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You may copy it, give it away or -re-use it under the terms of the Project Gutenberg License included -with this eBook or online at www.gutenberg.org/license - - -Title: La vita Italiana nel Rinascimento - Conferenze tenute a Firenze nel 1892 - -Author: Various - -Release Date: April 9, 2016 [EBook #51706] - -Language: Italian - -Character set encoding: UTF-8 - -*** START OF THIS PROJECT GUTENBERG EBOOK LA VITA ITALIANA NEL RINASCIMENTO *** - - - - -Produced by Carlo Traverso, Barbara Magni and the Online -Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net (This -file was produced from images generously made available -by The Internet Archive) - - - - - - - LA - VITA ITALIANA - NEL RINASCIMENTO - - _Conferenze tenute a Firenze nel 1892_ - - - DA - - E. Masi, G. Giacosa, G. Biagi, I. Del Lungo, - G. Mazzoni, E. Nencioni, P. Rajna, F. Tocco, D. Martelli, - Vernon Lee, E. Panzacchi, P. Molmenti. - - - - MILANO - FRATELLI TREVES, EDITORI - 1896 - — - TERZA EDIZIONE. - - - - - PROPRIETÀ LETTERARIA - - _Riservati tutti i diritti._ - - Milano. — Tip. Fratelli Treves. - - - - -LORENZO IL MAGNIFICO - -DI - -ERNESTO MASI. - - -Vi ricordate della tragedia di Vittorio Alfieri intitolata: _La -Congiura de' Pazzi_? Come opera d'arte non è gran che, lasciando -stare anche l'alterazione quasi grottesca dei fatti storici, dei -caratteri e persino dei nomi dei personaggi. Ma non si tratta ora di -ciò. Voglio notare soltanto un fenomeno singolare, che parmi accaduto -all'Alfieri nel trattar questo tema, ed è che mentre ha senza dubbio -voluto travestire in Lorenzo e Giuliano de' Medici due de' suoi -soliti _Egisti_ e _Creonti_, due de' suoi soliti _tiranni_, messi -là a ricevere in pieno petto le contumelie del _prim'uomo_ e della -_prima donna_, non solo il carattere di Lorenzo gli è, suo malgrado, -riuscito il più simpatico della tragedia, ma all'ultimo non sa più egli -stesso, l'Alfieri, da che lato pende il torto maggiore; i motivi della -sanguinosa catastrofe, da prima apparsigli così chiari e lampanti, -si direbbe che gli si oscurano tutto ad un tratto; e per conclusione -finale mette in bocca a Lorenzo queste ambigue parole: - - . . . . E avverar sol può il tempo - Me non tiranno e traditor costoro! - -Sembra accorgersi tardi che il tentativo di raccogliere tutta la pietà -tragica sui Pazzi, anzichè sui Medici, è un grosso errore, tanto sotto -l'aspetto della storia, quanto sotto quello dell'arte, com'ebbe poi -a scrivergli con gran franchezza Melchiore Cesarotti, e si ferma lì -come in dubbio, e in questo dubbio lascia gli ascoltatori ed i lettori -della sua tragedia. La quale ritengo, avrebb'egli concepita in modo -tutto diverso, se, in cambio d'averla scritta fra il 1779 e l'80, -l'avesse scritta un dieci o dodici anni più tardi, quando, scoppiata la -rivoluzione francese, la prospettiva della tirannide gli si era, per -così dire, rovesciata e gli pareva molto più intollerabile quella che -viene dal basso, anzichè quella che viene dall'alto, la tirannide dei -molti, anzichè quella d'un solo. - -Se non che il fenomeno accaduto all'Alfieri mi sembra essersi rinnovato -in molti altri dei più sfidati avversari di Lorenzo il Magnifico, dai -contemporanei fino ai giorni nostri. Molti altri accatastano fatti su -fatti e poi s'accorgono con loro stupore che i più tornano a gloria di -Lorenzo, e allora non possono tenersi dal mescolare le lodi ai biasimi, -o per lo meno dallo scindere l'unità di questa grande e complessa -figura storica del secolo XV in modo, da farne uscire due, tre, quattro -anzi, come propone il Perrens, uomini diversi, contenuti in un solo, e -così poterne lodare uno o due e biasimare i rimanenti; a molti altri -è accaduto di fermarsi all'ultimo, al pari dell'Alfieri, dubbiosi, -esitanti, come dinanzi ad un problema psicologico di troppo difficile -soluzione. - -A Lorenzo de' Medici è toccata del resto una singolare fortuna, ed -è quella d'aver sempre appassionato pro o contro gli scrittori, che -hanno trattato di lui, dai contemporanei fino agli odierni, come se -in cambio d'aver vissuto dal 1449 al 1492 egli fosse nato, vissuto -o morto pochi anni fa, come se in cambio d'un uomo del secolo XV -si trattasse, ad esempio, d'un Napoleone I, gli effetti della cui -gloria e dei cui disastri sono forse sensibili anche oggi nella vita -europea. Eppure quei signori e principi della prima e seconda stirpe -Medicea sono ben morti e sepolti! Nulla ci parla più di loro. Gli -stessi edifici e monumenti d'arte, che hanno lasciato, ci ricordano -ancora il nome e l'opera dell'artista, che gli ha ideati e compiuti, -ma il nome del signore o del principe, che gli ha commessi, appena -qualche erudito lo sa con precisione e al visitatore indigeno o -forestiero poco importa oramai che si tratti dei primi o secondi -Cosimi, Giuliani e Lorenzi, che si tratti dei Medici insidiatori -della libertà fiorentina o dei Medici Granduchi, i quali alle loro -vecchie dimore non hanno lasciato di proprio neppure il nome. A qualche -scrutatore indiscreto alcuna traccia dei tempi Medicei parrà forse di -scernere ancora nel temperamento e in certe disposizioni morali del -popolo fiorentino (lo dico a lode, badiamo, non a biasimo di certo) -ma nulla più. Chi ne dubitasse entri, qui prossimo, a San Lorenzo, in -quelle sepolture Medicee. Che gelo, che tanfo di morte preistorica -in quel buio della vecchia e nuova sagrestia, ma qui almeno danno -lume e calore il genio di Andrea del Verrocchio e quello tra satirico -e malinconico di Michelangelo! Peggio tra la sfarzosa e teatrale -ricchezza del sepolcreto granducale! Qui nessun compenso possibile: -la storia dice poco; l'arte non dice niente; il freddo dei marmi vi -assidera, vi penetra crudelmente nell'ossa e nell'anima, e si sente -il bisogno d'uscire più che di fretta, non già per odio a quei sepolti -tiranni, che coi loro manti e le loro corone arieggiano innocui re da -melodramma, ma per la prosaica paura d'un raffreddore. - -Ora dunque perchè, tra questi morti e così ben morti, quelli della -prima stirpe Medicea appassionano gli scrittori più di quelli della -seconda, e perchè tra quelli della prima Lorenzo più degli altri ha il -privilegio di eccitare anche oggi odii ed amori così tenaci? - -Finchè in Italia i libri di storia furono per metà di politica, voi -sapete quanto si sfruttarono l'assedio e la caduta di Firenze nel -1530 e quell'accordo del Papa coll'Imperatore, che fu la cagione -immediata di tale catastrofe. Era la conclusione ultima di tutto il -gran dramma, non della libertà fiorentina soltanto, ma della libertà -italiana, e poichè quel Papa era un Medici ed un Medici il primo Duca -di Firenze, non altro si volle vedere in tuttociò che la continuazione -d'un antico disegno d'ambizione, che finalmente s'effettuava coll'aiuto -dello straniero, ed i più rei parvero i primi autori di quella lunga -e perseverante insidia, ed il peggiore di tutti, quegli in cui più -splendidamente s'incarnarono la tradizione e il genio di tutta la -stirpe. Divenne così una specie di obbligo pel liberalismo italiano -non far grazia ai Medici e soprattutti a Lorenzo. Non parliamo dei -contemporanei o dei quasi contemporanei. L'odio o l'amor loro troppo -facilmente si spiega. Non parliamo neppure degli scrittori toscani -dell'epoca granducale, medicea e lorenese. La lode o il silenzio in -bocca loro sono troppo sospetti. Ma quando colla storia filosofica -e Volteriana del secolo XVIII si cominciò ad opporre al Medio Evo -credente e devoto il Rinascimento scettico e razionalista, eccoti, -fra gli stranieri massimamente, fra gli indifferenti cioè alle nostre -passioni politiche, eccoti il panegirico dei Medici e di Lorenzo in -particolare, che tocca il colmo e, direi, passa il segno, nel famoso -libro del Roscoe, ed eccoti di riscontro il Sismondi, scrittore di gran -merito, ma uno dei santi padri, uno dei rappresentanti internazionali -di quel dottrinarismo liberale e borghese, che ha nelle instituzioni -repubblicane la panacea di tutti i mali, e quindi non perdona ai -distruttori di repubbliche ed ai loro encomiatori. Non badò il Sismondi -che nella vita di Lorenzo il Roscoe a dipinger l'uomo s'era attenuto -al Valori, un coetaneo di Lorenzo, che a narrar la storia avea seguito -il Machiavelli, che i documenti originali gliegli avea apprestati il -Fabroni, che a penetrar nella storia letteraria lo aveano aiutato -il Bandini, il Tiraboschi, autorità tutte di non poco valore; non -si ricordò neppure ch'egli stesso avea tanto esaltato i Medici e -Lorenzo nella sua storia letteraria dell'Europa meridionale, quanto -li deprimeva nella sua storia delle Repubbliche Italiane; non badò -a nulla, non volle curarsi di nulla; non altro gli stette a cuore -che contrapporre al panegirico la diatriba e spinta al segno da non -sdegnare esso, onest'uomo come era, di lodare quali azioni eroiche -persino la dissimulazione dei Pazzi, che convitano Lorenzo e Giuliano -de' Medici in casa loro a fine d'ammazzarli, persino il tasteggiare -che fanno il giovane Giuliano, fingendo abbracciarlo amicamente, per -assicurarsi se ha o no il giaco sotto la veste, quando lo inducono a -entrar nel duomo e lo uccidono. - -È sommamente istruttiva la polemica, che ne seguì fra il Roscoe e il -Sismondi, la quale andò tant'oltre che il Sismondi stesso finì per -dire: “smettiamola, signor Roscoe, altrimenti si riderà di noi che ci -contendiamo un tiranno del secolo XV coll'accanimento medesimo, che due -rivali si contenderebbero il cuore d'una bella donna. E poi di che ci -scaldiamo tanto, noi, stranieri all'Italia tutti e due?„ - -Nè cadde a vuoto, sapete, quest'ultima parola, da cui s'arguirebbe -esservi sui Medici e su Lorenzo in particolare la possibilità -di due giudizi diversi, uno per gli Italiani, un altro per gli -stranieri, perocchè questo è appunto lo scrupolo, che ha trattenuto -il coscienzioso Burckhardt, nella sua classica opera sul Rinascimento -in Italia, dal giudicare Lorenzo come uomo di Stato e dal decidere -qual parte spetti agli uomini e quale sia superiore al loro stesso -buono o mal volere (il vero problema di questa storia) nei destini di -Firenze; scrupolo veramente eccessivo e che non trattenne per buona -sorte il Reumont, il Buser, il Leo, il Thomas, il Perrens e tanti altri -valentuomini stranieri dal fare della storia Medicea anche politica e -di Lorenzo come uomo di Stato il soggetto delle loro ricerche, e dei -loro studi. - -Quanto agli Italiani, finchè durò il periodo della preparazione e degli -esperimenti infelici della nostra rivoluzione e sino a poco dopo il -1859, si tennero più o meno a modello il Sismondi, pur evitandone le -enormi esagerazioni, nel giudicare dei Medici e di Lorenzo, ma poi -spesso l'argomento fece forza da sè al preconcetto politico, ed o si -fermarono, ripeto, incerti e dubbiosi, a mezza spada, o il giudizio, da -prima severissimo, si venne via via temperando, più si approfondivano -le ricerche, come potete vedere in Gino Capponi, che nel 1842, quando -si cospirava anche coll'_Archivio Storico_ (una delle più nobili -arme affilate nel gabinetto di Giampietro Vieusseux), ha parole di -fuoco contro i Medici, e nel 1875, quando pubblicò la sua _Storia -della Repubblica di Firenze_, ne parla con tanta maggiore serenità e -obbiettività scientifica; come potete vedere in Pasquale Villari, che -nel suo _Savonarola_, il libro caldo ancora di inspirazione giovanile -e di passionata eloquenza, e assai prossimo al Sismondi, e nel suo -_Machiavelli_, lo studio severo della sapiente virilità, se non ha -dismessi tutti gli antichi corrucci, tuttavia tempera o per lo meno -slarga il suo giudizio, che in questo caso val quanto di necessità -temperarlo. Più notevole è il caso del Carducci, che in quei suoi primi -saggi bellissimi sulle poesie di Lorenzo de' Medici e del Poliziano, -ora la sua natura d'artista lo attrae irresistibilmente verso Lorenzo, -natura d'artista esso pure, come dice il Capponi, anima di principe, -ultima grandezza d'un'età splendida, che finiva, ora lo spirito -rivoluzionario lo trattiene, lo tira indietro, gli strappa accenti -di collera, troncati a mezzo però da una ripugnanza anche maggiore, -la ripugnanza alla reazione del Savonarola, che tenta gettare la sua -tonaca di frate su tutta quella radiosa giovinezza di Rinascimento -artistico e letterario. - -Intanto le ricerche e gli studi sull'età Medicea e su Lorenzo -continuano indefessi; si ampliano e si integrano i documenti raccolti -dal benemerito Fabroni; al togato Guicciardini della _Storia d'Italia_ -succede il Guicciardini della _Storia Fiorentina_, dei _Ricordi_ e di -quel capolavoro del pensiero politico italiano, che è il _Dialogo sul -Reggimento di Firenze_; abbiamo cioè l'espressione viva e immediata di -un quasi contemporaneo, che è insieme una gran mente d'uomo di Stato, -e tuttociò ci frutta fra il 1874 e 75 l'opera capitale su Lorenzo dei -Medici di Alfredo di Reumont ed il giudizio pieno e definitivo di Gino -Capponi. Si direbbe che il processo è chiuso, che la sentenza ultima è -pronunciata; che, com'è per lo più di tutte le sentenze della storia, -Lorenzo ne esce nè del tutto assolto, nè condannato del tutto. Oibò! La -buona fortuna del Sismondi non è finita. Esso rivive con tutte le sue -collere e i suoi anatemi nel Perrens, che sotto gli occhi nostri, nel -1888, e valendosi anzi di tutto il lavoro critico avvenuto dal Sismondi -in poi (giacchè, bisogna dirlo, il Perrens è anzi, per straniero -e francese che parla d'Italia, mirabilmente informato), riapre il -processo e non una parte di Lorenzo si salva; l'uomo, il padre, -il marito, il cittadino, il signore, lo statista, il mecenate, il -letterato, tutto, tutto è oscurato e ravvolto in una stessa condanna. È -una demolizione compiuta. Del tempio e della statua non resta in piedi -neppure una pietruzza, che dica al passeggiero: _qui fu Lorenzo de' -Medici_; tantochè all'ultimo lo stesso Perrens si ferma col martello -in mano e quasi spaventato dell'opera sua; si sente preso anch'esso da -quel dubbio, da quell'incertezza, che, come dicevo, assale dall'Alfieri -in giù tutti i più sfidati avversari di Lorenzo; ma è supremamente -comica la forma che piglia questo tardivo rimorso nel Perrens, il -quale si rivolta contro il suo maestro ed autore, contro il Sismondi, -e quasi lo apostrofa dicendo: “via, è troppo! Un po' di discrezione, -s'il vous plaît. Non è poi certissimo che quei vostri cari Albizzi -fossero proprio campioni di libertà e di democrazia in confronto dei -Medici e, quanto a Lorenzo, conveniamo che, se non fu veramente _l'ago -della bilancia_ nella politica italiana del suo tempo, come pretendono -i suoi adulatori, qualche cosa ha pur fatto per mantenere la pace, -almeno dalla guerra di Sarzana fino alla sua morte, dal 1487 al 1492. -È pochino! Sono cinque annetti soli! Ma questo almeno si conceda per -dimostrare, se non altro, la nostra imparzialità!„ - - -Voi vedete, o signore, fra che odii e che amori, fra che assoluzioni -e condanne, fra che spinaio di giudizi diversi sarebbe costretto a -ravvolgersi chi avesse oggi da narrare a fondo la storia di Lorenzo il -Magnifico, della sua vita e del suo tempo. E se ho dovuto indugiarmi -tanto, solo per accennare le difficoltà del mio tema, mi conforta -il pensiero che accennare tali difficoltà è già esso stesso un -illustrarlo, e che, parlando ad un pubblico così culto e in massima -parte fiorentino, m'è lecito presupporre l'argomento noto almeno nelle -sue linee storiche principali e non tenermi obbligato a ridir tutto -per filo e per segno, che già sarebbe chieder troppo all'industria del -conferenziere e alla sofferenza del pubblico. - -A giudicare dei Medici e di Lorenzo con quell'imparzialità almeno -relativa, a cui gli uomini possono aspirare, mi pare del resto che -la nostra generazione dovrebbe oramai essere meglio disposta delle -precedenti, la nostra generazione, che in fatto di politica è passata -a traverso tante bonacce e burrasche di promettenti primavere, di -malinconici autunni e di inverni spietati. Essa dovrebbe sentirsi, -dico, meglio disposta a non farsi guidare nel giudizio di un -passato remoto, che si tratta di conoscer bene, ma non muta più, da -idoleggiamenti rettorici di forme di governo, qualunque esse siano, o -da preoccupazioni politiche, che mutano ogni giorno. - -La storia indifferente al bene od al male perde non solo ogni efficacia -morale, ma ancora ogni calore e vivezza di rappresentazione. Ma altro -è una gelida indifferenza al bene od al male, altro è gettarsi a -capo chino fra le lotte d'un'età tanto lontana da noi e sposarne gli -odii, gli amori, come se fossero i nostri, e aggregarsi a una fazione -contro dell'altra. Si moltiplicano per tal guisa deliberatamente le -occasioni e le cause d'errori infiniti, giacchè, per quanto ci sia -dato penetrare a dentro nella storia con le ricerche, gli studi e -attingendo, finchè si può, dalle fonti originali delle memorie e dei -documenti contemporanei, resta pur sempre un qualche cosa, che nessuna -ricerca può far rivivere, che nessuno studio può rimetterci dianzi -agli occhi, che nessun documento può dirci, ed è forse appunto in -quell'inafferrabile _qualche cosa_, che giace riposta la spiegazione -vera di un fatto o d'un uomo, la ragione ultima d'assolvere o di -condannare. Di ciò si ha un segno evidente in quella specie di sforzo -che occorre, in quella specie di disagio morale e qualche volta, direi -quasi, anche fisico, che si prova a volersi addietrare col pensiero -nella vita di generazioni già lontane da noi. Ce ne vuole per assuefare -non soltanto l'animo a sentimenti e passioni, che non si provano più, -ma la fantasia e gli occhi ad abitudini, a costumi, a fogge, ad arredi, -a vestiari, che non sono più i nostri, a compiacersi di divertimenti, -che oggi ci parrebbero torture, a persuadersi del buon gusto di un -pranzo, che oggi ci rovescierebbe lo stomaco, a ridire d'una burla -o d'un motto, che oggi ci suona come una freddura senza sugo, e via -dicendo. Quello sforzo e quella specie di disagio scemano in noi più ci -si affina il gusto della storia, e si convertono anzi in una misteriosa -delizia, che può divenire persino passione e mania. Ma dimostrano -insieme (e ciò dico in particolare a proposito dei Medici e di Lorenzo) -la necessità che lo studio della storia rimanga, più che possibile, -obbiettivo, la necessità di non spostare nè uomini, nè fatti, di -sceverare il generale dal particolare, di non dar troppo all'ambiente, -come oggi s'usa dire, per togliere all'uomo, nè attribuire a questo, -per quanta azione abbia avuto sul tempo suo, ciò che è dell'ambiente, -in cui quell'uomo ha vissuto, di sentenziare di preferenza dagli -effetti palesi dell'opera sua, che sono ben noti, anzichè dai movimenti -individuali e interiori, dei quali nessuno può più dirci intiero il -segreto, di non prolungare finalmente al di là di certi limiti quegli -effetti medesimi per incolparlo anche di ciò che risulta da tutti altri -uomini e da tutt'altre condizioni di tempi, scordandoci a suo danno -quello che l'esperienza ci dimostra ogni giorno, cioè che l'uomo è -appena padrone del minuto che passa. - -Ora se v'ha personaggi storici pei quali queste cautele siano state -più trascurate, direi che sono i Medici per l'appunto. E si capisco -facilmente il perchè. Non parliamo dei Medici, dal 1531 Duchi e -Granduchi. Ma per quelli della prima linea, a non dir che di loro, per -Cosimo il Vecchio, Piero il Gottoso, Lorenzo il Magnifico, furono tanto -più facilmente trascurate quelle cautele, perchè essi appassionano, -come già dissi, più di tant'altri personaggi storici, gli scrittori, -e gli appassionano tanto più, perchè non sono semplici capi ereditari -d'una dinastia, d'una città, d'un regno, ma, oltre alla singolarissima -forma del potere che esercitano, sono, se non gli autori, gli attori -più in vista, pel loro grado, per le loro tradizioni, per le loro -aderenze, pel loro genio e le loro inclinazioni personali, di tutto -un nuovo e gran moto di civiltà, comprendente non solo le forme di -governo, le arti, le scienze, le lettere, ma i pensieri, i sentimenti, -la religione, la morale, i costumi, le usanze, tutta nel suo complesso -la vita pubblica e privata; ond'è che in essi si studia non il signore -soltanto, ma l'uomo nelle sue relazioni cogli uguali e cogli inferiori, -l'uomo nella vita quotidiana, in casa, in villa, per le vie, tra gli -spettacoli carnevaleschi, fra le dispute dell'accademia, nel banco -commerciale, nel museo, nella biblioteca, fra gli amici che predilige, -fra le donne che ama, fra le pareti del suo palazzo, alle corti -estere, dove, benchè semplice cittadino nella sua città, comparisce -da principe; e lo si studia appunto fra tanta gente e in tanti luoghi -diversi, perchè questa moltiplicità e varietà di gusti, di attitudini, -di attività è carattere generale del tempo, ma principalmente carattere -dei grandi uomini italiani, e fra gli Italiani dei Fiorentini, e fra i -Fiorentini dei Medici, e fra i Medici di Lorenzo il Magnifico. - - -Se le signorie dei secoli XIV e XV (che bisogna ben badare a non -confondere in Firenze ed altrove coi Principati) fossero un fatto -verificatosi in Firenze soltanto e per opera soltanto dei Medici, i -quali con arti subdole, con lunga e tenace insidia avessero a poco -a poco soffocata la vita del più torbido sì, ma del più glorioso -Comune italiano del Medio Evo, mentre all'intorno avessero prosperato -ancora gli altri Comuni, assodando la loro libertà e slargando la -loro giurisdizione territoriale, non vi sarebbe, a dir vero, vituperio -bastante a castigare un simile parricidio. Ma non è così! Nel secolo XV -la declinazione della cosidetta libertà comunale, che è la prevalenza -feudalesca di una città sul territorio che la circonda, e la sua -mutazione in signoria, che è la prevalenza d'un capo partito, o di un -capo militare, o di un vicario imperiale o di una potente famiglia -sui partiti, che si contendono il primato nella città dominante, è -un fatto universale in tutta Italia. In Firenze anzi, come fu più -tardivo a sorgere il libero Comune, così è più tarda a sorgere la -signoria. Nell'Italia superiore invece, dove il feudo s'insediò più -vigoroso, questa trasformazione non aspetta il secolo XV. Nei due -secoli antecedenti si compie e trascende già a principato vero coi -Torriani e Visconti a Milano, coi Da Romano nella Marca Trevisana, -cogli Scaligeri a Verona, coi Pelavicino a Piacenza e, più prossime -a Firenze, di qua e di là dell'Appennino, le signorie pullulano e si -frazionano all'infinito, più grandi, più piccole, or vigorose, ora -deboli, ora divorate dalle maggiori, ora dilaniantisi in sè stesse -fra odii sanguinosi di famiglie rivali. In Toscana stessa, ove le -resistenze sono più forti, avete le signorie militari e transitorie, i -tentativi sfortunati di Uguccione della Fagiuola e di Castruccio degli -Antelminelli. In Firenze stessa, tralasciando le signorie Angioine, -le quali si potrebbero dire delegazioni di poteri pubblici ad un fine -determinato, tralasciando pure l'episodio di Gualtieri di Brienne, -Duca d'Atene, la cui tirannia mette a repentaglio estremo le libertà -popolari, avete tentativi interni, i quali dimostrano che ai Medici, -anche nel maggior fervore della vita repubblicana, predecessori non -mancano: Corso Donati, ad esempio, che fin dal principio del secolo XIV -tenta farsi capo di una oligarchia di magnati; Rosso della Tosa, che -non gli vuol sottostare e mira diritto al principato. Più facile forse -il programma, come oggi si direbbe, di Corso Donati, perchè Rosso della -Tosa ha troppa fretta d'anticipare i Medici. Avete ad ogni modo, e di -non poco precedente la signoria Medicea, la tendenza ad afforzare in -una forma aristocratica i vecchi ordini comunali già decadenti, il che -si tenta fin dal secolo XIV col magistrato di parte Guelfa, instituito -già da molti anni, ma divenuto allora così chiuso e potente, che non so -davvero che cosa gli manchi per essere una vera tirannide; poi colla -prevalenza della parte aristocratica dei Ricci e degli Albizzi, prima -lottanti fra loro, poi degli Albizzi rivali dei Medici, i quali Medici -primeggiano nella parte popolare, donde sono usciti, sicchè all'ultimo -tutto si riduce a decidere quale delle due famiglie sopraffarà l'altra, -quale delle due, se gli Albizzi o i Medici, dominerà la repubblica. Ma -insomma questa inclinazione del Comune a signoria è fatale, è superiore -a tutte le combinazioni umane o di procaccianti ambizioni o di tardive -resistenze, perchè dipende da una legge più generale e più alta, quella -per cui un'età storica succede ad un'altra, quando i principii, sui -quali quella si reggeva sono logori, esausti, finiti, e le sottentrano -altri principii, altre tendenze, altre voglie, altri indirizzi di -civiltà, quasi un'altra società, un'altra gente. - -Così è di questo tempo. Le grandi illusioni ghibelline sono finite -fin dal 1313 con Arrigo VII. Se gli Imperatori scendono ancora in -Italia da Lodovico il Bavaro a Carlo IV, a Venceslao, a Sigismondo, a -Federico III, vengono per esiger taglie, trafficar titoli e diplomi, -e se ne vanno. Settant'anni d'esilio in Avignone, quarant'anni -di scisma, hanno sminuito e trasformato il Papa in un principotto -italiano, che bada agli interessi suoi e de' suoi nipoti e lascia -il partito Guelfo senza capo. Le due universali unità politiche, le -due grandi forze ordinatrici, i due grandi ideali del Medio Evo sono -dunque finiti e scomparsi nella storia italiana. Nè basta. Napoli s'è -sottratta alla diretta soggezione imperiale. Venezia, che non fu mai -nè guelfa nè ghibellina, che quasi non pareva appartenere all'Italia, -cerca ora pigliarvi stato, e il difendersi da Napoli e da Venezia, -nel linguaggio e nelle idee d'allora, val quanto difendere la libertà -degli Stati italiani contro lo straniero. Nè basta ancora. Le potenti -energie messe in moto dalla turbolenta libertà dei Comuni hanno dato -vita ad una risurrezione d'arte e di sapere, ad una ristaurazione di -classicismo, che sarà fondamento a tutta la cultura moderna, e che ora -assorbe ogni attività spirituale e par fatta apposta per nascondere -sotto i suoi fulgori la decadenza dei vecchi ordini repubblicani -e la loro trasformazione in signorie. I Comuni colle loro lotte -continue in casa, in piazza, in palazzo, stancavano tutte le forze -del cittadino, fomentandone tutte le passioni, imponendogli attività -e doveri continui. Ma ormai è venuta su una gente disposta a cercar -riposo all'ombra d'un potere stabile e fermo, che tenga freno plebe -e oligarchi; una gente, che vuol godere in pace, fra gli agi e i -piaceri, il frutto della parsimonia e dell'operosità dei padri e degli -avi, tanta ricchezza ammassata, tanto splendore e amenità di arti e -di lettere e che per goderlo anche meglio si lascia cader le armi di -mano, abbandonando l'arte della guerra al mestiere dei venturieri -col fastidio superbo, colla noncuranza poltrona di opulenti, di -mercanti, di artisti e di letterati. Aggiungete che l'umanesimo ha -bisogno d'aiuto e di protezione signorile. Se la libera bottega bastò -ai prodigi spontanei dell'arte, l'umanesimo tende a costituire una -nuova aristocrazia piuttosto cortigiana, di quello che politicamente -e virtuosamente operosa. Questo all'interno. E al di fuori? Al di -fuori niun pericolo minaccia per ora: non dall'Impero troppo debole, -non dalle altre nazioni ancora intente alla loro costituzione. Se un -pericolo v'è, sta nella gelosia reciproca dei varii Stati italiani, -nella necessità quindi di una politica di equilibrio tra i più forti, -tanto più difficile a praticarsi, quanto più sono misteriosi e tutti -egoistici e personali i motivi, pei quali le violenze e le rappresaglie -si determinano. Firenze è al centro di tutto questo nuovo movimento di -civiltà, di tutta questa trasformazione morale, sociale e politica, -che si va compiendo, e in mezzo ad essa la signoria Medicea (di -origine certamente meno illegittima di tante altre, in quanto sorge -e si svolge dall'imo fondo dei rivolgimenti politici fiorentini) in -mezzo ad essa la signoria Medicea si afferma e si assoda da Cosimo -il Vecchio a Lorenzo il Magnifico, il quale ne segna l'apogèo, e dopo -del quale non avrà che a decadere (per poi vigoreggiare di nuovo con -forme e in tempi affatto diversi), tanto in questo strano congegno del -governo signorile, che il Burckhardt ha con ragione chiamato un'opera -d'arte, al pari d'un poema o d'un quadro, tutto è affidato alle qualità -personali dell'uomo. Ma di tutto quel nuovo ambiente, in cui il poter -loro prevale, i Medici sono essi la causa o l'effetto? L'effetto, -io credo. Sono la produzione spontanea delle condizioni generali del -tempo e delle particolari, che escono dalla storia di Firenze. Quindi -è necessario non dimenticar mai di considerare i Medici della prima -stirpe per quel che sono, uomini del loro tempo, Lorenzo sopra tutti, -che colle sue pecche non lievi e le sue straordinarie qualità è anzi il -tipo ideale del Signore italiano del Rinascimento. - - -Lasciando ai genealogisti cortigiani di avvolgere le origini della -famiglia Medici nelle nuvole della leggenda, dirò che essi appariscono -relativamente tardi nella storia di Firenze, non prima, che si sappia, -del 1301. Si dice che appariscono come sopraffattori di popolo nei -sanguinosi tumulti, che finiscono alla proscrizione dei Guelfi bianchi -e di Dante Alighieri. Si dice che con Salvestro de' Medici, il quale -da Gonfaloniere di Giustizia, nel 1378, dà le mosse al tumulto de' -Ciompi, essi cominciano a far l'arte loro di lusingar la plebe per -aiutarsi a salire. Si dice che Giovanni di Bicci nel 1426, opponendosi -a Rinaldo degli Albizzi, si atteggia a capo del partito popolare. -Tuttociò è vero, come fatto. Ma è altrettanto conforme a verità -trovarvi gli auspicii e il cominciamento del destino Mediceo? Se nel -1301 sono sopraffattori di popolo, vuol dire che erano violenti come -tutti gli altri, come quel popolo stesso, il quale s'era armato dei -cosidetti Ordinamenti di Giustizia. Se nel 1378 Salvestro ha parte -nel tumulto de' Ciompi, non ve l'ha certo maggiore di Benedetto degli -Alberti, di Giorgio Scali, di Tommaso Strozzi, i quali tutti sommuovono -i Ciompi, cioè l'infima plebe, contro Piero degli Albizzi e la setta -Guelfa. L'intervento dei Ciompi dà un carattere di rivoluzione sociale -alla lotta, che non era nelle intenzioni dei sommovitori. Essi sono -trascinati loro malgrado nella vittoria dei Ciompi, che si risolve -poi in una prevalenza delle sette Arti Minori, e di questa l'Alberti, -lo Scali, lo Strozzi sono le prime vittime, appunto perchè la parte -ch'essi ebbero in tutto questo moto fu molto maggiore di quella di -Salvestro de' Medici. La pretesa precocità dell'insidia Medicea, che si -vuol dedurre dal tumulto dei Ciompi, è dunque una delle tante _frasi -fatte_, che si ripete a carico dei Medici, ma che non ha fondamento -nella storia. Quanto a Giovanni di Bicci, certo egli ha gran parte -nella legge tutta popolare del Catasto del 1427, ma politicamente è -un personaggio quasi insignificante: accresce bensì il credito e la -ricchezza di Casa Medici, ma non può dirsi il fondatore politico di -essa. Il suo fondatore vero è Cosimo il Vecchio. Quand'egli apparisce, -le lotte si sono venute sempre più restringendo, e la rivalità dei -Medici e degli Albizzi diventa quasi una lotta personale fra Cosimo e -Rinaldo degli Albizzi, che, al dire di Jacopo Pitti, “come principe -maneggiava lo Stato.„ Costui pensa essere ormai tempo di troncare -di colpo la sempre crescente potenza Medicea e fa chiamar Cosimo in -Palazzo per ucciderlo, ma deve contentarsi dell'esilio; transazione, -di cui il Sismondi, il Perrens sono inconsolabili, perchè Cosimo è -richiamato dall'esilio un anno dopo e torna in patria in trionfo. Nei -giorni più splendidi di Casa Medici, sulle pareti del gran salone nella -villa di Poggio a Caiano questo ritorno sarà magnificato, figurandolo -per quello di Cicerone, ricondotto in patria sugli omeri di tutta -Italia. Il vero è che Cosimo, tornando dall'esilio il 6 ottobre -1434, si fermò e pranzò a Careggi, non permettendogli la Signoria di -rientrare in Firenze prima di sera, e poichè Via Larga era piena di -popolo aspettante, dovette sgattaiolare nel Palazzo della Signoria e -passarvi la notte, rientrando solo al mattino seguente nella sua dimora -di Via Larga, lo stupendo edificio, forse allora ancora in costruzione, -in cui, fra quel misto di solidità e di eleganza, di cittadino e di -principesco, sembra ch'egli abbia veramente improntato sulle muraglie -il proprio genio. - -Se Lorenzo il Magnifico fosse succeduto a Cosimo il Vecchio, i -primi tempi della sua signoria sarebbero stati meno difficili e meno -travagliata la sua giovinezza. Ma succedette invece a Piero il Gottoso, -che in mille modi avea compromesso il potere della sua casa, più di -tutto deviando da quella esteriore semplicità e modestia di Cosimo, -che, unite alla grandezza degli intenti civili, alla protezione -delle lettere, al buon uso della ricchezza, alla passione magnifica -dell'edificare, per cui Benozzo Gozzoli, con allegoria, che sa di -satira, lo figurò nel Camposanto di Pisa assistente colla famiglia -all'edificazione della torre di Babele, mentre fecero dare alla potenza -Medicea il passo decisivo, valsero a lui il titolo glorioso di padre -della patria. - -Ma morto Piero nel 1469, succedevano due giovani, Lorenzo di 21 e -Giuliano di 16 anni, sicchè rinverdirono le speranze dei nemici di -Casa Medici, contando sull'inesperienza e sull'impeto giovanile, -qualità poco adatte a conservare una potestà così vaga e indeterminata, -così raccomandata tutta al valor personale, come quella dei Medici. -Furono più forti l'amore del popolo, il terror dell'ignoto, le memorie -di Cosimo, tanto più ch'esso in persona parea rivivere nel giovine -Lorenzo, già messo in vista di tutti per la precocità dell'ingegno, -la giovialità, il fare largo e liberalissimo, l'educazione ricevuta -da grandi maestri, i viaggi alle corti estere, pei quali così giovane -era messo a parte di gravi faccende politiche e ammonito dal padre a -diportarsi già da uomo e da principe. Precoce era in tutto Lorenzo e -già da giovanissimo i contemporanei gli mutavano in predicato d'onore -il titolo di _Magnifico_ spettante al suo grado e con cui è rimasto -nella storia, mentre il fratello Giuliano, indole più rimessa e più -spensierata tuffata nei piaceri, negli amori, negli spassi giovanili -era dai suoi coetanei chiamato, dice il Giovio, _principe della -gioventù_. All'arme non fu educato Lorenzo, non sì però ch'egli non -fosse forte, aitante della persona, benchè assai brutto di volto, -come si vede, meglio che dalla figura un po' idealizzata di Lorenzo -giovine nel gran quadro dell'_Epifania_ di Sandro Botticelli e dal -ritrattino del Bronzino agli Uffizi, nella medaglia del Pollaiuolo -e nella trista figura dipinta dal Vasari (pure agli Uffizi), in cui -appariscono evidenti i segni del male, che lo trasse a morte prematura. -Appassionatissimo pei cavalli, era cavalcatore valente, ma della -corona riportata alla giostra del 1468, combattuta per le sue nozze -con Clarice Orsini, e cantata da Luca Pulci, è il primo a ridere con -la solita superiorità sua. Appena mortogli il padre, furono dunque a -lui i principali cittadini, pregandolo a pigliarsi cura dello Stato. -Esitò, forse ad arte, raccomandandosi ai consigli di tutti, ma certo -ben risoluto in cuor suo a far da sè. - -Quali sono da questo momento i punti prominenti della vita di -Lorenzo? Dal 1472 al 1484 la sollevazione di Volterra, la congiura -de' Pazzi, la guerra che ne consegue col papa Sisto IV e col re di -Napoli, l'ardito viaggio di Lorenzo a Napoli, che stacca il re dal -papa e assicura la pace, il ritorno di Lorenzo in patria e la riforma -interna coll'instituzione dell'Ordine dei Settanta (che è il vero _18 -Brumaio_ di Lorenzo), la guerra di Ferrara, la pace coi Veneziani, -e la morte di Sisto IV, l'implacabile nemico di Lorenzo. Dal 1484 al -1492 l'intimità di Lorenzo con Innocenzo VIII, successore di Sisto, -l'equilibrio politico a sommo studio mantenuto da Lorenzo, il maggior -splendore della sua signoria ed i primordi d'un'opposizione morale nel -Savonarola fino alla morte di Lorenzo, a cui seguitano così da presso -la preponderanza straniera e la servitù dell'Italia, che Cesare Balbo, -nella sua divisione della nostra storia, proponeva di finir qui (merito -o fortuna, che sia, di Lorenzo) l'età dei Comuni Repubblicani, che -altri protrae sino alla caduta di Firenze nel 1530. - -Ora questi fatti, che io ho accennati così in breve c'è chi gli -ha narrati tutti a gloria, altri tutti a biasimo di Lorenzo. La -Repubblica doma la ribellione di Volterra? È lui che vuol rubare i -profitti delle cave d'allume. Volterra è posta a sacco? È lui, che -ordina quell'inutile crudeltà. I Pazzi congiurano? È lui che li ha -provocati. Il popolo fa scempio dei congiurati? È lui, che non è mai -sazio di vendette. Sisto IV e il Re di Napoli muovon guerra? È Lorenzo, -che strascina la patria in contese non sue. Lorenzo va a Napoli e -si dà in mano al suo nemico? È una commedia. Torna e si impossessa -coll'ordine dei Settanta dell'elezione dei Magistrati? È lui, che ha -inventata questa trappola alla libertà la quale non ha riscontro nella -storia di Firenze. Si stringe in amicizia e parentela con Innocenzo -VIII? È lui, che è quasi reo del nepotismo dei Papi. Cerca la pace -nell'equilibrio degli Stati? È una politica d'espedienti, che non val -nulla. Firenze è prospera e gioconda? È lui che la educa alla servitù, -corrompendola coi trionfi e i canti carnascialeschi. Che più? Neppur -l'uomo privato si salva da questo pessimismo demolitore. Si ricusano -tutte le testimonianze in suo favore, che concordemente lo dicono -buono, gioviale e tollerante, nonostante le sue sofferenze fisiche, -fedele agli amici, socievole, semplice nella grandezza, idolatra dei -figli, non dimentico mai del tutto degli insegnamenti e degli esempi -della pia madre, Lucrezia Tornabuoni, rispettoso della moglie, indole -pur così diversa dalla sua e con poca grazia e senza avvenenza; e, per -dimostrare com'era tuffato nei vizi, il Buser reca una lettera d'un -Francesco Nacci da Napoli, che annuncia a Lorenzo la spedizione di -cinquanta belle schiave turche, _le più belle che si trovarono_! Ah, -la grazia! Cinquanta? Se non che, come fu provato, il buon tedesco -ha letto nel documento _belle_ invece di _pelli_, _turche_ invece -di _tutte_, e così, invece di 50 _pelli di Schiavonia_, ha letto 50 -belle schiave turche, un harem da sultano, e senza accorgersi neppure -che in tutto il contesto della lettera si parla della spedizione in -modo, come se oggi si spedissero a qualche gran Don Giovanni 50 belle -ragazze, turche o non turche, per pacco postale. Nè basta. Quello che -il Machiavelli dice a lode di Lorenzo s'interpreta a biasimo, e nel -dialogo sul _Reggimento di Firenze_ del Guicciardini si vuol vedere non -una discussione, ma una diatriba, e fra gli interlocutori del dialogo -si menan buone tutte le accuse di Paolo Antonio Soderini e di Pier -Capponi e non si tien conto alcuno di tutte le difese di Bernardo Del -Nero. - -Quanto erano stati belli e lieti gli anni della prima giovinezza di -Lorenzo, altrettanto furono agitati e poi tristi e funesti i primi anni -della sua signoria. Nel 1470 insorge Prato. Due anni dopo Volterra, a -cagione delle miniere d'allume. Si vuole ch'egli vi fosse cointeressato -e che nella repressione la città fosse posta a sacco per ordine suo. -Ora è stato dimostrato che della prima accusa non c'è che una sola -testimonianza contemporanea ed è di un nemico dei Medici; e quanto -alla seconda, non solo che non furono gli assalitori, che la misero a -sacco, bensì le masnade stesse, che essa avea assoldate per difendersi. -Ma che monta? È un'altra delle frasi fatte a proposito dei Medici e di -Lorenzo, e non è un anno, che se l'è ribevuta il Bourget, romanziere -positivista, nelle sue _Sensations d'Italie_ e l'ha ridivulgata colla -magia del suo stile. Lorenzo volle non transigere, ma reprimere. Quella -frequenza di ribellioni gli dava ombra; ecco la maggiore responsabilità -sua. Ottenne di fatto qualche anno di tregua e ripigliò più che mai -gli spassi, gli studi, le magnificenze d'arti e spettacoli, perocchè -Lorenzo non era di quelle povere nature, come sarebbero le nostre, che -una sola faccenda assorbe intiere e non ci lascia più nè tempo nè testa -ad altro. - -Natura grandiosa, fantasia ardente, ingegno universale, Lorenzo mandava -di pari passo lettere, filosofia, galanterie, mascherate, vita di -campagna, vita di città, laudi sacre, canti carnascialeschi, canzoni a -ballo, sacre rappresentazioni, intimità cogli amici, i letterati e gli -artisti, ospitalità sontuose a principi che capitavano, eriger chiese -e ville, passione dei musei e dei cavalli, della musica e delle belle -donne, banchetti e processioni, politica e giostre. - -La più celebre è appunto di questi anni, nel 1478, e prende nome da -Giuliano ed è la più celebre, perchè fornì argomento alle _Stanze_ -del Poliziano. Precede alla giostra e alla composizione delle -_Stanze_ un avvenimento intimo dei due fratelli Medici, la morte -della bella Simonetta Vespucci, amante di Giuliano, nel 1476, ed -interrompono la composizione delle Stanze la congiura de' Pazzi -e l'uccisione di Giuliano nel 1478. Il terribile epilogo, e non -voluto, del poema è dunque la narrazione in latino sallustiano, -scritta dallo stesso Poliziano. L'epilogo, forse ideato e non potuto -scrivere, il cavalleresco epilogo cioè della più bella data in -premio al più cortese, al più prode, sarebbe mai quello rappresentato -con inspirazione polizianesca dal Botticelli nello stupendo quadro -dell'Accademia di Belle Arti, detto comunemente: _la Primavera_? È una -ingegnosa e nuova interpretazione del quadro, proposta ora dal prof. -Jacopo Cavallucci e che a me pare fondatissima. La Ninfa del poema è -certo quella del quadro. Basta rileggere le _Stanze_: - - Candida è ella e candida la vesta - Ma pur di rose e fior dipinta e d'erba; - Lo inanellato crin dell'aurea testa - Scende in la fronte umilmente superba. - Ridele intorno tutta la foresta - E quante può sue cure disacerba. - Nell'atto regalmente e mansueta - E pur col ciglio le tempeste acqueta. - . . . . . . . . . . . . . . . - Ella era assisa sopra la verdura - Allegra e ghirlandetta avea contesta - Di quanti fior creasse mai natura, - De' quali era dipinta la sua vesta. - E come prima al giovin pose cura - Alquanto paurosa alzò la testa, - Poi con la bianca man ripreso il lembo, - Levossi in piè con di fior pieno un grembo. - . . . . . . . . . . . . . . . - Mosse sovra l'erbetta i passi lenti - Con atto d'amorosa grazia adorno - . . . . . . . . . . . . . . - Ma l'erba verde sotto i dolci passi - Bianca, gialla, vermiglia azzurra fassi. - -Non meno certo è che la figura del giovine, situato a sinistra, è il -ritratto idealizzato di Giuliano, somigliantissimo, parmi, all'altra -figura di Giuliano, che è nel quadro dell'_Epifania_ del medesimo -Botticelli; e quasi lo stesso motivo poetico delle Stanze e del quadro -la _Primavera_, e la poesia attribuita a Giuliano de' Medici, ma -che il Carducci giudica del Poliziano, ed è diretta alla Simonetta. -Se la ninfa del quadro sia il ritratto della Simonetta, fra tanta -incertezza dei ritratti di questa vaga e celebre beltà, non si può -forse determinare assolutamente, ma altri emblemi, il _lauro_ allusivo -a Lorenzo, i tre fiori _d'ireos_ fiorentina, tutto concorre a dare a -quel quadro un significato Mediceo spiccatissimo, e si sa che i Medici -l'ebbero caro come un ricordo di famiglia. - -Comunque, il dolce nome della Simonetta mi riconduce a Lorenzo, perchè -dalla vista di lei morta e portata, scoperto il volto, al sepolcro, -come narra il famoso epigramma latino del Poliziano, Lorenzo pretende, -nel _Commento_ ai propri sonetti amorosi, essersi sentito sollevare -alla perfetta cognizione platonica dell'amore, da una morta trapassato -poi in una viva, dalla Simonetta in Lucrezia Donati, da lui incontrata -in una festa, alla quale “concorsono, dic'egli, tutte le giovani nobili -e belle„. È una gentilissima invenzione, ma invenzione di certo, perchè -l'amore della Donati è precedente di dieci anni almeno alla morte -della Simonetta, e solo dimostra che continuò anche dopo il matrimonio -di Lorenzo con Clarice Orsini, sempre però puro, ideale, platonico, -petrarchesco, come assicura Ugolino Verini, un poeta intrinseco di -Lorenzo, e dietro a lui molti altri confermano, sicchè noi non possiamo -far di meglio che credere ad occhi chiusi a sì concordi testimonianze. - - -Tutta questa lieta visione di giovinezza e di amori si dilegua -nella congiura de' Pazzi. Non rinarrerò quella scena, una delle più -straordinarie della storia di Firenze, perchè tutte già l'avete a -memoria; quella messa in duomo col Cardinal Riario, che assiste; -Giuliano e Lorenzo de' Medici con parecchi loro amici, vicini al coro -e circondati, senza saperlo, dai congiurati; il popolo devoto, che li -attornia, e mentre il sacerdote celebrante solleva l'ostia consacrata -e le campane suonano a gloria, Giuliano, ferito a morte dal Bandini, -cadere immerso nel proprio sangue, Lorenzo assalito e ferito anch'esso, -ma avvoltasi la cappa a un braccio e tratta coll'altro la spada -aprirsi il passo alla sagristia, dove riesce a scampare. La chiesa -è tutta un tumulto; le vôlte quasi crollano alle grida; il Cardinal -Riario, accovacciato presso l'altare, ne rimarrà pallido di terrore -tutta la vita. Intanto a quel suono di campane, altri congiurati, -con l'Arcivescovo Salviati alla testa, assalgono il Palazzo della -Signoria, ma sono presi, i principali impiccati alle finestre, altri -respinti, mentre il popolo, infuriato per la morte di Giuliano, vuol -riveder salvo il suo Lorenzo dalle finestre del Palazzo di Via Larga, -poi trucida per le vie quanti congiurati o sospetti gli vengono alle -mani, chi dice settanta, chi cento, chi più; giustizia orrenda, ma che -dimostra avere il popolo giudicata la congiura per quel che era, una -trama ordita, non per amore di libertà, ma per odii e cupidigie private -dei Pazzi, del Papa e dei Riario, suoi nipoti, e quindi aver senz'altro -voluto vendetta dei congiurati. Dissimulando la complicità sua, il -Papa ruppe guerra a Firenze e vi trascinò il Re di Napoli, suo alleato, -pretendendo che la guerra era fatta non a Firenze, ma a Lorenzo. Questi -vide bene il pericolo di tale perfidia; intuì rapidamente la necessità -d'un gran colpo, scindere cioè l'alleanza del Papa col Re, e deliberò -a qualunque rischio di consegnarsi da sè nelle mani del Re. Partì -accompagnato dai voti e dall'ammirazione di tutti. Tornò colla pace, -tornò glorioso, tornò onnipotente, e di questo momento si valse subito -per riassodare l'autorità sua e della sua Casa. Questo si chiama veder -chiaro in politica! Di più, poteva in quel momento esser principe e non -volle; preferì una repubblica signorile a una signoria repubblicana. -Questo si chiama moderarsi nella vittoria, la più difficile di tutte -le virtù politiche. Poteva cioè uscire dalle tradizioni della storia -fiorentina e non volle! - -Quante volte il fatto dei Medici e di Lorenzo non s'è ripetuto anche -nella storia d'altri paesi? Al ritorno di Cosimo dall'esilio il popolo -vide in lui un liberatore, non un tiranno. Al ritorno di Lorenzo da -Napoli accadde lo stesso e anche più. Perciò non credo ch'egli avesse -bisogno di corrompere il popolo, distillandogli i sottili veleni -della voluttà per meglio dominarlo. Anche questa è una delle tante -frasi fatte, ma, ha ragione il Gaspary, “un individuo non corrompe una -nazione, quando essa non sia già corrotta„. Quanto a morale e gusto -di piaceri, il popolo valeva il signore e il signore il suo popolo. -Per questo s'intesero così bene! Nè si nieghi l'azione di Lorenzo -sulla civiltà della Firenze d'allora, sofisticando su qualche data di -nascita o di morte di grandi artisti, perchè tutta la grande fioritura -artistica e letteraria del 400 fiorentino è Medicea, nè tali quistioni -si trattano coll'orologio alla mano. Il vero è che nè una protezione -principesca basta da sola a creare una civiltà, nè una tirannia, -anche più deprimente di quella dei Medici, a farla sparire. V'ha -bensì sull'ultimo della vita di Lorenzo, come già dissi, un principio -di reazione morale e religiosa, che s'incarna nel Savonarola, ma la -impicciolirebbe di troppo chi la considerasse provocata da un uomo -solo, anzichè dall'indole generale della nuova cultura, dei nuovi -costumi e dei nuovi tempi. Le lettere, che Lorenzo scrive alla morte -di sua madre, la pia e ingegnosa donna, la quale negli argomenti de' -suoi inni sacri precorre il Manzoni, mostrano la tenerezza filiale -di Lorenzo. Le lettere di Clarice Orsini e del Poliziano, del Pulci e -di tanti altri mostrano l'amor suo pei figli, la sua bonaria e fedele -affezione agli amici, dai quali fu idolatrato, e, quanto alla moglie, -lasciando stare se il _mi fu data_ dei _Ricordi_ di Lorenzo sia la -frase indifferente, che significa il fidanzamento o che la sposa non fu -di sua scelta, certo è che i fatti e i documenti dimostrano rapporti -non mai interrotti di affetto e di stima. Intercedendo per chi l'ha -offeso: “non fareste, essa gli scrive, secondo la natura vostra a -non gli perdonare„; parole, che fanno il maggior onore ad essa ed a -lui e scritte l'anno stesso della congiura de' Pazzi, quando l'animo -di Lorenzo dovea esser meno che mai disposto ad indulgenza. E quando -si leggono nella lettera di Matteo Franco, che descrive il ritorno -di Clarice dal Bagno a Morba, le parole, ch'essa risponde ai poveri -terrazzani di Colle, i quali la supplicano di raccomandarli a Lorenzo, -si vede chiaro quant'essa era addentro nel segreto della sua politica -e con che arte gentile sapea all'occasione farsene strumento. - -Se non avessi già troppo abusato della vostra cortese attenzione, -mi sarebbe dunque facile dimostrarvi coi documenti alla mano che -Lorenzo fu buon figlio, buon padre, marito convenientissimo, nella -stessa guisa che potrei e dovrei mostrarvi, che come critico, precorre -studi moderni, che come poeta, sorpassa forse il Poliziano ed il -Pulci per osservazione della realtà e per sentimento vivo e immediato -della natura esteriore, che, come umanista, tempera gli eccessi -della scuola col culto della lingua volgare, di cui è restitutore e -mantenitore, che, come filosofo finalmente, modera l'irreligione del -tempo col teismo neoplatonico, il maggior tentativo di accordo fra il -cristianesimo e la filosofia, quantunque non potesse di certo parer -sufficiente al Savonarola. - -Se come uomo Lorenzo de' Medici deve dirsi buono, se come letterato -e filosofo superiore al suo tempo (il quale tuttavia non ha nel -suo complesso chi lo rappresenti meglio e più intieramente di lui), -forsechè come politico è inferiore agli altri signori e principi del -tempo suo? Il sistema d'equilibrio dei quattro maggiori Stati d'Italia, -quale lo praticò Lorenzo al disopra della scellerata politica degli -altri principi, compresi i Papi, al disopra dei pregiudizi Guelfi -Fiorentini, al disopra d'ogni interesse di famiglia, perchè nella -politica estera egli non ha, nè può avere, notate bene, appunto perchè -non principe, altro pensiero che della potenza di Firenze, lo rende -indubitabilmente superiore a tutti gli statisti, non speculativi, ma -operanti del suo tempo. Ed ebbe pure il presentimento del donde potea -venire il pericolo futuro, poichè quando Luigi XI gli profferse aiuto -contro il Papa ed il Re di Napoli: “io non posso, disse, anteporre -il mio particolare vantaggio al pericolo di tutta Italia; volesse -Iddio che ai Re di Francia non venisse mai in mente di sperimentare -le proprie forze in questo paese. Quando ciò accada, l'Italia sarà -perduta!„ E lo fu in realtà, due anni dopo appena ch'egli era morto. -Non possiamo dire, ch'egli avrebbe impedita la catastrofe, ma ben -possiamo esser certi che la sua condotta non sarebbe stata così pazza -ed improvvida, come fu quella di Piero, suo figlio. - - -Moriva Lorenzo l'8 aprile 1492 nella sua villa di Careggi fra il dolore -disperato dei congiunti e degli amici; moriva fra il lutto e le lagrime -di tutto un popolo; moriva nel colmo della potenza e della gloria. -Ciò non potè tollerare l'intolleranza Piagnona e creò la leggenda -del Savonarola che all'ultim'ora gli nega l'assoluzione e lo lascia -morire fra i rimorsi. Nè basta. Ci voleva un po' di delitto per colorir -meglio il quadro e si raccontò, e si cantò anche in versi elegiaci, -che il medico Pier Leoni di Spoleto fu gettato in un pozzo per ordine -del primogenito di Lorenzo. Quanto alla prima parte della leggenda, -essa, come questione storica, s'è ingrossata, e allorchè un Villari le -presta fede, un Ranke non osava più negarla addirittura, un Reumont -la giudicava per lo meno incerta, non oserei io di mescolarmi in tal -disputa. Debbo però al mio gentile uditorio la mia opinione, ed è che -la lettera del Poliziano a Jacopo Antiquario, in cui il Savonarola -(ciò che s'accorda anche col tempo) si mostra solo uomo di chiesa e -ammonisce e benedice (non confessa ed assolve) _in articulo mortis_ il -peccatore pentito, mi pare a tutt'oggi il solo documento attendibile e -che tutte le altre parole messe dalla leggenda in bocca al Savonarola -e a Lorenzo mi sembrano un anacronismo e un assurdo. Quanto al medico, -la lettera, ora pubblicata, di Bartolommeo Dei toglie ogni dubbio. -Impazzò e si suicidò! Meno male, perchè il terribile Perrens aveva già -scartata l'ipotesi del suicidio, dicendo: “_Les medécins tuent, ne se -tuent pas!_„ - -Ed ora concludiamo. Chi dalle mie parole argomentasse che ho voluto -fare non la storia, ma l'apologia di Lorenzo il Magnifico, avrebbe -gran torto. Nè l'una, nè l'altra, se mai; non la storia, perchè in -sì piccolo quadro non si fa star dentro una così grande figura; non -l'apologia, perchè non credo che Lorenzo n'abbia bisogno. Volli esporre -il concetto, che mi sono formato della storia di Lorenzo in relazione -a quella di Firenze e d'Italia, e tale concetto posso riassumerlo così. - -Nella storia di Firenze a me pare di scorgere una continuità nelle -parti, che si contendono il predominio cittadino ed un perpetuo ricorso -delle stesse forme, che, spogliate di quanto hanno d'accidentale e -d'occasionale, accennano fin dai più antichi tempi al dove vanno in -ultimo a terminare tutte le lotte fiorentine, al predominio cioè d'una -consorteria, d'una famiglia, d'un uomo. Furono i Medici! Potevano -essere gli Albizzi, gli Alberti, gli Strozzi, ma a questi non sarebbe -probabilmente riescito di dare alla loro signoria quel carattere, che -poterono darle i Medici, di pura preminenza d'un cittadino in una -repubblica. Le lotte delle fazioni si presentano subito in Firenze -come contrasto di due famiglie. Queste aggruppano intorno a sè gli -elementi, che sono proprii della lotta comunale in tutta Italia, -elementi politici, guelfismo e ghibellinismo, elementi sociali, -aristocrazia e democrazia. Il Comune è da prima fuori del contrasto, -poi naturalmente, e presto, diviene l'oggetto del contrasto medesimo e -gli dà la forma esteriore, mentre l'impulso segreto, l'impulso, che è -l'anima vera del contrasto, è sempre d'una famiglia e della clientela, -che le sta d'attorno. Se così non fosse, quando il fine, per cui una -fazione si muove, è ottenuto, si vedrebbe cessare questo moto, per poi -ricominciarne un altro. Invece, siano guelfi e ghibellini, che lottano, -grandi e popolo, arti maggiori e arti minori, appena una fazione vince, -si divide in sè stessa e la lotta continua sempre. È per questo, io -credo, che il Villani, il Compagni, tutti i cronisti, non parlano mai -dei principii o dei fini politici, pei quali una fazione s'è mossa, -bensì dei pregi o difetti della famiglia o dell'uomo, che alla fazione -dà nome, perchè questo è per essi importante; il resto accessorio. -Talvolta pare che si mira a slargare in senso democratico l'ordinamento -del Comune. Ma appena s'è vinto, la famiglia, la setta (come la -chiamano i Fiorentini nella seconda metà del trecento), cerca sfruttare -la vittoria a suo pro. Questo tentativo costante non riesce ad altri; -riesce ai Medici, perchè Cosimo sa far apparire la vittoria, vittoria -sua, non della parte, e non ha quindi da sconvolgere l'ordinamento -comunale per soddisfarla; frena insomma subito egli stesso la fazione, -con cui ha vinto gli Albizzi, e ciò tanto più facilmente, in quanto -non è fazion vera la sua, non una classe, non un'arte contro l'altra, -bensì un'accozzaglia d'amici e di malcontenti, che non spera che in -lui, ond'egli detta legge, non la riceve, e la vittoria contro la -minacciante tirannide degli Albizzi gli fa anzi quasi un obbligo, -una necessità di rispettare gli ordinamenti comunali, pur piegandoli -alla volontà sua, che è la tradizione di tutte le famiglie, le quali -hanno capitanate le fazioni fiorentine e con esse sono pervenute -più o meno lungamente al governo del Comune. Sempre le stesse arti, -sempre gli stessi mezzi, all'ombra sempre delle stesse instituzioni! -Finchè l'elemento di famiglia è costretto a tenersi celato dietro -l'elemento politico e sociale, la signoria non può fondarsi. Quando -per l'inclinazione generale dei Comuni italiani a signoria, può -mostrarsi a viso aperto, allora la signoria si fonda, ma col carattere -speciale delle passeggere signorie fiorentine, cioè tirando a sè, -non distruggendo, le instituzioni del Comune. Lorenzo restituisce e -conserva il tipo di Cosimo, ma da Cosimo a Lorenzo la signoria Medicea -fa un passo innanzi. Con Lorenzo è ancora più personale. Diciamo, -se volete, che Lorenzo è addirittura un tiranno, ma, in questo caso, -soggiungiamo subito col Guicciardini, che Firenze non poteva avere “un -tiranno migliore e più piacevole„ di lui. - - - - -LA VITA PRIVATA NE' CASTELLI - -DI - -GIUSEPPE GIACOSA. - - -Al tempo delle castella, la parola castellano ebbe tre significati -diversi, o per dir meglio fu adoperata ad indicare tre diverse classi -di persone. Era castellano il signore di uno o più castelli; era -castellano colui che, nel nome del signore, teneva il governo di un -castello; e castellano si chiamava pure chi dimorava nelle castella, -cioè nelle piccole terre cinte di mura e dominate da una rocca. - -Nelle regioni d'Italia dove fiorì la vita comunale e repubblicana, la -parola era per lo più usata nel secondo significato, come quello che -corrispondeva al maggior numero dei casi. Il vocabolario del Manuzzi, -alla voce: Castellano, lo registra infatti innanzi di ogni altro, e -prima scrive: Capitano di castello, che Signore di esso. E quando la -parola racchiudeva il concetto della signoria, non implicava quello -della dimora; occorre infatti ad ogni momento la locuzione: di molte o -di poche terre castellano. - -Invece nei paesi dove il sistema feudale ebbe il suo naturale -compimento nella monarchia unitaria, grazie la intricata rete di -privilegi, di prerogative e di interessi che fissava il signore alla -terra e lo costringeva a risiedervi, per Castellano in ogni tempo -si intese comunemente: il signore dimorante nel castello, il quale -castello, dalla secolare e non interrotta consuetudine, venne prendendo -una certa aria di famiglia, si adattò ai successivi crescenti bisogni, -si piegò quasi ai minuti capricci dei padroni, così che ne rispecchiò -poi fedelmente l'indole e le abitudini. - -Fra questo castellano campagnuolo ed il signore dimorante nella -città e più il Principe dei nuovi principati italiani all'epoca del -Rinascimento, corrono differenze così profonde che la distanza di un -secolo non ne darebbe di maggiori. Differenze nel campo dell'azione e -delle attribuzioni politiche, differenze nell'ordinamento domestico -e nelle abitudini della vita quotidiana. Le Corti, più ricche, più -sfarzose, più colte, più popolose, ebbero istoriografi e descrittori -in abbondanza, mentre ne difettarono i castelli. Ed ognuno di quegli -istoriografi e descrittori fu in questi ultimi tempi argomento di nuovi -e minutissimi commenti e raffronti, sicchè non si può oramai trovare -in essi notizia che già non sia stata a sazietà detta e ripetuta. Ed -anche riguardo i castelli, le notizie raccolte nei libri riflettono -bensì molti momenti della vita privata, ma di preferenza quelli che si -connettono colla pubblica, quali sarebbero le feste ed i ricevimenti -o che hanno, in alcun modo, attinenza colle arti e colla cultura -generale. Ora, noi gente positiva, abbiamo oggi delle curiosità più -minute e meno discrete. Non ci basta sapere come quei fastosi signori -accogliessero i frequenti ospiti, come ordinassero i banchetti, come -uscissero a cavalcate, come vestissero nelle solenni occasioni, come si -raccogliessero la sera in illustre compagnia a novellare od a ragionare -di ornate cose, ma ci prende un indiscreto desiderio di entrare nelle -più intime camere loro, di assistere la mattina al loro primo levare, -di accompagnarli passo passo per tutta la giornata, di sorprendere le -loro più gelose debolezze, di sedere alla loro tavola quando pranzano -in famiglia, di gustare le loro vivande, di ascoltare i loro discorsi -coi servitori e colle donne, e, quando la sera prendono commiato dai -famigliari, di seguirli lungo i corritoi oscuri o su per le scale -tortuose, e riaccompagnarli in camera, a meno che, fatti da qualche -dolce ragione sospettosi e gelosi, non ce ne chiudano l'uscio sul muso, -e non tirino il chiavistello. Queste nozioni, i libri che ci si mettono -di proposito non ce le danno. Si possono bensì racimolare qua e là nei -novellieri, e così mi sono industriato di fare, ma è bene dove le cose -parlano, lasciar parlare le cose, le quali la sanno lunga e sono al -solito più sincere che gli uomini. - -Innanzi di conoscere il Castellano, vediamo dunque di visitare il -Castello. Il Castello del secolo XV, ha già alquanto dimesso della -originaria spavalderia bellicosa. Ancora gli durano le torri e a taluno -i fossati, ma le varie cinte che nei secoli precedenti lo fasciavano -tutto intorno e gli toglievano l'aria e la vista, sono in parte cadute, -ed in parte dimezzate per l'altezza, reggono gli stecconi delle pergole -o danno appoggio alle spalliere. Noi dobbiamo però, se ci è caro averne -una giusta mozione, imbrigliare alquanto la fantasia amplificatrice, -la quale suole rappresentarci il castello feudale d'assai più vasto che -in realtà non fosse. A mano a mano che la facoltà di muovere ed i mezzi -di sostenere la guerra, vennero restringendosi dai signori di terre ai -signori di Stati, il castello feudale, ove dimoravano i padroni, prese -meno spazio ed apparve meno imponente. Coll'assodarsi delle monarchie, -cessò ai signori il diritto di levar genti e la necessità di allogarle -in chiusi recinti a guardia della Rocca. Gli apparecchi belligeri -che sul principio del secolo XV alcuni signori amano ancora disporre -intorno al maniero, ci stanno più a testimonianza di prerogative -nobiliari che a pratica difesa. E perchè sono incomodi e costosi, -ci durano poco, o perdurando sono causa che il padrone sloggi dalla -antica e si fabbrichi nelle vicinanze una nuova dimora. I castelli -dei privati signori che ancora ci rimangono di quel tempo, sono ben -lontani dal fastoso apparecchio che un secolo e mezzo o due secoli più -tardi fa delle ville signoresche altrettanti luoghi incantati, dove -gli spaziosi giardini, le gradinate a terrazzi e gli alberi secolari -diventano elementi architettonici e combinano insieme col palazzo ad -una magnifica ed armoniosa veduta. Il giardino del secolo XV più si -assomiglia ad un orto che ai lambiccati giardini del seicento e del -settecento; esso è quasi sempre chiuso fra muraglie alte onde prende -un'apparenza claustrale che non disdice all'ordinamento interno della -casa. — Al di fuori, il castello ha un aspetto severo e spesso arcigno. -Da una larga porta e per un atrio spazioso, si riesce nel cortile, -lastricato a lastroni massicci, intorno al quale corrono le quattro -pareti della casa aperte in portici e loggie e fregiati i muri con -fascie a rabeschi e colori, con stemmi in pietra o dipinti, o con -istorie figurate. Nel mezzo del cortile sta il pozzo o la cisterna, col -parapetto fatto di pietre o marmi scolpiti, col tettuccio a colonnini, -o colle staffe di ferro battuto a delicati fiorami, che reggono la -carrucola. A volte, fra i monti dove si può condurre al castello -qualche acqua sorgiva, in luogo del pozzo si trova una vasca che riceve -zampilli dalla colonna che le sorge nel mezzo o pioggia abbondante di -stille da un albero fronzuto di naturale grandezza, tutto ferro operato -dalle radici alle foglie ed ai frutti. Sotto il portico, rasente -il pieno muro, corre una lunga fila di panche fisse colla spalliera -vagamente intagliata. E tra il sommo della spalliera e la vôlta, alcune -pitture a fresco narrano a episodi la vita del castello e del borgo. -Una ci mostra il corpo di guardia: nel fondo sta la rastrelliera cui -pendono le armi, nel mezzo i soldati seduti al desco bevono, uno briaco -fradicio dorme, altri giocano, due si accapigliano, e ad un capo della -tavola una donna mostra all'amante la scena disgustosa per svogliarlo -dalla intemperanza. Poi viene la bottega del beccaio, poi il mercato -delle frutta e degli erbaggi, poi il sarto, poi lo speziale. Scene -popolari e borghesi, tutte movimento, ispirate certo alla vista delle -cose reali, testimonio preziosissimo delle costumanze locali, perchè la -ingenuità della fattura, e una certa rozzezza artistica, attestano che -il pittore ancora non conobbe l'arte nuova, che non attinse a maestri, -ma s'industriò alla meglio di rappresentare le cose che gli stavano -intorno. - -Nel corpo della casa opposto all'entrata, od in quello che apre -esternamente sui luoghi meno belli, meno soleggiati e meno in vista, -stanno le cucine, le dispense, il tinello e gli altri locali dati al -servizio, al bucato, e via dicendo. A seconda della maggiore o minor -mole del castello e della sua giacitura, si trovano pure a pian terreno -una o più camere fornite, ad uso di ospizio per i viandanti. Certe -volte, queste camere, stanno in qualche fabbrica staccata e vicina, -colle scuderie, i canili, le stalle ed il fienile. - -La cucina ha nella vita signoresca di quel tempo una importanza -grandissima quale noi a stento possiamo concepire, anche quando -confrontiamo alle modiche nostre le formidabili mangiate di quei nostri -maggiori. La Castellana pur sapendo di greco e di latino (caso, più -raro assai, a mio giudizio, di quanto sia stato detto e di quanto si -creda), scende ogni giorno alla cucina, bada direttamente alla spesa, -e ne registra i conti in apposito libretto, combina col cuoco, o più -comunemente colla cuoca, la lista del desinare, misura il vino alla -servitù, vigila alla nettezza dei rami e delle stoviglie. Tutti i -rami portano impressa l'arme della famiglia, come pure le brocche, -le mezzine, i gotti, ed i piatti di stagno, e belle armi scolpite -mostrano i monumentali mortai. — La cucina ha due immensi camini: uno -raccoglie sotto le ali della cappa i fornelli, l'altro, il maggiore che -ospiterebbe al coperto tutto quanto il servitorame, ha in un fianco, -sotto la cappa, il forno, e dal lato opposto, aperto nel muro del -fondo, il passa vivande, che guarda nella sala da pranzo. Questa la -conosciamo: gli scrittori di storia, i novellieri, i diplomatici ed -i poeti, ce ne hanno lasciato diligenti e riconoscenti descrizioni. -D'altra parte il suo arredamento non ha quella stabilità che si -incontra in ogni altro membro della casa, e a norma delle circostanze -e degli ospiti, variano le tappezzerie, variano i mobili e variano -sopratutto le argenterie ed il vasellame di cui, nelle occasioni -solenni, il sire del Castello fa grande e non sincera mostra, -togliendone a prestito da qualche vicino o parente. - -Qui sopratutto da Principe a Castellano ci corre. Il Principe del -Rinascimento, venuto in subitanea ed impensata grandezza, ama lo -sfarzo degli apparati per naturale inclinazione artistica e per -accorgimento politico. Egli sa che tanto più può quanto più è creduto -potere, e del potere è visibile indizio la magnificenza. Inoltre, -salito all'altissimo grado per virtù d'ingegno, egli pregia tutte -le manifestazioni dell'ingegno umano, e gli ingegni stessi, onde -si circonda di poeti e di artisti, ne stimola con danari ed onori -l'attività, traendo dalla loro dimestichezza e dalle opere loro, -come osserva il Burckardt, una nuova legittimità alla sua illegittima -potenza. - -Il Castellano, nobile di antica data, ha bensì ambizioni grandi, -ma deve fare i conti colle rendite che il potere sovrano gli va -continuamente assottigliando. Nè in tempi di così instabili signorie, e -nella rapida decadenza degli ordinamenti feudali, egli osa fare vistosa -mostra di ricchezze; onde, dei nuovi agi e delle nuove eleganze, ama -piuttosto fruire in famiglia che procacciare agli ospiti il godimento. -Perciò troveremo più ornate e ricche le camere di sopra, destinate -al dormire e all'abitare, che la sala da pranzo e quella antica sala -baronale che ancora occupa al piano terreno il maggiore spazio, ma che -sia ostentazione di austerità, sia religione degli avi o sia piuttosto -il trovarcisi a disagio, il padrone lascia, per lo più, nuda, fredda e -solenne quale l'ebbe dai padri. - -Due scale mettono ai piani superiori della casa. Una, stretta, oscura -e rotta da frequenti ripiani, è destinata al disbrigo delle faccende -domestiche, l'altra spaziosa e chiara è riservata ai signori. Questa, -o sale visibilmente dal cortile coperta di un tettuccio posato su -pilastrini o colonnini, o si svolge in branche regolari con scalini -larghissimi e di poco rilievo. Nell'Alta Italia non erano infrequenti -le scale a chiocciola. Il Castello d'Issogne in Valle d'Aosta ce ne -mostra una veramente bella e degna di studio. Ogni gradino s'impernia -dall'uno dei capi in una colonna di granito sottilissima, e di là -allarga a ventaglio il suo piano finchè infigge nel muro l'altro -capo, più largo di un braccio. Rigirata sopra sè stessa, descrivendo -un circolo che misura oltre quattro metri di diametro, quella scala, -che pare empire colla sua elica enorme il cavo di una torre, ascende -misteriosa, nascondendo, a chi sale, la persona che lo preceda di pochi -gradini, ed ingrossando il suono di ogni passo e diffondendolo in quel -vento continuo che rendono le spire di una conchiglia. La sera essa vi -dà quella sottile inquietudine imaginosa, così piacevole agli adulti. -Ogni passo ed ogni voce svegliano mille echi di passi e di voci che -sembrano turbinare nel vano e salire e smarrirsi poi via per i solai -tenebrosi. Vi scattano rumori secchi come il battere di un acciarino, -spenti nell'attimo come la scintilla che ne lampeggia, vi corrono -fruscii morbidi come di vesti che sfiorino la terra e rapidi come di -persona snella che si rimpiatti. Se altri vi preceda colla lucerna, le -muraglie, più che una luce, riflettono una bianchezza incerta simile a -quella che irradiata dalle lampade degli altari fa più nera l'oscurità -delle navate. - -Le camere del primo piano, sono chiare e spaziose; i mobili pochi, ma -ognuno di essi ha singolari pregi artistici. Gli intagli assottigliano -il legno e gli danno la vaghezza e la leggerezza di un ricamo, senza -scemarne punto la solidità. All'opposto di quanto segue oggidì, i -meglio ornati non sono i mobili di pretto lusso, ma gli usuali, come i -grandi stipi addossati al muro, le credenze, il seggiolone o cattedra -che fiancheggia il letto, la cui spalliera, imperniata al telaio, può -all'occorrenza scendere, e posando sui bracciuoli formare una tavola. -Ai piedi del letto sta il cassone, o la cassapanca, ornata di intagli -a fiori o figure, e con delicati fregi di ferro, alle maniglie ed -alla serratura, quella cassapanca che fu argomento di tante argute -ed inverosimili storie ai novellieri, nella quale le donne riponevano -le vesti più sfarzose, poichè ancora non usava, o poco, di appenderle -negli armadi. Il letto a colonnini, è coperto e fasciato di ricchissime -cortine. Quando il signore conduceva la sposa al castello, la camera -nuziale era tutta apparata a nuovo. Le altre camere della casa erano -depredate per raccoglierne in quella tutti gli agi e le ricchezze. Si -ponevano sul letto fin quattro materassi di bambagia, le lenzuola erano -di tela, sottilissime, tutte trapunte di seta e d'oro, che doveva far -ribrezzo a toccarle. Le coperte, di raso rosso, azzurro, cremisino, -mostravano ricami di fili d'oro con le frangie d'ognintorno. Le -cortine erano a liste alternate di velluto e damasco e tocca. Quattro -origlieri lavorati maravigliosamente a ricami e trine aspettavano le -nobili teste. Alle pareti, arazzi istoriati o vaghe stoffe sottili, a -ghirlande di fiori. Nel mezzo sulla tavola un tappeto alessandrino, -ed un tappeto, alessandrino pure, sul palco che reggeva il letto. -E intorno i forzieri recati in dote dalla sposa, pieni di gemme, di -monili, di stoffe preziose e di merletti. - -Ma tale fasto durava quanto la intima convivenza dei coniugi, i quali, -a breve andare, si riducevano entrambi in meno ricchi appartamenti, -e spartivano fra di essi ed in seguito colla figliolanza le quattro -materasse, che erano spesso le sole della casa, e delle quali più d'una -volta i figlioli maschi ignoravano, finchè non menassero moglie, le -tepide mollezze. Perchè, il lusso era grande, ma non pari al lusso le -comodità, o, quanto meno, non le minute comodità, che tanto pregiamo ai -giorni nostri. - -Avevano, onde è a credere che pregiassero sopratutto le comodità -di spazio, e grande e nuovissima a quei tempi, ricchezza di luce -e di aria. Nei secoli precedenti, il castello era più ordinato a -fortezza che a dimora, onde apriva non sulla campagna, ma sugli spazi -compresi fra le varie cinte, strette e basse finestre. Ora ogni camera -guardava intorno, oltre i recenti ruderi delle cinte, i campi ed il -cielo e lasciava entrare per le ampie e frequenti finestre, i raggi, -i profumi, i suoni che manda la natura. E quelle finestre, dalla -profonda strombatura, dovevano essere la dimora consueta delle donne -a giudicarne dai sedili a muro che le fiancheggiano e che solevano -ricoprire di morbidi cuscini. Di là le castellane aspettavano il -marito od i figliuoli reduci dalle caccie, non dalle caccie festose e -squillanti, raro e costoso sollazzo dato ai rari ospiti e delle quali -esse pure erano parte, ma dalle caccie quotidiane, rude esercizio -di forza e di astuzia, consueta e quasi unica educazione che i padri -davano ai figli. Di là anche, le giovani donne ammonivano il damo che -s'aggirava cauteloso nei pressi del castello, e con segnali convenuti -gli davano la posta. Se non che, a scapito della poesia romantica, -ed a gioia grande del demonio, esse solevano pur troppo concedere -e richiedere amore, a gente dimorante, per uffici che vi tenessero, -nel castello, e la distribuzione degli appartamenti aiutava i raggiri -infernali perchè le camere delle donne stavano tutte dall'un lato del -castello e quelle degli uomini dall'altro. - -La famiglia del signore teneva il primo piano della casa. Il secondo -era destinato agli ospiti. Ciò dico, dei castelli, non delle abitazioni -signorili della città, nelle quali erano di solito serbate pei -forestieri molte camere al piano terreno. - - * - -La mattina, all'alba, il cortile è pieno del vario popolo dei servi e -dei valletti. Gli uni portano le provvigioni alle cucine, e gli altri -forbiscono le armi od i fornimenti per le cavalcature, gli scozzoni -strigliano i cavalli, il maggiordomo, sotto il portico, misura, pesa -e registra il latte, le farine, le ova ed il pollame che i villani -arrecano dalle prossime cascine. Nel secolo XIV ancora squillava, al -levare del sole, il corno della torre maggiore. Ora quell'uso guerresco -è dimesso. Il signore s'alza per tempo, poichè andò la sera innanzi -per tempo, al riposo. Quando gli tocca levarsi ad ore insolite, egli -ricorre allo svegliarino, che chiamavano allora oriolo col destatoio, -del quale, verso la fine del secolo XV, già l'uso era quasi comune. -V'erano anzi orioli di così sottile congegno, che all'ora voluta, non -solamente risonavano stridendo, ma battevano l'acciarino ed accendevano -la candela. Appena desto, il Castellano scendeva alle stufe, pel bagno, -bella usanza dovuta alle Crociate e che si andò perdendo di poi, e -fu ripresa che non è molto; indi attendeva a vestirsi coll'aiuto del -domestico che si era tutta la notte giaciuto sul tettuccio accanto al -letto padronale. Di dormir solo in camera non si attentava nessuno. -All'ospite era squisita cortesia, offrire il Castellano un posto nel -suo proprio letto. E sempre o una dama, o una vecchia fante, dormiva o -nel lettuccio accanto o nel letto istesso della Castellana. Di questa -singolare, e a giudizio dei nostri tempi, fastidiosissima usanza, sono -piene le novelle. E poichè, bisogna pur dire ogni cosa, la domestica -non si rimoveva di camera, nemmeno quando il rimanervi la riduceva a -terzo incomodo; se non che i signori, quasi non avendola in conto di -creatura umana, nulla curavano di lei. - -Com'era vestito, messer Castellano faceva le prime devozioni prostrato -all'inginocchiatoio, e la Castellana nel piccolo oratorio adiacente -alla sua camera. Bello e raccolto luogo di preghiera, colla vôlta -azzurra a crociere dorate e tutto stellato il cielo e colle pareti -dipinte a figure preganti inginocchiate fra l'erbe ed i fiori di un -prato. Spesso quelle devote imagini raffiguravano la Castellana ed il -signore, riconoscibili all'arme di famiglia che portano sulle vesti, -e in fondo al prato sorgeva l'imagine del castello, dalle cui torri -ascendeva fra nimbi al cielo un volo di angeli e di santi. - -Poi tutta la famiglia si raccoglieva ad ascoltare la messa ed a -comunicare nella ricca e fastosa cappella, servita da un cappellano che -risiedeva in castello, dopo di che Madonna dava una prima capata alle -cucine, Messere alle scuderie o alla sala dell'armi dove attendeva ad -armeggiare coi figlioli o cogli ospiti o cogli scudieri, e le figliole -girellavano nel giardino cogliendo fiori e dedicandoli intenzionalmente -a lontani od a prossimi sospiranti. Quando la casa non aveva ospiti, i -giorni del bucato, la signora e le figliuole non disdegnavano scendere -nell'orto a sciorinarvi i panni, e nemmeno sdegnavano portarveli -stillanti nelle ceste a ciò destinate, o se non era l'orto era qualche -alta terrazza vicina al tetto. Altro ufficio della Castellana e delle -figliuole, è la cura delle tappezzerie e degli arazzi, che si tengono -piegati su appositi scaffali nella stanza chiamata per l'appunto: la -guardaroba delle tappezzerie, è collocata di solito all'ultimo piano -il più asciutto della casa ed il meno polveroso. Le fanti vi passano -intere giornate a spiegare, battere, rimendare e ripiegare i preziosi -paramenti, ma tale è il loro valore ed in tale pregio sono tenuti, che -per lo più vi attende direttamente la padrona. Ben inteso, che a queste -piccole cure le Castellane non andavano vestite di broccato, di raso -o di tocca, quali ce le soliamo raffigurare. Simili vesti passavano -per eredità dalla madre alla figliuola, onde è a credere che non le -portassero se non nelle grandi occasioni. In casa, anzi, il vestire -era dimesso, forti panni paesani a colori oscuri, biancheria grossa ed -ahimè mutata di rado, ed ai piedi certe grosse pantofole di panno. - -Del signore poi non parliamo che tra le armi, la caccia, le scuderie -e le visite ai poderi, Dio sa come si trovasse conciato la sera. Alle -dieci della mattina uno squillo di corno annunzia il desinare. Anche -nei giorni ordinari, sono molti e grossi piatti: carni di bue, di -cinghiale, di capriolo, di montone, galline, fagiani, e via dicendo, -condite e fatte piccanti da salse formidabili, tutte aromi e pizzicori -mordenti, pepe, gorofano, cannella, ginepro, ambra, belzoino, noce -moscata, anice ed altre nostrane ed orientali delizie, sulle quali -primeggiavano pur troppo l'aglio e la cipolla. Tale copia, scelta, e -condimento di vivande, sono fatte apposta per stimolare la sete cui -provvedono le ben fornite cantine che non più contente del prodotto -paesano, già accolgono una ricca varietà di vini italiani e forestieri -cotti e crudi. Cocevano per conservarlo più a lungo, il vin greco -di malvasia, venuto di Candia, che solevano condire con aromi. Fra -gli italiani era famoso un certo vino di Piacenza che nessuno più -conosce, se pure non proveniva dai colli di Voghera e di Stradella, -e del quale facevano grande incetta anche le cantine francesi. Erano -gustati assai i vini di Toscana e di Sicilia, e fra i piemontesi il -Nebiolo ed il Caluso. Ma a leggere i novellieri, non pare che presso -di noi le copiose e robuste bevute degenerassero o era caso raro, in -quelle brutali cotte di che menavano vanto i signori di Francia e di -Allemagna. I novellieri italiani parlano raramente di gente briaca, nè -si sarebbero astenuti dal farlo, quando ne avessero trovato frequente -argomento nella vita del tempo loro. - -La tovaglia della tavola usava larghissima e pendente quasi fino a -terra perchè i lembi cadenti facevano l'ufficio del tovagliolo che -ancora non costumava, ed a quelli si forbivano i commensali. Sempre -al cominciare e al finire del pranzo era data l'acqua alle mani. Acque -profumate, di solito alla rosa; e di profumi facevano poi grande abuso -in ogni momento della giornata. Innanzi di portare in tavola un piatto, -la sospettosa vigilanza dei Castellani voleva che se ne facessero -palesi assaggi, paurosi come essi erano di veleno, e usavano pure -tenere sulla tavola specifici ed amuleti contro l'azione dei veleni. -Il Cibrario scrive, che nell'inventario delle gioie di Carlo I duca di -Savoia (l'anno 1480) è registrata: “u_ne espreuve plaine de langues de -serpans pour tenir sur la table pour eviter le venyn_„ ed aggiunge che -forse era destinata allo stesso ufficio, o ad ogni modo, era tenuta -in conto di amuleto, una “_pierre, noire crapaudine, garnie a une -chainette d'or_„, compresa nello stesso inventario. - -Dopo il pranzo che era protratto quanto più lungamente si poteva, -il signore faceva quella siesta, che fu bazza per i novellieri. I -fanciulli, dopo alcun tempo dato ad esercizi fisici, riparavano poi -col pedagogo nella libreria (dove erano, caso raro, librerie), o nella -stanza data agli studii. Si trovano ancora in parecchi castelli certe -stanzette, all'ultimo piano, recanti sui muri, segnate in rosso, le -figure elementari della geometria con scritture che datano certamente -dal secolo XV. La Castellana e le figliuole riparavano nelle camere -loro, ed attendevano, nella speranza di qualche visita, ad adornarsi. -O forse in quell'ora le giovinette aggirandosi in ozio per la casa -confidavano alle nude muraglie della scala e dei corritoi, i segreti -movimenti del loro cuore, incidendovi motti, date, pensieri e sentenze -amorose. O andavano rintracciando e rileggendo le sentenze scrittevi da -altri che erano come lettere al loro recapito. - -Il Castello d'Issogne serba molte di tali scritte che ci danno a -conoscere il nome, ed in certa misura l'animo degli ospiti che vi -dimorarono. Vi fu ospite un tale Escobar che segnò sulle pareti il -proprio motto: Selon le pouvoir, colla firma e la data. Vi passarono -pure un tedesco, Wolf. Sckonfletter, ed un francese, De Vateuil, il -quale fa precedere al proprio nome queste parole sibilline: _Non sans -cause_. Un messere P. Gran scrive: _In Omnes et ad omnia fidus_, e lo -stesso Escobar di pocanzi tornatoci una seconda volta: _No piedo mas -fortuna_, più non cerco fortuna, onde è a credere che l'avesse trovata, -o che si fosse rassegnato a disperarne per sempre. E ancora l'Escobar -sentenzia: _Palabras de piuma lo viento le lieva_. Poi vengono gli -anonimi: _Qualis homo talia opera. A mala fama caveas. Sic vive ut -postea vivas_. Ed i consigli igienici: - - _Carolus ægrotus faciunt ieunia morbum,_ - _Ut recte valeas, Carole sume cibum._ - -Un altro tedesco apre l'animo con due versi così ingenui e sinceri che -muovono a pietà. - - Per non mostrar el mio dolore - Talvolta rido che crepe el cuore. - - THOMA DRUENWALD. von Nuremberg. - -Durante un periodo di tre anni, a giudicarne dalle date, si direbbe che -sia passato nella valle e sul castello un vento caldo, tutto impregnato -di olezzi stimolanti; un vento snervatore e tentatore, soffiato dal -demonio per scombuiare l'animo delle castellane. Sui muri, abbondano -sentenze d'amore ripetute a sazietà, scritte sempre dalla stessa -mano, mano femminile, mano padronale e signoresca, poichè ebbe agio di -confidare a tutte le stanze del castello la piena dell'animo. Quella -che s'incontra più spesso dice: _Omnia vincit amor_, l'amore vince -ogni cosa, sentenza che colma le distanze gerarchiche, ed afferma la -assoluta sovranità del piccolo Dio. Un'altra dice: _Non est amor imo -dolor, mulieris amor_. Non è amore, ma dolore, l'amore della donna. -Dolore, è a credere, di virtù resistente; se non che la resistenza -poco dura e l'amore finisce veramente per vincere ogni cosa, poichè -l'anno appresso, la stessa mano scrive: Vivamus et amemus, grido di -gioia spensierata, allegro ritornello di una canzone forse malinconica. -Infatti, in poco d'ora, l'idillio si chiude in elegia e l'angoscia esce -in lamenti in ogni parte della casa, colle scritte: _In me turbatum est -cor meum_, in me turbato è il mio cuore, e: _Meror et dolor venerunt -super me_: il pianto ed il dolore vennero sopra di me, le quali si -incontrano in ogni dove, sulla scala, negli anditi, nelle camere delle -donne. - - * - -Riprendiamo la nostra giornata. - -Quando capitavano visite, o v'erano ospiti in casa, verso le due, -tutti convenivano o nel giardino o nel parlatoio, e là si trattenevano -confettando e bevendo. A questa specie di _lunch_ erano rosoli, -marmellate, bocche di dama, pasticci, uccelletti arrosto, e le migliori -frutta della stagione. La Castellana apprestava canzonieri scelti -ed ogni sorta di lodevoli istrumenti, ed erano musiche e canti di -madrigali fino all'ora della cena, che batteva tra le quattro e le -cinque pomeridiane, ed era il maggior pasto della giornata. - -Delle caccie, delle cavalcate, e di altri fastosi e festosi sollazzi -non parlo, perchè, come ho detto in principio, essi meno appartengono -alla vita privata che alla pubblica, e perchè troppo già furono e -maestrevolmente descritti, e d'altra parte richiederebbero troppo -lungo discorso. Basti dire, che verso la fine del secolo troviamo le -prime carrozze o carrette come le chiama il Bandello, ma erano poche, -e non usavano che nelle città. Non avevano molle, ma portavano fregi -ricchissimi e dorature, ed erano ricoperte di stoffe maravigliose. -Le tiravano, a seconda dei casi, due, quattro, sei, otto cavalli, dei -quali i più pregiati erano i Frisoni ed i Corsieri del Regno di Napoli. - -Molti e vari erano i giuochi da tavola, il trictrac, gli scacchi, -i dadi, le carte, che servivano al Picchetto ed all'Homo, un giuoco -portato di Spagna, ed i tarocchi, che non furono già come si volle -inventati a svago dal re Carlo VI di Francia, ma vennero d'Oriente, -a segno che un moderno dottissimo ma fantasioso negromante, l'Eliphas -Levi, ravvisa nelle figure del pazzo, del carro, della giustizia, della -morte, del mondo, delle stelle, e via dicendo, i segni cabalistici del -libro di Salomone. - -Ma di tali giuochi, eredità del fosco Medio Evo, e delizia poi della -grossa nobiltà dei secoli XVII e XVIII poco si diletta il nostro -castellano. Egli preferisce il pallone, o la più domestica partita -alle boccie in cortile o sul prato, cogli scudieri, col cappellano -o col pedagogo. Già non è a credere che quelle menti non provassero -quel continuo bisogno di attività e di applicazione, che agita le -nostre. A furia di voler noi ammazzare il tempo, il tempo si vendica -e ci ammazza: quelli lo lasciavano vivere, e si ristoravano delle -cercate fatiche fisiche, abbandonandosi ad una specie di assopimento -intellettuale. Agitate e pronte erano le menti nelle città e quelle dei -fortissimi avventurieri che in quel secolo e nel seguente disfecero -e crearono stati; ma se da essi procede e di essi parla la storia, -non se ne deve indurre che gli animi in generale e gli ingegni dei -signori somigliassero ai loro. Essi diedero la scalata alle signorie, -poichè ne ebbero abbassato il prestigio, e la dappocaggine dei molti -fu appunto argomento e giustificazione al prevalere dei pochi. Io -per me credo, che in tale dappocaggine sia da cercare la ragione dei -corrottissimi costumi femminili di quel tempo. Dalla decadenza romana a -noi non s'incontra altro periodo di così largo rilassamento morale. Nè -la religione poteva oramai fare argine allo sfrenarsi delle passioni. -Al tempo del carnevale, era lecito ai religiosi di rallegrarsi, onde -i frati tra loro recitavano commedie, e di qual fatta!, e suonavano -e cantavano ballando, e alle monache non si disdiceva, quei giorni, -vestirsi da uomini, colle berrette di velluto in testa, colle calze -chiuse in gamba e colla spada al fianco. - -È davvero inconcepibile come in mezzo a tanto rinnovamento di studi e -gentilezza di coltura le donne parlassero lo sboccato linguaggio che -loro attribuiscono gli autori di commedie e i novellieri. Il Boccaccio -è di gran lunga più riguardoso. Nelle Cene del Lasca, troviamo narrata -da una donna, Amaranta, e con minutissimi particolari, la sconcia beffa -fatta da un giovine ricco e nobile al suo pedagogo, ed essa è tale -che nessuno artifizio di stile potrebbe farmi lecito di raccontare. -E quella del Lasca a sentirlo era compagnia che sapeva di greco e di -latino. Dicono: erano più sinceri di noi. Ma, astrazion fatta della -morale, la verecondia è più una grazia che una virtù, ed è grazia -sopratutto di gente colta. Nè Virgilio, nè Orazio, nè Catullo, nè -Ovidio, nè lo stesso Giovenale, potevano apprendere a quelle dame -ed a quei cavalieri somiglianti modi, onde è lecito sospettare che -la vantata coltura fosse meno diffusa di quanto si crede, sicchè la -gentilezza dei pochi nulla potesse contro la rozzezza dell'universale. -Ed è certo poi che fra i meno colti, era il mio signor Castellano. Il -quale, venuta la sera, si riduceva accanto al fuoco, in sonnacchioso -silenzio, e le donne fatte alcune lente danze al dubbio chiarore delle -fumose lucerne, prima novellavano alquanto fra di loro, indi infilavano -in cerchio _pater noster_ ed _ave Marie_, ed il cappellano dava loro -lo spunto. Poi i valletti mescevano al signore il vino del sonno, e -Madonna e Messere ognuno dalla sua ed in diversa e servile compagnia -andavano a letto. - -E a me non rimane che augurare tranquille notti a quei morti, e -gioconde giornate a questi vivi. - - - - -LA VITA PRIVATA DEI FIORENTINI - -DI - -GUIDO BIAGI. - - - _Signore e Signori,_ - -Quale fosse la Firenze del Tre e del Quattrocento non è facile -immaginare. A riguardarla dall'alto, da uno di quei colli che le fanno -ridente corona e oggi son per lei mutati in altrettanti giardini, -mentre forse allora nereggiavano d'alberi folti, di macchie e di -scopeti, appariva come una bruna massa di torri merlate, cinta di mura -e di baluardi. I pubblici edifizi che noi ammiriamo, le aeree cupole -delle chiese, i campanili, nella cui voce è il palpito della vita d'un -popolo, non ancora drizzavansi tutti nel fondo azzurro del cielo, come -le antenne poderose d'una nave a più alberi. La terza cerchia, quella -istessa che noi vedemmo abbattere, non era interamente compiuta, e -l'Arno faceva il suo _gorgo_ dove è ora la Piazza di Santa Croce, -sboccando tra il Ponte a Rubaconte e il Castel d'Altafronte. - -Questo a' primi del Trecento, quando la piccola chiesa di Santa -Reparata durava tuttavia e di Santa Maria del Fiore era ignoto il nome; -e nel luogo dove sorse la Loggia d'Orsammichele tenevasi il mercato -delle granaglie, e il campanile cominciato da Giotto e che da lui prese -il nome, non era ancor stato condotto fino alle ultime finestre da -Francesco Talenti: soltanto di sulla torre del Palazzo dei Priori, già -la grande campana del Popolo, “la Vacca„, mugliava, facendo in alto -echeggiare il dolce suono della libertà[1]. - -Le miniature del Biadajuolo, raffresco del Bigallo, appena ci -danno un'idea della Firenze di quegli anni. Sono rappresentazioni -fantastiche, dove la prospettiva è ancora ignota, e i tetti di color -rosso vivo staccan di tono dalla selva delle torri che s'intrecciano -e si accavallano. La tavola di Domenico di Michelino, che si vede in -Duomo, vorrebbe mostrarvi la Firenze di Dante, la cui figura spicca nel -mezzo del quadro; ma anche cotesta è una Firenze immaginaria, quanto -il Purgatorio e l'Inferno che l'artefice le ha dipinti da presso. Una -veduta della città, ma assai più recente, troviamo nella tavola che il -Botticelli compose per Matteo Palmieri; una tavola, il cui soggetto -tolto dal poema di lui la _Città di vita_, parve quasi ereticale; -perchè il pittore, dipingendo la Vergine Assunta nella gloria del -cielo, circondata dalle più sublimi visioni dell'idealità femminile, -creò schiere di _angelesse_ così formose, da far giustamente temere -per i futuri amori degli angeli. Ma il paesaggio che serve di sfondo -alla meravigliosa composizione, sfuma nella lontananza e nell'ombra -d'un crepuscolo dorato, e al desiderio nostro non giova. Il quale potrà -soltanto appagarsi più tardi, quando nelle _Cronache di Norimberga_ -scorgeremo una pianta della città quale era alla fine del Quattrocento. - -Ma a rappresentarci Firenze dal Trecento a' più gloriosi giorni del -Rinascimento, quando i tesori raccolti in tutto il mondo da' suoi -mercatanti versò nella creazione di monumenti immortali, proseguendo -le tradizioni delle arti inaugurate per mano di Arnolfo, di Giotto e -dell'Orgagna[2]; a rappresentarci lo scenario e la scena ch'io vorrei -popolarvi con le figure d'artieri, di mercanti, di donne, di chierici, -di trecche, di poeti, di novellatori, d'uomini d'arme, di forosette, di -villani, di donzelli, di cavalieri, che mi s'affollano nella lanterna -magica del cervello e che vorrei potervi dipingere in questo quadro -della vita privata; a darvi un'idea viva se non compiuta, a darvi -come una visione della storia del nostro popolo, che dalla rozzezza -antica si condusse ai raffinamenti della Rinascenza, non basterebbe -tutta l'opera d'un artista che fosse insieme storico, archeologo e -poeta; non basterebbe — Dio ci liberi! — un corso intero di conferenze -ideali, fatte con la parola e illustrate con il pennello. Ma finchè la -donna, che ne è maestra, non abbia reso obbligatorio l'insegnamento -_per gli occhi_ dovremo contentarci di saggiare appena un così -gustoso argomento, scegliendo nei vecchi libri di ricordanze, nelle -cronache domestiche, nei carteggi, nei novellieri e nei poeti qualche -particolare men noto, qualche aneddoto, qualche notizia che ci sembri -meglio opportuna, per cogliervi alcun aspetto della vita in quegli -anni, così remoti anche dalle nostre immaginazioni. - - -I. - -Accanto ai massicci palagi di pietra, sicuri come fortezze, su cui -si levavan fiere le torri merlate; nelle vie strette e tortuose dove -la grand'ombra di quelle moli incombeva triste e paurosa, sorgevano -le casette piccole e basse, con il tetto coperto di paglia, con le -impannate alle finestre, con le grosse imposte di legno, sempre esposte -ai pericoli del fuoco; onde Paolo di Ser Pace da Certaldo consigliava -tener sempre pronte “dodici saccha grandi buone per sgombrare quando -fuoco fosse ne la vicinanza tua o presso a te o a casa tua„ e uno -“canape che sia lungo dal tetto in terra per poterti calare da ogni -finestra„[3]. Le vie, piene di polvere, eran spazzate dall'acqua -che correva come un fiumicello[4] dentro e fuori il rigagnolo, dove -s'ingrufolavano, scrive il Sacchetti, quegli animali che sant'Antonio -avea in i protezione, ed entravan poi nelle case altrui a portarvi -il disordine e lo scompiglio[5]. Nè quelle case erano un modello -di pulizia: si spazzavano una sola volta la settimana, il sabato, -e negli altri giorni le immondezze si cacciavano sotto il letto, -dove era d'ogni cosa un poco: bucce di frutta, torsoli, ossa, pelli -scorticate, polli vivi, oche gracchianti e abbondanza di ragnateli. -Erano modeste dimore di gente che si contentava del poco e più che ai -conforti e godimenti della vita badava ai guadagni: gente antica, se -di buona stirpe, che passava la vita uccellando e cacciando piuttosto -in contado, nelle proprie tenute, che in città; gente nuova che nelle -arti e nella mercatanzia cercava far la roba. L'avolo di Messer Lapo -da Castiglionchio, che avea sua abitazione in sulla porta di Messer -Riccardo da Quona, là dalle Colonnine, usava far serrare la porta della -città a una vecchia serva, buona e lealissima, che glie ne riponeva le -chiavi nella sua camera[6]. - -Firenze intanto cresceva man mano che aumentava la proprietà de' -cittadini. Le vecchie case di legno o coi tetti di paglia eran spesso -distrutte dal fuoco. Tutta la città si commoveva e tutta la gente, ad -ogni incendio che divampasse, era sotto l'arme e in gran guardia[7]. -Anche la Signoria, per abbattere con minor spesa le case dei -condannati, usava darle alle fiamme e poi pagare i danni degl'incendi -che si propagavano[8]. - -E come incendi avvampavano le passioni: le vendette, le risse, le -turbolenze tingevan di sangue le vie; e le paci tra gli avversi -consorti si celebravano con feste e conviti. Il Comune “fiero e in -caldo e signoria„ raddoppiava le forze; e debellati i nemici esterni, -“i mercanti della città vincitrice guidavano, nuova maniera di trionfo, -i loro muli, carichi de' panni di Calimala e delle seterie di Por Santa -Maria, attraverso a' monti e a' piani poc'anzi battuti dalle cavalcate -e da' soldati de' loro eserciti; portavano l'oro e l'ingegno fiorentino -nelle città, sotto alle cui mura avevano ondeggiato, fra le armi, le -libere insegne di questo popolo grande„[9]. - - -II. - -_Mercato vecchio_ era il cuor di Firenze; e pareva allora la più bella -piazza del mondo[10]. Chi ne legga le lodi nel capitolo di Antonio -Pucci, chi ne cerchi i fatti di cronaca quotidiana nelle novelle di -Franco Sacchetti, può avere un'imagine di quella vita cittadina che -si contentava di così piccola scena. Quello, il vero emporio d'ogni -commercio, il ritrovo de' bottegai, de' commercianti, degli oziosi, de' -giuocatori, de' villani, de' medici, degli speziali, de' malandrini, -delle fantesche, de' gentiluomini, de' poveri, delle trecche, dei -rivenduglioli, delle brigate allegre e spendereccie. Quivi robe d'ogni -genere e sorte: le carni fresche, le frutta, i formaggi, i camangiari, -l'uccellame, i pannilini, la cacciagione, i fiori, le stoviglie, le -botti, la mobilia usata. I monelli, anche allora terribili, vi stanno -come in casa loro: i grossi topi vi fan carnevale; la gente vi trae -da ogni parte. Ogni giorno si leva qualche romore: un cavallaccio -s'imbizzarrisce per una ronzina, e tutti gridando _accorr'uomo_, la -Piazza de' Signori s'empie di fuggiaschi, serrasi il Palagio, armasi -la famiglia, anche quella del Capitano e dell'Esecutore, e questi -per la paura nascondesi sotto il letto, e, quetato il tumulto, n'esce -fuori coperto di ragnateli; due muli beccati da un corvo cominciano a -tempestare; saltan sui deschi, si serrano le botteghe e nasce grande -contesa fra i lanaiuoli e i beccai per i danni fatti da quelle bestie -furiose. - -Ma talvolta accadono anche serie questioni: i barattieri, tenitori di -giuoco, vengono alle mani: - - E vedesi chi perde con gran soffi - Bestemmiar, con la mano alla mascella - E ricevere e dar di molti ingoffi. - - Ed allor vi si fa con le coltella, - Ed uccide l'un l'altro, e tutta quanta - Si turba allora quella piazza bella. - -Si rinnova la scena raffigurata in un affresco del monastero di -Lecceto, vicino a Siena. I tre dadi caddero sulla tavola in modo -che un de' giuocatori è perdente. Egli sorge in piedi, esacerbato -da quel colpo dell'avversa fortuna, e afferra il vincitore per la -gola, stendendo il braccio. E l'altro, fattosi pallido per l'ira e lo -spavento, si cerca indosso l'arme vendicatrice. La bestemmia prorompe -sui labbri de' contendenti; le grida degli astanti, delle donne, de' -fanciulli echeggian paurose: “Accorr'uomo, accorr'uomo!„ — La folla -indietreggia sbigottita, e quando l'Esecutore arriva — sempre tardo — -co' suoi famigli, la vittima è a terra, distesa in un lago di sangue. - - -III. - -Questi i drammi, i “fatti diversi„ d'allora, che turbavano la pace -della semplice vita di quei nostri bisavoli. Perchè, la novella -borghese, che tenea l'ufficio delle odierne gazzette, rare volte ci -narra queste scene crudeli. Piuttosto si piace di raccontarci le beffe, -le burle, onde allegravasi il popolo motteggevole; perenne argomento -di queti ragionari, al canto del fuoco, presso gli alari dei grandi -camini, sotto la cui cappa annerita raccoglievansi le famiglie, prima -che sonasse l'ora di spegnere i lumi, quando chi andava a letto “il -sezzaio[11] erasi accertato fossero ben turate le botti„ e “l'uscio e -le finestre serrate„. - -Non parea vero di ridere, di scordare le paure dell'oltremondano, -onde gli spiriti erano stati depressi: e già l'incredulità de' nuovi -tempi cominciava a metter fuori le corna, burlandosi de' cherici, e -un tantino de' miracoli e di molte altre imposture. I motteggiatori, -i burlevoli, che d'altrui si prendevan sollazzo e cercavano gabbare -il prossimo e il mondo, si dicevano “nuovi uomini„ e “_nuove cose_„ le -loro malizie. I deschi e le botteghe di Mercato Vecchio, i fondachi di -Calimala, le _loggie_ che sorgevano allora presso i palagi, dove la -gente stava sui banchi a conversare, echeggiavano di fresche risate -argentine; cui rispondevano i crocchi femminili, bisbiglianti sulle -porte di casa. Gli artisti, o come li chiamavan gli _artefici_, erano -i più sottili architettori di coteste burle ingegnose, immaginate fra -una pennellata e un colpo di stecca. E ne durò la memoria molti anni, -tanto che il Vasari parecchie ne raccolse nelle sue _Vite_, di quelle -che i novellieri non avevan consegnate alle lor cronache cittadine. - -“Sempre fu che tra' dipintori si son trovati di nuovi uomeni„[12] -scrive il Sacchetti; e Bonamico Buffalmacco immortalato nel -_Decameron_, e Bartolo Gioggi, e Bruno di Giovanni, e Filippo di Ser -Brunellesco e Paolo Uccello e Donatello, ci fan tornare a mente le -burle fatte a Calandrino, al Grasso legnaiuolo, e a tanti altri che -furon vittime di così spietati begliumori[13]. Ma la voglia matta di -ridere e sollazzarsi, s'appiccicava anche alla gente più grave; e dalle -botteghe degli artefici entrava in quelle degli speziali, e attaccavasi -a' medici, a' giudici, a' procuratori, e saliva in Palagio a rallegrare -i Priori della malinconia di star chiusi, lontani dalla moglie e dalla -famiglia. — Semplici uomini e semplici costumi, che ancor sapevano -della rozzezza antica: la Signoria dormiva in una camera sola, e ciò -era incentivo e occasione agli scherzi[14]; e il proposto dei Priori -poteva andare in persona alla cucina a cuocersi sulla brace una fetta -di carne[15]. La burla, lo scherzo rasentava talora la truffa; ma una -buona risata dava torto a chi aveva avuto colle beffe anche il danno, -e tutti pari. Perchè a quegli anni, quand'ognuno pensava a sè, a' casi -proprii, al proprio interesse, la gente non aveva pietà o compassione -pei gonzi. Le più sottili malizie erano anche permesse ai mercanti, e -quei di Firenze eran famosi per la gran furberia. - -Racconta il Sacchetti quel che intervenne ad un Friulano, che aveva -nome Soccebonel, e che andò a comprare panno da un di costoro. Ne -misuran quattro canne, e il fiorentino glie ne mangia una mezza. Poi, -per ricoprire l'inganno, gli dice: “Vuo' tu far bene? attuffalo in una -bigoncia d'acqua, e lascialo stare tutta la notte, sì che bea bene, e -vedrai poi panno ch'el fia.„ — Soccebonel così fa, e poi manda il panno -al cimatore. “Soccebonel va per esso e dice: Che dei tu avere? Dice -il cimatore: E' mi par nove braccia: da' nove soldi. Dice costui: Come -nove braccia? oimè! che di' tu?„ Lo rimisurano; ma il panno non cresce. -Soccebonel va dal ritagliatore, va di qua, va di là. E uno gli dice: -“Questi panni fiorentini non tornan nulla all'acqua.„ “Uno _comprò_ -un braccio di panno fiorentino, e la sera l'attuffò, come tu facesti -questo, in un bigonciuolo d'acqua, e lasciovvelo stare tutta notte; la -mattina, lo trovò tanto rientrato, che non c'era più nulla„[16]. - - -IV. - -Ma i codici de' mercanti, chi li cerchi e li legga tra la polvere degli -archivi e delle librerie, paiono disdegnare simili imbrogli. In quelle -carte che cominciano tutte “al nome di Dio amen,„ piene di “buoni -asempri e buoni chostumi e buoni proverbi e buoni amaestramenti„, -troviamo precetti teorici ispirati alla più rigida e severa moralità. -Scrive un di cotesti savi: “Tieni a mente quando ài a dare alchuna -sentenzia di darla diritta, e leale, e giusta, e di questo non ti -rivolgere mai nè per prezzo, nè per amore, nè per paura, nè per -parentado, nè per amistà, nè per compagnia....„, perchè la persona -“contro cui la darai fia tuo nemico e quei cui tu servirai non -t'avrà nè per leale, nè per diritto, anzi si guarderà sempre di te e -vitupereratti sempre.„ Ma subito, più sotto, leggiamo: “S'hai bisogno -in piato o in altro tuo fatto dell'amistà d'alcuno signore o di rettore -di terra, — ti dico che co' presenti s'acquista molto agevolmente. -Guata chi è di sua famiglia, più suo segretario e con quel cotale -prima ti domestica, e dona a lui alcuna cosa, e poi a lui chiedi aiuto -e consiglio ed e' t'insegnerà a venire in amore del suo signore e -presentargli quella cosa di che e' sentirà che sia più vago„[17]. - -E non basta; la morale pratica porge ancora più opportuni consigli: -“Quando comperi biada, guarda che non ti sia empiuta la misura a un -tratto, che sempre ti calerà 2 o 3 per cento; e quando vendi il fa', e -cresceratti la tua biada„[18]. — “Di' sempre bene di quelli che reggono -il Comune. Sta' sempre bene co' tuoi vicini, però che de' tuoi fatti -e' sono sempre domandati prima di te, e negli onori e ne' disonori e' -póssonti molto nuocere e giovare.„ E così consigliavano e ammaestravano -i figliuoli, che crescevano destri ed esperti e consumati nell'arte del -saper vivere, fra mezzo a gente che della vita conosceva le malizie -e gl'inganni. Nè è meraviglia che un predicatore, per far gente e -non parlare al deserto, annunziasse voler proclamare dal pergamo che -l'usura non è peccato[19], anzi “è sovvenimento„, e così avesse tutta -la quaresima “infino a Domenica dell'olivo„, attento e affollato -uditorio. - -La famiglia che allargavasi e alleavasi nella _consorteria_, aveva -unico fondamento la proprietà, guarentita da una selva di leggi e -privilegi. Il padre era padrone dispotico de' beni personali: poteva -lasciarli a chi meglio volesse, anche a' nipoti o ad alcun _luogo -pio_[20], anche ai figli dell'amore cresciutigli in casa. Così per -testamento: e si comprende di colpo l'importanza che aveano allora -i notari ed i chierici. Le donne, succedendo _ab intestato_, avean -soltanto diritto al quarto de' beni dei loro figliuoli: in ogni -caso, ai semplici alimenti. Tutto cospirava a preservare l'integrità -del patrimonio, ad impedire che uscisse fuori della famiglia, della -consorteria, del comune. - -Giova ripeterlo: l'interesse, in quella società di mercanti, avidi -di far la roba, era d'ogni azione legge suprema. Sarebbe ingiustizia -cercarvi le sentimentalità della famiglia moderna, in cui alla donna è -riserbato così larga e così nobile parte, così degni e teneri uffici. - -Quelle povere madri fiorentine dovevano starsi contente alle modeste -ingerenze consentite loro dalla tirannia de' mariti, e vivere, o -menar la vita, nell'uggia delle sordide case, allevando i figliuoli, -“vicitando„ la chiesa, e confessando a' frati i molti peccati di -desiderio. - -Le fanciulle, le ragazze che oggi ci dan tanta pena, nemmeno dovevano -imparare a leggere: “S'ella è fanciulla femmina, ponla a cuscire e none -a leggere, che non ista troppo bene a una femmina saper leggere, se già -non la volessi far monaca„[21]. I monasteri erano, come furono molti -secoli, il rifugio di coteste meschine, com'eran la provvidenza delle -troppo numerose famiglie. Aver venti e più figliuoli, parea la cosa -più naturale del mondo; se campavano: “Iddio n'abbi lode e grazie„; se -morivano: “Di tutto sia lodato Iddio, amen„[22]. I libri di ricordanze, -le cronache domestiche, al tempo delle grandi morie, registrano così -le morti come le nascite con una serenità che oggi, alle trepide madri, -sembrerebbe cinismo. E anche ci porgono testimonianze preziose di fatti -più singolari, dell'intrusione nelle famiglie d'un nuovo elemento, che -ne offusca la vantata purezza. I critici più benevoli ne trovano la -ragione nel “gran vuoto fatto dalla mortalità nelle plebi cittadine -e nei campagnuoli„, onde non bastando “la lusinga del poco salario„ a -cavare dal popolo i domestici e le fantesche, “fu d'uopo cercare nel -commercio esterno la maniera di supplire alla loro rarità„[23]. Ma -piuttosto i commerci con l'oriente, e la vita randagia de' mercatanti -e la cresciuta ricchezza, furono eccitamento a quel traffico degli -schiavi e delle schiave, che durò in Firenze per ben due secoli dopo -il XIV[24]. È un tasto doloroso che pur dobbiamo toccare, a rischio di -cavarne alcuna nota stridente; ma anche in un quadro son necessarie -le ombre per concedere maggior risalto alle figure cui si vuol dare -evidenza e rilievo. — Ma non temete! anche un artefice inesperto non -dimentica il “fren dell'arte„; nè vorrei io, dinanzi a voi, empir la -breve mia tela con una mostra impudica di nudità. - -Le schiave orientali, comprate, come carne da traffico, quasi sempre -a mezzo di sensali genovesi, veneziani, pisani e napoletani, e per -lo più tartare, greche, turche, schiavone e circasse, non erano -— rassicuratevi — archetipi di bellezza. I registri dove i nostri -segnavano, insieme coi nomi, con l'età e con il prezzo, i connotati -del volto e della persona[25], ce ne fan fede. Quasi tutte avean -pelle olivastra, sebbene si trovassero anche schiave di carnagione -rossa, sanguigna, rubiconda e qualche volta fin bianca. E sul viso -non mancava mai alcun segno particolare: chi era butterata, chi l'avea -sparso di moltissimi nèi, chi sfregiato da qualche cicatrice. I nasi -eran generalmente schiacciati, i labbri grossi e sporgenti, gli occhi -scerpellini, le fronti basse e lentigginose[26]. E a questi tocchi in -penna de' notai pedanti e minuziosi, corrispondono alcuni ritratti -che ne rimangono. Un curioso libro, il Memoriale del Baldovinetti, -dove codesto antenato del famoso pittore usava illustrar con figure -le sue ricordanze, ci ha conservato i profili delle tre schiave da -lui comprate negli anni 1377, 1380 e 1388; la “Tiratea overo Doratea -tartara da Rossia, giovane di 18 anni o più„, la “Domenica, è de pelle -bianca ed è de proxima de Tartaria„, e la “Veronica giovane di 16 -anni„, “comperála quasi ignuda da Bonarota di Simone di Bonarota,„ un -antenato di Michelangiolo; ma la Dorotea, la Domenica e la Veronica -avrebber potuto benissimo — un po' invecchiate — servir di modello al -futuro Buonarroti per le _Tre Parche_. - -Coteste donne, o brutte o belle che fossero, entravano nelle famiglie -de' Fiorentini ricchi per attendere ai più umili uffici, e badare -ai bambini: e davano un gran pensiero, per ogni conto, alle povere -massaie. Il sonetto del Pucci “le schiave ànno vantaggio in ciascun -atto. E sopra tutte l'altre buon partito,„ ce ne spiega maliziosamente -alcuna ragione, e ci dice che spesso sapean dare alle padrone “scacco -matto„. Le quali, come confessava parecchi anni appresso l'Alessandra -Macinghi, si vendicavano col metter loro “le mani addosso„. Pure anche -allora non potean farne a meno: erano le bambinaie e le _bonnes_ di -quei tempi; e la Strozzi scriveva al suo Filippo in Napoli: “E pertanto -ti ricordo el bisogno; che avendo attitudine averne una, se ti pare, -tu dia ordine d'averla: qualche tartera di nazione, che sono, per -durar fatica, vantaggiate e rustiche. Le rôsse, cioè quelle di Rossia, -sono più gentili di compressione e più belle; ma a mio parere sarebbon -meglio tartere„. Nè per questa scelta potea Madonna Lessandra trovar -chi più di Filippo avesse la mano felice: il quale presso di sè tenea -da vario tempo una schiava “che sapeva così ben fare„[27], di cui essa -il 7 aprile 1469 aveagli scritto: “Avete costì Andrea e massime Tommaso -Ginori, che venne el dì della Pasqua e me n'ha detto molte cose.... e -_così della Marina, dei vezzi che ella ti fa_„. E un anno appresso, con -accento piuttosto ironico: “Mandávi gli sciugatoi.... fatene masserizia -che non si perdino; che _madama_ Marina no' gli mandi a male„. Dove -vediamo che con i vezzi e le astuzie sapevan coteste donne cattivarsi i -padroni e diventar madame, e meritarsi, come appunto cotesta Marina, la -libertà e per “le buone fatiche et buoni portamenti„[28], alcun'assai -liberale disposizione testamentaria. - -Meno male: peggio quando, come accadde a Francesco Datini, le cui -beneficenze verso i Pratesi non fan dimenticare le gravi colpe ch'egli -ebbe verso la moglie, — peggio, quando cotesto trafficato sangue di -tartare e di russe si mescolava con quelli, sin allora schietti, delle -antiche e libere stirpi! - - -V. - -Ma ritorniamo nelle aure pure della famiglia, dove con le ricchezze -accumulate eran, pur troppo, entrati i mal germi, onde si corruppe e -disfece più tardi la vita e la coscienza italiana. Fra il Tre e il -Quattrocento era seguito un gran crollo: il rinnovarsi dei tempi e -de' costumi, già anelanti e vagheggianti la scioltezza del vivere che -si sbrigliò nel Rinascimento, aveano intepidito la fede, smagato la -religione, e la gente parea soltanto intendere ai godimenti mondani. Le -lettere del Mazzei ce ne porgono testimonianza: il buon notaio di Prato -è il savio d'un'“anima rozza„ e d'un “cuore agghiacciato„[29]: quel suo -amico Datini, diciamolo aperto, è il più esoso tipo di mercante che ci -abbia dato quel secolo. Ser Lapo è uno spirito ascetico, timorato, un -uomo di buona e antica fede, un moralista convinto. In quelle _Lettere_ -ci par di vedere alle prese il peccatore ribelle col sant'uomo, che -vuol condurlo ad una buona morte, alla redenzione delle colpe terrene. -È la lotta del sentimento religioso con lo spirito di materialità de' -nuovi tempi, che sfolgorò nella gloria della Rinascenza, ma che dopo -così mirabili splendori lasciò nelle anime degl'Italiani un buio ed un -vuoto paurosi. Da coteste tenebre, purificatosi nei secoli di servitù, -maceratosi nelle vigilie del pensiero, l'uomo moderno doveva risorger -più tardi. - -Ritorniamo in famiglia nella casa fiorentina, dalle cui finestre “le -schiavette amorose scotevano le robe la mattina, fresche e gioiose più -che fior di spina„[30]: nella casa dove la buona massaia godè appena -pochi mesi felici, dopo le nozze, mentre poi dovè noverare gli anni -del matrimonio da' nomi dei figliuoli che le crescevano intorno e le -ricordavano, ciascuno, qualche lunga assenza del marito, andatosene a -trafficare oltremonte od oltremare. - -La giovenile freschezza appassiva, e, come scrive il Sacchetti, “la più -bella che sia, in piccol tempo, come un fiore, vien meno, e diventa -secca nell'ultima vecchiezza e in fine doventa uno teschio„[31]. È -naturale cercassero con l'arte correggere la natura e porre riparo -ai danni del matrimonio, e non soltanto per vanità. Perfino i maestri -dipintori come Taddeo Gaddi, s'accordavano nel giudicare con Alberto -Arnoldi[32] che le donne fiorentine “sono i migliori dipintori del -mondo„. “E fu mai dipingere, che su 'l nero, o del nero facesse bianco, -se non costoro? E qual artista, o di panni, o di lana, o dipintore, è -che del nero possa far bianco? certo niuno; perocchè è contro natura. -Serà una figura pallida e gialla, e con artificiali colori la fanno in -forma di rosa. Quella che per difetto, o per tempo, pare secca fanno -divenire fiorita e verde. Io non ne cavo Giotto, nè altro dipintore -che mai colorasse meglio di costoro; ma quello che è vie maggior cosa, -che un viso che sarà mal proporzionato, e avrà gli occhi grossi, tosto -parranno di falcone; avrà il naso torto, tosto il faranno diritto; -avrà mascelle d'asino, tosto l'assetteranno; avrà le spalle grosse, -tosto le pialleranno; avrà l'una in fuori più che l'altra, tanto -la rizzafferanno con bambagia, che proporzionate si mostreranno con -giusta forma. E così il petto e così l'anche, facendo quello, senza -scarpello, che Policreto con esso non avrebbe saputo fare.... Insomma -le donne fiorentine sono maggiori maestre di dipignere e d'intagliare, -che mai altri maestri fossono, perocchè assai chiaro si vede ch'elle -restituiscono dove la natura ha mancato.„ — Nè di ciò possiamo o -vogliamo riprenderle: unica libertà, onde godevano, mascherarsi da -giovani e felici, rifarsi lieto e fresco il volto, quando spesso il -cuore piangeva, in vedersi d'intorno e da presso altri visi di donna. -Anche amavano variar le fogge, le mode, le “portature„, e in ciò -sfogavano la loro ambizione. I lodatori dell'antico, cominciando da -Dante, le biasimavano di tanta volubilità, ingrata fino ai novellieri -moralisti, ingratissima ai rettori, a quel governo di mariti che -volentieri avrebbe lesinato su codesto lusso delle mogli. - -“Se un arzagogo apparisse con una nuova foggia, tutto il mondo la -piglia„. “Che fu a vedere già le donne col capezzale (lo scollo) tanto -aperto che mostravano più giù che le ditelle! (le ascelle); e poi -dierono un salto, e feciono il collaretto infino agli orecchi„. “Le -giovanette che soleano andare con tanta onestà„, hanno “tanto levata la -foggia al cappuccio„ da ridurlo una berretta e “imberrettate portano -al collo il guinzaglio, con diverse maniere di bestie appiccate al -petto. Le maniche loro, o sacconi piuttosto si potrebbono chiamare, -qual più trista e più dannosa e disutile foggia fu mai? potè nessuna -tôrre o bicchiere o boccone di su la mensa che non imbratti e la -manica e la tovaglia co' bicchieri ch'ella fa cadere?... Lo 'mbusto -è tutto in istrettoie, le braccia con lo strascinío del panno, il -collo asserragliato da' cappuccini.....„ “Non si finirebbe mai di -dire delle donne, guardando allo smisurato traino de' piedi„ alle code -delle vesti “e andando infino al capo; dove tutto di su per li tetti, -chi l'increspa, e chi l'appiana, e chi l'imbianca, tantochè spesso di -catarro si muoiono„[33]. - -Ma cotesta smania del nuovo s'attaccava anche agli uomini. Il povero -messer Valore de' Buondelmonti, un vecchione tagliato all'antica, fu -costretto da' suoi consorti a mutare il cappuccio; e come l'ebbe fatto, -tutti se ne meravigliavano e lo fermavano per la via: “O che è questo, -messer Valore? io non vi conoscea, avete voi i gattoni?„[34]. - -Venne un tempo la moda delle gorgiere intorno la gola e delle -bracciaiuole, sicchè poteva dirsi dei fiorentini portassero “la gola -nel doccione„ e il braccio nel “tegolo„, onde accadde a Salvestro -Brunelleschi, “avendo una scodella di ceci innanzi e pigliandoli col -cucchiaio, per metterseli in bocca„, di cacciarseli nella gorgiera, e -di scottarsi[35]. Più tardi venne quella delle “calze„ (i calzoni) di -differenti colori non solo, ma anche “dimezzati e attraversati di tre -o quattro colori„: de' piedi con una punta lunghissima[36]; e delle -gambe così “incannate co' lacci che appena si possono porre a sedere„. -“I più dei giovani senza mantello vanno in zazzera„ e “al polso danno -un braccio di panno„ e “mettono in un guanto più panno che in un -cappuccio„[37]. - -Le vecchie foggie contrastavano con le nuove, con le modernissime: -ognuno si sbizzarriva a sua posta. La gente, curiosa anche allora, -prendea diletto a vedere “le nuove cappelline, le nuove cuffie e le -nuove cianfarde, e' nuovi gabbani, i nuovi tabarroni, e le antiche -arme; sì che appena si conoscono insieme, sguarguatando (sbirciando) -l'uno insino in sul viso dell'altro, prima che si conoscono„[38]. Una -vera mascherata! - - -VI. - -Ora gli uomini, che han sempre fatto le leggi, pensarono con tal freno -vietare i “disordinati ornamenti delle donne di Firenze„. Il Comune -promulgò statuti suntuari fino dal 1306 e dal 1330[39], e provvisioni -severissime nel 1352, nel 1355, nel 1384, nell'88, nel 1396 e poi -di nuovo nel 1439[40] e nel 1456 e perfino ne troviamo nel 1562[41]. -I religiosi tuonavano dal pergamo, i savi ammonivano e davano, come -il Dominici, “regoluzze„ alle madri timorate “circa i vestimenti„; i -novellieri mordevano con le loro facezie il lusso troppo smodato. Anche -nelle altre città di Toscana e d'Italia, si mandava a Firenze “per -esempio de' detti ordini„ e per “confermargli„[42]. - -Incomincia una contesa, una lotta assai singolare tra la burbanza -de' legislatori severi e la malizia donnesca. Le femmine astute non -contrastano apertamente, ma fingon di piegare il capo crucciose, finchè -passi quella bufera. Sono addottrinate, esperte del mondo: le leggi -troppo severe rimangono senza sanzione. Quando e come possano, cercano, -se non annullarle, deluderle. Alla venuta del duca di Calabria, nel -1326, si fanno attorno alla duchessa sua moglie che è una francese, -Maria di Valois, e ottengono sia loro reso un “loro ornamento di trecce -grosse di seta gialla e bianca, le quali portavano in luogo di trecce -di capelli dinanzi al viso..., ornamento disonesto e trasnaturato„, -brontola il Villani che vide “il disordinato appetito delle donne„ -vincere “la ragione e il senno degli uomini„. Quattr'anni appresso i -Fiorentini per calen d'aprile “del 1330„ “tolgono tutti gli ornamenti -alle lor donne„ e come dice il Del Lungo in un magistrale lavoro, a cui -per voi darà qui il desiderato compimento, “le disabbigliano da capo a -piè„[43]. - -Anche questa, bufera che passa! A simiglianza delle donne di Fiandra, -tormentate per la stessa cagione da Tommaso Connette fanatico -carmelitano, esse, come scrive il Paradis negli _Annales de Bourgogne_ -“_releverent leur cornes, et firent comme les lymaçons, lesquels quand -ils entendent quelque bruit retirent et reserrent tout bellement leurs -cornes; mais, le bruit passé, soudain ils les relevent plus grandes -que devant_„[44]. E occasione a rilevarle, la venuta del duca d'Atene -in Firenze nel 1342, e la “sformata mutazione d'abito„ portata da quei -francesi. - -E qui vorrei indugiarmi a descrivervi il _figurino_ d'allora, quando -i giovani vestivano “una gonnella corta e stretta„ che per metterla -occorreva l'“aiuto d'altrui„, cinta alla vita da una striscia di cuoio -con ricca fibbia e puntale, con “isfoggiata scarsella alla tedesca„, -con il cappuccio attaccato ad una corta mantellina e terminato in una -punta o becchetto lungo infino in terra, per avvolgerlo al capo “per -lo freddo„: e i cavalieri una guarnacca attillata, con le punte de' -manicottoli strascicanti per terra, foderati di vaio, ed ermellini, de' -quali le donne copiaron subito la singolare “stranianza„[45]. Ma gli -affreschi del Memmi in S. Maria Novella, che ritraggono quelle fogge, -sono a voi noti, anche per visite recenti, quando in un'occasione -solenne tentaste di rinnovarle. A studio, dico _tentaste_, perchè -l'eleganza moderna non può agguagliare la magnificenza signorile di -que' drappi, di quelle vesti sontuose. - -La _Prammatica_ del vestito del 1343, che conservavasi nell'_Archivio -della Grascia_, di cui ottenni alcun estratto dalla cortesia d'un -amico il quale ebbela fra mano, serba memoria di quegli splendidi -abbigliamenti ch'eran colpiti dal rigor delle leggi e bollati con -un marchio di piombo, avente sull'una e sull'altra faccia un mezzo -giglio ed una mezza croce, a cura dei famigli di quei poveri “uficiali -forestieri„, deputati dal Comune all'applicazione della legge. Eccovi -descritto un capo di vestiario proibito, appartenente a donna Francesca -moglie di Landozzo di Uberto degli Albizzi del popolo di San Pier -Maggiore: “Un mantello nero di drappo rilevato col fondo di color -giallo, con sopra uccellini, pappagalli, farfalle e rose bianche e -vermiglie e molte altre figure vermiglie e verdi, e con trabacchi e -dragoni, e con lettere e alberi gialli e neri e molte altre figure di -diversi colori, foderato di drappo bianco con righe nere e vermiglie„. -Nè basta: spesso erano anche motti, non soltanto lettere, impressi sui -drappi. - - -VII. - -Ma di quell'_Archivio_ stesso _della Grascia_ e di quei disgraziati -ufficiali, costretti a un cómpito così disumano, di quei poveri -potestà e capitani, cavalieri, giudici, notai e famigli che dalle città -guelfe di Lombardia e delle Marche venivano in Firenze a sostenere le -parti di rettore, a contrastare nel loro rozzo dialetto, beffato dai -novellieri borghesi, con le lingue arrotate delle donne e de' loro -mariti, ancor si conserva un documento curioso. Chi non ricorda la -novella[46] di Franco Sacchetti, in cui narra le tribulazioni di “uno -judice di ragione„, Messer Amerigo Amerighi da Pesaro, “bellissimo uomo -del corpo„, e ancora “valentissimo della sua scienza„, il quale ebbe -mandato, mentre Franco era de' Priori nella nostra città, di proceder -sollecitamente ad eseguire certi “nuovi ordini„, al solito “sopra gli -ornamenti delle donne?„ Il valente giudice si pone all'opera, e manda -attorno il notaio, e i famigli, a fare inquisizioni; ma i cittadini -vanno a' Signori e dicono “che l'officiale nuovo fa sì bene il suo -officio, che le donne non trascorsono mai nelle portature come al -presente fanno.„ - -Or ecco la discolpa di Messer Amerigo: “Signori miei, io ho tutto il -tempo della vita mia studiato, per apparar ragione; e ora, quando io -credea sapere qualche cosa, io trovo che io so nulla; perocchè cercando -degli ornamenti divietati alle vostre donne per gli ordini che m'avete -dati, sì fatti argomenti non trovai mai in alcuna legge, come son -quelli che elle fanno; e fra gli altri ve ne voglio nominare alcuni. -E si truova una donna col becchetto frastagliato avvolto sopra il -cappuccio. Il notaio mio dice: Ditemi il nome vostro, perocchè avete -il becchetto intagliato. La buona donna piglia questo becchetto, che -è appiccato al cappuccio con uno spillo e recaselo in mano, e dice -ch'egli è una ghirlanda. Or va' più oltre, truovo molti bottoni portare -dinanzi. Dicesi a quella che è truovata: Questi bottoni voi non potete -portare. E quella risponde: Messer sì, posso, chè questi non sono -bottoni, ma sono coppelle; e se non mi credete, guardate, e' non hanno -picciuolo; e ancora, non c'è niuno occhiello. Va il notaio all'altra -che porta gli ermellini, e dice: Che potrà apporre costei? Voi portate -gli ermellini. E la vuole scrivere. La donna dice: Non iscrivete, no; -chè questi non sono ermellini, anzi sono lattizzi. Dice il notaio: Che -cos'è questo lattizzo? E la donna risponde: È una bestia„. E il notaio -non insiste, come non sanno insistere i magnifici signori Priori, che -si ricordano delle loro donne lasciate a casa, e conchiudono, come -hanno sempre conchiuso in Palagio, esortando messer Amerigo a tirar -via, e lasciar “correre le ghirlande per becchetti e le coppelle e i -lattizzi, e' cinciglioni„. - -Non volevano forse che il giudice pesarese avesse a ricordare il -malinconico distico che un suo collega della _Mercanzia_ aveva scritto -sul margine degli _Statuti_: - - “S' tu ài niuno a chi tu vogli male - “Mandallo a Firenze per uficiale.[47] - -Pur questa volta, la novella del Sacchetti è verace documento di -storia; l'_Archivio della Grascia_ serba gli _Atti civili del Giudice -degli appelli e nullità_, e fra quei protocolli appunto ve n'è uno di -Giovanni di Piero da Lugo, notaio del dottore in legge ser Amerigo di -Pesaro, ufficiale della Grascia del Comune di Firenze, per sei mesi, a -cominciare dal XV marzo 1384. - -Quel giorno stesso l'Amerighi pubblicò, a' soliti luoghi, un bando per -ricordare le pene delle leggi contro chi trasgrediva alla _Prammatica -sopra 'l vestire_. E il 27 marzo cominciarono per parte degli ufficiali -le inquisizioni. Vedevano per via alcuna donna con due anelli, ornati -di quattro perle, con una cappellina di velluto nero ricamata, con una -ghirlanda, con una delle abbottonature proibite? E subito si contestava -alle malcapitate (diciamolo col frasario odierno) la contravvenzione. -Andava il messo alle case con un “mandato di comparizione„, e il giorno -fissato compariva per la moglie il marito, che riconosceva l'errore e -pagava la multa. Così s'andò innanzi un bel po'; ma più tardi dovettero -le donne, ammaliziate, cominciare quelle contestazioni, accennate -dal novelliere, e naturalmente omesse nel protocollo del notaio. Le -inquisizioni si fanno più rare, le condanne meno frequenti e i mariti -che compariscono principiano a negare la reità delle mogli, con validi -argomenti: una è troppo vecchia perchè possano imputarsele siffatti -trascorsi, un'altra era in casa quel tal giorno a quella tale ora, una -terza è in lutto e così via.... E il protocollo si chiude quasi senza -registrare più nessuna condanna. - -La Signoria e il giudice prima di lei si son dati per vinti; ma non -senza sospetto che quelli ufficiali, quei notai, deputati all'odioso -ministero, non si fossero lasciati vincere dal fuoco di qualche -bell'occhio, dalle carezze di qualche voce lusingatrice. Ahimè nelle -coperte della _Prammatica_ di quel tempo, leggiamo la confessione, lo -sfogo d'un cuore innamorato, prezioso documento umano fra le pedanterie -curialesche degli _Statuti_. Udite: - - Li dulci canti e le brigate oneste - Gli uccelli, i cani e l'andar sollazzando, - Le vaghe donne, i templi e le gran feste - Che per amore solea ir cercando. - Ora fuoco mi sono, oimè moleste, - Quantunque vengo con meco pensando - Che tu dimori di qui or(a) lontana - Dolce mio bene e speme mia sovrana! - -Le donne avean trovato alleati nella famiglia del Giudice di ragione: -la loro causa era vinta! - - -Ma per poco, giacchè quasi periodicamente si tornò ad infierire contro -la vanità femminile, e altre bufere scoppiarono, sempre di breve -durata. Anche tremendi avversari ebbero ne' moralisti che nei trattati -del _Governo della famiglia_, seguitavano a battere cotesto tasto -(valga l'esempio del Palmieri); peggiori nemici ne' frati, invasi dal -furore di purgare il mondo dai peccati. - -Frate Bernardino da Siena nel 1425 continuò a Perugia quei bruciamenti -delle vanità che l'anno innanzi aveva iniziato a Roma, facendo -un gran falò di “capelli posticci e contraffatti, d'ogni lasciva -portatura, di balzi da scuffie„, dadi, carte, tavolieri “e altre -cose diaboliche„, preludendo alle grandi fiammate che nel 1497 fece -a Firenze il Savonarola, e che gli furono di pessimo augurio. Ma fra -tanti oppositori, non mancavano i buoni avvocati. Nell'aprile 1461 -un predicatore che aveva vociato dal pergamo in Santa Croce contro -le donne, ricorse alla Signoria, e nel _Consiglio dei Richiesti_ si -trattò, nientemeno, di proibire la moda. Ma Luigi Guicciardini, padre -al grande storico e politico, disse aver risposto a un milanese, -giudicante a sproposito dell'onestà delle donne fiorentine dall'abito -sfoggiato e dall'incedere, che se l'abito parea disonesto, elleno erano -a' fatti assai diverse[48]. - - -VIII. - -Ma queste leggi suntuarie, ritoccate o come oggi direbbero -“rimaneggiate„ ogni momento, più che offendere le donne colpivan -la borsa dei loro mariti; nè, giova notarlo, si restringevano agli -ornamenti, sibbene frenavano o volevan frenare anche il lusso e -l'abbondanza delle nozze, dei battesimi, dei conviti e dei funerali. -I cortei nuziali non potevano eccedere il numero di dugento persone. I -sensali de' matrimoni dovevano denunziare innanzi i nomi degl'invitati. -Le _donora_ alla sposa eran regolate dalla legge, e così le cerimonie -nuziali; il cuoco “il quale dovrà apparecchiare per qualche sposalizio„ -era tenuto a rapportare all'ufficiale del Comune il numero delle -vivande e dei piattelli, e le vivande non potevano essere più di -tre: non più di sette libbre di vitella, e i capponi, i paperi o gli -anitroccoli permessi dagli statuti. Del pari eran regolate le esequie, -il numero dei torchi di cera, le vesti dei morti e dei congiunti che -seguivano il funerale: i doni dei battesimi.... insomma ogni benchè -menoma cosa[49]. Chi contravvenisse a tali disposizioni, condannato a -multe assai gravi. - -Perchè il Comune, anche allora, cercava dovunque argomenti per tasse, -gravami e balzelli, e lo studio dei cittadini, massime di quei furbi -mercanti, era tutto in cercare di alleggerirsi delle gravezze, di -rubare con qualche onesta licenza[50]. - -“_Il Comune ruba tanto altrui, che io posso ben rubar lui_„, è un -dettato antico riferito dal Sacchetti[51]; il quale anche lamenta le -lungaggini nelle pratiche del Comune, perfino verso chi volea donargli -le proprie castella[52]. Ciascuno tirava l'acqua al suo mulino, dice -Marchionne Stefani, e anch'egli aveva il mulino suo[53]. S'ingegnavano -tutti a difendersi dalle gravezze e com'è sempre usanza, scrive quel -cronista, “gli animali grossi e possenti saltano e rompono le reti„. - -Anche Francesco Datini, accostandosi a quelli che tenevan lo Stato, -provvide a' casi suoi, in quegli anni nei quali “le guerre combattute -con le armi de' mercenari e le paci fatte a furia di denaro esigevano -che la imposta si riscotesse in un anno dieci e quindici volte[54]„. -Chi non potea con le amicizie e i favori, ci riusciva con l'astuzia, -come Bartolo Sonaglini che, essendosi per porre molte gravezze, -scendeva ogni mattina sull'uscio di casa e contava a tutti le sue -miserie, dicendo: “Oimè, fratel mio, io son disfatto.„ “E' mi converrà -o dileguarmi dal mondo o morir prigione„[55]; onde quando vennero alla -partita di lui ciascuno dicea: Egli è diserto, e guardasi per debito; -e l'un dicea: E' dice il vero, chè pure una di queste mattine non -ardiva d'uscir di casa. E l'altro dicea: E anco così disse a me.... Sia -come si vuole, dicono gli altri, e' si vuole trattar secondo povero, -e tutti a una voce gli posono tanta prestanza, quanta si porrebbe a -uno miserabile, o poco più.„ Fatte le prestanze e passato il pericolo, -Bartolo cominciò a uscir fuori e andava dicendo d'esser per accomodarsi -coi creditori; e così, a furia di ciance, si liberò dalle prestanze, -“dove molti altri più ricchi di lui ne rimasono disfatti„. - - -IX. - -Già i tempi maturavano. Dell'antica e proverbiata semplicità, in tanta -sete di guadagni, rimanevano monumento vivente, ma pur rispettato, -soltanto quei vecchioni di cui Donato Velluti ci porge uno stupendo -ritratto, vivo e vigoroso come una figura di Andrea del Castagno. - -“Bonaccorso di Piero, fu uno ardito, forte e aitante uomo, e molto -sicuro nell'arme. Fece di grandi prodezze e valentie, e sì per lo -Comune e sì in altri luoghi. Tutte le carni sue erano ricucite, tante -ferite avea avute in battaglie e zuffe. Fu grande combattitore contr'a -Paterini e Eretici.... Era di bella statura, di membra forti e bene -complesso. Vivette ben 120 anni, ma ben 20 anni perdette il lume, -innanzi morisse, per vecchiaia. Fu chiamato Corso, e benchè fosse -così vecchio, udii dire che la carne sua avea sì soda, che non si -potea attortigliare, e se avesse preso qualunque giovane più atante -in su l'omero, l'avrebbe fatto accoccolare. Intesesi anche bene di -mercatanzia, e fecela molto lealmente; intanto era creduto, che venuti -i panni melanesi in Firenze da Melano (de' quali molti ne faceano -venire) e tutti gli spacciava innanzi fossono aperte le balle; molti ne -faceano tignere qui, e perch'era sì diritto, udii dire che un Giovanni -del Volpe loro fattore veggendo sì grande spaccio di detti panni, -pensò nella tinta fare avanzare più la compagnia, e più debolmente, -e con meno costo gli facea tignere; di che essendo passato un tempo i -detti panni non avevano quel corso soleano: di che cercando la cagione, -trovarono che era stato per la sottilità del detto Giovanni, di che -egli il volea pure uccidere. - -“Il detto Bonaccorso avendo perduto il lume, il più si stava in casa. -Avea di dietro al palagio di Via Maggio.... un verone lungo quanto -tenea il detto palagio, in sul quale rispondea tre camere dal lato di -dietro, per le quali egli andava, e tanto andava in qua e in là ogni -mattina, che facea ragione essere ito tre o quattro miglia, e fatto -questo asciolvea, e l'asciolvere suo non era manco di due pani, e poi -a desinare mangiava largamente, perocchè era grande mangiante: e così -passava la sua vita. Ora perchè si sappia come morì, udii dire a mio -padre, che gli venne voglia andare alla stufa, e così andò, nella quale -stufa s'incosse un piede; di che essendo tornato e veggendo che per -essa cagione non potea andare, nè fare il suo usato esercizio, in sul -verone, immantinente sì si (ac)cusò morto. Or avvenne in quel tempo -che Filippo suo figliuolo, e mio avolo che fu, menando Monna Gemma -de' Pulci sua seconda donna, avendo il dì molto motteggiato dicendo: -_ora farebbe bisogno a me d'avere moglie, più ch'a figliolmò, che -m'aitasse_, e molte altre ciance, gli venne voglia, essendo sul letto, -farsi portare in sul lettuccio da sedere: di che chiamato mio padre e -Gherardo suoi nipoti, avendosi colle mani e braccia appoggiato in sulle -spalle loro; subitamente per grande vecchiezza la vita gli venne meno, -e morì„[56] - - -X. - -Con il ricordo di questa “cara e buona immagine paterna„, affrettiamoci -a' tempi nuovi, al nuovo secolo, di cui ormai rosseggia in cielo, -nel cielo della letteratura e dell'arte, la splendida aurora. Già ne -scorgemmo i segni annunziatori nell'ottenuto acquisto della ricchezza, -nell'affrancarsi così dai vecchi pregiudizi, come dalle severe regole -del vivere antico, nelle tendenze egoistiche preparanti lo svolgimento -di quel che i moderni critici chiamano “individualismo,„ onde meglio si -comprende il carattere degli uomini e della vita della Rinascenza. - -L'affetto per il Comune, per la patria e anche per la famiglia, già -s'affievolisce col desiderio acuto de' godimenti, di che non era avara -la vita a chi volea gustarne le dolcezze. L'incredulità fa capolino; -lo scetticismo, la sensualità, minacciano di prendere il sopravvento. -Coteste generazioni, dopo i terribili terrori delle pestilenze, -scampate all'infuriar del contagio, doveron quasi meravigliare, stupire -di risvegliarsi alla vita. - -Dalla grande moria del 1348 ai primi del '400, i cronisti ne registrano -molte altre: ricordiamo quelle del 1363, del 1374, del 1400, del 1411, -del 1420 e del 1424. Un nostro erudito spogliando il libro de' morti -degli Ufficiali della Grascia, noverò dal 1.º maggio al 18 settembre -1400, ben 10908 morti, la massima parte fanciulli[57]. Della peste -del 1348, oltre alla classica e grandiosa descrizione del Boccaccio, -troviamo vivi e dolorosi ricordi nelle cronache famigliari, ne' diarii, -ne' memoriali. - -Dovè essere un pauroso, un raccapricciante spettacolo! Giovanni Morelli -racconta che in un'ora “si vedeva ridere e motteggiare„ il vicino -o l'amico “e nell'ora medesima il vedevi morire„. La gente cascava -morta per istrada “su per le panche„ come abbandonata, senza aiuto -o conforto di persona. Molti impazzivano e si buttavano nel pozzo, o -giù dalle finestre o in Arno, dal gran dolore o dalla orribile paura. -Tanti morirono senza esser veduti e “infracidavano su per le letta„, -molti si sotterravano ancor vivi. “Avresti veduto una croce ire per un -corpo e averne dietro tre o quattro prima giugnesse alla chiesa„[58]. -Si calcola che in Firenze morissero i due terzi delle persone, “cioè -de' corpi ottantamila„[59]. Della moria del '400, veggiamo un'efficace -pittura in una lettera di Ser Lapo Mazzei. “Qui non s'apre appena -appena bottega: i rettori non stanno a banco: il palagio maggiore senza -puntelli: nullo si vede in sala: morti non ci si piangono, contenti -quasi solo alla croce„[60]. Era uno spavento: i figliuoli morivano, -cadevan gli amici, i vicini, i conoscenti, gl'ignoti; nel colmo della -estate, passavano i cento al dì; nel luglio vi fu un giorno che furon -dugento. - -Di quella del 1420 scrive nel suo _Libro segreto_ Gregorio Dati: “La -pestilenzia fu in casa nostra, e cominciò dal fante, cioè Paccino, -a l'uscita di giugno 1420; e poi da indi a tre dì la Marta nostra -schiava, e poi al primo dì di luglio la Sandra mia figliuola, e a dì -5 di luglio l'Antonia. E uscimmo di casa, e andammo dirimpetto; e in -fra pochi dì morì la Veronica: e uscimmone e andammo in Via Chiara, -e presevi il male alla Bandecca e alla Pippa, e amendue s'andarono a -Paradiso a dì 1.º d'agosto, tutti di segno di pestilenza[61]. Iddio li -benedica!„ - -Chi poteva fuggire, scappava ad Arezzo, a Bologna, in Romagna, in -alcuna città e terra dove credesse potersi stare sicuro. Il Datini se -n'andò a Bologna, portando la famiglia, i domestici e i forzieri su -ronzini e su muli carichi di ceste[62]. Buonaccorso Pitti scampò dalla -peste del 1411 recandosi a Pisa in una casa a pigione, dove in sette -mesi spese 1300 fiorini e gli morì una figliuola e un famiglio. Nel '24 -mandò il figlio suo Luca con la moglie e i bambini a Pescia, dove poi -si ridusse con gli altri congiunti. - -Era di regola recarsi “in qualunque luogo la mortalità non fosse -stata„[63]; rimedi contro l'oscuro malore non c'erano, nè l'arte dei -medici sapea consigliarli. Il Morelli prescrive alcune norme che oggi -si direbbero igieniche: la pestilenza del 1348 era stata cagionata -da una terribile carestia: “l'anno dinanzi era suto in Firenze gran -fame„[64]; “vivettesi d'erbe, e di barbe d'erbe, e di cattive„, “tutto -contado era ripieno di persone, che andavano pascendo l'erbe come le -bestie„, e i corpi erano disposti e non avevano “argomento nè riparo -niuno„. Consiglia, pertanto, conservarsi sani, riguardarsi, mangiar -bene, sfuggire l'umido, “spender largamente„, senza “niuna masserizia„ -senza economia “fuggi(r) malinconia e pensiero„, pigliarsi “spasso -piacere e allegrezza„, non “pensare a cosa ti dia dolore o cattivo -pensiero„, giuocare, cavalcare, divertirsi, stare allegri, tenere “in -diletto e in piacere la tua famiglia„, e “far con essa buona e sana -vita senza pensiero di fare per allora masserizie; che assai s'avanza -a stare sano e fuggire la morte„[65]. - -Gli “avanzati„ dal mortale flagello, doverono ben presto avvezzarsi al -nuovo tenore di vita, anche passato il pericolo. Effetto della peste e -de' suoi terrori, le processioni dei “_penitenti bianchi_, simiglianti -a quelle che quasi un secolo innanzi, sotto il nome di _compagnie de' -battuti_, avevan percorsa tutta l'Europa. Partivansi in folla dalle lor -case mescolati uomini e donne, laici ed ecclesiastici, tutti vestiti di -bianche cappe che lor coprivano anche la faccia, avendo un crocefisso -per insegna; e andavano processionalmente di paese in paese cantando -laudi, pregando con alte voci _misericordia_. Giacevano quasi sempre -all'aria aperta, non domandavano che pane e acqua. I popoli delle città -visitate, accendendosi d'egual fervore andavano col medesim'ordine -a visitare un'altra città. Alla comparsa dei pii pellegrini, -tutti movevansi a penitenza, le gravi inimicizie si deponevano, -si pacificavano le discordanti fazioni, le città si riempivano di -santimonia„[66]. A Firenze i facinorosi voleano profittarne per -liberare i prigioni delle Stinche; ma fortunatamente s'impedì che la -città n'andasse a romore d'arme, e tra le altre si fecer le paci tra -i Pitti e i Corbizi[67]. Anche Francesco Datini nell'agosto 1399 andò -in pellegrinaggio, “vestito tutto di tela lina bianca e scalzo„, co' -suoi famigli, amici e vicini. Erano in tutto dodici e portaron seco -due cavalle e una muletta, “in sulle quali bestie mettemmo un paio -di forzeretti, in che furono più scatole di tutte ragioni confetti, -e formaggio d'ogni ragione, e pane fresco e biscottato, e berlingozzi -zuccherati e non zuccherati e più altre cose che s'appartengono alla -vita dell'uomo, tanto che le dette cavalle furono presso che cariche -di vettovaglie„[68]. Stettero in pellegrinaggio dieci giorni, dal -28 agosto al 6 di settembre, e giunsero fino ad Arezzo o poc'oltre; -e dovunque si fermavano compravano cose da mangiare. Era davvero un -allegro modo, e comodo, di far penitenza, e di pellegrinare a cavallo! - -Delle pratiche religiose, i più accorti e più increduli rispettavano -appena la forma esteriore, come il Datini, che temeva i rimbrotti e i -predicozzi dell'amico e mentore spirituale Ser Lapo Mazzei. - -Altri, come Buonaccorso Pitti, già ci porgono l'immagine dell'uomo -della Rinascenza, che non ha terraferma, e gira il mondo, rôso da -una interna irrequietezza, e giuoca, e perde, traffica, e mescola -la politica ai commerci e ai sollazzi, come un avventuriere del -Settecento, come un Benvenuto Cellini, ma senza l'arte e con molto -meno d'ingegno. Curioso, strano tipo questo Pitti che sembra morso -dalla tarantola e mena le mani e sta a tu per tu con Carlo VI[69], -con duchi e principi, che cavalca a Roma difilato per una scommessa -con una giovane ond'era invaghito[70]; gran danzatore, giuocatore -ostinato e prode e leal cavaliere, e in patria assunto agli uffici -supremi[71]. Il Burckhardt lo chiama addirittura un precursore del -Casanova, che viaggia continuamente in “qualità di mercante, di agente -politico, di diplomatico e di giuocatore di professione„. “Guadagnò e -perdette enormi somme, e non trovava competitori che fra i principi, -quali ad esempio, i Duchi di Brabante, di Baviera e di Savoia„[72]. -Questo il padre di quel Luca Pitti che in ricchezza e in magnificenza -rivaleggiava coi Medici e voleva anche in ogni altra cosa andare a paro -con Cosimo. I mercanti di panni divenuti banchieri e prestatori, aveano -in quei viaggi, in quei traffichi, con quelle “fattorie„ sparse in -varie città d'Europa, ne' più operosi centri del commercio, negli scali -più frequentati, accumulato smisurate ricchezze, ed era venuto il tempo -di godersele tranquillamente. - -Già Fiorenza come una bella e prosperosa giovane “con buone parti„ e -dote abbondante, cessate le gare fra i partiti che se la contendevano, -all'ombra de' lauri medicei socchiudeva gli occhi abbarbagliati da -tante sfoggiate magnificenze, onde, come femmina, s'era lasciata -conquidere. Le famiglie, fatta la roba, voglion fondar la casata: -si cercano i maritaggi più convenienti e si discutono quasi fossero -alleanze. L'Alessandra Macinghi va a tutte le messe “in Santa Liperata„ -e si pone “allato„ alle fanciulle, con cui vorrebbe per il suo Filippo -far parentado, e con occhio di futura suocera le studia, le esamina, -le spoglia, e ne scrive al figliuolo come se si trattasse d'un mercato -di polledre e non d'un matrimonio. Egli è vero che la buona madonna -Lessandra, per me troppo esaltata e lodata, dovette avere piuttosto -cuor di mercante che di donna. Che mettesse le mani addosso alle -schiave, lo confessava ella stessa senza ritegno; era costume, e -fors'anche con quelle rôsse e tartare la pazienza doveva facilmente -scappare. Ma di lei e della sua pietà troviamo un documento rivelatore. -Si tratta di due vecchi, gli unici che rimanessero d'una famiglia di -lavoratori di Pozzolatico: “ancora vive Piero e mona Cilia, tramendua -infermi. Ho allogato il podere per quest'altr'anno, e me lo conviene -mettere in ordine: e que' due vecchi se non muoiono, hanno andare -accattare. Iddio provvegga„[73]. Nè crediate sia questo un tristo, ma -fugace pensiero: è un fermo proposito. In una lettera scritta, pochi -mesi dopo, nel dicembre del 1465, leggiamo: “Piero vive ancora„ a -Mona Cilia Iddio aveva forse già provveduto “e bisogna che se n'esca, -e andrà accattando.... Arà pazienza: che Iddio lo chiami a sè, se 'l -meglio debb'essere!„[74] Col cuore, non si fa masserizia! - - -XI. - -Ma chi aveva accresciute e moltiplicate le proprie sostanze, mostrava -sentimenti più nobili e animo più gentile. Giovanni Rucellai ci dà -l'immagine compiuta del fiorentino ricco che sente la dignità del -nuovo stato in cui fu posto dalla fortuna; la quale “non tanto gli -ha conceduto grazia nel guadagnare, ma ancora nello spenderli bene, -che non è minor virtù che il guadagnare. E credo — scrive nel suo -_Zibaldone_, — che m'abbi fatto più onore l'averli bene spesi ch'averli -guadagnati, e più contentamento nel mio animo,„ e “massimamente delle -muraglie ch'io ho fatte della casa mia di Firenze, del luogo mio di -Quaracchi, della facciata della chiesa di Santa Maria Novella, e della -loggia nella Vigna dirimpetto alla casa mia„. E ringrazia messer -Domenedio,„ d'averlo fatto “creatura razionale,„ cristiano e non -“turco, moro, o barbaro„, d'averlo fatto nascere “nelle parti d'Italia, -la quale è la più degna e più nobile parte di tutto il cristianesimo, -e nella provincia di Toscana la quale è reputata delle degne provincie -ch'abbi l'Italia„, e altresì d'avergli dato la vita nella “città di -Firenze, la quale è reputata la più degna e la più bella patria che -abbi non tanto il cristianesimo ma tutto l'universo mondo„, e infine -d'avergli dato l'essere “nell'età presente, la quale si tiene per li -intendenti ch'ella sia stata e sia la più grande età che mai avessi -la nostra città poi che Firenze fu edificata.... per esser stato al -tempo del magnifico cittadino Cosimo di Giovanni de Medici„. — E più lo -ringraziava d'avergli concesso d'allearsi con lui, per il matrimonio -della Nannina figlia di Piero e nipote di Cosimo, con il proprio -figliuolo Bernardo, splendido parentado di che il Rucellai insuperbiva. - -Firenze allora celebrava, senza temere i rigori delle leggi suntuarie -cadute in disuso, le feste nuziali delle grandi famiglie. Le nozze -di Baccio Adimari con la Lisa de' Ricasoli, celebrate nel 1420, ci -son rappresentate da un'antica tavola della Galleria dell'Accademia -di Belle Arti, e vediamo gli sposi con la loro accompagnatura danzare -sotto un padiglione a strisce di vari e ridenti colori, al suono d'una -musica di trombe e di pifferi; ma di queste del Rucellai con la Medici, -che ci danno l'imagine della vita d'allora, vogliamo tentare un quadro -di cui ci fornirà le linee, i colori e il disegno lo _Zibaldone_ del -buon vecchio che ne serbò caro e pregiato ricordo. - - -Dorati dal fiammante sole di giugno, i festoni di verzura si -distendevan superbi da un lato all'altro della via, levando in alto gli -scudi, la metà coll'arme de' Medici e la metà coll'arme de' Rucellai. -Le pietre ruspe della facciata che la magnificenza di Giovanni Rucellai -aveva pochi anni innanzi fatto murare, come credesi, da Leon Battista -Alberti, acquistavano quasi nuovo colore coperte com'erano dagli -smaglianti parati e dalle ghirlande di fiori penzolanti da' pilastri -dorici del primo piano e dai pilastri corinti del secondo e del terzo. -Dirimpetto al palazzo, nella piazzuola di fronte alla loggia, era stato -eretto un palco che aveva la figura d'un triangolo. Lo copriva, per -difesa del sole, un cielo di panni turchini adornato di ghirlande, -in mezzo alle quali sbocciavano freschissime rose; mentre di sotto, -sull'assito di legno, si stendevano arazzi preziosi, che paravano anche -le panche messe lì torno torno per comodo d'aspettare, e le spalliere -chiudenti in giro il vago recinto. I lembi del gran velabro turchino -scendevano qua e là fino a terra, come aeree colonne. Da una parte -di quel gran padiglione sorgeva una credenza su cui splendevano vasi -e piatti d'argento lavorati a rilievo da quanti più valenti orafi ed -argentieri noverasse allora Firenze: e la ricchezza di quegli arredi -annunciava la sontuosità del convito che apparecchiavasi. - -Nella via di fianco al palazzo s'eran poste le cucine, dove fra cuochi -e sguatteri lavoravano cinquanta persone. Il rumore era grande; via -della Vigna da un capo all'altro era piena di gente: agli artefici che -avevan preparato gli addobbi, succedevano i messi che portavano i doni -degli amici, dei clienti, del parentado: i contadini, i giardinieri, -i bottegai, gli speziali che portavano le vettovaglie; i pifferi e -i trombetti che preparavan le musiche: i giovani cavalieri che si -accingevano agli armeggiamenti nuziali. - -Quella domenica — era l'otto giugno del 1466 — poco dopo il levar del -sole avea la gente cominciato ad accorrere da ogni parte al palazzo -dove le nozze dovean celebrarsi: arrivavano, cara e promettente -vista ai curiosi, vitelle squartate, barilozzi di vino greco, capponi -quanti ce ne possono stare appiccati a una stanga portata a spalla -da due robusti villani, stangate di formaggi di bufalo, coppie di -paperi, barili di vino comune e di scelto trebbiano, corbelli pieni -di melarance, ceste di pesci di mare grandi e odorosi, paniere di -pesciolini d'Arno con le squame d'argento, caprioli, lepri, giuncate. -— Venivano, portate dagli ortolani dei monasteri, cestelline di -zuccherini, di berlingozzi e d'altre dolcissime delicature preparate -dalle candide mani di monacelle gentili: venivano a gran fatica, -dondolando la testa fronzuta, e barcollando sui carri tirati da bovi -sbuffanti un magnifico ulivo di Carmignano, e ginestre e quercioli -tolti alla villa di Sesto, co' fiori che la ridente stagione donava in -gran copia. - -Dovevano i regali aggiunger magnificenza alla festa, ed esser degni -di chi li offriva, e testimoniare insieme l'affetto o la reverenza che -portavano i donatori alle due insigni famiglie che con quegli sponsali -faceano alleanza. Il giovane Bernardo Rucellai, diciassettenne appena, -andava sposo alla Nannina figlia di Piero e nipote al gran Cosimo de' -Medici, ed il vecchio Giovanni Rucellai con quelle nozze si levava di -dosso il sospetto d'esser nemico alla parte Medicea che, dopo l'esilio -di Cosimo, era tornata più forte di prima in Firenze. Era un parentado -architettato con sommo studio, che ridondava a decoro della famiglia -sua, quanto la facciata di Santa Maria Novella fatta fare all'Alberti, -e la cappella in San Pancrazio, e il palagio e la bellissima loggia -corinzia di Via della Vigna. - -Sottile ingegno avea quel maestoso vecchio con la fronte alta ed -aperta, il naso aquilino e i fulgidi occhi di un profondo color -cilestro, che pare ancor vivo nella cornice d'un suo antico ritratto. -Abbondanti capelli gli scendono in ricche anella sulle spalle e una -lunga barba gli ondeggia sul petto, conservando ancora alcune tinte -dorate frammiste al grigio della vecchiaia, e con i freschi colori -del viso dimostrando una longevità vigorosa. Lo vediamo seduto in -un seggiolone a bracciuoli, coperto di velluto cremisi a frangia e -borchie d'oro; veste una tunica verde scura ed è ravvolto in un lucco -purpureo a risvolte di velluto cremisi. Cogli occhi guarda in alto e -lontano come pensando a cose che non sono di questo mondo. Ma la mano -destra, adorna di un anello con un grosso brillante, si appoggia con -forza al bracciale del seggiolone, e la sinistra aperta accenna ad un -codice, ben rilegato, che gli è squadernato dinanzi, sur una pagina -del quale leggesi il titolo _Delle Antichità_. Accanto ad esso alcune -lettere dissigillate con l'indirizzo all'_illustrissimo signor Giovanni -Rucellai_. Dietro una tenda di colore scuro, in uno sfondo azzurro son -disegnate con grandissima diligenza ed esattezza le sue opere di pietra -e di marmo, la facciata di Santa Maria Novella, la cappella di San -Pancrazio, il palazzo e la loggia. Quel dipinto compendia l'uomo e le -sue glorie: un ricco mercante che poteva diventar parente del magnifico -Cosimo di Giovanni de' Medici, il quale — com'ei diceva — è stato ed -è di tanta ricchezza e di tanta virtù e di tanta grazia e riputazione -e seguito, che mai non fu simile cittadino nè di tante buone parti e -condizioni quante sono state e sono in lui. - -Ma torniamo alle nozze. Giovanna dei Medici venne a marito quel -giorno stesso, accompagnata, com'era costume, da quattro cavalieri de' -maggiori della città, messer Manno Temperani, messer Carlo Pandolfini, -messer Giovanozzo Pitti e messer Tommaso Soderini. _Veniam_ cioè -_verrò_ era scritto, secondo l'uso d'allora su certe cartellette -appiccate alle panche parate d'arazzi che eran disposte sotto al -padiglione fiorito; e la sposa vi venne, e in su quel palco soffice per -i ricchi tappeti si danzò e si festeggiò a suon di musiche, aspettando -i desinari e le cene. - -Convennero alle nozze 50 gentildonne riccamente vestite e similmente -50 giovani in abiti bellissimi. Durarono le feste dalla domenica -mattina alla sera del martedì successivo, e i conviti si tenevano -due volte al giorno. Comunemente si convitavano a ciascun pasto -cinquanta tra parenti e amici e cittadini de' principali, per modo -che alla prima tavola, contando le donne e le fanciulle di casa, -i pifferi ed i trombetti, mangiavano 170 persone. E alle seconde e -terze tavole dette “tavole basse„, mangiava gente assai, tantochè ad -un certo pasto s'ebbero fin 500 persone. Le vivande, che eran quelle -prescritte dall'uso, furono squisite e abbondanti: la domenica mattina -si dettero capponi lessi e lingue, e un arrosto di carne grossa, e -uno di pollastrini dorati con lo zucchero e l'acquarosa: la sera la -gelatina, l'arrosto grosso e quello di pollastrini con frittellette. -Il lunedì mattina, bianco mangiare, coi capponi lessi e salsicciuoli -e arrosto grosso di pollastrini; la sera le solite portate, e più una -torta di pappa, mandorle e zucchero che dicevasi _tartara_. Il martedì -mattina, arrosto di carne grossa e di quaglie, e la sera i consueti -arrosti e la gelatina. Alle colazioni uscivano fuori in sul palchetto -venti confettiere di pinocchiati e di zuccherati, che si distribuivano -a profusione. - -La spesa di questi conviti ascese a più che 6000 fiorini (circa 150000 -lire), somma per quel tempo ingentissima. Si comprarono settanta staia -di pane, duemilaottocento pani bianchi, quattromila cialdoni, cinquanta -barili di trebbiano, tremila capi di pollame, mille e cinquecento uova, -quattro vitelli, venti catini di gelatina; e si arsero in cucina dodici -cataste di legna. — Pareva addirittura il regno dell'abbondanza. - -Il martedì sera, parte dei giovani che erano stati invitati alle -nozze fecero gli armeggiamenti secondo l'usanza, movendosi dal Palazzo -Rucellai fino al canto dei Tornaquinci, e di poi in Via Larga sotto il -Palazzo dei Medici. - -La sposa, chi voglia sapere il corredo e i regali che ebbe, ricevè da -diversi parenti non meno di venti anelli; e sei dallo sposo, due quando -la tolse, due _dello sposalizio_, due nella mattina che si donavano -le anella. Da Bernardo ebbe cento fiorini e più altre monete: le si -fecero ricchi vestimenti: uno di velluto bianco ricamato di perle, -di seta e d'oro con maniche aperte foderate di candide pellicce: uno -di _zetani_, drappo di seta molto massiccio, guernito di perle con le -maniche foderate d'ermellino. - -Ebbe poi una _cotta_ o vestito di damaschino bianco broccato d'oro -fiorito, con maniche adorne di perle, e un'altra cotta di seta con -maniche di broccato d'oro cremisi ed altri vestiti e sopravvesti, -chiamate allora _giornee_. — Fra le altre gioie ebbe una ricca collana -con diamanti, rubini e perle del valore di 1200 fiorini, e uno spillo -da testa, e un vezzo di perle che avea per pendente un grosso diamante -a punta, e un cappuccio ricamato di perle e una reticella di perle -grosse. — La dote, che oggi parrebbe scarsa, fu di 2500 fiorini (circa -60 000 lire), compreso il corredo, nel quale si notano un paio di -forzieri con le spalliere riccamente lavorati, e dieci fra _cioppe_, -_gamurre_ e _giornee_, cioè vestiti lunghi di varia forma di finissime -stoffe, e sontuosi ricami d'oro e di perle: una camicia di _renso_ -(tela bianca fine operata proveniente da Reims), una cuffia o testiera -di stoffa cremisi lavorata di perle, due berrette con argento, perle -e diamanti, un _libriccino_ da messa miniato con fermagli d'argento e -un _Bambino_ Gesù in cera con la veste di damasco ricamata di perle. -Inoltre stoffe in pezza, rasi, damaschi, velluti, guanciali ricamati, -cinture, borse, anelli da cucire, agorai, pettini d'avorio, 4 paia di -guanti, un _cappello_ alla milanese con frangie, otto paia di calze, -tre specchi, un bacino e un mesciacqua a smalto d'argento, un ventaglio -ricamato o _rosta_, e molte altre cose che non si contano. - - -XII. - -Tre anni appresso, nel giugno 1469, le nozze sfolgorate, da vero -principe, di Lorenzo dei Medici con Clarice Orsini, che riuscirono una -pubblica festa, un vero carnasciale. “_Tu felix, Florentia nube!_„ - -Non c'indugeremo a descriverle, sulla traccia dell'informazione che -ne dette Piero Parenti a Filippo di Matteo Strozzi, suo zio materno, -che allora stava in Napoli, ed è il fondatore del bel palazzo di -Firenze, monumento della grandezza di questa famiglia. Quei conviti, -quelle magnificenze ponevano in grave impaccio le gentildonne che vi -erano invitate e dovevan comparirvi, secondo la dignità della casata, -con robe e cotte di broccato di gran valuta. Mentre il “Babbo„ era -“a Napi„[75], come aveva imparato a balbettare il piccolo Alfonso, -figlio di Filippo Strozzi e della bella e buona Fiammetta di Donato -Adimari, la giudiziosa donna volle piuttosto far l'ammalata, e non -v'intervenne[76]. - -Anche noi vogliamo seguirne l'esempio, e piuttosto cercare ne' -documenti contemporanei alcun accenno alle intimità della vita -domestica, che fra tanto pubblico scialo, si facevan sempre più rare. E -ci sarà grato trovarlo nelle letterine che il figlio di quelli sposi, -Piero de' Medici, scriveva a suo padre, mentr'era in villa o altrove, -raccomandato alle cure del suo pedagogo Messer Agnolo Poliziano. Le ha -tratte dagli originali del nostro Archivio di Stato, il Del Lungo che -saprà a' loro luoghi ricollocarle nella _Vita_ dell'Ambrogini, antica -promessa ringiovanita con lui. - -A Piero de' Medici molto si perdonerebbe in grazia di queste letterine, -vergate con mano incerta dai cinque anni in poi, e dei primi latinucci -che il maestro _non_ correggeva. Nel 1476, appena cinquenne, scriveva -di villa alla nonna Lucrezia Tornabuoni, con la petulanza d'un nipotino -guastato dalle carezze. “Rimandateci parecchi fichi, chè quegli -mi piacquono; dico di quelli brugiotti: et mandateci delle pesche -col nocciolo, et delle altre cose che voi sapete che ci piacciono, -zuccherini et berlingozzi ed altre coselline.„ Nel '78 avvertiva il -padre d'aver “apparato già molti versi di Virgilio, e so quasi tutto -il primo libro di Teodoro a mente, e parmi d'intenderlo„, cioè la -grammatica greca di Teodoro Gaza (il _Curtius_, d'allora). “El maestro -mi fa declinare et mi examina ogni dì.„ - -L'anno appresso scrive più franco: “Vorrei che Voi ci mandassi qualche -segugio de' migliori che vi sono. Non altro. La brigata, ognuno si -raccomanda a voi, massime io. Priegovi che vi guardate dalla moría, -e che voi vi ricordiate di noi, perchè noi siamo piccini e abbiamo -bisogno di voi.„ Un'altra volta, passato alcun tempo, cerca profittare -del latino imparato per chiedere cose maggiori: “Quel cavallino non -si vede. _Nondum venit equulus ille, magnifice pater_„ e già comincia -a far da sopracciò ai fratellini. “Giuliano pensa a ridere.... la -Lucrezia cuce, canta e legge; la Maddalena batte le capate pe' muri, ma -senza farsi male; la Luisa dice già parecchie cosine; la Contessina fa -un gran chiasso per tutta la casa.„ E appresso: “Io, che per dar più -tono alla mia scrittura, ho scritto sempre in latino, non ho ancora -ottenuto il cavallino che m'avete promesso; cosicchè tutti mi danno la -baia.„ Ma il _cavallino_ non veniva. “Al cavallino ho paura gli sia -incolto qualche malanno; perchè, se fosse sano, so che me l'avreste -già mandato, come m'avevate promesso.... Caso mai quello non possa -venire, vi piaccia mandarne un altro.„ Finalmente arrivò, e un'ultima -lettera, ch'è di ringraziamento e tutta piena di buone promesse, chiude -quest'infantile carteggio. - -Ma il curioso bozzetto domestico di vita medicea, che ha per isfondo la -campagna e per scena una di quelle ville dove i Medici si riducevano -per dimenticare le noie della politica, anche ci ricorda un altro -aspetto della vita d'allora. Il desiderio della quiete campestre, -l'amore per la villa, il sentimento della natura è una spiccata -caratteristica degli uomini della Rinascenza. Già ne troviamo cenni -in Ser Lapo Mazzei che usava andare a Grignano a far le faccende della -ricolta e della vendemmia[77], accomodava da sè la vigna, e voleva in -casa un po' di buon aceto. Buonaccorso Pitti, come il Petrarca, gode -a noverare tutti gli alberi del suo giardino[78]; il Rucellai è più -superbo della sua villa di Quaracchi, di cui ci porge una descrizione -amorosa, che del suo palagio magnifico[79]; i trattatisti del _Governo -della famiglia_[80] cantano le lodi della vita rustica: il Poliziano ne -compone una prosetta da far voltare in latino a' discepoli[81], e nello -sfondo di un paesaggio fiorito disegna l'immagine della bella Simonetta -Cattaneo[82]. - - -XIII. - -Lorenzo de' Medici (mediocre marito), anche in mezzo alle grandezze -della sua condizione d'ottimate e quasi di principe, seppe conservare -una certa bonarietà tutta casalinga e fiorentina; nè gli dispiacque -incanagliarsi col volgo, all'osteria della Porta a San Gallo, e -celebrar le bellezze della _Nencia_ rusticana, e serbare nel fasto una -sobrietà cittadina. - -Racconta il Borghini che Franceschetto Cibo, cui dava in isposa la -figliuola, fu da Lorenzo trattato con grande semplicità e parsimonia, -mentre i suoi compagni, cavalieri e baroni romani, ebbero sontuose -accoglienze. E a lui, impensierito per la figura che avrebbe fatta -con loro, rispose rassicurandolo: “Onorai que' signori come ospiti -e forestieri; te invece accolsi come uno di mia famiglia[83].„ A' -clienti dava udienza per istrada, o al canto del fuoco, o passeggiando -amichevolmente per le vie di Firenze[84]. Fiorentino nell'anima, non -gli dispiaceva d'essere e di mostrarsi faceto. Vedendo a Pisa uno -scolare guercio, disse che e' sarebbe il più valente di quello Studio. -E domandato perchè, rispose: “perchè e' leggerà a un tratto le due -facce del libro, e così potrà imparare a doppio„[85]. - -Ma sotto coteste semplici apparenze covavano i disegni del politico -astuto che, come scrive il Vettori, “non istudiò in altro se non -in ridurre gli uomini alle arti e ai piaceri„, e la protezione alle -arti e agli artisti volle strumento a futura dominazione. Col denaro -mediceo si alzavano palazzi e conventi, e dentro vi si raccoglievano -antichità e libri; ne' giardini si radunavano gli artisti; alle -cene accorrevano i poeti; si bandivano giostre e giuochi del calcio, -concorsi poetici e feste religiose: la clientela politica del palazzo -era resa più gagliarda da quella dei sommi artisti delle umili -botteghe. Il Savonarola che del tiranno aveva indovinato i segreti -pensieri, diceva: “occupa il popolo in spettacoli e feste, acciocchè -pensi a sè, non a lui„. Firenze a' suoi tempi vide nascere, o crescere -più rigogliose, molte forme di costume e molti generi di poesia; dai -trionfi e dalle mascherate per le vie ai simposj platonici di Careggi; -dal canto carnascialesco e dalle ballate a rigoletto, alle Sacre -Rappresentazioni. La gaiezza spensierata e il facile appagamento dei -desiderj, così negli ordini dello spirito come in quelli della materia, -servirono a compensare la diminuzione delle pubbliche libertà[86]. - -La città gaudente, che da un pezzo risonava di clamori festivi, -accolse lieta il gran carnevale mediceo, que' sontuosi apparati, quelle -processioni ordinate dalle confraternite de' vari quartieri e dirette -da artisti. La paganità rinascente invadeva le feste religiose e le -trasformava a' suoi fini. In carnevale si facevan carri e trionfi “per -parere (dice mestamente il Cambi) che la città fussi in festa e in -buono stato„. In Mercato Nuovo si danzava, nella Piazza de' Signori si -facevano combattimenti d'animali, e fra essi si sguinzagliarono i leoni -sperando ne seguissero terribili scene. Ma il leone fiorentino era -così mansuefatto, che “come fosse un agnel si stava cheto„[87]. In via -Larga, dinanzi al palazzo de' Medici, correvano a gara gli armeggiatori -e si celebrava il trionfo d'amore. Per la venuta di Franceschetto -Cibo, novamente maritato alla Maddalena di Lorenzo il Magnifico, si -fecero in tutte le botteghe “mostre di cose gentili e ricche e drappi, -e broccati, e gioie di perle e argenterie, che è stato cosa stupenda -e miranda bellezza„. Per San Giovanni, s'apparecchiò “una bella festa -di nugoli e di spiritelli e carri ed altri festivi edifici e ingegni -popolari da passar tempo, e con tutte l'altre cose festive, ordinarie -altre volte„. Si correvano palii di sfoggiata magnificenza, e la torre -del Palagio rosseggiava tra i fuochi delle scoppiettanti girandole. - -Nel far cavalieri e ricevere oratori, l'eccelsa Signoria, usava -cerimonie solenni di cui troviamo ricordo nel libro di Francesco -Filarete, araldo della Repubblica[88]. - -Nel 1491, per la festa di San Giovanni, Lorenzo fece fare 15 edifizi -o trionfi, rappresentanti il trionfo di Paolo Emilio, reduce dalla -Macedonia, quando tornò con tanto tesoro che i Romani per molti e molti -anni non pagarono nessuna gravezza[89]. - - -XIV. - -Pareva rinnovarsi l'età dell'oro! Le giostre medicee, che aveano -inspirato le ottave del Poliziano, stimolavano anche gli altri -cittadini a largheggiare nelle spese più pazze. Benedetto Salutati, -nipote di Messer Coluccio, per quella del 1467, “nella sopravveste, -testiera ed altri paramenti di due cavalli _mise_ 170 libbre di -fino argento, che volle sottilmente lavorato per mano d'Antonio del -Pollajuolo. E ne' ricami dei detti paramenti, nella sopravveste sua e -nelle cioppette de' sergenti mise intorno a 30 libre di perle, la più -parte di maggior pregio„[90]. - -Firenze, abbellivasi di sontuosi palagi. Filippo Strozzi incominciava, -il 6 agosto '89, a fondare il suo, e Giuliano Gondi poco appresso ne -imitava l'esempio. Il popolo ne andava orgoglioso, e il buon Tribaldo -De Rossi, per memoria del fatto, si fece mandare dalla Nannina sua -donna, tutti rivestiti i suoi due figliuoli e menatili a vedere i -fondamenti del palazzo Strozzi “prese Guarnieri in collo e guatava -colaggiù, e dettili un quattrin gigliato, e gittollo laggiù, e un mazzo -di roselline di Damasco c'aveva in mano ve li feci gittar drento. -E dissi: Ricorderàitene tu? Disse, sì. Insieme con la Tita nostra -serva erano, e Guarnieri aveva appunto detto di anni 4, e avevali -fatto la Nannina una gabbanella di taffetà cangiante, verde e gialla, -nuova„[91]. - -I ragazzi, come i cittadini più grandi, dovevano esser colpiti dalle -sorprendenti meraviglie, a cui li avvezzavano le magnificenze medicee. -Ogni giorno cose nuove e singolari: feste, processioni, cortei -principeschi. E il De Rossi, semplice cronista, di quegli avvenimenti, -ci ha conservato il ricordo. Nel 1488, donata dal Soldano di Babilonia -a Lorenzo, venne in Firenze una giraffa alta sette braccia, ch'era -menata a mano da un di quei Turcimani. Grande curiosità in tutti, -perfin nelle monache; onde furon costretti a mandarla attorno pei -monasteri[92]. “Mangiava d'ogni cosa, nelle ceste d'ogni forese metteva -il capo; a un fanciullo arebbe tolto una mela di mano, tanto era -piacevole. Morì a' dì 2 di gennaio 1489„ e tutti la piansero, “perchè -era sì bello animale„. - - -Ma, d'un tratto, tutta questa serena giocondità di vita, tutto questo -abbagliante splendore d'arte, di poesia, di spensierata gaiezza, -si spegne sinistramente. La tempesta rumoreggia lontano, la collera -celeste, profetizzata dal fiero domenicano che nel convento di San -Marco, fra lo strepito del carnevale, medita solitario, minaccia i -rinnovellati trionfi del paganesimo. L'8 di aprile 1492, come di una -pubblica calamità, giunse la nuova della morte di Lorenzo de' Medici. -“Lo splendore di tutta Italia, non che di Toscana,„ come scriveva -il Dei, era scomparso. La sera appresso, la compagnia de' Mazzi -riponeva il corpo nella sagrestia di San Lorenzo, e l'altro dì si fece -l'onoranza, “non con molta pompa, come i loro antichi son consueti, ma -onestamente e senza drappelloni, con tre regole di frati e una di preti -solo; che in vero, non si poteva tanta pompa fare, che maggiore non -fosse stata poca a un tanto uomo„[93]. - -Con così lugubri esequie, nel gelo de' sepolcri laurenziani si -chiudevano, con le spoglie del Magnifico, i ricordi di tutta una -età che apparve radiante di gloria e di giovinezza. Il mondo della -Rinascenza scompariva, e poco dopo, scrive Tribaldo De Rossi, “venne -una lettera alla Signoria che certi giovani, iti con caravelle, -arrivarono a cert'isole grandissime, che mai più vi si navigò per -nazione umana, popolate d'uomini e donne assai, tutti ignudi„. - -Un nuovo mondo era stato scoperto! - - - _Signore e Signori._ - -Rotta la terza cerchia delle sue mura, Firenze, fatta italiana, piantò, -sotto la folgorata torre di San Miniato, come un segnacolo di libertà -il David di Michelangiolo, glorioso mutilato nei tumulti del 527, -testimone immortale delle miserie antiche e delle future grandezze. -Dalla cima del colle e' guarda Firenze nuova, Firenze aperta da -ogni lato, senz'altra difesa di mura, di bastioni o di torri; perchè -Firenze, cuore d'Italia, si difende oggi dalle Alpi e dal mare. - -La patria, un tempo ristretta nel Comune, nel piccolo Stato, ha -abbattuto le vecchie mura e i vecchi confini, e si distende per ogni -plaga dove suoni la lingua di Dante. Così la ragione de' popoli e la -civiltà, si sono affermate nel diritto e nella carità umana. - -Tornare indietro nè si può nè si vuole: la semplice vita de' nostri -antichi, con la gioconda serenità che le fu propria, più non ci -alletta. Il pensiero moderno, che ci travaglia e tortura coi dubbi -tormentosi, con le aspirazioni insoddisfatte, lo redammo da tante -sublimi e nobili intelligenze: è una conquista superba cui non possiamo -rinunziare. - -In esso è la forza che muove la scienza e che solleva i cuori e gli -spiriti verso un ideale più alto, l'ideale del perfezionamento umano: -il nuovo sole che irradia le vette eccelse della carità e dell'amore. - - Firenze, 17 aprile 1892. - - - - -LA DONNA FIORENTINA - -nel Rinascimento e negli ultimi tempi della libertà - -DI - -ISIDORO DEL LUNGO. - - -I. - -Pel San Giovanni del 1473, al consueto festeggiar cittadino si -aggiungeva la solennità del ricevimento fatto, come la Repubblica -artigiana soleva e i Medici favorivano, con principesca magnificenza -a Eleonora d'Aragona figliuola del Re di Napoli, la quale andava -sposa ad Ercole d'Este, duca di Ferrara e di Modena. Entrata in -Firenze il 22 giugno, ella trovava nel suo massimo sfoggio la mostra -che delle proprie ricchezze avevano apparecchiata le botteghe dei -mercatanti; assistè alla processione delle Compagnie co' fanciulli -vestiti di bianco in forma di “agnoletti„; vide i “dificii„ o macchine -fantasmagoriche, che in sulla Piazza della Signoria rappresentavano -Storie dell'Antico Testamento e del Nuovo; vide l'offerta che al -tempio del Santo Patrono portavano la Signoria e gli altri magistrati -del Comune e delle Arti, le Compagnie del Popolo coi gonfaloni, -parte Guelfa, e poi i Signori e Comuni sottoposti o raccomandati, -recanti palii, ossia drappi, di gran pregio e bellezza e grandi ceri -istoriati e fioriti; e con l'olivo in mano l'offerta de' prigioni e -de' condannati (quella a cui Dante non si sottomesse); e finalmente, -nel pomeriggio del dì 24, i barberi, già prima offerti ancor essi, che -correvano il palio di San Giovanni, un palio ricchissimo di broccato -d'oro, dal Prato su per la Vigna pel Mercato e pel Corso verso Porta -alla Croce, tal quale noi che non siam più giovani possiamo ricordarci -d'aver veduto. Ma nessun di noi potrebbe da' ricordi suoi giovanili -evocare ciò che nel 1473 fu dato a godere, in quelle feste, a madonna -Eleonora: un ballo, là su que' prati donde i barberi pigliavan le -mosse, un ballo alla dolce aria profumata de' giardini e delle loggie, -in uno de' palagi, quello de' Lenzi, dov'è oggi la Galleria Pisani, che -fronteggiavano coteste estreme parti della città verdeggianti lungo -le rive dell'Arno. Tacciono di quel ballo i diarii: sulle cui aride -pagine, a ogni modo, voi cerchereste inutilmente, signore gentili, -descriversi dal giornalista di quattro secoli fa gli abbigliamenti -delle vostre antenate; e sotto quali colori d'abito e con qual dottrina -di linee, presentassero esse al desiderio de' loro innamorati quelle -bellezze, che all'ammirazione nostra sopravvivono nelle tavole del -Botticelli e negli affreschi del Ghirlandaio. Un ballo fiorentino -de' tempi del Rinascimento; non dominato e quasi sopraffatto dallo -scintillio de' doppieri, ma lumeggiato soavemente dal sole che -di là dal Pignone tramonta; nè turbinato fra le vorticose battute -orchestrali, ma sposato sulle corde flebilmente amorose del liuto -e della viuola alle gentili baldanze ottonarie della Canzonetta che -appunto dal Ballo s'intitola; meritava cronista un poeta. Permettetemi -ch'io vi traduca dal latino di Angelo Poliziano quel Corriere del mondo -elegante d'allora: distici levigatissimi, dove le realtà della vita -s'intrecciano con le concezioni dell'arte, il vero col fantastico, il -fiorentino, il cristiano, con la classica paganità; circola l'aria che -respiravano i letterati nella Firenze del magnifico Lorenzo. - -“Apollo con la rosea faccia ha menato il giorno che riconduce la -festa del selvaggio Batista san Giovanni; quando alla città che fu -colonia di Silla ferma le candide vestigia, per riposarsi dal lungo -cammino, la figlia del Re, che, lasciata la città delle Sirene, va -sposa ad Ercole. Festeggiano a gara il suo arrivo fanciulli, giovani -e vecchi, e le matrone e splendide di fresca bellezza le spose: tutta -la città si anima, d'ogni dove rumoreggia l'allegria. V'è una strada -che i Sillani (i Fiorentini, parafrasati in latino) chiamano Pantagia -(Borgognissanti, ribattezzato in greco), dove sorge splendido un tempio -dedicato a tutti i Celesti. Colà s'inalza superbo il palagio de' Lenzi: -ivi presso ride la verde distesa de' prati, e de' colori primaverili -si dipinge fiorito il terreno. Quivi, mentre i corsieri scalpitanti -aspettano, in sulle mosse, il canoro segnale della tromba Tirrena, la -regal fanciulla si abbandona ai sollazzi delicati della danza; ed ecco -atteggiarsi le gentili donne al tempo misurato e all'intreccio de' -balli. Innanzi alle altre ninfe risplende Albiera bellissima, e di sua -bellezza sparge a sè dintorno il tremulo splendore. Mossi dal vento -diffondonsi i capelli sulle candide spalle, i neri occhi raggiano di -luce soave: pare, fra le sue compagne, la stella del mattino il cui -rossore purpureo vince gli astri minori. Giovani e vecchi ammirano -Albiera: sarebbe di ferro chi non si commovesse a quella verginale -bellezza: lietamente, plaudendo, col cenno, con gli sguardi, con la -voce, tutti lodano Albiera.„ - -Albiera di Maso degli Albizzi era una giovinetta fra i quindici e i -sedici anni, fidanzata a Gismondo della Stufa. S'ammalò, subito dopo -quel ballo, e in capo a pochi giorni morì. “Ahi povera Albiera!„ -sentite ancora il suo poeta: “così giovinetta, rubata ai genitori, allo -sposo! Va' ora, e confida nelle umane fortune! Ecco disfatte da morte -crudele, o Albiera, le tue bellezze: disfatto il tuo viso di gigli e -rose; i tuoi occhi gioiali, dove Amore accendeva le sue fiaccole; i -capelli, che o scioglievi abbondanti, e parevi Diana cacciatrice, o -raccoglievi in diadema d'oro, ed era l'acconciatura di Citerea: gli -Amorini, le carezzevoli Grazie, ti facevano bella, senza che tu il -sapessi: ogni virtù ti adornava, modestia e serietà di contegno, senno, -pudore, lealtà, gioialità, bel costume, bel tratto, schiettezza: tutto -ormai divenuto un pugno di cenere!„ - -In altre parti della elegia lunghissima è mitologizzata la malattia -e la morte d'Albiera. La sua bellezza ha attirato il bieco sguardo -di Nemesi, la dea che con misteriosi decreti governa le umane -vicende. Ritirasi la giovinetta alle sue case, finito il ballo, in -sull'annottare; nell'ora, o Signore, nella quale a voi, pe' balli -vostri, cominciano appena le operazioni della toeletta. E coricata -ch'ella è, si appressa al suo letto la Febbre, nume orribile, del -quale e del suo corteggio vi risparmio la descrizione, e che Nemesi ha -sospinto verso quella povera casa. I genitori, i fratelli, lo sposo, -pendono per dieci giorni ansiosi dal viso dell'inferma, pallido e -trasfigurito. Ella dà gli estremi addii a que' suoi cari e alla vita, -che, incominciatale appena, sente sfuggirle; e muore fra il pianto -disperato della sua casa. Il lutto e la pietà de' cittadini circondano -il corpo inanimato. La morte ha ricomposto il suo volto a pace soave: -pare che dorma. La ninfa, vittima della dea Nemesi e della dea Febbre, -ha esequie cristiane; e il distico ovidiano di messer Angelo colorisce -anche quelle. Ecco il trasporto; ecco con la nera coltre la bara: ella -distesavi su, coi capelli recisi, e in capo una umile ghirlanda. Le -salmeggiano intorno i preti; le campane suonano a morto: segue, in -veste di lutto, la cittadinanza; fra quella, lo sposo, che tutti si -mostrano a dito, compassionando. La chiesa di San Pier Maggiore arde di -ceri, è profumata d'incensi: si fa l'assoluzione e la benedizione: e le -tombe degli Albizzi, in quella stessa chiesa, si aprono a ricevere la -giovine fidanzata; forse, come si soleva, in abito di monacella: il che -non dice il Poeta; ma que' capelli tagliati ce ne danno, a mio avviso, -argomento più che probabile. La musa latina dell'umanismo fiorentino -consacrò, non con la sola elegia e con altri minori epicedii del -Poliziano, il nome d'Albiera: elegiaci e ricordanze su quella morte e -quei funerali abbondano, in copia anche maggiore che pei funerali della -bella Simonetta, morta soli due anni dopo la fanciulla degli Albizzi. - -Ma alla Simonetta Cattaneo, genovese, venuta nel 69 sedicenne sposa in -Firenze a Marco Vespucci pur sedicenne, e mancata di mal sottile nel -76, l'arte dette anche in altre forme gli onori dell'apoteosi. E mentre -delle fattezze verginali di Albiera non ci è rimasta testimonianza -(salvo se qualche benemerito investigatore riuscisse a trovare il -busto marmoreo nel quale sappiamo dal Poliziano averla fatta rivivere -lo sposo), per la Simonetta, invece, si è impacciati a scegliere fra -più d'uno il ritratto vero: o vuoi quello che è nella Galleria de' -Pitti, attribuito al Botticelli, di una bionda delicata, dal collo -assai lungo, dal viso intento e gentilmente pensoso, in acconciatura -modesta e casalinga, da riferirsi piuttosto a un mezzo secolo innanzi; -o vuoi l'altro, sotto il quale è stato apposto il nome di lei, e che -si conserva a Parigi nella galleria del Duca d'Aumale, creduto del -Pollaiuolo o di Piero di Cosimo, ed è essa pure una figurina delicata e -gentile, ma di gaia e vivace bellezza, nudi il collo (anche di questa -assai lungo) e il seno e le spalle, i capelli tirati all'indietro -o avvolti in giri artificiosi con grande intrecciamento di perle e -pietre, e pendente sul petto un monile intorno al quale si rigira un -aspide; o che dobbiamo infine ravvisarla, come altri propone,[94] -in una delle figure allegoriche di quella misteriosa Primavera del -Botticelli, guidati da certi singolari riscontri che la composizione -del fantasioso maestro offre con le _Stanze_ del Poliziano, dove -è ritratta e designata per nome (pur nell'atto di trasfigurarla -in Ninfa delle più autentiche), e poeteggiata, con buona pace del -marito Vespucci, come innamoratrice di Giuliano de' Medici, appunto -la Simonetta Cattaneo. Or qualunque ella si fosse la giovane sposa, -certamente bellissima, che nell'aprile del 76 moriva, basti a noi, pur -lasciando d'altri suoi celebratori in latino e questa volta anche in -volgare, che il Poliziano facesse di lei la mitologica eroina delle -sue _Stanze_; che per la morte sua scrivesse pure epigrammi funebri, -d'alcuno de' quali il magnifico Giuliano de' Medici, il bel “Iulio„ -delle _Stanze_, proponeva il concetto; e che Lorenzo, a sua volta (il -che mostra del tutto ideale e poetico il culto dei due fratelli alle -bellezze della Vespucci), tragga, o finga d'aver tratto, dalla morte -di lei il motivo a platonizzare poeticamente sull'anima ritornata -alle stelle. Lorenzo era a Pisa, e dai Vespucci medesimi riceveva di -giorno in giorno le dolorose notizie. Morta, un suo famigliare gli -scriveva: “La benedetta anima della Simonetta se ne andò a paradiso, -come avrete inteso. Puossi ben dire, che sia stato il secondo Trionfo -della Morte: chè veramente, avendola voi vista così morta come la -era, non vi saria parsa manco bella e vezzosa che si fosse in vita. -_Requiescat in pace_„; e Lorenzo, essendo (così ci racconta) una serena -nottata primaverile, e andando con un amico a diporto, e parlando di -quella morta, si affisa a un tratto in una stella che mai non gli par -d'avere veduta così lucente, e “L'anima di quella gentilissima„ esclama -“o è trasformata in questa nuova stella, o si è congiunta con essa„; -e un'altra volta, pure in cotesta primavera, passeggiando per una -delle sue splendide ville, osserva il girasole, anzi Clizia, l'antica -innamorata del sole, “la sera restar col viso vòlto verso l'orizzonte -occidentale, che è quello che le ha tolto la visione del sole, insino -che la mattina il sole la rivolge all'oriente„; e ci vede una immagine -del nostro destino quando perdiamo chi si ama, che è di rimanere “col -pensiere vòlto all'ultima impressione„ della “visione„ perduta; ma -l'orizzonte nostro occidentale, donde il tramonto non ha ritorno, è la -morte. - -È, del resto, notabile come in que' tempi che tante erano, e così -vigorosamente svolte, e così spesso violente, le energie della -vita, la morte circondasse di tanta poesia, sebbene caricata di -tanta oziosa mitologia, agli occhi e al cuore di cotesti uomini -la idealità femminile: notabile come quei travestimenti di donne -viventi in ninfe posticcie, pe' quali l'imitazione artistica del vero -perdeva miseramente tanto tesoro di realtà, si arrestassero, cotesti -travestimenti, o s'impacciassero dinanzi alla santità delle tombe; -quando, secondo la figurazione Polizianesca (nelle _Stanze_) della -morte della Simonetta, l'amante, o il poeta, - - Vedea sua ninfa, in trista nube avvolta, - Dagli occhi crudelmente essergli tolta. - -In uno degli epigrammi funebri di messer Angelo per la Simonetta, -e proprio in quello a cui dette il concetto Giuliano de' Medici, -“tranquilla in sul punto di morte, si volge, la ninfa, a Dio, in lui -confidando„; curiosa ninfa, a dir vero, che si raccomanda l'anima: -come singolar mortorio, altresì, quello che portava verso la chiesa -d'Ognissanti, alla cappella de' Vespucci, la Simonetta, se intanto, -strada facendo, Amore, proprio il figliuolo di Venere piovuto non si sa -come in quell'accompagnamento, saettava tuttavia, standocene a un altro -di cotesti epigrammi, saettava da' chiusi occhi di lei pur col ricordo -del loro splendore. - -Meglio ispirato il poeta mediceo faceva da un'altra tomba di sposa -ventenne (cominciammo da un ballo, o Signore, e ci siam persi fra le -tombe; ma il geniale argomento, ancorachè caduto, come vedete nelle -mani d'un conversamorti, ci ricondurrà, vi prometto, alle gioie e ai -travagli della vita), da un'altra tomba di giovine sposa, minor sorella -dell'Albiera, e ancor essa bellissima, Giovanna degli Albizzi moglie -a Lorenzo Tornabuoni, morta nel dare alla luce il secondo figliuolo, -faceva il Poliziano uscire la voce di lei, così: “Gentilezza di -sangue, bellezza, un figliuolo, ricchezze, amor coniugale, ingegno, -costume, animo, mi facevan felice: felicità, che la Parca, perfida, -a viepiù inacerbirmi la morte, mi addimostrò piuttosto che darmi.„ Ma -buona e pietosa forse possiamo noi oggi dire la Parca; che risparmiò -a Giovanna di vedere soli nov'anni appresso, nel 97, ne' tempi del -terrore Piagnone, decapitato a ventinove anni il suo Lorenzo come -cospiratore mediceo: memorie d'infinita pietà a chi guardi, sulle -medaglie coniate in onore di lei, le sue forme gentili, e ne' rovesci -simboleggiate le sue virtù, o con le tre Grazie, sottovi scritto -Castità, Amore, Bellezza, o con la figura virgiliana della ninfa -cacciatrice; a chi nella cappella che fu de' Tornabuoni, in Santa -Maria Novella, la riconosce, nei meravigliosi affreschi di Domenico -Ghirlandaio, in quella bionda giovanissima gentildonna, che riccamente -vestita di broccato d'oro campeggia nella storia della Visitazione; a -chi potesse pur di Giovanna rivedere un altro ritratto, della stessa -mano del Ghirlandaio, che col nome della madonna Laura petrarchesca da -un palagio fiorentino trasmigrò ad altri lidi; o a chi rimpianga certi -preziosi affreschi, che in una villa suburbana del pian di Mugnone -tornarono, pochi anni or sono, alla luce, solamente per essere divelti -e travalicati e (sento dire) sciupati oltr'Alpe. - -Quanta gentilezza del Rinascimento fiorentino dovette accogliersi -fra le pareti di quella villa, che nei Tornabuoni rimase dal 1469 -al 1541, e fu dunque villa di Giovanni Tornabuoni, quando questi e -in Firenze e in Roma, quasi ambedue egualmente medicee, era forse -il principale agente della fortuna sì mercantile e sì politica della -poderosa famiglia; quando ei faceva nel 1490 scoprire quella magnifica -sua cappella, e ci faceva scrivere dal Poliziano la data, “anno 1490, -nel quale la città bellissima, nobile per ricchezze, vittorie, arti, -edificii, godeva di abbondanza, di salute, di pace„; quando nel giugno -dell'86 le nozze del suo Lorenzo con la bella Giovanna erano festa non -pur domestica ma cittadina. Veniva la sposa a Santa Maria del Fiore, -in mezzo a un cortèo di cento fanciulle delle maggiori famiglie, e di -quindici giovinetti vestiti d'un'assisa: assistevano al darsi l'anello -cavalieri così cittadini come di fuori, e un ambasciatore di Spagna -al Pontefice. Un Guicciardini e un Castellani accompagnavano la sposa -alle case de' Tornabuoni, presso alle quali la piazza di San Michele -Berteldi (oggi piazza San Gaetano) era “messa a palco„ per uso di -festeggiamento e di ballo: e di là tornati gli sposi alle case degli -Albizzi, s'imbandiva suntuosamente la cena, essendo messo il terreno -del palagio egualmente a palco pel ballo, che a lume di doppieri si -alternava, durante l'intera notte, co' virili giuochi d'una sfarzosa -armeggeria. Più riposate dolcezze offriva ai giovani sposi la villa. -Qui viene ad essi il Poliziano, tenerissimo del giovane Lorenzo fin -quasi a ieri suo valente discepolo; il Poliziano che con affetto quasi -paterno si compiace d'ogni suo trionfo, così nelle lettere classiche, -specialmente greche (delle quali spera che toccherà presto la cima); -come nel poetar volgare, magari anche all'improvviso; come nelle -giostre della piazza di Santa Croce: viene l'umanista dottissimo a -intertenersi de' cari studi, a leggere que' suoi stupendi poemetti -latini le Selve, una delle quali l'_Ambra_, d'argomento omerico insieme -e mediceo, è dovuta a te (scrive dedicandogliela) per l'un titolo e -l'altro: viene a esaminare e interpretare le antiche medaglie, della -cui raccolta in casa Medici il numismatico erudito e diligente è -appunto Lorenzo Tornabuoni: al quale, e al maestro suo, chi dubiterebbe -(certi di ciò) d'attribuire, con altre, le medaglie fatte eseguire -in onore della sposa diletta? Ma il vecchio Tornabuoni, che guarda -con occhio d'immenso affetto que' giovani capi, ahimè destinati sì -da presso alla morte, non pago che il Ghirlandaio li ritragga nelle -mirabili storie della cappella, in un'altra di quelle meraviglie -dell'arte li vuole, sulle mura di quella stessa sua villa, consacrati -alla ricordanza de' secoli. “Dipignetemi, o maestro, questa sala a -buon fresco; e il Poliziano nostro, qui, darà, come suole, il concetto -d'alcuna di quelle esquisite allegorie nelle quali sì fieramente vi -compiacete.„ E il Botticelli, in due storie sulla medesima parete della -sala, come sulla medesima parete della cappella in due separate storie -il Ghirlandaio, ritraeva i giovani sposi. - -Nell'una, il cui fondo è una selva assai folta, che ricorda quello -dell'altra allegoria di Sandro polizianesca, la Primavera, Lorenzo -Tornabuoni, vestito dell'abito civile fiorentino, con la folta e -morbida capigliatura distesa, si avanza, condotto per mano da una donna -di modesto e gentil portamento, verso un circolo di altre sette donne, -acconciate (come anche l'introduttrice) fantasticamente, e che pe' -vari emblemi di che ciascuna d'esse è fornita simboleggiano certamente -le sette Arti liberali; delle quali quella che alle altre sovrasta e -par che presegga, fa a lui cenno di accoglienza amorevole. Nell'altra -storia, Giovanna, cara figura delle più vivamente lumeggiate di verità -bella che siano uscite da pennello di quattrocentista, con un viso -che dice davvero quelle virtù che leggemmo scritte sul suo sepolcro, -atteggiata a semplicità affabile e graziosa, porge con ambe le mani e -le braccia protese un pannolino spiegato, nel quale quattro gentili -giovinette, che si avvicinano a lei sono per deporre fiori. E anche -questa volta, vestita del costume fiorentino del tempo la persona della -sposa; ma a fantasia le quattro che probabilmente son figurate per -virtù proprie di lei. - - -II. - -In tali imagini il sentimento e l'arte, che da questo s'informa, -effigiavano, mentre infieriva l'umanismo mediceo, la donna. Alla -quale, nelle realtà della vita e dell'esser suo, sola, io credo, di -tali omaggi era accessibile e gustata e compresa quella parte che -prendeva consistenza in figure consacrate dalla religione, sotto le -vôlte maestose delle chiese d'Arnolfo e di Brunellesco, piovente la -luce misteriosa, per le grandi bifore da' vetri colorati in istorie, -sugli affreschi e le tavole di Masaccio di Benozzo, de' Lippi e de' -Ghirlandai, d'Alessio Baldovinetti e di Piero di Cosimo, sui marmi e -sui bronzi di Mino, di Donatello, del Ghiberti, del Verrocchio, del -Pollaiuolo. Da quelle figure genuflesse alla preghiera, o nel sonno -della morte distese, o atteggiate vive all'azione delle leggende -evangeliche, sollevavansi le pie e gagliarde anime femminili a ciò che -nel tempo è di qua e di là dal momento che si vive; congiungevansi i -ricordi, gli affetti, le glorie umane della famiglia, con le speranze -immortali. E questa poesia, sentita nel cuore, sapeva anche trovar -forma nella parola, la forma paesana e casalinga della Lauda e della -sacra Rappresentazione, per opera di Antonia Pulci e di Lucrezia -Tornabuoni ne' Medici. L'Antonia nata dei Tanini, moglie e cognata di -poeti, in famiglia che tutti erano cosa de' Medici, potè con madonna -Lucrezia madre del magnifico Lorenzo conferire le sue ascetiche -ispirazioni nell'atto di fermarle in quello stampo fra drammatico ed -epico, pel quale la Rappresentazione ha corrisposto con tanta pienezza -all'istinto plastico della fantasia popolare; e madonna Lucrezia, fra -un canto e l'altro che Luigi Pulci le recitasse del suo _Morgante_, -e altresì fra l'una e l'altra delle provvide cure per le quali casa -Medici le dovè tanto, scriveva senza pretensione di letterata le -religiose canzonette pe' Laudesi, o riduceva in ottave o in ternari le -istorie bibliche, delle quali poi facevan delizia negli ozi fiesolani -e di Careggi i suoi nipotini. - -Gentili donne non letterate, nello stretto senso, professionale e -(con vostra buona grazia, e senza che troppo debba rincrescervene) non -femminile, della parola; le quali serbando nette d'erudizione le mani -delicate, coglievano dall'arte il fior dell'affetto, e pur conversando -coi dotti umanisti e coi barbassori che la caduta di Costantinopoli -aveva addotto fra noi, si stavano col popolo nel vestire delle forme, -che egli intende e crea, il pensiero e l'affetto; dalla realtà, quale -il popolo per linea diritta la vede, cavar fuori e animare il fantasma. -Le giovinette istruite nel latino e nel greco, non difficile trovarle -nelle case principesche di Lombardia e di Romagna: era una, fra le -altre, delle splendidezze cortigiane di quelle regioni. Ma i grandi -cittadini della nostra Firenze, anche della oligarchia più elevata, -e molto più i Medici che a combattere quell'oligarchia, e sulle -ambizioni di lei insediare la propria, usavano artifizi democratici, -rimasero (dico gli Albizzi, i Ricci, gli Strozzi, i Rucellai, ed essi i -Medici), anche attraverso agli splendori dell'umanismo, principalmente -e visibilmente mercanti: e la donna, nelle loro case, fu sempre e -soprattutto la donna di grandi mercanti, donna massaia, avvisata, e più -che della libreria e del medagliere curatrice dell'azienda domestica, -o, se volete anco, della credenza, del celliere (com'allora dicevasi), -della colombaia, del pollaio. - -Una letterata, anzi letteratissima (che però non ha lasciato libri), -ebbe Firenze in quel secolo, ma non da alcune delle grandi famiglie, -sibbene nella figliuola d'un Cancelliere della Repubblica, venuto, -come tanti altri, dal contado alla città, e qui arricchitosi e fatta -fortuna. Ella fu la bella Alessandra di messer Bartolommeo Scala: -alla quale due di quei barbassori greci, il Lascari e il Calcondila, -furon maestri; un altro, venuto in Italia umanista e soldato, Michele -Tarcaniota Marullo, fu suo marito; e spasimato di lei il Poliziano -(nonostante tutti i canonicati e priorati e pievanie di cui poco -degnamente lo rincalzavano i Medici; e nonostante, altresì, il suo -collo torto e l'occhio losco, e il naso sformato e gli anni ormai -quasi quaranta), spasimato di lei, e per cagion di lei nemico feroce -e con terribili giambi laceratore del marito e del padre. Non vi -meraviglierete che una passione amorosa fra persone di questo calibro -si sfoghi in greco. Si rappresenta nientemeno che una tragedia -di Sofocle, l'_Elettra_: protagonista, Alessandra Scala; cronista -teatrale, con tutti addosso gli entusiasmi d'una passione, ahimè, non -corrisposta, il povero Poliziano in sei distici di squisita fattura, -che vi traduco liberamente: “Una mirabile Elettra, la giovinetta -Alessandra: mirabile nel pronunziare, essa italiana, la lingua d'Atene, -nella intonazione vera della voce, nel curare l'artificio della scena, -nel ritrarre fedelmente il carattere, regolare lo sguardo, il gesto, -il movimento; nel conservare al linguaggio della passione il decoro, -nel suscitare col volto in lacrime la pietà degli spettatori. Tutti -ne fummo percossi; ma oh che invidia sentii io nel cuore, quand'ella, -stringendo al seno Oreste, gli dice: — T'ho io fra le braccia? — ed -egli: — Oh così tu m'abbia sempre!„ Un passo ancora, ossia un altro -epigramma greco, e il critico drammatico, l'ammiratore entusiasta, -si scuopre amante. “Ho trovata, ho trovata, quella che volevo, che -sempre cercavo; l'amor mio sospirato, quella che vedevo ne' sogni: -una fanciulla d'integra bellezza, di adornezza non accattata ma -naturale; una fanciulla, culta di greco e di latino, eccellente nella -danza, eccellente nella musica; de' cui pregi, velati dalla modestia, -contendono a gara le Grazie. L'ho trovata; ma a che pro, se appena -una volta l'anno posso io, che di lei ardo, vederla?„ Ma l'Alessandra -era in grado, non solamente di ricevere omaggi in greco, sì anco in -greco rispondere, e risponder a così: “Nulla di più bello, che la -lode d'un valentuomo; ed oh qual gloria a me dalla lode tua! Quanto -ai tuoi sogni, bada, interpretali bene: tu non puoi aver trovato -in me quanto dici. È sentenza del divino Omero: — Avvicina un Dio i -consimili. — Or troppa è fra te e me la dissomiglianza. Imperocchè -tu sei come il Danubio, che da occidente a mezzodì, e poi di nuovo -verse oriente, diffonde largo corso di acque. Glorioso filologo, -tu discacci le tenebre dai monumenti di più lingue: greca, romana, -ebraica, etrusca. Ercole dell'erudizione sei a gara chiamato, per le -tue fatiche intorno a testi di astronomia, di fisica, di aritmetica, -di poesia, di leggi, di medicina. I miei scritti di fanciulla son -cosette leggiere, come i fiori e la rugiada. Io accanto a te, perchè -so un poco di lettere! Ma sarebbe com'a dire, secondo il proverbio, -la zanzara accanto all'elefante, perchè han la proboscide tutt'e due; -la gatta accanto a Minerva, per via degli occhi cerulei.„ Che ve -ne pare? Fu mai con maggior dottrina, o con più squisita crudeltà, -rimesso al suo posto un adoratore stagionato? Non credete voi che -messer Angelo abbia questa volta dovuto imprecare alle similitudini, -alle perifrasi, alle antonomasie, e a tutto il resto dell'arsenale -retorico? mandare al diavolo i proverbi greci, e magari anche -le sentenze del divino Omero? Persiste tuttavia, come pur troppo -avviene, le più volte in simili casi; e persiste, il che è assai meno -frequente, in greco: “Tu mi mandi, o Sandra, le pallide violammamole: -e io nell'amore di te impallidisco e mi struggo. Fiori e foglie, -imagine gentile della tua primavera; ma il dolce frutto io vorrei.„ -Al che Alessandra non risponde; anzi: “Nè vederti, o Alessandra, mi -è permesso più, nè ascoltarti: ma almeno, due versi di risposta.„ E -finalmente (del buon gusto poi di questa pensata lascio a Voi, Signore -e Signorine, il giudizio): “O giovinetta, gradisci per la tua chioma -questo pettine d'osso; così potessi io avere i capelli del tuo bel -capo.„ I capelli d'Alessandra Scala come già quelli dell'Albiera sul -feretro che la portava in San Pier Maggiore, furono (questa credo non -ve l'aspettereste) recisi più tardi sulle soglie di quello stesso -convento, dove, rimasta vedova del suo greco, ella si fece monaca -benedettina, e vi morì giovanissima nel 1506. - - -III. - -Se non che l'arte, la poesia, non sono esse la poesia della vita: -possono, della vita, adombrare con le loro imagini, e idealizzare, -la realtà; ma quelle imagini dalla realtà si distaccano, hanno -propria esistenza, alla quale la realtà rimane estranea od anco può -contraddire. Beatrice è donna; addiviene angelo, simbolo, ente: Laura -è moglie e madre; la poesia la restituisce, libera, alle idealità -dell'amore. Le idealità del Trecento, paesane e cristiane, e umane -almen tanta parte quanta è umano lo spirito, il Rinascimento le aveva, -sin dove potè, sopraffatte con l'umanesimo della materia, con la -sua mitologia, co' suoi ninfali, co' suoi baccanali, incominciando -a svolgere dal dischiuso gomitolo dell'antichità classica quel filo -che, sottile ma tenace, si continuò poi per tutta la poesia italiana -non pure sino alle _Grazie_ d'Ugo Foscolo, che al rito delle sue Dee -consacrava sacerdotessa anche una gentildonna fiorentina, ma sino -sull'_Urania_ del Manzoni che precede gl'_Inni sacri_ e i _Promessi -Sposi_. Nella poesia del Quattrocento, dal Boccaccio al Poliziano e a -Lorenzo, le ninfe Simonetta e Ambra non sono che due figure spiccate -dall'idillio fiesolano, nel quale messer Giovanni ha classicizzato -e paganeggiato, con gli amori d'Affrico e di Mensola, le origini di -Firenze. Da Poggio a Caiano per Careggi e Montughi fino a Settignano -e Maiano, lungo tutto questo nostro sub-appennino gentile, le Driadi -e le Amadriadi, le Naiadi e le Napee, con tutta quanta la fauna del -loro corteo mascolino, danzano allegramente alla luce misteriosa dei -plenilunii, che pur si diffonde sulla Badia medicea di Brunellesco, e -da' finestroni della vecchia cattedrale di Fiesole investe le animate -sculture di Mino, lumeggia della cristiana aureola la Vergine e i Santi -di frate Giovanni Angelico. Muore in una sua villa, forse a Quarto, -una giovine gentildonna, che a prezzo della propria salva la vita -al suo bimbo pericolante nel crollare d'una tettoia del contadino. -E la cronaca cittadina, compilata sulla cetra dei latinisti, esalta -questa devozione di madre alla sua creatura, sapete come? con inveire -contro gli Dei Lari che non hanno sorretta quella tettoia, contro le -divinità campestri le quali hanno attratta in villa la bella Alba -(un'altra Albiera), che Venere avrebbe dovuto proteggere: e tutto -questo, pur descrivendo, e non senza efficacia, lo strazio del marito, -che, lontano da Firenze, torna quando la sua povera moglie è ormai -sotterra, e vuole a forza alzare la pietra di quella sepoltura, e che -le care contraffatte sembianze siano restituite una suprema volta al -suo disperato dolore. La famosa brigata delle gentili donne fiorentine, -che fuggendo i dolori e i pericoli della pestilenza del 1348 è dal gran -novelliere immaginata ritrarsi in una di quelle vallette, ci perde -i nomi con che sono state battezzate in San Giovanni, per divenire -Pampinee o Neifili, e le loro fantesche Misia Licisca Stratilia, -e Sisisco il cuoco, e Panfilo Filostrato Dioneo la fauna de' loro -amatori: con tanta verità, quanta ne è in cotesto calunniare la donna, -sia di quello sia di qualunque altro secolo, apponendole che dove si -soffre e si muore ella se ne vada in campagna, invece di rimanere ferma -e fedele al suo posto. Tanta verità in ciò (Voi non mel concedereste se -lo affermassi, o donne gentili), quanta nella bizzarria germogliata, -non si sa come, in testa al buon Franco Sacchetti, d'una _Battaglia -delle belle donne di Firenze con le vecchie_, le giovani schierate -sotto il gonfalone di Venere, le vecchie sotto quello dell'infernale -Proserpina; il tutto in quattro cantàri d'ottave mal connesse, con -volgare strazio d'ogni nobile affetto e un pocolino anche del buon -senso, che informa invece così finamente le novelle di quel medesimo -Franco. Tanta verità in ciò, quanta (per tacer d'altre siffatte -volgarità) nella fantasia, incarnatasi bensì in una delle più belle -prose di nostra lingua, _Le bellezze delle donne_; le quali bellezze -don Agnolo Firenzuola immagina, in un'altra brigata boccaccevole, siano -da quel suo Celso, che è poi lui stesso senza la cherica, analizzate -pezzo per pezzo, più o meno velati, sulla persona di quelle sue (al -solito sbattezzate) monna Lampiada, monna Amorrorisca, e Verdespina, e -Selvaggia, ascoltatici e interlocutrici: anatomia estetica, possibile -forse ad eseguirsi laggiù nella Magna Grecia in servigio di Zeusi -quando dipingeva la sua Elena, ma non già in Prato, nell'orto della -badia di Grignano, l'anno di grazia millecinquecento tanti, in una -veglia, quale quella vuole pur essere, di donne non dimentiche di sè -medesime. - - -IV. - -Non era quella, nè poteva essere, la poesia della vita fiorentina fra -il XIV e il XVI secolo. Fantasticata sui libri, e in libri foggiata, -essa non attinge nè attiene alla vita vera di quell'età; nè vera è la -donna che su quel mitico fondo, tutto romano e greco, nulla medievale, -campeggia. Meglio dalle descrizioni, o siano poetiche o meglio se -in prosa schietta fiorentina, de' conviti nuziali, delle armeggerie, -delle giostre, viva ci sorride, e onestamente baldanzosa, e di quelle -cavalleresche e cortigiane onoranze seco medesima sodisfatta e superba, -la donna. Non mancano anche in cotesti suntuosi apparati lo iddio -Amore, gli Amorini (convertiti bensì, il che ha un po' del trovadorico, -in spiritelli), le Ninfe; sibbene come ornamento esteriore, fregio -posticcio, parvenza fugace; non come espressione mitologica d'un -sentimento, o quasi (direi co' filosofi) espressione essoterica -d'una dottrina. Ma la figurazione dominante e caratteristica è dalla -cavalleria medievale, e s'atteggia e si drappeggia nelle persone e -nelle foggie di castellani e di principi, d'uomini d'arme, di donzelli, -d'araldi e di paggi, di dame crudeli e di servi d'amore, con seco le -grandi o gentili memorie delle crociate, de' passaggi imperiali, della -santa gesta de' Paladini: “le donne (ha cantato Dante), le donne, i -cavalier, gli affanni e gli agi, che ne invogliava amore e cortesia„. - -Siamo in piazza Santa Croce il 7 febbraio del 1468; e si fa la giostra -della quale Lorenzo de' Medici scriverà ne' suoi _Ricordi_: “Per -eseguire e far come gli altri, giostrai in sulla piazza di Santa -Croce„; e ne noterà la spesa in fiorini diecimila di suggello: “e -benchè e di colpi non fussi molto strenuo, mi fu giudicato il primo -onore, cioè un elmetto fornito d'ariento, con un “Marte per cimiero.„ -Entrano in campo i giostratori: Medici, Pitti, Pucci, Vespucci, -Benci, Pazzi, e altri molti; qual più qual meno riccamente forniti: -con magnificenza più che regale, Lorenzo alla divisa de' gigli -d'oro di Francia e in sua compagnia il fratello Giuliano, coperti -d'oro, d'argento, di perle, di pietre d'ogni sorta preziose: ciascun -cavaliere accompagnato da trombetti e paggi e uomini d'arme, e giovani -gentiluomini a cavallo tutti vestiti sfarzosamente alla divisa di -quello; brigate per ciascuno di poco meno che un centinaio di persone; -e ciascun cavaliere col suo stendardo, nel quale fra emblemi e segni -diversi, e per lo più tra verde di prati e fiori di verzieri, la -dama del cuore. Questa, leggermente velata di bianco, con ghirlanda -di quercia in mano, e a' piedi legato con catene d'oro un leopardo; -quella, in abito di ninfa, che riceve nel grembo le foglie d'un faggio -battuto dalla tempesta, e le dà mangiare ad un daino; quell'altra, -vestita di bianco e di verde, che le saette d'Amore infocate spenge -nel fonte che scorre a' suoi piedi; un'altra, vestita di paonazzo, che -quelle stesse saette fa in pezzi e ne semina il prato; ma la dama di -Lorenzo, irraggiata dal sole traverso ai colori dell'iride, vestita di -drappo alessandrino ricamato a fiori d'oro e d'ariento, coglie d'un -ramo di lauro rinverdito sull'arido tronco, e ne fa ghirlanda, e ne -sparge foglie all'intorno; il suo motto, in lettere di perle grosse -da gioiellare, _le tems revient_. E molto lontano da Firenze, in Roma, -nell'austerità baronale del palagio degli Orsini, pensava a lui in quel -giorno una giovane donna, che non era nè forse le rincresceva di non -essere la dama del suo stendardo, perchè si apparecchiava ad essere la -madre dei suoi figliuoli. “Lorenzo è molto occupato in questa giostra, -chè già da tempo non ò avuto sue lettere„; ha detto ella, la Clarice, -un mese innanzi, a uno de' Tornabuoni venuto a recarle le nuove di lui; -ed ora, appena corrono a farle sapere “come Lorenzo à fatto la giostra, -e n'è uscito sano e con grandissimo onore„, e che “s'è aoperato tanto -degnamente quanto sia possibile di dire„, e che “giammai fu paladino -facessi quello à fatto Sua Magnificenza„, risponde soavemente, “Ora s'è -fatto la giostra, non avrà più scusa da recare, che non venga a Roma -questa quaresima„. E in occasione della quaresima, la madre le ha fatto -“levare panno pagonazo di Londra per una gonna a la romanesca„, che -crede quel fidato Francesco Tornabuoni “non istarà punto male„; e così -si propongono, madre e figliuola, di “andare vicitando tutti questi -perdoni, pregando Iddio per Lorenzo„; ma la madre insiste ch'e' venga, -perchè “vuole che voi vegiate la vostra mercanzia, avanti l'abbiate -a casa; la quale ogni giorno migliora„: della qual locuzione figurata -non so se proprio si abbellisse il parlare della nobilissima matrona, -o s'ella fiorisse spontanea nella lettera del mercante cliente al -mercante magnifico. - -Un anno e quattro mesi dipoi, il 4 giugno del 69, le nozze di Lorenzo -e di Clarice si celebravano in Firenze con grande solennità, la -quale incominciava con due interi giorni di offerte a casa Medici dal -contado e dalle città di Toscana; offerte la cui consistenza sommò, -per citar qualche cifra a un centocinquanta vitelle, paia di capponi -paperi e pollastri più di duemila, vini nostrali e forestieri a botti, -e simili altre gentilezze, che Lorenzo partecipava largamente alla -cittadinanza, anche prima d'imbandire, dalla domenica al martedì, ben -cinque conviti, che empivano le loggie e i giardini del palagio di via -Larga, con le mense distribuite fra giovani donne in compagnia della -sposa (“cinquanta giovani da danzare„ dice l'informazione), e le donne -di più età con madonna Lucrezia; e così in tavole separate i “giovani -che danzavano„, e gli uomini di più età. Dalla domenica mattina, -quando la sposa, partitasi dalla casa degli Alessandri “a cavallo, -in sul caval grosso che donò a Lorenzo il re di Napoli„ entrava fra -nobilissimo corteo nella casa maritale, mentre festeggiato di musica -lieta si tirava su alla finestra il simbolico ulivo; sino alla mattina -del martedì, quando “andò a udire messa a San Lorenzo„, con in mano uno -de' mille doni nuziali, “uno libriccino di Nostra Donna, maraviglioso, -scritto a lettere d'oro in carta d'azzurro oltramarino, coverto di -cristallo e d'ariento lavorato„; Clarice Orsini, trasportata, avvolta, -sollevata in quel profumo di gioventù, di bellezza, di grazia, -di forza; ricevuta nelle sale che Cosimo, Piero e Lorenzo avevano -impreziosite dei tesori dell'antica arte e della risorta; circondata, -sovraccarica, dagli splendori d'una ricchezza che, anche non ostentata -anzi voluta dissimulare, tuttavia impacciava quasi sè medesima; -regina degli omaggi che il fiore delle intelligenze di tutto il mondo -tributava a questa famiglia, la cui potenza era soprattutto l'ingegno; -potè ben comprendere ch'ella era venuta sposa al primo cittadino, non -che di Firenze, d'Italia. - -E lasciamo stare se a quella gaiezza un po' sbrigliata della città -popolana, allo scetticismo elegante di quei letterati già bell'e -cortigiani, a quelle transazioni fra il cittadino e il cliente che -corrompevano intorno al patrono tanto vecchio sangue repubblicano, se a -questo e ad altro che poi dovette offendere la sua romana alterezza e i -suoi sentimenti di moglie e di madre, ella ripugnò sin da principio, e -ne contrasse quel malinconico cruccio che avvolse tutta la sua virtuosa -esistenza domestica; lasciam pure che invece del Poliziano, il quale -ella giunse perfino a cacciare di casa, preferisse di vedersi intorno -ser Matteo Franco, buona pasta di cappellano e di sonettiere faceto, -nelle cui fiorentinissime lettere madonna Clarice, circondata da' suoi -figlioletti, è viva e parlante figura; ma non saprei tuttavia credere, -che giovinetta sposa, ella non abbia dovuto gustare, di quella popolana -gaiezza, di quella eleganza addottrinata, di quei cortigiani ritrovi, -quanto parlava così vivacemente ai sensi e alla fantasia, in feste, per -esempio, simili a questa, che pochi anni avanti, nel 64, aveva empito -del suo fragore gioioso un'intera notte del carneval fiorentino. - -“Notizia d'una festa fatta la notte di carnasciale, per una dama -la quale fu figliuola di Lorenzo di messer Palla degli Istrozi. La -detta festa fu fatta da Bartolomeo Benci, come innamorato della detta -dama.„ Ve la riassumo, il più che potrò con le parole stesse della -_Notizia_ contemporanea, che sono una pittura. Bartolomeo Benci ha -ordinato, con altri otto giovani di principali famiglie, un'armeggeria -notturna, l'ultima notte di carnevale, in onoranza, prima alla dama -sua, poi, come sentirete, a ciascheduna delle otto respettive dame -de' suoi compagni. Ciascuno di essi otto è a cavallo, ricchissimamente -forniti; ciascuno ha trenta giovani intorno a sè, vestiti alla propria -divisa, con torchi in mano, e altri otto intorno alla briglia. Il -Benci poi, col bastone di “Signore e Capitano della Compagnia,„ è -“in su 'n uno cavallo che la natura nollo potre' fare più bello; con -fornimento e sella e briglia tutto di chermisi, ricamato di molte -argenterie tanto riccamente quanto fare si potè: e lui in su detto -cavallo, con uno giubone di perle ricamato e gioie, con due alle -alle spalle, d'oro e più altri colori. E intorno al detto Signore era -quindici gentili giovani a piè; tutti con gonnellini di raso chermisi -foderati d'ermellini, con calze pagonaze: a' quali esso Signore donò a -ciascuno. E oltre a questo, avea intorno detto Signore centocinquanta -giovani, tutti vestiti a una sua divisa, cioè gonnellini e calze verdi, -con falconi nel petto e di dietro, d'ariento, che gittavano penne -per tutto el gonnellino: e' quali centocinquanta giovani ciascuno -aveva un torchio acceso in mano„. Portatori e pifferi circondano il -Trionfo d'Amore, che è alla testa: un Trionfo “alto braccia venti, -composto in modo che, guardandolo, si rimaneva abagliato: co' molti -ispiritegli d'amore con archi in mano; e in alcune parti l'arme de' -Benci, e in altri luoghi la divisa del padre di detta dama; co' molte -campanellette a sonagli d'ariento, e varie cose. Era composto detto -Trionfo d'alloro, mòrtina, arcipresso, abeto e scope, cose tutte verdi -e calde, apropriate all'amore. E, per abreviare, in sulla cima di -detto Trionfo era un cuore sanguinente, aceso in fiamme di fuoco, che -del continovo ardevano; con certi razi„ che a suo tempo dovevano esser -lanciati. Muove la brigata (tutto ben computato, oltre un cinquecento -persone) dalla Piazza de' Peruzzi, dopo una lauta cena in casa di -Bartolomeo, e va alle case degli Strozzi da Santa Trinita: due Benci e -due Strozzi regolano a cavallo l'andata. La Signoria ha fatto bandire, -che nessuno quella notte giri a cavallo per la città, fuor di cotesta -armeggeria; e che in essa o a cagion d'essa, “se per disgrazia alcuno -fusse morto, chi l'ammazza sia sanza pena e sanza bando„: il che è -detto “un obviare a' casi cattivi che potrebbero nascere„. E così, -“giunti a casa della dama, feciono la mostra. E apresso, ciascuno corse -ritto in sulla sella, secondo uso d'armeggeria, con un dardo in mano, -dorato. E dipoi ancora, ciascuno corse con una lancia busa, dorata, e -ruppono a piè della finestra dov'era detta dama. La quale si mostrava -in mezo di quattro torchi acesi, con tanta graziosa onestà che una -Lucrezia basterebbe. E fatto questo, el Trionfo era fermo sulla piaza, -dirimpetto alla finestra dov'era detta dama: e al Signore fu ispiccate -l'alie e gittate in sul Trionfo; e in quel punto, era ordinato che -a detto Trionfo s'apiccassi el fuoco: e così arse, con tante grida e -suoni che insino alle stelle andava el romore. E i razi che v'erano su -erano artificiati in modo, che pareva che quegli ispiritegli d'amore, -ch'erano in su detto Trionfo, co' l'arco che gli avevano in mano, gli -saettassono. E così accesi per l'aria volavano appresso alla dama: -alcuno n'andava in casa della detta dama, che si istima glien'entrassi -alcuno nel cuore, per compassione del detto amante. E fatto questo, -el detto Signore Amante, partendosi con tutta la compagnia, per non -volgere le spalle a detta dama, fece che sempre el cavallo andava -indietro, tanto che più nulla potè vedere. E partiti di quivi, andarono -a rompere le lancie e armeggiare a casa le Dame di ciascuno de' suoi -Compagni, cioè degli otto nominati. Dipoi tornarono tutti dalla -Dama del Signore, e feciolle una mattinata co' molti suoni e gra' -magnificenza: e questo si dice mattinata, perch'era presso a dì. E -dipoi si partirono, e accompagnarono el Signore, cioè Bartolomeo Benci, -a casa, nel modo e forma come s'erano partiti nel prencipio. E 'l detto -Signore aveva ordinato molte confezioni, e e fece tutti convitare co' -gra' magnificenza„. A chi poi rimanesse la curiosità (mi sia permesso, -gentili ascoltatrici, supporla), se a que' nove armeggiamenti sotto le -finestre delle nove case abitate dalle nove dame, corrisposero a suo -tempo nove bei matrimoni, rispondo: che quanto ad alcuna delle amorose -coppie, no certo, per la ragione molto stringente che il cavaliere -aveva moglie, il che fa altresì lecito ammettere che anche qualcheduna -delle rispettive dame avesse, per ultimo respettivo, marito: -quanto a qualche altra coppia, potrebb'anch'essere; ma a chiarirlo, -bisognerebbe, come de' cavalieri, avere i nomi delle otto dame; e -questi la _Notizia_, che vi ho riassunta, non ce li dà; quanto poi -alla coppia che più forse vi preme, mi rincresce dovervi notificare, -che la Marietta Strozzi, nonostante tutta quella bersagliatura di -razzi amorosi fra la quale le finì il carnevale del 1464, sette anni -dopo andava sposa (e già aveva seguita fuor di Firenze la madre) ad -un Calcagnini di Ferrara; e l'anno appresso, nel 72, l'aligero, e -poi spennacchiato, capitano Bartolomeo Benci sposava la Lisabetta -Tornabuoni, una sorella di quel confidente a Roma tra la Clarice Orsini -e Lorenzo de' Medici. - -Molte dolci memorie, del resto, dovè lasciare la bella Marietta Strozzi -nella città nostra, lontano dalla quale il padre suo esule (come -per lungo tempo, dopo il trionfo de' Medici, furono, di generazione -in generazione, gli Strozzi) era morto di ferro, e per l'esilio -di lui aveva dovuto pure starsene fuori la madre, virtuosissima e -austera donna, Alessandra de' Bardi: e in questa quasi orfanezza -la fanciulla si trovò forse più libera che alla condizione sua non -convenisse: almeno in quell'inverno del '64, nel quale, poche sere -avanti l'armeggeria, sentite quest'altra sua avventura carnevalesca, -e che cosa era possibile a farsi, senza scandalo, da una giovinetta -fiorentina in que' tempi. Vi traduco (liberamente anche questa -volta) da una lettera, elegantemente latina, di amichevoli confidenze -giovanili tra Filippo Corsini e Lorenzo de' Medici: “.... E mentre ti -scrivo, la neve cuopre quasi tutta la città: tedio per molti e cagion -di starsene; ma per altri cagione di darsi moto e piacere. Sappi -infatti che Lottieri Neroni, Priore Pandolfini e Bartolommeo Benci -(daccapo il nostro allegro Capitano). Cogliamo il destro, hanno detto, -di usare qualche bel tratto. E subito, a due ore circa di notte, si -son presentati alla casa della Marietta Strozzi, seguiti da una gran -moltitudine accorsa da ogni dove, per fare a gettarsi la neve con -lei. Gliene han data la sua porzione, e hanno incominciato. Immortali -Dei, che spettacolo! e come descrivertelo, Lorenzo mio, con questa -debole prosa? Gran pompa d'innumerevoli fiaccole; squillar di trombe, -dolcezza di flauti; pubblico appassionato e plaudente. E che trionfo, -quando alcuno degli assalitori riusciva a sparger di neve il viso, come -neve candido, della fanciulla! Ma che dico sparger di neve? un vero e -proprio trarre al bersaglio era quello, e di tiratori valentissimi! -La Marietta poi, così leggiadra e destra in quel giuoco, bella come -tutti sanno, ne uscì con immenso onore. Ma i gentili giovani non si -partirono da lei, che prima non le donassero molto nobilmente per loro -ricordo. E così, con grande contentezza di tutti, il piacevole giuoco -ebbe fine„. Un epigramma del Poliziano (l'ultimo che vi citerò da -quel florilegio aneddotico del Quattrocento fiorentino che sono, più -assai che le volgari, le sue Poesie greche e latine) dice così: “Neve -sei, o fanciulla, e giuochi con la neve. Giuoca: ma deh, prima che la -nevi s'imbratti, fa' che si sgeli„. L'erudito, che oggi legge queste -complimento amoroso, ricorda i molti altri, d'antichi e d'umanisti, -che sul medesimo argomento si contengono nell'_Antologia latina_, -e l'ha per un'imitazione a freddo (è proprio il caso di dir così) -dall'antichità classica. L'aneddoto che vi ho narrato mostra invece, -che questa almeno fra le tante imitazioni umanistiche aveva riscontro -nel vero attuale; ossia, che quel bizzarro costume era spontaneamente -rifiorito, come anche altre parti della vita antica, nell'allegra -democrazia del Rinascimento: finchè la inamidata prammatica delle -Corti, la Riforma protestante correggitrice e il conseguente reattivo -disciplinamento della morale cattolica, più tardi infine la filosofia -civile e la rivoluzione bandita e guerreggiata in nome di principii -universali, non ebber mutata la faccia del mondo. - -Ma finchè quelle gazzarre, quelle feste davvero popolari, que' -fantastici apparati, que' simboli abbaglianti, ebber vita, nè corteo di -spose, nè armeggiamento per dame, nè giostra di amorosi cavalieri, ebbe -mai tanta cittadina solennità, quanto uno sposalizio, ben diverso da -tutti gli altri dall'ora e di poi: lo sposalizio dell'abbadessa di San -Pier Maggiore; sposalizio che si ripetè tante volte (salve eccezioni) -quanti Vescovi ebbe per secoli parecchi la Firenze e del Medioevo e -del Rinascimento ed anche del Principato Mediceo, poichè lo sposo della -badessa era (_honni soit qui mal y pense_) messere lo Vescovo. - -Quella chiesa e monastero di San Pier Maggiore, che furono delle -maggiori antichità sacre di Firenze, se, come pare, nella lor forma -primitiva risalivano al secolo quarto; che detter nome a una porta e a -un sestiere della città, abitato e maledetto da Dante, non sono più. -Si restauravano nel secolo XI, e si afforzavano con addossarli alle -mura del secondo cerchio: si abbelliva la chiesa, a mezzo il secolo -XIV: si sconciava, come tante altre, mediante le cappelle patrizie a -marmi e stucchi di tutti i colori, nei secoli del barocco. E tutto oggi -è sparito. E il tempo, che “traveste l'uomo e le sue tombe„, a mala -pena ha rispettato nell'Arco di San Piero (salvo i possibili attentati -onomastici dei moderni edili) il nome del titolare. Quali rovine, quali -ossa, calpestiamo noi, passando da quell'arco! Delle nostre conoscenze -d'oggi, le due belle Albizzi si sono fatte polvere colaggiù sotto: e -si addormentò in pace con esse la monacella grecista, la quale, se -morendo ancor ella giovine, non ebbe tempo di maturarsi, arcigna e -rugosa superiora, per quelle nozze episcopali, potè bensì esercitare la -sua mondana erudizione, ahimè non più sulle immortali pagine d'Omero e -di Sofocle, ma sul grosso notarile latino degli autentici privilegi di -coteste mistiche nozze, che risalivano (dicono que' notari) “a tanto -tempo quanto è di là da memoria d'uomini„. L'ingresso del novello -sposo della Chiesa fiorentina si faceva ritualmente dalla porta di San -Pier Gattolini, oggi Romana: due famiglie, di grandi e tradizionali -attinenze (da Dante proverbiate) con la mensa vescovile, avevano, i -Tosinghi e i Visdomini, il privilegio di riceverlo e accompagnarlo sino -al monastero, dove, simbolo della Chiesa fiorentina lo attendeva la -badessa. Si celebravano nella chiesa le nozze, inanellando il Vescovo -la sposa con un ricchissimo anello, e questa offrendogli in dono un -letto suntuosamente montato nella camera stessa di lei, che per quel -giorno, durante intere ventiquattr'ore, uscendone lei, diveniva la -camera del Vescovo novello, sin che, la mattina appresso, i soliti -Visdomini e Tosinghi gli venivano incontro col clero, e lo conducevano -in Domo e lo insediavano. Tutta Firenze accorreva a quelle nozze. -Oltre le due ricordate famiglie, altre ancora, e delle principalissime, -Albizzi, Pazzi, Strozzi, rivestite di privilegi e diritti di questa o -quella parte del cerimoniale, avevano quasi a ogni Sposalizio occasione -di contestazioni, di proteste e di gare. Alla badessa rimaneva il -cavallo col quale era venuto il Vescovo: agli Strozzi, con gran trionfo -di tutto il parentado, la sella. La Chiesa fiorentina aveva avuto il -suo pontefice, e la città una festa di più; nella quale era toccata la -sua parte, e che parte essenziale!, alla donna. - - -V. - -Ma traverso a tutte quelle ideali trasformazioni che l'arte le -apponeva, e a questa vissuta poesia di festeggiamenti e di pompe, -quale fu poi nel segreto della vita reale, fra le pareti domestiche, -figliuola e sorella, moglie e madre, quale, nella Firenze di quell'età, -fu la donna? Scoperchiare i tetti delle case, e sorprendere senz'essere -introdotti la gente che attende tranquillamente a' fatti suoi, e peggio -poi le signore, si è creduto, fino a pochi anni fa, un privilegio di -quel personaggio che sapete, _le Diable boiteux_, sollevato da Renato -Le Sage alla cattedra d'uno de' più grandi e maligni professori di -filosofia morale che il mondo abbia avuto. Fino a pochi anni fa, -quando a me, sfogliando con paziente amore le carte dei Medici avanti -il Principato, occorse di scoprire un'anticipazione del Diavolo Zoppo -di Le Sage nella persona d'un cortigiano de' più cari a Lorenzo e a' -figliuoli suoi, e che con uno di questi, divenuto papa Leone X, finì -cardinale di Santa Chiesa: l'autore della _Calandra_, il Bibbiena; che -in un Prologo a cotesta sua famosa commedia, rimasto inedito anzi fra -le cancellature del primo getto, immagina di fare un giro da camera -a camera femminili, invisibile per forza d'incanto, e mette al nudo -una serie di scenette bizzarre che accadono in questa o in quella, -sul punto del recarsi le donne a una veglia che si fa quella sera -in Firenze. Rassicuratevi: io non voglio entrar terzo fra il giulivo -Cardinale e il diavolo; se già non vi pare che sia ormai posto preso da -messer Guido Biagi, quando l'altro giorno v'introdusse con sì garbata -erudizione, e così intimamente, nelle segrete cose della vita privata -de' nostri vecchi[95]. - -E qui cade un'avvertenza e una dichiarazione. Quel tanto che la novella -e la commedia fiorentina del Quattrocento e (molto più largamente) del -Cinquecento potrebber dare al ritratto della donna, io credo contenga -troppa meschianza o di classico, o di boccaccevole, o di idealmente -satirico: nè ebbe quell'età, come nel Sacchetti ebbero il Due e il -Trecento da Giano ai Ciompi, un novelliere storico. Io non so in -verità, quanto a buon dritto si possano accettare anche solo come tipi -della famiglia in un dato momento della storia di Firenze i personaggi -della _Mandragora_; ma è poi certissimo che la buona Marietta Corsini -moglie di Niccolò Machiavelli nulla ebbe, povera donna, di simile con -quella alla quale egli, nel suo _Belfagor_, fa sposare il diavolo, e -poi ridurlo a tale disperazione, ch'e' se ne torna a rotta di collo -all'inferno. - -E una leggenda di amor coniugale e materno, delle più poetiche e -commoventi, parrebbe, se non fosse dramma pur troppo vero e dramma -sanguinoso, il fatto di Annalena, che lo stesso grande istorico -consacrò alla memoria de' posteri con parole di somma reverenza. -Giunge un messo alle case di Annalena Malatesta, oltrarno, là dove il -popolo memore dice ancora “da Annalena„, e le annunzia “Madonna, il -marito vostro messer Baldaccio, l'hanno morto a ghiado nel Palagio -de' Signori, e precipitato dalla finestra, e mozzagli la testa come -a traditore e malfattore„. Ed ella, che al venturiero d'Anghiari, -valoroso e brutale come condottiero ch'egli è, ha dato, sposa poco più -che dodicenne, il cuore e la fede, e piegata sul suo petto di ferro -l'alterezza gentilizia del sangue che le scende nelle vene da Paolo -Malatesta, il cognato a cui la poesia di Dante fa eterni l'amore e la -pena, il bacio colpevole e l'amplesso infernale; essa, l'Annalena, che -da quel Baldaccio è già madre d'un bambinello, corre, povera donna, a' -Signori, al magistrato crudele che l'ha vedovata, e per quella creatura -innocente riesce a salvare, col pianto, da confisca i suoi beni. Poi -quel figliuolo, il suo Guidantonio, nel quale tutta la vita della madre -fanciulla si era raccolta, le muore; ed ella, ancor giovanissima, si -trova sola, e già vissuta, nel mondo. E allora Annalena, fatta donna -dal dolore, di quella sua casa in lutto fa chiostro, in quelle mura -chiude per sempre e consacra il breve romanzo della sua giovinezza, -le sue nozze e la sua maternità, le amorose imagini e le micidiali, -i ricordi d'una culla e di due bare; nelle stanze stesse dove fu -madre, ritorna vergine a Dio, e madre di vergini invecchia soavemente. -Affettuosa madre, e compassionevole agli splendori e alle lusinghe del -mondo; se uno degli umanisti celebratori di Albiera, proprio a lei, -ad Annalena ormai quasi cinquantenne, rivolgeva una di quelle elegie -latine, e le chiedeva la preghiera sua e delle sue monacelle per la -morta degli Albizzi, “per la giovinetta„, le dice “che tu hai amato -come una tenera madre ama l'unico suo„: parole non so dire se pietose -o crudeli, che il latinista forse scandiva senza pensarci su, ma che -dal cuore della vecchia monaca avran fatte risalire agli occhi le -lacrime della giovine madre. Il monastero d'Annalena, la quale morendo -a sessantaquattr'anni lo raccomandava a Lorenzo de' Medici, fu sin -da' suoi principii tutto cosa della potente famiglia: e nelle stanze -abitate già dalla fondatrice, dalla vedova del condottiero, ebbe asilo -e salvezza, ne' tempi grossi pel nome mediceo, un fanciullo che doveva -essere il principe di quelli armigeri, Giovanni delle Bande Nere. - -Ma se cerchiamo la donna, a cui la sventura non invidia nè rapisce -la famiglia, la donna che della famiglia è ornamento e conforto, -esempio e ispirazione, forza e provvidenza, la donna di casa, la -moglie e la madre; alla storia di lei danno tipi ideali, però in -necessaria relazione con la realtà, come pel medioevo più alto i libri -di “reggimento o costume o castigamento„ femminili, così per questo -secolo XV i trattati di _Governo della famiglia_: o con intendimento -piuttosto civile e secolare, quale è nel libro che si abbellisce de' -nomi di Agnolo Pandolfini e di Leon Battista Alberti, e in quella -parte che è didattica delle care pagine di Vespasiano cartolaio; o con -prevalenza del sentimento religioso, siccome nella _Cura familiare_ del -beato Giovanni Dominici, diretta a una valente gentildonna Bartolommea -degli Alberti. Quel tipo ideale, o, diciam meglio, tradizionale e -derivato dalle memorie delle “buone e care„, delle “care compiute et -oneste„ donne, che tanta fragranza di gentili virtù spargono nelle -_Cronache domestiche_ del Trecento, Vespasiano lo effigiò, e anche -con un po' di retorica a suo modo lo colorì tra le figure illustri -dell'età sua, in Alessandra de' Bardi, la moglie di Lorenzo di messer -Palla Strozzi, e madre della vispa Marietta. L'Alessandra è ritratta da -Vespasiano “bellissima e venustissima del corpo quanto gnuna n'avesse -la città di Firenze„; vantaggiata di statura tanto, da fare a meno -delle “pianelle„, supplemento prezioso, pare, per altre fanciulle men -favorite di proporzioni: educata dalla madre sua “con ogni diligenzia„ -(maggiore, forse è da credere, che l'esilio del marito e le altre -vicende della famiglia non consentissero poi a lei nell'educazione -di quella sua figliuola): dall'“amare e temere Iddio indótta a uno -moralissimo vivere„: avvezza a “mai perdere tempo che ella non fosse -occupata„, a “mai colle serve di casa non parlare, se non in presenza -della madre„; e “la prima a levarsi la mattina in casa esser lei„: -ammaestrata in “tutte le cose s'appartengono sapere a una donna, -ch'abbia aver cura di famiglia; e massime a lavorare d'ogni cosa, e -di seta e d'altro, come s'appartiene alle donne„, e “imparare tutto -quello che, bisognando, potesse viverne„, e a “saper fare ogni cosa -e sapere insegnare„, dal leggere sino a “ogni minima cosa„ attinente -alle faccende domestiche. “Rarissime volte era mai veduta all'uscio o -a finestra„, (ah Marietta!) “sì perchè non se ne dilettava, e perchè -occupava il tempo in cose laudabili. Menavala la madre il più dei dì -la mattina a una grandissima ora, a udire la messa, tutte col capo -coperto, e col viso ch'appena si vedevano„. Ma questa stessa, che -comincia forse quasi a parervi una monachina di casa, fatta poi sposa, -e venendo a Firenze un'ambasciata imperiale, sentite se sapeva, come -le faccende femminili, altrettanto far bene gli onori, non pur della -casa, ma della città, e d'una città che si chiamava Firenze, la quale -“in questo tempo„ dice il buon Vespasiano “era abbondante e di virtù -e di ricchezze, e la fama sua era per tutto il mondo„; città che “a -quelli ambasciadori parve un altro mondo, rispetto alla grande quantità -di uomini nobili e degni v'erano in quel tempo, e non meno donne -bellissime del corpo e non meno della mente; perchè, sia detto con -pace di tutte le donne e terre d'Italia, Firenze in quel tempo aveva le -più belle e le più oneste donne fussino in Italia, e di loro per tutto -il mondo n'era tal fama„. E descrive un ballo che a quei gentiluomini -dell'Imperatore fu offerto dalla Signoria, in Piazza, sopra un palco -dal lato del Palazzo verso Condotta, con grande apparato di spalliere, -e pancali, e arazzi, e festoni; e i primi giovani della città, vestiti -tutti a un'assisa di drappi verdi ricchissimi, e calzatura di pelle -sino a' fianchi; e le fanciulle e le spose, con ricche vesti accollate -fregiate di perle e di gioie. Alla onoranza di ciascun ambasciatore -deputate due dame: che pel primo di essi sono l'Alessandra, maritata -in quello stesso anno (era il 1482, ed ella n'aveva appena diciotto), -e una Francesca Serristori. Dopo il ballo, si porta in giro la -colezione; ed ecco l'Alessandra servire ella stessa gli ambasciatori, -“con una tovagliuola di rensa in sulla spalla.... con una ismisurata -gentilezza.... facendo riverenza con inchini in fino in terra, naturali -e non isforzati, che pareva non avesse fatto mai altro„. Poi, ballo -di nuovo; e, infine, accompagnamento degli ambasciatori all'albergo, -ciascuno d'essi dando di braccio alle due belle fiorentine, una di qua -e una di là, Alessandra alla diritta: e giunti alla porta dell'albergo, -“il primo ambasciatore si cavò uno bellissimo anello di dito, e donollo -all'Alessandra; di poi se ne cavò un altro, e donollo alla compagna„. -Dopo di che, “salutati le giovani e i giovani, gli ambasciadori -accompagnarono le giovani alle case loro„. - -Il biografo quattrocentista, che sul declinare del secolo scriveva -di questa e d'altre donne fiorentine della generazione antecedente, -non finisce mai di far paragoni tra esse e le donne fiorentine del -tempo suo, deplorando lo scadimento del costume e delle consuetudini -più virtuose e severe. In questi lamenti, un po' di parte va fatta -certamente all'abito che fu e sarà sempre di tutti i tempi, del -rimpiangere, per questo o quel rispetto, il passato; un'altra poca, -inoltre, alla disposizione di Vespasiano a trovar che ridire su troppe -cose (figuratevi che una volta vuole e prescrive che le donne “imparino -a non parlare, massime in chiesa„, egli dice; e poi, come se fosse -poco, soggiunge “e in ogni altro luogo„): pur tuttavia, fatte queste -eccezioni, e lasciando lo scherzo, io credo che que' suoi lamenti, -specialmente quando li formula, com'è spesso, in osservazioni positive, -attengano a condizioni reali; e propriamente a quella mutazione che -anche nella vita domestica, di cui la donna è custode e gli atti suoi -sono specchio, avevano indotto le splendidezze, a un poco per volta -sempre più cortigiane, di quei Medici, la cui potenza attraeva oramai, -volere o non volere, con l'interesse e la fortuna delle famiglie, anche -gli affetti, le speranze, i disegni, che più disposta e inchinevole ad -accogliere, in pro della famiglia, e fomentare è la donna. - -“Ricòrdati che chi sta co' Medici sempre ha fatto bene, e co' Pazzi el -contradio; che sempre sono disfatti„: così scriveva (e s'era solamente -al 1461, diciassette anni prima della sanguinosa congiura) un'altra -Alessandra pur maritata negli Strozzi, e che essa pure come la Bardi -dagli esilii di quella famiglia ebbe lunghi dolori al suo cuore di -moglie e di madre, ma altresì la consolazione, prima che morisse, di -veder restituiti alla patria, e molto per la efficace materna opera -di lei, i figliuoli, e il maggior d'essi gettare alla grandezza della -sua famiglia quelle fondamenta delle quali è superbo monumento il -loro meraviglioso palazzo: Alessandra Macinghi negli Strozzi, alla -quale un altro monumento con la pubblicazione delle sue _Lettere a' -figliuoli esuli_, che io vorrei avere autorità di raccomandarvi e farvi -care, o Signore, componeva, ne' dì nostri, Cesare Guasti, erudito e -scrittore degno d'interpretare que' dolori, quelle consolazioni, quelle -grandezze. - -Lo avvicinarsi ai Medici anime elette come quelle della Macinghi -Strozzi, matrona del cui costume e pietà avrebber potuto compiacersi -la bontà di Antonino arcivescovo o la fierezza di Girolamo Savonarola -(e a qualche pratica durezza piuttosto de' tempi che sua, confido -che, ripensandoci, il nostro Biagi[96] si farà più indulgente), lo -avvicinarsi, dico, di tali anime e famiglie (ne cito un'altra, i -Rucellai) ai Medici, mostra che l'opera di questi era stata non tanto -di corruzione, quanto di acquistare potenza fra i cittadini, prendere -dello stato (è la frase del Machiavelli, e del tempo) quanto a mano a -mano ne veniva ad essi concesso, cosicchè la forza loro sormontasse -invincibilmente su tutte le altezze, preponderasse su tutte le -resistenze, schiacciasse quasi fatalmente tutto ciò che si levasse -contro di loro. “Co' Medici, e non co' Pazzi!„: a quell'affettuoso -ammonimento materno risponde tragicamente, a distanza d'anni, nel -maggio del 78, un'altra voce di donna, anzi lo schianto d'un cuore, -d'un cuore di figliuola, ne' giorni che l'uccisione di Giuliano de' -Medici e le ferite di Lorenzo erano, nel sangue de' congiurati e di -chiunque paresse averli comecchessia favoriti, vendicati come delitti -contro la patria. La figliuola d'uno di costoro, giovane sposa di -vent'anni, Ginevra di Piero Vespucci (cognata della bella Simonetta; e -Piero, uomo, del resto, di poco senno, era stato un tempo deditissimo -a Lorenzo, e giostratore nel 64 in Santa Croce con lui, e armeggiatore -col Benci sotto le finestre della Marietta), scrive, la Ginevra a -Lorenzo, queste parole spezzate dal pianto: (la lettera è inedita e -sfuggita alle ricerche e curiosità erudite): “Amantissimo in luogo di -buon padre. La cagione di questi dolorosi versi si è perchè ieri non vi -potei parlare come desideravo, per potervi pregare e ricordare l'amore -e benivoglienza avete portata in questa casa, e le parole e promesse -fatte a me, e l'umanità dimostrami, quando mi chiamasti sorella: e però -vi priego vogliate accettare e mie' prechi, e ogni amore e promesse -rivolere in questo, e avere misericordia e compassione di noi tutti. -Vorrei vi fussi di piacere considerare la condizione di mio padre, e -specchiarvi in me, e non considerare quello che fa in ogni suo caso, -che non è solo in questo. E priegovi quanto più posso mi facciate -questa grazia; e questo si è, me lo rendiate senza altro segno, e -che la penitenza di questo peccato sia quella che à avuta: chè quando -penso, della età ch'egli è e poco sano, come è stato buon pezo, e ora -di nuovo, colla febbre, essere dove egli è, e avere e' ferri in piè; -che quando ci penso, mi scoppia el cuore. Priegovi abiate pazienza se -questi versi vi danno tedio, e priegovi per l'apportatore mi mandiate -qualche buona risposta; però che chi misericordia fa, misericordia -aspetti: e priego Idio vi metta in cuore, me lo rimandiate istasera: -e se io fussi con Voi, tanto vi pregherei me lo renderesti: e ora -di nuovo ò inteso à avuta della fune. Priegovi non ci vogliate fare -disperare più. Ginevra isventurata.„ - -Invero, la vita di quelle donne, quale la rivelano e l'aureo volume -del Guasti (che, potendo essere a mano di tutte, io mi son proposto di -lasciare pressochè intatto alla curiosità del cuor vostro, Signore e -Signorine) e lo pubblicazioni che di altri documenti femminili si sono -venute facendo, non solamente si vede essere tutta per la famiglia; -ma che quelle poderose famiglie, Medici, Strozzi, Salviati, Rucellai, -Guicciardini, Soderini, Ridolfi, debbono a coteste donne non piccola -parte della forza che ebbero, a fare quello che fecero. Il Savonarola, -che sulla caduta della supremazia Medicea tentò costruire saldamente -l'edificio del governo popolare, sentì quanto importasse al suo -intendimento avere a ciò profonde basi nella famiglia: pensò, come -la prima delle sue riforme, la riforma del costume; e si rivolse alle -donne. E non tanto, intendo, alle mistiche, quali erano una Visdomini, -una Gianfigliazzi, una anzi due Rucellai; com'a dire le Giacobine di -quello che poc'anzi ho chiamato Terrore Piagnone; giacobine, bensì, che -poi finivano monache, anzi una di esse Beata. Ma alle madri proprio di -famiglia, il Savonarola si rivolgeva: alle donne e a' fanciulli, che -è quanto dire alle forze dell'affetto materno, si rivolgeva, come a -instrumenti politici, con la fede, con cui l'avversario suo papa Borgia -si appoggiava alla spada e al pugnale del suo Valentino. “O donne e -fanciulli, la vostra riforma non è ancora vinta. Dite da mia parte alla -Magnifica Signoria, che questa non è cosa umana, ma di Dio; e fateli -questa imbasciata: che la racconcino se vi è cosa che non stia bene, e -che gli diano la sua perfezione; e che se non lo faranno, e si faranno -beffe delle opere di Dio o le contradieranno, che il Re gli punirà. E -ditegli che non sono Signori, ma ministri del Signore e del Re nostro -Cristo.... A voi, padri e madri, dico: confermate questa cosa a' vostri -figliuoli, perchè non vi è dentro se non buon vivere. Altrimenti Dio -ha apparecchiata la punizione a chi contradirà alle cose sue. Io ve -lo dico certo, e tenetelo a mente.„ Il magnanimo frate fu arso; e -il profeta, smentito dai fatti: ma molta parte di quella generazione -informata da lui rimase fedele a _Popolo e Libertà_, l'antico grido -del Comune glorioso: e que' fanciulli, che ne' carnevali de' Piagnoni -avean ballato intorno al Bruciamento delle vanità (cotesto bruciamento -altra cosa è approvarlo, ed altra intenderlo pel suo verso), que' -fanciulli, fatti uomini sostennero e combatterono, dalle mura di -Firenze assediata, contro il Papa e l'Imperatore, le ultime battaglie -della libertà italiana. - -Un'egual gagliardia di sentimenti e di opere; un intenso sforzo di -tutte le energie morali, e un cupo raccoglierle e quasi appuntarle -alla vita pratica, al riuscire; durante que' trentacinqu'anni, che -intercedono fra il rivolgimento popolare nel 1494 e la caduta della -Repubblica nel 1530, animano del pari l'un campo e l'altro: gli eredi -e rivendicatori della libertà manomessa; e gli eredi e sostenitori -delle splendide ambizioni di chi la vuole ormai sopraffatta. Anche -sulle manifestazioni dell'arte, e nella elaborazione del pensiero, -incombe il travaglio dell'ignoto avvenire. Il giardino Mediceo di San -Marco, dove il Poliziano erudiva ne' miti ellenici i pittori e gli -scultori, e nella storia carlovingia Luigi Pulci, e il Ficino cercava -in Platone conciliazioni feconde tra la civiltà pagana e la fede -di Cristo, quel giardino è deserto. Ora è il Machiavelli che nelle -conversazioni degli Orti Oricellarii idealizza le togate figure di Roma -antica, e ne entusiasma i giovani che congiureranno contro i Medici, -mentr'egli da quella grande nostra storia romana dedurrà dottrina di -Stato, destinata a chi, in tristi tempi con tristi mezzi, sappia far -trionfare, per la salvezza d'Italia, un'idea generosa. Ma i Medici, -ne' quali egli vagheggia il suo principe, muoiono giovani: e sulle -loro tombe Michelangiolo scolpisce il Pensiero doloroso e la Notte. -Ben diverso trionfo, e non generoso, alla fortuna della loro famiglia -preparano, fattone strumento le Somme Chiavi, Leone X e Clemente VII: -ma per tutto cotesto periodo, di resistenza e di contrasto, durante -il quale difesa, ritorni, congiure, cacciate, si alternano, per poi -conchiudersi in quella caduta da eroi sulla quale irraggia la sua luce -il Ferruccio, la vita civile e la domestica non sono più nè possono -essere il gaio vivere, a sicura letizia intonato, nel quale, da Cosimo -a Lorenzo, Firenze aveva sorbito lentamente la dissuetudine dalla -libertà. I carnevali del magnifico Lorenzo vecchio de' Medici, come -lo chiamano i contemporanei del nipote suo Lorenzo, che col ducato -d'Urbino anticipa ai Medici il titolo ond'è per coronarsi in Firenze -la loro secolare cupidigia, quei carnevali non tornano più: nè valgono -a rattizzarli le Compagnie del Broncone e del Diamante, nelle quali, -sotto le imprese e i motti e l'auspicio di que' passati splendori, si -raccoglie a darsi piacere la gioventù pallesca. I tempi non sono più -quelli, nè per Firenze, nè pur troppo, dopo la calata di Carlo VIII, -per tutto il resto d'Italia. - -E la donna? Fedele custode delle sue tradizioni, in cotesta vita che -è divenuta tutta una guerra guerreggiata di foschi interessi, essa ha -vegliato e veglia agl'interessi del focolare: specialmente la madre. -Quando il magnifico Lorenzo perdette la sua, “Ho perduto„ scrisse “un -unico refugio di molti mia fastidii e sollevamento di molte fatiche, -uno instrumento che mi levava di molte fatiche„. “Tornate a vostra -madre che con tanto desiderio vi aspetta„; scriveva la Macinghi -Strozzi: e ai figliuoli esuli la voce di quella valente vecchia era -come la voce cara della patria, della patria che riapriva loro le -braccia, per tanti anni sì crudelmente serrate. E così la Lucrezia come -l'Alessandra hanno quasi con le loro proprie mani fatto i matrimoni -de' loro figliuoli; sottoponendo al sindacato del loro occhio materno, -nelle possibili nuore, tutto, dalla persona all'animo, ai costumi, al -parentado, alla dote: e fra le passate in rivista dall'Alessandra è, -con non troppo favore, la bella Marietta delle armeggerie e della neve. -Ora la Maria Salviati vedova del gran capitano Giovanni delle Bande -Nere, attende alla futura grandezza del suo Cosimo, che a diciott'anni -improvvisamente duca di Firenze, saprà, educato da quella donna di -alto animo, sottomettere o schiacciare i nemici, se anche si chiamino -Filippo e Piero Strozzi, deludere o respingere le pericolose ambizioni -de' partigiani, se anche si chiamino Francesco Guicciardini. Al buon -avviamento, prima, poi alla salvezza del suo sciagurato figliuolo -Lorenzino de' Medici, si adopera inutilmente la Maria Soderini: ed -essa e le figliuole bellissime, entrate negli Strozzi, la Laudomia e -la Maddalena, e dagli Strozzi entrata nei Ridolfi la Maria figliuola -di Filippo, il gran gentiluomo del secolo, parteciperanno, con gli -accorgimenti animosi e le ispirazioni de' loro cuori di madre, di -sorella, di moglie, all'affaticarsi infruttuoso, non però ingeneroso, -de' fuorusciti, contro l'afforzamento del principato Mediceo. -Protesterà, contro la violenza e il tradimento che lo hanno insediato, -la figliuola d'uno di quei fuorusciti, Giulia di messer Salvestro -Aldobrandini; che nella corte d'Urbino, richiesta da Fabrizio Maramaldo -di ballare con lui, “Levatemivi dinanzi„, gli risponde “chè ammazzaste -così vigliaccamente il Ferruccio„. Ma tra le vittime del novello -principe cadrà una gentile di quella schiera, Luisa Strozzi; sulla cui -tragedia, e su quella che pochi anni appresso involge nel mistero la -morte del padre suo Filippo, aleggiano sinistramente le parole dell'ava -veggente: Chi è contro a' Medici, sarà disfatto. Parole, del resto, che -nella casa degli Strozzi non ha ascoltate una Medici stessa, la madre -della Luisa, la Clarice moglie di Filippo e cospiratrice zelante alle -fortunose ambizioni di lui; anima, piuttosto che di donna, d'uomo e dei -più fieri di quel fiero Cinquecento: la quale ai giovinetti bastardi, -nelle cui mani, sotto i non dissimili auspicii di papa Clemente, il -moto popolare del 1527 trova le redini della signoria Medicea, ha -rinfacciato la passata grandezza de' suoi antenati, fondata sul favore -del popolo; e in nome di questo, nel palagio de' Medici, essa una -Medici autentica, ha loro additata e quasi intimata la via dell'esilio. - -Forti donne, alle quali può l'uomo di cui portano il nome commettere -con fede le faccende domestiche, de' figliuoli e del patrimonio, della -casa e della villa; come messer Luigi Guicciardini, mentr'è fuori -Commissario pe' Medici, alla sua monna Isabella, una massaia stupenda, -che io mi onoro d'aver rivelata dalle sue lettere campagnuole: -commettere e raccomandare la custodia del palagio, e il decoro della -casata; che alle mani della moglie di Pierfrancesco Borgherini, madonna -Margherita, saranno sicuri. E quando un Della Palla, incettatore per -re Francesco di Francia di tesori artistici dalle case della nostra -città, si presenta con mandato (pur troppo!) dei Priori alla casa di -monna Margherita a mercanteggiare una sua camera, meravigliosa pe' -lavori di Iacopo da Pontormo, quella davvero nobilissima gentildonna lo -riceve così: “Adunque vuoi essere ardito tu Giovambattista, vilissimo -rigattiere, mercantuzzo di quattro denari, di sconficcare gli ornamenti -delle camere de' gentiluomini, e questa città delle sue più ricche -ed onorevoli cose spogliare, come tu hai fatto e fai tuttavia per -abbellirne le contrade straniere ed i nemici nostri? Io di te non mi -meraviglio, uomo plebeo e nimico della tua patria; ma dei magistrati -di questa città, che ti comportano queste scelerità abominevoli. -Questo letto che tu vai cercando per lo tuo particolare interesse e -ingordigia di danari, come che tu vada il tuo mal animo con finta pietà -ricoprendo„, cioè di conciliare a Firenze assediata la benevolenza del -Re “è il letto delle mie nozze, per onor delle quali Salvi mio suocero -fece tutto questo magnifico e regio apparato, il quale io riverisco -per memoria di lui e per amore di mio marito, ed il quale io intendo -col proprio sangue e con la stessa vita difendere. Esci di questa casa -con questi tuoi masnadieri, Giovambattista; e va', di' a chi qua ti -ha mandato comandando che queste cose si lievino dai luoghi loro, che -io son quella che di qua entro non voglio che si muova alcuna cosa: -e se essi, i quali credono a te uomo dappoco e vile, vogliono il re -Francesco di Francia presentare, vadano e sì gli mandino, spogliandone -le proprie case, gli ornamenti e letti delle camere loro. E se tu sei -più tanto ardito che tu venga per ciò a questa casa, quanto rispetto -si debba da' tuoi pari avere alle case de' gentiluomini, ti farò con -tuo gravissimo danno conoscere„. La conversazione o, se anche vogliamo, -l'amplificazione di queste generose parole di donna in una pagina del -buon Vasari, mi pare debba riconciliarci alquanto con l'oratoria dei -Cinquecentisti. Ma voi, quando nel Palagio del Potestà passate innanzi -ad un mirabile cammino in pietra di Benedetto da Rovezzano, che da -una sala appunto delle case che furono de' Borgherini colà trasferito, -è ormai assicurato al patrimonio intangibile della nazione italiana, -siate superbe, o gentildonne fiorentine, della vostra concittadina; e -se mai occorresse, ricordatevi dell'esempio ch'ella vi ha dato. - -Che se la Margherita e l'Isabella favoreggiano, e la Maria Salviati -Medici rappresenta essa stessa potentemente quella parte Medicea dalla -quale, almeno in quel truce epilogo delle sue ambizioni, rifuggono -le simpatie di noi tutti (compreso, senza dubbio, l'apologista -dotto e sagace, per la cui eloquenza ha in questa sala rivissuto una -genialissima ora di vita il magnifico Lorenzo)[97]; se la Clarice -Medici Strozzi, e le gentildonne de' fuorusciti, agitano in petto, -insieme con altre passioni più nobili, gl'interessi altresì e i -rancori di ambizioni men della Medicea fortunate; non mancano poi -alla libertà che muore, non mancano dal popolo che per lei combatte -senz'altra ambizione nè amore che non sia essa stessa la libertà, le -sue eroine. Eroine anonime, come le dà la plebe, generosa de' nomi non -meno che del sangue (così non ne fosse prodiga anche a chi la inganna -e la sfrutta!); anonime, e nella veglia del malinconico inverno de' -casolari affigurate in leggenda. Tale la Lucrezia Mazzanti figlinese, -che nei gorghi del suo Arno cerca scampo alle brutali violenze della -soldataglia imperiale e papale: matura sposa quarantenne, ma che il -popolo vuole restituita alla poesia dell'intatta giovinezza, mentre -alla novella Lucrezia romana dedicano il loro latino gli ultimi -umanisti del Rinascimento, che il Bruto cesaricida esalteranno in -Lorenzino de' Medici. E dalle popolari memorie, nella storia del tempo -raccolte, effigiò modernamente il Guerrazzi, quando ne' duri anni -della servitù d'Italia volle essere l'Omero della libertà fiorentina, -quella che egli denominò monna Ghita setaiuola in Borgo San Friano: -“alta della persona, magra, adusta dal sole, sicchè sembrava di colore -del rame; i muscoli del collo grossi e protuberanti, le vene turgide, -le labbra vermiglie, e comunque tacessero, agitate; le narici ansose, -gli occhi fulgidissimi, perpetuamente volgentisi da un lato all'altro; -i contorni del volto squadrati, la faccia ossuta„; una Parca di -Michelangiolo: la quale, vedova e povera, dà alla difesa della patria -le buccole d'oro delle dónora maritali, e il figliuolo unico: “il mio -Ciapo di sedici anni e otto mesi, perchè deve entrare ne' diciassette -come si arriva alla festa di San Zanobi„; dopo fattogli giurare sul -Crocifisso il giuramento con che la Spartana consegnava al figliuolo -lo scudo: O con questo, o su questo. Ultima espansione da cuore di -madre popolana, dell'amor di patria nel sacrifizio della famiglia. -Succederanno i tempi ne' quali il popolo italiano dovrà dimenticare -d'avere una patria, cercar nelle gride (povero Renzo!) il diritto -d'avere una famiglia: e agli oppressi dalla doppia tirannide, politica -e sociale, non rimarrà altra voce, se non il pianto di Lucia che dice -addio a' suoi monti. - - -VI. - -La libertà repubblicana è caduta: e su quelle rovine han fatto le -loro paci, la Chiesa di Roma, che per entro alla corruzione secolare -e alle pagane eleganze ha giocata la sua unità, e il sacro Romano -Impero, le cui idealità medievali son fatte così una brutta cosa, -nella greve signoria di Carlo V spagnuolo, del monarca su' dominii -del quale il sole non tramonta. Splendori di corti, di pensiero e di -roghi, illumineranno l'età che incomincia, della quale il mio tema -varca sfiorando le soglie, e destinata, o Signore, alle conferenze -del prossimo anno. Nei sozzi e atroci drammi coniugali dei duchi e -granduchi Medici e de' loro cortigiani, ultima che ritragga dell'antico -“femminile„ fiorentino, bella, culta di lettere, esercitata nella -poesia, nella musica, nell'uso di più lingue, del volgar nostro -intendentissima, gentile d'animo, è l'infelice Isabella Medici Orsini. -Altre gentili ospita il chiostro; il chiostro, talvolta cercato e -invocato, troppo più spesso destinato alla inconsapevole innocente -fanciullezza da quelle tirannidi gentilizie, scellerate e codarde, -delle cui vittime la Geltrude del Manzoni è vendetta immortale. E nel -chiostro, da uno ad un altro trafugandola gelosamente, i repubblicani -fiorentini dell'Assedio avean custodita Caterina de' Medici: come utile -ostaggio, speravano; e non sapevano di serbarla a ben altre fortune. -“Andate, e dite a que' miei padri e signori, che io intendo d'essere -monaca, e di starmi in perpetuo con queste mie reverende madri„; -mandava ella a dire alla Signoria: l'aspettavano invece il trono di -Francia, e le guerre civili di religione, e la _Saint-Barthélemy_. - -Ma ai dolci silenzi della meditazione pietosa sulle umane colpe e -sventure, agli entusiasmi verso Dio buono, ai terrori di Lui giusto, -era nata Caterina de' Ricci, che in San Vincenzio di Prato si chiude -giovanissima, negli anni durante i quali per un'altra di quel casato, -la Marietta Ricci Benintendi, duelli di non degno amore intermezzano -le battaglie della libertà, e il nome d'un'altra Ricci, Cassandra, è -vituperato fra le tresche e nel sangue. Caterina nel chiostro riceverà -le ultime tradizioni e gli affetti de' seguaci di frate Girolamo; -appiè dell'altare, sul quale ella un dì sarà santa, consacra la -religione del martirio di lui: e dal chiostro, non ripudiata l'umana -fraternità, a' suoi di casa parla, nelle _Lettere_, parole di pace, di -conforto, d'amore; ai prelati suoi superiori, di reprensione reverente, -ove occorra; agli uomini, che tra le cure civili o mercantili si -travagliano, parole di virtù operosa e che si affisa nell'alto; di -giustizia, ai principi; di miti e caritatevoli affetti, alle donne; -e delle due che furono le mogli di Francesco de' Medici, ama Giovanna -d'Austria infelice, prega e fa pregare Dio per Bianca Cappello. - -Nè con l'infoscarsi, sempre più cupo, de' tempi, col sempre più -gravemente incombere sulla libertà politica e del pensiero la domestica -e la straniera tirannide, manca ne' chiostri, alla pietà verso chi -rimane nel mondo, il cuor della donna: o l'abbiano esse lasciato, -o esso il mondo le abbia allontanate da sè, quelle buone sentono e -fanno suoi i dolori della famiglia alla quale appartennero. Sulla -collina d'Arcetri si raccoglie a morire, quasi prigioniero, il grande -liberatore del pensiero moderno, Galileo: ma presso alla villa del -Gioiello, che oggi nel suo nome ci è sacra, vegliano su lui, dal -convento di San Matteo, l'affetto e la preghiera d'una santa creatura, -che data a lui dall'amore, egli è forse colpevole di avere, sin dalle -fasce, destinata all'espiazione; della sua Virginia, che egli ha voluto -sia suor Celeste: ed ora ella viene a lui, non potendo di persona, -con le _Lettere_ nelle quali quella cara anima è sopravvissuta anche -a noi: e si accuora de' suoi dolori, e trepida delle sue malattie; e -si prostra reverente al suo divino intelletto che “penetra i cieli„; e -in una rosa, che gli manda nel cuor dell'inverno, vuole intravvegga, -di là dal “breve e oscuro inverno della vita presente, la primavera -dell'eternità„; e s'addossa ella le penitenze spirituali impostegli -dal Sant'Ufizio; e al ricevere un suo libro, o al sapere di onoranze -resegli, esulta; e vorrebb'essere “in una carcere assai più stretta -di quella in che si trova„, per far libero lui; nè le duole di -esser monaca, se non quando sente ch'egli è malato, per non potere -assisterlo; e dovendo come le altre monache scegliere fra i Santi il -Santo “suo devoto„, non altri sa scegliere, con sublime profanità di -figliuola, che il padre suo, il padre che prega Dio le sia conservato, -“perchè dopo di lui non mi resta altro bene nel mondo„. E quando -cotesto martirio di amor filiale incarcerato ha il suo termine, e a -trentatrè anni ella muore, il povero glorioso vecchio sentirà spezzato -il più caro vincolo che ancora lo congiungesse col mondo; più dura e -crudele gli pesa ora la guerra indegna che in lui è fatta ai diritti e -all'avvenire dell'umanità: e di lì a breve, cieco, infermo, degnato di -concessioni umilianti come a colpevole ravveduto, fattogli elemosina -di licenza e di permessi come a tollerato dai potenti della terra, -egli che ha rivelato i misteri del cielo, nel presentire la morte: “Mi -sento„ esclama “continuamente chiamare dalla mia diletta figliuola„. -Nè so se la donna abbia mai scritta nella propria storia una pagina che -valga cotesto grido paterno, uscito dal cuore di Galileo. - - -VII. - -Le libertà repubblicane caddero, e successero i tempi infausti -della servitù: ma al terzo secolo da quella caduta, il sepolcro si -è dischiuso, e la libertà d'Italia risuscitò da morte. E la donna -italiana, così da Firenze come da ogni altra città e villaggio e -borgata della patria che è nostra, ha dato a quel risorgimento i -dolori del sacrificio e del martirio, le ansietà delle trepidanti -speranze, il pensiero e il lavoro degli uomini ch'ella ha amato e -ispirato, la vita propria, il sangue de' suoi figliuoli; da Eleonora -Fonseca a Teresa Confalonieri, dalla madre dei Ruffini alla madre -dei Cairoli: all'Italia han dato il fior dell'ingegno la Guacci, la -Turrisi Colonna, la Ferrucci, la Brenzoni, la Paladini, la Percoto, la -Milli, la Mancini, la Fusinato. O madri toscane, o spose, o sorelle, o -figliuole, che da Curtatone e Montanara alla rivendicazione di Roma le -sante battaglie della libertà orbarono de' vostri cari; o gentildonne -animose, o buone popolane, della nostra Firenze; la tradizione con le -forti donne dell'antica nostra istoria è per voi ricongiunta. - -Nè più tardi d'ieri, da una collina le cui vigne e gli oliveti -ombreggiavano una tomba recente, è disceso un feretro, che da -quella tomba trasferiva, così volendo la nazione, in Santa Croce, -e restituiva al sepolcro degli avi suoi, de' Priori e Gonfalonieri -della nostra Repubblica, la salma di Ubaldino Peruzzi, nella cui -persona, il 27 aprile di trentadue anni fa, Palazzo Vecchio tornò al -suo antico signore, il Popolo fiorentino. Pia custode di quella tomba -gloriosamente vuota, è rimasta una Donna: che tanto seppe, tanto potè, -nei pensieri e negli affetti di lui; che lo animò, lo aiutò, alle -onorate fatiche, ne' dubbi lo consigliò, gli confortò i patimenti, -gli consolò le ingiustizie, gli allietò i trionfi. Storia, che in -tutti i paesi civili, in tutte l'età, è la storia vostra, o Signore: -che compendia i diritti e i doveri vostri verso le due grandi non -distruggibili società, delle quali voi siete l'anima immortale: la -famiglia e la patria. - - - - -IL POLIZIANO E L'UMANESIMO - -DI - -GUIDO MAZZONI. - - - _Signore e signori_, - -Presentarmi a voi, che avete fama meritata di giudici eletti, a voi che -pur ne' giorni scorsi udiste Adolfo Bartoli e udirete dopo me altri che -io reputo maestri miei, per discorrere del Poliziano e dell'Umanesimo, -argomento grave e forse nell'ampiezza sua meno adatto alle strette -d'una lettura, sembra audace a me stesso: ma non si conveniva a me -fiorentino negar l'opera mia in una impresa di cui Firenze si compiace, -come è questa delle pubbliche letture; dirò più schietto, non mi diè -l'animo di rifiutare l'onore che mi si fece invitandomi qui. Di che a -ottenere più agevole indulgenza, tacerò ogni altro preambolo. Ma prima -consentite ch'io vi preghi a unirvi meco in un desiderio di tutti gli -studiosi. Isidoro Del Lungo ha da mantenere certa sua promessa: ha da -darci quella vita del Poliziano della quale pubblicò saggi per dottrina -e per critica eccellenti; promessa giovanile, cui stima sottrarsi -affermandola invecchiata con lui; promessa di galantuomo e valente, -che vuole essere mantenuta, voi gli rispondete con me. A un libro del -Del Lungo non si rinuncia così per fretta; e troppo, nel tornare per -voi sul Poliziano, troppo ho risentito quel che importi averne o no la -guida sicura. - - -I. - - Dolci gli studii un tempo già m'erano: ahimè che m'incute, - la Povertà, co' suoi luridi cenci, orrore! - Onde, poi che 'l poeta non è che ludibrio del volgo, - stimo più savio cedere a' tempi anch'io. - -Questo lamento, che suona troppo più efficace ne' distici latini -dell'originale, questo sospiro di Angelo Ambrogini (sarà tra breve il -Poliziano) alla quiete e agli agi di una vita, quale egli desiderava la -sua, tutta spesa sui libri degli antichi e nell'esercizio dell'arte, -è schietto documento dello stato e dell'animo di lui quindicenne. -Cinque anni prima, gli avevano ammazzato il padre, per ciechi odii, -ferocemente; il padre, messer Benedetto, uomo di legge, onorato d'alti -offici nella patria Montepulciano, poi giudice a Pisa, cui non era -valso chiedere protezione a Piero di Cosimo de' Medici, che “per -l'amore de' suoi piccoli cinque figliuolini, lo sicurasse in modo che -potesse starsene sicuro a casa sua senza portar arme, che non era suo -mestiere„; nel maggio del 1464, tentando egli invano ripararsene con -le mani inermi, l'avean morto più colpi di coltello e di partigiana. -Vendetta, come allora si usava, ne era stata presa, due anni dopo, da -un nipote che, sangue per sangue, uccise gli uccisori: ma la vedova -si era rimasta con que' cinque figliuolini, e avea dovuto mandare il -maggiore di essi, Angelo, a Firenze, da un cugino del marito, perchè si -cercasse migliori fortune. - -Tardavano queste; ed Angelo sentiva ogni dì più, nell'animo vivace, -nella mente addestrata alle lettere, il disagio e il cruccio della -miseria, onde quel sospiro che dianzi avete ascoltato. Ma come, -giovinetto quale era, povero quale era, potesse dare al sentimento la -veste succinta di un epigramma latino, non intenderà chi non rammenti -che fosse, a mezzo il secolo decimoquinto, la coltura italiana e più -specialmente la fiorentina; non rammenti, cioè, i modi e i luoghi di -quell'amore anzi furore per gli studii delle lettere che ebbe allora, -con parola ciceroniana, rimasta fino a' dì nostri nell'uso delle -scuole, titolo di umanità; delle lettere, anzi di tutta quanta la vita -latina e greca; perchè parve che l'Italia, dopo le vicende barbariche, -volesse riabbracciarsi stretta alla madre Roma, e quasi per ossequio di -lei venerare più da presso gli esemplari della vita e dell'arte che i -Romani stessi avevano ammirato nei Greci. - -Alla parola Rinascimento non può ormai attribuirsi il senso che -anche qualche anno fa le era attribuito: tra la lingua e la civiltà -latina, tra la lingua e la civiltà nostra, distacco non fu. Come la -persistenza del latino letterario per tutte le scritture nell'età di -mezzo basterebbe a dimostrare, se altre testimonianze mancassero, la -persistenza dell'insegnamento; come le opere degli antichi, giunte -fino a noi su libri copiati nell'uno o nell'altro secolo di quell'età, -dimostrano che mai non furono del tutto obliate, e le citazioni e le -imitazioni ne dan riprova; così i vanti delle famiglie e delle città -che ripetono a gara l'origine degli antichi eroi, e ne onorano i -sepolcri che si credono recuperare, e conservano o dànno ai magistrati -i nomi d'un tempo gloriosi, affermano che il popolo d'Italia non smarrì -mai, e viva e intiera riebbe presto, la coscienza del sangue suo, del -latin sangue gentile. Sì che Dante, il quale osava, contro il dispregio -delle scuole, levare alle altezze del suo pensiero la parlata del -volgo, Dante si stima, proprio perchè fiorentino de' puri, romano, e -fa che Virgilio si stringa fra le braccia con amore di compatriotta il -recente Sordello, e a Virgilio si fida come a connazionale, dicendolo, -con orgoglio di comunanza, nostro. E neppure si era mai spenta, fosse -pur fioca e vacillante, la luce degli studii greci, alimentata da -quanto la Chiesa d'occidente nei testi e nei riti aveva di greco, da -quello che avevano dato e davano a tratti le ragioni politiche, dal più -che recavano i commerci continui tra le repubbliche nostre e l'impero -orientale. Morte dunque non fu, e parola fallace è perciò quella del -Rinascimento; non da sbandirla, ove s'intenda che l'Italia, nei secoli -dall'undecimo al decimosesto, rinvigorita, rallietata tutta, ebbe come -una nuova gioventù di fede in sè e di gagliardia; quasi una grande -quercia che, dopo aver frondeggiato ne' secoli, rotta ed arsa da più -fulmini, sembri, per una stagione, destinata a perire; ma le percosse -stesse e il riposo le hanno invece giovato, e getta fronde novelle, di -verde più gaio, e torna a dare ombre dilette e ghirlande di gloria. - -Ma per pochissimi che delle lettere classiche sapevano tanto da -valersene come di nutrimento vitale al pensiero, per pochi che almeno -modellavano lingua e stile su questo o su quell'autore de' buoni, -quanti (e parlo sempre degli uomini colti) confondevano le forme della -grammatica in un gergo strano, dove non era nè il latino corretto nè il -volgare schietto, e le cose e gli uomini dell'antichità confondevano -in una scienza tutta errori e leggende! Il popolo s'era fatto un -Virgilio mago, del quale narrava le arti: come avesse purgata Napoli -dall'aria cattiva, dalle sanguisughe che ne guastavano le acque, dalle -cicale, dalle mosche, dalle zanzare che la tediavano, dalle serpi che -la infestavano; come avesse aperto il monte di Posillipo, e, quel ch'è -più, atterrito il Vesuvio dall'erompere, con la statua d'un arciere -pronto sempre a saettarlo. Molte di queste e altre tali meraviglie -ingrossavano la biografia del poeta ai tempi del Petrarca; e un -fiorentino non incolto, Antonio Pucci, ne registrava alcune in un suo -zibaldone, avvertendo che “quantunque paiono a grossi huomini favole -perchè in loro cuore non le possono comprendere, abbi quelle che udirai -per vere„. E un altro poeta, più oltre, sui primi del quattrocento, -poteva di Virgilio arditamente affermare che, andato a scuola, - - per la testa grossa che lui avia, - da' scolari Marone era chiamato. - -E già era stato detto innanzi, Virgilio derivare da _ver gliscens_, -perchè ei fu vario e fecondo come la primavera, e Marone dal mare, -perchè abbondante di scienza come d'acque il mare. Così d'Ovidio e il -popolo e i dotti favoleggiavano miracoli; e sul nome facevano, ch'era -esercizio consueto, belle fantasie: “Ovidio fu poeta (scriveva uno de' -primi commentatori di Dante) et fu chiamato Publio, et per sopranome -Ovidio _ab ovo_, perchè aveva tondo il viso, ritratto come un ovo: fu -ancora chiamato Nasone, perchè aveva uno grande naso.„ Sallustio era -fatto da alcuni zio di Cornelio Nipote; Stazio, contemporaneo di Ennio, -e padre di due figliuoli, Archimede e Tebaide, nei quali è facile, con -la correzione del primo nome in Achilleide, riconoscere i poemi suoi; -e quasi nomi di uomini erano già stati citati _Eunuchus comoedia_ e -_Orestes tragoedia_; Plinio il vecchio, confuso col giovane, aveva ai -molti libri suoi la giunta di leggende su Lucifero e su l'Anticristo; -e Marziale, per gli epigrammi culinarii, il titolo di cuoco. Nè più -si sapeva o si capiva della mitologia: “Venus fue una bellissima -donna, regina de Cipri, e fue sì bella che quanti la vedeva di lei -innamorava: unde dapuò la sua morte fue deificata e dicta dea de lo -amore„; “Apollo nacque in Delo e fue sommissimo astrolegho e tractò del -corso del Sole; e per tanto fue deifichato in lo quarto pianeta. Questo -Apollo che uno figlio dicto Eschulapio, che grande tempo medichò per -la scienza del padre; imperò che Apollo fue lo primo che trovasse la -medicina, et poi stete grande tempo persa, perchè, morto Eschulapio, -le grosse giente arsero i libri, perchè trovavano che le cose venenose -intravano nelle medicine; et non sapendo considerare l'utele de la -scienza, desfecero i libri.„ Basti il saggio breve: tali, su per giù, -la conoscenza e l'intelligenza dei miti negli anni in cui il Petrarca e -il Boccaccio si affaticavano a restaurarne lo studio, e iniziavano la -critica filologica e storica; dove è da notare, per segno dei tempi, -che il Petrarca a Roberto re, il quale, presenti molti, lo dimandava -sulla grotta di Posillippo, se la credesse anch'egli opera della magia -virgiliana, rispose deridendo quelle stoltezze; e il Boccaccio, invece, -nel commento all'Inferno dantesco, le ribadiva. Le menti del medio -evo, disadatte a uscire dal cerchio del presente, e giorno per giorno -seguitando ad allontanarsi inconscie dal modo antico di vedere e di -rappresentare, non intendevano più nè l'arte nè la vita de' secoli -greci e romani; e quando volevano rappresentarle, le travestivano. Ciò -che alla mitologia, accadde alla storia: Teseo diventò duca d'Atene; -Atene ebbe una università come avevano allora Parigi e Bologna; -Alessandro Magno, dopo aver corso co' suoi baroni e signori tutto -l'Oriente, scese in una gabbia di vetro fin giù nel fondo del mare, -tentò l'entrata del Paradiso terrestre; Nerone partorì dal fianco una -ranocchia; la regina di Fiesole, Belisea, prigioniera di Catilina, -andò “la mattina di Pasqua di Pentecosta alla chiesa nella Calonaca -di Fiesole alla messa„ (mi è ben lecito citar qui il Malispini); e -Catilina, sfidato da Attila “fece con lui sì aspra battaglia, che -pochi ne camparo dall'una parte e dall'altra, e Attila fu ritrovato -morto presso all'Arno, e Catellina fu ritrovato morto nella costa di -Fiesole„. - -Tale, fino a non più che cento anni innanzi al Poliziano, e anche -più da presso, la dottrina che scrittori non incolti avevano -dell'antichità. E quanto sapessero di latino, per quel che è della -correzione e dell'eleganza, mostra il latino stesso di Dante, che -pur sapeva a mente tutta l'Eneide: dirò di più, il latino stesso del -Petrarca, tanto migliore di quel di Dante, e pur tanto lontano ancora -dalla retta imitazione de' classici, e spregiato per ciò dagli umanisti -più tardi, non senza ragione, come barbarico. E sì che il Petrarca fu -davvero, quale lo vantano i frontespizii nelle antiche stampe delle -opere sue, “filosofo, oratore e poeta chiarissimo, della rifiorente -letteratura e lingua latina, per molti secoli da orrenda barbarie -deturpate e quasi sepolte, confermatore e instauratore„. Parole -magnifiche, ma non false. Discepoli suoi possono infatti considerarsi -e il Boccaccio e il Salutati e il Marsigli e il Malpaghini, co' quali -l'erudizione classica meglio si addestrò e si fe' laica e divenne -parte necessaria della vita civile e politica. D'allora in poi -l'umanesimo, sì bene avviato, avanza ogni anno di spazio, cresce ogni -anno d'intensità: Firenze è il focolare; le faville se ne diffondono -per tutta Italia, e, secondo i luoghi, suscitano fiamme nuove o dan -forza ai fuochi che già ardevano chetamente: a Venezia, Padova, Verona, -Milano, Pavia, Genova, Mantova, Ferrara, Bologna, Rimini, Urbino, -Pesaro, e Foligno, e Camerino, a Siena, a Roma, a Napoli, là dove era -un reggimento aristocratico, repubblicano o principesco o pontificio -che fosse, ivi da per tutto chiamare maestri, raccoglier libri, educare -i giovani alle lettere con lezioni e con dispute, reputare decoro e -utile della città e dello Stato un cancelliere che sapesse vestire -consulte e ambasciate di adequati e sonanti ed efficaci periodi. Da -queste città in altre attorno minori; dalle corti e da' magistrati -supremi nelle famiglie, fino alle donne. Leggesi sulla fine del -trecento, di una gentildonna veneziana: “Chostei fu lodata et dotata de -una piacevole grammaticha (seppe, cioè, di latino), et udio li poeti -(i latini, s'intende) in questo muodo, che, essendo lei fanzulla, la -madre la mandò a la scola perchè imparasse da legere a ziò che dire -potesse lo officio de Nostra Donna; poi, essendo grande, intanto lo -padre teneva uno grande maestro in poexia che legieva a li figioli li -autori; et chostei, udendo quelli, et udendo latinare, meravigiosamente -si fece saputa, et molto si dilectò in Virgilio, et piacevolmente -lo intexe, e sì bene che io, che zià la udi' parlare, a pena me'l -consento.„ Ben s'intende come, un secolo dopo, il Poliziano, visitata -a Venezia Cassandra Fedele, dotta di greco e di latino, sì che la -Repubblica gelosa non volle mai che, per inviti di re e di pontefici, -lasciasse la terra di San Marco, il Poliziano potesse scriverne a -Lorenzo de' Medici: “È cosa mirabile.... Partimi stupito.„ Nè che in -Firenze ricambiasse con lui epigrammi greci Alessandra Scala, che in -greco recitava l'Elettra di Sofocle. - -Perchè anche gli studii del greco, che fino al secolo undecimo avevano, -se non fiorito, perdurato, specialmente nell'Italia meridionale, -nè mai si erano inariditi del tutto, si riebbero presto e divennero -necessario compimento a quelli del latino. Fino dal 1359 il Boccaccio -erasi accolto in casa un maestro di lettere greche, Leonzio Pilato -calabrese, e gli avea procurata una cattedra in Firenze e libri greci -da interpretare: e il Petrarca, che volle costui a Venezia, gli diede -poi a tradurre, per prezzo, l'Iliade e l'Odissea; ormai disperava -intendere da sè quei libri greci che aveva imparato a decifrare da un -altro calabrese, frate Barlaam, e che, non intendendoli, si compiaceva -almeno di possedere. Venne finalmente da Costantinopoli un maestro -migliore, Manuele Crisolora; e già nel 97, per merito del Salutati, ne -ascoltavano a Firenze le lezioni più giovani volonterosi e ingegnosi: -quando, sette anni dopo, il Crisolora se ne tornò in patria, un altro -giovane, Guarino veronese, lo accompagnò come servo, pur d'imparare! -Anche il greco era ormai riconquistato alla coltura italiana. - -Que' giovani si spandono per l'Italia e per la Germania, frugano le -biblioteche degli antichi conventi; traggon giù dagli scaffali tarlati, -detergono dalla polvere de' secoli, i manoscritti, e gli scorrono qua -e là frettolosi, col cuore che batte di desiderio e di speranza; ecco -le orazioni di Cicerone, i carmi di Catullo, gli annali di Tacito; ecco -le voci degli antichi nostri, che per lungo silenzio parean fioche, -levarsi da quelle membrane ingiallite a orecchie bramose e capaci di -comprendere. Ed altri scrivono a Costantinopoli per aver libri greci, -s'imbarcano essi stessi, comprano, rubano talvolta; ecco Sofocle, -ecco Platone, ecco i doni dell'arte e della sapienza ellenica che i -nostri antichi tesoreggiarono e che noi vogliamo riammirare, nè ci -lasceremo sfuggir più. A Strasburgo, nel 1439, un tale muove lite a -un tal altro perchè gli mantenga i patti conchiusi con un suo fratello -defunto, nell'esercizio di una certa arte arcana: i testimoni parlano -di ordigni strani, torchi, forme, punzoni: il socio citato in processo -è Giovanni Gutemberg. La stampa è inventata: l'eredità dei classici -è assicurata al pensiero moderno; promesso e assicurato con lei a te, -o pensiero moderno (lo dirò col poeta), il trionfo “su l'età nera, su -l'età barbara, sui mostri onde tu con serena giustizia farai franche le -genti!„ - -Dopo il Bruni, morto nel 44, il Valla nel 57, Poggio Bracciolini e -l'Aurispa nel 59, il Guarino nel 60, Flavio Biondo nel 63, l'umanesimo -ha ottenuto, non tutti i frutti suoi, ma tutto quanto il campo che -dissoderà: la critica e la interpretazione dei testi, la storia, la -geografia, l'epigrafia, la numismatica; l'archeologia insomma o la -filologia; e d'altra parte, la grammatica e la retorica come strumenti -all'imitazione delle forme letterarie classiche: la correttezza, -cioè, la scioltezza ed eleganza delle prose e dei versi sì latini che -greci. Quando nel 1453 cadde l'impero d'Oriente (fo mia una notevole -osservazione del Del Lungo) non furono i profughi che ci recassero la -scienza, ma sì la scienza nostra li assicurò di accoglienze buone e -fraterne. - -E intanto Cosimo de' Medici, di quella famiglia di popolani mercanti -il cui nome entra nella storia tra le prepotenze di parte Nera nel -1301 con un assassinio, Cosimo, il più ricco uomo d'Italia e il più -liberale, padroneggiava Firenze; e attorno a sè, per amor di dottrina e -arte di governo, raccoglieva uomini di lettere e codici, e, conversando -coi greci, ideava l'accademia platonica. Lo studio fiorentino avea -lettori e ordinamenti compiuti; la città si adornava di edifici e di -opere stupende; il danaro affluiva; la Signoria stessa si rinnovava di -fogge e di suppellettili il corteggio e il Palazzo. Onde Piero, dopo -la morte del padre suo che fu titolato padre della patria, potè meglio -sentirsi e assumere sembianza di principe; e come principi fece educare -nei costumi e nelle lettere i figli Lorenzo e Giuliano. Quando nel -1469 morì, il primogenito non titubò a pigliarsi la cura dello Stato; -e Firenze ebbe, e nel bene e nel male, i giorni che già Atene con -Pericle. La libera città de' mercanti artisti perdeva nel fatto, se non -di nome, le istituzioni repubblicane; in ricambio non buono, acquistava -gli splendori della corte medicea e dell'umanesimo. - - -II. - -Ormai è chiaro in che modo il quindicenne Ambrogini potesse lamentarsi -della sua miseria in distici garbati; ci è chiaro anche in che modo -potè, indi a poco, rompere la malignità della sorte. La protezione -che quel povero messer Benedetto aveva chiesta invano a Piero de' -Medici, fu dal figlio dell'invocato protettore conceduta al figlio -dell'assassinato, non tanto forse per la pietà dei casi suoi quanto -per la stima dell'ingegno e della dottrina. Lorenzo aveva sei anni -soli più dell'Ambrogini, e comuni con lui gli studii, del pari che -alcune qualità della mente; pregato egli giovine poeta da un poeta -giovine, che lo salutava e si diceva tutto suo, s'intende che subito -ricambiasse il saluto e l'offerta con benevolenza di signore e cortesia -di confratello. Che mai chiedeva in distici latini il minore al -confratello magnifico? Prima di tutto un paio di scarpe, chè i diti dei -piedi gli si affacciavano dalla rotta prigione alla vista del cielo, -e un vestito, fosse pure usato, che non mostrasse le corde e peggio, -come quello che lo faceva schernire da' beceri. Delle scarpe non so; il -vestito venne; e tali furono, in versi che mi spiace dover guastare, i -ringraziamenti: - - Ben io volea più volte ne' carmi renderti grazie, - Lorenzo, o gloria prima de' tempi tuoi; - sì che invocai la Musa Calliope con lunghe preghiere, - ed ella venne, e avea seco l'arguta lira. - - Venne; ma come addosso mi vide le splendide vesti, - subito volse a dietro l'isbigottito piede, - chè ravvisar la Dea non seppe sì bello il poeta: - troppo mi fa mirando questa vermiglia toga! - - Onde se a te minori dà il verso le debite grazie, - colpa ha la Dea che niega regger la penna mia. - Oh che leggiadri carmi udrai, sì tosto che avvezza - a' miei splendori nuovi si sia la Musa! - -La valentia che questi epigrammi dimostravano, fu confermata a Lorenzo -da' maestri dello Studio, tra i quali Marsilio Ficino che di quello -scolaro prometteva grandi cose: anche meglio la confermò, subito dopo, -il secondo libro dell'Iliade, recato in esametri latini, di colore -e sapore virgiliano, e offerto a Lorenzo medesimo. Il primo libro ne -era stato tradotto, per desiderio di Nicolò V, da un segretario della -repubblica, il Marsuppini, morto nel 1453: non potea non piacere al -Magnifico, che l'impresa fosse continuata a Firenze, sotto gli auspicii -suoi; ed Angelo, che secondo l'uso degli umanisti si ribattezzava, dal -nome della patria, in Poliziano, lasciò la casuccia di via Saturno, -dove il cugino povero lo aveva ospitato, e salì le scale del palazzo -mediceo in via Larga. Le salì certo senza borbottare il verso di -Dante, che è duro salire le scale altrui: perchè egli era giovane -molto, e sapeva la cortesia del protettore; e perchè l'umanesimo aveva -raddolcite le asprezze del vivere medievale, ma anche, mi convien -dirlo, scemato il vigore degli animi, e adusati i letterati e gli -artisti a stimarsi artefici di diletto e di fama ai potenti, anzi che, -come Dante fu, gl'interpreti e i vindici della rettitudine e della -patria. Fatto sta che il Poliziano, disposto a celebrare, in gloria di -Lorenzo, quasi una nuova Iliade, perfino il sacco spietato di Volterra, -e sollecito pedagogo ai figli di lui, se ebbe sempre a lodarsi del -padrone, si accorse anch'egli che il pane altrui sa di sale quando fu -poi preso in uggia dalla padrona, madonna Clarice. - -Ma tali fastidii sentì più tardi. Allora, godendosi la quiete operosa -di che già avea disperato, attendeva alla versione d'Omero. Dalla -quale non gli fu grave distrarsi per ammirare a Mantova le feste che -il Gonzaga diede in onore di Galeazzo Sforza e Bona di Savoja sposi, -nel luglio del 1471; per ammirarle e farvisi ammirare; poi che quivi, -come volle il cardinale di Santa Maria Nuova, che l'avea conosciuto -allora allora in Firenze, dovè, entro quarantotto ore e in quella tanta -confusione, mettere insieme la favola d'Orfeo. Rammentatevi che il -Poliziano, nato il 14 luglio del 1454, compiva proprio in quei giorni -17 anni. - -Perchè fosse meglio inteso dagli spettatori, l'Orfeo fu in volgare. -E forse spiacque allora al giovine umanista dover piegarsi, oltre -all'angustia del tempo, anche a codesta necessità; tanto che poi si -doleva, gli amici avessero conservato quell'abbozzo, e, pur assentendo -che ormai vivesse, gli volle unita un'epistola a testimonio della -sua riluttanza. Vero è che vi aveva cacciato dentro, per amore o -piuttosto per forza, almeno una strofe saffica sua, e due distici -d'Ovidio accomodati al proposito; ma troppo misero segno era quello -della dottrina sua e di latino e di greco! Qualche anno dopo, quando a -tutti egli appariva maestro nelle lettere classiche, s'intende invece -che non senza un segreto compiacimento concedesse agli amici la favola -improvvisata, in quella età e a quel modo, con tanta snellezza ed -eleganza di rime. E il compiacimento gli sarebbe stato maggiore se -avesse potuto prevedere l'importanza che un tempo si attribuirebbe -all'Orfeo, primo esperimento certo di adattare ai metri e alle forme -delle sacre rappresentazioni la materia profana. Un palcoscenico, più -largo che fondo, diviso, a una certa distanza, da quella che oggi -dicesi la ribalta, in due scompartimenti; al modo stesso che oggi -vediamo, per esempio, nel _Rigoletto_; salvo che nel melodramma odierno -è da un lato l'interno della casa, e dall'altro la via contigua, -mentre nella favola antica le selve della Tracia stavano a ridosso -dell'Averno, che gli spettatori dovevano immaginarsi sotterra; dalle -selve e dall'Averno si facevano a mano a mano innanzi sul proscenio -i personaggi; e supponevasi determinato il luogo dell'azione dallo -scompartimento onde essi erano usciti. L'Averno, nel quale si vedevano -vivi Plutone re, e Proserpina e Minos e una Furia, e s'intravedevano -per artificio di pitture Issione, Sisifo, Tantalo, le Danaidi, Cerbero, -le altre Furie, disse subito agli invitati del Gonzaga che l'arte -del giovinetto omerico, come lo chiamava il Ficino, li avrebbe tratti -nelle fantasie pagane; e la curiosità della festa, con quella novità, -dovè accendersi più. Ed ecco, invece dell'Angelo consueto, Mercurio -in persona a esporre l'argomento; e dopo lui, quasi a temperar la -tristezza delle morti annunziate, un pastore schiavone, cioè trace, -suscitare il riso ribadendo l'ammonizione agli uditori in un suo gergo -strano: - - State tenta, bragata; bono argurio - chè di cievol in terra vien Marcurio. - -Ma Aristeo e Mopso, sebbene pastori traci anch'essi, dan principio alla -favola ragionando tra loro in rime di squisito eloquio; e Aristeo, -perchè il vecchio intenda meglio la forza dell'amore onde è preso, -si fa accompagnare da lui sulla zampogna mentre canta una ballata di -perfetta toscanità. - - Udite, selve, mie dolce parole, - poi che la ninfa mia udir non vole. - - La bella ninfa è sorda al mio lamento - e 'l suon di nostra fistula non cura: - di ciò si lagna il mio cornuto armento, - nè vuol bagnare il grifo in acqua pura, - nè vuol toccar la tenera verdura; - tanto del suo pastor gl'incresce e dole. - - Udite, selve, mie dolce parole, - poi che la ninfa mia udir non vole. - -Tirsi, servo d'Aristeo, che si vanta di avere ravviato con suo gran -rischio nella mandria di Mopso un vitello smarrito, getta un'altra -risata nell'azione che si affretta a mal fine per colpa sua; ha vista -una donzella coglier fiori, e la descrive bellissima; onde Aristeo -riconosce l'amata e ne va in cerca e la insegue. Passano su la scena -correndo; poi si ode di dentro alla selva uno strido; un serpe velenoso -ha punto la giovine che là cercava nascondersi dall'inseguitore. -Turbati così gli animi degli spettatori, il poeta, quasi a intermezzo -di svago, fece che s'inoltrasse Orfeo con in mano la lira miracolosa, -e accennasse su questa in saffici latini le lodi del cardinale, figlio -secondogenito del marchese Lodovico, augurandogli la tiara; il marchese -dava la festa, il cardinale l'aveva voluta più bella per l'arte di -lui Poliziano: ma l'ode, già nota, credo, a' lodati, ai quali per ciò -quell'accenno bastava, era subito interrotta da un pastore: - - Crudel novella ti rapporto, Orfeo, - che tua ninfa bellissima è defunta. - -E Orfeo, con dolorosi lamenti, andava davanti all'inferno a impetrare -gli fosse resa Euridice, mortagli così crudelmente nel voler serbare la -fede coniugale. - -Nel Convito di Platone si legge un raffronto di alta idealità tra la -sorte d'Alceste e quella d'Orfeo. Alceste, osserva Platone, per salvare -il marito suo Admeto, volle morire per lui, e gli Dei le concessero -il premio di tornare dall'Ade alla luce e all'amore; ma Orfeo gli Dei -“senza effetto rinviaron dall'Orco, dopo avergli soltanto mostrato -la imagine della donna per la quale v'era disceso; non già gliela -resero, chè giudicarono, si fosse comportato vilmente e da citaredo -ch'egli era, per ciò che non avesse avuto il coraggio di morir per -amore, come Alceste, ma ingegnato a penetrar vivo nell'Ade: e di ciò -certamente lo voller punito, facendo ch'e' fosse morto dalle donne„. -Che il Poliziano, discepolo del Ficino, rammentasse il Convito, non -è improbabile; l'arte a ogni modo gli suggerì un grido almeno, che, -rispettando il mito tradizionale, desse alla parlata d'Orfeo più calore -di perorazione. Rendetemi Euridice, - - e se pur me la nieghi iniqua sorte - io non vo' su tornar, ma chieggio morte! - -Proserpina si commuove al lamento di costui genuflesso innanzi -a Plutone, al lamento che ha fatti dimentichi i tormentati e i -tormentatori dei supplizi infernali; e induce a pietà il marito: -Orfeo riavrà Euridice, solo che non si volga a guardarla prima che -siano tra i vivi. Ma il citaredo, direbbe Platone, nel cantare a gioia -“certi versi allegri che sono d'Ovidio„ dimentica il patto, e perde -la donna sua, cui richiede invano, subito spaurito (oh citaredo!), -dall'opposizione di una Furia. E peggio fa del lasciarsi atterrire; chè -bestemmia (con che ragione? ma la favola portava così) l'amore delle -donne, e si propone d'ora in poi farne a meno. Sì che una Baccante non -ha torto quando indignata chiama le compagne ad ucciderlo: e fuor dalla -vista degli spettatori lo straziano, per recarne in trionfo la testa -cantando le lodi di Bacco in una ridda gioiosa. - - Ognun segua, Bacco, te! - Bacco, Bacco, eù, oè! - - Chi vuol bever, chi vuol bevere, - vegna a bever, vegna qui. - Voi imbottate come pevere. - Io vo' bever ancor mi. - Gli è del vino ancor per ti. - Lassa bever prima a me. - - Ognuno segua, Bacco, te! - Bacco, Bacco, eù, oè! - -Così, non senza un po' nelle rime di quello schiavone o trace comico -da cui aveva prese le mosse, chiudevasi comicamente la festa. Festa -drammatica, non dramma vero, e tanto meno tragedia di tipo classico, -quale poi altri la volle per altre feste racconciare alla meglio, -con accrescerla e distinguerla in atti. Di drammatico non ha l'Orfeo -altro che il dialogo, il quale anche vi si leva sempre che può alla -lirica: troppo più efficace il contrasto degli affetti e più rude ma -viva la voce d'essi, troppo maggiore insomma la commozione del fatto -e dello stile, in alcuna delle rappresentazioni sacre di cui la festa -profana aveva accettato i metri e le forme. Se non che, pur lasciando -da parte la importanza storica che l'Orfeo ha, appunto per essersi -valso di esse forme in argomento profano, oh come dolce vi sonava -il volgare, lo spregiato volgare, ripetendo sulle intonazioni degli -strambotti popolari le immagini elette de' classici greci e latini! -Le Muse antiche tenevano un po' il broncio, nel secolo decimo quinto, -alla Musa nostra novella, che ne' due secoli innanzi aveva, non certo -volendo, minacciato pareggiarle e superarle in bellezza. Virgilio si -era soffermato con Dante sulla spiaggia del Purgatorio, dimentico di -sè e del discepolo affidatogli, a udire i versi di Dante medesimo, -che aveva musicati e ricantava Casella: e le muse di Grecia e di Roma -s'indispettivano più, ripensando quell'omaggio che il loro alunno -migliore aveva fatto alla Musa d'Italia. Spettava al diciassettenne -toscano, che traduceva Omero in latino, la gioia e la gloria del -riconciliarle nella festa italiana d'Orfeo: le antiche, non più gelose, -abbracciarono finalmente la giovine sorella; e a lei, cogliendo insieme -il destro a premiare chi aveva il merito della pace, a lei promisero -splendidi doni: le Stanze del Poliziano stesso, o l'Orlando Furioso di -Lodovico Ariosto. - - -III. - -Intonazione popolare, ho detto, e immagini classiche. Sì fatta -mistura non poteva riuscir felice, prima che ne fossero separatamente -manipolati e affinati gli elementi; e per ciò neppure al Boccaccio, -che la tentò ne' poemi, accadde d'ottenerla, se non forse qua e là -nel Ninfale fiesolano. Ma i prosecutori dell'opera sua di umanista e -di poeta, avevano, dagli ultimi decennii del trecento in poi, quali -studiata l'arte su gli antichi, quali invece teso l'orecchio alle -canzoni del popolo, quali anche coltivato insieme le canzoni e gli -studii. Onde Franco Sacchetti, così schietto popolarmente e grazioso -nelle ballate e ne' madrigali che rime sue furono poi attribuite al -Poliziano; onde Leonardo Dati, che tenta dottamente in volgare una -tragedia a uso Seneca, e in volgare sperimenta, dopo l'endecasillabo -già scioltosi dalla rima per imitazione de' latini, il verso esametro e -il saffico; onde Leonardo Giustinian, che parla in greco all'imperatore -di Costantinopoli, recita in pubblico orazioni latine, e insegna ai -liuti veneziani i più cari strambotti, le più dolci canzonette che -fossero mai state ascoltate da belle innamorate e da allegri compagni. -E, passando da liuto a liuto, da bocca a bocca, queste canzonette -veneziane o giustiniane, come le dicevano, scesero giù per l'Italia; -e Firenze, correggendole alla parlata toscana, cioè alla lingua -nostra letteraria, le fe' sue. Quando il Giustinian morì, che fu nel -1446, la poesia del popolo aveva dunque trovati cultori insigni a -raggentilirla; e a Luigi Pulci, nato nel '32, a Lorenzo de' Medici, -nato nel '48, e al Poliziano, non mancavano dunque gl'incitamenti e gli -esempii a perseverare e a compiere l'impresa leggiadra. D'altra parte, -l'imitazione de' classici aveva anche essa progredito; anzi, era giunta -allo sforzo ed alla goffaggine; non tanto, a parer mio, in quei metri -del Dati che oggi diciamo barbari, quanto nell'abuso dei vocaboli e -dei costrutti latini e delle erudizioni mitologiche e storiche alla -pedantesca. - -Il poeta dell'Orfeo, che aveva cominciato dagli studii del latino e del -greco, vedeva accanto a sè, nel palazzo Mediceo, Lucrezia Tornabuoni, -madre di Lorenzo, scrivere laudi a uso del popolo, e Lorenzo piacersi -a scrivere sacre rappresentazioni e laudi anche lui, e insieme canzoni -a ballo e canti carnascialeschi; udiva Luigi Pulci, per desiderio di -madonna Lucrezia, racconciare nel Morgante a stile fiorentinescamente -snello e a racconto maliziosamente arguto le rozze storie d'un rimatore -plebeo. Provatosi così bene al volgare nella favola mantovana, è da -credere che allora, in quella brigata di cui ho detto soltanto i nomi -più illustri, tra l'ammirare e il ridere e il dar suggerimenti, meglio -si esercitasse nelle rime dei rispetti e delle ballatine, quasi a -sollievo dalla versione dell'Iliade e dall'erudizione che accumulava -portentosa. E perchè quel rimare gli era un sollievo, non fa meraviglia -che si astenesse dagli argomenti e dai metri più alti e più laboriosi, -la canzone e il sonetto: di canzoni, una sola ne ha, a imitazione del -Petrarca; di sonetti, a quel che sembra, neppure uno; di sirventesi, -che era metro popolare, ma troppo soleva andare per le lunghe, non -più che uno, prenunziante la prima scena dell'Aminta, in servigio -di Giuliano de' Medici, per conto del quale, da coetaneo e amico, -scrisse altri versi d'amore. Le ottave dei rispetti, le strofette delle -ballate, non chiedevano alla facilità e grazia dell'ingegno e della -penna che pochi quarti d'ora, tra la lettura di due codici, la versione -di due episodii, e, un po' più tardi, tra una lezione e l'altra a -Piero, primogenito di Lorenzo, e a Giovanni. - -I sospiri, i dispetti, i vanti, le disperazioni, le maledizioni degli -innamorati, le immaginette rusticali e primaverili, gli scherzi e le -mariolerie fiorentine, le novellette e le satire, ebber vita così negli -accenti variamente affettuosi, gai, rabbiosi di quelle brevi poesie: -un mazzo che sopra è di rose fragranti e sotto di spine pungenti. -Il Poliziano era di sua natura epigrammatico, nel senso antico della -voce; spesso, scrivendo agli amici, se la godeva di sbrigarsene con -poche parole: — Ti lamenti che non ti rispondo: non ti lamentar più; -t'ho bell'e risposto. — Gran dispiacere, gran piacere ho avuto, della -tua malattia, della tua guarigione. — Siete in parecchi a chiedere -che vi scriva: ecco fatto: lettera unica, perchè vi amo unicamente; -ma le saranno più lettere, poi che a leggerla sarete in parecchi. — -Figuratevi poi, con la scaltra lingua toscana, e al bisogno col gergo -fiorentino, col verso, con le rime, in argomenti adatti, ammaestrando -le donne ad acquistarsi e a mantenersi gli amanti, narrando le -sue buone venture e sventure amorose, vituperando una vecchiaccia -sfacciata, toccando insomma quasi tutte le corde dell'antica lirica -popolare. - - Donne mie, voi non sapete - ch'i' ho el mal ch'avea quel prete. - - Fu un prete (questa è vera) - ch'avea morto el porcellino. - Ben sapete che una sera - gliel rubò un contadino - ch'era quivi suo vicino; - (altri dice suo compare): - poi s'andò a confessare, - e contò del porco al prete. - - El messer se ne voleva - pure andare alla ragione: - ma pensò che non poteva, - chè l'aveva in confessione. - - Dicea poi tra Le persone: - — Ohimè, ch'i' ho un male - ch'io nol posso dire avale. — - Et anch'io ho il mal del prete. - -Tra queste malizie il sentimento della vita e della natura, caldo, -giulivo, libero, sì da effondersi talvolta in rime che sembrano -scheggiare i canti goliardici. Ma qui anche meno abbisognan gli -esempii. Chi non sa i conforti ad amare che la fanciulla dà alle -compagne? - - Quando la rosa ogni sua foglia spande, - quando è più bella, quando è più gradita, - allora è buona a mettere in ghirlande, - prima che sua bellezza sia fuggita: - sicchè, fanciulle, mentre è più fiorita - cogliàn la bella rosa del giardino. - -E chi non sa il canto pel rinnovamento della primavera che Firenze, -la città della primavera, salutava con feste? Non eran più, nel -quattrocento, le laute accoglienze di che narra il Villani, corti -coperte di drappi e zendali, e desinari e cene; ma le schiere de' -giovani correvano ancora la città agitando i ramoscelli in fiore, le -frondi verdi, i gonfaloni selvaggi. - - Ben venga maggio - e 'l gonfalon selvaggio! - - Ben venga primavera - che vuol l'uom s'innamori. - E voi, donzelle, a schiera - con li vostri amadori, - che di rose e di fiori - vi fate belle il maggio, - - venite alla frescura - delli verdi arbuscelli. - Ogni bella è sicura - fra tanti damigelli; - chè le fiere e gli uccelli - ardon d'amore il maggio. - -Ma non c'indugi la dolcezza de' suoni. Nel gennaio del 75, Giuliano -de' Medici trionfò in una di quelle giostre che porgevano a' signori -l'occasione di ostentare lor valentia cavalcando e armeggiando; -spettacolo pomposo e gradito al popolo. Il fratello maggiore, -Lorenzo, si era meritato, sette anni innanzi, il premio in una giostra -consimile, di cui avea celebrate le gesta e l'eroe, con un poemetto, -Luigi Pulci, come si usava sì per le giostre, sì pel giuoco del -calcio, sì per altri sollazzi, dai cantastorie; i quali compievano, -dati i tempi, l'officio de' cronisti ne' nostri giornali, non so con -quanto più di verità, certo con più fatica, perchè le fandonie le -strimpellavano in rima. Anche questo genere era dunque ormai caro -a' poeti d'arte: se non che il Pulci, come nel Morgante, così nella -Giostra, lo aveva accettato, almeno per le apparenze, tal quale, -dilettandosi nella parte finta del cantimpanca o d'un suo inspiratore; -tanto che diceva dover chiudere il racconto - - perchè il compar, mentre ch'io scrivo, aspetta - ed ha già in punto la sua violetta. - -Sapete che il compare aspettava nientemeno che dal 69? ed egli smise -di scrivere soltanto allora che si preparava la giostra del 75, in cui -spettava a Giuliano il trionfare. Poco più sollecito ma più elegante -poeta ebbe questi: poco più sollecito, perchè, se ci pensò prima, e se -forse qualcosa ne abbozzò, il Poliziano non si pose a stendere il poema -ordinatamente che dopo trascorso un anno dalla giostra. In compenso non -cantò le armi soltanto; cantò, più che le armi, gli amori. - -Giuliano, che nella tela del Botticelli spira, giovenilmente pensoso, -una dolce mestizia, era innamorato, cavallerescamente e platonicamente, -com'era la moda, di quella Simonetta Cattaneo, moglie a un Vespucci, -che Piero di Cosimo, o altri, dipinse esilmente gentile. Ma la Vespucci -visse, dopo la giostra, pochi mesi più. Nell'aprile del 1476, scriveva -di lei a Lorenzo un amico ponendola accanto alla Laura del Petrarca: -“La benedetta anima della Simonetta se ne andò a paradiso, come so -harete inteso: puossi ben dire che sia stato il secondo trionfo della -Morte; chè veramente havendola voi vista così morta, come la era, non -vi saria parsa manco bella e vezzosa che si fusse in vita: _requiescat -in pace_.„ Lorenzo stesso la pianse in versi; e il Poliziano, già -interprete de' sospiri amorosi, ebbe a far distici sulle esequie, co' -pensieri che Giuliano gli suggerì. Allora il racconto della giostra -dove Giuliano si era cavallerescamente adoperato per amore e onore di -lei, si allargò nella mente del poeta e comprese in sè anche la storia -di quell'amore. Il genere popolano delle narrazioni in ottava rima di -giuochi e apparati, venuto nelle mani d'uno scrittore geniale come il -Pulci, passava pertanto da quelle di lui a più squisito artefice, e da -questo era volto alla imitazione de' carmi encomiastici antichi; non -altrimenti che i racconti romanzeschi, proprio in quelli anni, salivano -dalla piazza al palazzo per opera del Pulci medesimo, ed erano da -Matteo Maria Boiardo, traduttore d'Erodoto, avviati sulla imitazione -de' poemi classici. Ove per altro conviene aggiungere che il Boiardo fu -grande poeta, e nel calore dell'invenzione fuse stupendamente l'antico -e il moderno in un metallo nuovo; il Poliziano fu grande artista, -e nell'agevolezza dell'esecuzione compose dell'antico e del moderno -un mirabile mosaico: all'uno mancò l'eleganza della lingua e dello -stile, all'altro la virtù delle alte concezioni: l'uno e l'altro erano -necessarii a preparare Lodovico Ariosto, poeta ed artista grande. - -Ho detto con ciò il difetto e il pregio delle Stanze per la giostra: -il difetto è nel disegno generale, il pregio è nel disegno e -nell'esecuzione dei particolari. Come fare un poema degli amori cortesi -e delle armi cortesi di Giuliano? Ecco il modo. Julio, figlio della -etrusca Leda, cioè a dire Giuliano figlio della Tornabuoni, sdegnava -d'amare: Cupido volle che amasse, e in una caccia gli fece apparire una -cerva bellissima; la quale, trattolo via dalla brigata de' compagni, -disparve: ma al giovine non ne importava più, perchè si vedeva innanzi -una donna troppo più bella della cerva bellissima: la Simonetta. -Inutile dire che se ne innamora, e Cupido torna tutto lieto alla madre -Venere. Fin qui il primo libro. Nel secondo, i vanti di Cupido per la -vittoria, buona occasione alle lodi della casa medicea: il racconto -di un sogno che Venere manda a Julio, perchè si accenda a mostrare -all'amata la sua bravura in una giostra, sebbene egli abbia da quel -sogno stesso il prognostico della prossima morte di lei; e la preghiera -di Julio a Pallade, a Venere, a Cupido, che lo aiutino nell'impresa -della gloria e dell'amore. E qui il poema, come il monumento che -Michelangelo scolpì a' due fratelli Medici, rimase interrotto. Perchè? -Il 26 aprile 1478, una domenica mattina, nella chiesa di Santa Maria -del Fiore frequente di popolo, subito che il sacerdote nel celebrare -la messa si fu comunicato, Francesco de' Pazzi e Bernardo Bandini si -strinsero addosso a Giuliano co' pugnali e l'uccisero: Lorenzo ebbe -tempo a trarre lo stocco e, ferito nella gola, difendersi e riparare -nella sagrestia. Il colpo era andato a vuoto; Firenze restava ai -Medici. Ma Giuliano giaceva morto; e dopo quella tragedia non si -potevano più fiorire di rime le sue venture per una giostra bandita -a diletto. Il poeta si mutò in istorico, e narrò in latino, a mo' di -Sallustio, la congiura de' Pazzi. - -Altri osservò: se il poema rimase a mezzo, fu, anzi che un danno, un -vantaggio alla fama dell'autore: andando innanzi, egli avrebbe dovuto -descrivere vesti, cavalli, armeggiamenti; e già nel secondo libro la -poesia scade; in più libri, il tedio sarebbe cresciuto; quel panegirico -sarebbe stato letto da' soli eruditi. Io non mi lascio consolare così -facilmente. Ammettiamo pure che le Stanze avessero a crescere, pel -compimento del secondo e per l'aggiunta d'un terzo libro, che è quanto -di più si possa immaginare, di un'altra metà: il disegno generale non -si sarebbe sottratto, certo, da giuste censure; ma non gli si muovono a -ogni modo, giudicandone dal frammento? e gli episodii ci avrebbero date -bellezze, se non maggiori, pari a quelle che nel frammento ammiriamo. - -Non le rammenterò. Le lodi della vita rustica, la caccia, la Simonetta, -il regno di Venere, gl'intagli della porta nella reggia di lei, -l'albergo del Sonno, sono, a tratti almeno, in tutte le antologie, -sono, a tratti almeno, in tutte le memorie. La giostra non è più che -un pretesto: sembra che il Poliziano prometta di guidarvi a goderne -lo spettacolo, soltanto per aver modo di farvi ammirare, così senza -parere, d'una in un'altra galleria, la sua meravigliosa raccolta -di quadri e di statue. Sono i tempi de' bronzi di Lorenzo Ghiberti, -delle terre cotte di Luca della Robbia, dei marmi di Donatello, degli -affreschi di Filippino Lippi, delle tele di Sandro Botticelli; e -l'arte di tutti costoro si riflette nello specchio finissimo di quelle -ottave, che suonano e creano, secondo il precetto, da molti franteso, -del Foscolo, il quale più d'una somiglianza ebbe col Poliziano -negl'intendimenti e ne' modi dell'arte: suonano, cioè, varie, fluide, -eleganti; creano immagini adatte alla plastica e ai colori. Dopo Dante, -nessuno aveva posta nel verso tanta efficacia di rappresentazione: -nessuno ancora aveva saputo nell'ottava rima alternare, con tanta -accortezza di pause e di accenti, di piani e di sdruccioli, il forte -col tenue, il dolce con l'aspro. Il primato della lingua letteraria, -come da Leon Battista Alberti, sebbene con importanza minore d'assai, -per la prosa, così dal Poliziano era riconfermato alla Toscana per la -poesia: dopo le Stanze per la giostra, l'Orlando innamorato doveva di -necessità essere offuscato dalla fama del prosecutore che chiese alle -labbra di una fiorentina la grazia dei baci e le grazie del nostro -volgare; e doveva per ciò di necessità piegarsi, per rivaleggiare col -Furioso, al rifacimento toscano di Francesco Berni. - - La notte che le cose ci nasconde - tornava ombrata di stellato ammanto: - e l'usignuol sotto le amate fronde - cantando ripetea l'antico pianto; - ma solo a' suoi lamenti eco risponde, - ch'ogn'altro augel quetato avea già il canto: - dalla cimmeria valle uscian le torme - de' sogni negri con diverse forme. - -Lingua, stile, metro erano ormai perfetti, e compiuta l'assimiliazione -dell'arte classica nella medievale, per opera di quel giovane da -Montepulciano che tendendo nelle campagne l'orecchio alle canzoni del -popolo “beccava per tutta la via di qualche rappresaglia e canzone di -Calen di maggio„, e leggeva a diletto i nostri migliori, e poi, nel -silenzio del suo studio, meditava i testi dei greci e dei latini. - - -IV. - -L'Orfeo e le Stanze, opera quasi improvvisata la prima, non compiuta la -seconda, furono pubblicate soltanto due mesi innanzi che il Poliziano -morisse, e non per volontà di lui. Al pari del Petrarca, egli, da buon -umanista, chiedeva piuttosto e si aspettava la gloria dalla filologia -classica, nell'arte e nell'erudizione. Per ciò, interrotta dalle -Stanze, la versione d'Omero, ch'era destino restasse come le Stanze -incompiuta; per ciò, scritto in latino il commentario della congiura -de' Pazzi; per ciò, gli epigrammi greci e latini; e in latino le -elegie, le odi, le Selve, le traduzioni di prose greche, le orazioni, -i trattati, le miscellanee. Tanto più, perchè a ventisette anni già -insegnava eloquenza greca e latina nello Studio fiorentino, dove -accorrevano a udirlo tali ch'egli aveva ascoltati maestri; e perchè -l'umanesimo si andava mutando d'arte in iscienza e richiedeva ormai -lunghe e pazienti fatiche di collazioni sui manoscritti e di commenti. - -Giurazio Suppazio, che va in cerca de' dotti per tutta l'Italia, dopo -aver corse due giorni le vie di Roma con gran rischio d'essere messo -sotto dalle mule de' prelati, si sfoga con un letterato dell'ozio in -cui gli sembrano sprofondati i Romani: _otio illic marcescere homines_, -dice Suppazio; e l'altro lo prende a pugni: — To' su, bestiaccia! -_splendesco, tabesco, liquesco_ non ammettono il caso ablativo! — Più -egli cerca, con esempii, scolparsi, e più ne busca; sì che fugge da -quella grandinata e va a lagnarsene altrove; ma non ha aperto bocca, -che il confidente lo interrompe: — O non ti vergogni a codesta età, -non saper di latino? _iniuriam patior_ chi te l'ha insegnato a dire? -— Neppur qui valgono al disgraziato gli esempii; e quando vede che il -grammatico stringe i pugni, fa tutta una corsa fino a Velletri. La -satira è come uno specchio convesso che altera la proporzione delle -fattezze e suscita il riso: ma il volto sformato è pur nello specchio -quel dato volto e riconoscibile a tutti: così nel dialogo del Pontano -accade al purissimo de' ciceroniani ignoranti. Or quando si può far -satira tale, la diffusione e la intensità dell'umanesimo, rispetto -allo scrivere latino, sono palesi. Ridicola appariva ormai la lingua -letteraria del medio evo, tanto lontana da quella dei classici; e la -questione che si agitava non era più che questa: si ha da scrivere -coi vocaboli e i costrutti di Cicerone solo, o sarà lecito valersi -d'altri vocaboli e costrutti usati dagli altri antichi? e, al bisogno, -coniare vocaboli nuovi? il Poliziano fu per la libertà, diciam pure -per la licenza, e ne sostenne fiere baruffe, che lasciò in eredità -ai discepoli. Ma come Erasmo, eclettico anche lui, esclamò piacergli -più quel che il Poliziano scriveva dormendo, di quel che un suo -avversario, Bartolommeo Scala, da sveglio e con ogni cura; così, oggi -che l'eclettismo ha perduta la guerra, i critici lodano ancora nello -stile del Poliziano, sia pure a mosaico e tutto fioretti, un gran -sapore di latinità, e un vigore, una grazia, singolari. L'elegia per -le viole avute in dono dalla sua bella (vo' credergli non fosse ancora -canonico!) quella in morte di Albiera degli Albizzi, che prenunzia le -Stanze, l'ode ad Alessandro Cortesi, i giambi contro una vecchia (anche -in latino ricantavano i motivi popolari), gli esametri delle Selve con -le quali splendidamente iniziò le sue letture pubbliche di Virgilio, -d'Esiodo, d'Omero; e in prosa, le epistole, la prelezione alle Priora -d'Aristotele, il trattatello sull'ira, la narrazione della congiura, -sono tra i capolavori del latino recuperato, com'egli diceva, dalla -barbarie dell'evo medio. “Non son mica Cicerone io! me stesso, se non -m'inganno, ho da esprimere.„ Il ragionamento, a dir vero, zoppica; o -non aveva, ad esprimersi, il volgare? Ma il libraio degli umanisti -fiorentini, Vespasiano da Bisticci, affermava, quasi interprete di -tutti loro, che “nello idioma volgare non si può mostrare le cose con -quello ornamento che si fa in latino„. Esperienza del contrario fece -il Poliziano medesimo, e si mostrò restio, almeno in parte, al detto -del Filelfo: in volgare si scrivon le cose che non vogliamo far sapere -ai posteri. Restio pe' versi, non per la prosa; e voi rammentate che -dell'uccisione di Giuliano lasciò ai posteri la grave memoria in un -racconto latino. Del resto, anche per la poesia, troppa distanza poneva -tra i classici e i moderni. In una Selva, celebrati i greci e i latini -con più di settecento esametri, si sbriga con otto soli di Dante, -del Cavalcanti, del Petrarca, del Boccaccio: è un cenno in cui suona -l'affetto; ma l'ammirazione sua va ai padri antichi, non ai recenti -fratelli. - -“La sapienza latina e greca le abbracci per modo che non è facile -accorgersi di quale tu possegga più. Senza adulazione, Poliziano -mio, non c'è che un solo, o due, o forse nessuno, degno d'esserti -paragonato: se foste in più, il secolo nostro non avrebbe di che -invidiare gli antichi.„ La lode è d'un giudice amico, è del candido -Gian Pico della Mirandola; ma data l'enfasi epistolare d'allora, -esagerata non è. Il Poliziano, componendo epigrammi, traducendo Omero, -le Storie d'Erodiano, il Manuale d'Epitteto, fu veramente, anche per -le lettere greche, così elegante scrittore come sagace interprete, -e benemerito della filologia moderna. La quale, se ammira quella -tanta facilità e vivacità dello scrivere latino e greco, sia pure -che, fatta più accorta da quattro secoli di studii, abbia qua e là a -notare qualche scappuccio di stilistica e di prosodia, attribuisce al -Poliziano lodi maggiori per avere, con senno ed acume di critica, bene -avviata e procurata la restituzione e la interpretazione dei testi, e -lo saluta come uno de' maestri primi. Grammatico si vantava egli; ma -la sua grammatica era la filologia tutta e comprendeva tutta la vita -e la letteratura degli antichi. “Di grazia, m'avete voi per tanto -insolente o stolto, che se alcuno mi desse del giureconsulto o del -medico, non crederei in tutto ch'e' volesse il giambo de' fatti miei? -E pure (sia detto senz'arroganza) gli è buon tempo ch'io lavoro, e di -lena, ad alcuni commentarii sul Diritto civile, ad altri su maestri di -medicina; nè voglio acquistarne altro nome che di grammatico; pregando -che non mi sia invidiata questa qualifica, schifata pure da certi -messeri come vile e spregevole.„ Codesto grammatico raffronta codice a -codice; corregge col raffronto gli errori; dove il raffronto non giova, -fa congetture, e spesso indovina, come poi altri codici proveranno; -intende ciò che fino a lui pareva oscuro; e può nella prima centuria -delle Miscellanee mostrare, da gran signore, senza ostentarla, una -dottrina e una sagacia che sarà mirabile a tutti gli studiosi, dopo -essere stata gradita a Lorenzo de' Medici, il quale cavalcando con -a fianco l'amico, si dilettava ascoltarne le primizie. Così talvolta -si dilettavano insieme assistere alle dispute de' dottori rivali su -questioni di leggi; e d'una avvenuta in Pisa, riferiva così il bidello -al notaio dell'università: “Riscaldandosi e giostranti nell'arme si -fe' buio, e col torchio finì detta disputa. Venendo loro (Giason del -Maino e il Soccini disputanti) a un certo passo d'un testo, del dire -in un modo a dire nell'altro, Lorenzo e M. Agnolo Poliziano suo mi -mandò con sua volontà per uno codice, e trovata la legge, M. Agnolo la -lesse presso Lorenzo.„ Questo nel 1489; l'anno dopo, la collazione del -manoscritto delle Pandette era finita, e il Poliziano aveva sospinta -con essa anche la culta giurisprudenza a progressi crescenti. E nella -giurisprudenza, oltre quel merito del testo restituito a lezione -migliore, a lui spetta quest'altro, dell'aver accennato per primo alle -traduzioni greche del dritto giustinianeo, ai Basilici e a Teofilo, con -opinioni che la scienza odierna, se non le accetta tali quali, ancora -discute. - -Quando nel 1494, due anni dopo il suo Lorenzo, il Poliziano morì, che -non contava ancora quarantun anno, l'umanesimo trionfava negli studii, -nell'arte, e, quel che più importa, nella coscienza italiana. Eccone, -per molti, un esempio men noto. A Reggio d'Emilia, negli ultimi mesi -della vita del Poliziano, corse voce fosse sottratto, o che presto -sarebbe, dal convento de' Carmelitani, un codice ove un frate umanista, -Michele Ferrarmi, aveva raccolte quante più iscrizioni antiche gli -erano capitate in lunghi anni di ricerche. La città si commuove; -gli anziani si adunano e fan provvisione, si mandino al convento tre -deputati i quali parlino col priore e diano opera a che il prezioso -manoscritto sia incatenato e talmente affisso nella libreria del -convento che mai non possa esserne nè tratto nè sottratto, ma resti -(son le parole della deliberazione) quasi un altro libro delle Pandette -nella città di Reggio perpetuamente. I deputati andarono; i frati si -scusarono e promisero; Reggio vanta ancora nella sua biblioteca il -codice del Ferrarini. - -Tali gli effetti dell'umanesimo. Del quale io, parlandovi d'Angelo -Poliziano, non potevo e non dovevo colorire il quadro compiuto che -la serie di queste letture vi andrà troppo meglio a mano a mano -dipingendo. Ma non vi dissimulo che il Poliziano stesso mi avrebbe data -occasione a farvi almeno intravedere anche il rovescio della medaglia, -la petulanza del chiedere, i costumi facili, le invidie, le insidie, -i furori letterati, se avessi stimato utile ed opportuno, dentro lo -spazio d'un'ora, fermarmi su i vizii e su i malanni dell'uomo, e del -tempo suo, piuttosto che sulla virtù di quella mente e sulla importanza -del rifiorire degli studi classici. Che se poi non fossi riuscito -neppure in ciò, mi valga uno di quelli epigrammi che il Poliziano si -compiaceva aguzzare nelle sue lettere: lo scrisse a Gian Pico, un -giorno che nel far lezione l'avea veduto tra gli scolari; ed io lo -parafraso ed estendo a voi tutti: “Per farmi onore vi siete messi a -sedere qui innanzi a me, quasi mi foste scolari. Non v'aspettate la -mia gratitudine. Se la lettura v'è piaciuta, sta a voi l'esserne grati -a me; se poi la non v'è piaciuta, oh non ci mancherebbe altro che vi -dovessi esser grato io!„ - - - - -LA LIRICA DEL RINASCIMENTO - -DI - -ENRICO NENCIONI. - - -I. - -La più grande lirica del Rinascimento, è la poesia che emana da -quell'epoca stessa. - -Epoca unica e veramente maravigliosa! I suoi grandi personaggi non -vivono isolati, come quelli di altre epoche insigni; ma respirano in -un ambiente medesimo, e hanno, dirò così, un'a_ria di famiglia_ che -ce li fa subito riconoscere. La gioventù, la curiosità scientifica, -l'aspirazione, ne sono le più spiccate caratteristiche. Quegli -_umanisti_ non sono dei dotti pedanti, ma degli _editori_ entusiasti. -Quegli eruditi, come Pico della Mirandola, son dei poeti. È un'epoca -_aurorale_, in cui tutto si intravede in una rosea luce di gioventù -e di poesia. Pensate! Lorenzo, il Savonarola, Pico, Brunellesco, -Leonardo, Guttemberg, Colombo, Copernico! — Tutto il Mondo moderno è -racchiuso in questi gran nomi. Si scuopre il Cielo e la Terra, gli -astri e l'America, la stampa e l'Oriente. Si commenta Platone, si -stampa Omero e Virgilio. Si rivela e s'adora il volto sempre giovine -e raggiante dell'antichità, che si credea tanto vecchia! In un'estasi -mistica e estetica, si tenta di conciliare i due grandi antagonismi, -Paganesimo e Cristianesimo. Fioriscono di vita nuova la geografia, la -storia naturale, la meccanica, la medicina, l'anatomia, la pedagogia. -Un Italiano completa la Terra: un Polacco scuopre l'infinito nel Cielo. -Savonarola attesta la coscienza morale e la libertà: Leonardo, la -universale parentela della Natura. _Simpatia umana_ è il motto sacro -del Rinascimento — prima che esso degeneri in Accademicismo e precipiti -nel Barocchismo — per poi tornare alle sue grandi origini del secolo -XIV e XV, e dar la mano al secolo XVIII e al secolo nostro. - - -II. - -Esaminando le opere dei principali lirici del Quattrocento, vediamo -che la poesia idillica è la predominante: poi vien quella amorosa, -sensuale o elegiaca: poi la popolare, sacra o profana. Vediamo che il -Pulci nella sua stravagante e possente fantasia pare un'eco medievole -in mezzo al Rinascimento — che il Poliziano è il più essenzialmente -greco-latino, e il più artista — che il Magnifico ha più di tutti il -senso della realtà, e il Boiardo quello della poesia e della bellezza. -In tutti c'è, più o meno, l'intendimento e l'attitudine a rappresentare -nel verso la natura esteriore. Sotto un certo aspetto, son tutti -poeti _naturalisti_: ma il metodo descrittivo varia nei diversi -poeti. Lorenzo, come in pittura il Ghirlandaio, trascrive la immagine -esteriore delle cose, con una grafica precisione. Il Boiardo e il -Poliziano, vedono nella figura esteriore _qualche altra cosa_; e, come -il Botticelli, sono immaginosi più che drammatici. - -In tutti però, eccetto Lorenzo de' Medici, l'osservazione della natura -è piuttosto limitata. Al lettore moderno, che ha letto Rousseau e -Goethe, Wordsworth e Shelley, Lamartine e Giorgio Sand, Tennyson e -Victor Ugo, pare che quei lirici del Quattrocento non abbian visto -che la primavera tra le stagioni, le rose e le viole tra i fiori, -e il rosignolo tra gli uccelli. Somigliano un po' a certi lirici -tedeschi, i cui _Lieder_ son composti con un limitatissimo e monotono -dizionario poetico: _cielo_, _luna_, _aprile_, _sorriso_, _vergine_, -_rose_, _gigli_, _rosignoli_, _amore_ e _dolore_.... Ma la nota -monotona, insistente come il ritornello d'un merlo, è sempre la -Primavera. Talchè, leggendoli, alla lunga ci prende un desiderio, una -simpatia, una voglia irresistibile di un po' di pioggia, di neve e di -tramontana.... - -Il vero realista è Lorenzo. Esso il primo interrompe la convenzionale -tradizionale _ottimista_ nelle pitture rurali. Ha visto il grano e le -rose, ma anche le ortiche ed il concio — le ghirlandette e i pruneti — -i rispetti e le serenate, e il sudiciume e la fame. - -Nel suo delizioso poemetto, _L'Ambra_, la piena del fiume è descritta -nei più realistici e dolorosi particolari. - - Appena è stata a tempo la villana - Pavida a aprire alle bestie la stalla. - Porta il figlio che piange nella zana. - Segue la figlia grande, ed ha la spalla - Grave di panni vili, lino e lana: - Va l'altra vecchia masserizia a galla, - Nuotano spaventati i porci e i buoi.... - -Non pare staccato da una pagina della _Terre_ di Emilio Zola? E com'è -schiettamente contadinesco il Canto d'amore _la Nencia da Barberino_! -Immagini e favola, tutto è perfettamente _rusticano_ e _fiorentino_. - - Non vidi mai fanciulla tanto onesta, - Nè tanto saviamente rilevata: - Non vidi mai la più pulita testa, - Nè sì lucente nè sì ben quadrata. - Ell'ha due occhi che pare una festa - Quand'ella li alza, e che ella ti guata: - E in quel mezzo ha il naso tanto bello - Che par proprio bucato col succhiello. - -E che efficacia di rappresentazione nei suoi Canti Carnascialeschi! -Sia nei Mitologici, come le _Parche_, _Bacco e Arianna_, il _Trionfo -d'Amore_; sia nelle Mascherate dei Mestieri, come i _Cialdonai_, le -_Filatrici d'oro_, i _Calzolai_.... In moltissimi il doppio senso -è lubrico, spesso addirittura osceno, quale sarà più tardi in certi -Capitoli del Berni, dei Bernieschi, e dell'Aretino — talvolta è velato -da una maliziosa ironia, come nel Carro delle _Mogli giovani_ e dei -_Mariti vecchi_. - - _I Vecchi._ — Deh? vogliateci un po' dire - Qual cagion vi fe' partire, - D'aver preso altro amadore - Vi farem tutte pentire. - - _Le Mogli._ — Deh, andatene al malanno, - Vecchi pazzi rimbambiti! - Non ci date più affanno!... - Contentiam nostri appetiti. - Questi giovani puliti - Ci dann'altro che vestire.... - -E che movimento bacchico, che allegra spensieratezza pagana, che -gioconda esultanza di ritmo, nel _Trionfo di Bacco e Arianna_! - - Donne e giovinetti amanti, - Viva Bacco e viva Amore! - Ciascun suoni, balli e canti! - Arda di dolcezza il cuore! - Non fatica, non dolore! - Quel c'ha a esser, convien sia, - Chi vuol esser lieto, sia; - Di doman non v'è certezza. - Quant'è bella giovinezza - Che si fugge tuttavia. - -La figura di Sileno in questo medesimo Canto ha tanto rilievo, che par -gettata in bronzo dal Pollaiolo. - - Questa soma che vien dreto - Sopra un asino, è Sileno: - Così vecchio, è ebbro e lieto, - Già di carne e d'anni pieno. - Se non può star ritto, almeno - Ride, e gode tuttavia.... - Chi vuol esser lieto, sia: - Di doman non v'è certezza. - -Lo stesso Lorenzo scriveva poi _Laudi_ e _Sacre Rappresentazioni_. -Spesso, una medesima aria serviva a una Lauda divota, come _Crocifisso -a capo chino_, — e a una lasciva Canzonetta, come _Una donna d'amor -fino_. Lorenzo è un gran dilettante, pel quale tutti i _motivi_ poetici -sono buoni — e passa con intrepida disinvoltura dal Canto sacro della -_Mater dolorosa_, al Canto carnescialesco dei _Bericuocolai_. - - -III. - -Come poeta, credo che la sostanza, la vera eccellenza del suo ingegno, -consista nel suo realismo. Qui sta la sua originalità, e l'attrattiva -che esercita sul lettore moderno. È anch'egli un _impressionista_ -(dei buoni) che trova sempre il modo di dar forma artistica — più o -meno felice, ma sempre fresca e schietta — a tutto ciò che colpisce il -suo occhio, la sua fantasia, il suo sentimento. Invece di Venere o di -Lucina, canta la Nenciozza, — invece di figurarsi Cipro e Delo, dipinge -dal vero Careggi e il Mugello, — invece degli Auguri o delle Sibille, -ritrae i Beoni e i Cialdonai. Non ha nulla dell'accademicismo del -Sannazzaro, o della estetica del Poliziano. È spesso rude e scorretto — -ma è il più vicino alla natura; e ha un sentimento della campagna così -vivo e diretto, che in tutta la storia letteraria dell'Europa (fatte -le debite differenze di epoca, di nazione e di carattere) non trovo da -paragonargli che Roberto Burns. - -Invece, il mondo poetico del Poliziano è un riflesso di Teocrito, di -Virgilio, di Ovidio, di Stazio, del Petrarca: ma la sua immaginazione -trasforma, trasfigura ciò che raccoglie, in modo così felice, che -ci apparisce quasi come una nuova creazione. Egli mette nelle sue -reminiscenze classiche l'entusiasmo dell'umanista — e dà moto, vita e -passione, ai più freddi fantasmi mitologici. Egli canta Venere e Diana, -con l'ardore con cui Swinburne ha cantato oggi Federa e Atalanta. - -Di più: come il Boiardo, egli è un insigne decoratore: ha il -senso squisito della ornamentazione: la sua tavolozza di colori è -maravigliosa. Chi non ricorda il ritratto della Simonetta, il quale è -appena inferiore per colorito, e supera, per grazia, quello d'Alcina? -Chi non sa a mente certi suoi versi deliziosi, come: - - Ridele attorno tutta la foresta. - L'erba di sua bellezza ha maraviglia, - Gialla, cilestra, candida e vermiglia. - -e le fragranti strofe della ballata _Il giardino delle rose_? - -Dove poi il Poliziano ha note intense di vera poesia è nei _Rispetti_. -Eccone uno, sensuale e delicato ad un tempo: - - So' innamorato d'una rosa rossa, - E il giorno non mi so da lei partire. - Quando ci passo il suo bel petto mostra, - Ed è sì bianco, che mi fa morire. - -E che dolore passionato in quest'altro! - - Ti vengo a rivedere anima mia, - E vengoti a vedere alla tua casa: - Pongomi inginocchioni in su la via. - Bacio la terra dove sei passata! - Bacio la terra ed abbraccio il terreno: - Se non m'aiuti, bella, i' vengo meno. - -Dal Poliziano al Rückert, dal Dall'Ongaro alla Robinson, quanti poeti -hanno imitato i Rispetti e gli Strambotti Toscani! - -Ma non credo che nessuno di questi poeti abbia raggiunto l'altezza -lirica di quattro versi, improvvisati in una serenata da un contadino -della montagna di Pistoia, raccolti e editi dal Tommaseo: - - Una fila di nuvole d'argento - Innamorate al lume della luna - Vengon per l'aria portate dal vento - A salutarti, o bella creatura! - -Che larghezza di orizzonte, che movimento, e che luce nel verso -meraviglioso - - Vengon per l'aria portate dal vento! - -È degno di Dante — e ricorda infatti la divina terzina: - - Come nei plenilunii sereni, - Trivia ride fra le Ninfe eterne - Che dipingono il ciel per tutti i seni. - -Il Poliziano ha cose eccellenti anche nelle canzonette popolari. In -quella — Io vi vo' donne insegnare — Come voi dobbiate fare — vi sono -strofe di lepida arguzia; per esempio: - - Fate pur che 'ntorno a' letti - Non sien, donne, mai trovati - Vostre ampolle e bossoletti; - Ma teneteli serrati. - I capei, ben pettinati - . . . . . . . . . - State poi sempre pulite; - Io non dico già strebbiate. - Sempre il brutto ricuoprite, - Ricci e gale sempre usate. - Vuolsi ben che conosciate - Quel che al viso si conviene: - Chè tal cosa a te sta bene, - Che a quell'altra ne dispare. - Ingegnatevi star liete, - Con bei modi ed avvenenti: - Volentier sempre ridete, - Pur che abbiate netti i denti. - . . . . . . . . . . . - Imparate i giuochi tutti, - Carte e dadi, scacchi e tavole, - Perchè fanno di gran frutti, - Canzonette versi e favole. - Ho veduto certe diavole - Che pel canto paion belle: - Ho veduto anco di quelle - Che ognun l'ama per ballare. - -Accanto al Poliziano, metterei il Boiardo; e, come pura immaginazione, -forse gli è superiore — anzi, senza forse. È il più essenzialmente -immaginoso di tutti i poeti del Rinascimento, non solo nell'_Orlando_, -ma anche nelle _Rime_. In tutti gli altri poeti epici e romanzeschi, -dal Poliziano e dal Pulci a Torquato Tasso, c'è qualche cosa di -artificioso e di teatrale — vi sono echi delle feste di Mantova e di -Firenze, di Roma e di Ferrara — meccanismi e macchine pirotecniche, -come nelle feste per Alfonso d'Este, o in quelle di Boboli e Pratolino -per Bianca Cappello. Il Boiardo invece vede tutto in un mondo magico -e etereo — è il più _orientale_ dei raccontatori — è il più indigeno -abitatore della _Faery-Land_ che sia mai esistito — anche più -dell'Ariosto, e di Spenser stesso. - -Come lirico, unisce alla fiorente immaginazione un vivissimo colorito. -Certe sue poesie ricordano nel mondo letterario il _Liebesfrühling_ -di Rückert e il _Buch der Lieder_ di Heine — nel mondo artistico, le -facciate smaglianti delle cattedrali di Orvieto e di Siena — e nel -mondo naturale, un prato o un campo di maggio, quando tra l'erba alta -e verdeggiante brillano fiori candidi e azzurri, e, come intensi e -voluttuosi desideri, ardono tra 'l verde, i petali di seta e di fiamma -dei rosolacci scarlatti. Ne prendo una tra cento: - - Leggiadro veroncello, ov'è colei - Che di sua luce illuminar ti suole? - Ben vedo che il tuo danno a te non duole; - Ma quanto meco lamentar ti dei! - - Senza la sua vaghezza, nulla sei. - Deserti i fiori e secche le viole, - Al veder nostro il giorno non ha sole, - La notte non ha stelle senza lei. - - Pur mi ricordo ch'io ti vidi adorno, - Tra bianchi marmi e colorito fiore, - Da una ridente candida persona. - - Al tuo balcone allor si stava Amore - C'or te soletto e misero abbandona, - Perchè a quella gentil respira intorno. - - -IV. - -Fin da ragazzo avevo letto nelle storie letterarie e nelle Antologie -che pregio dell'_Arcadia_ del Sannazzaro era la bellezza delle -_Descrizioni campestri_. Ma anche prima ch'io “fuor di puerizia -fossi„ mi accorsi leggendolo che il Sannazzaro descrive.... come può -descrivere _un cieco_. Mi spiego. Un cieco può parlare di oggetti -visibili che non gli è dato distinguere — parlare di stature, di -misure, di forme, anche di colori: ne ha sentito parlare, e ripete ciò -che ha sentito dire. Così il Sannazzaro ci parla di boschi, di luna, -di aurora, di uccelli, di laghi, perchè gliene hanno detto qualcosa -Virgilio, Ovidio, i Greci, il Boccaccio — ed egli ripete, quasi sempre -male, quel che essi hanno detto bene. - -A provare che il Sannazzaro non è vero poeta, cioè un veggente, cioè -un uomo che _vede meglio e più addentro che gli altri_, nell'uomo e -nella natura — basta guardare i suoi aggettivi. Non ne trovi mai uno, -dico uno, che, come fan sempre quelli di Dante, dia vita e fisonomia -e colore al suo sostantivo. Son tanto comuni che, dato il sostantivo, -s'indovina subito l'epiteto che l'accompagna. - -Apro a caso e leggo: - -“Gli aratori tutti lieti, con _vaghi_ e _dilettevoli_ giuochi, intorno -ai _candidi_ buoi, per li pieni presepi cantarono _amorose_ canzoni. -Oltra di ciò li _vagabondi_ fanciulli (_vagabondi_, in altro senso, -non sarebbe cattivo) con le _semplicette_ verginelle se videro per le -contrade exercitare _puerili_ giuochi in segno di _comune_ leticia.„ - -Ecco dei versi d'un'Egloga lodata. Parla il pastore Barcinio a -Summonzio. - - _Barcinio._ — Una tabella pose per munuscolo - In su quel pin: se vuoi vederlo, or alzati, - Ch'io ti terrò su l'uno e l'altro muscolo. - - _Summonzio._ — Quinci si vede ben senz'altro ostacolo - Filli, quest'alto pino io ti sacrifico, - Qui, Diana ti lascia l'arco e l'jacolo. - — Questo è l'altar che in tua memoria edifico, - — Quest'è il tempio honorato e questo è il tumulo - In ch'io piangendo il tuo bel nome amplifico. - -Certo, questi pastori hanno avuto sempre _dieci_ in latino, e sono -stati tutti all'_Università_.... Paragonate questi _dotti_ vestiti da -pastori, agli schietti e veri e vivi contadini di Lorenzo de' Medici! - -Sarebbe però ingiusto il negare al Sannazzaro la facoltà che ha, in -qualche scena silvestre o rusticana, di darci una serie di graduali -impressioni che han del poetico — il senso della composizione, della -euritmia, della _Symetria prisca_. Peccato che egli si compiaccia e -si pavoneggi quasi sempre nella imitazione _formale_, in una specie di -trascrizione dai Latini, quasi a sfoggio di saccenteria. - -Un valente critico, anche troppo benevolo al Sannazzaro, scrisse che -l'_Arcadia_ fu come un sogno per l'autore, e diventa un sogno per -il lettore — che i personaggi son quasi tutti _fantasmi_ piuttosto -che veri caratteri. Il Sannazzaro viveva nel più luminoso paesaggio -d'Italia; aveva sotto gli occhi il golfo di Napoli, Posilipo, Amalfi, -Sorrento; e non sa che _intravedere_ uomini e cose, come fantasmi in -un sogno! Aggiungete che i personaggi d'_Arcadia_, questi fantasmi che -non sappiamo distinguere, e che non ci interessano, nè ci commovono -mai, nè per le loro avventure, nè coi loro lamenti, erano, sotto nomi -pastorali, personaggi veri e _viventi_, amici e parenti del Sannazzaro, -che egli ha paralizzato con le sue frasi latine, e mummificato coi suoi -periodi boccaccevoli. La poesia che in Dante e nei veri poeti mette -la vita anche dov'era la morte — nel Sannazzaro mette invece la morte -dov'era la vita; perchè l'arte vivifica, e l'artificio dissecca. Sì, -pare incredibile, ma è vero e provato. La insipida pastora _Massilia_ -è la Masina, madre del Sannazzaro, da lui tanta amata — _Amaranta_, è -la sua diletta Carmosina — _Melisco_ è il Pontano — _Fronimo_ è Gian -Francesco Caracciolo — persone vive e vere, che egli vedeva tutti i -giorni, e che egli ha _seppellite per sempre_ nel classico e freddo -sepolcro dell'_Arcadia_. - -Se nella poesia e nella prosa, nell'_Arcadia_ e nelle _Rime_, il -Sannazzaro imita continuamente gli antichi, da Virgilio a Claudiano, si -può dire che saccheggia addirittura il Boccaccio. - -Anche quando vuol descrivere la _sua_ Napoli, il Sannazzaro non sa far -altro che trascrivere dal Boccaccio. Ma il Boccaccio che, nonostante -i latinismi e l'artificio, e un certo manierismo, è un gran poeta -in prosa, rimane il solo vero ed efficace descrittore di Napoli. Il -placido, azzurro, tepido mare di Baia, Posilipo e Castelnuovo, la tomba -di Virgilio e Pozzuoli, Cuma e Caprea, ce lo rammentan sempre. - -Dopo il Boccaccio, chi ha più sentito e meglio tradotto la poesia di -Napoli, è Lamartine. Boccaccio e Lamartine — spaventosa concordia! -eppure, o Signori, è così. Quell'incanto molle di Napoli, quello -spettacolo unico di cielo e di mare, dove in uno sguardo si vede, -dirò così, il fiore della Vita — dove la terra è una festa, e il -cielo un paradiso — il sensuale amante della Fiammetta lo sentì come -lo spirituale poeta di Elvira. Tatti e due avevano respirato l'aria -balsamica e luminosa delle notti napoletane — tutt'e due avean errato -sul golfo nell'ora ineffabile in cui la luna declina verso il Capo -Miseno, e impallidisce e svanisce tra le prime rose dell'aurora. - -Nel Sannazzaro già trasparisce il lato debole, anzi cattivo -dell'epoca. Come in Lorenzo e in Leonardo è il lato _dialettico_, nel -Sannazzaro è il lato _sofistico_ del Rinascimento: la cieca idolatria -del classicismo, delle regole consacrate e dommatiche, e quello -spirito legislativo e dottrinario, che doveva finalmente soffogare -l'immaginazione e la libertà individuale, e precipitare fino ai -deliri del grottesco e del barocco, i sistematici adoratori del _Bello -Assoluto_. Già fino dalla fine del secolo XV, per molti letterati, ciò -che importa non è più _cosa_ s'ha a dire, ma _come_ si deve dire. Una -menzogna o una turpitudine in bei periodi Ciceroniani, si preferisce -a una verità o a un gran pensiero nel cattivo latino di Abelardo e di -san Tommaso. Dei cardinali umanisti raccomandano a dei giovani prelati -di non fermare il pensiero sulle orazioni della Messa o sulle parole -dei Salmi, per non sciuparsi _lo bello stile_. Si paganizzano perfino -i nomi, e Pietro si muta in _Pierio_, e Giovanni in _Gioviano_. Lo -scrittore finisce col non dir più quello che pensa, o immagina, o sente -— ma pensa solo a delle _frasi_ — vede, non più il mondo immenso della -Natura, ma il mondo limitato dei classici, e trascrive servilmente -questo, come modello assoluto, e quasi sempre lo sciupa nel riprodurlo. -La forza trionfante, l'indifferenza nella scelta dei mezzi pur di -riuscire, la bellezza sensuale e voluttuosa, il godimento raffinato -e egoistico, divennero un nuovo Vangelo — tanto che la Letteratura -e l'Arte, queste due confessioni della Società, ne furon finalmente -viziate, infette nell'intimo organismo, e mostruosamente pervertite. -E si ebbero per ultima conseguenza, poemi cortigianeschi deliranti -e snervanti, drammi da macchinisti, pitture e sculture di Dei senza -potenza, di Vergini senza pudore, di uomini senza carattere: Santi -che paion facchini e odalische — Angeli che somigliano ad acrobati o a -ballerine — moli enormi e insolenti di marmo e stucco sciupati, che si -chiamano chiese, palazzi e sepolcri. - -Il vizio del Rinascimento dopo il suo primo fiore, fu il culto -eccessivo e la servile imitazione delle forme antiche. Finì per non -guardar più alla Natura, unica e inesausta sorgente d'ogni Vero -e d'ogni Bello; e lo vide solo attraverso i libri: e avemmo una -letteratura convenzionale, un accademicismo rettorico. Dante, il gran -conciliatore della Natura e dell'Arte, della dottrina e della poesia, -fu dimenticato. Poi l'ingegno umano, pazzo d'orgoglio, non imitò più -neppure i classici, ma pretese ricavare ogni invenzione dalla propria -fantasia, _creare_ senza guardare più nè il Vero nè gli antichi, e -avemmo il Marini e il _Secento_. - - -V. - -E quanto alla Poesia, ricordiamoci sempre, o Signori, che il primo, -il vero, l'_insuperato_ Rinascimento, è in Dante. Dopo lui, non -c'è progresso. Come hanno potuto alcuni critici recenti affermare -che il _Sentimento della Natura_ e il _Sentimento umano_ cominciano -nella nostra poesia col Petrarca? Tutte le volte che Dante dipinge -scene naturali, dal cielo stellato alle pecorelle, dal turbine a un -uccellino, rimane insuperato non solo dal Petrarca, ma da quanti poeti -hanno cantato in Italia per cinque secoli. Solo il Leopardi, qualche -rara volta, gli si avvicina. Dante rimane il tipo del vero umanista; -perchè adora l'antico, ma non abdica mai nè la sua fede, nè la sua -epoca, nè la sua personalità. Egli solo nel suo tempo è grande poeta e -grande scienziato — dopo lui la poesia e la scienza fanno in Italia un -deplorevole divorzio. Nè si ripeta la solita storia delle dissertazioni -_teologiche_. Dante è sommo e unico non _per_, ma _malgrado_ i suoi -Canti teologici. - -E il Sentimento umano? Non solo egli lo espresse in modo sovrano prima -del Petrarca; ma espresse _tutti_ i sentimenti umani: talmente che -anche oggi, dopo tanti secoli, non possiamo in questo paragonargli -_nessuno_, almeno in Italia. Pensate! Manfredi, Casella, Piccarda, -Farinata, Pier delle Vigne, Buonconte, Sapia, Francesca, Ulisse, -Ugolino, Filippo Argenti, Sordello, Romeo! - -.... “Ma le soavi, divine elegie del Petrarca, ma il colorito del -Poliziano....„ Benissimo, — ma in Dante c'è ogni cosa: è una sinfonia -orchestrale dove c'è l'organo solenne, e il violino appassionato, e le -note ardenti della tromba di guerra, e i sospiri del flauto. Quando -Dante è elegiaco, è più soave e più patetico di tutti i Petrarca del -mondo — quando Dante colorisce, non gli son paragonabili che Tiziano -e Velasquez — e nei sinistri crepuscoli; o nelle tragiche tenebre, -Rembrandt. - -I _quattro_ Classici!!... Ma fra Dante, e il più grande degli altri tre -che è l'Ariosto, ci sarebbe posto almeno per altri due o tre poeti. Di -Dante può dirsi ciò che il Petrarca cantò della Vergine: - - Cui nè primo fu, simil, nè secondo. - -Per trovargli un _compagno_, bisogna uscire d'Italia — e non ne -troviamo che _uno_: Guglielmo Shakespeare. - -E come impallidisce anche tutta questa Lirica del Quattrocento, -paragonata a certi accenti lirici della _Vita Nuova_ e del -_Purgatorio_, non solo come sentimento e immagini, ma anche come -pura _forma_ poetica! Dante resta incomparabilmente primo anche come -artefice di versi nel tecnicismo del ritmo, come _stilista_. Ha certe -audaci e felici inversioni, certi effetti di colore e di suono, da fare -impallidire i più consumati maestri della parola poetica, da Goethe a -Victor Ugo, dal Foscolo a Tennyson, dallo Shelley al Carducci. - -Perchè notate, o Signori, che nei poeti del Quattrocento, accanto a -versi bellissimi, a strofe perfette, trovate versi deboli o manierati, -l'epiteto ozioso e insignificante, la _zeppa_: un lavoro di mosaico -e di tarsia, dove manca la pastosità del cemento, il magistero -dell'artista sommo che sa dir tutto, e tutto bene, e sempre bene. - -Ah! se insieme ai tanti, ai _troppi_, commenti filologici, filosofici, -teologici, storici, archeologici, che abbiamo della _Divina Commedia_, -ne avessimo uno _estetico_; si vedrebbe come i caratteri essenziali -dell'arte moderna, il naturalismo, la malinconia, la passione, son -caratteri essenziali della poesia Dantesca — e come Dante, nonostante -la sua scolastica e la sua teologia, è il più _moderno_ di tutti i -poeti italiani. E si deplorerebbe che i poeti che gli succedettero, -invece di svolgere quel che era in germe nel Divino Poema, si -ostinassero nella sistematica riproduzione delle forme grecolatine. -In Dante era l'ode, l'eloquenza, la satira politica, sopratutto il -dramma. Non vi si badò. Si preferì di copiare Ovidio e Terenzio, il -Decamerone e il Petrarca — e si ebbero due secoli di Canzonieri noiosi, -di laide Novelle, e di Commedie copiate. E tutta questa roba si chiama -anche oggi _letteratura classica_ e se ne infarciscono le Storie -letterarie e le Antologie per le scuole: certe storie letterarie, certi -_Manuali_, dove si parla a lungo del Segneri e non è neppur rammentato -il Savonarola — dove si parla diffusamente e si danno estratti della -_Tancia_, e non è neppur ricordato Carlo Goldoni; perchè il Savonarola -e il Goldoni scrivono in _cattiva lingua_.... Tanto è vero che da noi, -per troppo amor della lingua, si perde spesso il _cervello_. - -Ho detto che anche come _artefice di verso_, Dante è superiore a tutti -i poeti del Rinascimento, non escluso il Petrarca. - -Mi basti ripresentare alla vostra memoria e alla vostra ammirazione i -versi descriventi la fiamma che parla, il gemito di una testa recisa, -le piante animate e sanguinanti, le trasformazioni di uomo in serpente, -l'uccello mattutino, le pecorelle che escon dal chiuso, l'anima che si -dilegua cantando, i versi sull'ora del tramonto, quelli sull'alba di -maggio.... - -E le note di suprema malinconia, i versi patetici, com'egli solo sa -fare? - - Deh, quando tu sarai tornato al mondo, - E riposato della lunga via.... - Ricorditi di me che son la Pia. - - Indi partissi povero e vetusto. - E se il mondo sapesse il cuor ch'egli ebbe - Mendicando sua vita a frusto a frusto - Assai lo loda e più lo loderebbe. - -Ed è lo stesso poeta che ha scritto: - - Quand'ebbe detto ciò, con li occhi torti - Riprese il teschio misero co' denti - Che furo all'osso come d'un can forti. - -e: - - A te sia rea la sete onde ti crepa - . . . . . la lingua e l'acqua marcia - Che il ventre innanzi agli occhi sì t'assiepa. - -E i versi _passionati_, dai primi, incerti, deliziosi sogni d'amore, -fino all'ebbrezza, fino al delirio?... - - Quanti dolci pensier, quanto desio, - Menò costoro al doloroso passo! - . . . . . . . . . . . . . - Questi, che mai da me non fia diviso, - La bocca mi baciò, tutto tremante.... - -È un grido umano, che cuopre e soffoca tutti i melodici sospiri per -tutte le Laure dei cento _Canzonieri italiani_. - -Se la parte scolastica e scientifica della _Divina Commedia_ ci -apparisce un po' come natura morta, tutta la parte umana e poetica -è immortalmente giovine e viva: perchè la scienza è progressiva, e -perciò ha sempre un valore relativo, — ma la Poesia (la vera Poesia) -è assoluta, e perciò inalterabile. Copernico offusca Tolomeo, Cuvier -eclissa Buffon, Darwin eclissa Lamarke, — ma Dante non scema d'un -raggio l'aureola sfolgorante d'Omero — nè Shakespeare attenua di -un grado la gloria sovrana di Eschilo. Nè tutti gli splendori del -Rinascimento, dal Petrarca all'Ariosto, nè tutta la grande poesia -moderna da Goethe al Leopardi, offusca minimamente la gloria -_trascendentale_ della Divina Commedia. - - -VI. - -Il Savonarola è una grande anima, e un vero poeta — ma è più gran -poeta in molte sue prediche, che nelle vere e proprie _Poesie_. -Nonostante, anche in queste, benchè scorrette, neglette di forma, -circola un'aura, un soffio potente, come un'eco ancor calda delle sue -ardenti perorazioni, delle sue tragiche visioni, delle sue formidabili -apostrofi: ma talvolta, e non di rado, vi son note semplici, fresche, -quasi festose, come in questi versi sul _Natale_, che sembran preludere -nella loro ingenuità ai due inni immortali del Milton e del Manzoni. - - Venite, Angeli santi. - E venite suonando; - Venite tutti quanti - Gesù Cristo laudando, - E gloria cantando - Con dolce melodia; - Ecco il Messia — ecco il Messia - E la madre Maria. - - Venitene, Profeti - Che avete profetato, - Venite tutti lieti; - Vedete ch'egli è nato, - Il picciolin Messia! - - Pastor pien di ventura, - Che state voi a vegghiare? - Non abbiate paura; - Sentite voi cantare? - Correte ad adorare - Gesù con mente pia. - - I Magi son venuti - Dalla stella guidati, - Con lor ricchi tributi. - In terra inginocchiati. - Quanto son consolati - Adorando il Messia! - -Altre volte, nell'ardore della preghiera, ha qualche cosa di -petrarchesco come in questa strofa: - - Apri, Signore, il tuo celeste fonte; - Quella tua dolce vena - Che Maria Maddalena - Trasse di basso loco all'alto monte, - Con l'anima serena - Piena di raggi e di splendor divino. - Pietà, Signor, di questo peregrino! - -Amor giovine, deplorò le umane rovine della Chiesa e le morali rovine -del Mondo, con versi potenti. La Chiesa di Cristo, - - Povera va con membra discoverte, - I capei sparsi e rotte le ghirlande: - Scorpio la punge ed angue la perverte. - E così va per terra - La coronata, e le sue sante mani.... - Bestemmiata dai cani - Che van truffando sabbati e calende.... - -Le Poesie sacre del Savonarola, a differenza di quelle di Feo Belcari -e del Benivieni, accennano o confermano il concetto d'una _Riforma -Cattolica_, già prenunziata da Dante. E in alcune strofe si mostra -anche artista. Nonostante il _falò_ delle vanità, nel quale è a -deplorarsi l'eccesso che pur vi fu, egli aveva vivo il sentimento -dell'Arte. Fondò una scuola di pittura nel suo stesso Convento, ove -lavorò Fra Bartolomeo, fu agli artisti e ai letterati consigliere e -ispiratore, fu intimo amico di Pico della Mirandola e inaugurò con lui -gli studi ebraici e orientali — e il genio dei Profeti e di Dante che -era in lui, lo comunicò a Michelangiolo, e palpita ancora immortale -alla volta e alle pareti della _Sistina_. Non facciamo dunque del -grande oratore e del grande riformatore, un Erostrato selvaggio e un -frate ignorante. - -Egli fu in Italia la più gran coscienza _morale_ del secolo XV, -come Dante lo era stato del XIV, e come Michelangiolo lo fu del -XVI. L'ardore con cui il santo monaco fuse insieme i sentimenti di -patriottismo e di morale nel popolo di Firenze, non si spense con lui -— e i suoi migliori effetti si videro rifulgere nel memorabile Assedio -degli anni 1529-30. Il soffio vulcanico del grande oratore che ispirò -il poema della _Giustizia_ dipinto nella Sistina da Michelangelo, -animò egualmente la tragedia della _Libertà_ combattuta a Gavinana da -Francesco Ferruccio. - -La sua _fede_ eccitava il suo entusiasmo, il suo entusiasmo faceva la -sua forza. Nessuno, o Signori, è diventato martire per una _opinione_: -la _fede_ sola fa i martiri. Egli credeva e vedeva, e tuonava dal -pergamo le sue visioni. Chiamatelo pure un fanatico. Era fanatico come -Ezechiello, come Geremia, come Arnaldo, come Demostene, come Dante, -come Mirabeau, come O'Connell — come tutti quelli che hanno comunicato -l'elettricismo d'una parola di fuoco. Era un malato?... Forse. Ogni -vera creazione produce uno spostamento, un disequilibrio. Se gli eroi, -i martiri, i grandi poeti son tutti _malati_ — consoliamoci — non c'è -mai stata tanta salute come oggi, in Europa! - -Le più ammirabili prediche del Savonarola, come ben nota l'illustre -Villari nel suo classico libro, son quelle su i _Salmi_: e quella dove -l'impeto lirico è sommo ed unico, dove il Savonarola è veramente poeta, -e gran poeta, è la _predica-visione_ dei flagelli d'Italia. Il Cielo -stesso combatte; i Santi, gli Angeli spingono i barbari vendicatori. -Son loro che li hanno chiamati, che hanno messo le selle ai cavalli, -e affilate le spade. E il diluvio degli stranieri, il gran gastigo -italico, comincia. Dove andiamo? San Pietro grida: A Roma! a Roma! San -Giovan Battista e Santo Antonino: a Firenze! E San Marco: là verso la -città superba e voluttuosa, che inalza le sue cupole d'oro sovra le -acque! - -La impressione che riceviamo anche oggi, dopo quattro secoli, e alla -semplice _lettura_, da questa predica, è solo paragonabile a ciò -che proviamo al primo ingresso nella Cappella Sistina. Vi ricordate? -Un fremito, un tumulto, corre sulle pareti. Non si sa dove riposare -lo sguardo. Da tutte le parti, visi minacciosi, e pianti disperati. -Ezechiello si volta impetuosamente, in furiosa disputa con un Angelo. -Geremia appoggia l'enorme testa sulle mani, come schiacciato dal peso -di tutti i dolori di Gerusalemme. La Libica si alza terribile, con -in mano il gran libro dei fati. La Persica legge con occhi ardenti. -Daniele scrive tremando. Qua, il tronco di Oloferne versa una fiumana -di sangue; là, gli adoratori degli idoli si contorcono, ignudi, sotto -i morsi dei serpenti divoratori. Madri spaventate urlano e fuggono, -stringendo al seno i bambini. Un altro vede passare in uno specchio -visioni così terribili, che indietreggia atterrito, e batte la spalla -nella muraglia. Par di sentir ruggire di lontano il tuono della -vendetta divina. La Giustizia e il Giudizio — riparatore e vendicatore -— respirano da ogni angolo della tremenda Cappella. - -In quegli anni tragici e sinistri di saccheggi e di incendi, di -orgie e di tradimenti, Michelangelo, che doveva assistere ai funerali -della libertà e dell'Italia, si ricordò soprattutto del Savonarola, e -leggendo assiduamente i Profeti, Dante, e le Prediche e le Liriche del -Ferrarese, dipinse i Profeti, e scolpì la _Notte_, la _Notte d'Italia_. - -In una delle sue ultime prediche, il Savonarola, presago dello -imminente martirio, disse queste parole: “O Signore, io non tengo modi -di cercar gloria umana. Io non voglio cappelli, nè mitrie piccole o -grandi. Non chieggo se non quello che tu hai dato ai tuoi Santi — la -morte. Un cappello rosso, un cappello di sangue, questo desidero.„ - -E l'ebbe. E prima, le agonie dell'infame processo, i dubbi e i terrori, -la fune che gli slogò tutte l'ossa, le tenebre della segreta, le smanie -e gli scoramenti, e i sudori di sangue dell'eterno Getsemani.... - -Fu allora che in un momento di tregua, in un'ora di grazia e di -respiro, — fra la tortura e il rogo — compose un salmo sublime, che il -Tommaseo ammirava tanto, e tradusse. - -Eccone alcuni versetti: - - Conoscerò dunque, fra poco, Voi, o mio Dio, conoscitore di me. - O mio consolatore, mostratevi a me finalmente; - Siatemi adiutore — non mi lasciate. - Perchè il padre e la madre mia mi lasciarono.... - Ma il Signore misericordiosamente mi assunse. - Non mi date alle animosità di quei che mi tribolano, - Poichè insorsero contro me testimoni iniqui — e l'iniquità - mentì a sè medesima. - -Sospeso dal laccio infame sul rogo, e non ancor morto, il Savonarola -potè forse vedere le mani impazienti e furiose del popolo, appressare -le torce accese alla catasta già sparsa d'olio e bitume; mentre -altre mani scagliavano una pioggia di sassi su quel volto tante volte -illuminato dalla luce del genio e dalla santità della vita. - -Ah! da quando insultò Socrate, e preferì ad alte grida Barabba a Gesù; -al giorno in cui sputò in faccia a Bailly e imprecò a Madama Roland -moritura — la plebe ingannata e pervertita, o abbandonata al cieco -istinto bestiale, ha sempre applaudito all'eccidio dei suoi più insigni -_benefattori_. - - -VII. - -Come il lato sofistico del Paganesimo era stato il consacrare la -natura umana anche nella sua parte cattiva — il lato sofistico del -Cristianesimo medievale fu di gettare un anatema troppo assoluto -su la Natura, di vivere come lo Stilita sospesi tra il Cielo e la -Terra, guardando a quello con estasi, a questa con un sacro terrore. -Il centro della Idealità fu spostato nel _Rinascimento_; e al culto -del Dolore spirituale, successe l'apoteosi della plastica Bellezza -e della Euritmia. Ma tra le voci armoniose e pagane, dura anche nel -_Quattrocento_ qualche eco della grande, triste e patetica poesia del -Cattolicismo. Oltre il Savonarola, vanno ricordati il Benivieni e il -Belcari. Il primo essenzialmente lirico, drammatico e trovatore di -patetiche situazioni, efficaci, nella loro ingenua espressione. Basti -rammentare le parole d'_Isacco_ al padre che sta per sacrificarlo. - -Nella lirica satirica si distinsero il Cammelli e il Burchiello: ma il -loro più gran merito consiste forse nella visibile influenza che ebbero -sull'ammirabile genio del Berni. - -Un soffio veramente lirico spira in alcuni canti epici del rude e -possente poeta Luigi Pulci. La sua _morte di Orlando_ è semplice, -patetica, e tocca il sublime. E forse Alfredo Tennyson l'ebbe in mente, -quando descrisse, negli _Idilli del Re_, la _Morte di Artur_o. - -Nelle stanze narranti la catastrofe cavalleresca, Roncisvalle, e -la morte del gran Paladino, è commisto in modo mirabile l'elemento -_lirico_ all'epico: - - Così tutto serafico al ciel fisso - Una cosa parea trasfigurata, - E che parlasse col suo crocifisso.... - Il cielo certo allor s'aperse.... - E come nuvoletta che in su vada, - _In exitu Israel_, cantar, _de Egipto_ - Sentito fu, dagli Angeli solenne - Chè si conobbe al tremolar le penne. - Poi si sentì. . . . . . . . - Certa armonia con sì soavi accenti, - Che ben parea d'angelici istrumenti. - -Versi che certo rammentava l'Ariosto quando cantò con la magia che gli -è propria: - - E voci e suoni d'angeli concordi - Tosto in aria s'udîr che l'alma uscìo - La qual, disciolta dal corporeo velo, - Fra dolce melodia salì nel cielo. - -Arriva Carlo Magno e benedice al morto Paladino e gli richiede la spada -Durlindana. - - Io benedico il dì che tu nascesti, - Io benedico la tua giovinezza. - Io benedico i tuoi concetti onesti, - Io benedico la tua gran prodezza. - E se tu hai di me nel ciel mercede, - Come solevi al mondo, alma diletta, - Rendimi se Dio tanto ti concede, - Ridendo, quella spada benedetta. - . . . . . . . . . . . . . . - Come a Dio piacque, intese le parole, - Orlando, sorridendo, in piè rizzossi; - Con quella reverenza che far suole, - E innanzi al suo Signore inginocchiossi, - E poi distese, ridendo, la mana, - E resegli la spada Durlindana. - . . . . . . . . . . . . . . - Carlo tremar si sentì tutto quanto - Per maraviglia e per affezione, - E a fatica la strinse col guanto.... - -Ma il personaggio più magneticamente poetico del _Quattrocento_, quello -la cui _vita_ è una vera _lirica_ di bellezza, di aspirazioni e di -entusiasmi, è Pico della Mirandola: e non vi dispiaccia, o Signori, che -io _concluda_ col suo simpatico nome, questi miei rapidi cenni su la -poesia del Quattrocento. - -Marsilio Ficino ci ha narrato come lo vide la prima volta in Firenze. -Era il 1480, l'anno in cui il Ficino aveva compiuto la sua grande -opera, la traduzione di Platone. Una bella giornata di settembre, -verso l'ora del tramonto, il dotto ellenista meditava nel suo studio. -La lampada votiva che egli teneva accesa dinanzi al busto di Platone -brillava vivace nella languente luce vespertina. Entrò un giovane alto -e bello, dagli occhi grigio-cerulei, dai capelli di un biondo acceso, -scendentigli sulle spalle sotto un berretto di velluto nero: vestiva -una cotta di raso violaceo, listato d'argento: aveva al collo la -collana d'oro di Principe. Era Giovanni Pico della Mirandola. - -Parlarono di filosofia — di Platone, naturalmente. E il giovine -Principe suggerì al vecchio filosofo di tradurre Plotino, il mistico -panteista dell'Antichità. Parlò dell'Oriente; _il mio Oriente_, -diceva, l'_alma mater_ d'ogni scienza e poesia. Parlò della Bibbia -e del Cristianesimo, di un Cristianesimo eterno, indistruttibile, -conciliabile col Platonismo. Parlò dell'Uomo, che è un piccolo -Mondo, una sintesi portentosa e divina, “dov'è, diceva, l'essenza -angelica e il senso del bruto, e la vegetale anima delle piante, e il -fuoco e il mercurio„. Disse al Ficino di un Commento che intendeva -fare alla Canzone del Benivieni su l'_Amor divino_: e ne discorse -con una stupenda profusione di immagini colorite e poetiche, prese -dall'Astrologia, e dalla Cabala, da Salomone e da Omero. - -E la notte calava sulle grandi vetrate dello studio, e la lampada -votiva illuminava il marmoreo volto di Platone e i capelli d'oro di -Pico. - -Era allora poco più che ventenne: ma avea già provato le tempeste della -passione e n'era restato disilluso, e abitualmente un po' mesto. - -Aveva scritto molti versi d'amore, e gli aveva, un giorno, tutti -bruciati. (Grande e raccomandabilissimo esempio!...) Aveva viaggiato, -visto uomini e cose. Veniva ora a Firenze, attratto dalla fama del -Magnifico Lorenzo, e dall'amicizia per il Ficino. - -Una bellissima bruna, una ardente _Savonaroliana_, soprannominata la -_profetessa_, Camilla Rucellai, s'innamorò perdutamente di lui.... ma -non fu corrisposta. La irrequieta curiosità teologica e scientifica, -la triste sazietà dei piaceri, preservarono Pico da nuove passioni. -La Rucellai gli predisse che sarebbe morto _al tempo dei gigli_.... -E il giorno che Pico della Mirandola spirava tra le braccia del -Savonarola, Carlo VIII entrava in Firenze preceduto dalla bandiera con -li aurei gigli di Francia. Fu sepolto in San Marco. Aveva 32 anni. I -contemporanei lo chiamarono la _Fenice_ degli ingegni. Per noi è una -Fenice soprattutto in questo, che fu un _Erudito poetico_. Non si è -visto ancora il secondo. - -Sapeva e scriveva il greco, l'arabo, l'ebraico, il caldaico. -All'età di ventisette anni, trasse dai suoi immensi studi novecento -tesi di fisica, filosofia, teologia, astronomia, magia naturale, -comprendenti quasi tutto lo scibile del suo tempo, e le pubblicò -in Roma, proferendosi pronto cavallerescamente a sostenerle contro -chiunque osasse oppugnarle. Poeta e filologo, filosofo e mistico, -ebbe un'ardente curiosità dell'ignoto, del miracoloso, intravedendo e -indagando il _Soprannaturale_ nell'intima essenza del _Naturale_; come -Leonardo, Paracelso, Fichte, Novalis, Carlyle. Simpatizzava con tutto -quello che le morte generazioni hanno sinceramente e passionatamente -creduto: e studiava, rievocava, resuscitava le antiche mitologie. -Vedeva in esse l'eterno _Io_ dell'umanità, vi leggeva un motto del -grande Enimma. Egli disse pel primo la feconda parola: in ogni _fede_, -è una parte di _verità_. - -La sua teoria è essenzialmente poetica e consolante, e rammenta -la teoria Browninghiana. — Tutto quello che rettamente si volle -e nobilmente si amò sulla Terra, non andrà mai perduto. Dovremo -traversare altri mondi — molto avrem da imparare, molto da dimenticare, -ma quel momento verrà. Tutto quello che ardentemente aspiravamo ad -essere, e non potemmo essere su la Terra, ed a cui pure ci sentivamo -chiamati; tutto ciò che era in noi e che il mondo ignorò, la poesia -muta, l'amore represso, il momento fatale perduto, tutto avrà un -giorno, altrove, sviluppo e trionfo. Pico della Mirandola serbò -intatte, nel suo poetico naturalismo, la coscienza individuale, e -la libertà morale dell'anima umana. Nel suo trattato _De Hominis -dignitate_, scrisse queste belle e memorande parole: “I bruti sono -eternamente bruti, gli angeli, essenze angeliche eternamente. Tu solo, -o Uomo, puoi degenerare fino a divenire un bruto, e rigenerarti e -sollevarti fino a parere un Dio. Tu solo hai un incessante sviluppo; tu -solo porti in te i germi di ogni specie di Vita.„ - -Se Pico della Mirandola distrusse i suoi versi, restò poeta nella vita, -nel sentimento, nell'intelletto. Nè mi è parso inopportuno parlare di -lui, in una lettura su la poesia del _Rinascimento_. Per esserne il -più poetico simbolo, non gli è mancato nulla. Ha avuto l'ingegno, la -dottrina, la bellezza, la gioventù, la nobiltà, l'entusiasmo, la morte -precoce; e finalmente _un certo mistero_ che avvolge il suo nome, la -sua vita, e tutti i suoi scritti. - - - - -L'ORLANDO INNAMORATO DEL BOIARDO - -DI - -PIO RAJNA. - - -Scommetto, signore e signori miei, che se fossi mago — che pur -troppo non sono — e avessi la virtù di far qui comparire a un vostro -cenno tutti i poeti che vi venisse la curiosità di vedere, la sala -correrebbe un gran rischio di essere stipata prima che a Matteo Maria -Boiardo fosse concesso di trovarsi in mezzo a un'accolta di persone, -tale da richiamarlo a' suoi giorni più belli. Gli è che il nome suo -vi s'offrirebbe offuscato da un altro: quello di Lodovico Ariosto. E -c'è di peggio. Il Boiardo della tradizione comune ha come l'aria di -un somarello dal pelo arruffato, pieno di guidaleschi, che se ne va -trotterellando alla meglio, indegno di attirare gli sguardi, finchè -un buffone — Francesco Berni mi scusi, — non è còlto dal ghiribizzo -di balzargli sul dorso, e, messolo a corsa a forza di scudisciate, -non si dà ad eseguire su quella cavalcatura ogni sorta di smorfie -e capestrerie. O chi mai deve dunque impacciarsi di richiamare -dall'eterno riposo un'ombra cosiffatta? - -Chi? — Voi per l'appunto: dopo che vi siate presi la cura di conoscere -meglio cosa sia per davvero l'_Orlando Innamorato_, o _Innamoramento -d'Orlando_ che si voglia dire; una cura che, avendo me a guida, -riuscirà forse una fatica e una noia; ma che fatica e noia non sarebbe, -se, mandato a farsi benedire l'incomodo mediatore, apriste il libro voi -stessi e vi deste a legger senz'altro. - -Per il momento son qui, e bisogna che mi tolleriate. Ed io dal mio -canto, volendo adempiere coscienziosamente l'ufficio a cui mi son -sobbarcato (povera coscienza, come si strazia in tuo nome!), son -costretto a risalir molto indietro. L'_Orlando Innamorato_ — dicono -i barbassori — non si può giudicar bene senza essere prima informati -della sua schiatta; e questa schiatta è disgraziatamente antica assai. - -Sicuro: ci si perde in un lontano passato, e in un passato non nostro. -Tutti sanno oramai di una epopea rigogliosa fiorita nella Francia -del medio evo e dissepolta pietosamente da sessant'anni in qua. Essa -accompagnò la vita francese dai primordi fino a un'età molto tarda. -Nata di sangue germanico, ma fattasi presto romana, cantò i fatti e -gli eroi del periodo merovingio, poi quelli del carolingio, e serbò -ancora abbastanza fiato perchè, due e più secoli dopo, al tempo delle -crociate, potesse mettersi alla bocca la tromba. - -Quanti personaggi si trovò così a celebrare! Ma tra gl'infiniti, -taluni, per motivi interni ed esterni, vennero a prevalere. Primo fra -tutti Carlo Magno, il sovrano per eccellenza. E accanto a lui Orlando, -del quale la morte stoicissima al passo di Roncisvalle fece l'ideale -del guerriero valoroso e del vassallo devoto. In Rinaldo invece e in -certi altri si possono veder personificate le doti meno corrette, -ma spesso più simpatiche, del barone ribelle; ribelle nondimeno ai -soprusi, non all'esercizio legittimo dell'autorità. - -Nella sua forma schietta e genuina questa epopea francese è poesia -severa, profondamente patriottica, ardentemente cristiana, fieramente -guerresca. Ma se il patriottismo, la religiosità e lo spirito bellicoso -eran troppo connaturati con essa per venir a mancare, la severità -invece dovette via via ceder terreno di fronte al bisogno di andar -a sangue a un pubblico mano mano più desideroso di svago: simile al -pubblico d'una conferenza! Così l'epopea si veniva convertendo in -romanzo: metamorfosi da non poter mai riuscire perfettamente, nel -territorio almeno a cui l'epopea appartiene per nascita. Getti pur -lontano quanto vuole la sua tonaca, poco o tanto il frate resterà -sempre frate. Quindi, se le _chansons de geste_ continuarono ad -appagare esuberantemente il gusto, facile sempre, delle classi -popolari, il palato dei signori trovò col tempo maggior piacere in -altri cibi. E i cibi furono svariati; ma il più gradito fra tutti -fu quello offerto in gran copia dalle narrazioni costituenti la -cosiddetta Materia di Brettagna, o il Ciclo d'Artù e della Tavola -Rotonda. Straniero di origine, e però non vincolato o frenato da -nessun obbligo o tradizione, questo ciclo potè volgersi liberamente -a sodisfare ogni tendenza e desiderio di quella società cavalleresca -alla quale s'indirizzava, parte, svolgendo gli elementi portati con -sè della patria, e più assai trasformando e introducendo di nuovo. -Ne uscì un mondo fantastico, nel quale il meraviglioso — prima causa, -se non erro, della fortuna brettone — s'incontra a profusione; dove i -guerrieri se ne vanno errando soletti, o quasi, per regioni solitamente -boscose, sconosciute affatto a loro medesimi, incontrando di continuo -l'inaspettato; dove al posto della guerra s'ha il duello, il torneo -e l'“avventura„; dove insieme col valore regna la cortesia; dove la -donna, relegata in un cantuccio dall'epopea carolingia, è messa in -trono, e con essa — occorre mai dirlo? — è messo in trono l'amore; un -amore che cura ben poco le istituzioni sociali, sicchè si compiace -segnatamente delle due coppie adultere di Tristano ed Isotta, di -Lancillotto e Ginevra. - -Dalla Francia così l'epopea nazionale come la materia di Brettagna si -propagarono all'Italia. L'epopea se ne dovette venire fino da un'età -molto antica; oserei quasi dire già in quella stessa di Carlo Magno. -Quanto alle narrazioni brettoni, giunsero a noi più tardi; eppure, -lasciando stare certi indizi che ci riporterebbero nientemeno che al -cadere del secolo XI, è certo che nel XII si divulgarono largamente. -La fortuna dell'epopea fu senza confronto maggiore. Essa trovò qui -una seconda patria; e non già solo in questa o quella regione, bensì -oramai in tutto il paese. Ciò non toglie che la vallata del Po fosse il -terreno più disposto ad accoglierla. Colà prima che altrove mise salde -radici e si rivestì di nuove frondi. Agli abitatori di quelle provincie -che avessero qualche poco di coltura, la favella francese sonava -famigliare; sicchè ivi accadde che si rimaneggiasse e s'arricchisse -con nuove invenzioni ciò che s'era avuto d'oltralpe servendosi del -linguaggio della Francia e senza dipartirsi dai ritmi originarii. -Linguaggio e ritmo non rimasero; invece, nè potevano rimanere, al di -qua dell'Appennino; l'uno cedette il posto ai volgari nostri, l'altro -all'ottava rima o alla prosa. Ma di quaggiù il mutamento ebbe poi -ad essere comunicato di rimbalzo all'Italia stessa del settentrione, -ridottasi a poco a poco ancor essa ad accogliere un sentimento più vivo -d'italianità nell'ordine altresì della lingua e della letteratura. - -Quanto alla materia di Brettagna, è naturale che anche presso di noi -se ne avessero a compiacere specialmente quelle classi per cui s'era -venuta foggiando. Ciò viene a dire che dovette certo aver voga maggiore -nella Lombardia, intesa nel suo vecchio ed ampio significato, nella -Marca di Treviso, nella Romagna, così ricche di signori feudali e di -piccole corti. Però non a caso Dante pose il romanzo di Lancillotto -tra le mani de' “duo cognati„, con quell'effetto che troppo ben sapete. -Nondimeno e Artù e Tristano e Galvano e tutta la brigata non mancarono -di esercitare vive seduzioni anche qui nella Toscana sulle fantasie di -una gioventù, cui il nascere per la più parte di popolo non toglieva -d'essere amante del “donneare„, della prodezza del lusso, e di ogni -gentil costume. Quindi sulle pareti del palazzo della sua Madonna il -poeta dell'_Intelligenza_ — o perchè non dirò io Dino Compagni? — darà -luogo alla rappresentazione di questo mondo leggiadro con parole che -lasciano intendere quanto fosse caro al suo cuore (St. 287-288): - - E sonvi i pini, e sonvi le fontane. - . . . . . . . . . . . . . . . . . - E sonvi tutti i begli accontamenti - Che facevan le donne e' cavalieri: - Battaglie, giostre, be' torneamenti, - Foreste, roccie, boscaggi e sentieri. - Quivi sono li bei combattimenti, - Aste troncando e squartando destrieri. - Quivi sono le nobili avventure; - E son tutte a fino auro le ligure: - Le caccie, e corni, valletti e scudieri. - -Lungi da me l'idea di parlarvi, sia pure rapidissimamente, di ciò che -da un lato il ciclo carolingio, dall'altro il brettone, produssero -presso di noi nel lungo periodo che precede al mio soggetto, ossia -fin verso il declinare del quattrocento. Questo solo dirò, che il -brettone riuscì poco prolifico, e si limitò quasi sempre a tradurre e -verseggiare. Il carolingio invece fu di una fecondità conigliesca, e -mise alla luce una serie interminabile di romanzi in prosa e in verso, -attraenti dapprima, fino a che in generale si contentavano essi pure di -ripetere in forma schietta ed ingenua narrazioni antiche, ma via via -più stucchevoli. Ci si domanda come la gente del secolo XV — ed anche -del XVI — potesse trovar diletto nel leggere o sentir recitare casi -tanto uniformi, narrati prolissamente e senza grazia. Ci si domanda: -ma quando si vede un fanciullo trastullarsi ore ed ore con quattro -fuscellini, e gli stessi pettegolezzi far le spese della conversazione -universale per una intera settimana, e i cuori di migliaia e migliaia -di persone (osservo, non critico) stare in ansia per veder risolto -il gran problema se quattro zampe di cavallo arriveranno alla mèta -un minuto terzo prima di altre quattro, e rimanersene per questo ore -ed ore sotto la sferza solare, si conchiude che per divertir l'uomo, -grande e piccino, molto poco può essere sufficiente. Vero che non ci -vuol troppo più nemmeno per annoiarlo. - -Questa nostra letteratura pareva giunta alla sera — e che squallida -sera! — senza aver avuto un vero meriggio; quando le nubi si -squarciarono e il sole prese a sfolgoreggiare. Esso, par bene, ebbe -prima a mostrarsi a Firenze, dove, secondo le conclusioni di studi -recenti, il _Morgante_ di quella bizzarra creatura che fu Luigi Pulci -era già composto per tre quarti nel 1470. Il valore di questo poema -è tuttavia più scarso che non si pensasse in addietro. D'invenzione -non è da parlare che per pochi episodii, dacchè del resto l'amico del -Magnifico non fece oramai che rintonacare le mura rustiche elevate -da un rimatore popolaresco, sovrapponendovi un tetto costrutto -con travi e tegoli di cui possiamo determinare la provenienza. Il -pregio maggiore dell'opera sta nella vivacità, davvero mirabile, -dello stile e della lingua, e nel riso che guizza per ogni dove. -Ma insomma, col Pulci, il romanzo popolare carolingio si riveste -di nuovi panni, si raggentilisce, si abbandona alla gaiezza, senza -punto mutare sostanzialmente. I cantambanchi che in San Martino ed -altrove raccoglievano dattorno a sè un uditorio composto sopratutto -di bottegai e di artefici, potevano ancora riconoscere in messer Luigi -uno dei loro. Che le cose seguissero a questa maniera nella democratica -Firenze, è un fatto più che naturale. - -E il Boiardo? — Qui la scena cambia. Ma prima di vedere il come, -bisogna pure che noi si faccia un po' d'amicizia col nostro -personaggio. - -Matteo Maria Boiardo nasceva di una famiglia feudale che nel 1423 -aveva ceduto al marchese Niccolò d'Este l'avita signoria di Rubiera, -tra Modena e Reggio, ricevendone in cambio la vicina Scandiano ed -altre ville, con titolo di contea. Venne al mondo nel 1434, o giù -di lì; verosimilmente in Scandiano stessa, residenza abituale de' -suoi. Perdette il padre nel 1452; il nonno, Feltrino — uomo insigne -— nel 1455; la nonna due anni appresso; e si trovò così arbitro di sè -medesimo in età affatto giovanile. La vita sua, nota a noi in modo per -verità manchevolissimo, trascorse per la massima parte tra Scandiano, -Reggio, Ferrara. Caro agli Estensi, com'era stato loro carissimo -l'avolo, accompagnò nel 1471 Borso nel viaggio intrapreso a Roma, -quando Paolo II gli concedette anche per Ferrara quel titolo di duca, -che l'imperatore Federico gli aveva conferito già da oramai vent'anni -per Modena e Reggio. Sotto Ercole poi, succeduto poco appresso al -fratello, fu nel 1481 e nel 1486 al governo di Modena. E più lungamente -ebbe quello di Reggio: chè, lasciando stare qualcosa che s'afferma e -non si prova per un tempo antecedente, rimase in ufficio dal 1487, o al -più tardi dal principio del 1488, fino alla morte, seguita nella notte -dal 20 al 21 dicembre del 1494. - -Educato senza dubbio alcuno all'esercizio delle armi fin dagli anni -suoi teneri, Matteo Maria ebbe scarse occasioni di menar per davvero -le mani. Qualche parte è verosimile che prendesse alla difesa contro i -Veneziani, che nel 1482 mossero ad Ercole una fiera guerra, durata fino -al 1484. Come reggitore, certe voci, posteriori alquanto, lo accusano -di fiacchezza; e non dirò che l'accusa sia sbugiardata trionfalmente -in tutto e per tutto dall'esame di quel tanto che ci è rimasto del -suo carteggio col duca. Certo l'animo suo era profondamente inclinato -alla benevolenza. Non meno che a questa tuttavia alla giustizia. E il -carteggio dà insieme chiaramente a vedere com'egli fosse largamente -dotato di senno pratico, e rotto agli affari. - -Agli uffici pubblici par che Matteo fosse spinto da ragioni private; -probabilmente da strettezze pecuniarie, ben conciliabili anche colla -signoria di Scandiano, toccata propriamente a lui nelle divisioni con -un cugino. Ma occupazione più gradita che le faccende amministrative, -conditegli spesso di fiele da altri ufficiali, gli riuscivano di sicuro -lo studio e la poesia. - -Tre libri di liriche amorose contengono soprattutto gli sfoghi della -sua passione giovanile per una diva reggiana, che non tardò a mostrarsi -maestra di lusinghe, simulatrice, volubile, capricciosa. Grazie alla -provvida costumanza degli acrostici, ne conosciamo nome e cognome: si -chiamava Antonia Caprara. Ma Antonia non domina sola qua dentro. Buon -numero di poesie, scritte durante il viaggio a Roma del 1471, inclino a -credere indirizzate da Matteo a Taddea Gonzaga dei conti di Novellara, -divenuta l'anno dopo sua moglie. Ed altre rivendicazioni dovremmo -ammettere (nè dico ciò senza ragioni specifiche), se alle ossa che -furono donne gentili e leggiadre negli Stati estensi durante la seconda -metà del quattrocento fosse consentito di venir qui a far valere i -loro diritti. Chè l'amore fu il sentimento predominante nel Boiardo. E -sia poi stata fatta eseguire da lui medesimo, oppure invece da altri -in suo onore, la medaglia che nel 1490, quando egli s'avvicinava -alla sessantina, ce ne tramandò — e autentiche — le fattezze, il suo -rovescio, rappresentante Vulcano intento a foggiare sull'incudine -strali per Cupido, lì presente con Venere, e il motto virgiliano che -accompagna la rappresentazione, _Amor vincit omnia_, ci rendono davvero -secondo verità i lineamenti interni del Conte di Scandiano. Quel motto -— si badi — in una forma o in un'altra, noi lo raccogliamo direttamente -dalle sue labbra non so quante volte. - -Il canzoniere del Boiardo è uno dei più notevoli del secolo XV; e io -mi domando, se mai, non ostante una certa povertà di tavolozza, non -fosse il più notevole addirittura. Attrae e colpisce la sincerità -della passione, di cui noi seguiamo agevolmente la storia nelle sue -vicende liete e tormentose; l'efficacia e la bella semplicità delle -espressioni via via che essa riceve; la vivezza e soavità delle -immagini; la delicata sensitività per la natura; l'armonia squisita dei -congegni ritmici. Se i convenzionalismi e le ricercatezze non mancano -(specialmente, badiamo, nel libro terzo, forse ordinato da altri che -dal poeta), quanto difficilmente potrebber mancare dopo l'esempio del -Petrarca! Ma l'ispirazione petrarchesca, che qui pure può assai, non -soffoca nient'affatto l'originalità. Tra Antonia e Laura, tra il modo -di sentire di Matteo e quello di messer Francesco, c'è una differenza -profonda. Quasi più che a Laura direi che Antonia rassomigli alla -Lesbia di Catullo; ma le assomiglia come una donna somiglia ad un'altra -donna, poichè essa è propriamente persona viva. Il poeta, trascorsa la -prima fase dell'estasi, ce la rappresenta colle sue pecche; e in causa -di lei accusa, più spesso e più acerbamente che il Petrarca non faccia, -tutto il sesso femminile: - - Fede non più: non più v'è de honor cura - In questo sexo mobile e fallace, - Ma volubil pensier e mente oscura. - (Son. 79). - -Ma anche quando soffre, e non potrebbe più dire di certo, come in un -tempo di beatitudine, - - Amore ogni tristezza a l'alma toglie, - (Son. 23) - -non sarebbe alieno dal ripetere le altre parole che faceva allora tener -dietro: - - E quanto la natura ha in sè di bene - Nel core inamorato se raccoglie. - -E infatti dell'Amore egli prende una volta le difese in un leggiadro -contrasto col suo proprio cuore che lo viene accusando: - - Non sei tu per Amor quel che tu sei? - Se in te vien ligiadria, - Se honor e cortesia? - Ah, pensa pria se lamentar te dei! - Lamentar di colui che l'armonia - Infonde a i vagi ocei! - Che infonde a' tygri humana mente e pia, - E fa li homini Dei - (Canzone V, st. 3). - -No, l'amore può tormentarlo quanto si voglia: dopo d'aver imprecato, -Matteo si riconcilierà con lui, e rimarrà tra' suoi più devoti. - -Col Canzoniere hanno scarsa attinenza le altre opere minori. Dieci -egloghe latine furono composte, secondo me, tra il 1460 e il 1462; -dieci italiane spettano manifestamente la più parte al tempo della -guerra con Venezia. Perfino nel numero portano scritta in fronte -l'imitazione virgiliana! Qualche sprazzo di luce non vale davvero a -conciliarci con codesti pastori, che non hanno nulla di schiettamente -rustico, neppur quando l'allegoria non ne succhia il sangue. E meno -ancora ci seducono cinque capitoli, quattro dei quali hanno per -soggetto il timore, la gelosia, la speranza, l'amore, e il quinto -il trionfo delle virtù sui vizi. Quanto copiosi di una non recondita -erudizione mitologica e storica, altrettanto son poveri, e peggio, di -poesia. A un posto senza confronto più onorato, segnatamente per ragion -di tempo, può pretendere il _Timone_: commedia in terza rima, che non -vuol essere se non traduzione e adattamento scenico del dialogo omonimo -di Luciano, e che è qualcosa più. Traduzioni vere sono quelle che il -Boiardo fece, dal greco, dell'_Asino d'oro_ di Luciano stesso, delle -_Storie_ di Erodoto, della _Ciropedia_; dal latino, dell'_Asino d'oro_ -di Apuleio. Quanto alla _Istoria Imperiale_, ossia degl'imperatori, -prima romani, poi romano-germanici, che si dà essa pure come versione -di un testo di Riccobaldo ferrarese, ancora non s'è ben chiarito cosa -sia; ma par da ritenere un raffazzonamento del Boiardo stesso, a cui -Riccobaldo non dette se non molta parte del materiale. - -Tale, in brevi termini, l'uomo e lo scrittore, venuto ancor esso -nell'idea di metter mano a un poema cavalleresco. Quando l'idea -nascesse, non so dire; so bensì che nientemeno che sessanta dei -sessantotto canti e mezzo che il poeta ci ha lasciato, erano già -scritti al tempo della guerra con Venezia, e probabilmente anche -proprio avanti che nel 1482 la guerra scoppiasse. Chè, tra le armi, il -poeta, smarrito e addolorato, non per la sua provincia soltanto, ma per -l'Italia, non ha cuore di attendere all'opera, e ne rimette a giorni -migliori la continuazione: - - Non saran sempre e tempi sì diversi, - Che mi tragan la mente di suo locho. - Ma nel presente e canti mei son persi, - E porvi ogni pensier mi giova poco; - Sentendo Italia de lamenti piena, - Non che hor canti, ma sospiro apena[98]. - -Però il principio della composizione vorrà riportarsi indietro Dio -sa di quanto; nè con essa ha dunque assolutamente che vedere la -pubblicazione del _Morgante_, seguìta essa pure solo nel febbraio di -quel medesimo anno 1482. E per me credo assai poco che vi abbia che -vedere nemmeno in altra maniera il poema fiorentino, del quale la -voce, od anche qualche esemplare manoscritto o qualche saggio, fossero -arrivati fino al Nostro. In ogni modo, se da Firenze fosse venuto -qualcosa, non si tratterebbe che di un semplice impulso, di cui poco -capisco che ci potesse esser bisogno. - -Sicchè dobbiam fare direttamente i conti col nostro Matteo Maria. -Cosa ci saprà e vorrà egli dare? — Se ci mettiamo ad argomentare -dalle altre opere, il Canzoniere ci inspirerà una certa fiducia; ma -tutto il rimanente ci farà scuotere il capo in atto di diffidenza. Che -razza di poema cavalleresco dovrem noi aspettarci da un erudito, da -un traduttore, da un imitatore, dal coltivatore assiduo di un genere -letterario quale è l'egloga virgiliana, falso in sè medesimo e più -falso ne' suoi riflessi? - -Diffidiamo; ma se invece di baloccarci fantasticando ci daremo a -guardare, saremo presi da un sentimento analogo a quello da cui sarebbe -colto chi per la prima volta s'accorgesse che l'autore del _Convivio_, -del _De Monarchia_, del _De Vulgari Eloquentia_, è ad un tempo l'autore -della _Divina Commedia_. Contemplando, siamo indotti a riconoscere che -se l'Italia produsse mai un uomo a cui la materia cavalleresca potesse -convenire, fu per l'appunto il Boiardo. E quest'uomo era in pari tempo -un esperto maneggiatore di affari grossi e piccini. Davvero, per quanto -si deva sentir ritegno a lodarsi di sè medesimi, non si può trattenersi -dal notare come sia dote caratteristica dell'ingegno italiano la -moltiplicità delle attitudini. Rassomiglierei questo ingegno al cubo, -che, adagiato su sei facce diverse, è sempre stabile ed equilibrato ad -un modo. - -Erano due, come sapete, i cicli che il Boiardo si trovava dinanzi: -il carolingio ed il brettone. Entrambi gli erano ben famigliari; ma a -lui la schiatta e il costume signorile, e ancor più l'animo amoroso, -rendevano tra i due molto più grato il secondo: - - O gloriosa Bertagna la grande, - Una stagion per l'arme e per l'amore, - Onde ancor hoggi il nome suo si spande. - Sì ch'al re Artuse fa portar honore: - Quando e bon cavalieri a quelle bande - Mostrarno in più battaglie il suo valore - Andando con lor dame in aventura; - Et hor sua fama al nostro tempo dura. - Re Carlo in Franza poi tenne gran corte, - Ma a quella prima non fo sembïante, - Ben che assai fosse ancor robusto e forte - Et havesse Ranaldo e 'l sir d'Anglante. - Perchè tenne ad amor chiuse le porte, - E sol se dete a le battaglie sante, - Non fo di quel valore o quella estima - Qual fo quell'altra ch'io contava in prima. - - (_Orl. Inn._, II, XVIII, 1-2). - -Si direbbe dunque che il Boiardo dovesse correre difilato al mondo -arturiano: porre in esso la scena, togliere di lì i personaggi, per -quel tanto che non li foggiasse di nuovo. Invece a questo partito -egli non s'appigliò punto; e anche con ciò dette prova di un criterio -rettissimo. Intanto, le selve della Brettagna, per quanto vaste, -erano sempre un terreno troppo angusto perchè ei ci facesse muovere -liberamente il suo popolo un intelletto italiano devoto al senso del -reale, e però non disposto a rappresentarsi ed a rappresentare gli -spazi troppo difformi dal vero; ben altra comodità offriva il ciclo -carolingio, condottosi via via ad estendere il suo dominio su tutta -quanta la terra! Poi, appunto perchè gl'ideali del Boiardo venivano -già ad essere attuati nella Tavola Rotonda, poco rimaneva qui a fare -per una mente creatrice. E c'era una ragione anche più grave d'assai. -Mentre Tristano, Lancillotto, Galvano, mantenevano non so che di aereo -anche per coloro che gli avevano in maggior domestichezza, i loro -rivali carolingi presentavano alla fantasia una concretezza, da non -potersi immaginare la maggiore: gli uni rassomigliavano come a gente -vista in sogno; gli altri parevano uomini conosciuti nella vita. Però, -parlare ad italiani di Carlo, d'Orlando, di Rinaldo, di Malagigi, -era un parlar loro di persone così prossime al cuore dei più, che -mai non si sarebbero stancati di udirne i fatti. Nè si creda che la -famigliarità con costoro, se non forse l'affetto, fosse nei signori -troppo minore che nel volgo. Di ciò fornisce la prova la conoscenza -che il Boiardo stesso dà a vedere incidentalmente, ora dell'una, ora -di un'altra narrazione tradizionale, e quella, meglio ancora, ch'egli -suppone a volte in un uditorio, che da luoghi non so quanti ci è -rappresentato come essenzialmente aristocratico. Ma non voglio neppur -tacere una testimonianza, istruttiva per più di un verso, fornita -da documenti storici dissotterrati di recente; tanto più che essa si -riferisce a una principessa estense, e propriamente a colei che tutti -s'accordano nel riguardare siccome l'esemplare più perfetto di quello -splendido fiore, che fu la donna del nostro Rinascimento. - -Quando, al principio del 1491, Isabella, la figliuola del duca Ercole, -già marchesana di Mantova, fu a Milano per accompagnarvi la sorella -minore Beatrice, che andava sposa a Lodovico il Moro, s'accese una -disputa tra lei e Galeazzo Visconti, gentiluomo milanese, se fosse da -anteporre Orlando, oppure Rinaldo. Isabella (chi non sa che i ribelli -e gli scapigliati attraggono sempre le simpatie femminili?) stava per -Rinaldo; Galeazzo sosteneva le parti d'Orlando. La disputa dette luogo, -un giorno che s'andava per acqua a Pavia, oppure si ritornava di colà, -a una specie di lotta, nella quale Galeazzo costrinse la sua avversaria -a dichiararsi vinta, ed a gridare essa stessa: “Rolando, Rolando!„ Ciò, -beninteso, non le impedì punto di inalberare poi subito di nuovo la sua -bandiera e di tenercisi aggrappata anche dopo la partenza da Milano; -donde uno scambio curioso di lettere, tra le quali, disgraziatamente, -noi abbiamo solo — e non tutte — quelle di Galeazzo. La disputa (ciò -che ho detto della lotta lo avrà fatto intender di già) era sostenuta -in tuono umoristico. Importa poi rilevare, dacchè senza di ciò la -testimonianza perderebbe qui per noi ogni valore, che questo contrasto, -per quanto vediamo, non prese punto materia dall'_Innamorato_, sebbene -i primi due libri avessero visto la luce per le stampe cinque anni -innanzi. - -Sicchè il ciclo carolingio era il solo donde si potesse muovere -opportunamente. Ma questo ciclo, qual era ridotto, presentava l'aspetto -di un vecchio castello, dalle mura decrepite, dove lasciate rovinare, -dove rifatte alla peggio, dalle sale sterminate e buie, dalle pareti -squallide, dall'arredamento poverissimo e consunto dal lungo uso. Non -era lì dentro davvero che un uomo dei gusti del conte di Scandiano -avrebbe mai voluto mettersi ad abitare, ed invitar cavalieri e dame -avvezzi allo splendore delle nostre corti. Perchè il castello gli -apparisse degno albergo di lui medesimo e di ospiti siffatti, bisognava -rimetterlo a nuovo da cima a fondo. - -L'impresa era ardua quanto mai; e non so chi altri sarebbe riuscito -a condurla a buon termine. Restaurare è facile; ma è difficile in -sommo grado che ciò che s'è restaurato non si trovi poi essere la -negazione dell'armonia. Il Boiardo squarciò dovunque i fianchi alle -mura risaldate, e fra quelle tetraggini fece penetrare fiotti di -luce; rintonacò, dipinse e addobbò le pareti; senza dare lo sfratto -al vecchio mobigliare in quanto fosse ancora servibile, lo allogò -convenevolmente, e ne aggiunse uno copiosissimo di meravigliosa -ricchezza e d'impareggiabile svariatezza. Insomma, egli trasformò -quella miserabile dimora in un palazzo incantato. - -Il rinnovamento consistette soprattutto (e si troverà ben naturale -dopo quanto s'è visto) in un grande raccostamento al ciclo brettone. -Un'azione di questo ciclo sul carolingio s'era cominciata a vedere -nella Francia stessa da ben tre secoli; ed aveva continuato ad -esercitarsi qui da noi. Ma sempre s'era trattato di fatti parziali, -compiuti senza impulso profondo, col semplice scopo di dilettar -maggiormente. Gli effetti erano stati per lo più tutt'altro che -felici; nè c'è da meravigliarsene. La vera e propria fusione del -mondo d'Artù e di quello di Carlo Magno non era possibile se non ad -un uomo per il quale quei due mondi avessero cessato di rappresentare -qualcosa di distinto e si confondessero in un'unità superiore: il -mondo cavalleresco. Allora soltanto Orlando e Rinaldo e quanti mai li -circondino potranno legittimamente convertirsi in cavalieri erranti; e -starà bene che anche i boschi del loro tempo sian pieni d'avventure; -e che le donzelle se ne vadan solette in cerca di un prode che osi -arrischiarsi a qualche arduo cimento, invochino con alte grida un -soccorso che le strappi a un pericolo, sian causa di combattimento -tra chi le accompagni e chi in loro s'incontri e pretenda di -impossessarsene; e che il passaggio tranquillo de' ponti sia impedito -da giganti e altri campioni; e che ai castelli si mantengan coll'armi -fiere usanze; e che le fate s'inframmettano nelle faccende degli -uomini, e li attraggano nelle loro dimore, e faccian sorgere giardini e -palazzi maravigliosi, che in un attimo vengan poi a dissiparsi. Queste -e molte altre cose troviamo nel poema del Boiardo per via de' romanzi -della Tavola Rotonda. Sennonchè insieme troviamo anche roba non so -quanta di provenienza diversa, e segnatamente classica. Ma poi, prenda -il Boiardo di dove mai si voglia, egli tutto trasforma e rifoggia, e -a tutto dà l'impronta sua propria. E dalla sua stessa fantasia trasse -tanto, quanto assolutamente nessun altro poeta italiano, all'infuori -di Dante. Però, al pari di Dante, di uno studio di fonti che, punto per -punto, riconduca alle sue origini quel che paia in qualsivoglia maniera -derivato d'altronde, egli non ha da temere. Ciò che per altri produce -troppo spesso l'effetto di una spennacchiatura, per lui si risolve in -una riprova di originalità. Così si capisce come, pur risultando da -elementi disparati, il poema non dia alcun sentore di raffazzonamento, -e nemmeno abbia la più lontana attinenza con un mosaico, per quanto -abilmente congegnato. Esso è lavoro di getto; e nel suo autore è da -riconoscere il creatore di un nuovo mondo poetico. Quanti sono mai gli -uomini, e nella nostra e in qualsivoglia letteratura, a cui sia lecito -di attribuire un vanto siffatto? - -Guardiamo un poco addentro in quest'opera singolare. Vi sentiremo -in ogni parte strepito d'armi: qui abbiamo il cozzo di moltitudini, -come nel ciclo carolingio, là, e più spesso, semplici duelli, come -nel brettone. Ma alle armi s'accompagna qualche altra cosa. Dalla -bocca stessa del poeta s'è udito, non è molto, come la corte di Carlo -(quella, s'intende, di cui s'era narrato fin allora) fosse rimasta al -di sotto della corte d'Artù “Perchè tenne ad amor chiuse le porte„. -Chiuse del tutto, per verità, non le aveva tenute di sicuro; e Matteo -Maria lo sapeva benissimo; ma certo in essa l'amore aveva sempre -avuto l'aria di un intruso, e in ogni modo poi il valore non gli aveva -obblighi di nessuna specie. Per il Boiardo invece - - Amore è quel che dona la vittoria - E dona ardire al cavaliero armato. - (II, XVIII, 3). -Senza di esso il cavaliere quasi non si concepisce, e - - Se in vista è vivo, vivo è senza core. - (I, XVIII, 46). - -Nè, mancando l'amore, potranno fiorire neppur l'altre virtù, e in -primo luogo la cortesia, che è tanta parte nella morale cavalleresca. -Così si pensa e parla nel poema (I, XII, 12); e qui noi subito ci -s'accorge dell'intimo legame che lega questo col Canzoniere; ossia -veniamo a conoscere come il poema, lungi dall'essere un'opera concepita -ed eseguita per mero sollazzo o per studio d'arte, abbia radice nella -regione più profonda del sentimento. Ciò costituisce la massima tra -le differenze che distinguono il conte di Scandiano da quant'altri -si dettero fra noi al poema cavalleresco, non escluso nient'affatto -l'Ariosto. - -Supremo pensiero del Boiardo dovrà essere dunque di redimere il mondo -carolingio da quella vita vegetativa in cui aveva languito così a -lungo, e di stabilire anche su di esso la signoria dell'Amore. Ed ecco -che un Trionfo d'Amore sarà ciò che verrà ad offrirsi sulla scena ai -nostri sguardi subito al levarsi della tela. - -Siamo di maggio, verso la pasqua di rose, e in Parigi, per occasione di -una giostra bandita da Carlo, troviam raccolta una solennissima “corte -reale„, che più che alle solite corti del nostro imperatore rassomiglia -a quelle d'Artù. Insieme colla moltitudine de' signori cristiani, -sono accorsi di Spagna anche molti Saracini; chè le barriere del mondo -cristiano e Saracino, se non son tolte, son cadute più che a mezzo in -isfacelo. Quel giorno tutta l'infinita baronia è stata chiamata a un -gran convito. Carlo va lieto a porsi sopra una sedia d'oro “a la mensa -ritonda„; (la “Tavola Rotonda„ è trasportata qui, come vedete, non -solamente in idea); accanto a sè ha i paladini, dirimpetto gli ospiti -spagnoli. - -Mentre si sta in allegrezza, all'estremità della sala si presenta -una donzella, che sapremo poi chiamarsi Angelica, in mezzo a quattro -giganti, seguita da un cavaliere e non più: - - Essa sembrava matutina stella, - E giglio d'orto e rosa di verzieri; - In somma, a dir di lei la veritate, - Non fu veduta mai tanta beltate. - (St. 21). - -A quella vista non un cristiano, non un Saracino, sa rimanersene -seduto; tutti cercano di accostarsi alla donzella, la quale si fa ad -esporre all'imperatore certe sue fanfaluche, il cui succo si è che il -fratello suo (il cavaliere che l'accompagna) domanda giostra a quanti -son qui convenuti, e che ella stessa sarà premio per chi riesca ad -abbatterlo. Il fascino esercitato da questa bellezza impareggiabile è -tanto, che l'amore s'accende di subito nei petti. Innamora Namo, “ch'è -canuto e bianco„, e si scolorisce in viso; innamora Rinaldo, e si fa -“rosso come un foco„; il Saracino Ferraguto, che ha l'argento vivo -addosso, a gran fatica si rattiene dallo slanciarsi contro i giganti, -per impadronirsi colla forza della fanciulla, e frattanto - - Hor su l'un piede, or su l'altro si muta; - Grattasi il capo e non ritrova loco. - (St. 34). - -Insomma, a farla breve, - - . . . . . . . . ogni barone - Di lei se accese, et ancho il re Carlone; - (St. 32) - -il quale profitta della condizione sua privilegiata, e tira in lungo la -risposta alla donzella. “Per poter seco molto dimorare„(St. 35). - -Ma il trionfo dell'amore non parrebbe al poeta pieno abbastanza, se -alla testa dei devoti non fosse ridotto a camminar dietro al carro -per l'appunto chi era parso più restio a questo culto, o a questo -servaggio: il casto e severo Orlando, il futuro martire di Roncisvalle: - - Non vi para, signor, maraviglioso - Odir cantar de Orlando inamorato, - Che qualunque nel mondo è più orgoglioso - È da Amor vinto al tutto e subiugato; - Nè forte braccio, nè ardire animoso, - Nè scudo o maglia, nè brando affilato, - Nè altra possanza può mai far diffesa, - Che alfin non sia da Amor battuta e presa. - (St. 2). - -E d'Orlando l'amore s'impadronirà a tal segno, da dare lo sfratto -ad ogni altro pensiero, da soffocare qualsiasi altro sentimento. Non -contento di trascinarlo in remotissime terre dell'Asia, di darlo del -tutto in altrui balìa, di renderlo affatto noncurante di Alda, della -quale, dopo una fugace apparizione al principio, non è più questione -nel poema, lo muove a calpestare l'amicizia e la parentela, ed a -combattere ferocemente, pur sapendo di far male, contro il cugino -Rinaldo (I, XXV-XXVII). E tanto può, da renderlo perfino sordo al -tremendo pericolo a cui Carlo e la cristianità tutta intera sono -esposti per il passaggio che sta per fare Agramante (II, XIII, 50-51). -Quando poi, per volontà della sua dama, non già per sua propria, il -paladino sarà tornato in Francia, l'annunzio delle orde nemiche che -sono in procinto di rovesciarsi sull'esercito cristiano, invece che a -sfoderar Durindana, porterà questo campion della fede a ritrarsi in un -bosco: - - E là pregava Dio devotamente - Che le sante bandiere a zigli d'oro - Siano abbattute, e Carlo, e la sua gente. - (II, XXX, 61). - -Ciò perchè la sconfitta servirebbe a' suoi scopi! all'amore per una -pagana! - -Facendo innamorare Orlando, il Boiardo s'è guardato bene dall'alterarne -sostanzialmente le fattezze. Ciò che egli si studia di rappresentare -son precisamente gli effetti che la nuova passione deve produrre -sul personaggio che tutti conoscevano da tanto tempo. Non è di certo -un rendergli servigio l'operare in cosiffatta maniera: non si rende -servigio ad un uomo di molto merito, ma senza alcuna pratica della -società e delle sue usanze, trascinandolo in un ritrovo elegante. -Guardatelo questo povero paladino, quando ritorna ad Albraccà, tutto -pesto e malconcio, dopo aver compiuto imprese incredibili. Angelica lo -disarma, lo spoglia per ungerlo “d'un olio delicato — Che caccia de la -carne ogni livore„ (I, XXV, 38), e senza tante storie lo vien baciando. -Che il Conte all'accostarglisi di quel volto si senta in paradiso, non -potrebbe non essere; ma invece di prendere ardimento, se ne sta “quieto -e vergognoso„. E timido compagno — timido, beninteso, come amante — -sarà ad Angelica nel lunghissimo viaggio dal Cataio alla Francia (II, -XIX, 50). Questa sua imperizia egli ce la dà a vedere anche più aperta, -quando — guai a incominciare! — si lascia vincere dai vezzi di un'altra -donna: di Origille. Con lei, che lo stimola e gli fa animo, parlerà -d'amore, “come insonnïato„ (I, XXIX, 47), e le si mostrerà “mal scorto -e rozzo amante„ (II, III, 66). Quanto rozzo e mal scorto, altrettanto -credulo, sì da lasciarsi dar a bere che salendo in cima a una certa -roccia e guardando in una specie di pozzo vedrà “l'inferno e tutto -il paradiso„ (I, XXIX, 50). Vero che qui il Boiardo lo vuol scusare, -dicendo che al pari di lui sarebbe stato ingannato chiunque, “che -di leggier si crede a quel che s'ama„ (St. 52); ma io mi permetterò -di domandare a Matteo Maria se avrebbe mai fatto gabbare a quel modo -Rinaldo, o qualcuno della sua tempra. - -Sicchè il protagonista mascolino del poema è volutamente un personaggio -nel cui volto c'è qualcosa di ridicolo; un personaggio del quale, a -proposito del viaggio con Angelica ricordato dianzi, è possibile dire -che - - Turpin, che mai non mente di ragione, - In cotale atto il chiama un babione. - -Non so cos'altro mai possa volerci per accorgersi che il poeta si -atteggia di fronte alla materia sua in ben altra maniera che non -facciano gli autori delle _chansons de geste_ e quelli di tutti i -romanzi del ciclo brettone. Non già che l'elemento comico sia escluso -di colà. Basterebbe rammentare, per una parte il cosiddetto _Voyage de -Charlemagne a Costantinople_ e certe scene dei _Quatre fils Aimon_, -ossia della storia di Rinaldo e de' fratelli, per l'altra la figura -di Keu, il siniscalco di Artù, così simile per più d'un verso al -nostro Astolfo. Per sè stesso il comico non disdice nemmeno all'epopea -più schietta; o non vediamo nell'Olimpo dell'_Iliade_ lo zoppo e -barbuto Vulcano andare attorno ansimando in ufficio della vezzosa -Ebe, suscitando negli dei una ilarità inestinguibile? Ma Omero non si -sarebbe mai sognato sicuramente di rappresentare Ettore o Achille come -fa Orlando il Boiardo; nè gli sarebbe passato per il capo di mettere in -bocca ad Agamennone parole analoghe a quelle, tali ch'io non potrei qui -tutte ripeterle, che il Conte di Scandiano pone sulle labbra di Carlo -Magno, quando nella giostra di Parigi vede la sua baronia sopraffatta -dai campioni saracini (I, II, 63-65); e nemmeno, crederei, di farlo -scendere nell'arena a metter rimedio a un tradimento, - - Dando gran bastonate a questo e quello, - Che a più di trenta ne ruppe la testa. - (I, III, 24). - -Qui il ridicolo non penzola dai rami: esso si stringe dattorno al -tronco stesso; sicchè alla tragedia ed al dramma si sostituisce la -farsa. - -Ma il ridicolo s'incontra nel poema del Boiardo anche in una forma che -specialmente importa di rilevare: quale umorismo. Cosa propriamente sia -l'umorismo secondo il concetto moderno, tutti più o meno intendono; -eppure nessuno riesce a spiegar bene a parole. Permetterete dunque -che ancor io tenti una definizione mia propria, e che lo dica “un -riso interiore„. Esso è un riso che si vela, senza per questo volersi -celare, sotto apparenze di serietà. Da questo riso dissimulato alla -sghignazzata più chiassosa, non c'è soluzione alcuna di continuità. -Si passa dall'uno all'altra per gradi insensibili, soliti comprendersi -sotto un certo numero di varietà, come a dire il riso a fior di labbra, -il riso aperto, e che altro so io. Però si capisce come le specie non -siano nettamente distinte, sicchè a volte non si riesca a veder bene -se s'abbia a fare con questa o con quella. E dato l'umor gaio, esso -tende a manifestarsi, salvo condizioni e propositi speciali, or con una -specie or coll'altra, non già sempre alla medesima maniera. - -E le varie forme di riso s'incontrano nell'_Orlando Innamorato_ ben -diverso anche in ciò dal _Don Chisciotte_, dove invece l'umorismo -informa tutta l'opera. Ma nemmeno nel nostro poema l'umorismo -scarseggia. È umorismo, per esempio, quando subito alla terza ottava si -dice: - - Questa novella è nota a pocha gente, - Perchè Turpino istesso la nascose, - Credendo forse a quel Conte valente - Esser le sue scritture dispettose. - -Qui l'umorismo intacca proprio, come vedete, l'azione fondamentale -del poema. E umoristici sono in genere tutti appunto i riferimenti a -Turpino, che occorrono numerosi, ivi specialmente dove se n'è sballata -qualcuna di grossa; e umoristici diventano in particolar modo allorchè -il Boiardo assume dirimpetto al suo autore una certa quale aria di -diffidenza, o rovescia comunque su di lui il peso dell'asserzione, come -segue a proposito delle dame che assistono in Cipro da un gran palco al -torneo che s'è bandito per maritare Lucina: - - Mostravan poche il viso naturale, - Le più l'havean dipinto e colorato; - Turpino il dice, io nol scio per expresso, - Benchè sian molte che ciò fanno adesso. - (II, XX, 13). - -Questo umorismo non è se non una varietà di quello che consiste -nell'assumere tuono di storico veritiero, cauto, accurato, e che -porterà, per esempio, a mettere in rilievo qualche circostanza perchè -serva a giustificare qualcosa di molto straordinario: - - Al fin de le parole un salto piglia - (Vero è che indietro alquanto hebbe a tornare - A prender corso), e, come havesse piume, - D'un salto, armato, andò di là del fiume. - (II, VIII, 23). - -La farò finita cogli esempi dell'umorismo boiardesco col menzionare -il desiderio che il poeta manifestò di aver assistito a una certa -battaglia contro un esercito di diavoli evocati da Malagigi, - - Sol per veder se il demonio è cotale - E tanto sozzo come egli è dipento; - Che non è sempre a un modo in ogni loco: - Qua maggior corne, e là più coda un poco. - (II, XXIII, 1). - -Il Boiardo non prende adunque la materia cavalleresca propriamente sul -serio; ma andrebbe mille miglia lontano dal vero chi immaginasse per -ciò che la volesse volgere in canzonatura. Le virtù cavalleresche, -vale a dir la prodezza, il coraggio, la lealtà, la cortesia, la -generosità, la sete di gloria, il disprezzo delle ricchezze, e insieme -con esse l'amore, che le inspira e rinfoca, egli le ammira dal profondo -dell'animo. Quindi per esaltarle può anche continuare lungamente a -cantare a occhi chiusi con un abbandono propriamente epico. Ma il senso -della realtà è troppo vivo in lui, perchè, se appena apre le palpebre, -non abbia ad accorgersi che ciò che gli sta davanti son fantasmi, e non -componga il volto ad un sorriso. Ad un sorriso, oppure invece anche al -pianto, se rivolge la mente a ciò che gli apparisce la vera grandezza; -ad Alessandro, a Cesare, e ad altre figure siffatte: - - Fama, sequace de gl'imperatori, - Nympha che e gesti a dolci versi canti, - Che dopo morte anchor gli homini honori, - E fai coloro eterni che tu vanti: - Ove sei gionta? a dir gli antichi amori - Et a narrar battaglie de giganti, - Mercè del mondo, che al tuo tempo è tale, - Che più di fama o di virtù non cale. - (II, XXII, 2). - -Del resto importa rilevare che l'atteggiamento del Boiardo in cospetto -del mondo della cavalleria non è già qualche cosa di peculiare a lui. -In embrione, esso si può cogliere negli stessi rimatori popolari, -ai quali, per esempio, non sono estranei nient'affatto i richiami -scherzevoli all'autorità del famoso arcivescovo; portato all'estremo, -per via d'una speciale conformazione dell'ingegno e dell'animo, ci dà -il _Morgante_; e che del pari come agli scrittori fosse comune anche -al pubblico cui essi si rivolgevano, può mostrare l'intonazione del -contrasto tra Isabella d'Este e Galeazzo Visconti, a proposito del -quale la parola “umoristico„ mi è già dovuta uscir di bocca. Si tratta -dunque di qualcosa, che è dell'ambiente italiano d'allora. Da questo -qualcosa, se si va bene al fondo, il nostro romanzo cavalleresco ripete -in generale quel suo temperamento capriccioso, che rende naturali, -nonchè ammissibili per esso, tutte quante le capestrerie di pensiero e -di forma. - -Esaltatore dei sentimenti cavallereschi, il Boiardo può ridere -nondimeno dei personaggi in cui egli stesso li incarnò; grande araldo -dell'amore, lo troveremo, o non lo troveremo noi, in atto di adorazione -devota, al piede della creatura da cui questa passione si diffonde? -Cosa sono le sue donne quando egli ha la libertà di foggiarle a -piacimento? - -Protagonista femminile dell'_Innamorato_ è Angelica. L'importanza sua -non è uguagliata da quella di nessun altro personaggio, compreso lo -stesso Orlando. In lei principalmente s'accentra l'azione; l'amore che -da lei s'ispira è il motore più potente di tutto quanto il meccanismo. -Quali effetti essa produca col suo semplice apparire, avete visto voi -stessi. E il Boiardo ha immaginato un modo ingegnosissimo di complicare -il giuoco dei sentimenti, facendo che, per virtù di due fonti, l'una -delle quali accende, l'altra spegne le fiamme del cuore, Angelica sia -aborrita da Rinaldo mentre ella arde per lui, e lo abbia in avversione -non appena egli ha mutato d'animo. Che sia incantatrice, mi spiace; una -donna è sempre maga abbastanza per il semplice fatto dell'esser giovane -e bella! Ma il poeta è troppo avveduto per non accorgersi ottimamente -di ciò egli medesimo; quindi di cotale prerogativa fa un uso assai -parco, e finisce poi oramai per dimenticarla del tutto. Bensì Angelica -rimane sempre una lusinghiera; questo il tratto in cui s'assomma -l'indole sua. Che moine sa usare con Orlando, per il quale non prova -alcun affetto, e che solo le desta rimorso quando è stato mandato da -lei a un'impresa da cui non crede che possa uscir vivo (I, XXVIII, 40)! -E al tempo stesso ella tiene a bada altri adoratori, che le giova di -avere a suoi comandi. Ce la redimerebbe l'amore non corrisposto per -Rinaldo, che dà luogo a scene d'una passionatezza commovente, se non -fosse l'effetto d'una forza soprannaturale, e se non ci rappresentasse, -molto tempo prima che l'Ariosto potesse pensare a Medoro, come una -punizione di quel farsi giuoco degli amanti: - - Chè amor vol castigar questa superba. - (I, III, 40). - -Insomma, all'infuori che per la bellezza, Angelica non ha somiglianza -alcuna colle Laure, e meno che mai colle Beatrici. - -I difetti che si scorgono nella figliuola di Galafrone toccano il colmo -in Origille: - - Era la dama di estrema beltate, - Malicïosa e di losinghe piena; - Le lachryme teneva apparecchiate - Sempre a sua posta com'acqua di vena: - Promessa non fè mai con veritate, - Mostrando a ciaschedun faccia serena; - E se in un giorno havesse mille amanti, - Tutti li beffa con dolci sembianti. - (I, XXIX, 45). - -Angelica in fondo al cuore non è malvagia: Origille invece è tutta -impastata di perfidia, a segno tale da trastullarsi anche colla vita -de' suoi disgraziati adoratori. - -Possiamo dir buona Tisbina. Amata da due, non frascheggia: riama Iroldo -e sente compassione di Prasildo. Che disperazione è la sua quando una -promessa a cui Iroldo stesso imprudentemente l'ha spinta, la mette -nella necessità di concedere a Prasildo sè medesima! Iroldo vuol -morire, ed essa morrà con lui. E i due inghiottono diffatti insieme una -bevanda, che credono veleno. Ma veleno non è; e la conclusione della -storia viene ad essere, che, dopo una gara mirabile di generosità, -Tisbina, mentre è immersa nel sonno per effetto di ciò che ha bevuto, -rimane a Prasildo. Che farà essa mai al risentirsi, quando le sarà -detto che il suo Iroldo se n'è andato lontano per sempre? È piena di -dolore e tramortisce; ma poi, considerando che non c'è rimedio, prende -“altro partito„: - - Ciascuna dama è molle e tenerina - Così del corpo come della mente, - E simigliante della fresca brina, - Che non aspetta il caldo al sol lucente; - Tutte siam fatte come fu Tisbina, - Che non volse battaglia per nïente, - Ma al primo assalto subito se rese, - E per marito il bel Prasildo prese. - (I, XII, 89). - -“Tutte siam fatte„: gli è che queste parole, insieme col racconto a cui -servono di conclusione, son poste esse pure in bocca ad una donna. Ma -se Fiordalisa modestamente parla così, mettendo sè medesima in mazzo -con tutte l'altre, in lei almeno avremo finalmente un esemplare di -perfetta lealtà femminile. Chi non ha presente quel suo pietoso andar -di continuo in traccia di Brandimarte, che via via ritrova per poi -riperderlo di bel nuovo? Se c'è donna amante, quella è lei di sicuro. -Ma, ohimè, che ancor essa dà qualcosa a ridire! È troppo, per verità, -il compiacimento col quale contempla il bel Rinaldo addormentato (I, -XIII, 50), perchè un certo sospetto che il poeta s'è permesso poco -prima (st. 48) abbia a parer calunnioso. - -Sicchè in conclusione le donne dell'_Innamorato_ son tutt'altra cosa -che le Isotte e le Ginevre. Si capisce che nell'animo del poeta c'è una -persuasione analoga a quella che ispira al Leopardi l'Aspasia. Gl'idoli -a cui si brucian gl'incensi sono, pur troppo, ben lontani in generale -dall'essere quali l'immaginazione li rappresenta. L'amore, maschile -e femminile, riposa sopra una continua illusione; ciò che s'adora è -un fantasma della propria mente; sennonchè per il Boiardo — e tutti -saremo con lui — una volta che l'illusione riesce gradita e feconda di -bene, merita di essere tenuta nel medesimo conto in cui si terrebbe -la realtà. Questo concetto, mentre ci porta lontano dalle tradizioni -consuete dei romanzi cavallereschi, ci riconduce alla vita del nostro -Matteo Maria. Si rammenti il Canzoniere; si ricordi Antonia Caprara. -Così ci si verrà sempre più persuadendo che l'_Innamorato_ è altra cosa -che una semplice opera d'arte. - -Della tela del poema non crederei indispensabile di farvi, sia pur -rapidissimamente, l'esposizione, quand'anche al punto in cui sono non -dovessi rammentarmi che tra le virtù del Boiardo ce n'è una nella quale -giova che io mi specchi: il saper fare i conti colla pazienza di chi -sta ad ascoltare. L'orditura ha qui assai poca importanza; l'importanza -sta nelle molteplici narrazioni particolari. Queste s'intrecciano, -spesso interrotte, più tardi riprese. Il procedimento per cui parecchie -azioni camminano di conserva, dando luogo a continue spezzature, viene -all'Innamorato dai romanzi della Tavola Rotonda, e segnatamente dal -_Tristano_, dal _Lancillotto_, dal _Girone il Cortese_. Ma ciò che in -questi è un mero e impaccioso portato della necessità, nelle mani del -Boiardo si converte in un procedimento artistico, mediante il quale la -curiosità è stuzzicata, e si consegue una varietà che mai l'uguale. - -Ciò che assai mi duole si è che mi sia impedito di mostrarvi le -ricchezze meravigliose della poesia del Boiardo, paragonabili a quelle -della sua grotta di Morgana, - - Che solo a dir di lor seria un volume; - E non ha tante stelle il ciel sereno, - Nè primavera tanti fiori e rose, - Quante ivi ha perle e pietre preciose. - (II, VIII, 19). - -Che attitudine a concepire figure caratteristiche e a metterle in -moto! che intuizione degli uomini e delle cose! che fecondità di -concepimenti! che sentimento delle bellezze naturali! che musicalità -di ritmo! che amabile semplicità di forma! È una poesia fresca che noi -qui abbiamo: la poesia d'un prato fiorito, in un bel mattino di maggio. -E nelle nostre tazze la fantasia vien mescendo a profusione vini -scintillanti, che parrebbero spremuti da altre uve che dalle terrene. - -Sicuro che anche nel Boiardo ci son le sue pecche. Di certe -particolarità non è opportuno che discorra, una volta che ai -particolari devo qui rinunziare anche per il resto. E non gli farò -colpa alcuna del molto intrattenersi a descriver colpi di lancia e -di spada, non di rado uniformi. Queste descrizioni, che a noi paion -monotone e stucchevoli, tali non parevano a uditori diversamente -disposti che noi non siamo; alla maniera come non riesce monotono per -una signora elegante il minuto ragguaglio dei cento vestiti e delle -cento acconciature che si son sfoggiati a una festa. Bensì non è dubbio -che nell'_Innamorato_ c'è difetto di lima, sicchè aguzzando gli occhi -si scorgono a ogni tratto piccole mende, che si vorrebber corrette. -Quanto alla lingua, il vizio è quasi tutto alla superficie, ossia -nella fonetica; e bisogna non conoscere la nostra storia letteraria -per muoverne al Boiardo la più piccola colpa. Esso può rendere per il -più dei lettori necessaria una spolveratura, non altro; ma certo non -giustifica la manomissione commessa dal Berni. Sennò dovrà esser lecito -ad un pittore moderno di ridipingere un Giotto, un Beato Angelico, -un Botticelli, per la ragione che il disegno non vi è propriamente -corretto. - -Vi farò forse meravigliare, terminando, col dire che il poema del -Boiardo ha ai miei occhi un alto valore morale. In quell'Italia perfida -che gli storici soglion descriverci — l'Italia di Lodovico il Moro e di -Alessandro VI —, una voce che esalta col più sincero convincimento le -virtù cavalleresche, e prima tra esse la lealtà, significa mi par bene, -qualcosa. E più significa perchè non è voce che scenda da un pulpito, -nè voce di popolo. Sicchè l'_Innamorato_ viene a indicare che il marcio -non era poi tanto profondo come in generale si afferma e si crede. - -Certo tuttavia non era più questa la poesia che propriamente convenisse -all'Italia, una volta che su di essa venne a rovesciarsi quella sequela -di bufere, che al finire del secolo XV prese a devastare i campi, a -sradicar gli alberi, ad abbattere case e palagi per tutto il bel paese. -Di quella bufera il Boiardo non vide che i prodromi; ma essi bastarono -per strozzargli il canto in gola e dissipare le immagini ridenti -che gli danzavano davanti alla fantasia. L'opera fu interrotta; ed è -legittimo il supporre che il poeta non l'avrebbe ripigliata nemmeno -se al passaggio delle genti di Carlo VIII, avviate verso il regno di -Napoli, non fosse tenuta dietro quasi subito la sua morte. Quanto -differenti le guerre ch'egli aveva vagheggiato e rappresentato da -quelle che allora si vennero a combattere! Ma io mi rallegro che gli -ultimi versi di questo poema, tutto letizia e apparente spensieratezza, -gli ultimi probabilmente che il Boiardo abbia scritto, siano rivolti -alla patria: - - Mentre che io canto, o Iddio redentore, - Vedo la Italia tutta a ferro e a foco, - Per questi Galli che con gran valore - Vengon per disertar non scio che loco. - -Son parole condite d'ironia, alle quali servono di efficace commento -quelle che si sono raccolte dalle labbra del poeta in un'altra -occasione, consimile, ma a saper leggere nel futuro, assai meno -lagrimosa[99]. E noi da questa interruzione ci si sente attratti -verso il poeta e l'opera sua più che non saremmo dal più splendido dei -coronamenti. - - - - -IL SAVONAROLA e la PROFEZIA - -DI - -FELICE TOCCO. - - - _Signore e Signori_, - -Dall'argomento della mia conferenza altri di me più degno avrebbe -dovuto tenervi parola. Ma per sfortuna mia e vostra chi scrisse a -giudizio unanime la migliore storia del Savonarola, è lontano da noi, -e per il bene della cosa pubblica dobbiam tutti sperare che non faccia -sollecito ritorno[100]. Un altro scrittore avrebbe potuto degnamente -tenerne il luogo, il nostro Gherardo che intorno al Savonarola seppe -scoprire nuovi documenti e dottamente illustrarli. Ma poichè anche -a lui non fu dato di accettare il difficile còmpito, eccomi di nuovo -innanzi a voi, per riprendere a così dire il filo della conferenza, che -ebbi l'onore di tenere: or sono due anni sull'eresia del Medio Evo. -Giacchè io non intende parlarvi soltanto del Savonarola e dell'opera -sua, ma ben piuttosto del modo come il frate ferrarese si ricolleghi -coi profeti medievali, che lo precedettero. Escludo dal mio discorso le -leggendarie o apocrife profezie del mago Merlino, della Sibilla Eritrea -o del Carmelitano Cirillo, e di quei profeti solo vi terrò parola, -dei quali abbiamo sicure testimonianze. E per non risalire più in su -fino a san Nilo o santa Ildegarde, comincerò da quell'abate Gioachino, -a voi ben noto, che a giudizio di Dante sarebbe stato realmente di -_spirito profetico dotato_. Parecchi in verità revocarono in dubbio -codesto dono della profezia, e san Tommaso glielo negò addirittura. Ma -i più erano dell'avviso di Dante, specie gli spirituali francescani, -che consideravano le principali opere di Gioachino come cosa sacra; e -già sapete che ripubblicandole e chiosandole non dubitarono di dirle -Evangelo eterno. Le loro chiose furono condannate solennemente dalla -Chiesa, le profezie stesse di Gioachino smentì l'anno fatale 1260; -ma ad onta di ciò la fede dei Gioachimiti non venne meno, e parecchi -altri seguitarono a profetare, come l'abate Calabrese. La differenza -tra questi nuovi profeti e gli antichi del Vecchio Testamento sta in -ciò, che questi si sentivano in contatto diretto con la Divinità e -ne udivano le voci, e sotto dettato, a così dire, ne scrivevano le -rivelazioni; invece quelli a tanto non arrivano, e non a torto la -maggior parte di essi, da Gioachino al Savonarola medesimo, dichiarano -spesso di non essere nè profeti nè figli di profeti. Per quanto a loro -non facciano difetto nè i sogni nè i rapimenti dei profeti veri, per -quanto possano vantare anch'essi quella forza divinatrice, che squarcia -il velame del tenebroso futuro, pure indarno cercate in loro la vena -larga e potente dell'ispirazione diretta; poichè non le proprie visioni -essi interpretano, ma le altrui. Non sono profeti, bensì commentatori -di profezie, e le più oscure come il libro di Daniele e l'Apocalisse -preferiscono. - -Si conserva ancora inedita nella nostra Laurenziana la postilla -sull'Apocalissi di uno dei più famosi seguaci di Gioachino, minorità, -ben s'intende, e capo degli spirituali di Provenza, fra Giovanni di -Piero Olivi, nato nel 1248, morto cinquantanni dopo. Negli ultimi -tempi della sua vita, benchè avesse vedute tutte le speranze del suo -partito dileguarsi, e l'eremita Celestino cedere la tiara a Bonifacio -VIII, avido di potere e di gloria mondana, pure non ismise la sua -fede, nè dubitò che l'ora della tremenda vendetta fosse per scoccare. -In una lettera ai figli di Carlo II di Napoli, scrive: “Orsù, generosi -soldati, preparatevi alla pugna. Il tempo della potatura è venuto, e -si è udita sulla nostra terra la voce della tortora che sospira e che -ha il gemito per canto. È d'uopo che nell'aprire il sesto suggello il -sole e la luna s'oscurino, e che cadendo le stelle dal cielo, la terra -ne tremi così, che tutte le montagne e le isole siano svelte dalle loro -sedi.... Poichè a quel modo che sul secentesimo anno della vita di Noè -si ruppero le fonti dell'abisso, e le cateratte del cielo si apersero -a segno che nessuno potè salvarsi all'infuori dei ricoverati nell'arca -fatta per comando di Dio; così fa d'uopo che l'empia Babilonia nel -profondo del mare si sommerga.„ L'empia Babilonia è la Chiesa carnale, -conculcatrice della povertà evangelica, e il ministro della vendetta -divina sarà l'Anticristo. - -La fede nel prossimo avvento dell'Anticristo è così radicata nei -circoli dei beghini e degli spirituali, che Arnaldo di Villanova, -celebre medico e studioso delle scienze occulte, non dubita di scrivere -un trattato _De adventu Antichristi_, che gli fruttò le persecuzioni -del vescovo parigino. Il trattato, ancora inedito, fu scritto nel -1297, come dice l'autore stesso, e non è se non un commento di alcuni -luoghi delle Profezie di Daniele. Eccovene un saggio: “Compiuti i -mille duecento anni dal tempo, in cui il popolo ebreo perdette il -possesso della sua patria, entrerà nel luogo santo l'abbominio della -desolazione, o l'Anticristo, il che sarà circa nel settantottesimo -anno del secolo futuro. Non posso determinare con maggior precisione, -ma certo intorno al 1378 si compirà quello che il Profeta predisse.„ -E più appresso contro i suoi contradditori aggiunge: “Senza dubbio -questa conclusione non segue dalla parola di Daniele in modo certo -e necessario; ma ha l'evidenza di una grande probabilità, in quanto -che con questa interpretazione concordano altri luoghi della sacra -scrittura.„ Era tanta la fede di Arnaldo nelle divinazioni sue, che -uno scritto sul medesimo argomento ardì leggere al papa Clemente V; -e non solo noi, ma i contemporanei stessi, a cominciare da Filippo il -Bello, non sapevano più di che cosa meravigliarsi, se dell'audacia del -lettore o della benignità soverchia di chi l'ascoltava. Ai medici di -gran grido, che si crede abbiano in mano la vita nostra, sono permesse -molte cose; e un papa meno docile e mansueto di Clemente V, lo stesso -Bonifacio VIII, si mostrò indulgente col Villanova, e lo assolse dalle -censure del vescovo di Parigi, purchè non s'impacciasse più oltre di -teologia. - -Non meno audaci sono le predizioni di frate Ubertino da Casale, -l'eloquente difensore dell'Olivi, le cui dottrine segue, lievemente -modificandole, in quel libro intitolato _Arbor vitæ crucifixæ_, che -finì la vigilia di San Michele Arcangelo del 1305 nella solitudine -dell'Alvernia, dove i suoi superiori l'aveano esiliato, perchè non -predicasse più oltre nello stile degli esaltati spirituali. Nulla di -nuovo egli dice sui sette stati o periodi in cui va divisa la storia -della Chiesa o dell'Umanità, che secondo questi frati sono tutt'uno; -poichè anch'egli, come l'Olivi, risale a Gioachino, e fa gli stessi -calcoli e pone a confronto gli stessi passi scritturali per argomentare -prossima la fine del sesto periodo. Quando esso abbia cominciato, o -dalla rivelazione fatta dall'abate Gioachino, come dicono alcuni, -o dalla conversione di san Francesco, come dicono altri, o infine -dalla protesta che i frati spirituali levarono contro i trasgressori -della regola francescana, non importa decidere; perchè tutte queste -date possono essere vere secondo che si consideri tutto il periodo -ora da un aspetto, ora dall'altro. Quel che monta è constatare che si -affretta alla sua fine. La qual cosa non può mettersi in dubbio; perchè -scorsi 1293 anni dalla morte di Cristo, s'è veduta quell'orribile -novità dell'abdicazione di papa Celestino e dell'usurpazione del suo -successore. E come se questo segno non bastasse, ecco pullulare nuove -eresie, come alla fine d'ogni periodo; e molti sostenere non essere la -povertà evangelica il nocciolo della perfezione cristiana, e alcuni -filosofi di Parigi andare più oltre, e proclamare con Aristotele -che il mondo fu “ab eterno„ ed in eterno durerà. Le quali eresie -mostrano chiaramente essere già nato il mistico Anticristo, vale a -dire il precursore e il simbolo di quel vero Anticristo, che sorgerà -più tardi alla fine del settimo stato. L'Anticristo mistico non è -nè un imperatore nè un pontefice, ma bensì quel pseudo-cristiano che -condannerà lo spirito di Cristo nella povertà evangelica. E di questi -pseudo-cristiani al tempo di Ubertino non facea difetto. - -Se non che la fine del mondo non ebbe luogo in tutto quel secolo, sul -cui cominciare Ubertino scriveva, e nuove tribolazioni non mancarono. -Rinacquero sotto Giovanni XXII le lotte coll'Impero, non chetate -neanche sotto i successori Benedetto XII e Clemente VI, e la Chiesa, -infeudata ai re di Francia, travagliarono mali e scandali siffatti, -che Avignone fu detta non pure dagli spirituali francescani ma dal -Petrarca medesimo: _l'avara Babilonia_, _fontana di dolore_, _albergo -d'ira_, _scuola d'errori_, _tempio d'eresia_. Non è meraviglia che in -questa età procellosa rifiorisse la Profezia. Anche i poeti, quindi, -come il cantore di Laura, prendono il tono di veggenti, e minacciano e -rampognano e predicono imminente lo scoppio dell'ira divina. - - Fiamma del ciel su le tue trecce piova, - Malvagia, che dal fiume e dalle ghiande - Per l'altrui impoverir sei ricca e grande.... - Nido di tradimenti, in cui si cova - Quanto mal per lo mondo oggi si spande.... - - Ma pur novo Soldan veggio per lei - Lo qual farà, non già quando io vorrei, - Sol una sede, e quella fia in Baldacco. - Gl'idoli suoi saranno in terra sparsi - E le torri superbe al ciel nemiche, - E suoi torrier di for, come dentro, arsi. - -Ma dopo la tempesta verrà il sereno, e il Petrarca anche lui vede in -nube quel Papa, da questi profeti concordemente chiamato angelico, che -sbalzerà di seggio gl'indegni ministri: - - Anime belle e di virtude amiche - Terranno il mondo; e poi vedrem lui farsi - Aureo tutto e pien dell'opre antiche. - -Non diversamente canta frate Stoppa dei Bostichi, che non può essere -vissuto dopo il papa Clemente VI, a cui rivolge le più fiere rampogne, -chiamandolo _specchio evidente, nel qual potrà mirare ogni superbo_, e -nell'impeto dell'ira esce in questa profezia: - - Sarà la Chiesa de' pastor privata; - Fie beato qual potrà negare - Il chericato, e rifiutar l'entrata, - Fiane cagion la terra d'oltremare. - Invidia, gola al chericato guata - Superbia, simonia, lussuriare; - Poi fie la Chiesa ornata di pastori - Umili e santi, come fur gli autori. - -Intorno allo stesso tempo sarà probabilmente sorta quell'altra -profezia, attribuita a Jacopone da Todi, ma che certamente non gli -appartiene, dove par che si confidi più in un potente imperatore che in -un papa angelico: - - Da poi che seran structi li tiranni - Et li preti cacciati alli lor danni, - Verrà cului che di terra di lor mani - Serà alevato.... - - Costui serà segnor de tucto 'l mundo, - Facendo della terra el quadro e 'l tundo: - Sposo d'Italia, questo non abscundo, - Imperatore.... - - Costui farà far pace in ogne lato, - Descacciarà del mundo ogne peccato, - Non si trovarà chi sia superchiato - Dal suo vicino. - - Costui convertirà alla fede Saracino - Et Tartaria con tucto quil camino; - Poi intrarà ad quil luoco divino - Sacrificato. - - Poi tornarà Roma nel suo stato - De tuctu quanto el mundo repusato: - Li sancti preti di novello Stato - Predicaranno. - - E tucti l'infidel convertiranno, - Tucti vestiti d'un aspero panno, - Et sensa proprio sempre viveranno - Im povertade. - -In simili profezie credono anche gli uomini politici, specie quel Cola -da Rienzi, che da oscuro popolano assunto ai primi poteri dello Stato, -ebbro della sua insperata fortuna, prende pubblicamente il bagno nella -vasca Costantiniana, perchè dalle macchie dell'ignobile origine appaia -deterso il nuovo cavaliere dello Spirito Santo. Sembra che anche nei -giorni del suo trionfo Cola abbia avuto sogni e visioni. Almeno egli -stesso racconta che pochi giorni prima della cruenta sconfitta dei -Colonnesi, gli apparve in sogno Bonifacio VIII per incitarlo alla -vendetta contro gli autori della sua cattura. Quando poi, dimessa la -dignità tribunizia, si ritrasse nel silenzio di Monte Sant'Angelo -presso i romiti della Majella, le sue fantasie apocalittiche ebber -nuovo alimento. Ed uno di quei fraticelli, a nome Angelo, gli predisse -dovere fra non molto risorgere tale, che morì fra le persecuzioni -(forse fra Pietro di Giovanni Olivi?), e che alla sua voce nascerebbe -grande confusione e terrore tra i maggiorenti della Curia, ed il Papa -stesso correrebbe pericolo, finchè brillerebbe la nuova luce. Allora -sarà fatta la riforma della Chiesa, e non pure tutti i Cristiani, ma -i Saraceni con essi, formeranno un popolo solo, e a capo di tutti -si porrà il Papa angelico. A queste profezie il tribuno prestava -ascolto, tanto più che egli stesso doveva aver non piccola parte -nella futura rinnovazione del mondo. E per infondere nell'imperatore -e nell'arcivescovo di Praga la propria fede, si fa a sua volta -commentatore ed interprete di profezie, e fra tante sceglie la più -recente, che, nata senza dubbio sullo scorcio del secolo decimoterzo, -fu attribuita ad un profeta Cirillo, contemporaneo di Gioachino, del -quale non si sa nulla all'infuori della profezia medesima; e che non -sarà meno apocrifo di essa. Comunque sia, Cola sa ben torcere l'oscuro -oracolo al senso che più gli torna; e sotto il sole che entrerà nelle -viscere dello scorpione e sarà lacerato dai figli dello scorpione -medesimo, intende proprio lui, Cola, che andrà glorificato da Dio -e posto al governo di Roma, e poscia dal Papa e dai cardinali sarà -perseguitato, e nell'anno del giubileo chiuso nella squallida spelonca -del carcere imperiale. Frate Angelo da Monticelli aveva ben insegnato -la sua arte al credulo tribuno! - -Un altro minorita, non meno credente di frate Angelo, ardiva -divulgare le medesime profezie nella sede stessa della corte papale -in Avignone. Avea nome fra Giovanni di Roquetaillade, latinamente _de -Rupescissa_; ed oltre che per le sue profezie è noto per lo studio -che, al pari di Arnaldo da Villanova, faceva dell'alchimia. Le sue -predizioni risalgono, come dice egli stesso, al 1356, l'anno avanti -che cominciassero le secolari guerre tra Francia e Inghilterra. La sua -voce fu inascoltata; anzi Clemente VI, lo stesso papa così avverso a -Cola, lo chiuse in prigione, e ve lo rimise il successore Innocenzo -VI, tenendovelo per tutta la vita. Una profezia, che costui compose -nelle carceri ad istanza di un suo correligionario, comincia così: -“Le rendite ecclesiastiche sappiate che fra breve andranno tutte -perdute, poichè molti popoli della terra spoglieranno il Clero dei beni -temporali, lasciandogli appena da vivere. La Curia romana fuggirà da -questa città peccatrice di Avignone, e non sarà più dove è ora. Prima -che si compiano sei anni da questo presente, che è il 1356, la superbia -clericale sarà prostrata nel fango, e distrutta ogni malvagità. La -città delle delizie sarà convertita in lutto, e il mondo si perderà per -l'avarizia; ma dopo innumerevoli tribolazioni scenderà la misericordia -alla gente desolata, perchè un angelo, vicario di Cristo, spargerà -tutte le virtù evangeliche, e convertirà gli Ebrei e i Tartari e i -Saraceni e i Turchi distruggerà.„ Come vedete questo profeta anche -a costo di andare crudelmente smentito dai fatti predice le cose -a termine fisso ed a breve distanza. E non muta stile in un altro -libercolo intitolato _Vade mecum in tribulatione_, composto l'anno -dopo, dove riassume tutte le predizioni sue sparse negli altri libri, -che cita e magnifica come annunziatori di fatti da poi verificatisi, -quale la cattura del re di Francia. Anche nel _Vade mecum_ vuol essere -preciso più di quel che convenga a un profeta. “Pria che il mondo -arrivi all'anno 1370, egli dice, prima che corrano altri tredici, da -questo che abbiamo ora compiuto, 1356, avrà principio la restaurazione -del mondo, e sarà palese quello che ora annunzio. Nel 1365 sorgerà -l'Anticristo orientale, e gli Ebrei ingannati da codesto falso Messia -infiniti danni recheranno al popolo cristiano. E nello stesso anno i -veri seguaci del santo mendico di Assisi saranno di nuovo tribolati, -come al tempo di Michele da Cesena; ma ben presto si rifaranno dei loro -danni, e l'ordine loro si dilargherà per l'universo ed i loro conventi -si moltiplicheranno come le stelle del cielo. Ma non vale la pena di -riferire più oltre i sogni del povero prigioniero, che aspetta prossima -la liberazione sua e dei suoi compagni. Dirò solo che anche egli adduce -a prova delle sue profezie il versetto di Daniele, che soleva citare -Arnaldo; ed anche lui, facendo cómputi sottili, arriva all'anno 1370 -nello stesso modo che un secolo prima Gioachino di Fiore arrivava al -1260. - -Al di sopra di questi, sarei per dire, computisti della Profezia, -si eleva una donna di alto sentire e di nobilissimo sangue, santa -Brigida di Svezia. Nata intorno all'anno 1302, a sedici anni sposò il -diciottenne principe Wulf di Nerik, da cui ebbe otto figliuoli. Alla -morte del marito, dato un addio agli splendori principeschi e diviso -il patrimonio tra i suoi figli, vestì le ruvide lane del pellegrino e -venne a Roma, dove scrisse le sue _Revelationes_. A differenza di tutti -i vaticinatoli precedenti la santa svedese non s'indugia a commentare -le altrui profezie; ma come i profeti antichi conversa direttamente -con Dio, che le svela il segreto dell'avvenire. “Io non disdegno di -parlare con te, le dice Gesù, e benchè la mia umanità sembri essere -dentro di te e parlar teco, pure è più verisimile essere la tua anima -e la tua coscienza con me e in me, poichè a me nulla è difficile nè -in cielo nè in terra.„ Una volta in una chiesa di Roma la Vergine -stessa le apparve, e in tuono di comando le disse: “Tu devi mandare -da parte mia questa parola al legato del Papa.„ Al che la donna -rispose: “Egli non mi crederà e volgerà i miei detti in derisione.„ -E di rimando la Vergine: “Benchè io conosca l'intimo animo di quel -prelato, pure è d'uopo che tu gli faccia sapere che le fondamenta della -Chiesa vacillano, e la vôlta è screpolata in più parti, e le colonne -piegano e il pavimento si avvalla così, che i ciechi che v'entrano -sono per cadere.„ Questo ardito linguaggio osava tenere la santa al -cardinale Albornoz, legato di Clemente VI, che, per riacquistare il -sacro patrimonio, riempiva l'Italia di sangue e di rovine. Di Urbano -V, il successore di Clemente, la Vergine stessa le dice: “Io condussi -Urbano papa da Avignone a Roma senza alcun pericolo suo. E che cosa fa -egli? Mi volge le spalle e intende partirsi da me. Il maligno spirito -lo guida colle sue frodi. Ma se accadrà che egli faccia ritorno alla -terra dove fu eletto, sarà colpito nella guancia così che i suoi denti -scricchioleranno, e il suo volto diverrà caliginoso e fosco, e tutte -le membra del suo corpo tremeranno.„ La profezia si avverò nel modo più -tragico; che il Pontefice, non appena tornato in Avignone, vi morì. Nè -meno energiche sono le ammonizioni, che Maria manda per mezzo della -santa a Gregorio XI. “Come la pia madre, ella dice, che stringe al -petto il suo bambino nudo e tremante di freddo per riscaldarlo del suo -calore e nutrirlo del suo latte, così io farò di Gregorio, se vorrà -tornare a Roma con animo di rimanervi e di riformare la Chiesa tutta. E -perchè in avvenire non adduca la scusa dell'ignoranza, io gli annunzio -che, se non obbedirà alle ingiunzioni mie, proverà la verga della mia -giustizia e l'indignazione del mio figliuolo.„ Tutte queste visioni, -ed altre non meno terribili sulla regina Giovanna, ebbe la santa -donna in Napoli, dove sostò per qualche tempo tornando dal faticoso -pellegrinaggio di Palestina. A lei non era dato vedere il frutto delle -sue coraggiose ammonizioni, poichè, tornata a Roma, vi morì grave -d'anni il 23 luglio 1373. - -L'opera da santa Brigida lasciata a mezzo, fu continuata da un'altra -santa, che anch'ella ha estasi e visioni, anch'ella talvolta cade in -tale anestesia, da poterlesi conficcare nella pelle un grosso ago, -senza che si riscuota od avverta alcun dolore; ma forse più ancora -della Svedese, ha un tatto finissimo per guidare gli uomini e riuscire -nelle imprese più scabrose. Intendo parlare di Santa Caterina da Siena, -che nata nel 1347 da un agiato popolano, e pur digiuna di lettere, -seppe levarsi a tanta altezza di concetti, a tanta squisitezza di -forma, che la sua prosa è anche oggi tenuta in grandissimo pregio. A -quindici anni, vinte le opposizioni della madre, che la voleva sposa -ad un ricco congiunto, entrò nelle Mantellate, terziarie domenicane, -che non professavano voti solenni, e dopo tre anni passati nella -sua cella tra preghiere e digiuni e torture d'ogni sorta, che ella -infliggeva al delicato suo corpo, escì all'aperto ministra di pace -e di carità. Nella peste del 1374 ella sola mostrò tale coraggio, -tale abnegazione nell'assistere gl'infermi più gravi, da parere agli -occhi di tutti un essere superiore. E ben si comprende come questo -miracolo di sacrifizio, dovunque mostravasi, sapesse imporre la pace -ai più riottosi, e comunicasse agli altri quell'ardente carità, che -le bruciava il petto; talchè non pure a Siena, ma nella maggior parte -delle terre toscane era chiamata come paciera, e la sua fama saliva -tant'alto, che i più consumati uomini di Stato non disdegnavano -d'entrare in relazione con lei; come, per citarne un solo, Bernabò -Visconti. E a tutti teneva un linguaggio fermo e di gran buon senso. -Al cardinale d'Ostia, legato pontificio, grida: “Pace, pace, pace, -padre carissimo. Ragguardate voi e gli altri, e fate vedere al Santo -Padre più la perdizione dell'anima che quella delle città; perocchè Dio -richiede l'anime più che le città.„ Allo stesso papa Gregorio XI, non -appena scoppiata la guerra con Firenze, scrive, ribadendo il concetto -della santa svedese: “Andate innanzi e compite con vera sollecitudine -e santa quello che per santo proponimento avete cominciato, cioè -dell'avvenimento del santo e dolce Passaggio (vale a dire il ritorno -della Santa Sede in Roma). E non tardate più, perocchè per lo tardare -sono avvenuti molti inconvenienti.... Pregovi che coloro che vi sono -ribelli, voi gl'invitate ad una santa pace, sicchè tutta la guerra -caggia sopra gl'infedeli.„ “Ma pare che la somma ed eterna Bontà -permetta che gli stati e delizie sieno tolti alla sposa sua, quasi -mostrasse che volesse che la Chiesa santa tornasse nel suo stato -primo poverello, umile e mansueta come era in quello tempo, quando -non attendevano altro che all'onore di Dio e alla salute delle anime, -avendo cura delle cose spirituali e non temporali. Che poi che ha -mirato più alle temporali che alle spirituali, le cose sono andate di -male in peggio.„ Mandata dalla repubblica Fiorentina in Avignone per -trattare la pace col Papa, Caterina vi si adoperò con tutte le sue -forze; e se non riescì a comporre il dissidio, ottenne però quello che -più le stava a cuore sovra ogni altra cosa, il ritorno della Santa Sede -a Roma. Questo è il suo pensiero dominante, che il felice passaggio, -come diceva lei, avrebbe posto riparo a tutti i mali della Chiesa. E -la sua fede invitta seppe trasfonderla in Gregorio: “Andiamoci, Ella -scriveva, andiamci tosto, babbo mio dolce, senza veruno timore; se Dio -è con voi, veruno sarà contro di voi. Dio è quello che vi move, sicchè -gli è con voi. Andate tosto alla sposa vostra, che vi aspetta tutta -impallidita, perchè gli poniate il colore.„ “E io vi prego da parte -di Cristo Crocifisso, che voi non siate fanciullo timoroso, ma virile. -Aprite la bocca e inghiottite l'amaro, per lo dolce.... Spero.... che -voi sarete uomo fermo e stabile e non vi moverete per verun vento -nè illusione di dimonio, nè per consiglio di dimonio incarnato.„ E -fermo fu Gregorio. Non valsero le preghiere calde e insistenti di suo -padre e delle sue sorelle, non valsero le opposizioni dei cardinali -e le rimostranze del re di Francia. Su tutti e contro tutti vinse la -fanciulla di Siena; e lo stesso giorno che ella lasciò Avignone, anche -il Papa ne partì per non ritornarvi più mai. Singolare tempra di donna, -a nessun'altra pari, fuorchè in parte ad un'altra vergine, nata non -meno umile della Benincasa, Giovanna d'Arco. Anche questa fanciulla, -pochi anni dopo Caterina, apparisce nel mondo come dotata di una -potenza misteriosa. E al re di Francia e all'esercito suo disfatto ed -avvilito, ella, la povera fanciulla d'Orléans, sa ridare il coraggio e -la confidenza in sè e li conduce alla vittoria. Diverso fu il destino -delle due profetesse: l'una levata sugli altari, l'altra dannata al -rogo: ma entrambe operarono prodigi, perchè prodigi erano elle stesse -di fede, di amore, di sacrifizio. - -Il ritorno del Papa a Roma, secondo la veggente Sienese, doveva essere -il principio di quella riforma della Chiesa, a cui ella come tutti i -profeti aspiravano, e che avrebbe dovuto portar seco la pacificazione -degli animi in Italia e l'unione di tutte le forze cristiane contro -l'irrompere dei Maomettani. Il Signore stesso in una fatidica visione -le commette di dire al Papa: “che levi la croce santissima sopra -gl'infedeli, e levila sopra dei sudditi suoi.... in perseguitare e' -vizii e difetti loro. Divelto il vizio è piantata la virtù, ponendo -questa croce in mano di buoni pastori e rettori nella santa Chiesa„. E -in un'altra, ancor più notevole, le svela il segreto delle tribolazioni -della Chiesa, che egli permette per divellere le spine della sua sposa -che è “tutta imprunata„. “Sai tu come io fo? Io fo come feci, quando -io ero nel mondo, che feci la disciplina di funi e cacciai coloro -che vendevano e compravano nel tempio, non volendo che della casa -di Dio si facesse spelonca di ladroni. Così ti dico che io fo ora. -Perocchè io ho fatta una disciplina delle creature, e con essa caccio i -mercanti immondi e avari ed enfiati per superbia vendendo e comprando -i beni dello Spirito Santo.„ Sfortunatamente queste profezie non si -avverarono, poichè la Chiesa, non che riformarsi e rinvigorirsi, ebbe -a subire nuovi travagli dal lungo scisma, che tenne dietro alla morte -di Gregorio. E indarno la vergine Sienese s'adoperò a soffocarlo sul -nascere, scrivendo lettere di fuoco a principi e cardinali. Ormai -la battaglia era impegnata, ed ella, accorsa al fianco di Urbano VI, -si preparava a sostenerla virilmente, quando la morte sopraggiuntale -nell'aprile del 1380 le risparmiò nuovi e più cocenti dolori. - -Un altro profeta, certo molto da meno della santa di Siena, non -si faceva invece alcuna illusione. Era costui il frate terziario -francescano, Tommasuccio da Foligno, che nato nel 1319 dicono morto nel -1377; ma certo avrà vissuto ben oltre quell'anno, perchè dell'elezione -di Urbano VI è testimone, e di tutte le sciagurate conseguenze dello -scisma tra Urbano e Clemente che tristamente descrive, se pure le -strofe, ove di ciò si tratta, non s'abbiano a dire interpolate nel suo -rozzo componimento, che fu oltremodo popolare: - - Urbanu et Chiomento - Faran nova quistione - Et l'uno in Vengnone - Forte terà sua sysma. - In fede et in bactisma - Crescierà suo podere, - Mectendo grande herrore - Nella cristiana gente. - In Italia primamente - Ne seguirà strazio, - Che ne sarà ben sazio - El sangue de oltramontani. - . . . . . . . . . . . . - Serà fra li dui munti - In Roma grande divisa, - Ogni cosa provisa - El caso mino offende. - Però ongne omo che intende - Ol mio parlar diverso, - Che no sarà somerso - El bel castello Ursinu; - Poi ad priesso ad Marinu - La jente oltremontana - Fra monti valli e piani - Fugerà e sarà presa. - -Qui sono accenni e fatti determinati, come la presa del castello -Orsino e la battaglia di Marino, accaduti nel 1379. E nessun profeta nè -antico nè nuovo entra in particolari, se non è contemporaneo dei fatti -che annunzia. Comunque sia, fra Tommasuccio crede anch'egli nel papa -angelico: - - Verrà poi nello strimo - Dalla benigna stella - Uno che renovella - El mundo in altra forma. - Darà la bella norma - Ad nostra vita activa, - Et farà la terra priva - De vitii fallace. - Per lu universo pace - Serà da cielo in terra - Et follia e guerra - Serà nello inferno remessa. - -Ahimè! Pur troppo la triste realtà era ben lontana da questo roseo -sogno; poichè le condizioni della Chiesa peggioravano ognor più, e -se Urbano poteva vantare della sua parte e santa Caterina e Giovanni -dalle Celle, neanche a Clemente VII faceano difetto uomini d'insigne -pietà, come a dirne uno, san Vincenzo Ferrero, teologo e profeta egli -pure. Ormai non si sapeva più da qual parte stesse il diritto, e peggio -ancora a quale fra i combattenti sarebbe per arridere la vittoria: -talchè i profeti stessi, parteggiando chi per l'uno chi per l'altro, in -questo solo s'accordavano: nel credere prossima la fine del mondo. E -vi credè il suddetto Giovanni dalle Celle, che, pur avendo combattuto -per tutta la sua vita contro i Fraticelli, non teme ora d'imitarne -il linguaggio, e di risalire anche lui allo stesso abate Gioachino, -dai Fraticelli tenuto per suprema autorità. “L'abate Gioachino, egli -scrive, fu nel 1138 e fece un libro il quale si chiama el Papa, dove -egli infino all'avvenimento di Anticristo dipinse tutti i papi.... Ma -questo papa Gregorio (XI) pone che è l'ultimo papa e pone che fugge -in forma di fraticello. E dopo di questo papa dipinse una terribile -bestia, che colla coda avvinghia molte stelle, e dalla punta della -coda esce una spada. Gli uccelli del Cielo sono i religiosi e questa -bestia è l'Anticristo....„ Il libro che il Vallombrosano crede composto -intorno al 1138, quando probabilmente Gioachino era ancor fanciullo, -non è se non quello che racchiude gli apocrifi vaticini intorno ai -Pontefici, vaticini dei quali, come delle profezie di Merlino, di -Cirillo e delle varie Sibille, si fecero tratto tratto nuove edizioni -con aggiunte ed interpolazioni per adattarle ai nuovi fatti. Su -questi libri, sfacciatamente bugiardi, e sopra un creduto vaticinio -tradotto, dicevasi, dall'ebraico in latino per opera di un Dandolo -Ilerdense, e intitolato _Oroscopo_, fonda altresì le sue congetture -l'eremita calabrese Telesforo o Teoforo o Teleoforo da Cosenza. -Per parte mia credo che questo profeta faccia il paio col supposto -Cirillo; e parmi non poco probabile che sotto il pseudonimo di un -conterraneo di Gioachino si nasconda qualcuno, che non vivea molto -lontano dalla Curia avignonese e ne divideva le speranze. Comunque -sia, racconta il nostro eremita che vivendo nelle solitudini di Tebe -presso Cosenza, dopo avere sparse molte lagrime e durati parecchi -digiuni per divenir degno di conoscere il principio e il termine -dello scisma; finalmente addormentatosi in sull'aurora della Pasqua -del 1386, gli apparve un angelo dal volto verginale, dall'ali lucenti -e dell'altezza di due cubiti, che lo invitò a raccogliere i libri -di Gioachino e di Cirillo, se voleva conoscere il segreto che tanto -l'affannava. Destatosi l'eremita si mise a cercare insieme con un suo -compagno, Eusebio Vercellese, le opere dei due profeti, e non solo -quelle trovò in gran copia, ma tutte le altre che vi ho testè citate. -Come si vede, il Cosentino, benchè gli appaiano gli angeli dalle -bianche vesti, non è neanche lui un profeta, ma piuttosto uno studioso -delle altrui profezie. E resta altresì molto indietro ai predecessori -suoi; poichè non nelle sacre carte cerca di leggere l'avvenire, ma -nelle profezie più recenti, e non nelle autentiche, ma nelle spurie, -come a dire i falsi vaticini sui Pontefici, che egli conosce sotto il -nome di _Fiore_, e il falso commento alla pretesa profezia di Cirillo. -La sua ingenuità arriva anzi a tal segno, da credere in buona fede -che Gioachino, morto nel 1202, abbia potuto commentare la profezia -Cirilliana, la quale, secondo Telesforo, sarebbe apparsa nel 1264. -Ma i profeti, che vedono tanto bene nel futuro, non hanno l'obbligo -di conoscere per filo e per segno il passato. Alla luce di queste -pseudo-profezie al nostro eremita si rischiarano tutti i dubbi; ed -ora legge nell'avvenire come in un libro aperto. “Il presente scisma, -ei scrive, è nato dai vizi e dalle colpe della Chiesa, che dei beni -terreni apparve più sollecita che degli spirituali; e non avrà fine -se non al tempo dell'angelico pastore, che seguirà immediatamente -alle presenti tribolazioni, e rinunzierà spontaneamente a tutti i -suoi possessi.„ Dicevano in Avignone che la ragione del ritorno della -Santa Sede in Italia dovevasi ricercar nel desiderio di riconquistare -quel dominio temporale, che i principi e le città collegate con a -capo Firenze stavano per togliere alla Chiesa. Ed aggiungevano che -sarebbe stato molto meglio subire tale spogliagione, che mettersi -allo sbaraglio di uno scisma. Anzi l'antipapa Clemente di una gran -parte del patrimonio di San Pietro avea costituito un ducato in -favore dell'Angioino, per riceverne aiuto e difesa nelle presenti -strettezze. Telesforo, andando più oltre, aggiunge che il successore -di Clemente, o il Papa Angelico, non ad una parte sola dei possessi -suoi rinunzierebbe, ma bensì a tutti. Se non che prima che spunti -questo avventuroso giorno nuove calamità sovrasteranno ai fedeli, e -dalla Germania sorgerà, secondo un'antica leggenda tedesca, un terzo -Federico, della semente del secondo, il quale, non meno infesto alla -Chiesa, pugnerà contro la Francia, come un tempo Manfredi contro -Carlo d'Angiò, e più fortunato di lui riuscirà a menare prigione il re -francese. Ma non tarderà molto, che le sorti della guerra muteranno e -l'imperatore tedesco sarà sconfitto e l'impero stesso passerà nelle -mani di re Carlo di Francia, il quale, stretto in intimo accordo -col Papa Angelico, dominerà tutto il mondo cristiano, sconfiggerà -i Saraceni, convertirà i Tartari, e la Chiesa greca unirà con la -latina. Nel qual tempo si verificherà l'antica profezia di un solo -ovile e di un solo pastore, e per lunga pezza la pace sorriderà agli -uomini. Nè qui si arresta l'incauto profeta, ma discorre ancora dei -successori del Papa Angelico, che saranno in numero di tre, dopo i -quali il Diavolo sarà sciolto di nuovo, e verrà l'ultimo Anticristo, -che con doni ed incanti sedurrà il popolo dei credenti; dopo di che -seguiranno la finale catastrofe e il giudizio universale. Di tutti -questi avvenimenti, dei quali neppur uno si è verificato, è così certo -il nostro eremita da snocciolarvene le date con precisione matematica. -Lo scisma avrebbe fine nel 1417, e nel 1432 sarebbe legato Satana, e -tra altri 420 anni dal 1386, vale a dire nel 1806, sarebbe accaduto -il giudizio universale. Siamo, come si vede, in piena decadenza -della profezia. Telesforo è un commentatore di commentatori; e non si -contenta se non quando ha colmate tutte le lacune, assegnate tutte le -date. La sua profezia è un libro di partito, scritto per rincorare -i suoi, ed accertarli che, non ostante i rovesci e le sconfitte, la -vittoria finale non sarà per mancare. Non gl'importa che di lì a poco -tempo il fatto possa smentirlo. Quel che preme ora, è non perdersi -d'animo; e nulla giova tanto ad assicurare la vittoria, come la piena -fiducia di doverla conseguire. - -Il libro di Telesforo ebbe un grande ed immeritato successo; e sei anni -dopo che fu pubblicato, vale a dire nel 1392, Enrico di Langstein ne -scrisse una confutazione stringente. Ed Enrico era uno dei più dotti -teologi del tempo e vice-cancelliere dell'Università di Parigi, e nello -scisma ebbe una parte importantissima; perchè sostenne validamente -non potersi comporre il conflitto, se non a patto che entrambi i papi -deponessero il loro potere e lasciassero ad un Concilio la cura della -nuova scelta del pontefice e della sospirata riforma della Chiesa; -idee che, svolte poi dal Gerson, trionfarono nel Concilio di Costanza. -Orbene quest'uomo, così dotto e così pratico, non ebbe disdegno di -combattere le profezie del preteso Telesforo. E la ragione sta in -questo, che tutti in quel tempo erano inclinati ad accogliere le voci -profetiche. Lo stesso Enrico, se non presta fede a tutte le puerilità -dell'Eremita, se gli rimprovera di attingere a sorgenti impure e non -approvate dalla Chiesa, crede però anch'esso nella prossima venuta -dell'Anticristo; e di Arnaldo di Villanova fa tanto conto che lo mette -a pari di santa Ildegarde, la Sibilla tedesca come ei la chiama, e -rimprovera Telesforo di non averne conosciute le opere. - -Parimente nella prossima venuta dell'Anticristo crede un altro teologo, -Niccolò Oresme, precettore del re Carlo V di Francia. Mandato dal re -francese alla Curia pontificia in Avignone, vi tenne un ardito discorso -predicente lo scisma, e liberatosi poscia dall'accusa di eresia con -tale vantaggio da meritare il vescovato di Lisieux, seguitò a meditare -sui destini dell'umanità, e pur combattendo le dottrine gioachimite -intorno alle tre età e all'Evangelo eterno, si fece a dimostrare in -un libro _De Antichristo_, scritto, a quel che sembra, allo scoppiare -dello scisma, che fra non molto si verificherebbero le terribili -profezie dell'Apocalisse, stando almeno a parecchi indizi, tra i -quali è da contare il pressochè compiuto annichilamento dell'Impero, -la tepidezza della carità, la dissolutezza e la simonia dell'alto -clero, il pullulare di nuove eresie, e più che tutto l'apparizione -di quei falsi profeti che sono i Gioachimiti. Ed enumerati ad uno ad -uno questi segni precursori, il dotto prelato si fa a descrivere il -futuro Anticristo, che nascerà in Giudea e coll'apparenza della santità -e con larghi donativi si guadagnerà molti cristiani, allontanandoli -dalla vera fede, e fattosi eleggere loro re, perseguiterà a morte gli -ortodossi, e con alterna vicenda di sconfitte e vittorie travaglierà -tutto il mondo, finchè Cristo stesso non scenderà in terra per levarlo -di seggio e cacciarlo in inferno con tutti i suoi seguaci. - -Non meno convinto della vicina catastrofe era quel Domenicano spagnuolo -ricordato più sopra, Vincenzo Ferrer, che nelle sue predicazioni e in -una lettera indirizzata al papa avignonese Benedetto XIII il 27 luglio -1412 affermava dover coincidere la venuta dell'Anticristo con la fine -del mondo, ed essere imminenti e l'una e l'altra; poichè già da cento -anni ai beati Domenico e Francesco era stato rivelato che tre spade -percuoterebbero la terra, vale a dire la persecuzione dell'Anticristo, -la conflagrazione, e il giudizio universale. Inoltre nell'Apocalisse -è detto che Satana, dopo mille anni dacchè fu legato, sarà sciolto di -nuovo e sguinzagliato contro i fedeli. E Satana fu legato non alla -venuta di Cristo, come dicono alcuni, ma ben piuttosto al tempo del -beato Silvestro, quando l'Impero romano si convertì alla nuova fede e -il paganesimo fu vinto. Da quel tempo i mille anni sono già trascorsi, -e l'estrema ruina si appresta _cito et bene cito ac valde breviter_; e -gli stessi ordini religiosi, il Domenicano e il Francescano, istituiti -per ritardarla, sono pressochè distrutti, poichè è venuta meno la -rigida osservanza delle loro regole. Le opinioni apocalittiche erano -state fino allora proprie del sodalizio francescano, e della parte -più esaltata degli spirituali; ora penetrano nell'ordine domenicano; e -dopo Vincenzo Ferrer un altro predicatore, Manfredo di Vercelli, le va -spargendo per l'Italia settentrionale, traendo seco le turbe atterrite. - -Ma questi tetri pronostici fallirono alla lor volta del tutto; anzi -composto a Costanza il grande scisma, e vinto senza fatica l'altro -che vi tenne dietro a Basilea, il papato parve sorgere a nuova vita e -riprendere il prestigio goduto ai giorni d'Innocenzo III e di Gregorio -IX. Senonchè l'attento osservatore sotto l'apparenza ingannatrice non -tardava a scoprire i segni di nuovi mali. La Curia non era più, come -in Avignone, alla mercè del re di Francia; ma la corruzione, tanto -rimproverata alla Corte avignonese, non era scomparsa sotto altro -cielo. E per un certo rispetto pareva si andasse di male in peggio; -poichè ora con cinico sorriso si mettevano a nudo le proprie brutture, -e le facezie di Poggio Bracciolini trovavan lieta accoglienza nelle -stesse sale del Vaticano. Aggiungi che al cessare degli scismi lo -spirito cristiano non che informare uomini ed istituzioni, pareva -invece soffocato dal rifiorire della cultura pagana e dalla ognor -crescente miscredenza, e la stessa Curia pontificia aveva a segretari -uomini, che eglino per i primi non prestavano fede ai brevi ed alle -bolle da loro distesi come saggio di elegante latineggiare. Infine -un'altra piaga si riapriva nel seno della Chiesa, e più maligna delle -precedenti, il nepotismo, che da Paolo II a Sisto IV divenne sempre più -minaccioso, e con Alessandro VI non conobbe più modo nè misura. - -In queste condizioni, quando le sorti della Chiesa parevano disperate, -e lo stesso Vicario di Cristo era accusato a torto o a ragione delle -tresche più scandalose, tonò potente la voce di Gerolamo Savonarola. -In lui la profezia dal basso loco, in che era caduta, assurge -novamente a sublimi fastigi. Al pari dei suoi predecessori egli lavora -d'interpretazioni e di commenti sui libri profetici del Nuovo e del -Vecchio Testamento; l'Apocalisse, i Profeti e il libro dei Salmi sono -i suoi testi prediletti. Se non che non parla più, come i predecessori -suoi, della prossima venuta dell'Anticristo e della fine del mondo, -ma solo dell'imminente rinnovazione della Chiesa. E i suoi vaticini -trae, come l'Oresme, da diversi indizi, che ha cura di enumerare ad -uno ad uno nella famosa predica del 14 gennaio 1494. “Hora, egli -dice, cominciamo dalle ragioni che io t'ho alleghate da parecchi -anni in qua, che dimostrano et pruovano la renovatione della Chiesa. -Alchune ragioni sono probabili, che gli si può contradire, alchune -sono demonstrative, che non se gli può contradire, perchè son fondate -nella scriptura sancta. La prima è _propter pollutionem prelatorum_. -Quando tu vedi un capo buono, dì che il corpo sta bene. Quando el capo -è captivo guai a quel corpo. Però quando Dio permecte che nel capo -del reggimento sia ambitione, luxuria et altri vitii, credi che il -flagello di Dio è presso.... La terza _per exclusionem istorum_. Quando -tu vedi che alchuno Signore o capo di reggimento non vuole e buoni et -onesti appresso, ma gli cacciano, perchè non vogliono che gli sia dicta -la verità, dì che il flagello di Dio è presso.... La _sexta propter -multitudinem peccatorum_. Per la superbia di David fu mandata la peste. -Guarda se Roma è piena di superbia, _luxuria et avaritia et simonia_. -Guarda se in lei multiplicano sempre li captivi et però dì che il -flagello è presso.... Tu dirai: O egli c'è tanti religiosi e tanti -prelati più che ne fussi mai. Chosì ce ne fussi mancho. O cherica, per -te _orta est hæc tempestas_! Tu se' cagione di tucto questo male et -oggidì ad ogni uno gli pare essere beato chi ha el prete in casa; et -io ti dico che verrà tempo che si dirà: _Beata quella casa che non ha -cherica rasa._ La decima è _propter universalem opinionem_. Vedi ognuno -che pare che predichi et aspecti el flagello et le tribolatione.... Lo -abbate Joachino et molti altri predicano et annunziano che in questo -tempo ha advenire questo flagello.„ - -Il Savonarola adunque non diversamente dai suoi predecessori è un -profeta più di riflessione che d'ispirazione, e nelle previsioni -sue l'ermeneutica biblica e le dottrine teologiche hanno la parte -preponderante, come in quelle dell'abate Gioachino, che egli stesso -cita. Ma ciò non pertanto a scoprire nelle sacre carte il senso, -che agli altri sfuggiva, occorrevagli una singolare attitudine o -un'illuminazione dall'alto. E questo dono singolaro nessuno più del -Savonarola è convinto di averlo. “Chi dubiterà — egli scrive — che -il giglio sia bianco se non il cieco?... Le cose avvenire appariscono -tanto chiare nel lume della prophetia, che colui il quale ha tal lume -non può avere dubitatione alcuna„. “Et dicoti che si verificherà ancora -il resto che non fallirà una iota et io ne so certo più che non sei -tu che due e due fanno quattro, et più che io non so certo che io -toccho questo legno di pergolo, perchè quello lume è più certo che -non è senso del tacto. Credimi, Firenze; tu dovresti pur credermi, -perchè di quel che t'ho decto non ne hai veduto fallire una iota -fino a qui, et anco per l'avenire non ne vedrai manchare niente„. -A lui non sembra come a santa Brigida e a santa Caterina di avere -diretti colloqui con Cristo o con la Vergine, nè la sua fantasia sa -levarsi alle grandiose rappresentazioni di Ezechiello e dell'autore -dell'Apocalisse. Anzi talvolta l'arte gli fa tanto difetto, che cade -nel trito e nel minuto, come in una descrizione del Paradiso inserita -nel compendio delle Rivelazioni. Ma senza dubbio lampi di vero genio -guizzano talvolta nelle sue prose e nelle sue poesie. E talune delle -visioni sue colpirono talmente i contemporanei, che furono riprodotte -in molte incisioni, come quella apparsagli nell'anno MCCCCLXXXXII, “la -nocte precedente all'ultima predicatione che fue in Sancta Reparata, -quando vide una mano in cielo con una spada sopra la quale era scripto: -La spada del Signore colpirà tosto e veloce. E da poi questo la mano -rivolse la spada verso la terra et subito parve che si rannugholassi -tutto l'aere et che piovessi spade et gragnuola con grandi tuoni et -saette e fuochi et fu in terra facto guerra pestilenza et carestia„. -Non c'è nulla di strano che queste visioni ei l'abbia avute realmente. -La sua fantasia, piena di ricordi biblici, non posava mai, il suo -corpo estenuavano i digiuni e le fatiche della predicazione, il suo -animo combattevano speranze e timori senza fine. Non erano fredde -lucubrazioni le sue, ma sensazioni potenti che sentiva nel più profondo -dell'essere suo prima di comunicarle agli altri. - -Se non che il Savonarola non era soltanto un mistico ed un veggente, -ma possedeva altresì uno squisito senso della realtà; e gran parte -delle previsioni sue, come quelle intorno alla discesa di Carlo -VIII ed all'espulsione dei Medici, si dovevano, più che alla sua -natura profetica, alla conoscenza profonda, che egli aveva degli -uomini e delle cose. Certo nessuno meglio di lui seppe consigliare -ai Fiorentini, tornati liberi, la forma di governo più opportuna. -E nessuno vide meglio di lui che la repubblica non sarebbe durata -se non ad un patto, che si fossero rappaciati gii animi e scordate -le antiche offese. Nella sua grande anima il Savonarola riunisce -le doti e le tendenze più disparate. E se nei suoi vasti disegni -pensava alla Chiesa tutta, che avrebbe dovuto tornare alla severità -degli antichi costumi, non trascurava le sorti degli Stati, non meno -bisognosi di riforme della Chiesa stessa, a cominciare da Firenze, la -patria di adozione, che esercitava su di lui, come su tutti noi, il -suo fascino irresistibile. Ed a Firenze avea consacrata non piccola -parte dell'opera sua fin da quando, chiamato al letto del morente -Lorenzo, non volle, a quel che raccontano, udirne la confessione se -prima non avesse promesso di ridare la libertà alla sua patria. Le -due riforme andavano, secondo lui, strettamente congiunte, perchè -si potesse ritornare a quel tempo glorioso, quando i più rigidi e -intemerati papi stavano al governo della Chiesa, e la Chiesa stessa -era l'anima dei liberi comuni. Senonchè quella età era ben lontana, -e la storia, per sforzi che si facciano, non torna indietro. Le due -riforme, che il frate di San Marco congiungeva nel suo pensiero, si -recavano vicendevole impaccio, come i fatti dimostrarono ben presto. -Secondo l'austero riformatore Firenze, conquistata la libertà e il -governo di sè, dovea ora rinnovare la sua coscienza, e da pagana -che era, in gran parte, rifarla cristiana. Nè aveva a tollerare più -a lungo quei canti e quelle feste carnescialesche, onde fu celebre -il governo di Lorenzo, e lo Stato, prendendo il luogo della Chiesa, -dovea punire come infrazioni delle leggi sue quelli che la Chiesa -condannava come peccati. Cristo dovea assere il re di Firenze, e in -suo nome aveasi a riformar la città. Le quali idee del frate tornavano -ostiche, non solo ai partigiani dei Medici, ma ben anche ad una parte -degli aderenti all'ordine nuovo, che mal pativa la città si governasse -dal pergamo, con metodi e con idee fratesche. E quando il Savonarola -concepì l'infelice disegno di fare accendere in piazza della Signoria -un gran fuoco per bruciarvi quanti oggetti di lusso o di vanità fosse -dato raccogliere, le loro rampogne non conobbero misura, e l'odio -contro il frate crebbe a tal segno, che la parte dei repubblicani, -a lui ostili, fu detta degli Arrabbiati. Dall'altro lato se la -religione, secondo la mente del Savonarola, dovea informare lo Stato -fiorentino così da dargli sembianza di teocrazia, lo Stato alla sua -volta aveva da esercitare un'azione non meno potente sulla religione; -poichè da Firenze, che è, come egli dice, l'ombelico d'Italia, doveva -sprigionarsi la scintilla del grande incendio della Riforma. Ed anche -da questo lato non potevano tardare i disinganni; perchè la parte -politica del Savonarola avea da sostenere l'urto non pure dei nemici -interni, ma di un avversario ancor più potente, qual era il Papa, -che impersonava la gerarchia. Nè ci voleva molto a prevedere che -nell'impari lotta contro la doppia potestà temporale e spirituale, -ne andrebbe fiaccata. E il Savonarola stesso lo sa, e con mirabile -divinazione predice che la prima vittima sarà lui; ma un fato lo -trascina ed egli non sa resistere. - -Non è dubbio, dicemmo, che la propaganda del mistico profeta dovesse -recare non poco danno all'opera politica da lui intrapresa, e non è -dubbio altresì che danno non minore dovesse recare l'inframmettenza -politica al disegno di riforma religiosa. In che stesse codesta riforma -è manifesto. Il Savonarola, al pari dei profeti che lo precedettero, -non intende di toccare nessun punto del domma, e quelli che, a -cominciare da Lutero stesso, ne vogliono fare un precursore della -Protesta, s'ingannano di gran lunga. Ei voleva solo che la Chiesa si -lavasse dalle brutture presenti, che sulla cattedra di San Pietro -sedesse un papa santo, non diverso dal Papa Angelico vagheggiato -dalle età precedenti, e che la corruzione provenuta dall'avidità di -ricchezze e di potere cedesse il campo alla povertà e alla semplicità -primitiva. La prima riforma che il Savonarola intraprese in piccolo, -quando ottenne che il convento di San Marco, sottraendosi alla -giurisdizione del provinciale lombardo, si ponesse a capo della nuova -provincia toscana, fu appunto questa d'introdurre nell'interno del -chiostro domenicano la stretta regola della povertà evangelica, presso -a poco come la intendevano i Francescani spirituali. Ma la conseguenza -logica di questo indirizzo più severo sarebbe stata appunto di vietare -che gli uomini di Chiesa si mescolassero nelle cose dello Stato. Il -che mal s'accordava col fatto che un frate fosse a capo di una parte -politica, qual era quella dei Piagnoni. Evidente contraddizione questa -che ebbero ben cura gli avversari di mettere in piena luce. Invano il -Savonarola adduceva l'esempio del cardinale Latino, di santa Caterina -da Siena e di sant'Antonino arcivescovo di Firenze. Indarno protestava -non essersi delle faccende dello Stato in particolare mai impacciato, -e solo le norme generali del governo aver suggerito per la salute -temporale e spirituale dei Fiorentini. Le sottili distinzioni non -gli giovavano. E per vincere l'ardua prova di condurre a buon fine le -due riforme, che mal s'accordavano insieme, sarebbe occorsa a Firenze -maggiore forza e più robusta fede di quella che avesse in realtà. Per -fermo era un sogno, che questa piccola repubblica, stretta intorno -da tanti e così diversi nemici, potesse alla lunga resistere alle -minacce di Roma. Oltre a che il Savonarola avea da combattere contro -un pontefice, che, se dava ogni giorno nuova materia a scandali e -maldicenze, vinceva tutti in scaltrezza, e che anche questa volta non -si smentì. Non appena Alessandro sente che un frate fiorentino osa -dal pergamo sparlare di lui e del suo governo e predicare l'imminenza -della Riforma, lo chiama a Roma con lettera affettuosa e allettatrice. -Scusatosi il Savonarola di non potersi muovere e per lo stato di sua -salute e per le condizioni della città, gli vieta di predicare più -oltre. Fallitogli per insistenza della Signoria fiorentina anche questo -provvedimento, delibera di distruggere l'autonomia, da lui stesso -concessa, del convento di San Marco, e di assorbire la nuova provincia -toscana in una più larga, che prende il nome di tosco-romana, il che -voleva dire mettere San Marco e il guardiano suo nelle mani di una -creatura del Papa. Nè il Savonarola nè i suoi dipendenti si piegano al -duro decreto, ed Alessandro VI alla sua volta non tarda a scomunicarli -tutti come ribelli agli ordini suoi, e chiedere al governo fiorentino -di assicurarsi del loro capo, se non voleva rendersene complice, ed -incorrere nell'interdetto. Queste gravi misure non disanimavano il -Savonarola, che dopo breve intervallo di silenzio ritorna sul pergamo -e dichiarata nulla e vana la scomunica, ribadisce le sue profezie, -sempre più convinto che non un iota, com'ei diceva, ne fallirebbe. “O -uomini religiosi, esclama nella predica del 25 febbraio 1497, o Roma, o -Italia, e tutto il mondo chiamo, fatevi innanzi. Questo che io dico o -è da Dio o no. Se è da Dio voi non potete impugnarlo, e se impugnate, -perderete con vostro danno; se non è da Dio mancherà presto per sè -medesimo.„ E più gravemente in quella del 18 marzo: “Dico che quando è -guasta la Chiesa, non è potestà ecclesiastica, ma è potestà infernale e -di Satanasso. Io ti dico che quando ella adiuta le meretrici, li cinedi -et li ladroni et perseguita e buoni et cercha di guastare el ben vivere -christiano, allora ella è potestà infernale et diabolica, et hassegli -a fare resistenza„. Era guerra aperta e a ferri corti, e il Savonarola -non disperava di vincerla. In una lettera ad un amico ricorda che i -concili di Pisa e di Costanza aveano stabilita la superiorità della -Chiesa tutta, rappresentata dal Concilio sul Papa, e il dritto di -deporlo, dove si fosse chiarito indegno di tenere l'alto seggio. -Dottrina già sostenuta un tempo da Marsilio da Padova e dall'Occam, -e più di recente difesa dal Langstein, dal Gerson, dal Piccolomini, -dal Cusano. E al Gerson il Savonarola s'appella, e spera che il re -di Francia o l'imperatore dei Romani, o tutti insieme bandiscano un -Concilio, che ponga fine agli scandali e alle simonie. E nello stesso -collegio cardinalesco si affida di trovare aiuto, specie nel cardinale -della Rovere, che fu poi Giulio II, il quale pubblicamente accusava il -Papa di aver compra la tiara a contanti. - -Ma tutti questi calcoli erano sbagliati. Le teorie di Pisa e di -Costanza, se non pubblicamente condannate, furono ferite a morte dopo -lo scacco del Concilio di Basilea e la sottomissione dell'antipapa -da questo nominato. E gli uomini più eminenti, come il Cusano e il -Piccolomini, ebbero a ricredersene anche prima che l'uno fosse fatto -cardinale di San Pietro in Vincoli, e l'altro assumesse la tiara col -nome di Pio II. Nè era credibile che il disegno fallito a Basilea, -d'introdurre nella Chiesa in luogo del monarcato assoluto un governo -a larga base, potesse riescire ora che le condizioni vi si prestavano -meno. Certo è che quando il Savonarola levò il suo grido contro quel -papa, che la Chiesa stessa deplora d'aver avuto a capo, nessuno lo -raccolse, e gli Arrabbiati seppero ben cogliere l'occasione delle -minaccie papali per sbalzare di seggio la parte politica devota al -Frate. Nè solo i politici gli si mossero contro, ma benanche la maggior -parte del clero con i frati minori alla testa, i quali sfidarono il -Profeta di provare la verità delle predizioni sue coll'esperimento -del fuoco. Il Savonarola non voleva accettare la strana sfida, che -sapeva bene non essere se non un tranello; ma il suo fido compagno fra -Domenico, convinto della bontà della loro causa, l'accettò e sarebbe -certo entrato nel fuoco, se il Minorita si fosse fatto innanzi. Costui -però, come era da prevedere, non si presentò, il truce spettacolo -non ebbe luogo, e la gran folla adunata in piazza della Signoria per -assistervi, a tarda sera si sciolse indispettita e minacciosa. Da quel -giorno la sorte del Savonarola era decisa. Ben presto fu dato l'assalto -al suo convento, e vinta facilmente la debole resistenza, che una -parte dei Piagnoni ancora opponeva, fu tratto in prigione, come volgare -malfattore, quell'uomo dalle cui labbra pochi giorni innanzi pareva che -il popolo tutto pendesse. La Signoria non volle consegnarlo al Papa, ma -dopo lunghe trattative ottenne che il processo fosse fatto in Firenze -e vi prendesser parte i magistrati fiorentini. - -Potrebbe sembrare strano come il Governo tanto tenesse ad istruire un -processo, senza dubbio più ecclesiastico che civile e per la qualità -delle persone e per l'indole stessa dell'accusa di ribellione al -Papa, i cui ordini non furono eseguiti, le scomuniche sprezzate. E -la Signoria stessa ebbe a ricorrere ad una menzogna per giustificare -l'opera propria, asserendo, nell'intestazione degli atti processuali, -che i giudici da lei scelti procedevano per conto e per mandato del -Papa, mentre questi non avea potuto avere il tempo di manifestare la -volontà sua. Perchè tanta insistenza? La ragione è chiara. La Signoria, -sotto al processo ecclesiastico, ne ordiva uno politico, e non solo -il Savonarola voleva colpire, ma tutta la sua parte. E sperava che -il Profeta, innanzi al quale fu visto allibire lo stesso Lorenzo dei -Medici, smentisse sè stesso, perchè, non solo scomparisse dalla scena -politica, ma ne fosse per sempre macchiata la fama, e passasse appo i -posteri quale impostore, nè fosse possibile che la parte, della quale -egli era anima e mente, riprendesse lena e del di lui nome si giovasse. -A tale scopo non fu risparmiato nessun mezzo. Furono somministrati -all'infelice in un solo giorno tre tratti e mezzo di fune, che gli -slogarono le ossa e sconciarono la mano destra, furono alterati i -verbali delle sue risposte, mandati in giro con glosse, che, guastando -il senso, rivelavano con la nequizia l'inabilità del notaio che le -stese. Ed i Signori ottennero in parte l'intento loro. Il Savonarola -già nel pieno trionfo della sua carriera non è sempre sicuro di sè. -Dice bene spesso che le sue rivelazioni le ebbe da Dio, e ribatte -tutti gli argomenti degli avversarii che il dono profetico gli volevan -contrastare; ma talvolta dichiara di non essere nè profeta nè figlio di -profeta, e che tutto quel che dice lo ha ricavato dallo studio attento -delle sacre carte, che ogni uomo di qualche levatura può fare. In lui, -come in tutti i presaghi dell'avvenire, non di rado con la fiducia -piena s'alterna il profondo scoraggiamento. Non è dunque strano che -davanti ai suoi giudici, dopo aver sofferte le più atroci torture e -i più cocenti disinganni, sconfessi il suo dono profetico. Talvolta -il primo uomo risorge e si ribella alle sue stesse confessioni, -come in queste memorabili parole pronunziate il 20 maggio 1498 -nell'apparecchiarsi ancora una volta alla tortura: “Hor su uditemi: -Dio, tu m'hai colto, io confesso che ho negato Christo, io ho detto la -bugia. Signori Fiorentini, siatemi testimoni, io l'ho negato per paura -di tormenti; s'io ho a patire, voglio patire per la verità; ciò che io -ho detto l'ho havuto da Dio; Dio tu mi dai la penitenza, per averti -negato per paura di tormenti, io lo merito.„ Ma questo ritorno fu un -lampo. Dimandato in sulla fune sconfessò le dichiarazioni sue e nel -giorno seguente confermò di aver detto “come huomo passionato, e che -voleva sbrigarsi da una gran briga„. Il 23 maggio 1498 egli ed i suoi -compagni, fra Domenico e fra Silvestro, furono degradati e consegnati -al braccio secolare, e alle dieci del mattino le livide fiamme del rogo -ne accolsero i cadaveri. - -I pensieri dominanti del Savonarola furono questi due: la rinnovazione -della Chiesa e la libertà del popolo fiorentino; l'una da promuovere, -l'altra da stabilire e difendere. E i principi della Chiesa e i signori -del popolo si strinsero insieme per darlo al rogo, vittima espiatrice -delle sue grandi aspirazioni. Con la morte del Savonarola la Profezia -ammutisce, nè più si ode, fuorchè a un secolo di distanza negli -insipidi vaticini dello pseudo-Malachia, e nella debole eco di un altro -domenicano, uomo politico anch'esso, fra Tommaso Campanella. Negli anni -che seguono al martirio del Ferrarese, l'ora del tremendo giudizio non -s'attende più, è già suonata. Ma nessun profeta l'annunzia, e quando -più fervono le lotte religiose, e torrenti di sangue dilagano per -l'Europa, nessuna voce risuona a confortare gli animi con la promessa -di giorni migliori. Simili ai dannati danteschi, i profeti di cui vi -ho ricordate le strane visioni, a furia d'aguzzar gli occhi nel futuro, -brancolano come ciechi nelle tenebre, quando si tratti del presente: - - Noi veggiam, come quei c'ha mala luce, - Le cose, disse, che ne son lontano, - Cotanto ancor ne splende il sommo Duce; - Quando s'appressano, o son, tutto è vano - Nostro intelletto, e s'altri noi ci apporta - Nulla sapem di vostro stato umano. - - - - -LA PITTURA DEL 400 A FIRENZE - -DI - -DIEGO MARTELLI. - - - _Donne gentili, onorandi signori_, - -Nell'anno passato mi presentavo a voi con somma trepidazione; giacchè -un pubblico fiorentino e specialmente un pubblico come il vostro, è -uno dei più imponenti giudici avanti ai quali si possa presentare colui -che ha in animo di perpetrare una conferenza. Pur tuttavia uno stimolo -forte mi ha mantenuto saldo al mio posto. La vecchierella che portava i -suoi 76 anni come un giocondo fardello di serene rimembranze, mi stava -allora vicina; quella povera donna era mia madre, quella vecchierella -racchiudeva in un corpo esile e sottile, lo posso dire con orgoglio, -l'anima d'un eroe. Quindi nessuna debolezza mi era permessa, io doveva -fare la mia conferenza e la feci, la vostra gentilezza l'accolse, ed -eterna ne rimase in me la gratitudine. Quest'anno con vento fresco da -poppa avrebbe dovuto volare verso i suoi ponenti gagliarda la navicella -dell'ingegno mio; ma fu colta dalla bufera: quella povera vecchia non è -più qui, e voi non avete che gli avanzi d'un triste naufragio davanti -agli occhi. Questo mi raccomandi alla vostra benevolenza. Io mi sento -stretto dappresso dalla immagine d'una quantità di cari estinti e -l'arte pure ne perse di recente, e dei grandi, voglio dire del nostro -Barabino e del nostro Cassioli, e fra i colleghi della società, delle -letture, io più non veggo in questa sala quell'attento Dogliotti, il -quale veniva qui con l'animo ingenuo d'un giovane discepolo. Quell'uomo -così grande, così buono, che aveva tutte le fidanze di un fanciullo, -voi lo sapete, sta nella storia italiana col core d'un Baiardo. - -Ciò posto, cercherò alla meglio di svolgervi l'argomento che mi sono -proposto, accennando ai principali pittori del 400 fiorentino. È da -avvertire però che tra le peripezie che incolsero gravi alla società -delle letture nell'anno passato, vi fu anche quella della malattia del -nostro egregio amico Enrico Panzacchi. - -Così voi sentiste parlare dell'arte pisana, di quei grandi -scultori, pittori ed architetti da me; de' primordi dell'arte veneta -splendidamente da Pompeo Molmenti; ma fu passato sopra al nome di -Giotto, il quale veramente appartiene al secolo XIV e non al secolo -XV di cui dobbiamo ora parlare. E io comincierò la mia conferenza -rammentandovi qualche cosa delle opere e del grande nome di lui; questo -mio rammentare sarà come bandiera che si inchina riverente passando -davanti ad uno dei santi padri dell'arte italiana. - - -I. - -GIOTTO. - -Nel 1265 nasceva Dante; a pochi anni di distanza nasceva il pastore -di Bondone, Giotto. Il Guerrazzi, commentando alcuni dei lavori di -Giotto, con quella sua splendida ed immaginosa facondia, dice che -le nostre preghiere, le preghiere degli umani, quando salgono dalla -terra al cielo vanno su faticosamente e tremanti, in modo che arrivano -all'empireo stanche e rovinate dal lungo cammino; là sono raccolte -dagli angeli della misericordia che le presentano al Signore. Egli -quando le vuole esaudite abbassa il ciglio alla terra e guarda una -madre; e con quello sguardo, dice il Guerrazzi, infonde tale una virtù -nell'alvo materno che cotesto felice portato ritraendo in sè parte -grandissima della divinità esce a suo tempo al mondo per conforto ed -onore della specie umana. - -In questo modo e per questa causa nacquero Dante e Giotto. E infatti -Giotto, che fu di Dante amicissimo, col quale certamente s'incontrò -mentre l'uno peregrinava per le sue sventure, e l'altro peregrinava -chiamato dai grandi a decorare sontuosi edifici, fu di conforto -all'esule che potè rivedere l'amico pittore e parlare con lui di cose -divine d'arte e di patria. Giotto, non occorre dirvelo, ha lavorato -immensamente come pittore, ed ha decorato monumenti a Napoli, ha -lavorato nella chiesa di Assisi, ed un gioiello ha pure lasciato -nell'alta Italia, nella cappella degli Scrovegni. - -Io credo che si possa dire di Giotto, che come Dante, dagli -sparsi conati del volgare italiano, seppe col suo potente ingegno -formulare quella cantica divina che resta come il primo, più grande -e impareggiabile monumento del nostro idioma; così, tenuto conto -dei tempi e delle circostanze, Giotto dalla eredità dei Bizantini, -dall'eredità dei primi pittori italiani, portò l'arte a una tale -perfezione che veramente si può dire ch'egli determinasse il principio -del vero, del grande risorgimento italiano. Fu colto ed arguto, perchè -è impossibile che un uomo di ingegno non senta il bisogno di estendere -le proprie cognizioni all'infuori della tecnica del mestiere che -esercita; e fino dai tempi di lui noi vediamo caratteristica principale -dell'artista la universalità dell'opera sua, inquantochè se Giotto -fu pittore eminente, se principalmente nella pittura si esercitò il -sapere suo, pur tuttavia il campanile che ammirate nella piazza del -Duomo, dice quanto egli fosse un architetto valente. Ora essere un -architetto valente per me vuol dire essere artista per eccellenza, -imperocchè se nella fatica della specializzazione, tutte le arti hanno -dovuto dividersi e suddividersi in modo che oggi si abbiano non più, -come un tempo, artisti, sempre universali, i quali principalmente erano -pittori, o principalmente architetti, o principalmente scultori, pur -tuttavia l'arte resta sempre una cosa unica e sola, e per conseguenza -ha il carattere della universalità. - -Ora questo carattere di universalità sopra tutte lo ha l'architettura -che è l'arte madre, l'arte che si serve dei colori dei vari materiali -per ottenere i suoi effetti; e di che splendida tavolozza si giovi ce -lo dice il Duomo di Firenze; essa è l'arte essenzialmente delle linee, -l'arte essenzialmente delle proporzioni e del chiaroscuro. Dunque se -nella pittura di Giotto si possono con poco piacere vedere gli errori -che la tecnica, non ancora perfezionata, metteva nell'opera sua, nelle -sue architetture perfette allora, perfette ora e perfette fino a quando -resteranno in piedi, voi avete l'espressione completa, assoluta d'un -ingegno che non ha rivali nel mondo. La provvisione del magistrato -fiorentino che lo nomina suo architetto e lo propone alla fabbrica di -Santa Maria del Fiore parla così “_che in tutto l'universo, si dice, -che non vi sia nessuno il quale a sufficienza sia edotto delle cose -dell'arte da superare Giotto da Bondone, e per questa ragione vien -creato maestro di Santa Maria del Fiore e delle fortificazioni della -città...._„ - -Voi vedete che non solamente Giotto era un egregio pittore, un egregio -architetto, ma era anche, per le cognizioni del tempo, un ottimo -architetto di castrametazione, cioè di architettura militare. Visitando -a Padova la cappella degli Scrovegni ho avuto la fortuna di vedere -uno dei più preziosi ricordi dell'arte sua pittorica, e in cotesto -luogo, dove nella parte inferiore di questa cappella, da un lato sono -dipinte a chiaroscuro le sette virtù, e dal lato opposto i sette vizi -che a quelle si contrappongono, m'è parso vedere quanto, fino da quel -tempo e similmente a Dante, Giotto sentisse della pura, della vera -arte classica antica. La Speranza effigiata in profilo con delle ali -non troppo robuste che vola verso il cielo protendendo le mani ad una -corona che gli viene porta da un angioletto, ha tutto l'andamento d'un -bassorilievo etrusco, di quelle figure di angioli, che pur gli Etruschi -conoscevano, e che mettevano sui loro sarcofagi. La figura della -Prudenza colla bocca sbarrata da una specie di lucchetto, con la mano -sopra una spada che poggia con la punta in terra, vestita d'un ampio -paludamento, con le pieghe mosse a modo di quelle che coprono le statue -delle Vestali romane, mi ha richiamato all'idea, che come Dante aveva -riconosciuto in Virgilio il maestro suo ed era risalito all'antichità -classica per produrre il più classico monumento dell'età moderna, -così Giotto avesse dai pochi avanzi che allora si avevano della santa -antichità pagana tratto argomento a migliorare l'arte sua, per quanto -cristiana, mistica e modernissima. - -Giotto ebbe vita molto fortunata, imperocchè torno a ripetere quanto -avvertii nell'anno passato, che le discordie intestine, laceranti in -Italia le varie repubbliche, a tale che Firenze bandiva dalle proprie -mura Dante Alighieri, non influivano gran cosa sull'arte. L'artista era -festeggiato per tutto, e quindi, sia nell'arte della letteratura, sia -nelle arti plastiche si formava quel gusto, quella parentela italiana, -la quale faceva che Italia, ad onta delle sue immense e deplorabili -divisioni, pur tuttavia si formasse un gusto, ed una persona propria; -persona tanto grande, tanto splendida di bellezza e di gloria, che -ad onta dei vizî e delle sventure mai non doveva perire e ci doveva -condurre come oggi siamo, a coacervare le sparse membra, e poter dire: -l'Italia è una nazione ed un popolo intiero! - - -II. - -L'ANGELICO. - -Salutata così la gran figura di Giotto entro più specialmente a parlare -dei pittori del 400. Parlare di tutti è assolutamente impossibile, -scegliere i più grandi mi pare anch'essa ardua fatica ed impossibile -cosa. È tanto magnifica quella epoca, che perdersi nella quisquilia di -mettere quei giganti a rango di altezza è cosa troppo difficile e nella -quale mi dichiaro incompetente. Io prenderò a parlare, perchè il tempo -incalza e l'ora fugge, di quelli che più mi sembrano caratteristici -dell'epoca loro, di quelli che forse maggiormente corrispondono al mio -sentimento individuale. - -Fra questi primeggia un altro Mugellese, Guido da Vicchio, il quale -nel 1407 veniva accolto novizio nell'ordine dei Domenicani e nel -convento di San Domenico di Fiesole. Figlio di Pietro da Vicchio -questo fraticello, che nell'ordine prese il nome di Giovanni, ebbe -poi ad essere chiamato l'Angelico, perchè veramente sembrò ai suoi -contemporanei, ed anche ai presenti lo sembra, che l'opera sua fosse -opera d'Angelo o di ispirato da celestiali apparizioni. Dei suoi -maestri, di come egli entrasse nella carriera della pittura poco o -niente si sa; se non che è certo che in quell'epoca nei conventi dei -Domenicani vi era una scuola speciale di miniatura per abbellire ed -alluminare i salteri ed i codici che servivano per le orazioni della -Chiesa. A me sembra che non occorra cercare di più; a coloro i quali -ancora si domandano dove e come l'Angelico imparasse a dipingere la -gran pittura, io rispondo, che se in quel convento si studiava tanto -e così bene da illustrare, come si illustravano, salteri con delle -miniature che sotto tutti i rapporti sono quadri e valgono per quadri, -è lì che egli ha appreso i rudimenti dell'arte, ed è col suo solo -ingegno che li ha sviluppati fino al punto di fare i magnifici freschi -che decorano il Vaticano ed il convento di San Marco; e ciò per quella -gran ragione che l'arte in quei tempi veniva quasi di getto, da tutte -le parti si entrava nell'arte, perchè essa era considerata una cosa -sola, e non esistevano quelle per me fatali divisioni, le quali la -spezzettano in mille modi, per fare dei mestieranti sempre, degli -artisti mai. - -Nel 1409 l'Angelico dovette lasciare, insieme coi suoi compagni, il -convento di Fiesole, imperocchè per alcune scissure avvenute tra i -religiosi, furon costretti da una ordinanza del Pontefice a sloggiare. -Visse nove anni lontano da Firenze, su quel di Foligno principalmente, -e fu in quell'epoca che probabilmente lavorò al convento dei Domenicani -di Cortona, la quale Cortona conserva ancora molte ed insigni opere -di lui. Nel 1418 lo ritroviamo nell'Umbria, e questo giova a sapersi, -perchè anche in queste peregrinazioni forzate dell'Angelico si -cominciano a stabilire dei rapporti di conoscenza e di buon vicinato -fra gli artisti toscani e gli artisti dell'Umbria, propagandosi sempre -più quelle certe parentele artistiche, quelle inoculazioni per contatto -delle varie maniere, le quali poi dovevano dare origine con la scuola -umbra alle glorie del Perugino e alle future apoteosi del Raffaello. -Ritroveremo più tardi a lavorare in quei paesi con l'Angelico il -Benozzo Gozzoli venuto con lui da Firenze come suo scolaro, e lo -troveremo insieme a Gentile da Fabiano. - -Nel 1418 i frati furono restituiti nel convento di San Domenico -di Fiesole e nel 1443 l'arte dei lanaiuoli dette all'Angelico la -commissione dello stupendo tabernacolo che oggi si conserva nella -Galleria degli Uffizi. Il contratto è stipulato in questa guisa: Fu -stabilito “_che fosse dipinto di dentro e di fuori con colori di oro -ed argento, variati e migliori e più fini che si trovano, con ogni sua -arte ed industria_„, ed il prezzo fu fissato in fiorini 190 d'oro. Io -ho ricorso alla gentilezza del dotto economista professor De-Johannis -per avere una idea del ragguaglio della moneta d'allora con quella -presente per capire se vera è la leggenda che i pittori di quel tempo -vissuti con semplicissimi costumi ricevessero per così dire la mercede -del bracciante. Invece ho avuto dal mio dotto e carissimo amico questa -risposta. Il fiorino di Firenze, la cui prima coniazione rimonta al -1252, e che era d'oro purissimo, a 24 carati, pesava una dramma, cioè 3 -grammi e 2/100: il rapporto di valore tra l'oro e l'argento fra il 1450 -ed il 1500 era come di uno a dieci: con approssimazione si calcola che -nella stessa epoca l'argento avesse una potenza di acquisto circa di -dieci volte maggiore dell'attuale. Per esempio il frumento si comprava -con 10 drammi l'ettolitro ossia occorrevano 100 grammi, ossia 20 lire -per la proporzione tra l'argento e l'oro. Ora si avrebbe in conclusione -che i 190 fiorini d'oro, coi quali fu pagato all'Angelico quel -tabernacolo equivarrebbero a lire 17 226. Ora siccome nel contratto si -dice ancora che sarà poi pagato quel meno che alla carità del frate -fosse parso opportuno, e questo s'intende che è relativo alle spese -maggiori o minori che avesse dovuto sopportare per quei colori fini -che si raccomandavano, per quell'oro che si doveva mettere nel fondo -e che era una forte doratura, non essendo l'arte dei battiloro tanto -perfezionata da formar quel velo che si mette adesso, pur tuttavia -voi vedete che 17 226 lire pagate da una corporazione di artieri sono -una bella moneta. Se io mi sono trattenuto sul prezzo di questa opera, -sulla determinazione sua in rapporto alle mercedi attuali, ho voluto -farlo perchè anche il prezzo sta a designare, come lo dice la parola, -il valore d'un'opera. Se un'opera si paga cara, vuol dire che si stima -assai, e ciò dimostra che a quei tempi si stimava assai l'arte, e si -pagava al prezzo del suo vero valore. Dico questo per eccitamento e -per esempio affinchè non serva di scusa il dire che Andrea del Sarto -un giorno, preso dalla fame e dalla disperazione, per un sacco di grano -fece la bellissima Madonna della SS. Annunziata. - -Nel 1436 i frati di Fiesole scesero in Firenze aventi seco l'Angelico, -e a Priore del convento il celebre vescovo sant'Antonino. Papa Eugenio -IV trovavasi allora in Firenze pel concilio colla Chiesa greca: a -Firenze era ospitato l'Imperatore greco: a Firenze Cosimo il Vecchio -era signore. Voi non avete bisogno che vi dica di quanto splendore -fosse ricca la nostra città in quel momento. Quando l'Angelico è venuto -e ha dato mano alle pitture del Cenobio di San Marco, già Brunellesco -voltava le vôlte della cupola sua, mentre Donatello era in piena -fioritura, la cappella Brancacci si copriva con le pitture di Masaccio, -insomma era una esuberanza, una primavera dell'arte; come questa -primavera dell'arte corrispondesse alla fioritura letteraria, già ve -lo diceva con eloquentissima e dotta parola Guido Mazzoni nella sua -conferenza sull'Umanesimo, e poi altri ve lo dirà ancor meglio di me. -In mezzo a tutto questo lavorio di menti, di scalpelli, di pennelli, -di maestri di pietra, di decoratori d'ogni sorta, d'ogni risma, -l'Angelico rimaneva fisso nella sua celeste visione. Egli amava l'arte -con tutta l'intensità propria dei grandi ingegni, ma non la disgiungeva -un momento dal concetto religioso. A parer mio l'Angelico è l'ultimo -dei veri mistici, è veramente il pittore che chiude il periodo del -Rinascimento pittorico artistico, religioso, iniziato da Giotto. - -La pittura dell'Angelico, se si considera in relazione ad altre pitture -contemporanee, è una pittura quasi un po' in ritardo, ma è una pittura -certamente insuperabile nella evidenza del sentimento. - -Io non so se derivi dalla costruzione della sua retina, come direbbe -un materialista, o dalla serenità delle sue celesti visioni, ma il -fatto si è che mentre l'Angelico, pel modo come dipinge, pare che sia -precisamente un miniatore, anche nelle più vaste e più ampie pareti, si -appalesa sempre per un colorista di prima forza. - -Se vi presentate in una galleria qualunque con lo scopo di vedere o -riscontrare un particolare in un quadro dell'Angelico e non sapete -precisamente dove questo quadro sia collocato, e gettate un occhio -sulle pareti della Pinacoteca, l'Angelico vi si appalesa con una -nota così chiara, così brillante, così argentina, che appena entrati -filate diritto sull'opera che riconoscete a distanza. Poter avere -continuamente dei toni delicatissimi, fare assolutamente dell'aria -aperta, non forzare mai i neri, è la sua caratteristica principale. Voi -potete riscontrare quante volte vi piace quello ch'io dico guardando -la Crocifissione, che è nella galleria dell'Accademia, quadro tutto -verità, nel quale sono indietri meravigliosi, cielo luminosissimo senza -uno scuro forzato. Ci sono però dei neri apparentemente assoluti, -perchè dove mette un domenicano vestito di bianco e nero sembra che -quel nero sia un nero assoluto; ma invece quel nero non fa mai toppa, -mai buco, e chi conosce un poco la tecnica dell'arte sa benissimo -quanta e quale sia la difficoltà di collocar bene un bianco in ombra -e un nero al sole, un nero che non faccia toppa, che rimanga al suo -piano in mezzo ad una gamma di colori chiari; è una difficoltà di primo -ordine per un colorista, e l'Angelico nella sua semplicità la supera -perfettamente. - -Non bisogna dunque fermarsi solamente a contemplare nell'Angelico -il pittore delle sante ispirazioni; non bisogna fermarsi solamente a -contemplare nell'Angelico il pittore delle ingegnose trovate, delle -dotte composizioni; ma bisogna anche tener conto che fra i coloristi -fiorentini l'Angelico è un vero maestro. - -L'Angelico, diventato celebre nel 1447, andò a Roma e là forse sentì la -grandezza dell'ambiente che lo circondava, perchè le sue composizioni -si sviluppano in una maniera più grandiosa e più magistrale che per -l'avanti. - -Egli fu scritturato da Enrico dei Monaldeschi per andare a lavorare -ad Orvieto, ed abbiamo dal contratto fatto in cotesta circostanza, la -notizia che Benozzo Gozzoli era con lui, come sappiamo che Gentile da -Fabriano, stato poi maestro a Giovanni Bellini, il gran Veneziano, era -pure in comunicazione di lavori e d'opere con l'Angelico. Vi richiamo -a queste brevi e piccole circostanze per dimostrare come l'arte di -Firenze ebbe contatti coll'arte dell'Umbria, come Gentile da Fabriano -comunicò coll'arte veneziana, e mi permetto di riportarvi sempre col -pensiero a questa catena che circonda l'Italia e la avvince a quegli -effetti dei quali oggi noi fortunatamente godiamo il frutto. - -L'Angelico che nelle sue composizioni è grandemente ascetico, è anche -sottilmente sarcastico e realista nei piccoli quadretti: si vede -questo nei gradini dei quadri, che illustrano con varii episodii le -vite dei santi superiormente rappresentati. Citerò un gradino che si -conserva nella galleria degli Uffizi rappresentante la visita di santa -Elisabetta alla Madonna. La Madonna è uscita dalla casa per abbracciare -l'amica che le viene incontro, mentre la serva sta dietro la porta -origliando per sentire quello che dicono le padrone. - -Questo viziarello domestico che si perpetua nella storia del mondo e -durerà per un pezzo, era rimarcato dal giocondo fraticello, il quale -si permetteva di esprimerlo con la graziosa figurina della serva che -ascolta. - -Egualmente è comica in un altro quadretto la meraviglia d'un converso -il quale uscito dalla cella di san Domenico, sente il Santo, che -ha lasciato solo, che parla con altri. Questo è l'episodio della -vita del Santo, nel quale san Pietro e san Paolo gli appariscono -nella cella e gli danno il bordone del pellegrino e il volume degli -Evangeli. La meraviglia del frate è assolutamente comica, rimanendo pur -decentissima; con questo si dimostra il buonumore e la serenità d'animo -dell'Angelico, e l'attitudine che aveva di osservare nella natura e sul -vero anche il lato comico delle cose con una piccola punta di realismo -e di verismo non disdicevole in questo gran pittore delle visioni -celesti. - -Accanto all'Angelico, come vi ho già accennato, abbiamo, fra gli altri, -Masolino da Panicale e Masaccio. La cappella Brancacci del Carmine -è contemporanea, o presso a poco, alle opere dell'Angelico del San -Marco e del Vaticano. Di Masolino da Panicale poco si sa. Certo egli -è un grande e robusto pittore, il quale si avanza sicuro dell'arte già -ricca di tutti i progressi che la tecnica, la prospettiva han portato -nell'arte stessa. - - -III. - -MASACCIO. - -Masaccio che gli succede ne è una esplicazione ancora più brillante -e più completa, e noi entriamo con lui nel periodo vero del secondo -Rinascimento, il quale prende a venerare l'antico, dimentica il -sentimento religioso puro dell'età precedente; e se rimane nella -religione totalmente pel soggetto che tratta, umanizza, rende di forma -meno mistica tutti i suoi concetti e progredisce nella via che oggi si -direbbe del realismo. Di fatti in quell'epoca si sente già un grande -agitarsi di tutte le menti per la scoperta del vero reale, del vero -scientifico, mentre nei fondi dei pittori del 300 la prospettiva è -messa là in un modo bambinesco, quasi ad esplicazione del soggetto. -Si fa per esempio una torricina, ci si mette accanto una porta molto -più piccola delle gambe di un cavallo, e di fuori ci si dipinge una -cavalcata di ambasciatori molto più grandi della torre della città (e -questo è un errore quasi voluto, perchè dovendo questa prospettiva -rappresentare degli ambasciatori che andavano in un certo posto, -uscendo da una certa città, si doveva far vedere che c'era una città -e che erano usciti da una porta, magari più piccola dei cavalli che -la dovevano oltrepassare, e non bastando questo magari ci scrivevano -sopra il nome della città dalla quale partivano e quello della città -alla quale arrivavano). Ma torniamo a bomba: invece nei primordi -del 400 abbiamo le menti che si affaticano per cercare la ragione -matematica della proiezione delle ombre. Già sappiamo che il maestro -di Masaccio fu Brunellesco, e di questi Paolo Toscanelli dal Pozzo, sul -quale sta pubblicando un libro con eruditissime ricerche il professore -Uzielli. Toscanelli dal Pozzo fu uno dei più grandi matematici dei -suoi tempi, ma però per quella universalità di allora su tutto lo -scibile umano, era intimissimo amico del Brunellesco, ed a questo -insegnava la prospettiva, la quale poi di seconda mano veniva passata -a Masaccio. Voi vedete che le cognizioni negli uomini di quei tempi si -accomunavano, si affratellavano, si davano la mano l'una coll'altra, e -gli artisti sommi del 400, torno a ripeterlo, erano nel medesimo tempo -gli uomini più colti dell'epoca loro. Nel quadro — tutto di mano del -Masaccio — della cappella Brancacci, nel quale il Cristo circondato -dagli Apostoli è interrogato dal pubblicano per ricevere le decime e -dove il Salvatore dà ordine a san Pietro di andarle a pescare nelle -branchie di un pesce (cosa che sarebbe oggi molto comoda), abbiamo una -pittura limpida, chiarissima e una pittura nella quale i piani vanno -dal primo all'orizzonte con una degradazione sicura, scientifica. La -prospettiva aerea è bellissima: il paese che circonda le figure è tutto -al suo posto, e da questo voi vedete che il progresso è evidente, che -la pittura non è più mistica, non è più significativa di una sola -idea religiosa, ma la storia, anche del Cristo, diventa soggetto -per trattare una storia umana. Le passioni, gli affetti si svolgono -umanamente, e le figure per conseguenza prendono una precisione -derivante dalla tecnica studiata severamente, dal vero cercato nella -osservazione non domandato ad alcuna visione rivelatrice. Masaccio, -descritto dal Vasari come persona distrattissima, e che per quanto -derivasse dalla celebre famiglia dei Guidi di San Giovanni, pur -tuttavia fu chiamato Masaccio per la trascuratezza della sua andatura, -non potè finire l'opera sua: chiamato a Roma dove lavorò alla Minerva, -morì giovanissimo, ed alla cappella già incominciata da Masolino da -Panicale diè finalmente mano Filippino Lippi, figlio di frate Filippo -Lippi, dato in educazione alla morte del padre a Sandro Botticelli. -Uno di codesti affreschi, quello che rappresenta la risurrezione del -nipote dell'imperatore per opera di san Pietro, è un affresco misto, e -dipinto in parte da Masaccio, in parte da Filippino; di faccia abbiamo -un affresco tutto di Filippino, al di sopra abbiamo l'affresco tutto -di Masaccio, e più in alto gli affreschi già compiuti da Masolino -da Panicale. Sarebbe difficilissimo oggi trovare tre artisti i quali -potessero fare convenientemente la decorazione intiera ed unica d'una -cappella facendo ciascuno un quadro per conto proprio: impossibile -quasi direi che nel medesimo affresco potessero dipingere due artisti -senza darsi noia uno coll'altro. Ora io di questo fatto tengo conto -perchè mi sembra importantissimo per spiegare come l'indirizzo degli -studi, la buona fede colla quale un artista dava mano all'altro, la -comunanza di idee nella quale vivevano, facesse sì che si potesse avere -un'opera perfetta, ed un'opera triplice ed una nello stesso tempo. - - -IV. - -ANDREA DEL CASTAGNO. - -Un artista strano che mi pare che faccia assolutamente razza da sè è -Andrea del Castagno. Egli pure nacque in Mugello come Giotto e come -l'Angelico, ma non ebbe nè l'ingegno di Giotto nè il candore dell'anima -dell'Angelico. Egli fu uomo viziosissimo ed iracondo, agitato da mille -passioni, ma potente ingegno. Egli deve forse al suo cattivo carattere -la nota speciale che lo distingue tra quei pittori i quali abbandonando -l'ascetismo entrarono nella via che, tanto per farmi capire alla -meglio, ho chiamata del realismo, sebbene vi entrassero in un modo -intenso come ricerca di forme, come ricerca di luce, come effetto -prospettico, senza però quella passione psicologica che va a cercare -il pel nell'uovo nelle intime convulsioni del cuore umano. Andrea del -Castagno mi pare che segni una nota particolare in questo senso. - -Agitato di spirito come egli era, mette una agitazione, una nota -potente, una nota moderna, dirò così, nella sua pittura. Di lui ci -resta il Cenacolo di Santa Reparata, nel quale sono anche state poste -delle belle pitture che decoravano un tempo la villa Pandolfini. -Queste sono la rappresentanza di uomini grandi: Dante, Boccaccio, -Petrarca, Pippo Spano, Farinata degli Uberti; una Sibilla, una Virtù, -ed altri. Ebbene in codesto cenacolo che prende tutta la vastissima -parete, è già notevole la ricerca della differenza tra un esterno ed -un interno, poichè al di sopra della linea di mezzo della parete si -vede la Crocifissione, in aria pienamente aperta, la Risurrezione, e -la deposizione nella tomba del corpo del Salvatore, al di sotto in un -ambiente chiuso la Cena. Ora questa ricerca fra l'effetto dell'interno -e quello dell'esterno era una ricerca poco curata forse dagli altri -pittori dell'epoca sua, mentre in lui è accuratissima. Le figure -che campeggiano nell'aria aperta, specialmente la figura del Cristo -tutto in bianco che esce giovane dalla tomba, sotto la quale sono due -figure di soldati addormentati, è una figura di tinta tutt'affatto -moderna, di pittura squisitamente chiara, contrapposta colla tetra -scena del Cenacolo, che egli ha caricato di tinte oscure e truci, -quasi a significare l'orribile tradimento che in quel momento si stava -compiendo; e fra tante pitture che rappresentano nei Cenacoli la figura -di Giuda, io credo non ci sia una figura così drammaticamente e con -forza espressa come la figura di Giuda nel Cenacolo di Andrea del -Castagno. - -I ritratti poi a gran decorazione, la figura di Farinata specialmente, -vestito d'armatura completa, e quella di Pippo Spano di cui tanto si -decantavano le gesta in quei tempi, che tiene in mano la spada e ne -torce la lama con la robustezza del poderoso suo braccio, sono figure -così scultorie, che assolutamente si possono mettere a pari colle -grandi creazioni della scultura fiorentina del tempo e specialmente -colla figura del San Giorgio di Donatello. Si dice che vivendo egli -nello Spedale di Santa Maria Nuova e lavorando con Domenico Veneziano -carpisse allo stesso il segreto della pittura a olio la quale tanto -doveva influire sulle future sorti della pittura stessa. Questo segreto -o questo ritrovato, per meglio dire (poichè nell'arte di mescolar -l'olio e specialmente l'olio di lino alle tinte già si erano fatti -e si facevano continuamente esperimenti anche dai pittori del secolo -precedente), fu attribuito dal Vasari a Giovanni da Brugghia che lo -ridusse alla perfezione attuale. Un quadro di lui fatto alla corte di -Napoli dette luogo come tutte le novità a un grande agitarsi di quei -pittori, e Antonello da Messina finalmente ne indovinò il mistero. -Antonello lo rivelò a Domenico Veneziano, Domenico Veneziano venendo -a lavorare a Firenze lo comunicò colle buone o colle cattive (questo è -difficile a sapersi) ad Andrea del Castagno, donde tutta una leggenda; -imperocchè il Vasari asserisce che dopo avere imparato il segreto -del suo amico, Andrea del Castagno lo investisse mentre usciva da una -casa in via della Pergola, e proditoriamente lo uccidesse. Il nostro -Milanesi però con sottile acume di critica crede di potere asserire -che di questo delitto Andrea del Castagno non è macchiato, perocchè -ritiene che nel 1457 Andrea del Castagno molto probabilmente fosse già -morto per la pestilenza che infieriva nella città; e siccome il buon -Domenico Veneziano è morto nel 1461, mi pare molto improbabile che lo -possa avere ammazzato uno che era già morto qualche anno prima. - - -V. - -PIERO DELLA FRANCESCA. - -Emulo nello splendore della pittura, nella chiarezza dei suoi dipinti -all'Angelico, dotto in tutto ciò che l'arte dava allora di più pratico -e di più positivo, compositore di prim'ordine con una nota tutta sua -propria è Piero della Francesca. A Firenze poco abbiamo di lui, tranne -i due ritratti in profilo del duca e della duchessa d'Urbino che -vediamo nella Galleria degli Uffizi e che al di dietro della tavola -portano dei trionfi allegorici. Pur tuttavia questo piccolo esempio -è talmente forte che basta a persuadere chiunque dell'eccellenza -dell'artista. Piero della Francesca ha profilato le sue figure -leggermente di tono su un'aria limpidissima e su un paese che si perde -lontano lontano nell'orizzonte. Ora questa potenza di mettere di contro -alla luce una figura, di farne vedere tutti i dettagli, non forzando -oltre modo nè troppo caricando le tinte e nello stesso tempo facendola -risaltare su un cielo immensamente chiaro, e in un paese chiarissimo, -è opera precisamente di grande coloritore. Piero della Francesca ha -lasciato il più bel testamento artistico che si possa mai immaginare -nelle pareti del Coro del San Francesco in Arezzo, e io consiglio -chiunque è amatore della buona pittura di non trascurare una gita ad -Arezzo per vedere le pitture di Piero della Francesca. - -La prima volta che io mi sono trovato costà davanti all'affresco -rappresentante la regina di Saba che va a visitare Salomone (affresco -nel quale abbiamo il re Salomone sotto una specie di peristilio a -colonne bianche di marmo mentre la regina è dalla parte esterna di -questo peristilio e comparisce in un paese dove sono alberi verdi su -un fondo ugualmente chiaro, in fondo al quale rosseggiano le tinte del -tramonto) io mi sono trovato davanti a una pittura così luminosamente -fresca, così brillantemente fatta che primo fra gli artisti m'è saltato -in testa Domenico Morelli in certi suoi bianchi, in certi suoi effetti -luminosissimi e violenti. Io vi dico questo non per dirvi una cosa -rara, perchè io nè di cose belle, nè di cose rare fo mestiere, ma per -dire una impressione che ho ricevuto; e se un pittore che nasce nella -prima metà del secolo XV, se un pittore che nasce a quell'epoca lì, ha -tanto in sè da rammentare di primo acchito uno dei più moderni nostri -moderni, mi pare che sia sempre un bel gagliardo, e che viva d'una -giovinezza assolutamente imperitura. Egli campò vecchissimo; uomo -insigne in matematica e prospettico eccellente, scrisse anzi su questa -materia dei dotti volumi, i quali forse furono la causa per la quale -l'opera sua di pittore non è troppo abbondante. Dicesi che delle opere -sue rimanesse erede, per così dire, un fra Luca Pacioli suo discepolo, -che alla morte del maestro le dette per sue. - -Questa pure è una accusa lanciata dal Vasari; Milanesi l'attenua e la -nega in parte. Comunque sia, resta che Piero della Francesca è uno dei -più insigni, dei più delicati pittori dell'epoca sua; il che non toglie -che fosse al solito un gran maestro in matematica e prospettiva, uomo -d'ingegno, e dei più colti dell'epoca nella quale viveva. - - -VI. - -BENOZZO GOZZOLI, ALESSANDRO BOTTICELLI. - -Benozzo, discepolo dell'Angelico, è più traverso, più quadrato. -Egli non sente molto dell'insegnamento ascetico del maestro, e nelle -grandi decorazioni murali del Camposanto di Pisa vi si distende dentro -con quella giusta, serena ricerca della verità che io poc'anzi vi -descriveva quale nota caratteristica dell'arte del 1400. - -Io non posso attardarmi a descrivere l'opera del Gozzoli, opera -importantissima e notevolissima, inquantochè troppo è necessario non -dimenticare tra i massimi Alessandro Botticelli. - -Alessandro Botticelli figlio di Mariano Filipepi nacque nel 1447; -ricevette un'educazione abbastanza accurata e classica in un'epoca -nella quale il classicismo fioriva rigoglioso. Inquieto di carattere, -svegliato, pieno di ingegno, fu posto da suo padre presso l'orafo -Botticelli a imparare l'arte dell'orefice. Poi diventò scolaro di fra -Filippo Lippi, e alla morte di fra Filippo diventò il maestro al quale -fu affidata l'educazione artistica di Filippino, di quel Filippino il -quale ebbe a completare, ed è questo il maggior bene che si possa dire -di un pittore, l'opera di Masaccio nella cappella Brancacci. - -Il Botticelli anch'egli ha una nota sua particolare, ed è il primo -che comincia a trasportare la pittura dai soggetti sacri ai soggetti -profani. - -Di fatti si sa di lui che illustrò un soggetto profano del Decamerone, -ossia la storia di Anastasio degli Onesti che si vedeva in quattro -tavole descritta nelle cose preziose della famiglia Pucci di Firenze e -che ora non si sa più dove sia. Di lui è conosciutissima la nascita di -Venere, di lui è conosciutissimo il quadro allegorico che si ritiene -fatto alla morte della bella Simonetta, come già vi accennava il nostro -Ernesto Masi, secondo le induzioni dell'illustre storico dell'arte -professor Camillo Jacopo Cavallucci. - -Il Botticelli è pittore d'un'eleganza nuova nella forma, un'eleganza -che certamente non è quella di Vatteau, o dei pittori fiamminghi del -1600, e nemmanco l'opulenza di Rubens. Egli nella nascita di Venere ci -dipinge una Venere che non è neppure parente, neppure biscugina della -Venere del Tiziano. Ha dei piedi grandemente sviluppati, delle mani -altrettanto, ma se voi davanti ad un contorno di donna del Botticelli -vi fissate su un punto qualunque della sagoma, e cominciate a andar su -su e ricercarla tutta, voi vi sentite invadere da una delizia simile -a quella che si prova se in una bella giornata d'inverno ci si mette a -guardare un bell'albero spoglio delle sue fronde e se ne ricercano con -l'occhio tutti gli eleganti contorni. - -Io non saprei diversamente darvi ad intendere o spiegarmi meglio -riguardo alle sensazioni che si provano davanti questo gentile pittore, -che chiamato nel Vaticano a lavorare, per la vita disordinata che egli -faceva in Roma finì i quattrini e dovette tornarsene a Firenze. Qua per -l'amicizia che aveva con Lorenzo il Magnifico e per le cognizioni sue -di letteratura e l'affinità che aveva coi grandi dotti dell'epoca si -messe a illustrare e illustrò per il Landino la _Divina Commedia_. La -edizione del _Commento_ della _Divina Commedia_ fatta dal Landino colle -tavole del Botticelli si può vedere ancora da chi ne ha voglia nelle -sale della Biblioteca Marucelliana. - -Ma più che quelle illustrazioni che sono poche e, pei mezzi imperfetti -del mestiere a quei tempi, abbastanza ordinarie, si può ammirare in -quella Biblioteca la collezione fotografica degli schizzi di tutta -intiera l'illustrazione del divino poeta, comprata dal gabinetto di -Berlino e della quale è stata fatta un'opera magnifica di riproduzione -fedele. Sfogliando codeste tavole voi trovate al solito, nelle figure -del Purgatorio e del Paradiso, una Beatrice con delle appendici -abbastanza pronunziate che una signora d'oggi non amerebbe avere, -ma tanta è la potenza di concetto sviluppato dall'artista, sia -nell'esprimere i tormenti dei dannati, sia nell'esprimere le gioie del -poeta condotto al cielo dalla sua divina fanciulla, che quel sentimento -di attrazione e di delizia che ho detto provarsi quando si comincia -ad andare su per un contorno del Botticelli, lo si prova egualmente -davanti a quei potenti concetti svolti da questo grande in punta di -penna. In lui è da notarsi come l'arte di già fa un passo in avanti -ed entra ad illustrare un'opera descrittiva. Botticelli che aveva in -quattro tavole illustrata e descritta la storia di Anastasio degli -Onesti, finisce con una illustrazione completa della _Divina Commedia_ -e degna del poeta illustrato. - -Dire di più di Alessandro Botticelli parrebbemi tempo perso, che -l'ora mi dice di andarmene, nè io voglio lasciarvi senza avervi ancora -parlato o per _fas_ o per _nefas_, abusando della vostra pazienza, di -un altro grande ed alto artista del quale tratterò nella Conferenza -presente. Questo artista è Domenico Ghirlandaio. - - -VII. - -IL GHIRLANDAIO. - -Egli nasce da Tommaso del Ghirlandaio della famiglia dei Bigordi -nel 1449, ed arriva a tempo per riassumere i portati della scienza -pittorica che si era precedentemente sviluppata. Egli entra nell'arte -come c'è entrato il Verrocchio, come c'è entrato il Pollaiuolo, per -la via dell'oreficeria. Domenico Ghirlandaio è molteplice, splendido -fra tutti i pittori dell'epoca sua; finissimo anch'egli per la potenza -del chiaroscuro, finissimo anch'egli per la delicatezza della sua -intonazione. - -La tavola della Galleria delle Belle Arti nella quale si rappresenta -l'adorazione dei pastori, e dove egli stesso ha ritratto la propria -effigie, ha un indietro lontano, con una cavalcata di signori, forse -i re Magi che vengono all'adorazione dell'infante Gesù, stupendo per -prospettiva aerea, per delicatezza di sfondo, per serenità di ambiente. -Il coro di Santa Maria Novella è là che parla; esso è un'opera -smisurata, colossale. La cappella di Santa Fina a San Gemignano è un -gioiello. Il Cenacolo che abbiamo qui in San Marco, è un'altra cosa -stupenda come colore perchè il Ghirlandaio è potentissimo nel mettere -bene le cose del primo piano, su dei fondi chiari ed ariosi. Nella -cappella di Santa Fina in San Gemignano che è di un tono delicato ed -argentino, nell'affresco del miracolo della Santa da una finestrella -si vede la campagna lontana, a perdita d'occhio, luminosissimo è -l'ambiente della stanza interna senza essere sfacciatamente colorito, -più che luminoso, scintillante è il paese traveduto dalla finestrella. -Tutte le tenuità, tutte le delicatezze, tutte le finezze di un -grande artista il Ghirlandaio tiene con sè. Egli ha lavorato alla -cappella Sassetti in Santa Trinità, cappella che veramente, sia per la -disposizione della luce, o pel modo con cui è fatta, è molto oscura e -poco decifrabile. - -Ho però il piacere di potervi dare una bella notizia. Nei restauri che -si sono fatti adesso in Santa Trinità s'è scoperto l'affresco della -parete esterna della cappella, una grande pittura di dieci figure -rappresentante la Sibilla tiburtina che indica il monogramma e predice -la venuta di Cristo all'Imperatore. La Sibilla colle sue ancelle da -un lato accenna il monogramma; l'imperatore dall'altro lo guarda quasi -abbacinato. Questa scoperta si deve alla pazienza di Cosimo Conti, il -quale si offrì gratuitamente di cercare codesto affresco, e ora dopo -avere saputo che l'affresco c'era, ed aver visto che era scoperto, -finalmente, _magna degnatione_, il Ministero della Pubblica Istruzione -s'è deciso a farlo restaurare e rimettere. - - -Se avessi voluto parlare di tutti i pittori fiorentini del 400, non -solamente avrei seccato moltissimo, ma vi avrei fatto assolutamente -addormentare; sono troppi, e troppo grandi, e troppo insufficiente io -sono per il cómpito che mi ero proposto. Vi ho accennato dei principali -o almeno di quelli che a me sembrano, fra i pari i più eminenti, quelli -che maggiormente corrispondono al sentimento che dell'arte ognuno tiene -in sè, e quindi al sentimento mio proprio. - -Dopo il Ghirlandaio sorge una grande, una splendida figura, che -riassume in sè tutte le glorie artistiche del 1400. Questa figura è -quella di Leonardo da Vinci, ed io grazie a Dio, non devo occuparmi di -lui, perchè nella prossima conferenza sentirete parlare degnamente di -Leonardo da Vinci dall'amico Enrico Panzacchi. - - - - -LA SCULTURA del RINASCIMENTO - -DI - -VERNON LEE. - - -La scultura dell'antica Grecia e la scultura del medioevo italiano sono -rami della stessa arte; ma del tutto divergenti: anzi, direi quasi, -formano due arti diverse. Ciascuna di esse ha rivelati all'umanità -eguali tesori di bellezza, ma l'una copiò mirabilmente una bella -realtà; mentre l'altra prese l'imperfetto e il brutto, e riuscì a -formarne bellezza. L'una è l'arte meridionale, pagana, del modellatore -in creta; l'altra l'arte nordica cristiana, dell'intagliatore di -pietra. - -Prima di esaminare le opere, esaminiamo il modo di operare. E prima -di considerare che cosa l'antico greco e l'italiano del medioevo -furono rispettivamente chiamati ad imitare e ad esprimere, guardiamo -la necessità e la capacità del materiale in cui ciascuno di essi imitò -quel che vide ed espresse quel che sentì. - -I Greci primitivi avevano raramente occasione di farsi abili -intagliatori di pietra. Gli edifizi loro come quelli che ritraevano -le forme di costruzioni primitive e semplicissime in legno, ne avevano -anche i rozzi elementari ornamenti, poichè l'ordine Jonico, per quanto -povero di ornamenti, non venne che più tardi, e il Corintio, il quale -solo dà luogo alla ricerca e all'abilità degli intagli, nacque soltanto -quando era pervenuta già alla sua maturanza l'arte di scolpir la -figura. Ma i Greci, i quali del resto erano appena entrati nel periodo -del ferro (e il ferro è appunto lo strumento per lavorare la pietra) -erano grandi modellatori di creta e fonditori di bronzo. Gli oggetti -che le età più recenti fecero in ferro, pietra o legno furono da loro -foggiati in creta o in bronzo. Stanno a dimostrarlo gl'innumerevoli -arnesi, armi e minuti oggetti dei nostri musei: — dagli schinieri -accuratamente modellati come le gambe che devono coprire, fino alle -bambole di terracotta, piccole Veneri dalle braccia articolate e coi -ligamenti di spago. - -E veramente quando i Latini applicarono alla scultura il verbo -_fingo_, che significa in realtà fare vasi, — e dalla quale ci viene -non solo _effigies_, ma anche _fichtlis_, — parrebbe avessero capito -che nell'arte di Fidia e di Prassitele poco entrava l'intagliare ed -il cesellare, e molto invece il _formare_, il modellare, il plasmare. -Poichè, oltre al fatto ogni giorno più confermato dall'archeologia, -che, cioè, la maggior parte delle statue antiche ora in nostro -possesso, sono copie in marmo di originali in bronzo, fatto rivelatoci -anche da puntelli di esse e dal trattamento dei capelli; è evidente -che anche le statue destinate ad eseguirsi in marmo, vennero prima -modellate, cioè concepite dallo scultore, in creta. - -Riassumendo: dai Greci la figura umana s'imitava con un processo, che -non fu scultura nel senso letterale della parola. Rivolgiamoci ora -a considerare il medioevo, e troveremo uno stato di cose totalmente -diverso. Non v'era nella vita quotidiana bisogno di oggetti in metallo -fuso, e non essendovi questo bisogno dell'arte del fondere, del far di -getto, non vi era nemmeno pratica nell'arte preliminare del modellare -in creta. Ma invece gli uomini del medioevo furono meravigliosamente -abili nell'intagliar la pietra. - -L'architettura, fino dai Romani, aveva dato più importanza -all'ornamentazione scultoria: — sempre squisita nei capitelli, nelle -ringhiere, dei primitivi tempi Bizantini si manifestò nelle elaborate -cornici, negli archi e nelle colonne dello stile Lombardo fino ai -complicati gruppi e rilievi del Gotico pienamente sviluppati. E in -verità la chiesa gotica, particolarmente in Italia, non era più lavoro -di muratore, ma di scultore. Non è dunque fortuita combinazione se quei -paesetti, i quali forniscono ancora Firenze di pietra e di scarpellini, -hanno dato il nome a tre de' suoi più grandi scultori (Mino da Fiesole, -Benedetto da Maiano, Desiderio da Settignano); nè Michelangiolo, -allevato in quel paesetto (Chiusi di Casentino) “per tutto pieno„ -dice il Vasari “di cave di macigni, che son lavorate di continovo da' -scarpellini, scultori che nascono in quel luogo„, abbia potuto vantarsi -d'aver tirato dal latte della balia gli scarpelli e il mazzuolo con che -faceva le sue figure. - -I Toscani del medioevo, i Pisani del '200, i Fiorentini del '400, -facevano certamente modelli in cera delle loro statue; ma le opere loro -sono concepite per essere poi lavorate nel marmo; e quest'arte è uscita -dal sasso, senza interposizione d'altro materiale, — come le figure che -Michelangiolo traeva viventi e gigantesche direttamente dal macigno. - -I Greci, dunque, in quel tempo primitivo in cui l'Arte prende il suo -abbrivo, erano modellatori di creta e fonditori di bronzo; i Toscani, -invece, nel periodo corrispondente, erano cesellatori d'argento, -battitori di ferro, ma sopratutto tagliatori di pietra. Ora la creta -(e bisogna rammentarsi bene che il bronzo non è che il calco della -creta) significa il piano modellato; l'imitazione di tutti i rilievi -e di tutte le depressioni delicatamente graduate del corpo umano; la -creta non presenta contrasti fra luce e ombra, non permette varietà nel -trattamento corrispondente alla varietà dei tessuti. La creta si presta -quindi ad imitare non la tessitura del corpo umano, ma la forma; e la -forma poi nell'assoluta realtà tangibile della natura. - -Tutto l'opposto accade col marmo. Granulato come fibra vivente e -capace allo stesso tempo di una delicata spulitura, il marmo può -riprodurre la vera sostanza del corpo umano colle sue varietà d'opaco -e di lucente. Può riprodurre, sotto ai variati colpi dello scarpello, -quelle ombreggiature correnti ora in un senso, ora nell'altro, -secondo che la pelle riveste il muscolo o l'osso. Il marmo inoltre -è così resistente e insieme così docile al ferro, che può prendere -i contorni più squisitamente sottili; e si presta all'incisione più -superficiale ed al taglio più profondo, in modo che la luce e l'ombra -diventano il materiale dell'artista quanto la pietra stessa. Quindi il -marmo consente allo scultore di cercare non solo la forma assoluta, -ma la forma relativa; non solo il rilievo, ma anche il chiaroscuro. -Tali erano i caratteri fondamentali di quei due generi diversissimi -di scultura, la scultura in creta e la scultura in marmo, che in -circostanze diversissime di vita e di pensiero, Greci e Toscani -trattarono, per produrre opere di indole e di bellezza diversissime. - -È inutile che ci dilunghiamo sulla influenza esercitata nell'Arte -dalla civiltà antica, coi suoi costumi e caratteri essenzialmente -meridionali, colla sua vita all'aria aperta, colla sua perfettissima -educazione del corpo, coi suoi atleti nudi, i togati suoi cittadini -ed i suoi contadini ed artigiani pochissimo vestiti, e sopratutto -colla sua religione di divinità conviventi coi mortali e di semidei -dalla poderosa muscolatura; come è inutile che, d'altra parte, ci -dilunghiamo sull'influenza della vita assai più complessa del medioevo, -vita di tipo nordico anche nei paesi meridionali, vita industriale, -sedentaria, che costringeva la gente nelle angustie delle città murate; -ed in cui primeggiò sempre, nonostante la sensuale grossolanità, la -preoccupazione dell'anima, l'ideale del patimento, il disprezzo del -corpo. - -Tutto questo è oramai ovvio ed anche esagerato da tanti scrittori -invaghiti della teoria del _milieu_ (ambiente o mi-luogo) introdotto -da Enrico Taine meno per la sua verità che per l'occasione che porge -di tratteggiare pagine colorite. Ma vorrei richiamare la vostra -attenzione su di un'altra circostanza storica, che ha influito -potentemente sulle differenze tra la scultura medioevale italiana -e la scultura antica. Questa circostanza è il primato della pittura -nella seconda metà del medioevo italiano. Mentre nell'antica Grecia -la scultura fu l'arte dominante e matura, della quale la pittura non -fu che l'ombra; nell'Italia medioevale invece la pittura fu l'arte che -meglio corrispose ai bisogni della civiltà; fu l'arte che superò i più -ardui problemi tecnici e scientifici, e fu quindi quella che dovette -primeggiare. Si può asserire in senso quasi letterale che la pittura -greca non fosse che l'ombra della scultura. Sui vasi e negli affreschi -vediamo infatti le figure modellate con moltissima cura anatomica (al -punto, per esempio, di accennare qualche volta la giuntura fra la gamba -e la coscia con due linee che non esistono nella visibile realtà, e -che sembrano segni di tatuaggio), — ma senza consistenza, vuote, ed -allineate simmetricamente l'una accanto all'altra, senza comporsi in un -disegno vero, precisamente come se fossero tante ombre di statue tonde -proiettate sul piano. Lo scultore non poteva imparare nulla di nuovo -da una simile pittura, che non si occupa delle cose più essenzialmente -pittoriche, la prospettiva, l'aggruppamento, il contorno lineare, il -valore relativo dei colori, il chiaroscuro ed il tessuto degli oggetti. -La pittura medioevale, arte positiva, agisce in ben altro modo da -quest'arte negativa che fu la pittura antica. Esaminiamo che cosa essa -portò di nuovo nel campo dell'osservazione e della pratica artistica. -In primo luogo, la superficie piana, muro o tavola, in cui l'arte -medioevale mostrò la sua maggiore originalità, insegnò agli uomini a -dar valore alla prospettiva, ad ordinare gruppi nei vari piani, ed a -studiare l'insieme, sotto il rispetto delle opere intelligibili quanto -sotto quello della bellezza, delle figure così raggruppate. Poi li -abituò a considerare la forma non più come un insieme di proiezioni, di -rilievi, di piani, ma come linea, come alternativa di luce e d'ombra, -il cui pregio principale consisteva nella sagoma esterna, nel profilo -dell'intreccio di linee, d'angoli e di curve; cosa assai più importante -nella pittura, col suo unico, immutabile punto di vista, che nella -scultura, dove l'occhio, girando intorno alla forma, si compensa -della povertà di un punto di vista colla varietà di tutti gli altri. -Di più, la pittura, nata da un interesse più sviluppato di quello che -sentisse l'antichità pel colore, la pittura, dico, indusse gli artisti -a considerare meglio l'effetto del colore sulla forma lineare. - -Poichè, sebbene l'uomo, fatta astrazione dal colore naturale o da una -tinta bianca, abbia infatti quella forma larga ed alquanto smussata, -quell'indecisione di contorni che caratterizza la scultura; tuttavia -quale egli esiste realmente, coi capelli, gli occhi e le labbra -fortemente coloriti, ed il resto del viso colorito di tinte diverse, -acquista dal colore — il quale dà enfasi alla linea — una maggior -precisione, direi piuttosto, una maggiore acutezza di forme lineari. -Per ciò, nel modo istesso, in cui la prospettiva e la composizione in -pittura dovettero indurre gli scultori ad usare maggiore complessività -nel rilievo e maggiore unità nel punto di vista, così pure la nuova -importanza del disegno e del colore, dovette suggerir loro un nuovo -concetto della forma. - -L'uomo cessò dunque d'essere una mera combinazione di piani e di masse, -cessò d'essere omogeneo nel tessuto e nel colore. Si accorsero ch'era -fatto di sostanze diverse, pelle — pelle morbida dove aderisce al -muscolo, dura e lustra dove accenna l'osso, pelle liscia o rugosa o -pelosa; pelo poi duro o floscio, nero o biondo; inoltre ch'era pinto -in vari colori, e che possedeva ciò che i Greci sembra non avessero -avvertito, quella cosa straordinaria e straordinariamente variabile -che è l'occhio. Gli scultori del '400 furono spinti dai pittori -a riconoscere queste differenze fra l'uomo monocromo dei Greci — -monocromo per l'astrazione del vero colore — e l'essere multicolore che -è l'uomo vero. - -Avvertite queste differenze, vollero significarle nell'opera loro. -Ma come avrebbero potuto conseguir l'effetto colla loro arte che -tratteggiava il rilievo tangibile, e che ricusava l'aiuto del colore? - -Per capirlo bisogna fermarci a considerare di nuovo, e più -attentamente, due particolarità capitali, che distinguevano gli -scultori medioevali da quelli antichi. - -Gli artefici del medioevo, in primo luogo, erano chiamati assai di -rado a fare figure da essere poste all'aria aperta su un piedistallo -libero. Invece, erano continuamente esercitati a scolpire ornamenti -architettonici da porre in alto e profilati su di uno sfondo scuro; -e monumenti, tombe, pulpiti, ringhiere, da collocare in locali -parzialmente illuminati e spesso oscuri. - -Ora, secondo l'altezza dell'oggetto e la direzione della luce, certi -particolari acquistano o perdono la loro importanza; per restituire -la relazione vera fra linea e linea, rilievo e rilievo, bisogna -tener conto della posizione e del punto di luce; bisogna, perchè la -cosa faccia lo stesso effetto che al livello dell'occhio e sotto una -luce diffusa, alterare le proporzioni, accrescere qua, scemare là, -introvertire alle volte il concavo ed il convesso, sacrificare il vero -all'apparente. - -I monumenti gotici, per esempio quelli di Santa Maria Novella, -che sporgono dal muro all'altezza di un primo piano di casa, non -presenterebbero che una confusione indecifrabile, se la figura -sdraiata ed i suoi accessorî non fossero alterati in modo da sembrare -mostruosi a chi s'arrampicasse a vederli da vicino. Lo stesso segue -nell'arte sviluppatissima del '400. Il Cardinale di Portogallo — -figura del Rossellino a San Miniato al Monte — ha una metà del viso -voltata soverchiamente all'insù, in modo da ricevere in faccia la -luce; e ciò perchè, essendo visto dall'ingiù, la metà più vicina del -viso avrebbe altrimenti un'importanza relativamente troppo grande; -mentre, all'opposto, al bellissimo guerriero morto, d'autore incerto, -che è a Ravenna, lo scultore ha deliberatamente tagliata una parte -della mascella, perchè lo spettatore deve guardare all'ingiù la -figura sdraiata su un lettuccio basso di marmo. Se prendiamo i gessi -di queste due statue, ponendo sulla tavola quella del Cardinale, ed -attaccando sul muro quella del guerriero, la composizione si sfascia -completamente: l'espressione cambia affatto, i lineamenti diventano -deformi, e mentre l'una testa diventa grossolana, l'altra sembra -insoffribilmente manierata. - -Per intendere questo sistema, d'alterare la forma a seconda della -collocazione e della luce, basta rammentarsi l'aneddoto delle due -cantorie di Donatello e di Luca della Robbia, di cui la prima parve -brutta nella bottega dello scultore, ma bellissima messa al posto; -mentre la seconda, che era piaciuta straordinariamente veduta da -vicino, scomparve del tutto nell'altezza buia di Santa Maria del Fiore. - -Quest'abitudine di prendere delle licenze col modello, di alterare le -proporzioni misurabili all'occhio, abitudine cominciata per ragioni -quasi architettoniche, permise agli scultori del '400 d'imitare i -pittori, cercando, come questi, la verità apparente, col sacrificio -coraggioso della verità assoluta e concreta. Aprì alla scultura il -campo vastissimo degli effetti relativi; l'incoraggiò a produrre, colla -materia dura ed incolore, l'equivalente della varietà nel colore e nel -tessuto. - -Ma per secondare questo nuovo indirizzo dell'arte, era necessario che -gli artefici del '400 trattassero la parte tecnica in un modo diverso -affatto da quello dei Greci. - -Gli antichi, a' quali abbondavano ottimi gettatori in bronzo, -esercitati nel foggiare armi, utensili e arredi d'ogni genere, -dovettero prendere l'abitudine di circoscrivere la loro personale -operosità al modello in creta: giacchè questo non richiedeva, come -nel Rinascimento, la sorveglianza costante dello scultore. E le liste -lunghissime di statue, di cui molte costruite faticosamente d'avorio -e d'oro, dànno a credere che gli scultori antichi non perdessero il -tempo sbozzando i lavori in marmo, ma invece terminassero soltanto di -propria mano le copie che dal modello in creta avevano tratto lavoranti -espertissimi. Che ci fossero simili copiatori, lo sappiamo dall'uso di -fare riproduzioni in marmo delle statue già fuse in bronzo, uso a cui -dobbiamo la maggior parte delle statue antiche pervenute a noi. - -Le abitudini erano diversissime da queste nel medioevo italiano. È -vero che il Vasari consiglia allo scultore di valersi di modelli grandi -quanto le statue che si propone di fare. Ma il consiglio stesso, fatto -per scansare i calcoli sbagliati, che spesso rovinano il marmo, fa -vedere che prevaleva l'abitudine di sbozzare la pietra senza tener -conto di questo pericolo; che anzi, se l'uso dei modelli grandi fosse -stato universale, Agostino di Duccio non poteva avere _storpiato_, -come dice il Vasari, il marmo da cui Michelangelo cavò più tardi il -suo David. Ma questi modelli di cui parla il Vasari più distesamente -nella vita di Jacopo della Quercia, erano fatti “di pezzi di legno -e di piani confitti insieme, e fasciati poi di fieno e di stoppa, e -con funi legato ogni cosa strettamente insieme, e sopra messo terra -mescolata con cimatura di pannolano, pasta e colla„ onde potevano -bensì servire a tenere “innanzi agli scultori l'esempio e le giuste -misure„, ma era impossibile che servissero mai, come i modelli di gesso -_puntati_ del giorno d'oggi, a francare l'artista dallo sbozzamento -del marmo. Anzi, tutto ciò che scrive il Vasari dimostra chiaramente -che il modello vero — quello cioè che veniva copiato non nelle sole -misure — era piccolissimo e fatto in cera; e che l'abitudine di -sbozzare le figure nel marmo, che a noi sembra cosa maravigliosa nel -Buonarroti, era generale fra gli scultori del '400. È frequente il caso -di uno scultore che intraprenda, coll'aiuto di un solo uomo, lavori di -vastissima mole, porte, archi, mausolei. Nè pare che il Vasari stupisca -quando Jacopo della Quercia si mette, solo solo, alla facciata di San -Petronio; lavoro che gli costò dodici anni, in cui un Greco avrebbe -fatto chi sa quanti bronzi magnifici ed un moderno chi sa quante -meccaniche copie di un gesso. Infatti non rimane nulla d'inverosimile -in questo sistema di lavorare il marmo interamente e direttamente da -sè, quando si rifletta che tra gli scultori del Rinascimento una metà -aveva esercitato la professione dell'orafo, e l'altra l'arte dello -_scarpellino_ o _squadratore di pietre_; e a tali artefici doveva -riuscire facile e naturale egualmente qualunque parte — sì rozza che -finissima — dell'arte loro. - -Gli scultori del '400 avevano adunque dello scarpello una sicurissima -pratica, quale non ebbero, nè sognarono pur d'averla, gli antichi. - -Nelle mani loro lo scarpello non era semplicemente un secondo stecco -da modellare, riproducente nel marmo i delicati piani, le sottili -concavità e convessità trovate prima nella creta. - -Per questi tagliapietre della collina fiesolana, per questi orafi di -Ponte Vecchio, lo scarpello era l'emulo della matita o del pennello; -e con esso, a seconda della direzione che gli si dava, potevansi così -imprimere nelle forme vigorosi tratteggi, come lasciarle svanire in -impercettibili sfumature. O, per meglio dire, lo scarpello era per essi -un pennello tuffato nelle varie tinte del bianco e del nero, con cui, -secondo che versava nel marmo le luci e le ombre, o variava a guisa di -spennellate le ruvidezze e le spuliture e ogni altro modo d'intaglio, -potevansi riprodurre nella pietra la sostanza delle carni, dei capelli -e delle stoffe — le carni e i capelli biondi e lisci dei bambini — -le carni vizze o ruvide dei vecchi — le stoffe di lana, di tela e di -broccato. - - -Nell'antichità greca lo scultore soleva prendere il bel modello — -l'adolescente nel fiore dai quindici ai diciott'anni, dalle membra -sviluppate armoniosamente nella palestra, all'aria aperta; e, -correggendo colla esperienza giornaliera di simili bellezze tuttociò -che v'era d'imperfetto nell'individuo, ne copiava quel tanto che la -creta si prestava a riprodurne. Ne riproduceva le squisite proporzioni, -la maestosa ampiezza delle masse, la delicata finitezza delle membra, -l'armonioso gioco di muscoli, il sereno candore del volto e del -gesto; ponendolo in atteggiamento tale da essere inteso e ammirato -egualmente da lontano e da vicino, e dal maggior numero di punti di -vista. E cotesta fedele copia nella creta di un originale perfettamente -bello, veniva poi tradotta e trasmessa ai posteri dal fedele copiatore -in marmo, dalla fedeltà inesorabile del bronzo, che riempie ogni -minimissimo vuoto lasciato dalla creta. Essendo bellissimo in sè -stesso, quest'uomo di bronzo o di marmo era necessariamente bello -ovunque venisse posto e sotto qualunque rispetto venisse contemplato; -sia che si mostrasse in iscorcio sul frontone di un tempio, o al -livello dell'occhio, ombreggiato dagli aggruppati allori, o splendente -al sole in mezzo alla piazza. La bellezza di esso viene apprezzata ed -amata come s'apprezza e si ama la bellezza vivente di una creatura -umana, poichè egli non è che la riproduzione più esatta che l'arte -ci abbia mai data della bellissima realtà, posta in mezzo al suo -vero ambiente e sotto la vera luce del cielo. E siccome prende nuovo -aspetto la bella realtà umana secondo che si muovono il sole e le -nuvole, secondo che le giriamo noi intorno, così cambia anche esso; -ma così pure esso rimane sempre, nonostante tutti i cambiamenti, la -personificazione della forza, della purezza, della inalterata serenità -dell'adolescenza. - - -Di cotale perfezione, nata dal più raro incontro di circostanze felici, -la scultura del '400 non seppe mai nulla. - -Arte secondaria in tempi, che davano il primato alla pittura; serva, in -gran parte, dell'architettura; turbata dalla vista di corpi cresciuti -a caso, e spesso cresciuti male; turbata pure da ideali ascetici e da -curiosità scientifiche, la scultura di Donatello e di Mino, di Jacopo -della Quercia e di Benedetto da Majano, la scultura dello stesso -Buonarroti fu una di quelle fioriture artistiche, che si nutrono -degli elementi del terreno rifiutati dalla più fortunata e rigogliosa -vegetazione, che l'aveva preceduta. La scultura del '400 riuscì da meno -in tutte le cose in cui la scultura antica era riuscita; ma eseguì ciò -che l'antichità aveva lasciato ineseguito. Ebbe pochissima intuizione -della bella forma umana. Alternava fra la ignoranza del nudo e la -insistenza pedantesca sull'anatomia, difetti spesso riuniti nella -medesima opera. Paragonato all'antico, il David di Donatello, il San -Giovannino di Benedetto da Majano, l'Adamo di Jacopo della Quercia sono -addirittura goffi; e lo stesso Bacco di Michelangelo è un bel villano -invece che un dio. - -Questa scultura ha di più una vera preferenza pei momenti meno belli -della vita fisica: ama i brutti vecchi — spesse volte sfasciati dalla -sensualità o rimbecilliti dall'ascetismo, — ed i ragazzi sproporzionati -dalla crescenza. Coll'eccezione del San Giorgio di Donatello, il cui -corpo però è nascosto sotto la pesante armatura, essa non ci presenta -mai la squisita vigoria dell'adolescenza. - -Questi particolari si avvertono subito; e chi è avvezzo all'arte -antica, si sente subito respingere da quest'arte medioevale. - -Ma osserviamo la scultura del '400 quando fa ciò che l'antichità non -aveva neppur sognato: l'antichità che collocava le statue sui frontoni -l'una accanto all'altra, ad equilibrarvisi come massa, ma non mai ad -intrecciarvisi in veri disegni; l'antichità che fece del rilievo la -ripetizione d'un lato solo della statua in tondo, l'ombra del gruppo -del frontone; l'antichità che nei suoi bei tempi non conobbe nè il -patetico della vecchiaia, nè la grottesca bellezza dell'infanzia, nè -la graziosa goffaggine della prima adolescenza; l'antichità che non -seppe distinguere la consistenza della pelle, la setosa morbidezza dei -capelli, il colore dell'occhio. - -Passiamo ora a considerare alcuni lavori tipici del '400. - - -Cominciamo dalle statue e dai busti di bambino. Ecco prima la -creaturina i cui piedini escono da una specie di ghetta carnosa, le -cui gambine, senz'ossi, appena sorreggono il ventre grassotto, la -testolina non bene proporzionata. Notate che in questa testolina il -cranio apparisce sempre relativamente morbido, della consistenza d'una -mela, sotto le floscie matasse bionde. I fratellini maggiori sono -tuttora assorti in vaga contemplazione del mondo e delle cose, cogli -occhi largamente aperti, ma facilmente imbambolati. Quelli un po' più -grandicelli, invece, hanno già scoperto che il mondo è fatto di gravità -da scombussolare: i lineamenti del viso sono appena più sentiti, i -capelli sono appena inanellati in vetta, ma gli occhi pare che siano -usciti di sotto la tettoia della fronte, l'occhio e la fronte sono già -nella vera proporzione: e poi nelle gote ci sono delle fossette venute, -si direbbe, dal ridere, e che invitano ai pizzicotti. I ragazzi dai -dodici ai quattordici anni, hanno sempre quelle braccia magrissime -che contrastano deplorevolmente coi polpacci delle gambine ancora -impotenti a sostenere il ventre piccolo, ma grasso, e che accenna agli -abbondanti pasti dell'infanzia, continuati nell'adolescenza. Ma hanno, -allo stesso tempo, la monelleria (gaminerie) gagliarda del David del -Verrocchio, il quale dovette, insieme alla pietra, scagliare qualche -canzonatura addosso a quella goffaggine di Golia; oppure hanno, come -il San Giovannino del Louvre e quello di Benedetto da Maiano, una -certa grazia sentimentale, quasi una civetteria delicata di bella -signorina, che fa capire come fra poco smetteranno il baloccarsi per -leggere la _Vita Nuova_, o le _Rime_ del Petrarca. Due San Giovanni, -d'altra parte, hanno preso, cogli anni, un andamento diverso. Sono -ambedue di Donatello. Quello più giovane, dalla prima, dubbiosa -lanugine sul volto, è già scappato inorridito dalla _Vita Nuova_ e -dal _Decamerone_, prima d'averne voltato una pagina. Estenuato dal -digiuno, non ha di muscolare che le gambe, diventate di ferro a furia -di scorrere i deserti. Del resto, anche nei deserti ha cominciato ad -essere infastidito da voci e da visioni, non si sa se d'angeli o di -diavoli; e cammina furiosamente, cogli occhi fissi sullo scritto, colla -mente distaccata, a quanto pare, da ogni cosa terrestre; si direbbe -che facilmente potesse impazzire, questo santo ventenne. Eccolo di -nuovo, ritratto nel bronzo che è a Siena, quel San Giovanni, ma oramai -maturo; ha la barba e i capelli incolti, è diventato quasi un selvaggio -delle foreste, ma colla gravità e la fede in sè del predicatore di -professione: è uscito dal deserto, ha domato ogni tentazione; il suo -fanatismo è militante, direi quasi sistematico. - -Passiamo ad altro. - -Questo vecchio — lo Zuccone di Donatello — non può mai essere stato -quel San Giovanni, ma facilmente sarà stato un suo devoto. È un vecchio -che non è stato mai cospicuo per intelligenza; ed ora la testa, fatta -a cupola, ha ripreso, colle floscie matasse bianche, che richiamano -l'infanzia, quell'apparenza di poca sodezza che è propria del cranio -infantile; la bocca poi è già tremula, cascante, forse per una prima -paralisi; e gli occhi non fissano più; ma in questo deperimento fisico -e intellettuale, il vecchio sembra essersi riempito di sempre maggior -dolcezza morale: è un Giobbe riconciliato con Dio, perchè fatto -indifferente a sè stesso, è il fiore umano sfasciato in terra, per -essere poi riseminato in cielo. - -Coteste sculture, per quanto destinate ad un determinato posto, nicchia -o mensola, sono sempre sculture libere, non legate all'architettura. -Rivolgiamoci adesso alle sculture d'intenzione decorativa. Guardiamo -prima l'Annunziata di Donatello che è a Santa Croce. La pietra bigia, -vilissima, incapace di pigliare un contorno netto, è scolpita in larghe -masse quasi grossolanamente, e per supplire le sottigliezze d'intaglio -impossibili in quella materia, il fondo, i fregi, gli orli dei vestiti, -le ali dell'angelo, sono ritoccati coll'oro: quella cosa ruvida finisce -con essere squisita. Del resto, notate l'esterno contegno, l'assenza -dell'estasi, della sorpresa, dell'espressione solita in quel soggetto: -l'Angelo e la Madonna serbano il decoro, la serietà delle linee -architettoniche, dei vicini pilastri. Passiamo a guardare la Cantoria -di Donatello, rilievo bassissimo su fondo intarsiato; quei gruppi -schiacciati di bambini danzanti formano, colle larghe ombre fra le -braccia alzate sopra il capo, una specie di pergolato umano in bianco -e nero. Questo lavoro è basato tutto sulle ombre; guardiamone uno in -cui l'ombra entra appena: la Madonna coi Santi, di Mino, nel Duomo -di Fiesole. Il rilievo è voltato in modo da guardare dalla cappella -nel corpo della chiesa; ed in tal modo che la testa della Madonna, -ricevendo la luce — come un segno di gloria — sulla purissima lucente -fronte, proietta intorno a sè un nimbo d'ombra circolare. Rilievo -maraviglioso, cotesto di Mino, per essere composto quasi esclusivamente -di luci. Anzi, si direbbe non rilievo, ma mirabile visione di bianche -rose del Paradiso, i cui acerbi bocci e le acute spine (nutriti -dall'incenso e dal sangue dei martiri) sono diventati poi le sottili -labbra, gli occhi lunghi e stretti, l'acerbo virgineo corpo e le dita -affilate di Maria. - -Questi rilievi sono relativamente semplici. Guardiamo invece le -complessità del pulpito di Santa Croce, dove il gruppo è involuto -nel gruppo, per svanire nei porticati e nei filari d'alberi appena -profilati dello sfondo. Guardiamo le magnifiche composizioni, a razzi, -si direbbe, tessuti di luce e d'ombre, ed incorniciate da immortali -ghirlande, delle porte del Ghiberti. - -Ma non è tutto. L'arte del Rinascimento, non si contentò d'aver messo -in marmo l'uomo vero, fatto di carne e d'ossa, dal pelo biondo o scuro, -dall'occhio chiaro o cupo; ma volle pure, prima di sparire dal mondo, -scolpire nella pietra l'intangibile sogno. Parlo di quelle tombe le -cui cime sono trono a fantasmi di guerrieri e i cui ripidi fianchi -sono letto inquieto a divinità che sembrano emergere non dal marmo, ma -dalla tenebra e da quella luce, come dice il profeta, che è simile alla -tenebra. - - - - -LEONARDO DA VINCI - -DI - -ENRICO PANZACCHI. - - - _Signore e Signori!_ - -Il pittore francese Paolo della Roche nella più insigne forse delle -sue opere, il famoso _Emiciclo_ che è nell'Accademia di belle arti a -Parigi, riprendendo e imitando liberamente il pensiero di Raffaello, -nella _Scuola d'Atene_, ha inteso di rappresentare e disporre in certi -gruppi gerarchici gli artisti principali del Rinascimento italiano ed -europeo. - -A destra del riguardante attira lo sguardo un gruppo, forse il più -riuscito di tutta la composizione. Sul davanti Michelangelo siede solo -sopra un frammento di basso rilievo antico e guarda triste dinanzi -a sè, voltando le spalle agli altri. Dietro di lui, elegante figura -giovanile, si leva Raffaello d'Urbino, e lievemente del capo sovrasta -a tutti gli altri. Ma guardando bene, si capisce che il protagonista -vero di questo gruppo non è nè Raffaello nè Michelangelo. È invece -un bellissimo uomo sontuosamente vestito, con una ricca barba, col -gesto largo e con quell'obbliquo atteggiamento dei diti della mano -sinistra, proprio del pittore che discorre analiticamente dell'arte -sua. E quest'uomo ha l'aria d'insegnare a tutti, e tutti hanno l'aria -di ascoltarlo con rispetto. Non è il dottore ascetico e austero del -medio-evo; è piuttosto, all'aspetto, uno di quei tipi di gentiluomini -culti e compiti che Baldassare Castiglione metteva nei dotti e piacenti -colloqui alla corte del duca e della duchessa d'Urbino. E tutti, vi -ripeto, lo ascoltano. Lo ascolta attentamente frate Bartolomeo della -Porta ritto vicino a lui e guardandolo col volto serio e sereno; lo -ascolta più lungi Hans Holbein col profilo teutonico e la chioma -arruffata; lo ascolta con gli occhi intenti Alberto Durer nel suo -sfarzoso abbigliamento signorile. Anche il Domenichino più d'ogni altro -premuroso si accosta a lui per non perdere parola. Con l'orecchio è -attentamente inclinato verso il maestro; ma nell'inquietudine del suo -eclettismo bolognese si vede che egli erra cogli occhi tra Michelangelo -e Raffaello. - -Quest'uomo sedente o docente, tutti hanno ben ragione di ascoltarlo -perchè egli è Leonardo da Vinci, grandissimo fra i grandi, l'uomo più -portentoso del Rinascimento italiano, che di portenti ebbe così grande -ricchezza. - -Ed io, o signore, dovrò parlarvi di quest'uomo? C'è proprio da sentirsi -tremare le vene e i polsi! Tanto più, ve lo confesso, perchè anche -dopo le copiose pubblicazioni e illustrazioni che si sono fatte -dei manoscritti di Leonardo da Vinci in Inghilterra, in Francia, in -Alemagna e in Italia; anche dopo le belle fatiche di tanti eruditi -stranieri e nostrani, tra i quali non bisogna scordare Gustavo Uzielli -e il vostro Milanesi, un libro sopra Leonardo da Vinci ci sarebbe -da arrischiarsi a scriverlo: e non sarebbe forse per me un atto di -disperata audacia. Ma parlare di lui nel breve tempo d'una conferenza, -ma costringere, ma pigiare entro questo breve circolo tanti elementi -così disparati, è cosa che io credo impossibile, o che, a ogni modo -supera di troppo le forze di cui posso disporre. Però, o signore, -io faccio appello colla più viva instanza alla benevolenza vostra, a -quella benevolenza che altre volte esperimentai e di cui serbo sempre -così vivo il ricordo e la gratitudine. - -Ascoltatemi dunque attente e scusatemi se, per la terribilità e -vastità del soggetto, invece di narrare io dovrò procedere per brevi -accenni, invece di dimostrare, il più delle volte, dovrò contentarmi -di affermare; insomma se invece di rendervi intera e rilevata -questa colossale e complessa figura, io sarò costretto a darvene una -pallidissima immagine, simile ad ombra di gigante fuggente sul muro in -una giornata scarsa di sole. - - -I. - -Egli era l'uomo dei doni. Difficilmente, percorrendo la storia della -umanità, ci potremmo imbattere in un uomo che lo valga. Humboldt -avrebbe detto di lui ch'egli era un figlio prediletto della natura. -Se fosse vero ciò che narra la leggenda, che le fate vanno alla culla -degli uomini predestinati a grandi cose, egli è certo che alla culla -di questo bastardo di Ser Piero da Vinci accorsero tutte le fate e -vi buttarono dentro tutti i loro doni, e nessuna rimase a casa per -dispetto o per dimenticanza. - -Cominciamo dai doni fisici. Bellissimo della persona, d'una bellezza -temperata di grazia e di maestà; e forte come pochi del suo tempo. -Con un movimento del pollice storceva un ferro di cavallo; nella -danza, nella lotta, nel nuoto vinceva i campioni più rinomati del suo -tempo. Le qualità del suo ingegno darebbero luogo ad una amplissima -descrizione; ma sopratutto sorprende quella interezza organica che è -tutta propria di lui. Egli non ammette soluzione di continuità nello -svolgimento del suo ingegno; e la sua mente vi dà l'idea di una grande -tastiera d'organo ove i suoni vanno dai più profondi ai più acuti senza -il più piccolo salto di tono, senza la più piccola disarmonia. Egli non -si contenta mai; vuole approfondire, sviscerare, esaurire tutti gli -argomenti. Nella meccanica, per esempio, egli va colla medesima cura -dal girarrosto ad elica (che pare egli abbia inventato) fino al più -complicato congegno di idraulica, fino ai più ingegnosi strumenti di -guerra, che egli offre per la vittoria ai principi ed alle repubbliche -italiane. Come artista egli è lo stesso. Per lui nell'arte non esiste -parvità di materia; tutta quanta la gamma artistica egli la vuol -toccare, e la tocca e la tratta colla medesima scrupolosità, colla -medesima maestria elevandosi di grado in grado alle più meravigliose -eccellenze. Leonardo mette ugual cura nel rendere col suo pennello la -appannatura dell'acqua in una caraffa ed il volto radioso e sorridente -d'una Vergine; mette egual delicatezza e minuziosità nel rappresentare -le damascature e l'ordito della tovaglia gettata sulla tavola del -Cenacolo come a esprimere la soavità accorata dell'apostolo Giovanni, -come a significare la divinità attristata e sofferente del Redentore -del mondo. In tutto è sempre eguale a sè stesso e rivela un equilibrio -stupendo; il quale equilibrio voi cerchereste forse invano in alcun -altro dei suoi contemporanei, così completo e così scrupolosamente -mantenuto. Colossi sorgono intorno a lui; ma, se li guardate, questi -colossi hanno tutti qualche cosa che turba, molto o poco, la loro -stupenda economia spirituale e lascia luogo a desiderare. - -Onde, più lo si osserva, più si capisce il fascino che doveva -esercitare Leonardo da Vinci sopra i suoi coetanei. Alle sue grandi -qualità della mente e dell'estro aggiungete certe particolarità -nell'essere e nella vita, che realmente dovevano colpire e quasi -impaurire. Aveva del bizzarro, del misterioso, dello strano. Se -vergava una lettera la vergava da destra a sinistra, alla maniera degli -Orientali. Viveva fantastico, ghiribizzoso; mille cose intraprendeva e -poi tralasciava, andando continuamente in traccia di nuovi aspetti di -verità, di nuove e insolite forme di bellezza. Racconta il suo biografo -che si rinchiudeva volentieri in una stanza dove non lasciava entrare -alcun uomo; e in quella stanza egli accumulava insetti, farfalle, -ramarri, animali morti d'ogni specie, e là spendeva lunghe ore -meditando, sperimentando, osservando, fantasticando a sua posta. C'era -in lui qualche cosa come del negromante, del Gilberto, del Raimondo -Lullo, del Faust; un Faust però, lasciatemi dire, più sereno, più -equilibrato di quello tedesco; sopratutto un Faust onesto e benefico, -che studiava la vita e scrutava la natura e cercava di indovinarne le -leggi, ma non ad appagamento dei suoi egoismi crudeli e superbi, sì -per scoprire utili veri, per cogliere i fiori più eletti della verità -e della bellezza e gettarli, a consolazione e ad ornamento, sui passi -degli uomini. - -E a proposito di Faust, vien subito fatto di indicare un altro lato -singolare e argomento di molta curiosità nella vita di Leonardo da -Vinci. Questo Faust trovò egli la sua Elena o la sua Margherita nella -vita mortale?... Fra i tanti punti oscuri della vita di Leonardo, -questo è rimasto oscurissimo. In tanti volumi di manoscritti ch'egli ha -lasciato non ricorre il nome di una donna. Quest'uomo che aveva tutto -per essere amato, che, secondo la bella frase del Vasari, colla voce -soave “tirava a sè gli animi delle genti„, che professava così vivo il -culto della bellezza, e quindi doveva essere così inclinato a sentirne -il fascino, quest'uomo non ha una donna nella sua vita. Tutto ciò -naturalmente è spiaciuto ai romanzieri e ai poeti, ai quali è parso che -questa grande figura mancasse di qualche cosa senza un romanzo o almeno -un idillio d'amore. Alcuni quindi, guardando il sorriso così vivo, -così suggestivo e quasi invitante della Lisa del Giocondo, hanno voluto -fantasticarci su e fabbricare un romanzetto al quale io non credo; non -perchè io lo reputi genericamente inverosimile, ma perchè in storia -non bisogna affermare se non ciò che è sorretto da qualche maniera -di argomenti. Noto anzi un particolare. Il Vasari racconta che per -togliere al bellissimo volto di monna Lisa quella fissità e tristezza -che hanno quasi sempre i ritratti pel disagio e la noia che invade -l'originale nel posare, Leonardo faceva venire intorno alla bella -donna dei sonatori e dei buffoni che la mantenevano sempre graziosa ed -allegra.... Oh! se Leonardo e monna Lisa si fossero intesi d'amore, voi -ben vedete, che sarebbe bastato il bello e spiritoso pittore a tenere -allegra la sua modella; e non avrebbero pensato ad altra compagnia! - -Di quanti hanno cercato di definire la figura di Leonardo da Vinci il -più vicino al vero mi pare sia stato Gino Capponi, nel primo volume -della Storia di Firenze, ove dice che “in Leonardo vennero a far capo -le due correnti per le quali s'era condotta l'Italia, da un lato nelle -arti e dall'altro nelle scienze.... Con ciò parmi molto fedelmente -resa la grande singolarità della figura di Leonardo da Vinci e il suo -posto nella storia ideale del nostro Rinascimento. Noi possiamo avere -nel medesimo individuo delle attitudini artistiche e delle facoltà -scientifiche; può darsi benissimo che tanto le prime quanto le seconde -procedano di pari passo in un armonico sviluppo. Ma in Leonardo da -Vinci abbiamo qualche cosa di più: abbiamo la compenetrazione di questo -doppio ordine di qualità. Non è che lo scienziato vada per la sua via -e per la sua via vada l'artista; la via dello scienziato e quella -dell'artista non formano che una medesima grande strada regia, che -porta verso delle altitudini sconosciute. - -Sono meravigliose le scoperte, le antiveggenze di questo genio che non -ristava mai dall'osservare nel volume della natura. Guglielmo Libri -nella sua storia delle matematiche quando arriva a Leonardo, a questo -scultore, a questo pittore, a questo sonatore di cetra, è costretto -a fermarsi a lungo e dedicargli quasi un intero capitolo. E le -benemerenze di Leonardo verso le matematiche non sono che una parte dei -titoli che ha verso la scienza universale. Egli è dei primi, il primo -forse, che scuote completamente l'_apriorismo_ della scolastica e che -non accetta la concezione del mondo già fatta, già costituita secondo -la sentenza degli antichi. — Che importa a me, egli scrive, se non cito -gli antichi e se non seguo le loro massime? Io cito la Natura e segno -la Natura che è la maestra di quei maestri. — E di tali massime, che -esprimono il libero procedimento del suo ingegno nell'osservare, i suoi -manoscritti sono pieni. Torna sempre sopra questo concetto: ammira gli -antichi, li venera, ma dice che se essi valsero in qualche cosa, se -essi scoprirono invidiosi veri, fu perchè essi osservarono la Natura. -Dunque egli vuol risalire a questa grande maestra, a questo universale -esemplare, e da esso direttamente, non di seconda mano, attingere la -verità. - - -II. - -Per questo non è di nulla esagerato il dire che Leonardo da Vinci è il -primo a cui completamente si addice il titolo di “uomo nuovo„ secondo -il concetto di Giordano Bruno. Egli anticipa sopra tutte le scienze -e gli scienziati che vennero dopo. Nella metodologia viene prima di -Bacone da Verulamio quasi di cento anni. Quello che v'ho detto circa -il metodo suo d'osservazione è, in sostanza, il “nuovo organo„ che -di poi con tanta pompa di novità il Cancelliere inglese proclamerà al -mondo. Nella idraulica anticipa il Castelli; nella geologia Pomponio -Leto; nell'ottica egli precede La Porta, prevenendolo nella scoperta -nientemeno che della camera oscura; nella caduta dei gravi anticipa -di molti teoremi il lavoro di Galileo Galilei; nella intuizione dei -tratti della fisonomia come manifestazione delle interne facoltà -dell'animo, egli spiana la strada al La Porta e al Lavater. Un'altra -anticipazione importantissima ci dà Leonardo. In un passo molto -caratteristico egli dice: “Lascio stare i libri sacri, incoronati -di suprema verità„; e procede oltre liberamente nelle indagini della -natura, tralasciando ogni preoccupazione dogmatica e teologale. Anche -in questo delicato argomento, lo spirito di Leonardo precedette di -molti anni il Pomponazzo, il Cremonino e lo stesso Galileo Galilei, -che con tanto studio e tanta arte, nella sua famosa lettera _Alla -granduchessa madre_, si adoperò a dimostrare che il procedimento -teologico e il procedimento scientifico devono andare avanti di pari -passo senza intralciarsi l'uno coll'altro, e senza che i dogmi rivelati -gravitassero con troppo frequenti intromissioni nel lavoro e nelle -conclusioni dello scienziato. - -Se non che, per quanto mi ha dettato lo studio amoroso dei manoscritti -leonardeschi ora in molta parte editi, io penso che, mentre lo -scienziato pare alle volte che dietro a sè ci nasconda l'artista, -l'artista invece tiene sempre il campo. È sempre l'Arte la regina della -mente di Leonardo. Basta leggere alcune delle pagine del Trattato in -cui celebra le lodi della sua prediletta fra le arti, la pittura, per -capire da che sovrano entusiasmo estetico fosse riscaldato e mosso -l'animo suo. Per cui tante volte, mentre direste alla prima che la -indagine scientifica prepari in Leonardo il lavoro dell'arte; la verità -vera è invece il contrario: vale a dire che il lavoro della scienza non -è altro che un prolungamento, per dir così, della ricerca artistica. -E con questa gran differenza che, mentre gli altri artisti suoi -contemporanei si fermavano alla parvenza della cose e quella cercavano -di ritrarre secondo le regole dell'arte, Leonardo, spinto da un fervore -d'animo tutto suo particolare, andava anche al di là della parvenza -artistica, e voleva trovare e trovava in fatto la ragion d'essere di -questa in una più alta regione speculativa. - -Così quand'egli studia la prospettiva lineare ecco che egli a poco -a poco si incammina e s'ingolfa nel mondo della geometria: quando -studia la prospettiva aerea ecco che l'ottica gli apre i suoi grandi -orizzonti, e lì spigola e raccoglie verità nuove e spesso mirabili. -Medesimamente la pittura del corpo umano lo traeva ad investigare -tutto il magistero della nostra struttura corporea; ed ecco che si -associa a Marcantonio della Torre e dà al mondo i primi saggi completi -e veramente scientifici di anatomia grafica. Lo stesso gli avviene, o -signore, in tutti mai i rami dello scibile. Egli è condotto sulla via -delle scienze dalla mano dell'arte. Nel libro VI del _Trattato della -pittura_ egli parla delle piante. Pittoricamente parlando, uno si -sarebbe fermato alla apparenza di queste piante e ad indicare il modo -con cui il pittore deve fedelmente ritrarle giusta i varii stati in cui -ce le dimostra ai nostri occhi la natura, sia ch'esse siano sguarnite -di foglie nell'inverno o abbiano il primo tenero verde nell'aprile o -le foglie diffuse nella pienezza della buona stagione; sia che vengano -o battute dalla pioggia o scrollate dal vento o illuminate dal sole -e via discorrendo. Invece Leonardo da Vinci vi dà tutto questo per -il pittore; ma il suo spirito non può fermarsi qui. Egli procede più -oltre investigando e speculando: “La natura ha messo le foglie degli -ultimi rami di molte piante in modo che sempre la sesta foglia sia -sopra la primiera, e così segue successivamente, se la regola non -fu impedita.„ Qui, come vedete, abbiamo qualche cosa di più che una -semplice osservazione bastante per gli occhi del pittore. E non è cosa -di piccolo momento, o signore, ma una vera e propria legge botanica -(la _fillotassi_) che farà poi la gloria del naturalista Brown. Sempre -rimanendo dentro l'ambito della pittura ed andando oltre, Leonardo -scrive: “Le parti meridionali della pianta mostrano maggior vigore e -gioventù che le settentrionali. Li circoli degli rami segati mostrano -il numero degli suoi anni, e mostrano l'aspetto del modo con cui -erano volti, poichè più grossi sono a settentrione che a mezzodì. -Così il centro dell'albero per tal causa è più vicino alla scorza sua -meridionale che alla sua scorza settentrionale.„ Nelle quali parole è -pure anticipata una dimostrazione che farà, dopo un secolo, Marcello -Malpighi, meritamente salutato dall'universale come l'inventore ed il -fondatore della anatomia botanica. - -Questi esempi, o signore (e tanti altri che potrei citarvi), -riconfermano quello che io vi accennava, cioè che, a guardare bene -nella mirabile struttura dell'ingegno di Leonardo da Vinci e in tutti -gli atteggiamenti della sua attività, noi vediamo ch'egli si diffonde -mirabilmente nel campo dello scibile, ch'egli corre dietro a tutte -le forme del vero, ma che la sua stella polare è sempre l'Arte, e -che all'Arte egli vuole che convergano gli elementi della sua cultura -meravigliosa. Se tale la sua propedeutica artistica, voi avete un primo -dato per argomentare subito quale e quanta debba essere stata l'arte di -Leonardo da Vinci. - -Egli venne in tempi in cui, massime in Italia, la pittura si avvicinava -alla sua più alta fioritura, anzi alla sua radiosa maturità. Antonello -da Messina aveva già divulgato fra noi il processo della pittura ad -olio per il quale delle più smaglianti grazie ed una maggiore evidenza -acquistavano i colori; a Firenze nel tempo di Leonardo dipingevano -artisti come Sandro Botticelli; nella Umbria tenevano il campo -Pinturicchio e il Perugino, preparando Raffaello; a Bologna Francesco -Raibolini detto il Francia di grande orafo si mutava in grande -pittore; Ferrara aveva avuto il Tura e il Cossa e il Costa. Di là dal -Po, Mantegna, svincolatosi dalle dotte pedanterie dello Squarcione, -popolava di meraviglie Padova, Verona e Mantova e associandosi e -accostandosi al Giambellino, fondeva la robusta evidenza del suo -disegno con le grazie del colorito veneziano. Volgeva dunque un momento -di grande ricchezza e di grande splendore per l'arte. Egli, Leonardo, -doveva coronare e glorificare tutto questo movimento. - -E gli si aprivano due vie. Il suolo d'Italia restituiva, come per -grazioso miracolo, alcuni dei più bei documenti dell'arte antica: le -menti ne rimanevano stupite e irresistibilmente attratte ad imitarli. -Leonardo da Vinci, quest'alunno della natura, tutto il tesoro delle -osservazioni fatte nel campo della vita portava nel campo dell'arte, -e voleva un'arte essenzialmente naturale, che dalla natura prendesse -tutto il suo vigore e tutte le sue grazie. È molto notevole, o signore, -questo atteggiamento preso di Leonardo nella grande contesa fra il -naturale e l'antico, che allora appunto stava per raggiungere il -suo momento critico e decisivo. Leonardo portò tutto il peso del suo -sapere, tutta la potenza delle sue attitudini artistiche, tutta la sua -autorità immensa in favore del movimento naturalista, ampiamente inteso -e nobilmente significato. - -Osservate in fatti che egli non accetta i “moduli„ che si cominciano -ad insinuare nelle pratiche dell'arte, e coi quali si tendeva già a -sostituire qualche tipo fisso ed inalterabile al lavoro personale e -continuamente vario, al movimento fluido, infaticabile della natura, -l'eterno e inesauribile esemplare. Guardate il Cangiasio, il Durer, -Leon Battista Alberti escogitano misure e proporzioni determinate al -corpo umano; fra Bartolomeo della Porta tira fuori dalla sua mente, o -piglia dalla Germania, il _manichino_. Leonardo scarta tutto ciò. Egli -guarda con diffidenza tutto quello che tende a sostituire nell'arte -degli schemi già finiti e per così dire cristallizzati all'incessante -mutualità che deve passare fra l'animo dell'artista e la natura. Egli -primo fra i moderni, comincia già a tracciarvi la storia dell'arte in -un modo che ci fa davvero stupire e che dà ragione della sua maniera di -sentirne l'essenza. Ascoltiamolo: “Le arti giacquero in Italia perchè -fu negletto ogni studio di imitare la natura, finchè venne Giotto -fiorentino, il quale nato in monti solamente abitati da capre e simili -bestie, cominciò a segnar su per li sassi gli atti di simili capre, -delle quali era guidatore; e così cominciò a fare tutti gli altri -animali, che nel paese trovava. In tal modo che questi dopo molto di -studio avanzò, nonchè i maestri dell'età sua, tutti quelli di molti -secoli passati.„ Ecco il giusto criterio naturalista sostituito ad ogni -altro criterio! Il tipo dell'artista per Leonardo infatti è Giotto, -l'uomo semplice, quasi primitivo, che non guarda, come Nicola Pisano, -il sarcofago antico, ma le cose naturali e vive che stanno dintorno -a lui e ingenuamente le ritrae. E prosegue a dire: “Dopo, gli uomini -imitarono Giotto, e l'arti decaddero.„ L'imitazione sostituita allo -studio diretto della natura, quindi perniciosa all'arte. “Finalmente -sorse Tommaso fiorentino cognominato Masaccio, il quale mostrò con -opere perfette come quelli che pigliano per autore altri che la natura, -maestra de' maestri, si affaticano invano.„ - - -III. - -Dal naturalismo così altamente inteso doveva sgorgare un'arte -individuale, eminentemente soggettiva, un'arte che non procede da -formule fatte, ma le desume da quel travaglio incessante che l'occhio -e la mente dell'artista non ristanno mai dal proseguire. Perciò con -gli aspetti della natura, l'anima dell'artista entra e si rispecchia -nell'opera d'arte. Il Vinci esprimeva questo concetto fondamentale nel -_Trattato della Pittura_ in un modo che non lascia luogo al più piccolo -dubbio. Per lui non solamente l'artista deve ispirarsi al proprio -estro, deve conformarsi alle attitudini naturali che egli ha, ma va -più oltre. Egli crede che dentro al cervello di ogni artista ci sia -“un giudizio proprio„, una specie di facoltà determinata, che la natura -mette a disposizione di ogni singolo artista perchè egli ritragga, in -una certa guisa particolare, il mondo esteriore. “Questo tal giudizio è -di tanta potenza, dice Leonardo, ch'egli muove le braccia al pittore e -fagli replicare sè medesimo, parendo a essa anima che quello sia il suo -modo di figurare l'uomo; e chi non fa come lei faccia errore.„ A questa -individualità poi corrisponde (e ne è come la più luminosa riprova) una -specie di _unicità_ nei singoli oggetti generati dall'arte. Niente si -assomiglia in arte; questo è il concetto di Leonardo. Ammira le belle -e armoniche forme delle statue antiche, dà anch'egli qualche precetto, -qualche suggerimento per generalizzare le proporzioni del corpo umano, -e andate discorrendo. Ma finisce sempre con l'insistere sulla massima -che _bisogna proporzionare ogni oggetto particolare con sè medesimo_. -Non è mai il modello rinnovato degli antichi il quale stabiliva che un -corpo umano è alto tante teste e largo tante altre. No, Leonardo invece -vi dice: studiate ogni singolo corpo umano, e rilevate e trasferite -nella pittura vostra quella data proporzionalità che rappresenti il -carattere di quel dato corpo, come voi lo vedete, e non di altro. - -Questa la gran differenza che è tra Leonardo da Vinci e Leon Battista -Alberti, ed Alberto Durer e Rubens, e tutti gli altri creatori di -moduli, fino agli ultimi tedeschi, che hanno voluto rinnovare questa -specie di meccanismo geometrico applicato alla pittura. “La bellezza -dei visi„ dice Leonardo “mai si trova essere replicata in natura, di -modo che se tutte le bellezze, tutte le eccellenzie tornassero vive, -esse sarebbero maggior numero di popolo che quello che al nostro secolo -si trova. E siccome in esso secolo nessuno precisamente si somiglia, il -medesimo interverrebbe alle dette bellezze e per questo, sommo difetto -è dei pittori replicare gli medesimi moti, e gli medesimi volti e -maniere di panno in una medesima istoria, e via discorrendo.„ Tutto, -insomma, ciò che il pittore rappresenta, secondo Leonardo, dee avere -un certo carattere di istantaneità, vale a dire vuole che sia ispirato -dentro di lui da un particolare stato dell'animo, fuori di lui da una -particolare visione che balzi ai suoi occhi, che impressioni i suoi -sensi e che per via della mano si trasferisca nella forma elaborata. -“Sempre il pittore deve cercare la prontitudine nell'atto naturale -fatto dagli uomini all'improvviso e nato da potente affezione dei -suoi affetti; e di quelli far breve ricordo nei suoi libretti e poi, -a suo proposito, adoperarli. _Finalmente la mente del pittore si deve -del continuo trasmutare in tanti discorsi quante sono le figure degli -oggetti notabili che dinanzi gli appariscono e di quelle fermare il -passo e notarle, considerando il luogo e le circostanze, il lume e le -ombre._„ - -È impossibile, o signore, esprimere in termini più esatti gli -intendimenti tecnici ed estetici della pittura di sostanza e di -ambiente, quale oggi potrebbe vagheggiarla ed esercitarla ogni più -progressivo animo d'artista! - -Da queste premesse ideali passiamo alle conseguenze pratiche. La -pittura di Leonardo è una meravigliosa testimonianza della singolarità -del suo modo di intendere l'arte. Aggiungo qui di passaggio, che egli, -pure essendo così scrupoloso e sincero osservatore della natura, non -s'acconciò mai ad essere, come Piero di Cosimo e altri del suo tempo, -a guisa del letto di un fiume che accoglie indifferentemente tutte -le acque, siano esse torbide o chiare. No. Questo naturalista aveva -l'istinto della bellezza e procedeva per elettissime selezioni, e tutti -i suoi tipi danno, per così dire, ragione veduta della sua scelta. -Le figure di Leonardo, per una grande significazione di carattere, -appaiono tutte segnate del segnacolo d'una razza distinta. Forse era -la studiosa e perseverante scelta del pittore, forse era l'animo suo -che infondeva a quelle teste qualche cosa di singolare, che ci innamora -e ci esalta, sia ch'egli ci rappresenti la deviazione del tipo umano -nelle deformità sue; sia che ci allegri e turbi insieme con quei -sorrisi ineffabili di donna che non somigliano a nessun altro sorriso, -eppure sono tanto femminili; sia che ci impensierisca e ci commuova -colla espressione mistica di certe teste, ove il sentimento del divino -è reso come in nessuna altra pittura, prima e dopo, fu reso mai. - -E qui dovendo esemplificare mi trovo di fronte a un fatto singolare -e ben triste, o signore. Questo nostro Leonardo, del quale tanto -parliamo, è un artista in gran parte inedito. Peggio ancora, egli è -un artista soppresso dall'opera del tempo. Quanta distruzione ha fatto -il tempo sulle opere sue! Un po' per colpa di lui che il Vasari chiama -_instabile e vario_, che cominciava mille cose e poi le tralasciava a -metà, attratto sempre da quella sua eroica inquietudine di conoscere -e fare del nuovo; un poco perchè anche gli accidenti della natura e -della storia hanno cospirato a suo danno, fatto sta che di Leonardo -quasi tutto è scomparso. Intanto dello scultore niente possiamo dire -_de visu_. Delle tante opere in plastica di Leonardo, che pur gli -diedero, lui vivente, tanta fama che per molti contemporanei suoi egli -era massimamente celebre come scultore, che resta a noi? Nulla! Il -gran colosso di Francesco Sforza, con cui s'era gratificato l'animo di -Lodovico il Moro, fu ben finito (non però fuso in bronzo) e inaugurato -a Milano nella piazza del Vecchio Castello. Ma sopraggiungevano -i Francesi di Luigi XII vincitore e invadevano Milano. Entrati i -balestrieri guasconi in quel castello e visto là grandeggiare in forma -di apoteosi il capo della dinastia ch'erano venuti a distruggere, -naturalmente furono tratti dalla voglia di balestrarlo; e lo -balestrarono, ahimè! tanto bene che il colosso andò in pezzi e non -n'è più rimasto che qualche vago e dubbio ricordo in alcuni segni -dell'autore, e in alcune miniature del tempo. - -E anche della pittura di Leonardo da Vinci poco, ben poco rimane di -conservato e di indubbiamente autentico; onde ebbe a dire un critico -tedesco che non avrebbe coraggio di giurare che un palmo solo di -pittura leonardesca sia arrivato fino a noi veramente intatta. - -Rimane fortunatamente un'opera sulla quale, quanto ad autenticità -originaria, non può cadere dubbio, benchè sia ridotta anch'essa in -così misero stato che fa veramente pietà. Voglio dire il Cenacolo, -che Leonardo dipinse nel refettorio di Santa Maria delle Grazie. -Anche così malconcio, anche in quel suo stato quasi pauroso di larva -in cui ora lo vediamo, esso ferma i nostri occhi, conquide il nostro -animo, ci costringe a chinare la fronte. Pensate! Esso è la riprova -ancora vivente, la riprova sintetica, eloquentissima della verità -ed efficacia di tutte le dottrine che intorno all'arte Leonardo era -andato predicando e praticando. Pensate ancora quanti artisti si sono -cimentati in questo dramma intimo e sacro, la cena ultima di Gesù -Cristo coi suoi discepoli!... I più dei pittori scelsero quel momento -in cui Cristo offre ai suoi discepoli e all'umanità tutto sè stesso -nel pane e nel vino. Leonardo preferì invece di cogliere un momento -meno mistico ma più naturale; e talmente naturale che noi, senza -mancare di riverenza ad alcuno, possiamo anche considerare quella sua -rappresentazione come una scena puramente umana. Si tratta in sostanza -d'un maestro che ha raccolto intorno a sè i suoi discepoli più fidi, -mentre ingrossano i tempi e la persecuzione minaccia al di fuori.... -Arrivato a un certo punto della cena, a un tratto egli dice: _uno di -voi mi tradisce_. Questa frase, gettata là in mezzo ad animi semplici -e devoti, produce come uno scoppio di dramma istantaneo. - -Non sono più le immobili figure dei vecchi Cenacoli, colle loro -aureole intorno al capo, che assistono misticamente alla mistica -consacrazione. Qui abbiamo invece uomini che si sentono feriti nel -profondo dell'animo dall'angoscia di sapere che c'è in mezzo ad essi -un loro compagno che tradirà l'uomo che vollero seguire a ogni costo, -che amano sopra ogni cosa. Non basta: tutti sentono il turbamento e -l'irritazione di potersi sapere sospettati di una tanta iniquità. Se -guardate a quelle dodici figure d'apostoli, ognuna vi rende questo -dramma interiore con una varietà ammirabile. Il volto di Cristo ha una -specie di calma costernata. Le sue labbra sono ancora semiaperte, e -si capisce che le tristi parole ne sono uscite allora allora; le mani -fanno un movimento di tristezza; la calma non è turbata in quel volto -divino; ma una lieve increspatura della fronte ci lascia comprendere -che la parte umana in lui palpita e si addolora. Tutti gli apostoli -alla prima hanno avuto certamente un movimento eccentrico; poi quasi -tutte le figure si protendono in avanti verso il maestro. Che varia -e potente significazione psicologica in quelle figure e in quei -volti! Guardate tutte quelle mani. Ognuna (dando ragione ad un famoso -capitolo del Montaigne) ha un significato, un pensiero, un fremito -di vita personale. Guardate tutti quei piedi. Visti vagamente sotto -la tovaglia, così irrequieti e mossi in vario senso, vi completano -l'idea della agitazione espressa dalla parte superiore di quelle -dodici figure. Nel mezzo, solo i piedi di Cristo si mostrano queti e -composti.... - -Giovanni nella semplicità amorosa dell'animo suo pare che dica: — -Ma questo non è possibile! Di una mostruosità tale niuno di noi può -essere capace! — San Pietro allarga violentemente le braccia come -porta l'indole sua. È l'uomo che poi tirerà fuori il coltello e -taglierà l'orecchio a Malco. Par di sentirlo gridare: — Fuori il nome -del traditore! Noi vogliamo saperlo ed esser puri d'ogni sospetto. -— Il penultimo degli apostoli, a destra di chi guarda l'affresco, -ha un lieve torcimento degli occhi e della bocca e, parlando piano -al vicino, fa un accenno.... Si capisce che ha un vago sospetto di -Giuda.... Giuda, che incarna la bruttezza del tradimento, si volta -repentinamente, come per udire le parole dell'apostolo che parla dietro -di lui. Si indovina l'uomo che vorrebbe dissimulare, prendendo un -contegno disinvolto; ma intanto con un movimento inconscio del gomito -versa la saliera. Il sale si sparge sulla tovaglia e con questo segno -sinistro di mal augurio, pare che il triste dramma venga lugubremente -suggellato. - - -IV. - -Su questa grande parete, Leonardo da Vinci inaugurò la _pittura nuova_ -perchè infuse nell'arte la pienezza della vita, rivendicando insieme -ad essa la più completa libertà. Lo sentirono i contemporanei; e il -_Cenacolo_ fu l'opera che diede più gloria all'artista. - -Ma, parlando in genere, se egli ebbe vivendo fama grandissima, possiamo -noi anche affermare che riscosse favori corrispondenti al suo merito? -Non credo. Chi studia attento la vita di Leonardo, vede un intimo -dissidio fra l'arte sua e lo spirito che ormai domina ne' tempi suoi. -Nel grande e risolutivo andazzo che andava a prendere, l'arte italiana, -la quale era salita su per tutti i gradi della preparazione e della -elaborazione, ormai voleva slanciarsi. Tutti quegli artisti, già così -forti nella tecnica e così pieni di fantasia, non volevano più stare -alle mosse e cercavano novità. Leonardo invece si mantiene fedele -all'ideale artistico della sua epoca gloriosa. - -Un senso d'inquietudine trae ogni giorno più gli artisti ad un'arte -frettolosa, sommaria e decorativa. Anche la Chiesa, presentendo la -grande bufera che si approssima, domanda che l'arte si trasformi, -che si spinga ad un fare più largo e magniloquente, come per mettere -fra sè e i tempi nuovi un antemurale di bellezza spettacolosa che -seduca e fermi la fantasia dei popoli. Aggiungete infine che, per la -perdita della indipendenza e delle libertà locali, per l'abbassamento -della moralità, per l'invasione, l'amalgama e il bastardume delle -costumanze straniere, la vita italiana languiva e precipitava; e -l'arte, la nostra grande arte, unica energia ormai rimasta in piedi, -era costretta a colmare, ma in fretta, tutti questi vuoti, tutte -queste voragini; e le vecchie forme pareva che più non bastassero. -Ma Leonardo volle resistere a tutte queste correnti, e star fermo -all'arte sua coscienziosa, equilibrata e casta, che era in sostanza -l'arte del Botticelli e degli altri migliori di quel secolo, inalzata -a una maggiore potenza. Egli volle essere, e fu in fatti, l'ultimo dei -quattrocentisti e il più grande di tutti. Ma pagò cara questa gloria. -Egli fu uno sconfitto, ed uscì dall'arringo come un vinto. Nella -sua vita ebbe molti onori, ebbe amplissime lodi; ma però guardate: i -periodi della sua vita finiscono sempre in un modo sinistro. Nel suo -primo periodo Lorenzo il Magnifico, che è così largo di protezione a -tutti, a Leonardo mostra, non dirò il malo animo e quasi l'odio, come -colla sua alfierana fantasia ha supposto il Ranalli nella sua preziosa -storia delle belle arti; ma, insomma, Lorenzo il Magnifico non tiene -molto conto di Leonardo, e quando il Moro da Milano glielo chiede (se -è vero che glielo chiedesse) Lorenzo lo concede volentieri, perchè tra -le altre cose l'indole strana, fiera di Leonardo non era probabilmente -fatta per gratificarsi l'animo di un principe che, per quanto liberale -si fosse, amava però di vedere ricambiata la magnificenza del suo -mecenatismo con molta sottomissione e sopra tutto con l'essere -richiesto di consiglio. Voi sapete che Lorenzo amava d'andare sopra i -lavori degli artisti e proverbiarli e correggerli. Diceva per esempio -al giovane Michelangiolo: “Cava un dente a quel vecchio satiro„, -e Michelangiolo lo cavava docile. Chi sa se Leonardo avrebbe avuto -così pronta arrendevolezza?... Io molto ne dubito; e penso che per -questo egli non potè mai entrare appieno nelle grazie del Magnifico. -Il suo secondo periodo è il più brillante. Alla corte del Moro egli è -riconosciuto, carezzato, festeggiato; ma in sostanza l'utile fruttuoso -pare che fosse scarso, se dobbiamo rilevarlo da un frammento di lettera -in cui dice, in sostanza, al Moro: — Con tutti questi onori, con tutte -queste commissioni io non cavo da vivere, non mi sono avanzato nemmeno -quindici lire. — E il frammento chiude con una frase tristissima: -“Io non voglio mutare la mia arte.„ Quanta differenza, o signore, tra -questa umile e sconsolata lettera e la lettera piena d'onesta baldanza -con cui Leonardo si faceva precedere nella sua andata a Milano! Allora -egli diceva al duca: — Io so fare questo e questo; tutto ciò che gli -altri fanno io lo faccio, e, sia chi voglia, meglio di loro. Mettetemi -alla prova! — Anche questo periodo adunque, principiato bene, si chiude -con una sconfitta. Leonardo dopo va errando prima agli stipendi del -Valentino, poi a Firenze col Soderini. Si cimenta con Michelangiolo ed -è molto onorato, perchè in questa gara di due giganti, nessuno ha il -coraggio di decidere quale sia il perdente e quale il vincitore. Ma -poi, allor che si viene alla esecuzione del cartone celebratissimo, -nascono subito dei guai e delle contese; e noi vediamo il Soderini -che comincia a non lodarsi più di Leonardo, e Leonardo che comincia a -trattar male il Soderini. Insomma, anche quando è fortunato, Leonardo -non consegue mai quella specie di alto dominio che esercitarono altri -artisti, certamente grandi, ma forse non più grandi di lui, come -Michelangiolo, come Raffaello; artisti davanti ai quali i principi e -i papi stavano trepidanti, e mandavano delle legazioni per risolvere -questioni sorte fra loro, e non avevano pace finchè non li vedevano -attratti di nuovo nell'orbita del loro principato. - -Tantochè Leonardo da Vinci negli ultimi anni è costretto ad espatriare; -e, bisogna confessarlo, trovò sorte più lieta e più benigno mecenatismo -in Francia che in Italia. Questo mi pare che risulti evidentemente -dalla sua vita. Come già era stato liberalmente protetto da Luigi -XII, fu liberalmente ospitato ed onorato, secondo i meriti suoi, da -Francesco I, questo re che non fu certo un modello di buon costume, -ma che col suo spirito cavalleresco seppe tanto bene farsi perdonare i -difetti; e che noi dobbiamo ricordare con gratitudine. Fatto è che per -invito suo Leonardo da Vinci col suo caro alunno Francesco Melzi, col -suo fedele Salai va in Francia. Oltre una pensione di 700 scudi d'oro, -il Re gli alloga il castello a Cloux presso Amboise; e là può il grande -italiano spendere finalmente i suoi ultimi anni di vita nella perfetta -quiete dell'animo e darsi intero e libero alle occupazioni predilette -del suo spirito. - -In Francia Leonardo da Vinci finisce i suoi giorni e li finisce -pacifico e riconciliato con tutti. Se lo avevano accusato di poca -reverenza verso gli antichi, egli aveva già ordinato al Platina di -fargli un epitaffio in cui dice: “Io studiai gli antichi ma non potei -però raggiungere la loro divina simmetria. Feci quello che potei. O -posterità, siimi indulgente! _Veniam da mihi, posteritas._„ E muore -riconciliato colla Chiesa, con la quale, a detta del Vasari, non fu -sempre in troppo buoni termini; e nel suo testamento raccomanda l'anima -sua a Dio, alla Vergine e a non so quanti altri santi del Calendario. -Muore riconciliato colla famiglia verso la quale aveva avuto delle liti -non piccole per causa di eredità, lasciando ai suoi fratelli 400 scudi -che teneva sopra un banco fiorentino. - -È cosa singolare, o signore! Finalmente nel suo testamento noi -incontriamo un nome di donna. Ma che i romanzieri e i poeti non -si esaltino. Non si tratta della Giulia Gallerani nè della Cecilia -Crivelli, nè della Lisa del Giocondo, nè della bella Ferroniera; si -tratta di una certa Maturina, a cui lascia un po' di denaro e un po' -di roba in cambio dei buoni servigi ch'essa gli aveva reso. È dunque -il caso d'una povera serva, per giunta forse vecchia e brutta. Ecco -l'unico episodio femminile, se così si può chiamare, di quest'uomo -che aveva versato nelle sue tele tutte le più squisite e poetiche -suggestioni dell'amore. E a me non dispiace. In fondo quella povera -vecchia avrà dato all'artista, tanto combattuto e tanto travagliato, -gioie e servizi umili ma preziosi, che i potenti coi loro favori, -spesso in mal punto dati e sgarbatamente tolti, non gli avevano -procurato mai. Lo avrà scaldato negli inverni rigidi di Cloux, gli -avrà preparato il desinare, lo avrà curato, confortato, e colle sue -goffaggini e facezie di vecchia serva, qualche volta forse anche -rallegrato nelle ore più tristi della infermità e del tedio. E allorchè -il vecchio pittore sarà morto, non Francesco primo re di Francia -e Navarra, come dice la favola, ma lei, lei, questa povera vecchia -avrà chiusi quegli occhi che avevano veduto tante meraviglie.... Che -importa? Essa glieli avrà chiusi con quel senso di schietta pietà che -quaggiù inalza tutti ad un modo, perchè è l'unico attributo, o signore, -divinamente dato alla nostra umanità. - - - - -L'ARTE VENEZIANA DEL RINASCIMENTO - -DI - -POMPEO MOLMENTI. - - -Correva l'anno 1495 (perdonate, o Signori, se incomincio come usava -nei vecchi romanzi storici di mezzo secolo fa), correva l'anno 1495 e -Filippo de Commines, ambasciatore di Carlo VIII, entrando a Venezia, -esclamava ammaliato: — la più trionfante città che io abbia mai veduta! -— E, in vero, dall'aprirsi del secolo quintodecimo fino quasi alla fine -del XVI, la vita di Venezia sembra un trionfo. Prorompono affetti ed -entusiasmi, e tutto vive in un contrasto che pare aumenti l'energia. In -questo tempo appunto, fra la metà circa del quattrocento e lo scorcio -del cinquecento, nasce, cresce, matura, declina l'arte veneziana. È una -vita breve, rapida, piena di agitazioni e di esultanze. La pittura, fra -le lagune, sboccia a un tratto quasi senza lavoro di preparazione. Nel -secolo XIV, allora che Giotto compiva le sue divine opere, in Assisi e -in Padova, e fino quasi alla metà del secolo seguente, i tentativi di -alcuni timidi pittori veneziani non possono chiamarsi col nome d'arte. - -Ma, circa l'anno 1422, la Repubblica, volendo dipingere una sala del -Palazzo Ducale, chiamava Vettor Pisanello di Verona, eminente artefice, -e Gentile da Fabriano, la mano del quale, al dire di Michelangelo, non -facile lodatore, era gentile come il nome. Durante la loro dimora fra -le lagune essi segnarono un avanzamento nell'arte, ed esercitarono una -azione efficace sulle opere dei primi artefici veneziani, specie del -Vivarini. - -Dopo aver dipinto, in Palazzo Ducale, la battaglia navale presso -Pirano, tra l'armata veneta e quella del Barbarossa, Gentile da -Fabriano partiva per Roma, accompagnato da un giovane pittore -veneziano, Jacopo Bellini. Della vita di Jacopo poco o nulla si sa; il -Vasari si limita a dire, che, ritornato in patria, egli era nella sua -professione il maggiore e più reputato. - -Del resto, di quasi tutti quegli artefici, che espressero il sentire -profondo della giovane arte veneziana, ci è sconosciuta la vita. Prima -della gran luce di Tiziano, quei casti ingegni non viveano se non per -l'arte, dimenticando ogni cosa, non d'altro desiderosi che di farsi -dimenticare. - -Il nome di Jacopo Bellini è menzionato più per essere stato padre di -Gentile e Giovanni che per le opere sue. A torto, perchè egli veramente -segna l'alba di quella pittura, che sbocciò subito dopo, tutta fiori, -odori e colori. A rendere in breve tempo splendida e rigogliosa -quest'arte, contribuirono l'ordinamento politico, la postura della -città e l'indole degli abitanti. - -L'onnipotenza dello Stato teneva unite e dirigeva le forze della -nazione, e ora le spingeva a creare la libertà e ad arricchire la -patria, ora, distraendole dalla politica, le rivolgeva a trasformar la -città in tempio dell'arte. - -E intorno a quest'arte ricorreva, come nimbo glorioso, la natura -circostante, con tutto il fascino di una bellezza incomparabile. Qui -pare abbia più incanti la luce del sole, più dolcezze melanconiche -il tramonto. I vapori dell'aria tolgono ogni rigidezza di contorni -alle cose e le immergono come in un'onda eterea; i mille strani -sbattimenti delle acque, i miraggi di madreperla degli orizzonti -lontani, i dorsi di sabbia che s'alzano dalla laguna e rifulgono di -tinte dorate, s'intrecciano in un'armonia stupenda, dove, senza eccesso -e senza volgarità, l'azzurro e l'arancio si uniscono, e il violaceo si -congiunge al giallo, e lo smeraldo al giacinto, e il diaspro - - par che si mischi in flessuosi amori - con l'ametista. - -Chi nasce in quest'aura ed abbia il senso dell'arte è naturale -debba comprendere tutte le ricchezze e le gioie del colore. Venezia -è veramente la reggia del colore. E per questo appunto nell'arte -veneziana incontriamo pochi nomi di statuari eminenti, e anche questi -architetti e decoratori, come i Delle Masegne, il Buono, il Rizzo, -i Lombardo, il Vittorio, i quali tutti seppero trarre dalle due arti -ornamenti svariati e leggiadri. Gli architetti violavano ogni regola, -sfuggivano la simmetria, e raggiungevano l'armonia, trasportavano, -negli edifizi delle lagune, la poesia fastosa dell'Oriente, emulando -con le seste il pennello. E infatti le pietre, con le loro armonie di -colore, servivano di tavolozza e sulle facciate dei palazzi brillavano -il porfido, il serpentino, il verde antico, la breccia, il broccatello. -Ecco forse perchè qui, più che altrove, tardò a comparire, sulle tavole -e sulle tele, la pittura, che avea agio di manifestarsi nell'accordo -dei marmi variopinti. Anche si dipingevano i prospetti. Quando il -Procuratore Contarini ordinò a Giovanni Buono la facciata della casa, -chiamata d'Oro, non già per aver appartenuto alla famiglia patrizia -Doro, ma per le dorature di cui era adorna, fu fatto il contratto il 30 -aprile 1430. Compiuta la facciata, che, nonostante le offese del tempo, -ride ancora di una immortale bellezza, fu chiamato mastro Giovanni di -Francia, per ornarla _de pentura_. Come dovea allora apparire quel -gioiello della veneta architettura! Maestro Giovanni s'impegnava di -dorar le rose, gli stemmi, i leoni, gli archetti, il fogliame dei -capitelli e i dentelli, dipingere _le tresse dazuro oltremarin fin ben -dopiado per muodo che i la stia benissimo_. Le merlature doveano essere -dipinte con biacca e venate a guisa di marmo; le fascie bizantine a -tralci di vite, tinte di bianco su fondo nero, e tutte le pietre rosse -e tutte _le dentade rosse sia onte de oio e de vernixe con color che le -para rosse_. - -Passando pel Canal Grande, e ammirando la Cà d'Oro e i palazzi dipinti -dai migliori maestri dell'arte, poteva bene Filippo de Commynes -esclamare: — C'est la plus belle rue que je croy qui soit en tout le -monde. — - -Dodici anni più tardi, sul Fondaco dei Tedeschi, dipingeano a fresco -Tiziano e Giorgione. A Giorgione furono dati 150 ducati dell'opera -sua, in cui ebbe a cooperatore, per gli ornamenti, il Morto da Feltre, -il quale, secondo una leggenda, abbellita dal verso, rapì l'amante al -maestro ed amico, che ne morì di dolore. Ma il Vasari attribuisce la -morte di Giorgione a un male più prosaico. - -Quanta forza e quanta efficacia ha sull'indole umana la qualità del -luogo dove si nasce! E come le persone e le vesti dei veneziani si -accordavano, in quei tempi, con la vita festante, coll'architettura -fantastica, colle trasparenze opaline dell'aria, coi riflessi delle -acque! Una vecchia cronaca dice che, nel 1433, a Venezia, più di -seicento donne andavano fuori di casa _vestite di seta, oro, joje, -che è una maestà vederle_. Le belle veneziane ci appaiono vestite di -broccato d'oro, di velluto ricamato d'argento, di tela a fiorami dai -più vaghi colori, col breve busto fregiato di gioielli e le spalle -ignude, adorne di perle, di gemme, di diamanti, di monili, di oggetti -d'oro e d'argento. Una Contarini, sposa a Jacopo Foscari, l'infelice -figlio del Doge, avea nel corredo, tra molte vesti di seta, un abito -di broccato d'oro con maniche piccole: un altro in campo d'oro ricinto -di cremisi con maniche aperte, foderate di vaj, con la coda di un -braccio e mezzo; un terzo di panno in campo d'oro e paonazzo foderato -d'ermellini: un quarto con maniche cadenti a terra, dette arlotte, -d'ormesino broccato, e via via. La donna veneziana non rivive nelle -pagine degli storici e dei poeti, ma palpita ancora nelle tele degli -artefici come a traverso una gaia fantasmagoria di colori. La ricerca -e la femminile brama di tutto ciò che splende e brilla erano portate -qualche volta all'eccesso. Non bastarono alla donna le vesti a tinte -audaci, ma si voleano ravvivar col belletto i pallidi colori delle -guancie. E perfino, perdonate all'osservatore del passato questo strano -particolare, perfino si colorivano le mammelle, che le vesti oltremodo -scollacciate non lasciavano ignorar allo sguardo. Un poeta popolare del -cinquecento scrive: - - Fazzandose le tete rosse e bianche - E descoverte per galantaria. - -E i capelli si tingevano in biondo, il colore, che, sui bei capi -femminili, stacca come un'aureola dorata sul fondo dei canali oscuri, -delle viuzze buie, dei bruni palazzi. Cento ricette, una più curiosa -dell'altra, esistono per dare la tinta e la lucentezza dell'oro alla -chioma. Vedete bizzarrie delle mode, che hanno i loro ritorni, come le -civiltà di Vico! Per rasciugare i capelli tinti, le donne si esponevano -al sole sopra i tetti delle case, in una specie di loggia scoperta, -chiamata _altana_, e là sedevano vestite di tela leggera con in testa -un cerchio di paglia finissima a foggia di tesa di cappello, detto -_solana_. - -Ricche e variopinte anche le vesti degli uomini. I patrizi, secondo -i vari uffici e le solennità, andavan vestiti di raso, di velluto, -di zendado cremesino, di broccato d'oro. Nell'inverno, gli abiti, con -ricami di cordoni d'oro e d'argento, si foderavano con finissime pelli -di gran prezzo. Elegantissimo il costume dei Compagni della Calza, -brigate di gentiluomini uniti nell'intento di dare feste, tornei, -spettacoli d'ogni maniera. Si chiamavano della Calza, perchè portavano -sugli stretti calzoni un'impresa a colori. I giubberelli attillati -di velluto, di seta, ricamati d'oro e stretti da un cingolo, avevano -le maniche tagliate per lo lungo e riunite da nastri, che lasciavano -scappar fuori gli sbuffi della camicia. Le calze strette a striscie -colorate longitudinali, le scarpe forate in punta, su le spalle un -mantello di panno d'oro, di damasco o di velluto cremesino, con un -cappuccio sulla cui fodera era ricamata l'impresa della Compagnia. -Di sotto a un berretto nero o rosso, ornato in punta da un gioiello e -pendente sull'orecchio, scappava la chioma, allacciata da una fettuccia -di seta. - -Nelle feste religiose e civili, nelle incoronazioni dei dogi e -delle dogaresse, nei ricevimenti di re e di principi, nel commemorar -vittorie, nelle nozze, perfino nei funerali, sempre e dovunque il -trionfo del colore, un poema di magnificenze. - -Nei palazzi, i ricevimenti, i banchetti, gl'inviti, i festini -doveano sembrare mirabili fantasmagorie. La luce dei doppieri faceva -scintillare le pareti ricoperte d'oro, d'arazzi, di specchi di Murano, -i velluti e le sete d'ogni colore, le splendide gemme. La magnificenza -patrizia scendeva dai palazzi alle vie, dove la città s'agitava felice, -gioiosa di contemplarsi ed ammirarsi. Sulla piazza e sulle strade -passavano le gentildonne colle vesti più magnifiche del mondo; i -patrizi nelle loro splendide toghe come, osserva un viaggiatore tedesco -del quattrocento, se fossero tanti vescovi; i levantini dalle fogge -variopinte e bizzarre. - -Un altro viaggiatore, il milanese Casola, che, nel 1494, fu presente -alla processione del _Corpus Domini_, sulla piazza di San Marco, non -trova parole per descrivere i gentiluomini vestiti di aurei drappi e -di velluti, la ricchezza degli addobbi, la profusione dei fiori, la -quantità dei ceri, la varietà dei colori. Gl'ingressi dei Procuratori, -dei Patriarchi, dei Cancellieri Grandi, ecc., parevano trionfi. E -trionfi si chiamarono le incoronazioni dei Dogi e delle Dogaresse — -affascinanti splendori di tinte. - -Meglio conveniva la pompa al decoro dello Stato, quando si doveano -ricevere re, principi, ambasciatori. - -Cito così come mi vengono alla memoria le dorate visioni. - -Nel 1521, il principe di San Severino era festeggiato in casa del -patrizio Veniero dai Compagni della Calza. L'atrio, le stanze, il -portico del palazzo tappezzati di quadri e d'arazzi: un prezioso panno -d'oro era steso nel luogo dove il principe sedeva. Sovra una credenza -erano esposte argenterie pel valore di 5000 ducati. Furono invitate -quante fra le più belle patrizie erano allora in Venezia, tutte in -abito d'oro listato in seta. Il principe, bello, grazioso e _facile -ad innamorarsi_, osserva il Sanudo, ballò fino ad ora tarda. Poi le -musiche e i buffoni, abbigliati nelle più strane fogge, annunciarono -l'ora della cena suntuosissima. - -Nel banchetto per le nozze del principe di Mantova (1581), dopo la -rappresentazione di una commedia, fu aperta una bellissima sala, dove -sotto un baldacchino sedettero i principi, i duchi e i cardinali. Cento -gentildonne, riccamente abbigliate, erano assise intorno a una mensa, -risplendente di vetri di Murano. - -L'entrata di Enrico III fu celebrata da storici, da poeti e da pittori. -Riccamente fantastici furono, in tale occasione, gli spettacoli: -gite, baldorie, banchetti, luminarie, regate. I giovani patrizi, al -servizio del monarca, erano vestiti con zimarre di seta, e di seta -ranciata la guardia di onore di sessanta alabardieri, armati di azze. -Il re, accompagnato dal doge, fu condotto, fra salve di artiglieria, -a Venezia, sopra una galera di quattrocento rematori, seguita da -grandissimo numero di galee, di brigantini, di fuste, di barche, di -gondole, messe ad arazzi e panni d'oro, e velluti, e specchi ed armi. -Il figlio di Caterina de' Medici fu alloggiato nel palazzo Foscari, -addobbato con arazzi, panni azzurri contesti d'oro, rasi e velluti, -sparsi di gigli. Poi si succedettero, come in un sogno fantastico, -altre feste, tornei, processioni, trionfi, conviti, cerimonie. - -E tutto intorno, cornice meravigliosa, le acque della laguna, e -Venezia, mobile, varia, come donna non d'altro curante che di piacere -e che non domanda se non l'omaggio reso alla bellezza. Perchè la -bellezza a Venezia andava a poco a poco sostituendo l'antica energia, -come la pompa andava prendendo il luogo della prosperità materiale, e -il fasto chiudeva i germi della decadenza. In fatti, verso la fine del -secolo XV, il movimento commerciale di Venezia s'arrestò un poco, e la -scoperta dell'America e il passaggio del Capo di Buona Speranza fecero -prendere altra via al traffico, in modo che al mercato di Rialto, come -nota un diarista contemporaneo, il Priuli, giungevano molte galere -_vode senza collo di spetie, che mai più da alcuno non era stato -visto_. Ma Venezia non se ne accorgeva, e su quelle tristi minacce di -prossimo decadimento, gettava spensieratamente come un manto d'oro di -pompe, di feste, di arte. Di arte specialmente, degli allettamenti il -supremo. - -Cresce l'artefice nella esuberanza della vita veneziana, e in quel -meraviglioso movimento l'ingegno si espande, si afforza, si accende. - -La pittura, dopo il vigoroso impulso dato da Jacopo Bellini e dai -Vivarini, apre il suo libro d'oro a nomi d'artefici immortali. Fra i -primi: i due figliuoli di Jacopo Bellini, Giovanni e Gentile, Vettor -Carpaccio e Cima da Conegliano. Le glorie di quella federazione di -mercanti, di marinai, di operai, hanno come la consecrazione nell'arte, -fresca della prima vita. Non più le rigide forme artistiche venute -da Bisanzio, ma il moto e il calore, l'impronta del tempo e del -luogo, l'eco dei trionfi guerreschi, delle incoronazioni di dogi, -dell'arsenale fragoroso d'opere. La grandezza politica e guerresca di -Venezia è recente e l'arte ne raccoglie l'immagine con vivacità. Ma -la vivacità e la gioia sono come velate da un intimo senso di soave -dolcezza, che accresce le attrattive. È un soffio dell'arte ingenua -e pura del trecento. A noi qui importa poco saper se gli artefici -trecentisti fossero più o meno religiosi o virtuosi di quelli che li -seguirono, nè a noi preme indagare se le figure stecchite dei santi -esprimano fervide preghiere, prelibamenti di beatitudini celesti, ma -quelle opere primitive, offese da sante ignoranze, hanno i fascini, -che inspira sempre l'infanzia. Hanno un'attrattiva particolare quelle -ingenuità, che ci fanno rivedere i pittori dipingere _col pennello -sottile acuto di setole liquide e sottili, che entravano su per un -bocciuolo di penna d'oca_, come insegnava il buon Cennino Cennini -di Colle di Val d'Elsa. E poi i secoli ammorbidiscono i contorni -delle cose, li fanno vedere come a traverso una leggera nebbia di -poesia. Il tempo fa acquistare a ciò che trova quel colore d'antichità -veneranda, che i pittori chiamano pattina, e gli Attici negli scritti -chiamavano πῖνον. Così il corso dei secoli ha involto in un'aura di -misteriosa religiosità certe vecchie cattedrali gotiche, bianche e -gaie, simili ad immensi oggetti d'orificeria, al tempo della loro -gioventù, e che ora parlano colla melanconia delle memorie, coi marmi -tinti sapientemente dal tempo, colla austera maestà delle rovine. Per -tal modo, l'arte del quattrocento, non essendosi potuta impadronire -di tutti i mezzi tecnici, conserva ancora la soave imperizia del -trecento. La timidezza in arte è sinonimo di sincerità. E quegli -artefici sono timidi e sinceri: qualche volta poveri di bellezza -esteriore, ma ricchi di sentimento. Nella purezza immacolata delle -vergini, nella serenità cogitabonda dei santi, nella gioia calma degli -angeli, in ogni espressione sempre vaga e melanconica, essi, gl'ingenui -quattrocentisti, si proponevano, forse inconsapevolmente, dei problemi, -che affaticano gli uomini del nostro tempo e non ancora hanno trovato -una soluzione. Ecco perchè noi sentiamo fiorirci nell'animo come un -vivo desiderio di quell'arte tenue e semplice, ecco perchè noi, meglio -che i nostri padri, comprendiamo quei solitari ricercatori, che furono -travolti nello strepito allegro dell'arte che li seguì. - -E certamente ai due Bellini, al Carpaccio, al Cima dovè sembrare un -libertinaggio pittorico la nuova maniera di Tiziano. Così Venezia, -dinanzi alle bellezze femminili di Tiziano e di Paolo, dimenticò la -maniera di Gian Bellino e degli altri pittori di quel tempo, maniera -che il Vasari chiama secca, cruda, stentata. Ma la critica moderna, -più imparziale e più larga, studia con amore quella maniera _secca_ e -_cruda_ dei primitivi maestri veneziani, i quali risentirono l'influsso -della scuola toscana e l'azione del casto genio nordico. Quel non so -che esuberante e festivo dell'indole veneziana, fu come tenuto in -freno dalla purezza dei Toscani e dalla temperanza dei maestri del -settentrione. - -A poco a poco questa sincerità e questa ingenuità dell'arte vanno -dileguandosi. Le idee, il gusto si trasformano, i costumi si -addolciscono sempre più. - -Nell'arte il fiore s'è svolto in frutto. Non più impedimenti tecnici -— _la mano ubbidisce a tutto ciò che vuole l'intelletto_, per dirla -con Michelangelo. Alla morbidezza, alla grazia, all'eleganza succedono -l'allegrezza, la giocondità, l'esultanza. Dagli altari le vergini dolci -cominciano a sorridere mondanamente, e sulle labbra, un dì socchiuse -alla preghiera, freme come il desiderio di un bacio. Sulle tele, nei -marmi il culto della forma; alla pittura sobria, delicata, succedono le -luminose malìe della tavolozza, il fulgore impareggiabile delle tinte, -lo splendore che accarezza e ammalia l'occhio, ma non penetra fino -all'animo. - -Sono arti grandi tutte e due, ma una ti parla al senso, l'altra -all'animo, l'una t'innamora della forma, l'altra ti investiga lo -spirito. - -Giorgio Barbarella, detto il Giorgione, stacca, per dirla con un -critico straniero, la pittura dell'ancoraggio del Medio Evo per -slanciarla sulle onde del Rinascimento, di quel Rinascimento che -la critica dell'avvenire, sgombra dai pregiudizi di cattedra e di -accademia, mostrerà quanto di originalità abbia tolto all'arte e -alla letteratura italiana. Egli esce dall'antica timidezza e lascia -spaziare il genio a sua voglia, moderando però gli arbitrii della -fantasia con severe cognizioni. Ei modella, tra mille blandimenti, i -corpi femminili, cui infonde una specie di tôno aureo diffuso, e le -carni del color dell'ambra, staccano, fra armoniose trasparenze, sul -fondo del paesaggio dipinto con un senso della natura, tutto moderno. I -declivi corrono ricchi di messi alla pianura, velata da vapori lievi; -nulla d'arido nel suolo, nulla di triste nel cielo. Egli tramuta in -realtà l'ideale della madre di Dio, ma sulla fronte delle sue madonne, -mondanamente formose, sfuma ancora l'ombra di una santa dolcezza. -Giorgione segna il punto di transazione fra la leggenda cristiana -e i miti dell'antichità. Prima di Giorgione prevale il sentimento -cristiano, congiunto allo studio della natura, dopo di lui predomina -l'imitazione dell'antico. I quattrocentisti s'erano assimilato lo -spirito classico, pur rimanendo cristiani nel fondo dell'anima; i -cinquecentisti non mirarono se non a dar forme nuove ai miti pagani: il -passato ringiovanisce in nuovi spiriti. - -Tiziano, Paolo Veronese e il Tintoretto, compiono il veneto -rinascimento. Tiziano è grande come un genio, splendido come un re. Non -mai la pittura fu come in lui forte e ricca. Ma bandite le sottigliezze -del pensiero e del sentimento, le intime emozioni, in lui non vibra -se non l'appassionato amore della bellezza. Tutto ciò che si move nel -cuore, tutto ciò che si agita nella mente, come un problema doloroso, -non lo arresta, pago di rappresentare la vita del senso, dominatrice di -quella dell'anima. - -Egli ha la tranquillità della forza; spirito che non si ascolta e non -s'interroga, e accetta la vita com'è, senza indagarne i misteri. I -suoi ritratti meravigliosi, riproducono in modo inarrivabile l'indole -del modello, non già perchè l'artefice studiasse il pensiero che -passava sulla fronte o lampeggiava nell'occhio, ma perchè il pittore -riproduceva, con una abilità non raggiunta più mai, ogni accidente del -reale, senza cercare più in là. - -I biografi del Tiziano narrano che l'imperatore Carlo V, in uno dei -suoi giorni di suprema tristezza, volle consultare Tiziano per la -composizione di un dipinto, nel quale fossero rappresentate e la lotta -religiosa di quel tempo e il suo stesso desiderio di riposo. Alla sua -richiesta, il maestro rispose, proponendo di rappresentare la radiante -corte del cielo, presieduta dalle tre persone della Trinità, con tutto -il seguito di patriarchi, profeti, evangelisti, e la Vergine Maria -in atto d'intercedere presso il figlio, inginocchiata fra le nubi ed -attorniata da angeli, per i peccati della reale famiglia. Ma il quadro -non fu mai eseguito, e il pittore tradì la sua libera natura solo con -la parola. - -E, nel regno della passione e del sentimento, neppure il Veronese -esercita alcun impero. Egli è il lirico della pompa lussuriosa, -l'interprete della bellezza irriflessiva, il glorificatore del colore e -della luce, il mago di un'arte che esprimeva la ricchezza, la gloria, -la potenza: la ricchezza con tutte le sue magnificenze e tutte le -sue pompe, la potenza con tutte le sue energie e i suoi ardimenti, la -gloria con tutte le sue effervescenze e i suoi entusiasmi. Sulle sue -tele i colori ardono, divampano, guizzano, sfavillano, abbagliando il -riguardante, - - sì come il sol che si cela egli stesso - per troppa luce.... - -Solo a traverso la fantasia del Tintoretto passa qualche concetto -profondamente triste, ma anch'egli è poi attratto dalle fulve bellezze -veneziane, anche per lui il pensiero, il sentimento, la commozione si -trasformano in una grazia plastica, in una eleganza materiale. E dietro -a Paolo, a Tiziano, al Tintoretto, altri artefici giocondi: i Palma, -Lorenzo Lotto, Bonifazio, Paris Bordone, lo Schiavone, il Pordenone, il -Bassano e molti ancora, che creano una folla di figure ridenti, fra le -gaiezze del cinquecento. - -Nella donna essi non comprendevano che la venustà corporea. Un intenso -profumo di sanità e di piacere spira dalle rosee carni femminili. Nè -meno affascinanti le bellissime donne imprigionate le membra opulenti -dai vestiti d'oro e di broccato. - -Paolo Veronese ha dipinto nel Palazzo Ducale il trionfo di Venezia, -coronata dalla Gloria, celebrata dalla Fama, circondata dalla Virtù, -da Cerere e da Giunone, ammirata da donne ignude e discinte. Ebbene, -o Signori, quando io guardo quella fiorente bellezza, che rappresenta -Venezia, il pensiero corre pei sentieri fioriti di quel secolo, e -rievoca (non vi paia irriverente il raffronto) rievoca la immagine di -Veronica Franco, l'Aspasia veneziana, adulata dai potenti, riverita -dagli uomini più illustri, amata da Enrico III, che portò con sè in -Francia il ritratto della bella cortigiana, dipinto dal Tintoretto. -E in vero la cortigiana diventa di questo tempo la musa dell'arte, ed -ha i suoi storici, i suoi poeti, i suoi novellatori, i suoi pittori. -Di tai donne a Venezia ce n'è un infinito numero, scrive il Bandello, -e le chiamano _con onesto vocabolo_ cortigiane. — Cesare Vecellio ce -le descrive coi capelli arricciati, e la veste aperta sul seno, con -monili d'oro e d'argento, catene d'oro, seriche vesti, cappe di velo -di seta, pianelle bianche e calze ricamate. _Sono molto simili alle -nobili venetiane appresso coloro che non hanno la pratica della loro -conditione_, osserva Cesare Vecellio. Nelle loro case, splendenti di -serici parati, di cuoi dorati, di arazzi, convenivano gli artisti. -E, fra le congreghe liete, s'alzava molte volte acuta e squillante la -risata maligna di Pietro Aretino. - -Era una serenità imperturbabile, la vita non aveva per quegli uomini -giocondi inquietudini e amarezze, tutto per essi era limpido e calmo. -Le passioni umane, le ire, la curiosità non turbavano quelle fronti -serene. Parecchi fra gli artefici, Tiziano e Paolo, ad esempio, -pieni di speranze e di fantasie, venivano dal luogo natio alle -lagune, ricambiando l'ospitalità cortese di Venezia, allietando la -città dei più bei fiori dell'arte. Aveano amicizie di re, protezioni -d'imperatori, ma non servirono mai ad altro che agli occhi delle belle -donne. In amore non erano dell'avviso di Michelangelo, che cioè l'amore -fosse _un concetto di bellezza immaginata_, ma cercavano il dolce oblìo -d'ogni cura nella bellezza delle veneziane, che vivono nelle loro tele -d'una vita immortale. - -I problemi del mondo psichico non li tormentavano, non cercavano -l'espressione intensa, ma l'atteggiamento elegante. Lasciavano libero -il volo alla fantasia e si piacevano delle più strane licenze. Paolo -poneva a canto il Redentore figure nude e licenziose, alla Santa Cena -faceva intervenire uomini d'arme tedeschi, servitori che gettavano -sangue dal naso, apostoli che si stuzzicavano i denti colla forchetta. -Ciò parve irriverente al Sant'Uffizio, che diede una buona ramanzina -al Veronese, il quale sorridendo rispose che egli dipingeva figure e -non caratteri, che i pittori possono pigliarsi _quella licentia che si -pigliano i poeti e i matti_, e che faceva i suoi quadri _senza prendere -tante cose in consideration_. - -— _Fare i quadri senza prendere tante cose in consideration_ — ecco -tutte le loro teoriche ed ecco tutta la loro forza. La lotta artistica -non deve essere di parole, non di teorie, ma di opere e di esempio, -se vuole il trionfo. Comparate la fecondità di quegli artefici alla -stentata opera moderna, quei quadri immensi, compiuti con inarrivabile -prestezza di concetto e di eseguimento, senza sforzo (la _Gloria del -paradiso_ del Tintoretto è una tela alta metri 7,50, larga 24,60), coi -nostri quadretti di pochi palmi fatti, rifatti, torturati nell'ansia -della ricerca. Noi nulla soddisfa oggi, essi di tutto si appagavano -allora — noi raffinati e anemici, essi pieni di vigoria e di salute — -noi dissolvitori, essi creatori — noi critici, essi artisti. - -Ma in tutta l'arte veneziana del Rinascimento, dai primi maestri -agli ultimi lieti cinquecentisti, eccezion fatta per qualche isolata -espressione religiosa, come in Giovanni Bellini, o per qualche -meraviglioso ritratto di Tiziano e di Paolo, una cosa sopra le altre -ci arresta, ed è l'evidenza con cui è ritratta la folla. Persino nei -pittori amabilmente timidi del primo periodo dell'arte v'è un senso -della decorazione, un gusto dei colori, che è come il riflesso della -vita festosa. Il protagonista dei loro quadri non è mai un uomo, ma -il popolo, nessuna figura attira particolarmente la nostra attenzione -e l'occhio vaga soddisfatto sulla folla composta, tranquilla nei suoi -movimenti, ma gaia e variopinta. Così nei quadri del Carpaccio e di -Gentile Bellini, protagonista è Venezia con le sue feste pubbliche, -che chiede all'Oriente l'opulenza e i colori, lieta di strepiti -guerreschi e di fervore operoso. Poi viene la folla romorosa e festante -dei pittori successivi, nelle opere dei quali si sente ancora oggi -come un'eco dell'allegria veneta, delle luminarie, delle fiere, delle -giostre, delle serenate, delle regate. - -A differenza degli artefici toscani, che s'arrestano particolarmente al -singolo individuo, all'espressione del volto, i Veneti ritraggono con -amabile e vivace superficialità la vita reale agitata e romorosa. Tale -l'arte, tale la vita. Che cosa è l'uomo a Firenze? Figure energiche -austere dominano la folla. Farinata, Dante, Giano della Bella, Michele -di Lando. A Venezia invece l'uomo è assorbito dallo Stato. Lo Stato -non permette all'iniziativa individuale di esercitarsi in tentativi -isolati, lasciando a ciascuno la responsabilità della propria sorte, e -quindi ogni uomo coordina la sua azione a quella degli altri. Le virtù -militari e civili non fanno che accrescere la gloria dello Stato, il -quale veglia geloso perchè l'uomo non acquisti troppa autorevolezza, -perchè la libertà non s'infoschi intorno a un trono. Qui non avrebbero -potuto fiorire le ambizioni medicee. Questa cura di tutto eguagliare, -perchè nessuna autorità potesse innalzarsi, perchè nessuna potenza -individuale potesse sorgere minacciosa di fronte alla repubblica, la -vedete in ogni atto dello Stato veneto. - -Tale la vita, tale l'arte. Gli artefici toscani, o sulla tela o nel -marmo, ritraevano, ben distinti, gli uomini celebri del loro tempo, -gli amici più cari, gli avversari più odiati. E con tanta diligenza -ne studiavano le sembianze, da esserci tramandati perfino i nomi di -taluni personaggi riprodotti sulle tele o nei marmi. Donatello dovea -scolpire sul campanile del Duomo una statua di Geremia o di Salomone, -e vi pose invece il ritratto di Francesco Soderini. Negli affreschi -della cappella Brancacci possiamo notare Masolino, Masaccio, Filippino, -Botticelli e Pollaiuolo. E Luca Signorelli ritrae nei freschi del Duomo -d'Orvieto sè stesso e molti amici suoi: Nicolò, Paulo e Vitellozzo -Vitelli, Giovan Paolo ed Orazio Baglioni. I pittori veneti invece -badavano unicamente a ciò che stava bene nel quadro, e nel quadro -ritraevano coloro che avevano pittoresco il tipo e non altri. Se -qualcuno volea la sua effigie tramandata ai posteri in qualche tavola -di artefice insigne, bisognava ne desse commissione, come la famiglia -Pesaro nella pala di Tiziano ai Frari, e i Pisani nel quadro del -Veronese, rappresentante la famiglia di Dario ai piedi di Alessandro. -Nelle scene dipinte dai Veneziani, l'uomo si confonde fra l'agitazione -elegante della folla. Questo principio di predominio della casta -sull'individuo, che formò la grandezza civile e artistica di Venezia, -fu poi anche causa della sua decadenza, giacchè l'iniziativa privata, -la libera spontaneità individuale e la personale responsabilità non -vennero in aiuto dello Stato decadente. - -E in fatti, dal chiudersi del cinquecento in poi, ruinano le sorti -di Venezia, la quale scema ogni anno di tesoro e di dominio. Anche la -sua arte splendida infiacchisce per ripigliare nuova forza nell'ultimo -secolo della repubblica, quasi a confortare l'agonia della singolare -città. L'arte del seicento offerse il passaggio dallo splendido -naturalismo del cinquecento all'elegante raffinatezza del settecento. -Ma già alla fine del secolo sedicesimo, nelle botteghe dei pittori, -l'arte decade precipitosamente. - -Il corteo mesto e rado, che, fra la desolazione della città atterrita -dalla peste, segue, nel 1576, la bara di Tiziano, sembra il funerale -della grande arte veneziana. L'ultimo de' suoi forti campioni, che -vide spegnersi a poco a poco la gloria pittorica di Venezia fu Jacopo -Tintoretto, dilungato dal mondo, ridotto a perpetui ragionari con le -sue idee. - -Morì nel 1597. Sette anni prima gli era morta la figlia Marietta, -bella, buona, giovane, celebre ormai nella pittura e nella musica. Il -misero padre si vide gittato dalla corrente della sventura sulla riva, -come un avanzo di naufragio. Anche i suoi maestri, i suoi compagni, i -suoi amici — Tiziano, Paolo — tutti se ne erano andati alla pace, che -non ha turbamenti. La sua vita s'era ridotta a un trepido silenzio; -conforto unico — l'arte. E negli ultimi istanti della sua vita, certo, -alla dolce immagine della sua Marietta si sarà unita la luminosa -visione dell'arte, nel desiderio supremo che a quest'arte e alla patria -non fossero per mancare degli altri ingegni da riempire di fantasie, -degli altri cuori da movere alla passione. - - - FINE. - - - - - INDICE. - - Pag. - - ERNESTO MASI Lorenzo il Magnifico 1 - GIUSEPPE GIACOSA La vita privata ne' Castelli 31 - GUIDO BIAGI La vita privata dei Fiorentini 49 - ISIDORO DEL LUNGO La donna fiorentina nel Rinascimento - e negli ultimi tempi della libertà 99 - GUIDO MAZZONI Il Poliziano e l'Umanesimo 147 - ENRICO NENCIONI La lirica del Rinascimento 178 - PIO RAJNA L'Orlando innamorato del Boiardo 205 - FELICE TOCCO Il Savonarola e la Profezia 236 - DIEGO MARTELLI La pittura del 400 a Firenze 269 - VERNON LEE La scultura del Rinascimento 293 - ENRICO PANZACCHI Leonardo da Vinci 309 - POMPEO MOLMENTI L'arte veneziana del Rinascimento 332 - - - - -NOTE: - - -[1] DEL LUNGO, _Dino Compagni_, II, 464. - -[2] DEL LUNGO, I, 6. - -[3] PAOLO DI SER PACE DA CERTALDO. — Ms. Riccard. 1383, § 18. - -[4] SACCHETTI, n. 17. - -[5] SACCHETTI, n. 110 - -[6] LAPO DA CASTIGLIONCHIO. - -[7] VILLANI, X, 208. - -[8] PERRENS, _Histoire de Florence_, III, 408. - -[9] DEL LUNGO, I, 96. - -[10] PUCCI, _Le proprietà di Mercato Vecchio_. - -[11] PAOLO DI SER PACE DA CERTALDO, § 23. - -[12] SACCHETTI, n. 161. - -[13] _Capricci e anneddoti di artisti_, descritti da GIORGIO VASARI. -Firenze, Barbèra, 1878, in-64. - -[14] SACCHETTI, nov. 83, fine. - -[15] Ivi, 108. - -[16] SACCHETTI, n. 92. - -[17] PAOLO DI SER PACE DA CERTALDO, § 56. - -[18] Ivi, § 76. - -[19] SACCHETTI, nov. 32. - -[20] PERRENS, III. 330, 331, 335 e segg. - -[21] PAOLO DI SER PACE, § 79. - -[22] G. DATI, _Il libro segreto_, pag. 100-101. - -[23] BONGI, in ZANELLI: _Le schiave orientali a Firenze_. Firenze, 1885. - -[24] Ivi, VII. Firenze. 1885. - -[25] ZANELLI, pag. 40. - -[26] ZANELLI, pag. 41. - -[27] MACINGHI, pag. 475. - -[28] ZANELLI, pag. 83. - -[29] MAZZEI, I, 88 prefaz. - -[30] La festa di San Giovanni Battista che si fa in Firenze, in GUASTI: -_Le feste di San Giovanni_, Firenze, 1884. pag. 11. - -[31] NOV. 99. - -[32] Nov. 136. - -[33] SACCHETTI, n. 178. - -[34] Ivi, n. 105. - -[35] SACCHETTI. - -[36] Ivi, 178. - -[37] Ivi, 178. - -[38] SACCHETTI, n. 200. - -[39] G. VILLANI, X, 150. - -[40] MORELLI GUIDO, _Deliberaz. suntuaria del Comune di Firenze_. -Firenze, 1881. - -[41] FABRETTI ARIOD., _Vestire degli uomini e delle donne in Perugia_, -a pag. 176. - -[42] VILLANI. - -[43] DEL LUNGO, _La donna fiorentina ne' primi secoli del Comune_, a -pag. 31. - -[44] FABRETTI, pag. 208. - -[45] VILLANI, XII, 4. - -[46] Nov. 137. - -[47] CARDUCCI, Rime antiche da carte di archivi. Nel _Propugnatore_, -vol. I, fasc. I, 1888. - -[48] PELLEGRINI F. C. — Agnolo Pandolfini in _Giornale Storico della -Lett. It._, fasc. 1-2, 1886 a pag. 49. - -[49] _Inventario e Regesto dei Capitoli del Comune_, pag. 103-108. - -[50] PELLEGRINI, op. cit., pag. 45. - -[51] Nov. 146. - -[52] Nov. 204. - -[53] MAZZEI, I, LVIII. - -[54] MAZZEI, I, LVIII. - -[55] SACCHETTI, nov. 148. - -[56] DONATO VELLUTI, _Cronica_, pag. 30-31. - -[57] CORAZZINI, _I Ciompi e Michele di Lando_, p. XCVI. - -[58] GIOVANNI MORELLI, _Cronica_, pag. 280. - -[59] Vol. I, pag. 250. - -[60] GUASTI, _Lettere di Ser Lapo Mazzei_, I, pag. CXXI. - -[61] Pag. 96. - -[62] GUASTI, op. cit., pag. CXIX. - -[63] B. PITTI, _Cronica_, pag. 86 e 133. - -[64] MORELLI, pag. 281. - -[65] MORELLI, pag. 284. - -[66] SALVI, prefaz. al _Dominici_, pag. XIII e XIV. - -[67] PITTI, _Cronica_, pag. 58. - -[68] _Lettere di Ser Lapo Mazzei_, I, pag. CI. - -[69] _Cronica_, pag. 33. - -[70] Ivi, pag. 19-20. - -[71] Ivi, pag. 53. - -[72] Vol. II, pag. 221. - -[73] MACINGHI, pag. 438. - -[74] MACINGHI, pag. 526. - -[75] MACINGHI, pag. 587. - -[76] Idem, pag. 600. - -[77] MAZZEI, pag. LXXVIII. - -[78] PITTI, pag. 112. - -[79] RUCELLAI, pag. 72, e segg. - -[80] PANDOLFINI, ediz. Silvestri, pag. 47 e segg. - -[81] POLIZIANO, ediz. Sansoni, pag. 299. - -[82] GIOSTRA, ottava 43. - -[83] BORGHINI, _Della moneta_. - -[84] TRIBALDO DE ROSSI, pag. 260. - -[85] PICCINI, _Facezie e motti_, pag. 95. - -[86] D'ANCONA, _Origini del teatro_, I, p. 254-255 _passim_. - -[87] MURATORI, _R. I. S._, II, pag. 739. - -[88] Nozze Supino-Morpurgo, _Cerimoniale di Franc. Filarete Araldo_. -Pisa, 1884. - -[89] GUASTI, pag. 24. — TRIBALDO DE ROSSI, pag. 271. - -[90] D. SALVI, in _Dominici_, pag. 252. - -[91] _D. Salvi_, in _Dominici_, pag. 248. - -[92] Pag. 247. - -[93] FRATI L., _La morte di L. de' Medici_ in _Arch. Stor. Ital._, -lett. citata del Dei. - -[94] Vedi più innanzi in questo volume la conferenza di DIEGO MARTELLI, -_La pittura del Quattrocento a Firenze_. - -[95] Vedi la conferenza di GUIDO BIAGI, _La vita privata dei -Fiorentini_. - -[96] Vedi la citata conferenza su _La vita privata dei Fiorentini_. - -[97] Vedi la conferenza di ERNESTO MASI, _Lorenzo il Magnifico_. - -[98] Questi versi appartengono alla penultima stanza dell'edizione che -si pubblicò dei primi due libri nel 1486: stanza omessa nelle edizioni -successive. - -[99] Vedi pag. 321. - -[100] Pasquale Villari, che nel marzo 1892, quando si leggeva questa -conferenza, era ministro dell'istruzione pubblica. Ma poche settimane -dopo, il 5 maggio, cadeva il ministero Rudinì di cui egli faceva parte. - - - - - -Nota del Trascrittore - -Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo -senza annotazione minimi errori tipografici. - - - - - -End of Project Gutenberg's La vita Italiana nel Rinascimento, by Various - -*** END OF THIS PROJECT GUTENBERG EBOOK LA VITA ITALIANA NEL RINASCIMENTO *** - -***** This file should be named 51706-0.txt or 51706-0.zip ***** -This and all associated files of various formats will be found in: - http://www.gutenberg.org/5/1/7/0/51706/ - -Produced by Carlo Traverso, Barbara Magni and the Online -Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net (This -file was produced from images generously made available -by The Internet Archive) - - -Updated editions will replace the previous one--the old editions -will be renamed. - -Creating the works from public domain print editions means that no -one owns a United States copyright in these works, so the Foundation -(and you!) can copy and distribute it in the United States without -permission and without paying copyright royalties. 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You may copy it, give it away or -re-use it under the terms of the Project Gutenberg License included -with this eBook or online at www.gutenberg.org/license - - -Title: La vita Italiana nel Rinascimento - Conferenze tenute a Firenze nel 1892 - -Author: Various - -Release Date: April 9, 2016 [EBook #51706] - -Language: Italian - -Character set encoding: UTF-8 - -*** START OF THIS PROJECT GUTENBERG EBOOK LA VITA ITALIANA NEL RINASCIMENTO *** - - - - -Produced by Carlo Traverso, Barbara Magni and the Online -Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net (This -file was produced from images generously made available -by The Internet Archive) - - - - - - -</pre> - - -<div class="booktitle"> -<h1> -La vita italiana nel Rinascimento. -</h1> -</div> - -<hr class="silver" /> - -<div class="titlepage"> -<p class="main-t"> -LA -VITA ITALIANA -NEL RINASCIMENTO -</p> - -<p class="pad2 large"> -<i>Conferenze tenute a Firenze nel 1892</i> -</p> - -<p class="pad2"> -DA -</p> - -<p class="pad2"> -E. Masi, G. Giacosa, G. Biagi, I. Del Lungo, -G. Mazzoni, E. Nencioni, P. Rajna, F. Tocco, D. Martelli, -Vernon Lee, E. Panzacchi, P. Molmenti. -</p> - -<p class="pad4"> -<span class="small">MILANO</span><br /> -<span class="x-small g">FRATELLI TREVES, EDITORI</span><br /> -<span class="small">1896</span><br /> -—<br /> -<span class="small">TERZA EDIZIONE.</span> -</p> -</div> - -<div class="verso"> -<hr class="mid" /> -<p> -PROPRIETÀ LETTERARIA -</p> - -<p> -<i>Riservati tutti i diritti.</i> -</p> - -<p> -Milano. — Tip. Fratelli Treves. -</p> -<hr class="mid" /> -</div> - -<div class="somm"> -<hr /> -<p class="center x-large"><a href="#indice" id="indfront">INDICE</a></p> -<hr /> -</div> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_1">[1]</span> -</p> - -<h2 id="magnifico">LORENZO IL MAGNIFICO</h2> - -<p class="center"> -DI -</p> - -<p class="center large"> -ERNESTO MASI. -</p> -</div> - -<p class="pad2"> -Vi ricordate della tragedia di Vittorio Alfieri intitolata: -<i>La Congiura de' Pazzi</i>? Come opera d'arte non è -gran che, lasciando stare anche l'alterazione quasi grottesca -dei fatti storici, dei caratteri e persino dei nomi -dei personaggi. Ma non si tratta ora di ciò. Voglio notare -soltanto un fenomeno singolare, che parmi accaduto -all'Alfieri nel trattar questo tema, ed è che mentre ha -senza dubbio voluto travestire in Lorenzo e Giuliano -de' Medici due de' suoi soliti <i>Egisti</i> e <i>Creonti</i>, due de' suoi -soliti <i>tiranni</i>, messi là a ricevere in pieno petto le contumelie -del <i>prim'uomo</i> e della <i>prima donna</i>, non solo -il carattere di Lorenzo gli è, suo malgrado, riuscito il -più simpatico della tragedia, ma all'ultimo non sa più -egli stesso, l'Alfieri, da che lato pende il torto maggiore; -i motivi della sanguinosa catastrofe, da prima apparsigli -così chiari e lampanti, si direbbe che gli si oscurano -tutto ad un tratto; e per conclusione finale mette in -bocca a Lorenzo queste ambigue parole: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i02"> . . . . E avverar sol può il tempo</p> -<p>Me non tiranno e traditor costoro!</p> -</div></div> - -<p> -Sembra accorgersi tardi che il tentativo di raccogliere -tutta la pietà tragica sui Pazzi, anzichè sui Medici, è -un grosso errore, tanto sotto l'aspetto della storia, quanto -<span class="pagenum" id="Page_2">[2]</span> -sotto quello dell'arte, com'ebbe poi a scrivergli con gran -franchezza Melchiore Cesarotti, e si ferma lì come in -dubbio, e in questo dubbio lascia gli ascoltatori ed i -lettori della sua tragedia. La quale ritengo, avrebb'egli -concepita in modo tutto diverso, se, in cambio d'averla -scritta fra il 1779 e l'80, l'avesse scritta un dieci o dodici -anni più tardi, quando, scoppiata la rivoluzione -francese, la prospettiva della tirannide gli si era, per -così dire, rovesciata e gli pareva molto più intollerabile -quella che viene dal basso, anzichè quella che viene -dall'alto, la tirannide dei molti, anzichè quella d'un solo. -</p> - -<p> -Se non che il fenomeno accaduto all'Alfieri mi sembra -essersi rinnovato in molti altri dei più sfidati avversari -di Lorenzo il Magnifico, dai contemporanei fino -ai giorni nostri. Molti altri accatastano fatti su fatti e -poi s'accorgono con loro stupore che i più tornano a -gloria di Lorenzo, e allora non possono tenersi dal mescolare -le lodi ai biasimi, o per lo meno dallo scindere -l'unità di questa grande e complessa figura storica del -secolo XV in modo, da farne uscire due, tre, quattro -anzi, come propone il Perrens, uomini diversi, contenuti -in un solo, e così poterne lodare uno o due e biasimare -i rimanenti; a molti altri è accaduto di fermarsi -all'ultimo, al pari dell'Alfieri, dubbiosi, esitanti, come -dinanzi ad un problema psicologico di troppo difficile -soluzione. -</p> - -<p> -A Lorenzo de' Medici è toccata del resto una singolare -fortuna, ed è quella d'aver sempre appassionato -pro o contro gli scrittori, che hanno trattato di lui, dai -contemporanei fino agli odierni, come se in cambio d'aver -vissuto dal 1449 al 1492 egli fosse nato, vissuto o morto -pochi anni fa, come se in cambio d'un uomo del secolo XV -si trattasse, ad esempio, d'un Napoleone I, gli effetti della -cui gloria e dei cui disastri sono forse sensibili anche oggi -nella vita europea. Eppure quei signori e principi della -<span class="pagenum" id="Page_3">[3]</span> -prima e seconda stirpe Medicea sono ben morti e sepolti! -Nulla ci parla più di loro. Gli stessi edifici e monumenti -d'arte, che hanno lasciato, ci ricordano ancora -il nome e l'opera dell'artista, che gli ha ideati e compiuti, -ma il nome del signore o del principe, che gli ha -commessi, appena qualche erudito lo sa con precisione -e al visitatore indigeno o forestiero poco importa oramai -che si tratti dei primi o secondi Cosimi, Giuliani e -Lorenzi, che si tratti dei Medici insidiatori della libertà -fiorentina o dei Medici Granduchi, i quali alle loro vecchie -dimore non hanno lasciato di proprio neppure il -nome. A qualche scrutatore indiscreto alcuna traccia -dei tempi Medicei parrà forse di scernere ancora nel -temperamento e in certe disposizioni morali del popolo -fiorentino (lo dico a lode, badiamo, non a biasimo di -certo) ma nulla più. Chi ne dubitasse entri, qui prossimo, -a San Lorenzo, in quelle sepolture Medicee. Che -gelo, che tanfo di morte preistorica in quel buio della -vecchia e nuova sagrestia, ma qui almeno danno lume -e calore il genio di Andrea del Verrocchio e quello tra -satirico e malinconico di Michelangelo! Peggio tra la -sfarzosa e teatrale ricchezza del sepolcreto granducale! -Qui nessun compenso possibile: la storia dice poco; l'arte -non dice niente; il freddo dei marmi vi assidera, vi penetra -crudelmente nell'ossa e nell'anima, e si sente il -bisogno d'uscire più che di fretta, non già per odio a -quei sepolti tiranni, che coi loro manti e le loro corone -arieggiano innocui re da melodramma, ma per la prosaica -paura d'un raffreddore. -</p> - -<p> -Ora dunque perchè, tra questi morti e così ben morti, -quelli della prima stirpe Medicea appassionano gli scrittori -più di quelli della seconda, e perchè tra quelli della -prima Lorenzo più degli altri ha il privilegio di eccitare -anche oggi odii ed amori così tenaci? -</p> - -<p> -Finchè in Italia i libri di storia furono per metà di -<span class="pagenum" id="Page_4">[4]</span> -politica, voi sapete quanto si sfruttarono l'assedio e la -caduta di Firenze nel 1530 e quell'accordo del Papa coll'Imperatore, -che fu la cagione immediata di tale catastrofe. -Era la conclusione ultima di tutto il gran dramma, -non della libertà fiorentina soltanto, ma della libertà -italiana, e poichè quel Papa era un Medici ed un Medici -il primo Duca di Firenze, non altro si volle vedere -in tuttociò che la continuazione d'un antico disegno -d'ambizione, che finalmente s'effettuava coll'aiuto -dello straniero, ed i più rei parvero i primi autori di -quella lunga e perseverante insidia, ed il peggiore di -tutti, quegli in cui più splendidamente s'incarnarono la -tradizione e il genio di tutta la stirpe. Divenne così -una specie di obbligo pel liberalismo italiano non far -grazia ai Medici e soprattutti a Lorenzo. Non parliamo -dei contemporanei o dei quasi contemporanei. -L'odio o l'amor loro troppo facilmente si spiega. Non -parliamo neppure degli scrittori toscani dell'epoca granducale, -medicea e lorenese. La lode o il silenzio in -bocca loro sono troppo sospetti. Ma quando colla storia -filosofica e Volteriana del secolo XVIII si cominciò ad -opporre al Medio Evo credente e devoto il Rinascimento -scettico e razionalista, eccoti, fra gli stranieri massimamente, -fra gli indifferenti cioè alle nostre passioni politiche, -eccoti il panegirico dei Medici e di Lorenzo in -particolare, che tocca il colmo e, direi, passa il segno, -nel famoso libro del Roscoe, ed eccoti di riscontro il -Sismondi, scrittore di gran merito, ma uno dei santi -padri, uno dei rappresentanti internazionali di quel dottrinarismo -liberale e borghese, che ha nelle instituzioni -repubblicane la panacea di tutti i mali, e quindi non -perdona ai distruttori di repubbliche ed ai loro encomiatori. -Non badò il Sismondi che nella vita di Lorenzo -il Roscoe a dipinger l'uomo s'era attenuto al Valori, un -coetaneo di Lorenzo, che a narrar la storia avea seguito -<span class="pagenum" id="Page_5">[5]</span> -il Machiavelli, che i documenti originali gliegli avea -apprestati il Fabroni, che a penetrar nella storia letteraria -lo aveano aiutato il Bandini, il Tiraboschi, autorità -tutte di non poco valore; non si ricordò neppure -ch'egli stesso avea tanto esaltato i Medici e Lorenzo -nella sua storia letteraria dell'Europa meridionale, quanto -li deprimeva nella sua storia delle Repubbliche Italiane; -non badò a nulla, non volle curarsi di nulla; non altro -gli stette a cuore che contrapporre al panegirico la diatriba -e spinta al segno da non sdegnare esso, onest'uomo -come era, di lodare quali azioni eroiche persino la dissimulazione -dei Pazzi, che convitano Lorenzo e Giuliano -de' Medici in casa loro a fine d'ammazzarli, persino il -tasteggiare che fanno il giovane Giuliano, fingendo abbracciarlo -amicamente, per assicurarsi se ha o no il -giaco sotto la veste, quando lo inducono a entrar nel -duomo e lo uccidono. -</p> - -<p> -È sommamente istruttiva la polemica, che ne seguì -fra il Roscoe e il Sismondi, la quale andò tant'oltre -che il Sismondi stesso finì per dire: “smettiamola, signor -Roscoe, altrimenti si riderà di noi che ci contendiamo -un tiranno del secolo XV coll'accanimento medesimo, -che due rivali si contenderebbero il cuore d'una -bella donna. E poi di che ci scaldiamo tanto, noi, stranieri -all'Italia tutti e due?„ -</p> - -<p> -Nè cadde a vuoto, sapete, quest'ultima parola, da cui -s'arguirebbe esservi sui Medici e su Lorenzo in particolare -la possibilità di due giudizi diversi, uno per gli -Italiani, un altro per gli stranieri, perocchè questo è -appunto lo scrupolo, che ha trattenuto il coscienzioso -Burckhardt, nella sua classica opera sul Rinascimento -in Italia, dal giudicare Lorenzo come uomo di Stato e -dal decidere qual parte spetti agli uomini e quale sia -superiore al loro stesso buono o mal volere (il vero problema -di questa storia) nei destini di Firenze; scrupolo -<span class="pagenum" id="Page_6">[6]</span> -veramente eccessivo e che non trattenne per buona -sorte il Reumont, il Buser, il Leo, il Thomas, il Perrens -e tanti altri valentuomini stranieri dal fare della storia -Medicea anche politica e di Lorenzo come uomo di Stato -il soggetto delle loro ricerche, e dei loro studi. -</p> - -<p> -Quanto agli Italiani, finchè durò il periodo della preparazione -e degli esperimenti infelici della nostra rivoluzione -e sino a poco dopo il 1859, si tennero più o meno -a modello il Sismondi, pur evitandone le enormi esagerazioni, -nel giudicare dei Medici e di Lorenzo, ma poi -spesso l'argomento fece forza da sè al preconcetto politico, -ed o si fermarono, ripeto, incerti e dubbiosi, a -mezza spada, o il giudizio, da prima severissimo, si venne -via via temperando, più si approfondivano le ricerche, -come potete vedere in Gino Capponi, che nel 1842, -quando si cospirava anche coll'<i>Archivio Storico</i> (una -delle più nobili arme affilate nel gabinetto di Giampietro -Vieusseux), ha parole di fuoco contro i Medici, e nel -1875, quando pubblicò la sua <i>Storia della Repubblica -di Firenze</i>, ne parla con tanta maggiore serenità e obbiettività -scientifica; come potete vedere in Pasquale -Villari, che nel suo <i>Savonarola</i>, il libro caldo ancora di -inspirazione giovanile e di passionata eloquenza, e assai -prossimo al Sismondi, e nel suo <i>Machiavelli</i>, lo studio -severo della sapiente virilità, se non ha dismessi -tutti gli antichi corrucci, tuttavia tempera o per lo -meno slarga il suo giudizio, che in questo caso val -quanto di necessità temperarlo. Più notevole è il caso -del Carducci, che in quei suoi primi saggi bellissimi -sulle poesie di Lorenzo de' Medici e del Poliziano, ora -la sua natura d'artista lo attrae irresistibilmente verso -Lorenzo, natura d'artista esso pure, come dice il Capponi, -anima di principe, ultima grandezza d'un'età splendida, -che finiva, ora lo spirito rivoluzionario lo trattiene, -lo tira indietro, gli strappa accenti di collera, troncati -<span class="pagenum" id="Page_7">[7]</span> -a mezzo però da una ripugnanza anche maggiore, la -ripugnanza alla reazione del Savonarola, che tenta gettare -la sua tonaca di frate su tutta quella radiosa giovinezza -di Rinascimento artistico e letterario. -</p> - -<p> -Intanto le ricerche e gli studi sull'età Medicea e su -Lorenzo continuano indefessi; si ampliano e si integrano -i documenti raccolti dal benemerito Fabroni; al togato -Guicciardini della <i>Storia d'Italia</i> succede il Guicciardini -della <i>Storia Fiorentina</i>, dei <i>Ricordi</i> e di quel capolavoro -del pensiero politico italiano, che è il <i>Dialogo sul Reggimento -di Firenze</i>; abbiamo cioè l'espressione viva e immediata -di un quasi contemporaneo, che è insieme una -gran mente d'uomo di Stato, e tuttociò ci frutta fra -il 1874 e 75 l'opera capitale su Lorenzo dei Medici di -Alfredo di Reumont ed il giudizio pieno e definitivo di -Gino Capponi. Si direbbe che il processo è chiuso, che -la sentenza ultima è pronunciata; che, com'è per lo più -di tutte le sentenze della storia, Lorenzo ne esce nè del -tutto assolto, nè condannato del tutto. Oibò! La buona -fortuna del Sismondi non è finita. Esso rivive con tutte -le sue collere e i suoi anatemi nel Perrens, che sotto -gli occhi nostri, nel 1888, e valendosi anzi di tutto il lavoro -critico avvenuto dal Sismondi in poi (giacchè, bisogna -dirlo, il Perrens è anzi, per straniero e francese -che parla d'Italia, mirabilmente informato), riapre il processo -e non una parte di Lorenzo si salva; l'uomo, il -padre, il marito, il cittadino, il signore, lo statista, il -mecenate, il letterato, tutto, tutto è oscurato e ravvolto -in una stessa condanna. È una demolizione compiuta. -Del tempio e della statua non resta in piedi neppure -una pietruzza, che dica al passeggiero: <i>qui fu Lorenzo -de' Medici</i>; tantochè all'ultimo lo stesso Perrens si ferma -col martello in mano e quasi spaventato dell'opera sua; -si sente preso anch'esso da quel dubbio, da quell'incertezza, -che, come dicevo, assale dall'Alfieri in giù tutti i -<span class="pagenum" id="Page_8">[8]</span> -più sfidati avversari di Lorenzo; ma è supremamente -comica la forma che piglia questo tardivo rimorso nel -Perrens, il quale si rivolta contro il suo maestro ed autore, -contro il Sismondi, e quasi lo apostrofa dicendo: -“via, è troppo! Un po' di discrezione, s'il vous plaît. -Non è poi certissimo che quei vostri cari Albizzi fossero -proprio campioni di libertà e di democrazia in confronto -dei Medici e, quanto a Lorenzo, conveniamo che, -se non fu veramente <i>l'ago della bilancia</i> nella politica -italiana del suo tempo, come pretendono i suoi adulatori, -qualche cosa ha pur fatto per mantenere la pace, -almeno dalla guerra di Sarzana fino alla sua morte, -dal 1487 al 1492. È pochino! Sono cinque annetti soli! -Ma questo almeno si conceda per dimostrare, se non -altro, la nostra imparzialità!„ -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -Voi vedete, o signore, fra che odii e che amori, fra -che assoluzioni e condanne, fra che spinaio di giudizi -diversi sarebbe costretto a ravvolgersi chi avesse oggi -da narrare a fondo la storia di Lorenzo il Magnifico, -della sua vita e del suo tempo. E se ho dovuto indugiarmi -tanto, solo per accennare le difficoltà del mio -tema, mi conforta il pensiero che accennare tali difficoltà -è già esso stesso un illustrarlo, e che, parlando -ad un pubblico così culto e in massima parte fiorentino, -m'è lecito presupporre l'argomento noto almeno -nelle sue linee storiche principali e non tenermi obbligato -a ridir tutto per filo e per segno, che già sarebbe -chieder troppo all'industria del conferenziere e alla sofferenza -del pubblico. -</p> - -<p> -A giudicare dei Medici e di Lorenzo con quell'imparzialità -almeno relativa, a cui gli uomini possono aspirare, -mi pare del resto che la nostra generazione dovrebbe -oramai essere meglio disposta delle precedenti, -la nostra generazione, che in fatto di politica è passata -<span class="pagenum" id="Page_9">[9]</span> -a traverso tante bonacce e burrasche di promettenti -primavere, di malinconici autunni e di inverni spietati. -Essa dovrebbe sentirsi, dico, meglio disposta a non farsi -guidare nel giudizio di un passato remoto, che si tratta -di conoscer bene, ma non muta più, da idoleggiamenti -rettorici di forme di governo, qualunque esse siano, o -da preoccupazioni politiche, che mutano ogni giorno. -</p> - -<p> -La storia indifferente al bene od al male perde non -solo ogni efficacia morale, ma ancora ogni calore e vivezza -di rappresentazione. Ma altro è una gelida indifferenza -al bene od al male, altro è gettarsi a capo -chino fra le lotte d'un'età tanto lontana da noi e sposarne -gli odii, gli amori, come se fossero i nostri, e aggregarsi -a una fazione contro dell'altra. Si moltiplicano -per tal guisa deliberatamente le occasioni e le cause -d'errori infiniti, giacchè, per quanto ci sia dato penetrare -a dentro nella storia con le ricerche, gli studi e -attingendo, finchè si può, dalle fonti originali delle memorie -e dei documenti contemporanei, resta pur sempre -un qualche cosa, che nessuna ricerca può far rivivere, -che nessuno studio può rimetterci dianzi agli occhi, -che nessun documento può dirci, ed è forse appunto in -quell'inafferrabile <i>qualche cosa</i>, che giace riposta la spiegazione -vera di un fatto o d'un uomo, la ragione ultima -d'assolvere o di condannare. Di ciò si ha un segno evidente -in quella specie di sforzo che occorre, in quella -specie di disagio morale e qualche volta, direi quasi, -anche fisico, che si prova a volersi addietrare col pensiero -nella vita di generazioni già lontane da noi. Ce ne -vuole per assuefare non soltanto l'animo a sentimenti e -passioni, che non si provano più, ma la fantasia e gli -occhi ad abitudini, a costumi, a fogge, ad arredi, a vestiari, -che non sono più i nostri, a compiacersi di divertimenti, -che oggi ci parrebbero torture, a persuadersi -del buon gusto di un pranzo, che oggi ci rovescierebbe -<span class="pagenum" id="Page_10">[10]</span> -lo stomaco, a ridire d'una burla o d'un motto, -che oggi ci suona come una freddura senza sugo, e via -dicendo. Quello sforzo e quella specie di disagio scemano -in noi più ci si affina il gusto della storia, e si -convertono anzi in una misteriosa delizia, che può divenire -persino passione e mania. Ma dimostrano insieme -(e ciò dico in particolare a proposito dei Medici e di -Lorenzo) la necessità che lo studio della storia rimanga, -più che possibile, obbiettivo, la necessità di non spostare -nè uomini, nè fatti, di sceverare il generale dal particolare, -di non dar troppo all'ambiente, come oggi s'usa dire, -per togliere all'uomo, nè attribuire a questo, per quanta -azione abbia avuto sul tempo suo, ciò che è dell'ambiente, -in cui quell'uomo ha vissuto, di sentenziare di -preferenza dagli effetti palesi dell'opera sua, che sono -ben noti, anzichè dai movimenti individuali e interiori, -dei quali nessuno può più dirci intiero il segreto, di -non prolungare finalmente al di là di certi limiti quegli -effetti medesimi per incolparlo anche di ciò che risulta -da tutti altri uomini e da tutt'altre condizioni di tempi, -scordandoci a suo danno quello che l'esperienza ci dimostra -ogni giorno, cioè che l'uomo è appena padrone -del minuto che passa. -</p> - -<p> -Ora se v'ha personaggi storici pei quali queste cautele -siano state più trascurate, direi che sono i Medici per -l'appunto. E si capisco facilmente il perchè. Non parliamo -dei Medici, dal 1531 Duchi e Granduchi. Ma per quelli -della prima linea, a non dir che di loro, per Cosimo il -Vecchio, Piero il Gottoso, Lorenzo il Magnifico, furono -tanto più facilmente trascurate quelle cautele, perchè -essi appassionano, come già dissi, più di tant'altri personaggi -storici, gli scrittori, e gli appassionano tanto più, -perchè non sono semplici capi ereditari d'una dinastia, -d'una città, d'un regno, ma, oltre alla singolarissima -forma del potere che esercitano, sono, se non gli autori, -<span class="pagenum" id="Page_11">[11]</span> -gli attori più in vista, pel loro grado, per le loro tradizioni, -per le loro aderenze, pel loro genio e le loro inclinazioni -personali, di tutto un nuovo e gran moto di -civiltà, comprendente non solo le forme di governo, le -arti, le scienze, le lettere, ma i pensieri, i sentimenti, -la religione, la morale, i costumi, le usanze, tutta nel -suo complesso la vita pubblica e privata; ond'è che in -essi si studia non il signore soltanto, ma l'uomo nelle -sue relazioni cogli uguali e cogli inferiori, l'uomo nella -vita quotidiana, in casa, in villa, per le vie, tra gli spettacoli -carnevaleschi, fra le dispute dell'accademia, nel -banco commerciale, nel museo, nella biblioteca, fra gli -amici che predilige, fra le donne che ama, fra le pareti -del suo palazzo, alle corti estere, dove, benchè semplice -cittadino nella sua città, comparisce da principe; e lo -si studia appunto fra tanta gente e in tanti luoghi diversi, -perchè questa moltiplicità e varietà di gusti, di -attitudini, di attività è carattere generale del tempo, ma -principalmente carattere dei grandi uomini italiani, e fra -gli Italiani dei Fiorentini, e fra i Fiorentini dei Medici, -e fra i Medici di Lorenzo il Magnifico. -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -Se le signorie dei secoli XIV e XV (che bisogna ben -badare a non confondere in Firenze ed altrove coi Principati) -fossero un fatto verificatosi in Firenze soltanto e -per opera soltanto dei Medici, i quali con arti subdole, -con lunga e tenace insidia avessero a poco a poco soffocata -la vita del più torbido sì, ma del più glorioso Comune -italiano del Medio Evo, mentre all'intorno avessero -prosperato ancora gli altri Comuni, assodando la -loro libertà e slargando la loro giurisdizione territoriale, -non vi sarebbe, a dir vero, vituperio bastante a castigare -un simile parricidio. Ma non è così! Nel secolo XV -la declinazione della cosidetta libertà comunale, che è la -prevalenza feudalesca di una città sul territorio che la -<span class="pagenum" id="Page_12">[12]</span> -circonda, e la sua mutazione in signoria, che è la prevalenza -d'un capo partito, o di un capo militare, o di -un vicario imperiale o di una potente famiglia sui partiti, -che si contendono il primato nella città dominante, -è un fatto universale in tutta Italia. In Firenze anzi, -come fu più tardivo a sorgere il libero Comune, così è -più tarda a sorgere la signoria. Nell'Italia superiore invece, -dove il feudo s'insediò più vigoroso, questa trasformazione -non aspetta il secolo XV. Nei due secoli antecedenti -si compie e trascende già a principato vero coi -Torriani e Visconti a Milano, coi Da Romano nella -Marca Trevisana, cogli Scaligeri a Verona, coi Pelavicino -a Piacenza e, più prossime a Firenze, di qua e di -là dell'Appennino, le signorie pullulano e si frazionano -all'infinito, più grandi, più piccole, or vigorose, ora deboli, -ora divorate dalle maggiori, ora dilaniantisi in sè -stesse fra odii sanguinosi di famiglie rivali. In Toscana -stessa, ove le resistenze sono più forti, avete le signorie -militari e transitorie, i tentativi sfortunati di Uguccione -della Fagiuola e di Castruccio degli Antelminelli. In Firenze -stessa, tralasciando le signorie Angioine, le quali -si potrebbero dire delegazioni di poteri pubblici ad un -fine determinato, tralasciando pure l'episodio di Gualtieri -di Brienne, Duca d'Atene, la cui tirannia mette a -repentaglio estremo le libertà popolari, avete tentativi -interni, i quali dimostrano che ai Medici, anche nel maggior -fervore della vita repubblicana, predecessori non -mancano: Corso Donati, ad esempio, che fin dal principio -del secolo XIV tenta farsi capo di una oligarchia -di magnati; Rosso della Tosa, che non gli vuol sottostare -e mira diritto al principato. Più facile forse il programma, -come oggi si direbbe, di Corso Donati, perchè -Rosso della Tosa ha troppa fretta d'anticipare i Medici. -Avete ad ogni modo, e di non poco precedente la signoria -Medicea, la tendenza ad afforzare in una forma -<span class="pagenum" id="Page_13">[13]</span> -aristocratica i vecchi ordini comunali già decadenti, il -che si tenta fin dal secolo XIV col magistrato di parte -Guelfa, instituito già da molti anni, ma divenuto allora -così chiuso e potente, che non so davvero che cosa gli -manchi per essere una vera tirannide; poi colla prevalenza -della parte aristocratica dei Ricci e degli Albizzi, -prima lottanti fra loro, poi degli Albizzi rivali dei Medici, -i quali Medici primeggiano nella parte popolare, -donde sono usciti, sicchè all'ultimo tutto si riduce a decidere -quale delle due famiglie sopraffarà l'altra, quale -delle due, se gli Albizzi o i Medici, dominerà la repubblica. -Ma insomma questa inclinazione del Comune a signoria -è fatale, è superiore a tutte le combinazioni -umane o di procaccianti ambizioni o di tardive resistenze, -perchè dipende da una legge più generale e più alta, -quella per cui un'età storica succede ad un'altra, quando -i principii, sui quali quella si reggeva sono logori, esausti, -finiti, e le sottentrano altri principii, altre tendenze, altre -voglie, altri indirizzi di civiltà, quasi un'altra società, -un'altra gente. -</p> - -<p> -Così è di questo tempo. Le grandi illusioni ghibelline -sono finite fin dal 1313 con Arrigo VII. Se gli Imperatori -scendono ancora in Italia da Lodovico il Bavaro a -Carlo IV, a Venceslao, a Sigismondo, a Federico III, -vengono per esiger taglie, trafficar titoli e diplomi, e se -ne vanno. Settant'anni d'esilio in Avignone, quarant'anni -di scisma, hanno sminuito e trasformato il Papa in un -principotto italiano, che bada agli interessi suoi e de' suoi -nipoti e lascia il partito Guelfo senza capo. Le due universali -unità politiche, le due grandi forze ordinatrici, i -due grandi ideali del Medio Evo sono dunque finiti e -scomparsi nella storia italiana. Nè basta. Napoli s'è sottratta -alla diretta soggezione imperiale. Venezia, che non -fu mai nè guelfa nè ghibellina, che quasi non pareva -appartenere all'Italia, cerca ora pigliarvi stato, e il difendersi -<span class="pagenum" id="Page_14">[14]</span> -da Napoli e da Venezia, nel linguaggio e nelle -idee d'allora, val quanto difendere la libertà degli Stati -italiani contro lo straniero. Nè basta ancora. Le potenti -energie messe in moto dalla turbolenta libertà dei Comuni -hanno dato vita ad una risurrezione d'arte e di -sapere, ad una ristaurazione di classicismo, che sarà fondamento -a tutta la cultura moderna, e che ora assorbe -ogni attività spirituale e par fatta apposta per nascondere -sotto i suoi fulgori la decadenza dei vecchi ordini -repubblicani e la loro trasformazione in signorie. I Comuni -colle loro lotte continue in casa, in piazza, in palazzo, -stancavano tutte le forze del cittadino, fomentandone -tutte le passioni, imponendogli attività e doveri -continui. Ma ormai è venuta su una gente disposta a -cercar riposo all'ombra d'un potere stabile e fermo, che -tenga freno plebe e oligarchi; una gente, che vuol godere -in pace, fra gli agi e i piaceri, il frutto della parsimonia -e dell'operosità dei padri e degli avi, tanta ricchezza -ammassata, tanto splendore e amenità di arti e -di lettere e che per goderlo anche meglio si lascia cader -le armi di mano, abbandonando l'arte della guerra al -mestiere dei venturieri col fastidio superbo, colla noncuranza -poltrona di opulenti, di mercanti, di artisti e di -letterati. Aggiungete che l'umanesimo ha bisogno d'aiuto -e di protezione signorile. Se la libera bottega bastò ai -prodigi spontanei dell'arte, l'umanesimo tende a costituire -una nuova aristocrazia piuttosto cortigiana, di -quello che politicamente e virtuosamente operosa. Questo -all'interno. E al di fuori? Al di fuori niun pericolo -minaccia per ora: non dall'Impero troppo debole, non -dalle altre nazioni ancora intente alla loro costituzione. -Se un pericolo v'è, sta nella gelosia reciproca dei varii -Stati italiani, nella necessità quindi di una politica di -equilibrio tra i più forti, tanto più difficile a praticarsi, -quanto più sono misteriosi e tutti egoistici e personali -<span class="pagenum" id="Page_15">[15]</span> -i motivi, pei quali le violenze e le rappresaglie si determinano. -Firenze è al centro di tutto questo nuovo movimento -di civiltà, di tutta questa trasformazione morale, -sociale e politica, che si va compiendo, e in mezzo -ad essa la signoria Medicea (di origine certamente meno -illegittima di tante altre, in quanto sorge e si svolge dall'imo -fondo dei rivolgimenti politici fiorentini) in mezzo -ad essa la signoria Medicea si afferma e si assoda da Cosimo -il Vecchio a Lorenzo il Magnifico, il quale ne segna -l'apogèo, e dopo del quale non avrà che a decadere (per -poi vigoreggiare di nuovo con forme e in tempi affatto -diversi), tanto in questo strano congegno del governo -signorile, che il Burckhardt ha con ragione chiamato -un'opera d'arte, al pari d'un poema o d'un quadro, tutto -è affidato alle qualità personali dell'uomo. Ma di tutto -quel nuovo ambiente, in cui il poter loro prevale, i Medici -sono essi la causa o l'effetto? L'effetto, io credo. -Sono la produzione spontanea delle condizioni generali -del tempo e delle particolari, che escono dalla storia di -Firenze. Quindi è necessario non dimenticar mai di considerare -i Medici della prima stirpe per quel che sono, -uomini del loro tempo, Lorenzo sopra tutti, che colle sue -pecche non lievi e le sue straordinarie qualità è anzi il -tipo ideale del Signore italiano del Rinascimento. -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -Lasciando ai genealogisti cortigiani di avvolgere le origini -della famiglia Medici nelle nuvole della leggenda, dirò -che essi appariscono relativamente tardi nella storia di Firenze, -non prima, che si sappia, del 1301. Si dice che appariscono -come sopraffattori di popolo nei sanguinosi tumulti, -che finiscono alla proscrizione dei Guelfi bianchi -e di Dante Alighieri. Si dice che con Salvestro de' Medici, -il quale da Gonfaloniere di Giustizia, nel 1378, dà -le mosse al tumulto de' Ciompi, essi cominciano a far l'arte -loro di lusingar la plebe per aiutarsi a salire. Si dice -<span class="pagenum" id="Page_16">[16]</span> -che Giovanni di Bicci nel 1426, opponendosi a Rinaldo -degli Albizzi, si atteggia a capo del partito popolare. -Tuttociò è vero, come fatto. Ma è altrettanto conforme -a verità trovarvi gli auspicii e il cominciamento del destino -Mediceo? Se nel 1301 sono sopraffattori di popolo, -vuol dire che erano violenti come tutti gli altri, come -quel popolo stesso, il quale s'era armato dei cosidetti -Ordinamenti di Giustizia. Se nel 1378 Salvestro ha parte -nel tumulto de' Ciompi, non ve l'ha certo maggiore di -Benedetto degli Alberti, di Giorgio Scali, di Tommaso -Strozzi, i quali tutti sommuovono i Ciompi, cioè l'infima -plebe, contro Piero degli Albizzi e la setta Guelfa. L'intervento -dei Ciompi dà un carattere di rivoluzione sociale -alla lotta, che non era nelle intenzioni dei sommovitori. -Essi sono trascinati loro malgrado nella vittoria -dei Ciompi, che si risolve poi in una prevalenza delle -sette Arti Minori, e di questa l'Alberti, lo Scali, lo -Strozzi sono le prime vittime, appunto perchè la parte -ch'essi ebbero in tutto questo moto fu molto maggiore -di quella di Salvestro de' Medici. La pretesa precocità -dell'insidia Medicea, che si vuol dedurre dal tumulto dei -Ciompi, è dunque una delle tante <i>frasi fatte</i>, che si ripete -a carico dei Medici, ma che non ha fondamento -nella storia. Quanto a Giovanni di Bicci, certo egli ha -gran parte nella legge tutta popolare del Catasto del -1427, ma politicamente è un personaggio quasi insignificante: -accresce bensì il credito e la ricchezza di Casa -Medici, ma non può dirsi il fondatore politico di essa. -Il suo fondatore vero è Cosimo il Vecchio. Quand'egli -apparisce, le lotte si sono venute sempre più restringendo, -e la rivalità dei Medici e degli Albizzi diventa -quasi una lotta personale fra Cosimo e Rinaldo degli -Albizzi, che, al dire di Jacopo Pitti, “come principe maneggiava -lo Stato.„ Costui pensa essere ormai tempo di -troncare di colpo la sempre crescente potenza Medicea -<span class="pagenum" id="Page_17">[17]</span> -e fa chiamar Cosimo in Palazzo per ucciderlo, ma deve -contentarsi dell'esilio; transazione, di cui il Sismondi, il -Perrens sono inconsolabili, perchè Cosimo è richiamato -dall'esilio un anno dopo e torna in patria in trionfo. Nei -giorni più splendidi di Casa Medici, sulle pareti del gran -salone nella villa di Poggio a Caiano questo ritorno sarà -magnificato, figurandolo per quello di Cicerone, ricondotto -in patria sugli omeri di tutta Italia. Il vero è che -Cosimo, tornando dall'esilio il 6 ottobre 1434, si fermò -e pranzò a Careggi, non permettendogli la Signoria di -rientrare in Firenze prima di sera, e poichè Via Larga -era piena di popolo aspettante, dovette sgattaiolare nel -Palazzo della Signoria e passarvi la notte, rientrando -solo al mattino seguente nella sua dimora di Via Larga, -lo stupendo edificio, forse allora ancora in costruzione, -in cui, fra quel misto di solidità e di eleganza, di cittadino -e di principesco, sembra ch'egli abbia veramente -improntato sulle muraglie il proprio genio. -</p> - -<p> -Se Lorenzo il Magnifico fosse succeduto a Cosimo il -Vecchio, i primi tempi della sua signoria sarebbero stati -meno difficili e meno travagliata la sua giovinezza. Ma -succedette invece a Piero il Gottoso, che in mille modi -avea compromesso il potere della sua casa, più di tutto -deviando da quella esteriore semplicità e modestia di -Cosimo, che, unite alla grandezza degli intenti civili, -alla protezione delle lettere, al buon uso della ricchezza, -alla passione magnifica dell'edificare, per cui Benozzo -Gozzoli, con allegoria, che sa di satira, lo figurò nel Camposanto -di Pisa assistente colla famiglia all'edificazione -della torre di Babele, mentre fecero dare alla potenza -Medicea il passo decisivo, valsero a lui il titolo glorioso -di padre della patria. -</p> - -<p> -Ma morto Piero nel 1469, succedevano due giovani, -Lorenzo di 21 e Giuliano di 16 anni, sicchè rinverdirono -le speranze dei nemici di Casa Medici, contando sull'inesperienza -<span class="pagenum" id="Page_18">[18]</span> -e sull'impeto giovanile, qualità poco adatte -a conservare una potestà così vaga e indeterminata, così -raccomandata tutta al valor personale, come quella dei -Medici. Furono più forti l'amore del popolo, il terror -dell'ignoto, le memorie di Cosimo, tanto più ch'esso in -persona parea rivivere nel giovine Lorenzo, già messo -in vista di tutti per la precocità dell'ingegno, la giovialità, -il fare largo e liberalissimo, l'educazione ricevuta -da grandi maestri, i viaggi alle corti estere, pei quali -così giovane era messo a parte di gravi faccende politiche -e ammonito dal padre a diportarsi già da uomo e -da principe. Precoce era in tutto Lorenzo e già da giovanissimo -i contemporanei gli mutavano in predicato -d'onore il titolo di <i>Magnifico</i> spettante al suo grado e -con cui è rimasto nella storia, mentre il fratello Giuliano, -indole più rimessa e più spensierata tuffata nei -piaceri, negli amori, negli spassi giovanili era dai suoi -coetanei chiamato, dice il Giovio, <i>principe della gioventù</i>. -All'arme non fu educato Lorenzo, non sì però ch'egli -non fosse forte, aitante della persona, benchè assai -brutto di volto, come si vede, meglio che dalla figura -un po' idealizzata di Lorenzo giovine nel gran quadro -dell'<i>Epifania</i> di Sandro Botticelli e dal ritrattino del -Bronzino agli Uffizi, nella medaglia del Pollaiuolo e -nella trista figura dipinta dal Vasari (pure agli Uffizi), -in cui appariscono evidenti i segni del male, che lo -trasse a morte prematura. Appassionatissimo pei cavalli, -era cavalcatore valente, ma della corona riportata alla -giostra del 1468, combattuta per le sue nozze con Clarice -Orsini, e cantata da Luca Pulci, è il primo a ridere -con la solita superiorità sua. Appena mortogli il padre, -furono dunque a lui i principali cittadini, pregandolo a -pigliarsi cura dello Stato. Esitò, forse ad arte, raccomandandosi -ai consigli di tutti, ma certo ben risoluto in cuor -suo a far da sè. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_19">[19]</span> -</p> - -<p> -Quali sono da questo momento i punti prominenti della -vita di Lorenzo? Dal 1472 al 1484 la sollevazione di -Volterra, la congiura de' Pazzi, la guerra che ne consegue -col papa Sisto IV e col re di Napoli, l'ardito viaggio -di Lorenzo a Napoli, che stacca il re dal papa e assicura -la pace, il ritorno di Lorenzo in patria e la riforma -interna coll'instituzione dell'Ordine dei Settanta -(che è il vero <i>18 Brumaio</i> di Lorenzo), la guerra di Ferrara, -la pace coi Veneziani, e la morte di Sisto IV, l'implacabile -nemico di Lorenzo. Dal 1484 al 1492 l'intimità -di Lorenzo con Innocenzo VIII, successore di Sisto, l'equilibrio -politico a sommo studio mantenuto da Lorenzo, -il maggior splendore della sua signoria ed i primordi -d'un'opposizione morale nel Savonarola fino alla morte -di Lorenzo, a cui seguitano così da presso la preponderanza -straniera e la servitù dell'Italia, che Cesare Balbo, -nella sua divisione della nostra storia, proponeva di finir -qui (merito o fortuna, che sia, di Lorenzo) l'età dei Comuni -Repubblicani, che altri protrae sino alla caduta di -Firenze nel 1530. -</p> - -<p> -Ora questi fatti, che io ho accennati così in breve c'è -chi gli ha narrati tutti a gloria, altri tutti a biasimo di -Lorenzo. La Repubblica doma la ribellione di Volterra? -È lui che vuol rubare i profitti delle cave d'allume. Volterra -è posta a sacco? È lui, che ordina quell'inutile -crudeltà. I Pazzi congiurano? È lui che li ha provocati. -Il popolo fa scempio dei congiurati? È lui, che non è -mai sazio di vendette. Sisto IV e il Re di Napoli muovon -guerra? È Lorenzo, che strascina la patria in contese -non sue. Lorenzo va a Napoli e si dà in mano al -suo nemico? È una commedia. Torna e si impossessa -coll'ordine dei Settanta dell'elezione dei Magistrati? È -lui, che ha inventata questa trappola alla libertà la quale -non ha riscontro nella storia di Firenze. Si stringe in -amicizia e parentela con Innocenzo VIII? È lui, che è -<span class="pagenum" id="Page_20">[20]</span> -quasi reo del nepotismo dei Papi. Cerca la pace nell'equilibrio -degli Stati? È una politica d'espedienti, che non -val nulla. Firenze è prospera e gioconda? È lui che la -educa alla servitù, corrompendola coi trionfi e i canti -carnascialeschi. Che più? Neppur l'uomo privato si salva -da questo pessimismo demolitore. Si ricusano tutte le testimonianze -in suo favore, che concordemente lo dicono -buono, gioviale e tollerante, nonostante le sue sofferenze -fisiche, fedele agli amici, socievole, semplice nella grandezza, -idolatra dei figli, non dimentico mai del tutto degli -insegnamenti e degli esempi della pia madre, Lucrezia -Tornabuoni, rispettoso della moglie, indole pur così diversa -dalla sua e con poca grazia e senza avvenenza; -e, per dimostrare com'era tuffato nei vizi, il Buser reca -una lettera d'un Francesco Nacci da Napoli, che annuncia -a Lorenzo la spedizione di cinquanta belle schiave -turche, <i>le più belle che si trovarono</i>! Ah, la grazia! -Cinquanta? Se non che, come fu provato, il buon tedesco -ha letto nel documento <i>belle</i> invece di <i>pelli</i>, <i>turche</i> -invece di <i>tutte</i>, e così, invece di 50 <i>pelli di Schiavonia</i>, -ha letto 50 belle schiave turche, un harem da -sultano, e senza accorgersi neppure che in tutto il contesto -della lettera si parla della spedizione in modo, come -se oggi si spedissero a qualche gran Don Giovanni 50 -belle ragazze, turche o non turche, per pacco postale. -Nè basta. Quello che il Machiavelli dice a lode di Lorenzo -s'interpreta a biasimo, e nel dialogo sul <i>Reggimento -di Firenze</i> del Guicciardini si vuol vedere non -una discussione, ma una diatriba, e fra gli interlocutori -del dialogo si menan buone tutte le accuse di Paolo Antonio -Soderini e di Pier Capponi e non si tien conto alcuno -di tutte le difese di Bernardo Del Nero. -</p> - -<p> -Quanto erano stati belli e lieti gli anni della prima -giovinezza di Lorenzo, altrettanto furono agitati e poi -tristi e funesti i primi anni della sua signoria. Nel 1470 -<span class="pagenum" id="Page_21">[21]</span> -insorge Prato. Due anni dopo Volterra, a cagione delle -miniere d'allume. Si vuole ch'egli vi fosse cointeressato -e che nella repressione la città fosse posta a sacco per -ordine suo. Ora è stato dimostrato che della prima accusa -non c'è che una sola testimonianza contemporanea -ed è di un nemico dei Medici; e quanto alla seconda, -non solo che non furono gli assalitori, che la misero a -sacco, bensì le masnade stesse, che essa avea assoldate -per difendersi. Ma che monta? È un'altra delle frasi -fatte a proposito dei Medici e di Lorenzo, e non è un -anno, che se l'è ribevuta il Bourget, romanziere positivista, -nelle sue <i>Sensations d'Italie</i> e l'ha ridivulgata colla -magia del suo stile. Lorenzo volle non transigere, ma -reprimere. Quella frequenza di ribellioni gli dava ombra; -ecco la maggiore responsabilità sua. Ottenne di fatto -qualche anno di tregua e ripigliò più che mai gli spassi, -gli studi, le magnificenze d'arti e spettacoli, perocchè -Lorenzo non era di quelle povere nature, come sarebbero -le nostre, che una sola faccenda assorbe intiere e -non ci lascia più nè tempo nè testa ad altro. -</p> - -<p> -Natura grandiosa, fantasia ardente, ingegno universale, -Lorenzo mandava di pari passo lettere, filosofia, galanterie, -mascherate, vita di campagna, vita di città, laudi -sacre, canti carnascialeschi, canzoni a ballo, sacre rappresentazioni, -intimità cogli amici, i letterati e gli artisti, -ospitalità sontuose a principi che capitavano, eriger -chiese e ville, passione dei musei e dei cavalli, della -musica e delle belle donne, banchetti e processioni, politica -e giostre. -</p> - -<p> -La più celebre è appunto di questi anni, nel 1478, e -prende nome da Giuliano ed è la più celebre, perchè -fornì argomento alle <i>Stanze</i> del Poliziano. Precede alla -giostra e alla composizione delle <i>Stanze</i> un avvenimento -intimo dei due fratelli Medici, la morte della bella Simonetta -Vespucci, amante di Giuliano, nel 1476, ed interrompono -<span class="pagenum" id="Page_22">[22]</span> -la composizione delle Stanze la congiura -de' Pazzi e l'uccisione di Giuliano nel 1478. Il terribile -epilogo, e non voluto, del poema è dunque la narrazione -in latino sallustiano, scritta dallo stesso Poliziano. L'epilogo, -forse ideato e non potuto scrivere, il cavalleresco -epilogo cioè della più bella data in premio al più cortese, -al più prode, sarebbe mai quello rappresentato con -inspirazione polizianesca dal Botticelli nello stupendo -quadro dell'Accademia di Belle Arti, detto comunemente: -<i>la Primavera</i>? È una ingegnosa e nuova interpretazione -del quadro, proposta ora dal prof. Jacopo Cavallucci e -che a me pare fondatissima. La Ninfa del poema è certo -quella del quadro. Basta rileggere le <i>Stanze</i>: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i03"> Candida è ella e candida la vesta</p> -<p class="i02"> Ma pur di rose e fior dipinta e d'erba;</p> -<p class="i02"> Lo inanellato crin dell'aurea testa</p> -<p class="i02"> Scende in la fronte umilmente superba.</p> -<p class="i02"> Ridele intorno tutta la foresta</p> -<p class="i02"> E quante può sue cure disacerba.</p> -<p class="i02"> Nell'atto regalmente e mansueta</p> -<p class="i02"> E pur col ciglio le tempeste acqueta.</p> -<p class="i02 dotted"> . . . . . . . . . . . . . . .</p> -<p class="i01">Ella era assisa sopra la verdura</p> -<p class="i02"> Allegra e ghirlandetta avea contesta</p> -<p class="i02"> Di quanti fior creasse mai natura,</p> -<p class="i02"> De' quali era dipinta la sua vesta.</p> -<p class="i02"> E come prima al giovin pose cura</p> -<p class="i02"> Alquanto paurosa alzò la testa,</p> -<p class="i02"> Poi con la bianca man ripreso il lembo,</p> -<p class="i02"> Levossi in piè con di fior pieno un grembo.</p> -<p class="i02 dotted"> . . . . . . . . . . . . . . .</p> -<p class="i02"> Mosse sovra l'erbetta i passi lenti</p> -<p class="i02"> Con atto d'amorosa grazia adorno</p> -<p class="i02 dotted"> . . . . . . . . . . . . . .</p> -<p class="i02"> Ma l'erba verde sotto i dolci passi</p> -<p class="i02"> Bianca, gialla, vermiglia azzurra fassi.</p> -</div></div> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_23">[23]</span> -</p> - -<p> -Non meno certo è che la figura del giovine, situato a -sinistra, è il ritratto idealizzato di Giuliano, somigliantissimo, -parmi, all'altra figura di Giuliano, che è nel -quadro dell'<i>Epifania</i> del medesimo Botticelli; e quasi lo -stesso motivo poetico delle Stanze e del quadro la <i>Primavera</i>, -e la poesia attribuita a Giuliano de' Medici, ma -che il Carducci giudica del Poliziano, ed è diretta alla -Simonetta. Se la ninfa del quadro sia il ritratto della -Simonetta, fra tanta incertezza dei ritratti di questa -vaga e celebre beltà, non si può forse determinare assolutamente, -ma altri emblemi, il <i>lauro</i> allusivo a Lorenzo, -i tre fiori <i>d'ireos</i> fiorentina, tutto concorre a dare -a quel quadro un significato Mediceo spiccatissimo, e si -sa che i Medici l'ebbero caro come un ricordo di famiglia. -</p> - -<p> -Comunque, il dolce nome della Simonetta mi riconduce -a Lorenzo, perchè dalla vista di lei morta e portata, -scoperto il volto, al sepolcro, come narra il famoso -epigramma latino del Poliziano, Lorenzo pretende, nel -<i>Commento</i> ai propri sonetti amorosi, essersi sentito sollevare -alla perfetta cognizione platonica dell'amore, da -una morta trapassato poi in una viva, dalla Simonetta -in Lucrezia Donati, da lui incontrata in una festa, -alla quale “concorsono, dic'egli, tutte le giovani nobili -e belle„. È una gentilissima invenzione, ma invenzione -di certo, perchè l'amore della Donati è precedente di -dieci anni almeno alla morte della Simonetta, e solo dimostra -che continuò anche dopo il matrimonio di Lorenzo -con Clarice Orsini, sempre però puro, ideale, platonico, -petrarchesco, come assicura Ugolino Verini, un -poeta intrinseco di Lorenzo, e dietro a lui molti altri -confermano, sicchè noi non possiamo far di meglio che -credere ad occhi chiusi a sì concordi testimonianze. -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -Tutta questa lieta visione di giovinezza e di amori si -dilegua nella congiura de' Pazzi. Non rinarrerò quella -<span class="pagenum" id="Page_24">[24]</span> -scena, una delle più straordinarie della storia di Firenze, -perchè tutte già l'avete a memoria; quella messa in -duomo col Cardinal Riario, che assiste; Giuliano e Lorenzo -de' Medici con parecchi loro amici, vicini al coro -e circondati, senza saperlo, dai congiurati; il popolo devoto, -che li attornia, e mentre il sacerdote celebrante -solleva l'ostia consacrata e le campane suonano a gloria, -Giuliano, ferito a morte dal Bandini, cadere immerso -nel proprio sangue, Lorenzo assalito e ferito anch'esso, -ma avvoltasi la cappa a un braccio e tratta coll'altro -la spada aprirsi il passo alla sagristia, dove riesce a -scampare. La chiesa è tutta un tumulto; le vôlte quasi -crollano alle grida; il Cardinal Riario, accovacciato presso -l'altare, ne rimarrà pallido di terrore tutta la vita. Intanto -a quel suono di campane, altri congiurati, con -l'Arcivescovo Salviati alla testa, assalgono il Palazzo -della Signoria, ma sono presi, i principali impiccati alle -finestre, altri respinti, mentre il popolo, infuriato per la -morte di Giuliano, vuol riveder salvo il suo Lorenzo -dalle finestre del Palazzo di Via Larga, poi trucida per -le vie quanti congiurati o sospetti gli vengono alle mani, -chi dice settanta, chi cento, chi più; giustizia orrenda, -ma che dimostra avere il popolo giudicata la congiura -per quel che era, una trama ordita, non per amore di -libertà, ma per odii e cupidigie private dei Pazzi, del -Papa e dei Riario, suoi nipoti, e quindi aver senz'altro -voluto vendetta dei congiurati. Dissimulando la complicità -sua, il Papa ruppe guerra a Firenze e vi trascinò -il Re di Napoli, suo alleato, pretendendo che la guerra -era fatta non a Firenze, ma a Lorenzo. Questi vide bene -il pericolo di tale perfidia; intuì rapidamente la necessità -d'un gran colpo, scindere cioè l'alleanza del Papa -col Re, e deliberò a qualunque rischio di consegnarsi da -sè nelle mani del Re. Partì accompagnato dai voti e -dall'ammirazione di tutti. Tornò colla pace, tornò glorioso, -<span class="pagenum" id="Page_25">[25]</span> -tornò onnipotente, e di questo momento si valse -subito per riassodare l'autorità sua e della sua Casa. -Questo si chiama veder chiaro in politica! Di più, poteva -in quel momento esser principe e non volle; preferì -una repubblica signorile a una signoria repubblicana. -Questo si chiama moderarsi nella vittoria, la più difficile -di tutte le virtù politiche. Poteva cioè uscire dalle -tradizioni della storia fiorentina e non volle! -</p> - -<p> -Quante volte il fatto dei Medici e di Lorenzo non s'è -ripetuto anche nella storia d'altri paesi? Al ritorno di -Cosimo dall'esilio il popolo vide in lui un liberatore, non -un tiranno. Al ritorno di Lorenzo da Napoli accadde lo -stesso e anche più. Perciò non credo ch'egli avesse bisogno -di corrompere il popolo, distillandogli i sottili veleni -della voluttà per meglio dominarlo. Anche questa -è una delle tante frasi fatte, ma, ha ragione il Gaspary, -“un individuo non corrompe una nazione, quando essa -non sia già corrotta„. Quanto a morale e gusto di piaceri, -il popolo valeva il signore e il signore il suo popolo. -Per questo s'intesero così bene! Nè si nieghi l'azione -di Lorenzo sulla civiltà della Firenze d'allora, sofisticando -su qualche data di nascita o di morte di grandi -artisti, perchè tutta la grande fioritura artistica e letteraria -del 400 fiorentino è Medicea, nè tali quistioni si -trattano coll'orologio alla mano. Il vero è che nè una -protezione principesca basta da sola a creare una civiltà, -nè una tirannia, anche più deprimente di quella dei -Medici, a farla sparire. V'ha bensì sull'ultimo della vita -di Lorenzo, come già dissi, un principio di reazione morale -e religiosa, che s'incarna nel Savonarola, ma la impicciolirebbe -di troppo chi la considerasse provocata da -un uomo solo, anzichè dall'indole generale della nuova -cultura, dei nuovi costumi e dei nuovi tempi. Le lettere, -che Lorenzo scrive alla morte di sua madre, la pia -e ingegnosa donna, la quale negli argomenti de' suoi inni -<span class="pagenum" id="Page_26">[26]</span> -sacri precorre il Manzoni, mostrano la tenerezza filiale -di Lorenzo. Le lettere di Clarice Orsini e del Poliziano, -del Pulci e di tanti altri mostrano l'amor suo pei figli, -la sua bonaria e fedele affezione agli amici, dai quali -fu idolatrato, e, quanto alla moglie, lasciando stare se -il <i>mi fu data</i> dei <i>Ricordi</i> di Lorenzo sia la frase indifferente, -che significa il fidanzamento o che la sposa non -fu di sua scelta, certo è che i fatti e i documenti dimostrano -rapporti non mai interrotti di affetto e di stima. -Intercedendo per chi l'ha offeso: “non fareste, essa gli -scrive, secondo la natura vostra a non gli perdonare„; -parole, che fanno il maggior onore ad essa ed a lui e -scritte l'anno stesso della congiura de' Pazzi, quando -l'animo di Lorenzo dovea esser meno che mai disposto -ad indulgenza. E quando si leggono nella lettera di -Matteo Franco, che descrive il ritorno di Clarice dal -Bagno a Morba, le parole, ch'essa risponde ai poveri -terrazzani di Colle, i quali la supplicano di raccomandarli -a Lorenzo, si vede chiaro quant'essa era addentro -nel segreto della sua politica e con che arte gentile sapea -all'occasione farsene strumento. -</p> - -<p> -Se non avessi già troppo abusato della vostra cortese -attenzione, mi sarebbe dunque facile dimostrarvi coi -documenti alla mano che Lorenzo fu buon figlio, buon -padre, marito convenientissimo, nella stessa guisa che -potrei e dovrei mostrarvi, che come critico, precorre -studi moderni, che come poeta, sorpassa forse il Poliziano -ed il Pulci per osservazione della realtà e per sentimento -vivo e immediato della natura esteriore, che, -come umanista, tempera gli eccessi della scuola col culto -della lingua volgare, di cui è restitutore e mantenitore, -che, come filosofo finalmente, modera l'irreligione del -tempo col teismo neoplatonico, il maggior tentativo di -accordo fra il cristianesimo e la filosofia, quantunque -non potesse di certo parer sufficiente al Savonarola. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_27">[27]</span> -</p> - -<p> -Se come uomo Lorenzo de' Medici deve dirsi buono, -se come letterato e filosofo superiore al suo tempo (il -quale tuttavia non ha nel suo complesso chi lo rappresenti -meglio e più intieramente di lui), forsechè come -politico è inferiore agli altri signori e principi del tempo -suo? Il sistema d'equilibrio dei quattro maggiori Stati -d'Italia, quale lo praticò Lorenzo al disopra della scellerata -politica degli altri principi, compresi i Papi, al -disopra dei pregiudizi Guelfi Fiorentini, al disopra d'ogni -interesse di famiglia, perchè nella politica estera egli -non ha, nè può avere, notate bene, appunto perchè non -principe, altro pensiero che della potenza di Firenze, lo -rende indubitabilmente superiore a tutti gli statisti, non -speculativi, ma operanti del suo tempo. Ed ebbe pure -il presentimento del donde potea venire il pericolo futuro, -poichè quando Luigi XI gli profferse aiuto contro -il Papa ed il Re di Napoli: “io non posso, disse, anteporre -il mio particolare vantaggio al pericolo di tutta -Italia; volesse Iddio che ai Re di Francia non venisse -mai in mente di sperimentare le proprie forze in questo -paese. Quando ciò accada, l'Italia sarà perduta!„ E -lo fu in realtà, due anni dopo appena ch'egli era morto. -Non possiamo dire, ch'egli avrebbe impedita la catastrofe, -ma ben possiamo esser certi che la sua condotta -non sarebbe stata così pazza ed improvvida, come fu -quella di Piero, suo figlio. -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -Moriva Lorenzo l'8 aprile 1492 nella sua villa di Careggi -fra il dolore disperato dei congiunti e degli amici; -moriva fra il lutto e le lagrime di tutto un popolo; moriva -nel colmo della potenza e della gloria. Ciò non -potè tollerare l'intolleranza Piagnona e creò la leggenda -del Savonarola che all'ultim'ora gli nega l'assoluzione e -lo lascia morire fra i rimorsi. Nè basta. Ci voleva un -po' di delitto per colorir meglio il quadro e si raccontò, e -<span class="pagenum" id="Page_28">[28]</span> -si cantò anche in versi elegiaci, che il medico Pier Leoni -di Spoleto fu gettato in un pozzo per ordine del primogenito -di Lorenzo. Quanto alla prima parte della leggenda, -essa, come questione storica, s'è ingrossata, e allorchè -un Villari le presta fede, un Ranke non osava -più negarla addirittura, un Reumont la giudicava per -lo meno incerta, non oserei io di mescolarmi in tal disputa. -Debbo però al mio gentile uditorio la mia opinione, -ed è che la lettera del Poliziano a Jacopo Antiquario, -in cui il Savonarola (ciò che s'accorda anche col -tempo) si mostra solo uomo di chiesa e ammonisce e -benedice (non confessa ed assolve) <i>in articulo mortis</i> il -peccatore pentito, mi pare a tutt'oggi il solo documento -attendibile e che tutte le altre parole messe dalla leggenda -in bocca al Savonarola e a Lorenzo mi sembrano -un anacronismo e un assurdo. Quanto al medico, la lettera, -ora pubblicata, di Bartolommeo Dei toglie ogni -dubbio. Impazzò e si suicidò! Meno male, perchè il terribile -Perrens aveva già scartata l'ipotesi del suicidio, -dicendo: “<i>Les medécins tuent, ne se tuent pas!</i>„ -</p> - -<p> -Ed ora concludiamo. Chi dalle mie parole argomentasse -che ho voluto fare non la storia, ma l'apologia di -Lorenzo il Magnifico, avrebbe gran torto. Nè l'una, nè -l'altra, se mai; non la storia, perchè in sì piccolo quadro -non si fa star dentro una così grande figura; non -l'apologia, perchè non credo che Lorenzo n'abbia bisogno. -Volli esporre il concetto, che mi sono formato della -storia di Lorenzo in relazione a quella di Firenze e -d'Italia, e tale concetto posso riassumerlo così. -</p> - -<p> -Nella storia di Firenze a me pare di scorgere una -continuità nelle parti, che si contendono il predominio -cittadino ed un perpetuo ricorso delle stesse forme, che, -spogliate di quanto hanno d'accidentale e d'occasionale, -accennano fin dai più antichi tempi al dove vanno in -ultimo a terminare tutte le lotte fiorentine, al predominio -<span class="pagenum" id="Page_29">[29]</span> -cioè d'una consorteria, d'una famiglia, d'un uomo. -Furono i Medici! Potevano essere gli Albizzi, gli Alberti, -gli Strozzi, ma a questi non sarebbe probabilmente -riescito di dare alla loro signoria quel carattere, -che poterono darle i Medici, di pura preminenza d'un -cittadino in una repubblica. Le lotte delle fazioni si presentano -subito in Firenze come contrasto di due famiglie. -Queste aggruppano intorno a sè gli elementi, che -sono proprii della lotta comunale in tutta Italia, elementi -politici, guelfismo e ghibellinismo, elementi sociali, -aristocrazia e democrazia. Il Comune è da prima -fuori del contrasto, poi naturalmente, e presto, diviene -l'oggetto del contrasto medesimo e gli dà la forma esteriore, -mentre l'impulso segreto, l'impulso, che è l'anima -vera del contrasto, è sempre d'una famiglia e della clientela, -che le sta d'attorno. Se così non fosse, quando il -fine, per cui una fazione si muove, è ottenuto, si vedrebbe -cessare questo moto, per poi ricominciarne un -altro. Invece, siano guelfi e ghibellini, che lottano, grandi -e popolo, arti maggiori e arti minori, appena una fazione -vince, si divide in sè stessa e la lotta continua -sempre. È per questo, io credo, che il Villani, il Compagni, -tutti i cronisti, non parlano mai dei principii o -dei fini politici, pei quali una fazione s'è mossa, bensì -dei pregi o difetti della famiglia o dell'uomo, che alla -fazione dà nome, perchè questo è per essi importante; -il resto accessorio. Talvolta pare che si mira a slargare -in senso democratico l'ordinamento del Comune. Ma appena -s'è vinto, la famiglia, la setta (come la chiamano -i Fiorentini nella seconda metà del trecento), cerca sfruttare -la vittoria a suo pro. Questo tentativo costante non -riesce ad altri; riesce ai Medici, perchè Cosimo sa far -apparire la vittoria, vittoria sua, non della parte, e non -ha quindi da sconvolgere l'ordinamento comunale per -soddisfarla; frena insomma subito egli stesso la fazione, -<span class="pagenum" id="Page_30">[30]</span> -con cui ha vinto gli Albizzi, e ciò tanto più facilmente, -in quanto non è fazion vera la sua, non una classe, non -un'arte contro l'altra, bensì un'accozzaglia d'amici e di -malcontenti, che non spera che in lui, ond'egli detta -legge, non la riceve, e la vittoria contro la minacciante -tirannide degli Albizzi gli fa anzi quasi un obbligo, una -necessità di rispettare gli ordinamenti comunali, pur -piegandoli alla volontà sua, che è la tradizione di tutte -le famiglie, le quali hanno capitanate le fazioni fiorentine -e con esse sono pervenute più o meno lungamente -al governo del Comune. Sempre le stesse arti, sempre -gli stessi mezzi, all'ombra sempre delle stesse instituzioni! -Finchè l'elemento di famiglia è costretto a tenersi -celato dietro l'elemento politico e sociale, la signoria non -può fondarsi. Quando per l'inclinazione generale dei Comuni -italiani a signoria, può mostrarsi a viso aperto, -allora la signoria si fonda, ma col carattere speciale -delle passeggere signorie fiorentine, cioè tirando a sè, -non distruggendo, le instituzioni del Comune. Lorenzo -restituisce e conserva il tipo di Cosimo, ma da Cosimo -a Lorenzo la signoria Medicea fa un passo innanzi. Con -Lorenzo è ancora più personale. Diciamo, se volete, che -Lorenzo è addirittura un tiranno, ma, in questo caso, -soggiungiamo subito col Guicciardini, che Firenze non -poteva avere “un tiranno migliore e più piacevole„ di lui. -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_31">[31]</span> -</p> - -<h2 id="castelli">LA VITA PRIVATA NE' CASTELLI</h2> - -<p class="center"> -DI -</p> - -<p class="center large"> -GIUSEPPE GIACOSA. -</p> -</div> - -<p class="pad2"> -Al tempo delle castella, la parola castellano ebbe tre -significati diversi, o per dir meglio fu adoperata ad indicare -tre diverse classi di persone. Era castellano il signore -di uno o più castelli; era castellano colui che, nel -nome del signore, teneva il governo di un castello; e castellano -si chiamava pure chi dimorava nelle castella, cioè -nelle piccole terre cinte di mura e dominate da una rocca. -</p> - -<p> -Nelle regioni d'Italia dove fiorì la vita comunale e repubblicana, -la parola era per lo più usata nel secondo -significato, come quello che corrispondeva al maggior -numero dei casi. Il vocabolario del Manuzzi, alla voce: -Castellano, lo registra infatti innanzi di ogni altro, e -prima scrive: Capitano di castello, che Signore di esso. -E quando la parola racchiudeva il concetto della signoria, -non implicava quello della dimora; occorre infatti -ad ogni momento la locuzione: di molte o di poche terre -castellano. -</p> - -<p> -Invece nei paesi dove il sistema feudale ebbe il suo -naturale compimento nella monarchia unitaria, grazie la -intricata rete di privilegi, di prerogative e di interessi -che fissava il signore alla terra e lo costringeva a risiedervi, -per Castellano in ogni tempo si intese comunemente: -il signore dimorante nel castello, il quale castello, -dalla secolare e non interrotta consuetudine, venne -<span class="pagenum" id="Page_32">[32]</span> -prendendo una certa aria di famiglia, si adattò ai successivi -crescenti bisogni, si piegò quasi ai minuti capricci -dei padroni, così che ne rispecchiò poi fedelmente -l'indole e le abitudini. -</p> - -<p> -Fra questo castellano campagnuolo ed il signore dimorante -nella città e più il Principe dei nuovi principati -italiani all'epoca del Rinascimento, corrono differenze -così profonde che la distanza di un secolo non ne darebbe -di maggiori. Differenze nel campo dell'azione e -delle attribuzioni politiche, differenze nell'ordinamento -domestico e nelle abitudini della vita quotidiana. Le -Corti, più ricche, più sfarzose, più colte, più popolose, -ebbero istoriografi e descrittori in abbondanza, mentre -ne difettarono i castelli. Ed ognuno di quegli istoriografi -e descrittori fu in questi ultimi tempi argomento -di nuovi e minutissimi commenti e raffronti, sicchè non -si può oramai trovare in essi notizia che già non sia -stata a sazietà detta e ripetuta. Ed anche riguardo i castelli, -le notizie raccolte nei libri riflettono bensì molti -momenti della vita privata, ma di preferenza quelli che -si connettono colla pubblica, quali sarebbero le feste ed -i ricevimenti o che hanno, in alcun modo, attinenza -colle arti e colla cultura generale. Ora, noi gente positiva, -abbiamo oggi delle curiosità più minute e meno -discrete. Non ci basta sapere come quei fastosi signori -accogliessero i frequenti ospiti, come ordinassero i banchetti, -come uscissero a cavalcate, come vestissero nelle -solenni occasioni, come si raccogliessero la sera in illustre -compagnia a novellare od a ragionare di ornate -cose, ma ci prende un indiscreto desiderio di entrare -nelle più intime camere loro, di assistere la mattina al -loro primo levare, di accompagnarli passo passo per -tutta la giornata, di sorprendere le loro più gelose debolezze, -di sedere alla loro tavola quando pranzano in -famiglia, di gustare le loro vivande, di ascoltare i loro -<span class="pagenum" id="Page_33">[33]</span> -discorsi coi servitori e colle donne, e, quando la sera -prendono commiato dai famigliari, di seguirli lungo i -corritoi oscuri o su per le scale tortuose, e riaccompagnarli -in camera, a meno che, fatti da qualche dolce ragione -sospettosi e gelosi, non ce ne chiudano l'uscio sul -muso, e non tirino il chiavistello. Queste nozioni, i libri -che ci si mettono di proposito non ce le danno. Si possono -bensì racimolare qua e là nei novellieri, e così mi -sono industriato di fare, ma è bene dove le cose parlano, -lasciar parlare le cose, le quali la sanno lunga e -sono al solito più sincere che gli uomini. -</p> - -<p> -Innanzi di conoscere il Castellano, vediamo dunque di -visitare il Castello. Il Castello del secolo XV, ha già alquanto -dimesso della originaria spavalderia bellicosa. Ancora -gli durano le torri e a taluno i fossati, ma le varie -cinte che nei secoli precedenti lo fasciavano tutto -intorno e gli toglievano l'aria e la vista, sono in parte -cadute, ed in parte dimezzate per l'altezza, reggono gli -stecconi delle pergole o danno appoggio alle spalliere. -Noi dobbiamo però, se ci è caro averne una giusta mozione, -imbrigliare alquanto la fantasia amplificatrice, la -quale suole rappresentarci il castello feudale d'assai più -vasto che in realtà non fosse. A mano a mano che la -facoltà di muovere ed i mezzi di sostenere la guerra, -vennero restringendosi dai signori di terre ai signori di -Stati, il castello feudale, ove dimoravano i padroni, prese -meno spazio ed apparve meno imponente. Coll'assodarsi -delle monarchie, cessò ai signori il diritto di levar genti -e la necessità di allogarle in chiusi recinti a guardia -della Rocca. Gli apparecchi belligeri che sul principio -del secolo XV alcuni signori amano ancora disporre intorno -al maniero, ci stanno più a testimonianza di prerogative -nobiliari che a pratica difesa. E perchè sono -incomodi e costosi, ci durano poco, o perdurando sono -causa che il padrone sloggi dalla antica e si fabbrichi -<span class="pagenum" id="Page_34">[34]</span> -nelle vicinanze una nuova dimora. I castelli dei privati -signori che ancora ci rimangono di quel tempo, sono -ben lontani dal fastoso apparecchio che un secolo e -mezzo o due secoli più tardi fa delle ville signoresche -altrettanti luoghi incantati, dove gli spaziosi giardini, le -gradinate a terrazzi e gli alberi secolari diventano elementi -architettonici e combinano insieme col palazzo ad -una magnifica ed armoniosa veduta. Il giardino del secolo -XV più si assomiglia ad un orto che ai lambiccati -giardini del seicento e del settecento; esso è quasi sempre -chiuso fra muraglie alte onde prende un'apparenza -claustrale che non disdice all'ordinamento interno della -casa. — Al di fuori, il castello ha un aspetto severo e -spesso arcigno. Da una larga porta e per un atrio spazioso, -si riesce nel cortile, lastricato a lastroni massicci, -intorno al quale corrono le quattro pareti della casa -aperte in portici e loggie e fregiati i muri con fascie a -rabeschi e colori, con stemmi in pietra o dipinti, o con -istorie figurate. Nel mezzo del cortile sta il pozzo o la -cisterna, col parapetto fatto di pietre o marmi scolpiti, -col tettuccio a colonnini, o colle staffe di ferro battuto -a delicati fiorami, che reggono la carrucola. A volte, fra -i monti dove si può condurre al castello qualche acqua -sorgiva, in luogo del pozzo si trova una vasca che riceve -zampilli dalla colonna che le sorge nel mezzo o -pioggia abbondante di stille da un albero fronzuto di -naturale grandezza, tutto ferro operato dalle radici alle -foglie ed ai frutti. Sotto il portico, rasente il pieno muro, -corre una lunga fila di panche fisse colla spalliera vagamente -intagliata. E tra il sommo della spalliera e la -vôlta, alcune pitture a fresco narrano a episodi la vita -del castello e del borgo. Una ci mostra il corpo di -guardia: nel fondo sta la rastrelliera cui pendono le -armi, nel mezzo i soldati seduti al desco bevono, uno -briaco fradicio dorme, altri giocano, due si accapigliano, -<span class="pagenum" id="Page_35">[35]</span> -e ad un capo della tavola una donna mostra all'amante -la scena disgustosa per svogliarlo dalla intemperanza. -Poi viene la bottega del beccaio, poi il mercato delle -frutta e degli erbaggi, poi il sarto, poi lo speziale. Scene -popolari e borghesi, tutte movimento, ispirate certo alla -vista delle cose reali, testimonio preziosissimo delle costumanze -locali, perchè la ingenuità della fattura, e -una certa rozzezza artistica, attestano che il pittore ancora -non conobbe l'arte nuova, che non attinse a maestri, -ma s'industriò alla meglio di rappresentare le cose -che gli stavano intorno. -</p> - -<p> -Nel corpo della casa opposto all'entrata, od in quello -che apre esternamente sui luoghi meno belli, meno soleggiati -e meno in vista, stanno le cucine, le dispense, -il tinello e gli altri locali dati al servizio, al bucato, e -via dicendo. A seconda della maggiore o minor mole -del castello e della sua giacitura, si trovano pure a pian -terreno una o più camere fornite, ad uso di ospizio per -i viandanti. Certe volte, queste camere, stanno in qualche -fabbrica staccata e vicina, colle scuderie, i canili, le -stalle ed il fienile. -</p> - -<p> -La cucina ha nella vita signoresca di quel tempo una -importanza grandissima quale noi a stento possiamo -concepire, anche quando confrontiamo alle modiche nostre -le formidabili mangiate di quei nostri maggiori. La -Castellana pur sapendo di greco e di latino (caso, più -raro assai, a mio giudizio, di quanto sia stato detto e -di quanto si creda), scende ogni giorno alla cucina, bada -direttamente alla spesa, e ne registra i conti in apposito -libretto, combina col cuoco, o più comunemente -colla cuoca, la lista del desinare, misura il vino alla -servitù, vigila alla nettezza dei rami e delle stoviglie. -Tutti i rami portano impressa l'arme della famiglia, -come pure le brocche, le mezzine, i gotti, ed i piatti di -stagno, e belle armi scolpite mostrano i monumentali -<span class="pagenum" id="Page_36">[36]</span> -mortai. — La cucina ha due immensi camini: uno raccoglie -sotto le ali della cappa i fornelli, l'altro, il maggiore -che ospiterebbe al coperto tutto quanto il servitorame, -ha in un fianco, sotto la cappa, il forno, e dal -lato opposto, aperto nel muro del fondo, il passa vivande, -che guarda nella sala da pranzo. Questa la conosciamo: -gli scrittori di storia, i novellieri, i diplomatici -ed i poeti, ce ne hanno lasciato diligenti e riconoscenti -descrizioni. D'altra parte il suo arredamento non -ha quella stabilità che si incontra in ogni altro membro -della casa, e a norma delle circostanze e degli ospiti, -variano le tappezzerie, variano i mobili e variano sopratutto -le argenterie ed il vasellame di cui, nelle occasioni -solenni, il sire del Castello fa grande e non sincera -mostra, togliendone a prestito da qualche vicino o -parente. -</p> - -<p> -Qui sopratutto da Principe a Castellano ci corre. Il -Principe del Rinascimento, venuto in subitanea ed impensata -grandezza, ama lo sfarzo degli apparati per naturale -inclinazione artistica e per accorgimento politico. -Egli sa che tanto più può quanto più è creduto potere, -e del potere è visibile indizio la magnificenza. Inoltre, -salito all'altissimo grado per virtù d'ingegno, egli pregia -tutte le manifestazioni dell'ingegno umano, e gli ingegni -stessi, onde si circonda di poeti e di artisti, ne stimola -con danari ed onori l'attività, traendo dalla loro -dimestichezza e dalle opere loro, come osserva il Burckardt, -una nuova legittimità alla sua illegittima potenza. -</p> - -<p> -Il Castellano, nobile di antica data, ha bensì ambizioni -grandi, ma deve fare i conti colle rendite che il potere -sovrano gli va continuamente assottigliando. Nè in tempi -di così instabili signorie, e nella rapida decadenza degli -ordinamenti feudali, egli osa fare vistosa mostra di ricchezze; -onde, dei nuovi agi e delle nuove eleganze, ama -piuttosto fruire in famiglia che procacciare agli ospiti -<span class="pagenum" id="Page_37">[37]</span> -il godimento. Perciò troveremo più ornate e ricche le -camere di sopra, destinate al dormire e all'abitare, che -la sala da pranzo e quella antica sala baronale che ancora -occupa al piano terreno il maggiore spazio, ma che -sia ostentazione di austerità, sia religione degli avi o sia -piuttosto il trovarcisi a disagio, il padrone lascia, per lo -più, nuda, fredda e solenne quale l'ebbe dai padri. -</p> - -<p> -Due scale mettono ai piani superiori della casa. Una, -stretta, oscura e rotta da frequenti ripiani, è destinata -al disbrigo delle faccende domestiche, l'altra spaziosa e -chiara è riservata ai signori. Questa, o sale visibilmente -dal cortile coperta di un tettuccio posato su pilastrini o -colonnini, o si svolge in branche regolari con scalini larghissimi -e di poco rilievo. Nell'Alta Italia non erano infrequenti -le scale a chiocciola. Il Castello d'Issogne in -Valle d'Aosta ce ne mostra una veramente bella e degna -di studio. Ogni gradino s'impernia dall'uno dei capi in -una colonna di granito sottilissima, e di là allarga a ventaglio -il suo piano finchè infigge nel muro l'altro capo, -più largo di un braccio. Rigirata sopra sè stessa, descrivendo -un circolo che misura oltre quattro metri di -diametro, quella scala, che pare empire colla sua elica -enorme il cavo di una torre, ascende misteriosa, nascondendo, -a chi sale, la persona che lo preceda di pochi -gradini, ed ingrossando il suono di ogni passo e diffondendolo -in quel vento continuo che rendono le spire di -una conchiglia. La sera essa vi dà quella sottile inquietudine -imaginosa, così piacevole agli adulti. Ogni passo -ed ogni voce svegliano mille echi di passi e di voci che -sembrano turbinare nel vano e salire e smarrirsi poi via -per i solai tenebrosi. Vi scattano rumori secchi come il -battere di un acciarino, spenti nell'attimo come la scintilla -che ne lampeggia, vi corrono fruscii morbidi come -di vesti che sfiorino la terra e rapidi come di persona -snella che si rimpiatti. Se altri vi preceda colla lucerna, -<span class="pagenum" id="Page_38">[38]</span> -le muraglie, più che una luce, riflettono una bianchezza -incerta simile a quella che irradiata dalle lampade degli -altari fa più nera l'oscurità delle navate. -</p> - -<p> -Le camere del primo piano, sono chiare e spaziose; i -mobili pochi, ma ognuno di essi ha singolari pregi artistici. -Gli intagli assottigliano il legno e gli danno la -vaghezza e la leggerezza di un ricamo, senza scemarne -punto la solidità. All'opposto di quanto segue oggidì, i -meglio ornati non sono i mobili di pretto lusso, ma gli -usuali, come i grandi stipi addossati al muro, le credenze, -il seggiolone o cattedra che fiancheggia il letto, la cui -spalliera, imperniata al telaio, può all'occorrenza scendere, -e posando sui bracciuoli formare una tavola. Ai -piedi del letto sta il cassone, o la cassapanca, ornata di -intagli a fiori o figure, e con delicati fregi di ferro, alle -maniglie ed alla serratura, quella cassapanca che fu argomento -di tante argute ed inverosimili storie ai novellieri, -nella quale le donne riponevano le vesti più sfarzose, -poichè ancora non usava, o poco, di appenderle -negli armadi. Il letto a colonnini, è coperto e fasciato -di ricchissime cortine. Quando il signore conduceva la -sposa al castello, la camera nuziale era tutta apparata -a nuovo. Le altre camere della casa erano depredate per -raccoglierne in quella tutti gli agi e le ricchezze. Si ponevano -sul letto fin quattro materassi di bambagia, le -lenzuola erano di tela, sottilissime, tutte trapunte di seta -e d'oro, che doveva far ribrezzo a toccarle. Le coperte, -di raso rosso, azzurro, cremisino, mostravano ricami di -fili d'oro con le frangie d'ognintorno. Le cortine erano -a liste alternate di velluto e damasco e tocca. Quattro -origlieri lavorati maravigliosamente a ricami e trine -aspettavano le nobili teste. Alle pareti, arazzi istoriati o -vaghe stoffe sottili, a ghirlande di fiori. Nel mezzo sulla -tavola un tappeto alessandrino, ed un tappeto, alessandrino -pure, sul palco che reggeva il letto. E intorno i -<span class="pagenum" id="Page_39">[39]</span> -forzieri recati in dote dalla sposa, pieni di gemme, di -monili, di stoffe preziose e di merletti. -</p> - -<p> -Ma tale fasto durava quanto la intima convivenza dei -coniugi, i quali, a breve andare, si riducevano entrambi -in meno ricchi appartamenti, e spartivano fra di essi ed -in seguito colla figliolanza le quattro materasse, che -erano spesso le sole della casa, e delle quali più d'una -volta i figlioli maschi ignoravano, finchè non menassero -moglie, le tepide mollezze. Perchè, il lusso era grande, -ma non pari al lusso le comodità, o, quanto meno, non -le minute comodità, che tanto pregiamo ai giorni nostri. -</p> - -<p> -Avevano, onde è a credere che pregiassero sopratutto -le comodità di spazio, e grande e nuovissima a quei -tempi, ricchezza di luce e di aria. Nei secoli precedenti, -il castello era più ordinato a fortezza che a dimora, onde -apriva non sulla campagna, ma sugli spazi compresi fra -le varie cinte, strette e basse finestre. Ora ogni camera -guardava intorno, oltre i recenti ruderi delle cinte, i -campi ed il cielo e lasciava entrare per le ampie e frequenti -finestre, i raggi, i profumi, i suoni che manda la -natura. E quelle finestre, dalla profonda strombatura, -dovevano essere la dimora consueta delle donne a giudicarne -dai sedili a muro che le fiancheggiano e che solevano -ricoprire di morbidi cuscini. Di là le castellane -aspettavano il marito od i figliuoli reduci dalle caccie, -non dalle caccie festose e squillanti, raro e costoso sollazzo -dato ai rari ospiti e delle quali esse pure erano -parte, ma dalle caccie quotidiane, rude esercizio di forza -e di astuzia, consueta e quasi unica educazione che i -padri davano ai figli. Di là anche, le giovani donne ammonivano -il damo che s'aggirava cauteloso nei pressi -del castello, e con segnali convenuti gli davano la posta. -Se non che, a scapito della poesia romantica, ed a gioia -grande del demonio, esse solevano pur troppo concedere -e richiedere amore, a gente dimorante, per uffici che vi -<span class="pagenum" id="Page_40">[40]</span> -tenessero, nel castello, e la distribuzione degli appartamenti -aiutava i raggiri infernali perchè le camere delle -donne stavano tutte dall'un lato del castello e quelle degli -uomini dall'altro. -</p> - -<p> -La famiglia del signore teneva il primo piano della -casa. Il secondo era destinato agli ospiti. Ciò dico, dei -castelli, non delle abitazioni signorili della città, nelle -quali erano di solito serbate pei forestieri molte camere -al piano terreno. -</p> - -<p class="ast">*</p> - -<p> -La mattina, all'alba, il cortile è pieno del vario popolo -dei servi e dei valletti. Gli uni portano le provvigioni -alle cucine, e gli altri forbiscono le armi od i fornimenti -per le cavalcature, gli scozzoni strigliano i -cavalli, il maggiordomo, sotto il portico, misura, pesa e -registra il latte, le farine, le ova ed il pollame che i -villani arrecano dalle prossime cascine. Nel secolo XIV -ancora squillava, al levare del sole, il corno della torre -maggiore. Ora quell'uso guerresco è dimesso. Il signore -s'alza per tempo, poichè andò la sera innanzi per tempo, -al riposo. Quando gli tocca levarsi ad ore insolite, egli -ricorre allo svegliarino, che chiamavano allora oriolo col -destatoio, del quale, verso la fine del secolo XV, già -l'uso era quasi comune. V'erano anzi orioli di così sottile -congegno, che all'ora voluta, non solamente risonavano -stridendo, ma battevano l'acciarino ed accendevano -la candela. Appena desto, il Castellano scendeva alle -stufe, pel bagno, bella usanza dovuta alle Crociate e che -si andò perdendo di poi, e fu ripresa che non è molto; indi -attendeva a vestirsi coll'aiuto del domestico che si era -tutta la notte giaciuto sul tettuccio accanto al letto padronale. -Di dormir solo in camera non si attentava nessuno. -All'ospite era squisita cortesia, offrire il Castellano -<span class="pagenum" id="Page_41">[41]</span> -un posto nel suo proprio letto. E sempre o una dama, -o una vecchia fante, dormiva o nel lettuccio accanto o -nel letto istesso della Castellana. Di questa singolare, e -a giudizio dei nostri tempi, fastidiosissima usanza, sono -piene le novelle. E poichè, bisogna pur dire ogni cosa, -la domestica non si rimoveva di camera, nemmeno -quando il rimanervi la riduceva a terzo incomodo; se -non che i signori, quasi non avendola in conto di creatura -umana, nulla curavano di lei. -</p> - -<p> -Com'era vestito, messer Castellano faceva le prime -devozioni prostrato all'inginocchiatoio, e la Castellana nel -piccolo oratorio adiacente alla sua camera. Bello e raccolto -luogo di preghiera, colla vôlta azzurra a crociere -dorate e tutto stellato il cielo e colle pareti dipinte a -figure preganti inginocchiate fra l'erbe ed i fiori di un -prato. Spesso quelle devote imagini raffiguravano la Castellana -ed il signore, riconoscibili all'arme di famiglia -che portano sulle vesti, e in fondo al prato sorgeva l'imagine -del castello, dalle cui torri ascendeva fra nimbi -al cielo un volo di angeli e di santi. -</p> - -<p> -Poi tutta la famiglia si raccoglieva ad ascoltare la -messa ed a comunicare nella ricca e fastosa cappella, -servita da un cappellano che risiedeva in castello, dopo -di che Madonna dava una prima capata alle cucine, -Messere alle scuderie o alla sala dell'armi dove attendeva -ad armeggiare coi figlioli o cogli ospiti o cogli scudieri, -e le figliole girellavano nel giardino cogliendo fiori -e dedicandoli intenzionalmente a lontani od a prossimi -sospiranti. Quando la casa non aveva ospiti, i giorni del -bucato, la signora e le figliuole non disdegnavano scendere -nell'orto a sciorinarvi i panni, e nemmeno sdegnavano -portarveli stillanti nelle ceste a ciò destinate, o se -non era l'orto era qualche alta terrazza vicina al tetto. -Altro ufficio della Castellana e delle figliuole, è la cura -delle tappezzerie e degli arazzi, che si tengono piegati -<span class="pagenum" id="Page_42">[42]</span> -su appositi scaffali nella stanza chiamata per l'appunto: -la guardaroba delle tappezzerie, è collocata di solito all'ultimo -piano il più asciutto della casa ed il meno polveroso. -Le fanti vi passano intere giornate a spiegare, -battere, rimendare e ripiegare i preziosi paramenti, ma -tale è il loro valore ed in tale pregio sono tenuti, che -per lo più vi attende direttamente la padrona. Ben inteso, -che a queste piccole cure le Castellane non andavano -vestite di broccato, di raso o di tocca, quali ce le -soliamo raffigurare. Simili vesti passavano per eredità -dalla madre alla figliuola, onde è a credere che non le -portassero se non nelle grandi occasioni. In casa, anzi, -il vestire era dimesso, forti panni paesani a colori oscuri, -biancheria grossa ed ahimè mutata di rado, ed ai piedi -certe grosse pantofole di panno. -</p> - -<p> -Del signore poi non parliamo che tra le armi, la caccia, -le scuderie e le visite ai poderi, Dio sa come si trovasse -conciato la sera. Alle dieci della mattina uno -squillo di corno annunzia il desinare. Anche nei giorni -ordinari, sono molti e grossi piatti: carni di bue, di -cinghiale, di capriolo, di montone, galline, fagiani, e via -dicendo, condite e fatte piccanti da salse formidabili, tutte -aromi e pizzicori mordenti, pepe, gorofano, cannella, ginepro, -ambra, belzoino, noce moscata, anice ed altre -nostrane ed orientali delizie, sulle quali primeggiavano -pur troppo l'aglio e la cipolla. Tale copia, scelta, e condimento -di vivande, sono fatte apposta per stimolare la -sete cui provvedono le ben fornite cantine che non più -contente del prodotto paesano, già accolgono una ricca -varietà di vini italiani e forestieri cotti e crudi. Cocevano -per conservarlo più a lungo, il vin greco di malvasia, -venuto di Candia, che solevano condire con aromi. -Fra gli italiani era famoso un certo vino di Piacenza -che nessuno più conosce, se pure non proveniva dai colli -di Voghera e di Stradella, e del quale facevano grande -<span class="pagenum" id="Page_43">[43]</span> -incetta anche le cantine francesi. Erano gustati assai i -vini di Toscana e di Sicilia, e fra i piemontesi il Nebiolo -ed il Caluso. Ma a leggere i novellieri, non pare che -presso di noi le copiose e robuste bevute degenerassero -o era caso raro, in quelle brutali cotte di che menavano -vanto i signori di Francia e di Allemagna. I novellieri -italiani parlano raramente di gente briaca, nè si sarebbero -astenuti dal farlo, quando ne avessero trovato frequente -argomento nella vita del tempo loro. -</p> - -<p> -La tovaglia della tavola usava larghissima e pendente -quasi fino a terra perchè i lembi cadenti facevano l'ufficio -del tovagliolo che ancora non costumava, ed a quelli -si forbivano i commensali. Sempre al cominciare e al -finire del pranzo era data l'acqua alle mani. Acque profumate, -di solito alla rosa; e di profumi facevano poi -grande abuso in ogni momento della giornata. Innanzi -di portare in tavola un piatto, la sospettosa vigilanza -dei Castellani voleva che se ne facessero palesi assaggi, -paurosi come essi erano di veleno, e usavano pure tenere -sulla tavola specifici ed amuleti contro l'azione dei -veleni. Il Cibrario scrive, che nell'inventario delle gioie -di Carlo I duca di Savoia (l'anno 1480) è registrata: -“u<i>ne espreuve plaine de langues de serpans pour tenir -sur la table pour eviter le venyn</i>„ ed aggiunge che forse -era destinata allo stesso ufficio, o ad ogni modo, era tenuta -in conto di amuleto, una “<i>pierre, noire crapaudine, -garnie a une chainette d'or</i>„, compresa nello stesso inventario. -</p> - -<p> -Dopo il pranzo che era protratto quanto più lungamente -si poteva, il signore faceva quella siesta, che fu -bazza per i novellieri. I fanciulli, dopo alcun tempo dato -ad esercizi fisici, riparavano poi col pedagogo nella libreria -(dove erano, caso raro, librerie), o nella stanza -data agli studii. Si trovano ancora in parecchi castelli -certe stanzette, all'ultimo piano, recanti sui muri, segnate -<span class="pagenum" id="Page_44">[44]</span> -in rosso, le figure elementari della geometria con -scritture che datano certamente dal secolo XV. La Castellana -e le figliuole riparavano nelle camere loro, ed -attendevano, nella speranza di qualche visita, ad adornarsi. -O forse in quell'ora le giovinette aggirandosi in -ozio per la casa confidavano alle nude muraglie della -scala e dei corritoi, i segreti movimenti del loro cuore, -incidendovi motti, date, pensieri e sentenze amorose. O -andavano rintracciando e rileggendo le sentenze scrittevi -da altri che erano come lettere al loro recapito. -</p> - -<p> -Il Castello d'Issogne serba molte di tali scritte che ci -danno a conoscere il nome, ed in certa misura l'animo -degli ospiti che vi dimorarono. Vi fu ospite un tale -Escobar che segnò sulle pareti il proprio motto: Selon -le pouvoir, colla firma e la data. Vi passarono pure un -tedesco, Wolf. Sckonfletter, ed un francese, De Vateuil, -il quale fa precedere al proprio nome queste parole sibilline: -<i>Non sans cause</i>. Un messere P. Gran scrive: <i>In -Omnes et ad omnia fidus</i>, e lo stesso Escobar di pocanzi -tornatoci una seconda volta: <i>No piedo mas fortuna</i>, più -non cerco fortuna, onde è a credere che l'avesse trovata, -o che si fosse rassegnato a disperarne per sempre. -E ancora l'Escobar sentenzia: <i>Palabras de piuma lo viento -le lieva</i>. Poi vengono gli anonimi: <i>Qualis homo talia -opera. A mala fama caveas. Sic vive ut postea vivas</i>. Ed -i consigli igienici: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01"><i>Carolus ægrotus faciunt ieunia morbum,</i></p> -<p class="i01"><i>Ut recte valeas, Carole sume cibum.</i></p> -</div></div> - -<p> -Un altro tedesco apre l'animo con due versi così ingenui -e sinceri che muovono a pietà. -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Per non mostrar el mio dolore</p> -<p class="i01">Talvolta rido che crepe el cuore.</p> -<p class="i06"> <span class="smcap">Thoma Druenwald.</span> von Nuremberg.</p> -</div></div> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_45">[45]</span> -</p> - -<p> -Durante un periodo di tre anni, a giudicarne dalle -date, si direbbe che sia passato nella valle e sul castello -un vento caldo, tutto impregnato di olezzi stimolanti; un -vento snervatore e tentatore, soffiato dal demonio per -scombuiare l'animo delle castellane. Sui muri, abbondano -sentenze d'amore ripetute a sazietà, scritte sempre -dalla stessa mano, mano femminile, mano padronale e -signoresca, poichè ebbe agio di confidare a tutte le stanze -del castello la piena dell'animo. Quella che s'incontra -più spesso dice: <i>Omnia vincit amor</i>, l'amore vince ogni -cosa, sentenza che colma le distanze gerarchiche, ed afferma -la assoluta sovranità del piccolo Dio. Un'altra -dice: <i>Non est amor imo dolor, mulieris amor</i>. Non è -amore, ma dolore, l'amore della donna. Dolore, è a credere, -di virtù resistente; se non che la resistenza poco -dura e l'amore finisce veramente per vincere ogni cosa, -poichè l'anno appresso, la stessa mano scrive: Vivamus -et amemus, grido di gioia spensierata, allegro ritornello -di una canzone forse malinconica. Infatti, in poco d'ora, -l'idillio si chiude in elegia e l'angoscia esce in lamenti -in ogni parte della casa, colle scritte: <i>In me turbatum -est cor meum</i>, in me turbato è il mio cuore, e: <i>Meror -et dolor venerunt super me</i>: il pianto ed il dolore vennero -sopra di me, le quali si incontrano in ogni dove, -sulla scala, negli anditi, nelle camere delle donne. -</p> - -<p class="ast">*</p> - -<p> -Riprendiamo la nostra giornata. -</p> - -<p> -Quando capitavano visite, o v'erano ospiti in casa, -verso le due, tutti convenivano o nel giardino o nel parlatoio, -e là si trattenevano confettando e bevendo. A -questa specie di <i>lunch</i> erano rosoli, marmellate, bocche -di dama, pasticci, uccelletti arrosto, e le migliori frutta -della stagione. La Castellana apprestava canzonieri scelti -<span class="pagenum" id="Page_46">[46]</span> -ed ogni sorta di lodevoli istrumenti, ed erano musiche -e canti di madrigali fino all'ora della cena, che batteva -tra le quattro e le cinque pomeridiane, ed era il maggior -pasto della giornata. -</p> - -<p> -Delle caccie, delle cavalcate, e di altri fastosi e festosi -sollazzi non parlo, perchè, come ho detto in principio, -essi meno appartengono alla vita privata che alla pubblica, -e perchè troppo già furono e maestrevolmente descritti, -e d'altra parte richiederebbero troppo lungo discorso. -Basti dire, che verso la fine del secolo troviamo -le prime carrozze o carrette come le chiama il Bandello, -ma erano poche, e non usavano che nelle città. Non -avevano molle, ma portavano fregi ricchissimi e dorature, -ed erano ricoperte di stoffe maravigliose. Le tiravano, -a seconda dei casi, due, quattro, sei, otto cavalli, -dei quali i più pregiati erano i Frisoni ed i Corsieri del -Regno di Napoli. -</p> - -<p> -Molti e vari erano i giuochi da tavola, il trictrac, gli -scacchi, i dadi, le carte, che servivano al Picchetto ed -all'Homo, un giuoco portato di Spagna, ed i tarocchi, -che non furono già come si volle inventati a svago dal -re Carlo VI di Francia, ma vennero d'Oriente, a segno -che un moderno dottissimo ma fantasioso negromante, -l'Eliphas Levi, ravvisa nelle figure del pazzo, del carro, -della giustizia, della morte, del mondo, delle stelle, e -via dicendo, i segni cabalistici del libro di Salomone. -</p> - -<p> -Ma di tali giuochi, eredità del fosco Medio Evo, e delizia -poi della grossa nobiltà dei secoli XVII e XVIII -poco si diletta il nostro castellano. Egli preferisce il pallone, -o la più domestica partita alle boccie in cortile o -sul prato, cogli scudieri, col cappellano o col pedagogo. -Già non è a credere che quelle menti non provassero -quel continuo bisogno di attività e di applicazione, che -agita le nostre. A furia di voler noi ammazzare il tempo, -il tempo si vendica e ci ammazza: quelli lo lasciavano -<span class="pagenum" id="Page_47">[47]</span> -vivere, e si ristoravano delle cercate fatiche fisiche, abbandonandosi -ad una specie di assopimento intellettuale. -Agitate e pronte erano le menti nelle città e quelle dei -fortissimi avventurieri che in quel secolo e nel seguente -disfecero e crearono stati; ma se da essi procede e di -essi parla la storia, non se ne deve indurre che gli animi -in generale e gli ingegni dei signori somigliassero ai loro. -Essi diedero la scalata alle signorie, poichè ne ebbero -abbassato il prestigio, e la dappocaggine dei molti fu -appunto argomento e giustificazione al prevalere dei -pochi. Io per me credo, che in tale dappocaggine sia da -cercare la ragione dei corrottissimi costumi femminili -di quel tempo. Dalla decadenza romana a noi non s'incontra -altro periodo di così largo rilassamento morale. -Nè la religione poteva oramai fare argine allo sfrenarsi -delle passioni. Al tempo del carnevale, era lecito ai religiosi -di rallegrarsi, onde i frati tra loro recitavano commedie, -e di qual fatta!, e suonavano e cantavano ballando, -e alle monache non si disdiceva, quei giorni, vestirsi -da uomini, colle berrette di velluto in testa, colle -calze chiuse in gamba e colla spada al fianco. -</p> - -<p> -È davvero inconcepibile come in mezzo a tanto rinnovamento -di studi e gentilezza di coltura le donne parlassero -lo sboccato linguaggio che loro attribuiscono gli -autori di commedie e i novellieri. Il Boccaccio è di gran -lunga più riguardoso. Nelle Cene del Lasca, troviamo -narrata da una donna, Amaranta, e con minutissimi particolari, -la sconcia beffa fatta da un giovine ricco e nobile -al suo pedagogo, ed essa è tale che nessuno artifizio -di stile potrebbe farmi lecito di raccontare. E quella -del Lasca a sentirlo era compagnia che sapeva di greco -e di latino. Dicono: erano più sinceri di noi. Ma, astrazion -fatta della morale, la verecondia è più una grazia -che una virtù, ed è grazia sopratutto di gente colta. Nè -Virgilio, nè Orazio, nè Catullo, nè Ovidio, nè lo stesso -<span class="pagenum" id="Page_48">[48]</span> -Giovenale, potevano apprendere a quelle dame ed a quei -cavalieri somiglianti modi, onde è lecito sospettare che -la vantata coltura fosse meno diffusa di quanto si crede, -sicchè la gentilezza dei pochi nulla potesse contro la rozzezza -dell'universale. Ed è certo poi che fra i meno colti, -era il mio signor Castellano. Il quale, venuta la sera, si -riduceva accanto al fuoco, in sonnacchioso silenzio, e le -donne fatte alcune lente danze al dubbio chiarore delle -fumose lucerne, prima novellavano alquanto fra di loro, -indi infilavano in cerchio <i>pater noster</i> ed <i>ave Marie</i>, ed -il cappellano dava loro lo spunto. Poi i valletti mescevano -al signore il vino del sonno, e Madonna e Messere -ognuno dalla sua ed in diversa e servile compagnia andavano -a letto. -</p> - -<p> -E a me non rimane che augurare tranquille notti a -quei morti, e gioconde giornate a questi vivi. -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_49">[49]</span> -</p> - -<h2 id="fiorentini">LA VITA PRIVATA DEI FIORENTINI</h2> - -<p class="center"> -DI -</p> - -<p class="center large"> -GUIDO BIAGI. -</p> -</div> - -<p class="pad2 indl"> -<i>Signore e Signori,</i> -</p> - -<p class="pad2"> -Quale fosse la Firenze del Tre e del Quattrocento non -è facile immaginare. A riguardarla dall'alto, da uno di -quei colli che le fanno ridente corona e oggi son per -lei mutati in altrettanti giardini, mentre forse allora nereggiavano -d'alberi folti, di macchie e di scopeti, appariva -come una bruna massa di torri merlate, cinta di -mura e di baluardi. I pubblici edifizi che noi ammiriamo, -le aeree cupole delle chiese, i campanili, nella cui voce -è il palpito della vita d'un popolo, non ancora drizzavansi -tutti nel fondo azzurro del cielo, come le antenne -poderose d'una nave a più alberi. La terza cerchia, -quella istessa che noi vedemmo abbattere, non era interamente -compiuta, e l'Arno faceva il suo <i>gorgo</i> dove è -ora la Piazza di Santa Croce, sboccando tra il Ponte a -Rubaconte e il Castel d'Altafronte. -</p> - -<p> -Questo a' primi del Trecento, quando la piccola chiesa -di Santa Reparata durava tuttavia e di Santa Maria del -Fiore era ignoto il nome; e nel luogo dove sorse la Loggia -d'Orsammichele tenevasi il mercato delle granaglie, -e il campanile cominciato da Giotto e che da lui prese -il nome, non era ancor stato condotto fino alle ultime -finestre da Francesco Talenti: soltanto di sulla torre del -Palazzo dei Priori, già la grande campana del Popolo, -<span class="pagenum" id="Page_50">[50]</span> -“la Vacca„, mugliava, facendo in alto echeggiare il -dolce suono della libertà<a class="tag" id="tag1" href="#note1">[1]</a>. -</p> - -<p> -Le miniature del Biadajuolo, raffresco del Bigallo, appena -ci danno un'idea della Firenze di quegli anni. Sono -rappresentazioni fantastiche, dove la prospettiva è ancora -ignota, e i tetti di color rosso vivo staccan di tono -dalla selva delle torri che s'intrecciano e si accavallano. -La tavola di Domenico di Michelino, che si vede in -Duomo, vorrebbe mostrarvi la Firenze di Dante, la cui -figura spicca nel mezzo del quadro; ma anche cotesta è -una Firenze immaginaria, quanto il Purgatorio e l'Inferno -che l'artefice le ha dipinti da presso. Una veduta -della città, ma assai più recente, troviamo nella tavola -che il Botticelli compose per Matteo Palmieri; una tavola, -il cui soggetto tolto dal poema di lui la <i>Città di -vita</i>, parve quasi ereticale; perchè il pittore, dipingendo -la Vergine Assunta nella gloria del cielo, circondata -dalle più sublimi visioni dell'idealità femminile, creò -schiere di <i>angelesse</i> così formose, da far giustamente temere -per i futuri amori degli angeli. Ma il paesaggio -che serve di sfondo alla meravigliosa composizione, sfuma -nella lontananza e nell'ombra d'un crepuscolo dorato, e -al desiderio nostro non giova. Il quale potrà soltanto -appagarsi più tardi, quando nelle <i>Cronache di Norimberga</i> -scorgeremo una pianta della città quale era alla -fine del Quattrocento. -</p> - -<p> -Ma a rappresentarci Firenze dal Trecento a' più gloriosi -giorni del Rinascimento, quando i tesori raccolti in -tutto il mondo da' suoi mercatanti versò nella creazione -di monumenti immortali, proseguendo le tradizioni delle -arti inaugurate per mano di Arnolfo, di Giotto e dell'Orgagna<a class="tag" id="tag2" href="#note2">[2]</a>; -a rappresentarci lo scenario e la scena -<span class="pagenum" id="Page_51">[51]</span> -ch'io vorrei popolarvi con le figure d'artieri, di mercanti, -di donne, di chierici, di trecche, di poeti, di novellatori, -d'uomini d'arme, di forosette, di villani, di donzelli, -di cavalieri, che mi s'affollano nella lanterna magica -del cervello e che vorrei potervi dipingere in questo -quadro della vita privata; a darvi un'idea viva se non -compiuta, a darvi come una visione della storia del nostro -popolo, che dalla rozzezza antica si condusse ai raffinamenti -della Rinascenza, non basterebbe tutta l'opera -d'un artista che fosse insieme storico, archeologo e poeta; -non basterebbe — Dio ci liberi! — un corso intero di -conferenze ideali, fatte con la parola e illustrate con il -pennello. Ma finchè la donna, che ne è maestra, non -abbia reso obbligatorio l'insegnamento <i>per gli occhi</i> dovremo -contentarci di saggiare appena un così gustoso -argomento, scegliendo nei vecchi libri di ricordanze, -nelle cronache domestiche, nei carteggi, nei novellieri e -nei poeti qualche particolare men noto, qualche aneddoto, -qualche notizia che ci sembri meglio opportuna, -per cogliervi alcun aspetto della vita in quegli anni, -così remoti anche dalle nostre immaginazioni. -</p> - -<h3>I.</h3> - -<p> -Accanto ai massicci palagi di pietra, sicuri come fortezze, -su cui si levavan fiere le torri merlate; nelle vie -strette e tortuose dove la grand'ombra di quelle moli -incombeva triste e paurosa, sorgevano le casette piccole -e basse, con il tetto coperto di paglia, con le impannate -alle finestre, con le grosse imposte di legno, sempre -esposte ai pericoli del fuoco; onde Paolo di Ser Pace da -Certaldo consigliava tener sempre pronte “dodici saccha -grandi buone per sgombrare quando fuoco fosse ne la -vicinanza tua o presso a te o a casa tua„ e uno “canape -che sia lungo dal tetto in terra per poterti calare -<span class="pagenum" id="Page_52">[52]</span> -da ogni finestra„<a class="tag" id="tag3" href="#note3">[3]</a>. Le vie, piene di polvere, eran -spazzate dall'acqua che correva come un fiumicello<a class="tag" id="tag4" href="#note4">[4]</a> -dentro e fuori il rigagnolo, dove s'ingrufolavano, scrive -il Sacchetti, quegli animali che sant'Antonio avea in -i protezione, ed entravan poi nelle case altrui a portarvi -il disordine e lo scompiglio<a class="tag" id="tag5" href="#note5">[5]</a>. Nè quelle case erano un -modello di pulizia: si spazzavano una sola volta la settimana, -il sabato, e negli altri giorni le immondezze si -cacciavano sotto il letto, dove era d'ogni cosa un poco: -bucce di frutta, torsoli, ossa, pelli scorticate, polli vivi, -oche gracchianti e abbondanza di ragnateli. Erano modeste -dimore di gente che si contentava del poco e più -che ai conforti e godimenti della vita badava ai guadagni: -gente antica, se di buona stirpe, che passava la -vita uccellando e cacciando piuttosto in contado, nelle -proprie tenute, che in città; gente nuova che nelle arti -e nella mercatanzia cercava far la roba. L'avolo di Messer -Lapo da Castiglionchio, che avea sua abitazione in -sulla porta di Messer Riccardo da Quona, là dalle Colonnine, -usava far serrare la porta della città a una vecchia -serva, buona e lealissima, che glie ne riponeva le -chiavi nella sua camera<a class="tag" id="tag6" href="#note6">[6]</a>. -</p> - -<p> -Firenze intanto cresceva man mano che aumentava -la proprietà de' cittadini. Le vecchie case di legno o coi -tetti di paglia eran spesso distrutte dal fuoco. Tutta la -città si commoveva e tutta la gente, ad ogni incendio -che divampasse, era sotto l'arme e in gran guardia<a class="tag" id="tag7" href="#note7">[7]</a>. -Anche la Signoria, per abbattere con minor spesa le case -dei condannati, usava darle alle fiamme e poi pagare i -danni degl'incendi che si propagavano<a class="tag" id="tag8" href="#note8">[8]</a>. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_53">[53]</span> -</p> - -<p> -E come incendi avvampavano le passioni: le vendette, -le risse, le turbolenze tingevan di sangue le vie; e le -paci tra gli avversi consorti si celebravano con feste e -conviti. Il Comune “fiero e in caldo e signoria„ raddoppiava -le forze; e debellati i nemici esterni, “i mercanti -della città vincitrice guidavano, nuova maniera -di trionfo, i loro muli, carichi de' panni di Calimala e -delle seterie di Por Santa Maria, attraverso a' monti e -a' piani poc'anzi battuti dalle cavalcate e da' soldati -de' loro eserciti; portavano l'oro e l'ingegno fiorentino -nelle città, sotto alle cui mura avevano ondeggiato, -fra le armi, le libere insegne di questo popolo grande„<a class="tag" id="tag9" href="#note9">[9]</a>. -</p> - -<h3>II.</h3> - -<p> -<i>Mercato vecchio</i> era il cuor di Firenze; e pareva allora -la più bella piazza del mondo<a class="tag" id="tag10" href="#note10">[10]</a>. Chi ne legga le -lodi nel capitolo di Antonio Pucci, chi ne cerchi i fatti -di cronaca quotidiana nelle novelle di Franco Sacchetti, -può avere un'imagine di quella vita cittadina che si contentava -di così piccola scena. Quello, il vero emporio -d'ogni commercio, il ritrovo de' bottegai, de' commercianti, -degli oziosi, de' giuocatori, de' villani, de' medici, -degli speziali, de' malandrini, delle fantesche, de' gentiluomini, -de' poveri, delle trecche, dei rivenduglioli, delle -brigate allegre e spendereccie. Quivi robe d'ogni genere -e sorte: le carni fresche, le frutta, i formaggi, i camangiari, -l'uccellame, i pannilini, la cacciagione, i fiori, le -stoviglie, le botti, la mobilia usata. I monelli, anche allora -terribili, vi stanno come in casa loro: i grossi topi -vi fan carnevale; la gente vi trae da ogni parte. Ogni -giorno si leva qualche romore: un cavallaccio s'imbizzarrisce -<span class="pagenum" id="Page_54">[54]</span> -per una ronzina, e tutti gridando <i>accorr'uomo</i>, -la Piazza de' Signori s'empie di fuggiaschi, serrasi il Palagio, -armasi la famiglia, anche quella del Capitano e -dell'Esecutore, e questi per la paura nascondesi sotto il -letto, e, quetato il tumulto, n'esce fuori coperto di ragnateli; -due muli beccati da un corvo cominciano a tempestare; -saltan sui deschi, si serrano le botteghe e nasce -grande contesa fra i lanaiuoli e i beccai per i danni -fatti da quelle bestie furiose. -</p> - -<p> -Ma talvolta accadono anche serie questioni: i barattieri, -tenitori di giuoco, vengono alle mani: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">E vedesi chi perde con gran soffi</p> -<p class="i02"> Bestemmiar, con la mano alla mascella</p> -<p class="i02"> E ricevere e dar di molti ingoffi.</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Ed allor vi si fa con le coltella,</p> -<p class="i02"> Ed uccide l'un l'altro, e tutta quanta</p> -<p class="i02"> Si turba allora quella piazza bella.</p> -</div></div> - -<p> -Si rinnova la scena raffigurata in un affresco del monastero -di Lecceto, vicino a Siena. I tre dadi caddero -sulla tavola in modo che un de' giuocatori è perdente. -Egli sorge in piedi, esacerbato da quel colpo dell'avversa -fortuna, e afferra il vincitore per la gola, stendendo -il braccio. E l'altro, fattosi pallido per l'ira e lo -spavento, si cerca indosso l'arme vendicatrice. La bestemmia -prorompe sui labbri de' contendenti; le grida -degli astanti, delle donne, de' fanciulli echeggian paurose: -“Accorr'uomo, accorr'uomo!„ — La folla indietreggia -sbigottita, e quando l'Esecutore arriva — sempre -tardo — co' suoi famigli, la vittima è a terra, distesa -in un lago di sangue. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_55">[55]</span> -</p> - -<h3>III.</h3> - -<p> -Questi i drammi, i “fatti diversi„ d'allora, che turbavano -la pace della semplice vita di quei nostri bisavoli. -Perchè, la novella borghese, che tenea l'ufficio delle -odierne gazzette, rare volte ci narra queste scene crudeli. -Piuttosto si piace di raccontarci le beffe, le burle, -onde allegravasi il popolo motteggevole; perenne argomento -di queti ragionari, al canto del fuoco, presso gli -alari dei grandi camini, sotto la cui cappa annerita raccoglievansi -le famiglie, prima che sonasse l'ora di spegnere -i lumi, quando chi andava a letto “il sezzaio<a class="tag" id="tag11" href="#note11">[11]</a> -erasi accertato fossero ben turate le botti„ e “l'uscio e -le finestre serrate„. -</p> - -<p> -Non parea vero di ridere, di scordare le paure dell'oltremondano, -onde gli spiriti erano stati depressi: e -già l'incredulità de' nuovi tempi cominciava a metter -fuori le corna, burlandosi de' cherici, e un tantino de' miracoli -e di molte altre imposture. I motteggiatori, i burlevoli, -che d'altrui si prendevan sollazzo e cercavano -gabbare il prossimo e il mondo, si dicevano “nuovi uomini„ -e “<i>nuove cose</i>„ le loro malizie. I deschi e le botteghe -di Mercato Vecchio, i fondachi di Calimala, le -<i>loggie</i> che sorgevano allora presso i palagi, dove la gente -stava sui banchi a conversare, echeggiavano di fresche -risate argentine; cui rispondevano i crocchi femminili, -bisbiglianti sulle porte di casa. Gli artisti, o come li -chiamavan gli <i>artefici</i>, erano i più sottili architettori di -coteste burle ingegnose, immaginate fra una pennellata -e un colpo di stecca. E ne durò la memoria molti anni, -tanto che il Vasari parecchie ne raccolse nelle sue <i>Vite</i>, -<span class="pagenum" id="Page_56">[56]</span> -di quelle che i novellieri non avevan consegnate alle lor -cronache cittadine. -</p> - -<p> -“Sempre fu che tra' dipintori si son trovati di nuovi -uomeni„<a class="tag" id="tag12" href="#note12">[12]</a> scrive il Sacchetti; e Bonamico Buffalmacco -immortalato nel <i>Decameron</i>, e Bartolo Gioggi, e Bruno -di Giovanni, e Filippo di Ser Brunellesco e Paolo Uccello -e Donatello, ci fan tornare a mente le burle fatte -a Calandrino, al Grasso legnaiuolo, e a tanti altri che -furon vittime di così spietati begliumori<a class="tag" id="tag13" href="#note13">[13]</a>. Ma la voglia -matta di ridere e sollazzarsi, s'appiccicava anche alla -gente più grave; e dalle botteghe degli artefici entrava -in quelle degli speziali, e attaccavasi a' medici, a' giudici, -a' procuratori, e saliva in Palagio a rallegrare i Priori -della malinconia di star chiusi, lontani dalla moglie e -dalla famiglia. — Semplici uomini e semplici costumi, -che ancor sapevano della rozzezza antica: la Signoria -dormiva in una camera sola, e ciò era incentivo e occasione -agli scherzi<a class="tag" id="tag14" href="#note14">[14]</a>; e il proposto dei Priori poteva -andare in persona alla cucina a cuocersi sulla brace una -fetta di carne<a class="tag" id="tag15" href="#note15">[15]</a>. La burla, lo scherzo rasentava talora -la truffa; ma una buona risata dava torto a chi aveva -avuto colle beffe anche il danno, e tutti pari. Perchè a -quegli anni, quand'ognuno pensava a sè, a' casi proprii, -al proprio interesse, la gente non aveva pietà o compassione -pei gonzi. Le più sottili malizie erano anche permesse -ai mercanti, e quei di Firenze eran famosi per la -gran furberia. -</p> - -<p> -Racconta il Sacchetti quel che intervenne ad un Friulano, -che aveva nome Soccebonel, e che andò a comprare -panno da un di costoro. Ne misuran quattro canne, -<span class="pagenum" id="Page_57">[57]</span> -e il fiorentino glie ne mangia una mezza. Poi, per ricoprire -l'inganno, gli dice: “Vuo' tu far bene? attuffalo -in una bigoncia d'acqua, e lascialo stare tutta la notte, -sì che bea bene, e vedrai poi panno ch'el fia.„ — Soccebonel -così fa, e poi manda il panno al cimatore. “Soccebonel -va per esso e dice: Che dei tu avere? Dice -il cimatore: E' mi par nove braccia: da' nove soldi. -Dice costui: Come nove braccia? oimè! che di' tu?„ -Lo rimisurano; ma il panno non cresce. Soccebonel -va dal ritagliatore, va di qua, va di là. E uno gli -dice: “Questi panni fiorentini non tornan nulla all'acqua.„ -“Uno <i>comprò</i> un braccio di panno fiorentino, e -la sera l'attuffò, come tu facesti questo, in un bigonciuolo -d'acqua, e lasciovvelo stare tutta notte; la mattina, -lo trovò tanto rientrato, che non c'era più nulla„<a class="tag" id="tag16" href="#note16">[16]</a>. -</p> - -<h3>IV.</h3> - -<p> -Ma i codici de' mercanti, chi li cerchi e li legga tra la -polvere degli archivi e delle librerie, paiono disdegnare -simili imbrogli. In quelle carte che cominciano tutte “al -nome di Dio amen,„ piene di “buoni asempri e buoni chostumi -e buoni proverbi e buoni amaestramenti„, troviamo -precetti teorici ispirati alla più rigida e severa moralità. -Scrive un di cotesti savi: “Tieni a mente quando ài a -dare alchuna sentenzia di darla diritta, e leale, e giusta, -e di questo non ti rivolgere mai nè per prezzo, nè per -amore, nè per paura, nè per parentado, nè per amistà, -nè per compagnia....„, perchè la persona “contro cui -la darai fia tuo nemico e quei cui tu servirai non -t'avrà nè per leale, nè per diritto, anzi si guarderà -sempre di te e vitupereratti sempre.„ Ma subito, più -sotto, leggiamo: “S'hai bisogno in piato o in altro tuo -<span class="pagenum" id="Page_58">[58]</span> -fatto dell'amistà d'alcuno signore o di rettore di terra, — ti -dico che co' presenti s'acquista molto agevolmente. -Guata chi è di sua famiglia, più suo segretario e con -quel cotale prima ti domestica, e dona a lui alcuna -cosa, e poi a lui chiedi aiuto e consiglio ed e' t'insegnerà -a venire in amore del suo signore e presentargli -quella cosa di che e' sentirà che sia più vago„<a class="tag" id="tag17" href="#note17">[17]</a>. -</p> - -<p> -E non basta; la morale pratica porge ancora più opportuni -consigli: “Quando comperi biada, guarda che -non ti sia empiuta la misura a un tratto, che sempre -ti calerà 2 o 3 per cento; e quando vendi il fa', e cresceratti -la tua biada„<a class="tag" id="tag18" href="#note18">[18]</a>. — “Di' sempre bene di quelli -che reggono il Comune. Sta' sempre bene co' tuoi vicini, -però che de' tuoi fatti e' sono sempre domandati -prima di te, e negli onori e ne' disonori e' póssonti -molto nuocere e giovare.„ E così consigliavano e ammaestravano -i figliuoli, che crescevano destri ed esperti -e consumati nell'arte del saper vivere, fra mezzo a gente -che della vita conosceva le malizie e gl'inganni. Nè è -meraviglia che un predicatore, per far gente e non parlare -al deserto, annunziasse voler proclamare dal pergamo -che l'usura non è peccato<a class="tag" id="tag19" href="#note19">[19]</a>, anzi “è sovvenimento„, e -così avesse tutta la quaresima “infino a Domenica dell'olivo„, -attento e affollato uditorio. -</p> - -<p> -La famiglia che allargavasi e alleavasi nella <i>consorteria</i>, -aveva unico fondamento la proprietà, guarentita -da una selva di leggi e privilegi. Il padre era padrone -dispotico de' beni personali: poteva lasciarli a chi meglio -volesse, anche a' nipoti o ad alcun <i>luogo pio</i><a class="tag" id="tag20" href="#note20">[20]</a>, anche ai -figli dell'amore cresciutigli in casa. Così per testamento: -e si comprende di colpo l'importanza che aveano allora -<span class="pagenum" id="Page_59">[59]</span> -i notari ed i chierici. Le donne, succedendo <i>ab intestato</i>, -avean soltanto diritto al quarto de' beni dei loro -figliuoli: in ogni caso, ai semplici alimenti. Tutto cospirava -a preservare l'integrità del patrimonio, ad impedire -che uscisse fuori della famiglia, della consorteria, del -comune. -</p> - -<p> -Giova ripeterlo: l'interesse, in quella società di mercanti, -avidi di far la roba, era d'ogni azione legge suprema. -Sarebbe ingiustizia cercarvi le sentimentalità della -famiglia moderna, in cui alla donna è riserbato così larga -e così nobile parte, così degni e teneri uffici. -</p> - -<p> -Quelle povere madri fiorentine dovevano starsi contente -alle modeste ingerenze consentite loro dalla tirannia -de' mariti, e vivere, o menar la vita, nell'uggia -delle sordide case, allevando i figliuoli, “vicitando„ la -chiesa, e confessando a' frati i molti peccati di desiderio. -</p> - -<p> -Le fanciulle, le ragazze che oggi ci dan tanta pena, -nemmeno dovevano imparare a leggere: “S'ella è fanciulla -femmina, ponla a cuscire e none a leggere, che -non ista troppo bene a una femmina saper leggere, se -già non la volessi far monaca„<a class="tag" id="tag21" href="#note21">[21]</a>. I monasteri erano, -come furono molti secoli, il rifugio di coteste meschine, -com'eran la provvidenza delle troppo numerose famiglie. -Aver venti e più figliuoli, parea la cosa più naturale -del mondo; se campavano: “Iddio n'abbi lode e grazie„; -se morivano: “Di tutto sia lodato Iddio, amen„<a class="tag" id="tag22" href="#note22">[22]</a>. I libri -di ricordanze, le cronache domestiche, al tempo delle -grandi morie, registrano così le morti come le nascite -con una serenità che oggi, alle trepide madri, sembrerebbe -cinismo. E anche ci porgono testimonianze preziose -di fatti più singolari, dell'intrusione nelle famiglie -<span class="pagenum" id="Page_60">[60]</span> -d'un nuovo elemento, che ne offusca la vantata purezza. -I critici più benevoli ne trovano la ragione nel “gran -vuoto fatto dalla mortalità nelle plebi cittadine e nei -campagnuoli„, onde non bastando “la lusinga del -poco salario„ a cavare dal popolo i domestici e le fantesche, -“fu d'uopo cercare nel commercio esterno la maniera -di supplire alla loro rarità„<a class="tag" id="tag23" href="#note23">[23]</a>. Ma piuttosto i -commerci con l'oriente, e la vita randagia de' mercatanti -e la cresciuta ricchezza, furono eccitamento a quel traffico -degli schiavi e delle schiave, che durò in Firenze -per ben due secoli dopo il XIV<a class="tag" id="tag24" href="#note24">[24]</a>. È un tasto doloroso -che pur dobbiamo toccare, a rischio di cavarne alcuna -nota stridente; ma anche in un quadro son necessarie -le ombre per concedere maggior risalto alle figure cui -si vuol dare evidenza e rilievo. — Ma non temete! anche -un artefice inesperto non dimentica il “fren dell'arte„; -nè vorrei io, dinanzi a voi, empir la breve mia tela con -una mostra impudica di nudità. -</p> - -<p> -Le schiave orientali, comprate, come carne da traffico, -quasi sempre a mezzo di sensali genovesi, veneziani, -pisani e napoletani, e per lo più tartare, greche, turche, -schiavone e circasse, non erano — rassicuratevi — archetipi -di bellezza. I registri dove i nostri segnavano, -insieme coi nomi, con l'età e con il prezzo, i connotati -del volto e della persona<a class="tag" id="tag25" href="#note25">[25]</a>, ce ne fan fede. Quasi tutte -avean pelle olivastra, sebbene si trovassero anche schiave -di carnagione rossa, sanguigna, rubiconda e qualche -volta fin bianca. E sul viso non mancava mai alcun -segno particolare: chi era butterata, chi l'avea sparso -di moltissimi nèi, chi sfregiato da qualche cicatrice. I -nasi eran generalmente schiacciati, i labbri grossi e sporgenti, -<span class="pagenum" id="Page_61">[61]</span> -gli occhi scerpellini, le fronti basse e lentigginose<a class="tag" id="tag26" href="#note26">[26]</a>. -E a questi tocchi in penna de' notai pedanti e minuziosi, -corrispondono alcuni ritratti che ne rimangono. Un curioso -libro, il Memoriale del Baldovinetti, dove codesto -antenato del famoso pittore usava illustrar con figure le -sue ricordanze, ci ha conservato i profili delle tre schiave -da lui comprate negli anni 1377, 1380 e 1388; la “Tiratea -overo Doratea tartara da Rossia, giovane di 18 anni o -più„, la “Domenica, è de pelle bianca ed è de proxima -de Tartaria„, e la “Veronica giovane di 16 anni„, -“comperála quasi ignuda da Bonarota di Simone di Bonarota,„ -un antenato di Michelangiolo; ma la Dorotea, -la Domenica e la Veronica avrebber potuto benissimo — un -po' invecchiate — servir di modello al futuro Buonarroti -per le <i>Tre Parche</i>. -</p> - -<p> -Coteste donne, o brutte o belle che fossero, entravano -nelle famiglie de' Fiorentini ricchi per attendere ai più -umili uffici, e badare ai bambini: e davano un gran -pensiero, per ogni conto, alle povere massaie. Il sonetto -del Pucci “le schiave ànno vantaggio in ciascun atto. -E sopra tutte l'altre buon partito,„ ce ne spiega maliziosamente -alcuna ragione, e ci dice che spesso sapean -dare alle padrone “scacco matto„. Le quali, come confessava -parecchi anni appresso l'Alessandra Macinghi, si -vendicavano col metter loro “le mani addosso„. Pure -anche allora non potean farne a meno: erano le bambinaie -e le <i>bonnes</i> di quei tempi; e la Strozzi scriveva al -suo Filippo in Napoli: “E pertanto ti ricordo el bisogno; -che avendo attitudine averne una, se ti pare, tu -dia ordine d'averla: qualche tartera di nazione, che -sono, per durar fatica, vantaggiate e rustiche. Le rôsse, -cioè quelle di Rossia, sono più gentili di compressione -e più belle; ma a mio parere sarebbon meglio tartere„. -<span class="pagenum" id="Page_62">[62]</span> -Nè per questa scelta potea Madonna Lessandra trovar -chi più di Filippo avesse la mano felice: il quale presso -di sè tenea da vario tempo una schiava “che sapeva -così ben fare„<a class="tag" id="tag27" href="#note27">[27]</a>, di cui essa il 7 aprile 1469 aveagli -scritto: “Avete costì Andrea e massime Tommaso Ginori, -che venne el dì della Pasqua e me n'ha detto -molte cose.... e <i>così della Marina, dei vezzi che ella ti -fa</i>„. E un anno appresso, con accento piuttosto ironico: -“Mandávi gli sciugatoi.... fatene masserizia che -non si perdino; che <i>madama</i> Marina no' gli mandi -a male„. Dove vediamo che con i vezzi e le astuzie -sapevan coteste donne cattivarsi i padroni e diventar -madame, e meritarsi, come appunto cotesta Marina, la -libertà e per “le buone fatiche et buoni portamenti„<a class="tag" id="tag28" href="#note28">[28]</a>, -alcun'assai liberale disposizione testamentaria. -</p> - -<p> -Meno male: peggio quando, come accadde a Francesco -Datini, le cui beneficenze verso i Pratesi non fan -dimenticare le gravi colpe ch'egli ebbe verso la moglie, — peggio, -quando cotesto trafficato sangue di tartare e -di russe si mescolava con quelli, sin allora schietti, delle -antiche e libere stirpi! -</p> - -<h3>V.</h3> - -<p> -Ma ritorniamo nelle aure pure della famiglia, dove -con le ricchezze accumulate eran, pur troppo, entrati i -mal germi, onde si corruppe e disfece più tardi la vita -e la coscienza italiana. Fra il Tre e il Quattrocento era -seguito un gran crollo: il rinnovarsi dei tempi e de' -costumi, già anelanti e vagheggianti la scioltezza del -vivere che si sbrigliò nel Rinascimento, aveano intepidito -la fede, smagato la religione, e la gente parea soltanto -<span class="pagenum" id="Page_63">[63]</span> -intendere ai godimenti mondani. Le lettere del -Mazzei ce ne porgono testimonianza: il buon notaio di -Prato è il savio d'un'“anima rozza„ e d'un “cuore agghiacciato„<a class="tag" id="tag29" href="#note29">[29]</a>: -quel suo amico Datini, diciamolo aperto, -è il più esoso tipo di mercante che ci abbia dato quel -secolo. Ser Lapo è uno spirito ascetico, timorato, un -uomo di buona e antica fede, un moralista convinto. In -quelle <i>Lettere</i> ci par di vedere alle prese il peccatore -ribelle col sant'uomo, che vuol condurlo ad una buona -morte, alla redenzione delle colpe terrene. È la lotta del -sentimento religioso con lo spirito di materialità de' nuovi -tempi, che sfolgorò nella gloria della Rinascenza, ma -che dopo così mirabili splendori lasciò nelle anime degl'Italiani -un buio ed un vuoto paurosi. Da coteste tenebre, -purificatosi nei secoli di servitù, maceratosi nelle -vigilie del pensiero, l'uomo moderno doveva risorger -più tardi. -</p> - -<p> -Ritorniamo in famiglia nella casa fiorentina, dalle cui -finestre “le schiavette amorose scotevano le robe la -mattina, fresche e gioiose più che fior di spina„<a class="tag" id="tag30" href="#note30">[30]</a>: nella -casa dove la buona massaia godè appena pochi mesi -felici, dopo le nozze, mentre poi dovè noverare gli anni -del matrimonio da' nomi dei figliuoli che le crescevano -intorno e le ricordavano, ciascuno, qualche lunga assenza -del marito, andatosene a trafficare oltremonte od -oltremare. -</p> - -<p> -La giovenile freschezza appassiva, e, come scrive il -Sacchetti, “la più bella che sia, in piccol tempo, come -un fiore, vien meno, e diventa secca nell'ultima vecchiezza -e in fine doventa uno teschio„<a class="tag" id="tag31" href="#note31">[31]</a>. È naturale cercassero -<span class="pagenum" id="Page_64">[64]</span> -con l'arte correggere la natura e porre riparo -ai danni del matrimonio, e non soltanto per vanità. -Perfino i maestri dipintori come Taddeo Gaddi, s'accordavano -nel giudicare con Alberto Arnoldi<a class="tag" id="tag32" href="#note32">[32]</a> che le donne -fiorentine “sono i migliori dipintori del mondo„. “E fu -mai dipingere, che su 'l nero, o del nero facesse bianco, -se non costoro? E qual artista, o di panni, o di lana, -o dipintore, è che del nero possa far bianco? certo -niuno; perocchè è contro natura. Serà una figura pallida -e gialla, e con artificiali colori la fanno in forma -di rosa. Quella che per difetto, o per tempo, pare secca -fanno divenire fiorita e verde. Io non ne cavo Giotto, -nè altro dipintore che mai colorasse meglio di costoro; -ma quello che è vie maggior cosa, che un viso che sarà -mal proporzionato, e avrà gli occhi grossi, tosto parranno -di falcone; avrà il naso torto, tosto il faranno -diritto; avrà mascelle d'asino, tosto l'assetteranno; avrà -le spalle grosse, tosto le pialleranno; avrà l'una in fuori -più che l'altra, tanto la rizzafferanno con bambagia, che -proporzionate si mostreranno con giusta forma. E così il -petto e così l'anche, facendo quello, senza scarpello, -che Policreto con esso non avrebbe saputo fare.... Insomma -le donne fiorentine sono maggiori maestre di -dipignere e d'intagliare, che mai altri maestri fossono, -perocchè assai chiaro si vede ch'elle restituiscono dove -la natura ha mancato.„ — Nè di ciò possiamo o vogliamo -riprenderle: unica libertà, onde godevano, mascherarsi -da giovani e felici, rifarsi lieto e fresco il volto, -quando spesso il cuore piangeva, in vedersi d'intorno e -da presso altri visi di donna. Anche amavano variar le -fogge, le mode, le “portature„, e in ciò sfogavano la -loro ambizione. I lodatori dell'antico, cominciando da -Dante, le biasimavano di tanta volubilità, ingrata fino -<span class="pagenum" id="Page_65">[65]</span> -ai novellieri moralisti, ingratissima ai rettori, a quel -governo di mariti che volentieri avrebbe lesinato su codesto -lusso delle mogli. -</p> - -<p> -“Se un arzagogo apparisse con una nuova foggia, -tutto il mondo la piglia„. “Che fu a vedere già le donne -col capezzale (lo scollo) tanto aperto che mostravano -più giù che le ditelle! (le ascelle); e poi dierono un -salto, e feciono il collaretto infino agli orecchi„. “Le -giovanette che soleano andare con tanta onestà„, hanno -“tanto levata la foggia al cappuccio„ da ridurlo una -berretta e “imberrettate portano al collo il guinzaglio, -con diverse maniere di bestie appiccate al petto. Le -maniche loro, o sacconi piuttosto si potrebbono chiamare, -qual più trista e più dannosa e disutile foggia -fu mai? potè nessuna tôrre o bicchiere o boccone di -su la mensa che non imbratti e la manica e la tovaglia -co' bicchieri ch'ella fa cadere?... Lo 'mbusto -è tutto in istrettoie, le braccia con lo strascinío del -panno, il collo asserragliato da' cappuccini.....„ “Non si -finirebbe mai di dire delle donne, guardando allo smisurato -traino de' piedi„ alle code delle vesti “e andando -infino al capo; dove tutto di su per li tetti, chi l'increspa, -e chi l'appiana, e chi l'imbianca, tantochè spesso di -catarro si muoiono„<a class="tag" id="tag33" href="#note33">[33]</a>. -</p> - -<p> -Ma cotesta smania del nuovo s'attaccava anche agli -uomini. Il povero messer Valore de' Buondelmonti, un -vecchione tagliato all'antica, fu costretto da' suoi consorti -a mutare il cappuccio; e come l'ebbe fatto, tutti -se ne meravigliavano e lo fermavano per la via: “O che -è questo, messer Valore? io non vi conoscea, avete voi -i gattoni?„<a class="tag" id="tag34" href="#note34">[34]</a>. -</p> - -<p> -Venne un tempo la moda delle gorgiere intorno la -gola e delle bracciaiuole, sicchè poteva dirsi dei fiorentini -<span class="pagenum" id="Page_66">[66]</span> -portassero “la gola nel doccione„ e il braccio nel -“tegolo„, onde accadde a Salvestro Brunelleschi, “avendo -una scodella di ceci innanzi e pigliandoli col cucchiaio, -per metterseli in bocca„, di cacciarseli nella -gorgiera, e di scottarsi<a class="tag" id="tag35" href="#note35">[35]</a>. Più tardi venne quella delle -“calze„ (i calzoni) di differenti colori non solo, ma anche -“dimezzati e attraversati di tre o quattro colori„: -de' piedi con una punta lunghissima<a class="tag" id="tag36" href="#note36">[36]</a>; e delle gambe -così “incannate co' lacci che appena si possono porre a -sedere„. “I più dei giovani senza mantello vanno in -zazzera„ e “al polso danno un braccio di panno„ e -“mettono in un guanto più panno che in un cappuccio„<a class="tag" id="tag37" href="#note37">[37]</a>. -</p> - -<p> -Le vecchie foggie contrastavano con le nuove, con le -modernissime: ognuno si sbizzarriva a sua posta. La -gente, curiosa anche allora, prendea diletto a vedere -“le nuove cappelline, le nuove cuffie e le nuove cianfarde, -e' nuovi gabbani, i nuovi tabarroni, e le antiche -arme; sì che appena si conoscono insieme, sguarguatando -(sbirciando) l'uno insino in sul viso dell'altro, -prima che si conoscono„<a class="tag" id="tag38" href="#note38">[38]</a>. Una vera mascherata! -</p> - -<h3>VI.</h3> - -<p> -Ora gli uomini, che han sempre fatto le leggi, pensarono -con tal freno vietare i “disordinati ornamenti -delle donne di Firenze„. Il Comune promulgò statuti suntuari -fino dal 1306 e dal 1330<a class="tag" id="tag39" href="#note39">[39]</a>, e provvisioni severissime -nel 1352, nel 1355, nel 1384, nell'88, nel 1396 e poi di -nuovo nel 1439<a class="tag" id="tag40" href="#note40">[40]</a> e nel 1456 e perfino ne troviamo -<span class="pagenum" id="Page_67">[67]</span> -nel 1562<a class="tag" id="tag41" href="#note41">[41]</a>. I religiosi tuonavano dal pergamo, i savi -ammonivano e davano, come il Dominici, “regoluzze„ -alle madri timorate “circa i vestimenti„; i novellieri -mordevano con le loro facezie il lusso troppo smodato. -Anche nelle altre città di Toscana e d'Italia, si mandava -a Firenze “per esempio de' detti ordini„ e per -“confermargli„<a class="tag" id="tag42" href="#note42">[42]</a>. -</p> - -<p> -Incomincia una contesa, una lotta assai singolare tra -la burbanza de' legislatori severi e la malizia donnesca. -Le femmine astute non contrastano apertamente, ma -fingon di piegare il capo crucciose, finchè passi quella -bufera. Sono addottrinate, esperte del mondo: le leggi -troppo severe rimangono senza sanzione. Quando e come -possano, cercano, se non annullarle, deluderle. Alla venuta -del duca di Calabria, nel 1326, si fanno attorno -alla duchessa sua moglie che è una francese, Maria di -Valois, e ottengono sia loro reso un “loro ornamento -di trecce grosse di seta gialla e bianca, le quali portavano -in luogo di trecce di capelli dinanzi al viso..., -ornamento disonesto e trasnaturato„, brontola il Villani -che vide “il disordinato appetito delle donne„ vincere -“la ragione e il senno degli uomini„. Quattr'anni -appresso i Fiorentini per calen d'aprile “del 1330„ -“tolgono tutti gli ornamenti alle lor donne„ e come -dice il Del Lungo in un magistrale lavoro, a cui per -voi darà qui il desiderato compimento, “le disabbigliano -da capo a piè„<a class="tag" id="tag43" href="#note43">[43]</a>. -</p> - -<p> -Anche questa, bufera che passa! A simiglianza delle -donne di Fiandra, tormentate per la stessa cagione da -Tommaso Connette fanatico carmelitano, esse, come -<span class="pagenum" id="Page_68">[68]</span> -scrive il Paradis negli <i>Annales de Bourgogne</i> “<i>releverent -leur cornes, et firent comme les lymaçons, lesquels -quand ils entendent quelque bruit retirent et reserrent -tout bellement leurs cornes; mais, le bruit passé, -soudain ils les relevent plus grandes que devant</i>„<a class="tag" id="tag44" href="#note44">[44]</a>. -E occasione a rilevarle, la venuta del duca d'Atene in -Firenze nel 1342, e la “sformata mutazione d'abito„ -portata da quei francesi. -</p> - -<p> -E qui vorrei indugiarmi a descrivervi il <i>figurino</i> d'allora, -quando i giovani vestivano “una gonnella corta e -stretta„ che per metterla occorreva l'“aiuto d'altrui„, -cinta alla vita da una striscia di cuoio con ricca fibbia -e puntale, con “isfoggiata scarsella alla tedesca„, con il -cappuccio attaccato ad una corta mantellina e terminato in -una punta o becchetto lungo infino in terra, per avvolgerlo -al capo “per lo freddo„: e i cavalieri una guarnacca attillata, -con le punte de' manicottoli strascicanti per terra, foderati -di vaio, ed ermellini, de' quali le donne copiaron -subito la singolare “stranianza„<a class="tag" id="tag45" href="#note45">[45]</a>. Ma gli affreschi del -Memmi in S. Maria Novella, che ritraggono quelle fogge, -sono a voi noti, anche per visite recenti, quando in -un'occasione solenne tentaste di rinnovarle. A studio, -dico <i>tentaste</i>, perchè l'eleganza moderna non può agguagliare -la magnificenza signorile di que' drappi, di -quelle vesti sontuose. -</p> - -<p> -La <i>Prammatica</i> del vestito del 1343, che conservavasi -nell'<i>Archivio della Grascia</i>, di cui ottenni alcun -estratto dalla cortesia d'un amico il quale ebbela fra -mano, serba memoria di quegli splendidi abbigliamenti -ch'eran colpiti dal rigor delle leggi e bollati con un -marchio di piombo, avente sull'una e sull'altra faccia -un mezzo giglio ed una mezza croce, a cura dei famigli -di quei poveri “uficiali forestieri„, deputati dal Comune -<span class="pagenum" id="Page_69">[69]</span> -all'applicazione della legge. Eccovi descritto un -capo di vestiario proibito, appartenente a donna Francesca -moglie di Landozzo di Uberto degli Albizzi del -popolo di San Pier Maggiore: “Un mantello nero di -drappo rilevato col fondo di color giallo, con sopra uccellini, -pappagalli, farfalle e rose bianche e vermiglie -e molte altre figure vermiglie e verdi, e con trabacchi -e dragoni, e con lettere e alberi gialli e neri e -molte altre figure di diversi colori, foderato di drappo -bianco con righe nere e vermiglie„. Nè basta: spesso -erano anche motti, non soltanto lettere, impressi sui -drappi. -</p> - -<h3>VII.</h3> - -<p> -Ma di quell'<i>Archivio</i> stesso <i>della Grascia</i> e di quei -disgraziati ufficiali, costretti a un cómpito così disumano, -di quei poveri potestà e capitani, cavalieri, giudici, notai -e famigli che dalle città guelfe di Lombardia e delle -Marche venivano in Firenze a sostenere le parti di rettore, -a contrastare nel loro rozzo dialetto, beffato dai -novellieri borghesi, con le lingue arrotate delle donne e -de' loro mariti, ancor si conserva un documento curioso. -Chi non ricorda la novella<a class="tag" id="tag46" href="#note46">[46]</a> di Franco Sacchetti, in cui -narra le tribulazioni di “uno judice di ragione„, Messer -Amerigo Amerighi da Pesaro, “bellissimo uomo del -corpo„, e ancora “valentissimo della sua scienza„, il -quale ebbe mandato, mentre Franco era de' Priori nella -nostra città, di proceder sollecitamente ad eseguire certi -“nuovi ordini„, al solito “sopra gli ornamenti delle -donne?„ Il valente giudice si pone all'opera, e manda -attorno il notaio, e i famigli, a fare inquisizioni; ma i -<span class="pagenum" id="Page_70">[70]</span> -cittadini vanno a' Signori e dicono “che l'officiale nuovo -fa sì bene il suo officio, che le donne non trascorsono -mai nelle portature come al presente fanno.„ -</p> - -<p> -Or ecco la discolpa di Messer Amerigo: “Signori -miei, io ho tutto il tempo della vita mia studiato, per -apparar ragione; e ora, quando io credea sapere qualche -cosa, io trovo che io so nulla; perocchè cercando -degli ornamenti divietati alle vostre donne per gli ordini -che m'avete dati, sì fatti argomenti non trovai -mai in alcuna legge, come son quelli che elle fanno; -e fra gli altri ve ne voglio nominare alcuni. E si truova -una donna col becchetto frastagliato avvolto sopra il -cappuccio. Il notaio mio dice: Ditemi il nome vostro, -perocchè avete il becchetto intagliato. La buona donna -piglia questo becchetto, che è appiccato al cappuccio -con uno spillo e recaselo in mano, e dice ch'egli è una -ghirlanda. Or va' più oltre, truovo molti bottoni portare -dinanzi. Dicesi a quella che è truovata: Questi -bottoni voi non potete portare. E quella risponde: -Messer sì, posso, chè questi non sono bottoni, ma sono -coppelle; e se non mi credete, guardate, e' non hanno picciuolo; -e ancora, non c'è niuno occhiello. Va il notaio -all'altra che porta gli ermellini, e dice: Che potrà apporre -costei? Voi portate gli ermellini. E la vuole -scrivere. La donna dice: Non iscrivete, no; chè questi -non sono ermellini, anzi sono lattizzi. Dice il notaio: -Che cos'è questo lattizzo? E la donna risponde: È una -bestia„. E il notaio non insiste, come non sanno insistere -i magnifici signori Priori, che si ricordano delle -loro donne lasciate a casa, e conchiudono, come hanno -sempre conchiuso in Palagio, esortando messer Amerigo -a tirar via, e lasciar “correre le ghirlande per becchetti -e le coppelle e i lattizzi, e' cinciglioni„. -</p> - -<p> -Non volevano forse che il giudice pesarese avesse -a ricordare il malinconico distico che un suo collega -<span class="pagenum" id="Page_71">[71]</span> -della <i>Mercanzia</i> aveva scritto sul margine degli <i>Statuti</i>: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">“S' tu ài niuno a chi tu vogli male</p> -<p class="i01">“Mandallo a Firenze per uficiale.<a class="tag" id="tag47" href="#note47">[47]</a></p> -</div></div> - -<p> -Pur questa volta, la novella del Sacchetti è verace -documento di storia; l'<i>Archivio della Grascia</i> serba gli -<i>Atti civili del Giudice degli appelli e nullità</i>, e fra quei -protocolli appunto ve n'è uno di Giovanni di Piero da -Lugo, notaio del dottore in legge ser Amerigo di Pesaro, -ufficiale della Grascia del Comune di Firenze, per sei -mesi, a cominciare dal XV marzo 1384. -</p> - -<p> -Quel giorno stesso l'Amerighi pubblicò, a' soliti luoghi, -un bando per ricordare le pene delle leggi contro chi -trasgrediva alla <i>Prammatica sopra 'l vestire</i>. E il 27 marzo -cominciarono per parte degli ufficiali le inquisizioni. Vedevano -per via alcuna donna con due anelli, ornati di -quattro perle, con una cappellina di velluto nero ricamata, -con una ghirlanda, con una delle abbottonature -proibite? E subito si contestava alle malcapitate (diciamolo -col frasario odierno) la contravvenzione. Andava -il messo alle case con un “mandato di comparizione„, -e il giorno fissato compariva per la moglie il marito, -che riconosceva l'errore e pagava la multa. Così s'andò -innanzi un bel po'; ma più tardi dovettero le donne, -ammaliziate, cominciare quelle contestazioni, accennate -dal novelliere, e naturalmente omesse nel protocollo del -notaio. Le inquisizioni si fanno più rare, le condanne -meno frequenti e i mariti che compariscono principiano -a negare la reità delle mogli, con validi argomenti: una -è troppo vecchia perchè possano imputarsele siffatti -trascorsi, un'altra era in casa quel tal giorno a quella -<span class="pagenum" id="Page_72">[72]</span> -tale ora, una terza è in lutto e così via.... E il protocollo -si chiude quasi senza registrare più nessuna -condanna. -</p> - -<p> -La Signoria e il giudice prima di lei si son dati per -vinti; ma non senza sospetto che quelli ufficiali, quei -notai, deputati all'odioso ministero, non si fossero lasciati -vincere dal fuoco di qualche bell'occhio, dalle carezze di -qualche voce lusingatrice. Ahimè nelle coperte della -<i>Prammatica</i> di quel tempo, leggiamo la confessione, lo -sfogo d'un cuore innamorato, prezioso documento umano -fra le pedanterie curialesche degli <i>Statuti</i>. Udite: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Li dulci canti e le brigate oneste</p> -<p class="i01">Gli uccelli, i cani e l'andar sollazzando,</p> -<p class="i01">Le vaghe donne, i templi e le gran feste</p> -<p class="i01">Che per amore solea ir cercando.</p> -<p class="i01">Ora fuoco mi sono, oimè moleste,</p> -<p class="i01">Quantunque vengo con meco pensando</p> -<p class="i01">Che tu dimori di qui or(a) lontana</p> -<p class="i01">Dolce mio bene e speme mia sovrana!</p> -</div></div> - -<p> -Le donne avean trovato alleati nella famiglia del Giudice -di ragione: la loro causa era vinta! -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -Ma per poco, giacchè quasi periodicamente si tornò -ad infierire contro la vanità femminile, e altre bufere -scoppiarono, sempre di breve durata. Anche tremendi -avversari ebbero ne' moralisti che nei trattati del <i>Governo -della famiglia</i>, seguitavano a battere cotesto tasto -(valga l'esempio del Palmieri); peggiori nemici ne' frati, -invasi dal furore di purgare il mondo dai peccati. -</p> - -<p> -Frate Bernardino da Siena nel 1425 continuò a Perugia -quei bruciamenti delle vanità che l'anno innanzi -aveva iniziato a Roma, facendo un gran falò di “capelli -posticci e contraffatti, d'ogni lasciva portatura, di balzi -da scuffie„, dadi, carte, tavolieri “e altre cose diaboliche„, -<span class="pagenum" id="Page_73">[73]</span> -preludendo alle grandi fiammate che nel 1497 -fece a Firenze il Savonarola, e che gli furono di pessimo -augurio. Ma fra tanti oppositori, non mancavano i -buoni avvocati. Nell'aprile 1461 un predicatore che aveva -vociato dal pergamo in Santa Croce contro le donne, ricorse -alla Signoria, e nel <i>Consiglio dei Richiesti</i> si trattò, -nientemeno, di proibire la moda. Ma Luigi Guicciardini, -padre al grande storico e politico, disse aver risposto a -un milanese, giudicante a sproposito dell'onestà delle -donne fiorentine dall'abito sfoggiato e dall'incedere, che -se l'abito parea disonesto, elleno erano a' fatti assai -diverse<a class="tag" id="tag48" href="#note48">[48]</a>. -</p> - -<h3>VIII.</h3> - -<p> -Ma queste leggi suntuarie, ritoccate o come oggi direbbero -“rimaneggiate„ ogni momento, più che offendere -le donne colpivan la borsa dei loro mariti; nè, -giova notarlo, si restringevano agli ornamenti, sibbene -frenavano o volevan frenare anche il lusso e l'abbondanza -delle nozze, dei battesimi, dei conviti e dei funerali. -I cortei nuziali non potevano eccedere il numero -di dugento persone. I sensali de' matrimoni dovevano -denunziare innanzi i nomi degl'invitati. Le <i>donora</i> alla -sposa eran regolate dalla legge, e così le cerimonie nuziali; -il cuoco “il quale dovrà apparecchiare per qualche -sposalizio„ era tenuto a rapportare all'ufficiale del -Comune il numero delle vivande e dei piattelli, e le vivande -non potevano essere più di tre: non più di sette -libbre di vitella, e i capponi, i paperi o gli anitroccoli -permessi dagli statuti. Del pari eran regolate le esequie, -il numero dei torchi di cera, le vesti dei morti e dei -<span class="pagenum" id="Page_74">[74]</span> -congiunti che seguivano il funerale: i doni dei battesimi.... -insomma ogni benchè menoma cosa<a class="tag" id="tag49" href="#note49">[49]</a>. Chi contravvenisse -a tali disposizioni, condannato a multe assai -gravi. -</p> - -<p> -Perchè il Comune, anche allora, cercava dovunque -argomenti per tasse, gravami e balzelli, e lo studio dei -cittadini, massime di quei furbi mercanti, era tutto in -cercare di alleggerirsi delle gravezze, di rubare con qualche -onesta licenza<a class="tag" id="tag50" href="#note50">[50]</a>. -</p> - -<p> -“<i>Il Comune ruba tanto altrui, che io posso ben rubar -lui</i>„, è un dettato antico riferito dal Sacchetti<a class="tag" id="tag51" href="#note51">[51]</a>; il quale -anche lamenta le lungaggini nelle pratiche del Comune, -perfino verso chi volea donargli le proprie castella<a class="tag" id="tag52" href="#note52">[52]</a>. -Ciascuno tirava l'acqua al suo mulino, dice Marchionne -Stefani, e anch'egli aveva il mulino suo<a class="tag" id="tag53" href="#note53">[53]</a>. S'ingegnavano -tutti a difendersi dalle gravezze e com'è sempre usanza, -scrive quel cronista, “gli animali grossi e possenti saltano -e rompono le reti„. -</p> - -<p> -Anche Francesco Datini, accostandosi a quelli che tenevan -lo Stato, provvide a' casi suoi, in quegli anni nei -quali “le guerre combattute con le armi de' mercenari -e le paci fatte a furia di denaro esigevano che la imposta -si riscotesse in un anno dieci e quindici volte<a class="tag" id="tag54" href="#note54">[54]</a>„. -Chi non potea con le amicizie e i favori, ci riusciva con -l'astuzia, come Bartolo Sonaglini che, essendosi per porre -molte gravezze, scendeva ogni mattina sull'uscio di casa -e contava a tutti le sue miserie, dicendo: “Oimè, fratel -mio, io son disfatto.„ “E' mi converrà o dileguarmi dal -mondo o morir prigione„<a class="tag" id="tag55" href="#note55">[55]</a>; onde quando vennero alla -partita di lui ciascuno dicea: Egli è diserto, e guardasi -<span class="pagenum" id="Page_75">[75]</span> -per debito; e l'un dicea: E' dice il vero, chè pure -una di queste mattine non ardiva d'uscir di casa. E -l'altro dicea: E anco così disse a me.... Sia come si -vuole, dicono gli altri, e' si vuole trattar secondo povero, -e tutti a una voce gli posono tanta prestanza, -quanta si porrebbe a uno miserabile, o poco più.„ -Fatte le prestanze e passato il pericolo, Bartolo cominciò -a uscir fuori e andava dicendo d'esser per accomodarsi -coi creditori; e così, a furia di ciance, si liberò dalle -prestanze, “dove molti altri più ricchi di lui ne rimasono -disfatti„. -</p> - -<h3>IX.</h3> - -<p> -Già i tempi maturavano. Dell'antica e proverbiata -semplicità, in tanta sete di guadagni, rimanevano monumento -vivente, ma pur rispettato, soltanto quei vecchioni -di cui Donato Velluti ci porge uno stupendo ritratto, -vivo e vigoroso come una figura di Andrea del -Castagno. -</p> - -<p> -“Bonaccorso di Piero, fu uno ardito, forte e aitante -uomo, e molto sicuro nell'arme. Fece di grandi prodezze -e valentie, e sì per lo Comune e sì in altri luoghi. -Tutte le carni sue erano ricucite, tante ferite -avea avute in battaglie e zuffe. Fu grande combattitore -contr'a Paterini e Eretici.... Era di bella statura, -di membra forti e bene complesso. Vivette ben 120 -anni, ma ben 20 anni perdette il lume, innanzi morisse, -per vecchiaia. Fu chiamato Corso, e benchè fosse -così vecchio, udii dire che la carne sua avea sì soda, -che non si potea attortigliare, e se avesse preso qualunque -giovane più atante in su l'omero, l'avrebbe -fatto accoccolare. Intesesi anche bene di mercatanzia, -e fecela molto lealmente; intanto era creduto, che -<span class="pagenum" id="Page_76">[76]</span> -venuti i panni melanesi in Firenze da Melano (de' quali -molti ne faceano venire) e tutti gli spacciava innanzi -fossono aperte le balle; molti ne faceano tignere qui, -e perch'era sì diritto, udii dire che un Giovanni del -Volpe loro fattore veggendo sì grande spaccio di detti -panni, pensò nella tinta fare avanzare più la compagnia, -e più debolmente, e con meno costo gli facea -tignere; di che essendo passato un tempo i detti -panni non avevano quel corso soleano: di che cercando -la cagione, trovarono che era stato per la sottilità -del detto Giovanni, di che egli il volea pure uccidere. -</p> - -<p> -“Il detto Bonaccorso avendo perduto il lume, il più -si stava in casa. Avea di dietro al palagio di Via -Maggio.... un verone lungo quanto tenea il detto palagio, -in sul quale rispondea tre camere dal lato di -dietro, per le quali egli andava, e tanto andava in -qua e in là ogni mattina, che facea ragione essere ito -tre o quattro miglia, e fatto questo asciolvea, e l'asciolvere -suo non era manco di due pani, e poi a desinare -mangiava largamente, perocchè era grande -mangiante: e così passava la sua vita. Ora perchè si -sappia come morì, udii dire a mio padre, che gli venne -voglia andare alla stufa, e così andò, nella quale stufa -s'incosse un piede; di che essendo tornato e veggendo -che per essa cagione non potea andare, nè fare il suo -usato esercizio, in sul verone, immantinente sì si (ac)cusò -morto. Or avvenne in quel tempo che Filippo suo -figliuolo, e mio avolo che fu, menando Monna Gemma -de' Pulci sua seconda donna, avendo il dì molto motteggiato -dicendo: <i>ora farebbe bisogno a me d'avere -moglie, più ch'a figliolmò, che m'aitasse</i>, e molte altre -ciance, gli venne voglia, essendo sul letto, farsi portare -in sul lettuccio da sedere: di che chiamato mio -padre e Gherardo suoi nipoti, avendosi colle mani -<span class="pagenum" id="Page_77">[77]</span> -e braccia appoggiato in sulle spalle loro; subitamente -per grande vecchiezza la vita gli venne meno, e -morì„<a class="tag" id="tag56" href="#note56">[56]</a> -</p> - -<h3>X.</h3> - -<p> -Con il ricordo di questa “cara e buona immagine paterna„, -affrettiamoci a' tempi nuovi, al nuovo secolo, -di cui ormai rosseggia in cielo, nel cielo della letteratura -e dell'arte, la splendida aurora. Già ne scorgemmo -i segni annunziatori nell'ottenuto acquisto della ricchezza, -nell'affrancarsi così dai vecchi pregiudizi, come dalle severe -regole del vivere antico, nelle tendenze egoistiche -preparanti lo svolgimento di quel che i moderni critici -chiamano “individualismo,„ onde meglio si comprende -il carattere degli uomini e della vita della Rinascenza. -</p> - -<p> -L'affetto per il Comune, per la patria e anche per la -famiglia, già s'affievolisce col desiderio acuto de' godimenti, -di che non era avara la vita a chi volea gustarne -le dolcezze. L'incredulità fa capolino; lo scetticismo, la -sensualità, minacciano di prendere il sopravvento. Coteste -generazioni, dopo i terribili terrori delle pestilenze, -scampate all'infuriar del contagio, doveron quasi meravigliare, -stupire di risvegliarsi alla vita. -</p> - -<p> -Dalla grande moria del 1348 ai primi del '400, i cronisti -ne registrano molte altre: ricordiamo quelle del 1363, -del 1374, del 1400, del 1411, del 1420 e del 1424. Un -nostro erudito spogliando il libro de' morti degli Ufficiali -della Grascia, noverò dal 1.º maggio al 18 settembre 1400, -ben 10908 morti, la massima parte fanciulli<a class="tag" id="tag57" href="#note57">[57]</a>. Della -peste del 1348, oltre alla classica e grandiosa descrizione -del Boccaccio, troviamo vivi e dolorosi ricordi nelle cronache -famigliari, ne' diarii, ne' memoriali. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_78">[78]</span> -</p> - -<p> -Dovè essere un pauroso, un raccapricciante spettacolo! -Giovanni Morelli racconta che in un'ora “si vedeva ridere -e motteggiare„ il vicino o l'amico “e nell'ora medesima -il vedevi morire„. La gente cascava morta per -istrada “su per le panche„ come abbandonata, senza -aiuto o conforto di persona. Molti impazzivano e si buttavano -nel pozzo, o giù dalle finestre o in Arno, dal gran -dolore o dalla orribile paura. Tanti morirono senza esser -veduti e “infracidavano su per le letta„, molti si sotterravano -ancor vivi. “Avresti veduto una croce ire per -un corpo e averne dietro tre o quattro prima giugnesse -alla chiesa„<a class="tag" id="tag58" href="#note58">[58]</a>. Si calcola che in Firenze morissero i due -terzi delle persone, “cioè de' corpi ottantamila„<a class="tag" id="tag59" href="#note59">[59]</a>. Della -moria del '400, veggiamo un'efficace pittura in una lettera -di Ser Lapo Mazzei. “Qui non s'apre appena appena -bottega: i rettori non stanno a banco: il palagio -maggiore senza puntelli: nullo si vede in sala: morti -non ci si piangono, contenti quasi solo alla croce„<a class="tag" id="tag60" href="#note60">[60]</a>. -Era uno spavento: i figliuoli morivano, cadevan gli amici, -i vicini, i conoscenti, gl'ignoti; nel colmo della estate, -passavano i cento al dì; nel luglio vi fu un giorno che -furon dugento. -</p> - -<p> -Di quella del 1420 scrive nel suo <i>Libro segreto</i> Gregorio -Dati: “La pestilenzia fu in casa nostra, e cominciò -dal fante, cioè Paccino, a l'uscita di giugno 1420; e -poi da indi a tre dì la Marta nostra schiava, e poi al -primo dì di luglio la Sandra mia figliuola, e a dì 5 di -luglio l'Antonia. E uscimmo di casa, e andammo dirimpetto; -e in fra pochi dì morì la Veronica: e uscimmone -e andammo in Via Chiara, e presevi il male alla -Bandecca e alla Pippa, e amendue s'andarono a Paradiso -<span class="pagenum" id="Page_79">[79]</span> -a dì 1.º d'agosto, tutti di segno di pestilenza<a class="tag" id="tag61" href="#note61">[61]</a>. -Iddio li benedica!„ -</p> - -<p> -Chi poteva fuggire, scappava ad Arezzo, a Bologna, -in Romagna, in alcuna città e terra dove credesse potersi -stare sicuro. Il Datini se n'andò a Bologna, portando -la famiglia, i domestici e i forzieri su ronzini e -su muli carichi di ceste<a class="tag" id="tag62" href="#note62">[62]</a>. Buonaccorso Pitti scampò -dalla peste del 1411 recandosi a Pisa in una casa a pigione, -dove in sette mesi spese 1300 fiorini e gli morì -una figliuola e un famiglio. Nel '24 mandò il figlio suo -Luca con la moglie e i bambini a Pescia, dove poi si -ridusse con gli altri congiunti. -</p> - -<p> -Era di regola recarsi “in qualunque luogo la mortalità -non fosse stata„<a class="tag" id="tag63" href="#note63">[63]</a>; rimedi contro l'oscuro malore non -c'erano, nè l'arte dei medici sapea consigliarli. Il Morelli -prescrive alcune norme che oggi si direbbero igieniche: -la pestilenza del 1348 era stata cagionata da una terribile -carestia: “l'anno dinanzi era suto in Firenze gran -fame„<a class="tag" id="tag64" href="#note64">[64]</a>; “vivettesi d'erbe, e di barbe d'erbe, e di cattive„, -“tutto contado era ripieno di persone, che andavano -pascendo l'erbe come le bestie„, e i corpi -erano disposti e non avevano “argomento nè riparo -niuno„. Consiglia, pertanto, conservarsi sani, riguardarsi, -mangiar bene, sfuggire l'umido, “spender largamente„, -senza “niuna masserizia„ senza economia “fuggi(r) malinconia -e pensiero„, pigliarsi “spasso piacere e allegrezza„, -non “pensare a cosa ti dia dolore o cattivo -pensiero„, giuocare, cavalcare, divertirsi, stare allegri, -tenere “in diletto e in piacere la tua famiglia„, e “far -con essa buona e sana vita senza pensiero di fare per -<span class="pagenum" id="Page_80">[80]</span> -allora masserizie; che assai s'avanza a stare sano e -fuggire la morte„<a class="tag" id="tag65" href="#note65">[65]</a>. -</p> - -<p> -Gli “avanzati„ dal mortale flagello, doverono ben -presto avvezzarsi al nuovo tenore di vita, anche passato -il pericolo. Effetto della peste e de' suoi terrori, le processioni -dei “<i>penitenti bianchi</i>, simiglianti a quelle che -quasi un secolo innanzi, sotto il nome di <i>compagnie -de' battuti</i>, avevan percorsa tutta l'Europa. Partivansi -in folla dalle lor case mescolati uomini e donne, laici -ed ecclesiastici, tutti vestiti di bianche cappe che lor -coprivano anche la faccia, avendo un crocefisso per insegna; -e andavano processionalmente di paese in paese -cantando laudi, pregando con alte voci <i>misericordia</i>. -Giacevano quasi sempre all'aria aperta, non domandavano -che pane e acqua. I popoli delle città visitate, -accendendosi d'egual fervore andavano col medesim'ordine -a visitare un'altra città. Alla comparsa dei pii -pellegrini, tutti movevansi a penitenza, le gravi inimicizie -si deponevano, si pacificavano le discordanti fazioni, -le città si riempivano di santimonia„<a class="tag" id="tag66" href="#note66">[66]</a>. A Firenze -i facinorosi voleano profittarne per liberare i prigioni -delle Stinche; ma fortunatamente s'impedì che la città -n'andasse a romore d'arme, e tra le altre si fecer le paci -tra i Pitti e i Corbizi<a class="tag" id="tag67" href="#note67">[67]</a>. Anche Francesco Datini nell'agosto -1399 andò in pellegrinaggio, “vestito tutto di -tela lina bianca e scalzo„, co' suoi famigli, amici e vicini. -Erano in tutto dodici e portaron seco due cavalle -e una muletta, “in sulle quali bestie mettemmo un paio -di forzeretti, in che furono più scatole di tutte ragioni -confetti, e formaggio d'ogni ragione, e pane fresco e -biscottato, e berlingozzi zuccherati e non zuccherati e -<span class="pagenum" id="Page_81">[81]</span> -più altre cose che s'appartengono alla vita dell'uomo, -tanto che le dette cavalle furono presso che cariche di -vettovaglie„<a class="tag" id="tag68" href="#note68">[68]</a>. Stettero in pellegrinaggio dieci giorni, -dal 28 agosto al 6 di settembre, e giunsero fino ad Arezzo -o poc'oltre; e dovunque si fermavano compravano cose -da mangiare. Era davvero un allegro modo, e comodo, -di far penitenza, e di pellegrinare a cavallo! -</p> - -<p> -Delle pratiche religiose, i più accorti e più increduli rispettavano -appena la forma esteriore, come il Datini, che -temeva i rimbrotti e i predicozzi dell'amico e mentore -spirituale Ser Lapo Mazzei. -</p> - -<p> -Altri, come Buonaccorso Pitti, già ci porgono l'immagine -dell'uomo della Rinascenza, che non ha terraferma, -e gira il mondo, rôso da una interna irrequietezza, -e giuoca, e perde, traffica, e mescola la politica ai commerci -e ai sollazzi, come un avventuriere del Settecento, -come un Benvenuto Cellini, ma senza l'arte e con molto -meno d'ingegno. Curioso, strano tipo questo Pitti che -sembra morso dalla tarantola e mena le mani e sta a -tu per tu con Carlo VI<a class="tag" id="tag69" href="#note69">[69]</a>, con duchi e principi, che cavalca -a Roma difilato per una scommessa con una giovane -ond'era invaghito<a class="tag" id="tag70" href="#note70">[70]</a>; gran danzatore, giuocatore -ostinato e prode e leal cavaliere, e in patria assunto agli -uffici supremi<a class="tag" id="tag71" href="#note71">[71]</a>. Il Burckhardt lo chiama addirittura un -precursore del Casanova, che viaggia continuamente in -“qualità di mercante, di agente politico, di diplomatico -e di giuocatore di professione„. “Guadagnò e perdette -enormi somme, e non trovava competitori che fra i -principi, quali ad esempio, i Duchi di Brabante, di -Baviera e di Savoia„<a class="tag" id="tag72" href="#note72">[72]</a>. Questo il padre di quel Luca -Pitti che in ricchezza e in magnificenza rivaleggiava coi -<span class="pagenum" id="Page_82">[82]</span> -Medici e voleva anche in ogni altra cosa andare a paro -con Cosimo. I mercanti di panni divenuti banchieri e -prestatori, aveano in quei viaggi, in quei traffichi, con -quelle “fattorie„ sparse in varie città d'Europa, ne' più -operosi centri del commercio, negli scali più frequentati, -accumulato smisurate ricchezze, ed era venuto il tempo -di godersele tranquillamente. -</p> - -<p> -Già Fiorenza come una bella e prosperosa giovane -“con buone parti„ e dote abbondante, cessate le gare -fra i partiti che se la contendevano, all'ombra de' lauri -medicei socchiudeva gli occhi abbarbagliati da tante -sfoggiate magnificenze, onde, come femmina, s'era lasciata -conquidere. Le famiglie, fatta la roba, voglion -fondar la casata: si cercano i maritaggi più convenienti -e si discutono quasi fossero alleanze. L'Alessandra Macinghi -va a tutte le messe “in Santa Liperata„ e si -pone “allato„ alle fanciulle, con cui vorrebbe per il suo -Filippo far parentado, e con occhio di futura suocera le -studia, le esamina, le spoglia, e ne scrive al figliuolo -come se si trattasse d'un mercato di polledre e non d'un -matrimonio. Egli è vero che la buona madonna Lessandra, -per me troppo esaltata e lodata, dovette avere -piuttosto cuor di mercante che di donna. Che mettesse -le mani addosso alle schiave, lo confessava ella stessa -senza ritegno; era costume, e fors'anche con quelle rôsse -e tartare la pazienza doveva facilmente scappare. Ma di -lei e della sua pietà troviamo un documento rivelatore. -Si tratta di due vecchi, gli unici che rimanessero d'una -famiglia di lavoratori di Pozzolatico: “ancora vive Piero -e mona Cilia, tramendua infermi. Ho allogato il podere -per quest'altr'anno, e me lo conviene mettere in -ordine: e que' due vecchi se non muoiono, hanno andare -accattare. Iddio provvegga„<a class="tag" id="tag73" href="#note73">[73]</a>. Nè crediate sia -<span class="pagenum" id="Page_83">[83]</span> -questo un tristo, ma fugace pensiero: è un fermo proposito. -In una lettera scritta, pochi mesi dopo, nel dicembre -del 1465, leggiamo: “Piero vive ancora„ a Mona -Cilia Iddio aveva forse già provveduto “e bisogna che -se n'esca, e andrà accattando.... Arà pazienza: che Iddio -lo chiami a sè, se 'l meglio debb'essere!„<a class="tag" id="tag74" href="#note74">[74]</a> Col cuore, -non si fa masserizia! -</p> - -<h3>XI.</h3> - -<p> -Ma chi aveva accresciute e moltiplicate le proprie sostanze, -mostrava sentimenti più nobili e animo più gentile. -Giovanni Rucellai ci dà l'immagine compiuta del -fiorentino ricco che sente la dignità del nuovo stato in -cui fu posto dalla fortuna; la quale “non tanto gli ha -conceduto grazia nel guadagnare, ma ancora nello spenderli -bene, che non è minor virtù che il guadagnare. -E credo — scrive nel suo <i>Zibaldone</i>, — che m'abbi -fatto più onore l'averli bene spesi ch'averli guadagnati, -e più contentamento nel mio animo,„ e “massimamente -delle muraglie ch'io ho fatte della casa mia di -Firenze, del luogo mio di Quaracchi, della facciata della -chiesa di Santa Maria Novella, e della loggia nella -Vigna dirimpetto alla casa mia„. E ringrazia messer -Domenedio,„ d'averlo fatto “creatura razionale,„ cristiano -e non “turco, moro, o barbaro„, d'averlo fatto -nascere “nelle parti d'Italia, la quale è la più degna e -più nobile parte di tutto il cristianesimo, e nella provincia -di Toscana la quale è reputata delle degne provincie -ch'abbi l'Italia„, e altresì d'avergli dato la vita -nella “città di Firenze, la quale è reputata la più degna -e la più bella patria che abbi non tanto il cristianesimo -ma tutto l'universo mondo„, e infine d'avergli -<span class="pagenum" id="Page_84">[84]</span> -dato l'essere “nell'età presente, la quale si tiene per li -intendenti ch'ella sia stata e sia la più grande età che -mai avessi la nostra città poi che Firenze fu edificata.... -per esser stato al tempo del magnifico cittadino Cosimo -di Giovanni de Medici„. — E più lo ringraziava d'avergli -concesso d'allearsi con lui, per il matrimonio della Nannina -figlia di Piero e nipote di Cosimo, con il proprio -figliuolo Bernardo, splendido parentado di che il Rucellai -insuperbiva. -</p> - -<p> -Firenze allora celebrava, senza temere i rigori delle -leggi suntuarie cadute in disuso, le feste nuziali delle -grandi famiglie. Le nozze di Baccio Adimari con la Lisa -de' Ricasoli, celebrate nel 1420, ci son rappresentate da -un'antica tavola della Galleria dell'Accademia di Belle -Arti, e vediamo gli sposi con la loro accompagnatura -danzare sotto un padiglione a strisce di vari e ridenti -colori, al suono d'una musica di trombe e di pifferi; ma -di queste del Rucellai con la Medici, che ci danno l'imagine -della vita d'allora, vogliamo tentare un quadro di cui -ci fornirà le linee, i colori e il disegno lo <i>Zibaldone</i> del -buon vecchio che ne serbò caro e pregiato ricordo. -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -Dorati dal fiammante sole di giugno, i festoni di verzura -si distendevan superbi da un lato all'altro della via, -levando in alto gli scudi, la metà coll'arme de' Medici e -la metà coll'arme de' Rucellai. Le pietre ruspe della facciata -che la magnificenza di Giovanni Rucellai aveva -pochi anni innanzi fatto murare, come credesi, da Leon -Battista Alberti, acquistavano quasi nuovo colore coperte -com'erano dagli smaglianti parati e dalle ghirlande -di fiori penzolanti da' pilastri dorici del primo -piano e dai pilastri corinti del secondo e del terzo. Dirimpetto -al palazzo, nella piazzuola di fronte alla loggia, -era stato eretto un palco che aveva la figura d'un triangolo. -Lo copriva, per difesa del sole, un cielo di panni -<span class="pagenum" id="Page_85">[85]</span> -turchini adornato di ghirlande, in mezzo alle quali sbocciavano -freschissime rose; mentre di sotto, sull'assito di -legno, si stendevano arazzi preziosi, che paravano anche -le panche messe lì torno torno per comodo d'aspettare, -e le spalliere chiudenti in giro il vago recinto. I lembi -del gran velabro turchino scendevano qua e là fino a -terra, come aeree colonne. Da una parte di quel gran -padiglione sorgeva una credenza su cui splendevano vasi -e piatti d'argento lavorati a rilievo da quanti più valenti -orafi ed argentieri noverasse allora Firenze: e la -ricchezza di quegli arredi annunciava la sontuosità del -convito che apparecchiavasi. -</p> - -<p> -Nella via di fianco al palazzo s'eran poste le cucine, -dove fra cuochi e sguatteri lavoravano cinquanta persone. -Il rumore era grande; via della Vigna da un capo all'altro -era piena di gente: agli artefici che avevan preparato -gli addobbi, succedevano i messi che portavano i -doni degli amici, dei clienti, del parentado: i contadini, -i giardinieri, i bottegai, gli speziali che portavano le -vettovaglie; i pifferi e i trombetti che preparavan le -musiche: i giovani cavalieri che si accingevano agli armeggiamenti -nuziali. -</p> - -<p> -Quella domenica — era l'otto giugno del 1466 — poco -dopo il levar del sole avea la gente cominciato ad accorrere -da ogni parte al palazzo dove le nozze dovean -celebrarsi: arrivavano, cara e promettente vista ai curiosi, -vitelle squartate, barilozzi di vino greco, capponi -quanti ce ne possono stare appiccati a una stanga portata -a spalla da due robusti villani, stangate di formaggi -di bufalo, coppie di paperi, barili di vino comune e di -scelto trebbiano, corbelli pieni di melarance, ceste di pesci -di mare grandi e odorosi, paniere di pesciolini d'Arno -con le squame d'argento, caprioli, lepri, giuncate. — Venivano, -portate dagli ortolani dei monasteri, cestelline di -zuccherini, di berlingozzi e d'altre dolcissime delicature -<span class="pagenum" id="Page_86">[86]</span> -preparate dalle candide mani di monacelle gentili: venivano -a gran fatica, dondolando la testa fronzuta, e barcollando -sui carri tirati da bovi sbuffanti un magnifico -ulivo di Carmignano, e ginestre e quercioli tolti alla -villa di Sesto, co' fiori che la ridente stagione donava in -gran copia. -</p> - -<p> -Dovevano i regali aggiunger magnificenza alla festa, -ed esser degni di chi li offriva, e testimoniare insieme -l'affetto o la reverenza che portavano i donatori alle due -insigni famiglie che con quegli sponsali faceano alleanza. -Il giovane Bernardo Rucellai, diciassettenne appena, andava -sposo alla Nannina figlia di Piero e nipote al gran -Cosimo de' Medici, ed il vecchio Giovanni Rucellai con -quelle nozze si levava di dosso il sospetto d'esser nemico -alla parte Medicea che, dopo l'esilio di Cosimo, era tornata -più forte di prima in Firenze. Era un parentado -architettato con sommo studio, che ridondava a decoro -della famiglia sua, quanto la facciata di Santa Maria -Novella fatta fare all'Alberti, e la cappella in San Pancrazio, -e il palagio e la bellissima loggia corinzia di Via -della Vigna. -</p> - -<p> -Sottile ingegno avea quel maestoso vecchio con la -fronte alta ed aperta, il naso aquilino e i fulgidi occhi -di un profondo color cilestro, che pare ancor vivo nella -cornice d'un suo antico ritratto. Abbondanti capelli gli -scendono in ricche anella sulle spalle e una lunga barba -gli ondeggia sul petto, conservando ancora alcune tinte -dorate frammiste al grigio della vecchiaia, e con i freschi -colori del viso dimostrando una longevità vigorosa. -Lo vediamo seduto in un seggiolone a bracciuoli, coperto -di velluto cremisi a frangia e borchie d'oro; veste -una tunica verde scura ed è ravvolto in un lucco purpureo -a risvolte di velluto cremisi. Cogli occhi guarda -in alto e lontano come pensando a cose che non sono -di questo mondo. Ma la mano destra, adorna di un -<span class="pagenum" id="Page_87">[87]</span> -anello con un grosso brillante, si appoggia con forza al -bracciale del seggiolone, e la sinistra aperta accenna ad -un codice, ben rilegato, che gli è squadernato dinanzi, -sur una pagina del quale leggesi il titolo <i>Delle Antichità</i>. -Accanto ad esso alcune lettere dissigillate con l'indirizzo -all'<i>illustrissimo signor Giovanni Rucellai</i>. Dietro una -tenda di colore scuro, in uno sfondo azzurro son disegnate -con grandissima diligenza ed esattezza le sue -opere di pietra e di marmo, la facciata di Santa Maria -Novella, la cappella di San Pancrazio, il palazzo e la -loggia. Quel dipinto compendia l'uomo e le sue glorie: -un ricco mercante che poteva diventar parente del magnifico -Cosimo di Giovanni de' Medici, il quale — com'ei -diceva — è stato ed è di tanta ricchezza e di tanta -virtù e di tanta grazia e riputazione e seguito, che mai -non fu simile cittadino nè di tante buone parti e condizioni -quante sono state e sono in lui. -</p> - -<p> -Ma torniamo alle nozze. Giovanna dei Medici venne a -marito quel giorno stesso, accompagnata, com'era costume, -da quattro cavalieri de' maggiori della città, -messer Manno Temperani, messer Carlo Pandolfini, messer -Giovanozzo Pitti e messer Tommaso Soderini. <i>Veniam</i> -cioè <i>verrò</i> era scritto, secondo l'uso d'allora su -certe cartellette appiccate alle panche parate d'arazzi -che eran disposte sotto al padiglione fiorito; e la sposa -vi venne, e in su quel palco soffice per i ricchi tappeti -si danzò e si festeggiò a suon di musiche, aspettando i -desinari e le cene. -</p> - -<p> -Convennero alle nozze 50 gentildonne riccamente vestite -e similmente 50 giovani in abiti bellissimi. Durarono -le feste dalla domenica mattina alla sera del martedì -successivo, e i conviti si tenevano due volte al -giorno. Comunemente si convitavano a ciascun pasto -cinquanta tra parenti e amici e cittadini de' principali, -per modo che alla prima tavola, contando le donne e le -<span class="pagenum" id="Page_88">[88]</span> -fanciulle di casa, i pifferi ed i trombetti, mangiavano -170 persone. E alle seconde e terze tavole dette “tavole -basse„, mangiava gente assai, tantochè ad un certo -pasto s'ebbero fin 500 persone. Le vivande, che eran -quelle prescritte dall'uso, furono squisite e abbondanti: -la domenica mattina si dettero capponi lessi e lingue, e -un arrosto di carne grossa, e uno di pollastrini dorati -con lo zucchero e l'acquarosa: la sera la gelatina, l'arrosto -grosso e quello di pollastrini con frittellette. Il lunedì -mattina, bianco mangiare, coi capponi lessi e salsicciuoli -e arrosto grosso di pollastrini; la sera le solite -portate, e più una torta di pappa, mandorle e zucchero -che dicevasi <i>tartara</i>. Il martedì mattina, arrosto di carne -grossa e di quaglie, e la sera i consueti arrosti e la gelatina. -Alle colazioni uscivano fuori in sul palchetto venti -confettiere di pinocchiati e di zuccherati, che si distribuivano -a profusione. -</p> - -<p> -La spesa di questi conviti ascese a più che 6000 fiorini -(circa 150000 lire), somma per quel tempo ingentissima. -Si comprarono settanta staia di pane, duemilaottocento -pani bianchi, quattromila cialdoni, cinquanta -barili di trebbiano, tremila capi di pollame, mille e cinquecento -uova, quattro vitelli, venti catini di gelatina; -e si arsero in cucina dodici cataste di legna. — Pareva -addirittura il regno dell'abbondanza. -</p> - -<p> -Il martedì sera, parte dei giovani che erano stati invitati -alle nozze fecero gli armeggiamenti secondo l'usanza, -movendosi dal Palazzo Rucellai fino al canto dei -Tornaquinci, e di poi in Via Larga sotto il Palazzo dei -Medici. -</p> - -<p> -La sposa, chi voglia sapere il corredo e i regali che -ebbe, ricevè da diversi parenti non meno di venti anelli; -e sei dallo sposo, due quando la tolse, due <i>dello sposalizio</i>, -due nella mattina che si donavano le anella. Da -Bernardo ebbe cento fiorini e più altre monete: le si -<span class="pagenum" id="Page_89">[89]</span> -fecero ricchi vestimenti: uno di velluto bianco ricamato -di perle, di seta e d'oro con maniche aperte foderate di -candide pellicce: uno di <i>zetani</i>, drappo di seta molto -massiccio, guernito di perle con le maniche foderate d'ermellino. -</p> - -<p> -Ebbe poi una <i>cotta</i> o vestito di damaschino bianco -broccato d'oro fiorito, con maniche adorne di perle, e -un'altra cotta di seta con maniche di broccato d'oro cremisi -ed altri vestiti e sopravvesti, chiamate allora <i>giornee</i>. — Fra -le altre gioie ebbe una ricca collana con -diamanti, rubini e perle del valore di 1200 fiorini, e uno -spillo da testa, e un vezzo di perle che avea per pendente -un grosso diamante a punta, e un cappuccio ricamato -di perle e una reticella di perle grosse. — La -dote, che oggi parrebbe scarsa, fu di 2500 fiorini (circa -60 000 lire), compreso il corredo, nel quale si notano un -paio di forzieri con le spalliere riccamente lavorati, e -dieci fra <i>cioppe</i>, <i>gamurre</i> e <i>giornee</i>, cioè vestiti lunghi -di varia forma di finissime stoffe, e sontuosi ricami d'oro -e di perle: una camicia di <i>renso</i> (tela bianca fine operata -proveniente da Reims), una cuffia o testiera di stoffa -cremisi lavorata di perle, due berrette con argento, perle -e diamanti, un <i>libriccino</i> da messa miniato con fermagli -d'argento e un <i>Bambino</i> Gesù in cera con la veste -di damasco ricamata di perle. Inoltre stoffe in pezza, -rasi, damaschi, velluti, guanciali ricamati, cinture, borse, -anelli da cucire, agorai, pettini d'avorio, 4 paia di guanti, -un <i>cappello</i> alla milanese con frangie, otto paia di calze, -tre specchi, un bacino e un mesciacqua a smalto d'argento, -un ventaglio ricamato o <i>rosta</i>, e molte altre cose -che non si contano. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_90">[90]</span> -</p> - -<h3>XII.</h3> - -<p> -Tre anni appresso, nel giugno 1469, le nozze sfolgorate, -da vero principe, di Lorenzo dei Medici con Clarice -Orsini, che riuscirono una pubblica festa, un vero -carnasciale. “<i>Tu felix, Florentia nube!</i>„ -</p> - -<p> -Non c'indugeremo a descriverle, sulla traccia dell'informazione -che ne dette Piero Parenti a Filippo di Matteo -Strozzi, suo zio materno, che allora stava in Napoli, -ed è il fondatore del bel palazzo di Firenze, monumento -della grandezza di questa famiglia. Quei conviti, quelle -magnificenze ponevano in grave impaccio le gentildonne -che vi erano invitate e dovevan comparirvi, secondo la -dignità della casata, con robe e cotte di broccato di gran -valuta. Mentre il “Babbo„ era “a Napi„<a class="tag" id="tag75" href="#note75">[75]</a>, come aveva -imparato a balbettare il piccolo Alfonso, figlio di Filippo -Strozzi e della bella e buona Fiammetta di Donato Adimari, -la giudiziosa donna volle piuttosto far l'ammalata, -e non v'intervenne<a class="tag" id="tag76" href="#note76">[76]</a>. -</p> - -<p> -Anche noi vogliamo seguirne l'esempio, e piuttosto -cercare ne' documenti contemporanei alcun accenno alle -intimità della vita domestica, che fra tanto pubblico -scialo, si facevan sempre più rare. E ci sarà grato trovarlo -nelle letterine che il figlio di quelli sposi, Piero -de' Medici, scriveva a suo padre, mentr'era in villa o -altrove, raccomandato alle cure del suo pedagogo Messer -Agnolo Poliziano. Le ha tratte dagli originali del nostro -Archivio di Stato, il Del Lungo che saprà a' loro luoghi -ricollocarle nella <i>Vita</i> dell'Ambrogini, antica promessa -ringiovanita con lui. -</p> - -<p> -A Piero de' Medici molto si perdonerebbe in grazia di -queste letterine, vergate con mano incerta dai cinque -<span class="pagenum" id="Page_91">[91]</span> -anni in poi, e dei primi latinucci che il maestro <i>non</i> -correggeva. Nel 1476, appena cinquenne, scriveva di -villa alla nonna Lucrezia Tornabuoni, con la petulanza -d'un nipotino guastato dalle carezze. “Rimandateci parecchi -fichi, chè quegli mi piacquono; dico di quelli -brugiotti: et mandateci delle pesche col nocciolo, et -delle altre cose che voi sapete che ci piacciono, zuccherini -et berlingozzi ed altre coselline.„ Nel '78 avvertiva -il padre d'aver “apparato già molti versi di -Virgilio, e so quasi tutto il primo libro di Teodoro a -mente, e parmi d'intenderlo„, cioè la grammatica greca -di Teodoro Gaza (il <i>Curtius</i>, d'allora). “El maestro mi fa -declinare et mi examina ogni dì.„ -</p> - -<p> -L'anno appresso scrive più franco: “Vorrei che Voi -ci mandassi qualche segugio de' migliori che vi sono. -Non altro. La brigata, ognuno si raccomanda a voi, -massime io. Priegovi che vi guardate dalla moría, e -che voi vi ricordiate di noi, perchè noi siamo piccini -e abbiamo bisogno di voi.„ Un'altra volta, passato alcun -tempo, cerca profittare del latino imparato per chiedere -cose maggiori: “Quel cavallino non si vede. <i>Nondum -venit equulus ille, magnifice pater</i>„ e già comincia -a far da sopracciò ai fratellini. “Giuliano pensa a ridere.... -la Lucrezia cuce, canta e legge; la Maddalena -batte le capate pe' muri, ma senza farsi male; la Luisa -dice già parecchie cosine; la Contessina fa un gran -chiasso per tutta la casa.„ E appresso: “Io, che per -dar più tono alla mia scrittura, ho scritto sempre in -latino, non ho ancora ottenuto il cavallino che m'avete -promesso; cosicchè tutti mi danno la baia.„ Ma -il <i>cavallino</i> non veniva. “Al cavallino ho paura gli sia -incolto qualche malanno; perchè, se fosse sano, so che -me l'avreste già mandato, come m'avevate promesso.... -Caso mai quello non possa venire, vi piaccia mandarne -un altro.„ Finalmente arrivò, e un'ultima lettera, -<span class="pagenum" id="Page_92">[92]</span> -ch'è di ringraziamento e tutta piena di buone promesse, -chiude quest'infantile carteggio. -</p> - -<p> -Ma il curioso bozzetto domestico di vita medicea, che -ha per isfondo la campagna e per scena una di quelle -ville dove i Medici si riducevano per dimenticare le noie -della politica, anche ci ricorda un altro aspetto della -vita d'allora. Il desiderio della quiete campestre, l'amore -per la villa, il sentimento della natura è una spiccata -caratteristica degli uomini della Rinascenza. Già ne troviamo -cenni in Ser Lapo Mazzei che usava andare a -Grignano a far le faccende della ricolta e della vendemmia<a class="tag" id="tag77" href="#note77">[77]</a>, -accomodava da sè la vigna, e voleva in casa un -po' di buon aceto. Buonaccorso Pitti, come il Petrarca, -gode a noverare tutti gli alberi del suo giardino<a class="tag" id="tag78" href="#note78">[78]</a>; il -Rucellai è più superbo della sua villa di Quaracchi, di -cui ci porge una descrizione amorosa, che del suo palagio -magnifico<a class="tag" id="tag79" href="#note79">[79]</a>; i trattatisti del <i>Governo della famiglia</i><a class="tag" id="tag80" href="#note80">[80]</a> -cantano le lodi della vita rustica: il Poliziano ne -compone una prosetta da far voltare in latino a' discepoli<a class="tag" id="tag81" href="#note81">[81]</a>, -e nello sfondo di un paesaggio fiorito disegna -l'immagine della bella Simonetta Cattaneo<a class="tag" id="tag82" href="#note82">[82]</a>. -</p> - -<h3>XIII.</h3> - -<p> -Lorenzo de' Medici (mediocre marito), anche in mezzo -alle grandezze della sua condizione d'ottimate e quasi -di principe, seppe conservare una certa bonarietà tutta -casalinga e fiorentina; nè gli dispiacque incanagliarsi -col volgo, all'osteria della Porta a San Gallo, e celebrar -<span class="pagenum" id="Page_93">[93]</span> -le bellezze della <i>Nencia</i> rusticana, e serbare nel fasto -una sobrietà cittadina. -</p> - -<p> -Racconta il Borghini che Franceschetto Cibo, cui dava -in isposa la figliuola, fu da Lorenzo trattato con grande -semplicità e parsimonia, mentre i suoi compagni, cavalieri -e baroni romani, ebbero sontuose accoglienze. E -a lui, impensierito per la figura che avrebbe fatta -con loro, rispose rassicurandolo: “Onorai que' signori -come ospiti e forestieri; te invece accolsi come uno -di mia famiglia<a class="tag" id="tag83" href="#note83">[83]</a>.„ A' clienti dava udienza per istrada, -o al canto del fuoco, o passeggiando amichevolmente -per le vie di Firenze<a class="tag" id="tag84" href="#note84">[84]</a>. Fiorentino nell'anima, non gli -dispiaceva d'essere e di mostrarsi faceto. Vedendo a -Pisa uno scolare guercio, disse che e' sarebbe il più -valente di quello Studio. E domandato perchè, rispose: -“perchè e' leggerà a un tratto le due facce del libro, -e così potrà imparare a doppio„<a class="tag" id="tag85" href="#note85">[85]</a>. -</p> - -<p> -Ma sotto coteste semplici apparenze covavano i disegni -del politico astuto che, come scrive il Vettori, “non -istudiò in altro se non in ridurre gli uomini alle arti e -ai piaceri„, e la protezione alle arti e agli artisti volle -strumento a futura dominazione. Col denaro mediceo si -alzavano palazzi e conventi, e dentro vi si raccoglievano -antichità e libri; ne' giardini si radunavano gli artisti; -alle cene accorrevano i poeti; si bandivano giostre e -giuochi del calcio, concorsi poetici e feste religiose: la -clientela politica del palazzo era resa più gagliarda da -quella dei sommi artisti delle umili botteghe. Il Savonarola -che del tiranno aveva indovinato i segreti pensieri, -diceva: “occupa il popolo in spettacoli e feste, acciocchè -pensi a sè, non a lui„. Firenze a' suoi tempi -<span class="pagenum" id="Page_94">[94]</span> -vide nascere, o crescere più rigogliose, molte forme di -costume e molti generi di poesia; dai trionfi e dalle -mascherate per le vie ai simposj platonici di Careggi; -dal canto carnascialesco e dalle ballate a rigoletto, alle -Sacre Rappresentazioni. La gaiezza spensierata e il facile -appagamento dei desiderj, così negli ordini dello spirito -come in quelli della materia, servirono a compensare la -diminuzione delle pubbliche libertà<a class="tag" id="tag86" href="#note86">[86]</a>. -</p> - -<p> -La città gaudente, che da un pezzo risonava di clamori -festivi, accolse lieta il gran carnevale mediceo, -que' sontuosi apparati, quelle processioni ordinate dalle -confraternite de' vari quartieri e dirette da artisti. La -paganità rinascente invadeva le feste religiose e le trasformava -a' suoi fini. In carnevale si facevan carri e trionfi -“per parere (dice mestamente il Cambi) che la città -fussi in festa e in buono stato„. In Mercato Nuovo -si danzava, nella Piazza de' Signori si facevano combattimenti -d'animali, e fra essi si sguinzagliarono i leoni -sperando ne seguissero terribili scene. Ma il leone fiorentino -era così mansuefatto, che “come fosse un agnel -si stava cheto„<a class="tag" id="tag87" href="#note87">[87]</a>. In via Larga, dinanzi al palazzo -de' Medici, correvano a gara gli armeggiatori e si celebrava -il trionfo d'amore. Per la venuta di Franceschetto -Cibo, novamente maritato alla Maddalena di Lorenzo il -Magnifico, si fecero in tutte le botteghe “mostre di cose -gentili e ricche e drappi, e broccati, e gioie di perle -e argenterie, che è stato cosa stupenda e miranda bellezza„. -Per San Giovanni, s'apparecchiò “una bella -festa di nugoli e di spiritelli e carri ed altri festivi -edifici e ingegni popolari da passar tempo, e con tutte -l'altre cose festive, ordinarie altre volte„. Si correvano -palii di sfoggiata magnificenza, e la torre del -<span class="pagenum" id="Page_95">[95]</span> -Palagio rosseggiava tra i fuochi delle scoppiettanti girandole. -</p> - -<p> -Nel far cavalieri e ricevere oratori, l'eccelsa Signoria, -usava cerimonie solenni di cui troviamo ricordo nel libro -di Francesco Filarete, araldo della Repubblica<a class="tag" id="tag88" href="#note88">[88]</a>. -</p> - -<p> -Nel 1491, per la festa di San Giovanni, Lorenzo fece -fare 15 edifizi o trionfi, rappresentanti il trionfo di Paolo -Emilio, reduce dalla Macedonia, quando tornò con tanto -tesoro che i Romani per molti e molti anni non pagarono -nessuna gravezza<a class="tag" id="tag89" href="#note89">[89]</a>. -</p> - -<h3>XIV.</h3> - -<p> -Pareva rinnovarsi l'età dell'oro! Le giostre medicee, -che aveano inspirato le ottave del Poliziano, stimolavano -anche gli altri cittadini a largheggiare nelle spese più -pazze. Benedetto Salutati, nipote di Messer Coluccio, per -quella del 1467, “nella sopravveste, testiera ed altri -paramenti di due cavalli <i>mise</i> 170 libbre di fino argento, -che volle sottilmente lavorato per mano d'Antonio -del Pollajuolo. E ne' ricami dei detti paramenti, -nella sopravveste sua e nelle cioppette de' sergenti -mise intorno a 30 libre di perle, la più parte di maggior -pregio„<a class="tag" id="tag90" href="#note90">[90]</a>. -</p> - -<p> -Firenze, abbellivasi di sontuosi palagi. Filippo Strozzi -incominciava, il 6 agosto '89, a fondare il suo, e Giuliano -Gondi poco appresso ne imitava l'esempio. Il popolo -ne andava orgoglioso, e il buon Tribaldo De Rossi, -per memoria del fatto, si fece mandare dalla Nannina -sua donna, tutti rivestiti i suoi due figliuoli e menatili -<span class="pagenum" id="Page_96">[96]</span> -a vedere i fondamenti del palazzo Strozzi “prese Guarnieri -in collo e guatava colaggiù, e dettili un quattrin -gigliato, e gittollo laggiù, e un mazzo di roselline di -Damasco c'aveva in mano ve li feci gittar drento. E -dissi: Ricorderàitene tu? Disse, sì. Insieme con la Tita -nostra serva erano, e Guarnieri aveva appunto detto -di anni 4, e avevali fatto la Nannina una gabbanella -di taffetà cangiante, verde e gialla, nuova„<a class="tag" id="tag91" href="#note91">[91]</a>. -</p> - -<p> -I ragazzi, come i cittadini più grandi, dovevano esser -colpiti dalle sorprendenti meraviglie, a cui li avvezzavano -le magnificenze medicee. Ogni giorno cose nuove -e singolari: feste, processioni, cortei principeschi. E il -De Rossi, semplice cronista, di quegli avvenimenti, ci ha -conservato il ricordo. Nel 1488, donata dal Soldano di -Babilonia a Lorenzo, venne in Firenze una giraffa alta -sette braccia, ch'era menata a mano da un di quei Turcimani. -Grande curiosità in tutti, perfin nelle monache; -onde furon costretti a mandarla attorno pei monasteri<a class="tag" id="tag92" href="#note92">[92]</a>. -“Mangiava d'ogni cosa, nelle ceste d'ogni forese -metteva il capo; a un fanciullo arebbe tolto una -mela di mano, tanto era piacevole. Morì a' dì 2 di gennaio -1489„ e tutti la piansero, “perchè era sì bello -animale„. -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -Ma, d'un tratto, tutta questa serena giocondità di vita, -tutto questo abbagliante splendore d'arte, di poesia, di -spensierata gaiezza, si spegne sinistramente. La tempesta -rumoreggia lontano, la collera celeste, profetizzata dal -fiero domenicano che nel convento di San Marco, fra lo -strepito del carnevale, medita solitario, minaccia i rinnovellati -trionfi del paganesimo. L'8 di aprile 1492, come -di una pubblica calamità, giunse la nuova della morte -di Lorenzo de' Medici. “Lo splendore di tutta Italia, non -<span class="pagenum" id="Page_97">[97]</span> -che di Toscana,„ come scriveva il Dei, era scomparso. -La sera appresso, la compagnia de' Mazzi riponeva il -corpo nella sagrestia di San Lorenzo, e l'altro dì si fece -l'onoranza, “non con molta pompa, come i loro antichi -son consueti, ma onestamente e senza drappelloni, con -tre regole di frati e una di preti solo; che in vero, -non si poteva tanta pompa fare, che maggiore non -fosse stata poca a un tanto uomo„<a class="tag" id="tag93" href="#note93">[93]</a>. -</p> - -<p> -Con così lugubri esequie, nel gelo de' sepolcri laurenziani -si chiudevano, con le spoglie del Magnifico, i ricordi -di tutta una età che apparve radiante di gloria e -di giovinezza. Il mondo della Rinascenza scompariva, e -poco dopo, scrive Tribaldo De Rossi, “venne una lettera -alla Signoria che certi giovani, iti con caravelle, -arrivarono a cert'isole grandissime, che mai più vi si -navigò per nazione umana, popolate d'uomini e donne -assai, tutti ignudi„. -</p> - -<p> -Un nuovo mondo era stato scoperto! -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p class="indl"> -<i>Signore e Signori.</i> -</p> - -<p> -Rotta la terza cerchia delle sue mura, Firenze, fatta -italiana, piantò, sotto la folgorata torre di San Miniato, -come un segnacolo di libertà il David di Michelangiolo, -glorioso mutilato nei tumulti del 527, testimone immortale -delle miserie antiche e delle future grandezze. Dalla -cima del colle e' guarda Firenze nuova, Firenze aperta -da ogni lato, senz'altra difesa di mura, di bastioni o di -torri; perchè Firenze, cuore d'Italia, si difende oggi -dalle Alpi e dal mare. -</p> - -<p> -La patria, un tempo ristretta nel Comune, nel piccolo -<span class="pagenum" id="Page_98">[98]</span> -Stato, ha abbattuto le vecchie mura e i vecchi confini, -e si distende per ogni plaga dove suoni la lingua di -Dante. Così la ragione de' popoli e la civiltà, si sono affermate -nel diritto e nella carità umana. -</p> - -<p> -Tornare indietro nè si può nè si vuole: la semplice -vita de' nostri antichi, con la gioconda serenità che le -fu propria, più non ci alletta. Il pensiero moderno, che -ci travaglia e tortura coi dubbi tormentosi, con le aspirazioni -insoddisfatte, lo redammo da tante sublimi e nobili -intelligenze: è una conquista superba cui non possiamo -rinunziare. -</p> - -<p> -In esso è la forza che muove la scienza e che solleva -i cuori e gli spiriti verso un ideale più alto, l'ideale del -perfezionamento umano: il nuovo sole che irradia le vette -eccelse della carità e dell'amore. -</p> - -<p class="indl"> -Firenze, 17 aprile 1892. -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_99">[99]</span> -</p> - -<h2 id="donna">LA DONNA FIORENTINA -<span class="smaller">nel Rinascimento e negli ultimi tempi della libertà</span></h2> - -<p class="center"> -DI -</p> - -<p class="center large"> -ISIDORO DEL LUNGO. -</p> -</div> - -<h3>I.</h3> - -<p> -Pel San Giovanni del 1473, al consueto festeggiar cittadino -si aggiungeva la solennità del ricevimento fatto, -come la Repubblica artigiana soleva e i Medici favorivano, -con principesca magnificenza a Eleonora d'Aragona -figliuola del Re di Napoli, la quale andava sposa -ad Ercole d'Este, duca di Ferrara e di Modena. Entrata -in Firenze il 22 giugno, ella trovava nel suo massimo -sfoggio la mostra che delle proprie ricchezze avevano -apparecchiata le botteghe dei mercatanti; assistè alla processione -delle Compagnie co' fanciulli vestiti di bianco -in forma di “agnoletti„; vide i “dificii„ o macchine -fantasmagoriche, che in sulla Piazza della Signoria rappresentavano -Storie dell'Antico Testamento e del Nuovo; -vide l'offerta che al tempio del Santo Patrono portavano -la Signoria e gli altri magistrati del Comune e delle -Arti, le Compagnie del Popolo coi gonfaloni, parte Guelfa, -e poi i Signori e Comuni sottoposti o raccomandati, recanti -palii, ossia drappi, di gran pregio e bellezza e -grandi ceri istoriati e fioriti; e con l'olivo in mano l'offerta -de' prigioni e de' condannati (quella a cui Dante -non si sottomesse); e finalmente, nel pomeriggio del -dì 24, i barberi, già prima offerti ancor essi, che correvano -il palio di San Giovanni, un palio ricchissimo di -<span class="pagenum" id="Page_100">[100]</span> -broccato d'oro, dal Prato su per la Vigna pel Mercato -e pel Corso verso Porta alla Croce, tal quale noi che -non siam più giovani possiamo ricordarci d'aver veduto. -Ma nessun di noi potrebbe da' ricordi suoi giovanili -evocare ciò che nel 1473 fu dato a godere, in quelle -feste, a madonna Eleonora: un ballo, là su que' prati -donde i barberi pigliavan le mosse, un ballo alla dolce -aria profumata de' giardini e delle loggie, in uno de' palagi, -quello de' Lenzi, dov'è oggi la Galleria Pisani, che -fronteggiavano coteste estreme parti della città verdeggianti -lungo le rive dell'Arno. Tacciono di quel ballo i -diarii: sulle cui aride pagine, a ogni modo, voi cerchereste -inutilmente, signore gentili, descriversi dal giornalista -di quattro secoli fa gli abbigliamenti delle vostre -antenate; e sotto quali colori d'abito e con qual dottrina -di linee, presentassero esse al desiderio de' loro innamorati -quelle bellezze, che all'ammirazione nostra sopravvivono -nelle tavole del Botticelli e negli affreschi del -Ghirlandaio. Un ballo fiorentino de' tempi del Rinascimento; -non dominato e quasi sopraffatto dallo scintillio -de' doppieri, ma lumeggiato soavemente dal sole che di -là dal Pignone tramonta; nè turbinato fra le vorticose -battute orchestrali, ma sposato sulle corde flebilmente -amorose del liuto e della viuola alle gentili baldanze ottonarie -della Canzonetta che appunto dal Ballo s'intitola; -meritava cronista un poeta. Permettetemi ch'io vi -traduca dal latino di Angelo Poliziano quel Corriere del -mondo elegante d'allora: distici levigatissimi, dove le -realtà della vita s'intrecciano con le concezioni dell'arte, -il vero col fantastico, il fiorentino, il cristiano, con la -classica paganità; circola l'aria che respiravano i letterati -nella Firenze del magnifico Lorenzo. -</p> - -<p> -“Apollo con la rosea faccia ha menato il giorno che -riconduce la festa del selvaggio Batista san Giovanni; -quando alla città che fu colonia di Silla ferma le candide -<span class="pagenum" id="Page_101">[101]</span> -vestigia, per riposarsi dal lungo cammino, la figlia -del Re, che, lasciata la città delle Sirene, va sposa -ad Ercole. Festeggiano a gara il suo arrivo fanciulli, -giovani e vecchi, e le matrone e splendide di fresca -bellezza le spose: tutta la città si anima, d'ogni dove -rumoreggia l'allegria. V'è una strada che i Sillani -(i Fiorentini, parafrasati in latino) chiamano Pantagia -(Borgognissanti, ribattezzato in greco), dove sorge splendido -un tempio dedicato a tutti i Celesti. Colà s'inalza superbo -il palagio de' Lenzi: ivi presso ride la verde distesa -de' prati, e de' colori primaverili si dipinge fiorito -il terreno. Quivi, mentre i corsieri scalpitanti -aspettano, in sulle mosse, il canoro segnale della tromba -Tirrena, la regal fanciulla si abbandona ai sollazzi delicati -della danza; ed ecco atteggiarsi le gentili donne -al tempo misurato e all'intreccio de' balli. Innanzi alle -altre ninfe risplende Albiera bellissima, e di sua bellezza -sparge a sè dintorno il tremulo splendore. Mossi -dal vento diffondonsi i capelli sulle candide spalle, i -neri occhi raggiano di luce soave: pare, fra le sue -compagne, la stella del mattino il cui rossore purpureo -vince gli astri minori. Giovani e vecchi ammirano -Albiera: sarebbe di ferro chi non si commovesse a quella -verginale bellezza: lietamente, plaudendo, col cenno, -con gli sguardi, con la voce, tutti lodano Albiera.„ -</p> - -<p> -Albiera di Maso degli Albizzi era una giovinetta fra -i quindici e i sedici anni, fidanzata a Gismondo della -Stufa. S'ammalò, subito dopo quel ballo, e in capo a -pochi giorni morì. “Ahi povera Albiera!„ sentite ancora -il suo poeta: “così giovinetta, rubata ai genitori, -allo sposo! Va' ora, e confida nelle umane fortune! -Ecco disfatte da morte crudele, o Albiera, le tue bellezze: -disfatto il tuo viso di gigli e rose; i tuoi occhi -gioiali, dove Amore accendeva le sue fiaccole; i capelli, -che o scioglievi abbondanti, e parevi Diana cacciatrice, -<span class="pagenum" id="Page_102">[102]</span> -o raccoglievi in diadema d'oro, ed era l'acconciatura -di Citerea: gli Amorini, le carezzevoli Grazie, -ti facevano bella, senza che tu il sapessi: ogni virtù -ti adornava, modestia e serietà di contegno, senno, -pudore, lealtà, gioialità, bel costume, bel tratto, schiettezza: -tutto ormai divenuto un pugno di cenere!„ -</p> - -<p> -In altre parti della elegia lunghissima è mitologizzata -la malattia e la morte d'Albiera. La sua bellezza ha attirato -il bieco sguardo di Nemesi, la dea che con misteriosi -decreti governa le umane vicende. Ritirasi la giovinetta -alle sue case, finito il ballo, in sull'annottare; -nell'ora, o Signore, nella quale a voi, pe' balli vostri, -cominciano appena le operazioni della toeletta. E coricata -ch'ella è, si appressa al suo letto la Febbre, nume -orribile, del quale e del suo corteggio vi risparmio la -descrizione, e che Nemesi ha sospinto verso quella povera -casa. I genitori, i fratelli, lo sposo, pendono per -dieci giorni ansiosi dal viso dell'inferma, pallido e trasfigurito. -Ella dà gli estremi addii a que' suoi cari e alla -vita, che, incominciatale appena, sente sfuggirle; e muore -fra il pianto disperato della sua casa. Il lutto e la pietà -de' cittadini circondano il corpo inanimato. La morte ha -ricomposto il suo volto a pace soave: pare che dorma. La -ninfa, vittima della dea Nemesi e della dea Febbre, ha -esequie cristiane; e il distico ovidiano di messer Angelo -colorisce anche quelle. Ecco il trasporto; ecco con la -nera coltre la bara: ella distesavi su, coi capelli recisi, -e in capo una umile ghirlanda. Le salmeggiano intorno -i preti; le campane suonano a morto: segue, -in veste di lutto, la cittadinanza; fra quella, lo sposo, -che tutti si mostrano a dito, compassionando. La chiesa -di San Pier Maggiore arde di ceri, è profumata d'incensi: -si fa l'assoluzione e la benedizione: e le tombe -degli Albizzi, in quella stessa chiesa, si aprono a ricevere -la giovine fidanzata; forse, come si soleva, in abito -<span class="pagenum" id="Page_103">[103]</span> -di monacella: il che non dice il Poeta; ma que' capelli -tagliati ce ne danno, a mio avviso, argomento più che -probabile. La musa latina dell'umanismo fiorentino consacrò, -non con la sola elegia e con altri minori epicedii -del Poliziano, il nome d'Albiera: elegiaci e ricordanze -su quella morte e quei funerali abbondano, in copia -anche maggiore che pei funerali della bella Simonetta, -morta soli due anni dopo la fanciulla degli Albizzi. -</p> - -<p> -Ma alla Simonetta Cattaneo, genovese, venuta nel 69 -sedicenne sposa in Firenze a Marco Vespucci pur sedicenne, -e mancata di mal sottile nel 76, l'arte dette -anche in altre forme gli onori dell'apoteosi. E mentre -delle fattezze verginali di Albiera non ci è rimasta testimonianza -(salvo se qualche benemerito investigatore -riuscisse a trovare il busto marmoreo nel quale sappiamo -dal Poliziano averla fatta rivivere lo sposo), per la Simonetta, -invece, si è impacciati a scegliere fra più d'uno -il ritratto vero: o vuoi quello che è nella Galleria de' Pitti, -attribuito al Botticelli, di una bionda delicata, dal collo -assai lungo, dal viso intento e gentilmente pensoso, in -acconciatura modesta e casalinga, da riferirsi piuttosto -a un mezzo secolo innanzi; o vuoi l'altro, sotto il -quale è stato apposto il nome di lei, e che si conserva -a Parigi nella galleria del Duca d'Aumale, creduto del -Pollaiuolo o di Piero di Cosimo, ed è essa pure una figurina -delicata e gentile, ma di gaia e vivace bellezza, -nudi il collo (anche di questa assai lungo) e il seno e le -spalle, i capelli tirati all'indietro o avvolti in giri artificiosi -con grande intrecciamento di perle e pietre, e -pendente sul petto un monile intorno al quale si rigira -un aspide; o che dobbiamo infine ravvisarla, come altri -propone,<a class="tag" id="tag94" href="#note94">[94]</a> in una delle figure allegoriche di quella misteriosa -<span class="pagenum" id="Page_104">[104]</span> -Primavera del Botticelli, guidati da certi singolari -riscontri che la composizione del fantasioso maestro -offre con le <i>Stanze</i> del Poliziano, dove è ritratta e designata -per nome (pur nell'atto di trasfigurarla in Ninfa -delle più autentiche), e poeteggiata, con buona pace del -marito Vespucci, come innamoratrice di Giuliano de' Medici, -appunto la Simonetta Cattaneo. Or qualunque ella -si fosse la giovane sposa, certamente bellissima, che nell'aprile -del 76 moriva, basti a noi, pur lasciando d'altri -suoi celebratori in latino e questa volta anche in volgare, -che il Poliziano facesse di lei la mitologica eroina -delle sue <i>Stanze</i>; che per la morte sua scrivesse pure -epigrammi funebri, d'alcuno de' quali il magnifico Giuliano -de' Medici, il bel “Iulio„ delle <i>Stanze</i>, proponeva -il concetto; e che Lorenzo, a sua volta (il che mostra -del tutto ideale e poetico il culto dei due fratelli alle -bellezze della Vespucci), tragga, o finga d'aver tratto, -dalla morte di lei il motivo a platonizzare poeticamente -sull'anima ritornata alle stelle. Lorenzo era a Pisa, e -dai Vespucci medesimi riceveva di giorno in giorno le -dolorose notizie. Morta, un suo famigliare gli scriveva: -“La benedetta anima della Simonetta se ne andò a paradiso, -come avrete inteso. Puossi ben dire, che sia -stato il secondo Trionfo della Morte: chè veramente, -avendola voi vista così morta come la era, non vi saria -parsa manco bella e vezzosa che si fosse in vita. <i>Requiescat -in pace</i>„; e Lorenzo, essendo (così ci racconta) -una serena nottata primaverile, e andando con un amico -a diporto, e parlando di quella morta, si affisa a un -tratto in una stella che mai non gli par d'avere veduta -così lucente, e “L'anima di quella gentilissima„ esclama -“o è trasformata in questa nuova stella, o si è congiunta -con essa„; e un'altra volta, pure in cotesta -primavera, passeggiando per una delle sue splendide ville, -osserva il girasole, anzi Clizia, l'antica innamorata del -<span class="pagenum" id="Page_105">[105]</span> -sole, “la sera restar col viso vòlto verso l'orizzonte occidentale, -che è quello che le ha tolto la visione del -sole, insino che la mattina il sole la rivolge all'oriente„; -e ci vede una immagine del nostro destino quando perdiamo -chi si ama, che è di rimanere “col pensiere vòlto -all'ultima impressione„ della “visione„ perduta; ma -l'orizzonte nostro occidentale, donde il tramonto non ha -ritorno, è la morte. -</p> - -<p> -È, del resto, notabile come in que' tempi che tante -erano, e così vigorosamente svolte, e così spesso violente, -le energie della vita, la morte circondasse di tanta poesia, -sebbene caricata di tanta oziosa mitologia, agli occhi -e al cuore di cotesti uomini la idealità femminile: notabile -come quei travestimenti di donne viventi in ninfe -posticcie, pe' quali l'imitazione artistica del vero perdeva -miseramente tanto tesoro di realtà, si arrestassero, cotesti -travestimenti, o s'impacciassero dinanzi alla santità -delle tombe; quando, secondo la figurazione Polizianesca -(nelle <i>Stanze</i>) della morte della Simonetta, l'amante, o -il poeta, -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Vedea sua ninfa, in trista nube avvolta,</p> -<p class="i01">Dagli occhi crudelmente essergli tolta.</p> -</div></div> - -<p> -In uno degli epigrammi funebri di messer Angelo per -la Simonetta, e proprio in quello a cui dette il concetto -Giuliano de' Medici, “tranquilla in sul punto di morte, -si volge, la ninfa, a Dio, in lui confidando„; curiosa -ninfa, a dir vero, che si raccomanda l'anima: come singolar -mortorio, altresì, quello che portava verso la chiesa -d'Ognissanti, alla cappella de' Vespucci, la Simonetta, se -intanto, strada facendo, Amore, proprio il figliuolo di -Venere piovuto non si sa come in quell'accompagnamento, -saettava tuttavia, standocene a un altro di cotesti -epigrammi, saettava da' chiusi occhi di lei pur col ricordo -del loro splendore. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_106">[106]</span> -</p> - -<p> -Meglio ispirato il poeta mediceo faceva da un'altra -tomba di sposa ventenne (cominciammo da un ballo, o -Signore, e ci siam persi fra le tombe; ma il geniale argomento, -ancorachè caduto, come vedete nelle mani d'un -conversamorti, ci ricondurrà, vi prometto, alle gioie e -ai travagli della vita), da un'altra tomba di giovine -sposa, minor sorella dell'Albiera, e ancor essa bellissima, -Giovanna degli Albizzi moglie a Lorenzo Tornabuoni, -morta nel dare alla luce il secondo figliuolo, faceva il -Poliziano uscire la voce di lei, così: “Gentilezza di sangue, -bellezza, un figliuolo, ricchezze, amor coniugale, -ingegno, costume, animo, mi facevan felice: felicità, -che la Parca, perfida, a viepiù inacerbirmi la morte, -mi addimostrò piuttosto che darmi.„ Ma buona e pietosa -forse possiamo noi oggi dire la Parca; che risparmiò -a Giovanna di vedere soli nov'anni appresso, nel 97, -ne' tempi del terrore Piagnone, decapitato a ventinove -anni il suo Lorenzo come cospiratore mediceo: memorie -d'infinita pietà a chi guardi, sulle medaglie coniate in -onore di lei, le sue forme gentili, e ne' rovesci simboleggiate -le sue virtù, o con le tre Grazie, sottovi scritto -Castità, Amore, Bellezza, o con la figura virgiliana della -ninfa cacciatrice; a chi nella cappella che fu de' Tornabuoni, -in Santa Maria Novella, la riconosce, nei meravigliosi -affreschi di Domenico Ghirlandaio, in quella -bionda giovanissima gentildonna, che riccamente vestita -di broccato d'oro campeggia nella storia della Visitazione; -a chi potesse pur di Giovanna rivedere un altro ritratto, -della stessa mano del Ghirlandaio, che col nome della -madonna Laura petrarchesca da un palagio fiorentino -trasmigrò ad altri lidi; o a chi rimpianga certi preziosi -affreschi, che in una villa suburbana del pian di Mugnone -tornarono, pochi anni or sono, alla luce, solamente -per essere divelti e travalicati e (sento dire) sciupati -oltr'Alpe. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_107">[107]</span> -</p> - -<p> -Quanta gentilezza del Rinascimento fiorentino dovette -accogliersi fra le pareti di quella villa, che nei Tornabuoni -rimase dal 1469 al 1541, e fu dunque villa di -Giovanni Tornabuoni, quando questi e in Firenze e in -Roma, quasi ambedue egualmente medicee, era forse il -principale agente della fortuna sì mercantile e sì politica -della poderosa famiglia; quando ei faceva nel 1490 scoprire -quella magnifica sua cappella, e ci faceva scrivere -dal Poliziano la data, “anno 1490, nel quale la città -bellissima, nobile per ricchezze, vittorie, arti, edificii, -godeva di abbondanza, di salute, di pace„; quando -nel giugno dell'86 le nozze del suo Lorenzo con la bella -Giovanna erano festa non pur domestica ma cittadina. -Veniva la sposa a Santa Maria del Fiore, in mezzo a -un cortèo di cento fanciulle delle maggiori famiglie, e di -quindici giovinetti vestiti d'un'assisa: assistevano al darsi -l'anello cavalieri così cittadini come di fuori, e un ambasciatore -di Spagna al Pontefice. Un Guicciardini e un -Castellani accompagnavano la sposa alle case de' Tornabuoni, -presso alle quali la piazza di San Michele Berteldi -(oggi piazza San Gaetano) era “messa a palco„ -per uso di festeggiamento e di ballo: e di là tornati gli -sposi alle case degli Albizzi, s'imbandiva suntuosamente -la cena, essendo messo il terreno del palagio egualmente -a palco pel ballo, che a lume di doppieri si alternava, -durante l'intera notte, co' virili giuochi d'una -sfarzosa armeggeria. Più riposate dolcezze offriva ai giovani -sposi la villa. Qui viene ad essi il Poliziano, tenerissimo -del giovane Lorenzo fin quasi a ieri suo valente -discepolo; il Poliziano che con affetto quasi paterno si -compiace d'ogni suo trionfo, così nelle lettere classiche, -specialmente greche (delle quali spera che toccherà presto -la cima); come nel poetar volgare, magari anche -all'improvviso; come nelle giostre della piazza di Santa -Croce: viene l'umanista dottissimo a intertenersi de' cari -<span class="pagenum" id="Page_108">[108]</span> -studi, a leggere que' suoi stupendi poemetti latini le Selve, -una delle quali l'<i>Ambra</i>, d'argomento omerico insieme e -mediceo, è dovuta a te (scrive dedicandogliela) per l'un -titolo e l'altro: viene a esaminare e interpretare le antiche -medaglie, della cui raccolta in casa Medici il numismatico -erudito e diligente è appunto Lorenzo Tornabuoni: -al quale, e al maestro suo, chi dubiterebbe (certi -di ciò) d'attribuire, con altre, le medaglie fatte eseguire -in onore della sposa diletta? Ma il vecchio Tornabuoni, -che guarda con occhio d'immenso affetto que' giovani -capi, ahimè destinati sì da presso alla morte, non pago -che il Ghirlandaio li ritragga nelle mirabili storie della -cappella, in un'altra di quelle meraviglie dell'arte li vuole, -sulle mura di quella stessa sua villa, consacrati alla ricordanza -de' secoli. “Dipignetemi, o maestro, questa sala -a buon fresco; e il Poliziano nostro, qui, darà, come -suole, il concetto d'alcuna di quelle esquisite allegorie -nelle quali sì fieramente vi compiacete.„ E il Botticelli, -in due storie sulla medesima parete della sala, come -sulla medesima parete della cappella in due separate -storie il Ghirlandaio, ritraeva i giovani sposi. -</p> - -<p> -Nell'una, il cui fondo è una selva assai folta, che ricorda -quello dell'altra allegoria di Sandro polizianesca, -la Primavera, Lorenzo Tornabuoni, vestito dell'abito -civile fiorentino, con la folta e morbida capigliatura distesa, -si avanza, condotto per mano da una donna di -modesto e gentil portamento, verso un circolo di altre -sette donne, acconciate (come anche l'introduttrice) fantasticamente, -e che pe' vari emblemi di che ciascuna -d'esse è fornita simboleggiano certamente le sette Arti -liberali; delle quali quella che alle altre sovrasta e par -che presegga, fa a lui cenno di accoglienza amorevole. -Nell'altra storia, Giovanna, cara figura delle più vivamente -lumeggiate di verità bella che siano uscite da -pennello di quattrocentista, con un viso che dice davvero -<span class="pagenum" id="Page_109">[109]</span> -quelle virtù che leggemmo scritte sul suo sepolcro, -atteggiata a semplicità affabile e graziosa, porge con -ambe le mani e le braccia protese un pannolino spiegato, -nel quale quattro gentili giovinette, che si avvicinano -a lei sono per deporre fiori. E anche questa volta, -vestita del costume fiorentino del tempo la persona della -sposa; ma a fantasia le quattro che probabilmente son -figurate per virtù proprie di lei. -</p> - -<h3>II.</h3> - -<p> -In tali imagini il sentimento e l'arte, che da questo -s'informa, effigiavano, mentre infieriva l'umanismo mediceo, -la donna. Alla quale, nelle realtà della vita e -dell'esser suo, sola, io credo, di tali omaggi era accessibile -e gustata e compresa quella parte che prendeva -consistenza in figure consacrate dalla religione, sotto le -vôlte maestose delle chiese d'Arnolfo e di Brunellesco, -piovente la luce misteriosa, per le grandi bifore da' vetri -colorati in istorie, sugli affreschi e le tavole di Masaccio -di Benozzo, de' Lippi e de' Ghirlandai, d'Alessio Baldovinetti -e di Piero di Cosimo, sui marmi e sui bronzi di -Mino, di Donatello, del Ghiberti, del Verrocchio, del -Pollaiuolo. Da quelle figure genuflesse alla preghiera, o -nel sonno della morte distese, o atteggiate vive all'azione -delle leggende evangeliche, sollevavansi le pie e gagliarde -anime femminili a ciò che nel tempo è di qua e di là -dal momento che si vive; congiungevansi i ricordi, gli -affetti, le glorie umane della famiglia, con le speranze -immortali. E questa poesia, sentita nel cuore, sapeva -anche trovar forma nella parola, la forma paesana e -casalinga della Lauda e della sacra Rappresentazione, -per opera di Antonia Pulci e di Lucrezia Tornabuoni -ne' Medici. L'Antonia nata dei Tanini, moglie e cognata -di poeti, in famiglia che tutti erano cosa de' Medici, -<span class="pagenum" id="Page_110">[110]</span> -potè con madonna Lucrezia madre del magnifico Lorenzo -conferire le sue ascetiche ispirazioni nell'atto di -fermarle in quello stampo fra drammatico ed epico, pel -quale la Rappresentazione ha corrisposto con tanta pienezza -all'istinto plastico della fantasia popolare; e madonna -Lucrezia, fra un canto e l'altro che Luigi Pulci -le recitasse del suo <i>Morgante</i>, e altresì fra l'una e l'altra -delle provvide cure per le quali casa Medici le dovè -tanto, scriveva senza pretensione di letterata le religiose -canzonette pe' Laudesi, o riduceva in ottave o in ternari -le istorie bibliche, delle quali poi facevan delizia negli -ozi fiesolani e di Careggi i suoi nipotini. -</p> - -<p> -Gentili donne non letterate, nello stretto senso, professionale -e (con vostra buona grazia, e senza che troppo -debba rincrescervene) non femminile, della parola; le -quali serbando nette d'erudizione le mani delicate, coglievano -dall'arte il fior dell'affetto, e pur conversando -coi dotti umanisti e coi barbassori che la caduta di Costantinopoli -aveva addotto fra noi, si stavano col popolo -nel vestire delle forme, che egli intende e crea, il pensiero -e l'affetto; dalla realtà, quale il popolo per linea -diritta la vede, cavar fuori e animare il fantasma. Le -giovinette istruite nel latino e nel greco, non difficile -trovarle nelle case principesche di Lombardia e di Romagna: -era una, fra le altre, delle splendidezze cortigiane -di quelle regioni. Ma i grandi cittadini della nostra -Firenze, anche della oligarchia più elevata, e molto -più i Medici che a combattere quell'oligarchia, e sulle -ambizioni di lei insediare la propria, usavano artifizi democratici, -rimasero (dico gli Albizzi, i Ricci, gli Strozzi, -i Rucellai, ed essi i Medici), anche attraverso agli splendori -dell'umanismo, principalmente e visibilmente mercanti: -e la donna, nelle loro case, fu sempre e soprattutto -la donna di grandi mercanti, donna massaia, avvisata, -e più che della libreria e del medagliere curatrice dell'azienda domestica, -<span class="pagenum" id="Page_111">[111]</span> -o, se volete anco, della credenza, -del celliere (com'allora dicevasi), della colombaia, del -pollaio. -</p> - -<p> -Una letterata, anzi letteratissima (che però non ha -lasciato libri), ebbe Firenze in quel secolo, ma non da -alcune delle grandi famiglie, sibbene nella figliuola d'un -Cancelliere della Repubblica, venuto, come tanti altri, -dal contado alla città, e qui arricchitosi e fatta fortuna. -Ella fu la bella Alessandra di messer Bartolommeo Scala: -alla quale due di quei barbassori greci, il Lascari e il -Calcondila, furon maestri; un altro, venuto in Italia umanista -e soldato, Michele Tarcaniota Marullo, fu suo marito; -e spasimato di lei il Poliziano (nonostante tutti -i canonicati e priorati e pievanie di cui poco degnamente -lo rincalzavano i Medici; e nonostante, altresì, il -suo collo torto e l'occhio losco, e il naso sformato e gli -anni ormai quasi quaranta), spasimato di lei, e per cagion -di lei nemico feroce e con terribili giambi laceratore -del marito e del padre. Non vi meraviglierete che -una passione amorosa fra persone di questo calibro si -sfoghi in greco. Si rappresenta nientemeno che una tragedia -di Sofocle, l'<i>Elettra</i>: protagonista, Alessandra Scala; -cronista teatrale, con tutti addosso gli entusiasmi d'una -passione, ahimè, non corrisposta, il povero Poliziano in -sei distici di squisita fattura, che vi traduco liberamente: -“Una mirabile Elettra, la giovinetta Alessandra: mirabile -nel pronunziare, essa italiana, la lingua d'Atene, -nella intonazione vera della voce, nel curare l'artificio -della scena, nel ritrarre fedelmente il carattere, -regolare lo sguardo, il gesto, il movimento; nel conservare -al linguaggio della passione il decoro, nel -suscitare col volto in lacrime la pietà degli spettatori. -Tutti ne fummo percossi; ma oh che invidia -sentii io nel cuore, quand'ella, stringendo al seno -Oreste, gli dice: — T'ho io fra le braccia? — ed egli: — Oh -<span class="pagenum" id="Page_112">[112]</span> -così tu m'abbia sempre!„ Un passo ancora, ossia un -altro epigramma greco, e il critico drammatico, l'ammiratore -entusiasta, si scuopre amante. “Ho trovata, ho -trovata, quella che volevo, che sempre cercavo; l'amor -mio sospirato, quella che vedevo ne' sogni: una fanciulla -d'integra bellezza, di adornezza non accattata -ma naturale; una fanciulla, culta di greco e di latino, -eccellente nella danza, eccellente nella musica; de' cui -pregi, velati dalla modestia, contendono a gara le Grazie. -L'ho trovata; ma a che pro, se appena una volta -l'anno posso io, che di lei ardo, vederla?„ Ma l'Alessandra -era in grado, non solamente di ricevere omaggi -in greco, sì anco in greco rispondere, e risponder a così: -“Nulla di più bello, che la lode d'un valentuomo; ed -oh qual gloria a me dalla lode tua! Quanto ai tuoi -sogni, bada, interpretali bene: tu non puoi aver trovato -in me quanto dici. È sentenza del divino Omero: — Avvicina -un Dio i consimili. — Or troppa è fra te -e me la dissomiglianza. Imperocchè tu sei come il Danubio, -che da occidente a mezzodì, e poi di nuovo -verse oriente, diffonde largo corso di acque. Glorioso -filologo, tu discacci le tenebre dai monumenti di più -lingue: greca, romana, ebraica, etrusca. Ercole dell'erudizione -sei a gara chiamato, per le tue fatiche intorno -a testi di astronomia, di fisica, di aritmetica, di -poesia, di leggi, di medicina. I miei scritti di fanciulla -son cosette leggiere, come i fiori e la rugiada. Io accanto -a te, perchè so un poco di lettere! Ma sarebbe -com'a dire, secondo il proverbio, la zanzara accanto -all'elefante, perchè han la proboscide tutt'e due; la -gatta accanto a Minerva, per via degli occhi cerulei.„ -Che ve ne pare? Fu mai con maggior dottrina, o con -più squisita crudeltà, rimesso al suo posto un adoratore -stagionato? Non credete voi che messer Angelo abbia -questa volta dovuto imprecare alle similitudini, alle perifrasi, -<span class="pagenum" id="Page_113">[113]</span> -alle antonomasie, e a tutto il resto dell'arsenale -retorico? mandare al diavolo i proverbi greci, e magari -anche le sentenze del divino Omero? Persiste tuttavia, -come pur troppo avviene, le più volte in simili casi; e -persiste, il che è assai meno frequente, in greco: “Tu -mi mandi, o Sandra, le pallide violammamole: e io -nell'amore di te impallidisco e mi struggo. Fiori e foglie, -imagine gentile della tua primavera; ma il dolce -frutto io vorrei.„ Al che Alessandra non risponde; -anzi: “Nè vederti, o Alessandra, mi è permesso più, nè -ascoltarti: ma almeno, due versi di risposta.„ E finalmente -(del buon gusto poi di questa pensata lascio a Voi, -Signore e Signorine, il giudizio): “O giovinetta, gradisci -per la tua chioma questo pettine d'osso; così potessi io -avere i capelli del tuo bel capo.„ I capelli d'Alessandra -Scala come già quelli dell'Albiera sul feretro che la portava -in San Pier Maggiore, furono (questa credo non ve -l'aspettereste) recisi più tardi sulle soglie di quello stesso -convento, dove, rimasta vedova del suo greco, ella si fece -monaca benedettina, e vi morì giovanissima nel 1506. -</p> - -<h3>III.</h3> - -<p> -Se non che l'arte, la poesia, non sono esse la poesia -della vita: possono, della vita, adombrare con le loro -imagini, e idealizzare, la realtà; ma quelle imagini dalla -realtà si distaccano, hanno propria esistenza, alla quale -la realtà rimane estranea od anco può contraddire. Beatrice -è donna; addiviene angelo, simbolo, ente: Laura è -moglie e madre; la poesia la restituisce, libera, alle idealità -dell'amore. Le idealità del Trecento, paesane e cristiane, -e umane almen tanta parte quanta è umano lo -spirito, il Rinascimento le aveva, sin dove potè, sopraffatte -con l'umanesimo della materia, con la sua mitologia, -co' suoi ninfali, co' suoi baccanali, incominciando a -<span class="pagenum" id="Page_114">[114]</span> -svolgere dal dischiuso gomitolo dell'antichità classica -quel filo che, sottile ma tenace, si continuò poi per tutta -la poesia italiana non pure sino alle <i>Grazie</i> d'Ugo Foscolo, -che al rito delle sue Dee consacrava sacerdotessa -anche una gentildonna fiorentina, ma sino sull'<i>Urania</i> -del Manzoni che precede gl'<i>Inni sacri</i> e i <i>Promessi Sposi</i>. -Nella poesia del Quattrocento, dal Boccaccio al Poliziano -e a Lorenzo, le ninfe Simonetta e Ambra non -sono che due figure spiccate dall'idillio fiesolano, nel -quale messer Giovanni ha classicizzato e paganeggiato, -con gli amori d'Affrico e di Mensola, le origini di Firenze. -Da Poggio a Caiano per Careggi e Montughi fino -a Settignano e Maiano, lungo tutto questo nostro sub-appennino -gentile, le Driadi e le Amadriadi, le Naiadi -e le Napee, con tutta quanta la fauna del loro corteo -mascolino, danzano allegramente alla luce misteriosa dei -plenilunii, che pur si diffonde sulla Badia medicea di -Brunellesco, e da' finestroni della vecchia cattedrale di -Fiesole investe le animate sculture di Mino, lumeggia -della cristiana aureola la Vergine e i Santi di frate Giovanni -Angelico. Muore in una sua villa, forse a Quarto, -una giovine gentildonna, che a prezzo della propria salva -la vita al suo bimbo pericolante nel crollare d'una tettoia -del contadino. E la cronaca cittadina, compilata sulla -cetra dei latinisti, esalta questa devozione di madre alla -sua creatura, sapete come? con inveire contro gli Dei -Lari che non hanno sorretta quella tettoia, contro le divinità -campestri le quali hanno attratta in villa la bella -Alba (un'altra Albiera), che Venere avrebbe dovuto proteggere: -e tutto questo, pur descrivendo, e non senza -efficacia, lo strazio del marito, che, lontano da Firenze, -torna quando la sua povera moglie è ormai sotterra, e -vuole a forza alzare la pietra di quella sepoltura, e che -le care contraffatte sembianze siano restituite una suprema -volta al suo disperato dolore. La famosa brigata -<span class="pagenum" id="Page_115">[115]</span> -delle gentili donne fiorentine, che fuggendo i dolori e i -pericoli della pestilenza del 1348 è dal gran novelliere -immaginata ritrarsi in una di quelle vallette, ci perde i -nomi con che sono state battezzate in San Giovanni, -per divenire Pampinee o Neifili, e le loro fantesche Misia -Licisca Stratilia, e Sisisco il cuoco, e Panfilo Filostrato -Dioneo la fauna de' loro amatori: con tanta verità, -quanta ne è in cotesto calunniare la donna, sia di -quello sia di qualunque altro secolo, apponendole che -dove si soffre e si muore ella se ne vada in campagna, -invece di rimanere ferma e fedele al suo posto. Tanta -verità in ciò (Voi non mel concedereste se lo affermassi, -o donne gentili), quanta nella bizzarria germogliata, non -si sa come, in testa al buon Franco Sacchetti, d'una -<i>Battaglia delle belle donne di Firenze con le vecchie</i>, le -giovani schierate sotto il gonfalone di Venere, le vecchie -sotto quello dell'infernale Proserpina; il tutto in quattro -cantàri d'ottave mal connesse, con volgare strazio d'ogni -nobile affetto e un pocolino anche del buon senso, che -informa invece così finamente le novelle di quel medesimo -Franco. Tanta verità in ciò, quanta (per tacer d'altre -siffatte volgarità) nella fantasia, incarnatasi bensì in -una delle più belle prose di nostra lingua, <i>Le bellezze -delle donne</i>; le quali bellezze don Agnolo Firenzuola -immagina, in un'altra brigata boccaccevole, siano da -quel suo Celso, che è poi lui stesso senza la cherica, -analizzate pezzo per pezzo, più o meno velati, sulla persona -di quelle sue (al solito sbattezzate) monna Lampiada, -monna Amorrorisca, e Verdespina, e Selvaggia, -ascoltatici e interlocutrici: anatomia estetica, possibile -forse ad eseguirsi laggiù nella Magna Grecia in servigio -di Zeusi quando dipingeva la sua Elena, ma non già in -Prato, nell'orto della badia di Grignano, l'anno di grazia -millecinquecento tanti, in una veglia, quale quella vuole -pur essere, di donne non dimentiche di sè medesime. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_116">[116]</span> -</p> - -<h3>IV.</h3> - -<p> -Non era quella, nè poteva essere, la poesia della vita -fiorentina fra il XIV e il XVI secolo. Fantasticata sui -libri, e in libri foggiata, essa non attinge nè attiene alla -vita vera di quell'età; nè vera è la donna che su quel -mitico fondo, tutto romano e greco, nulla medievale, -campeggia. Meglio dalle descrizioni, o siano poetiche o -meglio se in prosa schietta fiorentina, de' conviti nuziali, -delle armeggerie, delle giostre, viva ci sorride, e -onestamente baldanzosa, e di quelle cavalleresche e cortigiane -onoranze seco medesima sodisfatta e superba, la -donna. Non mancano anche in cotesti suntuosi apparati -lo iddio Amore, gli Amorini (convertiti bensì, il che ha -un po' del trovadorico, in spiritelli), le Ninfe; sibbene -come ornamento esteriore, fregio posticcio, parvenza fugace; -non come espressione mitologica d'un sentimento, -o quasi (direi co' filosofi) espressione essoterica d'una -dottrina. Ma la figurazione dominante e caratteristica è -dalla cavalleria medievale, e s'atteggia e si drappeggia -nelle persone e nelle foggie di castellani e di principi, -d'uomini d'arme, di donzelli, d'araldi e di paggi, di dame -crudeli e di servi d'amore, con seco le grandi o gentili -memorie delle crociate, de' passaggi imperiali, della santa -gesta de' Paladini: “le donne (ha cantato Dante), le -donne, i cavalier, gli affanni e gli agi, che ne invogliava -amore e cortesia„. -</p> - -<p> -Siamo in piazza Santa Croce il 7 febbraio del 1468; -e si fa la giostra della quale Lorenzo de' Medici scriverà -ne' suoi <i>Ricordi</i>: “Per eseguire e far come gli altri, -giostrai in sulla piazza di Santa Croce„; e ne noterà -la spesa in fiorini diecimila di suggello: “e benchè -e di colpi non fussi molto strenuo, mi fu giudicato il -primo onore, cioè un elmetto fornito d'ariento, con un -<span class="pagenum" id="Page_117">[117]</span> -“Marte per cimiero.„ Entrano in campo i giostratori: -Medici, Pitti, Pucci, Vespucci, Benci, Pazzi, e altri molti; -qual più qual meno riccamente forniti: con magnificenza -più che regale, Lorenzo alla divisa de' gigli d'oro di -Francia e in sua compagnia il fratello Giuliano, coperti -d'oro, d'argento, di perle, di pietre d'ogni sorta preziose: -ciascun cavaliere accompagnato da trombetti e paggi e -uomini d'arme, e giovani gentiluomini a cavallo tutti -vestiti sfarzosamente alla divisa di quello; brigate per -ciascuno di poco meno che un centinaio di persone; e -ciascun cavaliere col suo stendardo, nel quale fra emblemi -e segni diversi, e per lo più tra verde di prati e -fiori di verzieri, la dama del cuore. Questa, leggermente -velata di bianco, con ghirlanda di quercia in mano, e -a' piedi legato con catene d'oro un leopardo; quella, in -abito di ninfa, che riceve nel grembo le foglie d'un faggio -battuto dalla tempesta, e le dà mangiare ad un -daino; quell'altra, vestita di bianco e di verde, che le -saette d'Amore infocate spenge nel fonte che scorre a' -suoi piedi; un'altra, vestita di paonazzo, che quelle stesse -saette fa in pezzi e ne semina il prato; ma la dama di -Lorenzo, irraggiata dal sole traverso ai colori dell'iride, -vestita di drappo alessandrino ricamato a fiori d'oro e -d'ariento, coglie d'un ramo di lauro rinverdito sull'arido -tronco, e ne fa ghirlanda, e ne sparge foglie all'intorno; -il suo motto, in lettere di perle grosse da gioiellare, <i>le -tems revient</i>. E molto lontano da Firenze, in Roma, nell'austerità -baronale del palagio degli Orsini, pensava a -lui in quel giorno una giovane donna, che non era nè -forse le rincresceva di non essere la dama del suo stendardo, -perchè si apparecchiava ad essere la madre dei -suoi figliuoli. “Lorenzo è molto occupato in questa giostra, -chè già da tempo non ò avuto sue lettere„; ha -detto ella, la Clarice, un mese innanzi, a uno de' Tornabuoni -venuto a recarle le nuove di lui; ed ora, appena -<span class="pagenum" id="Page_118">[118]</span> -corrono a farle sapere “come Lorenzo à fatto la -giostra, e n'è uscito sano e con grandissimo onore„, -e che “s'è aoperato tanto degnamente quanto sia possibile -di dire„, e che “giammai fu paladino facessi -quello à fatto Sua Magnificenza„, risponde soavemente, -“Ora s'è fatto la giostra, non avrà più scusa da recare, -che non venga a Roma questa quaresima„. E in occasione -della quaresima, la madre le ha fatto “levare -panno pagonazo di Londra per una gonna a la romanesca„, -che crede quel fidato Francesco Tornabuoni -“non istarà punto male„; e così si propongono, -madre e figliuola, di “andare vicitando tutti questi perdoni, -pregando Iddio per Lorenzo„; ma la madre insiste -ch'e' venga, perchè “vuole che voi vegiate la vostra -mercanzia, avanti l'abbiate a casa; la quale ogni -giorno migliora„: della qual locuzione figurata non so -se proprio si abbellisse il parlare della nobilissima matrona, -o s'ella fiorisse spontanea nella lettera del mercante -cliente al mercante magnifico. -</p> - -<p> -Un anno e quattro mesi dipoi, il 4 giugno del 69, le -nozze di Lorenzo e di Clarice si celebravano in Firenze -con grande solennità, la quale incominciava con due interi -giorni di offerte a casa Medici dal contado e dalle -città di Toscana; offerte la cui consistenza sommò, per -citar qualche cifra a un centocinquanta vitelle, paia di -capponi paperi e pollastri più di duemila, vini nostrali -e forestieri a botti, e simili altre gentilezze, che Lorenzo -partecipava largamente alla cittadinanza, anche prima -d'imbandire, dalla domenica al martedì, ben cinque conviti, -che empivano le loggie e i giardini del palagio di -via Larga, con le mense distribuite fra giovani donne in -compagnia della sposa (“cinquanta giovani da danzare„ -dice l'informazione), e le donne di più età con madonna -Lucrezia; e così in tavole separate i “giovani che danzavano„, -e gli uomini di più età. Dalla domenica mattina, -<span class="pagenum" id="Page_119">[119]</span> -quando la sposa, partitasi dalla casa degli Alessandri -“a cavallo, in sul caval grosso che donò a Lorenzo -il re di Napoli„ entrava fra nobilissimo corteo -nella casa maritale, mentre festeggiato di musica lieta -si tirava su alla finestra il simbolico ulivo; sino alla mattina -del martedì, quando “andò a udire messa a San Lorenzo„, -con in mano uno de' mille doni nuziali, “uno -libriccino di Nostra Donna, maraviglioso, scritto a lettere -d'oro in carta d'azzurro oltramarino, coverto di -cristallo e d'ariento lavorato„; Clarice Orsini, trasportata, -avvolta, sollevata in quel profumo di gioventù, di -bellezza, di grazia, di forza; ricevuta nelle sale che Cosimo, -Piero e Lorenzo avevano impreziosite dei tesori -dell'antica arte e della risorta; circondata, sovraccarica, -dagli splendori d'una ricchezza che, anche non ostentata -anzi voluta dissimulare, tuttavia impacciava quasi -sè medesima; regina degli omaggi che il fiore delle intelligenze -di tutto il mondo tributava a questa famiglia, -la cui potenza era soprattutto l'ingegno; potè ben comprendere -ch'ella era venuta sposa al primo cittadino, -non che di Firenze, d'Italia. -</p> - -<p> -E lasciamo stare se a quella gaiezza un po' sbrigliata -della città popolana, allo scetticismo elegante di quei -letterati già bell'e cortigiani, a quelle transazioni fra il -cittadino e il cliente che corrompevano intorno al patrono -tanto vecchio sangue repubblicano, se a questo e -ad altro che poi dovette offendere la sua romana alterezza -e i suoi sentimenti di moglie e di madre, ella ripugnò -sin da principio, e ne contrasse quel malinconico -cruccio che avvolse tutta la sua virtuosa esistenza domestica; -lasciam pure che invece del Poliziano, il quale -ella giunse perfino a cacciare di casa, preferisse di vedersi -intorno ser Matteo Franco, buona pasta di cappellano -e di sonettiere faceto, nelle cui fiorentinissime lettere -madonna Clarice, circondata da' suoi figlioletti, è -<span class="pagenum" id="Page_120">[120]</span> -viva e parlante figura; ma non saprei tuttavia credere, -che giovinetta sposa, ella non abbia dovuto gustare, di -quella popolana gaiezza, di quella eleganza addottrinata, -di quei cortigiani ritrovi, quanto parlava così vivacemente -ai sensi e alla fantasia, in feste, per esempio, simili -a questa, che pochi anni avanti, nel 64, aveva empito -del suo fragore gioioso un'intera notte del carneval -fiorentino. -</p> - -<p> -“Notizia d'una festa fatta la notte di carnasciale, per -una dama la quale fu figliuola di Lorenzo di messer -Palla degli Istrozi. La detta festa fu fatta da Bartolomeo -Benci, come innamorato della detta dama.„ Ve -la riassumo, il più che potrò con le parole stesse della -<i>Notizia</i> contemporanea, che sono una pittura. Bartolomeo -Benci ha ordinato, con altri otto giovani di principali -famiglie, un'armeggeria notturna, l'ultima notte di -carnevale, in onoranza, prima alla dama sua, poi, come -sentirete, a ciascheduna delle otto respettive dame de' suoi -compagni. Ciascuno di essi otto è a cavallo, ricchissimamente -forniti; ciascuno ha trenta giovani intorno a sè, -vestiti alla propria divisa, con torchi in mano, e altri -otto intorno alla briglia. Il Benci poi, col bastone di -“Signore e Capitano della Compagnia,„ è “in su 'n uno -cavallo che la natura nollo potre' fare più bello; con -fornimento e sella e briglia tutto di chermisi, ricamato -di molte argenterie tanto riccamente quanto fare si -potè: e lui in su detto cavallo, con uno giubone di -perle ricamato e gioie, con due alle alle spalle, d'oro -e più altri colori. E intorno al detto Signore era quindici -gentili giovani a piè; tutti con gonnellini di raso -chermisi foderati d'ermellini, con calze pagonaze: a' -quali esso Signore donò a ciascuno. E oltre a questo, -avea intorno detto Signore centocinquanta giovani, -tutti vestiti a una sua divisa, cioè gonnellini e calze -verdi, con falconi nel petto e di dietro, d'ariento, che -<span class="pagenum" id="Page_121">[121]</span> -gittavano penne per tutto el gonnellino: e' quali centocinquanta -giovani ciascuno aveva un torchio acceso -in mano„. Portatori e pifferi circondano il Trionfo -d'Amore, che è alla testa: un Trionfo “alto braccia -venti, composto in modo che, guardandolo, si rimaneva -abagliato: co' molti ispiritegli d'amore con archi -in mano; e in alcune parti l'arme de' Benci, e in altri -luoghi la divisa del padre di detta dama; co' molte -campanellette a sonagli d'ariento, e varie cose. Era -composto detto Trionfo d'alloro, mòrtina, arcipresso, -abeto e scope, cose tutte verdi e calde, apropriate all'amore. -E, per abreviare, in sulla cima di detto Trionfo -era un cuore sanguinente, aceso in fiamme di fuoco, -che del continovo ardevano; con certi razi„ che a suo -tempo dovevano esser lanciati. Muove la brigata (tutto -ben computato, oltre un cinquecento persone) dalla Piazza -de' Peruzzi, dopo una lauta cena in casa di Bartolomeo, -e va alle case degli Strozzi da Santa Trinita: due Benci -e due Strozzi regolano a cavallo l'andata. La Signoria -ha fatto bandire, che nessuno quella notte giri a cavallo -per la città, fuor di cotesta armeggeria; e che in essa -o a cagion d'essa, “se per disgrazia alcuno fusse morto, -chi l'ammazza sia sanza pena e sanza bando„: il che -è detto “un obviare a' casi cattivi che potrebbero nascere„. -E così, “giunti a casa della dama, feciono la -mostra. E apresso, ciascuno corse ritto in sulla sella, -secondo uso d'armeggeria, con un dardo in mano, dorato. -E dipoi ancora, ciascuno corse con una lancia -busa, dorata, e ruppono a piè della finestra dov'era -detta dama. La quale si mostrava in mezo di quattro -torchi acesi, con tanta graziosa onestà che una Lucrezia -basterebbe. E fatto questo, el Trionfo era fermo -sulla piaza, dirimpetto alla finestra dov'era detta dama: -e al Signore fu ispiccate l'alie e gittate in sul Trionfo; -e in quel punto, era ordinato che a detto Trionfo s'apiccassi -<span class="pagenum" id="Page_122">[122]</span> -el fuoco: e così arse, con tante grida e suoni che -insino alle stelle andava el romore. E i razi che v'erano -su erano artificiati in modo, che pareva che quegli ispiritegli -d'amore, ch'erano in su detto Trionfo, co' l'arco -che gli avevano in mano, gli saettassono. E così accesi -per l'aria volavano appresso alla dama: alcuno n'andava -in casa della detta dama, che si istima glien'entrassi -alcuno nel cuore, per compassione del detto -amante. E fatto questo, el detto Signore Amante, partendosi -con tutta la compagnia, per non volgere le -spalle a detta dama, fece che sempre el cavallo andava -indietro, tanto che più nulla potè vedere. E partiti -di quivi, andarono a rompere le lancie e armeggiare -a casa le Dame di ciascuno de' suoi Compagni, -cioè degli otto nominati. Dipoi tornarono tutti dalla -Dama del Signore, e feciolle una mattinata co' molti -suoni e gra' magnificenza: e questo si dice mattinata, -perch'era presso a dì. E dipoi si partirono, e accompagnarono -el Signore, cioè Bartolomeo Benci, a casa, -nel modo e forma come s'erano partiti nel prencipio. -E 'l detto Signore aveva ordinato molte confezioni, e -e fece tutti convitare co' gra' magnificenza„. A chi poi -rimanesse la curiosità (mi sia permesso, gentili ascoltatrici, -supporla), se a que' nove armeggiamenti sotto le -finestre delle nove case abitate dalle nove dame, corrisposero -a suo tempo nove bei matrimoni, rispondo: che -quanto ad alcuna delle amorose coppie, no certo, per la -ragione molto stringente che il cavaliere aveva moglie, -il che fa altresì lecito ammettere che anche qualcheduna -delle rispettive dame avesse, per ultimo respettivo, -marito: quanto a qualche altra coppia, potrebb'anch'essere; -ma a chiarirlo, bisognerebbe, come de' cavalieri, -avere i nomi delle otto dame; e questi la <i>Notizia</i>, che -vi ho riassunta, non ce li dà; quanto poi alla coppia -che più forse vi preme, mi rincresce dovervi notificare, -<span class="pagenum" id="Page_123">[123]</span> -che la Marietta Strozzi, nonostante tutta quella bersagliatura -di razzi amorosi fra la quale le finì il carnevale -del 1464, sette anni dopo andava sposa (e già aveva seguita -fuor di Firenze la madre) ad un Calcagnini di -Ferrara; e l'anno appresso, nel 72, l'aligero, e poi spennacchiato, -capitano Bartolomeo Benci sposava la Lisabetta -Tornabuoni, una sorella di quel confidente a Roma -tra la Clarice Orsini e Lorenzo de' Medici. -</p> - -<p> -Molte dolci memorie, del resto, dovè lasciare la bella -Marietta Strozzi nella città nostra, lontano dalla quale -il padre suo esule (come per lungo tempo, dopo il trionfo -de' Medici, furono, di generazione in generazione, gli -Strozzi) era morto di ferro, e per l'esilio di lui aveva -dovuto pure starsene fuori la madre, virtuosissima e austera -donna, Alessandra de' Bardi: e in questa quasi orfanezza -la fanciulla si trovò forse più libera che alla -condizione sua non convenisse: almeno in quell'inverno -del '64, nel quale, poche sere avanti l'armeggeria, sentite -quest'altra sua avventura carnevalesca, e che cosa era -possibile a farsi, senza scandalo, da una giovinetta fiorentina -in que' tempi. Vi traduco (liberamente anche -questa volta) da una lettera, elegantemente latina, di -amichevoli confidenze giovanili tra Filippo Corsini e Lorenzo -de' Medici: “.... E mentre ti scrivo, la neve cuopre -quasi tutta la città: tedio per molti e cagion di starsene; -ma per altri cagione di darsi moto e piacere. -Sappi infatti che Lottieri Neroni, Priore Pandolfini e -Bartolommeo Benci (daccapo il nostro allegro Capitano). -Cogliamo il destro, hanno detto, di usare qualche bel -tratto. E subito, a due ore circa di notte, si son presentati -alla casa della Marietta Strozzi, seguiti da -una gran moltitudine accorsa da ogni dove, per fare -a gettarsi la neve con lei. Gliene han data la sua porzione, -e hanno incominciato. Immortali Dei, che spettacolo! -e come descrivertelo, Lorenzo mio, con questa -<span class="pagenum" id="Page_124">[124]</span> -debole prosa? Gran pompa d'innumerevoli fiaccole; -squillar di trombe, dolcezza di flauti; pubblico appassionato -e plaudente. E che trionfo, quando alcuno degli -assalitori riusciva a sparger di neve il viso, come neve -candido, della fanciulla! Ma che dico sparger di neve? -un vero e proprio trarre al bersaglio era quello, e di -tiratori valentissimi! La Marietta poi, così leggiadra e -destra in quel giuoco, bella come tutti sanno, ne uscì -con immenso onore. Ma i gentili giovani non si partirono -da lei, che prima non le donassero molto nobilmente -per loro ricordo. E così, con grande contentezza -di tutti, il piacevole giuoco ebbe fine„. Un -epigramma del Poliziano (l'ultimo che vi citerò da quel -florilegio aneddotico del Quattrocento fiorentino che sono, -più assai che le volgari, le sue Poesie greche e latine) -dice così: “Neve sei, o fanciulla, e giuochi con la neve. -Giuoca: ma deh, prima che la nevi s'imbratti, fa' che -si sgeli„. L'erudito, che oggi legge queste complimento -amoroso, ricorda i molti altri, d'antichi e d'umanisti, che -sul medesimo argomento si contengono nell'<i>Antologia -latina</i>, e l'ha per un'imitazione a freddo (è proprio il -caso di dir così) dall'antichità classica. L'aneddoto che -vi ho narrato mostra invece, che questa almeno fra le -tante imitazioni umanistiche aveva riscontro nel vero -attuale; ossia, che quel bizzarro costume era spontaneamente -rifiorito, come anche altre parti della vita antica, -nell'allegra democrazia del Rinascimento: finchè la inamidata -prammatica delle Corti, la Riforma protestante correggitrice -e il conseguente reattivo disciplinamento della -morale cattolica, più tardi infine la filosofia civile e la -rivoluzione bandita e guerreggiata in nome di principii -universali, non ebber mutata la faccia del mondo. -</p> - -<p> -Ma finchè quelle gazzarre, quelle feste davvero popolari, -que' fantastici apparati, que' simboli abbaglianti, ebber -vita, nè corteo di spose, nè armeggiamento per dame, -<span class="pagenum" id="Page_125">[125]</span> -nè giostra di amorosi cavalieri, ebbe mai tanta cittadina -solennità, quanto uno sposalizio, ben diverso da tutti -gli altri dall'ora e di poi: lo sposalizio dell'abbadessa di -San Pier Maggiore; sposalizio che si ripetè tante volte -(salve eccezioni) quanti Vescovi ebbe per secoli parecchi -la Firenze e del Medioevo e del Rinascimento ed anche -del Principato Mediceo, poichè lo sposo della badessa -era (<i>honni soit qui mal y pense</i>) messere lo Vescovo. -</p> - -<p> -Quella chiesa e monastero di San Pier Maggiore, che -furono delle maggiori antichità sacre di Firenze, se, -come pare, nella lor forma primitiva risalivano al secolo -quarto; che detter nome a una porta e a un sestiere -della città, abitato e maledetto da Dante, non sono più. -Si restauravano nel secolo XI, e si afforzavano con addossarli -alle mura del secondo cerchio: si abbelliva la -chiesa, a mezzo il secolo XIV: si sconciava, come tante -altre, mediante le cappelle patrizie a marmi e stucchi -di tutti i colori, nei secoli del barocco. E tutto oggi è -sparito. E il tempo, che “traveste l'uomo e le sue tombe„, -a mala pena ha rispettato nell'Arco di San Piero (salvo -i possibili attentati onomastici dei moderni edili) il nome -del titolare. Quali rovine, quali ossa, calpestiamo noi, -passando da quell'arco! Delle nostre conoscenze d'oggi, -le due belle Albizzi si sono fatte polvere colaggiù -sotto: e si addormentò in pace con esse la monacella -grecista, la quale, se morendo ancor ella giovine, non -ebbe tempo di maturarsi, arcigna e rugosa superiora, -per quelle nozze episcopali, potè bensì esercitare la sua -mondana erudizione, ahimè non più sulle immortali pagine -d'Omero e di Sofocle, ma sul grosso notarile latino -degli autentici privilegi di coteste mistiche nozze, che -risalivano (dicono que' notari) “a tanto tempo quanto è -di là da memoria d'uomini„. L'ingresso del novello -sposo della Chiesa fiorentina si faceva ritualmente dalla -porta di San Pier Gattolini, oggi Romana: due famiglie, -<span class="pagenum" id="Page_126">[126]</span> -di grandi e tradizionali attinenze (da Dante proverbiate) -con la mensa vescovile, avevano, i Tosinghi e i Visdomini, -il privilegio di riceverlo e accompagnarlo sino al -monastero, dove, simbolo della Chiesa fiorentina lo attendeva -la badessa. Si celebravano nella chiesa le nozze, -inanellando il Vescovo la sposa con un ricchissimo anello, -e questa offrendogli in dono un letto suntuosamente montato -nella camera stessa di lei, che per quel giorno, durante -intere ventiquattr'ore, uscendone lei, diveniva la -camera del Vescovo novello, sin che, la mattina appresso, -i soliti Visdomini e Tosinghi gli venivano incontro col -clero, e lo conducevano in Domo e lo insediavano. Tutta -Firenze accorreva a quelle nozze. Oltre le due ricordate -famiglie, altre ancora, e delle principalissime, Albizzi, -Pazzi, Strozzi, rivestite di privilegi e diritti di questa o -quella parte del cerimoniale, avevano quasi a ogni Sposalizio -occasione di contestazioni, di proteste e di gare. -Alla badessa rimaneva il cavallo col quale era venuto -il Vescovo: agli Strozzi, con gran trionfo di tutto il parentado, -la sella. La Chiesa fiorentina aveva avuto il -suo pontefice, e la città una festa di più; nella quale -era toccata la sua parte, e che parte essenziale!, alla -donna. -</p> - -<h3>V.</h3> - -<p> -Ma traverso a tutte quelle ideali trasformazioni che -l'arte le apponeva, e a questa vissuta poesia di festeggiamenti -e di pompe, quale fu poi nel segreto della vita -reale, fra le pareti domestiche, figliuola e sorella, moglie -e madre, quale, nella Firenze di quell'età, fu la donna? -Scoperchiare i tetti delle case, e sorprendere senz'essere -introdotti la gente che attende tranquillamente a' fatti -suoi, e peggio poi le signore, si è creduto, fino a pochi -anni fa, un privilegio di quel personaggio che sapete, <i>le -<span class="pagenum" id="Page_127">[127]</span> -Diable boiteux</i>, sollevato da Renato Le Sage alla cattedra -d'uno de' più grandi e maligni professori di filosofia -morale che il mondo abbia avuto. Fino a pochi anni fa, -quando a me, sfogliando con paziente amore le carte dei -Medici avanti il Principato, occorse di scoprire un'anticipazione -del Diavolo Zoppo di Le Sage nella persona d'un -cortigiano de' più cari a Lorenzo e a' figliuoli suoi, e che -con uno di questi, divenuto papa Leone X, finì cardinale -di Santa Chiesa: l'autore della <i>Calandra</i>, il Bibbiena; -che in un Prologo a cotesta sua famosa commedia, -rimasto inedito anzi fra le cancellature del primo -getto, immagina di fare un giro da camera a camera -femminili, invisibile per forza d'incanto, e mette al nudo -una serie di scenette bizzarre che accadono in questa o -in quella, sul punto del recarsi le donne a una veglia -che si fa quella sera in Firenze. Rassicuratevi: io non -voglio entrar terzo fra il giulivo Cardinale e il diavolo; -se già non vi pare che sia ormai posto preso da messer -Guido Biagi, quando l'altro giorno v'introdusse con sì -garbata erudizione, e così intimamente, nelle segrete -cose della vita privata de' nostri vecchi<a class="tag" id="tag95" href="#note95">[95]</a>. -</p> - -<p> -E qui cade un'avvertenza e una dichiarazione. Quel -tanto che la novella e la commedia fiorentina del Quattrocento -e (molto più largamente) del Cinquecento potrebber -dare al ritratto della donna, io credo contenga -troppa meschianza o di classico, o di boccaccevole, o di -idealmente satirico: nè ebbe quell'età, come nel Sacchetti -ebbero il Due e il Trecento da Giano ai Ciompi, -un novelliere storico. Io non so in verità, quanto a buon -dritto si possano accettare anche solo come tipi della famiglia -in un dato momento della storia di Firenze i personaggi -della <i>Mandragora</i>; ma è poi certissimo che la -<span class="pagenum" id="Page_128">[128]</span> -buona Marietta Corsini moglie di Niccolò Machiavelli -nulla ebbe, povera donna, di simile con quella alla quale -egli, nel suo <i>Belfagor</i>, fa sposare il diavolo, e poi ridurlo -a tale disperazione, ch'e' se ne torna a rotta di -collo all'inferno. -</p> - -<p> -E una leggenda di amor coniugale e materno, delle -più poetiche e commoventi, parrebbe, se non fosse dramma -pur troppo vero e dramma sanguinoso, il fatto di Annalena, -che lo stesso grande istorico consacrò alla memoria -de' posteri con parole di somma reverenza. Giunge -un messo alle case di Annalena Malatesta, oltrarno, là -dove il popolo memore dice ancora “da Annalena„, e -le annunzia “Madonna, il marito vostro messer Baldaccio, -l'hanno morto a ghiado nel Palagio de' Signori, e -precipitato dalla finestra, e mozzagli la testa come a -traditore e malfattore„. Ed ella, che al venturiero d'Anghiari, -valoroso e brutale come condottiero ch'egli è, ha -dato, sposa poco più che dodicenne, il cuore e la fede, -e piegata sul suo petto di ferro l'alterezza gentilizia del -sangue che le scende nelle vene da Paolo Malatesta, il -cognato a cui la poesia di Dante fa eterni l'amore e la -pena, il bacio colpevole e l'amplesso infernale; essa, l'Annalena, -che da quel Baldaccio è già madre d'un bambinello, -corre, povera donna, a' Signori, al magistrato crudele -che l'ha vedovata, e per quella creatura innocente -riesce a salvare, col pianto, da confisca i suoi beni. Poi -quel figliuolo, il suo Guidantonio, nel quale tutta la -vita della madre fanciulla si era raccolta, le muore; ed -ella, ancor giovanissima, si trova sola, e già vissuta, nel -mondo. E allora Annalena, fatta donna dal dolore, di -quella sua casa in lutto fa chiostro, in quelle mura -chiude per sempre e consacra il breve romanzo della -sua giovinezza, le sue nozze e la sua maternità, le amorose -imagini e le micidiali, i ricordi d'una culla e di due -bare; nelle stanze stesse dove fu madre, ritorna vergine -<span class="pagenum" id="Page_129">[129]</span> -a Dio, e madre di vergini invecchia soavemente. Affettuosa -madre, e compassionevole agli splendori e alle lusinghe -del mondo; se uno degli umanisti celebratori di -Albiera, proprio a lei, ad Annalena ormai quasi cinquantenne, -rivolgeva una di quelle elegie latine, e le -chiedeva la preghiera sua e delle sue monacelle per la -morta degli Albizzi, “per la giovinetta„, le dice “che -tu hai amato come una tenera madre ama l'unico suo„: -parole non so dire se pietose o crudeli, che il latinista -forse scandiva senza pensarci su, ma che dal cuore della -vecchia monaca avran fatte risalire agli occhi le lacrime -della giovine madre. Il monastero d'Annalena, la quale -morendo a sessantaquattr'anni lo raccomandava a -Lorenzo de' Medici, fu sin da' suoi principii tutto cosa -della potente famiglia: e nelle stanze abitate già dalla -fondatrice, dalla vedova del condottiero, ebbe asilo e -salvezza, ne' tempi grossi pel nome mediceo, un fanciullo -che doveva essere il principe di quelli armigeri, -Giovanni delle Bande Nere. -</p> - -<p> -Ma se cerchiamo la donna, a cui la sventura non invidia -nè rapisce la famiglia, la donna che della famiglia -è ornamento e conforto, esempio e ispirazione, forza e -provvidenza, la donna di casa, la moglie e la madre; -alla storia di lei danno tipi ideali, però in necessaria -relazione con la realtà, come pel medioevo più alto i libri -di “reggimento o costume o castigamento„ femminili, -così per questo secolo XV i trattati di <i>Governo -della famiglia</i>: o con intendimento piuttosto civile e -secolare, quale è nel libro che si abbellisce de' nomi di -Agnolo Pandolfini e di Leon Battista Alberti, e in quella -parte che è didattica delle care pagine di Vespasiano -cartolaio; o con prevalenza del sentimento religioso, -siccome nella <i>Cura familiare</i> del beato Giovanni Dominici, -diretta a una valente gentildonna Bartolommea degli -Alberti. Quel tipo ideale, o, diciam meglio, tradizionale -<span class="pagenum" id="Page_130">[130]</span> -e derivato dalle memorie delle “buone e care„, -delle “care compiute et oneste„ donne, che tanta fragranza -di gentili virtù spargono nelle <i>Cronache domestiche</i> -del Trecento, Vespasiano lo effigiò, e anche con -un po' di retorica a suo modo lo colorì tra le figure illustri -dell'età sua, in Alessandra de' Bardi, la moglie di -Lorenzo di messer Palla Strozzi, e madre della vispa -Marietta. L'Alessandra è ritratta da Vespasiano “bellissima -e venustissima del corpo quanto gnuna n'avesse -la città di Firenze„; vantaggiata di statura tanto, da -fare a meno delle “pianelle„, supplemento prezioso, pare, -per altre fanciulle men favorite di proporzioni: educata -dalla madre sua “con ogni diligenzia„ (maggiore, forse -è da credere, che l'esilio del marito e le altre vicende -della famiglia non consentissero poi a lei nell'educazione -di quella sua figliuola): dall'“amare e temere Iddio indótta -a uno moralissimo vivere„: avvezza a “mai -perdere tempo che ella non fosse occupata„, a “mai -colle serve di casa non parlare, se non in presenza -della madre„; e “la prima a levarsi la mattina in -casa esser lei„: ammaestrata in “tutte le cose s'appartengono -sapere a una donna, ch'abbia aver cura di -famiglia; e massime a lavorare d'ogni cosa, e di seta -e d'altro, come s'appartiene alle donne„, e “imparare -tutto quello che, bisognando, potesse viverne„, e a -“saper fare ogni cosa e sapere insegnare„, dal leggere -sino a “ogni minima cosa„ attinente alle faccende domestiche. -“Rarissime volte era mai veduta all'uscio o -a finestra„, (ah Marietta!) “sì perchè non se ne dilettava, -e perchè occupava il tempo in cose laudabili. -Menavala la madre il più dei dì la mattina a una -grandissima ora, a udire la messa, tutte col capo coperto, -e col viso ch'appena si vedevano„. Ma questa -stessa, che comincia forse quasi a parervi una monachina -di casa, fatta poi sposa, e venendo a Firenze -<span class="pagenum" id="Page_131">[131]</span> -un'ambasciata imperiale, sentite se sapeva, come le faccende -femminili, altrettanto far bene gli onori, non pur -della casa, ma della città, e d'una città che si chiamava -Firenze, la quale “in questo tempo„ dice il buon Vespasiano -“era abbondante e di virtù e di ricchezze, e -la fama sua era per tutto il mondo„; città che “a -quelli ambasciadori parve un altro mondo, rispetto alla -grande quantità di uomini nobili e degni v'erano in -quel tempo, e non meno donne bellissime del corpo e -non meno della mente; perchè, sia detto con pace di -tutte le donne e terre d'Italia, Firenze in quel tempo -aveva le più belle e le più oneste donne fussino in -Italia, e di loro per tutto il mondo n'era tal fama„. -E descrive un ballo che a quei gentiluomini dell'Imperatore -fu offerto dalla Signoria, in Piazza, sopra un palco -dal lato del Palazzo verso Condotta, con grande apparato -di spalliere, e pancali, e arazzi, e festoni; e i primi -giovani della città, vestiti tutti a un'assisa di drappi -verdi ricchissimi, e calzatura di pelle sino a' fianchi; e -le fanciulle e le spose, con ricche vesti accollate fregiate -di perle e di gioie. Alla onoranza di ciascun ambasciatore -deputate due dame: che pel primo di essi sono -l'Alessandra, maritata in quello stesso anno (era il 1482, -ed ella n'aveva appena diciotto), e una Francesca Serristori. -Dopo il ballo, si porta in giro la colezione; ed -ecco l'Alessandra servire ella stessa gli ambasciatori, -“con una tovagliuola di rensa in sulla spalla.... con una -ismisurata gentilezza.... facendo riverenza con inchini -in fino in terra, naturali e non isforzati, che pareva -non avesse fatto mai altro„. Poi, ballo di nuovo; e, infine, -accompagnamento degli ambasciatori all'albergo, -ciascuno d'essi dando di braccio alle due belle fiorentine, -una di qua e una di là, Alessandra alla diritta: e giunti -alla porta dell'albergo, “il primo ambasciatore si cavò -uno bellissimo anello di dito, e donollo all'Alessandra; -<span class="pagenum" id="Page_132">[132]</span> -di poi se ne cavò un altro, e donollo alla compagna„. -Dopo di che, “salutati le giovani e i giovani, gli ambasciadori -accompagnarono le giovani alle case loro„. -</p> - -<p> -Il biografo quattrocentista, che sul declinare del secolo -scriveva di questa e d'altre donne fiorentine della generazione -antecedente, non finisce mai di far paragoni -tra esse e le donne fiorentine del tempo suo, deplorando -lo scadimento del costume e delle consuetudini più virtuose -e severe. In questi lamenti, un po' di parte va -fatta certamente all'abito che fu e sarà sempre di tutti -i tempi, del rimpiangere, per questo o quel rispetto, il -passato; un'altra poca, inoltre, alla disposizione di Vespasiano -a trovar che ridire su troppe cose (figuratevi che -una volta vuole e prescrive che le donne “imparino a -non parlare, massime in chiesa„, egli dice; e poi, come -se fosse poco, soggiunge “e in ogni altro luogo„): pur -tuttavia, fatte queste eccezioni, e lasciando lo scherzo, -io credo che que' suoi lamenti, specialmente quando li -formula, com'è spesso, in osservazioni positive, attengano -a condizioni reali; e propriamente a quella mutazione -che anche nella vita domestica, di cui la donna è -custode e gli atti suoi sono specchio, avevano indotto le -splendidezze, a un poco per volta sempre più cortigiane, -di quei Medici, la cui potenza attraeva oramai, volere -o non volere, con l'interesse e la fortuna delle famiglie, -anche gli affetti, le speranze, i disegni, che più disposta -e inchinevole ad accogliere, in pro della famiglia, e fomentare -è la donna. -</p> - -<p> -“Ricòrdati che chi sta co' Medici sempre ha fatto bene, -e co' Pazzi el contradio; che sempre sono disfatti„: -così scriveva (e s'era solamente al 1461, diciassette anni -prima della sanguinosa congiura) un'altra Alessandra -pur maritata negli Strozzi, e che essa pure come la -Bardi dagli esilii di quella famiglia ebbe lunghi dolori -al suo cuore di moglie e di madre, ma altresì la consolazione, -<span class="pagenum" id="Page_133">[133]</span> -prima che morisse, di veder restituiti alla patria, -e molto per la efficace materna opera di lei, i figliuoli, -e il maggior d'essi gettare alla grandezza della sua famiglia -quelle fondamenta delle quali è superbo monumento -il loro meraviglioso palazzo: Alessandra Macinghi -negli Strozzi, alla quale un altro monumento con la pubblicazione -delle sue <i>Lettere a' figliuoli esuli</i>, che io vorrei -avere autorità di raccomandarvi e farvi care, o Signore, -componeva, ne' dì nostri, Cesare Guasti, erudito e scrittore -degno d'interpretare que' dolori, quelle consolazioni, -quelle grandezze. -</p> - -<p> -Lo avvicinarsi ai Medici anime elette come quelle della -Macinghi Strozzi, matrona del cui costume e pietà avrebber -potuto compiacersi la bontà di Antonino arcivescovo -o la fierezza di Girolamo Savonarola (e a qualche pratica -durezza piuttosto de' tempi che sua, confido che, -ripensandoci, il nostro Biagi<a class="tag" id="tag96" href="#note96">[96]</a> si farà più indulgente), -lo avvicinarsi, dico, di tali anime e famiglie (ne cito -un'altra, i Rucellai) ai Medici, mostra che l'opera di questi -era stata non tanto di corruzione, quanto di acquistare -potenza fra i cittadini, prendere dello stato (è la -frase del Machiavelli, e del tempo) quanto a mano a -mano ne veniva ad essi concesso, cosicchè la forza loro -sormontasse invincibilmente su tutte le altezze, preponderasse -su tutte le resistenze, schiacciasse quasi fatalmente -tutto ciò che si levasse contro di loro. “Co' Medici, -e non co' Pazzi!„: a quell'affettuoso ammonimento -materno risponde tragicamente, a distanza d'anni, nel -maggio del 78, un'altra voce di donna, anzi lo schianto -d'un cuore, d'un cuore di figliuola, ne' giorni che l'uccisione -di Giuliano de' Medici e le ferite di Lorenzo erano, -nel sangue de' congiurati e di chiunque paresse averli comecchessia -favoriti, vendicati come delitti contro la patria. -<span class="pagenum" id="Page_134">[134]</span> -La figliuola d'uno di costoro, giovane sposa di vent'anni, -Ginevra di Piero Vespucci (cognata della bella Simonetta; -e Piero, uomo, del resto, di poco senno, era stato -un tempo deditissimo a Lorenzo, e giostratore nel 64 in -Santa Croce con lui, e armeggiatore col Benci sotto le -finestre della Marietta), scrive, la Ginevra a Lorenzo, -queste parole spezzate dal pianto: (la lettera è inedita -e sfuggita alle ricerche e curiosità erudite): “Amantissimo -in luogo di buon padre. La cagione di questi dolorosi -versi si è perchè ieri non vi potei parlare come -desideravo, per potervi pregare e ricordare l'amore e -benivoglienza avete portata in questa casa, e le parole -e promesse fatte a me, e l'umanità dimostrami, quando -mi chiamasti sorella: e però vi priego vogliate accettare -e mie' prechi, e ogni amore e promesse rivolere -in questo, e avere misericordia e compassione di noi -tutti. Vorrei vi fussi di piacere considerare la condizione -di mio padre, e specchiarvi in me, e non considerare -quello che fa in ogni suo caso, che non è solo -in questo. E priegovi quanto più posso mi facciate -questa grazia; e questo si è, me lo rendiate senza altro -segno, e che la penitenza di questo peccato sia quella -che à avuta: chè quando penso, della età ch'egli è e -poco sano, come è stato buon pezo, e ora di nuovo, -colla febbre, essere dove egli è, e avere e' ferri in piè; -che quando ci penso, mi scoppia el cuore. Priegovi -abiate pazienza se questi versi vi danno tedio, e priegovi -per l'apportatore mi mandiate qualche buona risposta; -però che chi misericordia fa, misericordia -aspetti: e priego Idio vi metta in cuore, me lo rimandiate -istasera: e se io fussi con Voi, tanto vi pregherei -me lo renderesti: e ora di nuovo ò inteso à avuta -della fune. Priegovi non ci vogliate fare disperare più. -Ginevra isventurata.„ -</p> - -<p> -Invero, la vita di quelle donne, quale la rivelano e -<span class="pagenum" id="Page_135">[135]</span> -l'aureo volume del Guasti (che, potendo essere a mano -di tutte, io mi son proposto di lasciare pressochè intatto -alla curiosità del cuor vostro, Signore e Signorine) e lo -pubblicazioni che di altri documenti femminili si sono -venute facendo, non solamente si vede essere tutta per -la famiglia; ma che quelle poderose famiglie, Medici, -Strozzi, Salviati, Rucellai, Guicciardini, Soderini, Ridolfi, -debbono a coteste donne non piccola parte della forza -che ebbero, a fare quello che fecero. Il Savonarola, che -sulla caduta della supremazia Medicea tentò costruire -saldamente l'edificio del governo popolare, sentì quanto -importasse al suo intendimento avere a ciò profonde -basi nella famiglia: pensò, come la prima delle sue riforme, -la riforma del costume; e si rivolse alle donne. -E non tanto, intendo, alle mistiche, quali erano una Visdomini, -una Gianfigliazzi, una anzi due Rucellai; com'a -dire le Giacobine di quello che poc'anzi ho chiamato -Terrore Piagnone; giacobine, bensì, che poi finivano -monache, anzi una di esse Beata. Ma alle madri proprio -di famiglia, il Savonarola si rivolgeva: alle donne e a' fanciulli, -che è quanto dire alle forze dell'affetto materno, -si rivolgeva, come a instrumenti politici, con la fede, -con cui l'avversario suo papa Borgia si appoggiava alla -spada e al pugnale del suo Valentino. “O donne e fanciulli, -la vostra riforma non è ancora vinta. Dite da -mia parte alla Magnifica Signoria, che questa non è -cosa umana, ma di Dio; e fateli questa imbasciata: che -la racconcino se vi è cosa che non stia bene, e che gli -diano la sua perfezione; e che se non lo faranno, e si -faranno beffe delle opere di Dio o le contradieranno, che -il Re gli punirà. E ditegli che non sono Signori, ma -ministri del Signore e del Re nostro Cristo.... A voi, -padri e madri, dico: confermate questa cosa a' vostri -figliuoli, perchè non vi è dentro se non buon vivere. -Altrimenti Dio ha apparecchiata la punizione a chi -<span class="pagenum" id="Page_136">[136]</span> -contradirà alle cose sue. Io ve lo dico certo, e tenetelo -a mente.„ Il magnanimo frate fu arso; e il profeta, -smentito dai fatti: ma molta parte di quella generazione -informata da lui rimase fedele a <i>Popolo e Libertà</i>, l'antico -grido del Comune glorioso: e que' fanciulli, che ne' -carnevali de' Piagnoni avean ballato intorno al Bruciamento -delle vanità (cotesto bruciamento altra cosa è approvarlo, -ed altra intenderlo pel suo verso), que' fanciulli, -fatti uomini sostennero e combatterono, dalle mura -di Firenze assediata, contro il Papa e l'Imperatore, le -ultime battaglie della libertà italiana. -</p> - -<p> -Un'egual gagliardia di sentimenti e di opere; un intenso -sforzo di tutte le energie morali, e un cupo raccoglierle -e quasi appuntarle alla vita pratica, al riuscire; -durante que' trentacinqu'anni, che intercedono fra -il rivolgimento popolare nel 1494 e la caduta della Repubblica -nel 1530, animano del pari l'un campo e l'altro: -gli eredi e rivendicatori della libertà manomessa; e gli -eredi e sostenitori delle splendide ambizioni di chi la -vuole ormai sopraffatta. Anche sulle manifestazioni dell'arte, -e nella elaborazione del pensiero, incombe il -travaglio dell'ignoto avvenire. Il giardino Mediceo di -San Marco, dove il Poliziano erudiva ne' miti ellenici i -pittori e gli scultori, e nella storia carlovingia Luigi -Pulci, e il Ficino cercava in Platone conciliazioni feconde -tra la civiltà pagana e la fede di Cristo, quel -giardino è deserto. Ora è il Machiavelli che nelle conversazioni -degli Orti Oricellarii idealizza le togate figure -di Roma antica, e ne entusiasma i giovani che congiureranno -contro i Medici, mentr'egli da quella grande -nostra storia romana dedurrà dottrina di Stato, destinata -a chi, in tristi tempi con tristi mezzi, sappia far -trionfare, per la salvezza d'Italia, un'idea generosa. Ma -i Medici, ne' quali egli vagheggia il suo principe, muoiono -giovani: e sulle loro tombe Michelangiolo scolpisce il -<span class="pagenum" id="Page_137">[137]</span> -Pensiero doloroso e la Notte. Ben diverso trionfo, e non -generoso, alla fortuna della loro famiglia preparano, fattone -strumento le Somme Chiavi, Leone X e Clemente VII: -ma per tutto cotesto periodo, di resistenza e di contrasto, -durante il quale difesa, ritorni, congiure, cacciate, si alternano, -per poi conchiudersi in quella caduta da eroi -sulla quale irraggia la sua luce il Ferruccio, la vita civile -e la domestica non sono più nè possono essere il -gaio vivere, a sicura letizia intonato, nel quale, da Cosimo -a Lorenzo, Firenze aveva sorbito lentamente la -dissuetudine dalla libertà. I carnevali del magnifico Lorenzo -vecchio de' Medici, come lo chiamano i contemporanei -del nipote suo Lorenzo, che col ducato d'Urbino -anticipa ai Medici il titolo ond'è per coronarsi in Firenze -la loro secolare cupidigia, quei carnevali non tornano -più: nè valgono a rattizzarli le Compagnie del Broncone -e del Diamante, nelle quali, sotto le imprese e i motti -e l'auspicio di que' passati splendori, si raccoglie a darsi -piacere la gioventù pallesca. I tempi non sono più quelli, -nè per Firenze, nè pur troppo, dopo la calata di Carlo VIII, -per tutto il resto d'Italia. -</p> - -<p> -E la donna? Fedele custode delle sue tradizioni, in cotesta -vita che è divenuta tutta una guerra guerreggiata -di foschi interessi, essa ha vegliato e veglia agl'interessi -del focolare: specialmente la madre. Quando il magnifico -Lorenzo perdette la sua, “Ho perduto„ scrisse “un -unico refugio di molti mia fastidii e sollevamento di -molte fatiche, uno instrumento che mi levava di molte -fatiche„. “Tornate a vostra madre che con tanto desiderio -vi aspetta„; scriveva la Macinghi Strozzi: e -ai figliuoli esuli la voce di quella valente vecchia era -come la voce cara della patria, della patria che riapriva -loro le braccia, per tanti anni sì crudelmente serrate. E -così la Lucrezia come l'Alessandra hanno quasi con le -loro proprie mani fatto i matrimoni de' loro figliuoli; sottoponendo -<span class="pagenum" id="Page_138">[138]</span> -al sindacato del loro occhio materno, nelle -possibili nuore, tutto, dalla persona all'animo, ai costumi, -al parentado, alla dote: e fra le passate in rivista dall'Alessandra -è, con non troppo favore, la bella Marietta -delle armeggerie e della neve. Ora la Maria Salviati vedova -del gran capitano Giovanni delle Bande Nere, attende -alla futura grandezza del suo Cosimo, che a diciott'anni -improvvisamente duca di Firenze, saprà, educato -da quella donna di alto animo, sottomettere o schiacciare -i nemici, se anche si chiamino Filippo e Piero Strozzi, -deludere o respingere le pericolose ambizioni de' partigiani, -se anche si chiamino Francesco Guicciardini. Al -buon avviamento, prima, poi alla salvezza del suo sciagurato -figliuolo Lorenzino de' Medici, si adopera inutilmente -la Maria Soderini: ed essa e le figliuole bellissime, -entrate negli Strozzi, la Laudomia e la Maddalena, e dagli -Strozzi entrata nei Ridolfi la Maria figliuola di Filippo, -il gran gentiluomo del secolo, parteciperanno, con gli accorgimenti -animosi e le ispirazioni de' loro cuori di madre, -di sorella, di moglie, all'affaticarsi infruttuoso, non però -ingeneroso, de' fuorusciti, contro l'afforzamento del principato -Mediceo. Protesterà, contro la violenza e il tradimento -che lo hanno insediato, la figliuola d'uno di -quei fuorusciti, Giulia di messer Salvestro Aldobrandini; -che nella corte d'Urbino, richiesta da Fabrizio Maramaldo -di ballare con lui, “Levatemivi dinanzi„, gli risponde -“chè ammazzaste così vigliaccamente il Ferruccio„. -Ma tra le vittime del novello principe cadrà -una gentile di quella schiera, Luisa Strozzi; sulla cui -tragedia, e su quella che pochi anni appresso involge -nel mistero la morte del padre suo Filippo, aleggiano -sinistramente le parole dell'ava veggente: Chi è contro -a' Medici, sarà disfatto. Parole, del resto, che nella casa -degli Strozzi non ha ascoltate una Medici stessa, la madre -della Luisa, la Clarice moglie di Filippo e cospiratrice -<span class="pagenum" id="Page_139">[139]</span> -zelante alle fortunose ambizioni di lui; anima, piuttosto -che di donna, d'uomo e dei più fieri di quel fiero Cinquecento: -la quale ai giovinetti bastardi, nelle cui mani, -sotto i non dissimili auspicii di papa Clemente, il moto -popolare del 1527 trova le redini della signoria Medicea, -ha rinfacciato la passata grandezza de' suoi antenati, -fondata sul favore del popolo; e in nome di questo, nel -palagio de' Medici, essa una Medici autentica, ha loro -additata e quasi intimata la via dell'esilio. -</p> - -<p> -Forti donne, alle quali può l'uomo di cui portano il -nome commettere con fede le faccende domestiche, de' -figliuoli e del patrimonio, della casa e della villa; come -messer Luigi Guicciardini, mentr'è fuori Commissario -pe' Medici, alla sua monna Isabella, una massaia stupenda, -che io mi onoro d'aver rivelata dalle sue lettere campagnuole: -commettere e raccomandare la custodia del palagio, -e il decoro della casata; che alle mani della moglie -di Pierfrancesco Borgherini, madonna Margherita, saranno -sicuri. E quando un Della Palla, incettatore per -re Francesco di Francia di tesori artistici dalle case della -nostra città, si presenta con mandato (pur troppo!) dei -Priori alla casa di monna Margherita a mercanteggiare -una sua camera, meravigliosa pe' lavori di Iacopo da -Pontormo, quella davvero nobilissima gentildonna lo riceve -così: “Adunque vuoi essere ardito tu Giovambattista, -vilissimo rigattiere, mercantuzzo di quattro denari, -di sconficcare gli ornamenti delle camere de' -gentiluomini, e questa città delle sue più ricche ed -onorevoli cose spogliare, come tu hai fatto e fai tuttavia -per abbellirne le contrade straniere ed i nemici -nostri? Io di te non mi meraviglio, uomo plebeo e nimico -della tua patria; ma dei magistrati di questa -città, che ti comportano queste scelerità abominevoli. -Questo letto che tu vai cercando per lo tuo particolare -interesse e ingordigia di danari, come che tu vada -<span class="pagenum" id="Page_140">[140]</span> -il tuo mal animo con finta pietà ricoprendo„, cioè di -conciliare a Firenze assediata la benevolenza del Re “è -il letto delle mie nozze, per onor delle quali Salvi mio -suocero fece tutto questo magnifico e regio apparato, -il quale io riverisco per memoria di lui e per amore -di mio marito, ed il quale io intendo col proprio sangue -e con la stessa vita difendere. Esci di questa casa -con questi tuoi masnadieri, Giovambattista; e va', di' a -chi qua ti ha mandato comandando che queste cose -si lievino dai luoghi loro, che io son quella che di qua -entro non voglio che si muova alcuna cosa: e se essi, -i quali credono a te uomo dappoco e vile, vogliono il -re Francesco di Francia presentare, vadano e sì gli -mandino, spogliandone le proprie case, gli ornamenti -e letti delle camere loro. E se tu sei più tanto ardito -che tu venga per ciò a questa casa, quanto rispetto -si debba da' tuoi pari avere alle case de' gentiluomini, -ti farò con tuo gravissimo danno conoscere„. La conversazione -o, se anche vogliamo, l'amplificazione di queste -generose parole di donna in una pagina del buon Vasari, -mi pare debba riconciliarci alquanto con l'oratoria dei -Cinquecentisti. Ma voi, quando nel Palagio del Potestà -passate innanzi ad un mirabile cammino in pietra di -Benedetto da Rovezzano, che da una sala appunto delle -case che furono de' Borgherini colà trasferito, è ormai -assicurato al patrimonio intangibile della nazione italiana, -siate superbe, o gentildonne fiorentine, della vostra concittadina; -e se mai occorresse, ricordatevi dell'esempio -ch'ella vi ha dato. -</p> - -<p> -Che se la Margherita e l'Isabella favoreggiano, e la -Maria Salviati Medici rappresenta essa stessa potentemente -quella parte Medicea dalla quale, almeno in quel -truce epilogo delle sue ambizioni, rifuggono le simpatie -di noi tutti (compreso, senza dubbio, l'apologista dotto -e sagace, per la cui eloquenza ha in questa sala rivissuto -<span class="pagenum" id="Page_141">[141]</span> -una genialissima ora di vita il magnifico Lorenzo)<a class="tag" id="tag97" href="#note97">[97]</a>; -se la Clarice Medici Strozzi, e le gentildonne de' fuorusciti, -agitano in petto, insieme con altre passioni più nobili, gl'interessi -altresì e i rancori di ambizioni men della Medicea -fortunate; non mancano poi alla libertà che muore, non -mancano dal popolo che per lei combatte senz'altra ambizione -nè amore che non sia essa stessa la libertà, le -sue eroine. Eroine anonime, come le dà la plebe, generosa -de' nomi non meno che del sangue (così non ne -fosse prodiga anche a chi la inganna e la sfrutta!); anonime, -e nella veglia del malinconico inverno de' casolari -affigurate in leggenda. Tale la Lucrezia Mazzanti figlinese, -che nei gorghi del suo Arno cerca scampo alle -brutali violenze della soldataglia imperiale e papale: matura -sposa quarantenne, ma che il popolo vuole restituita -alla poesia dell'intatta giovinezza, mentre alla novella -Lucrezia romana dedicano il loro latino gli ultimi umanisti -del Rinascimento, che il Bruto cesaricida esalteranno -in Lorenzino de' Medici. E dalle popolari memorie, -nella storia del tempo raccolte, effigiò modernamente il -Guerrazzi, quando ne' duri anni della servitù d'Italia -volle essere l'Omero della libertà fiorentina, quella che -egli denominò monna Ghita setaiuola in Borgo San Friano: -“alta della persona, magra, adusta dal sole, sicchè sembrava -di colore del rame; i muscoli del collo grossi e -protuberanti, le vene turgide, le labbra vermiglie, e -comunque tacessero, agitate; le narici ansose, gli occhi -fulgidissimi, perpetuamente volgentisi da un lato -all'altro; i contorni del volto squadrati, la faccia ossuta„; -una Parca di Michelangiolo: la quale, vedova -e povera, dà alla difesa della patria le buccole d'oro -delle dónora maritali, e il figliuolo unico: “il mio Ciapo -di sedici anni e otto mesi, perchè deve entrare ne' diciassette -<span class="pagenum" id="Page_142">[142]</span> -come si arriva alla festa di San Zanobi„; -dopo fattogli giurare sul Crocifisso il giuramento con -che la Spartana consegnava al figliuolo lo scudo: O con -questo, o su questo. Ultima espansione da cuore di madre -popolana, dell'amor di patria nel sacrifizio della famiglia. -Succederanno i tempi ne' quali il popolo italiano -dovrà dimenticare d'avere una patria, cercar nelle gride -(povero Renzo!) il diritto d'avere una famiglia: e agli -oppressi dalla doppia tirannide, politica e sociale, non -rimarrà altra voce, se non il pianto di Lucia che dice -addio a' suoi monti. -</p> - -<h3>VI.</h3> - -<p> -La libertà repubblicana è caduta: e su quelle rovine -han fatto le loro paci, la Chiesa di Roma, che per entro -alla corruzione secolare e alle pagane eleganze ha giocata -la sua unità, e il sacro Romano Impero, le cui idealità -medievali son fatte così una brutta cosa, nella greve -signoria di Carlo V spagnuolo, del monarca su' dominii -del quale il sole non tramonta. Splendori di corti, di -pensiero e di roghi, illumineranno l'età che incomincia, -della quale il mio tema varca sfiorando le soglie, e destinata, -o Signore, alle conferenze del prossimo anno. -Nei sozzi e atroci drammi coniugali dei duchi e granduchi -Medici e de' loro cortigiani, ultima che ritragga -dell'antico “femminile„ fiorentino, bella, culta di lettere, -esercitata nella poesia, nella musica, nell'uso di più lingue, -del volgar nostro intendentissima, gentile d'animo, -è l'infelice Isabella Medici Orsini. Altre gentili ospita il -chiostro; il chiostro, talvolta cercato e invocato, troppo -più spesso destinato alla inconsapevole innocente fanciullezza -da quelle tirannidi gentilizie, scellerate e codarde, -delle cui vittime la Geltrude del Manzoni è vendetta -immortale. E nel chiostro, da uno ad un altro trafugandola -<span class="pagenum" id="Page_143">[143]</span> -gelosamente, i repubblicani fiorentini dell'Assedio -avean custodita Caterina de' Medici: come utile -ostaggio, speravano; e non sapevano di serbarla a ben -altre fortune. “Andate, e dite a que' miei padri e signori, -che io intendo d'essere monaca, e di starmi in -perpetuo con queste mie reverende madri„; mandava -ella a dire alla Signoria: l'aspettavano invece il trono -di Francia, e le guerre civili di religione, e la <i>Saint-Barthélemy</i>. -</p> - -<p> -Ma ai dolci silenzi della meditazione pietosa sulle -umane colpe e sventure, agli entusiasmi verso Dio buono, -ai terrori di Lui giusto, era nata Caterina de' Ricci, che -in San Vincenzio di Prato si chiude giovanissima, negli -anni durante i quali per un'altra di quel casato, la Marietta -Ricci Benintendi, duelli di non degno amore intermezzano -le battaglie della libertà, e il nome d'un'altra -Ricci, Cassandra, è vituperato fra le tresche e nel -sangue. Caterina nel chiostro riceverà le ultime tradizioni -e gli affetti de' seguaci di frate Girolamo; appiè -dell'altare, sul quale ella un dì sarà santa, consacra la -religione del martirio di lui: e dal chiostro, non ripudiata -l'umana fraternità, a' suoi di casa parla, nelle <i>Lettere</i>, -parole di pace, di conforto, d'amore; ai prelati suoi -superiori, di reprensione reverente, ove occorra; agli uomini, -che tra le cure civili o mercantili si travagliano, -parole di virtù operosa e che si affisa nell'alto; di giustizia, -ai principi; di miti e caritatevoli affetti, alle donne; -e delle due che furono le mogli di Francesco de' Medici, -ama Giovanna d'Austria infelice, prega e fa pregare Dio -per Bianca Cappello. -</p> - -<p> -Nè con l'infoscarsi, sempre più cupo, de' tempi, col -sempre più gravemente incombere sulla libertà politica -e del pensiero la domestica e la straniera tirannide, -manca ne' chiostri, alla pietà verso chi rimane nel mondo, -il cuor della donna: o l'abbiano esse lasciato, o esso il -<span class="pagenum" id="Page_144">[144]</span> -mondo le abbia allontanate da sè, quelle buone sentono e -fanno suoi i dolori della famiglia alla quale appartennero. -Sulla collina d'Arcetri si raccoglie a morire, quasi -prigioniero, il grande liberatore del pensiero moderno, -Galileo: ma presso alla villa del Gioiello, che oggi nel -suo nome ci è sacra, vegliano su lui, dal convento di -San Matteo, l'affetto e la preghiera d'una santa creatura, -che data a lui dall'amore, egli è forse colpevole di -avere, sin dalle fasce, destinata all'espiazione; della sua -Virginia, che egli ha voluto sia suor Celeste: ed ora -ella viene a lui, non potendo di persona, con le <i>Lettere</i> -nelle quali quella cara anima è sopravvissuta anche a noi: -e si accuora de' suoi dolori, e trepida delle sue malattie; -e si prostra reverente al suo divino intelletto che “penetra -i cieli„; e in una rosa, che gli manda nel cuor -dell'inverno, vuole intravvegga, di là dal “breve e oscuro -inverno della vita presente, la primavera dell'eternità„; -e s'addossa ella le penitenze spirituali impostegli dal -Sant'Ufizio; e al ricevere un suo libro, o al sapere di -onoranze resegli, esulta; e vorrebb'essere “in una carcere -assai più stretta di quella in che si trova„, per far -libero lui; nè le duole di esser monaca, se non quando -sente ch'egli è malato, per non potere assisterlo; e dovendo -come le altre monache scegliere fra i Santi il -Santo “suo devoto„, non altri sa scegliere, con sublime -profanità di figliuola, che il padre suo, il padre che -prega Dio le sia conservato, “perchè dopo di lui non -mi resta altro bene nel mondo„. E quando cotesto martirio -di amor filiale incarcerato ha il suo termine, e a -trentatrè anni ella muore, il povero glorioso vecchio -sentirà spezzato il più caro vincolo che ancora lo congiungesse -col mondo; più dura e crudele gli pesa ora -la guerra indegna che in lui è fatta ai diritti e all'avvenire -dell'umanità: e di lì a breve, cieco, infermo, degnato -di concessioni umilianti come a colpevole ravveduto, -<span class="pagenum" id="Page_145">[145]</span> -fattogli elemosina di licenza e di permessi come -a tollerato dai potenti della terra, egli che ha rivelato -i misteri del cielo, nel presentire la morte: “Mi sento„ -esclama “continuamente chiamare dalla mia diletta -figliuola„. Nè so se la donna abbia mai scritta nella -propria storia una pagina che valga cotesto grido paterno, -uscito dal cuore di Galileo. -</p> - -<h3>VII.</h3> - -<p> -Le libertà repubblicane caddero, e successero i tempi -infausti della servitù: ma al terzo secolo da quella caduta, -il sepolcro si è dischiuso, e la libertà d'Italia risuscitò -da morte. E la donna italiana, così da Firenze -come da ogni altra città e villaggio e borgata della patria -che è nostra, ha dato a quel risorgimento i dolori -del sacrificio e del martirio, le ansietà delle trepidanti -speranze, il pensiero e il lavoro degli uomini ch'ella ha -amato e ispirato, la vita propria, il sangue de' suoi -figliuoli; da Eleonora Fonseca a Teresa Confalonieri, -dalla madre dei Ruffini alla madre dei Cairoli: all'Italia -han dato il fior dell'ingegno la Guacci, la Turrisi Colonna, -la Ferrucci, la Brenzoni, la Paladini, la Percoto, -la Milli, la Mancini, la Fusinato. O madri toscane, o -spose, o sorelle, o figliuole, che da Curtatone e Montanara -alla rivendicazione di Roma le sante battaglie della -libertà orbarono de' vostri cari; o gentildonne animose, -o buone popolane, della nostra Firenze; la tradizione -con le forti donne dell'antica nostra istoria è per voi -ricongiunta. -</p> - -<p> -Nè più tardi d'ieri, da una collina le cui vigne e gli -oliveti ombreggiavano una tomba recente, è disceso un -feretro, che da quella tomba trasferiva, così volendo la -nazione, in Santa Croce, e restituiva al sepolcro degli -avi suoi, de' Priori e Gonfalonieri della nostra Repubblica, -<span class="pagenum" id="Page_146">[146]</span> -la salma di Ubaldino Peruzzi, nella cui persona, -il 27 aprile di trentadue anni fa, Palazzo Vecchio tornò -al suo antico signore, il Popolo fiorentino. Pia custode -di quella tomba gloriosamente vuota, è rimasta una -Donna: che tanto seppe, tanto potè, nei pensieri e negli -affetti di lui; che lo animò, lo aiutò, alle onorate fatiche, -ne' dubbi lo consigliò, gli confortò i patimenti, gli consolò -le ingiustizie, gli allietò i trionfi. Storia, che in tutti -i paesi civili, in tutte l'età, è la storia vostra, o Signore: -che compendia i diritti e i doveri vostri verso -le due grandi non distruggibili società, delle quali voi -siete l'anima immortale: la famiglia e la patria. -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_147">[147]</span> -</p> - -<h2 id="poliziano">IL POLIZIANO E L'UMANESIMO</h2> - -<p class="center"> -DI -</p> - -<p class="center large"> -GUIDO MAZZONI. -</p> -</div> - -<p class="pad2 indl"> -<i>Signore e signori</i>, -</p> - -<p class="pad2"> -Presentarmi a voi, che avete fama meritata di giudici -eletti, a voi che pur ne' giorni scorsi udiste Adolfo Bartoli -e udirete dopo me altri che io reputo maestri miei, -per discorrere del Poliziano e dell'Umanesimo, argomento -grave e forse nell'ampiezza sua meno adatto alle strette -d'una lettura, sembra audace a me stesso: ma non si -conveniva a me fiorentino negar l'opera mia in una impresa -di cui Firenze si compiace, come è questa delle -pubbliche letture; dirò più schietto, non mi diè l'animo -di rifiutare l'onore che mi si fece invitandomi qui. Di -che a ottenere più agevole indulgenza, tacerò ogni altro -preambolo. Ma prima consentite ch'io vi preghi a unirvi -meco in un desiderio di tutti gli studiosi. Isidoro Del -Lungo ha da mantenere certa sua promessa: ha da darci -quella vita del Poliziano della quale pubblicò saggi per -dottrina e per critica eccellenti; promessa giovanile, cui -stima sottrarsi affermandola invecchiata con lui; promessa -di galantuomo e valente, che vuole essere mantenuta, -voi gli rispondete con me. A un libro del Del -Lungo non si rinuncia così per fretta; e troppo, nel tornare -per voi sul Poliziano, troppo ho risentito quel che -importi averne o no la guida sicura. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_148">[148]</span> -</p> - -<h3>I.</h3> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Dolci gli studii un tempo già m'erano: ahimè che m'incute,</p> -<p class="i02"> la Povertà, co' suoi luridi cenci, orrore!</p> -<p class="i01">Onde, poi che 'l poeta non è che ludibrio del volgo,</p> -<p class="i02"> stimo più savio cedere a' tempi anch'io.</p> -</div></div> - -<p> -Questo lamento, che suona troppo più efficace ne' distici -latini dell'originale, questo sospiro di Angelo Ambrogini -(sarà tra breve il Poliziano) alla quiete e agli agi -di una vita, quale egli desiderava la sua, tutta spesa -sui libri degli antichi e nell'esercizio dell'arte, è schietto -documento dello stato e dell'animo di lui quindicenne. -Cinque anni prima, gli avevano ammazzato il padre, per -ciechi odii, ferocemente; il padre, messer Benedetto, -uomo di legge, onorato d'alti offici nella patria Montepulciano, -poi giudice a Pisa, cui non era valso chiedere -protezione a Piero di Cosimo de' Medici, che “per l'amore -de' suoi piccoli cinque figliuolini, lo sicurasse in modo -che potesse starsene sicuro a casa sua senza portar -arme, che non era suo mestiere„; nel maggio del 1464, -tentando egli invano ripararsene con le mani inermi, -l'avean morto più colpi di coltello e di partigiana. Vendetta, -come allora si usava, ne era stata presa, due anni -dopo, da un nipote che, sangue per sangue, uccise gli -uccisori: ma la vedova si era rimasta con que' cinque -figliuolini, e avea dovuto mandare il maggiore di essi, -Angelo, a Firenze, da un cugino del marito, perchè si -cercasse migliori fortune. -</p> - -<p> -Tardavano queste; ed Angelo sentiva ogni dì più, nell'animo -vivace, nella mente addestrata alle lettere, il -disagio e il cruccio della miseria, onde quel sospiro che -dianzi avete ascoltato. Ma come, giovinetto quale era, povero -<span class="pagenum" id="Page_149">[149]</span> -quale era, potesse dare al sentimento la veste succinta -di un epigramma latino, non intenderà chi non -rammenti che fosse, a mezzo il secolo decimoquinto, la -coltura italiana e più specialmente la fiorentina; non rammenti, -cioè, i modi e i luoghi di quell'amore anzi furore -per gli studii delle lettere che ebbe allora, con parola -ciceroniana, rimasta fino a' dì nostri nell'uso delle scuole, -titolo di umanità; delle lettere, anzi di tutta quanta la -vita latina e greca; perchè parve che l'Italia, dopo le -vicende barbariche, volesse riabbracciarsi stretta alla -madre Roma, e quasi per ossequio di lei venerare più -da presso gli esemplari della vita e dell'arte che i Romani -stessi avevano ammirato nei Greci. -</p> - -<p> -Alla parola Rinascimento non può ormai attribuirsi il -senso che anche qualche anno fa le era attribuito: tra -la lingua e la civiltà latina, tra la lingua e la civiltà -nostra, distacco non fu. Come la persistenza del latino -letterario per tutte le scritture nell'età di mezzo basterebbe -a dimostrare, se altre testimonianze mancassero, -la persistenza dell'insegnamento; come le opere degli -antichi, giunte fino a noi su libri copiati nell'uno o nell'altro -secolo di quell'età, dimostrano che mai non furono -del tutto obliate, e le citazioni e le imitazioni ne dan -riprova; così i vanti delle famiglie e delle città che ripetono -a gara l'origine degli antichi eroi, e ne onorano -i sepolcri che si credono recuperare, e conservano o dànno -ai magistrati i nomi d'un tempo gloriosi, affermano che -il popolo d'Italia non smarrì mai, e viva e intiera riebbe -presto, la coscienza del sangue suo, del latin sangue gentile. -Sì che Dante, il quale osava, contro il dispregio -delle scuole, levare alle altezze del suo pensiero la parlata -del volgo, Dante si stima, proprio perchè fiorentino -de' puri, romano, e fa che Virgilio si stringa fra le braccia -con amore di compatriotta il recente Sordello, e a -Virgilio si fida come a connazionale, dicendolo, con orgoglio -<span class="pagenum" id="Page_150">[150]</span> -di comunanza, nostro. E neppure si era mai spenta, -fosse pur fioca e vacillante, la luce degli studii greci, -alimentata da quanto la Chiesa d'occidente nei testi e -nei riti aveva di greco, da quello che avevano dato e davano -a tratti le ragioni politiche, dal più che recavano -i commerci continui tra le repubbliche nostre e l'impero -orientale. Morte dunque non fu, e parola fallace è perciò -quella del Rinascimento; non da sbandirla, ove s'intenda -che l'Italia, nei secoli dall'undecimo al decimosesto, -rinvigorita, rallietata tutta, ebbe come una nuova gioventù -di fede in sè e di gagliardia; quasi una grande -quercia che, dopo aver frondeggiato ne' secoli, rotta ed -arsa da più fulmini, sembri, per una stagione, destinata a -perire; ma le percosse stesse e il riposo le hanno invece -giovato, e getta fronde novelle, di verde più gaio, e torna -a dare ombre dilette e ghirlande di gloria. -</p> - -<p> -Ma per pochissimi che delle lettere classiche sapevano -tanto da valersene come di nutrimento vitale al pensiero, -per pochi che almeno modellavano lingua e stile -su questo o su quell'autore de' buoni, quanti (e parlo -sempre degli uomini colti) confondevano le forme della -grammatica in un gergo strano, dove non era nè il latino -corretto nè il volgare schietto, e le cose e gli uomini -dell'antichità confondevano in una scienza tutta errori -e leggende! Il popolo s'era fatto un Virgilio mago, -del quale narrava le arti: come avesse purgata Napoli -dall'aria cattiva, dalle sanguisughe che ne guastavano -le acque, dalle cicale, dalle mosche, dalle zanzare che -la tediavano, dalle serpi che la infestavano; come avesse -aperto il monte di Posillipo, e, quel ch'è più, atterrito -il Vesuvio dall'erompere, con la statua d'un arciere -pronto sempre a saettarlo. Molte di queste e altre tali -meraviglie ingrossavano la biografia del poeta ai tempi -del Petrarca; e un fiorentino non incolto, Antonio Pucci, -ne registrava alcune in un suo zibaldone, avvertendo -<span class="pagenum" id="Page_151">[151]</span> -che “quantunque paiono a grossi huomini favole perchè -in loro cuore non le possono comprendere, abbi quelle -che udirai per vere„. E un altro poeta, più oltre, sui -primi del quattrocento, poteva di Virgilio arditamente -affermare che, andato a scuola, -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">per la testa grossa che lui avia,</p> -<p class="i01">da' scolari Marone era chiamato.</p> -</div></div> - -<p> -E già era stato detto innanzi, Virgilio derivare da <i>ver -gliscens</i>, perchè ei fu vario e fecondo come la primavera, -e Marone dal mare, perchè abbondante di scienza -come d'acque il mare. Così d'Ovidio e il popolo e i dotti -favoleggiavano miracoli; e sul nome facevano, ch'era -esercizio consueto, belle fantasie: “Ovidio fu poeta (scriveva -uno de' primi commentatori di Dante) et fu chiamato -Publio, et per sopranome Ovidio <i>ab ovo</i>, perchè -aveva tondo il viso, ritratto come un ovo: fu ancora -chiamato Nasone, perchè aveva uno grande naso.„ Sallustio -era fatto da alcuni zio di Cornelio Nipote; Stazio, -contemporaneo di Ennio, e padre di due figliuoli, Archimede -e Tebaide, nei quali è facile, con la correzione -del primo nome in Achilleide, riconoscere i poemi suoi; -e quasi nomi di uomini erano già stati citati <i>Eunuchus -comoedia</i> e <i>Orestes tragoedia</i>; Plinio il vecchio, confuso -col giovane, aveva ai molti libri suoi la giunta di leggende -su Lucifero e su l'Anticristo; e Marziale, per -gli epigrammi culinarii, il titolo di cuoco. Nè più si sapeva -o si capiva della mitologia: “Venus fue una bellissima -donna, regina de Cipri, e fue sì bella che quanti -la vedeva di lei innamorava: unde dapuò la sua morte -fue deificata e dicta dea de lo amore„; “Apollo nacque -in Delo e fue sommissimo astrolegho e tractò del corso -del Sole; e per tanto fue deifichato in lo quarto pianeta. -Questo Apollo che uno figlio dicto Eschulapio, che -<span class="pagenum" id="Page_152">[152]</span> -grande tempo medichò per la scienza del padre; imperò -che Apollo fue lo primo che trovasse la medicina, et -poi stete grande tempo persa, perchè, morto Eschulapio, -le grosse giente arsero i libri, perchè trovavano che le -cose venenose intravano nelle medicine; et non sapendo -considerare l'utele de la scienza, desfecero i libri.„ Basti -il saggio breve: tali, su per giù, la conoscenza e l'intelligenza -dei miti negli anni in cui il Petrarca e il Boccaccio -si affaticavano a restaurarne lo studio, e iniziavano -la critica filologica e storica; dove è da notare, per -segno dei tempi, che il Petrarca a Roberto re, il quale, presenti -molti, lo dimandava sulla grotta di Posillippo, se -la credesse anch'egli opera della magia virgiliana, rispose -deridendo quelle stoltezze; e il Boccaccio, invece, -nel commento all'Inferno dantesco, le ribadiva. Le menti -del medio evo, disadatte a uscire dal cerchio del presente, -e giorno per giorno seguitando ad allontanarsi inconscie -dal modo antico di vedere e di rappresentare, non intendevano -più nè l'arte nè la vita de' secoli greci e romani; -e quando volevano rappresentarle, le travestivano. -Ciò che alla mitologia, accadde alla storia: Teseo diventò -duca d'Atene; Atene ebbe una università come -avevano allora Parigi e Bologna; Alessandro Magno, -dopo aver corso co' suoi baroni e signori tutto l'Oriente, -scese in una gabbia di vetro fin giù nel fondo del mare, -tentò l'entrata del Paradiso terrestre; Nerone partorì dal -fianco una ranocchia; la regina di Fiesole, Belisea, prigioniera -di Catilina, andò “la mattina di Pasqua di Pentecosta -alla chiesa nella Calonaca di Fiesole alla messa„ -(mi è ben lecito citar qui il Malispini); e Catilina, sfidato -da Attila “fece con lui sì aspra battaglia, che pochi -ne camparo dall'una parte e dall'altra, e Attila fu ritrovato -morto presso all'Arno, e Catellina fu ritrovato -morto nella costa di Fiesole„. -</p> - -<p> -Tale, fino a non più che cento anni innanzi al Poliziano, -<span class="pagenum" id="Page_153">[153]</span> -e anche più da presso, la dottrina che scrittori -non incolti avevano dell'antichità. E quanto sapessero -di latino, per quel che è della correzione e dell'eleganza, -mostra il latino stesso di Dante, che pur sapeva -a mente tutta l'Eneide: dirò di più, il latino stesso del -Petrarca, tanto migliore di quel di Dante, e pur tanto -lontano ancora dalla retta imitazione de' classici, e spregiato -per ciò dagli umanisti più tardi, non senza ragione, -come barbarico. E sì che il Petrarca fu davvero, -quale lo vantano i frontespizii nelle antiche stampe delle -opere sue, “filosofo, oratore e poeta chiarissimo, della -rifiorente letteratura e lingua latina, per molti secoli da -orrenda barbarie deturpate e quasi sepolte, confermatore -e instauratore„. Parole magnifiche, ma non false. Discepoli -suoi possono infatti considerarsi e il Boccaccio e il -Salutati e il Marsigli e il Malpaghini, co' quali l'erudizione -classica meglio si addestrò e si fe' laica e divenne -parte necessaria della vita civile e politica. D'allora in -poi l'umanesimo, sì bene avviato, avanza ogni anno di -spazio, cresce ogni anno d'intensità: Firenze è il focolare; -le faville se ne diffondono per tutta Italia, e, secondo -i luoghi, suscitano fiamme nuove o dan forza ai -fuochi che già ardevano chetamente: a Venezia, Padova, -Verona, Milano, Pavia, Genova, Mantova, Ferrara, -Bologna, Rimini, Urbino, Pesaro, e Foligno, e Camerino, -a Siena, a Roma, a Napoli, là dove era un reggimento -aristocratico, repubblicano o principesco o pontificio che -fosse, ivi da per tutto chiamare maestri, raccoglier libri, -educare i giovani alle lettere con lezioni e con dispute, -reputare decoro e utile della città e dello Stato -un cancelliere che sapesse vestire consulte e ambasciate -di adequati e sonanti ed efficaci periodi. Da queste città -in altre attorno minori; dalle corti e da' magistrati supremi -nelle famiglie, fino alle donne. Leggesi sulla fine -del trecento, di una gentildonna veneziana: “Chostei fu -<span class="pagenum" id="Page_154">[154]</span> -lodata et dotata de una piacevole grammaticha (seppe, -cioè, di latino), et udio li poeti (i latini, s'intende) in -questo muodo, che, essendo lei fanzulla, la madre la -mandò a la scola perchè imparasse da legere a ziò che -dire potesse lo officio de Nostra Donna; poi, essendo -grande, intanto lo padre teneva uno grande maestro in -poexia che legieva a li figioli li autori; et chostei, udendo -quelli, et udendo latinare, meravigiosamente si fece saputa, -et molto si dilectò in Virgilio, et piacevolmente -lo intexe, e sì bene che io, che zià la udi' parlare, a -pena me'l consento.„ Ben s'intende come, un secolo -dopo, il Poliziano, visitata a Venezia Cassandra Fedele, -dotta di greco e di latino, sì che la Repubblica gelosa -non volle mai che, per inviti di re e di pontefici, lasciasse -la terra di San Marco, il Poliziano potesse scriverne -a Lorenzo de' Medici: “È cosa mirabile.... Partimi -stupito.„ Nè che in Firenze ricambiasse con lui epigrammi -greci Alessandra Scala, che in greco recitava -l'Elettra di Sofocle. -</p> - -<p> -Perchè anche gli studii del greco, che fino al secolo -undecimo avevano, se non fiorito, perdurato, specialmente -nell'Italia meridionale, nè mai si erano inariditi -del tutto, si riebbero presto e divennero necessario compimento -a quelli del latino. Fino dal 1359 il Boccaccio -erasi accolto in casa un maestro di lettere greche, Leonzio -Pilato calabrese, e gli avea procurata una cattedra -in Firenze e libri greci da interpretare: e il Petrarca, -che volle costui a Venezia, gli diede poi a tradurre, per -prezzo, l'Iliade e l'Odissea; ormai disperava intendere da -sè quei libri greci che aveva imparato a decifrare da -un altro calabrese, frate Barlaam, e che, non intendendoli, -si compiaceva almeno di possedere. Venne finalmente -da Costantinopoli un maestro migliore, Manuele -Crisolora; e già nel 97, per merito del Salutati, ne ascoltavano -a Firenze le lezioni più giovani volonterosi e ingegnosi: -<span class="pagenum" id="Page_155">[155]</span> -quando, sette anni dopo, il Crisolora se ne tornò -in patria, un altro giovane, Guarino veronese, lo accompagnò -come servo, pur d'imparare! Anche il greco era -ormai riconquistato alla coltura italiana. -</p> - -<p> -Que' giovani si spandono per l'Italia e per la Germania, -frugano le biblioteche degli antichi conventi; traggon -giù dagli scaffali tarlati, detergono dalla polvere -de' secoli, i manoscritti, e gli scorrono qua e là frettolosi, -col cuore che batte di desiderio e di speranza; ecco -le orazioni di Cicerone, i carmi di Catullo, gli annali di -Tacito; ecco le voci degli antichi nostri, che per lungo -silenzio parean fioche, levarsi da quelle membrane ingiallite -a orecchie bramose e capaci di comprendere. Ed -altri scrivono a Costantinopoli per aver libri greci, s'imbarcano -essi stessi, comprano, rubano talvolta; ecco Sofocle, -ecco Platone, ecco i doni dell'arte e della sapienza -ellenica che i nostri antichi tesoreggiarono e che noi -vogliamo riammirare, nè ci lasceremo sfuggir più. A -Strasburgo, nel 1439, un tale muove lite a un tal altro -perchè gli mantenga i patti conchiusi con un suo fratello -defunto, nell'esercizio di una certa arte arcana: i -testimoni parlano di ordigni strani, torchi, forme, punzoni: -il socio citato in processo è Giovanni Gutemberg. -La stampa è inventata: l'eredità dei classici è assicurata -al pensiero moderno; promesso e assicurato con lei -a te, o pensiero moderno (lo dirò col poeta), il trionfo -“su l'età nera, su l'età barbara, sui mostri onde tu con -serena giustizia farai franche le genti!„ -</p> - -<p> -Dopo il Bruni, morto nel 44, il Valla nel 57, Poggio -Bracciolini e l'Aurispa nel 59, il Guarino nel 60, Flavio -Biondo nel 63, l'umanesimo ha ottenuto, non tutti i frutti -suoi, ma tutto quanto il campo che dissoderà: la critica -e la interpretazione dei testi, la storia, la geografia, l'epigrafia, -la numismatica; l'archeologia insomma o la filologia; -e d'altra parte, la grammatica e la retorica come -<span class="pagenum" id="Page_156">[156]</span> -strumenti all'imitazione delle forme letterarie classiche: -la correttezza, cioè, la scioltezza ed eleganza delle prose -e dei versi sì latini che greci. Quando nel 1453 cadde -l'impero d'Oriente (fo mia una notevole osservazione del -Del Lungo) non furono i profughi che ci recassero la -scienza, ma sì la scienza nostra li assicurò di accoglienze -buone e fraterne. -</p> - -<p> -E intanto Cosimo de' Medici, di quella famiglia di popolani -mercanti il cui nome entra nella storia tra le -prepotenze di parte Nera nel 1301 con un assassinio, -Cosimo, il più ricco uomo d'Italia e il più liberale, padroneggiava -Firenze; e attorno a sè, per amor di dottrina -e arte di governo, raccoglieva uomini di lettere e codici, -e, conversando coi greci, ideava l'accademia platonica. -Lo studio fiorentino avea lettori e ordinamenti -compiuti; la città si adornava di edifici e di opere stupende; -il danaro affluiva; la Signoria stessa si rinnovava -di fogge e di suppellettili il corteggio e il Palazzo. Onde -Piero, dopo la morte del padre suo che fu titolato -padre della patria, potè meglio sentirsi e assumere sembianza -di principe; e come principi fece educare nei costumi -e nelle lettere i figli Lorenzo e Giuliano. Quando -nel 1469 morì, il primogenito non titubò a pigliarsi la -cura dello Stato; e Firenze ebbe, e nel bene e nel male, -i giorni che già Atene con Pericle. La libera città de' -mercanti artisti perdeva nel fatto, se non di nome, le -istituzioni repubblicane; in ricambio non buono, acquistava -gli splendori della corte medicea e dell'umanesimo. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_157">[157]</span> -</p> - -<h3>II.</h3> - -<p> -Ormai è chiaro in che modo il quindicenne Ambrogini -potesse lamentarsi della sua miseria in distici garbati; -ci è chiaro anche in che modo potè, indi a poco, -rompere la malignità della sorte. La protezione che quel -povero messer Benedetto aveva chiesta invano a Piero -de' Medici, fu dal figlio dell'invocato protettore conceduta -al figlio dell'assassinato, non tanto forse per la -pietà dei casi suoi quanto per la stima dell'ingegno e -della dottrina. Lorenzo aveva sei anni soli più dell'Ambrogini, -e comuni con lui gli studii, del pari che alcune -qualità della mente; pregato egli giovine poeta da un -poeta giovine, che lo salutava e si diceva tutto suo, -s'intende che subito ricambiasse il saluto e l'offerta con -benevolenza di signore e cortesia di confratello. Che -mai chiedeva in distici latini il minore al confratello -magnifico? Prima di tutto un paio di scarpe, chè i diti -dei piedi gli si affacciavano dalla rotta prigione alla -vista del cielo, e un vestito, fosse pure usato, che non -mostrasse le corde e peggio, come quello che lo faceva -schernire da' beceri. Delle scarpe non so; il vestito venne; -e tali furono, in versi che mi spiace dover guastare, i -ringraziamenti: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Ben io volea più volte ne' carmi renderti grazie,</p> -<p class="i02"> Lorenzo, o gloria prima de' tempi tuoi;</p> -<p class="i01">sì che invocai la Musa Calliope con lunghe preghiere,</p> -<p class="i02"> ed ella venne, e avea seco l'arguta lira.</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Venne; ma come addosso mi vide le splendide vesti,</p> -<p class="i02"> subito volse a dietro l'isbigottito piede,</p> -<p class="i01">chè ravvisar la Dea non seppe sì bello il poeta:</p> -<p class="i02"> troppo mi fa mirando questa vermiglia toga!</p> - -<p class="i01"><span class="pagenum" id="Page_158">[158]</span></p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Onde se a te minori dà il verso le debite grazie,</p> -<p class="i02"> colpa ha la Dea che niega regger la penna mia.</p> -<p class="i01">Oh che leggiadri carmi udrai, sì tosto che avvezza</p> -<p class="i02"> a' miei splendori nuovi si sia la Musa!</p> -</div></div> - -<p> -La valentia che questi epigrammi dimostravano, fu -confermata a Lorenzo da' maestri dello Studio, tra i -quali Marsilio Ficino che di quello scolaro prometteva -grandi cose: anche meglio la confermò, subito dopo, il -secondo libro dell'Iliade, recato in esametri latini, di colore -e sapore virgiliano, e offerto a Lorenzo medesimo. -Il primo libro ne era stato tradotto, per desiderio di Nicolò -V, da un segretario della repubblica, il Marsuppini, -morto nel 1453: non potea non piacere al Magnifico, -che l'impresa fosse continuata a Firenze, sotto gli auspicii -suoi; ed Angelo, che secondo l'uso degli umanisti -si ribattezzava, dal nome della patria, in Poliziano, lasciò -la casuccia di via Saturno, dove il cugino povero -lo aveva ospitato, e salì le scale del palazzo mediceo in -via Larga. Le salì certo senza borbottare il verso di Dante, -che è duro salire le scale altrui: perchè egli era giovane -molto, e sapeva la cortesia del protettore; e perchè -l'umanesimo aveva raddolcite le asprezze del vivere -medievale, ma anche, mi convien dirlo, scemato il vigore -degli animi, e adusati i letterati e gli artisti a stimarsi -artefici di diletto e di fama ai potenti, anzi che, -come Dante fu, gl'interpreti e i vindici della rettitudine -e della patria. Fatto sta che il Poliziano, disposto a celebrare, -in gloria di Lorenzo, quasi una nuova Iliade, -perfino il sacco spietato di Volterra, e sollecito pedagogo -ai figli di lui, se ebbe sempre a lodarsi del padrone, si -accorse anch'egli che il pane altrui sa di sale quando -fu poi preso in uggia dalla padrona, madonna Clarice. -</p> - -<p> -Ma tali fastidii sentì più tardi. Allora, godendosi la -quiete operosa di che già avea disperato, attendeva alla -<span class="pagenum" id="Page_159">[159]</span> -versione d'Omero. Dalla quale non gli fu grave distrarsi -per ammirare a Mantova le feste che il Gonzaga diede in -onore di Galeazzo Sforza e Bona di Savoja sposi, nel luglio -del 1471; per ammirarle e farvisi ammirare; poi che quivi, -come volle il cardinale di Santa Maria Nuova, che l'avea -conosciuto allora allora in Firenze, dovè, entro quarantotto -ore e in quella tanta confusione, mettere insieme la -favola d'Orfeo. Rammentatevi che il Poliziano, nato il -14 luglio del 1454, compiva proprio in quei giorni 17 anni. -</p> - -<p> -Perchè fosse meglio inteso dagli spettatori, l'Orfeo fu -in volgare. E forse spiacque allora al giovine umanista -dover piegarsi, oltre all'angustia del tempo, anche a codesta -necessità; tanto che poi si doleva, gli amici avessero -conservato quell'abbozzo, e, pur assentendo che ormai -vivesse, gli volle unita un'epistola a testimonio della -sua riluttanza. Vero è che vi aveva cacciato dentro, per -amore o piuttosto per forza, almeno una strofe saffica sua, e -due distici d'Ovidio accomodati al proposito; ma troppo -misero segno era quello della dottrina sua e di latino e di -greco! Qualche anno dopo, quando a tutti egli appariva -maestro nelle lettere classiche, s'intende invece che non -senza un segreto compiacimento concedesse agli amici la -favola improvvisata, in quella età e a quel modo, con -tanta snellezza ed eleganza di rime. E il compiacimento -gli sarebbe stato maggiore se avesse potuto prevedere -l'importanza che un tempo si attribuirebbe all'Orfeo, -primo esperimento certo di adattare ai metri e alle forme -delle sacre rappresentazioni la materia profana. Un palcoscenico, -più largo che fondo, diviso, a una certa distanza, -da quella che oggi dicesi la ribalta, in due scompartimenti; -al modo stesso che oggi vediamo, per esempio, -nel <i>Rigoletto</i>; salvo che nel melodramma odierno è -da un lato l'interno della casa, e dall'altro la via contigua, -mentre nella favola antica le selve della Tracia -stavano a ridosso dell'Averno, che gli spettatori dovevano -<span class="pagenum" id="Page_160">[160]</span> -immaginarsi sotterra; dalle selve e dall'Averno si -facevano a mano a mano innanzi sul proscenio i personaggi; -e supponevasi determinato il luogo dell'azione -dallo scompartimento onde essi erano usciti. L'Averno, -nel quale si vedevano vivi Plutone re, e Proserpina e -Minos e una Furia, e s'intravedevano per artificio di -pitture Issione, Sisifo, Tantalo, le Danaidi, Cerbero, le altre -Furie, disse subito agli invitati del Gonzaga che l'arte -del giovinetto omerico, come lo chiamava il Ficino, li -avrebbe tratti nelle fantasie pagane; e la curiosità della -festa, con quella novità, dovè accendersi più. Ed ecco, -invece dell'Angelo consueto, Mercurio in persona a esporre -l'argomento; e dopo lui, quasi a temperar la tristezza -delle morti annunziate, un pastore schiavone, cioè trace, -suscitare il riso ribadendo l'ammonizione agli uditori in -un suo gergo strano: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">State tenta, bragata; bono argurio</p> -<p class="i01">chè di cievol in terra vien Marcurio.</p> -</div></div> - -<p> -Ma Aristeo e Mopso, sebbene pastori traci anch'essi, dan -principio alla favola ragionando tra loro in rime di squisito -eloquio; e Aristeo, perchè il vecchio intenda meglio -la forza dell'amore onde è preso, si fa accompagnare da -lui sulla zampogna mentre canta una ballata di perfetta -toscanità. -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Udite, selve, mie dolce parole,</p> -<p class="i02"> poi che la ninfa mia udir non vole.</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">La bella ninfa è sorda al mio lamento</p> -<p class="i02"> e 'l suon di nostra fistula non cura:</p> -<p class="i02"> di ciò si lagna il mio cornuto armento,</p> -<p class="i02"> nè vuol bagnare il grifo in acqua pura,</p> -<p class="i02"> nè vuol toccar la tenera verdura;</p> -<p class="i02"> tanto del suo pastor gl'incresce e dole.</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Udite, selve, mie dolce parole,</p> -<p class="i02"> poi che la ninfa mia udir non vole.</p> -</div></div> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_161">[161]</span> -</p> - -<p> -Tirsi, servo d'Aristeo, che si vanta di avere ravviato -con suo gran rischio nella mandria di Mopso un vitello -smarrito, getta un'altra risata nell'azione che si affretta -a mal fine per colpa sua; ha vista una donzella coglier -fiori, e la descrive bellissima; onde Aristeo riconosce -l'amata e ne va in cerca e la insegue. Passano su la -scena correndo; poi si ode di dentro alla selva uno strido; -un serpe velenoso ha punto la giovine che là cercava -nascondersi dall'inseguitore. Turbati così gli animi degli -spettatori, il poeta, quasi a intermezzo di svago, fece -che s'inoltrasse Orfeo con in mano la lira miracolosa, -e accennasse su questa in saffici latini le lodi del cardinale, -figlio secondogenito del marchese Lodovico, augurandogli -la tiara; il marchese dava la festa, il cardinale -l'aveva voluta più bella per l'arte di lui Poliziano: -ma l'ode, già nota, credo, a' lodati, ai quali per ciò quell'accenno -bastava, era subito interrotta da un pastore: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Crudel novella ti rapporto, Orfeo,</p> -<p class="i02"> che tua ninfa bellissima è defunta.</p> -</div></div> - -<p> -E Orfeo, con dolorosi lamenti, andava davanti all'inferno -a impetrare gli fosse resa Euridice, mortagli così crudelmente -nel voler serbare la fede coniugale. -</p> - -<p> -Nel Convito di Platone si legge un raffronto di alta -idealità tra la sorte d'Alceste e quella d'Orfeo. Alceste, -osserva Platone, per salvare il marito suo Admeto, volle -morire per lui, e gli Dei le concessero il premio di tornare -dall'Ade alla luce e all'amore; ma Orfeo gli Dei -“senza effetto rinviaron dall'Orco, dopo avergli soltanto -mostrato la imagine della donna per la quale v'era disceso; -non già gliela resero, chè giudicarono, si fosse -comportato vilmente e da citaredo ch'egli era, per ciò -che non avesse avuto il coraggio di morir per amore, -come Alceste, ma ingegnato a penetrar vivo nell'Ade: -<span class="pagenum" id="Page_162">[162]</span> -e di ciò certamente lo voller punito, facendo ch'e' fosse -morto dalle donne„. Che il Poliziano, discepolo del Ficino, -rammentasse il Convito, non è improbabile; l'arte -a ogni modo gli suggerì un grido almeno, che, rispettando -il mito tradizionale, desse alla parlata d'Orfeo più -calore di perorazione. Rendetemi Euridice, -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">e se pur me la nieghi iniqua sorte</p> -<p class="i01">io non vo' su tornar, ma chieggio morte!</p> -</div></div> - -<p> -Proserpina si commuove al lamento di costui genuflesso -innanzi a Plutone, al lamento che ha fatti dimentichi -i tormentati e i tormentatori dei supplizi infernali; e induce -a pietà il marito: Orfeo riavrà Euridice, solo che -non si volga a guardarla prima che siano tra i vivi. Ma -il citaredo, direbbe Platone, nel cantare a gioia “certi -versi allegri che sono d'Ovidio„ dimentica il patto, e -perde la donna sua, cui richiede invano, subito spaurito -(oh citaredo!), dall'opposizione di una Furia. E peggio -fa del lasciarsi atterrire; chè bestemmia (con che ragione? -ma la favola portava così) l'amore delle donne, -e si propone d'ora in poi farne a meno. Sì che una Baccante -non ha torto quando indignata chiama le compagne ad -ucciderlo: e fuor dalla vista degli spettatori lo straziano, -per recarne in trionfo la testa cantando le lodi di Bacco -in una ridda gioiosa. -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Ognun segua, Bacco, te!</p> -<p class="i02"> Bacco, Bacco, eù, oè!</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Chi vuol bever, chi vuol bevere,</p> -<p class="i02"> vegna a bever, vegna qui.</p> -<p class="i02"> Voi imbottate come pevere.</p> -<p class="i02"> Io vo' bever ancor mi.</p> -<p class="i02"> Gli è del vino ancor per ti.</p> -<p class="i02"> Lassa bever prima a me.</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Ognuno segua, Bacco, te!</p> -<p class="i02"> Bacco, Bacco, eù, oè!</p> -</div></div> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_163">[163]</span> -</p> - -<p> -Così, non senza un po' nelle rime di quello schiavone -o trace comico da cui aveva prese le mosse, chiudevasi -comicamente la festa. Festa drammatica, non dramma -vero, e tanto meno tragedia di tipo classico, quale poi -altri la volle per altre feste racconciare alla meglio, con -accrescerla e distinguerla in atti. Di drammatico non -ha l'Orfeo altro che il dialogo, il quale anche vi si leva -sempre che può alla lirica: troppo più efficace il contrasto -degli affetti e più rude ma viva la voce d'essi, -troppo maggiore insomma la commozione del fatto e -dello stile, in alcuna delle rappresentazioni sacre di cui -la festa profana aveva accettato i metri e le forme. Se -non che, pur lasciando da parte la importanza storica -che l'Orfeo ha, appunto per essersi valso di esse forme -in argomento profano, oh come dolce vi sonava il volgare, -lo spregiato volgare, ripetendo sulle intonazioni -degli strambotti popolari le immagini elette de' classici -greci e latini! Le Muse antiche tenevano un po' il broncio, -nel secolo decimo quinto, alla Musa nostra novella, -che ne' due secoli innanzi aveva, non certo volendo, -minacciato pareggiarle e superarle in bellezza. Virgilio -si era soffermato con Dante sulla spiaggia del Purgatorio, -dimentico di sè e del discepolo affidatogli, a udire i versi -di Dante medesimo, che aveva musicati e ricantava Casella: -e le muse di Grecia e di Roma s'indispettivano -più, ripensando quell'omaggio che il loro alunno migliore -aveva fatto alla Musa d'Italia. Spettava al diciassettenne -toscano, che traduceva Omero in latino, la -gioia e la gloria del riconciliarle nella festa italiana -d'Orfeo: le antiche, non più gelose, abbracciarono finalmente -la giovine sorella; e a lei, cogliendo insieme il -destro a premiare chi aveva il merito della pace, a lei -promisero splendidi doni: le Stanze del Poliziano stesso, -o l'Orlando Furioso di Lodovico Ariosto. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_164">[164]</span> -</p> - -<h3>III.</h3> - -<p> -Intonazione popolare, ho detto, e immagini classiche. -Sì fatta mistura non poteva riuscir felice, prima che ne -fossero separatamente manipolati e affinati gli elementi; -e per ciò neppure al Boccaccio, che la tentò ne' poemi, -accadde d'ottenerla, se non forse qua e là nel Ninfale -fiesolano. Ma i prosecutori dell'opera sua di umanista e -di poeta, avevano, dagli ultimi decennii del trecento in -poi, quali studiata l'arte su gli antichi, quali invece teso -l'orecchio alle canzoni del popolo, quali anche coltivato -insieme le canzoni e gli studii. Onde Franco Sacchetti, -così schietto popolarmente e grazioso nelle ballate e ne' -madrigali che rime sue furono poi attribuite al Poliziano; -onde Leonardo Dati, che tenta dottamente in -volgare una tragedia a uso Seneca, e in volgare sperimenta, -dopo l'endecasillabo già scioltosi dalla rima -per imitazione de' latini, il verso esametro e il saffico; -onde Leonardo Giustinian, che parla in greco all'imperatore -di Costantinopoli, recita in pubblico orazioni latine, -e insegna ai liuti veneziani i più cari strambotti, -le più dolci canzonette che fossero mai state ascoltate -da belle innamorate e da allegri compagni. E, passando -da liuto a liuto, da bocca a bocca, queste canzonette -veneziane o giustiniane, come le dicevano, scesero giù -per l'Italia; e Firenze, correggendole alla parlata toscana, -cioè alla lingua nostra letteraria, le fe' sue. Quando il -Giustinian morì, che fu nel 1446, la poesia del popolo -aveva dunque trovati cultori insigni a raggentilirla; e a -Luigi Pulci, nato nel '32, a Lorenzo de' Medici, nato -nel '48, e al Poliziano, non mancavano dunque gl'incitamenti -e gli esempii a perseverare e a compiere l'impresa -leggiadra. D'altra parte, l'imitazione de' classici -<span class="pagenum" id="Page_165">[165]</span> -aveva anche essa progredito; anzi, era giunta allo sforzo -ed alla goffaggine; non tanto, a parer mio, in quei metri -del Dati che oggi diciamo barbari, quanto nell'abuso -dei vocaboli e dei costrutti latini e delle erudizioni mitologiche -e storiche alla pedantesca. -</p> - -<p> -Il poeta dell'Orfeo, che aveva cominciato dagli studii -del latino e del greco, vedeva accanto a sè, nel palazzo -Mediceo, Lucrezia Tornabuoni, madre di Lorenzo, scrivere -laudi a uso del popolo, e Lorenzo piacersi a scrivere -sacre rappresentazioni e laudi anche lui, e insieme -canzoni a ballo e canti carnascialeschi; udiva Luigi -Pulci, per desiderio di madonna Lucrezia, racconciare -nel Morgante a stile fiorentinescamente snello e a racconto -maliziosamente arguto le rozze storie d'un rimatore -plebeo. Provatosi così bene al volgare nella favola -mantovana, è da credere che allora, in quella brigata di -cui ho detto soltanto i nomi più illustri, tra l'ammirare -e il ridere e il dar suggerimenti, meglio si esercitasse -nelle rime dei rispetti e delle ballatine, quasi a sollievo -dalla versione dell'Iliade e dall'erudizione che accumulava -portentosa. E perchè quel rimare gli era un sollievo, -non fa meraviglia che si astenesse dagli argomenti -e dai metri più alti e più laboriosi, la canzone e il sonetto: -di canzoni, una sola ne ha, a imitazione del Petrarca; -di sonetti, a quel che sembra, neppure uno; di -sirventesi, che era metro popolare, ma troppo soleva andare -per le lunghe, non più che uno, prenunziante la -prima scena dell'Aminta, in servigio di Giuliano de' Medici, -per conto del quale, da coetaneo e amico, scrisse -altri versi d'amore. Le ottave dei rispetti, le strofette -delle ballate, non chiedevano alla facilità e grazia dell'ingegno -e della penna che pochi quarti d'ora, tra la -lettura di due codici, la versione di due episodii, e, un -po' più tardi, tra una lezione e l'altra a Piero, primogenito -di Lorenzo, e a Giovanni. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_166">[166]</span> -</p> - -<p> -I sospiri, i dispetti, i vanti, le disperazioni, le maledizioni -degli innamorati, le immaginette rusticali e primaverili, -gli scherzi e le mariolerie fiorentine, le novellette -e le satire, ebber vita così negli accenti variamente -affettuosi, gai, rabbiosi di quelle brevi poesie: un mazzo -che sopra è di rose fragranti e sotto di spine pungenti. -Il Poliziano era di sua natura epigrammatico, nel senso -antico della voce; spesso, scrivendo agli amici, se la -godeva di sbrigarsene con poche parole: — Ti lamenti -che non ti rispondo: non ti lamentar più; t'ho bell'e -risposto. — Gran dispiacere, gran piacere ho avuto, della -tua malattia, della tua guarigione. — Siete in parecchi -a chiedere che vi scriva: ecco fatto: lettera unica, perchè -vi amo unicamente; ma le saranno più lettere, poi -che a leggerla sarete in parecchi. — Figuratevi poi, -con la scaltra lingua toscana, e al bisogno col gergo -fiorentino, col verso, con le rime, in argomenti adatti, -ammaestrando le donne ad acquistarsi e a mantenersi -gli amanti, narrando le sue buone venture e sventure -amorose, vituperando una vecchiaccia sfacciata, toccando -insomma quasi tutte le corde dell'antica lirica popolare. -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Donne mie, voi non sapete</p> -<p class="i02"> ch'i' ho el mal ch'avea quel prete.</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Fu un prete (questa è vera)</p> -<p class="i02"> ch'avea morto el porcellino.</p> -<p class="i02"> Ben sapete che una sera</p> -<p class="i02"> gliel rubò un contadino</p> -<p class="i02"> ch'era quivi suo vicino;</p> -<p class="i02"> (altri dice suo compare):</p> -<p class="i02"> poi s'andò a confessare,</p> -<p class="i02"> e contò del porco al prete.</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">El messer se ne voleva</p> -<p class="i02"> pure andare alla ragione:</p> -<p class="i02"> ma pensò che non poteva,</p> -<p class="i02"> chè l'aveva in confessione.</p> -<p class="i01"><span class="pagenum" id="Page_167">[167]</span></p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i02"> Dicea poi tra Le persone:</p> -<p class="i02"> — Ohimè, ch'i' ho un male</p> -<p class="i02"> ch'io nol posso dire avale. —</p> -<p class="i02"> Et anch'io ho il mal del prete.</p> -</div></div> - -<p> -Tra queste malizie il sentimento della vita e della natura, -caldo, giulivo, libero, sì da effondersi talvolta in -rime che sembrano scheggiare i canti goliardici. Ma qui -anche meno abbisognan gli esempii. Chi non sa i conforti -ad amare che la fanciulla dà alle compagne? -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Quando la rosa ogni sua foglia spande,</p> -<p class="i02"> quando è più bella, quando è più gradita,</p> -<p class="i02"> allora è buona a mettere in ghirlande,</p> -<p class="i02"> prima che sua bellezza sia fuggita:</p> -<p class="i02"> sicchè, fanciulle, mentre è più fiorita</p> -<p class="i02"> cogliàn la bella rosa del giardino.</p> -</div></div> - -<p> -E chi non sa il canto pel rinnovamento della primavera che -Firenze, la città della primavera, salutava con feste? Non -eran più, nel quattrocento, le laute accoglienze di che narra -il Villani, corti coperte di drappi e zendali, e desinari e cene; -ma le schiere de' giovani correvano ancora la città agitando -i ramoscelli in fiore, le frondi verdi, i gonfaloni selvaggi. -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Ben venga maggio</p> -<p class="i02"> e 'l gonfalon selvaggio!</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Ben venga primavera</p> -<p class="i02"> che vuol l'uom s'innamori.</p> -<p class="i02"> E voi, donzelle, a schiera</p> -<p class="i02"> con li vostri amadori,</p> -<p class="i02"> che di rose e di fiori</p> -<p class="i02"> vi fate belle il maggio,</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">venite alla frescura</p> -<p class="i02"> delli verdi arbuscelli.</p> -<p class="i02"> Ogni bella è sicura</p> -<p class="i02"> fra tanti damigelli;</p> -<p class="i02"> chè le fiere e gli uccelli</p> -<p class="i02"> ardon d'amore il maggio.</p> -</div></div> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_168">[168]</span> -</p> - -<p> -Ma non c'indugi la dolcezza de' suoni. Nel gennaio -del 75, Giuliano de' Medici trionfò in una di quelle giostre -che porgevano a' signori l'occasione di ostentare lor -valentia cavalcando e armeggiando; spettacolo pomposo -e gradito al popolo. Il fratello maggiore, Lorenzo, si -era meritato, sette anni innanzi, il premio in una giostra -consimile, di cui avea celebrate le gesta e l'eroe, -con un poemetto, Luigi Pulci, come si usava sì per le -giostre, sì pel giuoco del calcio, sì per altri sollazzi, dai -cantastorie; i quali compievano, dati i tempi, l'officio -de' cronisti ne' nostri giornali, non so con quanto più -di verità, certo con più fatica, perchè le fandonie le -strimpellavano in rima. Anche questo genere era dunque -ormai caro a' poeti d'arte: se non che il Pulci, -come nel Morgante, così nella Giostra, lo aveva accettato, -almeno per le apparenze, tal quale, dilettandosi -nella parte finta del cantimpanca o d'un suo inspiratore; -tanto che diceva dover chiudere il racconto -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">perchè il compar, mentre ch'io scrivo, aspetta</p> -<p class="i01">ed ha già in punto la sua violetta.</p> -</div></div> - -<p> -Sapete che il compare aspettava nientemeno che dal 69? -ed egli smise di scrivere soltanto allora che si preparava -la giostra del 75, in cui spettava a Giuliano il trionfare. -Poco più sollecito ma più elegante poeta ebbe questi: -poco più sollecito, perchè, se ci pensò prima, e se forse -qualcosa ne abbozzò, il Poliziano non si pose a stendere -il poema ordinatamente che dopo trascorso un anno -dalla giostra. In compenso non cantò le armi soltanto; -cantò, più che le armi, gli amori. -</p> - -<p> -Giuliano, che nella tela del Botticelli spira, giovenilmente -pensoso, una dolce mestizia, era innamorato, cavallerescamente -e platonicamente, com'era la moda, di -quella Simonetta Cattaneo, moglie a un Vespucci, che -<span class="pagenum" id="Page_169">[169]</span> -Piero di Cosimo, o altri, dipinse esilmente gentile. Ma -la Vespucci visse, dopo la giostra, pochi mesi più. Nell'aprile -del 1476, scriveva di lei a Lorenzo un amico ponendola -accanto alla Laura del Petrarca: “La benedetta -anima della Simonetta se ne andò a paradiso, come -so harete inteso: puossi ben dire che sia stato il secondo -trionfo della Morte; chè veramente havendola voi vista -così morta, come la era, non vi saria parsa manco bella -e vezzosa che si fusse in vita: <i>requiescat in pace</i>.„ Lorenzo -stesso la pianse in versi; e il Poliziano, già interprete -de' sospiri amorosi, ebbe a far distici sulle esequie, -co' pensieri che Giuliano gli suggerì. Allora il racconto -della giostra dove Giuliano si era cavallerescamente adoperato -per amore e onore di lei, si allargò nella mente -del poeta e comprese in sè anche la storia di quell'amore. -Il genere popolano delle narrazioni in ottava rima -di giuochi e apparati, venuto nelle mani d'uno scrittore -geniale come il Pulci, passava pertanto da quelle di lui -a più squisito artefice, e da questo era volto alla imitazione -de' carmi encomiastici antichi; non altrimenti che -i racconti romanzeschi, proprio in quelli anni, salivano -dalla piazza al palazzo per opera del Pulci medesimo, -ed erano da Matteo Maria Boiardo, traduttore d'Erodoto, -avviati sulla imitazione de' poemi classici. Ove per altro -conviene aggiungere che il Boiardo fu grande poeta, e -nel calore dell'invenzione fuse stupendamente l'antico e -il moderno in un metallo nuovo; il Poliziano fu grande -artista, e nell'agevolezza dell'esecuzione compose dell'antico -e del moderno un mirabile mosaico: all'uno mancò -l'eleganza della lingua e dello stile, all'altro la virtù -delle alte concezioni: l'uno e l'altro erano necessarii a -preparare Lodovico Ariosto, poeta ed artista grande. -</p> - -<p> -Ho detto con ciò il difetto e il pregio delle Stanze -per la giostra: il difetto è nel disegno generale, il pregio -è nel disegno e nell'esecuzione dei particolari. Come fare -<span class="pagenum" id="Page_170">[170]</span> -un poema degli amori cortesi e delle armi cortesi di -Giuliano? Ecco il modo. Julio, figlio della etrusca Leda, -cioè a dire Giuliano figlio della Tornabuoni, sdegnava -d'amare: Cupido volle che amasse, e in una caccia gli -fece apparire una cerva bellissima; la quale, trattolo -via dalla brigata de' compagni, disparve: ma al giovine -non ne importava più, perchè si vedeva innanzi una -donna troppo più bella della cerva bellissima: la Simonetta. -Inutile dire che se ne innamora, e Cupido torna -tutto lieto alla madre Venere. Fin qui il primo libro. -Nel secondo, i vanti di Cupido per la vittoria, buona -occasione alle lodi della casa medicea: il racconto di un -sogno che Venere manda a Julio, perchè si accenda a -mostrare all'amata la sua bravura in una giostra, sebbene -egli abbia da quel sogno stesso il prognostico della -prossima morte di lei; e la preghiera di Julio a Pallade, -a Venere, a Cupido, che lo aiutino nell'impresa della -gloria e dell'amore. E qui il poema, come il monumento -che Michelangelo scolpì a' due fratelli Medici, rimase -interrotto. Perchè? Il 26 aprile 1478, una domenica -mattina, nella chiesa di Santa Maria del Fiore frequente -di popolo, subito che il sacerdote nel celebrare la messa -si fu comunicato, Francesco de' Pazzi e Bernardo Bandini -si strinsero addosso a Giuliano co' pugnali e l'uccisero: -Lorenzo ebbe tempo a trarre lo stocco e, ferito -nella gola, difendersi e riparare nella sagrestia. Il colpo -era andato a vuoto; Firenze restava ai Medici. Ma Giuliano -giaceva morto; e dopo quella tragedia non si potevano -più fiorire di rime le sue venture per una giostra -bandita a diletto. Il poeta si mutò in istorico, e -narrò in latino, a mo' di Sallustio, la congiura de' Pazzi. -</p> - -<p> -Altri osservò: se il poema rimase a mezzo, fu, anzi -che un danno, un vantaggio alla fama dell'autore: andando -innanzi, egli avrebbe dovuto descrivere vesti, cavalli, -armeggiamenti; e già nel secondo libro la poesia -<span class="pagenum" id="Page_171">[171]</span> -scade; in più libri, il tedio sarebbe cresciuto; quel panegirico -sarebbe stato letto da' soli eruditi. Io non mi -lascio consolare così facilmente. Ammettiamo pure che -le Stanze avessero a crescere, pel compimento del secondo -e per l'aggiunta d'un terzo libro, che è quanto -di più si possa immaginare, di un'altra metà: il disegno -generale non si sarebbe sottratto, certo, da giuste censure; -ma non gli si muovono a ogni modo, giudicandone -dal frammento? e gli episodii ci avrebbero date -bellezze, se non maggiori, pari a quelle che nel frammento -ammiriamo. -</p> - -<p> -Non le rammenterò. Le lodi della vita rustica, la caccia, -la Simonetta, il regno di Venere, gl'intagli della -porta nella reggia di lei, l'albergo del Sonno, sono, a -tratti almeno, in tutte le antologie, sono, a tratti almeno, -in tutte le memorie. La giostra non è più che -un pretesto: sembra che il Poliziano prometta di guidarvi -a goderne lo spettacolo, soltanto per aver modo -di farvi ammirare, così senza parere, d'una in un'altra -galleria, la sua meravigliosa raccolta di quadri e di statue. -Sono i tempi de' bronzi di Lorenzo Ghiberti, delle -terre cotte di Luca della Robbia, dei marmi di Donatello, -degli affreschi di Filippino Lippi, delle tele di -Sandro Botticelli; e l'arte di tutti costoro si riflette nello -specchio finissimo di quelle ottave, che suonano e creano, -secondo il precetto, da molti franteso, del Foscolo, il -quale più d'una somiglianza ebbe col Poliziano negl'intendimenti -e ne' modi dell'arte: suonano, cioè, varie, -fluide, eleganti; creano immagini adatte alla plastica e -ai colori. Dopo Dante, nessuno aveva posta nel verso -tanta efficacia di rappresentazione: nessuno ancora aveva -saputo nell'ottava rima alternare, con tanta accortezza -di pause e di accenti, di piani e di sdruccioli, il forte -col tenue, il dolce con l'aspro. Il primato della lingua -letteraria, come da Leon Battista Alberti, sebbene con -<span class="pagenum" id="Page_172">[172]</span> -importanza minore d'assai, per la prosa, così dal Poliziano -era riconfermato alla Toscana per la poesia: dopo -le Stanze per la giostra, l'Orlando innamorato doveva -di necessità essere offuscato dalla fama del prosecutore -che chiese alle labbra di una fiorentina la grazia dei -baci e le grazie del nostro volgare; e doveva per ciò di -necessità piegarsi, per rivaleggiare col Furioso, al rifacimento -toscano di Francesco Berni. -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">La notte che le cose ci nasconde</p> -<p class="i02"> tornava ombrata di stellato ammanto:</p> -<p class="i02"> e l'usignuol sotto le amate fronde</p> -<p class="i02"> cantando ripetea l'antico pianto;</p> -<p class="i02"> ma solo a' suoi lamenti eco risponde,</p> -<p class="i02"> ch'ogn'altro augel quetato avea già il canto:</p> -<p class="i02"> dalla cimmeria valle uscian le torme</p> -<p class="i02"> de' sogni negri con diverse forme.</p> -</div></div> - -<p> -Lingua, stile, metro erano ormai perfetti, e compiuta -l'assimiliazione dell'arte classica nella medievale, per -opera di quel giovane da Montepulciano che tendendo -nelle campagne l'orecchio alle canzoni del popolo “beccava -per tutta la via di qualche rappresaglia e canzone -di Calen di maggio„, e leggeva a diletto i nostri migliori, -e poi, nel silenzio del suo studio, meditava i testi -dei greci e dei latini. -</p> - -<h3>IV.</h3> - -<p> -L'Orfeo e le Stanze, opera quasi improvvisata la prima, -non compiuta la seconda, furono pubblicate soltanto due -mesi innanzi che il Poliziano morisse, e non per volontà -di lui. Al pari del Petrarca, egli, da buon umanista, -chiedeva piuttosto e si aspettava la gloria dalla filologia -<span class="pagenum" id="Page_173">[173]</span> -classica, nell'arte e nell'erudizione. Per ciò, interrotta -dalle Stanze, la versione d'Omero, ch'era destino -restasse come le Stanze incompiuta; per ciò, scritto in -latino il commentario della congiura de' Pazzi; per ciò, -gli epigrammi greci e latini; e in latino le elegie, le -odi, le Selve, le traduzioni di prose greche, le orazioni, -i trattati, le miscellanee. Tanto più, perchè a ventisette -anni già insegnava eloquenza greca e latina nello Studio -fiorentino, dove accorrevano a udirlo tali ch'egli -aveva ascoltati maestri; e perchè l'umanesimo si andava -mutando d'arte in iscienza e richiedeva ormai lunghe e pazienti -fatiche di collazioni sui manoscritti e di commenti. -</p> - -<p> -Giurazio Suppazio, che va in cerca de' dotti per tutta -l'Italia, dopo aver corse due giorni le vie di Roma con -gran rischio d'essere messo sotto dalle mule de' prelati, -si sfoga con un letterato dell'ozio in cui gli sembrano -sprofondati i Romani: <i>otio illic marcescere homines</i>, dice -Suppazio; e l'altro lo prende a pugni: — To' su, bestiaccia! -<i>splendesco, tabesco, liquesco</i> non ammettono il caso -ablativo! — Più egli cerca, con esempii, scolparsi, e più -ne busca; sì che fugge da quella grandinata e va a lagnarsene -altrove; ma non ha aperto bocca, che il confidente -lo interrompe: — O non ti vergogni a codesta -età, non saper di latino? <i>iniuriam patior</i> chi te l'ha insegnato -a dire? — Neppur qui valgono al disgraziato -gli esempii; e quando vede che il grammatico stringe i -pugni, fa tutta una corsa fino a Velletri. La satira è -come uno specchio convesso che altera la proporzione -delle fattezze e suscita il riso: ma il volto sformato è -pur nello specchio quel dato volto e riconoscibile a tutti: -così nel dialogo del Pontano accade al purissimo de' ciceroniani -ignoranti. Or quando si può far satira tale, la -diffusione e la intensità dell'umanesimo, rispetto allo -scrivere latino, sono palesi. Ridicola appariva ormai la -lingua letteraria del medio evo, tanto lontana da quella -<span class="pagenum" id="Page_174">[174]</span> -dei classici; e la questione che si agitava non era più -che questa: si ha da scrivere coi vocaboli e i costrutti -di Cicerone solo, o sarà lecito valersi d'altri vocaboli e -costrutti usati dagli altri antichi? e, al bisogno, coniare -vocaboli nuovi? il Poliziano fu per la libertà, diciam -pure per la licenza, e ne sostenne fiere baruffe, che lasciò -in eredità ai discepoli. Ma come Erasmo, eclettico -anche lui, esclamò piacergli più quel che il Poliziano -scriveva dormendo, di quel che un suo avversario, Bartolommeo -Scala, da sveglio e con ogni cura; così, oggi -che l'eclettismo ha perduta la guerra, i critici lodano -ancora nello stile del Poliziano, sia pure a mosaico e -tutto fioretti, un gran sapore di latinità, e un vigore, -una grazia, singolari. L'elegia per le viole avute in dono -dalla sua bella (vo' credergli non fosse ancora canonico!) -quella in morte di Albiera degli Albizzi, che prenunzia -le Stanze, l'ode ad Alessandro Cortesi, i giambi contro -una vecchia (anche in latino ricantavano i motivi popolari), -gli esametri delle Selve con le quali splendidamente -iniziò le sue letture pubbliche di Virgilio, d'Esiodo, -d'Omero; e in prosa, le epistole, la prelezione alle Priora -d'Aristotele, il trattatello sull'ira, la narrazione della -congiura, sono tra i capolavori del latino recuperato, -com'egli diceva, dalla barbarie dell'evo medio. “Non son -mica Cicerone io! me stesso, se non m'inganno, ho da -esprimere.„ Il ragionamento, a dir vero, zoppica; o non -aveva, ad esprimersi, il volgare? Ma il libraio degli umanisti -fiorentini, Vespasiano da Bisticci, affermava, quasi -interprete di tutti loro, che “nello idioma volgare non -si può mostrare le cose con quello ornamento che si fa -in latino„. Esperienza del contrario fece il Poliziano -medesimo, e si mostrò restio, almeno in parte, al detto -del Filelfo: in volgare si scrivon le cose che non vogliamo -far sapere ai posteri. Restio pe' versi, non per la -prosa; e voi rammentate che dell'uccisione di Giuliano -<span class="pagenum" id="Page_175">[175]</span> -lasciò ai posteri la grave memoria in un racconto latino. -Del resto, anche per la poesia, troppa distanza poneva -tra i classici e i moderni. In una Selva, celebrati -i greci e i latini con più di settecento esametri, si sbriga -con otto soli di Dante, del Cavalcanti, del Petrarca, del -Boccaccio: è un cenno in cui suona l'affetto; ma l'ammirazione -sua va ai padri antichi, non ai recenti fratelli. -</p> - -<p> -“La sapienza latina e greca le abbracci per modo che -non è facile accorgersi di quale tu possegga più. Senza -adulazione, Poliziano mio, non c'è che un solo, o due, o -forse nessuno, degno d'esserti paragonato: se foste in -più, il secolo nostro non avrebbe di che invidiare gli -antichi.„ La lode è d'un giudice amico, è del candido -Gian Pico della Mirandola; ma data l'enfasi epistolare -d'allora, esagerata non è. Il Poliziano, componendo epigrammi, -traducendo Omero, le Storie d'Erodiano, il Manuale -d'Epitteto, fu veramente, anche per le lettere greche, -così elegante scrittore come sagace interprete, e -benemerito della filologia moderna. La quale, se ammira -quella tanta facilità e vivacità dello scrivere latino e -greco, sia pure che, fatta più accorta da quattro secoli -di studii, abbia qua e là a notare qualche scappuccio -di stilistica e di prosodia, attribuisce al Poliziano lodi -maggiori per avere, con senno ed acume di critica, bene -avviata e procurata la restituzione e la interpretazione -dei testi, e lo saluta come uno de' maestri primi. Grammatico -si vantava egli; ma la sua grammatica era la -filologia tutta e comprendeva tutta la vita e la letteratura -degli antichi. “Di grazia, m'avete voi per tanto insolente -o stolto, che se alcuno mi desse del giureconsulto -o del medico, non crederei in tutto ch'e' volesse il -giambo de' fatti miei? E pure (sia detto senz'arroganza) -gli è buon tempo ch'io lavoro, e di lena, ad alcuni commentarii -sul Diritto civile, ad altri su maestri di medicina; -nè voglio acquistarne altro nome che di grammatico; -<span class="pagenum" id="Page_176">[176]</span> -pregando che non mi sia invidiata questa qualifica, -schifata pure da certi messeri come vile e spregevole.„ -Codesto grammatico raffronta codice a codice; corregge -col raffronto gli errori; dove il raffronto non giova, fa -congetture, e spesso indovina, come poi altri codici proveranno; -intende ciò che fino a lui pareva oscuro; e -può nella prima centuria delle Miscellanee mostrare, da -gran signore, senza ostentarla, una dottrina e una sagacia -che sarà mirabile a tutti gli studiosi, dopo essere -stata gradita a Lorenzo de' Medici, il quale cavalcando -con a fianco l'amico, si dilettava ascoltarne le primizie. -Così talvolta si dilettavano insieme assistere alle dispute -de' dottori rivali su questioni di leggi; e d'una avvenuta -in Pisa, riferiva così il bidello al notaio dell'università: -“Riscaldandosi e giostranti nell'arme si fe' buio, e col -torchio finì detta disputa. Venendo loro (Giason del -Maino e il Soccini disputanti) a un certo passo d'un -testo, del dire in un modo a dire nell'altro, Lorenzo e -M. Agnolo Poliziano suo mi mandò con sua volontà per -uno codice, e trovata la legge, M. Agnolo la lesse presso -Lorenzo.„ Questo nel 1489; l'anno dopo, la collazione -del manoscritto delle Pandette era finita, e il Poliziano -aveva sospinta con essa anche la culta giurisprudenza -a progressi crescenti. E nella giurisprudenza, oltre quel -merito del testo restituito a lezione migliore, a lui spetta -quest'altro, dell'aver accennato per primo alle traduzioni -greche del dritto giustinianeo, ai Basilici e a Teofilo, con -opinioni che la scienza odierna, se non le accetta tali -quali, ancora discute. -</p> - -<p> -Quando nel 1494, due anni dopo il suo Lorenzo, il -Poliziano morì, che non contava ancora quarantun anno, -l'umanesimo trionfava negli studii, nell'arte, e, quel che -più importa, nella coscienza italiana. Eccone, per molti, -un esempio men noto. A Reggio d'Emilia, negli ultimi -mesi della vita del Poliziano, corse voce fosse sottratto, -<span class="pagenum" id="Page_177">[177]</span> -o che presto sarebbe, dal convento de' Carmelitani, un -codice ove un frate umanista, Michele Ferrarmi, aveva -raccolte quante più iscrizioni antiche gli erano capitate -in lunghi anni di ricerche. La città si commuove; gli -anziani si adunano e fan provvisione, si mandino al -convento tre deputati i quali parlino col priore e diano -opera a che il prezioso manoscritto sia incatenato e talmente -affisso nella libreria del convento che mai non -possa esserne nè tratto nè sottratto, ma resti (son le parole -della deliberazione) quasi un altro libro delle Pandette -nella città di Reggio perpetuamente. I deputati -andarono; i frati si scusarono e promisero; Reggio vanta -ancora nella sua biblioteca il codice del Ferrarini. -</p> - -<p> -Tali gli effetti dell'umanesimo. Del quale io, parlandovi -d'Angelo Poliziano, non potevo e non dovevo colorire -il quadro compiuto che la serie di queste letture -vi andrà troppo meglio a mano a mano dipingendo. Ma -non vi dissimulo che il Poliziano stesso mi avrebbe data -occasione a farvi almeno intravedere anche il rovescio -della medaglia, la petulanza del chiedere, i costumi facili, -le invidie, le insidie, i furori letterati, se avessi stimato -utile ed opportuno, dentro lo spazio d'un'ora, fermarmi -su i vizii e su i malanni dell'uomo, e del tempo suo, -piuttosto che sulla virtù di quella mente e sulla importanza -del rifiorire degli studi classici. Che se poi non -fossi riuscito neppure in ciò, mi valga uno di quelli epigrammi -che il Poliziano si compiaceva aguzzare nelle -sue lettere: lo scrisse a Gian Pico, un giorno che nel -far lezione l'avea veduto tra gli scolari; ed io lo parafraso -ed estendo a voi tutti: “Per farmi onore vi siete -messi a sedere qui innanzi a me, quasi mi foste scolari. -Non v'aspettate la mia gratitudine. Se la lettura v'è -piaciuta, sta a voi l'esserne grati a me; se poi la non -v'è piaciuta, oh non ci mancherebbe altro che vi dovessi -esser grato io!„ -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_178">[178]</span> -</p> - -<h2 id="lirica">LA LIRICA DEL RINASCIMENTO</h2> - -<p class="center"> -DI -</p> - -<p class="center large"> -ENRICO NENCIONI. -</p> -</div> - -<h3>I.</h3> - -<p> -La più grande lirica del Rinascimento, è la poesia che -emana da quell'epoca stessa. -</p> - -<p> -Epoca unica e veramente maravigliosa! I suoi grandi -personaggi non vivono isolati, come quelli di altre epoche -insigni; ma respirano in un ambiente medesimo, e -hanno, dirò così, un'a<i>ria di famiglia</i> che ce li fa subito -riconoscere. La gioventù, la curiosità scientifica, -l'aspirazione, ne sono le più spiccate caratteristiche. Quegli -<i>umanisti</i> non sono dei dotti pedanti, ma degli <i>editori</i> -entusiasti. Quegli eruditi, come Pico della Mirandola, -son dei poeti. È un'epoca <i>aurorale</i>, in cui tutto si intravede -in una rosea luce di gioventù e di poesia. Pensate! -Lorenzo, il Savonarola, Pico, Brunellesco, Leonardo, -Guttemberg, Colombo, Copernico! — Tutto il -Mondo moderno è racchiuso in questi gran nomi. Si -scuopre il Cielo e la Terra, gli astri e l'America, la stampa -e l'Oriente. Si commenta Platone, si stampa Omero e -Virgilio. Si rivela e s'adora il volto sempre giovine e -raggiante dell'antichità, che si credea tanto vecchia! In -un'estasi mistica e estetica, si tenta di conciliare i due -grandi antagonismi, Paganesimo e Cristianesimo. Fioriscono -di vita nuova la geografia, la storia naturale, la -meccanica, la medicina, l'anatomia, la pedagogia. Un Italiano -<span class="pagenum" id="Page_179">[179]</span> -completa la Terra: un Polacco scuopre l'infinito -nel Cielo. Savonarola attesta la coscienza morale e la -libertà: Leonardo, la universale parentela della Natura. -<i>Simpatia umana</i> è il motto sacro del Rinascimento — prima -che esso degeneri in Accademicismo e precipiti -nel Barocchismo — per poi tornare alle sue grandi origini -del secolo XIV e XV, e dar la mano al secolo XVIII -e al secolo nostro. -</p> - -<h3>II.</h3> - -<p> -Esaminando le opere dei principali lirici del Quattrocento, -vediamo che la poesia idillica è la predominante: -poi vien quella amorosa, sensuale o elegiaca: poi la popolare, -sacra o profana. Vediamo che il Pulci nella sua -stravagante e possente fantasia pare un'eco medievole -in mezzo al Rinascimento — che il Poliziano è il più -essenzialmente greco-latino, e il più artista — che il Magnifico -ha più di tutti il senso della realtà, e il Boiardo -quello della poesia e della bellezza. In tutti c'è, più o -meno, l'intendimento e l'attitudine a rappresentare nel -verso la natura esteriore. Sotto un certo aspetto, son -tutti poeti <i>naturalisti</i>: ma il metodo descrittivo varia -nei diversi poeti. Lorenzo, come in pittura il Ghirlandaio, -trascrive la immagine esteriore delle cose, con una -grafica precisione. Il Boiardo e il Poliziano, vedono nella -figura esteriore <i>qualche altra cosa</i>; e, come il Botticelli, -sono immaginosi più che drammatici. -</p> - -<p> -In tutti però, eccetto Lorenzo de' Medici, l'osservazione -della natura è piuttosto limitata. Al lettore moderno, -che ha letto Rousseau e Goethe, Wordsworth e -Shelley, Lamartine e Giorgio Sand, Tennyson e Victor -Ugo, pare che quei lirici del Quattrocento non abbian -visto che la primavera tra le stagioni, le rose e le viole -tra i fiori, e il rosignolo tra gli uccelli. Somigliano un -<span class="pagenum" id="Page_180">[180]</span> -po' a certi lirici tedeschi, i cui <i>Lieder</i> son composti con -un limitatissimo e monotono dizionario poetico: <i>cielo</i>, -<i>luna</i>, <i>aprile</i>, <i>sorriso</i>, <i>vergine</i>, <i>rose</i>, <i>gigli</i>, <i>rosignoli</i>, <i>amore</i> -e <i>dolore</i>.... Ma la nota monotona, insistente come il ritornello -d'un merlo, è sempre la Primavera. Talchè, -leggendoli, alla lunga ci prende un desiderio, una simpatia, -una voglia irresistibile di un po' di pioggia, di -neve e di tramontana.... -</p> - -<p> -Il vero realista è Lorenzo. Esso il primo interrompe -la convenzionale tradizionale <i>ottimista</i> nelle pitture rurali. -Ha visto il grano e le rose, ma anche le ortiche ed -il concio — le ghirlandette e i pruneti — i rispetti e -le serenate, e il sudiciume e la fame. -</p> - -<p> -Nel suo delizioso poemetto, <i>L'Ambra</i>, la piena del fiume -è descritta nei più realistici e dolorosi particolari. -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i02"> Appena è stata a tempo la villana</p> -<p class="i01">Pavida a aprire alle bestie la stalla.</p> -<p class="i01">Porta il figlio che piange nella zana.</p> -<p class="i01">Segue la figlia grande, ed ha la spalla</p> -<p class="i01">Grave di panni vili, lino e lana:</p> -<p class="i01">Va l'altra vecchia masserizia a galla,</p> -<p class="i01">Nuotano spaventati i porci e i buoi....</p> -</div></div> - -<p> -Non pare staccato da una pagina della <i>Terre</i> di Emilio -Zola? E com'è schiettamente contadinesco il Canto -d'amore <i>la Nencia da Barberino</i>! Immagini e favola, -tutto è perfettamente <i>rusticano</i> e <i>fiorentino</i>. -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i02"> Non vidi mai fanciulla tanto onesta,</p> -<p class="i01">Nè tanto saviamente rilevata:</p> -<p class="i01">Non vidi mai la più pulita testa,</p> -<p class="i01">Nè sì lucente nè sì ben quadrata.</p> -<p class="i01">Ell'ha due occhi che pare una festa</p> -<p class="i01">Quand'ella li alza, e che ella ti guata:</p> -<p class="i01">E in quel mezzo ha il naso tanto bello</p> -<p class="i01">Che par proprio bucato col succhiello.</p> -</div></div> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_181">[181]</span> -</p> - -<p> -E che efficacia di rappresentazione nei suoi Canti Carnascialeschi! -Sia nei Mitologici, come le <i>Parche</i>, <i>Bacco -e Arianna</i>, il <i>Trionfo d'Amore</i>; sia nelle Mascherate dei -Mestieri, come i <i>Cialdonai</i>, le <i>Filatrici d'oro</i>, i <i>Calzolai</i>.... -In moltissimi il doppio senso è lubrico, spesso addirittura -osceno, quale sarà più tardi in certi Capitoli del -Berni, dei Bernieschi, e dell'Aretino — talvolta è velato -da una maliziosa ironia, come nel Carro delle <i>Mogli -giovani</i> e dei <i>Mariti vecchi</i>. -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01"><i>I Vecchi.</i> — Deh? vogliateci un po' dire</p> -<p class="i04"> Qual cagion vi fe' partire,</p> -<p class="i04"> D'aver preso altro amadore</p> -<p class="i04"> Vi farem tutte pentire.</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01"><i>Le Mogli.</i> — Deh, andatene al malanno,</p> -<p class="i04"> Vecchi pazzi rimbambiti!</p> -<p class="i04"> Non ci date più affanno!...</p> -<p class="i04"> Contentiam nostri appetiti.</p> -<p class="i04"> Questi giovani puliti</p> -<p class="i04"> Ci dann'altro che vestire....</p> -</div></div> - -<p> -E che movimento bacchico, che allegra spensieratezza -pagana, che gioconda esultanza di ritmo, nel <i>Trionfo di -Bacco e Arianna</i>! -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i02"> Donne e giovinetti amanti,</p> -<p class="i01">Viva Bacco e viva Amore!</p> -<p class="i01">Ciascun suoni, balli e canti!</p> -<p class="i01">Arda di dolcezza il cuore!</p> -<p class="i01">Non fatica, non dolore!</p> -<p class="i01">Quel c'ha a esser, convien sia,</p> -<p class="i01">Chi vuol esser lieto, sia;</p> -<p class="i01">Di doman non v'è certezza.</p> -<p class="i01">Quant'è bella giovinezza</p> -<p class="i01">Che si fugge tuttavia.</p> -</div></div> - -<p> -La figura di Sileno in questo medesimo Canto ha tanto -rilievo, che par gettata in bronzo dal Pollaiolo. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_182">[182]</span> -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i02"> Questa soma che vien dreto</p> -<p class="i01">Sopra un asino, è Sileno:</p> -<p class="i01">Così vecchio, è ebbro e lieto,</p> -<p class="i01">Già di carne e d'anni pieno.</p> -<p class="i01">Se non può star ritto, almeno</p> -<p class="i01">Ride, e gode tuttavia....</p> -<p class="i01">Chi vuol esser lieto, sia:</p> -<p class="i01">Di doman non v'è certezza.</p> -</div></div> - -<p> -Lo stesso Lorenzo scriveva poi <i>Laudi</i> e <i>Sacre Rappresentazioni</i>. -Spesso, una medesima aria serviva a una -Lauda divota, come <i>Crocifisso a capo chino</i>, — e a una -lasciva Canzonetta, come <i>Una donna d'amor fino</i>. Lorenzo -è un gran dilettante, pel quale tutti i <i>motivi</i> poetici -sono buoni — e passa con intrepida disinvoltura -dal Canto sacro della <i>Mater dolorosa</i>, al Canto carnescialesco -dei <i>Bericuocolai</i>. -</p> - -<h3>III.</h3> - -<p> -Come poeta, credo che la sostanza, la vera eccellenza -del suo ingegno, consista nel suo realismo. Qui sta la -sua originalità, e l'attrattiva che esercita sul lettore moderno. -È anch'egli un <i>impressionista</i> (dei buoni) che trova -sempre il modo di dar forma artistica — più o meno -felice, ma sempre fresca e schietta — a tutto ciò che -colpisce il suo occhio, la sua fantasia, il suo sentimento. -Invece di Venere o di Lucina, canta la Nenciozza, — invece -di figurarsi Cipro e Delo, dipinge dal vero Careggi -e il Mugello, — invece degli Auguri o delle Sibille, -ritrae i Beoni e i Cialdonai. Non ha nulla dell'accademicismo -del Sannazzaro, o della estetica del Poliziano. -È spesso rude e scorretto — ma è il più vicino -alla natura; e ha un sentimento della campagna così -vivo e diretto, che in tutta la storia letteraria dell'Europa -<span class="pagenum" id="Page_183">[183]</span> -(fatte le debite differenze di epoca, di nazione e di -carattere) non trovo da paragonargli che Roberto Burns. -</p> - -<p> -Invece, il mondo poetico del Poliziano è un riflesso di -Teocrito, di Virgilio, di Ovidio, di Stazio, del Petrarca: -ma la sua immaginazione trasforma, trasfigura ciò che -raccoglie, in modo così felice, che ci apparisce quasi come -una nuova creazione. Egli mette nelle sue reminiscenze -classiche l'entusiasmo dell'umanista — e dà moto, vita -e passione, ai più freddi fantasmi mitologici. Egli canta -Venere e Diana, con l'ardore con cui Swinburne ha -cantato oggi Federa e Atalanta. -</p> - -<p> -Di più: come il Boiardo, egli è un insigne decoratore: -ha il senso squisito della ornamentazione: la sua tavolozza -di colori è maravigliosa. Chi non ricorda il ritratto -della Simonetta, il quale è appena inferiore per colorito, -e supera, per grazia, quello d'Alcina? Chi non sa a -mente certi suoi versi deliziosi, come: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i02"> Ridele attorno tutta la foresta.</p> -<p class="i01">L'erba di sua bellezza ha maraviglia,</p> -<p class="i01">Gialla, cilestra, candida e vermiglia.</p> -</div></div> - -<p> -e le fragranti strofe della ballata <i>Il giardino delle rose</i>? -</p> - -<p> -Dove poi il Poliziano ha note intense di vera poesia è -nei <i>Rispetti</i>. Eccone uno, sensuale e delicato ad un tempo: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i02"> So' innamorato d'una rosa rossa,</p> -<p class="i01">E il giorno non mi so da lei partire.</p> -<p class="i01">Quando ci passo il suo bel petto mostra,</p> -<p class="i01">Ed è sì bianco, che mi fa morire.</p> -</div></div> - -<p> -E che dolore passionato in quest'altro! -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Ti vengo a rivedere anima mia,</p> -<p class="i01">E vengoti a vedere alla tua casa:</p> -<p class="i01">Pongomi inginocchioni in su la via.</p> -<p class="i01">Bacio la terra dove sei passata!</p> -<p class="i01">Bacio la terra ed abbraccio il terreno:</p> -<p class="i01">Se non m'aiuti, bella, i' vengo meno.</p> -</div></div> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_184">[184]</span> -</p> - -<p> -Dal Poliziano al Rückert, dal Dall'Ongaro alla Robinson, -quanti poeti hanno imitato i Rispetti e gli Strambotti -Toscani! -</p> - -<p> -Ma non credo che nessuno di questi poeti abbia raggiunto -l'altezza lirica di quattro versi, improvvisati in -una serenata da un contadino della montagna di Pistoia, -raccolti e editi dal Tommaseo: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Una fila di nuvole d'argento</p> -<p class="i01">Innamorate al lume della luna</p> -<p class="i01">Vengon per l'aria portate dal vento</p> -<p class="i01">A salutarti, o bella creatura!</p> -</div></div> - -<p> -Che larghezza di orizzonte, che movimento, e che luce -nel verso meraviglioso -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Vengon per l'aria portate dal vento!</p> -</div></div> - -<p> -È degno di Dante — e ricorda infatti la divina terzina: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Come nei plenilunii sereni,</p> -<p class="i01">Trivia ride fra le Ninfe eterne</p> -<p class="i01">Che dipingono il ciel per tutti i seni.</p> -</div></div> - -<p> -Il Poliziano ha cose eccellenti anche nelle canzonette -popolari. In quella — Io vi vo' donne insegnare — Come -voi dobbiate fare — vi sono strofe di lepida arguzia; -per esempio: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Fate pur che 'ntorno a' letti</p> -<p class="i01">Non sien, donne, mai trovati</p> -<p class="i01">Vostre ampolle e bossoletti;</p> -<p class="i01">Ma teneteli serrati.</p> -<p class="i01">I capei, ben pettinati</p> -<p class="i01 dotted">. . . . . . . . .</p> -<p class="i01">State poi sempre pulite;</p> -<p class="i01">Io non dico già strebbiate.</p> -<p class="i01">Sempre il brutto ricuoprite,</p> -<p class="i01"><span class="pagenum" id="Page_185">[185]</span></p> -<p class="i01">Ricci e gale sempre usate.</p> -<p class="i01">Vuolsi ben che conosciate</p> -<p class="i01">Quel che al viso si conviene:</p> -<p class="i01">Chè tal cosa a te sta bene,</p> -<p class="i01">Che a quell'altra ne dispare.</p> -<p class="i01">Ingegnatevi star liete,</p> -<p class="i01">Con bei modi ed avvenenti:</p> -<p class="i01">Volentier sempre ridete,</p> -<p class="i01">Pur che abbiate netti i denti.</p> -<p class="i01 dotted">. . . . . . . . . . .</p> -<p class="i01">Imparate i giuochi tutti,</p> -<p class="i01">Carte e dadi, scacchi e tavole,</p> -<p class="i01">Perchè fanno di gran frutti,</p> -<p class="i01">Canzonette versi e favole.</p> -<p class="i01">Ho veduto certe diavole</p> -<p class="i01">Che pel canto paion belle:</p> -<p class="i01">Ho veduto anco di quelle</p> -<p class="i01">Che ognun l'ama per ballare.</p> -</div></div> - -<p> -Accanto al Poliziano, metterei il Boiardo; e, come -pura immaginazione, forse gli è superiore — anzi, senza -forse. È il più essenzialmente immaginoso di tutti i poeti -del Rinascimento, non solo nell'<i>Orlando</i>, ma anche nelle -<i>Rime</i>. In tutti gli altri poeti epici e romanzeschi, dal -Poliziano e dal Pulci a Torquato Tasso, c'è qualche -cosa di artificioso e di teatrale — vi sono echi delle feste -di Mantova e di Firenze, di Roma e di Ferrara — meccanismi -e macchine pirotecniche, come nelle feste per -Alfonso d'Este, o in quelle di Boboli e Pratolino per -Bianca Cappello. Il Boiardo invece vede tutto in un mondo -magico e etereo — è il più <i>orientale</i> dei raccontatori — è -il più indigeno abitatore della <i>Faery-Land</i> che sia mai -esistito — anche più dell'Ariosto, e di Spenser stesso. -</p> - -<p> -Come lirico, unisce alla fiorente immaginazione un vivissimo -colorito. Certe sue poesie ricordano nel mondo -letterario il <i>Liebesfrühling</i> di Rückert e il <i>Buch der -<span class="pagenum" id="Page_186">[186]</span> -Lieder</i> di Heine — nel mondo artistico, le facciate smaglianti -delle cattedrali di Orvieto e di Siena — e nel -mondo naturale, un prato o un campo di maggio, quando -tra l'erba alta e verdeggiante brillano fiori candidi e -azzurri, e, come intensi e voluttuosi desideri, ardono -tra 'l verde, i petali di seta e di fiamma dei rosolacci -scarlatti. Ne prendo una tra cento: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Leggiadro veroncello, ov'è colei</p> -<p class="i01">Che di sua luce illuminar ti suole?</p> -<p class="i01">Ben vedo che il tuo danno a te non duole;</p> -<p class="i01">Ma quanto meco lamentar ti dei!</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Senza la sua vaghezza, nulla sei.</p> -<p class="i01">Deserti i fiori e secche le viole,</p> -<p class="i01">Al veder nostro il giorno non ha sole,</p> -<p class="i01">La notte non ha stelle senza lei.</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Pur mi ricordo ch'io ti vidi adorno,</p> -<p class="i01">Tra bianchi marmi e colorito fiore,</p> -<p class="i01">Da una ridente candida persona.</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Al tuo balcone allor si stava Amore</p> -<p class="i01">C'or te soletto e misero abbandona,</p> -<p class="i01">Perchè a quella gentil respira intorno.</p> -</div></div> - -<h3>IV.</h3> - -<p> -Fin da ragazzo avevo letto nelle storie letterarie e -nelle Antologie che pregio dell'<i>Arcadia</i> del Sannazzaro -era la bellezza delle <i>Descrizioni campestri</i>. Ma anche -prima ch'io “fuor di puerizia fossi„ mi accorsi leggendolo -che il Sannazzaro descrive.... come può descrivere -<i>un cieco</i>. Mi spiego. Un cieco può parlare di oggetti -visibili che non gli è dato distinguere — parlare di -stature, di misure, di forme, anche di colori: ne ha sentito -parlare, e ripete ciò che ha sentito dire. Così il Sannazzaro -ci parla di boschi, di luna, di aurora, di uccelli, -<span class="pagenum" id="Page_187">[187]</span> -di laghi, perchè gliene hanno detto qualcosa Virgilio, -Ovidio, i Greci, il Boccaccio — ed egli ripete, quasi -sempre male, quel che essi hanno detto bene. -</p> - -<p> -A provare che il Sannazzaro non è vero poeta, cioè -un veggente, cioè un uomo che <i>vede meglio e più addentro -che gli altri</i>, nell'uomo e nella natura — basta -guardare i suoi aggettivi. Non ne trovi mai uno, dico -uno, che, come fan sempre quelli di Dante, dia vita e -fisonomia e colore al suo sostantivo. Son tanto comuni -che, dato il sostantivo, s'indovina subito l'epiteto che -l'accompagna. -</p> - -<p> -Apro a caso e leggo: -</p> - -<p> -“Gli aratori tutti lieti, con <i>vaghi</i> e <i>dilettevoli</i> giuochi, -intorno ai <i>candidi</i> buoi, per li pieni presepi cantarono -<i>amorose</i> canzoni. Oltra di ciò li <i>vagabondi</i> fanciulli (<i>vagabondi</i>, -in altro senso, non sarebbe cattivo) con le <i>semplicette</i> -verginelle se videro per le contrade exercitare -<i>puerili</i> giuochi in segno di <i>comune</i> leticia.„ -</p> - -<p> -Ecco dei versi d'un'Egloga lodata. Parla il pastore -Barcinio a Summonzio. -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01"><i>Barcinio.</i> — Una tabella pose per munuscolo</p> -<p class="i03"> In su quel pin: se vuoi vederlo, or alzati,</p> -<p class="i03"> Ch'io ti terrò su l'uno e l'altro muscolo.</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01"><i>Summonzio.</i> — Quinci si vede ben senz'altro ostacolo</p> -<p class="i03"> Filli, quest'alto pino io ti sacrifico,</p> -<p class="i03"> Qui, Diana ti lascia l'arco e l'jacolo.</p> -<p class="i03"> — Questo è l'altar che in tua memoria edifico,</p> -<p class="i03"> — Quest'è il tempio honorato e questo è il tumulo</p> -<p class="i03"> In ch'io piangendo il tuo bel nome amplifico.</p> -</div></div> - -<p> -Certo, questi pastori hanno avuto sempre <i>dieci</i> in latino, -e sono stati tutti all'<i>Università</i>.... Paragonate questi -<i>dotti</i> vestiti da pastori, agli schietti e veri e vivi contadini -di Lorenzo de' Medici! -</p> - -<p> -Sarebbe però ingiusto il negare al Sannazzaro la facoltà -<span class="pagenum" id="Page_188">[188]</span> -che ha, in qualche scena silvestre o rusticana, di -darci una serie di graduali impressioni che han del poetico — il -senso della composizione, della euritmia, della -<i>Symetria prisca</i>. Peccato che egli si compiaccia e si pavoneggi -quasi sempre nella imitazione <i>formale</i>, in una -specie di trascrizione dai Latini, quasi a sfoggio di saccenteria. -</p> - -<p> -Un valente critico, anche troppo benevolo al Sannazzaro, -scrisse che l'<i>Arcadia</i> fu come un sogno per l'autore, -e diventa un sogno per il lettore — che i personaggi -son quasi tutti <i>fantasmi</i> piuttosto che veri caratteri. -Il Sannazzaro viveva nel più luminoso paesaggio -d'Italia; aveva sotto gli occhi il golfo di Napoli, Posilipo, -Amalfi, Sorrento; e non sa che <i>intravedere</i> uomini -e cose, come fantasmi in un sogno! Aggiungete che i -personaggi d'<i>Arcadia</i>, questi fantasmi che non sappiamo -distinguere, e che non ci interessano, nè ci commovono -mai, nè per le loro avventure, nè coi loro lamenti, erano, -sotto nomi pastorali, personaggi veri e <i>viventi</i>, amici e -parenti del Sannazzaro, che egli ha paralizzato con le -sue frasi latine, e mummificato coi suoi periodi boccaccevoli. -La poesia che in Dante e nei veri poeti mette -la vita anche dov'era la morte — nel Sannazzaro mette -invece la morte dov'era la vita; perchè l'arte vivifica, -e l'artificio dissecca. Sì, pare incredibile, ma è vero e -provato. La insipida pastora <i>Massilia</i> è la Masina, madre -del Sannazzaro, da lui tanta amata — <i>Amaranta</i>, è -la sua diletta Carmosina — <i>Melisco</i> è il Pontano — <i>Fronimo</i> -è Gian Francesco Caracciolo — persone vive e vere, -che egli vedeva tutti i giorni, e che egli ha <i>seppellite -per sempre</i> nel classico e freddo sepolcro dell'<i>Arcadia</i>. -</p> - -<p> -Se nella poesia e nella prosa, nell'<i>Arcadia</i> e nelle -<i>Rime</i>, il Sannazzaro imita continuamente gli antichi, -da Virgilio a Claudiano, si può dire che saccheggia addirittura -il Boccaccio. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_189">[189]</span> -</p> - -<p> -Anche quando vuol descrivere la <i>sua</i> Napoli, il Sannazzaro -non sa far altro che trascrivere dal Boccaccio. -Ma il Boccaccio che, nonostante i latinismi e l'artificio, -e un certo manierismo, è un gran poeta in prosa, rimane -il solo vero ed efficace descrittore di Napoli. Il -placido, azzurro, tepido mare di Baia, Posilipo e Castelnuovo, -la tomba di Virgilio e Pozzuoli, Cuma e Caprea, -ce lo rammentan sempre. -</p> - -<p> -Dopo il Boccaccio, chi ha più sentito e meglio tradotto -la poesia di Napoli, è Lamartine. Boccaccio e Lamartine — spaventosa -concordia! eppure, o Signori, è -così. Quell'incanto molle di Napoli, quello spettacolo -unico di cielo e di mare, dove in uno sguardo si vede, -dirò così, il fiore della Vita — dove la terra è una festa, -e il cielo un paradiso — il sensuale amante della Fiammetta -lo sentì come lo spirituale poeta di Elvira. Tatti -e due avevano respirato l'aria balsamica e luminosa -delle notti napoletane — tutt'e due avean errato sul -golfo nell'ora ineffabile in cui la luna declina verso il -Capo Miseno, e impallidisce e svanisce tra le prime rose -dell'aurora. -</p> - -<p> -Nel Sannazzaro già trasparisce il lato debole, anzi -cattivo dell'epoca. Come in Lorenzo e in Leonardo è il -lato <i>dialettico</i>, nel Sannazzaro è il lato <i>sofistico</i> del Rinascimento: -la cieca idolatria del classicismo, delle regole -consacrate e dommatiche, e quello spirito legislativo -e dottrinario, che doveva finalmente soffogare l'immaginazione -e la libertà individuale, e precipitare fino -ai deliri del grottesco e del barocco, i sistematici adoratori -del <i>Bello Assoluto</i>. Già fino dalla fine del secolo XV, -per molti letterati, ciò che importa non è più <i>cosa</i> s'ha -a dire, ma <i>come</i> si deve dire. Una menzogna o una turpitudine -in bei periodi Ciceroniani, si preferisce a una -verità o a un gran pensiero nel cattivo latino di Abelardo -e di san Tommaso. Dei cardinali umanisti raccomandano -<span class="pagenum" id="Page_190">[190]</span> -a dei giovani prelati di non fermare il pensiero -sulle orazioni della Messa o sulle parole dei Salmi, -per non sciuparsi <i>lo bello stile</i>. Si paganizzano perfino -i nomi, e Pietro si muta in <i>Pierio</i>, e Giovanni in <i>Gioviano</i>. -Lo scrittore finisce col non dir più quello che -pensa, o immagina, o sente — ma pensa solo a delle -<i>frasi</i> — vede, non più il mondo immenso della Natura, -ma il mondo limitato dei classici, e trascrive servilmente -questo, come modello assoluto, e quasi sempre lo sciupa -nel riprodurlo. La forza trionfante, l'indifferenza nella -scelta dei mezzi pur di riuscire, la bellezza sensuale e -voluttuosa, il godimento raffinato e egoistico, divennero -un nuovo Vangelo — tanto che la Letteratura e l'Arte, -queste due confessioni della Società, ne furon finalmente -viziate, infette nell'intimo organismo, e mostruosamente -pervertite. E si ebbero per ultima conseguenza, poemi -cortigianeschi deliranti e snervanti, drammi da macchinisti, -pitture e sculture di Dei senza potenza, di Vergini -senza pudore, di uomini senza carattere: Santi che paion -facchini e odalische — Angeli che somigliano ad -acrobati o a ballerine — moli enormi e insolenti di -marmo e stucco sciupati, che si chiamano chiese, palazzi -e sepolcri. -</p> - -<p> -Il vizio del Rinascimento dopo il suo primo fiore, fu -il culto eccessivo e la servile imitazione delle forme antiche. -Finì per non guardar più alla Natura, unica e -inesausta sorgente d'ogni Vero e d'ogni Bello; e lo vide -solo attraverso i libri: e avemmo una letteratura convenzionale, -un accademicismo rettorico. Dante, il gran -conciliatore della Natura e dell'Arte, della dottrina e -della poesia, fu dimenticato. Poi l'ingegno umano, pazzo -d'orgoglio, non imitò più neppure i classici, ma pretese -ricavare ogni invenzione dalla propria fantasia, <i>creare</i> -senza guardare più nè il Vero nè gli antichi, e avemmo -il Marini e il <i>Secento</i>. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_191">[191]</span> -</p> - -<h3>V.</h3> - -<p> -E quanto alla Poesia, ricordiamoci sempre, o Signori, -che il primo, il vero, l'<i>insuperato</i> Rinascimento, è in -Dante. Dopo lui, non c'è progresso. Come hanno potuto -alcuni critici recenti affermare che il <i>Sentimento della -Natura</i> e il <i>Sentimento umano</i> cominciano nella nostra -poesia col Petrarca? Tutte le volte che Dante dipinge -scene naturali, dal cielo stellato alle pecorelle, dal turbine -a un uccellino, rimane insuperato non solo dal Petrarca, -ma da quanti poeti hanno cantato in Italia per -cinque secoli. Solo il Leopardi, qualche rara volta, gli si -avvicina. Dante rimane il tipo del vero umanista; perchè -adora l'antico, ma non abdica mai nè la sua fede, -nè la sua epoca, nè la sua personalità. Egli solo nel -suo tempo è grande poeta e grande scienziato — dopo -lui la poesia e la scienza fanno in Italia un deplorevole -divorzio. Nè si ripeta la solita storia delle dissertazioni -<i>teologiche</i>. Dante è sommo e unico non <i>per</i>, ma <i>malgrado</i> -i suoi Canti teologici. -</p> - -<p> -E il Sentimento umano? Non solo egli lo espresse in -modo sovrano prima del Petrarca; ma espresse <i>tutti</i> i -sentimenti umani: talmente che anche oggi, dopo tanti -secoli, non possiamo in questo paragonargli <i>nessuno</i>, almeno -in Italia. Pensate! Manfredi, Casella, Piccarda, Farinata, -Pier delle Vigne, Buonconte, Sapia, Francesca, -Ulisse, Ugolino, Filippo Argenti, Sordello, Romeo! -</p> - -<p> -.... “Ma le soavi, divine elegie del Petrarca, ma il colorito -del Poliziano....„ Benissimo, — ma in Dante c'è -ogni cosa: è una sinfonia orchestrale dove c'è l'organo -solenne, e il violino appassionato, e le note ardenti della -tromba di guerra, e i sospiri del flauto. Quando Dante -è elegiaco, è più soave e più patetico di tutti i Petrarca -del mondo — quando Dante colorisce, non gli son paragonabili -<span class="pagenum" id="Page_192">[192]</span> -che Tiziano e Velasquez — e nei sinistri crepuscoli; -o nelle tragiche tenebre, Rembrandt. -</p> - -<p> -I <i>quattro</i> Classici!!... Ma fra Dante, e il più grande -degli altri tre che è l'Ariosto, ci sarebbe posto almeno -per altri due o tre poeti. Di Dante può dirsi ciò che il -Petrarca cantò della Vergine: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Cui nè primo fu, simil, nè secondo.</p> -</div></div> - -<p> -Per trovargli un <i>compagno</i>, bisogna uscire d'Italia — e -non ne troviamo che <i>uno</i>: Guglielmo Shakespeare. -</p> - -<p> -E come impallidisce anche tutta questa Lirica del Quattrocento, -paragonata a certi accenti lirici della <i>Vita -Nuova</i> e del <i>Purgatorio</i>, non solo come sentimento e -immagini, ma anche come pura <i>forma</i> poetica! Dante -resta incomparabilmente primo anche come artefice di -versi nel tecnicismo del ritmo, come <i>stilista</i>. Ha certe -audaci e felici inversioni, certi effetti di colore e di -suono, da fare impallidire i più consumati maestri della -parola poetica, da Goethe a Victor Ugo, dal Foscolo a -Tennyson, dallo Shelley al Carducci. -</p> - -<p> -Perchè notate, o Signori, che nei poeti del Quattrocento, -accanto a versi bellissimi, a strofe perfette, trovate -versi deboli o manierati, l'epiteto ozioso e insignificante, -la <i>zeppa</i>: un lavoro di mosaico e di tarsia, dove -manca la pastosità del cemento, il magistero dell'artista -sommo che sa dir tutto, e tutto bene, e sempre bene. -</p> - -<p> -Ah! se insieme ai tanti, ai <i>troppi</i>, commenti filologici, -filosofici, teologici, storici, archeologici, che abbiamo della -<i>Divina Commedia</i>, ne avessimo uno <i>estetico</i>; si vedrebbe -come i caratteri essenziali dell'arte moderna, il naturalismo, -la malinconia, la passione, son caratteri essenziali -della poesia Dantesca — e come Dante, nonostante la -sua scolastica e la sua teologia, è il più <i>moderno</i> di tutti -i poeti italiani. E si deplorerebbe che i poeti che gli succedettero, -invece di svolgere quel che era in germe nel -<span class="pagenum" id="Page_193">[193]</span> -Divino Poema, si ostinassero nella sistematica riproduzione -delle forme grecolatine. In Dante era l'ode, l'eloquenza, -la satira politica, sopratutto il dramma. Non vi -si badò. Si preferì di copiare Ovidio e Terenzio, il Decamerone -e il Petrarca — e si ebbero due secoli di Canzonieri -noiosi, di laide Novelle, e di Commedie copiate. -E tutta questa roba si chiama anche oggi <i>letteratura -classica</i> e se ne infarciscono le Storie letterarie e le Antologie -per le scuole: certe storie letterarie, certi <i>Manuali</i>, -dove si parla a lungo del Segneri e non è neppur -rammentato il Savonarola — dove si parla diffusamente -e si danno estratti della <i>Tancia</i>, e non è neppur ricordato -Carlo Goldoni; perchè il Savonarola e il Goldoni -scrivono in <i>cattiva lingua</i>.... Tanto è vero che da noi, -per troppo amor della lingua, si perde spesso il <i>cervello</i>. -</p> - -<p> -Ho detto che anche come <i>artefice di verso</i>, Dante è -superiore a tutti i poeti del Rinascimento, non escluso -il Petrarca. -</p> - -<p> -Mi basti ripresentare alla vostra memoria e alla vostra -ammirazione i versi descriventi la fiamma che parla, il -gemito di una testa recisa, le piante animate e sanguinanti, -le trasformazioni di uomo in serpente, l'uccello -mattutino, le pecorelle che escon dal chiuso, l'anima che -si dilegua cantando, i versi sull'ora del tramonto, quelli -sull'alba di maggio.... -</p> - -<p> -E le note di suprema malinconia, i versi patetici, -com'egli solo sa fare? -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Deh, quando tu sarai tornato al mondo,</p> -<p class="i01">E riposato della lunga via....</p> -<p class="i01">Ricorditi di me che son la Pia.</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Indi partissi povero e vetusto.</p> -<p class="i01">E se il mondo sapesse il cuor ch'egli ebbe</p> -<p class="i01">Mendicando sua vita a frusto a frusto</p> -<p class="i01">Assai lo loda e più lo loderebbe.</p> -</div></div> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_194">[194]</span> -</p> - -<p> -Ed è lo stesso poeta che ha scritto: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Quand'ebbe detto ciò, con li occhi torti</p> -<p class="i01">Riprese il teschio misero co' denti</p> -<p class="i01">Che furo all'osso come d'un can forti.</p> -</div></div> - -<p> -e: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">A te sia rea la sete onde ti crepa</p> -<p class="i01">. . . . . la lingua e l'acqua marcia</p> -<p class="i01">Che il ventre innanzi agli occhi sì t'assiepa.</p> -</div></div> - -<p> -E i versi <i>passionati</i>, dai primi, incerti, deliziosi sogni -d'amore, fino all'ebbrezza, fino al delirio?... -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Quanti dolci pensier, quanto desio,</p> -<p class="i01">Menò costoro al doloroso passo!</p> -<p class="i01 dotted">. . . . . . . . . . . . .</p> -<p class="i01">Questi, che mai da me non fia diviso,</p> -<p class="i01">La bocca mi baciò, tutto tremante....</p> -</div></div> - -<p> -È un grido umano, che cuopre e soffoca tutti i melodici -sospiri per tutte le Laure dei cento <i>Canzonieri -italiani</i>. -</p> - -<p> -Se la parte scolastica e scientifica della <i>Divina Commedia</i> -ci apparisce un po' come natura morta, tutta la -parte umana e poetica è immortalmente giovine e viva: -perchè la scienza è progressiva, e perciò ha sempre un -valore relativo, — ma la Poesia (la vera Poesia) è assoluta, -e perciò inalterabile. Copernico offusca Tolomeo, -Cuvier eclissa Buffon, Darwin eclissa Lamarke, — ma -Dante non scema d'un raggio l'aureola sfolgorante d'Omero — nè -Shakespeare attenua di un grado la gloria -sovrana di Eschilo. Nè tutti gli splendori del Rinascimento, -dal Petrarca all'Ariosto, nè tutta la grande poesia -moderna da Goethe al Leopardi, offusca minimamente -la gloria <i>trascendentale</i> della Divina Commedia. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_195">[195]</span> -</p> - -<h3>VI.</h3> - -<p> -Il Savonarola è una grande anima, e un vero poeta — ma -è più gran poeta in molte sue prediche, che nelle -vere e proprie <i>Poesie</i>. Nonostante, anche in queste, benchè -scorrette, neglette di forma, circola un'aura, un soffio -potente, come un'eco ancor calda delle sue ardenti -perorazioni, delle sue tragiche visioni, delle sue formidabili -apostrofi: ma talvolta, e non di rado, vi son note -semplici, fresche, quasi festose, come in questi versi sul -<i>Natale</i>, che sembran preludere nella loro ingenuità ai -due inni immortali del Milton e del Manzoni. -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Venite, Angeli santi.</p> -<p class="i01">E venite suonando;</p> -<p class="i01">Venite tutti quanti</p> -<p class="i01">Gesù Cristo laudando,</p> -<p class="i01">E gloria cantando</p> -<p class="i01">Con dolce melodia;</p> -<p class="i01">Ecco il Messia — ecco il Messia</p> -<p class="i01">E la madre Maria.</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i02"> Venitene, Profeti</p> -<p class="i01">Che avete profetato,</p> -<p class="i01">Venite tutti lieti;</p> -<p class="i01">Vedete ch'egli è nato,</p> -<p class="i01">Il picciolin Messia!</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i02"> Pastor pien di ventura,</p> -<p class="i01">Che state voi a vegghiare?</p> -<p class="i01">Non abbiate paura;</p> -<p class="i01">Sentite voi cantare?</p> -<p class="i01">Correte ad adorare</p> -<p class="i01">Gesù con mente pia.</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i02"> I Magi son venuti</p> -<p class="i01">Dalla stella guidati,</p> -<p class="i01">Con lor ricchi tributi.</p> -<p class="i01"><span class="pagenum" id="Page_196">[196]</span></p> -<p class="i01">In terra inginocchiati.</p> -<p class="i01">Quanto son consolati</p> -<p class="i01">Adorando il Messia!</p> -</div></div> - -<p> -Altre volte, nell'ardore della preghiera, ha qualche -cosa di petrarchesco come in questa strofa: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Apri, Signore, il tuo celeste fonte;</p> -<p class="i01">Quella tua dolce vena</p> -<p class="i01">Che Maria Maddalena</p> -<p class="i01">Trasse di basso loco all'alto monte,</p> -<p class="i01">Con l'anima serena</p> -<p class="i01">Piena di raggi e di splendor divino.</p> -<p class="i01">Pietà, Signor, di questo peregrino!</p> -</div></div> - -<p> -Amor giovine, deplorò le umane rovine della Chiesa -e le morali rovine del Mondo, con versi potenti. La -Chiesa di Cristo, -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Povera va con membra discoverte,</p> -<p class="i01">I capei sparsi e rotte le ghirlande:</p> -<p class="i01">Scorpio la punge ed angue la perverte.</p> -<p class="i01">E così va per terra</p> -<p class="i01">La coronata, e le sue sante mani....</p> -<p class="i01">Bestemmiata dai cani</p> -<p class="i01">Che van truffando sabbati e calende....</p> -</div></div> - -<p> -Le Poesie sacre del Savonarola, a differenza di quelle -di Feo Belcari e del Benivieni, accennano o confermano -il concetto d'una <i>Riforma Cattolica</i>, già prenunziata -da Dante. E in alcune strofe si mostra anche artista. -Nonostante il <i>falò</i> delle vanità, nel quale è a deplorarsi -l'eccesso che pur vi fu, egli aveva vivo il sentimento dell'Arte. -Fondò una scuola di pittura nel suo stesso Convento, -ove lavorò Fra Bartolomeo, fu agli artisti e ai letterati -consigliere e ispiratore, fu intimo amico di Pico -della Mirandola e inaugurò con lui gli studi ebraici e -orientali — e il genio dei Profeti e di Dante che era in -<span class="pagenum" id="Page_197">[197]</span> -lui, lo comunicò a Michelangiolo, e palpita ancora immortale -alla volta e alle pareti della <i>Sistina</i>. Non facciamo -dunque del grande oratore e del grande riformatore, un -Erostrato selvaggio e un frate ignorante. -</p> - -<p> -Egli fu in Italia la più gran coscienza <i>morale</i> del secolo -XV, come Dante lo era stato del XIV, e come Michelangiolo -lo fu del XVI. L'ardore con cui il santo monaco -fuse insieme i sentimenti di patriottismo e di morale -nel popolo di Firenze, non si spense con lui — e -i suoi migliori effetti si videro rifulgere nel memorabile -Assedio degli anni 1529-30. Il soffio vulcanico del grande -oratore che ispirò il poema della <i>Giustizia</i> dipinto nella -Sistina da Michelangelo, animò egualmente la tragedia -della <i>Libertà</i> combattuta a Gavinana da Francesco Ferruccio. -</p> - -<p> -La sua <i>fede</i> eccitava il suo entusiasmo, il suo entusiasmo -faceva la sua forza. Nessuno, o Signori, è diventato -martire per una <i>opinione</i>: la <i>fede</i> sola fa i martiri. -Egli credeva e vedeva, e tuonava dal pergamo le -sue visioni. Chiamatelo pure un fanatico. Era fanatico -come Ezechiello, come Geremia, come Arnaldo, come -Demostene, come Dante, come Mirabeau, come O'Connell — come -tutti quelli che hanno comunicato l'elettricismo -d'una parola di fuoco. Era un malato?... Forse. -Ogni vera creazione produce uno spostamento, un disequilibrio. -Se gli eroi, i martiri, i grandi poeti son tutti -<i>malati</i> — consoliamoci — non c'è mai stata tanta salute -come oggi, in Europa! -</p> - -<p> -Le più ammirabili prediche del Savonarola, come ben -nota l'illustre Villari nel suo classico libro, son quelle -su i <i>Salmi</i>: e quella dove l'impeto lirico è sommo ed -unico, dove il Savonarola è veramente poeta, e gran -poeta, è la <i>predica-visione</i> dei flagelli d'Italia. Il Cielo -stesso combatte; i Santi, gli Angeli spingono i barbari -vendicatori. Son loro che li hanno chiamati, che hanno -<span class="pagenum" id="Page_198">[198]</span> -messo le selle ai cavalli, e affilate le spade. E il diluvio -degli stranieri, il gran gastigo italico, comincia. Dove -andiamo? San Pietro grida: A Roma! a Roma! San -Giovan Battista e Santo Antonino: a Firenze! E San -Marco: là verso la città superba e voluttuosa, che inalza -le sue cupole d'oro sovra le acque! -</p> - -<p> -La impressione che riceviamo anche oggi, dopo quattro -secoli, e alla semplice <i>lettura</i>, da questa predica, è -solo paragonabile a ciò che proviamo al primo ingresso -nella Cappella Sistina. Vi ricordate? Un fremito, un -tumulto, corre sulle pareti. Non si sa dove riposare lo -sguardo. Da tutte le parti, visi minacciosi, e pianti disperati. -Ezechiello si volta impetuosamente, in furiosa -disputa con un Angelo. Geremia appoggia l'enorme testa -sulle mani, come schiacciato dal peso di tutti i dolori -di Gerusalemme. La Libica si alza terribile, con in mano -il gran libro dei fati. La Persica legge con occhi ardenti. -Daniele scrive tremando. Qua, il tronco di Oloferne versa -una fiumana di sangue; là, gli adoratori degli idoli si -contorcono, ignudi, sotto i morsi dei serpenti divoratori. -Madri spaventate urlano e fuggono, stringendo al seno -i bambini. Un altro vede passare in uno specchio visioni -così terribili, che indietreggia atterrito, e batte la spalla -nella muraglia. Par di sentir ruggire di lontano il tuono -della vendetta divina. La Giustizia e il Giudizio — riparatore -e vendicatore — respirano da ogni angolo della -tremenda Cappella. -</p> - -<p> -In quegli anni tragici e sinistri di saccheggi e di incendi, -di orgie e di tradimenti, Michelangelo, che doveva -assistere ai funerali della libertà e dell'Italia, si ricordò -soprattutto del Savonarola, e leggendo assiduamente i -Profeti, Dante, e le Prediche e le Liriche del Ferrarese, -dipinse i Profeti, e scolpì la <i>Notte</i>, la <i>Notte d'Italia</i>. -</p> - -<p> -In una delle sue ultime prediche, il Savonarola, presago -dello imminente martirio, disse queste parole: “O -<span class="pagenum" id="Page_199">[199]</span> -Signore, io non tengo modi di cercar gloria umana. Io -non voglio cappelli, nè mitrie piccole o grandi. Non -chieggo se non quello che tu hai dato ai tuoi Santi — la -morte. Un cappello rosso, un cappello di sangue, questo -desidero.„ -</p> - -<p> -E l'ebbe. E prima, le agonie dell'infame processo, i -dubbi e i terrori, la fune che gli slogò tutte l'ossa, le -tenebre della segreta, le smanie e gli scoramenti, e i -sudori di sangue dell'eterno Getsemani.... -</p> - -<p> -Fu allora che in un momento di tregua, in un'ora di -grazia e di respiro, — fra la tortura e il rogo — compose -un salmo sublime, che il Tommaseo ammirava tanto, -e tradusse. -</p> - -<p> -Eccone alcuni versetti: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Conoscerò dunque, fra poco, Voi, o mio Dio, conoscitore di me.</p> -<p class="i01">O mio consolatore, mostratevi a me finalmente;</p> -<p class="i01">Siatemi adiutore — non mi lasciate.</p> -<p class="i01">Perchè il padre e la madre mia mi lasciarono....</p> -<p class="i01">Ma il Signore misericordiosamente mi assunse.</p> -<p class="i01">Non mi date alle animosità di quei che mi tribolano,</p> -<p class="i01">Poichè insorsero contro me testimoni iniqui — e l'iniquità mentì a sè medesima.</p> -</div></div> - -<p> -Sospeso dal laccio infame sul rogo, e non ancor -morto, il Savonarola potè forse vedere le mani impazienti -e furiose del popolo, appressare le torce accese alla -catasta già sparsa d'olio e bitume; mentre altre mani -scagliavano una pioggia di sassi su quel volto tante volte -illuminato dalla luce del genio e dalla santità della vita. -</p> - -<p> -Ah! da quando insultò Socrate, e preferì ad alte grida -Barabba a Gesù; al giorno in cui sputò in faccia a -Bailly e imprecò a Madama Roland moritura — la plebe -ingannata e pervertita, o abbandonata al cieco istinto -bestiale, ha sempre applaudito all'eccidio dei suoi più -insigni <i>benefattori</i>. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_200">[200]</span> -</p> - -<h3>VII.</h3> - -<p> -Come il lato sofistico del Paganesimo era stato il consacrare -la natura umana anche nella sua parte cattiva — il -lato sofistico del Cristianesimo medievale fu di gettare -un anatema troppo assoluto su la Natura, di -vivere come lo Stilita sospesi tra il Cielo e la Terra, -guardando a quello con estasi, a questa con un sacro -terrore. Il centro della Idealità fu spostato nel <i>Rinascimento</i>; -e al culto del Dolore spirituale, successe -l'apoteosi della plastica Bellezza e della Euritmia. Ma -tra le voci armoniose e pagane, dura anche nel <i>Quattrocento</i> -qualche eco della grande, triste e patetica poesia -del Cattolicismo. Oltre il Savonarola, vanno ricordati il -Benivieni e il Belcari. Il primo essenzialmente lirico, -drammatico e trovatore di patetiche situazioni, efficaci, -nella loro ingenua espressione. Basti rammentare le parole -d'<i>Isacco</i> al padre che sta per sacrificarlo. -</p> - -<p> -Nella lirica satirica si distinsero il Cammelli e il Burchiello: -ma il loro più gran merito consiste forse nella -visibile influenza che ebbero sull'ammirabile genio del -Berni. -</p> - -<p> -Un soffio veramente lirico spira in alcuni canti epici -del rude e possente poeta Luigi Pulci. La sua <i>morte di -Orlando</i> è semplice, patetica, e tocca il sublime. E forse -Alfredo Tennyson l'ebbe in mente, quando descrisse, -negli <i>Idilli del Re</i>, la <i>Morte di Artur</i>o. -</p> - -<p> -Nelle stanze narranti la catastrofe cavalleresca, Roncisvalle, -e la morte del gran Paladino, è commisto in -modo mirabile l'elemento <i>lirico</i> all'epico: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Così tutto serafico al ciel fisso</p> -<p class="i01">Una cosa parea trasfigurata,</p> -<p class="i01">E che parlasse col suo crocifisso....</p> -<p class="i01"><span class="pagenum" id="Page_201">[201]</span></p> -<p class="i01">Il cielo certo allor s'aperse....</p> -<p class="i01">E come nuvoletta che in su vada,</p> -<p class="i01"><i>In exitu Israel</i>, cantar, <i>de Egipto</i></p> -<p class="i01">Sentito fu, dagli Angeli solenne</p> -<p class="i01">Chè si conobbe al tremolar le penne.</p> -<p class="i01">Poi si sentì. . . . . . . .</p> -<p class="i01">Certa armonia con sì soavi accenti,</p> -<p class="i01">Che ben parea d'angelici istrumenti.</p> -</div></div> - -<p> -Versi che certo rammentava l'Ariosto quando cantò -con la magia che gli è propria: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">E voci e suoni d'angeli concordi</p> -<p class="i01">Tosto in aria s'udîr che l'alma uscìo</p> -<p class="i01">La qual, disciolta dal corporeo velo,</p> -<p class="i01">Fra dolce melodia salì nel cielo.</p> -</div></div> - -<p> -Arriva Carlo Magno e benedice al morto Paladino e -gli richiede la spada Durlindana. -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Io benedico il dì che tu nascesti,</p> -<p class="i01">Io benedico la tua giovinezza.</p> -<p class="i01">Io benedico i tuoi concetti onesti,</p> -<p class="i01">Io benedico la tua gran prodezza.</p> -<p class="i01">E se tu hai di me nel ciel mercede,</p> -<p class="i01">Come solevi al mondo, alma diletta,</p> -<p class="i01">Rendimi se Dio tanto ti concede,</p> -<p class="i01">Ridendo, quella spada benedetta.</p> -<p class="i01 dotted">. . . . . . . . . . . . . .</p> -<p class="i01">Come a Dio piacque, intese le parole,</p> -<p class="i01">Orlando, sorridendo, in piè rizzossi;</p> -<p class="i01">Con quella reverenza che far suole,</p> -<p class="i01">E innanzi al suo Signore inginocchiossi,</p> -<p class="i01">E poi distese, ridendo, la mana,</p> -<p class="i01">E resegli la spada Durlindana.</p> -<p class="i01 dotted">. . . . . . . . . . . . . .</p> -<p class="i01">Carlo tremar si sentì tutto quanto</p> -<p class="i01">Per maraviglia e per affezione,</p> -<p class="i01">E a fatica la strinse col guanto....</p> -</div></div> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_202">[202]</span> -</p> - -<p> -Ma il personaggio più magneticamente poetico del -<i>Quattrocento</i>, quello la cui <i>vita</i> è una vera <i>lirica</i> di -bellezza, di aspirazioni e di entusiasmi, è Pico della Mirandola: -e non vi dispiaccia, o Signori, che io <i>concluda</i> -col suo simpatico nome, questi miei rapidi cenni su la -poesia del Quattrocento. -</p> - -<p> -Marsilio Ficino ci ha narrato come lo vide la prima -volta in Firenze. Era il 1480, l'anno in cui il Ficino -aveva compiuto la sua grande opera, la traduzione di -Platone. Una bella giornata di settembre, verso l'ora -del tramonto, il dotto ellenista meditava nel suo studio. -La lampada votiva che egli teneva accesa dinanzi al -busto di Platone brillava vivace nella languente luce -vespertina. Entrò un giovane alto e bello, dagli occhi -grigio-cerulei, dai capelli di un biondo acceso, scendentigli -sulle spalle sotto un berretto di velluto nero: vestiva -una cotta di raso violaceo, listato d'argento: aveva -al collo la collana d'oro di Principe. Era Giovanni Pico -della Mirandola. -</p> - -<p> -Parlarono di filosofia — di Platone, naturalmente. E -il giovine Principe suggerì al vecchio filosofo di tradurre -Plotino, il mistico panteista dell'Antichità. Parlò -dell'Oriente; <i>il mio Oriente</i>, diceva, l'<i>alma mater</i> d'ogni -scienza e poesia. Parlò della Bibbia e del Cristianesimo, -di un Cristianesimo eterno, indistruttibile, conciliabile -col Platonismo. Parlò dell'Uomo, che è un piccolo Mondo, -una sintesi portentosa e divina, “dov'è, diceva, l'essenza -angelica e il senso del bruto, e la vegetale anima -delle piante, e il fuoco e il mercurio„. Disse al Ficino -di un Commento che intendeva fare alla Canzone del -Benivieni su l'<i>Amor divino</i>: e ne discorse con una stupenda -profusione di immagini colorite e poetiche, prese -dall'Astrologia, e dalla Cabala, da Salomone e da -Omero. -</p> - -<p> -E la notte calava sulle grandi vetrate dello studio, e -<span class="pagenum" id="Page_203">[203]</span> -la lampada votiva illuminava il marmoreo volto di Platone -e i capelli d'oro di Pico. -</p> - -<p> -Era allora poco più che ventenne: ma avea già provato -le tempeste della passione e n'era restato disilluso, -e abitualmente un po' mesto. -</p> - -<p> -Aveva scritto molti versi d'amore, e gli aveva, un -giorno, tutti bruciati. (Grande e raccomandabilissimo -esempio!...) Aveva viaggiato, visto uomini e cose. Veniva -ora a Firenze, attratto dalla fama del Magnifico -Lorenzo, e dall'amicizia per il Ficino. -</p> - -<p> -Una bellissima bruna, una ardente <i>Savonaroliana</i>, -soprannominata la <i>profetessa</i>, Camilla Rucellai, s'innamorò -perdutamente di lui.... ma non fu corrisposta. La -irrequieta curiosità teologica e scientifica, la triste sazietà -dei piaceri, preservarono Pico da nuove passioni. -La Rucellai gli predisse che sarebbe morto <i>al tempo dei -gigli</i>.... E il giorno che Pico della Mirandola spirava tra -le braccia del Savonarola, Carlo VIII entrava in Firenze -preceduto dalla bandiera con li aurei gigli di Francia. -Fu sepolto in San Marco. Aveva 32 anni. I contemporanei -lo chiamarono la <i>Fenice</i> degli ingegni. Per noi è -una Fenice soprattutto in questo, che fu un <i>Erudito -poetico</i>. Non si è visto ancora il secondo. -</p> - -<p> -Sapeva e scriveva il greco, l'arabo, l'ebraico, il caldaico. -All'età di ventisette anni, trasse dai suoi immensi -studi novecento tesi di fisica, filosofia, teologia, astronomia, -magia naturale, comprendenti quasi tutto lo scibile -del suo tempo, e le pubblicò in Roma, proferendosi -pronto cavallerescamente a sostenerle contro chiunque -osasse oppugnarle. Poeta e filologo, filosofo e mistico, -ebbe un'ardente curiosità dell'ignoto, del miracoloso, intravedendo -e indagando il <i>Soprannaturale</i> nell'intima -essenza del <i>Naturale</i>; come Leonardo, Paracelso, Fichte, -Novalis, Carlyle. Simpatizzava con tutto quello che le -morte generazioni hanno sinceramente e passionatamente -<span class="pagenum" id="Page_204">[204]</span> -creduto: e studiava, rievocava, resuscitava le antiche -mitologie. Vedeva in esse l'eterno <i>Io</i> dell'umanità, -vi leggeva un motto del grande Enimma. Egli disse pel -primo la feconda parola: in ogni <i>fede</i>, è una parte di -<i>verità</i>. -</p> - -<p> -La sua teoria è essenzialmente poetica e consolante, -e rammenta la teoria Browninghiana. — Tutto quello -che rettamente si volle e nobilmente si amò sulla Terra, -non andrà mai perduto. Dovremo traversare altri mondi — molto -avrem da imparare, molto da dimenticare, ma -quel momento verrà. Tutto quello che ardentemente -aspiravamo ad essere, e non potemmo essere su la Terra, -ed a cui pure ci sentivamo chiamati; tutto ciò che era -in noi e che il mondo ignorò, la poesia muta, l'amore -represso, il momento fatale perduto, tutto avrà un giorno, -altrove, sviluppo e trionfo. Pico della Mirandola serbò -intatte, nel suo poetico naturalismo, la coscienza individuale, -e la libertà morale dell'anima umana. Nel suo -trattato <i>De Hominis dignitate</i>, scrisse queste belle e -memorande parole: “I bruti sono eternamente bruti, -gli angeli, essenze angeliche eternamente. Tu solo, o -Uomo, puoi degenerare fino a divenire un bruto, e rigenerarti -e sollevarti fino a parere un Dio. Tu solo hai -un incessante sviluppo; tu solo porti in te i germi di -ogni specie di Vita.„ -</p> - -<p> -Se Pico della Mirandola distrusse i suoi versi, restò -poeta nella vita, nel sentimento, nell'intelletto. Nè mi è -parso inopportuno parlare di lui, in una lettura su la -poesia del <i>Rinascimento</i>. Per esserne il più poetico simbolo, -non gli è mancato nulla. Ha avuto l'ingegno, la -dottrina, la bellezza, la gioventù, la nobiltà, l'entusiasmo, -la morte precoce; e finalmente <i>un certo mistero</i> che avvolge -il suo nome, la sua vita, e tutti i suoi scritti. -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_205">[205]</span> -</p> - -<h2 id="orlando">L'ORLANDO INNAMORATO -<span class="smaller">DEL BOIARDO</span></h2> - -<p class="center"> -DI -</p> - -<p class="center large"> -PIO RAJNA. -</p> -</div> - -<p class="pad2"> -Scommetto, signore e signori miei, che se fossi mago — che -pur troppo non sono — e avessi la virtù di far -qui comparire a un vostro cenno tutti i poeti che vi venisse -la curiosità di vedere, la sala correrebbe un gran -rischio di essere stipata prima che a Matteo Maria Boiardo -fosse concesso di trovarsi in mezzo a un'accolta -di persone, tale da richiamarlo a' suoi giorni più belli. -Gli è che il nome suo vi s'offrirebbe offuscato da un -altro: quello di Lodovico Ariosto. E c'è di peggio. Il -Boiardo della tradizione comune ha come l'aria di un -somarello dal pelo arruffato, pieno di guidaleschi, che -se ne va trotterellando alla meglio, indegno di attirare -gli sguardi, finchè un buffone — Francesco Berni mi -scusi, — non è còlto dal ghiribizzo di balzargli sul dorso, -e, messolo a corsa a forza di scudisciate, non si dà ad -eseguire su quella cavalcatura ogni sorta di smorfie e -capestrerie. O chi mai deve dunque impacciarsi di richiamare -dall'eterno riposo un'ombra cosiffatta? -</p> - -<p> -Chi? — Voi per l'appunto: dopo che vi siate presi -la cura di conoscere meglio cosa sia per davvero l'<i>Orlando -Innamorato</i>, o <i>Innamoramento d'Orlando</i> che si -voglia dire; una cura che, avendo me a guida, riuscirà -forse una fatica e una noia; ma che fatica e noia non -<span class="pagenum" id="Page_206">[206]</span> -sarebbe, se, mandato a farsi benedire l'incomodo mediatore, -apriste il libro voi stessi e vi deste a legger senz'altro. -</p> - -<p> -Per il momento son qui, e bisogna che mi tolleriate. -Ed io dal mio canto, volendo adempiere coscienziosamente -l'ufficio a cui mi son sobbarcato (povera coscienza, -come si strazia in tuo nome!), son costretto a -risalir molto indietro. L'<i>Orlando Innamorato</i> — dicono -i barbassori — non si può giudicar bene senza essere -prima informati della sua schiatta; e questa schiatta è -disgraziatamente antica assai. -</p> - -<p> -Sicuro: ci si perde in un lontano passato, e in un -passato non nostro. Tutti sanno oramai di una epopea -rigogliosa fiorita nella Francia del medio evo e dissepolta -pietosamente da sessant'anni in qua. Essa accompagnò -la vita francese dai primordi fino a un'età molto -tarda. Nata di sangue germanico, ma fattasi presto romana, -cantò i fatti e gli eroi del periodo merovingio, -poi quelli del carolingio, e serbò ancora abbastanza fiato -perchè, due e più secoli dopo, al tempo delle crociate, -potesse mettersi alla bocca la tromba. -</p> - -<p> -Quanti personaggi si trovò così a celebrare! Ma tra -gl'infiniti, taluni, per motivi interni ed esterni, vennero -a prevalere. Primo fra tutti Carlo Magno, il sovrano -per eccellenza. E accanto a lui Orlando, del quale la -morte stoicissima al passo di Roncisvalle fece l'ideale -del guerriero valoroso e del vassallo devoto. In Rinaldo -invece e in certi altri si possono veder personificate le -doti meno corrette, ma spesso più simpatiche, del barone -ribelle; ribelle nondimeno ai soprusi, non all'esercizio -legittimo dell'autorità. -</p> - -<p> -Nella sua forma schietta e genuina questa epopea -francese è poesia severa, profondamente patriottica, ardentemente -cristiana, fieramente guerresca. Ma se il patriottismo, -la religiosità e lo spirito bellicoso eran troppo -<span class="pagenum" id="Page_207">[207]</span> -connaturati con essa per venir a mancare, la severità -invece dovette via via ceder terreno di fronte al bisogno -di andar a sangue a un pubblico mano mano più -desideroso di svago: simile al pubblico d'una conferenza! -Così l'epopea si veniva convertendo in romanzo: -metamorfosi da non poter mai riuscire perfettamente, -nel territorio almeno a cui l'epopea appartiene per nascita. -Getti pur lontano quanto vuole la sua tonaca, -poco o tanto il frate resterà sempre frate. Quindi, se le -<i>chansons de geste</i> continuarono ad appagare esuberantemente -il gusto, facile sempre, delle classi popolari, il -palato dei signori trovò col tempo maggior piacere in -altri cibi. E i cibi furono svariati; ma il più gradito -fra tutti fu quello offerto in gran copia dalle narrazioni -costituenti la cosiddetta Materia di Brettagna, o il Ciclo -d'Artù e della Tavola Rotonda. Straniero di origine, e -però non vincolato o frenato da nessun obbligo o tradizione, -questo ciclo potè volgersi liberamente a sodisfare -ogni tendenza e desiderio di quella società cavalleresca -alla quale s'indirizzava, parte, svolgendo gli elementi -portati con sè della patria, e più assai trasformando -e introducendo di nuovo. Ne uscì un mondo fantastico, -nel quale il meraviglioso — prima causa, se non -erro, della fortuna brettone — s'incontra a profusione; -dove i guerrieri se ne vanno errando soletti, o quasi, -per regioni solitamente boscose, sconosciute affatto a -loro medesimi, incontrando di continuo l'inaspettato; -dove al posto della guerra s'ha il duello, il torneo e -l'“avventura„; dove insieme col valore regna la cortesia; -dove la donna, relegata in un cantuccio dall'epopea -carolingia, è messa in trono, e con essa — occorre mai -dirlo? — è messo in trono l'amore; un amore che cura -ben poco le istituzioni sociali, sicchè si compiace segnatamente -delle due coppie adultere di Tristano ed Isotta, -di Lancillotto e Ginevra. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_208">[208]</span> -</p> - -<p> -Dalla Francia così l'epopea nazionale come la materia -di Brettagna si propagarono all'Italia. L'epopea se ne -dovette venire fino da un'età molto antica; oserei quasi -dire già in quella stessa di Carlo Magno. Quanto alle -narrazioni brettoni, giunsero a noi più tardi; eppure, -lasciando stare certi indizi che ci riporterebbero nientemeno -che al cadere del secolo XI, è certo che nel XII -si divulgarono largamente. La fortuna dell'epopea fu -senza confronto maggiore. Essa trovò qui una seconda -patria; e non già solo in questa o quella regione, bensì -oramai in tutto il paese. Ciò non toglie che la vallata -del Po fosse il terreno più disposto ad accoglierla. Colà -prima che altrove mise salde radici e si rivestì di nuove -frondi. Agli abitatori di quelle provincie che avessero -qualche poco di coltura, la favella francese sonava famigliare; -sicchè ivi accadde che si rimaneggiasse e s'arricchisse -con nuove invenzioni ciò che s'era avuto d'oltralpe -servendosi del linguaggio della Francia e senza -dipartirsi dai ritmi originarii. Linguaggio e ritmo non -rimasero; invece, nè potevano rimanere, al di qua dell'Appennino; -l'uno cedette il posto ai volgari nostri, -l'altro all'ottava rima o alla prosa. Ma di quaggiù il -mutamento ebbe poi ad essere comunicato di rimbalzo -all'Italia stessa del settentrione, ridottasi a poco a poco -ancor essa ad accogliere un sentimento più vivo d'italianità -nell'ordine altresì della lingua e della letteratura. -</p> - -<p> -Quanto alla materia di Brettagna, è naturale che anche -presso di noi se ne avessero a compiacere specialmente -quelle classi per cui s'era venuta foggiando. Ciò -viene a dire che dovette certo aver voga maggiore nella -Lombardia, intesa nel suo vecchio ed ampio significato, -nella Marca di Treviso, nella Romagna, così ricche di -signori feudali e di piccole corti. Però non a caso Dante -pose il romanzo di Lancillotto tra le mani de' “duo cognati„, -con quell'effetto che troppo ben sapete. Nondimeno -<span class="pagenum" id="Page_209">[209]</span> -e Artù e Tristano e Galvano e tutta la brigata -non mancarono di esercitare vive seduzioni anche qui -nella Toscana sulle fantasie di una gioventù, cui il nascere -per la più parte di popolo non toglieva d'essere -amante del “donneare„, della prodezza del lusso, e di -ogni gentil costume. Quindi sulle pareti del palazzo della -sua Madonna il poeta dell'<i>Intelligenza</i> — o perchè non -dirò io Dino Compagni? — darà luogo alla rappresentazione -di questo mondo leggiadro con parole che lasciano -intendere quanto fosse caro al suo cuore (St. 287-288): -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">E sonvi i pini, e sonvi le fontane.</p> -<p class="i01 dotted">. . . . . . . . . . . . . . . . .</p> -<p class="i02"> E sonvi tutti i begli accontamenti</p> -<p class="i01">Che facevan le donne e' cavalieri:</p> -<p class="i01">Battaglie, giostre, be' torneamenti,</p> -<p class="i01">Foreste, roccie, boscaggi e sentieri.</p> -<p class="i01">Quivi sono li bei combattimenti,</p> -<p class="i01">Aste troncando e squartando destrieri.</p> -<p class="i01">Quivi sono le nobili avventure;</p> -<p class="i01">E son tutte a fino auro le ligure:</p> -<p class="i01">Le caccie, e corni, valletti e scudieri.</p> -</div></div> - -<p> -Lungi da me l'idea di parlarvi, sia pure rapidissimamente, -di ciò che da un lato il ciclo carolingio, dall'altro -il brettone, produssero presso di noi nel lungo periodo -che precede al mio soggetto, ossia fin verso il declinare -del quattrocento. Questo solo dirò, che il brettone -riuscì poco prolifico, e si limitò quasi sempre a -tradurre e verseggiare. Il carolingio invece fu di una -fecondità conigliesca, e mise alla luce una serie interminabile -di romanzi in prosa e in verso, attraenti dapprima, -fino a che in generale si contentavano essi pure -di ripetere in forma schietta ed ingenua narrazioni antiche, -ma via via più stucchevoli. Ci si domanda come -la gente del secolo XV — ed anche del XVI — potesse -<span class="pagenum" id="Page_210">[210]</span> -trovar diletto nel leggere o sentir recitare casi -tanto uniformi, narrati prolissamente e senza grazia. Ci -si domanda: ma quando si vede un fanciullo trastullarsi -ore ed ore con quattro fuscellini, e gli stessi pettegolezzi -far le spese della conversazione universale per una -intera settimana, e i cuori di migliaia e migliaia di persone -(osservo, non critico) stare in ansia per veder risolto -il gran problema se quattro zampe di cavallo arriveranno -alla mèta un minuto terzo prima di altre -quattro, e rimanersene per questo ore ed ore sotto la -sferza solare, si conchiude che per divertir l'uomo, -grande e piccino, molto poco può essere sufficiente. Vero -che non ci vuol troppo più nemmeno per annoiarlo. -</p> - -<p> -Questa nostra letteratura pareva giunta alla sera — e -che squallida sera! — senza aver avuto un vero meriggio; -quando le nubi si squarciarono e il sole prese a -sfolgoreggiare. Esso, par bene, ebbe prima a mostrarsi -a Firenze, dove, secondo le conclusioni di studi recenti, -il <i>Morgante</i> di quella bizzarra creatura che fu Luigi -Pulci era già composto per tre quarti nel 1470. Il valore -di questo poema è tuttavia più scarso che non si pensasse -in addietro. D'invenzione non è da parlare che per -pochi episodii, dacchè del resto l'amico del Magnifico -non fece oramai che rintonacare le mura rustiche elevate -da un rimatore popolaresco, sovrapponendovi un -tetto costrutto con travi e tegoli di cui possiamo determinare -la provenienza. Il pregio maggiore dell'opera sta -nella vivacità, davvero mirabile, dello stile e della lingua, -e nel riso che guizza per ogni dove. Ma insomma, -col Pulci, il romanzo popolare carolingio si riveste di -nuovi panni, si raggentilisce, si abbandona alla gaiezza, -senza punto mutare sostanzialmente. I cantambanchi che -in San Martino ed altrove raccoglievano dattorno a sè -un uditorio composto sopratutto di bottegai e di artefici, -potevano ancora riconoscere in messer Luigi uno -<span class="pagenum" id="Page_211">[211]</span> -dei loro. Che le cose seguissero a questa maniera nella -democratica Firenze, è un fatto più che naturale. -</p> - -<p> -E il Boiardo? — Qui la scena cambia. Ma prima di -vedere il come, bisogna pure che noi si faccia un po' -d'amicizia col nostro personaggio. -</p> - -<p> -Matteo Maria Boiardo nasceva di una famiglia feudale -che nel 1423 aveva ceduto al marchese Niccolò d'Este -l'avita signoria di Rubiera, tra Modena e Reggio, ricevendone -in cambio la vicina Scandiano ed altre ville, con -titolo di contea. Venne al mondo nel 1434, o giù di lì; -verosimilmente in Scandiano stessa, residenza abituale -de' suoi. Perdette il padre nel 1452; il nonno, Feltrino — uomo -insigne — nel 1455; la nonna due anni appresso; -e si trovò così arbitro di sè medesimo in età affatto giovanile. -La vita sua, nota a noi in modo per verità manchevolissimo, -trascorse per la massima parte tra Scandiano, -Reggio, Ferrara. Caro agli Estensi, com'era stato -loro carissimo l'avolo, accompagnò nel 1471 Borso nel -viaggio intrapreso a Roma, quando Paolo II gli concedette -anche per Ferrara quel titolo di duca, che l'imperatore -Federico gli aveva conferito già da oramai vent'anni -per Modena e Reggio. Sotto Ercole poi, succeduto poco -appresso al fratello, fu nel 1481 e nel 1486 al governo -di Modena. E più lungamente ebbe quello di Reggio: -chè, lasciando stare qualcosa che s'afferma e non si prova -per un tempo antecedente, rimase in ufficio dal 1487, o -al più tardi dal principio del 1488, fino alla morte, seguita -nella notte dal 20 al 21 dicembre del 1494. -</p> - -<p> -Educato senza dubbio alcuno all'esercizio delle armi -fin dagli anni suoi teneri, Matteo Maria ebbe scarse occasioni -di menar per davvero le mani. Qualche parte è -verosimile che prendesse alla difesa contro i Veneziani, -che nel 1482 mossero ad Ercole una fiera guerra, durata -fino al 1484. Come reggitore, certe voci, posteriori alquanto, -lo accusano di fiacchezza; e non dirò che l'accusa -<span class="pagenum" id="Page_212">[212]</span> -sia sbugiardata trionfalmente in tutto e per tutto -dall'esame di quel tanto che ci è rimasto del suo carteggio -col duca. Certo l'animo suo era profondamente -inclinato alla benevolenza. Non meno che a questa tuttavia -alla giustizia. E il carteggio dà insieme chiaramente -a vedere com'egli fosse largamente dotato di senno -pratico, e rotto agli affari. -</p> - -<p> -Agli uffici pubblici par che Matteo fosse spinto da ragioni -private; probabilmente da strettezze pecuniarie, ben -conciliabili anche colla signoria di Scandiano, toccata -propriamente a lui nelle divisioni con un cugino. Ma occupazione -più gradita che le faccende amministrative, -conditegli spesso di fiele da altri ufficiali, gli riuscivano -di sicuro lo studio e la poesia. -</p> - -<p> -Tre libri di liriche amorose contengono soprattutto gli -sfoghi della sua passione giovanile per una diva reggiana, -che non tardò a mostrarsi maestra di lusinghe, simulatrice, -volubile, capricciosa. Grazie alla provvida costumanza -degli acrostici, ne conosciamo nome e cognome: -si chiamava Antonia Caprara. Ma Antonia non domina -sola qua dentro. Buon numero di poesie, scritte durante -il viaggio a Roma del 1471, inclino a credere indirizzate -da Matteo a Taddea Gonzaga dei conti di Novellara, divenuta -l'anno dopo sua moglie. Ed altre rivendicazioni -dovremmo ammettere (nè dico ciò senza ragioni specifiche), -se alle ossa che furono donne gentili e leggiadre -negli Stati estensi durante la seconda metà del quattrocento -fosse consentito di venir qui a far valere i loro -diritti. Chè l'amore fu il sentimento predominante nel -Boiardo. E sia poi stata fatta eseguire da lui medesimo, -oppure invece da altri in suo onore, la medaglia che nel -1490, quando egli s'avvicinava alla sessantina, ce ne -tramandò — e autentiche — le fattezze, il suo rovescio, -rappresentante Vulcano intento a foggiare sull'incudine -strali per Cupido, lì presente con Venere, e il motto virgiliano -<span class="pagenum" id="Page_213">[213]</span> -che accompagna la rappresentazione, <i>Amor vincit -omnia</i>, ci rendono davvero secondo verità i lineamenti -interni del Conte di Scandiano. Quel motto — si -badi — in una forma o in un'altra, noi lo raccogliamo -direttamente dalle sue labbra non so quante volte. -</p> - -<p> -Il canzoniere del Boiardo è uno dei più notevoli del -secolo XV; e io mi domando, se mai, non ostante una -certa povertà di tavolozza, non fosse il più notevole addirittura. -Attrae e colpisce la sincerità della passione, di -cui noi seguiamo agevolmente la storia nelle sue vicende -liete e tormentose; l'efficacia e la bella semplicità delle -espressioni via via che essa riceve; la vivezza e soavità -delle immagini; la delicata sensitività per la natura; -l'armonia squisita dei congegni ritmici. Se i convenzionalismi -e le ricercatezze non mancano (specialmente, badiamo, -nel libro terzo, forse ordinato da altri che dal -poeta), quanto difficilmente potrebber mancare dopo -l'esempio del Petrarca! Ma l'ispirazione petrarchesca, -che qui pure può assai, non soffoca nient'affatto l'originalità. -Tra Antonia e Laura, tra il modo di sentire di -Matteo e quello di messer Francesco, c'è una differenza -profonda. Quasi più che a Laura direi che Antonia rassomigli -alla Lesbia di Catullo; ma le assomiglia come -una donna somiglia ad un'altra donna, poichè essa è -propriamente persona viva. Il poeta, trascorsa la prima -fase dell'estasi, ce la rappresenta colle sue pecche; e in -causa di lei accusa, più spesso e più acerbamente che -il Petrarca non faccia, tutto il sesso femminile: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i02"> Fede non più: non più v'è de honor cura</p> -<p class="i01">In questo sexo mobile e fallace,</p> -<p class="i01">Ma volubil pensier e mente oscura.</p> -<p class="i06"> (Son. 79).</p> -</div></div> - -<p> -Ma anche quando soffre, e non potrebbe più dire di certo, -come in un tempo di beatitudine, -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Amore ogni tristezza a l'alma toglie,</p> -<p class="i06"> (Son. 23)</p> -</div></div> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_214">[214]</span> -</p> - -<p> -non sarebbe alieno dal ripetere le altre parole che faceva -allora tener dietro: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">E quanto la natura ha in sè di bene</p> -<p class="i01">Nel core inamorato se raccoglie.</p> -</div></div> - -<p> -E infatti dell'Amore egli prende una volta le difese in -un leggiadro contrasto col suo proprio cuore che lo -viene accusando: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i02"> Non sei tu per Amor quel che tu sei?</p> -<p class="i01">Se in te vien ligiadria,</p> -<p class="i01">Se honor e cortesia?</p> -<p class="i01">Ah, pensa pria se lamentar te dei!</p> -<p class="i02"> Lamentar di colui che l'armonia</p> -<p class="i01">Infonde a i vagi ocei!</p> -<p class="i01">Che infonde a' tygri humana mente e pia,</p> -<p class="i01">E fa li homini Dei</p> -<p class="i06"> (Canzone V, st. 3).</p> -</div></div> - -<p> -No, l'amore può tormentarlo quanto si voglia: dopo -d'aver imprecato, Matteo si riconcilierà con lui, e rimarrà -tra' suoi più devoti. -</p> - -<p> -Col Canzoniere hanno scarsa attinenza le altre opere -minori. Dieci egloghe latine furono composte, secondo -me, tra il 1460 e il 1462; dieci italiane spettano manifestamente -la più parte al tempo della guerra con Venezia. -Perfino nel numero portano scritta in fronte l'imitazione -virgiliana! Qualche sprazzo di luce non vale -davvero a conciliarci con codesti pastori, che non hanno -nulla di schiettamente rustico, neppur quando l'allegoria -non ne succhia il sangue. E meno ancora ci seducono -cinque capitoli, quattro dei quali hanno per soggetto il -timore, la gelosia, la speranza, l'amore, e il quinto il trionfo -delle virtù sui vizi. Quanto copiosi di una non recondita -erudizione mitologica e storica, altrettanto son poveri, -e peggio, di poesia. A un posto senza confronto -più onorato, segnatamente per ragion di tempo, può -<span class="pagenum" id="Page_215">[215]</span> -pretendere il <i>Timone</i>: commedia in terza rima, che non -vuol essere se non traduzione e adattamento scenico del -dialogo omonimo di Luciano, e che è qualcosa più. Traduzioni -vere sono quelle che il Boiardo fece, dal greco, -dell'<i>Asino d'oro</i> di Luciano stesso, delle <i>Storie</i> di Erodoto, -della <i>Ciropedia</i>; dal latino, dell'<i>Asino d'oro</i> di -Apuleio. Quanto alla <i>Istoria Imperiale</i>, ossia degl'imperatori, -prima romani, poi romano-germanici, che si dà -essa pure come versione di un testo di Riccobaldo ferrarese, -ancora non s'è ben chiarito cosa sia; ma par da -ritenere un raffazzonamento del Boiardo stesso, a cui -Riccobaldo non dette se non molta parte del materiale. -</p> - -<p> -Tale, in brevi termini, l'uomo e lo scrittore, venuto -ancor esso nell'idea di metter mano a un poema cavalleresco. -Quando l'idea nascesse, non so dire; so bensì -che nientemeno che sessanta dei sessantotto canti e -mezzo che il poeta ci ha lasciato, erano già scritti al -tempo della guerra con Venezia, e probabilmente anche -proprio avanti che nel 1482 la guerra scoppiasse. Chè, -tra le armi, il poeta, smarrito e addolorato, non per la -sua provincia soltanto, ma per l'Italia, non ha cuore di -attendere all'opera, e ne rimette a giorni migliori la -continuazione: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Non saran sempre e tempi sì diversi,</p> -<p class="i01">Che mi tragan la mente di suo locho.</p> -<p class="i01">Ma nel presente e canti mei son persi,</p> -<p class="i01">E porvi ogni pensier mi giova poco;</p> -<p class="i01">Sentendo Italia de lamenti piena,</p> -<p class="i01">Non che hor canti, ma sospiro apena<a class="tag" id="tag98" href="#note98">[98]</a>.</p> -</div></div> - -<p> -Però il principio della composizione vorrà riportarsi indietro -Dio sa di quanto; nè con essa ha dunque assolutamente -<span class="pagenum" id="Page_216">[216]</span> -che vedere la pubblicazione del <i>Morgante</i>, seguìta -essa pure solo nel febbraio di quel medesimo -anno 1482. E per me credo assai poco che vi abbia che -vedere nemmeno in altra maniera il poema fiorentino, -del quale la voce, od anche qualche esemplare manoscritto -o qualche saggio, fossero arrivati fino al Nostro. -In ogni modo, se da Firenze fosse venuto qualcosa, non -si tratterebbe che di un semplice impulso, di cui poco -capisco che ci potesse esser bisogno. -</p> - -<p> -Sicchè dobbiam fare direttamente i conti col nostro -Matteo Maria. Cosa ci saprà e vorrà egli dare? — Se -ci mettiamo ad argomentare dalle altre opere, il Canzoniere -ci inspirerà una certa fiducia; ma tutto il rimanente -ci farà scuotere il capo in atto di diffidenza. Che -razza di poema cavalleresco dovrem noi aspettarci da -un erudito, da un traduttore, da un imitatore, dal coltivatore -assiduo di un genere letterario quale è l'egloga -virgiliana, falso in sè medesimo e più falso ne' suoi riflessi? -</p> - -<p> -Diffidiamo; ma se invece di baloccarci fantasticando -ci daremo a guardare, saremo presi da un sentimento -analogo a quello da cui sarebbe colto chi per la prima -volta s'accorgesse che l'autore del <i>Convivio</i>, del <i>De Monarchia</i>, -del <i>De Vulgari Eloquentia</i>, è ad un tempo l'autore -della <i>Divina Commedia</i>. Contemplando, siamo indotti -a riconoscere che se l'Italia produsse mai un uomo -a cui la materia cavalleresca potesse convenire, fu per -l'appunto il Boiardo. E quest'uomo era in pari tempo -un esperto maneggiatore di affari grossi e piccini. Davvero, -per quanto si deva sentir ritegno a lodarsi di sè -medesimi, non si può trattenersi dal notare come sia -dote caratteristica dell'ingegno italiano la moltiplicità -delle attitudini. Rassomiglierei questo ingegno al cubo, -che, adagiato su sei facce diverse, è sempre stabile ed -equilibrato ad un modo. -</p> - -<p> -Erano due, come sapete, i cicli che il Boiardo si trovava -<span class="pagenum" id="Page_217">[217]</span> -dinanzi: il carolingio ed il brettone. Entrambi gli -erano ben famigliari; ma a lui la schiatta e il costume -signorile, e ancor più l'animo amoroso, rendevano tra i -due molto più grato il secondo: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i02"> O gloriosa Bertagna la grande,</p> -<p class="i01">Una stagion per l'arme e per l'amore,</p> -<p class="i01">Onde ancor hoggi il nome suo si spande.</p> -<p class="i01">Sì ch'al re Artuse fa portar honore:</p> -<p class="i01">Quando e bon cavalieri a quelle bande</p> -<p class="i01">Mostrarno in più battaglie il suo valore</p> -<p class="i01">Andando con lor dame in aventura;</p> -<p class="i01">Et hor sua fama al nostro tempo dura.</p> -<p class="i02"> Re Carlo in Franza poi tenne gran corte,</p> -<p class="i01">Ma a quella prima non fo sembïante,</p> -<p class="i01">Ben che assai fosse ancor robusto e forte</p> -<p class="i01">Et havesse Ranaldo e 'l sir d'Anglante.</p> -<p class="i01">Perchè tenne ad amor chiuse le porte,</p> -<p class="i01">E sol se dete a le battaglie sante,</p> -<p class="i01">Non fo di quel valore o quella estima</p> -<p class="i01">Qual fo quell'altra ch'io contava in prima.</p> - -<p class="i06"> (<i>Orl. Inn.</i>, II, <span class="smcap lowercase">XVIII</span>, 1-2).</p> -</div></div> - -<p> -Si direbbe dunque che il Boiardo dovesse correre difilato -al mondo arturiano: porre in esso la scena, togliere -di lì i personaggi, per quel tanto che non li foggiasse -di nuovo. Invece a questo partito egli non s'appigliò -punto; e anche con ciò dette prova di un criterio -rettissimo. Intanto, le selve della Brettagna, per -quanto vaste, erano sempre un terreno troppo angusto -perchè ei ci facesse muovere liberamente il suo popolo -un intelletto italiano devoto al senso del reale, e però -non disposto a rappresentarsi ed a rappresentare gli -spazi troppo difformi dal vero; ben altra comodità offriva -il ciclo carolingio, condottosi via via ad estendere -il suo dominio su tutta quanta la terra! Poi, appunto -perchè gl'ideali del Boiardo venivano già ad essere attuati -<span class="pagenum" id="Page_218">[218]</span> -nella Tavola Rotonda, poco rimaneva qui a fare -per una mente creatrice. E c'era una ragione anche -più grave d'assai. Mentre Tristano, Lancillotto, Galvano, -mantenevano non so che di aereo anche per coloro che -gli avevano in maggior domestichezza, i loro rivali carolingi -presentavano alla fantasia una concretezza, da -non potersi immaginare la maggiore: gli uni rassomigliavano -come a gente vista in sogno; gli altri parevano -uomini conosciuti nella vita. Però, parlare ad italiani -di Carlo, d'Orlando, di Rinaldo, di Malagigi, era -un parlar loro di persone così prossime al cuore dei -più, che mai non si sarebbero stancati di udirne i fatti. -Nè si creda che la famigliarità con costoro, se non forse -l'affetto, fosse nei signori troppo minore che nel volgo. -Di ciò fornisce la prova la conoscenza che il Boiardo -stesso dà a vedere incidentalmente, ora dell'una, ora di -un'altra narrazione tradizionale, e quella, meglio ancora, -ch'egli suppone a volte in un uditorio, che da luoghi non -so quanti ci è rappresentato come essenzialmente aristocratico. -Ma non voglio neppur tacere una testimonianza, -istruttiva per più di un verso, fornita da documenti -storici dissotterrati di recente; tanto più che essa -si riferisce a una principessa estense, e propriamente a -colei che tutti s'accordano nel riguardare siccome l'esemplare -più perfetto di quello splendido fiore, che fu la -donna del nostro Rinascimento. -</p> - -<p> -Quando, al principio del 1491, Isabella, la figliuola del -duca Ercole, già marchesana di Mantova, fu a Milano -per accompagnarvi la sorella minore Beatrice, che andava -sposa a Lodovico il Moro, s'accese una disputa tra -lei e Galeazzo Visconti, gentiluomo milanese, se fosse -da anteporre Orlando, oppure Rinaldo. Isabella (chi non -sa che i ribelli e gli scapigliati attraggono sempre le -simpatie femminili?) stava per Rinaldo; Galeazzo sosteneva -le parti d'Orlando. La disputa dette luogo, un -<span class="pagenum" id="Page_219">[219]</span> -giorno che s'andava per acqua a Pavia, oppure si ritornava -di colà, a una specie di lotta, nella quale Galeazzo -costrinse la sua avversaria a dichiararsi vinta, ed a gridare -essa stessa: “Rolando, Rolando!„ Ciò, beninteso, -non le impedì punto di inalberare poi subito di nuovo -la sua bandiera e di tenercisi aggrappata anche dopo la -partenza da Milano; donde uno scambio curioso di lettere, -tra le quali, disgraziatamente, noi abbiamo solo — e -non tutte — quelle di Galeazzo. La disputa (ciò -che ho detto della lotta lo avrà fatto intender di già) -era sostenuta in tuono umoristico. Importa poi rilevare, -dacchè senza di ciò la testimonianza perderebbe qui per -noi ogni valore, che questo contrasto, per quanto vediamo, -non prese punto materia dall'<i>Innamorato</i>, sebbene -i primi due libri avessero visto la luce per le -stampe cinque anni innanzi. -</p> - -<p> -Sicchè il ciclo carolingio era il solo donde si potesse -muovere opportunamente. Ma questo ciclo, qual era ridotto, -presentava l'aspetto di un vecchio castello, dalle -mura decrepite, dove lasciate rovinare, dove rifatte alla -peggio, dalle sale sterminate e buie, dalle pareti squallide, -dall'arredamento poverissimo e consunto dal lungo -uso. Non era lì dentro davvero che un uomo dei gusti -del conte di Scandiano avrebbe mai voluto mettersi ad -abitare, ed invitar cavalieri e dame avvezzi allo splendore -delle nostre corti. Perchè il castello gli apparisse -degno albergo di lui medesimo e di ospiti siffatti, bisognava -rimetterlo a nuovo da cima a fondo. -</p> - -<p> -L'impresa era ardua quanto mai; e non so chi altri -sarebbe riuscito a condurla a buon termine. Restaurare -è facile; ma è difficile in sommo grado che ciò che s'è -restaurato non si trovi poi essere la negazione dell'armonia. -Il Boiardo squarciò dovunque i fianchi alle mura -risaldate, e fra quelle tetraggini fece penetrare fiotti di -luce; rintonacò, dipinse e addobbò le pareti; senza dare -<span class="pagenum" id="Page_220">[220]</span> -lo sfratto al vecchio mobigliare in quanto fosse ancora -servibile, lo allogò convenevolmente, e ne aggiunse uno -copiosissimo di meravigliosa ricchezza e d'impareggiabile -svariatezza. Insomma, egli trasformò quella miserabile -dimora in un palazzo incantato. -</p> - -<p> -Il rinnovamento consistette soprattutto (e si troverà -ben naturale dopo quanto s'è visto) in un grande raccostamento -al ciclo brettone. Un'azione di questo ciclo -sul carolingio s'era cominciata a vedere nella Francia -stessa da ben tre secoli; ed aveva continuato ad esercitarsi -qui da noi. Ma sempre s'era trattato di fatti parziali, -compiuti senza impulso profondo, col semplice -scopo di dilettar maggiormente. Gli effetti erano stati -per lo più tutt'altro che felici; nè c'è da meravigliarsene. -La vera e propria fusione del mondo d'Artù e di -quello di Carlo Magno non era possibile se non ad un -uomo per il quale quei due mondi avessero cessato di -rappresentare qualcosa di distinto e si confondessero in -un'unità superiore: il mondo cavalleresco. Allora soltanto -Orlando e Rinaldo e quanti mai li circondino potranno -legittimamente convertirsi in cavalieri erranti; e -starà bene che anche i boschi del loro tempo sian pieni -d'avventure; e che le donzelle se ne vadan solette in -cerca di un prode che osi arrischiarsi a qualche arduo -cimento, invochino con alte grida un soccorso che le -strappi a un pericolo, sian causa di combattimento tra -chi le accompagni e chi in loro s'incontri e pretenda -di impossessarsene; e che il passaggio tranquillo de' ponti -sia impedito da giganti e altri campioni; e che ai castelli -si mantengan coll'armi fiere usanze; e che le fate -s'inframmettano nelle faccende degli uomini, e li attraggano -nelle loro dimore, e faccian sorgere giardini e palazzi -maravigliosi, che in un attimo vengan poi a dissiparsi. -Queste e molte altre cose troviamo nel poema del -Boiardo per via de' romanzi della Tavola Rotonda. Sennonchè -<span class="pagenum" id="Page_221">[221]</span> -insieme troviamo anche roba non so quanta di -provenienza diversa, e segnatamente classica. Ma poi, -prenda il Boiardo di dove mai si voglia, egli tutto trasforma -e rifoggia, e a tutto dà l'impronta sua propria. -E dalla sua stessa fantasia trasse tanto, quanto assolutamente -nessun altro poeta italiano, all'infuori di Dante. -Però, al pari di Dante, di uno studio di fonti che, punto -per punto, riconduca alle sue origini quel che paia in -qualsivoglia maniera derivato d'altronde, egli non ha da -temere. Ciò che per altri produce troppo spesso l'effetto -di una spennacchiatura, per lui si risolve in una riprova -di originalità. Così si capisce come, pur risultando da -elementi disparati, il poema non dia alcun sentore di raffazzonamento, -e nemmeno abbia la più lontana attinenza -con un mosaico, per quanto abilmente congegnato. -Esso è lavoro di getto; e nel suo autore è da riconoscere -il creatore di un nuovo mondo poetico. Quanti -sono mai gli uomini, e nella nostra e in qualsivoglia -letteratura, a cui sia lecito di attribuire un vanto siffatto? -</p> - -<p> -Guardiamo un poco addentro in quest'opera singolare. -Vi sentiremo in ogni parte strepito d'armi: qui abbiamo -il cozzo di moltitudini, come nel ciclo carolingio, là, e -più spesso, semplici duelli, come nel brettone. Ma alle -armi s'accompagna qualche altra cosa. Dalla bocca stessa -del poeta s'è udito, non è molto, come la corte di Carlo -(quella, s'intende, di cui s'era narrato fin allora) fosse -rimasta al di sotto della corte d'Artù “Perchè tenne -ad amor chiuse le porte„. Chiuse del tutto, per verità, -non le aveva tenute di sicuro; e Matteo Maria lo sapeva -benissimo; ma certo in essa l'amore aveva sempre -avuto l'aria di un intruso, e in ogni modo poi il valore -non gli aveva obblighi di nessuna specie. Per il Boiardo -invece -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Amore è quel che dona la vittoria</p> -<p class="i01">E dona ardire al cavaliero armato.</p> -<p class="i06"> (II, <span class="smcap lowercase">XVIII</span>, 3).</p> -</div></div> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_222">[222]</span> -Senza di esso il cavaliere quasi non si concepisce, e -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Se in vista è vivo, vivo è senza core.</p> -<p class="i06"> (I, <span class="smcap lowercase">XVIII</span>, 46).</p> -</div></div> - -<p> -Nè, mancando l'amore, potranno fiorire neppur l'altre -virtù, e in primo luogo la cortesia, che è tanta parte -nella morale cavalleresca. Così si pensa e parla nel -poema (I, XII, 12); e qui noi subito ci s'accorge dell'intimo -legame che lega questo col Canzoniere; ossia veniamo -a conoscere come il poema, lungi dall'essere un'opera -concepita ed eseguita per mero sollazzo o per studio -d'arte, abbia radice nella regione più profonda del sentimento. -Ciò costituisce la massima tra le differenze che -distinguono il conte di Scandiano da quant'altri si dettero -fra noi al poema cavalleresco, non escluso nient'affatto -l'Ariosto. -</p> - -<p> -Supremo pensiero del Boiardo dovrà essere dunque -di redimere il mondo carolingio da quella vita vegetativa -in cui aveva languito così a lungo, e di stabilire -anche su di esso la signoria dell'Amore. Ed ecco che -un Trionfo d'Amore sarà ciò che verrà ad offrirsi sulla -scena ai nostri sguardi subito al levarsi della tela. -</p> - -<p> -Siamo di maggio, verso la pasqua di rose, e in Parigi, -per occasione di una giostra bandita da Carlo, troviam -raccolta una solennissima “corte reale„, che più -che alle solite corti del nostro imperatore rassomiglia a -quelle d'Artù. Insieme colla moltitudine de' signori cristiani, -sono accorsi di Spagna anche molti Saracini; chè -le barriere del mondo cristiano e Saracino, se non son -tolte, son cadute più che a mezzo in isfacelo. Quel -giorno tutta l'infinita baronia è stata chiamata a un -gran convito. Carlo va lieto a porsi sopra una sedia -d'oro “a la mensa ritonda„; (la “Tavola Rotonda„ è -trasportata qui, come vedete, non solamente in idea); -accanto a sè ha i paladini, dirimpetto gli ospiti spagnoli. -</p> - -<p> -Mentre si sta in allegrezza, all'estremità della sala si -<span class="pagenum" id="Page_223">[223]</span> -presenta una donzella, che sapremo poi chiamarsi Angelica, -in mezzo a quattro giganti, seguita da un cavaliere -e non più: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Essa sembrava matutina stella,</p> -<p class="i01">E giglio d'orto e rosa di verzieri;</p> -<p class="i01">In somma, a dir di lei la veritate,</p> -<p class="i01">Non fu veduta mai tanta beltate.</p> -<p class="i06"> (St. 21).</p> -</div></div> - -<p> -A quella vista non un cristiano, non un Saracino, sa -rimanersene seduto; tutti cercano di accostarsi alla -donzella, la quale si fa ad esporre all'imperatore certe -sue fanfaluche, il cui succo si è che il fratello suo (il -cavaliere che l'accompagna) domanda giostra a quanti -son qui convenuti, e che ella stessa sarà premio per chi -riesca ad abbatterlo. Il fascino esercitato da questa bellezza -impareggiabile è tanto, che l'amore s'accende di -subito nei petti. Innamora Namo, “ch'è canuto e bianco„, -e si scolorisce in viso; innamora Rinaldo, e si fa “rosso -come un foco„; il Saracino Ferraguto, che ha l'argento -vivo addosso, a gran fatica si rattiene dallo slanciarsi -contro i giganti, per impadronirsi colla forza della fanciulla, -e frattanto -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Hor su l'un piede, or su l'altro si muta;</p> -<p class="i01">Grattasi il capo e non ritrova loco.</p> -<p class="i06"> (St. 34).</p> -</div></div> - -<p> -Insomma, a farla breve, -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">. . . . . . . . ogni barone</p> -<p class="i01">Di lei se accese, et ancho il re Carlone;</p> -<p class="i06"> (St. 32)</p> -</div></div> - -<p> -il quale profitta della condizione sua privilegiata, e tira -in lungo la risposta alla donzella. “Per poter seco molto -dimorare„(St. 35). -</p> - -<p> -Ma il trionfo dell'amore non parrebbe al poeta pieno -abbastanza, se alla testa dei devoti non fosse ridotto a -camminar dietro al carro per l'appunto chi era parso -<span class="pagenum" id="Page_224">[224]</span> -più restio a questo culto, o a questo servaggio: il casto -e severo Orlando, il futuro martire di Roncisvalle: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i02"> Non vi para, signor, maraviglioso</p> -<p class="i01">Odir cantar de Orlando inamorato,</p> -<p class="i01">Che qualunque nel mondo è più orgoglioso</p> -<p class="i01">È da Amor vinto al tutto e subiugato;</p> -<p class="i01">Nè forte braccio, nè ardire animoso,</p> -<p class="i01">Nè scudo o maglia, nè brando affilato,</p> -<p class="i01">Nè altra possanza può mai far diffesa,</p> -<p class="i01">Che alfin non sia da Amor battuta e presa.</p> -<p class="i06"> (St. 2).</p> -</div></div> - -<p> -E d'Orlando l'amore s'impadronirà a tal segno, da -dare lo sfratto ad ogni altro pensiero, da soffocare qualsiasi -altro sentimento. Non contento di trascinarlo in -remotissime terre dell'Asia, di darlo del tutto in altrui -balìa, di renderlo affatto noncurante di Alda, della quale, -dopo una fugace apparizione al principio, non è più -questione nel poema, lo muove a calpestare l'amicizia e -la parentela, ed a combattere ferocemente, pur sapendo -di far male, contro il cugino Rinaldo (I, <span class="smcap lowercase">XXV-XXVII</span>). E tanto -può, da renderlo perfino sordo al tremendo pericolo a -cui Carlo e la cristianità tutta intera sono esposti per -il passaggio che sta per fare Agramante (II, <span class="smcap lowercase">XIII</span>, 50-51). -Quando poi, per volontà della sua dama, non già per -sua propria, il paladino sarà tornato in Francia, l'annunzio -delle orde nemiche che sono in procinto di rovesciarsi -sull'esercito cristiano, invece che a sfoderar -Durindana, porterà questo campion della fede a ritrarsi -in un bosco: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">E là pregava Dio devotamente</p> -<p class="i01">Che le sante bandiere a zigli d'oro</p> -<p class="i01">Siano abbattute, e Carlo, e la sua gente.</p> -<p class="i06"> (II, <span class="smcap lowercase">XXX</span>, 61).</p> -</div></div> - -<p> -Ciò perchè la sconfitta servirebbe a' suoi scopi! all'amore -per una pagana! -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_225">[225]</span> -</p> - -<p> -Facendo innamorare Orlando, il Boiardo s'è guardato -bene dall'alterarne sostanzialmente le fattezze. Ciò che -egli si studia di rappresentare son precisamente gli effetti -che la nuova passione deve produrre sul personaggio -che tutti conoscevano da tanto tempo. Non è di -certo un rendergli servigio l'operare in cosiffatta maniera: -non si rende servigio ad un uomo di molto merito, -ma senza alcuna pratica della società e delle sue -usanze, trascinandolo in un ritrovo elegante. Guardatelo -questo povero paladino, quando ritorna ad Albraccà, -tutto pesto e malconcio, dopo aver compiuto imprese -incredibili. Angelica lo disarma, lo spoglia per ungerlo -“d'un olio delicato — Che caccia de la carne ogni livore„ -(I, <span class="smcap lowercase">XXV</span>, 38), e senza tante storie lo vien baciando. Che il -Conte all'accostarglisi di quel volto si senta in paradiso, -non potrebbe non essere; ma invece di prendere ardimento, -se ne sta “quieto e vergognoso„. E timido compagno — timido, -beninteso, come amante — sarà ad -Angelica nel lunghissimo viaggio dal Cataio alla Francia -(II, <span class="smcap lowercase">XIX</span>, 50). Questa sua imperizia egli ce la dà a vedere -anche più aperta, quando — guai a incominciare! — si -lascia vincere dai vezzi di un'altra donna: di Origille. -Con lei, che lo stimola e gli fa animo, parlerà -d'amore, “come insonnïato„ (I, <span class="smcap lowercase">XXIX</span>, 47), e le si mostrerà -“mal scorto e rozzo amante„ (II, <span class="smcap lowercase">III</span>, 66). Quanto rozzo e -mal scorto, altrettanto credulo, sì da lasciarsi dar a -bere che salendo in cima a una certa roccia e guardando -in una specie di pozzo vedrà “l'inferno e tutto il -paradiso„ (I, XXIX, 50). Vero che qui il Boiardo lo vuol scusare, -dicendo che al pari di lui sarebbe stato ingannato -chiunque, “che di leggier si crede a quel che s'ama„ -(St. 52); ma io mi permetterò di domandare a Matteo -Maria se avrebbe mai fatto gabbare a quel modo Rinaldo, -o qualcuno della sua tempra. -</p> - -<p> -Sicchè il protagonista mascolino del poema è volutamente -<span class="pagenum" id="Page_226">[226]</span> -un personaggio nel cui volto c'è qualcosa di ridicolo; -un personaggio del quale, a proposito del viaggio -con Angelica ricordato dianzi, è possibile dire che -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Turpin, che mai non mente di ragione,</p> -<p class="i01">In cotale atto il chiama un babione.</p> -</div></div> - -<p> -Non so cos'altro mai possa volerci per accorgersi che -il poeta si atteggia di fronte alla materia sua in ben -altra maniera che non facciano gli autori delle <i>chansons -de geste</i> e quelli di tutti i romanzi del ciclo brettone. -Non già che l'elemento comico sia escluso di colà. Basterebbe -rammentare, per una parte il cosiddetto <i>Voyage -de Charlemagne a Costantinople</i> e certe scene dei <i>Quatre -fils Aimon</i>, ossia della storia di Rinaldo e de' fratelli, -per l'altra la figura di Keu, il siniscalco di Artù, -così simile per più d'un verso al nostro Astolfo. Per sè -stesso il comico non disdice nemmeno all'epopea più -schietta; o non vediamo nell'Olimpo dell'<i>Iliade</i> lo zoppo -e barbuto Vulcano andare attorno ansimando in ufficio -della vezzosa Ebe, suscitando negli dei una ilarità inestinguibile? -Ma Omero non si sarebbe mai sognato sicuramente -di rappresentare Ettore o Achille come fa -Orlando il Boiardo; nè gli sarebbe passato per il capo -di mettere in bocca ad Agamennone parole analoghe a -quelle, tali ch'io non potrei qui tutte ripeterle, che il -Conte di Scandiano pone sulle labbra di Carlo Magno, -quando nella giostra di Parigi vede la sua baronia sopraffatta -dai campioni saracini (I, <span class="smcap lowercase">II</span>, 63-65); e nemmeno, -crederei, di farlo scendere nell'arena a metter rimedio a -un tradimento, -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Dando gran bastonate a questo e quello,</p> -<p class="i01">Che a più di trenta ne ruppe la testa.</p> -<p class="i06"> (I, <span class="smcap lowercase">III</span>, 24).</p> -</div></div> - -<p> -Qui il ridicolo non penzola dai rami: esso si stringe dattorno -al tronco stesso; sicchè alla tragedia ed al dramma -si sostituisce la farsa. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_227">[227]</span> -</p> - -<p> -Ma il ridicolo s'incontra nel poema del Boiardo anche -in una forma che specialmente importa di rilevare: -quale umorismo. Cosa propriamente sia l'umorismo secondo -il concetto moderno, tutti più o meno intendono; -eppure nessuno riesce a spiegar bene a parole. Permetterete -dunque che ancor io tenti una definizione mia -propria, e che lo dica “un riso interiore„. Esso è un -riso che si vela, senza per questo volersi celare, sotto -apparenze di serietà. Da questo riso dissimulato alla sghignazzata -più chiassosa, non c'è soluzione alcuna di continuità. -Si passa dall'uno all'altra per gradi insensibili, -soliti comprendersi sotto un certo numero di varietà, -come a dire il riso a fior di labbra, il riso aperto, e che -altro so io. Però si capisce come le specie non siano -nettamente distinte, sicchè a volte non si riesca a veder -bene se s'abbia a fare con questa o con quella. E dato -l'umor gaio, esso tende a manifestarsi, salvo condizioni -e propositi speciali, or con una specie or coll'altra, non -già sempre alla medesima maniera. -</p> - -<p> -E le varie forme di riso s'incontrano nell'<i>Orlando Innamorato</i> -ben diverso anche in ciò dal <i>Don Chisciotte</i>, -dove invece l'umorismo informa tutta l'opera. Ma nemmeno -nel nostro poema l'umorismo scarseggia. È umorismo, -per esempio, quando subito alla terza ottava -si dice: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i02"> Questa novella è nota a pocha gente,</p> -<p class="i01">Perchè Turpino istesso la nascose,</p> -<p class="i01">Credendo forse a quel Conte valente</p> -<p class="i01">Esser le sue scritture dispettose.</p> -</div></div> - -<p> -Qui l'umorismo intacca proprio, come vedete, l'azione -fondamentale del poema. E umoristici sono in genere -tutti appunto i riferimenti a Turpino, che occorrono -numerosi, ivi specialmente dove se n'è sballata qualcuna -di grossa; e umoristici diventano in particolar modo -<span class="pagenum" id="Page_228">[228]</span> -allorchè il Boiardo assume dirimpetto al suo autore -una certa quale aria di diffidenza, o rovescia comunque -su di lui il peso dell'asserzione, come segue a proposito -delle dame che assistono in Cipro da un gran palco al -torneo che s'è bandito per maritare Lucina: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Mostravan poche il viso naturale,</p> -<p class="i01">Le più l'havean dipinto e colorato;</p> -<p class="i01">Turpino il dice, io nol scio per expresso,</p> -<p class="i01">Benchè sian molte che ciò fanno adesso.</p> -<p class="i06"> (II, <span class="smcap lowercase">XX</span>, 13).</p> -</div></div> - -<p> -Questo umorismo non è se non una varietà di quello -che consiste nell'assumere tuono di storico veritiero, -cauto, accurato, e che porterà, per esempio, a mettere -in rilievo qualche circostanza perchè serva a giustificare -qualcosa di molto straordinario: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Al fin de le parole un salto piglia</p> -<p class="i01">(Vero è che indietro alquanto hebbe a tornare</p> -<p class="i01">A prender corso), e, come havesse piume,</p> -<p class="i01">D'un salto, armato, andò di là del fiume.</p> -<p class="i06"> (II, <span class="smcap lowercase">VIII</span>, 23).</p> -</div></div> - -<p> -La farò finita cogli esempi dell'umorismo boiardesco col -menzionare il desiderio che il poeta manifestò di aver -assistito a una certa battaglia contro un esercito di diavoli -evocati da Malagigi, -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Sol per veder se il demonio è cotale</p> -<p class="i01">E tanto sozzo come egli è dipento;</p> -<p class="i01">Che non è sempre a un modo in ogni loco:</p> -<p class="i01">Qua maggior corne, e là più coda un poco.</p> -<p class="i06"> (II, <span class="smcap lowercase">XXIII</span>, 1).</p> -</div></div> - -<p> -Il Boiardo non prende adunque la materia cavalleresca -propriamente sul serio; ma andrebbe mille miglia -lontano dal vero chi immaginasse per ciò che la volesse -volgere in canzonatura. Le virtù cavalleresche, vale a -dir la prodezza, il coraggio, la lealtà, la cortesia, la generosità, -la sete di gloria, il disprezzo delle ricchezze, e -<span class="pagenum" id="Page_229">[229]</span> -insieme con esse l'amore, che le inspira e rinfoca, egli -le ammira dal profondo dell'animo. Quindi per esaltarle -può anche continuare lungamente a cantare a occhi -chiusi con un abbandono propriamente epico. Ma il -senso della realtà è troppo vivo in lui, perchè, se appena -apre le palpebre, non abbia ad accorgersi che ciò -che gli sta davanti son fantasmi, e non componga il -volto ad un sorriso. Ad un sorriso, oppure invece -anche al pianto, se rivolge la mente a ciò che gli apparisce -la vera grandezza; ad Alessandro, a Cesare, e -ad altre figure siffatte: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i02"> Fama, sequace de gl'imperatori,</p> -<p class="i01">Nympha che e gesti a dolci versi canti,</p> -<p class="i01">Che dopo morte anchor gli homini honori,</p> -<p class="i01">E fai coloro eterni che tu vanti:</p> -<p class="i01">Ove sei gionta? a dir gli antichi amori</p> -<p class="i01">Et a narrar battaglie de giganti,</p> -<p class="i01">Mercè del mondo, che al tuo tempo è tale,</p> -<p class="i01">Che più di fama o di virtù non cale.</p> -<p class="i06"> (II, <span class="smcap lowercase">XXII</span>, 2).</p> -</div></div> - -<p> -Del resto importa rilevare che l'atteggiamento del -Boiardo in cospetto del mondo della cavalleria non è -già qualche cosa di peculiare a lui. In embrione, esso -si può cogliere negli stessi rimatori popolari, ai quali, -per esempio, non sono estranei nient'affatto i richiami -scherzevoli all'autorità del famoso arcivescovo; portato -all'estremo, per via d'una speciale conformazione dell'ingegno -e dell'animo, ci dà il <i>Morgante</i>; e che del pari -come agli scrittori fosse comune anche al pubblico cui -essi si rivolgevano, può mostrare l'intonazione del contrasto -tra Isabella d'Este e Galeazzo Visconti, a proposito -del quale la parola “umoristico„ mi è già dovuta -uscir di bocca. Si tratta dunque di qualcosa, che è dell'ambiente -italiano d'allora. Da questo qualcosa, se si va -bene al fondo, il nostro romanzo cavalleresco ripete in -<span class="pagenum" id="Page_230">[230]</span> -generale quel suo temperamento capriccioso, che rende -naturali, nonchè ammissibili per esso, tutte quante le -capestrerie di pensiero e di forma. -</p> - -<p> -Esaltatore dei sentimenti cavallereschi, il Boiardo può -ridere nondimeno dei personaggi in cui egli stesso li -incarnò; grande araldo dell'amore, lo troveremo, o non -lo troveremo noi, in atto di adorazione devota, al piede -della creatura da cui questa passione si diffonde? Cosa -sono le sue donne quando egli ha la libertà di foggiarle -a piacimento? -</p> - -<p> -Protagonista femminile dell'<i>Innamorato</i> è Angelica. -L'importanza sua non è uguagliata da quella di nessun -altro personaggio, compreso lo stesso Orlando. In lei -principalmente s'accentra l'azione; l'amore che da lei -s'ispira è il motore più potente di tutto quanto il meccanismo. -Quali effetti essa produca col suo semplice apparire, -avete visto voi stessi. E il Boiardo ha immaginato -un modo ingegnosissimo di complicare il giuoco -dei sentimenti, facendo che, per virtù di due fonti, l'una -delle quali accende, l'altra spegne le fiamme del cuore, -Angelica sia aborrita da Rinaldo mentre ella arde per -lui, e lo abbia in avversione non appena egli ha mutato -d'animo. Che sia incantatrice, mi spiace; una donna -è sempre maga abbastanza per il semplice fatto dell'esser -giovane e bella! Ma il poeta è troppo avveduto per -non accorgersi ottimamente di ciò egli medesimo; quindi -di cotale prerogativa fa un uso assai parco, e finisce -poi oramai per dimenticarla del tutto. Bensì Angelica -rimane sempre una lusinghiera; questo il tratto in cui -s'assomma l'indole sua. Che moine sa usare con Orlando, -per il quale non prova alcun affetto, e che solo le desta -rimorso quando è stato mandato da lei a un'impresa -da cui non crede che possa uscir vivo (I, <span class="smcap lowercase">XXVIII</span>, 40)! E -al tempo stesso ella tiene a bada altri adoratori, che le -giova di avere a suoi comandi. Ce la redimerebbe l'amore -<span class="pagenum" id="Page_231">[231]</span> -non corrisposto per Rinaldo, che dà luogo a scene d'una -passionatezza commovente, se non fosse l'effetto d'una -forza soprannaturale, e se non ci rappresentasse, molto -tempo prima che l'Ariosto potesse pensare a Medoro, -come una punizione di quel farsi giuoco degli amanti: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Chè amor vol castigar questa superba.</p> -<p class="i06"> (I, <span class="smcap lowercase">III</span>, 40).</p> -</div></div> - -<p> -Insomma, all'infuori che per la bellezza, Angelica non -ha somiglianza alcuna colle Laure, e meno che mai colle -Beatrici. -</p> - -<p> -I difetti che si scorgono nella figliuola di Galafrone -toccano il colmo in Origille: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i02"> Era la dama di estrema beltate,</p> -<p class="i01">Malicïosa e di losinghe piena;</p> -<p class="i01">Le lachryme teneva apparecchiate</p> -<p class="i01">Sempre a sua posta com'acqua di vena:</p> -<p class="i01">Promessa non fè mai con veritate,</p> -<p class="i01">Mostrando a ciaschedun faccia serena;</p> -<p class="i01">E se in un giorno havesse mille amanti,</p> -<p class="i01">Tutti li beffa con dolci sembianti.</p> -<p class="i06"> (I, <span class="smcap lowercase">XXIX</span>, 45).</p> -</div></div> - -<p> -Angelica in fondo al cuore non è malvagia: Origille invece -è tutta impastata di perfidia, a segno tale da trastullarsi -anche colla vita de' suoi disgraziati adoratori. -</p> - -<p> -Possiamo dir buona Tisbina. Amata da due, non frascheggia: -riama Iroldo e sente compassione di Prasildo. -Che disperazione è la sua quando una promessa a cui -Iroldo stesso imprudentemente l'ha spinta, la mette nella -necessità di concedere a Prasildo sè medesima! Iroldo -vuol morire, ed essa morrà con lui. E i due inghiottono -diffatti insieme una bevanda, che credono veleno. Ma -veleno non è; e la conclusione della storia viene ad essere, -che, dopo una gara mirabile di generosità, Tisbina, -mentre è immersa nel sonno per effetto di ciò che ha -bevuto, rimane a Prasildo. Che farà essa mai al risentirsi, -<span class="pagenum" id="Page_232">[232]</span> -quando le sarà detto che il suo Iroldo se n'è andato -lontano per sempre? È piena di dolore e tramortisce; -ma poi, considerando che non c'è rimedio, prende -“altro partito„: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Ciascuna dama è molle e tenerina</p> -<p class="i01">Così del corpo come della mente,</p> -<p class="i01">E simigliante della fresca brina,</p> -<p class="i01">Che non aspetta il caldo al sol lucente;</p> -<p class="i01">Tutte siam fatte come fu Tisbina,</p> -<p class="i01">Che non volse battaglia per nïente,</p> -<p class="i01">Ma al primo assalto subito se rese,</p> -<p class="i01">E per marito il bel Prasildo prese.</p> -<p class="i06"> (I, <span class="smcap lowercase">XII</span>, 89).</p> -</div></div> - -<p> -“Tutte siam fatte„: gli è che queste parole, insieme -col racconto a cui servono di conclusione, son poste esse -pure in bocca ad una donna. Ma se Fiordalisa modestamente -parla così, mettendo sè medesima in mazzo con -tutte l'altre, in lei almeno avremo finalmente un esemplare -di perfetta lealtà femminile. Chi non ha presente -quel suo pietoso andar di continuo in traccia di Brandimarte, -che via via ritrova per poi riperderlo di bel -nuovo? Se c'è donna amante, quella è lei di sicuro. -Ma, ohimè, che ancor essa dà qualcosa a ridire! È troppo, -per verità, il compiacimento col quale contempla il bel -Rinaldo addormentato (I, <span class="smcap lowercase">XIII</span>, 50), perchè un certo sospetto -che il poeta s'è permesso poco prima (st. 48) abbia a parer -calunnioso. -</p> - -<p> -Sicchè in conclusione le donne dell'<i>Innamorato</i> son -tutt'altra cosa che le Isotte e le Ginevre. Si capisce che -nell'animo del poeta c'è una persuasione analoga a quella -che ispira al Leopardi l'Aspasia. Gl'idoli a cui si brucian -gl'incensi sono, pur troppo, ben lontani in generale dall'essere -quali l'immaginazione li rappresenta. L'amore, -maschile e femminile, riposa sopra una continua illusione; -ciò che s'adora è un fantasma della propria mente; -<span class="pagenum" id="Page_233">[233]</span> -sennonchè per il Boiardo — e tutti saremo con lui — una -volta che l'illusione riesce gradita e feconda di bene, -merita di essere tenuta nel medesimo conto in cui si terrebbe -la realtà. Questo concetto, mentre ci porta lontano -dalle tradizioni consuete dei romanzi cavallereschi, ci -riconduce alla vita del nostro Matteo Maria. Si rammenti -il Canzoniere; si ricordi Antonia Caprara. Così ci si verrà -sempre più persuadendo che l'<i>Innamorato</i> è altra cosa -che una semplice opera d'arte. -</p> - -<p> -Della tela del poema non crederei indispensabile di -farvi, sia pur rapidissimamente, l'esposizione, quand'anche -al punto in cui sono non dovessi rammentarmi che tra -le virtù del Boiardo ce n'è una nella quale giova che io -mi specchi: il saper fare i conti colla pazienza di chi -sta ad ascoltare. L'orditura ha qui assai poca importanza; -l'importanza sta nelle molteplici narrazioni particolari. -Queste s'intrecciano, spesso interrotte, più tardi -riprese. Il procedimento per cui parecchie azioni camminano -di conserva, dando luogo a continue spezzature, -viene all'Innamorato dai romanzi della Tavola Rotonda, -e segnatamente dal <i>Tristano</i>, dal <i>Lancillotto</i>, dal <i>Girone -il Cortese</i>. Ma ciò che in questi è un mero e impaccioso -portato della necessità, nelle mani del Boiardo si converte -in un procedimento artistico, mediante il quale la curiosità -è stuzzicata, e si consegue una varietà che mai l'uguale. -</p> - -<p> -Ciò che assai mi duole si è che mi sia impedito di -mostrarvi le ricchezze meravigliose della poesia del Boiardo, -paragonabili a quelle della sua grotta di Morgana, -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Che solo a dir di lor seria un volume;</p> -<p class="i01">E non ha tante stelle il ciel sereno,</p> -<p class="i01">Nè primavera tanti fiori e rose,</p> -<p class="i01">Quante ivi ha perle e pietre preciose.</p> -<p class="i06"> (II, <span class="smcap lowercase">VIII</span>, 19).</p> -</div></div> - -<p> -Che attitudine a concepire figure caratteristiche e a metterle -in moto! che intuizione degli uomini e delle cose! -<span class="pagenum" id="Page_234">[234]</span> -che fecondità di concepimenti! che sentimento delle bellezze -naturali! che musicalità di ritmo! che amabile semplicità -di forma! È una poesia fresca che noi qui abbiamo: -la poesia d'un prato fiorito, in un bel mattino -di maggio. E nelle nostre tazze la fantasia vien mescendo -a profusione vini scintillanti, che parrebbero spremuti -da altre uve che dalle terrene. -</p> - -<p> -Sicuro che anche nel Boiardo ci son le sue pecche. Di -certe particolarità non è opportuno che discorra, una -volta che ai particolari devo qui rinunziare anche per -il resto. E non gli farò colpa alcuna del molto intrattenersi -a descriver colpi di lancia e di spada, non di rado -uniformi. Queste descrizioni, che a noi paion monotone -e stucchevoli, tali non parevano a uditori diversamente -disposti che noi non siamo; alla maniera come non riesce -monotono per una signora elegante il minuto ragguaglio -dei cento vestiti e delle cento acconciature che -si son sfoggiati a una festa. Bensì non è dubbio che nell'<i>Innamorato</i> -c'è difetto di lima, sicchè aguzzando gli -occhi si scorgono a ogni tratto piccole mende, che si -vorrebber corrette. Quanto alla lingua, il vizio è quasi -tutto alla superficie, ossia nella fonetica; e bisogna non -conoscere la nostra storia letteraria per muoverne al -Boiardo la più piccola colpa. Esso può rendere per il più -dei lettori necessaria una spolveratura, non altro; ma -certo non giustifica la manomissione commessa dal Berni. -Sennò dovrà esser lecito ad un pittore moderno di ridipingere -un Giotto, un Beato Angelico, un Botticelli, per -la ragione che il disegno non vi è propriamente corretto. -</p> - -<p> -Vi farò forse meravigliare, terminando, col dire che -il poema del Boiardo ha ai miei occhi un alto valore morale. -In quell'Italia perfida che gli storici soglion descriverci — l'Italia -di Lodovico il Moro e di Alessandro VI —, -una voce che esalta col più sincero convincimento -le virtù cavalleresche, e prima tra esse la lealtà, significa -<span class="pagenum" id="Page_235">[235]</span> -mi par bene, qualcosa. E più significa perchè non -è voce che scenda da un pulpito, nè voce di popolo. Sicchè -l'<i>Innamorato</i> viene a indicare che il marcio non era -poi tanto profondo come in generale si afferma e si crede. -</p> - -<p> -Certo tuttavia non era più questa la poesia che propriamente -convenisse all'Italia, una volta che su di essa -venne a rovesciarsi quella sequela di bufere, che al finire -del secolo XV prese a devastare i campi, a sradicar -gli alberi, ad abbattere case e palagi per tutto il bel -paese. Di quella bufera il Boiardo non vide che i prodromi; -ma essi bastarono per strozzargli il canto in -gola e dissipare le immagini ridenti che gli danzavano -davanti alla fantasia. L'opera fu interrotta; ed è legittimo -il supporre che il poeta non l'avrebbe ripigliata -nemmeno se al passaggio delle genti di Carlo VIII, avviate -verso il regno di Napoli, non fosse tenuta dietro -quasi subito la sua morte. Quanto differenti le guerre -ch'egli aveva vagheggiato e rappresentato da quelle che -allora si vennero a combattere! Ma io mi rallegro che -gli ultimi versi di questo poema, tutto letizia e apparente -spensieratezza, gli ultimi probabilmente che il -Boiardo abbia scritto, siano rivolti alla patria: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Mentre che io canto, o Iddio redentore,</p> -<p class="i01">Vedo la Italia tutta a ferro e a foco,</p> -<p class="i01">Per questi Galli che con gran valore</p> -<p class="i01">Vengon per disertar non scio che loco.</p> -</div></div> - -<p> -Son parole condite d'ironia, alle quali servono di efficace -commento quelle che si sono raccolte dalle labbra del -poeta in un'altra occasione, consimile, ma a saper leggere -nel futuro, assai meno lagrimosa<a class="tag" id="tag99" href="#note99">[99]</a>. E noi da questa interruzione -ci si sente attratti verso il poeta e l'opera sua -più che non saremmo dal più splendido dei coronamenti. -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_236">[236]</span> -</p> - -<h2 id="savonarola">IL SAVONAROLA e la PROFEZIA</h2> - -<p class="center"> -DI -</p> - -<p class="center large"> -FELICE TOCCO. -</p> -</div> - -<p class="pad2 indl"> -<i>Signore e Signori</i>, -</p> - -<p class="pad2"> -Dall'argomento della mia conferenza altri di me più -degno avrebbe dovuto tenervi parola. Ma per sfortuna -mia e vostra chi scrisse a giudizio unanime la migliore -storia del Savonarola, è lontano da noi, e per il bene -della cosa pubblica dobbiam tutti sperare che non faccia -sollecito ritorno<a class="tag" id="tag100" href="#note100">[100]</a>. Un altro scrittore avrebbe potuto -degnamente tenerne il luogo, il nostro Gherardo che intorno -al Savonarola seppe scoprire nuovi documenti e -dottamente illustrarli. Ma poichè anche a lui non fu dato -di accettare il difficile còmpito, eccomi di nuovo innanzi -a voi, per riprendere a così dire il filo della conferenza, -che ebbi l'onore di tenere: or sono due anni sull'eresia del -Medio Evo. Giacchè io non intende parlarvi soltanto del -Savonarola e dell'opera sua, ma ben piuttosto del modo -come il frate ferrarese si ricolleghi coi profeti medievali, -che lo precedettero. Escludo dal mio discorso le leggendarie -o apocrife profezie del mago Merlino, della Sibilla -Eritrea o del Carmelitano Cirillo, e di quei profeti -<span class="pagenum" id="Page_237">[237]</span> -solo vi terrò parola, dei quali abbiamo sicure testimonianze. -E per non risalire più in su fino a san Nilo o -santa Ildegarde, comincerò da quell'abate Gioachino, a -voi ben noto, che a giudizio di Dante sarebbe stato realmente -di <i>spirito profetico dotato</i>. Parecchi in verità revocarono -in dubbio codesto dono della profezia, e san -Tommaso glielo negò addirittura. Ma i più erano dell'avviso -di Dante, specie gli spirituali francescani, che -consideravano le principali opere di Gioachino come cosa -sacra; e già sapete che ripubblicandole e chiosandole -non dubitarono di dirle Evangelo eterno. Le loro chiose -furono condannate solennemente dalla Chiesa, le profezie -stesse di Gioachino smentì l'anno fatale 1260; ma ad -onta di ciò la fede dei Gioachimiti non venne meno, e -parecchi altri seguitarono a profetare, come l'abate Calabrese. -La differenza tra questi nuovi profeti e gli antichi -del Vecchio Testamento sta in ciò, che questi si -sentivano in contatto diretto con la Divinità e ne udivano -le voci, e sotto dettato, a così dire, ne scrivevano -le rivelazioni; invece quelli a tanto non arrivano, e non -a torto la maggior parte di essi, da Gioachino al Savonarola -medesimo, dichiarano spesso di non essere nè profeti -nè figli di profeti. Per quanto a loro non facciano -difetto nè i sogni nè i rapimenti dei profeti veri, per -quanto possano vantare anch'essi quella forza divinatrice, -che squarcia il velame del tenebroso futuro, pure -indarno cercate in loro la vena larga e potente dell'ispirazione -diretta; poichè non le proprie visioni essi interpretano, -ma le altrui. Non sono profeti, bensì commentatori -di profezie, e le più oscure come il libro di Daniele -e l'Apocalisse preferiscono. -</p> - -<p> -Si conserva ancora inedita nella nostra Laurenziana -la postilla sull'Apocalissi di uno dei più famosi seguaci -di Gioachino, minorità, ben s'intende, e capo degli spirituali -di Provenza, fra Giovanni di Piero Olivi, nato -<span class="pagenum" id="Page_238">[238]</span> -nel 1248, morto cinquantanni dopo. Negli ultimi tempi -della sua vita, benchè avesse vedute tutte le speranze -del suo partito dileguarsi, e l'eremita Celestino cedere -la tiara a Bonifacio VIII, avido di potere e di gloria -mondana, pure non ismise la sua fede, nè dubitò che -l'ora della tremenda vendetta fosse per scoccare. In una -lettera ai figli di Carlo II di Napoli, scrive: “Orsù, generosi -soldati, preparatevi alla pugna. Il tempo della potatura -è venuto, e si è udita sulla nostra terra la voce della -tortora che sospira e che ha il gemito per canto. È d'uopo -che nell'aprire il sesto suggello il sole e la luna s'oscurino, -e che cadendo le stelle dal cielo, la terra ne tremi -così, che tutte le montagne e le isole siano svelte dalle -loro sedi.... Poichè a quel modo che sul secentesimo anno -della vita di Noè si ruppero le fonti dell'abisso, e le cateratte -del cielo si apersero a segno che nessuno potè -salvarsi all'infuori dei ricoverati nell'arca fatta per comando -di Dio; così fa d'uopo che l'empia Babilonia nel -profondo del mare si sommerga.„ L'empia Babilonia è -la Chiesa carnale, conculcatrice della povertà evangelica, -e il ministro della vendetta divina sarà l'Anticristo. -</p> - -<p> -La fede nel prossimo avvento dell'Anticristo è così -radicata nei circoli dei beghini e degli spirituali, che Arnaldo -di Villanova, celebre medico e studioso delle -scienze occulte, non dubita di scrivere un trattato <i>De -adventu Antichristi</i>, che gli fruttò le persecuzioni del -vescovo parigino. Il trattato, ancora inedito, fu scritto -nel 1297, come dice l'autore stesso, e non è se non un -commento di alcuni luoghi delle Profezie di Daniele. Eccovene -un saggio: “Compiuti i mille duecento anni dal -tempo, in cui il popolo ebreo perdette il possesso della -sua patria, entrerà nel luogo santo l'abbominio della desolazione, -o l'Anticristo, il che sarà circa nel settantottesimo -anno del secolo futuro. Non posso determinare con -maggior precisione, ma certo intorno al 1378 si compirà -<span class="pagenum" id="Page_239">[239]</span> -quello che il Profeta predisse.„ E più appresso contro -i suoi contradditori aggiunge: “Senza dubbio questa conclusione -non segue dalla parola di Daniele in modo certo -e necessario; ma ha l'evidenza di una grande probabilità, -in quanto che con questa interpretazione concordano -altri luoghi della sacra scrittura.„ Era tanta la fede di -Arnaldo nelle divinazioni sue, che uno scritto sul medesimo -argomento ardì leggere al papa Clemente V; e -non solo noi, ma i contemporanei stessi, a cominciare -da Filippo il Bello, non sapevano più di che cosa meravigliarsi, -se dell'audacia del lettore o della benignità -soverchia di chi l'ascoltava. Ai medici di gran grido, che -si crede abbiano in mano la vita nostra, sono permesse -molte cose; e un papa meno docile e mansueto di Clemente -V, lo stesso Bonifacio VIII, si mostrò indulgente -col Villanova, e lo assolse dalle censure del vescovo di -Parigi, purchè non s'impacciasse più oltre di teologia. -</p> - -<p> -Non meno audaci sono le predizioni di frate Ubertino -da Casale, l'eloquente difensore dell'Olivi, le cui dottrine -segue, lievemente modificandole, in quel libro intitolato -<i>Arbor vitæ crucifixæ</i>, che finì la vigilia di San Michele -Arcangelo del 1305 nella solitudine dell'Alvernia, dove -i suoi superiori l'aveano esiliato, perchè non predicasse -più oltre nello stile degli esaltati spirituali. Nulla di nuovo -egli dice sui sette stati o periodi in cui va divisa la storia -della Chiesa o dell'Umanità, che secondo questi frati -sono tutt'uno; poichè anch'egli, come l'Olivi, risale a -Gioachino, e fa gli stessi calcoli e pone a confronto gli -stessi passi scritturali per argomentare prossima la fine -del sesto periodo. Quando esso abbia cominciato, o dalla -rivelazione fatta dall'abate Gioachino, come dicono alcuni, -o dalla conversione di san Francesco, come dicono altri, -o infine dalla protesta che i frati spirituali levarono contro -i trasgressori della regola francescana, non importa -decidere; perchè tutte queste date possono essere vere -<span class="pagenum" id="Page_240">[240]</span> -secondo che si consideri tutto il periodo ora da un -aspetto, ora dall'altro. Quel che monta è constatare che -si affretta alla sua fine. La qual cosa non può mettersi -in dubbio; perchè scorsi 1293 anni dalla morte di Cristo, -s'è veduta quell'orribile novità dell'abdicazione di -papa Celestino e dell'usurpazione del suo successore. E -come se questo segno non bastasse, ecco pullulare nuove -eresie, come alla fine d'ogni periodo; e molti sostenere -non essere la povertà evangelica il nocciolo della perfezione -cristiana, e alcuni filosofi di Parigi andare più oltre, -e proclamare con Aristotele che il mondo fu “ab eterno„ -ed in eterno durerà. Le quali eresie mostrano chiaramente -essere già nato il mistico Anticristo, vale a dire -il precursore e il simbolo di quel vero Anticristo, che -sorgerà più tardi alla fine del settimo stato. L'Anticristo -mistico non è nè un imperatore nè un pontefice, ma -bensì quel pseudo-cristiano che condannerà lo spirito di -Cristo nella povertà evangelica. E di questi pseudo-cristiani -al tempo di Ubertino non facea difetto. -</p> - -<p> -Se non che la fine del mondo non ebbe luogo in tutto -quel secolo, sul cui cominciare Ubertino scriveva, e -nuove tribolazioni non mancarono. Rinacquero sotto Giovanni -XXII le lotte coll'Impero, non chetate neanche -sotto i successori Benedetto XII e Clemente VI, e la -Chiesa, infeudata ai re di Francia, travagliarono mali e -scandali siffatti, che Avignone fu detta non pure dagli -spirituali francescani ma dal Petrarca medesimo: <i>l'avara -Babilonia</i>, <i>fontana di dolore</i>, <i>albergo d'ira</i>, <i>scuola d'errori</i>, -<i>tempio d'eresia</i>. Non è meraviglia che in questa -età procellosa rifiorisse la Profezia. Anche i poeti, quindi, -come il cantore di Laura, prendono il tono di veggenti, -e minacciano e rampognano e predicono imminente lo -scoppio dell'ira divina. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_241">[241]</span> -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Fiamma del ciel su le tue trecce piova,</p> -<p class="i01">Malvagia, che dal fiume e dalle ghiande</p> -<p class="i01">Per l'altrui impoverir sei ricca e grande....</p> -<p class="i01">Nido di tradimenti, in cui si cova</p> -<p class="i01">Quanto mal per lo mondo oggi si spande....</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Ma pur novo Soldan veggio per lei</p> -<p class="i01">Lo qual farà, non già quando io vorrei,</p> -<p class="i01">Sol una sede, e quella fia in Baldacco.</p> -<p class="i01">Gl'idoli suoi saranno in terra sparsi</p> -<p class="i01">E le torri superbe al ciel nemiche,</p> -<p class="i01">E suoi torrier di for, come dentro, arsi.</p> -</div></div> - -<p> -Ma dopo la tempesta verrà il sereno, e il Petrarca -anche lui vede in nube quel Papa, da questi profeti concordemente -chiamato angelico, che sbalzerà di seggio -gl'indegni ministri: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Anime belle e di virtude amiche</p> -<p class="i01">Terranno il mondo; e poi vedrem lui farsi</p> -<p class="i01">Aureo tutto e pien dell'opre antiche.</p> -</div></div> - -<p> -Non diversamente canta frate Stoppa dei Bostichi, che -non può essere vissuto dopo il papa Clemente VI, a cui -rivolge le più fiere rampogne, chiamandolo <i>specchio evidente, -nel qual potrà mirare ogni superbo</i>, e nell'impeto -dell'ira esce in questa profezia: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i02"> Sarà la Chiesa de' pastor privata;</p> -<p class="i01">Fie beato qual potrà negare</p> -<p class="i01">Il chericato, e rifiutar l'entrata,</p> -<p class="i01">Fiane cagion la terra d'oltremare.</p> -<p class="i01">Invidia, gola al chericato guata</p> -<p class="i01">Superbia, simonia, lussuriare;</p> -<p class="i01">Poi fie la Chiesa ornata di pastori</p> -<p class="i01">Umili e santi, come fur gli autori.</p> -</div></div> - -<p> -Intorno allo stesso tempo sarà probabilmente sorta -quell'altra profezia, attribuita a Jacopone da Todi, ma -<span class="pagenum" id="Page_242">[242]</span> -che certamente non gli appartiene, dove par che si confidi -più in un potente imperatore che in un papa angelico: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Da poi che seran structi li tiranni</p> -<p class="i01">Et li preti cacciati alli lor danni,</p> -<p class="i01">Verrà cului che di terra di lor mani</p> -<p class="i06"> Serà alevato....</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Costui serà segnor de tucto 'l mundo,</p> -<p class="i01">Facendo della terra el quadro e 'l tundo:</p> -<p class="i01">Sposo d'Italia, questo non abscundo,</p> -<p class="i06"> Imperatore....</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Costui farà far pace in ogne lato,</p> -<p class="i01">Descacciarà del mundo ogne peccato,</p> -<p class="i01">Non si trovarà chi sia superchiato</p> -<p class="i06"> Dal suo vicino.</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Costui convertirà alla fede Saracino</p> -<p class="i01">Et Tartaria con tucto quil camino;</p> -<p class="i01">Poi intrarà ad quil luoco divino</p> -<p class="i06"> Sacrificato.</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Poi tornarà Roma nel suo stato</p> -<p class="i01">De tuctu quanto el mundo repusato:</p> -<p class="i01">Li sancti preti di novello Stato</p> -<p class="i06"> Predicaranno.</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">E tucti l'infidel convertiranno,</p> -<p class="i01">Tucti vestiti d'un aspero panno,</p> -<p class="i01">Et sensa proprio sempre viveranno</p> -<p class="i06"> Im povertade.</p> -</div></div> - -<p> -In simili profezie credono anche gli uomini politici, specie -quel Cola da Rienzi, che da oscuro popolano assunto -ai primi poteri dello Stato, ebbro della sua insperata -fortuna, prende pubblicamente il bagno nella vasca Costantiniana, -perchè dalle macchie dell'ignobile origine -appaia deterso il nuovo cavaliere dello Spirito Santo. Sembra -che anche nei giorni del suo trionfo Cola abbia avuto -sogni e visioni. Almeno egli stesso racconta che pochi -giorni prima della cruenta sconfitta dei Colonnesi, gli -<span class="pagenum" id="Page_243">[243]</span> -apparve in sogno Bonifacio VIII per incitarlo alla vendetta -contro gli autori della sua cattura. Quando poi, -dimessa la dignità tribunizia, si ritrasse nel silenzio di -Monte Sant'Angelo presso i romiti della Majella, le sue -fantasie apocalittiche ebber nuovo alimento. Ed uno di -quei fraticelli, a nome Angelo, gli predisse dovere fra -non molto risorgere tale, che morì fra le persecuzioni -(forse fra Pietro di Giovanni Olivi?), e che alla sua voce -nascerebbe grande confusione e terrore tra i maggiorenti -della Curia, ed il Papa stesso correrebbe pericolo, finchè -brillerebbe la nuova luce. Allora sarà fatta la riforma -della Chiesa, e non pure tutti i Cristiani, ma i Saraceni -con essi, formeranno un popolo solo, e a capo di tutti -si porrà il Papa angelico. A queste profezie il tribuno -prestava ascolto, tanto più che egli stesso doveva aver -non piccola parte nella futura rinnovazione del mondo. -E per infondere nell'imperatore e nell'arcivescovo di -Praga la propria fede, si fa a sua volta commentatore -ed interprete di profezie, e fra tante sceglie la più recente, -che, nata senza dubbio sullo scorcio del secolo -decimoterzo, fu attribuita ad un profeta Cirillo, contemporaneo -di Gioachino, del quale non si sa nulla all'infuori -della profezia medesima; e che non sarà meno -apocrifo di essa. Comunque sia, Cola sa ben torcere -l'oscuro oracolo al senso che più gli torna; e sotto il -sole che entrerà nelle viscere dello scorpione e sarà -lacerato dai figli dello scorpione medesimo, intende proprio -lui, Cola, che andrà glorificato da Dio e posto al -governo di Roma, e poscia dal Papa e dai cardinali sarà -perseguitato, e nell'anno del giubileo chiuso nella squallida -spelonca del carcere imperiale. Frate Angelo da Monticelli -aveva ben insegnato la sua arte al credulo tribuno! -</p> - -<p> -Un altro minorita, non meno credente di frate Angelo, -ardiva divulgare le medesime profezie nella sede stessa -della corte papale in Avignone. Avea nome fra Giovanni -<span class="pagenum" id="Page_244">[244]</span> -di Roquetaillade, latinamente <i>de Rupescissa</i>; ed oltre -che per le sue profezie è noto per lo studio che, al pari -di Arnaldo da Villanova, faceva dell'alchimia. Le sue -predizioni risalgono, come dice egli stesso, al 1356, l'anno -avanti che cominciassero le secolari guerre tra Francia -e Inghilterra. La sua voce fu inascoltata; anzi Clemente -VI, lo stesso papa così avverso a Cola, lo chiuse -in prigione, e ve lo rimise il successore Innocenzo VI, tenendovelo -per tutta la vita. Una profezia, che costui compose -nelle carceri ad istanza di un suo correligionario, comincia -così: “Le rendite ecclesiastiche sappiate che fra -breve andranno tutte perdute, poichè molti popoli della -terra spoglieranno il Clero dei beni temporali, lasciandogli -appena da vivere. La Curia romana fuggirà da questa città -peccatrice di Avignone, e non sarà più dove è ora. Prima -che si compiano sei anni da questo presente, che è il -1356, la superbia clericale sarà prostrata nel fango, e -distrutta ogni malvagità. La città delle delizie sarà convertita -in lutto, e il mondo si perderà per l'avarizia; -ma dopo innumerevoli tribolazioni scenderà la misericordia -alla gente desolata, perchè un angelo, vicario di Cristo, -spargerà tutte le virtù evangeliche, e convertirà gli -Ebrei e i Tartari e i Saraceni e i Turchi distruggerà.„ -Come vedete questo profeta anche a costo di andare crudelmente -smentito dai fatti predice le cose a termine -fisso ed a breve distanza. E non muta stile in un altro -libercolo intitolato <i>Vade mecum in tribulatione</i>, composto -l'anno dopo, dove riassume tutte le predizioni sue sparse -negli altri libri, che cita e magnifica come annunziatori -di fatti da poi verificatisi, quale la cattura del re di -Francia. Anche nel <i>Vade mecum</i> vuol essere preciso più -di quel che convenga a un profeta. “Pria che il mondo -arrivi all'anno 1370, egli dice, prima che corrano altri -tredici, da questo che abbiamo ora compiuto, 1356, avrà -principio la restaurazione del mondo, e sarà palese quello -<span class="pagenum" id="Page_245">[245]</span> -che ora annunzio. Nel 1365 sorgerà l'Anticristo orientale, -e gli Ebrei ingannati da codesto falso Messia infiniti -danni recheranno al popolo cristiano. E nello stesso -anno i veri seguaci del santo mendico di Assisi saranno -di nuovo tribolati, come al tempo di Michele da Cesena; -ma ben presto si rifaranno dei loro danni, e l'ordine -loro si dilargherà per l'universo ed i loro conventi si -moltiplicheranno come le stelle del cielo. Ma non vale -la pena di riferire più oltre i sogni del povero prigioniero, -che aspetta prossima la liberazione sua e dei suoi -compagni. Dirò solo che anche egli adduce a prova delle -sue profezie il versetto di Daniele, che soleva citare -Arnaldo; ed anche lui, facendo cómputi sottili, arriva -all'anno 1370 nello stesso modo che un secolo prima -Gioachino di Fiore arrivava al 1260. -</p> - -<p> -Al di sopra di questi, sarei per dire, computisti della -Profezia, si eleva una donna di alto sentire e di nobilissimo -sangue, santa Brigida di Svezia. Nata intorno -all'anno 1302, a sedici anni sposò il diciottenne principe -Wulf di Nerik, da cui ebbe otto figliuoli. Alla morte del -marito, dato un addio agli splendori principeschi e diviso -il patrimonio tra i suoi figli, vestì le ruvide lane -del pellegrino e venne a Roma, dove scrisse le sue <i>Revelationes</i>. -A differenza di tutti i vaticinatoli precedenti -la santa svedese non s'indugia a commentare le altrui -profezie; ma come i profeti antichi conversa direttamente -con Dio, che le svela il segreto dell'avvenire. “Io non -disdegno di parlare con te, le dice Gesù, e benchè la -mia umanità sembri essere dentro di te e parlar teco, -pure è più verisimile essere la tua anima e la tua coscienza -con me e in me, poichè a me nulla è difficile -nè in cielo nè in terra.„ Una volta in una chiesa di -Roma la Vergine stessa le apparve, e in tuono di comando -le disse: “Tu devi mandare da parte mia questa -parola al legato del Papa.„ Al che la donna rispose: -<span class="pagenum" id="Page_246">[246]</span> -“Egli non mi crederà e volgerà i miei detti in derisione.„ -E di rimando la Vergine: “Benchè io conosca l'intimo -animo di quel prelato, pure è d'uopo che tu gli faccia -sapere che le fondamenta della Chiesa vacillano, e la -vôlta è screpolata in più parti, e le colonne piegano e -il pavimento si avvalla così, che i ciechi che v'entrano -sono per cadere.„ Questo ardito linguaggio osava tenere -la santa al cardinale Albornoz, legato di Clemente VI, -che, per riacquistare il sacro patrimonio, riempiva l'Italia -di sangue e di rovine. Di Urbano V, il successore di -Clemente, la Vergine stessa le dice: “Io condussi Urbano -papa da Avignone a Roma senza alcun pericolo -suo. E che cosa fa egli? Mi volge le spalle e intende -partirsi da me. Il maligno spirito lo guida colle sue frodi. -Ma se accadrà che egli faccia ritorno alla terra dove fu -eletto, sarà colpito nella guancia così che i suoi denti -scricchioleranno, e il suo volto diverrà caliginoso e fosco, -e tutte le membra del suo corpo tremeranno.„ La profezia -si avverò nel modo più tragico; che il Pontefice, -non appena tornato in Avignone, vi morì. Nè meno energiche -sono le ammonizioni, che Maria manda per mezzo -della santa a Gregorio XI. “Come la pia madre, ella -dice, che stringe al petto il suo bambino nudo e tremante -di freddo per riscaldarlo del suo calore e nutrirlo -del suo latte, così io farò di Gregorio, se vorrà tornare -a Roma con animo di rimanervi e di riformare la Chiesa -tutta. E perchè in avvenire non adduca la scusa dell'ignoranza, -io gli annunzio che, se non obbedirà alle -ingiunzioni mie, proverà la verga della mia giustizia e l'indignazione -del mio figliuolo.„ Tutte queste visioni, ed altre -non meno terribili sulla regina Giovanna, ebbe la santa -donna in Napoli, dove sostò per qualche tempo tornando -dal faticoso pellegrinaggio di Palestina. A lei non era dato -vedere il frutto delle sue coraggiose ammonizioni, poichè, -tornata a Roma, vi morì grave d'anni il 23 luglio 1373. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_247">[247]</span> -</p> - -<p> -L'opera da santa Brigida lasciata a mezzo, fu continuata -da un'altra santa, che anch'ella ha estasi e visioni, -anch'ella talvolta cade in tale anestesia, da poterlesi conficcare -nella pelle un grosso ago, senza che si riscuota -od avverta alcun dolore; ma forse più ancora della Svedese, -ha un tatto finissimo per guidare gli uomini e riuscire -nelle imprese più scabrose. Intendo parlare di Santa -Caterina da Siena, che nata nel 1347 da un agiato popolano, -e pur digiuna di lettere, seppe levarsi a tanta -altezza di concetti, a tanta squisitezza di forma, che la -sua prosa è anche oggi tenuta in grandissimo pregio. A -quindici anni, vinte le opposizioni della madre, che la -voleva sposa ad un ricco congiunto, entrò nelle Mantellate, -terziarie domenicane, che non professavano voti solenni, -e dopo tre anni passati nella sua cella tra preghiere -e digiuni e torture d'ogni sorta, che ella infliggeva -al delicato suo corpo, escì all'aperto ministra di -pace e di carità. Nella peste del 1374 ella sola mostrò -tale coraggio, tale abnegazione nell'assistere gl'infermi -più gravi, da parere agli occhi di tutti un essere superiore. -E ben si comprende come questo miracolo di sacrifizio, -dovunque mostravasi, sapesse imporre la pace -ai più riottosi, e comunicasse agli altri quell'ardente carità, -che le bruciava il petto; talchè non pure a Siena, -ma nella maggior parte delle terre toscane era chiamata -come paciera, e la sua fama saliva tant'alto, che i più -consumati uomini di Stato non disdegnavano d'entrare -in relazione con lei; come, per citarne un solo, Bernabò -Visconti. E a tutti teneva un linguaggio fermo e di -gran buon senso. Al cardinale d'Ostia, legato pontificio, -grida: “Pace, pace, pace, padre carissimo. Ragguardate -voi e gli altri, e fate vedere al Santo Padre più la perdizione -dell'anima che quella delle città; perocchè Dio -richiede l'anime più che le città.„ Allo stesso papa Gregorio -XI, non appena scoppiata la guerra con Firenze, -<span class="pagenum" id="Page_248">[248]</span> -scrive, ribadendo il concetto della santa svedese: “Andate -innanzi e compite con vera sollecitudine e santa -quello che per santo proponimento avete cominciato, -cioè dell'avvenimento del santo e dolce Passaggio (vale -a dire il ritorno della Santa Sede in Roma). E non tardate -più, perocchè per lo tardare sono avvenuti molti -inconvenienti.... Pregovi che coloro che vi sono ribelli, -voi gl'invitate ad una santa pace, sicchè tutta la guerra -caggia sopra gl'infedeli.„ “Ma pare che la somma ed -eterna Bontà permetta che gli stati e delizie sieno tolti -alla sposa sua, quasi mostrasse che volesse che la Chiesa -santa tornasse nel suo stato primo poverello, umile e -mansueta come era in quello tempo, quando non attendevano -altro che all'onore di Dio e alla salute delle -anime, avendo cura delle cose spirituali e non temporali. -Che poi che ha mirato più alle temporali che alle spirituali, -le cose sono andate di male in peggio.„ Mandata dalla repubblica -Fiorentina in Avignone per trattare la pace col -Papa, Caterina vi si adoperò con tutte le sue forze; e -se non riescì a comporre il dissidio, ottenne però quello -che più le stava a cuore sovra ogni altra cosa, il ritorno -della Santa Sede a Roma. Questo è il suo pensiero dominante, -che il felice passaggio, come diceva lei, avrebbe -posto riparo a tutti i mali della Chiesa. E la sua fede -invitta seppe trasfonderla in Gregorio: “Andiamoci, Ella -scriveva, andiamci tosto, babbo mio dolce, senza veruno -timore; se Dio è con voi, veruno sarà contro di voi. Dio -è quello che vi move, sicchè gli è con voi. Andate tosto -alla sposa vostra, che vi aspetta tutta impallidita, perchè -gli poniate il colore.„ “E io vi prego da parte di -Cristo Crocifisso, che voi non siate fanciullo timoroso, -ma virile. Aprite la bocca e inghiottite l'amaro, per lo -dolce.... Spero.... che voi sarete uomo fermo e stabile e non -vi moverete per verun vento nè illusione di dimonio, nè -per consiglio di dimonio incarnato.„ E fermo fu Gregorio. -<span class="pagenum" id="Page_249">[249]</span> -Non valsero le preghiere calde e insistenti di suo -padre e delle sue sorelle, non valsero le opposizioni dei -cardinali e le rimostranze del re di Francia. Su tutti e -contro tutti vinse la fanciulla di Siena; e lo stesso giorno -che ella lasciò Avignone, anche il Papa ne partì per -non ritornarvi più mai. Singolare tempra di donna, a -nessun'altra pari, fuorchè in parte ad un'altra vergine, -nata non meno umile della Benincasa, Giovanna d'Arco. -Anche questa fanciulla, pochi anni dopo Caterina, apparisce -nel mondo come dotata di una potenza misteriosa. -E al re di Francia e all'esercito suo disfatto ed -avvilito, ella, la povera fanciulla d'Orléans, sa ridare il -coraggio e la confidenza in sè e li conduce alla vittoria. -Diverso fu il destino delle due profetesse: l'una levata -sugli altari, l'altra dannata al rogo: ma entrambe operarono -prodigi, perchè prodigi erano elle stesse di fede, -di amore, di sacrifizio. -</p> - -<p> -Il ritorno del Papa a Roma, secondo la veggente Sienese, -doveva essere il principio di quella riforma della -Chiesa, a cui ella come tutti i profeti aspiravano, e che -avrebbe dovuto portar seco la pacificazione degli animi -in Italia e l'unione di tutte le forze cristiane contro l'irrompere -dei Maomettani. Il Signore stesso in una fatidica -visione le commette di dire al Papa: “che levi la -croce santissima sopra gl'infedeli, e levila sopra dei sudditi -suoi.... in perseguitare e' vizii e difetti loro. Divelto -il vizio è piantata la virtù, ponendo questa croce in -mano di buoni pastori e rettori nella santa Chiesa„. E -in un'altra, ancor più notevole, le svela il segreto delle -tribolazioni della Chiesa, che egli permette per divellere -le spine della sua sposa che è “tutta imprunata„. “Sai -tu come io fo? Io fo come feci, quando io ero nel mondo, -che feci la disciplina di funi e cacciai coloro che vendevano -e compravano nel tempio, non volendo che della -casa di Dio si facesse spelonca di ladroni. Così ti dico -<span class="pagenum" id="Page_250">[250]</span> -che io fo ora. Perocchè io ho fatta una disciplina delle -creature, e con essa caccio i mercanti immondi e avari -ed enfiati per superbia vendendo e comprando i beni -dello Spirito Santo.„ Sfortunatamente queste profezie -non si avverarono, poichè la Chiesa, non che riformarsi -e rinvigorirsi, ebbe a subire nuovi travagli dal lungo -scisma, che tenne dietro alla morte di Gregorio. E indarno -la vergine Sienese s'adoperò a soffocarlo sul nascere, -scrivendo lettere di fuoco a principi e cardinali. -Ormai la battaglia era impegnata, ed ella, accorsa al -fianco di Urbano VI, si preparava a sostenerla virilmente, -quando la morte sopraggiuntale nell'aprile del 1380 le -risparmiò nuovi e più cocenti dolori. -</p> - -<p> -Un altro profeta, certo molto da meno della santa di -Siena, non si faceva invece alcuna illusione. Era costui -il frate terziario francescano, Tommasuccio da Foligno, -che nato nel 1319 dicono morto nel 1377; ma certo avrà -vissuto ben oltre quell'anno, perchè dell'elezione di -Urbano VI è testimone, e di tutte le sciagurate conseguenze -dello scisma tra Urbano e Clemente che tristamente -descrive, se pure le strofe, ove di ciò si tratta, -non s'abbiano a dire interpolate nel suo rozzo componimento, -che fu oltremodo popolare: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Urbanu et Chiomento</p> -<p class="i01">Faran nova quistione</p> -<p class="i01">Et l'uno in Vengnone</p> -<p class="i01">Forte terà sua sysma.</p> -<p class="i01">In fede et in bactisma</p> -<p class="i01">Crescierà suo podere,</p> -<p class="i01">Mectendo grande herrore</p> -<p class="i01">Nella cristiana gente.</p> -<p class="i01">In Italia primamente</p> -<p class="i01">Ne seguirà strazio,</p> -<p class="i01">Che ne sarà ben sazio</p> -<p class="i01">El sangue de oltramontani.</p> -<p class="i01"><span class="pagenum" id="Page_251">[251]</span></p> -<p class="i01 dotted">. . . . . . . . . . . .</p> -<p class="i01">Serà fra li dui munti</p> -<p class="i01">In Roma grande divisa,</p> -<p class="i01">Ogni cosa provisa</p> -<p class="i01">El caso mino offende.</p> -<p class="i01">Però ongne omo che intende</p> -<p class="i01">Ol mio parlar diverso,</p> -<p class="i01">Che no sarà somerso</p> -<p class="i01">El bel castello Ursinu;</p> -<p class="i01">Poi ad priesso ad Marinu</p> -<p class="i01">La jente oltremontana</p> -<p class="i01">Fra monti valli e piani</p> -<p class="i01">Fugerà e sarà presa.</p> -</div></div> - -<p> -Qui sono accenni e fatti determinati, come la presa -del castello Orsino e la battaglia di Marino, accaduti -nel 1379. E nessun profeta nè antico nè nuovo entra in -particolari, se non è contemporaneo dei fatti che annunzia. -Comunque sia, fra Tommasuccio crede anch'egli -nel papa angelico: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Verrà poi nello strimo</p> -<p class="i01">Dalla benigna stella</p> -<p class="i01">Uno che renovella</p> -<p class="i01">El mundo in altra forma.</p> -<p class="i01">Darà la bella norma</p> -<p class="i01">Ad nostra vita activa,</p> -<p class="i01">Et farà la terra priva</p> -<p class="i01">De vitii fallace.</p> -<p class="i01">Per lu universo pace</p> -<p class="i01">Serà da cielo in terra</p> -<p class="i01">Et follia e guerra</p> -<p class="i01">Serà nello inferno remessa.</p> -</div></div> - -<p> -Ahimè! Pur troppo la triste realtà era ben lontana -da questo roseo sogno; poichè le condizioni della Chiesa -peggioravano ognor più, e se Urbano poteva vantare -<span class="pagenum" id="Page_252">[252]</span> -della sua parte e santa Caterina e Giovanni dalle Celle, -neanche a Clemente VII faceano difetto uomini d'insigne -pietà, come a dirne uno, san Vincenzo Ferrero, teologo -e profeta egli pure. Ormai non si sapeva più da -qual parte stesse il diritto, e peggio ancora a quale fra -i combattenti sarebbe per arridere la vittoria: talchè i -profeti stessi, parteggiando chi per l'uno chi per l'altro, -in questo solo s'accordavano: nel credere prossima la -fine del mondo. E vi credè il suddetto Giovanni dalle -Celle, che, pur avendo combattuto per tutta la sua vita -contro i Fraticelli, non teme ora d'imitarne il linguaggio, -e di risalire anche lui allo stesso abate Gioachino, -dai Fraticelli tenuto per suprema autorità. “L'abate -Gioachino, egli scrive, fu nel 1138 e fece un libro il -quale si chiama el Papa, dove egli infino all'avvenimento -di Anticristo dipinse tutti i papi.... Ma questo -papa Gregorio (XI) pone che è l'ultimo papa e pone che -fugge in forma di fraticello. E dopo di questo papa dipinse -una terribile bestia, che colla coda avvinghia -molte stelle, e dalla punta della coda esce una spada. -Gli uccelli del Cielo sono i religiosi e questa bestia è -l'Anticristo....„ Il libro che il Vallombrosano crede composto -intorno al 1138, quando probabilmente Gioachino -era ancor fanciullo, non è se non quello che racchiude -gli apocrifi vaticini intorno ai Pontefici, vaticini dei -quali, come delle profezie di Merlino, di Cirillo e delle -varie Sibille, si fecero tratto tratto nuove edizioni con -aggiunte ed interpolazioni per adattarle ai nuovi fatti. -Su questi libri, sfacciatamente bugiardi, e sopra un -creduto vaticinio tradotto, dicevasi, dall'ebraico in latino -per opera di un Dandolo Ilerdense, e intitolato -<i>Oroscopo</i>, fonda altresì le sue congetture l'eremita calabrese -Telesforo o Teoforo o Teleoforo da Cosenza. Per -parte mia credo che questo profeta faccia il paio col -supposto Cirillo; e parmi non poco probabile che sotto -<span class="pagenum" id="Page_253">[253]</span> -il pseudonimo di un conterraneo di Gioachino si nasconda -qualcuno, che non vivea molto lontano dalla Curia avignonese -e ne divideva le speranze. Comunque sia, racconta -il nostro eremita che vivendo nelle solitudini di -Tebe presso Cosenza, dopo avere sparse molte lagrime -e durati parecchi digiuni per divenir degno di conoscere -il principio e il termine dello scisma; finalmente addormentatosi -in sull'aurora della Pasqua del 1386, gli apparve -un angelo dal volto verginale, dall'ali lucenti e -dell'altezza di due cubiti, che lo invitò a raccogliere i -libri di Gioachino e di Cirillo, se voleva conoscere il -segreto che tanto l'affannava. Destatosi l'eremita si mise -a cercare insieme con un suo compagno, Eusebio Vercellese, -le opere dei due profeti, e non solo quelle trovò -in gran copia, ma tutte le altre che vi ho testè citate. -Come si vede, il Cosentino, benchè gli appaiano gli angeli -dalle bianche vesti, non è neanche lui un profeta, -ma piuttosto uno studioso delle altrui profezie. E resta -altresì molto indietro ai predecessori suoi; poichè non -nelle sacre carte cerca di leggere l'avvenire, ma nelle -profezie più recenti, e non nelle autentiche, ma nelle -spurie, come a dire i falsi vaticini sui Pontefici, che egli -conosce sotto il nome di <i>Fiore</i>, e il falso commento alla -pretesa profezia di Cirillo. La sua ingenuità arriva anzi -a tal segno, da credere in buona fede che Gioachino, -morto nel 1202, abbia potuto commentare la profezia -Cirilliana, la quale, secondo Telesforo, sarebbe apparsa -nel 1264. Ma i profeti, che vedono tanto bene nel futuro, -non hanno l'obbligo di conoscere per filo e per -segno il passato. Alla luce di queste pseudo-profezie al -nostro eremita si rischiarano tutti i dubbi; ed ora legge -nell'avvenire come in un libro aperto. “Il presente scisma, -ei scrive, è nato dai vizi e dalle colpe della Chiesa, -che dei beni terreni apparve più sollecita che degli spirituali; -e non avrà fine se non al tempo dell'angelico -<span class="pagenum" id="Page_254">[254]</span> -pastore, che seguirà immediatamente alle presenti tribolazioni, -e rinunzierà spontaneamente a tutti i suoi possessi.„ -Dicevano in Avignone che la ragione del ritorno -della Santa Sede in Italia dovevasi ricercar nel desiderio di -riconquistare quel dominio temporale, che i principi e -le città collegate con a capo Firenze stavano per togliere -alla Chiesa. Ed aggiungevano che sarebbe stato -molto meglio subire tale spogliagione, che mettersi allo -sbaraglio di uno scisma. Anzi l'antipapa Clemente di -una gran parte del patrimonio di San Pietro avea costituito -un ducato in favore dell'Angioino, per riceverne -aiuto e difesa nelle presenti strettezze. Telesforo, andando -più oltre, aggiunge che il successore di Clemente, -o il Papa Angelico, non ad una parte sola dei possessi -suoi rinunzierebbe, ma bensì a tutti. Se non che prima -che spunti questo avventuroso giorno nuove calamità -sovrasteranno ai fedeli, e dalla Germania sorgerà, secondo -un'antica leggenda tedesca, un terzo Federico, -della semente del secondo, il quale, non meno infesto -alla Chiesa, pugnerà contro la Francia, come un tempo -Manfredi contro Carlo d'Angiò, e più fortunato di lui -riuscirà a menare prigione il re francese. Ma non tarderà -molto, che le sorti della guerra muteranno e l'imperatore -tedesco sarà sconfitto e l'impero stesso passerà -nelle mani di re Carlo di Francia, il quale, stretto in -intimo accordo col Papa Angelico, dominerà tutto il -mondo cristiano, sconfiggerà i Saraceni, convertirà i -Tartari, e la Chiesa greca unirà con la latina. Nel qual -tempo si verificherà l'antica profezia di un solo ovile e -di un solo pastore, e per lunga pezza la pace sorriderà -agli uomini. Nè qui si arresta l'incauto profeta, ma -discorre ancora dei successori del Papa Angelico, che -saranno in numero di tre, dopo i quali il Diavolo sarà -sciolto di nuovo, e verrà l'ultimo Anticristo, che con -doni ed incanti sedurrà il popolo dei credenti; dopo di -<span class="pagenum" id="Page_255">[255]</span> -che seguiranno la finale catastrofe e il giudizio universale. -Di tutti questi avvenimenti, dei quali neppur uno -si è verificato, è così certo il nostro eremita da snocciolarvene -le date con precisione matematica. Lo scisma -avrebbe fine nel 1417, e nel 1432 sarebbe legato Satana, -e tra altri 420 anni dal 1386, vale a dire nel 1806, sarebbe -accaduto il giudizio universale. Siamo, come si -vede, in piena decadenza della profezia. Telesforo è un -commentatore di commentatori; e non si contenta se non -quando ha colmate tutte le lacune, assegnate tutte le -date. La sua profezia è un libro di partito, scritto per -rincorare i suoi, ed accertarli che, non ostante i rovesci -e le sconfitte, la vittoria finale non sarà per mancare. -Non gl'importa che di lì a poco tempo il fatto possa -smentirlo. Quel che preme ora, è non perdersi d'animo; -e nulla giova tanto ad assicurare la vittoria, come la -piena fiducia di doverla conseguire. -</p> - -<p> -Il libro di Telesforo ebbe un grande ed immeritato -successo; e sei anni dopo che fu pubblicato, vale a dire -nel 1392, Enrico di Langstein ne scrisse una confutazione -stringente. Ed Enrico era uno dei più dotti teologi -del tempo e vice-cancelliere dell'Università di Parigi, -e nello scisma ebbe una parte importantissima; perchè -sostenne validamente non potersi comporre il conflitto, -se non a patto che entrambi i papi deponessero il loro -potere e lasciassero ad un Concilio la cura della nuova -scelta del pontefice e della sospirata riforma della Chiesa; -idee che, svolte poi dal Gerson, trionfarono nel Concilio -di Costanza. Orbene quest'uomo, così dotto e così pratico, -non ebbe disdegno di combattere le profezie del -preteso Telesforo. E la ragione sta in questo, che tutti -in quel tempo erano inclinati ad accogliere le voci profetiche. -Lo stesso Enrico, se non presta fede a tutte le -puerilità dell'Eremita, se gli rimprovera di attingere a -sorgenti impure e non approvate dalla Chiesa, crede -<span class="pagenum" id="Page_256">[256]</span> -però anch'esso nella prossima venuta dell'Anticristo; e -di Arnaldo di Villanova fa tanto conto che lo mette a -pari di santa Ildegarde, la Sibilla tedesca come ei la -chiama, e rimprovera Telesforo di non averne conosciute -le opere. -</p> - -<p> -Parimente nella prossima venuta dell'Anticristo crede -un altro teologo, Niccolò Oresme, precettore del re -Carlo V di Francia. Mandato dal re francese alla Curia -pontificia in Avignone, vi tenne un ardito discorso predicente -lo scisma, e liberatosi poscia dall'accusa di eresia -con tale vantaggio da meritare il vescovato di Lisieux, -seguitò a meditare sui destini dell'umanità, e pur combattendo -le dottrine gioachimite intorno alle tre età e -all'Evangelo eterno, si fece a dimostrare in un libro -<i>De Antichristo</i>, scritto, a quel che sembra, allo scoppiare -dello scisma, che fra non molto si verificherebbero le -terribili profezie dell'Apocalisse, stando almeno a parecchi -indizi, tra i quali è da contare il pressochè compiuto -annichilamento dell'Impero, la tepidezza della carità, la -dissolutezza e la simonia dell'alto clero, il pullulare di -nuove eresie, e più che tutto l'apparizione di quei falsi -profeti che sono i Gioachimiti. Ed enumerati ad uno ad -uno questi segni precursori, il dotto prelato si fa a -descrivere il futuro Anticristo, che nascerà in Giudea -e coll'apparenza della santità e con larghi donativi si -guadagnerà molti cristiani, allontanandoli dalla vera -fede, e fattosi eleggere loro re, perseguiterà a morte gli -ortodossi, e con alterna vicenda di sconfitte e vittorie -travaglierà tutto il mondo, finchè Cristo stesso non scenderà -in terra per levarlo di seggio e cacciarlo in inferno -con tutti i suoi seguaci. -</p> - -<p> -Non meno convinto della vicina catastrofe era quel -Domenicano spagnuolo ricordato più sopra, Vincenzo -Ferrer, che nelle sue predicazioni e in una lettera indirizzata -al papa avignonese Benedetto XIII il 27 luglio -<span class="pagenum" id="Page_257">[257]</span> -1412 affermava dover coincidere la venuta dell'Anticristo -con la fine del mondo, ed essere imminenti e l'una -e l'altra; poichè già da cento anni ai beati Domenico e -Francesco era stato rivelato che tre spade percuoterebbero -la terra, vale a dire la persecuzione dell'Anticristo, -la conflagrazione, e il giudizio universale. Inoltre nell'Apocalisse -è detto che Satana, dopo mille anni dacchè -fu legato, sarà sciolto di nuovo e sguinzagliato contro i -fedeli. E Satana fu legato non alla venuta di Cristo, -come dicono alcuni, ma ben piuttosto al tempo del beato -Silvestro, quando l'Impero romano si convertì alla nuova -fede e il paganesimo fu vinto. Da quel tempo i mille -anni sono già trascorsi, e l'estrema ruina si appresta -<i>cito et bene cito ac valde breviter</i>; e gli stessi ordini religiosi, -il Domenicano e il Francescano, istituiti per ritardarla, -sono pressochè distrutti, poichè è venuta meno -la rigida osservanza delle loro regole. Le opinioni apocalittiche -erano state fino allora proprie del sodalizio -francescano, e della parte più esaltata degli spirituali; -ora penetrano nell'ordine domenicano; e dopo Vincenzo -Ferrer un altro predicatore, Manfredo di Vercelli, le va -spargendo per l'Italia settentrionale, traendo seco le -turbe atterrite. -</p> - -<p> -Ma questi tetri pronostici fallirono alla lor volta del -tutto; anzi composto a Costanza il grande scisma, e -vinto senza fatica l'altro che vi tenne dietro a Basilea, -il papato parve sorgere a nuova vita e riprendere il -prestigio goduto ai giorni d'Innocenzo III e di Gregorio -IX. Senonchè l'attento osservatore sotto l'apparenza -ingannatrice non tardava a scoprire i segni di nuovi -mali. La Curia non era più, come in Avignone, alla -mercè del re di Francia; ma la corruzione, tanto rimproverata -alla Corte avignonese, non era scomparsa -sotto altro cielo. E per un certo rispetto pareva si andasse -di male in peggio; poichè ora con cinico sorriso -<span class="pagenum" id="Page_258">[258]</span> -si mettevano a nudo le proprie brutture, e le facezie di -Poggio Bracciolini trovavan lieta accoglienza nelle stesse -sale del Vaticano. Aggiungi che al cessare degli scismi -lo spirito cristiano non che informare uomini ed istituzioni, -pareva invece soffocato dal rifiorire della cultura -pagana e dalla ognor crescente miscredenza, e la stessa -Curia pontificia aveva a segretari uomini, che eglino -per i primi non prestavano fede ai brevi ed alle bolle -da loro distesi come saggio di elegante latineggiare. Infine -un'altra piaga si riapriva nel seno della Chiesa, e -più maligna delle precedenti, il nepotismo, che da Paolo II -a Sisto IV divenne sempre più minaccioso, e con Alessandro -VI non conobbe più modo nè misura. -</p> - -<p> -In queste condizioni, quando le sorti della Chiesa parevano -disperate, e lo stesso Vicario di Cristo era accusato -a torto o a ragione delle tresche più scandalose, -tonò potente la voce di Gerolamo Savonarola. In lui la -profezia dal basso loco, in che era caduta, assurge novamente -a sublimi fastigi. Al pari dei suoi predecessori -egli lavora d'interpretazioni e di commenti sui libri profetici -del Nuovo e del Vecchio Testamento; l'Apocalisse, -i Profeti e il libro dei Salmi sono i suoi testi prediletti. -Se non che non parla più, come i predecessori -suoi, della prossima venuta dell'Anticristo e della fine -del mondo, ma solo dell'imminente rinnovazione della -Chiesa. E i suoi vaticini trae, come l'Oresme, da diversi -indizi, che ha cura di enumerare ad uno ad uno -nella famosa predica del 14 gennaio 1494. “Hora, egli -dice, cominciamo dalle ragioni che io t'ho alleghate da -parecchi anni in qua, che dimostrano et pruovano la -renovatione della Chiesa. Alchune ragioni sono probabili, -che gli si può contradire, alchune sono demonstrative, -che non se gli può contradire, perchè son fondate nella -scriptura sancta. La prima è <i>propter pollutionem prelatorum</i>. -Quando tu vedi un capo buono, dì che il corpo -<span class="pagenum" id="Page_259">[259]</span> -sta bene. Quando el capo è captivo guai a quel corpo. -Però quando Dio permecte che nel capo del reggimento -sia ambitione, luxuria et altri vitii, credi che il flagello di -Dio è presso.... La terza <i>per exclusionem istorum</i>. Quando -tu vedi che alchuno Signore o capo di reggimento non -vuole e buoni et onesti appresso, ma gli cacciano, perchè -non vogliono che gli sia dicta la verità, dì che il -flagello di Dio è presso.... La <i>sexta propter multitudinem -peccatorum</i>. Per la superbia di David fu mandata la -peste. Guarda se Roma è piena di superbia, <i>luxuria -et avaritia et simonia</i>. Guarda se in lei multiplicano -sempre li captivi et però dì che il flagello è presso.... -Tu dirai: O egli c'è tanti religiosi e tanti prelati più -che ne fussi mai. Chosì ce ne fussi mancho. O cherica, -per te <i>orta est hæc tempestas</i>! Tu se' cagione di tucto -questo male et oggidì ad ogni uno gli pare essere beato -chi ha el prete in casa; et io ti dico che verrà tempo -che si dirà: <i>Beata quella casa che non ha cherica rasa.</i> -La decima è <i>propter universalem opinionem</i>. Vedi ognuno -che pare che predichi et aspecti el flagello et le tribolatione.... -Lo abbate Joachino et molti altri predicano -et annunziano che in questo tempo ha advenire questo -flagello.„ -</p> - -<p> -Il Savonarola adunque non diversamente dai suoi predecessori -è un profeta più di riflessione che d'ispirazione, -e nelle previsioni sue l'ermeneutica biblica e le -dottrine teologiche hanno la parte preponderante, come -in quelle dell'abate Gioachino, che egli stesso cita. Ma -ciò non pertanto a scoprire nelle sacre carte il senso, -che agli altri sfuggiva, occorrevagli una singolare attitudine -o un'illuminazione dall'alto. E questo dono singolaro -nessuno più del Savonarola è convinto di averlo. -“Chi dubiterà — egli scrive — che il giglio sia bianco -se non il cieco?... Le cose avvenire appariscono tanto -chiare nel lume della prophetia, che colui il quale ha -<span class="pagenum" id="Page_260">[260]</span> -tal lume non può avere dubitatione alcuna„. “Et dicoti -che si verificherà ancora il resto che non fallirà -una iota et io ne so certo più che non sei tu che due -e due fanno quattro, et più che io non so certo che io -toccho questo legno di pergolo, perchè quello lume è più -certo che non è senso del tacto. Credimi, Firenze; tu -dovresti pur credermi, perchè di quel che t'ho decto -non ne hai veduto fallire una iota fino a qui, et anco -per l'avenire non ne vedrai manchare niente„. A lui -non sembra come a santa Brigida e a santa Caterina di -avere diretti colloqui con Cristo o con la Vergine, nè la -sua fantasia sa levarsi alle grandiose rappresentazioni di -Ezechiello e dell'autore dell'Apocalisse. Anzi talvolta -l'arte gli fa tanto difetto, che cade nel trito e nel minuto, -come in una descrizione del Paradiso inserita nel -compendio delle Rivelazioni. Ma senza dubbio lampi di -vero genio guizzano talvolta nelle sue prose e nelle sue -poesie. E talune delle visioni sue colpirono talmente i -contemporanei, che furono riprodotte in molte incisioni, -come quella apparsagli nell'anno MCCCCLXXXXII, “la -nocte precedente all'ultima predicatione che fue in Sancta -Reparata, quando vide una mano in cielo con una -spada sopra la quale era scripto: La spada del Signore -colpirà tosto e veloce. E da poi questo la mano rivolse -la spada verso la terra et subito parve che si rannugholassi -tutto l'aere et che piovessi spade et gragnuola -con grandi tuoni et saette e fuochi et fu in terra facto -guerra pestilenza et carestia„. Non c'è nulla di strano -che queste visioni ei l'abbia avute realmente. La sua -fantasia, piena di ricordi biblici, non posava mai, il suo -corpo estenuavano i digiuni e le fatiche della predicazione, -il suo animo combattevano speranze e timori -senza fine. Non erano fredde lucubrazioni le sue, ma -sensazioni potenti che sentiva nel più profondo dell'essere -suo prima di comunicarle agli altri. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_261">[261]</span> -</p> - -<p> -Se non che il Savonarola non era soltanto un mistico -ed un veggente, ma possedeva altresì uno squisito senso -della realtà; e gran parte delle previsioni sue, come -quelle intorno alla discesa di Carlo VIII ed all'espulsione -dei Medici, si dovevano, più che alla sua natura -profetica, alla conoscenza profonda, che egli aveva degli -uomini e delle cose. Certo nessuno meglio di lui seppe -consigliare ai Fiorentini, tornati liberi, la forma di governo -più opportuna. E nessuno vide meglio di lui che -la repubblica non sarebbe durata se non ad un patto, -che si fossero rappaciati gii animi e scordate le antiche -offese. Nella sua grande anima il Savonarola riunisce le -doti e le tendenze più disparate. E se nei suoi vasti disegni -pensava alla Chiesa tutta, che avrebbe dovuto -tornare alla severità degli antichi costumi, non trascurava -le sorti degli Stati, non meno bisognosi di riforme -della Chiesa stessa, a cominciare da Firenze, la patria -di adozione, che esercitava su di lui, come su tutti noi, -il suo fascino irresistibile. Ed a Firenze avea consacrata -non piccola parte dell'opera sua fin da quando, chiamato -al letto del morente Lorenzo, non volle, a quel che -raccontano, udirne la confessione se prima non avesse -promesso di ridare la libertà alla sua patria. Le due -riforme andavano, secondo lui, strettamente congiunte, -perchè si potesse ritornare a quel tempo glorioso, quando -i più rigidi e intemerati papi stavano al governo della -Chiesa, e la Chiesa stessa era l'anima dei liberi comuni. -Senonchè quella età era ben lontana, e la storia, per -sforzi che si facciano, non torna indietro. Le due riforme, -che il frate di San Marco congiungeva nel suo -pensiero, si recavano vicendevole impaccio, come i fatti -dimostrarono ben presto. Secondo l'austero riformatore -Firenze, conquistata la libertà e il governo di sè, dovea -ora rinnovare la sua coscienza, e da pagana che era, in -gran parte, rifarla cristiana. Nè aveva a tollerare più a -<span class="pagenum" id="Page_262">[262]</span> -lungo quei canti e quelle feste carnescialesche, onde fu -celebre il governo di Lorenzo, e lo Stato, prendendo il -luogo della Chiesa, dovea punire come infrazioni delle -leggi sue quelli che la Chiesa condannava come peccati. -Cristo dovea assere il re di Firenze, e in suo nome -aveasi a riformar la città. Le quali idee del frate tornavano -ostiche, non solo ai partigiani dei Medici, ma ben -anche ad una parte degli aderenti all'ordine nuovo, -che mal pativa la città si governasse dal pergamo, con -metodi e con idee fratesche. E quando il Savonarola -concepì l'infelice disegno di fare accendere in piazza -della Signoria un gran fuoco per bruciarvi quanti oggetti -di lusso o di vanità fosse dato raccogliere, le loro -rampogne non conobbero misura, e l'odio contro il frate -crebbe a tal segno, che la parte dei repubblicani, a lui -ostili, fu detta degli Arrabbiati. Dall'altro lato se la religione, -secondo la mente del Savonarola, dovea informare -lo Stato fiorentino così da dargli sembianza di teocrazia, -lo Stato alla sua volta aveva da esercitare un'azione -non meno potente sulla religione; poichè da Firenze, -che è, come egli dice, l'ombelico d'Italia, doveva -sprigionarsi la scintilla del grande incendio della Riforma. -Ed anche da questo lato non potevano tardare i disinganni; -perchè la parte politica del Savonarola avea da -sostenere l'urto non pure dei nemici interni, ma di un -avversario ancor più potente, qual era il Papa, che impersonava -la gerarchia. Nè ci voleva molto a prevedere -che nell'impari lotta contro la doppia potestà temporale -e spirituale, ne andrebbe fiaccata. E il Savonarola stesso -lo sa, e con mirabile divinazione predice che la prima -vittima sarà lui; ma un fato lo trascina ed egli non sa -resistere. -</p> - -<p> -Non è dubbio, dicemmo, che la propaganda del mistico -profeta dovesse recare non poco danno all'opera politica -da lui intrapresa, e non è dubbio altresì che danno non -<span class="pagenum" id="Page_263">[263]</span> -minore dovesse recare l'inframmettenza politica al disegno -di riforma religiosa. In che stesse codesta riforma -è manifesto. Il Savonarola, al pari dei profeti che lo precedettero, -non intende di toccare nessun punto del domma, -e quelli che, a cominciare da Lutero stesso, ne vogliono -fare un precursore della Protesta, s'ingannano di gran -lunga. Ei voleva solo che la Chiesa si lavasse dalle brutture -presenti, che sulla cattedra di San Pietro sedesse -un papa santo, non diverso dal Papa Angelico vagheggiato -dalle età precedenti, e che la corruzione provenuta -dall'avidità di ricchezze e di potere cedesse il campo alla -povertà e alla semplicità primitiva. La prima riforma -che il Savonarola intraprese in piccolo, quando ottenne -che il convento di San Marco, sottraendosi alla giurisdizione -del provinciale lombardo, si ponesse a capo della -nuova provincia toscana, fu appunto questa d'introdurre -nell'interno del chiostro domenicano la stretta regola -della povertà evangelica, presso a poco come la intendevano -i Francescani spirituali. Ma la conseguenza logica -di questo indirizzo più severo sarebbe stata appunto di -vietare che gli uomini di Chiesa si mescolassero nelle -cose dello Stato. Il che mal s'accordava col fatto che un -frate fosse a capo di una parte politica, qual era quella -dei Piagnoni. Evidente contraddizione questa che ebbero -ben cura gli avversari di mettere in piena luce. Invano -il Savonarola adduceva l'esempio del cardinale Latino, -di santa Caterina da Siena e di sant'Antonino arcivescovo -di Firenze. Indarno protestava non essersi delle -faccende dello Stato in particolare mai impacciato, e solo -le norme generali del governo aver suggerito per la salute -temporale e spirituale dei Fiorentini. Le sottili distinzioni -non gli giovavano. E per vincere l'ardua prova -di condurre a buon fine le due riforme, che mal s'accordavano -insieme, sarebbe occorsa a Firenze maggiore -forza e più robusta fede di quella che avesse in realtà. -<span class="pagenum" id="Page_264">[264]</span> -Per fermo era un sogno, che questa piccola repubblica, -stretta intorno da tanti e così diversi nemici, potesse -alla lunga resistere alle minacce di Roma. Oltre a che -il Savonarola avea da combattere contro un pontefice, -che, se dava ogni giorno nuova materia a scandali e -maldicenze, vinceva tutti in scaltrezza, e che anche questa -volta non si smentì. Non appena Alessandro sente -che un frate fiorentino osa dal pergamo sparlare di lui -e del suo governo e predicare l'imminenza della Riforma, -lo chiama a Roma con lettera affettuosa e allettatrice. -Scusatosi il Savonarola di non potersi muovere e per lo -stato di sua salute e per le condizioni della città, gli -vieta di predicare più oltre. Fallitogli per insistenza della -Signoria fiorentina anche questo provvedimento, delibera -di distruggere l'autonomia, da lui stesso concessa, del -convento di San Marco, e di assorbire la nuova provincia -toscana in una più larga, che prende il nome di -tosco-romana, il che voleva dire mettere San Marco e -il guardiano suo nelle mani di una creatura del Papa. -Nè il Savonarola nè i suoi dipendenti si piegano al duro -decreto, ed Alessandro VI alla sua volta non tarda a -scomunicarli tutti come ribelli agli ordini suoi, e chiedere -al governo fiorentino di assicurarsi del loro capo, -se non voleva rendersene complice, ed incorrere nell'interdetto. -Queste gravi misure non disanimavano il Savonarola, -che dopo breve intervallo di silenzio ritorna -sul pergamo e dichiarata nulla e vana la scomunica, ribadisce -le sue profezie, sempre più convinto che non un -iota, com'ei diceva, ne fallirebbe. “O uomini religiosi, -esclama nella predica del 25 febbraio 1497, o Roma, o -Italia, e tutto il mondo chiamo, fatevi innanzi. Questo -che io dico o è da Dio o no. Se è da Dio voi non potete -impugnarlo, e se impugnate, perderete con vostro -danno; se non è da Dio mancherà presto per sè medesimo.„ -E più gravemente in quella del 18 marzo: “Dico -<span class="pagenum" id="Page_265">[265]</span> -che quando è guasta la Chiesa, non è potestà ecclesiastica, -ma è potestà infernale e di Satanasso. Io ti dico -che quando ella adiuta le meretrici, li cinedi et li ladroni -et perseguita e buoni et cercha di guastare el ben vivere -christiano, allora ella è potestà infernale et diabolica, -et hassegli a fare resistenza„. Era guerra aperta e a ferri -corti, e il Savonarola non disperava di vincerla. In una lettera -ad un amico ricorda che i concili di Pisa e di Costanza -aveano stabilita la superiorità della Chiesa tutta, rappresentata -dal Concilio sul Papa, e il dritto di deporlo, -dove si fosse chiarito indegno di tenere l'alto seggio. Dottrina -già sostenuta un tempo da Marsilio da Padova e -dall'Occam, e più di recente difesa dal Langstein, dal -Gerson, dal Piccolomini, dal Cusano. E al Gerson il Savonarola -s'appella, e spera che il re di Francia o l'imperatore -dei Romani, o tutti insieme bandiscano un Concilio, -che ponga fine agli scandali e alle simonie. E nello -stesso collegio cardinalesco si affida di trovare aiuto, specie -nel cardinale della Rovere, che fu poi Giulio II, il -quale pubblicamente accusava il Papa di aver compra -la tiara a contanti. -</p> - -<p> -Ma tutti questi calcoli erano sbagliati. Le teorie di Pisa -e di Costanza, se non pubblicamente condannate, furono -ferite a morte dopo lo scacco del Concilio di Basilea e -la sottomissione dell'antipapa da questo nominato. E gli -uomini più eminenti, come il Cusano e il Piccolomini, -ebbero a ricredersene anche prima che l'uno fosse fatto -cardinale di San Pietro in Vincoli, e l'altro assumesse -la tiara col nome di Pio II. Nè era credibile che il disegno -fallito a Basilea, d'introdurre nella Chiesa in luogo -del monarcato assoluto un governo a larga base, potesse -riescire ora che le condizioni vi si prestavano meno. -Certo è che quando il Savonarola levò il suo grido contro -quel papa, che la Chiesa stessa deplora d'aver avuto a -capo, nessuno lo raccolse, e gli Arrabbiati seppero ben -<span class="pagenum" id="Page_266">[266]</span> -cogliere l'occasione delle minaccie papali per sbalzare di -seggio la parte politica devota al Frate. Nè solo i politici -gli si mossero contro, ma benanche la maggior parte -del clero con i frati minori alla testa, i quali sfidarono -il Profeta di provare la verità delle predizioni sue coll'esperimento -del fuoco. Il Savonarola non voleva accettare -la strana sfida, che sapeva bene non essere se non -un tranello; ma il suo fido compagno fra Domenico, convinto -della bontà della loro causa, l'accettò e sarebbe -certo entrato nel fuoco, se il Minorita si fosse fatto innanzi. -Costui però, come era da prevedere, non si presentò, -il truce spettacolo non ebbe luogo, e la gran folla -adunata in piazza della Signoria per assistervi, a tarda -sera si sciolse indispettita e minacciosa. Da quel giorno -la sorte del Savonarola era decisa. Ben presto fu dato -l'assalto al suo convento, e vinta facilmente la debole -resistenza, che una parte dei Piagnoni ancora opponeva, -fu tratto in prigione, come volgare malfattore, quell'uomo -dalle cui labbra pochi giorni innanzi pareva che il popolo -tutto pendesse. La Signoria non volle consegnarlo -al Papa, ma dopo lunghe trattative ottenne che il processo -fosse fatto in Firenze e vi prendesser parte i magistrati -fiorentini. -</p> - -<p> -Potrebbe sembrare strano come il Governo tanto tenesse -ad istruire un processo, senza dubbio più ecclesiastico -che civile e per la qualità delle persone e per -l'indole stessa dell'accusa di ribellione al Papa, i cui ordini -non furono eseguiti, le scomuniche sprezzate. E la -Signoria stessa ebbe a ricorrere ad una menzogna per -giustificare l'opera propria, asserendo, nell'intestazione -degli atti processuali, che i giudici da lei scelti procedevano -per conto e per mandato del Papa, mentre questi -non avea potuto avere il tempo di manifestare la volontà -sua. Perchè tanta insistenza? La ragione è chiara. -La Signoria, sotto al processo ecclesiastico, ne ordiva -<span class="pagenum" id="Page_267">[267]</span> -uno politico, e non solo il Savonarola voleva colpire, ma -tutta la sua parte. E sperava che il Profeta, innanzi al -quale fu visto allibire lo stesso Lorenzo dei Medici, smentisse -sè stesso, perchè, non solo scomparisse dalla scena -politica, ma ne fosse per sempre macchiata la fama, e -passasse appo i posteri quale impostore, nè fosse possibile -che la parte, della quale egli era anima e mente, -riprendesse lena e del di lui nome si giovasse. A tale -scopo non fu risparmiato nessun mezzo. Furono somministrati -all'infelice in un solo giorno tre tratti e mezzo -di fune, che gli slogarono le ossa e sconciarono la mano -destra, furono alterati i verbali delle sue risposte, mandati -in giro con glosse, che, guastando il senso, rivelavano -con la nequizia l'inabilità del notaio che le stese. -Ed i Signori ottennero in parte l'intento loro. Il Savonarola -già nel pieno trionfo della sua carriera non è sempre -sicuro di sè. Dice bene spesso che le sue rivelazioni -le ebbe da Dio, e ribatte tutti gli argomenti degli avversarii -che il dono profetico gli volevan contrastare; -ma talvolta dichiara di non essere nè profeta nè figlio -di profeta, e che tutto quel che dice lo ha ricavato dallo -studio attento delle sacre carte, che ogni uomo di qualche -levatura può fare. In lui, come in tutti i presaghi -dell'avvenire, non di rado con la fiducia piena s'alterna -il profondo scoraggiamento. Non è dunque strano che -davanti ai suoi giudici, dopo aver sofferte le più atroci -torture e i più cocenti disinganni, sconfessi il suo dono -profetico. Talvolta il primo uomo risorge e si ribella -alle sue stesse confessioni, come in queste memorabili -parole pronunziate il 20 maggio 1498 nell'apparecchiarsi -ancora una volta alla tortura: “Hor su uditemi: Dio, -tu m'hai colto, io confesso che ho negato Christo, io -ho detto la bugia. Signori Fiorentini, siatemi testimoni, -io l'ho negato per paura di tormenti; s'io ho a patire, -voglio patire per la verità; ciò che io ho detto l'ho -<span class="pagenum" id="Page_268">[268]</span> -havuto da Dio; Dio tu mi dai la penitenza, per averti -negato per paura di tormenti, io lo merito.„ Ma questo -ritorno fu un lampo. Dimandato in sulla fune sconfessò -le dichiarazioni sue e nel giorno seguente confermò di -aver detto “come huomo passionato, e che voleva sbrigarsi -da una gran briga„. Il 23 maggio 1498 egli ed i -suoi compagni, fra Domenico e fra Silvestro, furono degradati -e consegnati al braccio secolare, e alle dieci del -mattino le livide fiamme del rogo ne accolsero i cadaveri. -</p> - -<p> -I pensieri dominanti del Savonarola furono questi due: -la rinnovazione della Chiesa e la libertà del popolo fiorentino; -l'una da promuovere, l'altra da stabilire e difendere. -E i principi della Chiesa e i signori del popolo si -strinsero insieme per darlo al rogo, vittima espiatrice -delle sue grandi aspirazioni. Con la morte del Savonarola -la Profezia ammutisce, nè più si ode, fuorchè a un -secolo di distanza negli insipidi vaticini dello pseudo-Malachia, -e nella debole eco di un altro domenicano, uomo -politico anch'esso, fra Tommaso Campanella. Negli anni -che seguono al martirio del Ferrarese, l'ora del tremendo -giudizio non s'attende più, è già suonata. Ma nessun profeta -l'annunzia, e quando più fervono le lotte religiose, -e torrenti di sangue dilagano per l'Europa, nessuna voce -risuona a confortare gli animi con la promessa di giorni -migliori. Simili ai dannati danteschi, i profeti di cui vi -ho ricordate le strane visioni, a furia d'aguzzar gli occhi -nel futuro, brancolano come ciechi nelle tenebre, quando -si tratti del presente: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i02"> Noi veggiam, come quei c'ha mala luce,</p> -<p class="i01">Le cose, disse, che ne son lontano,</p> -<p class="i01">Cotanto ancor ne splende il sommo Duce;</p> -<p class="i02"> Quando s'appressano, o son, tutto è vano</p> -<p class="i01">Nostro intelletto, e s'altri noi ci apporta</p> -<p class="i01">Nulla sapem di vostro stato umano.</p> -</div></div> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_269">[269]</span> -</p> - -<h2 id="pittura">LA PITTURA DEL 400 A FIRENZE</h2> - -<p class="center"> -DI -</p> - -<p class="center large"> -DIEGO MARTELLI. -</p> -</div> - -<p class="pad2 indl"> -<i>Donne gentili, onorandi signori</i>, -</p> - -<p class="pad2"> -Nell'anno passato mi presentavo a voi con somma trepidazione; -giacchè un pubblico fiorentino e specialmente -un pubblico come il vostro, è uno dei più imponenti giudici -avanti ai quali si possa presentare colui che ha in -animo di perpetrare una conferenza. Pur tuttavia uno -stimolo forte mi ha mantenuto saldo al mio posto. La -vecchierella che portava i suoi 76 anni come un giocondo -fardello di serene rimembranze, mi stava allora -vicina; quella povera donna era mia madre, quella vecchierella -racchiudeva in un corpo esile e sottile, lo posso -dire con orgoglio, l'anima d'un eroe. Quindi nessuna debolezza -mi era permessa, io doveva fare la mia conferenza -e la feci, la vostra gentilezza l'accolse, ed eterna -ne rimase in me la gratitudine. Quest'anno con vento -fresco da poppa avrebbe dovuto volare verso i suoi ponenti -gagliarda la navicella dell'ingegno mio; ma fu -colta dalla bufera: quella povera vecchia non è più qui, -e voi non avete che gli avanzi d'un triste naufragio davanti -agli occhi. Questo mi raccomandi alla vostra benevolenza. -Io mi sento stretto dappresso dalla immagine -d'una quantità di cari estinti e l'arte pure ne perse di -<span class="pagenum" id="Page_270">[270]</span> -recente, e dei grandi, voglio dire del nostro Barabino e -del nostro Cassioli, e fra i colleghi della società, delle -letture, io più non veggo in questa sala quell'attento -Dogliotti, il quale veniva qui con l'animo ingenuo d'un -giovane discepolo. Quell'uomo così grande, così buono, -che aveva tutte le fidanze di un fanciullo, voi lo sapete, -sta nella storia italiana col core d'un Baiardo. -</p> - -<p> -Ciò posto, cercherò alla meglio di svolgervi l'argomento -che mi sono proposto, accennando ai principali pittori -del 400 fiorentino. È da avvertire però che tra le peripezie -che incolsero gravi alla società delle letture nell'anno -passato, vi fu anche quella della malattia del -nostro egregio amico Enrico Panzacchi. -</p> - -<p> -Così voi sentiste parlare dell'arte pisana, di quei grandi -scultori, pittori ed architetti da me; de' primordi dell'arte -veneta splendidamente da Pompeo Molmenti; ma fu passato -sopra al nome di Giotto, il quale veramente appartiene -al secolo XIV e non al secolo XV di cui dobbiamo -ora parlare. E io comincierò la mia conferenza rammentandovi -qualche cosa delle opere e del grande nome di -lui; questo mio rammentare sarà come bandiera che si -inchina riverente passando davanti ad uno dei santi padri -dell'arte italiana. -</p> - -<h3>I. -<span class="smaller"><span class="smcap">Giotto</span>.</span></h3> - -<p> -Nel 1265 nasceva Dante; a pochi anni di distanza nasceva -il pastore di Bondone, Giotto. Il Guerrazzi, commentando -alcuni dei lavori di Giotto, con quella sua -splendida ed immaginosa facondia, dice che le nostre -preghiere, le preghiere degli umani, quando salgono dalla -terra al cielo vanno su faticosamente e tremanti, in -<span class="pagenum" id="Page_271">[271]</span> -modo che arrivano all'empireo stanche e rovinate dal -lungo cammino; là sono raccolte dagli angeli della misericordia -che le presentano al Signore. Egli quando le -vuole esaudite abbassa il ciglio alla terra e guarda una -madre; e con quello sguardo, dice il Guerrazzi, infonde -tale una virtù nell'alvo materno che cotesto felice portato -ritraendo in sè parte grandissima della divinità esce -a suo tempo al mondo per conforto ed onore della specie -umana. -</p> - -<p> -In questo modo e per questa causa nacquero Dante -e Giotto. E infatti Giotto, che fu di Dante amicissimo, -col quale certamente s'incontrò mentre l'uno peregrinava -per le sue sventure, e l'altro peregrinava chiamato -dai grandi a decorare sontuosi edifici, fu di conforto all'esule -che potè rivedere l'amico pittore e parlare con -lui di cose divine d'arte e di patria. Giotto, non occorre -dirvelo, ha lavorato immensamente come pittore, ed ha -decorato monumenti a Napoli, ha lavorato nella chiesa -di Assisi, ed un gioiello ha pure lasciato nell'alta Italia, -nella cappella degli Scrovegni. -</p> - -<p> -Io credo che si possa dire di Giotto, che come Dante, -dagli sparsi conati del volgare italiano, seppe col suo potente -ingegno formulare quella cantica divina che resta -come il primo, più grande e impareggiabile monumento -del nostro idioma; così, tenuto conto dei tempi e delle -circostanze, Giotto dalla eredità dei Bizantini, dall'eredità -dei primi pittori italiani, portò l'arte a una tale perfezione -che veramente si può dire ch'egli determinasse -il principio del vero, del grande risorgimento italiano. -Fu colto ed arguto, perchè è impossibile che un uomo -di ingegno non senta il bisogno di estendere le proprie -cognizioni all'infuori della tecnica del mestiere che esercita; -e fino dai tempi di lui noi vediamo caratteristica -principale dell'artista la universalità dell'opera sua, inquantochè -se Giotto fu pittore eminente, se principalmente -<span class="pagenum" id="Page_272">[272]</span> -nella pittura si esercitò il sapere suo, pur tuttavia -il campanile che ammirate nella piazza del Duomo, dice -quanto egli fosse un architetto valente. Ora essere un -architetto valente per me vuol dire essere artista per -eccellenza, imperocchè se nella fatica della specializzazione, -tutte le arti hanno dovuto dividersi e suddividersi -in modo che oggi si abbiano non più, come un tempo, -artisti, sempre universali, i quali principalmente erano -pittori, o principalmente architetti, o principalmente scultori, -pur tuttavia l'arte resta sempre una cosa unica e -sola, e per conseguenza ha il carattere della universalità. -</p> - -<p> -Ora questo carattere di universalità sopra tutte lo ha -l'architettura che è l'arte madre, l'arte che si serve dei -colori dei vari materiali per ottenere i suoi effetti; e di -che splendida tavolozza si giovi ce lo dice il Duomo di -Firenze; essa è l'arte essenzialmente delle linee, l'arte -essenzialmente delle proporzioni e del chiaroscuro. Dunque -se nella pittura di Giotto si possono con poco piacere -vedere gli errori che la tecnica, non ancora perfezionata, -metteva nell'opera sua, nelle sue architetture -perfette allora, perfette ora e perfette fino a quando resteranno -in piedi, voi avete l'espressione completa, assoluta -d'un ingegno che non ha rivali nel mondo. La -provvisione del magistrato fiorentino che lo nomina suo -architetto e lo propone alla fabbrica di Santa Maria del -Fiore parla così “<i>che in tutto l'universo, si dice, che non -vi sia nessuno il quale a sufficienza sia edotto delle cose -dell'arte da superare Giotto da Bondone, e per questa -ragione vien creato maestro di Santa Maria del Fiore -e delle fortificazioni della città....</i>„ -</p> - -<p> -Voi vedete che non solamente Giotto era un egregio -pittore, un egregio architetto, ma era anche, per le cognizioni -del tempo, un ottimo architetto di castrametazione, -cioè di architettura militare. Visitando a Padova -la cappella degli Scrovegni ho avuto la fortuna di vedere -<span class="pagenum" id="Page_273">[273]</span> -uno dei più preziosi ricordi dell'arte sua pittorica, -e in cotesto luogo, dove nella parte inferiore di questa -cappella, da un lato sono dipinte a chiaroscuro le sette -virtù, e dal lato opposto i sette vizi che a quelle si contrappongono, -m'è parso vedere quanto, fino da quel -tempo e similmente a Dante, Giotto sentisse della pura, -della vera arte classica antica. La Speranza effigiata in -profilo con delle ali non troppo robuste che vola verso -il cielo protendendo le mani ad una corona che gli viene -porta da un angioletto, ha tutto l'andamento d'un bassorilievo -etrusco, di quelle figure di angioli, che pur gli -Etruschi conoscevano, e che mettevano sui loro sarcofagi. -La figura della Prudenza colla bocca sbarrata da -una specie di lucchetto, con la mano sopra una spada -che poggia con la punta in terra, vestita d'un ampio -paludamento, con le pieghe mosse a modo di quelle che -coprono le statue delle Vestali romane, mi ha richiamato -all'idea, che come Dante aveva riconosciuto in Virgilio -il maestro suo ed era risalito all'antichità classica per -produrre il più classico monumento dell'età moderna, -così Giotto avesse dai pochi avanzi che allora si avevano -della santa antichità pagana tratto argomento a migliorare -l'arte sua, per quanto cristiana, mistica e modernissima. -</p> - -<p> -Giotto ebbe vita molto fortunata, imperocchè torno a -ripetere quanto avvertii nell'anno passato, che le discordie -intestine, laceranti in Italia le varie repubbliche, a tale -che Firenze bandiva dalle proprie mura Dante Alighieri, -non influivano gran cosa sull'arte. L'artista era festeggiato -per tutto, e quindi, sia nell'arte della letteratura, -sia nelle arti plastiche si formava quel gusto, quella parentela -italiana, la quale faceva che Italia, ad onta delle -sue immense e deplorabili divisioni, pur tuttavia si formasse -un gusto, ed una persona propria; persona tanto -grande, tanto splendida di bellezza e di gloria, che ad -<span class="pagenum" id="Page_274">[274]</span> -onta dei vizî e delle sventure mai non doveva perire -e ci doveva condurre come oggi siamo, a coacervare le -sparse membra, e poter dire: l'Italia è una nazione ed -un popolo intiero! -</p> - -<h3>II. -<span class="smaller"><span class="smcap">L'Angelico</span>.</span></h3> - -<p> -Salutata così la gran figura di Giotto entro più specialmente -a parlare dei pittori del 400. Parlare di tutti -è assolutamente impossibile, scegliere i più grandi mi -pare anch'essa ardua fatica ed impossibile cosa. È tanto -magnifica quella epoca, che perdersi nella quisquilia di -mettere quei giganti a rango di altezza è cosa troppo -difficile e nella quale mi dichiaro incompetente. Io prenderò -a parlare, perchè il tempo incalza e l'ora fugge, -di quelli che più mi sembrano caratteristici dell'epoca -loro, di quelli che forse maggiormente corrispondono al -mio sentimento individuale. -</p> - -<p> -Fra questi primeggia un altro Mugellese, Guido da -Vicchio, il quale nel 1407 veniva accolto novizio nell'ordine -dei Domenicani e nel convento di San Domenico di -Fiesole. Figlio di Pietro da Vicchio questo fraticello, che -nell'ordine prese il nome di Giovanni, ebbe poi ad essere -chiamato l'Angelico, perchè veramente sembrò ai -suoi contemporanei, ed anche ai presenti lo sembra, che -l'opera sua fosse opera d'Angelo o di ispirato da celestiali -apparizioni. Dei suoi maestri, di come egli entrasse -nella carriera della pittura poco o niente si sa; se non -che è certo che in quell'epoca nei conventi dei Domenicani -vi era una scuola speciale di miniatura per abbellire -ed alluminare i salteri ed i codici che servivano -per le orazioni della Chiesa. A me sembra che non occorra -<span class="pagenum" id="Page_275">[275]</span> -cercare di più; a coloro i quali ancora si domandano -dove e come l'Angelico imparasse a dipingere la -gran pittura, io rispondo, che se in quel convento si -studiava tanto e così bene da illustrare, come si illustravano, -salteri con delle miniature che sotto tutti i rapporti -sono quadri e valgono per quadri, è lì che egli ha -appreso i rudimenti dell'arte, ed è col suo solo ingegno -che li ha sviluppati fino al punto di fare i magnifici -freschi che decorano il Vaticano ed il convento di San -Marco; e ciò per quella gran ragione che l'arte in quei -tempi veniva quasi di getto, da tutte le parti si entrava -nell'arte, perchè essa era considerata una cosa sola, e -non esistevano quelle per me fatali divisioni, le quali la -spezzettano in mille modi, per fare dei mestieranti sempre, -degli artisti mai. -</p> - -<p> -Nel 1409 l'Angelico dovette lasciare, insieme coi suoi -compagni, il convento di Fiesole, imperocchè per alcune -scissure avvenute tra i religiosi, furon costretti da una -ordinanza del Pontefice a sloggiare. Visse nove anni -lontano da Firenze, su quel di Foligno principalmente, -e fu in quell'epoca che probabilmente lavorò al convento -dei Domenicani di Cortona, la quale Cortona conserva -ancora molte ed insigni opere di lui. Nel 1418 lo -ritroviamo nell'Umbria, e questo giova a sapersi, perchè -anche in queste peregrinazioni forzate dell'Angelico si -cominciano a stabilire dei rapporti di conoscenza e di -buon vicinato fra gli artisti toscani e gli artisti dell'Umbria, -propagandosi sempre più quelle certe parentele artistiche, -quelle inoculazioni per contatto delle varie maniere, -le quali poi dovevano dare origine con la scuola -umbra alle glorie del Perugino e alle future apoteosi del -Raffaello. Ritroveremo più tardi a lavorare in quei paesi -con l'Angelico il Benozzo Gozzoli venuto con lui da -Firenze come suo scolaro, e lo troveremo insieme a Gentile -da Fabiano. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_276">[276]</span> -</p> - -<p> -Nel 1418 i frati furono restituiti nel convento di -San Domenico di Fiesole e nel 1443 l'arte dei lanaiuoli -dette all'Angelico la commissione dello stupendo tabernacolo -che oggi si conserva nella Galleria degli Uffizi. -Il contratto è stipulato in questa guisa: Fu stabilito -“<i>che fosse dipinto di dentro e di fuori con colori di -oro ed argento, variati e migliori e più fini che si trovano, -con ogni sua arte ed industria</i>„, ed il prezzo fu -fissato in fiorini 190 d'oro. Io ho ricorso alla gentilezza -del dotto economista professor De-Johannis per avere -una idea del ragguaglio della moneta d'allora con quella -presente per capire se vera è la leggenda che i pittori -di quel tempo vissuti con semplicissimi costumi ricevessero -per così dire la mercede del bracciante. Invece ho -avuto dal mio dotto e carissimo amico questa risposta. -Il fiorino di Firenze, la cui prima coniazione rimonta -al 1252, e che era d'oro purissimo, a 24 carati, pesava -una dramma, cioè 3 grammi e <span class="above">2</span>⁄<span class="below">100</span>: il rapporto di valore -tra l'oro e l'argento fra il 1450 ed il 1500 era come -di uno a dieci: con approssimazione si calcola che nella -stessa epoca l'argento avesse una potenza di acquisto -circa di dieci volte maggiore dell'attuale. Per esempio -il frumento si comprava con 10 drammi l'ettolitro ossia -occorrevano 100 grammi, ossia 20 lire per la proporzione -tra l'argento e l'oro. Ora si avrebbe in conclusione -che i 190 fiorini d'oro, coi quali fu pagato all'Angelico -quel tabernacolo equivarrebbero a lire 17 226. -Ora siccome nel contratto si dice ancora che sarà poi -pagato quel meno che alla carità del frate fosse parso -opportuno, e questo s'intende che è relativo alle spese -maggiori o minori che avesse dovuto sopportare per -quei colori fini che si raccomandavano, per quell'oro -che si doveva mettere nel fondo e che era una forte -doratura, non essendo l'arte dei battiloro tanto perfezionata -da formar quel velo che si mette adesso, pur -<span class="pagenum" id="Page_277">[277]</span> -tuttavia voi vedete che 17 226 lire pagate da una corporazione -di artieri sono una bella moneta. Se io mi -sono trattenuto sul prezzo di questa opera, sulla determinazione -sua in rapporto alle mercedi attuali, ho voluto -farlo perchè anche il prezzo sta a designare, come lo -dice la parola, il valore d'un'opera. Se un'opera si paga -cara, vuol dire che si stima assai, e ciò dimostra che a -quei tempi si stimava assai l'arte, e si pagava al prezzo -del suo vero valore. Dico questo per eccitamento e per -esempio affinchè non serva di scusa il dire che Andrea -del Sarto un giorno, preso dalla fame e dalla disperazione, -per un sacco di grano fece la bellissima Madonna -della SS. Annunziata. -</p> - -<p> -Nel 1436 i frati di Fiesole scesero in Firenze aventi -seco l'Angelico, e a Priore del convento il celebre vescovo -sant'Antonino. Papa Eugenio IV trovavasi allora -in Firenze pel concilio colla Chiesa greca: a Firenze era -ospitato l'Imperatore greco: a Firenze Cosimo il Vecchio -era signore. Voi non avete bisogno che vi dica di -quanto splendore fosse ricca la nostra città in quel momento. -Quando l'Angelico è venuto e ha dato mano alle -pitture del Cenobio di San Marco, già Brunellesco voltava -le vôlte della cupola sua, mentre Donatello era -in piena fioritura, la cappella Brancacci si copriva con -le pitture di Masaccio, insomma era una esuberanza, -una primavera dell'arte; come questa primavera dell'arte -corrispondesse alla fioritura letteraria, già ve lo diceva -con eloquentissima e dotta parola Guido Mazzoni nella -sua conferenza sull'Umanesimo, e poi altri ve lo dirà -ancor meglio di me. In mezzo a tutto questo lavorio di -menti, di scalpelli, di pennelli, di maestri di pietra, di -decoratori d'ogni sorta, d'ogni risma, l'Angelico rimaneva -fisso nella sua celeste visione. Egli amava l'arte con tutta -l'intensità propria dei grandi ingegni, ma non la disgiungeva -un momento dal concetto religioso. A parer mio -<span class="pagenum" id="Page_278">[278]</span> -l'Angelico è l'ultimo dei veri mistici, è veramente il pittore -che chiude il periodo del Rinascimento pittorico artistico, -religioso, iniziato da Giotto. -</p> - -<p> -La pittura dell'Angelico, se si considera in relazione -ad altre pitture contemporanee, è una pittura quasi un -po' in ritardo, ma è una pittura certamente insuperabile -nella evidenza del sentimento. -</p> - -<p> -Io non so se derivi dalla costruzione della sua retina, -come direbbe un materialista, o dalla serenità delle sue -celesti visioni, ma il fatto si è che mentre l'Angelico, -pel modo come dipinge, pare che sia precisamente un -miniatore, anche nelle più vaste e più ampie pareti, si -appalesa sempre per un colorista di prima forza. -</p> - -<p> -Se vi presentate in una galleria qualunque con lo -scopo di vedere o riscontrare un particolare in un quadro -dell'Angelico e non sapete precisamente dove questo -quadro sia collocato, e gettate un occhio sulle pareti -della Pinacoteca, l'Angelico vi si appalesa con una -nota così chiara, così brillante, così argentina, che appena -entrati filate diritto sull'opera che riconoscete a -distanza. Poter avere continuamente dei toni delicatissimi, -fare assolutamente dell'aria aperta, non forzare mai -i neri, è la sua caratteristica principale. Voi potete riscontrare -quante volte vi piace quello ch'io dico guardando -la Crocifissione, che è nella galleria dell'Accademia, -quadro tutto verità, nel quale sono indietri meravigliosi, -cielo luminosissimo senza uno scuro forzato. Ci -sono però dei neri apparentemente assoluti, perchè dove -mette un domenicano vestito di bianco e nero sembra -che quel nero sia un nero assoluto; ma invece quel -nero non fa mai toppa, mai buco, e chi conosce un poco -la tecnica dell'arte sa benissimo quanta e quale sia la -difficoltà di collocar bene un bianco in ombra e un nero -al sole, un nero che non faccia toppa, che rimanga al -suo piano in mezzo ad una gamma di colori chiari; è -<span class="pagenum" id="Page_279">[279]</span> -una difficoltà di primo ordine per un colorista, e l'Angelico -nella sua semplicità la supera perfettamente. -</p> - -<p> -Non bisogna dunque fermarsi solamente a contemplare -nell'Angelico il pittore delle sante ispirazioni; non -bisogna fermarsi solamente a contemplare nell'Angelico -il pittore delle ingegnose trovate, delle dotte composizioni; -ma bisogna anche tener conto che fra i coloristi -fiorentini l'Angelico è un vero maestro. -</p> - -<p> -L'Angelico, diventato celebre nel 1447, andò a Roma -e là forse sentì la grandezza dell'ambiente che lo circondava, -perchè le sue composizioni si sviluppano in una -maniera più grandiosa e più magistrale che per l'avanti. -</p> - -<p> -Egli fu scritturato da Enrico dei Monaldeschi per andare -a lavorare ad Orvieto, ed abbiamo dal contratto -fatto in cotesta circostanza, la notizia che Benozzo Gozzoli -era con lui, come sappiamo che Gentile da Fabriano, -stato poi maestro a Giovanni Bellini, il gran Veneziano, -era pure in comunicazione di lavori e d'opere con l'Angelico. -Vi richiamo a queste brevi e piccole circostanze -per dimostrare come l'arte di Firenze ebbe contatti coll'arte -dell'Umbria, come Gentile da Fabriano comunicò -coll'arte veneziana, e mi permetto di riportarvi sempre -col pensiero a questa catena che circonda l'Italia e la -avvince a quegli effetti dei quali oggi noi fortunatamente -godiamo il frutto. -</p> - -<p> -L'Angelico che nelle sue composizioni è grandemente -ascetico, è anche sottilmente sarcastico e realista nei -piccoli quadretti: si vede questo nei gradini dei quadri, -che illustrano con varii episodii le vite dei santi superiormente -rappresentati. Citerò un gradino che si conserva -nella galleria degli Uffizi rappresentante la visita -di santa Elisabetta alla Madonna. La Madonna è uscita -dalla casa per abbracciare l'amica che le viene incontro, -mentre la serva sta dietro la porta origliando per sentire -quello che dicono le padrone. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_280">[280]</span> -</p> - -<p> -Questo viziarello domestico che si perpetua nella storia -del mondo e durerà per un pezzo, era rimarcato dal -giocondo fraticello, il quale si permetteva di esprimerlo -con la graziosa figurina della serva che ascolta. -</p> - -<p> -Egualmente è comica in un altro quadretto la meraviglia -d'un converso il quale uscito dalla cella di san Domenico, -sente il Santo, che ha lasciato solo, che parla -con altri. Questo è l'episodio della vita del Santo, nel -quale san Pietro e san Paolo gli appariscono nella cella -e gli danno il bordone del pellegrino e il volume degli -Evangeli. La meraviglia del frate è assolutamente comica, -rimanendo pur decentissima; con questo si dimostra -il buonumore e la serenità d'animo dell'Angelico, -e l'attitudine che aveva di osservare nella natura e sul -vero anche il lato comico delle cose con una piccola -punta di realismo e di verismo non disdicevole in questo -gran pittore delle visioni celesti. -</p> - -<p> -Accanto all'Angelico, come vi ho già accennato, abbiamo, -fra gli altri, Masolino da Panicale e Masaccio. La -cappella Brancacci del Carmine è contemporanea, o -presso a poco, alle opere dell'Angelico del San Marco -e del Vaticano. Di Masolino da Panicale poco si sa. -Certo egli è un grande e robusto pittore, il quale si -avanza sicuro dell'arte già ricca di tutti i progressi che -la tecnica, la prospettiva han portato nell'arte stessa. -</p> - -<h3>III. -<span class="smaller"><span class="smcap">Masaccio</span>.</span></h3> - -<p> -Masaccio che gli succede ne è una esplicazione ancora -più brillante e più completa, e noi entriamo con -lui nel periodo vero del secondo Rinascimento, il quale -prende a venerare l'antico, dimentica il sentimento religioso -<span class="pagenum" id="Page_281">[281]</span> -puro dell'età precedente; e se rimane nella religione -totalmente pel soggetto che tratta, umanizza, -rende di forma meno mistica tutti i suoi concetti e progredisce -nella via che oggi si direbbe del realismo. Di -fatti in quell'epoca si sente già un grande agitarsi di -tutte le menti per la scoperta del vero reale, del vero -scientifico, mentre nei fondi dei pittori del 300 la prospettiva -è messa là in un modo bambinesco, quasi ad -esplicazione del soggetto. Si fa per esempio una torricina, -ci si mette accanto una porta molto più piccola -delle gambe di un cavallo, e di fuori ci si dipinge una -cavalcata di ambasciatori molto più grandi della torre -della città (e questo è un errore quasi voluto, perchè -dovendo questa prospettiva rappresentare degli ambasciatori -che andavano in un certo posto, uscendo da -una certa città, si doveva far vedere che c'era una città -e che erano usciti da una porta, magari più piccola dei -cavalli che la dovevano oltrepassare, e non bastando -questo magari ci scrivevano sopra il nome della città -dalla quale partivano e quello della città alla quale arrivavano). -Ma torniamo a bomba: invece nei primordi -del 400 abbiamo le menti che si affaticano per cercare -la ragione matematica della proiezione delle ombre. Già -sappiamo che il maestro di Masaccio fu Brunellesco, e -di questi Paolo Toscanelli dal Pozzo, sul quale sta pubblicando -un libro con eruditissime ricerche il professore -Uzielli. Toscanelli dal Pozzo fu uno dei più grandi matematici -dei suoi tempi, ma però per quella universalità -di allora su tutto lo scibile umano, era intimissimo amico -del Brunellesco, ed a questo insegnava la prospettiva, -la quale poi di seconda mano veniva passata a Masaccio. -Voi vedete che le cognizioni negli uomini di quei -tempi si accomunavano, si affratellavano, si davano la -mano l'una coll'altra, e gli artisti sommi del 400, torno -a ripeterlo, erano nel medesimo tempo gli uomini più -<span class="pagenum" id="Page_282">[282]</span> -colti dell'epoca loro. Nel quadro — tutto di mano del -Masaccio — della cappella Brancacci, nel quale il Cristo -circondato dagli Apostoli è interrogato dal pubblicano -per ricevere le decime e dove il Salvatore dà ordine a -san Pietro di andarle a pescare nelle branchie di un -pesce (cosa che sarebbe oggi molto comoda), abbiamo -una pittura limpida, chiarissima e una pittura nella -quale i piani vanno dal primo all'orizzonte con una degradazione -sicura, scientifica. La prospettiva aerea è -bellissima: il paese che circonda le figure è tutto al suo -posto, e da questo voi vedete che il progresso è evidente, -che la pittura non è più mistica, non è più significativa -di una sola idea religiosa, ma la storia, anche del Cristo, -diventa soggetto per trattare una storia umana. Le passioni, -gli affetti si svolgono umanamente, e le figure per -conseguenza prendono una precisione derivante dalla -tecnica studiata severamente, dal vero cercato nella osservazione -non domandato ad alcuna visione rivelatrice. -Masaccio, descritto dal Vasari come persona distrattissima, -e che per quanto derivasse dalla celebre famiglia -dei Guidi di San Giovanni, pur tuttavia fu chiamato -Masaccio per la trascuratezza della sua andatura, non -potè finire l'opera sua: chiamato a Roma dove lavorò -alla Minerva, morì giovanissimo, ed alla cappella già incominciata -da Masolino da Panicale diè finalmente mano -Filippino Lippi, figlio di frate Filippo Lippi, dato in educazione -alla morte del padre a Sandro Botticelli. Uno -di codesti affreschi, quello che rappresenta la risurrezione -del nipote dell'imperatore per opera di san Pietro, -è un affresco misto, e dipinto in parte da Masaccio, -in parte da Filippino; di faccia abbiamo un affresco tutto -di Filippino, al di sopra abbiamo l'affresco tutto di Masaccio, -e più in alto gli affreschi già compiuti da Masolino -da Panicale. Sarebbe difficilissimo oggi trovare tre -artisti i quali potessero fare convenientemente la decorazione -<span class="pagenum" id="Page_283">[283]</span> -intiera ed unica d'una cappella facendo ciascuno -un quadro per conto proprio: impossibile quasi direi che -nel medesimo affresco potessero dipingere due artisti -senza darsi noia uno coll'altro. Ora io di questo fatto -tengo conto perchè mi sembra importantissimo per spiegare -come l'indirizzo degli studi, la buona fede colla -quale un artista dava mano all'altro, la comunanza di -idee nella quale vivevano, facesse sì che si potesse avere -un'opera perfetta, ed un'opera triplice ed una nello stesso -tempo. -</p> - -<h3>IV. -<span class="smaller"><span class="smcap">Andrea del Castagno.</span></span></h3> - -<p> -Un artista strano che mi pare che faccia assolutamente -razza da sè è Andrea del Castagno. Egli pure -nacque in Mugello come Giotto e come l'Angelico, ma -non ebbe nè l'ingegno di Giotto nè il candore dell'anima -dell'Angelico. Egli fu uomo viziosissimo ed iracondo, -agitato da mille passioni, ma potente ingegno. Egli deve -forse al suo cattivo carattere la nota speciale che lo distingue -tra quei pittori i quali abbandonando l'ascetismo -entrarono nella via che, tanto per farmi capire alla meglio, -ho chiamata del realismo, sebbene vi entrassero in -un modo intenso come ricerca di forme, come ricerca -di luce, come effetto prospettico, senza però quella passione -psicologica che va a cercare il pel nell'uovo nelle -intime convulsioni del cuore umano. Andrea del Castagno -mi pare che segni una nota particolare in questo -senso. -</p> - -<p> -Agitato di spirito come egli era, mette una agitazione, -una nota potente, una nota moderna, dirò così, nella sua -pittura. Di lui ci resta il Cenacolo di Santa Reparata, -<span class="pagenum" id="Page_284">[284]</span> -nel quale sono anche state poste delle belle pitture che -decoravano un tempo la villa Pandolfini. Queste sono -la rappresentanza di uomini grandi: Dante, Boccaccio, -Petrarca, Pippo Spano, Farinata degli Uberti; una Sibilla, -una Virtù, ed altri. Ebbene in codesto cenacolo -che prende tutta la vastissima parete, è già notevole la -ricerca della differenza tra un esterno ed un interno, -poichè al di sopra della linea di mezzo della parete si -vede la Crocifissione, in aria pienamente aperta, la Risurrezione, -e la deposizione nella tomba del corpo del -Salvatore, al di sotto in un ambiente chiuso la Cena. -Ora questa ricerca fra l'effetto dell'interno e quello dell'esterno -era una ricerca poco curata forse dagli altri -pittori dell'epoca sua, mentre in lui è accuratissima. Le -figure che campeggiano nell'aria aperta, specialmente -la figura del Cristo tutto in bianco che esce giovane -dalla tomba, sotto la quale sono due figure di soldati -addormentati, è una figura di tinta tutt'affatto moderna, -di pittura squisitamente chiara, contrapposta colla tetra -scena del Cenacolo, che egli ha caricato di tinte -oscure e truci, quasi a significare l'orribile tradimento -che in quel momento si stava compiendo; e fra tante -pitture che rappresentano nei Cenacoli la figura di Giuda, -io credo non ci sia una figura così drammaticamente e -con forza espressa come la figura di Giuda nel Cenacolo -di Andrea del Castagno. -</p> - -<p> -I ritratti poi a gran decorazione, la figura di Farinata -specialmente, vestito d'armatura completa, e quella -di Pippo Spano di cui tanto si decantavano le gesta in -quei tempi, che tiene in mano la spada e ne torce la -lama con la robustezza del poderoso suo braccio, sono -figure così scultorie, che assolutamente si possono mettere -a pari colle grandi creazioni della scultura fiorentina -del tempo e specialmente colla figura del San Giorgio -di Donatello. Si dice che vivendo egli nello Spedale -<span class="pagenum" id="Page_285">[285]</span> -di Santa Maria Nuova e lavorando con Domenico Veneziano -carpisse allo stesso il segreto della pittura a -olio la quale tanto doveva influire sulle future sorti -della pittura stessa. Questo segreto o questo ritrovato, -per meglio dire (poichè nell'arte di mescolar l'olio e -specialmente l'olio di lino alle tinte già si erano fatti -e si facevano continuamente esperimenti anche dai pittori -del secolo precedente), fu attribuito dal Vasari a -Giovanni da Brugghia che lo ridusse alla perfezione attuale. -Un quadro di lui fatto alla corte di Napoli dette -luogo come tutte le novità a un grande agitarsi di quei -pittori, e Antonello da Messina finalmente ne indovinò -il mistero. Antonello lo rivelò a Domenico Veneziano, -Domenico Veneziano venendo a lavorare a Firenze lo -comunicò colle buone o colle cattive (questo è difficile -a sapersi) ad Andrea del Castagno, donde tutta una leggenda; -imperocchè il Vasari asserisce che dopo avere -imparato il segreto del suo amico, Andrea del Castagno -lo investisse mentre usciva da una casa in via della -Pergola, e proditoriamente lo uccidesse. Il nostro Milanesi -però con sottile acume di critica crede di potere -asserire che di questo delitto Andrea del Castagno non -è macchiato, perocchè ritiene che nel 1457 Andrea del -Castagno molto probabilmente fosse già morto per la -pestilenza che infieriva nella città; e siccome il buon -Domenico Veneziano è morto nel 1461, mi pare molto -improbabile che lo possa avere ammazzato uno che era -già morto qualche anno prima. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_286">[286]</span> -</p> - -<h3>V. -<span class="smaller"><span class="smcap">Piero della Francesca.</span></span></h3> - -<p> -Emulo nello splendore della pittura, nella chiarezza -dei suoi dipinti all'Angelico, dotto in tutto ciò che l'arte -dava allora di più pratico e di più positivo, compositore -di prim'ordine con una nota tutta sua propria è -Piero della Francesca. A Firenze poco abbiamo di lui, -tranne i due ritratti in profilo del duca e della duchessa -d'Urbino che vediamo nella Galleria degli Uffizi e che -al di dietro della tavola portano dei trionfi allegorici. Pur -tuttavia questo piccolo esempio è talmente forte che -basta a persuadere chiunque dell'eccellenza dell'artista. -Piero della Francesca ha profilato le sue figure leggermente -di tono su un'aria limpidissima e su un paese -che si perde lontano lontano nell'orizzonte. Ora questa -potenza di mettere di contro alla luce una figura, di -farne vedere tutti i dettagli, non forzando oltre modo -nè troppo caricando le tinte e nello stesso tempo facendola -risaltare su un cielo immensamente chiaro, e in -un paese chiarissimo, è opera precisamente di grande -coloritore. Piero della Francesca ha lasciato il più bel -testamento artistico che si possa mai immaginare nelle -pareti del Coro del San Francesco in Arezzo, e io consiglio -chiunque è amatore della buona pittura di non -trascurare una gita ad Arezzo per vedere le pitture di -Piero della Francesca. -</p> - -<p> -La prima volta che io mi sono trovato costà davanti -all'affresco rappresentante la regina di Saba che va a -visitare Salomone (affresco nel quale abbiamo il re Salomone -sotto una specie di peristilio a colonne bianche -di marmo mentre la regina è dalla parte esterna di -<span class="pagenum" id="Page_287">[287]</span> -questo peristilio e comparisce in un paese dove sono -alberi verdi su un fondo ugualmente chiaro, in fondo -al quale rosseggiano le tinte del tramonto) io mi sono -trovato davanti a una pittura così luminosamente fresca, -così brillantemente fatta che primo fra gli artisti m'è -saltato in testa Domenico Morelli in certi suoi bianchi, in -certi suoi effetti luminosissimi e violenti. Io vi dico questo -non per dirvi una cosa rara, perchè io nè di cose belle, nè -di cose rare fo mestiere, ma per dire una impressione che -ho ricevuto; e se un pittore che nasce nella prima metà -del secolo XV, se un pittore che nasce a quell'epoca lì, -ha tanto in sè da rammentare di primo acchito uno dei -più moderni nostri moderni, mi pare che sia sempre un -bel gagliardo, e che viva d'una giovinezza assolutamente -imperitura. Egli campò vecchissimo; uomo insigne in -matematica e prospettico eccellente, scrisse anzi su questa -materia dei dotti volumi, i quali forse furono la -causa per la quale l'opera sua di pittore non è troppo -abbondante. Dicesi che delle opere sue rimanesse erede, -per così dire, un fra Luca Pacioli suo discepolo, che -alla morte del maestro le dette per sue. -</p> - -<p> -Questa pure è una accusa lanciata dal Vasari; Milanesi -l'attenua e la nega in parte. Comunque sia, resta -che Piero della Francesca è uno dei più insigni, dei -più delicati pittori dell'epoca sua; il che non toglie che -fosse al solito un gran maestro in matematica e prospettiva, -uomo d'ingegno, e dei più colti dell'epoca nella -quale viveva. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_288">[288]</span> -</p> - -<h3>VI. -<span class="smaller"><span class="smcap">Benozzo Gozzoli, Alessandro Botticelli.</span></span></h3> - -<p> -Benozzo, discepolo dell'Angelico, è più traverso, più -quadrato. Egli non sente molto dell'insegnamento ascetico -del maestro, e nelle grandi decorazioni murali del -Camposanto di Pisa vi si distende dentro con quella -giusta, serena ricerca della verità che io poc'anzi vi descriveva -quale nota caratteristica dell'arte del 1400. -</p> - -<p> -Io non posso attardarmi a descrivere l'opera del Gozzoli, -opera importantissima e notevolissima, inquantochè -troppo è necessario non dimenticare tra i massimi Alessandro -Botticelli. -</p> - -<p> -Alessandro Botticelli figlio di Mariano Filipepi nacque -nel 1447; ricevette un'educazione abbastanza accurata -e classica in un'epoca nella quale il classicismo fioriva -rigoglioso. Inquieto di carattere, svegliato, pieno di ingegno, -fu posto da suo padre presso l'orafo Botticelli a -imparare l'arte dell'orefice. Poi diventò scolaro di fra -Filippo Lippi, e alla morte di fra Filippo diventò il -maestro al quale fu affidata l'educazione artistica di Filippino, -di quel Filippino il quale ebbe a completare, ed -è questo il maggior bene che si possa dire di un pittore, -l'opera di Masaccio nella cappella Brancacci. -</p> - -<p> -Il Botticelli anch'egli ha una nota sua particolare, ed -è il primo che comincia a trasportare la pittura dai -soggetti sacri ai soggetti profani. -</p> - -<p> -Di fatti si sa di lui che illustrò un soggetto profano -del Decamerone, ossia la storia di Anastasio degli Onesti -che si vedeva in quattro tavole descritta nelle cose preziose -della famiglia Pucci di Firenze e che ora non si -sa più dove sia. Di lui è conosciutissima la nascita di -<span class="pagenum" id="Page_289">[289]</span> -Venere, di lui è conosciutissimo il quadro allegorico che -si ritiene fatto alla morte della bella Simonetta, come -già vi accennava il nostro Ernesto Masi, secondo le induzioni -dell'illustre storico dell'arte professor Camillo -Jacopo Cavallucci. -</p> - -<p> -Il Botticelli è pittore d'un'eleganza nuova nella forma, -un'eleganza che certamente non è quella di Vatteau, -o dei pittori fiamminghi del 1600, e nemmanco l'opulenza -di Rubens. Egli nella nascita di Venere ci dipinge -una Venere che non è neppure parente, neppure biscugina -della Venere del Tiziano. Ha dei piedi grandemente -sviluppati, delle mani altrettanto, ma se voi davanti -ad un contorno di donna del Botticelli vi fissate -su un punto qualunque della sagoma, e cominciate a -andar su su e ricercarla tutta, voi vi sentite invadere -da una delizia simile a quella che si prova se in una -bella giornata d'inverno ci si mette a guardare un bell'albero -spoglio delle sue fronde e se ne ricercano con -l'occhio tutti gli eleganti contorni. -</p> - -<p> -Io non saprei diversamente darvi ad intendere o spiegarmi -meglio riguardo alle sensazioni che si provano -davanti questo gentile pittore, che chiamato nel Vaticano -a lavorare, per la vita disordinata che egli faceva -in Roma finì i quattrini e dovette tornarsene a Firenze. -Qua per l'amicizia che aveva con Lorenzo il Magnifico -e per le cognizioni sue di letteratura e l'affinità -che aveva coi grandi dotti dell'epoca si messe a illustrare -e illustrò per il Landino la <i>Divina Commedia</i>. -La edizione del <i>Commento</i> della <i>Divina Commedia</i> fatta -dal Landino colle tavole del Botticelli si può vedere -ancora da chi ne ha voglia nelle sale della Biblioteca -Marucelliana. -</p> - -<p> -Ma più che quelle illustrazioni che sono poche e, pei -mezzi imperfetti del mestiere a quei tempi, abbastanza -ordinarie, si può ammirare in quella Biblioteca la collezione -<span class="pagenum" id="Page_290">[290]</span> -fotografica degli schizzi di tutta intiera l'illustrazione -del divino poeta, comprata dal gabinetto di Berlino -e della quale è stata fatta un'opera magnifica di -riproduzione fedele. Sfogliando codeste tavole voi trovate -al solito, nelle figure del Purgatorio e del Paradiso, -una Beatrice con delle appendici abbastanza pronunziate -che una signora d'oggi non amerebbe avere, -ma tanta è la potenza di concetto sviluppato dall'artista, -sia nell'esprimere i tormenti dei dannati, sia nell'esprimere -le gioie del poeta condotto al cielo dalla sua divina -fanciulla, che quel sentimento di attrazione e di -delizia che ho detto provarsi quando si comincia ad andare -su per un contorno del Botticelli, lo si prova egualmente -davanti a quei potenti concetti svolti da questo -grande in punta di penna. In lui è da notarsi come -l'arte di già fa un passo in avanti ed entra ad illustrare -un'opera descrittiva. Botticelli che aveva in quattro -tavole illustrata e descritta la storia di Anastasio -degli Onesti, finisce con una illustrazione completa della -<i>Divina Commedia</i> e degna del poeta illustrato. -</p> - -<p> -Dire di più di Alessandro Botticelli parrebbemi tempo -perso, che l'ora mi dice di andarmene, nè io voglio lasciarvi -senza avervi ancora parlato o per <i>fas</i> o per <i>nefas</i>, -abusando della vostra pazienza, di un altro grande -ed alto artista del quale tratterò nella Conferenza presente. -Questo artista è Domenico Ghirlandaio. -</p> - -<h3>VII. -<span class="smaller"><span class="smcap">Il Ghirlandaio.</span></span></h3> - -<p> -Egli nasce da Tommaso del Ghirlandaio della famiglia -dei Bigordi nel 1449, ed arriva a tempo per riassumere -i portati della scienza pittorica che si era precedentemente -<span class="pagenum" id="Page_291">[291]</span> -sviluppata. Egli entra nell'arte come c'è -entrato il Verrocchio, come c'è entrato il Pollaiuolo, per -la via dell'oreficeria. Domenico Ghirlandaio è molteplice, -splendido fra tutti i pittori dell'epoca sua; finissimo anch'egli -per la potenza del chiaroscuro, finissimo anch'egli -per la delicatezza della sua intonazione. -</p> - -<p> -La tavola della Galleria delle Belle Arti nella quale -si rappresenta l'adorazione dei pastori, e dove egli stesso -ha ritratto la propria effigie, ha un indietro lontano, -con una cavalcata di signori, forse i re Magi che vengono -all'adorazione dell'infante Gesù, stupendo per prospettiva -aerea, per delicatezza di sfondo, per serenità di -ambiente. Il coro di Santa Maria Novella è là che parla; -esso è un'opera smisurata, colossale. La cappella di -Santa Fina a San Gemignano è un gioiello. Il Cenacolo -che abbiamo qui in San Marco, è un'altra cosa stupenda -come colore perchè il Ghirlandaio è potentissimo nel -mettere bene le cose del primo piano, su dei fondi chiari -ed ariosi. Nella cappella di Santa Fina in San Gemignano -che è di un tono delicato ed argentino, nell'affresco -del miracolo della Santa da una finestrella si vede -la campagna lontana, a perdita d'occhio, luminosissimo -è l'ambiente della stanza interna senza essere sfacciatamente -colorito, più che luminoso, scintillante è il paese -traveduto dalla finestrella. Tutte le tenuità, tutte le delicatezze, -tutte le finezze di un grande artista il Ghirlandaio -tiene con sè. Egli ha lavorato alla cappella Sassetti -in Santa Trinità, cappella che veramente, sia per -la disposizione della luce, o pel modo con cui è fatta, è -molto oscura e poco decifrabile. -</p> - -<p> -Ho però il piacere di potervi dare una bella notizia. -Nei restauri che si sono fatti adesso in Santa Trinità -s'è scoperto l'affresco della parete esterna della cappella, -una grande pittura di dieci figure rappresentante la Sibilla -tiburtina che indica il monogramma e predice la -<span class="pagenum" id="Page_292">[292]</span> -venuta di Cristo all'Imperatore. La Sibilla colle sue ancelle -da un lato accenna il monogramma; l'imperatore -dall'altro lo guarda quasi abbacinato. Questa scoperta -si deve alla pazienza di Cosimo Conti, il quale si offrì -gratuitamente di cercare codesto affresco, e ora dopo -avere saputo che l'affresco c'era, ed aver visto che era -scoperto, finalmente, <i>magna degnatione</i>, il Ministero -della Pubblica Istruzione s'è deciso a farlo restaurare e -rimettere. -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -Se avessi voluto parlare di tutti i pittori fiorentini -del 400, non solamente avrei seccato moltissimo, ma vi -avrei fatto assolutamente addormentare; sono troppi, e -troppo grandi, e troppo insufficiente io sono per il cómpito -che mi ero proposto. Vi ho accennato dei principali -o almeno di quelli che a me sembrano, fra i pari -i più eminenti, quelli che maggiormente corrispondono -al sentimento che dell'arte ognuno tiene in sè, e quindi -al sentimento mio proprio. -</p> - -<p> -Dopo il Ghirlandaio sorge una grande, una splendida -figura, che riassume in sè tutte le glorie artistiche del -1400. Questa figura è quella di Leonardo da Vinci, ed -io grazie a Dio, non devo occuparmi di lui, perchè nella -prossima conferenza sentirete parlare degnamente di -Leonardo da Vinci dall'amico Enrico Panzacchi. -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_293">[293]</span> -</p> - -<h2 id="scultura">LA SCULTURA del RINASCIMENTO</h2> - -<p class="center"> -DI -</p> - -<p class="center large"> -VERNON LEE. -</p> -</div> - -<p class="pad2"> -La scultura dell'antica Grecia e la scultura del medioevo -italiano sono rami della stessa arte; ma del tutto -divergenti: anzi, direi quasi, formano due arti diverse. -Ciascuna di esse ha rivelati all'umanità eguali tesori di -bellezza, ma l'una copiò mirabilmente una bella realtà; -mentre l'altra prese l'imperfetto e il brutto, e riuscì a -formarne bellezza. L'una è l'arte meridionale, pagana, -del modellatore in creta; l'altra l'arte nordica cristiana, -dell'intagliatore di pietra. -</p> - -<p> -Prima di esaminare le opere, esaminiamo il modo di -operare. E prima di considerare che cosa l'antico greco -e l'italiano del medioevo furono rispettivamente chiamati -ad imitare e ad esprimere, guardiamo la necessità e la -capacità del materiale in cui ciascuno di essi imitò quel -che vide ed espresse quel che sentì. -</p> - -<p> -I Greci primitivi avevano raramente occasione di farsi -abili intagliatori di pietra. Gli edifizi loro come quelli -che ritraevano le forme di costruzioni primitive e semplicissime -in legno, ne avevano anche i rozzi elementari -ornamenti, poichè l'ordine Jonico, per quanto povero di -ornamenti, non venne che più tardi, e il Corintio, il -quale solo dà luogo alla ricerca e all'abilità degli intagli, -nacque soltanto quando era pervenuta già alla sua maturanza -l'arte di scolpir la figura. Ma i Greci, i quali -<span class="pagenum" id="Page_294">[294]</span> -del resto erano appena entrati nel periodo del ferro (e -il ferro è appunto lo strumento per lavorare la pietra) -erano grandi modellatori di creta e fonditori di bronzo. -Gli oggetti che le età più recenti fecero in ferro, pietra -o legno furono da loro foggiati in creta o in bronzo. -Stanno a dimostrarlo gl'innumerevoli arnesi, armi e minuti -oggetti dei nostri musei: — dagli schinieri accuratamente -modellati come le gambe che devono coprire, fino -alle bambole di terracotta, piccole Veneri dalle braccia -articolate e coi ligamenti di spago. -</p> - -<p> -E veramente quando i Latini applicarono alla scultura -il verbo <i>fingo</i>, che significa in realtà fare vasi, — e dalla -quale ci viene non solo <i>effigies</i>, ma anche <i>fichtlis</i>, — parrebbe -avessero capito che nell'arte di Fidia e di Prassitele -poco entrava l'intagliare ed il cesellare, e molto -invece il <i>formare</i>, il modellare, il plasmare. Poichè, oltre -al fatto ogni giorno più confermato dall'archeologia, che, -cioè, la maggior parte delle statue antiche ora in nostro -possesso, sono copie in marmo di originali in bronzo, -fatto rivelatoci anche da puntelli di esse e dal trattamento -dei capelli; è evidente che anche le statue destinate -ad eseguirsi in marmo, vennero prima modellate, -cioè concepite dallo scultore, in creta. -</p> - -<p> -Riassumendo: dai Greci la figura umana s'imitava con -un processo, che non fu scultura nel senso letterale della -parola. Rivolgiamoci ora a considerare il medioevo, e troveremo -uno stato di cose totalmente diverso. Non v'era -nella vita quotidiana bisogno di oggetti in metallo fuso, -e non essendovi questo bisogno dell'arte del fondere, del -far di getto, non vi era nemmeno pratica nell'arte preliminare -del modellare in creta. Ma invece gli uomini -del medioevo furono meravigliosamente abili nell'intagliar -la pietra. -</p> - -<p> -L'architettura, fino dai Romani, aveva dato più importanza -all'ornamentazione scultoria: — sempre squisita -<span class="pagenum" id="Page_295">[295]</span> -nei capitelli, nelle ringhiere, dei primitivi tempi Bizantini -si manifestò nelle elaborate cornici, negli archi e -nelle colonne dello stile Lombardo fino ai complicati -gruppi e rilievi del Gotico pienamente sviluppati. E in -verità la chiesa gotica, particolarmente in Italia, non era -più lavoro di muratore, ma di scultore. Non è dunque -fortuita combinazione se quei paesetti, i quali forniscono -ancora Firenze di pietra e di scarpellini, hanno dato il -nome a tre de' suoi più grandi scultori (Mino da Fiesole, -Benedetto da Maiano, Desiderio da Settignano); nè Michelangiolo, -allevato in quel paesetto (Chiusi di Casentino) -“per tutto pieno„ dice il Vasari “di cave di macigni, -che son lavorate di continovo da' scarpellini, scultori -che nascono in quel luogo„, abbia potuto vantarsi -d'aver tirato dal latte della balia gli scarpelli e il mazzuolo -con che faceva le sue figure. -</p> - -<p> -I Toscani del medioevo, i Pisani del '200, i Fiorentini -del '400, facevano certamente modelli in cera delle loro -statue; ma le opere loro sono concepite per essere poi -lavorate nel marmo; e quest'arte è uscita dal sasso, -senza interposizione d'altro materiale, — come le figure -che Michelangiolo traeva viventi e gigantesche direttamente -dal macigno. -</p> - -<p> -I Greci, dunque, in quel tempo primitivo in cui l'Arte -prende il suo abbrivo, erano modellatori di creta e fonditori -di bronzo; i Toscani, invece, nel periodo corrispondente, -erano cesellatori d'argento, battitori di ferro, ma -sopratutto tagliatori di pietra. Ora la creta (e bisogna -rammentarsi bene che il bronzo non è che il calco della -creta) significa il piano modellato; l'imitazione di tutti -i rilievi e di tutte le depressioni delicatamente graduate -del corpo umano; la creta non presenta contrasti fra -luce e ombra, non permette varietà nel trattamento corrispondente -alla varietà dei tessuti. La creta si presta -quindi ad imitare non la tessitura del corpo umano, ma -<span class="pagenum" id="Page_296">[296]</span> -la forma; e la forma poi nell'assoluta realtà tangibile -della natura. -</p> - -<p> -Tutto l'opposto accade col marmo. Granulato come -fibra vivente e capace allo stesso tempo di una delicata -spulitura, il marmo può riprodurre la vera sostanza del -corpo umano colle sue varietà d'opaco e di lucente. Può -riprodurre, sotto ai variati colpi dello scarpello, quelle -ombreggiature correnti ora in un senso, ora nell'altro, -secondo che la pelle riveste il muscolo o l'osso. Il marmo -inoltre è così resistente e insieme così docile al ferro, -che può prendere i contorni più squisitamente sottili; e -si presta all'incisione più superficiale ed al taglio più -profondo, in modo che la luce e l'ombra diventano il -materiale dell'artista quanto la pietra stessa. Quindi il -marmo consente allo scultore di cercare non solo la forma -assoluta, ma la forma relativa; non solo il rilievo, ma -anche il chiaroscuro. Tali erano i caratteri fondamentali -di quei due generi diversissimi di scultura, la scultura -in creta e la scultura in marmo, che in circostanze diversissime -di vita e di pensiero, Greci e Toscani trattarono, -per produrre opere di indole e di bellezza diversissime. -</p> - -<p> -È inutile che ci dilunghiamo sulla influenza esercitata -nell'Arte dalla civiltà antica, coi suoi costumi e caratteri -essenzialmente meridionali, colla sua vita all'aria aperta, -colla sua perfettissima educazione del corpo, coi suoi -atleti nudi, i togati suoi cittadini ed i suoi contadini ed -artigiani pochissimo vestiti, e sopratutto colla sua religione -di divinità conviventi coi mortali e di semidei dalla -poderosa muscolatura; come è inutile che, d'altra parte, -ci dilunghiamo sull'influenza della vita assai più complessa -del medioevo, vita di tipo nordico anche nei paesi -meridionali, vita industriale, sedentaria, che costringeva -la gente nelle angustie delle città murate; ed in cui primeggiò -sempre, nonostante la sensuale grossolanità, la -<span class="pagenum" id="Page_297">[297]</span> -preoccupazione dell'anima, l'ideale del patimento, il disprezzo -del corpo. -</p> - -<p> -Tutto questo è oramai ovvio ed anche esagerato da -tanti scrittori invaghiti della teoria del <i>milieu</i> (ambiente -o mi-luogo) introdotto da Enrico Taine meno per la sua -verità che per l'occasione che porge di tratteggiare pagine -colorite. Ma vorrei richiamare la vostra attenzione -su di un'altra circostanza storica, che ha influito potentemente -sulle differenze tra la scultura medioevale italiana -e la scultura antica. Questa circostanza è il primato -della pittura nella seconda metà del medioevo italiano. -Mentre nell'antica Grecia la scultura fu l'arte dominante -e matura, della quale la pittura non fu che -l'ombra; nell'Italia medioevale invece la pittura fu l'arte -che meglio corrispose ai bisogni della civiltà; fu l'arte -che superò i più ardui problemi tecnici e scientifici, e -fu quindi quella che dovette primeggiare. Si può asserire -in senso quasi letterale che la pittura greca non -fosse che l'ombra della scultura. Sui vasi e negli affreschi -vediamo infatti le figure modellate con moltissima cura -anatomica (al punto, per esempio, di accennare qualche -volta la giuntura fra la gamba e la coscia con due linee -che non esistono nella visibile realtà, e che sembrano -segni di tatuaggio), — ma senza consistenza, vuote, ed -allineate simmetricamente l'una accanto all'altra, senza -comporsi in un disegno vero, precisamente come se fossero -tante ombre di statue tonde proiettate sul piano. -Lo scultore non poteva imparare nulla di nuovo da una -simile pittura, che non si occupa delle cose più essenzialmente -pittoriche, la prospettiva, l'aggruppamento, il -contorno lineare, il valore relativo dei colori, il chiaroscuro -ed il tessuto degli oggetti. La pittura medioevale, -arte positiva, agisce in ben altro modo da quest'arte negativa -che fu la pittura antica. Esaminiamo che cosa -essa portò di nuovo nel campo dell'osservazione e della -<span class="pagenum" id="Page_298">[298]</span> -pratica artistica. In primo luogo, la superficie piana, -muro o tavola, in cui l'arte medioevale mostrò la sua -maggiore originalità, insegnò agli uomini a dar valore -alla prospettiva, ad ordinare gruppi nei vari piani, ed a -studiare l'insieme, sotto il rispetto delle opere intelligibili -quanto sotto quello della bellezza, delle figure così -raggruppate. Poi li abituò a considerare la forma non -più come un insieme di proiezioni, di rilievi, di piani, -ma come linea, come alternativa di luce e d'ombra, il -cui pregio principale consisteva nella sagoma esterna, -nel profilo dell'intreccio di linee, d'angoli e di curve; -cosa assai più importante nella pittura, col suo unico, -immutabile punto di vista, che nella scultura, dove l'occhio, -girando intorno alla forma, si compensa della povertà -di un punto di vista colla varietà di tutti gli altri. -Di più, la pittura, nata da un interesse più sviluppato -di quello che sentisse l'antichità pel colore, la pittura, -dico, indusse gli artisti a considerare meglio l'effetto del -colore sulla forma lineare. -</p> - -<p> -Poichè, sebbene l'uomo, fatta astrazione dal colore naturale -o da una tinta bianca, abbia infatti quella forma -larga ed alquanto smussata, quell'indecisione di contorni -che caratterizza la scultura; tuttavia quale egli esiste -realmente, coi capelli, gli occhi e le labbra fortemente -coloriti, ed il resto del viso colorito di tinte diverse, -acquista dal colore — il quale dà enfasi alla linea — una -maggior precisione, direi piuttosto, una maggiore -acutezza di forme lineari. Per ciò, nel modo istesso, in -cui la prospettiva e la composizione in pittura dovettero -indurre gli scultori ad usare maggiore complessività nel -rilievo e maggiore unità nel punto di vista, così pure -la nuova importanza del disegno e del colore, dovette -suggerir loro un nuovo concetto della forma. -</p> - -<p> -L'uomo cessò dunque d'essere una mera combinazione -di piani e di masse, cessò d'essere omogeneo nel tessuto -<span class="pagenum" id="Page_299">[299]</span> -e nel colore. Si accorsero ch'era fatto di sostanze diverse, -pelle — pelle morbida dove aderisce al muscolo, -dura e lustra dove accenna l'osso, pelle liscia o rugosa -o pelosa; pelo poi duro o floscio, nero o biondo; inoltre -ch'era pinto in vari colori, e che possedeva ciò che i -Greci sembra non avessero avvertito, quella cosa straordinaria -e straordinariamente variabile che è l'occhio. Gli -scultori del '400 furono spinti dai pittori a riconoscere -queste differenze fra l'uomo monocromo dei Greci — monocromo -per l'astrazione del vero colore — e l'essere -multicolore che è l'uomo vero. -</p> - -<p> -Avvertite queste differenze, vollero significarle nell'opera -loro. Ma come avrebbero potuto conseguir l'effetto -colla loro arte che tratteggiava il rilievo tangibile, -e che ricusava l'aiuto del colore? -</p> - -<p> -Per capirlo bisogna fermarci a considerare di nuovo, -e più attentamente, due particolarità capitali, che distinguevano -gli scultori medioevali da quelli antichi. -</p> - -<p> -Gli artefici del medioevo, in primo luogo, erano chiamati -assai di rado a fare figure da essere poste all'aria -aperta su un piedistallo libero. Invece, erano continuamente -esercitati a scolpire ornamenti architettonici da -porre in alto e profilati su di uno sfondo scuro; e monumenti, -tombe, pulpiti, ringhiere, da collocare in locali -parzialmente illuminati e spesso oscuri. -</p> - -<p> -Ora, secondo l'altezza dell'oggetto e la direzione della -luce, certi particolari acquistano o perdono la loro importanza; -per restituire la relazione vera fra linea e -linea, rilievo e rilievo, bisogna tener conto della posizione -e del punto di luce; bisogna, perchè la cosa faccia -lo stesso effetto che al livello dell'occhio e sotto una -luce diffusa, alterare le proporzioni, accrescere qua, scemare -là, introvertire alle volte il concavo ed il convesso, -sacrificare il vero all'apparente. -</p> - -<p> -I monumenti gotici, per esempio quelli di Santa Maria -<span class="pagenum" id="Page_300">[300]</span> -Novella, che sporgono dal muro all'altezza di un -primo piano di casa, non presenterebbero che una confusione -indecifrabile, se la figura sdraiata ed i suoi accessorî -non fossero alterati in modo da sembrare mostruosi -a chi s'arrampicasse a vederli da vicino. Lo -stesso segue nell'arte sviluppatissima del '400. Il Cardinale -di Portogallo — figura del Rossellino a San Miniato -al Monte — ha una metà del viso voltata soverchiamente -all'insù, in modo da ricevere in faccia la luce; -e ciò perchè, essendo visto dall'ingiù, la metà più vicina -del viso avrebbe altrimenti un'importanza relativamente -troppo grande; mentre, all'opposto, al bellissimo -guerriero morto, d'autore incerto, che è a Ravenna, lo -scultore ha deliberatamente tagliata una parte della mascella, -perchè lo spettatore deve guardare all'ingiù la -figura sdraiata su un lettuccio basso di marmo. Se prendiamo -i gessi di queste due statue, ponendo sulla tavola -quella del Cardinale, ed attaccando sul muro quella del -guerriero, la composizione si sfascia completamente: -l'espressione cambia affatto, i lineamenti diventano deformi, -e mentre l'una testa diventa grossolana, l'altra -sembra insoffribilmente manierata. -</p> - -<p> -Per intendere questo sistema, d'alterare la forma a -seconda della collocazione e della luce, basta rammentarsi -l'aneddoto delle due cantorie di Donatello e di Luca -della Robbia, di cui la prima parve brutta nella bottega -dello scultore, ma bellissima messa al posto; mentre -la seconda, che era piaciuta straordinariamente veduta -da vicino, scomparve del tutto nell'altezza buia di -Santa Maria del Fiore. -</p> - -<p> -Quest'abitudine di prendere delle licenze col modello, -di alterare le proporzioni misurabili all'occhio, abitudine -cominciata per ragioni quasi architettoniche, permise agli -scultori del '400 d'imitare i pittori, cercando, come questi, -la verità apparente, col sacrificio coraggioso della verità -<span class="pagenum" id="Page_301">[301]</span> -assoluta e concreta. Aprì alla scultura il campo vastissimo -degli effetti relativi; l'incoraggiò a produrre, colla -materia dura ed incolore, l'equivalente della varietà nel -colore e nel tessuto. -</p> - -<p> -Ma per secondare questo nuovo indirizzo dell'arte, era -necessario che gli artefici del '400 trattassero la parte -tecnica in un modo diverso affatto da quello dei Greci. -</p> - -<p> -Gli antichi, a' quali abbondavano ottimi gettatori in -bronzo, esercitati nel foggiare armi, utensili e arredi -d'ogni genere, dovettero prendere l'abitudine di circoscrivere -la loro personale operosità al modello in creta: -giacchè questo non richiedeva, come nel Rinascimento, -la sorveglianza costante dello scultore. E le liste lunghissime -di statue, di cui molte costruite faticosamente -d'avorio e d'oro, dànno a credere che gli scultori antichi -non perdessero il tempo sbozzando i lavori in marmo, -ma invece terminassero soltanto di propria mano le copie -che dal modello in creta avevano tratto lavoranti -espertissimi. Che ci fossero simili copiatori, lo sappiamo -dall'uso di fare riproduzioni in marmo delle statue già -fuse in bronzo, uso a cui dobbiamo la maggior parte -delle statue antiche pervenute a noi. -</p> - -<p> -Le abitudini erano diversissime da queste nel medioevo -italiano. È vero che il Vasari consiglia allo scultore di -valersi di modelli grandi quanto le statue che si propone -di fare. Ma il consiglio stesso, fatto per scansare i calcoli -sbagliati, che spesso rovinano il marmo, fa vedere -che prevaleva l'abitudine di sbozzare la pietra senza tener -conto di questo pericolo; che anzi, se l'uso dei modelli -grandi fosse stato universale, Agostino di Duccio non -poteva avere <i>storpiato</i>, come dice il Vasari, il marmo -da cui Michelangelo cavò più tardi il suo David. Ma -questi modelli di cui parla il Vasari più distesamente -nella vita di Jacopo della Quercia, erano fatti “di pezzi -di legno e di piani confitti insieme, e fasciati poi di fieno -<span class="pagenum" id="Page_302">[302]</span> -e di stoppa, e con funi legato ogni cosa strettamente insieme, -e sopra messo terra mescolata con cimatura di -pannolano, pasta e colla„ onde potevano bensì servire -a tenere “innanzi agli scultori l'esempio e le giuste misure„, -ma era impossibile che servissero mai, come i -modelli di gesso <i>puntati</i> del giorno d'oggi, a francare -l'artista dallo sbozzamento del marmo. Anzi, tutto ciò -che scrive il Vasari dimostra chiaramente che il modello -vero — quello cioè che veniva copiato non nelle sole -misure — era piccolissimo e fatto in cera; e che l'abitudine -di sbozzare le figure nel marmo, che a noi sembra -cosa maravigliosa nel Buonarroti, era generale fra -gli scultori del '400. È frequente il caso di uno scultore -che intraprenda, coll'aiuto di un solo uomo, lavori di -vastissima mole, porte, archi, mausolei. Nè pare che il -Vasari stupisca quando Jacopo della Quercia si mette, -solo solo, alla facciata di San Petronio; lavoro che gli -costò dodici anni, in cui un Greco avrebbe fatto chi sa -quanti bronzi magnifici ed un moderno chi sa quante -meccaniche copie di un gesso. Infatti non rimane nulla -d'inverosimile in questo sistema di lavorare il marmo -interamente e direttamente da sè, quando si rifletta che -tra gli scultori del Rinascimento una metà aveva esercitato -la professione dell'orafo, e l'altra l'arte dello <i>scarpellino</i> -o <i>squadratore di pietre</i>; e a tali artefici doveva -riuscire facile e naturale egualmente qualunque parte — sì -rozza che finissima — dell'arte loro. -</p> - -<p> -Gli scultori del '400 avevano adunque dello scarpello -una sicurissima pratica, quale non ebbero, nè sognarono -pur d'averla, gli antichi. -</p> - -<p> -Nelle mani loro lo scarpello non era semplicemente -un secondo stecco da modellare, riproducente nel marmo -i delicati piani, le sottili concavità e convessità trovate -prima nella creta. -</p> - -<p> -Per questi tagliapietre della collina fiesolana, per questi -<span class="pagenum" id="Page_303">[303]</span> -orafi di Ponte Vecchio, lo scarpello era l'emulo della -matita o del pennello; e con esso, a seconda della direzione -che gli si dava, potevansi così imprimere nelle -forme vigorosi tratteggi, come lasciarle svanire in impercettibili -sfumature. O, per meglio dire, lo scarpello -era per essi un pennello tuffato nelle varie tinte del -bianco e del nero, con cui, secondo che versava nel -marmo le luci e le ombre, o variava a guisa di spennellate -le ruvidezze e le spuliture e ogni altro modo -d'intaglio, potevansi riprodurre nella pietra la sostanza -delle carni, dei capelli e delle stoffe — le carni e i capelli -biondi e lisci dei bambini — le carni vizze o ruvide -dei vecchi — le stoffe di lana, di tela e di broccato. -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -Nell'antichità greca lo scultore soleva prendere il bel -modello — l'adolescente nel fiore dai quindici ai diciott'anni, -dalle membra sviluppate armoniosamente nella -palestra, all'aria aperta; e, correggendo colla esperienza -giornaliera di simili bellezze tuttociò che v'era d'imperfetto -nell'individuo, ne copiava quel tanto che la creta -si prestava a riprodurne. Ne riproduceva le squisite -proporzioni, la maestosa ampiezza delle masse, la delicata -finitezza delle membra, l'armonioso gioco di muscoli, -il sereno candore del volto e del gesto; ponendolo -in atteggiamento tale da essere inteso e ammirato egualmente -da lontano e da vicino, e dal maggior numero di -punti di vista. E cotesta fedele copia nella creta di un -originale perfettamente bello, veniva poi tradotta e trasmessa -ai posteri dal fedele copiatore in marmo, dalla -fedeltà inesorabile del bronzo, che riempie ogni minimissimo -vuoto lasciato dalla creta. Essendo bellissimo in sè -stesso, quest'uomo di bronzo o di marmo era necessariamente -bello ovunque venisse posto e sotto qualunque -rispetto venisse contemplato; sia che si mostrasse in -iscorcio sul frontone di un tempio, o al livello dell'occhio, -<span class="pagenum" id="Page_304">[304]</span> -ombreggiato dagli aggruppati allori, o splendente -al sole in mezzo alla piazza. La bellezza di esso viene -apprezzata ed amata come s'apprezza e si ama la bellezza -vivente di una creatura umana, poichè egli non -è che la riproduzione più esatta che l'arte ci abbia mai -data della bellissima realtà, posta in mezzo al suo vero -ambiente e sotto la vera luce del cielo. E siccome prende -nuovo aspetto la bella realtà umana secondo che si muovono -il sole e le nuvole, secondo che le giriamo noi intorno, -così cambia anche esso; ma così pure esso rimane -sempre, nonostante tutti i cambiamenti, la personificazione -della forza, della purezza, della inalterata serenità -dell'adolescenza. -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -Di cotale perfezione, nata dal più raro incontro di circostanze -felici, la scultura del '400 non seppe mai nulla. -</p> - -<p> -Arte secondaria in tempi, che davano il primato alla -pittura; serva, in gran parte, dell'architettura; turbata -dalla vista di corpi cresciuti a caso, e spesso cresciuti -male; turbata pure da ideali ascetici e da curiosità scientifiche, -la scultura di Donatello e di Mino, di Jacopo -della Quercia e di Benedetto da Majano, la scultura -dello stesso Buonarroti fu una di quelle fioriture artistiche, -che si nutrono degli elementi del terreno rifiutati -dalla più fortunata e rigogliosa vegetazione, che l'aveva -preceduta. La scultura del '400 riuscì da meno in tutte -le cose in cui la scultura antica era riuscita; ma eseguì -ciò che l'antichità aveva lasciato ineseguito. Ebbe pochissima -intuizione della bella forma umana. Alternava -fra la ignoranza del nudo e la insistenza pedantesca sull'anatomia, -difetti spesso riuniti nella medesima opera. -Paragonato all'antico, il David di Donatello, il San Giovannino -di Benedetto da Majano, l'Adamo di Jacopo -della Quercia sono addirittura goffi; e lo stesso Bacco di -Michelangelo è un bel villano invece che un dio. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_305">[305]</span> -</p> - -<p> -Questa scultura ha di più una vera preferenza pei -momenti meno belli della vita fisica: ama i brutti vecchi — spesse -volte sfasciati dalla sensualità o rimbecilliti -dall'ascetismo, — ed i ragazzi sproporzionati dalla -crescenza. Coll'eccezione del San Giorgio di Donatello, -il cui corpo però è nascosto sotto la pesante armatura, -essa non ci presenta mai la squisita vigoria dell'adolescenza. -</p> - -<p> -Questi particolari si avvertono subito; e chi è avvezzo -all'arte antica, si sente subito respingere da quest'arte -medioevale. -</p> - -<p> -Ma osserviamo la scultura del '400 quando fa ciò che -l'antichità non aveva neppur sognato: l'antichità che -collocava le statue sui frontoni l'una accanto all'altra, -ad equilibrarvisi come massa, ma non mai ad intrecciarvisi -in veri disegni; l'antichità che fece del rilievo -la ripetizione d'un lato solo della statua in tondo, l'ombra -del gruppo del frontone; l'antichità che nei suoi bei -tempi non conobbe nè il patetico della vecchiaia, nè la -grottesca bellezza dell'infanzia, nè la graziosa goffaggine -della prima adolescenza; l'antichità che non seppe distinguere -la consistenza della pelle, la setosa morbidezza -dei capelli, il colore dell'occhio. -</p> - -<p> -Passiamo ora a considerare alcuni lavori tipici del '400. -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -Cominciamo dalle statue e dai busti di bambino. Ecco -prima la creaturina i cui piedini escono da una specie -di ghetta carnosa, le cui gambine, senz'ossi, appena sorreggono -il ventre grassotto, la testolina non bene proporzionata. -Notate che in questa testolina il cranio apparisce -sempre relativamente morbido, della consistenza -d'una mela, sotto le floscie matasse bionde. I fratellini -maggiori sono tuttora assorti in vaga contemplazione -del mondo e delle cose, cogli occhi largamente aperti, -ma facilmente imbambolati. Quelli un po' più grandicelli, -<span class="pagenum" id="Page_306">[306]</span> -invece, hanno già scoperto che il mondo è fatto di -gravità da scombussolare: i lineamenti del viso sono -appena più sentiti, i capelli sono appena inanellati in -vetta, ma gli occhi pare che siano usciti di sotto la -tettoia della fronte, l'occhio e la fronte sono già nella -vera proporzione: e poi nelle gote ci sono delle fossette -venute, si direbbe, dal ridere, e che invitano ai pizzicotti. -I ragazzi dai dodici ai quattordici anni, hanno -sempre quelle braccia magrissime che contrastano deplorevolmente -coi polpacci delle gambine ancora impotenti -a sostenere il ventre piccolo, ma grasso, e che accenna -agli abbondanti pasti dell'infanzia, continuati nell'adolescenza. -Ma hanno, allo stesso tempo, la monelleria -(gaminerie) gagliarda del David del Verrocchio, il quale -dovette, insieme alla pietra, scagliare qualche canzonatura -addosso a quella goffaggine di Golia; oppure hanno, -come il San Giovannino del Louvre e quello di Benedetto -da Maiano, una certa grazia sentimentale, quasi -una civetteria delicata di bella signorina, che fa capire -come fra poco smetteranno il baloccarsi per leggere la -<i>Vita Nuova</i>, o le <i>Rime</i> del Petrarca. Due San Giovanni, -d'altra parte, hanno preso, cogli anni, un andamento diverso. -Sono ambedue di Donatello. Quello più giovane, -dalla prima, dubbiosa lanugine sul volto, è già scappato -inorridito dalla <i>Vita Nuova</i> e dal <i>Decamerone</i>, prima -d'averne voltato una pagina. Estenuato dal digiuno, non -ha di muscolare che le gambe, diventate di ferro a furia -di scorrere i deserti. Del resto, anche nei deserti ha cominciato -ad essere infastidito da voci e da visioni, non -si sa se d'angeli o di diavoli; e cammina furiosamente, -cogli occhi fissi sullo scritto, colla mente distaccata, a -quanto pare, da ogni cosa terrestre; si direbbe che facilmente -potesse impazzire, questo santo ventenne. Eccolo -di nuovo, ritratto nel bronzo che è a Siena, quel -San Giovanni, ma oramai maturo; ha la barba e i capelli -<span class="pagenum" id="Page_307">[307]</span> -incolti, è diventato quasi un selvaggio delle foreste, -ma colla gravità e la fede in sè del predicatore di professione: -è uscito dal deserto, ha domato ogni tentazione; -il suo fanatismo è militante, direi quasi sistematico. -</p> - -<p> -Passiamo ad altro. -</p> - -<p> -Questo vecchio — lo Zuccone di Donatello — non -può mai essere stato quel San Giovanni, ma facilmente -sarà stato un suo devoto. È un vecchio che non è stato -mai cospicuo per intelligenza; ed ora la testa, fatta a -cupola, ha ripreso, colle floscie matasse bianche, che -richiamano l'infanzia, quell'apparenza di poca sodezza -che è propria del cranio infantile; la bocca poi è già -tremula, cascante, forse per una prima paralisi; e gli -occhi non fissano più; ma in questo deperimento fisico -e intellettuale, il vecchio sembra essersi riempito di sempre -maggior dolcezza morale: è un Giobbe riconciliato -con Dio, perchè fatto indifferente a sè stesso, è il fiore -umano sfasciato in terra, per essere poi riseminato in -cielo. -</p> - -<p> -Coteste sculture, per quanto destinate ad un determinato -posto, nicchia o mensola, sono sempre sculture -libere, non legate all'architettura. Rivolgiamoci adesso -alle sculture d'intenzione decorativa. Guardiamo prima -l'Annunziata di Donatello che è a Santa Croce. La pietra -bigia, vilissima, incapace di pigliare un contorno -netto, è scolpita in larghe masse quasi grossolanamente, -e per supplire le sottigliezze d'intaglio impossibili in -quella materia, il fondo, i fregi, gli orli dei vestiti, le -ali dell'angelo, sono ritoccati coll'oro: quella cosa ruvida -finisce con essere squisita. Del resto, notate l'esterno -contegno, l'assenza dell'estasi, della sorpresa, dell'espressione -solita in quel soggetto: l'Angelo e la Madonna -serbano il decoro, la serietà delle linee architettoniche, -dei vicini pilastri. Passiamo a guardare la Cantoria di -<span class="pagenum" id="Page_308">[308]</span> -Donatello, rilievo bassissimo su fondo intarsiato; quei -gruppi schiacciati di bambini danzanti formano, colle -larghe ombre fra le braccia alzate sopra il capo, una -specie di pergolato umano in bianco e nero. Questo lavoro -è basato tutto sulle ombre; guardiamone uno in -cui l'ombra entra appena: la Madonna coi Santi, di Mino, -nel Duomo di Fiesole. Il rilievo è voltato in modo da -guardare dalla cappella nel corpo della chiesa; ed in -tal modo che la testa della Madonna, ricevendo la luce — come -un segno di gloria — sulla purissima lucente -fronte, proietta intorno a sè un nimbo d'ombra circolare. -Rilievo maraviglioso, cotesto di Mino, per essere composto -quasi esclusivamente di luci. Anzi, si direbbe non -rilievo, ma mirabile visione di bianche rose del Paradiso, -i cui acerbi bocci e le acute spine (nutriti dall'incenso -e dal sangue dei martiri) sono diventati poi le -sottili labbra, gli occhi lunghi e stretti, l'acerbo virgineo -corpo e le dita affilate di Maria. -</p> - -<p> -Questi rilievi sono relativamente semplici. Guardiamo -invece le complessità del pulpito di Santa Croce, dove -il gruppo è involuto nel gruppo, per svanire nei porticati -e nei filari d'alberi appena profilati dello sfondo. -Guardiamo le magnifiche composizioni, a razzi, si direbbe, -tessuti di luce e d'ombre, ed incorniciate da immortali -ghirlande, delle porte del Ghiberti. -</p> - -<p> -Ma non è tutto. L'arte del Rinascimento, non si contentò -d'aver messo in marmo l'uomo vero, fatto di carne -e d'ossa, dal pelo biondo o scuro, dall'occhio chiaro o -cupo; ma volle pure, prima di sparire dal mondo, scolpire -nella pietra l'intangibile sogno. Parlo di quelle tombe -le cui cime sono trono a fantasmi di guerrieri e i cui -ripidi fianchi sono letto inquieto a divinità che sembrano -emergere non dal marmo, ma dalla tenebra e da quella -luce, come dice il profeta, che è simile alla tenebra. -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_309">[309]</span> -</p> - -<h2 id="leonardo">LEONARDO DA VINCI</h2> - -<p class="center"> -DI -</p> - -<p class="center large"> -ENRICO PANZACCHI. -</p> -</div> - -<p class="pad2 indl"> -<i>Signore e Signori!</i> -</p> - -<p class="pad2"> -Il pittore francese Paolo della Roche nella più insigne -forse delle sue opere, il famoso <i>Emiciclo</i> che è nell'Accademia -di belle arti a Parigi, riprendendo e imitando -liberamente il pensiero di Raffaello, nella <i>Scuola d'Atene</i>, -ha inteso di rappresentare e disporre in certi gruppi gerarchici -gli artisti principali del Rinascimento italiano -ed europeo. -</p> - -<p> -A destra del riguardante attira lo sguardo un gruppo, -forse il più riuscito di tutta la composizione. Sul davanti -Michelangelo siede solo sopra un frammento di basso -rilievo antico e guarda triste dinanzi a sè, voltando le -spalle agli altri. Dietro di lui, elegante figura giovanile, -si leva Raffaello d'Urbino, e lievemente del capo sovrasta -a tutti gli altri. Ma guardando bene, si capisce che -il protagonista vero di questo gruppo non è nè Raffaello -nè Michelangelo. È invece un bellissimo uomo sontuosamente -vestito, con una ricca barba, col gesto largo e -con quell'obbliquo atteggiamento dei diti della mano sinistra, -proprio del pittore che discorre analiticamente -dell'arte sua. E quest'uomo ha l'aria d'insegnare a tutti, -e tutti hanno l'aria di ascoltarlo con rispetto. Non è il -dottore ascetico e austero del medio-evo; è piuttosto, -all'aspetto, uno di quei tipi di gentiluomini culti e compiti -<span class="pagenum" id="Page_310">[310]</span> -che Baldassare Castiglione metteva nei dotti e piacenti -colloqui alla corte del duca e della duchessa d'Urbino. -E tutti, vi ripeto, lo ascoltano. Lo ascolta attentamente -frate Bartolomeo della Porta ritto vicino a lui -e guardandolo col volto serio e sereno; lo ascolta più -lungi Hans Holbein col profilo teutonico e la chioma -arruffata; lo ascolta con gli occhi intenti Alberto Durer -nel suo sfarzoso abbigliamento signorile. Anche il Domenichino -più d'ogni altro premuroso si accosta a lui -per non perdere parola. Con l'orecchio è attentamente -inclinato verso il maestro; ma nell'inquietudine del suo -eclettismo bolognese si vede che egli erra cogli occhi -tra Michelangelo e Raffaello. -</p> - -<p> -Quest'uomo sedente o docente, tutti hanno ben ragione -di ascoltarlo perchè egli è Leonardo da Vinci, grandissimo -fra i grandi, l'uomo più portentoso del Rinascimento -italiano, che di portenti ebbe così grande ricchezza. -</p> - -<p> -Ed io, o signore, dovrò parlarvi di quest'uomo? C'è -proprio da sentirsi tremare le vene e i polsi! Tanto più, -ve lo confesso, perchè anche dopo le copiose pubblicazioni -e illustrazioni che si sono fatte dei manoscritti di -Leonardo da Vinci in Inghilterra, in Francia, in Alemagna -e in Italia; anche dopo le belle fatiche di tanti eruditi -stranieri e nostrani, tra i quali non bisogna scordare -Gustavo Uzielli e il vostro Milanesi, un libro sopra -Leonardo da Vinci ci sarebbe da arrischiarsi a scriverlo: -e non sarebbe forse per me un atto di disperata audacia. -Ma parlare di lui nel breve tempo d'una conferenza, -ma costringere, ma pigiare entro questo breve circolo -tanti elementi così disparati, è cosa che io credo impossibile, -o che, a ogni modo supera di troppo le forze di -cui posso disporre. Però, o signore, io faccio appello colla -più viva instanza alla benevolenza vostra, a quella benevolenza -che altre volte esperimentai e di cui serbo -sempre così vivo il ricordo e la gratitudine. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_311">[311]</span> -</p> - -<p> -Ascoltatemi dunque attente e scusatemi se, per la terribilità -e vastità del soggetto, invece di narrare io dovrò -procedere per brevi accenni, invece di dimostrare, il più -delle volte, dovrò contentarmi di affermare; insomma se -invece di rendervi intera e rilevata questa colossale e -complessa figura, io sarò costretto a darvene una pallidissima -immagine, simile ad ombra di gigante fuggente -sul muro in una giornata scarsa di sole. -</p> - -<h3>I.</h3> - -<p> -Egli era l'uomo dei doni. Difficilmente, percorrendo -la storia della umanità, ci potremmo imbattere in un -uomo che lo valga. Humboldt avrebbe detto di lui ch'egli -era un figlio prediletto della natura. Se fosse vero ciò -che narra la leggenda, che le fate vanno alla culla degli -uomini predestinati a grandi cose, egli è certo che -alla culla di questo bastardo di Ser Piero da Vinci accorsero -tutte le fate e vi buttarono dentro tutti i loro -doni, e nessuna rimase a casa per dispetto o per dimenticanza. -</p> - -<p> -Cominciamo dai doni fisici. Bellissimo della persona, -d'una bellezza temperata di grazia e di maestà; e forte -come pochi del suo tempo. Con un movimento del pollice -storceva un ferro di cavallo; nella danza, nella lotta, -nel nuoto vinceva i campioni più rinomati del suo tempo. -Le qualità del suo ingegno darebbero luogo ad una amplissima -descrizione; ma sopratutto sorprende quella interezza -organica che è tutta propria di lui. Egli non -ammette soluzione di continuità nello svolgimento del -suo ingegno; e la sua mente vi dà l'idea di una grande -tastiera d'organo ove i suoni vanno dai più profondi ai -più acuti senza il più piccolo salto di tono, senza la più -piccola disarmonia. Egli non si contenta mai; vuole approfondire, -<span class="pagenum" id="Page_312">[312]</span> -sviscerare, esaurire tutti gli argomenti. Nella -meccanica, per esempio, egli va colla medesima cura dal -girarrosto ad elica (che pare egli abbia inventato) fino -al più complicato congegno di idraulica, fino ai più ingegnosi -strumenti di guerra, che egli offre per la vittoria -ai principi ed alle repubbliche italiane. Come artista -egli è lo stesso. Per lui nell'arte non esiste parvità di -materia; tutta quanta la gamma artistica egli la vuol -toccare, e la tocca e la tratta colla medesima scrupolosità, -colla medesima maestria elevandosi di grado in -grado alle più meravigliose eccellenze. Leonardo mette -ugual cura nel rendere col suo pennello la appannatura -dell'acqua in una caraffa ed il volto radioso e sorridente -d'una Vergine; mette egual delicatezza e minuziosità nel -rappresentare le damascature e l'ordito della tovaglia -gettata sulla tavola del Cenacolo come a esprimere la -soavità accorata dell'apostolo Giovanni, come a significare -la divinità attristata e sofferente del Redentore del -mondo. In tutto è sempre eguale a sè stesso e rivela un -equilibrio stupendo; il quale equilibrio voi cerchereste -forse invano in alcun altro dei suoi contemporanei, così -completo e così scrupolosamente mantenuto. Colossi sorgono -intorno a lui; ma, se li guardate, questi colossi -hanno tutti qualche cosa che turba, molto o poco, la -loro stupenda economia spirituale e lascia luogo a desiderare. -</p> - -<p> -Onde, più lo si osserva, più si capisce il fascino che -doveva esercitare Leonardo da Vinci sopra i suoi coetanei. -Alle sue grandi qualità della mente e dell'estro aggiungete -certe particolarità nell'essere e nella vita, che -realmente dovevano colpire e quasi impaurire. Aveva -del bizzarro, del misterioso, dello strano. Se vergava -una lettera la vergava da destra a sinistra, alla maniera -degli Orientali. Viveva fantastico, ghiribizzoso; mille cose -intraprendeva e poi tralasciava, andando continuamente -<span class="pagenum" id="Page_313">[313]</span> -in traccia di nuovi aspetti di verità, di nuove e insolite -forme di bellezza. Racconta il suo biografo che si rinchiudeva -volentieri in una stanza dove non lasciava entrare -alcun uomo; e in quella stanza egli accumulava -insetti, farfalle, ramarri, animali morti d'ogni specie, e -là spendeva lunghe ore meditando, sperimentando, osservando, -fantasticando a sua posta. C'era in lui qualche -cosa come del negromante, del Gilberto, del Raimondo -Lullo, del Faust; un Faust però, lasciatemi dire, -più sereno, più equilibrato di quello tedesco; sopratutto -un Faust onesto e benefico, che studiava la vita e -scrutava la natura e cercava di indovinarne le leggi, ma -non ad appagamento dei suoi egoismi crudeli e superbi, -sì per scoprire utili veri, per cogliere i fiori più eletti -della verità e della bellezza e gettarli, a consolazione e -ad ornamento, sui passi degli uomini. -</p> - -<p> -E a proposito di Faust, vien subito fatto di indicare -un altro lato singolare e argomento di molta curiosità -nella vita di Leonardo da Vinci. Questo Faust trovò egli -la sua Elena o la sua Margherita nella vita mortale?... -Fra i tanti punti oscuri della vita di Leonardo, questo -è rimasto oscurissimo. In tanti volumi di manoscritti -ch'egli ha lasciato non ricorre il nome di una donna. -Quest'uomo che aveva tutto per essere amato, che, secondo -la bella frase del Vasari, colla voce soave “tirava -a sè gli animi delle genti„, che professava così vivo il -culto della bellezza, e quindi doveva essere così inclinato -a sentirne il fascino, quest'uomo non ha una donna nella -sua vita. Tutto ciò naturalmente è spiaciuto ai romanzieri -e ai poeti, ai quali è parso che questa grande figura -mancasse di qualche cosa senza un romanzo o almeno -un idillio d'amore. Alcuni quindi, guardando il -sorriso così vivo, così suggestivo e quasi invitante della -Lisa del Giocondo, hanno voluto fantasticarci su e fabbricare -un romanzetto al quale io non credo; non perchè -<span class="pagenum" id="Page_314">[314]</span> -io lo reputi genericamente inverosimile, ma perchè -in storia non bisogna affermare se non ciò che è -sorretto da qualche maniera di argomenti. Noto anzi un -particolare. Il Vasari racconta che per togliere al bellissimo -volto di monna Lisa quella fissità e tristezza che -hanno quasi sempre i ritratti pel disagio e la noia che -invade l'originale nel posare, Leonardo faceva venire intorno -alla bella donna dei sonatori e dei buffoni che la -mantenevano sempre graziosa ed allegra.... Oh! se Leonardo -e monna Lisa si fossero intesi d'amore, voi ben -vedete, che sarebbe bastato il bello e spiritoso pittore a -tenere allegra la sua modella; e non avrebbero pensato -ad altra compagnia! -</p> - -<p> -Di quanti hanno cercato di definire la figura di Leonardo -da Vinci il più vicino al vero mi pare sia stato -Gino Capponi, nel primo volume della Storia di Firenze, -ove dice che “in Leonardo vennero a far capo le due -correnti per le quali s'era condotta l'Italia, da un lato -nelle arti e dall'altro nelle scienze.... Con ciò parmi molto -fedelmente resa la grande singolarità della figura di -Leonardo da Vinci e il suo posto nella storia ideale del -nostro Rinascimento. Noi possiamo avere nel medesimo -individuo delle attitudini artistiche e delle facoltà scientifiche; -può darsi benissimo che tanto le prime quanto -le seconde procedano di pari passo in un armonico sviluppo. -Ma in Leonardo da Vinci abbiamo qualche cosa -di più: abbiamo la compenetrazione di questo doppio -ordine di qualità. Non è che lo scienziato vada per la -sua via e per la sua via vada l'artista; la via dello scienziato -e quella dell'artista non formano che una medesima -grande strada regia, che porta verso delle altitudini -sconosciute. -</p> - -<p> -Sono meravigliose le scoperte, le antiveggenze di questo -genio che non ristava mai dall'osservare nel volume -della natura. Guglielmo Libri nella sua storia delle matematiche -<span class="pagenum" id="Page_315">[315]</span> -quando arriva a Leonardo, a questo scultore, -a questo pittore, a questo sonatore di cetra, è costretto -a fermarsi a lungo e dedicargli quasi un intero capitolo. -E le benemerenze di Leonardo verso le matematiche -non sono che una parte dei titoli che ha verso la scienza -universale. Egli è dei primi, il primo forse, che scuote -completamente l'<i>apriorismo</i> della scolastica e che non -accetta la concezione del mondo già fatta, già costituita -secondo la sentenza degli antichi. — Che importa a me, -egli scrive, se non cito gli antichi e se non seguo le -loro massime? Io cito la Natura e segno la Natura che -è la maestra di quei maestri. — E di tali massime, che -esprimono il libero procedimento del suo ingegno nell'osservare, -i suoi manoscritti sono pieni. Torna sempre -sopra questo concetto: ammira gli antichi, li venera, ma -dice che se essi valsero in qualche cosa, se essi scoprirono -invidiosi veri, fu perchè essi osservarono la Natura. -Dunque egli vuol risalire a questa grande maestra, a -questo universale esemplare, e da esso direttamente, non -di seconda mano, attingere la verità. -</p> - -<h3>II.</h3> - -<p> -Per questo non è di nulla esagerato il dire che Leonardo -da Vinci è il primo a cui completamente si addice -il titolo di “uomo nuovo„ secondo il concetto di -Giordano Bruno. Egli anticipa sopra tutte le scienze e -gli scienziati che vennero dopo. Nella metodologia viene -prima di Bacone da Verulamio quasi di cento anni. -Quello che v'ho detto circa il metodo suo d'osservazione -è, in sostanza, il “nuovo organo„ che di poi con tanta -pompa di novità il Cancelliere inglese proclamerà al -mondo. Nella idraulica anticipa il Castelli; nella geologia -Pomponio Leto; nell'ottica egli precede La Porta, -<span class="pagenum" id="Page_316">[316]</span> -prevenendolo nella scoperta nientemeno che della camera -oscura; nella caduta dei gravi anticipa di molti -teoremi il lavoro di Galileo Galilei; nella intuizione dei -tratti della fisonomia come manifestazione delle interne -facoltà dell'animo, egli spiana la strada al La Porta e -al Lavater. Un'altra anticipazione importantissima ci -dà Leonardo. In un passo molto caratteristico egli dice: -“Lascio stare i libri sacri, incoronati di suprema verità„; -e procede oltre liberamente nelle indagini della -natura, tralasciando ogni preoccupazione dogmatica e -teologale. Anche in questo delicato argomento, lo spirito -di Leonardo precedette di molti anni il Pomponazzo, -il Cremonino e lo stesso Galileo Galilei, che con tanto -studio e tanta arte, nella sua famosa lettera <i>Alla granduchessa -madre</i>, si adoperò a dimostrare che il procedimento -teologico e il procedimento scientifico devono -andare avanti di pari passo senza intralciarsi l'uno coll'altro, -e senza che i dogmi rivelati gravitassero con -troppo frequenti intromissioni nel lavoro e nelle conclusioni -dello scienziato. -</p> - -<p> -Se non che, per quanto mi ha dettato lo studio amoroso -dei manoscritti leonardeschi ora in molta parte -editi, io penso che, mentre lo scienziato pare alle volte che -dietro a sè ci nasconda l'artista, l'artista invece tiene -sempre il campo. È sempre l'Arte la regina della mente di -Leonardo. Basta leggere alcune delle pagine del Trattato -in cui celebra le lodi della sua prediletta fra le arti, la -pittura, per capire da che sovrano entusiasmo estetico -fosse riscaldato e mosso l'animo suo. Per cui tante volte, -mentre direste alla prima che la indagine scientifica -prepari in Leonardo il lavoro dell'arte; la verità vera è -invece il contrario: vale a dire che il lavoro della scienza -non è altro che un prolungamento, per dir così, della -ricerca artistica. E con questa gran differenza che, mentre -gli altri artisti suoi contemporanei si fermavano alla -<span class="pagenum" id="Page_317">[317]</span> -parvenza della cose e quella cercavano di ritrarre secondo -le regole dell'arte, Leonardo, spinto da un fervore -d'animo tutto suo particolare, andava anche al di là -della parvenza artistica, e voleva trovare e trovava in -fatto la ragion d'essere di questa in una più alta regione -speculativa. -</p> - -<p> -Così quand'egli studia la prospettiva lineare ecco che -egli a poco a poco si incammina e s'ingolfa nel mondo -della geometria: quando studia la prospettiva aerea ecco -che l'ottica gli apre i suoi grandi orizzonti, e lì spigola -e raccoglie verità nuove e spesso mirabili. Medesimamente -la pittura del corpo umano lo traeva ad investigare -tutto il magistero della nostra struttura corporea; -ed ecco che si associa a Marcantonio della Torre e dà -al mondo i primi saggi completi e veramente scientifici -di anatomia grafica. Lo stesso gli avviene, o signore, in -tutti mai i rami dello scibile. Egli è condotto sulla via delle -scienze dalla mano dell'arte. Nel libro VI del <i>Trattato -della pittura</i> egli parla delle piante. Pittoricamente parlando, -uno si sarebbe fermato alla apparenza di queste -piante e ad indicare il modo con cui il pittore deve fedelmente -ritrarle giusta i varii stati in cui ce le dimostra -ai nostri occhi la natura, sia ch'esse siano sguarnite -di foglie nell'inverno o abbiano il primo tenero verde -nell'aprile o le foglie diffuse nella pienezza della buona -stagione; sia che vengano o battute dalla pioggia o scrollate -dal vento o illuminate dal sole e via discorrendo. -Invece Leonardo da Vinci vi dà tutto questo per il pittore; -ma il suo spirito non può fermarsi qui. Egli procede -più oltre investigando e speculando: “La natura -ha messo le foglie degli ultimi rami di molte piante in -modo che sempre la sesta foglia sia sopra la primiera, -e così segue successivamente, se la regola non fu impedita.„ -Qui, come vedete, abbiamo qualche cosa di più -che una semplice osservazione bastante per gli occhi -<span class="pagenum" id="Page_318">[318]</span> -del pittore. E non è cosa di piccolo momento, o signore, -ma una vera e propria legge botanica (la <i>fillotassi</i>) che -farà poi la gloria del naturalista Brown. Sempre rimanendo -dentro l'ambito della pittura ed andando oltre, -Leonardo scrive: “Le parti meridionali della pianta mostrano -maggior vigore e gioventù che le settentrionali. -Li circoli degli rami segati mostrano il numero degli -suoi anni, e mostrano l'aspetto del modo con cui erano -volti, poichè più grossi sono a settentrione che a mezzodì. -Così il centro dell'albero per tal causa è più vicino -alla scorza sua meridionale che alla sua scorza settentrionale.„ -Nelle quali parole è pure anticipata una dimostrazione -che farà, dopo un secolo, Marcello Malpighi, -meritamente salutato dall'universale come l'inventore -ed il fondatore della anatomia botanica. -</p> - -<p> -Questi esempi, o signore (e tanti altri che potrei citarvi), -riconfermano quello che io vi accennava, cioè che, -a guardare bene nella mirabile struttura dell'ingegno di -Leonardo da Vinci e in tutti gli atteggiamenti della sua -attività, noi vediamo ch'egli si diffonde mirabilmente nel -campo dello scibile, ch'egli corre dietro a tutte le forme -del vero, ma che la sua stella polare è sempre l'Arte, -e che all'Arte egli vuole che convergano gli elementi -della sua cultura meravigliosa. Se tale la sua propedeutica -artistica, voi avete un primo dato per argomentare -subito quale e quanta debba essere stata l'arte di Leonardo -da Vinci. -</p> - -<p> -Egli venne in tempi in cui, massime in Italia, la pittura -si avvicinava alla sua più alta fioritura, anzi alla -sua radiosa maturità. Antonello da Messina aveva già -divulgato fra noi il processo della pittura ad olio per il -quale delle più smaglianti grazie ed una maggiore evidenza -acquistavano i colori; a Firenze nel tempo di Leonardo -dipingevano artisti come Sandro Botticelli; nella -Umbria tenevano il campo Pinturicchio e il Perugino, -<span class="pagenum" id="Page_319">[319]</span> -preparando Raffaello; a Bologna Francesco Raibolini -detto il Francia di grande orafo si mutava in grande -pittore; Ferrara aveva avuto il Tura e il Cossa e il -Costa. Di là dal Po, Mantegna, svincolatosi dalle dotte -pedanterie dello Squarcione, popolava di meraviglie Padova, -Verona e Mantova e associandosi e accostandosi -al Giambellino, fondeva la robusta evidenza del suo disegno -con le grazie del colorito veneziano. Volgeva dunque -un momento di grande ricchezza e di grande splendore -per l'arte. Egli, Leonardo, doveva coronare e glorificare -tutto questo movimento. -</p> - -<p> -E gli si aprivano due vie. Il suolo d'Italia restituiva, -come per grazioso miracolo, alcuni dei più bei documenti -dell'arte antica: le menti ne rimanevano stupite -e irresistibilmente attratte ad imitarli. Leonardo da Vinci, -quest'alunno della natura, tutto il tesoro delle osservazioni -fatte nel campo della vita portava nel campo dell'arte, -e voleva un'arte essenzialmente naturale, che -dalla natura prendesse tutto il suo vigore e tutte le sue -grazie. È molto notevole, o signore, questo atteggiamento -preso di Leonardo nella grande contesa fra il naturale -e l'antico, che allora appunto stava per raggiungere il -suo momento critico e decisivo. Leonardo portò tutto -il peso del suo sapere, tutta la potenza delle sue attitudini -artistiche, tutta la sua autorità immensa in favore -del movimento naturalista, ampiamente inteso e nobilmente -significato. -</p> - -<p> -Osservate in fatti che egli non accetta i “moduli„ -che si cominciano ad insinuare nelle pratiche dell'arte, -e coi quali si tendeva già a sostituire qualche tipo fisso -ed inalterabile al lavoro personale e continuamente vario, -al movimento fluido, infaticabile della natura, l'eterno -e inesauribile esemplare. Guardate il Cangiasio, il Durer, -Leon Battista Alberti escogitano misure e proporzioni -determinate al corpo umano; fra Bartolomeo della Porta -<span class="pagenum" id="Page_320">[320]</span> -tira fuori dalla sua mente, o piglia dalla Germania, il -<i>manichino</i>. Leonardo scarta tutto ciò. Egli guarda con -diffidenza tutto quello che tende a sostituire nell'arte -degli schemi già finiti e per così dire cristallizzati all'incessante -mutualità che deve passare fra l'animo dell'artista -e la natura. Egli primo fra i moderni, comincia -già a tracciarvi la storia dell'arte in un modo che -ci fa davvero stupire e che dà ragione della sua maniera -di sentirne l'essenza. Ascoltiamolo: “Le arti giacquero -in Italia perchè fu negletto ogni studio di imitare la -natura, finchè venne Giotto fiorentino, il quale nato -in monti solamente abitati da capre e simili bestie, cominciò -a segnar su per li sassi gli atti di simili capre, -delle quali era guidatore; e così cominciò a fare tutti -gli altri animali, che nel paese trovava. In tal modo -che questi dopo molto di studio avanzò, nonchè i maestri -dell'età sua, tutti quelli di molti secoli passati.„ -Ecco il giusto criterio naturalista sostituito ad ogni altro -criterio! Il tipo dell'artista per Leonardo infatti è -Giotto, l'uomo semplice, quasi primitivo, che non guarda, -come Nicola Pisano, il sarcofago antico, ma le cose naturali -e vive che stanno dintorno a lui e ingenuamente -le ritrae. E prosegue a dire: “Dopo, gli uomini imitarono -Giotto, e l'arti decaddero.„ L'imitazione sostituita -allo studio diretto della natura, quindi perniciosa all'arte. -“Finalmente sorse Tommaso fiorentino cognominato Masaccio, -il quale mostrò con opere perfette come quelli -che pigliano per autore altri che la natura, maestra -de' maestri, si affaticano invano.„ -</p> - -<h3>III.</h3> - -<p> -Dal naturalismo così altamente inteso doveva sgorgare -un'arte individuale, eminentemente soggettiva, un'arte -che non procede da formule fatte, ma le desume da quel -<span class="pagenum" id="Page_321">[321]</span> -travaglio incessante che l'occhio e la mente dell'artista -non ristanno mai dal proseguire. Perciò con gli aspetti -della natura, l'anima dell'artista entra e si rispecchia -nell'opera d'arte. Il Vinci esprimeva questo concetto fondamentale -nel <i>Trattato della Pittura</i> in un modo che -non lascia luogo al più piccolo dubbio. Per lui non solamente -l'artista deve ispirarsi al proprio estro, deve -conformarsi alle attitudini naturali che egli ha, ma va -più oltre. Egli crede che dentro al cervello di ogni artista -ci sia “un giudizio proprio„, una specie di facoltà -determinata, che la natura mette a disposizione di ogni -singolo artista perchè egli ritragga, in una certa guisa -particolare, il mondo esteriore. “Questo tal giudizio è -di tanta potenza, dice Leonardo, ch'egli muove le braccia -al pittore e fagli replicare sè medesimo, parendo a -essa anima che quello sia il suo modo di figurare l'uomo; -e chi non fa come lei faccia errore.„ A questa individualità -poi corrisponde (e ne è come la più luminosa -riprova) una specie di <i>unicità</i> nei singoli oggetti generati -dall'arte. Niente si assomiglia in arte; questo è il -concetto di Leonardo. Ammira le belle e armoniche forme -delle statue antiche, dà anch'egli qualche precetto, qualche -suggerimento per generalizzare le proporzioni del -corpo umano, e andate discorrendo. Ma finisce sempre -con l'insistere sulla massima che <i>bisogna proporzionare -ogni oggetto particolare con sè medesimo</i>. Non è mai il -modello rinnovato degli antichi il quale stabiliva che un -corpo umano è alto tante teste e largo tante altre. No, -Leonardo invece vi dice: studiate ogni singolo corpo -umano, e rilevate e trasferite nella pittura vostra quella -data proporzionalità che rappresenti il carattere di quel -dato corpo, come voi lo vedete, e non di altro. -</p> - -<p> -Questa la gran differenza che è tra Leonardo da Vinci -e Leon Battista Alberti, ed Alberto Durer e Rubens, -e tutti gli altri creatori di moduli, fino agli ultimi tedeschi, -<span class="pagenum" id="Page_322">[322]</span> -che hanno voluto rinnovare questa specie di -meccanismo geometrico applicato alla pittura. “La bellezza -dei visi„ dice Leonardo “mai si trova essere replicata -in natura, di modo che se tutte le bellezze, -tutte le eccellenzie tornassero vive, esse sarebbero maggior -numero di popolo che quello che al nostro secolo -si trova. E siccome in esso secolo nessuno precisamente -si somiglia, il medesimo interverrebbe alle -dette bellezze e per questo, sommo difetto è dei pittori -replicare gli medesimi moti, e gli medesimi volti -e maniere di panno in una medesima istoria, e via discorrendo.„ -Tutto, insomma, ciò che il pittore rappresenta, -secondo Leonardo, dee avere un certo carattere -di istantaneità, vale a dire vuole che sia ispirato dentro -di lui da un particolare stato dell'animo, fuori di lui da -una particolare visione che balzi ai suoi occhi, che impressioni -i suoi sensi e che per via della mano si trasferisca -nella forma elaborata. “Sempre il pittore deve cercare -la prontitudine nell'atto naturale fatto dagli uomini -all'improvviso e nato da potente affezione dei suoi -affetti; e di quelli far breve ricordo nei suoi libretti e -poi, a suo proposito, adoperarli. <i>Finalmente la mente -del pittore si deve del continuo trasmutare in tanti -discorsi quante sono le figure degli oggetti notabili che -dinanzi gli appariscono e di quelle fermare il passo e -notarle, considerando il luogo e le circostanze, il lume -e le ombre.</i>„ -</p> - -<p> -È impossibile, o signore, esprimere in termini più -esatti gli intendimenti tecnici ed estetici della pittura -di sostanza e di ambiente, quale oggi potrebbe vagheggiarla -ed esercitarla ogni più progressivo animo d'artista! -</p> - -<p> -Da queste premesse ideali passiamo alle conseguenze -pratiche. La pittura di Leonardo è una meravigliosa testimonianza -della singolarità del suo modo di intendere -l'arte. Aggiungo qui di passaggio, che egli, pure essendo -<span class="pagenum" id="Page_323">[323]</span> -così scrupoloso e sincero osservatore della natura, -non s'acconciò mai ad essere, come Piero di Cosimo e -altri del suo tempo, a guisa del letto di un fiume che -accoglie indifferentemente tutte le acque, siano esse torbide -o chiare. No. Questo naturalista aveva l'istinto della -bellezza e procedeva per elettissime selezioni, e tutti i -suoi tipi danno, per così dire, ragione veduta della sua -scelta. Le figure di Leonardo, per una grande significazione -di carattere, appaiono tutte segnate del segnacolo -d'una razza distinta. Forse era la studiosa e perseverante -scelta del pittore, forse era l'animo suo che infondeva -a quelle teste qualche cosa di singolare, che ci innamora -e ci esalta, sia ch'egli ci rappresenti la deviazione -del tipo umano nelle deformità sue; sia che ci -allegri e turbi insieme con quei sorrisi ineffabili di donna -che non somigliano a nessun altro sorriso, eppure sono -tanto femminili; sia che ci impensierisca e ci commuova -colla espressione mistica di certe teste, ove il sentimento -del divino è reso come in nessuna altra pittura, prima -e dopo, fu reso mai. -</p> - -<p> -E qui dovendo esemplificare mi trovo di fronte a un -fatto singolare e ben triste, o signore. Questo nostro -Leonardo, del quale tanto parliamo, è un artista in gran -parte inedito. Peggio ancora, egli è un artista soppresso -dall'opera del tempo. Quanta distruzione ha fatto il -tempo sulle opere sue! Un po' per colpa di lui che il -Vasari chiama <i>instabile e vario</i>, che cominciava mille -cose e poi le tralasciava a metà, attratto sempre da -quella sua eroica inquietudine di conoscere e fare del -nuovo; un poco perchè anche gli accidenti della natura -e della storia hanno cospirato a suo danno, fatto sta -che di Leonardo quasi tutto è scomparso. Intanto dello -scultore niente possiamo dire <i>de visu</i>. Delle tante opere -in plastica di Leonardo, che pur gli diedero, lui vivente, -tanta fama che per molti contemporanei suoi egli -<span class="pagenum" id="Page_324">[324]</span> -era massimamente celebre come scultore, che resta a -noi? Nulla! Il gran colosso di Francesco Sforza, con cui -s'era gratificato l'animo di Lodovico il Moro, fu ben -finito (non però fuso in bronzo) e inaugurato a Milano -nella piazza del Vecchio Castello. Ma sopraggiungevano -i Francesi di Luigi XII vincitore e invadevano Milano. -Entrati i balestrieri guasconi in quel castello e visto là -grandeggiare in forma di apoteosi il capo della dinastia -ch'erano venuti a distruggere, naturalmente furono tratti -dalla voglia di balestrarlo; e lo balestrarono, ahimè! -tanto bene che il colosso andò in pezzi e non n'è più -rimasto che qualche vago e dubbio ricordo in alcuni segni -dell'autore, e in alcune miniature del tempo. -</p> - -<p> -E anche della pittura di Leonardo da Vinci poco, ben -poco rimane di conservato e di indubbiamente autentico; -onde ebbe a dire un critico tedesco che non avrebbe -coraggio di giurare che un palmo solo di pittura leonardesca -sia arrivato fino a noi veramente intatta. -</p> - -<p> -Rimane fortunatamente un'opera sulla quale, quanto -ad autenticità originaria, non può cadere dubbio, benchè -sia ridotta anch'essa in così misero stato che fa veramente -pietà. Voglio dire il Cenacolo, che Leonardo -dipinse nel refettorio di Santa Maria delle Grazie. Anche -così malconcio, anche in quel suo stato quasi pauroso -di larva in cui ora lo vediamo, esso ferma i nostri -occhi, conquide il nostro animo, ci costringe a chinare -la fronte. Pensate! Esso è la riprova ancora vivente, -la riprova sintetica, eloquentissima della verità ed efficacia -di tutte le dottrine che intorno all'arte Leonardo -era andato predicando e praticando. Pensate ancora -quanti artisti si sono cimentati in questo dramma intimo -e sacro, la cena ultima di Gesù Cristo coi suoi discepoli!... -I più dei pittori scelsero quel momento in cui -Cristo offre ai suoi discepoli e all'umanità tutto sè stesso -nel pane e nel vino. Leonardo preferì invece di cogliere -<span class="pagenum" id="Page_325">[325]</span> -un momento meno mistico ma più naturale; e talmente -naturale che noi, senza mancare di riverenza ad alcuno, -possiamo anche considerare quella sua rappresentazione -come una scena puramente umana. Si tratta in sostanza -d'un maestro che ha raccolto intorno a sè i suoi discepoli -più fidi, mentre ingrossano i tempi e la persecuzione -minaccia al di fuori.... Arrivato a un certo punto -della cena, a un tratto egli dice: <i>uno di voi mi tradisce</i>. -Questa frase, gettata là in mezzo ad animi semplici e -devoti, produce come uno scoppio di dramma istantaneo. -</p> - -<p> -Non sono più le immobili figure dei vecchi Cenacoli, -colle loro aureole intorno al capo, che assistono misticamente -alla mistica consacrazione. Qui abbiamo invece -uomini che si sentono feriti nel profondo dell'animo dall'angoscia -di sapere che c'è in mezzo ad essi un loro -compagno che tradirà l'uomo che vollero seguire a ogni -costo, che amano sopra ogni cosa. Non basta: tutti sentono -il turbamento e l'irritazione di potersi sapere sospettati -di una tanta iniquità. Se guardate a quelle dodici -figure d'apostoli, ognuna vi rende questo dramma -interiore con una varietà ammirabile. Il volto di Cristo -ha una specie di calma costernata. Le sue labbra sono -ancora semiaperte, e si capisce che le tristi parole ne -sono uscite allora allora; le mani fanno un movimento -di tristezza; la calma non è turbata in quel volto divino; -ma una lieve increspatura della fronte ci lascia -comprendere che la parte umana in lui palpita e si addolora. -Tutti gli apostoli alla prima hanno avuto certamente -un movimento eccentrico; poi quasi tutte le figure -si protendono in avanti verso il maestro. Che varia e -potente significazione psicologica in quelle figure e in -quei volti! Guardate tutte quelle mani. Ognuna (dando -ragione ad un famoso capitolo del Montaigne) ha un -significato, un pensiero, un fremito di vita personale. -Guardate tutti quei piedi. Visti vagamente sotto la tovaglia, -<span class="pagenum" id="Page_326">[326]</span> -così irrequieti e mossi in vario senso, vi completano -l'idea della agitazione espressa dalla parte superiore -di quelle dodici figure. Nel mezzo, solo i piedi -di Cristo si mostrano queti e composti.... -</p> - -<p> -Giovanni nella semplicità amorosa dell'animo suo pare -che dica: — Ma questo non è possibile! Di una mostruosità -tale niuno di noi può essere capace! — San Pietro -allarga violentemente le braccia come porta l'indole -sua. È l'uomo che poi tirerà fuori il coltello e taglierà -l'orecchio a Malco. Par di sentirlo gridare: — Fuori il -nome del traditore! Noi vogliamo saperlo ed esser puri -d'ogni sospetto. — Il penultimo degli apostoli, a destra -di chi guarda l'affresco, ha un lieve torcimento degli -occhi e della bocca e, parlando piano al vicino, fa un -accenno.... Si capisce che ha un vago sospetto di Giuda.... -Giuda, che incarna la bruttezza del tradimento, si volta -repentinamente, come per udire le parole dell'apostolo -che parla dietro di lui. Si indovina l'uomo che vorrebbe -dissimulare, prendendo un contegno disinvolto; ma intanto -con un movimento inconscio del gomito versa la -saliera. Il sale si sparge sulla tovaglia e con questo segno -sinistro di mal augurio, pare che il triste dramma -venga lugubremente suggellato. -</p> - -<h3>IV.</h3> - -<p> -Su questa grande parete, Leonardo da Vinci inaugurò -la <i>pittura nuova</i> perchè infuse nell'arte la pienezza della -vita, rivendicando insieme ad essa la più completa libertà. -Lo sentirono i contemporanei; e il <i>Cenacolo</i> fu -l'opera che diede più gloria all'artista. -</p> - -<p> -Ma, parlando in genere, se egli ebbe vivendo fama -grandissima, possiamo noi anche affermare che riscosse -favori corrispondenti al suo merito? Non credo. Chi studia -<span class="pagenum" id="Page_327">[327]</span> -attento la vita di Leonardo, vede un intimo dissidio -fra l'arte sua e lo spirito che ormai domina ne' tempi -suoi. Nel grande e risolutivo andazzo che andava a prendere, -l'arte italiana, la quale era salita su per tutti i -gradi della preparazione e della elaborazione, ormai -voleva slanciarsi. Tutti quegli artisti, già così forti -nella tecnica e così pieni di fantasia, non volevano più -stare alle mosse e cercavano novità. Leonardo invece si -mantiene fedele all'ideale artistico della sua epoca gloriosa. -</p> - -<p> -Un senso d'inquietudine trae ogni giorno più gli artisti -ad un'arte frettolosa, sommaria e decorativa. Anche -la Chiesa, presentendo la grande bufera che si approssima, -domanda che l'arte si trasformi, che si spinga ad -un fare più largo e magniloquente, come per mettere -fra sè e i tempi nuovi un antemurale di bellezza spettacolosa -che seduca e fermi la fantasia dei popoli. Aggiungete -infine che, per la perdita della indipendenza e -delle libertà locali, per l'abbassamento della moralità, -per l'invasione, l'amalgama e il bastardume delle costumanze -straniere, la vita italiana languiva e precipitava; -e l'arte, la nostra grande arte, unica energia ormai rimasta -in piedi, era costretta a colmare, ma in fretta, -tutti questi vuoti, tutte queste voragini; e le vecchie -forme pareva che più non bastassero. Ma Leonardo -volle resistere a tutte queste correnti, e star fermo all'arte -sua coscienziosa, equilibrata e casta, che era in -sostanza l'arte del Botticelli e degli altri migliori di quel -secolo, inalzata a una maggiore potenza. Egli volle essere, -e fu in fatti, l'ultimo dei quattrocentisti e il più -grande di tutti. Ma pagò cara questa gloria. Egli fu uno -sconfitto, ed uscì dall'arringo come un vinto. Nella sua -vita ebbe molti onori, ebbe amplissime lodi; ma però -guardate: i periodi della sua vita finiscono sempre in -un modo sinistro. Nel suo primo periodo Lorenzo il Magnifico, -<span class="pagenum" id="Page_328">[328]</span> -che è così largo di protezione a tutti, a Leonardo -mostra, non dirò il malo animo e quasi l'odio, -come colla sua alfierana fantasia ha supposto il Ranalli -nella sua preziosa storia delle belle arti; ma, insomma, -Lorenzo il Magnifico non tiene molto conto di Leonardo, -e quando il Moro da Milano glielo chiede (se è vero che -glielo chiedesse) Lorenzo lo concede volentieri, perchè -tra le altre cose l'indole strana, fiera di Leonardo non -era probabilmente fatta per gratificarsi l'animo di un -principe che, per quanto liberale si fosse, amava però -di vedere ricambiata la magnificenza del suo mecenatismo -con molta sottomissione e sopra tutto con l'essere -richiesto di consiglio. Voi sapete che Lorenzo amava -d'andare sopra i lavori degli artisti e proverbiarli e correggerli. -Diceva per esempio al giovane Michelangiolo: -“Cava un dente a quel vecchio satiro„, e Michelangiolo -lo cavava docile. Chi sa se Leonardo avrebbe avuto così -pronta arrendevolezza?... Io molto ne dubito; e penso -che per questo egli non potè mai entrare appieno nelle -grazie del Magnifico. Il suo secondo periodo è il più -brillante. Alla corte del Moro egli è riconosciuto, carezzato, -festeggiato; ma in sostanza l'utile fruttuoso pare -che fosse scarso, se dobbiamo rilevarlo da un frammento -di lettera in cui dice, in sostanza, al Moro: — Con tutti -questi onori, con tutte queste commissioni io non cavo -da vivere, non mi sono avanzato nemmeno quindici lire. — E -il frammento chiude con una frase tristissima: -“Io non voglio mutare la mia arte.„ Quanta differenza, -o signore, tra questa umile e sconsolata lettera e la lettera -piena d'onesta baldanza con cui Leonardo si faceva -precedere nella sua andata a Milano! Allora egli diceva -al duca: — Io so fare questo e questo; tutto ciò che -gli altri fanno io lo faccio, e, sia chi voglia, meglio di -loro. Mettetemi alla prova! — Anche questo periodo -adunque, principiato bene, si chiude con una sconfitta. -<span class="pagenum" id="Page_329">[329]</span> -Leonardo dopo va errando prima agli stipendi del Valentino, -poi a Firenze col Soderini. Si cimenta con Michelangiolo -ed è molto onorato, perchè in questa gara -di due giganti, nessuno ha il coraggio di decidere quale -sia il perdente e quale il vincitore. Ma poi, allor che si -viene alla esecuzione del cartone celebratissimo, nascono -subito dei guai e delle contese; e noi vediamo il Soderini -che comincia a non lodarsi più di Leonardo, e Leonardo -che comincia a trattar male il Soderini. Insomma, -anche quando è fortunato, Leonardo non consegue mai -quella specie di alto dominio che esercitarono altri artisti, -certamente grandi, ma forse non più grandi di -lui, come Michelangiolo, come Raffaello; artisti davanti -ai quali i principi e i papi stavano trepidanti, e mandavano -delle legazioni per risolvere questioni sorte fra -loro, e non avevano pace finchè non li vedevano attratti -di nuovo nell'orbita del loro principato. -</p> - -<p> -Tantochè Leonardo da Vinci negli ultimi anni è costretto -ad espatriare; e, bisogna confessarlo, trovò sorte -più lieta e più benigno mecenatismo in Francia che in -Italia. Questo mi pare che risulti evidentemente dalla -sua vita. Come già era stato liberalmente protetto da -Luigi XII, fu liberalmente ospitato ed onorato, secondo -i meriti suoi, da Francesco I, questo re che non fu -certo un modello di buon costume, ma che col suo spirito -cavalleresco seppe tanto bene farsi perdonare i difetti; -e che noi dobbiamo ricordare con gratitudine. -Fatto è che per invito suo Leonardo da Vinci col suo -caro alunno Francesco Melzi, col suo fedele Salai va in -Francia. Oltre una pensione di 700 scudi d'oro, il Re -gli alloga il castello a Cloux presso Amboise; e là può -il grande italiano spendere finalmente i suoi ultimi anni -di vita nella perfetta quiete dell'animo e darsi intero e -libero alle occupazioni predilette del suo spirito. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_330">[330]</span> -</p> - -<p> -In Francia Leonardo da Vinci finisce i suoi giorni e -li finisce pacifico e riconciliato con tutti. Se lo avevano -accusato di poca reverenza verso gli antichi, egli aveva -già ordinato al Platina di fargli un epitaffio in cui dice: -“Io studiai gli antichi ma non potei però raggiungere -la loro divina simmetria. Feci quello che potei. O posterità, -siimi indulgente! <i>Veniam da mihi, posteritas.</i>„ -E muore riconciliato colla Chiesa, con la quale, a detta -del Vasari, non fu sempre in troppo buoni termini; e -nel suo testamento raccomanda l'anima sua a Dio, alla -Vergine e a non so quanti altri santi del Calendario. -Muore riconciliato colla famiglia verso la quale aveva -avuto delle liti non piccole per causa di eredità, lasciando -ai suoi fratelli 400 scudi che teneva sopra un -banco fiorentino. -</p> - -<p> -È cosa singolare, o signore! Finalmente nel suo testamento -noi incontriamo un nome di donna. Ma che i romanzieri -e i poeti non si esaltino. Non si tratta della -Giulia Gallerani nè della Cecilia Crivelli, nè della Lisa -del Giocondo, nè della bella Ferroniera; si tratta di una -certa Maturina, a cui lascia un po' di denaro e un po' di -roba in cambio dei buoni servigi ch'essa gli aveva reso. -È dunque il caso d'una povera serva, per giunta forse -vecchia e brutta. Ecco l'unico episodio femminile, se -così si può chiamare, di quest'uomo che aveva versato -nelle sue tele tutte le più squisite e poetiche suggestioni -dell'amore. E a me non dispiace. In fondo quella povera -vecchia avrà dato all'artista, tanto combattuto e tanto -travagliato, gioie e servizi umili ma preziosi, che i potenti -coi loro favori, spesso in mal punto dati e sgarbatamente -tolti, non gli avevano procurato mai. Lo avrà -scaldato negli inverni rigidi di Cloux, gli avrà preparato -il desinare, lo avrà curato, confortato, e colle sue -goffaggini e facezie di vecchia serva, qualche volta forse -anche rallegrato nelle ore più tristi della infermità e -<span class="pagenum" id="Page_331">[331]</span> -del tedio. E allorchè il vecchio pittore sarà morto, non -Francesco primo re di Francia e Navarra, come dice la -favola, ma lei, lei, questa povera vecchia avrà chiusi -quegli occhi che avevano veduto tante meraviglie.... Che -importa? Essa glieli avrà chiusi con quel senso di -schietta pietà che quaggiù inalza tutti ad un modo, perchè -è l'unico attributo, o signore, divinamente dato alla -nostra umanità. -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_332">[332]</span> -</p> - -<h2 id="veneziana">L'ARTE VENEZIANA -<span class="smaller">DEL RINASCIMENTO</span></h2> - -<p class="center"> -DI -</p> - -<p class="center large"> -POMPEO MOLMENTI. -</p> -</div> - -<p class="pad2"> -Correva l'anno 1495 (perdonate, o Signori, se incomincio -come usava nei vecchi romanzi storici di mezzo -secolo fa), correva l'anno 1495 e Filippo de Commines, -ambasciatore di Carlo VIII, entrando a Venezia, esclamava -ammaliato: — la più trionfante città che io abbia -mai veduta! — E, in vero, dall'aprirsi del secolo quintodecimo -fino quasi alla fine del XVI, la vita di Venezia -sembra un trionfo. Prorompono affetti ed entusiasmi, -e tutto vive in un contrasto che pare aumenti l'energia. -In questo tempo appunto, fra la metà circa del quattrocento -e lo scorcio del cinquecento, nasce, cresce, matura, -declina l'arte veneziana. È una vita breve, rapida, piena -di agitazioni e di esultanze. La pittura, fra le lagune, -sboccia a un tratto quasi senza lavoro di preparazione. -Nel secolo XIV, allora che Giotto compiva le sue divine -opere, in Assisi e in Padova, e fino quasi alla metà del -secolo seguente, i tentativi di alcuni timidi pittori veneziani -non possono chiamarsi col nome d'arte. -</p> - -<p> -Ma, circa l'anno 1422, la Repubblica, volendo dipingere -una sala del Palazzo Ducale, chiamava Vettor Pisanello -di Verona, eminente artefice, e Gentile da Fabriano, -<span class="pagenum" id="Page_333">[333]</span> -la mano del quale, al dire di Michelangelo, non -facile lodatore, era gentile come il nome. Durante la -loro dimora fra le lagune essi segnarono un avanzamento -nell'arte, ed esercitarono una azione efficace sulle -opere dei primi artefici veneziani, specie del Vivarini. -</p> - -<p> -Dopo aver dipinto, in Palazzo Ducale, la battaglia -navale presso Pirano, tra l'armata veneta e quella del -Barbarossa, Gentile da Fabriano partiva per Roma, accompagnato -da un giovane pittore veneziano, Jacopo -Bellini. Della vita di Jacopo poco o nulla si sa; il Vasari -si limita a dire, che, ritornato in patria, egli era -nella sua professione il maggiore e più reputato. -</p> - -<p> -Del resto, di quasi tutti quegli artefici, che espressero -il sentire profondo della giovane arte veneziana, ci è -sconosciuta la vita. Prima della gran luce di Tiziano, -quei casti ingegni non viveano se non per l'arte, dimenticando -ogni cosa, non d'altro desiderosi che di farsi dimenticare. -</p> - -<p> -Il nome di Jacopo Bellini è menzionato più per essere -stato padre di Gentile e Giovanni che per le opere -sue. A torto, perchè egli veramente segna l'alba di quella -pittura, che sbocciò subito dopo, tutta fiori, odori e colori. -A rendere in breve tempo splendida e rigogliosa -quest'arte, contribuirono l'ordinamento politico, la postura -della città e l'indole degli abitanti. -</p> - -<p> -L'onnipotenza dello Stato teneva unite e dirigeva le -forze della nazione, e ora le spingeva a creare la libertà -e ad arricchire la patria, ora, distraendole dalla politica, -le rivolgeva a trasformar la città in tempio dell'arte. -</p> - -<p> -E intorno a quest'arte ricorreva, come nimbo glorioso, -la natura circostante, con tutto il fascino di una bellezza -incomparabile. Qui pare abbia più incanti la luce -del sole, più dolcezze melanconiche il tramonto. I vapori -dell'aria tolgono ogni rigidezza di contorni alle cose e -le immergono come in un'onda eterea; i mille strani -<span class="pagenum" id="Page_334">[334]</span> -sbattimenti delle acque, i miraggi di madreperla degli -orizzonti lontani, i dorsi di sabbia che s'alzano dalla laguna -e rifulgono di tinte dorate, s'intrecciano in un'armonia -stupenda, dove, senza eccesso e senza volgarità, -l'azzurro e l'arancio si uniscono, e il violaceo si congiunge -al giallo, e lo smeraldo al giacinto, e il diaspro -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">par che si mischi in flessuosi amori</p> -<p class="i01">con l'ametista.</p> -</div></div> - -<p> -Chi nasce in quest'aura ed abbia il senso dell'arte è -naturale debba comprendere tutte le ricchezze e le gioie -del colore. Venezia è veramente la reggia del colore. E -per questo appunto nell'arte veneziana incontriamo pochi -nomi di statuari eminenti, e anche questi architetti -e decoratori, come i Delle Masegne, il Buono, il Rizzo, -i Lombardo, il Vittorio, i quali tutti seppero trarre dalle -due arti ornamenti svariati e leggiadri. Gli architetti violavano -ogni regola, sfuggivano la simmetria, e raggiungevano -l'armonia, trasportavano, negli edifizi delle lagune, -la poesia fastosa dell'Oriente, emulando con le seste -il pennello. E infatti le pietre, con le loro armonie di -colore, servivano di tavolozza e sulle facciate dei palazzi -brillavano il porfido, il serpentino, il verde antico, la -breccia, il broccatello. Ecco forse perchè qui, più che -altrove, tardò a comparire, sulle tavole e sulle tele, la -pittura, che avea agio di manifestarsi nell'accordo dei -marmi variopinti. Anche si dipingevano i prospetti. -Quando il Procuratore Contarini ordinò a Giovanni Buono -la facciata della casa, chiamata d'Oro, non già per aver -appartenuto alla famiglia patrizia Doro, ma per le dorature -di cui era adorna, fu fatto il contratto il 30 aprile -1430. Compiuta la facciata, che, nonostante le offese del -tempo, ride ancora di una immortale bellezza, fu chiamato -mastro Giovanni di Francia, per ornarla <i>de pentura</i>. -Come dovea allora apparire quel gioiello della veneta -<span class="pagenum" id="Page_335">[335]</span> -architettura! Maestro Giovanni s'impegnava di dorar le -rose, gli stemmi, i leoni, gli archetti, il fogliame dei -capitelli e i dentelli, dipingere <i>le tresse dazuro oltremarin -fin ben dopiado per muodo che i la stia benissimo</i>. -Le merlature doveano essere dipinte con biacca e venate -a guisa di marmo; le fascie bizantine a tralci di -vite, tinte di bianco su fondo nero, e tutte le pietre -rosse e tutte <i>le dentade rosse sia onte de oio e de vernixe -con color che le para rosse</i>. -</p> - -<p> -Passando pel Canal Grande, e ammirando la Cà d'Oro -e i palazzi dipinti dai migliori maestri dell'arte, poteva -bene Filippo de Commynes esclamare: — C'est la plus -belle rue que je croy qui soit en tout le monde. — -</p> - -<p> -Dodici anni più tardi, sul Fondaco dei Tedeschi, dipingeano -a fresco Tiziano e Giorgione. A Giorgione furono -dati 150 ducati dell'opera sua, in cui ebbe a cooperatore, -per gli ornamenti, il Morto da Feltre, il quale, secondo -una leggenda, abbellita dal verso, rapì l'amante al -maestro ed amico, che ne morì di dolore. Ma il Vasari -attribuisce la morte di Giorgione a un male più prosaico. -</p> - -<p> -Quanta forza e quanta efficacia ha sull'indole umana -la qualità del luogo dove si nasce! E come le persone -e le vesti dei veneziani si accordavano, in quei tempi, -con la vita festante, coll'architettura fantastica, colle -trasparenze opaline dell'aria, coi riflessi delle acque! -Una vecchia cronaca dice che, nel 1433, a Venezia, più -di seicento donne andavano fuori di casa <i>vestite di seta, -oro, joje, che è una maestà vederle</i>. Le belle veneziane -ci appaiono vestite di broccato d'oro, di velluto ricamato -d'argento, di tela a fiorami dai più vaghi colori, col -breve busto fregiato di gioielli e le spalle ignude, adorne -di perle, di gemme, di diamanti, di monili, di oggetti -d'oro e d'argento. Una Contarini, sposa a Jacopo Foscari, -l'infelice figlio del Doge, avea nel corredo, tra -molte vesti di seta, un abito di broccato d'oro con maniche -<span class="pagenum" id="Page_336">[336]</span> -piccole: un altro in campo d'oro ricinto di cremisi -con maniche aperte, foderate di vaj, con la coda -di un braccio e mezzo; un terzo di panno in campo -d'oro e paonazzo foderato d'ermellini: un quarto con -maniche cadenti a terra, dette arlotte, d'ormesino broccato, -e via via. La donna veneziana non rivive nelle -pagine degli storici e dei poeti, ma palpita ancora nelle -tele degli artefici come a traverso una gaia fantasmagoria -di colori. La ricerca e la femminile brama di tutto -ciò che splende e brilla erano portate qualche volta all'eccesso. -Non bastarono alla donna le vesti a tinte audaci, -ma si voleano ravvivar col belletto i pallidi colori -delle guancie. E perfino, perdonate all'osservatore del -passato questo strano particolare, perfino si colorivano -le mammelle, che le vesti oltremodo scollacciate non -lasciavano ignorar allo sguardo. Un poeta popolare del -cinquecento scrive: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Fazzandose le tete rosse e bianche</p> -<p class="i01">E descoverte per galantaria.</p> -</div></div> - -<p> -E i capelli si tingevano in biondo, il colore, che, sui -bei capi femminili, stacca come un'aureola dorata sul -fondo dei canali oscuri, delle viuzze buie, dei bruni palazzi. -Cento ricette, una più curiosa dell'altra, esistono -per dare la tinta e la lucentezza dell'oro alla chioma. -Vedete bizzarrie delle mode, che hanno i loro ritorni, -come le civiltà di Vico! Per rasciugare i capelli tinti, -le donne si esponevano al sole sopra i tetti delle case, -in una specie di loggia scoperta, chiamata <i>altana</i>, e là -sedevano vestite di tela leggera con in testa un cerchio -di paglia finissima a foggia di tesa di cappello, detto -<i>solana</i>. -</p> - -<p> -Ricche e variopinte anche le vesti degli uomini. I patrizi, -secondo i vari uffici e le solennità, andavan vestiti -di raso, di velluto, di zendado cremesino, di broccato -<span class="pagenum" id="Page_337">[337]</span> -d'oro. Nell'inverno, gli abiti, con ricami di cordoni -d'oro e d'argento, si foderavano con finissime pelli di -gran prezzo. Elegantissimo il costume dei Compagni della -Calza, brigate di gentiluomini uniti nell'intento di dare -feste, tornei, spettacoli d'ogni maniera. Si chiamavano -della Calza, perchè portavano sugli stretti calzoni un'impresa -a colori. I giubberelli attillati di velluto, di seta, -ricamati d'oro e stretti da un cingolo, avevano le maniche -tagliate per lo lungo e riunite da nastri, che lasciavano -scappar fuori gli sbuffi della camicia. Le calze -strette a striscie colorate longitudinali, le scarpe forate -in punta, su le spalle un mantello di panno d'oro, di -damasco o di velluto cremesino, con un cappuccio sulla -cui fodera era ricamata l'impresa della Compagnia. Di -sotto a un berretto nero o rosso, ornato in punta da un -gioiello e pendente sull'orecchio, scappava la chioma, -allacciata da una fettuccia di seta. -</p> - -<p> -Nelle feste religiose e civili, nelle incoronazioni dei -dogi e delle dogaresse, nei ricevimenti di re e di principi, -nel commemorar vittorie, nelle nozze, perfino nei -funerali, sempre e dovunque il trionfo del colore, un -poema di magnificenze. -</p> - -<p> -Nei palazzi, i ricevimenti, i banchetti, gl'inviti, i festini -doveano sembrare mirabili fantasmagorie. La luce -dei doppieri faceva scintillare le pareti ricoperte d'oro, -d'arazzi, di specchi di Murano, i velluti e le sete d'ogni -colore, le splendide gemme. La magnificenza patrizia -scendeva dai palazzi alle vie, dove la città s'agitava felice, -gioiosa di contemplarsi ed ammirarsi. Sulla piazza -e sulle strade passavano le gentildonne colle vesti più -magnifiche del mondo; i patrizi nelle loro splendide toghe -come, osserva un viaggiatore tedesco del quattrocento, -se fossero tanti vescovi; i levantini dalle fogge -variopinte e bizzarre. -</p> - -<p> -Un altro viaggiatore, il milanese Casola, che, nel 1494, -<span class="pagenum" id="Page_338">[338]</span> -fu presente alla processione del <i>Corpus Domini</i>, sulla -piazza di San Marco, non trova parole per descrivere i -gentiluomini vestiti di aurei drappi e di velluti, la ricchezza -degli addobbi, la profusione dei fiori, la quantità -dei ceri, la varietà dei colori. Gl'ingressi dei Procuratori, -dei Patriarchi, dei Cancellieri Grandi, ecc., parevano -trionfi. E trionfi si chiamarono le incoronazioni dei -Dogi e delle Dogaresse — affascinanti splendori di tinte. -</p> - -<p> -Meglio conveniva la pompa al decoro dello Stato, -quando si doveano ricevere re, principi, ambasciatori. -</p> - -<p> -Cito così come mi vengono alla memoria le dorate -visioni. -</p> - -<p> -Nel 1521, il principe di San Severino era festeggiato -in casa del patrizio Veniero dai Compagni della Calza. -L'atrio, le stanze, il portico del palazzo tappezzati di -quadri e d'arazzi: un prezioso panno d'oro era steso nel -luogo dove il principe sedeva. Sovra una credenza erano -esposte argenterie pel valore di 5000 ducati. Furono -invitate quante fra le più belle patrizie erano allora in -Venezia, tutte in abito d'oro listato in seta. Il principe, -bello, grazioso e <i>facile ad innamorarsi</i>, osserva il Sanudo, -ballò fino ad ora tarda. Poi le musiche e i buffoni, -abbigliati nelle più strane fogge, annunciarono l'ora -della cena suntuosissima. -</p> - -<p> -Nel banchetto per le nozze del principe di Mantova -(1581), dopo la rappresentazione di una commedia, fu -aperta una bellissima sala, dove sotto un baldacchino -sedettero i principi, i duchi e i cardinali. Cento gentildonne, -riccamente abbigliate, erano assise intorno a una -mensa, risplendente di vetri di Murano. -</p> - -<p> -L'entrata di Enrico III fu celebrata da storici, da poeti -e da pittori. Riccamente fantastici furono, in tale occasione, -gli spettacoli: gite, baldorie, banchetti, luminarie, -regate. I giovani patrizi, al servizio del monarca, erano -vestiti con zimarre di seta, e di seta ranciata la guardia -<span class="pagenum" id="Page_339">[339]</span> -di onore di sessanta alabardieri, armati di azze. Il re, -accompagnato dal doge, fu condotto, fra salve di artiglieria, -a Venezia, sopra una galera di quattrocento rematori, -seguita da grandissimo numero di galee, di brigantini, -di fuste, di barche, di gondole, messe ad arazzi -e panni d'oro, e velluti, e specchi ed armi. Il figlio di -Caterina de' Medici fu alloggiato nel palazzo Foscari, addobbato -con arazzi, panni azzurri contesti d'oro, rasi e -velluti, sparsi di gigli. Poi si succedettero, come in un -sogno fantastico, altre feste, tornei, processioni, trionfi, -conviti, cerimonie. -</p> - -<p> -E tutto intorno, cornice meravigliosa, le acque della -laguna, e Venezia, mobile, varia, come donna non d'altro -curante che di piacere e che non domanda se non -l'omaggio reso alla bellezza. Perchè la bellezza a Venezia -andava a poco a poco sostituendo l'antica energia, -come la pompa andava prendendo il luogo della prosperità -materiale, e il fasto chiudeva i germi della decadenza. -In fatti, verso la fine del secolo XV, il movimento -commerciale di Venezia s'arrestò un poco, e la -scoperta dell'America e il passaggio del Capo di Buona -Speranza fecero prendere altra via al traffico, in modo -che al mercato di Rialto, come nota un diarista contemporaneo, -il Priuli, giungevano molte galere <i>vode senza -collo di spetie, che mai più da alcuno non era stato -visto</i>. Ma Venezia non se ne accorgeva, e su quelle -tristi minacce di prossimo decadimento, gettava spensieratamente -come un manto d'oro di pompe, di feste, di -arte. Di arte specialmente, degli allettamenti il supremo. -</p> - -<p> -Cresce l'artefice nella esuberanza della vita veneziana, -e in quel meraviglioso movimento l'ingegno si espande, -si afforza, si accende. -</p> - -<p> -La pittura, dopo il vigoroso impulso dato da Jacopo -Bellini e dai Vivarini, apre il suo libro d'oro a nomi -d'artefici immortali. Fra i primi: i due figliuoli di Jacopo -<span class="pagenum" id="Page_340">[340]</span> -Bellini, Giovanni e Gentile, Vettor Carpaccio e -Cima da Conegliano. Le glorie di quella federazione di -mercanti, di marinai, di operai, hanno come la consecrazione -nell'arte, fresca della prima vita. Non più le -rigide forme artistiche venute da Bisanzio, ma il moto -e il calore, l'impronta del tempo e del luogo, l'eco dei -trionfi guerreschi, delle incoronazioni di dogi, dell'arsenale -fragoroso d'opere. La grandezza politica e guerresca -di Venezia è recente e l'arte ne raccoglie l'immagine -con vivacità. Ma la vivacità e la gioia sono come -velate da un intimo senso di soave dolcezza, che accresce -le attrattive. È un soffio dell'arte ingenua e pura -del trecento. A noi qui importa poco saper se gli artefici -trecentisti fossero più o meno religiosi o virtuosi di -quelli che li seguirono, nè a noi preme indagare se le -figure stecchite dei santi esprimano fervide preghiere, -prelibamenti di beatitudini celesti, ma quelle opere primitive, -offese da sante ignoranze, hanno i fascini, che -inspira sempre l'infanzia. Hanno un'attrattiva particolare -quelle ingenuità, che ci fanno rivedere i pittori dipingere -<i>col pennello sottile acuto di setole liquide e sottili, -che entravano su per un bocciuolo di penna d'oca</i>, come -insegnava il buon Cennino Cennini di Colle di Val -d'Elsa. E poi i secoli ammorbidiscono i contorni delle -cose, li fanno vedere come a traverso una leggera nebbia -di poesia. Il tempo fa acquistare a ciò che trova -quel colore d'antichità veneranda, che i pittori chiamano -pattina, e gli Attici negli scritti chiamavano πῖνον. Così -il corso dei secoli ha involto in un'aura di misteriosa -religiosità certe vecchie cattedrali gotiche, bianche e -gaie, simili ad immensi oggetti d'orificeria, al tempo -della loro gioventù, e che ora parlano colla melanconia -delle memorie, coi marmi tinti sapientemente dal tempo, -colla austera maestà delle rovine. Per tal modo, l'arte -del quattrocento, non essendosi potuta impadronire di -<span class="pagenum" id="Page_341">[341]</span> -tutti i mezzi tecnici, conserva ancora la soave imperizia -del trecento. La timidezza in arte è sinonimo di sincerità. -E quegli artefici sono timidi e sinceri: qualche -volta poveri di bellezza esteriore, ma ricchi di sentimento. -Nella purezza immacolata delle vergini, nella -serenità cogitabonda dei santi, nella gioia calma degli -angeli, in ogni espressione sempre vaga e melanconica, -essi, gl'ingenui quattrocentisti, si proponevano, forse inconsapevolmente, -dei problemi, che affaticano gli uomini -del nostro tempo e non ancora hanno trovato una soluzione. -Ecco perchè noi sentiamo fiorirci nell'animo -come un vivo desiderio di quell'arte tenue e semplice, -ecco perchè noi, meglio che i nostri padri, comprendiamo -quei solitari ricercatori, che furono travolti nello -strepito allegro dell'arte che li seguì. -</p> - -<p> -E certamente ai due Bellini, al Carpaccio, al Cima -dovè sembrare un libertinaggio pittorico la nuova maniera -di Tiziano. Così Venezia, dinanzi alle bellezze -femminili di Tiziano e di Paolo, dimenticò la maniera -di Gian Bellino e degli altri pittori di quel tempo, -maniera che il Vasari chiama secca, cruda, stentata. Ma -la critica moderna, più imparziale e più larga, studia -con amore quella maniera <i>secca</i> e <i>cruda</i> dei primitivi -maestri veneziani, i quali risentirono l'influsso della -scuola toscana e l'azione del casto genio nordico. Quel -non so che esuberante e festivo dell'indole veneziana, -fu come tenuto in freno dalla purezza dei Toscani e -dalla temperanza dei maestri del settentrione. -</p> - -<p> -A poco a poco questa sincerità e questa ingenuità -dell'arte vanno dileguandosi. Le idee, il gusto si trasformano, -i costumi si addolciscono sempre più. -</p> - -<p> -Nell'arte il fiore s'è svolto in frutto. Non più impedimenti -tecnici — <i>la mano ubbidisce a tutto ciò che vuole -l'intelletto</i>, per dirla con Michelangelo. Alla morbidezza, -alla grazia, all'eleganza succedono l'allegrezza, la giocondità, -<span class="pagenum" id="Page_342">[342]</span> -l'esultanza. Dagli altari le vergini dolci cominciano -a sorridere mondanamente, e sulle labbra, un dì -socchiuse alla preghiera, freme come il desiderio di un -bacio. Sulle tele, nei marmi il culto della forma; alla -pittura sobria, delicata, succedono le luminose malìe -della tavolozza, il fulgore impareggiabile delle tinte, lo -splendore che accarezza e ammalia l'occhio, ma non -penetra fino all'animo. -</p> - -<p> -Sono arti grandi tutte e due, ma una ti parla al -senso, l'altra all'animo, l'una t'innamora della forma, -l'altra ti investiga lo spirito. -</p> - -<p> -Giorgio Barbarella, detto il Giorgione, stacca, per dirla -con un critico straniero, la pittura dell'ancoraggio del Medio -Evo per slanciarla sulle onde del Rinascimento, di quel -Rinascimento che la critica dell'avvenire, sgombra dai pregiudizi -di cattedra e di accademia, mostrerà quanto di originalità -abbia tolto all'arte e alla letteratura italiana. Egli -esce dall'antica timidezza e lascia spaziare il genio a sua -voglia, moderando però gli arbitrii della fantasia con severe -cognizioni. Ei modella, tra mille blandimenti, i corpi -femminili, cui infonde una specie di tôno aureo diffuso, -e le carni del color dell'ambra, staccano, fra armoniose -trasparenze, sul fondo del paesaggio dipinto con un -senso della natura, tutto moderno. I declivi corrono ricchi -di messi alla pianura, velata da vapori lievi; nulla -d'arido nel suolo, nulla di triste nel cielo. Egli tramuta -in realtà l'ideale della madre di Dio, ma sulla fronte -delle sue madonne, mondanamente formose, sfuma ancora -l'ombra di una santa dolcezza. Giorgione segna il -punto di transazione fra la leggenda cristiana e i miti -dell'antichità. Prima di Giorgione prevale il sentimento -cristiano, congiunto allo studio della natura, dopo di lui -predomina l'imitazione dell'antico. I quattrocentisti s'erano -assimilato lo spirito classico, pur rimanendo cristiani -nel fondo dell'anima; i cinquecentisti non mirarono -<span class="pagenum" id="Page_343">[343]</span> -se non a dar forme nuove ai miti pagani: il passato -ringiovanisce in nuovi spiriti. -</p> - -<p> -Tiziano, Paolo Veronese e il Tintoretto, compiono il -veneto rinascimento. Tiziano è grande come un genio, -splendido come un re. Non mai la pittura fu come in -lui forte e ricca. Ma bandite le sottigliezze del pensiero -e del sentimento, le intime emozioni, in lui non vibra -se non l'appassionato amore della bellezza. Tutto ciò -che si move nel cuore, tutto ciò che si agita nella mente, -come un problema doloroso, non lo arresta, pago di -rappresentare la vita del senso, dominatrice di quella -dell'anima. -</p> - -<p> -Egli ha la tranquillità della forza; spirito che non si -ascolta e non s'interroga, e accetta la vita com'è, senza -indagarne i misteri. I suoi ritratti meravigliosi, riproducono -in modo inarrivabile l'indole del modello, non già -perchè l'artefice studiasse il pensiero che passava sulla -fronte o lampeggiava nell'occhio, ma perchè il pittore -riproduceva, con una abilità non raggiunta più mai, -ogni accidente del reale, senza cercare più in là. -</p> - -<p> -I biografi del Tiziano narrano che l'imperatore Carlo V, -in uno dei suoi giorni di suprema tristezza, volle consultare -Tiziano per la composizione di un dipinto, nel -quale fossero rappresentate e la lotta religiosa di quel -tempo e il suo stesso desiderio di riposo. Alla sua richiesta, -il maestro rispose, proponendo di rappresentare -la radiante corte del cielo, presieduta dalle tre persone -della Trinità, con tutto il seguito di patriarchi, profeti, -evangelisti, e la Vergine Maria in atto d'intercedere presso -il figlio, inginocchiata fra le nubi ed attorniata da angeli, -per i peccati della reale famiglia. Ma il quadro non -fu mai eseguito, e il pittore tradì la sua libera natura -solo con la parola. -</p> - -<p> -E, nel regno della passione e del sentimento, neppure -il Veronese esercita alcun impero. Egli è il lirico della -<span class="pagenum" id="Page_344">[344]</span> -pompa lussuriosa, l'interprete della bellezza irriflessiva, -il glorificatore del colore e della luce, il mago di un'arte -che esprimeva la ricchezza, la gloria, la potenza: la ricchezza -con tutte le sue magnificenze e tutte le sue pompe, -la potenza con tutte le sue energie e i suoi ardimenti, -la gloria con tutte le sue effervescenze e i suoi entusiasmi. -Sulle sue tele i colori ardono, divampano, guizzano, -sfavillano, abbagliando il riguardante, -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i02"> sì come il sol che si cela egli stesso</p> -<p class="i01">per troppa luce....</p> -</div></div> - -<p> -Solo a traverso la fantasia del Tintoretto passa qualche -concetto profondamente triste, ma anch'egli è poi -attratto dalle fulve bellezze veneziane, anche per lui il -pensiero, il sentimento, la commozione si trasformano -in una grazia plastica, in una eleganza materiale. E dietro -a Paolo, a Tiziano, al Tintoretto, altri artefici giocondi: -i Palma, Lorenzo Lotto, Bonifazio, Paris Bordone, -lo Schiavone, il Pordenone, il Bassano e molti ancora, -che creano una folla di figure ridenti, fra le gaiezze del -cinquecento. -</p> - -<p> -Nella donna essi non comprendevano che la venustà -corporea. Un intenso profumo di sanità e di piacere spira -dalle rosee carni femminili. Nè meno affascinanti le bellissime -donne imprigionate le membra opulenti dai vestiti -d'oro e di broccato. -</p> - -<p> -Paolo Veronese ha dipinto nel Palazzo Ducale il trionfo -di Venezia, coronata dalla Gloria, celebrata dalla Fama, -circondata dalla Virtù, da Cerere e da Giunone, ammirata -da donne ignude e discinte. Ebbene, o Signori, -quando io guardo quella fiorente bellezza, che rappresenta -Venezia, il pensiero corre pei sentieri fioriti di -quel secolo, e rievoca (non vi paia irriverente il raffronto) -rievoca la immagine di Veronica Franco, l'Aspasia -<span class="pagenum" id="Page_345">[345]</span> -veneziana, adulata dai potenti, riverita dagli uomini -più illustri, amata da Enrico III, che portò con sè in -Francia il ritratto della bella cortigiana, dipinto dal Tintoretto. -E in vero la cortigiana diventa di questo tempo -la musa dell'arte, ed ha i suoi storici, i suoi poeti, i suoi -novellatori, i suoi pittori. Di tai donne a Venezia ce -n'è un infinito numero, scrive il Bandello, e le chiamano -<i>con onesto vocabolo</i> cortigiane. — Cesare Vecellio ce le -descrive coi capelli arricciati, e la veste aperta sul seno, -con monili d'oro e d'argento, catene d'oro, seriche vesti, -cappe di velo di seta, pianelle bianche e calze ricamate. -<i>Sono molto simili alle nobili venetiane appresso coloro -che non hanno la pratica della loro conditione</i>, osserva -Cesare Vecellio. Nelle loro case, splendenti di serici parati, -di cuoi dorati, di arazzi, convenivano gli artisti. -E, fra le congreghe liete, s'alzava molte volte acuta e -squillante la risata maligna di Pietro Aretino. -</p> - -<p> -Era una serenità imperturbabile, la vita non aveva -per quegli uomini giocondi inquietudini e amarezze, tutto -per essi era limpido e calmo. Le passioni umane, le ire, -la curiosità non turbavano quelle fronti serene. Parecchi -fra gli artefici, Tiziano e Paolo, ad esempio, pieni -di speranze e di fantasie, venivano dal luogo natio alle -lagune, ricambiando l'ospitalità cortese di Venezia, allietando -la città dei più bei fiori dell'arte. Aveano amicizie -di re, protezioni d'imperatori, ma non servirono -mai ad altro che agli occhi delle belle donne. In amore -non erano dell'avviso di Michelangelo, che cioè l'amore -fosse <i>un concetto di bellezza immaginata</i>, ma cercavano -il dolce oblìo d'ogni cura nella bellezza delle veneziane, -che vivono nelle loro tele d'una vita immortale. -</p> - -<p> -I problemi del mondo psichico non li tormentavano, -non cercavano l'espressione intensa, ma l'atteggiamento -elegante. Lasciavano libero il volo alla fantasia e si piacevano -delle più strane licenze. Paolo poneva a canto il -<span class="pagenum" id="Page_346">[346]</span> -Redentore figure nude e licenziose, alla Santa Cena faceva -intervenire uomini d'arme tedeschi, servitori che -gettavano sangue dal naso, apostoli che si stuzzicavano -i denti colla forchetta. Ciò parve irriverente al Sant'Uffizio, -che diede una buona ramanzina al Veronese, il -quale sorridendo rispose che egli dipingeva figure e non -caratteri, che i pittori possono pigliarsi <i>quella licentia -che si pigliano i poeti e i matti</i>, e che faceva i suoi -quadri <i>senza prendere tante cose in consideration</i>. -</p> - -<p> -— <i>Fare i quadri senza prendere tante cose in consideration</i> — ecco -tutte le loro teoriche ed ecco tutta la -loro forza. La lotta artistica non deve essere di parole, -non di teorie, ma di opere e di esempio, se vuole il trionfo. -Comparate la fecondità di quegli artefici alla stentata -opera moderna, quei quadri immensi, compiuti con inarrivabile -prestezza di concetto e di eseguimento, senza -sforzo (la <i>Gloria del paradiso</i> del Tintoretto è una tela -alta metri 7,50, larga 24,60), coi nostri quadretti di pochi -palmi fatti, rifatti, torturati nell'ansia della ricerca. Noi -nulla soddisfa oggi, essi di tutto si appagavano allora — noi -raffinati e anemici, essi pieni di vigoria e di salute — noi -dissolvitori, essi creatori — noi critici, essi artisti. -</p> - -<p> -Ma in tutta l'arte veneziana del Rinascimento, dai -primi maestri agli ultimi lieti cinquecentisti, eccezion -fatta per qualche isolata espressione religiosa, come in -Giovanni Bellini, o per qualche meraviglioso ritratto di -Tiziano e di Paolo, una cosa sopra le altre ci arresta, -ed è l'evidenza con cui è ritratta la folla. Persino nei -pittori amabilmente timidi del primo periodo dell'arte -v'è un senso della decorazione, un gusto dei colori, che -è come il riflesso della vita festosa. Il protagonista dei -loro quadri non è mai un uomo, ma il popolo, nessuna -figura attira particolarmente la nostra attenzione e l'occhio -vaga soddisfatto sulla folla composta, tranquilla nei -suoi movimenti, ma gaia e variopinta. Così nei quadri -<span class="pagenum" id="Page_347">[347]</span> -del Carpaccio e di Gentile Bellini, protagonista è Venezia -con le sue feste pubbliche, che chiede all'Oriente -l'opulenza e i colori, lieta di strepiti guerreschi e di fervore -operoso. Poi viene la folla romorosa e festante dei -pittori successivi, nelle opere dei quali si sente ancora -oggi come un'eco dell'allegria veneta, delle luminarie, -delle fiere, delle giostre, delle serenate, delle regate. -</p> - -<p> -A differenza degli artefici toscani, che s'arrestano particolarmente -al singolo individuo, all'espressione del -volto, i Veneti ritraggono con amabile e vivace superficialità -la vita reale agitata e romorosa. Tale l'arte, tale -la vita. Che cosa è l'uomo a Firenze? Figure energiche -austere dominano la folla. Farinata, Dante, Giano della -Bella, Michele di Lando. A Venezia invece l'uomo è assorbito -dallo Stato. Lo Stato non permette all'iniziativa -individuale di esercitarsi in tentativi isolati, lasciando a -ciascuno la responsabilità della propria sorte, e quindi -ogni uomo coordina la sua azione a quella degli altri. -Le virtù militari e civili non fanno che accrescere la -gloria dello Stato, il quale veglia geloso perchè l'uomo -non acquisti troppa autorevolezza, perchè la libertà non -s'infoschi intorno a un trono. Qui non avrebbero potuto -fiorire le ambizioni medicee. Questa cura di tutto eguagliare, -perchè nessuna autorità potesse innalzarsi, perchè -nessuna potenza individuale potesse sorgere minacciosa -di fronte alla repubblica, la vedete in ogni atto -dello Stato veneto. -</p> - -<p> -Tale la vita, tale l'arte. Gli artefici toscani, o sulla -tela o nel marmo, ritraevano, ben distinti, gli uomini -celebri del loro tempo, gli amici più cari, gli avversari -più odiati. E con tanta diligenza ne studiavano le sembianze, -da esserci tramandati perfino i nomi di taluni -personaggi riprodotti sulle tele o nei marmi. Donatello -dovea scolpire sul campanile del Duomo una statua di -Geremia o di Salomone, e vi pose invece il ritratto di -<span class="pagenum" id="Page_348">[348]</span> -Francesco Soderini. Negli affreschi della cappella Brancacci -possiamo notare Masolino, Masaccio, Filippino, Botticelli -e Pollaiuolo. E Luca Signorelli ritrae nei freschi -del Duomo d'Orvieto sè stesso e molti amici suoi: Nicolò, -Paulo e Vitellozzo Vitelli, Giovan Paolo ed Orazio -Baglioni. I pittori veneti invece badavano unicamente a -ciò che stava bene nel quadro, e nel quadro ritraevano -coloro che avevano pittoresco il tipo e non altri. Se qualcuno -volea la sua effigie tramandata ai posteri in qualche -tavola di artefice insigne, bisognava ne desse commissione, -come la famiglia Pesaro nella pala di Tiziano -ai Frari, e i Pisani nel quadro del Veronese, rappresentante -la famiglia di Dario ai piedi di Alessandro. Nelle -scene dipinte dai Veneziani, l'uomo si confonde fra l'agitazione -elegante della folla. Questo principio di predominio -della casta sull'individuo, che formò la grandezza -civile e artistica di Venezia, fu poi anche causa della -sua decadenza, giacchè l'iniziativa privata, la libera spontaneità -individuale e la personale responsabilità non vennero -in aiuto dello Stato decadente. -</p> - -<p> -E in fatti, dal chiudersi del cinquecento in poi, ruinano -le sorti di Venezia, la quale scema ogni anno di -tesoro e di dominio. Anche la sua arte splendida infiacchisce -per ripigliare nuova forza nell'ultimo secolo della -repubblica, quasi a confortare l'agonia della singolare -città. L'arte del seicento offerse il passaggio dallo splendido -naturalismo del cinquecento all'elegante raffinatezza -del settecento. Ma già alla fine del secolo sedicesimo, -nelle botteghe dei pittori, l'arte decade precipitosamente. -</p> - -<p> -Il corteo mesto e rado, che, fra la desolazione della -città atterrita dalla peste, segue, nel 1576, la bara di Tiziano, -sembra il funerale della grande arte veneziana. -L'ultimo de' suoi forti campioni, che vide spegnersi a -poco a poco la gloria pittorica di Venezia fu Jacopo Tintoretto, -<span class="pagenum" id="Page_349">[349]</span> -dilungato dal mondo, ridotto a perpetui ragionari -con le sue idee. -</p> - -<p> -Morì nel 1597. Sette anni prima gli era morta la figlia -Marietta, bella, buona, giovane, celebre ormai nella pittura -e nella musica. Il misero padre si vide gittato dalla -corrente della sventura sulla riva, come un avanzo di -naufragio. Anche i suoi maestri, i suoi compagni, i suoi -amici — Tiziano, Paolo — tutti se ne erano andati alla -pace, che non ha turbamenti. La sua vita s'era ridotta -a un trepido silenzio; conforto unico — l'arte. E negli -ultimi istanti della sua vita, certo, alla dolce immagine -della sua Marietta si sarà unita la luminosa visione dell'arte, -nel desiderio supremo che a quest'arte e alla patria -non fossero per mancare degli altri ingegni da riempire -di fantasie, degli altri cuori da movere alla passione. -</p> - -<p class="pad2 center large"> -FINE. -</p> - -<div class="somm"> - -<h2><a id="indice" href="#indfront"> -INDICE.</a></h2> - -<table class="indice" summary=""> - <tr> - <td><span class="smcap">Ernesto Masi</span></td> <td><a href="#magnifico">Lorenzo il Magnifico</a></td> <td class="pag">Pag. 1</td> - </tr> - <tr> - <td><span class="smcap">Giuseppe Giacosa</span></td> <td><a href="#castelli">La vita privata ne' Castelli</a></td> <td class="pag">31</td> - </tr> - <tr> - <td><span class="smcap">Guido Biagi</span></td> <td><a href="#fiorentini">La vita privata dei Fiorentini</a></td> <td class="pag">49</td> - </tr> - <tr> - <td><span class="smcap">Isidoro Del Lungo</span></td> <td><a href="#donna">La donna fiorentina nel Rinascimento</a> e negli ultimi tempi della libertà</td> <td class="pag">99</td> - </tr> - <tr> - <td><span class="smcap">Guido Mazzoni</span></td> <td><a href="#poliziano">Il Poliziano e l'Umanesimo</a></td> <td class="pag">147</td> - </tr> - <tr> - <td><span class="smcap">Enrico Nencioni</span></td> <td><a href="#lirica">La lirica del Rinascimento</a></td> <td class="pag">178</td> - </tr> - <tr> - <td><span class="smcap">Pio Rajna</span></td> <td><a href="#orlando">L'Orlando innamorato del Boiardo</a></td> <td class="pag">205</td> - </tr> - <tr> - <td><span class="smcap">Felice Tocco</span></td> <td><a href="#savonarola">Il Savonarola e la Profezia</a></td> <td class="pag">236</td> - </tr> - <tr> - <td><span class="smcap">Diego Martelli</span></td> <td><a href="#pittura">La pittura del 400 a Firenze</a></td> <td class="pag">269</td> - </tr> - <tr> - <td><span class="smcap">Vernon Lee</span></td> <td><a href="#scultura">La scultura del Rinascimento</a></td> <td class="pag">293</td> - </tr> - <tr> - <td><span class="smcap">Enrico Panzacchi</span></td> <td><a href="#leonardo">Leonardo da Vinci</a></td> <td class="pag">309</td> - </tr> - <tr> - <td><span class="smcap">Pompeo Molmenti</span></td> <td><a href="#veneziana">L'arte veneziana del Rinascimento</a></td> <td class="pag">332</td> - </tr> -</table> - -<hr /> -</div> - -<div class="footnotes"> - -<h2> -NOTE: -</h2> - -<div class="footnote" id="note1"> -<p><span class="label"><a href="#tag1">1</a>. </span><span class="smcap">Del Lungo</span>, <i>Dino Compagni</i>, II, 464.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note2"> -<p><span class="label"><a href="#tag2">2</a>. </span><span class="smcap">Del Lungo</span>, I, 6.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note3"> -<p><span class="label"><a href="#tag3">3</a>. </span><span class="smcap">Paolo di Ser Pace da Certaldo</span>. — Ms. Riccard. 1383, § 18.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note4"> -<p><span class="label"><a href="#tag4">4</a>. </span><span class="smcap">Sacchetti</span>, n. 17.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note5"> -<p><span class="label"><a href="#tag5">5</a>. </span><span class="smcap">Sacchetti</span>, n. 110</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note6"> -<p><span class="label"><a href="#tag6">6</a>. </span><span class="smcap">Lapo da Castiglionchio</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note7"> -<p><span class="label"><a href="#tag7">7</a>. </span><span class="smcap">Villani</span>, X, 208.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note8"> -<p><span class="label"><a href="#tag8">8</a>. </span><span class="smcap">Perrens</span>, <i>Histoire de Florence</i>, III, 408.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note9"> -<p><span class="label"><a href="#tag9">9</a>. </span><span class="smcap">Del Lungo</span>, I, 96.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note10"> -<p><span class="label"><a href="#tag10">10</a>. </span><span class="smcap">Pucci</span>, <i>Le proprietà di Mercato Vecchio</i>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note11"> -<p><span class="label"><a href="#tag11">11</a>. </span><span class="smcap">Paolo di Ser Pace da Certaldo</span>, § 23.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note12"> -<p><span class="label"><a href="#tag12">12</a>. </span><span class="smcap">Sacchetti</span>, n. 161.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note13"> -<p><span class="label"><a href="#tag13">13</a>. </span><i>Capricci e anneddoti di artisti</i>, descritti da <span class="smcap">Giorgio Vasari</span>. -Firenze, Barbèra, 1878, in-64.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note14"> -<p><span class="label"><a href="#tag14">14</a>. </span><span class="smcap">Sacchetti</span>, nov. 83, fine.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note15"> -<p><span class="label"><a href="#tag15">15</a>. </span>Ivi, 108.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note16"> -<p><span class="label"><a href="#tag16">16</a>. </span><span class="smcap">Sacchetti</span>, n. 92.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note17"> -<p><span class="label"><a href="#tag17">17</a>. </span><span class="smcap">Paolo di Ser Pace da Certaldo</span>, § 56.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note18"> -<p><span class="label"><a href="#tag18">18</a>. </span>Ivi, § 76.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note19"> -<p><span class="label"><a href="#tag19">19</a>. </span><span class="smcap">Sacchetti</span>, nov. 32.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note20"> -<p><span class="label"><a href="#tag20">20</a>. </span><span class="smcap">Perrens</span>, III. 330, 331, 335 e segg.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note21"> -<p><span class="label"><a href="#tag21">21</a>. </span><span class="smcap">Paolo di Ser Pace</span>, § 79.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note22"> -<p><span class="label"><a href="#tag22">22</a>. </span><span class="smcap">G. Dati</span>, <i>Il libro segreto</i>, pag. 100-101.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note23"> -<p><span class="label"><a href="#tag23">23</a>. </span><span class="smcap">Bongi</span>, in <span class="smcap">Zanelli</span>: <i>Le schiave orientali a Firenze</i>. Firenze, -1885.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note24"> -<p><span class="label"><a href="#tag24">24</a>. </span>Ivi, VII. Firenze. 1885.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note25"> -<p><span class="label"><a href="#tag25">25</a>. </span><span class="smcap">Zanelli</span>, pag. 40.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note26"> -<p><span class="label"><a href="#tag26">26</a>. </span><span class="smcap">Zanelli</span>, pag. 41.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note27"> -<p><span class="label"><a href="#tag27">27</a>. </span><span class="smcap">Macinghi</span>, pag. 475.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note28"> -<p><span class="label"><a href="#tag28">28</a>. </span><span class="smcap">Zanelli</span>, pag. 83.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note29"> -<p><span class="label"><a href="#tag29">29</a>. </span><span class="smcap">Mazzei</span>, I, 88 prefaz.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note30"> -<p><span class="label"><a href="#tag30">30</a>. </span>La festa di San Giovanni Battista che si fa in Firenze, in -<span class="smcap">Guasti</span>: <i>Le feste di San Giovanni</i>, Firenze, 1884. pag. 11.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note31"> -<p><span class="label"><a href="#tag31">31</a>. </span><span class="smcap">Nov</span>. 99.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note32"> -<p><span class="label"><a href="#tag32">32</a>. </span>Nov. 136.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note33"> -<p><span class="label"><a href="#tag33">33</a>. </span><span class="smcap">Sacchetti</span>, n. 178.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note34"> -<p><span class="label"><a href="#tag34">34</a>. </span>Ivi, n. 105.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note35"> -<p><span class="label"><a href="#tag35">35</a>. </span><span class="smcap">Sacchetti</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note36"> -<p><span class="label"><a href="#tag36">36</a>. </span>Ivi, 178.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note37"> -<p><span class="label"><a href="#tag37">37</a>. </span>Ivi, 178.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note38"> -<p><span class="label"><a href="#tag38">38</a>. </span><span class="smcap">Sacchetti</span>, n. 200.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note39"> -<p><span class="label"><a href="#tag39">39</a>. </span>G. <span class="smcap">Villani</span>, X, 150.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note40"> -<p><span class="label"><a href="#tag40">40</a>. </span><span class="smcap">Morelli Guido</span>, <i>Deliberaz. suntuaria del Comune di Firenze</i>. -Firenze, 1881.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note41"> -<p><span class="label"><a href="#tag41">41</a>. </span><span class="smcap">Fabretti Ariod.</span>, <i>Vestire degli uomini e delle donne in Perugia</i>, -a pag. 176.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note42"> -<p><span class="label"><a href="#tag42">42</a>. </span><span class="smcap">Villani</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note43"> -<p><span class="label"><a href="#tag43">43</a>. </span><span class="smcap">Del Lungo</span>, <i>La donna fiorentina ne' primi secoli del Comune</i>, -a pag. 31.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note44"> -<p><span class="label"><a href="#tag44">44</a>. </span><span class="smcap">Fabretti</span>, pag. 208.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note45"> -<p><span class="label"><a href="#tag45">45</a>. </span><span class="smcap">Villani</span>, XII, 4.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note46"> -<p><span class="label"><a href="#tag46">46</a>. </span>Nov. 137.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note47"> -<p><span class="label"><a href="#tag47">47</a>. </span><span class="smcap">Carducci</span>, Rime antiche da carte di archivi. Nel <i>Propugnatore</i>, -vol. I, fasc. <span class="smcap lowercase">I</span>, 1888.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note48"> -<p><span class="label"><a href="#tag48">48</a>. </span><span class="smcap">Pellegrini F. C.</span> — Agnolo Pandolfini in <i>Giornale Storico -della Lett. It.</i>, fasc. 1-2, 1886 a pag. 49.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note49"> -<p><span class="label"><a href="#tag49">49</a>. </span><i>Inventario e Regesto dei Capitoli del Comune</i>, pag. 103-108.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note50"> -<p><span class="label"><a href="#tag50">50</a>. </span><span class="smcap">Pellegrini</span>, op. cit., pag. 45.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note51"> -<p><span class="label"><a href="#tag51">51</a>. </span>Nov. 146.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note52"> -<p><span class="label"><a href="#tag52">52</a>. </span>Nov. 204.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note53"> -<p><span class="label"><a href="#tag53">53</a>. </span><span class="smcap">Mazzei</span>, I, <span class="smcap lowercase">LVIII</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note54"> -<p><span class="label"><a href="#tag54">54</a>. </span><span class="smcap">Mazzei</span>, I, <span class="smcap lowercase">LVIII</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note55"> -<p><span class="label"><a href="#tag55">55</a>. </span><span class="smcap">Sacchetti</span>, nov. 148.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note56"> -<p><span class="label"><a href="#tag56">56</a>. </span><span class="smcap">Donato Velluti</span>, <i>Cronica</i>, pag. 30-31.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note57"> -<p><span class="label"><a href="#tag57">57</a>. </span><span class="smcap">Corazzini</span>, <i>I Ciompi e Michele di Lando</i>, p. <span class="smcap lowercase">XCVI</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note58"> -<p><span class="label"><a href="#tag58">58</a>. </span><span class="smcap">Giovanni Morelli</span>, <i>Cronica</i>, pag. 280.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note59"> -<p><span class="label"><a href="#tag59">59</a>. </span>Vol. I, pag. 250.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note60"> -<p><span class="label"><a href="#tag60">60</a>. </span><span class="smcap">Guasti</span>, <i>Lettere di Ser Lapo Mazzei</i>, I, pag. <span class="smcap lowercase">CXXI</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note61"> -<p><span class="label"><a href="#tag61">61</a>. </span>Pag. 96.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note62"> -<p><span class="label"><a href="#tag62">62</a>. </span><span class="smcap">Guasti</span>, op. cit., pag. <span class="smcap lowercase">CXIX</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note63"> -<p><span class="label"><a href="#tag63">63</a>. </span><span class="smcap">B. Pitti</span>, <i>Cronica</i>, pag. 86 e 133.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note64"> -<p><span class="label"><a href="#tag64">64</a>. </span><span class="smcap">Morelli</span>, pag. 281.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note65"> -<p><span class="label"><a href="#tag65">65</a>. </span><span class="smcap">Morelli</span>, pag. 284.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note66"> -<p><span class="label"><a href="#tag66">66</a>. </span><span class="smcap">Salvi</span>, prefaz. al <i>Dominici</i>, pag. <span class="smcap lowercase">XIII</span> e <span class="smcap lowercase">XIV</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note67"> -<p><span class="label"><a href="#tag67">67</a>. </span><span class="smcap">Pitti</span>, <i>Cronica</i>, pag. 58.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note68"> -<p><span class="label"><a href="#tag68">68</a>. </span><i>Lettere di Ser Lapo Mazzei</i>, I, pag. <span class="smcap lowercase">CI</span>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note69"> -<p><span class="label"><a href="#tag69">69</a>. </span><i>Cronica</i>, pag. 33.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note70"> -<p><span class="label"><a href="#tag70">70</a>. </span>Ivi, pag. 19-20.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note71"> -<p><span class="label"><a href="#tag71">71</a>. </span>Ivi, pag. 53.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note72"> -<p><span class="label"><a href="#tag72">72</a>. </span>Vol. II, pag. 221.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note73"> -<p><span class="label"><a href="#tag73">73</a>. </span><span class="smcap">Macinghi</span>, pag. 438.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note74"> -<p><span class="label"><a href="#tag74">74</a>. </span><span class="smcap">Macinghi</span>, pag. 526.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note75"> -<p><span class="label"><a href="#tag75">75</a>. </span><span class="smcap">Macinghi</span>, pag. 587.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note76"> -<p><span class="label"><a href="#tag76">76</a>. </span>Idem, pag. 600.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note77"> -<p><span class="label"><a href="#tag77">77</a>. </span><span class="smcap">Mazzei</span>, pag. LXXVIII.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note78"> -<p><span class="label"><a href="#tag78">78</a>. </span><span class="smcap">Pitti</span>, pag. 112.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note79"> -<p><span class="label"><a href="#tag79">79</a>. </span><span class="smcap">Rucellai</span>, pag. 72, e segg.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note80"> -<p><span class="label"><a href="#tag80">80</a>. </span><span class="smcap">Pandolfini</span>, ediz. Silvestri, pag. 47 e segg.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note81"> -<p><span class="label"><a href="#tag81">81</a>. </span><span class="smcap">Poliziano</span>, ediz. Sansoni, pag. 299.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note82"> -<p><span class="label"><a href="#tag82">82</a>. </span><span class="smcap">Giostra</span>, ottava 43.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note83"> -<p><span class="label"><a href="#tag83">83</a>. </span><span class="smcap">Borghini</span>, <i>Della moneta</i>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note84"> -<p><span class="label"><a href="#tag84">84</a>. </span><span class="smcap">Tribaldo de Rossi</span>, pag. 260.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note85"> -<p><span class="label"><a href="#tag85">85</a>. </span><span class="smcap">Piccini</span>, <i>Facezie e motti</i>, pag. 95.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note86"> -<p><span class="label"><a href="#tag86">86</a>. </span><span class="smcap">D'Ancona</span>, <i>Origini del teatro</i>, I, p. 254-255 <i>passim</i>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note87"> -<p><span class="label"><a href="#tag87">87</a>. </span><span class="smcap">Muratori</span>, <i>R. I. S.</i>, II, pag. 739.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note88"> -<p><span class="label"><a href="#tag88">88</a>. </span>Nozze Supino-Morpurgo, <i>Cerimoniale di Franc. Filarete -Araldo</i>. Pisa, 1884.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note89"> -<p><span class="label"><a href="#tag89">89</a>. </span><span class="smcap">Guasti</span>, pag. 24. — <span class="smcap">Tribaldo de Rossi</span>, pag. 271.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note90"> -<p><span class="label"><a href="#tag90">90</a>. </span><span class="smcap">D. Salvi</span>, in <i>Dominici</i>, pag. 252.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note91"> -<p><span class="label"><a href="#tag91">91</a>. </span><i>D. Salvi</i>, in <i>Dominici</i>, pag. 248.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note92"> -<p><span class="label"><a href="#tag92">92</a>. </span>Pag. 247.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note93"> -<p><span class="label"><a href="#tag93">93</a>. </span><span class="smcap">Frati L.</span>, <i>La morte di L. de' Medici</i> in <i>Arch. Stor. Ital.</i>, -lett. citata del Dei.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note94"> -<p><span class="label"><a href="#tag94">94</a>. </span>Vedi più innanzi in questo volume la <a href="#pittura">conferenza</a> di <span class="smcap">Diego -Martelli</span>, <i>La pittura del Quattrocento a Firenze</i>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note95"> -<p><span class="label"><a href="#tag95">95</a>. </span>Vedi la <a href="#fiorentini">conferenza</a> di <span class="smcap">Guido Biagi</span>, <i>La vita privata dei Fiorentini</i>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note96"> -<p><span class="label"><a href="#tag96">96</a>. </span>Vedi la citata <a href="#fiorentini">conferenza</a> su <i>La vita privata dei Fiorentini</i>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note97"> -<p><span class="label"><a href="#tag97">97</a>. </span>Vedi la <a href="#magnifico">conferenza</a> di <span class="smcap">Ernesto Masi</span>, <i>Lorenzo il Magnifico</i>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note98"> -<p><span class="label"><a href="#tag98">98</a>. </span>Questi versi appartengono alla penultima stanza dell'edizione -che si pubblicò dei primi due libri nel 1486: stanza omessa -nelle edizioni successive.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note99"> -<p><span class="label"><a href="#tag99">99</a>. </span>Vedi pag. <a href="#Page_321">321</a>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note100"> -<p><span class="label"><a href="#tag100">100</a>. </span>Pasquale Villari, che nel marzo 1892, quando si leggeva -questa conferenza, era ministro dell'istruzione pubblica. Ma poche -settimane dopo, il 5 maggio, cadeva il ministero Rudinì di cui -egli faceva parte.</p> -</div> -</div> - -<div class="tnote"> -<p class="tntitle"> -Nota del Trascrittore -</p> - -<p> -Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo senza annotazione -minimi errori tipografici. -</p> - -<p class="covernote"> -Copertina creata dal trascrittore e posta nel pubblico dominio. -</p> -</div> - - - - - - - - -<pre> - - - - - -End of Project Gutenberg's La vita Italiana nel Rinascimento, by Various - -*** END OF THIS PROJECT GUTENBERG EBOOK LA VITA ITALIANA NEL RINASCIMENTO *** - -***** This file should be named 51706-h.htm or 51706-h.zip ***** -This and all associated files of various formats will be found in: - http://www.gutenberg.org/5/1/7/0/51706/ - -Produced by Carlo Traverso, Barbara Magni and the Online -Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net (This -file was produced from images generously made available -by The Internet Archive) - - -Updated editions will replace the previous one--the old editions -will be renamed. - -Creating the works from public domain print editions means that no -one owns a United States copyright in these works, so the Foundation -(and you!) can copy and distribute it in the United States without -permission and without paying copyright royalties. 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Email contact links and up to date contact -information can be found at the Foundation's web site and official -page at http://pglaf.org - -For additional contact information: - Dr. Gregory B. Newby - Chief Executive and Director - gbnewby@pglaf.org - - -Section 4. Information about Donations to the Project Gutenberg -Literary Archive Foundation - -Project Gutenberg-tm depends upon and cannot survive without wide -spread public support and donations to carry out its mission of -increasing the number of public domain and licensed works that can be -freely distributed in machine readable form accessible by the widest -array of equipment including outdated equipment. Many small donations -($1 to $5,000) are particularly important to maintaining tax exempt -status with the IRS. - -The Foundation is committed to complying with the laws regulating -charities and charitable donations in all 50 states of the United -States. 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