi una gran cura, evitare di -riscaldarsi e vivere senza far nulla. - -Con la nuova stagione ricominciano i mali di ventre: non può mangiare, -si riduce talvolta a patire la fame perchè lo stomaco non tollera -cibo senza dolori, “i quali sono tanto più gravi, quanto è maggiore -la quantità del cibo, benchè questa non sia mai superiore, anzi -appena uguale, al bisogno.„ Si rimette, ma gli ritorna la flussione -degli occhi, ed è ancora costretto a tralasciare le occupazioni della -mente. “La mia salute è passabile,„ scrive il 18 settembre del '28 al -padre, “eccetto la solita estrema sensibilità ed irritabilità d'ogni -sorta, la quale non posso vincere con l'esercizio (benchè questo per -il momento mi sia sempre giovevolissimo), e m'obbliga ad avermi una -cura eccessiva, minuta e penosa.„ Per comporre una letterina entra -“in convulsione e in una specie di febbre.„ In autunno: “i dolori e le -difficoltà smaniose del digerire mi travagliano molto.„ Di ritorno a -Recanati, non può “nè leggere, nè scrivere, nè pensare, nè digerire il -mio pranzo, che è pur piccino.„ Nell'estate del '29 “lo sfiancamento e -la _risoluzione_ dei nervi„ va sempre crescendo. In luglio scrive alla -Maestri: “Non solo non posso far nulla, digerir nulla, ma non ho più -requie nè giorno nè notte.„ E in agosto allo Stella: “La mia salute -è in misero stato e la mia vita è un purgatorio.„ E in settembre al -Bunsen: “Non solo i miei occhi, ma tutto il mio fisico sono in istato -peggiore che non fossero mai. Non posso nè scrivere, nè leggere, nè -dettare, nè pensare. Questa lettera finchè non l'avrò terminata sarà -la mia sola occupazione, e con tutto ciò non potrò finirla se non fra -tre o quattro giorni.„ A Firenze, nel '30, ha sputi sanguigni ad ogni -più piccolo raffreddore, e passa mesi interi in letto; torna anche -a smaniare per lo stomaco: “Se non vedrete mie lettere,„ scrive alla -sorella, “non vi meravigliate mai: assolutamente non posso, non posso -scrivere.„ Ogni riga gli costa “sudor di sangue.„ È ridotto “un tronco -che sente e pena.„ - -E la crudele vicenda ricomincia col nuovo anno: in primavera si -sente rinascere, “ma nè occhi nè testa non hanno ricuperato un solo -menomissimo atomo delle loro facoltà, perdute certamente per sempre.„ -S'illude ancora, crede d'esser guarito nell'autunno; ma già lo turba il -solo pensiero dell'inverno, che dovrà passare in casa, “secondo il mio -antico e poco ameno costume.„ A Roma, dove va col Ranieri, è inchiodato -a letto dal mal di petto, che continua sino alla primavera del '32, -con miglioramenti e ricadute successive. Nell'estate, a Firenze, il -caldo gli fa soffrire “molta debolezza e malessere, poichè tutta la mia -salute e il mio vigore dipende dalla moderazione della temperatura, la -quale mancando, sto sempre male.„ E nell'autunno torna ad allettarsi -per un altro reuma di petto: il terzo in dieci mesi. Arriva in fin -di vita, si ristabilisce a primavera; ma gli occhi sono nuovamente, -più seriamente minacciati dall'erpete, e quasi perduti. Nell'estate -ritornano a riammalarsi: uno è semichiuso. - -Tale è la sua rovina, che, deliberato di tentare il clima di Napoli, -non può dare direttamente notizia al padre della partenza; si deve -servire della mano altrui, “perchè quelle poche ore della mattina, -nelle quali con grandissimo stento potrei pure scrivere qualche riga, -le passo necessariamente a medicarmi gli occhi.„ E a Napoli la via -della croce ricomincia ancora una volta: dapprima gli occhi sembrano -guariti, poi egli deve tornare alla cura del sublimato corrosivo; -quando l'erpete migliora, resta ancora il male interno, insanabile. -Nell'autunno del '35 paga il suo tributo alla stagione con una -costipazione accompagnata da copiose emorragie del naso. Le condizioni -generali si sollevano, nell'inverno dal '35 al '36 può tornare un poco -a pensare, a leggere, a scrivere; passa oltre un anno mediocremente: -ma è l'ultimo guizzo della lampada vicina ad estinguersi. Già le -gambe cominciano a gonfiarsi, già il respiro diventa affannoso. Il -primo freddo del '36 lo fa spasimare più che quello sofferto a Bologna -dieci anni prima, e sul principio del dicembre il ginocchio e la gamba -diritta gli si gonfiano e diventano d'un colore spaventevole. Si porta -questo male sino alla metà di febbraio, quand'ecco un nuovo attacco -di petto. L'occhio diritto è minacciato da amaurosi; gli sopravviene -un attacco d'asma per il quale non può nè camminare, nè giacere, nè -dormire. Il 14 di giugno, a trentanove anni, muore improvvisamente, -durante il desinare. - -Tale fu la vita dell'infelice: mai forse tanta grandezza d'ingegno -fu pagata con tanta miseria del corpo. Negli altri, nelle creature -sensitive del suo tempo, i dolori si alternano con i piaceri, alle -contrazioni incresciose seguono pure i fremiti di godimento; il -suo supplizio è per questo inaudito: che non solo egli soffre fino -allo spasimo, ma _non può godere_. Gli occhi che dovrebbero aprirsi -agli spettacoli della natura, della bellezza, sono costretti a -fuggire la luce; il sangue che dovrebbe scorrergli impetuoso nelle -vene ed avvivargli le membra ed imporporargli le guance, gli spunta -sulle pallide labbra: le ossa gli si rammolliscono, le carni gli si -avvizziscono: la tisi, l'idropisia, la cardiopatia se lo contendono. -E questi mali non gl'impediscono soltanto di soddisfare il naturale -appetito del piacere, di cercare le grate impressioni; ma anche di -appagare l'altro suo bisogno: il bisogno di studiare, di meditare, -di comunicare con i grandi spiriti dei poeti e dei filosofi, di -raccogliersi in sè stesso, di scrivere il suo pensiero, e anche di -pensare soltanto. Qualcuno gli consiglia di disprezzare i piccoli -incomodi; ma potrà mai essere piccolo incomodo per lui l'impossibilità -di studiare? Egli non può lasciare gli studi, e questi non hanno -fatto e non fanno altro che male, e male grave, alla sua salute. “Ma -come passar la vita senza di loro?„ Vivere senza pensare non gli è -possibile; ed egli non può pensare, ma deve vivere; allora si duole -che, dovendo pur essere al mondo, non sia “pianta o sasso o qualunque -altra cosa non ha compagna dell'esistenza il pensiero.„ - -Così, mentre egli è per la sua costituzione morale poco capace di -volontà, la sua costituzione fisica gli vieta quasi ogni azione diretta -a contentare le prepotenti sue facoltà naturali. La sensibilità, che -naturalmente cerca le impressioni grate, deve fuggirle e non ne prova -alcuna; la stessa riflessione, la stessa meditazione, che sul principio -lo ha consolato sino ad un certo segno dei mancati piaceri, è anch'essa -continuamente impedita. - - - - -II. - -L'AMORE. - - -Quando la salute, prima condizione della felicità, è assicurata, gli -uomini considerano come massimo pregio della vita l'amore. Tanto valore -è attribuito a questa passione per la difficoltà del suo appagamento. -Ciascuna creatura bastando a sè stessa quando vuol soddisfare qualunque -suo bisogno, ha bisogno d'un'altra creatura simile e diversa ad un -tempo per soddisfare l'istinto della riproduzione. Questa dipendenza, -la necessità dell'accordo, non riguardano soltanto l'amore come fatto -organico, ma anche e più l'amore come sentimento. I due appetiti del -maschio e della femmina, se bene non si destano a un punto e con forza -e caratteri eguali, quasi sempre finalmente coincidono; molto più -difficile è che le aspirazioni, i sentimenti e le idee d'un uomo e -d'una donna concordino. La difficoltà dell'accordo, dal quale dipende -l'appagamento del bisogno, si rivela e si misura nella scelta sessuale. -Non ad un qualunque individuo dell'altro sesso ciascun individuo chiede -l'amore, ma determinatamente ad un tale: se ogni donna può essere amata -da ogni uomo, e reciprocamente, ciascuno di noi, uomo o donna, crede -che il proprio piacere dipenda da alcune creature singolarissime. E -la nostra scelta è naturalmente determinata dalle qualità esteriori e -visibili delle creature da amare: noi scegliamo quelle che ci sembrano -più belle e, per ciò stesso, migliori. Giacomo Leopardi, sensibile e -immaginoso come lo conosciamo, capace d'apprezzare come abbiamo visto -la bellezza muliebre, crederà, sulla fede di questa bellezza, a una -maggiore, a un'infinita bellezza intima; l'amor suo sarà un fuoco -divoratore. Infermo e deforme, egli non sarà riamato da nessuna donna. -Mai i poeti dell'amore immaginarono situazione più sciagurata: un -cuor nobile e uno spirito altissimo in un corpo egro e contraffatto. -Se l'esperienza sentimentale è tanto spesso triste per quegli uomini -grandi la cui grandezza non potè essere misurata dalle donne, ma che -pure, poco o molto, bene o male, furono riamati; che cosa dovette -essere per un uomo come il Leopardi a cui nessuna donna mai rispose, di -cui più d'una donna rise? - -Il primo amore lo infiamma a diciotto anni: egli s'invaghisce della -cugina Geltrude Cassi venuta per qualche giorno a Recanati e scesa -in casa di lui. Che struggimento sia questa passione egli stesso ha -descritto: - - Tornami a mente il dì che la battaglia - D'amor sentii la prima volta, e dissi: - Oimè, se quest'è amor, com'ei travaglia! - . . . . . . . . . . . . . . . - - Ahi come mal mi governasti, amore! - Perchè seco dovea sì dolce affetto - Recar tanto desìo, tanto dolore? - - E non sereno, e non intero e schietto, - Anzi pien di travaglio e di lamento - Al cor mi discendea tanto diletto? - - Dimmi, tenero core, or che spavento, - Che angoscia era la tua fra quel pensiero - Presso al qual t'era noia ogni contento? - -Delizia somma ed unica, la passione è anche spasimo ineffabile: questo -contrasto noto ad ognuno si acuisce soprammodo in una natura sensibile -come quella del Leopardi. Il suo cuore “inquieto e felice e miserando„, -gli affatica il fianco dal tanto forte palpitare, e il sonno gli vien -meno come per febbre; ma intanto la dolce immagine sorge viva in mezzo -alle tenebre: - - Oh come soavissimi diffusi - Moti per l'ossa mi serpeano! Oh come - Mille nell'alma instabili, confusi - Pensieri si volgean! - -Ma di questa donna che suscita in lui tanto desiderio egli può appena -ammirare le sembianze e udire la voce: e già ella parte, e invano - - Io qui vagando al limitare intorno - Invan la pioggia invoco e la tempesta - Acciò che la ritenga al mio soggiorno. - - Pure il vento muggia nella foresta - E muggìa tra le nubi il tuono errante - Pria che l'aurora in ciel fosse ridesta. - - O care nubi, o cielo, o terra, o piante; - Parte la donna mia: pietà, se trova - Pietà nel mondo un infelice amante. - - O turbine, or ti sveglia, or fate prova - Di sommergermi, o nembi, insino a tanto - Che il sole ad altre terre il dì rinnova. - - S'apre il ciel, cade il soffio, in ogni canto - Posan l'erbe e le frondi, e m'abbarbaglia - Le luci il crudo sol pregne di pianto.... - -E se egli, al buio, protendendo l'orecchio avido per cogliere l'ultima -voce di lei che parte, ne ode in cambio un'altra, una voce plebea, pure -un gelo lo prende e il cuore gli si rompe nel petto. E quando ella se -ne va, e s'ode il romorio dei cavalli e delle ruote: - - Orbo rimasi allor, mi rannicchiai - Palpitando nel letto e, chiusi gli occhi, - Strinsi il cor con la mano e sospirai. - - Poscia traendo i tremuli ginocchi - Stupidamente per la muta stanza, - Ch'altro sarà, dicea, che il cor mi tocchi? - - Amarissima allor la ricordanza - Locommisi nel petto, e mi serrava - Ad ogni voce il cor, a ogni speranza. - - E lunga doglia il sen mi ricercava, - Com'è quando a distesa Olimpo piove - Malinconicamente e i campi lava. - -Non è esagerazione poetica, retorica. Già non sarebbe da dubitarne -perchè lo scrittore, — e particolarmente uno scrittore come lui — -risente, componendo, le sue impressioni passate; e se trova immagini -gagliarde per dipingere lo stato dell'anima sua, vuol dire che -gagliardamente ha sentito o è capace di sentire; ma noi abbiamo altre -testimonianze le quali dicono molto più che non dica egli stesso. -La notte della partenza della Cassi, riferisce la contessa Teresa -Leopardi, fu una notte “spaventevole. Egli era in preda a un delirio -che lo faceva gridare e ruggire.„ Il fratello Carlo dovette vegliarlo. -Calmatosi, egli non scrisse soltanto questi versi, compose anche una -_Storia_ del suo amore, in prosa; un giorno ne lesse alcuni frammenti -al fratello: “gli si spezzava il cuore nel leggerli, e a Carlo mancava -il coraggio d'insistere, e lo pregava che cessasse d'intrattenersi su -quelle strazianti memorie.„ - -Quest'analisi intima accresce naturalmente la forza delle impressioni -che già si sono scritte profondamente nelle sensibilissime fibre. -Null'altro compiacimento egli trova fuorchè in questa indagine: - - Solo il mio cor piaceami, e col mio core - In un perenne ragionar sepolto, - Alla guardia seder del mio dolore. - -Perchè, non solamente nulla ottenne egli da quella donna, ma nulla le -chiese, nulla le disse; e quantunque assicuri che - - Vive quel foco ancor, vive l'affetto, - Spira nel pensier mio la bella imago - Da cui, se non celeste, altro diletto - Giammai non ebbi, e sol di lei m'appago; - -pure, col tempo, la memoria della sua passione a poco a poco, -naturalmente, si disperde. Un'altra tosto ne nasce. - -Una fanciulla di umile condizione, Teresa Fattorini, figlia del -cocchiere di casa Leopardi, lo innamora. Che cosa dovrà essere questo -sentimento noi possiamo prevedere da quel che egli dice intorno alla -seduzione esercitata dalle giovanette, dalle vergini. Se una donna, -come era la Cassi, “è più atta a inspirare e maggiormente mantenere una -passione,„ egli giudica che una fanciulla dai sedici anni ai diciotto -anni “ha nel suo viso, nei suoi moti, nelle sue voci un non so che di -divino che niente può agguagliare. Qualunque sia il suo carattere, -il suo gusto, allegra o malinconica, capricciosa o grave, vivace o -modesta, quel fiore purissimo, intatto, freschissimo di gioventù, -quella speranza vergine, incolume, che si legge sul viso e negli -atti, e che voi nel guardarla concepite in lei e per lei, quell'aria -d'innocenza e d'ignoranza completa del male, delle sventure, dei -patimenti; quel fiore insomma, anche senza innamorarvi, anche senza -interessarvi, fanno in voi un'impressione così viva, così profonda, -così ineffabile, che voi non vi saziate di guardare quel viso; ed io -non conosco cosa che più di questa sia capace di elevarci l'anima, di -trasportarci in un altro mondo, di darci un'idea d'angeli di paradiso, -di divinità, di felicità. Tutto questo, io ripeto, senza innamorarci, -senza muoverci desiderio di posseder quell'oggetto. La stessa divinità -che noi vi scorgiamo, ce ne rende in certo modo alieni, ce la fa -riguardare come di una sfera divina e superiore alla nostra, a cui non -possiamo aspirare....„ La gentile Teresa, se da principio gl'ispira -questo senso di umile e trepida ammirazione, presto lo infiamma d'amore -prepotente. Quando, di maggio, ella siede intenta alle opere femminili -e fa risonare tutt'intorno il suo perpetuo canto; ed egli, lasciate le -sue carte, ascolta quei suoni, il volto gli si discolora; e se volge lo -sguardo alle vie dorate, agli orti, al mare, al monte, la sua felicità -è infinita: - - Lingua mortal non dice - Quel ch'io sentivo in seno. - Che pensieri soavi. - - Che speranze, che cori, o Silvia mia! - Quale allor ci apparia - La vita umana e il fato! - -Ma egli non le ha detto una sola parola dell'amor suo; nè sa che cosa -veramente ella provi per lui. Non può parlare, non sa risolversi: è -timido, indeciso, senza volontà: noi sappiamo che tutta la sua forza -vitale è impiegata all'interno, a sentire, a pensare: non glie ne -avanza per operare. E mentre la passione lo strugge e la debolezza -lo avvilisce, la povera ragazza se ne muore, di tisi, a ventun anno, -quando egli ne ha appena venti. Egli vede venire la morte della -diletta, e si studia invano di non credere a chi gli dà notizie -disperate dell'inferma, e presente lo strazio della dipartita; e, -morta, la rivede in sogno: - - Morta non mi parea, ma trista, e quale - Degl'infelici è la sembianza. Al capo - Appressommi la destra, e sospirando, - Vivi, mi disse, e ricordanza alcuna - Serbi di noi? - -Egli non può credere che sia morta; e quando ne è certo, non sa come -ancora sia vivo egli stesso; e all'ombra — solo alla vana ombra — che -lo visita nel sogno, osa chiedere: - - Or se di pianto il ciglio, - ........ e di pallor velato il viso - Per la tua dipartita, e se d'angoscia - Porto gravido il cor; dimmi: d'amore - Favilla alcuna, o di pietà, giammai - Verso il misero amante il cor t'assalse - Mentre vivesti? Io disperando allora - E sperando traea le notti e i giorni; - Oggi nel vano dubitar si stanca - La mente mia. Che se una volta sola - Dolor ti strinse di mia negra vita - Non mel celar, ti prego, e mi soccorra - La rimembranza or che il futuro è tolto - Al nostri giorni.... - -E quando ella gli dice che sì, allora: - - Per le sventure nostre, e per l'amore - Che mi strugge, esclamai; per lo diletto - Nome di giovinezza e la perduta - Speme de' nostri dì, concedi, o cara, - Che la tua destra io tocchi. - -Torna a scordarsi che è morta nel ricoprirne di baci ardenti la mano; -ma il fantasma sparisce: - - Allor d'angoscia - Gridar volendo, e spasimando, e pregne - Di sconsolato pianto le pupille, - Dal sonno mi disciolsi. Ella negli occhi - Pur mi restava, e nell'incerto raggio - Del sol vederla io mi credeva ancora. - -La dolorosa memoria non lo lascia più. - - Ahi Nerina! In cor mi regna - L'antico amor. Se a feste anco talvolta, - Se a radunanze io movo, in fra me stesso - Dico: Nerina, a radunanze, a feste - Tu non ti acconci più, tu più non movi. - Se torna maggio, e ramoscelli e suoni - Van gli amanti recando alle fanciulle, - Dico: Nerina mia, per te non torna - Primavera giammai, non torna amore. - Ogni giorno sereno, ogni fiorita - Piaggia ch'io miro, ogni goder ch'io sento, - Dico: Nerina or più non gode; i campi, - L'aria non mira. Ahi tu passasti, eterno - Sospiro mio: passasti: e fia compagna - D'ogni mio vago immaginar, di tutti - I miei teneri sensi, i tristi e cari - Moti del cor, la rimembranza acerba. - -Dubitano che questa Nerina sia la stessa Silvia, la stessa Teresa -Fattorini; dicono che possa essere un'altra umile giovanetta, la -tessitrice Maria Belardinelli, della quale il poeta si era più tardi -invaghito. Sia pure. Ma quest'altro amore è stato forse più fortunato -dell'altro? Quest'altro amore somiglia quanto più non sarebbe possibile -al primo. Come non ha rivelato l'animo suo alla Fattorini, il Leopardi -non l'ha rivelato alla Belardinelli; come la Fattorini è morta giovane, -giovane è morta la Belardinelli: la prima a ventun anno, la seconda a -ventisette. Entrambe le passioni furono tacite, inappagate, infelici. - -E l'esperienza della sua incapacità a farsi amare prostra il giovane, -lo attrista, lo riduce a una sconsolata e cupa rassegnazione. Se -incontra una bella fanciulla, se ne ode soltanto da lontano qualcuna -cantare, - - A palpitar si move - Questo mio cor di sasso; ahi, ma ritorna - Tosto al ferreo sopor; ch'è fatto estraneo - Ogni moto soave al petto mio. - -Nessuna simpatia dell'infelice è stata corrisposta, nessuna ne ha -saputa o potuta esprimere; nessun'altra ne esprimerà, di nessun'altra -otterrà il ricambio. Egli stesso ha riconosciuto che così dev'essere, -che così è giusto che sia. Egli sa d'avere “l'aspetto miserabile e -dispregevolissima tutta quella gran parte dell'uomo, che è la sola a -cui guardino i più: e coi più bisogna conversare in questo mondo; e non -solamente i più, ma chicchessia è costretto a desiderare che la virtù -non sia senza qualche ornamento esteriore, e trovandonela nuda affatto, -s'attrista, e per forza di natura, che nessuna sapienza può vincere, -quasi non ha coraggio d'amare quel virtuoso in cui niente è bello -fuorchè l'anima.„ Così la sua Saffo, dispregiata amante, riconosce che - - alle sembianze il Padre - Alle amene sembianze eterno regno - Diè nelle genti; e per virili imprese, - Per dotta lira o canto, - Virtù non luce in disadorno ammanto. - -Che vale nondimeno questa persuasione filosofica contro le leggi della -vita, contro le voci dell'istinto? La ragione ha un bel dimostrargli -sino all'evidenza che egli non può essere amato: che importa, se -dell'amore ha bisogno? E allora, non che rassegnarsi, egli fa un -ragionamento tutto inverso. L'amore degli uomini non si distingue per -la parte che vi ha l'anima? I godimenti bassi e volgari valgono forse -il piacere “que donne un seul instant de ravissement et d'émotion -profonde?„ L'anima sua non è capace di risentire e di procurare altrui -queste commozioni ineffabili? Le donne non dicono che è inutile parlare -ai loro sensi; che solo il sentimento le infiamma? Non vi sarà una -donna che, ansiosa di essere amata con l'anima, da un'anima grande, -comprenderà la sua grandezza e compatirà la sua sciagura e gli stenderà -la mano? Se egli ancora non l'ha trovata, non può, non deve sperare di -trovarla? Nulla vale l'esperienza contraria per uno avvezzo come lui a -dar tanto credito alle illusioni. Egli deve necessariamente illudersi -che se nessuna donna lo ha ancora compreso, qualcuna lo comprenderà. -E il tempo passa, e non una si accorge di lui. Allora egli si rivolta -contro tutte: tanto più violentemente, quanto più è persuaso che l'amor -suo è senza pari, per quel sentimento orgoglioso del quale altrove -notammo l'origine. Allora egli scrive: “L'ambizione, l'interesse, la -perfidia, l'insensibilità delle donne che io definisco un _animale -senza cuore_, sono cose che mi spaventano.... La scelleraggine delle -donne mi spaventa, non già per me, ma perchè vedo la miseria del -mondo.„ Egli vede che, se uomini e donne sono destinati ad amarsi, sono -anche fatti diversamente; e che, naturalmente più fredde, le donne -possono speculare sull'ardenza del desiderio che ispirano: quindi la -prostituzione. Egli non può accostare le sciagurate che si vendono -perchè gli fanno troppo ribrezzo e troppa paura, perchè vuole amare -nobilmente, con tutte le più alte potestà dell'esser suo; ma crede che, -se altra fosse la sua condizione nel mondo, non sarebbe deriso: “S'io -divenissi ricco e potente, ch'è impossibile, perchè ho troppo pochi -vizi, le donne senza fallo cercherebbero d'allacciami. Ma in questa -mia condizione, disprezzato e schernito da tutti, non ho nessun merito -per attirarmi le loro lusinghe.„ E il maggiore, l'unico suo merito, la -capacità sentimentale, si perde a poco a poco: egli sente di non poter -essere amato anche “perchè ho l'animo così agghiacciato e appassito -dalla continua infelicità, ed anche dalla misera cognizione del vero, -che prima di avere amato ho perduto la facoltà di amare; e un angelo di -bellezza e di grazia non basterebbe ad accendermi.„ - -Ma come s'inganna! A ventidue anni può egli esser sicuro di non -ricadere nell'eterna illusione? Non confessa che la sua esperienza è -tutta immaginaria, che non ha amato realmente, come tutti gli altri -uomini i quali manifestano i loro sentimenti e cercano di ottenerne -il ricambio; ma soltanto tra sè, tacitamente, nella solitudine? Allora -chi lo difenderà contro nuove lusinghe? Bisognerebbe che il suo cuore -mutasse di tempra perchè perdesse la capacità d'infiammarsi così. Se -l'amor suo è un chiuso fuoco che la sola vista d'una donna accende, -nè la mancata corrispondenza, nè l'impossibilità d'esser compreso, nè -lo sdegno contro le creature giudicate insensibili gl'impediranno di -accendersi ancora. - -Noi lo abbiamo udito gridare da Roma al fratello: “Amami, per Dio. Ho -bisogno d'amore, amore, amore, fuoco, entusiasmo, vita....„ Subito -dopo soggiunge: “Le donne romane alte e basse fanno propriamente -stomaco; gli uomini fanno rabbia e compassione.„ Nella gran città, -se “non per modestia, ma per pienissima e abituale indifferenza e -noncuranza„, le donne non alzano gli occhi sui giovani molto belli -ed eleganti in compagnia dei quali egli gira spesso per le vie; -come sarà guardato e notato un povero contraffatto suo pari? Quindi -il suo sdegno cresce, lo fa uscire in nuovi insulti: “Trattando, è -così difficile il fermare una donna in Roma come in Recanati, anzi -molto più, a cagione dell'eccessiva frivolezza e dissipatezza di -queste bestie femminine, che oltre di ciò non ispirano un interesse -al mondo, sono piene d'ipocrisia, non amano altro che il girare e il -divertirsi non si sa come....„ Ma quanto gli debba costare questo -giudizio, quanto debba cuocergli la rinunzia alle gioie dell'amore -nella quale vuol dare a intendere che quasi si compiace, appare da -altre sue impressioni. Il povero rachitico intende squisitamente la -seduzione delle forme muliebri, dà ragione dell'incanto che esercita -lo spettacolo del ballo: “Una donna nè col canto nè con altro qualunque -mezzo può tanto innamorare un uomo quanto col ballo; il quale pare che -comunichi alle sue forme un non so che di divino, ed al suo corpo una -forza, una facoltà più che umana.„ Se egli ha dichiarato di sprezzare -tutto il genere femminino, se annunzia che non tratta a Roma con donne, -confessa pure che “senza queste nessuna occupazione o circostanza -della nostra vita ha diritto di affezionarci o di compiacerci. Io -me n'assicuro per esperienza, e posso giurarti che la conversazione -spiritosa o senza spirito mi è venuta in odio mortale. Tutto è secco -fuori del nostro cuore; e questo non si esercita mai....„ E quando -il fratello Carlo gli annunzia che è innamorato, egli se ne felicita: -“Veramente non so qual migliore occupazione si possa trovare al mondo -che quella di fare all'amore, sia di primavera o d'autunno; e certo -che il parlare a una bella ragazza vale dieci volte più che girare, -come io fo, attorno all'Apollo del Belvedere o alla Venere Capitolina.„ -Se, dunque, poco tempo dopo, di ritorno a Recanati, egli scrive al -Melchiorri che è “ben sicuro di morire e di soffrire per tutt'altro che -per una donna„, noi non lo potremo credere. Rallegratosi col fratello -per la sua nuova fiamma, otto mesi dopo egli ammonisce il cugino: -“Io sono troppo persuaso, non dico della vostra filosofia, perchè -la filosofia in questi casi non serve, ma della vostra accortezza e -cognizione del mondo, per credervi capace d'innamorarvi in modo che -la passione vi possa inquietare. Caro Peppino, non siamo più a quei -tempi. Nella primissima gioventù, questo ci può accadere; ma dopo fatta -esperienza delle cose, è impossibile, o è troppo fuor di ragione. -Un tempo addietro io era capacissimo di una passione furiosa: ne ho -provate anch'io e per confessarvi la mia sciocchezza, vi dico che -sono stato più volte vicinissimo ad ammazzarmi per ismania d'amore, -ancorchè in verità non avessi altra cagione di disperarmi, che la mia -immaginazione. Ma dopo l'esperienza, sono ben sicuro di morire e di -soffrire per tutt'altro che per una donna. Farei torto al vostro buon -giudizio se vi ricordassi che le donne non vagliono la pena di amarle e -di patire per loro. Non posso credere che mi rispondiate che la vostra -è diversa dall'altre. Questa è la risposta di tutti gl'innamorati, -e non sarebbe degna di voi. Voi ed io dobbiamo tenere per assioma -matematico che non v'è nè vi può esser donna degna di essere amata -da vero.„ La contraddizione è tutta apparente: se egli parla ora da -credente ora da scettico, ciò avviene perchè, con un bisogno prepotente -d'amore, si sente condannato a non ottenerne mai. Non lo amano, ed egli -accusa tutto il sesso muliebre; ma se è ingiusto con le donne, è anche -ingiusto con sè stesso, dichiarandosi impotente ad amare quando invece -è condannato a struggersi invano. “Sono molto contento,„ riscrive -all'amico, “di vedervi questa volta un poco più quieto sopra la vostra -passione. Di questa io non sarei capace, perchè il cuore, di cui voi -mi parlate, è andato a spasso dopo tante esperienze d'uomini e di -donne: ma non biasimo però chi è capace ancora di provarla e di amare -da vero, anzi lo invidio e lo felicito, perchè l'amore, quantunque sia -una pura illusione, ed abbia molti dolori, ha però un maggior numero -di piaceri; e se fa molti danni, questi servono per pagare moltissimi -diletti che ci procura. Sotto questo aspetto io approvo l'amore se -bene non lo provo; ma quando poi esso ci dovesse fare infelici, non -concederò mai che la ragione in un par vostro, e in qualunque uomo, sia -filosofo, sia mondano, non debba potere, se non altro, indebolirlo.... -A' tempi nostri, in questi costumi, con questo carattere di donne, -coi disinganni che ci hanno procurati tante cognizioni d'ogni genere -intorno al cuore umano, non è possibile che un uomo di senno sia per -lungo tempo la vittima di una passione ispirata da oggetti pieni di -vanità e d'ogni sorta di tristizie.„ - -Ma tanto egli arde, tale è la sua sete d'amore, che non trovando una -donna di carne e d'ossa alla quale poter degnamente consacrare il suo -culto, se ne foggia una con la fantasia. - - Viva mirarti omai - Nulla speme m'avanza.... - .... Già sul novello - Aprir di mia giornata incerta e bruna, - Te viatrice in questo arido suolo - Io mi pensai. Ma non è cosa in terra - Che ti somigli; e s'anco pari alcuna - Ti fosse al volto, agli atti, alla favella, - Saria, così conforme, assai men bella. - -Egli dimentica che, essendo tanto poco amabile, non dovrebbe essere -tanto esigente; la sua immaginazione è così fervida che vince la -coscienza della sua miseria fisica: infermo, contraffatto, sogna -una perfezione fuori dell'umano: egli è ancora quel romantico che, -innamorato di una donna viva, la evita per contemplarla idealmente, -temendo che la realtà ne distrugga l'incanto. Ma romanticismo, -idealismo, delirii della fantasia: tutto cede all'istinto vitale. -L'amore è un bisogno; egli deve amare, ed ama: e l'amor suo non -è ricambiato; non dalla Basvecchi, non dalla Brighenti, non dalla -Malvezzi. Udite che cosa desta costei in questo dispregiatore di -tutto il genere femminile: “Sono entrato con una donna (Fiorentina -di nascita) maritata in una delle principali famiglie di qui, in una -relazione, che forma ora gran parte della mia vita. Non è giovane, ma -è di una grazia e di uno spirito che (credilo a me, che finora l'avevo -creduto impossibile) supplisce alla gioventù e crea un'illusione -maravigliosa. Nei primi giorni che la conobbi, vissi in una specie -di delirio e di febbre. Non abbiamo mai parlato di amore se non per -ischerzo, ma viviamo insieme in un'amicizia tenera e sensibile, con -un interesse scambievole, e un abbandono, che è come un amore senza -inquietudine. Ha per me una stima altissima: se le leggo qualche mia -cosa, spesso piange di cuore senz'affettazione; le lodi degli altri non -hanno per me nessuna sostanza: le sue mi si convertono tutte in sangue, -e mi restano nell'anima. Ama e intende molto le lettere e la filosofia; -non ci manca mai materia di discorso, e quasi ogni sera io sono con -lei dall'avemaria alla mezzanotte passata, e mi pare un momento. Ci -confidiamo tutti i nostri secreti, ci riprendiamo, ci avvisiamo dei -nostri difetti. In somma questa conoscenza forma e formerà un'epoca -ben marcata della mia vita, perchè mi ha disingannato del disinganno, -mi ha convinto che ci sono veramente al mondo dei piaceri che io -credeva impossibili, e che io sono ancor capace d'illusioni stabili, -malgrado la cognizione e l'assuefazione contraria così radicata, ed -ha risuscitato il mio cuore dopo un sonno anzi una morte completa.„ -Teresa Carniani Malvezzi non è giovanetta, ignara della vita e -dell'arte; è donna fatta, scrittrice, poetessa: dovrebbe sapere chi è -l'uomo da cui è amata; se non gradisce l'amor suo perchè non glie lo -fa intendere subito? Prima lo alletta; poi un bel giorno gli dichiara -che le sue visite la seccano. “L'ultima volta che ebbi il piacere di -vedervi,„ egli le scrive, “voi mi diceste così chiaramente che la mia -conversazione da solo a sola vi annoiava, che non mi lasciaste luogo -a nessun pretesto per ardire di continuarvi la frequenza delle mie -visite. Non crediate ch'io mi chiami offeso; se volessi dolermi di -qualche cosa, mi dorrei che i vostri atti, e le vostre parole, benchè -chiare abbastanza, non fossero anche più chiare ed aperte....„ Questo -egli chiede almeno: che non lo lusinghino, che gli dicano tosto di non -volere, di non potere mai rispondere all'amor suo. E neppur questo può -ottenere, mai. - -Nella stessa Bologna dove ha conosciuto la Malvezzi, nello stesso -anno, incontra eguale fortuna con la Padovani, cantante giovane, bella -e graziosa. Egli non va più da lei quando s'accorge che l'amor suo -è sdegnato, e resiste alle dimostrazioni d'interesse con le quali -quest'altra mal consigliata tenta di riparare alle repulse; poichè -gli amici di lui temono che non sia guarito del tutto, egli dimostra -— o tenta dimostrare — che non hanno ragione: “Non so perchè vogliate -dubitare della mia costanza in tenermi lontano da quella donna. Quasi -mi vergogno a dirti che essa, vedendo che io non andavo più da lei, -mandò a domandarmi delle mie nuove, ed io non ci andai; che dopo -alcuni giorni mandò ad invitarmi a pranzo, ed io non ci andai; che sono -partito per Firenze senza vederla; che non l'ho mai veduta dopo la tua -partenza da Bologna. Dico che mi vergogno a raccontarti questo, perchè -par ch'io ti voglia provare una cosa di cui mi fai torto a dubitare. -Certo che la gioventù, la bellezza, le grazie di quella strega sono -tanto grandi, che ci vuol molta forza a resistere....„ - -Egli trova questa forza; e glie ne va data tanto maggior lode, -quanto più degne di biasimo sono coteste allettatrici, che vorrebbero -tenerselo accosto non solo senza accordargli nulla, ma ridendo anche di -lui. - - E voi, pupille tremule, - Voi raggio sovrumano, - So che splendete invano, - Che in voi non brilla amor. - - Nessun ignoto ed intimo - Affetto in voi non brilla: - Non chiude una favilla - Quel bianco petto in sè. - - Anzi d'altrui le tenere - Cure suol porre in giuoco, - E d'un celeste foco - Disprezzo è la mercè. - -Allora egli si rivolge al passato, rievoca la figura della povera -fanciulla morta sul fiore degli anni, della gentile che, se non l'amò, -almeno non rise di lui: e questo è tutto il suo conforto: un mortuario -ricordo: - - Rimembri ancora - Quel tempo della tua vita mortale, - Quando beltà splendea - Negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi, - E tu, lieta e pensosa, il limitare - Di gioventù salivi? - -Ella è morta; egli è inaridito, non aspetta se non la morte: - - Tu, misera, cadesti: e con la mano - La fredda morte ed una tomba ignuda - Mostravi di lontano.... - -E s'inganna ancora! Egli non è giunto al termine delle sue prove. Se -l'immaginazione lo ha troppo illuso, se l'esperienza lo ha troppo -deluso, la triste vicenda non è ancora finita. Egli ha trent'anni. -Quantunque la sua salute sia rovinata per sempre, pure la fiamma vitale -non è ancora spenta. Ed è nato ad amare, come il suo Eleandro: “Sono -nato ad amare, ho amato, e forse con tanto affetto quanto può mai -capire in anima umana.„ Eleandro, come lui, ha un bel dire: “Oggi, -benchè non ancora, come vedete, in età naturalmente fredda, nè forse -anco tepida, non mi vergogno a dire che non amo nessuno, fuorchè -me stesso, per necessità di natura, e il meno possibile.„ Giacomo -Leopardi, per suo proprio conto, in prima persona, griderà ancora: “Io -non ho bisogno nè di stima, nè di gloria, nè d'altre cose simili; ma -ho bisogno d'amore....„ La sua speranza che una donna finalmente lo -intenda non può morire. Se non è mai stato amato, se non ha saputo, -se non ha potuto esprimere i proprii sentimenti, gli basta, come a -Consalvo, un lieto sguardo, una buona parola, perchè, ripetendoli mille -e mille volte nel costante pensiero, egli viva e speri. - -Ed ecco la nuova allettatrice: Fanny Targioni-Tozzetti, che egli -incontra a Firenze, nel 1830. In un salotto elegante tutto odoroso dei -nuovi fiori primaverili, vestita del colore della bruna viola, ella lo -accoglie amabilmente, e quasi ad eccitare i suoi desiderii scocca baci -sulle labbra delle figliuoline stringendole al seno. - - Apparve - Novo ciel, nova terra, e quasi un raggio - Divino al pensier mio. - -La fiamma che repentinamente lo investe è alta e gagliarda. Dal momento -che l'ha veduta il pensiero di lei governa il suo cuore: - - Dolcissimo, possente, - Dominator di mia profonda mente: - Terribile, ma caro - Dono del ciel; consorte - Ai lugubri miei giorni, - Pensier che innanzi a me sì spesso torni.... - -Da questo momento, come per virtù d'incantesimo, tutte le altre sue -cure, i tanti dolori, i ricordi, le aspettazioni, tutto svanisce: - - Ratti d'intorno intorno al par del lampo - Gli altri pensieri miei - Tutti si dileguâr. Siccome torre - In solitario campo - Tu stai solo, gigante.... - - Che divenute son, fuor di te solo, - Tutte l'opre terrene, - Tutta intera la vita al guardo mio! - Che intollerabil noia - Gli ozi, i commerci usati, - E di vano piacer la vana spene, - Allato a quella gioia, - Gioia celeste che da te mi viene! - -E se prima egli non temeva la morte, ora quasi la sfida e ne ride; e se -il volgo gli parve spregevole, ora ogni atto indegno lo ferisce; e se -la sua vita è stata un lungo martirio, è lieto d'averlo sopportato, ora -che ottiene tal premio: - - Ed ancor tornerei, - Così qual son de' nostri mali esperto, - Verso un tal segno a incominciare il corso: - Che tra le sabbie e tra il vipereo morso, - Giammai finor sì stanco - Per lo mortal deserto - Non venni a te, che queste nostre pene - Vincer non mi paresse un tanto bene. - -E amando egli solo, senza sapere ancora qual sorte è serbata all'amor -suo, che slancio d'immaginazione, che superbe speranze: - - Che mondo mai, che nova - Immensità, che paradiso è quello - Là dove spesso il tuo stupendo incanto - Parmi innalzar! dov'io - Sott'altra luce che l'usata errando, - Il mio terreno stato - E tutto quanto il ver pongo in obblìo! - -Egli presente pure che anche questo è un sogno: ma sogno di natura -divina; e se un tempo, amando la prima volta, fu stupito vedendo come -per amore fosse tutt'in una volta “felice e miserando„, ora, con gli -anni, coi disinganni, con le difficoltà di accogliere, dopo questa, -nuove lusinghe, sente che il nuovo pensiero, “cagion diletta d'infinito -affanno„, non sarà più sostituito. - -Manifesterà egli questa volta con parole, proverà questa volta coi -fatti la passione sua? Egli sa che dovrebbe fare così; ma tutte le sue -disgrazie sono aggravate: moralmente, la fiacchezza della volontà, la -timidezza, la paura sono cresciute, sono diventate vera impotenza; -fisicamente, dopo quindici anni di malattie, egli è l'ombra di sè -stesso. Non sa far altro pertanto che pensare a lei; si studia di veder -lei in quelli che le somigliano; per esserle gradito importuna tutti -i suoi amici chiedendo loro autografi, giacchè ella ne fa raccolta. Ed -ella, accogliendolo benignamente, godendo i vantaggi d'un'amicizia così -grande, ride poi insieme con gli amici del “suo gobbetto....„ - -L'infelice ignora le risa di lei. Seguìto a Roma l'amico Ranieri, -si sente come in esilio; scrive alla donna del suo cuore una lettera -dove la passione, nonostante la timidità, pure traspare: “Cara Fanny, -Non vi ho scritto fin qui per non darvi noia, sapendo quanto siete -occupata. Ma infine non vorrei che il silenzio vi paresse dimenticanza, -benchè forse sappiate che il dimenticar voi non è facile. Mi pare -che mi diceste un giorno, che spesso ai vostri amici migliori non -rispondevate, agli altri sì, perchè di quelli eravate sicura che non -si offenderebbero, come gli altri, del vostro silenzio. Fatemi tanto -onore di trattarmi come uno de' vostri migliori amici, e se siete -molto occupata, e se lo scrivere vi affatica, non mi rispondete....„ E -lasciatosi andare a parlare della sua misantropia, si pente, s'incolpa: -“Ma io ho torto di scrivere queste cose a voi, che siete bella, e -privilegiata dalla natura a risplendere nella vita, e trionfare del -destino umano. So che anche voi siete inclinata alla malinconia, come -sono state sempre e come saranno in eterno, tutte le anime gentili e -d'ingegno. Ma con tutta sincerità, e nonostante la mia filosofia vera -e disperata, io credo che a voi la malinconia non convenga; cioè che -quantunque naturale, non sia del tutto ragionevole. Almeno così vorrei -che fosse.... Addio, cara Fanny; salutatemi le bambine. Se vi degnate -di comandarmi, sapete che a me, come agli altri che vi conoscono, è -una gioia e una gloria il servirvi.„ Tornato a Firenze, divampando la -sua passione con nuova forza, egli comincia ad accorgersi che la donna -lo tratta con insolita freddezza. Tante volte sì è ribellato: ora no, -ora s'umilia; dinanzi a lei prima e sola piega l'altero capo, si mostra -timido e tremante; e spia sommessamente ogni sua voglia, ogni parola, -ogni atto; impallidisce ai suoi superbi fastidii; brilla in volto a -un segno suo cortese; muta forma e colore ad ogni suo sguardo. Questa -tenacia della speranza misurerà la forza della seguente disperazione. -Già nell'agosto del '32, quando ella va a Livorno per i bagni, rimasto -solo a Firenze, senza lei, senza l'amico, tormentato dalla passione -impotente, costretto a fuggire la luce per il male degli occhi, le -scrive: “Ranieri è sempre a Bologna, sempre occupato in quel suo amore -che lo fa per più lati infelice. E pure certamente l'amore e la morte -sono le sole cose belle che ha il mondo e le sole solissime degne di -essere desiderate. Pensiamo, se l'amore fa l'uomo infelice, che faranno -le altre cose che non sono nè belle nè degne dell'uomo....„ I suoi -malanni crescono con la brutta stagione: ha il petto rotto dalla tosse, -gli occhi quasi spenti: è un moribondo. Ella gli accorda ancora un poco -di carità; e il disgraziato se ne contenta; quando il Ranieri, tornato -a Firenze, gli rivela, forse per indurlo a lasciare questa città e a -venirsene a Napoli con lui, che anche questa donna lo schernisce come -tutte le altre.... - -Allora perisce l'estremo inganno; la speranza e lo stesso desiderio -di nuovi amori, dì nuovi inganni, si spegne; nessuna cosa gli pare che -valga più i moti del suo cuore. Cotesta donna non ha saputo - - Che smisurato amor, che affanni intensi, - Che indicibili moti e che deliri - Movesti in me; nè verrà tempo alcuno - Che tu l'intenda. In simil guisa ignora - Esecutor di musici concenti - Quel ch'ei con mano e con la voce adopra - In chi l'ascolta. - -La donna amata è come morta per lui. Quantunque realmente ella viva, - - Bella non solo ancor, ma bella tanto, - Al parer mio, che tutte l'altre avanzi, - -la creatura viva non gli è più nulla; egli sente, ultimo disinganno, -ultimo dolore, d'avere amato non la persona reale di lei, ma l'immagine -che l'innamorata fantasia glie ne dipinse: - - Quella adorai gran tempo; e sì mi piacque - Sua celeste beltà, ch'io, per insino - Già dal principio conoscente e chiaro - Dell'esser tuo, dell'arti e delle frodi. - Pur ne' tuoi contemplando i suoi begli occhi, - Cúpido ti seguii finch'ella visse, - Ingannato non già, ma dal piacere - Di quella dolce somiglianza un lungo - Servaggio ed aspro a tollerar condotto. - -Uscendo pertanto dall'ultima passione della sua vita, egli s'accorge -che l'amor suo è stato “un lungo vaneggiare„; come quando, fanciullo -ancora, pensando che il primo suo vano amore gli aveva fatto giudicar -vani gli studii aveva concluso: - - Deh quanto in verità vani siam nui! - -Ma oramai egli è giunto sulle soglie della morte. E quando muore -portando con sè sotterra, dopo aver tanto spasimato, la sua verginità; -se pure Marianna Brighenti, che non lo ha allettato, ricusa pudicamente -di far vedere ai curiosi la sola lettera d'amore che egli le scrisse; -costei, la Targioni, la donna più ardentemente idoleggiata, il cui -nome vero vive nella memoria degli uomini per l'amore di lui che l'ha -cantata col nome di Aspasia; questa donna che ha avuto pochi scrupoli -nella vita, che ha molto e liberamente amato, scrive al Ranieri dopo -che il poeta è morto: “Molti ammiratori del povero Leopardi dimoranti -in Parma mi hanno più volte chiesto e richiesto chi sia l'Aspasia -su cui quell'insigne poeta scrisse canzone. Per carità, ditemelo voi -se lo sapete, per togliermi da una filastrocca di lettere inutili e -noiose....„ - - - - -III. - -LA FAMIGLIA. - - -Se in tutto tranne che nell'amore ciascuno basta a sè stesso, l'uomo -non è già solo nel mondo, la sua felicità dipende in gran parte da chi -gli sta intorno. Tutto il genere umano può essere ed è considerato -da alcuni filosofi come un essere vivente del quale ogni individuo -è una cellula e i gruppi d'individui sono gli organi. La solidarietà -tra gli uomini, tra le cellule umane, è tanto più salda, quanto più -essi sono vicini: il gruppo più stretto è la famiglia. Da essa dipende -l'educazione del cuore; la condizione dei parenti nel mondo è anche -quella del giovane sino al giorno che egli può provvedere a sè stesso. -Come è educato Giacomo Leopardi? In che stato sociale si trova? - -Sua madre fu giudicata — e nessuno ha interposto appello al giudizio -— donna di propositi virili più che di tenerezze materne. Un che -di virile era nel suo aspetto, come maschile era qualche parte del -suo vestito, gli stivali, il berretto. Ella fece pesare la dura sua -autorità, prima che sui figli, sul marito. “Si dette il caso,„ narra -Paolina Leopardi, “quand'io era piccina piccina, o anche forse quando -non ero nemmeno nata, che la gonna di mia madre s'intrecciò fra le -gambe di mio padre, non so come. Ebbene, non è stato più possibile -ch'egli abbia potuto distrigarsene.„ Entrata in casa Leopardi, ella ne -trova il patrimonio quasi sommerso nei debiti; saggiamente, ma anche -tirannicamente, impone un'economia severissima. A nessuno consente -di disporre di nulla; a nessuno manifesta quei sentimenti di calda e -vivace affezione che sono la gioia della casa. Se i suoi bambini si -lagnano di qualche dolore, le sole parole di consolazione che sappia -dir loro sono queste: “Offritelo a Gesù.„ Quando sono grandi, apre -e trattiene le loro lettere. Non una volta li stringe al cuore; “lo -sguardo„ scrive Carlo Leopardi, “era la sola sua carezza.„ E Paolina: -“Fra gli altri motivi che hanno renduto così trista la mia vita e che -hanno disseccato in me le sorgenti dell'allegria e della vivacità.... -uno è l'avere in mammà una persona ultrarigorista, un vero eccesso di -perfezione cristiana, la quale non potete immaginare quanta dose di -severità metta in tutti i dettagli della vita domestica.„ - -Tale è la madre, la creatura che dovrebbe prima d'ogni altra sorridere -al frutto delle proprie viscere, che ne dovrebbe cullare i sogni -e lenire i dolori. Giacomo, come è rimasto dinanzi a lei timido e -quasi pauroso, così lontano da lei non ardisce scriverle, sicuro di -annoiarla; nelle sue rarissime e brevissime letterine, ella non pensa -se non a rammentargli di tenere una buona condotta; e una volta lo -chiama anche “figlio d'oro„; ma quando? Quando crede che la professione -letteraria abbia dischiuso al giovane una miniera d'oro, rendendo -inutile l'assegno della famiglia. E lo eccita a continuarle il suo -affetto “_sincero_„, sottolineando la parola certo perchè dubita della -sincerità dell'amore del figlio e se ne duole; ma di chi è la colpa, se -non sua propria? Come vorrebbe che il figlio si lasciasse trasportare -dall'amore, se ella stessa non l'ha amato, o l'ha amato a suo modo, -moderando, reprimendo i moti del suo cuore materno? - -Il padre, Monaldo Leopardi, è uomo d'ingegno fuor del comune e di -cuore amorevole; ma, oltrechè non dispone della propria volontà, -obbedendo sempre ed in tutto alla moglie, egli intende anche la vita -al modo antico: non sa, non vuol sapere, non vuol sentire nulla di -quel che accade nel mondo rinnovato. Come Giacomo, egli vede due -secoli armati l'uno contro l'altro; ma se soffre di questa lotta, la -sua sofferenza non deriva, come quella di Giacomo, dal contrasto delle -opposte sollecitazioni: egli non prova altro che ira e sdegno contro -tutte le novità. Al figliuolo somiglia per metà: gli ha dato l'amore -dell'antico, la severità del pensiero indagatore, la pazienza delle -ricerche lunghe e minute, il senso dell'ordine e della disciplina. Il -gusto delle contraffazioni di vecchie scritture è comune a Monaldo e a -Giacomo. Il padre trasmette non soltanto a lui, ma anche all'altro suo -figlio Carlo la sua disposizione al riso: come egli profonde le celie -nei suoi scritti, e motteggia nella conversazione di tutti i giorni, -e muore scherzando col sacerdote nell'agonia; così Carlo è celebre -per le sue arguzie e lascia un libro di epigrammi molto pungenti; così -Giacomo, che esce spesso nel discorso e nelle lettere in motti felici, -si servirà come più tardi vedremo di questa sua nativa attitudine. -Ancora: nel deridere il troppo vantato progresso delle scienze e delle -arti padre e figlio si rassomigliano; il giudizio che danno intorno -alla Roma dei loro tempi è identico. Con tanti tratti comuni non -dovrebbero essi accordarsi? - -L'influenza di ogni uomo sopra il proprio simile si può esercitare -in due modi: o per conformità, quando noi siamo persuasi ad imitare -gli esempii che ci sono proposti; o per opposizione, quando siamo -spinti a fare il contrario. Nell'adolescenza, nel tempo che Giacomo -s'immerge negli studii filologici, severissimamente, da vecchio, -egli si uniforma agli esempii paterni; perchè questo accordo durasse -che cosa sarebbe necessario? Che il padre, secondasse a sua volta il -figlio nel sentimento poetico della vita nel generoso ardor giovanile, -che comprendesse le sue inquietudini, che lenisse la sua malinconia. -Lo ha procreato a ventidue anni; non potrebbe esserne il fratello -maggiore, non dovrebbe esserne l'amico? Ciò gli è impossibile. Se -gli somiglia tanto da una parte, non gli somiglia niente dall'altra. -La sua sensibilità morale è molto più ottusa, la sua fantasia è -molto più sterile; la musica non gli dice nulla; i sentimenti nuovi, -indeterminati, dei quali soffre e gode la nuova generazione, gli sono -sconosciuti: alle idee nuove è inaccessibile. Non solo cattolico, ma -suddito fedele del Papa, il cui governo chiama “dolcissimo„, è un vero -“guelfo del diciannovesimo secolo.„ Va con la spada al fianco, come -i cavalieri antichi. “Il prestigio della novità non mi ha sedotto, le -lusinghe della rivoluzione mi hanno lasciato inconcusso, non ho sieduto -nel concistoro degli empii, e non ho alzato la voce dalla cattedra -della pestilenza.„ Tanto ogni novità lo sdegna, tanto è fedele alle -opinioni dei tempi passati, che nega il sistema copernicano: se Galileo -ha riso di Ticone, egli si augura che venga qualcuno il quale rida di -Galileo e restituisca alla terra “l'antico onore„ considerandola ancora -come centro dell'universo, “liberandola dal fastidio di tanti moti.„ -Udite le sue argomentazioni: “Imperciocchè, alle fine dei conti il -Galilei non ha potuto viaggiare in persona nei tropici e nell'equatore, -ma ha dovuto contentarsi di considerare le cose da lontano alquanti -milioni di miglia; e quel sistema secondo il quale per dividere i -giorni e le notti vogliamo che la terra si rivolti ogni 24 ore intorno -al suo asse come l'arrosto intorno allo spiedo, per compiere il corso -dell'anno le facciamo fare un giro immenso in 365 giorni all'incirca e -per accomodare le stagioni la costringiamo a starsene sempre giocando -all'altalena, con alzare e abbassare i suoi poli.... questo sistema non -toglie il desiderio di rinvenire una teoria meno lambiccata.„ - -Con queste disposizioni della mente, egli non è capace d'indulgenza, -di sopportazione: confessa ingenuamente che le sue buone qualità -“sono bilanciate da un orgoglio smisurato che le troppe lodi datemi -nell'adolescenza avevano fomentato e che mi rendeva ambizioso di -superare tutti in tutto.„ Riconosce che “l'abitudine di sovrastare m'è -sempre rimasta e mi adatto malissimo, anzi non mi adatto in modo veruno -alle seconde parti. Voglio piegarmi, voglio esser docile, rimettermi -e tacere; ma in sostanza tutto quello che mi ha avvicinato ha fatto -a modo mio, e quello che non si è fatto a modo mio mi è sembrato mal -fatto.„ Che cosa può egli dunque intendere delle ansie, dei desiderii, -dei bisogni del figlio? Può il figlio, ardente, vivace, inquieto, -adattarsi sempre alla freddezza, alla calma, alla rigidità del padre? -Se tanta parte dello spirito del padre è nel figlio; se questi per -le facoltà più serie della mente, per la profondità della cultura -classica, per la capacità di disciplina, può essere sollecitato a -seguire gli esempii del padre; la cieca intransigenza di Monaldo non -deve poi ottenere l'effetto contrario, di spingerlo per la via opposta? -Tra queste due anime la lotta non deve fatalmente impegnarsi? - -La lotta si accese, e fu grave e scandalosa; e se molti diedero tutta -la colpa al padre, non pochi anche oggi vedono nella ribellione di -Giacomo il sintomo dell'ingratitudine, dell'aridità del suo cuore. -Prima di esaminare i rapporti del padre e del figlio, notiamo come uno -scandalo simile a quello avvenuto in casa Leopardi non fosse senza -esempio, a quel tempo. Se, quantunque rassomigliandosi e amandosi -sommamente, un germe di discordia ha potuto sempre insinuarsi tra i -genitori ed i figli, perchè altri sono i sentimenti e le opinioni dei -giovani, altri quelli dei vecchi; questo contrasto è più sensibile -al principio dell'êra contemporanea. Quando tutti i poteri e tutti -i principii cominciano ad essere oggetto di esame, anche la potestà -paterna è posta in forse; come i popoli si ribellano ai re, così i -figli si ribellano ai padri. “I consigli della vecchiezza„ scrive -Vauvenargues, “rischiarano senza riscaldare, come il sole d'inverno„; -immagine che Stendhal doveva far sua: quello Stendhal che, odiando il -padre ed essendone odiato, doveva anche scrivere per proprio conto: -“I genitori e i maestri sono i nostri primi nemici quando entriamo nel -mondo.„ E il più mite Vauvenargues così precisa il proprio pensiero: “I -giovani soffrono non tanto dei proprii errori quanto della prudenza dei -vecchi.... L'ordinario pretesto di coloro che fanno l'infelicità degli -altri è che vogliono il loro bene....„ Beniamino Constant, educato -da un padre che reprime i moti del cuore per mostrarsi severo, fugge -dalla casa paterna; il suo _Adolfo_ attribuisce la propria malinconia -all'educazione ricevuta dal padre, uomo generoso ma rigido, presso -al quale egli non prova altro che soggezione. Senancour scappa in -Isvizzera per sottrarsi allo stato ecclesiastico al quale è destinato -dalla famiglia; Lamartine evade dalla casa di educazione, dove è sul -punto di uccidersi. - - Pères, de vos enfants ne forcez point les voeux: - Le ciel vous les donna, mais pour les rendre heureux, - -aveva ammonito il dolente Chénier, invano. Molti filosofi hanno -affermato che l'unico sentimento naturale, fondato sopra un istinto -prepotente, è l'amor proprio; e che tutti gli altri, anche quelli -che sembrano più disinteressati, sono forme più o meno larvate di -egoismo; questa sentenza è confermata più spesso che non dovrebbe nel -caso dell'amor paterno. Dai figli che debbono loro la vita, che sono -come una viva parte della loro persona, e che perciò essi amano sopra -ogni altra cosa al mondo, i genitori pretendono un affetto cieco che -rinunzii ad ogni volontà e ad ogni velleità e incondizionatamente -si sottoponga. Di questa qualità fu l'amor paterno di Monaldo, con -l'aggravante della resistenza da lui opposta alle innovazioni. Il -fondamento dei vincoli sociali che egli vede minacciato è la famiglia; -nella famiglia, nella potestà paterna, è l'origine di tutte quelle -altre potestà contro le quali egli vede far impeto: quindi, se anche -per indole non fosse portato a comandare, terrebbe sempre alta la -sua autorità per convinzione. Il suo concetto dell'autorità paterna -è quello biblico: _Filii tibi sunt; erudi illos, et curva illos a -pueritia illorum._ Egli esegue letteralmente il precetto: stabilito di -avviar Giacomo per la carriera ecclesiastica, a dodici anni gli fa dare -il primo degli ordini minori. _Ne des illi potestatem in iuventute, et -ne despicias cogitatus illius:_ mai, “_letteralmente mai_„, egli lo -lascia solo. Amandolo teneramente, teme che le vivaci manifestazioni -dell'amor suo scemino il suo prestigio di padre; quindi le contiene e -le reprime. Quando è riuscito troppo bene in quest'opera, anch'egli -si duole, come la moglie, anzi con più cordiale sincerità, di ciò -che ne è l'effetto naturalissimo; perchè vorrebbe, ma non può essere -trattato con piena confidenza da Giacomo. “Mi pare che le lettere mie -siano di molestia a voi, e che voi diate ad esse un riscontro stirato -stirato come i versi latini dei ragazzi; quasi che il vostro cuore -trovasse un qualche inciampo per accostarsi al mio, il quale vorrebbe -esser veduto da voi una volta sola e per un solo lampo, e questo gli -basterebbe.„ E al padre amante il figlio devoto tosto risponde: “Le -dico e le protesto con tutta la possibile verità, innanzi a Dio, che io -l'amo teneramente quanto è o fu mai possibile a figlio alcuno di amare -suo padre; che io conosco chiarissimamente l'amore che ella mi porta, -e che a' suoi benefizi e alla sua tenerezza io sento una gratitudine -tanto intima e viva quanto può mai essere gratitudine umana.... Se poi -ella desidera qualche volta in me più di confidenza e più dimostrazioni -d'intimità verso lei, la mancanza di queste cose non procede da altro -che dall'abitudine contratta sino dall'infanzia, abitudine imperiosa -e invincibile perchè troppo antica e cominciata troppo per tempo.„ È -triste, dolorosa e quasi tragica per queste due anime l'impossibilità -di confondersi nell'impeto dell'affetto che pure entrambe le spinge. Ma -non ha il padre volontariamente contenuto l'affetto suo? Come si può -dolere se ha impedite le ingenue manifestazioni di quello del figlio? -Egli vuole che il figlio lo tratti con intimità quando gli dà del -_voi_, quando lo ha educato a dargli del _lei_; quando per rispetto -ai principii, alla tradizione, non gli ha dato mai nessun esempio di -confidente abbandono! - -Gli effetti di questa educazione sono molto più gravi che Monaldo -non sospetti. L'anima sensitiva che avrebbe bisogno di espandersi, -si chiude invece in sè stessa: l'apparente severità del padre e la -reale soggezione nella quale è tenuto producono questo effetto: che -il giovanetto si sente quasi estraneo nella famiglia, e alteramente -ricusa di ricorrere ad essa quando ne ha bisogno. “Io tra il non -avere e il domandare scelgo il non avere, eccetto se la necessità -de' miei studi o la voglia troppo ardente di leggere qualche libro -non mi sforza.... Circa a mio padre, io mi son fatto durissimo al -domandare, e non mi ci so risolvere a nessun patto.„ Tanto più egli -si afferma in questo proponimento, quanto più vede inutili le sue -richieste e le sue preghiere. Il Giordani gli consiglia, per salute, -di cavalcare; e questo è uno dei pochissimi esercizii ai quali sarebbe -adatto e che egli farebbe volentieri, perchè gli altri, più energici, -lo ammazzerebbero; ma non gli è dato. I parenti, ai quali sarebbe -spettato di moderare gli enormi suoi studii, non intendono metter -opera a correggerne gli effetti funesti. Egli non cessa di lagnarsi con -l'amico: “Avrei sommo bisogno di distrazioni, ma non ne ho: oimè! mi -ridarebbero la salute e la vita.„ E ancora: “Con quel medesimo studio -che m'ha voluto uccidere, con quello tenermi chiuso a solo a solo, -vedete come sia prudenza! e lasciarmi alla malinconia, e lasciarmi a -me stesso che sono il mio spietatissimo carnefice....„ Egli non ha -“un baiocco da spendere„, e il padre non gli concede se non quelle -cose che la sua sapienza paterna, e quella della moglie, giudicano -convenienti. Compiacendosi del genio del figlio, lo tratta poi da -bambino e ride tranquillamente di lui se questo genio, sentendosi -a disagio nel paesuccio natale, chiede di andarne via. Non è un -capriccio quello che spinge Giacomo fuori di Recanati, ma una precisa -necessità. Vedremo più tardi di che disagio morale vi soffrisse; ma -alle sue sofferenze fisiche, alle sue malattie nervose la distrazione -dei viaggi, la novità dei climi sarebbe il solo rimedio efficace. -E la madre, arbitra dell'impiego delle sostanze, non vuol dargli un -assegno. Senza dispendio della casa, mettendo in opera le influenze -della nobile parentela, il giovanetto erudito sa che potrebbe ottenere -uno stato a Roma o altrove: il padre vuol tenerselo accanto. “Il mio -sentimento,„ scrive al cognato che intercede per il nipote, “è che egli -sia men dotto, _ma sia di suo padre_.„ Sottolinea egli stesso. Egli -pretende che Giacomo viva “tranquillo e lieto dove lo ha collocato la -Provvidenza.„ La Provvidenza non può sbagliare; egli è infallibile. E -il figlio sfoga l'animo suo col Giordani: “Solamente che avesse voluto -chi dovrebbe volere, e non volendo dice agli altri ed a se stesso di -non potere, è cosa palpabile che da gran tempo avremmo ottenuto il -nostro desiderio. Ma non vogliono nè vorranno mai se non quando noi -gli sforzeremo; sono contenti di vederci in questo stato; in questo -vorrebbero di tutto cuore che morissimo: si pentono di averci lasciato -studiare, dicono formalmente in presenza nostra che hanno conosciuto -i danni del sapere, al nostro fratello minore danno appostatamente e -palesemente educazione e genio e strumenti da falegname, e i nostri -desiderii paiono stravaganze, e voglie pazze e intollerabili, a chi? -non parlo degli altri che son vissuti e vivono essi come vorrebbero -che vivessimo noi, dico a quel nostro zio che di dodici anni andò -paggio alla corte di Baviera, tornato di diciotto visse per lo più in -Roma finattanto che deputato della provincia a Napoleone e proposto -per senatore, fatto cavaliere poi barone poi ciamberlano, andò due -volte a Parigi e alla corte, ora ha stabilito il suo domicilio a -Roma, trasferitaci tutta la sua famiglia, e persuasi a trasferircisi -tutti i suoi fratelli e tutta la famiglia di una sorella assai meno -comoda della nostra, ed ha avuto la sfacciataggine di dirmi più volte -spontaneamente che sapeva di non potere educar bene i suoi figli se non -fuori di qui, e poi scrivermi una lunga lettera per provarmi che io la -fo da ignorante e da stolto pensando solamente d'uscire di Recanati.„ - -Se le sue parole sono dure, non è duro il suo cuore. Di che amore -ripagherebbe i genitori se questi fossero altri, si può argomentare -dalla forza del suo affetto fraterno. L'amore del fratello e della -sorella è la sua grande consolazione. Carlo, minore di lui di un solo -anno, con lui allevato sin dalle fasce, è “un altro me stesso„, è il -suo “confidente universale„, gli è “sinonimo di vita„; insieme fanno -“una stessa persona ipostatica.„ Tuttavia non mancano i motivi di -discordia, “non per l'inclinazione, amando lui gli stessi studi che -io, ma per le opinioni.... Questi è il solo solissimo con cui apro -bocca per parlare degli studi; il che spesso si fa, e più spesso si -farebbe se si potesse senza dispute, le quali sono fratellevoli ma -calde.„ L'origine delle controversie che egli non può numerare “perchè -sono infinite„, è ancora nel conflitto generale delle menti. Carlo -è romantico senz'altro; dinanzi a lui, udendo le sue esagerazioni, -Giacomo si afferma ancora più nel suo sdegno contro i principii moderni -dei quali crede di essersi liberato interamente; e si duole che il -fratello ami poco gli antichi, e molto gli stranieri e moltissimo -i Francesi; egli si accosta pertanto alle opinioni del padre; ma -rispettoso del passato dinanzi all'iconoclasta fratello, è nel tempo -stesso rivoluzionario dinanzi al padre codino. Questa contraddizione -si spiega ancora con l'intimo dissidio che trovammo in lui: egli pensa -differentemente dal fratello e dal padre non già perchè rifugge dai -loro opposti eccessi ed ama un ragionevole temperamento; ma perchè, -simile al fratello nell'ansia giovanile e poetica del nuovo, c'è anche -in lui un filosofo, un vecchio, che protesta; e perchè, simile al padre -in una certa rigidezza di principii, c'è in lui un giovane ardente che -si ribella. L'affetto familiare avrebbe potuto rendere sopportabile -e conciliare i suoi contrasti; l'affetto realmente sempre concilia i -fratelli e rende esemplare il loro legame. Lontano da Carlo, Giacomo -gli scrive: “Nessuna amicizia sarà mai e poi mai eguale alla nostra, -ch'è fondata in tante rimembranze, che è antica quanto la nostra -nascita.... Tu, l'amor tuo, il pensiero di te, siete come la colonna -e l'ancora della mia vita. Ogni parte di questa si riferisce là come -a un centro.... Se quella fede teologica, anzi quella coesistenza che -noi abbiamo insieme, fosse mai sospesa; io non sarei più quello di -adesso; la mia esistenza non avrebbe più il suo fondamento; e tutto -il mondo cambierebbe faccia per me in un colpo....„ Che cosa sarebbe -occorso perchè questa capacità d'affezione familiare si volgesse anche -al padre? Nient'altro che questi avesse trattato il figlio con quella -confidenza, con quella cordialità, che pretendeva da lui. - -Egli avrebbe potuto giovargli moralmente. L'intima resistenza che -Giacomo opponeva alla moda romantica, il suo culto dell'antichità, -l'istintivo rispetto delle tradizioni avrebbero potuto essere -fortificati per opera di un altro padre; Monaldo, con la sua severità, -con le sue continue opposizioni, fa tutto il contrario. Egli non ha -riguardo alla situazione morale di nessuno dei figli. Dell'ansia -di Carlo, della forza con la quale il contagio romantico gli si è -comunicato, già sappiamo qualche cosa. A quindici anni scrive: “Non -mi è possibile esprimere il trasporto, l'affetto, l'ammirazione, -la compiacenza, l'entusiasmo che io provai nel leggere il _Genio -del Cristianesimo_ del signor Chateaubriand. Chi mai, dicevo fra me -stesso, è giunto a questa penetrazione sì grande del cuore umano, -e del cuore più delicato e sensibile, a questa pittura sì viva e sì -naturale dei suoi più piccoli movimenti?... Son rimasto per più giorni -in un'estasi di meraviglia e di commozione, d'invidia.... No, non si -cancellerà giammai dal mio animo la profonda impressione cagionatami -dalla lettura di quest'opera che mi ha fatto passare i più bei momenti -della mia vita, e rimaner lungo tempo in una situazione qual mai -più ho provata di stupore, di elevazione, di turbamento per me nuovo -affatto e sconosciuto, e che sarebbe tuttora egualmente vivo, se il -tempo e le distrazioni e gli oggetti e le occupazioni diverse non ne -raffreddassero la sensazione, non però mai la memoria, la quale resterà -perpetuamente ad eternare le traccie di ammirazione, di rispetto ed -anche di utilità e di profitto....„ Egli si crede “soldato agguerrito -contro tutte le disgrazie umane„, pensa che la morte del piacere -e la nascita della noia, “mostro orribile„, sia dovuta al vivere -antinaturale, “senza azione, senza meta, senza educazione fisica, senza -sviluppo di azioni gigantesche.„ Paolina è vera sorella di Carlo e di -Giacomo: ella non ha riso “_mai_ appunto perchè non mi sono contentata -di ridere solamente: io voglio ridere e piangere insieme: amare e -disperarmi, ma amare sempre, ed essere amata egualmente, salire al -terzo cielo, poi precipitare....„ - -Chiamiamoli infermi, e folli se pur si vuole: non per questo sarà meno -necessario trattare questi straordinarii fanciulli con illuminata -tenerezza, con gelosa bontà, con indulgente premura. Ma la madre, -quella che più di ogni altro sarebbe in grado di consolarli, non -sa dire una buona parola; e il padre, quantunque tanto migliore di -lei, pure li disconosce e li sottomette. Sarà da stupire se essi -esprimeranno il loro scontento con parole roventi? Carlo dirà di sè -stesso che non è niente, non ha niente, non fa niente e non ama niente. -“Pensando a' miei casi, io rido di quel riso che usava Democrito, e che -è il solo pianto che gli uomini del mio temperamento possono accordare -a sè stessi. Costoro non sarebbero ora lontani dall'ammogliarmi....„ -_Costoro_ sono i genitori; egli significa in modo anche più duro lo -scontento suo e dei suoi fratelli quando esclama: “Siamo veri animali -domestici, mantenuti a tanto per giorno; e perchè ci nutrite?...„ -Non meno triste e sdegnata è Paolina: nel '23, a ventitrè anni, -dice di non avere altro desiderio se non quello di non arrivare alla -fine dell'anno, “ed è questo desiderio concepito con il più intimo -sentimento del cuore, e voi lo crederete bene conoscendo me e quelli -che mi governano. Dei quali io sono così annoiata, e di questo modo -di vita, che non ne posso più; ed il peggio è il non avere alcuna -speranza, neppur lontana, di miglioramento; no, non vedere per fine a -questo stato altro che la morte, e venga anzi prestissimo, che sempre -sarà troppo tarda ai miei voti; e se mi assicurassero di morire domani -forse dalla consolazione non ci arriverei.„ L'anno passa, ne passano -molti altri, e la sua condizione peggiora. Nel '31 scrive che “non se -ne può più affatto affatto. Io vorrei che tu potessi stare un giorno -solo in casa mia, per prendere un'idea del come si possa vivere senza -vita, senza anima, senza corpo. Io conto di essere morta da lungo -tempo; quando perdei ogni speranza, dopo aver sperato tanto tempo -inutilmente, allora morii — ora mi pare di esser divenuta cadavere, -e che mi rimanga solo l'anima, anch'essa mezzo morta poichè priva di -sensazioni di qualunque sorta.„ - -Tale è la condizione dei figli. Nulla modifica la volontà e l'animo -dei loro genitori. Giacomo, il più travagliato di tutti, vede che -nè l'eloquenza “di Pericle, di Demostene, di Cicerone, di qualunque -massimo oratore, nè della stessa Persuasione„ rimuoverebbe il padre -dall'ostinato proposito di non dargli “un mezzo baiocco„ fuori di -casa. Se egli vuole uscire da Recanati, deve mendicare.... a meno che -non aspetti la morte del padre. L'empio pensiero lo spaventa: allora -egli delibera di fuggire. La sua volontà infiacchita e repressa per -cause intrinseche ed estrinseche dà un ultimo lampo. Egli matura il -piano della fuga: scrive al conte Broglio d'Ajano perchè gli mandi -un passaporto per Milano; comunica la sua risoluzione al fratello -per lettera, senza chiedergli consiglio, “perchè il consiglio giova -all'uomo irresoluto, ma al risoluto non può altro che nuocere: ed io -sapeva che tu avresti disapprovata la mia risoluzione. Sono stanco -della prudenza, che non ci poteva condurre se non a perdere la nostra -gioventù, ch'è un bene che più non si riacquista.... Se m'ami, -ti devi rallegrare: e quando io non guadagnassi altro che d'esser -pienamente infelice, sarei soddisfatto, perchè sai che la mediocrità -non è per noi.... Addio. Abbraccia questo sventurato. Non dubitare, -non sarai tu così. Oh quanto meriti più di me! Che sono io? Un uomo -proprio da nulla. Lo vedo e lo sento vivissimamente, e questo pure -m'ha determinato a far quello che son per fare, affine di fuggire la -considerazione di me stesso, che mi fa nausea. Finattantochè mi sono -stimato, sono stato più cauto; ora che mi disprezzo, non trovo altro -conforto che di gittarmi alla ventura, e cercar pericoli, come cosa di -niun valore. Consegna l'inclusa a mio padre. Domanda perdono a lui, -domanda perdono a mia madre in mio nome. Fallo di cuore, che te ne -prego, e così fo io collo spirito. Era meglio (umanamente parlando) -per loro e per me, ch'io non fossi nato, o fossi morto assai prima -d'ora. Così ha voluto la nostra disgrazia....„ Al padre comincia col -dire: “Sebbene dopo aver saputo quello ch'io avrò fatto, questo foglio -le possa parere indegno d'esser letto, a ogni modo spero nella sua -benignità che non vorrà ricusare di sentir le prime e ultime voci di -un figlio che l'ha sempre amato e l'ama, e si duole infinitamente -di doverle dispiacere....„ In quest'attitudine umile persevera -finchè ricorda la prudenza, l'astinenza da ogni piacere giovanile, -l'ubbidienza e la sommessione ai genitori che egli ha sempre usate, -e il giudizio che del suo ingegno hanno portato uomini stimabili e -famosi. Ma a poco a poco la coscienza di sè, lo sdegno per non essere -stato compreso si esprimono vivacemente. “Ella non ignora che quanti -hanno avuto notizia di me, ancor quelli che combinano perfettamente -con le sue massime, hanno giudicato ch'io dovessi riuscir qualche -cosa non affatto ordinaria, se si fossero dati quei mezzi che nella -presente costituzione del mondo, e in tutti gli altri tempi, sono stati -indispensabili per far riuscire un giovane che desse anche mediocri -speranze di sè.... Certamente non l'è ignoto che non solo in qualunque -città alquanto viva, ma in questa medesima, non è quasi giovane di 17 -anni che dai suoi genitori non sia preso di mira, affine di collocarlo -in quel modo che più gli conviene: e taccio poi della libertà ch'essi -_tutti_ hanno in quell'età, nella mia condizione, libertà di cui non -era appena un terzo quella che mi s'accordava a 21 anno.... Contuttochè -si credesse da molti che il mio intelletto spargesse alquanto più che -un barlume, ella tuttavia mi giudicò indegno che un padre dovesse far -sacrifizi per me, nè le parve che il bene della mia vita presente e -futura valesse qualche alterazione al suo piano di famiglia.„ E a poco -a poco il suo sdegno prorompe con espressioni tanto più forti, quanto -più misurate: “Io vedeva i miei parenti scherzare cogl'impieghi che -ottenevano dal Sovrano, e sperando che avrebbero potuto impegnarsi -con affetto anche per me, domandai che per lo meno mi si procacciasse -qualche mezzo di vivere in maniera adattata alle mie circostanze, -senza che per ciò fossi a carico della mia famiglia. Fui accolto colle -risa, ed ella non credè che le sue relazioni, in somma le sue cure -si dovessero neppur esse impiegare per uno stabilimento competente di -questo suo figlio. Io sapeva bene i progetti ch'ella formava su di noi, -e come per assicurare la felicità di una cosa ch'io non conosco, ma -sento chiamare casa e famiglia, ella esigeva da noi due il sacrifizio, -non di roba nè di cure, ma delle nostre inclinazioni, della nostra -gioventù, e di tutta la nostra vita. Il quale essendo io certo ch'ella -nè da Carlo nè da me avrebbe mai potuto ottenere, non mi restava -nessuna considerazione a fare su questi progetti, e non potea prenderli -per mia norma in verun modo. Ella conosceva ancora la miserabilissima -vita ch'io menava per le orribili malinconie, ed i tormenti di nuovo -genere che mi procurava la mia strana immaginazione, e non poteva -ignorare quello ch'era più ch'evidente, cioè che a questo, ed alla -mia salute che ne soffriva visibilmente, e ne sofferse sino da quando -mi si formò questa misera complessione, non v'era assolutamente altro -rimedio che distrazioni potenti, e tutto quello che in Recanati non si -poteva mai ritrovare.... Non tardai molto ad avvedermi che qualunque -possibile e immaginabile ragione era inutilissima a rimuoverla dal suo -proposito, e che la fermezza straordinaria del suo carattere, coperta -da una costantissima dissimulazione e apparenza di cedere, era tale da -non lasciar la minima ombra di speranza. Tutto questo, e le riflessioni -fatte sulla natura degli uomini mi persuasero, ch'io benchè sprovveduto -di tutto, non dovea confidare se non in me stesso. Ed ora che la legge -mi ha già fatto padrone di me, non ho voluto più tardare a incaricarmi -della mia sorte.... Voglio piuttosto essere infelice che piccolo, e -soffrire piuttosto che annoiarmi; tanto più che la noia, madre per -me di mortifere malinconie, mi nuoce assai più che ogni disagio del -corpo. I padri sogliono giudicare i loro figli più favorevolmente -degli altri, ma ella per lo contrario ne giudica più sfavorevolmente -di ogni altra persona, e quindi non ha mai creduto che noi fossimo -nati a niente di grande: forse anche non riconosce altra grandezza -che quella che si misura coi calcoli, e colle norme geometriche.... -Avendole reso quelle ragioni che ho saputo della mia risoluzione, resta -ch'io le domandi perdono del disturbo che le vengo a recare con questa -medesima e con quello ch'io porto meco. Se la mia salute fosse stata -meno incerta avrei voluto piuttosto andar mendicando di casa in casa -che toccare una spilla del suo. Ma essendo così debole come io sono, -e non potendo sperar più nulla da lei, per l'espressione ch'ella si -è lasciato a bella posta più volte uscire disinvoltamente di bocca -in questo proposito, mi son veduto obbligato, per non espormi alla -certezza di morire di disagio in mezzo al sentiero il secondo giorno, -di portarmi nel modo che ho fatto. Me ne duole sovranamente, e questa -è la sola cosa che mi turba nella mia deliberazione, pensando di far -dispiacere a lei, di cui conosco la somma bontà di cuore, e le premure -datesi per farci viver soddisfatti nella nostra situazione.„ Sul punto -di chiudere, egli è più giusto, riconosce il malinteso morale, la vera -causa della discordia: “La sola differenza di principii, che non era -in verun modo appianabile, e che dovea necessariamente condurmi o a -morir qui di disperazione, o a questo passo ch'io fo, è stata cagione -della mia disavventura.... Mio caro signor padre, se mi permette di -chiamarla con questo nome, io m'inginocchio per pregarla di perdonare -a questo infelice per natura e per circostanze. Vorrei che la mia -infelicità fosse stata tutta mia, e nessuno avesse dovuto risentirsene, -e così spero che sarà d'ora innanzi.„ Ma tanto poco questo figlio si è -sentito partecipe della sostanza del padre, che ancora, nel punto del -commiato, lo punge l'idea del debito che contrarrà portando via un poco -di denaro: “Se la fortuna mi farà mai padrone di nulla, il mio primo -pensiero sarà di rendere quello di cui ora la necessità mi costringe a -servirmi.„ Poi non resta luogo se non al dolore e all'umiltà: “L'ultimo -favore ch'io le domando, è che se mai le si desterà la ricordanza di -questo figlio che l'ha sempre venerata ed amata, non la rigetti come -odiosa, nè la maledica; e se la sorte non ha voluto ch'ella si possa -lodare di lui, non ricusi di concedergli quella compassione che non si -nega neanche ai malfattori.„ - -Il tentativo della fuga fallisce, perchè Monaldo, avutane -indirettamente notizia, si fa mandare il passaporto e dice al figlio -che è libero di prenderselo e andarsene; ma gli stessi amici, gli -stessi estranei che si sono trovati mescolati in questa avventura, -hanno parole di biasimo per il modo col quale Giacomo è stato trattato. -“Sono ben contento,„ scrive il marchese Solari a Monaldo, “che il -tutto sia finito, e senza l'intesa della contessa, che se ne sarebbe -rammaricata al sommo grado, e che d'altronde, mi sia permesso il dirlo -con franchezza, per la sua eccessiva severità potrebbe aver dato luogo -a risoluzioni così sconsigliate.„ Ma Giacomo non è “nè pentito nè -cangiato.„ Egli desiste per il momento dal suo proposito, “non forzato -nè persuaso, ma commosso e ingannato. Persuaso non poteva essere, come -nè anche persuadere, perchè le nostre massime sono opposte, e perciò -fuggo ogni discorso su questa materia.... Se mi opporranno la forza, -io vincerò, perchè chi è risoluto di ritrovare o la morte o una vita -migliore, ha la vittoria nelle sue mani. Le mie risoluzioni non sono -passeggere come quelle degli altri, e come mio padre stimo che si -persuada, per dormire i suoi sonni in pace, come suol dire.... Mio -padre crede ch'io da giovinastro inesperto non conosca gli uomini. -Vorrei non conoscerli, così scellerati come sono. Ma forse sono più -avanti ch'egli non s'immagina. Non creda d'ingannarmi, che la sua -dissimulazione è profonda ed eterna; sappia però ch'io non mi fido di -lui, più di quello ch'egli si fidi di me.... Crede mio padre che con -un carattere ardente, con un cuore estremamente sensibile come il mio, -non mi sia mai accaduto di provare quei desiderii e quegli affetti -che provano e seguono tutti i giovani della terra? crede che non mi -sia accaduto molto più spesso e più violentemente degli altri? crede -che non fossero capaci di spingermi alle più formidabili risoluzioni? -crede che s'io ho menato fin qui quella vita che non si ricercherebbe -da un cappuccino di 70 anni in tutto il rigore della espressione (e me -ne appello a tutta Recanati che se ne maraviglia, e allo stesso mio -padre), ciò sia provenuto dalla freddezza della mia natura?... Io so -di certo ch'egli ha protestato che noi non usciremo di qui finch'egli -viva. Ora io che voglio ch'ei viva, e voglio vivere anch'io, e questo -da giovane, e non da vecchio quando sarò inutile a tutti e a me stesso, -mi getterò disperatamente nelle mani della fortuna.... Io sono stato -sempre spasimato della virtù: quello ch'io voleva eseguire non era un -delitto: ma io son capace anche della colpa. Si vergognino ch'io possa -dire che la virtù m'è stata sempre inutile. Il calore e la forza dei -miei sentimenti si poteano dirigere a bene, ma se vorranno rivolgergli -a male, l'otterranno....„ Minaccie che nella convulsione dell'impotenza -il dolore gli strappa dalle labbra: non solamente ciò non potrà -accadere, ma egli si prepara a sopportare un nuovo colpo. - -Se non vuole lasciarlo andar via, libero, nel vasto e ignoto mondo, il -padre potrebbe almeno consentirgli di pensare, di scrivere liberamente. -Neanche questo gli concede; intende anzi che non abbia idee diverse -dalle sue; attende a difenderlo dallo “sconvolgimento fatale della -ragione umana che ha disonorata la nostra età.„ Quando s'accorge dei -sentimenti di Giacomo, dopo il tentativo di fuga, non potendo spiegarsi -come tanta vigilanza, tante predicazioni e tanti esempii siano stati -invano, getta tutta la colpa dell'accaduto sull'amicizia del Giordani, -col quale ha consentito che il figlio avesse carteggio e restasse da -solo a solo durante la visita del Piacentino a Recanati. Si spaventa -perchè, con l'occasione della letteratura, costui ha suggerita e -favorita la corrispondenza di Giacomo con molti letterati d'Italia, -fra i quali vi sono “spiriti pericolosi o inquieti, che non hanno -mentito sè stessi, e manifestandosi al figlio mio nelle loro lettere, -lo hanno scopertamente invitato a partecipare delle loro massime, e -a coadiuvare, anzi a farsi primario sostenitore dei loro disegni.„ -La canzone _All'Italia_ e quella _Sul monumento di Dante_ hanno valso -infatti all'autore una lettera del Montani, il quale saluta in lui il -più degno futuro poeta dei Carbonari. Monaldo “si pela dalla paura„, -per adoperare l'espressione di Carlo. Un giorno, frugando tra le carte -di Giacomo, come è suo uso, non che della moglie, trova una lettera -che il figlio è sul punto di spedire al Brighenti intorno alla stampa -di tre nuove canzoni: _Ad Angelo Mai_, _Per donna malata_ e _Sullo -strazio d'una giovane_; alle quali l'editore ha proposto e Giacomo -ha consentito che si uniscano le due già prima stampate per farne -un libretto più consistente. Tanto basta perchè Monaldo tosto scriva -al Brighenti significandogli il suo dispiacere, e la volontà che la -canzone _All'Italia_ non si ristampi. Lo stesso Brighenti, pur lodando -le paterne inquietudini, timidamente rappresenta a Monaldo: “Veramente -le confesso che anche dalla niuna difficoltà della revisione, io -deduco che quella canzone non è punto sediziosa, e soltanto libera e -poeticamente ardita.„ Pure, obbedendo, sospende la stampa, e per non -dire a Giacomo il vero motivo, gli chiede denaro per lo stampatore. -Già l'effetto di questa prima lettera è grave nell'animo del giovane -altero, che non avendo la somma e non volendo chiederla, si vede -costretto di rinunziare alla disegnata pubblicazione: “Ho conosciuto -di essermi ingannato, non avendo in nessun modo potuto riuscire ad -accumulare la somma intiera. Abbassarmi non voglio, e non è stato mio -costume mai da quando la disgrazia volle mettermi a questo mondo. E -potrà anche far la fortuna che mi manchi il vitto e il vestire, ma non -costringermi a domandarlo neppure alla mia famiglia. Perciò rinunzio -interamente a qualunque progetto così relativamente a questa come a -qualunque altra edizione; e perchè il mio ingegno è scarsissimo, e, -per grande che sia qualunque ingegno, non giova mai nulla in questo -mondo, son risoluto di sacrificarlo totalmente all'immutabile ed eterna -scelleratezza della fortuna, col seppellirmi sempre più nell'orribile -nulla nel quale son vissuto fino ad ora. Prego V. S. che non pensi -più a me se non come all'uomo il più disperato che si trovi in questa -terra, e che non è lontano altro che un punto dal sottrarsi per sempre -alla perpetua infelicità di questa mia maledetta vita....„ Il padre -si duole vedendo la malinconia e la tristezza di Giacomo, che Carlo -condivide; si lagna perchè “con un cuore troppo pieno d'amore per -tutti, sono dipinto nella loro immaginazione corrotta come un tiranno -inesorabile.„ Nell'impeto del dolore invidia “la sorte d'un padre -mendico che riportando a casa un pane nero e bagnato di sudore, lo vede -accolto dall'amore e dalla riconoscenza dei figli.„ Ma se l'amor suo -è grande e sincero, non meno ferma è la sua volontà di disciplinare -a suo modo l'ingegno del figlio. Egli lo ammira, ma quanto maggiore -è l'ammirazione, tanto maggiore è il dolore di vederlo avviato per -una strada che giudica falsa. Le canzoni che Giacomo non si rassegna -a metter da parte sono per lui inezie: “Ma perchè questo mio figlio -vuole perdersi dietro queste inezie che non portano nè a conseguenze -nè a fama? Perchè amando la Letteratura e il nome di Letterato, come -lo ama e lo agogna con fervore giovanile, perchè non si dedica a -qualche opera utile e grande di cui è capace maggiormente possedendo la -lingua ebraica e greca? Egli sicuramente è consigliato male e peggio -lo è nel suo sistema di confidarsi con me scarsamente. Io stimo poco -la Letteratura nuda e la vorrei sempre seguace di qualche scienza, -stimando che un Letterato, il quale non professi alcuna facoltà sia una -cornice magnifica senza quadro....„ E sentendo che la propria autorità -è poca, che il suo credito sul figlio è scarso, si affida all'editore -per ottenere che glie lo converta: “Le faccia conoscere che le canzoni -ed altri piccoli pezzi staccati producono gloria momentanea e caduca, -e che un uomo grande deve lasciare un'opera grande.... Insomma lo -elettrizzi, lo infiammi a qualche occupazione degna d'un Cavaliere -Cristiano, e mi avrà reso un favore inapprezzabile, e forse mi avrà -reso il cuore di un figlio. I giovani sentono più l'amico che il padre, -e molto più quando hanno sospettato che i principii del padre perchè -troppo antichi, e troppo severi, non ottengono il plauso di tutti.„ -Egli s'accosta così alla verità; dovrebbe fare solo un passo per -concedere che Giacomo segua il proprio genio; ma di questa concessione -è incapace. - -Egli è persino incapace d'intendere in qual modo bisognerebbe trattare -il giovane per non ferirlo: l'editore, l'estraneo gli dà una lezione -d'amor paterno: “Permetta, o Signore, ad una persona che sente -profondamente l'amor paterno, e che ha presentissimi i dettagli della -propria giovinezza.... che La supplichi a cedere quanto mai può a -quei moti amorosi, che leggo nella di Lei lettera, e che mi hanno -veramente intenerito. Io le accerto che il signor conte Giacomo è -afflitto oltremodo, e ben mi accorgo che questo giovane è dotato di -una sensibilità delicatissima, onde le cose che ad altri sono lievi, -sono a quell'anima gentilissima acutissime spine.... Ella troppo -sente l'amarezza delle nebbie che offuscano la tenerezza tra padre e -figlio. Il signor conte Giacomo è tale da portare nuovi pregi alla -illustre di Lei casa: facciamo adunque che lo possa, e rispettiamo -questa soverchia elasticità di fibre che è poi in fondo il patrimonio -di chi ha un ingegno superiore. Le torno a ripetere: qui in Bologna -posso accertarla che le canzoni del signor Leopardi non hanno destato -la minima idea di partito, e, sì, furono conosciute da gente di -ogni massima.... Certo le opinioni di quegli scritti sono liberali -anzi che no, frutto dello studio del greco e del latino, ma ai tempi -attuali sono tanti i lavori di questo genere, sono sì divulgate quelle -massime, che non può sentirne alcuno del rincrescimento, e, come le -dissi, quei revisori, che sono preti, e severissimi, non ci badarono -nemmeno, e le approvarono senza dire parola.„ E il brav'uomo narra la -sua propria storia, in lunghissime pagine, per dimostrare che è una -persona onesta, incapace di mentire; e poi torna ancora ai consigli di -prudenza, dice esser persuaso che Giacomo è soggetto a forti assalti -di malinconia, fa osservare ancora che “ai giovani di un carattere -ipocondriaco è mestieri (com'Ella m'insegnerebbe) di opporre le sole -vie della dolcezza, e della persuasione, e di evitare possibilmente -gli urti e le contrarietà.„ E per ultimo argomento assicura di avere -udito qualcuno a lamentarsi che le opinioni politiche di Giacomo, -non che liberali, siano anche troppo retrive “e a parlare con -qualche censura della sua canzone sul monumento di Dante, avendolo -per uomo contrario ai principii liberali, per quella sua dipintura -delle sciagure del regno italico e dei macelli di Russia. Ritenga -che questo fatto è verissimo.„ Ma tanto poco egli stesso è sicuro di -essere riuscito a piegarlo, che comunica delicatamente a Giacomo i -dubbii e gli ostacoli paterni. Allora lo sdegno del giovane prorompe; -allora dall'accasciata rassegnazione alla quale era stato ridotto -per gli ostacoli finanziarii, passa, con una reazione violenta, alla -superba affermazione della sua volontà. Egli non vede come suo padre -abbia potuto sapere “quello di cui non ho mai parlato nè a lui nè a -verun altro.... eccetto il caso che abbia rimescolato le mie carte; -del che non mi meraviglio nè mi lagno, perchè ciascuno segue i suoi -principii. Quanto ai dubbi di mio padre, rispondo che io come sarò -sempre quello che mi piacerà, così voglio parere a tutti quello che -sono; e di non essere costretto a fare altrimenti, sono sicuro per -lo stesso motivo, a un dipresso, per cui Catone era sicuro in Utica -della sua libertà. Ma io ho la fortuna di parere un coglione a tutti -quelli che mi trattano giornalmente, e credono ch'io del mondo e -degli uomini non conosca altro che il colore, e non sappia quello che -fo, ma mi lasci condurre dalle persone che essi dicono, senza capire -dove mi menano. Perciò stimano di dovermi illuminare e sorvegliare. -E quanto all'_illuminazione_, li ringrazio cordialmente: quanto alla -sorveglianza, li posso accertare che cavano l'acqua col crivello.„ Ma -se egli sente che nessuno potrà mai sforzare la propria coscienza, -comprende pure che la volontà del padre dovrà trionfare dei suoi -disegni; allora torna ad accasciarsi, prorompendo in uno sdegnoso -lamento: “Circa le mie canzoni, io le metto nel gran fascio di tutti -i miei detti o fatti o scritti dalla mia nascita in poi, che il mio -esecrando destino ha improntato di perpetua inutilità. Io ho rinunziato -a tutti i piaceri de' giovani. Dai 10 ai 21 anno io mi sono ristretto -meco stesso a meditare e scrivere e studiare i libri e le cose. Non -solamente non ho mai chiesto un'ora di sollievo, ma gli stessi studi -miei non ho domandato nè ottenuto mai che avessero altro aiuto che la -mia pazienza e il mio travaglio. Il frutto delle mie fatiche è l'essere -disprezzato in maniera straordinaria alla mia condizione, massimamente -in un piccolo paese. Dopo che tutti mi hanno abbandonato, anche la -salute ha preso piacere di seguirli. In 21 anno, avendo cominciato a -pensare e soffrire da fanciullo, ho compito il corso delle disgrazie -d'una lunga vita, e sono moralmente vecchio, anzi decrepito, perchè -fino il sentimento e l'entusiasmo, ch'era il compagno e l'alimento -della mia vita, è dileguato per me in un modo che mi raccapriccia. È -tempo di morire. È tempo di cedere alla fortuna; la più orrenda cosa -che possa fare il giovane, ordinariamente pieno di belle speranze, -ma il solo piacere che rimanga a chi dopo lunghi sforzi finalmente -s'accorga d'esser nato colla sacra e indelebile maledizione del -destino.„ - -E quando sa che può stampare le canzoni inedite, esclusane la prima, ed -esclusa la ristampa delle già pubblicate, il suo sdegno prende altre -forme: quelle dell'ironia. “Io ringrazio mio padre del permesso che -mi concede di stampare le _mie_ canzoni. Ma le due di Roma non vuole -che si ristampino. Dice benissimo. Ha voluto saper da lei i titoli -delle inedite. Ha fatto benissimo. Non vuole che si stampi la prima. -Parimenti benissimo; non già secondo me: ma è ben giusto che _negli -scritti miei_ prevalga la sua opinione, perch'io sono e sarò sempre -fanciullo, e incapace di regolarmi. Restano due canzoni. Per queste, -per cui finalmente e a caso tocca a parlare a me, dico che non occorre -incomodare gli stampatori; e così finisca questo affare....„ Tanto è -più dolorosa per il giovane questa ingerenza nelle cose sue, quanto che -Monaldo rivela la povertà del suo giudizio, l'angustia del suo spirito. -“Mio padre non ha veduto se non il titolo della prima inedita.... e -s'immaginò subito mille sozzure nell'esecuzione, e mille sconvenienze -del soggetto che possono venire in mente a chi, non mancando di -molto ingegno e sufficiente lettura, non ha nessuna idea del mondo -letterario. Il titolo della seconda inedita si è trovato fortunatamente -innocentissimo. Si tratta di un Monsignore. Ma mio padre non s'immagina -che vi sia qualcuno che da tutti i soggetti sa trarre occasione di -parlare di quello che più gl'importa, e non sospetta punto che sotto -questo titolo si nasconde una canzone piena di orribile fanatismo.„ E -poichè Monaldo, non potendo addurre le ragioni della prudenza politica -contro la canzone _Sullo strazio di una donna_, biasima che tratti di -un fatto accaduto troppo di fresco, Giacomo dimostra ancora all'editore -la povertà dello spirito paterno: “Alle ragioni di mio padre contro -la mia prima canzone inedita, rispondo con un solo esempio fra i -milioni che se ne trovano, e che avrei anche in mente. Il _Werther_ -di Goethe versa sopra un fatto ch'era conosciutissimo in Germania, e -la Carolina e il marito erano vivi e verdi quando quell'opera famosa -fu pubblicata. Ebbene? Ma se volessimo seguire i gran principii -prudenziali e marchegiani di mio padre, il quale, come ho detto, non ha -niente di mondo letterario, scriveremmo sempre sopra gli argomenti del -secolo di Aronne, e i nostri scritti reggerebbero anche alla censura -della quondam inquisizione di Spagna. Il mio intelletto è stanco delle -catene domestiche ed estranee.„ Niente vale: egli deve rinunziare -alla ristampa, si deve contentare di pubblicare la sola canzone al -Mai; e Monaldo poi si lagna che il figlio si sia “ostinato nel più -rigoroso silenzio„; se ne lagna egli che scrive ancora all'editore: -“Il giudizio e gli ordini miei dovevano rispettarsi da lui e li suoi -tentativi furono un delitto.„ Perdona di cuore il _delitto_, ma vuole -che Giacomo stesso lo condanni in cuor suo: “Ella e qualunque saggio -condannerebbero sempre un figlio il quale esponga al pubblico il -proprio nome senza intesa del Padre, e condannerebbero un Padre che -spontaneamente offrisse i mezzi con cui venire disobbedito.„ - -Il dissidio è inconciliabile: Monaldo ha un troppo severo concetto -della sua autorità; egli non intende l'effetto che le sue pretese -producono nell'anima del giovane. E se torna a lagnarsi perchè il -figlio non si confida a lui, le sue parole cocenti dimostrano ancora -una volta che lo ama, ma che all'amore non intende sacrificare una -sola delle sue prerogative. Non solo l'editore, l'estraneo, lo avverte -dell'errore; ma anche una persona della famiglia, la sua propria -sorella, quella “zia Ferdinanda„ alla quale il nipote Giacomo tanto -rassomigliava fisicamente, e che moralmente tanto rassomigliava a lui. -Ella sola intende l'animo del giovane: consolandosi all'idea che egli -possa aprirle il proprio cuore “perchè non tanto dissimile troverà -da' suoi sentimenti il cuor della zia„, dice di sè stessa che non ha -studiato, “ma che ha sortito dalla natura una sensibilità che, anzichè -indebolire cogli anni, sembra acquistar da essi maggior fondamento.„ -Anch'ella vive sola, “e non già sola di persona.... ma sola perchè -quasi mai m'incontro con persone che possano compiacere il mio animo; -e se qualche volta nel corso della mia vita mi sono incontrata di -trovarne qualcuna, caro nepote, ho dovuto porvi un argine, perchè -il cuor nostro è troppo debole per potersi contenere, e non rendere -veleno quello che sarebbe in sua natura stato un antidoto.„ La nobile -e buona creatura ha subito compreso che cuore sia quello di Giacomo, -e conoscendo a prova i tormenti che gli si preparano accortamente -lo consiglia. Se Giacomo le scrive che è da savio porre un argine -alla ragione, “supplizio della nostra vita„, ella lo ammonisce con -indulgenza veramente materna: “No, caro Giacomo, io non mi accordo con -voi in questo.... A poco a poco ci assuefacciamo a scordarci de' nostri -mali col trascurarli, o con il lasciare di coltivarne continuamente -l'immagine; è la ragione poi quella che deve a ciò persuaderci, e di -essa ci dobbiamo prevalere per felicitarci, non per il contrario. -Sono però persuasa che voi medesimo convenite meco non doverci per -sistema rendere infelici, ma sopportar con coraggio i mali della vita, -sperandone sempre il fine. Il vostro bell'animo vi darà pur troppo dei -motivi di dolore, se estenderete la vostra sensibilità senza freno; -ma questa, trattenuta nei limiti, vi darà motivo di compiacervene bene -spesso. Spero che il Cielo pietoso vorrà addolcire la vostra sorte, e -che vi renderà più quieto, cambiando le circostanze, e ponendovi in un -sistema meno coartato....„ Ella si fa filosofo e teologo, discute di -cose che non sono da lei per alleviare i mali del nipote, al quale dà -anche il dolce nome di amico. “Caro amico, credetemi: siamo infelici -molte volte perchè non sappiamo risolverci ad abbandonare qualche -sentimento, che ci rende infelici....„ Della propria sincerità gli dà -assicurazioni vivaci: “Allorchè trattasi di far palese il cuor mio ad -un cuor sensibile e ben fatto, e del quale fo assolutamente stima, -non duro alcuna fatica, e i miei sentimenti escono dal cuore, vanno -alla penna, alla carta, come un vaso d'acqua posto in pendenza verso -ciò che contiene entro sè stesso. Voi potrete rilevarlo senza stento, -giacchè sembrami possediate lo stesso dono di natura.„ E lo eccita a -scuotersi, se non altro per compiacerla; e si duole che egli voglia -essere il proprio nemico: “Capisco che non trovate cosa che vi sollevi; -ma, caro Giacomo, tante volte questa nostra fantasia ci dipinge delle -immagini tanto nere, che poi non lo sono in sostanza; e se volessimo -aprire gli occhi, vedremmo che non è effetto della cosa in sè, ma de' -nostri sguardi già ottenebrati.„ Come definisce bene il male morale -del giovane! Ma ella sa pure che non tutte sono ingigantite dalla -mente le sue cagioni di dolore: ella sa che la salute del poveretto è -distrutta, che la sua volontà in famiglia è troppo violentata; e tanto -riconosce che egli ha ragione di dolersi, che contro il suo sistema -“di non impacciarmi mai ne' fatti altrui,„ prega Monaldo di lasciarlo -venire a Roma in casa di lei per qualche tempo. Il padre non si oppone -apertamente, “anzi mi dice che non si offenderà, se i suoi figli -cercheranno qualche loro vantaggio (sebbene esso non ne veda in questo -proposito) e nè tampoco se a farlo conseguire impiegheranno gli amici. -Poco però si persuade che possiate trovarvi contento fuori di casa, -ove non vi manca cosa alcuna; e teme che vi pentirete, se giungete a -escire dalla casa paterna....„ Neanche questa volta Monaldo accorda il -suo consenso, e poi anche una volta vede con dispiacere che il figlio -non gli parli! E Ferdinanda esorta il nipote: “Perchè non procurar -da voi medesimo di ottenere questo permesso?... Ottenete di venire -in Roma, e spero che non ne resterete malcontento. Infine non potrà -dispiacervi di cambiare per qualche tempo il soggiorno di Recanati con -quello di Roma....„ parole che dovrebbero sonargli come un'irrisione, -se non venissero da questa buona creatura che lo ha trattato come un -figlio e che si adopera invano per ottenergli un posto di professore -alla Biblioteca vaticana. Nulla egli ottiene per suo mezzo; ella muore -lasciandogli un insegnamento che è la conferma d'un'antica persuasione -di lui: “perchè troppo sensibili saremo sempre infelici....„ Lo ha -pure esortato alla rassegnazione, alla pazienza; ma naturalmente egli -crederà più alle parole di approvazione dettate dalla calda simpatia -che non ai consigli di prudenza suggeriti dalla fredda ragione; e -penserà che egli ed i fratelli non sono soli della loro specie, che a -cuori sensitivi come i loro il trattamento del padre è iniquo; e non si -piegherà a sopportarlo. - -Noi lo vediamo pertanto esprimere ai suoi corrispondenti le stesse -lagnanze e le stesse accuse. Se Monaldo addebita al Giordani la -ribellione dei figli, Giacomo sdegnosamente protesta: “L'uomo di -cui mio padre si lagna, è tale, che neppure io ardisco nominarlo pel -rispetto e l'amore ch'io gli debbo. Ma mio padre se voleva dei figli -contenti in questo stato, doveva generarli d'altra natura, ed ora non -dovrebbe imputare a persone venerabili e rinomate in tutta l'Italia -quello ch'è necessità delle cose evidentissima a tutti, fuorchè a lui -solo.„ E se gli propongono una cattedra a Bologna, e lo sollecitano -a ottenere l'assenso paterno, egli scrive: “Vi dico che non avete -idea di mio padre. Non c'è affare che lo interessi così poco, quanto -quelli che mi riguardano. Non vuol mantenermi fuori di qua a sue sole -spese; ma non muoverebbe una paglia per procurarmi altrove un mezzo di -sussistenza che mi togliesse da questa disperazione....„ Per accettare -una dedica dal Brighenti egli dovrebbe sottoporla all'approvazione -del padre; e non vuole: “Sapete che mio padre è di principii -differentissimi dai miei; e che d'altra parte, s'io non gli domanderei -neppure il pan da mangiare, molto meno cose non necessarie.„ - -Una tregua è il viaggio di Roma. Nell'autunno del '22 i genitori -finalmente consentono che egli vada alla capitale in casa dello zio -Antici: allora, da lontano, tolte le occasioni di dissapori, l'affetto -paterno e filiale si manifesta con espressioni sincere e commoventi: -“Bacio la mano alla cara mamma. A lei professerò eternamente la -più viva gratitudine e il più caldo e filiale affetto. Mi ami, caro -signor padre, ch'io l'amo di tutto cuore, e desidero di servirla e -di compiacerla e di ubbidirla in ogni cosa. E per quasi niun altro -rispetto mi rallegro di aver sortito un cuore sensibile e pieno -d'amore, se non perchè io posso rivolgere la mia sensibilità verso di -lei.„ Quando il padre, per il Natale, gli manda con dolci e cordiali -espressioni, una strenna di dieci scudi, egli risponde: “Sarebbe quasi -inutile ch'io provassi di ringraziarla della liberalità che mi usa e -dell'affetto che mi dimostra. Ella sa, carissimo signor padre, quali -sono i miei sentimenti ancorchè io non li sappia esprimere. E per tanto -mi basterà dirle che la ringrazio con tutto il cuore del dono, e che lo -riconosco dall'antico e tenero e forse pur troppo non meritato amore -che ella mi porta; il quale amore però, quando anche non meritato, -certamente è corrisposto, e corrisposto con tutte le forze possibili -dell'animo mio.„ Tuttavia l'esagerazione della vigilanza che il padre -vuole esercitare sul figlio anche da lontano, e le sue paure grottesche -si rivelano ancora quando gli scrive: “Abbiatevi ogni cura, e non -dimenticate di evitare accuratamente il pericolo delle carrozze....„ -Egli che non ha voluto forzar la mano alla moglie per provvedere -alla sorte del giovane, trova poi di che ridire quando questi pensa a -procacciarsi denaro col proprio lavoro, con una traduzione di Platone: -“La vostra fatica verrà pagata circa baiocchi 60 al giorno, e voi -lavorando un mese ogni dì senza riposo festivo, guadagnerete scudi 18, -un poco più di quanto diamo al nostro cuoco e un poco meno di quanto -si dà nelle amministrazioni allo scrittore dei soprascritti....„ Così -pure, quando Giacomo dà lezioni per vivere, il padre giudica che gli -emolumenti mensili siano “alquanto umilianti.„ Questo è il nuovo danno -che viene al Leopardi dalla famiglia: non solamente non ne riceve -il benefizio degli affetti, non solamente vi trova opposizioni e -contrasti, non solamente vi è tenuto in una soggezione penosa; ma essa -non gli dà e quasi gl'impedisce di procacciarsi quel denaro che, dopo -la salute e l'amore — e anche prima dell'amore a giudizio di molti, — -è pur necessario a render gli uomini contenti. Adelaide Leopardi, nel -tempo delle peggiori strettezze, non vuole smettere la carrozza: ella -trova i quattrini per mantenere questo segno di grandezza, non ne trova -per salvare suo figlio. Col titolo di conte questi non ha un soldo da -spendere; se fosse nato da un borghesuccio o da un operaio si caverebbe -d'impiccio senza difficoltà; la sua condizione sociale fa che non -soltanto il padre si dolga di vederlo lavorare per vivere, ma che ne -soffra egli stesso. - -Perchè, infatti, tornato a Recanati e ricaduto nella soggezione -antica, e costretto a farsi mandare ad altri indirizzi lettere e -stampe se vuole evitare che glie le leggano, e disperato al punto -di pensare a gettarsi alla ventura pur di ritrovarsi libero; egli -accetta la proposta del libraio Stella che lo chiama a Milano e gli -paga il viaggio e lo alloggia in casa propria. Il giovane vi si sente -incatenato e “in certa maniera ridotto all'obbligazione di servirlo„; -tosto si propone di fare “ogni sforzo per trarre dalla mia debole e -sciocca natura il vigor necessario a svilupparmi da questi lacci.„ Da -lontano l'anima pacificata ripensa le dolcezze pur tanto grandi del -tetto domestico: ricevendo lettere del padre gli pare di trovarsi in -mezzo alla sua famiglia, “l'amore verso la quale è anche accresciuto in -me dalla lontananza„; ed al fratello Carlo scrive da Bologna, dove dà -lezioni per non esser di peso alla famiglia, che è per lui “un giubilo -e un palpito„ l'aprire lettere di casa; e alla sorella Paolina, che la -consolazione provata vedendo i caratteri della madre “è stata tanta che -quasi dubitava di travedere„; e al fratello Pierfrancesco, che baci la -mano al babbo e alla mamma per lui “tante volte, finattanto che non -vi diranno, basta.„ Ma, come l'altra volta, anche ora Monaldo trova -modo di pesare sul figlio lontano. Già egli comincia col rendere lode -“grandissima„ a Dio, perchè Milano non è piaciuta al giovane quanto -egli “temeva.„ Se Giacomo, per godere di un Benefizio, vorrebbe esser -dispensato dall'obbligo dell'abito talare e della tonsura, il padre -che gli ha voluto “gettar sul muso„ la prelatura, che ha rinunziato a -malincuore all'idea di vederlo abbracciare lo stato ecclesiastico, gli -sta addietro per dimostrargli il suo torto. “Non vedo quale ripugnanza -possa aversi ad un abito, clericale o prelatizio, poco importa, -il quale fu l'abito di tanti Santi, e lo fu pure di tanti uomini -grandissimi in ogni genere di grandezza. Conosco che in addietro per i -vostri rapporti letterarii avrete dovuto capitolare coi pregiudizii, -o piuttosto colla malvagità del tempo; ma attualmente la vostra età, -la vostra esperienza e il vostro nome vi mettono al disopra di queste -umiltà, e siete in grado di dare il tuono nella repubblica delle -lettere, piuttosto che di riceverlo. Qual trionfo, figlio mio, per -la causa dei Santi e dei saggi, e qual gloria per la Chiesa e per lo -Stato, se l'uomo il più erudito forse dello Stato spiegasse arditamente -la bandiera della Chiesa, e con ciò proclamasse altamente che gli -studi, le lettere e le meditazioni dei saggi conducono a conoscere e -a venerare la Chiesa, e a disprezzare e a combattere i suoi palesi e -nascosti inimici?„ Ma questo paladino della religione, questo nuovo -banditor di crociate, è poi partigiano del Turco, e pone in ridicolo -la simpatia del figlio per la causa greca, considerando i Greci non -tanto come cristiani che combattono per la fede, quanto come sudditi -ribelli che vogliono una libera patria. “Avrete letto nei fogli, come -le grandi Potenze vogliono prendere una parte decisiva negli affari -dell'Oriente. Così avranno pace i vostri Greci, e ne godo perchè -sono uomini; ma mi pare che siano birbanti assai, ed è un avvenimento -singolare che la somma legge dell'umanità imponga di soverchiare il -Turco, quando forse ha più ragione di noi....„ E se un Recanatese va -a combattere e a morire per la croce contro la mezzaluna, così egli -ne dà conto al figlio: “Anche Recanati ha pagato il suo tributo di -follia alla demenza del secolo, e ha tinta col suo sangue la terra -classica della Grecia. Alcuni mesi addietro il conte Andrea Broglio, -lasciati i genitori e la moglie, dichiarò la guerra alla Mezzaluna e -andò a fare il _ciccobimbo_ in qualità di brigante volontario. Ebbe in -guiderdone un titolo di Maggiore e una razione quotidiana di polenta; -ma alli 23 di maggio, assalendo Anatolico, una palla di cannone lo -uccise sul campo.„ Il figlio gli dà ragione quanto al fatto, adducendo -un argomento che ha già manifestato nei suoi versi, cioè disapprovando -che Italiani vadano a morire per causa non propria; ma che effetto -gli devono aver prodotto le derisioni dell'amor patrio che infiamma -gli Elleni, se egli aveva già abbozzato un inno alla Grecia, se aveva -già detto di riguardare i poveri Greci come fratelli, se si era quasi -scusato di non aver parlato abbastanza a favor loro in un suo articolo, -“considerata la impossibilità in cui siamo di parlare liberamente?„ -Per reverenza al padre egli non replica alle parole irriverenti; ma -che credito può ora accordare alla fede cristiana della quale il padre -fa sfoggio? Come può udirne le esortazioni? Egli vede ancora questo -padre, quest'uomo, questo derisore di eroi, tremar poi dinanzi alle -gonne della moglie. Quando pensa con la sua testa, Monaldo dispiace al -figlio per l'ostinata e l'ostentata predicazione di idee che questi -non può far sue, anche perchè le vede discordi; quando poi il padre -vorrebbe accontentarlo, allora la paura della moglie lo impaccia. Non -volendo Giacomo vestir l'abito clericale, si potrebbe pure ottenere il -godimento temporaneo del Benefizio; ma il padre gli scrive: “Bisogna -maneggiar bene la cosa per i miei riguardi domestici. Scrivetemi -ostensibilmente nei termini suddetti, come avendo avuto questo lume -da altri, e pregatemi di farvi ottenere questa piccola temporanea -provvista, toccando che voi niente costate alla casa. Io sono inimico -giurato di questi giri, ma mi conviene patteggiare fra il mio cuore e -il molto giudizio di mamma vostra; la quale vi ama tenerissimamente, ma -crede che le vostre lettere siano una miniera d'oro, la quale vi rende -inutile qualunque altro sussidio.„ Allora, come i figli hanno convenuto -tra loro di scriversi sotto finti nomi per sottrarre le loro lettere -agli sguardi del padre, così anche il padre suggerisce a Giacomo di -servirsi di indirizzi convenzionali per isfuggire al vigile sguardo -della moglie. - -Ma ben tosto il primo, il costante, l'inflessibile pensiero di Monaldo -torna ad angustiare il giovane: bisogna che egli torni a seppellirsi -a Recanati. “Io le protesto e giuro,„ risponde Giacomo, “che non ho -desiderio maggiore che quello di vivere in compagnia sua, e in seno -della mia famiglia; e che quando io possa vivere a Recanati con salute -sufficiente, e sufficiente possibilità di occuparmi nello studio per -passatempo, io non tarderò neppure un momento a volare costì.... per -vivere al suo fianco, e non allontanarmene mai più.„ Se il padre -gli scrive dicendogli tutto il bene che gli vuole, egli risponde -con proteste d'affetto continue: “Io per la parte mia posso giurarle -che, parlando umanamente, non vivo se non per lei e per la mia cara -famiglia; non ho mai goduto della vita se non in relazione a loro; ed -ora la vita non mi è cara se non in vista del dolore che cagionerei -a loro se la perdessi.„ Tornato ancora una volta a Recanati, sente -la sua vita finita; ma pure riconosce che, se il padre non vuole, non -potrebbe neanche volendo mantenerlo fuori; e per vivere del suo fuori -di casa egli dovrebbe lavorar molto; e lavorar molto, nelle condizioni -della sua salute, non potrà più mai. Allora il suo amico Tommasini, -conoscendo che Recanati è per il poveretto la morte, gli offre la -propria casa, a Parma; più tardi lo invita Pietro Colletta, a Livorno; -ma l'anima altera non si può piegare a questa specie di servitù. -Preferisce soffrire; e poichè gli amici sanno che le sue sofferenze -sono veramente insopportabili, tornano a proporgli di venirsene da -loro: il Colletta reitera l'invito, la moglie del Tommasini ripete -con più premurosa insistenza la preghiera del marito. Tutti si -accorgono della necessità di fare qualche cosa per l'infelice, tranne -che il padre e la madre. Giacomo è costretto da ultimo ad accettare -l'elemosina di ignoti ammiratori toscani, che per iniziativa del -Colletta contribuiscono a costituirgli una piccola pensione perchè -possa vivere a Firenze e attendere ai lavori letterarii. Ma quando, -lontano dal padre, egli pubblica il suo nuovo libro, le _Operette -morali_, Monaldo trova ancora nei suoi pregiudizii di che amareggiarlo -con critiche, con paure, con scrupoli, con esortazioni a correggersi, -quando l'infelice è moribondo, quando non può scrivere una riga senza -sudor di sangue. “Io le giuro,„ risponde il giovane difendendo l'opera -propria, “che l'intenzione mia fu di far _poesia in prosa_, come s'usa -oggi; e però seguire ora una mitologia ed ora un'altra, ad arbitrio; -come si fa in versi, senza essere perciò creduti pagani, maomettani, -buddisti, ecc. E l'assicuro che così il libro è stato inteso -generalmente, e così coll'approvazione di severissimi censori teologi -è passato in tutto lo Stato romano liberamente, e da Roma, da Torino, -ecc., mi è stato lodato da dottissimi preti. Quanto al correggere i -luoghi ch'ella accenna, e che ora io non ho presenti, le prometto che -ci penserò seriamente; ma ora vede Iddio se mi sarebbe _fisicamente_ -possibile, non dico di correggere il libro, ma di rileggerlo. Una -dichiarazione di protesta che pubblicassi, creda all'esperienza -che oramai ho di queste cose, che non farebbe altro che scandalo, e -quel che vi fosse di pericoloso nel libro, non ne diverrebbe che più -ricercato, più osservato e più nocivo.„ Ed anche non volendo, Monaldo è -destinato a fargli male. Quando egli pubblica i suoi _Dialoghetti sulle -materie correnti nell'anno 1831_, dove inveisce contro il liberalismo -e i liberali, e sostiene che la Francia dev'essere smembrata e che i -Turchi hanno ragione contro i Greci, e deride con espressioni triviali -le nuove idee politiche e filosofiche; tutti credono che l'autore ne -sia Giacomo, e si rallegrano o ridono della sua conversione; tanto -generalmente l'opera di Monaldo è attribuita al figlio, che questi è -costretto a pubblicare una dichiarazione di semplice protesta, dove -non c'è una parola che suoni biasimo all'opera del padre, quantunque -egli la detesti; e perchè il padre se ne duole, egli è costretto a -giustificarsi, a dire che ha pubblicato la dichiarazione “per non -usurpare ciò che è dovuto ad altri, e perchè non voglio nè debbo -soffrire di passare per convertito, nè di essere assomigliato al Monti, -ecc., ecc. Io non sono stato mai nè irreligioso, ne rivoluzionario di -fatto nè di massime. Se i miei principii non sono precisamente quelli -che si professano nei _Dialoghetti_, e ch'io rispetto in lei, ed in -chiunque li professa di buona fede, non sono stati però mai tali, ch'io -dovessi nè debba nè voglia disapprovarli. Il mio onore esigeva ch'io -dichiarassi di non aver punto mutato opinioni.„ Monaldo, da canto suo, -scrive e stampa articoli contro i giovani che disconoscono l'autorità -paterna, e ride dell'_Antologia_ dove il figlio ha stampato un saggio -dei suoi proprii _Dialoghi_.... - -Intanto le difficoltà finanziarie, finita la pensione degli amici di -Toscana, tornano ad opprimere il giovane; e il ritorno a Recanati lo -impaura più della morte; e il padre non vuole e non può aiutarlo. -Come rivolgersi a lui? Pure, mancando ogni altro mezzo, egli lo -prega in questi termini: “Io credo ch'ella sia persuasa degli estremi -sforzi ch'io ho fatti per sette anni affine di procurarmi i mezzi di -sussistere da me stesso. Ella sa che l'ultima distruzione della mia -salute venne dalle fatiche sostenute quattro anni fa per lo Stella, al -detto fine. Ridotto a non poter più nè leggere nè scrivere nè pensare -(e per più di un anno neanche parlare) non mi perdetti di coraggio, -e quantunque non potessi più fare, pur solamente col già fatto, -aiutandomi gli amici, tentai di continuare a trovar qualche mezzo. E -forse l'avrei trovato, parte in Italia, parte fuori, se l'infelicità -straordinaria dei tempi non fosse venuta a congiurare colle altre -difficoltà, ed a renderle finalmente vincitrici. La letteratura è -annientata in Europa: i librai, chi fallito, chi per fallire, chi -ridotto ad un solo torchio, chi costretto ad abbandonare le imprese -meglio avviate. In Italia sarebbe ridicolo ora il presumere di vender -nulla con onore in materie letterarie, e di proporre ai librai delle -imprese nuove. Di Francia, Germania, Olanda, dove io aveva mandata una -gran quantità di mss. filologici con fondatissime speranze di profitto, -non ricevo, invece di danari, che articoli di giornali, biografie e -traduzioni. Mi trovo dunque, com'ella può ben pensare, senza i mezzi -di andare innanzi. Se mai persona desiderò la morte così sinceramente -e vivamente come la desidero io da gran tempo, certamente nessuna in -ciò mi fu superiore. Chiamo Iddio in testimonio delle mie parole. Egli -sa quante ardentissime preghiere io gli abbia fatte (sino a far tridui -e novene) per ottener questa grazia; e come ad ogni leggera speranza -di pericolo vicino o lontano, mi brilli il cuore dall'allegrezza. Se -la morte fosse in mia mano, chiamo di nuovo Iddio in testimonio ch'io -non le avrei mai fatto questo discorso; perchè la vita in _qualunque -luogo_ mi è abbominevole e tormentosa. Ma non piacendo ancora a Dio -d'esaudirmi, io tornerei costì a finire i miei giorni, se il vivere -in Recanati, sopra tutto nella mia attuale impossibilità di occuparmi, -non superasse le gigantesche forze ch'io ho di soffrire. Questa verità -(della quale io credo persuasa per l'ultima acerba esperienza ancor -lei) mi è talmente fissa nell'animo, che malgrado del gran dolore -ch'io provo stando lontano da lei, dalla mamma e dai fratelli, io -sono invariabilmente risoluto di non tornare stabilmente costà se non -morto. Io ho un estremo desiderio di riabbracciarla, e solo la mancanza -de' mezzi di viaggiare ha potuto e potrà nelle stagioni propizie -impedirmelo; ma tornar costà senza la materiale certezza di avere il -modo di riuscirne dopo uno o due mesi, questo è ciò sopra di cui il -mio partito è preso, e spero che ella mi perdonerà se le mie forze e -il mio coraggio non si estendono fino a tollerare una vita impossibile -a tollerarsi. Non so se le circostanze della famiglia permetteranno -a lei di farmi un piccolo assegnamento di dodici scudi il mese. Con -dodici scudi non si vive umanamente neppure in Firenze, che è la città -d'Italia dove il vivere è più economico. Ma io non cerco di vivere -umanamente. Farò tali privazioni che, a calcolo fatto, dodici scudi mi -basteranno. Meglio varrebbe la morte, ma la morte bisogna aspettarla -da Dio.... Se le circostanze, mio caro papà, non le consentiranno -di soddisfare a questa mia domanda, la prego con ogni possibile -sincerità e calore a non farsi una minima difficoltà di rigettarla. -Io mi appiglierò ad un altro partito, e forse a questo avrei dovuto -appigliarmi senza altrimenti annoiar lei con questo discorso: ma -come il partito ch'io dico, è tale, che stante la mia salute, non -è verisimile che in breve tempo non vi soccomba, ho temuto che ella -avesse a fare un rimprovero alla mia memoria, dell'averlo abbracciato -senza prima confidarmi con lei sopra le cose che le ho esposte. Del -rimanente, io da un lato provo tanto dolore nel dar noia a lei, e -dall'altro sono così lontano da ogni fine capriccioso, e da ogni lieta -speranza nel voler vivere fuori di costà, che ho perfino desiderato, ed -ancora desidererei, che mi fosse tolta la possibilità di ogni ricorso -alla mia famiglia, acciocchè non potendo io mantenermi da me, e molto -meno essendomi possibile il mendicare, io mi trovassi nella materiale, -precisa e rigorosa necessità di morir di fame. Scusi, mio caro papà, -questo malinconico discorso che mi è convenuto tenerle per la prima -e l'ultima volta della mia vita. Si accerti della mia estremissima -indifferenza circa il mio avvenire su questa terra, e se la mia domanda -le riesce eccessiva, importuna, o non conveniente, non ne faccia alcun -caso. In ogni modo, se Dio vorrà ch'io viva ancora, io non cesserò di -adoperarmi come per lo passato, con tutte le mie forze, per procurarmi -il modo di vivere senza incomodo della casa, e per far cessare le -somministrazioni che ora le chiedo. Mi benedica, mio caro papà, e -preghi Dio per me....„ - -L'uomo che supplica in questo modo ha trentaquattro anni, ed è uno -dei più grandi del suo tempo; e con un nome illustre, con un ingegno -strapotente, come ha dovuto accettare l'elemosina dei Toscani, così -vive in parte degli aiuti del Ranieri, quando, ottenuto finalmente il -povero soccorso paterno, non è in grado di sopperire con questo ai -bisogni della sua vita stremata. E se, per il divisato e non potuto -effettuare ritorno in famiglia, è costretto a trarre una cambialetta -di 40 ducati, se ne deve scusare in termini di supplicazione; e deve -ringraziare il padre e la madre della “carità„ che gli hanno fatta. -Se essi non fanno di più perchè non possono, la colpa non è loro; ma -la loro colpa inescusabile è di non comprendere ancora, come non hanno -compreso mai, la condizione del figlio, la gravità dei suoi mali fisici -e morali. “Il tuono delle sue lettere alquanto secco,„ scrive questi al -padre sei mesi prima di morire, “è giustissimo in chi fatalmente non -può conoscere il vero mio stato, perch'io non ho avuto mai occhi da -scrivere una lettera che non si può dettare, e che non può non essere -infinita; e perchè certe cose non si debbono scrivere ma dire solo a -voce. Ella crede certo ch'io abbia passato fra le rose questi sette -anni ch'io ho passato tra i giunchi marini....„ E in mano di questo -amico al quale non può dettare tutto l'intimo pensiero suo; del quale -sente, nonostante la fratellanza di sette anni, di doversi guardare; -in mano di questo amico egli muore diciotto giorni dopo avergli fatto -scrivere al padre lontano, che non una volta ha pensato di andarlo a -raggiungere: “I miei patimenti fisici giornalieri e incurabili sono -arrivati con l'età ad un grado tale che non possono più crescere; spero -che superata finalmente la piccola resistenza che oppone il moribondo -mio corpo, mi condurranno all'eterno riposo, che invoco caldamente ogni -giorno non per eroismo ma per il rigore delle pene che provo. Ringrazio -teneramente lei e la mamma del dono dei dieci scudi, bacio le mani ad -ambedue loro, abbraccio i fratelli, e prego loro tutti a raccomandarmi -a Dio, acciocchè, dopo ch'io li avrò riveduti, una buona e pronta morte -ponga fine ai miei mali fisici che non possono guarire altrimenti.„ - -E dopo che il grande infelice è morto, credete voi che il padre -s'acqueti? Udite che cosa scrive Paolina all'amica Brighenti: “Di -Giacomo poi, della gloria nostra, abbiam dovuto tacere più che mai -tutto quello che di lui ne veniva fatto di sapere, come di quello che -non combinava punto col pensare di papà e colle sue idee. Pertanto, non -abbiam fatto mai parola con lui delle nuove edizioni delle sue opere, -e quando le abbiam comprate, le abbiamo tenute nascoste e le teniamo -ancora.... Preghiamo Iddio che non vengano quei volumi nelle mani dei -miei genitori; essi ne morrebbero di dolore!...„ Monaldo disereda il -figlio Carlo perchè ha sposato, contrariamente alla sua volontà, la -cugina Mazzagalli; nel suo testamento egli nomina Giacomo, l'eterna -gloria della sua casa, solo perchè si celebrino dieci messe per il -riposo dell'anima sua; mentre lungamente ricorda l'altro figlio Luigi, -“morto con tutti i segni del predestinato.„ E quando, morto anche -Monaldo, la vedova riceve un giorno uno dei visitatori che traggono a -Recanati come in pellegrinaggio, e l'ode riverire in lei la madre del -grande poeta, ella non sa rispondere altro che: “Dio gli perdoni....„ - - - - -IV. - -LA PATRIA. - - -La città dove siamo nati e dove viviamo, la terra dove si parla il -nostro proprio linguaggio, sono come la continuazione della casa: -da esse ci possono venire motivi di somma consolazione come di grave -dolore. Se Giacomo Leopardi non fu felice nella famiglia, ebbe almeno -ragione di compiacersi della patria? Per colmo di sciagura egli nacque -in tempi sciagurati e in un paese infelice. - -In un borgo, in un villaggio, se mancano troppe cose al vivere civile, -i costumi sono semplici, la vita è tranquilla, la libertà grande. Ma -Recanati è tanto popolosa ed ha tali tradizioni storiche da non poter -essere confusa tra i villaggi. In una città vasta ed animata, se vi -è troppo tumulto, vi sono pure spettacoli stupendi; se l'individuo è -costretto ad osservare troppe norme perchè troppo estesa è la società -circostante, tanto più facilmente egli può trovare in mezzo alla varia -moltitudine chi lo comprenda e gli giovi. Ma Recanati non è una grande -città. È città piccola; ciò significa il luogo meno adatto a un ingegno -avido di vedere e di sapere, cupido di impressioni potenti e nuove: -vi mancano egualmente, come il Leopardi stesso dice, “e i diletti -della società civile, e i vantaggi della vita solitaria„. Pietro -Giordani così ne parla: “Recanati, piccola terra, che il papa chiama -città, vicina quattro miglia a Loreto, quel gran mercato d'ignobili -superstizioni.... Ivi tutti i mali d'Italia, e niuna consolazione.„ - -Il pensiero degli uomini è in certo modo proporzionato ai luoghi dove -essi vivono: dentro un orizzonte angusto le idee sono piccole; le idee -grandi e nobili derivano dalle impressioni suscitate dalle cose nobili -e grandi. Le rivoluzioni, i tentativi di migliorare la condizione -umana, si compiono nelle metropoli; la provincia è più ligia alle -tradizioni, più avversa alle novità. Se i grandi ingegni sono ammirati -da chi è capace d'intenderli, sono invece derisi dal volgo, al quale -per la loro singolarità non possono uniformarsi: e nella provincia, -perchè è più volgare, la singolarità dell'ingegno pare anche maggiore. -“Ella non conoscerà Recanati„, scrive il Leopardi al Brighenti, “ma -saprà che la Marca è la più ignorante ed incolta provincia dell'Italia. -Ora, per confessione anche di tutti i Recanatesi, la mia città è la più -incolta e morta di tutta la Marca, e fuor di qui non s'ha idea della -vita che vi si mena.„ Lassù “l'ingegno non si conta fra i doni della -natura„. Chi comprenderà gli studii linguistici dello straordinario -giovanetto? “Quanto agli amatori della buona lingua, se di questa -io parlassi ad alcuno qui, crederebbero che s'intendesse di qualche -brava lingua di porco.„ Troverà egli qualcuno col quale ragionare -delle cose che gli stanno a cuore? “In Recanati non andando d'accordo -nelle massime con nessuno, non disputo mai, ed ostinatissimo mi lascio -spiattellare in faccia spropositi da stomacare i cani, senza mai aprir -bocca.„ Di quale considerazione godrà? Come in famiglia, così in tutta -la città lo trattano da “vero e pretto ragazzo, e i più aggiungono i -titoli di saccentuzzo, di filosofo, d'eremita e che so io.„ Tanto egli -è disconosciuto, che non crede d'incontrare veri odii o inimicizie, -“perchè questi si esercitano cogli uguali e nessuno vorrà degnarsi di -credermi suo uguale; ma disprezzi e scherni gli aspetto, e li ricevo -da tutti quelli che tratto e vedo„. Dice anche: “Io sto qui, deriso, -sputacchiato, preso a calci da tutti, menando l'intera vita in una -stanza, in maniera che, se vi penso, mi fa raccapricciare.„ Esagera? -I suoi nervi troppo tesi gli fanno giudicare così? No; è la verità. I -nobili oziosi ed ignoranti lo dileggiano per l'ingegno e la cultura; -un giorno, perchè egli tenta di replicare a uno di loro, è da costui -percosso sul viso con un frustino. La plebe ride della deformità del -suo corpo: talvolta, se egli esce a prendere una boccata d'aria, è -costretto a tornarsene in casa dagl'insulti della canaglia; i monelli -si divertono a tirar sassi o pallottole di neve sulla schiena al “gobbo -de Leopardi„. E i preti lo giudicano empio per le sue massime; perchè, -onorando i genitori, non intende esserne schiavo. - -Che effetto produrrebbero tutte queste cose in uomo qualunque? Non -avrebbe ogni uomo ragione di sentirsi fuori del mondo civile, in un -misero paesaccio, in un romitaggio, in una sepoltura? Ma il Leopardi -non è un uomo come tutti gli altri: noi sappiamo quanto vulnerabili -sono i suoi nervi, quanto è inferma la sua sensibilità. Allora non ci -stupiremo se egli chiamerà Recanati “tana, caverna, serraglio, porca -bicoccaccia, vilissima zolla, capitale dei poveri e dei ladri, luogo -pieno e stivato di maledizioni„; se chiamerà i suoi concittadini -“animali„ dalla cui vista fugge: “Ogni giorno mi par mill'anni di -fuggir via da questa porca città, dove non so se gli uomini sieno più -asini o più birbanti; so bene che tutti sono l'uno e l'altro....„ - -Eppure egli non ha giudicato sempre così. Anche prima di uscire da -Recanati, quando l'opposizione dei parenti e gli scherni degli estranei -non lo hanno ancora esasperato, egli è stato giusto con la sua città -natale. “Ora dico di odiarla perchè vi sono dentro, che finalmente -questa povera città non è rea d'altro che di non avermi fatto un bene -al mondo, dalla mia famiglia in fuori.„ Egli è anche così più che -giusto con la sua famiglia.... E se la sua sensibilità è tanto offesa a -Recanati, l'immaginazione vi opera prodigi, raffigurandogli le bellezze -dell'ignoto mondo. “Iddio ha fatto tanto bello questo nostro mondo„, -scrive al Giordani, “tante cose belle ci hanno fatto gli uomini, tanti -uomini ci sono, che chi non è insensato arde di vedere e di conoscere; -la terra è piena di meraviglie, ed io di dieciott'anni potrò dire: -In questa caverna vivrò, e morrò dove son nato?...„ Ma tanto egli -è esperto degli inganni orditi dalla fantasia, che non appena si -rappresenta queste meraviglie già è sicuro di non poterle trovare. “A -voi succede,„ riscrive al Giordani sei mesi dopo, “quello che succederà -a me se mai vedrò il mondo, di averlo a noia. Allora forse non mi -dispiacerà e fors'anche mi piacerà questo eremo che ora aborro.„ - -Così appunto accade. Appena esce da Recanati, appagato finalmente il -lungo desiderio di veder Roma, la metropoli lo scontenta, e il luogo -natio quasi gli pare preferibile. “Tenete per certissimo che il più -stolido Recanatese ha una maggior dose di buon senso che il più savio e -più grave Romano. Assicuratevi che la frivolezza di queste bestie passa -i limiti del credibile. S'io vi volessi raccontare tutti i propositi -ridicoli che servono di materia ai loro discorsi, e che sono i loro -favoriti, non mi basterebbe un in foglio....„ Non lo scontenta solo lo -spirito della popolazione, ma anche il materiale della città: “Tutta la -grandezza di Roma non serve ad altro che a moltiplicare le distanze, -e il numero de' gradini che bisogna salire per trovare chiunque -vogliate. Queste fabbriche immense, e queste strade per conseguenza -interminabili, sono tanti spazii gittati fra gli uomini, invece -d'essere spazii che contengono uomini....„ È il consueto disinganno -che l'immaginazione prepara quando le cose troppo desiderate ed -abbellite sono finalmente ottenute. Egli ha aspettato tanto, ha tanto -presentito il piacere, che quando lo consegue non lo apprezza più. -“Domandami se, in due settimane da che sono in Roma, io ho mai goduto -pure un momento di piacere fuggitivo, di piacere rubato, preveduto o -improvviso, esteriore o interiore, turbolento o pacifico, vestito sotto -qualunque forma. Io ti risponderò in buona coscienza e ti giurerò, che, -da quando io misi piede in questa città, non una goccia di piacere -non è caduta nell'animo mio, eccetto in quei momenti ch'io ho letto -le tue lettere.... Dirai ch'io non so vivere; che per te, e per altri -tuoi simili il caso non andrebbe così....„ Egli stesso riconosce -l'origine intima del suo scontento: “In verità, era troppo tardi -per cominciare ad assueffarmi alla vita non avendone mai avuto niun -sentore„; ma, perchè il disinganno sia così grande, bisogna che altre -cause abbiano concorso a produrlo. Se noi dobbiamo credere che, passato -alla metropoli da una città meno infelice di Recanati, oppure più -presto, prima che la sua salute fosse distrutta e che il suo spirito -si ottenebrasse, vi si sarebbe compiaciuto; dobbiamo anche notare che -neppure in queste condizioni propizie le cause reali del suo dispiacere -non sarebbero mancate. - - Oh! Se' tu Roma, o d'ogni vizio il seggio? - -aveva già sdegnosamente cantato Vittorio Alfieri; e le condizioni -morali dell'eterna città erano veramente tali da sdegnare un'anima come -quella del Leopardi. Principalmente, anzi unicamente attento alle cose -letterarie, come trovava egli le condizioni della letteratura a Roma? -Se l'alfabeto era tutta la letteratura di Recanati, qual era quella -di Roma? “Quanto ai letterati, de' quali ella mi domanda„, scrive al -padre, “io n'ho veramente conosciuti pochi, e questi pochi m'hanno -tolto la voglia di conoscerne altri. Tutti pretendono d'arrivare -all'immortalità in carrozza, come i cattivi cristiani al paradiso. -Secondo loro, il sommo della sapienza umana, anzi la sola e vera -scienza dell'uomo, è l'Antiquaria. Non ho ancora potuto conoscere un -letterato romano che intenda sotto il nome di letteratura altro che -l'Archeologia. Filosofia, morale, politica, scienza del cuore umano, -eloquenza, poesia, filologia, tutto ciò è straniero in Roma, e par -un giuoco da fanciulli, a paragone del trovar se quel pezzo di rame -o di sasso appartenne a Marcantonio o a Marcagrippa. La bella è che -non si trova un Romano il quale realmente possieda il latino o il -greco, senza la perfetta cognizione delle quali lingue, ella ben vede -che cosa mai possa essere lo studio dell'antichità.„ Ed al fratello: -“Della letteratura non so che mi vi dire. Orrori, e poi orrori. I più -santi nomi profanati, le più insigni sciocchezze levate al cielo, i -migliori spiriti di questo secolo calpestati come inferiori al minimo -letterato di Roma, la filosofia disprezzata come studio da fanciulli; -il genio e l'immaginazione e il sentimento, nomi (non dico cose, ma -nomi) incogniti e forestieri ai poeti e alle poetesse di professione; -l'antiquaria messa da tutti in cima del sapere umano, e considerata -costantemente e universalmente come l'unico vero studio dell'uomo. -Non dico esagerazioni. Anzi è impossibile che vi dica abbastanza....„ -Il suo disinganno cresce ogni giorno, ogni giorno egli trova un nuovo -argomento di noia, finchè arriva a questa conclusione disperata: -“Quantunque io sia già incapace affatto di godere, e incapace per -sempre, Roma mi ha fatto almeno questo vantaggio, di perfezionare la -mia insensibilità sopra me stesso, e di farmi riguardare la mia vita -intera, il mio bene, il mio male, come vita, bene, male altrui.„ - -Non per questo, tornato a Recanati, egli si rassegna alla vita del -“natìo borgo selvaggio„, dove la sua vita “est plus uniforme que le -mouvement des astres, plus fade et plus insipide que les paroles de -notre Opéra„; dove non trova la libertà che ha goduto fuori di casa; -dove, se vuol far venire un libro, gli conviene aspettare quattro, -sei, otto mesi, talvolta anche di più; dove manca di giornali, dove -si trova in un buio veramente spaventevole. Ma, partito un'altra volta -per andare in altre città grandi, non vi si trova contento. “Al primo -aspetto„, scrive da Milano, “mi pare impossibile di durar qui neppure -una settimana.„ E col tempo, se riceve impressioni grate, ne riceve -pure di sgradevolissime. “Qui mi trovo malissimo e di pessima voglia. -Pochi letterati ho conosciuto, e non mi curo di vederli per la seconda -volta....„ Il bello, che trova a Milano in gran copia, gli è guastato -“dal magnifico e dal diplomatico anche nei divertimenti.... Gli -uomini sono come _partout ailleurs_; e quello che mi fa rabbia è, che -tutti ti guardano in viso e ti squadrano da capo a piedi come a Monte -Morello....„ A Bologna trova che gli uomini sono “vespe senza pungolo„, -e con infinita meraviglia deve convenire “che la bontà di cuore vi si -trova effettivamente, anzi vi è comunissima, e che la razza umana vi è -differente da quella di cui tu ed io avevamo idea„. Tuttavia egli vive -in quella città “molto malinconico, e in certe passeggiate solitarie -che vo facendo per queste campagne bellissime, non cerco altro che -rimembranze di Recanati.„ Se passa a Firenze, la metropoli toscana “non -sarebbe certamente il luogo ch'io sceglierei per consumar questa vita„: -e, senza il Giordani, la cui compagnia gli è stata di tanto conforto, -il suo malumore si sfoga vivacemente: “Questi viottoli, che si chiamano -strade, mi affogano; questo sudiciume universale mi ammorba; queste -donne sciocchissime, ignorantissime e superbe, mi fanno ira„, e, come -a Roma, la condizione degli spiriti è ancora quella che più lo sdegna: -“Io non veggo altri che Vieusseux e la sua compagnia; e quando questa -mi manca, come accade spesso, mi trovo come in un deserto. Infine mi -comincia a stomacare il superbo disprezzo che qui si professa di ogni -bello e di ogni letteratura: massimamente che non mi entra poi nel -cervello che la sommità del sapere umano stia nel saper la politica e -la statistica.„ Tornato a Roma, la stessa ira d'una volta lo infiamma: -“La letteratura romana, come tu sai benissimo, è così misera, vile, -stolta, nulla, ch'io mi pento di averla veduta e vederla, perchè questi -miserabili letterati mi disgustano della letteratura, e il disprezzo -e la compassione che ho per loro, ridonda nell'animo mio a danno del -gran concetto e del grande amore ch'io aveva alle lettere.„ Che dirà -egli di Napoli? “Non posso più sopportare questo paese semibarbaro e -semiaffricano, nel quale io vivo in un perfetto isolamento da tutti„; -egli ha bisogno di fuggire “da questi lazzaroni e pulcinelli nobili e -plebei, tutti ladri e b. f. degnissimi di Spagnuoli e di forche.„ - -Facciamo una larghissima parte al suo nervosismo, all'irritabilità -cresciuta per le continue sventure, le malattie, il disagio pecuniario, -le opposizioni della famiglia; facciamo una larghissima parte -all'ingannatrice fantasia che dipinge troppo belli i luoghi lontani -e li rende preferibili ai vicini, talchè anche quando egli si trova -contento, come a Pisa, pure vive di rimembranze dell'odiato Recanati; -resta ancora, per altre testimonianze, che le condizioni morali delle -città italiane non erano, a quei tempi, delle più felici. Basterà per -tutte quella di Vittorio Alfieri, uomo sano, operoso e ricco, capace di -istituir paragoni grazie ai lunghi viaggi fatti da un capo all'altro -d'Europa. Giudicati i Romaneschi maestri nel mal oprare, i Napoletani -nello schiamazzare, i Genovesi nel patir la fame, i Veneziani nel -lasciar fare, i Milanesi nel banchettare, egli conclude - - Tale d'Italia è la primaria gente; - Smembrata tutta, e d'indole diversa; - Sol concludendo appieno in non far niente. - - Nell'ozio e ne' piacer nojosi immersa - Negletta giace, e sua viltà non sente; - Fin sopra il capo entro a Lete sommersa. - -E questo è appunto il nuovo motivo di dolore di Giacomo Leopardi, -ammiratore fervidissimo dell'Astigiano: in ogni parte d'Italia ai suoi -tempi non solamente l'ignoranza è grande quanto l'ignavia e l'amore -delle vanità, ma lo stesso sentimento della patria comune, della -nazione, è infimo e nullo. - -Fanciullo, sotto l'impero del padre guelfo, egli aveva cominciato a -parteggiare per le autorità legittime contro i Francesi invasori e -i rivoluzionarii di casa. Ritiratosi Gioacchino Murat da Macerata, -liberato il Piceno, egli aveva rivolto un'orazione agl'Italiani -eccitandoli all'odio degli stranieri. “Ogni francese è degno d'odio, -perchè niun francese riconosce i delitti della sua nazione. Quel popolo -forsennato con tanto sangue e stragi, con tanti danni a tutta l'Europa, -non fece che una parentesi nella cronologia dei regnanti per rientrar -poi nello stato primiero.„ E dalla esecrazione dei rivoluzionarii -francesi era passato all'esaltazione dei governi indigeni. “Non v'ha -popolo,„ giudicava, “più felice dell'italiano nell'amministrazione -paterna di sovrani amati e legittimi„; e se l'Italia era divisa in -tanti staterelli, se ne compiaceva perchè ella “offre lo spettacolo -vario e lusinghiero di numerose capitali, animate da corti floride -e brillanti, che rendono il nostro suolo sì bello agli occhi dello -straniero„; e aveva dimostrato che l'Italia non è fatta per le armi, -bensì per le arti. Ma la sua conversione fu molto rapida: due anni -dopo, quando cominciava a lagnarsi di Recanati e diceva che gli era -tanto cara da somministrargli le belle idee per un trattato dell'odio -della patria, tosto si correggeva: “Ma mia patria è l'Italia; per la -quale ardo d'amore, ringraziando il cielo d'avermi fatto italiano.„ -Questo sentimento si afforza ogni giorno più: egli non tralascia -occasione di significarlo: se gli Accademici di Viterbo lo chiamano a -far parte della loro società, si rallegra delle loro cure “con la mia -nazione, alla quale resta tanto poco del vero amore, non dirò delle -patrie particolari, ma della nostra comune gloriosissima e sovrana -patria, che è l'Italia„; e se il Visconti abbandona la terra e la -lingua italiana, egli non l'ama “niente affatto, perchè mi pare, che si -sia scordato dell'Italia„; e invece chiama “mio„ l'Alfieri, e dedica -al Monti le sue prime canzoni patriottiche che per niente al mondo -dedicherebbe “a verun potente.„ Noi vediamo quindi che, come gli era -accaduto in fatto di letteratura, così anche in politica è variamente -sollecitato dalle correnti morali del suo tempo. Ma se tra il -classicismo e il romanticismo il temperamento era difficile perchè le -tendenze delle due scuole rispondevano a due tendenze del suo spirito, -in materia politica la via di mezzo non era possibile. Una volta venuta -meno l'ubbidienza al regime tradizionale e il compiacimento nella -secolare divisione della patria italiana, egli doveva seguire sino in -fondo la nuova via della ribellione; dove lo aspettavano nuove e non -meno gravi pene. - -Qual era infatti la condizione reale di quell'Italia che egli aveva -vista grande nelle memorie di tempi troppo remoti? Una delle peggiori -che la sua storia rammenti. Cinquant'anni prima gl'Italiani erano -immersi in un letargo profondo, dal quale pareva che nulla potesse mai -trarli; dei loro mali avevano perduto quasi coscienza, si può dire -che non ne soffrissero. Cinquant'anni dopo essi dovevano insorgere, -combattere, cadere, ma poi finalmente trionfare. L'età del Leopardi -è invece la più travagliata. La rivoluzione e l'invasione francese -hanno destato gli spiriti; Napoleone, italiano d'origine, pronunzia -in Milano di aver preparato alti destini alla nazione infelice. Ma -i fatti non seguono alle promesse. Discacciati i Tedeschi, restano i -Francesi; i danni prodotti dai nuovi occupatori in nome della libertà -sono infiniti. Se qualcuno si è illuso, se qualcuno ha dato fede alle -promesse, il disinganno è amarissimo. Il Leopardi che non ha creduto, -che è rimasto per questo riguardo il misogallo dei primi tempi, vede -nei nuovi casi l'ultima rovina. Beato egli stima Dante - - che il fato - A viver non dannò fra tanto orrore; - Che non vedesti in braccio - L'itala moglie a barbaro soldato; - Non predar, non guastar cittadi e colti - L'asta inimica e il peregrin furore; - Non degl'itali ingegni - Tratte l'opre divine a miseranda - Schiavitude oltre l'Alpi, e non de' folti - Carri impedita la dolente via; - Non gli aspri cenni ed i superbi regni; - Non udisti gli oltraggi e la nefanda - Voce di libertà che ne schernia - Tra il suon delle catene e de' flagelli. - Chi non si duol? che non soffrimmo? intatto - Che lasciaron quei felli? - Qual tempio, quale altare o qual misfatto? - -Ed egli soffre d'esser nato in mezzo a questa rovina: - - Perchè venimmo a sì perversi tempi? - Perchè il nascer ne desti o perchè prima - Non ne desti il morire, - Acerbo fato? onde a stranieri ed empi - Nostra patria vedendo ancella e schiava, - E da mordace lima - Roder la sua virtù, di null'aita - E di nullo conforto - Lo spietato dolor che la stracciava - Ammollir ne fu dato in parte alcuna? - -Ma il più grave è questo: che il fiore della gioventù italiana sia -tratto a combattere e a morire non contro i proprii nemici, ma contro -nemici altrui: non per la moribonda Italia, ma per altra gente, -per quelli che sono venuti a tiranneggiarla; e a morire lontano, in -Ispagna, in Germania, nei deserti nevosi di Russia. - - Morian per le rutene - Squallide spiagge, ahi d'altra morte degni, - Gl'itali prodi; e lor fea l'aere e il cielo - E gli uomini e le belve immensa guerra. - Cadeano a squadre a squadre - Semivestiti, maceri e cruenti, - Ed era letto agli egri corpi il gelo. - Allor, quando traean l'ultime pene, - Membrando questa desiata madre, - Diceano: oh non le nubi e non i venti, - Ma ne spegnesse il ferro, e per tuo bene, - O patria nostra. Ecco da te rimoti, - Quando più bella a noi l'età sorride, - A tutto il mondo ignoti, - Moriam per quella gente che t'uccide. - Di lor querela il boreal deserto - E conscie fur le sibilanti selve. - Così vennero al passo, - E i negletti cadaveri all'aperto - Su per quello di neve orrido mare - Dilaceràr le belve.... - -La grandezza dell'affanno è smisurata, non c'è altro conforto se -non nella stessa immensità dello sconforto.... Il Leopardi chiede -ansiosamente se la miseria della patria sua non cesserà una volta: - - In eterno perimmo? E il nostro scorno - Non ha verun confine? - -Egli eccita allora gl'italiani a volgersi indietro, a contemplare -i vestigi della potenza e della gloria passata; a ricordare i loro -grandi, Dante, Petrarca, Colombo, Ariosto, Tasso, Alfieri; e se il Mai -discopre antiche celebri scritture e se le sue scoperte commuovono il -mondo dei dotti e quasi fanno credere che siano tornati i tempi del -Rinascimento, egli lo esorta a perseverare nell'opera, - - tanto che infine - Questo secol di fango o vita agogni - E sorga ad atti illustri, o si vergogni. - -E se la sorella Paolina sta per andare a nozze egli vuole che dia forti -esempii ai figli. Mettano opera le donne perchè la patria si redima: -esse hanno una grande potenza sugli animi umani; ad esse il giovane -chiede ragione della miseria dei tempi: - - La santa - Fiamma di gioventù dunque si spegne - Per vostra mano? attenuata e franta - Da voi nostra natura? e le assonnate - Menti, e le voglie indegne, - E di nervi e di polpe - Scemo il valor natìo, son vostre colpe?... - .... O spose, - O verginette, a voi - Chi de' perigli è schivo, e quei che indegno - È della patria e che sue brame e suoi - Volgari affetti in basso loco pose, - Odio mova e disdegno; - Se nel femmineo core - D'uomini ardea, non di fanciulle, amore. - -E si volge di nuovo al passato, trova nella storia di Roma l'esempio -di quanto ha giovato alla patria una donna: Virginia. Ancora: ad un -vincitore nel giuoco del pallone ricorda che gli esercizii del corpo -sono preparazione necessaria alla guerra; e che vincitori dei giuochi -olimpici erano quelli che vincevano poi e fugavano i Medi e i Persiani. -Ma le esortazioni sono vane; egli sente che il funesto obblio delle -grandi cose non finisce, che nessuno si onora d'esser figlio d'una -madre come l'Italia, che la rovina di lei è senza riparo. Nell'alba -della sua vita ha visto l'invasione francese e i danni dell'opera -napoleonica; giunto alla sera, pochi anni prima di morire, vede i vani -conati del Trentuno e l'invasione austriaca. - -A questa miseria politica del suo paese fa riscontro la miseria -sociale. Tutte le classi della nazione hanno vizii e colpe. “Dite -benissimo dei nobili,„ scrive al Brighenti, “che sono il corpo morto -della società. Ma pur troppo io non vedo quale si possa chiamare il -corpo vivo oggidì.... Le Corti, Roma, il Vaticano? Chi non conosce -quel covile della superstizione, dell'ignoranza e de' vizi?„ I preti, -“in tutto il mondo, sotto un nome o sotto un altro, possono ancora -e potranno eternamente tutto„; ma che fanno di questa loro potenza? -Quelli che reggono lo Stato tengono su un governo “gotico„; quelli -che pensano, che disputano, i teologi, “sono una razza di gente così -ostinata come le donne. Prima si caverebbero loro tutti i denti -di bocca, che un'opinione dalla testa. Bensì credo che sia meglio -avere a fare colle donne, e anche col diavolo, che con loro.„ Egli -non ha voluto pertanto mettersi nella carriera ecclesiastica; ma la -professione curiale non è meno discreditata: “Quante miserie, quante -pazzie, quanti intrighi in questo povero mondo! Come se avessimo -felicità d'avanzo, e bisognasse minorarla colla barbarie delle -istituzioni sociali.„ - -Perduta, anzi non mai veramente concepita la speranza di poter aiutare -colle azioni la patria; espresso soltanto in un impeto lirico il sogno -di combattere solo, di procombere solo per l'Italia; egli attende -all'unica opera che gli è consentita: la rigenerazione intellettuale -degli Italiani — poichè la loro miseria, a questo riguardo, è -altrettanto grande quanto quella sociale e politica. Troppo rari sono -gl'ingegni che sostengono “l'ultimo avanzo della gloria italiana„: le -lettere: pure egli li cerca e li onora. Del Giordani scrive: “Io penso -che se molti de' nostri sapessero scrivere in quella maniera, non dico -solamente quanto alle parole, ma quanto alle cose, la letteratura -italiana seguiterebbe ad essere la prima d'Europa, come è già poco -meno che l'ultima.„ E del Trissino: “Io non mi posso dimenticare -d'un giovane signore italiano così amorevole, nè di sentimenti così -magnanimi, nè di tanti pregi e virtù d'ogni sorta, che se fossero meno -singolari in questa povera terra non sarebbe stoltezza lo sperar della -nostra patria.„ E così anche del Papadopoli, della Tommasini, e di -tanti altri. Questo pensiero: che le lettere non debbono essere vano -esercizio, ma strumento di riforma civile, lo occupa assiduamente. -Se il Brighenti disegna di pubblicare un'opera sulla riforma degli -spettacoli dei quali si diletta il popolo italiano, caldamente egli -lo incuora: “Non posso abbastanza lodarvi del vostro zelo per la -riformazione degli spettacoli italiani: spettacoli barbari, e simili -oramai a quelli della China. Le vostre osservazioni sono veramente -utili, e a questo debbono mirare (e non mirano) gli scrittori: dico a -giovare ai loro contemporanei, come cercavano di fare tutti gli antichi -e tutti i classici, che non sarebbero classici se non avessero scritto -per altro fine che di scrivere. Io non credo che dopo la Spagna, in -punto spettacoli barbari, si possa addurre nell'Europa colta verun -esempio di maggior corruzione, che l'Italia. Conseguenza pur troppo -naturale dell'aver noi perduto il nome e la sostanza di nazione.„ E -al Grassi: “Del suo valoroso e benefico assunto d'insegnare un'altra -volta la lingua militare all'Italia che l'ha disimparata, che altro -posso far io, se non confortarla caldissimamente a proseguire la sua -magnanima impresa, che ha sì degnamente cominciata, anzi condotta in -buoni termini, col suo dizionario?„ Tanto è ansioso di fare, con le -lettere, opera utile alla patria, che, poeta, quasi ripudia la poesia. -“Andando dietro ai versi e alle frivolezze (io parlo qui generalmente), -noi facciamo espresso servizio ai tiranni: perchè riduciamo a un giuoco -o ad un passatempo la letteratura; dalla quale sola potrebbe aver sodo -principio la rigenerazione della nostra patria.„ E la rassegnazione -cristiana predicata dal Manzoni lo scontenta: “Tale conclusione -è ottima per istituire una riforma morale; ma io dubito molto che -basti a levar su dal fango una nazione invilita e spirarle ardimento -proporzionato alle sue tremende necessità. Coloro, quali i fondatori -di religione, che parlarono all'universale degli uomini abbracciando -ogni tempo ed ogni contrada, e non ne specificando alcuna, potettero -rimanersi nelle astrazioni d'una sconfinata rassegnazione e pazienza. -Ma essi non ebbero patria o non la conobbero; dovecchè il Manzoni tiene -cara soprammodo la sua.„ - -E tutti i suoi disegni sono rivolti alla restaurazione delle lettere -italiane come strumento della salute nazionale. “Tante cose restano da -creare in Italia, ch'io sospiro in vedermi così stretto e incatenato -dalla cattiva fortuna, che le mie poche forze non si possano adoperare -in nessuna cosa. Ma quanto ai disegni, chi può contarli? La Lirica da -creare.... tanti generi della tragedia, perchè dell'Alfieri n'abbiamo -uno solo; l'eloquenza poetica, letteraria e politica; la filosofia -propria del tempo, la satira, la poesia d'ogni genere accomodata -all'età nostra, fino a una lingua e uno stile, ch'essendo classico e -antico, paia moderno e sia facile a intendere e dilettevole così al -volgo come ai letterati.„ E perchè si faccia bene all'Italia, come -fondamento della sua rigenerazione morale vuole che si crei una lingua -filosofica, “senza la quale io credo ch'ella non avrà mai letteratura -moderna sua propria, e non avendo letteratura moderna propria, non -sarà mai più nazione. Dunque l'effetto ch'io vorrei principalmente -conseguire, si è che gli scrittori italiani possano essere filosofi -inventivi e accomodati al tempo, che insomma è quanto dire scrittori -e non copisti.... Anche procurerò con questa scrittura di spianarmi -la strada a poter poi trattare le materie filosofiche in questa -lingua, che non le ha mai trattate; dico le materie filosofiche quali -sono oggidì, non quali erano al tempo delle idee innate.... Quasi -innumerabili generi di scrittura mancano o del tutto o quasi del tutto -agl'Italiani, ma i principali e più fruttuosi, anzi necessari, sono, -secondo me, il filosofico, il drammatico e il satirico. Molte e forse -troppe cose ho disegnate nel primo e nell'ultimo; e di questo (trattato -in prosa alla maniera di Luciano, e rivolto a soggetti molto più gravi -che non sono le bazzecole grammaticali a cui lo adatta il Monti) -disponeva di colorirne qualche saggio ben presto. Ma considerando -meglio le cose, mi è paruto di aspettare. In ogni modo procureremo di -combattere la negligenza degli Italiani con armi di tre maniere, che -sono le più gagliarde: ragioni, affetti, riso.„ - -Non solamente la salute gl'impedisce di eseguire tanti disegni, ma -la stessa inutilità della propria opera gli fa cadere le braccia. A -Roma impera l'archeologia, a Firenze la statistica, a Milano e da per -tutto la pedanteria; la letteratura, in istato d'asfissia, non che -scuotere le genti, non dà pane da mangiare a chi la professa. “Con -questa razza di giudizio e di critica che si trova oggi in Italia, c... -chi si affatica a pensare e a scrivere.„ Gl'Italiani sono da più di -un secolo, e vogliono restare tributarii degli stranieri anche nelle -lettere. La miseria dei tempi è tale, “che chiunque in Italia vuol -bene, profondamente e filosoficamente scrivere e poetare, dee porsi -costantemente nell'animo di non dovere nè potere in verun modo essere -commendato nè gustato nè anche inteso dagl'Italiani presenti.„ - -E i governi non badano soltanto a impedire ogni movimento, ma anche a -soffocare il pensiero. Quasi tutte le volte che ha pronto un libro, il -Leopardi è incerto di poterlo pubblicare. Quando manda al Giordani il -manoscritto delle sue prime canzoni, la polizia lo sequestra; quando -ne manda un'altra copia a Roma, gli scrivono che sono da prevedersi -difficoltà da parte della censura. L'altra canzone al Mai è trattenuta -dalla polizia austriaca e proibita per espressa volontà del Vicerè: -“Essendo questa poesia scritta nel senso del liberalismo ed avendo la -tendenza a rafforzare i malintenzionati nelle loro malevole viste, essa -vuolsi per ciò tosto proibire e tagliare la via all'introduzione di -contrabbando ed alla diffusione.„ La stessa polizia austriaca proibisce -un'edizione fiorentina dei _Canti_, per “irreligiosità e principii -antisociali.„ A Bologna la censura vieta la pubblicazione delle canzoni -nuove e della _Comparazione_ delle sentenze di Teofrasto e di Bruto: -se egli vuole ottenere la revoca del divieto, deve far precedere il -libro da un avvertimento nel quale loda i governi ed eccita i popoli -all'obbedienza. Stampa a Firenze, sull'_Antologia_, un saggio delle -_Operette morali_, per vedere se anche queste saranno trattenute -in Lombardia; ma nella stessa Firenze il consiglio dei ministri gli -rigetta il manifesto d'un giornale che si propone di pubblicare. A -Napoli, pochi mesi prima che egli muoia, un'edizione delle sue intere -opere dispiace ai Padri revisori ed è interdetta. La persecuzione -continua anche dopo che egli è morto: il pretore di Reggio Calabria, -nel 1856, condanna a mille ducati di multa Pietro Merlino, barbiere, -“colpevole di detenzione di un libro proibito, intitolato _Canti di -Giacomo Leopardi_.„ - - - - -V. - -LA GLORIA. - - -In questo paese, del quale le condizioni non gli sono lieve causa -di dolore, potrà egli sperare di trovar un compenso alle tante sue -sciagure? Poichè quasi ogni azione gli è stata contesa, e il pensiero -e lo studio è stato tutta la sua vita, potrà egli ottenere il premio di -questa attività: la gloria? - -Della gloria ha avuto una brama ardente. “Io ho grandissimo, forse -smoderato e insolente desiderio di gloria.„ A diciotto anni, questa -non è in lui presunzione: tali prove ha dato del suo ingegno, che il -Giordani gli può scrivere: “Io ho innanzi agli occhi tutta la vostra -futura gloria immortale.„ E il proposito del giovane è più che mai -di raggiungerla: “Non voglio vivere fra la turba: la mediocrità mi -fa una paura mortale; ma io voglio alzarmi e farmi grande ed eterno -coll'ingegno e collo studio.„ - -Gli eruditi lavori dell'adolescenza cominciano a fruttargli le prime -pubbliche lodi. Il Cancellieri, nella sua _Dissertazione_ intorno -agli uomini dotati di grande memoria, stampa: “Quali progressi non -dovranno aspettarsi da un giovine di merito sì straordinario?„ e cita -il giudizio dello svedese Akerblad: “Parmi che così erudita Opera di -un Giovine ancora in tenera età sia di ottimo augurio per l'Italia, -che potrà sperare di veder un giorno a comparire un filologo veramente -insigne.„ Ma le prime canzoni levano più alto grido. Vincenzo Monti, -a cui sono dedicate, gli scrive: “Il core mi gode nel vedere sorgere -nel nostro Parnaso una stella, la quale se manda nel nascere tanta -luce, che sarà nella sua maggiore ascensione?„ Il Trissino dice che -gli Italiani debbono confortarsi molto di possederlo, Il Cancellieri -lo chiama “fenice dell'età nostra„; il Giordani gli riferisce che si -parla di lui “come di un Dio.„ Che moto di legittimo orgoglio non deve -sollevarlo sulla mediocre umanità! Quante soddisfazioni, quanti onori, -quanti trionfi la sua fantasia non deve promettergli! Questa volta essa -non può esagerare: certo, se di tutti gli altri beni non è destinato -a conoscere altro che il nome, non gli potrà mancare nessuno di quelli -che procura la fama. - -Noi abbiamo visto qual conto facesse il padre della sua grandezza e -come largheggiasse per assicurarla. Finchè il giovane resta a Recanati, -da una parte i suoi concittadini lo maltrattano come sappiamo e lo -chiamano _poeta_ con intonazione di scherno; dall'altra poco e male -egli può sapere che cosa si pensi di lui nel resto del mondo: “Io tra -le altre fortune ho quella di fare stampare le cose mie e non saper -mai che cosa se ne dica: se piacciano, se non piacciano, se si stimino -mediocri, se pessime, in guisa che un mio libro stampato è per me -come se fosse manoscritto.„ Pubblica la traduzione del secondo canto -dell'_Eneide_, e non gli giova “ad altro che a donarne tre copie in -tutto e per tutto, non contando io per niente quel mezzo centinaio -che n'ho fatto seminare tra questa vilissima plebe marchegiana e -romana.„ E il suo lavoro resta ignorato a Roma, “dove pur vedo che si -parla di cento altre traduzioni, che in coscienza non posso dire che -sieno migliori.„ Stampa le sue canzoni e non sa come pubblicarle: “Io -sono ignorantissimo di queste cose, non ho commercio letterario con -nessuno, e con tutte queste copie in poter mio, non volendone un mezzo -soldo, non so che diavolo me ne fare.„ S'arrovella aspettando tempi -migliori; e intanto, perchè l'amor della gloria non gli sia pericoloso, -si propone di obbedire a certe massime prudenti: “Ama la gloria, ma, -primo, la sola vera; e però le lodi non meritate, e molto più le finte, -non solamente non le accettare, ma le rigetta, non solamente non le -amare, ma le abbomina; secondo, abbi per fermo che in questa età, -facendo bene, sarai lodato da pochissimi, lasciando che altri piaccia -alla moltitudine e sia affogato dalle lodi; terzo, delle critiche, -delle maldicenze, delle ingiurie, dei disprezzi, delle persecuzioni -ingiuste, fa quel conto che fai delle cose che non sono; delle giuste -non ti affliggere più che dell'averle meritate; quarto, gli uomini più -grandi e più famosi di te, non che invidiarli, stimali e lodali a tuo -potere, e inoltre amali sinceramente e gagliardamente.„ Ottiene infatti -qualche amicizia letteraria, sente dirsi cose lusinghiere da quelli -che lo ringraziano del dono dei suoi opuscoli; ma già le delusioni -cominciano. La difficoltà di stampare a sue spese, l'impossibilità -d'inchinarsi a giornalisti ed a critici, gli fanno considerare come -la più sicura, anzi la sola approvazione che le sue opere possano -ottenere sia quella della propria coscienza. “Ma queste cose perchè ve -le scrivo? Eh via che nè la nostra virtù, nè la delicatezza del cuor -nostro, nè la sublimità della mente nostra, nè la nostra grandezza non -dipendono da queste miserie, nè io sarò meno virtuoso nè meno magnanimo -(dove ora sia tale) perchè un asino di libraio non mi voglia stampare -un libro, una schiuma di giornalista parlarne. Oramai comincio, o mio -caro, anch'io a disprezzare la gloria, comincio a intendere insieme con -voi che cosa sia contentarsi di sè medesimo, e mettersi colla mente più -in su della fama e della gloria e degli uomini e di tutto il mondo. Ha -sentito qualche cosa questo mio cuore per la quale mi par pure ch'egli -sia nobile; e mi parete pure una vil cosa voi altri uomini, ai quali se -per aver gloria bisogna che m'abbassi a domandarla, non la voglio; chè -posso ben io farmi glorioso presso me stesso, avendo ogni cosa in me, e -più assai che voi non potete in nessunissimo modo dare.„ - -Il proposito è di quelli che si chiamano filosofici, come opposti alle -idee pratiche. In questa filosofia tanto più è difficile che egli -perseveri, quanto maggiori sono le manifestazioni del suo ingegno, -quanto più calda è l'espressione della meraviglia dei pochissimi che -lo conoscono. Il Giordani s'adopera per lui, per fargli ottenere un -posto a Roma; ma il giovane sa di esservi sconosciuto, “e non dico di -non meritarlo; dico bene che infiniti altri che lo meritano quanto -me, sono senza paragone più noti e stimati e lodati e riveriti che -non son io; la qual cosa non mi muove punto nè mi dee muovere per sè -stessa, ma mi pregiudica in questo ch'io non avendo nessuna fama, non -ne posso cavare quelle utilità reali che ne cavano coloro che n'hanno, -comunque se l'abbiano. Sicchè non è dubbio che i vostri uffici non mi -possano giovare assaissimo.„ Ma l'amico suo non riesce, nè a Roma nè in -Lombardia. Intanto il Pindemonte ingelosisce di lui per il suo saggio -di traduzione dell'_Odissea_; il giovane risponde giustificandosi, -umiliandosi: “Io non ho mai veduto nessuna parte dell'_Odissea_ del -Pindemonte. Non so neppure se l'abbia tradotta e pubblicata tutta; -solamente quel saggio che stampò alcuni anni prima del mio. So ben -questo, che la sua traduzione si potrebbe paragonare alla mia così -bene, come una gemma a un ciottolo.„ - -Un giorno, stanco delle lunghe aspettazioni senza alcun ottenimento, -egli pone da parte il suo orgoglio e s'inchina dinanzi al Mai perchè -gli ottenga di farlo uscire da Recanati procurandogli la cattedra -di lingua latina vacante nella Biblioteca vaticana, della quale il -Monsignore è primo Custode. “Ho vissuto sempre in un piccolo paesuccio, -non ho conoscenze, non amicizie, non appoggi di sorta alcuna. Così che -dopo avere perduto ogni altro vantaggio della vita, mi vedo ridotto -a perdere interamente anche quell'ultimo frutto degli studi, che è -la conversazione degli uomini insigni, e quel poco di fama, che ogni -piccolo uomo si lusinga e desidera di acquistare. Ma chi vive sepolto -in un paese come questo, non può mai sperare di farsi, non dico famoso, -ma neppur noto in nessuna parte della terra. Tutte le fatiche, tutti i -dolori, tutte le perdite che ho sostenute sono vane per me. Io mi vedo -qui disprezzato e calpestato da chicchessia; tutte le speranze della -mia fanciullezza sono svanite; ed io piango quasi il tempo consumato -negli studi, vedendomi confuso con la feccia più vile degli scioperati -e degl'ignoranti.„ Per queste ragioni “implora la misericordia„ di -lui; e il Monsignore il cui nome sarà famoso presso i venturi grazie -al canto che il giovanetto gli ha intitolato, non vuole o non sa -contentarlo; anzi pubblica più tardi un frammento del Libanio “o per -fare dispetto a me, o sapendo di certo che col pubblicarlo, lo levava -di mano a me che già l'aveva trovato.„ - -Andato a Roma, egli s'accorge che nella gran città, dove sperava di -ottenere quella fama negatagli nel piccolo luogo natale, è ancora più -difficile esser conosciuti ed ammirati; e vede la miseria del mondo -letterario che da lontano gli sembrava tanto bello: “Quel vedere la -gente fanatica della letteratura anche più di quello ch'io fossi in -alcun tempo, quel misero traffico di gloria (giacchè qui non si parla -di danari, che almeno meriterebbero d'esser cercati con impegno), e di -gloria invidiata, combattuta, levata come di bocca dall'uno all'altro; -quei continui partiti, de' quali stando lontano non è possibile -farsi un'idea; quell'eterno discorrere di letteratura e discorrerne -sciocchissimamente, e come di un vero mestiere, progettando tutto -giorno, criticando, promettendo, lodandosi da sè stesso, magnificando -persone e scritti che fanno misericordia, tutto questo m'avvilisce in -modo, che, s'io non avessi il rifugio della posterità e la certezza -che col tempo tutto prende il suo giusto luogo (rifugio illusorio, ma -unico e necessarissimo al vero letterato), manderei la letteratura al -diavolo mille volte....„ I dotti stranieri lo apprezzano molto più -che non gl'Italiani; ma non per le qualità delle quali egli è più -orgoglioso. “Qui in Roma io non sono letterato (il qual nome, se è -vero, è inutile coi Romani, inutile coi forestieri), ma sono un erudito -e un grecista. Non potete credere quanto m'abbiano giovato quegli -avanzi di dottrina filologica che io ho raccolto e raccapezzato dalla -memoria delle mie occupazioni fanciullesche. Senza questi io non sarei -nulla cogli stranieri, i quali ordinariamente mi stimano, e mi danno -molti segni d'approvazione.„ Ma se egli spera di poter essere portato -via, all'estero, da qualcuno di costoro, spera invano, Il ministro di -Prussia gli dà gran lode per i suoi studi filologici e gli dimostra -molto interesse e gli promette di esercitare tutta la sua influenza -presso il governo pontificio per ottenergli un impiego: ma non glie -l'ottiene; l'otterrebbe se egli consentisse a farsi prete! - -A Milano, a Bologna, stipendiato dallo Stella, deve fare per conto -di questo libraio studii che abomina, “un librettaccio noioso„, il -commento del Petrarca, “calice di passione„ dal quale non aspetta “nè -onore nè piacere alcuno, bensì noia ineffabile e riso di molti che -mi conoscono, dell'essermi occupato in queste minuzie pedantesche.„ E -deve persuadere il libraio a non fargliene compiere un secondo dello -stesso genere: “Eccomi a dirle del Cinonio. Trovo che questo lavoro -sarà dei lunghi e noiosissimi, altrettanto e più che il Petrarca, -senza stimolo alcuno di fama o di lode all'autore. Ciononostante, -giudicando ella che esso debba riuscirle utile, eccomi a servirla. Ma -avendo io già pubblicata col mio nome un'opera affatto pedantesca, -com'è il comento al Petrarca, mi prendo la confidenza di porle in -considerazione che il pubblicarne un'altra dello stesso genere, non -potrà essere senza che il pubblico mi ponga onninamente, e per viva -forza, in quella classe, dalla quale colle mie parole e cogli altri -miei scritti ho tanto cercato di separarmi: nella classe di quelli che -deprimono e rendono frivola, nulla, ridicola agli occhi degli stranieri -la nostra letteratura, e con ciò servono mirabilmente alle intenzioni -dell'_oscurantismo_: nella classe dei pedanti. Io la prego però di -volere avere al mio nome questa compassione di salvarlo da questo -epiteto, nel quale esso incorrerà inevitabilmente se la nuova opera -sarà annunziata per mia....„ E quando poi questo libraio si dispone -a stampare le sue _Operette morali_, gli vuol mettere questo libro di -altissima filosofia nella _Biblioteca per dame_! - -Nessuno è riuscito a fargli avere un impiego: nessuno glie l'otterrà. -Una promessa, il segretariato dell'Accademia di Bologna, sfuma -nonostante l'appoggio del Bunsen. Lo stesso Bunsen gli dà come cosa -fatta la sua nomina alla cattedra di eloquenza greca e latina; il -giovane lo prega di fargli anche ottenere dal cardinale segretario di -Stato la somma occorrente al viaggio da Bologna a Roma, non avendo -la possibilità di farlo a spese proprie, e il Bunsen stesso mette a -sua disposizione il denaro occorrente; ma tutto va a monte: egli non -ottiene altro che “una nuova prova del quanto poco, anzi nulla, ci -possiamo noi confidare in questo nostro Governo gotico, le cui promesse -più solenni vagliono meno che quelle di un amante ubbriaco.„ Ancora il -Bunsen gli propone una cattedra in Germania, a Berlino o a Bonn; ma, -oltre che la cosa non è sicura, la salute rovinata non gli consente -oramai di vivere in climi tanto rigidi. Il Colletta, cercandogli -una cattedra in Toscana, non è più fortunato. Non è più fortunato il -Maestri cercandogliene un'altra a Parma: glie ne darebbero una, ma -di storia naturale!... I suoi concittadini, dopo tanta indifferenza e -tanta diffidenza, hanno sentore della sua grandezza; essi pensano un -giorno a lui, ma non per giovargli, bensì per giovarsene; lo eleggono -ad un posto non letterario, ma politico; lo nominano deputato durante -la rivoluzione del Trentuno, quando egli è lontano, tanto lontano che -la rivoluzione quasi finisce prima che egli risponda rinunziando ad un -ufficio al quale non è nato. - -Con tutta la sua dottrina, egli deve contentarsi di vivere dei pochi -scudi che gli paga ogni mese il libraio Stella e dell'emolumento di -lezioni private. Come una “fortuna„ sollecita dal Vieusseux di esser -posto in relazione col libraio Antonelli, disponendosi ad accettare, -tra per le condizioni del mercato librario, tra per lo stato della sua -salute, gli sterili e odiati lavori di compilazione. Se stampa opere -originali, deve pregare gli amici di trovargli sottoscrittori. Se -concorre con le _Operette morali_ al premio quinquennale di mille scudi -che conferirà l'Accademia della Crusca, il Vieusseux gli assicura che, -riguardo alla lingua e allo stile, cose che gli Accademici dovrebbero -considerare principalmente se volessero esser fedeli al loro primitivo -istituto, nessuno potrà competere con lui; ma il valore dell'opera -sua non basta: bisogna raccomandarsi, essere raccomandato. “Il Capponi -vi conosce„, gli scrive il Colletta, “vi pregia, vi ama; ma egli non -ha sullo Zannoni la forza che voi credete; nè lo Zannoni può tutto in -quel coro di canonici. Sento in predicamento il Botta; e certamente per -mole sta sopra a tutti: ma che storia! che stile! Quanto perderebbero -le lettere italiane s'egli avesse imitatori! Se gli accademici hanno -in pregio il puro, il gentile e il bisogno d'Italia di bello scrivere, -le opere vostre saran preferite, perchè in qualità di stile voi non -avete superiore o compagno.„ E il Capponi e il Niccolini difendono -la sua causa, ed anche lo Zannoni dicono che si mostri giusto a suo -riguardo; ma l'Accademia conferisce il premio proprio al Botta; e -neppure dà a lui la prima menzione onorevole; gli concede soltanto -la seconda. Per tutta consolazione, due anni dopo lo nomina suo -socio corrispondente. Ma le semplici soddisfazioni d'amor proprio che -importano oramai all'infelice cui mancano i mezzi di vivere? “Riempirti -il naso di fumo„, scrive alla sorella, “non mi dà più l'animo, e mi -fa nausea.„ Egli non ottiene quei compensi reali ai quali è anche sul -punto di divenire indifferente; se pure li ottenesse, non vi sarebbe un -senso di secreto avvilimento nella rinunzia ai sogni di gloria pura e -disinteressata? - -Ed a che cosa si riduce per lui questa gloria? All'amicizia di qualche -grande anima, alle liete accoglienze di Bologna e di Firenze, alle lodi -in versi del Muzzarelli e del Missirini, alle lodi in prosa e a qualche -traduzione che gli vengono dall'estero. E quante miserie, quante -invidie, in cambio! All'Accademia degli Arcadi dicono male di lui; -egli ne ride, ma sotto alle risa si sente la ferita dell'amor proprio: -assicura che prova “un gran piacere quando sono informato del male che -si dice di me„; ma che specie di piacere è questo?... Un anonimo scrive -al suo editore, e il suo editore gli comunica il seguente giudizio sul -commento del Petrarca: “Non posso a meno di dirgli che quella operetta -del Petrarca colle note mi par cosa inettissima; e degna d'esser letta -da uno scolaretto sgusciato dalla Grammatica.„ Per difendere la forma -delle sue prime dieci canzoni, egli deve comporre lunghe annotazioni -filologiche; per difenderne il contenuto, lo critica egli stesso in un -articolo ironico, senza firma. E il Tommaseo lo vitupera e lo dileggia, -e compone epigrammi sulla sua deformità corporale. E del Rosini è -amico, ma egli deve aver paura di dare al De Sinner la notizia della -caduta del _Tasso_ a Firenze “perchè sapete che gli sdegni letterarii -del Rosini non sono sempre inoffensivi. „ - -E poichè il destino non risparmierà questo grande sciagurato mai, -neppure nella morte, egli si spegne a Napoli durante l'epidemia -colerica, quando nessuno s'accorge della perdita che ha fatta l'Italia, -quando la sua salma a stento è sottratta dal Ranieri alla fossa comune -dove tutti i morti, per misura di pubblica salute, sono confusi. E un -Cicconi, nella _Gazzetta di Francia_, gli tesse un elogio funebre pieno -di vituperii; e il Tommaseo dissuade il libraio parigino Baudry dal -pubblicare un'edizione postuma delle sue opere. E lo stesso Ranieri, -che pure gli è stato tanto amico, un giorno, dopo molti anni, scrive un -libro nel quale avvilisce ed offende la sua memoria. - - - - -PARTE SECONDA. - -IL PENSIERO. - - - - -IL PESSIMISMO - - - - -I. - -L'ILLUSIONE. - - -Volgiamo lo sguardo indietro, sommiamo le disgraziate circostanze -intime ed esteriori in mezzo alle quali Giacomo Leopardi nasce, -cresce e vive sino all'ultimo giorno: gli eccessi della fantasia, gli -eccessi del ragionamento, il loro dissidio, la successiva dispersione -della volontà, l'esagerazione degli studii del passato, il contagio -romantico, il disordine della sensibilità, le malattie incessanti, la -deformità che gl'impedisce d'essere amato, la mancanza della protezione -materna, i contrasti col padre, la povertà, la lotta con le difficoltà -materiali della vita, la meschinità del luogo natale, la miseria -politica, sociale e intellettuale della patria, le fallite speranze di -gloria: vedremo che la sua vita fu uno spasimo incessante. - -Potremo noi trovare nell'opera sua le lodi dell'esistenza, -l'espressione della gioia, la fede nella bontà dell'universo? Vediamo -noi nascere le rose dal mortuario asfodelo? Il nostro pensiero, quando -pare più libero di manifestarsi in un modo piuttosto che in un altro, -non è rigorosamente determinato, in tutte le sue minime espressioni, -dalla nostra natura, dalla nostra educazione, dalla nostra esperienza? -E se per questa triplice influenza, che noi minutamente indagammo, -Giacomo Leopardi spasimò come abbiamo visto, l'arte sua poteva essere -consolatrice? Se voi non conoscete ancora nulla dell'opera sua, dovete, -sin da questo momento, antivederne il disperato carattere. - -Tutto è stato per lui dolore, ogni cosa lo ha disingannato. Quando ha -goduto? Nella primissima gioventù, nella fanciullezza, quando i mali -non lo avevano avvilito, quando voleva ed agiva come tutti gli altri, -quando meglio che tutti gli altri immaginava la felicità avvenire ed -aspettava di conseguirla. Egli loda pertanto una cosa sola: la prima -età, piena di fede, di illusioni, di speranze, di aspettazioni felici; - - quel dolce - E irrevocabil tempo, allor che s'apre - Al guardo giovanil questa infelice - Scena del mondo, e gli sorride in vista - Di paradiso.... - Il caro tempo giovanil; più caro - Che la fama e l'allôr, più che la pura - Luce del giorno, e lo spirar.... - -la prima stagione della vita, quando - - l'acerbo, indegno - Mistero delle cose a noi si mostra - Pien di dolcezza. - -Sempre egli ritorna alle speranze, agli “ameni inganni„ della prima -età, al “caro immaginar„ suo primo: - - Chi rimembrar vi può senza sospiri, - O primo entrar di giovinezza, o giorni - Vezzosi, inenarrabili, allor quando - Al rapito mortal primieramente - Sorridon le donzelle; a gara intorno - Ogni cosa sorride; invidia tace, - Non desta ancora ovver benigna; e quasi - (Inaudita maraviglia!) il mondo - La destra soccorrevole gli porge.... - -Come la gioventù è la sola stagione felice, così l'alba è il più -bel momento del giorno. “Su, mortali„, canta il Gallo silvestre, -“destatevi. Il dì rinasce.... Ciascuno in questo tempo raccoglie e -ricorre coll'animo tutti i pensieri della sua vita presente; richiama -alla memoria i disegni, gli studi e i negozi; si propone i diletti -e gli affanni che gli sieno per intervenire nello spazio del giorno -nuovo. E ciascuno in questo tempo è più desideroso che mai di ritrovar -pure nella sua mente aspettative gioconde e pensieri dolci.„ Così -il sabato è al villaggio il giorno migliore, per la giovinetta che -ha colto i fiori dei quali si ornerà il domani, per la vecchierella -che ricorda il suo buon tempo, le feste passate; per i fanciulli che -saltellano in piazza, per lo zappatore che pensa al prossimo riposo, -per il legnaiuolo che s'affretta a finire l'opera sua. - - Questo di sette è il più gradito giorno, - Pien di speme e di gioia.... - -E la gioventù rispetto alla vita è come il sabato rispetto alla festa: - - Garzoncello scherzoso, - Cotesta età fiorita - È come un giorno d'allegrezza pieno, - Giorno chiaro, sereno, - Che precorre alla festa di tua vita. - Godi, fanciullo mio; stato soave, - Stagion lieta è cotesta. - -Ma quanto dura? Come, tramontando la luna, il mondo si scolora e -l'oscurità scende nella valle e sul monte, - - Tal si dilegua, e tale - Lascia l'età mortale - La giovinezza. In fuga - Van l'ombre e le sembianze - Dei dilettosi inganni; e vengon meno - Le lontane speranze - Ove s'appoggia la mortal natura. - Abbandonata, oscura - Resta la vita.... - -Quella stessa forza della speranza, quella stessa consistenza -dell'illusione che diedero prezzo alla prima età, sono causa dello -scontento, del disgusto che seguono. Chi ha sognato “arcana felicità -in arcani modi„, non è possibile che lodi poi molto la vita reale, -ancora quando essa sia larga di soddisfazioni. Qualunque diletto si -possa godere al mondo, resta scolorito al paragone di quelli sognati, -desiderati e aspettati; “e però„ dice Malambruno, “non uguagliando -il desiderio naturale della felicità che mi sta fisso nell'animo, non -sarà vero diletto; e in quel tempo medesimo che esso è per durare, io -non lascerò di essere infelice.„ Nel punto dell'ottenimento, mentre il -bene ottenuto riesce inferiore a quello aspettato, l'immaginazione e il -desiderio ne antivedono uno maggiore nel futuro: “Non vi accorgete voi -che nel tempo stesso di qualunque vostro diletto, ancorchè desiderato -infinitamente, e procacciato con fatiche e molestie indicibili.... -state sempre aspettando un goder maggiore e più vero, nel quale -consista in somma quel tal piacere; e andate quasi riportandovi di -continuo agl'istanti futuri di quel medesimo diletto? Il quale finisce -sempre innanzi al giungere dell'istante che vi soddisfaccia; e non -vi lascia altro bene che la speranza cieca di goder meglio e più -veramente in altra occasione, e il conforto di fingere e narrare a -voi medesimi di aver goduto....„ Tanto la felicità che si aspetta è -superiore a quella che si può ottenere, che uno il quale “si trovasse -nel più felice stato della terra, senza che egli si potesse promettere -di avanzarlo in nessuna parte e in nessuna guisa, si può quasi dire -che questi sarebbe il più misero di tutti gli uomini.„ Per conseguenza -le facoltà alle quali sono dovuti effetti tanto funesti, se erano le -cose più preziose, sono anche “le più lacrimevoli a chi le riceve.„ -Non ultimo tra i danni da esse prodotti è quello che il Leopardi -ha notato in sè stesso: l'impaccio della volontà. Dice la Natura, -ragionando con un'Anima: “La finezza del tuo proprio intelletto e la -vivacità dell'immaginazione ti escluderanno da una grandissima parte -della signoria di te stessa. Gli animali bruti usano agevolmente -ai fini che eglino si propongono, ogni loro facoltà e forza. Ma gli -uomini rarissime volte fanno ogni loro potere; impediti ordinariamente -dalla ragione e dall'immaginativa; le quali creano mille dubbietà nel -deliberare e mille ritegni nell'eseguire. I meno atti o meno usati a -ponderare e considerare seco medesimi, sono i più pronti a risolversi.„ - -E se pure, con tanti impedimenti all'acquisto della felicità, i piaceri -della vita fossero reali! Ma, al contrario, sono illusorii, semplici -interruzioni del dolore: così la quiete, inapprezzata prima della -tempesta, è causa di gioia dopo di questa: - - Piacer figlio d'affanno - Gioia vana, ch'è frutto - Del passato timore.... - -Tali sono i doni, i beni che la natura offre agli uomini: - - Uscir di pena - È diletto fra noi. - -“Il piacere„ dice la Mummia di Federico Ruysch, “non sempre è cosa -viva; la cessazione di qualunque dolore o disagio, è piacere per sè -medesima.„ E se pure i sensi dell'uomo sono capaci di godere non solo -quando cessano di soffrire, ma anche in modo più spontaneo, uscendo -dallo stato d'indifferenza, questi piaceri sono poi tutti benefici? Il -Leopardi che non li ha potuti godere, a cui le stesse impressioni grate -facevano male, si duole perchè la natura, mentre ci ha “infuso tanta -e sì ferma e insaziabile avidità del piacere, disgiunto dal quale la -nostra vita, come priva di ciò che ella desidera naturalmente, è cosa -imperfetta„; dall'altra parte ha ordinato “che l'uso di esso piacere -sia quasi di tutte le cose umane la più nociva alle forze e alla sanità -del corpo, la più calamitosa negli effetti in quanto a ciascheduna -persona, e la più contraria alla durabilità della stessa vita.„ E -ancora: chi si astenesse interamente dai piaceri, sarebbe per ciò -salvo? Costui incorrerebbe egualmente “in molte e diverse malattie„, -sarebbe esposto ai pericoli di morte, alla perdita di qualche membro -o facoltà, condurrebbe per tempi più o meno lunghi una misera vita, -e avrebbe “oppresso il corpo e l'animo con mille stenti e mille -dolori.„ E ancora: “benchè ciascuno di noi sperimenti, nel tempo delle -infermità, mali per lui nuovi e disusati, e infelicità maggiore che -egli non suole„; la natura non ha poi dato in compenso all'uomo “alcuni -tempi di sanità soprabbondante e inusitata, la quale gli sia cagione -di qualche diletto straordinario per qualità e grandezza.„ I dolori -sono dunque reali, infiniti, e intollerabili; mentre i piaceri sono -illusorii, circoscritti, e finalmente anch'essi nocivi. - -Se tale è la miseria della condizione umana, il Leopardi crede che vi -sia un vero, un grande, un infinito bene: l'amore. - - Pregio non ha, non ha ragion la vita - Se non per lui, per lui ch'all'uomo è tutto; - Sola discolpa al fato. - -La Verità, che Giove ha mandato sulla terra, fuga tutte le larve e -tutte le illusioni, e rende disperata la condizione degli uomini; -ma resta per concessione del nume l'amore. “Avranno tuttavia qualche -mediocre conforto da quel fantasma che essi chiamano Amore, il quale io -sono disposto, rimovendo tutti gli altri, lasciare nel consorzio umano. -E non sarà dato alla Verità, quantunque potentissima e combattendolo -di continuo, nè sterminarlo mai dalla terra, nè vincerlo se non di -rado.„ E poichè gli effetti della Verità sono spaventevoli, il nume, -mosso a pietà delle creature penanti, invita qualcuno dei celesti a -scendere in terra per consolare l'infelice progenie. “Al che tacendo -tutti gli altri, Amore, figliuolo di Venere Celeste, conforme di -nome al fantasma così chiamato, ma di natura, di virtù e di opere -diversissimo; si offerse (come è singolare fra tutti i numi la sua -pietà) di fare esso l'ufficio proposto da Giove, e scendere dal -cielo....„ Ed egli torna, ma di rado, a visitare i mortali, e poco -si ferma tra loro. “Quando viene in sulla terra, sceglie i cuori più -teneri e più gentili delle persone più generose e magnanime; e quivi -siede per breve spazio: diffondendovi sì pellegrina e mirabile soavità, -ed empiendoli di affetti sì nobili, e di tanta virtù e fortezza, che -eglino allora provano, cosa al tutto nuova nel genere umano, piuttosto -verità che rassomiglianza di beatitudine.„ Ma questa felicità vera -non è intera; perchè l'amore “rarissimamente congiunge due cuori -insieme, abbracciando l'uno e l'altro a un medesimo tempo, e inducendo -scambievole ardore e desiderio in ambedue; benchè pregatone con -grandissima instanza da tutti coloro che egli occupa: ma Giove non gli -consente di compiacerli, trattone alcuni pochi; perchè la felicità che -nasce da tale beneficio, è di troppo breve intervallo superata dalla -divina.„ Così Consalvo, presso a morte, si ridesta e delira di gioia -solo perchè la donna amata gli concede il primo ed ultimo bacio: - - Morrò contento - Del mio destino omai, nè più mi dolgo - Ch'aprii le luci al dì. Non vissi indarno, - Poscia che quella bocca alla mia bocca - Premer fu dato. Anzi felice estimo - La sorte mia. Due cose belle ha il mondo: - Amore e morte. All'una il ciel mi guida - In sul fior dell'età; nell'altro, assai - Fortunato mi tengo.... - -Noi già vediamo, in questo parallelo tra l'amore, forma dell'istinto -vitale, e la morte, cessazione di tutta quanta la vita, annebbiarsi -la fede del Leopardi. Se egli credesse veramente all'amore, non -paragonerebbe le gioie che nascono da lui a quel sollievo tutto -negativo che viene dalla fine dell'esistenza; egli non canterebbe: - - Fratelli, a un tempo istesso, Amore e Morte - Ingenerò la sorte. - Cose quaggiù più belle - Altre il mondo non ha, non han le stelle. - -È vero che ogni uomo, anche non disperando, sicuro anzi di ottenere la -soddisfazione degl'istinti della carne e dei bisogni del cuore, prova -un intimo senso di tristezza e quasi un desiderio di morire durante il -primo invasamento della passione. Questa languidezza mortale, questa -prostrazione sono note a tutti i grandi, a tutti i veri amanti; il -Leopardi, che è tra i più squisiti, le sente, le descrive, ne cerca le -ragioni nella paura che produce il deserto del mondo a chi ha il cuore -gonfio d'una speranza divina; nella previsione delle tempeste alle -quali va incontro l'amante. È vero che il bisogno di morire ritorna più -grave - - quando tutto avvolge - La formidabil possa, - E fulmina nel cor l'invitta cura; - -e che gli umili, le vergini, si uccidono o muoiono distrutti dalla -passione. Ma ciò accade quando l'amore è contrastato; per affermare -che amore e morte sono fratelli, sempre, bisogna disperare dell'amore. -Ed infatti: qual è l'opera dell'Amore, quando, per consiglio di -Giove, quel dio scende in terra? È quella di far tornare le larve, le -illusioni: “E siccome i fati lo dotarono di fanciullezza eterna, quindi -esso, convenientemente a questa sua natura, adempie per qualche modo -quel primo voto degli uomini, che fu di esser tornati alla condizione -della puerizia. Perciocchè negli animi che egli si elegge ad abitare, -suscita e rinverdisce, per tutto il tempo che egli vi siede, l'infinita -speranza e le belle e care immaginazioni degli anni teneri.„ In altre -parole: il conforto che viene dall'amore è tutto nell'aspettazione, -nella speranza. Il Leopardi non si contraddice, affermando, dopo -aver negato tutti i piaceri, la benefica potenza dell'amore. L'amore -è grato, secondo lui, come è grata la gioventù; perchè il giovane e -l'amante s'illudono, aspettano una felicità senza fine. E perchè non -la raggiunge il giovane, non la raggiunge l'amante. Il giovane ha -troppo sperato dalla vita; l'amante spera troppo dalla donna. Egli non -si contenta della creatura reale; se ne foggia un'immagine molto più -bella: - - Vagheggia - Il piagato mortal quindi la figlia - Della sua mente, l'amorosa idea, - Che gran parte d'Olimpo in sè racchiude, - Tutta al volto, ai costumi, alla favella - Pari alla donna che il rapito amante - Vagheggiare ed amar confuso estima. - -Il poeta non ha avuto esperienza dell'amore reale, ma sa che insino -nell'amplesso la creatura che noi stringiamo tra le braccia non è tanto -la vera, quella di carne e di sangue, quanto la figlia della nostra -mente. Il disinganno è pertanto da attribuire all'immaginazione degli -uomini, non già alle donne; ma la colpa è anche della natura che ha -fatto gli uomini troppo immaginosi ed ardenti, e le donne troppo fredde -e pigre. Le donne reali sono troppo diverse da quelle che gl'innamorati -si dipingono: - - A quella eccelsa imago - Sorge di rado il femminile ingegno; - E ciò che ispira ai generosi amanti - La sua stessa beltà, donna non pensa, - Nè comprender potrìa. Non cape in quelle - Anguste fronti ugual concetto. E male - Al vivo sfolgorar di quegli sguardi - Spera l'uomo ingannato, e mal richiede - Sensi profondi, sconosciuti, e molto - Più che virili, in chi dell'uomo al tutto - Da natura è minor. Che se più molli - E più tenui le membra, essa la mente - Men capace e men forte anco riceve. - -Egli è anche più giusto quando fa dire al Tasso dal suo Genio familiare -che le donne non hanno colpa se, alla prova, riescono troppo diverse da -quelle che noi immaginiamo. “Io non so vedere„, gli spiega il Genio, -“che colpa s'abbiano in questo, d'esser fatte di carne e sangue, -piuttosto che d'ambrosia e nèttare. Qual cosa del mondo ha pure -un'ombra o una millesima parte della perfezione che voi pensate che -abbia a essere nelle donne? E anche mi pare strano, che non facendovi -maraviglia che gli uomini sieno uomini, cioè a dir creature poco -lodevoli e poco amabili; non sappiate poi comprendere come accada, che -le donne in fatti non sieno angeli.„ - -L'immaginazione è dunque ancora causa dell'inganno. Essa, come -ha guastato la vita, guasta anche l'amore. Saggio è l'amante che, -sognando la donna diletta in un sogno gentile, “per tutto il giorno -seguente fugge di ritrovarsi con quella e di rivederla; sapendo che -ella non potrebbe reggere al paragone dell'immagine che il sonno -gliene ha lasciata impressa....„ Quantunque il Leopardi abbia amato -solitariamente, quantunque non abbia neppure significato i suoi -sentimenti alle donne che li ispirarono, pure egli ha capito come sia -difficile agli amanti riamati il comprendersi. Quando ha fatto dire -a Consalvo che il cielo non consente il pieno appagamento dei voti -d'amore, gli ha fatto soggiungere che “amar tant'oltre non è dato con -gioia„; e il suo Filippo Ottonieri dice una cosa molto profonda, che -è il frutto delle lunghe esperienze sentimentali: “Negava che alcuno -a questi tempi possa amare senza rivale; e dimandato del perchè, -rispondeva: perchè certo l'amato o l'amata è rivale ardentissimo -dell'amante.„ Come dir meglio che l'amore, la grande consolazione della -vita, non è tutto amore, ma anche una forma di odio? - -Dove sarà allora la felicità vera, intera, pura? Sarà nella gloria? -Anche questa è una forma dell'illusione; ad uno ad uno egli ne -distrugge, come li ha visti cadere intorno a sè, tutti i fondamenti, -tutte le promesse, tutti i vantaggi. E primieramente: che cosa è la -gloria letteraria e artistica, paragonata a quella che dipende dalle -grandi azioni? “L'operare è tanto più degno e più nobile del meditare -e dello scrivere, quanto è più nobile il fine che il mezzo, e quanto -le cose e i soggetti importano più che le parole e i ragionamenti. -Anzi niun ingegno è creato dalla natura agli studi; nè l'uomo nasce -a scrivere, ma solo a fare.„ Ma i tempi non volgono propizii alle -imprese magnanime, ed è forza contentarsi della grandezza nell'arte -o nella scienza. E questa via, “come quella che non è secondo la -natura degli uomini, non si può seguire senza pregiudizio del corpo, -nè senza moltiplicare in diversi modi l'infelicità del proprio -animo.„ E quante difficoltà! “Le emulazioni, le invidie, le censure -acerbe, le calunnie, le parzialità, le pratiche e i maneggi occulti -e palesi contro la tua riputazione, e gli altri infiniti ostacoli -che la malignità degli uomini ti opporrà....„ Il valore è anche -contrastato “dalla fortuna propria dello scrittore, ed eziandio -dal semplice caso, o da leggerissime cagioni.„ Chi può, del resto, -comprender bene lo scrittore? Non la folla, ma gli scrittori suoi -pari; non gli stranieri, ma quelli della sua stessa nazione: per tutto -il resto dell'umano genere le fatiche letterarie riescono inutili -e sparse al vento. “Lascio l'infinita varietà dei giudizi e delle -inclinazioni dei letterati, per la quale il numero delle persone -atte a sentire le qualità lodevoli di questo o di quel libro, si -riduce ancora a molto meno.„ Che è dunque la fama di quei grandi, i -cui nomi sono universalmente riveriti? “In vero io mi persuado che -l'altezza della stima e della riverenza verso gli scrittori sommi, -provenga comunemente, in quelli eziandio che li leggono e trattano, -piuttosto da consuetudine ciecamente abbracciata, che da giudizio -proprio e dal conoscere in quelli per veruna guisa un merito tale....„ -Per comprendere le opere dell'ingegno, bisogna trovarsi in certe -particolari condizioni; gli scritti non tanto si giudicano dalle -loro qualità in se medesime, quanto dall'effetto prodotto nell'animo -di chi legge. Quante volte, per quante cause, il lettore non sì -trova mal disposto a comunicare con l'autore? Se dunque un libro -nuovo anche ottimo è letto una sola volta da chi temporaneamente -è impedito d'intenderlo, l'autore sarà poco o niente stimato. Al -contrario, in certi stati dell'animo, una pagina mediocre è capace di -produrre eccitazioni gagliarde, e l'autore di ottenere un'ammirazione -immeritata. E nella nostra età, tarda, stanca, sovraccarica di troppe -memorie, l'eloquenza, la poesia, sono poco intese; ed i giovani, il -cui animo è più pronto, non hanno un gusto sicuro; e gli abitatori -delle grandi città, i quali incoronano gli oratori e i poeti, -sono troppo distratti da troppe altre cose. E se bisogna, per bene -apprezzare un'opera, rileggerla più e più volte, “manca oggi il tempo -alle prime non che alle seconde letture.„ E se il consenso antico e -universale è tanta parte della fama delle opere, oggi un nuovo poema -“eguale o superiore di pregio intrinseco all'_Iliade_, letto anche -attentissimamente da qualunque più perfetto giudice di cose poetiche, -gli riuscirebbe assai men grato e men dilettevole di quella; e per -tanto gli resterebbe in molto minore estimazione.„ - -La dimostrazione continua così, come quella di un teorema, con uno -spietato rigore di logica. Miglior fortuna del poeta troverà il -filosofo, che non si rivolge all'immaginazione degli uomini, diseguale, -mutabile, ma alla loro ragione? Ma, posto anche che l'immaginazione -non fosse tanto utile in filosofia come in arte, resta sempre che le -verità filosofiche non sono apprezzate da chi non le partecipa, anche -lasciando da parte “le varie fazioni, o comunque si voglia chiamarle, -in cui sono divisi oggi, come sempre furono, quelli che fanno -professione di filosofia: ciascuna delle quali nega ordinariamente -la debita lode e stima a quei delle altre; non solo per volontà, ma -per aver l'intelletto occupato da altri principii.„ E se a gustare un -poema occorre tempo, più ne occorre se si vuole persuadere agli uomini -la verità scoperta dal filosofo; e i grandi novatori, invece d'essere -lodati e ammirati, troppo spesso sono derisi e vilipesi. E se la verità -fa il suo cammino finchè è poi universalmente accettata, il morto -suo inventore non ha neppure il premio d'una postuma fama, “parte per -essere già mancata la sua memoria, o perchè l'opinione ingiusta avuta -di lui mentre visse, confermata dalla lunga consuetudine, prevale a -ogni altro rispetto; parte perchè gli uomini non sono venuti a questo -grado di cognizioni per opera sua; e parte perchè già nel sapere gli -sono eguali, presto lo sormonteranno, e forse gli sono superiori anche -al presente, per essersi potute colla lunghezza del tempo dimostrare e -chiarire meglio le verità immaginate da lui, ridurre le sue congetture -a certezza, dare ordine e forma migliore ai suoi trovati, e quasi -maturarli.„ - -Nulla resiste alla sua critica; par quasi che egli provi un senso -di voluttà nel rintracciare e nell'esporre ad uno ad uno tutti i più -sottili e riposti argomenti che si possono addurre contro la speranza -d'un premio. Ecco: dopo aver tutto negato, dopo aver dimostrato come -sia impossibile ottenere la gloria, concede a un tratto che qualcuno -l'abbia conseguita. Che frutto ne ritrarrà costui? Se l'uomo famoso -vive in una città piccola, egli non è oggetto d'invidia, perchè -nessuno l'intende; anzi, perchè tutti lo disconoscono, è trascurato. -Nelle città grandi, tanto per l'emulazione dei compagni quanto per -le distrazioni della folla, le difficoltà di poter godere della -gloria acquistata non sono minori. E la fama di grande poeta e di -gran filosofo, come è la più difficile da acquistare, è anche la meno -fruttuosa di tutte: “le due sommità, per così dire, dell'arte e della -scienza umana; dico la poesia e la filosofia; sono in chi le professa, -specialmente oggi, le facoltà più neglette del mondo; posposte ancora -alle arti che si esercitano principalmente con la mano.„ Qual è dunque -il frutto dell'ingegno, il premio degli studi per il filosofo ed il -poeta? Null'altro “se non forse una gloria nata e contenuta fra un -piccolissimo numero di persone.„ Ce n'è anche un altro, maggiore, -migliore: “Non potendo nella conversazione degli uomini godere quasi -alcun beneficio della tua gloria, la maggiore utilità che ne ritrarrai, -sarà di rivolgerla nell'animo e di compiacertene teco stesso nel -silenzio della tua solitudine, col pigliarne stimolo e conforto a nuove -fatiche, e fartene fondamento a nuove speranze.„ Perchè anche qui la -natura dell'uomo ordisce il solito inganno, volendo che il bene non -ottenuto sia ancora sperato, a dispetto dell'esperienza, nel futuro, -altrove, non si sa dove: “La gloria degli scrittori, non solo, come -tutti i beni degli uomini, riesce più grata da lungi che da vicino, ma -non è mai, si può dire, presente a chi la possiede, e non si ritrova -in nessun luogo„; e la speranza sempre disingannata continua sempre -ad operare, così che da ultimo, non avendo mai trovato la gloria -in vita, o avendola sdegnata, o non avendone goduto tanto quanto si -aspettava, l'uomo si pasce della speranza di quella che otterrà — dopo -morto, dai posteri.... quasi che i posteri non saranno uomini come -i contemporanei, soggetti a quella mutabilità di gusti in arte e di -giudizii in filosofia che ha travolto le speranze di gloria durante la -vita e che annullerà totalmente quelle riposte nell'avvenire! - - - - -II. - -LA MISANTROPIA. - - -Dunque: i piaceri dei sensi, le gioie dell'amore, i premii della -gloria: tutto è vano: “La natura medesima è impostura verso l'uomo, -nè gli rende la vita amabile e sopportabile, se non per mezzo -principalmente d'immaginazione e d'inganno.„ Non vi sarà nessun -conforto? Se ne troverà uno nel sentimento della fratellanza umana? -Gl'infelici si consoleranno amandosi e sostenendosi reciprocamente? Il -primo sostegno e il primo amore sono nella famiglia; e il Leopardi, non -avendoli trovati nella sua, li nega. Egli dimostra che l'educazione “è -un formale tradimento ordinato dalla debolezza contro la forza, dalla -vecchiezza contro la gioventù. I vecchi vengono a dire ai giovani: -fuggite i piaceri propri della vostra età, perchè tutti sono pericolosi -e contrari ai buoni costumi, e perchè noi che ne abbiamo presi -quanti più abbiamo potuto, e che ancora, se potessimo, ne prenderemmo -altrettanti, non ci siamo più atti, a causa degli anni. Non vi curate -di vivere oggi; ma siate ubbidienti, sofferite, e affaticatevi quanto -più sapete, per vivere quando non sarete più a tempo. Saviezza e onestà -vogliono che il giovane si astenga quanto è possibile dal far uso -della gioventù, eccetto per superare gli altri nelle fatiche. Della -vostra sorte e di ogni cosa importante lasciate la cura a noi, che -indirizzeremo il tutto all'utile vostro. Tutto il contrario di queste -cose ha fatto ognuno di noi alla vostra età, e ritornerebbe a fare -se ringiovanisse: ma voi guardate alle nostre parole, e non ai nostri -fatti passati, nè alle nostre intenzioni. Così facendo, credete a noi -conoscenti ed esperti delle cose umane, che voi sarete felici. Io non -so che cosa sia inganno e fraude se non è il promettere felicità agli -inesperti sotto tali condizioni.... Mai padre nè madre, non che altro -istitutore, non sentì rimordere la coscienza di dare ai figliuoli -un'educazione che muove da un principio così maligno.„ L'impedimento -dei genitori alla libertà dei figli è tale, che la maggior parte degli -uomini veramente grandi debbono la loro grandezza all'aver perduto -il padre in tenera età: “La potestà paterna appresso tutte le nazioni -che hanno leggi, porta seco una specie di schiavitù de' figliuoli; che -per essere domestica, è più stringente e più sensibile della civile; -e che, comunque possa essere temperata o dalle leggi stesse, o dai -costumi pubblici, o dalle qualità particolari delle persone, un effetto -dannosissimo non manca mai di produrre: e questo è un sentimento -che l'uomo, finchè ha il padre vivo, porta perpetuamente nell'animo; -confermatogli dall'opinione che visibilmente ed inevitabilmente ha di -lui la moltitudine. Dico un sentimento di soggezione e di dependenza, -e di non essere libero signore di sè medesimo, anzi di non essere, per -dir così, una persona intera, ma una parte e un membro solamente, e -di appartenere il suo nome ad altrui più che a sè. Il qual sentimento, -più profondo in coloro che sarebbero più atti alle cose, perchè avendo -lo spirito più svegliato, sono più capaci di sentire, e più oculati ad -accorgersi della verità della propria condizione, è quasi impossibile -che vada insieme, non dirò col fare, ma col disegnare checchessia -di grande. E passata in tal modo la gioventù, l'uomo che in età di -quaranta o di cinquant'anni sente per la prima volta di essere nella -potestà propria, è soverchio il dire che non prova stimolo, e che, se -ne provasse, non avrebbe più impeto nè forze nè tempo sufficienti ad -azioni grandi. Così anche in questa parte si verifica che nessun bene -si può avere al mondo, che non sia accompagnato da mali della stessa -misura: poichè l'utilità inestimabile del trovarsi innanzi nella -giovinezza una guida esperta ed amorosa, quale non può essere alcuno -così come il proprio padre, è compensata da una sorte di nullità e -della giovinezza e generalmente della vita.„ - -Ma, dall'altra parte, i figli non danno minor causa di dolore -ai genitori. “Non sarebbe piccola infelicità degli educatori, e -soprattutto dei parenti, se pensassero, quello che è verissimo, che i -loro figliuoli, qualunque indole abbiano sortita, e qualunque fatica, -diligenza e spesa si ponga in educarli, coll'uso poi del mondo, quasi -indubitabilmente, se la morte non li previene, diventeranno malvagi.„ - -Mancato il conforto nella famiglia, resterebbe ancora quello della -solidarietà fra tutti gli uomini. “_Gl'individui sono spariti -dinanzi alle masse_„, dicono intorno al Leopardi i pensatori, volendo -significare con queste parole che, se pure ciascun uomo ha molti e -troppi motivi di dolore, il pensiero del bene comune, della felicità -generale, deve consolarlo. Ed egli, dimostrato che tutto è illusione, -riconosce che “si cette illusion était commune, si tous les hommes -croyaient et voulaient être vertueux, s'ils étaient compatissans, -bienfaisans, généreux, magnanimes, pleins d'enthousiasme; en un mot, -si tout le monde était sensible.... n'en serait-on pas plus heureux? -Chaque individu ne trouverait-il pas mille ressources dans la société? -Celle-ci ne devrait-elle s'appliquer à realiser les illusions autant -qu'il lui serait possible, puisque le bonheur de l'homme ne peut -consister dans ce qui est réel?„ Ma egli nega anche questo compenso. -Nessuno ha compreso lui, o troppo pochi; quasi dovunque egli ha trovato -ostilità o indifferenza. A che gli è valsa la grandezza della mente -e la bontà dell'animo?... Con Bruto pertanto egli chiamerà stolta la -virtù e lancerà al cielo il grido della giustizia offesa: - - Dunque degli empi - Siedi, Giove, a tutela? e quando esulta - Per l'aere il nembo, e quando - Il tuon rapido spingi, - Ne' giusti e pii la sacra fiamma stringi? - -Gli uomini, come tutti i viventi, non si sostengono, si combattono: -“Naturalmente l'animale odia il suo simile, e qualora ciò è richiesto -dall'interesse proprio, l'offende.„ Nè altro scopo hanno le lotte -umane se non “l'acquisto di piaceri che non dilettano, e di beni che -non giovano.„ Poichè la felicità che essi agognano e che tentano di -raggiungere in mille modi sfugge continuamente, che nome meriterà il -loro vano affaccendarsi? Che cosa distinguerà i grandi lavori dagli -inutili trastulli? Filippo Ottonieri non ammette nessuna differenza -tra gli uni e gli altri, “e sempre che era stato occupato in qualunque -cosa, per grave che ella fosse, diceva d'essersi trastullato.„ Meglio -ancora: - - È tutta, - In ogni umano stato, ozio la vita, - Se quell'oprar, quel procurar che a degno - Obbietto non intende, o che all'intento - Giugner mai non potria, ben si conviene - Ozïoso nomar. La schiera industre - Cui franger glebe o curar piante e greggi - Vede l'alba tranquilla e vede il vespro, - Se oziosa dirai, da che sua vita - È per campar la vita, e per sè sola - La vita all'uom non ha pregio nessuno, - Dritto e vero dirai. Le notti e i giorni - Tragge in ozio il nocchiero; ozio le vegghie - Son de' guerrieri e il perigliar nell'armi; - E il mercatante avaro in ozio vive: - Che non a sè, non ad altrui, la bella - Felicità, cui solo agogna e cerca - La natura mortal, veruno acquista - Per cura o per sudor, vegghia o periglio. - -Quanto strana non è dunque la pretesa dì coloro - - che, non potendo - Felice in terra far persona alcuna, - L'uomo obbliando, a ricercar si diero - Una comun felicitade; e quella - Trovata agevolmente, essi di molti, - Tristi e miseri tutti, un popol fanno - Lieto e felice.... - -“Lasci fare alle masse„, soggiunge Tristano; “le quali che cosa sieno -per fare senza individui, essendo composte d'individui, desidero e -spero che me lo spieghino gl'intendenti d'individui e di masse, che -oggi illuminano il mondo....„ No, la concordia non regna tra gli -uomini; non se ne trovano due che si comprendano; anzi “l'odio verso -i propri simili è maggiore verso i più simili.„ Invece che cercarli, -converrà piuttosto, per consolarsi, fuggirli e rifugiarsi in seno alla -natura. - -Ma anche la natura ferisce continuamente, in mille modi, i viventi. -Da lei vengono tutti gl'innumerevoli dolori fisici. L'Islandese esce -dall'isola sua nativa “per vedere se in alcuna parte della terra -potessi non offendendo non essere offeso, e non godendo non patire.„ -Cerca; ma non trova. “Io sono stato arso dal caldo dei tropici, -rappreso dal freddo verso i poli, afflitto nei climi temperati -dall'incostanza dell'aria, infestato dalle commozioni degli elementi in -ogni dove.„ E gli uomini, come già lodano il loro stato, così credono -che la natura non abbia altra mira che di procacciare il loro bene; -quando invece - - un'onda - Di mar commosso, un fiato - D'aura maligna, un sotterraneo crollo - -distrugge interi popoli in modo che a gran pena ne resta la memoria. -Vengano sul Vesuvio i presuntuosi, dinanzi alle secolari rovine delle -città sepolte dalla cenere, distrutte dai tremuoti, coperte dalla lava: -vedranno che - - Non ha natura al seme - Dell'uom più stima o cura - Ch'alla formica: e se più rara in quello - Che nell'altra è la strage, - Non avvien ciò d'altronde - Fuor che l'uom sue prosapie ha men feconde. - -Infine, se per tante cagioni la condizione umana è tanto sciagurata, -sia che gli uomini si considerino ad uno ad uno, sia che si consideri -il loro consorzio, non sarà possibile sperare che essa migliori col -tempo? Questa speranza di progresso sorride a molti; per il misantropo -è vana ancor essa; anzi dà luogo alla certezza che il passato era -preferibile al presente e che col tempo il mondo peggiora. Una volta -gli uomini lo vedevano popolato di creature leggiadre e divine: - - Già di candide ninfe i rivi albergo - Placido albergo e specchio - Furo i liquidi fonti.... - Vissero i fiori e l'erbe, - Vissero i boschi un dì. - -I dolorosi eredi dovranno oggi lodare i Patriarchi, - - molto all'eterno - Degli astri agitator più cari, e molto - Di noi men lacrimabili nell'alma - Luce prodotti; - -dovranno invidiare i tempi del primo padre, quando la pace regnava -sulla terra: - - Oh fortunata, - Di colpe ignara e di lugubri eventi, - Erma terrena sede! - -Perchè dallo scempio fraterno ebbe origine questa tanto vantata civiltà: - - Trepido, errante il fratricida, e l'ombre - Solitarie fuggendo e la secreta - Nelle profonde selve ira de' venti, - Primo i civili tetti, albergo e regno - Alle macere cure, innalza; e primo - Il disperato pentimento i ciechi - Mortali egro, anelante, aduna e stringe - Ne' consorti ricetti: onde negata - L'improba mano al curvo aratro, e vili - Fur gli agresti sudori; ozio le soglie - Scellerato occupò; ne' corpi inerti - Domo il vigor natìo, languide, ignave - Giacquer le menti; e servitù le imbelli - Umane vite, ultimo danno, accolse. - -Un tempo, sì, la terra fu dilettosa e cara; perchè - - di suo fato ignara - E degli affanni suoi, vota d'affanno - Visse l'umana stirpe; alle secrete - Leggi del cielo e di natura indutto - Valse l'ameno error, le fraudi, il molle - Pristino velo; e di sperar contenta - Nostra placida nave in porto ascese. - -Ma la civiltà non è progresso per il genere umano come l'esperienza -non è felicità per il giovane: l'età prima dell'uomo e del mondo è la -migliore. Anche oggi una vita simile a quella delle antiche età si vive -dai popoli che noi chiamiamo barbari; tra le vergini selve - - Nasce beata prole, a cui non sugge - Pallida cura il petto, a cui le membra - Fera tabe non doma. - -E gli uomini che si stimano progrediti vanno a turbare ed opprimere -quei soli felici! - - Oh contra il nostro - Scellerato ardimento inermi regni - Della saggia natura! I lidi e gli antri - E le quïete selve apre l'invitto - Nostro furor; le violate genti - Al peregrino affanno, agl'ignorati - Desiri educa; e la fugace, ignuda - Felicità per l'imo sole incalza, - -No, questa trasformazione, “questa mutazione di vita, e massimamente -d'animo„, non ha fatto raggiungere la felicità; al contrario: è stata -accrescimento d'infelicità. Fossero almeno questi uomini inciviliti, -che credono il loro costume tanto superiore al primitivo e che -aspettano un continuo miglioramento dello stato umano; fossero almeno, -dico, stabili nelle loro idee! Sapesse bene il secolo presente che cosa -credere, che cosa negare! Ma no: oggetto d'immenso stupore è il vedere - - con che costanza - Quel che ieri schernì, prosteso adora - Oggi, e domani abbatterà, per girne - Raccozzando i rottami, e per riporlo - Tra il fumo degl'incensi il dì vegnente! - Quanto estimar si dee, che fede ispira - Del secol che si volge, anzi dell'anno, - Il concorde sentir! - -Mentre si dice e si ode dire che la futura umanità sarà migliore della -nostra, nello stesso tempo “diciamo e udiamo dire a ogni tratto: _i -buoni antichi_, _i nostri buoni antenati_; _e uomo fatto all'antica_, -volendo dire uomo dabbene e da potersene fidare.„ Tale è il giudizio -degli uomini: “Ciascuna generazione crede dall'una parte, che i -passati fossero migliori dei presenti; dall'altra parte che i popoli -migliorino allontanandosi dal loro primo stato ogni giorno più.„ -Altro sciocco inganno: “In ogni paese i vizi e i mali universali degli -uomini e della società umana sono notati come particolari del luogo. -Io non sono mai stato in parte dov'io non abbia udito: qui le donne -sono vane e incostanti, leggono poco e sono male istruite; qui il -pubblico è curioso de' fatti altrui, ciarliero molto e maldicente; qui -i danari, il favore e la viltà possono tutto; qui regna l'invidia, e -le amicizie sono poco sincere; e così discorrendo; come se altrove le -cose procedessero in altro modo. Gli uomini sono miseri per necessità, -e risoluti di credersi miseri per accidente.„ Essi s'arrogano il vanto -dell'eternità e sognano la loro fortuna nel futuro, e non s'accorgono -“che la vita di questo universo è un perpetuo circuito di produzione -e di distruzione,„ e che la stessa terra e gli stessi soli “dovranno -venire in dissoluzione, e le loro fiamme dispergersi nello spazio.„ -Altri mondi sorgeranno, altre creature nasceranno delle quali nulla -si può predire; ma questa nostra progenie, non che perfezionarsi -col tempo, dovrà probabilmente perire dei suoi proprii vizii. La -disperata fantasia del Leopardi prevede che gli uomini mancheranno -“parte guerreggiando tra loro, parte navigando, parte mangiandosi -l'un l'altro, parte ammazzandosi non pochi di propria mano, parte -infracidando nell'ozio, parte stillandosi il cervello sui libri, parte -gozzovigliando, e disordinando in mille cose; in fine studiando tutte -le vie di far contro la propria natura e di capitar male.„ Egli non -si può pertanto “dilettare e pascere di certe buone aspettative, come -veggo fare a molti filosofi in questo secolo„; e la sua disperazione è -“intera, e continua, e fondata in un giudizio fermo e in una certezza.„ - - - - -III. - -LO SCETTICISMO. - - -Pure, disperando di tutto, non credendo ai piaceri dei sensi, alle -gioie dell'amore, ai premii della gloria, alla consolazione della -famiglia, alla bontà dei simili, alla possibilità del progresso; -resta ancora un'àncora, la più salda: Dio. Quei beni che il mondo -nega possono essere a usura compensati dal cielo; se il corpo umano -e la stessa terra che lo sostiene sono condannati a perire, una vita -immortale può sorridere all'anima. La fede è l'ultimo rifugio. - -Ma la fede dev'essere cieca, e lo spirito indagatore la distrugge. Fin -dai primi anni della sua vita morale, quando gl'insegnamenti paterni -erano ancora da lui ascoltati, quando la pietà cristiana ereditata -dalla nascita, succhiata col latte, era in lui fervida, il Leopardi -cominciò, se non a dubitare, a discutere. Nel suo studio sugli _Errori -popolari degli antichi_ egli esaminò prima degli altri i molti che -si riferiscono alla Divinità; ma ciò che al moderno, al cristiano, -sembrava errore, fu pure la credenza di quegli antichi Padri dei quali -egli doveva più tardi invidiare la sorte! Se gli uomini s'ingannarono -una volta, chi assicura che non si possono ingannare ancora? Egli quasi -presentiva questa conseguenza della sua critica, quando s'ingegnava -di distinguere la superstizione dalla religione e la credulità dalla -fede. “La superstizione, dice Teofrasto, è un timore mal regolato -della Divinità. Questa definizione non conviene all'uopo nostro. Più -opportuna è quella di un moderno: La superstizione è un abuso della -Religione nato dall'ignoranza. Avrebbe potuto dire: è un effetto -dell'ignoranza di chi pratica la religione.„ Egli così si studia di -dimostrare a sè stesso la ragionevolezza dell'esame. “Il volgo è -naturalmente religioso. Questa qualità è ottima. Ma quasi nessuna -delle buone qualità del volgo si contiene dentro i suoi limiti, e -tutto ciò che eccede i suoi limiti è cattivo in quanto li eccede. La -sola scienza può fissare il punto preciso, oltre il quale non debbono -estendersi gli effetti di una virtù, o di una prevenzione giusta -ed opportuna. È impossibile che l'ignoranza conosca questo punto, e -per conseguenza è quasi impossibile che le stesse buone qualità del -volgo non producano qualche cattivo effetto. La Religione ha prodotta -la superstizione; e poichè il male che nasce da un gran bene suol -essere grande ancor esso, è evidente che la superstizione deve essere -un male considerabilissimo, poichè la Religione è il più grande di -tutti i beni, ed essa corrompe la Religione. Il rispetto giustissimo, -che si ha per questa augusta madre della umanità, applicato a cose -chimeriche, rende difficilissimo al saggio il guarire i popoli dalla -superstizione. Massime erronee si venerano come quelle che insegna la -più pura delle dottrine, si vuole che esse facciano causa commune colla -Religione, e si crederebbe, rigettando quelle, mancare a questa. Il -popolo reputa empio chi disprezza l'oggetto delle sue superstizioni: -un uomo nemico dei pregiudizii è, secondo lui, un irreligioso.„ Non -potrebbe darsi che il popolo avesse ragione? Per creder bene non -bisogna credere tutto? Quando il dubbio comincia, chi può dire dove -si arresterà? Egli si sdegna perchè “il nome di Filosofo è divenuto -odioso alla più sana parte degli uomini. Ormai esso non significa -più che infedele.„ Ma quest'effetto non è purtroppo naturale? Non si -produrrà, non è sul punto di prodursi anche in lui? Per ora egli se -ne sdegna, e tenta rassicurarsi, e scioglie un inno alla fede nella -quale è nato: “Sì, dice Bacone, una tintura di filosofia allontana -gli uomini dalla Religione. Verità terribile, ma della quale possiamo -consolarci con ciò che soggiunge quel gran conoscitore dello spirito -umano: una cognizione soda della filosofia li riconduce al suo seno. -Religione amabilissima! è pur dolce poter terminare col parlar di te -ciò che si è cominciato per far qualche bene a quelli che tu benefichi -tutto giorno; è pur dolce poter concludere con animo fermo e sicuro, -che non è filosofo chi non ti segue e non ti rispetta, e non v'ha chi -ti segua e ti rispetti che non sia filosofo. Oso pur dire che non ha -cuore, che non sente i dolci fremiti di un amor tenero, che soddisfa e -rapisce; che non conosce le estasi in cui getta una meditazione soave -e toccante, chi non ti ama con trasporto, chi non si sente trascinare -verso l'oggetto ineffabile del culto che tu c'insegni. Comparendo nella -notte dell'ignoranza, tu hai fulminato l'errore, tu hai assicurata alla -ragione e alla verità una sede che non perderanno giammai. Tu vivrai -sempre, e l'errore non vivrà mai teco. Quando esso ci assalirà, quando -coprendoci gli occhi con una mano tenebrosa minaccerà di sprofondarci -negli abissi oscuri che l'ignoranza spalanca avanti ai nostri piedi, -noi ci volgeremo a te, e troveremo la verità sotto il tuo manto. -L'errore fuggirà come il lupo della montagna inseguito dal pastore, e -la tua mano ci condurrà alla salvezza.„ - -Dalla stessa osservazione del dolore umano egli trae, nei primi tempi, -la prova di una vita futura: “Tutto è o può essere contento di sè -stesso, eccetto l'uomo; il che mostra che la sua esistenza non si -limita a questo mondo, come quella dell'altre cose.„ E della gravezza -di questo dolore egli chiama testimonio Dio. “Tu sapevi già tutto ab -eterno„ dice al Redentore, “ma permetti alla immaginazione umana che -noi ti consideriamo come più intimo testimonio delle nostre miserie. -Tu hai provata questa vita nostra, tu ne hai assaporato il nulla, tu -hai sentito il dolore e l'infelicità dell'esser nostro.... Pietà di -tanti affanni, pietà di questa povera creatura tua, pietà dell'uomo -infelicissimo, di quello che hai veduto, pietà del genere tuo, poichè -hai voluto aver comune la stirpe con noi, esser uomo ancor tu.... Ora -vo' da speme a speme, e mi scordo di te, benchè sempre deluso.... Tempo -verrà ch'io, non restandomi altra luce di speranza, altro stato a cui -ricorrere, porrò tutta la mia speranza nella morte, e allora ricorrerò -a te. Abbi allora misericordia....„ Ed alla Madre di Dio: “È vero che -siamo tutti malvagi, ma non ne godiamo, siamo tanto infelici! È vero -che questa vita e questi mali sono brevi e nulli; ma noi pure siam -piccoli, e ci riescono insopportabili. Tu che sei grande e sicura, abbi -pietà di tante miserie....„ - -Nutrito di cultura classica, egli è meglio di tanti altri in grado di -conoscere per quali caratteri la predicazione cristiana si distingue -dalle credenze pagane. “Gesù Cristo fu il primo che distintamente -additò agli uomini quel lodatore e precettore di tutte le virtù finte, -detrattore e persecutore di tutte le vere; quell'avversario d'ogni -grandezza intrinseca e veramente propria dell'uomo; derisore d'ogni -sentimento alto, se non lo crede falso, d'ogni affetto dolce, se lo -crede intimo; quello schiavo dei forti, tiranno dei deboli, odiatore -degl'infelici; il quale esso Gesù Cristo dinotò col nome di mondo.... -Negli scrittori pagani la generalità degli uomini civili, che noi -chiamiamo società o mondo, non si trova mai considerata nè mostrata -risolutamente come nemica della virtù, nè come certa corruttrice d'ogni -buona indole, e d'ogni animo bene avviato. Il mondo nemico del bene, è -un concetto, per quanto celebre nel Vangelo, e negli scrittori moderni, -anche profani, tanto o poco meno sconosciuto dagli antichi.„ Di questo -concetto pochi al pari di lui apprezzeranno l'esattezza; la sua propria -esperienza non glie l'ha dimostrata, quando invece dell'aiuto e dei -premii ai quali aveva diritto, non ha trovato altro che trascuranza e -derisione?... Ma il carattere più segnalato del cristianesimo, l'idea -fondamentale che lo distingue dall'idea pagana, è una sfiducia del -mondo più larga, più profonda; è la disperazione di trovar mai la -felicità sulla terra. E se la religione di Gesù dice che questa terra -è una valle di lacrime, che i beni di questo mondo sono nulla, chi -meglio del Leopardi, la cui vita è tutta una croce, potrà intenderla? -Chi più totalmente di lui comprenderà questa sfiducia di poter trovare -la felicità nello stato umano?... Ma la stessa enormità del dolore che -gli fa intendere la verità predicata dal figlio di Dio, lo distacca -ultimamente dalla fede: “S'ingannano a ogni modo coloro i quali -stimano essere nata primieramente l'infelicità umana dall'iniquità e -dalle cose commesse contro gli Dei; ma per lo contrario non d'altronde -ebbe principio la malvagità degli uomini che dalle loro calamità.„ Il -suo spirito indagatore vuol sapere il perchè del dolore. Se la vita -è un circolo di creazione e distruzione continue, e se “quel che è -distrutto, patisce; e quel che distrugge non gode, e a poco andare è -distrutto medesimamente; dimmi tu,„ chiede l'Islandese alla Natura, -“quello che nessun filosofo mi sa dire: a chi piace o a chi giova -cotesta vita infelicissima dell'universo, conservata con danno e con -morte di tutte le cose?...„ L'asiatico Pastore errante canta, rivolto -alla luna: - - Pur tu, solinga, eterna peregrina, - Che sì pensosa sei, tu forse intendi, - Questo viver terreno, - Il patir nostro, il sospirar, che sia; - Che sia questo morir, questo supremo - Scolorar del sembiante, - E perir della terra, e venir meno - Ad ogni usata, amante compagnia. - -Ma se l'immortale giovanetta conosce il tutto, egli, il semplice -pastore, il cantore dolente, dice guardando il cielo, considerando sè -stesso: - - A che tante facelle? - Che fa l'aria infinita, e quel profondo - Infinito seren? Che vuol dir questa - Solitudine immensa? ed io chi sono? - Così meco ragiono: e della stanza - Smisurata e superba, - E dell'innumerabile famiglia, - Poi di tanto adoprar, di tanti moti - D'ogni celeste, ogni terrena cosa, - Girando senza posa, - Per tornar sempre là donde son mosse; - Uso alcuno, alcun frutto - Indovinar non so.... - -Egli non sa null'altro fuorchè il suo dolore. E disperatamente Saffo -chiede il perchè del dolore suo proprio: - - Qual fallo mai, qual sì nefando eccesso - Macchiommi anzi il natale, onde sì torvo - Il ciel mi fosse e di fortuna il volto? - In che peccai bambina, allor che ignara - Di misfatti è la vita, onde poi scemo - Di giovinezza, e disfiorato, al fuso - Dell'indomita Parca si volvesse - Il ferrigno mio stame? - -Un arcano consiglio muove gli eventi: nessuno risponde all'incauta -domanda: - - Arcano è tutto, - Fuor che il nostro dolor. Negletta prole - Nascemmo al pianto, e la ragione in grembo - De' celesti si posa. - -Bruto non conosce questa rassegnazione; egli si sdegna e si ribella: - - A voi, marmorei numi, - (Se numi avete in Flegetonte albergo - O su le nubi) a voi ludibrio e scherno - È la prole infelice.... - Forse i travagli nostri, e forse il cielo - I casi acerbi e gl'infelici affetti - Giocondo agli ozii suoi spettacol pose? - -Ma a nulla vale lo sdegno come a nulla vale la rassegnazione: i destini -umani si compiono in mezzo al silenzio delle cose, all'indifferenza -della natura: la luna versa immutato il suo raggio sui campi delle -battaglie che mutano la faccia delle nazioni, - - e non le tinte glebe, - Non gli ululati spechi - Turbò nostra sciagura, - Nè scolorò le stelle umana cura. - -“Imaginavi tu forse„, chiede la Natura all'Islandese, “che il mondo -fosse fatto per causa vostra? Ora sappi che nelle fatture, negli -ordini e nelle operazioni mie, trattone pochissime, sempre ebbi -ed ho l'intenzione a tutt'altro, che alla felicità degli uomini o -all'infelicità. Quando io vi offendo in qualunque modo e con qual -si sia mezzo, io non me ne avveggo, se non rarissime volte: come, -ordinariamente, se io vi diletto o vi benefico, io non lo so; e non ho -fatto, come credete voi, quelle tali cose, e non fo quelle tali azioni, -per dilettarvi o giovarvi. E finalmente, se anche mi avvenisse di -estinguere tutta la vostra specie, io non me ne avvedrei.„ E la ragione -riconoscerà anche la giustezza di questo argomento; ma ne sarà forse -lenito il dolore, o sarà reso più sopportabile? La ragione risponderà: -“Ponghiamo caso che uno m'invitasse spontaneamente a una sua villa, -con grande istanza; e io per compiacerlo vi andassi. Quivi mi fosse -dato per dimorare una cella tutta lacera e rovinosa, dove io fossi in -continuo pericolo di essere oppresso; umida, fetida, aperta al vento -e alla pioggia. Egli, non che si prendesse cura d'intrattenermi in -alcun passatempo o di darmi alcuna comodità, per lo contrario appena -mi facesse somministrare il bisognevole a sostentarmi; e oltre di ciò -mi lasciasse villaneggiare, schernire, minacciare e battere da' suoi -figliuoli e dall'altra famiglia. Se querelandomi io seco di questi -mali trattamenti, mi rispondesse: forse che ho fatto io questa villa -per te? o mantengo io questi miei figliuoli, e questa mia gente, per -tuo servigio? e, bene ho altro a pensare che de' tuoi sollazzi, e di -farti le buone spese; a questo replicherei: vedi, amico, che siccome -tu non hai fatto questa villa per uso mio, così fu in tua facoltà di -non invitarmici. Ma poichè spontaneamente hai voluto che io ci dimori, -non ti si appartiene egli di fare in modo, che io, quanto è in tuo -potere, ci viva per lo meno senza travaglio e senza pericolo? Così dico -ora. So bene che tu non hai fatto il mondo in servigio degli uomini. -Piuttosto crederei che l'avessi fatto e ordinato espressamente per -tormentarli. Ora domando: t'ho io forse pregato di pormi in questo -universo? o mi vi sono intromesso violentemente, e contro tua voglia? -Ma se di tua volontà, e senza mia saputa, e in maniera che io non -potevo sconsentirlo nè ripugnarlo, tu stessa, colle tue mani, mi vi -hai collocato; non è egli dunque ufficio tuo, se non tenermi lieto -e contento in questo tuo regno, almeno vietare che io non vi sia -tribolato e straziato, e che l'abitarvi non mi noccia?....„ - -Così egli dibatte il formidabile enimma; ma tutte le domande restano -senza risposta, tutti i ragionamenti si spuntano contro il ferrato -mistero, tutti i gridi del dolore vanamente si perdono. Aspetti -la morte: egli vedrà allora la faccia della verità. Ma perchè ciò -avvenga, bisogna che, dopo morto, egli pur viva d'un'altra specie -di vita! E non vuole. La morte, sì; purchè sia la fine totale, il -nulla. L'aspettazione della morte, dice Porfirio, “sarebbe un conforto -dolcissimo nella vita nostra, piena di tanti dolori„; ma egli si duole -di Platone che ha tolto da questo pensiero ogni dolcezza, anzi lo ha -reso il più amaro di tutti, col dubbio terribile che la vita dell'anima -continui oltre tomba. Il dubbio di questa vita avvenire turba, non -conforta, la vita presente; “e non sì potendo questo dubbio in alcun -modo sciorre, nè le menti nostre esserne liberate mai, tu hai recati -per sempre i tuoi simili a questa condizione, che essi avranno la -morte piena d'affanno e più misera che la vita.„ Dovunque è mistero e -terrore. Se le mummie del Ruysch una notte si destano, se riacquistano -tanto di vitalità da pensare e parlare, dicono che hanno paura della -vita come, vivendo, ne avevano della morte: - - Come da morte - Vivendo rifuggìa, così rifugge - Dalla fiamma vitale - Nostra ignuda natura; - Lieta no, ma sicura, - Però ch'esser beato - Nega ai mortali e nega ai morti il fato. - -Non bisogna dunque destarsi. Il sonno, il sonno profondo, senza sogni, -senza coscienza dell'essere, è la sola condizione felice. Quando la -Terra e la Luna fanno strepito contendendo, la Terra pietosamente non -vuol spaventare i suoi abitatori nè rompere il loro sonno, “che è il -maggior bene che abbiano.„ Il sonno continuo di tutte le cose sarebbe -preferibile alla vita. “Se il sonno dei mortali fosse perpetuo,„ -canta il Gallo silvestre, “ed una cosa medesima colla vita; se sotto -l'astro diurno, languendo per la terra in profondissima quiete tutti i -viventi, non apparisse opera alcuna; non muggito di buoi per li prati, -nè strepito di fiere per le foreste, nè canto di uccelli per l'aria, nè -susurro d'api o di farfalle scorresse per la campagna; non voce, non -moto alcuno, se non delle acque, del vento e delle tempeste, sorgesse -in alcuna banda; certo l'universo sarebbe inutile; ma forse che vi si -troverebbe o copia minore di felicità, o più di miseria, che oggi non -vi si trova?„ E se il sonno è necessario, esso dimostra la malignità -della veglia. “Tal cosa è la vita, che a portarla, fa di bisogno ad -ora ad ora, deponendola, ripigliare un poco di lena, ristorarsi con un -gusto e quasi con una particella di morte.„ - - - - -IV. - -LA MORTE. - - -La morte sarà pertanto il rimedio radicale e la conclusione ultima. -La felicità pareva lo scopo dell'esistenza; ma non fu raggiunta nè -dall'individuo nè dal consorzio umano; non fu raggiunta subito, nè sarà -raggiunta in avvenire, col progresso; non fu raggiunta in terra, nè -sarà raggiunta in un altro mondo. Perchè dunque le creature aprono gli -occhi alla luce? Che cosa è questa vita? - - Vecchierel bianco, infermo, - Mezzo vestito e scalzo, - Con gravissimo fascio in su le spalle, - Per montagna e per valle, - Per sassi acuti, ed alta rena, e fratte, - Al vento, alla tempesta, e quando avvampa - L'ora, e quando poi gela, - Corre via, corre, anela, - Varca torrenti e stagni, - Cade, risorge, e più e più s'affretta, - Senza posa o ristoro, - Lacero, sanguinoso; infin ch'arriva - Colà dove la via - E dove il tanto affaticar fu volto: - Abisso orrido, immenso, - Ov'ei precipitando, il tutto obblia. - -Questo è il quadro della vita mortale. Finite le speranze di felicità, -spente le illusioni, null'altro resta fuorchè la morte: - - Ecco di tante - Sperate palme e dilettosi errori, - Il Tartaro m'avanza, - -canta l'infelice Lesbiana; e Silvia miseramente cade all'apparir del -vero. Quando l'uomo è giovane, quando può sperare, la vita è luminosa; -ma dopo, tosto che la verità è conosciuta, - - Vedova è insino al fine; ed alla notte - Che l'altre etadi oscura - Segno poser gli Dei la sepoltura. - -Ma parlare della morte con questo tono dolente, chiamarla abisso -“orrido, immenso„, è ancora in certo modo come lodare la vita. Questa -morte non è un vero rimedio, non è una cosa veramente lodevole, se egli -la loda ironicamente: - - Umana - Prole cara agli eterni! assai felice - Se respirar ti lice - D'alcun dolor; beata - Se te d'ogni dolor morte risana. - -Per adoperare questo tono, bisogna che l'illusione non sia ancora -finita, che una qualche fede sussista. Se morire non è un vero bene, -bisogna che il bene consista in qualche altra cosa. Non si trovò -in nessun luogo, in nessun tempo, in nessun concetto; ma l'appetito -della felicità non è ancora morto; si spera ancora, non si sa come, -non si sa in che cosa, irragionevolmente. Perchè la ragione trionfi, -bisogna dar torto all'istinto della felicità che si ribella alla -morte; e riconoscere che l'istinto è un fenomeno transitorio, e che la -morte è il fenomeno permanente, il vero, il solo, l'ultimo fine della -vita. Poichè tutti gli altri, tutti insino ad uno, si dimostrarono -fallaci, la morte sarà lo scopo reale, l'unica meta, la ragione stessa -dell'esistenza. Ed il Leopardi arriva a questa conclusione logica, -l'accetta pienamente quando dice che le creature “ingegnandosi, -adoperandosi e penando sempre, non patiscono veramente per altro, e non -s'affaticano se non per giungere a questo solo intento della natura„; -quando afferma che proprio ed unico obbietto delle cose è il morire: -esse anzi sono state create per essere distrutte, perchè la legge della -distruzione si potesse mantenere: “non potendo morire quel che non era, -perciò dal nulla scaturirono le cose che sono.„ - -Come parrà allora stolto e funesto lo studio di prolungare la vita! -“Non solo io non mi curo dell'immortalità„, dice il Metafisico al -Fisico, “e sono contento di lasciarla ai pesci; ai quali la dona il -Leeuwenhoek, purchè non siano mangiati dagli uomini o dalle balene; -ma, in cambio di ritardare o interrompere la vegetazione del nostro -corpo per allungare la vita come propone il Maupertuis, io vorrei che -la potessimo accelerare in modo, che la vita nostra si riducesse alla -misura di quella di alcuni insetti, chiamati efimeri, dei quali si dice -che i più vecchi non passano l'età di un giorno, e contuttociò muoiono -bisavoli e trisavoli„. Per un momento, non solo la vita degli efimeri, -ma quella di qualunque animale gli parrà preferibile alla umana; gli -animali non raggiungono la felicità, ma passano il tempo meglio di noi, -unicamente occupati di ciò che loro occorre: - - De' bruti - La progenie infinita, a cui pur solo, - Nè men vano che a noi, vive nel petto - Desìo d'esser beati; a quello intenta - Che a lor vita è mestier, di noi men tristo - Condur si scopre e men gravoso il tempo - Nè la lentezza accagionar dell'ore. - -Anche il Pastore canterà: - - O greggia mia che posi, oh te beata, - Che la miseria tua, credo, non sai! - Quanta invidia ti porto! - Non sol perchè d'affanno - Quasi libera vai; - Ch'ogni stento, ogni danno, - Ogni estremo timor subito scordi; - Ma più perchè giammai tedio non provi. - Quando tu siedi all'ombra, sovra l'erbe, - Tu se' queta e contenta; - E gran parte dell'anno - Senza noia consumi in quello stato.... - Quel che tu goda o quanto, - Non so già dir; ma fortunata sei. - -Tosto però egli s'accorge che questa sua opinione può dipendere da un -inganno: - - O forse erra dal vero - Mirando all'altrui sorte il mio pensiero; - Forse in qual forma, in quale - Stato che sia, dentro covile o cuna, - È funesto a chi nasce il dì natale. - -Certo dell'inganno, il Leopardi ritorna alla verità disperata: - - Non altro in somma - Fuorchè infelice, in qualsivoglia tempo, - E non pur ne' civili ordini e modi, - Ma della vita in tutte l'altre parti, - Per essenza insanabile, e per legge - Universal che terra e cielo abbraccia, - Ogni nato sarà. - -Se il vivere è funesto a tutti, il non vivere sarà preferibile: - - Mai non veder la luce - Era, credo, il miglior.... - -Quindi la morte non sarà temuta, ma preferita e lodata come il “maggior -bene dell'uomo„; e desiderata e cercata: - - In cielo, - In terra amico agli infelici alcuno - E rifugio non resta altro che il ferro; - -e se altri, sdegnando gli anni suoi vuoti e odiando la luce, non si -uccide, - - al duro morso - Della brama insanabile che invano - Felicità richiede, esso da tutti - Lati cercando, mille inefficaci - Medicine procaccia, onde quell'una - Cui natura apprestò, mal si compensa. - -Ma Saffo si dà la morte: - - Morremo. Il velo indegno a terra sparto, - Rifuggirà l'ignudo animo a Dite, - E il crudo fallo emenderà del cieco - Dispensator de' casi. - -Come ella morendo corregge il male del quale fu vittima, così Bruto -uccidendosi sfida l'iniqua potenza che lo ha sopraffatto. Egli invidia -gli animali non solo perchè arrivano alla morte senza prevederla, cioè -senza nè temerla nè desiderarla, ma anche perchè, volendo uccidersi, -nessuno lo vieterebbe loro: - - A voi, fra quante - Stirpi il cielo avvivò, soli fra tutte, - Figli di Prometeo, la vita increbbe; - A voi le morte ripe, - Se il fato ignavo pende, - Soli, miseri, a voi Giove contende. - -E come anche Porfirio invidia gli animali perchè, morendo, non hanno -paura o speranza di un'altra vita, così Bruto vorrà morire interamente, -senza tema di punizioni, senza speranza di gloria postuma, di felicità -oltre umana: - - Non io d'Olimpo o di Cocito i sordi - Regi, o la terra indegna, - E non la notte moribondo appello; - Non te dell'atra morte ultimo raggio - Conscia futura età.... - .... A me d'intorno - Le penne il bruno augello avido roti; - Prema la fera, e il nembo - Tratti l'ignota spoglia; - E l'aura il nome e la memoria accoglia. - -Costoro furono disgraziati: a Bruto non valse la virtù, a Saffo non -valse l'amore. Noi vediamo pertanto che, dandosi la morte, si dolgono, -accusano, non sono sereni. La Lesbiana si lagna che di tante sperate -palme e dilettosi errori le avanzi solo la morte; Bruto chiama “misero„ -il desìo di morire; e “atra„ la morte. Il Leopardi che ha giudicato -essere la morte non una cosa vana come tutte le altre, ma la sola -realtà, dovrà dire serenamente che il partito di procurarsela è il -migliore, il più ragionevole, il più conforme a natura, ancora quando -la vita non è stata sciagurata. Udite infatti Porfirio, deliberato -di uccidersi, affermare che questa sua deliberazione “non procede da -alcuna sciagura che mi sia intervenuta, ovvero che io aspetti che mi -sopraggiunga„, ma dal “vedere, gustare, toccare la vanità di ogni -cosa.„ Nè la morte è legge delle sole creature, ma di tutta quanta -la creazione. Morrà la terra, morranno i soli. Altri ne nasceranno, è -vero; la ragione dimostra che l'esistenza, non essendo mai cominciata, -non avrà mai fine; ma l'anima offesa si compiace di antivedere la fine -del Tutto: “Tempo verrà, che esso universo, e la natura medesima, sarà -spenta. E nel modo che di grandissimi regni ed imperi umani, e loro -maravigliosi moti, che furono famosissimi in altre età, non resta oggi -segno nè fama alcuna; parimente del mondo intero, e delle infinite -vicende e calamità delle cose create, non rimarrà pure un vestigio; ma -un silenzio nudo, e una quiete altissima, empieranno lo spazio immenso. -Così questo arcano mirabile e spaventoso dell'esistenza universale, -innanzi di essere dichiarato nè inteso, si dileguerà e perderassi.„ - - - - -L'IRONIA. - - -Resterà egli sempre in questo atteggiamento? Non potrà far altro che -querelarsi e disperare? Impotente a mutare il ferreo ordine delle cose -che lo soverchiano, si dorrà continuamente perchè altri rida del suo -dolore? Non potrà ridere egli stesso degli altri, degli uomini e delle -donne, del mondo e della natura? - - Già del fato mortale a me bastante - E conforto e vendetta è che sull'erba - Qui neghittoso immobile giacendo, - Il mar, la terra e il ciel miro e sorrido. - -Questo sorriso gli strappa l'ultimo disinganno, l'ultimo dolore patito -per causa d'una donna; ma già da molto tempo egli ha fatto suo pro -della naturale disposizione all'ironia. A ventidue anni, per consolarsi -dell'indegnità della fortuna, “quasi per vendicarmi del mondo e quasi -anche della virtù„, imagina le prime satire. Al dolente Giordani -scrive: “Non potresti di Eraclito convertirti in Democrito? La qual -cosa va pure accadendo a me, che la stimava impossibilissima. Vero -è che la disperazione si finge sorridente. Ma il riso intorno agli -uomini ed alle mie stesse miserie, al quale io mi vengo accostumando, -quantunque non derivi dalla speranza, non viene però dal dolore, -ma piuttosto dalla noncuranza, ch'è l'ultimo rifugio degl'infelici -soggiogati dalla necessità. Vo' lentamente leggendo, studiando e -scrivacchiando. Tutto il resto del tempo lo spendo in pensare e -ridere meco stesso....„ Nonostante i dileggi della gente, si avvezza -a ridere, “e ci riesco.„ Il suo riso è amaro, sdegnoso, è spesso una -sghignazzata violenta: “Amami, caro Brighenti; e ridiamo insieme alle -spalle di questi.... che possiedono l'orbe terraqueo. Il mondo è fatto -al rovescio, come quei dannati di Dante che avevano il.... dinanzi e -il petto di dietro, e le lagrime strisciavano giù per lo fesso. E ben -sarebbe più ridicolo il volerlo raddrizzare, che il contentarsi di -stare a guardarlo e fischiarlo....„ Questo concetto dell'opportunità -del riso si ribadisce in lui; è espresso altre volte più pacatamente. -“L'indifferenza e l'allegria sono le uniche passioni proprie, non -solamente dei savi, ma di tutti quelli che hanno pratica delle cose -umane, e talento per profittare dell'esperienza.„ Meglio: “Chi ha -coraggio di ridere, è padrone del mondo, poco altrimenti di chi è -preparato a morire.„ E ancora: Eleandro riconosce che se sì dolesse -piangendo, darebbe noia agli altri ed a sè stesso, senza alcun frutto: -“Ridendo dei nostri mali trovo qualche conforto; e procuro di recarne -altrui nello stesso modo. Se questo non mi vien fatto, tengo pure per -fermo che il ridere dei nostri mali sia l'unico profitto che se ne -possa cavare, e l'unico rimedio che vi si trovi. Dicono i poeti che la -disperazione ha sempre nella bocca un sorriso. Non dovete pensare che -io non compatisca all'infelicità umana. Ma non potendovisi riparare con -nessuna forza, nessuna arte, nessuna industria, nessun patto; stimo -assai più degno dell'uomo e di una disperazione magnanima, il ridere -dei mali comuni, che il mettermene a sospirare, lacrimare e stridere -insieme cogli altri, o incitandoli a fare altrettanto.„ - -E Giacomo Leopardi si vendica infatti col riso di tutte quelle cose -delle quali si è doluto o ha dimostrato la fallacia. Come dell'ultima -donna amata, così pure ride di tutte le altre e di se stesso che le -aveva deificate. “Coteste dee sono così benigne, che quando alcuno -vi si accosta, in un tratto ripiegano la loro divinità, si spiccano i -raggi d'attorno e se li pongono in tasca, per non abbagliare il mortale -che si fa innanzi.„ E se la colpa non è loro, ma dell'immaginazione -che va cercando una perfezione fuor dell'umano, egli riderà di questa -aspettativa, facendo decretare un premio dall'Accademia dei Sillografi. -Tutti non si lodano “_del fortunato secolo in cui siamo_„ per i -progressi della scienza, per gli adattamenti dei ritrovati scientifici -alla vita pratica? Questa età non si può chiamare l'età delle macchine, -“non solo perchè gli uomini di oggidì procedono e vivono forse -più meccanicamente di tutti i passati, ma eziandio per rispetto al -grandissimo numero delle macchine inventate di fresco ed accomodate -o che si vanno tutto giorno trovando ed accomodando a tanti e così -vari esercizi, che oramai non gli uomini ma le macchine, si può dire, -trattano le cose umane e fanno le opere della vita„? Allora l'Accademia -dei Sillografi bandisce un concorso per una macchina “disposta a fare -gli uffici di una donna conforme a quella immaginata, parte dal conte -Baldassare Castiglione, il quale descrive il suo concetto nel libro del -_Cortegiano_, parte da altri, i quali ne ragionarono in vari scritti -che si troveranno senza fatica, e si avranno a consultare e seguire, -come eziandio quello del Conte. Nè ancora l'invenzione di questa -macchina dovrà parere impossibile agli uomini dei nostri tempi, quando -pensino che Pigmalione in tempi antichissimi ed alieni dalle scienze, -si potè fabbricare la sposa colle proprie mani, la quale si tiene che -fosse la miglior donna che sia stata insino al presente. Assegnasi -all'autore di questa macchina una medaglia d'oro in peso di cinquecento -zecchini, in sulla quale sarà figurata da una parte l'araba fenice del -Metastasio posata sopra una pianta di specie europea, dall'altra sarà -scritto il nome del premiato col titolo: INVENTORE DELLE DONNE FEDELI E -DELLA FELICITà CONIUGALE.„ - -Più acuto, più stridente è il suo riso contro gli uomini. Il regno -delle macchine dev'essere salutato con gioia perchè ci affida che col -tempo si troveranno congegni da servire non alle sole cose materiali, -ma anche alle spirituali; “onde nella guisa che per virtù di esse -macchine siamo già liberi e sicuri dalle offese dei fulmini e delle -grandini, e da molti simili mali e spaventi, così di mano in mano si -abbiano a ritrovare, per modo di esempio (e facciasi grazia alla novità -dei nomi) qualche parainvidia, qualche paracalunnie o paraperfidia -o parafrodi, qualche filo di salute o altro ingegno che ci scampi -dall'egoismo, dal predominio della mediocrità, dalla prospera fortuna -degl'insensati, de' ribaldi e de' vili, dall'universale noncuranza -e dalla miseria dei saggi, de' costumati e de' magnanimi....„ E -l'Accademia, con la donna perfetta, mette a concorso una macchina che -rappresenti un amico, “il quale non biasimi e non motteggi l'amico -assente; non lasci di sostenerlo quando l'oda riprendere o porre in -giuoco; non anteponga la fama di acuto e di mordace, e l'ottenere -il riso degli uomini, al debito dell'amicizia; non divulghi, o -per altro effetto o per aver materia da favellare o da ostentarsi, -il segreto commessogli; non si prevalga della familiarità e della -confidenza dell'amico a soppiantarlo e soprammontarlo più facilmente; -non porti invidia ai vantaggi di quello; abbia cura del suo bene e -di ovviare o riparare a' suoi danni, e sia pronto alle sue domande -e a' suoi bisogni, altrimenti che in parole....„ PRIMO VERIFICATORE -DELLE FAVOLE ANTICHE sarà il motto inciso sopra una faccia della -medaglia da conferirsi in premio; e le immagini di Pilade e Oreste -saranno ritratte nell'altra. Un simbolo dell'età dell'oro e le parole -dell'egloga virgiliana: QUO FERREA PRIMUM DESINET AC TOTO SURGET GENS -AUREA MUNDO saranno stampati nella medaglia offerta a chi inventerà -“un uomo artificiale a vapore, atto e ordinato a fare opere virtuose e -magnanime. L'Accademia reputa che i vapori, poichè altro mezzo non pare -che vi si trovi, debbano essere di profitto a infervorare un semovente -e indirizzarlo agli esercizi della virtù e della gloria....„ - -Vapori, larve, fantasmi, illusioni, nomi: nient'altro sono le cose -alle quali gli uomini credono, per le quali combattono. I beni non si -trovano, sono soltanto nell'immaginazione che se li dipinge, che li -aspetta nel futuro e non ricorda di averli trovati mai nel passato. -Di questo inganno riderà il Passeggiere col venditore di Almanacchi, -il quale, promettendo che l'anno nuovo sarà felicissimo, non sa dire a -quale vorrebbe che somigliasse dei venti passati da che vende lunarii. -“Non vi ricordate di nessun anno in particolare, che vi paresse -felice?„ — “No in verità, illustrissimo.„ — “E pure la vita è una cosa -bella. Non è vero?„ — “Cotesto si sa.„ — “Non tornereste voi a vivere -cotesti vent'anni, e anche tutto il tempo passato, cominciando da che -nasceste?„ — “Eh, caro signore, piacesse a Dio che si potesse.„ — “Ma -se aveste a rifare la vita che avete fatta nè più nè meno, con tutti -i piaceri e i dispiaceri che avete passati?„ — “Cotesto non vorrei.„ — -“Oh che altra vita vorreste rifare? la vita ch'ho fatta io, quella del -principe, o di chi altro?...„ - -Udite come ride della gloria, che fu uno dei maggiori suoi -struggimenti: “L'anno ottocento trentatremila dugento settantacinque -del regno di Giove, il collegio delle Muse diede fuora in istampa, -e fece appiccare nei luoghi pubblici della città e dei borghi -d'Ipernéfelo, diverse cedole, nelle quali invitava tutti gli Dei -maggiori e minori, e gli altri abitatori della detta città, che -recentemente o in antico avessero fatto qualche lodevole invenzione, -a proporla, o effettualmente o in figura o per iscritto, ad alcuni -giudici deputati da esso collegio. E scusandosi che per la sua nota -povertà non si poteva dimostrare così liberale come avrebbe voluto, -prometteva in premio a quello il cui ritrovamento fosse giudicato più -bello o più fruttuoso, una corona di lauro, con privilegio di poterla -portare in capo il dì e la notte, privatamente e pubblicamente, in -città e fuori; e poter essere dipinto, scolpito, inciso, gittato, -figurato in qualunque modo e materia, col segno di quella corona -dintorno al capo....„ Presentate le invenzioni ai giudici, tre sono i -premiati: Bacco per l'invenzione del vino, Minerva per quella dell'olio -e Vulcano per aver trovato una “pentola di rame, detta economica, -che serve a cuocere che che sia con piccolo fuoco e speditamente....„ -Dovendosi pertanto dividere in tre parti la corona, resta a ciascuno -soltanto un ramoscello di lauro; ma tutti e tre rifiutano sì la parte -che il tutto: Vulcano perchè, dovendo stare sempre al fuoco, non vuol -mettersi quell'ingombro pericoloso sulla fronte; Minerva perchè le -basta l'elmo; Bacco perchè non vuol mutare la sua mitra e la sua corona -di pampini per quella di lauro: “l'avrebbe accettata volentieri se gli -fosse stato lecito di metterla per insegna fuori della sua taverna; ma -le Muse non consentirono di dargliela per questo effetto: di modo che -ella si rimase nel loro comune erario....„ - -Ride della gloria che l'esperienza gli ha dimostrato essere una parola, -non una cosa; riderà, se non della patria, dei compatriotti che non -hanno saputo restaurare la fortuna d'Italia. I _Paralipomeni della -Batracomiomachia_ sono tutta una satira dei moti del Trentuno, delle -azioni e dei costumi di quel tempo. Le rane rappresentano i preti, i -topi gl'Italiani che bandiscono la guerra ai granchi, ai Tedeschi, e -poi scappano appena se li trovano a fronte: - - Guerra tonar per tutte le concioni - Udito avreste tutti gli oratori, - Leonidi, Temistocli e Cimoni, - Muzi Scevola, Fabi dittatori, - Deci, Aristidi, Codri e Scipioni, - E somiglianti eroi de' lor maggiori - Iterar ne' consigli e tutto il giorno - Per le bocche del volgo andare attorno. - - Guerra sonar canzoni e canzoncine - Che il popolo a cantar prendea diletto; - Guerra ripeter tutte le officine, - Ciascuna al modo suo col proprio effetto. - Lampeggiavan per tutte le fucine, - Lancioni, armi del corpo, armi del petto, - E sonore minacce in tutti i canti - S'udiano, e d'amor patrio ardori e vanti. - - . . . . . . . . . . . . . . - - Eran le due falangi a fronte a fronte - Già dispiegate ed a pugnar vicine, - Quando da tutto il pian, da tutto il monte - Dièrsi a fuggir le genti soricine. - Come non so, ma nè ruscel nè fonte, - Balza nè selva al corso lor diè fine. - Fuggirian credo ancor, se i fuggitivi - Tanto tempo il fuggir serbasse vivi. - - Fuggiro al par del vento, al par del lampo.... - -E quando poi sono al sicuro, i millantatori recitano la commedia della -Carboneria: - - Allor nacque fra' topi una follia - Degna di riso più che di pietade, - Una setta che andava e che venìa - Congiurando a grand'agio per le strade, - Ragionando con forza e leggiadria - D'amor patrio, d'onor, di libertade, - Fermo ciascun, se si venisse all'atto, - Di fuggir come dianzi avevan fatto.... - - Il pelame del muso e le basette - Nutrian folte e prolisse oltre misura, - Sperando, perchè il pelo ardir promette, - D'avere, almeno ai topi, a far paura. - Pensosi in su i caffè con le gazzette - Fra man, parlando della lor congiura, - Mostraronsi ogni giorno, e poi le sere - Cantando arie sospette ivano a schiere.... - -Ma che è la miseria degl'Italiani paragonata alla miseria di tutto il -mondo? Ecco Ercole presentarsi da parte di Giove al padre Atlante, ed -offrirgli di sollevarlo per qualche ora dal peso della terra che il -vecchio regge sulle spalle: “Ma il mondo è fatto così leggiero,„ gli -risponde Atlante, “che questo mantello che porto per custodirmi dalla -neve, mi pesa di più; e se non fosse che la volontà di Giove mi sforza -di stare qui fermo, e tenere questa pallottola sulla schiena, io me -la porrei sotto l'ascella o in tasca, o me l'attaccherei ciondolone a -un pelo della barba, e me n'andrei per le mie faccende.„ Ed Ercole, -provato a tenerla un poco in mano, sente che Atlante ha detto il -vero, e s'accorge d'un'altra novità: che il mondo è muto, non batte -più di “un oriuolo che abbia rotta la molla„; per destarlo, vorrebbe -fargli toccare una buona picchiata di clava; ma ha paura di farne -una cialda o di romperlo come un uovo. “E anche non mi assicuro che -gli uomini che al tempo mio combattevano a corpo a corpo coi leoni -e adesso colle pulci, non tramortiscano dalla percossa tutti in un -tratto.„ Allora i due numi si mettono a giocare alla palla con la -terra; ma essa piglia vento, perchè è leggera: “Cotesta è sua pecca -vecchia, di andare a caccia del vento....„ Anche il Folletto e lo Gnomo -vedono un giorno che gli uomini sono tutti morti e che, nondimeno, il -mondo, creato secondo quei petulanti per loro uso e consumo soltanto, -dura ancora. “E non volevano intendere che egli è fatto e mantenuto -per li folletti„, esclama il Folletto; e lo Gnomo: “Eh, buffoncello, -va' via. Chi non sa che il mondo è fatto per gli gnomi?„ — “Per gli -gnomi, che stanno sempre sotterra? Oh questa è la più bella che si -possa udire! Che fanno agli gnomi il sole, la luna, l'aria, il mare, -le campagne?„ — “Che fanno ai folletti le cave d'oro e d'argento, e -tutto il corpo della terra fuor che la prima pelle?...„ Ma la ridicola -contesa finisce, perchè i due presuntuosi interlocutori si accordano -nel beffarsi dell'arroganza degli uomini. Non dicevano costoro che la -roba degli gnomi, sepolta sotto terra, apparteneva al genere umano? -“Che meraviglia? Quando non solamente si persuadevano che le cose del -mondo non avessero altro ufficio che di stare al servizio loro, ma -facevano conto che tutte insieme, allato al genere umano, fossero una -bagattella. E però le loro proprie vicende le chiamavano rivoluzioni -del mondo, e le storie delle loro genti, storie del mondo.... — Le -zanzare e le pulci erano anch'esse fatte per benefizio degli uomini? — -Sì, per esercitarli nella pazienza!„ Anche i porci, “secondo Crisippo, -erano pezzi di carni apparecchiati dalla natura a posta per le cucine -e le dispense degli uomini, e, acciocchè non imputridissero, condite -colle anime invece di sale....„ E il più bello è che di tanti generi -d'animali o di piante cotesti uomini non avevano notizia, pure credendo -che tutto fosse al mondo per loro! “Parimente di tratto in tratto, -per via de' loro cannocchiali, si avvedevano di qualche stella o -pianeta, che insino allora, per migliaia e migliaia d'anni, non avevano -mai saputo che fosse al mondo; e subito la scrivevano tra le loro -masserizie, perchè s'immaginavano che le stelle e i pianeti fossero, -come dire, moccoli da lanterna piantati lassù nell'alto a uso di far -lume alle signorie loro, che la notte avevano gran faccende. — Sicchè -in tempo di state, quando vedevano cadere di quelle fiammoline che -certe notti vengono giù per l'aria, avranno detto che qualche spirito -andava smoccolando le stelle per servizio degli uomini....„ - -Questo argomento di risa è inesauribile. La Terra, ragionando con la -Luna, le chiede se è abitata da uomini, se i suoi abitanti l'hanno -conquistata “per ambizione, per cupidigia dell'altrui, colle arti -politiche, colle armi„; tutte parole delle quali la Luna sconosce il -senso. “Perdona, monna Terra, se io ti rispondo un poco più liberamente -che forse non converrebbe a una tua suddita o fantesca, come io sono. -Ma in vero che tu mi riesci peggio che vanerella a pensare che tutte le -cose di qualunque parte del mondo sieno conformi alle tue; come se la -natura non avesse avuto altra intenzione che di copiarti puntualmente -da per tutto....„ E dove lasciamo l'imbarazzo del povero Copernico, -quando il Sole, stanco, secondo il sistema tolemaico, “del continuo -andare attorno per far lume a quattro animaluzzi che vivono in un -pugno di fango„, delibera di non muoversi più e ordina all'astronomo di -far muovere invece, per amore o per forza, la Terra, che fino a quel -giorno ha creduto di sedere come in trono, mentre ognuno degli uomini -suoi abitatori, “se ben fosse un vestito di cenci e che non avesse un -cantuccio di pan duro da rodere, si è tenuto per certo di essere uno -imperatore; non mica di Costantinopoli o di Germania, ovvero della -metà della Terra, come erano gli imperatori romani; ma un imperatore -dell'universo; un imperatore del sole, dei pianeti, di tutte le stelle -visibili e non visibili; e causa finale delle stelle, dei pianeti, di -vostra signoria illustrissima, e di tutte le cose.„ Fare che la Terra -lasci il suo posto al centro dell'universo, “ch'ella corra, ch'ella -si rotoli, ch'ella si affanni di continuo, che eseguisca quel tanto, -nè più ne meno, che si è fatto di qui addietro dagli altri globi; in -fine, ch'ella divenga del numero dei pianeti; questo porterà seco che -sua maestà terrestre, e le loro maestà umane, dovranno sgomberare il -trono, e lasciar l'impero; restandosene però tuttavia co' loro cenci, -e colle loro miserie, che non sono poche....„ Il malcapitato astronomo -si dispone tuttavia a tentare l'impresa, ma trova ancora una certa -difficoltà e la sottopone al Sole: “Che io non vorrei, per questo -fatto, essere abbruciato vivo, a uso della fenice: perchè, accadendo -questo, io sono sicuro di non avere a risuscitare dalle mie ceneri come -fa quell'uccello, e di non vedere mai più, da quell'ora innanzi, la -faccia della signoria vostra.„ E il Sole lo rassicura che non patirà -nulla, sebbene “forse, dopo te, ad alcuni i quali approveranno quello -che tu avrai fatto, potrà essere che tocchi qualche scottatura, o altra -cosa simile....„ - -E gli uomini, questi medesimi uomini che hanno torturato chi ha loro -insegnato le verità, credono alla propria eccellenza! L'umorista trarrà -ancora da questa superba pretesa le sue risa più sonore. Prometeo è -malcontento della sentenza del collegio delle Muse: il vino, l'olio -e le pentole sono stati preferiti all'invenzione sua: il genere -umano, il modello di terra col quale egli formò i primi uomini. E -quando Momo dubita che l'uomo sia la miglior opera, la più perfetta -creatura del mondo, l'inventore scommette di scendere con lui nelle -cinque parti del globo per farlo ricredere. Calati in America, si -trovano fra i Cannibali, dove un selvaggio mangia arrostito il corpo -del proprio figliuolo; calati in Asia, trovano che una vedova è arsa -viva, come vuole la legge, insieme col morto marito. Prometeo non si -dà per vinto, considerando che tutti costoro sono barbari, e aspetta -di visitare l'Europa civile; ma il suo compagno già gli fa osservare -che se gli uomini fossero un genere perfetto, non avrebbero bisogno -d'incivilirsi, non dovrebbero essere distinti in barbari e civili; -e che la parte incivilita è troppo piccola, paragonatamente a tutta -l'altra; e che questa famosa civiltà di Parigi e di Filadelfia non è -ancora compiuta; e che, per arrivare a un grado incompiuto di civiltà, -gli uomini hanno dovuto penare per un tempo lunghissimo; e che le -loro invenzioni più singolari e proficue hanno avuto origine dal -semplice caso; e che la civiltà, una volta ottenuta, non è stabile, -ma può cadere e disperdersi, come tante volte è successo, secondo -insegnano le storie. Per tutte queste ragioni, la sentenza di Prometeo -non sarà da modificare dicendo che il genere umano è sommo, sì, ma -nell'imperfezione anzichè nella perfezione?.... Prometeo non risponde, -e cala con il compagno a Londra; dove vedono una gran folla attorno -a una casa: un uomo si è ucciso, ed ha ucciso con sè i figliuoli, -non già per esser povero, o disperato, o infelice; ma per tedio della -vita, lasciando raccomandato a un amico il suo cane.... “Momo stava per -congratularsi con Prometeo sopra i buoni effetti della civiltà, e sopra -la contentezza che appariva ne risultasse alla nostra vita, e voleva -anche rammemorargli che nessun altro animale fuori dell'uomo, si uccide -volontariamente esso medesimo, nè spegne per disperazione della vita -i figliuoli: ma Prometeo lo prevenne, e senza curarsi di vedere le due -parti del mondo che rimanevano, gli pagò la scommessa.„ - -Così, quantunque il Leopardi abbia voluto assicurare che il suo riso -sia noncurante, esso viene dal dolore ed è pieno di dolore. L'ironia -si alterna col pessimismo; certe volte, come nella _Palinodia_, si -confonde con esso. Se per la sua sfiducia nella vita e nell'umanità -vede che ridono di lui, ridendo egli confessa al Capponi d'avere errato -e assicura di essersi ricreduto: - - Aureo secolo omai volgono, o Gino, - I fusi delle Parche. Ogni giornale, - Gener vario di lingue e di colonne, - Da tutti i lidi lo promette al mondo - Concordemente. Universale amore, - Ferrate vie, molteplici commerci, - Vapor, tipi e _cholèra_ i più divisi - Popoli e climi stringeranno insieme: - Nè meraviglia fia se pino o quercia - Suderà latte e mèle, o s'anco al suono - D'un _walser_ danzerà. Tanto la possa - Infin qui de' lambicchi e delle storte - E le macchine al cielo emulatrici - Crebbero, e tanto cresceranno al tempo - Che seguirà; poichè di meglio in meglio - Senza fin vola e volerà mai sempre - Di Sem, di Cam e di Giapeto il seme. - -Perciò gli uomini non mangeranno più ghiande — se la fame non li -costringerà; il danaro sarà disprezzato — ma saranno tenute da conto le -cambiali. E la guerra non cesserà, e il vero merito sarà sfortunato, -e la frode regnerà sempre, e della forza si farà sempre abuso. Ma -se queste “lievi reliquie„ del passato resteranno in mezzo all'età -dell'oro, - - nelle cose - Più gravi, intera, e non veduta innanzi, - Fia la mortal felicità. Più molli - Di giorno in giorno diverran le vesti - di lana o di seta. I rozzi panni - Lasciando a prova agricoltori e fabbri, - Chiuderanno in coton la scabra pelle, - E di castoro copriran le schiene. - Meglio fatti al bisogno, o più leggiadri - Certamente a veder, tappeti e coltri, - Seggiole, canapè, sgabelli e mense. - Letti ed ogni altro arnese, adorneranno - Di lor menstrua beltà gli appartamenti; - E nove forme di paiuoli, e nove - Pentole ammirerà l'arsa cucina. - -Egli continua così a deridere, fingendo d'ammirarlo, il progresso -umano; quando a un tratto depone l'ironia e torna alla sfiducia, alla -persuasione del dolore: - - Quale un fanciullo, con assidua cura, - Di fogliolini e di fuscelli, in forma - O di tempio o di torre o di palazzo, - Un edifizio innalza; e come prima, - Fornito il mira, ad atterrarlo è volto, - Perchè gli stessi a lui fuscelli e fogli - Per novo lavorìo son di mestieri; - Così natura ogni opra sua, quantunque - D'alto artificio a contemplar, non prima - Vede perfetta, ch'a disfarla imprende, - Le parti sciolte dispensando altrove. - -E poichè le cose umane sono distrutte da questa natura crudele, - - varia, infinita una famiglia - Di mali immedicabili e di pene - Preme il fragil mortale, a perir fatto - Irreparabilmente: indi una forza - Ostil, distruggitrice, e dentro il fere - E di fuor da ogni lato, assidua, intenta, - Dal dì che nasce; e l'affatica e stanca, - Essa indefatigata; insin ch'ei giace - Alfin dall'empia madre oppresso e spento.... - -L'ironia e il pessimismo tornano ancora a darsi la mano. La Morte, nel -concetto disperato del Leopardi, fu sorella dell'Amore; quando egli -vuol riderne, ma d'un funebre riso, la considera come sorella della -Moda: entrambe non sono figlie della Caducità? “Nemica capitale della -memoria„, la Morte non se ne vuole rammentare; ma la Moda se ne ricorda -bene: “So che l'una e l'altra tiriamo parimente a disfare e a rimutare -di continuo le cose di quaggiù, benchè tu vada a questo effetto per -una strada e io per un'altra.... Dico che la nostra natura e usanza -comune è di rinnovare continuamente il mondo; ma tu fino da principio -ti gittasti alle persone e al sangue; io mi contento per lo più delle -barbe, dei capelli, degli abiti, delle masserizie, dei palazzi e di -cose tali. Ben è vero che io non sono però mancata e non manco di fare -parecchi giuochi da paragonare ai tuoi, come verbigrazia sforacchiare -quando orecchi, quando labbra e nasi, e stracciarli con bazzecole che -io v'appicco per li fori; abbruciacchiare le carni degli uomini con -istampe roventi che io fo che essi v'improntino per bellezza; formare -le teste dei bambini con fasciature e altri ingegni, mettendo per -costume che tutti gli uomini del paese abbiano a portare il capo d'una -figura, come ho fatto in America e in Asia; storpiare genti con le -calzature snelle, chiuderle il fiato e fare che gli occhi le scoppino -dalla strettura dei bustini; e cento altre cose di questo andare. Anzi, -generalmente parlando, io persuado e costringo tutti gli uomini gentili -a sopportare ogni giorno mille fatiche e mille disagi, e spesso dolori -e strazi, e qualcuno a morire gloriosamente per l'amore che mi portano. -Io non vo' dire nulla dei mali di capo, delle infreddature, delle -flussioni di ogni sorta, delle febbri quotidiane, terzane, quartane, -che gli uomini si guadagnano per ubbidirmi, consentendo di tremare dal -freddo o affogare dal caldo secondo che io voglio, difendersi le spalle -coi panni lani, e il petto con quei di tela, e fare d'ogni cosa a mio -modo ancorchè sia con loro danno.„ E la Morte comincia a persuadersi -della parentela; e mentre la trista sorella le galoppa al fianco, ella -le chiede, come massima prova del legame che le stringe, di aiutarla -a compiere l'opera propria. Ma la Moda non l'ha già aiutata? Costei -che annulla e stravolge continuamente tutti gli usi, ha mai lasciato -smettere in nessun luogo la pratica del morire?... Se questo non -bastasse, non ha ella mandato in disuso l'antico genere di vita che -giovava alla prosperità dei corpi, e introdottone altri perniciosissimi -alla salute? Non ha ella messo nel mondo moderno tali ordini e costumi -“che la vita stessa, così per rispetto del corpo come dell'animo, è -più morta che viva; tanto che questo secolo si può dire con verità -che sia proprio il secolo della morte? E quando che anticamente tu -non avevi altri poderi che fosse e caverne, dove tu seminavi ossami -e polverumi al buio, che sono semenze che non fruttano; adesso hai -terreni al sole; e genti che si muovono e che vanno attorno co' loro -piedi, sono roba, si può dire, di tua ragione libera, ancorchè tu non -le abbia mietute, anzi subito che elle nascono.„ Ma l'opera della Moda -più proficua alla Morte è questa: che mentre per l'addietro costei -era odiata, “oggi per opera mia le cose sono ridotte in termine che -chiunque ha intelletto ti pregia e loda, anteponendoti alla vita, e ti -vuol tanto bene che sempre ti chiama e ti volge gli occhi come alla sua -maggiore speranza.„ E mentre prima gli uomini credevano di poter essere -immortali, cioè di non morire interamente, la Moda, quantunque sapesse -“che queste erano ciance, e che quando costoro vivessero nella memoria -degli uomini, vivevano, come dire, da burla, e non godevano della loro -fama più che si patissero dell'umidità della sepoltura„, pure, dice -alla Morte, “intendendo che questo negozio degl'immortali ti scottava, -perchè pareva che ti scemasse l'onore e la riputazione, ho levata via -quest'usanza di cercare l'immortalità, ed anche di concederla in caso -che pure alcuno la meritasse. Di modo che al presente, chiunque si -muoia, sta' sicura che non ne resta un briciolo che non sia morto, -e che gli conviene andare subito sotterra tutto quanto, come un -pesciolino che sia trangugiato in un boccone con tutta la testa e le -lische....„ - -Così egli torna a ridere di quella gloria della quale altrove ha -dimostrata la fallacia. Ma quando vede la vanagloria degli uomini, -quantunque dica di non sapere “se il riso o la pietà prevale„, il riso -prevale effettivamente. Se egli sorride dell'amore, della fama, della -patria, il suo sorriso è o più amaro o più contenuto; nel considerare -la superbia del secolo, la boria degli uomini, e nel paragonarle alla -loro reale impotenza, alla miseria dei loro risultati, l'umorismo -scaturisce naturalmente, più schietto, più efficace. Momo ha fatto -un lungo ragionamento per disingannare Prometeo e dimostrargli che -il genere umano è sommo nell'imperfezione; Eleandro risponde più -brevemente a Timandro quando questi sostiene che l'uomo non è ancora -perfetto, ma certo sarà tale col tempo: “Nè io ne dubito. Questi pochi -anni che sono corsi dal principio del mondo al presente, non potevano -bastare; e non se ne dee far giudizio dell'indole, del destino e -delle facoltà dell'uomo: oltre che si sono avute altre faccende per -le mani. Ma ora non si attende ad altro che a perfezionare la nostra -specie....„ La risata è più sincera, più fresca. Udite la conclusione: -“Circa la perfezione dell'uomo, io vi giuro, che se fosse conseguita, -avrei scritto almeno un tomo in lode del genere umano. Ma poichè non -è toccato a me di vederla, e non aspetto che mi tocchi in vita, sono -disposto di assegnare per testamento una buona parte della mia roba -ad uso che quando il genere umano sarà perfetto, se gli faccia e -pronuncisi pubblicamente un panegirico tutti gli anni; e anche gli sia -rizzato un tempietto all'antica, una statua, o quello che sarà creduto -a proposito....„ - -Nondimeno Timandro ha ragione di chiamare maligno il suo interlocutore; -e il riso, che doveva essere il conforto di quest'ultimo, non lo -salva dalla disperazione. Se egli ride degli uomini, e non li odia, -e non si sdegna dei loro vizi e delle loro colpe, ciò accade perchè -sente che, posto nelle stesse circostanze dei viziosi e dei colpevoli, -sarebbe macchiato o capace degli stessi loro difetti: “Riserbo sempre -l'adirarmi a quella volta che io vegga una malvagità che non possa -aver luogo nella natura mia: ma fin qui non ne ho potuto vedere....„ -E ancora egli non capisce “questo continuo presupporre che si fa -scrivendo e parlando, certe qualità umane che ciascuno sa che oramai -non si trovano in uomo nato, e certi enti razionali o fantastici, -adorati già lungo tempo addietro, ma ora tenuti internamente per nulla -e da chi gli nomina, e da chi gli ode nominare. Che si usino maschere e -travestimenti per ingannare gli altri, o per non essere conosciuti; non -mi pare strano: ma che tutti vadano mascherati con una stessa forma di -maschere, e travestiti a uno stesso modo, senza ingannare l'un l'altro, -e conoscendosi ottimamente tra loro; mi riesce una fanciullaggine....„ -E insomma: “l'ultima conclusione che si ricava dalla filosofia vera -e perfetta, si è, che non bisogna filosofare. Dal che s'inferisce -che la filosofia, primieramente è inutile, perchè a questo effetto -di non filosofare, non fa bisogno esser filosofo; secondariamente è -dannosissima,„ perchè insegna “la vanità delle cose.„ Ancora una volta -le risa finiscono in lacrime. - -Sarà da stupire? Non era anzi meraviglioso che, nella profondità -del suo dolore, egli trovasse la possibilità di ridere? Egli stesso -se ne è stupito. “Cosa certamente mirabile è questa, che nell'uomo, -il quale in fra tutte le creature è la più travagliata e misera, -si trovi la facoltà del riso.... Mirabile cosa si è l'uso che noi -facciamo di questa facoltà: poichè si veggono molti in qualche -fierissimo accidente, altri in grande tristezza d'animo, altri che -quasi non serbano alcuno amore alla vita, certissimi della vanità -di ogni bene umano, presso che incapaci di ogni gioia, nondimeno -ridere....„ E il riso sarà per lui “specie di pazzia non durabile, o -pure di vaneggiamento o delirio„, perchè “gli uomini, non essendo mai -soddisfatti nè mai dilettati veramente da cosa alcuna, non possono -aver causa di riso che sia ragionevole e giusta.„ È vero che il riso -è ignoto, come agli animali, anche ai popoli che sono nello stato -primitivo; e che è cresciuto, si può dire, colla civiltà; ma poichè la -civiltà è corruzione, se ne dovrà dedurre che il riso oggi “supplisce -per qualche modo alle parti esercitate in altri tempi dalla virtù, -dalla giustizia, dall'onore e simili....„ Esso sarà pertanto una -cosa triste e disperata più che la stessa imprecazione, porterà agli -stessi risultati della riflessione dolorosa. Ragionando, il Leopardi -estende il suo pessimismo a tutto l'universo creato; la stessa cosa fa -ridendo. La Terra si ostina a interrogare la Luna: “Io vorrei sapere -se veramente, secondo che scrive l'Ariosto, tutto quello che ciascun -uomo va perdendo; come a dire la gioventù, la bellezza, la sanità, -le fatiche e spese che si mettono nei buoni studi per essere onorati -dagli altri, nell'indirizzare i fanciulli ai buoni costumi, nel fare -o promuovere istituzioni utili; tutto sale e si raguna costà: di modo -che vi si trovano tutte le cose umane; fuori della pazzia, che non si -parte dagli uomini? In caso che questo sia vero, io fo conto che tu -debba essere così piena, che non ti avanzi più luogo; specialmente -che, negli ultimi tempi, gli uomini hanno perduto moltissime cose -(verbigrazia l'amor patrio, la virtù, la magnanimità, la rettitudine) -non già solo in parte, e l'uno o l'altro di loro, come per l'addietro, -ma tutti e interamente. E certo che se elle non sono costì, non credo -si possano trovare in altro luogo. Però vorrei che noi facessimo una -convenzione, per la quale tu mi rendessi di presente, e poi di mano -in mano, tutte queste cose; donde io credo che tu medesima abbi caro -di essere sgomberata, massime del senno, il quale intendo che occupa -costì un grandissimo spazio; ed io ti farei pagare dagli uomini tutti -gli anni una buona somma di danari.„ Ma la Luna neppure intende di che -cosa il pianeta le chiede notizia; e solo quando la Terra le domanda se -sono presso di lei in uso i vizii, i misfatti, gl'infortunii, i dolori, -la vecchiezza; allora il satellite capisce tutti questi nomi e le cose -da essi significate, perchè ne è pieno, perchè i suoi abitatori sono -infelicissimi. “E se tu potessi levare tanto alto la voce, che fossi -udita da Urano o da Saturno, o da qualche altro pianeta del nostro -mondo; e gl'interrogassi se in loro abbia luogo l'infelicità, e se i -beni prevagliano o cedano ai mali; ciascuno ti risponderebbe come ho -fatto io. Dico questo per aver dimandato delle medesime cose Venere e -Mercurio, ai quali pianeti di quando in quando io mi trovo più vicina -di te; come anche ne ho chiesto ad alcune comete che mi sono passate -dappresso: e tutti mi hanno risposto come ho detto. E penso che il Sole -medesimo, e ciascuna stella risponderebbero altrettanto.„ - -Si può dire anche meglio: il riso del Leopardi è più disperato della -sua stessa disperazione. Egli ha detto che solo la morte esiste; -ma credere alla morte, al nulla, è ancora avere una specie di fede. -L'orrore sembra massimo; eppure ce n'è uno ancora più grande. Quando -gli amanti non amano più, odiano; ma l'odio è ancora una forma -dell'amore. Tanto desiderio della morte cela ancora l'amarezza dei -disinganni, misura ancora la forza delle speranze, sia pure perdute. -Il vero segno che l'amore è finito non è odiare l'oggetto un tempo -caro o l'amarne un altro: è l'indifferenza. A questa indifferenza -per la morte e per la vita Giacomo Leopardi arriverà con l'ironia. -Il suo Plotino, esauriti tutti gli argomenti per dissuadere Porfirio -dall'uccidersi, ricorre a quest'ultimo come al più persuasivo: viva -egli — per far piacere all'amico! “E la vita è cosa di tanto piccolo -rilievo, che l'uomo, in quanto a sè, non dovrebbe esser molto sollecito -di ritenerla nè di lasciarla. Perciò, senza voler ponderare la cosa -troppo curiosamente; per ogni lieve causa che se gli offerisca di -appigliarsi piuttosto a quella prima parte che a questa, non dovrìa -ricusare di farlo. E pregatone da un amico, perchè non avrebbe a -compiacergliene?... „ - - - - -EPILOGO - - -Noi sappiamo chi fu Giacomo Leopardi grazie all'analisi -particolareggiata di tutte le sue circostanze intrinseche ed -estrinseche, ed alla sintesi del suo pensiero; tra le prime e il -secondo abbiamo trovato un nesso intimo, un rigoroso rapporto. Pure -questo nesso, questo rapporto è negato, non solo da altri, da molti -biografi e critici, ma anche, e prima e più vivacemente di tutti, dallo -stesso Leopardi. “Ce n'a été que par l'effet de la lâcheté des hommes, -qui ont besoin d'être persuadés du mérite de l'existence, que l'on a -voulu considérer mes opinions philosophiques comme le résultat de mes -souffrances particulières, et que l'on s'obstine à attribuer à mes -circonstances matérielles ce qu'on ne doit qu'à mon entendement. Avant -de mourir, je vais protester contre cette invention de la faiblesse -et de la vulgarité et prier mes lecteurs de s'attacher à détruire -mes observations plutôt que d'accuser mes maladies.„ Senza violenza, -ma con ironia, quando lo Stella gli riferì il giudizio d'un lettore, -secondo il quale le sue teorie non erano “_fondate a ragione ma a -qualche osservazione parziale_,„ egli rispose al suo editore: “Desidero -che sia vero.„ Ed anche Tristano, all'amico che giudica il suo libro -sulla vita malinconico, sconsolato e disperato perchè egli, l'autore, -è infelice, risponde che tutto si sarebbe aspettato “fuorchè sentirmi -volgere in dubbio le osservazioni ch'io faceva in quel proposito, -parendomi che la coscienza d'ogni lettore dovesse rendere prontissima -testimonianza a ciascuna di esse. Solo immaginai che nascesse disputa -dell'utilità o del danno di tali osservazioni, ma non mai della verità, -anzi mi credetti che le mie voci lamentevoli, per essere i mali comuni, -sarebbero ripetute in cuore da ognuno che le ascoltasse. E sentendo -poi negarmi, non qualche proposizione particolare, ma il tutto, e dire -che la vita non è infelice, e che se a me pareva tale, doveva essere -effetto d'infermità, o d'altra miseria mia particolare, da prima rimasi -attonito, sbalordito, immobile come un sasso, e per più giorni credetti -di trovarmi in un altro mondo; poi, tornato in me stesso, mi sdegnai un -poco; poi risi....„ - -Prima di esaminare il valore delle sue proteste, notiamo che egli non -le ripete sempre con tanta violenza ed ironia; che anzi più volte fa -molte concessioni ai suoi contraddittori. Questo medesimo Tristano -che si è sdegnato ed ha riso, e che propone anche, al colmo del -sarcasmo, di bruciare il proprio libro “come un libro di sogni poetici, -d'invenzioni e di capricci malinconici, ovvero come un'espressione -dell'infelicità dell'autore„; confessa poi, sul serio e non più da -burla, la propria infelicità: “perchè in confidenza, mio caro amico, -io credo felice voi e felici tutti gli altri; ma io, quanto a me, con -licenza vostra e del secolo, sono infelicissimo; e tutti i giornali de' -due mondi non mi persuaderanno il contrario.„ Ed Eleandro: “Io giudico, -quanto a me, di essere infelice; e in questo so che non m'inganno. -Se gli altri non sono, me ne congratulo con tutta l'anima. Io sono -anche sicuro di non liberarmi dall'infelicità prima che io muoia. Se -gli altri hanno diversa speranza di sè, me ne rallegro similmente.„ -Con eguale sentimento, aggiuntovi il terrore del mistero, il Pastore -asiatico canta: - - Questo io conosco e sento, - Che degli eterni giri, - Che dell'esser mio frale, - Qualche bene o contento - Avrà fors'altri; a me la vita è male. - -È possibile che questa coscienza della propria sciagura non determini -la sua filosofia disperata? Uno dei caratteri salienti ne è, come -vedemmo, la misantropia; e di questa, biasimandola in Eleandro, -Timandro assegna la causa: “Voi parlate„, gli dice, “al vostro solito -malignamente, e in modo che date ad intendere di essere per l'ordinario -molto male accolto e trattato dagli altri: perchè questa il più -delle volte è la causa del mal animo e del disprezzo che certi fanno -professione di avere alla propria specie.„ Si confrontino queste parole -con quelle che il Leopardi disse in prima persona: - - aspro a forza - Tra lo stuol de' malevoli divengo, - -e con queste altre: - - E sprezzator degli uomini divengo - Per la greggia ch'ho intorno: - -si vedrà che il suo disprezzo dei proprii simili dipende dal disprezzo -che egli stesso ha patito da essi. Tanto egli è persuaso di questa -verità, che le dà forza di sentenza: “Chi comunica poco cogli -uomini, rade volte è misantropo. Veri misantropi non si trovano nella -solitudine, ma nel mondo: perchè l'uso pratico della vita, e non già la -filosofia, è quello che fa odiare gli uomini.„ - -È sempre difficile, e qualche volta anche risibile, il tentar di -immaginare che cosa sarebbe stato un uomo se diverse in tutto o in -parte fossero state le sue circostanze. Chi può dire che cosa avrebbe -scritto Dante se non fosse stato bandito, o che cosa avrebbe fatto -Napoleone se fosse nato un secolo prima? Una logica inesorabile -governa tutte le opere umane; se noi possiamo credere di disporre -liberamente della nostra vita e del nostro pensiero avvenire, non -possiamo negarne, anzi continuamente ne discopriamo la rigorosa -determinazione nel passato. Pertanto è impossibile giudicare quel che -sarebbe avvenuto di Giacomo Leopardi in circostanze diverse dalle sue; -ma questo rigore di determinazione egli stesso dimostra, anche senza -volerlo. Non c'è uno solo dei suoi giudizii che non sia suggerito da -un'impressione ricevuta; i fatti esercitano una continua influenza sul -suo pensiero. A Bologna gli uomini gli parvero “vespe senza pungolo.„ -Perchè? Perchè vi fu bene accolto. Milano fu detta da lui “insociale„ -perchè non fu contento dell'accoglienza che vi trovò. A Napoli, sul -principio, sentendosi soddisfatto, lodò l'indole “amabile e benevola„ -degli abitanti; poi, trovatosi male, capovolse il suo giudizio. Egli -espressamente confessa quanto gli riuscisse funesto l'essersi visto -disprezzato e fuggito a Recanati: “cosa che per altro ha pregiudicato -per sempre al mio carattere.„ Confessa ancora che tra le cause della -sua malinconia a Roma, gran parte ha la sua “particolare costituzione -morale e fisica.„ Se, anche restando a Recanati, le malattie gli danno -tregua, queste tregue suscitano “qualche speranza di potermi rifare -mutando vita.„ Se appena egli potesse occuparsi a suo agio negli -studii, la sua disperazione sarebbe mitigata: “Dici troppo bene ch'io -forse non m'accorgerei, certamente non sentirei tutta la nullità umana -se potessi ancora trattenermi negli studi.„ Basta talvolta la primavera -a consolarlo: “Io sento riaprirsi l'animo al ritorno della primavera, -chè certo due mesi addietro ero stupido, insensato in modo, ch'io mi -faceva maraviglia a me stesso, e disperava di provar più consolazione -in questo mondo....„ Egli definisce anche meglio il mutamento che le -mutate sue condizioni producono in lui quando si duole col Giordani -perchè questi è caduto nella stessa malattia d'animo che ha afflitto -lui: “dalla quale non ch'io sia veramente risorto, ma tuttavia conosco -e sento che si può risorgere. E le cagioni erano quelle stesse che -producono in te il medesimo effetto: debolezza somma di tutto il -corpo e segnatamente de' nervi, e totale uniformità, disoccupazione -e solitudine forzata, e nullità di tutta la vita. Le quali cagioni -operavano ch'io non credessi ma sentissi la vanità e noia delle cose, -e disperassi affatto del mondo e di me stesso. Ma se bene anche oggi -io mi sento il cuore come uno stecco o uno spino, contuttociò sono -migliorato in questo ch'io giudico risolutamente di poter guarire, -e che il mio travaglio deriva più dal sentimento dell'infelicità -mia particolare, che dalla certezza dell'infelicità universale e -necessaria.„ Basta che la sua salute risenta un poco di giovamento dal -clima di Pisa, che egli non tremi più dal freddo, che possa passeggiare -lungo l'Arno, che mangi con appetito, che abiti una camera a ponente, -sopra un grande orto, tra buona gente; che la vita gli costi quanto la -sua misera borsa gli consente di spendere, perchè tosto egli si senta -rivivere, e torni a far versi, e canti il suo _Risorgimento_: - - Credei ch'al tutto fossero - In me, sul fior degli anni, - Mancati i dolci affanni - Della mia prima età: - I dolci affanni, i teneri - Moti del cor profondo, - Qualunque cosa al mondo - Grato il sentir ci fa. - - Quante querele e lacrime - Sparsi nel novo stato, - Quando al mio cor gelato - Prima il dolor mancò! - Mancâr gli usati palpiti, - L'amor mi venne meno, - E irrigidito il seno - Di sospirar cessò! - - Piansi spogliata, esanime - Fatta per me la vita; - La terra inaridita, - Chiusa in eterno gel; - Deserto il dì; la tacita - Notte più sola e bruna; - Spenta per me la luna, - Spente le stelle in ciel. - . . . . . . . . . . - -Tale era il suo stato: egli non aveva forza di lamentarsi, non chiedeva -conforto, era immerso come in un letargo dal quale nulla riusciva -a destarlo; desiderava la morte, ma gli mancava anche la forza di -esprimere a sè stesso questo desiderio. A un tratto non si riconosce -più: - - Chi dalla grave, immemore, - Quiete or mi ridesta? - Che virtù nova è questa, - Questa che sento in me? - Moti soavi, immagini, - Palpiti, error beato, - Per sempre a voi negato - Questo mio cor non è? - - Siete pur voi quell'unica - Luce de' giorni miei? - Gli affetti ch'io perdei - Nella novella età? - Se al ciel, s'ai verdi margini, - Ovunque il guardo mira, - Tutto un dolor mi spira, - Tutto un piacer mi dà. - - Meco ritorna a vivere - La piaggia, il bosco, il monte; - Parla al mio core il fonte, - Meco favella il mar. - Chi mi ridona il piangere - Dopo cotanto obblio? - E come al guardo mio - Cangiato il mondo appar? - -Se ciò non è opera della speranza, se egli ancora si duole perchè non -vedrà mai più il viso della speranza; se il suo risorgimento non è -totale; se egli continua a credere che la natura sia sorda, che non -sia sollecita del bene ma soltanto dell'essere, e non si curi d'altro -che di serbare gli uomini al dolore; se non ha fede negli uomini nè -nell'amore, bisogna accusarne la gravezza dei suoi mali, il lungo abito -del dolore. Venti anni di pene fisiche e morali, di aspettazioni vane, -di disinganni continui non si possono scordare perchè il nuovo clima è -più dolce, perchè la nuova città è più ospitale: il parziale beneficio -determina nel suo pensiero una parziale conversione: ma questo esatto -proporzionarsi dell'effetto alla causa dimostra appunto come tutta la -sua vita morale sia rigorosamente governata dalla sua vita reale. - -Il sollievo di Pisa è dipeso dalla migliorata salute; un altro egli -ne prova quando il De Sinner gli promette di pubblicare in Germania i -suoi scritti filologici. Disperato della gloria, basta che egli creda -di poterne gustare i vantaggi perchè tosto ritorni da morte a vita: -“Quel forestiero che ha veduto l'Eusebio, è un filologo tedesco al -quale.... ho fatto consegna formale di tutti i miei mss. filologici, -appunti, note, ecc. cominciando dal _Porphyrius_. Egli, se piacerà a -Dio, li redigerà e completerà e li farà pubblicare in Germania, e me -ne promette danari e gran nome. Non potete credere quanto mi abbia -consolato quest'avvenimento, che per più giorni mi ha richiamato alle -idee della mia prima gioventù, e che, piacendo a Dio, darà vita ed -utilità a lavori immensi, ch'io già da molti anni considerava come -perduti affatto, per l'impossibilità di perfezionare tali lavori in -Italia, pel dispregio in cui sono tali studi tra noi e peggio pel mio -stato fisico.„ Quindi la sua misantropia si tempera; egli quasi la -critica: “Nessuno è sì compiutamente disingannato del mondo, nè lo -conosce sì addentro, nè tanto l'ha in ira, che guardato a un tratto -da esso con benignità, non se gli senta in parte riconciliato.„ Ancora -meglio: “Io conobbi già un bambino il quale ogni volta che dalla madre -era contrariato in qualche cosa, diceva: _ah, ho inteso, ho inteso: -la mamma è cattiva_. Non con altra logica discorre intorno ai prossimi -la maggior parte degli uomini, benchè non esprima il suo discorso con -altrettanta semplicità.„ - -Pertanto, dopo averlo negato, egli stesso riconosce esplicitamente il -rapporto tra le sue circostanze e le sue idee. Porfirio, discutendo -con Plotino intorno alla vanità universale della quale è troppo -persuaso, osserva: “E qui primieramente non mi potrai dire che -questa mia proposizione non sia ragionevole: se bene io consentirò -facilmente che ella in buona parte provenga da qualche mal essere -corporale.„ Se queste parole non si riferiscono, come pare evidente, -allo stesso Leopardi, noi troviamo che egli confessa a chiare note -come la sua filosofia dipenda dalla sua esperienza. Alla sorella -infatti scrive: “Direte che io vi sono sempre intorno colla filosofia; -ma mi concederete che questa non mi è stata insegnata nè dai libri, -ne dagli studi, nè da nessun'altra cosa, se non dall'esperienza: ed -io vi esorto a questa filosofia, perchè credo che vi abbiate i miei -stessi diritti e la mia stessa disposizione.„ Queste parole sono del -1823: diremo che da giovane egli concedesse quel rapporto da causa ad -effetto tra le sue disgrazie e il suo pessimismo che più tardi doveva -con tanto sdegno negare? La sua lettera sdegnosa al De Sinner è del -'32: leggete che cosa scriveva al Bunsen nel '35, tre anni dopo, e -due soli prima di morire: “Voi avete ragione che nelle mie prose la -malinconia è forse eccessiva e forse anche qualche volta fa velo al -giudizio. Datene la colpa parte al mio carattere, e parte all'età in -cui furono scritte....„ Egli quasi vorrebbe correggerle! Il rapporto -tra il pensiero e la vita è ancora nitidamente affermato più sotto: -“La propria mia esperienza m'insegna che il progresso dell'età, fra -i tanti cangiamenti che fa nell'uomo, altera ancora notabilmente -il suo sistema di filosofia.„ Che cosa vuol dir questo, se non che -la filosofia non è un prodotto puro della ragione astratta, ma il -risultato necessario della pratica delle cose? Egli osserva pure come -sia erroneo l'attribuire a cause esteriori e reali ciò che dipende -soltanto dall'intima nostra natura; i vecchi, per esempio, “riuscendo -il freddo all'età loro assai più molesto che in gioventù, credono -avvenuto alle cose il cangiamento che provano nello stato proprio, ed -immaginano che il calore che va scemando in loro, scemi nell'aria o -nella terra.„ Altrettanto non accade in lui, quando, per tutte le sue -sciagure, afferma l'infelicità necessaria e universale? - -Tuttavia, se per tante prove e per sua stessa confessione la dipendenza -delle fasi del suo pensiero dai casi della sua vita è innegabile, -che cosa faremo delle proteste che egli pure fieramente lanciò? -Perchè protestò talvolta? Perchè non riconobbe sempre che tale egli -fu quale doveva essere? Perchè negò l'efficacia dell'esperienza e -riconobbe soltanto quella della ragione? Il perchè non è difficile da -trovare. Ammettendo senz'altro che dall'esperienza, dalle circostanze -esteriori ed intime tra le quali la sua vita si svolse nascesse la -sua filosofia, che valore avrebbe essa avuto? Si sarebbe ridotta a -un giudizio particolare, a un'opinione personale, a un'impressione -fortuita: nessuno le avrebbe dato credito. Se egli voleva — e per la -legge dell'amor proprio doveva volere — che fosse appresa come una cosa -seria, come un'espressione della verità, doveva necessariamente negarne -le cause reali ed affermarne soltanto l'origine razionale. Anche -concedendo, come fece a proposito di Bruto, che la disperazione può -dipendere dalle calamità, egli doveva presumere che l'ispirazione della -calamità “ha forza di rivelare all'animo nostro quasi un'altra terra, e -persuaderlo vivamente di cose tali, che bisogna poi lungo tempo a fare -che la ragione le trovi da sè medesima„; e che l'effetto della calamità -“si rassomiglia al furore dei poeti lirici, che d'un'occhiata scuoprono -tanto paese quanto non ne sanno scoprire i filosofi nel tratto di -molti secoli.„ E poi: non è una cosa sciagurata che il pensiero umano, -che questo nostro giudizio del quale siamo tanto superbi, pel quale -ci siamo collocati sul vertice della vita, sia così rigorosamente -determinato da cause sulle quali nulla possiamo, sia quasi come un -frutto a formare il quale hanno contribuito la specie della pianta, -la natura del terreno e l'ordine delle meteore? Non è doloroso, non è -male che la nostra mente non possa operare libera e sola, che il nostro -giudizio non sia indipendente e sovrano? Il Leopardi intende questa -necessità, e se talvolta la nega, la negazione non è altro che una -forma di ribellione. - -Nè, da un'altra parte, il suo pensiero fu realmente tutto determinato -dai soli casi della sua vita, dalle “circostanze materiali„ dalle -“sofferenze particolari„ dalle “malattie.„ Noi possiamo trovare -nelle storie esempii di vite più infelici ancora di quella del -Recanatese, senza che per questo i disgraziati abbiano tutto negato; -ne troveremo molti che si sono contentati, che si sono confortati; -qualcuno anche che ha riso d'un riso schietto. Ma l'esperienza del -dolore è acquistata, nel Leopardi, da uno spirito inquieto la cui -inquietudine è cresciuta per effetto dell'educazione. Già vedemmo che -il colore del tempo nel quale egli visse fu grigio. Nel suo dolore -e nel suo pessimismo sono pertanto da distinguere due gradi, ed egli -stesso li distingue. Quando dice che vive “malinconico, solitario e -tristo„, quando scrive: “Non so perchè, ma mi trovo in una malinconia -che cresce ogni giorno„; quando loda la noia e i “dolci affanni„, -quando narra che aver pianto a Roma sulla tomba del Tasso è l'unico -“_piacere_„ che abbia gustato nella città eterna; quando compone il -_Passero solitario_, _L'Infinito_, _La sera del dì di festa_, _Alla -Luna_, _Consalvo_, le poesie idilliache, elegiache, dove la tristezza -è composta, dove il dolore è indefinito, egli è un romantico come -tutti gli altri. I disinganni inevitabili ai troppo immaginosi, le -ferite inevitabili ai troppo sensibili, l'esperienza di alcuni dolori -reali, gli avrebbero fatto esprimere quella malinconia diffusa, quasi -grata, quasi soddisfatta di sè stessa, che i poeti e i novellieri e i -filosofi del suo tempo espressero concordemente. Egli sa che c'è, ed ha -realmente provata la malinconia dolce e grata; ma perchè i suoi dolori -non ebbero limite, perchè lo perseguitarono sino alla morte, perchè -egli non potè godere, questo sentimento che è come “un crepuscolo„ -dà luogo alla malinconia “nera e solida„ che è “notte fittissima e -orribile.„ Guardate il dolente Chateaubriand: non ebbe egli i suoi -piaceri, le sue fortune, i suoi trionfi? Il suo pessimismo è pertanto -temperato. Un giorno egli scrive: “Ne désirons point survivre à nos -cendres, mourons tout entiers de peur de souffrir ailleurs. Cette -vie-ci doit corriger de la manie d'être.„ Non è la stessa idea che -informa tanta parte degli scritti del Leopardi? Ma lo Chateaubriand, -se arriva a concepirla, non la svolge, non la estende, non la sostiene, -non ne fa un articolo della sua fede; non la mette neppure in un libro, -l'annota in un manoscritto pubblicato dopo la sua morte; fate che, dopo -averla concepita, le sventure d'ogni sorta lo perseguitino ogni giorno -e lo schiaccino: egli vi tornerà sopra, la svilupperà, l'affermerà — -come ha fatto Giacomo Leopardi. Noi già notammo che questi non stima -sempre bella e buona la morte: perchè dunque la giudica “atra„, perchè -la chiama “abisso orrido, immenso?„ Perchè si duole che la vecchiezza e -la morte abbiano principio fin da quando - - il labbro infante - Preme il tenero sen che vita instilla, - -e non si possano emendare dalla - - Nonadecima età più che potesse - La decima o la nona, e non potranno - Più di questa giammai l'età future? - -Se egli fosse costantemente persuaso che la morte è un bene, il solo -bene, si dorrebbe così? Se si duole, ciò è perchè non sempre il suo -pensiero è tutto ottenebrato: vi sono momenti durante i quali egli -pensa che la morte è un male, il peggiore, con la vecchiezza che menoma -le potenze vitali delle creature; e pertanto che la vita è un bene -vero; che la vita dei giovani, calda, operosa, feconda, dischiusa a -tutte le impressioni della natura, confusa nel gran torrente della -vita universale, è il bene sommo, il miracolo dell'universo. E non -solo il rigore spaventoso del suo destino gli vieta di fermarsi in -questi concetti perchè brutalmente interrompe le sue tregue; non solo -l'esempio di tanti dolenti lo conferma nella sua tristezza; ma la -stessa disposizione della sua mente lo conduce alla negazione assoluta. -Forse, attenuate le sue disgrazie, il suo pessimismo non si sarebbe -attenuato in proporzione. Avendo cominciato a considerare la miseria -del mondo e la vanità delle cose, egli sarebbe arrivato, con minore -esperienza del dolore, a conclusioni non molto diverse. Per l'acutezza -della sua sensibilità egli doveva naturalmente esprimere un giudizio -disperato ad ogni impressione dolorosa; ma egli non era soltanto -sensibile, era anche riflessivo. Noi trovammo in lui un potente spirito -filosofico, l'attitudine, l'abitudine, il bisogno di procedere dal -noto all'ignoto, dal particolare al generale, dal fatto alla legge. -Una mente così logica non poteva credere che il dolore del quale egli -era vittima fosse un'eccezione, una rarità, una cosa tutta fortuita; -se l'uomo, se il poeta gli si ribellavano — come si ribellarono tante -volte — il filosofo doveva vedervi un fatto naturale, necessario; -e del fatto accertato doveva indagare la cagione, e trovarla in una -legge. Il filosofo, vedendo l'uomo penare, doveva guardarsi attorno -per considerare se queste pene fossero realmente singolari, se agli -altri uomini fossero proprio sconosciute; e osservando la vita e -leggendo le storie doveva scoprire che, esacerbato in lui, il dolore -è retaggio di ogni uomo. Egli udì i lamenti esalare dagli oppressi -petti dei suoi simili, in ogni tempo, in ogni luogo. Intorno a lui -egli trovò altrettanti fratelli in tutti i romantici. Classico, seppe -che gli antichi erano assuefatti a credere “che le cose fossero cose -e non ombre„ e la felicità “possibilissima a conseguire, anzi propria -dell'uomo.„ Ma se la visione della vita e del mondo fu un tempo -generalmente luminosa e serena, non per questo mancò l'esperienza -del dolore. Anche gli antichi sentirono quel che c'è d'incompiuto, -di manchevole, d'incerto nel destino umano, e conobbero l'enormità -del fato che ci sovrasta, e non furono esenti dalle lacrime; così il -Leopardi discoprì nella invidiata serenità dell'ideale pagano le ombre -che la velano; e discopertele affermò l'universalità del dolore. - -Ecco: “il saggio Chirone, che era dio, coll'andar del tempo si annoiò -della vita, pigliò licenza da Giove di poter morire, e morì.... -Or pensa, se l'immortalità incresce agli Dei, che farebbe agli -uomini.... Gl'Iperborei, popolo incognito, ma famoso; ai quali non -si può penetrare, nè per terra nè per acqua; ricchi d'ogni bene; e -specialmente di bellissimi asini, dei quali sogliono fare ecatombe; -potendo, se io non m'inganno, essere immortali, perchè non hanno -infermità nè fatiche nè guerre nè discordie nè carestie nè vizi nè -colpe, contuttociò muoion tutti: perchè, in capo a mille anni di vita, -o circa, sazi della terra, saltano spontaneamente da una certa rupe in -mare, e vi si annegano.„ Ancora: “Bitone e Cleobi fratelli, un giorno -di festa, che non erano in pronto le mule, essendo sottentrati al carro -della madre, sacerdotessa di Giunone, e condottala al tempio; quella -supplicò la dea che rimunerasse la pietà de' figliuoli col maggior bene -che possa cadere negli uomini. Giunone, invece di farli immortali, -come avrebbe potuto, e allora si costumava; fece che l'uno e l'altro -pian piano se ne morirono in quella medesima ora. Il simile toccò ad -Agamede e a Trofonio. Finito il tempio di Delfo, fecero istanza ad -Apollo che li pagasse: il quale rispose volerli soddisfare fra sette -giorni; in questo mezzo attendessero a far gozzoviglia a loro spese. -La settima notte mandò loro un dolce sonno, dal quale ancora s'hanno -a svegliare; e avuta questa, non dimandarono altra paga....„ Se favole -simili dimostrano che la morte non è un male, ma il premio più insigne; -hanno i filosofi antichi espresso molta fede nella vita? Seneca “non -trova contro al timore altro rimedio più valevole della considerazione -che ogni cosa è da temere.„ Il consiglio di Senofonte significa che -il godimento dei beni è poco grato se manca la speranza di maggiori -beni futuri: “consiglia che avendosi a comperare un terreno, si compri -di quelli che sono male coltivati; perchè, dice, un terreno che non è -per darti più frutto di quello che dà, non ti rallegra tanto, quanto -farebbe se tu lo vedessi andare di bene in meglio....„ Ma questa -aspettazione dei beni, questa ricerca della felicità, come è oggi -causa dei più amari disinganni, così era giudicata anticamente: secondo -Bione boristenite “i più travagliati di tutti sono quelli che cercano -le maggiori felicità.„ Bruto giudicò la virtù “una parola nuda„, -Teofrasto negò la gloria e disse che la morte sopravviene non appena -l'uomo comincia a vivere; gli stoici insegnarono che per ottenere la -felicità non c'è altra via che rinunziarla; Virgilio “contro l'uso -dei Romani antichi, e massimamente di quelli d'ingegno grande, si -professa desideroso della vita oscura e solitaria; e questo in una -cotal guisa, che si può comprendere che egli vi è sforzato dalla sua -natura, anzi che inclinato; e che l'ama più come rimedio o rifugio, -che come bene.„ Ma come enumerare tutti gli antichi dolenti? Tristano, -vedendo rifiutata da tutti la sua filosofia dolorosa, crederà che sia -di sua propria invenzione: “ma poi, ripensando, mi ricordai ch'ella era -tanto nuova, quanto Salomone e quanto Omero, e i poeti e i filosofi -più antichi che si conoscano; i quali tutti sono pieni pienissimi -di figure, di favole, di sentenze significanti l'estrema infelicità -umana; e chi di loro dice che il meglio è non nascere, e per chi è -nato, morire in cuna; altri, che uno che sia caro agli Dei, muore -in giovinezza; ed altri altre cose infinite su questo andare.„ E se -Porfirio pensa di uccidersi, non trova forse antichi esempi di uomini -che vollero morire “per tedio solamente, e per sazietà dello stato -proprio.... quali erano coloro che udito Egesia, filosofo cirenaico, -recitare quelle sue lezioni sulla miseria della vita; uscendo dalla -scuola andavano e si uccidevano; onde esso Egesia fu detto per -soprannome _il persuasor di morire_?...„ - -Certamente gli antichi lodarono anche moltissimo la vita; come la -lodano anche i moderni: ad ora ad ora il pianto cessa, gli occhi -brillano, i canti di gioia riecheggiano; ma che cosa concludere? -Che vi sono due leggi, una del dolore, un'altra del piacere? Le -leggi particolari sono molte; ma dev'essercene pure una generale, -universale, la legge delle leggi, la chiave del mistero. L'appetito -di scienza che è in Leopardi filosofo non resta appagato se dalle -leggi particolari egli non assorge all'ultima, o alla prima, all'unica -certamente dalla quale tutte le altre dipendono. Ma questa verità -fondamentale nessun uomo l'ha scoperta, nessun uomo la può scoprire; -guardate: se uno s'affanna troppo a cercarla, la scienza moderna -lo chiama pazzo, lo giudica affetto da follia metafisica!... Tale -è veramente la condizione dell'intelletto umano: che esso, o deve -rinunziare a comprendere tutta quanta la verità, o deve appagarsi -di una verità non tutta vera. Il Leopardi passa dalla considerazione -del proprio dolore a quello degli altri uomini, dei vivi e dei morti; -logicamente collega tutti i fatti che lo dimostrano; da filosofo segue -“indefessamente con l'occhio dell'intelletto un ordine di verità -connesse tra loro a mano a mano„, ed arriva alla legge del dolore -universale, necessario, eterno, infinito, inconsolabile. Ma egli pur -sente d'avere esagerato. La sua teoria non è equa, come non sono state -eque tutte le altre d'invenzione umana; ed egli stesso implicitamente -lo riconosce. Filippo Ottonieri “stimava che una buona parte degli -uomini, antichi e moderni, che sono riputati grandi o straordinari, -conseguirono questa riputazione in virtù principalmente dell'eccesso -di qualche loro qualità sopra le altre. E che uno in cui le qualità -dello spirito sieno bilanciate e proporzionate fra loro; se bene elle -fossero o straordinarie o grandi oltre modo, possa con difficoltà far -cose degne dell'uno o dell'altro titolo, ed apparire ai presenti o -ai futuri nè grande nè straordinario.„ Un uomo veramente, esattamente -equilibrato, che volesse e sapesse tenere conto preciso di tutto, non -solo non farebbe cose grandi o straordinarie, ma non ne farebbe neppur -piccole, non farebbe niente. Tutti i nostri giudizii sono parziali, -partigiani, appassionati, monchi; ma chi si spaventasse di questa -necessità dovrebbe continuamente tacere. Poichè il silenzio continuo -e la rinunzia totale sono impossibili in qualunque uomo, e più che -impossibili, assurdi in un ingegno, in un genio come Giacomo Leopardi, -questi formulerà postulati dei quali, mentre l'amor proprio vuole -che si riconosca l'esattezza, la ragione denunzia inconsapevolmente -l'esagerazione, perciò la falsità. Tutte le volte — e come vedemmo -non sono poche — che egli riconosce il nesso tra la sua vita e la -sua filosofia, non viene a dire, indirettamente, che la sua filosofia -sarebbe diversa se egli avesse avuto un altro destino? E questo nesso -che c'è in lui, non c'è in ogni uomo? Quindi tutte le filosofie -non sono relative e, per qualche lato, false? Egli che ha fatto -tante distinzioni tra uomini ed uomini e che si è tanto lagnato del -proprio destino, afferma pure “questa massima riconosciuta da tutti i -filosofi, la quale ti potrà consolare in molte occorrenze; ed è che la -felicità e l'infelicità di ciascun uomo (esclusi i dolori del corpo) è -assolutamente eguale a quella di ciascun altro, in qualunque condizione -o situazione si trovi questo o quello. E perciò, esattamente parlando, -tanto gode e tanto pena il povero, il vecchio, il debole, il brutto, -l'ignorante, quanto il ricco, il giovane, il forte, il bello, il dotto: -perchè ciascuno nel suo stato si fabbrica i suoi beni e i suoi mali; -e la somma dei beni e dei mali che ciascun uomo si può fabbricare è -uguale a quella che si fabbrica qualunque altro.„ Ma, come abbiamo -visto che lo Chateaubriand non mette nelle sue opere la sentenza -disperatissima sulla necessità della morte totale senza speranza di -vita futura, così il Leopardi non sviluppa nei suoi scritti il più equo -e consolante giudizio: lo esprime soltanto in una lettera alla sorella. -Una critica meschina ed arrogante ardisce cogliere in fallo queste -grandi anime, e presume di veder meglio di loro e più a dentro. Esse -vedono e sanno tutto; ma naturalmente tutti i concetti non sono e non -possono essere concordi; e fra i moltissimi bisogna pure scegliere. Il -Leopardi ha visto prima che i suoi censori quel che si può e si deve -dire contro la sua filosofia disperata; leggete il suo epistolario: -vedrete che egli vi appare meno pessimista che non nelle opere. Certo -l'esagerazione è biasimevole; ma non è altrettanto necessaria? Ecco: -per il suo bisogno di risolvere i formidabili enimmi della vita e della -morte lo hanno giudicato infermo di follia metafisica; se egli avesse -temperato il suo pessimismo, se avesse dato forza agli argomenti con -i quali sente di poterlo combattere, avrebbero provato che in lui c'è -anche la follia del dubbio. - -Per fortuna questa accusa almeno non gli può esser mossa. Non ostante -le contraddizioni inevitabili, egli non dubita. È un appassionato, -un operoso ridotto contro sua voglia a discutere, ma inconsolabile -per essersi dovuto restringere ai semplici ragionamenti; tutta la -forza della sua volontà è concentrata nella sua fede — negativa, -ma incrollabile. Nel negare, egli mette lo slancio mistico dei suoi -pii antenati. Non che dubitare della sua credenza al rovescio, egli -l'afferma vivacemente, e sdegnosamente protesta contro chi ne vuol -scemare il valore, riducendola a un effetto dei suoi dolori. E non -ha torto: la sua filosofia, se è derivata dall'esperienza, è anche -scaturita dalla ragione. Ma un pessimismo soltanto filosofico e -speculativo interesserebbe i pensatori, lasciando freddi tutti gli -altri. Il pessimismo del Leopardi non è freddo, perchè il filosofo è -accompagnato in lui dal poeta; e non è falso, perchè la speculazione è -accompagnata dall'esperienza. Il filosofo che nega è anche un uomo che -soffre. Perciò egli fu, è e sarà sempre creduto. - -Egli fu, è e sarà sempre ammirato perchè ha saputo definire tutti gli -aspetti del dolore umano con una forma che eccita il più grande, il -più puro, il più raro piacere. — Questo pessimismo suo, quantunque -sembri totale e insanabile, ammette un temperamento ed offre un -conforto. Egli preferisce la morte alla vita; ma la morte non consola -la vita, la distrugge: la consolazione è nell'Arte. Per quella stessa -ragione che la gioventù e l'amore sono le sole cose delle quali egli -si loderebbe, l'arte è la sua consolazione. Amore e gioventù vivono di -amene illusioni, che la vita pur troppo distrugge: l'arte crea tutto -un mondo ideale contro il quale la realtà non può nulla: in mezzo -alle peggiori disgrazie, tra i disinganni più atroci, l'artista può -rifugiarvisi. Ed egli vi si rifugia. La sua gioventù è finita prima -di cominciare; nessuna donna lo ha amato; i mali lo assediano; ma il -suo pensiero vive ed opera ad ora ad ora, e l'arte gli concede tutte -le sue grazie. Essa è per lui divina. Giudicata “inevitabile„ l'umana -infelicità, egli trova un conforto negli “studi del bello.„ Se la vita -degli uomini è tutto un ozio perchè tutto è vanità, l'arte, che pare -esercitarsi intorno a cose vane, è invece la sola attività utile, -perchè essa sola compensa la tristezza della realtà con la letizia -delle fantasie. Questo è un invertimento del giudizio comune: che -importa, se l'infelice ottiene per esso un sollievo e si riconcilia con -la vita e quasi benedice quella natura che aveva già maledetta? - - - FINE. - - - - - INDICE - - - PARTE PRIMA. - L'UOMO. - - _L'indole:_ I. Il sentimento poetico Pag. 1 - II. Lo spirito filosofico 11 - - _L'educazione:_ Classicismo e romanticismo 23 - - _L'esperienza:_ I. La salute 52 - II. L'amore 65 - III. La famiglia 94 - IV. La patria 152 - V. La gloria 177 - - PARTE SECONDA. - IL PENSIERO. - - _Il pessimismo:_ I. L'illusione 193 - II. La misantropia 212 - III. Lo scetticismo 224 - IV. La morte 237 - - _L'ironia_ 245 - - EPILOGO 278 - - - - - OPERE DI FEDERICO DE ROBERTO - (Edizioni Treves). - - _Le donne, i cavalier'_.... Edizione di lusso, in-8, - illustrata da 100 incisioni L. 12 — - _I Vicerè_, romanzo. 2 vol. 10 — - _Una pagina della storia dell'amore_ 3 50 - _L'illusione_, romanzo 3 50 - _La sorte_, novelle 3 50 - _La messa di nozze_, romanzo 5 — - _L'albero della scienza_, novelle 4 — - _Al rombo del cannone_ 5 — - _All'ombra dell'olivo_ 6 — - _Ironie_, novelle 4 — - _Leopardi_ 7 — - - - - - -Nota del Trascrittore - -Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo -senza annotazione minimi errori tipografici. - - - - - -End of the Project Gutenberg EBook of Leopardi, by Federico De Roberto - -*** END OF THIS PROJECT GUTENBERG EBOOK LEOPARDI *** - -***** This file should be named 53223-0.txt or 53223-0.zip ***** -This and all associated files of various formats will be found in: - http://www.gutenberg.org/5/3/2/2/53223/ - -Produced by Carlo Traverso, Barbara Magni and the Online -Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net (This -file was produced from images generously made available -by The Internet Archive) - - -Updated editions will replace the previous one--the old editions will -be renamed. - -Creating the works from print editions not protected by U.S. copyright -law means that no one owns a United States copyright in these works, -so the Foundation (and you!) can copy and distribute it in the United -States without permission and without paying copyright -royalties. 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Redistribution is subject to the -trademark license, especially commercial redistribution. - -START: FULL LICENSE - -THE FULL PROJECT GUTENBERG LICENSE -PLEASE READ THIS BEFORE YOU DISTRIBUTE OR USE THIS WORK - -To protect the Project Gutenberg-tm mission of promoting the free -distribution of electronic works, by using or distributing this work -(or any other work associated in any way with the phrase "Project -Gutenberg"), you agree to comply with all the terms of the Full -Project Gutenberg-tm License available with this file or online at -www.gutenberg.org/license. - -Section 1. General Terms of Use and Redistributing Project -Gutenberg-tm electronic works - -1.A. By reading or using any part of this Project Gutenberg-tm -electronic work, you indicate that you have read, understand, agree to -and accept all the terms of this license and intellectual property -(trademark/copyright) agreement. 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Email contact links and up to -date contact information can be found at the Foundation's web site and -official page at www.gutenberg.org/contact - -For additional contact information: - - Dr. Gregory B. Newby - Chief Executive and Director - gbnewby@pglaf.org - -Section 4. Information about Donations to the Project Gutenberg -Literary Archive Foundation - -Project Gutenberg-tm depends upon and cannot survive without wide -spread public support and donations to carry out its mission of -increasing the number of public domain and licensed works that can be -freely distributed in machine readable form accessible by the widest -array of equipment including outdated equipment. Many small donations -($1 to $5,000) are particularly important to maintaining tax exempt -status with the IRS. - -The Foundation is committed to complying with the laws regulating -charities and charitable donations in all 50 states of the United -States. 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You may copy it, give it away or re-use it under the terms of -the Project Gutenberg License included with this eBook or online at -www.gutenberg.org. If you are not located in the United States, you'll have -to check the laws of the country where you are located before using this ebook. - - - -Title: Leopardi - -Author: Federico De Roberto - -Release Date: October 6, 2016 [EBook #53223] - -Language: Italian - -Character set encoding: UTF-8 - -*** START OF THIS PROJECT GUTENBERG EBOOK LEOPARDI *** - - - - -Produced by Carlo Traverso, Barbara Magni and the Online -Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net (This -file was produced from images generously made available -by The Internet Archive) - - - - - - -</pre> - - -<div class="booktitle"> -<h1> -LEOPARDI. -</h1> -</div> - -<hr class="silver" /> - -<div class="titlepage"> -<p class="large"> -F. DE ROBERTO -</p> - -<p class="pad2 main-t"> -LEOPARDI -</p> - -<p class="pad2 large"> -NUOVA EDIZIONE</p> - -<p> -con un avvertimento dell'autore<br /> -e il fac-simile di una lettera di</p> - -<p class="large"> -GIOSUE CARDUCCI -</p> - -<p class="pad6"> -MILANO<br /> -<span class="smcap">Fratelli Treves, Editori</span><br /> -<span class="small">1921.</span> -</p> - -</div> - -<div class="verso"> -<hr class="mid" /> -<p> -PROPRIETÀ LETTERARIA. -</p> - -<p> -<i>I diritti di riproduzione e di traduzione sono riservati -per tutti i paesi, compresi la Svezia, la Norvegia e l'Olanda,</i> -</p> - -<p> -Si riterrà contraffatto qualunque esemplare di quest'opera che -non porti il timbro a secco della Società Italiana degli Autori. -</p> - -<p> -Milano, Tip. Treves. -</p> -<hr class="mid" /> -</div> - -<div class="somm"> -<hr /> -<p class="center x-large"><a href="#indice" id="indfront">INDICE</a></p> -<hr /> -</div> - -<div class="chapter"> -<h2 id="avvertimento">AVVERTIMENTO.</h2> -</div> - -<p> -<i>Il presente libriccino fu composto prima della ricorrenza -del Centenario leopardiano e vide la luce durante -quella memorabile celebrazione, cioè mentre l'immensa -miniera dello <span class="upright">Zibaldone</span>, per mezzo secolo rimasta -ignorata o inaccessibile, si veniva appena schiudendo. -Dopo che fu tutta aperta ed in ogni senso percorsa, -l'autore di questo breve studio credette suo debito tener -conto dei nuovi preziosissimi materiali per una futura -nuova edizione del suo lavoretto, e si accinse infatti all'opera; -sennonchè fu ben presto costretto a riconoscere -che per giovarsi quanto era necessario dei sette volumi -dei <span class="upright">Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura</span> -non bastava ritoccare le pagine che egli aveva scritte, -ma bisognava rifarsi dal primo principio e comporre -un altro libro, se non di diverso disegno, certamente -di più largo respiro.</i> -</p> - -<p> -<i>Poichè non gli è finora riuscito di portarlo a compimento, -e propriamente dispera che gli riesca mai -più, egli non ha saputo che cosa fare del suo primo -saggio: se lasciarlo, cioè, esaurito, come è da tanto -tempo, o ripubblicarlo tale e quale. A questo secondo -consiglio si apprende oggi, confortato dal giudizio del -quale volle onorarlo, ventitrè anni addietro, il Maestro -dei maestri. La lettera di Giosue Carducci qui riprodotta -sarà la migliore giustificazione della presente ristampa, -come fu ed è il massimo premio che l'autore -potesse mai ripromettersi.</i> -</p> - -<p class="indl"> -28 giugno 1921. -</p> - -<hr class="silver" /> - -<div class="figcenter"><a href="images/carducci.jpg" id="fcarducci"> - <img src="images/carducci.jpg" alt="Lettera di Giosue Carducci." /></a> -</div> - -<div class="blockquote"> -<p class="indr"> -Bol. 18 l. 1898 -</p> - -<p class="indl"> -Caro signore, -</p> - -<p> -Grazie del libro. Mi pare una -enciclopedia del pensiero -e del sentimento leopardiano -di fonte, condotta con -metodo esatto e fedele, -molto buona e utile. -</p> - -<p> -Può addomesticare, -e lo spero e l'auguro, -la gente, sempre e -per lo più grossolana -e pregiudicata e -declamatrice, alla -cognizione della imagine -del poeta e pensatore. -</p> - -<p class="indl"> -La saluto. -</p> - -<p class="indr"> -Giosue Carducci -</p> - -<hr class="silver" /> -</div> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_1">[1]</span></p> - -<h2 id="indole">L'INDOLE</h2> -</div> - -<h3 id="sentimento">I. -<span class="smaller">IL SENTIMENTO POETICO.</span></h3> - -<p> -Fanciullo di otto anni, per divertire i suoi -fratellini, Giacomo Leopardi inventava fiabe e -novelle, alcune delle quali duravano più giorni -come romanzi; una specialmente, piena di -strane e fantastiche avventure improvvisate -secondo che l'azione si veniva svolgendo, durò -più settimane. I personaggi erano però tolti -dal vero: il conte Monaldo suo padre si chiamava -Asmodante, Lelio il fratello Carlo, il -brillante eroe Filzero era lo stesso narratore. -Egli sapeva trasfondere tanta vita in questi -tipi, che tre quarti di secolo più tardi il conte -Carlo, udendo qualche tratto di spirito, esclamava: -“Questa è <i>filzerica!</i>....„ A dieci anni, -Giacomo cominciò a comporre i suoi primi -libri. Nel 1810, a dodici anni, scrisse al padre -scusandosi di non potergli nulla offrire in -occasione delle feste: “Crescendo l'età crebbe -<span class="pagenum" id="Page_2">[2]</span> -l'audacia, ma non crebbe il tempo dell'applicazione. -Ardii intraprendere opere più vaste, -ma il breve spazio, che mi è dato di occupare -nello studio, fece che laddove altra volta -compiva i miei libercoli nella estensione di un -mese, ora per condurli a termine ho d'uopo -di anni.„ Le sue composizioni di quel tempo -sono tragedie, poemetti, cantiche sacre e profane: -il <i>Pompeo in Egitto</i>, il <i>Catone in Africa</i>, -le <i>Notti puniche</i>, il <i>Balaamo</i>. -</p> - -<p> -Questo ingegno straordinariamente precoce -comincia dunque a dar prova di fervida immaginazione. -Il giovanetto ben presto si dà -tutto agli studi severi delle lingue e delle -letterature antiche; sembra allora che questa -sua dote debba restare inutile, che questo -lume interiore debba spegnersi: in luogo d'inventare -egli traduce; in luogo d'esprimere -idee proprie, ricerca, raccoglie, discute quelle -degli altri. Tuttavia, quando pare che la sua -facoltà immaginativa sia isterilita sotto la polvere -dei vecchi libri, fra le grammatiche, fra -i dizionarii greci ed ebraici, dà ancora prova -di forza. Il Creuzer trova nel suo lavoro sul -Porfirio “plus d'effervescence juvénile et d'imagination -que de maturité d'esprit.„ Studiando -filologia, trattando di ingrate quistioni -etimologiche, egli segue una “ispirazione indovinatoria„ -e “quella certezza intima che -per quanto non si possa trasfondere facilmente -in altri, con tutto questo è fortissima -<span class="pagenum" id="Page_3">[3]</span> -e nasce da una gagliarda apprensione di certe -probabilità, la quale ci farebbe giurare che la -cosa sta così, nonostante che non se ne possa -portare alcuna prova irrepugnabile.„ Nell'immenso -cimitero dell'antichità egli rimescola le -ceneri dei grandi morti, interroga le lapidi, -decifra i nomi; ma quante volte lo stesso nome -è cancellato! Tra il cielo della gloria e le profondità -dell'oblio sembra che vi sia un luogo -dubbio come il limbo cristiano: chi furono Elio -Aristide, Dione, Crisostomo, Cornelio, Frontone? -Nulla, quasi nulla si conosce della -loro vita; il loro pensiero è perito, è disperso. -Ed ecco l'erudito adolescente attendere, con -le poche e incerte notizie che i suoi libri glie -ne danno, a ricostruire la loro vita, a rifare -le loro opere. La sola idea d'un simile lavoro -non prova il fervore d'una immaginazione che, -per poco costretta nell'aridità degli studi filologici -e storici, troverà più tardi altri campi -dove spaziare? Fantasia ed erudizione si danno -ancora meglio la mano quando, “innamorato -della poesia greca„, egli tenta un'impresa simile -a quella di Michelangelo, “che sotterrò -il suo Cupido, e a chi dissotterrato lo credeva -d'antico portò il braccio mancante„: -grazie alla sua scienza dell'antichità ellenica -compone un <i>Inno a Nettuno</i> che finge d'aver -tradotto dal greco, e che greco fu veramente -stimato; ma l'opera sua è originale, è dovuta -alla nativa facoltà creatrice, ravvivatrice, animatrice. -<span class="pagenum" id="Page_4">[4]</span> -Simonide celebrò il successo delle -Termopili, e il suo canto andò perduto: il -Leopardi, commiserando il destino di quegli -Italiani che morivano in guerra per una causa -non propria, ricorda i Trecento caduti sul colle -d'Antelo e procura “rappresentarsi alla mente -le disposizioni dell'animo del loro poeta in quel -tempo„, e così rifarne il canto. Dalle sue -stesse parole noi vediamo di che specie sia la -facoltà immaginativa dello scrittore. Essa non -si esercita tanto sulle cose quanto intorno ai -sentimenti, non gli suggerisce tanto forme -quanto idee. Per questo suo speciale carattere -si può antivedere che l'immaginazione del -Leopardi sarà associata con la facoltà di pensare -e di riflettere; ma essa naturalmente dipende -da quella di sentire e di commuoversi. -Come mai il fanciullo sarebbe capace di creare -tanti tipi e d'inventare così belle favole, se le -figure e gli atti delle persone reali non avessero -lasciato profonde impressioni dentro di -lui? Come mai il giovanetto darebbe vita a -tanti eroi, a tanti fantasmi, se egli stesso non -vivesse intensamente? -</p> - -<p> -La sensibilità del Leopardi è infatti grande -e precoce quanto la sua immaginazione: bambino -di quattro anni e mezzo, dinanzi al cadavere -di un fratellino scoppia in un pianto -così dirotto che il padre ne è maravigliato -ed esprime questa maraviglia in un suo Diario. -Misurare la capacità degli organi dei sensi -<span class="pagenum" id="Page_5">[5]</span> -di un morto, sulla fede dei suoi scritti, contando -gli aggettivi da lui adoperati, interpretando -il valore delle sue espressioni, è -malagevole tanto, che gli scienziati i quali -hanno tentato questo lavoro intorno al Leopardi -non sono venuti a conclusioni concordi. -Certo è che lo sviluppo fisico e morale del -Recanatese fu anticipato di quattro o cinque -anni e che la sua salute si rovinò irreparabilmente. -Narreremo più tardi la storia dei -suoi mali; questo è il luogo di notarne il principale: -un disordine nervoso, una irritabilità -sensoria, una disposizione a risentire intensamente, -fino allo spasimo, tutte le impressioni -del mondo esterno. Le impressioni grate -sono in lui più forti che negli altri uomini; -ma le dolorose sono più forti e più frequenti: -sono continue. I suoi occhi non possono sostenere -la luce del sole e spesso neppur quella -delle candele; il suo udito è letteralmente ferito -dai rumori; la sua cute non resiste nè -al freddo nè al caldo. Moralmente noi troviamo -in lui la stessa esagerazione. Egli si commuove -al sorriso dei campi, al canto degli uccelli, -al raggio della luna; una sera “prima -di coricarmi, aperta la finestra della mia stanza, -e vedendo un cielo puro, un bel raggio di luna, -e sentendo un'aria tepida e certi cani che abbaiavano -da lontano, mi si svegliarono alcune -immagini antiche, e mi parve di sentire un -moto nel cuore, onde mi posi a gridare come -<span class="pagenum" id="Page_6">[6]</span> -un forsennato....„ Nel commercio degli uomini -le cerimonie sono per lui “sciagurate„ perchè -“ci tolgono e difficultano una delle massime -consolazioni che ci sieno concesse in questa -misera vita, voglio dire quella del manifestarsi -e diffondersi i cuori sensitivi gli uni -negli altri.„ Tutto quello che impedisce l'espressione -vera del cuore gli riesce odioso: -egli ha sempre avuto ed avrà sempre bisogno -“della comunicazione del cuore e dei sentimenti.„ -Nulla al mondo è per lui desiderabile -“se non i diletti del cuore e la contemplazione -della bellezza.„ Alla bellezza poetica -è sensibile in modo che i parenti, per richiamare -la sua attenzione quando lo vedono assorto, -usano citare ad alta voce qualche verso -di Virgilio, d'Orazio, del Petrarca: allora -egli si scuote e si desta. La viva ed animata -bellezza è a lui fonte “inenarrabile„ di pensieri -e sentimenti “eccelsi ed immensi„, e -segno e sicura speranza “di fati sovrumani, -di fortunati regni ed aurei mondi.„ La bellezza -di Aspasia gli appare qual “raggio -divino„: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i09"> simile effetto</p> -<p class="i01">Fan la bellezza e i musicali accordi</p> -<p class="i01">Ch'alto mistero d'ignorati Elisi</p> -<p class="i01">Paion sovente rivelar.</p> -</div></div> - -<p> -E se i rumori lo feriscono, la musica è una -delle sue grandi passioni, “e dev'esserlo di -tutte le anime capaci d'entusiasmo.„ Egli -<span class="pagenum" id="Page_7">[7]</span> -grida al fratello: “Ho bisogno d'amore, amore, -amore, fuoco, entusiasmo, vita.„ E quando -la sorella gli scrive con la sua “consueta -sensibilità„, egli ne resta consolato in più modi: -“perchè mostri di volermi tanto bene, perchè -mi persuadi che la sensibilità si trova al mondo, -perchè risvegli la mia non verso te in particolare, -ma verso tutto l'universo„. L'amor -fraterno è in lui un “amor di sogno„; pensando -al fratello suo spesso egli piange di -tenerezza. Vedremo più tardi altre prove della -forza di questo suo sentimento; vedremo ancora -sino a qual grado saliranno in lui i sentimenti -dell'amore e dell'amor proprio e dell'amor -patrio: osserviamo per ora qualche altro -segno della sua acuta sensibilità morale. -La sua corrispondenza epistolare col Giordani -pare quella d'un innamorato. Aspettando la visita -dell'amico, egli crede che resterà qualche -giorno senza dirgli niente, “per non sapere da -che cominciare. Non sarà poco se vi darò spazio -di mangiare e di dormire.„ E visto che -l'avrà, potrà dire “che non tutti quei desideri -più focosi ch'io ho sentito in mia vita -sono stati vani.„ Dovendo immaginare qualche -cosa di sua grande allegrezza, non crede -che ne proverebbe una maggiore di quella che -il diletto amico gli reca dandogli buone notizie -della sua salute. E se manca di sue notizie -cade in una “ansietà spaventosa„ e scrive -al Mai una lettera piena d'angoscia. Rivolgendosi -<span class="pagenum" id="Page_8">[8]</span> -direttamente al pigro corrispondente, -gli dice: “Ho pensato di voi quelle più acerbe -cose che si possono pensare di persona più -cara che la vita propria. Ho provato strette -di cuore così dolorose, che altre tali non mi -ricordo di aver mai provato in vita mia.„ Nè -si lagna tanto del silenzio dell'amico quanto -della propria esagerazione: “di questo amor -mio che le cose più ordinarie e naturali se le -figura stranissime e miracolose„: dove noi -possiamo vedere come gli eccessi della sensibilità -determinano gli eccessi dell'immaginazione. -Questo medesimo rapporto fra i sentimenti -e le immagini troviamo espresso in un -altro luogo dove egli parla del fratello Carlo: -lasciando Recanati nel 1822 egli sa che Carlo -resta in angustie; da Roma gli scrive: “Questo -pensiero mi pungeva infinitamente quel -primo giorno ch'io ti lasciai e che io mi dipingeva -alla fantasia tutto il nero, tutto il -freddo, tutto il morto dell'abbandono in cui ti -trovavi.„ -</p> - -<p> -Sin da questo momento è da prevedere che -un uomo così fatto non sarà felice. Con tanta -esasperazione della sensibilità fisica e morale, -con tanta esorbitanza dell'immaginazione, i -suoi spasimi saranno ineffabili. Certo, anche -le sue gioie saranno più intense che non quelle -degli uomini comuni; ma i dolori saranno più -copiosi, e le stesse gioie gli riusciranno spesso -intollerabili. Guardate, per esempio: agli uomini -<span class="pagenum" id="Page_9">[9]</span> -medii la speranza suol essere una grata -consolatrice: in lui diventa “passione turbolentissima.„ -Egli non si maraviglia che la -speranza travagli “assai più della disperazione -e del dolore„ la sorella Paolina, tanto -simile a lui moralmente. Sperando con tutte -le sue forze, temendo che la cosa tanto sperata -non succeda, egli giudica che la disperazione -e lo stesso dolore sono “più sopportabili -della speranza.„ Quando gli accade -qualche cosa che non ha previsto, egli l'apprezza -esattamente; ma che cosa non prevede -un'immaginazione fervida come la sua? -Essa gli anticipa le impressioni della vita, le -eccita in lui prima che gli avvenimenti reali -si producano; e la sua sensibilità smodata si -mette a vibrare dinanzi a questi fantasmi, -dinanzi a queste vanità, come dinanzi alle -cose. Quando sopraggiungono le impressioni -reali, esse gli sembrano scialbe ed insipide. -Pertanto egli giudica scarsi il piacere e la -bellezza nel mondo, e la fantasia gli pare preferibile -alla realtà. Allora egli non trova altro -porto “che quello dei fantasmi e delle immaginazioni„, -e non solo disprezza la realtà, -ma la nega, la considera “un nulla„, ed afferma -che solo le “care illusioni„ sono cose -consistenti. Così egli ragiona al rovescio degli -uomini comuni, ed all'invertito ragionamento -corrisponde un sentimento d'orgoglio: -perchè l'anima sua, capace di creare le sole -<span class="pagenum" id="Page_10">[10]</span> -cose belle e vere, sarà diversa dalle altre, -anzi migliore di tutte: “alta, gentile e pura„. -</p> - -<p> -Basterà per il momento avere accennato a -questi danni: quantunque essi non siano lievi, -vediamo ora come altri se ne producano per -un'altra, per una nuova ragione. Poichè egli -antepone le illusioni alla realtà, non le tiene -“per mere vanità, ma per cose in certo modo -sostanziali, giacchè non sono capricci particolari -di questo e di quello, ma naturali e ingenite -essenzialmente in ciascheduno.„ Dall'osservazione -di ciò che accade in lui trae così -un'affermazione generale: e certo l'identità dell'umana -natura deve consentirci di estendere -a tutti gli uomini ciò che è proprio ad uno -di loro; ma questi uomini tanto simili sono -pure tanto diversi che non se ne trovano due -del tutto eguali; e il Leopardi non sarebbe -singolarissimo se tutti attribuissero, come egli -fa, tanta importanza alle illusioni. La capacità -di considerare il mondo reale “un nulla„ e -di preferirgli il mondo suscitato dalla fervida -fantasia ed apprezzato dall'acuta sensibilità, è -propria dei poeti: il sentimento poetico è appunto -fatto di sensibilità e di fantasia. Tali doti -portate dalla nascita fanno poeta il Leopardi; -la loro esagerazione spiega la sua parentela -con tutti gli altri poeti dolenti; ma l'indole sua -si specifica perchè egli possiede un'altra dote -eminente che col sentimento poetico d'ordinario -non s'accorda, che anzi lo contrasta. -</p> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_11">[11]</span></p> - -<h3 id="filosofico">II. -<span class="smaller">LO SPIRITO FILOSOFICO.</span></h3> -</div> - -<p> -Tra la scienza e la poesia, tra la forza dello -spirito e l'intensità del sentimento c'è d'ordinario -opposizione e contrasto: gli uomini -maggiormente impressionabili non sogliono essere -i più riflessivi. Le due capacità si trovano -tuttavia insieme unite in alcune anime -che da questa unione riconoscono la loro potenza. -</p> - -<p> -La facoltà che agguaglia i poeti e gli artisti -agli uomini di scienza è l'immaginazione. -Il Leopardi, componendo l'inno a Nettuno, ricomponendo -il canto di Simonide, eccitando -il Missirini a “render corpo e vita alle ossature -e agli scheletri dell'antico teatro greco -e romano„, fa opera simile a quella del naturalista -che da alcuni frammenti fossili ricostruisce -tutto l'ignoto essere vivente al quale -questi appartennero. La concezione dell'ipotesi -della quale lo scienziato si serve per ispiegare -i fatti osservati è simile alla concezione poetica -e romanzesca. La scienza delle scienze, -la filosofia, è ancora più vicina alla poesia che -<span class="pagenum" id="Page_12">[12]</span> -non tutte le altre. L'importanza dell'ipotesi è -senza fine maggiore in filosofia che non nelle -scienze esatte: anzi, considerando i problemi -massimi ed insolubili — l'origine, la natura, -il fine della vita e del mondo — la filosofia -riposa tutta quanta sopra ipotesi. E poichè -l'ipotesi è opera di quella potenza immaginativa -alla quale il poeta deve i suoi concepimenti, -la parentela tra il poeta ed il filosofo -è manifesta. “Abbi per cosa certa,„ dice lo -stesso Leopardi, buon giudice, “che a far -progressi notabili nella filosofia non bastano -sottilità d'ingegno e facoltà grande di ragionare, -ma si cerca eziandio molta forza immaginativa; -e che il Descartes, Galileo, il -Leibniz, il Newton, il Vico, in quanto all'innata -disposizione dei loro ingegni, sarebbero -potuti essere sommi poeti, e per lo contrario -Omero, Dante, lo Shakespeare, sommi filosofi.„ -Filosofia e poesia sono ancora affini per -questo: che molto spesso, anzi quasi sempre -si esercitano intorno allo stesso oggetto: l'anima -umana: “E ben sai che egli è comune -al poeta e al filosofo l'internarsi nel profondo -degli animi umani, e trarre in luce le loro -intime qualità e varietà, gli andamenti, i moti -e i successi occulti, le cause e gli effetti dell'une -e degli altri„. -</p> - -<p> -Ma questa affinità, sia grande quanto si -voglia, non arriva all'identità; al contrario. -Un poeta può rassomigliare molto ad uno -<span class="pagenum" id="Page_13">[13]</span> -scienziato e moltissimo ad un filosofo; ciascuno -ha tuttavia i suoi particolari e indelebili -segni. Per la potenza dell'immaginazione -essi si somigliano; ma l'immaginazione è unita -con la sensibilità nel poeta, con la ragione -nello scienziato e nel filosofo. Facoltà propria -del filosofo è, secondo lo stesso Leopardi, -quella di “penetrare coi pensieri nell'intimo -delle cose„; di “sciorre e dividere le proprie -idee nelle loro minime parti„; di “ragunare -e stringere insieme un buon numero di esse -idee„; di “contemplare con la mente in un -tratto molti particolari in modo da poterne -trarre uno generale„; di “seguire indefessamente -coll'occhio dell'intelletto un lungo ordine -di verità connesse tra loro a mano a mano„; -di “scoprire le sottili e recondite congiunture -che ha ciascuna verità con cento altre.„ Più -brevemente: il filosofo non considera i fatti -nelle loro apparenze, ma ne misura il valore, -ne esprime il significato e ne discopre le leggi. -</p> - -<p> -Abbiamo visto che il Leopardi, a otto anni, -è novellatore e poeta; ancora adolescente, -quando gli altri non hanno finito di apprendere -le lingue egli è maestro di filologia. L'opera -sua è di vero scienziato: le sue emendazioni -dei testi, le sue illustrazioni, i suoi -commentarii, tutto il suo minuto ed acuto lavoro -di critica, se è aiutato dall'intuito, dal -“tatto quasi divinatorio„ del quale parla suo -fratello Carlo, è pur dovuto principalmente alla -<span class="pagenum" id="Page_14">[14]</span> -potenza riflessiva della sua mente. Ma egli non -si può contentare di questo esercizio; mira a -più vasti orizzonti: dalle regole grammaticali -passa alle leggi dell'anima. Già vedemmo come, -osservata in sè stesso la preminenza delle illusioni -e considerato che la natura umana è -essenzialmente una, egli estende a tutti gli -uomini quel che gli è proprio. Vediamo qualche -altro esempio di questa sua attitudine ad -astrarre e generalizzare. Un giorno, rivolgendosi -ad un maestro perchè riveda l'opera sua, -egli prova un senso di rimorso nel distoglierlo -da altre occupazioni: il bisogno dei consigli -e la paura di essere indiscreto vengono in -contrasto; l'interesse proprio trionfa; dall'osservazione -di questo fatto egli ricava una sentenza: -“Veggo bene che io usurpo momenti -che dovrebbero essere sacri a tutta la repubblica -delle lettere „, scrive al Mai, “svolgendola -da occupazioni utili all'universale letteratura, -e ne ho rimorso; ma che debbo dirle? -L'amor proprio è assai potente, e fa che si -desideri per sè solo quello che si dovrebbe -impiegare per il bene di tutti....„ Quando noi -ci troviamo soli in un'opinione anche vera -sprezziamo l'altrui opposizione; pure il dubbio -di essere in inganno può tormentarci e una -secreta voce dirci che l'ostinazione ci fuorvia; -se noi non siamo filosofi ci ostiniamo o -dubitiamo senz'altro; un pensatore come il Leopardi -formula una legge della quale misura -<span class="pagenum" id="Page_15">[15]</span> -l'estensione: “Certo quel trovarsi solo in una -sentenza vera fa paura, e a noi medesimi -spesso la costanza pare caponaggine, la noncuranza -degli sciocchi giudizi, superbia, il credere -d'intenderla meglio degli altri, presunzione.„ -Ancora: ripensando ad un nostro piacere -passato, noi possiamo sentire che esso -non fu tanto grande quanto poteva essere, e -rammaricarcene; il Leopardi, in una condizione -simile, esprime una verità: il pentimento -di non aver goduto appieno, dice, ci -grava l'anima -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">e il piacer che passò cangia in veleno.</p> -</div></div> - -<p> -Non occorre moltiplicare gli esempii. Il risultato -è che in età quasi fanciullesca egli ha -già “certezza e squisitezza di giudizio sopra -le grandi verità non insegnate agli altri se -non dall'esperienza, cognizione quasi intera -del mondo e di sè stesso.„ -</p> - -<p> -Ma quest'abito filosofico così presto contratto -grazie alla capacità indagatrice della mente, -ostacola gli slanci del poeta. Guidati dalla -comune potenza immaginativa, poeta e filosofo -procedono per vie parallele; essi divergono -obbedendo all'impulso particolare della loro -natura. Il poeta vuol sentire: il filosofo vuol -ragionare. La singolare capacità del poeta è -di apprezzare le cose che l'immaginazione gli -pone dinanzi: di vibrare, di fremere, di gioire, -di spasimare; la singolare capacità del filosofo -è quella di spiegare le cose che l'immaginazione -<span class="pagenum" id="Page_16">[16]</span> -gli rappresenta: di paragonare, di dedurre, -di astrarre, di intendere. Certo, non è -possibile al poeta sentire senza giudicare; nè -al filosofo giudicare senza sentire; ciò spiega -ancora la loro affinità; ma come il giudizio -del poeta, se pure è esatto, si altera perchè -egli obbedisce troppo alle simpatie, alle antipatie, -e in generale alle passioni; così il -sentimento del filosofo, se pure è schietto, si -altera perchè egli troppo lo indaga ed esamina. -</p> - -<p> -Immaginate che il cielo a un tratto si oscuri, -che il vento, la pioggia, la folgore muovano -guerra alla terra ed alle sue creature. La -tempesta le rende fredde, tacite, smorte. Torni -la quiete, si sgombri il cielo, riapparisca chiaro -il fiume giù nella valle: ogni cuore si rallegra, -da ogni parte la vita riprende con nuovo -ardore il suo corso. Il poeta che si è sentito -opprimere come tutti gli altri durante la bufera, -dovrebbe come tutti gli altri gustare la -letizia del sereno; ma se questo poeta si chiama -Giacomo Leopardi, il filosofo che c'è in lui -non si abbandona al piacere del momento: -come il chimico che saggia e scompone i corpi -per conoscerne la natura, così il filosofo saggia -e scompone i sentimenti. Egli ragiona così: -“Prima che scoppiasse la tempesta il cielo -era chiaro, l'aria era quieta, il sole splendeva; -ma chi godeva di queste cose? Non solamente -pochi ne godevano, ma quasi passavano inosservate -dai più. Ora, sì, ne godiamo tutti; -<span class="pagenum" id="Page_17">[17]</span> -perchè? Che cosa è avvenuto? È avvenuto -questo: che le perdemmo per un momento. -Dallo stato d'indifferenza nel quale eravamo -prima, passammo a uno stato di paura e d'angoscia. -Il nostro piacere d'ora che cosa è dunque? -È una cosa negativa, è la fine del dolore -sopravvenuto.„ Ed egli scrive la <i>Quiete -dopo la tempesta</i>, che è tutt'insieme una poesia -squisita ed una pagina di filosofia; ma dove -se ne è andata la sua sensazione piacevole? -È finita; è stata dispersa dal ragionamento -che l'ha trovata tutta relativa e fallace. -</p> - -<p> -L'esempio è significante. Il Leopardi è un -poeta sensibilissimo, ma c'è anche in lui un -freddo speculatore; e appunto per questa complessità -della sua mente egli è molto più infelice -che non sarebbe se fosse soltanto poeta -troppo vibrante. Naturalmente la capacità di -pensare viene dopo quella di sentire. Noi tutti -cominciamo a sentire appena dischiusi gli occhi -alla luce; l'intelletto lavora più tardi. Il -Leopardi vive pertanto, nei primissimi tempi, -al modo poetico, sentendo, vibrando, illudendosi; -se questa sua capacità non fosse grandissima, -il pensiero, la ragione, cominciando -ad operare più tardi, forse ne trionferebbe; e -se la capacità di pensare non fosse in lui massima, -forse trionferebbe il sentimento: il suo -strazio per questo è ineffabile: perchè dentro di -lui si urtano e lottano due anime diverse di -tempra, ma egualmente gagliarde. Uditelo lagnarsi -<span class="pagenum" id="Page_18">[18]</span> -col Giordani dei danni che ha prodotti -in lui la ragione: “Vi vedo molto malinconico -e potete credere che non so come consolarvi, -se non pregandovi a concedere qualche cosa -alle illusioni che vengono, sostanzialmente dalla -natura benefattrice universale, dove la ragione -è la carnefice del genere umano, e una fiaccola -che deve illuminare, ma non incendiare, -come pur troppo fa....„ Come pur troppo ha -fatto in lui e nei suoi pari, sarebbe più giusto -dire. Ma il suo spirito non è così fatto da -cercare nei casi particolari ciò che è generale, -da estendere a tutta la natura umana ciò che -è proprio di alcuni uomini? -</p> - -<p> -E tutta la storia della sua vita morale è piena -dei dolori prodotti dal dissidio tra il sentimento -e lo spirito, tra la fantasia e la ragione. -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i03"> A noi ti vieta</p> -<p class="i01">Il vero appena è giunto,</p> -<p class="i01">O caro immaginar....</p> -</div></div> - -<p> -Il pensiero lo fa soffrire, la verità nuda gli -incute paura, la visione poetica dell'esistenza -gli è parsa solo amabile; più tardi “ogni cosa -che sa di affettuoso e di eloquente mi annoia, -mi sa di scherzo e di fanciullaggine ridicola. -Non cerco altro fuorchè il vero, che ho già -tanto odiato e detestato.„ E se la verità alla -quale egli perviene non gli è grata, tuttavia -la soddisfazione di trovarla è dilettosa; ma -perchè questo diletto sia possibile bisogna che -“l'ultima scintilla„ si spenga nel suo cuore; -<span class="pagenum" id="Page_19">[19]</span> -finchè il cuore ardeva egli non la poteva comprendere; -la ragione e la fantasia erano incompatibili. -Questa incompatibilità è l'origine -delle sue contraddizioni. Giudicato, per la sua -natura troppo poeticamente immaginosa, che le -illusioni e le speranze sono le cose più amabili, -egli asserisce che la fantasia è la sola -fonte di felicità in questa vita; ma l'asserzione -è dovuta al filosofo, la legge è formulata dal -filosofo; e questo filosofo non può assegnare -una parte secondaria alla ragione sulla quale -è poggiata la sua filosofia; quindi un urto -continuo. Ed egli sa qual danno derivi “dal -voler troppo far uso della ragione„ — della -ragione che gli fa riconoscere “tutta la verità„ -intorno ai funesti effetti della fantasia.... -</p> - -<p> -In tanto contrasto, che cosa accade di un'altra -facoltà dell'anima, d'una facoltà necessaria -a vivere in mezzo agli uomini: della volontà? -Sentire, immaginare, ragionare, sono cose belle -e buone; ma bisogna anche volere ed agire. -Nelle crisi continue prodotte dall'intimo dissidio -dell'imperiosa ragione e della fantasia -smodata, Giacomo Leopardi perde la capacità -di operare. Per un tempo troppo breve, prima -che egli immagini e quando ancora non indaga, -è attivo e prepotente: fanciullo, nelle finte -battaglie romane, a lui debbono toccare le più -belle parti; dietro al suo carro di trionfatore -si debbono trascinare i fratellini in atteggiamento -di schiavi. La volontà dà ancora prova -<span class="pagenum" id="Page_20">[20]</span> -di tenacia quando egli studia per lunghi anni, -eroicamente, da mattina a sera, finchè la lucerna -dà gli ultimi guizzi; quando apprende -senza maestro il greco e l'ebraico; quando -non resta in ozio neppure per aspettare che -l'inchiostro della fresca scrittura si asciughi, -ed impiega questi minuti a leggere grammatiche -spagnuole ed inglesi; ma già la volontà -sua non è più quella che rende capaci -di agire. Studiare è un altro modo di pensare, è -la condizione necessaria per avere di che ragionare: -l'energia, la forza di muoversi, di lottare, -scema a poco a poco e si disperde. Egli è andato -troppo dietro alle finzioni; ha troppo disperso la -sua capacità vitale vivendo in un mondo immaginario. -Se vuole operare, se vuole esercitare -la sua sensibilità avida e ingorda nel mondo -reale, la forza stessa dell'attività interiore gli -è d'impaccio. Egli non sa come fare, da qual -parte cominciare. “Il embrasse tout, il voudrait -toujours être rempli; cependant tous les -objets lui échappent, précisément parce qu'ils -sont plus petits que sa capacité. Il exige même -de ses moindres actions, de ses paroles, de ses -gestes, de ses mouvements, plus de grâce et -de perfection qu'il n'est possible à l'homme -d'atteindre. Ainsi, ne pouvant jamais être content -de soi-même, ni cesser de s'examiner, et -se défiant toujours de ses propres forces, il -ne sait pas faire ce que font tous les autres.„ -Egli descrive con mano maestra questa impotenza -<span class="pagenum" id="Page_21">[21]</span> -per averla studiata direttamente in -sè stesso. Quando si lamenta del pensiero, -quando dice che il pensiero lo cruccia e lo -martora, che è il suo carnefice e il suo distruttore -“per questo solo che m'ha avuto -sempre e m'ha interamente in sua balìa„, egli -significa l'impotenza dolorosa alla quale è condannato, -contro sua voglia, “senza alcun desiderio„, -anzi col desiderio opposto, di muoversi, -di operare, di vivere attivamente. Questa -impotenza gli è tanto propria che più e -più volte egli la significa nelle sue composizioni -artistiche. Egli loda l'amore perchè, -mercè sua, -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Sapïente in opre</p> -<p class="i01">Non in pensiero invan, siccome suole,</p> -<p class="i01">Divien l'umana prole.</p> -</div></div> - -<p> -Egli invidia gli uccelli perchè “cangiano -luogo ad ogni tratto; passano da paese a paese -quanto tu vuoi lontano, e dall'infima alla somma -parte dell'aria, in poco spazio di tempo, e con -facilità mirabile; veggono e provano nella vita -loro cose infinite e diversissime; esercitano -continuamente il loro corpo; abbondano soprammodo -della vita estrinseca.„ E il suo Filippo -Ottonieri narra che Socrate “inchinando -naturalmente alle azioni molto più che alle -speculazioni, non si volgeva al discorrere, se -non per le difficoltà che gl'impedivano l'operare.„ -</p> - -<p> -Questo impedimento fu il suo; tanto più -<span class="pagenum" id="Page_22">[22]</span> -doloroso quanto che egli ne ebbe nitida coscienza. -Di tutti i mali derivanti dalla sua costituzione -psichica noi abbiamo visto che egli -ebbe coscienza; i quali, riassumendo, furono: -l'esagerazione del sentimento poetico, cioè -della sensibilità e della fantasia; il contrasto -fra questo squisito sentimento poetico con un -altissimo spirito filosofico, e per conseguenza -la depressione e la dispersione della volontà. -</p> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_23">[23]</span></p> - -<h2 id="educazione">L'EDUCAZIONE</h2> -</div> - -<h3 id="classicismo">CLASSICISMO E ROMANTICISMO.</h3> - -<p> -Un terreno arido s'irriga, un albero che -pende si raddrizza: l'arte corregge la natura. -Quali mezzi furono posti in opera per modificare -la pericolosa disposizione di Giacomo -Leopardi? Parleremo a suo luogo dell'azione -della famiglia: questo è il momento di narrare -la sua educazione intellettuale. -</p> - -<p> -Con tanta smania d'azione, con tanta e tanto -precoce capacità di vivere, il giovanetto recanatese -passa i migliori anni dell'adolescenza -sui libri. “Io sono andato un pezzo in traccia -della erudizione più pellegrina e recondita, -e dai 13 anni ai 17 ho dato dentro a questo -studio profondamente, tanto che ho scritto da -sei a sette tomi non piccoli sopra cose erudite -(la qual fatica appunto è quella che mi -ha rovinato).„ Non soltanto la salute del corpo -è rovinata; ma quella dello spirito è peggiorata. -Il lavoro della mente diviene, a scapito -<span class="pagenum" id="Page_24">[24]</span> -dell'attività dei muscoli, il suo bisogno, il suo -amore. Infermo, egli lavora ancora sei ore il -giorno; e dice d'essersi così moderato “assaissimo.„ -E oltre che l'eccesso, il genere -stesso del suo lavoro mentale gli è pernicioso. -Lo studio d'una disciplina esatta, di una scienza -sperimentale, sviluppando il senso dell'osservazione -reale, fomentando la nativa facoltà del -raziocinio, avrebbe, se non soffocato, moderato -almeno la fantasia; e se non aiutato, almeno -non repressa la capacità d'azione. Egli studia -invece quella filologia, quelle “spente lingue -dei prischi eroi„ che lo segregano dal mondo -moderno, che lo fanno vivere nel passato, che -popolano il suo cervello di figure antiche e -favolose. La sua fantasia è capace di dar corpo -alle ombre, il suo sentimento s'infiamma per -esse. Quando egli legge un classico, la sua -mente “tumulta e si confonde„; quando legge -Virgilio “m'innamoro „, confessa, “di lui.„ -Abbiamo visto che rifà i canti ed eccita dentro -di sè i sentimenti di Simonide, dei fedeli al -nume del mare; reciprocamente: attribuisce i -sentimenti suoi proprii a Saffo, a Bruto minore. -Leggete le sue lettere: egli non parla -d'altro che di scrittori greci e latini: di Omero, -di Virgilio, di Callimaco, di Orazio: chiede -notizie ai suoi corrispondenti di Giulio Africano, -ne dà intorno a Dionigi e all'Eusebio -del Mai; quando il dotto abate ritrova i libri -di Cicerone della Repubblica si commuove sino -<span class="pagenum" id="Page_25">[25]</span> -a scrivere una canzone. E traduce la <i>Batracomiomachia</i>, -due volte; la <i>Titanomachia</i>, gl'<i>Idillii</i> -di Mosco, un canto dell'<i>Odissea</i>, un altro -dell'<i>Eneide</i>; e ragiona delle Arpie, e compone -tutto un libro sugli errori popolari degli -antichi. Non si contenta di studiare e tradurre: -se pensa di scrivere un romanzo storico, -intende che debba essere “sul gusto -della <i>Ciropedia</i>.„ Un simile proposito dimostra -sino a che segno egli è lontano dal suo tempo. -Quando egli porge l'orecchio alle voci che vengono -di fuori, ode gli echi d'una lotta vivace: -classici e romantici si accapigliano. Naturalmente -egli è coi classici; lo farebbe ridere -chi pensasse di ascriverlo all'altro partito. E -nondimeno s'inganna. -</p> - -<p> -Classicismo e romanticismo non sono soltanto -due scuole letterarie, ma due stati della -coscienza e quasi due diverse qualità di anime. -L'indole di chi ha seguito le tradizioni è calma -ed equilibrata, o capace di frenarsi e di obbedire -a certi consigli di moderazione e di -prudenza, a certi precetti di ordine e di misura. -Nature ribelli hanno sempre tentato di -esprimersi liberamente; ma tanto forte è stata -l'efficacia dell'insegnamento, che o si sono ultimamente -piegate, oppure il loro esempio è -rimasto senza imitatori. Altrettanto è avvenuto -in politica: i tentativi di affermare i diritti -dell'individuo contro le potestà consecrate -dalle leggi secolari sono rimasti lungamente -<span class="pagenum" id="Page_26">[26]</span> -sterili. E la rivoluzione politica coincide con -la rivoluzione letteraria. L'autorità dei maestri -vien meno per quella stessa causa che -distrugge ogni altra autorità nel consorzio sociale: -la filosofia del secolo XVIII, tutto esaminando -e tutto ponendo in forse, prepara una -nuova era nel mondo; il primo romantico è -il primo rivoluzionario: Gian Giacomo Rousseau. -Ma le origini del romanticismo sono ancora -più remote. La signora de Staël ha ragione -di dire che la divisione della letteratura -in classica e romantica si riferisce alle due -grandi età del mondo: a quella che precedette -e a quella che seguì lo stabilimento del -cristianesimo. L'anima pagana, idealizzando -la natura, aveva estrinsecato un certo tipo di -perfezione e se n'era appagata; ma lo spirito -umano, irrequieto indagatore, non poteva trovar -sempre nella natura un pascolo adeguato; -doveva anzi presto o tardi riconoscere che il -mondo della coscienza è senza fine più vasto -e ricco che non il mondo delle cose. Questo -scontento della realtà, quest'ansia di novità, -questa specie di ripiegamento dell'anima in sè -stessa, furono in grandissima parte opera della -predicazione cristiana. Se l'ideale classico, -cioè pagano, continuò ad essere onorato lungo -tempo dopo che la dottrina di Cristo mutò la -faccia del mondo, ciò dipese in gran parte -dalla prevalenza della razza latina, nella quale -il paganesimo, come serenità di sentimento, -<span class="pagenum" id="Page_27">[27]</span> -come ludicità di visione, era quasi connaturato. -Quel che c'è di triste e di dolente nella -fede cristiana era quasi inaccessibile a una -gente vissuta sotto cieli chiari, in riva ai mari -tranquilli, sopra terre feconde quasi sempre -sorrise dal sole. Inconsapevolmente essa professava -il nuovo culto con le forme antiche; -i vecchi riti e i vecchi miti sopravvivevano: -un giorno, quando la rinnovazione dell'ideale -pareva compita, il paganesimo rifiorì e il classicismo -trionfò con la Rinascenza. Ma la nuova -fede, intanto, penetrava più a dentro fra la -gente del Nord. Gli uomini vissuti sotto cieli -foschi, sulle rive di mari lividi, su terre ingrate, -erano meglio preparati al nuovo verbo -che insegna a disamare la terra, che dice la -vita terrena un doloroso viaggio. Questi uomini -non potevano vivere all'aperto, dissipando -la loro attività in giuochi e feste; il raccoglimento -dell'anima, l'esame della coscienza -riusciva loro più facile; alla mortificazione -della carne erano meglio preparati. Quando -essi videro che cosa i Latini avevano fatto del -cristianesimo, protestarono e fecero valere la -loro protesta. Lungo tempo ignorati o mal -noti, questi Nordici cominciarono a prender -parte alla storia del mondo, produssero ingegni -che ne espressero gl'ideali: a poco a poco -il loro genio esercitò come un fascino sui Latini, -disposti dalla stanchezza ad apprezzare -la novità. Se pertanto la filosofia del secolo -<span class="pagenum" id="Page_28">[28]</span> -decimottavo, con i suoi dubbii e con le sue -negazioni, fa impeto contro la scuola classica, -l'invasione delle letterature nordiche accresce -la vigoria dell'assalto. E la rivoluzione francese -scuote la società dalle fondamenta, e Napoleone -sconvolge il mondo: il sangue scorre -a fiumi, dalle ghigliottine, sui campi di battaglia; -gli Stati si trasformano, i confini si -slargano, gli eserciti corrono dall'uno all'altro -capo dell'Europa, i popoli si avvicinano: nuove -visioni di cose tragiche o insolite passano dinanzi -agli occhi della nuova progenie: i consigli -di chi vorrebbe tornare alla compostezza, -alla semplicità, alla serenità del passato non -sono più uditi; ma gli ansiosi che hanno iniziato -il mutamento non vi trovano la quiete, -sibbene un'ansia nuova, più acuta. In questo -tempo nasce Giacomo Leopardi. -</p> - -<p> -Egli può ben credersi classico, può bene -appartarsi dal mondo moderno, può bene suscitare -dentro di sè l'antico: non potrà far -mai che questo antico torni realmente, non -può distruggere in sè o d'intorno a sè gli effetti -dei secolari o dei nuovi rivolgimenti. Chi -più vuol essere classico, chi è animato da un -più vivo sdegno contro i moderni, partecipa -nondimeno a questa modernità e, senza volerlo, -lo dimostra. Il Leopardi confessa apertamente -d'essere stato durante un certo tempo -con i moderni. Questo tempo è lo stesso durante -il quale egli è ancora vivace, capace di -<span class="pagenum" id="Page_29">[29]</span> -muoversi, di operare. “Io da principio aveva -il capo pieno delle massime moderne, disprezzava, -anzi calpestava lo studio della lingua -nostra; tutti i miei scrittacci originali erano -traduzioni dal francese.„ Rammentiamoci di -Chateaubriand il quale disse di sè: “J'étais -Anglais, de manières, de goût et jusqu'à un -certain point de pensées.„ Come il Francese -cerca il nuovo in Inghilterra, così l'Italiano -lo cerca in Francia: l'indirizzo è diverso, ma -identica è la spinta interiore per la quale le -cose note e vicine sono sdegnate, e ricercate -le insolite e nuove. Così mentre in Germania -le menti si nutriscono di Young e di Ossian, -e Schiller e Goethe si appassionano per Shakespeare; -in Francia la signora de Staël introduce -il romanticismo tedesco; e Alfredo de -Musset a diciassette anni preferisce non esser -nulla se non potrà essere Schiller o Shakespeare, -e Chateaubriand legge <i>Werther</i> prima -di scrivere <i>Renato</i> — Ugo Foscolo lo ha letto -in Italia prima di scrivere <i>Jacopo Ortis</i> — e -Sainte-Beuve parla con tenerezza di Klopstock, -e Carlo Nodier trae l'ispirazione da -“cette merveilleuse Allemagne, la dernière -patrie des poésies et des croyances de l'Occident.„ -L'ardente e immaginoso fanciullo recanatese -cerca anch'egli ed ama gli stranieri; -e tale è la foga che egli mette in questa -come in ogni altra sua passione, che arriva -a disprezzare Omero, Dante, tutti i classici; -<span class="pagenum" id="Page_30">[30]</span> -ma il giovanetto riflessivo tosto comprende che -la disciplina della vecchia scuola è la più -adatta a formare lo spirito, che questi classici, -seguendo i principii ora disprezzati hanno -espresso cose d'una imperitura bellezza. Allora -egli si converte, s'immerge “sino alla gola„ -nei “suoi„ classici; gli scrittori che cercano -ispirazioni oltre l'Alpi eccitano il suo sdegno; -lo <i>Spettatore italiano</i>, foglio romantico, gli -pare “un mucchio di letame„; la <i>Biblioteca -italiana</i>, giornale dei classici, ha le sue preferenze. -Allora egli è considerato come uno -dei campioni del classicismo; Pietro Giordani -lo stima classico non soltanto di studii, ma -anche di animo: “Più volte m'è venuto in -mente che se ci fosse ancora lecito di ripetere -i sogni platonici.... io vorrei dire ch'egli -fosse una di quelle anime preparate da natura -per incarnarsi in Grecia sotto i tempi di Pericle -e di Anassagora; e da non so qual errore -tardata sino a questi miseri giorni ultimi -d'Italia; per mezzo i quali, parlando con -voce italiana pensieri greci, come straniera -passò.„ Ma il Giordani s'inganna anch'egli; -l'anima che pareva greca era nondimeno del -suo tempo; per quanto grande fosse la seduzione -del mondo antico, il suo proprio mondo -dal quale voleva fuggire la tratteneva con mille -sottilissimi fili ed esercitava un'influenza costante -su lei. -</p> - -<p> -Consideriamo ad uno ad uno i caratteri del -<span class="pagenum" id="Page_31">[31]</span> -romanticismo come metodo letterario e come -stato psicologico: vedremo quanti se ne trovano -nel Leopardi. Letterariamente, i romantici -insorgono contro l'imitazione. Per lungo -tempo i grandi antichi sono stati considerati -insuperabili; studio e dovere degli scrittori -è stato quello imitarli. E il Leopardi, con -tutta la sua infatuazione per gli antichi, quantunque -anch'egli li abbia non poco imitati, pure -critica il Monti perchè questo poeta “va con -una ributtante freddezza ed aridità in traccia -di luoghi di classici greci e latini, di espressioni, -di concetti, di movimenti classici, per -esprimerli elegantemente; lasciando con ciò -freddissimo l'uditore„; e giudica che la coltura -classica, così adoperata “più quasi nuoce -di quello che giovi.„ -</p> - -<p> -Un altro punto intorno al quale romantici -e classici battagliano è questo: l'arte deve -figurare il brutto? o attenersi soltanto al bello? -I classici sono per questo secondo partito, -escludendo il primo rigorosamente; gli altri -invece vogliono che il campo dell'arte si slarghi, -che comprenda tutta quanta la natura. -E intorno a questo argomento il Leopardi -discorda dal Giordani. “Ella ricorda in generale -ai giovani pittori che senza stringente -necessità della storia (e anche allora con buon -giudizio e garbo) non si dee mai figurare il -brutto. Poichè, soggiugne, l'ufficio delle belle -arti è di moltiplicare e perpetuare le immagini -<span class="pagenum" id="Page_32">[32]</span> -di quelle cose o di quelle azioni cui -la natura o gli uomini producono più vaghi -e desiderabili: e quale consiglio o qual diletto -crescere il numero o la durata delle cose -moleste di che già troppo abbonda la terra?„ -Rispettosamente egli espone al maestro il suo -concetto tutto diverso. “A me parrebbe che l'ufficio -delle belle arti sia d'imitare il bello nel verisimile„. -È vero che si appoggia all'autorità -dei classici, di Omero, di Virgilio, di Dante, dei -tragici; ma non è detto che i classici sieno -tali in tutto e che i precetti dei romantici siano -senza esempio di sorta. Nuova è la forza con -la quale essi li affermano; e il Leopardi non -si contenta dell'esempio, ricorre alla dimostrazione: -“Certamente le arti hanno da dilettare, -ma chi può negare che il piangere, il -palpitare, l'inorridire alla lettura di un poeta -non sia dilettoso? Perchè il diletto nasce appunto -dalla maraviglia di veder così bene imitata -la natura, che ci paia vivo e presente -quello che è o nulla, o morto, o lontano. Ond'è -che il bello, il quale veduto nella natura, vale -a dire nella realtà, non ci diletta più che tanto, -veduto in poesia o in pittura, vale a dire in immagine, -ci reca piacere infinito. E così il brutto -imitato dall'arte, da questa imitazione piglia -facoltà di dilettare. Se un uomo è di deformità -incredibile, ritrar questa non sarebbe sano -consiglio, benchè vera, perchè le arti debbono -persuadere e far credere che il finto sia reale, -<span class="pagenum" id="Page_33">[33]</span> -e l'incredibile non si può far credere. Ma se -la deformità è nel verisimile, a me pare che -il vederla ritratta al naturale debba dilettare -non poco....„ Non si sente già venire Vittor -Hugo il quale estenderà quest'idea e le darà -forza di domma, protestando contro i pedanti -che vogliono escludere il difforme, il brutto e -il grottesco dalla riproduzione artistica, ed -affermando superbamente: “Tout ce qui est -dans la nature est dans l'art„? -</p> - -<p> -Ancora: l'antica mitologia, della quale i -poeti hanno fatto un secolare abuso, fuor della -quale non si è trovata bellezza artistica, è -sdegnata e derisa dai novatori: la fede cristiana -torna invece ad essere onorata, le credenze -religiose si ridestano e si affermano: -l'arte narra i <i>Martiri</i>, celebra il <i>Genio del -Cristianesimo</i>. Con tutto il suo paganesimo -letterario, il Leopardi è pure nato nella fede -di Cristo, ne sente pure la rinnovata seduzione; -egli pensa pertanto di comporre ed abbozza -gl'<i>Inni Cristiani</i>. I romantici non cantano -solamente Dio, ma anche il diavolo; perchè -essi credono che l'arte non debba escludere -nulla, neppure l'orrido; e che dai contrasti -nascono effetti nuovi, più potenti: essi dicono: -“Nous vous donnerons de l'incroyable, de l'affreux, -du terrible, de l'extravagant, et s'il le -faut, le diable lui-même remplacera votre vieux -Apollon....„ E il Leopardi abbozza anche un'invocazione -ad Arimane, al genio del male. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_34">[34]</span> -</p> - -<p> -I classici si rivoltano contro questa novità, -vorrebbero attenersi esclusivamente alle letterature -antiche, e bandire i moderni, gli stranieri, -i nordici, dai quali vengono i maggiori -ardimenti. Pietro Giordani divulga il consiglio -che dà agli scrittori nostri la signora de -Staël: “Dovrebbero, a mio avviso, gl'Italiani, -tradurre diligentemente assai delle recenti poesie -inglesi e tedesche, onde mostrare qualche -novità a' loro cittadini, i quali per lo più stanno -contenti all'antica mitologia; nè pensano che -quelle favole sono da un pezzo anticate; anzi -il resto d'Europa le ha già abbandonate e -dimenticate.„ Ma il Piacentino, che pare abbia -fatto sue queste parole, traducendole, si -schiera tosto dall'altra parte; e come il Monti -si lagna che -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Audace scuola boreal, dannando</p> -<p class="i01">Tutti a morte gli dèi che di leggiadre</p> -<p class="i01">Fantasie già fiorîr le carte argive</p> -<p class="i01">E le latine, di spaventi ha pieno</p> -<p class="i01">Delle Muse il bel regno;</p> -</div></div> - -<p> -così egli si duole che le nostre assonnate immaginazioni -domandino, per risvegliarsi, “il fracasso, -e quanto hanno di più frenetico e tempestoso -le fantasie settentrionali„, e si ferma -a dimostrare come siano diversi e discordi i -genii delle due contrade. E il Leopardi si è -doluto, come abbiamo visto, d'aver disprezzato -Omero, Dante e tutti i classici e d'aver -ammirato gli stranieri; nondimeno, se egli passa -<span class="pagenum" id="Page_35">[35]</span> -dal disprezzo all'ammirazione per i primi, e -viceversa, non è già che segua da ultimo rigorosamente -il nuovo indirizzo. Mentre il Giordani -lo giudica classico d'animo e di letture, -il Belloni, romantico, può dargli lode e cantare -di lui, tanto moderato è l'uso che egli -fa della mitologia. E, quanto agli stranieri, -per comporre un trattato sulla <i>Condizione presente -delle lettere italiane</i>, egli sente il bisogno -di “infinite letture anche di libri stranieri.„ -Egli legge, studia e cita l'iniziatore -del romanticismo: il Rousseau, e si rallegra -caldamente col Brighenti “della conoscenza -ch'ella avrà fatta con Lord Byron, uomo certamente -segnalato„; e giudica questo romantico, -questo settentrionale, questo gran ribelle -nell'arte e nella vita “uno dei pochi poeti -degni del secolo, e delle anime sensitive e -calde.„ E dà lode al Goethe perchè ha preso -dalla realtà i casi di <i>Werther</i>; e se più circospetto -è il suo giudizio sulle Memorie del -grande poeta tedesco, noi vedremo che lo modifica. -Queste Memorie, dice “hanno molte -cose nuove e proprie, come tutte le cose di -quell'autore, e gran parte delle scritture tedesche; -ma sono scritte con una così salvatica -oscurità e confusione, e mostrano certi -sentimenti e certi principii così bizzarri, mistici -e da visionario, che, se ho da dirne il -mio parere, non mi piacciono molto.„ Ma più -tardi al fratello Carlo, romantico deciso, più -<span class="pagenum" id="Page_36">[36]</span> -di lui ammiratore degli stranieri, scrive: “È -vero che le tue lettere sono triste, ma son care -e belle, ed io amo meglio di sentirti lamentare, -che di lasciarti tacere. Il tuo stile si -rassomiglia a quello del Goethe nelle Memorie -della sua vita che ha pubblicato ultimamente. -Io comprendo benissimo tutta la pena del tuo -stato....„ Egli comprende anche lo stile del -poeta di <i>Faust</i> dopo aver compreso lo stato -d'animo che lo ha dettato. -</p> - -<p> -Perchè, infatti, lo stile dei romantici e dei -classici non è diverso per la diversità dei -precetti retorici delle due scuole; ma perchè -diversa è la condizione e l'indole dell'animo -loro. Lo stesso Goethe spiega bene che i moderni -non sono romantici perchè moderni, ma -perchè deboli, malaticci, infermi; l'antico non -è classico perchè antico, ma perchè vigoroso, -forte, sereno. E se Giacomo Leopardi propende, -quasi contro sua voglia, verso i romantici, -ciò avviene perchè la sensibilità -estrema e l'immaginazione esorbitante che abbiamo -trovato in lui, sono i segni particolari -di tutta la nuova fazione. “Noi Leopardi siam -pieni di fuoco„, diceva Paolina, la sorella del -poeta; due anni prima che Giacomo nascesse, -l'autore delle <i>Lettres Westphaliennes</i> scriveva: -“Toutes les imaginations sont en feu.... Jamais -cette affection de l'âme qu'on nomme sensibilité -ne fut exaltée autant que dans nôtre siècle; jamais -le sentiment ne fut aussi analysé, aussi -<span class="pagenum" id="Page_37">[37]</span> -délicat, cela peut se remarquer même dans ses -influences physiques, dans la prodigieuse quantité -de maladies nerveuses qui se voit tous -les jours. Les gens qui sont organisées d'une -manière si irritable ont les passions plus vives.... -On pourrait les nommer la secte des -sentimentaux....„ E per il Recanatese il cuore -è tutto, la sensibilità è tutto; egli si duole -che tutti non sieno sensibili, “car je ne fais -aucune différence de la sensibilité à ce qu'on -appelle vertu.„ -</p> - -<p> -L'artista romantico, sdegnando l'imitazione -dei vecchi scrittori, lasciando da parte le favole -antiche, cupido di esprimere cose viste -e sentite, capace di sentimenti che stima nuovi, -squisiti, straordinarii, studia direttamente le -sue passioni e la natura. Il Leopardi, discutendo -col Giordani intorno alla prosa ed alla -poesia afferma: “Da che ho cominciato a -conoscere un poco il bello, a me quel calore -e quel desiderio ardentissimo di tradurre e di -far mio quello che leggo, non hanno dato altri -che i poeti, e quella smania violentissima di -comporre altri che la natura e le passioni; -ma in modo forte ed elevato, facendomi quasi -ingigantire l'anima in tutte le sue parti, e -dire fra me: questa è poesia; e per esprimere -quello che io sento ci voglion versi e non -prosa, e darmi a far versi.„ Se quindi legge -assiduamente i suoi classici latini e greci, e -quanto più li legge tanto più gli s'impiccoliscono -<span class="pagenum" id="Page_38">[38]</span> -i nostri anche degli ottimi secoli, egli -preferisce tuttavia i poeti ai prosatori; Cicerone, -“una volta che la mia mente si trovava, -come accade, in certa disposizione da bramare -impressioni vive e gagliarde, mi parve (e fu -in un trattato filosofico) più lento e grave che -non si conveniva al mio desiderio di quel -momento....„ Prosa e poesia non sono soltanto -modi diversi d'espressione, ma anche -diversi atteggiamenti dell'animo: la poesia è -più sentimento, la prosa è più riflessione. Tra -i più classici scrittori, in tempi che del romanticismo -non esiste neppure il nome, i poeti -sono naturalmente sensibili e immaginosi, hanno -parte di quelle qualità che saranno proprie dei -romantici e li distingueranno. Del pari i romantici -sono naturalmente poeti per il calore -degli affetti, per la vivacità dei fantasmi, anche -quando non compongono versi. E la loro -prosa è poetica, e il Leopardi che giudica il -suo secolo poco o niente poetico e alle volte -consiglia di porre da parte i versi e loda la -prosa, linguaggio della riflessione e della filosofia; -stima pure altra volta, perchè così -vuole la duplicità dell'animo suo, che la prosa, -per essere veramente bella, debba avere “sempre -qualche cosa del poetico, non già qualche -cosa particolare, ma una mezza tinta generale.„ -C'è in lui un filosofo che si compiace -nella lettura della classica prosa ciceroniana; -ma c'è anche un poeta che, quando vede la -<span class="pagenum" id="Page_39">[39]</span> -natura dei luoghi ameni, nella bella stagione, -si sente così trasportare fuori di sè stesso, -“che mi parrebbe di far peccato mortale a non -curarmene, e a lasciar passare questo ardore -di gioventù e a voler divenire buon prosatore, -e aspettare una ventina d'anni per darmi alla -poesia.„ Non solamente egli preferisce la -poesia, ma adora la musica: come tutte le -anime sensibili del suo tempo, è deliziato da -quest'arte che più e meglio della poesia parla -al sentimento e all'immaginazione. Se la poesia -è più romantica della prosa, la musica è l'arte -romantica per eccellenza, l'arte nuova, l'ambiguo -linguaggio delle nuove passioni perplesse, -indefinite, inappagabili. -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Desiderii infiniti</p> -<p class="i01">E visïoni altere</p> -<p class="i01">Crea nel vago pensiere,</p> -<p class="i01">Per natural virtù, dotto concento;</p> -<p class="i01">Onde per mar delizïoso, arcano</p> -<p class="i01">Erra lo spirto umano,</p> -<p class="i01">Quasi come a diporto</p> -<p class="i01">Ardito notator per l'Oceàno....</p> -</div></div> - -<p> -Mentre il poeta romantico attribuisce tanta -potenza alla melodia, mentre chiama “mirabili„ -le commozioni suscitate dalla musica, il -filologo classico torna agli studii pazienti, -all'esame dei testi antichi. L'uomo che risente -alla lettura della <i>Storia Romana</i> del Niebuhr -un piacere indicibile e che annovera fra le -pochissime felicità della sua vita l'averne conosciuto -<span class="pagenum" id="Page_40">[40]</span> -l'autore, è lo stesso che sente le -lacrime salirgli agli occhi udendo all'Argentina -<i>la Donna del lago</i>. -</p> - -<p> -Così l'intimo contrasto che abbiamo trovato -fra le due potenti facoltà del suo spirito è -accresciuto dall'educazione, dal dissidio delle -influenze che ora lo spingono in un senso ora -nell'altro. Ma, in verità, il contagio romantico -gli si apprende ogni giorno più gravemente. -Noi abbiamo considerato alcuni dei caratteri -letterarii, rettorici, formali, del romanticismo; -e abbiamo visto che, nonostante la sua fedeltà -ai grandi antichi, il Leopardi pur s'accosta -per questo rispetto ai moderni; ma se consideriamo -il romanticismo non come forma ma -come contenuto, non come metodo di scrivere -ma come modo di sentire, troviamo nel Recanatese -tutti i caratteri dei romantici veri. -</p> - -<p> -L'immaginazione eccedente e la smodata sensibilità -anticipano, tra costoro, la vita; prima -e più che alle cose vere essi si affezionano -alle figurazioni della loro fantasia. L'<i>Harold</i> -di quel Byron che Giacomo amava tanto già -prova il disgusto della sazietà quando ancora il -primo tempo della sua vita non è trascorso. E -la malinconia di Chateaubriand nasce quando -“nos facultés jeunes et actives, mais renfermées, -ne se sont exercées que sur elles-mêmes -sans but et sans objet.„ E la fantasia -dipinge ad <i>Ortis</i> “così realmente la felicità -ch'io desidero, e me la pone davanti agli occhi, -<span class="pagenum" id="Page_41">[41]</span> -e sto lì lì per toccarla con mano, e mi mancano -ancora pochi passi — e poi? il tristo -mio cuore se la vede svanire e piange quasi -perdesse un bene posseduto da lungo tempo.„ -E il Lamartine, nel giorno che compie vent'anni -è stanco come se ne avesse vissuti -cento. Il Leopardi dice che in lui “l'attività -interna si è consumata assai presto da sè medesima -per il suo proprio eccesso.„ -</p> - -<p> -Le anime avvezze a spaziare nel mondo -dei sogni, che non ha confini nè obbligazioni, -potranno mai essere appagate dalla realtà precisamente -circoscritta e severamente governata? -“Quand tous mes rêves se seraient -tournés en réalité,„ dice il Rousseau, “ils ne -m'auraient pas suffi; j'aurais imaginé, rêvé, -désiré encore. Je trouvais en moi un vide -inexplicable que rien n'aurait pu remplir, un -certain élancement du coeur vers une autre -sorte de jouissance dont je n'avais pas l'idée -et dont pourtant j'avais le besoin.„ E Chateaubriand: -“On m'accuse de passer toujours -le but que je puis atteindre; hélas! je cherche -seulement un bien inconnu dont l'instinct me -poursuit. Est-ce ma faute si je trouve partout -des bornes, si ce qui est fini n'a pour moi -aucune valeur?„ E il Leopardi vorrebbe “toujours -sentir, toujours aimer, toujours espérer„ -ma “le bonheur de l'homme ne peut consister -dans ce qui est réel. Il n'appartient qu'à -l'imagination de procurer à l'homme la seule -<span class="pagenum" id="Page_42">[42]</span> -espèce de bonheur positif dont il soit capable. -C'est la véritable sagesse que de chercher le -bonheur dans l'ideal....„ L'identità di queste -disposizioni intime è manifesta. Ancora: Gian -Giacomo preferisce le immagini agli oggetti -che le hanno suscitate e, alle Charmettes, ama -meglio la signora de Warens quando le è -lontano che non quando le sta da presso. -“Plusieurs fois j'ai évité pendant quelques -jours l'objet qui m'avait charmé dans un songe -délicieux. Je savais que ce charme aurait été -détruit en s'approchant de la réalité. Cependant -je pensais toujours à cet objet, mais je -ne le considérais pas d'après ce qu'il était: -je le contemplais dans mon imagination, tel -qu'il m'avait paru dans mon songe.„ Sono -parole del Ginevrino? E il Recanatese quello -che le scrive. Egli chiede: “Suis-je romanesque?„ -Sì, o, per meglio dire, egli è romantico. -Romanzeschi chiama ancora, invece che -romantici, i sentimenti idilliaci dell'amico Brighenti; -ma poi, come la parola <i>romantico</i> è -stata la prima volta adoperata per qualificare -un paesaggio, così anch'egli l'adopera per -qualificare un paese: a Pisa trova “un certo -misto di città grande e di città piccola, di -cittadino e di villereccio, un misto veramente -romantico.„ -</p> - -<p> -Nel sentire diversamente e maggiormente -che gli altri, nel fuggire il mondo reale, nel -concepirne uno idealmente migliore, i romantici -<span class="pagenum" id="Page_43">[43]</span> -si credono singolari, ottimi, unici. Il Rousseau -scrive: “J'étais fait pour être le meilleur -ami qui fut jamais; mais celui qui devait -me répondre est encore à venir.„ Il Lamartine -loda “ces âmes concentrées, quoique -errantes, qui désespèrent de trouver dans les -autres âmes ce qu'elles rêvent de perfection -en elles-mêmes.„ E il Leopardi loda “quei -pochissimi che sortirono le facoltà del cuore, -i quali possono avere dalla loro parte alcuni -di questo numero„, e crede che nell'amore -nessuno lo eguagli: “non nasce un altrettale -amor„ dice di sè stesso il suo Consalvo. -Egli crede ancora che nell'amicizia nessuno -senta come lui: “Chiamo voi medesimo in -testimonio che un'altra persona che vi amasse -ardentemente e immutabilmente come fo io, -non l'avete ancora trovata nè sperate di trovarla: -ed io come bramerei che ci fosse, non -altrimenti, considerando me stesso, mi persuado -affatto che non si trova.„ E il suo -dolore e quello del fratello Carlo, che è un -altro sè stesso, per la morte del fratello Luigi, -non ha il simile: “Scrivimi come vuoi; scrivimi -due sole parole come fo anch'io, perchè -le cose che noi sentiamo non si possono -esprimere, ed è ben naturale che le nostre -lettere sieno come le grandi passioni, cioè -mute.„ -</p> - -<p> -Per questo sentimento orgoglioso combinato -con lo sdegno della realtà nascono nei romantici -<span class="pagenum" id="Page_44">[44]</span> -la misantropia e l'amore della solitudine. -L'anima è sola, il mondo è un deserto, la -civiltà un tradimento fatto alla natura; il -ritorno allo stato patriarcale il solo saggio -partito. Il Leopardi scioglie un inno ai Patriarchi; -detesta i raffinamenti, i pervertimenti -della società; ama di caldo amore la semplice -natura. “Senza fallo„ scrive al Giordani, -“io spero che vi sentiate meglio anche voi, -contemplando questa natura innocente, fra la -malvagità degli uomini.„ Il <i>Renato</i> dello Chateaubriand -ha chiamato la folla “vasto deserto -di uomini„; il Leopardi dice: “veramente per -me non c'è maggior solitudine della gran -compagnia.„ Il suo carattere “è di chiudere -nel profondo di me stesso tutti gli affanni e -le affezioni vere„; naturalmente è inclinato -alla vita solitaria, e la canta, e canta il passero -solitario, il costume del quale tanto somiglia -al suo. Questo raccoglimento dà luogo -più tardi a una smania, a un bisogno di dissipazione; -allora egli dice che non è “nato alla -pazienza„, che la solitudine “non è fatta per -quelli che si bruciano e si consumano da loro -stessi„; e insomma, come tutti i romantici, -egli è inquieto, incontentabile, non sa quel -che vuole: “A me piace moltissimo la compagnia -quando son solo, e la solitudine quando -sono in compagnia....„ Dopo aver educato -sentimenti idilliaci, si compiace, come i suoi -maestri, degli spettacoli tragici, delle convulsioni -<span class="pagenum" id="Page_45">[45]</span> -della natura: la sua Saffo classicamente -esprime un pensiero romantico: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Noi l'insueto allor gaudio ravviva</p> -<p class="i01">Quando per l'etra liquido si volve</p> -<p class="i01">E per li campi trepidanti il flutto</p> -<p class="i01">Polveroso de' Noti, e quando il carro,</p> -<p class="i01">Grave carro di Giove a noi sul capo</p> -<p class="i01">Tonando, il tenebroso aere divide.</p> -<p class="i01">Noi per le balze e le profonde valli</p> -<p class="i01">Natar giova tra' nembi, e noi la vasta</p> -<p class="i01">Fuga de' greggi sbigottiti, o d'alto</p> -<p class="i01">Fiume alla dubbia sponda</p> -<p class="i01">Il suono e la vittrice ira dell'onda.</p> -</div></div> - -<p> -Ma il suo stato abituale è il tedio, il fastidio, -la noia; come quello dei romantici che, -non contenti di annoiarsi all'italiana, alla francese -o alla tedesca, hanno preso ad imprestito -lo <i>spleen</i> inglese. Il tedio lo affoga, la -noia non solamente lo “opprime e stanca„ -ma lo “affanna e lacera„; e tanto gli è abituale, -tanto è connaturata in lui, che gli pare -naturale, lodevole e grata: “la noia non è -se non di quelli in cui lo spirito è qualche -cosa.„ -</p> - -<p> -Noi dovremo tornare più tardi su questi -punti: notiamo per ora come altri sintomi del -male romantico si riscontrino nel Leopardi. -Sdegnando il mondo e i loro simili, che faranno -gli annoiati? Niente nella vita gli attira; -essi soli sono perfetti: passeranno pertanto il -loro tempo osservando sè stessi; l'analisi psicologica -viene in grande onore. L'abito filosofico -<span class="pagenum" id="Page_46">[46]</span> -di studiare nella propria la natura di -tutti gli uomini è afforzato nel Recanatese da -questa mania del suo tempo; egli pensa che -nessuno scritto è più eloquente di quello dove -altri parla di sè stesso. E mentre una forma -d'arte, il romanzo, già cronaca degli avvenimenti, -diventa ora lo specchio dell'anima; -mentre Stendhal compone i suoi primi romanzi -psicologici; Giacomo Leopardi, quello stesso -classico Leopardi il quale voleva scrivere un -romanzo storico “sul gusto della <i>Ciropedia</i>„, -pensa di comporre la <i>Storia d'un'anima</i>: “romanzo -che avrebbe poche avventure estrinseche, -ma racconterebbe le vicende interne di -un'anima nata nobile e tenera, dal tempo delle -sue prime ricordanze fino alla morte„; pensa -anche di comporre i <i>Colloquii</i> “dell'io antico -e dell'io nuovo, cioè di quello che io fui, con -quello ch'io sono; dell'uomo anteriore all'esperienza -della vita e dell'uomo esperimentato.„ -</p> - -<p> -Se pure i romantici non fossero sdegnosi -della realtà, se pure stimassero i loro simili -e volessero frequentarli ed imitarli, vivendo -come essi, ne sarebbero capaci? Le assidue -analisi intime, l'intensità del pensiero, prima -che nel Leopardi, in tutti gli altri romantici -e nell'iniziatore della scuola attenuano l'energia -volitiva e rendono incapaci di vivere: lo -stesso Leopardi nota questa sua parentela col -Ginevrino quando, enumerato nel <i>Filippo Ottonieri</i> -i diversi generi di uomini, ragiona di -<span class="pagenum" id="Page_47">[47]</span> -quelli nella cui natura “è congiunta e mista -alla forza una sorta di debolezza e di timidità: -in modo che essa natura combatte seco -medesima. Perocchè gli uomini di questa seconda -specie.... non vengono a capo, nonostante -qualunque cura e diligenza vi pongano, -di addentrarsi all'uso pratico della vita, nè di -rendersi nella conversazione tollerabili a sè -non che altrui. Tali essere stati negli ultimi -tempi, ed essere nell'età nostra, se bene l'uno -più, l'altro meno, non pochi degl'ingegni maggiori -e più delicati. E per un esempio insigne, -recava Gian Giacomo Rousseau.„ -</p> - -<p> -L'incapacità di vivere come gli altri, l'assiduità -delle meditazioni, la noia, l'inquietudine, -la solitudine, producono la malattia del -secolo: la malinconia, la disperazione, l'amor -della morte. Se l'anima immaginosa e sensibile -ha esaurito prima di vivere la sua forza vitale, -se l'esperienza la scontenta, se il mondo -la disgusta, se la solitudine la snerva, se gli -altri la offendono, se la propria compagnia la -stanca, dove resterà un rifugio? Nella morte, -unicamente. A questa conclusione arrivano tutti -i romantici. Werther si uccide, Ortis si uccide; -i loro imitatori non sono soltanto legione -nell'arte, ma anche nella vita. Una donna, -la Staël, fa l'elogio del suicidio; un'altra donna, -Elisa Mercoeur, tenta di asfissiarsi col profumo -dei fiori. Vittorio Escousse a 19 anni e -Augusto Lebras a 16, si asfissiano insieme -<span class="pagenum" id="Page_48">[48]</span> -perchè non si sentono al loro posto quaggiù, -perchè manca loro la forza a ogni passo fatto -avanti o indietro. Alfredo de Vigny riconosce -che il suicidio è un delitto per la religione -e per la morale, ma la disperazione può più -che la ragione; e, se la vince, sarà da chiamar -colpevole il suicida, il poeta, o non piuttosto -il mondo?... Non occorre citare altri -esempi. Miglior partito sarà dimostrare la forza -di questo contagio. Giacomo Leopardi forse -anche senza l'epidemia romantica avrebbe disperato; -ma, senza le cause della sua disperazione -che indagheremo fra poco ad una ad una, -i germi del male diffusi nell'aria del suo tempo -avrebbero attecchito e prodotto una grande rovina -dentro di lui. Questi germi erano così virulenti -che attaccarono e minacciarono per un -momento la salute morale d'un uomo d'azione, -dell'uomo destinato ad operare cose grandissime, -dell'uomo che ebbe la massima energia -e il massimo impero sopra sè stesso, sopra i -suoi simili e sul mondo: Napoleone Bonaparte. -“Je suis ennuyé de la nature humaine,„ scrive -egli un giorno al fratello Giuseppe: “Les -grandeurs m'ennuyent, le sentiment est desséché, -la gloire est fade.„ Ed anch'egli si -duole: “Un jour, au milieu des hommes, je -rentre pour rêver en moi-même, et me livrer -à toute la vivacité de ma mélancolie. De quel -côté est elle tournée aujourd'hui?„ Ed anch'egli -pensa alla morte: “Du côté de la -<span class="pagenum" id="Page_49">[49]</span> -mort. Dans l'aurore de mes jours, je puis -encore espérer de vivre longtemps, et quelle -fureur me porte à vouloir ma destruction?... -Que faire dans ce monde?... Puisque je dois -mourir, ne vaut-il pas autant se tuer? Si j'avais -passé soixante ans, je respecterais les préjugés -de mes contemporains et j'attendrais patiemment -que la nature eût achevé son cours; mais -puisque je commence à éprouver des malheurs, -que rien n'est plaisir pour moi, pourquoi supporterais-je -des jours on rien ne me prospère?...„ -</p> - -<p> -Se Bonaparte non sfuggì al contagio nei -primi tempi dell'epidemia, con quanta violenza -non deve essa comunicarsi più tardi, nell'infuriare -del romanticismo, ad un'anima sensitiva -e fantasiosa come quella del Recanatese?... -Abbiamo visto che la potenza del sentimento -poetico e dello spirito filosofico è in lui causa -di un intimo disagio; questo disagio potrebbe -essere, ma non è curato dall'educazione; tutt'altro. -Una disciplina uniforme avrebbe potuto -essergli salutare; ma egli nasce in un -tempo travagliato, in mezzo a un campo di -battaglia. Senza l'avvelenamento romantico, -non è da credere che le sue facoltà poetiche, -l'immaginazione e la sensibilità, sarebbero state -represse a vantaggio delle altre; ma non sarebbero -state esasperate come furono. E se -pure il poeta avesse potuto sentire come i -romantici, senz'altro, certo non sarebbe stato -contento, come non furono contenti i suoi -<span class="pagenum" id="Page_50">[50]</span> -predecessori e compagni e seguaci; ma non -avrebbe sofferto, come soffrì, per avere nello -stesso tempo tanto assiduamente ripensato il -pensiero antico. Mentre intorno a lui ciascuno -scrittore lotta contro un altro, egli -lotta con sè stesso: è classico e romantico a -un tempo, è attratto dall'una all'opposta parte. -Fra le due retoriche cerca un accomodamento: -la letteratura s'indirizzi “verso il classico e -l'antico„ col soccorso della filosofia, trattando -soggetti “del tempo„, riconoscendo “la necessità -di adattarsi al gusto corrente„; ma -i sentimenti, gli atteggiamenti morali, grazie -ai quali ogni altro scrittore si mette piuttosto -con l'una che con l'altra fazione, non si conciliano -dentro di lui o si conciliano per farlo -soffrire; perchè, mentre il romanticismo lo -disgusta del reale, il classicismo lo rende incapace -di adattarsi al mondo moderno. Leggete -il suo canto <i>Alla primavera</i>, che porta -anche un secondo titolo: <i>Delle favole antiche</i>: -vedrete che egli loda i tempi quando tutta la -natura era animata, quando le candide ninfe -e gli agresti Pani popolavano i fonti ed i campi, -quando i fiori e l'erbe ed i boschi vivevano, -quando Eco non era un “vano error di venti„ -ma il dolente spirito di una ninfa infelice. Il -sentimento che glie lo detta non potrebbe essere -più classico; consideratelo più attentamente: -troverete che non è tanto classico quanto -pare; c'è dentro quella stessa scontentezza -<span class="pagenum" id="Page_51">[51]</span> -del presente e del vicino che spinge i romantici -verso il passato e l'esotico. I romantici -puri si rifugiano col pensiero nel medio-evo -cavalleresco e cristiano; il Leopardi lo evoca -una volta: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i03"> O torri, o celle,</p> -<p class="i01">O donne, o cavalieri,</p> -<p class="i01">O giardini, o palagi!...</p> -</div></div> - -<p> -ma gl'immensi studii fatti intorno all'antichità -lo rivolgono di preferenza a quel mondo pagano -dal quale dovrebbe rifuggire interamente -per essere romantico del tutto; nel quale dovrebbe -serenamente rifugiarsi per essere del -tutto classico. Nato più presto o più tardi, il -suo spirito avrebbe forse seguito una sola corrente -e nella nettezza delle visioni e nella saldezza -dei convincimenti avrebbe trovato forza -e sostegno: l'età perplessa nel quale vive accresce -il suo disagio. Se egli possedesse una -nativa capacità d'equilibrio, a lui si potrebbe -riferire ciò che il Giordani dice del Canova, -e “pietosa„ sarebbe stata la provvidenza ponendolo -“sul doppio confine della memoria e -dell'immaginazione umana a congiungere due -spazii infiniti, richiamando a noi i passati secoli, -e de' nostri tempi facendo ritratto agli -avvenire„; ma questa congiunzione, alla quale -il Leopardi artista deve la sua grandezza, è -anche un'altra causa del dolore dell'uomo. -</p> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_52">[52]</span></p> - -<h2 id="esperienza">L'ESPERIENZA</h2> -</div> - -<h3 id="salute">I. -<span class="smaller">LA SALUTE.</span></h3> - -<p> -Quantunque, per la nativa sua tempra e -per effetto dell'educazione, Giacomo Leopardi -sia un'anima in pena, mal preparata a trovare -e ad apprezzare la felicità, che è il bisogno -di ogni uomo; nondimeno, se la fortuna -gli sorridesse, se i beni gli si offrissero -ed egli non li sapesse apprezzare, non avrebbe -ragione di negarli. Ma che cosa gli prepara -la vita? -</p> - -<p> -Il primo, il più necessario, il più urgente -dei beni è la salute, la pienezza, l'interezza -delle facoltà organiche; senza di che nessun -altro piacere, nessun'altra gioia è possibile, e -lo stesso sentimento dell'essere è leso e menomato. -“Il corpo è l'uomo„ fa dire lo stesso -Leopardi al suo Tristano: “perchè (lasciando -tutto il resto) la magnanimità, il coraggio, le -passioni, la potenza di fare, la potenza di godere, -<span class="pagenum" id="Page_53">[53]</span> -tutto ciò che fa nobile e viva la vita -dipende dal vigore del corpo, e senza quello -non ha luogo. Uno che sia debole di corpo, -non è uomo, ma bambino; anzi peggio; perchè -la sua sorte è di stare a vedere gli altri -che vivono, ed esso al più chiacchierare, ma -la vita non è per lui.„ Questo vigore corporale, -la salute, il sommo bene, a pochi è negato: -tanto esso è frequente e necessario, che -il primo posto si dà ordinariamente ad altri, -perchè “la vita è principalmente dei sani, i -quali, come sempre accade, o disprezzano o -non credono di poter perdere ciò che posseggono.„ -Il Leopardi ne è privo. -</p> - -<p> -Noi lo abbiamo visto scontento perchè, mentre -la fantasia vivacissima gli dipinge arcani -mondi ed arcana felicità, la ragione lo contrasta; -e perchè mentre sente troppo, è poco -capace di volere; ma insomma, con tutta la -straordinaria sua precocità, egli è ancora un -fanciullo, un adolescente, che impiega il suo -tempo nello studio, che ha una gran febbre -di sapere, che non si stanca di leggere, di -annotare, di commentare, di trasportare sulle -esili braccia i pesanti volumi dai palchetti della -biblioteca alla scrivania. Supponiamo che in -gioventù, nella maturità, egli goda d'una buona -salute: il mondo, nonostante che egli lo sdegni, -tosto o tardi, debolmente o fortemente, -pure lo allaccerà. Invece, a diciassette anni, -egli esce dagli studii portentosi con la schiena -<span class="pagenum" id="Page_54">[54]</span> -curva, i muscoli emaciati, la vista rovinata: il -fanciullo vivace, l'eroe Filzero che le dava a -tutti e non ne toccava da nessuno, Giacomo -“il prepotente„ è un povero gobbo minacciato -di cecità, oggetto di riso e di compassione. -Senza dubbio non la sola enormità -dello sforzo lo ha così ridotto; egli porta dalla -nascita, nelle vene, un principio maligno. Le -morti precoci, le malattie nervose e la pazzia -sono state frequenti tra i suoi antenati; il -sangue della vecchia stirpe si è impoverito e -corrotto nei molteplici matrimonii tra consanguinei: -troppe volte i Leopardi s'imparentano -con gli Antici, ai quali appartiene anche la -madre di Giacomo. Ella lo concepisce giovanissima, -in tempi di spavento, quando il marito -di lei è perseguitato dai Francesi invasori. L'eredità -morbosa e il formidabile sforzo mentale -spiegano la rovina della sua salute: la rachitide -e quella che oggi si chiama neurastenia. -Nel primo fiore della gioventù egli si sente -morire, crede che non gli restino più di due -o tre anni da vivere. Non ne ha ancora venti, -e già la sua vita consiste nell'alzarsi tardi, -nel mettersi a passeggiare sino all'ora del desinare, -nel riprendere poi la passeggiata sino -alla sera: non può scrivere un rigo e appena -riesce a leggere per un'ora. Così dura sette -mesi. Si rimette alla peggio, e allora capisce -qual è la sua condanna: “ho potuto accorgermi -e persuadermi, non lusingandomi, o caro, nè -<span class="pagenum" id="Page_55">[55]</span> -ingannandomi, che il lusingarmi e l'ingannarmi -pur troppo è impossibile, che in me veramente -non è cagione necessaria di morir -presto, e purchè m'abbia infinita cura, potrò -vivere, bensì strascinando la vita coi denti, e -servendomi di me stesso appena per la metà -di quello che facciano gli altri uomini, e sempre -in pericolo che ogni piccolo accidente e -ogni minimo sproposito mi pregiudichi, o mi -uccida.„ -</p> - -<p> -A ventun anno, nella primavera del 1819 -comincia a soffrire d'una debolezza dei nervi -oculari che gl'impedisce di poter leggere anche -una sola riga; trascorre allora i suoi giorni -sedendo con le braccia in croce, o passeggiando -per le stanze, in modo che gli fa spavento. -“Nell'età che le complessioni ordinariamente -si rassodano, io vo scemando ogni -giorno di vigore, e le facoltà corporali mi -abbandonano ad una ad una.„ Ripiglia un -po' di forza al rinfrescarsi della stagione, “ma -l'imbecillità degli occhi, e però la miseria della -mia vita, è sempre la stessa e maggiore.„ Il -primo d'ottobre comincia una lettera al Giordani, -ma un'oftalmia sopravvenuta alla debolezza -non gli consente di finirla se non in -sul finire del mese. L'amico lo sollecita a -studiare; “gli studi,„ risponde il poveretto, -“non so da otto mesi che cosa sieno, trovandomi -i nervi degli occhi e della testa indeboliti -in maniera, che non posso non solamente -<span class="pagenum" id="Page_56">[56]</span> -leggere nè prestare attenzione a checchessivoglia, -ma fissar la mente in nessun pensiero -di molto o poco rilievo.„ Egli si duole “di -avere un cervello nel cranio„, perchè non può -pensare minimi e fugacissimi pensieri “senza -contrazione e dolore de' nervi„; il male degli -occhi lo riduce “alla natura dei gufi, odiando -e fuggendo il giorno.„ Ha una tregua di -quasi un anno; ma nell'autunno del '20 “o -che la fatica mi ha pregiudicato, se bene è -stata moderatissima, o per qualunque altra -ragione, sento che la mia povera testa ricade -nella debolezza passata.„ Così va avanti, -“come Dio vuole: quando peggio, quando -meglio, sempre inetto a lunghe applicazioni.... -Io studio la notte e il dì fino a tanto che la -salute me lo comporta. Quando ella non mi -sostiene, io passeggio per la camera qualche -mese; e poi torno agli studi, e così vivo.„ -In ogni inverno i suoi mali s'incrudiscono, il -freddo è per lui “una malattia grave„, un -“carnefice e nemico mortale„; nè la primavera -gli è del tutto propizia, perchè gli produce -ogni anno una penosa “inquietezza di -nervi.„ Nel marzo del '25 è ridotto a tale, -che non può “fissar la mente in una menoma -applicazione, neppure per un istante, senza -che lo stomaco vada sossopra immediatamente, -come m'accade appunto adesso, per la sola -applicazione di scrivere questa lettera.„ A -Bologna, poco dopo, si sente un altro, quasi -<span class="pagenum" id="Page_57">[57]</span> -guarito della testa e degli occhi; ma il caldo -patito in viaggio gli produce una grave e -penosa infiammazione d'intestini che si prolunga -sino all'anno seguente; e il primo -freddo lo avvilisce, e il rigido inverno lo -tormenta in modo straordinario, “perchè la -mia ostinata riscaldazione d'intestini e di reni -m'impedisce l'uso del fuoco, il camminare e -lo stare in letto.„ Soffre pertanto pene indescrivibili, -“quanto forse in tutto il rimanente -della mia vita insieme.„ Con la primavera -si sente tornare in vita “da una vera -morte„; ma se appena appena in aprile il -tempo si guasta, egli deve ritirarsi dal mondo -e chiudersi in casa. Finalmente con l'estate -migliora; ma ricade appena fa una gita a -Ravenna. Si propone di fuggire da Bologna, -tanto lo spaventa l'idea di passarvi un altro -inverno; ma prima che ne fugga gli sopravviene -un reuma di capo, di gola e di petto -con febbre e sordità. Nel cuore dell'inverno -del '27 guarisce, a casa sua, dopo quattordici -mesi, del male degli intestini; ma ricominciano -a patire gli occhi “miserabilmente.„ -Tornato a Bologna, gli danno un fastidio -sempre più grave; a Firenze la flussione e -l'enfiagione delle palpebre peggiorano: non -può vedere la città, non può sostenere la luce. -Guarita la flussione, gli resta la consueta debolezza -dei nervi ottici e della testa, complicata -dal male dei denti; e quantunque l'inverno -<span class="pagenum" id="Page_58">[58]</span> -lo atterrisca, è ridotto a sperare che -sopravvenga tosto, perchè il freddo, pregiudicandolo -in tutto il resto, gli giova per gli -occhi. Intanto non può “nè leggere, nè scrivere, -nè pensare„; ricomincia a starsene -giorni interi seduto, con le braccia in croce, -in un ozio “più tristo assai della morte. Certo -è che un morto passa la sua giornata meglio -di me.„ L'8 di settembre scrive: “La mia -debolezza degli occhi è la più grave ed ostinata -che io abbia sofferto da otto anni in qua. -Sto bene, eccetto incomodi leggieri di flussioni -e di stomaco.„ Vedete: è ridotto a tale che, -con la vista rovinata, con altri incomodi di -flussioni e di stomaco, pure dice che sta bene! -Spera la guarigione “provvisoria e non radicale„ -della vista con l'inverno, ma il primo -freddo lo disturba; poi, se migliorano gli occhi -e i denti, torna a soffrire con lo stomaco, “perchè, -per paura di farmi male, non mangiavo -più quasi nulla.„ -</p> - -<p> -Lo hanno accusato di vagabondaggio, mentre -il disgraziato è costretto a mutar di luogo -per tentar di alleviare le sue pene. Va a Pisa -nell'autunno del '27, e lì si sente assai meglio, -quantunque gli occhi non guariscano interamente; -e se il freddo gli fa bene, egli trema -dalla mattina alla sera non potendo far uso -del fuoco: “l'uso del camminetto mi è impossibile -assolutamente e totalmente; giacchè -anche lo scaldino, il quale adopero con moderazione -<span class="pagenum" id="Page_59">[59]</span> -infinita, m'incomoda assaissimo.„ -Il 31 di gennaio così descrive il suo stato: -“Questi miei nervi non mi lasciano più speranza; -nè il mangiar poco, nè il mangiar -molto, nè il vino, nè l'acqua, nè il passeggiare -le mezze giornate, nè lo star sempre -in riposo, insomma nessuna dieta e nessun -metodo mi giova. Non posso fissar la mente -in un pensiero serio per un solo minuto, senza -sentirmi muovere una convulsione interna, e -senza che lo stomaco mi si turbi, la bocca -mi divenga amara e cose simili.„ La sua vita -“è noia e pena: pochissimo posso studiare.... -La mia salute è tale da farmi impossibile ogni -godimento: ogni menomo piacere mi ammazzerebbe„; -e l'infelice trova un'espressione -terribilmente efficace per dipingere la sua miseria: -“Se non voglio morire, bisogna ch'io -non viva....„ Dovendo tornare a Firenze viaggia -di notte: nondimeno sta male più giorni -con gl'intestini e si persuade che non è più -fatto per muoversi. “<i>Tutti</i> i miei organi, dicono -i medici, son sani: ma <i>nessuno</i> può essere -adoperato senza gran pena, a causa di -un'estrema, inaudita <i>sensibilità</i> che da tre -anni ostinatissimamente cresce <i>ogni</i> giorno: -quasi ogni azione e quasi ogni sensazione mi -dà dolore.„ Per stare tollerabilmente, deve -aversi una gran cura, evitare di riscaldarsi -e vivere senza far nulla. -</p> - -<p> -Con la nuova stagione ricominciano i mali -<span class="pagenum" id="Page_60">[60]</span> -di ventre: non può mangiare, si riduce talvolta -a patire la fame perchè lo stomaco non -tollera cibo senza dolori, “i quali sono tanto -più gravi, quanto è maggiore la quantità del -cibo, benchè questa non sia mai superiore, -anzi appena uguale, al bisogno.„ Si rimette, -ma gli ritorna la flussione degli occhi, ed è -ancora costretto a tralasciare le occupazioni -della mente. “La mia salute è passabile,„ -scrive il 18 settembre del '28 al padre, “eccetto -la solita estrema sensibilità ed irritabilità -d'ogni sorta, la quale non posso vincere -con l'esercizio (benchè questo per il momento -mi sia sempre giovevolissimo), e m'obbliga ad -avermi una cura eccessiva, minuta e penosa.„ -Per comporre una letterina entra “in convulsione -e in una specie di febbre.„ In autunno: -“i dolori e le difficoltà smaniose del -digerire mi travagliano molto.„ Di ritorno a -Recanati, non può “nè leggere, nè scrivere, -nè pensare, nè digerire il mio pranzo, che è -pur piccino.„ Nell'estate del '29 “lo sfiancamento -e la <i>risoluzione</i> dei nervi„ va sempre -crescendo. In luglio scrive alla Maestri: “Non -solo non posso far nulla, digerir nulla, ma -non ho più requie nè giorno nè notte.„ E in -agosto allo Stella: “La mia salute è in misero -stato e la mia vita è un purgatorio.„ E in -settembre al Bunsen: “Non solo i miei occhi, -ma tutto il mio fisico sono in istato peggiore -che non fossero mai. Non posso nè scrivere, nè -<span class="pagenum" id="Page_61">[61]</span> -leggere, nè dettare, nè pensare. Questa lettera -finchè non l'avrò terminata sarà la mia -sola occupazione, e con tutto ciò non potrò -finirla se non fra tre o quattro giorni.„ A -Firenze, nel '30, ha sputi sanguigni ad ogni -più piccolo raffreddore, e passa mesi interi in -letto; torna anche a smaniare per lo stomaco: -“Se non vedrete mie lettere,„ scrive alla -sorella, “non vi meravigliate mai: assolutamente -non posso, non posso scrivere.„ Ogni -riga gli costa “sudor di sangue.„ È ridotto -“un tronco che sente e pena.„ -</p> - -<p> -E la crudele vicenda ricomincia col nuovo -anno: in primavera si sente rinascere, “ma -nè occhi nè testa non hanno ricuperato un -solo menomissimo atomo delle loro facoltà, -perdute certamente per sempre.„ S'illude ancora, -crede d'esser guarito nell'autunno; ma -già lo turba il solo pensiero dell'inverno, che -dovrà passare in casa, “secondo il mio antico -e poco ameno costume.„ A Roma, dove va -col Ranieri, è inchiodato a letto dal mal di -petto, che continua sino alla primavera del '32, -con miglioramenti e ricadute successive. Nell'estate, -a Firenze, il caldo gli fa soffrire -“molta debolezza e malessere, poichè tutta -la mia salute e il mio vigore dipende dalla -moderazione della temperatura, la quale mancando, -sto sempre male.„ E nell'autunno torna -ad allettarsi per un altro reuma di petto: il -terzo in dieci mesi. Arriva in fin di vita, si -<span class="pagenum" id="Page_62">[62]</span> -ristabilisce a primavera; ma gli occhi sono nuovamente, -più seriamente minacciati dall'erpete, -e quasi perduti. Nell'estate ritornano a riammalarsi: -uno è semichiuso. -</p> - -<p> -Tale è la sua rovina, che, deliberato di tentare -il clima di Napoli, non può dare direttamente -notizia al padre della partenza; si deve -servire della mano altrui, “perchè quelle poche -ore della mattina, nelle quali con grandissimo -stento potrei pure scrivere qualche riga, le -passo necessariamente a medicarmi gli occhi.„ -E a Napoli la via della croce ricomincia ancora -una volta: dapprima gli occhi sembrano -guariti, poi egli deve tornare alla cura del -sublimato corrosivo; quando l'erpete migliora, -resta ancora il male interno, insanabile. Nell'autunno -del '35 paga il suo tributo alla stagione -con una costipazione accompagnata da -copiose emorragie del naso. Le condizioni -generali si sollevano, nell'inverno dal '35 al -'36 può tornare un poco a pensare, a leggere, -a scrivere; passa oltre un anno mediocremente: -ma è l'ultimo guizzo della lampada -vicina ad estinguersi. Già le gambe -cominciano a gonfiarsi, già il respiro diventa -affannoso. Il primo freddo del '36 lo fa spasimare -più che quello sofferto a Bologna dieci -anni prima, e sul principio del dicembre il -ginocchio e la gamba diritta gli si gonfiano -e diventano d'un colore spaventevole. Si porta -questo male sino alla metà di febbraio, quand'ecco -<span class="pagenum" id="Page_63">[63]</span> -un nuovo attacco di petto. L'occhio -diritto è minacciato da amaurosi; gli sopravviene -un attacco d'asma per il quale non può -nè camminare, nè giacere, nè dormire. Il 14 -di giugno, a trentanove anni, muore improvvisamente, -durante il desinare. -</p> - -<p> -Tale fu la vita dell'infelice: mai forse tanta -grandezza d'ingegno fu pagata con tanta miseria -del corpo. Negli altri, nelle creature -sensitive del suo tempo, i dolori si alternano -con i piaceri, alle contrazioni incresciose seguono -pure i fremiti di godimento; il suo supplizio -è per questo inaudito: che non solo egli -soffre fino allo spasimo, ma <i>non può godere</i>. -Gli occhi che dovrebbero aprirsi agli spettacoli -della natura, della bellezza, sono costretti -a fuggire la luce; il sangue che dovrebbe -scorrergli impetuoso nelle vene ed avvivargli -le membra ed imporporargli le guance, gli -spunta sulle pallide labbra: le ossa gli si -rammolliscono, le carni gli si avvizziscono: -la tisi, l'idropisia, la cardiopatia se lo contendono. -E questi mali non gl'impediscono -soltanto di soddisfare il naturale appetito del -piacere, di cercare le grate impressioni; ma -anche di appagare l'altro suo bisogno: il bisogno -di studiare, di meditare, di comunicare -con i grandi spiriti dei poeti e dei filosofi, di -raccogliersi in sè stesso, di scrivere il suo -pensiero, e anche di pensare soltanto. Qualcuno -gli consiglia di disprezzare i piccoli incomodi; -<span class="pagenum" id="Page_64">[64]</span> -ma potrà mai essere piccolo incomodo per lui -l'impossibilità di studiare? Egli non può lasciare -gli studi, e questi non hanno fatto e -non fanno altro che male, e male grave, alla -sua salute. “Ma come passar la vita senza -di loro?„ Vivere senza pensare non gli è possibile; -ed egli non può pensare, ma deve vivere; -allora si duole che, dovendo pur essere -al mondo, non sia “pianta o sasso o qualunque -altra cosa non ha compagna dell'esistenza il -pensiero.„ -</p> - -<p> -Così, mentre egli è per la sua costituzione -morale poco capace di volontà, la sua costituzione -fisica gli vieta quasi ogni azione diretta -a contentare le prepotenti sue facoltà -naturali. La sensibilità, che naturalmente cerca -le impressioni grate, deve fuggirle e non ne -prova alcuna; la stessa riflessione, la stessa -meditazione, che sul principio lo ha consolato -sino ad un certo segno dei mancati piaceri, -è anch'essa continuamente impedita. -</p> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_65">[65]</span></p> - -<h3 id="amore">II. -<span class="smaller">L'AMORE.</span></h3> -</div> - -<p> -Quando la salute, prima condizione della -felicità, è assicurata, gli uomini considerano -come massimo pregio della vita l'amore. Tanto -valore è attribuito a questa passione per la difficoltà -del suo appagamento. Ciascuna creatura -bastando a sè stessa quando vuol soddisfare -qualunque suo bisogno, ha bisogno d'un'altra -creatura simile e diversa ad un tempo per soddisfare -l'istinto della riproduzione. Questa dipendenza, -la necessità dell'accordo, non riguardano -soltanto l'amore come fatto organico, ma -anche e più l'amore come sentimento. I due -appetiti del maschio e della femmina, se bene -non si destano a un punto e con forza e caratteri -eguali, quasi sempre finalmente coincidono; -molto più difficile è che le aspirazioni, -i sentimenti e le idee d'un uomo e d'una donna -concordino. La difficoltà dell'accordo, dal quale -dipende l'appagamento del bisogno, si rivela e -<span class="pagenum" id="Page_66">[66]</span> -si misura nella scelta sessuale. Non ad un qualunque -individuo dell'altro sesso ciascun individuo -chiede l'amore, ma determinatamente ad un -tale: se ogni donna può essere amata da ogni -uomo, e reciprocamente, ciascuno di noi, uomo -o donna, crede che il proprio piacere dipenda -da alcune creature singolarissime. E la nostra -scelta è naturalmente determinata dalle -qualità esteriori e visibili delle creature da -amare: noi scegliamo quelle che ci sembrano -più belle e, per ciò stesso, migliori. Giacomo -Leopardi, sensibile e immaginoso come lo conosciamo, -capace d'apprezzare come abbiamo -visto la bellezza muliebre, crederà, sulla fede -di questa bellezza, a una maggiore, a un'infinita -bellezza intima; l'amor suo sarà un fuoco -divoratore. Infermo e deforme, egli non sarà -riamato da nessuna donna. Mai i poeti dell'amore -immaginarono situazione più sciagurata: -un cuor nobile e uno spirito altissimo in un -corpo egro e contraffatto. Se l'esperienza sentimentale -è tanto spesso triste per quegli uomini -grandi la cui grandezza non potè essere -misurata dalle donne, ma che pure, poco o -molto, bene o male, furono riamati; che cosa -dovette essere per un uomo come il Leopardi -a cui nessuna donna mai rispose, di cui più -d'una donna rise? -</p> - -<p> -Il primo amore lo infiamma a diciotto anni: -egli s'invaghisce della cugina Geltrude Cassi -venuta per qualche giorno a Recanati e scesa -<span class="pagenum" id="Page_67">[67]</span> -in casa di lui. Che struggimento sia questa -passione egli stesso ha descritto: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i02"> Tornami a mente il dì che la battaglia</p> -<p class="i01">D'amor sentii la prima volta, e dissi:</p> -<p class="i01">Oimè, se quest'è amor, com'ei travaglia!</p> -<p class="i01 dotted">. . . . . . . . . . . . . . .</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i02"> Ahi come mal mi governasti, amore!</p> -<p class="i01">Perchè seco dovea sì dolce affetto</p> -<p class="i01">Recar tanto desìo, tanto dolore?</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i02"> E non sereno, e non intero e schietto,</p> -<p class="i01">Anzi pien di travaglio e di lamento</p> -<p class="i01">Al cor mi discendea tanto diletto?</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i02"> Dimmi, tenero core, or che spavento,</p> -<p class="i01">Che angoscia era la tua fra quel pensiero</p> -<p class="i01">Presso al qual t'era noia ogni contento?</p> -</div></div> - -<p> -Delizia somma ed unica, la passione è anche -spasimo ineffabile: questo contrasto noto -ad ognuno si acuisce soprammodo in una natura -sensibile come quella del Leopardi. Il -suo cuore “inquieto e felice e miserando„, -gli affatica il fianco dal tanto forte palpitare, e -il sonno gli vien meno come per febbre; ma intanto -la dolce immagine sorge viva in mezzo -alle tenebre: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i02"> Oh come soavissimi diffusi</p> -<p class="i01">Moti per l'ossa mi serpeano! Oh come</p> -<p class="i01">Mille nell'alma instabili, confusi</p> -<p class="i02"> Pensieri si volgean!</p> -</div></div> - -<p> -Ma di questa donna che suscita in lui tanto -desiderio egli può appena ammirare le sembianze -<span class="pagenum" id="Page_68">[68]</span> -e udire la voce: e già ella parte, e -invano -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i02"> Io qui vagando al limitare intorno</p> -<p class="i01">Invan la pioggia invoco e la tempesta</p> -<p class="i01">Acciò che la ritenga al mio soggiorno.</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i02"> Pure il vento muggia nella foresta</p> -<p class="i01">E muggìa tra le nubi il tuono errante</p> -<p class="i01">Pria che l'aurora in ciel fosse ridesta.</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i02"> O care nubi, o cielo, o terra, o piante;</p> -<p class="i01">Parte la donna mia: pietà, se trova</p> -<p class="i01">Pietà nel mondo un infelice amante.</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i02"> O turbine, or ti sveglia, or fate prova</p> -<p class="i01">Di sommergermi, o nembi, insino a tanto</p> -<p class="i01">Che il sole ad altre terre il dì rinnova.</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i02"> S'apre il ciel, cade il soffio, in ogni canto</p> -<p class="i01">Posan l'erbe e le frondi, e m'abbarbaglia</p> -<p class="i01">Le luci il crudo sol pregne di pianto....</p> -</div></div> - -<p> -E se egli, al buio, protendendo l'orecchio -avido per cogliere l'ultima voce di lei che -parte, ne ode in cambio un'altra, una voce -plebea, pure un gelo lo prende e il cuore gli -si rompe nel petto. E quando ella se ne va, e -s'ode il romorio dei cavalli e delle ruote: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i02"> Orbo rimasi allor, mi rannicchiai</p> -<p class="i01">Palpitando nel letto e, chiusi gli occhi,</p> -<p class="i01">Strinsi il cor con la mano e sospirai.</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i02"> Poscia traendo i tremuli ginocchi</p> -<p class="i01">Stupidamente per la muta stanza,</p> -<p class="i01">Ch'altro sarà, dicea, che il cor mi tocchi?</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i02"> Amarissima allor la ricordanza</p> -<p class="i01">Locommisi nel petto, e mi serrava</p> -<p class="i01">Ad ogni voce il cor, a ogni speranza.</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01"><span class="pagenum" id="Page_69">[69]</span></p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i02"> E lunga doglia il sen mi ricercava,</p> -<p class="i01">Com'è quando a distesa Olimpo piove</p> -<p class="i01">Malinconicamente e i campi lava.</p> -</div></div> - -<p> -Non è esagerazione poetica, retorica. Già -non sarebbe da dubitarne perchè lo scrittore, — e -particolarmente uno scrittore come lui — risente, -componendo, le sue impressioni -passate; e se trova immagini gagliarde per dipingere -lo stato dell'anima sua, vuol dire che -gagliardamente ha sentito o è capace di sentire; -ma noi abbiamo altre testimonianze le -quali dicono molto più che non dica egli stesso. -La notte della partenza della Cassi, riferisce la -contessa Teresa Leopardi, fu una notte “spaventevole. -Egli era in preda a un delirio che -lo faceva gridare e ruggire.„ Il fratello Carlo -dovette vegliarlo. Calmatosi, egli non scrisse -soltanto questi versi, compose anche una <i>Storia</i> -del suo amore, in prosa; un giorno ne lesse alcuni -frammenti al fratello: “gli si spezzava il -cuore nel leggerli, e a Carlo mancava il coraggio -d'insistere, e lo pregava che cessasse -d'intrattenersi su quelle strazianti memorie.„ -</p> - -<p> -Quest'analisi intima accresce naturalmente -la forza delle impressioni che già si sono -scritte profondamente nelle sensibilissime fibre. -Null'altro compiacimento egli trova fuorchè in -questa indagine: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Solo il mio cor piaceami, e col mio core</p> -<p class="i01">In un perenne ragionar sepolto,</p> -<p class="i01">Alla guardia seder del mio dolore.</p> -</div></div> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_70">[70]</span> -</p> - -<p> -Perchè, non solamente nulla ottenne egli da -quella donna, ma nulla le chiese, nulla le -disse; e quantunque assicuri che -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i02"> Vive quel foco ancor, vive l'affetto,</p> -<p class="i01">Spira nel pensier mio la bella imago</p> -<p class="i01">Da cui, se non celeste, altro diletto</p> -<p class="i02"> Giammai non ebbi, e sol di lei m'appago;</p> -</div></div> - -<p> -pure, col tempo, la memoria della sua passione -a poco a poco, naturalmente, si disperde. -Un'altra tosto ne nasce. -</p> - -<p> -Una fanciulla di umile condizione, Teresa -Fattorini, figlia del cocchiere di casa Leopardi, -lo innamora. Che cosa dovrà essere questo -sentimento noi possiamo prevedere da quel che -egli dice intorno alla seduzione esercitata dalle -giovanette, dalle vergini. Se una donna, come -era la Cassi, “è più atta a inspirare e maggiormente -mantenere una passione,„ egli giudica -che una fanciulla dai sedici anni ai diciotto -anni “ha nel suo viso, nei suoi moti, -nelle sue voci un non so che di divino che -niente può agguagliare. Qualunque sia il suo -carattere, il suo gusto, allegra o malinconica, -capricciosa o grave, vivace o modesta, quel -fiore purissimo, intatto, freschissimo di gioventù, -quella speranza vergine, incolume, che -si legge sul viso e negli atti, e che voi nel -guardarla concepite in lei e per lei, quell'aria -d'innocenza e d'ignoranza completa del male, -delle sventure, dei patimenti; quel fiore insomma, -anche senza innamorarvi, anche senza -<span class="pagenum" id="Page_71">[71]</span> -interessarvi, fanno in voi un'impressione così -viva, così profonda, così ineffabile, che voi -non vi saziate di guardare quel viso; ed io -non conosco cosa che più di questa sia capace -di elevarci l'anima, di trasportarci in un -altro mondo, di darci un'idea d'angeli di paradiso, -di divinità, di felicità. Tutto questo, -io ripeto, senza innamorarci, senza muoverci -desiderio di posseder quell'oggetto. La stessa -divinità che noi vi scorgiamo, ce ne rende in -certo modo alieni, ce la fa riguardare come -di una sfera divina e superiore alla nostra, a -cui non possiamo aspirare....„ La gentile Teresa, -se da principio gl'ispira questo senso di -umile e trepida ammirazione, presto lo infiamma -d'amore prepotente. Quando, di maggio, -ella siede intenta alle opere femminili e -fa risonare tutt'intorno il suo perpetuo canto; -ed egli, lasciate le sue carte, ascolta quei -suoni, il volto gli si discolora; e se volge lo -sguardo alle vie dorate, agli orti, al mare, al -monte, la sua felicità è infinita: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Lingua mortal non dice</p> -<p class="i01">Quel ch'io sentivo in seno.</p> -<p class="i02"> Che pensieri soavi.</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Che speranze, che cori, o Silvia mia!</p> -<p class="i01">Quale allor ci apparia</p> -<p class="i01">La vita umana e il fato!</p> -</div></div> - -<p> -Ma egli non le ha detto una sola parola dell'amor -suo; nè sa che cosa veramente ella -provi per lui. Non può parlare, non sa risolversi: -<span class="pagenum" id="Page_72">[72]</span> -è timido, indeciso, senza volontà: noi -sappiamo che tutta la sua forza vitale è impiegata -all'interno, a sentire, a pensare: non -glie ne avanza per operare. E mentre la passione -lo strugge e la debolezza lo avvilisce, -la povera ragazza se ne muore, di tisi, a ventun -anno, quando egli ne ha appena venti. Egli -vede venire la morte della diletta, e si studia -invano di non credere a chi gli dà notizie disperate -dell'inferma, e presente lo strazio della -dipartita; e, morta, la rivede in sogno: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Morta non mi parea, ma trista, e quale</p> -<p class="i01">Degl'infelici è la sembianza. Al capo</p> -<p class="i01">Appressommi la destra, e sospirando,</p> -<p class="i01">Vivi, mi disse, e ricordanza alcuna</p> -<p class="i01">Serbi di noi?</p> -</div></div> - -<p> -Egli non può credere che sia morta; e -quando ne è certo, non sa come ancora sia -vivo egli stesso; e all'ombra — solo alla vana -ombra — che lo visita nel sogno, osa chiedere: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i03"> Or se di pianto il ciglio,</p> -<p class="i01">........ e di pallor velato il viso</p> -<p class="i01">Per la tua dipartita, e se d'angoscia</p> -<p class="i01">Porto gravido il cor; dimmi: d'amore</p> -<p class="i01">Favilla alcuna, o di pietà, giammai</p> -<p class="i01">Verso il misero amante il cor t'assalse</p> -<p class="i01">Mentre vivesti? Io disperando allora</p> -<p class="i01">E sperando traea le notti e i giorni;</p> -<p class="i01">Oggi nel vano dubitar si stanca</p> -<p class="i01">La mente mia. Che se una volta sola</p> -<p class="i01">Dolor ti strinse di mia negra vita</p> -<p class="i01">Non mel celar, ti prego, e mi soccorra</p> -<p class="i01">La rimembranza or che il futuro è tolto</p> -<p class="i01">Al nostri giorni....</p> -</div></div> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_73">[73]</span> -</p> - -<p> -E quando ella gli dice che sì, allora: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Per le sventure nostre, e per l'amore</p> -<p class="i01">Che mi strugge, esclamai; per lo diletto</p> -<p class="i01">Nome di giovinezza e la perduta</p> -<p class="i01">Speme de' nostri dì, concedi, o cara,</p> -<p class="i01">Che la tua destra io tocchi.</p> -</div></div> - -<p> -Torna a scordarsi che è morta nel ricoprirne di -baci ardenti la mano; ma il fantasma sparisce: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i09"> Allor d'angoscia</p> -<p class="i01">Gridar volendo, e spasimando, e pregne</p> -<p class="i01">Di sconsolato pianto le pupille,</p> -<p class="i01">Dal sonno mi disciolsi. Ella negli occhi</p> -<p class="i01">Pur mi restava, e nell'incerto raggio</p> -<p class="i01">Del sol vederla io mi credeva ancora.</p> -</div></div> - -<p> -La dolorosa memoria non lo lascia più. -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i09"> Ahi Nerina! In cor mi regna</p> -<p class="i01">L'antico amor. Se a feste anco talvolta,</p> -<p class="i01">Se a radunanze io movo, in fra me stesso</p> -<p class="i01">Dico: Nerina, a radunanze, a feste</p> -<p class="i01">Tu non ti acconci più, tu più non movi.</p> -<p class="i01">Se torna maggio, e ramoscelli e suoni</p> -<p class="i01">Van gli amanti recando alle fanciulle,</p> -<p class="i01">Dico: Nerina mia, per te non torna</p> -<p class="i01">Primavera giammai, non torna amore.</p> -<p class="i01">Ogni giorno sereno, ogni fiorita</p> -<p class="i01">Piaggia ch'io miro, ogni goder ch'io sento,</p> -<p class="i01">Dico: Nerina or più non gode; i campi,</p> -<p class="i01">L'aria non mira. Ahi tu passasti, eterno</p> -<p class="i01">Sospiro mio: passasti: e fia compagna</p> -<p class="i01">D'ogni mio vago immaginar, di tutti</p> -<p class="i01">I miei teneri sensi, i tristi e cari</p> -<p class="i01">Moti del cor, la rimembranza acerba.</p> -</div></div> - -<p> -Dubitano che questa Nerina sia la stessa -Silvia, la stessa Teresa Fattorini; dicono che -<span class="pagenum" id="Page_74">[74]</span> -possa essere un'altra umile giovanetta, la tessitrice -Maria Belardinelli, della quale il poeta -si era più tardi invaghito. Sia pure. Ma quest'altro -amore è stato forse più fortunato dell'altro? -Quest'altro amore somiglia quanto più -non sarebbe possibile al primo. Come non ha -rivelato l'animo suo alla Fattorini, il Leopardi -non l'ha rivelato alla Belardinelli; come la -Fattorini è morta giovane, giovane è morta -la Belardinelli: la prima a ventun anno, la -seconda a ventisette. Entrambe le passioni furono -tacite, inappagate, infelici. -</p> - -<p> -E l'esperienza della sua incapacità a farsi -amare prostra il giovane, lo attrista, lo riduce -a una sconsolata e cupa rassegnazione. Se -incontra una bella fanciulla, se ne ode soltanto -da lontano qualcuna cantare, -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">A palpitar si move</p> -<p class="i01">Questo mio cor di sasso; ahi, ma ritorna</p> -<p class="i01">Tosto al ferreo sopor; ch'è fatto estraneo</p> -<p class="i01">Ogni moto soave al petto mio.</p> -</div></div> - -<p> -Nessuna simpatia dell'infelice è stata corrisposta, -nessuna ne ha saputa o potuta esprimere; -nessun'altra ne esprimerà, di nessun'altra -otterrà il ricambio. Egli stesso ha riconosciuto -che così dev'essere, che così è giusto -che sia. Egli sa d'avere “l'aspetto miserabile -e dispregevolissima tutta quella gran -parte dell'uomo, che è la sola a cui guardino -i più: e coi più bisogna conversare in questo -mondo; e non solamente i più, ma chicchessia -<span class="pagenum" id="Page_75">[75]</span> -è costretto a desiderare che la virtù non sia -senza qualche ornamento esteriore, e trovandonela -nuda affatto, s'attrista, e per forza di -natura, che nessuna sapienza può vincere, -quasi non ha coraggio d'amare quel virtuoso -in cui niente è bello fuorchè l'anima.„ Così -la sua Saffo, dispregiata amante, riconosce che -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i03"> alle sembianze il Padre</p> -<p class="i01">Alle amene sembianze eterno regno</p> -<p class="i01">Diè nelle genti; e per virili imprese,</p> -<p class="i01">Per dotta lira o canto,</p> -<p class="i01">Virtù non luce in disadorno ammanto.</p> -</div></div> - -<p> -Che vale nondimeno questa persuasione filosofica -contro le leggi della vita, contro le voci -dell'istinto? La ragione ha un bel dimostrargli -sino all'evidenza che egli non può essere -amato: che importa, se dell'amore ha bisogno? -E allora, non che rassegnarsi, egli fa -un ragionamento tutto inverso. L'amore degli -uomini non si distingue per la parte che vi -ha l'anima? I godimenti bassi e volgari valgono -forse il piacere “que donne un seul -instant de ravissement et d'émotion profonde?„ -L'anima sua non è capace di risentire e di -procurare altrui queste commozioni ineffabili? -Le donne non dicono che è inutile parlare -ai loro sensi; che solo il sentimento le infiamma? -Non vi sarà una donna che, ansiosa -di essere amata con l'anima, da un'anima -grande, comprenderà la sua grandezza e compatirà -la sua sciagura e gli stenderà la mano? -<span class="pagenum" id="Page_76">[76]</span> -Se egli ancora non l'ha trovata, non può, non -deve sperare di trovarla? Nulla vale l'esperienza -contraria per uno avvezzo come lui a -dar tanto credito alle illusioni. Egli deve necessariamente -illudersi che se nessuna donna -lo ha ancora compreso, qualcuna lo comprenderà. -E il tempo passa, e non una si accorge -di lui. Allora egli si rivolta contro tutte: -tanto più violentemente, quanto più è persuaso -che l'amor suo è senza pari, per quel -sentimento orgoglioso del quale altrove notammo -l'origine. Allora egli scrive: “L'ambizione, -l'interesse, la perfidia, l'insensibilità -delle donne che io definisco un <i>animale senza -cuore</i>, sono cose che mi spaventano.... La -scelleraggine delle donne mi spaventa, non -già per me, ma perchè vedo la miseria del -mondo.„ Egli vede che, se uomini e donne -sono destinati ad amarsi, sono anche fatti diversamente; -e che, naturalmente più fredde, -le donne possono speculare sull'ardenza del -desiderio che ispirano: quindi la prostituzione. -Egli non può accostare le sciagurate -che si vendono perchè gli fanno troppo ribrezzo -e troppa paura, perchè vuole amare -nobilmente, con tutte le più alte potestà dell'esser -suo; ma crede che, se altra fosse la -sua condizione nel mondo, non sarebbe deriso: -“S'io divenissi ricco e potente, ch'è -impossibile, perchè ho troppo pochi vizi, le -donne senza fallo cercherebbero d'allacciami. -<span class="pagenum" id="Page_77">[77]</span> -Ma in questa mia condizione, disprezzato e -schernito da tutti, non ho nessun merito per -attirarmi le loro lusinghe.„ E il maggiore, -l'unico suo merito, la capacità sentimentale, -si perde a poco a poco: egli sente di non -poter essere amato anche “perchè ho l'animo -così agghiacciato e appassito dalla continua -infelicità, ed anche dalla misera cognizione del -vero, che prima di avere amato ho perduto la -facoltà di amare; e un angelo di bellezza e -di grazia non basterebbe ad accendermi.„ -</p> - -<p> -Ma come s'inganna! A ventidue anni può -egli esser sicuro di non ricadere nell'eterna -illusione? Non confessa che la sua esperienza -è tutta immaginaria, che non ha amato realmente, -come tutti gli altri uomini i quali manifestano -i loro sentimenti e cercano di ottenerne -il ricambio; ma soltanto tra sè, tacitamente, -nella solitudine? Allora chi lo difenderà -contro nuove lusinghe? Bisognerebbe che -il suo cuore mutasse di tempra perchè perdesse -la capacità d'infiammarsi così. Se l'amor suo -è un chiuso fuoco che la sola vista d'una -donna accende, nè la mancata corrispondenza, -nè l'impossibilità d'esser compreso, nè lo sdegno -contro le creature giudicate insensibili -gl'impediranno di accendersi ancora. -</p> - -<p> -Noi lo abbiamo udito gridare da Roma al -fratello: “Amami, per Dio. Ho bisogno d'amore, -amore, amore, fuoco, entusiasmo, vita....„ -Subito dopo soggiunge: “Le donne romane -<span class="pagenum" id="Page_78">[78]</span> -alte e basse fanno propriamente stomaco; gli -uomini fanno rabbia e compassione.„ Nella -gran città, se “non per modestia, ma per -pienissima e abituale indifferenza e noncuranza„, -le donne non alzano gli occhi sui -giovani molto belli ed eleganti in compagnia -dei quali egli gira spesso per le vie; come -sarà guardato e notato un povero contraffatto -suo pari? Quindi il suo sdegno cresce, lo fa -uscire in nuovi insulti: “Trattando, è così -difficile il fermare una donna in Roma come -in Recanati, anzi molto più, a cagione dell'eccessiva -frivolezza e dissipatezza di queste -bestie femminine, che oltre di ciò non ispirano -un interesse al mondo, sono piene d'ipocrisia, -non amano altro che il girare e il -divertirsi non si sa come....„ Ma quanto gli -debba costare questo giudizio, quanto debba -cuocergli la rinunzia alle gioie dell'amore -nella quale vuol dare a intendere che quasi -si compiace, appare da altre sue impressioni. -Il povero rachitico intende squisitamente la -seduzione delle forme muliebri, dà ragione -dell'incanto che esercita lo spettacolo del ballo: -“Una donna nè col canto nè con altro qualunque -mezzo può tanto innamorare un uomo -quanto col ballo; il quale pare che comunichi -alle sue forme un non so che di divino, ed -al suo corpo una forza, una facoltà più che -umana.„ Se egli ha dichiarato di sprezzare -tutto il genere femminino, se annunzia che -<span class="pagenum" id="Page_79">[79]</span> -non tratta a Roma con donne, confessa pure -che “senza queste nessuna occupazione o circostanza -della nostra vita ha diritto di affezionarci -o di compiacerci. Io me n'assicuro -per esperienza, e posso giurarti che la conversazione -spiritosa o senza spirito mi è -venuta in odio mortale. Tutto è secco fuori -del nostro cuore; e questo non si esercita -mai....„ E quando il fratello Carlo gli annunzia -che è innamorato, egli se ne felicita: -“Veramente non so qual migliore occupazione -si possa trovare al mondo che quella di fare -all'amore, sia di primavera o d'autunno; e -certo che il parlare a una bella ragazza vale -dieci volte più che girare, come io fo, attorno -all'Apollo del Belvedere o alla Venere Capitolina.„ -Se, dunque, poco tempo dopo, di ritorno -a Recanati, egli scrive al Melchiorri -che è “ben sicuro di morire e di soffrire per -tutt'altro che per una donna„, noi non lo potremo -credere. Rallegratosi col fratello per la -sua nuova fiamma, otto mesi dopo egli ammonisce -il cugino: “Io sono troppo persuaso, -non dico della vostra filosofia, perchè la filosofia -in questi casi non serve, ma della vostra -accortezza e cognizione del mondo, per -credervi capace d'innamorarvi in modo che la -passione vi possa inquietare. Caro Peppino, -non siamo più a quei tempi. Nella primissima -gioventù, questo ci può accadere; ma dopo -fatta esperienza delle cose, è impossibile, o è -<span class="pagenum" id="Page_80">[80]</span> -troppo fuor di ragione. Un tempo addietro io -era capacissimo di una passione furiosa: ne -ho provate anch'io e per confessarvi la mia -sciocchezza, vi dico che sono stato più volte -vicinissimo ad ammazzarmi per ismania d'amore, -ancorchè in verità non avessi altra cagione -di disperarmi, che la mia immaginazione. -Ma dopo l'esperienza, sono ben sicuro -di morire e di soffrire per tutt'altro che per -una donna. Farei torto al vostro buon giudizio -se vi ricordassi che le donne non vagliono -la pena di amarle e di patire per loro. -Non posso credere che mi rispondiate che la -vostra è diversa dall'altre. Questa è la risposta -di tutti gl'innamorati, e non sarebbe degna di -voi. Voi ed io dobbiamo tenere per assioma matematico -che non v'è nè vi può esser donna degna -di essere amata da vero.„ La contraddizione -è tutta apparente: se egli parla ora da -credente ora da scettico, ciò avviene perchè, con -un bisogno prepotente d'amore, si sente condannato -a non ottenerne mai. Non lo amano, ed -egli accusa tutto il sesso muliebre; ma se è -ingiusto con le donne, è anche ingiusto con sè -stesso, dichiarandosi impotente ad amare quando -invece è condannato a struggersi invano. “Sono -molto contento,„ riscrive all'amico, “di vedervi -questa volta un poco più quieto sopra la -vostra passione. Di questa io non sarei capace, -perchè il cuore, di cui voi mi parlate, è andato -a spasso dopo tante esperienze d'uomini e di -<span class="pagenum" id="Page_81">[81]</span> -donne: ma non biasimo però chi è capace ancora -di provarla e di amare da vero, anzi lo -invidio e lo felicito, perchè l'amore, quantunque -sia una pura illusione, ed abbia molti -dolori, ha però un maggior numero di piaceri; -e se fa molti danni, questi servono per pagare -moltissimi diletti che ci procura. Sotto -questo aspetto io approvo l'amore se bene non -lo provo; ma quando poi esso ci dovesse fare -infelici, non concederò mai che la ragione in un -par vostro, e in qualunque uomo, sia filosofo, -sia mondano, non debba potere, se non altro, -indebolirlo.... A' tempi nostri, in questi costumi, -con questo carattere di donne, coi disinganni -che ci hanno procurati tante cognizioni d'ogni -genere intorno al cuore umano, non è possibile -che un uomo di senno sia per lungo tempo la -vittima di una passione ispirata da oggetti -pieni di vanità e d'ogni sorta di tristizie.„ -</p> - -<p> -Ma tanto egli arde, tale è la sua sete d'amore, -che non trovando una donna di carne e -d'ossa alla quale poter degnamente consacrare -il suo culto, se ne foggia una con la fantasia. -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Viva mirarti omai</p> -<p class="i01">Nulla speme m'avanza....</p> -<p class="i05"> .... Già sul novello</p> -<p class="i01">Aprir di mia giornata incerta e bruna,</p> -<p class="i01">Te viatrice in questo arido suolo</p> -<p class="i01">Io mi pensai. Ma non è cosa in terra</p> -<p class="i01">Che ti somigli; e s'anco pari alcuna</p> -<p class="i01">Ti fosse al volto, agli atti, alla favella,</p> -<p class="i01">Saria, così conforme, assai men bella.</p> -</div></div> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_82">[82]</span> -</p> - -<p> -Egli dimentica che, essendo tanto poco amabile, -non dovrebbe essere tanto esigente; la -sua immaginazione è così fervida che vince la -coscienza della sua miseria fisica: infermo, -contraffatto, sogna una perfezione fuori dell'umano: -egli è ancora quel romantico che, -innamorato di una donna viva, la evita per -contemplarla idealmente, temendo che la realtà -ne distrugga l'incanto. Ma romanticismo, idealismo, -delirii della fantasia: tutto cede all'istinto -vitale. L'amore è un bisogno; egli -deve amare, ed ama: e l'amor suo non è ricambiato; -non dalla Basvecchi, non dalla Brighenti, -non dalla Malvezzi. Udite che cosa -desta costei in questo dispregiatore di tutto -il genere femminile: “Sono entrato con una -donna (Fiorentina di nascita) maritata in una -delle principali famiglie di qui, in una relazione, -che forma ora gran parte della mia vita. -Non è giovane, ma è di una grazia e di uno -spirito che (credilo a me, che finora l'avevo -creduto impossibile) supplisce alla gioventù e -crea un'illusione maravigliosa. Nei primi giorni -che la conobbi, vissi in una specie di delirio -e di febbre. Non abbiamo mai parlato di amore -se non per ischerzo, ma viviamo insieme in -un'amicizia tenera e sensibile, con un interesse -scambievole, e un abbandono, che è come -un amore senza inquietudine. Ha per me una -stima altissima: se le leggo qualche mia cosa, -spesso piange di cuore senz'affettazione; le -<span class="pagenum" id="Page_83">[83]</span> -lodi degli altri non hanno per me nessuna sostanza: -le sue mi si convertono tutte in sangue, -e mi restano nell'anima. Ama e intende -molto le lettere e la filosofia; non ci manca -mai materia di discorso, e quasi ogni sera io -sono con lei dall'avemaria alla mezzanotte -passata, e mi pare un momento. Ci confidiamo -tutti i nostri secreti, ci riprendiamo, ci avvisiamo -dei nostri difetti. In somma questa conoscenza -forma e formerà un'epoca ben marcata -della mia vita, perchè mi ha disingannato -del disinganno, mi ha convinto che ci -sono veramente al mondo dei piaceri che io -credeva impossibili, e che io sono ancor capace -d'illusioni stabili, malgrado la cognizione -e l'assuefazione contraria così radicata, ed -ha risuscitato il mio cuore dopo un sonno -anzi una morte completa.„ Teresa Carniani -Malvezzi non è giovanetta, ignara della vita -e dell'arte; è donna fatta, scrittrice, poetessa: -dovrebbe sapere chi è l'uomo da cui è amata; -se non gradisce l'amor suo perchè non glie -lo fa intendere subito? Prima lo alletta; poi -un bel giorno gli dichiara che le sue visite -la seccano. “L'ultima volta che ebbi il piacere -di vedervi,„ egli le scrive, “voi mi diceste -così chiaramente che la mia conversazione -da solo a sola vi annoiava, che non -mi lasciaste luogo a nessun pretesto per ardire -di continuarvi la frequenza delle mie -visite. Non crediate ch'io mi chiami offeso; -<span class="pagenum" id="Page_84">[84]</span> -se volessi dolermi di qualche cosa, mi dorrei -che i vostri atti, e le vostre parole, benchè -chiare abbastanza, non fossero anche più chiare -ed aperte....„ Questo egli chiede almeno: che -non lo lusinghino, che gli dicano tosto di non -volere, di non potere mai rispondere all'amor -suo. E neppur questo può ottenere, mai. -</p> - -<p> -Nella stessa Bologna dove ha conosciuto la -Malvezzi, nello stesso anno, incontra eguale -fortuna con la Padovani, cantante giovane, -bella e graziosa. Egli non va più da lei quando -s'accorge che l'amor suo è sdegnato, e resiste -alle dimostrazioni d'interesse con le quali quest'altra -mal consigliata tenta di riparare alle -repulse; poichè gli amici di lui temono che -non sia guarito del tutto, egli dimostra — o -tenta dimostrare — che non hanno ragione: -“Non so perchè vogliate dubitare della mia -costanza in tenermi lontano da quella donna. -Quasi mi vergogno a dirti che essa, vedendo -che io non andavo più da lei, mandò a domandarmi -delle mie nuove, ed io non ci andai; -che dopo alcuni giorni mandò ad invitarmi a -pranzo, ed io non ci andai; che sono partito -per Firenze senza vederla; che non l'ho mai -veduta dopo la tua partenza da Bologna. Dico -che mi vergogno a raccontarti questo, perchè -par ch'io ti voglia provare una cosa di cui -mi fai torto a dubitare. Certo che la gioventù, -la bellezza, le grazie di quella strega sono tanto -grandi, che ci vuol molta forza a resistere....„ -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_85">[85]</span> -</p> - -<p> -Egli trova questa forza; e glie ne va data -tanto maggior lode, quanto più degne di biasimo -sono coteste allettatrici, che vorrebbero -tenerselo accosto non solo senza accordargli -nulla, ma ridendo anche di lui. -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">E voi, pupille tremule,</p> -<p class="i01">Voi raggio sovrumano,</p> -<p class="i01">So che splendete invano,</p> -<p class="i01">Che in voi non brilla amor.</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Nessun ignoto ed intimo</p> -<p class="i01">Affetto in voi non brilla:</p> -<p class="i01">Non chiude una favilla</p> -<p class="i01">Quel bianco petto in sè.</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Anzi d'altrui le tenere</p> -<p class="i01">Cure suol porre in giuoco,</p> -<p class="i01">E d'un celeste foco</p> -<p class="i01">Disprezzo è la mercè.</p> -</div></div> - -<p> -Allora egli si rivolge al passato, rievoca la -figura della povera fanciulla morta sul fiore -degli anni, della gentile che, se non l'amò, -almeno non rise di lui: e questo è tutto il -suo conforto: un mortuario ricordo: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i09"> Rimembri ancora</p> -<p class="i01">Quel tempo della tua vita mortale,</p> -<p class="i01">Quando beltà splendea</p> -<p class="i01">Negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,</p> -<p class="i01">E tu, lieta e pensosa, il limitare</p> -<p class="i01">Di gioventù salivi?</p> -</div></div> - -<p> -Ella è morta; egli è inaridito, non aspetta se -non la morte: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Tu, misera, cadesti: e con la mano</p> -<p class="i01">La fredda morte ed una tomba ignuda</p> -<p class="i01">Mostravi di lontano....</p> -</div></div> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_86">[86]</span> -</p> - -<p> -E s'inganna ancora! Egli non è giunto al -termine delle sue prove. Se l'immaginazione lo -ha troppo illuso, se l'esperienza lo ha troppo -deluso, la triste vicenda non è ancora finita. -Egli ha trent'anni. Quantunque la sua salute -sia rovinata per sempre, pure la fiamma vitale -non è ancora spenta. Ed è nato ad amare, -come il suo Eleandro: “Sono nato ad amare, -ho amato, e forse con tanto affetto quanto -può mai capire in anima umana.„ Eleandro, -come lui, ha un bel dire: “Oggi, benchè non -ancora, come vedete, in età naturalmente -fredda, nè forse anco tepida, non mi vergogno -a dire che non amo nessuno, fuorchè me -stesso, per necessità di natura, e il meno possibile.„ -Giacomo Leopardi, per suo proprio -conto, in prima persona, griderà ancora: “Io -non ho bisogno nè di stima, nè di gloria, nè -d'altre cose simili; ma ho bisogno d'amore....„ -La sua speranza che una donna finalmente lo -intenda non può morire. Se non è mai stato -amato, se non ha saputo, se non ha potuto -esprimere i proprii sentimenti, gli basta, come a -Consalvo, un lieto sguardo, una buona parola, -perchè, ripetendoli mille e mille volte nel costante -pensiero, egli viva e speri. -</p> - -<p> -Ed ecco la nuova allettatrice: Fanny Targioni-Tozzetti, -che egli incontra a Firenze, -nel 1830. In un salotto elegante tutto odoroso -dei nuovi fiori primaverili, vestita del colore -della bruna viola, ella lo accoglie amabilmente, -<span class="pagenum" id="Page_87">[87]</span> -e quasi ad eccitare i suoi desiderii scocca -baci sulle labbra delle figliuoline stringendole -al seno. -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i10"> Apparve</p> -<p class="i01">Novo ciel, nova terra, e quasi un raggio</p> -<p class="i01">Divino al pensier mio.</p> -</div></div> - -<p> -La fiamma che repentinamente lo investe è -alta e gagliarda. Dal momento che l'ha veduta -il pensiero di lei governa il suo cuore: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Dolcissimo, possente,</p> -<p class="i01">Dominator di mia profonda mente:</p> -<p class="i01">Terribile, ma caro</p> -<p class="i01">Dono del ciel; consorte</p> -<p class="i01">Ai lugubri miei giorni,</p> -<p class="i01">Pensier che innanzi a me sì spesso torni....</p> -</div></div> - -<p> -Da questo momento, come per virtù d'incantesimo, -tutte le altre sue cure, i tanti dolori, -i ricordi, le aspettazioni, tutto svanisce: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Ratti d'intorno intorno al par del lampo</p> -<p class="i01">Gli altri pensieri miei</p> -<p class="i01">Tutti si dileguâr. Siccome torre</p> -<p class="i01">In solitario campo</p> -<p class="i01">Tu stai solo, gigante....</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i02"> Che divenute son, fuor di te solo,</p> -<p class="i01">Tutte l'opre terrene,</p> -<p class="i01">Tutta intera la vita al guardo mio!</p> -<p class="i01">Che intollerabil noia</p> -<p class="i01">Gli ozi, i commerci usati,</p> -<p class="i01">E di vano piacer la vana spene,</p> -<p class="i01">Allato a quella gioia,</p> -<p class="i01">Gioia celeste che da te mi viene!</p> -</div></div> - -<p> -E se prima egli non temeva la morte, ora -quasi la sfida e ne ride; e se il volgo gli -<span class="pagenum" id="Page_88">[88]</span> -parve spregevole, ora ogni atto indegno lo -ferisce; e se la sua vita è stata un lungo -martirio, è lieto d'averlo sopportato, ora che -ottiene tal premio: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Ed ancor tornerei,</p> -<p class="i01">Così qual son de' nostri mali esperto,</p> -<p class="i01">Verso un tal segno a incominciare il corso:</p> -<p class="i01">Che tra le sabbie e tra il vipereo morso,</p> -<p class="i01">Giammai finor sì stanco</p> -<p class="i01">Per lo mortal deserto</p> -<p class="i01">Non venni a te, che queste nostre pene</p> -<p class="i01">Vincer non mi paresse un tanto bene.</p> -</div></div> - -<p> -E amando egli solo, senza sapere ancora qual -sorte è serbata all'amor suo, che slancio d'immaginazione, -che superbe speranze: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Che mondo mai, che nova</p> -<p class="i01">Immensità, che paradiso è quello</p> -<p class="i01">Là dove spesso il tuo stupendo incanto</p> -<p class="i01">Parmi innalzar! dov'io</p> -<p class="i01">Sott'altra luce che l'usata errando,</p> -<p class="i01">Il mio terreno stato</p> -<p class="i01">E tutto quanto il ver pongo in obblìo!</p> -</div></div> - -<p> -Egli presente pure che anche questo è un -sogno: ma sogno di natura divina; e se un -tempo, amando la prima volta, fu stupito vedendo -come per amore fosse tutt'in una volta -“felice e miserando„, ora, con gli anni, coi -disinganni, con le difficoltà di accogliere, dopo -questa, nuove lusinghe, sente che il nuovo -pensiero, “cagion diletta d'infinito affanno„, -non sarà più sostituito. -</p> - -<p> -Manifesterà egli questa volta con parole, -<span class="pagenum" id="Page_89">[89]</span> -proverà questa volta coi fatti la passione sua? -Egli sa che dovrebbe fare così; ma tutte le -sue disgrazie sono aggravate: moralmente, la -fiacchezza della volontà, la timidezza, la paura -sono cresciute, sono diventate vera impotenza; -fisicamente, dopo quindici anni di malattie, -egli è l'ombra di sè stesso. Non sa far altro -pertanto che pensare a lei; si studia di veder -lei in quelli che le somigliano; per esserle -gradito importuna tutti i suoi amici chiedendo -loro autografi, giacchè ella ne fa raccolta. Ed -ella, accogliendolo benignamente, godendo i -vantaggi d'un'amicizia così grande, ride poi -insieme con gli amici del “suo gobbetto....„ -</p> - -<p> -L'infelice ignora le risa di lei. Seguìto a -Roma l'amico Ranieri, si sente come in esilio; -scrive alla donna del suo cuore una lettera -dove la passione, nonostante la timidità, pure -traspare: “Cara Fanny, Non vi ho scritto fin -qui per non darvi noia, sapendo quanto siete -occupata. Ma infine non vorrei che il silenzio -vi paresse dimenticanza, benchè forse sappiate -che il dimenticar voi non è facile. Mi pare che -mi diceste un giorno, che spesso ai vostri -amici migliori non rispondevate, agli altri sì, -perchè di quelli eravate sicura che non si -offenderebbero, come gli altri, del vostro silenzio. -Fatemi tanto onore di trattarmi come -uno de' vostri migliori amici, e se siete molto -occupata, e se lo scrivere vi affatica, non mi -rispondete....„ E lasciatosi andare a parlare -<span class="pagenum" id="Page_90">[90]</span> -della sua misantropia, si pente, s'incolpa: -“Ma io ho torto di scrivere queste cose a -voi, che siete bella, e privilegiata dalla natura -a risplendere nella vita, e trionfare del -destino umano. So che anche voi siete inclinata -alla malinconia, come sono state sempre -e come saranno in eterno, tutte le anime gentili -e d'ingegno. Ma con tutta sincerità, e -nonostante la mia filosofia vera e disperata, -io credo che a voi la malinconia non convenga; -cioè che quantunque naturale, non sia del tutto -ragionevole. Almeno così vorrei che fosse.... -Addio, cara Fanny; salutatemi le bambine. -Se vi degnate di comandarmi, sapete che a -me, come agli altri che vi conoscono, è una -gioia e una gloria il servirvi.„ Tornato a -Firenze, divampando la sua passione con nuova -forza, egli comincia ad accorgersi che la donna -lo tratta con insolita freddezza. Tante volte -sì è ribellato: ora no, ora s'umilia; dinanzi -a lei prima e sola piega l'altero capo, si mostra -timido e tremante; e spia sommessamente ogni -sua voglia, ogni parola, ogni atto; impallidisce -ai suoi superbi fastidii; brilla in volto a un segno -suo cortese; muta forma e colore ad ogni -suo sguardo. Questa tenacia della speranza -misurerà la forza della seguente disperazione. -Già nell'agosto del '32, quando ella va a Livorno -per i bagni, rimasto solo a Firenze, senza -lei, senza l'amico, tormentato dalla passione impotente, -costretto a fuggire la luce per il male -<span class="pagenum" id="Page_91">[91]</span> -degli occhi, le scrive: “Ranieri è sempre a Bologna, -sempre occupato in quel suo amore che -lo fa per più lati infelice. E pure certamente -l'amore e la morte sono le sole cose belle che -ha il mondo e le sole solissime degne di essere -desiderate. Pensiamo, se l'amore fa l'uomo infelice, -che faranno le altre cose che non sono nè -belle nè degne dell'uomo....„ I suoi malanni -crescono con la brutta stagione: ha il petto -rotto dalla tosse, gli occhi quasi spenti: è un -moribondo. Ella gli accorda ancora un poco di -carità; e il disgraziato se ne contenta; quando -il Ranieri, tornato a Firenze, gli rivela, forse -per indurlo a lasciare questa città e a venirsene -a Napoli con lui, che anche questa donna -lo schernisce come tutte le altre.... -</p> - -<p> -Allora perisce l'estremo inganno; la speranza -e lo stesso desiderio di nuovi amori, dì -nuovi inganni, si spegne; nessuna cosa gli -pare che valga più i moti del suo cuore. Cotesta -donna non ha saputo -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Che smisurato amor, che affanni intensi,</p> -<p class="i01">Che indicibili moti e che deliri</p> -<p class="i01">Movesti in me; nè verrà tempo alcuno</p> -<p class="i01">Che tu l'intenda. In simil guisa ignora</p> -<p class="i01">Esecutor di musici concenti</p> -<p class="i01">Quel ch'ei con mano e con la voce adopra</p> -<p class="i01">In chi l'ascolta.</p> -</div></div> - -<p> -La donna amata è come morta per lui. Quantunque -realmente ella viva, -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Bella non solo ancor, ma bella tanto,</p> -<p class="i01">Al parer mio, che tutte l'altre avanzi,</p> -</div></div> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_92">[92]</span> -</p> - -<p> -la creatura viva non gli è più nulla; egli -sente, ultimo disinganno, ultimo dolore, d'avere -amato non la persona reale di lei, ma -l'immagine che l'innamorata fantasia glie ne -dipinse: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Quella adorai gran tempo; e sì mi piacque</p> -<p class="i01">Sua celeste beltà, ch'io, per insino</p> -<p class="i01">Già dal principio conoscente e chiaro</p> -<p class="i01">Dell'esser tuo, dell'arti e delle frodi.</p> -<p class="i01">Pur ne' tuoi contemplando i suoi begli occhi,</p> -<p class="i01">Cúpido ti seguii finch'ella visse,</p> -<p class="i01">Ingannato non già, ma dal piacere</p> -<p class="i01">Di quella dolce somiglianza un lungo</p> -<p class="i01">Servaggio ed aspro a tollerar condotto.</p> -</div></div> - -<p> -Uscendo pertanto dall'ultima passione della -sua vita, egli s'accorge che l'amor suo è stato -“un lungo vaneggiare„; come quando, fanciullo -ancora, pensando che il primo suo vano -amore gli aveva fatto giudicar vani gli studii -aveva concluso: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Deh quanto in verità vani siam nui!</p> -</div></div> - -<p> -Ma oramai egli è giunto sulle soglie della -morte. E quando muore portando con sè sotterra, -dopo aver tanto spasimato, la sua verginità; -se pure Marianna Brighenti, che non -lo ha allettato, ricusa pudicamente di far vedere -ai curiosi la sola lettera d'amore che -egli le scrisse; costei, la Targioni, la donna -più ardentemente idoleggiata, il cui nome vero -vive nella memoria degli uomini per l'amore -di lui che l'ha cantata col nome di Aspasia; -<span class="pagenum" id="Page_93">[93]</span> -questa donna che ha avuto pochi scrupoli -nella vita, che ha molto e liberamente amato, -scrive al Ranieri dopo che il poeta è morto: -“Molti ammiratori del povero Leopardi dimoranti -in Parma mi hanno più volte chiesto e -richiesto chi sia l'Aspasia su cui quell'insigne -poeta scrisse canzone. Per carità, ditemelo -voi se lo sapete, per togliermi da una filastrocca -di lettere inutili e noiose....„ -</p> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_94">[94]</span></p> - -<h3 id="famiglia">III. -<span class="smaller">LA FAMIGLIA.</span></h3> -</div> - -<p> -Se in tutto tranne che nell'amore ciascuno -basta a sè stesso, l'uomo non è già solo nel -mondo, la sua felicità dipende in gran parte -da chi gli sta intorno. Tutto il genere umano -può essere ed è considerato da alcuni filosofi -come un essere vivente del quale ogni individuo -è una cellula e i gruppi d'individui -sono gli organi. La solidarietà tra gli uomini, -tra le cellule umane, è tanto più salda, quanto -più essi sono vicini: il gruppo più stretto è -la famiglia. Da essa dipende l'educazione del -cuore; la condizione dei parenti nel mondo è -anche quella del giovane sino al giorno che -egli può provvedere a sè stesso. Come è educato -Giacomo Leopardi? In che stato sociale -si trova? -</p> - -<p> -Sua madre fu giudicata — e nessuno ha -interposto appello al giudizio — donna di propositi -virili più che di tenerezze materne. Un -che di virile era nel suo aspetto, come maschile -era qualche parte del suo vestito, gli -stivali, il berretto. Ella fece pesare la dura -<span class="pagenum" id="Page_95">[95]</span> -sua autorità, prima che sui figli, sul marito. -“Si dette il caso,„ narra Paolina Leopardi, -“quand'io era piccina piccina, o anche forse -quando non ero nemmeno nata, che la gonna -di mia madre s'intrecciò fra le gambe di mio -padre, non so come. Ebbene, non è stato più -possibile ch'egli abbia potuto distrigarsene.„ -Entrata in casa Leopardi, ella ne trova il patrimonio -quasi sommerso nei debiti; saggiamente, -ma anche tirannicamente, impone un'economia -severissima. A nessuno consente di -disporre di nulla; a nessuno manifesta quei -sentimenti di calda e vivace affezione che -sono la gioia della casa. Se i suoi bambini -si lagnano di qualche dolore, le sole parole -di consolazione che sappia dir loro sono queste: -“Offritelo a Gesù.„ Quando sono grandi, -apre e trattiene le loro lettere. Non una volta -li stringe al cuore; “lo sguardo„ scrive Carlo -Leopardi, “era la sola sua carezza.„ E Paolina: -“Fra gli altri motivi che hanno renduto -così trista la mia vita e che hanno disseccato -in me le sorgenti dell'allegria e della -vivacità.... uno è l'avere in mammà una persona -ultrarigorista, un vero eccesso di perfezione -cristiana, la quale non potete immaginare -quanta dose di severità metta in tutti i -dettagli della vita domestica.„ -</p> - -<p> -Tale è la madre, la creatura che dovrebbe -prima d'ogni altra sorridere al frutto delle -proprie viscere, che ne dovrebbe cullare i sogni -<span class="pagenum" id="Page_96">[96]</span> -e lenire i dolori. Giacomo, come è rimasto -dinanzi a lei timido e quasi pauroso, così -lontano da lei non ardisce scriverle, sicuro di -annoiarla; nelle sue rarissime e brevissime letterine, -ella non pensa se non a rammentargli -di tenere una buona condotta; e una volta lo -chiama anche “figlio d'oro„; ma quando? -Quando crede che la professione letteraria abbia -dischiuso al giovane una miniera d'oro, -rendendo inutile l'assegno della famiglia. E lo -eccita a continuarle il suo affetto “<i>sincero</i>„, -sottolineando la parola certo perchè dubita -della sincerità dell'amore del figlio e se ne -duole; ma di chi è la colpa, se non sua propria? -Come vorrebbe che il figlio si lasciasse -trasportare dall'amore, se ella stessa non l'ha -amato, o l'ha amato a suo modo, moderando, -reprimendo i moti del suo cuore materno? -</p> - -<p> -Il padre, Monaldo Leopardi, è uomo d'ingegno -fuor del comune e di cuore amorevole; -ma, oltrechè non dispone della propria volontà, -obbedendo sempre ed in tutto alla moglie, egli -intende anche la vita al modo antico: non sa, -non vuol sapere, non vuol sentire nulla di quel -che accade nel mondo rinnovato. Come Giacomo, -egli vede due secoli armati l'uno contro -l'altro; ma se soffre di questa lotta, la sua -sofferenza non deriva, come quella di Giacomo, -dal contrasto delle opposte sollecitazioni: -egli non prova altro che ira e sdegno -contro tutte le novità. Al figliuolo somiglia -<span class="pagenum" id="Page_97">[97]</span> -per metà: gli ha dato l'amore dell'antico, la -severità del pensiero indagatore, la pazienza -delle ricerche lunghe e minute, il senso dell'ordine -e della disciplina. Il gusto delle contraffazioni -di vecchie scritture è comune a -Monaldo e a Giacomo. Il padre trasmette non -soltanto a lui, ma anche all'altro suo figlio -Carlo la sua disposizione al riso: come egli -profonde le celie nei suoi scritti, e motteggia -nella conversazione di tutti i giorni, e muore -scherzando col sacerdote nell'agonia; così -Carlo è celebre per le sue arguzie e lascia -un libro di epigrammi molto pungenti; così -Giacomo, che esce spesso nel discorso e nelle -lettere in motti felici, si servirà come più tardi -vedremo di questa sua nativa attitudine. Ancora: -nel deridere il troppo vantato progresso -delle scienze e delle arti padre e figlio si rassomigliano; -il giudizio che danno intorno alla -Roma dei loro tempi è identico. Con tanti -tratti comuni non dovrebbero essi accordarsi? -</p> - -<p> -L'influenza di ogni uomo sopra il proprio -simile si può esercitare in due modi: o per -conformità, quando noi siamo persuasi ad imitare -gli esempii che ci sono proposti; o per -opposizione, quando siamo spinti a fare il contrario. -Nell'adolescenza, nel tempo che Giacomo -s'immerge negli studii filologici, severissimamente, -da vecchio, egli si uniforma agli -esempii paterni; perchè questo accordo durasse -che cosa sarebbe necessario? Che il -<span class="pagenum" id="Page_98">[98]</span> -padre, secondasse a sua volta il figlio nel -sentimento poetico della vita nel generoso -ardor giovanile, che comprendesse le sue inquietudini, -che lenisse la sua malinconia. Lo -ha procreato a ventidue anni; non potrebbe -esserne il fratello maggiore, non dovrebbe esserne -l'amico? Ciò gli è impossibile. Se gli -somiglia tanto da una parte, non gli somiglia -niente dall'altra. La sua sensibilità morale è -molto più ottusa, la sua fantasia è molto più -sterile; la musica non gli dice nulla; i sentimenti -nuovi, indeterminati, dei quali soffre e -gode la nuova generazione, gli sono sconosciuti: -alle idee nuove è inaccessibile. Non -solo cattolico, ma suddito fedele del Papa, il -cui governo chiama “dolcissimo„, è un vero -“guelfo del diciannovesimo secolo.„ Va con -la spada al fianco, come i cavalieri antichi. -“Il prestigio della novità non mi ha sedotto, le -lusinghe della rivoluzione mi hanno lasciato -inconcusso, non ho sieduto nel concistoro degli -empii, e non ho alzato la voce dalla cattedra -della pestilenza.„ Tanto ogni novità lo -sdegna, tanto è fedele alle opinioni dei tempi -passati, che nega il sistema copernicano: se -Galileo ha riso di Ticone, egli si augura che -venga qualcuno il quale rida di Galileo e restituisca -alla terra “l'antico onore„ considerandola -ancora come centro dell'universo, “liberandola -dal fastidio di tanti moti.„ Udite -le sue argomentazioni: “Imperciocchè, alle -<span class="pagenum" id="Page_99">[99]</span> -fine dei conti il Galilei non ha potuto viaggiare -in persona nei tropici e nell'equatore, -ma ha dovuto contentarsi di considerare le -cose da lontano alquanti milioni di miglia; e -quel sistema secondo il quale per dividere i -giorni e le notti vogliamo che la terra si rivolti -ogni 24 ore intorno al suo asse come -l'arrosto intorno allo spiedo, per compiere il -corso dell'anno le facciamo fare un giro immenso -in 365 giorni all'incirca e per accomodare -le stagioni la costringiamo a starsene -sempre giocando all'altalena, con alzare e abbassare -i suoi poli.... questo sistema non toglie -il desiderio di rinvenire una teoria meno lambiccata.„ -</p> - -<p> -Con queste disposizioni della mente, egli -non è capace d'indulgenza, di sopportazione: -confessa ingenuamente che le sue buone qualità -“sono bilanciate da un orgoglio smisurato che -le troppe lodi datemi nell'adolescenza avevano -fomentato e che mi rendeva ambizioso di superare -tutti in tutto.„ Riconosce che “l'abitudine -di sovrastare m'è sempre rimasta e mi -adatto malissimo, anzi non mi adatto in modo -veruno alle seconde parti. Voglio piegarmi, -voglio esser docile, rimettermi e tacere; ma -in sostanza tutto quello che mi ha avvicinato -ha fatto a modo mio, e quello che non si è -fatto a modo mio mi è sembrato mal fatto.„ -Che cosa può egli dunque intendere delle -ansie, dei desiderii, dei bisogni del figlio? -<span class="pagenum" id="Page_100">[100]</span> -Può il figlio, ardente, vivace, inquieto, adattarsi -sempre alla freddezza, alla calma, alla -rigidità del padre? Se tanta parte dello spirito -del padre è nel figlio; se questi per le -facoltà più serie della mente, per la profondità -della cultura classica, per la capacità di -disciplina, può essere sollecitato a seguire gli -esempii del padre; la cieca intransigenza di -Monaldo non deve poi ottenere l'effetto contrario, -di spingerlo per la via opposta? Tra -queste due anime la lotta non deve fatalmente -impegnarsi? -</p> - -<p> -La lotta si accese, e fu grave e scandalosa; -e se molti diedero tutta la colpa al -padre, non pochi anche oggi vedono nella -ribellione di Giacomo il sintomo dell'ingratitudine, -dell'aridità del suo cuore. Prima di -esaminare i rapporti del padre e del figlio, -notiamo come uno scandalo simile a quello -avvenuto in casa Leopardi non fosse senza -esempio, a quel tempo. Se, quantunque rassomigliandosi -e amandosi sommamente, un -germe di discordia ha potuto sempre insinuarsi -tra i genitori ed i figli, perchè altri sono i sentimenti -e le opinioni dei giovani, altri quelli -dei vecchi; questo contrasto è più sensibile -al principio dell'êra contemporanea. Quando -tutti i poteri e tutti i principii cominciano ad -essere oggetto di esame, anche la potestà -paterna è posta in forse; come i popoli si -ribellano ai re, così i figli si ribellano ai padri. -<span class="pagenum" id="Page_101">[101]</span> -“I consigli della vecchiezza„ scrive -Vauvenargues, “rischiarano senza riscaldare, -come il sole d'inverno„; immagine che Stendhal -doveva far sua: quello Stendhal che, -odiando il padre ed essendone odiato, doveva -anche scrivere per proprio conto: “I genitori -e i maestri sono i nostri primi nemici quando -entriamo nel mondo.„ E il più mite Vauvenargues -così precisa il proprio pensiero: -“I giovani soffrono non tanto dei proprii errori -quanto della prudenza dei vecchi.... L'ordinario -pretesto di coloro che fanno l'infelicità -degli altri è che vogliono il loro bene....„ Beniamino -Constant, educato da un padre che -reprime i moti del cuore per mostrarsi severo, -fugge dalla casa paterna; il suo <i>Adolfo</i> attribuisce -la propria malinconia all'educazione -ricevuta dal padre, uomo generoso ma rigido, -presso al quale egli non prova altro che soggezione. -Senancour scappa in Isvizzera per -sottrarsi allo stato ecclesiastico al quale è -destinato dalla famiglia; Lamartine evade -dalla casa di educazione, dove è sul punto -di uccidersi. -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Pères, de vos enfants ne forcez point les voeux:</p> -<p class="i01">Le ciel vous les donna, mais pour les rendre heureux,</p> -</div></div> - -<p> -aveva ammonito il dolente Chénier, invano. -Molti filosofi hanno affermato che l'unico sentimento -naturale, fondato sopra un istinto -prepotente, è l'amor proprio; e che tutti gli -altri, anche quelli che sembrano più disinteressati, -<span class="pagenum" id="Page_102">[102]</span> -sono forme più o meno larvate di -egoismo; questa sentenza è confermata più -spesso che non dovrebbe nel caso dell'amor -paterno. Dai figli che debbono loro la vita, -che sono come una viva parte della loro persona, -e che perciò essi amano sopra ogni -altra cosa al mondo, i genitori pretendono un -affetto cieco che rinunzii ad ogni volontà e -ad ogni velleità e incondizionatamente si sottoponga. -Di questa qualità fu l'amor paterno -di Monaldo, con l'aggravante della resistenza -da lui opposta alle innovazioni. Il fondamento -dei vincoli sociali che egli vede minacciato -è la famiglia; nella famiglia, nella potestà -paterna, è l'origine di tutte quelle altre potestà -contro le quali egli vede far impeto: -quindi, se anche per indole non fosse portato -a comandare, terrebbe sempre alta la sua -autorità per convinzione. Il suo concetto dell'autorità -paterna è quello biblico: <i>Filii tibi -sunt; erudi illos, et curva illos a pueritia illorum.</i> -Egli esegue letteralmente il precetto: -stabilito di avviar Giacomo per la carriera -ecclesiastica, a dodici anni gli fa dare il -primo degli ordini minori. <i>Ne des illi potestatem -in iuventute, et ne despicias cogitatus -illius:</i> mai, “<i>letteralmente mai</i>„, egli lo lascia -solo. Amandolo teneramente, teme che le -vivaci manifestazioni dell'amor suo scemino il -suo prestigio di padre; quindi le contiene e le -reprime. Quando è riuscito troppo bene in -<span class="pagenum" id="Page_103">[103]</span> -quest'opera, anch'egli si duole, come la moglie, -anzi con più cordiale sincerità, di ciò -che ne è l'effetto naturalissimo; perchè vorrebbe, -ma non può essere trattato con piena -confidenza da Giacomo. “Mi pare che le lettere -mie siano di molestia a voi, e che voi -diate ad esse un riscontro stirato stirato come -i versi latini dei ragazzi; quasi che il vostro -cuore trovasse un qualche inciampo per accostarsi -al mio, il quale vorrebbe esser veduto -da voi una volta sola e per un solo -lampo, e questo gli basterebbe.„ E al padre -amante il figlio devoto tosto risponde: “Le -dico e le protesto con tutta la possibile verità, -innanzi a Dio, che io l'amo teneramente -quanto è o fu mai possibile a figlio alcuno -di amare suo padre; che io conosco chiarissimamente -l'amore che ella mi porta, e che -a' suoi benefizi e alla sua tenerezza io sento -una gratitudine tanto intima e viva quanto -può mai essere gratitudine umana.... Se poi -ella desidera qualche volta in me più di confidenza -e più dimostrazioni d'intimità verso -lei, la mancanza di queste cose non procede -da altro che dall'abitudine contratta sino dall'infanzia, -abitudine imperiosa e invincibile -perchè troppo antica e cominciata troppo per -tempo.„ È triste, dolorosa e quasi tragica -per queste due anime l'impossibilità di confondersi -nell'impeto dell'affetto che pure entrambe -le spinge. Ma non ha il padre volontariamente -<span class="pagenum" id="Page_104">[104]</span> -contenuto l'affetto suo? Come -si può dolere se ha impedite le ingenue manifestazioni -di quello del figlio? Egli vuole -che il figlio lo tratti con intimità quando gli -dà del <i>voi</i>, quando lo ha educato a dargli -del <i>lei</i>; quando per rispetto ai principii, alla -tradizione, non gli ha dato mai nessun esempio -di confidente abbandono! -</p> - -<p> -Gli effetti di questa educazione sono molto -più gravi che Monaldo non sospetti. L'anima -sensitiva che avrebbe bisogno di espandersi, -si chiude invece in sè stessa: l'apparente -severità del padre e la reale soggezione nella -quale è tenuto producono questo effetto: che -il giovanetto si sente quasi estraneo nella famiglia, -e alteramente ricusa di ricorrere ad -essa quando ne ha bisogno. “Io tra il non -avere e il domandare scelgo il non avere, eccetto -se la necessità de' miei studi o la voglia -troppo ardente di leggere qualche libro non -mi sforza.... Circa a mio padre, io mi son -fatto durissimo al domandare, e non mi ci -so risolvere a nessun patto.„ Tanto più egli -si afferma in questo proponimento, quanto più -vede inutili le sue richieste e le sue preghiere. -Il Giordani gli consiglia, per salute, -di cavalcare; e questo è uno dei pochissimi -esercizii ai quali sarebbe adatto e che egli -farebbe volentieri, perchè gli altri, più energici, -lo ammazzerebbero; ma non gli è dato. -I parenti, ai quali sarebbe spettato di moderare -<span class="pagenum" id="Page_105">[105]</span> -gli enormi suoi studii, non intendono -metter opera a correggerne gli effetti funesti. -Egli non cessa di lagnarsi con l'amico: -“Avrei sommo bisogno di distrazioni, ma non -ne ho: oimè! mi ridarebbero la salute e la -vita.„ E ancora: “Con quel medesimo studio -che m'ha voluto uccidere, con quello tenermi -chiuso a solo a solo, vedete come sia -prudenza! e lasciarmi alla malinconia, e lasciarmi -a me stesso che sono il mio spietatissimo -carnefice....„ Egli non ha “un -baiocco da spendere„, e il padre non gli -concede se non quelle cose che la sua sapienza -paterna, e quella della moglie, giudicano -convenienti. Compiacendosi del genio del -figlio, lo tratta poi da bambino e ride tranquillamente -di lui se questo genio, sentendosi -a disagio nel paesuccio natale, chiede di andarne -via. Non è un capriccio quello che spinge -Giacomo fuori di Recanati, ma una precisa -necessità. Vedremo più tardi di che disagio -morale vi soffrisse; ma alle sue sofferenze fisiche, -alle sue malattie nervose la distrazione -dei viaggi, la novità dei climi sarebbe il solo -rimedio efficace. E la madre, arbitra dell'impiego -delle sostanze, non vuol dargli un assegno. -Senza dispendio della casa, mettendo -in opera le influenze della nobile parentela, -il giovanetto erudito sa che potrebbe ottenere -uno stato a Roma o altrove: il padre vuol -tenerselo accanto. “Il mio sentimento,„ scrive -<span class="pagenum" id="Page_106">[106]</span> -al cognato che intercede per il nipote, “è che -egli sia men dotto, <i>ma sia di suo padre</i>.„ -Sottolinea egli stesso. Egli pretende che Giacomo -viva “tranquillo e lieto dove lo ha collocato -la Provvidenza.„ La Provvidenza non -può sbagliare; egli è infallibile. E il figlio sfoga -l'animo suo col Giordani: “Solamente che avesse -voluto chi dovrebbe volere, e non volendo dice -agli altri ed a se stesso di non potere, è cosa palpabile -che da gran tempo avremmo ottenuto il -nostro desiderio. Ma non vogliono nè vorranno -mai se non quando noi gli sforzeremo; sono -contenti di vederci in questo stato; in questo -vorrebbero di tutto cuore che morissimo: -si pentono di averci lasciato studiare, dicono -formalmente in presenza nostra che hanno -conosciuto i danni del sapere, al nostro fratello -minore danno appostatamente e palesemente -educazione e genio e strumenti da falegname, -e i nostri desiderii paiono stravaganze, -e voglie pazze e intollerabili, a chi? -non parlo degli altri che son vissuti e vivono -essi come vorrebbero che vivessimo noi, dico -a quel nostro zio che di dodici anni andò -paggio alla corte di Baviera, tornato di diciotto -visse per lo più in Roma finattanto -che deputato della provincia a Napoleone e -proposto per senatore, fatto cavaliere poi barone -poi ciamberlano, andò due volte a Parigi -e alla corte, ora ha stabilito il suo domicilio -a Roma, trasferitaci tutta la sua famiglia, e -<span class="pagenum" id="Page_107">[107]</span> -persuasi a trasferircisi tutti i suoi fratelli e -tutta la famiglia di una sorella assai meno comoda -della nostra, ed ha avuto la sfacciataggine -di dirmi più volte spontaneamente che -sapeva di non potere educar bene i suoi figli -se non fuori di qui, e poi scrivermi una lunga -lettera per provarmi che io la fo da ignorante -e da stolto pensando solamente d'uscire di -Recanati.„ -</p> - -<p> -Se le sue parole sono dure, non è duro il -suo cuore. Di che amore ripagherebbe i genitori -se questi fossero altri, si può argomentare -dalla forza del suo affetto fraterno. L'amore -del fratello e della sorella è la sua grande -consolazione. Carlo, minore di lui di un solo -anno, con lui allevato sin dalle fasce, è “un -altro me stesso„, è il suo “confidente universale„, -gli è “sinonimo di vita„; insieme -fanno “una stessa persona ipostatica.„ Tuttavia -non mancano i motivi di discordia, “non -per l'inclinazione, amando lui gli stessi studi -che io, ma per le opinioni.... Questi è il solo -solissimo con cui apro bocca per parlare degli -studi; il che spesso si fa, e più spesso si -farebbe se si potesse senza dispute, le quali -sono fratellevoli ma calde.„ L'origine delle -controversie che egli non può numerare “perchè -sono infinite„, è ancora nel conflitto generale -delle menti. Carlo è romantico senz'altro; -dinanzi a lui, udendo le sue esagerazioni, -Giacomo si afferma ancora più nel suo sdegno -<span class="pagenum" id="Page_108">[108]</span> -contro i principii moderni dei quali crede di -essersi liberato interamente; e si duole che -il fratello ami poco gli antichi, e molto gli -stranieri e moltissimo i Francesi; egli si accosta -pertanto alle opinioni del padre; ma rispettoso -del passato dinanzi all'iconoclasta fratello, -è nel tempo stesso rivoluzionario dinanzi -al padre codino. Questa contraddizione si spiega -ancora con l'intimo dissidio che trovammo in -lui: egli pensa differentemente dal fratello e -dal padre non già perchè rifugge dai loro opposti -eccessi ed ama un ragionevole temperamento; -ma perchè, simile al fratello nell'ansia -giovanile e poetica del nuovo, c'è anche in -lui un filosofo, un vecchio, che protesta; e -perchè, simile al padre in una certa rigidezza -di principii, c'è in lui un giovane ardente che -si ribella. L'affetto familiare avrebbe potuto -rendere sopportabile e conciliare i suoi contrasti; -l'affetto realmente sempre concilia i -fratelli e rende esemplare il loro legame. Lontano -da Carlo, Giacomo gli scrive: “Nessuna -amicizia sarà mai e poi mai eguale alla nostra, -ch'è fondata in tante rimembranze, che è antica -quanto la nostra nascita.... Tu, l'amor tuo, il -pensiero di te, siete come la colonna e l'ancora -della mia vita. Ogni parte di questa si riferisce -là come a un centro.... Se quella fede teologica, -anzi quella coesistenza che noi abbiamo insieme, -fosse mai sospesa; io non sarei più quello di -adesso; la mia esistenza non avrebbe più il -<span class="pagenum" id="Page_109">[109]</span> -suo fondamento; e tutto il mondo cambierebbe -faccia per me in un colpo....„ Che cosa sarebbe -occorso perchè questa capacità d'affezione -familiare si volgesse anche al padre? -Nient'altro che questi avesse trattato il figlio -con quella confidenza, con quella cordialità, -che pretendeva da lui. -</p> - -<p> -Egli avrebbe potuto giovargli moralmente. -L'intima resistenza che Giacomo opponeva alla -moda romantica, il suo culto dell'antichità, -l'istintivo rispetto delle tradizioni avrebbero -potuto essere fortificati per opera di un altro -padre; Monaldo, con la sua severità, con le -sue continue opposizioni, fa tutto il contrario. -Egli non ha riguardo alla situazione morale -di nessuno dei figli. Dell'ansia di Carlo, della -forza con la quale il contagio romantico gli -si è comunicato, già sappiamo qualche cosa. A -quindici anni scrive: “Non mi è possibile esprimere -il trasporto, l'affetto, l'ammirazione, la -compiacenza, l'entusiasmo che io provai nel -leggere il <i>Genio del Cristianesimo</i> del signor -Chateaubriand. Chi mai, dicevo fra me stesso, -è giunto a questa penetrazione sì grande del -cuore umano, e del cuore più delicato e sensibile, -a questa pittura sì viva e sì naturale -dei suoi più piccoli movimenti?... Son rimasto -per più giorni in un'estasi di meraviglia e di -commozione, d'invidia.... No, non si cancellerà -giammai dal mio animo la profonda impressione -cagionatami dalla lettura di quest'opera -<span class="pagenum" id="Page_110">[110]</span> -che mi ha fatto passare i più bei momenti -della mia vita, e rimaner lungo tempo in una -situazione qual mai più ho provata di stupore, -di elevazione, di turbamento per me -nuovo affatto e sconosciuto, e che sarebbe tuttora -egualmente vivo, se il tempo e le distrazioni -e gli oggetti e le occupazioni diverse -non ne raffreddassero la sensazione, non però -mai la memoria, la quale resterà perpetuamente -ad eternare le traccie di ammirazione, di rispetto -ed anche di utilità e di profitto....„ -Egli si crede “soldato agguerrito contro tutte -le disgrazie umane„, pensa che la morte del -piacere e la nascita della noia, “mostro orribile„, -sia dovuta al vivere antinaturale, -“senza azione, senza meta, senza educazione -fisica, senza sviluppo di azioni gigantesche.„ -Paolina è vera sorella di Carlo e di Giacomo: -ella non ha riso “<i>mai</i> appunto perchè non -mi sono contentata di ridere solamente: io voglio -ridere e piangere insieme: amare e disperarmi, -ma amare sempre, ed essere amata -egualmente, salire al terzo cielo, poi precipitare....„ -</p> - -<p> -Chiamiamoli infermi, e folli se pur si vuole: -non per questo sarà meno necessario trattare -questi straordinarii fanciulli con illuminata tenerezza, -con gelosa bontà, con indulgente premura. -Ma la madre, quella che più di ogni -altro sarebbe in grado di consolarli, non sa -dire una buona parola; e il padre, quantunque -<span class="pagenum" id="Page_111">[111]</span> -tanto migliore di lei, pure li disconosce -e li sottomette. Sarà da stupire se essi esprimeranno -il loro scontento con parole roventi? -Carlo dirà di sè stesso che non è niente, non -ha niente, non fa niente e non ama niente. -“Pensando a' miei casi, io rido di quel riso -che usava Democrito, e che è il solo pianto -che gli uomini del mio temperamento possono -accordare a sè stessi. Costoro non sarebbero -ora lontani dall'ammogliarmi....„ <i>Costoro</i> sono -i genitori; egli significa in modo anche più -duro lo scontento suo e dei suoi fratelli quando -esclama: “Siamo veri animali domestici, mantenuti -a tanto per giorno; e perchè ci nutrite?...„ -Non meno triste e sdegnata è Paolina: -nel '23, a ventitrè anni, dice di non avere -altro desiderio se non quello di non arrivare -alla fine dell'anno, “ed è questo desiderio concepito -con il più intimo sentimento del cuore, -e voi lo crederete bene conoscendo me e quelli -che mi governano. Dei quali io sono così annoiata, -e di questo modo di vita, che non ne -posso più; ed il peggio è il non avere alcuna -speranza, neppur lontana, di miglioramento; -no, non vedere per fine a questo stato altro -che la morte, e venga anzi prestissimo, che -sempre sarà troppo tarda ai miei voti; e se -mi assicurassero di morire domani forse dalla -consolazione non ci arriverei.„ L'anno passa, -ne passano molti altri, e la sua condizione -peggiora. Nel '31 scrive che “non se ne può -<span class="pagenum" id="Page_112">[112]</span> -più affatto affatto. Io vorrei che tu potessi -stare un giorno solo in casa mia, per prendere -un'idea del come si possa vivere senza -vita, senza anima, senza corpo. Io conto di -essere morta da lungo tempo; quando perdei -ogni speranza, dopo aver sperato tanto tempo -inutilmente, allora morii — ora mi pare di -esser divenuta cadavere, e che mi rimanga -solo l'anima, anch'essa mezzo morta poichè -priva di sensazioni di qualunque sorta.„ -</p> - -<p> -Tale è la condizione dei figli. Nulla modifica -la volontà e l'animo dei loro genitori. -Giacomo, il più travagliato di tutti, vede che -nè l'eloquenza “di Pericle, di Demostene, di -Cicerone, di qualunque massimo oratore, nè -della stessa Persuasione„ rimuoverebbe il padre -dall'ostinato proposito di non dargli “un -mezzo baiocco„ fuori di casa. Se egli vuole -uscire da Recanati, deve mendicare.... a meno -che non aspetti la morte del padre. L'empio -pensiero lo spaventa: allora egli delibera di -fuggire. La sua volontà infiacchita e repressa -per cause intrinseche ed estrinseche dà un -ultimo lampo. Egli matura il piano della fuga: -scrive al conte Broglio d'Ajano perchè gli -mandi un passaporto per Milano; comunica la -sua risoluzione al fratello per lettera, senza -chiedergli consiglio, “perchè il consiglio giova -all'uomo irresoluto, ma al risoluto non può altro -che nuocere: ed io sapeva che tu avresti disapprovata -la mia risoluzione. Sono stanco -<span class="pagenum" id="Page_113">[113]</span> -della prudenza, che non ci poteva condurre -se non a perdere la nostra gioventù, ch'è un -bene che più non si riacquista.... Se m'ami, -ti devi rallegrare: e quando io non guadagnassi -altro che d'esser pienamente infelice, -sarei soddisfatto, perchè sai che la mediocrità -non è per noi.... Addio. Abbraccia questo sventurato. -Non dubitare, non sarai tu così. Oh -quanto meriti più di me! Che sono io? Un -uomo proprio da nulla. Lo vedo e lo sento -vivissimamente, e questo pure m'ha determinato -a far quello che son per fare, affine di -fuggire la considerazione di me stesso, che -mi fa nausea. Finattantochè mi sono stimato, -sono stato più cauto; ora che mi disprezzo, -non trovo altro conforto che di gittarmi alla -ventura, e cercar pericoli, come cosa di niun -valore. Consegna l'inclusa a mio padre. Domanda -perdono a lui, domanda perdono a mia -madre in mio nome. Fallo di cuore, che te ne -prego, e così fo io collo spirito. Era meglio -(umanamente parlando) per loro e per me, ch'io -non fossi nato, o fossi morto assai prima d'ora. -Così ha voluto la nostra disgrazia....„ Al padre -comincia col dire: “Sebbene dopo aver -saputo quello ch'io avrò fatto, questo foglio -le possa parere indegno d'esser letto, a ogni -modo spero nella sua benignità che non vorrà -ricusare di sentir le prime e ultime voci di -un figlio che l'ha sempre amato e l'ama, e -si duole infinitamente di doverle dispiacere....„ -<span class="pagenum" id="Page_114">[114]</span> -In quest'attitudine umile persevera finchè ricorda -la prudenza, l'astinenza da ogni piacere -giovanile, l'ubbidienza e la sommessione ai -genitori che egli ha sempre usate, e il giudizio -che del suo ingegno hanno portato uomini -stimabili e famosi. Ma a poco a poco -la coscienza di sè, lo sdegno per non essere -stato compreso si esprimono vivacemente. “Ella -non ignora che quanti hanno avuto notizia di -me, ancor quelli che combinano perfettamente -con le sue massime, hanno giudicato ch'io -dovessi riuscir qualche cosa non affatto ordinaria, -se si fossero dati quei mezzi che nella -presente costituzione del mondo, e in tutti gli -altri tempi, sono stati indispensabili per far -riuscire un giovane che desse anche mediocri -speranze di sè.... Certamente non l'è ignoto -che non solo in qualunque città alquanto viva, -ma in questa medesima, non è quasi giovane -di 17 anni che dai suoi genitori non sia preso -di mira, affine di collocarlo in quel modo che -più gli conviene: e taccio poi della libertà -ch'essi <i>tutti</i> hanno in quell'età, nella mia condizione, -libertà di cui non era appena un terzo -quella che mi s'accordava a 21 anno.... Contuttochè -si credesse da molti che il mio intelletto -spargesse alquanto più che un barlume, -ella tuttavia mi giudicò indegno che -un padre dovesse far sacrifizi per me, nè le -parve che il bene della mia vita presente e -futura valesse qualche alterazione al suo piano -<span class="pagenum" id="Page_115">[115]</span> -di famiglia.„ E a poco a poco il suo sdegno -prorompe con espressioni tanto più forti, quanto -più misurate: “Io vedeva i miei parenti scherzare -cogl'impieghi che ottenevano dal Sovrano, -e sperando che avrebbero potuto impegnarsi -con affetto anche per me, domandai che per -lo meno mi si procacciasse qualche mezzo di -vivere in maniera adattata alle mie circostanze, -senza che per ciò fossi a carico della -mia famiglia. Fui accolto colle risa, ed ella -non credè che le sue relazioni, in somma le -sue cure si dovessero neppur esse impiegare -per uno stabilimento competente di questo suo -figlio. Io sapeva bene i progetti ch'ella formava -su di noi, e come per assicurare la felicità -di una cosa ch'io non conosco, ma sento -chiamare casa e famiglia, ella esigeva da noi -due il sacrifizio, non di roba nè di cure, ma -delle nostre inclinazioni, della nostra gioventù, -e di tutta la nostra vita. Il quale essendo io -certo ch'ella nè da Carlo nè da me avrebbe -mai potuto ottenere, non mi restava nessuna -considerazione a fare su questi progetti, e non -potea prenderli per mia norma in verun modo. -Ella conosceva ancora la miserabilissima vita -ch'io menava per le orribili malinconie, ed i -tormenti di nuovo genere che mi procurava -la mia strana immaginazione, e non poteva -ignorare quello ch'era più ch'evidente, cioè che -a questo, ed alla mia salute che ne soffriva -visibilmente, e ne sofferse sino da quando mi -<span class="pagenum" id="Page_116">[116]</span> -si formò questa misera complessione, non v'era -assolutamente altro rimedio che distrazioni potenti, -e tutto quello che in Recanati non si -poteva mai ritrovare.... Non tardai molto ad -avvedermi che qualunque possibile e immaginabile -ragione era inutilissima a rimuoverla -dal suo proposito, e che la fermezza straordinaria -del suo carattere, coperta da una costantissima -dissimulazione e apparenza di cedere, -era tale da non lasciar la minima ombra -di speranza. Tutto questo, e le riflessioni fatte -sulla natura degli uomini mi persuasero, ch'io -benchè sprovveduto di tutto, non dovea confidare -se non in me stesso. Ed ora che la -legge mi ha già fatto padrone di me, non ho -voluto più tardare a incaricarmi della mia -sorte.... Voglio piuttosto essere infelice che -piccolo, e soffrire piuttosto che annoiarmi; -tanto più che la noia, madre per me di mortifere -malinconie, mi nuoce assai più che ogni -disagio del corpo. I padri sogliono giudicare -i loro figli più favorevolmente degli altri, ma -ella per lo contrario ne giudica più sfavorevolmente -di ogni altra persona, e quindi non -ha mai creduto che noi fossimo nati a niente -di grande: forse anche non riconosce altra -grandezza che quella che si misura coi calcoli, -e colle norme geometriche.... Avendole -reso quelle ragioni che ho saputo della mia -risoluzione, resta ch'io le domandi perdono -del disturbo che le vengo a recare con questa -<span class="pagenum" id="Page_117">[117]</span> -medesima e con quello ch'io porto meco. Se -la mia salute fosse stata meno incerta avrei -voluto piuttosto andar mendicando di casa in -casa che toccare una spilla del suo. Ma essendo -così debole come io sono, e non potendo -sperar più nulla da lei, per l'espressione -ch'ella si è lasciato a bella posta più volte -uscire disinvoltamente di bocca in questo proposito, -mi son veduto obbligato, per non -espormi alla certezza di morire di disagio in -mezzo al sentiero il secondo giorno, di portarmi -nel modo che ho fatto. Me ne duole -sovranamente, e questa è la sola cosa che mi -turba nella mia deliberazione, pensando di far -dispiacere a lei, di cui conosco la somma -bontà di cuore, e le premure datesi per farci -viver soddisfatti nella nostra situazione.„ Sul -punto di chiudere, egli è più giusto, riconosce -il malinteso morale, la vera causa della discordia: -“La sola differenza di principii, che -non era in verun modo appianabile, e che dovea -necessariamente condurmi o a morir qui -di disperazione, o a questo passo ch'io fo, è -stata cagione della mia disavventura.... Mio -caro signor padre, se mi permette di chiamarla -con questo nome, io m'inginocchio per -pregarla di perdonare a questo infelice per -natura e per circostanze. Vorrei che la mia -infelicità fosse stata tutta mia, e nessuno -avesse dovuto risentirsene, e così spero che -sarà d'ora innanzi.„ Ma tanto poco questo -<span class="pagenum" id="Page_118">[118]</span> -figlio si è sentito partecipe della sostanza del -padre, che ancora, nel punto del commiato, -lo punge l'idea del debito che contrarrà portando -via un poco di denaro: “Se la fortuna -mi farà mai padrone di nulla, il mio primo -pensiero sarà di rendere quello di cui ora la -necessità mi costringe a servirmi.„ Poi non -resta luogo se non al dolore e all'umiltà: -“L'ultimo favore ch'io le domando, è che se -mai le si desterà la ricordanza di questo figlio -che l'ha sempre venerata ed amata, non la -rigetti come odiosa, nè la maledica; e se la -sorte non ha voluto ch'ella si possa lodare -di lui, non ricusi di concedergli quella compassione -che non si nega neanche ai malfattori.„ -</p> - -<p> -Il tentativo della fuga fallisce, perchè Monaldo, -avutane indirettamente notizia, si fa -mandare il passaporto e dice al figlio che è -libero di prenderselo e andarsene; ma gli stessi -amici, gli stessi estranei che si sono trovati -mescolati in questa avventura, hanno parole di -biasimo per il modo col quale Giacomo è stato -trattato. “Sono ben contento,„ scrive il marchese -Solari a Monaldo, “che il tutto sia -finito, e senza l'intesa della contessa, che se ne -sarebbe rammaricata al sommo grado, e che -d'altronde, mi sia permesso il dirlo con franchezza, -per la sua eccessiva severità potrebbe -aver dato luogo a risoluzioni così sconsigliate.„ -Ma Giacomo non è “nè pentito nè -<span class="pagenum" id="Page_119">[119]</span> -cangiato.„ Egli desiste per il momento dal -suo proposito, “non forzato nè persuaso, ma -commosso e ingannato. Persuaso non poteva -essere, come nè anche persuadere, perchè le -nostre massime sono opposte, e perciò fuggo -ogni discorso su questa materia.... Se mi opporranno -la forza, io vincerò, perchè chi è -risoluto di ritrovare o la morte o una vita -migliore, ha la vittoria nelle sue mani. Le -mie risoluzioni non sono passeggere come -quelle degli altri, e come mio padre stimo -che si persuada, per dormire i suoi sonni in -pace, come suol dire.... Mio padre crede ch'io -da giovinastro inesperto non conosca gli uomini. -Vorrei non conoscerli, così scellerati -come sono. Ma forse sono più avanti ch'egli -non s'immagina. Non creda d'ingannarmi, che -la sua dissimulazione è profonda ed eterna; -sappia però ch'io non mi fido di lui, più di -quello ch'egli si fidi di me.... Crede mio padre -che con un carattere ardente, con un -cuore estremamente sensibile come il mio, non -mi sia mai accaduto di provare quei desiderii -e quegli affetti che provano e seguono tutti -i giovani della terra? crede che non mi sia -accaduto molto più spesso e più violentemente -degli altri? crede che non fossero capaci di -spingermi alle più formidabili risoluzioni? -crede che s'io ho menato fin qui quella vita -che non si ricercherebbe da un cappuccino di -70 anni in tutto il rigore della espressione -<span class="pagenum" id="Page_120">[120]</span> -(e me ne appello a tutta Recanati che se ne -maraviglia, e allo stesso mio padre), ciò sia -provenuto dalla freddezza della mia natura?... -Io so di certo ch'egli ha protestato che noi -non usciremo di qui finch'egli viva. Ora io -che voglio ch'ei viva, e voglio vivere anch'io, -e questo da giovane, e non da vecchio quando -sarò inutile a tutti e a me stesso, mi getterò -disperatamente nelle mani della fortuna.... Io -sono stato sempre spasimato della virtù: quello -ch'io voleva eseguire non era un delitto: ma -io son capace anche della colpa. Si vergognino -ch'io possa dire che la virtù m'è stata -sempre inutile. Il calore e la forza dei miei -sentimenti si poteano dirigere a bene, ma se -vorranno rivolgergli a male, l'otterranno....„ -Minaccie che nella convulsione dell'impotenza -il dolore gli strappa dalle labbra: non solamente -ciò non potrà accadere, ma egli si prepara -a sopportare un nuovo colpo. -</p> - -<p> -Se non vuole lasciarlo andar via, libero, -nel vasto e ignoto mondo, il padre potrebbe -almeno consentirgli di pensare, di scrivere -liberamente. Neanche questo gli concede; intende -anzi che non abbia idee diverse dalle -sue; attende a difenderlo dallo “sconvolgimento -fatale della ragione umana che ha disonorata -la nostra età.„ Quando s'accorge dei -sentimenti di Giacomo, dopo il tentativo di -fuga, non potendo spiegarsi come tanta vigilanza, -tante predicazioni e tanti esempii -<span class="pagenum" id="Page_121">[121]</span> -siano stati invano, getta tutta la colpa dell'accaduto -sull'amicizia del Giordani, col -quale ha consentito che il figlio avesse carteggio -e restasse da solo a solo durante la -visita del Piacentino a Recanati. Si spaventa -perchè, con l'occasione della letteratura, costui -ha suggerita e favorita la corrispondenza di -Giacomo con molti letterati d'Italia, fra i quali -vi sono “spiriti pericolosi o inquieti, che non -hanno mentito sè stessi, e manifestandosi al -figlio mio nelle loro lettere, lo hanno scopertamente -invitato a partecipare delle loro massime, -e a coadiuvare, anzi a farsi primario -sostenitore dei loro disegni.„ La canzone <i>All'Italia</i> -e quella <i>Sul monumento di Dante</i> -hanno valso infatti all'autore una lettera del -Montani, il quale saluta in lui il più degno -futuro poeta dei Carbonari. Monaldo “si pela -dalla paura„, per adoperare l'espressione di -Carlo. Un giorno, frugando tra le carte di -Giacomo, come è suo uso, non che della moglie, -trova una lettera che il figlio è sul punto di -spedire al Brighenti intorno alla stampa di tre -nuove canzoni: <i>Ad Angelo Mai</i>, <i>Per donna -malata</i> e <i>Sullo strazio d'una giovane</i>; alle -quali l'editore ha proposto e Giacomo ha consentito -che si uniscano le due già prima stampate -per farne un libretto più consistente. -Tanto basta perchè Monaldo tosto scriva al -Brighenti significandogli il suo dispiacere, e -la volontà che la canzone <i>All'Italia</i> non si -<span class="pagenum" id="Page_122">[122]</span> -ristampi. Lo stesso Brighenti, pur lodando le -paterne inquietudini, timidamente rappresenta -a Monaldo: “Veramente le confesso che anche -dalla niuna difficoltà della revisione, io deduco -che quella canzone non è punto sediziosa, e -soltanto libera e poeticamente ardita.„ Pure, -obbedendo, sospende la stampa, e per non dire -a Giacomo il vero motivo, gli chiede denaro -per lo stampatore. Già l'effetto di questa prima -lettera è grave nell'animo del giovane altero, -che non avendo la somma e non volendo chiederla, -si vede costretto di rinunziare alla disegnata -pubblicazione: “Ho conosciuto di essermi -ingannato, non avendo in nessun modo -potuto riuscire ad accumulare la somma intiera. -Abbassarmi non voglio, e non è stato -mio costume mai da quando la disgrazia volle -mettermi a questo mondo. E potrà anche far -la fortuna che mi manchi il vitto e il vestire, -ma non costringermi a domandarlo neppure -alla mia famiglia. Perciò rinunzio interamente -a qualunque progetto così relativamente a -questa come a qualunque altra edizione; e -perchè il mio ingegno è scarsissimo, e, per -grande che sia qualunque ingegno, non giova -mai nulla in questo mondo, son risoluto di -sacrificarlo totalmente all'immutabile ed eterna -scelleratezza della fortuna, col seppellirmi -sempre più nell'orribile nulla nel quale son -vissuto fino ad ora. Prego V. S. che non -pensi più a me se non come all'uomo il più -<span class="pagenum" id="Page_123">[123]</span> -disperato che si trovi in questa terra, e che -non è lontano altro che un punto dal sottrarsi -per sempre alla perpetua infelicità di questa -mia maledetta vita....„ Il padre si duole vedendo -la malinconia e la tristezza di Giacomo, -che Carlo condivide; si lagna perchè “con un -cuore troppo pieno d'amore per tutti, sono -dipinto nella loro immaginazione corrotta come -un tiranno inesorabile.„ Nell'impeto del dolore -invidia “la sorte d'un padre mendico che riportando -a casa un pane nero e bagnato di -sudore, lo vede accolto dall'amore e dalla -riconoscenza dei figli.„ Ma se l'amor suo è -grande e sincero, non meno ferma è la sua -volontà di disciplinare a suo modo l'ingegno -del figlio. Egli lo ammira, ma quanto maggiore -è l'ammirazione, tanto maggiore è il -dolore di vederlo avviato per una strada che -giudica falsa. Le canzoni che Giacomo non -si rassegna a metter da parte sono per lui -inezie: “Ma perchè questo mio figlio vuole -perdersi dietro queste inezie che non portano -nè a conseguenze nè a fama? Perchè amando -la Letteratura e il nome di Letterato, come lo -ama e lo agogna con fervore giovanile, perchè -non si dedica a qualche opera utile e grande -di cui è capace maggiormente possedendo la -lingua ebraica e greca? Egli sicuramente è -consigliato male e peggio lo è nel suo sistema -di confidarsi con me scarsamente. Io stimo -poco la Letteratura nuda e la vorrei sempre -<span class="pagenum" id="Page_124">[124]</span> -seguace di qualche scienza, stimando che un -Letterato, il quale non professi alcuna facoltà -sia una cornice magnifica senza quadro....„ -E sentendo che la propria autorità è poca, -che il suo credito sul figlio è scarso, si affida -all'editore per ottenere che glie lo converta: -“Le faccia conoscere che le canzoni ed altri -piccoli pezzi staccati producono gloria momentanea -e caduca, e che un uomo grande -deve lasciare un'opera grande.... Insomma lo -elettrizzi, lo infiammi a qualche occupazione -degna d'un Cavaliere Cristiano, e mi avrà -reso un favore inapprezzabile, e forse mi avrà -reso il cuore di un figlio. I giovani sentono -più l'amico che il padre, e molto più quando -hanno sospettato che i principii del padre perchè -troppo antichi, e troppo severi, non ottengono -il plauso di tutti.„ Egli s'accosta -così alla verità; dovrebbe fare solo un passo -per concedere che Giacomo segua il proprio -genio; ma di questa concessione è incapace. -</p> - -<p> -Egli è persino incapace d'intendere in qual -modo bisognerebbe trattare il giovane per non -ferirlo: l'editore, l'estraneo gli dà una lezione -d'amor paterno: “Permetta, o Signore, ad -una persona che sente profondamente l'amor -paterno, e che ha presentissimi i dettagli della -propria giovinezza.... che La supplichi a cedere -quanto mai può a quei moti amorosi, che leggo -nella di Lei lettera, e che mi hanno veramente -intenerito. Io le accerto che il signor conte -<span class="pagenum" id="Page_125">[125]</span> -Giacomo è afflitto oltremodo, e ben mi accorgo -che questo giovane è dotato di una sensibilità -delicatissima, onde le cose che ad altri sono -lievi, sono a quell'anima gentilissima acutissime -spine.... Ella troppo sente l'amarezza -delle nebbie che offuscano la tenerezza tra -padre e figlio. Il signor conte Giacomo è tale -da portare nuovi pregi alla illustre di Lei -casa: facciamo adunque che lo possa, e rispettiamo -questa soverchia elasticità di fibre che -è poi in fondo il patrimonio di chi ha un ingegno -superiore. Le torno a ripetere: qui in -Bologna posso accertarla che le canzoni del -signor Leopardi non hanno destato la minima -idea di partito, e, sì, furono conosciute da -gente di ogni massima.... Certo le opinioni -di quegli scritti sono liberali anzi che no, -frutto dello studio del greco e del latino, ma -ai tempi attuali sono tanti i lavori di questo -genere, sono sì divulgate quelle massime, che -non può sentirne alcuno del rincrescimento, e, -come le dissi, quei revisori, che sono preti, -e severissimi, non ci badarono nemmeno, e le -approvarono senza dire parola.„ E il brav'uomo -narra la sua propria storia, in lunghissime -pagine, per dimostrare che è una persona -onesta, incapace di mentire; e poi torna ancora -ai consigli di prudenza, dice esser persuaso -che Giacomo è soggetto a forti assalti -di malinconia, fa osservare ancora che “ai -giovani di un carattere ipocondriaco è mestieri -<span class="pagenum" id="Page_126">[126]</span> -(com'Ella m'insegnerebbe) di opporre le sole -vie della dolcezza, e della persuasione, e di -evitare possibilmente gli urti e le contrarietà.„ -E per ultimo argomento assicura di avere -udito qualcuno a lamentarsi che le opinioni -politiche di Giacomo, non che liberali, siano -anche troppo retrive “e a parlare con qualche -censura della sua canzone sul monumento di -Dante, avendolo per uomo contrario ai principii -liberali, per quella sua dipintura delle -sciagure del regno italico e dei macelli di -Russia. Ritenga che questo fatto è verissimo.„ -Ma tanto poco egli stesso è sicuro di essere -riuscito a piegarlo, che comunica delicatamente -a Giacomo i dubbii e gli ostacoli paterni. -Allora lo sdegno del giovane prorompe; -allora dall'accasciata rassegnazione alla quale -era stato ridotto per gli ostacoli finanziarii, -passa, con una reazione violenta, alla superba -affermazione della sua volontà. Egli non vede -come suo padre abbia potuto sapere “quello -di cui non ho mai parlato nè a lui nè a verun -altro.... eccetto il caso che abbia rimescolato -le mie carte; del che non mi meraviglio -nè mi lagno, perchè ciascuno segue i -suoi principii. Quanto ai dubbi di mio padre, -rispondo che io come sarò sempre quello che -mi piacerà, così voglio parere a tutti quello -che sono; e di non essere costretto a fare -altrimenti, sono sicuro per lo stesso motivo, -a un dipresso, per cui Catone era sicuro in -<span class="pagenum" id="Page_127">[127]</span> -Utica della sua libertà. Ma io ho la fortuna -di parere un coglione a tutti quelli che mi -trattano giornalmente, e credono ch'io del -mondo e degli uomini non conosca altro che -il colore, e non sappia quello che fo, ma mi -lasci condurre dalle persone che essi dicono, -senza capire dove mi menano. Perciò stimano -di dovermi illuminare e sorvegliare. E quanto -all'<i>illuminazione</i>, li ringrazio cordialmente: -quanto alla sorveglianza, li posso accertare -che cavano l'acqua col crivello.„ Ma se egli -sente che nessuno potrà mai sforzare la propria -coscienza, comprende pure che la volontà -del padre dovrà trionfare dei suoi disegni; -allora torna ad accasciarsi, prorompendo -in uno sdegnoso lamento: “Circa le -mie canzoni, io le metto nel gran fascio di -tutti i miei detti o fatti o scritti dalla mia -nascita in poi, che il mio esecrando destino -ha improntato di perpetua inutilità. Io ho rinunziato -a tutti i piaceri de' giovani. Dai 10 -ai 21 anno io mi sono ristretto meco stesso -a meditare e scrivere e studiare i libri e le -cose. Non solamente non ho mai chiesto un'ora -di sollievo, ma gli stessi studi miei non ho -domandato nè ottenuto mai che avessero altro -aiuto che la mia pazienza e il mio travaglio. -Il frutto delle mie fatiche è l'essere disprezzato -in maniera straordinaria alla mia condizione, -massimamente in un piccolo paese. -Dopo che tutti mi hanno abbandonato, anche -<span class="pagenum" id="Page_128">[128]</span> -la salute ha preso piacere di seguirli. In 21 -anno, avendo cominciato a pensare e soffrire -da fanciullo, ho compito il corso delle disgrazie -d'una lunga vita, e sono moralmente vecchio, -anzi decrepito, perchè fino il sentimento e -l'entusiasmo, ch'era il compagno e l'alimento -della mia vita, è dileguato per me in un modo -che mi raccapriccia. È tempo di morire. È -tempo di cedere alla fortuna; la più orrenda -cosa che possa fare il giovane, ordinariamente -pieno di belle speranze, ma il solo piacere -che rimanga a chi dopo lunghi sforzi finalmente -s'accorga d'esser nato colla sacra e indelebile -maledizione del destino.„ -</p> - -<p> -E quando sa che può stampare le canzoni -inedite, esclusane la prima, ed esclusa la ristampa -delle già pubblicate, il suo sdegno -prende altre forme: quelle dell'ironia. “Io ringrazio -mio padre del permesso che mi concede -di stampare le <i>mie</i> canzoni. Ma le due -di Roma non vuole che si ristampino. Dice -benissimo. Ha voluto saper da lei i titoli delle -inedite. Ha fatto benissimo. Non vuole che si -stampi la prima. Parimenti benissimo; non già -secondo me: ma è ben giusto che <i>negli scritti -miei</i> prevalga la sua opinione, perch'io sono -e sarò sempre fanciullo, e incapace di regolarmi. -Restano due canzoni. Per queste, per -cui finalmente e a caso tocca a parlare a me, -dico che non occorre incomodare gli stampatori; -e così finisca questo affare....„ Tanto è -<span class="pagenum" id="Page_129">[129]</span> -più dolorosa per il giovane questa ingerenza -nelle cose sue, quanto che Monaldo rivela la -povertà del suo giudizio, l'angustia del suo spirito. -“Mio padre non ha veduto se non il titolo -della prima inedita.... e s'immaginò subito -mille sozzure nell'esecuzione, e mille sconvenienze -del soggetto che possono venire in -mente a chi, non mancando di molto ingegno -e sufficiente lettura, non ha nessuna idea del -mondo letterario. Il titolo della seconda inedita -si è trovato fortunatamente innocentissimo. -Si tratta di un Monsignore. Ma mio padre non -s'immagina che vi sia qualcuno che da tutti i -soggetti sa trarre occasione di parlare di quello -che più gl'importa, e non sospetta punto che -sotto questo titolo si nasconde una canzone -piena di orribile fanatismo.„ E poichè Monaldo, -non potendo addurre le ragioni della -prudenza politica contro la canzone <i>Sullo strazio -di una donna</i>, biasima che tratti di un -fatto accaduto troppo di fresco, Giacomo dimostra -ancora all'editore la povertà dello spirito -paterno: “Alle ragioni di mio padre contro la -mia prima canzone inedita, rispondo con un -solo esempio fra i milioni che se ne trovano, -e che avrei anche in mente. Il <i>Werther</i> di -Goethe versa sopra un fatto ch'era conosciutissimo -in Germania, e la Carolina e il marito -erano vivi e verdi quando quell'opera famosa -fu pubblicata. Ebbene? Ma se volessimo seguire -i gran principii prudenziali e marchegiani di -<span class="pagenum" id="Page_130">[130]</span> -mio padre, il quale, come ho detto, non ha -niente di mondo letterario, scriveremmo sempre -sopra gli argomenti del secolo di Aronne, e -i nostri scritti reggerebbero anche alla censura -della quondam inquisizione di Spagna. Il mio -intelletto è stanco delle catene domestiche ed -estranee.„ Niente vale: egli deve rinunziare -alla ristampa, si deve contentare di pubblicare -la sola canzone al Mai; e Monaldo poi -si lagna che il figlio si sia “ostinato nel più -rigoroso silenzio„; se ne lagna egli che scrive -ancora all'editore: “Il giudizio e gli ordini -miei dovevano rispettarsi da lui e li suoi tentativi -furono un delitto.„ Perdona di cuore -il <i>delitto</i>, ma vuole che Giacomo stesso lo -condanni in cuor suo: “Ella e qualunque saggio -condannerebbero sempre un figlio il quale -esponga al pubblico il proprio nome senza intesa -del Padre, e condannerebbero un Padre -che spontaneamente offrisse i mezzi con cui -venire disobbedito.„ -</p> - -<p> -Il dissidio è inconciliabile: Monaldo ha un -troppo severo concetto della sua autorità; egli -non intende l'effetto che le sue pretese producono -nell'anima del giovane. E se torna a -lagnarsi perchè il figlio non si confida a lui, -le sue parole cocenti dimostrano ancora una -volta che lo ama, ma che all'amore non intende -sacrificare una sola delle sue prerogative. -Non solo l'editore, l'estraneo, lo avverte -dell'errore; ma anche una persona della famiglia, -<span class="pagenum" id="Page_131">[131]</span> -la sua propria sorella, quella “zia -Ferdinanda„ alla quale il nipote Giacomo tanto -rassomigliava fisicamente, e che moralmente -tanto rassomigliava a lui. Ella sola intende -l'animo del giovane: consolandosi all'idea che -egli possa aprirle il proprio cuore “perchè -non tanto dissimile troverà da' suoi sentimenti -il cuor della zia„, dice di sè stessa che non -ha studiato, “ma che ha sortito dalla natura -una sensibilità che, anzichè indebolire cogli -anni, sembra acquistar da essi maggior fondamento.„ -Anch'ella vive sola, “e non già -sola di persona.... ma sola perchè quasi mai -m'incontro con persone che possano compiacere -il mio animo; e se qualche volta nel corso -della mia vita mi sono incontrata di trovarne -qualcuna, caro nepote, ho dovuto porvi un -argine, perchè il cuor nostro è troppo debole -per potersi contenere, e non rendere veleno -quello che sarebbe in sua natura stato un antidoto.„ -La nobile e buona creatura ha subito -compreso che cuore sia quello di Giacomo, -e conoscendo a prova i tormenti che -gli si preparano accortamente lo consiglia. Se -Giacomo le scrive che è da savio porre un -argine alla ragione, “supplizio della nostra -vita„, ella lo ammonisce con indulgenza veramente -materna: “No, caro Giacomo, io non -mi accordo con voi in questo.... A poco a poco -ci assuefacciamo a scordarci de' nostri mali -col trascurarli, o con il lasciare di coltivarne -<span class="pagenum" id="Page_132">[132]</span> -continuamente l'immagine; è la ragione poi -quella che deve a ciò persuaderci, e di essa -ci dobbiamo prevalere per felicitarci, non per -il contrario. Sono però persuasa che voi medesimo -convenite meco non doverci per sistema -rendere infelici, ma sopportar con coraggio i -mali della vita, sperandone sempre il fine. Il -vostro bell'animo vi darà pur troppo dei motivi -di dolore, se estenderete la vostra sensibilità -senza freno; ma questa, trattenuta nei -limiti, vi darà motivo di compiacervene bene -spesso. Spero che il Cielo pietoso vorrà addolcire -la vostra sorte, e che vi renderà più -quieto, cambiando le circostanze, e ponendovi -in un sistema meno coartato....„ Ella si -fa filosofo e teologo, discute di cose che non -sono da lei per alleviare i mali del nipote, -al quale dà anche il dolce nome di amico. -“Caro amico, credetemi: siamo infelici molte -volte perchè non sappiamo risolverci ad abbandonare -qualche sentimento, che ci rende -infelici....„ Della propria sincerità gli dà assicurazioni -vivaci: “Allorchè trattasi di far -palese il cuor mio ad un cuor sensibile e ben -fatto, e del quale fo assolutamente stima, non -duro alcuna fatica, e i miei sentimenti escono -dal cuore, vanno alla penna, alla carta, come -un vaso d'acqua posto in pendenza verso ciò che -contiene entro sè stesso. Voi potrete rilevarlo -senza stento, giacchè sembrami possediate lo -stesso dono di natura.„ E lo eccita a scuotersi, -<span class="pagenum" id="Page_133">[133]</span> -se non altro per compiacerla; e si duole -che egli voglia essere il proprio nemico: “Capisco -che non trovate cosa che vi sollevi; ma, -caro Giacomo, tante volte questa nostra fantasia -ci dipinge delle immagini tanto nere, che poi -non lo sono in sostanza; e se volessimo aprire -gli occhi, vedremmo che non è effetto della -cosa in sè, ma de' nostri sguardi già ottenebrati.„ -Come definisce bene il male morale -del giovane! Ma ella sa pure che non tutte -sono ingigantite dalla mente le sue cagioni -di dolore: ella sa che la salute del poveretto -è distrutta, che la sua volontà in famiglia è -troppo violentata; e tanto riconosce che egli -ha ragione di dolersi, che contro il suo sistema -“di non impacciarmi mai ne' fatti altrui,„ -prega Monaldo di lasciarlo venire a -Roma in casa di lei per qualche tempo. Il padre -non si oppone apertamente, “anzi mi dice -che non si offenderà, se i suoi figli cercheranno -qualche loro vantaggio (sebbene esso non ne -veda in questo proposito) e nè tampoco se a -farlo conseguire impiegheranno gli amici. Poco -però si persuade che possiate trovarvi contento -fuori di casa, ove non vi manca cosa alcuna; -e teme che vi pentirete, se giungete a escire -dalla casa paterna....„ Neanche questa volta -Monaldo accorda il suo consenso, e poi anche -una volta vede con dispiacere che il figlio -non gli parli! E Ferdinanda esorta il nipote: -“Perchè non procurar da voi medesimo di ottenere -<span class="pagenum" id="Page_134">[134]</span> -questo permesso?... Ottenete di venire -in Roma, e spero che non ne resterete malcontento. -Infine non potrà dispiacervi di cambiare -per qualche tempo il soggiorno di Recanati -con quello di Roma....„ parole che dovrebbero -sonargli come un'irrisione, se non -venissero da questa buona creatura che lo -ha trattato come un figlio e che si adopera -invano per ottenergli un posto di professore -alla Biblioteca vaticana. Nulla egli ottiene -per suo mezzo; ella muore lasciandogli un insegnamento -che è la conferma d'un'antica -persuasione di lui: “perchè troppo sensibili -saremo sempre infelici....„ Lo ha pure esortato -alla rassegnazione, alla pazienza; ma naturalmente -egli crederà più alle parole di approvazione -dettate dalla calda simpatia che -non ai consigli di prudenza suggeriti dalla -fredda ragione; e penserà che egli ed i fratelli -non sono soli della loro specie, che a -cuori sensitivi come i loro il trattamento del -padre è iniquo; e non si piegherà a sopportarlo. -</p> - -<p> -Noi lo vediamo pertanto esprimere ai suoi corrispondenti -le stesse lagnanze e le stesse accuse. -Se Monaldo addebita al Giordani la ribellione -dei figli, Giacomo sdegnosamente protesta: -“L'uomo di cui mio padre si lagna, è -tale, che neppure io ardisco nominarlo pel rispetto -e l'amore ch'io gli debbo. Ma mio padre -se voleva dei figli contenti in questo stato, -<span class="pagenum" id="Page_135">[135]</span> -doveva generarli d'altra natura, ed ora non -dovrebbe imputare a persone venerabili e rinomate -in tutta l'Italia quello ch'è necessità -delle cose evidentissima a tutti, fuorchè a lui -solo.„ E se gli propongono una cattedra a -Bologna, e lo sollecitano a ottenere l'assenso -paterno, egli scrive: “Vi dico che non avete -idea di mio padre. Non c'è affare che lo interessi -così poco, quanto quelli che mi riguardano. -Non vuol mantenermi fuori di qua a -sue sole spese; ma non muoverebbe una paglia -per procurarmi altrove un mezzo di sussistenza -che mi togliesse da questa disperazione....„ -Per accettare una dedica dal Brighenti egli -dovrebbe sottoporla all'approvazione del padre; -e non vuole: “Sapete che mio padre è -di principii differentissimi dai miei; e che d'altra -parte, s'io non gli domanderei neppure il -pan da mangiare, molto meno cose non necessarie.„ -</p> - -<p> -Una tregua è il viaggio di Roma. Nell'autunno -del '22 i genitori finalmente consentono -che egli vada alla capitale in casa dello zio -Antici: allora, da lontano, tolte le occasioni -di dissapori, l'affetto paterno e filiale si manifesta -con espressioni sincere e commoventi: -“Bacio la mano alla cara mamma. A lei professerò -eternamente la più viva gratitudine e -il più caldo e filiale affetto. Mi ami, caro signor -padre, ch'io l'amo di tutto cuore, e desidero -di servirla e di compiacerla e di ubbidirla -<span class="pagenum" id="Page_136">[136]</span> -in ogni cosa. E per quasi niun altro -rispetto mi rallegro di aver sortito un cuore -sensibile e pieno d'amore, se non perchè io -posso rivolgere la mia sensibilità verso di lei.„ -Quando il padre, per il Natale, gli manda con -dolci e cordiali espressioni, una strenna di -dieci scudi, egli risponde: “Sarebbe quasi -inutile ch'io provassi di ringraziarla della liberalità -che mi usa e dell'affetto che mi dimostra. -Ella sa, carissimo signor padre, quali -sono i miei sentimenti ancorchè io non li sappia -esprimere. E per tanto mi basterà dirle -che la ringrazio con tutto il cuore del dono, -e che lo riconosco dall'antico e tenero e forse -pur troppo non meritato amore che ella mi -porta; il quale amore però, quando anche non -meritato, certamente è corrisposto, e corrisposto -con tutte le forze possibili dell'animo -mio.„ Tuttavia l'esagerazione della vigilanza -che il padre vuole esercitare sul figlio anche -da lontano, e le sue paure grottesche si rivelano -ancora quando gli scrive: “Abbiatevi -ogni cura, e non dimenticate di evitare accuratamente -il pericolo delle carrozze....„ Egli che -non ha voluto forzar la mano alla moglie per -provvedere alla sorte del giovane, trova poi -di che ridire quando questi pensa a procacciarsi -denaro col proprio lavoro, con una traduzione -di Platone: “La vostra fatica verrà pagata -circa baiocchi 60 al giorno, e voi lavorando -un mese ogni dì senza riposo festivo, -<span class="pagenum" id="Page_137">[137]</span> -guadagnerete scudi 18, un poco più di quanto -diamo al nostro cuoco e un poco meno di -quanto si dà nelle amministrazioni allo scrittore -dei soprascritti....„ Così pure, quando -Giacomo dà lezioni per vivere, il padre giudica -che gli emolumenti mensili siano “alquanto -umilianti.„ Questo è il nuovo danno -che viene al Leopardi dalla famiglia: non -solamente non ne riceve il benefizio degli affetti, -non solamente vi trova opposizioni e -contrasti, non solamente vi è tenuto in una -soggezione penosa; ma essa non gli dà e -quasi gl'impedisce di procacciarsi quel denaro -che, dopo la salute e l'amore — e anche -prima dell'amore a giudizio di molti, — è -pur necessario a render gli uomini contenti. -Adelaide Leopardi, nel tempo delle peggiori -strettezze, non vuole smettere la carrozza: -ella trova i quattrini per mantenere questo -segno di grandezza, non ne trova per salvare -suo figlio. Col titolo di conte questi non -ha un soldo da spendere; se fosse nato da -un borghesuccio o da un operaio si caverebbe -d'impiccio senza difficoltà; la sua condizione -sociale fa che non soltanto il padre si dolga -di vederlo lavorare per vivere, ma che ne -soffra egli stesso. -</p> - -<p> -Perchè, infatti, tornato a Recanati e ricaduto -nella soggezione antica, e costretto a -farsi mandare ad altri indirizzi lettere e stampe -se vuole evitare che glie le leggano, e disperato -<span class="pagenum" id="Page_138">[138]</span> -al punto di pensare a gettarsi alla ventura -pur di ritrovarsi libero; egli accetta la -proposta del libraio Stella che lo chiama a -Milano e gli paga il viaggio e lo alloggia in -casa propria. Il giovane vi si sente incatenato -e “in certa maniera ridotto all'obbligazione -di servirlo„; tosto si propone di fare -“ogni sforzo per trarre dalla mia debole e -sciocca natura il vigor necessario a svilupparmi -da questi lacci.„ Da lontano l'anima -pacificata ripensa le dolcezze pur tanto grandi -del tetto domestico: ricevendo lettere del padre -gli pare di trovarsi in mezzo alla sua -famiglia, “l'amore verso la quale è anche accresciuto -in me dalla lontananza„; ed al fratello -Carlo scrive da Bologna, dove dà lezioni -per non esser di peso alla famiglia, che è per -lui “un giubilo e un palpito„ l'aprire lettere -di casa; e alla sorella Paolina, che la consolazione -provata vedendo i caratteri della madre -“è stata tanta che quasi dubitava di travedere„; -e al fratello Pierfrancesco, che baci -la mano al babbo e alla mamma per lui “tante -volte, finattanto che non vi diranno, basta.„ -Ma, come l'altra volta, anche ora Monaldo -trova modo di pesare sul figlio lontano. Già -egli comincia col rendere lode “grandissima„ -a Dio, perchè Milano non è piaciuta al giovane -quanto egli “temeva.„ Se Giacomo, per -godere di un Benefizio, vorrebbe esser dispensato -dall'obbligo dell'abito talare e della tonsura, -<span class="pagenum" id="Page_139">[139]</span> -il padre che gli ha voluto “gettar sul -muso„ la prelatura, che ha rinunziato a malincuore -all'idea di vederlo abbracciare lo stato -ecclesiastico, gli sta addietro per dimostrargli il -suo torto. “Non vedo quale ripugnanza possa -aversi ad un abito, clericale o prelatizio, poco -importa, il quale fu l'abito di tanti Santi, e lo fu -pure di tanti uomini grandissimi in ogni genere -di grandezza. Conosco che in addietro per i vostri -rapporti letterarii avrete dovuto capitolare -coi pregiudizii, o piuttosto colla malvagità -del tempo; ma attualmente la vostra età, -la vostra esperienza e il vostro nome vi mettono -al disopra di queste umiltà, e siete in -grado di dare il tuono nella repubblica delle -lettere, piuttosto che di riceverlo. Qual trionfo, -figlio mio, per la causa dei Santi e dei saggi, -e qual gloria per la Chiesa e per lo Stato, -se l'uomo il più erudito forse dello Stato spiegasse -arditamente la bandiera della Chiesa, e -con ciò proclamasse altamente che gli studi, -le lettere e le meditazioni dei saggi conducono -a conoscere e a venerare la Chiesa, e -a disprezzare e a combattere i suoi palesi e -nascosti inimici?„ Ma questo paladino della -religione, questo nuovo banditor di crociate, è -poi partigiano del Turco, e pone in ridicolo -la simpatia del figlio per la causa greca, considerando -i Greci non tanto come cristiani che -combattono per la fede, quanto come sudditi ribelli -che vogliono una libera patria. “Avrete -<span class="pagenum" id="Page_140">[140]</span> -letto nei fogli, come le grandi Potenze vogliono -prendere una parte decisiva negli affari dell'Oriente. -Così avranno pace i vostri Greci, e -ne godo perchè sono uomini; ma mi pare che -siano birbanti assai, ed è un avvenimento singolare -che la somma legge dell'umanità imponga -di soverchiare il Turco, quando forse -ha più ragione di noi....„ E se un Recanatese -va a combattere e a morire per la croce -contro la mezzaluna, così egli ne dà conto al -figlio: “Anche Recanati ha pagato il suo tributo -di follia alla demenza del secolo, e ha -tinta col suo sangue la terra classica della -Grecia. Alcuni mesi addietro il conte Andrea -Broglio, lasciati i genitori e la moglie, dichiarò -la guerra alla Mezzaluna e andò a fare -il <i>ciccobimbo</i> in qualità di brigante volontario. -Ebbe in guiderdone un titolo di Maggiore e -una razione quotidiana di polenta; ma alli -23 di maggio, assalendo Anatolico, una palla -di cannone lo uccise sul campo.„ Il figlio gli -dà ragione quanto al fatto, adducendo un argomento -che ha già manifestato nei suoi versi, -cioè disapprovando che Italiani vadano a morire -per causa non propria; ma che effetto gli -devono aver prodotto le derisioni dell'amor -patrio che infiamma gli Elleni, se egli aveva -già abbozzato un inno alla Grecia, se aveva -già detto di riguardare i poveri Greci come -fratelli, se si era quasi scusato di non aver -parlato abbastanza a favor loro in un suo -<span class="pagenum" id="Page_141">[141]</span> -articolo, “considerata la impossibilità in cui -siamo di parlare liberamente?„ Per reverenza -al padre egli non replica alle parole irriverenti; -ma che credito può ora accordare alla -fede cristiana della quale il padre fa sfoggio? -Come può udirne le esortazioni? Egli vede -ancora questo padre, quest'uomo, questo derisore -di eroi, tremar poi dinanzi alle gonne -della moglie. Quando pensa con la sua testa, -Monaldo dispiace al figlio per l'ostinata e -l'ostentata predicazione di idee che questi non -può far sue, anche perchè le vede discordi; -quando poi il padre vorrebbe accontentarlo, -allora la paura della moglie lo impaccia. Non -volendo Giacomo vestir l'abito clericale, si -potrebbe pure ottenere il godimento temporaneo -del Benefizio; ma il padre gli scrive: -“Bisogna maneggiar bene la cosa per i miei -riguardi domestici. Scrivetemi ostensibilmente -nei termini suddetti, come avendo avuto questo -lume da altri, e pregatemi di farvi ottenere -questa piccola temporanea provvista, toccando -che voi niente costate alla casa. Io sono -inimico giurato di questi giri, ma mi conviene -patteggiare fra il mio cuore e il molto giudizio -di mamma vostra; la quale vi ama tenerissimamente, -ma crede che le vostre lettere -siano una miniera d'oro, la quale vi rende -inutile qualunque altro sussidio.„ Allora, come -i figli hanno convenuto tra loro di scriversi -sotto finti nomi per sottrarre le loro lettere -<span class="pagenum" id="Page_142">[142]</span> -agli sguardi del padre, così anche il padre -suggerisce a Giacomo di servirsi di indirizzi -convenzionali per isfuggire al vigile sguardo -della moglie. -</p> - -<p> -Ma ben tosto il primo, il costante, l'inflessibile -pensiero di Monaldo torna ad angustiare -il giovane: bisogna che egli torni a seppellirsi -a Recanati. “Io le protesto e giuro,„ -risponde Giacomo, “che non ho desiderio maggiore -che quello di vivere in compagnia sua, -e in seno della mia famiglia; e che quando -io possa vivere a Recanati con salute sufficiente, -e sufficiente possibilità di occuparmi -nello studio per passatempo, io non tarderò -neppure un momento a volare costì.... per vivere -al suo fianco, e non allontanarmene mai -più.„ Se il padre gli scrive dicendogli tutto -il bene che gli vuole, egli risponde con proteste -d'affetto continue: “Io per la parte mia -posso giurarle che, parlando umanamente, non -vivo se non per lei e per la mia cara famiglia; -non ho mai goduto della vita se non in -relazione a loro; ed ora la vita non mi è cara -se non in vista del dolore che cagionerei a -loro se la perdessi.„ Tornato ancora una volta -a Recanati, sente la sua vita finita; ma pure -riconosce che, se il padre non vuole, non potrebbe -neanche volendo mantenerlo fuori; e -per vivere del suo fuori di casa egli dovrebbe -lavorar molto; e lavorar molto, nelle condizioni -della sua salute, non potrà più mai. Allora -<span class="pagenum" id="Page_143">[143]</span> -il suo amico Tommasini, conoscendo che -Recanati è per il poveretto la morte, gli offre -la propria casa, a Parma; più tardi lo invita -Pietro Colletta, a Livorno; ma l'anima -altera non si può piegare a questa specie di -servitù. Preferisce soffrire; e poichè gli amici -sanno che le sue sofferenze sono veramente -insopportabili, tornano a proporgli di venirsene -da loro: il Colletta reitera l'invito, la -moglie del Tommasini ripete con più premurosa -insistenza la preghiera del marito. Tutti -si accorgono della necessità di fare qualche -cosa per l'infelice, tranne che il padre e la -madre. Giacomo è costretto da ultimo ad accettare -l'elemosina di ignoti ammiratori toscani, -che per iniziativa del Colletta contribuiscono -a costituirgli una piccola pensione -perchè possa vivere a Firenze e attendere -ai lavori letterarii. Ma quando, lontano dal -padre, egli pubblica il suo nuovo libro, le <i>Operette -morali</i>, Monaldo trova ancora nei suoi -pregiudizii di che amareggiarlo con critiche, -con paure, con scrupoli, con esortazioni a correggersi, -quando l'infelice è moribondo, quando -non può scrivere una riga senza sudor di sangue. -“Io le giuro,„ risponde il giovane difendendo -l'opera propria, “che l'intenzione mia -fu di far <i>poesia in prosa</i>, come s'usa oggi; -e però seguire ora una mitologia ed ora un'altra, -ad arbitrio; come si fa in versi, senza -essere perciò creduti pagani, maomettani, buddisti, -<span class="pagenum" id="Page_144">[144]</span> -ecc. E l'assicuro che così il libro è stato -inteso generalmente, e così coll'approvazione -di severissimi censori teologi è passato in tutto -lo Stato romano liberamente, e da Roma, da -Torino, ecc., mi è stato lodato da dottissimi -preti. Quanto al correggere i luoghi ch'ella -accenna, e che ora io non ho presenti, le prometto -che ci penserò seriamente; ma ora vede -Iddio se mi sarebbe <i>fisicamente</i> possibile, non -dico di correggere il libro, ma di rileggerlo. -Una dichiarazione di protesta che pubblicassi, -creda all'esperienza che oramai ho di queste -cose, che non farebbe altro che scandalo, e -quel che vi fosse di pericoloso nel libro, non -ne diverrebbe che più ricercato, più osservato -e più nocivo.„ Ed anche non volendo, Monaldo -è destinato a fargli male. Quando egli -pubblica i suoi <i>Dialoghetti sulle materie correnti -nell'anno 1831</i>, dove inveisce contro il -liberalismo e i liberali, e sostiene che la Francia -dev'essere smembrata e che i Turchi hanno -ragione contro i Greci, e deride con espressioni -triviali le nuove idee politiche e filosofiche; -tutti credono che l'autore ne sia Giacomo, -e si rallegrano o ridono della sua conversione; -tanto generalmente l'opera di Monaldo -è attribuita al figlio, che questi è costretto a -pubblicare una dichiarazione di semplice protesta, -dove non c'è una parola che suoni biasimo -all'opera del padre, quantunque egli la -detesti; e perchè il padre se ne duole, egli -<span class="pagenum" id="Page_145">[145]</span> -è costretto a giustificarsi, a dire che ha pubblicato -la dichiarazione “per non usurpare -ciò che è dovuto ad altri, e perchè non voglio -nè debbo soffrire di passare per convertito, -nè di essere assomigliato al Monti, ecc., ecc. -Io non sono stato mai nè irreligioso, ne rivoluzionario -di fatto nè di massime. Se i miei -principii non sono precisamente quelli che si -professano nei <i>Dialoghetti</i>, e ch'io rispetto in -lei, ed in chiunque li professa di buona fede, -non sono stati però mai tali, ch'io dovessi nè -debba nè voglia disapprovarli. Il mio onore -esigeva ch'io dichiarassi di non aver punto -mutato opinioni.„ Monaldo, da canto suo, scrive -e stampa articoli contro i giovani che disconoscono -l'autorità paterna, e ride dell'<i>Antologia</i> -dove il figlio ha stampato un saggio dei -suoi proprii <i>Dialoghi</i>.... -</p> - -<p> -Intanto le difficoltà finanziarie, finita la pensione -degli amici di Toscana, tornano ad opprimere -il giovane; e il ritorno a Recanati lo -impaura più della morte; e il padre non vuole -e non può aiutarlo. Come rivolgersi a lui? -Pure, mancando ogni altro mezzo, egli lo -prega in questi termini: “Io credo ch'ella sia -persuasa degli estremi sforzi ch'io ho fatti -per sette anni affine di procurarmi i mezzi -di sussistere da me stesso. Ella sa che l'ultima -distruzione della mia salute venne dalle -fatiche sostenute quattro anni fa per lo Stella, -al detto fine. Ridotto a non poter più nè leggere -<span class="pagenum" id="Page_146">[146]</span> -nè scrivere nè pensare (e per più di un -anno neanche parlare) non mi perdetti di coraggio, -e quantunque non potessi più fare, -pur solamente col già fatto, aiutandomi gli -amici, tentai di continuare a trovar qualche -mezzo. E forse l'avrei trovato, parte in Italia, -parte fuori, se l'infelicità straordinaria dei -tempi non fosse venuta a congiurare colle altre -difficoltà, ed a renderle finalmente vincitrici. -La letteratura è annientata in Europa: -i librai, chi fallito, chi per fallire, chi ridotto -ad un solo torchio, chi costretto ad abbandonare -le imprese meglio avviate. In Italia -sarebbe ridicolo ora il presumere di vender -nulla con onore in materie letterarie, e di proporre -ai librai delle imprese nuove. Di Francia, -Germania, Olanda, dove io aveva mandata -una gran quantità di mss. filologici con -fondatissime speranze di profitto, non ricevo, -invece di danari, che articoli di giornali, biografie -e traduzioni. Mi trovo dunque, com'ella -può ben pensare, senza i mezzi di andare innanzi. -Se mai persona desiderò la morte così -sinceramente e vivamente come la desidero io -da gran tempo, certamente nessuna in ciò mi -fu superiore. Chiamo Iddio in testimonio delle -mie parole. Egli sa quante ardentissime preghiere -io gli abbia fatte (sino a far tridui e -novene) per ottener questa grazia; e come ad -ogni leggera speranza di pericolo vicino o -lontano, mi brilli il cuore dall'allegrezza. Se -<span class="pagenum" id="Page_147">[147]</span> -la morte fosse in mia mano, chiamo di nuovo -Iddio in testimonio ch'io non le avrei mai -fatto questo discorso; perchè la vita in <i>qualunque -luogo</i> mi è abbominevole e tormentosa. -Ma non piacendo ancora a Dio d'esaudirmi, -io tornerei costì a finire i miei giorni, se il -vivere in Recanati, sopra tutto nella mia attuale -impossibilità di occuparmi, non superasse -le gigantesche forze ch'io ho di soffrire. -Questa verità (della quale io credo persuasa -per l'ultima acerba esperienza ancor lei) mi -è talmente fissa nell'animo, che malgrado del -gran dolore ch'io provo stando lontano da lei, -dalla mamma e dai fratelli, io sono invariabilmente -risoluto di non tornare stabilmente -costà se non morto. Io ho un estremo desiderio -di riabbracciarla, e solo la mancanza -de' mezzi di viaggiare ha potuto e potrà nelle -stagioni propizie impedirmelo; ma tornar costà -senza la materiale certezza di avere il modo -di riuscirne dopo uno o due mesi, questo è -ciò sopra di cui il mio partito è preso, e spero -che ella mi perdonerà se le mie forze e il mio -coraggio non si estendono fino a tollerare una -vita impossibile a tollerarsi. Non so se le circostanze -della famiglia permetteranno a lei -di farmi un piccolo assegnamento di dodici -scudi il mese. Con dodici scudi non si vive -umanamente neppure in Firenze, che è la città -d'Italia dove il vivere è più economico. Ma -io non cerco di vivere umanamente. Farò tali -<span class="pagenum" id="Page_148">[148]</span> -privazioni che, a calcolo fatto, dodici scudi -mi basteranno. Meglio varrebbe la morte, ma -la morte bisogna aspettarla da Dio.... Se le -circostanze, mio caro papà, non le consentiranno -di soddisfare a questa mia domanda, -la prego con ogni possibile sincerità e calore -a non farsi una minima difficoltà di rigettarla. -Io mi appiglierò ad un altro partito, e forse -a questo avrei dovuto appigliarmi senza altrimenti -annoiar lei con questo discorso: ma -come il partito ch'io dico, è tale, che stante -la mia salute, non è verisimile che in breve -tempo non vi soccomba, ho temuto che ella -avesse a fare un rimprovero alla mia memoria, -dell'averlo abbracciato senza prima confidarmi -con lei sopra le cose che le ho esposte. -Del rimanente, io da un lato provo tanto -dolore nel dar noia a lei, e dall'altro sono -così lontano da ogni fine capriccioso, e da ogni -lieta speranza nel voler vivere fuori di costà, -che ho perfino desiderato, ed ancora desidererei, -che mi fosse tolta la possibilità di ogni -ricorso alla mia famiglia, acciocchè non potendo -io mantenermi da me, e molto meno -essendomi possibile il mendicare, io mi trovassi -nella materiale, precisa e rigorosa necessità -di morir di fame. Scusi, mio caro papà, -questo malinconico discorso che mi è convenuto -tenerle per la prima e l'ultima volta della -mia vita. Si accerti della mia estremissima -indifferenza circa il mio avvenire su questa -<span class="pagenum" id="Page_149">[149]</span> -terra, e se la mia domanda le riesce eccessiva, -importuna, o non conveniente, non ne -faccia alcun caso. In ogni modo, se Dio vorrà -ch'io viva ancora, io non cesserò di adoperarmi -come per lo passato, con tutte le mie -forze, per procurarmi il modo di vivere senza -incomodo della casa, e per far cessare le somministrazioni -che ora le chiedo. Mi benedica, -mio caro papà, e preghi Dio per me....„ -</p> - -<p> -L'uomo che supplica in questo modo ha -trentaquattro anni, ed è uno dei più grandi -del suo tempo; e con un nome illustre, con -un ingegno strapotente, come ha dovuto accettare -l'elemosina dei Toscani, così vive in -parte degli aiuti del Ranieri, quando, ottenuto -finalmente il povero soccorso paterno, -non è in grado di sopperire con questo ai bisogni -della sua vita stremata. E se, per il -divisato e non potuto effettuare ritorno in famiglia, -è costretto a trarre una cambialetta -di 40 ducati, se ne deve scusare in termini -di supplicazione; e deve ringraziare il padre -e la madre della “carità„ che gli hanno fatta. -Se essi non fanno di più perchè non possono, -la colpa non è loro; ma la loro colpa inescusabile -è di non comprendere ancora, come non -hanno compreso mai, la condizione del figlio, -la gravità dei suoi mali fisici e morali. “Il -tuono delle sue lettere alquanto secco,„ scrive -questi al padre sei mesi prima di morire, “è -giustissimo in chi fatalmente non può conoscere -<span class="pagenum" id="Page_150">[150]</span> -il vero mio stato, perch'io non ho avuto -mai occhi da scrivere una lettera che non si -può dettare, e che non può non essere infinita; -e perchè certe cose non si debbono scrivere -ma dire solo a voce. Ella crede certo -ch'io abbia passato fra le rose questi sette anni -ch'io ho passato tra i giunchi marini....„ E -in mano di questo amico al quale non può -dettare tutto l'intimo pensiero suo; del quale -sente, nonostante la fratellanza di sette anni, -di doversi guardare; in mano di questo amico -egli muore diciotto giorni dopo avergli fatto -scrivere al padre lontano, che non una volta -ha pensato di andarlo a raggiungere: “I miei -patimenti fisici giornalieri e incurabili sono -arrivati con l'età ad un grado tale che non -possono più crescere; spero che superata finalmente -la piccola resistenza che oppone il moribondo -mio corpo, mi condurranno all'eterno -riposo, che invoco caldamente ogni giorno non -per eroismo ma per il rigore delle pene che -provo. Ringrazio teneramente lei e la mamma -del dono dei dieci scudi, bacio le mani ad ambedue -loro, abbraccio i fratelli, e prego loro -tutti a raccomandarmi a Dio, acciocchè, dopo -ch'io li avrò riveduti, una buona e pronta -morte ponga fine ai miei mali fisici che non -possono guarire altrimenti.„ -</p> - -<p> -E dopo che il grande infelice è morto, credete -voi che il padre s'acqueti? Udite che -cosa scrive Paolina all'amica Brighenti: “Di -<span class="pagenum" id="Page_151">[151]</span> -Giacomo poi, della gloria nostra, abbiam dovuto -tacere più che mai tutto quello che di -lui ne veniva fatto di sapere, come di quello -che non combinava punto col pensare di papà -e colle sue idee. Pertanto, non abbiam fatto -mai parola con lui delle nuove edizioni delle -sue opere, e quando le abbiam comprate, le -abbiamo tenute nascoste e le teniamo ancora.... -Preghiamo Iddio che non vengano quei volumi -nelle mani dei miei genitori; essi ne -morrebbero di dolore!...„ Monaldo disereda il -figlio Carlo perchè ha sposato, contrariamente -alla sua volontà, la cugina Mazzagalli; nel -suo testamento egli nomina Giacomo, l'eterna -gloria della sua casa, solo perchè si celebrino -dieci messe per il riposo dell'anima sua; mentre -lungamente ricorda l'altro figlio Luigi, -“morto con tutti i segni del predestinato.„ -E quando, morto anche Monaldo, la vedova -riceve un giorno uno dei visitatori che traggono -a Recanati come in pellegrinaggio, e -l'ode riverire in lei la madre del grande poeta, -ella non sa rispondere altro che: “Dio gli -perdoni....„ -</p> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_152">[152]</span></p> - -<h3 id="patria">IV. -<span class="smaller">LA PATRIA.</span></h3> -</div> - -<p> -La città dove siamo nati e dove viviamo, -la terra dove si parla il nostro proprio linguaggio, -sono come la continuazione della -casa: da esse ci possono venire motivi di -somma consolazione come di grave dolore. Se -Giacomo Leopardi non fu felice nella famiglia, -ebbe almeno ragione di compiacersi della -patria? Per colmo di sciagura egli nacque -in tempi sciagurati e in un paese infelice. -</p> - -<p> -In un borgo, in un villaggio, se mancano -troppe cose al vivere civile, i costumi sono -semplici, la vita è tranquilla, la libertà grande. -Ma Recanati è tanto popolosa ed ha tali tradizioni -storiche da non poter essere confusa -tra i villaggi. In una città vasta ed animata, -se vi è troppo tumulto, vi sono pure spettacoli -stupendi; se l'individuo è costretto ad osservare -troppe norme perchè troppo estesa è -<span class="pagenum" id="Page_153">[153]</span> -la società circostante, tanto più facilmente egli -può trovare in mezzo alla varia moltitudine -chi lo comprenda e gli giovi. Ma Recanati -non è una grande città. È città piccola; ciò -significa il luogo meno adatto a un ingegno -avido di vedere e di sapere, cupido di impressioni -potenti e nuove: vi mancano egualmente, -come il Leopardi stesso dice, “e i diletti -della società civile, e i vantaggi della -vita solitaria„. Pietro Giordani così ne parla: -“Recanati, piccola terra, che il papa chiama -città, vicina quattro miglia a Loreto, quel -gran mercato d'ignobili superstizioni.... Ivi -tutti i mali d'Italia, e niuna consolazione.„ -</p> - -<p> -Il pensiero degli uomini è in certo modo -proporzionato ai luoghi dove essi vivono: dentro -un orizzonte angusto le idee sono piccole; -le idee grandi e nobili derivano dalle -impressioni suscitate dalle cose nobili e grandi. -Le rivoluzioni, i tentativi di migliorare la -condizione umana, si compiono nelle metropoli; -la provincia è più ligia alle tradizioni, -più avversa alle novità. Se i grandi ingegni -sono ammirati da chi è capace d'intenderli, -sono invece derisi dal volgo, al quale -per la loro singolarità non possono uniformarsi: -e nella provincia, perchè è più volgare, -la singolarità dell'ingegno pare anche maggiore. -“Ella non conoscerà Recanati„, scrive -il Leopardi al Brighenti, “ma saprà che la -Marca è la più ignorante ed incolta provincia -<span class="pagenum" id="Page_154">[154]</span> -dell'Italia. Ora, per confessione anche -di tutti i Recanatesi, la mia città è la più -incolta e morta di tutta la Marca, e fuor di -qui non s'ha idea della vita che vi si mena.„ -Lassù “l'ingegno non si conta fra i doni della -natura„. Chi comprenderà gli studii linguistici -dello straordinario giovanetto? “Quanto -agli amatori della buona lingua, se di questa -io parlassi ad alcuno qui, crederebbero che -s'intendesse di qualche brava lingua di porco.„ -Troverà egli qualcuno col quale ragionare -delle cose che gli stanno a cuore? “In Recanati -non andando d'accordo nelle massime -con nessuno, non disputo mai, ed ostinatissimo -mi lascio spiattellare in faccia spropositi -da stomacare i cani, senza mai aprir -bocca.„ Di quale considerazione godrà? Come -in famiglia, così in tutta la città lo trattano -da “vero e pretto ragazzo, e i più aggiungono -i titoli di saccentuzzo, di filosofo, d'eremita -e che so io.„ Tanto egli è disconosciuto, -che non crede d'incontrare veri odii o inimicizie, -“perchè questi si esercitano cogli uguali -e nessuno vorrà degnarsi di credermi suo -uguale; ma disprezzi e scherni gli aspetto, e li -ricevo da tutti quelli che tratto e vedo„. Dice -anche: “Io sto qui, deriso, sputacchiato, preso -a calci da tutti, menando l'intera vita in una -stanza, in maniera che, se vi penso, mi fa -raccapricciare.„ Esagera? I suoi nervi troppo -tesi gli fanno giudicare così? No; è la verità. -<span class="pagenum" id="Page_155">[155]</span> -I nobili oziosi ed ignoranti lo dileggiano per -l'ingegno e la cultura; un giorno, perchè egli -tenta di replicare a uno di loro, è da costui -percosso sul viso con un frustino. La plebe -ride della deformità del suo corpo: talvolta, -se egli esce a prendere una boccata d'aria, -è costretto a tornarsene in casa dagl'insulti -della canaglia; i monelli si divertono a tirar -sassi o pallottole di neve sulla schiena al -“gobbo de Leopardi„. E i preti lo giudicano -empio per le sue massime; perchè, onorando -i genitori, non intende esserne schiavo. -</p> - -<p> -Che effetto produrrebbero tutte queste cose -in uomo qualunque? Non avrebbe ogni uomo -ragione di sentirsi fuori del mondo civile, in -un misero paesaccio, in un romitaggio, in una -sepoltura? Ma il Leopardi non è un uomo -come tutti gli altri: noi sappiamo quanto vulnerabili -sono i suoi nervi, quanto è inferma -la sua sensibilità. Allora non ci stupiremo se -egli chiamerà Recanati “tana, caverna, serraglio, -porca bicoccaccia, vilissima zolla, capitale -dei poveri e dei ladri, luogo pieno e stivato -di maledizioni„; se chiamerà i suoi concittadini -“animali„ dalla cui vista fugge: -“Ogni giorno mi par mill'anni di fuggir via -da questa porca città, dove non so se gli uomini -sieno più asini o più birbanti; so bene -che tutti sono l'uno e l'altro....„ -</p> - -<p> -Eppure egli non ha giudicato sempre così. -Anche prima di uscire da Recanati, quando -<span class="pagenum" id="Page_156">[156]</span> -l'opposizione dei parenti e gli scherni degli -estranei non lo hanno ancora esasperato, egli è -stato giusto con la sua città natale. “Ora dico -di odiarla perchè vi sono dentro, che finalmente -questa povera città non è rea d'altro che di -non avermi fatto un bene al mondo, dalla mia -famiglia in fuori.„ Egli è anche così più che -giusto con la sua famiglia.... E se la sua sensibilità -è tanto offesa a Recanati, l'immaginazione -vi opera prodigi, raffigurandogli le bellezze -dell'ignoto mondo. “Iddio ha fatto tanto -bello questo nostro mondo„, scrive al Giordani, -“tante cose belle ci hanno fatto gli -uomini, tanti uomini ci sono, che chi non è -insensato arde di vedere e di conoscere; la -terra è piena di meraviglie, ed io di dieciott'anni -potrò dire: In questa caverna vivrò, -e morrò dove son nato?...„ Ma tanto egli è -esperto degli inganni orditi dalla fantasia, che -non appena si rappresenta queste meraviglie -già è sicuro di non poterle trovare. “A voi -succede,„ riscrive al Giordani sei mesi dopo, -“quello che succederà a me se mai vedrò il -mondo, di averlo a noia. Allora forse non mi -dispiacerà e fors'anche mi piacerà questo eremo -che ora aborro.„ -</p> - -<p> -Così appunto accade. Appena esce da Recanati, -appagato finalmente il lungo desiderio -di veder Roma, la metropoli lo scontenta, e -il luogo natio quasi gli pare preferibile. “Tenete -per certissimo che il più stolido Recanatese -<span class="pagenum" id="Page_157">[157]</span> -ha una maggior dose di buon senso -che il più savio e più grave Romano. Assicuratevi -che la frivolezza di queste bestie -passa i limiti del credibile. S'io vi volessi -raccontare tutti i propositi ridicoli che servono -di materia ai loro discorsi, e che sono -i loro favoriti, non mi basterebbe un in foglio....„ -Non lo scontenta solo lo spirito della -popolazione, ma anche il materiale della città: -“Tutta la grandezza di Roma non serve ad -altro che a moltiplicare le distanze, e il numero -de' gradini che bisogna salire per trovare -chiunque vogliate. Queste fabbriche immense, -e queste strade per conseguenza interminabili, -sono tanti spazii gittati fra gli uomini, invece -d'essere spazii che contengono uomini....„ È il -consueto disinganno che l'immaginazione prepara -quando le cose troppo desiderate ed abbellite -sono finalmente ottenute. Egli ha aspettato -tanto, ha tanto presentito il piacere, che -quando lo consegue non lo apprezza più. “Domandami -se, in due settimane da che sono in -Roma, io ho mai goduto pure un momento di -piacere fuggitivo, di piacere rubato, preveduto -o improvviso, esteriore o interiore, turbolento o -pacifico, vestito sotto qualunque forma. Io ti -risponderò in buona coscienza e ti giurerò, che, -da quando io misi piede in questa città, non una -goccia di piacere non è caduta nell'animo mio, -eccetto in quei momenti ch'io ho letto le tue -lettere.... Dirai ch'io non so vivere; che per -<span class="pagenum" id="Page_158">[158]</span> -te, e per altri tuoi simili il caso non andrebbe -così....„ Egli stesso riconosce l'origine intima -del suo scontento: “In verità, era troppo tardi -per cominciare ad assueffarmi alla vita non -avendone mai avuto niun sentore„; ma, perchè -il disinganno sia così grande, bisogna -che altre cause abbiano concorso a produrlo. -Se noi dobbiamo credere che, passato alla -metropoli da una città meno infelice di Recanati, -oppure più presto, prima che la sua -salute fosse distrutta e che il suo spirito si -ottenebrasse, vi si sarebbe compiaciuto; dobbiamo -anche notare che neppure in queste -condizioni propizie le cause reali del suo dispiacere -non sarebbero mancate. -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Oh! Se' tu Roma, o d'ogni vizio il seggio?</p> -</div></div> - -<p> -aveva già sdegnosamente cantato Vittorio Alfieri; -e le condizioni morali dell'eterna città -erano veramente tali da sdegnare un'anima -come quella del Leopardi. Principalmente, anzi -unicamente attento alle cose letterarie, come -trovava egli le condizioni della letteratura a -Roma? Se l'alfabeto era tutta la letteratura -di Recanati, qual era quella di Roma? “Quanto -ai letterati, de' quali ella mi domanda„, scrive -al padre, “io n'ho veramente conosciuti pochi, -e questi pochi m'hanno tolto la voglia di -conoscerne altri. Tutti pretendono d'arrivare -all'immortalità in carrozza, come i cattivi cristiani -al paradiso. Secondo loro, il sommo della -sapienza umana, anzi la sola e vera scienza -<span class="pagenum" id="Page_159">[159]</span> -dell'uomo, è l'Antiquaria. Non ho ancora potuto -conoscere un letterato romano che intenda -sotto il nome di letteratura altro che l'Archeologia. -Filosofia, morale, politica, scienza -del cuore umano, eloquenza, poesia, filologia, -tutto ciò è straniero in Roma, e par un giuoco -da fanciulli, a paragone del trovar se quel -pezzo di rame o di sasso appartenne a Marcantonio -o a Marcagrippa. La bella è che non -si trova un Romano il quale realmente possieda -il latino o il greco, senza la perfetta -cognizione delle quali lingue, ella ben vede -che cosa mai possa essere lo studio dell'antichità.„ -Ed al fratello: “Della letteratura -non so che mi vi dire. Orrori, e poi orrori. I più -santi nomi profanati, le più insigni sciocchezze -levate al cielo, i migliori spiriti di -questo secolo calpestati come inferiori al minimo -letterato di Roma, la filosofia disprezzata -come studio da fanciulli; il genio e l'immaginazione -e il sentimento, nomi (non dico -cose, ma nomi) incogniti e forestieri ai poeti -e alle poetesse di professione; l'antiquaria -messa da tutti in cima del sapere umano, e -considerata costantemente e universalmente -come l'unico vero studio dell'uomo. Non dico -esagerazioni. Anzi è impossibile che vi dica -abbastanza....„ Il suo disinganno cresce ogni -giorno, ogni giorno egli trova un nuovo argomento -di noia, finchè arriva a questa conclusione -disperata: “Quantunque io sia già -<span class="pagenum" id="Page_160">[160]</span> -incapace affatto di godere, e incapace per -sempre, Roma mi ha fatto almeno questo vantaggio, -di perfezionare la mia insensibilità sopra -me stesso, e di farmi riguardare la mia -vita intera, il mio bene, il mio male, come -vita, bene, male altrui.„ -</p> - -<p> -Non per questo, tornato a Recanati, egli si -rassegna alla vita del “natìo borgo selvaggio„, -dove la sua vita “est plus uniforme -que le mouvement des astres, plus fade et -plus insipide que les paroles de notre Opéra„; -dove non trova la libertà che ha goduto fuori -di casa; dove, se vuol far venire un libro, gli -conviene aspettare quattro, sei, otto mesi, talvolta -anche di più; dove manca di giornali, -dove si trova in un buio veramente spaventevole. -Ma, partito un'altra volta per andare -in altre città grandi, non vi si trova contento. -“Al primo aspetto„, scrive da Milano, -“mi pare impossibile di durar qui neppure -una settimana.„ E col tempo, se riceve -impressioni grate, ne riceve pure di sgradevolissime. -“Qui mi trovo malissimo e di pessima -voglia. Pochi letterati ho conosciuto, e -non mi curo di vederli per la seconda volta....„ -Il bello, che trova a Milano in gran copia, -gli è guastato “dal magnifico e dal diplomatico -anche nei divertimenti.... Gli uomini sono -come <i>partout ailleurs</i>; e quello che mi fa rabbia -è, che tutti ti guardano in viso e ti squadrano -da capo a piedi come a Monte Morello....„ -<span class="pagenum" id="Page_161">[161]</span> -A Bologna trova che gli uomini sono -“vespe senza pungolo„, e con infinita meraviglia -deve convenire “che la bontà di cuore -vi si trova effettivamente, anzi vi è comunissima, -e che la razza umana vi è differente -da quella di cui tu ed io avevamo idea„. Tuttavia -egli vive in quella città “molto malinconico, -e in certe passeggiate solitarie che vo -facendo per queste campagne bellissime, non -cerco altro che rimembranze di Recanati.„ Se -passa a Firenze, la metropoli toscana “non -sarebbe certamente il luogo ch'io sceglierei per -consumar questa vita„: e, senza il Giordani, -la cui compagnia gli è stata di tanto conforto, -il suo malumore si sfoga vivacemente: “Questi -viottoli, che si chiamano strade, mi affogano; -questo sudiciume universale mi ammorba; -queste donne sciocchissime, ignorantissime e -superbe, mi fanno ira„, e, come a Roma, la -condizione degli spiriti è ancora quella che più -lo sdegna: “Io non veggo altri che Vieusseux -e la sua compagnia; e quando questa mi manca, -come accade spesso, mi trovo come in un deserto. -Infine mi comincia a stomacare il superbo -disprezzo che qui si professa di ogni -bello e di ogni letteratura: massimamente che -non mi entra poi nel cervello che la sommità -del sapere umano stia nel saper la politica e -la statistica.„ Tornato a Roma, la stessa ira -d'una volta lo infiamma: “La letteratura romana, -come tu sai benissimo, è così misera, -<span class="pagenum" id="Page_162">[162]</span> -vile, stolta, nulla, ch'io mi pento di averla -veduta e vederla, perchè questi miserabili letterati -mi disgustano della letteratura, e il disprezzo -e la compassione che ho per loro, ridonda -nell'animo mio a danno del gran concetto -e del grande amore ch'io aveva alle -lettere.„ Che dirà egli di Napoli? “Non posso -più sopportare questo paese semibarbaro e -semiaffricano, nel quale io vivo in un perfetto -isolamento da tutti„; egli ha bisogno di fuggire -“da questi lazzaroni e pulcinelli nobili -e plebei, tutti ladri e b. f. degnissimi di Spagnuoli -e di forche.„ -</p> - -<p> -Facciamo una larghissima parte al suo nervosismo, -all'irritabilità cresciuta per le continue -sventure, le malattie, il disagio pecuniario, -le opposizioni della famiglia; facciamo -una larghissima parte all'ingannatrice fantasia -che dipinge troppo belli i luoghi lontani e li -rende preferibili ai vicini, talchè anche quando -egli si trova contento, come a Pisa, pure vive -di rimembranze dell'odiato Recanati; resta -ancora, per altre testimonianze, che le condizioni -morali delle città italiane non erano, a -quei tempi, delle più felici. Basterà per tutte -quella di Vittorio Alfieri, uomo sano, operoso -e ricco, capace di istituir paragoni grazie ai -lunghi viaggi fatti da un capo all'altro d'Europa. -Giudicati i Romaneschi maestri nel mal -oprare, i Napoletani nello schiamazzare, i Genovesi -nel patir la fame, i Veneziani nel lasciar -<span class="pagenum" id="Page_163">[163]</span> -fare, i Milanesi nel banchettare, egli -conclude -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Tale d'Italia è la primaria gente;</p> -<p class="i01">Smembrata tutta, e d'indole diversa;</p> -<p class="i01">Sol concludendo appieno in non far niente.</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Nell'ozio e ne' piacer nojosi immersa</p> -<p class="i01">Negletta giace, e sua viltà non sente;</p> -<p class="i01">Fin sopra il capo entro a Lete sommersa.</p> -</div></div> - -<p> -E questo è appunto il nuovo motivo di dolore -di Giacomo Leopardi, ammiratore fervidissimo -dell'Astigiano: in ogni parte d'Italia -ai suoi tempi non solamente l'ignoranza è -grande quanto l'ignavia e l'amore delle vanità, -ma lo stesso sentimento della patria comune, -della nazione, è infimo e nullo. -</p> - -<p> -Fanciullo, sotto l'impero del padre guelfo, -egli aveva cominciato a parteggiare per le autorità -legittime contro i Francesi invasori e i -rivoluzionarii di casa. Ritiratosi Gioacchino -Murat da Macerata, liberato il Piceno, egli -aveva rivolto un'orazione agl'Italiani eccitandoli -all'odio degli stranieri. “Ogni francese è -degno d'odio, perchè niun francese riconosce i -delitti della sua nazione. Quel popolo forsennato -con tanto sangue e stragi, con tanti danni -a tutta l'Europa, non fece che una parentesi -nella cronologia dei regnanti per rientrar poi -nello stato primiero.„ E dalla esecrazione dei -rivoluzionarii francesi era passato all'esaltazione -dei governi indigeni. “Non v'ha popolo,„ -giudicava, “più felice dell'italiano nell'amministrazione -<span class="pagenum" id="Page_164">[164]</span> -paterna di sovrani amati e legittimi„; -e se l'Italia era divisa in tanti staterelli, se ne -compiaceva perchè ella “offre lo spettacolo vario -e lusinghiero di numerose capitali, animate -da corti floride e brillanti, che rendono -il nostro suolo sì bello agli occhi dello straniero„; -e aveva dimostrato che l'Italia non -è fatta per le armi, bensì per le arti. Ma la -sua conversione fu molto rapida: due anni -dopo, quando cominciava a lagnarsi di Recanati -e diceva che gli era tanto cara da somministrargli -le belle idee per un trattato dell'odio -della patria, tosto si correggeva: “Ma -mia patria è l'Italia; per la quale ardo d'amore, -ringraziando il cielo d'avermi fatto italiano.„ -Questo sentimento si afforza ogni -giorno più: egli non tralascia occasione di -significarlo: se gli Accademici di Viterbo lo -chiamano a far parte della loro società, si rallegra -delle loro cure “con la mia nazione, -alla quale resta tanto poco del vero amore, -non dirò delle patrie particolari, ma della nostra -comune gloriosissima e sovrana patria, che è -l'Italia„; e se il Visconti abbandona la terra -e la lingua italiana, egli non l'ama “niente -affatto, perchè mi pare, che si sia scordato -dell'Italia„; e invece chiama “mio„ l'Alfieri, -e dedica al Monti le sue prime canzoni patriottiche -che per niente al mondo dedicherebbe -“a verun potente.„ Noi vediamo quindi che, -come gli era accaduto in fatto di letteratura, -<span class="pagenum" id="Page_165">[165]</span> -così anche in politica è variamente sollecitato -dalle correnti morali del suo tempo. Ma se -tra il classicismo e il romanticismo il temperamento -era difficile perchè le tendenze delle -due scuole rispondevano a due tendenze del -suo spirito, in materia politica la via di mezzo -non era possibile. Una volta venuta meno l'ubbidienza -al regime tradizionale e il compiacimento -nella secolare divisione della patria -italiana, egli doveva seguire sino in fondo la -nuova via della ribellione; dove lo aspettavano -nuove e non meno gravi pene. -</p> - -<p> -Qual era infatti la condizione reale di quell'Italia -che egli aveva vista grande nelle memorie -di tempi troppo remoti? Una delle peggiori -che la sua storia rammenti. Cinquant'anni -prima gl'Italiani erano immersi in un letargo -profondo, dal quale pareva che nulla potesse mai -trarli; dei loro mali avevano perduto quasi coscienza, -si può dire che non ne soffrissero. Cinquant'anni -dopo essi dovevano insorgere, combattere, -cadere, ma poi finalmente trionfare. -L'età del Leopardi è invece la più travagliata. -La rivoluzione e l'invasione francese hanno destato -gli spiriti; Napoleone, italiano d'origine, -pronunzia in Milano di aver preparato alti -destini alla nazione infelice. Ma i fatti non -seguono alle promesse. Discacciati i Tedeschi, -restano i Francesi; i danni prodotti dai nuovi -occupatori in nome della libertà sono infiniti. -Se qualcuno si è illuso, se qualcuno ha dato -<span class="pagenum" id="Page_166">[166]</span> -fede alle promesse, il disinganno è amarissimo. -Il Leopardi che non ha creduto, che è -rimasto per questo riguardo il misogallo dei -primi tempi, vede nei nuovi casi l'ultima rovina. -Beato egli stima Dante -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i10"> che il fato</p> -<p class="i01">A viver non dannò fra tanto orrore;</p> -<p class="i01">Che non vedesti in braccio</p> -<p class="i01">L'itala moglie a barbaro soldato;</p> -<p class="i01">Non predar, non guastar cittadi e colti</p> -<p class="i01">L'asta inimica e il peregrin furore;</p> -<p class="i01">Non degl'itali ingegni</p> -<p class="i01">Tratte l'opre divine a miseranda</p> -<p class="i01">Schiavitude oltre l'Alpi, e non de' folti</p> -<p class="i01">Carri impedita la dolente via;</p> -<p class="i01">Non gli aspri cenni ed i superbi regni;</p> -<p class="i01">Non udisti gli oltraggi e la nefanda</p> -<p class="i01">Voce di libertà che ne schernia</p> -<p class="i01">Tra il suon delle catene e de' flagelli.</p> -<p class="i01">Chi non si duol? che non soffrimmo? intatto</p> -<p class="i01">Che lasciaron quei felli?</p> -<p class="i01">Qual tempio, quale altare o qual misfatto?</p> -</div></div> - -<p> -Ed egli soffre d'esser nato in mezzo a questa -rovina: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Perchè venimmo a sì perversi tempi?</p> -<p class="i01">Perchè il nascer ne desti o perchè prima</p> -<p class="i01">Non ne desti il morire,</p> -<p class="i01">Acerbo fato? onde a stranieri ed empi</p> -<p class="i01">Nostra patria vedendo ancella e schiava,</p> -<p class="i01">E da mordace lima</p> -<p class="i01">Roder la sua virtù, di null'aita</p> -<p class="i01">E di nullo conforto</p> -<p class="i01">Lo spietato dolor che la stracciava</p> -<p class="i01">Ammollir ne fu dato in parte alcuna?</p> -</div></div> - -<p> -Ma il più grave è questo: che il fiore della -<span class="pagenum" id="Page_167">[167]</span> -gioventù italiana sia tratto a combattere e a -morire non contro i proprii nemici, ma contro -nemici altrui: non per la moribonda Italia, ma -per altra gente, per quelli che sono venuti a -tiranneggiarla; e a morire lontano, in Ispagna, -in Germania, nei deserti nevosi di Russia. -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i02"> Morian per le rutene</p> -<p class="i02"> Squallide spiagge, ahi d'altra morte degni,</p> -<p class="i02"> Gl'itali prodi; e lor fea l'aere e il cielo</p> -<p class="i02"> E gli uomini e le belve immensa guerra.</p> -<p class="i02"> Cadeano a squadre a squadre</p> -<p class="i02"> Semivestiti, maceri e cruenti,</p> -<p class="i02"> Ed era letto agli egri corpi il gelo.</p> -<p class="i02"> Allor, quando traean l'ultime pene,</p> -<p class="i02"> Membrando questa desiata madre,</p> -<p class="i02"> Diceano: oh non le nubi e non i venti,</p> -<p class="i02"> Ma ne spegnesse il ferro, e per tuo bene,</p> -<p class="i02"> O patria nostra. Ecco da te rimoti,</p> -<p class="i02"> Quando più bella a noi l'età sorride,</p> -<p class="i02"> A tutto il mondo ignoti,</p> -<p class="i02"> Moriam per quella gente che t'uccide.</p> -<p class="i01">Di lor querela il boreal deserto</p> -<p class="i02"> E conscie fur le sibilanti selve.</p> -<p class="i02"> Così vennero al passo,</p> -<p class="i02"> E i negletti cadaveri all'aperto</p> -<p class="i02"> Su per quello di neve orrido mare</p> -<p class="i02"> Dilaceràr le belve....</p> -</div></div> - -<p> -La grandezza dell'affanno è smisurata, non -c'è altro conforto se non nella stessa immensità -dello sconforto.... Il Leopardi chiede ansiosamente -se la miseria della patria sua non -cesserà una volta: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">In eterno perimmo? E il nostro scorno</p> -<p class="i01">Non ha verun confine?</p> -</div></div> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_168">[168]</span> -</p> - -<p> -Egli eccita allora gl'italiani a volgersi indietro, -a contemplare i vestigi della potenza -e della gloria passata; a ricordare i loro -grandi, Dante, Petrarca, Colombo, Ariosto, -Tasso, Alfieri; e se il Mai discopre antiche -celebri scritture e se le sue scoperte commuovono -il mondo dei dotti e quasi fanno credere -che siano tornati i tempi del Rinascimento, -egli lo esorta a perseverare nell'opera, -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i09"> tanto che infine</p> -<p class="i01">Questo secol di fango o vita agogni</p> -<p class="i01">E sorga ad atti illustri, o si vergogni.</p> -</div></div> - -<p> -E se la sorella Paolina sta per andare a nozze -egli vuole che dia forti esempii ai figli. Mettano -opera le donne perchè la patria si redima: -esse hanno una grande potenza sugli -animi umani; ad esse il giovane chiede ragione -della miseria dei tempi: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i09"> La santa</p> -<p class="i01">Fiamma di gioventù dunque si spegne</p> -<p class="i01">Per vostra mano? attenuata e franta</p> -<p class="i01">Da voi nostra natura? e le assonnate</p> -<p class="i01">Menti, e le voglie indegne,</p> -<p class="i01">E di nervi e di polpe</p> -<p class="i01">Scemo il valor natìo, son vostre colpe?...</p> -<p class="i09"> .... O spose,</p> -<p class="i01">O verginette, a voi</p> -<p class="i01">Chi de' perigli è schivo, e quei che indegno</p> -<p class="i01">È della patria e che sue brame e suoi</p> -<p class="i01">Volgari affetti in basso loco pose,</p> -<p class="i01">Odio mova e disdegno;</p> -<p class="i01">Se nel femmineo core</p> -<p class="i01">D'uomini ardea, non di fanciulle, amore.</p> -</div></div> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_169">[169]</span> -</p> - -<p> -E si volge di nuovo al passato, trova nella -storia di Roma l'esempio di quanto ha giovato -alla patria una donna: Virginia. Ancora: -ad un vincitore nel giuoco del pallone -ricorda che gli esercizii del corpo sono preparazione -necessaria alla guerra; e che vincitori -dei giuochi olimpici erano quelli che vincevano -poi e fugavano i Medi e i Persiani. Ma -le esortazioni sono vane; egli sente che il -funesto obblio delle grandi cose non finisce, -che nessuno si onora d'esser figlio d'una madre -come l'Italia, che la rovina di lei è senza -riparo. Nell'alba della sua vita ha visto l'invasione -francese e i danni dell'opera napoleonica; -giunto alla sera, pochi anni prima -di morire, vede i vani conati del Trentuno e -l'invasione austriaca. -</p> - -<p> -A questa miseria politica del suo paese fa -riscontro la miseria sociale. Tutte le classi -della nazione hanno vizii e colpe. “Dite benissimo -dei nobili,„ scrive al Brighenti, “che -sono il corpo morto della società. Ma pur -troppo io non vedo quale si possa chiamare -il corpo vivo oggidì.... Le Corti, Roma, il Vaticano? -Chi non conosce quel covile della superstizione, -dell'ignoranza e de' vizi?„ I preti, -“in tutto il mondo, sotto un nome o sotto un -altro, possono ancora e potranno eternamente -tutto„; ma che fanno di questa loro potenza? -Quelli che reggono lo Stato tengono su un governo -“gotico„; quelli che pensano, che disputano, -<span class="pagenum" id="Page_170">[170]</span> -i teologi, “sono una razza di gente così -ostinata come le donne. Prima si caverebbero -loro tutti i denti di bocca, che un'opinione -dalla testa. Bensì credo che sia meglio avere -a fare colle donne, e anche col diavolo, che -con loro.„ Egli non ha voluto pertanto mettersi -nella carriera ecclesiastica; ma la professione -curiale non è meno discreditata: -“Quante miserie, quante pazzie, quanti intrighi -in questo povero mondo! Come se avessimo -felicità d'avanzo, e bisognasse minorarla -colla barbarie delle istituzioni sociali.„ -</p> - -<p> -Perduta, anzi non mai veramente concepita -la speranza di poter aiutare colle azioni la -patria; espresso soltanto in un impeto lirico -il sogno di combattere solo, di procombere -solo per l'Italia; egli attende all'unica opera -che gli è consentita: la rigenerazione intellettuale -degli Italiani — poichè la loro miseria, -a questo riguardo, è altrettanto grande -quanto quella sociale e politica. Troppo rari -sono gl'ingegni che sostengono “l'ultimo avanzo -della gloria italiana„: le lettere: pure egli li -cerca e li onora. Del Giordani scrive: “Io -penso che se molti de' nostri sapessero scrivere -in quella maniera, non dico solamente -quanto alle parole, ma quanto alle cose, la -letteratura italiana seguiterebbe ad essere la -prima d'Europa, come è già poco meno che -l'ultima.„ E del Trissino: “Io non mi posso -dimenticare d'un giovane signore italiano così -<span class="pagenum" id="Page_171">[171]</span> -amorevole, nè di sentimenti così magnanimi, -nè di tanti pregi e virtù d'ogni sorta, che -se fossero meno singolari in questa povera -terra non sarebbe stoltezza lo sperar della -nostra patria.„ E così anche del Papadopoli, -della Tommasini, e di tanti altri. Questo pensiero: -che le lettere non debbono essere vano -esercizio, ma strumento di riforma civile, lo -occupa assiduamente. Se il Brighenti disegna -di pubblicare un'opera sulla riforma degli spettacoli -dei quali si diletta il popolo italiano, caldamente -egli lo incuora: “Non posso abbastanza -lodarvi del vostro zelo per la riformazione -degli spettacoli italiani: spettacoli barbari, e -simili oramai a quelli della China. Le vostre -osservazioni sono veramente utili, e a questo -debbono mirare (e non mirano) gli scrittori: -dico a giovare ai loro contemporanei, come -cercavano di fare tutti gli antichi e tutti i -classici, che non sarebbero classici se non -avessero scritto per altro fine che di scrivere. -Io non credo che dopo la Spagna, in punto -spettacoli barbari, si possa addurre nell'Europa -colta verun esempio di maggior corruzione, -che l'Italia. Conseguenza pur troppo -naturale dell'aver noi perduto il nome e la -sostanza di nazione.„ E al Grassi: “Del suo -valoroso e benefico assunto d'insegnare un'altra -volta la lingua militare all'Italia che l'ha -disimparata, che altro posso far io, se non -confortarla caldissimamente a proseguire la -<span class="pagenum" id="Page_172">[172]</span> -sua magnanima impresa, che ha sì degnamente -cominciata, anzi condotta in buoni termini, -col suo dizionario?„ Tanto è ansioso -di fare, con le lettere, opera utile alla patria, -che, poeta, quasi ripudia la poesia. “Andando -dietro ai versi e alle frivolezze (io parlo qui -generalmente), noi facciamo espresso servizio -ai tiranni: perchè riduciamo a un giuoco o ad -un passatempo la letteratura; dalla quale sola -potrebbe aver sodo principio la rigenerazione -della nostra patria.„ E la rassegnazione cristiana -predicata dal Manzoni lo scontenta: -“Tale conclusione è ottima per istituire una -riforma morale; ma io dubito molto che basti -a levar su dal fango una nazione invilita e -spirarle ardimento proporzionato alle sue tremende -necessità. Coloro, quali i fondatori di -religione, che parlarono all'universale degli -uomini abbracciando ogni tempo ed ogni contrada, -e non ne specificando alcuna, potettero -rimanersi nelle astrazioni d'una sconfinata rassegnazione -e pazienza. Ma essi non ebbero -patria o non la conobbero; dovecchè il Manzoni -tiene cara soprammodo la sua.„ -</p> - -<p> -E tutti i suoi disegni sono rivolti alla restaurazione -delle lettere italiane come strumento -della salute nazionale. “Tante cose restano -da creare in Italia, ch'io sospiro in vedermi -così stretto e incatenato dalla cattiva fortuna, -che le mie poche forze non si possano adoperare -in nessuna cosa. Ma quanto ai disegni, -<span class="pagenum" id="Page_173">[173]</span> -chi può contarli? La Lirica da creare.... tanti -generi della tragedia, perchè dell'Alfieri n'abbiamo -uno solo; l'eloquenza poetica, letteraria -e politica; la filosofia propria del tempo, la -satira, la poesia d'ogni genere accomodata -all'età nostra, fino a una lingua e uno stile, -ch'essendo classico e antico, paia moderno e -sia facile a intendere e dilettevole così al -volgo come ai letterati.„ E perchè si faccia -bene all'Italia, come fondamento della sua rigenerazione -morale vuole che si crei una lingua -filosofica, “senza la quale io credo ch'ella -non avrà mai letteratura moderna sua propria, -e non avendo letteratura moderna propria, non -sarà mai più nazione. Dunque l'effetto ch'io -vorrei principalmente conseguire, si è che gli -scrittori italiani possano essere filosofi inventivi -e accomodati al tempo, che insomma è -quanto dire scrittori e non copisti.... Anche -procurerò con questa scrittura di spianarmi -la strada a poter poi trattare le materie filosofiche -in questa lingua, che non le ha mai -trattate; dico le materie filosofiche quali sono -oggidì, non quali erano al tempo delle idee -innate.... Quasi innumerabili generi di scrittura -mancano o del tutto o quasi del tutto -agl'Italiani, ma i principali e più fruttuosi, -anzi necessari, sono, secondo me, il filosofico, -il drammatico e il satirico. Molte e forse troppe -cose ho disegnate nel primo e nell'ultimo; e -di questo (trattato in prosa alla maniera di -<span class="pagenum" id="Page_174">[174]</span> -Luciano, e rivolto a soggetti molto più gravi -che non sono le bazzecole grammaticali a cui -lo adatta il Monti) disponeva di colorirne qualche -saggio ben presto. Ma considerando meglio -le cose, mi è paruto di aspettare. In -ogni modo procureremo di combattere la negligenza -degli Italiani con armi di tre maniere, -che sono le più gagliarde: ragioni, affetti, -riso.„ -</p> - -<p> -Non solamente la salute gl'impedisce di -eseguire tanti disegni, ma la stessa inutilità -della propria opera gli fa cadere le braccia. -A Roma impera l'archeologia, a Firenze la -statistica, a Milano e da per tutto la pedanteria; -la letteratura, in istato d'asfissia, non -che scuotere le genti, non dà pane da mangiare -a chi la professa. “Con questa razza -di giudizio e di critica che si trova oggi in -Italia, c... chi si affatica a pensare e a scrivere.„ -Gl'Italiani sono da più di un secolo, -e vogliono restare tributarii degli stranieri anche -nelle lettere. La miseria dei tempi è tale, -“che chiunque in Italia vuol bene, profondamente -e filosoficamente scrivere e poetare, dee -porsi costantemente nell'animo di non dovere -nè potere in verun modo essere commendato -nè gustato nè anche inteso dagl'Italiani presenti.„ -</p> - -<p> -E i governi non badano soltanto a impedire -ogni movimento, ma anche a soffocare il pensiero. -Quasi tutte le volte che ha pronto un -<span class="pagenum" id="Page_175">[175]</span> -libro, il Leopardi è incerto di poterlo pubblicare. -Quando manda al Giordani il manoscritto -delle sue prime canzoni, la polizia lo -sequestra; quando ne manda un'altra copia -a Roma, gli scrivono che sono da prevedersi -difficoltà da parte della censura. L'altra canzone -al Mai è trattenuta dalla polizia austriaca -e proibita per espressa volontà del Vicerè: -“Essendo questa poesia scritta nel senso -del liberalismo ed avendo la tendenza a rafforzare -i malintenzionati nelle loro malevole -viste, essa vuolsi per ciò tosto proibire e tagliare -la via all'introduzione di contrabbando -ed alla diffusione.„ La stessa polizia austriaca -proibisce un'edizione fiorentina dei -<i>Canti</i>, per “irreligiosità e principii antisociali.„ -A Bologna la censura vieta la pubblicazione -delle canzoni nuove e della <i>Comparazione</i> -delle sentenze di Teofrasto e di -Bruto: se egli vuole ottenere la revoca del -divieto, deve far precedere il libro da un avvertimento -nel quale loda i governi ed eccita -i popoli all'obbedienza. Stampa a Firenze, sull'<i>Antologia</i>, -un saggio delle <i>Operette morali</i>, -per vedere se anche queste saranno trattenute -in Lombardia; ma nella stessa Firenze il consiglio -dei ministri gli rigetta il manifesto d'un -giornale che si propone di pubblicare. A Napoli, -pochi mesi prima che egli muoia, un'edizione -delle sue intere opere dispiace ai Padri -revisori ed è interdetta. La persecuzione -<span class="pagenum" id="Page_176">[176]</span> -continua anche dopo che egli è morto: il pretore -di Reggio Calabria, nel 1856, condanna -a mille ducati di multa Pietro Merlino, barbiere, -“colpevole di detenzione di un libro -proibito, intitolato <i>Canti di Giacomo Leopardi</i>.„ -</p> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_177">[177]</span></p> - -<h3 id="gloria">V. -<span class="smaller">LA GLORIA.</span></h3> -</div> - -<p> -In questo paese, del quale le condizioni non -gli sono lieve causa di dolore, potrà egli sperare -di trovar un compenso alle tante sue -sciagure? Poichè quasi ogni azione gli è stata -contesa, e il pensiero e lo studio è stato tutta -la sua vita, potrà egli ottenere il premio di -questa attività: la gloria? -</p> - -<p> -Della gloria ha avuto una brama ardente. -“Io ho grandissimo, forse smoderato e insolente -desiderio di gloria.„ A diciotto anni, -questa non è in lui presunzione: tali prove -ha dato del suo ingegno, che il Giordani -gli può scrivere: “Io ho innanzi agli occhi -tutta la vostra futura gloria immortale.„ E -il proposito del giovane è più che mai di -raggiungerla: “Non voglio vivere fra la turba: -la mediocrità mi fa una paura mortale; ma -io voglio alzarmi e farmi grande ed eterno -coll'ingegno e collo studio.„ -</p> - -<p> -Gli eruditi lavori dell'adolescenza cominciano -a fruttargli le prime pubbliche lodi. Il -Cancellieri, nella sua <i>Dissertazione</i> intorno -<span class="pagenum" id="Page_178">[178]</span> -agli uomini dotati di grande memoria, stampa: -“Quali progressi non dovranno aspettarsi da -un giovine di merito sì straordinario?„ e cita -il giudizio dello svedese Akerblad: “Parmi -che così erudita Opera di un Giovine ancora -in tenera età sia di ottimo augurio per l'Italia, -che potrà sperare di veder un giorno a comparire -un filologo veramente insigne.„ Ma le -prime canzoni levano più alto grido. Vincenzo -Monti, a cui sono dedicate, gli scrive: “Il -core mi gode nel vedere sorgere nel nostro -Parnaso una stella, la quale se manda nel -nascere tanta luce, che sarà nella sua maggiore -ascensione?„ Il Trissino dice che gli -Italiani debbono confortarsi molto di possederlo, -Il Cancellieri lo chiama “fenice dell'età -nostra„; il Giordani gli riferisce che si -parla di lui “come di un Dio.„ Che moto di -legittimo orgoglio non deve sollevarlo sulla mediocre -umanità! Quante soddisfazioni, quanti -onori, quanti trionfi la sua fantasia non deve -promettergli! Questa volta essa non può esagerare: -certo, se di tutti gli altri beni non è -destinato a conoscere altro che il nome, non -gli potrà mancare nessuno di quelli che procura -la fama. -</p> - -<p> -Noi abbiamo visto qual conto facesse il -padre della sua grandezza e come largheggiasse -per assicurarla. Finchè il giovane resta -a Recanati, da una parte i suoi concittadini -lo maltrattano come sappiamo e lo -<span class="pagenum" id="Page_179">[179]</span> -chiamano <i>poeta</i> con intonazione di scherno; -dall'altra poco e male egli può sapere che -cosa si pensi di lui nel resto del mondo: “Io -tra le altre fortune ho quella di fare stampare -le cose mie e non saper mai che cosa -se ne dica: se piacciano, se non piacciano, -se si stimino mediocri, se pessime, in guisa -che un mio libro stampato è per me come se -fosse manoscritto.„ Pubblica la traduzione del -secondo canto dell'<i>Eneide</i>, e non gli giova -“ad altro che a donarne tre copie in tutto -e per tutto, non contando io per niente quel -mezzo centinaio che n'ho fatto seminare tra -questa vilissima plebe marchegiana e romana.„ -E il suo lavoro resta ignorato a Roma, “dove -pur vedo che si parla di cento altre traduzioni, -che in coscienza non posso dire che -sieno migliori.„ Stampa le sue canzoni e non sa -come pubblicarle: “Io sono ignorantissimo di -queste cose, non ho commercio letterario con -nessuno, e con tutte queste copie in poter -mio, non volendone un mezzo soldo, non so -che diavolo me ne fare.„ S'arrovella aspettando -tempi migliori; e intanto, perchè l'amor -della gloria non gli sia pericoloso, si propone -di obbedire a certe massime prudenti: “Ama -la gloria, ma, primo, la sola vera; e però le -lodi non meritate, e molto più le finte, non -solamente non le accettare, ma le rigetta, non -solamente non le amare, ma le abbomina; -secondo, abbi per fermo che in questa età, -<span class="pagenum" id="Page_180">[180]</span> -facendo bene, sarai lodato da pochissimi, lasciando -che altri piaccia alla moltitudine e -sia affogato dalle lodi; terzo, delle critiche, -delle maldicenze, delle ingiurie, dei disprezzi, -delle persecuzioni ingiuste, fa quel conto che -fai delle cose che non sono; delle giuste non ti -affliggere più che dell'averle meritate; quarto, -gli uomini più grandi e più famosi di te, non -che invidiarli, stimali e lodali a tuo potere, -e inoltre amali sinceramente e gagliardamente.„ -Ottiene infatti qualche amicizia letteraria, -sente dirsi cose lusinghiere da quelli -che lo ringraziano del dono dei suoi opuscoli; -ma già le delusioni cominciano. La difficoltà -di stampare a sue spese, l'impossibilità d'inchinarsi -a giornalisti ed a critici, gli fanno -considerare come la più sicura, anzi la sola -approvazione che le sue opere possano ottenere -sia quella della propria coscienza. “Ma -queste cose perchè ve le scrivo? Eh via che -nè la nostra virtù, nè la delicatezza del cuor -nostro, nè la sublimità della mente nostra, nè -la nostra grandezza non dipendono da queste -miserie, nè io sarò meno virtuoso nè meno -magnanimo (dove ora sia tale) perchè un asino -di libraio non mi voglia stampare un libro, -una schiuma di giornalista parlarne. Oramai -comincio, o mio caro, anch'io a disprezzare -la gloria, comincio a intendere insieme con -voi che cosa sia contentarsi di sè medesimo, -e mettersi colla mente più in su della -<span class="pagenum" id="Page_181">[181]</span> -fama e della gloria e degli uomini e di tutto -il mondo. Ha sentito qualche cosa questo mio -cuore per la quale mi par pure ch'egli sia -nobile; e mi parete pure una vil cosa voi -altri uomini, ai quali se per aver gloria bisogna -che m'abbassi a domandarla, non la -voglio; chè posso ben io farmi glorioso presso -me stesso, avendo ogni cosa in me, e più -assai che voi non potete in nessunissimo modo -dare.„ -</p> - -<p> -Il proposito è di quelli che si chiamano -filosofici, come opposti alle idee pratiche. In -questa filosofia tanto più è difficile che egli -perseveri, quanto maggiori sono le manifestazioni -del suo ingegno, quanto più calda -è l'espressione della meraviglia dei pochissimi -che lo conoscono. Il Giordani s'adopera per -lui, per fargli ottenere un posto a Roma; ma -il giovane sa di esservi sconosciuto, “e non -dico di non meritarlo; dico bene che infiniti -altri che lo meritano quanto me, sono senza -paragone più noti e stimati e lodati e riveriti -che non son io; la qual cosa non mi muove -punto nè mi dee muovere per sè stessa, ma -mi pregiudica in questo ch'io non avendo -nessuna fama, non ne posso cavare quelle -utilità reali che ne cavano coloro che n'hanno, -comunque se l'abbiano. Sicchè non è dubbio -che i vostri uffici non mi possano giovare -assaissimo.„ Ma l'amico suo non riesce, nè a -Roma nè in Lombardia. Intanto il Pindemonte -<span class="pagenum" id="Page_182">[182]</span> -ingelosisce di lui per il suo saggio di traduzione -dell'<i>Odissea</i>; il giovane risponde giustificandosi, -umiliandosi: “Io non ho mai veduto -nessuna parte dell'<i>Odissea</i> del Pindemonte. Non -so neppure se l'abbia tradotta e pubblicata -tutta; solamente quel saggio che stampò -alcuni anni prima del mio. So ben questo, -che la sua traduzione si potrebbe paragonare -alla mia così bene, come una gemma a un -ciottolo.„ -</p> - -<p> -Un giorno, stanco delle lunghe aspettazioni -senza alcun ottenimento, egli pone da parte -il suo orgoglio e s'inchina dinanzi al Mai -perchè gli ottenga di farlo uscire da Recanati -procurandogli la cattedra di lingua latina vacante -nella Biblioteca vaticana, della quale il -Monsignore è primo Custode. “Ho vissuto -sempre in un piccolo paesuccio, non ho conoscenze, -non amicizie, non appoggi di sorta -alcuna. Così che dopo avere perduto ogni -altro vantaggio della vita, mi vedo ridotto a -perdere interamente anche quell'ultimo frutto -degli studi, che è la conversazione degli uomini -insigni, e quel poco di fama, che ogni -piccolo uomo si lusinga e desidera di acquistare. -Ma chi vive sepolto in un paese come -questo, non può mai sperare di farsi, non dico -famoso, ma neppur noto in nessuna parte della -terra. Tutte le fatiche, tutti i dolori, tutte le -perdite che ho sostenute sono vane per me. -Io mi vedo qui disprezzato e calpestato da -<span class="pagenum" id="Page_183">[183]</span> -chicchessia; tutte le speranze della mia fanciullezza -sono svanite; ed io piango quasi il -tempo consumato negli studi, vedendomi confuso -con la feccia più vile degli scioperati e -degl'ignoranti.„ Per queste ragioni “implora -la misericordia„ di lui; e il Monsignore il -cui nome sarà famoso presso i venturi grazie -al canto che il giovanetto gli ha intitolato, -non vuole o non sa contentarlo; anzi pubblica -più tardi un frammento del Libanio “o per -fare dispetto a me, o sapendo di certo che -col pubblicarlo, lo levava di mano a me che -già l'aveva trovato.„ -</p> - -<p> -Andato a Roma, egli s'accorge che nella -gran città, dove sperava di ottenere quella -fama negatagli nel piccolo luogo natale, è -ancora più difficile esser conosciuti ed ammirati; -e vede la miseria del mondo letterario -che da lontano gli sembrava tanto bello: -“Quel vedere la gente fanatica della letteratura -anche più di quello ch'io fossi in alcun -tempo, quel misero traffico di gloria (giacchè -qui non si parla di danari, che almeno meriterebbero -d'esser cercati con impegno), e di -gloria invidiata, combattuta, levata come di -bocca dall'uno all'altro; quei continui partiti, -de' quali stando lontano non è possibile farsi -un'idea; quell'eterno discorrere di letteratura -e discorrerne sciocchissimamente, e come di un -vero mestiere, progettando tutto giorno, criticando, -promettendo, lodandosi da sè stesso, magnificando -<span class="pagenum" id="Page_184">[184]</span> -persone e scritti che fanno misericordia, -tutto questo m'avvilisce in modo, che, -s'io non avessi il rifugio della posterità e la -certezza che col tempo tutto prende il suo -giusto luogo (rifugio illusorio, ma unico e -necessarissimo al vero letterato), manderei la -letteratura al diavolo mille volte....„ I dotti -stranieri lo apprezzano molto più che non -gl'Italiani; ma non per le qualità delle quali -egli è più orgoglioso. “Qui in Roma io non -sono letterato (il qual nome, se è vero, è -inutile coi Romani, inutile coi forestieri), ma -sono un erudito e un grecista. Non potete credere -quanto m'abbiano giovato quegli avanzi di -dottrina filologica che io ho raccolto e raccapezzato -dalla memoria delle mie occupazioni fanciullesche. -Senza questi io non sarei nulla cogli -stranieri, i quali ordinariamente mi stimano, -e mi danno molti segni d'approvazione.„ Ma -se egli spera di poter essere portato via, all'estero, -da qualcuno di costoro, spera invano, -Il ministro di Prussia gli dà gran lode per -i suoi studi filologici e gli dimostra molto -interesse e gli promette di esercitare tutta la -sua influenza presso il governo pontificio per -ottenergli un impiego: ma non glie l'ottiene; -l'otterrebbe se egli consentisse a farsi prete! -</p> - -<p> -A Milano, a Bologna, stipendiato dallo -Stella, deve fare per conto di questo libraio -studii che abomina, “un librettaccio noioso„, -il commento del Petrarca, “calice di passione„ -<span class="pagenum" id="Page_185">[185]</span> -dal quale non aspetta “nè onore nè -piacere alcuno, bensì noia ineffabile e riso -di molti che mi conoscono, dell'essermi occupato -in queste minuzie pedantesche.„ E -deve persuadere il libraio a non fargliene -compiere un secondo dello stesso genere: “Eccomi -a dirle del Cinonio. Trovo che questo -lavoro sarà dei lunghi e noiosissimi, altrettanto -e più che il Petrarca, senza stimolo -alcuno di fama o di lode all'autore. Ciononostante, -giudicando ella che esso debba -riuscirle utile, eccomi a servirla. Ma avendo -io già pubblicata col mio nome un'opera affatto -pedantesca, com'è il comento al Petrarca, -mi prendo la confidenza di porle in considerazione -che il pubblicarne un'altra dello stesso -genere, non potrà essere senza che il pubblico -mi ponga onninamente, e per viva forza, -in quella classe, dalla quale colle mie parole -e cogli altri miei scritti ho tanto cercato di -separarmi: nella classe di quelli che deprimono -e rendono frivola, nulla, ridicola agli -occhi degli stranieri la nostra letteratura, e -con ciò servono mirabilmente alle intenzioni -dell'<i>oscurantismo</i>: nella classe dei pedanti. Io -la prego però di volere avere al mio nome -questa compassione di salvarlo da questo epiteto, -nel quale esso incorrerà inevitabilmente -se la nuova opera sarà annunziata per mia....„ -E quando poi questo libraio si dispone a stampare -le sue <i>Operette morali</i>, gli vuol mettere -<span class="pagenum" id="Page_186">[186]</span> -questo libro di altissima filosofia nella <i>Biblioteca -per dame</i>! -</p> - -<p> -Nessuno è riuscito a fargli avere un impiego: -nessuno glie l'otterrà. Una promessa, -il segretariato dell'Accademia di Bologna, -sfuma nonostante l'appoggio del Bunsen. Lo -stesso Bunsen gli dà come cosa fatta la sua -nomina alla cattedra di eloquenza greca e latina; -il giovane lo prega di fargli anche ottenere -dal cardinale segretario di Stato la -somma occorrente al viaggio da Bologna a -Roma, non avendo la possibilità di farlo a -spese proprie, e il Bunsen stesso mette a sua -disposizione il denaro occorrente; ma tutto -va a monte: egli non ottiene altro che “una -nuova prova del quanto poco, anzi nulla, ci -possiamo noi confidare in questo nostro Governo -gotico, le cui promesse più solenni vagliono -meno che quelle di un amante ubbriaco.„ -Ancora il Bunsen gli propone una cattedra in -Germania, a Berlino o a Bonn; ma, oltre che -la cosa non è sicura, la salute rovinata non -gli consente oramai di vivere in climi tanto -rigidi. Il Colletta, cercandogli una cattedra in -Toscana, non è più fortunato. Non è più fortunato -il Maestri cercandogliene un'altra a -Parma: glie ne darebbero una, ma di storia -naturale!... I suoi concittadini, dopo tanta indifferenza -e tanta diffidenza, hanno sentore -della sua grandezza; essi pensano un giorno -a lui, ma non per giovargli, bensì per giovarsene; -<span class="pagenum" id="Page_187">[187]</span> -lo eleggono ad un posto non letterario, -ma politico; lo nominano deputato durante -la rivoluzione del Trentuno, quando egli -è lontano, tanto lontano che la rivoluzione -quasi finisce prima che egli risponda rinunziando -ad un ufficio al quale non è nato. -</p> - -<p> -Con tutta la sua dottrina, egli deve contentarsi -di vivere dei pochi scudi che gli paga -ogni mese il libraio Stella e dell'emolumento -di lezioni private. Come una “fortuna„ sollecita -dal Vieusseux di esser posto in relazione -col libraio Antonelli, disponendosi ad -accettare, tra per le condizioni del mercato -librario, tra per lo stato della sua salute, gli -sterili e odiati lavori di compilazione. Se -stampa opere originali, deve pregare gli amici -di trovargli sottoscrittori. Se concorre con le -<i>Operette morali</i> al premio quinquennale di -mille scudi che conferirà l'Accademia della -Crusca, il Vieusseux gli assicura che, riguardo -alla lingua e allo stile, cose che gli Accademici -dovrebbero considerare principalmente se -volessero esser fedeli al loro primitivo istituto, -nessuno potrà competere con lui; ma il valore -dell'opera sua non basta: bisogna raccomandarsi, -essere raccomandato. “Il Capponi vi -conosce„, gli scrive il Colletta, “vi pregia, -vi ama; ma egli non ha sullo Zannoni la -forza che voi credete; nè lo Zannoni può -tutto in quel coro di canonici. Sento in predicamento -il Botta; e certamente per mole -<span class="pagenum" id="Page_188">[188]</span> -sta sopra a tutti: ma che storia! che stile! -Quanto perderebbero le lettere italiane s'egli -avesse imitatori! Se gli accademici hanno in -pregio il puro, il gentile e il bisogno d'Italia -di bello scrivere, le opere vostre saran preferite, -perchè in qualità di stile voi non avete -superiore o compagno.„ E il Capponi e il -Niccolini difendono la sua causa, ed anche lo -Zannoni dicono che si mostri giusto a suo -riguardo; ma l'Accademia conferisce il premio -proprio al Botta; e neppure dà a lui la prima -menzione onorevole; gli concede soltanto la -seconda. Per tutta consolazione, due anni dopo -lo nomina suo socio corrispondente. Ma le semplici -soddisfazioni d'amor proprio che importano -oramai all'infelice cui mancano i mezzi di -vivere? “Riempirti il naso di fumo„, scrive -alla sorella, “non mi dà più l'animo, e mi -fa nausea.„ Egli non ottiene quei compensi -reali ai quali è anche sul punto di divenire -indifferente; se pure li ottenesse, non vi sarebbe -un senso di secreto avvilimento nella -rinunzia ai sogni di gloria pura e disinteressata? -</p> - -<p> -Ed a che cosa si riduce per lui questa gloria? -All'amicizia di qualche grande anima, -alle liete accoglienze di Bologna e di Firenze, -alle lodi in versi del Muzzarelli e del Missirini, -alle lodi in prosa e a qualche traduzione -che gli vengono dall'estero. E quante miserie, -quante invidie, in cambio! All'Accademia -<span class="pagenum" id="Page_189">[189]</span> -degli Arcadi dicono male di lui; egli ne ride, -ma sotto alle risa si sente la ferita dell'amor -proprio: assicura che prova “un gran piacere -quando sono informato del male che si -dice di me„; ma che specie di piacere è questo?... -Un anonimo scrive al suo editore, e il suo -editore gli comunica il seguente giudizio sul -commento del Petrarca: “Non posso a meno -di dirgli che quella operetta del Petrarca colle -note mi par cosa inettissima; e degna d'esser -letta da uno scolaretto sgusciato dalla Grammatica.„ -Per difendere la forma delle sue -prime dieci canzoni, egli deve comporre lunghe -annotazioni filologiche; per difenderne il contenuto, -lo critica egli stesso in un articolo ironico, -senza firma. E il Tommaseo lo vitupera e -lo dileggia, e compone epigrammi sulla sua -deformità corporale. E del Rosini è amico, -ma egli deve aver paura di dare al De Sinner -la notizia della caduta del <i>Tasso</i> a Firenze -“perchè sapete che gli sdegni letterarii -del Rosini non sono sempre inoffensivi. „ -</p> - -<p> -E poichè il destino non risparmierà questo -grande sciagurato mai, neppure nella -morte, egli si spegne a Napoli durante l'epidemia -colerica, quando nessuno s'accorge della -perdita che ha fatta l'Italia, quando la sua -salma a stento è sottratta dal Ranieri alla -fossa comune dove tutti i morti, per misura -di pubblica salute, sono confusi. E un Cicconi, -nella <i>Gazzetta di Francia</i>, gli tesse un -<span class="pagenum" id="Page_190">[190]</span> -elogio funebre pieno di vituperii; e il Tommaseo -dissuade il libraio parigino Baudry dal -pubblicare un'edizione postuma delle sue opere. -E lo stesso Ranieri, che pure gli è stato tanto -amico, un giorno, dopo molti anni, scrive un -libro nel quale avvilisce ed offende la sua memoria. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_191">[191]</span> -</p> - -<p> -PARTE SECONDA. -</p> - -<p> -IL PENSIERO. -</p> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_193">[193]</span></p> - -<h2 id="pessimismo">IL PESSIMISMO</h2> -</div> - -<h3 id="illusione">I. -<span class="smaller">L'ILLUSIONE.</span></h3> - -<p> -Volgiamo lo sguardo indietro, sommiamo le -disgraziate circostanze intime ed esteriori in -mezzo alle quali Giacomo Leopardi nasce, cresce -e vive sino all'ultimo giorno: gli eccessi -della fantasia, gli eccessi del ragionamento, -il loro dissidio, la successiva dispersione della -volontà, l'esagerazione degli studii del passato, -il contagio romantico, il disordine della sensibilità, -le malattie incessanti, la deformità -che gl'impedisce d'essere amato, la mancanza -della protezione materna, i contrasti col padre, -la povertà, la lotta con le difficoltà materiali -della vita, la meschinità del luogo natale, la -miseria politica, sociale e intellettuale della -patria, le fallite speranze di gloria: vedremo -che la sua vita fu uno spasimo incessante. -</p> - -<p> -Potremo noi trovare nell'opera sua le lodi -<span class="pagenum" id="Page_194">[194]</span> -dell'esistenza, l'espressione della gioia, la fede -nella bontà dell'universo? Vediamo noi nascere -le rose dal mortuario asfodelo? Il nostro pensiero, -quando pare più libero di manifestarsi in -un modo piuttosto che in un altro, non è rigorosamente -determinato, in tutte le sue minime -espressioni, dalla nostra natura, dalla nostra -educazione, dalla nostra esperienza? E se per -questa triplice influenza, che noi minutamente -indagammo, Giacomo Leopardi spasimò come -abbiamo visto, l'arte sua poteva essere consolatrice? -Se voi non conoscete ancora nulla -dell'opera sua, dovete, sin da questo momento, -antivederne il disperato carattere. -</p> - -<p> -Tutto è stato per lui dolore, ogni cosa lo -ha disingannato. Quando ha goduto? Nella -primissima gioventù, nella fanciullezza, quando -i mali non lo avevano avvilito, quando voleva -ed agiva come tutti gli altri, quando meglio -che tutti gli altri immaginava la felicità avvenire -ed aspettava di conseguirla. Egli loda -pertanto una cosa sola: la prima età, piena -di fede, di illusioni, di speranze, di aspettazioni -felici; -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i13"> quel dolce</p> -<p class="i03"> E irrevocabil tempo, allor che s'apre</p> -<p class="i03"> Al guardo giovanil questa infelice</p> -<p class="i03"> Scena del mondo, e gli sorride in vista</p> -<p class="i03"> Di paradiso....</p> -<p class="i03"> Il caro tempo giovanil; più caro</p> -<p class="i01">Che la fama e l'allôr, più che la pura</p> -<p class="i01">Luce del giorno, e lo spirar....</p> -</div></div> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_195">[195]</span> -</p> - -<p> -la prima stagione della vita, quando -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i09"> l'acerbo, indegno</p> -<p class="i01">Mistero delle cose a noi si mostra</p> -<p class="i01">Pien di dolcezza.</p> -</div></div> - -<p> -Sempre egli ritorna alle speranze, agli “ameni -inganni„ della prima età, al “caro immaginar„ -suo primo: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Chi rimembrar vi può senza sospiri,</p> -<p class="i01">O primo entrar di giovinezza, o giorni</p> -<p class="i01">Vezzosi, inenarrabili, allor quando</p> -<p class="i01">Al rapito mortal primieramente</p> -<p class="i01">Sorridon le donzelle; a gara intorno</p> -<p class="i01">Ogni cosa sorride; invidia tace,</p> -<p class="i01">Non desta ancora ovver benigna; e quasi</p> -<p class="i01">(Inaudita maraviglia!) il mondo</p> -<p class="i01">La destra soccorrevole gli porge....</p> -</div></div> - -<p> -Come la gioventù è la sola stagione felice, -così l'alba è il più bel momento del giorno. -“Su, mortali„, canta il Gallo silvestre, “destatevi. -Il dì rinasce.... Ciascuno in questo -tempo raccoglie e ricorre coll'animo tutti i -pensieri della sua vita presente; richiama alla -memoria i disegni, gli studi e i negozi; si -propone i diletti e gli affanni che gli sieno -per intervenire nello spazio del giorno nuovo. -E ciascuno in questo tempo è più desideroso -che mai di ritrovar pure nella sua mente aspettative -gioconde e pensieri dolci.„ Così il sabato -è al villaggio il giorno migliore, per la -giovinetta che ha colto i fiori dei quali si ornerà -il domani, per la vecchierella che ricorda -il suo buon tempo, le feste passate; per i -<span class="pagenum" id="Page_196">[196]</span> -fanciulli che saltellano in piazza, per lo zappatore -che pensa al prossimo riposo, per il -legnaiuolo che s'affretta a finire l'opera sua. -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Questo di sette è il più gradito giorno,</p> -<p class="i01">Pien di speme e di gioia....</p> -</div></div> - -<p> -E la gioventù rispetto alla vita è come il -sabato rispetto alla festa: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Garzoncello scherzoso,</p> -<p class="i01">Cotesta età fiorita</p> -<p class="i01">È come un giorno d'allegrezza pieno,</p> -<p class="i01">Giorno chiaro, sereno,</p> -<p class="i01">Che precorre alla festa di tua vita.</p> -<p class="i01">Godi, fanciullo mio; stato soave,</p> -<p class="i01">Stagion lieta è cotesta.</p> -</div></div> - -<p> -Ma quanto dura? Come, tramontando la luna, -il mondo si scolora e l'oscurità scende nella -valle e sul monte, -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Tal si dilegua, e tale</p> -<p class="i01">Lascia l'età mortale</p> -<p class="i01">La giovinezza. In fuga</p> -<p class="i01">Van l'ombre e le sembianze</p> -<p class="i01">Dei dilettosi inganni; e vengon meno</p> -<p class="i01">Le lontane speranze</p> -<p class="i01">Ove s'appoggia la mortal natura.</p> -<p class="i01">Abbandonata, oscura</p> -<p class="i01">Resta la vita....</p> -</div></div> - -<p> -Quella stessa forza della speranza, quella -stessa consistenza dell'illusione che diedero -prezzo alla prima età, sono causa dello scontento, -del disgusto che seguono. Chi ha sognato -“arcana felicità in arcani modi„, non -è possibile che lodi poi molto la vita reale, -<span class="pagenum" id="Page_197">[197]</span> -ancora quando essa sia larga di soddisfazioni. -Qualunque diletto si possa godere al -mondo, resta scolorito al paragone di quelli -sognati, desiderati e aspettati; “e però„ dice -Malambruno, “non uguagliando il desiderio -naturale della felicità che mi sta fisso nell'animo, -non sarà vero diletto; e in quel -tempo medesimo che esso è per durare, io -non lascerò di essere infelice.„ Nel punto -dell'ottenimento, mentre il bene ottenuto riesce -inferiore a quello aspettato, l'immaginazione -e il desiderio ne antivedono uno maggiore -nel futuro: “Non vi accorgete voi che -nel tempo stesso di qualunque vostro diletto, -ancorchè desiderato infinitamente, e procacciato -con fatiche e molestie indicibili.... state -sempre aspettando un goder maggiore e più -vero, nel quale consista in somma quel tal -piacere; e andate quasi riportandovi di continuo -agl'istanti futuri di quel medesimo diletto? -Il quale finisce sempre innanzi al giungere -dell'istante che vi soddisfaccia; e non -vi lascia altro bene che la speranza cieca di -goder meglio e più veramente in altra occasione, -e il conforto di fingere e narrare a voi -medesimi di aver goduto....„ Tanto la felicità -che si aspetta è superiore a quella che si può -ottenere, che uno il quale “si trovasse nel -più felice stato della terra, senza che egli si -potesse promettere di avanzarlo in nessuna -parte e in nessuna guisa, si può quasi dire -<span class="pagenum" id="Page_198">[198]</span> -che questi sarebbe il più misero di tutti gli -uomini.„ Per conseguenza le facoltà alle quali -sono dovuti effetti tanto funesti, se erano le cose -più preziose, sono anche “le più lacrimevoli a -chi le riceve.„ Non ultimo tra i danni da esse -prodotti è quello che il Leopardi ha notato in sè -stesso: l'impaccio della volontà. Dice la Natura, -ragionando con un'Anima: “La finezza del tuo -proprio intelletto e la vivacità dell'immaginazione -ti escluderanno da una grandissima parte -della signoria di te stessa. Gli animali bruti -usano agevolmente ai fini che eglino si propongono, -ogni loro facoltà e forza. Ma gli uomini -rarissime volte fanno ogni loro potere; -impediti ordinariamente dalla ragione e dall'immaginativa; -le quali creano mille dubbietà nel -deliberare e mille ritegni nell'eseguire. I meno -atti o meno usati a ponderare e considerare -seco medesimi, sono i più pronti a risolversi.„ -</p> - -<p> -E se pure, con tanti impedimenti all'acquisto -della felicità, i piaceri della vita fossero -reali! Ma, al contrario, sono illusorii, -semplici interruzioni del dolore: così la quiete, -inapprezzata prima della tempesta, è causa di -gioia dopo di questa: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Piacer figlio d'affanno</p> -<p class="i01">Gioia vana, ch'è frutto</p> -<p class="i01">Del passato timore....</p> -</div></div> - -<p> -Tali sono i doni, i beni che la natura offre -agli uomini: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i03"> Uscir di pena</p> -<p class="i01">È diletto fra noi.</p> -</div></div> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_199">[199]</span> -</p> - -<p> -“Il piacere„ dice la Mummia di Federico -Ruysch, “non sempre è cosa viva; la cessazione -di qualunque dolore o disagio, è piacere -per sè medesima.„ E se pure i sensi -dell'uomo sono capaci di godere non solo -quando cessano di soffrire, ma anche in modo -più spontaneo, uscendo dallo stato d'indifferenza, -questi piaceri sono poi tutti benefici? Il -Leopardi che non li ha potuti godere, a cui -le stesse impressioni grate facevano male, si -duole perchè la natura, mentre ci ha “infuso -tanta e sì ferma e insaziabile avidità del piacere, -disgiunto dal quale la nostra vita, come -priva di ciò che ella desidera naturalmente, -è cosa imperfetta„; dall'altra parte ha ordinato -“che l'uso di esso piacere sia quasi di -tutte le cose umane la più nociva alle forze -e alla sanità del corpo, la più calamitosa negli -effetti in quanto a ciascheduna persona, e -la più contraria alla durabilità della stessa -vita.„ E ancora: chi si astenesse interamente -dai piaceri, sarebbe per ciò salvo? Costui incorrerebbe -egualmente “in molte e diverse -malattie„, sarebbe esposto ai pericoli di morte, -alla perdita di qualche membro o facoltà, condurrebbe -per tempi più o meno lunghi una misera -vita, e avrebbe “oppresso il corpo e l'animo -con mille stenti e mille dolori.„ E ancora: -“benchè ciascuno di noi sperimenti, nel -tempo delle infermità, mali per lui nuovi e disusati, -e infelicità maggiore che egli non suole„; -<span class="pagenum" id="Page_200">[200]</span> -la natura non ha poi dato in compenso all'uomo -“alcuni tempi di sanità soprabbondante e inusitata, -la quale gli sia cagione di qualche diletto -straordinario per qualità e grandezza.„ -I dolori sono dunque reali, infiniti, e intollerabili; -mentre i piaceri sono illusorii, circoscritti, -e finalmente anch'essi nocivi. -</p> - -<p> -Se tale è la miseria della condizione umana, -il Leopardi crede che vi sia un vero, un grande, -un infinito bene: l'amore. -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Pregio non ha, non ha ragion la vita</p> -<p class="i01">Se non per lui, per lui ch'all'uomo è tutto;</p> -<p class="i01">Sola discolpa al fato.</p> -</div></div> - -<p> -La Verità, che Giove ha mandato sulla terra, -fuga tutte le larve e tutte le illusioni, e -rende disperata la condizione degli uomini; -ma resta per concessione del nume l'amore. -“Avranno tuttavia qualche mediocre conforto -da quel fantasma che essi chiamano Amore, -il quale io sono disposto, rimovendo tutti gli -altri, lasciare nel consorzio umano. E non sarà -dato alla Verità, quantunque potentissima e -combattendolo di continuo, nè sterminarlo mai -dalla terra, nè vincerlo se non di rado.„ E -poichè gli effetti della Verità sono spaventevoli, -il nume, mosso a pietà delle creature -penanti, invita qualcuno dei celesti a scendere -in terra per consolare l'infelice progenie. -“Al che tacendo tutti gli altri, Amore, figliuolo -di Venere Celeste, conforme di nome al fantasma -così chiamato, ma di natura, di virtù -<span class="pagenum" id="Page_201">[201]</span> -e di opere diversissimo; si offerse (come è -singolare fra tutti i numi la sua pietà) di fare -esso l'ufficio proposto da Giove, e scendere -dal cielo....„ Ed egli torna, ma di rado, a -visitare i mortali, e poco si ferma tra loro. -“Quando viene in sulla terra, sceglie i cuori -più teneri e più gentili delle persone più generose -e magnanime; e quivi siede per breve spazio: -diffondendovi sì pellegrina e mirabile soavità, -ed empiendoli di affetti sì nobili, e di -tanta virtù e fortezza, che eglino allora provano, -cosa al tutto nuova nel genere umano, -piuttosto verità che rassomiglianza di beatitudine.„ -Ma questa felicità vera non è intera; -perchè l'amore “rarissimamente congiunge due -cuori insieme, abbracciando l'uno e l'altro a -un medesimo tempo, e inducendo scambievole -ardore e desiderio in ambedue; benchè -pregatone con grandissima instanza da tutti -coloro che egli occupa: ma Giove non gli consente -di compiacerli, trattone alcuni pochi; -perchè la felicità che nasce da tale beneficio, -è di troppo breve intervallo superata dalla divina.„ -Così Consalvo, presso a morte, si ridesta -e delira di gioia solo perchè la donna -amata gli concede il primo ed ultimo bacio: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i09"> Morrò contento</p> -<p class="i01">Del mio destino omai, nè più mi dolgo</p> -<p class="i01">Ch'aprii le luci al dì. Non vissi indarno,</p> -<p class="i01">Poscia che quella bocca alla mia bocca</p> -<p class="i01">Premer fu dato. Anzi felice estimo</p> -<p class="i01"><span class="pagenum" id="Page_202">[202]</span></p> -<p class="i01">La sorte mia. Due cose belle ha il mondo:</p> -<p class="i01">Amore e morte. All'una il ciel mi guida</p> -<p class="i01">In sul fior dell'età; nell'altro, assai</p> -<p class="i01">Fortunato mi tengo....</p> -</div></div> - -<p> -Noi già vediamo, in questo parallelo tra l'amore, -forma dell'istinto vitale, e la morte, cessazione -di tutta quanta la vita, annebbiarsi la fede -del Leopardi. Se egli credesse veramente all'amore, -non paragonerebbe le gioie che nascono -da lui a quel sollievo tutto negativo che viene -dalla fine dell'esistenza; egli non canterebbe: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Fratelli, a un tempo istesso, Amore e Morte</p> -<p class="i01">Ingenerò la sorte.</p> -<p class="i01">Cose quaggiù più belle</p> -<p class="i01">Altre il mondo non ha, non han le stelle.</p> -</div></div> - -<p> -È vero che ogni uomo, anche non disperando, -sicuro anzi di ottenere la soddisfazione degl'istinti -della carne e dei bisogni del cuore, -prova un intimo senso di tristezza e quasi un -desiderio di morire durante il primo invasamento -della passione. Questa languidezza mortale, -questa prostrazione sono note a tutti i -grandi, a tutti i veri amanti; il Leopardi, che -è tra i più squisiti, le sente, le descrive, ne -cerca le ragioni nella paura che produce il -deserto del mondo a chi ha il cuore gonfio -d'una speranza divina; nella previsione delle -tempeste alle quali va incontro l'amante. È -vero che il bisogno di morire ritorna più grave -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i03"> quando tutto avvolge</p> -<p class="i01">La formidabil possa,</p> -<p class="i01">E fulmina nel cor l'invitta cura;</p> -</div></div> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_203">[203]</span> -</p> - -<p> -e che gli umili, le vergini, si uccidono o muoiono -distrutti dalla passione. Ma ciò accade -quando l'amore è contrastato; per affermare che -amore e morte sono fratelli, sempre, bisogna -disperare dell'amore. Ed infatti: qual è l'opera -dell'Amore, quando, per consiglio di Giove, quel -dio scende in terra? È quella di far tornare le -larve, le illusioni: “E siccome i fati lo dotarono -di fanciullezza eterna, quindi esso, convenientemente -a questa sua natura, adempie per qualche -modo quel primo voto degli uomini, che -fu di esser tornati alla condizione della puerizia. -Perciocchè negli animi che egli si elegge -ad abitare, suscita e rinverdisce, per tutto il -tempo che egli vi siede, l'infinita speranza e le -belle e care immaginazioni degli anni teneri.„ -In altre parole: il conforto che viene dall'amore -è tutto nell'aspettazione, nella speranza. Il Leopardi -non si contraddice, affermando, dopo aver -negato tutti i piaceri, la benefica potenza dell'amore. -L'amore è grato, secondo lui, come è -grata la gioventù; perchè il giovane e l'amante -s'illudono, aspettano una felicità senza fine. E -perchè non la raggiunge il giovane, non la raggiunge -l'amante. Il giovane ha troppo sperato -dalla vita; l'amante spera troppo dalla donna. -Egli non si contenta della creatura reale; se -ne foggia un'immagine molto più bella: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i09"> Vagheggia</p> -<p class="i01">Il piagato mortal quindi la figlia</p> -<p class="i01">Della sua mente, l'amorosa idea,</p> -<p class="i01"><span class="pagenum" id="Page_204">[204]</span></p> -<p class="i01">Che gran parte d'Olimpo in sè racchiude,</p> -<p class="i01">Tutta al volto, ai costumi, alla favella</p> -<p class="i01">Pari alla donna che il rapito amante</p> -<p class="i01">Vagheggiare ed amar confuso estima.</p> -</div></div> - -<p> -Il poeta non ha avuto esperienza dell'amore -reale, ma sa che insino nell'amplesso la creatura -che noi stringiamo tra le braccia non è -tanto la vera, quella di carne e di sangue, -quanto la figlia della nostra mente. Il disinganno -è pertanto da attribuire all'immaginazione -degli uomini, non già alle donne; ma -la colpa è anche della natura che ha fatto -gli uomini troppo immaginosi ed ardenti, e -le donne troppo fredde e pigre. Le donne -reali sono troppo diverse da quelle che gl'innamorati -si dipingono: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i05"> A quella eccelsa imago</p> -<p class="i01">Sorge di rado il femminile ingegno;</p> -<p class="i01">E ciò che ispira ai generosi amanti</p> -<p class="i01">La sua stessa beltà, donna non pensa,</p> -<p class="i01">Nè comprender potrìa. Non cape in quelle</p> -<p class="i01">Anguste fronti ugual concetto. E male</p> -<p class="i01">Al vivo sfolgorar di quegli sguardi</p> -<p class="i01">Spera l'uomo ingannato, e mal richiede</p> -<p class="i01">Sensi profondi, sconosciuti, e molto</p> -<p class="i01">Più che virili, in chi dell'uomo al tutto</p> -<p class="i01">Da natura è minor. Che se più molli</p> -<p class="i01">E più tenui le membra, essa la mente</p> -<p class="i01">Men capace e men forte anco riceve.</p> -</div></div> - -<p> -Egli è anche più giusto quando fa dire al -Tasso dal suo Genio familiare che le donne -non hanno colpa se, alla prova, riescono troppo -diverse da quelle che noi immaginiamo. “Io -<span class="pagenum" id="Page_205">[205]</span> -non so vedere„, gli spiega il Genio, “che -colpa s'abbiano in questo, d'esser fatte di -carne e sangue, piuttosto che d'ambrosia e -nèttare. Qual cosa del mondo ha pure un'ombra -o una millesima parte della perfezione che -voi pensate che abbia a essere nelle donne? E -anche mi pare strano, che non facendovi maraviglia -che gli uomini sieno uomini, cioè a -dir creature poco lodevoli e poco amabili; non -sappiate poi comprendere come accada, che -le donne in fatti non sieno angeli.„ -</p> - -<p> -L'immaginazione è dunque ancora causa -dell'inganno. Essa, come ha guastato la vita, -guasta anche l'amore. Saggio è l'amante che, -sognando la donna diletta in un sogno gentile, -“per tutto il giorno seguente fugge di ritrovarsi -con quella e di rivederla; sapendo che -ella non potrebbe reggere al paragone dell'immagine -che il sonno gliene ha lasciata impressa....„ -Quantunque il Leopardi abbia amato -solitariamente, quantunque non abbia neppure -significato i suoi sentimenti alle donne che li -ispirarono, pure egli ha capito come sia difficile -agli amanti riamati il comprendersi. Quando -ha fatto dire a Consalvo che il cielo non consente -il pieno appagamento dei voti d'amore, -gli ha fatto soggiungere che “amar tant'oltre -non è dato con gioia„; e il suo Filippo Ottonieri -dice una cosa molto profonda, che è il -frutto delle lunghe esperienze sentimentali: -“Negava che alcuno a questi tempi possa -<span class="pagenum" id="Page_206">[206]</span> -amare senza rivale; e dimandato del perchè, -rispondeva: perchè certo l'amato o l'amata è -rivale ardentissimo dell'amante.„ Come dir -meglio che l'amore, la grande consolazione -della vita, non è tutto amore, ma anche una -forma di odio? -</p> - -<p> -Dove sarà allora la felicità vera, intera, -pura? Sarà nella gloria? Anche questa è una -forma dell'illusione; ad uno ad uno egli ne -distrugge, come li ha visti cadere intorno -a sè, tutti i fondamenti, tutte le promesse, -tutti i vantaggi. E primieramente: che cosa -è la gloria letteraria e artistica, paragonata -a quella che dipende dalle grandi azioni? -“L'operare è tanto più degno e più nobile -del meditare e dello scrivere, quanto è più -nobile il fine che il mezzo, e quanto le cose -e i soggetti importano più che le parole e i -ragionamenti. Anzi niun ingegno è creato dalla -natura agli studi; nè l'uomo nasce a scrivere, -ma solo a fare.„ Ma i tempi non volgono propizii -alle imprese magnanime, ed è forza contentarsi -della grandezza nell'arte o nella scienza. -E questa via, “come quella che non è secondo -la natura degli uomini, non si può seguire -senza pregiudizio del corpo, nè senza moltiplicare -in diversi modi l'infelicità del proprio -animo.„ E quante difficoltà! “Le emulazioni, -le invidie, le censure acerbe, le calunnie, le -parzialità, le pratiche e i maneggi occulti e -palesi contro la tua riputazione, e gli altri -<span class="pagenum" id="Page_207">[207]</span> -infiniti ostacoli che la malignità degli uomini -ti opporrà....„ Il valore è anche contrastato -“dalla fortuna propria dello scrittore, ed eziandio -dal semplice caso, o da leggerissime cagioni.„ -Chi può, del resto, comprender bene -lo scrittore? Non la folla, ma gli scrittori suoi -pari; non gli stranieri, ma quelli della sua -stessa nazione: per tutto il resto dell'umano -genere le fatiche letterarie riescono inutili e -sparse al vento. “Lascio l'infinita varietà dei -giudizi e delle inclinazioni dei letterati, per -la quale il numero delle persone atte a sentire -le qualità lodevoli di questo o di quel libro, si -riduce ancora a molto meno.„ Che è dunque -la fama di quei grandi, i cui nomi sono universalmente -riveriti? “In vero io mi persuado -che l'altezza della stima e della riverenza -verso gli scrittori sommi, provenga comunemente, -in quelli eziandio che li leggono e trattano, -piuttosto da consuetudine ciecamente abbracciata, -che da giudizio proprio e dal conoscere -in quelli per veruna guisa un merito -tale....„ Per comprendere le opere dell'ingegno, -bisogna trovarsi in certe particolari condizioni; -gli scritti non tanto si giudicano dalle -loro qualità in se medesime, quanto dall'effetto -prodotto nell'animo di chi legge. Quante -volte, per quante cause, il lettore non sì trova -mal disposto a comunicare con l'autore? Se -dunque un libro nuovo anche ottimo è letto una -sola volta da chi temporaneamente è impedito -<span class="pagenum" id="Page_208">[208]</span> -d'intenderlo, l'autore sarà poco o niente stimato. -Al contrario, in certi stati dell'animo, -una pagina mediocre è capace di produrre eccitazioni -gagliarde, e l'autore di ottenere un'ammirazione -immeritata. E nella nostra età, tarda, -stanca, sovraccarica di troppe memorie, l'eloquenza, -la poesia, sono poco intese; ed i giovani, -il cui animo è più pronto, non hanno -un gusto sicuro; e gli abitatori delle grandi -città, i quali incoronano gli oratori e i poeti, -sono troppo distratti da troppe altre cose. E -se bisogna, per bene apprezzare un'opera, -rileggerla più e più volte, “manca oggi il -tempo alle prime non che alle seconde letture.„ -E se il consenso antico e universale -è tanta parte della fama delle opere, oggi un -nuovo poema “eguale o superiore di pregio -intrinseco all'<i>Iliade</i>, letto anche attentissimamente -da qualunque più perfetto giudice di -cose poetiche, gli riuscirebbe assai men grato -e men dilettevole di quella; e per tanto gli -resterebbe in molto minore estimazione.„ -</p> - -<p> -La dimostrazione continua così, come quella -di un teorema, con uno spietato rigore di logica. -Miglior fortuna del poeta troverà il filosofo, -che non si rivolge all'immaginazione degli -uomini, diseguale, mutabile, ma alla loro -ragione? Ma, posto anche che l'immaginazione -non fosse tanto utile in filosofia come in arte, -resta sempre che le verità filosofiche non sono -apprezzate da chi non le partecipa, anche lasciando -<span class="pagenum" id="Page_209">[209]</span> -da parte “le varie fazioni, o comunque -si voglia chiamarle, in cui sono divisi -oggi, come sempre furono, quelli che fanno -professione di filosofia: ciascuna delle quali -nega ordinariamente la debita lode e stima a -quei delle altre; non solo per volontà, ma per -aver l'intelletto occupato da altri principii.„ -E se a gustare un poema occorre tempo, più -ne occorre se si vuole persuadere agli uomini -la verità scoperta dal filosofo; e i grandi novatori, -invece d'essere lodati e ammirati, troppo -spesso sono derisi e vilipesi. E se la verità -fa il suo cammino finchè è poi universalmente -accettata, il morto suo inventore non ha neppure -il premio d'una postuma fama, “parte -per essere già mancata la sua memoria, o -perchè l'opinione ingiusta avuta di lui mentre -visse, confermata dalla lunga consuetudine, -prevale a ogni altro rispetto; parte perchè -gli uomini non sono venuti a questo grado -di cognizioni per opera sua; e parte perchè -già nel sapere gli sono eguali, presto lo sormonteranno, -e forse gli sono superiori anche -al presente, per essersi potute colla lunghezza -del tempo dimostrare e chiarire meglio le verità -immaginate da lui, ridurre le sue congetture -a certezza, dare ordine e forma migliore -ai suoi trovati, e quasi maturarli.„ -</p> - -<p> -Nulla resiste alla sua critica; par quasi che -egli provi un senso di voluttà nel rintracciare -e nell'esporre ad uno ad uno tutti i più sottili -<span class="pagenum" id="Page_210">[210]</span> -e riposti argomenti che si possono addurre -contro la speranza d'un premio. Ecco: dopo -aver tutto negato, dopo aver dimostrato come -sia impossibile ottenere la gloria, concede a -un tratto che qualcuno l'abbia conseguita. Che -frutto ne ritrarrà costui? Se l'uomo famoso -vive in una città piccola, egli non è oggetto -d'invidia, perchè nessuno l'intende; anzi, perchè -tutti lo disconoscono, è trascurato. Nelle -città grandi, tanto per l'emulazione dei compagni -quanto per le distrazioni della folla, le -difficoltà di poter godere della gloria acquistata -non sono minori. E la fama di grande -poeta e di gran filosofo, come è la più difficile -da acquistare, è anche la meno fruttuosa -di tutte: “le due sommità, per così dire, dell'arte -e della scienza umana; dico la poesia -e la filosofia; sono in chi le professa, specialmente -oggi, le facoltà più neglette del -mondo; posposte ancora alle arti che si esercitano -principalmente con la mano.„ Qual è -dunque il frutto dell'ingegno, il premio degli -studi per il filosofo ed il poeta? Null'altro -“se non forse una gloria nata e contenuta fra -un piccolissimo numero di persone.„ Ce n'è -anche un altro, maggiore, migliore: “Non -potendo nella conversazione degli uomini godere -quasi alcun beneficio della tua gloria, la -maggiore utilità che ne ritrarrai, sarà di rivolgerla -nell'animo e di compiacertene teco -stesso nel silenzio della tua solitudine, col pigliarne -<span class="pagenum" id="Page_211">[211]</span> -stimolo e conforto a nuove fatiche, e -fartene fondamento a nuove speranze.„ Perchè -anche qui la natura dell'uomo ordisce il -solito inganno, volendo che il bene non ottenuto -sia ancora sperato, a dispetto dell'esperienza, -nel futuro, altrove, non si sa dove: -“La gloria degli scrittori, non solo, come -tutti i beni degli uomini, riesce più grata da -lungi che da vicino, ma non è mai, si può -dire, presente a chi la possiede, e non si ritrova -in nessun luogo„; e la speranza sempre -disingannata continua sempre ad operare, -così che da ultimo, non avendo mai trovato -la gloria in vita, o avendola sdegnata, o non -avendone goduto tanto quanto si aspettava, -l'uomo si pasce della speranza di quella che -otterrà — dopo morto, dai posteri.... quasi -che i posteri non saranno uomini come i contemporanei, -soggetti a quella mutabilità di -gusti in arte e di giudizii in filosofia che ha -travolto le speranze di gloria durante la vita -e che annullerà totalmente quelle riposte nell'avvenire! -</p> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_212">[212]</span></p> - -<h3 id="misantropia">II. -<span class="smaller">LA MISANTROPIA.</span></h3> -</div> - -<p> -Dunque: i piaceri dei sensi, le gioie dell'amore, -i premii della gloria: tutto è vano: -“La natura medesima è impostura verso l'uomo, -nè gli rende la vita amabile e sopportabile, -se non per mezzo principalmente d'immaginazione -e d'inganno.„ Non vi sarà nessun -conforto? Se ne troverà uno nel sentimento della -fratellanza umana? Gl'infelici si consoleranno -amandosi e sostenendosi reciprocamente? Il -primo sostegno e il primo amore sono nella famiglia; -e il Leopardi, non avendoli trovati nella -sua, li nega. Egli dimostra che l'educazione -“è un formale tradimento ordinato dalla debolezza -contro la forza, dalla vecchiezza contro -la gioventù. I vecchi vengono a dire ai giovani: -fuggite i piaceri propri della vostra età, -perchè tutti sono pericolosi e contrari ai buoni -costumi, e perchè noi che ne abbiamo presi -quanti più abbiamo potuto, e che ancora, se -potessimo, ne prenderemmo altrettanti, non ci -siamo più atti, a causa degli anni. Non vi -curate di vivere oggi; ma siate ubbidienti, -sofferite, e affaticatevi quanto più sapete, per -<span class="pagenum" id="Page_213">[213]</span> -vivere quando non sarete più a tempo. Saviezza -e onestà vogliono che il giovane si -astenga quanto è possibile dal far uso della gioventù, -eccetto per superare gli altri nelle fatiche. -Della vostra sorte e di ogni cosa importante -lasciate la cura a noi, che indirizzeremo -il tutto all'utile vostro. Tutto il contrario -di queste cose ha fatto ognuno di noi -alla vostra età, e ritornerebbe a fare se ringiovanisse: -ma voi guardate alle nostre parole, -e non ai nostri fatti passati, nè alle nostre -intenzioni. Così facendo, credete a noi -conoscenti ed esperti delle cose umane, che -voi sarete felici. Io non so che cosa sia inganno -e fraude se non è il promettere felicità -agli inesperti sotto tali condizioni.... Mai padre -nè madre, non che altro istitutore, non -sentì rimordere la coscienza di dare ai figliuoli -un'educazione che muove da un principio così -maligno.„ L'impedimento dei genitori alla libertà -dei figli è tale, che la maggior parte -degli uomini veramente grandi debbono la loro -grandezza all'aver perduto il padre in tenera -età: “La potestà paterna appresso tutte le nazioni -che hanno leggi, porta seco una specie -di schiavitù de' figliuoli; che per essere domestica, -è più stringente e più sensibile della -civile; e che, comunque possa essere temperata -o dalle leggi stesse, o dai costumi pubblici, -o dalle qualità particolari delle persone, -un effetto dannosissimo non manca mai di produrre: -<span class="pagenum" id="Page_214">[214]</span> -e questo è un sentimento che l'uomo, -finchè ha il padre vivo, porta perpetuamente -nell'animo; confermatogli dall'opinione che visibilmente -ed inevitabilmente ha di lui la moltitudine. -Dico un sentimento di soggezione e di -dependenza, e di non essere libero signore di -sè medesimo, anzi di non essere, per dir così, -una persona intera, ma una parte e un membro -solamente, e di appartenere il suo nome ad -altrui più che a sè. Il qual sentimento, più -profondo in coloro che sarebbero più atti -alle cose, perchè avendo lo spirito più svegliato, -sono più capaci di sentire, e più oculati -ad accorgersi della verità della propria -condizione, è quasi impossibile che vada insieme, -non dirò col fare, ma col disegnare checchessia -di grande. E passata in tal modo la gioventù, -l'uomo che in età di quaranta o di cinquant'anni -sente per la prima volta di essere -nella potestà propria, è soverchio il dire che non -prova stimolo, e che, se ne provasse, non -avrebbe più impeto nè forze nè tempo sufficienti -ad azioni grandi. Così anche in questa -parte si verifica che nessun bene si può avere -al mondo, che non sia accompagnato da mali -della stessa misura: poichè l'utilità inestimabile -del trovarsi innanzi nella giovinezza una -guida esperta ed amorosa, quale non può essere -alcuno così come il proprio padre, è compensata -da una sorte di nullità e della giovinezza -e generalmente della vita.„ -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_215">[215]</span> -</p> - -<p> -Ma, dall'altra parte, i figli non danno minor -causa di dolore ai genitori. “Non sarebbe -piccola infelicità degli educatori, e soprattutto -dei parenti, se pensassero, quello che è verissimo, -che i loro figliuoli, qualunque indole -abbiano sortita, e qualunque fatica, diligenza -e spesa si ponga in educarli, coll'uso poi del -mondo, quasi indubitabilmente, se la morte -non li previene, diventeranno malvagi.„ -</p> - -<p> -Mancato il conforto nella famiglia, resterebbe -ancora quello della solidarietà fra tutti -gli uomini. “<i>Gl'individui sono spariti dinanzi -alle masse</i>„, dicono intorno al Leopardi i pensatori, -volendo significare con queste parole -che, se pure ciascun uomo ha molti e troppi -motivi di dolore, il pensiero del bene comune, -della felicità generale, deve consolarlo. Ed -egli, dimostrato che tutto è illusione, riconosce -che “si cette illusion était commune, si -tous les hommes croyaient et voulaient être -vertueux, s'ils étaient compatissans, bienfaisans, -généreux, magnanimes, pleins d'enthousiasme; -en un mot, si tout le monde était -sensible.... n'en serait-on pas plus heureux? -Chaque individu ne trouverait-il pas mille -ressources dans la société? Celle-ci ne devrait-elle -s'appliquer à realiser les illusions -autant qu'il lui serait possible, puisque le bonheur -de l'homme ne peut consister dans ce -qui est réel?„ Ma egli nega anche questo -compenso. Nessuno ha compreso lui, o troppo -<span class="pagenum" id="Page_216">[216]</span> -pochi; quasi dovunque egli ha trovato ostilità -o indifferenza. A che gli è valsa la grandezza -della mente e la bontà dell'animo?... Con Bruto -pertanto egli chiamerà stolta la virtù e lancerà -al cielo il grido della giustizia offesa: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i09"> Dunque degli empi</p> -<p class="i01">Siedi, Giove, a tutela? e quando esulta</p> -<p class="i01">Per l'aere il nembo, e quando</p> -<p class="i01">Il tuon rapido spingi,</p> -<p class="i01">Ne' giusti e pii la sacra fiamma stringi?</p> -</div></div> - -<p> -Gli uomini, come tutti i viventi, non si sostengono, -si combattono: “Naturalmente l'animale -odia il suo simile, e qualora ciò è richiesto -dall'interesse proprio, l'offende.„ Nè -altro scopo hanno le lotte umane se non “l'acquisto -di piaceri che non dilettano, e di beni -che non giovano.„ Poichè la felicità che essi -agognano e che tentano di raggiungere in mille -modi sfugge continuamente, che nome meriterà -il loro vano affaccendarsi? Che cosa distinguerà -i grandi lavori dagli inutili trastulli? -Filippo Ottonieri non ammette nessuna -differenza tra gli uni e gli altri, “e sempre -che era stato occupato in qualunque cosa, per -grave che ella fosse, diceva d'essersi trastullato.„ -Meglio ancora: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i10"> È tutta,</p> -<p class="i01">In ogni umano stato, ozio la vita,</p> -<p class="i01">Se quell'oprar, quel procurar che a degno</p> -<p class="i01">Obbietto non intende, o che all'intento</p> -<p class="i01">Giugner mai non potria, ben si conviene</p> -<p class="i01">Ozïoso nomar. La schiera industre</p> -<p class="i01"><span class="pagenum" id="Page_217">[217]</span></p> -<p class="i01">Cui franger glebe o curar piante e greggi</p> -<p class="i01">Vede l'alba tranquilla e vede il vespro,</p> -<p class="i01">Se oziosa dirai, da che sua vita</p> -<p class="i01">È per campar la vita, e per sè sola</p> -<p class="i01">La vita all'uom non ha pregio nessuno,</p> -<p class="i01">Dritto e vero dirai. Le notti e i giorni</p> -<p class="i01">Tragge in ozio il nocchiero; ozio le vegghie</p> -<p class="i01">Son de' guerrieri e il perigliar nell'armi;</p> -<p class="i01">E il mercatante avaro in ozio vive:</p> -<p class="i01">Che non a sè, non ad altrui, la bella</p> -<p class="i01">Felicità, cui solo agogna e cerca</p> -<p class="i01">La natura mortal, veruno acquista</p> -<p class="i01">Per cura o per sudor, vegghia o periglio.</p> -</div></div> - -<p> -Quanto strana non è dunque la pretesa dì -coloro -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i09"> che, non potendo</p> -<p class="i01">Felice in terra far persona alcuna,</p> -<p class="i01">L'uomo obbliando, a ricercar si diero</p> -<p class="i01">Una comun felicitade; e quella</p> -<p class="i01">Trovata agevolmente, essi di molti,</p> -<p class="i01">Tristi e miseri tutti, un popol fanno</p> -<p class="i01">Lieto e felice....</p> -</div></div> - -<p> -“Lasci fare alle masse„, soggiunge Tristano; -“le quali che cosa sieno per fare senza individui, -essendo composte d'individui, desidero -e spero che me lo spieghino gl'intendenti d'individui -e di masse, che oggi illuminano il -mondo....„ No, la concordia non regna tra gli -uomini; non se ne trovano due che si comprendano; -anzi “l'odio verso i propri simili -è maggiore verso i più simili.„ Invece che cercarli, -converrà piuttosto, per consolarsi, fuggirli -e rifugiarsi in seno alla natura. -</p> - -<p> -Ma anche la natura ferisce continuamente, -<span class="pagenum" id="Page_218">[218]</span> -in mille modi, i viventi. Da lei vengono tutti -gl'innumerevoli dolori fisici. L'Islandese esce -dall'isola sua nativa “per vedere se in alcuna -parte della terra potessi non offendendo non -essere offeso, e non godendo non patire.„ -Cerca; ma non trova. “Io sono stato arso dal -caldo dei tropici, rappreso dal freddo verso i -poli, afflitto nei climi temperati dall'incostanza -dell'aria, infestato dalle commozioni degli elementi -in ogni dove.„ E gli uomini, come già -lodano il loro stato, così credono che la natura -non abbia altra mira che di procacciare -il loro bene; quando invece -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i09"> un'onda</p> -<p class="i01">Di mar commosso, un fiato</p> -<p class="i01">D'aura maligna, un sotterraneo crollo</p> -</div></div> - -<p> -distrugge interi popoli in modo che a gran -pena ne resta la memoria. Vengano sul Vesuvio -i presuntuosi, dinanzi alle secolari rovine -delle città sepolte dalla cenere, distrutte -dai tremuoti, coperte dalla lava: vedranno che -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Non ha natura al seme</p> -<p class="i01">Dell'uom più stima o cura</p> -<p class="i01">Ch'alla formica: e se più rara in quello</p> -<p class="i01">Che nell'altra è la strage,</p> -<p class="i01">Non avvien ciò d'altronde</p> -<p class="i01">Fuor che l'uom sue prosapie ha men feconde.</p> -</div></div> - -<p> -Infine, se per tante cagioni la condizione -umana è tanto sciagurata, sia che gli uomini -si considerino ad uno ad uno, sia che si consideri -il loro consorzio, non sarà possibile sperare -<span class="pagenum" id="Page_219">[219]</span> -che essa migliori col tempo? Questa speranza -di progresso sorride a molti; per il misantropo -è vana ancor essa; anzi dà luogo alla certezza -che il passato era preferibile al presente -e che col tempo il mondo peggiora. Una volta -gli uomini lo vedevano popolato di creature -leggiadre e divine: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Già di candide ninfe i rivi albergo</p> -<p class="i01">Placido albergo e specchio</p> -<p class="i01">Furo i liquidi fonti....</p> -<p class="i01">Vissero i fiori e l'erbe,</p> -<p class="i01">Vissero i boschi un dì.</p> -</div></div> - -<p> -I dolorosi eredi dovranno oggi lodare i Patriarchi, -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i09"> molto all'eterno</p> -<p class="i01">Degli astri agitator più cari, e molto</p> -<p class="i01">Di noi men lacrimabili nell'alma</p> -<p class="i01">Luce prodotti;</p> -</div></div> - -<p> -dovranno invidiare i tempi del primo padre, -quando la pace regnava sulla terra: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i09"> Oh fortunata,</p> -<p class="i01">Di colpe ignara e di lugubri eventi,</p> -<p class="i01">Erma terrena sede!</p> -</div></div> - -<p> -Perchè dallo scempio fraterno ebbe origine questa -tanto vantata civiltà: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Trepido, errante il fratricida, e l'ombre</p> -<p class="i01">Solitarie fuggendo e la secreta</p> -<p class="i01">Nelle profonde selve ira de' venti,</p> -<p class="i01">Primo i civili tetti, albergo e regno</p> -<p class="i01">Alle macere cure, innalza; e primo</p> -<p class="i01">Il disperato pentimento i ciechi</p> -<p class="i01">Mortali egro, anelante, aduna e stringe</p> -<p class="i01">Ne' consorti ricetti: onde negata</p> -<p class="i01"><span class="pagenum" id="Page_220">[220]</span></p> -<p class="i01">L'improba mano al curvo aratro, e vili</p> -<p class="i01">Fur gli agresti sudori; ozio le soglie</p> -<p class="i01">Scellerato occupò; ne' corpi inerti</p> -<p class="i01">Domo il vigor natìo, languide, ignave</p> -<p class="i01">Giacquer le menti; e servitù le imbelli</p> -<p class="i01">Umane vite, ultimo danno, accolse.</p> -</div></div> - -<p> -Un tempo, sì, la terra fu dilettosa e cara; -perchè -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i09"> di suo fato ignara</p> -<p class="i01">E degli affanni suoi, vota d'affanno</p> -<p class="i01">Visse l'umana stirpe; alle secrete</p> -<p class="i01">Leggi del cielo e di natura indutto</p> -<p class="i01">Valse l'ameno error, le fraudi, il molle</p> -<p class="i01">Pristino velo; e di sperar contenta</p> -<p class="i01">Nostra placida nave in porto ascese.</p> -</div></div> - -<p> -Ma la civiltà non è progresso per il genere -umano come l'esperienza non è felicità per il -giovane: l'età prima dell'uomo e del mondo -è la migliore. Anche oggi una vita simile a -quella delle antiche età si vive dai popoli che -noi chiamiamo barbari; tra le vergini selve -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Nasce beata prole, a cui non sugge</p> -<p class="i01">Pallida cura il petto, a cui le membra</p> -<p class="i01">Fera tabe non doma.</p> -</div></div> - -<p> -E gli uomini che si stimano progrediti vanno -a turbare ed opprimere quei soli felici! -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i05"> Oh contra il nostro</p> -<p class="i01">Scellerato ardimento inermi regni</p> -<p class="i01">Della saggia natura! I lidi e gli antri</p> -<p class="i01">E le quïete selve apre l'invitto</p> -<p class="i01">Nostro furor; le violate genti</p> -<p class="i01">Al peregrino affanno, agl'ignorati</p> -<p class="i01">Desiri educa; e la fugace, ignuda</p> -<p class="i01">Felicità per l'imo sole incalza,</p> -</div></div> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_221">[221]</span> -</p> - -<p> -No, questa trasformazione, “questa mutazione -di vita, e massimamente d'animo„, non -ha fatto raggiungere la felicità; al contrario: -è stata accrescimento d'infelicità. Fossero almeno -questi uomini inciviliti, che credono il -loro costume tanto superiore al primitivo e -che aspettano un continuo miglioramento dello -stato umano; fossero almeno, dico, stabili nelle -loro idee! Sapesse bene il secolo presente che -cosa credere, che cosa negare! Ma no: oggetto -d'immenso stupore è il vedere -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i09"> con che costanza</p> -<p class="i01">Quel che ieri schernì, prosteso adora</p> -<p class="i01">Oggi, e domani abbatterà, per girne</p> -<p class="i01">Raccozzando i rottami, e per riporlo</p> -<p class="i01">Tra il fumo degl'incensi il dì vegnente!</p> -<p class="i01">Quanto estimar si dee, che fede ispira</p> -<p class="i01">Del secol che si volge, anzi dell'anno,</p> -<p class="i01">Il concorde sentir!</p> -</div></div> - -<p> -Mentre si dice e si ode dire che la futura -umanità sarà migliore della nostra, nello stesso -tempo “diciamo e udiamo dire a ogni tratto: -<i>i buoni antichi</i>, <i>i nostri buoni antenati</i>; <i>e uomo -fatto all'antica</i>, volendo dire uomo dabbene e -da potersene fidare.„ Tale è il giudizio degli -uomini: “Ciascuna generazione crede dall'una -parte, che i passati fossero migliori dei -presenti; dall'altra parte che i popoli migliorino -allontanandosi dal loro primo stato ogni -giorno più.„ Altro sciocco inganno: “In ogni -paese i vizi e i mali universali degli uomini -<span class="pagenum" id="Page_222">[222]</span> -e della società umana sono notati come particolari -del luogo. Io non sono mai stato in -parte dov'io non abbia udito: qui le donne -sono vane e incostanti, leggono poco e sono -male istruite; qui il pubblico è curioso de' fatti -altrui, ciarliero molto e maldicente; qui i danari, -il favore e la viltà possono tutto; qui -regna l'invidia, e le amicizie sono poco sincere; -e così discorrendo; come se altrove le -cose procedessero in altro modo. Gli uomini -sono miseri per necessità, e risoluti di credersi -miseri per accidente.„ Essi s'arrogano -il vanto dell'eternità e sognano la loro fortuna -nel futuro, e non s'accorgono “che la vita -di questo universo è un perpetuo circuito di -produzione e di distruzione,„ e che la stessa -terra e gli stessi soli “dovranno venire in -dissoluzione, e le loro fiamme dispergersi nello -spazio.„ Altri mondi sorgeranno, altre creature -nasceranno delle quali nulla si può predire; -ma questa nostra progenie, non che -perfezionarsi col tempo, dovrà probabilmente -perire dei suoi proprii vizii. La disperata fantasia -del Leopardi prevede che gli uomini mancheranno -“parte guerreggiando tra loro, parte -navigando, parte mangiandosi l'un l'altro, -parte ammazzandosi non pochi di propria mano, -parte infracidando nell'ozio, parte stillandosi -il cervello sui libri, parte gozzovigliando, e -disordinando in mille cose; in fine studiando -tutte le vie di far contro la propria natura -<span class="pagenum" id="Page_223">[223]</span> -e di capitar male.„ Egli non si può pertanto -“dilettare e pascere di certe buone aspettative, -come veggo fare a molti filosofi in questo -secolo„; e la sua disperazione è “intera, e -continua, e fondata in un giudizio fermo e -in una certezza.„ -</p> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_224">[224]</span></p> - -<h3 id="scetticismo">III. -<span class="smaller">LO SCETTICISMO.</span></h3> -</div> - -<p> -Pure, disperando di tutto, non credendo ai -piaceri dei sensi, alle gioie dell'amore, ai -premii della gloria, alla consolazione della famiglia, -alla bontà dei simili, alla possibilità -del progresso; resta ancora un'àncora, la più -salda: Dio. Quei beni che il mondo nega -possono essere a usura compensati dal cielo; -se il corpo umano e la stessa terra che lo -sostiene sono condannati a perire, una vita -immortale può sorridere all'anima. La fede è -l'ultimo rifugio. -</p> - -<p> -Ma la fede dev'essere cieca, e lo spirito -indagatore la distrugge. Fin dai primi anni -della sua vita morale, quando gl'insegnamenti -paterni erano ancora da lui ascoltati, quando -la pietà cristiana ereditata dalla nascita, succhiata -col latte, era in lui fervida, il Leopardi -cominciò, se non a dubitare, a discutere. Nel -suo studio sugli <i>Errori popolari degli antichi</i> -egli esaminò prima degli altri i molti che si -riferiscono alla Divinità; ma ciò che al moderno, -<span class="pagenum" id="Page_225">[225]</span> -al cristiano, sembrava errore, fu pure -la credenza di quegli antichi Padri dei quali -egli doveva più tardi invidiare la sorte! Se gli -uomini s'ingannarono una volta, chi assicura -che non si possono ingannare ancora? Egli -quasi presentiva questa conseguenza della sua -critica, quando s'ingegnava di distinguere -la superstizione dalla religione e la credulità -dalla fede. “La superstizione, dice Teofrasto, -è un timore mal regolato della Divinità. -Questa definizione non conviene all'uopo nostro. -Più opportuna è quella di un moderno: -La superstizione è un abuso della Religione -nato dall'ignoranza. Avrebbe potuto dire: è un -effetto dell'ignoranza di chi pratica la religione.„ -Egli così si studia di dimostrare a -sè stesso la ragionevolezza dell'esame. “Il -volgo è naturalmente religioso. Questa qualità -è ottima. Ma quasi nessuna delle buone -qualità del volgo si contiene dentro i suoi -limiti, e tutto ciò che eccede i suoi limiti è -cattivo in quanto li eccede. La sola scienza -può fissare il punto preciso, oltre il quale -non debbono estendersi gli effetti di una virtù, -o di una prevenzione giusta ed opportuna. -È impossibile che l'ignoranza conosca questo -punto, e per conseguenza è quasi impossibile -che le stesse buone qualità del volgo non -producano qualche cattivo effetto. La Religione -ha prodotta la superstizione; e poichè -il male che nasce da un gran bene suol essere -<span class="pagenum" id="Page_226">[226]</span> -grande ancor esso, è evidente che la -superstizione deve essere un male considerabilissimo, -poichè la Religione è il più grande -di tutti i beni, ed essa corrompe la Religione. -Il rispetto giustissimo, che si ha per questa -augusta madre della umanità, applicato a cose -chimeriche, rende difficilissimo al saggio il -guarire i popoli dalla superstizione. Massime -erronee si venerano come quelle che insegna -la più pura delle dottrine, si vuole che esse -facciano causa commune colla Religione, e si -crederebbe, rigettando quelle, mancare a questa. -Il popolo reputa empio chi disprezza l'oggetto -delle sue superstizioni: un uomo nemico -dei pregiudizii è, secondo lui, un irreligioso.„ -Non potrebbe darsi che il popolo -avesse ragione? Per creder bene non bisogna -credere tutto? Quando il dubbio comincia, chi -può dire dove si arresterà? Egli si sdegna -perchè “il nome di Filosofo è divenuto odioso -alla più sana parte degli uomini. Ormai esso -non significa più che infedele.„ Ma quest'effetto -non è purtroppo naturale? Non si produrrà, -non è sul punto di prodursi anche in -lui? Per ora egli se ne sdegna, e tenta rassicurarsi, -e scioglie un inno alla fede nella quale -è nato: “Sì, dice Bacone, una tintura di -filosofia allontana gli uomini dalla Religione. -Verità terribile, ma della quale possiamo consolarci -con ciò che soggiunge quel gran conoscitore -dello spirito umano: una cognizione -<span class="pagenum" id="Page_227">[227]</span> -soda della filosofia li riconduce al suo seno. -Religione amabilissima! è pur dolce poter -terminare col parlar di te ciò che si è cominciato -per far qualche bene a quelli che tu -benefichi tutto giorno; è pur dolce poter concludere -con animo fermo e sicuro, che non -è filosofo chi non ti segue e non ti rispetta, -e non v'ha chi ti segua e ti rispetti che -non sia filosofo. Oso pur dire che non ha -cuore, che non sente i dolci fremiti di un -amor tenero, che soddisfa e rapisce; che non -conosce le estasi in cui getta una meditazione -soave e toccante, chi non ti ama con trasporto, -chi non si sente trascinare verso l'oggetto -ineffabile del culto che tu c'insegni. Comparendo -nella notte dell'ignoranza, tu hai fulminato -l'errore, tu hai assicurata alla ragione -e alla verità una sede che non perderanno -giammai. Tu vivrai sempre, e l'errore -non vivrà mai teco. Quando esso ci assalirà, -quando coprendoci gli occhi con una mano tenebrosa -minaccerà di sprofondarci negli abissi -oscuri che l'ignoranza spalanca avanti ai nostri -piedi, noi ci volgeremo a te, e troveremo -la verità sotto il tuo manto. L'errore fuggirà -come il lupo della montagna inseguito dal -pastore, e la tua mano ci condurrà alla salvezza.„ -</p> - -<p> -Dalla stessa osservazione del dolore umano -egli trae, nei primi tempi, la prova di una vita -futura: “Tutto è o può essere contento di -<span class="pagenum" id="Page_228">[228]</span> -sè stesso, eccetto l'uomo; il che mostra che -la sua esistenza non si limita a questo mondo, -come quella dell'altre cose.„ E della gravezza -di questo dolore egli chiama testimonio -Dio. “Tu sapevi già tutto ab eterno„ -dice al Redentore, “ma permetti alla immaginazione -umana che noi ti consideriamo come -più intimo testimonio delle nostre miserie. Tu -hai provata questa vita nostra, tu ne hai assaporato -il nulla, tu hai sentito il dolore e -l'infelicità dell'esser nostro.... Pietà di tanti -affanni, pietà di questa povera creatura tua, -pietà dell'uomo infelicissimo, di quello che hai -veduto, pietà del genere tuo, poichè hai voluto -aver comune la stirpe con noi, esser uomo -ancor tu.... Ora vo' da speme a speme, e mi -scordo di te, benchè sempre deluso.... Tempo -verrà ch'io, non restandomi altra luce di speranza, -altro stato a cui ricorrere, porrò tutta -la mia speranza nella morte, e allora ricorrerò -a te. Abbi allora misericordia....„ Ed alla Madre -di Dio: “È vero che siamo tutti malvagi, -ma non ne godiamo, siamo tanto infelici! È -vero che questa vita e questi mali sono brevi -e nulli; ma noi pure siam piccoli, e ci riescono -insopportabili. Tu che sei grande e sicura, -abbi pietà di tante miserie....„ -</p> - -<p> -Nutrito di cultura classica, egli è meglio di -tanti altri in grado di conoscere per quali caratteri -la predicazione cristiana si distingue -dalle credenze pagane. “Gesù Cristo fu il primo -<span class="pagenum" id="Page_229">[229]</span> -che distintamente additò agli uomini quel lodatore -e precettore di tutte le virtù finte, detrattore -e persecutore di tutte le vere; quell'avversario -d'ogni grandezza intrinseca e veramente -propria dell'uomo; derisore d'ogni sentimento -alto, se non lo crede falso, d'ogni affetto -dolce, se lo crede intimo; quello schiavo dei -forti, tiranno dei deboli, odiatore degl'infelici; -il quale esso Gesù Cristo dinotò col nome di -mondo.... Negli scrittori pagani la generalità -degli uomini civili, che noi chiamiamo società -o mondo, non si trova mai considerata nè -mostrata risolutamente come nemica della virtù, -nè come certa corruttrice d'ogni buona indole, -e d'ogni animo bene avviato. Il mondo nemico -del bene, è un concetto, per quanto celebre -nel Vangelo, e negli scrittori moderni, -anche profani, tanto o poco meno sconosciuto -dagli antichi.„ Di questo concetto pochi al -pari di lui apprezzeranno l'esattezza; la sua -propria esperienza non glie l'ha dimostrata, -quando invece dell'aiuto e dei premii ai quali -aveva diritto, non ha trovato altro che trascuranza -e derisione?... Ma il carattere più -segnalato del cristianesimo, l'idea fondamentale -che lo distingue dall'idea pagana, è una -sfiducia del mondo più larga, più profonda; -è la disperazione di trovar mai la felicità sulla -terra. E se la religione di Gesù dice che questa -terra è una valle di lacrime, che i beni -di questo mondo sono nulla, chi meglio del -<span class="pagenum" id="Page_230">[230]</span> -Leopardi, la cui vita è tutta una croce, potrà -intenderla? Chi più totalmente di lui comprenderà -questa sfiducia di poter trovare la -felicità nello stato umano?... Ma la stessa enormità -del dolore che gli fa intendere la verità -predicata dal figlio di Dio, lo distacca ultimamente -dalla fede: “S'ingannano a ogni -modo coloro i quali stimano essere nata primieramente -l'infelicità umana dall'iniquità e -dalle cose commesse contro gli Dei; ma per -lo contrario non d'altronde ebbe principio la -malvagità degli uomini che dalle loro calamità.„ -Il suo spirito indagatore vuol sapere -il perchè del dolore. Se la vita è un circolo di -creazione e distruzione continue, e se “quel -che è distrutto, patisce; e quel che distrugge -non gode, e a poco andare è distrutto medesimamente; -dimmi tu,„ chiede l'Islandese -alla Natura, “quello che nessun filosofo mi sa -dire: a chi piace o a chi giova cotesta vita infelicissima -dell'universo, conservata con danno -e con morte di tutte le cose?...„ L'asiatico -Pastore errante canta, rivolto alla luna: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Pur tu, solinga, eterna peregrina,</p> -<p class="i01">Che sì pensosa sei, tu forse intendi,</p> -<p class="i01">Questo viver terreno,</p> -<p class="i01">Il patir nostro, il sospirar, che sia;</p> -<p class="i01">Che sia questo morir, questo supremo</p> -<p class="i01">Scolorar del sembiante,</p> -<p class="i01">E perir della terra, e venir meno</p> -<p class="i01">Ad ogni usata, amante compagnia.</p> -</div></div> - -<p> -Ma se l'immortale giovanetta conosce il tutto, -<span class="pagenum" id="Page_231">[231]</span> -egli, il semplice pastore, il cantore dolente, -dice guardando il cielo, considerando sè stesso: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">A che tante facelle?</p> -<p class="i01">Che fa l'aria infinita, e quel profondo</p> -<p class="i01">Infinito seren? Che vuol dir questa</p> -<p class="i01">Solitudine immensa? ed io chi sono?</p> -<p class="i01">Così meco ragiono: e della stanza</p> -<p class="i01">Smisurata e superba,</p> -<p class="i01">E dell'innumerabile famiglia,</p> -<p class="i01">Poi di tanto adoprar, di tanti moti</p> -<p class="i01">D'ogni celeste, ogni terrena cosa,</p> -<p class="i01">Girando senza posa,</p> -<p class="i01">Per tornar sempre là donde son mosse;</p> -<p class="i01">Uso alcuno, alcun frutto</p> -<p class="i01">Indovinar non so....</p> -</div></div> - -<p> -Egli non sa null'altro fuorchè il suo dolore. -E disperatamente Saffo chiede il perchè del -dolore suo proprio: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Qual fallo mai, qual sì nefando eccesso</p> -<p class="i01">Macchiommi anzi il natale, onde sì torvo</p> -<p class="i01">Il ciel mi fosse e di fortuna il volto?</p> -<p class="i01">In che peccai bambina, allor che ignara</p> -<p class="i01">Di misfatti è la vita, onde poi scemo</p> -<p class="i01">Di giovinezza, e disfiorato, al fuso</p> -<p class="i01">Dell'indomita Parca si volvesse</p> -<p class="i01">Il ferrigno mio stame?</p> -</div></div> - -<p> -Un arcano consiglio muove gli eventi: nessuno -risponde all'incauta domanda: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i10"> Arcano è tutto,</p> -<p class="i01">Fuor che il nostro dolor. Negletta prole</p> -<p class="i01">Nascemmo al pianto, e la ragione in grembo</p> -<p class="i01">De' celesti si posa.</p> -</div></div> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_232">[232]</span> -</p> - -<p> -Bruto non conosce questa rassegnazione; -egli si sdegna e si ribella: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i05"> A voi, marmorei numi,</p> -<p class="i01">(Se numi avete in Flegetonte albergo</p> -<p class="i01">O su le nubi) a voi ludibrio e scherno</p> -<p class="i01">È la prole infelice....</p> -<p class="i01">Forse i travagli nostri, e forse il cielo</p> -<p class="i01">I casi acerbi e gl'infelici affetti</p> -<p class="i01">Giocondo agli ozii suoi spettacol pose?</p> -</div></div> - -<p> -Ma a nulla vale lo sdegno come a nulla vale -la rassegnazione: i destini umani si compiono -in mezzo al silenzio delle cose, all'indifferenza -della natura: la luna versa immutato il -suo raggio sui campi delle battaglie che mutano -la faccia delle nazioni, -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i03"> e non le tinte glebe,</p> -<p class="i01">Non gli ululati spechi</p> -<p class="i01">Turbò nostra sciagura,</p> -<p class="i01">Nè scolorò le stelle umana cura.</p> -</div></div> - -<p> -“Imaginavi tu forse„, chiede la Natura -all'Islandese, “che il mondo fosse fatto per -causa vostra? Ora sappi che nelle fatture, -negli ordini e nelle operazioni mie, trattone -pochissime, sempre ebbi ed ho l'intenzione a -tutt'altro, che alla felicità degli uomini o all'infelicità. -Quando io vi offendo in qualunque -modo e con qual si sia mezzo, io non me ne -avveggo, se non rarissime volte: come, ordinariamente, -se io vi diletto o vi benefico, io -non lo so; e non ho fatto, come credete voi, -quelle tali cose, e non fo quelle tali azioni, -per dilettarvi o giovarvi. E finalmente, se anche -<span class="pagenum" id="Page_233">[233]</span> -mi avvenisse di estinguere tutta la vostra -specie, io non me ne avvedrei.„ E la ragione -riconoscerà anche la giustezza di questo argomento; -ma ne sarà forse lenito il dolore, o -sarà reso più sopportabile? La ragione risponderà: -“Ponghiamo caso che uno m'invitasse -spontaneamente a una sua villa, con grande -istanza; e io per compiacerlo vi andassi. Quivi -mi fosse dato per dimorare una cella tutta lacera -e rovinosa, dove io fossi in continuo pericolo -di essere oppresso; umida, fetida, aperta -al vento e alla pioggia. Egli, non che si prendesse -cura d'intrattenermi in alcun passatempo -o di darmi alcuna comodità, per lo -contrario appena mi facesse somministrare il -bisognevole a sostentarmi; e oltre di ciò mi -lasciasse villaneggiare, schernire, minacciare -e battere da' suoi figliuoli e dall'altra famiglia. -Se querelandomi io seco di questi mali -trattamenti, mi rispondesse: forse che ho fatto -io questa villa per te? o mantengo io questi -miei figliuoli, e questa mia gente, per tuo servigio? -e, bene ho altro a pensare che de' tuoi -sollazzi, e di farti le buone spese; a questo -replicherei: vedi, amico, che siccome tu non -hai fatto questa villa per uso mio, così fu in -tua facoltà di non invitarmici. Ma poichè spontaneamente -hai voluto che io ci dimori, non -ti si appartiene egli di fare in modo, che io, -quanto è in tuo potere, ci viva per lo meno -senza travaglio e senza pericolo? Così dico -<span class="pagenum" id="Page_234">[234]</span> -ora. So bene che tu non hai fatto il mondo -in servigio degli uomini. Piuttosto crederei -che l'avessi fatto e ordinato espressamente -per tormentarli. Ora domando: t'ho io forse -pregato di pormi in questo universo? o mi vi -sono intromesso violentemente, e contro tua -voglia? Ma se di tua volontà, e senza mia -saputa, e in maniera che io non potevo sconsentirlo -nè ripugnarlo, tu stessa, colle tue -mani, mi vi hai collocato; non è egli dunque -ufficio tuo, se non tenermi lieto e contento in -questo tuo regno, almeno vietare che io non -vi sia tribolato e straziato, e che l'abitarvi -non mi noccia?....„ -</p> - -<p> -Così egli dibatte il formidabile enimma; ma -tutte le domande restano senza risposta, tutti -i ragionamenti si spuntano contro il ferrato -mistero, tutti i gridi del dolore vanamente si -perdono. Aspetti la morte: egli vedrà allora -la faccia della verità. Ma perchè ciò avvenga, -bisogna che, dopo morto, egli pur viva d'un'altra -specie di vita! E non vuole. La morte, sì; -purchè sia la fine totale, il nulla. L'aspettazione -della morte, dice Porfirio, “sarebbe un conforto -dolcissimo nella vita nostra, piena di tanti dolori„; -ma egli si duole di Platone che ha tolto -da questo pensiero ogni dolcezza, anzi lo ha -reso il più amaro di tutti, col dubbio terribile -che la vita dell'anima continui oltre tomba. Il -dubbio di questa vita avvenire turba, non conforta, -la vita presente; “e non sì potendo questo -<span class="pagenum" id="Page_235">[235]</span> -dubbio in alcun modo sciorre, nè le menti -nostre esserne liberate mai, tu hai recati per -sempre i tuoi simili a questa condizione, che -essi avranno la morte piena d'affanno e più -misera che la vita.„ Dovunque è mistero e -terrore. Se le mummie del Ruysch una notte -si destano, se riacquistano tanto di vitalità da -pensare e parlare, dicono che hanno paura della -vita come, vivendo, ne avevano della morte: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i05"> Come da morte</p> -<p class="i01">Vivendo rifuggìa, così rifugge</p> -<p class="i01">Dalla fiamma vitale</p> -<p class="i01">Nostra ignuda natura;</p> -<p class="i01">Lieta no, ma sicura,</p> -<p class="i01">Però ch'esser beato</p> -<p class="i01">Nega ai mortali e nega ai morti il fato.</p> -</div></div> - -<p> -Non bisogna dunque destarsi. Il sonno, il -sonno profondo, senza sogni, senza coscienza -dell'essere, è la sola condizione felice. Quando -la Terra e la Luna fanno strepito contendendo, -la Terra pietosamente non vuol spaventare i -suoi abitatori nè rompere il loro sonno, “che -è il maggior bene che abbiano.„ Il sonno -continuo di tutte le cose sarebbe preferibile -alla vita. “Se il sonno dei mortali fosse perpetuo,„ -canta il Gallo silvestre, “ed una -cosa medesima colla vita; se sotto l'astro -diurno, languendo per la terra in profondissima -quiete tutti i viventi, non apparisse opera -alcuna; non muggito di buoi per li prati, nè -strepito di fiere per le foreste, nè canto di -<span class="pagenum" id="Page_236">[236]</span> -uccelli per l'aria, nè susurro d'api o di farfalle -scorresse per la campagna; non voce, -non moto alcuno, se non delle acque, del -vento e delle tempeste, sorgesse in alcuna -banda; certo l'universo sarebbe inutile; ma -forse che vi si troverebbe o copia minore di -felicità, o più di miseria, che oggi non vi si -trova?„ E se il sonno è necessario, esso dimostra -la malignità della veglia. “Tal cosa -è la vita, che a portarla, fa di bisogno ad -ora ad ora, deponendola, ripigliare un poco -di lena, ristorarsi con un gusto e quasi con -una particella di morte.„ -</p> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_237">[237]</span></p> - -<h3 id="morte">IV. -<span class="smaller">LA MORTE.</span></h3> -</div> - -<p> -La morte sarà pertanto il rimedio radicale -e la conclusione ultima. La felicità pareva lo -scopo dell'esistenza; ma non fu raggiunta nè -dall'individuo nè dal consorzio umano; non fu -raggiunta subito, nè sarà raggiunta in avvenire, -col progresso; non fu raggiunta in terra, -nè sarà raggiunta in un altro mondo. Perchè -dunque le creature aprono gli occhi alla luce? -Che cosa è questa vita? -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Vecchierel bianco, infermo,</p> -<p class="i01">Mezzo vestito e scalzo,</p> -<p class="i01">Con gravissimo fascio in su le spalle,</p> -<p class="i01">Per montagna e per valle,</p> -<p class="i01">Per sassi acuti, ed alta rena, e fratte,</p> -<p class="i01">Al vento, alla tempesta, e quando avvampa</p> -<p class="i01">L'ora, e quando poi gela,</p> -<p class="i01">Corre via, corre, anela,</p> -<p class="i01">Varca torrenti e stagni,</p> -<p class="i01">Cade, risorge, e più e più s'affretta,</p> -<p class="i01">Senza posa o ristoro,</p> -<p class="i01">Lacero, sanguinoso; infin ch'arriva</p> -<p class="i01">Colà dove la via</p> -<p class="i01">E dove il tanto affaticar fu volto:</p> -<p class="i01">Abisso orrido, immenso,</p> -<p class="i01">Ov'ei precipitando, il tutto obblia.</p> -</div></div> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_238">[238]</span> -</p> - -<p> -Questo è il quadro della vita mortale. Finite -le speranze di felicità, spente le illusioni, null'altro -resta fuorchè la morte: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i09"> Ecco di tante</p> -<p class="i01">Sperate palme e dilettosi errori,</p> -<p class="i01">Il Tartaro m'avanza,</p> -</div></div> - -<p> -canta l'infelice Lesbiana; e Silvia miseramente -cade all'apparir del vero. Quando l'uomo è -giovane, quando può sperare, la vita è luminosa; -ma dopo, tosto che la verità è conosciuta, -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Vedova è insino al fine; ed alla notte</p> -<p class="i01">Che l'altre etadi oscura</p> -<p class="i01">Segno poser gli Dei la sepoltura.</p> -</div></div> - -<p> -Ma parlare della morte con questo tono -dolente, chiamarla abisso “orrido, immenso„, -è ancora in certo modo come lodare la vita. -Questa morte non è un vero rimedio, non è -una cosa veramente lodevole, se egli la loda -ironicamente: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i10"> Umana</p> -<p class="i01">Prole cara agli eterni! assai felice</p> -<p class="i01">Se respirar ti lice</p> -<p class="i01">D'alcun dolor; beata</p> -<p class="i01">Se te d'ogni dolor morte risana.</p> -</div></div> - -<p> -Per adoperare questo tono, bisogna che l'illusione -non sia ancora finita, che una qualche -fede sussista. Se morire non è un vero -bene, bisogna che il bene consista in qualche -altra cosa. Non si trovò in nessun luogo, -in nessun tempo, in nessun concetto; ma l'appetito -<span class="pagenum" id="Page_239">[239]</span> -della felicità non è ancora morto; si -spera ancora, non si sa come, non si sa in -che cosa, irragionevolmente. Perchè la ragione -trionfi, bisogna dar torto all'istinto della felicità -che si ribella alla morte; e riconoscere -che l'istinto è un fenomeno transitorio, e che -la morte è il fenomeno permanente, il vero, -il solo, l'ultimo fine della vita. Poichè tutti -gli altri, tutti insino ad uno, si dimostrarono -fallaci, la morte sarà lo scopo reale, l'unica -meta, la ragione stessa dell'esistenza. Ed il -Leopardi arriva a questa conclusione logica, -l'accetta pienamente quando dice che le creature -“ingegnandosi, adoperandosi e penando -sempre, non patiscono veramente per altro, e -non s'affaticano se non per giungere a questo -solo intento della natura„; quando afferma -che proprio ed unico obbietto delle cose è il -morire: esse anzi sono state create per essere -distrutte, perchè la legge della distruzione si -potesse mantenere: “non potendo morire quel -che non era, perciò dal nulla scaturirono le -cose che sono.„ -</p> - -<p> -Come parrà allora stolto e funesto lo studio -di prolungare la vita! “Non solo io non -mi curo dell'immortalità„, dice il Metafisico -al Fisico, “e sono contento di lasciarla ai -pesci; ai quali la dona il Leeuwenhoek, purchè -non siano mangiati dagli uomini o dalle -balene; ma, in cambio di ritardare o interrompere -la vegetazione del nostro corpo per -<span class="pagenum" id="Page_240">[240]</span> -allungare la vita come propone il Maupertuis, -io vorrei che la potessimo accelerare in modo, -che la vita nostra si riducesse alla misura di -quella di alcuni insetti, chiamati efimeri, dei -quali si dice che i più vecchi non passano -l'età di un giorno, e contuttociò muoiono bisavoli -e trisavoli„. Per un momento, non solo -la vita degli efimeri, ma quella di qualunque -animale gli parrà preferibile alla umana; gli -animali non raggiungono la felicità, ma passano -il tempo meglio di noi, unicamente occupati -di ciò che loro occorre: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i10"> De' bruti</p> -<p class="i01">La progenie infinita, a cui pur solo,</p> -<p class="i01">Nè men vano che a noi, vive nel petto</p> -<p class="i01">Desìo d'esser beati; a quello intenta</p> -<p class="i01">Che a lor vita è mestier, di noi men tristo</p> -<p class="i01">Condur si scopre e men gravoso il tempo</p> -<p class="i01">Nè la lentezza accagionar dell'ore.</p> -</div></div> - -<p> -Anche il Pastore canterà: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">O greggia mia che posi, oh te beata,</p> -<p class="i01">Che la miseria tua, credo, non sai!</p> -<p class="i01">Quanta invidia ti porto!</p> -<p class="i01">Non sol perchè d'affanno</p> -<p class="i01">Quasi libera vai;</p> -<p class="i01">Ch'ogni stento, ogni danno,</p> -<p class="i01">Ogni estremo timor subito scordi;</p> -<p class="i01">Ma più perchè giammai tedio non provi.</p> -<p class="i01">Quando tu siedi all'ombra, sovra l'erbe,</p> -<p class="i01">Tu se' queta e contenta;</p> -<p class="i01">E gran parte dell'anno</p> -<p class="i01">Senza noia consumi in quello stato....</p> -<p class="i01">Quel che tu goda o quanto,</p> -<p class="i01">Non so già dir; ma fortunata sei.</p> -</div></div> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_241">[241]</span> -</p> - -<p> -Tosto però egli s'accorge che questa sua opinione -può dipendere da un inganno: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">O forse erra dal vero</p> -<p class="i01">Mirando all'altrui sorte il mio pensiero;</p> -<p class="i01">Forse in qual forma, in quale</p> -<p class="i01">Stato che sia, dentro covile o cuna,</p> -<p class="i01">È funesto a chi nasce il dì natale.</p> -</div></div> - -<p> -Certo dell'inganno, il Leopardi ritorna alla -verità disperata: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i09"> Non altro in somma</p> -<p class="i01">Fuorchè infelice, in qualsivoglia tempo,</p> -<p class="i01">E non pur ne' civili ordini e modi,</p> -<p class="i01">Ma della vita in tutte l'altre parti,</p> -<p class="i01">Per essenza insanabile, e per legge</p> -<p class="i01">Universal che terra e cielo abbraccia,</p> -<p class="i01">Ogni nato sarà.</p> -</div></div> - -<p> -Se il vivere è funesto a tutti, il non vivere -sarà preferibile: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Mai non veder la luce</p> -<p class="i01">Era, credo, il miglior....</p> -</div></div> - -<p> -Quindi la morte non sarà temuta, ma preferita -e lodata come il “maggior bene dell'uomo„; -e desiderata e cercata: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i10"> In cielo,</p> -<p class="i01">In terra amico agli infelici alcuno</p> -<p class="i01">E rifugio non resta altro che il ferro;</p> -</div></div> - -<p> -e se altri, sdegnando gli anni suoi vuoti e -odiando la luce, non si uccide, -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i09"> al duro morso</p> -<p class="i01">Della brama insanabile che invano</p> -<p class="i01">Felicità richiede, esso da tutti</p> -<p class="i01">Lati cercando, mille inefficaci</p> -<p class="i01">Medicine procaccia, onde quell'una</p> -<p class="i01">Cui natura apprestò, mal si compensa.</p> -</div></div> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_242">[242]</span> -</p> - -<p> -Ma Saffo si dà la morte: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Morremo. Il velo indegno a terra sparto,</p> -<p class="i01">Rifuggirà l'ignudo animo a Dite,</p> -<p class="i01">E il crudo fallo emenderà del cieco</p> -<p class="i01">Dispensator de' casi.</p> -</div></div> - -<p> -Come ella morendo corregge il male del quale -fu vittima, così Bruto uccidendosi sfida l'iniqua -potenza che lo ha sopraffatto. Egli invidia -gli animali non solo perchè arrivano alla -morte senza prevederla, cioè senza nè temerla -nè desiderarla, ma anche perchè, volendo uccidersi, -nessuno lo vieterebbe loro: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i09"> A voi, fra quante</p> -<p class="i01">Stirpi il cielo avvivò, soli fra tutte,</p> -<p class="i01">Figli di Prometeo, la vita increbbe;</p> -<p class="i01">A voi le morte ripe,</p> -<p class="i01">Se il fato ignavo pende,</p> -<p class="i01">Soli, miseri, a voi Giove contende.</p> -</div></div> - -<p> -E come anche Porfirio invidia gli animali -perchè, morendo, non hanno paura o speranza -di un'altra vita, così Bruto vorrà morire interamente, -senza tema di punizioni, senza speranza -di gloria postuma, di felicità oltre umana: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Non io d'Olimpo o di Cocito i sordi</p> -<p class="i01">Regi, o la terra indegna,</p> -<p class="i01">E non la notte moribondo appello;</p> -<p class="i01">Non te dell'atra morte ultimo raggio</p> -<p class="i01">Conscia futura età....</p> -<p class="i10"> .... A me d'intorno</p> -<p class="i01">Le penne il bruno augello avido roti;</p> -<p class="i01">Prema la fera, e il nembo</p> -<p class="i01">Tratti l'ignota spoglia;</p> -<p class="i01">E l'aura il nome e la memoria accoglia.</p> -</div></div> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_243">[243]</span> -</p> - -<p> -Costoro furono disgraziati: a Bruto non -valse la virtù, a Saffo non valse l'amore. Noi -vediamo pertanto che, dandosi la morte, si -dolgono, accusano, non sono sereni. La Lesbiana -si lagna che di tante sperate palme e -dilettosi errori le avanzi solo la morte; Bruto -chiama “misero„ il desìo di morire; e “atra„ -la morte. Il Leopardi che ha giudicato essere -la morte non una cosa vana come tutte -le altre, ma la sola realtà, dovrà dire serenamente -che il partito di procurarsela è il -migliore, il più ragionevole, il più conforme -a natura, ancora quando la vita non è stata -sciagurata. Udite infatti Porfirio, deliberato -di uccidersi, affermare che questa sua deliberazione -“non procede da alcuna sciagura -che mi sia intervenuta, ovvero che io aspetti -che mi sopraggiunga„, ma dal “vedere, gustare, -toccare la vanità di ogni cosa.„ Nè la -morte è legge delle sole creature, ma di tutta -quanta la creazione. Morrà la terra, morranno -i soli. Altri ne nasceranno, è vero; la ragione -dimostra che l'esistenza, non essendo mai cominciata, -non avrà mai fine; ma l'anima offesa -si compiace di antivedere la fine del Tutto: -“Tempo verrà, che esso universo, e la natura -medesima, sarà spenta. E nel modo che di -grandissimi regni ed imperi umani, e loro maravigliosi -moti, che furono famosissimi in altre -età, non resta oggi segno nè fama alcuna; -parimente del mondo intero, e delle infinite -<span class="pagenum" id="Page_244">[244]</span> -vicende e calamità delle cose create, non rimarrà -pure un vestigio; ma un silenzio nudo, -e una quiete altissima, empieranno lo spazio -immenso. Così questo arcano mirabile e spaventoso -dell'esistenza universale, innanzi di -essere dichiarato nè inteso, si dileguerà e -perderassi.„ -</p> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_245">[245]</span></p> - -<h2 id="ironia">L'IRONIA.</h2> -</div> - -<p> -Resterà egli sempre in questo atteggiamento? -Non potrà far altro che querelarsi e -disperare? Impotente a mutare il ferreo ordine -delle cose che lo soverchiano, si dorrà -continuamente perchè altri rida del suo dolore? -Non potrà ridere egli stesso degli altri, degli -uomini e delle donne, del mondo e della natura? -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Già del fato mortale a me bastante</p> -<p class="i01">E conforto e vendetta è che sull'erba</p> -<p class="i01">Qui neghittoso immobile giacendo,</p> -<p class="i01">Il mar, la terra e il ciel miro e sorrido.</p> -</div></div> - -<p> -Questo sorriso gli strappa l'ultimo disinganno, -l'ultimo dolore patito per causa d'una -donna; ma già da molto tempo egli ha fatto -suo pro della naturale disposizione all'ironia. -A ventidue anni, per consolarsi dell'indegnità -della fortuna, “quasi per vendicarmi del mondo -e quasi anche della virtù„, imagina le prime -satire. Al dolente Giordani scrive: “Non potresti -di Eraclito convertirti in Democrito? -<span class="pagenum" id="Page_246">[246]</span> -La qual cosa va pure accadendo a me, che -la stimava impossibilissima. Vero è che la -disperazione si finge sorridente. Ma il riso -intorno agli uomini ed alle mie stesse miserie, -al quale io mi vengo accostumando, quantunque -non derivi dalla speranza, non viene -però dal dolore, ma piuttosto dalla noncuranza, -ch'è l'ultimo rifugio degl'infelici soggiogati -dalla necessità. Vo' lentamente leggendo, studiando -e scrivacchiando. Tutto il resto del -tempo lo spendo in pensare e ridere meco -stesso....„ Nonostante i dileggi della gente, -si avvezza a ridere, “e ci riesco.„ Il suo riso -è amaro, sdegnoso, è spesso una sghignazzata -violenta: “Amami, caro Brighenti; e ridiamo -insieme alle spalle di questi.... che possiedono -l'orbe terraqueo. Il mondo è fatto al rovescio, -come quei dannati di Dante che avevano il.... -dinanzi e il petto di dietro, e le lagrime strisciavano -giù per lo fesso. E ben sarebbe più -ridicolo il volerlo raddrizzare, che il contentarsi -di stare a guardarlo e fischiarlo....„ -Questo concetto dell'opportunità del riso si -ribadisce in lui; è espresso altre volte più -pacatamente. “L'indifferenza e l'allegria sono -le uniche passioni proprie, non solamente dei -savi, ma di tutti quelli che hanno pratica delle -cose umane, e talento per profittare dell'esperienza.„ -Meglio: “Chi ha coraggio di ridere, -è padrone del mondo, poco altrimenti di chi -è preparato a morire.„ E ancora: Eleandro -<span class="pagenum" id="Page_247">[247]</span> -riconosce che se sì dolesse piangendo, darebbe -noia agli altri ed a sè stesso, senza alcun -frutto: “Ridendo dei nostri mali trovo qualche -conforto; e procuro di recarne altrui nello stesso -modo. Se questo non mi vien fatto, tengo pure -per fermo che il ridere dei nostri mali sia -l'unico profitto che se ne possa cavare, e l'unico -rimedio che vi si trovi. Dicono i poeti -che la disperazione ha sempre nella bocca un -sorriso. Non dovete pensare che io non compatisca -all'infelicità umana. Ma non potendovisi -riparare con nessuna forza, nessuna arte, -nessuna industria, nessun patto; stimo assai -più degno dell'uomo e di una disperazione -magnanima, il ridere dei mali comuni, che il -mettermene a sospirare, lacrimare e stridere -insieme cogli altri, o incitandoli a fare altrettanto.„ -</p> - -<p> -E Giacomo Leopardi si vendica infatti col -riso di tutte quelle cose delle quali si è doluto -o ha dimostrato la fallacia. Come dell'ultima -donna amata, così pure ride di tutte -le altre e di se stesso che le aveva deificate. -“Coteste dee sono così benigne, che -quando alcuno vi si accosta, in un tratto ripiegano -la loro divinità, si spiccano i raggi -d'attorno e se li pongono in tasca, per non -abbagliare il mortale che si fa innanzi.„ E -se la colpa non è loro, ma dell'immaginazione -che va cercando una perfezione fuor dell'umano, -egli riderà di questa aspettativa, facendo -<span class="pagenum" id="Page_248">[248]</span> -decretare un premio dall'Accademia dei Sillografi. -Tutti non si lodano “<i>del fortunato secolo -in cui siamo</i>„ per i progressi della scienza, -per gli adattamenti dei ritrovati scientifici alla -vita pratica? Questa età non si può chiamare -l'età delle macchine, “non solo perchè gli -uomini di oggidì procedono e vivono forse più -meccanicamente di tutti i passati, ma eziandio -per rispetto al grandissimo numero delle macchine -inventate di fresco ed accomodate o che -si vanno tutto giorno trovando ed accomodando -a tanti e così vari esercizi, che oramai -non gli uomini ma le macchine, si può dire, -trattano le cose umane e fanno le opere della -vita„? Allora l'Accademia dei Sillografi bandisce -un concorso per una macchina “disposta -a fare gli uffici di una donna conforme a quella -immaginata, parte dal conte Baldassare Castiglione, -il quale descrive il suo concetto nel -libro del <i>Cortegiano</i>, parte da altri, i quali -ne ragionarono in vari scritti che si troveranno -senza fatica, e si avranno a consultare -e seguire, come eziandio quello del Conte. Nè -ancora l'invenzione di questa macchina dovrà -parere impossibile agli uomini dei nostri tempi, -quando pensino che Pigmalione in tempi antichissimi -ed alieni dalle scienze, si potè fabbricare -la sposa colle proprie mani, la quale -si tiene che fosse la miglior donna che sia -stata insino al presente. Assegnasi all'autore -di questa macchina una medaglia d'oro in peso -<span class="pagenum" id="Page_249">[249]</span> -di cinquecento zecchini, in sulla quale sarà -figurata da una parte l'araba fenice del Metastasio -posata sopra una pianta di specie -europea, dall'altra sarà scritto il nome del premiato -col titolo: <span class="smcap">Inventore delle donne fedeli -e della felicità coniugale</span>.„ -</p> - -<p> -Più acuto, più stridente è il suo riso contro -gli uomini. Il regno delle macchine dev'essere -salutato con gioia perchè ci affida che col -tempo si troveranno congegni da servire non -alle sole cose materiali, ma anche alle spirituali; -“onde nella guisa che per virtù di esse -macchine siamo già liberi e sicuri dalle offese -dei fulmini e delle grandini, e da molti simili -mali e spaventi, così di mano in mano si -abbiano a ritrovare, per modo di esempio (e -facciasi grazia alla novità dei nomi) qualche -parainvidia, qualche paracalunnie o paraperfidia -o parafrodi, qualche filo di salute o -altro ingegno che ci scampi dall'egoismo, dal -predominio della mediocrità, dalla prospera -fortuna degl'insensati, de' ribaldi e de' vili, -dall'universale noncuranza e dalla miseria -dei saggi, de' costumati e de' magnanimi....„ -E l'Accademia, con la donna perfetta, mette -a concorso una macchina che rappresenti un -amico, “il quale non biasimi e non motteggi -l'amico assente; non lasci di sostenerlo quando -l'oda riprendere o porre in giuoco; non -anteponga la fama di acuto e di mordace, e -l'ottenere il riso degli uomini, al debito dell'amicizia; -<span class="pagenum" id="Page_250">[250]</span> -non divulghi, o per altro effetto o -per aver materia da favellare o da ostentarsi, -il segreto commessogli; non si prevalga della -familiarità e della confidenza dell'amico a soppiantarlo -e soprammontarlo più facilmente; non -porti invidia ai vantaggi di quello; abbia cura -del suo bene e di ovviare o riparare a' suoi -danni, e sia pronto alle sue domande e a' suoi -bisogni, altrimenti che in parole....„ <span class="smcap">Primo -verificatore delle favole antiche</span> sarà il -motto inciso sopra una faccia della medaglia -da conferirsi in premio; e le immagini di Pilade -e Oreste saranno ritratte nell'altra. Un -simbolo dell'età dell'oro e le parole dell'egloga -virgiliana: <span class="smcap">Quo ferrea primum desinet ac -toto surget gens aurea mundo</span> saranno stampati -nella medaglia offerta a chi inventerà “un -uomo artificiale a vapore, atto e ordinato a -fare opere virtuose e magnanime. L'Accademia -reputa che i vapori, poichè altro mezzo non -pare che vi si trovi, debbano essere di profitto -a infervorare un semovente e indirizzarlo -agli esercizi della virtù e della gloria....„ -</p> - -<p> -Vapori, larve, fantasmi, illusioni, nomi: -nient'altro sono le cose alle quali gli uomini -credono, per le quali combattono. I beni non -si trovano, sono soltanto nell'immaginazione -che se li dipinge, che li aspetta nel futuro e -non ricorda di averli trovati mai nel passato. -Di questo inganno riderà il Passeggiere col -venditore di Almanacchi, il quale, promettendo -<span class="pagenum" id="Page_251">[251]</span> -che l'anno nuovo sarà felicissimo, non sa dire -a quale vorrebbe che somigliasse dei venti -passati da che vende lunarii. “Non vi ricordate -di nessun anno in particolare, che vi paresse -felice?„ — “No in verità, illustrissimo.„ — “E -pure la vita è una cosa bella. Non è -vero?„ — “Cotesto si sa.„ — “Non tornereste -voi a vivere cotesti vent'anni, e anche -tutto il tempo passato, cominciando da che -nasceste?„ — “Eh, caro signore, piacesse a -Dio che si potesse.„ — “Ma se aveste a rifare -la vita che avete fatta nè più nè meno, -con tutti i piaceri e i dispiaceri che avete -passati?„ — “Cotesto non vorrei.„ — “Oh -che altra vita vorreste rifare? la vita ch'ho -fatta io, quella del principe, o di chi altro?...„ -</p> - -<p> -Udite come ride della gloria, che fu uno -dei maggiori suoi struggimenti: “L'anno ottocento -trentatremila dugento settantacinque del -regno di Giove, il collegio delle Muse diede -fuora in istampa, e fece appiccare nei luoghi -pubblici della città e dei borghi d'Ipernéfelo, -diverse cedole, nelle quali invitava tutti gli -Dei maggiori e minori, e gli altri abitatori -della detta città, che recentemente o in antico -avessero fatto qualche lodevole invenzione, a -proporla, o effettualmente o in figura o per -iscritto, ad alcuni giudici deputati da esso collegio. -E scusandosi che per la sua nota povertà -non si poteva dimostrare così liberale -come avrebbe voluto, prometteva in premio a -<span class="pagenum" id="Page_252">[252]</span> -quello il cui ritrovamento fosse giudicato più -bello o più fruttuoso, una corona di lauro, con -privilegio di poterla portare in capo il dì e la -notte, privatamente e pubblicamente, in città -e fuori; e poter essere dipinto, scolpito, inciso, -gittato, figurato in qualunque modo e -materia, col segno di quella corona dintorno -al capo....„ Presentate le invenzioni ai giudici, -tre sono i premiati: Bacco per l'invenzione -del vino, Minerva per quella dell'olio e -Vulcano per aver trovato una “pentola di rame, -detta economica, che serve a cuocere che che -sia con piccolo fuoco e speditamente....„ Dovendosi -pertanto dividere in tre parti la corona, -resta a ciascuno soltanto un ramoscello -di lauro; ma tutti e tre rifiutano sì la parte -che il tutto: Vulcano perchè, dovendo stare -sempre al fuoco, non vuol mettersi quell'ingombro -pericoloso sulla fronte; Minerva perchè -le basta l'elmo; Bacco perchè non vuol -mutare la sua mitra e la sua corona di pampini -per quella di lauro: “l'avrebbe accettata -volentieri se gli fosse stato lecito di metterla -per insegna fuori della sua taverna; ma le -Muse non consentirono di dargliela per questo -effetto: di modo che ella si rimase nel loro -comune erario....„ -</p> - -<p> -Ride della gloria che l'esperienza gli ha -dimostrato essere una parola, non una cosa; -riderà, se non della patria, dei compatriotti -che non hanno saputo restaurare la fortuna -<span class="pagenum" id="Page_253">[253]</span> -d'Italia. I <i>Paralipomeni della Batracomiomachia</i> -sono tutta una satira dei moti del Trentuno, -delle azioni e dei costumi di quel tempo. -Le rane rappresentano i preti, i topi gl'Italiani -che bandiscono la guerra ai granchi, ai -Tedeschi, e poi scappano appena se li trovano -a fronte: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Guerra tonar per tutte le concioni</p> -<p class="i01">Udito avreste tutti gli oratori,</p> -<p class="i01">Leonidi, Temistocli e Cimoni,</p> -<p class="i01">Muzi Scevola, Fabi dittatori,</p> -<p class="i01">Deci, Aristidi, Codri e Scipioni,</p> -<p class="i01">E somiglianti eroi de' lor maggiori</p> -<p class="i01">Iterar ne' consigli e tutto il giorno</p> -<p class="i01">Per le bocche del volgo andare attorno.</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Guerra sonar canzoni e canzoncine</p> -<p class="i01">Che il popolo a cantar prendea diletto;</p> -<p class="i01">Guerra ripeter tutte le officine,</p> -<p class="i01">Ciascuna al modo suo col proprio effetto.</p> -<p class="i01">Lampeggiavan per tutte le fucine,</p> -<p class="i01">Lancioni, armi del corpo, armi del petto,</p> -<p class="i01">E sonore minacce in tutti i canti</p> -<p class="i01">S'udiano, e d'amor patrio ardori e vanti.</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01 dotted">. . . . . . . . . . . . . .</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Eran le due falangi a fronte a fronte</p> -<p class="i01">Già dispiegate ed a pugnar vicine,</p> -<p class="i01">Quando da tutto il pian, da tutto il monte</p> -<p class="i01">Dièrsi a fuggir le genti soricine.</p> -<p class="i01">Come non so, ma nè ruscel nè fonte,</p> -<p class="i01">Balza nè selva al corso lor diè fine.</p> -<p class="i01">Fuggirian credo ancor, se i fuggitivi</p> -<p class="i01">Tanto tempo il fuggir serbasse vivi.</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Fuggiro al par del vento, al par del lampo....</p> -</div></div> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_254">[254]</span> -</p> - -<p> -E quando poi sono al sicuro, i millantatori recitano -la commedia della Carboneria: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Allor nacque fra' topi una follia</p> -<p class="i01">Degna di riso più che di pietade,</p> -<p class="i01">Una setta che andava e che venìa</p> -<p class="i01">Congiurando a grand'agio per le strade,</p> -<p class="i01">Ragionando con forza e leggiadria</p> -<p class="i01">D'amor patrio, d'onor, di libertade,</p> -<p class="i01">Fermo ciascun, se si venisse all'atto,</p> -<p class="i01">Di fuggir come dianzi avevan fatto....</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Il pelame del muso e le basette</p> -<p class="i01">Nutrian folte e prolisse oltre misura,</p> -<p class="i01">Sperando, perchè il pelo ardir promette,</p> -<p class="i01">D'avere, almeno ai topi, a far paura.</p> -<p class="i01">Pensosi in su i caffè con le gazzette</p> -<p class="i01">Fra man, parlando della lor congiura,</p> -<p class="i01">Mostraronsi ogni giorno, e poi le sere</p> -<p class="i01">Cantando arie sospette ivano a schiere....</p> -</div></div> - -<p> -Ma che è la miseria degl'Italiani paragonata -alla miseria di tutto il mondo? Ecco Ercole -presentarsi da parte di Giove al padre -Atlante, ed offrirgli di sollevarlo per qualche -ora dal peso della terra che il vecchio regge -sulle spalle: “Ma il mondo è fatto così leggiero,„ -gli risponde Atlante, “che questo mantello -che porto per custodirmi dalla neve, mi -pesa di più; e se non fosse che la volontà di -Giove mi sforza di stare qui fermo, e tenere questa -pallottola sulla schiena, io me la porrei sotto -l'ascella o in tasca, o me l'attaccherei ciondolone -a un pelo della barba, e me n'andrei per -le mie faccende.„ Ed Ercole, provato a tenerla -<span class="pagenum" id="Page_255">[255]</span> -un poco in mano, sente che Atlante ha -detto il vero, e s'accorge d'un'altra novità: -che il mondo è muto, non batte più di “un -oriuolo che abbia rotta la molla„; per destarlo, -vorrebbe fargli toccare una buona picchiata -di clava; ma ha paura di farne una cialda o -di romperlo come un uovo. “E anche non mi -assicuro che gli uomini che al tempo mio combattevano -a corpo a corpo coi leoni e adesso -colle pulci, non tramortiscano dalla percossa -tutti in un tratto.„ Allora i due numi si mettono -a giocare alla palla con la terra; ma -essa piglia vento, perchè è leggera: “Cotesta -è sua pecca vecchia, di andare a caccia del -vento....„ Anche il Folletto e lo Gnomo vedono -un giorno che gli uomini sono tutti -morti e che, nondimeno, il mondo, creato secondo -quei petulanti per loro uso e consumo -soltanto, dura ancora. “E non volevano -intendere che egli è fatto e mantenuto per li -folletti„, esclama il Folletto; e lo Gnomo: -“Eh, buffoncello, va' via. Chi non sa che il -mondo è fatto per gli gnomi?„ — “Per gli -gnomi, che stanno sempre sotterra? Oh questa -è la più bella che si possa udire! Che fanno -agli gnomi il sole, la luna, l'aria, il mare, -le campagne?„ — “Che fanno ai folletti le -cave d'oro e d'argento, e tutto il corpo della -terra fuor che la prima pelle?...„ Ma la ridicola -contesa finisce, perchè i due presuntuosi -interlocutori si accordano nel beffarsi -<span class="pagenum" id="Page_256">[256]</span> -dell'arroganza degli uomini. Non dicevano costoro -che la roba degli gnomi, sepolta sotto -terra, apparteneva al genere umano? “Che -meraviglia? Quando non solamente si persuadevano -che le cose del mondo non avessero -altro ufficio che di stare al servizio loro, ma -facevano conto che tutte insieme, allato al genere -umano, fossero una bagattella. E però le -loro proprie vicende le chiamavano rivoluzioni -del mondo, e le storie delle loro genti, storie -del mondo.... — Le zanzare e le pulci erano -anch'esse fatte per benefizio degli uomini? — Sì, -per esercitarli nella pazienza!„ Anche i -porci, “secondo Crisippo, erano pezzi di carni -apparecchiati dalla natura a posta per le cucine -e le dispense degli uomini, e, acciocchè -non imputridissero, condite colle anime invece -di sale....„ E il più bello è che di tanti generi -d'animali o di piante cotesti uomini non -avevano notizia, pure credendo che tutto fosse -al mondo per loro! “Parimente di tratto in -tratto, per via de' loro cannocchiali, si avvedevano -di qualche stella o pianeta, che insino -allora, per migliaia e migliaia d'anni, non avevano -mai saputo che fosse al mondo; e subito -la scrivevano tra le loro masserizie, perchè -s'immaginavano che le stelle e i pianeti -fossero, come dire, moccoli da lanterna piantati -lassù nell'alto a uso di far lume alle signorie -loro, che la notte avevano gran faccende. — Sicchè -in tempo di state, quando -<span class="pagenum" id="Page_257">[257]</span> -vedevano cadere di quelle fiammoline che certe -notti vengono giù per l'aria, avranno detto che -qualche spirito andava smoccolando le stelle -per servizio degli uomini....„ -</p> - -<p> -Questo argomento di risa è inesauribile. La -Terra, ragionando con la Luna, le chiede se -è abitata da uomini, se i suoi abitanti l'hanno -conquistata “per ambizione, per cupidigia dell'altrui, -colle arti politiche, colle armi„; tutte -parole delle quali la Luna sconosce il senso. -“Perdona, monna Terra, se io ti rispondo un -poco più liberamente che forse non converrebbe -a una tua suddita o fantesca, come io -sono. Ma in vero che tu mi riesci peggio che -vanerella a pensare che tutte le cose di qualunque -parte del mondo sieno conformi alle -tue; come se la natura non avesse avuto altra -intenzione che di copiarti puntualmente da -per tutto....„ E dove lasciamo l'imbarazzo del -povero Copernico, quando il Sole, stanco, secondo -il sistema tolemaico, “del continuo andare -attorno per far lume a quattro animaluzzi -che vivono in un pugno di fango„, delibera -di non muoversi più e ordina all'astronomo -di far muovere invece, per amore o per -forza, la Terra, che fino a quel giorno ha creduto -di sedere come in trono, mentre ognuno -degli uomini suoi abitatori, “se ben fosse un -vestito di cenci e che non avesse un cantuccio -di pan duro da rodere, si è tenuto per -certo di essere uno imperatore; non mica di -<span class="pagenum" id="Page_258">[258]</span> -Costantinopoli o di Germania, ovvero della -metà della Terra, come erano gli imperatori -romani; ma un imperatore dell'universo; un -imperatore del sole, dei pianeti, di tutte le -stelle visibili e non visibili; e causa finale -delle stelle, dei pianeti, di vostra signoria illustrissima, -e di tutte le cose.„ Fare che la -Terra lasci il suo posto al centro dell'universo, -“ch'ella corra, ch'ella si rotoli, ch'ella -si affanni di continuo, che eseguisca quel tanto, -nè più ne meno, che si è fatto di qui addietro -dagli altri globi; in fine, ch'ella divenga -del numero dei pianeti; questo porterà seco -che sua maestà terrestre, e le loro maestà -umane, dovranno sgomberare il trono, e lasciar -l'impero; restandosene però tuttavia co' -loro cenci, e colle loro miserie, che non sono -poche....„ Il malcapitato astronomo si dispone -tuttavia a tentare l'impresa, ma trova ancora -una certa difficoltà e la sottopone al Sole: -“Che io non vorrei, per questo fatto, essere -abbruciato vivo, a uso della fenice: perchè, -accadendo questo, io sono sicuro di non avere -a risuscitare dalle mie ceneri come fa quell'uccello, -e di non vedere mai più, da quell'ora -innanzi, la faccia della signoria vostra.„ -E il Sole lo rassicura che non patirà nulla, -sebbene “forse, dopo te, ad alcuni i quali -approveranno quello che tu avrai fatto, potrà -essere che tocchi qualche scottatura, o altra -cosa simile....„ -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_259">[259]</span> -</p> - -<p> -E gli uomini, questi medesimi uomini che -hanno torturato chi ha loro insegnato le verità, -credono alla propria eccellenza! L'umorista -trarrà ancora da questa superba pretesa -le sue risa più sonore. Prometeo è -malcontento della sentenza del collegio delle -Muse: il vino, l'olio e le pentole sono stati -preferiti all'invenzione sua: il genere umano, -il modello di terra col quale egli formò i primi -uomini. E quando Momo dubita che l'uomo -sia la miglior opera, la più perfetta creatura -del mondo, l'inventore scommette di scendere -con lui nelle cinque parti del globo per farlo -ricredere. Calati in America, si trovano fra -i Cannibali, dove un selvaggio mangia arrostito -il corpo del proprio figliuolo; calati in -Asia, trovano che una vedova è arsa viva, -come vuole la legge, insieme col morto marito. -Prometeo non si dà per vinto, considerando -che tutti costoro sono barbari, e aspetta -di visitare l'Europa civile; ma il suo compagno -già gli fa osservare che se gli uomini -fossero un genere perfetto, non avrebbero bisogno -d'incivilirsi, non dovrebbero essere distinti -in barbari e civili; e che la parte incivilita -è troppo piccola, paragonatamente a -tutta l'altra; e che questa famosa civiltà di -Parigi e di Filadelfia non è ancora compiuta; -e che, per arrivare a un grado incompiuto di -civiltà, gli uomini hanno dovuto penare per -un tempo lunghissimo; e che le loro invenzioni -<span class="pagenum" id="Page_260">[260]</span> -più singolari e proficue hanno avuto origine -dal semplice caso; e che la civiltà, una -volta ottenuta, non è stabile, ma può cadere -e disperdersi, come tante volte è successo, secondo -insegnano le storie. Per tutte queste -ragioni, la sentenza di Prometeo non sarà -da modificare dicendo che il genere umano è -sommo, sì, ma nell'imperfezione anzichè nella -perfezione?.... Prometeo non risponde, e cala -con il compagno a Londra; dove vedono una -gran folla attorno a una casa: un uomo si -è ucciso, ed ha ucciso con sè i figliuoli, non -già per esser povero, o disperato, o infelice; -ma per tedio della vita, lasciando raccomandato -a un amico il suo cane.... “Momo stava -per congratularsi con Prometeo sopra i buoni -effetti della civiltà, e sopra la contentezza che -appariva ne risultasse alla nostra vita, e voleva -anche rammemorargli che nessun altro -animale fuori dell'uomo, si uccide volontariamente -esso medesimo, nè spegne per disperazione -della vita i figliuoli: ma Prometeo lo -prevenne, e senza curarsi di vedere le due -parti del mondo che rimanevano, gli pagò la -scommessa.„ -</p> - -<p> -Così, quantunque il Leopardi abbia voluto -assicurare che il suo riso sia noncurante, esso -viene dal dolore ed è pieno di dolore. L'ironia -si alterna col pessimismo; certe volte, come -nella <i>Palinodia</i>, si confonde con esso. Se per la -sua sfiducia nella vita e nell'umanità vede che -<span class="pagenum" id="Page_261">[261]</span> -ridono di lui, ridendo egli confessa al Capponi -d'avere errato e assicura di essersi ricreduto: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Aureo secolo omai volgono, o Gino,</p> -<p class="i01">I fusi delle Parche. Ogni giornale,</p> -<p class="i01">Gener vario di lingue e di colonne,</p> -<p class="i01">Da tutti i lidi lo promette al mondo</p> -<p class="i01">Concordemente. Universale amore,</p> -<p class="i01">Ferrate vie, molteplici commerci,</p> -<p class="i01">Vapor, tipi e <i>cholèra</i> i più divisi</p> -<p class="i01">Popoli e climi stringeranno insieme:</p> -<p class="i01">Nè meraviglia fia se pino o quercia</p> -<p class="i01">Suderà latte e mèle, o s'anco al suono</p> -<p class="i01">D'un <i>walser</i> danzerà. Tanto la possa</p> -<p class="i01">Infin qui de' lambicchi e delle storte</p> -<p class="i01">E le macchine al cielo emulatrici</p> -<p class="i01">Crebbero, e tanto cresceranno al tempo</p> -<p class="i01">Che seguirà; poichè di meglio in meglio</p> -<p class="i01">Senza fin vola e volerà mai sempre</p> -<p class="i01">Di Sem, di Cam e di Giapeto il seme.</p> -</div></div> - -<p> -Perciò gli uomini non mangeranno più ghiande — se -la fame non li costringerà; il danaro sarà -disprezzato — ma saranno tenute da conto le -cambiali. E la guerra non cesserà, e il vero -merito sarà sfortunato, e la frode regnerà sempre, -e della forza si farà sempre abuso. Ma se -queste “lievi reliquie„ del passato resteranno -in mezzo all'età dell'oro, -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i09"> nelle cose</p> -<p class="i01">Più gravi, intera, e non veduta innanzi,</p> -<p class="i01">Fia la mortal felicità. Più molli</p> -<p class="i01">Di giorno in giorno diverran le vesti</p> -<p class="i01">di lana o di seta. I rozzi panni</p> -<p class="i01">Lasciando a prova agricoltori e fabbri,</p> -<p class="i01">Chiuderanno in coton la scabra pelle,</p> -<p class="i01">E di castoro copriran le schiene.</p> -<p class="i01"><span class="pagenum" id="Page_262">[262]</span></p> -<p class="i01">Meglio fatti al bisogno, o più leggiadri</p> -<p class="i01">Certamente a veder, tappeti e coltri,</p> -<p class="i01">Seggiole, canapè, sgabelli e mense.</p> -<p class="i01">Letti ed ogni altro arnese, adorneranno</p> -<p class="i01">Di lor menstrua beltà gli appartamenti;</p> -<p class="i01">E nove forme di paiuoli, e nove</p> -<p class="i01">Pentole ammirerà l'arsa cucina.</p> -</div></div> - -<p> -Egli continua così a deridere, fingendo d'ammirarlo, -il progresso umano; quando a un tratto -depone l'ironia e torna alla sfiducia, alla persuasione -del dolore: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Quale un fanciullo, con assidua cura,</p> -<p class="i01">Di fogliolini e di fuscelli, in forma</p> -<p class="i01">O di tempio o di torre o di palazzo,</p> -<p class="i01">Un edifizio innalza; e come prima,</p> -<p class="i01">Fornito il mira, ad atterrarlo è volto,</p> -<p class="i01">Perchè gli stessi a lui fuscelli e fogli</p> -<p class="i01">Per novo lavorìo son di mestieri;</p> -<p class="i01">Così natura ogni opra sua, quantunque</p> -<p class="i01">D'alto artificio a contemplar, non prima</p> -<p class="i01">Vede perfetta, ch'a disfarla imprende,</p> -<p class="i01">Le parti sciolte dispensando altrove.</p> -</div></div> - -<p> -E poichè le cose umane sono distrutte da -questa natura crudele, -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i03"> varia, infinita una famiglia</p> -<p class="i01">Di mali immedicabili e di pene</p> -<p class="i01">Preme il fragil mortale, a perir fatto</p> -<p class="i01">Irreparabilmente: indi una forza</p> -<p class="i01">Ostil, distruggitrice, e dentro il fere</p> -<p class="i01">E di fuor da ogni lato, assidua, intenta,</p> -<p class="i01">Dal dì che nasce; e l'affatica e stanca,</p> -<p class="i01">Essa indefatigata; insin ch'ei giace</p> -<p class="i01">Alfin dall'empia madre oppresso e spento....</p> -</div></div> - -<p> -L'ironia e il pessimismo tornano ancora a -<span class="pagenum" id="Page_263">[263]</span> -darsi la mano. La Morte, nel concetto disperato -del Leopardi, fu sorella dell'Amore; quando -egli vuol riderne, ma d'un funebre riso, la -considera come sorella della Moda: entrambe -non sono figlie della Caducità? “Nemica capitale -della memoria„, la Morte non se ne vuole -rammentare; ma la Moda se ne ricorda bene: -“So che l'una e l'altra tiriamo parimente a -disfare e a rimutare di continuo le cose di -quaggiù, benchè tu vada a questo effetto per -una strada e io per un'altra.... Dico che la -nostra natura e usanza comune è di rinnovare -continuamente il mondo; ma tu fino da principio -ti gittasti alle persone e al sangue; io -mi contento per lo più delle barbe, dei capelli, -degli abiti, delle masserizie, dei palazzi -e di cose tali. Ben è vero che io non sono -però mancata e non manco di fare parecchi -giuochi da paragonare ai tuoi, come verbigrazia -sforacchiare quando orecchi, quando -labbra e nasi, e stracciarli con bazzecole che -io v'appicco per li fori; abbruciacchiare le -carni degli uomini con istampe roventi che io -fo che essi v'improntino per bellezza; formare -le teste dei bambini con fasciature e altri ingegni, -mettendo per costume che tutti gli uomini -del paese abbiano a portare il capo d'una -figura, come ho fatto in America e in Asia; -storpiare genti con le calzature snelle, chiuderle -il fiato e fare che gli occhi le scoppino -dalla strettura dei bustini; e cento altre cose -<span class="pagenum" id="Page_264">[264]</span> -di questo andare. Anzi, generalmente parlando, -io persuado e costringo tutti gli uomini gentili -a sopportare ogni giorno mille fatiche e -mille disagi, e spesso dolori e strazi, e qualcuno -a morire gloriosamente per l'amore che -mi portano. Io non vo' dire nulla dei mali di -capo, delle infreddature, delle flussioni di ogni -sorta, delle febbri quotidiane, terzane, quartane, -che gli uomini si guadagnano per ubbidirmi, -consentendo di tremare dal freddo o -affogare dal caldo secondo che io voglio, difendersi -le spalle coi panni lani, e il petto -con quei di tela, e fare d'ogni cosa a mio -modo ancorchè sia con loro danno.„ E la -Morte comincia a persuadersi della parentela; -e mentre la trista sorella le galoppa al fianco, -ella le chiede, come massima prova del legame -che le stringe, di aiutarla a compiere l'opera -propria. Ma la Moda non l'ha già aiutata? -Costei che annulla e stravolge continuamente -tutti gli usi, ha mai lasciato smettere in nessun -luogo la pratica del morire?... Se questo -non bastasse, non ha ella mandato in disuso -l'antico genere di vita che giovava alla prosperità -dei corpi, e introdottone altri perniciosissimi -alla salute? Non ha ella messo nel mondo -moderno tali ordini e costumi “che la vita -stessa, così per rispetto del corpo come dell'animo, -è più morta che viva; tanto che questo -secolo si può dire con verità che sia proprio -il secolo della morte? E quando che anticamente -<span class="pagenum" id="Page_265">[265]</span> -tu non avevi altri poderi che fosse -e caverne, dove tu seminavi ossami e polverumi -al buio, che sono semenze che non fruttano; -adesso hai terreni al sole; e genti che -si muovono e che vanno attorno co' loro piedi, -sono roba, si può dire, di tua ragione libera, -ancorchè tu non le abbia mietute, anzi subito -che elle nascono.„ Ma l'opera della Moda più -proficua alla Morte è questa: che mentre per -l'addietro costei era odiata, “oggi per opera -mia le cose sono ridotte in termine che chiunque -ha intelletto ti pregia e loda, anteponendoti -alla vita, e ti vuol tanto bene che sempre -ti chiama e ti volge gli occhi come alla -sua maggiore speranza.„ E mentre prima gli -uomini credevano di poter essere immortali, -cioè di non morire interamente, la Moda, quantunque -sapesse “che queste erano ciance, e -che quando costoro vivessero nella memoria -degli uomini, vivevano, come dire, da burla, -e non godevano della loro fama più che si -patissero dell'umidità della sepoltura„, pure, -dice alla Morte, “intendendo che questo negozio -degl'immortali ti scottava, perchè pareva che -ti scemasse l'onore e la riputazione, ho levata -via quest'usanza di cercare l'immortalità, ed -anche di concederla in caso che pure alcuno -la meritasse. Di modo che al presente, chiunque -si muoia, sta' sicura che non ne resta un -briciolo che non sia morto, e che gli conviene -andare subito sotterra tutto quanto, come un -<span class="pagenum" id="Page_266">[266]</span> -pesciolino che sia trangugiato in un boccone -con tutta la testa e le lische....„ -</p> - -<p> -Così egli torna a ridere di quella gloria -della quale altrove ha dimostrata la fallacia. -Ma quando vede la vanagloria degli uomini, -quantunque dica di non sapere “se il riso o -la pietà prevale„, il riso prevale effettivamente. -Se egli sorride dell'amore, della fama, -della patria, il suo sorriso è o più amaro o -più contenuto; nel considerare la superbia del -secolo, la boria degli uomini, e nel paragonarle -alla loro reale impotenza, alla miseria -dei loro risultati, l'umorismo scaturisce naturalmente, -più schietto, più efficace. Momo ha -fatto un lungo ragionamento per disingannare -Prometeo e dimostrargli che il genere umano -è sommo nell'imperfezione; Eleandro risponde -più brevemente a Timandro quando questi sostiene -che l'uomo non è ancora perfetto, ma -certo sarà tale col tempo: “Nè io ne dubito. -Questi pochi anni che sono corsi dal principio -del mondo al presente, non potevano bastare; -e non se ne dee far giudizio dell'indole, -del destino e delle facoltà dell'uomo: -oltre che si sono avute altre faccende per le -mani. Ma ora non si attende ad altro che a -perfezionare la nostra specie....„ La risata è -più sincera, più fresca. Udite la conclusione: -“Circa la perfezione dell'uomo, io vi giuro, -che se fosse conseguita, avrei scritto almeno -un tomo in lode del genere umano. Ma poichè -<span class="pagenum" id="Page_267">[267]</span> -non è toccato a me di vederla, e non -aspetto che mi tocchi in vita, sono disposto -di assegnare per testamento una buona parte -della mia roba ad uso che quando il genere -umano sarà perfetto, se gli faccia e pronuncisi -pubblicamente un panegirico tutti gli anni; -e anche gli sia rizzato un tempietto all'antica, -una statua, o quello che sarà creduto -a proposito....„ -</p> - -<p> -Nondimeno Timandro ha ragione di chiamare -maligno il suo interlocutore; e il riso, -che doveva essere il conforto di quest'ultimo, -non lo salva dalla disperazione. Se egli ride -degli uomini, e non li odia, e non si sdegna -dei loro vizi e delle loro colpe, ciò accade -perchè sente che, posto nelle stesse circostanze -dei viziosi e dei colpevoli, sarebbe macchiato -o capace degli stessi loro difetti: “Riserbo -sempre l'adirarmi a quella volta che io vegga -una malvagità che non possa aver luogo nella -natura mia: ma fin qui non ne ho potuto vedere....„ -E ancora egli non capisce “questo -continuo presupporre che si fa scrivendo e -parlando, certe qualità umane che ciascuno sa -che oramai non si trovano in uomo nato, e -certi enti razionali o fantastici, adorati già -lungo tempo addietro, ma ora tenuti internamente -per nulla e da chi gli nomina, e da -chi gli ode nominare. Che si usino maschere -e travestimenti per ingannare gli altri, o per -non essere conosciuti; non mi pare strano: -<span class="pagenum" id="Page_268">[268]</span> -ma che tutti vadano mascherati con una stessa -forma di maschere, e travestiti a uno stesso -modo, senza ingannare l'un l'altro, e conoscendosi -ottimamente tra loro; mi riesce una fanciullaggine....„ -E insomma: “l'ultima conclusione -che si ricava dalla filosofia vera e perfetta, -si è, che non bisogna filosofare. Dal che s'inferisce -che la filosofia, primieramente è inutile, -perchè a questo effetto di non filosofare, -non fa bisogno esser filosofo; secondariamente -è dannosissima,„ perchè insegna “la vanità -delle cose.„ Ancora una volta le risa finiscono -in lacrime. -</p> - -<p> -Sarà da stupire? Non era anzi meraviglioso -che, nella profondità del suo dolore, egli trovasse -la possibilità di ridere? Egli stesso se -ne è stupito. “Cosa certamente mirabile è -questa, che nell'uomo, il quale in fra tutte le -creature è la più travagliata e misera, si trovi -la facoltà del riso.... Mirabile cosa si è l'uso -che noi facciamo di questa facoltà: poichè si -veggono molti in qualche fierissimo accidente, -altri in grande tristezza d'animo, altri che -quasi non serbano alcuno amore alla vita, -certissimi della vanità di ogni bene umano, -presso che incapaci di ogni gioia, nondimeno -ridere....„ E il riso sarà per lui “specie di -pazzia non durabile, o pure di vaneggiamento -o delirio„, perchè “gli uomini, non essendo -mai soddisfatti nè mai dilettati veramente da -cosa alcuna, non possono aver causa di riso -<span class="pagenum" id="Page_269">[269]</span> -che sia ragionevole e giusta.„ È vero che il -riso è ignoto, come agli animali, anche ai popoli -che sono nello stato primitivo; e che è -cresciuto, si può dire, colla civiltà; ma poichè -la civiltà è corruzione, se ne dovrà dedurre -che il riso oggi “supplisce per qualche modo -alle parti esercitate in altri tempi dalla virtù, -dalla giustizia, dall'onore e simili....„ Esso -sarà pertanto una cosa triste e disperata più -che la stessa imprecazione, porterà agli stessi -risultati della riflessione dolorosa. Ragionando, -il Leopardi estende il suo pessimismo a tutto -l'universo creato; la stessa cosa fa ridendo. -La Terra si ostina a interrogare la Luna: -“Io vorrei sapere se veramente, secondo che -scrive l'Ariosto, tutto quello che ciascun uomo -va perdendo; come a dire la gioventù, la bellezza, -la sanità, le fatiche e spese che si mettono -nei buoni studi per essere onorati dagli -altri, nell'indirizzare i fanciulli ai buoni costumi, -nel fare o promuovere istituzioni utili; -tutto sale e si raguna costà: di modo che vi -si trovano tutte le cose umane; fuori della -pazzia, che non si parte dagli uomini? In -caso che questo sia vero, io fo conto che tu -debba essere così piena, che non ti avanzi -più luogo; specialmente che, negli ultimi tempi, -gli uomini hanno perduto moltissime cose (verbigrazia -l'amor patrio, la virtù, la magnanimità, -la rettitudine) non già solo in parte, e -l'uno o l'altro di loro, come per l'addietro, ma -<span class="pagenum" id="Page_270">[270]</span> -tutti e interamente. E certo che se elle non -sono costì, non credo si possano trovare in -altro luogo. Però vorrei che noi facessimo una -convenzione, per la quale tu mi rendessi di -presente, e poi di mano in mano, tutte queste -cose; donde io credo che tu medesima abbi -caro di essere sgomberata, massime del senno, -il quale intendo che occupa costì un grandissimo -spazio; ed io ti farei pagare dagli uomini -tutti gli anni una buona somma di danari.„ -Ma la Luna neppure intende di che cosa il -pianeta le chiede notizia; e solo quando la -Terra le domanda se sono presso di lei in -uso i vizii, i misfatti, gl'infortunii, i dolori, la -vecchiezza; allora il satellite capisce tutti -questi nomi e le cose da essi significate, perchè -ne è pieno, perchè i suoi abitatori sono -infelicissimi. “E se tu potessi levare tanto -alto la voce, che fossi udita da Urano o da -Saturno, o da qualche altro pianeta del nostro -mondo; e gl'interrogassi se in loro abbia luogo -l'infelicità, e se i beni prevagliano o cedano -ai mali; ciascuno ti risponderebbe come ho -fatto io. Dico questo per aver dimandato delle -medesime cose Venere e Mercurio, ai quali -pianeti di quando in quando io mi trovo più -vicina di te; come anche ne ho chiesto ad -alcune comete che mi sono passate dappresso: -e tutti mi hanno risposto come ho detto. E -penso che il Sole medesimo, e ciascuna stella -risponderebbero altrettanto.„ -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_271">[271]</span> -</p> - -<p> -Si può dire anche meglio: il riso del Leopardi -è più disperato della sua stessa disperazione. -Egli ha detto che solo la morte esiste; -ma credere alla morte, al nulla, è ancora avere -una specie di fede. L'orrore sembra massimo; -eppure ce n'è uno ancora più grande. Quando -gli amanti non amano più, odiano; ma l'odio -è ancora una forma dell'amore. Tanto desiderio -della morte cela ancora l'amarezza dei -disinganni, misura ancora la forza delle speranze, -sia pure perdute. Il vero segno che -l'amore è finito non è odiare l'oggetto un -tempo caro o l'amarne un altro: è l'indifferenza. -A questa indifferenza per la morte e -per la vita Giacomo Leopardi arriverà con -l'ironia. Il suo Plotino, esauriti tutti gli argomenti -per dissuadere Porfirio dall'uccidersi, -ricorre a quest'ultimo come al più persuasivo: -viva egli — per far piacere all'amico! “E la -vita è cosa di tanto piccolo rilievo, che l'uomo, -in quanto a sè, non dovrebbe esser molto sollecito -di ritenerla nè di lasciarla. Perciò, senza -voler ponderare la cosa troppo curiosamente; -per ogni lieve causa che se gli offerisca di appigliarsi -piuttosto a quella prima parte che a -questa, non dovrìa ricusare di farlo. E pregatone -da un amico, perchè non avrebbe a -compiacergliene?... „ -</p> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_273">[273]</span></p> - -<h2 id="epilogo">EPILOGO</h2> -</div> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_275">[275]</span> -</p> - -<p> -Noi sappiamo chi fu Giacomo Leopardi -grazie all'analisi particolareggiata di tutte le -sue circostanze intrinseche ed estrinseche, ed -alla sintesi del suo pensiero; tra le prime e -il secondo abbiamo trovato un nesso intimo, -un rigoroso rapporto. Pure questo nesso, questo -rapporto è negato, non solo da altri, da -molti biografi e critici, ma anche, e prima e -più vivacemente di tutti, dallo stesso Leopardi. -“Ce n'a été que par l'effet de la lâcheté -des hommes, qui ont besoin d'être persuadés -du mérite de l'existence, que l'on a voulu -considérer mes opinions philosophiques comme -le résultat de mes souffrances particulières, -et que l'on s'obstine à attribuer à mes circonstances -matérielles ce qu'on ne doit qu'à mon -entendement. Avant de mourir, je vais protester -contre cette invention de la faiblesse -et de la vulgarité et prier mes lecteurs de -s'attacher à détruire mes observations plutôt -que d'accuser mes maladies.„ Senza violenza, -ma con ironia, quando lo Stella gli riferì -il giudizio d'un lettore, secondo il quale le -<span class="pagenum" id="Page_276">[276]</span> -sue teorie non erano “<i>fondate a ragione ma -a qualche osservazione parziale</i>,„ egli rispose -al suo editore: “Desidero che sia vero.„ -Ed anche Tristano, all'amico che giudica il -suo libro sulla vita malinconico, sconsolato -e disperato perchè egli, l'autore, è infelice, -risponde che tutto si sarebbe aspettato -“fuorchè sentirmi volgere in dubbio le osservazioni -ch'io faceva in quel proposito, parendomi -che la coscienza d'ogni lettore dovesse -rendere prontissima testimonianza a ciascuna -di esse. Solo immaginai che nascesse -disputa dell'utilità o del danno di tali osservazioni, -ma non mai della verità, anzi mi credetti -che le mie voci lamentevoli, per essere -i mali comuni, sarebbero ripetute in cuore da -ognuno che le ascoltasse. E sentendo poi negarmi, -non qualche proposizione particolare, -ma il tutto, e dire che la vita non è infelice, -e che se a me pareva tale, doveva essere -effetto d'infermità, o d'altra miseria mia particolare, -da prima rimasi attonito, sbalordito, -immobile come un sasso, e per più giorni -credetti di trovarmi in un altro mondo; poi, -tornato in me stesso, mi sdegnai un poco; -poi risi....„ -</p> - -<p> -Prima di esaminare il valore delle sue proteste, -notiamo che egli non le ripete sempre -con tanta violenza ed ironia; che anzi più -volte fa molte concessioni ai suoi contraddittori. -Questo medesimo Tristano che si è -<span class="pagenum" id="Page_277">[277]</span> -sdegnato ed ha riso, e che propone anche, al -colmo del sarcasmo, di bruciare il proprio -libro “come un libro di sogni poetici, d'invenzioni -e di capricci malinconici, ovvero come -un'espressione dell'infelicità dell'autore„; confessa -poi, sul serio e non più da burla, la -propria infelicità: “perchè in confidenza, mio -caro amico, io credo felice voi e felici tutti -gli altri; ma io, quanto a me, con licenza -vostra e del secolo, sono infelicissimo; e tutti -i giornali de' due mondi non mi persuaderanno -il contrario.„ Ed Eleandro: “Io giudico, quanto -a me, di essere infelice; e in questo so che -non m'inganno. Se gli altri non sono, me ne -congratulo con tutta l'anima. Io sono anche -sicuro di non liberarmi dall'infelicità prima -che io muoia. Se gli altri hanno diversa speranza -di sè, me ne rallegro similmente.„ Con -eguale sentimento, aggiuntovi il terrore del -mistero, il Pastore asiatico canta: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Questo io conosco e sento,</p> -<p class="i01">Che degli eterni giri,</p> -<p class="i01">Che dell'esser mio frale,</p> -<p class="i01">Qualche bene o contento</p> -<p class="i01">Avrà fors'altri; a me la vita è male.</p> -</div></div> - -<p> -È possibile che questa coscienza della propria -sciagura non determini la sua filosofia -disperata? Uno dei caratteri salienti ne è, come -vedemmo, la misantropia; e di questa, biasimandola -in Eleandro, Timandro assegna la causa: -“Voi parlate„, gli dice, “al vostro solito malignamente, -<span class="pagenum" id="Page_278">[278]</span> -e in modo che date ad intendere di -essere per l'ordinario molto male accolto e trattato -dagli altri: perchè questa il più delle -volte è la causa del mal animo e del disprezzo -che certi fanno professione di avere alla propria -specie.„ Si confrontino queste parole con quelle -che il Leopardi disse in prima persona: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i09"> aspro a forza</p> -<p class="i01">Tra lo stuol de' malevoli divengo,</p> -</div></div> - -<p> -e con queste altre: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">E sprezzator degli uomini divengo</p> -<p class="i01">Per la greggia ch'ho intorno:</p> -</div></div> - -<p> -si vedrà che il suo disprezzo dei proprii simili -dipende dal disprezzo che egli stesso ha patito -da essi. Tanto egli è persuaso di questa verità, -che le dà forza di sentenza: “Chi comunica -poco cogli uomini, rade volte è misantropo. -Veri misantropi non si trovano nella -solitudine, ma nel mondo: perchè l'uso pratico -della vita, e non già la filosofia, è quello -che fa odiare gli uomini.„ -</p> - -<p> -È sempre difficile, e qualche volta anche -risibile, il tentar di immaginare che cosa sarebbe -stato un uomo se diverse in tutto o -in parte fossero state le sue circostanze. Chi -può dire che cosa avrebbe scritto Dante se -non fosse stato bandito, o che cosa avrebbe -fatto Napoleone se fosse nato un secolo prima? -Una logica inesorabile governa tutte le opere -umane; se noi possiamo credere di disporre -<span class="pagenum" id="Page_279">[279]</span> -liberamente della nostra vita e del nostro pensiero -avvenire, non possiamo negarne, anzi -continuamente ne discopriamo la rigorosa determinazione -nel passato. Pertanto è impossibile -giudicare quel che sarebbe avvenuto di -Giacomo Leopardi in circostanze diverse dalle -sue; ma questo rigore di determinazione egli -stesso dimostra, anche senza volerlo. Non c'è -uno solo dei suoi giudizii che non sia suggerito -da un'impressione ricevuta; i fatti -esercitano una continua influenza sul suo pensiero. -A Bologna gli uomini gli parvero “vespe -senza pungolo.„ Perchè? Perchè vi fu -bene accolto. Milano fu detta da lui “insociale„ -perchè non fu contento dell'accoglienza -che vi trovò. A Napoli, sul principio, sentendosi -soddisfatto, lodò l'indole “amabile e benevola„ -degli abitanti; poi, trovatosi male, -capovolse il suo giudizio. Egli espressamente -confessa quanto gli riuscisse funesto l'essersi -visto disprezzato e fuggito a Recanati: “cosa -che per altro ha pregiudicato per sempre al -mio carattere.„ Confessa ancora che tra le -cause della sua malinconia a Roma, gran parte -ha la sua “particolare costituzione morale e -fisica.„ Se, anche restando a Recanati, le malattie -gli danno tregua, queste tregue suscitano -“qualche speranza di potermi rifare mutando -vita.„ Se appena egli potesse occuparsi -a suo agio negli studii, la sua disperazione -sarebbe mitigata: “Dici troppo bene ch'io -<span class="pagenum" id="Page_280">[280]</span> -forse non m'accorgerei, certamente non sentirei -tutta la nullità umana se potessi ancora -trattenermi negli studi.„ Basta talvolta la primavera -a consolarlo: “Io sento riaprirsi l'animo -al ritorno della primavera, chè certo due mesi -addietro ero stupido, insensato in modo, ch'io -mi faceva maraviglia a me stesso, e disperava -di provar più consolazione in questo mondo....„ -Egli definisce anche meglio il mutamento che le -mutate sue condizioni producono in lui quando -si duole col Giordani perchè questi è caduto -nella stessa malattia d'animo che ha afflitto lui: -“dalla quale non ch'io sia veramente risorto, -ma tuttavia conosco e sento che si può risorgere. -E le cagioni erano quelle stesse che producono -in te il medesimo effetto: debolezza -somma di tutto il corpo e segnatamente de' -nervi, e totale uniformità, disoccupazione e -solitudine forzata, e nullità di tutta la vita. -Le quali cagioni operavano ch'io non credessi -ma sentissi la vanità e noia delle cose, e disperassi -affatto del mondo e di me stesso. Ma -se bene anche oggi io mi sento il cuore come -uno stecco o uno spino, contuttociò sono migliorato -in questo ch'io giudico risolutamente -di poter guarire, e che il mio travaglio deriva -più dal sentimento dell'infelicità mia particolare, -che dalla certezza dell'infelicità universale -e necessaria.„ Basta che la sua salute risenta -un poco di giovamento dal clima di Pisa, -che egli non tremi più dal freddo, che possa -<span class="pagenum" id="Page_281">[281]</span> -passeggiare lungo l'Arno, che mangi con appetito, -che abiti una camera a ponente, sopra -un grande orto, tra buona gente; che la vita -gli costi quanto la sua misera borsa gli consente -di spendere, perchè tosto egli si senta -rivivere, e torni a far versi, e canti il suo -<i>Risorgimento</i>: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Credei ch'al tutto fossero</p> -<p class="i02"> In me, sul fior degli anni,</p> -<p class="i02"> Mancati i dolci affanni</p> -<p class="i02"> Della mia prima età:</p> -<p class="i01">I dolci affanni, i teneri</p> -<p class="i02"> Moti del cor profondo,</p> -<p class="i02"> Qualunque cosa al mondo</p> -<p class="i02"> Grato il sentir ci fa.</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Quante querele e lacrime</p> -<p class="i02"> Sparsi nel novo stato,</p> -<p class="i02"> Quando al mio cor gelato</p> -<p class="i02"> Prima il dolor mancò!</p> -<p class="i01">Mancâr gli usati palpiti,</p> -<p class="i02"> L'amor mi venne meno,</p> -<p class="i02"> E irrigidito il seno</p> -<p class="i02"> Di sospirar cessò!</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Piansi spogliata, esanime</p> -<p class="i02"> Fatta per me la vita;</p> -<p class="i02"> La terra inaridita,</p> -<p class="i02"> Chiusa in eterno gel;</p> -<p class="i01">Deserto il dì; la tacita</p> -<p class="i02"> Notte più sola e bruna;</p> -<p class="i02"> Spenta per me la luna,</p> -<p class="i02"> Spente le stelle in ciel.</p> -<p class="i02"> . . . . . . . . . .</p> -</div></div> - -<p> -Tale era il suo stato: egli non aveva forza -<span class="pagenum" id="Page_282">[282]</span> -di lamentarsi, non chiedeva conforto, era immerso -come in un letargo dal quale nulla riusciva -a destarlo; desiderava la morte, ma -gli mancava anche la forza di esprimere a sè -stesso questo desiderio. A un tratto non si -riconosce più: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Chi dalla grave, immemore,</p> -<p class="i02"> Quiete or mi ridesta?</p> -<p class="i02"> Che virtù nova è questa,</p> -<p class="i02"> Questa che sento in me?</p> -<p class="i01">Moti soavi, immagini,</p> -<p class="i02"> Palpiti, error beato,</p> -<p class="i02"> Per sempre a voi negato</p> -<p class="i02"> Questo mio cor non è?</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Siete pur voi quell'unica</p> -<p class="i02"> Luce de' giorni miei?</p> -<p class="i02"> Gli affetti ch'io perdei</p> -<p class="i02"> Nella novella età?</p> -<p class="i01">Se al ciel, s'ai verdi margini,</p> -<p class="i02"> Ovunque il guardo mira,</p> -<p class="i02"> Tutto un dolor mi spira,</p> -<p class="i02"> Tutto un piacer mi dà.</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Meco ritorna a vivere</p> -<p class="i02"> La piaggia, il bosco, il monte;</p> -<p class="i02"> Parla al mio core il fonte,</p> -<p class="i02"> Meco favella il mar.</p> -<p class="i01">Chi mi ridona il piangere</p> -<p class="i02"> Dopo cotanto obblio?</p> -<p class="i02"> E come al guardo mio</p> -<p class="i02"> Cangiato il mondo appar?</p> -</div></div> - -<p> -Se ciò non è opera della speranza, se egli -ancora si duole perchè non vedrà mai più il -<span class="pagenum" id="Page_283">[283]</span> -viso della speranza; se il suo risorgimento non -è totale; se egli continua a credere che la natura -sia sorda, che non sia sollecita del bene -ma soltanto dell'essere, e non si curi d'altro -che di serbare gli uomini al dolore; se non ha -fede negli uomini nè nell'amore, bisogna accusarne -la gravezza dei suoi mali, il lungo -abito del dolore. Venti anni di pene fisiche e -morali, di aspettazioni vane, di disinganni continui -non si possono scordare perchè il nuovo -clima è più dolce, perchè la nuova città è più -ospitale: il parziale beneficio determina nel -suo pensiero una parziale conversione: ma questo -esatto proporzionarsi dell'effetto alla causa -dimostra appunto come tutta la sua vita morale -sia rigorosamente governata dalla sua -vita reale. -</p> - -<p> -Il sollievo di Pisa è dipeso dalla migliorata -salute; un altro egli ne prova quando il -De Sinner gli promette di pubblicare in Germania -i suoi scritti filologici. Disperato della -gloria, basta che egli creda di poterne gustare -i vantaggi perchè tosto ritorni da morte a -vita: “Quel forestiero che ha veduto l'Eusebio, -è un filologo tedesco al quale.... ho fatto -consegna formale di tutti i miei mss. filologici, -appunti, note, ecc. cominciando dal <i>Porphyrius</i>. -Egli, se piacerà a Dio, li redigerà e -completerà e li farà pubblicare in Germania, -e me ne promette danari e gran nome. Non -potete credere quanto mi abbia consolato quest'avvenimento, -<span class="pagenum" id="Page_284">[284]</span> -che per più giorni mi ha richiamato -alle idee della mia prima gioventù, -e che, piacendo a Dio, darà vita ed utilità a -lavori immensi, ch'io già da molti anni considerava -come perduti affatto, per l'impossibilità -di perfezionare tali lavori in Italia, pel -dispregio in cui sono tali studi tra noi e peggio -pel mio stato fisico.„ Quindi la sua misantropia -si tempera; egli quasi la critica: “Nessuno è sì -compiutamente disingannato del mondo, nè lo -conosce sì addentro, nè tanto l'ha in ira, che -guardato a un tratto da esso con benignità, -non se gli senta in parte riconciliato.„ Ancora -meglio: “Io conobbi già un bambino il -quale ogni volta che dalla madre era contrariato -in qualche cosa, diceva: <i>ah, ho inteso, -ho inteso: la mamma è cattiva</i>. Non con altra -logica discorre intorno ai prossimi la maggior -parte degli uomini, benchè non esprima il suo -discorso con altrettanta semplicità.„ -</p> - -<p> -Pertanto, dopo averlo negato, egli stesso -riconosce esplicitamente il rapporto tra le sue -circostanze e le sue idee. Porfirio, discutendo -con Plotino intorno alla vanità universale della -quale è troppo persuaso, osserva: “E qui primieramente -non mi potrai dire che questa mia -proposizione non sia ragionevole: se bene io -consentirò facilmente che ella in buona parte -provenga da qualche mal essere corporale.„ -Se queste parole non si riferiscono, come pare -evidente, allo stesso Leopardi, noi troviamo -<span class="pagenum" id="Page_285">[285]</span> -che egli confessa a chiare note come la sua -filosofia dipenda dalla sua esperienza. Alla sorella -infatti scrive: “Direte che io vi sono -sempre intorno colla filosofia; ma mi concederete -che questa non mi è stata insegnata nè dai -libri, ne dagli studi, nè da nessun'altra cosa, -se non dall'esperienza: ed io vi esorto a questa -filosofia, perchè credo che vi abbiate i miei -stessi diritti e la mia stessa disposizione.„ -Queste parole sono del 1823: diremo che da -giovane egli concedesse quel rapporto da causa -ad effetto tra le sue disgrazie e il suo pessimismo -che più tardi doveva con tanto sdegno -negare? La sua lettera sdegnosa al De -Sinner è del '32: leggete che cosa scriveva -al Bunsen nel '35, tre anni dopo, e due soli -prima di morire: “Voi avete ragione che nelle -mie prose la malinconia è forse eccessiva e -forse anche qualche volta fa velo al giudizio. -Datene la colpa parte al mio carattere, e parte -all'età in cui furono scritte....„ Egli quasi vorrebbe -correggerle! Il rapporto tra il pensiero -e la vita è ancora nitidamente affermato più -sotto: “La propria mia esperienza m'insegna -che il progresso dell'età, fra i tanti cangiamenti -che fa nell'uomo, altera ancora notabilmente -il suo sistema di filosofia.„ Che cosa -vuol dir questo, se non che la filosofia non è -un prodotto puro della ragione astratta, ma -il risultato necessario della pratica delle cose? -Egli osserva pure come sia erroneo l'attribuire -<span class="pagenum" id="Page_286">[286]</span> -a cause esteriori e reali ciò che dipende -soltanto dall'intima nostra natura; i -vecchi, per esempio, “riuscendo il freddo all'età -loro assai più molesto che in gioventù, -credono avvenuto alle cose il cangiamento che -provano nello stato proprio, ed immaginano -che il calore che va scemando in loro, scemi -nell'aria o nella terra.„ Altrettanto non accade -in lui, quando, per tutte le sue sciagure, -afferma l'infelicità necessaria e universale? -</p> - -<p> -Tuttavia, se per tante prove e per sua -stessa confessione la dipendenza delle fasi del -suo pensiero dai casi della sua vita è innegabile, -che cosa faremo delle proteste che egli -pure fieramente lanciò? Perchè protestò talvolta? -Perchè non riconobbe sempre che tale -egli fu quale doveva essere? Perchè negò -l'efficacia dell'esperienza e riconobbe soltanto -quella della ragione? Il perchè non è difficile -da trovare. Ammettendo senz'altro che dall'esperienza, -dalle circostanze esteriori ed intime -tra le quali la sua vita si svolse nascesse -la sua filosofia, che valore avrebbe -essa avuto? Si sarebbe ridotta a un giudizio -particolare, a un'opinione personale, a un'impressione -fortuita: nessuno le avrebbe dato -credito. Se egli voleva — e per la legge dell'amor -proprio doveva volere — che fosse appresa -come una cosa seria, come un'espressione -della verità, doveva necessariamente negarne -le cause reali ed affermarne soltanto l'origine -<span class="pagenum" id="Page_287">[287]</span> -razionale. Anche concedendo, come fece a proposito -di Bruto, che la disperazione può dipendere -dalle calamità, egli doveva presumere -che l'ispirazione della calamità “ha forza di -rivelare all'animo nostro quasi un'altra terra, -e persuaderlo vivamente di cose tali, che -bisogna poi lungo tempo a fare che la ragione -le trovi da sè medesima„; e che l'effetto -della calamità “si rassomiglia al furore -dei poeti lirici, che d'un'occhiata scuoprono -tanto paese quanto non ne sanno scoprire i filosofi -nel tratto di molti secoli.„ E poi: non è -una cosa sciagurata che il pensiero umano, che -questo nostro giudizio del quale siamo tanto -superbi, pel quale ci siamo collocati sul vertice -della vita, sia così rigorosamente determinato -da cause sulle quali nulla possiamo, sia quasi -come un frutto a formare il quale hanno contribuito -la specie della pianta, la natura del -terreno e l'ordine delle meteore? Non è doloroso, -non è male che la nostra mente non -possa operare libera e sola, che il nostro giudizio -non sia indipendente e sovrano? Il Leopardi -intende questa necessità, e se talvolta -la nega, la negazione non è altro che una -forma di ribellione. -</p> - -<p> -Nè, da un'altra parte, il suo pensiero fu realmente -tutto determinato dai soli casi della sua -vita, dalle “circostanze materiali„ dalle “sofferenze -particolari„ dalle “malattie.„ Noi possiamo -trovare nelle storie esempii di vite più -<span class="pagenum" id="Page_288">[288]</span> -infelici ancora di quella del Recanatese, senza -che per questo i disgraziati abbiano tutto negato; -ne troveremo molti che si sono contentati, -che si sono confortati; qualcuno anche -che ha riso d'un riso schietto. Ma l'esperienza -del dolore è acquistata, nel Leopardi, -da uno spirito inquieto la cui inquietudine -è cresciuta per effetto dell'educazione. Già -vedemmo che il colore del tempo nel quale egli -visse fu grigio. Nel suo dolore e nel suo pessimismo -sono pertanto da distinguere due gradi, -ed egli stesso li distingue. Quando dice che -vive “malinconico, solitario e tristo„, quando -scrive: “Non so perchè, ma mi trovo in una -malinconia che cresce ogni giorno„; quando -loda la noia e i “dolci affanni„, quando narra -che aver pianto a Roma sulla tomba del Tasso -è l'unico “<i>piacere</i>„ che abbia gustato nella -città eterna; quando compone il <i>Passero solitario</i>, -<i>L'Infinito</i>, <i>La sera del dì di festa</i>, -<i>Alla Luna</i>, <i>Consalvo</i>, le poesie idilliache, -elegiache, dove la tristezza è composta, dove -il dolore è indefinito, egli è un romantico -come tutti gli altri. I disinganni inevitabili -ai troppo immaginosi, le ferite inevitabili ai -troppo sensibili, l'esperienza di alcuni dolori -reali, gli avrebbero fatto esprimere quella -malinconia diffusa, quasi grata, quasi soddisfatta -di sè stessa, che i poeti e i novellieri -e i filosofi del suo tempo espressero concordemente. -Egli sa che c'è, ed ha realmente -<span class="pagenum" id="Page_289">[289]</span> -provata la malinconia dolce e grata; ma perchè -i suoi dolori non ebbero limite, perchè -lo perseguitarono sino alla morte, perchè egli -non potè godere, questo sentimento che è -come “un crepuscolo„ dà luogo alla malinconia -“nera e solida„ che è “notte fittissima -e orribile.„ Guardate il dolente Chateaubriand: -non ebbe egli i suoi piaceri, le -sue fortune, i suoi trionfi? Il suo pessimismo -è pertanto temperato. Un giorno egli scrive: -“Ne désirons point survivre à nos cendres, -mourons tout entiers de peur de souffrir ailleurs. -Cette vie-ci doit corriger de la manie -d'être.„ Non è la stessa idea che informa tanta -parte degli scritti del Leopardi? Ma lo Chateaubriand, -se arriva a concepirla, non la svolge, -non la estende, non la sostiene, non ne fa un -articolo della sua fede; non la mette neppure -in un libro, l'annota in un manoscritto pubblicato -dopo la sua morte; fate che, dopo -averla concepita, le sventure d'ogni sorta lo -perseguitino ogni giorno e lo schiaccino: egli -vi tornerà sopra, la svilupperà, l'affermerà — come -ha fatto Giacomo Leopardi. Noi già notammo -che questi non stima sempre bella -e buona la morte: perchè dunque la giudica -“atra„, perchè la chiama “abisso orrido, immenso?„ -Perchè si duole che la vecchiezza e -la morte abbiano principio fin da quando -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i09"> il labbro infante</p> -<p class="i01">Preme il tenero sen che vita instilla,</p> -</div></div> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_290">[290]</span> -</p> - -<p> -e non si possano emendare dalla -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Nonadecima età più che potesse</p> -<p class="i01">La decima o la nona, e non potranno</p> -<p class="i01">Più di questa giammai l'età future?</p> -</div></div> - -<p> -Se egli fosse costantemente persuaso che la -morte è un bene, il solo bene, si dorrebbe -così? Se si duole, ciò è perchè non sempre -il suo pensiero è tutto ottenebrato: vi sono -momenti durante i quali egli pensa che la -morte è un male, il peggiore, con la vecchiezza -che menoma le potenze vitali delle creature; -e pertanto che la vita è un bene vero; che la -vita dei giovani, calda, operosa, feconda, dischiusa -a tutte le impressioni della natura, confusa -nel gran torrente della vita universale, è -il bene sommo, il miracolo dell'universo. E non -solo il rigore spaventoso del suo destino gli -vieta di fermarsi in questi concetti perchè brutalmente -interrompe le sue tregue; non solo -l'esempio di tanti dolenti lo conferma nella -sua tristezza; ma la stessa disposizione della -sua mente lo conduce alla negazione assoluta. -Forse, attenuate le sue disgrazie, il suo pessimismo -non si sarebbe attenuato in proporzione. -Avendo cominciato a considerare la miseria -del mondo e la vanità delle cose, egli sarebbe -arrivato, con minore esperienza del dolore, -a conclusioni non molto diverse. Per l'acutezza -della sua sensibilità egli doveva naturalmente -esprimere un giudizio disperato ad -ogni impressione dolorosa; ma egli non era -<span class="pagenum" id="Page_291">[291]</span> -soltanto sensibile, era anche riflessivo. Noi -trovammo in lui un potente spirito filosofico, -l'attitudine, l'abitudine, il bisogno di procedere -dal noto all'ignoto, dal particolare al generale, -dal fatto alla legge. Una mente così logica non -poteva credere che il dolore del quale egli era -vittima fosse un'eccezione, una rarità, una -cosa tutta fortuita; se l'uomo, se il poeta gli si -ribellavano — come si ribellarono tante volte — il -filosofo doveva vedervi un fatto naturale, -necessario; e del fatto accertato doveva indagare -la cagione, e trovarla in una legge. Il -filosofo, vedendo l'uomo penare, doveva guardarsi -attorno per considerare se queste pene -fossero realmente singolari, se agli altri uomini -fossero proprio sconosciute; e osservando -la vita e leggendo le storie doveva scoprire -che, esacerbato in lui, il dolore è retaggio di -ogni uomo. Egli udì i lamenti esalare dagli -oppressi petti dei suoi simili, in ogni tempo, -in ogni luogo. Intorno a lui egli trovò altrettanti -fratelli in tutti i romantici. Classico, -seppe che gli antichi erano assuefatti a credere -“che le cose fossero cose e non ombre„ -e la felicità “possibilissima a conseguire, anzi -propria dell'uomo.„ Ma se la visione della vita -e del mondo fu un tempo generalmente luminosa -e serena, non per questo mancò l'esperienza -del dolore. Anche gli antichi sentirono -quel che c'è d'incompiuto, di manchevole, d'incerto -nel destino umano, e conobbero l'enormità -<span class="pagenum" id="Page_292">[292]</span> -del fato che ci sovrasta, e non furono esenti -dalle lacrime; così il Leopardi discoprì nella -invidiata serenità dell'ideale pagano le ombre -che la velano; e discopertele affermò l'universalità -del dolore. -</p> - -<p> -Ecco: “il saggio Chirone, che era dio, coll'andar -del tempo si annoiò della vita, pigliò -licenza da Giove di poter morire, e morì.... -Or pensa, se l'immortalità incresce agli Dei, -che farebbe agli uomini.... Gl'Iperborei, popolo -incognito, ma famoso; ai quali non si -può penetrare, nè per terra nè per acqua; ricchi -d'ogni bene; e specialmente di bellissimi -asini, dei quali sogliono fare ecatombe; potendo, -se io non m'inganno, essere immortali, -perchè non hanno infermità nè fatiche nè guerre -nè discordie nè carestie nè vizi nè colpe, contuttociò -muoion tutti: perchè, in capo a mille -anni di vita, o circa, sazi della terra, saltano -spontaneamente da una certa rupe in mare, -e vi si annegano.„ Ancora: “Bitone e Cleobi -fratelli, un giorno di festa, che non erano in -pronto le mule, essendo sottentrati al carro -della madre, sacerdotessa di Giunone, e condottala -al tempio; quella supplicò la dea che -rimunerasse la pietà de' figliuoli col maggior -bene che possa cadere negli uomini. Giunone, -invece di farli immortali, come avrebbe potuto, -e allora si costumava; fece che l'uno e -l'altro pian piano se ne morirono in quella -medesima ora. Il simile toccò ad Agamede e -<span class="pagenum" id="Page_293">[293]</span> -a Trofonio. Finito il tempio di Delfo, fecero -istanza ad Apollo che li pagasse: il quale rispose -volerli soddisfare fra sette giorni; in -questo mezzo attendessero a far gozzoviglia -a loro spese. La settima notte mandò loro un -dolce sonno, dal quale ancora s'hanno a svegliare; -e avuta questa, non dimandarono altra -paga....„ Se favole simili dimostrano che -la morte non è un male, ma il premio più insigne; -hanno i filosofi antichi espresso molta -fede nella vita? Seneca “non trova contro al -timore altro rimedio più valevole della considerazione -che ogni cosa è da temere.„ Il -consiglio di Senofonte significa che il godimento -dei beni è poco grato se manca la speranza -di maggiori beni futuri: “consiglia che -avendosi a comperare un terreno, si compri -di quelli che sono male coltivati; perchè, dice, -un terreno che non è per darti più frutto di -quello che dà, non ti rallegra tanto, quanto -farebbe se tu lo vedessi andare di bene in -meglio....„ Ma questa aspettazione dei beni, -questa ricerca della felicità, come è oggi causa -dei più amari disinganni, così era giudicata -anticamente: secondo Bione boristenite “i più -travagliati di tutti sono quelli che cercano -le maggiori felicità.„ Bruto giudicò la virtù -“una parola nuda„, Teofrasto negò la gloria -e disse che la morte sopravviene non appena -l'uomo comincia a vivere; gli stoici insegnarono -che per ottenere la felicità non c'è altra -<span class="pagenum" id="Page_294">[294]</span> -via che rinunziarla; Virgilio “contro l'uso dei -Romani antichi, e massimamente di quelli d'ingegno -grande, si professa desideroso della vita -oscura e solitaria; e questo in una cotal guisa, -che si può comprendere che egli vi è sforzato -dalla sua natura, anzi che inclinato; e che l'ama -più come rimedio o rifugio, che come bene.„ -Ma come enumerare tutti gli antichi dolenti? -Tristano, vedendo rifiutata da tutti la sua filosofia -dolorosa, crederà che sia di sua propria -invenzione: “ma poi, ripensando, mi ricordai -ch'ella era tanto nuova, quanto Salomone e -quanto Omero, e i poeti e i filosofi più antichi -che si conoscano; i quali tutti sono pieni -pienissimi di figure, di favole, di sentenze significanti -l'estrema infelicità umana; e chi di -loro dice che il meglio è non nascere, e per -chi è nato, morire in cuna; altri, che uno che -sia caro agli Dei, muore in giovinezza; ed -altri altre cose infinite su questo andare.„ E -se Porfirio pensa di uccidersi, non trova forse -antichi esempi di uomini che vollero morire -“per tedio solamente, e per sazietà dello stato -proprio.... quali erano coloro che udito Egesia, -filosofo cirenaico, recitare quelle sue lezioni -sulla miseria della vita; uscendo dalla scuola -andavano e si uccidevano; onde esso Egesia -fu detto per soprannome <i>il persuasor di morire</i>?...„ -</p> - -<p> -Certamente gli antichi lodarono anche moltissimo -la vita; come la lodano anche i moderni: -<span class="pagenum" id="Page_295">[295]</span> -ad ora ad ora il pianto cessa, gli occhi -brillano, i canti di gioia riecheggiano; -ma che cosa concludere? Che vi sono due -leggi, una del dolore, un'altra del piacere? -Le leggi particolari sono molte; ma dev'essercene -pure una generale, universale, la legge -delle leggi, la chiave del mistero. L'appetito -di scienza che è in Leopardi filosofo non resta -appagato se dalle leggi particolari egli non -assorge all'ultima, o alla prima, all'unica certamente -dalla quale tutte le altre dipendono. -Ma questa verità fondamentale nessun uomo -l'ha scoperta, nessun uomo la può scoprire; -guardate: se uno s'affanna troppo a cercarla, -la scienza moderna lo chiama pazzo, lo giudica -affetto da follia metafisica!... Tale è veramente -la condizione dell'intelletto umano: -che esso, o deve rinunziare a comprendere -tutta quanta la verità, o deve appagarsi di -una verità non tutta vera. Il Leopardi passa -dalla considerazione del proprio dolore a quello -degli altri uomini, dei vivi e dei morti; logicamente -collega tutti i fatti che lo dimostrano; -da filosofo segue “indefessamente con l'occhio -dell'intelletto un ordine di verità connesse tra -loro a mano a mano„, ed arriva alla legge del -dolore universale, necessario, eterno, infinito, -inconsolabile. Ma egli pur sente d'avere esagerato. -La sua teoria non è equa, come non -sono state eque tutte le altre d'invenzione -umana; ed egli stesso implicitamente lo riconosce. -<span class="pagenum" id="Page_296">[296]</span> -Filippo Ottonieri “stimava che una -buona parte degli uomini, antichi e moderni, -che sono riputati grandi o straordinari, conseguirono -questa riputazione in virtù principalmente -dell'eccesso di qualche loro qualità -sopra le altre. E che uno in cui le qualità -dello spirito sieno bilanciate e proporzionate -fra loro; se bene elle fossero o straordinarie -o grandi oltre modo, possa con difficoltà far -cose degne dell'uno o dell'altro titolo, ed apparire -ai presenti o ai futuri nè grande nè straordinario.„ -Un uomo veramente, esattamente -equilibrato, che volesse e sapesse tenere conto -preciso di tutto, non solo non farebbe cose -grandi o straordinarie, ma non ne farebbe -neppur piccole, non farebbe niente. Tutti i -nostri giudizii sono parziali, partigiani, appassionati, -monchi; ma chi si spaventasse di -questa necessità dovrebbe continuamente tacere. -Poichè il silenzio continuo e la rinunzia -totale sono impossibili in qualunque uomo, e -più che impossibili, assurdi in un ingegno, in -un genio come Giacomo Leopardi, questi formulerà -postulati dei quali, mentre l'amor proprio -vuole che si riconosca l'esattezza, la ragione -denunzia inconsapevolmente l'esagerazione, -perciò la falsità. Tutte le volte — e -come vedemmo non sono poche — che egli riconosce -il nesso tra la sua vita e la sua filosofia, -non viene a dire, indirettamente, che la -sua filosofia sarebbe diversa se egli avesse -<span class="pagenum" id="Page_297">[297]</span> -avuto un altro destino? E questo nesso che -c'è in lui, non c'è in ogni uomo? Quindi -tutte le filosofie non sono relative e, per qualche -lato, false? Egli che ha fatto tante distinzioni -tra uomini ed uomini e che si è tanto lagnato -del proprio destino, afferma pure “questa -massima riconosciuta da tutti i filosofi, la quale -ti potrà consolare in molte occorrenze; ed è che -la felicità e l'infelicità di ciascun uomo (esclusi -i dolori del corpo) è assolutamente eguale a -quella di ciascun altro, in qualunque condizione -o situazione si trovi questo o quello. E -perciò, esattamente parlando, tanto gode e -tanto pena il povero, il vecchio, il debole, il -brutto, l'ignorante, quanto il ricco, il giovane, -il forte, il bello, il dotto: perchè ciascuno nel -suo stato si fabbrica i suoi beni e i suoi mali; -e la somma dei beni e dei mali che ciascun -uomo si può fabbricare è uguale a quella che -si fabbrica qualunque altro.„ Ma, come abbiamo -visto che lo Chateaubriand non mette -nelle sue opere la sentenza disperatissima sulla -necessità della morte totale senza speranza di -vita futura, così il Leopardi non sviluppa nei -suoi scritti il più equo e consolante giudizio: -lo esprime soltanto in una lettera alla sorella. -Una critica meschina ed arrogante ardisce cogliere -in fallo queste grandi anime, e presume -di veder meglio di loro e più a dentro. Esse -vedono e sanno tutto; ma naturalmente tutti -i concetti non sono e non possono essere concordi; -<span class="pagenum" id="Page_298">[298]</span> -e fra i moltissimi bisogna pure scegliere. -Il Leopardi ha visto prima che i suoi -censori quel che si può e si deve dire contro -la sua filosofia disperata; leggete il suo epistolario: -vedrete che egli vi appare meno pessimista -che non nelle opere. Certo l'esagerazione -è biasimevole; ma non è altrettanto necessaria? -Ecco: per il suo bisogno di risolvere -i formidabili enimmi della vita e della -morte lo hanno giudicato infermo di follia metafisica; -se egli avesse temperato il suo pessimismo, -se avesse dato forza agli argomenti -con i quali sente di poterlo combattere, avrebbero -provato che in lui c'è anche la follia del -dubbio. -</p> - -<p> -Per fortuna questa accusa almeno non gli -può esser mossa. Non ostante le contraddizioni -inevitabili, egli non dubita. È un appassionato, -un operoso ridotto contro sua voglia a discutere, -ma inconsolabile per essersi dovuto restringere -ai semplici ragionamenti; tutta la -forza della sua volontà è concentrata nella -sua fede — negativa, ma incrollabile. Nel negare, -egli mette lo slancio mistico dei suoi pii -antenati. Non che dubitare della sua credenza -al rovescio, egli l'afferma vivacemente, e sdegnosamente -protesta contro chi ne vuol scemare -il valore, riducendola a un effetto dei -suoi dolori. E non ha torto: la sua filosofia, -se è derivata dall'esperienza, è anche scaturita -dalla ragione. Ma un pessimismo soltanto -<span class="pagenum" id="Page_299">[299]</span> -filosofico e speculativo interesserebbe i pensatori, -lasciando freddi tutti gli altri. Il pessimismo -del Leopardi non è freddo, perchè il -filosofo è accompagnato in lui dal poeta; e -non è falso, perchè la speculazione è accompagnata -dall'esperienza. Il filosofo che nega -è anche un uomo che soffre. Perciò egli fu, -è e sarà sempre creduto. -</p> - -<p> -Egli fu, è e sarà sempre ammirato perchè -ha saputo definire tutti gli aspetti del dolore -umano con una forma che eccita il più grande, -il più puro, il più raro piacere. — Questo pessimismo -suo, quantunque sembri totale e insanabile, -ammette un temperamento ed offre -un conforto. Egli preferisce la morte alla vita; -ma la morte non consola la vita, la distrugge: -la consolazione è nell'Arte. Per quella stessa -ragione che la gioventù e l'amore sono le sole -cose delle quali egli si loderebbe, l'arte è la -sua consolazione. Amore e gioventù vivono -di amene illusioni, che la vita pur troppo distrugge: -l'arte crea tutto un mondo ideale -contro il quale la realtà non può nulla: in -mezzo alle peggiori disgrazie, tra i disinganni -più atroci, l'artista può rifugiarvisi. Ed egli -vi si rifugia. La sua gioventù è finita prima -di cominciare; nessuna donna lo ha amato; i -mali lo assediano; ma il suo pensiero vive ed -opera ad ora ad ora, e l'arte gli concede tutte -le sue grazie. Essa è per lui divina. Giudicata -“inevitabile„ l'umana infelicità, egli trova -<span class="pagenum" id="Page_300">[300]</span> -un conforto negli “studi del bello.„ Se la vita -degli uomini è tutto un ozio perchè tutto è -vanità, l'arte, che pare esercitarsi intorno a -cose vane, è invece la sola attività utile, perchè -essa sola compensa la tristezza della realtà -con la letizia delle fantasie. Questo è un invertimento -del giudizio comune: che importa, -se l'infelice ottiene per esso un sollievo e si -riconcilia con la vita e quasi benedice quella -natura che aveva già maledetta? -</p> - -<p class="pad2 center large"> -<span class="smcap">Fine.</span> -</p> - -<div class="somm"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_301">[301]</span> -</p> - -<h2><a id="indice" href="#indfront"> -INDICE</a></h2> - -<table class="indice" summary=""> - <tr> - <td colspan="4" class="center"><span class="smcap">Parte Prima.</span></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="4" class="center">L'UOMO.</td> - </tr> - <tr> - <td> </td> - </tr> - <tr> - <td><i>L'indole:</i></td> <td class="cap">I.</td> <td>Il sentimento poetico</td> <td class="pag"><a href="#indole">Pag. 1</a></td> - </tr> - <tr> - <td> </td> <td class="cap">II.</td> <td>Lo spirito filosofico</td> <td class="pag"><a href="#filosofico">11</a></td> - </tr> - <tr> - <td> </td> - </tr> - <tr> - <td><i>L'educazione:</i></td> <td> </td> <td>Classicismo e romanticismo</td> <td class="pag"><a href="#educazione">23</a></td> - </tr> - <tr> - <td> </td> - </tr> - <tr> - <td><i>L'esperienza:</i></td> <td class="cap">I.</td> <td>La salute</td> <td class="pag"><a href="#esperienza">52</a></td> - </tr> - <tr> - <td> </td> <td class="cap">II.</td> <td>L'amore</td> <td class="pag"><a href="#amore">65</a></td> - </tr> - <tr> - <td> </td> <td class="cap">III.</td> <td>La famiglia</td> <td class="pag"><a href="#famiglia">94</a></td> - </tr> - <tr> - <td> </td> <td class="cap">IV.</td> <td>La patria</td> <td class="pag"><a href="#patria">152</a></td> - </tr> - <tr> - <td> </td> <td class="cap">V.</td> <td>La gloria</td> <td class="pag"><a href="#gloria">177</a></td> - </tr> - <tr> - <td> </td> - </tr> - <tr> - <td colspan="4" class="center"><span class="smcap">Parte Seconda.</span></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="4" class="center">IL PENSIERO.</td> - </tr> - <tr> - <td> </td> - </tr> - <tr> - <td><i>Il pessimismo:</i></td> <td class="cap">I.</td> <td>L'illusione</td> <td class="pag"><a href="#pessimismo">193</a></td> - </tr> - <tr> - <td> </td> <td class="cap">II.</td> <td>La misantropia</td> <td class="pag"><a href="#misantropia">212</a></td> - </tr> - <tr> - <td> </td> <td class="cap">III.</td> <td>Lo scetticismo</td> <td class="pag"><a href="#scetticismo">224</a></td> - </tr> - <tr> - <td> </td> <td class="cap">IV.</td> <td>La morte</td> <td class="pag"><a href="#morte">237</a></td> - </tr> - <tr> - <td> </td> - </tr> - <tr> - <td><i>L'ironia</i></td> <td> </td> <td> </td> <td class="pag"><a href="#ironia">245</a></td> - </tr> - <tr> - <td> </td> - </tr> - <tr> - <td><span class="smcap">Epilogo</span></td> <td> </td> <td> </td> <td class="pag"><a href="#epilogo">278</a></td> - </tr> -</table> - -<hr /> -</div> - -<div class="opere"> -<p class="title"> -OPERE DI FEDERICO DE ROBERTO<br /><br /> -(Edizioni Treves). -</p> - -<p class="pad2"> -<i>Le donne, i cavalier'</i>.... Edizione di lusso, in-8, illustrata da 100 incisioni <span class="last-r">L. 12 —</span> -</p> - -<p> -<i>I Vicerè</i>, romanzo. 2 vol. <span class="last-r">10 —</span> -</p> - -<p> -<i>Una pagina della storia dell'amore</i> <span class="last-r">3 50</span> -</p> - -<p> -<i>L'illusione</i>, romanzo <span class="last-r">3 50</span> -</p> - -<p> -<i>La sorte</i>, novelle <span class="last-r">3 50</span> -</p> - -<p> -<i>La messa di nozze</i>, romanzo <span class="last-r">5 —</span> -</p> - -<p> -<i>L'albero della scienza</i>, novelle <span class="last-r">4 —</span> -</p> - -<p> -<i>Al rombo del cannone</i> <span class="last-r">5 —</span> -</p> - -<p> -<i>All'ombra dell'olivo</i> <span class="last-r">6 —</span> -</p> - -<p> -<i>Ironie</i>, novelle <span class="last-r">4 —</span> -</p> - -<p> -<i>Leopardi</i> <span class="last-r">7 —</span> -</p> -</div> - -<div class="tnote"> -<p class="tntitle"> -Nota del Trascrittore -</p> - -<p> -Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo senza annotazione -minimi errori tipografici. -</p> - -<p class="covernote"> -Copertina creata dal trascrittore e posta nel pubblico dominio. -</p> -</div> - - - - - - - - -<pre> - - - - - -End of the Project Gutenberg EBook of Leopardi, by Federico De Roberto - -*** END OF THIS PROJECT GUTENBERG EBOOK LEOPARDI *** - -***** This file should be named 53223-h.htm or 53223-h.zip ***** -This and all associated files of various formats will be found in: - http://www.gutenberg.org/5/3/2/2/53223/ - -Produced by Carlo Traverso, Barbara Magni and the Online -Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net (This -file was produced from images generously made available -by The Internet Archive) - - -Updated editions will replace the previous one--the old editions will -be renamed. - -Creating the works from print editions not protected by U.S. copyright -law means that no one owns a United States copyright in these works, -so the Foundation (and you!) can copy and distribute it in the United -States without permission and without paying copyright -royalties. 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Information about the Project Gutenberg -Literary Archive Foundation - -The Project Gutenberg Literary Archive Foundation is a non profit -501(c)(3) educational corporation organized under the laws of the -state of Mississippi and granted tax exempt status by the Internal -Revenue Service. The Foundation's EIN or federal tax identification -number is 64-6221541. Contributions to the Project Gutenberg Literary -Archive Foundation are tax deductible to the full extent permitted by -U.S. federal laws and your state's laws. - -The Foundation's principal office is in Fairbanks, Alaska, with the -mailing address: PO Box 750175, Fairbanks, AK 99775, but its -volunteers and employees are scattered throughout numerous -locations. Its business office is located at 809 North 1500 West, Salt -Lake City, UT 84116, (801) 596-1887. Email contact links and up to -date contact information can be found at the Foundation's web site and -official page at www.gutenberg.org/contact - -For additional contact information: - - Dr. Gregory B. Newby - Chief Executive and Director - gbnewby@pglaf.org - -Section 4. Information about Donations to the Project Gutenberg -Literary Archive Foundation - -Project Gutenberg-tm depends upon and cannot survive without wide -spread public support and donations to carry out its mission of -increasing the number of public domain and licensed works that can be -freely distributed in machine readable form accessible by the widest -array of equipment including outdated equipment. Many small donations -($1 to $5,000) are particularly important to maintaining tax exempt -status with the IRS. - -The Foundation is committed to complying with the laws regulating -charities and charitable donations in all 50 states of the United -States. 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