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-The Project Gutenberg EBook of La vita Italiana nel Rinascimento, by Various
-
-This eBook is for the use of anyone anywhere at no cost and with
-almost no restrictions whatsoever. You may copy it, give it away or
-re-use it under the terms of the Project Gutenberg License included
-with this eBook or online at www.gutenberg.org/license
-
-
-Title: La vita Italiana nel Rinascimento
- Conferenze tenute a Firenze nel 1892
-
-Author: Various
-
-Release Date: April 9, 2016 [EBook #51706]
-
-Language: Italian
-
-Character set encoding: UTF-8
-
-*** START OF THIS PROJECT GUTENBERG EBOOK LA VITA ITALIANA NEL RINASCIMENTO ***
-
-
-
-
-Produced by Carlo Traverso, Barbara Magni and the Online
-Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net (This
-file was produced from images generously made available
-by The Internet Archive)
-
-
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-
- LA
- VITA ITALIANA
- NEL RINASCIMENTO
-
- _Conferenze tenute a Firenze nel 1892_
-
-
- DA
-
- E. Masi, G. Giacosa, G. Biagi, I. Del Lungo,
- G. Mazzoni, E. Nencioni, P. Rajna, F. Tocco, D. Martelli,
- Vernon Lee, E. Panzacchi, P. Molmenti.
-
-
-
- MILANO
- FRATELLI TREVES, EDITORI
- 1896
- —
- TERZA EDIZIONE.
-
-
-
-
- PROPRIETÀ LETTERARIA
-
- _Riservati tutti i diritti._
-
- Milano. — Tip. Fratelli Treves.
-
-
-
-
-LORENZO IL MAGNIFICO
-
-DI
-
-ERNESTO MASI.
-
-
-Vi ricordate della tragedia di Vittorio Alfieri intitolata: _La
-Congiura de' Pazzi_? Come opera d'arte non è gran che, lasciando
-stare anche l'alterazione quasi grottesca dei fatti storici, dei
-caratteri e persino dei nomi dei personaggi. Ma non si tratta ora di
-ciò. Voglio notare soltanto un fenomeno singolare, che parmi accaduto
-all'Alfieri nel trattar questo tema, ed è che mentre ha senza dubbio
-voluto travestire in Lorenzo e Giuliano de' Medici due de' suoi
-soliti _Egisti_ e _Creonti_, due de' suoi soliti _tiranni_, messi
-là a ricevere in pieno petto le contumelie del _prim'uomo_ e della
-_prima donna_, non solo il carattere di Lorenzo gli è, suo malgrado,
-riuscito il più simpatico della tragedia, ma all'ultimo non sa più egli
-stesso, l'Alfieri, da che lato pende il torto maggiore; i motivi della
-sanguinosa catastrofe, da prima apparsigli così chiari e lampanti,
-si direbbe che gli si oscurano tutto ad un tratto; e per conclusione
-finale mette in bocca a Lorenzo queste ambigue parole:
-
- . . . . E avverar sol può il tempo
- Me non tiranno e traditor costoro!
-
-Sembra accorgersi tardi che il tentativo di raccogliere tutta la pietà
-tragica sui Pazzi, anzichè sui Medici, è un grosso errore, tanto sotto
-l'aspetto della storia, quanto sotto quello dell'arte, com'ebbe poi
-a scrivergli con gran franchezza Melchiore Cesarotti, e si ferma lì
-come in dubbio, e in questo dubbio lascia gli ascoltatori ed i lettori
-della sua tragedia. La quale ritengo, avrebb'egli concepita in modo
-tutto diverso, se, in cambio d'averla scritta fra il 1779 e l'80,
-l'avesse scritta un dieci o dodici anni più tardi, quando, scoppiata la
-rivoluzione francese, la prospettiva della tirannide gli si era, per
-così dire, rovesciata e gli pareva molto più intollerabile quella che
-viene dal basso, anzichè quella che viene dall'alto, la tirannide dei
-molti, anzichè quella d'un solo.
-
-Se non che il fenomeno accaduto all'Alfieri mi sembra essersi rinnovato
-in molti altri dei più sfidati avversari di Lorenzo il Magnifico, dai
-contemporanei fino ai giorni nostri. Molti altri accatastano fatti su
-fatti e poi s'accorgono con loro stupore che i più tornano a gloria di
-Lorenzo, e allora non possono tenersi dal mescolare le lodi ai biasimi,
-o per lo meno dallo scindere l'unità di questa grande e complessa
-figura storica del secolo XV in modo, da farne uscire due, tre, quattro
-anzi, come propone il Perrens, uomini diversi, contenuti in un solo, e
-così poterne lodare uno o due e biasimare i rimanenti; a molti altri
-è accaduto di fermarsi all'ultimo, al pari dell'Alfieri, dubbiosi,
-esitanti, come dinanzi ad un problema psicologico di troppo difficile
-soluzione.
-
-A Lorenzo de' Medici è toccata del resto una singolare fortuna, ed
-è quella d'aver sempre appassionato pro o contro gli scrittori, che
-hanno trattato di lui, dai contemporanei fino agli odierni, come se
-in cambio d'aver vissuto dal 1449 al 1492 egli fosse nato, vissuto
-o morto pochi anni fa, come se in cambio d'un uomo del secolo XV
-si trattasse, ad esempio, d'un Napoleone I, gli effetti della cui
-gloria e dei cui disastri sono forse sensibili anche oggi nella vita
-europea. Eppure quei signori e principi della prima e seconda stirpe
-Medicea sono ben morti e sepolti! Nulla ci parla più di loro. Gli
-stessi edifici e monumenti d'arte, che hanno lasciato, ci ricordano
-ancora il nome e l'opera dell'artista, che gli ha ideati e compiuti,
-ma il nome del signore o del principe, che gli ha commessi, appena
-qualche erudito lo sa con precisione e al visitatore indigeno o
-forestiero poco importa oramai che si tratti dei primi o secondi
-Cosimi, Giuliani e Lorenzi, che si tratti dei Medici insidiatori
-della libertà fiorentina o dei Medici Granduchi, i quali alle loro
-vecchie dimore non hanno lasciato di proprio neppure il nome. A qualche
-scrutatore indiscreto alcuna traccia dei tempi Medicei parrà forse di
-scernere ancora nel temperamento e in certe disposizioni morali del
-popolo fiorentino (lo dico a lode, badiamo, non a biasimo di certo)
-ma nulla più. Chi ne dubitasse entri, qui prossimo, a San Lorenzo, in
-quelle sepolture Medicee. Che gelo, che tanfo di morte preistorica
-in quel buio della vecchia e nuova sagrestia, ma qui almeno danno
-lume e calore il genio di Andrea del Verrocchio e quello tra satirico
-e malinconico di Michelangelo! Peggio tra la sfarzosa e teatrale
-ricchezza del sepolcreto granducale! Qui nessun compenso possibile:
-la storia dice poco; l'arte non dice niente; il freddo dei marmi vi
-assidera, vi penetra crudelmente nell'ossa e nell'anima, e si sente
-il bisogno d'uscire più che di fretta, non già per odio a quei sepolti
-tiranni, che coi loro manti e le loro corone arieggiano innocui re da
-melodramma, ma per la prosaica paura d'un raffreddore.
-
-Ora dunque perchè, tra questi morti e così ben morti, quelli della
-prima stirpe Medicea appassionano gli scrittori più di quelli della
-seconda, e perchè tra quelli della prima Lorenzo più degli altri ha il
-privilegio di eccitare anche oggi odii ed amori così tenaci?
-
-Finchè in Italia i libri di storia furono per metà di politica, voi
-sapete quanto si sfruttarono l'assedio e la caduta di Firenze nel
-1530 e quell'accordo del Papa coll'Imperatore, che fu la cagione
-immediata di tale catastrofe. Era la conclusione ultima di tutto il
-gran dramma, non della libertà fiorentina soltanto, ma della libertà
-italiana, e poichè quel Papa era un Medici ed un Medici il primo Duca
-di Firenze, non altro si volle vedere in tuttociò che la continuazione
-d'un antico disegno d'ambizione, che finalmente s'effettuava coll'aiuto
-dello straniero, ed i più rei parvero i primi autori di quella lunga
-e perseverante insidia, ed il peggiore di tutti, quegli in cui più
-splendidamente s'incarnarono la tradizione e il genio di tutta la
-stirpe. Divenne così una specie di obbligo pel liberalismo italiano
-non far grazia ai Medici e soprattutti a Lorenzo. Non parliamo dei
-contemporanei o dei quasi contemporanei. L'odio o l'amor loro troppo
-facilmente si spiega. Non parliamo neppure degli scrittori toscani
-dell'epoca granducale, medicea e lorenese. La lode o il silenzio in
-bocca loro sono troppo sospetti. Ma quando colla storia filosofica
-e Volteriana del secolo XVIII si cominciò ad opporre al Medio Evo
-credente e devoto il Rinascimento scettico e razionalista, eccoti,
-fra gli stranieri massimamente, fra gli indifferenti cioè alle nostre
-passioni politiche, eccoti il panegirico dei Medici e di Lorenzo in
-particolare, che tocca il colmo e, direi, passa il segno, nel famoso
-libro del Roscoe, ed eccoti di riscontro il Sismondi, scrittore di gran
-merito, ma uno dei santi padri, uno dei rappresentanti internazionali
-di quel dottrinarismo liberale e borghese, che ha nelle instituzioni
-repubblicane la panacea di tutti i mali, e quindi non perdona ai
-distruttori di repubbliche ed ai loro encomiatori. Non badò il Sismondi
-che nella vita di Lorenzo il Roscoe a dipinger l'uomo s'era attenuto
-al Valori, un coetaneo di Lorenzo, che a narrar la storia avea seguito
-il Machiavelli, che i documenti originali gliegli avea apprestati il
-Fabroni, che a penetrar nella storia letteraria lo aveano aiutato
-il Bandini, il Tiraboschi, autorità tutte di non poco valore; non
-si ricordò neppure ch'egli stesso avea tanto esaltato i Medici e
-Lorenzo nella sua storia letteraria dell'Europa meridionale, quanto
-li deprimeva nella sua storia delle Repubbliche Italiane; non badò
-a nulla, non volle curarsi di nulla; non altro gli stette a cuore
-che contrapporre al panegirico la diatriba e spinta al segno da non
-sdegnare esso, onest'uomo come era, di lodare quali azioni eroiche
-persino la dissimulazione dei Pazzi, che convitano Lorenzo e Giuliano
-de' Medici in casa loro a fine d'ammazzarli, persino il tasteggiare
-che fanno il giovane Giuliano, fingendo abbracciarlo amicamente, per
-assicurarsi se ha o no il giaco sotto la veste, quando lo inducono a
-entrar nel duomo e lo uccidono.
-
-È sommamente istruttiva la polemica, che ne seguì fra il Roscoe e il
-Sismondi, la quale andò tant'oltre che il Sismondi stesso finì per
-dire: “smettiamola, signor Roscoe, altrimenti si riderà di noi che ci
-contendiamo un tiranno del secolo XV coll'accanimento medesimo, che due
-rivali si contenderebbero il cuore d'una bella donna. E poi di che ci
-scaldiamo tanto, noi, stranieri all'Italia tutti e due?„
-
-Nè cadde a vuoto, sapete, quest'ultima parola, da cui s'arguirebbe
-esservi sui Medici e su Lorenzo in particolare la possibilità
-di due giudizi diversi, uno per gli Italiani, un altro per gli
-stranieri, perocchè questo è appunto lo scrupolo, che ha trattenuto
-il coscienzioso Burckhardt, nella sua classica opera sul Rinascimento
-in Italia, dal giudicare Lorenzo come uomo di Stato e dal decidere
-qual parte spetti agli uomini e quale sia superiore al loro stesso
-buono o mal volere (il vero problema di questa storia) nei destini di
-Firenze; scrupolo veramente eccessivo e che non trattenne per buona
-sorte il Reumont, il Buser, il Leo, il Thomas, il Perrens e tanti altri
-valentuomini stranieri dal fare della storia Medicea anche politica e
-di Lorenzo come uomo di Stato il soggetto delle loro ricerche, e dei
-loro studi.
-
-Quanto agli Italiani, finchè durò il periodo della preparazione e degli
-esperimenti infelici della nostra rivoluzione e sino a poco dopo il
-1859, si tennero più o meno a modello il Sismondi, pur evitandone le
-enormi esagerazioni, nel giudicare dei Medici e di Lorenzo, ma poi
-spesso l'argomento fece forza da sè al preconcetto politico, ed o si
-fermarono, ripeto, incerti e dubbiosi, a mezza spada, o il giudizio, da
-prima severissimo, si venne via via temperando, più si approfondivano
-le ricerche, come potete vedere in Gino Capponi, che nel 1842, quando
-si cospirava anche coll'_Archivio Storico_ (una delle più nobili
-arme affilate nel gabinetto di Giampietro Vieusseux), ha parole di
-fuoco contro i Medici, e nel 1875, quando pubblicò la sua _Storia
-della Repubblica di Firenze_, ne parla con tanta maggiore serenità e
-obbiettività scientifica; come potete vedere in Pasquale Villari, che
-nel suo _Savonarola_, il libro caldo ancora di inspirazione giovanile
-e di passionata eloquenza, e assai prossimo al Sismondi, e nel suo
-_Machiavelli_, lo studio severo della sapiente virilità, se non ha
-dismessi tutti gli antichi corrucci, tuttavia tempera o per lo meno
-slarga il suo giudizio, che in questo caso val quanto di necessità
-temperarlo. Più notevole è il caso del Carducci, che in quei suoi primi
-saggi bellissimi sulle poesie di Lorenzo de' Medici e del Poliziano,
-ora la sua natura d'artista lo attrae irresistibilmente verso Lorenzo,
-natura d'artista esso pure, come dice il Capponi, anima di principe,
-ultima grandezza d'un'età splendida, che finiva, ora lo spirito
-rivoluzionario lo trattiene, lo tira indietro, gli strappa accenti
-di collera, troncati a mezzo però da una ripugnanza anche maggiore,
-la ripugnanza alla reazione del Savonarola, che tenta gettare la sua
-tonaca di frate su tutta quella radiosa giovinezza di Rinascimento
-artistico e letterario.
-
-Intanto le ricerche e gli studi sull'età Medicea e su Lorenzo
-continuano indefessi; si ampliano e si integrano i documenti raccolti
-dal benemerito Fabroni; al togato Guicciardini della _Storia d'Italia_
-succede il Guicciardini della _Storia Fiorentina_, dei _Ricordi_ e di
-quel capolavoro del pensiero politico italiano, che è il _Dialogo sul
-Reggimento di Firenze_; abbiamo cioè l'espressione viva e immediata di
-un quasi contemporaneo, che è insieme una gran mente d'uomo di Stato,
-e tuttociò ci frutta fra il 1874 e 75 l'opera capitale su Lorenzo dei
-Medici di Alfredo di Reumont ed il giudizio pieno e definitivo di Gino
-Capponi. Si direbbe che il processo è chiuso, che la sentenza ultima è
-pronunciata; che, com'è per lo più di tutte le sentenze della storia,
-Lorenzo ne esce nè del tutto assolto, nè condannato del tutto. Oibò! La
-buona fortuna del Sismondi non è finita. Esso rivive con tutte le sue
-collere e i suoi anatemi nel Perrens, che sotto gli occhi nostri, nel
-1888, e valendosi anzi di tutto il lavoro critico avvenuto dal Sismondi
-in poi (giacchè, bisogna dirlo, il Perrens è anzi, per straniero
-e francese che parla d'Italia, mirabilmente informato), riapre il
-processo e non una parte di Lorenzo si salva; l'uomo, il padre,
-il marito, il cittadino, il signore, lo statista, il mecenate, il
-letterato, tutto, tutto è oscurato e ravvolto in una stessa condanna. È
-una demolizione compiuta. Del tempio e della statua non resta in piedi
-neppure una pietruzza, che dica al passeggiero: _qui fu Lorenzo de'
-Medici_; tantochè all'ultimo lo stesso Perrens si ferma col martello
-in mano e quasi spaventato dell'opera sua; si sente preso anch'esso da
-quel dubbio, da quell'incertezza, che, come dicevo, assale dall'Alfieri
-in giù tutti i più sfidati avversari di Lorenzo; ma è supremamente
-comica la forma che piglia questo tardivo rimorso nel Perrens, il
-quale si rivolta contro il suo maestro ed autore, contro il Sismondi,
-e quasi lo apostrofa dicendo: “via, è troppo! Un po' di discrezione,
-s'il vous plaît. Non è poi certissimo che quei vostri cari Albizzi
-fossero proprio campioni di libertà e di democrazia in confronto dei
-Medici e, quanto a Lorenzo, conveniamo che, se non fu veramente _l'ago
-della bilancia_ nella politica italiana del suo tempo, come pretendono
-i suoi adulatori, qualche cosa ha pur fatto per mantenere la pace,
-almeno dalla guerra di Sarzana fino alla sua morte, dal 1487 al 1492.
-È pochino! Sono cinque annetti soli! Ma questo almeno si conceda per
-dimostrare, se non altro, la nostra imparzialità!„
-
-
-Voi vedete, o signore, fra che odii e che amori, fra che assoluzioni
-e condanne, fra che spinaio di giudizi diversi sarebbe costretto a
-ravvolgersi chi avesse oggi da narrare a fondo la storia di Lorenzo il
-Magnifico, della sua vita e del suo tempo. E se ho dovuto indugiarmi
-tanto, solo per accennare le difficoltà del mio tema, mi conforta
-il pensiero che accennare tali difficoltà è già esso stesso un
-illustrarlo, e che, parlando ad un pubblico così culto e in massima
-parte fiorentino, m'è lecito presupporre l'argomento noto almeno nelle
-sue linee storiche principali e non tenermi obbligato a ridir tutto
-per filo e per segno, che già sarebbe chieder troppo all'industria del
-conferenziere e alla sofferenza del pubblico.
-
-A giudicare dei Medici e di Lorenzo con quell'imparzialità almeno
-relativa, a cui gli uomini possono aspirare, mi pare del resto che
-la nostra generazione dovrebbe oramai essere meglio disposta delle
-precedenti, la nostra generazione, che in fatto di politica è passata
-a traverso tante bonacce e burrasche di promettenti primavere, di
-malinconici autunni e di inverni spietati. Essa dovrebbe sentirsi,
-dico, meglio disposta a non farsi guidare nel giudizio di un
-passato remoto, che si tratta di conoscer bene, ma non muta più, da
-idoleggiamenti rettorici di forme di governo, qualunque esse siano, o
-da preoccupazioni politiche, che mutano ogni giorno.
-
-La storia indifferente al bene od al male perde non solo ogni efficacia
-morale, ma ancora ogni calore e vivezza di rappresentazione. Ma altro
-è una gelida indifferenza al bene od al male, altro è gettarsi a
-capo chino fra le lotte d'un'età tanto lontana da noi e sposarne gli
-odii, gli amori, come se fossero i nostri, e aggregarsi a una fazione
-contro dell'altra. Si moltiplicano per tal guisa deliberatamente le
-occasioni e le cause d'errori infiniti, giacchè, per quanto ci sia
-dato penetrare a dentro nella storia con le ricerche, gli studi e
-attingendo, finchè si può, dalle fonti originali delle memorie e dei
-documenti contemporanei, resta pur sempre un qualche cosa, che nessuna
-ricerca può far rivivere, che nessuno studio può rimetterci dianzi
-agli occhi, che nessun documento può dirci, ed è forse appunto in
-quell'inafferrabile _qualche cosa_, che giace riposta la spiegazione
-vera di un fatto o d'un uomo, la ragione ultima d'assolvere o di
-condannare. Di ciò si ha un segno evidente in quella specie di sforzo
-che occorre, in quella specie di disagio morale e qualche volta, direi
-quasi, anche fisico, che si prova a volersi addietrare col pensiero
-nella vita di generazioni già lontane da noi. Ce ne vuole per assuefare
-non soltanto l'animo a sentimenti e passioni, che non si provano più,
-ma la fantasia e gli occhi ad abitudini, a costumi, a fogge, ad arredi,
-a vestiari, che non sono più i nostri, a compiacersi di divertimenti,
-che oggi ci parrebbero torture, a persuadersi del buon gusto di un
-pranzo, che oggi ci rovescierebbe lo stomaco, a ridire d'una burla
-o d'un motto, che oggi ci suona come una freddura senza sugo, e via
-dicendo. Quello sforzo e quella specie di disagio scemano in noi più ci
-si affina il gusto della storia, e si convertono anzi in una misteriosa
-delizia, che può divenire persino passione e mania. Ma dimostrano
-insieme (e ciò dico in particolare a proposito dei Medici e di Lorenzo)
-la necessità che lo studio della storia rimanga, più che possibile,
-obbiettivo, la necessità di non spostare nè uomini, nè fatti, di
-sceverare il generale dal particolare, di non dar troppo all'ambiente,
-come oggi s'usa dire, per togliere all'uomo, nè attribuire a questo,
-per quanta azione abbia avuto sul tempo suo, ciò che è dell'ambiente,
-in cui quell'uomo ha vissuto, di sentenziare di preferenza dagli
-effetti palesi dell'opera sua, che sono ben noti, anzichè dai movimenti
-individuali e interiori, dei quali nessuno può più dirci intiero il
-segreto, di non prolungare finalmente al di là di certi limiti quegli
-effetti medesimi per incolparlo anche di ciò che risulta da tutti altri
-uomini e da tutt'altre condizioni di tempi, scordandoci a suo danno
-quello che l'esperienza ci dimostra ogni giorno, cioè che l'uomo è
-appena padrone del minuto che passa.
-
-Ora se v'ha personaggi storici pei quali queste cautele siano state
-più trascurate, direi che sono i Medici per l'appunto. E si capisco
-facilmente il perchè. Non parliamo dei Medici, dal 1531 Duchi e
-Granduchi. Ma per quelli della prima linea, a non dir che di loro, per
-Cosimo il Vecchio, Piero il Gottoso, Lorenzo il Magnifico, furono tanto
-più facilmente trascurate quelle cautele, perchè essi appassionano,
-come già dissi, più di tant'altri personaggi storici, gli scrittori,
-e gli appassionano tanto più, perchè non sono semplici capi ereditari
-d'una dinastia, d'una città, d'un regno, ma, oltre alla singolarissima
-forma del potere che esercitano, sono, se non gli autori, gli attori
-più in vista, pel loro grado, per le loro tradizioni, per le loro
-aderenze, pel loro genio e le loro inclinazioni personali, di tutto
-un nuovo e gran moto di civiltà, comprendente non solo le forme di
-governo, le arti, le scienze, le lettere, ma i pensieri, i sentimenti,
-la religione, la morale, i costumi, le usanze, tutta nel suo complesso
-la vita pubblica e privata; ond'è che in essi si studia non il signore
-soltanto, ma l'uomo nelle sue relazioni cogli uguali e cogli inferiori,
-l'uomo nella vita quotidiana, in casa, in villa, per le vie, tra gli
-spettacoli carnevaleschi, fra le dispute dell'accademia, nel banco
-commerciale, nel museo, nella biblioteca, fra gli amici che predilige,
-fra le donne che ama, fra le pareti del suo palazzo, alle corti
-estere, dove, benchè semplice cittadino nella sua città, comparisce
-da principe; e lo si studia appunto fra tanta gente e in tanti luoghi
-diversi, perchè questa moltiplicità e varietà di gusti, di attitudini,
-di attività è carattere generale del tempo, ma principalmente carattere
-dei grandi uomini italiani, e fra gli Italiani dei Fiorentini, e fra i
-Fiorentini dei Medici, e fra i Medici di Lorenzo il Magnifico.
-
-
-Se le signorie dei secoli XIV e XV (che bisogna ben badare a non
-confondere in Firenze ed altrove coi Principati) fossero un fatto
-verificatosi in Firenze soltanto e per opera soltanto dei Medici, i
-quali con arti subdole, con lunga e tenace insidia avessero a poco
-a poco soffocata la vita del più torbido sì, ma del più glorioso
-Comune italiano del Medio Evo, mentre all'intorno avessero prosperato
-ancora gli altri Comuni, assodando la loro libertà e slargando la
-loro giurisdizione territoriale, non vi sarebbe, a dir vero, vituperio
-bastante a castigare un simile parricidio. Ma non è così! Nel secolo XV
-la declinazione della cosidetta libertà comunale, che è la prevalenza
-feudalesca di una città sul territorio che la circonda, e la sua
-mutazione in signoria, che è la prevalenza d'un capo partito, o di un
-capo militare, o di un vicario imperiale o di una potente famiglia
-sui partiti, che si contendono il primato nella città dominante, è
-un fatto universale in tutta Italia. In Firenze anzi, come fu più
-tardivo a sorgere il libero Comune, così è più tarda a sorgere la
-signoria. Nell'Italia superiore invece, dove il feudo s'insediò più
-vigoroso, questa trasformazione non aspetta il secolo XV. Nei due
-secoli antecedenti si compie e trascende già a principato vero coi
-Torriani e Visconti a Milano, coi Da Romano nella Marca Trevisana,
-cogli Scaligeri a Verona, coi Pelavicino a Piacenza e, più prossime
-a Firenze, di qua e di là dell'Appennino, le signorie pullulano e si
-frazionano all'infinito, più grandi, più piccole, or vigorose, ora
-deboli, ora divorate dalle maggiori, ora dilaniantisi in sè stesse
-fra odii sanguinosi di famiglie rivali. In Toscana stessa, ove le
-resistenze sono più forti, avete le signorie militari e transitorie, i
-tentativi sfortunati di Uguccione della Fagiuola e di Castruccio degli
-Antelminelli. In Firenze stessa, tralasciando le signorie Angioine,
-le quali si potrebbero dire delegazioni di poteri pubblici ad un fine
-determinato, tralasciando pure l'episodio di Gualtieri di Brienne,
-Duca d'Atene, la cui tirannia mette a repentaglio estremo le libertà
-popolari, avete tentativi interni, i quali dimostrano che ai Medici,
-anche nel maggior fervore della vita repubblicana, predecessori non
-mancano: Corso Donati, ad esempio, che fin dal principio del secolo XIV
-tenta farsi capo di una oligarchia di magnati; Rosso della Tosa, che
-non gli vuol sottostare e mira diritto al principato. Più facile forse
-il programma, come oggi si direbbe, di Corso Donati, perchè Rosso della
-Tosa ha troppa fretta d'anticipare i Medici. Avete ad ogni modo, e di
-non poco precedente la signoria Medicea, la tendenza ad afforzare in
-una forma aristocratica i vecchi ordini comunali già decadenti, il che
-si tenta fin dal secolo XIV col magistrato di parte Guelfa, instituito
-già da molti anni, ma divenuto allora così chiuso e potente, che non so
-davvero che cosa gli manchi per essere una vera tirannide; poi colla
-prevalenza della parte aristocratica dei Ricci e degli Albizzi, prima
-lottanti fra loro, poi degli Albizzi rivali dei Medici, i quali Medici
-primeggiano nella parte popolare, donde sono usciti, sicchè all'ultimo
-tutto si riduce a decidere quale delle due famiglie sopraffarà l'altra,
-quale delle due, se gli Albizzi o i Medici, dominerà la repubblica. Ma
-insomma questa inclinazione del Comune a signoria è fatale, è superiore
-a tutte le combinazioni umane o di procaccianti ambizioni o di tardive
-resistenze, perchè dipende da una legge più generale e più alta, quella
-per cui un'età storica succede ad un'altra, quando i principii, sui
-quali quella si reggeva sono logori, esausti, finiti, e le sottentrano
-altri principii, altre tendenze, altre voglie, altri indirizzi di
-civiltà, quasi un'altra società, un'altra gente.
-
-Così è di questo tempo. Le grandi illusioni ghibelline sono finite
-fin dal 1313 con Arrigo VII. Se gli Imperatori scendono ancora in
-Italia da Lodovico il Bavaro a Carlo IV, a Venceslao, a Sigismondo, a
-Federico III, vengono per esiger taglie, trafficar titoli e diplomi,
-e se ne vanno. Settant'anni d'esilio in Avignone, quarant'anni
-di scisma, hanno sminuito e trasformato il Papa in un principotto
-italiano, che bada agli interessi suoi e de' suoi nipoti e lascia
-il partito Guelfo senza capo. Le due universali unità politiche, le
-due grandi forze ordinatrici, i due grandi ideali del Medio Evo sono
-dunque finiti e scomparsi nella storia italiana. Nè basta. Napoli s'è
-sottratta alla diretta soggezione imperiale. Venezia, che non fu mai
-nè guelfa nè ghibellina, che quasi non pareva appartenere all'Italia,
-cerca ora pigliarvi stato, e il difendersi da Napoli e da Venezia,
-nel linguaggio e nelle idee d'allora, val quanto difendere la libertà
-degli Stati italiani contro lo straniero. Nè basta ancora. Le potenti
-energie messe in moto dalla turbolenta libertà dei Comuni hanno dato
-vita ad una risurrezione d'arte e di sapere, ad una ristaurazione di
-classicismo, che sarà fondamento a tutta la cultura moderna, e che ora
-assorbe ogni attività spirituale e par fatta apposta per nascondere
-sotto i suoi fulgori la decadenza dei vecchi ordini repubblicani
-e la loro trasformazione in signorie. I Comuni colle loro lotte
-continue in casa, in piazza, in palazzo, stancavano tutte le forze
-del cittadino, fomentandone tutte le passioni, imponendogli attività
-e doveri continui. Ma ormai è venuta su una gente disposta a cercar
-riposo all'ombra d'un potere stabile e fermo, che tenga freno plebe
-e oligarchi; una gente, che vuol godere in pace, fra gli agi e i
-piaceri, il frutto della parsimonia e dell'operosità dei padri e degli
-avi, tanta ricchezza ammassata, tanto splendore e amenità di arti e
-di lettere e che per goderlo anche meglio si lascia cader le armi di
-mano, abbandonando l'arte della guerra al mestiere dei venturieri
-col fastidio superbo, colla noncuranza poltrona di opulenti, di
-mercanti, di artisti e di letterati. Aggiungete che l'umanesimo ha
-bisogno d'aiuto e di protezione signorile. Se la libera bottega bastò
-ai prodigi spontanei dell'arte, l'umanesimo tende a costituire una
-nuova aristocrazia piuttosto cortigiana, di quello che politicamente
-e virtuosamente operosa. Questo all'interno. E al di fuori? Al di
-fuori niun pericolo minaccia per ora: non dall'Impero troppo debole,
-non dalle altre nazioni ancora intente alla loro costituzione. Se un
-pericolo v'è, sta nella gelosia reciproca dei varii Stati italiani,
-nella necessità quindi di una politica di equilibrio tra i più forti,
-tanto più difficile a praticarsi, quanto più sono misteriosi e tutti
-egoistici e personali i motivi, pei quali le violenze e le rappresaglie
-si determinano. Firenze è al centro di tutto questo nuovo movimento di
-civiltà, di tutta questa trasformazione morale, sociale e politica,
-che si va compiendo, e in mezzo ad essa la signoria Medicea (di
-origine certamente meno illegittima di tante altre, in quanto sorge
-e si svolge dall'imo fondo dei rivolgimenti politici fiorentini) in
-mezzo ad essa la signoria Medicea si afferma e si assoda da Cosimo
-il Vecchio a Lorenzo il Magnifico, il quale ne segna l'apogèo, e dopo
-del quale non avrà che a decadere (per poi vigoreggiare di nuovo con
-forme e in tempi affatto diversi), tanto in questo strano congegno del
-governo signorile, che il Burckhardt ha con ragione chiamato un'opera
-d'arte, al pari d'un poema o d'un quadro, tutto è affidato alle qualità
-personali dell'uomo. Ma di tutto quel nuovo ambiente, in cui il poter
-loro prevale, i Medici sono essi la causa o l'effetto? L'effetto,
-io credo. Sono la produzione spontanea delle condizioni generali del
-tempo e delle particolari, che escono dalla storia di Firenze. Quindi
-è necessario non dimenticar mai di considerare i Medici della prima
-stirpe per quel che sono, uomini del loro tempo, Lorenzo sopra tutti,
-che colle sue pecche non lievi e le sue straordinarie qualità è anzi il
-tipo ideale del Signore italiano del Rinascimento.
-
-
-Lasciando ai genealogisti cortigiani di avvolgere le origini della
-famiglia Medici nelle nuvole della leggenda, dirò che essi appariscono
-relativamente tardi nella storia di Firenze, non prima, che si sappia,
-del 1301. Si dice che appariscono come sopraffattori di popolo nei
-sanguinosi tumulti, che finiscono alla proscrizione dei Guelfi bianchi
-e di Dante Alighieri. Si dice che con Salvestro de' Medici, il quale
-da Gonfaloniere di Giustizia, nel 1378, dà le mosse al tumulto de'
-Ciompi, essi cominciano a far l'arte loro di lusingar la plebe per
-aiutarsi a salire. Si dice che Giovanni di Bicci nel 1426, opponendosi
-a Rinaldo degli Albizzi, si atteggia a capo del partito popolare.
-Tuttociò è vero, come fatto. Ma è altrettanto conforme a verità
-trovarvi gli auspicii e il cominciamento del destino Mediceo? Se nel
-1301 sono sopraffattori di popolo, vuol dire che erano violenti come
-tutti gli altri, come quel popolo stesso, il quale s'era armato dei
-cosidetti Ordinamenti di Giustizia. Se nel 1378 Salvestro ha parte
-nel tumulto de' Ciompi, non ve l'ha certo maggiore di Benedetto degli
-Alberti, di Giorgio Scali, di Tommaso Strozzi, i quali tutti sommuovono
-i Ciompi, cioè l'infima plebe, contro Piero degli Albizzi e la setta
-Guelfa. L'intervento dei Ciompi dà un carattere di rivoluzione sociale
-alla lotta, che non era nelle intenzioni dei sommovitori. Essi sono
-trascinati loro malgrado nella vittoria dei Ciompi, che si risolve
-poi in una prevalenza delle sette Arti Minori, e di questa l'Alberti,
-lo Scali, lo Strozzi sono le prime vittime, appunto perchè la parte
-ch'essi ebbero in tutto questo moto fu molto maggiore di quella di
-Salvestro de' Medici. La pretesa precocità dell'insidia Medicea, che si
-vuol dedurre dal tumulto dei Ciompi, è dunque una delle tante _frasi
-fatte_, che si ripete a carico dei Medici, ma che non ha fondamento
-nella storia. Quanto a Giovanni di Bicci, certo egli ha gran parte
-nella legge tutta popolare del Catasto del 1427, ma politicamente è
-un personaggio quasi insignificante: accresce bensì il credito e la
-ricchezza di Casa Medici, ma non può dirsi il fondatore politico di
-essa. Il suo fondatore vero è Cosimo il Vecchio. Quand'egli apparisce,
-le lotte si sono venute sempre più restringendo, e la rivalità dei
-Medici e degli Albizzi diventa quasi una lotta personale fra Cosimo e
-Rinaldo degli Albizzi, che, al dire di Jacopo Pitti, “come principe
-maneggiava lo Stato.„ Costui pensa essere ormai tempo di troncare
-di colpo la sempre crescente potenza Medicea e fa chiamar Cosimo in
-Palazzo per ucciderlo, ma deve contentarsi dell'esilio; transazione,
-di cui il Sismondi, il Perrens sono inconsolabili, perchè Cosimo è
-richiamato dall'esilio un anno dopo e torna in patria in trionfo. Nei
-giorni più splendidi di Casa Medici, sulle pareti del gran salone nella
-villa di Poggio a Caiano questo ritorno sarà magnificato, figurandolo
-per quello di Cicerone, ricondotto in patria sugli omeri di tutta
-Italia. Il vero è che Cosimo, tornando dall'esilio il 6 ottobre
-1434, si fermò e pranzò a Careggi, non permettendogli la Signoria di
-rientrare in Firenze prima di sera, e poichè Via Larga era piena di
-popolo aspettante, dovette sgattaiolare nel Palazzo della Signoria e
-passarvi la notte, rientrando solo al mattino seguente nella sua dimora
-di Via Larga, lo stupendo edificio, forse allora ancora in costruzione,
-in cui, fra quel misto di solidità e di eleganza, di cittadino e di
-principesco, sembra ch'egli abbia veramente improntato sulle muraglie
-il proprio genio.
-
-Se Lorenzo il Magnifico fosse succeduto a Cosimo il Vecchio, i
-primi tempi della sua signoria sarebbero stati meno difficili e meno
-travagliata la sua giovinezza. Ma succedette invece a Piero il Gottoso,
-che in mille modi avea compromesso il potere della sua casa, più di
-tutto deviando da quella esteriore semplicità e modestia di Cosimo,
-che, unite alla grandezza degli intenti civili, alla protezione
-delle lettere, al buon uso della ricchezza, alla passione magnifica
-dell'edificare, per cui Benozzo Gozzoli, con allegoria, che sa di
-satira, lo figurò nel Camposanto di Pisa assistente colla famiglia
-all'edificazione della torre di Babele, mentre fecero dare alla potenza
-Medicea il passo decisivo, valsero a lui il titolo glorioso di padre
-della patria.
-
-Ma morto Piero nel 1469, succedevano due giovani, Lorenzo di 21 e
-Giuliano di 16 anni, sicchè rinverdirono le speranze dei nemici di
-Casa Medici, contando sull'inesperienza e sull'impeto giovanile,
-qualità poco adatte a conservare una potestà così vaga e indeterminata,
-così raccomandata tutta al valor personale, come quella dei Medici.
-Furono più forti l'amore del popolo, il terror dell'ignoto, le memorie
-di Cosimo, tanto più ch'esso in persona parea rivivere nel giovine
-Lorenzo, già messo in vista di tutti per la precocità dell'ingegno,
-la giovialità, il fare largo e liberalissimo, l'educazione ricevuta
-da grandi maestri, i viaggi alle corti estere, pei quali così giovane
-era messo a parte di gravi faccende politiche e ammonito dal padre a
-diportarsi già da uomo e da principe. Precoce era in tutto Lorenzo e
-già da giovanissimo i contemporanei gli mutavano in predicato d'onore
-il titolo di _Magnifico_ spettante al suo grado e con cui è rimasto
-nella storia, mentre il fratello Giuliano, indole più rimessa e più
-spensierata tuffata nei piaceri, negli amori, negli spassi giovanili
-era dai suoi coetanei chiamato, dice il Giovio, _principe della
-gioventù_. All'arme non fu educato Lorenzo, non sì però ch'egli non
-fosse forte, aitante della persona, benchè assai brutto di volto,
-come si vede, meglio che dalla figura un po' idealizzata di Lorenzo
-giovine nel gran quadro dell'_Epifania_ di Sandro Botticelli e dal
-ritrattino del Bronzino agli Uffizi, nella medaglia del Pollaiuolo
-e nella trista figura dipinta dal Vasari (pure agli Uffizi), in cui
-appariscono evidenti i segni del male, che lo trasse a morte prematura.
-Appassionatissimo pei cavalli, era cavalcatore valente, ma della
-corona riportata alla giostra del 1468, combattuta per le sue nozze
-con Clarice Orsini, e cantata da Luca Pulci, è il primo a ridere con
-la solita superiorità sua. Appena mortogli il padre, furono dunque a
-lui i principali cittadini, pregandolo a pigliarsi cura dello Stato.
-Esitò, forse ad arte, raccomandandosi ai consigli di tutti, ma certo
-ben risoluto in cuor suo a far da sè.
-
-Quali sono da questo momento i punti prominenti della vita di
-Lorenzo? Dal 1472 al 1484 la sollevazione di Volterra, la congiura
-de' Pazzi, la guerra che ne consegue col papa Sisto IV e col re di
-Napoli, l'ardito viaggio di Lorenzo a Napoli, che stacca il re dal
-papa e assicura la pace, il ritorno di Lorenzo in patria e la riforma
-interna coll'instituzione dell'Ordine dei Settanta (che è il vero _18
-Brumaio_ di Lorenzo), la guerra di Ferrara, la pace coi Veneziani,
-e la morte di Sisto IV, l'implacabile nemico di Lorenzo. Dal 1484 al
-1492 l'intimità di Lorenzo con Innocenzo VIII, successore di Sisto,
-l'equilibrio politico a sommo studio mantenuto da Lorenzo, il maggior
-splendore della sua signoria ed i primordi d'un'opposizione morale nel
-Savonarola fino alla morte di Lorenzo, a cui seguitano così da presso
-la preponderanza straniera e la servitù dell'Italia, che Cesare Balbo,
-nella sua divisione della nostra storia, proponeva di finir qui (merito
-o fortuna, che sia, di Lorenzo) l'età dei Comuni Repubblicani, che
-altri protrae sino alla caduta di Firenze nel 1530.
-
-Ora questi fatti, che io ho accennati così in breve c'è chi gli
-ha narrati tutti a gloria, altri tutti a biasimo di Lorenzo. La
-Repubblica doma la ribellione di Volterra? È lui che vuol rubare i
-profitti delle cave d'allume. Volterra è posta a sacco? È lui, che
-ordina quell'inutile crudeltà. I Pazzi congiurano? È lui che li ha
-provocati. Il popolo fa scempio dei congiurati? È lui, che non è mai
-sazio di vendette. Sisto IV e il Re di Napoli muovon guerra? È Lorenzo,
-che strascina la patria in contese non sue. Lorenzo va a Napoli e
-si dà in mano al suo nemico? È una commedia. Torna e si impossessa
-coll'ordine dei Settanta dell'elezione dei Magistrati? È lui, che ha
-inventata questa trappola alla libertà la quale non ha riscontro nella
-storia di Firenze. Si stringe in amicizia e parentela con Innocenzo
-VIII? È lui, che è quasi reo del nepotismo dei Papi. Cerca la pace
-nell'equilibrio degli Stati? È una politica d'espedienti, che non val
-nulla. Firenze è prospera e gioconda? È lui che la educa alla servitù,
-corrompendola coi trionfi e i canti carnascialeschi. Che più? Neppur
-l'uomo privato si salva da questo pessimismo demolitore. Si ricusano
-tutte le testimonianze in suo favore, che concordemente lo dicono
-buono, gioviale e tollerante, nonostante le sue sofferenze fisiche,
-fedele agli amici, socievole, semplice nella grandezza, idolatra dei
-figli, non dimentico mai del tutto degli insegnamenti e degli esempi
-della pia madre, Lucrezia Tornabuoni, rispettoso della moglie, indole
-pur così diversa dalla sua e con poca grazia e senza avvenenza; e, per
-dimostrare com'era tuffato nei vizi, il Buser reca una lettera d'un
-Francesco Nacci da Napoli, che annuncia a Lorenzo la spedizione di
-cinquanta belle schiave turche, _le più belle che si trovarono_! Ah,
-la grazia! Cinquanta? Se non che, come fu provato, il buon tedesco
-ha letto nel documento _belle_ invece di _pelli_, _turche_ invece
-di _tutte_, e così, invece di 50 _pelli di Schiavonia_, ha letto 50
-belle schiave turche, un harem da sultano, e senza accorgersi neppure
-che in tutto il contesto della lettera si parla della spedizione in
-modo, come se oggi si spedissero a qualche gran Don Giovanni 50 belle
-ragazze, turche o non turche, per pacco postale. Nè basta. Quello che
-il Machiavelli dice a lode di Lorenzo s'interpreta a biasimo, e nel
-dialogo sul _Reggimento di Firenze_ del Guicciardini si vuol vedere non
-una discussione, ma una diatriba, e fra gli interlocutori del dialogo
-si menan buone tutte le accuse di Paolo Antonio Soderini e di Pier
-Capponi e non si tien conto alcuno di tutte le difese di Bernardo Del
-Nero.
-
-Quanto erano stati belli e lieti gli anni della prima giovinezza di
-Lorenzo, altrettanto furono agitati e poi tristi e funesti i primi anni
-della sua signoria. Nel 1470 insorge Prato. Due anni dopo Volterra, a
-cagione delle miniere d'allume. Si vuole ch'egli vi fosse cointeressato
-e che nella repressione la città fosse posta a sacco per ordine suo.
-Ora è stato dimostrato che della prima accusa non c'è che una sola
-testimonianza contemporanea ed è di un nemico dei Medici; e quanto
-alla seconda, non solo che non furono gli assalitori, che la misero a
-sacco, bensì le masnade stesse, che essa avea assoldate per difendersi.
-Ma che monta? È un'altra delle frasi fatte a proposito dei Medici e di
-Lorenzo, e non è un anno, che se l'è ribevuta il Bourget, romanziere
-positivista, nelle sue _Sensations d'Italie_ e l'ha ridivulgata colla
-magia del suo stile. Lorenzo volle non transigere, ma reprimere. Quella
-frequenza di ribellioni gli dava ombra; ecco la maggiore responsabilità
-sua. Ottenne di fatto qualche anno di tregua e ripigliò più che mai
-gli spassi, gli studi, le magnificenze d'arti e spettacoli, perocchè
-Lorenzo non era di quelle povere nature, come sarebbero le nostre, che
-una sola faccenda assorbe intiere e non ci lascia più nè tempo nè testa
-ad altro.
-
-Natura grandiosa, fantasia ardente, ingegno universale, Lorenzo mandava
-di pari passo lettere, filosofia, galanterie, mascherate, vita di
-campagna, vita di città, laudi sacre, canti carnascialeschi, canzoni a
-ballo, sacre rappresentazioni, intimità cogli amici, i letterati e gli
-artisti, ospitalità sontuose a principi che capitavano, eriger chiese
-e ville, passione dei musei e dei cavalli, della musica e delle belle
-donne, banchetti e processioni, politica e giostre.
-
-La più celebre è appunto di questi anni, nel 1478, e prende nome da
-Giuliano ed è la più celebre, perchè fornì argomento alle _Stanze_
-del Poliziano. Precede alla giostra e alla composizione delle
-_Stanze_ un avvenimento intimo dei due fratelli Medici, la morte
-della bella Simonetta Vespucci, amante di Giuliano, nel 1476, ed
-interrompono la composizione delle Stanze la congiura de' Pazzi
-e l'uccisione di Giuliano nel 1478. Il terribile epilogo, e non
-voluto, del poema è dunque la narrazione in latino sallustiano,
-scritta dallo stesso Poliziano. L'epilogo, forse ideato e non potuto
-scrivere, il cavalleresco epilogo cioè della più bella data in
-premio al più cortese, al più prode, sarebbe mai quello rappresentato
-con inspirazione polizianesca dal Botticelli nello stupendo quadro
-dell'Accademia di Belle Arti, detto comunemente: _la Primavera_? È una
-ingegnosa e nuova interpretazione del quadro, proposta ora dal prof.
-Jacopo Cavallucci e che a me pare fondatissima. La Ninfa del poema è
-certo quella del quadro. Basta rileggere le _Stanze_:
-
- Candida è ella e candida la vesta
- Ma pur di rose e fior dipinta e d'erba;
- Lo inanellato crin dell'aurea testa
- Scende in la fronte umilmente superba.
- Ridele intorno tutta la foresta
- E quante può sue cure disacerba.
- Nell'atto regalmente e mansueta
- E pur col ciglio le tempeste acqueta.
- . . . . . . . . . . . . . . .
- Ella era assisa sopra la verdura
- Allegra e ghirlandetta avea contesta
- Di quanti fior creasse mai natura,
- De' quali era dipinta la sua vesta.
- E come prima al giovin pose cura
- Alquanto paurosa alzò la testa,
- Poi con la bianca man ripreso il lembo,
- Levossi in piè con di fior pieno un grembo.
- . . . . . . . . . . . . . . .
- Mosse sovra l'erbetta i passi lenti
- Con atto d'amorosa grazia adorno
- . . . . . . . . . . . . . .
- Ma l'erba verde sotto i dolci passi
- Bianca, gialla, vermiglia azzurra fassi.
-
-Non meno certo è che la figura del giovine, situato a sinistra, è il
-ritratto idealizzato di Giuliano, somigliantissimo, parmi, all'altra
-figura di Giuliano, che è nel quadro dell'_Epifania_ del medesimo
-Botticelli; e quasi lo stesso motivo poetico delle Stanze e del quadro
-la _Primavera_, e la poesia attribuita a Giuliano de' Medici, ma
-che il Carducci giudica del Poliziano, ed è diretta alla Simonetta.
-Se la ninfa del quadro sia il ritratto della Simonetta, fra tanta
-incertezza dei ritratti di questa vaga e celebre beltà, non si può
-forse determinare assolutamente, ma altri emblemi, il _lauro_ allusivo
-a Lorenzo, i tre fiori _d'ireos_ fiorentina, tutto concorre a dare a
-quel quadro un significato Mediceo spiccatissimo, e si sa che i Medici
-l'ebbero caro come un ricordo di famiglia.
-
-Comunque, il dolce nome della Simonetta mi riconduce a Lorenzo, perchè
-dalla vista di lei morta e portata, scoperto il volto, al sepolcro,
-come narra il famoso epigramma latino del Poliziano, Lorenzo pretende,
-nel _Commento_ ai propri sonetti amorosi, essersi sentito sollevare
-alla perfetta cognizione platonica dell'amore, da una morta trapassato
-poi in una viva, dalla Simonetta in Lucrezia Donati, da lui incontrata
-in una festa, alla quale “concorsono, dic'egli, tutte le giovani nobili
-e belle„. È una gentilissima invenzione, ma invenzione di certo, perchè
-l'amore della Donati è precedente di dieci anni almeno alla morte
-della Simonetta, e solo dimostra che continuò anche dopo il matrimonio
-di Lorenzo con Clarice Orsini, sempre però puro, ideale, platonico,
-petrarchesco, come assicura Ugolino Verini, un poeta intrinseco di
-Lorenzo, e dietro a lui molti altri confermano, sicchè noi non possiamo
-far di meglio che credere ad occhi chiusi a sì concordi testimonianze.
-
-
-Tutta questa lieta visione di giovinezza e di amori si dilegua
-nella congiura de' Pazzi. Non rinarrerò quella scena, una delle più
-straordinarie della storia di Firenze, perchè tutte già l'avete a
-memoria; quella messa in duomo col Cardinal Riario, che assiste;
-Giuliano e Lorenzo de' Medici con parecchi loro amici, vicini al coro
-e circondati, senza saperlo, dai congiurati; il popolo devoto, che li
-attornia, e mentre il sacerdote celebrante solleva l'ostia consacrata
-e le campane suonano a gloria, Giuliano, ferito a morte dal Bandini,
-cadere immerso nel proprio sangue, Lorenzo assalito e ferito anch'esso,
-ma avvoltasi la cappa a un braccio e tratta coll'altro la spada
-aprirsi il passo alla sagristia, dove riesce a scampare. La chiesa
-è tutta un tumulto; le vôlte quasi crollano alle grida; il Cardinal
-Riario, accovacciato presso l'altare, ne rimarrà pallido di terrore
-tutta la vita. Intanto a quel suono di campane, altri congiurati,
-con l'Arcivescovo Salviati alla testa, assalgono il Palazzo della
-Signoria, ma sono presi, i principali impiccati alle finestre, altri
-respinti, mentre il popolo, infuriato per la morte di Giuliano, vuol
-riveder salvo il suo Lorenzo dalle finestre del Palazzo di Via Larga,
-poi trucida per le vie quanti congiurati o sospetti gli vengono alle
-mani, chi dice settanta, chi cento, chi più; giustizia orrenda, ma che
-dimostra avere il popolo giudicata la congiura per quel che era, una
-trama ordita, non per amore di libertà, ma per odii e cupidigie private
-dei Pazzi, del Papa e dei Riario, suoi nipoti, e quindi aver senz'altro
-voluto vendetta dei congiurati. Dissimulando la complicità sua, il
-Papa ruppe guerra a Firenze e vi trascinò il Re di Napoli, suo alleato,
-pretendendo che la guerra era fatta non a Firenze, ma a Lorenzo. Questi
-vide bene il pericolo di tale perfidia; intuì rapidamente la necessità
-d'un gran colpo, scindere cioè l'alleanza del Papa col Re, e deliberò
-a qualunque rischio di consegnarsi da sè nelle mani del Re. Partì
-accompagnato dai voti e dall'ammirazione di tutti. Tornò colla pace,
-tornò glorioso, tornò onnipotente, e di questo momento si valse subito
-per riassodare l'autorità sua e della sua Casa. Questo si chiama veder
-chiaro in politica! Di più, poteva in quel momento esser principe e non
-volle; preferì una repubblica signorile a una signoria repubblicana.
-Questo si chiama moderarsi nella vittoria, la più difficile di tutte
-le virtù politiche. Poteva cioè uscire dalle tradizioni della storia
-fiorentina e non volle!
-
-Quante volte il fatto dei Medici e di Lorenzo non s'è ripetuto anche
-nella storia d'altri paesi? Al ritorno di Cosimo dall'esilio il popolo
-vide in lui un liberatore, non un tiranno. Al ritorno di Lorenzo da
-Napoli accadde lo stesso e anche più. Perciò non credo ch'egli avesse
-bisogno di corrompere il popolo, distillandogli i sottili veleni
-della voluttà per meglio dominarlo. Anche questa è una delle tante
-frasi fatte, ma, ha ragione il Gaspary, “un individuo non corrompe una
-nazione, quando essa non sia già corrotta„. Quanto a morale e gusto
-di piaceri, il popolo valeva il signore e il signore il suo popolo.
-Per questo s'intesero così bene! Nè si nieghi l'azione di Lorenzo
-sulla civiltà della Firenze d'allora, sofisticando su qualche data di
-nascita o di morte di grandi artisti, perchè tutta la grande fioritura
-artistica e letteraria del 400 fiorentino è Medicea, nè tali quistioni
-si trattano coll'orologio alla mano. Il vero è che nè una protezione
-principesca basta da sola a creare una civiltà, nè una tirannia,
-anche più deprimente di quella dei Medici, a farla sparire. V'ha
-bensì sull'ultimo della vita di Lorenzo, come già dissi, un principio
-di reazione morale e religiosa, che s'incarna nel Savonarola, ma la
-impicciolirebbe di troppo chi la considerasse provocata da un uomo
-solo, anzichè dall'indole generale della nuova cultura, dei nuovi
-costumi e dei nuovi tempi. Le lettere, che Lorenzo scrive alla morte
-di sua madre, la pia e ingegnosa donna, la quale negli argomenti de'
-suoi inni sacri precorre il Manzoni, mostrano la tenerezza filiale
-di Lorenzo. Le lettere di Clarice Orsini e del Poliziano, del Pulci e
-di tanti altri mostrano l'amor suo pei figli, la sua bonaria e fedele
-affezione agli amici, dai quali fu idolatrato, e, quanto alla moglie,
-lasciando stare se il _mi fu data_ dei _Ricordi_ di Lorenzo sia la
-frase indifferente, che significa il fidanzamento o che la sposa non fu
-di sua scelta, certo è che i fatti e i documenti dimostrano rapporti
-non mai interrotti di affetto e di stima. Intercedendo per chi l'ha
-offeso: “non fareste, essa gli scrive, secondo la natura vostra a
-non gli perdonare„; parole, che fanno il maggior onore ad essa ed a
-lui e scritte l'anno stesso della congiura de' Pazzi, quando l'animo
-di Lorenzo dovea esser meno che mai disposto ad indulgenza. E quando
-si leggono nella lettera di Matteo Franco, che descrive il ritorno
-di Clarice dal Bagno a Morba, le parole, ch'essa risponde ai poveri
-terrazzani di Colle, i quali la supplicano di raccomandarli a Lorenzo,
-si vede chiaro quant'essa era addentro nel segreto della sua politica
-e con che arte gentile sapea all'occasione farsene strumento.
-
-Se non avessi già troppo abusato della vostra cortese attenzione,
-mi sarebbe dunque facile dimostrarvi coi documenti alla mano che
-Lorenzo fu buon figlio, buon padre, marito convenientissimo, nella
-stessa guisa che potrei e dovrei mostrarvi, che come critico, precorre
-studi moderni, che come poeta, sorpassa forse il Poliziano ed il
-Pulci per osservazione della realtà e per sentimento vivo e immediato
-della natura esteriore, che, come umanista, tempera gli eccessi
-della scuola col culto della lingua volgare, di cui è restitutore e
-mantenitore, che, come filosofo finalmente, modera l'irreligione del
-tempo col teismo neoplatonico, il maggior tentativo di accordo fra il
-cristianesimo e la filosofia, quantunque non potesse di certo parer
-sufficiente al Savonarola.
-
-Se come uomo Lorenzo de' Medici deve dirsi buono, se come letterato
-e filosofo superiore al suo tempo (il quale tuttavia non ha nel
-suo complesso chi lo rappresenti meglio e più intieramente di lui),
-forsechè come politico è inferiore agli altri signori e principi del
-tempo suo? Il sistema d'equilibrio dei quattro maggiori Stati d'Italia,
-quale lo praticò Lorenzo al disopra della scellerata politica degli
-altri principi, compresi i Papi, al disopra dei pregiudizi Guelfi
-Fiorentini, al disopra d'ogni interesse di famiglia, perchè nella
-politica estera egli non ha, nè può avere, notate bene, appunto perchè
-non principe, altro pensiero che della potenza di Firenze, lo rende
-indubitabilmente superiore a tutti gli statisti, non speculativi, ma
-operanti del suo tempo. Ed ebbe pure il presentimento del donde potea
-venire il pericolo futuro, poichè quando Luigi XI gli profferse aiuto
-contro il Papa ed il Re di Napoli: “io non posso, disse, anteporre
-il mio particolare vantaggio al pericolo di tutta Italia; volesse
-Iddio che ai Re di Francia non venisse mai in mente di sperimentare
-le proprie forze in questo paese. Quando ciò accada, l'Italia sarà
-perduta!„ E lo fu in realtà, due anni dopo appena ch'egli era morto.
-Non possiamo dire, ch'egli avrebbe impedita la catastrofe, ma ben
-possiamo esser certi che la sua condotta non sarebbe stata così pazza
-ed improvvida, come fu quella di Piero, suo figlio.
-
-
-Moriva Lorenzo l'8 aprile 1492 nella sua villa di Careggi fra il dolore
-disperato dei congiunti e degli amici; moriva fra il lutto e le lagrime
-di tutto un popolo; moriva nel colmo della potenza e della gloria.
-Ciò non potè tollerare l'intolleranza Piagnona e creò la leggenda
-del Savonarola che all'ultim'ora gli nega l'assoluzione e lo lascia
-morire fra i rimorsi. Nè basta. Ci voleva un po' di delitto per colorir
-meglio il quadro e si raccontò, e si cantò anche in versi elegiaci,
-che il medico Pier Leoni di Spoleto fu gettato in un pozzo per ordine
-del primogenito di Lorenzo. Quanto alla prima parte della leggenda,
-essa, come questione storica, s'è ingrossata, e allorchè un Villari le
-presta fede, un Ranke non osava più negarla addirittura, un Reumont
-la giudicava per lo meno incerta, non oserei io di mescolarmi in tal
-disputa. Debbo però al mio gentile uditorio la mia opinione, ed è che
-la lettera del Poliziano a Jacopo Antiquario, in cui il Savonarola
-(ciò che s'accorda anche col tempo) si mostra solo uomo di chiesa e
-ammonisce e benedice (non confessa ed assolve) _in articulo mortis_ il
-peccatore pentito, mi pare a tutt'oggi il solo documento attendibile e
-che tutte le altre parole messe dalla leggenda in bocca al Savonarola
-e a Lorenzo mi sembrano un anacronismo e un assurdo. Quanto al medico,
-la lettera, ora pubblicata, di Bartolommeo Dei toglie ogni dubbio.
-Impazzò e si suicidò! Meno male, perchè il terribile Perrens aveva già
-scartata l'ipotesi del suicidio, dicendo: “_Les medécins tuent, ne se
-tuent pas!_„
-
-Ed ora concludiamo. Chi dalle mie parole argomentasse che ho voluto
-fare non la storia, ma l'apologia di Lorenzo il Magnifico, avrebbe
-gran torto. Nè l'una, nè l'altra, se mai; non la storia, perchè in
-sì piccolo quadro non si fa star dentro una così grande figura; non
-l'apologia, perchè non credo che Lorenzo n'abbia bisogno. Volli esporre
-il concetto, che mi sono formato della storia di Lorenzo in relazione
-a quella di Firenze e d'Italia, e tale concetto posso riassumerlo così.
-
-Nella storia di Firenze a me pare di scorgere una continuità nelle
-parti, che si contendono il predominio cittadino ed un perpetuo ricorso
-delle stesse forme, che, spogliate di quanto hanno d'accidentale e
-d'occasionale, accennano fin dai più antichi tempi al dove vanno in
-ultimo a terminare tutte le lotte fiorentine, al predominio cioè d'una
-consorteria, d'una famiglia, d'un uomo. Furono i Medici! Potevano
-essere gli Albizzi, gli Alberti, gli Strozzi, ma a questi non sarebbe
-probabilmente riescito di dare alla loro signoria quel carattere, che
-poterono darle i Medici, di pura preminenza d'un cittadino in una
-repubblica. Le lotte delle fazioni si presentano subito in Firenze
-come contrasto di due famiglie. Queste aggruppano intorno a sè gli
-elementi, che sono proprii della lotta comunale in tutta Italia,
-elementi politici, guelfismo e ghibellinismo, elementi sociali,
-aristocrazia e democrazia. Il Comune è da prima fuori del contrasto,
-poi naturalmente, e presto, diviene l'oggetto del contrasto medesimo e
-gli dà la forma esteriore, mentre l'impulso segreto, l'impulso, che è
-l'anima vera del contrasto, è sempre d'una famiglia e della clientela,
-che le sta d'attorno. Se così non fosse, quando il fine, per cui una
-fazione si muove, è ottenuto, si vedrebbe cessare questo moto, per poi
-ricominciarne un altro. Invece, siano guelfi e ghibellini, che lottano,
-grandi e popolo, arti maggiori e arti minori, appena una fazione vince,
-si divide in sè stessa e la lotta continua sempre. È per questo, io
-credo, che il Villani, il Compagni, tutti i cronisti, non parlano mai
-dei principii o dei fini politici, pei quali una fazione s'è mossa,
-bensì dei pregi o difetti della famiglia o dell'uomo, che alla fazione
-dà nome, perchè questo è per essi importante; il resto accessorio.
-Talvolta pare che si mira a slargare in senso democratico l'ordinamento
-del Comune. Ma appena s'è vinto, la famiglia, la setta (come la
-chiamano i Fiorentini nella seconda metà del trecento), cerca sfruttare
-la vittoria a suo pro. Questo tentativo costante non riesce ad altri;
-riesce ai Medici, perchè Cosimo sa far apparire la vittoria, vittoria
-sua, non della parte, e non ha quindi da sconvolgere l'ordinamento
-comunale per soddisfarla; frena insomma subito egli stesso la fazione,
-con cui ha vinto gli Albizzi, e ciò tanto più facilmente, in quanto
-non è fazion vera la sua, non una classe, non un'arte contro l'altra,
-bensì un'accozzaglia d'amici e di malcontenti, che non spera che in
-lui, ond'egli detta legge, non la riceve, e la vittoria contro la
-minacciante tirannide degli Albizzi gli fa anzi quasi un obbligo,
-una necessità di rispettare gli ordinamenti comunali, pur piegandoli
-alla volontà sua, che è la tradizione di tutte le famiglie, le quali
-hanno capitanate le fazioni fiorentine e con esse sono pervenute
-più o meno lungamente al governo del Comune. Sempre le stesse arti,
-sempre gli stessi mezzi, all'ombra sempre delle stesse instituzioni!
-Finchè l'elemento di famiglia è costretto a tenersi celato dietro
-l'elemento politico e sociale, la signoria non può fondarsi. Quando
-per l'inclinazione generale dei Comuni italiani a signoria, può
-mostrarsi a viso aperto, allora la signoria si fonda, ma col carattere
-speciale delle passeggere signorie fiorentine, cioè tirando a sè,
-non distruggendo, le instituzioni del Comune. Lorenzo restituisce e
-conserva il tipo di Cosimo, ma da Cosimo a Lorenzo la signoria Medicea
-fa un passo innanzi. Con Lorenzo è ancora più personale. Diciamo,
-se volete, che Lorenzo è addirittura un tiranno, ma, in questo caso,
-soggiungiamo subito col Guicciardini, che Firenze non poteva avere “un
-tiranno migliore e più piacevole„ di lui.
-
-
-
-
-LA VITA PRIVATA NE' CASTELLI
-
-DI
-
-GIUSEPPE GIACOSA.
-
-
-Al tempo delle castella, la parola castellano ebbe tre significati
-diversi, o per dir meglio fu adoperata ad indicare tre diverse classi
-di persone. Era castellano il signore di uno o più castelli; era
-castellano colui che, nel nome del signore, teneva il governo di un
-castello; e castellano si chiamava pure chi dimorava nelle castella,
-cioè nelle piccole terre cinte di mura e dominate da una rocca.
-
-Nelle regioni d'Italia dove fiorì la vita comunale e repubblicana, la
-parola era per lo più usata nel secondo significato, come quello che
-corrispondeva al maggior numero dei casi. Il vocabolario del Manuzzi,
-alla voce: Castellano, lo registra infatti innanzi di ogni altro, e
-prima scrive: Capitano di castello, che Signore di esso. E quando la
-parola racchiudeva il concetto della signoria, non implicava quello
-della dimora; occorre infatti ad ogni momento la locuzione: di molte o
-di poche terre castellano.
-
-Invece nei paesi dove il sistema feudale ebbe il suo naturale
-compimento nella monarchia unitaria, grazie la intricata rete di
-privilegi, di prerogative e di interessi che fissava il signore alla
-terra e lo costringeva a risiedervi, per Castellano in ogni tempo
-si intese comunemente: il signore dimorante nel castello, il quale
-castello, dalla secolare e non interrotta consuetudine, venne prendendo
-una certa aria di famiglia, si adattò ai successivi crescenti bisogni,
-si piegò quasi ai minuti capricci dei padroni, così che ne rispecchiò
-poi fedelmente l'indole e le abitudini.
-
-Fra questo castellano campagnuolo ed il signore dimorante nella
-città e più il Principe dei nuovi principati italiani all'epoca del
-Rinascimento, corrono differenze così profonde che la distanza di un
-secolo non ne darebbe di maggiori. Differenze nel campo dell'azione e
-delle attribuzioni politiche, differenze nell'ordinamento domestico
-e nelle abitudini della vita quotidiana. Le Corti, più ricche, più
-sfarzose, più colte, più popolose, ebbero istoriografi e descrittori
-in abbondanza, mentre ne difettarono i castelli. Ed ognuno di quegli
-istoriografi e descrittori fu in questi ultimi tempi argomento di nuovi
-e minutissimi commenti e raffronti, sicchè non si può oramai trovare
-in essi notizia che già non sia stata a sazietà detta e ripetuta. Ed
-anche riguardo i castelli, le notizie raccolte nei libri riflettono
-bensì molti momenti della vita privata, ma di preferenza quelli che si
-connettono colla pubblica, quali sarebbero le feste ed i ricevimenti
-o che hanno, in alcun modo, attinenza colle arti e colla cultura
-generale. Ora, noi gente positiva, abbiamo oggi delle curiosità più
-minute e meno discrete. Non ci basta sapere come quei fastosi signori
-accogliessero i frequenti ospiti, come ordinassero i banchetti, come
-uscissero a cavalcate, come vestissero nelle solenni occasioni, come si
-raccogliessero la sera in illustre compagnia a novellare od a ragionare
-di ornate cose, ma ci prende un indiscreto desiderio di entrare nelle
-più intime camere loro, di assistere la mattina al loro primo levare,
-di accompagnarli passo passo per tutta la giornata, di sorprendere le
-loro più gelose debolezze, di sedere alla loro tavola quando pranzano
-in famiglia, di gustare le loro vivande, di ascoltare i loro discorsi
-coi servitori e colle donne, e, quando la sera prendono commiato dai
-famigliari, di seguirli lungo i corritoi oscuri o su per le scale
-tortuose, e riaccompagnarli in camera, a meno che, fatti da qualche
-dolce ragione sospettosi e gelosi, non ce ne chiudano l'uscio sul muso,
-e non tirino il chiavistello. Queste nozioni, i libri che ci si mettono
-di proposito non ce le danno. Si possono bensì racimolare qua e là nei
-novellieri, e così mi sono industriato di fare, ma è bene dove le cose
-parlano, lasciar parlare le cose, le quali la sanno lunga e sono al
-solito più sincere che gli uomini.
-
-Innanzi di conoscere il Castellano, vediamo dunque di visitare il
-Castello. Il Castello del secolo XV, ha già alquanto dimesso della
-originaria spavalderia bellicosa. Ancora gli durano le torri e a taluno
-i fossati, ma le varie cinte che nei secoli precedenti lo fasciavano
-tutto intorno e gli toglievano l'aria e la vista, sono in parte cadute,
-ed in parte dimezzate per l'altezza, reggono gli stecconi delle pergole
-o danno appoggio alle spalliere. Noi dobbiamo però, se ci è caro averne
-una giusta mozione, imbrigliare alquanto la fantasia amplificatrice,
-la quale suole rappresentarci il castello feudale d'assai più vasto che
-in realtà non fosse. A mano a mano che la facoltà di muovere ed i mezzi
-di sostenere la guerra, vennero restringendosi dai signori di terre ai
-signori di Stati, il castello feudale, ove dimoravano i padroni, prese
-meno spazio ed apparve meno imponente. Coll'assodarsi delle monarchie,
-cessò ai signori il diritto di levar genti e la necessità di allogarle
-in chiusi recinti a guardia della Rocca. Gli apparecchi belligeri
-che sul principio del secolo XV alcuni signori amano ancora disporre
-intorno al maniero, ci stanno più a testimonianza di prerogative
-nobiliari che a pratica difesa. E perchè sono incomodi e costosi,
-ci durano poco, o perdurando sono causa che il padrone sloggi dalla
-antica e si fabbrichi nelle vicinanze una nuova dimora. I castelli
-dei privati signori che ancora ci rimangono di quel tempo, sono ben
-lontani dal fastoso apparecchio che un secolo e mezzo o due secoli più
-tardi fa delle ville signoresche altrettanti luoghi incantati, dove
-gli spaziosi giardini, le gradinate a terrazzi e gli alberi secolari
-diventano elementi architettonici e combinano insieme col palazzo ad
-una magnifica ed armoniosa veduta. Il giardino del secolo XV più si
-assomiglia ad un orto che ai lambiccati giardini del seicento e del
-settecento; esso è quasi sempre chiuso fra muraglie alte onde prende
-un'apparenza claustrale che non disdice all'ordinamento interno della
-casa. — Al di fuori, il castello ha un aspetto severo e spesso arcigno.
-Da una larga porta e per un atrio spazioso, si riesce nel cortile,
-lastricato a lastroni massicci, intorno al quale corrono le quattro
-pareti della casa aperte in portici e loggie e fregiati i muri con
-fascie a rabeschi e colori, con stemmi in pietra o dipinti, o con
-istorie figurate. Nel mezzo del cortile sta il pozzo o la cisterna, col
-parapetto fatto di pietre o marmi scolpiti, col tettuccio a colonnini,
-o colle staffe di ferro battuto a delicati fiorami, che reggono la
-carrucola. A volte, fra i monti dove si può condurre al castello
-qualche acqua sorgiva, in luogo del pozzo si trova una vasca che riceve
-zampilli dalla colonna che le sorge nel mezzo o pioggia abbondante di
-stille da un albero fronzuto di naturale grandezza, tutto ferro operato
-dalle radici alle foglie ed ai frutti. Sotto il portico, rasente
-il pieno muro, corre una lunga fila di panche fisse colla spalliera
-vagamente intagliata. E tra il sommo della spalliera e la vôlta, alcune
-pitture a fresco narrano a episodi la vita del castello e del borgo.
-Una ci mostra il corpo di guardia: nel fondo sta la rastrelliera cui
-pendono le armi, nel mezzo i soldati seduti al desco bevono, uno briaco
-fradicio dorme, altri giocano, due si accapigliano, e ad un capo della
-tavola una donna mostra all'amante la scena disgustosa per svogliarlo
-dalla intemperanza. Poi viene la bottega del beccaio, poi il mercato
-delle frutta e degli erbaggi, poi il sarto, poi lo speziale. Scene
-popolari e borghesi, tutte movimento, ispirate certo alla vista delle
-cose reali, testimonio preziosissimo delle costumanze locali, perchè la
-ingenuità della fattura, e una certa rozzezza artistica, attestano che
-il pittore ancora non conobbe l'arte nuova, che non attinse a maestri,
-ma s'industriò alla meglio di rappresentare le cose che gli stavano
-intorno.
-
-Nel corpo della casa opposto all'entrata, od in quello che apre
-esternamente sui luoghi meno belli, meno soleggiati e meno in vista,
-stanno le cucine, le dispense, il tinello e gli altri locali dati al
-servizio, al bucato, e via dicendo. A seconda della maggiore o minor
-mole del castello e della sua giacitura, si trovano pure a pian terreno
-una o più camere fornite, ad uso di ospizio per i viandanti. Certe
-volte, queste camere, stanno in qualche fabbrica staccata e vicina,
-colle scuderie, i canili, le stalle ed il fienile.
-
-La cucina ha nella vita signoresca di quel tempo una importanza
-grandissima quale noi a stento possiamo concepire, anche quando
-confrontiamo alle modiche nostre le formidabili mangiate di quei nostri
-maggiori. La Castellana pur sapendo di greco e di latino (caso, più
-raro assai, a mio giudizio, di quanto sia stato detto e di quanto si
-creda), scende ogni giorno alla cucina, bada direttamente alla spesa,
-e ne registra i conti in apposito libretto, combina col cuoco, o più
-comunemente colla cuoca, la lista del desinare, misura il vino alla
-servitù, vigila alla nettezza dei rami e delle stoviglie. Tutti i
-rami portano impressa l'arme della famiglia, come pure le brocche,
-le mezzine, i gotti, ed i piatti di stagno, e belle armi scolpite
-mostrano i monumentali mortai. — La cucina ha due immensi camini: uno
-raccoglie sotto le ali della cappa i fornelli, l'altro, il maggiore che
-ospiterebbe al coperto tutto quanto il servitorame, ha in un fianco,
-sotto la cappa, il forno, e dal lato opposto, aperto nel muro del
-fondo, il passa vivande, che guarda nella sala da pranzo. Questa la
-conosciamo: gli scrittori di storia, i novellieri, i diplomatici ed
-i poeti, ce ne hanno lasciato diligenti e riconoscenti descrizioni.
-D'altra parte il suo arredamento non ha quella stabilità che si
-incontra in ogni altro membro della casa, e a norma delle circostanze
-e degli ospiti, variano le tappezzerie, variano i mobili e variano
-sopratutto le argenterie ed il vasellame di cui, nelle occasioni
-solenni, il sire del Castello fa grande e non sincera mostra,
-togliendone a prestito da qualche vicino o parente.
-
-Qui sopratutto da Principe a Castellano ci corre. Il Principe del
-Rinascimento, venuto in subitanea ed impensata grandezza, ama lo
-sfarzo degli apparati per naturale inclinazione artistica e per
-accorgimento politico. Egli sa che tanto più può quanto più è creduto
-potere, e del potere è visibile indizio la magnificenza. Inoltre,
-salito all'altissimo grado per virtù d'ingegno, egli pregia tutte
-le manifestazioni dell'ingegno umano, e gli ingegni stessi, onde
-si circonda di poeti e di artisti, ne stimola con danari ed onori
-l'attività, traendo dalla loro dimestichezza e dalle opere loro,
-come osserva il Burckardt, una nuova legittimità alla sua illegittima
-potenza.
-
-Il Castellano, nobile di antica data, ha bensì ambizioni grandi,
-ma deve fare i conti colle rendite che il potere sovrano gli va
-continuamente assottigliando. Nè in tempi di così instabili signorie, e
-nella rapida decadenza degli ordinamenti feudali, egli osa fare vistosa
-mostra di ricchezze; onde, dei nuovi agi e delle nuove eleganze, ama
-piuttosto fruire in famiglia che procacciare agli ospiti il godimento.
-Perciò troveremo più ornate e ricche le camere di sopra, destinate
-al dormire e all'abitare, che la sala da pranzo e quella antica sala
-baronale che ancora occupa al piano terreno il maggiore spazio, ma che
-sia ostentazione di austerità, sia religione degli avi o sia piuttosto
-il trovarcisi a disagio, il padrone lascia, per lo più, nuda, fredda e
-solenne quale l'ebbe dai padri.
-
-Due scale mettono ai piani superiori della casa. Una, stretta, oscura
-e rotta da frequenti ripiani, è destinata al disbrigo delle faccende
-domestiche, l'altra spaziosa e chiara è riservata ai signori. Questa,
-o sale visibilmente dal cortile coperta di un tettuccio posato su
-pilastrini o colonnini, o si svolge in branche regolari con scalini
-larghissimi e di poco rilievo. Nell'Alta Italia non erano infrequenti
-le scale a chiocciola. Il Castello d'Issogne in Valle d'Aosta ce ne
-mostra una veramente bella e degna di studio. Ogni gradino s'impernia
-dall'uno dei capi in una colonna di granito sottilissima, e di là
-allarga a ventaglio il suo piano finchè infigge nel muro l'altro
-capo, più largo di un braccio. Rigirata sopra sè stessa, descrivendo
-un circolo che misura oltre quattro metri di diametro, quella scala,
-che pare empire colla sua elica enorme il cavo di una torre, ascende
-misteriosa, nascondendo, a chi sale, la persona che lo preceda di pochi
-gradini, ed ingrossando il suono di ogni passo e diffondendolo in quel
-vento continuo che rendono le spire di una conchiglia. La sera essa vi
-dà quella sottile inquietudine imaginosa, così piacevole agli adulti.
-Ogni passo ed ogni voce svegliano mille echi di passi e di voci che
-sembrano turbinare nel vano e salire e smarrirsi poi via per i solai
-tenebrosi. Vi scattano rumori secchi come il battere di un acciarino,
-spenti nell'attimo come la scintilla che ne lampeggia, vi corrono
-fruscii morbidi come di vesti che sfiorino la terra e rapidi come di
-persona snella che si rimpiatti. Se altri vi preceda colla lucerna, le
-muraglie, più che una luce, riflettono una bianchezza incerta simile a
-quella che irradiata dalle lampade degli altari fa più nera l'oscurità
-delle navate.
-
-Le camere del primo piano, sono chiare e spaziose; i mobili pochi, ma
-ognuno di essi ha singolari pregi artistici. Gli intagli assottigliano
-il legno e gli danno la vaghezza e la leggerezza di un ricamo, senza
-scemarne punto la solidità. All'opposto di quanto segue oggidì, i
-meglio ornati non sono i mobili di pretto lusso, ma gli usuali, come i
-grandi stipi addossati al muro, le credenze, il seggiolone o cattedra
-che fiancheggia il letto, la cui spalliera, imperniata al telaio, può
-all'occorrenza scendere, e posando sui bracciuoli formare una tavola.
-Ai piedi del letto sta il cassone, o la cassapanca, ornata di intagli
-a fiori o figure, e con delicati fregi di ferro, alle maniglie ed
-alla serratura, quella cassapanca che fu argomento di tante argute
-ed inverosimili storie ai novellieri, nella quale le donne riponevano
-le vesti più sfarzose, poichè ancora non usava, o poco, di appenderle
-negli armadi. Il letto a colonnini, è coperto e fasciato di ricchissime
-cortine. Quando il signore conduceva la sposa al castello, la camera
-nuziale era tutta apparata a nuovo. Le altre camere della casa erano
-depredate per raccoglierne in quella tutti gli agi e le ricchezze. Si
-ponevano sul letto fin quattro materassi di bambagia, le lenzuola erano
-di tela, sottilissime, tutte trapunte di seta e d'oro, che doveva far
-ribrezzo a toccarle. Le coperte, di raso rosso, azzurro, cremisino,
-mostravano ricami di fili d'oro con le frangie d'ognintorno. Le
-cortine erano a liste alternate di velluto e damasco e tocca. Quattro
-origlieri lavorati maravigliosamente a ricami e trine aspettavano le
-nobili teste. Alle pareti, arazzi istoriati o vaghe stoffe sottili, a
-ghirlande di fiori. Nel mezzo sulla tavola un tappeto alessandrino,
-ed un tappeto, alessandrino pure, sul palco che reggeva il letto.
-E intorno i forzieri recati in dote dalla sposa, pieni di gemme, di
-monili, di stoffe preziose e di merletti.
-
-Ma tale fasto durava quanto la intima convivenza dei coniugi, i quali,
-a breve andare, si riducevano entrambi in meno ricchi appartamenti,
-e spartivano fra di essi ed in seguito colla figliolanza le quattro
-materasse, che erano spesso le sole della casa, e delle quali più d'una
-volta i figlioli maschi ignoravano, finchè non menassero moglie, le
-tepide mollezze. Perchè, il lusso era grande, ma non pari al lusso le
-comodità, o, quanto meno, non le minute comodità, che tanto pregiamo ai
-giorni nostri.
-
-Avevano, onde è a credere che pregiassero sopratutto le comodità
-di spazio, e grande e nuovissima a quei tempi, ricchezza di luce
-e di aria. Nei secoli precedenti, il castello era più ordinato a
-fortezza che a dimora, onde apriva non sulla campagna, ma sugli spazi
-compresi fra le varie cinte, strette e basse finestre. Ora ogni camera
-guardava intorno, oltre i recenti ruderi delle cinte, i campi ed il
-cielo e lasciava entrare per le ampie e frequenti finestre, i raggi,
-i profumi, i suoni che manda la natura. E quelle finestre, dalla
-profonda strombatura, dovevano essere la dimora consueta delle donne
-a giudicarne dai sedili a muro che le fiancheggiano e che solevano
-ricoprire di morbidi cuscini. Di là le castellane aspettavano il
-marito od i figliuoli reduci dalle caccie, non dalle caccie festose e
-squillanti, raro e costoso sollazzo dato ai rari ospiti e delle quali
-esse pure erano parte, ma dalle caccie quotidiane, rude esercizio
-di forza e di astuzia, consueta e quasi unica educazione che i padri
-davano ai figli. Di là anche, le giovani donne ammonivano il damo che
-s'aggirava cauteloso nei pressi del castello, e con segnali convenuti
-gli davano la posta. Se non che, a scapito della poesia romantica,
-ed a gioia grande del demonio, esse solevano pur troppo concedere
-e richiedere amore, a gente dimorante, per uffici che vi tenessero,
-nel castello, e la distribuzione degli appartamenti aiutava i raggiri
-infernali perchè le camere delle donne stavano tutte dall'un lato del
-castello e quelle degli uomini dall'altro.
-
-La famiglia del signore teneva il primo piano della casa. Il secondo
-era destinato agli ospiti. Ciò dico, dei castelli, non delle abitazioni
-signorili della città, nelle quali erano di solito serbate pei
-forestieri molte camere al piano terreno.
-
- *
-
-La mattina, all'alba, il cortile è pieno del vario popolo dei servi e
-dei valletti. Gli uni portano le provvigioni alle cucine, e gli altri
-forbiscono le armi od i fornimenti per le cavalcature, gli scozzoni
-strigliano i cavalli, il maggiordomo, sotto il portico, misura, pesa
-e registra il latte, le farine, le ova ed il pollame che i villani
-arrecano dalle prossime cascine. Nel secolo XIV ancora squillava, al
-levare del sole, il corno della torre maggiore. Ora quell'uso guerresco
-è dimesso. Il signore s'alza per tempo, poichè andò la sera innanzi
-per tempo, al riposo. Quando gli tocca levarsi ad ore insolite, egli
-ricorre allo svegliarino, che chiamavano allora oriolo col destatoio,
-del quale, verso la fine del secolo XV, già l'uso era quasi comune.
-V'erano anzi orioli di così sottile congegno, che all'ora voluta, non
-solamente risonavano stridendo, ma battevano l'acciarino ed accendevano
-la candela. Appena desto, il Castellano scendeva alle stufe, pel bagno,
-bella usanza dovuta alle Crociate e che si andò perdendo di poi, e
-fu ripresa che non è molto; indi attendeva a vestirsi coll'aiuto del
-domestico che si era tutta la notte giaciuto sul tettuccio accanto al
-letto padronale. Di dormir solo in camera non si attentava nessuno.
-All'ospite era squisita cortesia, offrire il Castellano un posto nel
-suo proprio letto. E sempre o una dama, o una vecchia fante, dormiva o
-nel lettuccio accanto o nel letto istesso della Castellana. Di questa
-singolare, e a giudizio dei nostri tempi, fastidiosissima usanza, sono
-piene le novelle. E poichè, bisogna pur dire ogni cosa, la domestica
-non si rimoveva di camera, nemmeno quando il rimanervi la riduceva a
-terzo incomodo; se non che i signori, quasi non avendola in conto di
-creatura umana, nulla curavano di lei.
-
-Com'era vestito, messer Castellano faceva le prime devozioni prostrato
-all'inginocchiatoio, e la Castellana nel piccolo oratorio adiacente
-alla sua camera. Bello e raccolto luogo di preghiera, colla vôlta
-azzurra a crociere dorate e tutto stellato il cielo e colle pareti
-dipinte a figure preganti inginocchiate fra l'erbe ed i fiori di un
-prato. Spesso quelle devote imagini raffiguravano la Castellana ed il
-signore, riconoscibili all'arme di famiglia che portano sulle vesti,
-e in fondo al prato sorgeva l'imagine del castello, dalle cui torri
-ascendeva fra nimbi al cielo un volo di angeli e di santi.
-
-Poi tutta la famiglia si raccoglieva ad ascoltare la messa ed a
-comunicare nella ricca e fastosa cappella, servita da un cappellano che
-risiedeva in castello, dopo di che Madonna dava una prima capata alle
-cucine, Messere alle scuderie o alla sala dell'armi dove attendeva ad
-armeggiare coi figlioli o cogli ospiti o cogli scudieri, e le figliole
-girellavano nel giardino cogliendo fiori e dedicandoli intenzionalmente
-a lontani od a prossimi sospiranti. Quando la casa non aveva ospiti, i
-giorni del bucato, la signora e le figliuole non disdegnavano scendere
-nell'orto a sciorinarvi i panni, e nemmeno sdegnavano portarveli
-stillanti nelle ceste a ciò destinate, o se non era l'orto era qualche
-alta terrazza vicina al tetto. Altro ufficio della Castellana e delle
-figliuole, è la cura delle tappezzerie e degli arazzi, che si tengono
-piegati su appositi scaffali nella stanza chiamata per l'appunto: la
-guardaroba delle tappezzerie, è collocata di solito all'ultimo piano
-il più asciutto della casa ed il meno polveroso. Le fanti vi passano
-intere giornate a spiegare, battere, rimendare e ripiegare i preziosi
-paramenti, ma tale è il loro valore ed in tale pregio sono tenuti, che
-per lo più vi attende direttamente la padrona. Ben inteso, che a queste
-piccole cure le Castellane non andavano vestite di broccato, di raso
-o di tocca, quali ce le soliamo raffigurare. Simili vesti passavano
-per eredità dalla madre alla figliuola, onde è a credere che non le
-portassero se non nelle grandi occasioni. In casa, anzi, il vestire
-era dimesso, forti panni paesani a colori oscuri, biancheria grossa ed
-ahimè mutata di rado, ed ai piedi certe grosse pantofole di panno.
-
-Del signore poi non parliamo che tra le armi, la caccia, le scuderie
-e le visite ai poderi, Dio sa come si trovasse conciato la sera. Alle
-dieci della mattina uno squillo di corno annunzia il desinare. Anche
-nei giorni ordinari, sono molti e grossi piatti: carni di bue, di
-cinghiale, di capriolo, di montone, galline, fagiani, e via dicendo,
-condite e fatte piccanti da salse formidabili, tutte aromi e pizzicori
-mordenti, pepe, gorofano, cannella, ginepro, ambra, belzoino, noce
-moscata, anice ed altre nostrane ed orientali delizie, sulle quali
-primeggiavano pur troppo l'aglio e la cipolla. Tale copia, scelta, e
-condimento di vivande, sono fatte apposta per stimolare la sete cui
-provvedono le ben fornite cantine che non più contente del prodotto
-paesano, già accolgono una ricca varietà di vini italiani e forestieri
-cotti e crudi. Cocevano per conservarlo più a lungo, il vin greco
-di malvasia, venuto di Candia, che solevano condire con aromi. Fra
-gli italiani era famoso un certo vino di Piacenza che nessuno più
-conosce, se pure non proveniva dai colli di Voghera e di Stradella,
-e del quale facevano grande incetta anche le cantine francesi. Erano
-gustati assai i vini di Toscana e di Sicilia, e fra i piemontesi il
-Nebiolo ed il Caluso. Ma a leggere i novellieri, non pare che presso
-di noi le copiose e robuste bevute degenerassero o era caso raro, in
-quelle brutali cotte di che menavano vanto i signori di Francia e di
-Allemagna. I novellieri italiani parlano raramente di gente briaca, nè
-si sarebbero astenuti dal farlo, quando ne avessero trovato frequente
-argomento nella vita del tempo loro.
-
-La tovaglia della tavola usava larghissima e pendente quasi fino a
-terra perchè i lembi cadenti facevano l'ufficio del tovagliolo che
-ancora non costumava, ed a quelli si forbivano i commensali. Sempre
-al cominciare e al finire del pranzo era data l'acqua alle mani. Acque
-profumate, di solito alla rosa; e di profumi facevano poi grande abuso
-in ogni momento della giornata. Innanzi di portare in tavola un piatto,
-la sospettosa vigilanza dei Castellani voleva che se ne facessero
-palesi assaggi, paurosi come essi erano di veleno, e usavano pure
-tenere sulla tavola specifici ed amuleti contro l'azione dei veleni.
-Il Cibrario scrive, che nell'inventario delle gioie di Carlo I duca di
-Savoia (l'anno 1480) è registrata: “u_ne espreuve plaine de langues de
-serpans pour tenir sur la table pour eviter le venyn_„ ed aggiunge che
-forse era destinata allo stesso ufficio, o ad ogni modo, era tenuta
-in conto di amuleto, una “_pierre, noire crapaudine, garnie a une
-chainette d'or_„, compresa nello stesso inventario.
-
-Dopo il pranzo che era protratto quanto più lungamente si poteva,
-il signore faceva quella siesta, che fu bazza per i novellieri. I
-fanciulli, dopo alcun tempo dato ad esercizi fisici, riparavano poi
-col pedagogo nella libreria (dove erano, caso raro, librerie), o nella
-stanza data agli studii. Si trovano ancora in parecchi castelli certe
-stanzette, all'ultimo piano, recanti sui muri, segnate in rosso, le
-figure elementari della geometria con scritture che datano certamente
-dal secolo XV. La Castellana e le figliuole riparavano nelle camere
-loro, ed attendevano, nella speranza di qualche visita, ad adornarsi.
-O forse in quell'ora le giovinette aggirandosi in ozio per la casa
-confidavano alle nude muraglie della scala e dei corritoi, i segreti
-movimenti del loro cuore, incidendovi motti, date, pensieri e sentenze
-amorose. O andavano rintracciando e rileggendo le sentenze scrittevi da
-altri che erano come lettere al loro recapito.
-
-Il Castello d'Issogne serba molte di tali scritte che ci danno a
-conoscere il nome, ed in certa misura l'animo degli ospiti che vi
-dimorarono. Vi fu ospite un tale Escobar che segnò sulle pareti il
-proprio motto: Selon le pouvoir, colla firma e la data. Vi passarono
-pure un tedesco, Wolf. Sckonfletter, ed un francese, De Vateuil, il
-quale fa precedere al proprio nome queste parole sibilline: _Non sans
-cause_. Un messere P. Gran scrive: _In Omnes et ad omnia fidus_, e lo
-stesso Escobar di pocanzi tornatoci una seconda volta: _No piedo mas
-fortuna_, più non cerco fortuna, onde è a credere che l'avesse trovata,
-o che si fosse rassegnato a disperarne per sempre. E ancora l'Escobar
-sentenzia: _Palabras de piuma lo viento le lieva_. Poi vengono gli
-anonimi: _Qualis homo talia opera. A mala fama caveas. Sic vive ut
-postea vivas_. Ed i consigli igienici:
-
- _Carolus ægrotus faciunt ieunia morbum,_
- _Ut recte valeas, Carole sume cibum._
-
-Un altro tedesco apre l'animo con due versi così ingenui e sinceri che
-muovono a pietà.
-
- Per non mostrar el mio dolore
- Talvolta rido che crepe el cuore.
-
- THOMA DRUENWALD. von Nuremberg.
-
-Durante un periodo di tre anni, a giudicarne dalle date, si direbbe che
-sia passato nella valle e sul castello un vento caldo, tutto impregnato
-di olezzi stimolanti; un vento snervatore e tentatore, soffiato dal
-demonio per scombuiare l'animo delle castellane. Sui muri, abbondano
-sentenze d'amore ripetute a sazietà, scritte sempre dalla stessa
-mano, mano femminile, mano padronale e signoresca, poichè ebbe agio di
-confidare a tutte le stanze del castello la piena dell'animo. Quella
-che s'incontra più spesso dice: _Omnia vincit amor_, l'amore vince
-ogni cosa, sentenza che colma le distanze gerarchiche, ed afferma la
-assoluta sovranità del piccolo Dio. Un'altra dice: _Non est amor imo
-dolor, mulieris amor_. Non è amore, ma dolore, l'amore della donna.
-Dolore, è a credere, di virtù resistente; se non che la resistenza
-poco dura e l'amore finisce veramente per vincere ogni cosa, poichè
-l'anno appresso, la stessa mano scrive: Vivamus et amemus, grido di
-gioia spensierata, allegro ritornello di una canzone forse malinconica.
-Infatti, in poco d'ora, l'idillio si chiude in elegia e l'angoscia esce
-in lamenti in ogni parte della casa, colle scritte: _In me turbatum est
-cor meum_, in me turbato è il mio cuore, e: _Meror et dolor venerunt
-super me_: il pianto ed il dolore vennero sopra di me, le quali si
-incontrano in ogni dove, sulla scala, negli anditi, nelle camere delle
-donne.
-
- *
-
-Riprendiamo la nostra giornata.
-
-Quando capitavano visite, o v'erano ospiti in casa, verso le due,
-tutti convenivano o nel giardino o nel parlatoio, e là si trattenevano
-confettando e bevendo. A questa specie di _lunch_ erano rosoli,
-marmellate, bocche di dama, pasticci, uccelletti arrosto, e le migliori
-frutta della stagione. La Castellana apprestava canzonieri scelti
-ed ogni sorta di lodevoli istrumenti, ed erano musiche e canti di
-madrigali fino all'ora della cena, che batteva tra le quattro e le
-cinque pomeridiane, ed era il maggior pasto della giornata.
-
-Delle caccie, delle cavalcate, e di altri fastosi e festosi sollazzi
-non parlo, perchè, come ho detto in principio, essi meno appartengono
-alla vita privata che alla pubblica, e perchè troppo già furono e
-maestrevolmente descritti, e d'altra parte richiederebbero troppo
-lungo discorso. Basti dire, che verso la fine del secolo troviamo le
-prime carrozze o carrette come le chiama il Bandello, ma erano poche,
-e non usavano che nelle città. Non avevano molle, ma portavano fregi
-ricchissimi e dorature, ed erano ricoperte di stoffe maravigliose.
-Le tiravano, a seconda dei casi, due, quattro, sei, otto cavalli, dei
-quali i più pregiati erano i Frisoni ed i Corsieri del Regno di Napoli.
-
-Molti e vari erano i giuochi da tavola, il trictrac, gli scacchi,
-i dadi, le carte, che servivano al Picchetto ed all'Homo, un giuoco
-portato di Spagna, ed i tarocchi, che non furono già come si volle
-inventati a svago dal re Carlo VI di Francia, ma vennero d'Oriente,
-a segno che un moderno dottissimo ma fantasioso negromante, l'Eliphas
-Levi, ravvisa nelle figure del pazzo, del carro, della giustizia, della
-morte, del mondo, delle stelle, e via dicendo, i segni cabalistici del
-libro di Salomone.
-
-Ma di tali giuochi, eredità del fosco Medio Evo, e delizia poi della
-grossa nobiltà dei secoli XVII e XVIII poco si diletta il nostro
-castellano. Egli preferisce il pallone, o la più domestica partita
-alle boccie in cortile o sul prato, cogli scudieri, col cappellano
-o col pedagogo. Già non è a credere che quelle menti non provassero
-quel continuo bisogno di attività e di applicazione, che agita le
-nostre. A furia di voler noi ammazzare il tempo, il tempo si vendica
-e ci ammazza: quelli lo lasciavano vivere, e si ristoravano delle
-cercate fatiche fisiche, abbandonandosi ad una specie di assopimento
-intellettuale. Agitate e pronte erano le menti nelle città e quelle dei
-fortissimi avventurieri che in quel secolo e nel seguente disfecero
-e crearono stati; ma se da essi procede e di essi parla la storia,
-non se ne deve indurre che gli animi in generale e gli ingegni dei
-signori somigliassero ai loro. Essi diedero la scalata alle signorie,
-poichè ne ebbero abbassato il prestigio, e la dappocaggine dei molti
-fu appunto argomento e giustificazione al prevalere dei pochi. Io
-per me credo, che in tale dappocaggine sia da cercare la ragione dei
-corrottissimi costumi femminili di quel tempo. Dalla decadenza romana a
-noi non s'incontra altro periodo di così largo rilassamento morale. Nè
-la religione poteva oramai fare argine allo sfrenarsi delle passioni.
-Al tempo del carnevale, era lecito ai religiosi di rallegrarsi, onde
-i frati tra loro recitavano commedie, e di qual fatta!, e suonavano
-e cantavano ballando, e alle monache non si disdiceva, quei giorni,
-vestirsi da uomini, colle berrette di velluto in testa, colle calze
-chiuse in gamba e colla spada al fianco.
-
-È davvero inconcepibile come in mezzo a tanto rinnovamento di studi e
-gentilezza di coltura le donne parlassero lo sboccato linguaggio che
-loro attribuiscono gli autori di commedie e i novellieri. Il Boccaccio
-è di gran lunga più riguardoso. Nelle Cene del Lasca, troviamo narrata
-da una donna, Amaranta, e con minutissimi particolari, la sconcia beffa
-fatta da un giovine ricco e nobile al suo pedagogo, ed essa è tale
-che nessuno artifizio di stile potrebbe farmi lecito di raccontare.
-E quella del Lasca a sentirlo era compagnia che sapeva di greco e di
-latino. Dicono: erano più sinceri di noi. Ma, astrazion fatta della
-morale, la verecondia è più una grazia che una virtù, ed è grazia
-sopratutto di gente colta. Nè Virgilio, nè Orazio, nè Catullo, nè
-Ovidio, nè lo stesso Giovenale, potevano apprendere a quelle dame
-ed a quei cavalieri somiglianti modi, onde è lecito sospettare che
-la vantata coltura fosse meno diffusa di quanto si crede, sicchè la
-gentilezza dei pochi nulla potesse contro la rozzezza dell'universale.
-Ed è certo poi che fra i meno colti, era il mio signor Castellano. Il
-quale, venuta la sera, si riduceva accanto al fuoco, in sonnacchioso
-silenzio, e le donne fatte alcune lente danze al dubbio chiarore delle
-fumose lucerne, prima novellavano alquanto fra di loro, indi infilavano
-in cerchio _pater noster_ ed _ave Marie_, ed il cappellano dava loro
-lo spunto. Poi i valletti mescevano al signore il vino del sonno, e
-Madonna e Messere ognuno dalla sua ed in diversa e servile compagnia
-andavano a letto.
-
-E a me non rimane che augurare tranquille notti a quei morti, e
-gioconde giornate a questi vivi.
-
-
-
-
-LA VITA PRIVATA DEI FIORENTINI
-
-DI
-
-GUIDO BIAGI.
-
-
- _Signore e Signori,_
-
-Quale fosse la Firenze del Tre e del Quattrocento non è facile
-immaginare. A riguardarla dall'alto, da uno di quei colli che le fanno
-ridente corona e oggi son per lei mutati in altrettanti giardini,
-mentre forse allora nereggiavano d'alberi folti, di macchie e di
-scopeti, appariva come una bruna massa di torri merlate, cinta di mura
-e di baluardi. I pubblici edifizi che noi ammiriamo, le aeree cupole
-delle chiese, i campanili, nella cui voce è il palpito della vita d'un
-popolo, non ancora drizzavansi tutti nel fondo azzurro del cielo, come
-le antenne poderose d'una nave a più alberi. La terza cerchia, quella
-istessa che noi vedemmo abbattere, non era interamente compiuta, e
-l'Arno faceva il suo _gorgo_ dove è ora la Piazza di Santa Croce,
-sboccando tra il Ponte a Rubaconte e il Castel d'Altafronte.
-
-Questo a' primi del Trecento, quando la piccola chiesa di Santa
-Reparata durava tuttavia e di Santa Maria del Fiore era ignoto il nome;
-e nel luogo dove sorse la Loggia d'Orsammichele tenevasi il mercato
-delle granaglie, e il campanile cominciato da Giotto e che da lui prese
-il nome, non era ancor stato condotto fino alle ultime finestre da
-Francesco Talenti: soltanto di sulla torre del Palazzo dei Priori, già
-la grande campana del Popolo, “la Vacca„, mugliava, facendo in alto
-echeggiare il dolce suono della libertà[1].
-
-Le miniature del Biadajuolo, raffresco del Bigallo, appena ci
-danno un'idea della Firenze di quegli anni. Sono rappresentazioni
-fantastiche, dove la prospettiva è ancora ignota, e i tetti di color
-rosso vivo staccan di tono dalla selva delle torri che s'intrecciano
-e si accavallano. La tavola di Domenico di Michelino, che si vede in
-Duomo, vorrebbe mostrarvi la Firenze di Dante, la cui figura spicca nel
-mezzo del quadro; ma anche cotesta è una Firenze immaginaria, quanto
-il Purgatorio e l'Inferno che l'artefice le ha dipinti da presso. Una
-veduta della città, ma assai più recente, troviamo nella tavola che il
-Botticelli compose per Matteo Palmieri; una tavola, il cui soggetto
-tolto dal poema di lui la _Città di vita_, parve quasi ereticale;
-perchè il pittore, dipingendo la Vergine Assunta nella gloria del
-cielo, circondata dalle più sublimi visioni dell'idealità femminile,
-creò schiere di _angelesse_ così formose, da far giustamente temere
-per i futuri amori degli angeli. Ma il paesaggio che serve di sfondo
-alla meravigliosa composizione, sfuma nella lontananza e nell'ombra
-d'un crepuscolo dorato, e al desiderio nostro non giova. Il quale potrà
-soltanto appagarsi più tardi, quando nelle _Cronache di Norimberga_
-scorgeremo una pianta della città quale era alla fine del Quattrocento.
-
-Ma a rappresentarci Firenze dal Trecento a' più gloriosi giorni del
-Rinascimento, quando i tesori raccolti in tutto il mondo da' suoi
-mercatanti versò nella creazione di monumenti immortali, proseguendo
-le tradizioni delle arti inaugurate per mano di Arnolfo, di Giotto e
-dell'Orgagna[2]; a rappresentarci lo scenario e la scena ch'io vorrei
-popolarvi con le figure d'artieri, di mercanti, di donne, di chierici,
-di trecche, di poeti, di novellatori, d'uomini d'arme, di forosette, di
-villani, di donzelli, di cavalieri, che mi s'affollano nella lanterna
-magica del cervello e che vorrei potervi dipingere in questo quadro
-della vita privata; a darvi un'idea viva se non compiuta, a darvi
-come una visione della storia del nostro popolo, che dalla rozzezza
-antica si condusse ai raffinamenti della Rinascenza, non basterebbe
-tutta l'opera d'un artista che fosse insieme storico, archeologo e
-poeta; non basterebbe — Dio ci liberi! — un corso intero di conferenze
-ideali, fatte con la parola e illustrate con il pennello. Ma finchè la
-donna, che ne è maestra, non abbia reso obbligatorio l'insegnamento
-_per gli occhi_ dovremo contentarci di saggiare appena un così
-gustoso argomento, scegliendo nei vecchi libri di ricordanze, nelle
-cronache domestiche, nei carteggi, nei novellieri e nei poeti qualche
-particolare men noto, qualche aneddoto, qualche notizia che ci sembri
-meglio opportuna, per cogliervi alcun aspetto della vita in quegli
-anni, così remoti anche dalle nostre immaginazioni.
-
-
-I.
-
-Accanto ai massicci palagi di pietra, sicuri come fortezze, su cui
-si levavan fiere le torri merlate; nelle vie strette e tortuose dove
-la grand'ombra di quelle moli incombeva triste e paurosa, sorgevano
-le casette piccole e basse, con il tetto coperto di paglia, con le
-impannate alle finestre, con le grosse imposte di legno, sempre esposte
-ai pericoli del fuoco; onde Paolo di Ser Pace da Certaldo consigliava
-tener sempre pronte “dodici saccha grandi buone per sgombrare quando
-fuoco fosse ne la vicinanza tua o presso a te o a casa tua„ e uno
-“canape che sia lungo dal tetto in terra per poterti calare da ogni
-finestra„[3]. Le vie, piene di polvere, eran spazzate dall'acqua
-che correva come un fiumicello[4] dentro e fuori il rigagnolo, dove
-s'ingrufolavano, scrive il Sacchetti, quegli animali che sant'Antonio
-avea in i protezione, ed entravan poi nelle case altrui a portarvi
-il disordine e lo scompiglio[5]. Nè quelle case erano un modello
-di pulizia: si spazzavano una sola volta la settimana, il sabato,
-e negli altri giorni le immondezze si cacciavano sotto il letto,
-dove era d'ogni cosa un poco: bucce di frutta, torsoli, ossa, pelli
-scorticate, polli vivi, oche gracchianti e abbondanza di ragnateli.
-Erano modeste dimore di gente che si contentava del poco e più che ai
-conforti e godimenti della vita badava ai guadagni: gente antica, se
-di buona stirpe, che passava la vita uccellando e cacciando piuttosto
-in contado, nelle proprie tenute, che in città; gente nuova che nelle
-arti e nella mercatanzia cercava far la roba. L'avolo di Messer Lapo
-da Castiglionchio, che avea sua abitazione in sulla porta di Messer
-Riccardo da Quona, là dalle Colonnine, usava far serrare la porta della
-città a una vecchia serva, buona e lealissima, che glie ne riponeva le
-chiavi nella sua camera[6].
-
-Firenze intanto cresceva man mano che aumentava la proprietà de'
-cittadini. Le vecchie case di legno o coi tetti di paglia eran spesso
-distrutte dal fuoco. Tutta la città si commoveva e tutta la gente, ad
-ogni incendio che divampasse, era sotto l'arme e in gran guardia[7].
-Anche la Signoria, per abbattere con minor spesa le case dei
-condannati, usava darle alle fiamme e poi pagare i danni degl'incendi
-che si propagavano[8].
-
-E come incendi avvampavano le passioni: le vendette, le risse, le
-turbolenze tingevan di sangue le vie; e le paci tra gli avversi
-consorti si celebravano con feste e conviti. Il Comune “fiero e in
-caldo e signoria„ raddoppiava le forze; e debellati i nemici esterni,
-“i mercanti della città vincitrice guidavano, nuova maniera di trionfo,
-i loro muli, carichi de' panni di Calimala e delle seterie di Por Santa
-Maria, attraverso a' monti e a' piani poc'anzi battuti dalle cavalcate
-e da' soldati de' loro eserciti; portavano l'oro e l'ingegno fiorentino
-nelle città, sotto alle cui mura avevano ondeggiato, fra le armi, le
-libere insegne di questo popolo grande„[9].
-
-
-II.
-
-_Mercato vecchio_ era il cuor di Firenze; e pareva allora la più bella
-piazza del mondo[10]. Chi ne legga le lodi nel capitolo di Antonio
-Pucci, chi ne cerchi i fatti di cronaca quotidiana nelle novelle di
-Franco Sacchetti, può avere un'imagine di quella vita cittadina che
-si contentava di così piccola scena. Quello, il vero emporio d'ogni
-commercio, il ritrovo de' bottegai, de' commercianti, degli oziosi, de'
-giuocatori, de' villani, de' medici, degli speziali, de' malandrini,
-delle fantesche, de' gentiluomini, de' poveri, delle trecche, dei
-rivenduglioli, delle brigate allegre e spendereccie. Quivi robe d'ogni
-genere e sorte: le carni fresche, le frutta, i formaggi, i camangiari,
-l'uccellame, i pannilini, la cacciagione, i fiori, le stoviglie, le
-botti, la mobilia usata. I monelli, anche allora terribili, vi stanno
-come in casa loro: i grossi topi vi fan carnevale; la gente vi trae
-da ogni parte. Ogni giorno si leva qualche romore: un cavallaccio
-s'imbizzarrisce per una ronzina, e tutti gridando _accorr'uomo_, la
-Piazza de' Signori s'empie di fuggiaschi, serrasi il Palagio, armasi
-la famiglia, anche quella del Capitano e dell'Esecutore, e questi
-per la paura nascondesi sotto il letto, e, quetato il tumulto, n'esce
-fuori coperto di ragnateli; due muli beccati da un corvo cominciano a
-tempestare; saltan sui deschi, si serrano le botteghe e nasce grande
-contesa fra i lanaiuoli e i beccai per i danni fatti da quelle bestie
-furiose.
-
-Ma talvolta accadono anche serie questioni: i barattieri, tenitori di
-giuoco, vengono alle mani:
-
- E vedesi chi perde con gran soffi
- Bestemmiar, con la mano alla mascella
- E ricevere e dar di molti ingoffi.
-
- Ed allor vi si fa con le coltella,
- Ed uccide l'un l'altro, e tutta quanta
- Si turba allora quella piazza bella.
-
-Si rinnova la scena raffigurata in un affresco del monastero di
-Lecceto, vicino a Siena. I tre dadi caddero sulla tavola in modo
-che un de' giuocatori è perdente. Egli sorge in piedi, esacerbato
-da quel colpo dell'avversa fortuna, e afferra il vincitore per la
-gola, stendendo il braccio. E l'altro, fattosi pallido per l'ira e lo
-spavento, si cerca indosso l'arme vendicatrice. La bestemmia prorompe
-sui labbri de' contendenti; le grida degli astanti, delle donne, de'
-fanciulli echeggian paurose: “Accorr'uomo, accorr'uomo!„ — La folla
-indietreggia sbigottita, e quando l'Esecutore arriva — sempre tardo —
-co' suoi famigli, la vittima è a terra, distesa in un lago di sangue.
-
-
-III.
-
-Questi i drammi, i “fatti diversi„ d'allora, che turbavano la pace
-della semplice vita di quei nostri bisavoli. Perchè, la novella
-borghese, che tenea l'ufficio delle odierne gazzette, rare volte ci
-narra queste scene crudeli. Piuttosto si piace di raccontarci le beffe,
-le burle, onde allegravasi il popolo motteggevole; perenne argomento
-di queti ragionari, al canto del fuoco, presso gli alari dei grandi
-camini, sotto la cui cappa annerita raccoglievansi le famiglie, prima
-che sonasse l'ora di spegnere i lumi, quando chi andava a letto “il
-sezzaio[11] erasi accertato fossero ben turate le botti„ e “l'uscio e
-le finestre serrate„.
-
-Non parea vero di ridere, di scordare le paure dell'oltremondano,
-onde gli spiriti erano stati depressi: e già l'incredulità de' nuovi
-tempi cominciava a metter fuori le corna, burlandosi de' cherici, e
-un tantino de' miracoli e di molte altre imposture. I motteggiatori,
-i burlevoli, che d'altrui si prendevan sollazzo e cercavano gabbare
-il prossimo e il mondo, si dicevano “nuovi uomini„ e “_nuove cose_„ le
-loro malizie. I deschi e le botteghe di Mercato Vecchio, i fondachi di
-Calimala, le _loggie_ che sorgevano allora presso i palagi, dove la
-gente stava sui banchi a conversare, echeggiavano di fresche risate
-argentine; cui rispondevano i crocchi femminili, bisbiglianti sulle
-porte di casa. Gli artisti, o come li chiamavan gli _artefici_, erano
-i più sottili architettori di coteste burle ingegnose, immaginate fra
-una pennellata e un colpo di stecca. E ne durò la memoria molti anni,
-tanto che il Vasari parecchie ne raccolse nelle sue _Vite_, di quelle
-che i novellieri non avevan consegnate alle lor cronache cittadine.
-
-“Sempre fu che tra' dipintori si son trovati di nuovi uomeni„[12]
-scrive il Sacchetti; e Bonamico Buffalmacco immortalato nel
-_Decameron_, e Bartolo Gioggi, e Bruno di Giovanni, e Filippo di Ser
-Brunellesco e Paolo Uccello e Donatello, ci fan tornare a mente le
-burle fatte a Calandrino, al Grasso legnaiuolo, e a tanti altri che
-furon vittime di così spietati begliumori[13]. Ma la voglia matta di
-ridere e sollazzarsi, s'appiccicava anche alla gente più grave; e dalle
-botteghe degli artefici entrava in quelle degli speziali, e attaccavasi
-a' medici, a' giudici, a' procuratori, e saliva in Palagio a rallegrare
-i Priori della malinconia di star chiusi, lontani dalla moglie e dalla
-famiglia. — Semplici uomini e semplici costumi, che ancor sapevano
-della rozzezza antica: la Signoria dormiva in una camera sola, e ciò
-era incentivo e occasione agli scherzi[14]; e il proposto dei Priori
-poteva andare in persona alla cucina a cuocersi sulla brace una fetta
-di carne[15]. La burla, lo scherzo rasentava talora la truffa; ma una
-buona risata dava torto a chi aveva avuto colle beffe anche il danno,
-e tutti pari. Perchè a quegli anni, quand'ognuno pensava a sè, a' casi
-proprii, al proprio interesse, la gente non aveva pietà o compassione
-pei gonzi. Le più sottili malizie erano anche permesse ai mercanti, e
-quei di Firenze eran famosi per la gran furberia.
-
-Racconta il Sacchetti quel che intervenne ad un Friulano, che aveva
-nome Soccebonel, e che andò a comprare panno da un di costoro. Ne
-misuran quattro canne, e il fiorentino glie ne mangia una mezza. Poi,
-per ricoprire l'inganno, gli dice: “Vuo' tu far bene? attuffalo in una
-bigoncia d'acqua, e lascialo stare tutta la notte, sì che bea bene, e
-vedrai poi panno ch'el fia.„ — Soccebonel così fa, e poi manda il panno
-al cimatore. “Soccebonel va per esso e dice: Che dei tu avere? Dice
-il cimatore: E' mi par nove braccia: da' nove soldi. Dice costui: Come
-nove braccia? oimè! che di' tu?„ Lo rimisurano; ma il panno non cresce.
-Soccebonel va dal ritagliatore, va di qua, va di là. E uno gli dice:
-“Questi panni fiorentini non tornan nulla all'acqua.„ “Uno _comprò_
-un braccio di panno fiorentino, e la sera l'attuffò, come tu facesti
-questo, in un bigonciuolo d'acqua, e lasciovvelo stare tutta notte; la
-mattina, lo trovò tanto rientrato, che non c'era più nulla„[16].
-
-
-IV.
-
-Ma i codici de' mercanti, chi li cerchi e li legga tra la polvere degli
-archivi e delle librerie, paiono disdegnare simili imbrogli. In quelle
-carte che cominciano tutte “al nome di Dio amen,„ piene di “buoni
-asempri e buoni chostumi e buoni proverbi e buoni amaestramenti„,
-troviamo precetti teorici ispirati alla più rigida e severa moralità.
-Scrive un di cotesti savi: “Tieni a mente quando ài a dare alchuna
-sentenzia di darla diritta, e leale, e giusta, e di questo non ti
-rivolgere mai nè per prezzo, nè per amore, nè per paura, nè per
-parentado, nè per amistà, nè per compagnia....„, perchè la persona
-“contro cui la darai fia tuo nemico e quei cui tu servirai non
-t'avrà nè per leale, nè per diritto, anzi si guarderà sempre di te e
-vitupereratti sempre.„ Ma subito, più sotto, leggiamo: “S'hai bisogno
-in piato o in altro tuo fatto dell'amistà d'alcuno signore o di rettore
-di terra, — ti dico che co' presenti s'acquista molto agevolmente.
-Guata chi è di sua famiglia, più suo segretario e con quel cotale
-prima ti domestica, e dona a lui alcuna cosa, e poi a lui chiedi aiuto
-e consiglio ed e' t'insegnerà a venire in amore del suo signore e
-presentargli quella cosa di che e' sentirà che sia più vago„[17].
-
-E non basta; la morale pratica porge ancora più opportuni consigli:
-“Quando comperi biada, guarda che non ti sia empiuta la misura a un
-tratto, che sempre ti calerà 2 o 3 per cento; e quando vendi il fa', e
-cresceratti la tua biada„[18]. — “Di' sempre bene di quelli che reggono
-il Comune. Sta' sempre bene co' tuoi vicini, però che de' tuoi fatti
-e' sono sempre domandati prima di te, e negli onori e ne' disonori e'
-póssonti molto nuocere e giovare.„ E così consigliavano e ammaestravano
-i figliuoli, che crescevano destri ed esperti e consumati nell'arte del
-saper vivere, fra mezzo a gente che della vita conosceva le malizie
-e gl'inganni. Nè è meraviglia che un predicatore, per far gente e
-non parlare al deserto, annunziasse voler proclamare dal pergamo che
-l'usura non è peccato[19], anzi “è sovvenimento„, e così avesse tutta
-la quaresima “infino a Domenica dell'olivo„, attento e affollato
-uditorio.
-
-La famiglia che allargavasi e alleavasi nella _consorteria_, aveva
-unico fondamento la proprietà, guarentita da una selva di leggi e
-privilegi. Il padre era padrone dispotico de' beni personali: poteva
-lasciarli a chi meglio volesse, anche a' nipoti o ad alcun _luogo
-pio_[20], anche ai figli dell'amore cresciutigli in casa. Così per
-testamento: e si comprende di colpo l'importanza che aveano allora
-i notari ed i chierici. Le donne, succedendo _ab intestato_, avean
-soltanto diritto al quarto de' beni dei loro figliuoli: in ogni
-caso, ai semplici alimenti. Tutto cospirava a preservare l'integrità
-del patrimonio, ad impedire che uscisse fuori della famiglia, della
-consorteria, del comune.
-
-Giova ripeterlo: l'interesse, in quella società di mercanti, avidi
-di far la roba, era d'ogni azione legge suprema. Sarebbe ingiustizia
-cercarvi le sentimentalità della famiglia moderna, in cui alla donna è
-riserbato così larga e così nobile parte, così degni e teneri uffici.
-
-Quelle povere madri fiorentine dovevano starsi contente alle modeste
-ingerenze consentite loro dalla tirannia de' mariti, e vivere, o
-menar la vita, nell'uggia delle sordide case, allevando i figliuoli,
-“vicitando„ la chiesa, e confessando a' frati i molti peccati di
-desiderio.
-
-Le fanciulle, le ragazze che oggi ci dan tanta pena, nemmeno dovevano
-imparare a leggere: “S'ella è fanciulla femmina, ponla a cuscire e none
-a leggere, che non ista troppo bene a una femmina saper leggere, se già
-non la volessi far monaca„[21]. I monasteri erano, come furono molti
-secoli, il rifugio di coteste meschine, com'eran la provvidenza delle
-troppo numerose famiglie. Aver venti e più figliuoli, parea la cosa
-più naturale del mondo; se campavano: “Iddio n'abbi lode e grazie„; se
-morivano: “Di tutto sia lodato Iddio, amen„[22]. I libri di ricordanze,
-le cronache domestiche, al tempo delle grandi morie, registrano così
-le morti come le nascite con una serenità che oggi, alle trepide madri,
-sembrerebbe cinismo. E anche ci porgono testimonianze preziose di fatti
-più singolari, dell'intrusione nelle famiglie d'un nuovo elemento, che
-ne offusca la vantata purezza. I critici più benevoli ne trovano la
-ragione nel “gran vuoto fatto dalla mortalità nelle plebi cittadine
-e nei campagnuoli„, onde non bastando “la lusinga del poco salario„ a
-cavare dal popolo i domestici e le fantesche, “fu d'uopo cercare nel
-commercio esterno la maniera di supplire alla loro rarità„[23]. Ma
-piuttosto i commerci con l'oriente, e la vita randagia de' mercatanti
-e la cresciuta ricchezza, furono eccitamento a quel traffico degli
-schiavi e delle schiave, che durò in Firenze per ben due secoli dopo
-il XIV[24]. È un tasto doloroso che pur dobbiamo toccare, a rischio di
-cavarne alcuna nota stridente; ma anche in un quadro son necessarie
-le ombre per concedere maggior risalto alle figure cui si vuol dare
-evidenza e rilievo. — Ma non temete! anche un artefice inesperto non
-dimentica il “fren dell'arte„; nè vorrei io, dinanzi a voi, empir la
-breve mia tela con una mostra impudica di nudità.
-
-Le schiave orientali, comprate, come carne da traffico, quasi sempre
-a mezzo di sensali genovesi, veneziani, pisani e napoletani, e per
-lo più tartare, greche, turche, schiavone e circasse, non erano
-— rassicuratevi — archetipi di bellezza. I registri dove i nostri
-segnavano, insieme coi nomi, con l'età e con il prezzo, i connotati
-del volto e della persona[25], ce ne fan fede. Quasi tutte avean
-pelle olivastra, sebbene si trovassero anche schiave di carnagione
-rossa, sanguigna, rubiconda e qualche volta fin bianca. E sul viso
-non mancava mai alcun segno particolare: chi era butterata, chi l'avea
-sparso di moltissimi nèi, chi sfregiato da qualche cicatrice. I nasi
-eran generalmente schiacciati, i labbri grossi e sporgenti, gli occhi
-scerpellini, le fronti basse e lentigginose[26]. E a questi tocchi in
-penna de' notai pedanti e minuziosi, corrispondono alcuni ritratti
-che ne rimangono. Un curioso libro, il Memoriale del Baldovinetti,
-dove codesto antenato del famoso pittore usava illustrar con figure
-le sue ricordanze, ci ha conservato i profili delle tre schiave da
-lui comprate negli anni 1377, 1380 e 1388; la “Tiratea overo Doratea
-tartara da Rossia, giovane di 18 anni o più„, la “Domenica, è de pelle
-bianca ed è de proxima de Tartaria„, e la “Veronica giovane di 16
-anni„, “comperála quasi ignuda da Bonarota di Simone di Bonarota,„ un
-antenato di Michelangiolo; ma la Dorotea, la Domenica e la Veronica
-avrebber potuto benissimo — un po' invecchiate — servir di modello al
-futuro Buonarroti per le _Tre Parche_.
-
-Coteste donne, o brutte o belle che fossero, entravano nelle famiglie
-de' Fiorentini ricchi per attendere ai più umili uffici, e badare
-ai bambini: e davano un gran pensiero, per ogni conto, alle povere
-massaie. Il sonetto del Pucci “le schiave ànno vantaggio in ciascun
-atto. E sopra tutte l'altre buon partito,„ ce ne spiega maliziosamente
-alcuna ragione, e ci dice che spesso sapean dare alle padrone “scacco
-matto„. Le quali, come confessava parecchi anni appresso l'Alessandra
-Macinghi, si vendicavano col metter loro “le mani addosso„. Pure anche
-allora non potean farne a meno: erano le bambinaie e le _bonnes_ di
-quei tempi; e la Strozzi scriveva al suo Filippo in Napoli: “E pertanto
-ti ricordo el bisogno; che avendo attitudine averne una, se ti pare,
-tu dia ordine d'averla: qualche tartera di nazione, che sono, per
-durar fatica, vantaggiate e rustiche. Le rôsse, cioè quelle di Rossia,
-sono più gentili di compressione e più belle; ma a mio parere sarebbon
-meglio tartere„. Nè per questa scelta potea Madonna Lessandra trovar
-chi più di Filippo avesse la mano felice: il quale presso di sè tenea
-da vario tempo una schiava “che sapeva così ben fare„[27], di cui essa
-il 7 aprile 1469 aveagli scritto: “Avete costì Andrea e massime Tommaso
-Ginori, che venne el dì della Pasqua e me n'ha detto molte cose.... e
-_così della Marina, dei vezzi che ella ti fa_„. E un anno appresso, con
-accento piuttosto ironico: “Mandávi gli sciugatoi.... fatene masserizia
-che non si perdino; che _madama_ Marina no' gli mandi a male„. Dove
-vediamo che con i vezzi e le astuzie sapevan coteste donne cattivarsi i
-padroni e diventar madame, e meritarsi, come appunto cotesta Marina, la
-libertà e per “le buone fatiche et buoni portamenti„[28], alcun'assai
-liberale disposizione testamentaria.
-
-Meno male: peggio quando, come accadde a Francesco Datini, le cui
-beneficenze verso i Pratesi non fan dimenticare le gravi colpe ch'egli
-ebbe verso la moglie, — peggio, quando cotesto trafficato sangue di
-tartare e di russe si mescolava con quelli, sin allora schietti, delle
-antiche e libere stirpi!
-
-
-V.
-
-Ma ritorniamo nelle aure pure della famiglia, dove con le ricchezze
-accumulate eran, pur troppo, entrati i mal germi, onde si corruppe e
-disfece più tardi la vita e la coscienza italiana. Fra il Tre e il
-Quattrocento era seguito un gran crollo: il rinnovarsi dei tempi e
-de' costumi, già anelanti e vagheggianti la scioltezza del vivere che
-si sbrigliò nel Rinascimento, aveano intepidito la fede, smagato la
-religione, e la gente parea soltanto intendere ai godimenti mondani. Le
-lettere del Mazzei ce ne porgono testimonianza: il buon notaio di Prato
-è il savio d'un'“anima rozza„ e d'un “cuore agghiacciato„[29]: quel suo
-amico Datini, diciamolo aperto, è il più esoso tipo di mercante che ci
-abbia dato quel secolo. Ser Lapo è uno spirito ascetico, timorato, un
-uomo di buona e antica fede, un moralista convinto. In quelle _Lettere_
-ci par di vedere alle prese il peccatore ribelle col sant'uomo, che
-vuol condurlo ad una buona morte, alla redenzione delle colpe terrene.
-È la lotta del sentimento religioso con lo spirito di materialità de'
-nuovi tempi, che sfolgorò nella gloria della Rinascenza, ma che dopo
-così mirabili splendori lasciò nelle anime degl'Italiani un buio ed un
-vuoto paurosi. Da coteste tenebre, purificatosi nei secoli di servitù,
-maceratosi nelle vigilie del pensiero, l'uomo moderno doveva risorger
-più tardi.
-
-Ritorniamo in famiglia nella casa fiorentina, dalle cui finestre “le
-schiavette amorose scotevano le robe la mattina, fresche e gioiose più
-che fior di spina„[30]: nella casa dove la buona massaia godè appena
-pochi mesi felici, dopo le nozze, mentre poi dovè noverare gli anni
-del matrimonio da' nomi dei figliuoli che le crescevano intorno e le
-ricordavano, ciascuno, qualche lunga assenza del marito, andatosene a
-trafficare oltremonte od oltremare.
-
-La giovenile freschezza appassiva, e, come scrive il Sacchetti, “la più
-bella che sia, in piccol tempo, come un fiore, vien meno, e diventa
-secca nell'ultima vecchiezza e in fine doventa uno teschio„[31]. È
-naturale cercassero con l'arte correggere la natura e porre riparo
-ai danni del matrimonio, e non soltanto per vanità. Perfino i maestri
-dipintori come Taddeo Gaddi, s'accordavano nel giudicare con Alberto
-Arnoldi[32] che le donne fiorentine “sono i migliori dipintori del
-mondo„. “E fu mai dipingere, che su 'l nero, o del nero facesse bianco,
-se non costoro? E qual artista, o di panni, o di lana, o dipintore, è
-che del nero possa far bianco? certo niuno; perocchè è contro natura.
-Serà una figura pallida e gialla, e con artificiali colori la fanno in
-forma di rosa. Quella che per difetto, o per tempo, pare secca fanno
-divenire fiorita e verde. Io non ne cavo Giotto, nè altro dipintore
-che mai colorasse meglio di costoro; ma quello che è vie maggior cosa,
-che un viso che sarà mal proporzionato, e avrà gli occhi grossi, tosto
-parranno di falcone; avrà il naso torto, tosto il faranno diritto;
-avrà mascelle d'asino, tosto l'assetteranno; avrà le spalle grosse,
-tosto le pialleranno; avrà l'una in fuori più che l'altra, tanto
-la rizzafferanno con bambagia, che proporzionate si mostreranno con
-giusta forma. E così il petto e così l'anche, facendo quello, senza
-scarpello, che Policreto con esso non avrebbe saputo fare.... Insomma
-le donne fiorentine sono maggiori maestre di dipignere e d'intagliare,
-che mai altri maestri fossono, perocchè assai chiaro si vede ch'elle
-restituiscono dove la natura ha mancato.„ — Nè di ciò possiamo o
-vogliamo riprenderle: unica libertà, onde godevano, mascherarsi da
-giovani e felici, rifarsi lieto e fresco il volto, quando spesso il
-cuore piangeva, in vedersi d'intorno e da presso altri visi di donna.
-Anche amavano variar le fogge, le mode, le “portature„, e in ciò
-sfogavano la loro ambizione. I lodatori dell'antico, cominciando da
-Dante, le biasimavano di tanta volubilità, ingrata fino ai novellieri
-moralisti, ingratissima ai rettori, a quel governo di mariti che
-volentieri avrebbe lesinato su codesto lusso delle mogli.
-
-“Se un arzagogo apparisse con una nuova foggia, tutto il mondo la
-piglia„. “Che fu a vedere già le donne col capezzale (lo scollo) tanto
-aperto che mostravano più giù che le ditelle! (le ascelle); e poi
-dierono un salto, e feciono il collaretto infino agli orecchi„. “Le
-giovanette che soleano andare con tanta onestà„, hanno “tanto levata la
-foggia al cappuccio„ da ridurlo una berretta e “imberrettate portano
-al collo il guinzaglio, con diverse maniere di bestie appiccate al
-petto. Le maniche loro, o sacconi piuttosto si potrebbono chiamare,
-qual più trista e più dannosa e disutile foggia fu mai? potè nessuna
-tôrre o bicchiere o boccone di su la mensa che non imbratti e la
-manica e la tovaglia co' bicchieri ch'ella fa cadere?... Lo 'mbusto
-è tutto in istrettoie, le braccia con lo strascinío del panno, il
-collo asserragliato da' cappuccini.....„ “Non si finirebbe mai di
-dire delle donne, guardando allo smisurato traino de' piedi„ alle code
-delle vesti “e andando infino al capo; dove tutto di su per li tetti,
-chi l'increspa, e chi l'appiana, e chi l'imbianca, tantochè spesso di
-catarro si muoiono„[33].
-
-Ma cotesta smania del nuovo s'attaccava anche agli uomini. Il povero
-messer Valore de' Buondelmonti, un vecchione tagliato all'antica, fu
-costretto da' suoi consorti a mutare il cappuccio; e come l'ebbe fatto,
-tutti se ne meravigliavano e lo fermavano per la via: “O che è questo,
-messer Valore? io non vi conoscea, avete voi i gattoni?„[34].
-
-Venne un tempo la moda delle gorgiere intorno la gola e delle
-bracciaiuole, sicchè poteva dirsi dei fiorentini portassero “la gola
-nel doccione„ e il braccio nel “tegolo„, onde accadde a Salvestro
-Brunelleschi, “avendo una scodella di ceci innanzi e pigliandoli col
-cucchiaio, per metterseli in bocca„, di cacciarseli nella gorgiera, e
-di scottarsi[35]. Più tardi venne quella delle “calze„ (i calzoni) di
-differenti colori non solo, ma anche “dimezzati e attraversati di tre
-o quattro colori„: de' piedi con una punta lunghissima[36]; e delle
-gambe così “incannate co' lacci che appena si possono porre a sedere„.
-“I più dei giovani senza mantello vanno in zazzera„ e “al polso danno
-un braccio di panno„ e “mettono in un guanto più panno che in un
-cappuccio„[37].
-
-Le vecchie foggie contrastavano con le nuove, con le modernissime:
-ognuno si sbizzarriva a sua posta. La gente, curiosa anche allora,
-prendea diletto a vedere “le nuove cappelline, le nuove cuffie e le
-nuove cianfarde, e' nuovi gabbani, i nuovi tabarroni, e le antiche
-arme; sì che appena si conoscono insieme, sguarguatando (sbirciando)
-l'uno insino in sul viso dell'altro, prima che si conoscono„[38]. Una
-vera mascherata!
-
-
-VI.
-
-Ora gli uomini, che han sempre fatto le leggi, pensarono con tal freno
-vietare i “disordinati ornamenti delle donne di Firenze„. Il Comune
-promulgò statuti suntuari fino dal 1306 e dal 1330[39], e provvisioni
-severissime nel 1352, nel 1355, nel 1384, nell'88, nel 1396 e poi
-di nuovo nel 1439[40] e nel 1456 e perfino ne troviamo nel 1562[41].
-I religiosi tuonavano dal pergamo, i savi ammonivano e davano, come
-il Dominici, “regoluzze„ alle madri timorate “circa i vestimenti„; i
-novellieri mordevano con le loro facezie il lusso troppo smodato. Anche
-nelle altre città di Toscana e d'Italia, si mandava a Firenze “per
-esempio de' detti ordini„ e per “confermargli„[42].
-
-Incomincia una contesa, una lotta assai singolare tra la burbanza
-de' legislatori severi e la malizia donnesca. Le femmine astute non
-contrastano apertamente, ma fingon di piegare il capo crucciose, finchè
-passi quella bufera. Sono addottrinate, esperte del mondo: le leggi
-troppo severe rimangono senza sanzione. Quando e come possano, cercano,
-se non annullarle, deluderle. Alla venuta del duca di Calabria, nel
-1326, si fanno attorno alla duchessa sua moglie che è una francese,
-Maria di Valois, e ottengono sia loro reso un “loro ornamento di trecce
-grosse di seta gialla e bianca, le quali portavano in luogo di trecce
-di capelli dinanzi al viso..., ornamento disonesto e trasnaturato„,
-brontola il Villani che vide “il disordinato appetito delle donne„
-vincere “la ragione e il senno degli uomini„. Quattr'anni appresso i
-Fiorentini per calen d'aprile “del 1330„ “tolgono tutti gli ornamenti
-alle lor donne„ e come dice il Del Lungo in un magistrale lavoro, a cui
-per voi darà qui il desiderato compimento, “le disabbigliano da capo a
-piè„[43].
-
-Anche questa, bufera che passa! A simiglianza delle donne di Fiandra,
-tormentate per la stessa cagione da Tommaso Connette fanatico
-carmelitano, esse, come scrive il Paradis negli _Annales de Bourgogne_
-“_releverent leur cornes, et firent comme les lymaçons, lesquels quand
-ils entendent quelque bruit retirent et reserrent tout bellement leurs
-cornes; mais, le bruit passé, soudain ils les relevent plus grandes
-que devant_„[44]. E occasione a rilevarle, la venuta del duca d'Atene
-in Firenze nel 1342, e la “sformata mutazione d'abito„ portata da quei
-francesi.
-
-E qui vorrei indugiarmi a descrivervi il _figurino_ d'allora, quando
-i giovani vestivano “una gonnella corta e stretta„ che per metterla
-occorreva l'“aiuto d'altrui„, cinta alla vita da una striscia di cuoio
-con ricca fibbia e puntale, con “isfoggiata scarsella alla tedesca„,
-con il cappuccio attaccato ad una corta mantellina e terminato in una
-punta o becchetto lungo infino in terra, per avvolgerlo al capo “per
-lo freddo„: e i cavalieri una guarnacca attillata, con le punte de'
-manicottoli strascicanti per terra, foderati di vaio, ed ermellini, de'
-quali le donne copiaron subito la singolare “stranianza„[45]. Ma gli
-affreschi del Memmi in S. Maria Novella, che ritraggono quelle fogge,
-sono a voi noti, anche per visite recenti, quando in un'occasione
-solenne tentaste di rinnovarle. A studio, dico _tentaste_, perchè
-l'eleganza moderna non può agguagliare la magnificenza signorile di
-que' drappi, di quelle vesti sontuose.
-
-La _Prammatica_ del vestito del 1343, che conservavasi nell'_Archivio
-della Grascia_, di cui ottenni alcun estratto dalla cortesia d'un
-amico il quale ebbela fra mano, serba memoria di quegli splendidi
-abbigliamenti ch'eran colpiti dal rigor delle leggi e bollati con
-un marchio di piombo, avente sull'una e sull'altra faccia un mezzo
-giglio ed una mezza croce, a cura dei famigli di quei poveri “uficiali
-forestieri„, deputati dal Comune all'applicazione della legge. Eccovi
-descritto un capo di vestiario proibito, appartenente a donna Francesca
-moglie di Landozzo di Uberto degli Albizzi del popolo di San Pier
-Maggiore: “Un mantello nero di drappo rilevato col fondo di color
-giallo, con sopra uccellini, pappagalli, farfalle e rose bianche e
-vermiglie e molte altre figure vermiglie e verdi, e con trabacchi e
-dragoni, e con lettere e alberi gialli e neri e molte altre figure di
-diversi colori, foderato di drappo bianco con righe nere e vermiglie„.
-Nè basta: spesso erano anche motti, non soltanto lettere, impressi sui
-drappi.
-
-
-VII.
-
-Ma di quell'_Archivio_ stesso _della Grascia_ e di quei disgraziati
-ufficiali, costretti a un cómpito così disumano, di quei poveri
-potestà e capitani, cavalieri, giudici, notai e famigli che dalle città
-guelfe di Lombardia e delle Marche venivano in Firenze a sostenere le
-parti di rettore, a contrastare nel loro rozzo dialetto, beffato dai
-novellieri borghesi, con le lingue arrotate delle donne e de' loro
-mariti, ancor si conserva un documento curioso. Chi non ricorda la
-novella[46] di Franco Sacchetti, in cui narra le tribulazioni di “uno
-judice di ragione„, Messer Amerigo Amerighi da Pesaro, “bellissimo uomo
-del corpo„, e ancora “valentissimo della sua scienza„, il quale ebbe
-mandato, mentre Franco era de' Priori nella nostra città, di proceder
-sollecitamente ad eseguire certi “nuovi ordini„, al solito “sopra gli
-ornamenti delle donne?„ Il valente giudice si pone all'opera, e manda
-attorno il notaio, e i famigli, a fare inquisizioni; ma i cittadini
-vanno a' Signori e dicono “che l'officiale nuovo fa sì bene il suo
-officio, che le donne non trascorsono mai nelle portature come al
-presente fanno.„
-
-Or ecco la discolpa di Messer Amerigo: “Signori miei, io ho tutto il
-tempo della vita mia studiato, per apparar ragione; e ora, quando io
-credea sapere qualche cosa, io trovo che io so nulla; perocchè cercando
-degli ornamenti divietati alle vostre donne per gli ordini che m'avete
-dati, sì fatti argomenti non trovai mai in alcuna legge, come son
-quelli che elle fanno; e fra gli altri ve ne voglio nominare alcuni.
-E si truova una donna col becchetto frastagliato avvolto sopra il
-cappuccio. Il notaio mio dice: Ditemi il nome vostro, perocchè avete
-il becchetto intagliato. La buona donna piglia questo becchetto, che
-è appiccato al cappuccio con uno spillo e recaselo in mano, e dice
-ch'egli è una ghirlanda. Or va' più oltre, truovo molti bottoni portare
-dinanzi. Dicesi a quella che è truovata: Questi bottoni voi non potete
-portare. E quella risponde: Messer sì, posso, chè questi non sono
-bottoni, ma sono coppelle; e se non mi credete, guardate, e' non hanno
-picciuolo; e ancora, non c'è niuno occhiello. Va il notaio all'altra
-che porta gli ermellini, e dice: Che potrà apporre costei? Voi portate
-gli ermellini. E la vuole scrivere. La donna dice: Non iscrivete, no;
-chè questi non sono ermellini, anzi sono lattizzi. Dice il notaio: Che
-cos'è questo lattizzo? E la donna risponde: È una bestia„. E il notaio
-non insiste, come non sanno insistere i magnifici signori Priori, che
-si ricordano delle loro donne lasciate a casa, e conchiudono, come
-hanno sempre conchiuso in Palagio, esortando messer Amerigo a tirar
-via, e lasciar “correre le ghirlande per becchetti e le coppelle e i
-lattizzi, e' cinciglioni„.
-
-Non volevano forse che il giudice pesarese avesse a ricordare il
-malinconico distico che un suo collega della _Mercanzia_ aveva scritto
-sul margine degli _Statuti_:
-
- “S' tu ài niuno a chi tu vogli male
- “Mandallo a Firenze per uficiale.[47]
-
-Pur questa volta, la novella del Sacchetti è verace documento di
-storia; l'_Archivio della Grascia_ serba gli _Atti civili del Giudice
-degli appelli e nullità_, e fra quei protocolli appunto ve n'è uno di
-Giovanni di Piero da Lugo, notaio del dottore in legge ser Amerigo di
-Pesaro, ufficiale della Grascia del Comune di Firenze, per sei mesi, a
-cominciare dal XV marzo 1384.
-
-Quel giorno stesso l'Amerighi pubblicò, a' soliti luoghi, un bando per
-ricordare le pene delle leggi contro chi trasgrediva alla _Prammatica
-sopra 'l vestire_. E il 27 marzo cominciarono per parte degli ufficiali
-le inquisizioni. Vedevano per via alcuna donna con due anelli, ornati
-di quattro perle, con una cappellina di velluto nero ricamata, con una
-ghirlanda, con una delle abbottonature proibite? E subito si contestava
-alle malcapitate (diciamolo col frasario odierno) la contravvenzione.
-Andava il messo alle case con un “mandato di comparizione„, e il giorno
-fissato compariva per la moglie il marito, che riconosceva l'errore e
-pagava la multa. Così s'andò innanzi un bel po'; ma più tardi dovettero
-le donne, ammaliziate, cominciare quelle contestazioni, accennate
-dal novelliere, e naturalmente omesse nel protocollo del notaio. Le
-inquisizioni si fanno più rare, le condanne meno frequenti e i mariti
-che compariscono principiano a negare la reità delle mogli, con validi
-argomenti: una è troppo vecchia perchè possano imputarsele siffatti
-trascorsi, un'altra era in casa quel tal giorno a quella tale ora, una
-terza è in lutto e così via.... E il protocollo si chiude quasi senza
-registrare più nessuna condanna.
-
-La Signoria e il giudice prima di lei si son dati per vinti; ma non
-senza sospetto che quelli ufficiali, quei notai, deputati all'odioso
-ministero, non si fossero lasciati vincere dal fuoco di qualche
-bell'occhio, dalle carezze di qualche voce lusingatrice. Ahimè nelle
-coperte della _Prammatica_ di quel tempo, leggiamo la confessione, lo
-sfogo d'un cuore innamorato, prezioso documento umano fra le pedanterie
-curialesche degli _Statuti_. Udite:
-
- Li dulci canti e le brigate oneste
- Gli uccelli, i cani e l'andar sollazzando,
- Le vaghe donne, i templi e le gran feste
- Che per amore solea ir cercando.
- Ora fuoco mi sono, oimè moleste,
- Quantunque vengo con meco pensando
- Che tu dimori di qui or(a) lontana
- Dolce mio bene e speme mia sovrana!
-
-Le donne avean trovato alleati nella famiglia del Giudice di ragione:
-la loro causa era vinta!
-
-
-Ma per poco, giacchè quasi periodicamente si tornò ad infierire contro
-la vanità femminile, e altre bufere scoppiarono, sempre di breve
-durata. Anche tremendi avversari ebbero ne' moralisti che nei trattati
-del _Governo della famiglia_, seguitavano a battere cotesto tasto
-(valga l'esempio del Palmieri); peggiori nemici ne' frati, invasi dal
-furore di purgare il mondo dai peccati.
-
-Frate Bernardino da Siena nel 1425 continuò a Perugia quei bruciamenti
-delle vanità che l'anno innanzi aveva iniziato a Roma, facendo
-un gran falò di “capelli posticci e contraffatti, d'ogni lasciva
-portatura, di balzi da scuffie„, dadi, carte, tavolieri “e altre
-cose diaboliche„, preludendo alle grandi fiammate che nel 1497 fece
-a Firenze il Savonarola, e che gli furono di pessimo augurio. Ma fra
-tanti oppositori, non mancavano i buoni avvocati. Nell'aprile 1461
-un predicatore che aveva vociato dal pergamo in Santa Croce contro
-le donne, ricorse alla Signoria, e nel _Consiglio dei Richiesti_ si
-trattò, nientemeno, di proibire la moda. Ma Luigi Guicciardini, padre
-al grande storico e politico, disse aver risposto a un milanese,
-giudicante a sproposito dell'onestà delle donne fiorentine dall'abito
-sfoggiato e dall'incedere, che se l'abito parea disonesto, elleno erano
-a' fatti assai diverse[48].
-
-
-VIII.
-
-Ma queste leggi suntuarie, ritoccate o come oggi direbbero
-“rimaneggiate„ ogni momento, più che offendere le donne colpivan
-la borsa dei loro mariti; nè, giova notarlo, si restringevano agli
-ornamenti, sibbene frenavano o volevan frenare anche il lusso e
-l'abbondanza delle nozze, dei battesimi, dei conviti e dei funerali.
-I cortei nuziali non potevano eccedere il numero di dugento persone. I
-sensali de' matrimoni dovevano denunziare innanzi i nomi degl'invitati.
-Le _donora_ alla sposa eran regolate dalla legge, e così le cerimonie
-nuziali; il cuoco “il quale dovrà apparecchiare per qualche sposalizio„
-era tenuto a rapportare all'ufficiale del Comune il numero delle
-vivande e dei piattelli, e le vivande non potevano essere più di
-tre: non più di sette libbre di vitella, e i capponi, i paperi o gli
-anitroccoli permessi dagli statuti. Del pari eran regolate le esequie,
-il numero dei torchi di cera, le vesti dei morti e dei congiunti che
-seguivano il funerale: i doni dei battesimi.... insomma ogni benchè
-menoma cosa[49]. Chi contravvenisse a tali disposizioni, condannato a
-multe assai gravi.
-
-Perchè il Comune, anche allora, cercava dovunque argomenti per tasse,
-gravami e balzelli, e lo studio dei cittadini, massime di quei furbi
-mercanti, era tutto in cercare di alleggerirsi delle gravezze, di
-rubare con qualche onesta licenza[50].
-
-“_Il Comune ruba tanto altrui, che io posso ben rubar lui_„, è un
-dettato antico riferito dal Sacchetti[51]; il quale anche lamenta le
-lungaggini nelle pratiche del Comune, perfino verso chi volea donargli
-le proprie castella[52]. Ciascuno tirava l'acqua al suo mulino, dice
-Marchionne Stefani, e anch'egli aveva il mulino suo[53]. S'ingegnavano
-tutti a difendersi dalle gravezze e com'è sempre usanza, scrive quel
-cronista, “gli animali grossi e possenti saltano e rompono le reti„.
-
-Anche Francesco Datini, accostandosi a quelli che tenevan lo Stato,
-provvide a' casi suoi, in quegli anni nei quali “le guerre combattute
-con le armi de' mercenari e le paci fatte a furia di denaro esigevano
-che la imposta si riscotesse in un anno dieci e quindici volte[54]„.
-Chi non potea con le amicizie e i favori, ci riusciva con l'astuzia,
-come Bartolo Sonaglini che, essendosi per porre molte gravezze,
-scendeva ogni mattina sull'uscio di casa e contava a tutti le sue
-miserie, dicendo: “Oimè, fratel mio, io son disfatto.„ “E' mi converrà
-o dileguarmi dal mondo o morir prigione„[55]; onde quando vennero alla
-partita di lui ciascuno dicea: Egli è diserto, e guardasi per debito;
-e l'un dicea: E' dice il vero, chè pure una di queste mattine non
-ardiva d'uscir di casa. E l'altro dicea: E anco così disse a me.... Sia
-come si vuole, dicono gli altri, e' si vuole trattar secondo povero,
-e tutti a una voce gli posono tanta prestanza, quanta si porrebbe a
-uno miserabile, o poco più.„ Fatte le prestanze e passato il pericolo,
-Bartolo cominciò a uscir fuori e andava dicendo d'esser per accomodarsi
-coi creditori; e così, a furia di ciance, si liberò dalle prestanze,
-“dove molti altri più ricchi di lui ne rimasono disfatti„.
-
-
-IX.
-
-Già i tempi maturavano. Dell'antica e proverbiata semplicità, in tanta
-sete di guadagni, rimanevano monumento vivente, ma pur rispettato,
-soltanto quei vecchioni di cui Donato Velluti ci porge uno stupendo
-ritratto, vivo e vigoroso come una figura di Andrea del Castagno.
-
-“Bonaccorso di Piero, fu uno ardito, forte e aitante uomo, e molto
-sicuro nell'arme. Fece di grandi prodezze e valentie, e sì per lo
-Comune e sì in altri luoghi. Tutte le carni sue erano ricucite, tante
-ferite avea avute in battaglie e zuffe. Fu grande combattitore contr'a
-Paterini e Eretici.... Era di bella statura, di membra forti e bene
-complesso. Vivette ben 120 anni, ma ben 20 anni perdette il lume,
-innanzi morisse, per vecchiaia. Fu chiamato Corso, e benchè fosse
-così vecchio, udii dire che la carne sua avea sì soda, che non si
-potea attortigliare, e se avesse preso qualunque giovane più atante
-in su l'omero, l'avrebbe fatto accoccolare. Intesesi anche bene di
-mercatanzia, e fecela molto lealmente; intanto era creduto, che venuti
-i panni melanesi in Firenze da Melano (de' quali molti ne faceano
-venire) e tutti gli spacciava innanzi fossono aperte le balle; molti ne
-faceano tignere qui, e perch'era sì diritto, udii dire che un Giovanni
-del Volpe loro fattore veggendo sì grande spaccio di detti panni,
-pensò nella tinta fare avanzare più la compagnia, e più debolmente,
-e con meno costo gli facea tignere; di che essendo passato un tempo i
-detti panni non avevano quel corso soleano: di che cercando la cagione,
-trovarono che era stato per la sottilità del detto Giovanni, di che
-egli il volea pure uccidere.
-
-“Il detto Bonaccorso avendo perduto il lume, il più si stava in casa.
-Avea di dietro al palagio di Via Maggio.... un verone lungo quanto
-tenea il detto palagio, in sul quale rispondea tre camere dal lato di
-dietro, per le quali egli andava, e tanto andava in qua e in là ogni
-mattina, che facea ragione essere ito tre o quattro miglia, e fatto
-questo asciolvea, e l'asciolvere suo non era manco di due pani, e poi
-a desinare mangiava largamente, perocchè era grande mangiante: e così
-passava la sua vita. Ora perchè si sappia come morì, udii dire a mio
-padre, che gli venne voglia andare alla stufa, e così andò, nella quale
-stufa s'incosse un piede; di che essendo tornato e veggendo che per
-essa cagione non potea andare, nè fare il suo usato esercizio, in sul
-verone, immantinente sì si (ac)cusò morto. Or avvenne in quel tempo
-che Filippo suo figliuolo, e mio avolo che fu, menando Monna Gemma
-de' Pulci sua seconda donna, avendo il dì molto motteggiato dicendo:
-_ora farebbe bisogno a me d'avere moglie, più ch'a figliolmò, che
-m'aitasse_, e molte altre ciance, gli venne voglia, essendo sul letto,
-farsi portare in sul lettuccio da sedere: di che chiamato mio padre e
-Gherardo suoi nipoti, avendosi colle mani e braccia appoggiato in sulle
-spalle loro; subitamente per grande vecchiezza la vita gli venne meno,
-e morì„[56]
-
-
-X.
-
-Con il ricordo di questa “cara e buona immagine paterna„, affrettiamoci
-a' tempi nuovi, al nuovo secolo, di cui ormai rosseggia in cielo,
-nel cielo della letteratura e dell'arte, la splendida aurora. Già ne
-scorgemmo i segni annunziatori nell'ottenuto acquisto della ricchezza,
-nell'affrancarsi così dai vecchi pregiudizi, come dalle severe regole
-del vivere antico, nelle tendenze egoistiche preparanti lo svolgimento
-di quel che i moderni critici chiamano “individualismo,„ onde meglio si
-comprende il carattere degli uomini e della vita della Rinascenza.
-
-L'affetto per il Comune, per la patria e anche per la famiglia, già
-s'affievolisce col desiderio acuto de' godimenti, di che non era avara
-la vita a chi volea gustarne le dolcezze. L'incredulità fa capolino;
-lo scetticismo, la sensualità, minacciano di prendere il sopravvento.
-Coteste generazioni, dopo i terribili terrori delle pestilenze,
-scampate all'infuriar del contagio, doveron quasi meravigliare, stupire
-di risvegliarsi alla vita.
-
-Dalla grande moria del 1348 ai primi del '400, i cronisti ne registrano
-molte altre: ricordiamo quelle del 1363, del 1374, del 1400, del 1411,
-del 1420 e del 1424. Un nostro erudito spogliando il libro de' morti
-degli Ufficiali della Grascia, noverò dal 1.º maggio al 18 settembre
-1400, ben 10908 morti, la massima parte fanciulli[57]. Della peste
-del 1348, oltre alla classica e grandiosa descrizione del Boccaccio,
-troviamo vivi e dolorosi ricordi nelle cronache famigliari, ne' diarii,
-ne' memoriali.
-
-Dovè essere un pauroso, un raccapricciante spettacolo! Giovanni Morelli
-racconta che in un'ora “si vedeva ridere e motteggiare„ il vicino
-o l'amico “e nell'ora medesima il vedevi morire„. La gente cascava
-morta per istrada “su per le panche„ come abbandonata, senza aiuto
-o conforto di persona. Molti impazzivano e si buttavano nel pozzo, o
-giù dalle finestre o in Arno, dal gran dolore o dalla orribile paura.
-Tanti morirono senza esser veduti e “infracidavano su per le letta„,
-molti si sotterravano ancor vivi. “Avresti veduto una croce ire per un
-corpo e averne dietro tre o quattro prima giugnesse alla chiesa„[58].
-Si calcola che in Firenze morissero i due terzi delle persone, “cioè
-de' corpi ottantamila„[59]. Della moria del '400, veggiamo un'efficace
-pittura in una lettera di Ser Lapo Mazzei. “Qui non s'apre appena
-appena bottega: i rettori non stanno a banco: il palagio maggiore senza
-puntelli: nullo si vede in sala: morti non ci si piangono, contenti
-quasi solo alla croce„[60]. Era uno spavento: i figliuoli morivano,
-cadevan gli amici, i vicini, i conoscenti, gl'ignoti; nel colmo della
-estate, passavano i cento al dì; nel luglio vi fu un giorno che furon
-dugento.
-
-Di quella del 1420 scrive nel suo _Libro segreto_ Gregorio Dati: “La
-pestilenzia fu in casa nostra, e cominciò dal fante, cioè Paccino,
-a l'uscita di giugno 1420; e poi da indi a tre dì la Marta nostra
-schiava, e poi al primo dì di luglio la Sandra mia figliuola, e a dì
-5 di luglio l'Antonia. E uscimmo di casa, e andammo dirimpetto; e in
-fra pochi dì morì la Veronica: e uscimmone e andammo in Via Chiara,
-e presevi il male alla Bandecca e alla Pippa, e amendue s'andarono a
-Paradiso a dì 1.º d'agosto, tutti di segno di pestilenza[61]. Iddio li
-benedica!„
-
-Chi poteva fuggire, scappava ad Arezzo, a Bologna, in Romagna, in
-alcuna città e terra dove credesse potersi stare sicuro. Il Datini se
-n'andò a Bologna, portando la famiglia, i domestici e i forzieri su
-ronzini e su muli carichi di ceste[62]. Buonaccorso Pitti scampò dalla
-peste del 1411 recandosi a Pisa in una casa a pigione, dove in sette
-mesi spese 1300 fiorini e gli morì una figliuola e un famiglio. Nel '24
-mandò il figlio suo Luca con la moglie e i bambini a Pescia, dove poi
-si ridusse con gli altri congiunti.
-
-Era di regola recarsi “in qualunque luogo la mortalità non fosse
-stata„[63]; rimedi contro l'oscuro malore non c'erano, nè l'arte dei
-medici sapea consigliarli. Il Morelli prescrive alcune norme che oggi
-si direbbero igieniche: la pestilenza del 1348 era stata cagionata
-da una terribile carestia: “l'anno dinanzi era suto in Firenze gran
-fame„[64]; “vivettesi d'erbe, e di barbe d'erbe, e di cattive„, “tutto
-contado era ripieno di persone, che andavano pascendo l'erbe come le
-bestie„, e i corpi erano disposti e non avevano “argomento nè riparo
-niuno„. Consiglia, pertanto, conservarsi sani, riguardarsi, mangiar
-bene, sfuggire l'umido, “spender largamente„, senza “niuna masserizia„
-senza economia “fuggi(r) malinconia e pensiero„, pigliarsi “spasso
-piacere e allegrezza„, non “pensare a cosa ti dia dolore o cattivo
-pensiero„, giuocare, cavalcare, divertirsi, stare allegri, tenere “in
-diletto e in piacere la tua famiglia„, e “far con essa buona e sana
-vita senza pensiero di fare per allora masserizie; che assai s'avanza
-a stare sano e fuggire la morte„[65].
-
-Gli “avanzati„ dal mortale flagello, doverono ben presto avvezzarsi al
-nuovo tenore di vita, anche passato il pericolo. Effetto della peste e
-de' suoi terrori, le processioni dei “_penitenti bianchi_, simiglianti
-a quelle che quasi un secolo innanzi, sotto il nome di _compagnie de'
-battuti_, avevan percorsa tutta l'Europa. Partivansi in folla dalle lor
-case mescolati uomini e donne, laici ed ecclesiastici, tutti vestiti di
-bianche cappe che lor coprivano anche la faccia, avendo un crocefisso
-per insegna; e andavano processionalmente di paese in paese cantando
-laudi, pregando con alte voci _misericordia_. Giacevano quasi sempre
-all'aria aperta, non domandavano che pane e acqua. I popoli delle città
-visitate, accendendosi d'egual fervore andavano col medesim'ordine
-a visitare un'altra città. Alla comparsa dei pii pellegrini,
-tutti movevansi a penitenza, le gravi inimicizie si deponevano,
-si pacificavano le discordanti fazioni, le città si riempivano di
-santimonia„[66]. A Firenze i facinorosi voleano profittarne per
-liberare i prigioni delle Stinche; ma fortunatamente s'impedì che la
-città n'andasse a romore d'arme, e tra le altre si fecer le paci tra
-i Pitti e i Corbizi[67]. Anche Francesco Datini nell'agosto 1399 andò
-in pellegrinaggio, “vestito tutto di tela lina bianca e scalzo„, co'
-suoi famigli, amici e vicini. Erano in tutto dodici e portaron seco
-due cavalle e una muletta, “in sulle quali bestie mettemmo un paio
-di forzeretti, in che furono più scatole di tutte ragioni confetti,
-e formaggio d'ogni ragione, e pane fresco e biscottato, e berlingozzi
-zuccherati e non zuccherati e più altre cose che s'appartengono alla
-vita dell'uomo, tanto che le dette cavalle furono presso che cariche
-di vettovaglie„[68]. Stettero in pellegrinaggio dieci giorni, dal
-28 agosto al 6 di settembre, e giunsero fino ad Arezzo o poc'oltre;
-e dovunque si fermavano compravano cose da mangiare. Era davvero un
-allegro modo, e comodo, di far penitenza, e di pellegrinare a cavallo!
-
-Delle pratiche religiose, i più accorti e più increduli rispettavano
-appena la forma esteriore, come il Datini, che temeva i rimbrotti e i
-predicozzi dell'amico e mentore spirituale Ser Lapo Mazzei.
-
-Altri, come Buonaccorso Pitti, già ci porgono l'immagine dell'uomo
-della Rinascenza, che non ha terraferma, e gira il mondo, rôso da
-una interna irrequietezza, e giuoca, e perde, traffica, e mescola
-la politica ai commerci e ai sollazzi, come un avventuriere del
-Settecento, come un Benvenuto Cellini, ma senza l'arte e con molto
-meno d'ingegno. Curioso, strano tipo questo Pitti che sembra morso
-dalla tarantola e mena le mani e sta a tu per tu con Carlo VI[69],
-con duchi e principi, che cavalca a Roma difilato per una scommessa
-con una giovane ond'era invaghito[70]; gran danzatore, giuocatore
-ostinato e prode e leal cavaliere, e in patria assunto agli uffici
-supremi[71]. Il Burckhardt lo chiama addirittura un precursore del
-Casanova, che viaggia continuamente in “qualità di mercante, di agente
-politico, di diplomatico e di giuocatore di professione„. “Guadagnò e
-perdette enormi somme, e non trovava competitori che fra i principi,
-quali ad esempio, i Duchi di Brabante, di Baviera e di Savoia„[72].
-Questo il padre di quel Luca Pitti che in ricchezza e in magnificenza
-rivaleggiava coi Medici e voleva anche in ogni altra cosa andare a paro
-con Cosimo. I mercanti di panni divenuti banchieri e prestatori, aveano
-in quei viaggi, in quei traffichi, con quelle “fattorie„ sparse in
-varie città d'Europa, ne' più operosi centri del commercio, negli scali
-più frequentati, accumulato smisurate ricchezze, ed era venuto il tempo
-di godersele tranquillamente.
-
-Già Fiorenza come una bella e prosperosa giovane “con buone parti„ e
-dote abbondante, cessate le gare fra i partiti che se la contendevano,
-all'ombra de' lauri medicei socchiudeva gli occhi abbarbagliati da
-tante sfoggiate magnificenze, onde, come femmina, s'era lasciata
-conquidere. Le famiglie, fatta la roba, voglion fondar la casata:
-si cercano i maritaggi più convenienti e si discutono quasi fossero
-alleanze. L'Alessandra Macinghi va a tutte le messe “in Santa Liperata„
-e si pone “allato„ alle fanciulle, con cui vorrebbe per il suo Filippo
-far parentado, e con occhio di futura suocera le studia, le esamina,
-le spoglia, e ne scrive al figliuolo come se si trattasse d'un mercato
-di polledre e non d'un matrimonio. Egli è vero che la buona madonna
-Lessandra, per me troppo esaltata e lodata, dovette avere piuttosto
-cuor di mercante che di donna. Che mettesse le mani addosso alle
-schiave, lo confessava ella stessa senza ritegno; era costume, e
-fors'anche con quelle rôsse e tartare la pazienza doveva facilmente
-scappare. Ma di lei e della sua pietà troviamo un documento rivelatore.
-Si tratta di due vecchi, gli unici che rimanessero d'una famiglia di
-lavoratori di Pozzolatico: “ancora vive Piero e mona Cilia, tramendua
-infermi. Ho allogato il podere per quest'altr'anno, e me lo conviene
-mettere in ordine: e que' due vecchi se non muoiono, hanno andare
-accattare. Iddio provvegga„[73]. Nè crediate sia questo un tristo, ma
-fugace pensiero: è un fermo proposito. In una lettera scritta, pochi
-mesi dopo, nel dicembre del 1465, leggiamo: “Piero vive ancora„ a
-Mona Cilia Iddio aveva forse già provveduto “e bisogna che se n'esca,
-e andrà accattando.... Arà pazienza: che Iddio lo chiami a sè, se 'l
-meglio debb'essere!„[74] Col cuore, non si fa masserizia!
-
-
-XI.
-
-Ma chi aveva accresciute e moltiplicate le proprie sostanze, mostrava
-sentimenti più nobili e animo più gentile. Giovanni Rucellai ci dà
-l'immagine compiuta del fiorentino ricco che sente la dignità del
-nuovo stato in cui fu posto dalla fortuna; la quale “non tanto gli
-ha conceduto grazia nel guadagnare, ma ancora nello spenderli bene,
-che non è minor virtù che il guadagnare. E credo — scrive nel suo
-_Zibaldone_, — che m'abbi fatto più onore l'averli bene spesi ch'averli
-guadagnati, e più contentamento nel mio animo,„ e “massimamente delle
-muraglie ch'io ho fatte della casa mia di Firenze, del luogo mio di
-Quaracchi, della facciata della chiesa di Santa Maria Novella, e della
-loggia nella Vigna dirimpetto alla casa mia„. E ringrazia messer
-Domenedio,„ d'averlo fatto “creatura razionale,„ cristiano e non
-“turco, moro, o barbaro„, d'averlo fatto nascere “nelle parti d'Italia,
-la quale è la più degna e più nobile parte di tutto il cristianesimo,
-e nella provincia di Toscana la quale è reputata delle degne provincie
-ch'abbi l'Italia„, e altresì d'avergli dato la vita nella “città di
-Firenze, la quale è reputata la più degna e la più bella patria che
-abbi non tanto il cristianesimo ma tutto l'universo mondo„, e infine
-d'avergli dato l'essere “nell'età presente, la quale si tiene per li
-intendenti ch'ella sia stata e sia la più grande età che mai avessi
-la nostra città poi che Firenze fu edificata.... per esser stato al
-tempo del magnifico cittadino Cosimo di Giovanni de Medici„. — E più lo
-ringraziava d'avergli concesso d'allearsi con lui, per il matrimonio
-della Nannina figlia di Piero e nipote di Cosimo, con il proprio
-figliuolo Bernardo, splendido parentado di che il Rucellai insuperbiva.
-
-Firenze allora celebrava, senza temere i rigori delle leggi suntuarie
-cadute in disuso, le feste nuziali delle grandi famiglie. Le nozze
-di Baccio Adimari con la Lisa de' Ricasoli, celebrate nel 1420, ci
-son rappresentate da un'antica tavola della Galleria dell'Accademia
-di Belle Arti, e vediamo gli sposi con la loro accompagnatura danzare
-sotto un padiglione a strisce di vari e ridenti colori, al suono d'una
-musica di trombe e di pifferi; ma di queste del Rucellai con la Medici,
-che ci danno l'imagine della vita d'allora, vogliamo tentare un quadro
-di cui ci fornirà le linee, i colori e il disegno lo _Zibaldone_ del
-buon vecchio che ne serbò caro e pregiato ricordo.
-
-
-Dorati dal fiammante sole di giugno, i festoni di verzura si
-distendevan superbi da un lato all'altro della via, levando in alto gli
-scudi, la metà coll'arme de' Medici e la metà coll'arme de' Rucellai.
-Le pietre ruspe della facciata che la magnificenza di Giovanni Rucellai
-aveva pochi anni innanzi fatto murare, come credesi, da Leon Battista
-Alberti, acquistavano quasi nuovo colore coperte com'erano dagli
-smaglianti parati e dalle ghirlande di fiori penzolanti da' pilastri
-dorici del primo piano e dai pilastri corinti del secondo e del terzo.
-Dirimpetto al palazzo, nella piazzuola di fronte alla loggia, era stato
-eretto un palco che aveva la figura d'un triangolo. Lo copriva, per
-difesa del sole, un cielo di panni turchini adornato di ghirlande,
-in mezzo alle quali sbocciavano freschissime rose; mentre di sotto,
-sull'assito di legno, si stendevano arazzi preziosi, che paravano anche
-le panche messe lì torno torno per comodo d'aspettare, e le spalliere
-chiudenti in giro il vago recinto. I lembi del gran velabro turchino
-scendevano qua e là fino a terra, come aeree colonne. Da una parte
-di quel gran padiglione sorgeva una credenza su cui splendevano vasi
-e piatti d'argento lavorati a rilievo da quanti più valenti orafi ed
-argentieri noverasse allora Firenze: e la ricchezza di quegli arredi
-annunciava la sontuosità del convito che apparecchiavasi.
-
-Nella via di fianco al palazzo s'eran poste le cucine, dove fra cuochi
-e sguatteri lavoravano cinquanta persone. Il rumore era grande; via
-della Vigna da un capo all'altro era piena di gente: agli artefici che
-avevan preparato gli addobbi, succedevano i messi che portavano i doni
-degli amici, dei clienti, del parentado: i contadini, i giardinieri,
-i bottegai, gli speziali che portavano le vettovaglie; i pifferi e
-i trombetti che preparavan le musiche: i giovani cavalieri che si
-accingevano agli armeggiamenti nuziali.
-
-Quella domenica — era l'otto giugno del 1466 — poco dopo il levar del
-sole avea la gente cominciato ad accorrere da ogni parte al palazzo
-dove le nozze dovean celebrarsi: arrivavano, cara e promettente
-vista ai curiosi, vitelle squartate, barilozzi di vino greco, capponi
-quanti ce ne possono stare appiccati a una stanga portata a spalla
-da due robusti villani, stangate di formaggi di bufalo, coppie di
-paperi, barili di vino comune e di scelto trebbiano, corbelli pieni
-di melarance, ceste di pesci di mare grandi e odorosi, paniere di
-pesciolini d'Arno con le squame d'argento, caprioli, lepri, giuncate.
-— Venivano, portate dagli ortolani dei monasteri, cestelline di
-zuccherini, di berlingozzi e d'altre dolcissime delicature preparate
-dalle candide mani di monacelle gentili: venivano a gran fatica,
-dondolando la testa fronzuta, e barcollando sui carri tirati da bovi
-sbuffanti un magnifico ulivo di Carmignano, e ginestre e quercioli
-tolti alla villa di Sesto, co' fiori che la ridente stagione donava in
-gran copia.
-
-Dovevano i regali aggiunger magnificenza alla festa, ed esser degni
-di chi li offriva, e testimoniare insieme l'affetto o la reverenza che
-portavano i donatori alle due insigni famiglie che con quegli sponsali
-faceano alleanza. Il giovane Bernardo Rucellai, diciassettenne appena,
-andava sposo alla Nannina figlia di Piero e nipote al gran Cosimo de'
-Medici, ed il vecchio Giovanni Rucellai con quelle nozze si levava di
-dosso il sospetto d'esser nemico alla parte Medicea che, dopo l'esilio
-di Cosimo, era tornata più forte di prima in Firenze. Era un parentado
-architettato con sommo studio, che ridondava a decoro della famiglia
-sua, quanto la facciata di Santa Maria Novella fatta fare all'Alberti,
-e la cappella in San Pancrazio, e il palagio e la bellissima loggia
-corinzia di Via della Vigna.
-
-Sottile ingegno avea quel maestoso vecchio con la fronte alta ed
-aperta, il naso aquilino e i fulgidi occhi di un profondo color
-cilestro, che pare ancor vivo nella cornice d'un suo antico ritratto.
-Abbondanti capelli gli scendono in ricche anella sulle spalle e una
-lunga barba gli ondeggia sul petto, conservando ancora alcune tinte
-dorate frammiste al grigio della vecchiaia, e con i freschi colori
-del viso dimostrando una longevità vigorosa. Lo vediamo seduto in
-un seggiolone a bracciuoli, coperto di velluto cremisi a frangia e
-borchie d'oro; veste una tunica verde scura ed è ravvolto in un lucco
-purpureo a risvolte di velluto cremisi. Cogli occhi guarda in alto e
-lontano come pensando a cose che non sono di questo mondo. Ma la mano
-destra, adorna di un anello con un grosso brillante, si appoggia con
-forza al bracciale del seggiolone, e la sinistra aperta accenna ad un
-codice, ben rilegato, che gli è squadernato dinanzi, sur una pagina
-del quale leggesi il titolo _Delle Antichità_. Accanto ad esso alcune
-lettere dissigillate con l'indirizzo all'_illustrissimo signor Giovanni
-Rucellai_. Dietro una tenda di colore scuro, in uno sfondo azzurro son
-disegnate con grandissima diligenza ed esattezza le sue opere di pietra
-e di marmo, la facciata di Santa Maria Novella, la cappella di San
-Pancrazio, il palazzo e la loggia. Quel dipinto compendia l'uomo e le
-sue glorie: un ricco mercante che poteva diventar parente del magnifico
-Cosimo di Giovanni de' Medici, il quale — com'ei diceva — è stato ed
-è di tanta ricchezza e di tanta virtù e di tanta grazia e riputazione
-e seguito, che mai non fu simile cittadino nè di tante buone parti e
-condizioni quante sono state e sono in lui.
-
-Ma torniamo alle nozze. Giovanna dei Medici venne a marito quel
-giorno stesso, accompagnata, com'era costume, da quattro cavalieri de'
-maggiori della città, messer Manno Temperani, messer Carlo Pandolfini,
-messer Giovanozzo Pitti e messer Tommaso Soderini. _Veniam_ cioè
-_verrò_ era scritto, secondo l'uso d'allora su certe cartellette
-appiccate alle panche parate d'arazzi che eran disposte sotto al
-padiglione fiorito; e la sposa vi venne, e in su quel palco soffice per
-i ricchi tappeti si danzò e si festeggiò a suon di musiche, aspettando
-i desinari e le cene.
-
-Convennero alle nozze 50 gentildonne riccamente vestite e similmente
-50 giovani in abiti bellissimi. Durarono le feste dalla domenica
-mattina alla sera del martedì successivo, e i conviti si tenevano
-due volte al giorno. Comunemente si convitavano a ciascun pasto
-cinquanta tra parenti e amici e cittadini de' principali, per modo
-che alla prima tavola, contando le donne e le fanciulle di casa,
-i pifferi ed i trombetti, mangiavano 170 persone. E alle seconde e
-terze tavole dette “tavole basse„, mangiava gente assai, tantochè ad
-un certo pasto s'ebbero fin 500 persone. Le vivande, che eran quelle
-prescritte dall'uso, furono squisite e abbondanti: la domenica mattina
-si dettero capponi lessi e lingue, e un arrosto di carne grossa, e
-uno di pollastrini dorati con lo zucchero e l'acquarosa: la sera la
-gelatina, l'arrosto grosso e quello di pollastrini con frittellette.
-Il lunedì mattina, bianco mangiare, coi capponi lessi e salsicciuoli
-e arrosto grosso di pollastrini; la sera le solite portate, e più una
-torta di pappa, mandorle e zucchero che dicevasi _tartara_. Il martedì
-mattina, arrosto di carne grossa e di quaglie, e la sera i consueti
-arrosti e la gelatina. Alle colazioni uscivano fuori in sul palchetto
-venti confettiere di pinocchiati e di zuccherati, che si distribuivano
-a profusione.
-
-La spesa di questi conviti ascese a più che 6000 fiorini (circa 150000
-lire), somma per quel tempo ingentissima. Si comprarono settanta staia
-di pane, duemilaottocento pani bianchi, quattromila cialdoni, cinquanta
-barili di trebbiano, tremila capi di pollame, mille e cinquecento uova,
-quattro vitelli, venti catini di gelatina; e si arsero in cucina dodici
-cataste di legna. — Pareva addirittura il regno dell'abbondanza.
-
-Il martedì sera, parte dei giovani che erano stati invitati alle
-nozze fecero gli armeggiamenti secondo l'usanza, movendosi dal Palazzo
-Rucellai fino al canto dei Tornaquinci, e di poi in Via Larga sotto il
-Palazzo dei Medici.
-
-La sposa, chi voglia sapere il corredo e i regali che ebbe, ricevè da
-diversi parenti non meno di venti anelli; e sei dallo sposo, due quando
-la tolse, due _dello sposalizio_, due nella mattina che si donavano
-le anella. Da Bernardo ebbe cento fiorini e più altre monete: le si
-fecero ricchi vestimenti: uno di velluto bianco ricamato di perle,
-di seta e d'oro con maniche aperte foderate di candide pellicce: uno
-di _zetani_, drappo di seta molto massiccio, guernito di perle con le
-maniche foderate d'ermellino.
-
-Ebbe poi una _cotta_ o vestito di damaschino bianco broccato d'oro
-fiorito, con maniche adorne di perle, e un'altra cotta di seta con
-maniche di broccato d'oro cremisi ed altri vestiti e sopravvesti,
-chiamate allora _giornee_. — Fra le altre gioie ebbe una ricca collana
-con diamanti, rubini e perle del valore di 1200 fiorini, e uno spillo
-da testa, e un vezzo di perle che avea per pendente un grosso diamante
-a punta, e un cappuccio ricamato di perle e una reticella di perle
-grosse. — La dote, che oggi parrebbe scarsa, fu di 2500 fiorini (circa
-60 000 lire), compreso il corredo, nel quale si notano un paio di
-forzieri con le spalliere riccamente lavorati, e dieci fra _cioppe_,
-_gamurre_ e _giornee_, cioè vestiti lunghi di varia forma di finissime
-stoffe, e sontuosi ricami d'oro e di perle: una camicia di _renso_
-(tela bianca fine operata proveniente da Reims), una cuffia o testiera
-di stoffa cremisi lavorata di perle, due berrette con argento, perle
-e diamanti, un _libriccino_ da messa miniato con fermagli d'argento e
-un _Bambino_ Gesù in cera con la veste di damasco ricamata di perle.
-Inoltre stoffe in pezza, rasi, damaschi, velluti, guanciali ricamati,
-cinture, borse, anelli da cucire, agorai, pettini d'avorio, 4 paia di
-guanti, un _cappello_ alla milanese con frangie, otto paia di calze,
-tre specchi, un bacino e un mesciacqua a smalto d'argento, un ventaglio
-ricamato o _rosta_, e molte altre cose che non si contano.
-
-
-XII.
-
-Tre anni appresso, nel giugno 1469, le nozze sfolgorate, da vero
-principe, di Lorenzo dei Medici con Clarice Orsini, che riuscirono una
-pubblica festa, un vero carnasciale. “_Tu felix, Florentia nube!_„
-
-Non c'indugeremo a descriverle, sulla traccia dell'informazione che
-ne dette Piero Parenti a Filippo di Matteo Strozzi, suo zio materno,
-che allora stava in Napoli, ed è il fondatore del bel palazzo di
-Firenze, monumento della grandezza di questa famiglia. Quei conviti,
-quelle magnificenze ponevano in grave impaccio le gentildonne che vi
-erano invitate e dovevan comparirvi, secondo la dignità della casata,
-con robe e cotte di broccato di gran valuta. Mentre il “Babbo„ era
-“a Napi„[75], come aveva imparato a balbettare il piccolo Alfonso,
-figlio di Filippo Strozzi e della bella e buona Fiammetta di Donato
-Adimari, la giudiziosa donna volle piuttosto far l'ammalata, e non
-v'intervenne[76].
-
-Anche noi vogliamo seguirne l'esempio, e piuttosto cercare ne'
-documenti contemporanei alcun accenno alle intimità della vita
-domestica, che fra tanto pubblico scialo, si facevan sempre più rare. E
-ci sarà grato trovarlo nelle letterine che il figlio di quelli sposi,
-Piero de' Medici, scriveva a suo padre, mentr'era in villa o altrove,
-raccomandato alle cure del suo pedagogo Messer Agnolo Poliziano. Le ha
-tratte dagli originali del nostro Archivio di Stato, il Del Lungo che
-saprà a' loro luoghi ricollocarle nella _Vita_ dell'Ambrogini, antica
-promessa ringiovanita con lui.
-
-A Piero de' Medici molto si perdonerebbe in grazia di queste letterine,
-vergate con mano incerta dai cinque anni in poi, e dei primi latinucci
-che il maestro _non_ correggeva. Nel 1476, appena cinquenne, scriveva
-di villa alla nonna Lucrezia Tornabuoni, con la petulanza d'un nipotino
-guastato dalle carezze. “Rimandateci parecchi fichi, chè quegli
-mi piacquono; dico di quelli brugiotti: et mandateci delle pesche
-col nocciolo, et delle altre cose che voi sapete che ci piacciono,
-zuccherini et berlingozzi ed altre coselline.„ Nel '78 avvertiva il
-padre d'aver “apparato già molti versi di Virgilio, e so quasi tutto
-il primo libro di Teodoro a mente, e parmi d'intenderlo„, cioè la
-grammatica greca di Teodoro Gaza (il _Curtius_, d'allora). “El maestro
-mi fa declinare et mi examina ogni dì.„
-
-L'anno appresso scrive più franco: “Vorrei che Voi ci mandassi qualche
-segugio de' migliori che vi sono. Non altro. La brigata, ognuno si
-raccomanda a voi, massime io. Priegovi che vi guardate dalla moría,
-e che voi vi ricordiate di noi, perchè noi siamo piccini e abbiamo
-bisogno di voi.„ Un'altra volta, passato alcun tempo, cerca profittare
-del latino imparato per chiedere cose maggiori: “Quel cavallino non
-si vede. _Nondum venit equulus ille, magnifice pater_„ e già comincia
-a far da sopracciò ai fratellini. “Giuliano pensa a ridere.... la
-Lucrezia cuce, canta e legge; la Maddalena batte le capate pe' muri, ma
-senza farsi male; la Luisa dice già parecchie cosine; la Contessina fa
-un gran chiasso per tutta la casa.„ E appresso: “Io, che per dar più
-tono alla mia scrittura, ho scritto sempre in latino, non ho ancora
-ottenuto il cavallino che m'avete promesso; cosicchè tutti mi danno la
-baia.„ Ma il _cavallino_ non veniva. “Al cavallino ho paura gli sia
-incolto qualche malanno; perchè, se fosse sano, so che me l'avreste
-già mandato, come m'avevate promesso.... Caso mai quello non possa
-venire, vi piaccia mandarne un altro.„ Finalmente arrivò, e un'ultima
-lettera, ch'è di ringraziamento e tutta piena di buone promesse, chiude
-quest'infantile carteggio.
-
-Ma il curioso bozzetto domestico di vita medicea, che ha per isfondo la
-campagna e per scena una di quelle ville dove i Medici si riducevano
-per dimenticare le noie della politica, anche ci ricorda un altro
-aspetto della vita d'allora. Il desiderio della quiete campestre,
-l'amore per la villa, il sentimento della natura è una spiccata
-caratteristica degli uomini della Rinascenza. Già ne troviamo cenni
-in Ser Lapo Mazzei che usava andare a Grignano a far le faccende della
-ricolta e della vendemmia[77], accomodava da sè la vigna, e voleva in
-casa un po' di buon aceto. Buonaccorso Pitti, come il Petrarca, gode
-a noverare tutti gli alberi del suo giardino[78]; il Rucellai è più
-superbo della sua villa di Quaracchi, di cui ci porge una descrizione
-amorosa, che del suo palagio magnifico[79]; i trattatisti del _Governo
-della famiglia_[80] cantano le lodi della vita rustica: il Poliziano ne
-compone una prosetta da far voltare in latino a' discepoli[81], e nello
-sfondo di un paesaggio fiorito disegna l'immagine della bella Simonetta
-Cattaneo[82].
-
-
-XIII.
-
-Lorenzo de' Medici (mediocre marito), anche in mezzo alle grandezze
-della sua condizione d'ottimate e quasi di principe, seppe conservare
-una certa bonarietà tutta casalinga e fiorentina; nè gli dispiacque
-incanagliarsi col volgo, all'osteria della Porta a San Gallo, e
-celebrar le bellezze della _Nencia_ rusticana, e serbare nel fasto una
-sobrietà cittadina.
-
-Racconta il Borghini che Franceschetto Cibo, cui dava in isposa la
-figliuola, fu da Lorenzo trattato con grande semplicità e parsimonia,
-mentre i suoi compagni, cavalieri e baroni romani, ebbero sontuose
-accoglienze. E a lui, impensierito per la figura che avrebbe fatta
-con loro, rispose rassicurandolo: “Onorai que' signori come ospiti
-e forestieri; te invece accolsi come uno di mia famiglia[83].„ A'
-clienti dava udienza per istrada, o al canto del fuoco, o passeggiando
-amichevolmente per le vie di Firenze[84]. Fiorentino nell'anima, non
-gli dispiaceva d'essere e di mostrarsi faceto. Vedendo a Pisa uno
-scolare guercio, disse che e' sarebbe il più valente di quello Studio.
-E domandato perchè, rispose: “perchè e' leggerà a un tratto le due
-facce del libro, e così potrà imparare a doppio„[85].
-
-Ma sotto coteste semplici apparenze covavano i disegni del politico
-astuto che, come scrive il Vettori, “non istudiò in altro se non
-in ridurre gli uomini alle arti e ai piaceri„, e la protezione alle
-arti e agli artisti volle strumento a futura dominazione. Col denaro
-mediceo si alzavano palazzi e conventi, e dentro vi si raccoglievano
-antichità e libri; ne' giardini si radunavano gli artisti; alle
-cene accorrevano i poeti; si bandivano giostre e giuochi del calcio,
-concorsi poetici e feste religiose: la clientela politica del palazzo
-era resa più gagliarda da quella dei sommi artisti delle umili
-botteghe. Il Savonarola che del tiranno aveva indovinato i segreti
-pensieri, diceva: “occupa il popolo in spettacoli e feste, acciocchè
-pensi a sè, non a lui„. Firenze a' suoi tempi vide nascere, o crescere
-più rigogliose, molte forme di costume e molti generi di poesia; dai
-trionfi e dalle mascherate per le vie ai simposj platonici di Careggi;
-dal canto carnascialesco e dalle ballate a rigoletto, alle Sacre
-Rappresentazioni. La gaiezza spensierata e il facile appagamento dei
-desiderj, così negli ordini dello spirito come in quelli della materia,
-servirono a compensare la diminuzione delle pubbliche libertà[86].
-
-La città gaudente, che da un pezzo risonava di clamori festivi,
-accolse lieta il gran carnevale mediceo, que' sontuosi apparati, quelle
-processioni ordinate dalle confraternite de' vari quartieri e dirette
-da artisti. La paganità rinascente invadeva le feste religiose e le
-trasformava a' suoi fini. In carnevale si facevan carri e trionfi “per
-parere (dice mestamente il Cambi) che la città fussi in festa e in
-buono stato„. In Mercato Nuovo si danzava, nella Piazza de' Signori si
-facevano combattimenti d'animali, e fra essi si sguinzagliarono i leoni
-sperando ne seguissero terribili scene. Ma il leone fiorentino era
-così mansuefatto, che “come fosse un agnel si stava cheto„[87]. In via
-Larga, dinanzi al palazzo de' Medici, correvano a gara gli armeggiatori
-e si celebrava il trionfo d'amore. Per la venuta di Franceschetto
-Cibo, novamente maritato alla Maddalena di Lorenzo il Magnifico, si
-fecero in tutte le botteghe “mostre di cose gentili e ricche e drappi,
-e broccati, e gioie di perle e argenterie, che è stato cosa stupenda
-e miranda bellezza„. Per San Giovanni, s'apparecchiò “una bella festa
-di nugoli e di spiritelli e carri ed altri festivi edifici e ingegni
-popolari da passar tempo, e con tutte l'altre cose festive, ordinarie
-altre volte„. Si correvano palii di sfoggiata magnificenza, e la torre
-del Palagio rosseggiava tra i fuochi delle scoppiettanti girandole.
-
-Nel far cavalieri e ricevere oratori, l'eccelsa Signoria, usava
-cerimonie solenni di cui troviamo ricordo nel libro di Francesco
-Filarete, araldo della Repubblica[88].
-
-Nel 1491, per la festa di San Giovanni, Lorenzo fece fare 15 edifizi
-o trionfi, rappresentanti il trionfo di Paolo Emilio, reduce dalla
-Macedonia, quando tornò con tanto tesoro che i Romani per molti e molti
-anni non pagarono nessuna gravezza[89].
-
-
-XIV.
-
-Pareva rinnovarsi l'età dell'oro! Le giostre medicee, che aveano
-inspirato le ottave del Poliziano, stimolavano anche gli altri
-cittadini a largheggiare nelle spese più pazze. Benedetto Salutati,
-nipote di Messer Coluccio, per quella del 1467, “nella sopravveste,
-testiera ed altri paramenti di due cavalli _mise_ 170 libbre di
-fino argento, che volle sottilmente lavorato per mano d'Antonio del
-Pollajuolo. E ne' ricami dei detti paramenti, nella sopravveste sua e
-nelle cioppette de' sergenti mise intorno a 30 libre di perle, la più
-parte di maggior pregio„[90].
-
-Firenze, abbellivasi di sontuosi palagi. Filippo Strozzi incominciava,
-il 6 agosto '89, a fondare il suo, e Giuliano Gondi poco appresso ne
-imitava l'esempio. Il popolo ne andava orgoglioso, e il buon Tribaldo
-De Rossi, per memoria del fatto, si fece mandare dalla Nannina sua
-donna, tutti rivestiti i suoi due figliuoli e menatili a vedere i
-fondamenti del palazzo Strozzi “prese Guarnieri in collo e guatava
-colaggiù, e dettili un quattrin gigliato, e gittollo laggiù, e un mazzo
-di roselline di Damasco c'aveva in mano ve li feci gittar drento.
-E dissi: Ricorderàitene tu? Disse, sì. Insieme con la Tita nostra
-serva erano, e Guarnieri aveva appunto detto di anni 4, e avevali
-fatto la Nannina una gabbanella di taffetà cangiante, verde e gialla,
-nuova„[91].
-
-I ragazzi, come i cittadini più grandi, dovevano esser colpiti dalle
-sorprendenti meraviglie, a cui li avvezzavano le magnificenze medicee.
-Ogni giorno cose nuove e singolari: feste, processioni, cortei
-principeschi. E il De Rossi, semplice cronista, di quegli avvenimenti,
-ci ha conservato il ricordo. Nel 1488, donata dal Soldano di Babilonia
-a Lorenzo, venne in Firenze una giraffa alta sette braccia, ch'era
-menata a mano da un di quei Turcimani. Grande curiosità in tutti,
-perfin nelle monache; onde furon costretti a mandarla attorno pei
-monasteri[92]. “Mangiava d'ogni cosa, nelle ceste d'ogni forese metteva
-il capo; a un fanciullo arebbe tolto una mela di mano, tanto era
-piacevole. Morì a' dì 2 di gennaio 1489„ e tutti la piansero, “perchè
-era sì bello animale„.
-
-
-Ma, d'un tratto, tutta questa serena giocondità di vita, tutto questo
-abbagliante splendore d'arte, di poesia, di spensierata gaiezza,
-si spegne sinistramente. La tempesta rumoreggia lontano, la collera
-celeste, profetizzata dal fiero domenicano che nel convento di San
-Marco, fra lo strepito del carnevale, medita solitario, minaccia i
-rinnovellati trionfi del paganesimo. L'8 di aprile 1492, come di una
-pubblica calamità, giunse la nuova della morte di Lorenzo de' Medici.
-“Lo splendore di tutta Italia, non che di Toscana,„ come scriveva
-il Dei, era scomparso. La sera appresso, la compagnia de' Mazzi
-riponeva il corpo nella sagrestia di San Lorenzo, e l'altro dì si fece
-l'onoranza, “non con molta pompa, come i loro antichi son consueti, ma
-onestamente e senza drappelloni, con tre regole di frati e una di preti
-solo; che in vero, non si poteva tanta pompa fare, che maggiore non
-fosse stata poca a un tanto uomo„[93].
-
-Con così lugubri esequie, nel gelo de' sepolcri laurenziani si
-chiudevano, con le spoglie del Magnifico, i ricordi di tutta una
-età che apparve radiante di gloria e di giovinezza. Il mondo della
-Rinascenza scompariva, e poco dopo, scrive Tribaldo De Rossi, “venne
-una lettera alla Signoria che certi giovani, iti con caravelle,
-arrivarono a cert'isole grandissime, che mai più vi si navigò per
-nazione umana, popolate d'uomini e donne assai, tutti ignudi„.
-
-Un nuovo mondo era stato scoperto!
-
-
- _Signore e Signori._
-
-Rotta la terza cerchia delle sue mura, Firenze, fatta italiana, piantò,
-sotto la folgorata torre di San Miniato, come un segnacolo di libertà
-il David di Michelangiolo, glorioso mutilato nei tumulti del 527,
-testimone immortale delle miserie antiche e delle future grandezze.
-Dalla cima del colle e' guarda Firenze nuova, Firenze aperta da
-ogni lato, senz'altra difesa di mura, di bastioni o di torri; perchè
-Firenze, cuore d'Italia, si difende oggi dalle Alpi e dal mare.
-
-La patria, un tempo ristretta nel Comune, nel piccolo Stato, ha
-abbattuto le vecchie mura e i vecchi confini, e si distende per ogni
-plaga dove suoni la lingua di Dante. Così la ragione de' popoli e la
-civiltà, si sono affermate nel diritto e nella carità umana.
-
-Tornare indietro nè si può nè si vuole: la semplice vita de' nostri
-antichi, con la gioconda serenità che le fu propria, più non ci
-alletta. Il pensiero moderno, che ci travaglia e tortura coi dubbi
-tormentosi, con le aspirazioni insoddisfatte, lo redammo da tante
-sublimi e nobili intelligenze: è una conquista superba cui non possiamo
-rinunziare.
-
-In esso è la forza che muove la scienza e che solleva i cuori e gli
-spiriti verso un ideale più alto, l'ideale del perfezionamento umano:
-il nuovo sole che irradia le vette eccelse della carità e dell'amore.
-
- Firenze, 17 aprile 1892.
-
-
-
-
-LA DONNA FIORENTINA
-
-nel Rinascimento e negli ultimi tempi della libertà
-
-DI
-
-ISIDORO DEL LUNGO.
-
-
-I.
-
-Pel San Giovanni del 1473, al consueto festeggiar cittadino si
-aggiungeva la solennità del ricevimento fatto, come la Repubblica
-artigiana soleva e i Medici favorivano, con principesca magnificenza
-a Eleonora d'Aragona figliuola del Re di Napoli, la quale andava
-sposa ad Ercole d'Este, duca di Ferrara e di Modena. Entrata in
-Firenze il 22 giugno, ella trovava nel suo massimo sfoggio la mostra
-che delle proprie ricchezze avevano apparecchiata le botteghe dei
-mercatanti; assistè alla processione delle Compagnie co' fanciulli
-vestiti di bianco in forma di “agnoletti„; vide i “dificii„ o macchine
-fantasmagoriche, che in sulla Piazza della Signoria rappresentavano
-Storie dell'Antico Testamento e del Nuovo; vide l'offerta che al
-tempio del Santo Patrono portavano la Signoria e gli altri magistrati
-del Comune e delle Arti, le Compagnie del Popolo coi gonfaloni,
-parte Guelfa, e poi i Signori e Comuni sottoposti o raccomandati,
-recanti palii, ossia drappi, di gran pregio e bellezza e grandi ceri
-istoriati e fioriti; e con l'olivo in mano l'offerta de' prigioni e
-de' condannati (quella a cui Dante non si sottomesse); e finalmente,
-nel pomeriggio del dì 24, i barberi, già prima offerti ancor essi, che
-correvano il palio di San Giovanni, un palio ricchissimo di broccato
-d'oro, dal Prato su per la Vigna pel Mercato e pel Corso verso Porta
-alla Croce, tal quale noi che non siam più giovani possiamo ricordarci
-d'aver veduto. Ma nessun di noi potrebbe da' ricordi suoi giovanili
-evocare ciò che nel 1473 fu dato a godere, in quelle feste, a madonna
-Eleonora: un ballo, là su que' prati donde i barberi pigliavan le
-mosse, un ballo alla dolce aria profumata de' giardini e delle loggie,
-in uno de' palagi, quello de' Lenzi, dov'è oggi la Galleria Pisani, che
-fronteggiavano coteste estreme parti della città verdeggianti lungo
-le rive dell'Arno. Tacciono di quel ballo i diarii: sulle cui aride
-pagine, a ogni modo, voi cerchereste inutilmente, signore gentili,
-descriversi dal giornalista di quattro secoli fa gli abbigliamenti
-delle vostre antenate; e sotto quali colori d'abito e con qual dottrina
-di linee, presentassero esse al desiderio de' loro innamorati quelle
-bellezze, che all'ammirazione nostra sopravvivono nelle tavole del
-Botticelli e negli affreschi del Ghirlandaio. Un ballo fiorentino
-de' tempi del Rinascimento; non dominato e quasi sopraffatto dallo
-scintillio de' doppieri, ma lumeggiato soavemente dal sole che
-di là dal Pignone tramonta; nè turbinato fra le vorticose battute
-orchestrali, ma sposato sulle corde flebilmente amorose del liuto
-e della viuola alle gentili baldanze ottonarie della Canzonetta che
-appunto dal Ballo s'intitola; meritava cronista un poeta. Permettetemi
-ch'io vi traduca dal latino di Angelo Poliziano quel Corriere del mondo
-elegante d'allora: distici levigatissimi, dove le realtà della vita
-s'intrecciano con le concezioni dell'arte, il vero col fantastico, il
-fiorentino, il cristiano, con la classica paganità; circola l'aria che
-respiravano i letterati nella Firenze del magnifico Lorenzo.
-
-“Apollo con la rosea faccia ha menato il giorno che riconduce la
-festa del selvaggio Batista san Giovanni; quando alla città che fu
-colonia di Silla ferma le candide vestigia, per riposarsi dal lungo
-cammino, la figlia del Re, che, lasciata la città delle Sirene, va
-sposa ad Ercole. Festeggiano a gara il suo arrivo fanciulli, giovani
-e vecchi, e le matrone e splendide di fresca bellezza le spose: tutta
-la città si anima, d'ogni dove rumoreggia l'allegria. V'è una strada
-che i Sillani (i Fiorentini, parafrasati in latino) chiamano Pantagia
-(Borgognissanti, ribattezzato in greco), dove sorge splendido un tempio
-dedicato a tutti i Celesti. Colà s'inalza superbo il palagio de' Lenzi:
-ivi presso ride la verde distesa de' prati, e de' colori primaverili
-si dipinge fiorito il terreno. Quivi, mentre i corsieri scalpitanti
-aspettano, in sulle mosse, il canoro segnale della tromba Tirrena, la
-regal fanciulla si abbandona ai sollazzi delicati della danza; ed ecco
-atteggiarsi le gentili donne al tempo misurato e all'intreccio de'
-balli. Innanzi alle altre ninfe risplende Albiera bellissima, e di sua
-bellezza sparge a sè dintorno il tremulo splendore. Mossi dal vento
-diffondonsi i capelli sulle candide spalle, i neri occhi raggiano di
-luce soave: pare, fra le sue compagne, la stella del mattino il cui
-rossore purpureo vince gli astri minori. Giovani e vecchi ammirano
-Albiera: sarebbe di ferro chi non si commovesse a quella verginale
-bellezza: lietamente, plaudendo, col cenno, con gli sguardi, con la
-voce, tutti lodano Albiera.„
-
-Albiera di Maso degli Albizzi era una giovinetta fra i quindici e i
-sedici anni, fidanzata a Gismondo della Stufa. S'ammalò, subito dopo
-quel ballo, e in capo a pochi giorni morì. “Ahi povera Albiera!„
-sentite ancora il suo poeta: “così giovinetta, rubata ai genitori, allo
-sposo! Va' ora, e confida nelle umane fortune! Ecco disfatte da morte
-crudele, o Albiera, le tue bellezze: disfatto il tuo viso di gigli e
-rose; i tuoi occhi gioiali, dove Amore accendeva le sue fiaccole; i
-capelli, che o scioglievi abbondanti, e parevi Diana cacciatrice, o
-raccoglievi in diadema d'oro, ed era l'acconciatura di Citerea: gli
-Amorini, le carezzevoli Grazie, ti facevano bella, senza che tu il
-sapessi: ogni virtù ti adornava, modestia e serietà di contegno, senno,
-pudore, lealtà, gioialità, bel costume, bel tratto, schiettezza: tutto
-ormai divenuto un pugno di cenere!„
-
-In altre parti della elegia lunghissima è mitologizzata la malattia
-e la morte d'Albiera. La sua bellezza ha attirato il bieco sguardo
-di Nemesi, la dea che con misteriosi decreti governa le umane
-vicende. Ritirasi la giovinetta alle sue case, finito il ballo, in
-sull'annottare; nell'ora, o Signore, nella quale a voi, pe' balli
-vostri, cominciano appena le operazioni della toeletta. E coricata
-ch'ella è, si appressa al suo letto la Febbre, nume orribile, del
-quale e del suo corteggio vi risparmio la descrizione, e che Nemesi ha
-sospinto verso quella povera casa. I genitori, i fratelli, lo sposo,
-pendono per dieci giorni ansiosi dal viso dell'inferma, pallido e
-trasfigurito. Ella dà gli estremi addii a que' suoi cari e alla vita,
-che, incominciatale appena, sente sfuggirle; e muore fra il pianto
-disperato della sua casa. Il lutto e la pietà de' cittadini circondano
-il corpo inanimato. La morte ha ricomposto il suo volto a pace soave:
-pare che dorma. La ninfa, vittima della dea Nemesi e della dea Febbre,
-ha esequie cristiane; e il distico ovidiano di messer Angelo colorisce
-anche quelle. Ecco il trasporto; ecco con la nera coltre la bara: ella
-distesavi su, coi capelli recisi, e in capo una umile ghirlanda. Le
-salmeggiano intorno i preti; le campane suonano a morto: segue, in
-veste di lutto, la cittadinanza; fra quella, lo sposo, che tutti si
-mostrano a dito, compassionando. La chiesa di San Pier Maggiore arde di
-ceri, è profumata d'incensi: si fa l'assoluzione e la benedizione: e le
-tombe degli Albizzi, in quella stessa chiesa, si aprono a ricevere la
-giovine fidanzata; forse, come si soleva, in abito di monacella: il che
-non dice il Poeta; ma que' capelli tagliati ce ne danno, a mio avviso,
-argomento più che probabile. La musa latina dell'umanismo fiorentino
-consacrò, non con la sola elegia e con altri minori epicedii del
-Poliziano, il nome d'Albiera: elegiaci e ricordanze su quella morte e
-quei funerali abbondano, in copia anche maggiore che pei funerali della
-bella Simonetta, morta soli due anni dopo la fanciulla degli Albizzi.
-
-Ma alla Simonetta Cattaneo, genovese, venuta nel 69 sedicenne sposa in
-Firenze a Marco Vespucci pur sedicenne, e mancata di mal sottile nel
-76, l'arte dette anche in altre forme gli onori dell'apoteosi. E mentre
-delle fattezze verginali di Albiera non ci è rimasta testimonianza
-(salvo se qualche benemerito investigatore riuscisse a trovare il
-busto marmoreo nel quale sappiamo dal Poliziano averla fatta rivivere
-lo sposo), per la Simonetta, invece, si è impacciati a scegliere fra
-più d'uno il ritratto vero: o vuoi quello che è nella Galleria de'
-Pitti, attribuito al Botticelli, di una bionda delicata, dal collo
-assai lungo, dal viso intento e gentilmente pensoso, in acconciatura
-modesta e casalinga, da riferirsi piuttosto a un mezzo secolo innanzi;
-o vuoi l'altro, sotto il quale è stato apposto il nome di lei, e che
-si conserva a Parigi nella galleria del Duca d'Aumale, creduto del
-Pollaiuolo o di Piero di Cosimo, ed è essa pure una figurina delicata e
-gentile, ma di gaia e vivace bellezza, nudi il collo (anche di questa
-assai lungo) e il seno e le spalle, i capelli tirati all'indietro
-o avvolti in giri artificiosi con grande intrecciamento di perle e
-pietre, e pendente sul petto un monile intorno al quale si rigira un
-aspide; o che dobbiamo infine ravvisarla, come altri propone,[94]
-in una delle figure allegoriche di quella misteriosa Primavera del
-Botticelli, guidati da certi singolari riscontri che la composizione
-del fantasioso maestro offre con le _Stanze_ del Poliziano, dove
-è ritratta e designata per nome (pur nell'atto di trasfigurarla
-in Ninfa delle più autentiche), e poeteggiata, con buona pace del
-marito Vespucci, come innamoratrice di Giuliano de' Medici, appunto
-la Simonetta Cattaneo. Or qualunque ella si fosse la giovane sposa,
-certamente bellissima, che nell'aprile del 76 moriva, basti a noi, pur
-lasciando d'altri suoi celebratori in latino e questa volta anche in
-volgare, che il Poliziano facesse di lei la mitologica eroina delle
-sue _Stanze_; che per la morte sua scrivesse pure epigrammi funebri,
-d'alcuno de' quali il magnifico Giuliano de' Medici, il bel “Iulio„
-delle _Stanze_, proponeva il concetto; e che Lorenzo, a sua volta (il
-che mostra del tutto ideale e poetico il culto dei due fratelli alle
-bellezze della Vespucci), tragga, o finga d'aver tratto, dalla morte
-di lei il motivo a platonizzare poeticamente sull'anima ritornata
-alle stelle. Lorenzo era a Pisa, e dai Vespucci medesimi riceveva di
-giorno in giorno le dolorose notizie. Morta, un suo famigliare gli
-scriveva: “La benedetta anima della Simonetta se ne andò a paradiso,
-come avrete inteso. Puossi ben dire, che sia stato il secondo Trionfo
-della Morte: chè veramente, avendola voi vista così morta come la
-era, non vi saria parsa manco bella e vezzosa che si fosse in vita.
-_Requiescat in pace_„; e Lorenzo, essendo (così ci racconta) una serena
-nottata primaverile, e andando con un amico a diporto, e parlando di
-quella morta, si affisa a un tratto in una stella che mai non gli par
-d'avere veduta così lucente, e “L'anima di quella gentilissima„ esclama
-“o è trasformata in questa nuova stella, o si è congiunta con essa„;
-e un'altra volta, pure in cotesta primavera, passeggiando per una
-delle sue splendide ville, osserva il girasole, anzi Clizia, l'antica
-innamorata del sole, “la sera restar col viso vòlto verso l'orizzonte
-occidentale, che è quello che le ha tolto la visione del sole, insino
-che la mattina il sole la rivolge all'oriente„; e ci vede una immagine
-del nostro destino quando perdiamo chi si ama, che è di rimanere “col
-pensiere vòlto all'ultima impressione„ della “visione„ perduta; ma
-l'orizzonte nostro occidentale, donde il tramonto non ha ritorno, è la
-morte.
-
-È, del resto, notabile come in que' tempi che tante erano, e così
-vigorosamente svolte, e così spesso violente, le energie della
-vita, la morte circondasse di tanta poesia, sebbene caricata di
-tanta oziosa mitologia, agli occhi e al cuore di cotesti uomini
-la idealità femminile: notabile come quei travestimenti di donne
-viventi in ninfe posticcie, pe' quali l'imitazione artistica del vero
-perdeva miseramente tanto tesoro di realtà, si arrestassero, cotesti
-travestimenti, o s'impacciassero dinanzi alla santità delle tombe;
-quando, secondo la figurazione Polizianesca (nelle _Stanze_) della
-morte della Simonetta, l'amante, o il poeta,
-
- Vedea sua ninfa, in trista nube avvolta,
- Dagli occhi crudelmente essergli tolta.
-
-In uno degli epigrammi funebri di messer Angelo per la Simonetta,
-e proprio in quello a cui dette il concetto Giuliano de' Medici,
-“tranquilla in sul punto di morte, si volge, la ninfa, a Dio, in lui
-confidando„; curiosa ninfa, a dir vero, che si raccomanda l'anima:
-come singolar mortorio, altresì, quello che portava verso la chiesa
-d'Ognissanti, alla cappella de' Vespucci, la Simonetta, se intanto,
-strada facendo, Amore, proprio il figliuolo di Venere piovuto non si sa
-come in quell'accompagnamento, saettava tuttavia, standocene a un altro
-di cotesti epigrammi, saettava da' chiusi occhi di lei pur col ricordo
-del loro splendore.
-
-Meglio ispirato il poeta mediceo faceva da un'altra tomba di sposa
-ventenne (cominciammo da un ballo, o Signore, e ci siam persi fra le
-tombe; ma il geniale argomento, ancorachè caduto, come vedete nelle
-mani d'un conversamorti, ci ricondurrà, vi prometto, alle gioie e ai
-travagli della vita), da un'altra tomba di giovine sposa, minor sorella
-dell'Albiera, e ancor essa bellissima, Giovanna degli Albizzi moglie
-a Lorenzo Tornabuoni, morta nel dare alla luce il secondo figliuolo,
-faceva il Poliziano uscire la voce di lei, così: “Gentilezza di
-sangue, bellezza, un figliuolo, ricchezze, amor coniugale, ingegno,
-costume, animo, mi facevan felice: felicità, che la Parca, perfida,
-a viepiù inacerbirmi la morte, mi addimostrò piuttosto che darmi.„ Ma
-buona e pietosa forse possiamo noi oggi dire la Parca; che risparmiò
-a Giovanna di vedere soli nov'anni appresso, nel 97, ne' tempi del
-terrore Piagnone, decapitato a ventinove anni il suo Lorenzo come
-cospiratore mediceo: memorie d'infinita pietà a chi guardi, sulle
-medaglie coniate in onore di lei, le sue forme gentili, e ne' rovesci
-simboleggiate le sue virtù, o con le tre Grazie, sottovi scritto
-Castità, Amore, Bellezza, o con la figura virgiliana della ninfa
-cacciatrice; a chi nella cappella che fu de' Tornabuoni, in Santa
-Maria Novella, la riconosce, nei meravigliosi affreschi di Domenico
-Ghirlandaio, in quella bionda giovanissima gentildonna, che riccamente
-vestita di broccato d'oro campeggia nella storia della Visitazione; a
-chi potesse pur di Giovanna rivedere un altro ritratto, della stessa
-mano del Ghirlandaio, che col nome della madonna Laura petrarchesca da
-un palagio fiorentino trasmigrò ad altri lidi; o a chi rimpianga certi
-preziosi affreschi, che in una villa suburbana del pian di Mugnone
-tornarono, pochi anni or sono, alla luce, solamente per essere divelti
-e travalicati e (sento dire) sciupati oltr'Alpe.
-
-Quanta gentilezza del Rinascimento fiorentino dovette accogliersi
-fra le pareti di quella villa, che nei Tornabuoni rimase dal 1469
-al 1541, e fu dunque villa di Giovanni Tornabuoni, quando questi e
-in Firenze e in Roma, quasi ambedue egualmente medicee, era forse
-il principale agente della fortuna sì mercantile e sì politica della
-poderosa famiglia; quando ei faceva nel 1490 scoprire quella magnifica
-sua cappella, e ci faceva scrivere dal Poliziano la data, “anno 1490,
-nel quale la città bellissima, nobile per ricchezze, vittorie, arti,
-edificii, godeva di abbondanza, di salute, di pace„; quando nel giugno
-dell'86 le nozze del suo Lorenzo con la bella Giovanna erano festa non
-pur domestica ma cittadina. Veniva la sposa a Santa Maria del Fiore,
-in mezzo a un cortèo di cento fanciulle delle maggiori famiglie, e di
-quindici giovinetti vestiti d'un'assisa: assistevano al darsi l'anello
-cavalieri così cittadini come di fuori, e un ambasciatore di Spagna
-al Pontefice. Un Guicciardini e un Castellani accompagnavano la sposa
-alle case de' Tornabuoni, presso alle quali la piazza di San Michele
-Berteldi (oggi piazza San Gaetano) era “messa a palco„ per uso di
-festeggiamento e di ballo: e di là tornati gli sposi alle case degli
-Albizzi, s'imbandiva suntuosamente la cena, essendo messo il terreno
-del palagio egualmente a palco pel ballo, che a lume di doppieri si
-alternava, durante l'intera notte, co' virili giuochi d'una sfarzosa
-armeggeria. Più riposate dolcezze offriva ai giovani sposi la villa.
-Qui viene ad essi il Poliziano, tenerissimo del giovane Lorenzo fin
-quasi a ieri suo valente discepolo; il Poliziano che con affetto quasi
-paterno si compiace d'ogni suo trionfo, così nelle lettere classiche,
-specialmente greche (delle quali spera che toccherà presto la cima);
-come nel poetar volgare, magari anche all'improvviso; come nelle
-giostre della piazza di Santa Croce: viene l'umanista dottissimo a
-intertenersi de' cari studi, a leggere que' suoi stupendi poemetti
-latini le Selve, una delle quali l'_Ambra_, d'argomento omerico insieme
-e mediceo, è dovuta a te (scrive dedicandogliela) per l'un titolo e
-l'altro: viene a esaminare e interpretare le antiche medaglie, della
-cui raccolta in casa Medici il numismatico erudito e diligente è
-appunto Lorenzo Tornabuoni: al quale, e al maestro suo, chi dubiterebbe
-(certi di ciò) d'attribuire, con altre, le medaglie fatte eseguire
-in onore della sposa diletta? Ma il vecchio Tornabuoni, che guarda
-con occhio d'immenso affetto que' giovani capi, ahimè destinati sì
-da presso alla morte, non pago che il Ghirlandaio li ritragga nelle
-mirabili storie della cappella, in un'altra di quelle meraviglie
-dell'arte li vuole, sulle mura di quella stessa sua villa, consacrati
-alla ricordanza de' secoli. “Dipignetemi, o maestro, questa sala a
-buon fresco; e il Poliziano nostro, qui, darà, come suole, il concetto
-d'alcuna di quelle esquisite allegorie nelle quali sì fieramente vi
-compiacete.„ E il Botticelli, in due storie sulla medesima parete della
-sala, come sulla medesima parete della cappella in due separate storie
-il Ghirlandaio, ritraeva i giovani sposi.
-
-Nell'una, il cui fondo è una selva assai folta, che ricorda quello
-dell'altra allegoria di Sandro polizianesca, la Primavera, Lorenzo
-Tornabuoni, vestito dell'abito civile fiorentino, con la folta e
-morbida capigliatura distesa, si avanza, condotto per mano da una donna
-di modesto e gentil portamento, verso un circolo di altre sette donne,
-acconciate (come anche l'introduttrice) fantasticamente, e che pe'
-vari emblemi di che ciascuna d'esse è fornita simboleggiano certamente
-le sette Arti liberali; delle quali quella che alle altre sovrasta e
-par che presegga, fa a lui cenno di accoglienza amorevole. Nell'altra
-storia, Giovanna, cara figura delle più vivamente lumeggiate di verità
-bella che siano uscite da pennello di quattrocentista, con un viso
-che dice davvero quelle virtù che leggemmo scritte sul suo sepolcro,
-atteggiata a semplicità affabile e graziosa, porge con ambe le mani e
-le braccia protese un pannolino spiegato, nel quale quattro gentili
-giovinette, che si avvicinano a lei sono per deporre fiori. E anche
-questa volta, vestita del costume fiorentino del tempo la persona della
-sposa; ma a fantasia le quattro che probabilmente son figurate per
-virtù proprie di lei.
-
-
-II.
-
-In tali imagini il sentimento e l'arte, che da questo s'informa,
-effigiavano, mentre infieriva l'umanismo mediceo, la donna. Alla
-quale, nelle realtà della vita e dell'esser suo, sola, io credo, di
-tali omaggi era accessibile e gustata e compresa quella parte che
-prendeva consistenza in figure consacrate dalla religione, sotto le
-vôlte maestose delle chiese d'Arnolfo e di Brunellesco, piovente la
-luce misteriosa, per le grandi bifore da' vetri colorati in istorie,
-sugli affreschi e le tavole di Masaccio di Benozzo, de' Lippi e de'
-Ghirlandai, d'Alessio Baldovinetti e di Piero di Cosimo, sui marmi e
-sui bronzi di Mino, di Donatello, del Ghiberti, del Verrocchio, del
-Pollaiuolo. Da quelle figure genuflesse alla preghiera, o nel sonno
-della morte distese, o atteggiate vive all'azione delle leggende
-evangeliche, sollevavansi le pie e gagliarde anime femminili a ciò che
-nel tempo è di qua e di là dal momento che si vive; congiungevansi i
-ricordi, gli affetti, le glorie umane della famiglia, con le speranze
-immortali. E questa poesia, sentita nel cuore, sapeva anche trovar
-forma nella parola, la forma paesana e casalinga della Lauda e della
-sacra Rappresentazione, per opera di Antonia Pulci e di Lucrezia
-Tornabuoni ne' Medici. L'Antonia nata dei Tanini, moglie e cognata di
-poeti, in famiglia che tutti erano cosa de' Medici, potè con madonna
-Lucrezia madre del magnifico Lorenzo conferire le sue ascetiche
-ispirazioni nell'atto di fermarle in quello stampo fra drammatico ed
-epico, pel quale la Rappresentazione ha corrisposto con tanta pienezza
-all'istinto plastico della fantasia popolare; e madonna Lucrezia, fra
-un canto e l'altro che Luigi Pulci le recitasse del suo _Morgante_,
-e altresì fra l'una e l'altra delle provvide cure per le quali casa
-Medici le dovè tanto, scriveva senza pretensione di letterata le
-religiose canzonette pe' Laudesi, o riduceva in ottave o in ternari le
-istorie bibliche, delle quali poi facevan delizia negli ozi fiesolani
-e di Careggi i suoi nipotini.
-
-Gentili donne non letterate, nello stretto senso, professionale e
-(con vostra buona grazia, e senza che troppo debba rincrescervene) non
-femminile, della parola; le quali serbando nette d'erudizione le mani
-delicate, coglievano dall'arte il fior dell'affetto, e pur conversando
-coi dotti umanisti e coi barbassori che la caduta di Costantinopoli
-aveva addotto fra noi, si stavano col popolo nel vestire delle forme,
-che egli intende e crea, il pensiero e l'affetto; dalla realtà, quale
-il popolo per linea diritta la vede, cavar fuori e animare il fantasma.
-Le giovinette istruite nel latino e nel greco, non difficile trovarle
-nelle case principesche di Lombardia e di Romagna: era una, fra le
-altre, delle splendidezze cortigiane di quelle regioni. Ma i grandi
-cittadini della nostra Firenze, anche della oligarchia più elevata,
-e molto più i Medici che a combattere quell'oligarchia, e sulle
-ambizioni di lei insediare la propria, usavano artifizi democratici,
-rimasero (dico gli Albizzi, i Ricci, gli Strozzi, i Rucellai, ed essi i
-Medici), anche attraverso agli splendori dell'umanismo, principalmente
-e visibilmente mercanti: e la donna, nelle loro case, fu sempre e
-soprattutto la donna di grandi mercanti, donna massaia, avvisata, e più
-che della libreria e del medagliere curatrice dell'azienda domestica,
-o, se volete anco, della credenza, del celliere (com'allora dicevasi),
-della colombaia, del pollaio.
-
-Una letterata, anzi letteratissima (che però non ha lasciato libri),
-ebbe Firenze in quel secolo, ma non da alcune delle grandi famiglie,
-sibbene nella figliuola d'un Cancelliere della Repubblica, venuto,
-come tanti altri, dal contado alla città, e qui arricchitosi e fatta
-fortuna. Ella fu la bella Alessandra di messer Bartolommeo Scala:
-alla quale due di quei barbassori greci, il Lascari e il Calcondila,
-furon maestri; un altro, venuto in Italia umanista e soldato, Michele
-Tarcaniota Marullo, fu suo marito; e spasimato di lei il Poliziano
-(nonostante tutti i canonicati e priorati e pievanie di cui poco
-degnamente lo rincalzavano i Medici; e nonostante, altresì, il suo
-collo torto e l'occhio losco, e il naso sformato e gli anni ormai
-quasi quaranta), spasimato di lei, e per cagion di lei nemico feroce
-e con terribili giambi laceratore del marito e del padre. Non vi
-meraviglierete che una passione amorosa fra persone di questo calibro
-si sfoghi in greco. Si rappresenta nientemeno che una tragedia
-di Sofocle, l'_Elettra_: protagonista, Alessandra Scala; cronista
-teatrale, con tutti addosso gli entusiasmi d'una passione, ahimè, non
-corrisposta, il povero Poliziano in sei distici di squisita fattura,
-che vi traduco liberamente: “Una mirabile Elettra, la giovinetta
-Alessandra: mirabile nel pronunziare, essa italiana, la lingua d'Atene,
-nella intonazione vera della voce, nel curare l'artificio della scena,
-nel ritrarre fedelmente il carattere, regolare lo sguardo, il gesto,
-il movimento; nel conservare al linguaggio della passione il decoro,
-nel suscitare col volto in lacrime la pietà degli spettatori. Tutti
-ne fummo percossi; ma oh che invidia sentii io nel cuore, quand'ella,
-stringendo al seno Oreste, gli dice: — T'ho io fra le braccia? — ed
-egli: — Oh così tu m'abbia sempre!„ Un passo ancora, ossia un altro
-epigramma greco, e il critico drammatico, l'ammiratore entusiasta,
-si scuopre amante. “Ho trovata, ho trovata, quella che volevo, che
-sempre cercavo; l'amor mio sospirato, quella che vedevo ne' sogni:
-una fanciulla d'integra bellezza, di adornezza non accattata ma
-naturale; una fanciulla, culta di greco e di latino, eccellente nella
-danza, eccellente nella musica; de' cui pregi, velati dalla modestia,
-contendono a gara le Grazie. L'ho trovata; ma a che pro, se appena
-una volta l'anno posso io, che di lei ardo, vederla?„ Ma l'Alessandra
-era in grado, non solamente di ricevere omaggi in greco, sì anco in
-greco rispondere, e risponder a così: “Nulla di più bello, che la
-lode d'un valentuomo; ed oh qual gloria a me dalla lode tua! Quanto
-ai tuoi sogni, bada, interpretali bene: tu non puoi aver trovato
-in me quanto dici. È sentenza del divino Omero: — Avvicina un Dio i
-consimili. — Or troppa è fra te e me la dissomiglianza. Imperocchè
-tu sei come il Danubio, che da occidente a mezzodì, e poi di nuovo
-verse oriente, diffonde largo corso di acque. Glorioso filologo,
-tu discacci le tenebre dai monumenti di più lingue: greca, romana,
-ebraica, etrusca. Ercole dell'erudizione sei a gara chiamato, per le
-tue fatiche intorno a testi di astronomia, di fisica, di aritmetica,
-di poesia, di leggi, di medicina. I miei scritti di fanciulla son
-cosette leggiere, come i fiori e la rugiada. Io accanto a te, perchè
-so un poco di lettere! Ma sarebbe com'a dire, secondo il proverbio,
-la zanzara accanto all'elefante, perchè han la proboscide tutt'e due;
-la gatta accanto a Minerva, per via degli occhi cerulei.„ Che ve
-ne pare? Fu mai con maggior dottrina, o con più squisita crudeltà,
-rimesso al suo posto un adoratore stagionato? Non credete voi che
-messer Angelo abbia questa volta dovuto imprecare alle similitudini,
-alle perifrasi, alle antonomasie, e a tutto il resto dell'arsenale
-retorico? mandare al diavolo i proverbi greci, e magari anche
-le sentenze del divino Omero? Persiste tuttavia, come pur troppo
-avviene, le più volte in simili casi; e persiste, il che è assai meno
-frequente, in greco: “Tu mi mandi, o Sandra, le pallide violammamole:
-e io nell'amore di te impallidisco e mi struggo. Fiori e foglie,
-imagine gentile della tua primavera; ma il dolce frutto io vorrei.„
-Al che Alessandra non risponde; anzi: “Nè vederti, o Alessandra, mi
-è permesso più, nè ascoltarti: ma almeno, due versi di risposta.„ E
-finalmente (del buon gusto poi di questa pensata lascio a Voi, Signore
-e Signorine, il giudizio): “O giovinetta, gradisci per la tua chioma
-questo pettine d'osso; così potessi io avere i capelli del tuo bel
-capo.„ I capelli d'Alessandra Scala come già quelli dell'Albiera sul
-feretro che la portava in San Pier Maggiore, furono (questa credo non
-ve l'aspettereste) recisi più tardi sulle soglie di quello stesso
-convento, dove, rimasta vedova del suo greco, ella si fece monaca
-benedettina, e vi morì giovanissima nel 1506.
-
-
-III.
-
-Se non che l'arte, la poesia, non sono esse la poesia della vita:
-possono, della vita, adombrare con le loro imagini, e idealizzare,
-la realtà; ma quelle imagini dalla realtà si distaccano, hanno
-propria esistenza, alla quale la realtà rimane estranea od anco può
-contraddire. Beatrice è donna; addiviene angelo, simbolo, ente: Laura
-è moglie e madre; la poesia la restituisce, libera, alle idealità
-dell'amore. Le idealità del Trecento, paesane e cristiane, e umane
-almen tanta parte quanta è umano lo spirito, il Rinascimento le aveva,
-sin dove potè, sopraffatte con l'umanesimo della materia, con la
-sua mitologia, co' suoi ninfali, co' suoi baccanali, incominciando
-a svolgere dal dischiuso gomitolo dell'antichità classica quel filo
-che, sottile ma tenace, si continuò poi per tutta la poesia italiana
-non pure sino alle _Grazie_ d'Ugo Foscolo, che al rito delle sue Dee
-consacrava sacerdotessa anche una gentildonna fiorentina, ma sino
-sull'_Urania_ del Manzoni che precede gl'_Inni sacri_ e i _Promessi
-Sposi_. Nella poesia del Quattrocento, dal Boccaccio al Poliziano e a
-Lorenzo, le ninfe Simonetta e Ambra non sono che due figure spiccate
-dall'idillio fiesolano, nel quale messer Giovanni ha classicizzato
-e paganeggiato, con gli amori d'Affrico e di Mensola, le origini di
-Firenze. Da Poggio a Caiano per Careggi e Montughi fino a Settignano
-e Maiano, lungo tutto questo nostro sub-appennino gentile, le Driadi
-e le Amadriadi, le Naiadi e le Napee, con tutta quanta la fauna del
-loro corteo mascolino, danzano allegramente alla luce misteriosa dei
-plenilunii, che pur si diffonde sulla Badia medicea di Brunellesco, e
-da' finestroni della vecchia cattedrale di Fiesole investe le animate
-sculture di Mino, lumeggia della cristiana aureola la Vergine e i Santi
-di frate Giovanni Angelico. Muore in una sua villa, forse a Quarto,
-una giovine gentildonna, che a prezzo della propria salva la vita
-al suo bimbo pericolante nel crollare d'una tettoia del contadino.
-E la cronaca cittadina, compilata sulla cetra dei latinisti, esalta
-questa devozione di madre alla sua creatura, sapete come? con inveire
-contro gli Dei Lari che non hanno sorretta quella tettoia, contro le
-divinità campestri le quali hanno attratta in villa la bella Alba
-(un'altra Albiera), che Venere avrebbe dovuto proteggere: e tutto
-questo, pur descrivendo, e non senza efficacia, lo strazio del marito,
-che, lontano da Firenze, torna quando la sua povera moglie è ormai
-sotterra, e vuole a forza alzare la pietra di quella sepoltura, e che
-le care contraffatte sembianze siano restituite una suprema volta al
-suo disperato dolore. La famosa brigata delle gentili donne fiorentine,
-che fuggendo i dolori e i pericoli della pestilenza del 1348 è dal gran
-novelliere immaginata ritrarsi in una di quelle vallette, ci perde
-i nomi con che sono state battezzate in San Giovanni, per divenire
-Pampinee o Neifili, e le loro fantesche Misia Licisca Stratilia,
-e Sisisco il cuoco, e Panfilo Filostrato Dioneo la fauna de' loro
-amatori: con tanta verità, quanta ne è in cotesto calunniare la donna,
-sia di quello sia di qualunque altro secolo, apponendole che dove si
-soffre e si muore ella se ne vada in campagna, invece di rimanere ferma
-e fedele al suo posto. Tanta verità in ciò (Voi non mel concedereste se
-lo affermassi, o donne gentili), quanta nella bizzarria germogliata,
-non si sa come, in testa al buon Franco Sacchetti, d'una _Battaglia
-delle belle donne di Firenze con le vecchie_, le giovani schierate
-sotto il gonfalone di Venere, le vecchie sotto quello dell'infernale
-Proserpina; il tutto in quattro cantàri d'ottave mal connesse, con
-volgare strazio d'ogni nobile affetto e un pocolino anche del buon
-senso, che informa invece così finamente le novelle di quel medesimo
-Franco. Tanta verità in ciò, quanta (per tacer d'altre siffatte
-volgarità) nella fantasia, incarnatasi bensì in una delle più belle
-prose di nostra lingua, _Le bellezze delle donne_; le quali bellezze
-don Agnolo Firenzuola immagina, in un'altra brigata boccaccevole, siano
-da quel suo Celso, che è poi lui stesso senza la cherica, analizzate
-pezzo per pezzo, più o meno velati, sulla persona di quelle sue (al
-solito sbattezzate) monna Lampiada, monna Amorrorisca, e Verdespina, e
-Selvaggia, ascoltatici e interlocutrici: anatomia estetica, possibile
-forse ad eseguirsi laggiù nella Magna Grecia in servigio di Zeusi
-quando dipingeva la sua Elena, ma non già in Prato, nell'orto della
-badia di Grignano, l'anno di grazia millecinquecento tanti, in una
-veglia, quale quella vuole pur essere, di donne non dimentiche di sè
-medesime.
-
-
-IV.
-
-Non era quella, nè poteva essere, la poesia della vita fiorentina fra
-il XIV e il XVI secolo. Fantasticata sui libri, e in libri foggiata,
-essa non attinge nè attiene alla vita vera di quell'età; nè vera è la
-donna che su quel mitico fondo, tutto romano e greco, nulla medievale,
-campeggia. Meglio dalle descrizioni, o siano poetiche o meglio se
-in prosa schietta fiorentina, de' conviti nuziali, delle armeggerie,
-delle giostre, viva ci sorride, e onestamente baldanzosa, e di quelle
-cavalleresche e cortigiane onoranze seco medesima sodisfatta e superba,
-la donna. Non mancano anche in cotesti suntuosi apparati lo iddio
-Amore, gli Amorini (convertiti bensì, il che ha un po' del trovadorico,
-in spiritelli), le Ninfe; sibbene come ornamento esteriore, fregio
-posticcio, parvenza fugace; non come espressione mitologica d'un
-sentimento, o quasi (direi co' filosofi) espressione essoterica
-d'una dottrina. Ma la figurazione dominante e caratteristica è dalla
-cavalleria medievale, e s'atteggia e si drappeggia nelle persone e
-nelle foggie di castellani e di principi, d'uomini d'arme, di donzelli,
-d'araldi e di paggi, di dame crudeli e di servi d'amore, con seco le
-grandi o gentili memorie delle crociate, de' passaggi imperiali, della
-santa gesta de' Paladini: “le donne (ha cantato Dante), le donne, i
-cavalier, gli affanni e gli agi, che ne invogliava amore e cortesia„.
-
-Siamo in piazza Santa Croce il 7 febbraio del 1468; e si fa la giostra
-della quale Lorenzo de' Medici scriverà ne' suoi _Ricordi_: “Per
-eseguire e far come gli altri, giostrai in sulla piazza di Santa
-Croce„; e ne noterà la spesa in fiorini diecimila di suggello: “e
-benchè e di colpi non fussi molto strenuo, mi fu giudicato il primo
-onore, cioè un elmetto fornito d'ariento, con un “Marte per cimiero.„
-Entrano in campo i giostratori: Medici, Pitti, Pucci, Vespucci,
-Benci, Pazzi, e altri molti; qual più qual meno riccamente forniti:
-con magnificenza più che regale, Lorenzo alla divisa de' gigli
-d'oro di Francia e in sua compagnia il fratello Giuliano, coperti
-d'oro, d'argento, di perle, di pietre d'ogni sorta preziose: ciascun
-cavaliere accompagnato da trombetti e paggi e uomini d'arme, e giovani
-gentiluomini a cavallo tutti vestiti sfarzosamente alla divisa di
-quello; brigate per ciascuno di poco meno che un centinaio di persone;
-e ciascun cavaliere col suo stendardo, nel quale fra emblemi e segni
-diversi, e per lo più tra verde di prati e fiori di verzieri, la
-dama del cuore. Questa, leggermente velata di bianco, con ghirlanda
-di quercia in mano, e a' piedi legato con catene d'oro un leopardo;
-quella, in abito di ninfa, che riceve nel grembo le foglie d'un faggio
-battuto dalla tempesta, e le dà mangiare ad un daino; quell'altra,
-vestita di bianco e di verde, che le saette d'Amore infocate spenge
-nel fonte che scorre a' suoi piedi; un'altra, vestita di paonazzo, che
-quelle stesse saette fa in pezzi e ne semina il prato; ma la dama di
-Lorenzo, irraggiata dal sole traverso ai colori dell'iride, vestita di
-drappo alessandrino ricamato a fiori d'oro e d'ariento, coglie d'un
-ramo di lauro rinverdito sull'arido tronco, e ne fa ghirlanda, e ne
-sparge foglie all'intorno; il suo motto, in lettere di perle grosse
-da gioiellare, _le tems revient_. E molto lontano da Firenze, in Roma,
-nell'austerità baronale del palagio degli Orsini, pensava a lui in quel
-giorno una giovane donna, che non era nè forse le rincresceva di non
-essere la dama del suo stendardo, perchè si apparecchiava ad essere la
-madre dei suoi figliuoli. “Lorenzo è molto occupato in questa giostra,
-chè già da tempo non ò avuto sue lettere„; ha detto ella, la Clarice,
-un mese innanzi, a uno de' Tornabuoni venuto a recarle le nuove di lui;
-ed ora, appena corrono a farle sapere “come Lorenzo à fatto la giostra,
-e n'è uscito sano e con grandissimo onore„, e che “s'è aoperato tanto
-degnamente quanto sia possibile di dire„, e che “giammai fu paladino
-facessi quello à fatto Sua Magnificenza„, risponde soavemente, “Ora s'è
-fatto la giostra, non avrà più scusa da recare, che non venga a Roma
-questa quaresima„. E in occasione della quaresima, la madre le ha fatto
-“levare panno pagonazo di Londra per una gonna a la romanesca„, che
-crede quel fidato Francesco Tornabuoni “non istarà punto male„; e così
-si propongono, madre e figliuola, di “andare vicitando tutti questi
-perdoni, pregando Iddio per Lorenzo„; ma la madre insiste ch'e' venga,
-perchè “vuole che voi vegiate la vostra mercanzia, avanti l'abbiate
-a casa; la quale ogni giorno migliora„: della qual locuzione figurata
-non so se proprio si abbellisse il parlare della nobilissima matrona,
-o s'ella fiorisse spontanea nella lettera del mercante cliente al
-mercante magnifico.
-
-Un anno e quattro mesi dipoi, il 4 giugno del 69, le nozze di Lorenzo
-e di Clarice si celebravano in Firenze con grande solennità, la
-quale incominciava con due interi giorni di offerte a casa Medici dal
-contado e dalle città di Toscana; offerte la cui consistenza sommò,
-per citar qualche cifra a un centocinquanta vitelle, paia di capponi
-paperi e pollastri più di duemila, vini nostrali e forestieri a botti,
-e simili altre gentilezze, che Lorenzo partecipava largamente alla
-cittadinanza, anche prima d'imbandire, dalla domenica al martedì, ben
-cinque conviti, che empivano le loggie e i giardini del palagio di via
-Larga, con le mense distribuite fra giovani donne in compagnia della
-sposa (“cinquanta giovani da danzare„ dice l'informazione), e le donne
-di più età con madonna Lucrezia; e così in tavole separate i “giovani
-che danzavano„, e gli uomini di più età. Dalla domenica mattina,
-quando la sposa, partitasi dalla casa degli Alessandri “a cavallo,
-in sul caval grosso che donò a Lorenzo il re di Napoli„ entrava fra
-nobilissimo corteo nella casa maritale, mentre festeggiato di musica
-lieta si tirava su alla finestra il simbolico ulivo; sino alla mattina
-del martedì, quando “andò a udire messa a San Lorenzo„, con in mano uno
-de' mille doni nuziali, “uno libriccino di Nostra Donna, maraviglioso,
-scritto a lettere d'oro in carta d'azzurro oltramarino, coverto di
-cristallo e d'ariento lavorato„; Clarice Orsini, trasportata, avvolta,
-sollevata in quel profumo di gioventù, di bellezza, di grazia,
-di forza; ricevuta nelle sale che Cosimo, Piero e Lorenzo avevano
-impreziosite dei tesori dell'antica arte e della risorta; circondata,
-sovraccarica, dagli splendori d'una ricchezza che, anche non ostentata
-anzi voluta dissimulare, tuttavia impacciava quasi sè medesima;
-regina degli omaggi che il fiore delle intelligenze di tutto il mondo
-tributava a questa famiglia, la cui potenza era soprattutto l'ingegno;
-potè ben comprendere ch'ella era venuta sposa al primo cittadino, non
-che di Firenze, d'Italia.
-
-E lasciamo stare se a quella gaiezza un po' sbrigliata della città
-popolana, allo scetticismo elegante di quei letterati già bell'e
-cortigiani, a quelle transazioni fra il cittadino e il cliente che
-corrompevano intorno al patrono tanto vecchio sangue repubblicano, se a
-questo e ad altro che poi dovette offendere la sua romana alterezza e i
-suoi sentimenti di moglie e di madre, ella ripugnò sin da principio, e
-ne contrasse quel malinconico cruccio che avvolse tutta la sua virtuosa
-esistenza domestica; lasciam pure che invece del Poliziano, il quale
-ella giunse perfino a cacciare di casa, preferisse di vedersi intorno
-ser Matteo Franco, buona pasta di cappellano e di sonettiere faceto,
-nelle cui fiorentinissime lettere madonna Clarice, circondata da' suoi
-figlioletti, è viva e parlante figura; ma non saprei tuttavia credere,
-che giovinetta sposa, ella non abbia dovuto gustare, di quella popolana
-gaiezza, di quella eleganza addottrinata, di quei cortigiani ritrovi,
-quanto parlava così vivacemente ai sensi e alla fantasia, in feste, per
-esempio, simili a questa, che pochi anni avanti, nel 64, aveva empito
-del suo fragore gioioso un'intera notte del carneval fiorentino.
-
-“Notizia d'una festa fatta la notte di carnasciale, per una dama
-la quale fu figliuola di Lorenzo di messer Palla degli Istrozi. La
-detta festa fu fatta da Bartolomeo Benci, come innamorato della detta
-dama.„ Ve la riassumo, il più che potrò con le parole stesse della
-_Notizia_ contemporanea, che sono una pittura. Bartolomeo Benci ha
-ordinato, con altri otto giovani di principali famiglie, un'armeggeria
-notturna, l'ultima notte di carnevale, in onoranza, prima alla dama
-sua, poi, come sentirete, a ciascheduna delle otto respettive dame
-de' suoi compagni. Ciascuno di essi otto è a cavallo, ricchissimamente
-forniti; ciascuno ha trenta giovani intorno a sè, vestiti alla propria
-divisa, con torchi in mano, e altri otto intorno alla briglia. Il
-Benci poi, col bastone di “Signore e Capitano della Compagnia,„ è
-“in su 'n uno cavallo che la natura nollo potre' fare più bello; con
-fornimento e sella e briglia tutto di chermisi, ricamato di molte
-argenterie tanto riccamente quanto fare si potè: e lui in su detto
-cavallo, con uno giubone di perle ricamato e gioie, con due alle
-alle spalle, d'oro e più altri colori. E intorno al detto Signore era
-quindici gentili giovani a piè; tutti con gonnellini di raso chermisi
-foderati d'ermellini, con calze pagonaze: a' quali esso Signore donò a
-ciascuno. E oltre a questo, avea intorno detto Signore centocinquanta
-giovani, tutti vestiti a una sua divisa, cioè gonnellini e calze verdi,
-con falconi nel petto e di dietro, d'ariento, che gittavano penne
-per tutto el gonnellino: e' quali centocinquanta giovani ciascuno
-aveva un torchio acceso in mano„. Portatori e pifferi circondano il
-Trionfo d'Amore, che è alla testa: un Trionfo “alto braccia venti,
-composto in modo che, guardandolo, si rimaneva abagliato: co' molti
-ispiritegli d'amore con archi in mano; e in alcune parti l'arme de'
-Benci, e in altri luoghi la divisa del padre di detta dama; co' molte
-campanellette a sonagli d'ariento, e varie cose. Era composto detto
-Trionfo d'alloro, mòrtina, arcipresso, abeto e scope, cose tutte verdi
-e calde, apropriate all'amore. E, per abreviare, in sulla cima di
-detto Trionfo era un cuore sanguinente, aceso in fiamme di fuoco, che
-del continovo ardevano; con certi razi„ che a suo tempo dovevano esser
-lanciati. Muove la brigata (tutto ben computato, oltre un cinquecento
-persone) dalla Piazza de' Peruzzi, dopo una lauta cena in casa di
-Bartolomeo, e va alle case degli Strozzi da Santa Trinita: due Benci e
-due Strozzi regolano a cavallo l'andata. La Signoria ha fatto bandire,
-che nessuno quella notte giri a cavallo per la città, fuor di cotesta
-armeggeria; e che in essa o a cagion d'essa, “se per disgrazia alcuno
-fusse morto, chi l'ammazza sia sanza pena e sanza bando„: il che è
-detto “un obviare a' casi cattivi che potrebbero nascere„. E così,
-“giunti a casa della dama, feciono la mostra. E apresso, ciascuno corse
-ritto in sulla sella, secondo uso d'armeggeria, con un dardo in mano,
-dorato. E dipoi ancora, ciascuno corse con una lancia busa, dorata, e
-ruppono a piè della finestra dov'era detta dama. La quale si mostrava
-in mezo di quattro torchi acesi, con tanta graziosa onestà che una
-Lucrezia basterebbe. E fatto questo, el Trionfo era fermo sulla piaza,
-dirimpetto alla finestra dov'era detta dama: e al Signore fu ispiccate
-l'alie e gittate in sul Trionfo; e in quel punto, era ordinato che
-a detto Trionfo s'apiccassi el fuoco: e così arse, con tante grida e
-suoni che insino alle stelle andava el romore. E i razi che v'erano su
-erano artificiati in modo, che pareva che quegli ispiritegli d'amore,
-ch'erano in su detto Trionfo, co' l'arco che gli avevano in mano, gli
-saettassono. E così accesi per l'aria volavano appresso alla dama:
-alcuno n'andava in casa della detta dama, che si istima glien'entrassi
-alcuno nel cuore, per compassione del detto amante. E fatto questo,
-el detto Signore Amante, partendosi con tutta la compagnia, per non
-volgere le spalle a detta dama, fece che sempre el cavallo andava
-indietro, tanto che più nulla potè vedere. E partiti di quivi, andarono
-a rompere le lancie e armeggiare a casa le Dame di ciascuno de' suoi
-Compagni, cioè degli otto nominati. Dipoi tornarono tutti dalla
-Dama del Signore, e feciolle una mattinata co' molti suoni e gra'
-magnificenza: e questo si dice mattinata, perch'era presso a dì. E
-dipoi si partirono, e accompagnarono el Signore, cioè Bartolomeo Benci,
-a casa, nel modo e forma come s'erano partiti nel prencipio. E 'l detto
-Signore aveva ordinato molte confezioni, e e fece tutti convitare co'
-gra' magnificenza„. A chi poi rimanesse la curiosità (mi sia permesso,
-gentili ascoltatrici, supporla), se a que' nove armeggiamenti sotto le
-finestre delle nove case abitate dalle nove dame, corrisposero a suo
-tempo nove bei matrimoni, rispondo: che quanto ad alcuna delle amorose
-coppie, no certo, per la ragione molto stringente che il cavaliere
-aveva moglie, il che fa altresì lecito ammettere che anche qualcheduna
-delle rispettive dame avesse, per ultimo respettivo, marito:
-quanto a qualche altra coppia, potrebb'anch'essere; ma a chiarirlo,
-bisognerebbe, come de' cavalieri, avere i nomi delle otto dame; e
-questi la _Notizia_, che vi ho riassunta, non ce li dà; quanto poi
-alla coppia che più forse vi preme, mi rincresce dovervi notificare,
-che la Marietta Strozzi, nonostante tutta quella bersagliatura di
-razzi amorosi fra la quale le finì il carnevale del 1464, sette anni
-dopo andava sposa (e già aveva seguita fuor di Firenze la madre) ad
-un Calcagnini di Ferrara; e l'anno appresso, nel 72, l'aligero, e
-poi spennacchiato, capitano Bartolomeo Benci sposava la Lisabetta
-Tornabuoni, una sorella di quel confidente a Roma tra la Clarice Orsini
-e Lorenzo de' Medici.
-
-Molte dolci memorie, del resto, dovè lasciare la bella Marietta Strozzi
-nella città nostra, lontano dalla quale il padre suo esule (come
-per lungo tempo, dopo il trionfo de' Medici, furono, di generazione
-in generazione, gli Strozzi) era morto di ferro, e per l'esilio
-di lui aveva dovuto pure starsene fuori la madre, virtuosissima e
-austera donna, Alessandra de' Bardi: e in questa quasi orfanezza
-la fanciulla si trovò forse più libera che alla condizione sua non
-convenisse: almeno in quell'inverno del '64, nel quale, poche sere
-avanti l'armeggeria, sentite quest'altra sua avventura carnevalesca,
-e che cosa era possibile a farsi, senza scandalo, da una giovinetta
-fiorentina in que' tempi. Vi traduco (liberamente anche questa
-volta) da una lettera, elegantemente latina, di amichevoli confidenze
-giovanili tra Filippo Corsini e Lorenzo de' Medici: “.... E mentre ti
-scrivo, la neve cuopre quasi tutta la città: tedio per molti e cagion
-di starsene; ma per altri cagione di darsi moto e piacere. Sappi
-infatti che Lottieri Neroni, Priore Pandolfini e Bartolommeo Benci
-(daccapo il nostro allegro Capitano). Cogliamo il destro, hanno detto,
-di usare qualche bel tratto. E subito, a due ore circa di notte, si
-son presentati alla casa della Marietta Strozzi, seguiti da una gran
-moltitudine accorsa da ogni dove, per fare a gettarsi la neve con
-lei. Gliene han data la sua porzione, e hanno incominciato. Immortali
-Dei, che spettacolo! e come descrivertelo, Lorenzo mio, con questa
-debole prosa? Gran pompa d'innumerevoli fiaccole; squillar di trombe,
-dolcezza di flauti; pubblico appassionato e plaudente. E che trionfo,
-quando alcuno degli assalitori riusciva a sparger di neve il viso, come
-neve candido, della fanciulla! Ma che dico sparger di neve? un vero e
-proprio trarre al bersaglio era quello, e di tiratori valentissimi!
-La Marietta poi, così leggiadra e destra in quel giuoco, bella come
-tutti sanno, ne uscì con immenso onore. Ma i gentili giovani non si
-partirono da lei, che prima non le donassero molto nobilmente per loro
-ricordo. E così, con grande contentezza di tutti, il piacevole giuoco
-ebbe fine„. Un epigramma del Poliziano (l'ultimo che vi citerò da
-quel florilegio aneddotico del Quattrocento fiorentino che sono, più
-assai che le volgari, le sue Poesie greche e latine) dice così: “Neve
-sei, o fanciulla, e giuochi con la neve. Giuoca: ma deh, prima che la
-nevi s'imbratti, fa' che si sgeli„. L'erudito, che oggi legge queste
-complimento amoroso, ricorda i molti altri, d'antichi e d'umanisti,
-che sul medesimo argomento si contengono nell'_Antologia latina_,
-e l'ha per un'imitazione a freddo (è proprio il caso di dir così)
-dall'antichità classica. L'aneddoto che vi ho narrato mostra invece,
-che questa almeno fra le tante imitazioni umanistiche aveva riscontro
-nel vero attuale; ossia, che quel bizzarro costume era spontaneamente
-rifiorito, come anche altre parti della vita antica, nell'allegra
-democrazia del Rinascimento: finchè la inamidata prammatica delle
-Corti, la Riforma protestante correggitrice e il conseguente reattivo
-disciplinamento della morale cattolica, più tardi infine la filosofia
-civile e la rivoluzione bandita e guerreggiata in nome di principii
-universali, non ebber mutata la faccia del mondo.
-
-Ma finchè quelle gazzarre, quelle feste davvero popolari, que'
-fantastici apparati, que' simboli abbaglianti, ebber vita, nè corteo di
-spose, nè armeggiamento per dame, nè giostra di amorosi cavalieri, ebbe
-mai tanta cittadina solennità, quanto uno sposalizio, ben diverso da
-tutti gli altri dall'ora e di poi: lo sposalizio dell'abbadessa di San
-Pier Maggiore; sposalizio che si ripetè tante volte (salve eccezioni)
-quanti Vescovi ebbe per secoli parecchi la Firenze e del Medioevo e
-del Rinascimento ed anche del Principato Mediceo, poichè lo sposo della
-badessa era (_honni soit qui mal y pense_) messere lo Vescovo.
-
-Quella chiesa e monastero di San Pier Maggiore, che furono delle
-maggiori antichità sacre di Firenze, se, come pare, nella lor forma
-primitiva risalivano al secolo quarto; che detter nome a una porta e a
-un sestiere della città, abitato e maledetto da Dante, non sono più.
-Si restauravano nel secolo XI, e si afforzavano con addossarli alle
-mura del secondo cerchio: si abbelliva la chiesa, a mezzo il secolo
-XIV: si sconciava, come tante altre, mediante le cappelle patrizie a
-marmi e stucchi di tutti i colori, nei secoli del barocco. E tutto oggi
-è sparito. E il tempo, che “traveste l'uomo e le sue tombe„, a mala
-pena ha rispettato nell'Arco di San Piero (salvo i possibili attentati
-onomastici dei moderni edili) il nome del titolare. Quali rovine, quali
-ossa, calpestiamo noi, passando da quell'arco! Delle nostre conoscenze
-d'oggi, le due belle Albizzi si sono fatte polvere colaggiù sotto: e
-si addormentò in pace con esse la monacella grecista, la quale, se
-morendo ancor ella giovine, non ebbe tempo di maturarsi, arcigna e
-rugosa superiora, per quelle nozze episcopali, potè bensì esercitare la
-sua mondana erudizione, ahimè non più sulle immortali pagine d'Omero e
-di Sofocle, ma sul grosso notarile latino degli autentici privilegi di
-coteste mistiche nozze, che risalivano (dicono que' notari) “a tanto
-tempo quanto è di là da memoria d'uomini„. L'ingresso del novello
-sposo della Chiesa fiorentina si faceva ritualmente dalla porta di San
-Pier Gattolini, oggi Romana: due famiglie, di grandi e tradizionali
-attinenze (da Dante proverbiate) con la mensa vescovile, avevano, i
-Tosinghi e i Visdomini, il privilegio di riceverlo e accompagnarlo sino
-al monastero, dove, simbolo della Chiesa fiorentina lo attendeva la
-badessa. Si celebravano nella chiesa le nozze, inanellando il Vescovo
-la sposa con un ricchissimo anello, e questa offrendogli in dono un
-letto suntuosamente montato nella camera stessa di lei, che per quel
-giorno, durante intere ventiquattr'ore, uscendone lei, diveniva la
-camera del Vescovo novello, sin che, la mattina appresso, i soliti
-Visdomini e Tosinghi gli venivano incontro col clero, e lo conducevano
-in Domo e lo insediavano. Tutta Firenze accorreva a quelle nozze.
-Oltre le due ricordate famiglie, altre ancora, e delle principalissime,
-Albizzi, Pazzi, Strozzi, rivestite di privilegi e diritti di questa o
-quella parte del cerimoniale, avevano quasi a ogni Sposalizio occasione
-di contestazioni, di proteste e di gare. Alla badessa rimaneva il
-cavallo col quale era venuto il Vescovo: agli Strozzi, con gran trionfo
-di tutto il parentado, la sella. La Chiesa fiorentina aveva avuto il
-suo pontefice, e la città una festa di più; nella quale era toccata la
-sua parte, e che parte essenziale!, alla donna.
-
-
-V.
-
-Ma traverso a tutte quelle ideali trasformazioni che l'arte le
-apponeva, e a questa vissuta poesia di festeggiamenti e di pompe,
-quale fu poi nel segreto della vita reale, fra le pareti domestiche,
-figliuola e sorella, moglie e madre, quale, nella Firenze di quell'età,
-fu la donna? Scoperchiare i tetti delle case, e sorprendere senz'essere
-introdotti la gente che attende tranquillamente a' fatti suoi, e peggio
-poi le signore, si è creduto, fino a pochi anni fa, un privilegio di
-quel personaggio che sapete, _le Diable boiteux_, sollevato da Renato
-Le Sage alla cattedra d'uno de' più grandi e maligni professori di
-filosofia morale che il mondo abbia avuto. Fino a pochi anni fa,
-quando a me, sfogliando con paziente amore le carte dei Medici avanti
-il Principato, occorse di scoprire un'anticipazione del Diavolo Zoppo
-di Le Sage nella persona d'un cortigiano de' più cari a Lorenzo e a'
-figliuoli suoi, e che con uno di questi, divenuto papa Leone X, finì
-cardinale di Santa Chiesa: l'autore della _Calandra_, il Bibbiena; che
-in un Prologo a cotesta sua famosa commedia, rimasto inedito anzi fra
-le cancellature del primo getto, immagina di fare un giro da camera
-a camera femminili, invisibile per forza d'incanto, e mette al nudo
-una serie di scenette bizzarre che accadono in questa o in quella,
-sul punto del recarsi le donne a una veglia che si fa quella sera
-in Firenze. Rassicuratevi: io non voglio entrar terzo fra il giulivo
-Cardinale e il diavolo; se già non vi pare che sia ormai posto preso da
-messer Guido Biagi, quando l'altro giorno v'introdusse con sì garbata
-erudizione, e così intimamente, nelle segrete cose della vita privata
-de' nostri vecchi[95].
-
-E qui cade un'avvertenza e una dichiarazione. Quel tanto che la novella
-e la commedia fiorentina del Quattrocento e (molto più largamente) del
-Cinquecento potrebber dare al ritratto della donna, io credo contenga
-troppa meschianza o di classico, o di boccaccevole, o di idealmente
-satirico: nè ebbe quell'età, come nel Sacchetti ebbero il Due e il
-Trecento da Giano ai Ciompi, un novelliere storico. Io non so in
-verità, quanto a buon dritto si possano accettare anche solo come tipi
-della famiglia in un dato momento della storia di Firenze i personaggi
-della _Mandragora_; ma è poi certissimo che la buona Marietta Corsini
-moglie di Niccolò Machiavelli nulla ebbe, povera donna, di simile con
-quella alla quale egli, nel suo _Belfagor_, fa sposare il diavolo, e
-poi ridurlo a tale disperazione, ch'e' se ne torna a rotta di collo
-all'inferno.
-
-E una leggenda di amor coniugale e materno, delle più poetiche e
-commoventi, parrebbe, se non fosse dramma pur troppo vero e dramma
-sanguinoso, il fatto di Annalena, che lo stesso grande istorico
-consacrò alla memoria de' posteri con parole di somma reverenza.
-Giunge un messo alle case di Annalena Malatesta, oltrarno, là dove il
-popolo memore dice ancora “da Annalena„, e le annunzia “Madonna, il
-marito vostro messer Baldaccio, l'hanno morto a ghiado nel Palagio
-de' Signori, e precipitato dalla finestra, e mozzagli la testa come
-a traditore e malfattore„. Ed ella, che al venturiero d'Anghiari,
-valoroso e brutale come condottiero ch'egli è, ha dato, sposa poco più
-che dodicenne, il cuore e la fede, e piegata sul suo petto di ferro
-l'alterezza gentilizia del sangue che le scende nelle vene da Paolo
-Malatesta, il cognato a cui la poesia di Dante fa eterni l'amore e la
-pena, il bacio colpevole e l'amplesso infernale; essa, l'Annalena, che
-da quel Baldaccio è già madre d'un bambinello, corre, povera donna, a'
-Signori, al magistrato crudele che l'ha vedovata, e per quella creatura
-innocente riesce a salvare, col pianto, da confisca i suoi beni. Poi
-quel figliuolo, il suo Guidantonio, nel quale tutta la vita della madre
-fanciulla si era raccolta, le muore; ed ella, ancor giovanissima, si
-trova sola, e già vissuta, nel mondo. E allora Annalena, fatta donna
-dal dolore, di quella sua casa in lutto fa chiostro, in quelle mura
-chiude per sempre e consacra il breve romanzo della sua giovinezza,
-le sue nozze e la sua maternità, le amorose imagini e le micidiali,
-i ricordi d'una culla e di due bare; nelle stanze stesse dove fu
-madre, ritorna vergine a Dio, e madre di vergini invecchia soavemente.
-Affettuosa madre, e compassionevole agli splendori e alle lusinghe del
-mondo; se uno degli umanisti celebratori di Albiera, proprio a lei,
-ad Annalena ormai quasi cinquantenne, rivolgeva una di quelle elegie
-latine, e le chiedeva la preghiera sua e delle sue monacelle per la
-morta degli Albizzi, “per la giovinetta„, le dice “che tu hai amato
-come una tenera madre ama l'unico suo„: parole non so dire se pietose
-o crudeli, che il latinista forse scandiva senza pensarci su, ma che
-dal cuore della vecchia monaca avran fatte risalire agli occhi le
-lacrime della giovine madre. Il monastero d'Annalena, la quale morendo
-a sessantaquattr'anni lo raccomandava a Lorenzo de' Medici, fu sin
-da' suoi principii tutto cosa della potente famiglia: e nelle stanze
-abitate già dalla fondatrice, dalla vedova del condottiero, ebbe asilo
-e salvezza, ne' tempi grossi pel nome mediceo, un fanciullo che doveva
-essere il principe di quelli armigeri, Giovanni delle Bande Nere.
-
-Ma se cerchiamo la donna, a cui la sventura non invidia nè rapisce
-la famiglia, la donna che della famiglia è ornamento e conforto,
-esempio e ispirazione, forza e provvidenza, la donna di casa, la
-moglie e la madre; alla storia di lei danno tipi ideali, però in
-necessaria relazione con la realtà, come pel medioevo più alto i libri
-di “reggimento o costume o castigamento„ femminili, così per questo
-secolo XV i trattati di _Governo della famiglia_: o con intendimento
-piuttosto civile e secolare, quale è nel libro che si abbellisce de'
-nomi di Agnolo Pandolfini e di Leon Battista Alberti, e in quella
-parte che è didattica delle care pagine di Vespasiano cartolaio; o con
-prevalenza del sentimento religioso, siccome nella _Cura familiare_ del
-beato Giovanni Dominici, diretta a una valente gentildonna Bartolommea
-degli Alberti. Quel tipo ideale, o, diciam meglio, tradizionale e
-derivato dalle memorie delle “buone e care„, delle “care compiute et
-oneste„ donne, che tanta fragranza di gentili virtù spargono nelle
-_Cronache domestiche_ del Trecento, Vespasiano lo effigiò, e anche
-con un po' di retorica a suo modo lo colorì tra le figure illustri
-dell'età sua, in Alessandra de' Bardi, la moglie di Lorenzo di messer
-Palla Strozzi, e madre della vispa Marietta. L'Alessandra è ritratta da
-Vespasiano “bellissima e venustissima del corpo quanto gnuna n'avesse
-la città di Firenze„; vantaggiata di statura tanto, da fare a meno
-delle “pianelle„, supplemento prezioso, pare, per altre fanciulle men
-favorite di proporzioni: educata dalla madre sua “con ogni diligenzia„
-(maggiore, forse è da credere, che l'esilio del marito e le altre
-vicende della famiglia non consentissero poi a lei nell'educazione
-di quella sua figliuola): dall'“amare e temere Iddio indótta a uno
-moralissimo vivere„: avvezza a “mai perdere tempo che ella non fosse
-occupata„, a “mai colle serve di casa non parlare, se non in presenza
-della madre„; e “la prima a levarsi la mattina in casa esser lei„:
-ammaestrata in “tutte le cose s'appartengono sapere a una donna,
-ch'abbia aver cura di famiglia; e massime a lavorare d'ogni cosa, e
-di seta e d'altro, come s'appartiene alle donne„, e “imparare tutto
-quello che, bisognando, potesse viverne„, e a “saper fare ogni cosa
-e sapere insegnare„, dal leggere sino a “ogni minima cosa„ attinente
-alle faccende domestiche. “Rarissime volte era mai veduta all'uscio o
-a finestra„, (ah Marietta!) “sì perchè non se ne dilettava, e perchè
-occupava il tempo in cose laudabili. Menavala la madre il più dei dì
-la mattina a una grandissima ora, a udire la messa, tutte col capo
-coperto, e col viso ch'appena si vedevano„. Ma questa stessa, che
-comincia forse quasi a parervi una monachina di casa, fatta poi sposa,
-e venendo a Firenze un'ambasciata imperiale, sentite se sapeva, come
-le faccende femminili, altrettanto far bene gli onori, non pur della
-casa, ma della città, e d'una città che si chiamava Firenze, la quale
-“in questo tempo„ dice il buon Vespasiano “era abbondante e di virtù
-e di ricchezze, e la fama sua era per tutto il mondo„; città che “a
-quelli ambasciadori parve un altro mondo, rispetto alla grande quantità
-di uomini nobili e degni v'erano in quel tempo, e non meno donne
-bellissime del corpo e non meno della mente; perchè, sia detto con
-pace di tutte le donne e terre d'Italia, Firenze in quel tempo aveva le
-più belle e le più oneste donne fussino in Italia, e di loro per tutto
-il mondo n'era tal fama„. E descrive un ballo che a quei gentiluomini
-dell'Imperatore fu offerto dalla Signoria, in Piazza, sopra un palco
-dal lato del Palazzo verso Condotta, con grande apparato di spalliere,
-e pancali, e arazzi, e festoni; e i primi giovani della città, vestiti
-tutti a un'assisa di drappi verdi ricchissimi, e calzatura di pelle
-sino a' fianchi; e le fanciulle e le spose, con ricche vesti accollate
-fregiate di perle e di gioie. Alla onoranza di ciascun ambasciatore
-deputate due dame: che pel primo di essi sono l'Alessandra, maritata
-in quello stesso anno (era il 1482, ed ella n'aveva appena diciotto),
-e una Francesca Serristori. Dopo il ballo, si porta in giro la
-colezione; ed ecco l'Alessandra servire ella stessa gli ambasciatori,
-“con una tovagliuola di rensa in sulla spalla.... con una ismisurata
-gentilezza.... facendo riverenza con inchini in fino in terra, naturali
-e non isforzati, che pareva non avesse fatto mai altro„. Poi, ballo
-di nuovo; e, infine, accompagnamento degli ambasciatori all'albergo,
-ciascuno d'essi dando di braccio alle due belle fiorentine, una di qua
-e una di là, Alessandra alla diritta: e giunti alla porta dell'albergo,
-“il primo ambasciatore si cavò uno bellissimo anello di dito, e donollo
-all'Alessandra; di poi se ne cavò un altro, e donollo alla compagna„.
-Dopo di che, “salutati le giovani e i giovani, gli ambasciadori
-accompagnarono le giovani alle case loro„.
-
-Il biografo quattrocentista, che sul declinare del secolo scriveva
-di questa e d'altre donne fiorentine della generazione antecedente,
-non finisce mai di far paragoni tra esse e le donne fiorentine del
-tempo suo, deplorando lo scadimento del costume e delle consuetudini
-più virtuose e severe. In questi lamenti, un po' di parte va fatta
-certamente all'abito che fu e sarà sempre di tutti i tempi, del
-rimpiangere, per questo o quel rispetto, il passato; un'altra poca,
-inoltre, alla disposizione di Vespasiano a trovar che ridire su troppe
-cose (figuratevi che una volta vuole e prescrive che le donne “imparino
-a non parlare, massime in chiesa„, egli dice; e poi, come se fosse
-poco, soggiunge “e in ogni altro luogo„): pur tuttavia, fatte queste
-eccezioni, e lasciando lo scherzo, io credo che que' suoi lamenti,
-specialmente quando li formula, com'è spesso, in osservazioni positive,
-attengano a condizioni reali; e propriamente a quella mutazione che
-anche nella vita domestica, di cui la donna è custode e gli atti suoi
-sono specchio, avevano indotto le splendidezze, a un poco per volta
-sempre più cortigiane, di quei Medici, la cui potenza attraeva oramai,
-volere o non volere, con l'interesse e la fortuna delle famiglie, anche
-gli affetti, le speranze, i disegni, che più disposta e inchinevole ad
-accogliere, in pro della famiglia, e fomentare è la donna.
-
-“Ricòrdati che chi sta co' Medici sempre ha fatto bene, e co' Pazzi el
-contradio; che sempre sono disfatti„: così scriveva (e s'era solamente
-al 1461, diciassette anni prima della sanguinosa congiura) un'altra
-Alessandra pur maritata negli Strozzi, e che essa pure come la Bardi
-dagli esilii di quella famiglia ebbe lunghi dolori al suo cuore di
-moglie e di madre, ma altresì la consolazione, prima che morisse, di
-veder restituiti alla patria, e molto per la efficace materna opera
-di lei, i figliuoli, e il maggior d'essi gettare alla grandezza della
-sua famiglia quelle fondamenta delle quali è superbo monumento il
-loro meraviglioso palazzo: Alessandra Macinghi negli Strozzi, alla
-quale un altro monumento con la pubblicazione delle sue _Lettere a'
-figliuoli esuli_, che io vorrei avere autorità di raccomandarvi e farvi
-care, o Signore, componeva, ne' dì nostri, Cesare Guasti, erudito e
-scrittore degno d'interpretare que' dolori, quelle consolazioni, quelle
-grandezze.
-
-Lo avvicinarsi ai Medici anime elette come quelle della Macinghi
-Strozzi, matrona del cui costume e pietà avrebber potuto compiacersi
-la bontà di Antonino arcivescovo o la fierezza di Girolamo Savonarola
-(e a qualche pratica durezza piuttosto de' tempi che sua, confido
-che, ripensandoci, il nostro Biagi[96] si farà più indulgente), lo
-avvicinarsi, dico, di tali anime e famiglie (ne cito un'altra, i
-Rucellai) ai Medici, mostra che l'opera di questi era stata non tanto
-di corruzione, quanto di acquistare potenza fra i cittadini, prendere
-dello stato (è la frase del Machiavelli, e del tempo) quanto a mano a
-mano ne veniva ad essi concesso, cosicchè la forza loro sormontasse
-invincibilmente su tutte le altezze, preponderasse su tutte le
-resistenze, schiacciasse quasi fatalmente tutto ciò che si levasse
-contro di loro. “Co' Medici, e non co' Pazzi!„: a quell'affettuoso
-ammonimento materno risponde tragicamente, a distanza d'anni, nel
-maggio del 78, un'altra voce di donna, anzi lo schianto d'un cuore,
-d'un cuore di figliuola, ne' giorni che l'uccisione di Giuliano de'
-Medici e le ferite di Lorenzo erano, nel sangue de' congiurati e di
-chiunque paresse averli comecchessia favoriti, vendicati come delitti
-contro la patria. La figliuola d'uno di costoro, giovane sposa di
-vent'anni, Ginevra di Piero Vespucci (cognata della bella Simonetta; e
-Piero, uomo, del resto, di poco senno, era stato un tempo deditissimo
-a Lorenzo, e giostratore nel 64 in Santa Croce con lui, e armeggiatore
-col Benci sotto le finestre della Marietta), scrive, la Ginevra a
-Lorenzo, queste parole spezzate dal pianto: (la lettera è inedita e
-sfuggita alle ricerche e curiosità erudite): “Amantissimo in luogo di
-buon padre. La cagione di questi dolorosi versi si è perchè ieri non vi
-potei parlare come desideravo, per potervi pregare e ricordare l'amore
-e benivoglienza avete portata in questa casa, e le parole e promesse
-fatte a me, e l'umanità dimostrami, quando mi chiamasti sorella: e però
-vi priego vogliate accettare e mie' prechi, e ogni amore e promesse
-rivolere in questo, e avere misericordia e compassione di noi tutti.
-Vorrei vi fussi di piacere considerare la condizione di mio padre, e
-specchiarvi in me, e non considerare quello che fa in ogni suo caso,
-che non è solo in questo. E priegovi quanto più posso mi facciate
-questa grazia; e questo si è, me lo rendiate senza altro segno, e
-che la penitenza di questo peccato sia quella che à avuta: chè quando
-penso, della età ch'egli è e poco sano, come è stato buon pezo, e ora
-di nuovo, colla febbre, essere dove egli è, e avere e' ferri in piè;
-che quando ci penso, mi scoppia el cuore. Priegovi abiate pazienza se
-questi versi vi danno tedio, e priegovi per l'apportatore mi mandiate
-qualche buona risposta; però che chi misericordia fa, misericordia
-aspetti: e priego Idio vi metta in cuore, me lo rimandiate istasera:
-e se io fussi con Voi, tanto vi pregherei me lo renderesti: e ora
-di nuovo ò inteso à avuta della fune. Priegovi non ci vogliate fare
-disperare più. Ginevra isventurata.„
-
-Invero, la vita di quelle donne, quale la rivelano e l'aureo volume
-del Guasti (che, potendo essere a mano di tutte, io mi son proposto di
-lasciare pressochè intatto alla curiosità del cuor vostro, Signore e
-Signorine) e lo pubblicazioni che di altri documenti femminili si sono
-venute facendo, non solamente si vede essere tutta per la famiglia;
-ma che quelle poderose famiglie, Medici, Strozzi, Salviati, Rucellai,
-Guicciardini, Soderini, Ridolfi, debbono a coteste donne non piccola
-parte della forza che ebbero, a fare quello che fecero. Il Savonarola,
-che sulla caduta della supremazia Medicea tentò costruire saldamente
-l'edificio del governo popolare, sentì quanto importasse al suo
-intendimento avere a ciò profonde basi nella famiglia: pensò, come
-la prima delle sue riforme, la riforma del costume; e si rivolse alle
-donne. E non tanto, intendo, alle mistiche, quali erano una Visdomini,
-una Gianfigliazzi, una anzi due Rucellai; com'a dire le Giacobine di
-quello che poc'anzi ho chiamato Terrore Piagnone; giacobine, bensì, che
-poi finivano monache, anzi una di esse Beata. Ma alle madri proprio di
-famiglia, il Savonarola si rivolgeva: alle donne e a' fanciulli, che
-è quanto dire alle forze dell'affetto materno, si rivolgeva, come a
-instrumenti politici, con la fede, con cui l'avversario suo papa Borgia
-si appoggiava alla spada e al pugnale del suo Valentino. “O donne e
-fanciulli, la vostra riforma non è ancora vinta. Dite da mia parte alla
-Magnifica Signoria, che questa non è cosa umana, ma di Dio; e fateli
-questa imbasciata: che la racconcino se vi è cosa che non stia bene, e
-che gli diano la sua perfezione; e che se non lo faranno, e si faranno
-beffe delle opere di Dio o le contradieranno, che il Re gli punirà. E
-ditegli che non sono Signori, ma ministri del Signore e del Re nostro
-Cristo.... A voi, padri e madri, dico: confermate questa cosa a' vostri
-figliuoli, perchè non vi è dentro se non buon vivere. Altrimenti Dio
-ha apparecchiata la punizione a chi contradirà alle cose sue. Io ve
-lo dico certo, e tenetelo a mente.„ Il magnanimo frate fu arso; e
-il profeta, smentito dai fatti: ma molta parte di quella generazione
-informata da lui rimase fedele a _Popolo e Libertà_, l'antico grido
-del Comune glorioso: e que' fanciulli, che ne' carnevali de' Piagnoni
-avean ballato intorno al Bruciamento delle vanità (cotesto bruciamento
-altra cosa è approvarlo, ed altra intenderlo pel suo verso), que'
-fanciulli, fatti uomini sostennero e combatterono, dalle mura di
-Firenze assediata, contro il Papa e l'Imperatore, le ultime battaglie
-della libertà italiana.
-
-Un'egual gagliardia di sentimenti e di opere; un intenso sforzo di
-tutte le energie morali, e un cupo raccoglierle e quasi appuntarle
-alla vita pratica, al riuscire; durante que' trentacinqu'anni, che
-intercedono fra il rivolgimento popolare nel 1494 e la caduta della
-Repubblica nel 1530, animano del pari l'un campo e l'altro: gli eredi
-e rivendicatori della libertà manomessa; e gli eredi e sostenitori
-delle splendide ambizioni di chi la vuole ormai sopraffatta. Anche
-sulle manifestazioni dell'arte, e nella elaborazione del pensiero,
-incombe il travaglio dell'ignoto avvenire. Il giardino Mediceo di San
-Marco, dove il Poliziano erudiva ne' miti ellenici i pittori e gli
-scultori, e nella storia carlovingia Luigi Pulci, e il Ficino cercava
-in Platone conciliazioni feconde tra la civiltà pagana e la fede
-di Cristo, quel giardino è deserto. Ora è il Machiavelli che nelle
-conversazioni degli Orti Oricellarii idealizza le togate figure di Roma
-antica, e ne entusiasma i giovani che congiureranno contro i Medici,
-mentr'egli da quella grande nostra storia romana dedurrà dottrina di
-Stato, destinata a chi, in tristi tempi con tristi mezzi, sappia far
-trionfare, per la salvezza d'Italia, un'idea generosa. Ma i Medici,
-ne' quali egli vagheggia il suo principe, muoiono giovani: e sulle
-loro tombe Michelangiolo scolpisce il Pensiero doloroso e la Notte.
-Ben diverso trionfo, e non generoso, alla fortuna della loro famiglia
-preparano, fattone strumento le Somme Chiavi, Leone X e Clemente VII:
-ma per tutto cotesto periodo, di resistenza e di contrasto, durante
-il quale difesa, ritorni, congiure, cacciate, si alternano, per poi
-conchiudersi in quella caduta da eroi sulla quale irraggia la sua luce
-il Ferruccio, la vita civile e la domestica non sono più nè possono
-essere il gaio vivere, a sicura letizia intonato, nel quale, da Cosimo
-a Lorenzo, Firenze aveva sorbito lentamente la dissuetudine dalla
-libertà. I carnevali del magnifico Lorenzo vecchio de' Medici, come
-lo chiamano i contemporanei del nipote suo Lorenzo, che col ducato
-d'Urbino anticipa ai Medici il titolo ond'è per coronarsi in Firenze
-la loro secolare cupidigia, quei carnevali non tornano più: nè valgono
-a rattizzarli le Compagnie del Broncone e del Diamante, nelle quali,
-sotto le imprese e i motti e l'auspicio di que' passati splendori, si
-raccoglie a darsi piacere la gioventù pallesca. I tempi non sono più
-quelli, nè per Firenze, nè pur troppo, dopo la calata di Carlo VIII,
-per tutto il resto d'Italia.
-
-E la donna? Fedele custode delle sue tradizioni, in cotesta vita che
-è divenuta tutta una guerra guerreggiata di foschi interessi, essa ha
-vegliato e veglia agl'interessi del focolare: specialmente la madre.
-Quando il magnifico Lorenzo perdette la sua, “Ho perduto„ scrisse “un
-unico refugio di molti mia fastidii e sollevamento di molte fatiche,
-uno instrumento che mi levava di molte fatiche„. “Tornate a vostra
-madre che con tanto desiderio vi aspetta„; scriveva la Macinghi
-Strozzi: e ai figliuoli esuli la voce di quella valente vecchia era
-come la voce cara della patria, della patria che riapriva loro le
-braccia, per tanti anni sì crudelmente serrate. E così la Lucrezia come
-l'Alessandra hanno quasi con le loro proprie mani fatto i matrimoni
-de' loro figliuoli; sottoponendo al sindacato del loro occhio materno,
-nelle possibili nuore, tutto, dalla persona all'animo, ai costumi, al
-parentado, alla dote: e fra le passate in rivista dall'Alessandra è,
-con non troppo favore, la bella Marietta delle armeggerie e della neve.
-Ora la Maria Salviati vedova del gran capitano Giovanni delle Bande
-Nere, attende alla futura grandezza del suo Cosimo, che a diciott'anni
-improvvisamente duca di Firenze, saprà, educato da quella donna di
-alto animo, sottomettere o schiacciare i nemici, se anche si chiamino
-Filippo e Piero Strozzi, deludere o respingere le pericolose ambizioni
-de' partigiani, se anche si chiamino Francesco Guicciardini. Al buon
-avviamento, prima, poi alla salvezza del suo sciagurato figliuolo
-Lorenzino de' Medici, si adopera inutilmente la Maria Soderini: ed
-essa e le figliuole bellissime, entrate negli Strozzi, la Laudomia e
-la Maddalena, e dagli Strozzi entrata nei Ridolfi la Maria figliuola
-di Filippo, il gran gentiluomo del secolo, parteciperanno, con gli
-accorgimenti animosi e le ispirazioni de' loro cuori di madre, di
-sorella, di moglie, all'affaticarsi infruttuoso, non però ingeneroso,
-de' fuorusciti, contro l'afforzamento del principato Mediceo.
-Protesterà, contro la violenza e il tradimento che lo hanno insediato,
-la figliuola d'uno di quei fuorusciti, Giulia di messer Salvestro
-Aldobrandini; che nella corte d'Urbino, richiesta da Fabrizio Maramaldo
-di ballare con lui, “Levatemivi dinanzi„, gli risponde “chè ammazzaste
-così vigliaccamente il Ferruccio„. Ma tra le vittime del novello
-principe cadrà una gentile di quella schiera, Luisa Strozzi; sulla cui
-tragedia, e su quella che pochi anni appresso involge nel mistero la
-morte del padre suo Filippo, aleggiano sinistramente le parole dell'ava
-veggente: Chi è contro a' Medici, sarà disfatto. Parole, del resto, che
-nella casa degli Strozzi non ha ascoltate una Medici stessa, la madre
-della Luisa, la Clarice moglie di Filippo e cospiratrice zelante alle
-fortunose ambizioni di lui; anima, piuttosto che di donna, d'uomo e dei
-più fieri di quel fiero Cinquecento: la quale ai giovinetti bastardi,
-nelle cui mani, sotto i non dissimili auspicii di papa Clemente, il
-moto popolare del 1527 trova le redini della signoria Medicea, ha
-rinfacciato la passata grandezza de' suoi antenati, fondata sul favore
-del popolo; e in nome di questo, nel palagio de' Medici, essa una
-Medici autentica, ha loro additata e quasi intimata la via dell'esilio.
-
-Forti donne, alle quali può l'uomo di cui portano il nome commettere
-con fede le faccende domestiche, de' figliuoli e del patrimonio, della
-casa e della villa; come messer Luigi Guicciardini, mentr'è fuori
-Commissario pe' Medici, alla sua monna Isabella, una massaia stupenda,
-che io mi onoro d'aver rivelata dalle sue lettere campagnuole:
-commettere e raccomandare la custodia del palagio, e il decoro della
-casata; che alle mani della moglie di Pierfrancesco Borgherini, madonna
-Margherita, saranno sicuri. E quando un Della Palla, incettatore per
-re Francesco di Francia di tesori artistici dalle case della nostra
-città, si presenta con mandato (pur troppo!) dei Priori alla casa di
-monna Margherita a mercanteggiare una sua camera, meravigliosa pe'
-lavori di Iacopo da Pontormo, quella davvero nobilissima gentildonna lo
-riceve così: “Adunque vuoi essere ardito tu Giovambattista, vilissimo
-rigattiere, mercantuzzo di quattro denari, di sconficcare gli ornamenti
-delle camere de' gentiluomini, e questa città delle sue più ricche
-ed onorevoli cose spogliare, come tu hai fatto e fai tuttavia per
-abbellirne le contrade straniere ed i nemici nostri? Io di te non mi
-meraviglio, uomo plebeo e nimico della tua patria; ma dei magistrati
-di questa città, che ti comportano queste scelerità abominevoli.
-Questo letto che tu vai cercando per lo tuo particolare interesse e
-ingordigia di danari, come che tu vada il tuo mal animo con finta pietà
-ricoprendo„, cioè di conciliare a Firenze assediata la benevolenza del
-Re “è il letto delle mie nozze, per onor delle quali Salvi mio suocero
-fece tutto questo magnifico e regio apparato, il quale io riverisco
-per memoria di lui e per amore di mio marito, ed il quale io intendo
-col proprio sangue e con la stessa vita difendere. Esci di questa casa
-con questi tuoi masnadieri, Giovambattista; e va', di' a chi qua ti
-ha mandato comandando che queste cose si lievino dai luoghi loro, che
-io son quella che di qua entro non voglio che si muova alcuna cosa:
-e se essi, i quali credono a te uomo dappoco e vile, vogliono il re
-Francesco di Francia presentare, vadano e sì gli mandino, spogliandone
-le proprie case, gli ornamenti e letti delle camere loro. E se tu sei
-più tanto ardito che tu venga per ciò a questa casa, quanto rispetto
-si debba da' tuoi pari avere alle case de' gentiluomini, ti farò con
-tuo gravissimo danno conoscere„. La conversazione o, se anche vogliamo,
-l'amplificazione di queste generose parole di donna in una pagina del
-buon Vasari, mi pare debba riconciliarci alquanto con l'oratoria dei
-Cinquecentisti. Ma voi, quando nel Palagio del Potestà passate innanzi
-ad un mirabile cammino in pietra di Benedetto da Rovezzano, che da
-una sala appunto delle case che furono de' Borgherini colà trasferito,
-è ormai assicurato al patrimonio intangibile della nazione italiana,
-siate superbe, o gentildonne fiorentine, della vostra concittadina; e
-se mai occorresse, ricordatevi dell'esempio ch'ella vi ha dato.
-
-Che se la Margherita e l'Isabella favoreggiano, e la Maria Salviati
-Medici rappresenta essa stessa potentemente quella parte Medicea dalla
-quale, almeno in quel truce epilogo delle sue ambizioni, rifuggono
-le simpatie di noi tutti (compreso, senza dubbio, l'apologista
-dotto e sagace, per la cui eloquenza ha in questa sala rivissuto una
-genialissima ora di vita il magnifico Lorenzo)[97]; se la Clarice
-Medici Strozzi, e le gentildonne de' fuorusciti, agitano in petto,
-insieme con altre passioni più nobili, gl'interessi altresì e i
-rancori di ambizioni men della Medicea fortunate; non mancano poi
-alla libertà che muore, non mancano dal popolo che per lei combatte
-senz'altra ambizione nè amore che non sia essa stessa la libertà, le
-sue eroine. Eroine anonime, come le dà la plebe, generosa de' nomi non
-meno che del sangue (così non ne fosse prodiga anche a chi la inganna
-e la sfrutta!); anonime, e nella veglia del malinconico inverno de'
-casolari affigurate in leggenda. Tale la Lucrezia Mazzanti figlinese,
-che nei gorghi del suo Arno cerca scampo alle brutali violenze della
-soldataglia imperiale e papale: matura sposa quarantenne, ma che il
-popolo vuole restituita alla poesia dell'intatta giovinezza, mentre
-alla novella Lucrezia romana dedicano il loro latino gli ultimi
-umanisti del Rinascimento, che il Bruto cesaricida esalteranno in
-Lorenzino de' Medici. E dalle popolari memorie, nella storia del tempo
-raccolte, effigiò modernamente il Guerrazzi, quando ne' duri anni
-della servitù d'Italia volle essere l'Omero della libertà fiorentina,
-quella che egli denominò monna Ghita setaiuola in Borgo San Friano:
-“alta della persona, magra, adusta dal sole, sicchè sembrava di colore
-del rame; i muscoli del collo grossi e protuberanti, le vene turgide,
-le labbra vermiglie, e comunque tacessero, agitate; le narici ansose,
-gli occhi fulgidissimi, perpetuamente volgentisi da un lato all'altro;
-i contorni del volto squadrati, la faccia ossuta„; una Parca di
-Michelangiolo: la quale, vedova e povera, dà alla difesa della patria
-le buccole d'oro delle dónora maritali, e il figliuolo unico: “il mio
-Ciapo di sedici anni e otto mesi, perchè deve entrare ne' diciassette
-come si arriva alla festa di San Zanobi„; dopo fattogli giurare sul
-Crocifisso il giuramento con che la Spartana consegnava al figliuolo
-lo scudo: O con questo, o su questo. Ultima espansione da cuore di
-madre popolana, dell'amor di patria nel sacrifizio della famiglia.
-Succederanno i tempi ne' quali il popolo italiano dovrà dimenticare
-d'avere una patria, cercar nelle gride (povero Renzo!) il diritto
-d'avere una famiglia: e agli oppressi dalla doppia tirannide, politica
-e sociale, non rimarrà altra voce, se non il pianto di Lucia che dice
-addio a' suoi monti.
-
-
-VI.
-
-La libertà repubblicana è caduta: e su quelle rovine han fatto le
-loro paci, la Chiesa di Roma, che per entro alla corruzione secolare
-e alle pagane eleganze ha giocata la sua unità, e il sacro Romano
-Impero, le cui idealità medievali son fatte così una brutta cosa,
-nella greve signoria di Carlo V spagnuolo, del monarca su' dominii
-del quale il sole non tramonta. Splendori di corti, di pensiero e di
-roghi, illumineranno l'età che incomincia, della quale il mio tema
-varca sfiorando le soglie, e destinata, o Signore, alle conferenze
-del prossimo anno. Nei sozzi e atroci drammi coniugali dei duchi e
-granduchi Medici e de' loro cortigiani, ultima che ritragga dell'antico
-“femminile„ fiorentino, bella, culta di lettere, esercitata nella
-poesia, nella musica, nell'uso di più lingue, del volgar nostro
-intendentissima, gentile d'animo, è l'infelice Isabella Medici Orsini.
-Altre gentili ospita il chiostro; il chiostro, talvolta cercato e
-invocato, troppo più spesso destinato alla inconsapevole innocente
-fanciullezza da quelle tirannidi gentilizie, scellerate e codarde,
-delle cui vittime la Geltrude del Manzoni è vendetta immortale. E nel
-chiostro, da uno ad un altro trafugandola gelosamente, i repubblicani
-fiorentini dell'Assedio avean custodita Caterina de' Medici: come utile
-ostaggio, speravano; e non sapevano di serbarla a ben altre fortune.
-“Andate, e dite a que' miei padri e signori, che io intendo d'essere
-monaca, e di starmi in perpetuo con queste mie reverende madri„;
-mandava ella a dire alla Signoria: l'aspettavano invece il trono di
-Francia, e le guerre civili di religione, e la _Saint-Barthélemy_.
-
-Ma ai dolci silenzi della meditazione pietosa sulle umane colpe e
-sventure, agli entusiasmi verso Dio buono, ai terrori di Lui giusto,
-era nata Caterina de' Ricci, che in San Vincenzio di Prato si chiude
-giovanissima, negli anni durante i quali per un'altra di quel casato,
-la Marietta Ricci Benintendi, duelli di non degno amore intermezzano
-le battaglie della libertà, e il nome d'un'altra Ricci, Cassandra, è
-vituperato fra le tresche e nel sangue. Caterina nel chiostro riceverà
-le ultime tradizioni e gli affetti de' seguaci di frate Girolamo;
-appiè dell'altare, sul quale ella un dì sarà santa, consacra la
-religione del martirio di lui: e dal chiostro, non ripudiata l'umana
-fraternità, a' suoi di casa parla, nelle _Lettere_, parole di pace, di
-conforto, d'amore; ai prelati suoi superiori, di reprensione reverente,
-ove occorra; agli uomini, che tra le cure civili o mercantili si
-travagliano, parole di virtù operosa e che si affisa nell'alto; di
-giustizia, ai principi; di miti e caritatevoli affetti, alle donne;
-e delle due che furono le mogli di Francesco de' Medici, ama Giovanna
-d'Austria infelice, prega e fa pregare Dio per Bianca Cappello.
-
-Nè con l'infoscarsi, sempre più cupo, de' tempi, col sempre più
-gravemente incombere sulla libertà politica e del pensiero la domestica
-e la straniera tirannide, manca ne' chiostri, alla pietà verso chi
-rimane nel mondo, il cuor della donna: o l'abbiano esse lasciato,
-o esso il mondo le abbia allontanate da sè, quelle buone sentono e
-fanno suoi i dolori della famiglia alla quale appartennero. Sulla
-collina d'Arcetri si raccoglie a morire, quasi prigioniero, il grande
-liberatore del pensiero moderno, Galileo: ma presso alla villa del
-Gioiello, che oggi nel suo nome ci è sacra, vegliano su lui, dal
-convento di San Matteo, l'affetto e la preghiera d'una santa creatura,
-che data a lui dall'amore, egli è forse colpevole di avere, sin dalle
-fasce, destinata all'espiazione; della sua Virginia, che egli ha voluto
-sia suor Celeste: ed ora ella viene a lui, non potendo di persona,
-con le _Lettere_ nelle quali quella cara anima è sopravvissuta anche
-a noi: e si accuora de' suoi dolori, e trepida delle sue malattie; e
-si prostra reverente al suo divino intelletto che “penetra i cieli„; e
-in una rosa, che gli manda nel cuor dell'inverno, vuole intravvegga,
-di là dal “breve e oscuro inverno della vita presente, la primavera
-dell'eternità„; e s'addossa ella le penitenze spirituali impostegli
-dal Sant'Ufizio; e al ricevere un suo libro, o al sapere di onoranze
-resegli, esulta; e vorrebb'essere “in una carcere assai più stretta
-di quella in che si trova„, per far libero lui; nè le duole di
-esser monaca, se non quando sente ch'egli è malato, per non potere
-assisterlo; e dovendo come le altre monache scegliere fra i Santi il
-Santo “suo devoto„, non altri sa scegliere, con sublime profanità di
-figliuola, che il padre suo, il padre che prega Dio le sia conservato,
-“perchè dopo di lui non mi resta altro bene nel mondo„. E quando
-cotesto martirio di amor filiale incarcerato ha il suo termine, e a
-trentatrè anni ella muore, il povero glorioso vecchio sentirà spezzato
-il più caro vincolo che ancora lo congiungesse col mondo; più dura e
-crudele gli pesa ora la guerra indegna che in lui è fatta ai diritti e
-all'avvenire dell'umanità: e di lì a breve, cieco, infermo, degnato di
-concessioni umilianti come a colpevole ravveduto, fattogli elemosina
-di licenza e di permessi come a tollerato dai potenti della terra,
-egli che ha rivelato i misteri del cielo, nel presentire la morte: “Mi
-sento„ esclama “continuamente chiamare dalla mia diletta figliuola„.
-Nè so se la donna abbia mai scritta nella propria storia una pagina che
-valga cotesto grido paterno, uscito dal cuore di Galileo.
-
-
-VII.
-
-Le libertà repubblicane caddero, e successero i tempi infausti
-della servitù: ma al terzo secolo da quella caduta, il sepolcro si
-è dischiuso, e la libertà d'Italia risuscitò da morte. E la donna
-italiana, così da Firenze come da ogni altra città e villaggio e
-borgata della patria che è nostra, ha dato a quel risorgimento i
-dolori del sacrificio e del martirio, le ansietà delle trepidanti
-speranze, il pensiero e il lavoro degli uomini ch'ella ha amato e
-ispirato, la vita propria, il sangue de' suoi figliuoli; da Eleonora
-Fonseca a Teresa Confalonieri, dalla madre dei Ruffini alla madre
-dei Cairoli: all'Italia han dato il fior dell'ingegno la Guacci, la
-Turrisi Colonna, la Ferrucci, la Brenzoni, la Paladini, la Percoto, la
-Milli, la Mancini, la Fusinato. O madri toscane, o spose, o sorelle, o
-figliuole, che da Curtatone e Montanara alla rivendicazione di Roma le
-sante battaglie della libertà orbarono de' vostri cari; o gentildonne
-animose, o buone popolane, della nostra Firenze; la tradizione con le
-forti donne dell'antica nostra istoria è per voi ricongiunta.
-
-Nè più tardi d'ieri, da una collina le cui vigne e gli oliveti
-ombreggiavano una tomba recente, è disceso un feretro, che da
-quella tomba trasferiva, così volendo la nazione, in Santa Croce,
-e restituiva al sepolcro degli avi suoi, de' Priori e Gonfalonieri
-della nostra Repubblica, la salma di Ubaldino Peruzzi, nella cui
-persona, il 27 aprile di trentadue anni fa, Palazzo Vecchio tornò al
-suo antico signore, il Popolo fiorentino. Pia custode di quella tomba
-gloriosamente vuota, è rimasta una Donna: che tanto seppe, tanto potè,
-nei pensieri e negli affetti di lui; che lo animò, lo aiutò, alle
-onorate fatiche, ne' dubbi lo consigliò, gli confortò i patimenti,
-gli consolò le ingiustizie, gli allietò i trionfi. Storia, che in
-tutti i paesi civili, in tutte l'età, è la storia vostra, o Signore:
-che compendia i diritti e i doveri vostri verso le due grandi non
-distruggibili società, delle quali voi siete l'anima immortale: la
-famiglia e la patria.
-
-
-
-
-IL POLIZIANO E L'UMANESIMO
-
-DI
-
-GUIDO MAZZONI.
-
-
- _Signore e signori_,
-
-Presentarmi a voi, che avete fama meritata di giudici eletti, a voi che
-pur ne' giorni scorsi udiste Adolfo Bartoli e udirete dopo me altri che
-io reputo maestri miei, per discorrere del Poliziano e dell'Umanesimo,
-argomento grave e forse nell'ampiezza sua meno adatto alle strette
-d'una lettura, sembra audace a me stesso: ma non si conveniva a me
-fiorentino negar l'opera mia in una impresa di cui Firenze si compiace,
-come è questa delle pubbliche letture; dirò più schietto, non mi diè
-l'animo di rifiutare l'onore che mi si fece invitandomi qui. Di che a
-ottenere più agevole indulgenza, tacerò ogni altro preambolo. Ma prima
-consentite ch'io vi preghi a unirvi meco in un desiderio di tutti gli
-studiosi. Isidoro Del Lungo ha da mantenere certa sua promessa: ha da
-darci quella vita del Poliziano della quale pubblicò saggi per dottrina
-e per critica eccellenti; promessa giovanile, cui stima sottrarsi
-affermandola invecchiata con lui; promessa di galantuomo e valente,
-che vuole essere mantenuta, voi gli rispondete con me. A un libro del
-Del Lungo non si rinuncia così per fretta; e troppo, nel tornare per
-voi sul Poliziano, troppo ho risentito quel che importi averne o no la
-guida sicura.
-
-
-I.
-
- Dolci gli studii un tempo già m'erano: ahimè che m'incute,
- la Povertà, co' suoi luridi cenci, orrore!
- Onde, poi che 'l poeta non è che ludibrio del volgo,
- stimo più savio cedere a' tempi anch'io.
-
-Questo lamento, che suona troppo più efficace ne' distici latini
-dell'originale, questo sospiro di Angelo Ambrogini (sarà tra breve il
-Poliziano) alla quiete e agli agi di una vita, quale egli desiderava la
-sua, tutta spesa sui libri degli antichi e nell'esercizio dell'arte,
-è schietto documento dello stato e dell'animo di lui quindicenne.
-Cinque anni prima, gli avevano ammazzato il padre, per ciechi odii,
-ferocemente; il padre, messer Benedetto, uomo di legge, onorato d'alti
-offici nella patria Montepulciano, poi giudice a Pisa, cui non era
-valso chiedere protezione a Piero di Cosimo de' Medici, che “per
-l'amore de' suoi piccoli cinque figliuolini, lo sicurasse in modo che
-potesse starsene sicuro a casa sua senza portar arme, che non era suo
-mestiere„; nel maggio del 1464, tentando egli invano ripararsene con
-le mani inermi, l'avean morto più colpi di coltello e di partigiana.
-Vendetta, come allora si usava, ne era stata presa, due anni dopo, da
-un nipote che, sangue per sangue, uccise gli uccisori: ma la vedova
-si era rimasta con que' cinque figliuolini, e avea dovuto mandare il
-maggiore di essi, Angelo, a Firenze, da un cugino del marito, perchè si
-cercasse migliori fortune.
-
-Tardavano queste; ed Angelo sentiva ogni dì più, nell'animo vivace,
-nella mente addestrata alle lettere, il disagio e il cruccio della
-miseria, onde quel sospiro che dianzi avete ascoltato. Ma come,
-giovinetto quale era, povero quale era, potesse dare al sentimento la
-veste succinta di un epigramma latino, non intenderà chi non rammenti
-che fosse, a mezzo il secolo decimoquinto, la coltura italiana e più
-specialmente la fiorentina; non rammenti, cioè, i modi e i luoghi di
-quell'amore anzi furore per gli studii delle lettere che ebbe allora,
-con parola ciceroniana, rimasta fino a' dì nostri nell'uso delle
-scuole, titolo di umanità; delle lettere, anzi di tutta quanta la vita
-latina e greca; perchè parve che l'Italia, dopo le vicende barbariche,
-volesse riabbracciarsi stretta alla madre Roma, e quasi per ossequio di
-lei venerare più da presso gli esemplari della vita e dell'arte che i
-Romani stessi avevano ammirato nei Greci.
-
-Alla parola Rinascimento non può ormai attribuirsi il senso che
-anche qualche anno fa le era attribuito: tra la lingua e la civiltà
-latina, tra la lingua e la civiltà nostra, distacco non fu. Come la
-persistenza del latino letterario per tutte le scritture nell'età di
-mezzo basterebbe a dimostrare, se altre testimonianze mancassero, la
-persistenza dell'insegnamento; come le opere degli antichi, giunte
-fino a noi su libri copiati nell'uno o nell'altro secolo di quell'età,
-dimostrano che mai non furono del tutto obliate, e le citazioni e le
-imitazioni ne dan riprova; così i vanti delle famiglie e delle città
-che ripetono a gara l'origine degli antichi eroi, e ne onorano i
-sepolcri che si credono recuperare, e conservano o dànno ai magistrati
-i nomi d'un tempo gloriosi, affermano che il popolo d'Italia non smarrì
-mai, e viva e intiera riebbe presto, la coscienza del sangue suo, del
-latin sangue gentile. Sì che Dante, il quale osava, contro il dispregio
-delle scuole, levare alle altezze del suo pensiero la parlata del
-volgo, Dante si stima, proprio perchè fiorentino de' puri, romano, e
-fa che Virgilio si stringa fra le braccia con amore di compatriotta il
-recente Sordello, e a Virgilio si fida come a connazionale, dicendolo,
-con orgoglio di comunanza, nostro. E neppure si era mai spenta, fosse
-pur fioca e vacillante, la luce degli studii greci, alimentata da
-quanto la Chiesa d'occidente nei testi e nei riti aveva di greco, da
-quello che avevano dato e davano a tratti le ragioni politiche, dal più
-che recavano i commerci continui tra le repubbliche nostre e l'impero
-orientale. Morte dunque non fu, e parola fallace è perciò quella del
-Rinascimento; non da sbandirla, ove s'intenda che l'Italia, nei secoli
-dall'undecimo al decimosesto, rinvigorita, rallietata tutta, ebbe come
-una nuova gioventù di fede in sè e di gagliardia; quasi una grande
-quercia che, dopo aver frondeggiato ne' secoli, rotta ed arsa da più
-fulmini, sembri, per una stagione, destinata a perire; ma le percosse
-stesse e il riposo le hanno invece giovato, e getta fronde novelle, di
-verde più gaio, e torna a dare ombre dilette e ghirlande di gloria.
-
-Ma per pochissimi che delle lettere classiche sapevano tanto da
-valersene come di nutrimento vitale al pensiero, per pochi che almeno
-modellavano lingua e stile su questo o su quell'autore de' buoni,
-quanti (e parlo sempre degli uomini colti) confondevano le forme della
-grammatica in un gergo strano, dove non era nè il latino corretto nè il
-volgare schietto, e le cose e gli uomini dell'antichità confondevano
-in una scienza tutta errori e leggende! Il popolo s'era fatto un
-Virgilio mago, del quale narrava le arti: come avesse purgata Napoli
-dall'aria cattiva, dalle sanguisughe che ne guastavano le acque, dalle
-cicale, dalle mosche, dalle zanzare che la tediavano, dalle serpi che
-la infestavano; come avesse aperto il monte di Posillipo, e, quel ch'è
-più, atterrito il Vesuvio dall'erompere, con la statua d'un arciere
-pronto sempre a saettarlo. Molte di queste e altre tali meraviglie
-ingrossavano la biografia del poeta ai tempi del Petrarca; e un
-fiorentino non incolto, Antonio Pucci, ne registrava alcune in un suo
-zibaldone, avvertendo che “quantunque paiono a grossi huomini favole
-perchè in loro cuore non le possono comprendere, abbi quelle che udirai
-per vere„. E un altro poeta, più oltre, sui primi del quattrocento,
-poteva di Virgilio arditamente affermare che, andato a scuola,
-
- per la testa grossa che lui avia,
- da' scolari Marone era chiamato.
-
-E già era stato detto innanzi, Virgilio derivare da _ver gliscens_,
-perchè ei fu vario e fecondo come la primavera, e Marone dal mare,
-perchè abbondante di scienza come d'acque il mare. Così d'Ovidio e il
-popolo e i dotti favoleggiavano miracoli; e sul nome facevano, ch'era
-esercizio consueto, belle fantasie: “Ovidio fu poeta (scriveva uno de'
-primi commentatori di Dante) et fu chiamato Publio, et per sopranome
-Ovidio _ab ovo_, perchè aveva tondo il viso, ritratto come un ovo: fu
-ancora chiamato Nasone, perchè aveva uno grande naso.„ Sallustio era
-fatto da alcuni zio di Cornelio Nipote; Stazio, contemporaneo di Ennio,
-e padre di due figliuoli, Archimede e Tebaide, nei quali è facile, con
-la correzione del primo nome in Achilleide, riconoscere i poemi suoi;
-e quasi nomi di uomini erano già stati citati _Eunuchus comoedia_ e
-_Orestes tragoedia_; Plinio il vecchio, confuso col giovane, aveva ai
-molti libri suoi la giunta di leggende su Lucifero e su l'Anticristo;
-e Marziale, per gli epigrammi culinarii, il titolo di cuoco. Nè più
-si sapeva o si capiva della mitologia: “Venus fue una bellissima
-donna, regina de Cipri, e fue sì bella che quanti la vedeva di lei
-innamorava: unde dapuò la sua morte fue deificata e dicta dea de lo
-amore„; “Apollo nacque in Delo e fue sommissimo astrolegho e tractò del
-corso del Sole; e per tanto fue deifichato in lo quarto pianeta. Questo
-Apollo che uno figlio dicto Eschulapio, che grande tempo medichò per
-la scienza del padre; imperò che Apollo fue lo primo che trovasse la
-medicina, et poi stete grande tempo persa, perchè, morto Eschulapio,
-le grosse giente arsero i libri, perchè trovavano che le cose venenose
-intravano nelle medicine; et non sapendo considerare l'utele de la
-scienza, desfecero i libri.„ Basti il saggio breve: tali, su per giù,
-la conoscenza e l'intelligenza dei miti negli anni in cui il Petrarca e
-il Boccaccio si affaticavano a restaurarne lo studio, e iniziavano la
-critica filologica e storica; dove è da notare, per segno dei tempi,
-che il Petrarca a Roberto re, il quale, presenti molti, lo dimandava
-sulla grotta di Posillippo, se la credesse anch'egli opera della magia
-virgiliana, rispose deridendo quelle stoltezze; e il Boccaccio, invece,
-nel commento all'Inferno dantesco, le ribadiva. Le menti del medio
-evo, disadatte a uscire dal cerchio del presente, e giorno per giorno
-seguitando ad allontanarsi inconscie dal modo antico di vedere e di
-rappresentare, non intendevano più nè l'arte nè la vita de' secoli
-greci e romani; e quando volevano rappresentarle, le travestivano. Ciò
-che alla mitologia, accadde alla storia: Teseo diventò duca d'Atene;
-Atene ebbe una università come avevano allora Parigi e Bologna;
-Alessandro Magno, dopo aver corso co' suoi baroni e signori tutto
-l'Oriente, scese in una gabbia di vetro fin giù nel fondo del mare,
-tentò l'entrata del Paradiso terrestre; Nerone partorì dal fianco una
-ranocchia; la regina di Fiesole, Belisea, prigioniera di Catilina,
-andò “la mattina di Pasqua di Pentecosta alla chiesa nella Calonaca
-di Fiesole alla messa„ (mi è ben lecito citar qui il Malispini); e
-Catilina, sfidato da Attila “fece con lui sì aspra battaglia, che
-pochi ne camparo dall'una parte e dall'altra, e Attila fu ritrovato
-morto presso all'Arno, e Catellina fu ritrovato morto nella costa di
-Fiesole„.
-
-Tale, fino a non più che cento anni innanzi al Poliziano, e anche
-più da presso, la dottrina che scrittori non incolti avevano
-dell'antichità. E quanto sapessero di latino, per quel che è della
-correzione e dell'eleganza, mostra il latino stesso di Dante, che
-pur sapeva a mente tutta l'Eneide: dirò di più, il latino stesso del
-Petrarca, tanto migliore di quel di Dante, e pur tanto lontano ancora
-dalla retta imitazione de' classici, e spregiato per ciò dagli umanisti
-più tardi, non senza ragione, come barbarico. E sì che il Petrarca fu
-davvero, quale lo vantano i frontespizii nelle antiche stampe delle
-opere sue, “filosofo, oratore e poeta chiarissimo, della rifiorente
-letteratura e lingua latina, per molti secoli da orrenda barbarie
-deturpate e quasi sepolte, confermatore e instauratore„. Parole
-magnifiche, ma non false. Discepoli suoi possono infatti considerarsi
-e il Boccaccio e il Salutati e il Marsigli e il Malpaghini, co' quali
-l'erudizione classica meglio si addestrò e si fe' laica e divenne
-parte necessaria della vita civile e politica. D'allora in poi
-l'umanesimo, sì bene avviato, avanza ogni anno di spazio, cresce ogni
-anno d'intensità: Firenze è il focolare; le faville se ne diffondono
-per tutta Italia, e, secondo i luoghi, suscitano fiamme nuove o dan
-forza ai fuochi che già ardevano chetamente: a Venezia, Padova, Verona,
-Milano, Pavia, Genova, Mantova, Ferrara, Bologna, Rimini, Urbino,
-Pesaro, e Foligno, e Camerino, a Siena, a Roma, a Napoli, là dove era
-un reggimento aristocratico, repubblicano o principesco o pontificio
-che fosse, ivi da per tutto chiamare maestri, raccoglier libri, educare
-i giovani alle lettere con lezioni e con dispute, reputare decoro e
-utile della città e dello Stato un cancelliere che sapesse vestire
-consulte e ambasciate di adequati e sonanti ed efficaci periodi. Da
-queste città in altre attorno minori; dalle corti e da' magistrati
-supremi nelle famiglie, fino alle donne. Leggesi sulla fine del
-trecento, di una gentildonna veneziana: “Chostei fu lodata et dotata de
-una piacevole grammaticha (seppe, cioè, di latino), et udio li poeti
-(i latini, s'intende) in questo muodo, che, essendo lei fanzulla, la
-madre la mandò a la scola perchè imparasse da legere a ziò che dire
-potesse lo officio de Nostra Donna; poi, essendo grande, intanto lo
-padre teneva uno grande maestro in poexia che legieva a li figioli li
-autori; et chostei, udendo quelli, et udendo latinare, meravigiosamente
-si fece saputa, et molto si dilectò in Virgilio, et piacevolmente
-lo intexe, e sì bene che io, che zià la udi' parlare, a pena me'l
-consento.„ Ben s'intende come, un secolo dopo, il Poliziano, visitata
-a Venezia Cassandra Fedele, dotta di greco e di latino, sì che la
-Repubblica gelosa non volle mai che, per inviti di re e di pontefici,
-lasciasse la terra di San Marco, il Poliziano potesse scriverne a
-Lorenzo de' Medici: “È cosa mirabile.... Partimi stupito.„ Nè che in
-Firenze ricambiasse con lui epigrammi greci Alessandra Scala, che in
-greco recitava l'Elettra di Sofocle.
-
-Perchè anche gli studii del greco, che fino al secolo undecimo avevano,
-se non fiorito, perdurato, specialmente nell'Italia meridionale,
-nè mai si erano inariditi del tutto, si riebbero presto e divennero
-necessario compimento a quelli del latino. Fino dal 1359 il Boccaccio
-erasi accolto in casa un maestro di lettere greche, Leonzio Pilato
-calabrese, e gli avea procurata una cattedra in Firenze e libri greci
-da interpretare: e il Petrarca, che volle costui a Venezia, gli diede
-poi a tradurre, per prezzo, l'Iliade e l'Odissea; ormai disperava
-intendere da sè quei libri greci che aveva imparato a decifrare da un
-altro calabrese, frate Barlaam, e che, non intendendoli, si compiaceva
-almeno di possedere. Venne finalmente da Costantinopoli un maestro
-migliore, Manuele Crisolora; e già nel 97, per merito del Salutati, ne
-ascoltavano a Firenze le lezioni più giovani volonterosi e ingegnosi:
-quando, sette anni dopo, il Crisolora se ne tornò in patria, un altro
-giovane, Guarino veronese, lo accompagnò come servo, pur d'imparare!
-Anche il greco era ormai riconquistato alla coltura italiana.
-
-Que' giovani si spandono per l'Italia e per la Germania, frugano le
-biblioteche degli antichi conventi; traggon giù dagli scaffali tarlati,
-detergono dalla polvere de' secoli, i manoscritti, e gli scorrono qua
-e là frettolosi, col cuore che batte di desiderio e di speranza; ecco
-le orazioni di Cicerone, i carmi di Catullo, gli annali di Tacito; ecco
-le voci degli antichi nostri, che per lungo silenzio parean fioche,
-levarsi da quelle membrane ingiallite a orecchie bramose e capaci di
-comprendere. Ed altri scrivono a Costantinopoli per aver libri greci,
-s'imbarcano essi stessi, comprano, rubano talvolta; ecco Sofocle,
-ecco Platone, ecco i doni dell'arte e della sapienza ellenica che i
-nostri antichi tesoreggiarono e che noi vogliamo riammirare, nè ci
-lasceremo sfuggir più. A Strasburgo, nel 1439, un tale muove lite a
-un tal altro perchè gli mantenga i patti conchiusi con un suo fratello
-defunto, nell'esercizio di una certa arte arcana: i testimoni parlano
-di ordigni strani, torchi, forme, punzoni: il socio citato in processo
-è Giovanni Gutemberg. La stampa è inventata: l'eredità dei classici
-è assicurata al pensiero moderno; promesso e assicurato con lei a te,
-o pensiero moderno (lo dirò col poeta), il trionfo “su l'età nera, su
-l'età barbara, sui mostri onde tu con serena giustizia farai franche le
-genti!„
-
-Dopo il Bruni, morto nel 44, il Valla nel 57, Poggio Bracciolini e
-l'Aurispa nel 59, il Guarino nel 60, Flavio Biondo nel 63, l'umanesimo
-ha ottenuto, non tutti i frutti suoi, ma tutto quanto il campo che
-dissoderà: la critica e la interpretazione dei testi, la storia, la
-geografia, l'epigrafia, la numismatica; l'archeologia insomma o la
-filologia; e d'altra parte, la grammatica e la retorica come strumenti
-all'imitazione delle forme letterarie classiche: la correttezza,
-cioè, la scioltezza ed eleganza delle prose e dei versi sì latini che
-greci. Quando nel 1453 cadde l'impero d'Oriente (fo mia una notevole
-osservazione del Del Lungo) non furono i profughi che ci recassero la
-scienza, ma sì la scienza nostra li assicurò di accoglienze buone e
-fraterne.
-
-E intanto Cosimo de' Medici, di quella famiglia di popolani mercanti
-il cui nome entra nella storia tra le prepotenze di parte Nera nel
-1301 con un assassinio, Cosimo, il più ricco uomo d'Italia e il più
-liberale, padroneggiava Firenze; e attorno a sè, per amor di dottrina e
-arte di governo, raccoglieva uomini di lettere e codici, e, conversando
-coi greci, ideava l'accademia platonica. Lo studio fiorentino avea
-lettori e ordinamenti compiuti; la città si adornava di edifici e di
-opere stupende; il danaro affluiva; la Signoria stessa si rinnovava di
-fogge e di suppellettili il corteggio e il Palazzo. Onde Piero, dopo
-la morte del padre suo che fu titolato padre della patria, potè meglio
-sentirsi e assumere sembianza di principe; e come principi fece educare
-nei costumi e nelle lettere i figli Lorenzo e Giuliano. Quando nel
-1469 morì, il primogenito non titubò a pigliarsi la cura dello Stato;
-e Firenze ebbe, e nel bene e nel male, i giorni che già Atene con
-Pericle. La libera città de' mercanti artisti perdeva nel fatto, se non
-di nome, le istituzioni repubblicane; in ricambio non buono, acquistava
-gli splendori della corte medicea e dell'umanesimo.
-
-
-II.
-
-Ormai è chiaro in che modo il quindicenne Ambrogini potesse lamentarsi
-della sua miseria in distici garbati; ci è chiaro anche in che modo
-potè, indi a poco, rompere la malignità della sorte. La protezione
-che quel povero messer Benedetto aveva chiesta invano a Piero de'
-Medici, fu dal figlio dell'invocato protettore conceduta al figlio
-dell'assassinato, non tanto forse per la pietà dei casi suoi quanto
-per la stima dell'ingegno e della dottrina. Lorenzo aveva sei anni
-soli più dell'Ambrogini, e comuni con lui gli studii, del pari che
-alcune qualità della mente; pregato egli giovine poeta da un poeta
-giovine, che lo salutava e si diceva tutto suo, s'intende che subito
-ricambiasse il saluto e l'offerta con benevolenza di signore e cortesia
-di confratello. Che mai chiedeva in distici latini il minore al
-confratello magnifico? Prima di tutto un paio di scarpe, chè i diti dei
-piedi gli si affacciavano dalla rotta prigione alla vista del cielo,
-e un vestito, fosse pure usato, che non mostrasse le corde e peggio,
-come quello che lo faceva schernire da' beceri. Delle scarpe non so; il
-vestito venne; e tali furono, in versi che mi spiace dover guastare, i
-ringraziamenti:
-
- Ben io volea più volte ne' carmi renderti grazie,
- Lorenzo, o gloria prima de' tempi tuoi;
- sì che invocai la Musa Calliope con lunghe preghiere,
- ed ella venne, e avea seco l'arguta lira.
-
- Venne; ma come addosso mi vide le splendide vesti,
- subito volse a dietro l'isbigottito piede,
- chè ravvisar la Dea non seppe sì bello il poeta:
- troppo mi fa mirando questa vermiglia toga!
-
- Onde se a te minori dà il verso le debite grazie,
- colpa ha la Dea che niega regger la penna mia.
- Oh che leggiadri carmi udrai, sì tosto che avvezza
- a' miei splendori nuovi si sia la Musa!
-
-La valentia che questi epigrammi dimostravano, fu confermata a Lorenzo
-da' maestri dello Studio, tra i quali Marsilio Ficino che di quello
-scolaro prometteva grandi cose: anche meglio la confermò, subito dopo,
-il secondo libro dell'Iliade, recato in esametri latini, di colore
-e sapore virgiliano, e offerto a Lorenzo medesimo. Il primo libro ne
-era stato tradotto, per desiderio di Nicolò V, da un segretario della
-repubblica, il Marsuppini, morto nel 1453: non potea non piacere al
-Magnifico, che l'impresa fosse continuata a Firenze, sotto gli auspicii
-suoi; ed Angelo, che secondo l'uso degli umanisti si ribattezzava, dal
-nome della patria, in Poliziano, lasciò la casuccia di via Saturno,
-dove il cugino povero lo aveva ospitato, e salì le scale del palazzo
-mediceo in via Larga. Le salì certo senza borbottare il verso di
-Dante, che è duro salire le scale altrui: perchè egli era giovane
-molto, e sapeva la cortesia del protettore; e perchè l'umanesimo aveva
-raddolcite le asprezze del vivere medievale, ma anche, mi convien
-dirlo, scemato il vigore degli animi, e adusati i letterati e gli
-artisti a stimarsi artefici di diletto e di fama ai potenti, anzi che,
-come Dante fu, gl'interpreti e i vindici della rettitudine e della
-patria. Fatto sta che il Poliziano, disposto a celebrare, in gloria di
-Lorenzo, quasi una nuova Iliade, perfino il sacco spietato di Volterra,
-e sollecito pedagogo ai figli di lui, se ebbe sempre a lodarsi del
-padrone, si accorse anch'egli che il pane altrui sa di sale quando fu
-poi preso in uggia dalla padrona, madonna Clarice.
-
-Ma tali fastidii sentì più tardi. Allora, godendosi la quiete operosa
-di che già avea disperato, attendeva alla versione d'Omero. Dalla
-quale non gli fu grave distrarsi per ammirare a Mantova le feste che
-il Gonzaga diede in onore di Galeazzo Sforza e Bona di Savoja sposi,
-nel luglio del 1471; per ammirarle e farvisi ammirare; poi che quivi,
-come volle il cardinale di Santa Maria Nuova, che l'avea conosciuto
-allora allora in Firenze, dovè, entro quarantotto ore e in quella tanta
-confusione, mettere insieme la favola d'Orfeo. Rammentatevi che il
-Poliziano, nato il 14 luglio del 1454, compiva proprio in quei giorni
-17 anni.
-
-Perchè fosse meglio inteso dagli spettatori, l'Orfeo fu in volgare.
-E forse spiacque allora al giovine umanista dover piegarsi, oltre
-all'angustia del tempo, anche a codesta necessità; tanto che poi si
-doleva, gli amici avessero conservato quell'abbozzo, e, pur assentendo
-che ormai vivesse, gli volle unita un'epistola a testimonio della
-sua riluttanza. Vero è che vi aveva cacciato dentro, per amore o
-piuttosto per forza, almeno una strofe saffica sua, e due distici
-d'Ovidio accomodati al proposito; ma troppo misero segno era quello
-della dottrina sua e di latino e di greco! Qualche anno dopo, quando a
-tutti egli appariva maestro nelle lettere classiche, s'intende invece
-che non senza un segreto compiacimento concedesse agli amici la favola
-improvvisata, in quella età e a quel modo, con tanta snellezza ed
-eleganza di rime. E il compiacimento gli sarebbe stato maggiore se
-avesse potuto prevedere l'importanza che un tempo si attribuirebbe
-all'Orfeo, primo esperimento certo di adattare ai metri e alle forme
-delle sacre rappresentazioni la materia profana. Un palcoscenico, più
-largo che fondo, diviso, a una certa distanza, da quella che oggi
-dicesi la ribalta, in due scompartimenti; al modo stesso che oggi
-vediamo, per esempio, nel _Rigoletto_; salvo che nel melodramma odierno
-è da un lato l'interno della casa, e dall'altro la via contigua,
-mentre nella favola antica le selve della Tracia stavano a ridosso
-dell'Averno, che gli spettatori dovevano immaginarsi sotterra; dalle
-selve e dall'Averno si facevano a mano a mano innanzi sul proscenio
-i personaggi; e supponevasi determinato il luogo dell'azione dallo
-scompartimento onde essi erano usciti. L'Averno, nel quale si vedevano
-vivi Plutone re, e Proserpina e Minos e una Furia, e s'intravedevano
-per artificio di pitture Issione, Sisifo, Tantalo, le Danaidi, Cerbero,
-le altre Furie, disse subito agli invitati del Gonzaga che l'arte
-del giovinetto omerico, come lo chiamava il Ficino, li avrebbe tratti
-nelle fantasie pagane; e la curiosità della festa, con quella novità,
-dovè accendersi più. Ed ecco, invece dell'Angelo consueto, Mercurio
-in persona a esporre l'argomento; e dopo lui, quasi a temperar la
-tristezza delle morti annunziate, un pastore schiavone, cioè trace,
-suscitare il riso ribadendo l'ammonizione agli uditori in un suo gergo
-strano:
-
- State tenta, bragata; bono argurio
- chè di cievol in terra vien Marcurio.
-
-Ma Aristeo e Mopso, sebbene pastori traci anch'essi, dan principio alla
-favola ragionando tra loro in rime di squisito eloquio; e Aristeo,
-perchè il vecchio intenda meglio la forza dell'amore onde è preso,
-si fa accompagnare da lui sulla zampogna mentre canta una ballata di
-perfetta toscanità.
-
- Udite, selve, mie dolce parole,
- poi che la ninfa mia udir non vole.
-
- La bella ninfa è sorda al mio lamento
- e 'l suon di nostra fistula non cura:
- di ciò si lagna il mio cornuto armento,
- nè vuol bagnare il grifo in acqua pura,
- nè vuol toccar la tenera verdura;
- tanto del suo pastor gl'incresce e dole.
-
- Udite, selve, mie dolce parole,
- poi che la ninfa mia udir non vole.
-
-Tirsi, servo d'Aristeo, che si vanta di avere ravviato con suo gran
-rischio nella mandria di Mopso un vitello smarrito, getta un'altra
-risata nell'azione che si affretta a mal fine per colpa sua; ha vista
-una donzella coglier fiori, e la descrive bellissima; onde Aristeo
-riconosce l'amata e ne va in cerca e la insegue. Passano su la scena
-correndo; poi si ode di dentro alla selva uno strido; un serpe velenoso
-ha punto la giovine che là cercava nascondersi dall'inseguitore.
-Turbati così gli animi degli spettatori, il poeta, quasi a intermezzo
-di svago, fece che s'inoltrasse Orfeo con in mano la lira miracolosa,
-e accennasse su questa in saffici latini le lodi del cardinale, figlio
-secondogenito del marchese Lodovico, augurandogli la tiara; il marchese
-dava la festa, il cardinale l'aveva voluta più bella per l'arte di
-lui Poliziano: ma l'ode, già nota, credo, a' lodati, ai quali per ciò
-quell'accenno bastava, era subito interrotta da un pastore:
-
- Crudel novella ti rapporto, Orfeo,
- che tua ninfa bellissima è defunta.
-
-E Orfeo, con dolorosi lamenti, andava davanti all'inferno a impetrare
-gli fosse resa Euridice, mortagli così crudelmente nel voler serbare la
-fede coniugale.
-
-Nel Convito di Platone si legge un raffronto di alta idealità tra la
-sorte d'Alceste e quella d'Orfeo. Alceste, osserva Platone, per salvare
-il marito suo Admeto, volle morire per lui, e gli Dei le concessero
-il premio di tornare dall'Ade alla luce e all'amore; ma Orfeo gli Dei
-“senza effetto rinviaron dall'Orco, dopo avergli soltanto mostrato
-la imagine della donna per la quale v'era disceso; non già gliela
-resero, chè giudicarono, si fosse comportato vilmente e da citaredo
-ch'egli era, per ciò che non avesse avuto il coraggio di morir per
-amore, come Alceste, ma ingegnato a penetrar vivo nell'Ade: e di ciò
-certamente lo voller punito, facendo ch'e' fosse morto dalle donne„.
-Che il Poliziano, discepolo del Ficino, rammentasse il Convito, non
-è improbabile; l'arte a ogni modo gli suggerì un grido almeno, che,
-rispettando il mito tradizionale, desse alla parlata d'Orfeo più calore
-di perorazione. Rendetemi Euridice,
-
- e se pur me la nieghi iniqua sorte
- io non vo' su tornar, ma chieggio morte!
-
-Proserpina si commuove al lamento di costui genuflesso innanzi
-a Plutone, al lamento che ha fatti dimentichi i tormentati e i
-tormentatori dei supplizi infernali; e induce a pietà il marito:
-Orfeo riavrà Euridice, solo che non si volga a guardarla prima che
-siano tra i vivi. Ma il citaredo, direbbe Platone, nel cantare a gioia
-“certi versi allegri che sono d'Ovidio„ dimentica il patto, e perde
-la donna sua, cui richiede invano, subito spaurito (oh citaredo!),
-dall'opposizione di una Furia. E peggio fa del lasciarsi atterrire; chè
-bestemmia (con che ragione? ma la favola portava così) l'amore delle
-donne, e si propone d'ora in poi farne a meno. Sì che una Baccante non
-ha torto quando indignata chiama le compagne ad ucciderlo: e fuor dalla
-vista degli spettatori lo straziano, per recarne in trionfo la testa
-cantando le lodi di Bacco in una ridda gioiosa.
-
- Ognun segua, Bacco, te!
- Bacco, Bacco, eù, oè!
-
- Chi vuol bever, chi vuol bevere,
- vegna a bever, vegna qui.
- Voi imbottate come pevere.
- Io vo' bever ancor mi.
- Gli è del vino ancor per ti.
- Lassa bever prima a me.
-
- Ognuno segua, Bacco, te!
- Bacco, Bacco, eù, oè!
-
-Così, non senza un po' nelle rime di quello schiavone o trace comico
-da cui aveva prese le mosse, chiudevasi comicamente la festa. Festa
-drammatica, non dramma vero, e tanto meno tragedia di tipo classico,
-quale poi altri la volle per altre feste racconciare alla meglio,
-con accrescerla e distinguerla in atti. Di drammatico non ha l'Orfeo
-altro che il dialogo, il quale anche vi si leva sempre che può alla
-lirica: troppo più efficace il contrasto degli affetti e più rude ma
-viva la voce d'essi, troppo maggiore insomma la commozione del fatto
-e dello stile, in alcuna delle rappresentazioni sacre di cui la festa
-profana aveva accettato i metri e le forme. Se non che, pur lasciando
-da parte la importanza storica che l'Orfeo ha, appunto per essersi
-valso di esse forme in argomento profano, oh come dolce vi sonava
-il volgare, lo spregiato volgare, ripetendo sulle intonazioni degli
-strambotti popolari le immagini elette de' classici greci e latini!
-Le Muse antiche tenevano un po' il broncio, nel secolo decimo quinto,
-alla Musa nostra novella, che ne' due secoli innanzi aveva, non certo
-volendo, minacciato pareggiarle e superarle in bellezza. Virgilio si
-era soffermato con Dante sulla spiaggia del Purgatorio, dimentico di
-sè e del discepolo affidatogli, a udire i versi di Dante medesimo,
-che aveva musicati e ricantava Casella: e le muse di Grecia e di Roma
-s'indispettivano più, ripensando quell'omaggio che il loro alunno
-migliore aveva fatto alla Musa d'Italia. Spettava al diciassettenne
-toscano, che traduceva Omero in latino, la gioia e la gloria del
-riconciliarle nella festa italiana d'Orfeo: le antiche, non più gelose,
-abbracciarono finalmente la giovine sorella; e a lei, cogliendo insieme
-il destro a premiare chi aveva il merito della pace, a lei promisero
-splendidi doni: le Stanze del Poliziano stesso, o l'Orlando Furioso di
-Lodovico Ariosto.
-
-
-III.
-
-Intonazione popolare, ho detto, e immagini classiche. Sì fatta
-mistura non poteva riuscir felice, prima che ne fossero separatamente
-manipolati e affinati gli elementi; e per ciò neppure al Boccaccio,
-che la tentò ne' poemi, accadde d'ottenerla, se non forse qua e là
-nel Ninfale fiesolano. Ma i prosecutori dell'opera sua di umanista e
-di poeta, avevano, dagli ultimi decennii del trecento in poi, quali
-studiata l'arte su gli antichi, quali invece teso l'orecchio alle
-canzoni del popolo, quali anche coltivato insieme le canzoni e gli
-studii. Onde Franco Sacchetti, così schietto popolarmente e grazioso
-nelle ballate e ne' madrigali che rime sue furono poi attribuite al
-Poliziano; onde Leonardo Dati, che tenta dottamente in volgare una
-tragedia a uso Seneca, e in volgare sperimenta, dopo l'endecasillabo
-già scioltosi dalla rima per imitazione de' latini, il verso esametro e
-il saffico; onde Leonardo Giustinian, che parla in greco all'imperatore
-di Costantinopoli, recita in pubblico orazioni latine, e insegna ai
-liuti veneziani i più cari strambotti, le più dolci canzonette che
-fossero mai state ascoltate da belle innamorate e da allegri compagni.
-E, passando da liuto a liuto, da bocca a bocca, queste canzonette
-veneziane o giustiniane, come le dicevano, scesero giù per l'Italia;
-e Firenze, correggendole alla parlata toscana, cioè alla lingua
-nostra letteraria, le fe' sue. Quando il Giustinian morì, che fu nel
-1446, la poesia del popolo aveva dunque trovati cultori insigni a
-raggentilirla; e a Luigi Pulci, nato nel '32, a Lorenzo de' Medici,
-nato nel '48, e al Poliziano, non mancavano dunque gl'incitamenti e gli
-esempii a perseverare e a compiere l'impresa leggiadra. D'altra parte,
-l'imitazione de' classici aveva anche essa progredito; anzi, era giunta
-allo sforzo ed alla goffaggine; non tanto, a parer mio, in quei metri
-del Dati che oggi diciamo barbari, quanto nell'abuso dei vocaboli e
-dei costrutti latini e delle erudizioni mitologiche e storiche alla
-pedantesca.
-
-Il poeta dell'Orfeo, che aveva cominciato dagli studii del latino e del
-greco, vedeva accanto a sè, nel palazzo Mediceo, Lucrezia Tornabuoni,
-madre di Lorenzo, scrivere laudi a uso del popolo, e Lorenzo piacersi
-a scrivere sacre rappresentazioni e laudi anche lui, e insieme canzoni
-a ballo e canti carnascialeschi; udiva Luigi Pulci, per desiderio di
-madonna Lucrezia, racconciare nel Morgante a stile fiorentinescamente
-snello e a racconto maliziosamente arguto le rozze storie d'un rimatore
-plebeo. Provatosi così bene al volgare nella favola mantovana, è da
-credere che allora, in quella brigata di cui ho detto soltanto i nomi
-più illustri, tra l'ammirare e il ridere e il dar suggerimenti, meglio
-si esercitasse nelle rime dei rispetti e delle ballatine, quasi a
-sollievo dalla versione dell'Iliade e dall'erudizione che accumulava
-portentosa. E perchè quel rimare gli era un sollievo, non fa meraviglia
-che si astenesse dagli argomenti e dai metri più alti e più laboriosi,
-la canzone e il sonetto: di canzoni, una sola ne ha, a imitazione del
-Petrarca; di sonetti, a quel che sembra, neppure uno; di sirventesi,
-che era metro popolare, ma troppo soleva andare per le lunghe, non
-più che uno, prenunziante la prima scena dell'Aminta, in servigio
-di Giuliano de' Medici, per conto del quale, da coetaneo e amico,
-scrisse altri versi d'amore. Le ottave dei rispetti, le strofette delle
-ballate, non chiedevano alla facilità e grazia dell'ingegno e della
-penna che pochi quarti d'ora, tra la lettura di due codici, la versione
-di due episodii, e, un po' più tardi, tra una lezione e l'altra a
-Piero, primogenito di Lorenzo, e a Giovanni.
-
-I sospiri, i dispetti, i vanti, le disperazioni, le maledizioni degli
-innamorati, le immaginette rusticali e primaverili, gli scherzi e le
-mariolerie fiorentine, le novellette e le satire, ebber vita così negli
-accenti variamente affettuosi, gai, rabbiosi di quelle brevi poesie:
-un mazzo che sopra è di rose fragranti e sotto di spine pungenti.
-Il Poliziano era di sua natura epigrammatico, nel senso antico della
-voce; spesso, scrivendo agli amici, se la godeva di sbrigarsene con
-poche parole: — Ti lamenti che non ti rispondo: non ti lamentar più;
-t'ho bell'e risposto. — Gran dispiacere, gran piacere ho avuto, della
-tua malattia, della tua guarigione. — Siete in parecchi a chiedere
-che vi scriva: ecco fatto: lettera unica, perchè vi amo unicamente;
-ma le saranno più lettere, poi che a leggerla sarete in parecchi. —
-Figuratevi poi, con la scaltra lingua toscana, e al bisogno col gergo
-fiorentino, col verso, con le rime, in argomenti adatti, ammaestrando
-le donne ad acquistarsi e a mantenersi gli amanti, narrando le
-sue buone venture e sventure amorose, vituperando una vecchiaccia
-sfacciata, toccando insomma quasi tutte le corde dell'antica lirica
-popolare.
-
- Donne mie, voi non sapete
- ch'i' ho el mal ch'avea quel prete.
-
- Fu un prete (questa è vera)
- ch'avea morto el porcellino.
- Ben sapete che una sera
- gliel rubò un contadino
- ch'era quivi suo vicino;
- (altri dice suo compare):
- poi s'andò a confessare,
- e contò del porco al prete.
-
- El messer se ne voleva
- pure andare alla ragione:
- ma pensò che non poteva,
- chè l'aveva in confessione.
-
- Dicea poi tra Le persone:
- — Ohimè, ch'i' ho un male
- ch'io nol posso dire avale. —
- Et anch'io ho il mal del prete.
-
-Tra queste malizie il sentimento della vita e della natura, caldo,
-giulivo, libero, sì da effondersi talvolta in rime che sembrano
-scheggiare i canti goliardici. Ma qui anche meno abbisognan gli
-esempii. Chi non sa i conforti ad amare che la fanciulla dà alle
-compagne?
-
- Quando la rosa ogni sua foglia spande,
- quando è più bella, quando è più gradita,
- allora è buona a mettere in ghirlande,
- prima che sua bellezza sia fuggita:
- sicchè, fanciulle, mentre è più fiorita
- cogliàn la bella rosa del giardino.
-
-E chi non sa il canto pel rinnovamento della primavera che Firenze,
-la città della primavera, salutava con feste? Non eran più, nel
-quattrocento, le laute accoglienze di che narra il Villani, corti
-coperte di drappi e zendali, e desinari e cene; ma le schiere de'
-giovani correvano ancora la città agitando i ramoscelli in fiore, le
-frondi verdi, i gonfaloni selvaggi.
-
- Ben venga maggio
- e 'l gonfalon selvaggio!
-
- Ben venga primavera
- che vuol l'uom s'innamori.
- E voi, donzelle, a schiera
- con li vostri amadori,
- che di rose e di fiori
- vi fate belle il maggio,
-
- venite alla frescura
- delli verdi arbuscelli.
- Ogni bella è sicura
- fra tanti damigelli;
- chè le fiere e gli uccelli
- ardon d'amore il maggio.
-
-Ma non c'indugi la dolcezza de' suoni. Nel gennaio del 75, Giuliano
-de' Medici trionfò in una di quelle giostre che porgevano a' signori
-l'occasione di ostentare lor valentia cavalcando e armeggiando;
-spettacolo pomposo e gradito al popolo. Il fratello maggiore,
-Lorenzo, si era meritato, sette anni innanzi, il premio in una giostra
-consimile, di cui avea celebrate le gesta e l'eroe, con un poemetto,
-Luigi Pulci, come si usava sì per le giostre, sì pel giuoco del
-calcio, sì per altri sollazzi, dai cantastorie; i quali compievano,
-dati i tempi, l'officio de' cronisti ne' nostri giornali, non so con
-quanto più di verità, certo con più fatica, perchè le fandonie le
-strimpellavano in rima. Anche questo genere era dunque ormai caro
-a' poeti d'arte: se non che il Pulci, come nel Morgante, così nella
-Giostra, lo aveva accettato, almeno per le apparenze, tal quale,
-dilettandosi nella parte finta del cantimpanca o d'un suo inspiratore;
-tanto che diceva dover chiudere il racconto
-
- perchè il compar, mentre ch'io scrivo, aspetta
- ed ha già in punto la sua violetta.
-
-Sapete che il compare aspettava nientemeno che dal 69? ed egli smise
-di scrivere soltanto allora che si preparava la giostra del 75, in cui
-spettava a Giuliano il trionfare. Poco più sollecito ma più elegante
-poeta ebbe questi: poco più sollecito, perchè, se ci pensò prima, e se
-forse qualcosa ne abbozzò, il Poliziano non si pose a stendere il poema
-ordinatamente che dopo trascorso un anno dalla giostra. In compenso non
-cantò le armi soltanto; cantò, più che le armi, gli amori.
-
-Giuliano, che nella tela del Botticelli spira, giovenilmente pensoso,
-una dolce mestizia, era innamorato, cavallerescamente e platonicamente,
-com'era la moda, di quella Simonetta Cattaneo, moglie a un Vespucci,
-che Piero di Cosimo, o altri, dipinse esilmente gentile. Ma la Vespucci
-visse, dopo la giostra, pochi mesi più. Nell'aprile del 1476, scriveva
-di lei a Lorenzo un amico ponendola accanto alla Laura del Petrarca:
-“La benedetta anima della Simonetta se ne andò a paradiso, come so
-harete inteso: puossi ben dire che sia stato il secondo trionfo della
-Morte; chè veramente havendola voi vista così morta, come la era, non
-vi saria parsa manco bella e vezzosa che si fusse in vita: _requiescat
-in pace_.„ Lorenzo stesso la pianse in versi; e il Poliziano, già
-interprete de' sospiri amorosi, ebbe a far distici sulle esequie, co'
-pensieri che Giuliano gli suggerì. Allora il racconto della giostra
-dove Giuliano si era cavallerescamente adoperato per amore e onore di
-lei, si allargò nella mente del poeta e comprese in sè anche la storia
-di quell'amore. Il genere popolano delle narrazioni in ottava rima di
-giuochi e apparati, venuto nelle mani d'uno scrittore geniale come il
-Pulci, passava pertanto da quelle di lui a più squisito artefice, e da
-questo era volto alla imitazione de' carmi encomiastici antichi; non
-altrimenti che i racconti romanzeschi, proprio in quelli anni, salivano
-dalla piazza al palazzo per opera del Pulci medesimo, ed erano da
-Matteo Maria Boiardo, traduttore d'Erodoto, avviati sulla imitazione
-de' poemi classici. Ove per altro conviene aggiungere che il Boiardo fu
-grande poeta, e nel calore dell'invenzione fuse stupendamente l'antico
-e il moderno in un metallo nuovo; il Poliziano fu grande artista,
-e nell'agevolezza dell'esecuzione compose dell'antico e del moderno
-un mirabile mosaico: all'uno mancò l'eleganza della lingua e dello
-stile, all'altro la virtù delle alte concezioni: l'uno e l'altro erano
-necessarii a preparare Lodovico Ariosto, poeta ed artista grande.
-
-Ho detto con ciò il difetto e il pregio delle Stanze per la giostra:
-il difetto è nel disegno generale, il pregio è nel disegno e
-nell'esecuzione dei particolari. Come fare un poema degli amori cortesi
-e delle armi cortesi di Giuliano? Ecco il modo. Julio, figlio della
-etrusca Leda, cioè a dire Giuliano figlio della Tornabuoni, sdegnava
-d'amare: Cupido volle che amasse, e in una caccia gli fece apparire una
-cerva bellissima; la quale, trattolo via dalla brigata de' compagni,
-disparve: ma al giovine non ne importava più, perchè si vedeva innanzi
-una donna troppo più bella della cerva bellissima: la Simonetta.
-Inutile dire che se ne innamora, e Cupido torna tutto lieto alla madre
-Venere. Fin qui il primo libro. Nel secondo, i vanti di Cupido per la
-vittoria, buona occasione alle lodi della casa medicea: il racconto
-di un sogno che Venere manda a Julio, perchè si accenda a mostrare
-all'amata la sua bravura in una giostra, sebbene egli abbia da quel
-sogno stesso il prognostico della prossima morte di lei; e la preghiera
-di Julio a Pallade, a Venere, a Cupido, che lo aiutino nell'impresa
-della gloria e dell'amore. E qui il poema, come il monumento che
-Michelangelo scolpì a' due fratelli Medici, rimase interrotto. Perchè?
-Il 26 aprile 1478, una domenica mattina, nella chiesa di Santa Maria
-del Fiore frequente di popolo, subito che il sacerdote nel celebrare
-la messa si fu comunicato, Francesco de' Pazzi e Bernardo Bandini si
-strinsero addosso a Giuliano co' pugnali e l'uccisero: Lorenzo ebbe
-tempo a trarre lo stocco e, ferito nella gola, difendersi e riparare
-nella sagrestia. Il colpo era andato a vuoto; Firenze restava ai
-Medici. Ma Giuliano giaceva morto; e dopo quella tragedia non si
-potevano più fiorire di rime le sue venture per una giostra bandita
-a diletto. Il poeta si mutò in istorico, e narrò in latino, a mo' di
-Sallustio, la congiura de' Pazzi.
-
-Altri osservò: se il poema rimase a mezzo, fu, anzi che un danno, un
-vantaggio alla fama dell'autore: andando innanzi, egli avrebbe dovuto
-descrivere vesti, cavalli, armeggiamenti; e già nel secondo libro la
-poesia scade; in più libri, il tedio sarebbe cresciuto; quel panegirico
-sarebbe stato letto da' soli eruditi. Io non mi lascio consolare così
-facilmente. Ammettiamo pure che le Stanze avessero a crescere, pel
-compimento del secondo e per l'aggiunta d'un terzo libro, che è quanto
-di più si possa immaginare, di un'altra metà: il disegno generale non
-si sarebbe sottratto, certo, da giuste censure; ma non gli si muovono a
-ogni modo, giudicandone dal frammento? e gli episodii ci avrebbero date
-bellezze, se non maggiori, pari a quelle che nel frammento ammiriamo.
-
-Non le rammenterò. Le lodi della vita rustica, la caccia, la Simonetta,
-il regno di Venere, gl'intagli della porta nella reggia di lei,
-l'albergo del Sonno, sono, a tratti almeno, in tutte le antologie,
-sono, a tratti almeno, in tutte le memorie. La giostra non è più che
-un pretesto: sembra che il Poliziano prometta di guidarvi a goderne
-lo spettacolo, soltanto per aver modo di farvi ammirare, così senza
-parere, d'una in un'altra galleria, la sua meravigliosa raccolta
-di quadri e di statue. Sono i tempi de' bronzi di Lorenzo Ghiberti,
-delle terre cotte di Luca della Robbia, dei marmi di Donatello, degli
-affreschi di Filippino Lippi, delle tele di Sandro Botticelli; e
-l'arte di tutti costoro si riflette nello specchio finissimo di quelle
-ottave, che suonano e creano, secondo il precetto, da molti franteso,
-del Foscolo, il quale più d'una somiglianza ebbe col Poliziano
-negl'intendimenti e ne' modi dell'arte: suonano, cioè, varie, fluide,
-eleganti; creano immagini adatte alla plastica e ai colori. Dopo Dante,
-nessuno aveva posta nel verso tanta efficacia di rappresentazione:
-nessuno ancora aveva saputo nell'ottava rima alternare, con tanta
-accortezza di pause e di accenti, di piani e di sdruccioli, il forte
-col tenue, il dolce con l'aspro. Il primato della lingua letteraria,
-come da Leon Battista Alberti, sebbene con importanza minore d'assai,
-per la prosa, così dal Poliziano era riconfermato alla Toscana per la
-poesia: dopo le Stanze per la giostra, l'Orlando innamorato doveva di
-necessità essere offuscato dalla fama del prosecutore che chiese alle
-labbra di una fiorentina la grazia dei baci e le grazie del nostro
-volgare; e doveva per ciò di necessità piegarsi, per rivaleggiare col
-Furioso, al rifacimento toscano di Francesco Berni.
-
- La notte che le cose ci nasconde
- tornava ombrata di stellato ammanto:
- e l'usignuol sotto le amate fronde
- cantando ripetea l'antico pianto;
- ma solo a' suoi lamenti eco risponde,
- ch'ogn'altro augel quetato avea già il canto:
- dalla cimmeria valle uscian le torme
- de' sogni negri con diverse forme.
-
-Lingua, stile, metro erano ormai perfetti, e compiuta l'assimiliazione
-dell'arte classica nella medievale, per opera di quel giovane da
-Montepulciano che tendendo nelle campagne l'orecchio alle canzoni del
-popolo “beccava per tutta la via di qualche rappresaglia e canzone di
-Calen di maggio„, e leggeva a diletto i nostri migliori, e poi, nel
-silenzio del suo studio, meditava i testi dei greci e dei latini.
-
-
-IV.
-
-L'Orfeo e le Stanze, opera quasi improvvisata la prima, non compiuta la
-seconda, furono pubblicate soltanto due mesi innanzi che il Poliziano
-morisse, e non per volontà di lui. Al pari del Petrarca, egli, da buon
-umanista, chiedeva piuttosto e si aspettava la gloria dalla filologia
-classica, nell'arte e nell'erudizione. Per ciò, interrotta dalle
-Stanze, la versione d'Omero, ch'era destino restasse come le Stanze
-incompiuta; per ciò, scritto in latino il commentario della congiura
-de' Pazzi; per ciò, gli epigrammi greci e latini; e in latino le
-elegie, le odi, le Selve, le traduzioni di prose greche, le orazioni,
-i trattati, le miscellanee. Tanto più, perchè a ventisette anni già
-insegnava eloquenza greca e latina nello Studio fiorentino, dove
-accorrevano a udirlo tali ch'egli aveva ascoltati maestri; e perchè
-l'umanesimo si andava mutando d'arte in iscienza e richiedeva ormai
-lunghe e pazienti fatiche di collazioni sui manoscritti e di commenti.
-
-Giurazio Suppazio, che va in cerca de' dotti per tutta l'Italia, dopo
-aver corse due giorni le vie di Roma con gran rischio d'essere messo
-sotto dalle mule de' prelati, si sfoga con un letterato dell'ozio in
-cui gli sembrano sprofondati i Romani: _otio illic marcescere homines_,
-dice Suppazio; e l'altro lo prende a pugni: — To' su, bestiaccia!
-_splendesco, tabesco, liquesco_ non ammettono il caso ablativo! — Più
-egli cerca, con esempii, scolparsi, e più ne busca; sì che fugge da
-quella grandinata e va a lagnarsene altrove; ma non ha aperto bocca,
-che il confidente lo interrompe: — O non ti vergogni a codesta età,
-non saper di latino? _iniuriam patior_ chi te l'ha insegnato a dire?
-— Neppur qui valgono al disgraziato gli esempii; e quando vede che il
-grammatico stringe i pugni, fa tutta una corsa fino a Velletri. La
-satira è come uno specchio convesso che altera la proporzione delle
-fattezze e suscita il riso: ma il volto sformato è pur nello specchio
-quel dato volto e riconoscibile a tutti: così nel dialogo del Pontano
-accade al purissimo de' ciceroniani ignoranti. Or quando si può far
-satira tale, la diffusione e la intensità dell'umanesimo, rispetto
-allo scrivere latino, sono palesi. Ridicola appariva ormai la lingua
-letteraria del medio evo, tanto lontana da quella dei classici; e la
-questione che si agitava non era più che questa: si ha da scrivere
-coi vocaboli e i costrutti di Cicerone solo, o sarà lecito valersi
-d'altri vocaboli e costrutti usati dagli altri antichi? e, al bisogno,
-coniare vocaboli nuovi? il Poliziano fu per la libertà, diciam pure
-per la licenza, e ne sostenne fiere baruffe, che lasciò in eredità
-ai discepoli. Ma come Erasmo, eclettico anche lui, esclamò piacergli
-più quel che il Poliziano scriveva dormendo, di quel che un suo
-avversario, Bartolommeo Scala, da sveglio e con ogni cura; così, oggi
-che l'eclettismo ha perduta la guerra, i critici lodano ancora nello
-stile del Poliziano, sia pure a mosaico e tutto fioretti, un gran
-sapore di latinità, e un vigore, una grazia, singolari. L'elegia per
-le viole avute in dono dalla sua bella (vo' credergli non fosse ancora
-canonico!) quella in morte di Albiera degli Albizzi, che prenunzia le
-Stanze, l'ode ad Alessandro Cortesi, i giambi contro una vecchia (anche
-in latino ricantavano i motivi popolari), gli esametri delle Selve con
-le quali splendidamente iniziò le sue letture pubbliche di Virgilio,
-d'Esiodo, d'Omero; e in prosa, le epistole, la prelezione alle Priora
-d'Aristotele, il trattatello sull'ira, la narrazione della congiura,
-sono tra i capolavori del latino recuperato, com'egli diceva, dalla
-barbarie dell'evo medio. “Non son mica Cicerone io! me stesso, se non
-m'inganno, ho da esprimere.„ Il ragionamento, a dir vero, zoppica; o
-non aveva, ad esprimersi, il volgare? Ma il libraio degli umanisti
-fiorentini, Vespasiano da Bisticci, affermava, quasi interprete di
-tutti loro, che “nello idioma volgare non si può mostrare le cose con
-quello ornamento che si fa in latino„. Esperienza del contrario fece
-il Poliziano medesimo, e si mostrò restio, almeno in parte, al detto
-del Filelfo: in volgare si scrivon le cose che non vogliamo far sapere
-ai posteri. Restio pe' versi, non per la prosa; e voi rammentate che
-dell'uccisione di Giuliano lasciò ai posteri la grave memoria in un
-racconto latino. Del resto, anche per la poesia, troppa distanza poneva
-tra i classici e i moderni. In una Selva, celebrati i greci e i latini
-con più di settecento esametri, si sbriga con otto soli di Dante,
-del Cavalcanti, del Petrarca, del Boccaccio: è un cenno in cui suona
-l'affetto; ma l'ammirazione sua va ai padri antichi, non ai recenti
-fratelli.
-
-“La sapienza latina e greca le abbracci per modo che non è facile
-accorgersi di quale tu possegga più. Senza adulazione, Poliziano
-mio, non c'è che un solo, o due, o forse nessuno, degno d'esserti
-paragonato: se foste in più, il secolo nostro non avrebbe di che
-invidiare gli antichi.„ La lode è d'un giudice amico, è del candido
-Gian Pico della Mirandola; ma data l'enfasi epistolare d'allora,
-esagerata non è. Il Poliziano, componendo epigrammi, traducendo Omero,
-le Storie d'Erodiano, il Manuale d'Epitteto, fu veramente, anche per
-le lettere greche, così elegante scrittore come sagace interprete,
-e benemerito della filologia moderna. La quale, se ammira quella
-tanta facilità e vivacità dello scrivere latino e greco, sia pure
-che, fatta più accorta da quattro secoli di studii, abbia qua e là a
-notare qualche scappuccio di stilistica e di prosodia, attribuisce al
-Poliziano lodi maggiori per avere, con senno ed acume di critica, bene
-avviata e procurata la restituzione e la interpretazione dei testi, e
-lo saluta come uno de' maestri primi. Grammatico si vantava egli; ma
-la sua grammatica era la filologia tutta e comprendeva tutta la vita
-e la letteratura degli antichi. “Di grazia, m'avete voi per tanto
-insolente o stolto, che se alcuno mi desse del giureconsulto o del
-medico, non crederei in tutto ch'e' volesse il giambo de' fatti miei?
-E pure (sia detto senz'arroganza) gli è buon tempo ch'io lavoro, e di
-lena, ad alcuni commentarii sul Diritto civile, ad altri su maestri di
-medicina; nè voglio acquistarne altro nome che di grammatico; pregando
-che non mi sia invidiata questa qualifica, schifata pure da certi
-messeri come vile e spregevole.„ Codesto grammatico raffronta codice a
-codice; corregge col raffronto gli errori; dove il raffronto non giova,
-fa congetture, e spesso indovina, come poi altri codici proveranno;
-intende ciò che fino a lui pareva oscuro; e può nella prima centuria
-delle Miscellanee mostrare, da gran signore, senza ostentarla, una
-dottrina e una sagacia che sarà mirabile a tutti gli studiosi, dopo
-essere stata gradita a Lorenzo de' Medici, il quale cavalcando con
-a fianco l'amico, si dilettava ascoltarne le primizie. Così talvolta
-si dilettavano insieme assistere alle dispute de' dottori rivali su
-questioni di leggi; e d'una avvenuta in Pisa, riferiva così il bidello
-al notaio dell'università: “Riscaldandosi e giostranti nell'arme si
-fe' buio, e col torchio finì detta disputa. Venendo loro (Giason del
-Maino e il Soccini disputanti) a un certo passo d'un testo, del dire
-in un modo a dire nell'altro, Lorenzo e M. Agnolo Poliziano suo mi
-mandò con sua volontà per uno codice, e trovata la legge, M. Agnolo la
-lesse presso Lorenzo.„ Questo nel 1489; l'anno dopo, la collazione del
-manoscritto delle Pandette era finita, e il Poliziano aveva sospinta
-con essa anche la culta giurisprudenza a progressi crescenti. E nella
-giurisprudenza, oltre quel merito del testo restituito a lezione
-migliore, a lui spetta quest'altro, dell'aver accennato per primo alle
-traduzioni greche del dritto giustinianeo, ai Basilici e a Teofilo, con
-opinioni che la scienza odierna, se non le accetta tali quali, ancora
-discute.
-
-Quando nel 1494, due anni dopo il suo Lorenzo, il Poliziano morì, che
-non contava ancora quarantun anno, l'umanesimo trionfava negli studii,
-nell'arte, e, quel che più importa, nella coscienza italiana. Eccone,
-per molti, un esempio men noto. A Reggio d'Emilia, negli ultimi mesi
-della vita del Poliziano, corse voce fosse sottratto, o che presto
-sarebbe, dal convento de' Carmelitani, un codice ove un frate umanista,
-Michele Ferrarmi, aveva raccolte quante più iscrizioni antiche gli
-erano capitate in lunghi anni di ricerche. La città si commuove;
-gli anziani si adunano e fan provvisione, si mandino al convento tre
-deputati i quali parlino col priore e diano opera a che il prezioso
-manoscritto sia incatenato e talmente affisso nella libreria del
-convento che mai non possa esserne nè tratto nè sottratto, ma resti
-(son le parole della deliberazione) quasi un altro libro delle Pandette
-nella città di Reggio perpetuamente. I deputati andarono; i frati si
-scusarono e promisero; Reggio vanta ancora nella sua biblioteca il
-codice del Ferrarini.
-
-Tali gli effetti dell'umanesimo. Del quale io, parlandovi d'Angelo
-Poliziano, non potevo e non dovevo colorire il quadro compiuto che
-la serie di queste letture vi andrà troppo meglio a mano a mano
-dipingendo. Ma non vi dissimulo che il Poliziano stesso mi avrebbe data
-occasione a farvi almeno intravedere anche il rovescio della medaglia,
-la petulanza del chiedere, i costumi facili, le invidie, le insidie,
-i furori letterati, se avessi stimato utile ed opportuno, dentro lo
-spazio d'un'ora, fermarmi su i vizii e su i malanni dell'uomo, e del
-tempo suo, piuttosto che sulla virtù di quella mente e sulla importanza
-del rifiorire degli studi classici. Che se poi non fossi riuscito
-neppure in ciò, mi valga uno di quelli epigrammi che il Poliziano si
-compiaceva aguzzare nelle sue lettere: lo scrisse a Gian Pico, un
-giorno che nel far lezione l'avea veduto tra gli scolari; ed io lo
-parafraso ed estendo a voi tutti: “Per farmi onore vi siete messi a
-sedere qui innanzi a me, quasi mi foste scolari. Non v'aspettate la
-mia gratitudine. Se la lettura v'è piaciuta, sta a voi l'esserne grati
-a me; se poi la non v'è piaciuta, oh non ci mancherebbe altro che vi
-dovessi esser grato io!„
-
-
-
-
-LA LIRICA DEL RINASCIMENTO
-
-DI
-
-ENRICO NENCIONI.
-
-
-I.
-
-La più grande lirica del Rinascimento, è la poesia che emana da
-quell'epoca stessa.
-
-Epoca unica e veramente maravigliosa! I suoi grandi personaggi non
-vivono isolati, come quelli di altre epoche insigni; ma respirano in
-un ambiente medesimo, e hanno, dirò così, un'a_ria di famiglia_ che
-ce li fa subito riconoscere. La gioventù, la curiosità scientifica,
-l'aspirazione, ne sono le più spiccate caratteristiche. Quegli
-_umanisti_ non sono dei dotti pedanti, ma degli _editori_ entusiasti.
-Quegli eruditi, come Pico della Mirandola, son dei poeti. È un'epoca
-_aurorale_, in cui tutto si intravede in una rosea luce di gioventù
-e di poesia. Pensate! Lorenzo, il Savonarola, Pico, Brunellesco,
-Leonardo, Guttemberg, Colombo, Copernico! — Tutto il Mondo moderno è
-racchiuso in questi gran nomi. Si scuopre il Cielo e la Terra, gli
-astri e l'America, la stampa e l'Oriente. Si commenta Platone, si
-stampa Omero e Virgilio. Si rivela e s'adora il volto sempre giovine
-e raggiante dell'antichità, che si credea tanto vecchia! In un'estasi
-mistica e estetica, si tenta di conciliare i due grandi antagonismi,
-Paganesimo e Cristianesimo. Fioriscono di vita nuova la geografia, la
-storia naturale, la meccanica, la medicina, l'anatomia, la pedagogia.
-Un Italiano completa la Terra: un Polacco scuopre l'infinito nel Cielo.
-Savonarola attesta la coscienza morale e la libertà: Leonardo, la
-universale parentela della Natura. _Simpatia umana_ è il motto sacro
-del Rinascimento — prima che esso degeneri in Accademicismo e precipiti
-nel Barocchismo — per poi tornare alle sue grandi origini del secolo
-XIV e XV, e dar la mano al secolo XVIII e al secolo nostro.
-
-
-II.
-
-Esaminando le opere dei principali lirici del Quattrocento, vediamo
-che la poesia idillica è la predominante: poi vien quella amorosa,
-sensuale o elegiaca: poi la popolare, sacra o profana. Vediamo che il
-Pulci nella sua stravagante e possente fantasia pare un'eco medievole
-in mezzo al Rinascimento — che il Poliziano è il più essenzialmente
-greco-latino, e il più artista — che il Magnifico ha più di tutti il
-senso della realtà, e il Boiardo quello della poesia e della bellezza.
-In tutti c'è, più o meno, l'intendimento e l'attitudine a rappresentare
-nel verso la natura esteriore. Sotto un certo aspetto, son tutti
-poeti _naturalisti_: ma il metodo descrittivo varia nei diversi
-poeti. Lorenzo, come in pittura il Ghirlandaio, trascrive la immagine
-esteriore delle cose, con una grafica precisione. Il Boiardo e il
-Poliziano, vedono nella figura esteriore _qualche altra cosa_; e, come
-il Botticelli, sono immaginosi più che drammatici.
-
-In tutti però, eccetto Lorenzo de' Medici, l'osservazione della natura
-è piuttosto limitata. Al lettore moderno, che ha letto Rousseau e
-Goethe, Wordsworth e Shelley, Lamartine e Giorgio Sand, Tennyson e
-Victor Ugo, pare che quei lirici del Quattrocento non abbian visto
-che la primavera tra le stagioni, le rose e le viole tra i fiori,
-e il rosignolo tra gli uccelli. Somigliano un po' a certi lirici
-tedeschi, i cui _Lieder_ son composti con un limitatissimo e monotono
-dizionario poetico: _cielo_, _luna_, _aprile_, _sorriso_, _vergine_,
-_rose_, _gigli_, _rosignoli_, _amore_ e _dolore_.... Ma la nota
-monotona, insistente come il ritornello d'un merlo, è sempre la
-Primavera. Talchè, leggendoli, alla lunga ci prende un desiderio, una
-simpatia, una voglia irresistibile di un po' di pioggia, di neve e di
-tramontana....
-
-Il vero realista è Lorenzo. Esso il primo interrompe la convenzionale
-tradizionale _ottimista_ nelle pitture rurali. Ha visto il grano e le
-rose, ma anche le ortiche ed il concio — le ghirlandette e i pruneti —
-i rispetti e le serenate, e il sudiciume e la fame.
-
-Nel suo delizioso poemetto, _L'Ambra_, la piena del fiume è descritta
-nei più realistici e dolorosi particolari.
-
- Appena è stata a tempo la villana
- Pavida a aprire alle bestie la stalla.
- Porta il figlio che piange nella zana.
- Segue la figlia grande, ed ha la spalla
- Grave di panni vili, lino e lana:
- Va l'altra vecchia masserizia a galla,
- Nuotano spaventati i porci e i buoi....
-
-Non pare staccato da una pagina della _Terre_ di Emilio Zola? E com'è
-schiettamente contadinesco il Canto d'amore _la Nencia da Barberino_!
-Immagini e favola, tutto è perfettamente _rusticano_ e _fiorentino_.
-
- Non vidi mai fanciulla tanto onesta,
- Nè tanto saviamente rilevata:
- Non vidi mai la più pulita testa,
- Nè sì lucente nè sì ben quadrata.
- Ell'ha due occhi che pare una festa
- Quand'ella li alza, e che ella ti guata:
- E in quel mezzo ha il naso tanto bello
- Che par proprio bucato col succhiello.
-
-E che efficacia di rappresentazione nei suoi Canti Carnascialeschi!
-Sia nei Mitologici, come le _Parche_, _Bacco e Arianna_, il _Trionfo
-d'Amore_; sia nelle Mascherate dei Mestieri, come i _Cialdonai_, le
-_Filatrici d'oro_, i _Calzolai_.... In moltissimi il doppio senso
-è lubrico, spesso addirittura osceno, quale sarà più tardi in certi
-Capitoli del Berni, dei Bernieschi, e dell'Aretino — talvolta è velato
-da una maliziosa ironia, come nel Carro delle _Mogli giovani_ e dei
-_Mariti vecchi_.
-
- _I Vecchi._ — Deh? vogliateci un po' dire
- Qual cagion vi fe' partire,
- D'aver preso altro amadore
- Vi farem tutte pentire.
-
- _Le Mogli._ — Deh, andatene al malanno,
- Vecchi pazzi rimbambiti!
- Non ci date più affanno!...
- Contentiam nostri appetiti.
- Questi giovani puliti
- Ci dann'altro che vestire....
-
-E che movimento bacchico, che allegra spensieratezza pagana, che
-gioconda esultanza di ritmo, nel _Trionfo di Bacco e Arianna_!
-
- Donne e giovinetti amanti,
- Viva Bacco e viva Amore!
- Ciascun suoni, balli e canti!
- Arda di dolcezza il cuore!
- Non fatica, non dolore!
- Quel c'ha a esser, convien sia,
- Chi vuol esser lieto, sia;
- Di doman non v'è certezza.
- Quant'è bella giovinezza
- Che si fugge tuttavia.
-
-La figura di Sileno in questo medesimo Canto ha tanto rilievo, che par
-gettata in bronzo dal Pollaiolo.
-
- Questa soma che vien dreto
- Sopra un asino, è Sileno:
- Così vecchio, è ebbro e lieto,
- Già di carne e d'anni pieno.
- Se non può star ritto, almeno
- Ride, e gode tuttavia....
- Chi vuol esser lieto, sia:
- Di doman non v'è certezza.
-
-Lo stesso Lorenzo scriveva poi _Laudi_ e _Sacre Rappresentazioni_.
-Spesso, una medesima aria serviva a una Lauda divota, come _Crocifisso
-a capo chino_, — e a una lasciva Canzonetta, come _Una donna d'amor
-fino_. Lorenzo è un gran dilettante, pel quale tutti i _motivi_ poetici
-sono buoni — e passa con intrepida disinvoltura dal Canto sacro della
-_Mater dolorosa_, al Canto carnescialesco dei _Bericuocolai_.
-
-
-III.
-
-Come poeta, credo che la sostanza, la vera eccellenza del suo ingegno,
-consista nel suo realismo. Qui sta la sua originalità, e l'attrattiva
-che esercita sul lettore moderno. È anch'egli un _impressionista_
-(dei buoni) che trova sempre il modo di dar forma artistica — più o
-meno felice, ma sempre fresca e schietta — a tutto ciò che colpisce il
-suo occhio, la sua fantasia, il suo sentimento. Invece di Venere o di
-Lucina, canta la Nenciozza, — invece di figurarsi Cipro e Delo, dipinge
-dal vero Careggi e il Mugello, — invece degli Auguri o delle Sibille,
-ritrae i Beoni e i Cialdonai. Non ha nulla dell'accademicismo del
-Sannazzaro, o della estetica del Poliziano. È spesso rude e scorretto —
-ma è il più vicino alla natura; e ha un sentimento della campagna così
-vivo e diretto, che in tutta la storia letteraria dell'Europa (fatte
-le debite differenze di epoca, di nazione e di carattere) non trovo da
-paragonargli che Roberto Burns.
-
-Invece, il mondo poetico del Poliziano è un riflesso di Teocrito, di
-Virgilio, di Ovidio, di Stazio, del Petrarca: ma la sua immaginazione
-trasforma, trasfigura ciò che raccoglie, in modo così felice, che
-ci apparisce quasi come una nuova creazione. Egli mette nelle sue
-reminiscenze classiche l'entusiasmo dell'umanista — e dà moto, vita e
-passione, ai più freddi fantasmi mitologici. Egli canta Venere e Diana,
-con l'ardore con cui Swinburne ha cantato oggi Federa e Atalanta.
-
-Di più: come il Boiardo, egli è un insigne decoratore: ha il
-senso squisito della ornamentazione: la sua tavolozza di colori è
-maravigliosa. Chi non ricorda il ritratto della Simonetta, il quale è
-appena inferiore per colorito, e supera, per grazia, quello d'Alcina?
-Chi non sa a mente certi suoi versi deliziosi, come:
-
- Ridele attorno tutta la foresta.
- L'erba di sua bellezza ha maraviglia,
- Gialla, cilestra, candida e vermiglia.
-
-e le fragranti strofe della ballata _Il giardino delle rose_?
-
-Dove poi il Poliziano ha note intense di vera poesia è nei _Rispetti_.
-Eccone uno, sensuale e delicato ad un tempo:
-
- So' innamorato d'una rosa rossa,
- E il giorno non mi so da lei partire.
- Quando ci passo il suo bel petto mostra,
- Ed è sì bianco, che mi fa morire.
-
-E che dolore passionato in quest'altro!
-
- Ti vengo a rivedere anima mia,
- E vengoti a vedere alla tua casa:
- Pongomi inginocchioni in su la via.
- Bacio la terra dove sei passata!
- Bacio la terra ed abbraccio il terreno:
- Se non m'aiuti, bella, i' vengo meno.
-
-Dal Poliziano al Rückert, dal Dall'Ongaro alla Robinson, quanti poeti
-hanno imitato i Rispetti e gli Strambotti Toscani!
-
-Ma non credo che nessuno di questi poeti abbia raggiunto l'altezza
-lirica di quattro versi, improvvisati in una serenata da un contadino
-della montagna di Pistoia, raccolti e editi dal Tommaseo:
-
- Una fila di nuvole d'argento
- Innamorate al lume della luna
- Vengon per l'aria portate dal vento
- A salutarti, o bella creatura!
-
-Che larghezza di orizzonte, che movimento, e che luce nel verso
-meraviglioso
-
- Vengon per l'aria portate dal vento!
-
-È degno di Dante — e ricorda infatti la divina terzina:
-
- Come nei plenilunii sereni,
- Trivia ride fra le Ninfe eterne
- Che dipingono il ciel per tutti i seni.
-
-Il Poliziano ha cose eccellenti anche nelle canzonette popolari. In
-quella — Io vi vo' donne insegnare — Come voi dobbiate fare — vi sono
-strofe di lepida arguzia; per esempio:
-
- Fate pur che 'ntorno a' letti
- Non sien, donne, mai trovati
- Vostre ampolle e bossoletti;
- Ma teneteli serrati.
- I capei, ben pettinati
- . . . . . . . . .
- State poi sempre pulite;
- Io non dico già strebbiate.
- Sempre il brutto ricuoprite,
- Ricci e gale sempre usate.
- Vuolsi ben che conosciate
- Quel che al viso si conviene:
- Chè tal cosa a te sta bene,
- Che a quell'altra ne dispare.
- Ingegnatevi star liete,
- Con bei modi ed avvenenti:
- Volentier sempre ridete,
- Pur che abbiate netti i denti.
- . . . . . . . . . . .
- Imparate i giuochi tutti,
- Carte e dadi, scacchi e tavole,
- Perchè fanno di gran frutti,
- Canzonette versi e favole.
- Ho veduto certe diavole
- Che pel canto paion belle:
- Ho veduto anco di quelle
- Che ognun l'ama per ballare.
-
-Accanto al Poliziano, metterei il Boiardo; e, come pura immaginazione,
-forse gli è superiore — anzi, senza forse. È il più essenzialmente
-immaginoso di tutti i poeti del Rinascimento, non solo nell'_Orlando_,
-ma anche nelle _Rime_. In tutti gli altri poeti epici e romanzeschi,
-dal Poliziano e dal Pulci a Torquato Tasso, c'è qualche cosa di
-artificioso e di teatrale — vi sono echi delle feste di Mantova e di
-Firenze, di Roma e di Ferrara — meccanismi e macchine pirotecniche,
-come nelle feste per Alfonso d'Este, o in quelle di Boboli e Pratolino
-per Bianca Cappello. Il Boiardo invece vede tutto in un mondo magico
-e etereo — è il più _orientale_ dei raccontatori — è il più indigeno
-abitatore della _Faery-Land_ che sia mai esistito — anche più
-dell'Ariosto, e di Spenser stesso.
-
-Come lirico, unisce alla fiorente immaginazione un vivissimo colorito.
-Certe sue poesie ricordano nel mondo letterario il _Liebesfrühling_
-di Rückert e il _Buch der Lieder_ di Heine — nel mondo artistico, le
-facciate smaglianti delle cattedrali di Orvieto e di Siena — e nel
-mondo naturale, un prato o un campo di maggio, quando tra l'erba alta
-e verdeggiante brillano fiori candidi e azzurri, e, come intensi e
-voluttuosi desideri, ardono tra 'l verde, i petali di seta e di fiamma
-dei rosolacci scarlatti. Ne prendo una tra cento:
-
- Leggiadro veroncello, ov'è colei
- Che di sua luce illuminar ti suole?
- Ben vedo che il tuo danno a te non duole;
- Ma quanto meco lamentar ti dei!
-
- Senza la sua vaghezza, nulla sei.
- Deserti i fiori e secche le viole,
- Al veder nostro il giorno non ha sole,
- La notte non ha stelle senza lei.
-
- Pur mi ricordo ch'io ti vidi adorno,
- Tra bianchi marmi e colorito fiore,
- Da una ridente candida persona.
-
- Al tuo balcone allor si stava Amore
- C'or te soletto e misero abbandona,
- Perchè a quella gentil respira intorno.
-
-
-IV.
-
-Fin da ragazzo avevo letto nelle storie letterarie e nelle Antologie
-che pregio dell'_Arcadia_ del Sannazzaro era la bellezza delle
-_Descrizioni campestri_. Ma anche prima ch'io “fuor di puerizia
-fossi„ mi accorsi leggendolo che il Sannazzaro descrive.... come può
-descrivere _un cieco_. Mi spiego. Un cieco può parlare di oggetti
-visibili che non gli è dato distinguere — parlare di stature, di
-misure, di forme, anche di colori: ne ha sentito parlare, e ripete ciò
-che ha sentito dire. Così il Sannazzaro ci parla di boschi, di luna,
-di aurora, di uccelli, di laghi, perchè gliene hanno detto qualcosa
-Virgilio, Ovidio, i Greci, il Boccaccio — ed egli ripete, quasi sempre
-male, quel che essi hanno detto bene.
-
-A provare che il Sannazzaro non è vero poeta, cioè un veggente, cioè
-un uomo che _vede meglio e più addentro che gli altri_, nell'uomo e
-nella natura — basta guardare i suoi aggettivi. Non ne trovi mai uno,
-dico uno, che, come fan sempre quelli di Dante, dia vita e fisonomia
-e colore al suo sostantivo. Son tanto comuni che, dato il sostantivo,
-s'indovina subito l'epiteto che l'accompagna.
-
-Apro a caso e leggo:
-
-“Gli aratori tutti lieti, con _vaghi_ e _dilettevoli_ giuochi, intorno
-ai _candidi_ buoi, per li pieni presepi cantarono _amorose_ canzoni.
-Oltra di ciò li _vagabondi_ fanciulli (_vagabondi_, in altro senso,
-non sarebbe cattivo) con le _semplicette_ verginelle se videro per le
-contrade exercitare _puerili_ giuochi in segno di _comune_ leticia.„
-
-Ecco dei versi d'un'Egloga lodata. Parla il pastore Barcinio a
-Summonzio.
-
- _Barcinio._ — Una tabella pose per munuscolo
- In su quel pin: se vuoi vederlo, or alzati,
- Ch'io ti terrò su l'uno e l'altro muscolo.
-
- _Summonzio._ — Quinci si vede ben senz'altro ostacolo
- Filli, quest'alto pino io ti sacrifico,
- Qui, Diana ti lascia l'arco e l'jacolo.
- — Questo è l'altar che in tua memoria edifico,
- — Quest'è il tempio honorato e questo è il tumulo
- In ch'io piangendo il tuo bel nome amplifico.
-
-Certo, questi pastori hanno avuto sempre _dieci_ in latino, e sono
-stati tutti all'_Università_.... Paragonate questi _dotti_ vestiti da
-pastori, agli schietti e veri e vivi contadini di Lorenzo de' Medici!
-
-Sarebbe però ingiusto il negare al Sannazzaro la facoltà che ha, in
-qualche scena silvestre o rusticana, di darci una serie di graduali
-impressioni che han del poetico — il senso della composizione, della
-euritmia, della _Symetria prisca_. Peccato che egli si compiaccia e
-si pavoneggi quasi sempre nella imitazione _formale_, in una specie di
-trascrizione dai Latini, quasi a sfoggio di saccenteria.
-
-Un valente critico, anche troppo benevolo al Sannazzaro, scrisse che
-l'_Arcadia_ fu come un sogno per l'autore, e diventa un sogno per
-il lettore — che i personaggi son quasi tutti _fantasmi_ piuttosto
-che veri caratteri. Il Sannazzaro viveva nel più luminoso paesaggio
-d'Italia; aveva sotto gli occhi il golfo di Napoli, Posilipo, Amalfi,
-Sorrento; e non sa che _intravedere_ uomini e cose, come fantasmi in
-un sogno! Aggiungete che i personaggi d'_Arcadia_, questi fantasmi che
-non sappiamo distinguere, e che non ci interessano, nè ci commovono
-mai, nè per le loro avventure, nè coi loro lamenti, erano, sotto nomi
-pastorali, personaggi veri e _viventi_, amici e parenti del Sannazzaro,
-che egli ha paralizzato con le sue frasi latine, e mummificato coi suoi
-periodi boccaccevoli. La poesia che in Dante e nei veri poeti mette
-la vita anche dov'era la morte — nel Sannazzaro mette invece la morte
-dov'era la vita; perchè l'arte vivifica, e l'artificio dissecca. Sì,
-pare incredibile, ma è vero e provato. La insipida pastora _Massilia_
-è la Masina, madre del Sannazzaro, da lui tanta amata — _Amaranta_, è
-la sua diletta Carmosina — _Melisco_ è il Pontano — _Fronimo_ è Gian
-Francesco Caracciolo — persone vive e vere, che egli vedeva tutti i
-giorni, e che egli ha _seppellite per sempre_ nel classico e freddo
-sepolcro dell'_Arcadia_.
-
-Se nella poesia e nella prosa, nell'_Arcadia_ e nelle _Rime_, il
-Sannazzaro imita continuamente gli antichi, da Virgilio a Claudiano, si
-può dire che saccheggia addirittura il Boccaccio.
-
-Anche quando vuol descrivere la _sua_ Napoli, il Sannazzaro non sa far
-altro che trascrivere dal Boccaccio. Ma il Boccaccio che, nonostante
-i latinismi e l'artificio, e un certo manierismo, è un gran poeta
-in prosa, rimane il solo vero ed efficace descrittore di Napoli. Il
-placido, azzurro, tepido mare di Baia, Posilipo e Castelnuovo, la tomba
-di Virgilio e Pozzuoli, Cuma e Caprea, ce lo rammentan sempre.
-
-Dopo il Boccaccio, chi ha più sentito e meglio tradotto la poesia di
-Napoli, è Lamartine. Boccaccio e Lamartine — spaventosa concordia!
-eppure, o Signori, è così. Quell'incanto molle di Napoli, quello
-spettacolo unico di cielo e di mare, dove in uno sguardo si vede,
-dirò così, il fiore della Vita — dove la terra è una festa, e il
-cielo un paradiso — il sensuale amante della Fiammetta lo sentì come
-lo spirituale poeta di Elvira. Tatti e due avevano respirato l'aria
-balsamica e luminosa delle notti napoletane — tutt'e due avean errato
-sul golfo nell'ora ineffabile in cui la luna declina verso il Capo
-Miseno, e impallidisce e svanisce tra le prime rose dell'aurora.
-
-Nel Sannazzaro già trasparisce il lato debole, anzi cattivo
-dell'epoca. Come in Lorenzo e in Leonardo è il lato _dialettico_, nel
-Sannazzaro è il lato _sofistico_ del Rinascimento: la cieca idolatria
-del classicismo, delle regole consacrate e dommatiche, e quello
-spirito legislativo e dottrinario, che doveva finalmente soffogare
-l'immaginazione e la libertà individuale, e precipitare fino ai
-deliri del grottesco e del barocco, i sistematici adoratori del _Bello
-Assoluto_. Già fino dalla fine del secolo XV, per molti letterati, ciò
-che importa non è più _cosa_ s'ha a dire, ma _come_ si deve dire. Una
-menzogna o una turpitudine in bei periodi Ciceroniani, si preferisce
-a una verità o a un gran pensiero nel cattivo latino di Abelardo e di
-san Tommaso. Dei cardinali umanisti raccomandano a dei giovani prelati
-di non fermare il pensiero sulle orazioni della Messa o sulle parole
-dei Salmi, per non sciuparsi _lo bello stile_. Si paganizzano perfino
-i nomi, e Pietro si muta in _Pierio_, e Giovanni in _Gioviano_. Lo
-scrittore finisce col non dir più quello che pensa, o immagina, o sente
-— ma pensa solo a delle _frasi_ — vede, non più il mondo immenso della
-Natura, ma il mondo limitato dei classici, e trascrive servilmente
-questo, come modello assoluto, e quasi sempre lo sciupa nel riprodurlo.
-La forza trionfante, l'indifferenza nella scelta dei mezzi pur di
-riuscire, la bellezza sensuale e voluttuosa, il godimento raffinato
-e egoistico, divennero un nuovo Vangelo — tanto che la Letteratura
-e l'Arte, queste due confessioni della Società, ne furon finalmente
-viziate, infette nell'intimo organismo, e mostruosamente pervertite.
-E si ebbero per ultima conseguenza, poemi cortigianeschi deliranti
-e snervanti, drammi da macchinisti, pitture e sculture di Dei senza
-potenza, di Vergini senza pudore, di uomini senza carattere: Santi
-che paion facchini e odalische — Angeli che somigliano ad acrobati o a
-ballerine — moli enormi e insolenti di marmo e stucco sciupati, che si
-chiamano chiese, palazzi e sepolcri.
-
-Il vizio del Rinascimento dopo il suo primo fiore, fu il culto
-eccessivo e la servile imitazione delle forme antiche. Finì per non
-guardar più alla Natura, unica e inesausta sorgente d'ogni Vero
-e d'ogni Bello; e lo vide solo attraverso i libri: e avemmo una
-letteratura convenzionale, un accademicismo rettorico. Dante, il gran
-conciliatore della Natura e dell'Arte, della dottrina e della poesia,
-fu dimenticato. Poi l'ingegno umano, pazzo d'orgoglio, non imitò più
-neppure i classici, ma pretese ricavare ogni invenzione dalla propria
-fantasia, _creare_ senza guardare più nè il Vero nè gli antichi, e
-avemmo il Marini e il _Secento_.
-
-
-V.
-
-E quanto alla Poesia, ricordiamoci sempre, o Signori, che il primo,
-il vero, l'_insuperato_ Rinascimento, è in Dante. Dopo lui, non
-c'è progresso. Come hanno potuto alcuni critici recenti affermare
-che il _Sentimento della Natura_ e il _Sentimento umano_ cominciano
-nella nostra poesia col Petrarca? Tutte le volte che Dante dipinge
-scene naturali, dal cielo stellato alle pecorelle, dal turbine a un
-uccellino, rimane insuperato non solo dal Petrarca, ma da quanti poeti
-hanno cantato in Italia per cinque secoli. Solo il Leopardi, qualche
-rara volta, gli si avvicina. Dante rimane il tipo del vero umanista;
-perchè adora l'antico, ma non abdica mai nè la sua fede, nè la sua
-epoca, nè la sua personalità. Egli solo nel suo tempo è grande poeta e
-grande scienziato — dopo lui la poesia e la scienza fanno in Italia un
-deplorevole divorzio. Nè si ripeta la solita storia delle dissertazioni
-_teologiche_. Dante è sommo e unico non _per_, ma _malgrado_ i suoi
-Canti teologici.
-
-E il Sentimento umano? Non solo egli lo espresse in modo sovrano prima
-del Petrarca; ma espresse _tutti_ i sentimenti umani: talmente che
-anche oggi, dopo tanti secoli, non possiamo in questo paragonargli
-_nessuno_, almeno in Italia. Pensate! Manfredi, Casella, Piccarda,
-Farinata, Pier delle Vigne, Buonconte, Sapia, Francesca, Ulisse,
-Ugolino, Filippo Argenti, Sordello, Romeo!
-
-.... “Ma le soavi, divine elegie del Petrarca, ma il colorito del
-Poliziano....„ Benissimo, — ma in Dante c'è ogni cosa: è una sinfonia
-orchestrale dove c'è l'organo solenne, e il violino appassionato, e le
-note ardenti della tromba di guerra, e i sospiri del flauto. Quando
-Dante è elegiaco, è più soave e più patetico di tutti i Petrarca del
-mondo — quando Dante colorisce, non gli son paragonabili che Tiziano
-e Velasquez — e nei sinistri crepuscoli; o nelle tragiche tenebre,
-Rembrandt.
-
-I _quattro_ Classici!!... Ma fra Dante, e il più grande degli altri tre
-che è l'Ariosto, ci sarebbe posto almeno per altri due o tre poeti. Di
-Dante può dirsi ciò che il Petrarca cantò della Vergine:
-
- Cui nè primo fu, simil, nè secondo.
-
-Per trovargli un _compagno_, bisogna uscire d'Italia — e non ne
-troviamo che _uno_: Guglielmo Shakespeare.
-
-E come impallidisce anche tutta questa Lirica del Quattrocento,
-paragonata a certi accenti lirici della _Vita Nuova_ e del
-_Purgatorio_, non solo come sentimento e immagini, ma anche come
-pura _forma_ poetica! Dante resta incomparabilmente primo anche come
-artefice di versi nel tecnicismo del ritmo, come _stilista_. Ha certe
-audaci e felici inversioni, certi effetti di colore e di suono, da fare
-impallidire i più consumati maestri della parola poetica, da Goethe a
-Victor Ugo, dal Foscolo a Tennyson, dallo Shelley al Carducci.
-
-Perchè notate, o Signori, che nei poeti del Quattrocento, accanto a
-versi bellissimi, a strofe perfette, trovate versi deboli o manierati,
-l'epiteto ozioso e insignificante, la _zeppa_: un lavoro di mosaico
-e di tarsia, dove manca la pastosità del cemento, il magistero
-dell'artista sommo che sa dir tutto, e tutto bene, e sempre bene.
-
-Ah! se insieme ai tanti, ai _troppi_, commenti filologici, filosofici,
-teologici, storici, archeologici, che abbiamo della _Divina Commedia_,
-ne avessimo uno _estetico_; si vedrebbe come i caratteri essenziali
-dell'arte moderna, il naturalismo, la malinconia, la passione, son
-caratteri essenziali della poesia Dantesca — e come Dante, nonostante
-la sua scolastica e la sua teologia, è il più _moderno_ di tutti i
-poeti italiani. E si deplorerebbe che i poeti che gli succedettero,
-invece di svolgere quel che era in germe nel Divino Poema, si
-ostinassero nella sistematica riproduzione delle forme grecolatine.
-In Dante era l'ode, l'eloquenza, la satira politica, sopratutto il
-dramma. Non vi si badò. Si preferì di copiare Ovidio e Terenzio, il
-Decamerone e il Petrarca — e si ebbero due secoli di Canzonieri noiosi,
-di laide Novelle, e di Commedie copiate. E tutta questa roba si chiama
-anche oggi _letteratura classica_ e se ne infarciscono le Storie
-letterarie e le Antologie per le scuole: certe storie letterarie, certi
-_Manuali_, dove si parla a lungo del Segneri e non è neppur rammentato
-il Savonarola — dove si parla diffusamente e si danno estratti della
-_Tancia_, e non è neppur ricordato Carlo Goldoni; perchè il Savonarola
-e il Goldoni scrivono in _cattiva lingua_.... Tanto è vero che da noi,
-per troppo amor della lingua, si perde spesso il _cervello_.
-
-Ho detto che anche come _artefice di verso_, Dante è superiore a tutti
-i poeti del Rinascimento, non escluso il Petrarca.
-
-Mi basti ripresentare alla vostra memoria e alla vostra ammirazione i
-versi descriventi la fiamma che parla, il gemito di una testa recisa,
-le piante animate e sanguinanti, le trasformazioni di uomo in serpente,
-l'uccello mattutino, le pecorelle che escon dal chiuso, l'anima che si
-dilegua cantando, i versi sull'ora del tramonto, quelli sull'alba di
-maggio....
-
-E le note di suprema malinconia, i versi patetici, com'egli solo sa
-fare?
-
- Deh, quando tu sarai tornato al mondo,
- E riposato della lunga via....
- Ricorditi di me che son la Pia.
-
- Indi partissi povero e vetusto.
- E se il mondo sapesse il cuor ch'egli ebbe
- Mendicando sua vita a frusto a frusto
- Assai lo loda e più lo loderebbe.
-
-Ed è lo stesso poeta che ha scritto:
-
- Quand'ebbe detto ciò, con li occhi torti
- Riprese il teschio misero co' denti
- Che furo all'osso come d'un can forti.
-
-e:
-
- A te sia rea la sete onde ti crepa
- . . . . . la lingua e l'acqua marcia
- Che il ventre innanzi agli occhi sì t'assiepa.
-
-E i versi _passionati_, dai primi, incerti, deliziosi sogni d'amore,
-fino all'ebbrezza, fino al delirio?...
-
- Quanti dolci pensier, quanto desio,
- Menò costoro al doloroso passo!
- . . . . . . . . . . . . .
- Questi, che mai da me non fia diviso,
- La bocca mi baciò, tutto tremante....
-
-È un grido umano, che cuopre e soffoca tutti i melodici sospiri per
-tutte le Laure dei cento _Canzonieri italiani_.
-
-Se la parte scolastica e scientifica della _Divina Commedia_ ci
-apparisce un po' come natura morta, tutta la parte umana e poetica
-è immortalmente giovine e viva: perchè la scienza è progressiva, e
-perciò ha sempre un valore relativo, — ma la Poesia (la vera Poesia)
-è assoluta, e perciò inalterabile. Copernico offusca Tolomeo, Cuvier
-eclissa Buffon, Darwin eclissa Lamarke, — ma Dante non scema d'un
-raggio l'aureola sfolgorante d'Omero — nè Shakespeare attenua di
-un grado la gloria sovrana di Eschilo. Nè tutti gli splendori del
-Rinascimento, dal Petrarca all'Ariosto, nè tutta la grande poesia
-moderna da Goethe al Leopardi, offusca minimamente la gloria
-_trascendentale_ della Divina Commedia.
-
-
-VI.
-
-Il Savonarola è una grande anima, e un vero poeta — ma è più gran
-poeta in molte sue prediche, che nelle vere e proprie _Poesie_.
-Nonostante, anche in queste, benchè scorrette, neglette di forma,
-circola un'aura, un soffio potente, come un'eco ancor calda delle sue
-ardenti perorazioni, delle sue tragiche visioni, delle sue formidabili
-apostrofi: ma talvolta, e non di rado, vi son note semplici, fresche,
-quasi festose, come in questi versi sul _Natale_, che sembran preludere
-nella loro ingenuità ai due inni immortali del Milton e del Manzoni.
-
- Venite, Angeli santi.
- E venite suonando;
- Venite tutti quanti
- Gesù Cristo laudando,
- E gloria cantando
- Con dolce melodia;
- Ecco il Messia — ecco il Messia
- E la madre Maria.
-
- Venitene, Profeti
- Che avete profetato,
- Venite tutti lieti;
- Vedete ch'egli è nato,
- Il picciolin Messia!
-
- Pastor pien di ventura,
- Che state voi a vegghiare?
- Non abbiate paura;
- Sentite voi cantare?
- Correte ad adorare
- Gesù con mente pia.
-
- I Magi son venuti
- Dalla stella guidati,
- Con lor ricchi tributi.
- In terra inginocchiati.
- Quanto son consolati
- Adorando il Messia!
-
-Altre volte, nell'ardore della preghiera, ha qualche cosa di
-petrarchesco come in questa strofa:
-
- Apri, Signore, il tuo celeste fonte;
- Quella tua dolce vena
- Che Maria Maddalena
- Trasse di basso loco all'alto monte,
- Con l'anima serena
- Piena di raggi e di splendor divino.
- Pietà, Signor, di questo peregrino!
-
-Amor giovine, deplorò le umane rovine della Chiesa e le morali rovine
-del Mondo, con versi potenti. La Chiesa di Cristo,
-
- Povera va con membra discoverte,
- I capei sparsi e rotte le ghirlande:
- Scorpio la punge ed angue la perverte.
- E così va per terra
- La coronata, e le sue sante mani....
- Bestemmiata dai cani
- Che van truffando sabbati e calende....
-
-Le Poesie sacre del Savonarola, a differenza di quelle di Feo Belcari
-e del Benivieni, accennano o confermano il concetto d'una _Riforma
-Cattolica_, già prenunziata da Dante. E in alcune strofe si mostra
-anche artista. Nonostante il _falò_ delle vanità, nel quale è a
-deplorarsi l'eccesso che pur vi fu, egli aveva vivo il sentimento
-dell'Arte. Fondò una scuola di pittura nel suo stesso Convento, ove
-lavorò Fra Bartolomeo, fu agli artisti e ai letterati consigliere e
-ispiratore, fu intimo amico di Pico della Mirandola e inaugurò con lui
-gli studi ebraici e orientali — e il genio dei Profeti e di Dante che
-era in lui, lo comunicò a Michelangiolo, e palpita ancora immortale
-alla volta e alle pareti della _Sistina_. Non facciamo dunque del
-grande oratore e del grande riformatore, un Erostrato selvaggio e un
-frate ignorante.
-
-Egli fu in Italia la più gran coscienza _morale_ del secolo XV,
-come Dante lo era stato del XIV, e come Michelangiolo lo fu del
-XVI. L'ardore con cui il santo monaco fuse insieme i sentimenti di
-patriottismo e di morale nel popolo di Firenze, non si spense con lui
-— e i suoi migliori effetti si videro rifulgere nel memorabile Assedio
-degli anni 1529-30. Il soffio vulcanico del grande oratore che ispirò
-il poema della _Giustizia_ dipinto nella Sistina da Michelangelo,
-animò egualmente la tragedia della _Libertà_ combattuta a Gavinana da
-Francesco Ferruccio.
-
-La sua _fede_ eccitava il suo entusiasmo, il suo entusiasmo faceva la
-sua forza. Nessuno, o Signori, è diventato martire per una _opinione_:
-la _fede_ sola fa i martiri. Egli credeva e vedeva, e tuonava dal
-pergamo le sue visioni. Chiamatelo pure un fanatico. Era fanatico come
-Ezechiello, come Geremia, come Arnaldo, come Demostene, come Dante,
-come Mirabeau, come O'Connell — come tutti quelli che hanno comunicato
-l'elettricismo d'una parola di fuoco. Era un malato?... Forse. Ogni
-vera creazione produce uno spostamento, un disequilibrio. Se gli eroi,
-i martiri, i grandi poeti son tutti _malati_ — consoliamoci — non c'è
-mai stata tanta salute come oggi, in Europa!
-
-Le più ammirabili prediche del Savonarola, come ben nota l'illustre
-Villari nel suo classico libro, son quelle su i _Salmi_: e quella dove
-l'impeto lirico è sommo ed unico, dove il Savonarola è veramente poeta,
-e gran poeta, è la _predica-visione_ dei flagelli d'Italia. Il Cielo
-stesso combatte; i Santi, gli Angeli spingono i barbari vendicatori.
-Son loro che li hanno chiamati, che hanno messo le selle ai cavalli,
-e affilate le spade. E il diluvio degli stranieri, il gran gastigo
-italico, comincia. Dove andiamo? San Pietro grida: A Roma! a Roma! San
-Giovan Battista e Santo Antonino: a Firenze! E San Marco: là verso la
-città superba e voluttuosa, che inalza le sue cupole d'oro sovra le
-acque!
-
-La impressione che riceviamo anche oggi, dopo quattro secoli, e alla
-semplice _lettura_, da questa predica, è solo paragonabile a ciò
-che proviamo al primo ingresso nella Cappella Sistina. Vi ricordate?
-Un fremito, un tumulto, corre sulle pareti. Non si sa dove riposare
-lo sguardo. Da tutte le parti, visi minacciosi, e pianti disperati.
-Ezechiello si volta impetuosamente, in furiosa disputa con un Angelo.
-Geremia appoggia l'enorme testa sulle mani, come schiacciato dal peso
-di tutti i dolori di Gerusalemme. La Libica si alza terribile, con
-in mano il gran libro dei fati. La Persica legge con occhi ardenti.
-Daniele scrive tremando. Qua, il tronco di Oloferne versa una fiumana
-di sangue; là, gli adoratori degli idoli si contorcono, ignudi, sotto
-i morsi dei serpenti divoratori. Madri spaventate urlano e fuggono,
-stringendo al seno i bambini. Un altro vede passare in uno specchio
-visioni così terribili, che indietreggia atterrito, e batte la spalla
-nella muraglia. Par di sentir ruggire di lontano il tuono della
-vendetta divina. La Giustizia e il Giudizio — riparatore e vendicatore
-— respirano da ogni angolo della tremenda Cappella.
-
-In quegli anni tragici e sinistri di saccheggi e di incendi, di
-orgie e di tradimenti, Michelangelo, che doveva assistere ai funerali
-della libertà e dell'Italia, si ricordò soprattutto del Savonarola, e
-leggendo assiduamente i Profeti, Dante, e le Prediche e le Liriche del
-Ferrarese, dipinse i Profeti, e scolpì la _Notte_, la _Notte d'Italia_.
-
-In una delle sue ultime prediche, il Savonarola, presago dello
-imminente martirio, disse queste parole: “O Signore, io non tengo modi
-di cercar gloria umana. Io non voglio cappelli, nè mitrie piccole o
-grandi. Non chieggo se non quello che tu hai dato ai tuoi Santi — la
-morte. Un cappello rosso, un cappello di sangue, questo desidero.„
-
-E l'ebbe. E prima, le agonie dell'infame processo, i dubbi e i terrori,
-la fune che gli slogò tutte l'ossa, le tenebre della segreta, le smanie
-e gli scoramenti, e i sudori di sangue dell'eterno Getsemani....
-
-Fu allora che in un momento di tregua, in un'ora di grazia e di
-respiro, — fra la tortura e il rogo — compose un salmo sublime, che il
-Tommaseo ammirava tanto, e tradusse.
-
-Eccone alcuni versetti:
-
- Conoscerò dunque, fra poco, Voi, o mio Dio, conoscitore di me.
- O mio consolatore, mostratevi a me finalmente;
- Siatemi adiutore — non mi lasciate.
- Perchè il padre e la madre mia mi lasciarono....
- Ma il Signore misericordiosamente mi assunse.
- Non mi date alle animosità di quei che mi tribolano,
- Poichè insorsero contro me testimoni iniqui — e l'iniquità
- mentì a sè medesima.
-
-Sospeso dal laccio infame sul rogo, e non ancor morto, il Savonarola
-potè forse vedere le mani impazienti e furiose del popolo, appressare
-le torce accese alla catasta già sparsa d'olio e bitume; mentre
-altre mani scagliavano una pioggia di sassi su quel volto tante volte
-illuminato dalla luce del genio e dalla santità della vita.
-
-Ah! da quando insultò Socrate, e preferì ad alte grida Barabba a Gesù;
-al giorno in cui sputò in faccia a Bailly e imprecò a Madama Roland
-moritura — la plebe ingannata e pervertita, o abbandonata al cieco
-istinto bestiale, ha sempre applaudito all'eccidio dei suoi più insigni
-_benefattori_.
-
-
-VII.
-
-Come il lato sofistico del Paganesimo era stato il consacrare la
-natura umana anche nella sua parte cattiva — il lato sofistico del
-Cristianesimo medievale fu di gettare un anatema troppo assoluto
-su la Natura, di vivere come lo Stilita sospesi tra il Cielo e la
-Terra, guardando a quello con estasi, a questa con un sacro terrore.
-Il centro della Idealità fu spostato nel _Rinascimento_; e al culto
-del Dolore spirituale, successe l'apoteosi della plastica Bellezza
-e della Euritmia. Ma tra le voci armoniose e pagane, dura anche nel
-_Quattrocento_ qualche eco della grande, triste e patetica poesia del
-Cattolicismo. Oltre il Savonarola, vanno ricordati il Benivieni e il
-Belcari. Il primo essenzialmente lirico, drammatico e trovatore di
-patetiche situazioni, efficaci, nella loro ingenua espressione. Basti
-rammentare le parole d'_Isacco_ al padre che sta per sacrificarlo.
-
-Nella lirica satirica si distinsero il Cammelli e il Burchiello: ma il
-loro più gran merito consiste forse nella visibile influenza che ebbero
-sull'ammirabile genio del Berni.
-
-Un soffio veramente lirico spira in alcuni canti epici del rude e
-possente poeta Luigi Pulci. La sua _morte di Orlando_ è semplice,
-patetica, e tocca il sublime. E forse Alfredo Tennyson l'ebbe in mente,
-quando descrisse, negli _Idilli del Re_, la _Morte di Artur_o.
-
-Nelle stanze narranti la catastrofe cavalleresca, Roncisvalle, e
-la morte del gran Paladino, è commisto in modo mirabile l'elemento
-_lirico_ all'epico:
-
- Così tutto serafico al ciel fisso
- Una cosa parea trasfigurata,
- E che parlasse col suo crocifisso....
- Il cielo certo allor s'aperse....
- E come nuvoletta che in su vada,
- _In exitu Israel_, cantar, _de Egipto_
- Sentito fu, dagli Angeli solenne
- Chè si conobbe al tremolar le penne.
- Poi si sentì. . . . . . . .
- Certa armonia con sì soavi accenti,
- Che ben parea d'angelici istrumenti.
-
-Versi che certo rammentava l'Ariosto quando cantò con la magia che gli
-è propria:
-
- E voci e suoni d'angeli concordi
- Tosto in aria s'udîr che l'alma uscìo
- La qual, disciolta dal corporeo velo,
- Fra dolce melodia salì nel cielo.
-
-Arriva Carlo Magno e benedice al morto Paladino e gli richiede la spada
-Durlindana.
-
- Io benedico il dì che tu nascesti,
- Io benedico la tua giovinezza.
- Io benedico i tuoi concetti onesti,
- Io benedico la tua gran prodezza.
- E se tu hai di me nel ciel mercede,
- Come solevi al mondo, alma diletta,
- Rendimi se Dio tanto ti concede,
- Ridendo, quella spada benedetta.
- . . . . . . . . . . . . . .
- Come a Dio piacque, intese le parole,
- Orlando, sorridendo, in piè rizzossi;
- Con quella reverenza che far suole,
- E innanzi al suo Signore inginocchiossi,
- E poi distese, ridendo, la mana,
- E resegli la spada Durlindana.
- . . . . . . . . . . . . . .
- Carlo tremar si sentì tutto quanto
- Per maraviglia e per affezione,
- E a fatica la strinse col guanto....
-
-Ma il personaggio più magneticamente poetico del _Quattrocento_, quello
-la cui _vita_ è una vera _lirica_ di bellezza, di aspirazioni e di
-entusiasmi, è Pico della Mirandola: e non vi dispiaccia, o Signori, che
-io _concluda_ col suo simpatico nome, questi miei rapidi cenni su la
-poesia del Quattrocento.
-
-Marsilio Ficino ci ha narrato come lo vide la prima volta in Firenze.
-Era il 1480, l'anno in cui il Ficino aveva compiuto la sua grande
-opera, la traduzione di Platone. Una bella giornata di settembre,
-verso l'ora del tramonto, il dotto ellenista meditava nel suo studio.
-La lampada votiva che egli teneva accesa dinanzi al busto di Platone
-brillava vivace nella languente luce vespertina. Entrò un giovane alto
-e bello, dagli occhi grigio-cerulei, dai capelli di un biondo acceso,
-scendentigli sulle spalle sotto un berretto di velluto nero: vestiva
-una cotta di raso violaceo, listato d'argento: aveva al collo la
-collana d'oro di Principe. Era Giovanni Pico della Mirandola.
-
-Parlarono di filosofia — di Platone, naturalmente. E il giovine
-Principe suggerì al vecchio filosofo di tradurre Plotino, il mistico
-panteista dell'Antichità. Parlò dell'Oriente; _il mio Oriente_,
-diceva, l'_alma mater_ d'ogni scienza e poesia. Parlò della Bibbia
-e del Cristianesimo, di un Cristianesimo eterno, indistruttibile,
-conciliabile col Platonismo. Parlò dell'Uomo, che è un piccolo
-Mondo, una sintesi portentosa e divina, “dov'è, diceva, l'essenza
-angelica e il senso del bruto, e la vegetale anima delle piante, e il
-fuoco e il mercurio„. Disse al Ficino di un Commento che intendeva
-fare alla Canzone del Benivieni su l'_Amor divino_: e ne discorse
-con una stupenda profusione di immagini colorite e poetiche, prese
-dall'Astrologia, e dalla Cabala, da Salomone e da Omero.
-
-E la notte calava sulle grandi vetrate dello studio, e la lampada
-votiva illuminava il marmoreo volto di Platone e i capelli d'oro di
-Pico.
-
-Era allora poco più che ventenne: ma avea già provato le tempeste della
-passione e n'era restato disilluso, e abitualmente un po' mesto.
-
-Aveva scritto molti versi d'amore, e gli aveva, un giorno, tutti
-bruciati. (Grande e raccomandabilissimo esempio!...) Aveva viaggiato,
-visto uomini e cose. Veniva ora a Firenze, attratto dalla fama del
-Magnifico Lorenzo, e dall'amicizia per il Ficino.
-
-Una bellissima bruna, una ardente _Savonaroliana_, soprannominata la
-_profetessa_, Camilla Rucellai, s'innamorò perdutamente di lui.... ma
-non fu corrisposta. La irrequieta curiosità teologica e scientifica,
-la triste sazietà dei piaceri, preservarono Pico da nuove passioni.
-La Rucellai gli predisse che sarebbe morto _al tempo dei gigli_....
-E il giorno che Pico della Mirandola spirava tra le braccia del
-Savonarola, Carlo VIII entrava in Firenze preceduto dalla bandiera con
-li aurei gigli di Francia. Fu sepolto in San Marco. Aveva 32 anni. I
-contemporanei lo chiamarono la _Fenice_ degli ingegni. Per noi è una
-Fenice soprattutto in questo, che fu un _Erudito poetico_. Non si è
-visto ancora il secondo.
-
-Sapeva e scriveva il greco, l'arabo, l'ebraico, il caldaico.
-All'età di ventisette anni, trasse dai suoi immensi studi novecento
-tesi di fisica, filosofia, teologia, astronomia, magia naturale,
-comprendenti quasi tutto lo scibile del suo tempo, e le pubblicò
-in Roma, proferendosi pronto cavallerescamente a sostenerle contro
-chiunque osasse oppugnarle. Poeta e filologo, filosofo e mistico,
-ebbe un'ardente curiosità dell'ignoto, del miracoloso, intravedendo e
-indagando il _Soprannaturale_ nell'intima essenza del _Naturale_; come
-Leonardo, Paracelso, Fichte, Novalis, Carlyle. Simpatizzava con tutto
-quello che le morte generazioni hanno sinceramente e passionatamente
-creduto: e studiava, rievocava, resuscitava le antiche mitologie.
-Vedeva in esse l'eterno _Io_ dell'umanità, vi leggeva un motto del
-grande Enimma. Egli disse pel primo la feconda parola: in ogni _fede_,
-è una parte di _verità_.
-
-La sua teoria è essenzialmente poetica e consolante, e rammenta
-la teoria Browninghiana. — Tutto quello che rettamente si volle
-e nobilmente si amò sulla Terra, non andrà mai perduto. Dovremo
-traversare altri mondi — molto avrem da imparare, molto da dimenticare,
-ma quel momento verrà. Tutto quello che ardentemente aspiravamo ad
-essere, e non potemmo essere su la Terra, ed a cui pure ci sentivamo
-chiamati; tutto ciò che era in noi e che il mondo ignorò, la poesia
-muta, l'amore represso, il momento fatale perduto, tutto avrà un
-giorno, altrove, sviluppo e trionfo. Pico della Mirandola serbò
-intatte, nel suo poetico naturalismo, la coscienza individuale, e
-la libertà morale dell'anima umana. Nel suo trattato _De Hominis
-dignitate_, scrisse queste belle e memorande parole: “I bruti sono
-eternamente bruti, gli angeli, essenze angeliche eternamente. Tu solo,
-o Uomo, puoi degenerare fino a divenire un bruto, e rigenerarti e
-sollevarti fino a parere un Dio. Tu solo hai un incessante sviluppo; tu
-solo porti in te i germi di ogni specie di Vita.„
-
-Se Pico della Mirandola distrusse i suoi versi, restò poeta nella vita,
-nel sentimento, nell'intelletto. Nè mi è parso inopportuno parlare di
-lui, in una lettura su la poesia del _Rinascimento_. Per esserne il
-più poetico simbolo, non gli è mancato nulla. Ha avuto l'ingegno, la
-dottrina, la bellezza, la gioventù, la nobiltà, l'entusiasmo, la morte
-precoce; e finalmente _un certo mistero_ che avvolge il suo nome, la
-sua vita, e tutti i suoi scritti.
-
-
-
-
-L'ORLANDO INNAMORATO DEL BOIARDO
-
-DI
-
-PIO RAJNA.
-
-
-Scommetto, signore e signori miei, che se fossi mago — che pur
-troppo non sono — e avessi la virtù di far qui comparire a un vostro
-cenno tutti i poeti che vi venisse la curiosità di vedere, la sala
-correrebbe un gran rischio di essere stipata prima che a Matteo Maria
-Boiardo fosse concesso di trovarsi in mezzo a un'accolta di persone,
-tale da richiamarlo a' suoi giorni più belli. Gli è che il nome suo
-vi s'offrirebbe offuscato da un altro: quello di Lodovico Ariosto. E
-c'è di peggio. Il Boiardo della tradizione comune ha come l'aria di
-un somarello dal pelo arruffato, pieno di guidaleschi, che se ne va
-trotterellando alla meglio, indegno di attirare gli sguardi, finchè
-un buffone — Francesco Berni mi scusi, — non è còlto dal ghiribizzo
-di balzargli sul dorso, e, messolo a corsa a forza di scudisciate,
-non si dà ad eseguire su quella cavalcatura ogni sorta di smorfie
-e capestrerie. O chi mai deve dunque impacciarsi di richiamare
-dall'eterno riposo un'ombra cosiffatta?
-
-Chi? — Voi per l'appunto: dopo che vi siate presi la cura di conoscere
-meglio cosa sia per davvero l'_Orlando Innamorato_, o _Innamoramento
-d'Orlando_ che si voglia dire; una cura che, avendo me a guida,
-riuscirà forse una fatica e una noia; ma che fatica e noia non sarebbe,
-se, mandato a farsi benedire l'incomodo mediatore, apriste il libro voi
-stessi e vi deste a legger senz'altro.
-
-Per il momento son qui, e bisogna che mi tolleriate. Ed io dal mio
-canto, volendo adempiere coscienziosamente l'ufficio a cui mi son
-sobbarcato (povera coscienza, come si strazia in tuo nome!), son
-costretto a risalir molto indietro. L'_Orlando Innamorato_ — dicono
-i barbassori — non si può giudicar bene senza essere prima informati
-della sua schiatta; e questa schiatta è disgraziatamente antica assai.
-
-Sicuro: ci si perde in un lontano passato, e in un passato non nostro.
-Tutti sanno oramai di una epopea rigogliosa fiorita nella Francia
-del medio evo e dissepolta pietosamente da sessant'anni in qua. Essa
-accompagnò la vita francese dai primordi fino a un'età molto tarda.
-Nata di sangue germanico, ma fattasi presto romana, cantò i fatti e
-gli eroi del periodo merovingio, poi quelli del carolingio, e serbò
-ancora abbastanza fiato perchè, due e più secoli dopo, al tempo delle
-crociate, potesse mettersi alla bocca la tromba.
-
-Quanti personaggi si trovò così a celebrare! Ma tra gl'infiniti,
-taluni, per motivi interni ed esterni, vennero a prevalere. Primo fra
-tutti Carlo Magno, il sovrano per eccellenza. E accanto a lui Orlando,
-del quale la morte stoicissima al passo di Roncisvalle fece l'ideale
-del guerriero valoroso e del vassallo devoto. In Rinaldo invece e in
-certi altri si possono veder personificate le doti meno corrette,
-ma spesso più simpatiche, del barone ribelle; ribelle nondimeno ai
-soprusi, non all'esercizio legittimo dell'autorità.
-
-Nella sua forma schietta e genuina questa epopea francese è poesia
-severa, profondamente patriottica, ardentemente cristiana, fieramente
-guerresca. Ma se il patriottismo, la religiosità e lo spirito bellicoso
-eran troppo connaturati con essa per venir a mancare, la severità
-invece dovette via via ceder terreno di fronte al bisogno di andar
-a sangue a un pubblico mano mano più desideroso di svago: simile al
-pubblico d'una conferenza! Così l'epopea si veniva convertendo in
-romanzo: metamorfosi da non poter mai riuscire perfettamente, nel
-territorio almeno a cui l'epopea appartiene per nascita. Getti pur
-lontano quanto vuole la sua tonaca, poco o tanto il frate resterà
-sempre frate. Quindi, se le _chansons de geste_ continuarono ad
-appagare esuberantemente il gusto, facile sempre, delle classi
-popolari, il palato dei signori trovò col tempo maggior piacere in
-altri cibi. E i cibi furono svariati; ma il più gradito fra tutti
-fu quello offerto in gran copia dalle narrazioni costituenti la
-cosiddetta Materia di Brettagna, o il Ciclo d'Artù e della Tavola
-Rotonda. Straniero di origine, e però non vincolato o frenato da
-nessun obbligo o tradizione, questo ciclo potè volgersi liberamente
-a sodisfare ogni tendenza e desiderio di quella società cavalleresca
-alla quale s'indirizzava, parte, svolgendo gli elementi portati con
-sè della patria, e più assai trasformando e introducendo di nuovo.
-Ne uscì un mondo fantastico, nel quale il meraviglioso — prima causa,
-se non erro, della fortuna brettone — s'incontra a profusione; dove i
-guerrieri se ne vanno errando soletti, o quasi, per regioni solitamente
-boscose, sconosciute affatto a loro medesimi, incontrando di continuo
-l'inaspettato; dove al posto della guerra s'ha il duello, il torneo
-e l'“avventura„; dove insieme col valore regna la cortesia; dove la
-donna, relegata in un cantuccio dall'epopea carolingia, è messa in
-trono, e con essa — occorre mai dirlo? — è messo in trono l'amore; un
-amore che cura ben poco le istituzioni sociali, sicchè si compiace
-segnatamente delle due coppie adultere di Tristano ed Isotta, di
-Lancillotto e Ginevra.
-
-Dalla Francia così l'epopea nazionale come la materia di Brettagna si
-propagarono all'Italia. L'epopea se ne dovette venire fino da un'età
-molto antica; oserei quasi dire già in quella stessa di Carlo Magno.
-Quanto alle narrazioni brettoni, giunsero a noi più tardi; eppure,
-lasciando stare certi indizi che ci riporterebbero nientemeno che al
-cadere del secolo XI, è certo che nel XII si divulgarono largamente.
-La fortuna dell'epopea fu senza confronto maggiore. Essa trovò qui
-una seconda patria; e non già solo in questa o quella regione, bensì
-oramai in tutto il paese. Ciò non toglie che la vallata del Po fosse il
-terreno più disposto ad accoglierla. Colà prima che altrove mise salde
-radici e si rivestì di nuove frondi. Agli abitatori di quelle provincie
-che avessero qualche poco di coltura, la favella francese sonava
-famigliare; sicchè ivi accadde che si rimaneggiasse e s'arricchisse
-con nuove invenzioni ciò che s'era avuto d'oltralpe servendosi del
-linguaggio della Francia e senza dipartirsi dai ritmi originarii.
-Linguaggio e ritmo non rimasero; invece, nè potevano rimanere, al di
-qua dell'Appennino; l'uno cedette il posto ai volgari nostri, l'altro
-all'ottava rima o alla prosa. Ma di quaggiù il mutamento ebbe poi
-ad essere comunicato di rimbalzo all'Italia stessa del settentrione,
-ridottasi a poco a poco ancor essa ad accogliere un sentimento più vivo
-d'italianità nell'ordine altresì della lingua e della letteratura.
-
-Quanto alla materia di Brettagna, è naturale che anche presso di noi
-se ne avessero a compiacere specialmente quelle classi per cui s'era
-venuta foggiando. Ciò viene a dire che dovette certo aver voga maggiore
-nella Lombardia, intesa nel suo vecchio ed ampio significato, nella
-Marca di Treviso, nella Romagna, così ricche di signori feudali e di
-piccole corti. Però non a caso Dante pose il romanzo di Lancillotto
-tra le mani de' “duo cognati„, con quell'effetto che troppo ben sapete.
-Nondimeno e Artù e Tristano e Galvano e tutta la brigata non mancarono
-di esercitare vive seduzioni anche qui nella Toscana sulle fantasie di
-una gioventù, cui il nascere per la più parte di popolo non toglieva
-d'essere amante del “donneare„, della prodezza del lusso, e di ogni
-gentil costume. Quindi sulle pareti del palazzo della sua Madonna il
-poeta dell'_Intelligenza_ — o perchè non dirò io Dino Compagni? — darà
-luogo alla rappresentazione di questo mondo leggiadro con parole che
-lasciano intendere quanto fosse caro al suo cuore (St. 287-288):
-
- E sonvi i pini, e sonvi le fontane.
- . . . . . . . . . . . . . . . . .
- E sonvi tutti i begli accontamenti
- Che facevan le donne e' cavalieri:
- Battaglie, giostre, be' torneamenti,
- Foreste, roccie, boscaggi e sentieri.
- Quivi sono li bei combattimenti,
- Aste troncando e squartando destrieri.
- Quivi sono le nobili avventure;
- E son tutte a fino auro le ligure:
- Le caccie, e corni, valletti e scudieri.
-
-Lungi da me l'idea di parlarvi, sia pure rapidissimamente, di ciò che
-da un lato il ciclo carolingio, dall'altro il brettone, produssero
-presso di noi nel lungo periodo che precede al mio soggetto, ossia
-fin verso il declinare del quattrocento. Questo solo dirò, che il
-brettone riuscì poco prolifico, e si limitò quasi sempre a tradurre e
-verseggiare. Il carolingio invece fu di una fecondità conigliesca, e
-mise alla luce una serie interminabile di romanzi in prosa e in verso,
-attraenti dapprima, fino a che in generale si contentavano essi pure di
-ripetere in forma schietta ed ingenua narrazioni antiche, ma via via
-più stucchevoli. Ci si domanda come la gente del secolo XV — ed anche
-del XVI — potesse trovar diletto nel leggere o sentir recitare casi
-tanto uniformi, narrati prolissamente e senza grazia. Ci si domanda:
-ma quando si vede un fanciullo trastullarsi ore ed ore con quattro
-fuscellini, e gli stessi pettegolezzi far le spese della conversazione
-universale per una intera settimana, e i cuori di migliaia e migliaia
-di persone (osservo, non critico) stare in ansia per veder risolto
-il gran problema se quattro zampe di cavallo arriveranno alla mèta
-un minuto terzo prima di altre quattro, e rimanersene per questo ore
-ed ore sotto la sferza solare, si conchiude che per divertir l'uomo,
-grande e piccino, molto poco può essere sufficiente. Vero che non ci
-vuol troppo più nemmeno per annoiarlo.
-
-Questa nostra letteratura pareva giunta alla sera — e che squallida
-sera! — senza aver avuto un vero meriggio; quando le nubi si
-squarciarono e il sole prese a sfolgoreggiare. Esso, par bene, ebbe
-prima a mostrarsi a Firenze, dove, secondo le conclusioni di studi
-recenti, il _Morgante_ di quella bizzarra creatura che fu Luigi Pulci
-era già composto per tre quarti nel 1470. Il valore di questo poema
-è tuttavia più scarso che non si pensasse in addietro. D'invenzione
-non è da parlare che per pochi episodii, dacchè del resto l'amico del
-Magnifico non fece oramai che rintonacare le mura rustiche elevate
-da un rimatore popolaresco, sovrapponendovi un tetto costrutto
-con travi e tegoli di cui possiamo determinare la provenienza. Il
-pregio maggiore dell'opera sta nella vivacità, davvero mirabile,
-dello stile e della lingua, e nel riso che guizza per ogni dove.
-Ma insomma, col Pulci, il romanzo popolare carolingio si riveste
-di nuovi panni, si raggentilisce, si abbandona alla gaiezza, senza
-punto mutare sostanzialmente. I cantambanchi che in San Martino ed
-altrove raccoglievano dattorno a sè un uditorio composto sopratutto
-di bottegai e di artefici, potevano ancora riconoscere in messer Luigi
-uno dei loro. Che le cose seguissero a questa maniera nella democratica
-Firenze, è un fatto più che naturale.
-
-E il Boiardo? — Qui la scena cambia. Ma prima di vedere il come,
-bisogna pure che noi si faccia un po' d'amicizia col nostro
-personaggio.
-
-Matteo Maria Boiardo nasceva di una famiglia feudale che nel 1423
-aveva ceduto al marchese Niccolò d'Este l'avita signoria di Rubiera,
-tra Modena e Reggio, ricevendone in cambio la vicina Scandiano ed
-altre ville, con titolo di contea. Venne al mondo nel 1434, o giù
-di lì; verosimilmente in Scandiano stessa, residenza abituale de'
-suoi. Perdette il padre nel 1452; il nonno, Feltrino — uomo insigne
-— nel 1455; la nonna due anni appresso; e si trovò così arbitro di sè
-medesimo in età affatto giovanile. La vita sua, nota a noi in modo per
-verità manchevolissimo, trascorse per la massima parte tra Scandiano,
-Reggio, Ferrara. Caro agli Estensi, com'era stato loro carissimo
-l'avolo, accompagnò nel 1471 Borso nel viaggio intrapreso a Roma,
-quando Paolo II gli concedette anche per Ferrara quel titolo di duca,
-che l'imperatore Federico gli aveva conferito già da oramai vent'anni
-per Modena e Reggio. Sotto Ercole poi, succeduto poco appresso al
-fratello, fu nel 1481 e nel 1486 al governo di Modena. E più lungamente
-ebbe quello di Reggio: chè, lasciando stare qualcosa che s'afferma e
-non si prova per un tempo antecedente, rimase in ufficio dal 1487, o al
-più tardi dal principio del 1488, fino alla morte, seguita nella notte
-dal 20 al 21 dicembre del 1494.
-
-Educato senza dubbio alcuno all'esercizio delle armi fin dagli anni
-suoi teneri, Matteo Maria ebbe scarse occasioni di menar per davvero
-le mani. Qualche parte è verosimile che prendesse alla difesa contro i
-Veneziani, che nel 1482 mossero ad Ercole una fiera guerra, durata fino
-al 1484. Come reggitore, certe voci, posteriori alquanto, lo accusano
-di fiacchezza; e non dirò che l'accusa sia sbugiardata trionfalmente
-in tutto e per tutto dall'esame di quel tanto che ci è rimasto del
-suo carteggio col duca. Certo l'animo suo era profondamente inclinato
-alla benevolenza. Non meno che a questa tuttavia alla giustizia. E il
-carteggio dà insieme chiaramente a vedere com'egli fosse largamente
-dotato di senno pratico, e rotto agli affari.
-
-Agli uffici pubblici par che Matteo fosse spinto da ragioni private;
-probabilmente da strettezze pecuniarie, ben conciliabili anche colla
-signoria di Scandiano, toccata propriamente a lui nelle divisioni con
-un cugino. Ma occupazione più gradita che le faccende amministrative,
-conditegli spesso di fiele da altri ufficiali, gli riuscivano di sicuro
-lo studio e la poesia.
-
-Tre libri di liriche amorose contengono soprattutto gli sfoghi della
-sua passione giovanile per una diva reggiana, che non tardò a mostrarsi
-maestra di lusinghe, simulatrice, volubile, capricciosa. Grazie alla
-provvida costumanza degli acrostici, ne conosciamo nome e cognome: si
-chiamava Antonia Caprara. Ma Antonia non domina sola qua dentro. Buon
-numero di poesie, scritte durante il viaggio a Roma del 1471, inclino a
-credere indirizzate da Matteo a Taddea Gonzaga dei conti di Novellara,
-divenuta l'anno dopo sua moglie. Ed altre rivendicazioni dovremmo
-ammettere (nè dico ciò senza ragioni specifiche), se alle ossa che
-furono donne gentili e leggiadre negli Stati estensi durante la seconda
-metà del quattrocento fosse consentito di venir qui a far valere i
-loro diritti. Chè l'amore fu il sentimento predominante nel Boiardo. E
-sia poi stata fatta eseguire da lui medesimo, oppure invece da altri
-in suo onore, la medaglia che nel 1490, quando egli s'avvicinava
-alla sessantina, ce ne tramandò — e autentiche — le fattezze, il suo
-rovescio, rappresentante Vulcano intento a foggiare sull'incudine
-strali per Cupido, lì presente con Venere, e il motto virgiliano che
-accompagna la rappresentazione, _Amor vincit omnia_, ci rendono davvero
-secondo verità i lineamenti interni del Conte di Scandiano. Quel motto
-— si badi — in una forma o in un'altra, noi lo raccogliamo direttamente
-dalle sue labbra non so quante volte.
-
-Il canzoniere del Boiardo è uno dei più notevoli del secolo XV; e io
-mi domando, se mai, non ostante una certa povertà di tavolozza, non
-fosse il più notevole addirittura. Attrae e colpisce la sincerità
-della passione, di cui noi seguiamo agevolmente la storia nelle sue
-vicende liete e tormentose; l'efficacia e la bella semplicità delle
-espressioni via via che essa riceve; la vivezza e soavità delle
-immagini; la delicata sensitività per la natura; l'armonia squisita dei
-congegni ritmici. Se i convenzionalismi e le ricercatezze non mancano
-(specialmente, badiamo, nel libro terzo, forse ordinato da altri che
-dal poeta), quanto difficilmente potrebber mancare dopo l'esempio del
-Petrarca! Ma l'ispirazione petrarchesca, che qui pure può assai, non
-soffoca nient'affatto l'originalità. Tra Antonia e Laura, tra il modo
-di sentire di Matteo e quello di messer Francesco, c'è una differenza
-profonda. Quasi più che a Laura direi che Antonia rassomigli alla
-Lesbia di Catullo; ma le assomiglia come una donna somiglia ad un'altra
-donna, poichè essa è propriamente persona viva. Il poeta, trascorsa la
-prima fase dell'estasi, ce la rappresenta colle sue pecche; e in causa
-di lei accusa, più spesso e più acerbamente che il Petrarca non faccia,
-tutto il sesso femminile:
-
- Fede non più: non più v'è de honor cura
- In questo sexo mobile e fallace,
- Ma volubil pensier e mente oscura.
- (Son. 79).
-
-Ma anche quando soffre, e non potrebbe più dire di certo, come in un
-tempo di beatitudine,
-
- Amore ogni tristezza a l'alma toglie,
- (Son. 23)
-
-non sarebbe alieno dal ripetere le altre parole che faceva allora tener
-dietro:
-
- E quanto la natura ha in sè di bene
- Nel core inamorato se raccoglie.
-
-E infatti dell'Amore egli prende una volta le difese in un leggiadro
-contrasto col suo proprio cuore che lo viene accusando:
-
- Non sei tu per Amor quel che tu sei?
- Se in te vien ligiadria,
- Se honor e cortesia?
- Ah, pensa pria se lamentar te dei!
- Lamentar di colui che l'armonia
- Infonde a i vagi ocei!
- Che infonde a' tygri humana mente e pia,
- E fa li homini Dei
- (Canzone V, st. 3).
-
-No, l'amore può tormentarlo quanto si voglia: dopo d'aver imprecato,
-Matteo si riconcilierà con lui, e rimarrà tra' suoi più devoti.
-
-Col Canzoniere hanno scarsa attinenza le altre opere minori. Dieci
-egloghe latine furono composte, secondo me, tra il 1460 e il 1462;
-dieci italiane spettano manifestamente la più parte al tempo della
-guerra con Venezia. Perfino nel numero portano scritta in fronte
-l'imitazione virgiliana! Qualche sprazzo di luce non vale davvero a
-conciliarci con codesti pastori, che non hanno nulla di schiettamente
-rustico, neppur quando l'allegoria non ne succhia il sangue. E meno
-ancora ci seducono cinque capitoli, quattro dei quali hanno per
-soggetto il timore, la gelosia, la speranza, l'amore, e il quinto
-il trionfo delle virtù sui vizi. Quanto copiosi di una non recondita
-erudizione mitologica e storica, altrettanto son poveri, e peggio, di
-poesia. A un posto senza confronto più onorato, segnatamente per ragion
-di tempo, può pretendere il _Timone_: commedia in terza rima, che non
-vuol essere se non traduzione e adattamento scenico del dialogo omonimo
-di Luciano, e che è qualcosa più. Traduzioni vere sono quelle che il
-Boiardo fece, dal greco, dell'_Asino d'oro_ di Luciano stesso, delle
-_Storie_ di Erodoto, della _Ciropedia_; dal latino, dell'_Asino d'oro_
-di Apuleio. Quanto alla _Istoria Imperiale_, ossia degl'imperatori,
-prima romani, poi romano-germanici, che si dà essa pure come versione
-di un testo di Riccobaldo ferrarese, ancora non s'è ben chiarito cosa
-sia; ma par da ritenere un raffazzonamento del Boiardo stesso, a cui
-Riccobaldo non dette se non molta parte del materiale.
-
-Tale, in brevi termini, l'uomo e lo scrittore, venuto ancor esso
-nell'idea di metter mano a un poema cavalleresco. Quando l'idea
-nascesse, non so dire; so bensì che nientemeno che sessanta dei
-sessantotto canti e mezzo che il poeta ci ha lasciato, erano già
-scritti al tempo della guerra con Venezia, e probabilmente anche
-proprio avanti che nel 1482 la guerra scoppiasse. Chè, tra le armi, il
-poeta, smarrito e addolorato, non per la sua provincia soltanto, ma per
-l'Italia, non ha cuore di attendere all'opera, e ne rimette a giorni
-migliori la continuazione:
-
- Non saran sempre e tempi sì diversi,
- Che mi tragan la mente di suo locho.
- Ma nel presente e canti mei son persi,
- E porvi ogni pensier mi giova poco;
- Sentendo Italia de lamenti piena,
- Non che hor canti, ma sospiro apena[98].
-
-Però il principio della composizione vorrà riportarsi indietro Dio
-sa di quanto; nè con essa ha dunque assolutamente che vedere la
-pubblicazione del _Morgante_, seguìta essa pure solo nel febbraio di
-quel medesimo anno 1482. E per me credo assai poco che vi abbia che
-vedere nemmeno in altra maniera il poema fiorentino, del quale la
-voce, od anche qualche esemplare manoscritto o qualche saggio, fossero
-arrivati fino al Nostro. In ogni modo, se da Firenze fosse venuto
-qualcosa, non si tratterebbe che di un semplice impulso, di cui poco
-capisco che ci potesse esser bisogno.
-
-Sicchè dobbiam fare direttamente i conti col nostro Matteo Maria.
-Cosa ci saprà e vorrà egli dare? — Se ci mettiamo ad argomentare
-dalle altre opere, il Canzoniere ci inspirerà una certa fiducia; ma
-tutto il rimanente ci farà scuotere il capo in atto di diffidenza. Che
-razza di poema cavalleresco dovrem noi aspettarci da un erudito, da
-un traduttore, da un imitatore, dal coltivatore assiduo di un genere
-letterario quale è l'egloga virgiliana, falso in sè medesimo e più
-falso ne' suoi riflessi?
-
-Diffidiamo; ma se invece di baloccarci fantasticando ci daremo a
-guardare, saremo presi da un sentimento analogo a quello da cui sarebbe
-colto chi per la prima volta s'accorgesse che l'autore del _Convivio_,
-del _De Monarchia_, del _De Vulgari Eloquentia_, è ad un tempo l'autore
-della _Divina Commedia_. Contemplando, siamo indotti a riconoscere che
-se l'Italia produsse mai un uomo a cui la materia cavalleresca potesse
-convenire, fu per l'appunto il Boiardo. E quest'uomo era in pari tempo
-un esperto maneggiatore di affari grossi e piccini. Davvero, per quanto
-si deva sentir ritegno a lodarsi di sè medesimi, non si può trattenersi
-dal notare come sia dote caratteristica dell'ingegno italiano la
-moltiplicità delle attitudini. Rassomiglierei questo ingegno al cubo,
-che, adagiato su sei facce diverse, è sempre stabile ed equilibrato ad
-un modo.
-
-Erano due, come sapete, i cicli che il Boiardo si trovava dinanzi:
-il carolingio ed il brettone. Entrambi gli erano ben famigliari; ma a
-lui la schiatta e il costume signorile, e ancor più l'animo amoroso,
-rendevano tra i due molto più grato il secondo:
-
- O gloriosa Bertagna la grande,
- Una stagion per l'arme e per l'amore,
- Onde ancor hoggi il nome suo si spande.
- Sì ch'al re Artuse fa portar honore:
- Quando e bon cavalieri a quelle bande
- Mostrarno in più battaglie il suo valore
- Andando con lor dame in aventura;
- Et hor sua fama al nostro tempo dura.
- Re Carlo in Franza poi tenne gran corte,
- Ma a quella prima non fo sembïante,
- Ben che assai fosse ancor robusto e forte
- Et havesse Ranaldo e 'l sir d'Anglante.
- Perchè tenne ad amor chiuse le porte,
- E sol se dete a le battaglie sante,
- Non fo di quel valore o quella estima
- Qual fo quell'altra ch'io contava in prima.
-
- (_Orl. Inn._, II, XVIII, 1-2).
-
-Si direbbe dunque che il Boiardo dovesse correre difilato al mondo
-arturiano: porre in esso la scena, togliere di lì i personaggi, per
-quel tanto che non li foggiasse di nuovo. Invece a questo partito
-egli non s'appigliò punto; e anche con ciò dette prova di un criterio
-rettissimo. Intanto, le selve della Brettagna, per quanto vaste,
-erano sempre un terreno troppo angusto perchè ei ci facesse muovere
-liberamente il suo popolo un intelletto italiano devoto al senso del
-reale, e però non disposto a rappresentarsi ed a rappresentare gli
-spazi troppo difformi dal vero; ben altra comodità offriva il ciclo
-carolingio, condottosi via via ad estendere il suo dominio su tutta
-quanta la terra! Poi, appunto perchè gl'ideali del Boiardo venivano
-già ad essere attuati nella Tavola Rotonda, poco rimaneva qui a fare
-per una mente creatrice. E c'era una ragione anche più grave d'assai.
-Mentre Tristano, Lancillotto, Galvano, mantenevano non so che di aereo
-anche per coloro che gli avevano in maggior domestichezza, i loro
-rivali carolingi presentavano alla fantasia una concretezza, da non
-potersi immaginare la maggiore: gli uni rassomigliavano come a gente
-vista in sogno; gli altri parevano uomini conosciuti nella vita. Però,
-parlare ad italiani di Carlo, d'Orlando, di Rinaldo, di Malagigi,
-era un parlar loro di persone così prossime al cuore dei più, che
-mai non si sarebbero stancati di udirne i fatti. Nè si creda che la
-famigliarità con costoro, se non forse l'affetto, fosse nei signori
-troppo minore che nel volgo. Di ciò fornisce la prova la conoscenza
-che il Boiardo stesso dà a vedere incidentalmente, ora dell'una, ora
-di un'altra narrazione tradizionale, e quella, meglio ancora, ch'egli
-suppone a volte in un uditorio, che da luoghi non so quanti ci è
-rappresentato come essenzialmente aristocratico. Ma non voglio neppur
-tacere una testimonianza, istruttiva per più di un verso, fornita
-da documenti storici dissotterrati di recente; tanto più che essa si
-riferisce a una principessa estense, e propriamente a colei che tutti
-s'accordano nel riguardare siccome l'esemplare più perfetto di quello
-splendido fiore, che fu la donna del nostro Rinascimento.
-
-Quando, al principio del 1491, Isabella, la figliuola del duca Ercole,
-già marchesana di Mantova, fu a Milano per accompagnarvi la sorella
-minore Beatrice, che andava sposa a Lodovico il Moro, s'accese una
-disputa tra lei e Galeazzo Visconti, gentiluomo milanese, se fosse da
-anteporre Orlando, oppure Rinaldo. Isabella (chi non sa che i ribelli
-e gli scapigliati attraggono sempre le simpatie femminili?) stava per
-Rinaldo; Galeazzo sosteneva le parti d'Orlando. La disputa dette luogo,
-un giorno che s'andava per acqua a Pavia, oppure si ritornava di colà,
-a una specie di lotta, nella quale Galeazzo costrinse la sua avversaria
-a dichiararsi vinta, ed a gridare essa stessa: “Rolando, Rolando!„ Ciò,
-beninteso, non le impedì punto di inalberare poi subito di nuovo la sua
-bandiera e di tenercisi aggrappata anche dopo la partenza da Milano;
-donde uno scambio curioso di lettere, tra le quali, disgraziatamente,
-noi abbiamo solo — e non tutte — quelle di Galeazzo. La disputa (ciò
-che ho detto della lotta lo avrà fatto intender di già) era sostenuta
-in tuono umoristico. Importa poi rilevare, dacchè senza di ciò la
-testimonianza perderebbe qui per noi ogni valore, che questo contrasto,
-per quanto vediamo, non prese punto materia dall'_Innamorato_, sebbene
-i primi due libri avessero visto la luce per le stampe cinque anni
-innanzi.
-
-Sicchè il ciclo carolingio era il solo donde si potesse muovere
-opportunamente. Ma questo ciclo, qual era ridotto, presentava l'aspetto
-di un vecchio castello, dalle mura decrepite, dove lasciate rovinare,
-dove rifatte alla peggio, dalle sale sterminate e buie, dalle pareti
-squallide, dall'arredamento poverissimo e consunto dal lungo uso. Non
-era lì dentro davvero che un uomo dei gusti del conte di Scandiano
-avrebbe mai voluto mettersi ad abitare, ed invitar cavalieri e dame
-avvezzi allo splendore delle nostre corti. Perchè il castello gli
-apparisse degno albergo di lui medesimo e di ospiti siffatti, bisognava
-rimetterlo a nuovo da cima a fondo.
-
-L'impresa era ardua quanto mai; e non so chi altri sarebbe riuscito
-a condurla a buon termine. Restaurare è facile; ma è difficile in
-sommo grado che ciò che s'è restaurato non si trovi poi essere la
-negazione dell'armonia. Il Boiardo squarciò dovunque i fianchi alle
-mura risaldate, e fra quelle tetraggini fece penetrare fiotti di
-luce; rintonacò, dipinse e addobbò le pareti; senza dare lo sfratto
-al vecchio mobigliare in quanto fosse ancora servibile, lo allogò
-convenevolmente, e ne aggiunse uno copiosissimo di meravigliosa
-ricchezza e d'impareggiabile svariatezza. Insomma, egli trasformò
-quella miserabile dimora in un palazzo incantato.
-
-Il rinnovamento consistette soprattutto (e si troverà ben naturale
-dopo quanto s'è visto) in un grande raccostamento al ciclo brettone.
-Un'azione di questo ciclo sul carolingio s'era cominciata a vedere
-nella Francia stessa da ben tre secoli; ed aveva continuato ad
-esercitarsi qui da noi. Ma sempre s'era trattato di fatti parziali,
-compiuti senza impulso profondo, col semplice scopo di dilettar
-maggiormente. Gli effetti erano stati per lo più tutt'altro che
-felici; nè c'è da meravigliarsene. La vera e propria fusione del
-mondo d'Artù e di quello di Carlo Magno non era possibile se non ad
-un uomo per il quale quei due mondi avessero cessato di rappresentare
-qualcosa di distinto e si confondessero in un'unità superiore: il
-mondo cavalleresco. Allora soltanto Orlando e Rinaldo e quanti mai li
-circondino potranno legittimamente convertirsi in cavalieri erranti; e
-starà bene che anche i boschi del loro tempo sian pieni d'avventure;
-e che le donzelle se ne vadan solette in cerca di un prode che osi
-arrischiarsi a qualche arduo cimento, invochino con alte grida un
-soccorso che le strappi a un pericolo, sian causa di combattimento
-tra chi le accompagni e chi in loro s'incontri e pretenda di
-impossessarsene; e che il passaggio tranquillo de' ponti sia impedito
-da giganti e altri campioni; e che ai castelli si mantengan coll'armi
-fiere usanze; e che le fate s'inframmettano nelle faccende degli
-uomini, e li attraggano nelle loro dimore, e faccian sorgere giardini e
-palazzi maravigliosi, che in un attimo vengan poi a dissiparsi. Queste
-e molte altre cose troviamo nel poema del Boiardo per via de' romanzi
-della Tavola Rotonda. Sennonchè insieme troviamo anche roba non so
-quanta di provenienza diversa, e segnatamente classica. Ma poi, prenda
-il Boiardo di dove mai si voglia, egli tutto trasforma e rifoggia, e
-a tutto dà l'impronta sua propria. E dalla sua stessa fantasia trasse
-tanto, quanto assolutamente nessun altro poeta italiano, all'infuori
-di Dante. Però, al pari di Dante, di uno studio di fonti che, punto per
-punto, riconduca alle sue origini quel che paia in qualsivoglia maniera
-derivato d'altronde, egli non ha da temere. Ciò che per altri produce
-troppo spesso l'effetto di una spennacchiatura, per lui si risolve in
-una riprova di originalità. Così si capisce come, pur risultando da
-elementi disparati, il poema non dia alcun sentore di raffazzonamento,
-e nemmeno abbia la più lontana attinenza con un mosaico, per quanto
-abilmente congegnato. Esso è lavoro di getto; e nel suo autore è da
-riconoscere il creatore di un nuovo mondo poetico. Quanti sono mai gli
-uomini, e nella nostra e in qualsivoglia letteratura, a cui sia lecito
-di attribuire un vanto siffatto?
-
-Guardiamo un poco addentro in quest'opera singolare. Vi sentiremo
-in ogni parte strepito d'armi: qui abbiamo il cozzo di moltitudini,
-come nel ciclo carolingio, là, e più spesso, semplici duelli, come
-nel brettone. Ma alle armi s'accompagna qualche altra cosa. Dalla
-bocca stessa del poeta s'è udito, non è molto, come la corte di Carlo
-(quella, s'intende, di cui s'era narrato fin allora) fosse rimasta al
-di sotto della corte d'Artù “Perchè tenne ad amor chiuse le porte„.
-Chiuse del tutto, per verità, non le aveva tenute di sicuro; e Matteo
-Maria lo sapeva benissimo; ma certo in essa l'amore aveva sempre
-avuto l'aria di un intruso, e in ogni modo poi il valore non gli aveva
-obblighi di nessuna specie. Per il Boiardo invece
-
- Amore è quel che dona la vittoria
- E dona ardire al cavaliero armato.
- (II, XVIII, 3).
-Senza di esso il cavaliere quasi non si concepisce, e
-
- Se in vista è vivo, vivo è senza core.
- (I, XVIII, 46).
-
-Nè, mancando l'amore, potranno fiorire neppur l'altre virtù, e in
-primo luogo la cortesia, che è tanta parte nella morale cavalleresca.
-Così si pensa e parla nel poema (I, XII, 12); e qui noi subito ci
-s'accorge dell'intimo legame che lega questo col Canzoniere; ossia
-veniamo a conoscere come il poema, lungi dall'essere un'opera concepita
-ed eseguita per mero sollazzo o per studio d'arte, abbia radice nella
-regione più profonda del sentimento. Ciò costituisce la massima tra
-le differenze che distinguono il conte di Scandiano da quant'altri
-si dettero fra noi al poema cavalleresco, non escluso nient'affatto
-l'Ariosto.
-
-Supremo pensiero del Boiardo dovrà essere dunque di redimere il mondo
-carolingio da quella vita vegetativa in cui aveva languito così a
-lungo, e di stabilire anche su di esso la signoria dell'Amore. Ed ecco
-che un Trionfo d'Amore sarà ciò che verrà ad offrirsi sulla scena ai
-nostri sguardi subito al levarsi della tela.
-
-Siamo di maggio, verso la pasqua di rose, e in Parigi, per occasione di
-una giostra bandita da Carlo, troviam raccolta una solennissima “corte
-reale„, che più che alle solite corti del nostro imperatore rassomiglia
-a quelle d'Artù. Insieme colla moltitudine de' signori cristiani,
-sono accorsi di Spagna anche molti Saracini; chè le barriere del mondo
-cristiano e Saracino, se non son tolte, son cadute più che a mezzo in
-isfacelo. Quel giorno tutta l'infinita baronia è stata chiamata a un
-gran convito. Carlo va lieto a porsi sopra una sedia d'oro “a la mensa
-ritonda„; (la “Tavola Rotonda„ è trasportata qui, come vedete, non
-solamente in idea); accanto a sè ha i paladini, dirimpetto gli ospiti
-spagnoli.
-
-Mentre si sta in allegrezza, all'estremità della sala si presenta
-una donzella, che sapremo poi chiamarsi Angelica, in mezzo a quattro
-giganti, seguita da un cavaliere e non più:
-
- Essa sembrava matutina stella,
- E giglio d'orto e rosa di verzieri;
- In somma, a dir di lei la veritate,
- Non fu veduta mai tanta beltate.
- (St. 21).
-
-A quella vista non un cristiano, non un Saracino, sa rimanersene
-seduto; tutti cercano di accostarsi alla donzella, la quale si fa ad
-esporre all'imperatore certe sue fanfaluche, il cui succo si è che il
-fratello suo (il cavaliere che l'accompagna) domanda giostra a quanti
-son qui convenuti, e che ella stessa sarà premio per chi riesca ad
-abbatterlo. Il fascino esercitato da questa bellezza impareggiabile è
-tanto, che l'amore s'accende di subito nei petti. Innamora Namo, “ch'è
-canuto e bianco„, e si scolorisce in viso; innamora Rinaldo, e si fa
-“rosso come un foco„; il Saracino Ferraguto, che ha l'argento vivo
-addosso, a gran fatica si rattiene dallo slanciarsi contro i giganti,
-per impadronirsi colla forza della fanciulla, e frattanto
-
- Hor su l'un piede, or su l'altro si muta;
- Grattasi il capo e non ritrova loco.
- (St. 34).
-
-Insomma, a farla breve,
-
- . . . . . . . . ogni barone
- Di lei se accese, et ancho il re Carlone;
- (St. 32)
-
-il quale profitta della condizione sua privilegiata, e tira in lungo la
-risposta alla donzella. “Per poter seco molto dimorare„(St. 35).
-
-Ma il trionfo dell'amore non parrebbe al poeta pieno abbastanza, se
-alla testa dei devoti non fosse ridotto a camminar dietro al carro
-per l'appunto chi era parso più restio a questo culto, o a questo
-servaggio: il casto e severo Orlando, il futuro martire di Roncisvalle:
-
- Non vi para, signor, maraviglioso
- Odir cantar de Orlando inamorato,
- Che qualunque nel mondo è più orgoglioso
- È da Amor vinto al tutto e subiugato;
- Nè forte braccio, nè ardire animoso,
- Nè scudo o maglia, nè brando affilato,
- Nè altra possanza può mai far diffesa,
- Che alfin non sia da Amor battuta e presa.
- (St. 2).
-
-E d'Orlando l'amore s'impadronirà a tal segno, da dare lo sfratto
-ad ogni altro pensiero, da soffocare qualsiasi altro sentimento. Non
-contento di trascinarlo in remotissime terre dell'Asia, di darlo del
-tutto in altrui balìa, di renderlo affatto noncurante di Alda, della
-quale, dopo una fugace apparizione al principio, non è più questione
-nel poema, lo muove a calpestare l'amicizia e la parentela, ed a
-combattere ferocemente, pur sapendo di far male, contro il cugino
-Rinaldo (I, XXV-XXVII). E tanto può, da renderlo perfino sordo al
-tremendo pericolo a cui Carlo e la cristianità tutta intera sono
-esposti per il passaggio che sta per fare Agramante (II, XIII, 50-51).
-Quando poi, per volontà della sua dama, non già per sua propria, il
-paladino sarà tornato in Francia, l'annunzio delle orde nemiche che
-sono in procinto di rovesciarsi sull'esercito cristiano, invece che a
-sfoderar Durindana, porterà questo campion della fede a ritrarsi in un
-bosco:
-
- E là pregava Dio devotamente
- Che le sante bandiere a zigli d'oro
- Siano abbattute, e Carlo, e la sua gente.
- (II, XXX, 61).
-
-Ciò perchè la sconfitta servirebbe a' suoi scopi! all'amore per una
-pagana!
-
-Facendo innamorare Orlando, il Boiardo s'è guardato bene dall'alterarne
-sostanzialmente le fattezze. Ciò che egli si studia di rappresentare
-son precisamente gli effetti che la nuova passione deve produrre
-sul personaggio che tutti conoscevano da tanto tempo. Non è di certo
-un rendergli servigio l'operare in cosiffatta maniera: non si rende
-servigio ad un uomo di molto merito, ma senza alcuna pratica della
-società e delle sue usanze, trascinandolo in un ritrovo elegante.
-Guardatelo questo povero paladino, quando ritorna ad Albraccà, tutto
-pesto e malconcio, dopo aver compiuto imprese incredibili. Angelica lo
-disarma, lo spoglia per ungerlo “d'un olio delicato — Che caccia de la
-carne ogni livore„ (I, XXV, 38), e senza tante storie lo vien baciando.
-Che il Conte all'accostarglisi di quel volto si senta in paradiso, non
-potrebbe non essere; ma invece di prendere ardimento, se ne sta “quieto
-e vergognoso„. E timido compagno — timido, beninteso, come amante —
-sarà ad Angelica nel lunghissimo viaggio dal Cataio alla Francia (II,
-XIX, 50). Questa sua imperizia egli ce la dà a vedere anche più aperta,
-quando — guai a incominciare! — si lascia vincere dai vezzi di un'altra
-donna: di Origille. Con lei, che lo stimola e gli fa animo, parlerà
-d'amore, “come insonnïato„ (I, XXIX, 47), e le si mostrerà “mal scorto
-e rozzo amante„ (II, III, 66). Quanto rozzo e mal scorto, altrettanto
-credulo, sì da lasciarsi dar a bere che salendo in cima a una certa
-roccia e guardando in una specie di pozzo vedrà “l'inferno e tutto
-il paradiso„ (I, XXIX, 50). Vero che qui il Boiardo lo vuol scusare,
-dicendo che al pari di lui sarebbe stato ingannato chiunque, “che
-di leggier si crede a quel che s'ama„ (St. 52); ma io mi permetterò
-di domandare a Matteo Maria se avrebbe mai fatto gabbare a quel modo
-Rinaldo, o qualcuno della sua tempra.
-
-Sicchè il protagonista mascolino del poema è volutamente un personaggio
-nel cui volto c'è qualcosa di ridicolo; un personaggio del quale, a
-proposito del viaggio con Angelica ricordato dianzi, è possibile dire
-che
-
- Turpin, che mai non mente di ragione,
- In cotale atto il chiama un babione.
-
-Non so cos'altro mai possa volerci per accorgersi che il poeta si
-atteggia di fronte alla materia sua in ben altra maniera che non
-facciano gli autori delle _chansons de geste_ e quelli di tutti i
-romanzi del ciclo brettone. Non già che l'elemento comico sia escluso
-di colà. Basterebbe rammentare, per una parte il cosiddetto _Voyage de
-Charlemagne a Costantinople_ e certe scene dei _Quatre fils Aimon_,
-ossia della storia di Rinaldo e de' fratelli, per l'altra la figura
-di Keu, il siniscalco di Artù, così simile per più d'un verso al
-nostro Astolfo. Per sè stesso il comico non disdice nemmeno all'epopea
-più schietta; o non vediamo nell'Olimpo dell'_Iliade_ lo zoppo e
-barbuto Vulcano andare attorno ansimando in ufficio della vezzosa
-Ebe, suscitando negli dei una ilarità inestinguibile? Ma Omero non si
-sarebbe mai sognato sicuramente di rappresentare Ettore o Achille come
-fa Orlando il Boiardo; nè gli sarebbe passato per il capo di mettere in
-bocca ad Agamennone parole analoghe a quelle, tali ch'io non potrei qui
-tutte ripeterle, che il Conte di Scandiano pone sulle labbra di Carlo
-Magno, quando nella giostra di Parigi vede la sua baronia sopraffatta
-dai campioni saracini (I, II, 63-65); e nemmeno, crederei, di farlo
-scendere nell'arena a metter rimedio a un tradimento,
-
- Dando gran bastonate a questo e quello,
- Che a più di trenta ne ruppe la testa.
- (I, III, 24).
-
-Qui il ridicolo non penzola dai rami: esso si stringe dattorno al
-tronco stesso; sicchè alla tragedia ed al dramma si sostituisce la
-farsa.
-
-Ma il ridicolo s'incontra nel poema del Boiardo anche in una forma che
-specialmente importa di rilevare: quale umorismo. Cosa propriamente sia
-l'umorismo secondo il concetto moderno, tutti più o meno intendono;
-eppure nessuno riesce a spiegar bene a parole. Permetterete dunque
-che ancor io tenti una definizione mia propria, e che lo dica “un
-riso interiore„. Esso è un riso che si vela, senza per questo volersi
-celare, sotto apparenze di serietà. Da questo riso dissimulato alla
-sghignazzata più chiassosa, non c'è soluzione alcuna di continuità.
-Si passa dall'uno all'altra per gradi insensibili, soliti comprendersi
-sotto un certo numero di varietà, come a dire il riso a fior di labbra,
-il riso aperto, e che altro so io. Però si capisce come le specie non
-siano nettamente distinte, sicchè a volte non si riesca a veder bene
-se s'abbia a fare con questa o con quella. E dato l'umor gaio, esso
-tende a manifestarsi, salvo condizioni e propositi speciali, or con una
-specie or coll'altra, non già sempre alla medesima maniera.
-
-E le varie forme di riso s'incontrano nell'_Orlando Innamorato_ ben
-diverso anche in ciò dal _Don Chisciotte_, dove invece l'umorismo
-informa tutta l'opera. Ma nemmeno nel nostro poema l'umorismo
-scarseggia. È umorismo, per esempio, quando subito alla terza ottava si
-dice:
-
- Questa novella è nota a pocha gente,
- Perchè Turpino istesso la nascose,
- Credendo forse a quel Conte valente
- Esser le sue scritture dispettose.
-
-Qui l'umorismo intacca proprio, come vedete, l'azione fondamentale
-del poema. E umoristici sono in genere tutti appunto i riferimenti a
-Turpino, che occorrono numerosi, ivi specialmente dove se n'è sballata
-qualcuna di grossa; e umoristici diventano in particolar modo allorchè
-il Boiardo assume dirimpetto al suo autore una certa quale aria di
-diffidenza, o rovescia comunque su di lui il peso dell'asserzione, come
-segue a proposito delle dame che assistono in Cipro da un gran palco al
-torneo che s'è bandito per maritare Lucina:
-
- Mostravan poche il viso naturale,
- Le più l'havean dipinto e colorato;
- Turpino il dice, io nol scio per expresso,
- Benchè sian molte che ciò fanno adesso.
- (II, XX, 13).
-
-Questo umorismo non è se non una varietà di quello che consiste
-nell'assumere tuono di storico veritiero, cauto, accurato, e che
-porterà, per esempio, a mettere in rilievo qualche circostanza perchè
-serva a giustificare qualcosa di molto straordinario:
-
- Al fin de le parole un salto piglia
- (Vero è che indietro alquanto hebbe a tornare
- A prender corso), e, come havesse piume,
- D'un salto, armato, andò di là del fiume.
- (II, VIII, 23).
-
-La farò finita cogli esempi dell'umorismo boiardesco col menzionare
-il desiderio che il poeta manifestò di aver assistito a una certa
-battaglia contro un esercito di diavoli evocati da Malagigi,
-
- Sol per veder se il demonio è cotale
- E tanto sozzo come egli è dipento;
- Che non è sempre a un modo in ogni loco:
- Qua maggior corne, e là più coda un poco.
- (II, XXIII, 1).
-
-Il Boiardo non prende adunque la materia cavalleresca propriamente sul
-serio; ma andrebbe mille miglia lontano dal vero chi immaginasse per
-ciò che la volesse volgere in canzonatura. Le virtù cavalleresche,
-vale a dir la prodezza, il coraggio, la lealtà, la cortesia, la
-generosità, la sete di gloria, il disprezzo delle ricchezze, e insieme
-con esse l'amore, che le inspira e rinfoca, egli le ammira dal profondo
-dell'animo. Quindi per esaltarle può anche continuare lungamente a
-cantare a occhi chiusi con un abbandono propriamente epico. Ma il senso
-della realtà è troppo vivo in lui, perchè, se appena apre le palpebre,
-non abbia ad accorgersi che ciò che gli sta davanti son fantasmi, e non
-componga il volto ad un sorriso. Ad un sorriso, oppure invece anche al
-pianto, se rivolge la mente a ciò che gli apparisce la vera grandezza;
-ad Alessandro, a Cesare, e ad altre figure siffatte:
-
- Fama, sequace de gl'imperatori,
- Nympha che e gesti a dolci versi canti,
- Che dopo morte anchor gli homini honori,
- E fai coloro eterni che tu vanti:
- Ove sei gionta? a dir gli antichi amori
- Et a narrar battaglie de giganti,
- Mercè del mondo, che al tuo tempo è tale,
- Che più di fama o di virtù non cale.
- (II, XXII, 2).
-
-Del resto importa rilevare che l'atteggiamento del Boiardo in cospetto
-del mondo della cavalleria non è già qualche cosa di peculiare a lui.
-In embrione, esso si può cogliere negli stessi rimatori popolari,
-ai quali, per esempio, non sono estranei nient'affatto i richiami
-scherzevoli all'autorità del famoso arcivescovo; portato all'estremo,
-per via d'una speciale conformazione dell'ingegno e dell'animo, ci dà
-il _Morgante_; e che del pari come agli scrittori fosse comune anche
-al pubblico cui essi si rivolgevano, può mostrare l'intonazione del
-contrasto tra Isabella d'Este e Galeazzo Visconti, a proposito del
-quale la parola “umoristico„ mi è già dovuta uscir di bocca. Si tratta
-dunque di qualcosa, che è dell'ambiente italiano d'allora. Da questo
-qualcosa, se si va bene al fondo, il nostro romanzo cavalleresco ripete
-in generale quel suo temperamento capriccioso, che rende naturali,
-nonchè ammissibili per esso, tutte quante le capestrerie di pensiero e
-di forma.
-
-Esaltatore dei sentimenti cavallereschi, il Boiardo può ridere
-nondimeno dei personaggi in cui egli stesso li incarnò; grande araldo
-dell'amore, lo troveremo, o non lo troveremo noi, in atto di adorazione
-devota, al piede della creatura da cui questa passione si diffonde?
-Cosa sono le sue donne quando egli ha la libertà di foggiarle a
-piacimento?
-
-Protagonista femminile dell'_Innamorato_ è Angelica. L'importanza sua
-non è uguagliata da quella di nessun altro personaggio, compreso lo
-stesso Orlando. In lei principalmente s'accentra l'azione; l'amore che
-da lei s'ispira è il motore più potente di tutto quanto il meccanismo.
-Quali effetti essa produca col suo semplice apparire, avete visto voi
-stessi. E il Boiardo ha immaginato un modo ingegnosissimo di complicare
-il giuoco dei sentimenti, facendo che, per virtù di due fonti, l'una
-delle quali accende, l'altra spegne le fiamme del cuore, Angelica sia
-aborrita da Rinaldo mentre ella arde per lui, e lo abbia in avversione
-non appena egli ha mutato d'animo. Che sia incantatrice, mi spiace; una
-donna è sempre maga abbastanza per il semplice fatto dell'esser giovane
-e bella! Ma il poeta è troppo avveduto per non accorgersi ottimamente
-di ciò egli medesimo; quindi di cotale prerogativa fa un uso assai
-parco, e finisce poi oramai per dimenticarla del tutto. Bensì Angelica
-rimane sempre una lusinghiera; questo il tratto in cui s'assomma
-l'indole sua. Che moine sa usare con Orlando, per il quale non prova
-alcun affetto, e che solo le desta rimorso quando è stato mandato da
-lei a un'impresa da cui non crede che possa uscir vivo (I, XXVIII, 40)!
-E al tempo stesso ella tiene a bada altri adoratori, che le giova di
-avere a suoi comandi. Ce la redimerebbe l'amore non corrisposto per
-Rinaldo, che dà luogo a scene d'una passionatezza commovente, se non
-fosse l'effetto d'una forza soprannaturale, e se non ci rappresentasse,
-molto tempo prima che l'Ariosto potesse pensare a Medoro, come una
-punizione di quel farsi giuoco degli amanti:
-
- Chè amor vol castigar questa superba.
- (I, III, 40).
-
-Insomma, all'infuori che per la bellezza, Angelica non ha somiglianza
-alcuna colle Laure, e meno che mai colle Beatrici.
-
-I difetti che si scorgono nella figliuola di Galafrone toccano il colmo
-in Origille:
-
- Era la dama di estrema beltate,
- Malicïosa e di losinghe piena;
- Le lachryme teneva apparecchiate
- Sempre a sua posta com'acqua di vena:
- Promessa non fè mai con veritate,
- Mostrando a ciaschedun faccia serena;
- E se in un giorno havesse mille amanti,
- Tutti li beffa con dolci sembianti.
- (I, XXIX, 45).
-
-Angelica in fondo al cuore non è malvagia: Origille invece è tutta
-impastata di perfidia, a segno tale da trastullarsi anche colla vita
-de' suoi disgraziati adoratori.
-
-Possiamo dir buona Tisbina. Amata da due, non frascheggia: riama Iroldo
-e sente compassione di Prasildo. Che disperazione è la sua quando una
-promessa a cui Iroldo stesso imprudentemente l'ha spinta, la mette
-nella necessità di concedere a Prasildo sè medesima! Iroldo vuol
-morire, ed essa morrà con lui. E i due inghiottono diffatti insieme una
-bevanda, che credono veleno. Ma veleno non è; e la conclusione della
-storia viene ad essere, che, dopo una gara mirabile di generosità,
-Tisbina, mentre è immersa nel sonno per effetto di ciò che ha bevuto,
-rimane a Prasildo. Che farà essa mai al risentirsi, quando le sarà
-detto che il suo Iroldo se n'è andato lontano per sempre? È piena di
-dolore e tramortisce; ma poi, considerando che non c'è rimedio, prende
-“altro partito„:
-
- Ciascuna dama è molle e tenerina
- Così del corpo come della mente,
- E simigliante della fresca brina,
- Che non aspetta il caldo al sol lucente;
- Tutte siam fatte come fu Tisbina,
- Che non volse battaglia per nïente,
- Ma al primo assalto subito se rese,
- E per marito il bel Prasildo prese.
- (I, XII, 89).
-
-“Tutte siam fatte„: gli è che queste parole, insieme col racconto a cui
-servono di conclusione, son poste esse pure in bocca ad una donna. Ma
-se Fiordalisa modestamente parla così, mettendo sè medesima in mazzo
-con tutte l'altre, in lei almeno avremo finalmente un esemplare di
-perfetta lealtà femminile. Chi non ha presente quel suo pietoso andar
-di continuo in traccia di Brandimarte, che via via ritrova per poi
-riperderlo di bel nuovo? Se c'è donna amante, quella è lei di sicuro.
-Ma, ohimè, che ancor essa dà qualcosa a ridire! È troppo, per verità,
-il compiacimento col quale contempla il bel Rinaldo addormentato (I,
-XIII, 50), perchè un certo sospetto che il poeta s'è permesso poco
-prima (st. 48) abbia a parer calunnioso.
-
-Sicchè in conclusione le donne dell'_Innamorato_ son tutt'altra cosa
-che le Isotte e le Ginevre. Si capisce che nell'animo del poeta c'è una
-persuasione analoga a quella che ispira al Leopardi l'Aspasia. Gl'idoli
-a cui si brucian gl'incensi sono, pur troppo, ben lontani in generale
-dall'essere quali l'immaginazione li rappresenta. L'amore, maschile
-e femminile, riposa sopra una continua illusione; ciò che s'adora è
-un fantasma della propria mente; sennonchè per il Boiardo — e tutti
-saremo con lui — una volta che l'illusione riesce gradita e feconda di
-bene, merita di essere tenuta nel medesimo conto in cui si terrebbe
-la realtà. Questo concetto, mentre ci porta lontano dalle tradizioni
-consuete dei romanzi cavallereschi, ci riconduce alla vita del nostro
-Matteo Maria. Si rammenti il Canzoniere; si ricordi Antonia Caprara.
-Così ci si verrà sempre più persuadendo che l'_Innamorato_ è altra cosa
-che una semplice opera d'arte.
-
-Della tela del poema non crederei indispensabile di farvi, sia pur
-rapidissimamente, l'esposizione, quand'anche al punto in cui sono non
-dovessi rammentarmi che tra le virtù del Boiardo ce n'è una nella quale
-giova che io mi specchi: il saper fare i conti colla pazienza di chi
-sta ad ascoltare. L'orditura ha qui assai poca importanza; l'importanza
-sta nelle molteplici narrazioni particolari. Queste s'intrecciano,
-spesso interrotte, più tardi riprese. Il procedimento per cui parecchie
-azioni camminano di conserva, dando luogo a continue spezzature, viene
-all'Innamorato dai romanzi della Tavola Rotonda, e segnatamente dal
-_Tristano_, dal _Lancillotto_, dal _Girone il Cortese_. Ma ciò che in
-questi è un mero e impaccioso portato della necessità, nelle mani del
-Boiardo si converte in un procedimento artistico, mediante il quale la
-curiosità è stuzzicata, e si consegue una varietà che mai l'uguale.
-
-Ciò che assai mi duole si è che mi sia impedito di mostrarvi le
-ricchezze meravigliose della poesia del Boiardo, paragonabili a quelle
-della sua grotta di Morgana,
-
- Che solo a dir di lor seria un volume;
- E non ha tante stelle il ciel sereno,
- Nè primavera tanti fiori e rose,
- Quante ivi ha perle e pietre preciose.
- (II, VIII, 19).
-
-Che attitudine a concepire figure caratteristiche e a metterle in
-moto! che intuizione degli uomini e delle cose! che fecondità di
-concepimenti! che sentimento delle bellezze naturali! che musicalità
-di ritmo! che amabile semplicità di forma! È una poesia fresca che noi
-qui abbiamo: la poesia d'un prato fiorito, in un bel mattino di maggio.
-E nelle nostre tazze la fantasia vien mescendo a profusione vini
-scintillanti, che parrebbero spremuti da altre uve che dalle terrene.
-
-Sicuro che anche nel Boiardo ci son le sue pecche. Di certe
-particolarità non è opportuno che discorra, una volta che ai
-particolari devo qui rinunziare anche per il resto. E non gli farò
-colpa alcuna del molto intrattenersi a descriver colpi di lancia e
-di spada, non di rado uniformi. Queste descrizioni, che a noi paion
-monotone e stucchevoli, tali non parevano a uditori diversamente
-disposti che noi non siamo; alla maniera come non riesce monotono per
-una signora elegante il minuto ragguaglio dei cento vestiti e delle
-cento acconciature che si son sfoggiati a una festa. Bensì non è dubbio
-che nell'_Innamorato_ c'è difetto di lima, sicchè aguzzando gli occhi
-si scorgono a ogni tratto piccole mende, che si vorrebber corrette.
-Quanto alla lingua, il vizio è quasi tutto alla superficie, ossia
-nella fonetica; e bisogna non conoscere la nostra storia letteraria
-per muoverne al Boiardo la più piccola colpa. Esso può rendere per il
-più dei lettori necessaria una spolveratura, non altro; ma certo non
-giustifica la manomissione commessa dal Berni. Sennò dovrà esser lecito
-ad un pittore moderno di ridipingere un Giotto, un Beato Angelico,
-un Botticelli, per la ragione che il disegno non vi è propriamente
-corretto.
-
-Vi farò forse meravigliare, terminando, col dire che il poema del
-Boiardo ha ai miei occhi un alto valore morale. In quell'Italia perfida
-che gli storici soglion descriverci — l'Italia di Lodovico il Moro e di
-Alessandro VI —, una voce che esalta col più sincero convincimento le
-virtù cavalleresche, e prima tra esse la lealtà, significa mi par bene,
-qualcosa. E più significa perchè non è voce che scenda da un pulpito,
-nè voce di popolo. Sicchè l'_Innamorato_ viene a indicare che il marcio
-non era poi tanto profondo come in generale si afferma e si crede.
-
-Certo tuttavia non era più questa la poesia che propriamente convenisse
-all'Italia, una volta che su di essa venne a rovesciarsi quella sequela
-di bufere, che al finire del secolo XV prese a devastare i campi, a
-sradicar gli alberi, ad abbattere case e palagi per tutto il bel paese.
-Di quella bufera il Boiardo non vide che i prodromi; ma essi bastarono
-per strozzargli il canto in gola e dissipare le immagini ridenti
-che gli danzavano davanti alla fantasia. L'opera fu interrotta; ed è
-legittimo il supporre che il poeta non l'avrebbe ripigliata nemmeno
-se al passaggio delle genti di Carlo VIII, avviate verso il regno di
-Napoli, non fosse tenuta dietro quasi subito la sua morte. Quanto
-differenti le guerre ch'egli aveva vagheggiato e rappresentato da
-quelle che allora si vennero a combattere! Ma io mi rallegro che gli
-ultimi versi di questo poema, tutto letizia e apparente spensieratezza,
-gli ultimi probabilmente che il Boiardo abbia scritto, siano rivolti
-alla patria:
-
- Mentre che io canto, o Iddio redentore,
- Vedo la Italia tutta a ferro e a foco,
- Per questi Galli che con gran valore
- Vengon per disertar non scio che loco.
-
-Son parole condite d'ironia, alle quali servono di efficace commento
-quelle che si sono raccolte dalle labbra del poeta in un'altra
-occasione, consimile, ma a saper leggere nel futuro, assai meno
-lagrimosa[99]. E noi da questa interruzione ci si sente attratti
-verso il poeta e l'opera sua più che non saremmo dal più splendido dei
-coronamenti.
-
-
-
-
-IL SAVONAROLA e la PROFEZIA
-
-DI
-
-FELICE TOCCO.
-
-
- _Signore e Signori_,
-
-Dall'argomento della mia conferenza altri di me più degno avrebbe
-dovuto tenervi parola. Ma per sfortuna mia e vostra chi scrisse a
-giudizio unanime la migliore storia del Savonarola, è lontano da noi,
-e per il bene della cosa pubblica dobbiam tutti sperare che non faccia
-sollecito ritorno[100]. Un altro scrittore avrebbe potuto degnamente
-tenerne il luogo, il nostro Gherardo che intorno al Savonarola seppe
-scoprire nuovi documenti e dottamente illustrarli. Ma poichè anche
-a lui non fu dato di accettare il difficile còmpito, eccomi di nuovo
-innanzi a voi, per riprendere a così dire il filo della conferenza, che
-ebbi l'onore di tenere: or sono due anni sull'eresia del Medio Evo.
-Giacchè io non intende parlarvi soltanto del Savonarola e dell'opera
-sua, ma ben piuttosto del modo come il frate ferrarese si ricolleghi
-coi profeti medievali, che lo precedettero. Escludo dal mio discorso le
-leggendarie o apocrife profezie del mago Merlino, della Sibilla Eritrea
-o del Carmelitano Cirillo, e di quei profeti solo vi terrò parola,
-dei quali abbiamo sicure testimonianze. E per non risalire più in su
-fino a san Nilo o santa Ildegarde, comincerò da quell'abate Gioachino,
-a voi ben noto, che a giudizio di Dante sarebbe stato realmente di
-_spirito profetico dotato_. Parecchi in verità revocarono in dubbio
-codesto dono della profezia, e san Tommaso glielo negò addirittura. Ma
-i più erano dell'avviso di Dante, specie gli spirituali francescani,
-che consideravano le principali opere di Gioachino come cosa sacra; e
-già sapete che ripubblicandole e chiosandole non dubitarono di dirle
-Evangelo eterno. Le loro chiose furono condannate solennemente dalla
-Chiesa, le profezie stesse di Gioachino smentì l'anno fatale 1260;
-ma ad onta di ciò la fede dei Gioachimiti non venne meno, e parecchi
-altri seguitarono a profetare, come l'abate Calabrese. La differenza
-tra questi nuovi profeti e gli antichi del Vecchio Testamento sta in
-ciò, che questi si sentivano in contatto diretto con la Divinità e
-ne udivano le voci, e sotto dettato, a così dire, ne scrivevano le
-rivelazioni; invece quelli a tanto non arrivano, e non a torto la
-maggior parte di essi, da Gioachino al Savonarola medesimo, dichiarano
-spesso di non essere nè profeti nè figli di profeti. Per quanto a loro
-non facciano difetto nè i sogni nè i rapimenti dei profeti veri, per
-quanto possano vantare anch'essi quella forza divinatrice, che squarcia
-il velame del tenebroso futuro, pure indarno cercate in loro la vena
-larga e potente dell'ispirazione diretta; poichè non le proprie visioni
-essi interpretano, ma le altrui. Non sono profeti, bensì commentatori
-di profezie, e le più oscure come il libro di Daniele e l'Apocalisse
-preferiscono.
-
-Si conserva ancora inedita nella nostra Laurenziana la postilla
-sull'Apocalissi di uno dei più famosi seguaci di Gioachino, minorità,
-ben s'intende, e capo degli spirituali di Provenza, fra Giovanni di
-Piero Olivi, nato nel 1248, morto cinquantanni dopo. Negli ultimi
-tempi della sua vita, benchè avesse vedute tutte le speranze del suo
-partito dileguarsi, e l'eremita Celestino cedere la tiara a Bonifacio
-VIII, avido di potere e di gloria mondana, pure non ismise la sua
-fede, nè dubitò che l'ora della tremenda vendetta fosse per scoccare.
-In una lettera ai figli di Carlo II di Napoli, scrive: “Orsù, generosi
-soldati, preparatevi alla pugna. Il tempo della potatura è venuto, e
-si è udita sulla nostra terra la voce della tortora che sospira e che
-ha il gemito per canto. È d'uopo che nell'aprire il sesto suggello il
-sole e la luna s'oscurino, e che cadendo le stelle dal cielo, la terra
-ne tremi così, che tutte le montagne e le isole siano svelte dalle loro
-sedi.... Poichè a quel modo che sul secentesimo anno della vita di Noè
-si ruppero le fonti dell'abisso, e le cateratte del cielo si apersero
-a segno che nessuno potè salvarsi all'infuori dei ricoverati nell'arca
-fatta per comando di Dio; così fa d'uopo che l'empia Babilonia nel
-profondo del mare si sommerga.„ L'empia Babilonia è la Chiesa carnale,
-conculcatrice della povertà evangelica, e il ministro della vendetta
-divina sarà l'Anticristo.
-
-La fede nel prossimo avvento dell'Anticristo è così radicata nei
-circoli dei beghini e degli spirituali, che Arnaldo di Villanova,
-celebre medico e studioso delle scienze occulte, non dubita di scrivere
-un trattato _De adventu Antichristi_, che gli fruttò le persecuzioni
-del vescovo parigino. Il trattato, ancora inedito, fu scritto nel
-1297, come dice l'autore stesso, e non è se non un commento di alcuni
-luoghi delle Profezie di Daniele. Eccovene un saggio: “Compiuti i
-mille duecento anni dal tempo, in cui il popolo ebreo perdette il
-possesso della sua patria, entrerà nel luogo santo l'abbominio della
-desolazione, o l'Anticristo, il che sarà circa nel settantottesimo
-anno del secolo futuro. Non posso determinare con maggior precisione,
-ma certo intorno al 1378 si compirà quello che il Profeta predisse.„
-E più appresso contro i suoi contradditori aggiunge: “Senza dubbio
-questa conclusione non segue dalla parola di Daniele in modo certo
-e necessario; ma ha l'evidenza di una grande probabilità, in quanto
-che con questa interpretazione concordano altri luoghi della sacra
-scrittura.„ Era tanta la fede di Arnaldo nelle divinazioni sue, che
-uno scritto sul medesimo argomento ardì leggere al papa Clemente V;
-e non solo noi, ma i contemporanei stessi, a cominciare da Filippo il
-Bello, non sapevano più di che cosa meravigliarsi, se dell'audacia del
-lettore o della benignità soverchia di chi l'ascoltava. Ai medici di
-gran grido, che si crede abbiano in mano la vita nostra, sono permesse
-molte cose; e un papa meno docile e mansueto di Clemente V, lo stesso
-Bonifacio VIII, si mostrò indulgente col Villanova, e lo assolse dalle
-censure del vescovo di Parigi, purchè non s'impacciasse più oltre di
-teologia.
-
-Non meno audaci sono le predizioni di frate Ubertino da Casale,
-l'eloquente difensore dell'Olivi, le cui dottrine segue, lievemente
-modificandole, in quel libro intitolato _Arbor vitæ crucifixæ_, che
-finì la vigilia di San Michele Arcangelo del 1305 nella solitudine
-dell'Alvernia, dove i suoi superiori l'aveano esiliato, perchè non
-predicasse più oltre nello stile degli esaltati spirituali. Nulla di
-nuovo egli dice sui sette stati o periodi in cui va divisa la storia
-della Chiesa o dell'Umanità, che secondo questi frati sono tutt'uno;
-poichè anch'egli, come l'Olivi, risale a Gioachino, e fa gli stessi
-calcoli e pone a confronto gli stessi passi scritturali per argomentare
-prossima la fine del sesto periodo. Quando esso abbia cominciato, o
-dalla rivelazione fatta dall'abate Gioachino, come dicono alcuni,
-o dalla conversione di san Francesco, come dicono altri, o infine
-dalla protesta che i frati spirituali levarono contro i trasgressori
-della regola francescana, non importa decidere; perchè tutte queste
-date possono essere vere secondo che si consideri tutto il periodo
-ora da un aspetto, ora dall'altro. Quel che monta è constatare che si
-affretta alla sua fine. La qual cosa non può mettersi in dubbio; perchè
-scorsi 1293 anni dalla morte di Cristo, s'è veduta quell'orribile
-novità dell'abdicazione di papa Celestino e dell'usurpazione del suo
-successore. E come se questo segno non bastasse, ecco pullulare nuove
-eresie, come alla fine d'ogni periodo; e molti sostenere non essere la
-povertà evangelica il nocciolo della perfezione cristiana, e alcuni
-filosofi di Parigi andare più oltre, e proclamare con Aristotele
-che il mondo fu “ab eterno„ ed in eterno durerà. Le quali eresie
-mostrano chiaramente essere già nato il mistico Anticristo, vale a
-dire il precursore e il simbolo di quel vero Anticristo, che sorgerà
-più tardi alla fine del settimo stato. L'Anticristo mistico non è
-nè un imperatore nè un pontefice, ma bensì quel pseudo-cristiano che
-condannerà lo spirito di Cristo nella povertà evangelica. E di questi
-pseudo-cristiani al tempo di Ubertino non facea difetto.
-
-Se non che la fine del mondo non ebbe luogo in tutto quel secolo, sul
-cui cominciare Ubertino scriveva, e nuove tribolazioni non mancarono.
-Rinacquero sotto Giovanni XXII le lotte coll'Impero, non chetate
-neanche sotto i successori Benedetto XII e Clemente VI, e la Chiesa,
-infeudata ai re di Francia, travagliarono mali e scandali siffatti,
-che Avignone fu detta non pure dagli spirituali francescani ma dal
-Petrarca medesimo: _l'avara Babilonia_, _fontana di dolore_, _albergo
-d'ira_, _scuola d'errori_, _tempio d'eresia_. Non è meraviglia che in
-questa età procellosa rifiorisse la Profezia. Anche i poeti, quindi,
-come il cantore di Laura, prendono il tono di veggenti, e minacciano e
-rampognano e predicono imminente lo scoppio dell'ira divina.
-
- Fiamma del ciel su le tue trecce piova,
- Malvagia, che dal fiume e dalle ghiande
- Per l'altrui impoverir sei ricca e grande....
- Nido di tradimenti, in cui si cova
- Quanto mal per lo mondo oggi si spande....
-
- Ma pur novo Soldan veggio per lei
- Lo qual farà, non già quando io vorrei,
- Sol una sede, e quella fia in Baldacco.
- Gl'idoli suoi saranno in terra sparsi
- E le torri superbe al ciel nemiche,
- E suoi torrier di for, come dentro, arsi.
-
-Ma dopo la tempesta verrà il sereno, e il Petrarca anche lui vede in
-nube quel Papa, da questi profeti concordemente chiamato angelico, che
-sbalzerà di seggio gl'indegni ministri:
-
- Anime belle e di virtude amiche
- Terranno il mondo; e poi vedrem lui farsi
- Aureo tutto e pien dell'opre antiche.
-
-Non diversamente canta frate Stoppa dei Bostichi, che non può essere
-vissuto dopo il papa Clemente VI, a cui rivolge le più fiere rampogne,
-chiamandolo _specchio evidente, nel qual potrà mirare ogni superbo_, e
-nell'impeto dell'ira esce in questa profezia:
-
- Sarà la Chiesa de' pastor privata;
- Fie beato qual potrà negare
- Il chericato, e rifiutar l'entrata,
- Fiane cagion la terra d'oltremare.
- Invidia, gola al chericato guata
- Superbia, simonia, lussuriare;
- Poi fie la Chiesa ornata di pastori
- Umili e santi, come fur gli autori.
-
-Intorno allo stesso tempo sarà probabilmente sorta quell'altra
-profezia, attribuita a Jacopone da Todi, ma che certamente non gli
-appartiene, dove par che si confidi più in un potente imperatore che in
-un papa angelico:
-
- Da poi che seran structi li tiranni
- Et li preti cacciati alli lor danni,
- Verrà cului che di terra di lor mani
- Serà alevato....
-
- Costui serà segnor de tucto 'l mundo,
- Facendo della terra el quadro e 'l tundo:
- Sposo d'Italia, questo non abscundo,
- Imperatore....
-
- Costui farà far pace in ogne lato,
- Descacciarà del mundo ogne peccato,
- Non si trovarà chi sia superchiato
- Dal suo vicino.
-
- Costui convertirà alla fede Saracino
- Et Tartaria con tucto quil camino;
- Poi intrarà ad quil luoco divino
- Sacrificato.
-
- Poi tornarà Roma nel suo stato
- De tuctu quanto el mundo repusato:
- Li sancti preti di novello Stato
- Predicaranno.
-
- E tucti l'infidel convertiranno,
- Tucti vestiti d'un aspero panno,
- Et sensa proprio sempre viveranno
- Im povertade.
-
-In simili profezie credono anche gli uomini politici, specie quel Cola
-da Rienzi, che da oscuro popolano assunto ai primi poteri dello Stato,
-ebbro della sua insperata fortuna, prende pubblicamente il bagno nella
-vasca Costantiniana, perchè dalle macchie dell'ignobile origine appaia
-deterso il nuovo cavaliere dello Spirito Santo. Sembra che anche nei
-giorni del suo trionfo Cola abbia avuto sogni e visioni. Almeno egli
-stesso racconta che pochi giorni prima della cruenta sconfitta dei
-Colonnesi, gli apparve in sogno Bonifacio VIII per incitarlo alla
-vendetta contro gli autori della sua cattura. Quando poi, dimessa la
-dignità tribunizia, si ritrasse nel silenzio di Monte Sant'Angelo
-presso i romiti della Majella, le sue fantasie apocalittiche ebber
-nuovo alimento. Ed uno di quei fraticelli, a nome Angelo, gli predisse
-dovere fra non molto risorgere tale, che morì fra le persecuzioni
-(forse fra Pietro di Giovanni Olivi?), e che alla sua voce nascerebbe
-grande confusione e terrore tra i maggiorenti della Curia, ed il Papa
-stesso correrebbe pericolo, finchè brillerebbe la nuova luce. Allora
-sarà fatta la riforma della Chiesa, e non pure tutti i Cristiani, ma
-i Saraceni con essi, formeranno un popolo solo, e a capo di tutti
-si porrà il Papa angelico. A queste profezie il tribuno prestava
-ascolto, tanto più che egli stesso doveva aver non piccola parte
-nella futura rinnovazione del mondo. E per infondere nell'imperatore
-e nell'arcivescovo di Praga la propria fede, si fa a sua volta
-commentatore ed interprete di profezie, e fra tante sceglie la più
-recente, che, nata senza dubbio sullo scorcio del secolo decimoterzo,
-fu attribuita ad un profeta Cirillo, contemporaneo di Gioachino, del
-quale non si sa nulla all'infuori della profezia medesima; e che non
-sarà meno apocrifo di essa. Comunque sia, Cola sa ben torcere l'oscuro
-oracolo al senso che più gli torna; e sotto il sole che entrerà nelle
-viscere dello scorpione e sarà lacerato dai figli dello scorpione
-medesimo, intende proprio lui, Cola, che andrà glorificato da Dio
-e posto al governo di Roma, e poscia dal Papa e dai cardinali sarà
-perseguitato, e nell'anno del giubileo chiuso nella squallida spelonca
-del carcere imperiale. Frate Angelo da Monticelli aveva ben insegnato
-la sua arte al credulo tribuno!
-
-Un altro minorita, non meno credente di frate Angelo, ardiva
-divulgare le medesime profezie nella sede stessa della corte papale
-in Avignone. Avea nome fra Giovanni di Roquetaillade, latinamente _de
-Rupescissa_; ed oltre che per le sue profezie è noto per lo studio
-che, al pari di Arnaldo da Villanova, faceva dell'alchimia. Le sue
-predizioni risalgono, come dice egli stesso, al 1356, l'anno avanti
-che cominciassero le secolari guerre tra Francia e Inghilterra. La sua
-voce fu inascoltata; anzi Clemente VI, lo stesso papa così avverso a
-Cola, lo chiuse in prigione, e ve lo rimise il successore Innocenzo
-VI, tenendovelo per tutta la vita. Una profezia, che costui compose
-nelle carceri ad istanza di un suo correligionario, comincia così:
-“Le rendite ecclesiastiche sappiate che fra breve andranno tutte
-perdute, poichè molti popoli della terra spoglieranno il Clero dei beni
-temporali, lasciandogli appena da vivere. La Curia romana fuggirà da
-questa città peccatrice di Avignone, e non sarà più dove è ora. Prima
-che si compiano sei anni da questo presente, che è il 1356, la superbia
-clericale sarà prostrata nel fango, e distrutta ogni malvagità. La
-città delle delizie sarà convertita in lutto, e il mondo si perderà per
-l'avarizia; ma dopo innumerevoli tribolazioni scenderà la misericordia
-alla gente desolata, perchè un angelo, vicario di Cristo, spargerà
-tutte le virtù evangeliche, e convertirà gli Ebrei e i Tartari e i
-Saraceni e i Turchi distruggerà.„ Come vedete questo profeta anche
-a costo di andare crudelmente smentito dai fatti predice le cose
-a termine fisso ed a breve distanza. E non muta stile in un altro
-libercolo intitolato _Vade mecum in tribulatione_, composto l'anno
-dopo, dove riassume tutte le predizioni sue sparse negli altri libri,
-che cita e magnifica come annunziatori di fatti da poi verificatisi,
-quale la cattura del re di Francia. Anche nel _Vade mecum_ vuol essere
-preciso più di quel che convenga a un profeta. “Pria che il mondo
-arrivi all'anno 1370, egli dice, prima che corrano altri tredici, da
-questo che abbiamo ora compiuto, 1356, avrà principio la restaurazione
-del mondo, e sarà palese quello che ora annunzio. Nel 1365 sorgerà
-l'Anticristo orientale, e gli Ebrei ingannati da codesto falso Messia
-infiniti danni recheranno al popolo cristiano. E nello stesso anno i
-veri seguaci del santo mendico di Assisi saranno di nuovo tribolati,
-come al tempo di Michele da Cesena; ma ben presto si rifaranno dei loro
-danni, e l'ordine loro si dilargherà per l'universo ed i loro conventi
-si moltiplicheranno come le stelle del cielo. Ma non vale la pena di
-riferire più oltre i sogni del povero prigioniero, che aspetta prossima
-la liberazione sua e dei suoi compagni. Dirò solo che anche egli adduce
-a prova delle sue profezie il versetto di Daniele, che soleva citare
-Arnaldo; ed anche lui, facendo cómputi sottili, arriva all'anno 1370
-nello stesso modo che un secolo prima Gioachino di Fiore arrivava al
-1260.
-
-Al di sopra di questi, sarei per dire, computisti della Profezia,
-si eleva una donna di alto sentire e di nobilissimo sangue, santa
-Brigida di Svezia. Nata intorno all'anno 1302, a sedici anni sposò il
-diciottenne principe Wulf di Nerik, da cui ebbe otto figliuoli. Alla
-morte del marito, dato un addio agli splendori principeschi e diviso
-il patrimonio tra i suoi figli, vestì le ruvide lane del pellegrino e
-venne a Roma, dove scrisse le sue _Revelationes_. A differenza di tutti
-i vaticinatoli precedenti la santa svedese non s'indugia a commentare
-le altrui profezie; ma come i profeti antichi conversa direttamente
-con Dio, che le svela il segreto dell'avvenire. “Io non disdegno di
-parlare con te, le dice Gesù, e benchè la mia umanità sembri essere
-dentro di te e parlar teco, pure è più verisimile essere la tua anima
-e la tua coscienza con me e in me, poichè a me nulla è difficile nè
-in cielo nè in terra.„ Una volta in una chiesa di Roma la Vergine
-stessa le apparve, e in tuono di comando le disse: “Tu devi mandare
-da parte mia questa parola al legato del Papa.„ Al che la donna
-rispose: “Egli non mi crederà e volgerà i miei detti in derisione.„
-E di rimando la Vergine: “Benchè io conosca l'intimo animo di quel
-prelato, pure è d'uopo che tu gli faccia sapere che le fondamenta della
-Chiesa vacillano, e la vôlta è screpolata in più parti, e le colonne
-piegano e il pavimento si avvalla così, che i ciechi che v'entrano
-sono per cadere.„ Questo ardito linguaggio osava tenere la santa al
-cardinale Albornoz, legato di Clemente VI, che, per riacquistare il
-sacro patrimonio, riempiva l'Italia di sangue e di rovine. Di Urbano
-V, il successore di Clemente, la Vergine stessa le dice: “Io condussi
-Urbano papa da Avignone a Roma senza alcun pericolo suo. E che cosa fa
-egli? Mi volge le spalle e intende partirsi da me. Il maligno spirito
-lo guida colle sue frodi. Ma se accadrà che egli faccia ritorno alla
-terra dove fu eletto, sarà colpito nella guancia così che i suoi denti
-scricchioleranno, e il suo volto diverrà caliginoso e fosco, e tutte
-le membra del suo corpo tremeranno.„ La profezia si avverò nel modo più
-tragico; che il Pontefice, non appena tornato in Avignone, vi morì. Nè
-meno energiche sono le ammonizioni, che Maria manda per mezzo della
-santa a Gregorio XI. “Come la pia madre, ella dice, che stringe al
-petto il suo bambino nudo e tremante di freddo per riscaldarlo del suo
-calore e nutrirlo del suo latte, così io farò di Gregorio, se vorrà
-tornare a Roma con animo di rimanervi e di riformare la Chiesa tutta. E
-perchè in avvenire non adduca la scusa dell'ignoranza, io gli annunzio
-che, se non obbedirà alle ingiunzioni mie, proverà la verga della mia
-giustizia e l'indignazione del mio figliuolo.„ Tutte queste visioni,
-ed altre non meno terribili sulla regina Giovanna, ebbe la santa
-donna in Napoli, dove sostò per qualche tempo tornando dal faticoso
-pellegrinaggio di Palestina. A lei non era dato vedere il frutto delle
-sue coraggiose ammonizioni, poichè, tornata a Roma, vi morì grave
-d'anni il 23 luglio 1373.
-
-L'opera da santa Brigida lasciata a mezzo, fu continuata da un'altra
-santa, che anch'ella ha estasi e visioni, anch'ella talvolta cade in
-tale anestesia, da poterlesi conficcare nella pelle un grosso ago,
-senza che si riscuota od avverta alcun dolore; ma forse più ancora
-della Svedese, ha un tatto finissimo per guidare gli uomini e riuscire
-nelle imprese più scabrose. Intendo parlare di Santa Caterina da Siena,
-che nata nel 1347 da un agiato popolano, e pur digiuna di lettere,
-seppe levarsi a tanta altezza di concetti, a tanta squisitezza di
-forma, che la sua prosa è anche oggi tenuta in grandissimo pregio. A
-quindici anni, vinte le opposizioni della madre, che la voleva sposa
-ad un ricco congiunto, entrò nelle Mantellate, terziarie domenicane,
-che non professavano voti solenni, e dopo tre anni passati nella
-sua cella tra preghiere e digiuni e torture d'ogni sorta, che ella
-infliggeva al delicato suo corpo, escì all'aperto ministra di pace
-e di carità. Nella peste del 1374 ella sola mostrò tale coraggio,
-tale abnegazione nell'assistere gl'infermi più gravi, da parere agli
-occhi di tutti un essere superiore. E ben si comprende come questo
-miracolo di sacrifizio, dovunque mostravasi, sapesse imporre la pace
-ai più riottosi, e comunicasse agli altri quell'ardente carità, che
-le bruciava il petto; talchè non pure a Siena, ma nella maggior parte
-delle terre toscane era chiamata come paciera, e la sua fama saliva
-tant'alto, che i più consumati uomini di Stato non disdegnavano
-d'entrare in relazione con lei; come, per citarne un solo, Bernabò
-Visconti. E a tutti teneva un linguaggio fermo e di gran buon senso.
-Al cardinale d'Ostia, legato pontificio, grida: “Pace, pace, pace,
-padre carissimo. Ragguardate voi e gli altri, e fate vedere al Santo
-Padre più la perdizione dell'anima che quella delle città; perocchè Dio
-richiede l'anime più che le città.„ Allo stesso papa Gregorio XI, non
-appena scoppiata la guerra con Firenze, scrive, ribadendo il concetto
-della santa svedese: “Andate innanzi e compite con vera sollecitudine
-e santa quello che per santo proponimento avete cominciato, cioè
-dell'avvenimento del santo e dolce Passaggio (vale a dire il ritorno
-della Santa Sede in Roma). E non tardate più, perocchè per lo tardare
-sono avvenuti molti inconvenienti.... Pregovi che coloro che vi sono
-ribelli, voi gl'invitate ad una santa pace, sicchè tutta la guerra
-caggia sopra gl'infedeli.„ “Ma pare che la somma ed eterna Bontà
-permetta che gli stati e delizie sieno tolti alla sposa sua, quasi
-mostrasse che volesse che la Chiesa santa tornasse nel suo stato
-primo poverello, umile e mansueta come era in quello tempo, quando
-non attendevano altro che all'onore di Dio e alla salute delle anime,
-avendo cura delle cose spirituali e non temporali. Che poi che ha
-mirato più alle temporali che alle spirituali, le cose sono andate di
-male in peggio.„ Mandata dalla repubblica Fiorentina in Avignone per
-trattare la pace col Papa, Caterina vi si adoperò con tutte le sue
-forze; e se non riescì a comporre il dissidio, ottenne però quello che
-più le stava a cuore sovra ogni altra cosa, il ritorno della Santa Sede
-a Roma. Questo è il suo pensiero dominante, che il felice passaggio,
-come diceva lei, avrebbe posto riparo a tutti i mali della Chiesa. E
-la sua fede invitta seppe trasfonderla in Gregorio: “Andiamoci, Ella
-scriveva, andiamci tosto, babbo mio dolce, senza veruno timore; se Dio
-è con voi, veruno sarà contro di voi. Dio è quello che vi move, sicchè
-gli è con voi. Andate tosto alla sposa vostra, che vi aspetta tutta
-impallidita, perchè gli poniate il colore.„ “E io vi prego da parte
-di Cristo Crocifisso, che voi non siate fanciullo timoroso, ma virile.
-Aprite la bocca e inghiottite l'amaro, per lo dolce.... Spero.... che
-voi sarete uomo fermo e stabile e non vi moverete per verun vento
-nè illusione di dimonio, nè per consiglio di dimonio incarnato.„ E
-fermo fu Gregorio. Non valsero le preghiere calde e insistenti di suo
-padre e delle sue sorelle, non valsero le opposizioni dei cardinali
-e le rimostranze del re di Francia. Su tutti e contro tutti vinse la
-fanciulla di Siena; e lo stesso giorno che ella lasciò Avignone, anche
-il Papa ne partì per non ritornarvi più mai. Singolare tempra di donna,
-a nessun'altra pari, fuorchè in parte ad un'altra vergine, nata non
-meno umile della Benincasa, Giovanna d'Arco. Anche questa fanciulla,
-pochi anni dopo Caterina, apparisce nel mondo come dotata di una
-potenza misteriosa. E al re di Francia e all'esercito suo disfatto ed
-avvilito, ella, la povera fanciulla d'Orléans, sa ridare il coraggio e
-la confidenza in sè e li conduce alla vittoria. Diverso fu il destino
-delle due profetesse: l'una levata sugli altari, l'altra dannata al
-rogo: ma entrambe operarono prodigi, perchè prodigi erano elle stesse
-di fede, di amore, di sacrifizio.
-
-Il ritorno del Papa a Roma, secondo la veggente Sienese, doveva essere
-il principio di quella riforma della Chiesa, a cui ella come tutti i
-profeti aspiravano, e che avrebbe dovuto portar seco la pacificazione
-degli animi in Italia e l'unione di tutte le forze cristiane contro
-l'irrompere dei Maomettani. Il Signore stesso in una fatidica visione
-le commette di dire al Papa: “che levi la croce santissima sopra
-gl'infedeli, e levila sopra dei sudditi suoi.... in perseguitare e'
-vizii e difetti loro. Divelto il vizio è piantata la virtù, ponendo
-questa croce in mano di buoni pastori e rettori nella santa Chiesa„. E
-in un'altra, ancor più notevole, le svela il segreto delle tribolazioni
-della Chiesa, che egli permette per divellere le spine della sua sposa
-che è “tutta imprunata„. “Sai tu come io fo? Io fo come feci, quando
-io ero nel mondo, che feci la disciplina di funi e cacciai coloro
-che vendevano e compravano nel tempio, non volendo che della casa
-di Dio si facesse spelonca di ladroni. Così ti dico che io fo ora.
-Perocchè io ho fatta una disciplina delle creature, e con essa caccio i
-mercanti immondi e avari ed enfiati per superbia vendendo e comprando
-i beni dello Spirito Santo.„ Sfortunatamente queste profezie non si
-avverarono, poichè la Chiesa, non che riformarsi e rinvigorirsi, ebbe
-a subire nuovi travagli dal lungo scisma, che tenne dietro alla morte
-di Gregorio. E indarno la vergine Sienese s'adoperò a soffocarlo sul
-nascere, scrivendo lettere di fuoco a principi e cardinali. Ormai
-la battaglia era impegnata, ed ella, accorsa al fianco di Urbano VI,
-si preparava a sostenerla virilmente, quando la morte sopraggiuntale
-nell'aprile del 1380 le risparmiò nuovi e più cocenti dolori.
-
-Un altro profeta, certo molto da meno della santa di Siena, non
-si faceva invece alcuna illusione. Era costui il frate terziario
-francescano, Tommasuccio da Foligno, che nato nel 1319 dicono morto nel
-1377; ma certo avrà vissuto ben oltre quell'anno, perchè dell'elezione
-di Urbano VI è testimone, e di tutte le sciagurate conseguenze dello
-scisma tra Urbano e Clemente che tristamente descrive, se pure le
-strofe, ove di ciò si tratta, non s'abbiano a dire interpolate nel suo
-rozzo componimento, che fu oltremodo popolare:
-
- Urbanu et Chiomento
- Faran nova quistione
- Et l'uno in Vengnone
- Forte terà sua sysma.
- In fede et in bactisma
- Crescierà suo podere,
- Mectendo grande herrore
- Nella cristiana gente.
- In Italia primamente
- Ne seguirà strazio,
- Che ne sarà ben sazio
- El sangue de oltramontani.
- . . . . . . . . . . . .
- Serà fra li dui munti
- In Roma grande divisa,
- Ogni cosa provisa
- El caso mino offende.
- Però ongne omo che intende
- Ol mio parlar diverso,
- Che no sarà somerso
- El bel castello Ursinu;
- Poi ad priesso ad Marinu
- La jente oltremontana
- Fra monti valli e piani
- Fugerà e sarà presa.
-
-Qui sono accenni e fatti determinati, come la presa del castello
-Orsino e la battaglia di Marino, accaduti nel 1379. E nessun profeta nè
-antico nè nuovo entra in particolari, se non è contemporaneo dei fatti
-che annunzia. Comunque sia, fra Tommasuccio crede anch'egli nel papa
-angelico:
-
- Verrà poi nello strimo
- Dalla benigna stella
- Uno che renovella
- El mundo in altra forma.
- Darà la bella norma
- Ad nostra vita activa,
- Et farà la terra priva
- De vitii fallace.
- Per lu universo pace
- Serà da cielo in terra
- Et follia e guerra
- Serà nello inferno remessa.
-
-Ahimè! Pur troppo la triste realtà era ben lontana da questo roseo
-sogno; poichè le condizioni della Chiesa peggioravano ognor più, e
-se Urbano poteva vantare della sua parte e santa Caterina e Giovanni
-dalle Celle, neanche a Clemente VII faceano difetto uomini d'insigne
-pietà, come a dirne uno, san Vincenzo Ferrero, teologo e profeta egli
-pure. Ormai non si sapeva più da qual parte stesse il diritto, e peggio
-ancora a quale fra i combattenti sarebbe per arridere la vittoria:
-talchè i profeti stessi, parteggiando chi per l'uno chi per l'altro, in
-questo solo s'accordavano: nel credere prossima la fine del mondo. E
-vi credè il suddetto Giovanni dalle Celle, che, pur avendo combattuto
-per tutta la sua vita contro i Fraticelli, non teme ora d'imitarne
-il linguaggio, e di risalire anche lui allo stesso abate Gioachino,
-dai Fraticelli tenuto per suprema autorità. “L'abate Gioachino, egli
-scrive, fu nel 1138 e fece un libro il quale si chiama el Papa, dove
-egli infino all'avvenimento di Anticristo dipinse tutti i papi.... Ma
-questo papa Gregorio (XI) pone che è l'ultimo papa e pone che fugge
-in forma di fraticello. E dopo di questo papa dipinse una terribile
-bestia, che colla coda avvinghia molte stelle, e dalla punta della
-coda esce una spada. Gli uccelli del Cielo sono i religiosi e questa
-bestia è l'Anticristo....„ Il libro che il Vallombrosano crede composto
-intorno al 1138, quando probabilmente Gioachino era ancor fanciullo,
-non è se non quello che racchiude gli apocrifi vaticini intorno ai
-Pontefici, vaticini dei quali, come delle profezie di Merlino, di
-Cirillo e delle varie Sibille, si fecero tratto tratto nuove edizioni
-con aggiunte ed interpolazioni per adattarle ai nuovi fatti. Su
-questi libri, sfacciatamente bugiardi, e sopra un creduto vaticinio
-tradotto, dicevasi, dall'ebraico in latino per opera di un Dandolo
-Ilerdense, e intitolato _Oroscopo_, fonda altresì le sue congetture
-l'eremita calabrese Telesforo o Teoforo o Teleoforo da Cosenza.
-Per parte mia credo che questo profeta faccia il paio col supposto
-Cirillo; e parmi non poco probabile che sotto il pseudonimo di un
-conterraneo di Gioachino si nasconda qualcuno, che non vivea molto
-lontano dalla Curia avignonese e ne divideva le speranze. Comunque
-sia, racconta il nostro eremita che vivendo nelle solitudini di Tebe
-presso Cosenza, dopo avere sparse molte lagrime e durati parecchi
-digiuni per divenir degno di conoscere il principio e il termine
-dello scisma; finalmente addormentatosi in sull'aurora della Pasqua
-del 1386, gli apparve un angelo dal volto verginale, dall'ali lucenti
-e dell'altezza di due cubiti, che lo invitò a raccogliere i libri
-di Gioachino e di Cirillo, se voleva conoscere il segreto che tanto
-l'affannava. Destatosi l'eremita si mise a cercare insieme con un suo
-compagno, Eusebio Vercellese, le opere dei due profeti, e non solo
-quelle trovò in gran copia, ma tutte le altre che vi ho testè citate.
-Come si vede, il Cosentino, benchè gli appaiano gli angeli dalle
-bianche vesti, non è neanche lui un profeta, ma piuttosto uno studioso
-delle altrui profezie. E resta altresì molto indietro ai predecessori
-suoi; poichè non nelle sacre carte cerca di leggere l'avvenire, ma
-nelle profezie più recenti, e non nelle autentiche, ma nelle spurie,
-come a dire i falsi vaticini sui Pontefici, che egli conosce sotto il
-nome di _Fiore_, e il falso commento alla pretesa profezia di Cirillo.
-La sua ingenuità arriva anzi a tal segno, da credere in buona fede
-che Gioachino, morto nel 1202, abbia potuto commentare la profezia
-Cirilliana, la quale, secondo Telesforo, sarebbe apparsa nel 1264.
-Ma i profeti, che vedono tanto bene nel futuro, non hanno l'obbligo
-di conoscere per filo e per segno il passato. Alla luce di queste
-pseudo-profezie al nostro eremita si rischiarano tutti i dubbi; ed
-ora legge nell'avvenire come in un libro aperto. “Il presente scisma,
-ei scrive, è nato dai vizi e dalle colpe della Chiesa, che dei beni
-terreni apparve più sollecita che degli spirituali; e non avrà fine
-se non al tempo dell'angelico pastore, che seguirà immediatamente
-alle presenti tribolazioni, e rinunzierà spontaneamente a tutti i
-suoi possessi.„ Dicevano in Avignone che la ragione del ritorno della
-Santa Sede in Italia dovevasi ricercar nel desiderio di riconquistare
-quel dominio temporale, che i principi e le città collegate con a
-capo Firenze stavano per togliere alla Chiesa. Ed aggiungevano che
-sarebbe stato molto meglio subire tale spogliagione, che mettersi
-allo sbaraglio di uno scisma. Anzi l'antipapa Clemente di una gran
-parte del patrimonio di San Pietro avea costituito un ducato in
-favore dell'Angioino, per riceverne aiuto e difesa nelle presenti
-strettezze. Telesforo, andando più oltre, aggiunge che il successore
-di Clemente, o il Papa Angelico, non ad una parte sola dei possessi
-suoi rinunzierebbe, ma bensì a tutti. Se non che prima che spunti
-questo avventuroso giorno nuove calamità sovrasteranno ai fedeli, e
-dalla Germania sorgerà, secondo un'antica leggenda tedesca, un terzo
-Federico, della semente del secondo, il quale, non meno infesto alla
-Chiesa, pugnerà contro la Francia, come un tempo Manfredi contro
-Carlo d'Angiò, e più fortunato di lui riuscirà a menare prigione il re
-francese. Ma non tarderà molto, che le sorti della guerra muteranno e
-l'imperatore tedesco sarà sconfitto e l'impero stesso passerà nelle
-mani di re Carlo di Francia, il quale, stretto in intimo accordo
-col Papa Angelico, dominerà tutto il mondo cristiano, sconfiggerà
-i Saraceni, convertirà i Tartari, e la Chiesa greca unirà con la
-latina. Nel qual tempo si verificherà l'antica profezia di un solo
-ovile e di un solo pastore, e per lunga pezza la pace sorriderà agli
-uomini. Nè qui si arresta l'incauto profeta, ma discorre ancora dei
-successori del Papa Angelico, che saranno in numero di tre, dopo i
-quali il Diavolo sarà sciolto di nuovo, e verrà l'ultimo Anticristo,
-che con doni ed incanti sedurrà il popolo dei credenti; dopo di che
-seguiranno la finale catastrofe e il giudizio universale. Di tutti
-questi avvenimenti, dei quali neppur uno si è verificato, è così certo
-il nostro eremita da snocciolarvene le date con precisione matematica.
-Lo scisma avrebbe fine nel 1417, e nel 1432 sarebbe legato Satana, e
-tra altri 420 anni dal 1386, vale a dire nel 1806, sarebbe accaduto
-il giudizio universale. Siamo, come si vede, in piena decadenza
-della profezia. Telesforo è un commentatore di commentatori; e non si
-contenta se non quando ha colmate tutte le lacune, assegnate tutte le
-date. La sua profezia è un libro di partito, scritto per rincorare
-i suoi, ed accertarli che, non ostante i rovesci e le sconfitte, la
-vittoria finale non sarà per mancare. Non gl'importa che di lì a poco
-tempo il fatto possa smentirlo. Quel che preme ora, è non perdersi
-d'animo; e nulla giova tanto ad assicurare la vittoria, come la piena
-fiducia di doverla conseguire.
-
-Il libro di Telesforo ebbe un grande ed immeritato successo; e sei anni
-dopo che fu pubblicato, vale a dire nel 1392, Enrico di Langstein ne
-scrisse una confutazione stringente. Ed Enrico era uno dei più dotti
-teologi del tempo e vice-cancelliere dell'Università di Parigi, e nello
-scisma ebbe una parte importantissima; perchè sostenne validamente
-non potersi comporre il conflitto, se non a patto che entrambi i papi
-deponessero il loro potere e lasciassero ad un Concilio la cura della
-nuova scelta del pontefice e della sospirata riforma della Chiesa;
-idee che, svolte poi dal Gerson, trionfarono nel Concilio di Costanza.
-Orbene quest'uomo, così dotto e così pratico, non ebbe disdegno di
-combattere le profezie del preteso Telesforo. E la ragione sta in
-questo, che tutti in quel tempo erano inclinati ad accogliere le voci
-profetiche. Lo stesso Enrico, se non presta fede a tutte le puerilità
-dell'Eremita, se gli rimprovera di attingere a sorgenti impure e non
-approvate dalla Chiesa, crede però anch'esso nella prossima venuta
-dell'Anticristo; e di Arnaldo di Villanova fa tanto conto che lo mette
-a pari di santa Ildegarde, la Sibilla tedesca come ei la chiama, e
-rimprovera Telesforo di non averne conosciute le opere.
-
-Parimente nella prossima venuta dell'Anticristo crede un altro teologo,
-Niccolò Oresme, precettore del re Carlo V di Francia. Mandato dal re
-francese alla Curia pontificia in Avignone, vi tenne un ardito discorso
-predicente lo scisma, e liberatosi poscia dall'accusa di eresia con
-tale vantaggio da meritare il vescovato di Lisieux, seguitò a meditare
-sui destini dell'umanità, e pur combattendo le dottrine gioachimite
-intorno alle tre età e all'Evangelo eterno, si fece a dimostrare in
-un libro _De Antichristo_, scritto, a quel che sembra, allo scoppiare
-dello scisma, che fra non molto si verificherebbero le terribili
-profezie dell'Apocalisse, stando almeno a parecchi indizi, tra i
-quali è da contare il pressochè compiuto annichilamento dell'Impero,
-la tepidezza della carità, la dissolutezza e la simonia dell'alto
-clero, il pullulare di nuove eresie, e più che tutto l'apparizione
-di quei falsi profeti che sono i Gioachimiti. Ed enumerati ad uno ad
-uno questi segni precursori, il dotto prelato si fa a descrivere il
-futuro Anticristo, che nascerà in Giudea e coll'apparenza della santità
-e con larghi donativi si guadagnerà molti cristiani, allontanandoli
-dalla vera fede, e fattosi eleggere loro re, perseguiterà a morte gli
-ortodossi, e con alterna vicenda di sconfitte e vittorie travaglierà
-tutto il mondo, finchè Cristo stesso non scenderà in terra per levarlo
-di seggio e cacciarlo in inferno con tutti i suoi seguaci.
-
-Non meno convinto della vicina catastrofe era quel Domenicano spagnuolo
-ricordato più sopra, Vincenzo Ferrer, che nelle sue predicazioni e in
-una lettera indirizzata al papa avignonese Benedetto XIII il 27 luglio
-1412 affermava dover coincidere la venuta dell'Anticristo con la fine
-del mondo, ed essere imminenti e l'una e l'altra; poichè già da cento
-anni ai beati Domenico e Francesco era stato rivelato che tre spade
-percuoterebbero la terra, vale a dire la persecuzione dell'Anticristo,
-la conflagrazione, e il giudizio universale. Inoltre nell'Apocalisse
-è detto che Satana, dopo mille anni dacchè fu legato, sarà sciolto di
-nuovo e sguinzagliato contro i fedeli. E Satana fu legato non alla
-venuta di Cristo, come dicono alcuni, ma ben piuttosto al tempo del
-beato Silvestro, quando l'Impero romano si convertì alla nuova fede e
-il paganesimo fu vinto. Da quel tempo i mille anni sono già trascorsi,
-e l'estrema ruina si appresta _cito et bene cito ac valde breviter_; e
-gli stessi ordini religiosi, il Domenicano e il Francescano, istituiti
-per ritardarla, sono pressochè distrutti, poichè è venuta meno la
-rigida osservanza delle loro regole. Le opinioni apocalittiche erano
-state fino allora proprie del sodalizio francescano, e della parte
-più esaltata degli spirituali; ora penetrano nell'ordine domenicano; e
-dopo Vincenzo Ferrer un altro predicatore, Manfredo di Vercelli, le va
-spargendo per l'Italia settentrionale, traendo seco le turbe atterrite.
-
-Ma questi tetri pronostici fallirono alla lor volta del tutto; anzi
-composto a Costanza il grande scisma, e vinto senza fatica l'altro
-che vi tenne dietro a Basilea, il papato parve sorgere a nuova vita e
-riprendere il prestigio goduto ai giorni d'Innocenzo III e di Gregorio
-IX. Senonchè l'attento osservatore sotto l'apparenza ingannatrice non
-tardava a scoprire i segni di nuovi mali. La Curia non era più, come
-in Avignone, alla mercè del re di Francia; ma la corruzione, tanto
-rimproverata alla Corte avignonese, non era scomparsa sotto altro
-cielo. E per un certo rispetto pareva si andasse di male in peggio;
-poichè ora con cinico sorriso si mettevano a nudo le proprie brutture,
-e le facezie di Poggio Bracciolini trovavan lieta accoglienza nelle
-stesse sale del Vaticano. Aggiungi che al cessare degli scismi lo
-spirito cristiano non che informare uomini ed istituzioni, pareva
-invece soffocato dal rifiorire della cultura pagana e dalla ognor
-crescente miscredenza, e la stessa Curia pontificia aveva a segretari
-uomini, che eglino per i primi non prestavano fede ai brevi ed alle
-bolle da loro distesi come saggio di elegante latineggiare. Infine
-un'altra piaga si riapriva nel seno della Chiesa, e più maligna delle
-precedenti, il nepotismo, che da Paolo II a Sisto IV divenne sempre più
-minaccioso, e con Alessandro VI non conobbe più modo nè misura.
-
-In queste condizioni, quando le sorti della Chiesa parevano disperate,
-e lo stesso Vicario di Cristo era accusato a torto o a ragione delle
-tresche più scandalose, tonò potente la voce di Gerolamo Savonarola.
-In lui la profezia dal basso loco, in che era caduta, assurge
-novamente a sublimi fastigi. Al pari dei suoi predecessori egli lavora
-d'interpretazioni e di commenti sui libri profetici del Nuovo e del
-Vecchio Testamento; l'Apocalisse, i Profeti e il libro dei Salmi sono
-i suoi testi prediletti. Se non che non parla più, come i predecessori
-suoi, della prossima venuta dell'Anticristo e della fine del mondo,
-ma solo dell'imminente rinnovazione della Chiesa. E i suoi vaticini
-trae, come l'Oresme, da diversi indizi, che ha cura di enumerare ad
-uno ad uno nella famosa predica del 14 gennaio 1494. “Hora, egli
-dice, cominciamo dalle ragioni che io t'ho alleghate da parecchi
-anni in qua, che dimostrano et pruovano la renovatione della Chiesa.
-Alchune ragioni sono probabili, che gli si può contradire, alchune
-sono demonstrative, che non se gli può contradire, perchè son fondate
-nella scriptura sancta. La prima è _propter pollutionem prelatorum_.
-Quando tu vedi un capo buono, dì che il corpo sta bene. Quando el capo
-è captivo guai a quel corpo. Però quando Dio permecte che nel capo
-del reggimento sia ambitione, luxuria et altri vitii, credi che il
-flagello di Dio è presso.... La terza _per exclusionem istorum_. Quando
-tu vedi che alchuno Signore o capo di reggimento non vuole e buoni et
-onesti appresso, ma gli cacciano, perchè non vogliono che gli sia dicta
-la verità, dì che il flagello di Dio è presso.... La _sexta propter
-multitudinem peccatorum_. Per la superbia di David fu mandata la peste.
-Guarda se Roma è piena di superbia, _luxuria et avaritia et simonia_.
-Guarda se in lei multiplicano sempre li captivi et però dì che il
-flagello è presso.... Tu dirai: O egli c'è tanti religiosi e tanti
-prelati più che ne fussi mai. Chosì ce ne fussi mancho. O cherica, per
-te _orta est hæc tempestas_! Tu se' cagione di tucto questo male et
-oggidì ad ogni uno gli pare essere beato chi ha el prete in casa; et
-io ti dico che verrà tempo che si dirà: _Beata quella casa che non ha
-cherica rasa._ La decima è _propter universalem opinionem_. Vedi ognuno
-che pare che predichi et aspecti el flagello et le tribolatione.... Lo
-abbate Joachino et molti altri predicano et annunziano che in questo
-tempo ha advenire questo flagello.„
-
-Il Savonarola adunque non diversamente dai suoi predecessori è un
-profeta più di riflessione che d'ispirazione, e nelle previsioni
-sue l'ermeneutica biblica e le dottrine teologiche hanno la parte
-preponderante, come in quelle dell'abate Gioachino, che egli stesso
-cita. Ma ciò non pertanto a scoprire nelle sacre carte il senso,
-che agli altri sfuggiva, occorrevagli una singolare attitudine o
-un'illuminazione dall'alto. E questo dono singolaro nessuno più del
-Savonarola è convinto di averlo. “Chi dubiterà — egli scrive — che
-il giglio sia bianco se non il cieco?... Le cose avvenire appariscono
-tanto chiare nel lume della prophetia, che colui il quale ha tal lume
-non può avere dubitatione alcuna„. “Et dicoti che si verificherà ancora
-il resto che non fallirà una iota et io ne so certo più che non sei
-tu che due e due fanno quattro, et più che io non so certo che io
-toccho questo legno di pergolo, perchè quello lume è più certo che
-non è senso del tacto. Credimi, Firenze; tu dovresti pur credermi,
-perchè di quel che t'ho decto non ne hai veduto fallire una iota
-fino a qui, et anco per l'avenire non ne vedrai manchare niente„.
-A lui non sembra come a santa Brigida e a santa Caterina di avere
-diretti colloqui con Cristo o con la Vergine, nè la sua fantasia sa
-levarsi alle grandiose rappresentazioni di Ezechiello e dell'autore
-dell'Apocalisse. Anzi talvolta l'arte gli fa tanto difetto, che cade
-nel trito e nel minuto, come in una descrizione del Paradiso inserita
-nel compendio delle Rivelazioni. Ma senza dubbio lampi di vero genio
-guizzano talvolta nelle sue prose e nelle sue poesie. E talune delle
-visioni sue colpirono talmente i contemporanei, che furono riprodotte
-in molte incisioni, come quella apparsagli nell'anno MCCCCLXXXXII, “la
-nocte precedente all'ultima predicatione che fue in Sancta Reparata,
-quando vide una mano in cielo con una spada sopra la quale era scripto:
-La spada del Signore colpirà tosto e veloce. E da poi questo la mano
-rivolse la spada verso la terra et subito parve che si rannugholassi
-tutto l'aere et che piovessi spade et gragnuola con grandi tuoni et
-saette e fuochi et fu in terra facto guerra pestilenza et carestia„.
-Non c'è nulla di strano che queste visioni ei l'abbia avute realmente.
-La sua fantasia, piena di ricordi biblici, non posava mai, il suo
-corpo estenuavano i digiuni e le fatiche della predicazione, il suo
-animo combattevano speranze e timori senza fine. Non erano fredde
-lucubrazioni le sue, ma sensazioni potenti che sentiva nel più profondo
-dell'essere suo prima di comunicarle agli altri.
-
-Se non che il Savonarola non era soltanto un mistico ed un veggente,
-ma possedeva altresì uno squisito senso della realtà; e gran parte
-delle previsioni sue, come quelle intorno alla discesa di Carlo
-VIII ed all'espulsione dei Medici, si dovevano, più che alla sua
-natura profetica, alla conoscenza profonda, che egli aveva degli
-uomini e delle cose. Certo nessuno meglio di lui seppe consigliare
-ai Fiorentini, tornati liberi, la forma di governo più opportuna.
-E nessuno vide meglio di lui che la repubblica non sarebbe durata
-se non ad un patto, che si fossero rappaciati gii animi e scordate
-le antiche offese. Nella sua grande anima il Savonarola riunisce
-le doti e le tendenze più disparate. E se nei suoi vasti disegni
-pensava alla Chiesa tutta, che avrebbe dovuto tornare alla severità
-degli antichi costumi, non trascurava le sorti degli Stati, non meno
-bisognosi di riforme della Chiesa stessa, a cominciare da Firenze, la
-patria di adozione, che esercitava su di lui, come su tutti noi, il
-suo fascino irresistibile. Ed a Firenze avea consacrata non piccola
-parte dell'opera sua fin da quando, chiamato al letto del morente
-Lorenzo, non volle, a quel che raccontano, udirne la confessione se
-prima non avesse promesso di ridare la libertà alla sua patria. Le
-due riforme andavano, secondo lui, strettamente congiunte, perchè
-si potesse ritornare a quel tempo glorioso, quando i più rigidi e
-intemerati papi stavano al governo della Chiesa, e la Chiesa stessa
-era l'anima dei liberi comuni. Senonchè quella età era ben lontana,
-e la storia, per sforzi che si facciano, non torna indietro. Le due
-riforme, che il frate di San Marco congiungeva nel suo pensiero, si
-recavano vicendevole impaccio, come i fatti dimostrarono ben presto.
-Secondo l'austero riformatore Firenze, conquistata la libertà e il
-governo di sè, dovea ora rinnovare la sua coscienza, e da pagana
-che era, in gran parte, rifarla cristiana. Nè aveva a tollerare più
-a lungo quei canti e quelle feste carnescialesche, onde fu celebre
-il governo di Lorenzo, e lo Stato, prendendo il luogo della Chiesa,
-dovea punire come infrazioni delle leggi sue quelli che la Chiesa
-condannava come peccati. Cristo dovea assere il re di Firenze, e in
-suo nome aveasi a riformar la città. Le quali idee del frate tornavano
-ostiche, non solo ai partigiani dei Medici, ma ben anche ad una parte
-degli aderenti all'ordine nuovo, che mal pativa la città si governasse
-dal pergamo, con metodi e con idee fratesche. E quando il Savonarola
-concepì l'infelice disegno di fare accendere in piazza della Signoria
-un gran fuoco per bruciarvi quanti oggetti di lusso o di vanità fosse
-dato raccogliere, le loro rampogne non conobbero misura, e l'odio
-contro il frate crebbe a tal segno, che la parte dei repubblicani,
-a lui ostili, fu detta degli Arrabbiati. Dall'altro lato se la
-religione, secondo la mente del Savonarola, dovea informare lo Stato
-fiorentino così da dargli sembianza di teocrazia, lo Stato alla sua
-volta aveva da esercitare un'azione non meno potente sulla religione;
-poichè da Firenze, che è, come egli dice, l'ombelico d'Italia, doveva
-sprigionarsi la scintilla del grande incendio della Riforma. Ed anche
-da questo lato non potevano tardare i disinganni; perchè la parte
-politica del Savonarola avea da sostenere l'urto non pure dei nemici
-interni, ma di un avversario ancor più potente, qual era il Papa,
-che impersonava la gerarchia. Nè ci voleva molto a prevedere che
-nell'impari lotta contro la doppia potestà temporale e spirituale,
-ne andrebbe fiaccata. E il Savonarola stesso lo sa, e con mirabile
-divinazione predice che la prima vittima sarà lui; ma un fato lo
-trascina ed egli non sa resistere.
-
-Non è dubbio, dicemmo, che la propaganda del mistico profeta dovesse
-recare non poco danno all'opera politica da lui intrapresa, e non è
-dubbio altresì che danno non minore dovesse recare l'inframmettenza
-politica al disegno di riforma religiosa. In che stesse codesta riforma
-è manifesto. Il Savonarola, al pari dei profeti che lo precedettero,
-non intende di toccare nessun punto del domma, e quelli che, a
-cominciare da Lutero stesso, ne vogliono fare un precursore della
-Protesta, s'ingannano di gran lunga. Ei voleva solo che la Chiesa si
-lavasse dalle brutture presenti, che sulla cattedra di San Pietro
-sedesse un papa santo, non diverso dal Papa Angelico vagheggiato
-dalle età precedenti, e che la corruzione provenuta dall'avidità di
-ricchezze e di potere cedesse il campo alla povertà e alla semplicità
-primitiva. La prima riforma che il Savonarola intraprese in piccolo,
-quando ottenne che il convento di San Marco, sottraendosi alla
-giurisdizione del provinciale lombardo, si ponesse a capo della nuova
-provincia toscana, fu appunto questa d'introdurre nell'interno del
-chiostro domenicano la stretta regola della povertà evangelica, presso
-a poco come la intendevano i Francescani spirituali. Ma la conseguenza
-logica di questo indirizzo più severo sarebbe stata appunto di vietare
-che gli uomini di Chiesa si mescolassero nelle cose dello Stato. Il
-che mal s'accordava col fatto che un frate fosse a capo di una parte
-politica, qual era quella dei Piagnoni. Evidente contraddizione questa
-che ebbero ben cura gli avversari di mettere in piena luce. Invano il
-Savonarola adduceva l'esempio del cardinale Latino, di santa Caterina
-da Siena e di sant'Antonino arcivescovo di Firenze. Indarno protestava
-non essersi delle faccende dello Stato in particolare mai impacciato,
-e solo le norme generali del governo aver suggerito per la salute
-temporale e spirituale dei Fiorentini. Le sottili distinzioni non
-gli giovavano. E per vincere l'ardua prova di condurre a buon fine le
-due riforme, che mal s'accordavano insieme, sarebbe occorsa a Firenze
-maggiore forza e più robusta fede di quella che avesse in realtà. Per
-fermo era un sogno, che questa piccola repubblica, stretta intorno
-da tanti e così diversi nemici, potesse alla lunga resistere alle
-minacce di Roma. Oltre a che il Savonarola avea da combattere contro
-un pontefice, che, se dava ogni giorno nuova materia a scandali e
-maldicenze, vinceva tutti in scaltrezza, e che anche questa volta non
-si smentì. Non appena Alessandro sente che un frate fiorentino osa
-dal pergamo sparlare di lui e del suo governo e predicare l'imminenza
-della Riforma, lo chiama a Roma con lettera affettuosa e allettatrice.
-Scusatosi il Savonarola di non potersi muovere e per lo stato di sua
-salute e per le condizioni della città, gli vieta di predicare più
-oltre. Fallitogli per insistenza della Signoria fiorentina anche questo
-provvedimento, delibera di distruggere l'autonomia, da lui stesso
-concessa, del convento di San Marco, e di assorbire la nuova provincia
-toscana in una più larga, che prende il nome di tosco-romana, il che
-voleva dire mettere San Marco e il guardiano suo nelle mani di una
-creatura del Papa. Nè il Savonarola nè i suoi dipendenti si piegano al
-duro decreto, ed Alessandro VI alla sua volta non tarda a scomunicarli
-tutti come ribelli agli ordini suoi, e chiedere al governo fiorentino
-di assicurarsi del loro capo, se non voleva rendersene complice, ed
-incorrere nell'interdetto. Queste gravi misure non disanimavano il
-Savonarola, che dopo breve intervallo di silenzio ritorna sul pergamo
-e dichiarata nulla e vana la scomunica, ribadisce le sue profezie,
-sempre più convinto che non un iota, com'ei diceva, ne fallirebbe. “O
-uomini religiosi, esclama nella predica del 25 febbraio 1497, o Roma, o
-Italia, e tutto il mondo chiamo, fatevi innanzi. Questo che io dico o
-è da Dio o no. Se è da Dio voi non potete impugnarlo, e se impugnate,
-perderete con vostro danno; se non è da Dio mancherà presto per sè
-medesimo.„ E più gravemente in quella del 18 marzo: “Dico che quando è
-guasta la Chiesa, non è potestà ecclesiastica, ma è potestà infernale e
-di Satanasso. Io ti dico che quando ella adiuta le meretrici, li cinedi
-et li ladroni et perseguita e buoni et cercha di guastare el ben vivere
-christiano, allora ella è potestà infernale et diabolica, et hassegli
-a fare resistenza„. Era guerra aperta e a ferri corti, e il Savonarola
-non disperava di vincerla. In una lettera ad un amico ricorda che i
-concili di Pisa e di Costanza aveano stabilita la superiorità della
-Chiesa tutta, rappresentata dal Concilio sul Papa, e il dritto di
-deporlo, dove si fosse chiarito indegno di tenere l'alto seggio.
-Dottrina già sostenuta un tempo da Marsilio da Padova e dall'Occam,
-e più di recente difesa dal Langstein, dal Gerson, dal Piccolomini,
-dal Cusano. E al Gerson il Savonarola s'appella, e spera che il re
-di Francia o l'imperatore dei Romani, o tutti insieme bandiscano un
-Concilio, che ponga fine agli scandali e alle simonie. E nello stesso
-collegio cardinalesco si affida di trovare aiuto, specie nel cardinale
-della Rovere, che fu poi Giulio II, il quale pubblicamente accusava il
-Papa di aver compra la tiara a contanti.
-
-Ma tutti questi calcoli erano sbagliati. Le teorie di Pisa e di
-Costanza, se non pubblicamente condannate, furono ferite a morte dopo
-lo scacco del Concilio di Basilea e la sottomissione dell'antipapa
-da questo nominato. E gli uomini più eminenti, come il Cusano e il
-Piccolomini, ebbero a ricredersene anche prima che l'uno fosse fatto
-cardinale di San Pietro in Vincoli, e l'altro assumesse la tiara col
-nome di Pio II. Nè era credibile che il disegno fallito a Basilea,
-d'introdurre nella Chiesa in luogo del monarcato assoluto un governo
-a larga base, potesse riescire ora che le condizioni vi si prestavano
-meno. Certo è che quando il Savonarola levò il suo grido contro quel
-papa, che la Chiesa stessa deplora d'aver avuto a capo, nessuno lo
-raccolse, e gli Arrabbiati seppero ben cogliere l'occasione delle
-minaccie papali per sbalzare di seggio la parte politica devota al
-Frate. Nè solo i politici gli si mossero contro, ma benanche la maggior
-parte del clero con i frati minori alla testa, i quali sfidarono il
-Profeta di provare la verità delle predizioni sue coll'esperimento
-del fuoco. Il Savonarola non voleva accettare la strana sfida, che
-sapeva bene non essere se non un tranello; ma il suo fido compagno fra
-Domenico, convinto della bontà della loro causa, l'accettò e sarebbe
-certo entrato nel fuoco, se il Minorita si fosse fatto innanzi. Costui
-però, come era da prevedere, non si presentò, il truce spettacolo
-non ebbe luogo, e la gran folla adunata in piazza della Signoria per
-assistervi, a tarda sera si sciolse indispettita e minacciosa. Da quel
-giorno la sorte del Savonarola era decisa. Ben presto fu dato l'assalto
-al suo convento, e vinta facilmente la debole resistenza, che una
-parte dei Piagnoni ancora opponeva, fu tratto in prigione, come volgare
-malfattore, quell'uomo dalle cui labbra pochi giorni innanzi pareva che
-il popolo tutto pendesse. La Signoria non volle consegnarlo al Papa, ma
-dopo lunghe trattative ottenne che il processo fosse fatto in Firenze
-e vi prendesser parte i magistrati fiorentini.
-
-Potrebbe sembrare strano come il Governo tanto tenesse ad istruire un
-processo, senza dubbio più ecclesiastico che civile e per la qualità
-delle persone e per l'indole stessa dell'accusa di ribellione al
-Papa, i cui ordini non furono eseguiti, le scomuniche sprezzate. E
-la Signoria stessa ebbe a ricorrere ad una menzogna per giustificare
-l'opera propria, asserendo, nell'intestazione degli atti processuali,
-che i giudici da lei scelti procedevano per conto e per mandato del
-Papa, mentre questi non avea potuto avere il tempo di manifestare la
-volontà sua. Perchè tanta insistenza? La ragione è chiara. La Signoria,
-sotto al processo ecclesiastico, ne ordiva uno politico, e non solo
-il Savonarola voleva colpire, ma tutta la sua parte. E sperava che
-il Profeta, innanzi al quale fu visto allibire lo stesso Lorenzo dei
-Medici, smentisse sè stesso, perchè, non solo scomparisse dalla scena
-politica, ma ne fosse per sempre macchiata la fama, e passasse appo i
-posteri quale impostore, nè fosse possibile che la parte, della quale
-egli era anima e mente, riprendesse lena e del di lui nome si giovasse.
-A tale scopo non fu risparmiato nessun mezzo. Furono somministrati
-all'infelice in un solo giorno tre tratti e mezzo di fune, che gli
-slogarono le ossa e sconciarono la mano destra, furono alterati i
-verbali delle sue risposte, mandati in giro con glosse, che, guastando
-il senso, rivelavano con la nequizia l'inabilità del notaio che le
-stese. Ed i Signori ottennero in parte l'intento loro. Il Savonarola
-già nel pieno trionfo della sua carriera non è sempre sicuro di sè.
-Dice bene spesso che le sue rivelazioni le ebbe da Dio, e ribatte
-tutti gli argomenti degli avversarii che il dono profetico gli volevan
-contrastare; ma talvolta dichiara di non essere nè profeta nè figlio di
-profeta, e che tutto quel che dice lo ha ricavato dallo studio attento
-delle sacre carte, che ogni uomo di qualche levatura può fare. In lui,
-come in tutti i presaghi dell'avvenire, non di rado con la fiducia
-piena s'alterna il profondo scoraggiamento. Non è dunque strano che
-davanti ai suoi giudici, dopo aver sofferte le più atroci torture e
-i più cocenti disinganni, sconfessi il suo dono profetico. Talvolta
-il primo uomo risorge e si ribella alle sue stesse confessioni,
-come in queste memorabili parole pronunziate il 20 maggio 1498
-nell'apparecchiarsi ancora una volta alla tortura: “Hor su uditemi:
-Dio, tu m'hai colto, io confesso che ho negato Christo, io ho detto la
-bugia. Signori Fiorentini, siatemi testimoni, io l'ho negato per paura
-di tormenti; s'io ho a patire, voglio patire per la verità; ciò che io
-ho detto l'ho havuto da Dio; Dio tu mi dai la penitenza, per averti
-negato per paura di tormenti, io lo merito.„ Ma questo ritorno fu un
-lampo. Dimandato in sulla fune sconfessò le dichiarazioni sue e nel
-giorno seguente confermò di aver detto “come huomo passionato, e che
-voleva sbrigarsi da una gran briga„. Il 23 maggio 1498 egli ed i suoi
-compagni, fra Domenico e fra Silvestro, furono degradati e consegnati
-al braccio secolare, e alle dieci del mattino le livide fiamme del rogo
-ne accolsero i cadaveri.
-
-I pensieri dominanti del Savonarola furono questi due: la rinnovazione
-della Chiesa e la libertà del popolo fiorentino; l'una da promuovere,
-l'altra da stabilire e difendere. E i principi della Chiesa e i signori
-del popolo si strinsero insieme per darlo al rogo, vittima espiatrice
-delle sue grandi aspirazioni. Con la morte del Savonarola la Profezia
-ammutisce, nè più si ode, fuorchè a un secolo di distanza negli
-insipidi vaticini dello pseudo-Malachia, e nella debole eco di un altro
-domenicano, uomo politico anch'esso, fra Tommaso Campanella. Negli anni
-che seguono al martirio del Ferrarese, l'ora del tremendo giudizio non
-s'attende più, è già suonata. Ma nessun profeta l'annunzia, e quando
-più fervono le lotte religiose, e torrenti di sangue dilagano per
-l'Europa, nessuna voce risuona a confortare gli animi con la promessa
-di giorni migliori. Simili ai dannati danteschi, i profeti di cui vi
-ho ricordate le strane visioni, a furia d'aguzzar gli occhi nel futuro,
-brancolano come ciechi nelle tenebre, quando si tratti del presente:
-
- Noi veggiam, come quei c'ha mala luce,
- Le cose, disse, che ne son lontano,
- Cotanto ancor ne splende il sommo Duce;
- Quando s'appressano, o son, tutto è vano
- Nostro intelletto, e s'altri noi ci apporta
- Nulla sapem di vostro stato umano.
-
-
-
-
-LA PITTURA DEL 400 A FIRENZE
-
-DI
-
-DIEGO MARTELLI.
-
-
- _Donne gentili, onorandi signori_,
-
-Nell'anno passato mi presentavo a voi con somma trepidazione; giacchè
-un pubblico fiorentino e specialmente un pubblico come il vostro, è
-uno dei più imponenti giudici avanti ai quali si possa presentare colui
-che ha in animo di perpetrare una conferenza. Pur tuttavia uno stimolo
-forte mi ha mantenuto saldo al mio posto. La vecchierella che portava i
-suoi 76 anni come un giocondo fardello di serene rimembranze, mi stava
-allora vicina; quella povera donna era mia madre, quella vecchierella
-racchiudeva in un corpo esile e sottile, lo posso dire con orgoglio,
-l'anima d'un eroe. Quindi nessuna debolezza mi era permessa, io doveva
-fare la mia conferenza e la feci, la vostra gentilezza l'accolse, ed
-eterna ne rimase in me la gratitudine. Quest'anno con vento fresco da
-poppa avrebbe dovuto volare verso i suoi ponenti gagliarda la navicella
-dell'ingegno mio; ma fu colta dalla bufera: quella povera vecchia non è
-più qui, e voi non avete che gli avanzi d'un triste naufragio davanti
-agli occhi. Questo mi raccomandi alla vostra benevolenza. Io mi sento
-stretto dappresso dalla immagine d'una quantità di cari estinti e
-l'arte pure ne perse di recente, e dei grandi, voglio dire del nostro
-Barabino e del nostro Cassioli, e fra i colleghi della società, delle
-letture, io più non veggo in questa sala quell'attento Dogliotti, il
-quale veniva qui con l'animo ingenuo d'un giovane discepolo. Quell'uomo
-così grande, così buono, che aveva tutte le fidanze di un fanciullo,
-voi lo sapete, sta nella storia italiana col core d'un Baiardo.
-
-Ciò posto, cercherò alla meglio di svolgervi l'argomento che mi sono
-proposto, accennando ai principali pittori del 400 fiorentino. È da
-avvertire però che tra le peripezie che incolsero gravi alla società
-delle letture nell'anno passato, vi fu anche quella della malattia del
-nostro egregio amico Enrico Panzacchi.
-
-Così voi sentiste parlare dell'arte pisana, di quei grandi
-scultori, pittori ed architetti da me; de' primordi dell'arte veneta
-splendidamente da Pompeo Molmenti; ma fu passato sopra al nome di
-Giotto, il quale veramente appartiene al secolo XIV e non al secolo
-XV di cui dobbiamo ora parlare. E io comincierò la mia conferenza
-rammentandovi qualche cosa delle opere e del grande nome di lui; questo
-mio rammentare sarà come bandiera che si inchina riverente passando
-davanti ad uno dei santi padri dell'arte italiana.
-
-
-I.
-
-GIOTTO.
-
-Nel 1265 nasceva Dante; a pochi anni di distanza nasceva il pastore
-di Bondone, Giotto. Il Guerrazzi, commentando alcuni dei lavori di
-Giotto, con quella sua splendida ed immaginosa facondia, dice che
-le nostre preghiere, le preghiere degli umani, quando salgono dalla
-terra al cielo vanno su faticosamente e tremanti, in modo che arrivano
-all'empireo stanche e rovinate dal lungo cammino; là sono raccolte
-dagli angeli della misericordia che le presentano al Signore. Egli
-quando le vuole esaudite abbassa il ciglio alla terra e guarda una
-madre; e con quello sguardo, dice il Guerrazzi, infonde tale una virtù
-nell'alvo materno che cotesto felice portato ritraendo in sè parte
-grandissima della divinità esce a suo tempo al mondo per conforto ed
-onore della specie umana.
-
-In questo modo e per questa causa nacquero Dante e Giotto. E infatti
-Giotto, che fu di Dante amicissimo, col quale certamente s'incontrò
-mentre l'uno peregrinava per le sue sventure, e l'altro peregrinava
-chiamato dai grandi a decorare sontuosi edifici, fu di conforto
-all'esule che potè rivedere l'amico pittore e parlare con lui di cose
-divine d'arte e di patria. Giotto, non occorre dirvelo, ha lavorato
-immensamente come pittore, ed ha decorato monumenti a Napoli, ha
-lavorato nella chiesa di Assisi, ed un gioiello ha pure lasciato
-nell'alta Italia, nella cappella degli Scrovegni.
-
-Io credo che si possa dire di Giotto, che come Dante, dagli
-sparsi conati del volgare italiano, seppe col suo potente ingegno
-formulare quella cantica divina che resta come il primo, più grande
-e impareggiabile monumento del nostro idioma; così, tenuto conto
-dei tempi e delle circostanze, Giotto dalla eredità dei Bizantini,
-dall'eredità dei primi pittori italiani, portò l'arte a una tale
-perfezione che veramente si può dire ch'egli determinasse il principio
-del vero, del grande risorgimento italiano. Fu colto ed arguto, perchè
-è impossibile che un uomo di ingegno non senta il bisogno di estendere
-le proprie cognizioni all'infuori della tecnica del mestiere che
-esercita; e fino dai tempi di lui noi vediamo caratteristica principale
-dell'artista la universalità dell'opera sua, inquantochè se Giotto
-fu pittore eminente, se principalmente nella pittura si esercitò il
-sapere suo, pur tuttavia il campanile che ammirate nella piazza del
-Duomo, dice quanto egli fosse un architetto valente. Ora essere un
-architetto valente per me vuol dire essere artista per eccellenza,
-imperocchè se nella fatica della specializzazione, tutte le arti hanno
-dovuto dividersi e suddividersi in modo che oggi si abbiano non più,
-come un tempo, artisti, sempre universali, i quali principalmente erano
-pittori, o principalmente architetti, o principalmente scultori, pur
-tuttavia l'arte resta sempre una cosa unica e sola, e per conseguenza
-ha il carattere della universalità.
-
-Ora questo carattere di universalità sopra tutte lo ha l'architettura
-che è l'arte madre, l'arte che si serve dei colori dei vari materiali
-per ottenere i suoi effetti; e di che splendida tavolozza si giovi ce
-lo dice il Duomo di Firenze; essa è l'arte essenzialmente delle linee,
-l'arte essenzialmente delle proporzioni e del chiaroscuro. Dunque se
-nella pittura di Giotto si possono con poco piacere vedere gli errori
-che la tecnica, non ancora perfezionata, metteva nell'opera sua, nelle
-sue architetture perfette allora, perfette ora e perfette fino a quando
-resteranno in piedi, voi avete l'espressione completa, assoluta d'un
-ingegno che non ha rivali nel mondo. La provvisione del magistrato
-fiorentino che lo nomina suo architetto e lo propone alla fabbrica di
-Santa Maria del Fiore parla così “_che in tutto l'universo, si dice,
-che non vi sia nessuno il quale a sufficienza sia edotto delle cose
-dell'arte da superare Giotto da Bondone, e per questa ragione vien
-creato maestro di Santa Maria del Fiore e delle fortificazioni della
-città...._„
-
-Voi vedete che non solamente Giotto era un egregio pittore, un egregio
-architetto, ma era anche, per le cognizioni del tempo, un ottimo
-architetto di castrametazione, cioè di architettura militare. Visitando
-a Padova la cappella degli Scrovegni ho avuto la fortuna di vedere
-uno dei più preziosi ricordi dell'arte sua pittorica, e in cotesto
-luogo, dove nella parte inferiore di questa cappella, da un lato sono
-dipinte a chiaroscuro le sette virtù, e dal lato opposto i sette vizi
-che a quelle si contrappongono, m'è parso vedere quanto, fino da quel
-tempo e similmente a Dante, Giotto sentisse della pura, della vera
-arte classica antica. La Speranza effigiata in profilo con delle ali
-non troppo robuste che vola verso il cielo protendendo le mani ad una
-corona che gli viene porta da un angioletto, ha tutto l'andamento d'un
-bassorilievo etrusco, di quelle figure di angioli, che pur gli Etruschi
-conoscevano, e che mettevano sui loro sarcofagi. La figura della
-Prudenza colla bocca sbarrata da una specie di lucchetto, con la mano
-sopra una spada che poggia con la punta in terra, vestita d'un ampio
-paludamento, con le pieghe mosse a modo di quelle che coprono le statue
-delle Vestali romane, mi ha richiamato all'idea, che come Dante aveva
-riconosciuto in Virgilio il maestro suo ed era risalito all'antichità
-classica per produrre il più classico monumento dell'età moderna,
-così Giotto avesse dai pochi avanzi che allora si avevano della santa
-antichità pagana tratto argomento a migliorare l'arte sua, per quanto
-cristiana, mistica e modernissima.
-
-Giotto ebbe vita molto fortunata, imperocchè torno a ripetere quanto
-avvertii nell'anno passato, che le discordie intestine, laceranti in
-Italia le varie repubbliche, a tale che Firenze bandiva dalle proprie
-mura Dante Alighieri, non influivano gran cosa sull'arte. L'artista era
-festeggiato per tutto, e quindi, sia nell'arte della letteratura, sia
-nelle arti plastiche si formava quel gusto, quella parentela italiana,
-la quale faceva che Italia, ad onta delle sue immense e deplorabili
-divisioni, pur tuttavia si formasse un gusto, ed una persona propria;
-persona tanto grande, tanto splendida di bellezza e di gloria, che
-ad onta dei vizî e delle sventure mai non doveva perire e ci doveva
-condurre come oggi siamo, a coacervare le sparse membra, e poter dire:
-l'Italia è una nazione ed un popolo intiero!
-
-
-II.
-
-L'ANGELICO.
-
-Salutata così la gran figura di Giotto entro più specialmente a parlare
-dei pittori del 400. Parlare di tutti è assolutamente impossibile,
-scegliere i più grandi mi pare anch'essa ardua fatica ed impossibile
-cosa. È tanto magnifica quella epoca, che perdersi nella quisquilia di
-mettere quei giganti a rango di altezza è cosa troppo difficile e nella
-quale mi dichiaro incompetente. Io prenderò a parlare, perchè il tempo
-incalza e l'ora fugge, di quelli che più mi sembrano caratteristici
-dell'epoca loro, di quelli che forse maggiormente corrispondono al mio
-sentimento individuale.
-
-Fra questi primeggia un altro Mugellese, Guido da Vicchio, il quale
-nel 1407 veniva accolto novizio nell'ordine dei Domenicani e nel
-convento di San Domenico di Fiesole. Figlio di Pietro da Vicchio
-questo fraticello, che nell'ordine prese il nome di Giovanni, ebbe
-poi ad essere chiamato l'Angelico, perchè veramente sembrò ai suoi
-contemporanei, ed anche ai presenti lo sembra, che l'opera sua fosse
-opera d'Angelo o di ispirato da celestiali apparizioni. Dei suoi
-maestri, di come egli entrasse nella carriera della pittura poco o
-niente si sa; se non che è certo che in quell'epoca nei conventi dei
-Domenicani vi era una scuola speciale di miniatura per abbellire ed
-alluminare i salteri ed i codici che servivano per le orazioni della
-Chiesa. A me sembra che non occorra cercare di più; a coloro i quali
-ancora si domandano dove e come l'Angelico imparasse a dipingere la
-gran pittura, io rispondo, che se in quel convento si studiava tanto
-e così bene da illustrare, come si illustravano, salteri con delle
-miniature che sotto tutti i rapporti sono quadri e valgono per quadri,
-è lì che egli ha appreso i rudimenti dell'arte, ed è col suo solo
-ingegno che li ha sviluppati fino al punto di fare i magnifici freschi
-che decorano il Vaticano ed il convento di San Marco; e ciò per quella
-gran ragione che l'arte in quei tempi veniva quasi di getto, da tutte
-le parti si entrava nell'arte, perchè essa era considerata una cosa
-sola, e non esistevano quelle per me fatali divisioni, le quali la
-spezzettano in mille modi, per fare dei mestieranti sempre, degli
-artisti mai.
-
-Nel 1409 l'Angelico dovette lasciare, insieme coi suoi compagni, il
-convento di Fiesole, imperocchè per alcune scissure avvenute tra i
-religiosi, furon costretti da una ordinanza del Pontefice a sloggiare.
-Visse nove anni lontano da Firenze, su quel di Foligno principalmente,
-e fu in quell'epoca che probabilmente lavorò al convento dei Domenicani
-di Cortona, la quale Cortona conserva ancora molte ed insigni opere
-di lui. Nel 1418 lo ritroviamo nell'Umbria, e questo giova a sapersi,
-perchè anche in queste peregrinazioni forzate dell'Angelico si
-cominciano a stabilire dei rapporti di conoscenza e di buon vicinato
-fra gli artisti toscani e gli artisti dell'Umbria, propagandosi sempre
-più quelle certe parentele artistiche, quelle inoculazioni per contatto
-delle varie maniere, le quali poi dovevano dare origine con la scuola
-umbra alle glorie del Perugino e alle future apoteosi del Raffaello.
-Ritroveremo più tardi a lavorare in quei paesi con l'Angelico il
-Benozzo Gozzoli venuto con lui da Firenze come suo scolaro, e lo
-troveremo insieme a Gentile da Fabiano.
-
-Nel 1418 i frati furono restituiti nel convento di San Domenico
-di Fiesole e nel 1443 l'arte dei lanaiuoli dette all'Angelico la
-commissione dello stupendo tabernacolo che oggi si conserva nella
-Galleria degli Uffizi. Il contratto è stipulato in questa guisa: Fu
-stabilito “_che fosse dipinto di dentro e di fuori con colori di oro
-ed argento, variati e migliori e più fini che si trovano, con ogni sua
-arte ed industria_„, ed il prezzo fu fissato in fiorini 190 d'oro. Io
-ho ricorso alla gentilezza del dotto economista professor De-Johannis
-per avere una idea del ragguaglio della moneta d'allora con quella
-presente per capire se vera è la leggenda che i pittori di quel tempo
-vissuti con semplicissimi costumi ricevessero per così dire la mercede
-del bracciante. Invece ho avuto dal mio dotto e carissimo amico questa
-risposta. Il fiorino di Firenze, la cui prima coniazione rimonta al
-1252, e che era d'oro purissimo, a 24 carati, pesava una dramma, cioè 3
-grammi e 2/100: il rapporto di valore tra l'oro e l'argento fra il 1450
-ed il 1500 era come di uno a dieci: con approssimazione si calcola che
-nella stessa epoca l'argento avesse una potenza di acquisto circa di
-dieci volte maggiore dell'attuale. Per esempio il frumento si comprava
-con 10 drammi l'ettolitro ossia occorrevano 100 grammi, ossia 20 lire
-per la proporzione tra l'argento e l'oro. Ora si avrebbe in conclusione
-che i 190 fiorini d'oro, coi quali fu pagato all'Angelico quel
-tabernacolo equivarrebbero a lire 17 226. Ora siccome nel contratto si
-dice ancora che sarà poi pagato quel meno che alla carità del frate
-fosse parso opportuno, e questo s'intende che è relativo alle spese
-maggiori o minori che avesse dovuto sopportare per quei colori fini
-che si raccomandavano, per quell'oro che si doveva mettere nel fondo
-e che era una forte doratura, non essendo l'arte dei battiloro tanto
-perfezionata da formar quel velo che si mette adesso, pur tuttavia
-voi vedete che 17 226 lire pagate da una corporazione di artieri sono
-una bella moneta. Se io mi sono trattenuto sul prezzo di questa opera,
-sulla determinazione sua in rapporto alle mercedi attuali, ho voluto
-farlo perchè anche il prezzo sta a designare, come lo dice la parola,
-il valore d'un'opera. Se un'opera si paga cara, vuol dire che si stima
-assai, e ciò dimostra che a quei tempi si stimava assai l'arte, e si
-pagava al prezzo del suo vero valore. Dico questo per eccitamento e
-per esempio affinchè non serva di scusa il dire che Andrea del Sarto
-un giorno, preso dalla fame e dalla disperazione, per un sacco di grano
-fece la bellissima Madonna della SS. Annunziata.
-
-Nel 1436 i frati di Fiesole scesero in Firenze aventi seco l'Angelico,
-e a Priore del convento il celebre vescovo sant'Antonino. Papa Eugenio
-IV trovavasi allora in Firenze pel concilio colla Chiesa greca: a
-Firenze era ospitato l'Imperatore greco: a Firenze Cosimo il Vecchio
-era signore. Voi non avete bisogno che vi dica di quanto splendore
-fosse ricca la nostra città in quel momento. Quando l'Angelico è venuto
-e ha dato mano alle pitture del Cenobio di San Marco, già Brunellesco
-voltava le vôlte della cupola sua, mentre Donatello era in piena
-fioritura, la cappella Brancacci si copriva con le pitture di Masaccio,
-insomma era una esuberanza, una primavera dell'arte; come questa
-primavera dell'arte corrispondesse alla fioritura letteraria, già ve
-lo diceva con eloquentissima e dotta parola Guido Mazzoni nella sua
-conferenza sull'Umanesimo, e poi altri ve lo dirà ancor meglio di me.
-In mezzo a tutto questo lavorio di menti, di scalpelli, di pennelli,
-di maestri di pietra, di decoratori d'ogni sorta, d'ogni risma,
-l'Angelico rimaneva fisso nella sua celeste visione. Egli amava l'arte
-con tutta l'intensità propria dei grandi ingegni, ma non la disgiungeva
-un momento dal concetto religioso. A parer mio l'Angelico è l'ultimo
-dei veri mistici, è veramente il pittore che chiude il periodo del
-Rinascimento pittorico artistico, religioso, iniziato da Giotto.
-
-La pittura dell'Angelico, se si considera in relazione ad altre pitture
-contemporanee, è una pittura quasi un po' in ritardo, ma è una pittura
-certamente insuperabile nella evidenza del sentimento.
-
-Io non so se derivi dalla costruzione della sua retina, come direbbe
-un materialista, o dalla serenità delle sue celesti visioni, ma il
-fatto si è che mentre l'Angelico, pel modo come dipinge, pare che sia
-precisamente un miniatore, anche nelle più vaste e più ampie pareti, si
-appalesa sempre per un colorista di prima forza.
-
-Se vi presentate in una galleria qualunque con lo scopo di vedere o
-riscontrare un particolare in un quadro dell'Angelico e non sapete
-precisamente dove questo quadro sia collocato, e gettate un occhio
-sulle pareti della Pinacoteca, l'Angelico vi si appalesa con una
-nota così chiara, così brillante, così argentina, che appena entrati
-filate diritto sull'opera che riconoscete a distanza. Poter avere
-continuamente dei toni delicatissimi, fare assolutamente dell'aria
-aperta, non forzare mai i neri, è la sua caratteristica principale. Voi
-potete riscontrare quante volte vi piace quello ch'io dico guardando
-la Crocifissione, che è nella galleria dell'Accademia, quadro tutto
-verità, nel quale sono indietri meravigliosi, cielo luminosissimo senza
-uno scuro forzato. Ci sono però dei neri apparentemente assoluti,
-perchè dove mette un domenicano vestito di bianco e nero sembra che
-quel nero sia un nero assoluto; ma invece quel nero non fa mai toppa,
-mai buco, e chi conosce un poco la tecnica dell'arte sa benissimo
-quanta e quale sia la difficoltà di collocar bene un bianco in ombra
-e un nero al sole, un nero che non faccia toppa, che rimanga al suo
-piano in mezzo ad una gamma di colori chiari; è una difficoltà di primo
-ordine per un colorista, e l'Angelico nella sua semplicità la supera
-perfettamente.
-
-Non bisogna dunque fermarsi solamente a contemplare nell'Angelico
-il pittore delle sante ispirazioni; non bisogna fermarsi solamente a
-contemplare nell'Angelico il pittore delle ingegnose trovate, delle
-dotte composizioni; ma bisogna anche tener conto che fra i coloristi
-fiorentini l'Angelico è un vero maestro.
-
-L'Angelico, diventato celebre nel 1447, andò a Roma e là forse sentì la
-grandezza dell'ambiente che lo circondava, perchè le sue composizioni
-si sviluppano in una maniera più grandiosa e più magistrale che per
-l'avanti.
-
-Egli fu scritturato da Enrico dei Monaldeschi per andare a lavorare
-ad Orvieto, ed abbiamo dal contratto fatto in cotesta circostanza, la
-notizia che Benozzo Gozzoli era con lui, come sappiamo che Gentile da
-Fabriano, stato poi maestro a Giovanni Bellini, il gran Veneziano, era
-pure in comunicazione di lavori e d'opere con l'Angelico. Vi richiamo
-a queste brevi e piccole circostanze per dimostrare come l'arte di
-Firenze ebbe contatti coll'arte dell'Umbria, come Gentile da Fabriano
-comunicò coll'arte veneziana, e mi permetto di riportarvi sempre col
-pensiero a questa catena che circonda l'Italia e la avvince a quegli
-effetti dei quali oggi noi fortunatamente godiamo il frutto.
-
-L'Angelico che nelle sue composizioni è grandemente ascetico, è anche
-sottilmente sarcastico e realista nei piccoli quadretti: si vede
-questo nei gradini dei quadri, che illustrano con varii episodii le
-vite dei santi superiormente rappresentati. Citerò un gradino che si
-conserva nella galleria degli Uffizi rappresentante la visita di santa
-Elisabetta alla Madonna. La Madonna è uscita dalla casa per abbracciare
-l'amica che le viene incontro, mentre la serva sta dietro la porta
-origliando per sentire quello che dicono le padrone.
-
-Questo viziarello domestico che si perpetua nella storia del mondo e
-durerà per un pezzo, era rimarcato dal giocondo fraticello, il quale
-si permetteva di esprimerlo con la graziosa figurina della serva che
-ascolta.
-
-Egualmente è comica in un altro quadretto la meraviglia d'un converso
-il quale uscito dalla cella di san Domenico, sente il Santo, che
-ha lasciato solo, che parla con altri. Questo è l'episodio della
-vita del Santo, nel quale san Pietro e san Paolo gli appariscono
-nella cella e gli danno il bordone del pellegrino e il volume degli
-Evangeli. La meraviglia del frate è assolutamente comica, rimanendo pur
-decentissima; con questo si dimostra il buonumore e la serenità d'animo
-dell'Angelico, e l'attitudine che aveva di osservare nella natura e sul
-vero anche il lato comico delle cose con una piccola punta di realismo
-e di verismo non disdicevole in questo gran pittore delle visioni
-celesti.
-
-Accanto all'Angelico, come vi ho già accennato, abbiamo, fra gli altri,
-Masolino da Panicale e Masaccio. La cappella Brancacci del Carmine
-è contemporanea, o presso a poco, alle opere dell'Angelico del San
-Marco e del Vaticano. Di Masolino da Panicale poco si sa. Certo egli
-è un grande e robusto pittore, il quale si avanza sicuro dell'arte già
-ricca di tutti i progressi che la tecnica, la prospettiva han portato
-nell'arte stessa.
-
-
-III.
-
-MASACCIO.
-
-Masaccio che gli succede ne è una esplicazione ancora più brillante
-e più completa, e noi entriamo con lui nel periodo vero del secondo
-Rinascimento, il quale prende a venerare l'antico, dimentica il
-sentimento religioso puro dell'età precedente; e se rimane nella
-religione totalmente pel soggetto che tratta, umanizza, rende di forma
-meno mistica tutti i suoi concetti e progredisce nella via che oggi si
-direbbe del realismo. Di fatti in quell'epoca si sente già un grande
-agitarsi di tutte le menti per la scoperta del vero reale, del vero
-scientifico, mentre nei fondi dei pittori del 300 la prospettiva è
-messa là in un modo bambinesco, quasi ad esplicazione del soggetto.
-Si fa per esempio una torricina, ci si mette accanto una porta molto
-più piccola delle gambe di un cavallo, e di fuori ci si dipinge una
-cavalcata di ambasciatori molto più grandi della torre della città (e
-questo è un errore quasi voluto, perchè dovendo questa prospettiva
-rappresentare degli ambasciatori che andavano in un certo posto,
-uscendo da una certa città, si doveva far vedere che c'era una città
-e che erano usciti da una porta, magari più piccola dei cavalli che
-la dovevano oltrepassare, e non bastando questo magari ci scrivevano
-sopra il nome della città dalla quale partivano e quello della città
-alla quale arrivavano). Ma torniamo a bomba: invece nei primordi
-del 400 abbiamo le menti che si affaticano per cercare la ragione
-matematica della proiezione delle ombre. Già sappiamo che il maestro
-di Masaccio fu Brunellesco, e di questi Paolo Toscanelli dal Pozzo, sul
-quale sta pubblicando un libro con eruditissime ricerche il professore
-Uzielli. Toscanelli dal Pozzo fu uno dei più grandi matematici dei
-suoi tempi, ma però per quella universalità di allora su tutto lo
-scibile umano, era intimissimo amico del Brunellesco, ed a questo
-insegnava la prospettiva, la quale poi di seconda mano veniva passata
-a Masaccio. Voi vedete che le cognizioni negli uomini di quei tempi si
-accomunavano, si affratellavano, si davano la mano l'una coll'altra, e
-gli artisti sommi del 400, torno a ripeterlo, erano nel medesimo tempo
-gli uomini più colti dell'epoca loro. Nel quadro — tutto di mano del
-Masaccio — della cappella Brancacci, nel quale il Cristo circondato
-dagli Apostoli è interrogato dal pubblicano per ricevere le decime e
-dove il Salvatore dà ordine a san Pietro di andarle a pescare nelle
-branchie di un pesce (cosa che sarebbe oggi molto comoda), abbiamo una
-pittura limpida, chiarissima e una pittura nella quale i piani vanno
-dal primo all'orizzonte con una degradazione sicura, scientifica. La
-prospettiva aerea è bellissima: il paese che circonda le figure è tutto
-al suo posto, e da questo voi vedete che il progresso è evidente, che
-la pittura non è più mistica, non è più significativa di una sola
-idea religiosa, ma la storia, anche del Cristo, diventa soggetto
-per trattare una storia umana. Le passioni, gli affetti si svolgono
-umanamente, e le figure per conseguenza prendono una precisione
-derivante dalla tecnica studiata severamente, dal vero cercato nella
-osservazione non domandato ad alcuna visione rivelatrice. Masaccio,
-descritto dal Vasari come persona distrattissima, e che per quanto
-derivasse dalla celebre famiglia dei Guidi di San Giovanni, pur
-tuttavia fu chiamato Masaccio per la trascuratezza della sua andatura,
-non potè finire l'opera sua: chiamato a Roma dove lavorò alla Minerva,
-morì giovanissimo, ed alla cappella già incominciata da Masolino da
-Panicale diè finalmente mano Filippino Lippi, figlio di frate Filippo
-Lippi, dato in educazione alla morte del padre a Sandro Botticelli.
-Uno di codesti affreschi, quello che rappresenta la risurrezione del
-nipote dell'imperatore per opera di san Pietro, è un affresco misto, e
-dipinto in parte da Masaccio, in parte da Filippino; di faccia abbiamo
-un affresco tutto di Filippino, al di sopra abbiamo l'affresco tutto
-di Masaccio, e più in alto gli affreschi già compiuti da Masolino
-da Panicale. Sarebbe difficilissimo oggi trovare tre artisti i quali
-potessero fare convenientemente la decorazione intiera ed unica d'una
-cappella facendo ciascuno un quadro per conto proprio: impossibile
-quasi direi che nel medesimo affresco potessero dipingere due artisti
-senza darsi noia uno coll'altro. Ora io di questo fatto tengo conto
-perchè mi sembra importantissimo per spiegare come l'indirizzo degli
-studi, la buona fede colla quale un artista dava mano all'altro, la
-comunanza di idee nella quale vivevano, facesse sì che si potesse avere
-un'opera perfetta, ed un'opera triplice ed una nello stesso tempo.
-
-
-IV.
-
-ANDREA DEL CASTAGNO.
-
-Un artista strano che mi pare che faccia assolutamente razza da sè è
-Andrea del Castagno. Egli pure nacque in Mugello come Giotto e come
-l'Angelico, ma non ebbe nè l'ingegno di Giotto nè il candore dell'anima
-dell'Angelico. Egli fu uomo viziosissimo ed iracondo, agitato da mille
-passioni, ma potente ingegno. Egli deve forse al suo cattivo carattere
-la nota speciale che lo distingue tra quei pittori i quali abbandonando
-l'ascetismo entrarono nella via che, tanto per farmi capire alla
-meglio, ho chiamata del realismo, sebbene vi entrassero in un modo
-intenso come ricerca di forme, come ricerca di luce, come effetto
-prospettico, senza però quella passione psicologica che va a cercare
-il pel nell'uovo nelle intime convulsioni del cuore umano. Andrea del
-Castagno mi pare che segni una nota particolare in questo senso.
-
-Agitato di spirito come egli era, mette una agitazione, una nota
-potente, una nota moderna, dirò così, nella sua pittura. Di lui ci
-resta il Cenacolo di Santa Reparata, nel quale sono anche state poste
-delle belle pitture che decoravano un tempo la villa Pandolfini.
-Queste sono la rappresentanza di uomini grandi: Dante, Boccaccio,
-Petrarca, Pippo Spano, Farinata degli Uberti; una Sibilla, una Virtù,
-ed altri. Ebbene in codesto cenacolo che prende tutta la vastissima
-parete, è già notevole la ricerca della differenza tra un esterno ed
-un interno, poichè al di sopra della linea di mezzo della parete si
-vede la Crocifissione, in aria pienamente aperta, la Risurrezione, e
-la deposizione nella tomba del corpo del Salvatore, al di sotto in un
-ambiente chiuso la Cena. Ora questa ricerca fra l'effetto dell'interno
-e quello dell'esterno era una ricerca poco curata forse dagli altri
-pittori dell'epoca sua, mentre in lui è accuratissima. Le figure
-che campeggiano nell'aria aperta, specialmente la figura del Cristo
-tutto in bianco che esce giovane dalla tomba, sotto la quale sono due
-figure di soldati addormentati, è una figura di tinta tutt'affatto
-moderna, di pittura squisitamente chiara, contrapposta colla tetra
-scena del Cenacolo, che egli ha caricato di tinte oscure e truci,
-quasi a significare l'orribile tradimento che in quel momento si stava
-compiendo; e fra tante pitture che rappresentano nei Cenacoli la figura
-di Giuda, io credo non ci sia una figura così drammaticamente e con
-forza espressa come la figura di Giuda nel Cenacolo di Andrea del
-Castagno.
-
-I ritratti poi a gran decorazione, la figura di Farinata specialmente,
-vestito d'armatura completa, e quella di Pippo Spano di cui tanto si
-decantavano le gesta in quei tempi, che tiene in mano la spada e ne
-torce la lama con la robustezza del poderoso suo braccio, sono figure
-così scultorie, che assolutamente si possono mettere a pari colle
-grandi creazioni della scultura fiorentina del tempo e specialmente
-colla figura del San Giorgio di Donatello. Si dice che vivendo egli
-nello Spedale di Santa Maria Nuova e lavorando con Domenico Veneziano
-carpisse allo stesso il segreto della pittura a olio la quale tanto
-doveva influire sulle future sorti della pittura stessa. Questo segreto
-o questo ritrovato, per meglio dire (poichè nell'arte di mescolar
-l'olio e specialmente l'olio di lino alle tinte già si erano fatti
-e si facevano continuamente esperimenti anche dai pittori del secolo
-precedente), fu attribuito dal Vasari a Giovanni da Brugghia che lo
-ridusse alla perfezione attuale. Un quadro di lui fatto alla corte di
-Napoli dette luogo come tutte le novità a un grande agitarsi di quei
-pittori, e Antonello da Messina finalmente ne indovinò il mistero.
-Antonello lo rivelò a Domenico Veneziano, Domenico Veneziano venendo
-a lavorare a Firenze lo comunicò colle buone o colle cattive (questo è
-difficile a sapersi) ad Andrea del Castagno, donde tutta una leggenda;
-imperocchè il Vasari asserisce che dopo avere imparato il segreto
-del suo amico, Andrea del Castagno lo investisse mentre usciva da una
-casa in via della Pergola, e proditoriamente lo uccidesse. Il nostro
-Milanesi però con sottile acume di critica crede di potere asserire
-che di questo delitto Andrea del Castagno non è macchiato, perocchè
-ritiene che nel 1457 Andrea del Castagno molto probabilmente fosse già
-morto per la pestilenza che infieriva nella città; e siccome il buon
-Domenico Veneziano è morto nel 1461, mi pare molto improbabile che lo
-possa avere ammazzato uno che era già morto qualche anno prima.
-
-
-V.
-
-PIERO DELLA FRANCESCA.
-
-Emulo nello splendore della pittura, nella chiarezza dei suoi dipinti
-all'Angelico, dotto in tutto ciò che l'arte dava allora di più pratico
-e di più positivo, compositore di prim'ordine con una nota tutta sua
-propria è Piero della Francesca. A Firenze poco abbiamo di lui, tranne
-i due ritratti in profilo del duca e della duchessa d'Urbino che
-vediamo nella Galleria degli Uffizi e che al di dietro della tavola
-portano dei trionfi allegorici. Pur tuttavia questo piccolo esempio
-è talmente forte che basta a persuadere chiunque dell'eccellenza
-dell'artista. Piero della Francesca ha profilato le sue figure
-leggermente di tono su un'aria limpidissima e su un paese che si perde
-lontano lontano nell'orizzonte. Ora questa potenza di mettere di contro
-alla luce una figura, di farne vedere tutti i dettagli, non forzando
-oltre modo nè troppo caricando le tinte e nello stesso tempo facendola
-risaltare su un cielo immensamente chiaro, e in un paese chiarissimo,
-è opera precisamente di grande coloritore. Piero della Francesca ha
-lasciato il più bel testamento artistico che si possa mai immaginare
-nelle pareti del Coro del San Francesco in Arezzo, e io consiglio
-chiunque è amatore della buona pittura di non trascurare una gita ad
-Arezzo per vedere le pitture di Piero della Francesca.
-
-La prima volta che io mi sono trovato costà davanti all'affresco
-rappresentante la regina di Saba che va a visitare Salomone (affresco
-nel quale abbiamo il re Salomone sotto una specie di peristilio a
-colonne bianche di marmo mentre la regina è dalla parte esterna di
-questo peristilio e comparisce in un paese dove sono alberi verdi su
-un fondo ugualmente chiaro, in fondo al quale rosseggiano le tinte del
-tramonto) io mi sono trovato davanti a una pittura così luminosamente
-fresca, così brillantemente fatta che primo fra gli artisti m'è saltato
-in testa Domenico Morelli in certi suoi bianchi, in certi suoi effetti
-luminosissimi e violenti. Io vi dico questo non per dirvi una cosa
-rara, perchè io nè di cose belle, nè di cose rare fo mestiere, ma per
-dire una impressione che ho ricevuto; e se un pittore che nasce nella
-prima metà del secolo XV, se un pittore che nasce a quell'epoca lì, ha
-tanto in sè da rammentare di primo acchito uno dei più moderni nostri
-moderni, mi pare che sia sempre un bel gagliardo, e che viva d'una
-giovinezza assolutamente imperitura. Egli campò vecchissimo; uomo
-insigne in matematica e prospettico eccellente, scrisse anzi su questa
-materia dei dotti volumi, i quali forse furono la causa per la quale
-l'opera sua di pittore non è troppo abbondante. Dicesi che delle opere
-sue rimanesse erede, per così dire, un fra Luca Pacioli suo discepolo,
-che alla morte del maestro le dette per sue.
-
-Questa pure è una accusa lanciata dal Vasari; Milanesi l'attenua e la
-nega in parte. Comunque sia, resta che Piero della Francesca è uno dei
-più insigni, dei più delicati pittori dell'epoca sua; il che non toglie
-che fosse al solito un gran maestro in matematica e prospettiva, uomo
-d'ingegno, e dei più colti dell'epoca nella quale viveva.
-
-
-VI.
-
-BENOZZO GOZZOLI, ALESSANDRO BOTTICELLI.
-
-Benozzo, discepolo dell'Angelico, è più traverso, più quadrato.
-Egli non sente molto dell'insegnamento ascetico del maestro, e nelle
-grandi decorazioni murali del Camposanto di Pisa vi si distende dentro
-con quella giusta, serena ricerca della verità che io poc'anzi vi
-descriveva quale nota caratteristica dell'arte del 1400.
-
-Io non posso attardarmi a descrivere l'opera del Gozzoli, opera
-importantissima e notevolissima, inquantochè troppo è necessario non
-dimenticare tra i massimi Alessandro Botticelli.
-
-Alessandro Botticelli figlio di Mariano Filipepi nacque nel 1447;
-ricevette un'educazione abbastanza accurata e classica in un'epoca
-nella quale il classicismo fioriva rigoglioso. Inquieto di carattere,
-svegliato, pieno di ingegno, fu posto da suo padre presso l'orafo
-Botticelli a imparare l'arte dell'orefice. Poi diventò scolaro di fra
-Filippo Lippi, e alla morte di fra Filippo diventò il maestro al quale
-fu affidata l'educazione artistica di Filippino, di quel Filippino il
-quale ebbe a completare, ed è questo il maggior bene che si possa dire
-di un pittore, l'opera di Masaccio nella cappella Brancacci.
-
-Il Botticelli anch'egli ha una nota sua particolare, ed è il primo
-che comincia a trasportare la pittura dai soggetti sacri ai soggetti
-profani.
-
-Di fatti si sa di lui che illustrò un soggetto profano del Decamerone,
-ossia la storia di Anastasio degli Onesti che si vedeva in quattro
-tavole descritta nelle cose preziose della famiglia Pucci di Firenze e
-che ora non si sa più dove sia. Di lui è conosciutissima la nascita di
-Venere, di lui è conosciutissimo il quadro allegorico che si ritiene
-fatto alla morte della bella Simonetta, come già vi accennava il nostro
-Ernesto Masi, secondo le induzioni dell'illustre storico dell'arte
-professor Camillo Jacopo Cavallucci.
-
-Il Botticelli è pittore d'un'eleganza nuova nella forma, un'eleganza
-che certamente non è quella di Vatteau, o dei pittori fiamminghi del
-1600, e nemmanco l'opulenza di Rubens. Egli nella nascita di Venere ci
-dipinge una Venere che non è neppure parente, neppure biscugina della
-Venere del Tiziano. Ha dei piedi grandemente sviluppati, delle mani
-altrettanto, ma se voi davanti ad un contorno di donna del Botticelli
-vi fissate su un punto qualunque della sagoma, e cominciate a andar su
-su e ricercarla tutta, voi vi sentite invadere da una delizia simile
-a quella che si prova se in una bella giornata d'inverno ci si mette a
-guardare un bell'albero spoglio delle sue fronde e se ne ricercano con
-l'occhio tutti gli eleganti contorni.
-
-Io non saprei diversamente darvi ad intendere o spiegarmi meglio
-riguardo alle sensazioni che si provano davanti questo gentile pittore,
-che chiamato nel Vaticano a lavorare, per la vita disordinata che egli
-faceva in Roma finì i quattrini e dovette tornarsene a Firenze. Qua per
-l'amicizia che aveva con Lorenzo il Magnifico e per le cognizioni sue
-di letteratura e l'affinità che aveva coi grandi dotti dell'epoca si
-messe a illustrare e illustrò per il Landino la _Divina Commedia_. La
-edizione del _Commento_ della _Divina Commedia_ fatta dal Landino colle
-tavole del Botticelli si può vedere ancora da chi ne ha voglia nelle
-sale della Biblioteca Marucelliana.
-
-Ma più che quelle illustrazioni che sono poche e, pei mezzi imperfetti
-del mestiere a quei tempi, abbastanza ordinarie, si può ammirare in
-quella Biblioteca la collezione fotografica degli schizzi di tutta
-intiera l'illustrazione del divino poeta, comprata dal gabinetto di
-Berlino e della quale è stata fatta un'opera magnifica di riproduzione
-fedele. Sfogliando codeste tavole voi trovate al solito, nelle figure
-del Purgatorio e del Paradiso, una Beatrice con delle appendici
-abbastanza pronunziate che una signora d'oggi non amerebbe avere,
-ma tanta è la potenza di concetto sviluppato dall'artista, sia
-nell'esprimere i tormenti dei dannati, sia nell'esprimere le gioie del
-poeta condotto al cielo dalla sua divina fanciulla, che quel sentimento
-di attrazione e di delizia che ho detto provarsi quando si comincia
-ad andare su per un contorno del Botticelli, lo si prova egualmente
-davanti a quei potenti concetti svolti da questo grande in punta di
-penna. In lui è da notarsi come l'arte di già fa un passo in avanti
-ed entra ad illustrare un'opera descrittiva. Botticelli che aveva in
-quattro tavole illustrata e descritta la storia di Anastasio degli
-Onesti, finisce con una illustrazione completa della _Divina Commedia_
-e degna del poeta illustrato.
-
-Dire di più di Alessandro Botticelli parrebbemi tempo perso, che
-l'ora mi dice di andarmene, nè io voglio lasciarvi senza avervi ancora
-parlato o per _fas_ o per _nefas_, abusando della vostra pazienza, di
-un altro grande ed alto artista del quale tratterò nella Conferenza
-presente. Questo artista è Domenico Ghirlandaio.
-
-
-VII.
-
-IL GHIRLANDAIO.
-
-Egli nasce da Tommaso del Ghirlandaio della famiglia dei Bigordi
-nel 1449, ed arriva a tempo per riassumere i portati della scienza
-pittorica che si era precedentemente sviluppata. Egli entra nell'arte
-come c'è entrato il Verrocchio, come c'è entrato il Pollaiuolo, per
-la via dell'oreficeria. Domenico Ghirlandaio è molteplice, splendido
-fra tutti i pittori dell'epoca sua; finissimo anch'egli per la potenza
-del chiaroscuro, finissimo anch'egli per la delicatezza della sua
-intonazione.
-
-La tavola della Galleria delle Belle Arti nella quale si rappresenta
-l'adorazione dei pastori, e dove egli stesso ha ritratto la propria
-effigie, ha un indietro lontano, con una cavalcata di signori, forse
-i re Magi che vengono all'adorazione dell'infante Gesù, stupendo per
-prospettiva aerea, per delicatezza di sfondo, per serenità di ambiente.
-Il coro di Santa Maria Novella è là che parla; esso è un'opera
-smisurata, colossale. La cappella di Santa Fina a San Gemignano è un
-gioiello. Il Cenacolo che abbiamo qui in San Marco, è un'altra cosa
-stupenda come colore perchè il Ghirlandaio è potentissimo nel mettere
-bene le cose del primo piano, su dei fondi chiari ed ariosi. Nella
-cappella di Santa Fina in San Gemignano che è di un tono delicato ed
-argentino, nell'affresco del miracolo della Santa da una finestrella
-si vede la campagna lontana, a perdita d'occhio, luminosissimo è
-l'ambiente della stanza interna senza essere sfacciatamente colorito,
-più che luminoso, scintillante è il paese traveduto dalla finestrella.
-Tutte le tenuità, tutte le delicatezze, tutte le finezze di un
-grande artista il Ghirlandaio tiene con sè. Egli ha lavorato alla
-cappella Sassetti in Santa Trinità, cappella che veramente, sia per la
-disposizione della luce, o pel modo con cui è fatta, è molto oscura e
-poco decifrabile.
-
-Ho però il piacere di potervi dare una bella notizia. Nei restauri che
-si sono fatti adesso in Santa Trinità s'è scoperto l'affresco della
-parete esterna della cappella, una grande pittura di dieci figure
-rappresentante la Sibilla tiburtina che indica il monogramma e predice
-la venuta di Cristo all'Imperatore. La Sibilla colle sue ancelle da
-un lato accenna il monogramma; l'imperatore dall'altro lo guarda quasi
-abbacinato. Questa scoperta si deve alla pazienza di Cosimo Conti, il
-quale si offrì gratuitamente di cercare codesto affresco, e ora dopo
-avere saputo che l'affresco c'era, ed aver visto che era scoperto,
-finalmente, _magna degnatione_, il Ministero della Pubblica Istruzione
-s'è deciso a farlo restaurare e rimettere.
-
-
-Se avessi voluto parlare di tutti i pittori fiorentini del 400, non
-solamente avrei seccato moltissimo, ma vi avrei fatto assolutamente
-addormentare; sono troppi, e troppo grandi, e troppo insufficiente io
-sono per il cómpito che mi ero proposto. Vi ho accennato dei principali
-o almeno di quelli che a me sembrano, fra i pari i più eminenti, quelli
-che maggiormente corrispondono al sentimento che dell'arte ognuno tiene
-in sè, e quindi al sentimento mio proprio.
-
-Dopo il Ghirlandaio sorge una grande, una splendida figura, che
-riassume in sè tutte le glorie artistiche del 1400. Questa figura è
-quella di Leonardo da Vinci, ed io grazie a Dio, non devo occuparmi di
-lui, perchè nella prossima conferenza sentirete parlare degnamente di
-Leonardo da Vinci dall'amico Enrico Panzacchi.
-
-
-
-
-LA SCULTURA del RINASCIMENTO
-
-DI
-
-VERNON LEE.
-
-
-La scultura dell'antica Grecia e la scultura del medioevo italiano sono
-rami della stessa arte; ma del tutto divergenti: anzi, direi quasi,
-formano due arti diverse. Ciascuna di esse ha rivelati all'umanità
-eguali tesori di bellezza, ma l'una copiò mirabilmente una bella
-realtà; mentre l'altra prese l'imperfetto e il brutto, e riuscì a
-formarne bellezza. L'una è l'arte meridionale, pagana, del modellatore
-in creta; l'altra l'arte nordica cristiana, dell'intagliatore di
-pietra.
-
-Prima di esaminare le opere, esaminiamo il modo di operare. E prima
-di considerare che cosa l'antico greco e l'italiano del medioevo
-furono rispettivamente chiamati ad imitare e ad esprimere, guardiamo
-la necessità e la capacità del materiale in cui ciascuno di essi imitò
-quel che vide ed espresse quel che sentì.
-
-I Greci primitivi avevano raramente occasione di farsi abili
-intagliatori di pietra. Gli edifizi loro come quelli che ritraevano
-le forme di costruzioni primitive e semplicissime in legno, ne avevano
-anche i rozzi elementari ornamenti, poichè l'ordine Jonico, per quanto
-povero di ornamenti, non venne che più tardi, e il Corintio, il quale
-solo dà luogo alla ricerca e all'abilità degli intagli, nacque soltanto
-quando era pervenuta già alla sua maturanza l'arte di scolpir la
-figura. Ma i Greci, i quali del resto erano appena entrati nel periodo
-del ferro (e il ferro è appunto lo strumento per lavorare la pietra)
-erano grandi modellatori di creta e fonditori di bronzo. Gli oggetti
-che le età più recenti fecero in ferro, pietra o legno furono da loro
-foggiati in creta o in bronzo. Stanno a dimostrarlo gl'innumerevoli
-arnesi, armi e minuti oggetti dei nostri musei: — dagli schinieri
-accuratamente modellati come le gambe che devono coprire, fino alle
-bambole di terracotta, piccole Veneri dalle braccia articolate e coi
-ligamenti di spago.
-
-E veramente quando i Latini applicarono alla scultura il verbo
-_fingo_, che significa in realtà fare vasi, — e dalla quale ci viene
-non solo _effigies_, ma anche _fichtlis_, — parrebbe avessero capito
-che nell'arte di Fidia e di Prassitele poco entrava l'intagliare ed
-il cesellare, e molto invece il _formare_, il modellare, il plasmare.
-Poichè, oltre al fatto ogni giorno più confermato dall'archeologia,
-che, cioè, la maggior parte delle statue antiche ora in nostro
-possesso, sono copie in marmo di originali in bronzo, fatto rivelatoci
-anche da puntelli di esse e dal trattamento dei capelli; è evidente
-che anche le statue destinate ad eseguirsi in marmo, vennero prima
-modellate, cioè concepite dallo scultore, in creta.
-
-Riassumendo: dai Greci la figura umana s'imitava con un processo, che
-non fu scultura nel senso letterale della parola. Rivolgiamoci ora
-a considerare il medioevo, e troveremo uno stato di cose totalmente
-diverso. Non v'era nella vita quotidiana bisogno di oggetti in metallo
-fuso, e non essendovi questo bisogno dell'arte del fondere, del far di
-getto, non vi era nemmeno pratica nell'arte preliminare del modellare
-in creta. Ma invece gli uomini del medioevo furono meravigliosamente
-abili nell'intagliar la pietra.
-
-L'architettura, fino dai Romani, aveva dato più importanza
-all'ornamentazione scultoria: — sempre squisita nei capitelli, nelle
-ringhiere, dei primitivi tempi Bizantini si manifestò nelle elaborate
-cornici, negli archi e nelle colonne dello stile Lombardo fino ai
-complicati gruppi e rilievi del Gotico pienamente sviluppati. E in
-verità la chiesa gotica, particolarmente in Italia, non era più lavoro
-di muratore, ma di scultore. Non è dunque fortuita combinazione se quei
-paesetti, i quali forniscono ancora Firenze di pietra e di scarpellini,
-hanno dato il nome a tre de' suoi più grandi scultori (Mino da Fiesole,
-Benedetto da Maiano, Desiderio da Settignano); nè Michelangiolo,
-allevato in quel paesetto (Chiusi di Casentino) “per tutto pieno„
-dice il Vasari “di cave di macigni, che son lavorate di continovo da'
-scarpellini, scultori che nascono in quel luogo„, abbia potuto vantarsi
-d'aver tirato dal latte della balia gli scarpelli e il mazzuolo con che
-faceva le sue figure.
-
-I Toscani del medioevo, i Pisani del '200, i Fiorentini del '400,
-facevano certamente modelli in cera delle loro statue; ma le opere loro
-sono concepite per essere poi lavorate nel marmo; e quest'arte è uscita
-dal sasso, senza interposizione d'altro materiale, — come le figure che
-Michelangiolo traeva viventi e gigantesche direttamente dal macigno.
-
-I Greci, dunque, in quel tempo primitivo in cui l'Arte prende il suo
-abbrivo, erano modellatori di creta e fonditori di bronzo; i Toscani,
-invece, nel periodo corrispondente, erano cesellatori d'argento,
-battitori di ferro, ma sopratutto tagliatori di pietra. Ora la creta
-(e bisogna rammentarsi bene che il bronzo non è che il calco della
-creta) significa il piano modellato; l'imitazione di tutti i rilievi
-e di tutte le depressioni delicatamente graduate del corpo umano; la
-creta non presenta contrasti fra luce e ombra, non permette varietà nel
-trattamento corrispondente alla varietà dei tessuti. La creta si presta
-quindi ad imitare non la tessitura del corpo umano, ma la forma; e la
-forma poi nell'assoluta realtà tangibile della natura.
-
-Tutto l'opposto accade col marmo. Granulato come fibra vivente e
-capace allo stesso tempo di una delicata spulitura, il marmo può
-riprodurre la vera sostanza del corpo umano colle sue varietà d'opaco
-e di lucente. Può riprodurre, sotto ai variati colpi dello scarpello,
-quelle ombreggiature correnti ora in un senso, ora nell'altro,
-secondo che la pelle riveste il muscolo o l'osso. Il marmo inoltre
-è così resistente e insieme così docile al ferro, che può prendere
-i contorni più squisitamente sottili; e si presta all'incisione più
-superficiale ed al taglio più profondo, in modo che la luce e l'ombra
-diventano il materiale dell'artista quanto la pietra stessa. Quindi il
-marmo consente allo scultore di cercare non solo la forma assoluta,
-ma la forma relativa; non solo il rilievo, ma anche il chiaroscuro.
-Tali erano i caratteri fondamentali di quei due generi diversissimi
-di scultura, la scultura in creta e la scultura in marmo, che in
-circostanze diversissime di vita e di pensiero, Greci e Toscani
-trattarono, per produrre opere di indole e di bellezza diversissime.
-
-È inutile che ci dilunghiamo sulla influenza esercitata nell'Arte
-dalla civiltà antica, coi suoi costumi e caratteri essenzialmente
-meridionali, colla sua vita all'aria aperta, colla sua perfettissima
-educazione del corpo, coi suoi atleti nudi, i togati suoi cittadini
-ed i suoi contadini ed artigiani pochissimo vestiti, e sopratutto
-colla sua religione di divinità conviventi coi mortali e di semidei
-dalla poderosa muscolatura; come è inutile che, d'altra parte, ci
-dilunghiamo sull'influenza della vita assai più complessa del medioevo,
-vita di tipo nordico anche nei paesi meridionali, vita industriale,
-sedentaria, che costringeva la gente nelle angustie delle città murate;
-ed in cui primeggiò sempre, nonostante la sensuale grossolanità, la
-preoccupazione dell'anima, l'ideale del patimento, il disprezzo del
-corpo.
-
-Tutto questo è oramai ovvio ed anche esagerato da tanti scrittori
-invaghiti della teoria del _milieu_ (ambiente o mi-luogo) introdotto
-da Enrico Taine meno per la sua verità che per l'occasione che porge
-di tratteggiare pagine colorite. Ma vorrei richiamare la vostra
-attenzione su di un'altra circostanza storica, che ha influito
-potentemente sulle differenze tra la scultura medioevale italiana
-e la scultura antica. Questa circostanza è il primato della pittura
-nella seconda metà del medioevo italiano. Mentre nell'antica Grecia
-la scultura fu l'arte dominante e matura, della quale la pittura non
-fu che l'ombra; nell'Italia medioevale invece la pittura fu l'arte che
-meglio corrispose ai bisogni della civiltà; fu l'arte che superò i più
-ardui problemi tecnici e scientifici, e fu quindi quella che dovette
-primeggiare. Si può asserire in senso quasi letterale che la pittura
-greca non fosse che l'ombra della scultura. Sui vasi e negli affreschi
-vediamo infatti le figure modellate con moltissima cura anatomica (al
-punto, per esempio, di accennare qualche volta la giuntura fra la gamba
-e la coscia con due linee che non esistono nella visibile realtà, e
-che sembrano segni di tatuaggio), — ma senza consistenza, vuote, ed
-allineate simmetricamente l'una accanto all'altra, senza comporsi in un
-disegno vero, precisamente come se fossero tante ombre di statue tonde
-proiettate sul piano. Lo scultore non poteva imparare nulla di nuovo
-da una simile pittura, che non si occupa delle cose più essenzialmente
-pittoriche, la prospettiva, l'aggruppamento, il contorno lineare, il
-valore relativo dei colori, il chiaroscuro ed il tessuto degli oggetti.
-La pittura medioevale, arte positiva, agisce in ben altro modo da
-quest'arte negativa che fu la pittura antica. Esaminiamo che cosa essa
-portò di nuovo nel campo dell'osservazione e della pratica artistica.
-In primo luogo, la superficie piana, muro o tavola, in cui l'arte
-medioevale mostrò la sua maggiore originalità, insegnò agli uomini a
-dar valore alla prospettiva, ad ordinare gruppi nei vari piani, ed a
-studiare l'insieme, sotto il rispetto delle opere intelligibili quanto
-sotto quello della bellezza, delle figure così raggruppate. Poi li
-abituò a considerare la forma non più come un insieme di proiezioni, di
-rilievi, di piani, ma come linea, come alternativa di luce e d'ombra,
-il cui pregio principale consisteva nella sagoma esterna, nel profilo
-dell'intreccio di linee, d'angoli e di curve; cosa assai più importante
-nella pittura, col suo unico, immutabile punto di vista, che nella
-scultura, dove l'occhio, girando intorno alla forma, si compensa
-della povertà di un punto di vista colla varietà di tutti gli altri.
-Di più, la pittura, nata da un interesse più sviluppato di quello che
-sentisse l'antichità pel colore, la pittura, dico, indusse gli artisti
-a considerare meglio l'effetto del colore sulla forma lineare.
-
-Poichè, sebbene l'uomo, fatta astrazione dal colore naturale o da una
-tinta bianca, abbia infatti quella forma larga ed alquanto smussata,
-quell'indecisione di contorni che caratterizza la scultura; tuttavia
-quale egli esiste realmente, coi capelli, gli occhi e le labbra
-fortemente coloriti, ed il resto del viso colorito di tinte diverse,
-acquista dal colore — il quale dà enfasi alla linea — una maggior
-precisione, direi piuttosto, una maggiore acutezza di forme lineari.
-Per ciò, nel modo istesso, in cui la prospettiva e la composizione in
-pittura dovettero indurre gli scultori ad usare maggiore complessività
-nel rilievo e maggiore unità nel punto di vista, così pure la nuova
-importanza del disegno e del colore, dovette suggerir loro un nuovo
-concetto della forma.
-
-L'uomo cessò dunque d'essere una mera combinazione di piani e di masse,
-cessò d'essere omogeneo nel tessuto e nel colore. Si accorsero ch'era
-fatto di sostanze diverse, pelle — pelle morbida dove aderisce al
-muscolo, dura e lustra dove accenna l'osso, pelle liscia o rugosa o
-pelosa; pelo poi duro o floscio, nero o biondo; inoltre ch'era pinto
-in vari colori, e che possedeva ciò che i Greci sembra non avessero
-avvertito, quella cosa straordinaria e straordinariamente variabile
-che è l'occhio. Gli scultori del '400 furono spinti dai pittori
-a riconoscere queste differenze fra l'uomo monocromo dei Greci —
-monocromo per l'astrazione del vero colore — e l'essere multicolore che
-è l'uomo vero.
-
-Avvertite queste differenze, vollero significarle nell'opera loro.
-Ma come avrebbero potuto conseguir l'effetto colla loro arte che
-tratteggiava il rilievo tangibile, e che ricusava l'aiuto del colore?
-
-Per capirlo bisogna fermarci a considerare di nuovo, e più
-attentamente, due particolarità capitali, che distinguevano gli
-scultori medioevali da quelli antichi.
-
-Gli artefici del medioevo, in primo luogo, erano chiamati assai di
-rado a fare figure da essere poste all'aria aperta su un piedistallo
-libero. Invece, erano continuamente esercitati a scolpire ornamenti
-architettonici da porre in alto e profilati su di uno sfondo scuro;
-e monumenti, tombe, pulpiti, ringhiere, da collocare in locali
-parzialmente illuminati e spesso oscuri.
-
-Ora, secondo l'altezza dell'oggetto e la direzione della luce, certi
-particolari acquistano o perdono la loro importanza; per restituire
-la relazione vera fra linea e linea, rilievo e rilievo, bisogna
-tener conto della posizione e del punto di luce; bisogna, perchè la
-cosa faccia lo stesso effetto che al livello dell'occhio e sotto una
-luce diffusa, alterare le proporzioni, accrescere qua, scemare là,
-introvertire alle volte il concavo ed il convesso, sacrificare il vero
-all'apparente.
-
-I monumenti gotici, per esempio quelli di Santa Maria Novella,
-che sporgono dal muro all'altezza di un primo piano di casa, non
-presenterebbero che una confusione indecifrabile, se la figura
-sdraiata ed i suoi accessorî non fossero alterati in modo da sembrare
-mostruosi a chi s'arrampicasse a vederli da vicino. Lo stesso segue
-nell'arte sviluppatissima del '400. Il Cardinale di Portogallo —
-figura del Rossellino a San Miniato al Monte — ha una metà del viso
-voltata soverchiamente all'insù, in modo da ricevere in faccia la
-luce; e ciò perchè, essendo visto dall'ingiù, la metà più vicina del
-viso avrebbe altrimenti un'importanza relativamente troppo grande;
-mentre, all'opposto, al bellissimo guerriero morto, d'autore incerto,
-che è a Ravenna, lo scultore ha deliberatamente tagliata una parte
-della mascella, perchè lo spettatore deve guardare all'ingiù la
-figura sdraiata su un lettuccio basso di marmo. Se prendiamo i gessi
-di queste due statue, ponendo sulla tavola quella del Cardinale, ed
-attaccando sul muro quella del guerriero, la composizione si sfascia
-completamente: l'espressione cambia affatto, i lineamenti diventano
-deformi, e mentre l'una testa diventa grossolana, l'altra sembra
-insoffribilmente manierata.
-
-Per intendere questo sistema, d'alterare la forma a seconda della
-collocazione e della luce, basta rammentarsi l'aneddoto delle due
-cantorie di Donatello e di Luca della Robbia, di cui la prima parve
-brutta nella bottega dello scultore, ma bellissima messa al posto;
-mentre la seconda, che era piaciuta straordinariamente veduta da
-vicino, scomparve del tutto nell'altezza buia di Santa Maria del Fiore.
-
-Quest'abitudine di prendere delle licenze col modello, di alterare le
-proporzioni misurabili all'occhio, abitudine cominciata per ragioni
-quasi architettoniche, permise agli scultori del '400 d'imitare i
-pittori, cercando, come questi, la verità apparente, col sacrificio
-coraggioso della verità assoluta e concreta. Aprì alla scultura il
-campo vastissimo degli effetti relativi; l'incoraggiò a produrre, colla
-materia dura ed incolore, l'equivalente della varietà nel colore e nel
-tessuto.
-
-Ma per secondare questo nuovo indirizzo dell'arte, era necessario che
-gli artefici del '400 trattassero la parte tecnica in un modo diverso
-affatto da quello dei Greci.
-
-Gli antichi, a' quali abbondavano ottimi gettatori in bronzo,
-esercitati nel foggiare armi, utensili e arredi d'ogni genere,
-dovettero prendere l'abitudine di circoscrivere la loro personale
-operosità al modello in creta: giacchè questo non richiedeva, come
-nel Rinascimento, la sorveglianza costante dello scultore. E le liste
-lunghissime di statue, di cui molte costruite faticosamente d'avorio
-e d'oro, dànno a credere che gli scultori antichi non perdessero il
-tempo sbozzando i lavori in marmo, ma invece terminassero soltanto di
-propria mano le copie che dal modello in creta avevano tratto lavoranti
-espertissimi. Che ci fossero simili copiatori, lo sappiamo dall'uso di
-fare riproduzioni in marmo delle statue già fuse in bronzo, uso a cui
-dobbiamo la maggior parte delle statue antiche pervenute a noi.
-
-Le abitudini erano diversissime da queste nel medioevo italiano. È
-vero che il Vasari consiglia allo scultore di valersi di modelli grandi
-quanto le statue che si propone di fare. Ma il consiglio stesso, fatto
-per scansare i calcoli sbagliati, che spesso rovinano il marmo, fa
-vedere che prevaleva l'abitudine di sbozzare la pietra senza tener
-conto di questo pericolo; che anzi, se l'uso dei modelli grandi fosse
-stato universale, Agostino di Duccio non poteva avere _storpiato_,
-come dice il Vasari, il marmo da cui Michelangelo cavò più tardi il
-suo David. Ma questi modelli di cui parla il Vasari più distesamente
-nella vita di Jacopo della Quercia, erano fatti “di pezzi di legno
-e di piani confitti insieme, e fasciati poi di fieno e di stoppa, e
-con funi legato ogni cosa strettamente insieme, e sopra messo terra
-mescolata con cimatura di pannolano, pasta e colla„ onde potevano
-bensì servire a tenere “innanzi agli scultori l'esempio e le giuste
-misure„, ma era impossibile che servissero mai, come i modelli di gesso
-_puntati_ del giorno d'oggi, a francare l'artista dallo sbozzamento
-del marmo. Anzi, tutto ciò che scrive il Vasari dimostra chiaramente
-che il modello vero — quello cioè che veniva copiato non nelle sole
-misure — era piccolissimo e fatto in cera; e che l'abitudine di
-sbozzare le figure nel marmo, che a noi sembra cosa maravigliosa nel
-Buonarroti, era generale fra gli scultori del '400. È frequente il caso
-di uno scultore che intraprenda, coll'aiuto di un solo uomo, lavori di
-vastissima mole, porte, archi, mausolei. Nè pare che il Vasari stupisca
-quando Jacopo della Quercia si mette, solo solo, alla facciata di San
-Petronio; lavoro che gli costò dodici anni, in cui un Greco avrebbe
-fatto chi sa quanti bronzi magnifici ed un moderno chi sa quante
-meccaniche copie di un gesso. Infatti non rimane nulla d'inverosimile
-in questo sistema di lavorare il marmo interamente e direttamente da
-sè, quando si rifletta che tra gli scultori del Rinascimento una metà
-aveva esercitato la professione dell'orafo, e l'altra l'arte dello
-_scarpellino_ o _squadratore di pietre_; e a tali artefici doveva
-riuscire facile e naturale egualmente qualunque parte — sì rozza che
-finissima — dell'arte loro.
-
-Gli scultori del '400 avevano adunque dello scarpello una sicurissima
-pratica, quale non ebbero, nè sognarono pur d'averla, gli antichi.
-
-Nelle mani loro lo scarpello non era semplicemente un secondo stecco
-da modellare, riproducente nel marmo i delicati piani, le sottili
-concavità e convessità trovate prima nella creta.
-
-Per questi tagliapietre della collina fiesolana, per questi orafi di
-Ponte Vecchio, lo scarpello era l'emulo della matita o del pennello;
-e con esso, a seconda della direzione che gli si dava, potevansi così
-imprimere nelle forme vigorosi tratteggi, come lasciarle svanire in
-impercettibili sfumature. O, per meglio dire, lo scarpello era per essi
-un pennello tuffato nelle varie tinte del bianco e del nero, con cui,
-secondo che versava nel marmo le luci e le ombre, o variava a guisa di
-spennellate le ruvidezze e le spuliture e ogni altro modo d'intaglio,
-potevansi riprodurre nella pietra la sostanza delle carni, dei capelli
-e delle stoffe — le carni e i capelli biondi e lisci dei bambini —
-le carni vizze o ruvide dei vecchi — le stoffe di lana, di tela e di
-broccato.
-
-
-Nell'antichità greca lo scultore soleva prendere il bel modello —
-l'adolescente nel fiore dai quindici ai diciott'anni, dalle membra
-sviluppate armoniosamente nella palestra, all'aria aperta; e,
-correggendo colla esperienza giornaliera di simili bellezze tuttociò
-che v'era d'imperfetto nell'individuo, ne copiava quel tanto che la
-creta si prestava a riprodurne. Ne riproduceva le squisite proporzioni,
-la maestosa ampiezza delle masse, la delicata finitezza delle membra,
-l'armonioso gioco di muscoli, il sereno candore del volto e del
-gesto; ponendolo in atteggiamento tale da essere inteso e ammirato
-egualmente da lontano e da vicino, e dal maggior numero di punti di
-vista. E cotesta fedele copia nella creta di un originale perfettamente
-bello, veniva poi tradotta e trasmessa ai posteri dal fedele copiatore
-in marmo, dalla fedeltà inesorabile del bronzo, che riempie ogni
-minimissimo vuoto lasciato dalla creta. Essendo bellissimo in sè
-stesso, quest'uomo di bronzo o di marmo era necessariamente bello
-ovunque venisse posto e sotto qualunque rispetto venisse contemplato;
-sia che si mostrasse in iscorcio sul frontone di un tempio, o al
-livello dell'occhio, ombreggiato dagli aggruppati allori, o splendente
-al sole in mezzo alla piazza. La bellezza di esso viene apprezzata ed
-amata come s'apprezza e si ama la bellezza vivente di una creatura
-umana, poichè egli non è che la riproduzione più esatta che l'arte
-ci abbia mai data della bellissima realtà, posta in mezzo al suo
-vero ambiente e sotto la vera luce del cielo. E siccome prende nuovo
-aspetto la bella realtà umana secondo che si muovono il sole e le
-nuvole, secondo che le giriamo noi intorno, così cambia anche esso;
-ma così pure esso rimane sempre, nonostante tutti i cambiamenti, la
-personificazione della forza, della purezza, della inalterata serenità
-dell'adolescenza.
-
-
-Di cotale perfezione, nata dal più raro incontro di circostanze felici,
-la scultura del '400 non seppe mai nulla.
-
-Arte secondaria in tempi, che davano il primato alla pittura; serva, in
-gran parte, dell'architettura; turbata dalla vista di corpi cresciuti
-a caso, e spesso cresciuti male; turbata pure da ideali ascetici e da
-curiosità scientifiche, la scultura di Donatello e di Mino, di Jacopo
-della Quercia e di Benedetto da Majano, la scultura dello stesso
-Buonarroti fu una di quelle fioriture artistiche, che si nutrono
-degli elementi del terreno rifiutati dalla più fortunata e rigogliosa
-vegetazione, che l'aveva preceduta. La scultura del '400 riuscì da meno
-in tutte le cose in cui la scultura antica era riuscita; ma eseguì ciò
-che l'antichità aveva lasciato ineseguito. Ebbe pochissima intuizione
-della bella forma umana. Alternava fra la ignoranza del nudo e la
-insistenza pedantesca sull'anatomia, difetti spesso riuniti nella
-medesima opera. Paragonato all'antico, il David di Donatello, il San
-Giovannino di Benedetto da Majano, l'Adamo di Jacopo della Quercia sono
-addirittura goffi; e lo stesso Bacco di Michelangelo è un bel villano
-invece che un dio.
-
-Questa scultura ha di più una vera preferenza pei momenti meno belli
-della vita fisica: ama i brutti vecchi — spesse volte sfasciati dalla
-sensualità o rimbecilliti dall'ascetismo, — ed i ragazzi sproporzionati
-dalla crescenza. Coll'eccezione del San Giorgio di Donatello, il cui
-corpo però è nascosto sotto la pesante armatura, essa non ci presenta
-mai la squisita vigoria dell'adolescenza.
-
-Questi particolari si avvertono subito; e chi è avvezzo all'arte
-antica, si sente subito respingere da quest'arte medioevale.
-
-Ma osserviamo la scultura del '400 quando fa ciò che l'antichità non
-aveva neppur sognato: l'antichità che collocava le statue sui frontoni
-l'una accanto all'altra, ad equilibrarvisi come massa, ma non mai ad
-intrecciarvisi in veri disegni; l'antichità che fece del rilievo la
-ripetizione d'un lato solo della statua in tondo, l'ombra del gruppo
-del frontone; l'antichità che nei suoi bei tempi non conobbe nè il
-patetico della vecchiaia, nè la grottesca bellezza dell'infanzia, nè
-la graziosa goffaggine della prima adolescenza; l'antichità che non
-seppe distinguere la consistenza della pelle, la setosa morbidezza dei
-capelli, il colore dell'occhio.
-
-Passiamo ora a considerare alcuni lavori tipici del '400.
-
-
-Cominciamo dalle statue e dai busti di bambino. Ecco prima la
-creaturina i cui piedini escono da una specie di ghetta carnosa, le
-cui gambine, senz'ossi, appena sorreggono il ventre grassotto, la
-testolina non bene proporzionata. Notate che in questa testolina il
-cranio apparisce sempre relativamente morbido, della consistenza d'una
-mela, sotto le floscie matasse bionde. I fratellini maggiori sono
-tuttora assorti in vaga contemplazione del mondo e delle cose, cogli
-occhi largamente aperti, ma facilmente imbambolati. Quelli un po' più
-grandicelli, invece, hanno già scoperto che il mondo è fatto di gravità
-da scombussolare: i lineamenti del viso sono appena più sentiti, i
-capelli sono appena inanellati in vetta, ma gli occhi pare che siano
-usciti di sotto la tettoia della fronte, l'occhio e la fronte sono già
-nella vera proporzione: e poi nelle gote ci sono delle fossette venute,
-si direbbe, dal ridere, e che invitano ai pizzicotti. I ragazzi dai
-dodici ai quattordici anni, hanno sempre quelle braccia magrissime
-che contrastano deplorevolmente coi polpacci delle gambine ancora
-impotenti a sostenere il ventre piccolo, ma grasso, e che accenna agli
-abbondanti pasti dell'infanzia, continuati nell'adolescenza. Ma hanno,
-allo stesso tempo, la monelleria (gaminerie) gagliarda del David del
-Verrocchio, il quale dovette, insieme alla pietra, scagliare qualche
-canzonatura addosso a quella goffaggine di Golia; oppure hanno, come
-il San Giovannino del Louvre e quello di Benedetto da Maiano, una
-certa grazia sentimentale, quasi una civetteria delicata di bella
-signorina, che fa capire come fra poco smetteranno il baloccarsi per
-leggere la _Vita Nuova_, o le _Rime_ del Petrarca. Due San Giovanni,
-d'altra parte, hanno preso, cogli anni, un andamento diverso. Sono
-ambedue di Donatello. Quello più giovane, dalla prima, dubbiosa
-lanugine sul volto, è già scappato inorridito dalla _Vita Nuova_ e
-dal _Decamerone_, prima d'averne voltato una pagina. Estenuato dal
-digiuno, non ha di muscolare che le gambe, diventate di ferro a furia
-di scorrere i deserti. Del resto, anche nei deserti ha cominciato ad
-essere infastidito da voci e da visioni, non si sa se d'angeli o di
-diavoli; e cammina furiosamente, cogli occhi fissi sullo scritto, colla
-mente distaccata, a quanto pare, da ogni cosa terrestre; si direbbe
-che facilmente potesse impazzire, questo santo ventenne. Eccolo di
-nuovo, ritratto nel bronzo che è a Siena, quel San Giovanni, ma oramai
-maturo; ha la barba e i capelli incolti, è diventato quasi un selvaggio
-delle foreste, ma colla gravità e la fede in sè del predicatore di
-professione: è uscito dal deserto, ha domato ogni tentazione; il suo
-fanatismo è militante, direi quasi sistematico.
-
-Passiamo ad altro.
-
-Questo vecchio — lo Zuccone di Donatello — non può mai essere stato
-quel San Giovanni, ma facilmente sarà stato un suo devoto. È un vecchio
-che non è stato mai cospicuo per intelligenza; ed ora la testa, fatta
-a cupola, ha ripreso, colle floscie matasse bianche, che richiamano
-l'infanzia, quell'apparenza di poca sodezza che è propria del cranio
-infantile; la bocca poi è già tremula, cascante, forse per una prima
-paralisi; e gli occhi non fissano più; ma in questo deperimento fisico
-e intellettuale, il vecchio sembra essersi riempito di sempre maggior
-dolcezza morale: è un Giobbe riconciliato con Dio, perchè fatto
-indifferente a sè stesso, è il fiore umano sfasciato in terra, per
-essere poi riseminato in cielo.
-
-Coteste sculture, per quanto destinate ad un determinato posto, nicchia
-o mensola, sono sempre sculture libere, non legate all'architettura.
-Rivolgiamoci adesso alle sculture d'intenzione decorativa. Guardiamo
-prima l'Annunziata di Donatello che è a Santa Croce. La pietra bigia,
-vilissima, incapace di pigliare un contorno netto, è scolpita in larghe
-masse quasi grossolanamente, e per supplire le sottigliezze d'intaglio
-impossibili in quella materia, il fondo, i fregi, gli orli dei vestiti,
-le ali dell'angelo, sono ritoccati coll'oro: quella cosa ruvida finisce
-con essere squisita. Del resto, notate l'esterno contegno, l'assenza
-dell'estasi, della sorpresa, dell'espressione solita in quel soggetto:
-l'Angelo e la Madonna serbano il decoro, la serietà delle linee
-architettoniche, dei vicini pilastri. Passiamo a guardare la Cantoria
-di Donatello, rilievo bassissimo su fondo intarsiato; quei gruppi
-schiacciati di bambini danzanti formano, colle larghe ombre fra le
-braccia alzate sopra il capo, una specie di pergolato umano in bianco
-e nero. Questo lavoro è basato tutto sulle ombre; guardiamone uno in
-cui l'ombra entra appena: la Madonna coi Santi, di Mino, nel Duomo
-di Fiesole. Il rilievo è voltato in modo da guardare dalla cappella
-nel corpo della chiesa; ed in tal modo che la testa della Madonna,
-ricevendo la luce — come un segno di gloria — sulla purissima lucente
-fronte, proietta intorno a sè un nimbo d'ombra circolare. Rilievo
-maraviglioso, cotesto di Mino, per essere composto quasi esclusivamente
-di luci. Anzi, si direbbe non rilievo, ma mirabile visione di bianche
-rose del Paradiso, i cui acerbi bocci e le acute spine (nutriti
-dall'incenso e dal sangue dei martiri) sono diventati poi le sottili
-labbra, gli occhi lunghi e stretti, l'acerbo virgineo corpo e le dita
-affilate di Maria.
-
-Questi rilievi sono relativamente semplici. Guardiamo invece le
-complessità del pulpito di Santa Croce, dove il gruppo è involuto
-nel gruppo, per svanire nei porticati e nei filari d'alberi appena
-profilati dello sfondo. Guardiamo le magnifiche composizioni, a razzi,
-si direbbe, tessuti di luce e d'ombre, ed incorniciate da immortali
-ghirlande, delle porte del Ghiberti.
-
-Ma non è tutto. L'arte del Rinascimento, non si contentò d'aver messo
-in marmo l'uomo vero, fatto di carne e d'ossa, dal pelo biondo o scuro,
-dall'occhio chiaro o cupo; ma volle pure, prima di sparire dal mondo,
-scolpire nella pietra l'intangibile sogno. Parlo di quelle tombe le
-cui cime sono trono a fantasmi di guerrieri e i cui ripidi fianchi
-sono letto inquieto a divinità che sembrano emergere non dal marmo, ma
-dalla tenebra e da quella luce, come dice il profeta, che è simile alla
-tenebra.
-
-
-
-
-LEONARDO DA VINCI
-
-DI
-
-ENRICO PANZACCHI.
-
-
- _Signore e Signori!_
-
-Il pittore francese Paolo della Roche nella più insigne forse delle
-sue opere, il famoso _Emiciclo_ che è nell'Accademia di belle arti a
-Parigi, riprendendo e imitando liberamente il pensiero di Raffaello,
-nella _Scuola d'Atene_, ha inteso di rappresentare e disporre in certi
-gruppi gerarchici gli artisti principali del Rinascimento italiano ed
-europeo.
-
-A destra del riguardante attira lo sguardo un gruppo, forse il più
-riuscito di tutta la composizione. Sul davanti Michelangelo siede solo
-sopra un frammento di basso rilievo antico e guarda triste dinanzi
-a sè, voltando le spalle agli altri. Dietro di lui, elegante figura
-giovanile, si leva Raffaello d'Urbino, e lievemente del capo sovrasta
-a tutti gli altri. Ma guardando bene, si capisce che il protagonista
-vero di questo gruppo non è nè Raffaello nè Michelangelo. È invece
-un bellissimo uomo sontuosamente vestito, con una ricca barba, col
-gesto largo e con quell'obbliquo atteggiamento dei diti della mano
-sinistra, proprio del pittore che discorre analiticamente dell'arte
-sua. E quest'uomo ha l'aria d'insegnare a tutti, e tutti hanno l'aria
-di ascoltarlo con rispetto. Non è il dottore ascetico e austero del
-medio-evo; è piuttosto, all'aspetto, uno di quei tipi di gentiluomini
-culti e compiti che Baldassare Castiglione metteva nei dotti e piacenti
-colloqui alla corte del duca e della duchessa d'Urbino. E tutti, vi
-ripeto, lo ascoltano. Lo ascolta attentamente frate Bartolomeo della
-Porta ritto vicino a lui e guardandolo col volto serio e sereno; lo
-ascolta più lungi Hans Holbein col profilo teutonico e la chioma
-arruffata; lo ascolta con gli occhi intenti Alberto Durer nel suo
-sfarzoso abbigliamento signorile. Anche il Domenichino più d'ogni altro
-premuroso si accosta a lui per non perdere parola. Con l'orecchio è
-attentamente inclinato verso il maestro; ma nell'inquietudine del suo
-eclettismo bolognese si vede che egli erra cogli occhi tra Michelangelo
-e Raffaello.
-
-Quest'uomo sedente o docente, tutti hanno ben ragione di ascoltarlo
-perchè egli è Leonardo da Vinci, grandissimo fra i grandi, l'uomo più
-portentoso del Rinascimento italiano, che di portenti ebbe così grande
-ricchezza.
-
-Ed io, o signore, dovrò parlarvi di quest'uomo? C'è proprio da sentirsi
-tremare le vene e i polsi! Tanto più, ve lo confesso, perchè anche
-dopo le copiose pubblicazioni e illustrazioni che si sono fatte
-dei manoscritti di Leonardo da Vinci in Inghilterra, in Francia, in
-Alemagna e in Italia; anche dopo le belle fatiche di tanti eruditi
-stranieri e nostrani, tra i quali non bisogna scordare Gustavo Uzielli
-e il vostro Milanesi, un libro sopra Leonardo da Vinci ci sarebbe
-da arrischiarsi a scriverlo: e non sarebbe forse per me un atto di
-disperata audacia. Ma parlare di lui nel breve tempo d'una conferenza,
-ma costringere, ma pigiare entro questo breve circolo tanti elementi
-così disparati, è cosa che io credo impossibile, o che, a ogni modo
-supera di troppo le forze di cui posso disporre. Però, o signore,
-io faccio appello colla più viva instanza alla benevolenza vostra, a
-quella benevolenza che altre volte esperimentai e di cui serbo sempre
-così vivo il ricordo e la gratitudine.
-
-Ascoltatemi dunque attente e scusatemi se, per la terribilità e
-vastità del soggetto, invece di narrare io dovrò procedere per brevi
-accenni, invece di dimostrare, il più delle volte, dovrò contentarmi
-di affermare; insomma se invece di rendervi intera e rilevata
-questa colossale e complessa figura, io sarò costretto a darvene una
-pallidissima immagine, simile ad ombra di gigante fuggente sul muro in
-una giornata scarsa di sole.
-
-
-I.
-
-Egli era l'uomo dei doni. Difficilmente, percorrendo la storia della
-umanità, ci potremmo imbattere in un uomo che lo valga. Humboldt
-avrebbe detto di lui ch'egli era un figlio prediletto della natura.
-Se fosse vero ciò che narra la leggenda, che le fate vanno alla culla
-degli uomini predestinati a grandi cose, egli è certo che alla culla
-di questo bastardo di Ser Piero da Vinci accorsero tutte le fate e
-vi buttarono dentro tutti i loro doni, e nessuna rimase a casa per
-dispetto o per dimenticanza.
-
-Cominciamo dai doni fisici. Bellissimo della persona, d'una bellezza
-temperata di grazia e di maestà; e forte come pochi del suo tempo.
-Con un movimento del pollice storceva un ferro di cavallo; nella
-danza, nella lotta, nel nuoto vinceva i campioni più rinomati del suo
-tempo. Le qualità del suo ingegno darebbero luogo ad una amplissima
-descrizione; ma sopratutto sorprende quella interezza organica che è
-tutta propria di lui. Egli non ammette soluzione di continuità nello
-svolgimento del suo ingegno; e la sua mente vi dà l'idea di una grande
-tastiera d'organo ove i suoni vanno dai più profondi ai più acuti senza
-il più piccolo salto di tono, senza la più piccola disarmonia. Egli non
-si contenta mai; vuole approfondire, sviscerare, esaurire tutti gli
-argomenti. Nella meccanica, per esempio, egli va colla medesima cura
-dal girarrosto ad elica (che pare egli abbia inventato) fino al più
-complicato congegno di idraulica, fino ai più ingegnosi strumenti di
-guerra, che egli offre per la vittoria ai principi ed alle repubbliche
-italiane. Come artista egli è lo stesso. Per lui nell'arte non esiste
-parvità di materia; tutta quanta la gamma artistica egli la vuol
-toccare, e la tocca e la tratta colla medesima scrupolosità, colla
-medesima maestria elevandosi di grado in grado alle più meravigliose
-eccellenze. Leonardo mette ugual cura nel rendere col suo pennello la
-appannatura dell'acqua in una caraffa ed il volto radioso e sorridente
-d'una Vergine; mette egual delicatezza e minuziosità nel rappresentare
-le damascature e l'ordito della tovaglia gettata sulla tavola del
-Cenacolo come a esprimere la soavità accorata dell'apostolo Giovanni,
-come a significare la divinità attristata e sofferente del Redentore
-del mondo. In tutto è sempre eguale a sè stesso e rivela un equilibrio
-stupendo; il quale equilibrio voi cerchereste forse invano in alcun
-altro dei suoi contemporanei, così completo e così scrupolosamente
-mantenuto. Colossi sorgono intorno a lui; ma, se li guardate, questi
-colossi hanno tutti qualche cosa che turba, molto o poco, la loro
-stupenda economia spirituale e lascia luogo a desiderare.
-
-Onde, più lo si osserva, più si capisce il fascino che doveva
-esercitare Leonardo da Vinci sopra i suoi coetanei. Alle sue grandi
-qualità della mente e dell'estro aggiungete certe particolarità
-nell'essere e nella vita, che realmente dovevano colpire e quasi
-impaurire. Aveva del bizzarro, del misterioso, dello strano. Se
-vergava una lettera la vergava da destra a sinistra, alla maniera degli
-Orientali. Viveva fantastico, ghiribizzoso; mille cose intraprendeva e
-poi tralasciava, andando continuamente in traccia di nuovi aspetti di
-verità, di nuove e insolite forme di bellezza. Racconta il suo biografo
-che si rinchiudeva volentieri in una stanza dove non lasciava entrare
-alcun uomo; e in quella stanza egli accumulava insetti, farfalle,
-ramarri, animali morti d'ogni specie, e là spendeva lunghe ore
-meditando, sperimentando, osservando, fantasticando a sua posta. C'era
-in lui qualche cosa come del negromante, del Gilberto, del Raimondo
-Lullo, del Faust; un Faust però, lasciatemi dire, più sereno, più
-equilibrato di quello tedesco; sopratutto un Faust onesto e benefico,
-che studiava la vita e scrutava la natura e cercava di indovinarne le
-leggi, ma non ad appagamento dei suoi egoismi crudeli e superbi, sì
-per scoprire utili veri, per cogliere i fiori più eletti della verità
-e della bellezza e gettarli, a consolazione e ad ornamento, sui passi
-degli uomini.
-
-E a proposito di Faust, vien subito fatto di indicare un altro lato
-singolare e argomento di molta curiosità nella vita di Leonardo da
-Vinci. Questo Faust trovò egli la sua Elena o la sua Margherita nella
-vita mortale?... Fra i tanti punti oscuri della vita di Leonardo,
-questo è rimasto oscurissimo. In tanti volumi di manoscritti ch'egli ha
-lasciato non ricorre il nome di una donna. Quest'uomo che aveva tutto
-per essere amato, che, secondo la bella frase del Vasari, colla voce
-soave “tirava a sè gli animi delle genti„, che professava così vivo il
-culto della bellezza, e quindi doveva essere così inclinato a sentirne
-il fascino, quest'uomo non ha una donna nella sua vita. Tutto ciò
-naturalmente è spiaciuto ai romanzieri e ai poeti, ai quali è parso che
-questa grande figura mancasse di qualche cosa senza un romanzo o almeno
-un idillio d'amore. Alcuni quindi, guardando il sorriso così vivo,
-così suggestivo e quasi invitante della Lisa del Giocondo, hanno voluto
-fantasticarci su e fabbricare un romanzetto al quale io non credo; non
-perchè io lo reputi genericamente inverosimile, ma perchè in storia
-non bisogna affermare se non ciò che è sorretto da qualche maniera
-di argomenti. Noto anzi un particolare. Il Vasari racconta che per
-togliere al bellissimo volto di monna Lisa quella fissità e tristezza
-che hanno quasi sempre i ritratti pel disagio e la noia che invade
-l'originale nel posare, Leonardo faceva venire intorno alla bella
-donna dei sonatori e dei buffoni che la mantenevano sempre graziosa ed
-allegra.... Oh! se Leonardo e monna Lisa si fossero intesi d'amore, voi
-ben vedete, che sarebbe bastato il bello e spiritoso pittore a tenere
-allegra la sua modella; e non avrebbero pensato ad altra compagnia!
-
-Di quanti hanno cercato di definire la figura di Leonardo da Vinci il
-più vicino al vero mi pare sia stato Gino Capponi, nel primo volume
-della Storia di Firenze, ove dice che “in Leonardo vennero a far capo
-le due correnti per le quali s'era condotta l'Italia, da un lato nelle
-arti e dall'altro nelle scienze.... Con ciò parmi molto fedelmente
-resa la grande singolarità della figura di Leonardo da Vinci e il suo
-posto nella storia ideale del nostro Rinascimento. Noi possiamo avere
-nel medesimo individuo delle attitudini artistiche e delle facoltà
-scientifiche; può darsi benissimo che tanto le prime quanto le seconde
-procedano di pari passo in un armonico sviluppo. Ma in Leonardo da
-Vinci abbiamo qualche cosa di più: abbiamo la compenetrazione di questo
-doppio ordine di qualità. Non è che lo scienziato vada per la sua via
-e per la sua via vada l'artista; la via dello scienziato e quella
-dell'artista non formano che una medesima grande strada regia, che
-porta verso delle altitudini sconosciute.
-
-Sono meravigliose le scoperte, le antiveggenze di questo genio che non
-ristava mai dall'osservare nel volume della natura. Guglielmo Libri
-nella sua storia delle matematiche quando arriva a Leonardo, a questo
-scultore, a questo pittore, a questo sonatore di cetra, è costretto
-a fermarsi a lungo e dedicargli quasi un intero capitolo. E le
-benemerenze di Leonardo verso le matematiche non sono che una parte dei
-titoli che ha verso la scienza universale. Egli è dei primi, il primo
-forse, che scuote completamente l'_apriorismo_ della scolastica e che
-non accetta la concezione del mondo già fatta, già costituita secondo
-la sentenza degli antichi. — Che importa a me, egli scrive, se non cito
-gli antichi e se non seguo le loro massime? Io cito la Natura e segno
-la Natura che è la maestra di quei maestri. — E di tali massime, che
-esprimono il libero procedimento del suo ingegno nell'osservare, i suoi
-manoscritti sono pieni. Torna sempre sopra questo concetto: ammira gli
-antichi, li venera, ma dice che se essi valsero in qualche cosa, se
-essi scoprirono invidiosi veri, fu perchè essi osservarono la Natura.
-Dunque egli vuol risalire a questa grande maestra, a questo universale
-esemplare, e da esso direttamente, non di seconda mano, attingere la
-verità.
-
-
-II.
-
-Per questo non è di nulla esagerato il dire che Leonardo da Vinci è il
-primo a cui completamente si addice il titolo di “uomo nuovo„ secondo
-il concetto di Giordano Bruno. Egli anticipa sopra tutte le scienze
-e gli scienziati che vennero dopo. Nella metodologia viene prima di
-Bacone da Verulamio quasi di cento anni. Quello che v'ho detto circa
-il metodo suo d'osservazione è, in sostanza, il “nuovo organo„ che
-di poi con tanta pompa di novità il Cancelliere inglese proclamerà al
-mondo. Nella idraulica anticipa il Castelli; nella geologia Pomponio
-Leto; nell'ottica egli precede La Porta, prevenendolo nella scoperta
-nientemeno che della camera oscura; nella caduta dei gravi anticipa
-di molti teoremi il lavoro di Galileo Galilei; nella intuizione dei
-tratti della fisonomia come manifestazione delle interne facoltà
-dell'animo, egli spiana la strada al La Porta e al Lavater. Un'altra
-anticipazione importantissima ci dà Leonardo. In un passo molto
-caratteristico egli dice: “Lascio stare i libri sacri, incoronati
-di suprema verità„; e procede oltre liberamente nelle indagini della
-natura, tralasciando ogni preoccupazione dogmatica e teologale. Anche
-in questo delicato argomento, lo spirito di Leonardo precedette di
-molti anni il Pomponazzo, il Cremonino e lo stesso Galileo Galilei,
-che con tanto studio e tanta arte, nella sua famosa lettera _Alla
-granduchessa madre_, si adoperò a dimostrare che il procedimento
-teologico e il procedimento scientifico devono andare avanti di pari
-passo senza intralciarsi l'uno coll'altro, e senza che i dogmi rivelati
-gravitassero con troppo frequenti intromissioni nel lavoro e nelle
-conclusioni dello scienziato.
-
-Se non che, per quanto mi ha dettato lo studio amoroso dei manoscritti
-leonardeschi ora in molta parte editi, io penso che, mentre lo
-scienziato pare alle volte che dietro a sè ci nasconda l'artista,
-l'artista invece tiene sempre il campo. È sempre l'Arte la regina della
-mente di Leonardo. Basta leggere alcune delle pagine del Trattato in
-cui celebra le lodi della sua prediletta fra le arti, la pittura, per
-capire da che sovrano entusiasmo estetico fosse riscaldato e mosso
-l'animo suo. Per cui tante volte, mentre direste alla prima che la
-indagine scientifica prepari in Leonardo il lavoro dell'arte; la verità
-vera è invece il contrario: vale a dire che il lavoro della scienza non
-è altro che un prolungamento, per dir così, della ricerca artistica.
-E con questa gran differenza che, mentre gli altri artisti suoi
-contemporanei si fermavano alla parvenza della cose e quella cercavano
-di ritrarre secondo le regole dell'arte, Leonardo, spinto da un fervore
-d'animo tutto suo particolare, andava anche al di là della parvenza
-artistica, e voleva trovare e trovava in fatto la ragion d'essere di
-questa in una più alta regione speculativa.
-
-Così quand'egli studia la prospettiva lineare ecco che egli a poco
-a poco si incammina e s'ingolfa nel mondo della geometria: quando
-studia la prospettiva aerea ecco che l'ottica gli apre i suoi grandi
-orizzonti, e lì spigola e raccoglie verità nuove e spesso mirabili.
-Medesimamente la pittura del corpo umano lo traeva ad investigare
-tutto il magistero della nostra struttura corporea; ed ecco che si
-associa a Marcantonio della Torre e dà al mondo i primi saggi completi
-e veramente scientifici di anatomia grafica. Lo stesso gli avviene, o
-signore, in tutti mai i rami dello scibile. Egli è condotto sulla via
-delle scienze dalla mano dell'arte. Nel libro VI del _Trattato della
-pittura_ egli parla delle piante. Pittoricamente parlando, uno si
-sarebbe fermato alla apparenza di queste piante e ad indicare il modo
-con cui il pittore deve fedelmente ritrarle giusta i varii stati in cui
-ce le dimostra ai nostri occhi la natura, sia ch'esse siano sguarnite
-di foglie nell'inverno o abbiano il primo tenero verde nell'aprile o
-le foglie diffuse nella pienezza della buona stagione; sia che vengano
-o battute dalla pioggia o scrollate dal vento o illuminate dal sole
-e via discorrendo. Invece Leonardo da Vinci vi dà tutto questo per
-il pittore; ma il suo spirito non può fermarsi qui. Egli procede più
-oltre investigando e speculando: “La natura ha messo le foglie degli
-ultimi rami di molte piante in modo che sempre la sesta foglia sia
-sopra la primiera, e così segue successivamente, se la regola non
-fu impedita.„ Qui, come vedete, abbiamo qualche cosa di più che una
-semplice osservazione bastante per gli occhi del pittore. E non è cosa
-di piccolo momento, o signore, ma una vera e propria legge botanica
-(la _fillotassi_) che farà poi la gloria del naturalista Brown. Sempre
-rimanendo dentro l'ambito della pittura ed andando oltre, Leonardo
-scrive: “Le parti meridionali della pianta mostrano maggior vigore e
-gioventù che le settentrionali. Li circoli degli rami segati mostrano
-il numero degli suoi anni, e mostrano l'aspetto del modo con cui
-erano volti, poichè più grossi sono a settentrione che a mezzodì.
-Così il centro dell'albero per tal causa è più vicino alla scorza sua
-meridionale che alla sua scorza settentrionale.„ Nelle quali parole è
-pure anticipata una dimostrazione che farà, dopo un secolo, Marcello
-Malpighi, meritamente salutato dall'universale come l'inventore ed il
-fondatore della anatomia botanica.
-
-Questi esempi, o signore (e tanti altri che potrei citarvi),
-riconfermano quello che io vi accennava, cioè che, a guardare bene
-nella mirabile struttura dell'ingegno di Leonardo da Vinci e in tutti
-gli atteggiamenti della sua attività, noi vediamo ch'egli si diffonde
-mirabilmente nel campo dello scibile, ch'egli corre dietro a tutte
-le forme del vero, ma che la sua stella polare è sempre l'Arte, e
-che all'Arte egli vuole che convergano gli elementi della sua cultura
-meravigliosa. Se tale la sua propedeutica artistica, voi avete un primo
-dato per argomentare subito quale e quanta debba essere stata l'arte di
-Leonardo da Vinci.
-
-Egli venne in tempi in cui, massime in Italia, la pittura si avvicinava
-alla sua più alta fioritura, anzi alla sua radiosa maturità. Antonello
-da Messina aveva già divulgato fra noi il processo della pittura ad
-olio per il quale delle più smaglianti grazie ed una maggiore evidenza
-acquistavano i colori; a Firenze nel tempo di Leonardo dipingevano
-artisti come Sandro Botticelli; nella Umbria tenevano il campo
-Pinturicchio e il Perugino, preparando Raffaello; a Bologna Francesco
-Raibolini detto il Francia di grande orafo si mutava in grande
-pittore; Ferrara aveva avuto il Tura e il Cossa e il Costa. Di là dal
-Po, Mantegna, svincolatosi dalle dotte pedanterie dello Squarcione,
-popolava di meraviglie Padova, Verona e Mantova e associandosi e
-accostandosi al Giambellino, fondeva la robusta evidenza del suo
-disegno con le grazie del colorito veneziano. Volgeva dunque un momento
-di grande ricchezza e di grande splendore per l'arte. Egli, Leonardo,
-doveva coronare e glorificare tutto questo movimento.
-
-E gli si aprivano due vie. Il suolo d'Italia restituiva, come per
-grazioso miracolo, alcuni dei più bei documenti dell'arte antica: le
-menti ne rimanevano stupite e irresistibilmente attratte ad imitarli.
-Leonardo da Vinci, quest'alunno della natura, tutto il tesoro delle
-osservazioni fatte nel campo della vita portava nel campo dell'arte,
-e voleva un'arte essenzialmente naturale, che dalla natura prendesse
-tutto il suo vigore e tutte le sue grazie. È molto notevole, o signore,
-questo atteggiamento preso di Leonardo nella grande contesa fra il
-naturale e l'antico, che allora appunto stava per raggiungere il
-suo momento critico e decisivo. Leonardo portò tutto il peso del suo
-sapere, tutta la potenza delle sue attitudini artistiche, tutta la sua
-autorità immensa in favore del movimento naturalista, ampiamente inteso
-e nobilmente significato.
-
-Osservate in fatti che egli non accetta i “moduli„ che si cominciano
-ad insinuare nelle pratiche dell'arte, e coi quali si tendeva già a
-sostituire qualche tipo fisso ed inalterabile al lavoro personale e
-continuamente vario, al movimento fluido, infaticabile della natura,
-l'eterno e inesauribile esemplare. Guardate il Cangiasio, il Durer,
-Leon Battista Alberti escogitano misure e proporzioni determinate al
-corpo umano; fra Bartolomeo della Porta tira fuori dalla sua mente, o
-piglia dalla Germania, il _manichino_. Leonardo scarta tutto ciò. Egli
-guarda con diffidenza tutto quello che tende a sostituire nell'arte
-degli schemi già finiti e per così dire cristallizzati all'incessante
-mutualità che deve passare fra l'animo dell'artista e la natura. Egli
-primo fra i moderni, comincia già a tracciarvi la storia dell'arte in
-un modo che ci fa davvero stupire e che dà ragione della sua maniera di
-sentirne l'essenza. Ascoltiamolo: “Le arti giacquero in Italia perchè
-fu negletto ogni studio di imitare la natura, finchè venne Giotto
-fiorentino, il quale nato in monti solamente abitati da capre e simili
-bestie, cominciò a segnar su per li sassi gli atti di simili capre,
-delle quali era guidatore; e così cominciò a fare tutti gli altri
-animali, che nel paese trovava. In tal modo che questi dopo molto di
-studio avanzò, nonchè i maestri dell'età sua, tutti quelli di molti
-secoli passati.„ Ecco il giusto criterio naturalista sostituito ad ogni
-altro criterio! Il tipo dell'artista per Leonardo infatti è Giotto,
-l'uomo semplice, quasi primitivo, che non guarda, come Nicola Pisano,
-il sarcofago antico, ma le cose naturali e vive che stanno dintorno
-a lui e ingenuamente le ritrae. E prosegue a dire: “Dopo, gli uomini
-imitarono Giotto, e l'arti decaddero.„ L'imitazione sostituita allo
-studio diretto della natura, quindi perniciosa all'arte. “Finalmente
-sorse Tommaso fiorentino cognominato Masaccio, il quale mostrò con
-opere perfette come quelli che pigliano per autore altri che la natura,
-maestra de' maestri, si affaticano invano.„
-
-
-III.
-
-Dal naturalismo così altamente inteso doveva sgorgare un'arte
-individuale, eminentemente soggettiva, un'arte che non procede da
-formule fatte, ma le desume da quel travaglio incessante che l'occhio
-e la mente dell'artista non ristanno mai dal proseguire. Perciò con
-gli aspetti della natura, l'anima dell'artista entra e si rispecchia
-nell'opera d'arte. Il Vinci esprimeva questo concetto fondamentale nel
-_Trattato della Pittura_ in un modo che non lascia luogo al più piccolo
-dubbio. Per lui non solamente l'artista deve ispirarsi al proprio
-estro, deve conformarsi alle attitudini naturali che egli ha, ma va
-più oltre. Egli crede che dentro al cervello di ogni artista ci sia
-“un giudizio proprio„, una specie di facoltà determinata, che la natura
-mette a disposizione di ogni singolo artista perchè egli ritragga, in
-una certa guisa particolare, il mondo esteriore. “Questo tal giudizio è
-di tanta potenza, dice Leonardo, ch'egli muove le braccia al pittore e
-fagli replicare sè medesimo, parendo a essa anima che quello sia il suo
-modo di figurare l'uomo; e chi non fa come lei faccia errore.„ A questa
-individualità poi corrisponde (e ne è come la più luminosa riprova) una
-specie di _unicità_ nei singoli oggetti generati dall'arte. Niente si
-assomiglia in arte; questo è il concetto di Leonardo. Ammira le belle
-e armoniche forme delle statue antiche, dà anch'egli qualche precetto,
-qualche suggerimento per generalizzare le proporzioni del corpo umano,
-e andate discorrendo. Ma finisce sempre con l'insistere sulla massima
-che _bisogna proporzionare ogni oggetto particolare con sè medesimo_.
-Non è mai il modello rinnovato degli antichi il quale stabiliva che un
-corpo umano è alto tante teste e largo tante altre. No, Leonardo invece
-vi dice: studiate ogni singolo corpo umano, e rilevate e trasferite
-nella pittura vostra quella data proporzionalità che rappresenti il
-carattere di quel dato corpo, come voi lo vedete, e non di altro.
-
-Questa la gran differenza che è tra Leonardo da Vinci e Leon Battista
-Alberti, ed Alberto Durer e Rubens, e tutti gli altri creatori di
-moduli, fino agli ultimi tedeschi, che hanno voluto rinnovare questa
-specie di meccanismo geometrico applicato alla pittura. “La bellezza
-dei visi„ dice Leonardo “mai si trova essere replicata in natura, di
-modo che se tutte le bellezze, tutte le eccellenzie tornassero vive,
-esse sarebbero maggior numero di popolo che quello che al nostro secolo
-si trova. E siccome in esso secolo nessuno precisamente si somiglia, il
-medesimo interverrebbe alle dette bellezze e per questo, sommo difetto
-è dei pittori replicare gli medesimi moti, e gli medesimi volti e
-maniere di panno in una medesima istoria, e via discorrendo.„ Tutto,
-insomma, ciò che il pittore rappresenta, secondo Leonardo, dee avere
-un certo carattere di istantaneità, vale a dire vuole che sia ispirato
-dentro di lui da un particolare stato dell'animo, fuori di lui da una
-particolare visione che balzi ai suoi occhi, che impressioni i suoi
-sensi e che per via della mano si trasferisca nella forma elaborata.
-“Sempre il pittore deve cercare la prontitudine nell'atto naturale
-fatto dagli uomini all'improvviso e nato da potente affezione dei
-suoi affetti; e di quelli far breve ricordo nei suoi libretti e poi,
-a suo proposito, adoperarli. _Finalmente la mente del pittore si deve
-del continuo trasmutare in tanti discorsi quante sono le figure degli
-oggetti notabili che dinanzi gli appariscono e di quelle fermare il
-passo e notarle, considerando il luogo e le circostanze, il lume e le
-ombre._„
-
-È impossibile, o signore, esprimere in termini più esatti gli
-intendimenti tecnici ed estetici della pittura di sostanza e di
-ambiente, quale oggi potrebbe vagheggiarla ed esercitarla ogni più
-progressivo animo d'artista!
-
-Da queste premesse ideali passiamo alle conseguenze pratiche. La
-pittura di Leonardo è una meravigliosa testimonianza della singolarità
-del suo modo di intendere l'arte. Aggiungo qui di passaggio, che egli,
-pure essendo così scrupoloso e sincero osservatore della natura, non
-s'acconciò mai ad essere, come Piero di Cosimo e altri del suo tempo,
-a guisa del letto di un fiume che accoglie indifferentemente tutte
-le acque, siano esse torbide o chiare. No. Questo naturalista aveva
-l'istinto della bellezza e procedeva per elettissime selezioni, e tutti
-i suoi tipi danno, per così dire, ragione veduta della sua scelta.
-Le figure di Leonardo, per una grande significazione di carattere,
-appaiono tutte segnate del segnacolo d'una razza distinta. Forse era
-la studiosa e perseverante scelta del pittore, forse era l'animo suo
-che infondeva a quelle teste qualche cosa di singolare, che ci innamora
-e ci esalta, sia ch'egli ci rappresenti la deviazione del tipo umano
-nelle deformità sue; sia che ci allegri e turbi insieme con quei
-sorrisi ineffabili di donna che non somigliano a nessun altro sorriso,
-eppure sono tanto femminili; sia che ci impensierisca e ci commuova
-colla espressione mistica di certe teste, ove il sentimento del divino
-è reso come in nessuna altra pittura, prima e dopo, fu reso mai.
-
-E qui dovendo esemplificare mi trovo di fronte a un fatto singolare
-e ben triste, o signore. Questo nostro Leonardo, del quale tanto
-parliamo, è un artista in gran parte inedito. Peggio ancora, egli è
-un artista soppresso dall'opera del tempo. Quanta distruzione ha fatto
-il tempo sulle opere sue! Un po' per colpa di lui che il Vasari chiama
-_instabile e vario_, che cominciava mille cose e poi le tralasciava a
-metà, attratto sempre da quella sua eroica inquietudine di conoscere
-e fare del nuovo; un poco perchè anche gli accidenti della natura e
-della storia hanno cospirato a suo danno, fatto sta che di Leonardo
-quasi tutto è scomparso. Intanto dello scultore niente possiamo dire
-_de visu_. Delle tante opere in plastica di Leonardo, che pur gli
-diedero, lui vivente, tanta fama che per molti contemporanei suoi egli
-era massimamente celebre come scultore, che resta a noi? Nulla! Il
-gran colosso di Francesco Sforza, con cui s'era gratificato l'animo di
-Lodovico il Moro, fu ben finito (non però fuso in bronzo) e inaugurato
-a Milano nella piazza del Vecchio Castello. Ma sopraggiungevano
-i Francesi di Luigi XII vincitore e invadevano Milano. Entrati i
-balestrieri guasconi in quel castello e visto là grandeggiare in forma
-di apoteosi il capo della dinastia ch'erano venuti a distruggere,
-naturalmente furono tratti dalla voglia di balestrarlo; e lo
-balestrarono, ahimè! tanto bene che il colosso andò in pezzi e non
-n'è più rimasto che qualche vago e dubbio ricordo in alcuni segni
-dell'autore, e in alcune miniature del tempo.
-
-E anche della pittura di Leonardo da Vinci poco, ben poco rimane di
-conservato e di indubbiamente autentico; onde ebbe a dire un critico
-tedesco che non avrebbe coraggio di giurare che un palmo solo di
-pittura leonardesca sia arrivato fino a noi veramente intatta.
-
-Rimane fortunatamente un'opera sulla quale, quanto ad autenticità
-originaria, non può cadere dubbio, benchè sia ridotta anch'essa in
-così misero stato che fa veramente pietà. Voglio dire il Cenacolo,
-che Leonardo dipinse nel refettorio di Santa Maria delle Grazie.
-Anche così malconcio, anche in quel suo stato quasi pauroso di larva
-in cui ora lo vediamo, esso ferma i nostri occhi, conquide il nostro
-animo, ci costringe a chinare la fronte. Pensate! Esso è la riprova
-ancora vivente, la riprova sintetica, eloquentissima della verità
-ed efficacia di tutte le dottrine che intorno all'arte Leonardo era
-andato predicando e praticando. Pensate ancora quanti artisti si sono
-cimentati in questo dramma intimo e sacro, la cena ultima di Gesù
-Cristo coi suoi discepoli!... I più dei pittori scelsero quel momento
-in cui Cristo offre ai suoi discepoli e all'umanità tutto sè stesso
-nel pane e nel vino. Leonardo preferì invece di cogliere un momento
-meno mistico ma più naturale; e talmente naturale che noi, senza
-mancare di riverenza ad alcuno, possiamo anche considerare quella sua
-rappresentazione come una scena puramente umana. Si tratta in sostanza
-d'un maestro che ha raccolto intorno a sè i suoi discepoli più fidi,
-mentre ingrossano i tempi e la persecuzione minaccia al di fuori....
-Arrivato a un certo punto della cena, a un tratto egli dice: _uno di
-voi mi tradisce_. Questa frase, gettata là in mezzo ad animi semplici
-e devoti, produce come uno scoppio di dramma istantaneo.
-
-Non sono più le immobili figure dei vecchi Cenacoli, colle loro
-aureole intorno al capo, che assistono misticamente alla mistica
-consacrazione. Qui abbiamo invece uomini che si sentono feriti nel
-profondo dell'animo dall'angoscia di sapere che c'è in mezzo ad essi
-un loro compagno che tradirà l'uomo che vollero seguire a ogni costo,
-che amano sopra ogni cosa. Non basta: tutti sentono il turbamento e
-l'irritazione di potersi sapere sospettati di una tanta iniquità. Se
-guardate a quelle dodici figure d'apostoli, ognuna vi rende questo
-dramma interiore con una varietà ammirabile. Il volto di Cristo ha una
-specie di calma costernata. Le sue labbra sono ancora semiaperte, e
-si capisce che le tristi parole ne sono uscite allora allora; le mani
-fanno un movimento di tristezza; la calma non è turbata in quel volto
-divino; ma una lieve increspatura della fronte ci lascia comprendere
-che la parte umana in lui palpita e si addolora. Tutti gli apostoli
-alla prima hanno avuto certamente un movimento eccentrico; poi quasi
-tutte le figure si protendono in avanti verso il maestro. Che varia
-e potente significazione psicologica in quelle figure e in quei
-volti! Guardate tutte quelle mani. Ognuna (dando ragione ad un famoso
-capitolo del Montaigne) ha un significato, un pensiero, un fremito
-di vita personale. Guardate tutti quei piedi. Visti vagamente sotto
-la tovaglia, così irrequieti e mossi in vario senso, vi completano
-l'idea della agitazione espressa dalla parte superiore di quelle
-dodici figure. Nel mezzo, solo i piedi di Cristo si mostrano queti e
-composti....
-
-Giovanni nella semplicità amorosa dell'animo suo pare che dica: —
-Ma questo non è possibile! Di una mostruosità tale niuno di noi può
-essere capace! — San Pietro allarga violentemente le braccia come
-porta l'indole sua. È l'uomo che poi tirerà fuori il coltello e
-taglierà l'orecchio a Malco. Par di sentirlo gridare: — Fuori il nome
-del traditore! Noi vogliamo saperlo ed esser puri d'ogni sospetto.
-— Il penultimo degli apostoli, a destra di chi guarda l'affresco,
-ha un lieve torcimento degli occhi e della bocca e, parlando piano
-al vicino, fa un accenno.... Si capisce che ha un vago sospetto di
-Giuda.... Giuda, che incarna la bruttezza del tradimento, si volta
-repentinamente, come per udire le parole dell'apostolo che parla dietro
-di lui. Si indovina l'uomo che vorrebbe dissimulare, prendendo un
-contegno disinvolto; ma intanto con un movimento inconscio del gomito
-versa la saliera. Il sale si sparge sulla tovaglia e con questo segno
-sinistro di mal augurio, pare che il triste dramma venga lugubremente
-suggellato.
-
-
-IV.
-
-Su questa grande parete, Leonardo da Vinci inaugurò la _pittura nuova_
-perchè infuse nell'arte la pienezza della vita, rivendicando insieme
-ad essa la più completa libertà. Lo sentirono i contemporanei; e il
-_Cenacolo_ fu l'opera che diede più gloria all'artista.
-
-Ma, parlando in genere, se egli ebbe vivendo fama grandissima, possiamo
-noi anche affermare che riscosse favori corrispondenti al suo merito?
-Non credo. Chi studia attento la vita di Leonardo, vede un intimo
-dissidio fra l'arte sua e lo spirito che ormai domina ne' tempi suoi.
-Nel grande e risolutivo andazzo che andava a prendere, l'arte italiana,
-la quale era salita su per tutti i gradi della preparazione e della
-elaborazione, ormai voleva slanciarsi. Tutti quegli artisti, già così
-forti nella tecnica e così pieni di fantasia, non volevano più stare
-alle mosse e cercavano novità. Leonardo invece si mantiene fedele
-all'ideale artistico della sua epoca gloriosa.
-
-Un senso d'inquietudine trae ogni giorno più gli artisti ad un'arte
-frettolosa, sommaria e decorativa. Anche la Chiesa, presentendo la
-grande bufera che si approssima, domanda che l'arte si trasformi,
-che si spinga ad un fare più largo e magniloquente, come per mettere
-fra sè e i tempi nuovi un antemurale di bellezza spettacolosa che
-seduca e fermi la fantasia dei popoli. Aggiungete infine che, per la
-perdita della indipendenza e delle libertà locali, per l'abbassamento
-della moralità, per l'invasione, l'amalgama e il bastardume delle
-costumanze straniere, la vita italiana languiva e precipitava; e
-l'arte, la nostra grande arte, unica energia ormai rimasta in piedi,
-era costretta a colmare, ma in fretta, tutti questi vuoti, tutte
-queste voragini; e le vecchie forme pareva che più non bastassero.
-Ma Leonardo volle resistere a tutte queste correnti, e star fermo
-all'arte sua coscienziosa, equilibrata e casta, che era in sostanza
-l'arte del Botticelli e degli altri migliori di quel secolo, inalzata
-a una maggiore potenza. Egli volle essere, e fu in fatti, l'ultimo dei
-quattrocentisti e il più grande di tutti. Ma pagò cara questa gloria.
-Egli fu uno sconfitto, ed uscì dall'arringo come un vinto. Nella
-sua vita ebbe molti onori, ebbe amplissime lodi; ma però guardate: i
-periodi della sua vita finiscono sempre in un modo sinistro. Nel suo
-primo periodo Lorenzo il Magnifico, che è così largo di protezione a
-tutti, a Leonardo mostra, non dirò il malo animo e quasi l'odio, come
-colla sua alfierana fantasia ha supposto il Ranalli nella sua preziosa
-storia delle belle arti; ma, insomma, Lorenzo il Magnifico non tiene
-molto conto di Leonardo, e quando il Moro da Milano glielo chiede (se
-è vero che glielo chiedesse) Lorenzo lo concede volentieri, perchè tra
-le altre cose l'indole strana, fiera di Leonardo non era probabilmente
-fatta per gratificarsi l'animo di un principe che, per quanto liberale
-si fosse, amava però di vedere ricambiata la magnificenza del suo
-mecenatismo con molta sottomissione e sopra tutto con l'essere
-richiesto di consiglio. Voi sapete che Lorenzo amava d'andare sopra i
-lavori degli artisti e proverbiarli e correggerli. Diceva per esempio
-al giovane Michelangiolo: “Cava un dente a quel vecchio satiro„,
-e Michelangiolo lo cavava docile. Chi sa se Leonardo avrebbe avuto
-così pronta arrendevolezza?... Io molto ne dubito; e penso che per
-questo egli non potè mai entrare appieno nelle grazie del Magnifico.
-Il suo secondo periodo è il più brillante. Alla corte del Moro egli è
-riconosciuto, carezzato, festeggiato; ma in sostanza l'utile fruttuoso
-pare che fosse scarso, se dobbiamo rilevarlo da un frammento di lettera
-in cui dice, in sostanza, al Moro: — Con tutti questi onori, con tutte
-queste commissioni io non cavo da vivere, non mi sono avanzato nemmeno
-quindici lire. — E il frammento chiude con una frase tristissima:
-“Io non voglio mutare la mia arte.„ Quanta differenza, o signore, tra
-questa umile e sconsolata lettera e la lettera piena d'onesta baldanza
-con cui Leonardo si faceva precedere nella sua andata a Milano! Allora
-egli diceva al duca: — Io so fare questo e questo; tutto ciò che gli
-altri fanno io lo faccio, e, sia chi voglia, meglio di loro. Mettetemi
-alla prova! — Anche questo periodo adunque, principiato bene, si chiude
-con una sconfitta. Leonardo dopo va errando prima agli stipendi del
-Valentino, poi a Firenze col Soderini. Si cimenta con Michelangiolo ed
-è molto onorato, perchè in questa gara di due giganti, nessuno ha il
-coraggio di decidere quale sia il perdente e quale il vincitore. Ma
-poi, allor che si viene alla esecuzione del cartone celebratissimo,
-nascono subito dei guai e delle contese; e noi vediamo il Soderini
-che comincia a non lodarsi più di Leonardo, e Leonardo che comincia a
-trattar male il Soderini. Insomma, anche quando è fortunato, Leonardo
-non consegue mai quella specie di alto dominio che esercitarono altri
-artisti, certamente grandi, ma forse non più grandi di lui, come
-Michelangiolo, come Raffaello; artisti davanti ai quali i principi e
-i papi stavano trepidanti, e mandavano delle legazioni per risolvere
-questioni sorte fra loro, e non avevano pace finchè non li vedevano
-attratti di nuovo nell'orbita del loro principato.
-
-Tantochè Leonardo da Vinci negli ultimi anni è costretto ad espatriare;
-e, bisogna confessarlo, trovò sorte più lieta e più benigno mecenatismo
-in Francia che in Italia. Questo mi pare che risulti evidentemente
-dalla sua vita. Come già era stato liberalmente protetto da Luigi
-XII, fu liberalmente ospitato ed onorato, secondo i meriti suoi, da
-Francesco I, questo re che non fu certo un modello di buon costume,
-ma che col suo spirito cavalleresco seppe tanto bene farsi perdonare i
-difetti; e che noi dobbiamo ricordare con gratitudine. Fatto è che per
-invito suo Leonardo da Vinci col suo caro alunno Francesco Melzi, col
-suo fedele Salai va in Francia. Oltre una pensione di 700 scudi d'oro,
-il Re gli alloga il castello a Cloux presso Amboise; e là può il grande
-italiano spendere finalmente i suoi ultimi anni di vita nella perfetta
-quiete dell'animo e darsi intero e libero alle occupazioni predilette
-del suo spirito.
-
-In Francia Leonardo da Vinci finisce i suoi giorni e li finisce
-pacifico e riconciliato con tutti. Se lo avevano accusato di poca
-reverenza verso gli antichi, egli aveva già ordinato al Platina di
-fargli un epitaffio in cui dice: “Io studiai gli antichi ma non potei
-però raggiungere la loro divina simmetria. Feci quello che potei. O
-posterità, siimi indulgente! _Veniam da mihi, posteritas._„ E muore
-riconciliato colla Chiesa, con la quale, a detta del Vasari, non fu
-sempre in troppo buoni termini; e nel suo testamento raccomanda l'anima
-sua a Dio, alla Vergine e a non so quanti altri santi del Calendario.
-Muore riconciliato colla famiglia verso la quale aveva avuto delle liti
-non piccole per causa di eredità, lasciando ai suoi fratelli 400 scudi
-che teneva sopra un banco fiorentino.
-
-È cosa singolare, o signore! Finalmente nel suo testamento noi
-incontriamo un nome di donna. Ma che i romanzieri e i poeti non
-si esaltino. Non si tratta della Giulia Gallerani nè della Cecilia
-Crivelli, nè della Lisa del Giocondo, nè della bella Ferroniera; si
-tratta di una certa Maturina, a cui lascia un po' di denaro e un po'
-di roba in cambio dei buoni servigi ch'essa gli aveva reso. È dunque
-il caso d'una povera serva, per giunta forse vecchia e brutta. Ecco
-l'unico episodio femminile, se così si può chiamare, di quest'uomo
-che aveva versato nelle sue tele tutte le più squisite e poetiche
-suggestioni dell'amore. E a me non dispiace. In fondo quella povera
-vecchia avrà dato all'artista, tanto combattuto e tanto travagliato,
-gioie e servizi umili ma preziosi, che i potenti coi loro favori,
-spesso in mal punto dati e sgarbatamente tolti, non gli avevano
-procurato mai. Lo avrà scaldato negli inverni rigidi di Cloux, gli
-avrà preparato il desinare, lo avrà curato, confortato, e colle sue
-goffaggini e facezie di vecchia serva, qualche volta forse anche
-rallegrato nelle ore più tristi della infermità e del tedio. E allorchè
-il vecchio pittore sarà morto, non Francesco primo re di Francia
-e Navarra, come dice la favola, ma lei, lei, questa povera vecchia
-avrà chiusi quegli occhi che avevano veduto tante meraviglie.... Che
-importa? Essa glieli avrà chiusi con quel senso di schietta pietà che
-quaggiù inalza tutti ad un modo, perchè è l'unico attributo, o signore,
-divinamente dato alla nostra umanità.
-
-
-
-
-L'ARTE VENEZIANA DEL RINASCIMENTO
-
-DI
-
-POMPEO MOLMENTI.
-
-
-Correva l'anno 1495 (perdonate, o Signori, se incomincio come usava
-nei vecchi romanzi storici di mezzo secolo fa), correva l'anno 1495 e
-Filippo de Commines, ambasciatore di Carlo VIII, entrando a Venezia,
-esclamava ammaliato: — la più trionfante città che io abbia mai veduta!
-— E, in vero, dall'aprirsi del secolo quintodecimo fino quasi alla fine
-del XVI, la vita di Venezia sembra un trionfo. Prorompono affetti ed
-entusiasmi, e tutto vive in un contrasto che pare aumenti l'energia. In
-questo tempo appunto, fra la metà circa del quattrocento e lo scorcio
-del cinquecento, nasce, cresce, matura, declina l'arte veneziana. È una
-vita breve, rapida, piena di agitazioni e di esultanze. La pittura, fra
-le lagune, sboccia a un tratto quasi senza lavoro di preparazione. Nel
-secolo XIV, allora che Giotto compiva le sue divine opere, in Assisi e
-in Padova, e fino quasi alla metà del secolo seguente, i tentativi di
-alcuni timidi pittori veneziani non possono chiamarsi col nome d'arte.
-
-Ma, circa l'anno 1422, la Repubblica, volendo dipingere una sala del
-Palazzo Ducale, chiamava Vettor Pisanello di Verona, eminente artefice,
-e Gentile da Fabriano, la mano del quale, al dire di Michelangelo, non
-facile lodatore, era gentile come il nome. Durante la loro dimora fra
-le lagune essi segnarono un avanzamento nell'arte, ed esercitarono una
-azione efficace sulle opere dei primi artefici veneziani, specie del
-Vivarini.
-
-Dopo aver dipinto, in Palazzo Ducale, la battaglia navale presso
-Pirano, tra l'armata veneta e quella del Barbarossa, Gentile da
-Fabriano partiva per Roma, accompagnato da un giovane pittore
-veneziano, Jacopo Bellini. Della vita di Jacopo poco o nulla si sa; il
-Vasari si limita a dire, che, ritornato in patria, egli era nella sua
-professione il maggiore e più reputato.
-
-Del resto, di quasi tutti quegli artefici, che espressero il sentire
-profondo della giovane arte veneziana, ci è sconosciuta la vita. Prima
-della gran luce di Tiziano, quei casti ingegni non viveano se non per
-l'arte, dimenticando ogni cosa, non d'altro desiderosi che di farsi
-dimenticare.
-
-Il nome di Jacopo Bellini è menzionato più per essere stato padre di
-Gentile e Giovanni che per le opere sue. A torto, perchè egli veramente
-segna l'alba di quella pittura, che sbocciò subito dopo, tutta fiori,
-odori e colori. A rendere in breve tempo splendida e rigogliosa
-quest'arte, contribuirono l'ordinamento politico, la postura della
-città e l'indole degli abitanti.
-
-L'onnipotenza dello Stato teneva unite e dirigeva le forze della
-nazione, e ora le spingeva a creare la libertà e ad arricchire la
-patria, ora, distraendole dalla politica, le rivolgeva a trasformar la
-città in tempio dell'arte.
-
-E intorno a quest'arte ricorreva, come nimbo glorioso, la natura
-circostante, con tutto il fascino di una bellezza incomparabile. Qui
-pare abbia più incanti la luce del sole, più dolcezze melanconiche
-il tramonto. I vapori dell'aria tolgono ogni rigidezza di contorni
-alle cose e le immergono come in un'onda eterea; i mille strani
-sbattimenti delle acque, i miraggi di madreperla degli orizzonti
-lontani, i dorsi di sabbia che s'alzano dalla laguna e rifulgono di
-tinte dorate, s'intrecciano in un'armonia stupenda, dove, senza eccesso
-e senza volgarità, l'azzurro e l'arancio si uniscono, e il violaceo si
-congiunge al giallo, e lo smeraldo al giacinto, e il diaspro
-
- par che si mischi in flessuosi amori
- con l'ametista.
-
-Chi nasce in quest'aura ed abbia il senso dell'arte è naturale
-debba comprendere tutte le ricchezze e le gioie del colore. Venezia
-è veramente la reggia del colore. E per questo appunto nell'arte
-veneziana incontriamo pochi nomi di statuari eminenti, e anche questi
-architetti e decoratori, come i Delle Masegne, il Buono, il Rizzo,
-i Lombardo, il Vittorio, i quali tutti seppero trarre dalle due arti
-ornamenti svariati e leggiadri. Gli architetti violavano ogni regola,
-sfuggivano la simmetria, e raggiungevano l'armonia, trasportavano,
-negli edifizi delle lagune, la poesia fastosa dell'Oriente, emulando
-con le seste il pennello. E infatti le pietre, con le loro armonie di
-colore, servivano di tavolozza e sulle facciate dei palazzi brillavano
-il porfido, il serpentino, il verde antico, la breccia, il broccatello.
-Ecco forse perchè qui, più che altrove, tardò a comparire, sulle tavole
-e sulle tele, la pittura, che avea agio di manifestarsi nell'accordo
-dei marmi variopinti. Anche si dipingevano i prospetti. Quando il
-Procuratore Contarini ordinò a Giovanni Buono la facciata della casa,
-chiamata d'Oro, non già per aver appartenuto alla famiglia patrizia
-Doro, ma per le dorature di cui era adorna, fu fatto il contratto il 30
-aprile 1430. Compiuta la facciata, che, nonostante le offese del tempo,
-ride ancora di una immortale bellezza, fu chiamato mastro Giovanni di
-Francia, per ornarla _de pentura_. Come dovea allora apparire quel
-gioiello della veneta architettura! Maestro Giovanni s'impegnava di
-dorar le rose, gli stemmi, i leoni, gli archetti, il fogliame dei
-capitelli e i dentelli, dipingere _le tresse dazuro oltremarin fin ben
-dopiado per muodo che i la stia benissimo_. Le merlature doveano essere
-dipinte con biacca e venate a guisa di marmo; le fascie bizantine a
-tralci di vite, tinte di bianco su fondo nero, e tutte le pietre rosse
-e tutte _le dentade rosse sia onte de oio e de vernixe con color che le
-para rosse_.
-
-Passando pel Canal Grande, e ammirando la Cà d'Oro e i palazzi dipinti
-dai migliori maestri dell'arte, poteva bene Filippo de Commynes
-esclamare: — C'est la plus belle rue que je croy qui soit en tout le
-monde. —
-
-Dodici anni più tardi, sul Fondaco dei Tedeschi, dipingeano a fresco
-Tiziano e Giorgione. A Giorgione furono dati 150 ducati dell'opera
-sua, in cui ebbe a cooperatore, per gli ornamenti, il Morto da Feltre,
-il quale, secondo una leggenda, abbellita dal verso, rapì l'amante al
-maestro ed amico, che ne morì di dolore. Ma il Vasari attribuisce la
-morte di Giorgione a un male più prosaico.
-
-Quanta forza e quanta efficacia ha sull'indole umana la qualità del
-luogo dove si nasce! E come le persone e le vesti dei veneziani si
-accordavano, in quei tempi, con la vita festante, coll'architettura
-fantastica, colle trasparenze opaline dell'aria, coi riflessi delle
-acque! Una vecchia cronaca dice che, nel 1433, a Venezia, più di
-seicento donne andavano fuori di casa _vestite di seta, oro, joje,
-che è una maestà vederle_. Le belle veneziane ci appaiono vestite di
-broccato d'oro, di velluto ricamato d'argento, di tela a fiorami dai
-più vaghi colori, col breve busto fregiato di gioielli e le spalle
-ignude, adorne di perle, di gemme, di diamanti, di monili, di oggetti
-d'oro e d'argento. Una Contarini, sposa a Jacopo Foscari, l'infelice
-figlio del Doge, avea nel corredo, tra molte vesti di seta, un abito
-di broccato d'oro con maniche piccole: un altro in campo d'oro ricinto
-di cremisi con maniche aperte, foderate di vaj, con la coda di un
-braccio e mezzo; un terzo di panno in campo d'oro e paonazzo foderato
-d'ermellini: un quarto con maniche cadenti a terra, dette arlotte,
-d'ormesino broccato, e via via. La donna veneziana non rivive nelle
-pagine degli storici e dei poeti, ma palpita ancora nelle tele degli
-artefici come a traverso una gaia fantasmagoria di colori. La ricerca
-e la femminile brama di tutto ciò che splende e brilla erano portate
-qualche volta all'eccesso. Non bastarono alla donna le vesti a tinte
-audaci, ma si voleano ravvivar col belletto i pallidi colori delle
-guancie. E perfino, perdonate all'osservatore del passato questo strano
-particolare, perfino si colorivano le mammelle, che le vesti oltremodo
-scollacciate non lasciavano ignorar allo sguardo. Un poeta popolare del
-cinquecento scrive:
-
- Fazzandose le tete rosse e bianche
- E descoverte per galantaria.
-
-E i capelli si tingevano in biondo, il colore, che, sui bei capi
-femminili, stacca come un'aureola dorata sul fondo dei canali oscuri,
-delle viuzze buie, dei bruni palazzi. Cento ricette, una più curiosa
-dell'altra, esistono per dare la tinta e la lucentezza dell'oro alla
-chioma. Vedete bizzarrie delle mode, che hanno i loro ritorni, come le
-civiltà di Vico! Per rasciugare i capelli tinti, le donne si esponevano
-al sole sopra i tetti delle case, in una specie di loggia scoperta,
-chiamata _altana_, e là sedevano vestite di tela leggera con in testa
-un cerchio di paglia finissima a foggia di tesa di cappello, detto
-_solana_.
-
-Ricche e variopinte anche le vesti degli uomini. I patrizi, secondo
-i vari uffici e le solennità, andavan vestiti di raso, di velluto,
-di zendado cremesino, di broccato d'oro. Nell'inverno, gli abiti, con
-ricami di cordoni d'oro e d'argento, si foderavano con finissime pelli
-di gran prezzo. Elegantissimo il costume dei Compagni della Calza,
-brigate di gentiluomini uniti nell'intento di dare feste, tornei,
-spettacoli d'ogni maniera. Si chiamavano della Calza, perchè portavano
-sugli stretti calzoni un'impresa a colori. I giubberelli attillati
-di velluto, di seta, ricamati d'oro e stretti da un cingolo, avevano
-le maniche tagliate per lo lungo e riunite da nastri, che lasciavano
-scappar fuori gli sbuffi della camicia. Le calze strette a striscie
-colorate longitudinali, le scarpe forate in punta, su le spalle un
-mantello di panno d'oro, di damasco o di velluto cremesino, con un
-cappuccio sulla cui fodera era ricamata l'impresa della Compagnia.
-Di sotto a un berretto nero o rosso, ornato in punta da un gioiello e
-pendente sull'orecchio, scappava la chioma, allacciata da una fettuccia
-di seta.
-
-Nelle feste religiose e civili, nelle incoronazioni dei dogi e
-delle dogaresse, nei ricevimenti di re e di principi, nel commemorar
-vittorie, nelle nozze, perfino nei funerali, sempre e dovunque il
-trionfo del colore, un poema di magnificenze.
-
-Nei palazzi, i ricevimenti, i banchetti, gl'inviti, i festini
-doveano sembrare mirabili fantasmagorie. La luce dei doppieri faceva
-scintillare le pareti ricoperte d'oro, d'arazzi, di specchi di Murano,
-i velluti e le sete d'ogni colore, le splendide gemme. La magnificenza
-patrizia scendeva dai palazzi alle vie, dove la città s'agitava felice,
-gioiosa di contemplarsi ed ammirarsi. Sulla piazza e sulle strade
-passavano le gentildonne colle vesti più magnifiche del mondo; i
-patrizi nelle loro splendide toghe come, osserva un viaggiatore tedesco
-del quattrocento, se fossero tanti vescovi; i levantini dalle fogge
-variopinte e bizzarre.
-
-Un altro viaggiatore, il milanese Casola, che, nel 1494, fu presente
-alla processione del _Corpus Domini_, sulla piazza di San Marco, non
-trova parole per descrivere i gentiluomini vestiti di aurei drappi e
-di velluti, la ricchezza degli addobbi, la profusione dei fiori, la
-quantità dei ceri, la varietà dei colori. Gl'ingressi dei Procuratori,
-dei Patriarchi, dei Cancellieri Grandi, ecc., parevano trionfi. E
-trionfi si chiamarono le incoronazioni dei Dogi e delle Dogaresse —
-affascinanti splendori di tinte.
-
-Meglio conveniva la pompa al decoro dello Stato, quando si doveano
-ricevere re, principi, ambasciatori.
-
-Cito così come mi vengono alla memoria le dorate visioni.
-
-Nel 1521, il principe di San Severino era festeggiato in casa del
-patrizio Veniero dai Compagni della Calza. L'atrio, le stanze, il
-portico del palazzo tappezzati di quadri e d'arazzi: un prezioso panno
-d'oro era steso nel luogo dove il principe sedeva. Sovra una credenza
-erano esposte argenterie pel valore di 5000 ducati. Furono invitate
-quante fra le più belle patrizie erano allora in Venezia, tutte in
-abito d'oro listato in seta. Il principe, bello, grazioso e _facile
-ad innamorarsi_, osserva il Sanudo, ballò fino ad ora tarda. Poi le
-musiche e i buffoni, abbigliati nelle più strane fogge, annunciarono
-l'ora della cena suntuosissima.
-
-Nel banchetto per le nozze del principe di Mantova (1581), dopo la
-rappresentazione di una commedia, fu aperta una bellissima sala, dove
-sotto un baldacchino sedettero i principi, i duchi e i cardinali. Cento
-gentildonne, riccamente abbigliate, erano assise intorno a una mensa,
-risplendente di vetri di Murano.
-
-L'entrata di Enrico III fu celebrata da storici, da poeti e da pittori.
-Riccamente fantastici furono, in tale occasione, gli spettacoli:
-gite, baldorie, banchetti, luminarie, regate. I giovani patrizi, al
-servizio del monarca, erano vestiti con zimarre di seta, e di seta
-ranciata la guardia di onore di sessanta alabardieri, armati di azze.
-Il re, accompagnato dal doge, fu condotto, fra salve di artiglieria,
-a Venezia, sopra una galera di quattrocento rematori, seguita da
-grandissimo numero di galee, di brigantini, di fuste, di barche, di
-gondole, messe ad arazzi e panni d'oro, e velluti, e specchi ed armi.
-Il figlio di Caterina de' Medici fu alloggiato nel palazzo Foscari,
-addobbato con arazzi, panni azzurri contesti d'oro, rasi e velluti,
-sparsi di gigli. Poi si succedettero, come in un sogno fantastico,
-altre feste, tornei, processioni, trionfi, conviti, cerimonie.
-
-E tutto intorno, cornice meravigliosa, le acque della laguna, e
-Venezia, mobile, varia, come donna non d'altro curante che di piacere
-e che non domanda se non l'omaggio reso alla bellezza. Perchè la
-bellezza a Venezia andava a poco a poco sostituendo l'antica energia,
-come la pompa andava prendendo il luogo della prosperità materiale, e
-il fasto chiudeva i germi della decadenza. In fatti, verso la fine del
-secolo XV, il movimento commerciale di Venezia s'arrestò un poco, e la
-scoperta dell'America e il passaggio del Capo di Buona Speranza fecero
-prendere altra via al traffico, in modo che al mercato di Rialto, come
-nota un diarista contemporaneo, il Priuli, giungevano molte galere
-_vode senza collo di spetie, che mai più da alcuno non era stato
-visto_. Ma Venezia non se ne accorgeva, e su quelle tristi minacce di
-prossimo decadimento, gettava spensieratamente come un manto d'oro di
-pompe, di feste, di arte. Di arte specialmente, degli allettamenti il
-supremo.
-
-Cresce l'artefice nella esuberanza della vita veneziana, e in quel
-meraviglioso movimento l'ingegno si espande, si afforza, si accende.
-
-La pittura, dopo il vigoroso impulso dato da Jacopo Bellini e dai
-Vivarini, apre il suo libro d'oro a nomi d'artefici immortali. Fra i
-primi: i due figliuoli di Jacopo Bellini, Giovanni e Gentile, Vettor
-Carpaccio e Cima da Conegliano. Le glorie di quella federazione di
-mercanti, di marinai, di operai, hanno come la consecrazione nell'arte,
-fresca della prima vita. Non più le rigide forme artistiche venute
-da Bisanzio, ma il moto e il calore, l'impronta del tempo e del
-luogo, l'eco dei trionfi guerreschi, delle incoronazioni di dogi,
-dell'arsenale fragoroso d'opere. La grandezza politica e guerresca di
-Venezia è recente e l'arte ne raccoglie l'immagine con vivacità. Ma
-la vivacità e la gioia sono come velate da un intimo senso di soave
-dolcezza, che accresce le attrattive. È un soffio dell'arte ingenua
-e pura del trecento. A noi qui importa poco saper se gli artefici
-trecentisti fossero più o meno religiosi o virtuosi di quelli che li
-seguirono, nè a noi preme indagare se le figure stecchite dei santi
-esprimano fervide preghiere, prelibamenti di beatitudini celesti, ma
-quelle opere primitive, offese da sante ignoranze, hanno i fascini,
-che inspira sempre l'infanzia. Hanno un'attrattiva particolare quelle
-ingenuità, che ci fanno rivedere i pittori dipingere _col pennello
-sottile acuto di setole liquide e sottili, che entravano su per un
-bocciuolo di penna d'oca_, come insegnava il buon Cennino Cennini
-di Colle di Val d'Elsa. E poi i secoli ammorbidiscono i contorni
-delle cose, li fanno vedere come a traverso una leggera nebbia di
-poesia. Il tempo fa acquistare a ciò che trova quel colore d'antichità
-veneranda, che i pittori chiamano pattina, e gli Attici negli scritti
-chiamavano πῖνον. Così il corso dei secoli ha involto in un'aura di
-misteriosa religiosità certe vecchie cattedrali gotiche, bianche e
-gaie, simili ad immensi oggetti d'orificeria, al tempo della loro
-gioventù, e che ora parlano colla melanconia delle memorie, coi marmi
-tinti sapientemente dal tempo, colla austera maestà delle rovine. Per
-tal modo, l'arte del quattrocento, non essendosi potuta impadronire
-di tutti i mezzi tecnici, conserva ancora la soave imperizia del
-trecento. La timidezza in arte è sinonimo di sincerità. E quegli
-artefici sono timidi e sinceri: qualche volta poveri di bellezza
-esteriore, ma ricchi di sentimento. Nella purezza immacolata delle
-vergini, nella serenità cogitabonda dei santi, nella gioia calma degli
-angeli, in ogni espressione sempre vaga e melanconica, essi, gl'ingenui
-quattrocentisti, si proponevano, forse inconsapevolmente, dei problemi,
-che affaticano gli uomini del nostro tempo e non ancora hanno trovato
-una soluzione. Ecco perchè noi sentiamo fiorirci nell'animo come un
-vivo desiderio di quell'arte tenue e semplice, ecco perchè noi, meglio
-che i nostri padri, comprendiamo quei solitari ricercatori, che furono
-travolti nello strepito allegro dell'arte che li seguì.
-
-E certamente ai due Bellini, al Carpaccio, al Cima dovè sembrare un
-libertinaggio pittorico la nuova maniera di Tiziano. Così Venezia,
-dinanzi alle bellezze femminili di Tiziano e di Paolo, dimenticò la
-maniera di Gian Bellino e degli altri pittori di quel tempo, maniera
-che il Vasari chiama secca, cruda, stentata. Ma la critica moderna,
-più imparziale e più larga, studia con amore quella maniera _secca_ e
-_cruda_ dei primitivi maestri veneziani, i quali risentirono l'influsso
-della scuola toscana e l'azione del casto genio nordico. Quel non so
-che esuberante e festivo dell'indole veneziana, fu come tenuto in
-freno dalla purezza dei Toscani e dalla temperanza dei maestri del
-settentrione.
-
-A poco a poco questa sincerità e questa ingenuità dell'arte vanno
-dileguandosi. Le idee, il gusto si trasformano, i costumi si
-addolciscono sempre più.
-
-Nell'arte il fiore s'è svolto in frutto. Non più impedimenti tecnici
-— _la mano ubbidisce a tutto ciò che vuole l'intelletto_, per dirla
-con Michelangelo. Alla morbidezza, alla grazia, all'eleganza succedono
-l'allegrezza, la giocondità, l'esultanza. Dagli altari le vergini dolci
-cominciano a sorridere mondanamente, e sulle labbra, un dì socchiuse
-alla preghiera, freme come il desiderio di un bacio. Sulle tele, nei
-marmi il culto della forma; alla pittura sobria, delicata, succedono le
-luminose malìe della tavolozza, il fulgore impareggiabile delle tinte,
-lo splendore che accarezza e ammalia l'occhio, ma non penetra fino
-all'animo.
-
-Sono arti grandi tutte e due, ma una ti parla al senso, l'altra
-all'animo, l'una t'innamora della forma, l'altra ti investiga lo
-spirito.
-
-Giorgio Barbarella, detto il Giorgione, stacca, per dirla con un
-critico straniero, la pittura dell'ancoraggio del Medio Evo per
-slanciarla sulle onde del Rinascimento, di quel Rinascimento che
-la critica dell'avvenire, sgombra dai pregiudizi di cattedra e di
-accademia, mostrerà quanto di originalità abbia tolto all'arte e
-alla letteratura italiana. Egli esce dall'antica timidezza e lascia
-spaziare il genio a sua voglia, moderando però gli arbitrii della
-fantasia con severe cognizioni. Ei modella, tra mille blandimenti, i
-corpi femminili, cui infonde una specie di tôno aureo diffuso, e le
-carni del color dell'ambra, staccano, fra armoniose trasparenze, sul
-fondo del paesaggio dipinto con un senso della natura, tutto moderno. I
-declivi corrono ricchi di messi alla pianura, velata da vapori lievi;
-nulla d'arido nel suolo, nulla di triste nel cielo. Egli tramuta in
-realtà l'ideale della madre di Dio, ma sulla fronte delle sue madonne,
-mondanamente formose, sfuma ancora l'ombra di una santa dolcezza.
-Giorgione segna il punto di transazione fra la leggenda cristiana
-e i miti dell'antichità. Prima di Giorgione prevale il sentimento
-cristiano, congiunto allo studio della natura, dopo di lui predomina
-l'imitazione dell'antico. I quattrocentisti s'erano assimilato lo
-spirito classico, pur rimanendo cristiani nel fondo dell'anima; i
-cinquecentisti non mirarono se non a dar forme nuove ai miti pagani: il
-passato ringiovanisce in nuovi spiriti.
-
-Tiziano, Paolo Veronese e il Tintoretto, compiono il veneto
-rinascimento. Tiziano è grande come un genio, splendido come un re. Non
-mai la pittura fu come in lui forte e ricca. Ma bandite le sottigliezze
-del pensiero e del sentimento, le intime emozioni, in lui non vibra
-se non l'appassionato amore della bellezza. Tutto ciò che si move nel
-cuore, tutto ciò che si agita nella mente, come un problema doloroso,
-non lo arresta, pago di rappresentare la vita del senso, dominatrice di
-quella dell'anima.
-
-Egli ha la tranquillità della forza; spirito che non si ascolta e non
-s'interroga, e accetta la vita com'è, senza indagarne i misteri. I
-suoi ritratti meravigliosi, riproducono in modo inarrivabile l'indole
-del modello, non già perchè l'artefice studiasse il pensiero che
-passava sulla fronte o lampeggiava nell'occhio, ma perchè il pittore
-riproduceva, con una abilità non raggiunta più mai, ogni accidente del
-reale, senza cercare più in là.
-
-I biografi del Tiziano narrano che l'imperatore Carlo V, in uno dei
-suoi giorni di suprema tristezza, volle consultare Tiziano per la
-composizione di un dipinto, nel quale fossero rappresentate e la lotta
-religiosa di quel tempo e il suo stesso desiderio di riposo. Alla sua
-richiesta, il maestro rispose, proponendo di rappresentare la radiante
-corte del cielo, presieduta dalle tre persone della Trinità, con tutto
-il seguito di patriarchi, profeti, evangelisti, e la Vergine Maria
-in atto d'intercedere presso il figlio, inginocchiata fra le nubi ed
-attorniata da angeli, per i peccati della reale famiglia. Ma il quadro
-non fu mai eseguito, e il pittore tradì la sua libera natura solo con
-la parola.
-
-E, nel regno della passione e del sentimento, neppure il Veronese
-esercita alcun impero. Egli è il lirico della pompa lussuriosa,
-l'interprete della bellezza irriflessiva, il glorificatore del colore e
-della luce, il mago di un'arte che esprimeva la ricchezza, la gloria,
-la potenza: la ricchezza con tutte le sue magnificenze e tutte le
-sue pompe, la potenza con tutte le sue energie e i suoi ardimenti, la
-gloria con tutte le sue effervescenze e i suoi entusiasmi. Sulle sue
-tele i colori ardono, divampano, guizzano, sfavillano, abbagliando il
-riguardante,
-
- sì come il sol che si cela egli stesso
- per troppa luce....
-
-Solo a traverso la fantasia del Tintoretto passa qualche concetto
-profondamente triste, ma anch'egli è poi attratto dalle fulve bellezze
-veneziane, anche per lui il pensiero, il sentimento, la commozione si
-trasformano in una grazia plastica, in una eleganza materiale. E dietro
-a Paolo, a Tiziano, al Tintoretto, altri artefici giocondi: i Palma,
-Lorenzo Lotto, Bonifazio, Paris Bordone, lo Schiavone, il Pordenone, il
-Bassano e molti ancora, che creano una folla di figure ridenti, fra le
-gaiezze del cinquecento.
-
-Nella donna essi non comprendevano che la venustà corporea. Un intenso
-profumo di sanità e di piacere spira dalle rosee carni femminili. Nè
-meno affascinanti le bellissime donne imprigionate le membra opulenti
-dai vestiti d'oro e di broccato.
-
-Paolo Veronese ha dipinto nel Palazzo Ducale il trionfo di Venezia,
-coronata dalla Gloria, celebrata dalla Fama, circondata dalla Virtù,
-da Cerere e da Giunone, ammirata da donne ignude e discinte. Ebbene,
-o Signori, quando io guardo quella fiorente bellezza, che rappresenta
-Venezia, il pensiero corre pei sentieri fioriti di quel secolo, e
-rievoca (non vi paia irriverente il raffronto) rievoca la immagine di
-Veronica Franco, l'Aspasia veneziana, adulata dai potenti, riverita
-dagli uomini più illustri, amata da Enrico III, che portò con sè in
-Francia il ritratto della bella cortigiana, dipinto dal Tintoretto.
-E in vero la cortigiana diventa di questo tempo la musa dell'arte, ed
-ha i suoi storici, i suoi poeti, i suoi novellatori, i suoi pittori.
-Di tai donne a Venezia ce n'è un infinito numero, scrive il Bandello,
-e le chiamano _con onesto vocabolo_ cortigiane. — Cesare Vecellio ce
-le descrive coi capelli arricciati, e la veste aperta sul seno, con
-monili d'oro e d'argento, catene d'oro, seriche vesti, cappe di velo
-di seta, pianelle bianche e calze ricamate. _Sono molto simili alle
-nobili venetiane appresso coloro che non hanno la pratica della loro
-conditione_, osserva Cesare Vecellio. Nelle loro case, splendenti di
-serici parati, di cuoi dorati, di arazzi, convenivano gli artisti.
-E, fra le congreghe liete, s'alzava molte volte acuta e squillante la
-risata maligna di Pietro Aretino.
-
-Era una serenità imperturbabile, la vita non aveva per quegli uomini
-giocondi inquietudini e amarezze, tutto per essi era limpido e calmo.
-Le passioni umane, le ire, la curiosità non turbavano quelle fronti
-serene. Parecchi fra gli artefici, Tiziano e Paolo, ad esempio,
-pieni di speranze e di fantasie, venivano dal luogo natio alle
-lagune, ricambiando l'ospitalità cortese di Venezia, allietando la
-città dei più bei fiori dell'arte. Aveano amicizie di re, protezioni
-d'imperatori, ma non servirono mai ad altro che agli occhi delle belle
-donne. In amore non erano dell'avviso di Michelangelo, che cioè l'amore
-fosse _un concetto di bellezza immaginata_, ma cercavano il dolce oblìo
-d'ogni cura nella bellezza delle veneziane, che vivono nelle loro tele
-d'una vita immortale.
-
-I problemi del mondo psichico non li tormentavano, non cercavano
-l'espressione intensa, ma l'atteggiamento elegante. Lasciavano libero
-il volo alla fantasia e si piacevano delle più strane licenze. Paolo
-poneva a canto il Redentore figure nude e licenziose, alla Santa Cena
-faceva intervenire uomini d'arme tedeschi, servitori che gettavano
-sangue dal naso, apostoli che si stuzzicavano i denti colla forchetta.
-Ciò parve irriverente al Sant'Uffizio, che diede una buona ramanzina
-al Veronese, il quale sorridendo rispose che egli dipingeva figure e
-non caratteri, che i pittori possono pigliarsi _quella licentia che si
-pigliano i poeti e i matti_, e che faceva i suoi quadri _senza prendere
-tante cose in consideration_.
-
-— _Fare i quadri senza prendere tante cose in consideration_ — ecco
-tutte le loro teoriche ed ecco tutta la loro forza. La lotta artistica
-non deve essere di parole, non di teorie, ma di opere e di esempio,
-se vuole il trionfo. Comparate la fecondità di quegli artefici alla
-stentata opera moderna, quei quadri immensi, compiuti con inarrivabile
-prestezza di concetto e di eseguimento, senza sforzo (la _Gloria del
-paradiso_ del Tintoretto è una tela alta metri 7,50, larga 24,60), coi
-nostri quadretti di pochi palmi fatti, rifatti, torturati nell'ansia
-della ricerca. Noi nulla soddisfa oggi, essi di tutto si appagavano
-allora — noi raffinati e anemici, essi pieni di vigoria e di salute —
-noi dissolvitori, essi creatori — noi critici, essi artisti.
-
-Ma in tutta l'arte veneziana del Rinascimento, dai primi maestri
-agli ultimi lieti cinquecentisti, eccezion fatta per qualche isolata
-espressione religiosa, come in Giovanni Bellini, o per qualche
-meraviglioso ritratto di Tiziano e di Paolo, una cosa sopra le altre
-ci arresta, ed è l'evidenza con cui è ritratta la folla. Persino nei
-pittori amabilmente timidi del primo periodo dell'arte v'è un senso
-della decorazione, un gusto dei colori, che è come il riflesso della
-vita festosa. Il protagonista dei loro quadri non è mai un uomo, ma
-il popolo, nessuna figura attira particolarmente la nostra attenzione
-e l'occhio vaga soddisfatto sulla folla composta, tranquilla nei suoi
-movimenti, ma gaia e variopinta. Così nei quadri del Carpaccio e di
-Gentile Bellini, protagonista è Venezia con le sue feste pubbliche,
-che chiede all'Oriente l'opulenza e i colori, lieta di strepiti
-guerreschi e di fervore operoso. Poi viene la folla romorosa e festante
-dei pittori successivi, nelle opere dei quali si sente ancora oggi
-come un'eco dell'allegria veneta, delle luminarie, delle fiere, delle
-giostre, delle serenate, delle regate.
-
-A differenza degli artefici toscani, che s'arrestano particolarmente al
-singolo individuo, all'espressione del volto, i Veneti ritraggono con
-amabile e vivace superficialità la vita reale agitata e romorosa. Tale
-l'arte, tale la vita. Che cosa è l'uomo a Firenze? Figure energiche
-austere dominano la folla. Farinata, Dante, Giano della Bella, Michele
-di Lando. A Venezia invece l'uomo è assorbito dallo Stato. Lo Stato
-non permette all'iniziativa individuale di esercitarsi in tentativi
-isolati, lasciando a ciascuno la responsabilità della propria sorte, e
-quindi ogni uomo coordina la sua azione a quella degli altri. Le virtù
-militari e civili non fanno che accrescere la gloria dello Stato, il
-quale veglia geloso perchè l'uomo non acquisti troppa autorevolezza,
-perchè la libertà non s'infoschi intorno a un trono. Qui non avrebbero
-potuto fiorire le ambizioni medicee. Questa cura di tutto eguagliare,
-perchè nessuna autorità potesse innalzarsi, perchè nessuna potenza
-individuale potesse sorgere minacciosa di fronte alla repubblica, la
-vedete in ogni atto dello Stato veneto.
-
-Tale la vita, tale l'arte. Gli artefici toscani, o sulla tela o nel
-marmo, ritraevano, ben distinti, gli uomini celebri del loro tempo,
-gli amici più cari, gli avversari più odiati. E con tanta diligenza
-ne studiavano le sembianze, da esserci tramandati perfino i nomi di
-taluni personaggi riprodotti sulle tele o nei marmi. Donatello dovea
-scolpire sul campanile del Duomo una statua di Geremia o di Salomone,
-e vi pose invece il ritratto di Francesco Soderini. Negli affreschi
-della cappella Brancacci possiamo notare Masolino, Masaccio, Filippino,
-Botticelli e Pollaiuolo. E Luca Signorelli ritrae nei freschi del Duomo
-d'Orvieto sè stesso e molti amici suoi: Nicolò, Paulo e Vitellozzo
-Vitelli, Giovan Paolo ed Orazio Baglioni. I pittori veneti invece
-badavano unicamente a ciò che stava bene nel quadro, e nel quadro
-ritraevano coloro che avevano pittoresco il tipo e non altri. Se
-qualcuno volea la sua effigie tramandata ai posteri in qualche tavola
-di artefice insigne, bisognava ne desse commissione, come la famiglia
-Pesaro nella pala di Tiziano ai Frari, e i Pisani nel quadro del
-Veronese, rappresentante la famiglia di Dario ai piedi di Alessandro.
-Nelle scene dipinte dai Veneziani, l'uomo si confonde fra l'agitazione
-elegante della folla. Questo principio di predominio della casta
-sull'individuo, che formò la grandezza civile e artistica di Venezia,
-fu poi anche causa della sua decadenza, giacchè l'iniziativa privata,
-la libera spontaneità individuale e la personale responsabilità non
-vennero in aiuto dello Stato decadente.
-
-E in fatti, dal chiudersi del cinquecento in poi, ruinano le sorti
-di Venezia, la quale scema ogni anno di tesoro e di dominio. Anche la
-sua arte splendida infiacchisce per ripigliare nuova forza nell'ultimo
-secolo della repubblica, quasi a confortare l'agonia della singolare
-città. L'arte del seicento offerse il passaggio dallo splendido
-naturalismo del cinquecento all'elegante raffinatezza del settecento.
-Ma già alla fine del secolo sedicesimo, nelle botteghe dei pittori,
-l'arte decade precipitosamente.
-
-Il corteo mesto e rado, che, fra la desolazione della città atterrita
-dalla peste, segue, nel 1576, la bara di Tiziano, sembra il funerale
-della grande arte veneziana. L'ultimo de' suoi forti campioni, che
-vide spegnersi a poco a poco la gloria pittorica di Venezia fu Jacopo
-Tintoretto, dilungato dal mondo, ridotto a perpetui ragionari con le
-sue idee.
-
-Morì nel 1597. Sette anni prima gli era morta la figlia Marietta,
-bella, buona, giovane, celebre ormai nella pittura e nella musica. Il
-misero padre si vide gittato dalla corrente della sventura sulla riva,
-come un avanzo di naufragio. Anche i suoi maestri, i suoi compagni, i
-suoi amici — Tiziano, Paolo — tutti se ne erano andati alla pace, che
-non ha turbamenti. La sua vita s'era ridotta a un trepido silenzio;
-conforto unico — l'arte. E negli ultimi istanti della sua vita, certo,
-alla dolce immagine della sua Marietta si sarà unita la luminosa
-visione dell'arte, nel desiderio supremo che a quest'arte e alla patria
-non fossero per mancare degli altri ingegni da riempire di fantasie,
-degli altri cuori da movere alla passione.
-
-
- FINE.
-
-
-
-
- INDICE.
-
- Pag.
-
- ERNESTO MASI Lorenzo il Magnifico 1
- GIUSEPPE GIACOSA La vita privata ne' Castelli 31
- GUIDO BIAGI La vita privata dei Fiorentini 49
- ISIDORO DEL LUNGO La donna fiorentina nel Rinascimento
- e negli ultimi tempi della libertà 99
- GUIDO MAZZONI Il Poliziano e l'Umanesimo 147
- ENRICO NENCIONI La lirica del Rinascimento 178
- PIO RAJNA L'Orlando innamorato del Boiardo 205
- FELICE TOCCO Il Savonarola e la Profezia 236
- DIEGO MARTELLI La pittura del 400 a Firenze 269
- VERNON LEE La scultura del Rinascimento 293
- ENRICO PANZACCHI Leonardo da Vinci 309
- POMPEO MOLMENTI L'arte veneziana del Rinascimento 332
-
-
-
-
-NOTE:
-
-
-[1] DEL LUNGO, _Dino Compagni_, II, 464.
-
-[2] DEL LUNGO, I, 6.
-
-[3] PAOLO DI SER PACE DA CERTALDO. — Ms. Riccard. 1383, § 18.
-
-[4] SACCHETTI, n. 17.
-
-[5] SACCHETTI, n. 110
-
-[6] LAPO DA CASTIGLIONCHIO.
-
-[7] VILLANI, X, 208.
-
-[8] PERRENS, _Histoire de Florence_, III, 408.
-
-[9] DEL LUNGO, I, 96.
-
-[10] PUCCI, _Le proprietà di Mercato Vecchio_.
-
-[11] PAOLO DI SER PACE DA CERTALDO, § 23.
-
-[12] SACCHETTI, n. 161.
-
-[13] _Capricci e anneddoti di artisti_, descritti da GIORGIO VASARI.
-Firenze, Barbèra, 1878, in-64.
-
-[14] SACCHETTI, nov. 83, fine.
-
-[15] Ivi, 108.
-
-[16] SACCHETTI, n. 92.
-
-[17] PAOLO DI SER PACE DA CERTALDO, § 56.
-
-[18] Ivi, § 76.
-
-[19] SACCHETTI, nov. 32.
-
-[20] PERRENS, III. 330, 331, 335 e segg.
-
-[21] PAOLO DI SER PACE, § 79.
-
-[22] G. DATI, _Il libro segreto_, pag. 100-101.
-
-[23] BONGI, in ZANELLI: _Le schiave orientali a Firenze_. Firenze, 1885.
-
-[24] Ivi, VII. Firenze. 1885.
-
-[25] ZANELLI, pag. 40.
-
-[26] ZANELLI, pag. 41.
-
-[27] MACINGHI, pag. 475.
-
-[28] ZANELLI, pag. 83.
-
-[29] MAZZEI, I, 88 prefaz.
-
-[30] La festa di San Giovanni Battista che si fa in Firenze, in GUASTI:
-_Le feste di San Giovanni_, Firenze, 1884. pag. 11.
-
-[31] NOV. 99.
-
-[32] Nov. 136.
-
-[33] SACCHETTI, n. 178.
-
-[34] Ivi, n. 105.
-
-[35] SACCHETTI.
-
-[36] Ivi, 178.
-
-[37] Ivi, 178.
-
-[38] SACCHETTI, n. 200.
-
-[39] G. VILLANI, X, 150.
-
-[40] MORELLI GUIDO, _Deliberaz. suntuaria del Comune di Firenze_.
-Firenze, 1881.
-
-[41] FABRETTI ARIOD., _Vestire degli uomini e delle donne in Perugia_,
-a pag. 176.
-
-[42] VILLANI.
-
-[43] DEL LUNGO, _La donna fiorentina ne' primi secoli del Comune_, a
-pag. 31.
-
-[44] FABRETTI, pag. 208.
-
-[45] VILLANI, XII, 4.
-
-[46] Nov. 137.
-
-[47] CARDUCCI, Rime antiche da carte di archivi. Nel _Propugnatore_,
-vol. I, fasc. I, 1888.
-
-[48] PELLEGRINI F. C. — Agnolo Pandolfini in _Giornale Storico della
-Lett. It._, fasc. 1-2, 1886 a pag. 49.
-
-[49] _Inventario e Regesto dei Capitoli del Comune_, pag. 103-108.
-
-[50] PELLEGRINI, op. cit., pag. 45.
-
-[51] Nov. 146.
-
-[52] Nov. 204.
-
-[53] MAZZEI, I, LVIII.
-
-[54] MAZZEI, I, LVIII.
-
-[55] SACCHETTI, nov. 148.
-
-[56] DONATO VELLUTI, _Cronica_, pag. 30-31.
-
-[57] CORAZZINI, _I Ciompi e Michele di Lando_, p. XCVI.
-
-[58] GIOVANNI MORELLI, _Cronica_, pag. 280.
-
-[59] Vol. I, pag. 250.
-
-[60] GUASTI, _Lettere di Ser Lapo Mazzei_, I, pag. CXXI.
-
-[61] Pag. 96.
-
-[62] GUASTI, op. cit., pag. CXIX.
-
-[63] B. PITTI, _Cronica_, pag. 86 e 133.
-
-[64] MORELLI, pag. 281.
-
-[65] MORELLI, pag. 284.
-
-[66] SALVI, prefaz. al _Dominici_, pag. XIII e XIV.
-
-[67] PITTI, _Cronica_, pag. 58.
-
-[68] _Lettere di Ser Lapo Mazzei_, I, pag. CI.
-
-[69] _Cronica_, pag. 33.
-
-[70] Ivi, pag. 19-20.
-
-[71] Ivi, pag. 53.
-
-[72] Vol. II, pag. 221.
-
-[73] MACINGHI, pag. 438.
-
-[74] MACINGHI, pag. 526.
-
-[75] MACINGHI, pag. 587.
-
-[76] Idem, pag. 600.
-
-[77] MAZZEI, pag. LXXVIII.
-
-[78] PITTI, pag. 112.
-
-[79] RUCELLAI, pag. 72, e segg.
-
-[80] PANDOLFINI, ediz. Silvestri, pag. 47 e segg.
-
-[81] POLIZIANO, ediz. Sansoni, pag. 299.
-
-[82] GIOSTRA, ottava 43.
-
-[83] BORGHINI, _Della moneta_.
-
-[84] TRIBALDO DE ROSSI, pag. 260.
-
-[85] PICCINI, _Facezie e motti_, pag. 95.
-
-[86] D'ANCONA, _Origini del teatro_, I, p. 254-255 _passim_.
-
-[87] MURATORI, _R. I. S._, II, pag. 739.
-
-[88] Nozze Supino-Morpurgo, _Cerimoniale di Franc. Filarete Araldo_.
-Pisa, 1884.
-
-[89] GUASTI, pag. 24. — TRIBALDO DE ROSSI, pag. 271.
-
-[90] D. SALVI, in _Dominici_, pag. 252.
-
-[91] _D. Salvi_, in _Dominici_, pag. 248.
-
-[92] Pag. 247.
-
-[93] FRATI L., _La morte di L. de' Medici_ in _Arch. Stor. Ital._,
-lett. citata del Dei.
-
-[94] Vedi più innanzi in questo volume la conferenza di DIEGO MARTELLI,
-_La pittura del Quattrocento a Firenze_.
-
-[95] Vedi la conferenza di GUIDO BIAGI, _La vita privata dei
-Fiorentini_.
-
-[96] Vedi la citata conferenza su _La vita privata dei Fiorentini_.
-
-[97] Vedi la conferenza di ERNESTO MASI, _Lorenzo il Magnifico_.
-
-[98] Questi versi appartengono alla penultima stanza dell'edizione che
-si pubblicò dei primi due libri nel 1486: stanza omessa nelle edizioni
-successive.
-
-[99] Vedi pag. 321.
-
-[100] Pasquale Villari, che nel marzo 1892, quando si leggeva questa
-conferenza, era ministro dell'istruzione pubblica. Ma poche settimane
-dopo, il 5 maggio, cadeva il ministero Rudinì di cui egli faceva parte.
-
-
-
-
-
-Nota del Trascrittore
-
-Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo
-senza annotazione minimi errori tipografici.
-
-
-
-
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-<body>
-
-
-<pre>
-
-The Project Gutenberg EBook of La vita Italiana nel Rinascimento, by Various
-
-This eBook is for the use of anyone anywhere at no cost and with
-almost no restrictions whatsoever. You may copy it, give it away or
-re-use it under the terms of the Project Gutenberg License included
-with this eBook or online at www.gutenberg.org/license
-
-
-Title: La vita Italiana nel Rinascimento
- Conferenze tenute a Firenze nel 1892
-
-Author: Various
-
-Release Date: April 9, 2016 [EBook #51706]
-
-Language: Italian
-
-Character set encoding: UTF-8
-
-*** START OF THIS PROJECT GUTENBERG EBOOK LA VITA ITALIANA NEL RINASCIMENTO ***
-
-
-
-
-Produced by Carlo Traverso, Barbara Magni and the Online
-Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net (This
-file was produced from images generously made available
-by The Internet Archive)
-
-
-
-
-
-
-</pre>
-
-
-<div class="booktitle">
-<h1>
-La vita italiana nel Rinascimento.
-</h1>
-</div>
-
-<hr class="silver" />
-
-<div class="titlepage">
-<p class="main-t">
-LA
-VITA ITALIANA
-NEL RINASCIMENTO
-</p>
-
-<p class="pad2 large">
-<i>Conferenze tenute a Firenze nel 1892</i>
-</p>
-
-<p class="pad2">
-DA
-</p>
-
-<p class="pad2">
-E. Masi, G. Giacosa, G. Biagi, I. Del Lungo,
-G. Mazzoni, E. Nencioni, P. Rajna, F. Tocco, D. Martelli,
-Vernon Lee, E. Panzacchi, P. Molmenti.
-</p>
-
-<p class="pad4">
-<span class="small">MILANO</span><br />
-<span class="x-small g">FRATELLI TREVES, EDITORI</span><br />
-<span class="small">1896</span><br />
-—<br />
-<span class="small">TERZA EDIZIONE.</span>
-</p>
-</div>
-
-<div class="verso">
-<hr class="mid" />
-<p>
-PROPRIETÀ LETTERARIA
-</p>
-
-<p>
-<i>Riservati tutti i diritti.</i>
-</p>
-
-<p>
-Milano. — Tip. Fratelli Treves.
-</p>
-<hr class="mid" />
-</div>
-
-<div class="somm">
-<hr />
-<p class="center x-large"><a href="#indice" id="indfront">INDICE</a></p>
-<hr />
-</div>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_1">[1]</span>
-</p>
-
-<h2 id="magnifico">LORENZO IL MAGNIFICO</h2>
-
-<p class="center">
-DI
-</p>
-
-<p class="center large">
-ERNESTO MASI.
-</p>
-</div>
-
-<p class="pad2">
-Vi ricordate della tragedia di Vittorio Alfieri intitolata:
-<i>La Congiura de' Pazzi</i>? Come opera d'arte non è
-gran che, lasciando stare anche l'alterazione quasi grottesca
-dei fatti storici, dei caratteri e persino dei nomi
-dei personaggi. Ma non si tratta ora di ciò. Voglio notare
-soltanto un fenomeno singolare, che parmi accaduto
-all'Alfieri nel trattar questo tema, ed è che mentre ha
-senza dubbio voluto travestire in Lorenzo e Giuliano
-de' Medici due de' suoi soliti <i>Egisti</i> e <i>Creonti</i>, due de' suoi
-soliti <i>tiranni</i>, messi là a ricevere in pieno petto le contumelie
-del <i>prim'uomo</i> e della <i>prima donna</i>, non solo
-il carattere di Lorenzo gli è, suo malgrado, riuscito il
-più simpatico della tragedia, ma all'ultimo non sa più
-egli stesso, l'Alfieri, da che lato pende il torto maggiore;
-i motivi della sanguinosa catastrofe, da prima apparsigli
-così chiari e lampanti, si direbbe che gli si oscurano
-tutto ad un tratto; e per conclusione finale mette in
-bocca a Lorenzo queste ambigue parole:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i02"> . . . . E avverar sol può il tempo</p>
-<p>Me non tiranno e traditor costoro!</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Sembra accorgersi tardi che il tentativo di raccogliere
-tutta la pietà tragica sui Pazzi, anzichè sui Medici, è
-un grosso errore, tanto sotto l'aspetto della storia, quanto
-<span class="pagenum" id="Page_2">[2]</span>
-sotto quello dell'arte, com'ebbe poi a scrivergli con gran
-franchezza Melchiore Cesarotti, e si ferma lì come in
-dubbio, e in questo dubbio lascia gli ascoltatori ed i
-lettori della sua tragedia. La quale ritengo, avrebb'egli
-concepita in modo tutto diverso, se, in cambio d'averla
-scritta fra il 1779 e l'80, l'avesse scritta un dieci o dodici
-anni più tardi, quando, scoppiata la rivoluzione
-francese, la prospettiva della tirannide gli si era, per
-così dire, rovesciata e gli pareva molto più intollerabile
-quella che viene dal basso, anzichè quella che viene
-dall'alto, la tirannide dei molti, anzichè quella d'un solo.
-</p>
-
-<p>
-Se non che il fenomeno accaduto all'Alfieri mi sembra
-essersi rinnovato in molti altri dei più sfidati avversari
-di Lorenzo il Magnifico, dai contemporanei fino
-ai giorni nostri. Molti altri accatastano fatti su fatti e
-poi s'accorgono con loro stupore che i più tornano a
-gloria di Lorenzo, e allora non possono tenersi dal mescolare
-le lodi ai biasimi, o per lo meno dallo scindere
-l'unità di questa grande e complessa figura storica del
-secolo XV in modo, da farne uscire due, tre, quattro
-anzi, come propone il Perrens, uomini diversi, contenuti
-in un solo, e così poterne lodare uno o due e biasimare
-i rimanenti; a molti altri è accaduto di fermarsi
-all'ultimo, al pari dell'Alfieri, dubbiosi, esitanti, come
-dinanzi ad un problema psicologico di troppo difficile
-soluzione.
-</p>
-
-<p>
-A Lorenzo de' Medici è toccata del resto una singolare
-fortuna, ed è quella d'aver sempre appassionato
-pro o contro gli scrittori, che hanno trattato di lui, dai
-contemporanei fino agli odierni, come se in cambio d'aver
-vissuto dal 1449 al 1492 egli fosse nato, vissuto o morto
-pochi anni fa, come se in cambio d'un uomo del secolo XV
-si trattasse, ad esempio, d'un Napoleone I, gli effetti della
-cui gloria e dei cui disastri sono forse sensibili anche oggi
-nella vita europea. Eppure quei signori e principi della
-<span class="pagenum" id="Page_3">[3]</span>
-prima e seconda stirpe Medicea sono ben morti e sepolti!
-Nulla ci parla più di loro. Gli stessi edifici e monumenti
-d'arte, che hanno lasciato, ci ricordano ancora
-il nome e l'opera dell'artista, che gli ha ideati e compiuti,
-ma il nome del signore o del principe, che gli ha
-commessi, appena qualche erudito lo sa con precisione
-e al visitatore indigeno o forestiero poco importa oramai
-che si tratti dei primi o secondi Cosimi, Giuliani e
-Lorenzi, che si tratti dei Medici insidiatori della libertà
-fiorentina o dei Medici Granduchi, i quali alle loro vecchie
-dimore non hanno lasciato di proprio neppure il
-nome. A qualche scrutatore indiscreto alcuna traccia
-dei tempi Medicei parrà forse di scernere ancora nel
-temperamento e in certe disposizioni morali del popolo
-fiorentino (lo dico a lode, badiamo, non a biasimo di
-certo) ma nulla più. Chi ne dubitasse entri, qui prossimo,
-a San Lorenzo, in quelle sepolture Medicee. Che
-gelo, che tanfo di morte preistorica in quel buio della
-vecchia e nuova sagrestia, ma qui almeno danno lume
-e calore il genio di Andrea del Verrocchio e quello tra
-satirico e malinconico di Michelangelo! Peggio tra la
-sfarzosa e teatrale ricchezza del sepolcreto granducale!
-Qui nessun compenso possibile: la storia dice poco; l'arte
-non dice niente; il freddo dei marmi vi assidera, vi penetra
-crudelmente nell'ossa e nell'anima, e si sente il
-bisogno d'uscire più che di fretta, non già per odio a
-quei sepolti tiranni, che coi loro manti e le loro corone
-arieggiano innocui re da melodramma, ma per la prosaica
-paura d'un raffreddore.
-</p>
-
-<p>
-Ora dunque perchè, tra questi morti e così ben morti,
-quelli della prima stirpe Medicea appassionano gli scrittori
-più di quelli della seconda, e perchè tra quelli della
-prima Lorenzo più degli altri ha il privilegio di eccitare
-anche oggi odii ed amori così tenaci?
-</p>
-
-<p>
-Finchè in Italia i libri di storia furono per metà di
-<span class="pagenum" id="Page_4">[4]</span>
-politica, voi sapete quanto si sfruttarono l'assedio e la
-caduta di Firenze nel 1530 e quell'accordo del Papa coll'Imperatore,
-che fu la cagione immediata di tale catastrofe.
-Era la conclusione ultima di tutto il gran dramma,
-non della libertà fiorentina soltanto, ma della libertà
-italiana, e poichè quel Papa era un Medici ed un Medici
-il primo Duca di Firenze, non altro si volle vedere
-in tuttociò che la continuazione d'un antico disegno
-d'ambizione, che finalmente s'effettuava coll'aiuto
-dello straniero, ed i più rei parvero i primi autori di
-quella lunga e perseverante insidia, ed il peggiore di
-tutti, quegli in cui più splendidamente s'incarnarono la
-tradizione e il genio di tutta la stirpe. Divenne così
-una specie di obbligo pel liberalismo italiano non far
-grazia ai Medici e soprattutti a Lorenzo. Non parliamo
-dei contemporanei o dei quasi contemporanei.
-L'odio o l'amor loro troppo facilmente si spiega. Non
-parliamo neppure degli scrittori toscani dell'epoca granducale,
-medicea e lorenese. La lode o il silenzio in
-bocca loro sono troppo sospetti. Ma quando colla storia
-filosofica e Volteriana del secolo XVIII si cominciò ad
-opporre al Medio Evo credente e devoto il Rinascimento
-scettico e razionalista, eccoti, fra gli stranieri massimamente,
-fra gli indifferenti cioè alle nostre passioni politiche,
-eccoti il panegirico dei Medici e di Lorenzo in
-particolare, che tocca il colmo e, direi, passa il segno,
-nel famoso libro del Roscoe, ed eccoti di riscontro il
-Sismondi, scrittore di gran merito, ma uno dei santi
-padri, uno dei rappresentanti internazionali di quel dottrinarismo
-liberale e borghese, che ha nelle instituzioni
-repubblicane la panacea di tutti i mali, e quindi non
-perdona ai distruttori di repubbliche ed ai loro encomiatori.
-Non badò il Sismondi che nella vita di Lorenzo
-il Roscoe a dipinger l'uomo s'era attenuto al Valori, un
-coetaneo di Lorenzo, che a narrar la storia avea seguito
-<span class="pagenum" id="Page_5">[5]</span>
-il Machiavelli, che i documenti originali gliegli avea
-apprestati il Fabroni, che a penetrar nella storia letteraria
-lo aveano aiutato il Bandini, il Tiraboschi, autorità
-tutte di non poco valore; non si ricordò neppure
-ch'egli stesso avea tanto esaltato i Medici e Lorenzo
-nella sua storia letteraria dell'Europa meridionale, quanto
-li deprimeva nella sua storia delle Repubbliche Italiane;
-non badò a nulla, non volle curarsi di nulla; non altro
-gli stette a cuore che contrapporre al panegirico la diatriba
-e spinta al segno da non sdegnare esso, onest'uomo
-come era, di lodare quali azioni eroiche persino la dissimulazione
-dei Pazzi, che convitano Lorenzo e Giuliano
-de' Medici in casa loro a fine d'ammazzarli, persino il
-tasteggiare che fanno il giovane Giuliano, fingendo abbracciarlo
-amicamente, per assicurarsi se ha o no il
-giaco sotto la veste, quando lo inducono a entrar nel
-duomo e lo uccidono.
-</p>
-
-<p>
-È sommamente istruttiva la polemica, che ne seguì
-fra il Roscoe e il Sismondi, la quale andò tant'oltre
-che il Sismondi stesso finì per dire: “smettiamola, signor
-Roscoe, altrimenti si riderà di noi che ci contendiamo
-un tiranno del secolo XV coll'accanimento medesimo,
-che due rivali si contenderebbero il cuore d'una
-bella donna. E poi di che ci scaldiamo tanto, noi, stranieri
-all'Italia tutti e due?„
-</p>
-
-<p>
-Nè cadde a vuoto, sapete, quest'ultima parola, da cui
-s'arguirebbe esservi sui Medici e su Lorenzo in particolare
-la possibilità di due giudizi diversi, uno per gli
-Italiani, un altro per gli stranieri, perocchè questo è
-appunto lo scrupolo, che ha trattenuto il coscienzioso
-Burckhardt, nella sua classica opera sul Rinascimento
-in Italia, dal giudicare Lorenzo come uomo di Stato e
-dal decidere qual parte spetti agli uomini e quale sia
-superiore al loro stesso buono o mal volere (il vero problema
-di questa storia) nei destini di Firenze; scrupolo
-<span class="pagenum" id="Page_6">[6]</span>
-veramente eccessivo e che non trattenne per buona
-sorte il Reumont, il Buser, il Leo, il Thomas, il Perrens
-e tanti altri valentuomini stranieri dal fare della storia
-Medicea anche politica e di Lorenzo come uomo di Stato
-il soggetto delle loro ricerche, e dei loro studi.
-</p>
-
-<p>
-Quanto agli Italiani, finchè durò il periodo della preparazione
-e degli esperimenti infelici della nostra rivoluzione
-e sino a poco dopo il 1859, si tennero più o meno
-a modello il Sismondi, pur evitandone le enormi esagerazioni,
-nel giudicare dei Medici e di Lorenzo, ma poi
-spesso l'argomento fece forza da sè al preconcetto politico,
-ed o si fermarono, ripeto, incerti e dubbiosi, a
-mezza spada, o il giudizio, da prima severissimo, si venne
-via via temperando, più si approfondivano le ricerche,
-come potete vedere in Gino Capponi, che nel 1842,
-quando si cospirava anche coll'<i>Archivio Storico</i> (una
-delle più nobili arme affilate nel gabinetto di Giampietro
-Vieusseux), ha parole di fuoco contro i Medici, e nel
-1875, quando pubblicò la sua <i>Storia della Repubblica
-di Firenze</i>, ne parla con tanta maggiore serenità e obbiettività
-scientifica; come potete vedere in Pasquale
-Villari, che nel suo <i>Savonarola</i>, il libro caldo ancora di
-inspirazione giovanile e di passionata eloquenza, e assai
-prossimo al Sismondi, e nel suo <i>Machiavelli</i>, lo studio
-severo della sapiente virilità, se non ha dismessi
-tutti gli antichi corrucci, tuttavia tempera o per lo
-meno slarga il suo giudizio, che in questo caso val
-quanto di necessità temperarlo. Più notevole è il caso
-del Carducci, che in quei suoi primi saggi bellissimi
-sulle poesie di Lorenzo de' Medici e del Poliziano, ora
-la sua natura d'artista lo attrae irresistibilmente verso
-Lorenzo, natura d'artista esso pure, come dice il Capponi,
-anima di principe, ultima grandezza d'un'età splendida,
-che finiva, ora lo spirito rivoluzionario lo trattiene,
-lo tira indietro, gli strappa accenti di collera, troncati
-<span class="pagenum" id="Page_7">[7]</span>
-a mezzo però da una ripugnanza anche maggiore, la
-ripugnanza alla reazione del Savonarola, che tenta gettare
-la sua tonaca di frate su tutta quella radiosa giovinezza
-di Rinascimento artistico e letterario.
-</p>
-
-<p>
-Intanto le ricerche e gli studi sull'età Medicea e su
-Lorenzo continuano indefessi; si ampliano e si integrano
-i documenti raccolti dal benemerito Fabroni; al togato
-Guicciardini della <i>Storia d'Italia</i> succede il Guicciardini
-della <i>Storia Fiorentina</i>, dei <i>Ricordi</i> e di quel capolavoro
-del pensiero politico italiano, che è il <i>Dialogo sul Reggimento
-di Firenze</i>; abbiamo cioè l'espressione viva e immediata
-di un quasi contemporaneo, che è insieme una
-gran mente d'uomo di Stato, e tuttociò ci frutta fra
-il 1874 e 75 l'opera capitale su Lorenzo dei Medici di
-Alfredo di Reumont ed il giudizio pieno e definitivo di
-Gino Capponi. Si direbbe che il processo è chiuso, che
-la sentenza ultima è pronunciata; che, com'è per lo più
-di tutte le sentenze della storia, Lorenzo ne esce nè del
-tutto assolto, nè condannato del tutto. Oibò! La buona
-fortuna del Sismondi non è finita. Esso rivive con tutte
-le sue collere e i suoi anatemi nel Perrens, che sotto
-gli occhi nostri, nel 1888, e valendosi anzi di tutto il lavoro
-critico avvenuto dal Sismondi in poi (giacchè, bisogna
-dirlo, il Perrens è anzi, per straniero e francese
-che parla d'Italia, mirabilmente informato), riapre il processo
-e non una parte di Lorenzo si salva; l'uomo, il
-padre, il marito, il cittadino, il signore, lo statista, il
-mecenate, il letterato, tutto, tutto è oscurato e ravvolto
-in una stessa condanna. È una demolizione compiuta.
-Del tempio e della statua non resta in piedi neppure
-una pietruzza, che dica al passeggiero: <i>qui fu Lorenzo
-de' Medici</i>; tantochè all'ultimo lo stesso Perrens si ferma
-col martello in mano e quasi spaventato dell'opera sua;
-si sente preso anch'esso da quel dubbio, da quell'incertezza,
-che, come dicevo, assale dall'Alfieri in giù tutti i
-<span class="pagenum" id="Page_8">[8]</span>
-più sfidati avversari di Lorenzo; ma è supremamente
-comica la forma che piglia questo tardivo rimorso nel
-Perrens, il quale si rivolta contro il suo maestro ed autore,
-contro il Sismondi, e quasi lo apostrofa dicendo:
-“via, è troppo! Un po' di discrezione, s'il vous plaît.
-Non è poi certissimo che quei vostri cari Albizzi fossero
-proprio campioni di libertà e di democrazia in confronto
-dei Medici e, quanto a Lorenzo, conveniamo che,
-se non fu veramente <i>l'ago della bilancia</i> nella politica
-italiana del suo tempo, come pretendono i suoi adulatori,
-qualche cosa ha pur fatto per mantenere la pace,
-almeno dalla guerra di Sarzana fino alla sua morte,
-dal 1487 al 1492. È pochino! Sono cinque annetti soli!
-Ma questo almeno si conceda per dimostrare, se non
-altro, la nostra imparzialità!„
-</p>
-
-<hr class="tbs" />
-
-<p>
-Voi vedete, o signore, fra che odii e che amori, fra
-che assoluzioni e condanne, fra che spinaio di giudizi
-diversi sarebbe costretto a ravvolgersi chi avesse oggi
-da narrare a fondo la storia di Lorenzo il Magnifico,
-della sua vita e del suo tempo. E se ho dovuto indugiarmi
-tanto, solo per accennare le difficoltà del mio
-tema, mi conforta il pensiero che accennare tali difficoltà
-è già esso stesso un illustrarlo, e che, parlando
-ad un pubblico così culto e in massima parte fiorentino,
-m'è lecito presupporre l'argomento noto almeno
-nelle sue linee storiche principali e non tenermi obbligato
-a ridir tutto per filo e per segno, che già sarebbe
-chieder troppo all'industria del conferenziere e alla sofferenza
-del pubblico.
-</p>
-
-<p>
-A giudicare dei Medici e di Lorenzo con quell'imparzialità
-almeno relativa, a cui gli uomini possono aspirare,
-mi pare del resto che la nostra generazione dovrebbe
-oramai essere meglio disposta delle precedenti,
-la nostra generazione, che in fatto di politica è passata
-<span class="pagenum" id="Page_9">[9]</span>
-a traverso tante bonacce e burrasche di promettenti
-primavere, di malinconici autunni e di inverni spietati.
-Essa dovrebbe sentirsi, dico, meglio disposta a non farsi
-guidare nel giudizio di un passato remoto, che si tratta
-di conoscer bene, ma non muta più, da idoleggiamenti
-rettorici di forme di governo, qualunque esse siano, o
-da preoccupazioni politiche, che mutano ogni giorno.
-</p>
-
-<p>
-La storia indifferente al bene od al male perde non
-solo ogni efficacia morale, ma ancora ogni calore e vivezza
-di rappresentazione. Ma altro è una gelida indifferenza
-al bene od al male, altro è gettarsi a capo
-chino fra le lotte d'un'età tanto lontana da noi e sposarne
-gli odii, gli amori, come se fossero i nostri, e aggregarsi
-a una fazione contro dell'altra. Si moltiplicano
-per tal guisa deliberatamente le occasioni e le cause
-d'errori infiniti, giacchè, per quanto ci sia dato penetrare
-a dentro nella storia con le ricerche, gli studi e
-attingendo, finchè si può, dalle fonti originali delle memorie
-e dei documenti contemporanei, resta pur sempre
-un qualche cosa, che nessuna ricerca può far rivivere,
-che nessuno studio può rimetterci dianzi agli occhi,
-che nessun documento può dirci, ed è forse appunto in
-quell'inafferrabile <i>qualche cosa</i>, che giace riposta la spiegazione
-vera di un fatto o d'un uomo, la ragione ultima
-d'assolvere o di condannare. Di ciò si ha un segno evidente
-in quella specie di sforzo che occorre, in quella
-specie di disagio morale e qualche volta, direi quasi,
-anche fisico, che si prova a volersi addietrare col pensiero
-nella vita di generazioni già lontane da noi. Ce ne
-vuole per assuefare non soltanto l'animo a sentimenti e
-passioni, che non si provano più, ma la fantasia e gli
-occhi ad abitudini, a costumi, a fogge, ad arredi, a vestiari,
-che non sono più i nostri, a compiacersi di divertimenti,
-che oggi ci parrebbero torture, a persuadersi
-del buon gusto di un pranzo, che oggi ci rovescierebbe
-<span class="pagenum" id="Page_10">[10]</span>
-lo stomaco, a ridire d'una burla o d'un motto,
-che oggi ci suona come una freddura senza sugo, e via
-dicendo. Quello sforzo e quella specie di disagio scemano
-in noi più ci si affina il gusto della storia, e si
-convertono anzi in una misteriosa delizia, che può divenire
-persino passione e mania. Ma dimostrano insieme
-(e ciò dico in particolare a proposito dei Medici e di
-Lorenzo) la necessità che lo studio della storia rimanga,
-più che possibile, obbiettivo, la necessità di non spostare
-nè uomini, nè fatti, di sceverare il generale dal particolare,
-di non dar troppo all'ambiente, come oggi s'usa dire,
-per togliere all'uomo, nè attribuire a questo, per quanta
-azione abbia avuto sul tempo suo, ciò che è dell'ambiente,
-in cui quell'uomo ha vissuto, di sentenziare di
-preferenza dagli effetti palesi dell'opera sua, che sono
-ben noti, anzichè dai movimenti individuali e interiori,
-dei quali nessuno può più dirci intiero il segreto, di
-non prolungare finalmente al di là di certi limiti quegli
-effetti medesimi per incolparlo anche di ciò che risulta
-da tutti altri uomini e da tutt'altre condizioni di tempi,
-scordandoci a suo danno quello che l'esperienza ci dimostra
-ogni giorno, cioè che l'uomo è appena padrone
-del minuto che passa.
-</p>
-
-<p>
-Ora se v'ha personaggi storici pei quali queste cautele
-siano state più trascurate, direi che sono i Medici per
-l'appunto. E si capisco facilmente il perchè. Non parliamo
-dei Medici, dal 1531 Duchi e Granduchi. Ma per quelli
-della prima linea, a non dir che di loro, per Cosimo il
-Vecchio, Piero il Gottoso, Lorenzo il Magnifico, furono
-tanto più facilmente trascurate quelle cautele, perchè
-essi appassionano, come già dissi, più di tant'altri personaggi
-storici, gli scrittori, e gli appassionano tanto più,
-perchè non sono semplici capi ereditari d'una dinastia,
-d'una città, d'un regno, ma, oltre alla singolarissima
-forma del potere che esercitano, sono, se non gli autori,
-<span class="pagenum" id="Page_11">[11]</span>
-gli attori più in vista, pel loro grado, per le loro tradizioni,
-per le loro aderenze, pel loro genio e le loro inclinazioni
-personali, di tutto un nuovo e gran moto di
-civiltà, comprendente non solo le forme di governo, le
-arti, le scienze, le lettere, ma i pensieri, i sentimenti,
-la religione, la morale, i costumi, le usanze, tutta nel
-suo complesso la vita pubblica e privata; ond'è che in
-essi si studia non il signore soltanto, ma l'uomo nelle
-sue relazioni cogli uguali e cogli inferiori, l'uomo nella
-vita quotidiana, in casa, in villa, per le vie, tra gli spettacoli
-carnevaleschi, fra le dispute dell'accademia, nel
-banco commerciale, nel museo, nella biblioteca, fra gli
-amici che predilige, fra le donne che ama, fra le pareti
-del suo palazzo, alle corti estere, dove, benchè semplice
-cittadino nella sua città, comparisce da principe; e lo
-si studia appunto fra tanta gente e in tanti luoghi diversi,
-perchè questa moltiplicità e varietà di gusti, di
-attitudini, di attività è carattere generale del tempo, ma
-principalmente carattere dei grandi uomini italiani, e fra
-gli Italiani dei Fiorentini, e fra i Fiorentini dei Medici,
-e fra i Medici di Lorenzo il Magnifico.
-</p>
-
-<hr class="tbs" />
-
-<p>
-Se le signorie dei secoli XIV e XV (che bisogna ben
-badare a non confondere in Firenze ed altrove coi Principati)
-fossero un fatto verificatosi in Firenze soltanto e
-per opera soltanto dei Medici, i quali con arti subdole,
-con lunga e tenace insidia avessero a poco a poco soffocata
-la vita del più torbido sì, ma del più glorioso Comune
-italiano del Medio Evo, mentre all'intorno avessero
-prosperato ancora gli altri Comuni, assodando la
-loro libertà e slargando la loro giurisdizione territoriale,
-non vi sarebbe, a dir vero, vituperio bastante a castigare
-un simile parricidio. Ma non è così! Nel secolo XV
-la declinazione della cosidetta libertà comunale, che è la
-prevalenza feudalesca di una città sul territorio che la
-<span class="pagenum" id="Page_12">[12]</span>
-circonda, e la sua mutazione in signoria, che è la prevalenza
-d'un capo partito, o di un capo militare, o di
-un vicario imperiale o di una potente famiglia sui partiti,
-che si contendono il primato nella città dominante,
-è un fatto universale in tutta Italia. In Firenze anzi,
-come fu più tardivo a sorgere il libero Comune, così è
-più tarda a sorgere la signoria. Nell'Italia superiore invece,
-dove il feudo s'insediò più vigoroso, questa trasformazione
-non aspetta il secolo XV. Nei due secoli antecedenti
-si compie e trascende già a principato vero coi
-Torriani e Visconti a Milano, coi Da Romano nella
-Marca Trevisana, cogli Scaligeri a Verona, coi Pelavicino
-a Piacenza e, più prossime a Firenze, di qua e di
-là dell'Appennino, le signorie pullulano e si frazionano
-all'infinito, più grandi, più piccole, or vigorose, ora deboli,
-ora divorate dalle maggiori, ora dilaniantisi in sè
-stesse fra odii sanguinosi di famiglie rivali. In Toscana
-stessa, ove le resistenze sono più forti, avete le signorie
-militari e transitorie, i tentativi sfortunati di Uguccione
-della Fagiuola e di Castruccio degli Antelminelli. In Firenze
-stessa, tralasciando le signorie Angioine, le quali
-si potrebbero dire delegazioni di poteri pubblici ad un
-fine determinato, tralasciando pure l'episodio di Gualtieri
-di Brienne, Duca d'Atene, la cui tirannia mette a
-repentaglio estremo le libertà popolari, avete tentativi
-interni, i quali dimostrano che ai Medici, anche nel maggior
-fervore della vita repubblicana, predecessori non
-mancano: Corso Donati, ad esempio, che fin dal principio
-del secolo XIV tenta farsi capo di una oligarchia
-di magnati; Rosso della Tosa, che non gli vuol sottostare
-e mira diritto al principato. Più facile forse il programma,
-come oggi si direbbe, di Corso Donati, perchè
-Rosso della Tosa ha troppa fretta d'anticipare i Medici.
-Avete ad ogni modo, e di non poco precedente la signoria
-Medicea, la tendenza ad afforzare in una forma
-<span class="pagenum" id="Page_13">[13]</span>
-aristocratica i vecchi ordini comunali già decadenti, il
-che si tenta fin dal secolo XIV col magistrato di parte
-Guelfa, instituito già da molti anni, ma divenuto allora
-così chiuso e potente, che non so davvero che cosa gli
-manchi per essere una vera tirannide; poi colla prevalenza
-della parte aristocratica dei Ricci e degli Albizzi,
-prima lottanti fra loro, poi degli Albizzi rivali dei Medici,
-i quali Medici primeggiano nella parte popolare,
-donde sono usciti, sicchè all'ultimo tutto si riduce a decidere
-quale delle due famiglie sopraffarà l'altra, quale
-delle due, se gli Albizzi o i Medici, dominerà la repubblica.
-Ma insomma questa inclinazione del Comune a signoria
-è fatale, è superiore a tutte le combinazioni
-umane o di procaccianti ambizioni o di tardive resistenze,
-perchè dipende da una legge più generale e più alta,
-quella per cui un'età storica succede ad un'altra, quando
-i principii, sui quali quella si reggeva sono logori, esausti,
-finiti, e le sottentrano altri principii, altre tendenze, altre
-voglie, altri indirizzi di civiltà, quasi un'altra società,
-un'altra gente.
-</p>
-
-<p>
-Così è di questo tempo. Le grandi illusioni ghibelline
-sono finite fin dal 1313 con Arrigo VII. Se gli Imperatori
-scendono ancora in Italia da Lodovico il Bavaro a
-Carlo IV, a Venceslao, a Sigismondo, a Federico III,
-vengono per esiger taglie, trafficar titoli e diplomi, e se
-ne vanno. Settant'anni d'esilio in Avignone, quarant'anni
-di scisma, hanno sminuito e trasformato il Papa in un
-principotto italiano, che bada agli interessi suoi e de' suoi
-nipoti e lascia il partito Guelfo senza capo. Le due universali
-unità politiche, le due grandi forze ordinatrici, i
-due grandi ideali del Medio Evo sono dunque finiti e
-scomparsi nella storia italiana. Nè basta. Napoli s'è sottratta
-alla diretta soggezione imperiale. Venezia, che non
-fu mai nè guelfa nè ghibellina, che quasi non pareva
-appartenere all'Italia, cerca ora pigliarvi stato, e il difendersi
-<span class="pagenum" id="Page_14">[14]</span>
-da Napoli e da Venezia, nel linguaggio e nelle
-idee d'allora, val quanto difendere la libertà degli Stati
-italiani contro lo straniero. Nè basta ancora. Le potenti
-energie messe in moto dalla turbolenta libertà dei Comuni
-hanno dato vita ad una risurrezione d'arte e di
-sapere, ad una ristaurazione di classicismo, che sarà fondamento
-a tutta la cultura moderna, e che ora assorbe
-ogni attività spirituale e par fatta apposta per nascondere
-sotto i suoi fulgori la decadenza dei vecchi ordini
-repubblicani e la loro trasformazione in signorie. I Comuni
-colle loro lotte continue in casa, in piazza, in palazzo,
-stancavano tutte le forze del cittadino, fomentandone
-tutte le passioni, imponendogli attività e doveri
-continui. Ma ormai è venuta su una gente disposta a
-cercar riposo all'ombra d'un potere stabile e fermo, che
-tenga freno plebe e oligarchi; una gente, che vuol godere
-in pace, fra gli agi e i piaceri, il frutto della parsimonia
-e dell'operosità dei padri e degli avi, tanta ricchezza
-ammassata, tanto splendore e amenità di arti e
-di lettere e che per goderlo anche meglio si lascia cader
-le armi di mano, abbandonando l'arte della guerra al
-mestiere dei venturieri col fastidio superbo, colla noncuranza
-poltrona di opulenti, di mercanti, di artisti e di
-letterati. Aggiungete che l'umanesimo ha bisogno d'aiuto
-e di protezione signorile. Se la libera bottega bastò ai
-prodigi spontanei dell'arte, l'umanesimo tende a costituire
-una nuova aristocrazia piuttosto cortigiana, di
-quello che politicamente e virtuosamente operosa. Questo
-all'interno. E al di fuori? Al di fuori niun pericolo
-minaccia per ora: non dall'Impero troppo debole, non
-dalle altre nazioni ancora intente alla loro costituzione.
-Se un pericolo v'è, sta nella gelosia reciproca dei varii
-Stati italiani, nella necessità quindi di una politica di
-equilibrio tra i più forti, tanto più difficile a praticarsi,
-quanto più sono misteriosi e tutti egoistici e personali
-<span class="pagenum" id="Page_15">[15]</span>
-i motivi, pei quali le violenze e le rappresaglie si determinano.
-Firenze è al centro di tutto questo nuovo movimento
-di civiltà, di tutta questa trasformazione morale,
-sociale e politica, che si va compiendo, e in mezzo
-ad essa la signoria Medicea (di origine certamente meno
-illegittima di tante altre, in quanto sorge e si svolge dall'imo
-fondo dei rivolgimenti politici fiorentini) in mezzo
-ad essa la signoria Medicea si afferma e si assoda da Cosimo
-il Vecchio a Lorenzo il Magnifico, il quale ne segna
-l'apogèo, e dopo del quale non avrà che a decadere (per
-poi vigoreggiare di nuovo con forme e in tempi affatto
-diversi), tanto in questo strano congegno del governo
-signorile, che il Burckhardt ha con ragione chiamato
-un'opera d'arte, al pari d'un poema o d'un quadro, tutto
-è affidato alle qualità personali dell'uomo. Ma di tutto
-quel nuovo ambiente, in cui il poter loro prevale, i Medici
-sono essi la causa o l'effetto? L'effetto, io credo.
-Sono la produzione spontanea delle condizioni generali
-del tempo e delle particolari, che escono dalla storia di
-Firenze. Quindi è necessario non dimenticar mai di considerare
-i Medici della prima stirpe per quel che sono,
-uomini del loro tempo, Lorenzo sopra tutti, che colle sue
-pecche non lievi e le sue straordinarie qualità è anzi il
-tipo ideale del Signore italiano del Rinascimento.
-</p>
-
-<hr class="tbs" />
-
-<p>
-Lasciando ai genealogisti cortigiani di avvolgere le origini
-della famiglia Medici nelle nuvole della leggenda, dirò
-che essi appariscono relativamente tardi nella storia di Firenze,
-non prima, che si sappia, del 1301. Si dice che appariscono
-come sopraffattori di popolo nei sanguinosi tumulti,
-che finiscono alla proscrizione dei Guelfi bianchi
-e di Dante Alighieri. Si dice che con Salvestro de' Medici,
-il quale da Gonfaloniere di Giustizia, nel 1378, dà
-le mosse al tumulto de' Ciompi, essi cominciano a far l'arte
-loro di lusingar la plebe per aiutarsi a salire. Si dice
-<span class="pagenum" id="Page_16">[16]</span>
-che Giovanni di Bicci nel 1426, opponendosi a Rinaldo
-degli Albizzi, si atteggia a capo del partito popolare.
-Tuttociò è vero, come fatto. Ma è altrettanto conforme
-a verità trovarvi gli auspicii e il cominciamento del destino
-Mediceo? Se nel 1301 sono sopraffattori di popolo,
-vuol dire che erano violenti come tutti gli altri, come
-quel popolo stesso, il quale s'era armato dei cosidetti
-Ordinamenti di Giustizia. Se nel 1378 Salvestro ha parte
-nel tumulto de' Ciompi, non ve l'ha certo maggiore di
-Benedetto degli Alberti, di Giorgio Scali, di Tommaso
-Strozzi, i quali tutti sommuovono i Ciompi, cioè l'infima
-plebe, contro Piero degli Albizzi e la setta Guelfa. L'intervento
-dei Ciompi dà un carattere di rivoluzione sociale
-alla lotta, che non era nelle intenzioni dei sommovitori.
-Essi sono trascinati loro malgrado nella vittoria
-dei Ciompi, che si risolve poi in una prevalenza delle
-sette Arti Minori, e di questa l'Alberti, lo Scali, lo
-Strozzi sono le prime vittime, appunto perchè la parte
-ch'essi ebbero in tutto questo moto fu molto maggiore
-di quella di Salvestro de' Medici. La pretesa precocità
-dell'insidia Medicea, che si vuol dedurre dal tumulto dei
-Ciompi, è dunque una delle tante <i>frasi fatte</i>, che si ripete
-a carico dei Medici, ma che non ha fondamento
-nella storia. Quanto a Giovanni di Bicci, certo egli ha
-gran parte nella legge tutta popolare del Catasto del
-1427, ma politicamente è un personaggio quasi insignificante:
-accresce bensì il credito e la ricchezza di Casa
-Medici, ma non può dirsi il fondatore politico di essa.
-Il suo fondatore vero è Cosimo il Vecchio. Quand'egli
-apparisce, le lotte si sono venute sempre più restringendo,
-e la rivalità dei Medici e degli Albizzi diventa
-quasi una lotta personale fra Cosimo e Rinaldo degli
-Albizzi, che, al dire di Jacopo Pitti, “come principe maneggiava
-lo Stato.„ Costui pensa essere ormai tempo di
-troncare di colpo la sempre crescente potenza Medicea
-<span class="pagenum" id="Page_17">[17]</span>
-e fa chiamar Cosimo in Palazzo per ucciderlo, ma deve
-contentarsi dell'esilio; transazione, di cui il Sismondi, il
-Perrens sono inconsolabili, perchè Cosimo è richiamato
-dall'esilio un anno dopo e torna in patria in trionfo. Nei
-giorni più splendidi di Casa Medici, sulle pareti del gran
-salone nella villa di Poggio a Caiano questo ritorno sarà
-magnificato, figurandolo per quello di Cicerone, ricondotto
-in patria sugli omeri di tutta Italia. Il vero è che
-Cosimo, tornando dall'esilio il 6 ottobre 1434, si fermò
-e pranzò a Careggi, non permettendogli la Signoria di
-rientrare in Firenze prima di sera, e poichè Via Larga
-era piena di popolo aspettante, dovette sgattaiolare nel
-Palazzo della Signoria e passarvi la notte, rientrando
-solo al mattino seguente nella sua dimora di Via Larga,
-lo stupendo edificio, forse allora ancora in costruzione,
-in cui, fra quel misto di solidità e di eleganza, di cittadino
-e di principesco, sembra ch'egli abbia veramente
-improntato sulle muraglie il proprio genio.
-</p>
-
-<p>
-Se Lorenzo il Magnifico fosse succeduto a Cosimo il
-Vecchio, i primi tempi della sua signoria sarebbero stati
-meno difficili e meno travagliata la sua giovinezza. Ma
-succedette invece a Piero il Gottoso, che in mille modi
-avea compromesso il potere della sua casa, più di tutto
-deviando da quella esteriore semplicità e modestia di
-Cosimo, che, unite alla grandezza degli intenti civili,
-alla protezione delle lettere, al buon uso della ricchezza,
-alla passione magnifica dell'edificare, per cui Benozzo
-Gozzoli, con allegoria, che sa di satira, lo figurò nel Camposanto
-di Pisa assistente colla famiglia all'edificazione
-della torre di Babele, mentre fecero dare alla potenza
-Medicea il passo decisivo, valsero a lui il titolo glorioso
-di padre della patria.
-</p>
-
-<p>
-Ma morto Piero nel 1469, succedevano due giovani,
-Lorenzo di 21 e Giuliano di 16 anni, sicchè rinverdirono
-le speranze dei nemici di Casa Medici, contando sull'inesperienza
-<span class="pagenum" id="Page_18">[18]</span>
-e sull'impeto giovanile, qualità poco adatte
-a conservare una potestà così vaga e indeterminata, così
-raccomandata tutta al valor personale, come quella dei
-Medici. Furono più forti l'amore del popolo, il terror
-dell'ignoto, le memorie di Cosimo, tanto più ch'esso in
-persona parea rivivere nel giovine Lorenzo, già messo
-in vista di tutti per la precocità dell'ingegno, la giovialità,
-il fare largo e liberalissimo, l'educazione ricevuta
-da grandi maestri, i viaggi alle corti estere, pei quali
-così giovane era messo a parte di gravi faccende politiche
-e ammonito dal padre a diportarsi già da uomo e
-da principe. Precoce era in tutto Lorenzo e già da giovanissimo
-i contemporanei gli mutavano in predicato
-d'onore il titolo di <i>Magnifico</i> spettante al suo grado e
-con cui è rimasto nella storia, mentre il fratello Giuliano,
-indole più rimessa e più spensierata tuffata nei
-piaceri, negli amori, negli spassi giovanili era dai suoi
-coetanei chiamato, dice il Giovio, <i>principe della gioventù</i>.
-All'arme non fu educato Lorenzo, non sì però ch'egli
-non fosse forte, aitante della persona, benchè assai
-brutto di volto, come si vede, meglio che dalla figura
-un po' idealizzata di Lorenzo giovine nel gran quadro
-dell'<i>Epifania</i> di Sandro Botticelli e dal ritrattino del
-Bronzino agli Uffizi, nella medaglia del Pollaiuolo e
-nella trista figura dipinta dal Vasari (pure agli Uffizi),
-in cui appariscono evidenti i segni del male, che lo
-trasse a morte prematura. Appassionatissimo pei cavalli,
-era cavalcatore valente, ma della corona riportata alla
-giostra del 1468, combattuta per le sue nozze con Clarice
-Orsini, e cantata da Luca Pulci, è il primo a ridere
-con la solita superiorità sua. Appena mortogli il padre,
-furono dunque a lui i principali cittadini, pregandolo a
-pigliarsi cura dello Stato. Esitò, forse ad arte, raccomandandosi
-ai consigli di tutti, ma certo ben risoluto in cuor
-suo a far da sè.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_19">[19]</span>
-</p>
-
-<p>
-Quali sono da questo momento i punti prominenti della
-vita di Lorenzo? Dal 1472 al 1484 la sollevazione di
-Volterra, la congiura de' Pazzi, la guerra che ne consegue
-col papa Sisto IV e col re di Napoli, l'ardito viaggio
-di Lorenzo a Napoli, che stacca il re dal papa e assicura
-la pace, il ritorno di Lorenzo in patria e la riforma
-interna coll'instituzione dell'Ordine dei Settanta
-(che è il vero <i>18 Brumaio</i> di Lorenzo), la guerra di Ferrara,
-la pace coi Veneziani, e la morte di Sisto IV, l'implacabile
-nemico di Lorenzo. Dal 1484 al 1492 l'intimità
-di Lorenzo con Innocenzo VIII, successore di Sisto, l'equilibrio
-politico a sommo studio mantenuto da Lorenzo,
-il maggior splendore della sua signoria ed i primordi
-d'un'opposizione morale nel Savonarola fino alla morte
-di Lorenzo, a cui seguitano così da presso la preponderanza
-straniera e la servitù dell'Italia, che Cesare Balbo,
-nella sua divisione della nostra storia, proponeva di finir
-qui (merito o fortuna, che sia, di Lorenzo) l'età dei Comuni
-Repubblicani, che altri protrae sino alla caduta di
-Firenze nel 1530.
-</p>
-
-<p>
-Ora questi fatti, che io ho accennati così in breve c'è
-chi gli ha narrati tutti a gloria, altri tutti a biasimo di
-Lorenzo. La Repubblica doma la ribellione di Volterra?
-È lui che vuol rubare i profitti delle cave d'allume. Volterra
-è posta a sacco? È lui, che ordina quell'inutile
-crudeltà. I Pazzi congiurano? È lui che li ha provocati.
-Il popolo fa scempio dei congiurati? È lui, che non è
-mai sazio di vendette. Sisto IV e il Re di Napoli muovon
-guerra? È Lorenzo, che strascina la patria in contese
-non sue. Lorenzo va a Napoli e si dà in mano al
-suo nemico? È una commedia. Torna e si impossessa
-coll'ordine dei Settanta dell'elezione dei Magistrati? È
-lui, che ha inventata questa trappola alla libertà la quale
-non ha riscontro nella storia di Firenze. Si stringe in
-amicizia e parentela con Innocenzo VIII? È lui, che è
-<span class="pagenum" id="Page_20">[20]</span>
-quasi reo del nepotismo dei Papi. Cerca la pace nell'equilibrio
-degli Stati? È una politica d'espedienti, che non
-val nulla. Firenze è prospera e gioconda? È lui che la
-educa alla servitù, corrompendola coi trionfi e i canti
-carnascialeschi. Che più? Neppur l'uomo privato si salva
-da questo pessimismo demolitore. Si ricusano tutte le testimonianze
-in suo favore, che concordemente lo dicono
-buono, gioviale e tollerante, nonostante le sue sofferenze
-fisiche, fedele agli amici, socievole, semplice nella grandezza,
-idolatra dei figli, non dimentico mai del tutto degli
-insegnamenti e degli esempi della pia madre, Lucrezia
-Tornabuoni, rispettoso della moglie, indole pur così diversa
-dalla sua e con poca grazia e senza avvenenza;
-e, per dimostrare com'era tuffato nei vizi, il Buser reca
-una lettera d'un Francesco Nacci da Napoli, che annuncia
-a Lorenzo la spedizione di cinquanta belle schiave
-turche, <i>le più belle che si trovarono</i>! Ah, la grazia!
-Cinquanta? Se non che, come fu provato, il buon tedesco
-ha letto nel documento <i>belle</i> invece di <i>pelli</i>, <i>turche</i>
-invece di <i>tutte</i>, e così, invece di 50 <i>pelli di Schiavonia</i>,
-ha letto 50 belle schiave turche, un harem da
-sultano, e senza accorgersi neppure che in tutto il contesto
-della lettera si parla della spedizione in modo, come
-se oggi si spedissero a qualche gran Don Giovanni 50
-belle ragazze, turche o non turche, per pacco postale.
-Nè basta. Quello che il Machiavelli dice a lode di Lorenzo
-s'interpreta a biasimo, e nel dialogo sul <i>Reggimento
-di Firenze</i> del Guicciardini si vuol vedere non
-una discussione, ma una diatriba, e fra gli interlocutori
-del dialogo si menan buone tutte le accuse di Paolo Antonio
-Soderini e di Pier Capponi e non si tien conto alcuno
-di tutte le difese di Bernardo Del Nero.
-</p>
-
-<p>
-Quanto erano stati belli e lieti gli anni della prima
-giovinezza di Lorenzo, altrettanto furono agitati e poi
-tristi e funesti i primi anni della sua signoria. Nel 1470
-<span class="pagenum" id="Page_21">[21]</span>
-insorge Prato. Due anni dopo Volterra, a cagione delle
-miniere d'allume. Si vuole ch'egli vi fosse cointeressato
-e che nella repressione la città fosse posta a sacco per
-ordine suo. Ora è stato dimostrato che della prima accusa
-non c'è che una sola testimonianza contemporanea
-ed è di un nemico dei Medici; e quanto alla seconda,
-non solo che non furono gli assalitori, che la misero a
-sacco, bensì le masnade stesse, che essa avea assoldate
-per difendersi. Ma che monta? È un'altra delle frasi
-fatte a proposito dei Medici e di Lorenzo, e non è un
-anno, che se l'è ribevuta il Bourget, romanziere positivista,
-nelle sue <i>Sensations d'Italie</i> e l'ha ridivulgata colla
-magia del suo stile. Lorenzo volle non transigere, ma
-reprimere. Quella frequenza di ribellioni gli dava ombra;
-ecco la maggiore responsabilità sua. Ottenne di fatto
-qualche anno di tregua e ripigliò più che mai gli spassi,
-gli studi, le magnificenze d'arti e spettacoli, perocchè
-Lorenzo non era di quelle povere nature, come sarebbero
-le nostre, che una sola faccenda assorbe intiere e
-non ci lascia più nè tempo nè testa ad altro.
-</p>
-
-<p>
-Natura grandiosa, fantasia ardente, ingegno universale,
-Lorenzo mandava di pari passo lettere, filosofia, galanterie,
-mascherate, vita di campagna, vita di città, laudi
-sacre, canti carnascialeschi, canzoni a ballo, sacre rappresentazioni,
-intimità cogli amici, i letterati e gli artisti,
-ospitalità sontuose a principi che capitavano, eriger
-chiese e ville, passione dei musei e dei cavalli, della
-musica e delle belle donne, banchetti e processioni, politica
-e giostre.
-</p>
-
-<p>
-La più celebre è appunto di questi anni, nel 1478, e
-prende nome da Giuliano ed è la più celebre, perchè
-fornì argomento alle <i>Stanze</i> del Poliziano. Precede alla
-giostra e alla composizione delle <i>Stanze</i> un avvenimento
-intimo dei due fratelli Medici, la morte della bella Simonetta
-Vespucci, amante di Giuliano, nel 1476, ed interrompono
-<span class="pagenum" id="Page_22">[22]</span>
-la composizione delle Stanze la congiura
-de' Pazzi e l'uccisione di Giuliano nel 1478. Il terribile
-epilogo, e non voluto, del poema è dunque la narrazione
-in latino sallustiano, scritta dallo stesso Poliziano. L'epilogo,
-forse ideato e non potuto scrivere, il cavalleresco
-epilogo cioè della più bella data in premio al più cortese,
-al più prode, sarebbe mai quello rappresentato con
-inspirazione polizianesca dal Botticelli nello stupendo
-quadro dell'Accademia di Belle Arti, detto comunemente:
-<i>la Primavera</i>? È una ingegnosa e nuova interpretazione
-del quadro, proposta ora dal prof. Jacopo Cavallucci e
-che a me pare fondatissima. La Ninfa del poema è certo
-quella del quadro. Basta rileggere le <i>Stanze</i>:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i03"> Candida è ella e candida la vesta</p>
-<p class="i02"> Ma pur di rose e fior dipinta e d'erba;</p>
-<p class="i02"> Lo inanellato crin dell'aurea testa</p>
-<p class="i02"> Scende in la fronte umilmente superba.</p>
-<p class="i02"> Ridele intorno tutta la foresta</p>
-<p class="i02"> E quante può sue cure disacerba.</p>
-<p class="i02"> Nell'atto regalmente e mansueta</p>
-<p class="i02"> E pur col ciglio le tempeste acqueta.</p>
-<p class="i02 dotted"> . . . . . . . . . . . . . . .</p>
-<p class="i01">Ella era assisa sopra la verdura</p>
-<p class="i02"> Allegra e ghirlandetta avea contesta</p>
-<p class="i02"> Di quanti fior creasse mai natura,</p>
-<p class="i02"> De' quali era dipinta la sua vesta.</p>
-<p class="i02"> E come prima al giovin pose cura</p>
-<p class="i02"> Alquanto paurosa alzò la testa,</p>
-<p class="i02"> Poi con la bianca man ripreso il lembo,</p>
-<p class="i02"> Levossi in piè con di fior pieno un grembo.</p>
-<p class="i02 dotted"> . . . . . . . . . . . . . . .</p>
-<p class="i02"> Mosse sovra l'erbetta i passi lenti</p>
-<p class="i02"> Con atto d'amorosa grazia adorno</p>
-<p class="i02 dotted"> . . . . . . . . . . . . . .</p>
-<p class="i02"> Ma l'erba verde sotto i dolci passi</p>
-<p class="i02"> Bianca, gialla, vermiglia azzurra fassi.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_23">[23]</span>
-</p>
-
-<p>
-Non meno certo è che la figura del giovine, situato a
-sinistra, è il ritratto idealizzato di Giuliano, somigliantissimo,
-parmi, all'altra figura di Giuliano, che è nel
-quadro dell'<i>Epifania</i> del medesimo Botticelli; e quasi lo
-stesso motivo poetico delle Stanze e del quadro la <i>Primavera</i>,
-e la poesia attribuita a Giuliano de' Medici, ma
-che il Carducci giudica del Poliziano, ed è diretta alla
-Simonetta. Se la ninfa del quadro sia il ritratto della
-Simonetta, fra tanta incertezza dei ritratti di questa
-vaga e celebre beltà, non si può forse determinare assolutamente,
-ma altri emblemi, il <i>lauro</i> allusivo a Lorenzo,
-i tre fiori <i>d'ireos</i> fiorentina, tutto concorre a dare
-a quel quadro un significato Mediceo spiccatissimo, e si
-sa che i Medici l'ebbero caro come un ricordo di famiglia.
-</p>
-
-<p>
-Comunque, il dolce nome della Simonetta mi riconduce
-a Lorenzo, perchè dalla vista di lei morta e portata,
-scoperto il volto, al sepolcro, come narra il famoso
-epigramma latino del Poliziano, Lorenzo pretende, nel
-<i>Commento</i> ai propri sonetti amorosi, essersi sentito sollevare
-alla perfetta cognizione platonica dell'amore, da
-una morta trapassato poi in una viva, dalla Simonetta
-in Lucrezia Donati, da lui incontrata in una festa,
-alla quale “concorsono, dic'egli, tutte le giovani nobili
-e belle„. È una gentilissima invenzione, ma invenzione
-di certo, perchè l'amore della Donati è precedente di
-dieci anni almeno alla morte della Simonetta, e solo dimostra
-che continuò anche dopo il matrimonio di Lorenzo
-con Clarice Orsini, sempre però puro, ideale, platonico,
-petrarchesco, come assicura Ugolino Verini, un
-poeta intrinseco di Lorenzo, e dietro a lui molti altri
-confermano, sicchè noi non possiamo far di meglio che
-credere ad occhi chiusi a sì concordi testimonianze.
-</p>
-
-<hr class="tbs" />
-
-<p>
-Tutta questa lieta visione di giovinezza e di amori si
-dilegua nella congiura de' Pazzi. Non rinarrerò quella
-<span class="pagenum" id="Page_24">[24]</span>
-scena, una delle più straordinarie della storia di Firenze,
-perchè tutte già l'avete a memoria; quella messa in
-duomo col Cardinal Riario, che assiste; Giuliano e Lorenzo
-de' Medici con parecchi loro amici, vicini al coro
-e circondati, senza saperlo, dai congiurati; il popolo devoto,
-che li attornia, e mentre il sacerdote celebrante
-solleva l'ostia consacrata e le campane suonano a gloria,
-Giuliano, ferito a morte dal Bandini, cadere immerso
-nel proprio sangue, Lorenzo assalito e ferito anch'esso,
-ma avvoltasi la cappa a un braccio e tratta coll'altro
-la spada aprirsi il passo alla sagristia, dove riesce a
-scampare. La chiesa è tutta un tumulto; le vôlte quasi
-crollano alle grida; il Cardinal Riario, accovacciato presso
-l'altare, ne rimarrà pallido di terrore tutta la vita. Intanto
-a quel suono di campane, altri congiurati, con
-l'Arcivescovo Salviati alla testa, assalgono il Palazzo
-della Signoria, ma sono presi, i principali impiccati alle
-finestre, altri respinti, mentre il popolo, infuriato per la
-morte di Giuliano, vuol riveder salvo il suo Lorenzo
-dalle finestre del Palazzo di Via Larga, poi trucida per
-le vie quanti congiurati o sospetti gli vengono alle mani,
-chi dice settanta, chi cento, chi più; giustizia orrenda,
-ma che dimostra avere il popolo giudicata la congiura
-per quel che era, una trama ordita, non per amore di
-libertà, ma per odii e cupidigie private dei Pazzi, del
-Papa e dei Riario, suoi nipoti, e quindi aver senz'altro
-voluto vendetta dei congiurati. Dissimulando la complicità
-sua, il Papa ruppe guerra a Firenze e vi trascinò
-il Re di Napoli, suo alleato, pretendendo che la guerra
-era fatta non a Firenze, ma a Lorenzo. Questi vide bene
-il pericolo di tale perfidia; intuì rapidamente la necessità
-d'un gran colpo, scindere cioè l'alleanza del Papa
-col Re, e deliberò a qualunque rischio di consegnarsi da
-sè nelle mani del Re. Partì accompagnato dai voti e
-dall'ammirazione di tutti. Tornò colla pace, tornò glorioso,
-<span class="pagenum" id="Page_25">[25]</span>
-tornò onnipotente, e di questo momento si valse
-subito per riassodare l'autorità sua e della sua Casa.
-Questo si chiama veder chiaro in politica! Di più, poteva
-in quel momento esser principe e non volle; preferì
-una repubblica signorile a una signoria repubblicana.
-Questo si chiama moderarsi nella vittoria, la più difficile
-di tutte le virtù politiche. Poteva cioè uscire dalle
-tradizioni della storia fiorentina e non volle!
-</p>
-
-<p>
-Quante volte il fatto dei Medici e di Lorenzo non s'è
-ripetuto anche nella storia d'altri paesi? Al ritorno di
-Cosimo dall'esilio il popolo vide in lui un liberatore, non
-un tiranno. Al ritorno di Lorenzo da Napoli accadde lo
-stesso e anche più. Perciò non credo ch'egli avesse bisogno
-di corrompere il popolo, distillandogli i sottili veleni
-della voluttà per meglio dominarlo. Anche questa
-è una delle tante frasi fatte, ma, ha ragione il Gaspary,
-“un individuo non corrompe una nazione, quando essa
-non sia già corrotta„. Quanto a morale e gusto di piaceri,
-il popolo valeva il signore e il signore il suo popolo.
-Per questo s'intesero così bene! Nè si nieghi l'azione
-di Lorenzo sulla civiltà della Firenze d'allora, sofisticando
-su qualche data di nascita o di morte di grandi
-artisti, perchè tutta la grande fioritura artistica e letteraria
-del 400 fiorentino è Medicea, nè tali quistioni si
-trattano coll'orologio alla mano. Il vero è che nè una
-protezione principesca basta da sola a creare una civiltà,
-nè una tirannia, anche più deprimente di quella dei
-Medici, a farla sparire. V'ha bensì sull'ultimo della vita
-di Lorenzo, come già dissi, un principio di reazione morale
-e religiosa, che s'incarna nel Savonarola, ma la impicciolirebbe
-di troppo chi la considerasse provocata da
-un uomo solo, anzichè dall'indole generale della nuova
-cultura, dei nuovi costumi e dei nuovi tempi. Le lettere,
-che Lorenzo scrive alla morte di sua madre, la pia
-e ingegnosa donna, la quale negli argomenti de' suoi inni
-<span class="pagenum" id="Page_26">[26]</span>
-sacri precorre il Manzoni, mostrano la tenerezza filiale
-di Lorenzo. Le lettere di Clarice Orsini e del Poliziano,
-del Pulci e di tanti altri mostrano l'amor suo pei figli,
-la sua bonaria e fedele affezione agli amici, dai quali
-fu idolatrato, e, quanto alla moglie, lasciando stare se
-il <i>mi fu data</i> dei <i>Ricordi</i> di Lorenzo sia la frase indifferente,
-che significa il fidanzamento o che la sposa non
-fu di sua scelta, certo è che i fatti e i documenti dimostrano
-rapporti non mai interrotti di affetto e di stima.
-Intercedendo per chi l'ha offeso: “non fareste, essa gli
-scrive, secondo la natura vostra a non gli perdonare„;
-parole, che fanno il maggior onore ad essa ed a lui e
-scritte l'anno stesso della congiura de' Pazzi, quando
-l'animo di Lorenzo dovea esser meno che mai disposto
-ad indulgenza. E quando si leggono nella lettera di
-Matteo Franco, che descrive il ritorno di Clarice dal
-Bagno a Morba, le parole, ch'essa risponde ai poveri
-terrazzani di Colle, i quali la supplicano di raccomandarli
-a Lorenzo, si vede chiaro quant'essa era addentro
-nel segreto della sua politica e con che arte gentile sapea
-all'occasione farsene strumento.
-</p>
-
-<p>
-Se non avessi già troppo abusato della vostra cortese
-attenzione, mi sarebbe dunque facile dimostrarvi coi
-documenti alla mano che Lorenzo fu buon figlio, buon
-padre, marito convenientissimo, nella stessa guisa che
-potrei e dovrei mostrarvi, che come critico, precorre
-studi moderni, che come poeta, sorpassa forse il Poliziano
-ed il Pulci per osservazione della realtà e per sentimento
-vivo e immediato della natura esteriore, che,
-come umanista, tempera gli eccessi della scuola col culto
-della lingua volgare, di cui è restitutore e mantenitore,
-che, come filosofo finalmente, modera l'irreligione del
-tempo col teismo neoplatonico, il maggior tentativo di
-accordo fra il cristianesimo e la filosofia, quantunque
-non potesse di certo parer sufficiente al Savonarola.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_27">[27]</span>
-</p>
-
-<p>
-Se come uomo Lorenzo de' Medici deve dirsi buono,
-se come letterato e filosofo superiore al suo tempo (il
-quale tuttavia non ha nel suo complesso chi lo rappresenti
-meglio e più intieramente di lui), forsechè come
-politico è inferiore agli altri signori e principi del tempo
-suo? Il sistema d'equilibrio dei quattro maggiori Stati
-d'Italia, quale lo praticò Lorenzo al disopra della scellerata
-politica degli altri principi, compresi i Papi, al
-disopra dei pregiudizi Guelfi Fiorentini, al disopra d'ogni
-interesse di famiglia, perchè nella politica estera egli
-non ha, nè può avere, notate bene, appunto perchè non
-principe, altro pensiero che della potenza di Firenze, lo
-rende indubitabilmente superiore a tutti gli statisti, non
-speculativi, ma operanti del suo tempo. Ed ebbe pure
-il presentimento del donde potea venire il pericolo futuro,
-poichè quando Luigi XI gli profferse aiuto contro
-il Papa ed il Re di Napoli: “io non posso, disse, anteporre
-il mio particolare vantaggio al pericolo di tutta
-Italia; volesse Iddio che ai Re di Francia non venisse
-mai in mente di sperimentare le proprie forze in questo
-paese. Quando ciò accada, l'Italia sarà perduta!„ E
-lo fu in realtà, due anni dopo appena ch'egli era morto.
-Non possiamo dire, ch'egli avrebbe impedita la catastrofe,
-ma ben possiamo esser certi che la sua condotta
-non sarebbe stata così pazza ed improvvida, come fu
-quella di Piero, suo figlio.
-</p>
-
-<hr class="tbs" />
-
-<p>
-Moriva Lorenzo l'8 aprile 1492 nella sua villa di Careggi
-fra il dolore disperato dei congiunti e degli amici;
-moriva fra il lutto e le lagrime di tutto un popolo; moriva
-nel colmo della potenza e della gloria. Ciò non
-potè tollerare l'intolleranza Piagnona e creò la leggenda
-del Savonarola che all'ultim'ora gli nega l'assoluzione e
-lo lascia morire fra i rimorsi. Nè basta. Ci voleva un
-po' di delitto per colorir meglio il quadro e si raccontò, e
-<span class="pagenum" id="Page_28">[28]</span>
-si cantò anche in versi elegiaci, che il medico Pier Leoni
-di Spoleto fu gettato in un pozzo per ordine del primogenito
-di Lorenzo. Quanto alla prima parte della leggenda,
-essa, come questione storica, s'è ingrossata, e allorchè
-un Villari le presta fede, un Ranke non osava
-più negarla addirittura, un Reumont la giudicava per
-lo meno incerta, non oserei io di mescolarmi in tal disputa.
-Debbo però al mio gentile uditorio la mia opinione,
-ed è che la lettera del Poliziano a Jacopo Antiquario,
-in cui il Savonarola (ciò che s'accorda anche col
-tempo) si mostra solo uomo di chiesa e ammonisce e
-benedice (non confessa ed assolve) <i>in articulo mortis</i> il
-peccatore pentito, mi pare a tutt'oggi il solo documento
-attendibile e che tutte le altre parole messe dalla leggenda
-in bocca al Savonarola e a Lorenzo mi sembrano
-un anacronismo e un assurdo. Quanto al medico, la lettera,
-ora pubblicata, di Bartolommeo Dei toglie ogni
-dubbio. Impazzò e si suicidò! Meno male, perchè il terribile
-Perrens aveva già scartata l'ipotesi del suicidio,
-dicendo: “<i>Les medécins tuent, ne se tuent pas!</i>„
-</p>
-
-<p>
-Ed ora concludiamo. Chi dalle mie parole argomentasse
-che ho voluto fare non la storia, ma l'apologia di
-Lorenzo il Magnifico, avrebbe gran torto. Nè l'una, nè
-l'altra, se mai; non la storia, perchè in sì piccolo quadro
-non si fa star dentro una così grande figura; non
-l'apologia, perchè non credo che Lorenzo n'abbia bisogno.
-Volli esporre il concetto, che mi sono formato della
-storia di Lorenzo in relazione a quella di Firenze e
-d'Italia, e tale concetto posso riassumerlo così.
-</p>
-
-<p>
-Nella storia di Firenze a me pare di scorgere una
-continuità nelle parti, che si contendono il predominio
-cittadino ed un perpetuo ricorso delle stesse forme, che,
-spogliate di quanto hanno d'accidentale e d'occasionale,
-accennano fin dai più antichi tempi al dove vanno in
-ultimo a terminare tutte le lotte fiorentine, al predominio
-<span class="pagenum" id="Page_29">[29]</span>
-cioè d'una consorteria, d'una famiglia, d'un uomo.
-Furono i Medici! Potevano essere gli Albizzi, gli Alberti,
-gli Strozzi, ma a questi non sarebbe probabilmente
-riescito di dare alla loro signoria quel carattere,
-che poterono darle i Medici, di pura preminenza d'un
-cittadino in una repubblica. Le lotte delle fazioni si presentano
-subito in Firenze come contrasto di due famiglie.
-Queste aggruppano intorno a sè gli elementi, che
-sono proprii della lotta comunale in tutta Italia, elementi
-politici, guelfismo e ghibellinismo, elementi sociali,
-aristocrazia e democrazia. Il Comune è da prima
-fuori del contrasto, poi naturalmente, e presto, diviene
-l'oggetto del contrasto medesimo e gli dà la forma esteriore,
-mentre l'impulso segreto, l'impulso, che è l'anima
-vera del contrasto, è sempre d'una famiglia e della clientela,
-che le sta d'attorno. Se così non fosse, quando il
-fine, per cui una fazione si muove, è ottenuto, si vedrebbe
-cessare questo moto, per poi ricominciarne un
-altro. Invece, siano guelfi e ghibellini, che lottano, grandi
-e popolo, arti maggiori e arti minori, appena una fazione
-vince, si divide in sè stessa e la lotta continua
-sempre. È per questo, io credo, che il Villani, il Compagni,
-tutti i cronisti, non parlano mai dei principii o
-dei fini politici, pei quali una fazione s'è mossa, bensì
-dei pregi o difetti della famiglia o dell'uomo, che alla
-fazione dà nome, perchè questo è per essi importante;
-il resto accessorio. Talvolta pare che si mira a slargare
-in senso democratico l'ordinamento del Comune. Ma appena
-s'è vinto, la famiglia, la setta (come la chiamano
-i Fiorentini nella seconda metà del trecento), cerca sfruttare
-la vittoria a suo pro. Questo tentativo costante non
-riesce ad altri; riesce ai Medici, perchè Cosimo sa far
-apparire la vittoria, vittoria sua, non della parte, e non
-ha quindi da sconvolgere l'ordinamento comunale per
-soddisfarla; frena insomma subito egli stesso la fazione,
-<span class="pagenum" id="Page_30">[30]</span>
-con cui ha vinto gli Albizzi, e ciò tanto più facilmente,
-in quanto non è fazion vera la sua, non una classe, non
-un'arte contro l'altra, bensì un'accozzaglia d'amici e di
-malcontenti, che non spera che in lui, ond'egli detta
-legge, non la riceve, e la vittoria contro la minacciante
-tirannide degli Albizzi gli fa anzi quasi un obbligo, una
-necessità di rispettare gli ordinamenti comunali, pur
-piegandoli alla volontà sua, che è la tradizione di tutte
-le famiglie, le quali hanno capitanate le fazioni fiorentine
-e con esse sono pervenute più o meno lungamente
-al governo del Comune. Sempre le stesse arti, sempre
-gli stessi mezzi, all'ombra sempre delle stesse instituzioni!
-Finchè l'elemento di famiglia è costretto a tenersi
-celato dietro l'elemento politico e sociale, la signoria non
-può fondarsi. Quando per l'inclinazione generale dei Comuni
-italiani a signoria, può mostrarsi a viso aperto,
-allora la signoria si fonda, ma col carattere speciale
-delle passeggere signorie fiorentine, cioè tirando a sè,
-non distruggendo, le instituzioni del Comune. Lorenzo
-restituisce e conserva il tipo di Cosimo, ma da Cosimo
-a Lorenzo la signoria Medicea fa un passo innanzi. Con
-Lorenzo è ancora più personale. Diciamo, se volete, che
-Lorenzo è addirittura un tiranno, ma, in questo caso,
-soggiungiamo subito col Guicciardini, che Firenze non
-poteva avere “un tiranno migliore e più piacevole„ di lui.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_31">[31]</span>
-</p>
-
-<h2 id="castelli">LA VITA PRIVATA NE' CASTELLI</h2>
-
-<p class="center">
-DI
-</p>
-
-<p class="center large">
-GIUSEPPE GIACOSA.
-</p>
-</div>
-
-<p class="pad2">
-Al tempo delle castella, la parola castellano ebbe tre
-significati diversi, o per dir meglio fu adoperata ad indicare
-tre diverse classi di persone. Era castellano il signore
-di uno o più castelli; era castellano colui che, nel
-nome del signore, teneva il governo di un castello; e castellano
-si chiamava pure chi dimorava nelle castella, cioè
-nelle piccole terre cinte di mura e dominate da una rocca.
-</p>
-
-<p>
-Nelle regioni d'Italia dove fiorì la vita comunale e repubblicana,
-la parola era per lo più usata nel secondo
-significato, come quello che corrispondeva al maggior
-numero dei casi. Il vocabolario del Manuzzi, alla voce:
-Castellano, lo registra infatti innanzi di ogni altro, e
-prima scrive: Capitano di castello, che Signore di esso.
-E quando la parola racchiudeva il concetto della signoria,
-non implicava quello della dimora; occorre infatti
-ad ogni momento la locuzione: di molte o di poche terre
-castellano.
-</p>
-
-<p>
-Invece nei paesi dove il sistema feudale ebbe il suo
-naturale compimento nella monarchia unitaria, grazie la
-intricata rete di privilegi, di prerogative e di interessi
-che fissava il signore alla terra e lo costringeva a risiedervi,
-per Castellano in ogni tempo si intese comunemente:
-il signore dimorante nel castello, il quale castello,
-dalla secolare e non interrotta consuetudine, venne
-<span class="pagenum" id="Page_32">[32]</span>
-prendendo una certa aria di famiglia, si adattò ai successivi
-crescenti bisogni, si piegò quasi ai minuti capricci
-dei padroni, così che ne rispecchiò poi fedelmente
-l'indole e le abitudini.
-</p>
-
-<p>
-Fra questo castellano campagnuolo ed il signore dimorante
-nella città e più il Principe dei nuovi principati
-italiani all'epoca del Rinascimento, corrono differenze
-così profonde che la distanza di un secolo non ne darebbe
-di maggiori. Differenze nel campo dell'azione e
-delle attribuzioni politiche, differenze nell'ordinamento
-domestico e nelle abitudini della vita quotidiana. Le
-Corti, più ricche, più sfarzose, più colte, più popolose,
-ebbero istoriografi e descrittori in abbondanza, mentre
-ne difettarono i castelli. Ed ognuno di quegli istoriografi
-e descrittori fu in questi ultimi tempi argomento
-di nuovi e minutissimi commenti e raffronti, sicchè non
-si può oramai trovare in essi notizia che già non sia
-stata a sazietà detta e ripetuta. Ed anche riguardo i castelli,
-le notizie raccolte nei libri riflettono bensì molti
-momenti della vita privata, ma di preferenza quelli che
-si connettono colla pubblica, quali sarebbero le feste ed
-i ricevimenti o che hanno, in alcun modo, attinenza
-colle arti e colla cultura generale. Ora, noi gente positiva,
-abbiamo oggi delle curiosità più minute e meno
-discrete. Non ci basta sapere come quei fastosi signori
-accogliessero i frequenti ospiti, come ordinassero i banchetti,
-come uscissero a cavalcate, come vestissero nelle
-solenni occasioni, come si raccogliessero la sera in illustre
-compagnia a novellare od a ragionare di ornate
-cose, ma ci prende un indiscreto desiderio di entrare
-nelle più intime camere loro, di assistere la mattina al
-loro primo levare, di accompagnarli passo passo per
-tutta la giornata, di sorprendere le loro più gelose debolezze,
-di sedere alla loro tavola quando pranzano in
-famiglia, di gustare le loro vivande, di ascoltare i loro
-<span class="pagenum" id="Page_33">[33]</span>
-discorsi coi servitori e colle donne, e, quando la sera
-prendono commiato dai famigliari, di seguirli lungo i
-corritoi oscuri o su per le scale tortuose, e riaccompagnarli
-in camera, a meno che, fatti da qualche dolce ragione
-sospettosi e gelosi, non ce ne chiudano l'uscio sul
-muso, e non tirino il chiavistello. Queste nozioni, i libri
-che ci si mettono di proposito non ce le danno. Si possono
-bensì racimolare qua e là nei novellieri, e così mi
-sono industriato di fare, ma è bene dove le cose parlano,
-lasciar parlare le cose, le quali la sanno lunga e
-sono al solito più sincere che gli uomini.
-</p>
-
-<p>
-Innanzi di conoscere il Castellano, vediamo dunque di
-visitare il Castello. Il Castello del secolo XV, ha già alquanto
-dimesso della originaria spavalderia bellicosa. Ancora
-gli durano le torri e a taluno i fossati, ma le varie
-cinte che nei secoli precedenti lo fasciavano tutto
-intorno e gli toglievano l'aria e la vista, sono in parte
-cadute, ed in parte dimezzate per l'altezza, reggono gli
-stecconi delle pergole o danno appoggio alle spalliere.
-Noi dobbiamo però, se ci è caro averne una giusta mozione,
-imbrigliare alquanto la fantasia amplificatrice, la
-quale suole rappresentarci il castello feudale d'assai più
-vasto che in realtà non fosse. A mano a mano che la
-facoltà di muovere ed i mezzi di sostenere la guerra,
-vennero restringendosi dai signori di terre ai signori di
-Stati, il castello feudale, ove dimoravano i padroni, prese
-meno spazio ed apparve meno imponente. Coll'assodarsi
-delle monarchie, cessò ai signori il diritto di levar genti
-e la necessità di allogarle in chiusi recinti a guardia
-della Rocca. Gli apparecchi belligeri che sul principio
-del secolo XV alcuni signori amano ancora disporre intorno
-al maniero, ci stanno più a testimonianza di prerogative
-nobiliari che a pratica difesa. E perchè sono
-incomodi e costosi, ci durano poco, o perdurando sono
-causa che il padrone sloggi dalla antica e si fabbrichi
-<span class="pagenum" id="Page_34">[34]</span>
-nelle vicinanze una nuova dimora. I castelli dei privati
-signori che ancora ci rimangono di quel tempo, sono
-ben lontani dal fastoso apparecchio che un secolo e
-mezzo o due secoli più tardi fa delle ville signoresche
-altrettanti luoghi incantati, dove gli spaziosi giardini, le
-gradinate a terrazzi e gli alberi secolari diventano elementi
-architettonici e combinano insieme col palazzo ad
-una magnifica ed armoniosa veduta. Il giardino del secolo
-XV più si assomiglia ad un orto che ai lambiccati
-giardini del seicento e del settecento; esso è quasi sempre
-chiuso fra muraglie alte onde prende un'apparenza
-claustrale che non disdice all'ordinamento interno della
-casa. — Al di fuori, il castello ha un aspetto severo e
-spesso arcigno. Da una larga porta e per un atrio spazioso,
-si riesce nel cortile, lastricato a lastroni massicci,
-intorno al quale corrono le quattro pareti della casa
-aperte in portici e loggie e fregiati i muri con fascie a
-rabeschi e colori, con stemmi in pietra o dipinti, o con
-istorie figurate. Nel mezzo del cortile sta il pozzo o la
-cisterna, col parapetto fatto di pietre o marmi scolpiti,
-col tettuccio a colonnini, o colle staffe di ferro battuto
-a delicati fiorami, che reggono la carrucola. A volte, fra
-i monti dove si può condurre al castello qualche acqua
-sorgiva, in luogo del pozzo si trova una vasca che riceve
-zampilli dalla colonna che le sorge nel mezzo o
-pioggia abbondante di stille da un albero fronzuto di
-naturale grandezza, tutto ferro operato dalle radici alle
-foglie ed ai frutti. Sotto il portico, rasente il pieno muro,
-corre una lunga fila di panche fisse colla spalliera vagamente
-intagliata. E tra il sommo della spalliera e la
-vôlta, alcune pitture a fresco narrano a episodi la vita
-del castello e del borgo. Una ci mostra il corpo di
-guardia: nel fondo sta la rastrelliera cui pendono le
-armi, nel mezzo i soldati seduti al desco bevono, uno
-briaco fradicio dorme, altri giocano, due si accapigliano,
-<span class="pagenum" id="Page_35">[35]</span>
-e ad un capo della tavola una donna mostra all'amante
-la scena disgustosa per svogliarlo dalla intemperanza.
-Poi viene la bottega del beccaio, poi il mercato delle
-frutta e degli erbaggi, poi il sarto, poi lo speziale. Scene
-popolari e borghesi, tutte movimento, ispirate certo alla
-vista delle cose reali, testimonio preziosissimo delle costumanze
-locali, perchè la ingenuità della fattura, e
-una certa rozzezza artistica, attestano che il pittore ancora
-non conobbe l'arte nuova, che non attinse a maestri,
-ma s'industriò alla meglio di rappresentare le cose
-che gli stavano intorno.
-</p>
-
-<p>
-Nel corpo della casa opposto all'entrata, od in quello
-che apre esternamente sui luoghi meno belli, meno soleggiati
-e meno in vista, stanno le cucine, le dispense,
-il tinello e gli altri locali dati al servizio, al bucato, e
-via dicendo. A seconda della maggiore o minor mole
-del castello e della sua giacitura, si trovano pure a pian
-terreno una o più camere fornite, ad uso di ospizio per
-i viandanti. Certe volte, queste camere, stanno in qualche
-fabbrica staccata e vicina, colle scuderie, i canili, le
-stalle ed il fienile.
-</p>
-
-<p>
-La cucina ha nella vita signoresca di quel tempo una
-importanza grandissima quale noi a stento possiamo
-concepire, anche quando confrontiamo alle modiche nostre
-le formidabili mangiate di quei nostri maggiori. La
-Castellana pur sapendo di greco e di latino (caso, più
-raro assai, a mio giudizio, di quanto sia stato detto e
-di quanto si creda), scende ogni giorno alla cucina, bada
-direttamente alla spesa, e ne registra i conti in apposito
-libretto, combina col cuoco, o più comunemente
-colla cuoca, la lista del desinare, misura il vino alla
-servitù, vigila alla nettezza dei rami e delle stoviglie.
-Tutti i rami portano impressa l'arme della famiglia,
-come pure le brocche, le mezzine, i gotti, ed i piatti di
-stagno, e belle armi scolpite mostrano i monumentali
-<span class="pagenum" id="Page_36">[36]</span>
-mortai. — La cucina ha due immensi camini: uno raccoglie
-sotto le ali della cappa i fornelli, l'altro, il maggiore
-che ospiterebbe al coperto tutto quanto il servitorame,
-ha in un fianco, sotto la cappa, il forno, e dal
-lato opposto, aperto nel muro del fondo, il passa vivande,
-che guarda nella sala da pranzo. Questa la conosciamo:
-gli scrittori di storia, i novellieri, i diplomatici
-ed i poeti, ce ne hanno lasciato diligenti e riconoscenti
-descrizioni. D'altra parte il suo arredamento non
-ha quella stabilità che si incontra in ogni altro membro
-della casa, e a norma delle circostanze e degli ospiti,
-variano le tappezzerie, variano i mobili e variano sopratutto
-le argenterie ed il vasellame di cui, nelle occasioni
-solenni, il sire del Castello fa grande e non sincera
-mostra, togliendone a prestito da qualche vicino o
-parente.
-</p>
-
-<p>
-Qui sopratutto da Principe a Castellano ci corre. Il
-Principe del Rinascimento, venuto in subitanea ed impensata
-grandezza, ama lo sfarzo degli apparati per naturale
-inclinazione artistica e per accorgimento politico.
-Egli sa che tanto più può quanto più è creduto potere,
-e del potere è visibile indizio la magnificenza. Inoltre,
-salito all'altissimo grado per virtù d'ingegno, egli pregia
-tutte le manifestazioni dell'ingegno umano, e gli ingegni
-stessi, onde si circonda di poeti e di artisti, ne stimola
-con danari ed onori l'attività, traendo dalla loro
-dimestichezza e dalle opere loro, come osserva il Burckardt,
-una nuova legittimità alla sua illegittima potenza.
-</p>
-
-<p>
-Il Castellano, nobile di antica data, ha bensì ambizioni
-grandi, ma deve fare i conti colle rendite che il potere
-sovrano gli va continuamente assottigliando. Nè in tempi
-di così instabili signorie, e nella rapida decadenza degli
-ordinamenti feudali, egli osa fare vistosa mostra di ricchezze;
-onde, dei nuovi agi e delle nuove eleganze, ama
-piuttosto fruire in famiglia che procacciare agli ospiti
-<span class="pagenum" id="Page_37">[37]</span>
-il godimento. Perciò troveremo più ornate e ricche le
-camere di sopra, destinate al dormire e all'abitare, che
-la sala da pranzo e quella antica sala baronale che ancora
-occupa al piano terreno il maggiore spazio, ma che
-sia ostentazione di austerità, sia religione degli avi o sia
-piuttosto il trovarcisi a disagio, il padrone lascia, per lo
-più, nuda, fredda e solenne quale l'ebbe dai padri.
-</p>
-
-<p>
-Due scale mettono ai piani superiori della casa. Una,
-stretta, oscura e rotta da frequenti ripiani, è destinata
-al disbrigo delle faccende domestiche, l'altra spaziosa e
-chiara è riservata ai signori. Questa, o sale visibilmente
-dal cortile coperta di un tettuccio posato su pilastrini o
-colonnini, o si svolge in branche regolari con scalini larghissimi
-e di poco rilievo. Nell'Alta Italia non erano infrequenti
-le scale a chiocciola. Il Castello d'Issogne in
-Valle d'Aosta ce ne mostra una veramente bella e degna
-di studio. Ogni gradino s'impernia dall'uno dei capi in
-una colonna di granito sottilissima, e di là allarga a ventaglio
-il suo piano finchè infigge nel muro l'altro capo,
-più largo di un braccio. Rigirata sopra sè stessa, descrivendo
-un circolo che misura oltre quattro metri di
-diametro, quella scala, che pare empire colla sua elica
-enorme il cavo di una torre, ascende misteriosa, nascondendo,
-a chi sale, la persona che lo preceda di pochi
-gradini, ed ingrossando il suono di ogni passo e diffondendolo
-in quel vento continuo che rendono le spire di
-una conchiglia. La sera essa vi dà quella sottile inquietudine
-imaginosa, così piacevole agli adulti. Ogni passo
-ed ogni voce svegliano mille echi di passi e di voci che
-sembrano turbinare nel vano e salire e smarrirsi poi via
-per i solai tenebrosi. Vi scattano rumori secchi come il
-battere di un acciarino, spenti nell'attimo come la scintilla
-che ne lampeggia, vi corrono fruscii morbidi come
-di vesti che sfiorino la terra e rapidi come di persona
-snella che si rimpiatti. Se altri vi preceda colla lucerna,
-<span class="pagenum" id="Page_38">[38]</span>
-le muraglie, più che una luce, riflettono una bianchezza
-incerta simile a quella che irradiata dalle lampade degli
-altari fa più nera l'oscurità delle navate.
-</p>
-
-<p>
-Le camere del primo piano, sono chiare e spaziose; i
-mobili pochi, ma ognuno di essi ha singolari pregi artistici.
-Gli intagli assottigliano il legno e gli danno la
-vaghezza e la leggerezza di un ricamo, senza scemarne
-punto la solidità. All'opposto di quanto segue oggidì, i
-meglio ornati non sono i mobili di pretto lusso, ma gli
-usuali, come i grandi stipi addossati al muro, le credenze,
-il seggiolone o cattedra che fiancheggia il letto, la cui
-spalliera, imperniata al telaio, può all'occorrenza scendere,
-e posando sui bracciuoli formare una tavola. Ai
-piedi del letto sta il cassone, o la cassapanca, ornata di
-intagli a fiori o figure, e con delicati fregi di ferro, alle
-maniglie ed alla serratura, quella cassapanca che fu argomento
-di tante argute ed inverosimili storie ai novellieri,
-nella quale le donne riponevano le vesti più sfarzose,
-poichè ancora non usava, o poco, di appenderle
-negli armadi. Il letto a colonnini, è coperto e fasciato
-di ricchissime cortine. Quando il signore conduceva la
-sposa al castello, la camera nuziale era tutta apparata
-a nuovo. Le altre camere della casa erano depredate per
-raccoglierne in quella tutti gli agi e le ricchezze. Si ponevano
-sul letto fin quattro materassi di bambagia, le
-lenzuola erano di tela, sottilissime, tutte trapunte di seta
-e d'oro, che doveva far ribrezzo a toccarle. Le coperte,
-di raso rosso, azzurro, cremisino, mostravano ricami di
-fili d'oro con le frangie d'ognintorno. Le cortine erano
-a liste alternate di velluto e damasco e tocca. Quattro
-origlieri lavorati maravigliosamente a ricami e trine
-aspettavano le nobili teste. Alle pareti, arazzi istoriati o
-vaghe stoffe sottili, a ghirlande di fiori. Nel mezzo sulla
-tavola un tappeto alessandrino, ed un tappeto, alessandrino
-pure, sul palco che reggeva il letto. E intorno i
-<span class="pagenum" id="Page_39">[39]</span>
-forzieri recati in dote dalla sposa, pieni di gemme, di
-monili, di stoffe preziose e di merletti.
-</p>
-
-<p>
-Ma tale fasto durava quanto la intima convivenza dei
-coniugi, i quali, a breve andare, si riducevano entrambi
-in meno ricchi appartamenti, e spartivano fra di essi ed
-in seguito colla figliolanza le quattro materasse, che
-erano spesso le sole della casa, e delle quali più d'una
-volta i figlioli maschi ignoravano, finchè non menassero
-moglie, le tepide mollezze. Perchè, il lusso era grande,
-ma non pari al lusso le comodità, o, quanto meno, non
-le minute comodità, che tanto pregiamo ai giorni nostri.
-</p>
-
-<p>
-Avevano, onde è a credere che pregiassero sopratutto
-le comodità di spazio, e grande e nuovissima a quei
-tempi, ricchezza di luce e di aria. Nei secoli precedenti,
-il castello era più ordinato a fortezza che a dimora, onde
-apriva non sulla campagna, ma sugli spazi compresi fra
-le varie cinte, strette e basse finestre. Ora ogni camera
-guardava intorno, oltre i recenti ruderi delle cinte, i
-campi ed il cielo e lasciava entrare per le ampie e frequenti
-finestre, i raggi, i profumi, i suoni che manda la
-natura. E quelle finestre, dalla profonda strombatura,
-dovevano essere la dimora consueta delle donne a giudicarne
-dai sedili a muro che le fiancheggiano e che solevano
-ricoprire di morbidi cuscini. Di là le castellane
-aspettavano il marito od i figliuoli reduci dalle caccie,
-non dalle caccie festose e squillanti, raro e costoso sollazzo
-dato ai rari ospiti e delle quali esse pure erano
-parte, ma dalle caccie quotidiane, rude esercizio di forza
-e di astuzia, consueta e quasi unica educazione che i
-padri davano ai figli. Di là anche, le giovani donne ammonivano
-il damo che s'aggirava cauteloso nei pressi
-del castello, e con segnali convenuti gli davano la posta.
-Se non che, a scapito della poesia romantica, ed a gioia
-grande del demonio, esse solevano pur troppo concedere
-e richiedere amore, a gente dimorante, per uffici che vi
-<span class="pagenum" id="Page_40">[40]</span>
-tenessero, nel castello, e la distribuzione degli appartamenti
-aiutava i raggiri infernali perchè le camere delle
-donne stavano tutte dall'un lato del castello e quelle degli
-uomini dall'altro.
-</p>
-
-<p>
-La famiglia del signore teneva il primo piano della
-casa. Il secondo era destinato agli ospiti. Ciò dico, dei
-castelli, non delle abitazioni signorili della città, nelle
-quali erano di solito serbate pei forestieri molte camere
-al piano terreno.
-</p>
-
-<p class="ast">*</p>
-
-<p>
-La mattina, all'alba, il cortile è pieno del vario popolo
-dei servi e dei valletti. Gli uni portano le provvigioni
-alle cucine, e gli altri forbiscono le armi od i fornimenti
-per le cavalcature, gli scozzoni strigliano i
-cavalli, il maggiordomo, sotto il portico, misura, pesa e
-registra il latte, le farine, le ova ed il pollame che i
-villani arrecano dalle prossime cascine. Nel secolo XIV
-ancora squillava, al levare del sole, il corno della torre
-maggiore. Ora quell'uso guerresco è dimesso. Il signore
-s'alza per tempo, poichè andò la sera innanzi per tempo,
-al riposo. Quando gli tocca levarsi ad ore insolite, egli
-ricorre allo svegliarino, che chiamavano allora oriolo col
-destatoio, del quale, verso la fine del secolo XV, già
-l'uso era quasi comune. V'erano anzi orioli di così sottile
-congegno, che all'ora voluta, non solamente risonavano
-stridendo, ma battevano l'acciarino ed accendevano
-la candela. Appena desto, il Castellano scendeva alle
-stufe, pel bagno, bella usanza dovuta alle Crociate e che
-si andò perdendo di poi, e fu ripresa che non è molto; indi
-attendeva a vestirsi coll'aiuto del domestico che si era
-tutta la notte giaciuto sul tettuccio accanto al letto padronale.
-Di dormir solo in camera non si attentava nessuno.
-All'ospite era squisita cortesia, offrire il Castellano
-<span class="pagenum" id="Page_41">[41]</span>
-un posto nel suo proprio letto. E sempre o una dama,
-o una vecchia fante, dormiva o nel lettuccio accanto o
-nel letto istesso della Castellana. Di questa singolare, e
-a giudizio dei nostri tempi, fastidiosissima usanza, sono
-piene le novelle. E poichè, bisogna pur dire ogni cosa,
-la domestica non si rimoveva di camera, nemmeno
-quando il rimanervi la riduceva a terzo incomodo; se
-non che i signori, quasi non avendola in conto di creatura
-umana, nulla curavano di lei.
-</p>
-
-<p>
-Com'era vestito, messer Castellano faceva le prime
-devozioni prostrato all'inginocchiatoio, e la Castellana nel
-piccolo oratorio adiacente alla sua camera. Bello e raccolto
-luogo di preghiera, colla vôlta azzurra a crociere
-dorate e tutto stellato il cielo e colle pareti dipinte a
-figure preganti inginocchiate fra l'erbe ed i fiori di un
-prato. Spesso quelle devote imagini raffiguravano la Castellana
-ed il signore, riconoscibili all'arme di famiglia
-che portano sulle vesti, e in fondo al prato sorgeva l'imagine
-del castello, dalle cui torri ascendeva fra nimbi
-al cielo un volo di angeli e di santi.
-</p>
-
-<p>
-Poi tutta la famiglia si raccoglieva ad ascoltare la
-messa ed a comunicare nella ricca e fastosa cappella,
-servita da un cappellano che risiedeva in castello, dopo
-di che Madonna dava una prima capata alle cucine,
-Messere alle scuderie o alla sala dell'armi dove attendeva
-ad armeggiare coi figlioli o cogli ospiti o cogli scudieri,
-e le figliole girellavano nel giardino cogliendo fiori
-e dedicandoli intenzionalmente a lontani od a prossimi
-sospiranti. Quando la casa non aveva ospiti, i giorni del
-bucato, la signora e le figliuole non disdegnavano scendere
-nell'orto a sciorinarvi i panni, e nemmeno sdegnavano
-portarveli stillanti nelle ceste a ciò destinate, o se
-non era l'orto era qualche alta terrazza vicina al tetto.
-Altro ufficio della Castellana e delle figliuole, è la cura
-delle tappezzerie e degli arazzi, che si tengono piegati
-<span class="pagenum" id="Page_42">[42]</span>
-su appositi scaffali nella stanza chiamata per l'appunto:
-la guardaroba delle tappezzerie, è collocata di solito all'ultimo
-piano il più asciutto della casa ed il meno polveroso.
-Le fanti vi passano intere giornate a spiegare,
-battere, rimendare e ripiegare i preziosi paramenti, ma
-tale è il loro valore ed in tale pregio sono tenuti, che
-per lo più vi attende direttamente la padrona. Ben inteso,
-che a queste piccole cure le Castellane non andavano
-vestite di broccato, di raso o di tocca, quali ce le
-soliamo raffigurare. Simili vesti passavano per eredità
-dalla madre alla figliuola, onde è a credere che non le
-portassero se non nelle grandi occasioni. In casa, anzi,
-il vestire era dimesso, forti panni paesani a colori oscuri,
-biancheria grossa ed ahimè mutata di rado, ed ai piedi
-certe grosse pantofole di panno.
-</p>
-
-<p>
-Del signore poi non parliamo che tra le armi, la caccia,
-le scuderie e le visite ai poderi, Dio sa come si trovasse
-conciato la sera. Alle dieci della mattina uno
-squillo di corno annunzia il desinare. Anche nei giorni
-ordinari, sono molti e grossi piatti: carni di bue, di
-cinghiale, di capriolo, di montone, galline, fagiani, e via
-dicendo, condite e fatte piccanti da salse formidabili, tutte
-aromi e pizzicori mordenti, pepe, gorofano, cannella, ginepro,
-ambra, belzoino, noce moscata, anice ed altre
-nostrane ed orientali delizie, sulle quali primeggiavano
-pur troppo l'aglio e la cipolla. Tale copia, scelta, e condimento
-di vivande, sono fatte apposta per stimolare la
-sete cui provvedono le ben fornite cantine che non più
-contente del prodotto paesano, già accolgono una ricca
-varietà di vini italiani e forestieri cotti e crudi. Cocevano
-per conservarlo più a lungo, il vin greco di malvasia,
-venuto di Candia, che solevano condire con aromi.
-Fra gli italiani era famoso un certo vino di Piacenza
-che nessuno più conosce, se pure non proveniva dai colli
-di Voghera e di Stradella, e del quale facevano grande
-<span class="pagenum" id="Page_43">[43]</span>
-incetta anche le cantine francesi. Erano gustati assai i
-vini di Toscana e di Sicilia, e fra i piemontesi il Nebiolo
-ed il Caluso. Ma a leggere i novellieri, non pare che
-presso di noi le copiose e robuste bevute degenerassero
-o era caso raro, in quelle brutali cotte di che menavano
-vanto i signori di Francia e di Allemagna. I novellieri
-italiani parlano raramente di gente briaca, nè si sarebbero
-astenuti dal farlo, quando ne avessero trovato frequente
-argomento nella vita del tempo loro.
-</p>
-
-<p>
-La tovaglia della tavola usava larghissima e pendente
-quasi fino a terra perchè i lembi cadenti facevano l'ufficio
-del tovagliolo che ancora non costumava, ed a quelli
-si forbivano i commensali. Sempre al cominciare e al
-finire del pranzo era data l'acqua alle mani. Acque profumate,
-di solito alla rosa; e di profumi facevano poi
-grande abuso in ogni momento della giornata. Innanzi
-di portare in tavola un piatto, la sospettosa vigilanza
-dei Castellani voleva che se ne facessero palesi assaggi,
-paurosi come essi erano di veleno, e usavano pure tenere
-sulla tavola specifici ed amuleti contro l'azione dei
-veleni. Il Cibrario scrive, che nell'inventario delle gioie
-di Carlo I duca di Savoia (l'anno 1480) è registrata:
-“u<i>ne espreuve plaine de langues de serpans pour tenir
-sur la table pour eviter le venyn</i>„ ed aggiunge che forse
-era destinata allo stesso ufficio, o ad ogni modo, era tenuta
-in conto di amuleto, una “<i>pierre, noire crapaudine,
-garnie a une chainette d'or</i>„, compresa nello stesso inventario.
-</p>
-
-<p>
-Dopo il pranzo che era protratto quanto più lungamente
-si poteva, il signore faceva quella siesta, che fu
-bazza per i novellieri. I fanciulli, dopo alcun tempo dato
-ad esercizi fisici, riparavano poi col pedagogo nella libreria
-(dove erano, caso raro, librerie), o nella stanza
-data agli studii. Si trovano ancora in parecchi castelli
-certe stanzette, all'ultimo piano, recanti sui muri, segnate
-<span class="pagenum" id="Page_44">[44]</span>
-in rosso, le figure elementari della geometria con
-scritture che datano certamente dal secolo XV. La Castellana
-e le figliuole riparavano nelle camere loro, ed
-attendevano, nella speranza di qualche visita, ad adornarsi.
-O forse in quell'ora le giovinette aggirandosi in
-ozio per la casa confidavano alle nude muraglie della
-scala e dei corritoi, i segreti movimenti del loro cuore,
-incidendovi motti, date, pensieri e sentenze amorose. O
-andavano rintracciando e rileggendo le sentenze scrittevi
-da altri che erano come lettere al loro recapito.
-</p>
-
-<p>
-Il Castello d'Issogne serba molte di tali scritte che ci
-danno a conoscere il nome, ed in certa misura l'animo
-degli ospiti che vi dimorarono. Vi fu ospite un tale
-Escobar che segnò sulle pareti il proprio motto: Selon
-le pouvoir, colla firma e la data. Vi passarono pure un
-tedesco, Wolf. Sckonfletter, ed un francese, De Vateuil,
-il quale fa precedere al proprio nome queste parole sibilline:
-<i>Non sans cause</i>. Un messere P. Gran scrive: <i>In
-Omnes et ad omnia fidus</i>, e lo stesso Escobar di pocanzi
-tornatoci una seconda volta: <i>No piedo mas fortuna</i>, più
-non cerco fortuna, onde è a credere che l'avesse trovata,
-o che si fosse rassegnato a disperarne per sempre.
-E ancora l'Escobar sentenzia: <i>Palabras de piuma lo viento
-le lieva</i>. Poi vengono gli anonimi: <i>Qualis homo talia
-opera. A mala fama caveas. Sic vive ut postea vivas</i>. Ed
-i consigli igienici:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01"><i>Carolus ægrotus faciunt ieunia morbum,</i></p>
-<p class="i01"><i>Ut recte valeas, Carole sume cibum.</i></p>
-</div></div>
-
-<p>
-Un altro tedesco apre l'animo con due versi così ingenui
-e sinceri che muovono a pietà.
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Per non mostrar el mio dolore</p>
-<p class="i01">Talvolta rido che crepe el cuore.</p>
-<p class="i06"> <span class="smcap">Thoma Druenwald.</span> von Nuremberg.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_45">[45]</span>
-</p>
-
-<p>
-Durante un periodo di tre anni, a giudicarne dalle
-date, si direbbe che sia passato nella valle e sul castello
-un vento caldo, tutto impregnato di olezzi stimolanti; un
-vento snervatore e tentatore, soffiato dal demonio per
-scombuiare l'animo delle castellane. Sui muri, abbondano
-sentenze d'amore ripetute a sazietà, scritte sempre
-dalla stessa mano, mano femminile, mano padronale e
-signoresca, poichè ebbe agio di confidare a tutte le stanze
-del castello la piena dell'animo. Quella che s'incontra
-più spesso dice: <i>Omnia vincit amor</i>, l'amore vince ogni
-cosa, sentenza che colma le distanze gerarchiche, ed afferma
-la assoluta sovranità del piccolo Dio. Un'altra
-dice: <i>Non est amor imo dolor, mulieris amor</i>. Non è
-amore, ma dolore, l'amore della donna. Dolore, è a credere,
-di virtù resistente; se non che la resistenza poco
-dura e l'amore finisce veramente per vincere ogni cosa,
-poichè l'anno appresso, la stessa mano scrive: Vivamus
-et amemus, grido di gioia spensierata, allegro ritornello
-di una canzone forse malinconica. Infatti, in poco d'ora,
-l'idillio si chiude in elegia e l'angoscia esce in lamenti
-in ogni parte della casa, colle scritte: <i>In me turbatum
-est cor meum</i>, in me turbato è il mio cuore, e: <i>Meror
-et dolor venerunt super me</i>: il pianto ed il dolore vennero
-sopra di me, le quali si incontrano in ogni dove,
-sulla scala, negli anditi, nelle camere delle donne.
-</p>
-
-<p class="ast">*</p>
-
-<p>
-Riprendiamo la nostra giornata.
-</p>
-
-<p>
-Quando capitavano visite, o v'erano ospiti in casa,
-verso le due, tutti convenivano o nel giardino o nel parlatoio,
-e là si trattenevano confettando e bevendo. A
-questa specie di <i>lunch</i> erano rosoli, marmellate, bocche
-di dama, pasticci, uccelletti arrosto, e le migliori frutta
-della stagione. La Castellana apprestava canzonieri scelti
-<span class="pagenum" id="Page_46">[46]</span>
-ed ogni sorta di lodevoli istrumenti, ed erano musiche
-e canti di madrigali fino all'ora della cena, che batteva
-tra le quattro e le cinque pomeridiane, ed era il maggior
-pasto della giornata.
-</p>
-
-<p>
-Delle caccie, delle cavalcate, e di altri fastosi e festosi
-sollazzi non parlo, perchè, come ho detto in principio,
-essi meno appartengono alla vita privata che alla pubblica,
-e perchè troppo già furono e maestrevolmente descritti,
-e d'altra parte richiederebbero troppo lungo discorso.
-Basti dire, che verso la fine del secolo troviamo
-le prime carrozze o carrette come le chiama il Bandello,
-ma erano poche, e non usavano che nelle città. Non
-avevano molle, ma portavano fregi ricchissimi e dorature,
-ed erano ricoperte di stoffe maravigliose. Le tiravano,
-a seconda dei casi, due, quattro, sei, otto cavalli,
-dei quali i più pregiati erano i Frisoni ed i Corsieri del
-Regno di Napoli.
-</p>
-
-<p>
-Molti e vari erano i giuochi da tavola, il trictrac, gli
-scacchi, i dadi, le carte, che servivano al Picchetto ed
-all'Homo, un giuoco portato di Spagna, ed i tarocchi,
-che non furono già come si volle inventati a svago dal
-re Carlo VI di Francia, ma vennero d'Oriente, a segno
-che un moderno dottissimo ma fantasioso negromante,
-l'Eliphas Levi, ravvisa nelle figure del pazzo, del carro,
-della giustizia, della morte, del mondo, delle stelle, e
-via dicendo, i segni cabalistici del libro di Salomone.
-</p>
-
-<p>
-Ma di tali giuochi, eredità del fosco Medio Evo, e delizia
-poi della grossa nobiltà dei secoli XVII e XVIII
-poco si diletta il nostro castellano. Egli preferisce il pallone,
-o la più domestica partita alle boccie in cortile o
-sul prato, cogli scudieri, col cappellano o col pedagogo.
-Già non è a credere che quelle menti non provassero
-quel continuo bisogno di attività e di applicazione, che
-agita le nostre. A furia di voler noi ammazzare il tempo,
-il tempo si vendica e ci ammazza: quelli lo lasciavano
-<span class="pagenum" id="Page_47">[47]</span>
-vivere, e si ristoravano delle cercate fatiche fisiche, abbandonandosi
-ad una specie di assopimento intellettuale.
-Agitate e pronte erano le menti nelle città e quelle dei
-fortissimi avventurieri che in quel secolo e nel seguente
-disfecero e crearono stati; ma se da essi procede e di
-essi parla la storia, non se ne deve indurre che gli animi
-in generale e gli ingegni dei signori somigliassero ai loro.
-Essi diedero la scalata alle signorie, poichè ne ebbero
-abbassato il prestigio, e la dappocaggine dei molti fu
-appunto argomento e giustificazione al prevalere dei
-pochi. Io per me credo, che in tale dappocaggine sia da
-cercare la ragione dei corrottissimi costumi femminili
-di quel tempo. Dalla decadenza romana a noi non s'incontra
-altro periodo di così largo rilassamento morale.
-Nè la religione poteva oramai fare argine allo sfrenarsi
-delle passioni. Al tempo del carnevale, era lecito ai religiosi
-di rallegrarsi, onde i frati tra loro recitavano commedie,
-e di qual fatta!, e suonavano e cantavano ballando,
-e alle monache non si disdiceva, quei giorni, vestirsi
-da uomini, colle berrette di velluto in testa, colle
-calze chiuse in gamba e colla spada al fianco.
-</p>
-
-<p>
-È davvero inconcepibile come in mezzo a tanto rinnovamento
-di studi e gentilezza di coltura le donne parlassero
-lo sboccato linguaggio che loro attribuiscono gli
-autori di commedie e i novellieri. Il Boccaccio è di gran
-lunga più riguardoso. Nelle Cene del Lasca, troviamo
-narrata da una donna, Amaranta, e con minutissimi particolari,
-la sconcia beffa fatta da un giovine ricco e nobile
-al suo pedagogo, ed essa è tale che nessuno artifizio
-di stile potrebbe farmi lecito di raccontare. E quella
-del Lasca a sentirlo era compagnia che sapeva di greco
-e di latino. Dicono: erano più sinceri di noi. Ma, astrazion
-fatta della morale, la verecondia è più una grazia
-che una virtù, ed è grazia sopratutto di gente colta. Nè
-Virgilio, nè Orazio, nè Catullo, nè Ovidio, nè lo stesso
-<span class="pagenum" id="Page_48">[48]</span>
-Giovenale, potevano apprendere a quelle dame ed a quei
-cavalieri somiglianti modi, onde è lecito sospettare che
-la vantata coltura fosse meno diffusa di quanto si crede,
-sicchè la gentilezza dei pochi nulla potesse contro la rozzezza
-dell'universale. Ed è certo poi che fra i meno colti,
-era il mio signor Castellano. Il quale, venuta la sera, si
-riduceva accanto al fuoco, in sonnacchioso silenzio, e le
-donne fatte alcune lente danze al dubbio chiarore delle
-fumose lucerne, prima novellavano alquanto fra di loro,
-indi infilavano in cerchio <i>pater noster</i> ed <i>ave Marie</i>, ed
-il cappellano dava loro lo spunto. Poi i valletti mescevano
-al signore il vino del sonno, e Madonna e Messere
-ognuno dalla sua ed in diversa e servile compagnia andavano
-a letto.
-</p>
-
-<p>
-E a me non rimane che augurare tranquille notti a
-quei morti, e gioconde giornate a questi vivi.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_49">[49]</span>
-</p>
-
-<h2 id="fiorentini">LA VITA PRIVATA DEI FIORENTINI</h2>
-
-<p class="center">
-DI
-</p>
-
-<p class="center large">
-GUIDO BIAGI.
-</p>
-</div>
-
-<p class="pad2 indl">
-<i>Signore e Signori,</i>
-</p>
-
-<p class="pad2">
-Quale fosse la Firenze del Tre e del Quattrocento non
-è facile immaginare. A riguardarla dall'alto, da uno di
-quei colli che le fanno ridente corona e oggi son per
-lei mutati in altrettanti giardini, mentre forse allora nereggiavano
-d'alberi folti, di macchie e di scopeti, appariva
-come una bruna massa di torri merlate, cinta di
-mura e di baluardi. I pubblici edifizi che noi ammiriamo,
-le aeree cupole delle chiese, i campanili, nella cui voce
-è il palpito della vita d'un popolo, non ancora drizzavansi
-tutti nel fondo azzurro del cielo, come le antenne
-poderose d'una nave a più alberi. La terza cerchia,
-quella istessa che noi vedemmo abbattere, non era interamente
-compiuta, e l'Arno faceva il suo <i>gorgo</i> dove è
-ora la Piazza di Santa Croce, sboccando tra il Ponte a
-Rubaconte e il Castel d'Altafronte.
-</p>
-
-<p>
-Questo a' primi del Trecento, quando la piccola chiesa
-di Santa Reparata durava tuttavia e di Santa Maria del
-Fiore era ignoto il nome; e nel luogo dove sorse la Loggia
-d'Orsammichele tenevasi il mercato delle granaglie,
-e il campanile cominciato da Giotto e che da lui prese
-il nome, non era ancor stato condotto fino alle ultime
-finestre da Francesco Talenti: soltanto di sulla torre del
-Palazzo dei Priori, già la grande campana del Popolo,
-<span class="pagenum" id="Page_50">[50]</span>
-“la Vacca„, mugliava, facendo in alto echeggiare il
-dolce suono della libertà<a class="tag" id="tag1" href="#note1">[1]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Le miniature del Biadajuolo, raffresco del Bigallo, appena
-ci danno un'idea della Firenze di quegli anni. Sono
-rappresentazioni fantastiche, dove la prospettiva è ancora
-ignota, e i tetti di color rosso vivo staccan di tono
-dalla selva delle torri che s'intrecciano e si accavallano.
-La tavola di Domenico di Michelino, che si vede in
-Duomo, vorrebbe mostrarvi la Firenze di Dante, la cui
-figura spicca nel mezzo del quadro; ma anche cotesta è
-una Firenze immaginaria, quanto il Purgatorio e l'Inferno
-che l'artefice le ha dipinti da presso. Una veduta
-della città, ma assai più recente, troviamo nella tavola
-che il Botticelli compose per Matteo Palmieri; una tavola,
-il cui soggetto tolto dal poema di lui la <i>Città di
-vita</i>, parve quasi ereticale; perchè il pittore, dipingendo
-la Vergine Assunta nella gloria del cielo, circondata
-dalle più sublimi visioni dell'idealità femminile, creò
-schiere di <i>angelesse</i> così formose, da far giustamente temere
-per i futuri amori degli angeli. Ma il paesaggio
-che serve di sfondo alla meravigliosa composizione, sfuma
-nella lontananza e nell'ombra d'un crepuscolo dorato, e
-al desiderio nostro non giova. Il quale potrà soltanto
-appagarsi più tardi, quando nelle <i>Cronache di Norimberga</i>
-scorgeremo una pianta della città quale era alla
-fine del Quattrocento.
-</p>
-
-<p>
-Ma a rappresentarci Firenze dal Trecento a' più gloriosi
-giorni del Rinascimento, quando i tesori raccolti in
-tutto il mondo da' suoi mercatanti versò nella creazione
-di monumenti immortali, proseguendo le tradizioni delle
-arti inaugurate per mano di Arnolfo, di Giotto e dell'Orgagna<a class="tag" id="tag2" href="#note2">[2]</a>;
-a rappresentarci lo scenario e la scena
-<span class="pagenum" id="Page_51">[51]</span>
-ch'io vorrei popolarvi con le figure d'artieri, di mercanti,
-di donne, di chierici, di trecche, di poeti, di novellatori,
-d'uomini d'arme, di forosette, di villani, di donzelli,
-di cavalieri, che mi s'affollano nella lanterna magica
-del cervello e che vorrei potervi dipingere in questo
-quadro della vita privata; a darvi un'idea viva se non
-compiuta, a darvi come una visione della storia del nostro
-popolo, che dalla rozzezza antica si condusse ai raffinamenti
-della Rinascenza, non basterebbe tutta l'opera
-d'un artista che fosse insieme storico, archeologo e poeta;
-non basterebbe — Dio ci liberi! — un corso intero di
-conferenze ideali, fatte con la parola e illustrate con il
-pennello. Ma finchè la donna, che ne è maestra, non
-abbia reso obbligatorio l'insegnamento <i>per gli occhi</i> dovremo
-contentarci di saggiare appena un così gustoso
-argomento, scegliendo nei vecchi libri di ricordanze,
-nelle cronache domestiche, nei carteggi, nei novellieri e
-nei poeti qualche particolare men noto, qualche aneddoto,
-qualche notizia che ci sembri meglio opportuna,
-per cogliervi alcun aspetto della vita in quegli anni,
-così remoti anche dalle nostre immaginazioni.
-</p>
-
-<h3>I.</h3>
-
-<p>
-Accanto ai massicci palagi di pietra, sicuri come fortezze,
-su cui si levavan fiere le torri merlate; nelle vie
-strette e tortuose dove la grand'ombra di quelle moli
-incombeva triste e paurosa, sorgevano le casette piccole
-e basse, con il tetto coperto di paglia, con le impannate
-alle finestre, con le grosse imposte di legno, sempre
-esposte ai pericoli del fuoco; onde Paolo di Ser Pace da
-Certaldo consigliava tener sempre pronte “dodici saccha
-grandi buone per sgombrare quando fuoco fosse ne la
-vicinanza tua o presso a te o a casa tua„ e uno “canape
-che sia lungo dal tetto in terra per poterti calare
-<span class="pagenum" id="Page_52">[52]</span>
-da ogni finestra„<a class="tag" id="tag3" href="#note3">[3]</a>. Le vie, piene di polvere, eran
-spazzate dall'acqua che correva come un fiumicello<a class="tag" id="tag4" href="#note4">[4]</a>
-dentro e fuori il rigagnolo, dove s'ingrufolavano, scrive
-il Sacchetti, quegli animali che sant'Antonio avea in
-i protezione, ed entravan poi nelle case altrui a portarvi
-il disordine e lo scompiglio<a class="tag" id="tag5" href="#note5">[5]</a>. Nè quelle case erano un
-modello di pulizia: si spazzavano una sola volta la settimana,
-il sabato, e negli altri giorni le immondezze si
-cacciavano sotto il letto, dove era d'ogni cosa un poco:
-bucce di frutta, torsoli, ossa, pelli scorticate, polli vivi,
-oche gracchianti e abbondanza di ragnateli. Erano modeste
-dimore di gente che si contentava del poco e più
-che ai conforti e godimenti della vita badava ai guadagni:
-gente antica, se di buona stirpe, che passava la
-vita uccellando e cacciando piuttosto in contado, nelle
-proprie tenute, che in città; gente nuova che nelle arti
-e nella mercatanzia cercava far la roba. L'avolo di Messer
-Lapo da Castiglionchio, che avea sua abitazione in
-sulla porta di Messer Riccardo da Quona, là dalle Colonnine,
-usava far serrare la porta della città a una vecchia
-serva, buona e lealissima, che glie ne riponeva le
-chiavi nella sua camera<a class="tag" id="tag6" href="#note6">[6]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Firenze intanto cresceva man mano che aumentava
-la proprietà de' cittadini. Le vecchie case di legno o coi
-tetti di paglia eran spesso distrutte dal fuoco. Tutta la
-città si commoveva e tutta la gente, ad ogni incendio
-che divampasse, era sotto l'arme e in gran guardia<a class="tag" id="tag7" href="#note7">[7]</a>.
-Anche la Signoria, per abbattere con minor spesa le case
-dei condannati, usava darle alle fiamme e poi pagare i
-danni degl'incendi che si propagavano<a class="tag" id="tag8" href="#note8">[8]</a>.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_53">[53]</span>
-</p>
-
-<p>
-E come incendi avvampavano le passioni: le vendette,
-le risse, le turbolenze tingevan di sangue le vie; e le
-paci tra gli avversi consorti si celebravano con feste e
-conviti. Il Comune “fiero e in caldo e signoria„ raddoppiava
-le forze; e debellati i nemici esterni, “i mercanti
-della città vincitrice guidavano, nuova maniera
-di trionfo, i loro muli, carichi de' panni di Calimala e
-delle seterie di Por Santa Maria, attraverso a' monti e
-a' piani poc'anzi battuti dalle cavalcate e da' soldati
-de' loro eserciti; portavano l'oro e l'ingegno fiorentino
-nelle città, sotto alle cui mura avevano ondeggiato,
-fra le armi, le libere insegne di questo popolo grande„<a class="tag" id="tag9" href="#note9">[9]</a>.
-</p>
-
-<h3>II.</h3>
-
-<p>
-<i>Mercato vecchio</i> era il cuor di Firenze; e pareva allora
-la più bella piazza del mondo<a class="tag" id="tag10" href="#note10">[10]</a>. Chi ne legga le
-lodi nel capitolo di Antonio Pucci, chi ne cerchi i fatti
-di cronaca quotidiana nelle novelle di Franco Sacchetti,
-può avere un'imagine di quella vita cittadina che si contentava
-di così piccola scena. Quello, il vero emporio
-d'ogni commercio, il ritrovo de' bottegai, de' commercianti,
-degli oziosi, de' giuocatori, de' villani, de' medici,
-degli speziali, de' malandrini, delle fantesche, de' gentiluomini,
-de' poveri, delle trecche, dei rivenduglioli, delle
-brigate allegre e spendereccie. Quivi robe d'ogni genere
-e sorte: le carni fresche, le frutta, i formaggi, i camangiari,
-l'uccellame, i pannilini, la cacciagione, i fiori, le
-stoviglie, le botti, la mobilia usata. I monelli, anche allora
-terribili, vi stanno come in casa loro: i grossi topi
-vi fan carnevale; la gente vi trae da ogni parte. Ogni
-giorno si leva qualche romore: un cavallaccio s'imbizzarrisce
-<span class="pagenum" id="Page_54">[54]</span>
-per una ronzina, e tutti gridando <i>accorr'uomo</i>,
-la Piazza de' Signori s'empie di fuggiaschi, serrasi il Palagio,
-armasi la famiglia, anche quella del Capitano e
-dell'Esecutore, e questi per la paura nascondesi sotto il
-letto, e, quetato il tumulto, n'esce fuori coperto di ragnateli;
-due muli beccati da un corvo cominciano a tempestare;
-saltan sui deschi, si serrano le botteghe e nasce
-grande contesa fra i lanaiuoli e i beccai per i danni
-fatti da quelle bestie furiose.
-</p>
-
-<p>
-Ma talvolta accadono anche serie questioni: i barattieri,
-tenitori di giuoco, vengono alle mani:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">E vedesi chi perde con gran soffi</p>
-<p class="i02"> Bestemmiar, con la mano alla mascella</p>
-<p class="i02"> E ricevere e dar di molti ingoffi.</p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01">Ed allor vi si fa con le coltella,</p>
-<p class="i02"> Ed uccide l'un l'altro, e tutta quanta</p>
-<p class="i02"> Si turba allora quella piazza bella.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Si rinnova la scena raffigurata in un affresco del monastero
-di Lecceto, vicino a Siena. I tre dadi caddero
-sulla tavola in modo che un de' giuocatori è perdente.
-Egli sorge in piedi, esacerbato da quel colpo dell'avversa
-fortuna, e afferra il vincitore per la gola, stendendo
-il braccio. E l'altro, fattosi pallido per l'ira e lo
-spavento, si cerca indosso l'arme vendicatrice. La bestemmia
-prorompe sui labbri de' contendenti; le grida
-degli astanti, delle donne, de' fanciulli echeggian paurose:
-“Accorr'uomo, accorr'uomo!„ — La folla indietreggia
-sbigottita, e quando l'Esecutore arriva — sempre
-tardo — co' suoi famigli, la vittima è a terra, distesa
-in un lago di sangue.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_55">[55]</span>
-</p>
-
-<h3>III.</h3>
-
-<p>
-Questi i drammi, i “fatti diversi„ d'allora, che turbavano
-la pace della semplice vita di quei nostri bisavoli.
-Perchè, la novella borghese, che tenea l'ufficio delle
-odierne gazzette, rare volte ci narra queste scene crudeli.
-Piuttosto si piace di raccontarci le beffe, le burle,
-onde allegravasi il popolo motteggevole; perenne argomento
-di queti ragionari, al canto del fuoco, presso gli
-alari dei grandi camini, sotto la cui cappa annerita raccoglievansi
-le famiglie, prima che sonasse l'ora di spegnere
-i lumi, quando chi andava a letto “il sezzaio<a class="tag" id="tag11" href="#note11">[11]</a>
-erasi accertato fossero ben turate le botti„ e “l'uscio e
-le finestre serrate„.
-</p>
-
-<p>
-Non parea vero di ridere, di scordare le paure dell'oltremondano,
-onde gli spiriti erano stati depressi: e
-già l'incredulità de' nuovi tempi cominciava a metter
-fuori le corna, burlandosi de' cherici, e un tantino de' miracoli
-e di molte altre imposture. I motteggiatori, i burlevoli,
-che d'altrui si prendevan sollazzo e cercavano
-gabbare il prossimo e il mondo, si dicevano “nuovi uomini„
-e “<i>nuove cose</i>„ le loro malizie. I deschi e le botteghe
-di Mercato Vecchio, i fondachi di Calimala, le
-<i>loggie</i> che sorgevano allora presso i palagi, dove la gente
-stava sui banchi a conversare, echeggiavano di fresche
-risate argentine; cui rispondevano i crocchi femminili,
-bisbiglianti sulle porte di casa. Gli artisti, o come li
-chiamavan gli <i>artefici</i>, erano i più sottili architettori di
-coteste burle ingegnose, immaginate fra una pennellata
-e un colpo di stecca. E ne durò la memoria molti anni,
-tanto che il Vasari parecchie ne raccolse nelle sue <i>Vite</i>,
-<span class="pagenum" id="Page_56">[56]</span>
-di quelle che i novellieri non avevan consegnate alle lor
-cronache cittadine.
-</p>
-
-<p>
-“Sempre fu che tra' dipintori si son trovati di nuovi
-uomeni„<a class="tag" id="tag12" href="#note12">[12]</a> scrive il Sacchetti; e Bonamico Buffalmacco
-immortalato nel <i>Decameron</i>, e Bartolo Gioggi, e Bruno
-di Giovanni, e Filippo di Ser Brunellesco e Paolo Uccello
-e Donatello, ci fan tornare a mente le burle fatte
-a Calandrino, al Grasso legnaiuolo, e a tanti altri che
-furon vittime di così spietati begliumori<a class="tag" id="tag13" href="#note13">[13]</a>. Ma la voglia
-matta di ridere e sollazzarsi, s'appiccicava anche alla
-gente più grave; e dalle botteghe degli artefici entrava
-in quelle degli speziali, e attaccavasi a' medici, a' giudici,
-a' procuratori, e saliva in Palagio a rallegrare i Priori
-della malinconia di star chiusi, lontani dalla moglie e
-dalla famiglia. — Semplici uomini e semplici costumi,
-che ancor sapevano della rozzezza antica: la Signoria
-dormiva in una camera sola, e ciò era incentivo e occasione
-agli scherzi<a class="tag" id="tag14" href="#note14">[14]</a>; e il proposto dei Priori poteva
-andare in persona alla cucina a cuocersi sulla brace una
-fetta di carne<a class="tag" id="tag15" href="#note15">[15]</a>. La burla, lo scherzo rasentava talora
-la truffa; ma una buona risata dava torto a chi aveva
-avuto colle beffe anche il danno, e tutti pari. Perchè a
-quegli anni, quand'ognuno pensava a sè, a' casi proprii,
-al proprio interesse, la gente non aveva pietà o compassione
-pei gonzi. Le più sottili malizie erano anche permesse
-ai mercanti, e quei di Firenze eran famosi per la
-gran furberia.
-</p>
-
-<p>
-Racconta il Sacchetti quel che intervenne ad un Friulano,
-che aveva nome Soccebonel, e che andò a comprare
-panno da un di costoro. Ne misuran quattro canne,
-<span class="pagenum" id="Page_57">[57]</span>
-e il fiorentino glie ne mangia una mezza. Poi, per ricoprire
-l'inganno, gli dice: “Vuo' tu far bene? attuffalo
-in una bigoncia d'acqua, e lascialo stare tutta la notte,
-sì che bea bene, e vedrai poi panno ch'el fia.„ — Soccebonel
-così fa, e poi manda il panno al cimatore. “Soccebonel
-va per esso e dice: Che dei tu avere? Dice
-il cimatore: E' mi par nove braccia: da' nove soldi.
-Dice costui: Come nove braccia? oimè! che di' tu?„
-Lo rimisurano; ma il panno non cresce. Soccebonel
-va dal ritagliatore, va di qua, va di là. E uno gli
-dice: “Questi panni fiorentini non tornan nulla all'acqua.„
-“Uno <i>comprò</i> un braccio di panno fiorentino, e
-la sera l'attuffò, come tu facesti questo, in un bigonciuolo
-d'acqua, e lasciovvelo stare tutta notte; la mattina,
-lo trovò tanto rientrato, che non c'era più nulla„<a class="tag" id="tag16" href="#note16">[16]</a>.
-</p>
-
-<h3>IV.</h3>
-
-<p>
-Ma i codici de' mercanti, chi li cerchi e li legga tra la
-polvere degli archivi e delle librerie, paiono disdegnare
-simili imbrogli. In quelle carte che cominciano tutte “al
-nome di Dio amen,„ piene di “buoni asempri e buoni chostumi
-e buoni proverbi e buoni amaestramenti„, troviamo
-precetti teorici ispirati alla più rigida e severa moralità.
-Scrive un di cotesti savi: “Tieni a mente quando ài a
-dare alchuna sentenzia di darla diritta, e leale, e giusta,
-e di questo non ti rivolgere mai nè per prezzo, nè per
-amore, nè per paura, nè per parentado, nè per amistà,
-nè per compagnia....„, perchè la persona “contro cui
-la darai fia tuo nemico e quei cui tu servirai non
-t'avrà nè per leale, nè per diritto, anzi si guarderà
-sempre di te e vitupereratti sempre.„ Ma subito, più
-sotto, leggiamo: “S'hai bisogno in piato o in altro tuo
-<span class="pagenum" id="Page_58">[58]</span>
-fatto dell'amistà d'alcuno signore o di rettore di terra, — ti
-dico che co' presenti s'acquista molto agevolmente.
-Guata chi è di sua famiglia, più suo segretario e con
-quel cotale prima ti domestica, e dona a lui alcuna
-cosa, e poi a lui chiedi aiuto e consiglio ed e' t'insegnerà
-a venire in amore del suo signore e presentargli
-quella cosa di che e' sentirà che sia più vago„<a class="tag" id="tag17" href="#note17">[17]</a>.
-</p>
-
-<p>
-E non basta; la morale pratica porge ancora più opportuni
-consigli: “Quando comperi biada, guarda che
-non ti sia empiuta la misura a un tratto, che sempre
-ti calerà 2 o 3 per cento; e quando vendi il fa', e cresceratti
-la tua biada„<a class="tag" id="tag18" href="#note18">[18]</a>. — “Di' sempre bene di quelli
-che reggono il Comune. Sta' sempre bene co' tuoi vicini,
-però che de' tuoi fatti e' sono sempre domandati
-prima di te, e negli onori e ne' disonori e' póssonti
-molto nuocere e giovare.„ E così consigliavano e ammaestravano
-i figliuoli, che crescevano destri ed esperti
-e consumati nell'arte del saper vivere, fra mezzo a gente
-che della vita conosceva le malizie e gl'inganni. Nè è
-meraviglia che un predicatore, per far gente e non parlare
-al deserto, annunziasse voler proclamare dal pergamo
-che l'usura non è peccato<a class="tag" id="tag19" href="#note19">[19]</a>, anzi “è sovvenimento„, e
-così avesse tutta la quaresima “infino a Domenica dell'olivo„,
-attento e affollato uditorio.
-</p>
-
-<p>
-La famiglia che allargavasi e alleavasi nella <i>consorteria</i>,
-aveva unico fondamento la proprietà, guarentita
-da una selva di leggi e privilegi. Il padre era padrone
-dispotico de' beni personali: poteva lasciarli a chi meglio
-volesse, anche a' nipoti o ad alcun <i>luogo pio</i><a class="tag" id="tag20" href="#note20">[20]</a>, anche ai
-figli dell'amore cresciutigli in casa. Così per testamento:
-e si comprende di colpo l'importanza che aveano allora
-<span class="pagenum" id="Page_59">[59]</span>
-i notari ed i chierici. Le donne, succedendo <i>ab intestato</i>,
-avean soltanto diritto al quarto de' beni dei loro
-figliuoli: in ogni caso, ai semplici alimenti. Tutto cospirava
-a preservare l'integrità del patrimonio, ad impedire
-che uscisse fuori della famiglia, della consorteria, del
-comune.
-</p>
-
-<p>
-Giova ripeterlo: l'interesse, in quella società di mercanti,
-avidi di far la roba, era d'ogni azione legge suprema.
-Sarebbe ingiustizia cercarvi le sentimentalità della
-famiglia moderna, in cui alla donna è riserbato così larga
-e così nobile parte, così degni e teneri uffici.
-</p>
-
-<p>
-Quelle povere madri fiorentine dovevano starsi contente
-alle modeste ingerenze consentite loro dalla tirannia
-de' mariti, e vivere, o menar la vita, nell'uggia
-delle sordide case, allevando i figliuoli, “vicitando„ la
-chiesa, e confessando a' frati i molti peccati di desiderio.
-</p>
-
-<p>
-Le fanciulle, le ragazze che oggi ci dan tanta pena,
-nemmeno dovevano imparare a leggere: “S'ella è fanciulla
-femmina, ponla a cuscire e none a leggere, che
-non ista troppo bene a una femmina saper leggere, se
-già non la volessi far monaca„<a class="tag" id="tag21" href="#note21">[21]</a>. I monasteri erano,
-come furono molti secoli, il rifugio di coteste meschine,
-com'eran la provvidenza delle troppo numerose famiglie.
-Aver venti e più figliuoli, parea la cosa più naturale
-del mondo; se campavano: “Iddio n'abbi lode e grazie„;
-se morivano: “Di tutto sia lodato Iddio, amen„<a class="tag" id="tag22" href="#note22">[22]</a>. I libri
-di ricordanze, le cronache domestiche, al tempo delle
-grandi morie, registrano così le morti come le nascite
-con una serenità che oggi, alle trepide madri, sembrerebbe
-cinismo. E anche ci porgono testimonianze preziose
-di fatti più singolari, dell'intrusione nelle famiglie
-<span class="pagenum" id="Page_60">[60]</span>
-d'un nuovo elemento, che ne offusca la vantata purezza.
-I critici più benevoli ne trovano la ragione nel “gran
-vuoto fatto dalla mortalità nelle plebi cittadine e nei
-campagnuoli„, onde non bastando “la lusinga del
-poco salario„ a cavare dal popolo i domestici e le fantesche,
-“fu d'uopo cercare nel commercio esterno la maniera
-di supplire alla loro rarità„<a class="tag" id="tag23" href="#note23">[23]</a>. Ma piuttosto i
-commerci con l'oriente, e la vita randagia de' mercatanti
-e la cresciuta ricchezza, furono eccitamento a quel traffico
-degli schiavi e delle schiave, che durò in Firenze
-per ben due secoli dopo il XIV<a class="tag" id="tag24" href="#note24">[24]</a>. È un tasto doloroso
-che pur dobbiamo toccare, a rischio di cavarne alcuna
-nota stridente; ma anche in un quadro son necessarie
-le ombre per concedere maggior risalto alle figure cui
-si vuol dare evidenza e rilievo. — Ma non temete! anche
-un artefice inesperto non dimentica il “fren dell'arte„;
-nè vorrei io, dinanzi a voi, empir la breve mia tela con
-una mostra impudica di nudità.
-</p>
-
-<p>
-Le schiave orientali, comprate, come carne da traffico,
-quasi sempre a mezzo di sensali genovesi, veneziani,
-pisani e napoletani, e per lo più tartare, greche, turche,
-schiavone e circasse, non erano — rassicuratevi — archetipi
-di bellezza. I registri dove i nostri segnavano,
-insieme coi nomi, con l'età e con il prezzo, i connotati
-del volto e della persona<a class="tag" id="tag25" href="#note25">[25]</a>, ce ne fan fede. Quasi tutte
-avean pelle olivastra, sebbene si trovassero anche schiave
-di carnagione rossa, sanguigna, rubiconda e qualche
-volta fin bianca. E sul viso non mancava mai alcun
-segno particolare: chi era butterata, chi l'avea sparso
-di moltissimi nèi, chi sfregiato da qualche cicatrice. I
-nasi eran generalmente schiacciati, i labbri grossi e sporgenti,
-<span class="pagenum" id="Page_61">[61]</span>
-gli occhi scerpellini, le fronti basse e lentigginose<a class="tag" id="tag26" href="#note26">[26]</a>.
-E a questi tocchi in penna de' notai pedanti e minuziosi,
-corrispondono alcuni ritratti che ne rimangono. Un curioso
-libro, il Memoriale del Baldovinetti, dove codesto
-antenato del famoso pittore usava illustrar con figure le
-sue ricordanze, ci ha conservato i profili delle tre schiave
-da lui comprate negli anni 1377, 1380 e 1388; la “Tiratea
-overo Doratea tartara da Rossia, giovane di 18 anni o
-più„, la “Domenica, è de pelle bianca ed è de proxima
-de Tartaria„, e la “Veronica giovane di 16 anni„,
-“comperála quasi ignuda da Bonarota di Simone di Bonarota,„
-un antenato di Michelangiolo; ma la Dorotea,
-la Domenica e la Veronica avrebber potuto benissimo — un
-po' invecchiate — servir di modello al futuro Buonarroti
-per le <i>Tre Parche</i>.
-</p>
-
-<p>
-Coteste donne, o brutte o belle che fossero, entravano
-nelle famiglie de' Fiorentini ricchi per attendere ai più
-umili uffici, e badare ai bambini: e davano un gran
-pensiero, per ogni conto, alle povere massaie. Il sonetto
-del Pucci “le schiave ànno vantaggio in ciascun atto.
-E sopra tutte l'altre buon partito,„ ce ne spiega maliziosamente
-alcuna ragione, e ci dice che spesso sapean
-dare alle padrone “scacco matto„. Le quali, come confessava
-parecchi anni appresso l'Alessandra Macinghi, si
-vendicavano col metter loro “le mani addosso„. Pure
-anche allora non potean farne a meno: erano le bambinaie
-e le <i>bonnes</i> di quei tempi; e la Strozzi scriveva al
-suo Filippo in Napoli: “E pertanto ti ricordo el bisogno;
-che avendo attitudine averne una, se ti pare, tu
-dia ordine d'averla: qualche tartera di nazione, che
-sono, per durar fatica, vantaggiate e rustiche. Le rôsse,
-cioè quelle di Rossia, sono più gentili di compressione
-e più belle; ma a mio parere sarebbon meglio tartere„.
-<span class="pagenum" id="Page_62">[62]</span>
-Nè per questa scelta potea Madonna Lessandra trovar
-chi più di Filippo avesse la mano felice: il quale presso
-di sè tenea da vario tempo una schiava “che sapeva
-così ben fare„<a class="tag" id="tag27" href="#note27">[27]</a>, di cui essa il 7 aprile 1469 aveagli
-scritto: “Avete costì Andrea e massime Tommaso Ginori,
-che venne el dì della Pasqua e me n'ha detto
-molte cose.... e <i>così della Marina, dei vezzi che ella ti
-fa</i>„. E un anno appresso, con accento piuttosto ironico:
-“Mandávi gli sciugatoi.... fatene masserizia che
-non si perdino; che <i>madama</i> Marina no' gli mandi
-a male„. Dove vediamo che con i vezzi e le astuzie
-sapevan coteste donne cattivarsi i padroni e diventar
-madame, e meritarsi, come appunto cotesta Marina, la
-libertà e per “le buone fatiche et buoni portamenti„<a class="tag" id="tag28" href="#note28">[28]</a>,
-alcun'assai liberale disposizione testamentaria.
-</p>
-
-<p>
-Meno male: peggio quando, come accadde a Francesco
-Datini, le cui beneficenze verso i Pratesi non fan
-dimenticare le gravi colpe ch'egli ebbe verso la moglie, — peggio,
-quando cotesto trafficato sangue di tartare e
-di russe si mescolava con quelli, sin allora schietti, delle
-antiche e libere stirpi!
-</p>
-
-<h3>V.</h3>
-
-<p>
-Ma ritorniamo nelle aure pure della famiglia, dove
-con le ricchezze accumulate eran, pur troppo, entrati i
-mal germi, onde si corruppe e disfece più tardi la vita
-e la coscienza italiana. Fra il Tre e il Quattrocento era
-seguito un gran crollo: il rinnovarsi dei tempi e de'
-costumi, già anelanti e vagheggianti la scioltezza del
-vivere che si sbrigliò nel Rinascimento, aveano intepidito
-la fede, smagato la religione, e la gente parea soltanto
-<span class="pagenum" id="Page_63">[63]</span>
-intendere ai godimenti mondani. Le lettere del
-Mazzei ce ne porgono testimonianza: il buon notaio di
-Prato è il savio d'un'“anima rozza„ e d'un “cuore agghiacciato„<a class="tag" id="tag29" href="#note29">[29]</a>:
-quel suo amico Datini, diciamolo aperto,
-è il più esoso tipo di mercante che ci abbia dato quel
-secolo. Ser Lapo è uno spirito ascetico, timorato, un
-uomo di buona e antica fede, un moralista convinto. In
-quelle <i>Lettere</i> ci par di vedere alle prese il peccatore
-ribelle col sant'uomo, che vuol condurlo ad una buona
-morte, alla redenzione delle colpe terrene. È la lotta del
-sentimento religioso con lo spirito di materialità de' nuovi
-tempi, che sfolgorò nella gloria della Rinascenza, ma
-che dopo così mirabili splendori lasciò nelle anime degl'Italiani
-un buio ed un vuoto paurosi. Da coteste tenebre,
-purificatosi nei secoli di servitù, maceratosi nelle
-vigilie del pensiero, l'uomo moderno doveva risorger
-più tardi.
-</p>
-
-<p>
-Ritorniamo in famiglia nella casa fiorentina, dalle cui
-finestre “le schiavette amorose scotevano le robe la
-mattina, fresche e gioiose più che fior di spina„<a class="tag" id="tag30" href="#note30">[30]</a>: nella
-casa dove la buona massaia godè appena pochi mesi
-felici, dopo le nozze, mentre poi dovè noverare gli anni
-del matrimonio da' nomi dei figliuoli che le crescevano
-intorno e le ricordavano, ciascuno, qualche lunga assenza
-del marito, andatosene a trafficare oltremonte od
-oltremare.
-</p>
-
-<p>
-La giovenile freschezza appassiva, e, come scrive il
-Sacchetti, “la più bella che sia, in piccol tempo, come
-un fiore, vien meno, e diventa secca nell'ultima vecchiezza
-e in fine doventa uno teschio„<a class="tag" id="tag31" href="#note31">[31]</a>. È naturale cercassero
-<span class="pagenum" id="Page_64">[64]</span>
-con l'arte correggere la natura e porre riparo
-ai danni del matrimonio, e non soltanto per vanità.
-Perfino i maestri dipintori come Taddeo Gaddi, s'accordavano
-nel giudicare con Alberto Arnoldi<a class="tag" id="tag32" href="#note32">[32]</a> che le donne
-fiorentine “sono i migliori dipintori del mondo„. “E fu
-mai dipingere, che su 'l nero, o del nero facesse bianco,
-se non costoro? E qual artista, o di panni, o di lana,
-o dipintore, è che del nero possa far bianco? certo
-niuno; perocchè è contro natura. Serà una figura pallida
-e gialla, e con artificiali colori la fanno in forma
-di rosa. Quella che per difetto, o per tempo, pare secca
-fanno divenire fiorita e verde. Io non ne cavo Giotto,
-nè altro dipintore che mai colorasse meglio di costoro;
-ma quello che è vie maggior cosa, che un viso che sarà
-mal proporzionato, e avrà gli occhi grossi, tosto parranno
-di falcone; avrà il naso torto, tosto il faranno
-diritto; avrà mascelle d'asino, tosto l'assetteranno; avrà
-le spalle grosse, tosto le pialleranno; avrà l'una in fuori
-più che l'altra, tanto la rizzafferanno con bambagia, che
-proporzionate si mostreranno con giusta forma. E così il
-petto e così l'anche, facendo quello, senza scarpello,
-che Policreto con esso non avrebbe saputo fare.... Insomma
-le donne fiorentine sono maggiori maestre di
-dipignere e d'intagliare, che mai altri maestri fossono,
-perocchè assai chiaro si vede ch'elle restituiscono dove
-la natura ha mancato.„ — Nè di ciò possiamo o vogliamo
-riprenderle: unica libertà, onde godevano, mascherarsi
-da giovani e felici, rifarsi lieto e fresco il volto,
-quando spesso il cuore piangeva, in vedersi d'intorno e
-da presso altri visi di donna. Anche amavano variar le
-fogge, le mode, le “portature„, e in ciò sfogavano la
-loro ambizione. I lodatori dell'antico, cominciando da
-Dante, le biasimavano di tanta volubilità, ingrata fino
-<span class="pagenum" id="Page_65">[65]</span>
-ai novellieri moralisti, ingratissima ai rettori, a quel
-governo di mariti che volentieri avrebbe lesinato su codesto
-lusso delle mogli.
-</p>
-
-<p>
-“Se un arzagogo apparisse con una nuova foggia,
-tutto il mondo la piglia„. “Che fu a vedere già le donne
-col capezzale (lo scollo) tanto aperto che mostravano
-più giù che le ditelle! (le ascelle); e poi dierono un
-salto, e feciono il collaretto infino agli orecchi„. “Le
-giovanette che soleano andare con tanta onestà„, hanno
-“tanto levata la foggia al cappuccio„ da ridurlo una
-berretta e “imberrettate portano al collo il guinzaglio,
-con diverse maniere di bestie appiccate al petto. Le
-maniche loro, o sacconi piuttosto si potrebbono chiamare,
-qual più trista e più dannosa e disutile foggia
-fu mai? potè nessuna tôrre o bicchiere o boccone di
-su la mensa che non imbratti e la manica e la tovaglia
-co' bicchieri ch'ella fa cadere?... Lo 'mbusto
-è tutto in istrettoie, le braccia con lo strascinío del
-panno, il collo asserragliato da' cappuccini.....„ “Non si
-finirebbe mai di dire delle donne, guardando allo smisurato
-traino de' piedi„ alle code delle vesti “e andando
-infino al capo; dove tutto di su per li tetti, chi l'increspa,
-e chi l'appiana, e chi l'imbianca, tantochè spesso di
-catarro si muoiono„<a class="tag" id="tag33" href="#note33">[33]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Ma cotesta smania del nuovo s'attaccava anche agli
-uomini. Il povero messer Valore de' Buondelmonti, un
-vecchione tagliato all'antica, fu costretto da' suoi consorti
-a mutare il cappuccio; e come l'ebbe fatto, tutti
-se ne meravigliavano e lo fermavano per la via: “O che
-è questo, messer Valore? io non vi conoscea, avete voi
-i gattoni?„<a class="tag" id="tag34" href="#note34">[34]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Venne un tempo la moda delle gorgiere intorno la
-gola e delle bracciaiuole, sicchè poteva dirsi dei fiorentini
-<span class="pagenum" id="Page_66">[66]</span>
-portassero “la gola nel doccione„ e il braccio nel
-“tegolo„, onde accadde a Salvestro Brunelleschi, “avendo
-una scodella di ceci innanzi e pigliandoli col cucchiaio,
-per metterseli in bocca„, di cacciarseli nella
-gorgiera, e di scottarsi<a class="tag" id="tag35" href="#note35">[35]</a>. Più tardi venne quella delle
-“calze„ (i calzoni) di differenti colori non solo, ma anche
-“dimezzati e attraversati di tre o quattro colori„:
-de' piedi con una punta lunghissima<a class="tag" id="tag36" href="#note36">[36]</a>; e delle gambe
-così “incannate co' lacci che appena si possono porre a
-sedere„. “I più dei giovani senza mantello vanno in
-zazzera„ e “al polso danno un braccio di panno„ e
-“mettono in un guanto più panno che in un cappuccio„<a class="tag" id="tag37" href="#note37">[37]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Le vecchie foggie contrastavano con le nuove, con le
-modernissime: ognuno si sbizzarriva a sua posta. La
-gente, curiosa anche allora, prendea diletto a vedere
-“le nuove cappelline, le nuove cuffie e le nuove cianfarde,
-e' nuovi gabbani, i nuovi tabarroni, e le antiche
-arme; sì che appena si conoscono insieme, sguarguatando
-(sbirciando) l'uno insino in sul viso dell'altro,
-prima che si conoscono„<a class="tag" id="tag38" href="#note38">[38]</a>. Una vera mascherata!
-</p>
-
-<h3>VI.</h3>
-
-<p>
-Ora gli uomini, che han sempre fatto le leggi, pensarono
-con tal freno vietare i “disordinati ornamenti
-delle donne di Firenze„. Il Comune promulgò statuti suntuari
-fino dal 1306 e dal 1330<a class="tag" id="tag39" href="#note39">[39]</a>, e provvisioni severissime
-nel 1352, nel 1355, nel 1384, nell'88, nel 1396 e poi di
-nuovo nel 1439<a class="tag" id="tag40" href="#note40">[40]</a> e nel 1456 e perfino ne troviamo
-<span class="pagenum" id="Page_67">[67]</span>
-nel 1562<a class="tag" id="tag41" href="#note41">[41]</a>. I religiosi tuonavano dal pergamo, i savi
-ammonivano e davano, come il Dominici, “regoluzze„
-alle madri timorate “circa i vestimenti„; i novellieri
-mordevano con le loro facezie il lusso troppo smodato.
-Anche nelle altre città di Toscana e d'Italia, si mandava
-a Firenze “per esempio de' detti ordini„ e per
-“confermargli„<a class="tag" id="tag42" href="#note42">[42]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Incomincia una contesa, una lotta assai singolare tra
-la burbanza de' legislatori severi e la malizia donnesca.
-Le femmine astute non contrastano apertamente, ma
-fingon di piegare il capo crucciose, finchè passi quella
-bufera. Sono addottrinate, esperte del mondo: le leggi
-troppo severe rimangono senza sanzione. Quando e come
-possano, cercano, se non annullarle, deluderle. Alla venuta
-del duca di Calabria, nel 1326, si fanno attorno
-alla duchessa sua moglie che è una francese, Maria di
-Valois, e ottengono sia loro reso un “loro ornamento
-di trecce grosse di seta gialla e bianca, le quali portavano
-in luogo di trecce di capelli dinanzi al viso...,
-ornamento disonesto e trasnaturato„, brontola il Villani
-che vide “il disordinato appetito delle donne„ vincere
-“la ragione e il senno degli uomini„. Quattr'anni
-appresso i Fiorentini per calen d'aprile “del 1330„
-“tolgono tutti gli ornamenti alle lor donne„ e come
-dice il Del Lungo in un magistrale lavoro, a cui per
-voi darà qui il desiderato compimento, “le disabbigliano
-da capo a piè„<a class="tag" id="tag43" href="#note43">[43]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Anche questa, bufera che passa! A simiglianza delle
-donne di Fiandra, tormentate per la stessa cagione da
-Tommaso Connette fanatico carmelitano, esse, come
-<span class="pagenum" id="Page_68">[68]</span>
-scrive il Paradis negli <i>Annales de Bourgogne</i> “<i>releverent
-leur cornes, et firent comme les lymaçons, lesquels
-quand ils entendent quelque bruit retirent et reserrent
-tout bellement leurs cornes; mais, le bruit passé,
-soudain ils les relevent plus grandes que devant</i>„<a class="tag" id="tag44" href="#note44">[44]</a>.
-E occasione a rilevarle, la venuta del duca d'Atene in
-Firenze nel 1342, e la “sformata mutazione d'abito„
-portata da quei francesi.
-</p>
-
-<p>
-E qui vorrei indugiarmi a descrivervi il <i>figurino</i> d'allora,
-quando i giovani vestivano “una gonnella corta e
-stretta„ che per metterla occorreva l'“aiuto d'altrui„,
-cinta alla vita da una striscia di cuoio con ricca fibbia
-e puntale, con “isfoggiata scarsella alla tedesca„, con il
-cappuccio attaccato ad una corta mantellina e terminato in
-una punta o becchetto lungo infino in terra, per avvolgerlo
-al capo “per lo freddo„: e i cavalieri una guarnacca attillata,
-con le punte de' manicottoli strascicanti per terra, foderati
-di vaio, ed ermellini, de' quali le donne copiaron
-subito la singolare “stranianza„<a class="tag" id="tag45" href="#note45">[45]</a>. Ma gli affreschi del
-Memmi in S. Maria Novella, che ritraggono quelle fogge,
-sono a voi noti, anche per visite recenti, quando in
-un'occasione solenne tentaste di rinnovarle. A studio,
-dico <i>tentaste</i>, perchè l'eleganza moderna non può agguagliare
-la magnificenza signorile di que' drappi, di
-quelle vesti sontuose.
-</p>
-
-<p>
-La <i>Prammatica</i> del vestito del 1343, che conservavasi
-nell'<i>Archivio della Grascia</i>, di cui ottenni alcun
-estratto dalla cortesia d'un amico il quale ebbela fra
-mano, serba memoria di quegli splendidi abbigliamenti
-ch'eran colpiti dal rigor delle leggi e bollati con un
-marchio di piombo, avente sull'una e sull'altra faccia
-un mezzo giglio ed una mezza croce, a cura dei famigli
-di quei poveri “uficiali forestieri„, deputati dal Comune
-<span class="pagenum" id="Page_69">[69]</span>
-all'applicazione della legge. Eccovi descritto un
-capo di vestiario proibito, appartenente a donna Francesca
-moglie di Landozzo di Uberto degli Albizzi del
-popolo di San Pier Maggiore: “Un mantello nero di
-drappo rilevato col fondo di color giallo, con sopra uccellini,
-pappagalli, farfalle e rose bianche e vermiglie
-e molte altre figure vermiglie e verdi, e con trabacchi
-e dragoni, e con lettere e alberi gialli e neri e
-molte altre figure di diversi colori, foderato di drappo
-bianco con righe nere e vermiglie„. Nè basta: spesso
-erano anche motti, non soltanto lettere, impressi sui
-drappi.
-</p>
-
-<h3>VII.</h3>
-
-<p>
-Ma di quell'<i>Archivio</i> stesso <i>della Grascia</i> e di quei
-disgraziati ufficiali, costretti a un cómpito così disumano,
-di quei poveri potestà e capitani, cavalieri, giudici, notai
-e famigli che dalle città guelfe di Lombardia e delle
-Marche venivano in Firenze a sostenere le parti di rettore,
-a contrastare nel loro rozzo dialetto, beffato dai
-novellieri borghesi, con le lingue arrotate delle donne e
-de' loro mariti, ancor si conserva un documento curioso.
-Chi non ricorda la novella<a class="tag" id="tag46" href="#note46">[46]</a> di Franco Sacchetti, in cui
-narra le tribulazioni di “uno judice di ragione„, Messer
-Amerigo Amerighi da Pesaro, “bellissimo uomo del
-corpo„, e ancora “valentissimo della sua scienza„, il
-quale ebbe mandato, mentre Franco era de' Priori nella
-nostra città, di proceder sollecitamente ad eseguire certi
-“nuovi ordini„, al solito “sopra gli ornamenti delle
-donne?„ Il valente giudice si pone all'opera, e manda
-attorno il notaio, e i famigli, a fare inquisizioni; ma i
-<span class="pagenum" id="Page_70">[70]</span>
-cittadini vanno a' Signori e dicono “che l'officiale nuovo
-fa sì bene il suo officio, che le donne non trascorsono
-mai nelle portature come al presente fanno.„
-</p>
-
-<p>
-Or ecco la discolpa di Messer Amerigo: “Signori
-miei, io ho tutto il tempo della vita mia studiato, per
-apparar ragione; e ora, quando io credea sapere qualche
-cosa, io trovo che io so nulla; perocchè cercando
-degli ornamenti divietati alle vostre donne per gli ordini
-che m'avete dati, sì fatti argomenti non trovai
-mai in alcuna legge, come son quelli che elle fanno;
-e fra gli altri ve ne voglio nominare alcuni. E si truova
-una donna col becchetto frastagliato avvolto sopra il
-cappuccio. Il notaio mio dice: Ditemi il nome vostro,
-perocchè avete il becchetto intagliato. La buona donna
-piglia questo becchetto, che è appiccato al cappuccio
-con uno spillo e recaselo in mano, e dice ch'egli è una
-ghirlanda. Or va' più oltre, truovo molti bottoni portare
-dinanzi. Dicesi a quella che è truovata: Questi
-bottoni voi non potete portare. E quella risponde:
-Messer sì, posso, chè questi non sono bottoni, ma sono
-coppelle; e se non mi credete, guardate, e' non hanno picciuolo;
-e ancora, non c'è niuno occhiello. Va il notaio
-all'altra che porta gli ermellini, e dice: Che potrà apporre
-costei? Voi portate gli ermellini. E la vuole
-scrivere. La donna dice: Non iscrivete, no; chè questi
-non sono ermellini, anzi sono lattizzi. Dice il notaio:
-Che cos'è questo lattizzo? E la donna risponde: È una
-bestia„. E il notaio non insiste, come non sanno insistere
-i magnifici signori Priori, che si ricordano delle
-loro donne lasciate a casa, e conchiudono, come hanno
-sempre conchiuso in Palagio, esortando messer Amerigo
-a tirar via, e lasciar “correre le ghirlande per becchetti
-e le coppelle e i lattizzi, e' cinciglioni„.
-</p>
-
-<p>
-Non volevano forse che il giudice pesarese avesse
-a ricordare il malinconico distico che un suo collega
-<span class="pagenum" id="Page_71">[71]</span>
-della <i>Mercanzia</i> aveva scritto sul margine degli <i>Statuti</i>:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">“S' tu ài niuno a chi tu vogli male</p>
-<p class="i01">“Mandallo a Firenze per uficiale.<a class="tag" id="tag47" href="#note47">[47]</a></p>
-</div></div>
-
-<p>
-Pur questa volta, la novella del Sacchetti è verace
-documento di storia; l'<i>Archivio della Grascia</i> serba gli
-<i>Atti civili del Giudice degli appelli e nullità</i>, e fra quei
-protocolli appunto ve n'è uno di Giovanni di Piero da
-Lugo, notaio del dottore in legge ser Amerigo di Pesaro,
-ufficiale della Grascia del Comune di Firenze, per sei
-mesi, a cominciare dal XV marzo 1384.
-</p>
-
-<p>
-Quel giorno stesso l'Amerighi pubblicò, a' soliti luoghi,
-un bando per ricordare le pene delle leggi contro chi
-trasgrediva alla <i>Prammatica sopra 'l vestire</i>. E il 27 marzo
-cominciarono per parte degli ufficiali le inquisizioni. Vedevano
-per via alcuna donna con due anelli, ornati di
-quattro perle, con una cappellina di velluto nero ricamata,
-con una ghirlanda, con una delle abbottonature
-proibite? E subito si contestava alle malcapitate (diciamolo
-col frasario odierno) la contravvenzione. Andava
-il messo alle case con un “mandato di comparizione„,
-e il giorno fissato compariva per la moglie il marito,
-che riconosceva l'errore e pagava la multa. Così s'andò
-innanzi un bel po'; ma più tardi dovettero le donne,
-ammaliziate, cominciare quelle contestazioni, accennate
-dal novelliere, e naturalmente omesse nel protocollo del
-notaio. Le inquisizioni si fanno più rare, le condanne
-meno frequenti e i mariti che compariscono principiano
-a negare la reità delle mogli, con validi argomenti: una
-è troppo vecchia perchè possano imputarsele siffatti
-trascorsi, un'altra era in casa quel tal giorno a quella
-<span class="pagenum" id="Page_72">[72]</span>
-tale ora, una terza è in lutto e così via.... E il protocollo
-si chiude quasi senza registrare più nessuna
-condanna.
-</p>
-
-<p>
-La Signoria e il giudice prima di lei si son dati per
-vinti; ma non senza sospetto che quelli ufficiali, quei
-notai, deputati all'odioso ministero, non si fossero lasciati
-vincere dal fuoco di qualche bell'occhio, dalle carezze di
-qualche voce lusingatrice. Ahimè nelle coperte della
-<i>Prammatica</i> di quel tempo, leggiamo la confessione, lo
-sfogo d'un cuore innamorato, prezioso documento umano
-fra le pedanterie curialesche degli <i>Statuti</i>. Udite:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Li dulci canti e le brigate oneste</p>
-<p class="i01">Gli uccelli, i cani e l'andar sollazzando,</p>
-<p class="i01">Le vaghe donne, i templi e le gran feste</p>
-<p class="i01">Che per amore solea ir cercando.</p>
-<p class="i01">Ora fuoco mi sono, oimè moleste,</p>
-<p class="i01">Quantunque vengo con meco pensando</p>
-<p class="i01">Che tu dimori di qui or(a) lontana</p>
-<p class="i01">Dolce mio bene e speme mia sovrana!</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Le donne avean trovato alleati nella famiglia del Giudice
-di ragione: la loro causa era vinta!
-</p>
-
-<hr class="tbs" />
-
-<p>
-Ma per poco, giacchè quasi periodicamente si tornò
-ad infierire contro la vanità femminile, e altre bufere
-scoppiarono, sempre di breve durata. Anche tremendi
-avversari ebbero ne' moralisti che nei trattati del <i>Governo
-della famiglia</i>, seguitavano a battere cotesto tasto
-(valga l'esempio del Palmieri); peggiori nemici ne' frati,
-invasi dal furore di purgare il mondo dai peccati.
-</p>
-
-<p>
-Frate Bernardino da Siena nel 1425 continuò a Perugia
-quei bruciamenti delle vanità che l'anno innanzi
-aveva iniziato a Roma, facendo un gran falò di “capelli
-posticci e contraffatti, d'ogni lasciva portatura, di balzi
-da scuffie„, dadi, carte, tavolieri “e altre cose diaboliche„,
-<span class="pagenum" id="Page_73">[73]</span>
-preludendo alle grandi fiammate che nel 1497
-fece a Firenze il Savonarola, e che gli furono di pessimo
-augurio. Ma fra tanti oppositori, non mancavano i
-buoni avvocati. Nell'aprile 1461 un predicatore che aveva
-vociato dal pergamo in Santa Croce contro le donne, ricorse
-alla Signoria, e nel <i>Consiglio dei Richiesti</i> si trattò,
-nientemeno, di proibire la moda. Ma Luigi Guicciardini,
-padre al grande storico e politico, disse aver risposto a
-un milanese, giudicante a sproposito dell'onestà delle
-donne fiorentine dall'abito sfoggiato e dall'incedere, che
-se l'abito parea disonesto, elleno erano a' fatti assai
-diverse<a class="tag" id="tag48" href="#note48">[48]</a>.
-</p>
-
-<h3>VIII.</h3>
-
-<p>
-Ma queste leggi suntuarie, ritoccate o come oggi direbbero
-“rimaneggiate„ ogni momento, più che offendere
-le donne colpivan la borsa dei loro mariti; nè,
-giova notarlo, si restringevano agli ornamenti, sibbene
-frenavano o volevan frenare anche il lusso e l'abbondanza
-delle nozze, dei battesimi, dei conviti e dei funerali.
-I cortei nuziali non potevano eccedere il numero
-di dugento persone. I sensali de' matrimoni dovevano
-denunziare innanzi i nomi degl'invitati. Le <i>donora</i> alla
-sposa eran regolate dalla legge, e così le cerimonie nuziali;
-il cuoco “il quale dovrà apparecchiare per qualche
-sposalizio„ era tenuto a rapportare all'ufficiale del
-Comune il numero delle vivande e dei piattelli, e le vivande
-non potevano essere più di tre: non più di sette
-libbre di vitella, e i capponi, i paperi o gli anitroccoli
-permessi dagli statuti. Del pari eran regolate le esequie,
-il numero dei torchi di cera, le vesti dei morti e dei
-<span class="pagenum" id="Page_74">[74]</span>
-congiunti che seguivano il funerale: i doni dei battesimi....
-insomma ogni benchè menoma cosa<a class="tag" id="tag49" href="#note49">[49]</a>. Chi contravvenisse
-a tali disposizioni, condannato a multe assai
-gravi.
-</p>
-
-<p>
-Perchè il Comune, anche allora, cercava dovunque
-argomenti per tasse, gravami e balzelli, e lo studio dei
-cittadini, massime di quei furbi mercanti, era tutto in
-cercare di alleggerirsi delle gravezze, di rubare con qualche
-onesta licenza<a class="tag" id="tag50" href="#note50">[50]</a>.
-</p>
-
-<p>
-“<i>Il Comune ruba tanto altrui, che io posso ben rubar
-lui</i>„, è un dettato antico riferito dal Sacchetti<a class="tag" id="tag51" href="#note51">[51]</a>; il quale
-anche lamenta le lungaggini nelle pratiche del Comune,
-perfino verso chi volea donargli le proprie castella<a class="tag" id="tag52" href="#note52">[52]</a>.
-Ciascuno tirava l'acqua al suo mulino, dice Marchionne
-Stefani, e anch'egli aveva il mulino suo<a class="tag" id="tag53" href="#note53">[53]</a>. S'ingegnavano
-tutti a difendersi dalle gravezze e com'è sempre usanza,
-scrive quel cronista, “gli animali grossi e possenti saltano
-e rompono le reti„.
-</p>
-
-<p>
-Anche Francesco Datini, accostandosi a quelli che tenevan
-lo Stato, provvide a' casi suoi, in quegli anni nei
-quali “le guerre combattute con le armi de' mercenari
-e le paci fatte a furia di denaro esigevano che la imposta
-si riscotesse in un anno dieci e quindici volte<a class="tag" id="tag54" href="#note54">[54]</a>„.
-Chi non potea con le amicizie e i favori, ci riusciva con
-l'astuzia, come Bartolo Sonaglini che, essendosi per porre
-molte gravezze, scendeva ogni mattina sull'uscio di casa
-e contava a tutti le sue miserie, dicendo: “Oimè, fratel
-mio, io son disfatto.„ “E' mi converrà o dileguarmi dal
-mondo o morir prigione„<a class="tag" id="tag55" href="#note55">[55]</a>; onde quando vennero alla
-partita di lui ciascuno dicea: Egli è diserto, e guardasi
-<span class="pagenum" id="Page_75">[75]</span>
-per debito; e l'un dicea: E' dice il vero, chè pure
-una di queste mattine non ardiva d'uscir di casa. E
-l'altro dicea: E anco così disse a me.... Sia come si
-vuole, dicono gli altri, e' si vuole trattar secondo povero,
-e tutti a una voce gli posono tanta prestanza,
-quanta si porrebbe a uno miserabile, o poco più.„
-Fatte le prestanze e passato il pericolo, Bartolo cominciò
-a uscir fuori e andava dicendo d'esser per accomodarsi
-coi creditori; e così, a furia di ciance, si liberò dalle
-prestanze, “dove molti altri più ricchi di lui ne rimasono
-disfatti„.
-</p>
-
-<h3>IX.</h3>
-
-<p>
-Già i tempi maturavano. Dell'antica e proverbiata
-semplicità, in tanta sete di guadagni, rimanevano monumento
-vivente, ma pur rispettato, soltanto quei vecchioni
-di cui Donato Velluti ci porge uno stupendo ritratto,
-vivo e vigoroso come una figura di Andrea del
-Castagno.
-</p>
-
-<p>
-“Bonaccorso di Piero, fu uno ardito, forte e aitante
-uomo, e molto sicuro nell'arme. Fece di grandi prodezze
-e valentie, e sì per lo Comune e sì in altri luoghi.
-Tutte le carni sue erano ricucite, tante ferite
-avea avute in battaglie e zuffe. Fu grande combattitore
-contr'a Paterini e Eretici.... Era di bella statura,
-di membra forti e bene complesso. Vivette ben 120
-anni, ma ben 20 anni perdette il lume, innanzi morisse,
-per vecchiaia. Fu chiamato Corso, e benchè fosse
-così vecchio, udii dire che la carne sua avea sì soda,
-che non si potea attortigliare, e se avesse preso qualunque
-giovane più atante in su l'omero, l'avrebbe
-fatto accoccolare. Intesesi anche bene di mercatanzia,
-e fecela molto lealmente; intanto era creduto, che
-<span class="pagenum" id="Page_76">[76]</span>
-venuti i panni melanesi in Firenze da Melano (de' quali
-molti ne faceano venire) e tutti gli spacciava innanzi
-fossono aperte le balle; molti ne faceano tignere qui,
-e perch'era sì diritto, udii dire che un Giovanni del
-Volpe loro fattore veggendo sì grande spaccio di detti
-panni, pensò nella tinta fare avanzare più la compagnia,
-e più debolmente, e con meno costo gli facea
-tignere; di che essendo passato un tempo i detti
-panni non avevano quel corso soleano: di che cercando
-la cagione, trovarono che era stato per la sottilità
-del detto Giovanni, di che egli il volea pure uccidere.
-</p>
-
-<p>
-“Il detto Bonaccorso avendo perduto il lume, il più
-si stava in casa. Avea di dietro al palagio di Via
-Maggio.... un verone lungo quanto tenea il detto palagio,
-in sul quale rispondea tre camere dal lato di
-dietro, per le quali egli andava, e tanto andava in
-qua e in là ogni mattina, che facea ragione essere ito
-tre o quattro miglia, e fatto questo asciolvea, e l'asciolvere
-suo non era manco di due pani, e poi a desinare
-mangiava largamente, perocchè era grande
-mangiante: e così passava la sua vita. Ora perchè si
-sappia come morì, udii dire a mio padre, che gli venne
-voglia andare alla stufa, e così andò, nella quale stufa
-s'incosse un piede; di che essendo tornato e veggendo
-che per essa cagione non potea andare, nè fare il suo
-usato esercizio, in sul verone, immantinente sì si (ac)cusò
-morto. Or avvenne in quel tempo che Filippo suo
-figliuolo, e mio avolo che fu, menando Monna Gemma
-de' Pulci sua seconda donna, avendo il dì molto motteggiato
-dicendo: <i>ora farebbe bisogno a me d'avere
-moglie, più ch'a figliolmò, che m'aitasse</i>, e molte altre
-ciance, gli venne voglia, essendo sul letto, farsi portare
-in sul lettuccio da sedere: di che chiamato mio
-padre e Gherardo suoi nipoti, avendosi colle mani
-<span class="pagenum" id="Page_77">[77]</span>
-e braccia appoggiato in sulle spalle loro; subitamente
-per grande vecchiezza la vita gli venne meno, e
-morì„<a class="tag" id="tag56" href="#note56">[56]</a>
-</p>
-
-<h3>X.</h3>
-
-<p>
-Con il ricordo di questa “cara e buona immagine paterna„,
-affrettiamoci a' tempi nuovi, al nuovo secolo,
-di cui ormai rosseggia in cielo, nel cielo della letteratura
-e dell'arte, la splendida aurora. Già ne scorgemmo
-i segni annunziatori nell'ottenuto acquisto della ricchezza,
-nell'affrancarsi così dai vecchi pregiudizi, come dalle severe
-regole del vivere antico, nelle tendenze egoistiche
-preparanti lo svolgimento di quel che i moderni critici
-chiamano “individualismo,„ onde meglio si comprende
-il carattere degli uomini e della vita della Rinascenza.
-</p>
-
-<p>
-L'affetto per il Comune, per la patria e anche per la
-famiglia, già s'affievolisce col desiderio acuto de' godimenti,
-di che non era avara la vita a chi volea gustarne
-le dolcezze. L'incredulità fa capolino; lo scetticismo, la
-sensualità, minacciano di prendere il sopravvento. Coteste
-generazioni, dopo i terribili terrori delle pestilenze,
-scampate all'infuriar del contagio, doveron quasi meravigliare,
-stupire di risvegliarsi alla vita.
-</p>
-
-<p>
-Dalla grande moria del 1348 ai primi del '400, i cronisti
-ne registrano molte altre: ricordiamo quelle del 1363,
-del 1374, del 1400, del 1411, del 1420 e del 1424. Un
-nostro erudito spogliando il libro de' morti degli Ufficiali
-della Grascia, noverò dal 1.º maggio al 18 settembre 1400,
-ben 10908 morti, la massima parte fanciulli<a class="tag" id="tag57" href="#note57">[57]</a>. Della
-peste del 1348, oltre alla classica e grandiosa descrizione
-del Boccaccio, troviamo vivi e dolorosi ricordi nelle cronache
-famigliari, ne' diarii, ne' memoriali.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_78">[78]</span>
-</p>
-
-<p>
-Dovè essere un pauroso, un raccapricciante spettacolo!
-Giovanni Morelli racconta che in un'ora “si vedeva ridere
-e motteggiare„ il vicino o l'amico “e nell'ora medesima
-il vedevi morire„. La gente cascava morta per
-istrada “su per le panche„ come abbandonata, senza
-aiuto o conforto di persona. Molti impazzivano e si buttavano
-nel pozzo, o giù dalle finestre o in Arno, dal gran
-dolore o dalla orribile paura. Tanti morirono senza esser
-veduti e “infracidavano su per le letta„, molti si sotterravano
-ancor vivi. “Avresti veduto una croce ire per
-un corpo e averne dietro tre o quattro prima giugnesse
-alla chiesa„<a class="tag" id="tag58" href="#note58">[58]</a>. Si calcola che in Firenze morissero i due
-terzi delle persone, “cioè de' corpi ottantamila„<a class="tag" id="tag59" href="#note59">[59]</a>. Della
-moria del '400, veggiamo un'efficace pittura in una lettera
-di Ser Lapo Mazzei. “Qui non s'apre appena appena
-bottega: i rettori non stanno a banco: il palagio
-maggiore senza puntelli: nullo si vede in sala: morti
-non ci si piangono, contenti quasi solo alla croce„<a class="tag" id="tag60" href="#note60">[60]</a>.
-Era uno spavento: i figliuoli morivano, cadevan gli amici,
-i vicini, i conoscenti, gl'ignoti; nel colmo della estate,
-passavano i cento al dì; nel luglio vi fu un giorno che
-furon dugento.
-</p>
-
-<p>
-Di quella del 1420 scrive nel suo <i>Libro segreto</i> Gregorio
-Dati: “La pestilenzia fu in casa nostra, e cominciò
-dal fante, cioè Paccino, a l'uscita di giugno 1420; e
-poi da indi a tre dì la Marta nostra schiava, e poi al
-primo dì di luglio la Sandra mia figliuola, e a dì 5 di
-luglio l'Antonia. E uscimmo di casa, e andammo dirimpetto;
-e in fra pochi dì morì la Veronica: e uscimmone
-e andammo in Via Chiara, e presevi il male alla
-Bandecca e alla Pippa, e amendue s'andarono a Paradiso
-<span class="pagenum" id="Page_79">[79]</span>
-a dì 1.º d'agosto, tutti di segno di pestilenza<a class="tag" id="tag61" href="#note61">[61]</a>.
-Iddio li benedica!„
-</p>
-
-<p>
-Chi poteva fuggire, scappava ad Arezzo, a Bologna,
-in Romagna, in alcuna città e terra dove credesse potersi
-stare sicuro. Il Datini se n'andò a Bologna, portando
-la famiglia, i domestici e i forzieri su ronzini e
-su muli carichi di ceste<a class="tag" id="tag62" href="#note62">[62]</a>. Buonaccorso Pitti scampò
-dalla peste del 1411 recandosi a Pisa in una casa a pigione,
-dove in sette mesi spese 1300 fiorini e gli morì
-una figliuola e un famiglio. Nel '24 mandò il figlio suo
-Luca con la moglie e i bambini a Pescia, dove poi si
-ridusse con gli altri congiunti.
-</p>
-
-<p>
-Era di regola recarsi “in qualunque luogo la mortalità
-non fosse stata„<a class="tag" id="tag63" href="#note63">[63]</a>; rimedi contro l'oscuro malore non
-c'erano, nè l'arte dei medici sapea consigliarli. Il Morelli
-prescrive alcune norme che oggi si direbbero igieniche:
-la pestilenza del 1348 era stata cagionata da una terribile
-carestia: “l'anno dinanzi era suto in Firenze gran
-fame„<a class="tag" id="tag64" href="#note64">[64]</a>; “vivettesi d'erbe, e di barbe d'erbe, e di cattive„,
-“tutto contado era ripieno di persone, che andavano
-pascendo l'erbe come le bestie„, e i corpi
-erano disposti e non avevano “argomento nè riparo
-niuno„. Consiglia, pertanto, conservarsi sani, riguardarsi,
-mangiar bene, sfuggire l'umido, “spender largamente„,
-senza “niuna masserizia„ senza economia “fuggi(r) malinconia
-e pensiero„, pigliarsi “spasso piacere e allegrezza„,
-non “pensare a cosa ti dia dolore o cattivo
-pensiero„, giuocare, cavalcare, divertirsi, stare allegri,
-tenere “in diletto e in piacere la tua famiglia„, e “far
-con essa buona e sana vita senza pensiero di fare per
-<span class="pagenum" id="Page_80">[80]</span>
-allora masserizie; che assai s'avanza a stare sano e
-fuggire la morte„<a class="tag" id="tag65" href="#note65">[65]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Gli “avanzati„ dal mortale flagello, doverono ben
-presto avvezzarsi al nuovo tenore di vita, anche passato
-il pericolo. Effetto della peste e de' suoi terrori, le processioni
-dei “<i>penitenti bianchi</i>, simiglianti a quelle che
-quasi un secolo innanzi, sotto il nome di <i>compagnie
-de' battuti</i>, avevan percorsa tutta l'Europa. Partivansi
-in folla dalle lor case mescolati uomini e donne, laici
-ed ecclesiastici, tutti vestiti di bianche cappe che lor
-coprivano anche la faccia, avendo un crocefisso per insegna;
-e andavano processionalmente di paese in paese
-cantando laudi, pregando con alte voci <i>misericordia</i>.
-Giacevano quasi sempre all'aria aperta, non domandavano
-che pane e acqua. I popoli delle città visitate,
-accendendosi d'egual fervore andavano col medesim'ordine
-a visitare un'altra città. Alla comparsa dei pii
-pellegrini, tutti movevansi a penitenza, le gravi inimicizie
-si deponevano, si pacificavano le discordanti fazioni,
-le città si riempivano di santimonia„<a class="tag" id="tag66" href="#note66">[66]</a>. A Firenze
-i facinorosi voleano profittarne per liberare i prigioni
-delle Stinche; ma fortunatamente s'impedì che la città
-n'andasse a romore d'arme, e tra le altre si fecer le paci
-tra i Pitti e i Corbizi<a class="tag" id="tag67" href="#note67">[67]</a>. Anche Francesco Datini nell'agosto
-1399 andò in pellegrinaggio, “vestito tutto di
-tela lina bianca e scalzo„, co' suoi famigli, amici e vicini.
-Erano in tutto dodici e portaron seco due cavalle
-e una muletta, “in sulle quali bestie mettemmo un paio
-di forzeretti, in che furono più scatole di tutte ragioni
-confetti, e formaggio d'ogni ragione, e pane fresco e
-biscottato, e berlingozzi zuccherati e non zuccherati e
-<span class="pagenum" id="Page_81">[81]</span>
-più altre cose che s'appartengono alla vita dell'uomo,
-tanto che le dette cavalle furono presso che cariche di
-vettovaglie„<a class="tag" id="tag68" href="#note68">[68]</a>. Stettero in pellegrinaggio dieci giorni,
-dal 28 agosto al 6 di settembre, e giunsero fino ad Arezzo
-o poc'oltre; e dovunque si fermavano compravano cose
-da mangiare. Era davvero un allegro modo, e comodo,
-di far penitenza, e di pellegrinare a cavallo!
-</p>
-
-<p>
-Delle pratiche religiose, i più accorti e più increduli rispettavano
-appena la forma esteriore, come il Datini, che
-temeva i rimbrotti e i predicozzi dell'amico e mentore
-spirituale Ser Lapo Mazzei.
-</p>
-
-<p>
-Altri, come Buonaccorso Pitti, già ci porgono l'immagine
-dell'uomo della Rinascenza, che non ha terraferma,
-e gira il mondo, rôso da una interna irrequietezza,
-e giuoca, e perde, traffica, e mescola la politica ai commerci
-e ai sollazzi, come un avventuriere del Settecento,
-come un Benvenuto Cellini, ma senza l'arte e con molto
-meno d'ingegno. Curioso, strano tipo questo Pitti che
-sembra morso dalla tarantola e mena le mani e sta a
-tu per tu con Carlo VI<a class="tag" id="tag69" href="#note69">[69]</a>, con duchi e principi, che cavalca
-a Roma difilato per una scommessa con una giovane
-ond'era invaghito<a class="tag" id="tag70" href="#note70">[70]</a>; gran danzatore, giuocatore
-ostinato e prode e leal cavaliere, e in patria assunto agli
-uffici supremi<a class="tag" id="tag71" href="#note71">[71]</a>. Il Burckhardt lo chiama addirittura un
-precursore del Casanova, che viaggia continuamente in
-“qualità di mercante, di agente politico, di diplomatico
-e di giuocatore di professione„. “Guadagnò e perdette
-enormi somme, e non trovava competitori che fra i
-principi, quali ad esempio, i Duchi di Brabante, di
-Baviera e di Savoia„<a class="tag" id="tag72" href="#note72">[72]</a>. Questo il padre di quel Luca
-Pitti che in ricchezza e in magnificenza rivaleggiava coi
-<span class="pagenum" id="Page_82">[82]</span>
-Medici e voleva anche in ogni altra cosa andare a paro
-con Cosimo. I mercanti di panni divenuti banchieri e
-prestatori, aveano in quei viaggi, in quei traffichi, con
-quelle “fattorie„ sparse in varie città d'Europa, ne' più
-operosi centri del commercio, negli scali più frequentati,
-accumulato smisurate ricchezze, ed era venuto il tempo
-di godersele tranquillamente.
-</p>
-
-<p>
-Già Fiorenza come una bella e prosperosa giovane
-“con buone parti„ e dote abbondante, cessate le gare
-fra i partiti che se la contendevano, all'ombra de' lauri
-medicei socchiudeva gli occhi abbarbagliati da tante
-sfoggiate magnificenze, onde, come femmina, s'era lasciata
-conquidere. Le famiglie, fatta la roba, voglion
-fondar la casata: si cercano i maritaggi più convenienti
-e si discutono quasi fossero alleanze. L'Alessandra Macinghi
-va a tutte le messe “in Santa Liperata„ e si
-pone “allato„ alle fanciulle, con cui vorrebbe per il suo
-Filippo far parentado, e con occhio di futura suocera le
-studia, le esamina, le spoglia, e ne scrive al figliuolo
-come se si trattasse d'un mercato di polledre e non d'un
-matrimonio. Egli è vero che la buona madonna Lessandra,
-per me troppo esaltata e lodata, dovette avere
-piuttosto cuor di mercante che di donna. Che mettesse
-le mani addosso alle schiave, lo confessava ella stessa
-senza ritegno; era costume, e fors'anche con quelle rôsse
-e tartare la pazienza doveva facilmente scappare. Ma di
-lei e della sua pietà troviamo un documento rivelatore.
-Si tratta di due vecchi, gli unici che rimanessero d'una
-famiglia di lavoratori di Pozzolatico: “ancora vive Piero
-e mona Cilia, tramendua infermi. Ho allogato il podere
-per quest'altr'anno, e me lo conviene mettere in
-ordine: e que' due vecchi se non muoiono, hanno andare
-accattare. Iddio provvegga„<a class="tag" id="tag73" href="#note73">[73]</a>. Nè crediate sia
-<span class="pagenum" id="Page_83">[83]</span>
-questo un tristo, ma fugace pensiero: è un fermo proposito.
-In una lettera scritta, pochi mesi dopo, nel dicembre
-del 1465, leggiamo: “Piero vive ancora„ a Mona
-Cilia Iddio aveva forse già provveduto “e bisogna che
-se n'esca, e andrà accattando.... Arà pazienza: che Iddio
-lo chiami a sè, se 'l meglio debb'essere!„<a class="tag" id="tag74" href="#note74">[74]</a> Col cuore,
-non si fa masserizia!
-</p>
-
-<h3>XI.</h3>
-
-<p>
-Ma chi aveva accresciute e moltiplicate le proprie sostanze,
-mostrava sentimenti più nobili e animo più gentile.
-Giovanni Rucellai ci dà l'immagine compiuta del
-fiorentino ricco che sente la dignità del nuovo stato in
-cui fu posto dalla fortuna; la quale “non tanto gli ha
-conceduto grazia nel guadagnare, ma ancora nello spenderli
-bene, che non è minor virtù che il guadagnare.
-E credo — scrive nel suo <i>Zibaldone</i>, — che m'abbi
-fatto più onore l'averli bene spesi ch'averli guadagnati,
-e più contentamento nel mio animo,„ e “massimamente
-delle muraglie ch'io ho fatte della casa mia di
-Firenze, del luogo mio di Quaracchi, della facciata della
-chiesa di Santa Maria Novella, e della loggia nella
-Vigna dirimpetto alla casa mia„. E ringrazia messer
-Domenedio,„ d'averlo fatto “creatura razionale,„ cristiano
-e non “turco, moro, o barbaro„, d'averlo fatto
-nascere “nelle parti d'Italia, la quale è la più degna e
-più nobile parte di tutto il cristianesimo, e nella provincia
-di Toscana la quale è reputata delle degne provincie
-ch'abbi l'Italia„, e altresì d'avergli dato la vita
-nella “città di Firenze, la quale è reputata la più degna
-e la più bella patria che abbi non tanto il cristianesimo
-ma tutto l'universo mondo„, e infine d'avergli
-<span class="pagenum" id="Page_84">[84]</span>
-dato l'essere “nell'età presente, la quale si tiene per li
-intendenti ch'ella sia stata e sia la più grande età che
-mai avessi la nostra città poi che Firenze fu edificata....
-per esser stato al tempo del magnifico cittadino Cosimo
-di Giovanni de Medici„. — E più lo ringraziava d'avergli
-concesso d'allearsi con lui, per il matrimonio della Nannina
-figlia di Piero e nipote di Cosimo, con il proprio
-figliuolo Bernardo, splendido parentado di che il Rucellai
-insuperbiva.
-</p>
-
-<p>
-Firenze allora celebrava, senza temere i rigori delle
-leggi suntuarie cadute in disuso, le feste nuziali delle
-grandi famiglie. Le nozze di Baccio Adimari con la Lisa
-de' Ricasoli, celebrate nel 1420, ci son rappresentate da
-un'antica tavola della Galleria dell'Accademia di Belle
-Arti, e vediamo gli sposi con la loro accompagnatura
-danzare sotto un padiglione a strisce di vari e ridenti
-colori, al suono d'una musica di trombe e di pifferi; ma
-di queste del Rucellai con la Medici, che ci danno l'imagine
-della vita d'allora, vogliamo tentare un quadro di cui
-ci fornirà le linee, i colori e il disegno lo <i>Zibaldone</i> del
-buon vecchio che ne serbò caro e pregiato ricordo.
-</p>
-
-<hr class="tbs" />
-
-<p>
-Dorati dal fiammante sole di giugno, i festoni di verzura
-si distendevan superbi da un lato all'altro della via,
-levando in alto gli scudi, la metà coll'arme de' Medici e
-la metà coll'arme de' Rucellai. Le pietre ruspe della facciata
-che la magnificenza di Giovanni Rucellai aveva
-pochi anni innanzi fatto murare, come credesi, da Leon
-Battista Alberti, acquistavano quasi nuovo colore coperte
-com'erano dagli smaglianti parati e dalle ghirlande
-di fiori penzolanti da' pilastri dorici del primo
-piano e dai pilastri corinti del secondo e del terzo. Dirimpetto
-al palazzo, nella piazzuola di fronte alla loggia,
-era stato eretto un palco che aveva la figura d'un triangolo.
-Lo copriva, per difesa del sole, un cielo di panni
-<span class="pagenum" id="Page_85">[85]</span>
-turchini adornato di ghirlande, in mezzo alle quali sbocciavano
-freschissime rose; mentre di sotto, sull'assito di
-legno, si stendevano arazzi preziosi, che paravano anche
-le panche messe lì torno torno per comodo d'aspettare,
-e le spalliere chiudenti in giro il vago recinto. I lembi
-del gran velabro turchino scendevano qua e là fino a
-terra, come aeree colonne. Da una parte di quel gran
-padiglione sorgeva una credenza su cui splendevano vasi
-e piatti d'argento lavorati a rilievo da quanti più valenti
-orafi ed argentieri noverasse allora Firenze: e la
-ricchezza di quegli arredi annunciava la sontuosità del
-convito che apparecchiavasi.
-</p>
-
-<p>
-Nella via di fianco al palazzo s'eran poste le cucine,
-dove fra cuochi e sguatteri lavoravano cinquanta persone.
-Il rumore era grande; via della Vigna da un capo all'altro
-era piena di gente: agli artefici che avevan preparato
-gli addobbi, succedevano i messi che portavano i
-doni degli amici, dei clienti, del parentado: i contadini,
-i giardinieri, i bottegai, gli speziali che portavano le
-vettovaglie; i pifferi e i trombetti che preparavan le
-musiche: i giovani cavalieri che si accingevano agli armeggiamenti
-nuziali.
-</p>
-
-<p>
-Quella domenica — era l'otto giugno del 1466 — poco
-dopo il levar del sole avea la gente cominciato ad accorrere
-da ogni parte al palazzo dove le nozze dovean
-celebrarsi: arrivavano, cara e promettente vista ai curiosi,
-vitelle squartate, barilozzi di vino greco, capponi
-quanti ce ne possono stare appiccati a una stanga portata
-a spalla da due robusti villani, stangate di formaggi
-di bufalo, coppie di paperi, barili di vino comune e di
-scelto trebbiano, corbelli pieni di melarance, ceste di pesci
-di mare grandi e odorosi, paniere di pesciolini d'Arno
-con le squame d'argento, caprioli, lepri, giuncate. — Venivano,
-portate dagli ortolani dei monasteri, cestelline di
-zuccherini, di berlingozzi e d'altre dolcissime delicature
-<span class="pagenum" id="Page_86">[86]</span>
-preparate dalle candide mani di monacelle gentili: venivano
-a gran fatica, dondolando la testa fronzuta, e barcollando
-sui carri tirati da bovi sbuffanti un magnifico
-ulivo di Carmignano, e ginestre e quercioli tolti alla
-villa di Sesto, co' fiori che la ridente stagione donava in
-gran copia.
-</p>
-
-<p>
-Dovevano i regali aggiunger magnificenza alla festa,
-ed esser degni di chi li offriva, e testimoniare insieme
-l'affetto o la reverenza che portavano i donatori alle due
-insigni famiglie che con quegli sponsali faceano alleanza.
-Il giovane Bernardo Rucellai, diciassettenne appena, andava
-sposo alla Nannina figlia di Piero e nipote al gran
-Cosimo de' Medici, ed il vecchio Giovanni Rucellai con
-quelle nozze si levava di dosso il sospetto d'esser nemico
-alla parte Medicea che, dopo l'esilio di Cosimo, era tornata
-più forte di prima in Firenze. Era un parentado
-architettato con sommo studio, che ridondava a decoro
-della famiglia sua, quanto la facciata di Santa Maria
-Novella fatta fare all'Alberti, e la cappella in San Pancrazio,
-e il palagio e la bellissima loggia corinzia di Via
-della Vigna.
-</p>
-
-<p>
-Sottile ingegno avea quel maestoso vecchio con la
-fronte alta ed aperta, il naso aquilino e i fulgidi occhi
-di un profondo color cilestro, che pare ancor vivo nella
-cornice d'un suo antico ritratto. Abbondanti capelli gli
-scendono in ricche anella sulle spalle e una lunga barba
-gli ondeggia sul petto, conservando ancora alcune tinte
-dorate frammiste al grigio della vecchiaia, e con i freschi
-colori del viso dimostrando una longevità vigorosa.
-Lo vediamo seduto in un seggiolone a bracciuoli, coperto
-di velluto cremisi a frangia e borchie d'oro; veste
-una tunica verde scura ed è ravvolto in un lucco purpureo
-a risvolte di velluto cremisi. Cogli occhi guarda
-in alto e lontano come pensando a cose che non sono
-di questo mondo. Ma la mano destra, adorna di un
-<span class="pagenum" id="Page_87">[87]</span>
-anello con un grosso brillante, si appoggia con forza al
-bracciale del seggiolone, e la sinistra aperta accenna ad
-un codice, ben rilegato, che gli è squadernato dinanzi,
-sur una pagina del quale leggesi il titolo <i>Delle Antichità</i>.
-Accanto ad esso alcune lettere dissigillate con l'indirizzo
-all'<i>illustrissimo signor Giovanni Rucellai</i>. Dietro una
-tenda di colore scuro, in uno sfondo azzurro son disegnate
-con grandissima diligenza ed esattezza le sue
-opere di pietra e di marmo, la facciata di Santa Maria
-Novella, la cappella di San Pancrazio, il palazzo e la
-loggia. Quel dipinto compendia l'uomo e le sue glorie:
-un ricco mercante che poteva diventar parente del magnifico
-Cosimo di Giovanni de' Medici, il quale — com'ei
-diceva — è stato ed è di tanta ricchezza e di tanta
-virtù e di tanta grazia e riputazione e seguito, che mai
-non fu simile cittadino nè di tante buone parti e condizioni
-quante sono state e sono in lui.
-</p>
-
-<p>
-Ma torniamo alle nozze. Giovanna dei Medici venne a
-marito quel giorno stesso, accompagnata, com'era costume,
-da quattro cavalieri de' maggiori della città,
-messer Manno Temperani, messer Carlo Pandolfini, messer
-Giovanozzo Pitti e messer Tommaso Soderini. <i>Veniam</i>
-cioè <i>verrò</i> era scritto, secondo l'uso d'allora su
-certe cartellette appiccate alle panche parate d'arazzi
-che eran disposte sotto al padiglione fiorito; e la sposa
-vi venne, e in su quel palco soffice per i ricchi tappeti
-si danzò e si festeggiò a suon di musiche, aspettando i
-desinari e le cene.
-</p>
-
-<p>
-Convennero alle nozze 50 gentildonne riccamente vestite
-e similmente 50 giovani in abiti bellissimi. Durarono
-le feste dalla domenica mattina alla sera del martedì
-successivo, e i conviti si tenevano due volte al
-giorno. Comunemente si convitavano a ciascun pasto
-cinquanta tra parenti e amici e cittadini de' principali,
-per modo che alla prima tavola, contando le donne e le
-<span class="pagenum" id="Page_88">[88]</span>
-fanciulle di casa, i pifferi ed i trombetti, mangiavano
-170 persone. E alle seconde e terze tavole dette “tavole
-basse„, mangiava gente assai, tantochè ad un certo
-pasto s'ebbero fin 500 persone. Le vivande, che eran
-quelle prescritte dall'uso, furono squisite e abbondanti:
-la domenica mattina si dettero capponi lessi e lingue, e
-un arrosto di carne grossa, e uno di pollastrini dorati
-con lo zucchero e l'acquarosa: la sera la gelatina, l'arrosto
-grosso e quello di pollastrini con frittellette. Il lunedì
-mattina, bianco mangiare, coi capponi lessi e salsicciuoli
-e arrosto grosso di pollastrini; la sera le solite
-portate, e più una torta di pappa, mandorle e zucchero
-che dicevasi <i>tartara</i>. Il martedì mattina, arrosto di carne
-grossa e di quaglie, e la sera i consueti arrosti e la gelatina.
-Alle colazioni uscivano fuori in sul palchetto venti
-confettiere di pinocchiati e di zuccherati, che si distribuivano
-a profusione.
-</p>
-
-<p>
-La spesa di questi conviti ascese a più che 6000 fiorini
-(circa 150000 lire), somma per quel tempo ingentissima.
-Si comprarono settanta staia di pane, duemilaottocento
-pani bianchi, quattromila cialdoni, cinquanta
-barili di trebbiano, tremila capi di pollame, mille e cinquecento
-uova, quattro vitelli, venti catini di gelatina;
-e si arsero in cucina dodici cataste di legna. — Pareva
-addirittura il regno dell'abbondanza.
-</p>
-
-<p>
-Il martedì sera, parte dei giovani che erano stati invitati
-alle nozze fecero gli armeggiamenti secondo l'usanza,
-movendosi dal Palazzo Rucellai fino al canto dei
-Tornaquinci, e di poi in Via Larga sotto il Palazzo dei
-Medici.
-</p>
-
-<p>
-La sposa, chi voglia sapere il corredo e i regali che
-ebbe, ricevè da diversi parenti non meno di venti anelli;
-e sei dallo sposo, due quando la tolse, due <i>dello sposalizio</i>,
-due nella mattina che si donavano le anella. Da
-Bernardo ebbe cento fiorini e più altre monete: le si
-<span class="pagenum" id="Page_89">[89]</span>
-fecero ricchi vestimenti: uno di velluto bianco ricamato
-di perle, di seta e d'oro con maniche aperte foderate di
-candide pellicce: uno di <i>zetani</i>, drappo di seta molto
-massiccio, guernito di perle con le maniche foderate d'ermellino.
-</p>
-
-<p>
-Ebbe poi una <i>cotta</i> o vestito di damaschino bianco
-broccato d'oro fiorito, con maniche adorne di perle, e
-un'altra cotta di seta con maniche di broccato d'oro cremisi
-ed altri vestiti e sopravvesti, chiamate allora <i>giornee</i>. — Fra
-le altre gioie ebbe una ricca collana con
-diamanti, rubini e perle del valore di 1200 fiorini, e uno
-spillo da testa, e un vezzo di perle che avea per pendente
-un grosso diamante a punta, e un cappuccio ricamato
-di perle e una reticella di perle grosse. — La
-dote, che oggi parrebbe scarsa, fu di 2500 fiorini (circa
-60 000 lire), compreso il corredo, nel quale si notano un
-paio di forzieri con le spalliere riccamente lavorati, e
-dieci fra <i>cioppe</i>, <i>gamurre</i> e <i>giornee</i>, cioè vestiti lunghi
-di varia forma di finissime stoffe, e sontuosi ricami d'oro
-e di perle: una camicia di <i>renso</i> (tela bianca fine operata
-proveniente da Reims), una cuffia o testiera di stoffa
-cremisi lavorata di perle, due berrette con argento, perle
-e diamanti, un <i>libriccino</i> da messa miniato con fermagli
-d'argento e un <i>Bambino</i> Gesù in cera con la veste
-di damasco ricamata di perle. Inoltre stoffe in pezza,
-rasi, damaschi, velluti, guanciali ricamati, cinture, borse,
-anelli da cucire, agorai, pettini d'avorio, 4 paia di guanti,
-un <i>cappello</i> alla milanese con frangie, otto paia di calze,
-tre specchi, un bacino e un mesciacqua a smalto d'argento,
-un ventaglio ricamato o <i>rosta</i>, e molte altre cose
-che non si contano.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_90">[90]</span>
-</p>
-
-<h3>XII.</h3>
-
-<p>
-Tre anni appresso, nel giugno 1469, le nozze sfolgorate,
-da vero principe, di Lorenzo dei Medici con Clarice
-Orsini, che riuscirono una pubblica festa, un vero
-carnasciale. “<i>Tu felix, Florentia nube!</i>„
-</p>
-
-<p>
-Non c'indugeremo a descriverle, sulla traccia dell'informazione
-che ne dette Piero Parenti a Filippo di Matteo
-Strozzi, suo zio materno, che allora stava in Napoli,
-ed è il fondatore del bel palazzo di Firenze, monumento
-della grandezza di questa famiglia. Quei conviti, quelle
-magnificenze ponevano in grave impaccio le gentildonne
-che vi erano invitate e dovevan comparirvi, secondo la
-dignità della casata, con robe e cotte di broccato di gran
-valuta. Mentre il “Babbo„ era “a Napi„<a class="tag" id="tag75" href="#note75">[75]</a>, come aveva
-imparato a balbettare il piccolo Alfonso, figlio di Filippo
-Strozzi e della bella e buona Fiammetta di Donato Adimari,
-la giudiziosa donna volle piuttosto far l'ammalata,
-e non v'intervenne<a class="tag" id="tag76" href="#note76">[76]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Anche noi vogliamo seguirne l'esempio, e piuttosto
-cercare ne' documenti contemporanei alcun accenno alle
-intimità della vita domestica, che fra tanto pubblico
-scialo, si facevan sempre più rare. E ci sarà grato trovarlo
-nelle letterine che il figlio di quelli sposi, Piero
-de' Medici, scriveva a suo padre, mentr'era in villa o
-altrove, raccomandato alle cure del suo pedagogo Messer
-Agnolo Poliziano. Le ha tratte dagli originali del nostro
-Archivio di Stato, il Del Lungo che saprà a' loro luoghi
-ricollocarle nella <i>Vita</i> dell'Ambrogini, antica promessa
-ringiovanita con lui.
-</p>
-
-<p>
-A Piero de' Medici molto si perdonerebbe in grazia di
-queste letterine, vergate con mano incerta dai cinque
-<span class="pagenum" id="Page_91">[91]</span>
-anni in poi, e dei primi latinucci che il maestro <i>non</i>
-correggeva. Nel 1476, appena cinquenne, scriveva di
-villa alla nonna Lucrezia Tornabuoni, con la petulanza
-d'un nipotino guastato dalle carezze. “Rimandateci parecchi
-fichi, chè quegli mi piacquono; dico di quelli
-brugiotti: et mandateci delle pesche col nocciolo, et
-delle altre cose che voi sapete che ci piacciono, zuccherini
-et berlingozzi ed altre coselline.„ Nel '78 avvertiva
-il padre d'aver “apparato già molti versi di
-Virgilio, e so quasi tutto il primo libro di Teodoro a
-mente, e parmi d'intenderlo„, cioè la grammatica greca
-di Teodoro Gaza (il <i>Curtius</i>, d'allora). “El maestro mi fa
-declinare et mi examina ogni dì.„
-</p>
-
-<p>
-L'anno appresso scrive più franco: “Vorrei che Voi
-ci mandassi qualche segugio de' migliori che vi sono.
-Non altro. La brigata, ognuno si raccomanda a voi,
-massime io. Priegovi che vi guardate dalla moría, e
-che voi vi ricordiate di noi, perchè noi siamo piccini
-e abbiamo bisogno di voi.„ Un'altra volta, passato alcun
-tempo, cerca profittare del latino imparato per chiedere
-cose maggiori: “Quel cavallino non si vede. <i>Nondum
-venit equulus ille, magnifice pater</i>„ e già comincia
-a far da sopracciò ai fratellini. “Giuliano pensa a ridere....
-la Lucrezia cuce, canta e legge; la Maddalena
-batte le capate pe' muri, ma senza farsi male; la Luisa
-dice già parecchie cosine; la Contessina fa un gran
-chiasso per tutta la casa.„ E appresso: “Io, che per
-dar più tono alla mia scrittura, ho scritto sempre in
-latino, non ho ancora ottenuto il cavallino che m'avete
-promesso; cosicchè tutti mi danno la baia.„ Ma
-il <i>cavallino</i> non veniva. “Al cavallino ho paura gli sia
-incolto qualche malanno; perchè, se fosse sano, so che
-me l'avreste già mandato, come m'avevate promesso....
-Caso mai quello non possa venire, vi piaccia mandarne
-un altro.„ Finalmente arrivò, e un'ultima lettera,
-<span class="pagenum" id="Page_92">[92]</span>
-ch'è di ringraziamento e tutta piena di buone promesse,
-chiude quest'infantile carteggio.
-</p>
-
-<p>
-Ma il curioso bozzetto domestico di vita medicea, che
-ha per isfondo la campagna e per scena una di quelle
-ville dove i Medici si riducevano per dimenticare le noie
-della politica, anche ci ricorda un altro aspetto della
-vita d'allora. Il desiderio della quiete campestre, l'amore
-per la villa, il sentimento della natura è una spiccata
-caratteristica degli uomini della Rinascenza. Già ne troviamo
-cenni in Ser Lapo Mazzei che usava andare a
-Grignano a far le faccende della ricolta e della vendemmia<a class="tag" id="tag77" href="#note77">[77]</a>,
-accomodava da sè la vigna, e voleva in casa un
-po' di buon aceto. Buonaccorso Pitti, come il Petrarca,
-gode a noverare tutti gli alberi del suo giardino<a class="tag" id="tag78" href="#note78">[78]</a>; il
-Rucellai è più superbo della sua villa di Quaracchi, di
-cui ci porge una descrizione amorosa, che del suo palagio
-magnifico<a class="tag" id="tag79" href="#note79">[79]</a>; i trattatisti del <i>Governo della famiglia</i><a class="tag" id="tag80" href="#note80">[80]</a>
-cantano le lodi della vita rustica: il Poliziano ne
-compone una prosetta da far voltare in latino a' discepoli<a class="tag" id="tag81" href="#note81">[81]</a>,
-e nello sfondo di un paesaggio fiorito disegna
-l'immagine della bella Simonetta Cattaneo<a class="tag" id="tag82" href="#note82">[82]</a>.
-</p>
-
-<h3>XIII.</h3>
-
-<p>
-Lorenzo de' Medici (mediocre marito), anche in mezzo
-alle grandezze della sua condizione d'ottimate e quasi
-di principe, seppe conservare una certa bonarietà tutta
-casalinga e fiorentina; nè gli dispiacque incanagliarsi
-col volgo, all'osteria della Porta a San Gallo, e celebrar
-<span class="pagenum" id="Page_93">[93]</span>
-le bellezze della <i>Nencia</i> rusticana, e serbare nel fasto
-una sobrietà cittadina.
-</p>
-
-<p>
-Racconta il Borghini che Franceschetto Cibo, cui dava
-in isposa la figliuola, fu da Lorenzo trattato con grande
-semplicità e parsimonia, mentre i suoi compagni, cavalieri
-e baroni romani, ebbero sontuose accoglienze. E
-a lui, impensierito per la figura che avrebbe fatta
-con loro, rispose rassicurandolo: “Onorai que' signori
-come ospiti e forestieri; te invece accolsi come uno
-di mia famiglia<a class="tag" id="tag83" href="#note83">[83]</a>.„ A' clienti dava udienza per istrada,
-o al canto del fuoco, o passeggiando amichevolmente
-per le vie di Firenze<a class="tag" id="tag84" href="#note84">[84]</a>. Fiorentino nell'anima, non gli
-dispiaceva d'essere e di mostrarsi faceto. Vedendo a
-Pisa uno scolare guercio, disse che e' sarebbe il più
-valente di quello Studio. E domandato perchè, rispose:
-“perchè e' leggerà a un tratto le due facce del libro,
-e così potrà imparare a doppio„<a class="tag" id="tag85" href="#note85">[85]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Ma sotto coteste semplici apparenze covavano i disegni
-del politico astuto che, come scrive il Vettori, “non
-istudiò in altro se non in ridurre gli uomini alle arti e
-ai piaceri„, e la protezione alle arti e agli artisti volle
-strumento a futura dominazione. Col denaro mediceo si
-alzavano palazzi e conventi, e dentro vi si raccoglievano
-antichità e libri; ne' giardini si radunavano gli artisti;
-alle cene accorrevano i poeti; si bandivano giostre e
-giuochi del calcio, concorsi poetici e feste religiose: la
-clientela politica del palazzo era resa più gagliarda da
-quella dei sommi artisti delle umili botteghe. Il Savonarola
-che del tiranno aveva indovinato i segreti pensieri,
-diceva: “occupa il popolo in spettacoli e feste, acciocchè
-pensi a sè, non a lui„. Firenze a' suoi tempi
-<span class="pagenum" id="Page_94">[94]</span>
-vide nascere, o crescere più rigogliose, molte forme di
-costume e molti generi di poesia; dai trionfi e dalle
-mascherate per le vie ai simposj platonici di Careggi;
-dal canto carnascialesco e dalle ballate a rigoletto, alle
-Sacre Rappresentazioni. La gaiezza spensierata e il facile
-appagamento dei desiderj, così negli ordini dello spirito
-come in quelli della materia, servirono a compensare la
-diminuzione delle pubbliche libertà<a class="tag" id="tag86" href="#note86">[86]</a>.
-</p>
-
-<p>
-La città gaudente, che da un pezzo risonava di clamori
-festivi, accolse lieta il gran carnevale mediceo,
-que' sontuosi apparati, quelle processioni ordinate dalle
-confraternite de' vari quartieri e dirette da artisti. La
-paganità rinascente invadeva le feste religiose e le trasformava
-a' suoi fini. In carnevale si facevan carri e trionfi
-“per parere (dice mestamente il Cambi) che la città
-fussi in festa e in buono stato„. In Mercato Nuovo
-si danzava, nella Piazza de' Signori si facevano combattimenti
-d'animali, e fra essi si sguinzagliarono i leoni
-sperando ne seguissero terribili scene. Ma il leone fiorentino
-era così mansuefatto, che “come fosse un agnel
-si stava cheto„<a class="tag" id="tag87" href="#note87">[87]</a>. In via Larga, dinanzi al palazzo
-de' Medici, correvano a gara gli armeggiatori e si celebrava
-il trionfo d'amore. Per la venuta di Franceschetto
-Cibo, novamente maritato alla Maddalena di Lorenzo il
-Magnifico, si fecero in tutte le botteghe “mostre di cose
-gentili e ricche e drappi, e broccati, e gioie di perle
-e argenterie, che è stato cosa stupenda e miranda bellezza„.
-Per San Giovanni, s'apparecchiò “una bella
-festa di nugoli e di spiritelli e carri ed altri festivi
-edifici e ingegni popolari da passar tempo, e con tutte
-l'altre cose festive, ordinarie altre volte„. Si correvano
-palii di sfoggiata magnificenza, e la torre del
-<span class="pagenum" id="Page_95">[95]</span>
-Palagio rosseggiava tra i fuochi delle scoppiettanti girandole.
-</p>
-
-<p>
-Nel far cavalieri e ricevere oratori, l'eccelsa Signoria,
-usava cerimonie solenni di cui troviamo ricordo nel libro
-di Francesco Filarete, araldo della Repubblica<a class="tag" id="tag88" href="#note88">[88]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Nel 1491, per la festa di San Giovanni, Lorenzo fece
-fare 15 edifizi o trionfi, rappresentanti il trionfo di Paolo
-Emilio, reduce dalla Macedonia, quando tornò con tanto
-tesoro che i Romani per molti e molti anni non pagarono
-nessuna gravezza<a class="tag" id="tag89" href="#note89">[89]</a>.
-</p>
-
-<h3>XIV.</h3>
-
-<p>
-Pareva rinnovarsi l'età dell'oro! Le giostre medicee,
-che aveano inspirato le ottave del Poliziano, stimolavano
-anche gli altri cittadini a largheggiare nelle spese più
-pazze. Benedetto Salutati, nipote di Messer Coluccio, per
-quella del 1467, “nella sopravveste, testiera ed altri
-paramenti di due cavalli <i>mise</i> 170 libbre di fino argento,
-che volle sottilmente lavorato per mano d'Antonio
-del Pollajuolo. E ne' ricami dei detti paramenti,
-nella sopravveste sua e nelle cioppette de' sergenti
-mise intorno a 30 libre di perle, la più parte di maggior
-pregio„<a class="tag" id="tag90" href="#note90">[90]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Firenze, abbellivasi di sontuosi palagi. Filippo Strozzi
-incominciava, il 6 agosto '89, a fondare il suo, e Giuliano
-Gondi poco appresso ne imitava l'esempio. Il popolo
-ne andava orgoglioso, e il buon Tribaldo De Rossi,
-per memoria del fatto, si fece mandare dalla Nannina
-sua donna, tutti rivestiti i suoi due figliuoli e menatili
-<span class="pagenum" id="Page_96">[96]</span>
-a vedere i fondamenti del palazzo Strozzi “prese Guarnieri
-in collo e guatava colaggiù, e dettili un quattrin
-gigliato, e gittollo laggiù, e un mazzo di roselline di
-Damasco c'aveva in mano ve li feci gittar drento. E
-dissi: Ricorderàitene tu? Disse, sì. Insieme con la Tita
-nostra serva erano, e Guarnieri aveva appunto detto
-di anni 4, e avevali fatto la Nannina una gabbanella
-di taffetà cangiante, verde e gialla, nuova„<a class="tag" id="tag91" href="#note91">[91]</a>.
-</p>
-
-<p>
-I ragazzi, come i cittadini più grandi, dovevano esser
-colpiti dalle sorprendenti meraviglie, a cui li avvezzavano
-le magnificenze medicee. Ogni giorno cose nuove
-e singolari: feste, processioni, cortei principeschi. E il
-De Rossi, semplice cronista, di quegli avvenimenti, ci ha
-conservato il ricordo. Nel 1488, donata dal Soldano di
-Babilonia a Lorenzo, venne in Firenze una giraffa alta
-sette braccia, ch'era menata a mano da un di quei Turcimani.
-Grande curiosità in tutti, perfin nelle monache;
-onde furon costretti a mandarla attorno pei monasteri<a class="tag" id="tag92" href="#note92">[92]</a>.
-“Mangiava d'ogni cosa, nelle ceste d'ogni forese
-metteva il capo; a un fanciullo arebbe tolto una
-mela di mano, tanto era piacevole. Morì a' dì 2 di gennaio
-1489„ e tutti la piansero, “perchè era sì bello
-animale„.
-</p>
-
-<hr class="tbs" />
-
-<p>
-Ma, d'un tratto, tutta questa serena giocondità di vita,
-tutto questo abbagliante splendore d'arte, di poesia, di
-spensierata gaiezza, si spegne sinistramente. La tempesta
-rumoreggia lontano, la collera celeste, profetizzata dal
-fiero domenicano che nel convento di San Marco, fra lo
-strepito del carnevale, medita solitario, minaccia i rinnovellati
-trionfi del paganesimo. L'8 di aprile 1492, come
-di una pubblica calamità, giunse la nuova della morte
-di Lorenzo de' Medici. “Lo splendore di tutta Italia, non
-<span class="pagenum" id="Page_97">[97]</span>
-che di Toscana,„ come scriveva il Dei, era scomparso.
-La sera appresso, la compagnia de' Mazzi riponeva il
-corpo nella sagrestia di San Lorenzo, e l'altro dì si fece
-l'onoranza, “non con molta pompa, come i loro antichi
-son consueti, ma onestamente e senza drappelloni, con
-tre regole di frati e una di preti solo; che in vero,
-non si poteva tanta pompa fare, che maggiore non
-fosse stata poca a un tanto uomo„<a class="tag" id="tag93" href="#note93">[93]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Con così lugubri esequie, nel gelo de' sepolcri laurenziani
-si chiudevano, con le spoglie del Magnifico, i ricordi
-di tutta una età che apparve radiante di gloria e
-di giovinezza. Il mondo della Rinascenza scompariva, e
-poco dopo, scrive Tribaldo De Rossi, “venne una lettera
-alla Signoria che certi giovani, iti con caravelle,
-arrivarono a cert'isole grandissime, che mai più vi si
-navigò per nazione umana, popolate d'uomini e donne
-assai, tutti ignudi„.
-</p>
-
-<p>
-Un nuovo mondo era stato scoperto!
-</p>
-
-<hr class="tbs" />
-
-<p class="indl">
-<i>Signore e Signori.</i>
-</p>
-
-<p>
-Rotta la terza cerchia delle sue mura, Firenze, fatta
-italiana, piantò, sotto la folgorata torre di San Miniato,
-come un segnacolo di libertà il David di Michelangiolo,
-glorioso mutilato nei tumulti del 527, testimone immortale
-delle miserie antiche e delle future grandezze. Dalla
-cima del colle e' guarda Firenze nuova, Firenze aperta
-da ogni lato, senz'altra difesa di mura, di bastioni o di
-torri; perchè Firenze, cuore d'Italia, si difende oggi
-dalle Alpi e dal mare.
-</p>
-
-<p>
-La patria, un tempo ristretta nel Comune, nel piccolo
-<span class="pagenum" id="Page_98">[98]</span>
-Stato, ha abbattuto le vecchie mura e i vecchi confini,
-e si distende per ogni plaga dove suoni la lingua di
-Dante. Così la ragione de' popoli e la civiltà, si sono affermate
-nel diritto e nella carità umana.
-</p>
-
-<p>
-Tornare indietro nè si può nè si vuole: la semplice
-vita de' nostri antichi, con la gioconda serenità che le
-fu propria, più non ci alletta. Il pensiero moderno, che
-ci travaglia e tortura coi dubbi tormentosi, con le aspirazioni
-insoddisfatte, lo redammo da tante sublimi e nobili
-intelligenze: è una conquista superba cui non possiamo
-rinunziare.
-</p>
-
-<p>
-In esso è la forza che muove la scienza e che solleva
-i cuori e gli spiriti verso un ideale più alto, l'ideale del
-perfezionamento umano: il nuovo sole che irradia le vette
-eccelse della carità e dell'amore.
-</p>
-
-<p class="indl">
-Firenze, 17 aprile 1892.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_99">[99]</span>
-</p>
-
-<h2 id="donna">LA DONNA FIORENTINA
-<span class="smaller">nel Rinascimento e negli ultimi tempi della libertà</span></h2>
-
-<p class="center">
-DI
-</p>
-
-<p class="center large">
-ISIDORO DEL LUNGO.
-</p>
-</div>
-
-<h3>I.</h3>
-
-<p>
-Pel San Giovanni del 1473, al consueto festeggiar cittadino
-si aggiungeva la solennità del ricevimento fatto,
-come la Repubblica artigiana soleva e i Medici favorivano,
-con principesca magnificenza a Eleonora d'Aragona
-figliuola del Re di Napoli, la quale andava sposa
-ad Ercole d'Este, duca di Ferrara e di Modena. Entrata
-in Firenze il 22 giugno, ella trovava nel suo massimo
-sfoggio la mostra che delle proprie ricchezze avevano
-apparecchiata le botteghe dei mercatanti; assistè alla processione
-delle Compagnie co' fanciulli vestiti di bianco
-in forma di “agnoletti„; vide i “dificii„ o macchine
-fantasmagoriche, che in sulla Piazza della Signoria rappresentavano
-Storie dell'Antico Testamento e del Nuovo;
-vide l'offerta che al tempio del Santo Patrono portavano
-la Signoria e gli altri magistrati del Comune e delle
-Arti, le Compagnie del Popolo coi gonfaloni, parte Guelfa,
-e poi i Signori e Comuni sottoposti o raccomandati, recanti
-palii, ossia drappi, di gran pregio e bellezza e
-grandi ceri istoriati e fioriti; e con l'olivo in mano l'offerta
-de' prigioni e de' condannati (quella a cui Dante
-non si sottomesse); e finalmente, nel pomeriggio del
-dì 24, i barberi, già prima offerti ancor essi, che correvano
-il palio di San Giovanni, un palio ricchissimo di
-<span class="pagenum" id="Page_100">[100]</span>
-broccato d'oro, dal Prato su per la Vigna pel Mercato
-e pel Corso verso Porta alla Croce, tal quale noi che
-non siam più giovani possiamo ricordarci d'aver veduto.
-Ma nessun di noi potrebbe da' ricordi suoi giovanili
-evocare ciò che nel 1473 fu dato a godere, in quelle
-feste, a madonna Eleonora: un ballo, là su que' prati
-donde i barberi pigliavan le mosse, un ballo alla dolce
-aria profumata de' giardini e delle loggie, in uno de' palagi,
-quello de' Lenzi, dov'è oggi la Galleria Pisani, che
-fronteggiavano coteste estreme parti della città verdeggianti
-lungo le rive dell'Arno. Tacciono di quel ballo i
-diarii: sulle cui aride pagine, a ogni modo, voi cerchereste
-inutilmente, signore gentili, descriversi dal giornalista
-di quattro secoli fa gli abbigliamenti delle vostre
-antenate; e sotto quali colori d'abito e con qual dottrina
-di linee, presentassero esse al desiderio de' loro innamorati
-quelle bellezze, che all'ammirazione nostra sopravvivono
-nelle tavole del Botticelli e negli affreschi del
-Ghirlandaio. Un ballo fiorentino de' tempi del Rinascimento;
-non dominato e quasi sopraffatto dallo scintillio
-de' doppieri, ma lumeggiato soavemente dal sole che di
-là dal Pignone tramonta; nè turbinato fra le vorticose
-battute orchestrali, ma sposato sulle corde flebilmente
-amorose del liuto e della viuola alle gentili baldanze ottonarie
-della Canzonetta che appunto dal Ballo s'intitola;
-meritava cronista un poeta. Permettetemi ch'io vi
-traduca dal latino di Angelo Poliziano quel Corriere del
-mondo elegante d'allora: distici levigatissimi, dove le
-realtà della vita s'intrecciano con le concezioni dell'arte,
-il vero col fantastico, il fiorentino, il cristiano, con la
-classica paganità; circola l'aria che respiravano i letterati
-nella Firenze del magnifico Lorenzo.
-</p>
-
-<p>
-“Apollo con la rosea faccia ha menato il giorno che
-riconduce la festa del selvaggio Batista san Giovanni;
-quando alla città che fu colonia di Silla ferma le candide
-<span class="pagenum" id="Page_101">[101]</span>
-vestigia, per riposarsi dal lungo cammino, la figlia
-del Re, che, lasciata la città delle Sirene, va sposa
-ad Ercole. Festeggiano a gara il suo arrivo fanciulli,
-giovani e vecchi, e le matrone e splendide di fresca
-bellezza le spose: tutta la città si anima, d'ogni dove
-rumoreggia l'allegria. V'è una strada che i Sillani
-(i Fiorentini, parafrasati in latino) chiamano Pantagia
-(Borgognissanti, ribattezzato in greco), dove sorge splendido
-un tempio dedicato a tutti i Celesti. Colà s'inalza superbo
-il palagio de' Lenzi: ivi presso ride la verde distesa
-de' prati, e de' colori primaverili si dipinge fiorito
-il terreno. Quivi, mentre i corsieri scalpitanti
-aspettano, in sulle mosse, il canoro segnale della tromba
-Tirrena, la regal fanciulla si abbandona ai sollazzi delicati
-della danza; ed ecco atteggiarsi le gentili donne
-al tempo misurato e all'intreccio de' balli. Innanzi alle
-altre ninfe risplende Albiera bellissima, e di sua bellezza
-sparge a sè dintorno il tremulo splendore. Mossi
-dal vento diffondonsi i capelli sulle candide spalle, i
-neri occhi raggiano di luce soave: pare, fra le sue
-compagne, la stella del mattino il cui rossore purpureo
-vince gli astri minori. Giovani e vecchi ammirano
-Albiera: sarebbe di ferro chi non si commovesse a quella
-verginale bellezza: lietamente, plaudendo, col cenno,
-con gli sguardi, con la voce, tutti lodano Albiera.„
-</p>
-
-<p>
-Albiera di Maso degli Albizzi era una giovinetta fra
-i quindici e i sedici anni, fidanzata a Gismondo della
-Stufa. S'ammalò, subito dopo quel ballo, e in capo a
-pochi giorni morì. “Ahi povera Albiera!„ sentite ancora
-il suo poeta: “così giovinetta, rubata ai genitori,
-allo sposo! Va' ora, e confida nelle umane fortune!
-Ecco disfatte da morte crudele, o Albiera, le tue bellezze:
-disfatto il tuo viso di gigli e rose; i tuoi occhi
-gioiali, dove Amore accendeva le sue fiaccole; i capelli,
-che o scioglievi abbondanti, e parevi Diana cacciatrice,
-<span class="pagenum" id="Page_102">[102]</span>
-o raccoglievi in diadema d'oro, ed era l'acconciatura
-di Citerea: gli Amorini, le carezzevoli Grazie,
-ti facevano bella, senza che tu il sapessi: ogni virtù
-ti adornava, modestia e serietà di contegno, senno,
-pudore, lealtà, gioialità, bel costume, bel tratto, schiettezza:
-tutto ormai divenuto un pugno di cenere!„
-</p>
-
-<p>
-In altre parti della elegia lunghissima è mitologizzata
-la malattia e la morte d'Albiera. La sua bellezza ha attirato
-il bieco sguardo di Nemesi, la dea che con misteriosi
-decreti governa le umane vicende. Ritirasi la giovinetta
-alle sue case, finito il ballo, in sull'annottare;
-nell'ora, o Signore, nella quale a voi, pe' balli vostri,
-cominciano appena le operazioni della toeletta. E coricata
-ch'ella è, si appressa al suo letto la Febbre, nume
-orribile, del quale e del suo corteggio vi risparmio la
-descrizione, e che Nemesi ha sospinto verso quella povera
-casa. I genitori, i fratelli, lo sposo, pendono per
-dieci giorni ansiosi dal viso dell'inferma, pallido e trasfigurito.
-Ella dà gli estremi addii a que' suoi cari e alla
-vita, che, incominciatale appena, sente sfuggirle; e muore
-fra il pianto disperato della sua casa. Il lutto e la pietà
-de' cittadini circondano il corpo inanimato. La morte ha
-ricomposto il suo volto a pace soave: pare che dorma. La
-ninfa, vittima della dea Nemesi e della dea Febbre, ha
-esequie cristiane; e il distico ovidiano di messer Angelo
-colorisce anche quelle. Ecco il trasporto; ecco con la
-nera coltre la bara: ella distesavi su, coi capelli recisi,
-e in capo una umile ghirlanda. Le salmeggiano intorno
-i preti; le campane suonano a morto: segue,
-in veste di lutto, la cittadinanza; fra quella, lo sposo,
-che tutti si mostrano a dito, compassionando. La chiesa
-di San Pier Maggiore arde di ceri, è profumata d'incensi:
-si fa l'assoluzione e la benedizione: e le tombe
-degli Albizzi, in quella stessa chiesa, si aprono a ricevere
-la giovine fidanzata; forse, come si soleva, in abito
-<span class="pagenum" id="Page_103">[103]</span>
-di monacella: il che non dice il Poeta; ma que' capelli
-tagliati ce ne danno, a mio avviso, argomento più che
-probabile. La musa latina dell'umanismo fiorentino consacrò,
-non con la sola elegia e con altri minori epicedii
-del Poliziano, il nome d'Albiera: elegiaci e ricordanze
-su quella morte e quei funerali abbondano, in copia
-anche maggiore che pei funerali della bella Simonetta,
-morta soli due anni dopo la fanciulla degli Albizzi.
-</p>
-
-<p>
-Ma alla Simonetta Cattaneo, genovese, venuta nel 69
-sedicenne sposa in Firenze a Marco Vespucci pur sedicenne,
-e mancata di mal sottile nel 76, l'arte dette
-anche in altre forme gli onori dell'apoteosi. E mentre
-delle fattezze verginali di Albiera non ci è rimasta testimonianza
-(salvo se qualche benemerito investigatore
-riuscisse a trovare il busto marmoreo nel quale sappiamo
-dal Poliziano averla fatta rivivere lo sposo), per la Simonetta,
-invece, si è impacciati a scegliere fra più d'uno
-il ritratto vero: o vuoi quello che è nella Galleria de' Pitti,
-attribuito al Botticelli, di una bionda delicata, dal collo
-assai lungo, dal viso intento e gentilmente pensoso, in
-acconciatura modesta e casalinga, da riferirsi piuttosto
-a un mezzo secolo innanzi; o vuoi l'altro, sotto il
-quale è stato apposto il nome di lei, e che si conserva
-a Parigi nella galleria del Duca d'Aumale, creduto del
-Pollaiuolo o di Piero di Cosimo, ed è essa pure una figurina
-delicata e gentile, ma di gaia e vivace bellezza,
-nudi il collo (anche di questa assai lungo) e il seno e le
-spalle, i capelli tirati all'indietro o avvolti in giri artificiosi
-con grande intrecciamento di perle e pietre, e
-pendente sul petto un monile intorno al quale si rigira
-un aspide; o che dobbiamo infine ravvisarla, come altri
-propone,<a class="tag" id="tag94" href="#note94">[94]</a> in una delle figure allegoriche di quella misteriosa
-<span class="pagenum" id="Page_104">[104]</span>
-Primavera del Botticelli, guidati da certi singolari
-riscontri che la composizione del fantasioso maestro
-offre con le <i>Stanze</i> del Poliziano, dove è ritratta e designata
-per nome (pur nell'atto di trasfigurarla in Ninfa
-delle più autentiche), e poeteggiata, con buona pace del
-marito Vespucci, come innamoratrice di Giuliano de' Medici,
-appunto la Simonetta Cattaneo. Or qualunque ella
-si fosse la giovane sposa, certamente bellissima, che nell'aprile
-del 76 moriva, basti a noi, pur lasciando d'altri
-suoi celebratori in latino e questa volta anche in volgare,
-che il Poliziano facesse di lei la mitologica eroina
-delle sue <i>Stanze</i>; che per la morte sua scrivesse pure
-epigrammi funebri, d'alcuno de' quali il magnifico Giuliano
-de' Medici, il bel “Iulio„ delle <i>Stanze</i>, proponeva
-il concetto; e che Lorenzo, a sua volta (il che mostra
-del tutto ideale e poetico il culto dei due fratelli alle
-bellezze della Vespucci), tragga, o finga d'aver tratto,
-dalla morte di lei il motivo a platonizzare poeticamente
-sull'anima ritornata alle stelle. Lorenzo era a Pisa, e
-dai Vespucci medesimi riceveva di giorno in giorno le
-dolorose notizie. Morta, un suo famigliare gli scriveva:
-“La benedetta anima della Simonetta se ne andò a paradiso,
-come avrete inteso. Puossi ben dire, che sia
-stato il secondo Trionfo della Morte: chè veramente,
-avendola voi vista così morta come la era, non vi saria
-parsa manco bella e vezzosa che si fosse in vita. <i>Requiescat
-in pace</i>„; e Lorenzo, essendo (così ci racconta)
-una serena nottata primaverile, e andando con un amico
-a diporto, e parlando di quella morta, si affisa a un
-tratto in una stella che mai non gli par d'avere veduta
-così lucente, e “L'anima di quella gentilissima„ esclama
-“o è trasformata in questa nuova stella, o si è congiunta
-con essa„; e un'altra volta, pure in cotesta
-primavera, passeggiando per una delle sue splendide ville,
-osserva il girasole, anzi Clizia, l'antica innamorata del
-<span class="pagenum" id="Page_105">[105]</span>
-sole, “la sera restar col viso vòlto verso l'orizzonte occidentale,
-che è quello che le ha tolto la visione del
-sole, insino che la mattina il sole la rivolge all'oriente„;
-e ci vede una immagine del nostro destino quando perdiamo
-chi si ama, che è di rimanere “col pensiere vòlto
-all'ultima impressione„ della “visione„ perduta; ma
-l'orizzonte nostro occidentale, donde il tramonto non ha
-ritorno, è la morte.
-</p>
-
-<p>
-È, del resto, notabile come in que' tempi che tante
-erano, e così vigorosamente svolte, e così spesso violente,
-le energie della vita, la morte circondasse di tanta poesia,
-sebbene caricata di tanta oziosa mitologia, agli occhi
-e al cuore di cotesti uomini la idealità femminile: notabile
-come quei travestimenti di donne viventi in ninfe
-posticcie, pe' quali l'imitazione artistica del vero perdeva
-miseramente tanto tesoro di realtà, si arrestassero, cotesti
-travestimenti, o s'impacciassero dinanzi alla santità
-delle tombe; quando, secondo la figurazione Polizianesca
-(nelle <i>Stanze</i>) della morte della Simonetta, l'amante, o
-il poeta,
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Vedea sua ninfa, in trista nube avvolta,</p>
-<p class="i01">Dagli occhi crudelmente essergli tolta.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-In uno degli epigrammi funebri di messer Angelo per
-la Simonetta, e proprio in quello a cui dette il concetto
-Giuliano de' Medici, “tranquilla in sul punto di morte,
-si volge, la ninfa, a Dio, in lui confidando„; curiosa
-ninfa, a dir vero, che si raccomanda l'anima: come singolar
-mortorio, altresì, quello che portava verso la chiesa
-d'Ognissanti, alla cappella de' Vespucci, la Simonetta, se
-intanto, strada facendo, Amore, proprio il figliuolo di
-Venere piovuto non si sa come in quell'accompagnamento,
-saettava tuttavia, standocene a un altro di cotesti
-epigrammi, saettava da' chiusi occhi di lei pur col ricordo
-del loro splendore.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_106">[106]</span>
-</p>
-
-<p>
-Meglio ispirato il poeta mediceo faceva da un'altra
-tomba di sposa ventenne (cominciammo da un ballo, o
-Signore, e ci siam persi fra le tombe; ma il geniale argomento,
-ancorachè caduto, come vedete nelle mani d'un
-conversamorti, ci ricondurrà, vi prometto, alle gioie e
-ai travagli della vita), da un'altra tomba di giovine
-sposa, minor sorella dell'Albiera, e ancor essa bellissima,
-Giovanna degli Albizzi moglie a Lorenzo Tornabuoni,
-morta nel dare alla luce il secondo figliuolo, faceva il
-Poliziano uscire la voce di lei, così: “Gentilezza di sangue,
-bellezza, un figliuolo, ricchezze, amor coniugale,
-ingegno, costume, animo, mi facevan felice: felicità,
-che la Parca, perfida, a viepiù inacerbirmi la morte,
-mi addimostrò piuttosto che darmi.„ Ma buona e pietosa
-forse possiamo noi oggi dire la Parca; che risparmiò
-a Giovanna di vedere soli nov'anni appresso, nel 97,
-ne' tempi del terrore Piagnone, decapitato a ventinove
-anni il suo Lorenzo come cospiratore mediceo: memorie
-d'infinita pietà a chi guardi, sulle medaglie coniate in
-onore di lei, le sue forme gentili, e ne' rovesci simboleggiate
-le sue virtù, o con le tre Grazie, sottovi scritto
-Castità, Amore, Bellezza, o con la figura virgiliana della
-ninfa cacciatrice; a chi nella cappella che fu de' Tornabuoni,
-in Santa Maria Novella, la riconosce, nei meravigliosi
-affreschi di Domenico Ghirlandaio, in quella
-bionda giovanissima gentildonna, che riccamente vestita
-di broccato d'oro campeggia nella storia della Visitazione;
-a chi potesse pur di Giovanna rivedere un altro ritratto,
-della stessa mano del Ghirlandaio, che col nome della
-madonna Laura petrarchesca da un palagio fiorentino
-trasmigrò ad altri lidi; o a chi rimpianga certi preziosi
-affreschi, che in una villa suburbana del pian di Mugnone
-tornarono, pochi anni or sono, alla luce, solamente
-per essere divelti e travalicati e (sento dire) sciupati
-oltr'Alpe.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_107">[107]</span>
-</p>
-
-<p>
-Quanta gentilezza del Rinascimento fiorentino dovette
-accogliersi fra le pareti di quella villa, che nei Tornabuoni
-rimase dal 1469 al 1541, e fu dunque villa di
-Giovanni Tornabuoni, quando questi e in Firenze e in
-Roma, quasi ambedue egualmente medicee, era forse il
-principale agente della fortuna sì mercantile e sì politica
-della poderosa famiglia; quando ei faceva nel 1490 scoprire
-quella magnifica sua cappella, e ci faceva scrivere
-dal Poliziano la data, “anno 1490, nel quale la città
-bellissima, nobile per ricchezze, vittorie, arti, edificii,
-godeva di abbondanza, di salute, di pace„; quando
-nel giugno dell'86 le nozze del suo Lorenzo con la bella
-Giovanna erano festa non pur domestica ma cittadina.
-Veniva la sposa a Santa Maria del Fiore, in mezzo a
-un cortèo di cento fanciulle delle maggiori famiglie, e di
-quindici giovinetti vestiti d'un'assisa: assistevano al darsi
-l'anello cavalieri così cittadini come di fuori, e un ambasciatore
-di Spagna al Pontefice. Un Guicciardini e un
-Castellani accompagnavano la sposa alle case de' Tornabuoni,
-presso alle quali la piazza di San Michele Berteldi
-(oggi piazza San Gaetano) era “messa a palco„
-per uso di festeggiamento e di ballo: e di là tornati gli
-sposi alle case degli Albizzi, s'imbandiva suntuosamente
-la cena, essendo messo il terreno del palagio egualmente
-a palco pel ballo, che a lume di doppieri si alternava,
-durante l'intera notte, co' virili giuochi d'una
-sfarzosa armeggeria. Più riposate dolcezze offriva ai giovani
-sposi la villa. Qui viene ad essi il Poliziano, tenerissimo
-del giovane Lorenzo fin quasi a ieri suo valente
-discepolo; il Poliziano che con affetto quasi paterno si
-compiace d'ogni suo trionfo, così nelle lettere classiche,
-specialmente greche (delle quali spera che toccherà presto
-la cima); come nel poetar volgare, magari anche
-all'improvviso; come nelle giostre della piazza di Santa
-Croce: viene l'umanista dottissimo a intertenersi de' cari
-<span class="pagenum" id="Page_108">[108]</span>
-studi, a leggere que' suoi stupendi poemetti latini le Selve,
-una delle quali l'<i>Ambra</i>, d'argomento omerico insieme e
-mediceo, è dovuta a te (scrive dedicandogliela) per l'un
-titolo e l'altro: viene a esaminare e interpretare le antiche
-medaglie, della cui raccolta in casa Medici il numismatico
-erudito e diligente è appunto Lorenzo Tornabuoni:
-al quale, e al maestro suo, chi dubiterebbe (certi
-di ciò) d'attribuire, con altre, le medaglie fatte eseguire
-in onore della sposa diletta? Ma il vecchio Tornabuoni,
-che guarda con occhio d'immenso affetto que' giovani
-capi, ahimè destinati sì da presso alla morte, non pago
-che il Ghirlandaio li ritragga nelle mirabili storie della
-cappella, in un'altra di quelle meraviglie dell'arte li vuole,
-sulle mura di quella stessa sua villa, consacrati alla ricordanza
-de' secoli. “Dipignetemi, o maestro, questa sala
-a buon fresco; e il Poliziano nostro, qui, darà, come
-suole, il concetto d'alcuna di quelle esquisite allegorie
-nelle quali sì fieramente vi compiacete.„ E il Botticelli,
-in due storie sulla medesima parete della sala, come
-sulla medesima parete della cappella in due separate
-storie il Ghirlandaio, ritraeva i giovani sposi.
-</p>
-
-<p>
-Nell'una, il cui fondo è una selva assai folta, che ricorda
-quello dell'altra allegoria di Sandro polizianesca,
-la Primavera, Lorenzo Tornabuoni, vestito dell'abito
-civile fiorentino, con la folta e morbida capigliatura distesa,
-si avanza, condotto per mano da una donna di
-modesto e gentil portamento, verso un circolo di altre
-sette donne, acconciate (come anche l'introduttrice) fantasticamente,
-e che pe' vari emblemi di che ciascuna
-d'esse è fornita simboleggiano certamente le sette Arti
-liberali; delle quali quella che alle altre sovrasta e par
-che presegga, fa a lui cenno di accoglienza amorevole.
-Nell'altra storia, Giovanna, cara figura delle più vivamente
-lumeggiate di verità bella che siano uscite da
-pennello di quattrocentista, con un viso che dice davvero
-<span class="pagenum" id="Page_109">[109]</span>
-quelle virtù che leggemmo scritte sul suo sepolcro,
-atteggiata a semplicità affabile e graziosa, porge con
-ambe le mani e le braccia protese un pannolino spiegato,
-nel quale quattro gentili giovinette, che si avvicinano
-a lei sono per deporre fiori. E anche questa volta,
-vestita del costume fiorentino del tempo la persona della
-sposa; ma a fantasia le quattro che probabilmente son
-figurate per virtù proprie di lei.
-</p>
-
-<h3>II.</h3>
-
-<p>
-In tali imagini il sentimento e l'arte, che da questo
-s'informa, effigiavano, mentre infieriva l'umanismo mediceo,
-la donna. Alla quale, nelle realtà della vita e
-dell'esser suo, sola, io credo, di tali omaggi era accessibile
-e gustata e compresa quella parte che prendeva
-consistenza in figure consacrate dalla religione, sotto le
-vôlte maestose delle chiese d'Arnolfo e di Brunellesco,
-piovente la luce misteriosa, per le grandi bifore da' vetri
-colorati in istorie, sugli affreschi e le tavole di Masaccio
-di Benozzo, de' Lippi e de' Ghirlandai, d'Alessio Baldovinetti
-e di Piero di Cosimo, sui marmi e sui bronzi di
-Mino, di Donatello, del Ghiberti, del Verrocchio, del
-Pollaiuolo. Da quelle figure genuflesse alla preghiera, o
-nel sonno della morte distese, o atteggiate vive all'azione
-delle leggende evangeliche, sollevavansi le pie e gagliarde
-anime femminili a ciò che nel tempo è di qua e di là
-dal momento che si vive; congiungevansi i ricordi, gli
-affetti, le glorie umane della famiglia, con le speranze
-immortali. E questa poesia, sentita nel cuore, sapeva
-anche trovar forma nella parola, la forma paesana e
-casalinga della Lauda e della sacra Rappresentazione,
-per opera di Antonia Pulci e di Lucrezia Tornabuoni
-ne' Medici. L'Antonia nata dei Tanini, moglie e cognata
-di poeti, in famiglia che tutti erano cosa de' Medici,
-<span class="pagenum" id="Page_110">[110]</span>
-potè con madonna Lucrezia madre del magnifico Lorenzo
-conferire le sue ascetiche ispirazioni nell'atto di
-fermarle in quello stampo fra drammatico ed epico, pel
-quale la Rappresentazione ha corrisposto con tanta pienezza
-all'istinto plastico della fantasia popolare; e madonna
-Lucrezia, fra un canto e l'altro che Luigi Pulci
-le recitasse del suo <i>Morgante</i>, e altresì fra l'una e l'altra
-delle provvide cure per le quali casa Medici le dovè
-tanto, scriveva senza pretensione di letterata le religiose
-canzonette pe' Laudesi, o riduceva in ottave o in ternari
-le istorie bibliche, delle quali poi facevan delizia negli
-ozi fiesolani e di Careggi i suoi nipotini.
-</p>
-
-<p>
-Gentili donne non letterate, nello stretto senso, professionale
-e (con vostra buona grazia, e senza che troppo
-debba rincrescervene) non femminile, della parola; le
-quali serbando nette d'erudizione le mani delicate, coglievano
-dall'arte il fior dell'affetto, e pur conversando
-coi dotti umanisti e coi barbassori che la caduta di Costantinopoli
-aveva addotto fra noi, si stavano col popolo
-nel vestire delle forme, che egli intende e crea, il pensiero
-e l'affetto; dalla realtà, quale il popolo per linea
-diritta la vede, cavar fuori e animare il fantasma. Le
-giovinette istruite nel latino e nel greco, non difficile
-trovarle nelle case principesche di Lombardia e di Romagna:
-era una, fra le altre, delle splendidezze cortigiane
-di quelle regioni. Ma i grandi cittadini della nostra
-Firenze, anche della oligarchia più elevata, e molto
-più i Medici che a combattere quell'oligarchia, e sulle
-ambizioni di lei insediare la propria, usavano artifizi democratici,
-rimasero (dico gli Albizzi, i Ricci, gli Strozzi,
-i Rucellai, ed essi i Medici), anche attraverso agli splendori
-dell'umanismo, principalmente e visibilmente mercanti:
-e la donna, nelle loro case, fu sempre e soprattutto
-la donna di grandi mercanti, donna massaia, avvisata,
-e più che della libreria e del medagliere curatrice dell'azienda domestica,
-<span class="pagenum" id="Page_111">[111]</span>
-o, se volete anco, della credenza,
-del celliere (com'allora dicevasi), della colombaia, del
-pollaio.
-</p>
-
-<p>
-Una letterata, anzi letteratissima (che però non ha
-lasciato libri), ebbe Firenze in quel secolo, ma non da
-alcune delle grandi famiglie, sibbene nella figliuola d'un
-Cancelliere della Repubblica, venuto, come tanti altri,
-dal contado alla città, e qui arricchitosi e fatta fortuna.
-Ella fu la bella Alessandra di messer Bartolommeo Scala:
-alla quale due di quei barbassori greci, il Lascari e il
-Calcondila, furon maestri; un altro, venuto in Italia umanista
-e soldato, Michele Tarcaniota Marullo, fu suo marito;
-e spasimato di lei il Poliziano (nonostante tutti
-i canonicati e priorati e pievanie di cui poco degnamente
-lo rincalzavano i Medici; e nonostante, altresì, il
-suo collo torto e l'occhio losco, e il naso sformato e gli
-anni ormai quasi quaranta), spasimato di lei, e per cagion
-di lei nemico feroce e con terribili giambi laceratore
-del marito e del padre. Non vi meraviglierete che
-una passione amorosa fra persone di questo calibro si
-sfoghi in greco. Si rappresenta nientemeno che una tragedia
-di Sofocle, l'<i>Elettra</i>: protagonista, Alessandra Scala;
-cronista teatrale, con tutti addosso gli entusiasmi d'una
-passione, ahimè, non corrisposta, il povero Poliziano in
-sei distici di squisita fattura, che vi traduco liberamente:
-“Una mirabile Elettra, la giovinetta Alessandra: mirabile
-nel pronunziare, essa italiana, la lingua d'Atene,
-nella intonazione vera della voce, nel curare l'artificio
-della scena, nel ritrarre fedelmente il carattere,
-regolare lo sguardo, il gesto, il movimento; nel conservare
-al linguaggio della passione il decoro, nel
-suscitare col volto in lacrime la pietà degli spettatori.
-Tutti ne fummo percossi; ma oh che invidia
-sentii io nel cuore, quand'ella, stringendo al seno
-Oreste, gli dice: — T'ho io fra le braccia? — ed egli: — Oh
-<span class="pagenum" id="Page_112">[112]</span>
-così tu m'abbia sempre!„ Un passo ancora, ossia un
-altro epigramma greco, e il critico drammatico, l'ammiratore
-entusiasta, si scuopre amante. “Ho trovata, ho
-trovata, quella che volevo, che sempre cercavo; l'amor
-mio sospirato, quella che vedevo ne' sogni: una fanciulla
-d'integra bellezza, di adornezza non accattata
-ma naturale; una fanciulla, culta di greco e di latino,
-eccellente nella danza, eccellente nella musica; de' cui
-pregi, velati dalla modestia, contendono a gara le Grazie.
-L'ho trovata; ma a che pro, se appena una volta
-l'anno posso io, che di lei ardo, vederla?„ Ma l'Alessandra
-era in grado, non solamente di ricevere omaggi
-in greco, sì anco in greco rispondere, e risponder a così:
-“Nulla di più bello, che la lode d'un valentuomo; ed
-oh qual gloria a me dalla lode tua! Quanto ai tuoi
-sogni, bada, interpretali bene: tu non puoi aver trovato
-in me quanto dici. È sentenza del divino Omero: — Avvicina
-un Dio i consimili. — Or troppa è fra te
-e me la dissomiglianza. Imperocchè tu sei come il Danubio,
-che da occidente a mezzodì, e poi di nuovo
-verse oriente, diffonde largo corso di acque. Glorioso
-filologo, tu discacci le tenebre dai monumenti di più
-lingue: greca, romana, ebraica, etrusca. Ercole dell'erudizione
-sei a gara chiamato, per le tue fatiche intorno
-a testi di astronomia, di fisica, di aritmetica, di
-poesia, di leggi, di medicina. I miei scritti di fanciulla
-son cosette leggiere, come i fiori e la rugiada. Io accanto
-a te, perchè so un poco di lettere! Ma sarebbe
-com'a dire, secondo il proverbio, la zanzara accanto
-all'elefante, perchè han la proboscide tutt'e due; la
-gatta accanto a Minerva, per via degli occhi cerulei.„
-Che ve ne pare? Fu mai con maggior dottrina, o con
-più squisita crudeltà, rimesso al suo posto un adoratore
-stagionato? Non credete voi che messer Angelo abbia
-questa volta dovuto imprecare alle similitudini, alle perifrasi,
-<span class="pagenum" id="Page_113">[113]</span>
-alle antonomasie, e a tutto il resto dell'arsenale
-retorico? mandare al diavolo i proverbi greci, e magari
-anche le sentenze del divino Omero? Persiste tuttavia,
-come pur troppo avviene, le più volte in simili casi; e
-persiste, il che è assai meno frequente, in greco: “Tu
-mi mandi, o Sandra, le pallide violammamole: e io
-nell'amore di te impallidisco e mi struggo. Fiori e foglie,
-imagine gentile della tua primavera; ma il dolce
-frutto io vorrei.„ Al che Alessandra non risponde;
-anzi: “Nè vederti, o Alessandra, mi è permesso più, nè
-ascoltarti: ma almeno, due versi di risposta.„ E finalmente
-(del buon gusto poi di questa pensata lascio a Voi,
-Signore e Signorine, il giudizio): “O giovinetta, gradisci
-per la tua chioma questo pettine d'osso; così potessi io
-avere i capelli del tuo bel capo.„ I capelli d'Alessandra
-Scala come già quelli dell'Albiera sul feretro che la portava
-in San Pier Maggiore, furono (questa credo non ve
-l'aspettereste) recisi più tardi sulle soglie di quello stesso
-convento, dove, rimasta vedova del suo greco, ella si fece
-monaca benedettina, e vi morì giovanissima nel 1506.
-</p>
-
-<h3>III.</h3>
-
-<p>
-Se non che l'arte, la poesia, non sono esse la poesia
-della vita: possono, della vita, adombrare con le loro
-imagini, e idealizzare, la realtà; ma quelle imagini dalla
-realtà si distaccano, hanno propria esistenza, alla quale
-la realtà rimane estranea od anco può contraddire. Beatrice
-è donna; addiviene angelo, simbolo, ente: Laura è
-moglie e madre; la poesia la restituisce, libera, alle idealità
-dell'amore. Le idealità del Trecento, paesane e cristiane,
-e umane almen tanta parte quanta è umano lo
-spirito, il Rinascimento le aveva, sin dove potè, sopraffatte
-con l'umanesimo della materia, con la sua mitologia,
-co' suoi ninfali, co' suoi baccanali, incominciando a
-<span class="pagenum" id="Page_114">[114]</span>
-svolgere dal dischiuso gomitolo dell'antichità classica
-quel filo che, sottile ma tenace, si continuò poi per tutta
-la poesia italiana non pure sino alle <i>Grazie</i> d'Ugo Foscolo,
-che al rito delle sue Dee consacrava sacerdotessa
-anche una gentildonna fiorentina, ma sino sull'<i>Urania</i>
-del Manzoni che precede gl'<i>Inni sacri</i> e i <i>Promessi Sposi</i>.
-Nella poesia del Quattrocento, dal Boccaccio al Poliziano
-e a Lorenzo, le ninfe Simonetta e Ambra non
-sono che due figure spiccate dall'idillio fiesolano, nel
-quale messer Giovanni ha classicizzato e paganeggiato,
-con gli amori d'Affrico e di Mensola, le origini di Firenze.
-Da Poggio a Caiano per Careggi e Montughi fino
-a Settignano e Maiano, lungo tutto questo nostro sub-appennino
-gentile, le Driadi e le Amadriadi, le Naiadi
-e le Napee, con tutta quanta la fauna del loro corteo
-mascolino, danzano allegramente alla luce misteriosa dei
-plenilunii, che pur si diffonde sulla Badia medicea di
-Brunellesco, e da' finestroni della vecchia cattedrale di
-Fiesole investe le animate sculture di Mino, lumeggia
-della cristiana aureola la Vergine e i Santi di frate Giovanni
-Angelico. Muore in una sua villa, forse a Quarto,
-una giovine gentildonna, che a prezzo della propria salva
-la vita al suo bimbo pericolante nel crollare d'una tettoia
-del contadino. E la cronaca cittadina, compilata sulla
-cetra dei latinisti, esalta questa devozione di madre alla
-sua creatura, sapete come? con inveire contro gli Dei
-Lari che non hanno sorretta quella tettoia, contro le divinità
-campestri le quali hanno attratta in villa la bella
-Alba (un'altra Albiera), che Venere avrebbe dovuto proteggere:
-e tutto questo, pur descrivendo, e non senza
-efficacia, lo strazio del marito, che, lontano da Firenze,
-torna quando la sua povera moglie è ormai sotterra, e
-vuole a forza alzare la pietra di quella sepoltura, e che
-le care contraffatte sembianze siano restituite una suprema
-volta al suo disperato dolore. La famosa brigata
-<span class="pagenum" id="Page_115">[115]</span>
-delle gentili donne fiorentine, che fuggendo i dolori e i
-pericoli della pestilenza del 1348 è dal gran novelliere
-immaginata ritrarsi in una di quelle vallette, ci perde i
-nomi con che sono state battezzate in San Giovanni,
-per divenire Pampinee o Neifili, e le loro fantesche Misia
-Licisca Stratilia, e Sisisco il cuoco, e Panfilo Filostrato
-Dioneo la fauna de' loro amatori: con tanta verità,
-quanta ne è in cotesto calunniare la donna, sia di
-quello sia di qualunque altro secolo, apponendole che
-dove si soffre e si muore ella se ne vada in campagna,
-invece di rimanere ferma e fedele al suo posto. Tanta
-verità in ciò (Voi non mel concedereste se lo affermassi,
-o donne gentili), quanta nella bizzarria germogliata, non
-si sa come, in testa al buon Franco Sacchetti, d'una
-<i>Battaglia delle belle donne di Firenze con le vecchie</i>, le
-giovani schierate sotto il gonfalone di Venere, le vecchie
-sotto quello dell'infernale Proserpina; il tutto in quattro
-cantàri d'ottave mal connesse, con volgare strazio d'ogni
-nobile affetto e un pocolino anche del buon senso, che
-informa invece così finamente le novelle di quel medesimo
-Franco. Tanta verità in ciò, quanta (per tacer d'altre
-siffatte volgarità) nella fantasia, incarnatasi bensì in
-una delle più belle prose di nostra lingua, <i>Le bellezze
-delle donne</i>; le quali bellezze don Agnolo Firenzuola
-immagina, in un'altra brigata boccaccevole, siano da
-quel suo Celso, che è poi lui stesso senza la cherica,
-analizzate pezzo per pezzo, più o meno velati, sulla persona
-di quelle sue (al solito sbattezzate) monna Lampiada,
-monna Amorrorisca, e Verdespina, e Selvaggia,
-ascoltatici e interlocutrici: anatomia estetica, possibile
-forse ad eseguirsi laggiù nella Magna Grecia in servigio
-di Zeusi quando dipingeva la sua Elena, ma non già in
-Prato, nell'orto della badia di Grignano, l'anno di grazia
-millecinquecento tanti, in una veglia, quale quella vuole
-pur essere, di donne non dimentiche di sè medesime.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_116">[116]</span>
-</p>
-
-<h3>IV.</h3>
-
-<p>
-Non era quella, nè poteva essere, la poesia della vita
-fiorentina fra il XIV e il XVI secolo. Fantasticata sui
-libri, e in libri foggiata, essa non attinge nè attiene alla
-vita vera di quell'età; nè vera è la donna che su quel
-mitico fondo, tutto romano e greco, nulla medievale,
-campeggia. Meglio dalle descrizioni, o siano poetiche o
-meglio se in prosa schietta fiorentina, de' conviti nuziali,
-delle armeggerie, delle giostre, viva ci sorride, e
-onestamente baldanzosa, e di quelle cavalleresche e cortigiane
-onoranze seco medesima sodisfatta e superba, la
-donna. Non mancano anche in cotesti suntuosi apparati
-lo iddio Amore, gli Amorini (convertiti bensì, il che ha
-un po' del trovadorico, in spiritelli), le Ninfe; sibbene
-come ornamento esteriore, fregio posticcio, parvenza fugace;
-non come espressione mitologica d'un sentimento,
-o quasi (direi co' filosofi) espressione essoterica d'una
-dottrina. Ma la figurazione dominante e caratteristica è
-dalla cavalleria medievale, e s'atteggia e si drappeggia
-nelle persone e nelle foggie di castellani e di principi,
-d'uomini d'arme, di donzelli, d'araldi e di paggi, di dame
-crudeli e di servi d'amore, con seco le grandi o gentili
-memorie delle crociate, de' passaggi imperiali, della santa
-gesta de' Paladini: “le donne (ha cantato Dante), le
-donne, i cavalier, gli affanni e gli agi, che ne invogliava
-amore e cortesia„.
-</p>
-
-<p>
-Siamo in piazza Santa Croce il 7 febbraio del 1468;
-e si fa la giostra della quale Lorenzo de' Medici scriverà
-ne' suoi <i>Ricordi</i>: “Per eseguire e far come gli altri,
-giostrai in sulla piazza di Santa Croce„; e ne noterà
-la spesa in fiorini diecimila di suggello: “e benchè
-e di colpi non fussi molto strenuo, mi fu giudicato il
-primo onore, cioè un elmetto fornito d'ariento, con un
-<span class="pagenum" id="Page_117">[117]</span>
-“Marte per cimiero.„ Entrano in campo i giostratori:
-Medici, Pitti, Pucci, Vespucci, Benci, Pazzi, e altri molti;
-qual più qual meno riccamente forniti: con magnificenza
-più che regale, Lorenzo alla divisa de' gigli d'oro di
-Francia e in sua compagnia il fratello Giuliano, coperti
-d'oro, d'argento, di perle, di pietre d'ogni sorta preziose:
-ciascun cavaliere accompagnato da trombetti e paggi e
-uomini d'arme, e giovani gentiluomini a cavallo tutti
-vestiti sfarzosamente alla divisa di quello; brigate per
-ciascuno di poco meno che un centinaio di persone; e
-ciascun cavaliere col suo stendardo, nel quale fra emblemi
-e segni diversi, e per lo più tra verde di prati e
-fiori di verzieri, la dama del cuore. Questa, leggermente
-velata di bianco, con ghirlanda di quercia in mano, e
-a' piedi legato con catene d'oro un leopardo; quella, in
-abito di ninfa, che riceve nel grembo le foglie d'un faggio
-battuto dalla tempesta, e le dà mangiare ad un
-daino; quell'altra, vestita di bianco e di verde, che le
-saette d'Amore infocate spenge nel fonte che scorre a'
-suoi piedi; un'altra, vestita di paonazzo, che quelle stesse
-saette fa in pezzi e ne semina il prato; ma la dama di
-Lorenzo, irraggiata dal sole traverso ai colori dell'iride,
-vestita di drappo alessandrino ricamato a fiori d'oro e
-d'ariento, coglie d'un ramo di lauro rinverdito sull'arido
-tronco, e ne fa ghirlanda, e ne sparge foglie all'intorno;
-il suo motto, in lettere di perle grosse da gioiellare, <i>le
-tems revient</i>. E molto lontano da Firenze, in Roma, nell'austerità
-baronale del palagio degli Orsini, pensava a
-lui in quel giorno una giovane donna, che non era nè
-forse le rincresceva di non essere la dama del suo stendardo,
-perchè si apparecchiava ad essere la madre dei
-suoi figliuoli. “Lorenzo è molto occupato in questa giostra,
-chè già da tempo non ò avuto sue lettere„; ha
-detto ella, la Clarice, un mese innanzi, a uno de' Tornabuoni
-venuto a recarle le nuove di lui; ed ora, appena
-<span class="pagenum" id="Page_118">[118]</span>
-corrono a farle sapere “come Lorenzo à fatto la
-giostra, e n'è uscito sano e con grandissimo onore„,
-e che “s'è aoperato tanto degnamente quanto sia possibile
-di dire„, e che “giammai fu paladino facessi
-quello à fatto Sua Magnificenza„, risponde soavemente,
-“Ora s'è fatto la giostra, non avrà più scusa da recare,
-che non venga a Roma questa quaresima„. E in occasione
-della quaresima, la madre le ha fatto “levare
-panno pagonazo di Londra per una gonna a la romanesca„,
-che crede quel fidato Francesco Tornabuoni
-“non istarà punto male„; e così si propongono,
-madre e figliuola, di “andare vicitando tutti questi perdoni,
-pregando Iddio per Lorenzo„; ma la madre insiste
-ch'e' venga, perchè “vuole che voi vegiate la vostra
-mercanzia, avanti l'abbiate a casa; la quale ogni
-giorno migliora„: della qual locuzione figurata non so
-se proprio si abbellisse il parlare della nobilissima matrona,
-o s'ella fiorisse spontanea nella lettera del mercante
-cliente al mercante magnifico.
-</p>
-
-<p>
-Un anno e quattro mesi dipoi, il 4 giugno del 69, le
-nozze di Lorenzo e di Clarice si celebravano in Firenze
-con grande solennità, la quale incominciava con due interi
-giorni di offerte a casa Medici dal contado e dalle
-città di Toscana; offerte la cui consistenza sommò, per
-citar qualche cifra a un centocinquanta vitelle, paia di
-capponi paperi e pollastri più di duemila, vini nostrali
-e forestieri a botti, e simili altre gentilezze, che Lorenzo
-partecipava largamente alla cittadinanza, anche prima
-d'imbandire, dalla domenica al martedì, ben cinque conviti,
-che empivano le loggie e i giardini del palagio di
-via Larga, con le mense distribuite fra giovani donne in
-compagnia della sposa (“cinquanta giovani da danzare„
-dice l'informazione), e le donne di più età con madonna
-Lucrezia; e così in tavole separate i “giovani che danzavano„,
-e gli uomini di più età. Dalla domenica mattina,
-<span class="pagenum" id="Page_119">[119]</span>
-quando la sposa, partitasi dalla casa degli Alessandri
-“a cavallo, in sul caval grosso che donò a Lorenzo
-il re di Napoli„ entrava fra nobilissimo corteo
-nella casa maritale, mentre festeggiato di musica lieta
-si tirava su alla finestra il simbolico ulivo; sino alla mattina
-del martedì, quando “andò a udire messa a San Lorenzo„,
-con in mano uno de' mille doni nuziali, “uno
-libriccino di Nostra Donna, maraviglioso, scritto a lettere
-d'oro in carta d'azzurro oltramarino, coverto di
-cristallo e d'ariento lavorato„; Clarice Orsini, trasportata,
-avvolta, sollevata in quel profumo di gioventù, di
-bellezza, di grazia, di forza; ricevuta nelle sale che Cosimo,
-Piero e Lorenzo avevano impreziosite dei tesori
-dell'antica arte e della risorta; circondata, sovraccarica,
-dagli splendori d'una ricchezza che, anche non ostentata
-anzi voluta dissimulare, tuttavia impacciava quasi
-sè medesima; regina degli omaggi che il fiore delle intelligenze
-di tutto il mondo tributava a questa famiglia,
-la cui potenza era soprattutto l'ingegno; potè ben comprendere
-ch'ella era venuta sposa al primo cittadino,
-non che di Firenze, d'Italia.
-</p>
-
-<p>
-E lasciamo stare se a quella gaiezza un po' sbrigliata
-della città popolana, allo scetticismo elegante di quei
-letterati già bell'e cortigiani, a quelle transazioni fra il
-cittadino e il cliente che corrompevano intorno al patrono
-tanto vecchio sangue repubblicano, se a questo e
-ad altro che poi dovette offendere la sua romana alterezza
-e i suoi sentimenti di moglie e di madre, ella ripugnò
-sin da principio, e ne contrasse quel malinconico
-cruccio che avvolse tutta la sua virtuosa esistenza domestica;
-lasciam pure che invece del Poliziano, il quale
-ella giunse perfino a cacciare di casa, preferisse di vedersi
-intorno ser Matteo Franco, buona pasta di cappellano
-e di sonettiere faceto, nelle cui fiorentinissime lettere
-madonna Clarice, circondata da' suoi figlioletti, è
-<span class="pagenum" id="Page_120">[120]</span>
-viva e parlante figura; ma non saprei tuttavia credere,
-che giovinetta sposa, ella non abbia dovuto gustare, di
-quella popolana gaiezza, di quella eleganza addottrinata,
-di quei cortigiani ritrovi, quanto parlava così vivacemente
-ai sensi e alla fantasia, in feste, per esempio, simili
-a questa, che pochi anni avanti, nel 64, aveva empito
-del suo fragore gioioso un'intera notte del carneval
-fiorentino.
-</p>
-
-<p>
-“Notizia d'una festa fatta la notte di carnasciale, per
-una dama la quale fu figliuola di Lorenzo di messer
-Palla degli Istrozi. La detta festa fu fatta da Bartolomeo
-Benci, come innamorato della detta dama.„ Ve
-la riassumo, il più che potrò con le parole stesse della
-<i>Notizia</i> contemporanea, che sono una pittura. Bartolomeo
-Benci ha ordinato, con altri otto giovani di principali
-famiglie, un'armeggeria notturna, l'ultima notte di
-carnevale, in onoranza, prima alla dama sua, poi, come
-sentirete, a ciascheduna delle otto respettive dame de' suoi
-compagni. Ciascuno di essi otto è a cavallo, ricchissimamente
-forniti; ciascuno ha trenta giovani intorno a sè,
-vestiti alla propria divisa, con torchi in mano, e altri
-otto intorno alla briglia. Il Benci poi, col bastone di
-“Signore e Capitano della Compagnia,„ è “in su 'n uno
-cavallo che la natura nollo potre' fare più bello; con
-fornimento e sella e briglia tutto di chermisi, ricamato
-di molte argenterie tanto riccamente quanto fare si
-potè: e lui in su detto cavallo, con uno giubone di
-perle ricamato e gioie, con due alle alle spalle, d'oro
-e più altri colori. E intorno al detto Signore era quindici
-gentili giovani a piè; tutti con gonnellini di raso
-chermisi foderati d'ermellini, con calze pagonaze: a'
-quali esso Signore donò a ciascuno. E oltre a questo,
-avea intorno detto Signore centocinquanta giovani,
-tutti vestiti a una sua divisa, cioè gonnellini e calze
-verdi, con falconi nel petto e di dietro, d'ariento, che
-<span class="pagenum" id="Page_121">[121]</span>
-gittavano penne per tutto el gonnellino: e' quali centocinquanta
-giovani ciascuno aveva un torchio acceso
-in mano„. Portatori e pifferi circondano il Trionfo
-d'Amore, che è alla testa: un Trionfo “alto braccia
-venti, composto in modo che, guardandolo, si rimaneva
-abagliato: co' molti ispiritegli d'amore con archi
-in mano; e in alcune parti l'arme de' Benci, e in altri
-luoghi la divisa del padre di detta dama; co' molte
-campanellette a sonagli d'ariento, e varie cose. Era
-composto detto Trionfo d'alloro, mòrtina, arcipresso,
-abeto e scope, cose tutte verdi e calde, apropriate all'amore.
-E, per abreviare, in sulla cima di detto Trionfo
-era un cuore sanguinente, aceso in fiamme di fuoco,
-che del continovo ardevano; con certi razi„ che a suo
-tempo dovevano esser lanciati. Muove la brigata (tutto
-ben computato, oltre un cinquecento persone) dalla Piazza
-de' Peruzzi, dopo una lauta cena in casa di Bartolomeo,
-e va alle case degli Strozzi da Santa Trinita: due Benci
-e due Strozzi regolano a cavallo l'andata. La Signoria
-ha fatto bandire, che nessuno quella notte giri a cavallo
-per la città, fuor di cotesta armeggeria; e che in essa
-o a cagion d'essa, “se per disgrazia alcuno fusse morto,
-chi l'ammazza sia sanza pena e sanza bando„: il che
-è detto “un obviare a' casi cattivi che potrebbero nascere„.
-E così, “giunti a casa della dama, feciono la
-mostra. E apresso, ciascuno corse ritto in sulla sella,
-secondo uso d'armeggeria, con un dardo in mano, dorato.
-E dipoi ancora, ciascuno corse con una lancia
-busa, dorata, e ruppono a piè della finestra dov'era
-detta dama. La quale si mostrava in mezo di quattro
-torchi acesi, con tanta graziosa onestà che una Lucrezia
-basterebbe. E fatto questo, el Trionfo era fermo
-sulla piaza, dirimpetto alla finestra dov'era detta dama:
-e al Signore fu ispiccate l'alie e gittate in sul Trionfo;
-e in quel punto, era ordinato che a detto Trionfo s'apiccassi
-<span class="pagenum" id="Page_122">[122]</span>
-el fuoco: e così arse, con tante grida e suoni che
-insino alle stelle andava el romore. E i razi che v'erano
-su erano artificiati in modo, che pareva che quegli ispiritegli
-d'amore, ch'erano in su detto Trionfo, co' l'arco
-che gli avevano in mano, gli saettassono. E così accesi
-per l'aria volavano appresso alla dama: alcuno n'andava
-in casa della detta dama, che si istima glien'entrassi
-alcuno nel cuore, per compassione del detto
-amante. E fatto questo, el detto Signore Amante, partendosi
-con tutta la compagnia, per non volgere le
-spalle a detta dama, fece che sempre el cavallo andava
-indietro, tanto che più nulla potè vedere. E partiti
-di quivi, andarono a rompere le lancie e armeggiare
-a casa le Dame di ciascuno de' suoi Compagni,
-cioè degli otto nominati. Dipoi tornarono tutti dalla
-Dama del Signore, e feciolle una mattinata co' molti
-suoni e gra' magnificenza: e questo si dice mattinata,
-perch'era presso a dì. E dipoi si partirono, e accompagnarono
-el Signore, cioè Bartolomeo Benci, a casa,
-nel modo e forma come s'erano partiti nel prencipio.
-E 'l detto Signore aveva ordinato molte confezioni, e
-e fece tutti convitare co' gra' magnificenza„. A chi poi
-rimanesse la curiosità (mi sia permesso, gentili ascoltatrici,
-supporla), se a que' nove armeggiamenti sotto le
-finestre delle nove case abitate dalle nove dame, corrisposero
-a suo tempo nove bei matrimoni, rispondo: che
-quanto ad alcuna delle amorose coppie, no certo, per la
-ragione molto stringente che il cavaliere aveva moglie,
-il che fa altresì lecito ammettere che anche qualcheduna
-delle rispettive dame avesse, per ultimo respettivo,
-marito: quanto a qualche altra coppia, potrebb'anch'essere;
-ma a chiarirlo, bisognerebbe, come de' cavalieri,
-avere i nomi delle otto dame; e questi la <i>Notizia</i>, che
-vi ho riassunta, non ce li dà; quanto poi alla coppia
-che più forse vi preme, mi rincresce dovervi notificare,
-<span class="pagenum" id="Page_123">[123]</span>
-che la Marietta Strozzi, nonostante tutta quella bersagliatura
-di razzi amorosi fra la quale le finì il carnevale
-del 1464, sette anni dopo andava sposa (e già aveva seguita
-fuor di Firenze la madre) ad un Calcagnini di
-Ferrara; e l'anno appresso, nel 72, l'aligero, e poi spennacchiato,
-capitano Bartolomeo Benci sposava la Lisabetta
-Tornabuoni, una sorella di quel confidente a Roma
-tra la Clarice Orsini e Lorenzo de' Medici.
-</p>
-
-<p>
-Molte dolci memorie, del resto, dovè lasciare la bella
-Marietta Strozzi nella città nostra, lontano dalla quale
-il padre suo esule (come per lungo tempo, dopo il trionfo
-de' Medici, furono, di generazione in generazione, gli
-Strozzi) era morto di ferro, e per l'esilio di lui aveva
-dovuto pure starsene fuori la madre, virtuosissima e austera
-donna, Alessandra de' Bardi: e in questa quasi orfanezza
-la fanciulla si trovò forse più libera che alla
-condizione sua non convenisse: almeno in quell'inverno
-del '64, nel quale, poche sere avanti l'armeggeria, sentite
-quest'altra sua avventura carnevalesca, e che cosa era
-possibile a farsi, senza scandalo, da una giovinetta fiorentina
-in que' tempi. Vi traduco (liberamente anche
-questa volta) da una lettera, elegantemente latina, di
-amichevoli confidenze giovanili tra Filippo Corsini e Lorenzo
-de' Medici: “.... E mentre ti scrivo, la neve cuopre
-quasi tutta la città: tedio per molti e cagion di starsene;
-ma per altri cagione di darsi moto e piacere.
-Sappi infatti che Lottieri Neroni, Priore Pandolfini e
-Bartolommeo Benci (daccapo il nostro allegro Capitano).
-Cogliamo il destro, hanno detto, di usare qualche bel
-tratto. E subito, a due ore circa di notte, si son presentati
-alla casa della Marietta Strozzi, seguiti da
-una gran moltitudine accorsa da ogni dove, per fare
-a gettarsi la neve con lei. Gliene han data la sua porzione,
-e hanno incominciato. Immortali Dei, che spettacolo!
-e come descrivertelo, Lorenzo mio, con questa
-<span class="pagenum" id="Page_124">[124]</span>
-debole prosa? Gran pompa d'innumerevoli fiaccole;
-squillar di trombe, dolcezza di flauti; pubblico appassionato
-e plaudente. E che trionfo, quando alcuno degli
-assalitori riusciva a sparger di neve il viso, come neve
-candido, della fanciulla! Ma che dico sparger di neve?
-un vero e proprio trarre al bersaglio era quello, e di
-tiratori valentissimi! La Marietta poi, così leggiadra e
-destra in quel giuoco, bella come tutti sanno, ne uscì
-con immenso onore. Ma i gentili giovani non si partirono
-da lei, che prima non le donassero molto nobilmente
-per loro ricordo. E così, con grande contentezza
-di tutti, il piacevole giuoco ebbe fine„. Un
-epigramma del Poliziano (l'ultimo che vi citerò da quel
-florilegio aneddotico del Quattrocento fiorentino che sono,
-più assai che le volgari, le sue Poesie greche e latine)
-dice così: “Neve sei, o fanciulla, e giuochi con la neve.
-Giuoca: ma deh, prima che la nevi s'imbratti, fa' che
-si sgeli„. L'erudito, che oggi legge queste complimento
-amoroso, ricorda i molti altri, d'antichi e d'umanisti, che
-sul medesimo argomento si contengono nell'<i>Antologia
-latina</i>, e l'ha per un'imitazione a freddo (è proprio il
-caso di dir così) dall'antichità classica. L'aneddoto che
-vi ho narrato mostra invece, che questa almeno fra le
-tante imitazioni umanistiche aveva riscontro nel vero
-attuale; ossia, che quel bizzarro costume era spontaneamente
-rifiorito, come anche altre parti della vita antica,
-nell'allegra democrazia del Rinascimento: finchè la inamidata
-prammatica delle Corti, la Riforma protestante correggitrice
-e il conseguente reattivo disciplinamento della
-morale cattolica, più tardi infine la filosofia civile e la
-rivoluzione bandita e guerreggiata in nome di principii
-universali, non ebber mutata la faccia del mondo.
-</p>
-
-<p>
-Ma finchè quelle gazzarre, quelle feste davvero popolari,
-que' fantastici apparati, que' simboli abbaglianti, ebber
-vita, nè corteo di spose, nè armeggiamento per dame,
-<span class="pagenum" id="Page_125">[125]</span>
-nè giostra di amorosi cavalieri, ebbe mai tanta cittadina
-solennità, quanto uno sposalizio, ben diverso da tutti
-gli altri dall'ora e di poi: lo sposalizio dell'abbadessa di
-San Pier Maggiore; sposalizio che si ripetè tante volte
-(salve eccezioni) quanti Vescovi ebbe per secoli parecchi
-la Firenze e del Medioevo e del Rinascimento ed anche
-del Principato Mediceo, poichè lo sposo della badessa
-era (<i>honni soit qui mal y pense</i>) messere lo Vescovo.
-</p>
-
-<p>
-Quella chiesa e monastero di San Pier Maggiore, che
-furono delle maggiori antichità sacre di Firenze, se,
-come pare, nella lor forma primitiva risalivano al secolo
-quarto; che detter nome a una porta e a un sestiere
-della città, abitato e maledetto da Dante, non sono più.
-Si restauravano nel secolo XI, e si afforzavano con addossarli
-alle mura del secondo cerchio: si abbelliva la
-chiesa, a mezzo il secolo XIV: si sconciava, come tante
-altre, mediante le cappelle patrizie a marmi e stucchi
-di tutti i colori, nei secoli del barocco. E tutto oggi è
-sparito. E il tempo, che “traveste l'uomo e le sue tombe„,
-a mala pena ha rispettato nell'Arco di San Piero (salvo
-i possibili attentati onomastici dei moderni edili) il nome
-del titolare. Quali rovine, quali ossa, calpestiamo noi,
-passando da quell'arco! Delle nostre conoscenze d'oggi,
-le due belle Albizzi si sono fatte polvere colaggiù
-sotto: e si addormentò in pace con esse la monacella
-grecista, la quale, se morendo ancor ella giovine, non
-ebbe tempo di maturarsi, arcigna e rugosa superiora,
-per quelle nozze episcopali, potè bensì esercitare la sua
-mondana erudizione, ahimè non più sulle immortali pagine
-d'Omero e di Sofocle, ma sul grosso notarile latino
-degli autentici privilegi di coteste mistiche nozze, che
-risalivano (dicono que' notari) “a tanto tempo quanto è
-di là da memoria d'uomini„. L'ingresso del novello
-sposo della Chiesa fiorentina si faceva ritualmente dalla
-porta di San Pier Gattolini, oggi Romana: due famiglie,
-<span class="pagenum" id="Page_126">[126]</span>
-di grandi e tradizionali attinenze (da Dante proverbiate)
-con la mensa vescovile, avevano, i Tosinghi e i Visdomini,
-il privilegio di riceverlo e accompagnarlo sino al
-monastero, dove, simbolo della Chiesa fiorentina lo attendeva
-la badessa. Si celebravano nella chiesa le nozze,
-inanellando il Vescovo la sposa con un ricchissimo anello,
-e questa offrendogli in dono un letto suntuosamente montato
-nella camera stessa di lei, che per quel giorno, durante
-intere ventiquattr'ore, uscendone lei, diveniva la
-camera del Vescovo novello, sin che, la mattina appresso,
-i soliti Visdomini e Tosinghi gli venivano incontro col
-clero, e lo conducevano in Domo e lo insediavano. Tutta
-Firenze accorreva a quelle nozze. Oltre le due ricordate
-famiglie, altre ancora, e delle principalissime, Albizzi,
-Pazzi, Strozzi, rivestite di privilegi e diritti di questa o
-quella parte del cerimoniale, avevano quasi a ogni Sposalizio
-occasione di contestazioni, di proteste e di gare.
-Alla badessa rimaneva il cavallo col quale era venuto
-il Vescovo: agli Strozzi, con gran trionfo di tutto il parentado,
-la sella. La Chiesa fiorentina aveva avuto il
-suo pontefice, e la città una festa di più; nella quale
-era toccata la sua parte, e che parte essenziale!, alla
-donna.
-</p>
-
-<h3>V.</h3>
-
-<p>
-Ma traverso a tutte quelle ideali trasformazioni che
-l'arte le apponeva, e a questa vissuta poesia di festeggiamenti
-e di pompe, quale fu poi nel segreto della vita
-reale, fra le pareti domestiche, figliuola e sorella, moglie
-e madre, quale, nella Firenze di quell'età, fu la donna?
-Scoperchiare i tetti delle case, e sorprendere senz'essere
-introdotti la gente che attende tranquillamente a' fatti
-suoi, e peggio poi le signore, si è creduto, fino a pochi
-anni fa, un privilegio di quel personaggio che sapete, <i>le
-<span class="pagenum" id="Page_127">[127]</span>
-Diable boiteux</i>, sollevato da Renato Le Sage alla cattedra
-d'uno de' più grandi e maligni professori di filosofia
-morale che il mondo abbia avuto. Fino a pochi anni fa,
-quando a me, sfogliando con paziente amore le carte dei
-Medici avanti il Principato, occorse di scoprire un'anticipazione
-del Diavolo Zoppo di Le Sage nella persona d'un
-cortigiano de' più cari a Lorenzo e a' figliuoli suoi, e che
-con uno di questi, divenuto papa Leone X, finì cardinale
-di Santa Chiesa: l'autore della <i>Calandra</i>, il Bibbiena;
-che in un Prologo a cotesta sua famosa commedia,
-rimasto inedito anzi fra le cancellature del primo
-getto, immagina di fare un giro da camera a camera
-femminili, invisibile per forza d'incanto, e mette al nudo
-una serie di scenette bizzarre che accadono in questa o
-in quella, sul punto del recarsi le donne a una veglia
-che si fa quella sera in Firenze. Rassicuratevi: io non
-voglio entrar terzo fra il giulivo Cardinale e il diavolo;
-se già non vi pare che sia ormai posto preso da messer
-Guido Biagi, quando l'altro giorno v'introdusse con sì
-garbata erudizione, e così intimamente, nelle segrete
-cose della vita privata de' nostri vecchi<a class="tag" id="tag95" href="#note95">[95]</a>.
-</p>
-
-<p>
-E qui cade un'avvertenza e una dichiarazione. Quel
-tanto che la novella e la commedia fiorentina del Quattrocento
-e (molto più largamente) del Cinquecento potrebber
-dare al ritratto della donna, io credo contenga
-troppa meschianza o di classico, o di boccaccevole, o di
-idealmente satirico: nè ebbe quell'età, come nel Sacchetti
-ebbero il Due e il Trecento da Giano ai Ciompi,
-un novelliere storico. Io non so in verità, quanto a buon
-dritto si possano accettare anche solo come tipi della famiglia
-in un dato momento della storia di Firenze i personaggi
-della <i>Mandragora</i>; ma è poi certissimo che la
-<span class="pagenum" id="Page_128">[128]</span>
-buona Marietta Corsini moglie di Niccolò Machiavelli
-nulla ebbe, povera donna, di simile con quella alla quale
-egli, nel suo <i>Belfagor</i>, fa sposare il diavolo, e poi ridurlo
-a tale disperazione, ch'e' se ne torna a rotta di
-collo all'inferno.
-</p>
-
-<p>
-E una leggenda di amor coniugale e materno, delle
-più poetiche e commoventi, parrebbe, se non fosse dramma
-pur troppo vero e dramma sanguinoso, il fatto di Annalena,
-che lo stesso grande istorico consacrò alla memoria
-de' posteri con parole di somma reverenza. Giunge
-un messo alle case di Annalena Malatesta, oltrarno, là
-dove il popolo memore dice ancora “da Annalena„, e
-le annunzia “Madonna, il marito vostro messer Baldaccio,
-l'hanno morto a ghiado nel Palagio de' Signori, e
-precipitato dalla finestra, e mozzagli la testa come a
-traditore e malfattore„. Ed ella, che al venturiero d'Anghiari,
-valoroso e brutale come condottiero ch'egli è, ha
-dato, sposa poco più che dodicenne, il cuore e la fede,
-e piegata sul suo petto di ferro l'alterezza gentilizia del
-sangue che le scende nelle vene da Paolo Malatesta, il
-cognato a cui la poesia di Dante fa eterni l'amore e la
-pena, il bacio colpevole e l'amplesso infernale; essa, l'Annalena,
-che da quel Baldaccio è già madre d'un bambinello,
-corre, povera donna, a' Signori, al magistrato crudele
-che l'ha vedovata, e per quella creatura innocente
-riesce a salvare, col pianto, da confisca i suoi beni. Poi
-quel figliuolo, il suo Guidantonio, nel quale tutta la
-vita della madre fanciulla si era raccolta, le muore; ed
-ella, ancor giovanissima, si trova sola, e già vissuta, nel
-mondo. E allora Annalena, fatta donna dal dolore, di
-quella sua casa in lutto fa chiostro, in quelle mura
-chiude per sempre e consacra il breve romanzo della
-sua giovinezza, le sue nozze e la sua maternità, le amorose
-imagini e le micidiali, i ricordi d'una culla e di due
-bare; nelle stanze stesse dove fu madre, ritorna vergine
-<span class="pagenum" id="Page_129">[129]</span>
-a Dio, e madre di vergini invecchia soavemente. Affettuosa
-madre, e compassionevole agli splendori e alle lusinghe
-del mondo; se uno degli umanisti celebratori di
-Albiera, proprio a lei, ad Annalena ormai quasi cinquantenne,
-rivolgeva una di quelle elegie latine, e le
-chiedeva la preghiera sua e delle sue monacelle per la
-morta degli Albizzi, “per la giovinetta„, le dice “che
-tu hai amato come una tenera madre ama l'unico suo„:
-parole non so dire se pietose o crudeli, che il latinista
-forse scandiva senza pensarci su, ma che dal cuore della
-vecchia monaca avran fatte risalire agli occhi le lacrime
-della giovine madre. Il monastero d'Annalena, la quale
-morendo a sessantaquattr'anni lo raccomandava a
-Lorenzo de' Medici, fu sin da' suoi principii tutto cosa
-della potente famiglia: e nelle stanze abitate già dalla
-fondatrice, dalla vedova del condottiero, ebbe asilo e
-salvezza, ne' tempi grossi pel nome mediceo, un fanciullo
-che doveva essere il principe di quelli armigeri,
-Giovanni delle Bande Nere.
-</p>
-
-<p>
-Ma se cerchiamo la donna, a cui la sventura non invidia
-nè rapisce la famiglia, la donna che della famiglia
-è ornamento e conforto, esempio e ispirazione, forza e
-provvidenza, la donna di casa, la moglie e la madre;
-alla storia di lei danno tipi ideali, però in necessaria
-relazione con la realtà, come pel medioevo più alto i libri
-di “reggimento o costume o castigamento„ femminili,
-così per questo secolo XV i trattati di <i>Governo
-della famiglia</i>: o con intendimento piuttosto civile e
-secolare, quale è nel libro che si abbellisce de' nomi di
-Agnolo Pandolfini e di Leon Battista Alberti, e in quella
-parte che è didattica delle care pagine di Vespasiano
-cartolaio; o con prevalenza del sentimento religioso,
-siccome nella <i>Cura familiare</i> del beato Giovanni Dominici,
-diretta a una valente gentildonna Bartolommea degli
-Alberti. Quel tipo ideale, o, diciam meglio, tradizionale
-<span class="pagenum" id="Page_130">[130]</span>
-e derivato dalle memorie delle “buone e care„,
-delle “care compiute et oneste„ donne, che tanta fragranza
-di gentili virtù spargono nelle <i>Cronache domestiche</i>
-del Trecento, Vespasiano lo effigiò, e anche con
-un po' di retorica a suo modo lo colorì tra le figure illustri
-dell'età sua, in Alessandra de' Bardi, la moglie di
-Lorenzo di messer Palla Strozzi, e madre della vispa
-Marietta. L'Alessandra è ritratta da Vespasiano “bellissima
-e venustissima del corpo quanto gnuna n'avesse
-la città di Firenze„; vantaggiata di statura tanto, da
-fare a meno delle “pianelle„, supplemento prezioso, pare,
-per altre fanciulle men favorite di proporzioni: educata
-dalla madre sua “con ogni diligenzia„ (maggiore, forse
-è da credere, che l'esilio del marito e le altre vicende
-della famiglia non consentissero poi a lei nell'educazione
-di quella sua figliuola): dall'“amare e temere Iddio indótta
-a uno moralissimo vivere„: avvezza a “mai
-perdere tempo che ella non fosse occupata„, a “mai
-colle serve di casa non parlare, se non in presenza
-della madre„; e “la prima a levarsi la mattina in
-casa esser lei„: ammaestrata in “tutte le cose s'appartengono
-sapere a una donna, ch'abbia aver cura di
-famiglia; e massime a lavorare d'ogni cosa, e di seta
-e d'altro, come s'appartiene alle donne„, e “imparare
-tutto quello che, bisognando, potesse viverne„, e a
-“saper fare ogni cosa e sapere insegnare„, dal leggere
-sino a “ogni minima cosa„ attinente alle faccende domestiche.
-“Rarissime volte era mai veduta all'uscio o
-a finestra„, (ah Marietta!) “sì perchè non se ne dilettava,
-e perchè occupava il tempo in cose laudabili.
-Menavala la madre il più dei dì la mattina a una
-grandissima ora, a udire la messa, tutte col capo coperto,
-e col viso ch'appena si vedevano„. Ma questa
-stessa, che comincia forse quasi a parervi una monachina
-di casa, fatta poi sposa, e venendo a Firenze
-<span class="pagenum" id="Page_131">[131]</span>
-un'ambasciata imperiale, sentite se sapeva, come le faccende
-femminili, altrettanto far bene gli onori, non pur
-della casa, ma della città, e d'una città che si chiamava
-Firenze, la quale “in questo tempo„ dice il buon Vespasiano
-“era abbondante e di virtù e di ricchezze, e
-la fama sua era per tutto il mondo„; città che “a
-quelli ambasciadori parve un altro mondo, rispetto alla
-grande quantità di uomini nobili e degni v'erano in
-quel tempo, e non meno donne bellissime del corpo e
-non meno della mente; perchè, sia detto con pace di
-tutte le donne e terre d'Italia, Firenze in quel tempo
-aveva le più belle e le più oneste donne fussino in
-Italia, e di loro per tutto il mondo n'era tal fama„.
-E descrive un ballo che a quei gentiluomini dell'Imperatore
-fu offerto dalla Signoria, in Piazza, sopra un palco
-dal lato del Palazzo verso Condotta, con grande apparato
-di spalliere, e pancali, e arazzi, e festoni; e i primi
-giovani della città, vestiti tutti a un'assisa di drappi
-verdi ricchissimi, e calzatura di pelle sino a' fianchi; e
-le fanciulle e le spose, con ricche vesti accollate fregiate
-di perle e di gioie. Alla onoranza di ciascun ambasciatore
-deputate due dame: che pel primo di essi sono
-l'Alessandra, maritata in quello stesso anno (era il 1482,
-ed ella n'aveva appena diciotto), e una Francesca Serristori.
-Dopo il ballo, si porta in giro la colezione; ed
-ecco l'Alessandra servire ella stessa gli ambasciatori,
-“con una tovagliuola di rensa in sulla spalla.... con una
-ismisurata gentilezza.... facendo riverenza con inchini
-in fino in terra, naturali e non isforzati, che pareva
-non avesse fatto mai altro„. Poi, ballo di nuovo; e, infine,
-accompagnamento degli ambasciatori all'albergo,
-ciascuno d'essi dando di braccio alle due belle fiorentine,
-una di qua e una di là, Alessandra alla diritta: e giunti
-alla porta dell'albergo, “il primo ambasciatore si cavò
-uno bellissimo anello di dito, e donollo all'Alessandra;
-<span class="pagenum" id="Page_132">[132]</span>
-di poi se ne cavò un altro, e donollo alla compagna„.
-Dopo di che, “salutati le giovani e i giovani, gli ambasciadori
-accompagnarono le giovani alle case loro„.
-</p>
-
-<p>
-Il biografo quattrocentista, che sul declinare del secolo
-scriveva di questa e d'altre donne fiorentine della generazione
-antecedente, non finisce mai di far paragoni
-tra esse e le donne fiorentine del tempo suo, deplorando
-lo scadimento del costume e delle consuetudini più virtuose
-e severe. In questi lamenti, un po' di parte va
-fatta certamente all'abito che fu e sarà sempre di tutti
-i tempi, del rimpiangere, per questo o quel rispetto, il
-passato; un'altra poca, inoltre, alla disposizione di Vespasiano
-a trovar che ridire su troppe cose (figuratevi che
-una volta vuole e prescrive che le donne “imparino a
-non parlare, massime in chiesa„, egli dice; e poi, come
-se fosse poco, soggiunge “e in ogni altro luogo„): pur
-tuttavia, fatte queste eccezioni, e lasciando lo scherzo,
-io credo che que' suoi lamenti, specialmente quando li
-formula, com'è spesso, in osservazioni positive, attengano
-a condizioni reali; e propriamente a quella mutazione
-che anche nella vita domestica, di cui la donna è
-custode e gli atti suoi sono specchio, avevano indotto le
-splendidezze, a un poco per volta sempre più cortigiane,
-di quei Medici, la cui potenza attraeva oramai, volere
-o non volere, con l'interesse e la fortuna delle famiglie,
-anche gli affetti, le speranze, i disegni, che più disposta
-e inchinevole ad accogliere, in pro della famiglia, e fomentare
-è la donna.
-</p>
-
-<p>
-“Ricòrdati che chi sta co' Medici sempre ha fatto bene,
-e co' Pazzi el contradio; che sempre sono disfatti„:
-così scriveva (e s'era solamente al 1461, diciassette anni
-prima della sanguinosa congiura) un'altra Alessandra
-pur maritata negli Strozzi, e che essa pure come la
-Bardi dagli esilii di quella famiglia ebbe lunghi dolori
-al suo cuore di moglie e di madre, ma altresì la consolazione,
-<span class="pagenum" id="Page_133">[133]</span>
-prima che morisse, di veder restituiti alla patria,
-e molto per la efficace materna opera di lei, i figliuoli,
-e il maggior d'essi gettare alla grandezza della sua famiglia
-quelle fondamenta delle quali è superbo monumento
-il loro meraviglioso palazzo: Alessandra Macinghi
-negli Strozzi, alla quale un altro monumento con la pubblicazione
-delle sue <i>Lettere a' figliuoli esuli</i>, che io vorrei
-avere autorità di raccomandarvi e farvi care, o Signore,
-componeva, ne' dì nostri, Cesare Guasti, erudito e scrittore
-degno d'interpretare que' dolori, quelle consolazioni,
-quelle grandezze.
-</p>
-
-<p>
-Lo avvicinarsi ai Medici anime elette come quelle della
-Macinghi Strozzi, matrona del cui costume e pietà avrebber
-potuto compiacersi la bontà di Antonino arcivescovo
-o la fierezza di Girolamo Savonarola (e a qualche pratica
-durezza piuttosto de' tempi che sua, confido che,
-ripensandoci, il nostro Biagi<a class="tag" id="tag96" href="#note96">[96]</a> si farà più indulgente),
-lo avvicinarsi, dico, di tali anime e famiglie (ne cito
-un'altra, i Rucellai) ai Medici, mostra che l'opera di questi
-era stata non tanto di corruzione, quanto di acquistare
-potenza fra i cittadini, prendere dello stato (è la
-frase del Machiavelli, e del tempo) quanto a mano a
-mano ne veniva ad essi concesso, cosicchè la forza loro
-sormontasse invincibilmente su tutte le altezze, preponderasse
-su tutte le resistenze, schiacciasse quasi fatalmente
-tutto ciò che si levasse contro di loro. “Co' Medici,
-e non co' Pazzi!„: a quell'affettuoso ammonimento
-materno risponde tragicamente, a distanza d'anni, nel
-maggio del 78, un'altra voce di donna, anzi lo schianto
-d'un cuore, d'un cuore di figliuola, ne' giorni che l'uccisione
-di Giuliano de' Medici e le ferite di Lorenzo erano,
-nel sangue de' congiurati e di chiunque paresse averli comecchessia
-favoriti, vendicati come delitti contro la patria.
-<span class="pagenum" id="Page_134">[134]</span>
-La figliuola d'uno di costoro, giovane sposa di vent'anni,
-Ginevra di Piero Vespucci (cognata della bella Simonetta;
-e Piero, uomo, del resto, di poco senno, era stato
-un tempo deditissimo a Lorenzo, e giostratore nel 64 in
-Santa Croce con lui, e armeggiatore col Benci sotto le
-finestre della Marietta), scrive, la Ginevra a Lorenzo,
-queste parole spezzate dal pianto: (la lettera è inedita
-e sfuggita alle ricerche e curiosità erudite): “Amantissimo
-in luogo di buon padre. La cagione di questi dolorosi
-versi si è perchè ieri non vi potei parlare come
-desideravo, per potervi pregare e ricordare l'amore e
-benivoglienza avete portata in questa casa, e le parole
-e promesse fatte a me, e l'umanità dimostrami, quando
-mi chiamasti sorella: e però vi priego vogliate accettare
-e mie' prechi, e ogni amore e promesse rivolere
-in questo, e avere misericordia e compassione di noi
-tutti. Vorrei vi fussi di piacere considerare la condizione
-di mio padre, e specchiarvi in me, e non considerare
-quello che fa in ogni suo caso, che non è solo
-in questo. E priegovi quanto più posso mi facciate
-questa grazia; e questo si è, me lo rendiate senza altro
-segno, e che la penitenza di questo peccato sia quella
-che à avuta: chè quando penso, della età ch'egli è e
-poco sano, come è stato buon pezo, e ora di nuovo,
-colla febbre, essere dove egli è, e avere e' ferri in piè;
-che quando ci penso, mi scoppia el cuore. Priegovi
-abiate pazienza se questi versi vi danno tedio, e priegovi
-per l'apportatore mi mandiate qualche buona risposta;
-però che chi misericordia fa, misericordia
-aspetti: e priego Idio vi metta in cuore, me lo rimandiate
-istasera: e se io fussi con Voi, tanto vi pregherei
-me lo renderesti: e ora di nuovo ò inteso à avuta
-della fune. Priegovi non ci vogliate fare disperare più.
-Ginevra isventurata.„
-</p>
-
-<p>
-Invero, la vita di quelle donne, quale la rivelano e
-<span class="pagenum" id="Page_135">[135]</span>
-l'aureo volume del Guasti (che, potendo essere a mano
-di tutte, io mi son proposto di lasciare pressochè intatto
-alla curiosità del cuor vostro, Signore e Signorine) e lo
-pubblicazioni che di altri documenti femminili si sono
-venute facendo, non solamente si vede essere tutta per
-la famiglia; ma che quelle poderose famiglie, Medici,
-Strozzi, Salviati, Rucellai, Guicciardini, Soderini, Ridolfi,
-debbono a coteste donne non piccola parte della forza
-che ebbero, a fare quello che fecero. Il Savonarola, che
-sulla caduta della supremazia Medicea tentò costruire
-saldamente l'edificio del governo popolare, sentì quanto
-importasse al suo intendimento avere a ciò profonde
-basi nella famiglia: pensò, come la prima delle sue riforme,
-la riforma del costume; e si rivolse alle donne.
-E non tanto, intendo, alle mistiche, quali erano una Visdomini,
-una Gianfigliazzi, una anzi due Rucellai; com'a
-dire le Giacobine di quello che poc'anzi ho chiamato
-Terrore Piagnone; giacobine, bensì, che poi finivano
-monache, anzi una di esse Beata. Ma alle madri proprio
-di famiglia, il Savonarola si rivolgeva: alle donne e a' fanciulli,
-che è quanto dire alle forze dell'affetto materno,
-si rivolgeva, come a instrumenti politici, con la fede,
-con cui l'avversario suo papa Borgia si appoggiava alla
-spada e al pugnale del suo Valentino. “O donne e fanciulli,
-la vostra riforma non è ancora vinta. Dite da
-mia parte alla Magnifica Signoria, che questa non è
-cosa umana, ma di Dio; e fateli questa imbasciata: che
-la racconcino se vi è cosa che non stia bene, e che gli
-diano la sua perfezione; e che se non lo faranno, e si
-faranno beffe delle opere di Dio o le contradieranno, che
-il Re gli punirà. E ditegli che non sono Signori, ma
-ministri del Signore e del Re nostro Cristo.... A voi,
-padri e madri, dico: confermate questa cosa a' vostri
-figliuoli, perchè non vi è dentro se non buon vivere.
-Altrimenti Dio ha apparecchiata la punizione a chi
-<span class="pagenum" id="Page_136">[136]</span>
-contradirà alle cose sue. Io ve lo dico certo, e tenetelo
-a mente.„ Il magnanimo frate fu arso; e il profeta,
-smentito dai fatti: ma molta parte di quella generazione
-informata da lui rimase fedele a <i>Popolo e Libertà</i>, l'antico
-grido del Comune glorioso: e que' fanciulli, che ne'
-carnevali de' Piagnoni avean ballato intorno al Bruciamento
-delle vanità (cotesto bruciamento altra cosa è approvarlo,
-ed altra intenderlo pel suo verso), que' fanciulli,
-fatti uomini sostennero e combatterono, dalle mura
-di Firenze assediata, contro il Papa e l'Imperatore, le
-ultime battaglie della libertà italiana.
-</p>
-
-<p>
-Un'egual gagliardia di sentimenti e di opere; un intenso
-sforzo di tutte le energie morali, e un cupo raccoglierle
-e quasi appuntarle alla vita pratica, al riuscire;
-durante que' trentacinqu'anni, che intercedono fra
-il rivolgimento popolare nel 1494 e la caduta della Repubblica
-nel 1530, animano del pari l'un campo e l'altro:
-gli eredi e rivendicatori della libertà manomessa; e gli
-eredi e sostenitori delle splendide ambizioni di chi la
-vuole ormai sopraffatta. Anche sulle manifestazioni dell'arte,
-e nella elaborazione del pensiero, incombe il
-travaglio dell'ignoto avvenire. Il giardino Mediceo di
-San Marco, dove il Poliziano erudiva ne' miti ellenici i
-pittori e gli scultori, e nella storia carlovingia Luigi
-Pulci, e il Ficino cercava in Platone conciliazioni feconde
-tra la civiltà pagana e la fede di Cristo, quel
-giardino è deserto. Ora è il Machiavelli che nelle conversazioni
-degli Orti Oricellarii idealizza le togate figure
-di Roma antica, e ne entusiasma i giovani che congiureranno
-contro i Medici, mentr'egli da quella grande
-nostra storia romana dedurrà dottrina di Stato, destinata
-a chi, in tristi tempi con tristi mezzi, sappia far
-trionfare, per la salvezza d'Italia, un'idea generosa. Ma
-i Medici, ne' quali egli vagheggia il suo principe, muoiono
-giovani: e sulle loro tombe Michelangiolo scolpisce il
-<span class="pagenum" id="Page_137">[137]</span>
-Pensiero doloroso e la Notte. Ben diverso trionfo, e non
-generoso, alla fortuna della loro famiglia preparano, fattone
-strumento le Somme Chiavi, Leone X e Clemente VII:
-ma per tutto cotesto periodo, di resistenza e di contrasto,
-durante il quale difesa, ritorni, congiure, cacciate, si alternano,
-per poi conchiudersi in quella caduta da eroi
-sulla quale irraggia la sua luce il Ferruccio, la vita civile
-e la domestica non sono più nè possono essere il
-gaio vivere, a sicura letizia intonato, nel quale, da Cosimo
-a Lorenzo, Firenze aveva sorbito lentamente la
-dissuetudine dalla libertà. I carnevali del magnifico Lorenzo
-vecchio de' Medici, come lo chiamano i contemporanei
-del nipote suo Lorenzo, che col ducato d'Urbino
-anticipa ai Medici il titolo ond'è per coronarsi in Firenze
-la loro secolare cupidigia, quei carnevali non tornano
-più: nè valgono a rattizzarli le Compagnie del Broncone
-e del Diamante, nelle quali, sotto le imprese e i motti
-e l'auspicio di que' passati splendori, si raccoglie a darsi
-piacere la gioventù pallesca. I tempi non sono più quelli,
-nè per Firenze, nè pur troppo, dopo la calata di Carlo VIII,
-per tutto il resto d'Italia.
-</p>
-
-<p>
-E la donna? Fedele custode delle sue tradizioni, in cotesta
-vita che è divenuta tutta una guerra guerreggiata
-di foschi interessi, essa ha vegliato e veglia agl'interessi
-del focolare: specialmente la madre. Quando il magnifico
-Lorenzo perdette la sua, “Ho perduto„ scrisse “un
-unico refugio di molti mia fastidii e sollevamento di
-molte fatiche, uno instrumento che mi levava di molte
-fatiche„. “Tornate a vostra madre che con tanto desiderio
-vi aspetta„; scriveva la Macinghi Strozzi: e
-ai figliuoli esuli la voce di quella valente vecchia era
-come la voce cara della patria, della patria che riapriva
-loro le braccia, per tanti anni sì crudelmente serrate. E
-così la Lucrezia come l'Alessandra hanno quasi con le
-loro proprie mani fatto i matrimoni de' loro figliuoli; sottoponendo
-<span class="pagenum" id="Page_138">[138]</span>
-al sindacato del loro occhio materno, nelle
-possibili nuore, tutto, dalla persona all'animo, ai costumi,
-al parentado, alla dote: e fra le passate in rivista dall'Alessandra
-è, con non troppo favore, la bella Marietta
-delle armeggerie e della neve. Ora la Maria Salviati vedova
-del gran capitano Giovanni delle Bande Nere, attende
-alla futura grandezza del suo Cosimo, che a diciott'anni
-improvvisamente duca di Firenze, saprà, educato
-da quella donna di alto animo, sottomettere o schiacciare
-i nemici, se anche si chiamino Filippo e Piero Strozzi,
-deludere o respingere le pericolose ambizioni de' partigiani,
-se anche si chiamino Francesco Guicciardini. Al
-buon avviamento, prima, poi alla salvezza del suo sciagurato
-figliuolo Lorenzino de' Medici, si adopera inutilmente
-la Maria Soderini: ed essa e le figliuole bellissime,
-entrate negli Strozzi, la Laudomia e la Maddalena, e dagli
-Strozzi entrata nei Ridolfi la Maria figliuola di Filippo,
-il gran gentiluomo del secolo, parteciperanno, con gli accorgimenti
-animosi e le ispirazioni de' loro cuori di madre,
-di sorella, di moglie, all'affaticarsi infruttuoso, non però
-ingeneroso, de' fuorusciti, contro l'afforzamento del principato
-Mediceo. Protesterà, contro la violenza e il tradimento
-che lo hanno insediato, la figliuola d'uno di
-quei fuorusciti, Giulia di messer Salvestro Aldobrandini;
-che nella corte d'Urbino, richiesta da Fabrizio Maramaldo
-di ballare con lui, “Levatemivi dinanzi„, gli risponde
-“chè ammazzaste così vigliaccamente il Ferruccio„.
-Ma tra le vittime del novello principe cadrà
-una gentile di quella schiera, Luisa Strozzi; sulla cui
-tragedia, e su quella che pochi anni appresso involge
-nel mistero la morte del padre suo Filippo, aleggiano
-sinistramente le parole dell'ava veggente: Chi è contro
-a' Medici, sarà disfatto. Parole, del resto, che nella casa
-degli Strozzi non ha ascoltate una Medici stessa, la madre
-della Luisa, la Clarice moglie di Filippo e cospiratrice
-<span class="pagenum" id="Page_139">[139]</span>
-zelante alle fortunose ambizioni di lui; anima, piuttosto
-che di donna, d'uomo e dei più fieri di quel fiero Cinquecento:
-la quale ai giovinetti bastardi, nelle cui mani,
-sotto i non dissimili auspicii di papa Clemente, il moto
-popolare del 1527 trova le redini della signoria Medicea,
-ha rinfacciato la passata grandezza de' suoi antenati,
-fondata sul favore del popolo; e in nome di questo, nel
-palagio de' Medici, essa una Medici autentica, ha loro
-additata e quasi intimata la via dell'esilio.
-</p>
-
-<p>
-Forti donne, alle quali può l'uomo di cui portano il
-nome commettere con fede le faccende domestiche, de'
-figliuoli e del patrimonio, della casa e della villa; come
-messer Luigi Guicciardini, mentr'è fuori Commissario
-pe' Medici, alla sua monna Isabella, una massaia stupenda,
-che io mi onoro d'aver rivelata dalle sue lettere campagnuole:
-commettere e raccomandare la custodia del palagio,
-e il decoro della casata; che alle mani della moglie
-di Pierfrancesco Borgherini, madonna Margherita, saranno
-sicuri. E quando un Della Palla, incettatore per
-re Francesco di Francia di tesori artistici dalle case della
-nostra città, si presenta con mandato (pur troppo!) dei
-Priori alla casa di monna Margherita a mercanteggiare
-una sua camera, meravigliosa pe' lavori di Iacopo da
-Pontormo, quella davvero nobilissima gentildonna lo riceve
-così: “Adunque vuoi essere ardito tu Giovambattista,
-vilissimo rigattiere, mercantuzzo di quattro denari,
-di sconficcare gli ornamenti delle camere de'
-gentiluomini, e questa città delle sue più ricche ed
-onorevoli cose spogliare, come tu hai fatto e fai tuttavia
-per abbellirne le contrade straniere ed i nemici
-nostri? Io di te non mi meraviglio, uomo plebeo e nimico
-della tua patria; ma dei magistrati di questa
-città, che ti comportano queste scelerità abominevoli.
-Questo letto che tu vai cercando per lo tuo particolare
-interesse e ingordigia di danari, come che tu vada
-<span class="pagenum" id="Page_140">[140]</span>
-il tuo mal animo con finta pietà ricoprendo„, cioè di
-conciliare a Firenze assediata la benevolenza del Re “è
-il letto delle mie nozze, per onor delle quali Salvi mio
-suocero fece tutto questo magnifico e regio apparato,
-il quale io riverisco per memoria di lui e per amore
-di mio marito, ed il quale io intendo col proprio sangue
-e con la stessa vita difendere. Esci di questa casa
-con questi tuoi masnadieri, Giovambattista; e va', di' a
-chi qua ti ha mandato comandando che queste cose
-si lievino dai luoghi loro, che io son quella che di qua
-entro non voglio che si muova alcuna cosa: e se essi,
-i quali credono a te uomo dappoco e vile, vogliono il
-re Francesco di Francia presentare, vadano e sì gli
-mandino, spogliandone le proprie case, gli ornamenti
-e letti delle camere loro. E se tu sei più tanto ardito
-che tu venga per ciò a questa casa, quanto rispetto
-si debba da' tuoi pari avere alle case de' gentiluomini,
-ti farò con tuo gravissimo danno conoscere„. La conversazione
-o, se anche vogliamo, l'amplificazione di queste
-generose parole di donna in una pagina del buon Vasari,
-mi pare debba riconciliarci alquanto con l'oratoria dei
-Cinquecentisti. Ma voi, quando nel Palagio del Potestà
-passate innanzi ad un mirabile cammino in pietra di
-Benedetto da Rovezzano, che da una sala appunto delle
-case che furono de' Borgherini colà trasferito, è ormai
-assicurato al patrimonio intangibile della nazione italiana,
-siate superbe, o gentildonne fiorentine, della vostra concittadina;
-e se mai occorresse, ricordatevi dell'esempio
-ch'ella vi ha dato.
-</p>
-
-<p>
-Che se la Margherita e l'Isabella favoreggiano, e la
-Maria Salviati Medici rappresenta essa stessa potentemente
-quella parte Medicea dalla quale, almeno in quel
-truce epilogo delle sue ambizioni, rifuggono le simpatie
-di noi tutti (compreso, senza dubbio, l'apologista dotto
-e sagace, per la cui eloquenza ha in questa sala rivissuto
-<span class="pagenum" id="Page_141">[141]</span>
-una genialissima ora di vita il magnifico Lorenzo)<a class="tag" id="tag97" href="#note97">[97]</a>;
-se la Clarice Medici Strozzi, e le gentildonne de' fuorusciti,
-agitano in petto, insieme con altre passioni più nobili, gl'interessi
-altresì e i rancori di ambizioni men della Medicea
-fortunate; non mancano poi alla libertà che muore, non
-mancano dal popolo che per lei combatte senz'altra ambizione
-nè amore che non sia essa stessa la libertà, le
-sue eroine. Eroine anonime, come le dà la plebe, generosa
-de' nomi non meno che del sangue (così non ne
-fosse prodiga anche a chi la inganna e la sfrutta!); anonime,
-e nella veglia del malinconico inverno de' casolari
-affigurate in leggenda. Tale la Lucrezia Mazzanti figlinese,
-che nei gorghi del suo Arno cerca scampo alle
-brutali violenze della soldataglia imperiale e papale: matura
-sposa quarantenne, ma che il popolo vuole restituita
-alla poesia dell'intatta giovinezza, mentre alla novella
-Lucrezia romana dedicano il loro latino gli ultimi umanisti
-del Rinascimento, che il Bruto cesaricida esalteranno
-in Lorenzino de' Medici. E dalle popolari memorie,
-nella storia del tempo raccolte, effigiò modernamente il
-Guerrazzi, quando ne' duri anni della servitù d'Italia
-volle essere l'Omero della libertà fiorentina, quella che
-egli denominò monna Ghita setaiuola in Borgo San Friano:
-“alta della persona, magra, adusta dal sole, sicchè sembrava
-di colore del rame; i muscoli del collo grossi e
-protuberanti, le vene turgide, le labbra vermiglie, e
-comunque tacessero, agitate; le narici ansose, gli occhi
-fulgidissimi, perpetuamente volgentisi da un lato
-all'altro; i contorni del volto squadrati, la faccia ossuta„;
-una Parca di Michelangiolo: la quale, vedova
-e povera, dà alla difesa della patria le buccole d'oro
-delle dónora maritali, e il figliuolo unico: “il mio Ciapo
-di sedici anni e otto mesi, perchè deve entrare ne' diciassette
-<span class="pagenum" id="Page_142">[142]</span>
-come si arriva alla festa di San Zanobi„;
-dopo fattogli giurare sul Crocifisso il giuramento con
-che la Spartana consegnava al figliuolo lo scudo: O con
-questo, o su questo. Ultima espansione da cuore di madre
-popolana, dell'amor di patria nel sacrifizio della famiglia.
-Succederanno i tempi ne' quali il popolo italiano
-dovrà dimenticare d'avere una patria, cercar nelle gride
-(povero Renzo!) il diritto d'avere una famiglia: e agli
-oppressi dalla doppia tirannide, politica e sociale, non
-rimarrà altra voce, se non il pianto di Lucia che dice
-addio a' suoi monti.
-</p>
-
-<h3>VI.</h3>
-
-<p>
-La libertà repubblicana è caduta: e su quelle rovine
-han fatto le loro paci, la Chiesa di Roma, che per entro
-alla corruzione secolare e alle pagane eleganze ha giocata
-la sua unità, e il sacro Romano Impero, le cui idealità
-medievali son fatte così una brutta cosa, nella greve
-signoria di Carlo V spagnuolo, del monarca su' dominii
-del quale il sole non tramonta. Splendori di corti, di
-pensiero e di roghi, illumineranno l'età che incomincia,
-della quale il mio tema varca sfiorando le soglie, e destinata,
-o Signore, alle conferenze del prossimo anno.
-Nei sozzi e atroci drammi coniugali dei duchi e granduchi
-Medici e de' loro cortigiani, ultima che ritragga
-dell'antico “femminile„ fiorentino, bella, culta di lettere,
-esercitata nella poesia, nella musica, nell'uso di più lingue,
-del volgar nostro intendentissima, gentile d'animo,
-è l'infelice Isabella Medici Orsini. Altre gentili ospita il
-chiostro; il chiostro, talvolta cercato e invocato, troppo
-più spesso destinato alla inconsapevole innocente fanciullezza
-da quelle tirannidi gentilizie, scellerate e codarde,
-delle cui vittime la Geltrude del Manzoni è vendetta
-immortale. E nel chiostro, da uno ad un altro trafugandola
-<span class="pagenum" id="Page_143">[143]</span>
-gelosamente, i repubblicani fiorentini dell'Assedio
-avean custodita Caterina de' Medici: come utile
-ostaggio, speravano; e non sapevano di serbarla a ben
-altre fortune. “Andate, e dite a que' miei padri e signori,
-che io intendo d'essere monaca, e di starmi in
-perpetuo con queste mie reverende madri„; mandava
-ella a dire alla Signoria: l'aspettavano invece il trono
-di Francia, e le guerre civili di religione, e la <i>Saint-Barthélemy</i>.
-</p>
-
-<p>
-Ma ai dolci silenzi della meditazione pietosa sulle
-umane colpe e sventure, agli entusiasmi verso Dio buono,
-ai terrori di Lui giusto, era nata Caterina de' Ricci, che
-in San Vincenzio di Prato si chiude giovanissima, negli
-anni durante i quali per un'altra di quel casato, la Marietta
-Ricci Benintendi, duelli di non degno amore intermezzano
-le battaglie della libertà, e il nome d'un'altra
-Ricci, Cassandra, è vituperato fra le tresche e nel
-sangue. Caterina nel chiostro riceverà le ultime tradizioni
-e gli affetti de' seguaci di frate Girolamo; appiè
-dell'altare, sul quale ella un dì sarà santa, consacra la
-religione del martirio di lui: e dal chiostro, non ripudiata
-l'umana fraternità, a' suoi di casa parla, nelle <i>Lettere</i>,
-parole di pace, di conforto, d'amore; ai prelati suoi
-superiori, di reprensione reverente, ove occorra; agli uomini,
-che tra le cure civili o mercantili si travagliano,
-parole di virtù operosa e che si affisa nell'alto; di giustizia,
-ai principi; di miti e caritatevoli affetti, alle donne;
-e delle due che furono le mogli di Francesco de' Medici,
-ama Giovanna d'Austria infelice, prega e fa pregare Dio
-per Bianca Cappello.
-</p>
-
-<p>
-Nè con l'infoscarsi, sempre più cupo, de' tempi, col
-sempre più gravemente incombere sulla libertà politica
-e del pensiero la domestica e la straniera tirannide,
-manca ne' chiostri, alla pietà verso chi rimane nel mondo,
-il cuor della donna: o l'abbiano esse lasciato, o esso il
-<span class="pagenum" id="Page_144">[144]</span>
-mondo le abbia allontanate da sè, quelle buone sentono e
-fanno suoi i dolori della famiglia alla quale appartennero.
-Sulla collina d'Arcetri si raccoglie a morire, quasi
-prigioniero, il grande liberatore del pensiero moderno,
-Galileo: ma presso alla villa del Gioiello, che oggi nel
-suo nome ci è sacra, vegliano su lui, dal convento di
-San Matteo, l'affetto e la preghiera d'una santa creatura,
-che data a lui dall'amore, egli è forse colpevole di
-avere, sin dalle fasce, destinata all'espiazione; della sua
-Virginia, che egli ha voluto sia suor Celeste: ed ora
-ella viene a lui, non potendo di persona, con le <i>Lettere</i>
-nelle quali quella cara anima è sopravvissuta anche a noi:
-e si accuora de' suoi dolori, e trepida delle sue malattie;
-e si prostra reverente al suo divino intelletto che “penetra
-i cieli„; e in una rosa, che gli manda nel cuor
-dell'inverno, vuole intravvegga, di là dal “breve e oscuro
-inverno della vita presente, la primavera dell'eternità„;
-e s'addossa ella le penitenze spirituali impostegli dal
-Sant'Ufizio; e al ricevere un suo libro, o al sapere di
-onoranze resegli, esulta; e vorrebb'essere “in una carcere
-assai più stretta di quella in che si trova„, per far
-libero lui; nè le duole di esser monaca, se non quando
-sente ch'egli è malato, per non potere assisterlo; e dovendo
-come le altre monache scegliere fra i Santi il
-Santo “suo devoto„, non altri sa scegliere, con sublime
-profanità di figliuola, che il padre suo, il padre che
-prega Dio le sia conservato, “perchè dopo di lui non
-mi resta altro bene nel mondo„. E quando cotesto martirio
-di amor filiale incarcerato ha il suo termine, e a
-trentatrè anni ella muore, il povero glorioso vecchio
-sentirà spezzato il più caro vincolo che ancora lo congiungesse
-col mondo; più dura e crudele gli pesa ora
-la guerra indegna che in lui è fatta ai diritti e all'avvenire
-dell'umanità: e di lì a breve, cieco, infermo, degnato
-di concessioni umilianti come a colpevole ravveduto,
-<span class="pagenum" id="Page_145">[145]</span>
-fattogli elemosina di licenza e di permessi come
-a tollerato dai potenti della terra, egli che ha rivelato
-i misteri del cielo, nel presentire la morte: “Mi sento„
-esclama “continuamente chiamare dalla mia diletta
-figliuola„. Nè so se la donna abbia mai scritta nella
-propria storia una pagina che valga cotesto grido paterno,
-uscito dal cuore di Galileo.
-</p>
-
-<h3>VII.</h3>
-
-<p>
-Le libertà repubblicane caddero, e successero i tempi
-infausti della servitù: ma al terzo secolo da quella caduta,
-il sepolcro si è dischiuso, e la libertà d'Italia risuscitò
-da morte. E la donna italiana, così da Firenze
-come da ogni altra città e villaggio e borgata della patria
-che è nostra, ha dato a quel risorgimento i dolori
-del sacrificio e del martirio, le ansietà delle trepidanti
-speranze, il pensiero e il lavoro degli uomini ch'ella ha
-amato e ispirato, la vita propria, il sangue de' suoi
-figliuoli; da Eleonora Fonseca a Teresa Confalonieri,
-dalla madre dei Ruffini alla madre dei Cairoli: all'Italia
-han dato il fior dell'ingegno la Guacci, la Turrisi Colonna,
-la Ferrucci, la Brenzoni, la Paladini, la Percoto,
-la Milli, la Mancini, la Fusinato. O madri toscane, o
-spose, o sorelle, o figliuole, che da Curtatone e Montanara
-alla rivendicazione di Roma le sante battaglie della
-libertà orbarono de' vostri cari; o gentildonne animose,
-o buone popolane, della nostra Firenze; la tradizione
-con le forti donne dell'antica nostra istoria è per voi
-ricongiunta.
-</p>
-
-<p>
-Nè più tardi d'ieri, da una collina le cui vigne e gli
-oliveti ombreggiavano una tomba recente, è disceso un
-feretro, che da quella tomba trasferiva, così volendo la
-nazione, in Santa Croce, e restituiva al sepolcro degli
-avi suoi, de' Priori e Gonfalonieri della nostra Repubblica,
-<span class="pagenum" id="Page_146">[146]</span>
-la salma di Ubaldino Peruzzi, nella cui persona,
-il 27 aprile di trentadue anni fa, Palazzo Vecchio tornò
-al suo antico signore, il Popolo fiorentino. Pia custode
-di quella tomba gloriosamente vuota, è rimasta una
-Donna: che tanto seppe, tanto potè, nei pensieri e negli
-affetti di lui; che lo animò, lo aiutò, alle onorate fatiche,
-ne' dubbi lo consigliò, gli confortò i patimenti, gli consolò
-le ingiustizie, gli allietò i trionfi. Storia, che in tutti
-i paesi civili, in tutte l'età, è la storia vostra, o Signore:
-che compendia i diritti e i doveri vostri verso
-le due grandi non distruggibili società, delle quali voi
-siete l'anima immortale: la famiglia e la patria.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_147">[147]</span>
-</p>
-
-<h2 id="poliziano">IL POLIZIANO E L'UMANESIMO</h2>
-
-<p class="center">
-DI
-</p>
-
-<p class="center large">
-GUIDO MAZZONI.
-</p>
-</div>
-
-<p class="pad2 indl">
-<i>Signore e signori</i>,
-</p>
-
-<p class="pad2">
-Presentarmi a voi, che avete fama meritata di giudici
-eletti, a voi che pur ne' giorni scorsi udiste Adolfo Bartoli
-e udirete dopo me altri che io reputo maestri miei,
-per discorrere del Poliziano e dell'Umanesimo, argomento
-grave e forse nell'ampiezza sua meno adatto alle strette
-d'una lettura, sembra audace a me stesso: ma non si
-conveniva a me fiorentino negar l'opera mia in una impresa
-di cui Firenze si compiace, come è questa delle
-pubbliche letture; dirò più schietto, non mi diè l'animo
-di rifiutare l'onore che mi si fece invitandomi qui. Di
-che a ottenere più agevole indulgenza, tacerò ogni altro
-preambolo. Ma prima consentite ch'io vi preghi a unirvi
-meco in un desiderio di tutti gli studiosi. Isidoro Del
-Lungo ha da mantenere certa sua promessa: ha da darci
-quella vita del Poliziano della quale pubblicò saggi per
-dottrina e per critica eccellenti; promessa giovanile, cui
-stima sottrarsi affermandola invecchiata con lui; promessa
-di galantuomo e valente, che vuole essere mantenuta,
-voi gli rispondete con me. A un libro del Del
-Lungo non si rinuncia così per fretta; e troppo, nel tornare
-per voi sul Poliziano, troppo ho risentito quel che
-importi averne o no la guida sicura.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_148">[148]</span>
-</p>
-
-<h3>I.</h3>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Dolci gli studii un tempo già m'erano: ahimè che m'incute,</p>
-<p class="i02"> la Povertà, co' suoi luridi cenci, orrore!</p>
-<p class="i01">Onde, poi che 'l poeta non è che ludibrio del volgo,</p>
-<p class="i02"> stimo più savio cedere a' tempi anch'io.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Questo lamento, che suona troppo più efficace ne' distici
-latini dell'originale, questo sospiro di Angelo Ambrogini
-(sarà tra breve il Poliziano) alla quiete e agli agi
-di una vita, quale egli desiderava la sua, tutta spesa
-sui libri degli antichi e nell'esercizio dell'arte, è schietto
-documento dello stato e dell'animo di lui quindicenne.
-Cinque anni prima, gli avevano ammazzato il padre, per
-ciechi odii, ferocemente; il padre, messer Benedetto,
-uomo di legge, onorato d'alti offici nella patria Montepulciano,
-poi giudice a Pisa, cui non era valso chiedere
-protezione a Piero di Cosimo de' Medici, che “per l'amore
-de' suoi piccoli cinque figliuolini, lo sicurasse in modo
-che potesse starsene sicuro a casa sua senza portar
-arme, che non era suo mestiere„; nel maggio del 1464,
-tentando egli invano ripararsene con le mani inermi,
-l'avean morto più colpi di coltello e di partigiana. Vendetta,
-come allora si usava, ne era stata presa, due anni
-dopo, da un nipote che, sangue per sangue, uccise gli
-uccisori: ma la vedova si era rimasta con que' cinque
-figliuolini, e avea dovuto mandare il maggiore di essi,
-Angelo, a Firenze, da un cugino del marito, perchè si
-cercasse migliori fortune.
-</p>
-
-<p>
-Tardavano queste; ed Angelo sentiva ogni dì più, nell'animo
-vivace, nella mente addestrata alle lettere, il
-disagio e il cruccio della miseria, onde quel sospiro che
-dianzi avete ascoltato. Ma come, giovinetto quale era, povero
-<span class="pagenum" id="Page_149">[149]</span>
-quale era, potesse dare al sentimento la veste succinta
-di un epigramma latino, non intenderà chi non
-rammenti che fosse, a mezzo il secolo decimoquinto, la
-coltura italiana e più specialmente la fiorentina; non rammenti,
-cioè, i modi e i luoghi di quell'amore anzi furore
-per gli studii delle lettere che ebbe allora, con parola
-ciceroniana, rimasta fino a' dì nostri nell'uso delle scuole,
-titolo di umanità; delle lettere, anzi di tutta quanta la
-vita latina e greca; perchè parve che l'Italia, dopo le
-vicende barbariche, volesse riabbracciarsi stretta alla
-madre Roma, e quasi per ossequio di lei venerare più
-da presso gli esemplari della vita e dell'arte che i Romani
-stessi avevano ammirato nei Greci.
-</p>
-
-<p>
-Alla parola Rinascimento non può ormai attribuirsi il
-senso che anche qualche anno fa le era attribuito: tra
-la lingua e la civiltà latina, tra la lingua e la civiltà
-nostra, distacco non fu. Come la persistenza del latino
-letterario per tutte le scritture nell'età di mezzo basterebbe
-a dimostrare, se altre testimonianze mancassero,
-la persistenza dell'insegnamento; come le opere degli
-antichi, giunte fino a noi su libri copiati nell'uno o nell'altro
-secolo di quell'età, dimostrano che mai non furono
-del tutto obliate, e le citazioni e le imitazioni ne dan
-riprova; così i vanti delle famiglie e delle città che ripetono
-a gara l'origine degli antichi eroi, e ne onorano
-i sepolcri che si credono recuperare, e conservano o dànno
-ai magistrati i nomi d'un tempo gloriosi, affermano che
-il popolo d'Italia non smarrì mai, e viva e intiera riebbe
-presto, la coscienza del sangue suo, del latin sangue gentile.
-Sì che Dante, il quale osava, contro il dispregio
-delle scuole, levare alle altezze del suo pensiero la parlata
-del volgo, Dante si stima, proprio perchè fiorentino
-de' puri, romano, e fa che Virgilio si stringa fra le braccia
-con amore di compatriotta il recente Sordello, e a
-Virgilio si fida come a connazionale, dicendolo, con orgoglio
-<span class="pagenum" id="Page_150">[150]</span>
-di comunanza, nostro. E neppure si era mai spenta,
-fosse pur fioca e vacillante, la luce degli studii greci,
-alimentata da quanto la Chiesa d'occidente nei testi e
-nei riti aveva di greco, da quello che avevano dato e davano
-a tratti le ragioni politiche, dal più che recavano
-i commerci continui tra le repubbliche nostre e l'impero
-orientale. Morte dunque non fu, e parola fallace è perciò
-quella del Rinascimento; non da sbandirla, ove s'intenda
-che l'Italia, nei secoli dall'undecimo al decimosesto,
-rinvigorita, rallietata tutta, ebbe come una nuova gioventù
-di fede in sè e di gagliardia; quasi una grande
-quercia che, dopo aver frondeggiato ne' secoli, rotta ed
-arsa da più fulmini, sembri, per una stagione, destinata a
-perire; ma le percosse stesse e il riposo le hanno invece
-giovato, e getta fronde novelle, di verde più gaio, e torna
-a dare ombre dilette e ghirlande di gloria.
-</p>
-
-<p>
-Ma per pochissimi che delle lettere classiche sapevano
-tanto da valersene come di nutrimento vitale al pensiero,
-per pochi che almeno modellavano lingua e stile
-su questo o su quell'autore de' buoni, quanti (e parlo
-sempre degli uomini colti) confondevano le forme della
-grammatica in un gergo strano, dove non era nè il latino
-corretto nè il volgare schietto, e le cose e gli uomini
-dell'antichità confondevano in una scienza tutta errori
-e leggende! Il popolo s'era fatto un Virgilio mago,
-del quale narrava le arti: come avesse purgata Napoli
-dall'aria cattiva, dalle sanguisughe che ne guastavano
-le acque, dalle cicale, dalle mosche, dalle zanzare che
-la tediavano, dalle serpi che la infestavano; come avesse
-aperto il monte di Posillipo, e, quel ch'è più, atterrito
-il Vesuvio dall'erompere, con la statua d'un arciere
-pronto sempre a saettarlo. Molte di queste e altre tali
-meraviglie ingrossavano la biografia del poeta ai tempi
-del Petrarca; e un fiorentino non incolto, Antonio Pucci,
-ne registrava alcune in un suo zibaldone, avvertendo
-<span class="pagenum" id="Page_151">[151]</span>
-che “quantunque paiono a grossi huomini favole perchè
-in loro cuore non le possono comprendere, abbi quelle
-che udirai per vere„. E un altro poeta, più oltre, sui
-primi del quattrocento, poteva di Virgilio arditamente
-affermare che, andato a scuola,
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">per la testa grossa che lui avia,</p>
-<p class="i01">da' scolari Marone era chiamato.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-E già era stato detto innanzi, Virgilio derivare da <i>ver
-gliscens</i>, perchè ei fu vario e fecondo come la primavera,
-e Marone dal mare, perchè abbondante di scienza
-come d'acque il mare. Così d'Ovidio e il popolo e i dotti
-favoleggiavano miracoli; e sul nome facevano, ch'era
-esercizio consueto, belle fantasie: “Ovidio fu poeta (scriveva
-uno de' primi commentatori di Dante) et fu chiamato
-Publio, et per sopranome Ovidio <i>ab ovo</i>, perchè
-aveva tondo il viso, ritratto come un ovo: fu ancora
-chiamato Nasone, perchè aveva uno grande naso.„ Sallustio
-era fatto da alcuni zio di Cornelio Nipote; Stazio,
-contemporaneo di Ennio, e padre di due figliuoli, Archimede
-e Tebaide, nei quali è facile, con la correzione
-del primo nome in Achilleide, riconoscere i poemi suoi;
-e quasi nomi di uomini erano già stati citati <i>Eunuchus
-comoedia</i> e <i>Orestes tragoedia</i>; Plinio il vecchio, confuso
-col giovane, aveva ai molti libri suoi la giunta di leggende
-su Lucifero e su l'Anticristo; e Marziale, per
-gli epigrammi culinarii, il titolo di cuoco. Nè più si sapeva
-o si capiva della mitologia: “Venus fue una bellissima
-donna, regina de Cipri, e fue sì bella che quanti
-la vedeva di lei innamorava: unde dapuò la sua morte
-fue deificata e dicta dea de lo amore„; “Apollo nacque
-in Delo e fue sommissimo astrolegho e tractò del corso
-del Sole; e per tanto fue deifichato in lo quarto pianeta.
-Questo Apollo che uno figlio dicto Eschulapio, che
-<span class="pagenum" id="Page_152">[152]</span>
-grande tempo medichò per la scienza del padre; imperò
-che Apollo fue lo primo che trovasse la medicina, et
-poi stete grande tempo persa, perchè, morto Eschulapio,
-le grosse giente arsero i libri, perchè trovavano che le
-cose venenose intravano nelle medicine; et non sapendo
-considerare l'utele de la scienza, desfecero i libri.„ Basti
-il saggio breve: tali, su per giù, la conoscenza e l'intelligenza
-dei miti negli anni in cui il Petrarca e il Boccaccio
-si affaticavano a restaurarne lo studio, e iniziavano
-la critica filologica e storica; dove è da notare, per
-segno dei tempi, che il Petrarca a Roberto re, il quale, presenti
-molti, lo dimandava sulla grotta di Posillippo, se
-la credesse anch'egli opera della magia virgiliana, rispose
-deridendo quelle stoltezze; e il Boccaccio, invece,
-nel commento all'Inferno dantesco, le ribadiva. Le menti
-del medio evo, disadatte a uscire dal cerchio del presente,
-e giorno per giorno seguitando ad allontanarsi inconscie
-dal modo antico di vedere e di rappresentare, non intendevano
-più nè l'arte nè la vita de' secoli greci e romani;
-e quando volevano rappresentarle, le travestivano.
-Ciò che alla mitologia, accadde alla storia: Teseo diventò
-duca d'Atene; Atene ebbe una università come
-avevano allora Parigi e Bologna; Alessandro Magno,
-dopo aver corso co' suoi baroni e signori tutto l'Oriente,
-scese in una gabbia di vetro fin giù nel fondo del mare,
-tentò l'entrata del Paradiso terrestre; Nerone partorì dal
-fianco una ranocchia; la regina di Fiesole, Belisea, prigioniera
-di Catilina, andò “la mattina di Pasqua di Pentecosta
-alla chiesa nella Calonaca di Fiesole alla messa„
-(mi è ben lecito citar qui il Malispini); e Catilina, sfidato
-da Attila “fece con lui sì aspra battaglia, che pochi
-ne camparo dall'una parte e dall'altra, e Attila fu ritrovato
-morto presso all'Arno, e Catellina fu ritrovato
-morto nella costa di Fiesole„.
-</p>
-
-<p>
-Tale, fino a non più che cento anni innanzi al Poliziano,
-<span class="pagenum" id="Page_153">[153]</span>
-e anche più da presso, la dottrina che scrittori
-non incolti avevano dell'antichità. E quanto sapessero
-di latino, per quel che è della correzione e dell'eleganza,
-mostra il latino stesso di Dante, che pur sapeva
-a mente tutta l'Eneide: dirò di più, il latino stesso del
-Petrarca, tanto migliore di quel di Dante, e pur tanto
-lontano ancora dalla retta imitazione de' classici, e spregiato
-per ciò dagli umanisti più tardi, non senza ragione,
-come barbarico. E sì che il Petrarca fu davvero,
-quale lo vantano i frontespizii nelle antiche stampe delle
-opere sue, “filosofo, oratore e poeta chiarissimo, della
-rifiorente letteratura e lingua latina, per molti secoli da
-orrenda barbarie deturpate e quasi sepolte, confermatore
-e instauratore„. Parole magnifiche, ma non false. Discepoli
-suoi possono infatti considerarsi e il Boccaccio e il
-Salutati e il Marsigli e il Malpaghini, co' quali l'erudizione
-classica meglio si addestrò e si fe' laica e divenne
-parte necessaria della vita civile e politica. D'allora in
-poi l'umanesimo, sì bene avviato, avanza ogni anno di
-spazio, cresce ogni anno d'intensità: Firenze è il focolare;
-le faville se ne diffondono per tutta Italia, e, secondo
-i luoghi, suscitano fiamme nuove o dan forza ai
-fuochi che già ardevano chetamente: a Venezia, Padova,
-Verona, Milano, Pavia, Genova, Mantova, Ferrara,
-Bologna, Rimini, Urbino, Pesaro, e Foligno, e Camerino,
-a Siena, a Roma, a Napoli, là dove era un reggimento
-aristocratico, repubblicano o principesco o pontificio che
-fosse, ivi da per tutto chiamare maestri, raccoglier libri,
-educare i giovani alle lettere con lezioni e con dispute,
-reputare decoro e utile della città e dello Stato
-un cancelliere che sapesse vestire consulte e ambasciate
-di adequati e sonanti ed efficaci periodi. Da queste città
-in altre attorno minori; dalle corti e da' magistrati supremi
-nelle famiglie, fino alle donne. Leggesi sulla fine
-del trecento, di una gentildonna veneziana: “Chostei fu
-<span class="pagenum" id="Page_154">[154]</span>
-lodata et dotata de una piacevole grammaticha (seppe,
-cioè, di latino), et udio li poeti (i latini, s'intende) in
-questo muodo, che, essendo lei fanzulla, la madre la
-mandò a la scola perchè imparasse da legere a ziò che
-dire potesse lo officio de Nostra Donna; poi, essendo
-grande, intanto lo padre teneva uno grande maestro in
-poexia che legieva a li figioli li autori; et chostei, udendo
-quelli, et udendo latinare, meravigiosamente si fece saputa,
-et molto si dilectò in Virgilio, et piacevolmente
-lo intexe, e sì bene che io, che zià la udi' parlare, a
-pena me'l consento.„ Ben s'intende come, un secolo
-dopo, il Poliziano, visitata a Venezia Cassandra Fedele,
-dotta di greco e di latino, sì che la Repubblica gelosa
-non volle mai che, per inviti di re e di pontefici, lasciasse
-la terra di San Marco, il Poliziano potesse scriverne
-a Lorenzo de' Medici: “È cosa mirabile.... Partimi
-stupito.„ Nè che in Firenze ricambiasse con lui epigrammi
-greci Alessandra Scala, che in greco recitava
-l'Elettra di Sofocle.
-</p>
-
-<p>
-Perchè anche gli studii del greco, che fino al secolo
-undecimo avevano, se non fiorito, perdurato, specialmente
-nell'Italia meridionale, nè mai si erano inariditi
-del tutto, si riebbero presto e divennero necessario compimento
-a quelli del latino. Fino dal 1359 il Boccaccio
-erasi accolto in casa un maestro di lettere greche, Leonzio
-Pilato calabrese, e gli avea procurata una cattedra
-in Firenze e libri greci da interpretare: e il Petrarca,
-che volle costui a Venezia, gli diede poi a tradurre, per
-prezzo, l'Iliade e l'Odissea; ormai disperava intendere da
-sè quei libri greci che aveva imparato a decifrare da
-un altro calabrese, frate Barlaam, e che, non intendendoli,
-si compiaceva almeno di possedere. Venne finalmente
-da Costantinopoli un maestro migliore, Manuele
-Crisolora; e già nel 97, per merito del Salutati, ne ascoltavano
-a Firenze le lezioni più giovani volonterosi e ingegnosi:
-<span class="pagenum" id="Page_155">[155]</span>
-quando, sette anni dopo, il Crisolora se ne tornò
-in patria, un altro giovane, Guarino veronese, lo accompagnò
-come servo, pur d'imparare! Anche il greco era
-ormai riconquistato alla coltura italiana.
-</p>
-
-<p>
-Que' giovani si spandono per l'Italia e per la Germania,
-frugano le biblioteche degli antichi conventi; traggon
-giù dagli scaffali tarlati, detergono dalla polvere
-de' secoli, i manoscritti, e gli scorrono qua e là frettolosi,
-col cuore che batte di desiderio e di speranza; ecco
-le orazioni di Cicerone, i carmi di Catullo, gli annali di
-Tacito; ecco le voci degli antichi nostri, che per lungo
-silenzio parean fioche, levarsi da quelle membrane ingiallite
-a orecchie bramose e capaci di comprendere. Ed
-altri scrivono a Costantinopoli per aver libri greci, s'imbarcano
-essi stessi, comprano, rubano talvolta; ecco Sofocle,
-ecco Platone, ecco i doni dell'arte e della sapienza
-ellenica che i nostri antichi tesoreggiarono e che noi
-vogliamo riammirare, nè ci lasceremo sfuggir più. A
-Strasburgo, nel 1439, un tale muove lite a un tal altro
-perchè gli mantenga i patti conchiusi con un suo fratello
-defunto, nell'esercizio di una certa arte arcana: i
-testimoni parlano di ordigni strani, torchi, forme, punzoni:
-il socio citato in processo è Giovanni Gutemberg.
-La stampa è inventata: l'eredità dei classici è assicurata
-al pensiero moderno; promesso e assicurato con lei
-a te, o pensiero moderno (lo dirò col poeta), il trionfo
-“su l'età nera, su l'età barbara, sui mostri onde tu con
-serena giustizia farai franche le genti!„
-</p>
-
-<p>
-Dopo il Bruni, morto nel 44, il Valla nel 57, Poggio
-Bracciolini e l'Aurispa nel 59, il Guarino nel 60, Flavio
-Biondo nel 63, l'umanesimo ha ottenuto, non tutti i frutti
-suoi, ma tutto quanto il campo che dissoderà: la critica
-e la interpretazione dei testi, la storia, la geografia, l'epigrafia,
-la numismatica; l'archeologia insomma o la filologia;
-e d'altra parte, la grammatica e la retorica come
-<span class="pagenum" id="Page_156">[156]</span>
-strumenti all'imitazione delle forme letterarie classiche:
-la correttezza, cioè, la scioltezza ed eleganza delle prose
-e dei versi sì latini che greci. Quando nel 1453 cadde
-l'impero d'Oriente (fo mia una notevole osservazione del
-Del Lungo) non furono i profughi che ci recassero la
-scienza, ma sì la scienza nostra li assicurò di accoglienze
-buone e fraterne.
-</p>
-
-<p>
-E intanto Cosimo de' Medici, di quella famiglia di popolani
-mercanti il cui nome entra nella storia tra le
-prepotenze di parte Nera nel 1301 con un assassinio,
-Cosimo, il più ricco uomo d'Italia e il più liberale, padroneggiava
-Firenze; e attorno a sè, per amor di dottrina
-e arte di governo, raccoglieva uomini di lettere e codici,
-e, conversando coi greci, ideava l'accademia platonica.
-Lo studio fiorentino avea lettori e ordinamenti
-compiuti; la città si adornava di edifici e di opere stupende;
-il danaro affluiva; la Signoria stessa si rinnovava
-di fogge e di suppellettili il corteggio e il Palazzo. Onde
-Piero, dopo la morte del padre suo che fu titolato
-padre della patria, potè meglio sentirsi e assumere sembianza
-di principe; e come principi fece educare nei costumi
-e nelle lettere i figli Lorenzo e Giuliano. Quando
-nel 1469 morì, il primogenito non titubò a pigliarsi la
-cura dello Stato; e Firenze ebbe, e nel bene e nel male,
-i giorni che già Atene con Pericle. La libera città de'
-mercanti artisti perdeva nel fatto, se non di nome, le
-istituzioni repubblicane; in ricambio non buono, acquistava
-gli splendori della corte medicea e dell'umanesimo.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_157">[157]</span>
-</p>
-
-<h3>II.</h3>
-
-<p>
-Ormai è chiaro in che modo il quindicenne Ambrogini
-potesse lamentarsi della sua miseria in distici garbati;
-ci è chiaro anche in che modo potè, indi a poco,
-rompere la malignità della sorte. La protezione che quel
-povero messer Benedetto aveva chiesta invano a Piero
-de' Medici, fu dal figlio dell'invocato protettore conceduta
-al figlio dell'assassinato, non tanto forse per la
-pietà dei casi suoi quanto per la stima dell'ingegno e
-della dottrina. Lorenzo aveva sei anni soli più dell'Ambrogini,
-e comuni con lui gli studii, del pari che alcune
-qualità della mente; pregato egli giovine poeta da un
-poeta giovine, che lo salutava e si diceva tutto suo,
-s'intende che subito ricambiasse il saluto e l'offerta con
-benevolenza di signore e cortesia di confratello. Che
-mai chiedeva in distici latini il minore al confratello
-magnifico? Prima di tutto un paio di scarpe, chè i diti
-dei piedi gli si affacciavano dalla rotta prigione alla
-vista del cielo, e un vestito, fosse pure usato, che non
-mostrasse le corde e peggio, come quello che lo faceva
-schernire da' beceri. Delle scarpe non so; il vestito venne;
-e tali furono, in versi che mi spiace dover guastare, i
-ringraziamenti:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Ben io volea più volte ne' carmi renderti grazie,</p>
-<p class="i02"> Lorenzo, o gloria prima de' tempi tuoi;</p>
-<p class="i01">sì che invocai la Musa Calliope con lunghe preghiere,</p>
-<p class="i02"> ed ella venne, e avea seco l'arguta lira.</p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01">Venne; ma come addosso mi vide le splendide vesti,</p>
-<p class="i02"> subito volse a dietro l'isbigottito piede,</p>
-<p class="i01">chè ravvisar la Dea non seppe sì bello il poeta:</p>
-<p class="i02"> troppo mi fa mirando questa vermiglia toga!</p>
-
-<p class="i01"><span class="pagenum" id="Page_158">[158]</span></p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01">Onde se a te minori dà il verso le debite grazie,</p>
-<p class="i02"> colpa ha la Dea che niega regger la penna mia.</p>
-<p class="i01">Oh che leggiadri carmi udrai, sì tosto che avvezza</p>
-<p class="i02"> a' miei splendori nuovi si sia la Musa!</p>
-</div></div>
-
-<p>
-La valentia che questi epigrammi dimostravano, fu
-confermata a Lorenzo da' maestri dello Studio, tra i
-quali Marsilio Ficino che di quello scolaro prometteva
-grandi cose: anche meglio la confermò, subito dopo, il
-secondo libro dell'Iliade, recato in esametri latini, di colore
-e sapore virgiliano, e offerto a Lorenzo medesimo.
-Il primo libro ne era stato tradotto, per desiderio di Nicolò
-V, da un segretario della repubblica, il Marsuppini,
-morto nel 1453: non potea non piacere al Magnifico,
-che l'impresa fosse continuata a Firenze, sotto gli auspicii
-suoi; ed Angelo, che secondo l'uso degli umanisti
-si ribattezzava, dal nome della patria, in Poliziano, lasciò
-la casuccia di via Saturno, dove il cugino povero
-lo aveva ospitato, e salì le scale del palazzo mediceo in
-via Larga. Le salì certo senza borbottare il verso di Dante,
-che è duro salire le scale altrui: perchè egli era giovane
-molto, e sapeva la cortesia del protettore; e perchè
-l'umanesimo aveva raddolcite le asprezze del vivere
-medievale, ma anche, mi convien dirlo, scemato il vigore
-degli animi, e adusati i letterati e gli artisti a stimarsi
-artefici di diletto e di fama ai potenti, anzi che,
-come Dante fu, gl'interpreti e i vindici della rettitudine
-e della patria. Fatto sta che il Poliziano, disposto a celebrare,
-in gloria di Lorenzo, quasi una nuova Iliade,
-perfino il sacco spietato di Volterra, e sollecito pedagogo
-ai figli di lui, se ebbe sempre a lodarsi del padrone, si
-accorse anch'egli che il pane altrui sa di sale quando
-fu poi preso in uggia dalla padrona, madonna Clarice.
-</p>
-
-<p>
-Ma tali fastidii sentì più tardi. Allora, godendosi la
-quiete operosa di che già avea disperato, attendeva alla
-<span class="pagenum" id="Page_159">[159]</span>
-versione d'Omero. Dalla quale non gli fu grave distrarsi
-per ammirare a Mantova le feste che il Gonzaga diede in
-onore di Galeazzo Sforza e Bona di Savoja sposi, nel luglio
-del 1471; per ammirarle e farvisi ammirare; poi che quivi,
-come volle il cardinale di Santa Maria Nuova, che l'avea
-conosciuto allora allora in Firenze, dovè, entro quarantotto
-ore e in quella tanta confusione, mettere insieme la
-favola d'Orfeo. Rammentatevi che il Poliziano, nato il
-14 luglio del 1454, compiva proprio in quei giorni 17 anni.
-</p>
-
-<p>
-Perchè fosse meglio inteso dagli spettatori, l'Orfeo fu
-in volgare. E forse spiacque allora al giovine umanista
-dover piegarsi, oltre all'angustia del tempo, anche a codesta
-necessità; tanto che poi si doleva, gli amici avessero
-conservato quell'abbozzo, e, pur assentendo che ormai
-vivesse, gli volle unita un'epistola a testimonio della
-sua riluttanza. Vero è che vi aveva cacciato dentro, per
-amore o piuttosto per forza, almeno una strofe saffica sua, e
-due distici d'Ovidio accomodati al proposito; ma troppo
-misero segno era quello della dottrina sua e di latino e di
-greco! Qualche anno dopo, quando a tutti egli appariva
-maestro nelle lettere classiche, s'intende invece che non
-senza un segreto compiacimento concedesse agli amici la
-favola improvvisata, in quella età e a quel modo, con
-tanta snellezza ed eleganza di rime. E il compiacimento
-gli sarebbe stato maggiore se avesse potuto prevedere
-l'importanza che un tempo si attribuirebbe all'Orfeo,
-primo esperimento certo di adattare ai metri e alle forme
-delle sacre rappresentazioni la materia profana. Un palcoscenico,
-più largo che fondo, diviso, a una certa distanza,
-da quella che oggi dicesi la ribalta, in due scompartimenti;
-al modo stesso che oggi vediamo, per esempio,
-nel <i>Rigoletto</i>; salvo che nel melodramma odierno è
-da un lato l'interno della casa, e dall'altro la via contigua,
-mentre nella favola antica le selve della Tracia
-stavano a ridosso dell'Averno, che gli spettatori dovevano
-<span class="pagenum" id="Page_160">[160]</span>
-immaginarsi sotterra; dalle selve e dall'Averno si
-facevano a mano a mano innanzi sul proscenio i personaggi;
-e supponevasi determinato il luogo dell'azione
-dallo scompartimento onde essi erano usciti. L'Averno,
-nel quale si vedevano vivi Plutone re, e Proserpina e
-Minos e una Furia, e s'intravedevano per artificio di
-pitture Issione, Sisifo, Tantalo, le Danaidi, Cerbero, le altre
-Furie, disse subito agli invitati del Gonzaga che l'arte
-del giovinetto omerico, come lo chiamava il Ficino, li
-avrebbe tratti nelle fantasie pagane; e la curiosità della
-festa, con quella novità, dovè accendersi più. Ed ecco,
-invece dell'Angelo consueto, Mercurio in persona a esporre
-l'argomento; e dopo lui, quasi a temperar la tristezza
-delle morti annunziate, un pastore schiavone, cioè trace,
-suscitare il riso ribadendo l'ammonizione agli uditori in
-un suo gergo strano:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">State tenta, bragata; bono argurio</p>
-<p class="i01">chè di cievol in terra vien Marcurio.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Ma Aristeo e Mopso, sebbene pastori traci anch'essi, dan
-principio alla favola ragionando tra loro in rime di squisito
-eloquio; e Aristeo, perchè il vecchio intenda meglio
-la forza dell'amore onde è preso, si fa accompagnare da
-lui sulla zampogna mentre canta una ballata di perfetta
-toscanità.
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Udite, selve, mie dolce parole,</p>
-<p class="i02"> poi che la ninfa mia udir non vole.</p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01">La bella ninfa è sorda al mio lamento</p>
-<p class="i02"> e 'l suon di nostra fistula non cura:</p>
-<p class="i02"> di ciò si lagna il mio cornuto armento,</p>
-<p class="i02"> nè vuol bagnare il grifo in acqua pura,</p>
-<p class="i02"> nè vuol toccar la tenera verdura;</p>
-<p class="i02"> tanto del suo pastor gl'incresce e dole.</p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01">Udite, selve, mie dolce parole,</p>
-<p class="i02"> poi che la ninfa mia udir non vole.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_161">[161]</span>
-</p>
-
-<p>
-Tirsi, servo d'Aristeo, che si vanta di avere ravviato
-con suo gran rischio nella mandria di Mopso un vitello
-smarrito, getta un'altra risata nell'azione che si affretta
-a mal fine per colpa sua; ha vista una donzella coglier
-fiori, e la descrive bellissima; onde Aristeo riconosce
-l'amata e ne va in cerca e la insegue. Passano su la
-scena correndo; poi si ode di dentro alla selva uno strido;
-un serpe velenoso ha punto la giovine che là cercava
-nascondersi dall'inseguitore. Turbati così gli animi degli
-spettatori, il poeta, quasi a intermezzo di svago, fece
-che s'inoltrasse Orfeo con in mano la lira miracolosa,
-e accennasse su questa in saffici latini le lodi del cardinale,
-figlio secondogenito del marchese Lodovico, augurandogli
-la tiara; il marchese dava la festa, il cardinale
-l'aveva voluta più bella per l'arte di lui Poliziano:
-ma l'ode, già nota, credo, a' lodati, ai quali per ciò quell'accenno
-bastava, era subito interrotta da un pastore:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Crudel novella ti rapporto, Orfeo,</p>
-<p class="i02"> che tua ninfa bellissima è defunta.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-E Orfeo, con dolorosi lamenti, andava davanti all'inferno
-a impetrare gli fosse resa Euridice, mortagli così crudelmente
-nel voler serbare la fede coniugale.
-</p>
-
-<p>
-Nel Convito di Platone si legge un raffronto di alta
-idealità tra la sorte d'Alceste e quella d'Orfeo. Alceste,
-osserva Platone, per salvare il marito suo Admeto, volle
-morire per lui, e gli Dei le concessero il premio di tornare
-dall'Ade alla luce e all'amore; ma Orfeo gli Dei
-“senza effetto rinviaron dall'Orco, dopo avergli soltanto
-mostrato la imagine della donna per la quale v'era disceso;
-non già gliela resero, chè giudicarono, si fosse
-comportato vilmente e da citaredo ch'egli era, per ciò
-che non avesse avuto il coraggio di morir per amore,
-come Alceste, ma ingegnato a penetrar vivo nell'Ade:
-<span class="pagenum" id="Page_162">[162]</span>
-e di ciò certamente lo voller punito, facendo ch'e' fosse
-morto dalle donne„. Che il Poliziano, discepolo del Ficino,
-rammentasse il Convito, non è improbabile; l'arte
-a ogni modo gli suggerì un grido almeno, che, rispettando
-il mito tradizionale, desse alla parlata d'Orfeo più
-calore di perorazione. Rendetemi Euridice,
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">e se pur me la nieghi iniqua sorte</p>
-<p class="i01">io non vo' su tornar, ma chieggio morte!</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Proserpina si commuove al lamento di costui genuflesso
-innanzi a Plutone, al lamento che ha fatti dimentichi
-i tormentati e i tormentatori dei supplizi infernali; e induce
-a pietà il marito: Orfeo riavrà Euridice, solo che
-non si volga a guardarla prima che siano tra i vivi. Ma
-il citaredo, direbbe Platone, nel cantare a gioia “certi
-versi allegri che sono d'Ovidio„ dimentica il patto, e
-perde la donna sua, cui richiede invano, subito spaurito
-(oh citaredo!), dall'opposizione di una Furia. E peggio
-fa del lasciarsi atterrire; chè bestemmia (con che ragione?
-ma la favola portava così) l'amore delle donne,
-e si propone d'ora in poi farne a meno. Sì che una Baccante
-non ha torto quando indignata chiama le compagne ad
-ucciderlo: e fuor dalla vista degli spettatori lo straziano,
-per recarne in trionfo la testa cantando le lodi di Bacco
-in una ridda gioiosa.
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Ognun segua, Bacco, te!</p>
-<p class="i02"> Bacco, Bacco, eù, oè!</p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01">Chi vuol bever, chi vuol bevere,</p>
-<p class="i02"> vegna a bever, vegna qui.</p>
-<p class="i02"> Voi imbottate come pevere.</p>
-<p class="i02"> Io vo' bever ancor mi.</p>
-<p class="i02"> Gli è del vino ancor per ti.</p>
-<p class="i02"> Lassa bever prima a me.</p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01">Ognuno segua, Bacco, te!</p>
-<p class="i02"> Bacco, Bacco, eù, oè!</p>
-</div></div>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_163">[163]</span>
-</p>
-
-<p>
-Così, non senza un po' nelle rime di quello schiavone
-o trace comico da cui aveva prese le mosse, chiudevasi
-comicamente la festa. Festa drammatica, non dramma
-vero, e tanto meno tragedia di tipo classico, quale poi
-altri la volle per altre feste racconciare alla meglio, con
-accrescerla e distinguerla in atti. Di drammatico non
-ha l'Orfeo altro che il dialogo, il quale anche vi si leva
-sempre che può alla lirica: troppo più efficace il contrasto
-degli affetti e più rude ma viva la voce d'essi,
-troppo maggiore insomma la commozione del fatto e
-dello stile, in alcuna delle rappresentazioni sacre di cui
-la festa profana aveva accettato i metri e le forme. Se
-non che, pur lasciando da parte la importanza storica
-che l'Orfeo ha, appunto per essersi valso di esse forme
-in argomento profano, oh come dolce vi sonava il volgare,
-lo spregiato volgare, ripetendo sulle intonazioni
-degli strambotti popolari le immagini elette de' classici
-greci e latini! Le Muse antiche tenevano un po' il broncio,
-nel secolo decimo quinto, alla Musa nostra novella,
-che ne' due secoli innanzi aveva, non certo volendo,
-minacciato pareggiarle e superarle in bellezza. Virgilio
-si era soffermato con Dante sulla spiaggia del Purgatorio,
-dimentico di sè e del discepolo affidatogli, a udire i versi
-di Dante medesimo, che aveva musicati e ricantava Casella:
-e le muse di Grecia e di Roma s'indispettivano
-più, ripensando quell'omaggio che il loro alunno migliore
-aveva fatto alla Musa d'Italia. Spettava al diciassettenne
-toscano, che traduceva Omero in latino, la
-gioia e la gloria del riconciliarle nella festa italiana
-d'Orfeo: le antiche, non più gelose, abbracciarono finalmente
-la giovine sorella; e a lei, cogliendo insieme il
-destro a premiare chi aveva il merito della pace, a lei
-promisero splendidi doni: le Stanze del Poliziano stesso,
-o l'Orlando Furioso di Lodovico Ariosto.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_164">[164]</span>
-</p>
-
-<h3>III.</h3>
-
-<p>
-Intonazione popolare, ho detto, e immagini classiche.
-Sì fatta mistura non poteva riuscir felice, prima che ne
-fossero separatamente manipolati e affinati gli elementi;
-e per ciò neppure al Boccaccio, che la tentò ne' poemi,
-accadde d'ottenerla, se non forse qua e là nel Ninfale
-fiesolano. Ma i prosecutori dell'opera sua di umanista e
-di poeta, avevano, dagli ultimi decennii del trecento in
-poi, quali studiata l'arte su gli antichi, quali invece teso
-l'orecchio alle canzoni del popolo, quali anche coltivato
-insieme le canzoni e gli studii. Onde Franco Sacchetti,
-così schietto popolarmente e grazioso nelle ballate e ne'
-madrigali che rime sue furono poi attribuite al Poliziano;
-onde Leonardo Dati, che tenta dottamente in
-volgare una tragedia a uso Seneca, e in volgare sperimenta,
-dopo l'endecasillabo già scioltosi dalla rima
-per imitazione de' latini, il verso esametro e il saffico;
-onde Leonardo Giustinian, che parla in greco all'imperatore
-di Costantinopoli, recita in pubblico orazioni latine,
-e insegna ai liuti veneziani i più cari strambotti,
-le più dolci canzonette che fossero mai state ascoltate
-da belle innamorate e da allegri compagni. E, passando
-da liuto a liuto, da bocca a bocca, queste canzonette
-veneziane o giustiniane, come le dicevano, scesero giù
-per l'Italia; e Firenze, correggendole alla parlata toscana,
-cioè alla lingua nostra letteraria, le fe' sue. Quando il
-Giustinian morì, che fu nel 1446, la poesia del popolo
-aveva dunque trovati cultori insigni a raggentilirla; e a
-Luigi Pulci, nato nel '32, a Lorenzo de' Medici, nato
-nel '48, e al Poliziano, non mancavano dunque gl'incitamenti
-e gli esempii a perseverare e a compiere l'impresa
-leggiadra. D'altra parte, l'imitazione de' classici
-<span class="pagenum" id="Page_165">[165]</span>
-aveva anche essa progredito; anzi, era giunta allo sforzo
-ed alla goffaggine; non tanto, a parer mio, in quei metri
-del Dati che oggi diciamo barbari, quanto nell'abuso
-dei vocaboli e dei costrutti latini e delle erudizioni mitologiche
-e storiche alla pedantesca.
-</p>
-
-<p>
-Il poeta dell'Orfeo, che aveva cominciato dagli studii
-del latino e del greco, vedeva accanto a sè, nel palazzo
-Mediceo, Lucrezia Tornabuoni, madre di Lorenzo, scrivere
-laudi a uso del popolo, e Lorenzo piacersi a scrivere
-sacre rappresentazioni e laudi anche lui, e insieme
-canzoni a ballo e canti carnascialeschi; udiva Luigi
-Pulci, per desiderio di madonna Lucrezia, racconciare
-nel Morgante a stile fiorentinescamente snello e a racconto
-maliziosamente arguto le rozze storie d'un rimatore
-plebeo. Provatosi così bene al volgare nella favola
-mantovana, è da credere che allora, in quella brigata di
-cui ho detto soltanto i nomi più illustri, tra l'ammirare
-e il ridere e il dar suggerimenti, meglio si esercitasse
-nelle rime dei rispetti e delle ballatine, quasi a sollievo
-dalla versione dell'Iliade e dall'erudizione che accumulava
-portentosa. E perchè quel rimare gli era un sollievo,
-non fa meraviglia che si astenesse dagli argomenti
-e dai metri più alti e più laboriosi, la canzone e il sonetto:
-di canzoni, una sola ne ha, a imitazione del Petrarca;
-di sonetti, a quel che sembra, neppure uno; di
-sirventesi, che era metro popolare, ma troppo soleva andare
-per le lunghe, non più che uno, prenunziante la
-prima scena dell'Aminta, in servigio di Giuliano de' Medici,
-per conto del quale, da coetaneo e amico, scrisse
-altri versi d'amore. Le ottave dei rispetti, le strofette
-delle ballate, non chiedevano alla facilità e grazia dell'ingegno
-e della penna che pochi quarti d'ora, tra la
-lettura di due codici, la versione di due episodii, e, un
-po' più tardi, tra una lezione e l'altra a Piero, primogenito
-di Lorenzo, e a Giovanni.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_166">[166]</span>
-</p>
-
-<p>
-I sospiri, i dispetti, i vanti, le disperazioni, le maledizioni
-degli innamorati, le immaginette rusticali e primaverili,
-gli scherzi e le mariolerie fiorentine, le novellette
-e le satire, ebber vita così negli accenti variamente
-affettuosi, gai, rabbiosi di quelle brevi poesie: un mazzo
-che sopra è di rose fragranti e sotto di spine pungenti.
-Il Poliziano era di sua natura epigrammatico, nel senso
-antico della voce; spesso, scrivendo agli amici, se la
-godeva di sbrigarsene con poche parole: — Ti lamenti
-che non ti rispondo: non ti lamentar più; t'ho bell'e
-risposto. — Gran dispiacere, gran piacere ho avuto, della
-tua malattia, della tua guarigione. — Siete in parecchi
-a chiedere che vi scriva: ecco fatto: lettera unica, perchè
-vi amo unicamente; ma le saranno più lettere, poi
-che a leggerla sarete in parecchi. — Figuratevi poi,
-con la scaltra lingua toscana, e al bisogno col gergo
-fiorentino, col verso, con le rime, in argomenti adatti,
-ammaestrando le donne ad acquistarsi e a mantenersi
-gli amanti, narrando le sue buone venture e sventure
-amorose, vituperando una vecchiaccia sfacciata, toccando
-insomma quasi tutte le corde dell'antica lirica popolare.
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Donne mie, voi non sapete</p>
-<p class="i02"> ch'i' ho el mal ch'avea quel prete.</p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01">Fu un prete (questa è vera)</p>
-<p class="i02"> ch'avea morto el porcellino.</p>
-<p class="i02"> Ben sapete che una sera</p>
-<p class="i02"> gliel rubò un contadino</p>
-<p class="i02"> ch'era quivi suo vicino;</p>
-<p class="i02"> (altri dice suo compare):</p>
-<p class="i02"> poi s'andò a confessare,</p>
-<p class="i02"> e contò del porco al prete.</p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01">El messer se ne voleva</p>
-<p class="i02"> pure andare alla ragione:</p>
-<p class="i02"> ma pensò che non poteva,</p>
-<p class="i02"> chè l'aveva in confessione.</p>
-<p class="i01"><span class="pagenum" id="Page_167">[167]</span></p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i02"> Dicea poi tra Le persone:</p>
-<p class="i02"> — Ohimè, ch'i' ho un male</p>
-<p class="i02"> ch'io nol posso dire avale.&nbsp;—</p>
-<p class="i02"> Et anch'io ho il mal del prete.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Tra queste malizie il sentimento della vita e della natura,
-caldo, giulivo, libero, sì da effondersi talvolta in
-rime che sembrano scheggiare i canti goliardici. Ma qui
-anche meno abbisognan gli esempii. Chi non sa i conforti
-ad amare che la fanciulla dà alle compagne?
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Quando la rosa ogni sua foglia spande,</p>
-<p class="i02"> quando è più bella, quando è più gradita,</p>
-<p class="i02"> allora è buona a mettere in ghirlande,</p>
-<p class="i02"> prima che sua bellezza sia fuggita:</p>
-<p class="i02"> sicchè, fanciulle, mentre è più fiorita</p>
-<p class="i02"> cogliàn la bella rosa del giardino.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-E chi non sa il canto pel rinnovamento della primavera che
-Firenze, la città della primavera, salutava con feste? Non
-eran più, nel quattrocento, le laute accoglienze di che narra
-il Villani, corti coperte di drappi e zendali, e desinari e cene;
-ma le schiere de' giovani correvano ancora la città agitando
-i ramoscelli in fiore, le frondi verdi, i gonfaloni selvaggi.
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Ben venga maggio</p>
-<p class="i02"> e 'l gonfalon selvaggio!</p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01">Ben venga primavera</p>
-<p class="i02"> che vuol l'uom s'innamori.</p>
-<p class="i02"> E voi, donzelle, a schiera</p>
-<p class="i02"> con li vostri amadori,</p>
-<p class="i02"> che di rose e di fiori</p>
-<p class="i02"> vi fate belle il maggio,</p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01">venite alla frescura</p>
-<p class="i02"> delli verdi arbuscelli.</p>
-<p class="i02"> Ogni bella è sicura</p>
-<p class="i02"> fra tanti damigelli;</p>
-<p class="i02"> chè le fiere e gli uccelli</p>
-<p class="i02"> ardon d'amore il maggio.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_168">[168]</span>
-</p>
-
-<p>
-Ma non c'indugi la dolcezza de' suoni. Nel gennaio
-del 75, Giuliano de' Medici trionfò in una di quelle giostre
-che porgevano a' signori l'occasione di ostentare lor
-valentia cavalcando e armeggiando; spettacolo pomposo
-e gradito al popolo. Il fratello maggiore, Lorenzo, si
-era meritato, sette anni innanzi, il premio in una giostra
-consimile, di cui avea celebrate le gesta e l'eroe,
-con un poemetto, Luigi Pulci, come si usava sì per le
-giostre, sì pel giuoco del calcio, sì per altri sollazzi, dai
-cantastorie; i quali compievano, dati i tempi, l'officio
-de' cronisti ne' nostri giornali, non so con quanto più
-di verità, certo con più fatica, perchè le fandonie le
-strimpellavano in rima. Anche questo genere era dunque
-ormai caro a' poeti d'arte: se non che il Pulci,
-come nel Morgante, così nella Giostra, lo aveva accettato,
-almeno per le apparenze, tal quale, dilettandosi
-nella parte finta del cantimpanca o d'un suo inspiratore;
-tanto che diceva dover chiudere il racconto
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">perchè il compar, mentre ch'io scrivo, aspetta</p>
-<p class="i01">ed ha già in punto la sua violetta.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Sapete che il compare aspettava nientemeno che dal 69?
-ed egli smise di scrivere soltanto allora che si preparava
-la giostra del 75, in cui spettava a Giuliano il trionfare.
-Poco più sollecito ma più elegante poeta ebbe questi:
-poco più sollecito, perchè, se ci pensò prima, e se forse
-qualcosa ne abbozzò, il Poliziano non si pose a stendere
-il poema ordinatamente che dopo trascorso un anno
-dalla giostra. In compenso non cantò le armi soltanto;
-cantò, più che le armi, gli amori.
-</p>
-
-<p>
-Giuliano, che nella tela del Botticelli spira, giovenilmente
-pensoso, una dolce mestizia, era innamorato, cavallerescamente
-e platonicamente, com'era la moda, di
-quella Simonetta Cattaneo, moglie a un Vespucci, che
-<span class="pagenum" id="Page_169">[169]</span>
-Piero di Cosimo, o altri, dipinse esilmente gentile. Ma
-la Vespucci visse, dopo la giostra, pochi mesi più. Nell'aprile
-del 1476, scriveva di lei a Lorenzo un amico ponendola
-accanto alla Laura del Petrarca: “La benedetta
-anima della Simonetta se ne andò a paradiso, come
-so harete inteso: puossi ben dire che sia stato il secondo
-trionfo della Morte; chè veramente havendola voi vista
-così morta, come la era, non vi saria parsa manco bella
-e vezzosa che si fusse in vita: <i>requiescat in pace</i>.„ Lorenzo
-stesso la pianse in versi; e il Poliziano, già interprete
-de' sospiri amorosi, ebbe a far distici sulle esequie,
-co' pensieri che Giuliano gli suggerì. Allora il racconto
-della giostra dove Giuliano si era cavallerescamente adoperato
-per amore e onore di lei, si allargò nella mente
-del poeta e comprese in sè anche la storia di quell'amore.
-Il genere popolano delle narrazioni in ottava rima
-di giuochi e apparati, venuto nelle mani d'uno scrittore
-geniale come il Pulci, passava pertanto da quelle di lui
-a più squisito artefice, e da questo era volto alla imitazione
-de' carmi encomiastici antichi; non altrimenti che
-i racconti romanzeschi, proprio in quelli anni, salivano
-dalla piazza al palazzo per opera del Pulci medesimo,
-ed erano da Matteo Maria Boiardo, traduttore d'Erodoto,
-avviati sulla imitazione de' poemi classici. Ove per altro
-conviene aggiungere che il Boiardo fu grande poeta, e
-nel calore dell'invenzione fuse stupendamente l'antico e
-il moderno in un metallo nuovo; il Poliziano fu grande
-artista, e nell'agevolezza dell'esecuzione compose dell'antico
-e del moderno un mirabile mosaico: all'uno mancò
-l'eleganza della lingua e dello stile, all'altro la virtù
-delle alte concezioni: l'uno e l'altro erano necessarii a
-preparare Lodovico Ariosto, poeta ed artista grande.
-</p>
-
-<p>
-Ho detto con ciò il difetto e il pregio delle Stanze
-per la giostra: il difetto è nel disegno generale, il pregio
-è nel disegno e nell'esecuzione dei particolari. Come fare
-<span class="pagenum" id="Page_170">[170]</span>
-un poema degli amori cortesi e delle armi cortesi di
-Giuliano? Ecco il modo. Julio, figlio della etrusca Leda,
-cioè a dire Giuliano figlio della Tornabuoni, sdegnava
-d'amare: Cupido volle che amasse, e in una caccia gli
-fece apparire una cerva bellissima; la quale, trattolo
-via dalla brigata de' compagni, disparve: ma al giovine
-non ne importava più, perchè si vedeva innanzi una
-donna troppo più bella della cerva bellissima: la Simonetta.
-Inutile dire che se ne innamora, e Cupido torna
-tutto lieto alla madre Venere. Fin qui il primo libro.
-Nel secondo, i vanti di Cupido per la vittoria, buona
-occasione alle lodi della casa medicea: il racconto di un
-sogno che Venere manda a Julio, perchè si accenda a
-mostrare all'amata la sua bravura in una giostra, sebbene
-egli abbia da quel sogno stesso il prognostico della
-prossima morte di lei; e la preghiera di Julio a Pallade,
-a Venere, a Cupido, che lo aiutino nell'impresa della
-gloria e dell'amore. E qui il poema, come il monumento
-che Michelangelo scolpì a' due fratelli Medici, rimase
-interrotto. Perchè? Il 26 aprile 1478, una domenica
-mattina, nella chiesa di Santa Maria del Fiore frequente
-di popolo, subito che il sacerdote nel celebrare la messa
-si fu comunicato, Francesco de' Pazzi e Bernardo Bandini
-si strinsero addosso a Giuliano co' pugnali e l'uccisero:
-Lorenzo ebbe tempo a trarre lo stocco e, ferito
-nella gola, difendersi e riparare nella sagrestia. Il colpo
-era andato a vuoto; Firenze restava ai Medici. Ma Giuliano
-giaceva morto; e dopo quella tragedia non si potevano
-più fiorire di rime le sue venture per una giostra
-bandita a diletto. Il poeta si mutò in istorico, e
-narrò in latino, a mo' di Sallustio, la congiura de' Pazzi.
-</p>
-
-<p>
-Altri osservò: se il poema rimase a mezzo, fu, anzi
-che un danno, un vantaggio alla fama dell'autore: andando
-innanzi, egli avrebbe dovuto descrivere vesti, cavalli,
-armeggiamenti; e già nel secondo libro la poesia
-<span class="pagenum" id="Page_171">[171]</span>
-scade; in più libri, il tedio sarebbe cresciuto; quel panegirico
-sarebbe stato letto da' soli eruditi. Io non mi
-lascio consolare così facilmente. Ammettiamo pure che
-le Stanze avessero a crescere, pel compimento del secondo
-e per l'aggiunta d'un terzo libro, che è quanto
-di più si possa immaginare, di un'altra metà: il disegno
-generale non si sarebbe sottratto, certo, da giuste censure;
-ma non gli si muovono a ogni modo, giudicandone
-dal frammento? e gli episodii ci avrebbero date
-bellezze, se non maggiori, pari a quelle che nel frammento
-ammiriamo.
-</p>
-
-<p>
-Non le rammenterò. Le lodi della vita rustica, la caccia,
-la Simonetta, il regno di Venere, gl'intagli della
-porta nella reggia di lei, l'albergo del Sonno, sono, a
-tratti almeno, in tutte le antologie, sono, a tratti almeno,
-in tutte le memorie. La giostra non è più che
-un pretesto: sembra che il Poliziano prometta di guidarvi
-a goderne lo spettacolo, soltanto per aver modo
-di farvi ammirare, così senza parere, d'una in un'altra
-galleria, la sua meravigliosa raccolta di quadri e di statue.
-Sono i tempi de' bronzi di Lorenzo Ghiberti, delle
-terre cotte di Luca della Robbia, dei marmi di Donatello,
-degli affreschi di Filippino Lippi, delle tele di
-Sandro Botticelli; e l'arte di tutti costoro si riflette nello
-specchio finissimo di quelle ottave, che suonano e creano,
-secondo il precetto, da molti franteso, del Foscolo, il
-quale più d'una somiglianza ebbe col Poliziano negl'intendimenti
-e ne' modi dell'arte: suonano, cioè, varie,
-fluide, eleganti; creano immagini adatte alla plastica e
-ai colori. Dopo Dante, nessuno aveva posta nel verso
-tanta efficacia di rappresentazione: nessuno ancora aveva
-saputo nell'ottava rima alternare, con tanta accortezza
-di pause e di accenti, di piani e di sdruccioli, il forte
-col tenue, il dolce con l'aspro. Il primato della lingua
-letteraria, come da Leon Battista Alberti, sebbene con
-<span class="pagenum" id="Page_172">[172]</span>
-importanza minore d'assai, per la prosa, così dal Poliziano
-era riconfermato alla Toscana per la poesia: dopo
-le Stanze per la giostra, l'Orlando innamorato doveva
-di necessità essere offuscato dalla fama del prosecutore
-che chiese alle labbra di una fiorentina la grazia dei
-baci e le grazie del nostro volgare; e doveva per ciò di
-necessità piegarsi, per rivaleggiare col Furioso, al rifacimento
-toscano di Francesco Berni.
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">La notte che le cose ci nasconde</p>
-<p class="i02"> tornava ombrata di stellato ammanto:</p>
-<p class="i02"> e l'usignuol sotto le amate fronde</p>
-<p class="i02"> cantando ripetea l'antico pianto;</p>
-<p class="i02"> ma solo a' suoi lamenti eco risponde,</p>
-<p class="i02"> ch'ogn'altro augel quetato avea già il canto:</p>
-<p class="i02"> dalla cimmeria valle uscian le torme</p>
-<p class="i02"> de' sogni negri con diverse forme.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Lingua, stile, metro erano ormai perfetti, e compiuta
-l'assimiliazione dell'arte classica nella medievale, per
-opera di quel giovane da Montepulciano che tendendo
-nelle campagne l'orecchio alle canzoni del popolo “beccava
-per tutta la via di qualche rappresaglia e canzone
-di Calen di maggio„, e leggeva a diletto i nostri migliori,
-e poi, nel silenzio del suo studio, meditava i testi
-dei greci e dei latini.
-</p>
-
-<h3>IV.</h3>
-
-<p>
-L'Orfeo e le Stanze, opera quasi improvvisata la prima,
-non compiuta la seconda, furono pubblicate soltanto due
-mesi innanzi che il Poliziano morisse, e non per volontà
-di lui. Al pari del Petrarca, egli, da buon umanista,
-chiedeva piuttosto e si aspettava la gloria dalla filologia
-<span class="pagenum" id="Page_173">[173]</span>
-classica, nell'arte e nell'erudizione. Per ciò, interrotta
-dalle Stanze, la versione d'Omero, ch'era destino
-restasse come le Stanze incompiuta; per ciò, scritto in
-latino il commentario della congiura de' Pazzi; per ciò,
-gli epigrammi greci e latini; e in latino le elegie, le
-odi, le Selve, le traduzioni di prose greche, le orazioni,
-i trattati, le miscellanee. Tanto più, perchè a ventisette
-anni già insegnava eloquenza greca e latina nello Studio
-fiorentino, dove accorrevano a udirlo tali ch'egli
-aveva ascoltati maestri; e perchè l'umanesimo si andava
-mutando d'arte in iscienza e richiedeva ormai lunghe e pazienti
-fatiche di collazioni sui manoscritti e di commenti.
-</p>
-
-<p>
-Giurazio Suppazio, che va in cerca de' dotti per tutta
-l'Italia, dopo aver corse due giorni le vie di Roma con
-gran rischio d'essere messo sotto dalle mule de' prelati,
-si sfoga con un letterato dell'ozio in cui gli sembrano
-sprofondati i Romani: <i>otio illic marcescere homines</i>, dice
-Suppazio; e l'altro lo prende a pugni: — To' su, bestiaccia!
-<i>splendesco, tabesco, liquesco</i> non ammettono il caso
-ablativo! — Più egli cerca, con esempii, scolparsi, e più
-ne busca; sì che fugge da quella grandinata e va a lagnarsene
-altrove; ma non ha aperto bocca, che il confidente
-lo interrompe: — O non ti vergogni a codesta
-età, non saper di latino? <i>iniuriam patior</i> chi te l'ha insegnato
-a dire? — Neppur qui valgono al disgraziato
-gli esempii; e quando vede che il grammatico stringe i
-pugni, fa tutta una corsa fino a Velletri. La satira è
-come uno specchio convesso che altera la proporzione
-delle fattezze e suscita il riso: ma il volto sformato è
-pur nello specchio quel dato volto e riconoscibile a tutti:
-così nel dialogo del Pontano accade al purissimo de' ciceroniani
-ignoranti. Or quando si può far satira tale, la
-diffusione e la intensità dell'umanesimo, rispetto allo
-scrivere latino, sono palesi. Ridicola appariva ormai la
-lingua letteraria del medio evo, tanto lontana da quella
-<span class="pagenum" id="Page_174">[174]</span>
-dei classici; e la questione che si agitava non era più
-che questa: si ha da scrivere coi vocaboli e i costrutti
-di Cicerone solo, o sarà lecito valersi d'altri vocaboli e
-costrutti usati dagli altri antichi? e, al bisogno, coniare
-vocaboli nuovi? il Poliziano fu per la libertà, diciam
-pure per la licenza, e ne sostenne fiere baruffe, che lasciò
-in eredità ai discepoli. Ma come Erasmo, eclettico
-anche lui, esclamò piacergli più quel che il Poliziano
-scriveva dormendo, di quel che un suo avversario, Bartolommeo
-Scala, da sveglio e con ogni cura; così, oggi
-che l'eclettismo ha perduta la guerra, i critici lodano
-ancora nello stile del Poliziano, sia pure a mosaico e
-tutto fioretti, un gran sapore di latinità, e un vigore,
-una grazia, singolari. L'elegia per le viole avute in dono
-dalla sua bella (vo' credergli non fosse ancora canonico!)
-quella in morte di Albiera degli Albizzi, che prenunzia
-le Stanze, l'ode ad Alessandro Cortesi, i giambi contro
-una vecchia (anche in latino ricantavano i motivi popolari),
-gli esametri delle Selve con le quali splendidamente
-iniziò le sue letture pubbliche di Virgilio, d'Esiodo,
-d'Omero; e in prosa, le epistole, la prelezione alle Priora
-d'Aristotele, il trattatello sull'ira, la narrazione della
-congiura, sono tra i capolavori del latino recuperato,
-com'egli diceva, dalla barbarie dell'evo medio. “Non son
-mica Cicerone io! me stesso, se non m'inganno, ho da
-esprimere.„ Il ragionamento, a dir vero, zoppica; o non
-aveva, ad esprimersi, il volgare? Ma il libraio degli umanisti
-fiorentini, Vespasiano da Bisticci, affermava, quasi
-interprete di tutti loro, che “nello idioma volgare non
-si può mostrare le cose con quello ornamento che si fa
-in latino„. Esperienza del contrario fece il Poliziano
-medesimo, e si mostrò restio, almeno in parte, al detto
-del Filelfo: in volgare si scrivon le cose che non vogliamo
-far sapere ai posteri. Restio pe' versi, non per la
-prosa; e voi rammentate che dell'uccisione di Giuliano
-<span class="pagenum" id="Page_175">[175]</span>
-lasciò ai posteri la grave memoria in un racconto latino.
-Del resto, anche per la poesia, troppa distanza poneva
-tra i classici e i moderni. In una Selva, celebrati
-i greci e i latini con più di settecento esametri, si sbriga
-con otto soli di Dante, del Cavalcanti, del Petrarca, del
-Boccaccio: è un cenno in cui suona l'affetto; ma l'ammirazione
-sua va ai padri antichi, non ai recenti fratelli.
-</p>
-
-<p>
-“La sapienza latina e greca le abbracci per modo che
-non è facile accorgersi di quale tu possegga più. Senza
-adulazione, Poliziano mio, non c'è che un solo, o due, o
-forse nessuno, degno d'esserti paragonato: se foste in
-più, il secolo nostro non avrebbe di che invidiare gli
-antichi.„ La lode è d'un giudice amico, è del candido
-Gian Pico della Mirandola; ma data l'enfasi epistolare
-d'allora, esagerata non è. Il Poliziano, componendo epigrammi,
-traducendo Omero, le Storie d'Erodiano, il Manuale
-d'Epitteto, fu veramente, anche per le lettere greche,
-così elegante scrittore come sagace interprete, e
-benemerito della filologia moderna. La quale, se ammira
-quella tanta facilità e vivacità dello scrivere latino e
-greco, sia pure che, fatta più accorta da quattro secoli
-di studii, abbia qua e là a notare qualche scappuccio
-di stilistica e di prosodia, attribuisce al Poliziano lodi
-maggiori per avere, con senno ed acume di critica, bene
-avviata e procurata la restituzione e la interpretazione
-dei testi, e lo saluta come uno de' maestri primi. Grammatico
-si vantava egli; ma la sua grammatica era la
-filologia tutta e comprendeva tutta la vita e la letteratura
-degli antichi. “Di grazia, m'avete voi per tanto insolente
-o stolto, che se alcuno mi desse del giureconsulto
-o del medico, non crederei in tutto ch'e' volesse il
-giambo de' fatti miei? E pure (sia detto senz'arroganza)
-gli è buon tempo ch'io lavoro, e di lena, ad alcuni commentarii
-sul Diritto civile, ad altri su maestri di medicina;
-nè voglio acquistarne altro nome che di grammatico;
-<span class="pagenum" id="Page_176">[176]</span>
-pregando che non mi sia invidiata questa qualifica,
-schifata pure da certi messeri come vile e spregevole.„
-Codesto grammatico raffronta codice a codice; corregge
-col raffronto gli errori; dove il raffronto non giova, fa
-congetture, e spesso indovina, come poi altri codici proveranno;
-intende ciò che fino a lui pareva oscuro; e
-può nella prima centuria delle Miscellanee mostrare, da
-gran signore, senza ostentarla, una dottrina e una sagacia
-che sarà mirabile a tutti gli studiosi, dopo essere
-stata gradita a Lorenzo de' Medici, il quale cavalcando
-con a fianco l'amico, si dilettava ascoltarne le primizie.
-Così talvolta si dilettavano insieme assistere alle dispute
-de' dottori rivali su questioni di leggi; e d'una avvenuta
-in Pisa, riferiva così il bidello al notaio dell'università:
-“Riscaldandosi e giostranti nell'arme si fe' buio, e col
-torchio finì detta disputa. Venendo loro (Giason del
-Maino e il Soccini disputanti) a un certo passo d'un
-testo, del dire in un modo a dire nell'altro, Lorenzo e
-M. Agnolo Poliziano suo mi mandò con sua volontà per
-uno codice, e trovata la legge, M. Agnolo la lesse presso
-Lorenzo.„ Questo nel 1489; l'anno dopo, la collazione
-del manoscritto delle Pandette era finita, e il Poliziano
-aveva sospinta con essa anche la culta giurisprudenza
-a progressi crescenti. E nella giurisprudenza, oltre quel
-merito del testo restituito a lezione migliore, a lui spetta
-quest'altro, dell'aver accennato per primo alle traduzioni
-greche del dritto giustinianeo, ai Basilici e a Teofilo, con
-opinioni che la scienza odierna, se non le accetta tali
-quali, ancora discute.
-</p>
-
-<p>
-Quando nel 1494, due anni dopo il suo Lorenzo, il
-Poliziano morì, che non contava ancora quarantun anno,
-l'umanesimo trionfava negli studii, nell'arte, e, quel che
-più importa, nella coscienza italiana. Eccone, per molti,
-un esempio men noto. A Reggio d'Emilia, negli ultimi
-mesi della vita del Poliziano, corse voce fosse sottratto,
-<span class="pagenum" id="Page_177">[177]</span>
-o che presto sarebbe, dal convento de' Carmelitani, un
-codice ove un frate umanista, Michele Ferrarmi, aveva
-raccolte quante più iscrizioni antiche gli erano capitate
-in lunghi anni di ricerche. La città si commuove; gli
-anziani si adunano e fan provvisione, si mandino al
-convento tre deputati i quali parlino col priore e diano
-opera a che il prezioso manoscritto sia incatenato e talmente
-affisso nella libreria del convento che mai non
-possa esserne nè tratto nè sottratto, ma resti (son le parole
-della deliberazione) quasi un altro libro delle Pandette
-nella città di Reggio perpetuamente. I deputati
-andarono; i frati si scusarono e promisero; Reggio vanta
-ancora nella sua biblioteca il codice del Ferrarini.
-</p>
-
-<p>
-Tali gli effetti dell'umanesimo. Del quale io, parlandovi
-d'Angelo Poliziano, non potevo e non dovevo colorire
-il quadro compiuto che la serie di queste letture
-vi andrà troppo meglio a mano a mano dipingendo. Ma
-non vi dissimulo che il Poliziano stesso mi avrebbe data
-occasione a farvi almeno intravedere anche il rovescio
-della medaglia, la petulanza del chiedere, i costumi facili,
-le invidie, le insidie, i furori letterati, se avessi stimato
-utile ed opportuno, dentro lo spazio d'un'ora, fermarmi
-su i vizii e su i malanni dell'uomo, e del tempo suo,
-piuttosto che sulla virtù di quella mente e sulla importanza
-del rifiorire degli studi classici. Che se poi non
-fossi riuscito neppure in ciò, mi valga uno di quelli epigrammi
-che il Poliziano si compiaceva aguzzare nelle
-sue lettere: lo scrisse a Gian Pico, un giorno che nel
-far lezione l'avea veduto tra gli scolari; ed io lo parafraso
-ed estendo a voi tutti: “Per farmi onore vi siete
-messi a sedere qui innanzi a me, quasi mi foste scolari.
-Non v'aspettate la mia gratitudine. Se la lettura v'è
-piaciuta, sta a voi l'esserne grati a me; se poi la non
-v'è piaciuta, oh non ci mancherebbe altro che vi dovessi
-esser grato io!„
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_178">[178]</span>
-</p>
-
-<h2 id="lirica">LA LIRICA DEL RINASCIMENTO</h2>
-
-<p class="center">
-DI
-</p>
-
-<p class="center large">
-ENRICO NENCIONI.
-</p>
-</div>
-
-<h3>I.</h3>
-
-<p>
-La più grande lirica del Rinascimento, è la poesia che
-emana da quell'epoca stessa.
-</p>
-
-<p>
-Epoca unica e veramente maravigliosa! I suoi grandi
-personaggi non vivono isolati, come quelli di altre epoche
-insigni; ma respirano in un ambiente medesimo, e
-hanno, dirò così, un'a<i>ria di famiglia</i> che ce li fa subito
-riconoscere. La gioventù, la curiosità scientifica,
-l'aspirazione, ne sono le più spiccate caratteristiche. Quegli
-<i>umanisti</i> non sono dei dotti pedanti, ma degli <i>editori</i>
-entusiasti. Quegli eruditi, come Pico della Mirandola,
-son dei poeti. È un'epoca <i>aurorale</i>, in cui tutto si intravede
-in una rosea luce di gioventù e di poesia. Pensate!
-Lorenzo, il Savonarola, Pico, Brunellesco, Leonardo,
-Guttemberg, Colombo, Copernico! — Tutto il
-Mondo moderno è racchiuso in questi gran nomi. Si
-scuopre il Cielo e la Terra, gli astri e l'America, la stampa
-e l'Oriente. Si commenta Platone, si stampa Omero e
-Virgilio. Si rivela e s'adora il volto sempre giovine e
-raggiante dell'antichità, che si credea tanto vecchia! In
-un'estasi mistica e estetica, si tenta di conciliare i due
-grandi antagonismi, Paganesimo e Cristianesimo. Fioriscono
-di vita nuova la geografia, la storia naturale, la
-meccanica, la medicina, l'anatomia, la pedagogia. Un Italiano
-<span class="pagenum" id="Page_179">[179]</span>
-completa la Terra: un Polacco scuopre l'infinito
-nel Cielo. Savonarola attesta la coscienza morale e la
-libertà: Leonardo, la universale parentela della Natura.
-<i>Simpatia umana</i> è il motto sacro del Rinascimento — prima
-che esso degeneri in Accademicismo e precipiti
-nel Barocchismo — per poi tornare alle sue grandi origini
-del secolo XIV e XV, e dar la mano al secolo XVIII
-e al secolo nostro.
-</p>
-
-<h3>II.</h3>
-
-<p>
-Esaminando le opere dei principali lirici del Quattrocento,
-vediamo che la poesia idillica è la predominante:
-poi vien quella amorosa, sensuale o elegiaca: poi la popolare,
-sacra o profana. Vediamo che il Pulci nella sua
-stravagante e possente fantasia pare un'eco medievole
-in mezzo al Rinascimento — che il Poliziano è il più
-essenzialmente greco-latino, e il più artista — che il Magnifico
-ha più di tutti il senso della realtà, e il Boiardo
-quello della poesia e della bellezza. In tutti c'è, più o
-meno, l'intendimento e l'attitudine a rappresentare nel
-verso la natura esteriore. Sotto un certo aspetto, son
-tutti poeti <i>naturalisti</i>: ma il metodo descrittivo varia
-nei diversi poeti. Lorenzo, come in pittura il Ghirlandaio,
-trascrive la immagine esteriore delle cose, con una
-grafica precisione. Il Boiardo e il Poliziano, vedono nella
-figura esteriore <i>qualche altra cosa</i>; e, come il Botticelli,
-sono immaginosi più che drammatici.
-</p>
-
-<p>
-In tutti però, eccetto Lorenzo de' Medici, l'osservazione
-della natura è piuttosto limitata. Al lettore moderno,
-che ha letto Rousseau e Goethe, Wordsworth e
-Shelley, Lamartine e Giorgio Sand, Tennyson e Victor
-Ugo, pare che quei lirici del Quattrocento non abbian
-visto che la primavera tra le stagioni, le rose e le viole
-tra i fiori, e il rosignolo tra gli uccelli. Somigliano un
-<span class="pagenum" id="Page_180">[180]</span>
-po' a certi lirici tedeschi, i cui <i>Lieder</i> son composti con
-un limitatissimo e monotono dizionario poetico: <i>cielo</i>,
-<i>luna</i>, <i>aprile</i>, <i>sorriso</i>, <i>vergine</i>, <i>rose</i>, <i>gigli</i>, <i>rosignoli</i>, <i>amore</i>
-e <i>dolore</i>.... Ma la nota monotona, insistente come il ritornello
-d'un merlo, è sempre la Primavera. Talchè,
-leggendoli, alla lunga ci prende un desiderio, una simpatia,
-una voglia irresistibile di un po' di pioggia, di
-neve e di tramontana....
-</p>
-
-<p>
-Il vero realista è Lorenzo. Esso il primo interrompe
-la convenzionale tradizionale <i>ottimista</i> nelle pitture rurali.
-Ha visto il grano e le rose, ma anche le ortiche ed
-il concio — le ghirlandette e i pruneti — i rispetti e
-le serenate, e il sudiciume e la fame.
-</p>
-
-<p>
-Nel suo delizioso poemetto, <i>L'Ambra</i>, la piena del fiume
-è descritta nei più realistici e dolorosi particolari.
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i02"> Appena è stata a tempo la villana</p>
-<p class="i01">Pavida a aprire alle bestie la stalla.</p>
-<p class="i01">Porta il figlio che piange nella zana.</p>
-<p class="i01">Segue la figlia grande, ed ha la spalla</p>
-<p class="i01">Grave di panni vili, lino e lana:</p>
-<p class="i01">Va l'altra vecchia masserizia a galla,</p>
-<p class="i01">Nuotano spaventati i porci e i buoi....</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Non pare staccato da una pagina della <i>Terre</i> di Emilio
-Zola? E com'è schiettamente contadinesco il Canto
-d'amore <i>la Nencia da Barberino</i>! Immagini e favola,
-tutto è perfettamente <i>rusticano</i> e <i>fiorentino</i>.
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i02"> Non vidi mai fanciulla tanto onesta,</p>
-<p class="i01">Nè tanto saviamente rilevata:</p>
-<p class="i01">Non vidi mai la più pulita testa,</p>
-<p class="i01">Nè sì lucente nè sì ben quadrata.</p>
-<p class="i01">Ell'ha due occhi che pare una festa</p>
-<p class="i01">Quand'ella li alza, e che ella ti guata:</p>
-<p class="i01">E in quel mezzo ha il naso tanto bello</p>
-<p class="i01">Che par proprio bucato col succhiello.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_181">[181]</span>
-</p>
-
-<p>
-E che efficacia di rappresentazione nei suoi Canti Carnascialeschi!
-Sia nei Mitologici, come le <i>Parche</i>, <i>Bacco
-e Arianna</i>, il <i>Trionfo d'Amore</i>; sia nelle Mascherate dei
-Mestieri, come i <i>Cialdonai</i>, le <i>Filatrici d'oro</i>, i <i>Calzolai</i>....
-In moltissimi il doppio senso è lubrico, spesso addirittura
-osceno, quale sarà più tardi in certi Capitoli del
-Berni, dei Bernieschi, e dell'Aretino — talvolta è velato
-da una maliziosa ironia, come nel Carro delle <i>Mogli
-giovani</i> e dei <i>Mariti vecchi</i>.
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01"><i>I Vecchi.</i> — Deh? vogliateci un po' dire</p>
-<p class="i04"> Qual cagion vi fe' partire,</p>
-<p class="i04"> D'aver preso altro amadore</p>
-<p class="i04"> Vi farem tutte pentire.</p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01"><i>Le Mogli.</i> — Deh, andatene al malanno,</p>
-<p class="i04"> Vecchi pazzi rimbambiti!</p>
-<p class="i04"> Non ci date più affanno!...</p>
-<p class="i04"> Contentiam nostri appetiti.</p>
-<p class="i04"> Questi giovani puliti</p>
-<p class="i04"> Ci dann'altro che vestire....</p>
-</div></div>
-
-<p>
-E che movimento bacchico, che allegra spensieratezza
-pagana, che gioconda esultanza di ritmo, nel <i>Trionfo di
-Bacco e Arianna</i>!
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i02"> Donne e giovinetti amanti,</p>
-<p class="i01">Viva Bacco e viva Amore!</p>
-<p class="i01">Ciascun suoni, balli e canti!</p>
-<p class="i01">Arda di dolcezza il cuore!</p>
-<p class="i01">Non fatica, non dolore!</p>
-<p class="i01">Quel c'ha a esser, convien sia,</p>
-<p class="i01">Chi vuol esser lieto, sia;</p>
-<p class="i01">Di doman non v'è certezza.</p>
-<p class="i01">Quant'è bella giovinezza</p>
-<p class="i01">Che si fugge tuttavia.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-La figura di Sileno in questo medesimo Canto ha tanto
-rilievo, che par gettata in bronzo dal Pollaiolo.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_182">[182]</span>
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i02"> Questa soma che vien dreto</p>
-<p class="i01">Sopra un asino, è Sileno:</p>
-<p class="i01">Così vecchio, è ebbro e lieto,</p>
-<p class="i01">Già di carne e d'anni pieno.</p>
-<p class="i01">Se non può star ritto, almeno</p>
-<p class="i01">Ride, e gode tuttavia....</p>
-<p class="i01">Chi vuol esser lieto, sia:</p>
-<p class="i01">Di doman non v'è certezza.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Lo stesso Lorenzo scriveva poi <i>Laudi</i> e <i>Sacre Rappresentazioni</i>.
-Spesso, una medesima aria serviva a una
-Lauda divota, come <i>Crocifisso a capo chino</i>, — e a una
-lasciva Canzonetta, come <i>Una donna d'amor fino</i>. Lorenzo
-è un gran dilettante, pel quale tutti i <i>motivi</i> poetici
-sono buoni — e passa con intrepida disinvoltura
-dal Canto sacro della <i>Mater dolorosa</i>, al Canto carnescialesco
-dei <i>Bericuocolai</i>.
-</p>
-
-<h3>III.</h3>
-
-<p>
-Come poeta, credo che la sostanza, la vera eccellenza
-del suo ingegno, consista nel suo realismo. Qui sta la
-sua originalità, e l'attrattiva che esercita sul lettore moderno.
-È anch'egli un <i>impressionista</i> (dei buoni) che trova
-sempre il modo di dar forma artistica — più o meno
-felice, ma sempre fresca e schietta — a tutto ciò che
-colpisce il suo occhio, la sua fantasia, il suo sentimento.
-Invece di Venere o di Lucina, canta la Nenciozza, — invece
-di figurarsi Cipro e Delo, dipinge dal vero Careggi
-e il Mugello, — invece degli Auguri o delle Sibille,
-ritrae i Beoni e i Cialdonai. Non ha nulla dell'accademicismo
-del Sannazzaro, o della estetica del Poliziano.
-È spesso rude e scorretto — ma è il più vicino
-alla natura; e ha un sentimento della campagna così
-vivo e diretto, che in tutta la storia letteraria dell'Europa
-<span class="pagenum" id="Page_183">[183]</span>
-(fatte le debite differenze di epoca, di nazione e di
-carattere) non trovo da paragonargli che Roberto Burns.
-</p>
-
-<p>
-Invece, il mondo poetico del Poliziano è un riflesso di
-Teocrito, di Virgilio, di Ovidio, di Stazio, del Petrarca:
-ma la sua immaginazione trasforma, trasfigura ciò che
-raccoglie, in modo così felice, che ci apparisce quasi come
-una nuova creazione. Egli mette nelle sue reminiscenze
-classiche l'entusiasmo dell'umanista — e dà moto, vita
-e passione, ai più freddi fantasmi mitologici. Egli canta
-Venere e Diana, con l'ardore con cui Swinburne ha
-cantato oggi Federa e Atalanta.
-</p>
-
-<p>
-Di più: come il Boiardo, egli è un insigne decoratore:
-ha il senso squisito della ornamentazione: la sua tavolozza
-di colori è maravigliosa. Chi non ricorda il ritratto
-della Simonetta, il quale è appena inferiore per colorito,
-e supera, per grazia, quello d'Alcina? Chi non sa a
-mente certi suoi versi deliziosi, come:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i02"> Ridele attorno tutta la foresta.</p>
-<p class="i01">L'erba di sua bellezza ha maraviglia,</p>
-<p class="i01">Gialla, cilestra, candida e vermiglia.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-e le fragranti strofe della ballata <i>Il giardino delle rose</i>?
-</p>
-
-<p>
-Dove poi il Poliziano ha note intense di vera poesia è
-nei <i>Rispetti</i>. Eccone uno, sensuale e delicato ad un tempo:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i02"> So' innamorato d'una rosa rossa,</p>
-<p class="i01">E il giorno non mi so da lei partire.</p>
-<p class="i01">Quando ci passo il suo bel petto mostra,</p>
-<p class="i01">Ed è sì bianco, che mi fa morire.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-E che dolore passionato in quest'altro!
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Ti vengo a rivedere anima mia,</p>
-<p class="i01">E vengoti a vedere alla tua casa:</p>
-<p class="i01">Pongomi inginocchioni in su la via.</p>
-<p class="i01">Bacio la terra dove sei passata!</p>
-<p class="i01">Bacio la terra ed abbraccio il terreno:</p>
-<p class="i01">Se non m'aiuti, bella, i' vengo meno.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_184">[184]</span>
-</p>
-
-<p>
-Dal Poliziano al Rückert, dal Dall'Ongaro alla Robinson,
-quanti poeti hanno imitato i Rispetti e gli Strambotti
-Toscani!
-</p>
-
-<p>
-Ma non credo che nessuno di questi poeti abbia raggiunto
-l'altezza lirica di quattro versi, improvvisati in
-una serenata da un contadino della montagna di Pistoia,
-raccolti e editi dal Tommaseo:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Una fila di nuvole d'argento</p>
-<p class="i01">Innamorate al lume della luna</p>
-<p class="i01">Vengon per l'aria portate dal vento</p>
-<p class="i01">A salutarti, o bella creatura!</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Che larghezza di orizzonte, che movimento, e che luce
-nel verso meraviglioso
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Vengon per l'aria portate dal vento!</p>
-</div></div>
-
-<p>
-È degno di Dante — e ricorda infatti la divina terzina:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Come nei plenilunii sereni,</p>
-<p class="i01">Trivia ride fra le Ninfe eterne</p>
-<p class="i01">Che dipingono il ciel per tutti i seni.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Il Poliziano ha cose eccellenti anche nelle canzonette
-popolari. In quella — Io vi vo' donne insegnare — Come
-voi dobbiate fare — vi sono strofe di lepida arguzia;
-per esempio:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Fate pur che 'ntorno a' letti</p>
-<p class="i01">Non sien, donne, mai trovati</p>
-<p class="i01">Vostre ampolle e bossoletti;</p>
-<p class="i01">Ma teneteli serrati.</p>
-<p class="i01">I capei, ben pettinati</p>
-<p class="i01 dotted">. . . . . . . . .</p>
-<p class="i01">State poi sempre pulite;</p>
-<p class="i01">Io non dico già strebbiate.</p>
-<p class="i01">Sempre il brutto ricuoprite,</p>
-<p class="i01"><span class="pagenum" id="Page_185">[185]</span></p>
-<p class="i01">Ricci e gale sempre usate.</p>
-<p class="i01">Vuolsi ben che conosciate</p>
-<p class="i01">Quel che al viso si conviene:</p>
-<p class="i01">Chè tal cosa a te sta bene,</p>
-<p class="i01">Che a quell'altra ne dispare.</p>
-<p class="i01">Ingegnatevi star liete,</p>
-<p class="i01">Con bei modi ed avvenenti:</p>
-<p class="i01">Volentier sempre ridete,</p>
-<p class="i01">Pur che abbiate netti i denti.</p>
-<p class="i01 dotted">. . . . . . . . . . .</p>
-<p class="i01">Imparate i giuochi tutti,</p>
-<p class="i01">Carte e dadi, scacchi e tavole,</p>
-<p class="i01">Perchè fanno di gran frutti,</p>
-<p class="i01">Canzonette versi e favole.</p>
-<p class="i01">Ho veduto certe diavole</p>
-<p class="i01">Che pel canto paion belle:</p>
-<p class="i01">Ho veduto anco di quelle</p>
-<p class="i01">Che ognun l'ama per ballare.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Accanto al Poliziano, metterei il Boiardo; e, come
-pura immaginazione, forse gli è superiore — anzi, senza
-forse. È il più essenzialmente immaginoso di tutti i poeti
-del Rinascimento, non solo nell'<i>Orlando</i>, ma anche nelle
-<i>Rime</i>. In tutti gli altri poeti epici e romanzeschi, dal
-Poliziano e dal Pulci a Torquato Tasso, c'è qualche
-cosa di artificioso e di teatrale — vi sono echi delle feste
-di Mantova e di Firenze, di Roma e di Ferrara — meccanismi
-e macchine pirotecniche, come nelle feste per
-Alfonso d'Este, o in quelle di Boboli e Pratolino per
-Bianca Cappello. Il Boiardo invece vede tutto in un mondo
-magico e etereo — è il più <i>orientale</i> dei raccontatori — è
-il più indigeno abitatore della <i>Faery-Land</i> che sia mai
-esistito — anche più dell'Ariosto, e di Spenser stesso.
-</p>
-
-<p>
-Come lirico, unisce alla fiorente immaginazione un vivissimo
-colorito. Certe sue poesie ricordano nel mondo
-letterario il <i>Liebesfrühling</i> di Rückert e il <i>Buch der
-<span class="pagenum" id="Page_186">[186]</span>
-Lieder</i> di Heine — nel mondo artistico, le facciate smaglianti
-delle cattedrali di Orvieto e di Siena — e nel
-mondo naturale, un prato o un campo di maggio, quando
-tra l'erba alta e verdeggiante brillano fiori candidi e
-azzurri, e, come intensi e voluttuosi desideri, ardono
-tra 'l verde, i petali di seta e di fiamma dei rosolacci
-scarlatti. Ne prendo una tra cento:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Leggiadro veroncello, ov'è colei</p>
-<p class="i01">Che di sua luce illuminar ti suole?</p>
-<p class="i01">Ben vedo che il tuo danno a te non duole;</p>
-<p class="i01">Ma quanto meco lamentar ti dei!</p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01">Senza la sua vaghezza, nulla sei.</p>
-<p class="i01">Deserti i fiori e secche le viole,</p>
-<p class="i01">Al veder nostro il giorno non ha sole,</p>
-<p class="i01">La notte non ha stelle senza lei.</p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01">Pur mi ricordo ch'io ti vidi adorno,</p>
-<p class="i01">Tra bianchi marmi e colorito fiore,</p>
-<p class="i01">Da una ridente candida persona.</p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01">Al tuo balcone allor si stava Amore</p>
-<p class="i01">C'or te soletto e misero abbandona,</p>
-<p class="i01">Perchè a quella gentil respira intorno.</p>
-</div></div>
-
-<h3>IV.</h3>
-
-<p>
-Fin da ragazzo avevo letto nelle storie letterarie e
-nelle Antologie che pregio dell'<i>Arcadia</i> del Sannazzaro
-era la bellezza delle <i>Descrizioni campestri</i>. Ma anche
-prima ch'io “fuor di puerizia fossi„ mi accorsi leggendolo
-che il Sannazzaro descrive.... come può descrivere
-<i>un cieco</i>. Mi spiego. Un cieco può parlare di oggetti
-visibili che non gli è dato distinguere — parlare di
-stature, di misure, di forme, anche di colori: ne ha sentito
-parlare, e ripete ciò che ha sentito dire. Così il Sannazzaro
-ci parla di boschi, di luna, di aurora, di uccelli,
-<span class="pagenum" id="Page_187">[187]</span>
-di laghi, perchè gliene hanno detto qualcosa Virgilio,
-Ovidio, i Greci, il Boccaccio — ed egli ripete, quasi
-sempre male, quel che essi hanno detto bene.
-</p>
-
-<p>
-A provare che il Sannazzaro non è vero poeta, cioè
-un veggente, cioè un uomo che <i>vede meglio e più addentro
-che gli altri</i>, nell'uomo e nella natura — basta
-guardare i suoi aggettivi. Non ne trovi mai uno, dico
-uno, che, come fan sempre quelli di Dante, dia vita e
-fisonomia e colore al suo sostantivo. Son tanto comuni
-che, dato il sostantivo, s'indovina subito l'epiteto che
-l'accompagna.
-</p>
-
-<p>
-Apro a caso e leggo:
-</p>
-
-<p>
-“Gli aratori tutti lieti, con <i>vaghi</i> e <i>dilettevoli</i> giuochi,
-intorno ai <i>candidi</i> buoi, per li pieni presepi cantarono
-<i>amorose</i> canzoni. Oltra di ciò li <i>vagabondi</i> fanciulli (<i>vagabondi</i>,
-in altro senso, non sarebbe cattivo) con le <i>semplicette</i>
-verginelle se videro per le contrade exercitare
-<i>puerili</i> giuochi in segno di <i>comune</i> leticia.„
-</p>
-
-<p>
-Ecco dei versi d'un'Egloga lodata. Parla il pastore
-Barcinio a Summonzio.
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01"><i>Barcinio.</i> — Una tabella pose per munuscolo</p>
-<p class="i03"> In su quel pin: se vuoi vederlo, or alzati,</p>
-<p class="i03"> Ch'io ti terrò su l'uno e l'altro muscolo.</p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01"><i>Summonzio.</i> — Quinci si vede ben senz'altro ostacolo</p>
-<p class="i03"> Filli, quest'alto pino io ti sacrifico,</p>
-<p class="i03"> Qui, Diana ti lascia l'arco e l'jacolo.</p>
-<p class="i03"> — Questo è l'altar che in tua memoria edifico,</p>
-<p class="i03"> — Quest'è il tempio honorato e questo è il tumulo</p>
-<p class="i03"> In ch'io piangendo il tuo bel nome amplifico.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Certo, questi pastori hanno avuto sempre <i>dieci</i> in latino,
-e sono stati tutti all'<i>Università</i>.... Paragonate questi
-<i>dotti</i> vestiti da pastori, agli schietti e veri e vivi contadini
-di Lorenzo de' Medici!
-</p>
-
-<p>
-Sarebbe però ingiusto il negare al Sannazzaro la facoltà
-<span class="pagenum" id="Page_188">[188]</span>
-che ha, in qualche scena silvestre o rusticana, di
-darci una serie di graduali impressioni che han del poetico — il
-senso della composizione, della euritmia, della
-<i>Symetria prisca</i>. Peccato che egli si compiaccia e si pavoneggi
-quasi sempre nella imitazione <i>formale</i>, in una
-specie di trascrizione dai Latini, quasi a sfoggio di saccenteria.
-</p>
-
-<p>
-Un valente critico, anche troppo benevolo al Sannazzaro,
-scrisse che l'<i>Arcadia</i> fu come un sogno per l'autore,
-e diventa un sogno per il lettore — che i personaggi
-son quasi tutti <i>fantasmi</i> piuttosto che veri caratteri.
-Il Sannazzaro viveva nel più luminoso paesaggio
-d'Italia; aveva sotto gli occhi il golfo di Napoli, Posilipo,
-Amalfi, Sorrento; e non sa che <i>intravedere</i> uomini
-e cose, come fantasmi in un sogno! Aggiungete che i
-personaggi d'<i>Arcadia</i>, questi fantasmi che non sappiamo
-distinguere, e che non ci interessano, nè ci commovono
-mai, nè per le loro avventure, nè coi loro lamenti, erano,
-sotto nomi pastorali, personaggi veri e <i>viventi</i>, amici e
-parenti del Sannazzaro, che egli ha paralizzato con le
-sue frasi latine, e mummificato coi suoi periodi boccaccevoli.
-La poesia che in Dante e nei veri poeti mette
-la vita anche dov'era la morte — nel Sannazzaro mette
-invece la morte dov'era la vita; perchè l'arte vivifica,
-e l'artificio dissecca. Sì, pare incredibile, ma è vero e
-provato. La insipida pastora <i>Massilia</i> è la Masina, madre
-del Sannazzaro, da lui tanta amata — <i>Amaranta</i>, è
-la sua diletta Carmosina — <i>Melisco</i> è il Pontano — <i>Fronimo</i>
-è Gian Francesco Caracciolo — persone vive e vere,
-che egli vedeva tutti i giorni, e che egli ha <i>seppellite
-per sempre</i> nel classico e freddo sepolcro dell'<i>Arcadia</i>.
-</p>
-
-<p>
-Se nella poesia e nella prosa, nell'<i>Arcadia</i> e nelle
-<i>Rime</i>, il Sannazzaro imita continuamente gli antichi,
-da Virgilio a Claudiano, si può dire che saccheggia addirittura
-il Boccaccio.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_189">[189]</span>
-</p>
-
-<p>
-Anche quando vuol descrivere la <i>sua</i> Napoli, il Sannazzaro
-non sa far altro che trascrivere dal Boccaccio.
-Ma il Boccaccio che, nonostante i latinismi e l'artificio,
-e un certo manierismo, è un gran poeta in prosa, rimane
-il solo vero ed efficace descrittore di Napoli. Il
-placido, azzurro, tepido mare di Baia, Posilipo e Castelnuovo,
-la tomba di Virgilio e Pozzuoli, Cuma e Caprea,
-ce lo rammentan sempre.
-</p>
-
-<p>
-Dopo il Boccaccio, chi ha più sentito e meglio tradotto
-la poesia di Napoli, è Lamartine. Boccaccio e Lamartine — spaventosa
-concordia! eppure, o Signori, è
-così. Quell'incanto molle di Napoli, quello spettacolo
-unico di cielo e di mare, dove in uno sguardo si vede,
-dirò così, il fiore della Vita — dove la terra è una festa,
-e il cielo un paradiso — il sensuale amante della Fiammetta
-lo sentì come lo spirituale poeta di Elvira. Tatti
-e due avevano respirato l'aria balsamica e luminosa
-delle notti napoletane — tutt'e due avean errato sul
-golfo nell'ora ineffabile in cui la luna declina verso il
-Capo Miseno, e impallidisce e svanisce tra le prime rose
-dell'aurora.
-</p>
-
-<p>
-Nel Sannazzaro già trasparisce il lato debole, anzi
-cattivo dell'epoca. Come in Lorenzo e in Leonardo è il
-lato <i>dialettico</i>, nel Sannazzaro è il lato <i>sofistico</i> del Rinascimento:
-la cieca idolatria del classicismo, delle regole
-consacrate e dommatiche, e quello spirito legislativo
-e dottrinario, che doveva finalmente soffogare l'immaginazione
-e la libertà individuale, e precipitare fino
-ai deliri del grottesco e del barocco, i sistematici adoratori
-del <i>Bello Assoluto</i>. Già fino dalla fine del secolo XV,
-per molti letterati, ciò che importa non è più <i>cosa</i> s'ha
-a dire, ma <i>come</i> si deve dire. Una menzogna o una turpitudine
-in bei periodi Ciceroniani, si preferisce a una
-verità o a un gran pensiero nel cattivo latino di Abelardo
-e di san Tommaso. Dei cardinali umanisti raccomandano
-<span class="pagenum" id="Page_190">[190]</span>
-a dei giovani prelati di non fermare il pensiero
-sulle orazioni della Messa o sulle parole dei Salmi,
-per non sciuparsi <i>lo bello stile</i>. Si paganizzano perfino
-i nomi, e Pietro si muta in <i>Pierio</i>, e Giovanni in <i>Gioviano</i>.
-Lo scrittore finisce col non dir più quello che
-pensa, o immagina, o sente — ma pensa solo a delle
-<i>frasi</i> — vede, non più il mondo immenso della Natura,
-ma il mondo limitato dei classici, e trascrive servilmente
-questo, come modello assoluto, e quasi sempre lo sciupa
-nel riprodurlo. La forza trionfante, l'indifferenza nella
-scelta dei mezzi pur di riuscire, la bellezza sensuale e
-voluttuosa, il godimento raffinato e egoistico, divennero
-un nuovo Vangelo — tanto che la Letteratura e l'Arte,
-queste due confessioni della Società, ne furon finalmente
-viziate, infette nell'intimo organismo, e mostruosamente
-pervertite. E si ebbero per ultima conseguenza, poemi
-cortigianeschi deliranti e snervanti, drammi da macchinisti,
-pitture e sculture di Dei senza potenza, di Vergini
-senza pudore, di uomini senza carattere: Santi che paion
-facchini e odalische — Angeli che somigliano ad
-acrobati o a ballerine — moli enormi e insolenti di
-marmo e stucco sciupati, che si chiamano chiese, palazzi
-e sepolcri.
-</p>
-
-<p>
-Il vizio del Rinascimento dopo il suo primo fiore, fu
-il culto eccessivo e la servile imitazione delle forme antiche.
-Finì per non guardar più alla Natura, unica e
-inesausta sorgente d'ogni Vero e d'ogni Bello; e lo vide
-solo attraverso i libri: e avemmo una letteratura convenzionale,
-un accademicismo rettorico. Dante, il gran
-conciliatore della Natura e dell'Arte, della dottrina e
-della poesia, fu dimenticato. Poi l'ingegno umano, pazzo
-d'orgoglio, non imitò più neppure i classici, ma pretese
-ricavare ogni invenzione dalla propria fantasia, <i>creare</i>
-senza guardare più nè il Vero nè gli antichi, e avemmo
-il Marini e il <i>Secento</i>.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_191">[191]</span>
-</p>
-
-<h3>V.</h3>
-
-<p>
-E quanto alla Poesia, ricordiamoci sempre, o Signori,
-che il primo, il vero, l'<i>insuperato</i> Rinascimento, è in
-Dante. Dopo lui, non c'è progresso. Come hanno potuto
-alcuni critici recenti affermare che il <i>Sentimento della
-Natura</i> e il <i>Sentimento umano</i> cominciano nella nostra
-poesia col Petrarca? Tutte le volte che Dante dipinge
-scene naturali, dal cielo stellato alle pecorelle, dal turbine
-a un uccellino, rimane insuperato non solo dal Petrarca,
-ma da quanti poeti hanno cantato in Italia per
-cinque secoli. Solo il Leopardi, qualche rara volta, gli si
-avvicina. Dante rimane il tipo del vero umanista; perchè
-adora l'antico, ma non abdica mai nè la sua fede,
-nè la sua epoca, nè la sua personalità. Egli solo nel
-suo tempo è grande poeta e grande scienziato — dopo
-lui la poesia e la scienza fanno in Italia un deplorevole
-divorzio. Nè si ripeta la solita storia delle dissertazioni
-<i>teologiche</i>. Dante è sommo e unico non <i>per</i>, ma <i>malgrado</i>
-i suoi Canti teologici.
-</p>
-
-<p>
-E il Sentimento umano? Non solo egli lo espresse in
-modo sovrano prima del Petrarca; ma espresse <i>tutti</i> i
-sentimenti umani: talmente che anche oggi, dopo tanti
-secoli, non possiamo in questo paragonargli <i>nessuno</i>, almeno
-in Italia. Pensate! Manfredi, Casella, Piccarda, Farinata,
-Pier delle Vigne, Buonconte, Sapia, Francesca,
-Ulisse, Ugolino, Filippo Argenti, Sordello, Romeo!
-</p>
-
-<p>
-.... “Ma le soavi, divine elegie del Petrarca, ma il colorito
-del Poliziano....„ Benissimo, — ma in Dante c'è
-ogni cosa: è una sinfonia orchestrale dove c'è l'organo
-solenne, e il violino appassionato, e le note ardenti della
-tromba di guerra, e i sospiri del flauto. Quando Dante
-è elegiaco, è più soave e più patetico di tutti i Petrarca
-del mondo — quando Dante colorisce, non gli son paragonabili
-<span class="pagenum" id="Page_192">[192]</span>
-che Tiziano e Velasquez — e nei sinistri crepuscoli;
-o nelle tragiche tenebre, Rembrandt.
-</p>
-
-<p>
-I <i>quattro</i> Classici!!... Ma fra Dante, e il più grande
-degli altri tre che è l'Ariosto, ci sarebbe posto almeno
-per altri due o tre poeti. Di Dante può dirsi ciò che il
-Petrarca cantò della Vergine:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Cui nè primo fu, simil, nè secondo.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Per trovargli un <i>compagno</i>, bisogna uscire d'Italia — e
-non ne troviamo che <i>uno</i>: Guglielmo Shakespeare.
-</p>
-
-<p>
-E come impallidisce anche tutta questa Lirica del Quattrocento,
-paragonata a certi accenti lirici della <i>Vita
-Nuova</i> e del <i>Purgatorio</i>, non solo come sentimento e
-immagini, ma anche come pura <i>forma</i> poetica! Dante
-resta incomparabilmente primo anche come artefice di
-versi nel tecnicismo del ritmo, come <i>stilista</i>. Ha certe
-audaci e felici inversioni, certi effetti di colore e di
-suono, da fare impallidire i più consumati maestri della
-parola poetica, da Goethe a Victor Ugo, dal Foscolo a
-Tennyson, dallo Shelley al Carducci.
-</p>
-
-<p>
-Perchè notate, o Signori, che nei poeti del Quattrocento,
-accanto a versi bellissimi, a strofe perfette, trovate
-versi deboli o manierati, l'epiteto ozioso e insignificante,
-la <i>zeppa</i>: un lavoro di mosaico e di tarsia, dove
-manca la pastosità del cemento, il magistero dell'artista
-sommo che sa dir tutto, e tutto bene, e sempre bene.
-</p>
-
-<p>
-Ah! se insieme ai tanti, ai <i>troppi</i>, commenti filologici,
-filosofici, teologici, storici, archeologici, che abbiamo della
-<i>Divina Commedia</i>, ne avessimo uno <i>estetico</i>; si vedrebbe
-come i caratteri essenziali dell'arte moderna, il naturalismo,
-la malinconia, la passione, son caratteri essenziali
-della poesia Dantesca — e come Dante, nonostante la
-sua scolastica e la sua teologia, è il più <i>moderno</i> di tutti
-i poeti italiani. E si deplorerebbe che i poeti che gli succedettero,
-invece di svolgere quel che era in germe nel
-<span class="pagenum" id="Page_193">[193]</span>
-Divino Poema, si ostinassero nella sistematica riproduzione
-delle forme grecolatine. In Dante era l'ode, l'eloquenza,
-la satira politica, sopratutto il dramma. Non vi
-si badò. Si preferì di copiare Ovidio e Terenzio, il Decamerone
-e il Petrarca — e si ebbero due secoli di Canzonieri
-noiosi, di laide Novelle, e di Commedie copiate.
-E tutta questa roba si chiama anche oggi <i>letteratura
-classica</i> e se ne infarciscono le Storie letterarie e le Antologie
-per le scuole: certe storie letterarie, certi <i>Manuali</i>,
-dove si parla a lungo del Segneri e non è neppur
-rammentato il Savonarola — dove si parla diffusamente
-e si danno estratti della <i>Tancia</i>, e non è neppur ricordato
-Carlo Goldoni; perchè il Savonarola e il Goldoni
-scrivono in <i>cattiva lingua</i>.... Tanto è vero che da noi,
-per troppo amor della lingua, si perde spesso il <i>cervello</i>.
-</p>
-
-<p>
-Ho detto che anche come <i>artefice di verso</i>, Dante è
-superiore a tutti i poeti del Rinascimento, non escluso
-il Petrarca.
-</p>
-
-<p>
-Mi basti ripresentare alla vostra memoria e alla vostra
-ammirazione i versi descriventi la fiamma che parla, il
-gemito di una testa recisa, le piante animate e sanguinanti,
-le trasformazioni di uomo in serpente, l'uccello
-mattutino, le pecorelle che escon dal chiuso, l'anima che
-si dilegua cantando, i versi sull'ora del tramonto, quelli
-sull'alba di maggio....
-</p>
-
-<p>
-E le note di suprema malinconia, i versi patetici,
-com'egli solo sa fare?
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Deh, quando tu sarai tornato al mondo,</p>
-<p class="i01">E riposato della lunga via....</p>
-<p class="i01">Ricorditi di me che son la Pia.</p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01">Indi partissi povero e vetusto.</p>
-<p class="i01">E se il mondo sapesse il cuor ch'egli ebbe</p>
-<p class="i01">Mendicando sua vita a frusto a frusto</p>
-<p class="i01">Assai lo loda e più lo loderebbe.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_194">[194]</span>
-</p>
-
-<p>
-Ed è lo stesso poeta che ha scritto:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Quand'ebbe detto ciò, con li occhi torti</p>
-<p class="i01">Riprese il teschio misero co' denti</p>
-<p class="i01">Che furo all'osso come d'un can forti.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-e:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">A te sia rea la sete onde ti crepa</p>
-<p class="i01">. . . . . la lingua e l'acqua marcia</p>
-<p class="i01">Che il ventre innanzi agli occhi sì t'assiepa.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-E i versi <i>passionati</i>, dai primi, incerti, deliziosi sogni
-d'amore, fino all'ebbrezza, fino al delirio?...
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Quanti dolci pensier, quanto desio,</p>
-<p class="i01">Menò costoro al doloroso passo!</p>
-<p class="i01 dotted">. . . . . . . . . . . . .</p>
-<p class="i01">Questi, che mai da me non fia diviso,</p>
-<p class="i01">La bocca mi baciò, tutto tremante....</p>
-</div></div>
-
-<p>
-È un grido umano, che cuopre e soffoca tutti i melodici
-sospiri per tutte le Laure dei cento <i>Canzonieri
-italiani</i>.
-</p>
-
-<p>
-Se la parte scolastica e scientifica della <i>Divina Commedia</i>
-ci apparisce un po' come natura morta, tutta la
-parte umana e poetica è immortalmente giovine e viva:
-perchè la scienza è progressiva, e perciò ha sempre un
-valore relativo, — ma la Poesia (la vera Poesia) è assoluta,
-e perciò inalterabile. Copernico offusca Tolomeo,
-Cuvier eclissa Buffon, Darwin eclissa Lamarke, — ma
-Dante non scema d'un raggio l'aureola sfolgorante d'Omero — nè
-Shakespeare attenua di un grado la gloria
-sovrana di Eschilo. Nè tutti gli splendori del Rinascimento,
-dal Petrarca all'Ariosto, nè tutta la grande poesia
-moderna da Goethe al Leopardi, offusca minimamente
-la gloria <i>trascendentale</i> della Divina Commedia.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_195">[195]</span>
-</p>
-
-<h3>VI.</h3>
-
-<p>
-Il Savonarola è una grande anima, e un vero poeta — ma
-è più gran poeta in molte sue prediche, che nelle
-vere e proprie <i>Poesie</i>. Nonostante, anche in queste, benchè
-scorrette, neglette di forma, circola un'aura, un soffio
-potente, come un'eco ancor calda delle sue ardenti
-perorazioni, delle sue tragiche visioni, delle sue formidabili
-apostrofi: ma talvolta, e non di rado, vi son note
-semplici, fresche, quasi festose, come in questi versi sul
-<i>Natale</i>, che sembran preludere nella loro ingenuità ai
-due inni immortali del Milton e del Manzoni.
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Venite, Angeli santi.</p>
-<p class="i01">E venite suonando;</p>
-<p class="i01">Venite tutti quanti</p>
-<p class="i01">Gesù Cristo laudando,</p>
-<p class="i01">E gloria cantando</p>
-<p class="i01">Con dolce melodia;</p>
-<p class="i01">Ecco il Messia — ecco il Messia</p>
-<p class="i01">E la madre Maria.</p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i02"> Venitene, Profeti</p>
-<p class="i01">Che avete profetato,</p>
-<p class="i01">Venite tutti lieti;</p>
-<p class="i01">Vedete ch'egli è nato,</p>
-<p class="i01">Il picciolin Messia!</p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i02"> Pastor pien di ventura,</p>
-<p class="i01">Che state voi a vegghiare?</p>
-<p class="i01">Non abbiate paura;</p>
-<p class="i01">Sentite voi cantare?</p>
-<p class="i01">Correte ad adorare</p>
-<p class="i01">Gesù con mente pia.</p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i02"> I Magi son venuti</p>
-<p class="i01">Dalla stella guidati,</p>
-<p class="i01">Con lor ricchi tributi.</p>
-<p class="i01"><span class="pagenum" id="Page_196">[196]</span></p>
-<p class="i01">In terra inginocchiati.</p>
-<p class="i01">Quanto son consolati</p>
-<p class="i01">Adorando il Messia!</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Altre volte, nell'ardore della preghiera, ha qualche
-cosa di petrarchesco come in questa strofa:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Apri, Signore, il tuo celeste fonte;</p>
-<p class="i01">Quella tua dolce vena</p>
-<p class="i01">Che Maria Maddalena</p>
-<p class="i01">Trasse di basso loco all'alto monte,</p>
-<p class="i01">Con l'anima serena</p>
-<p class="i01">Piena di raggi e di splendor divino.</p>
-<p class="i01">Pietà, Signor, di questo peregrino!</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Amor giovine, deplorò le umane rovine della Chiesa
-e le morali rovine del Mondo, con versi potenti. La
-Chiesa di Cristo,
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Povera va con membra discoverte,</p>
-<p class="i01">I capei sparsi e rotte le ghirlande:</p>
-<p class="i01">Scorpio la punge ed angue la perverte.</p>
-<p class="i01">E così va per terra</p>
-<p class="i01">La coronata, e le sue sante mani....</p>
-<p class="i01">Bestemmiata dai cani</p>
-<p class="i01">Che van truffando sabbati e calende....</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Le Poesie sacre del Savonarola, a differenza di quelle
-di Feo Belcari e del Benivieni, accennano o confermano
-il concetto d'una <i>Riforma Cattolica</i>, già prenunziata
-da Dante. E in alcune strofe si mostra anche artista.
-Nonostante il <i>falò</i> delle vanità, nel quale è a deplorarsi
-l'eccesso che pur vi fu, egli aveva vivo il sentimento dell'Arte.
-Fondò una scuola di pittura nel suo stesso Convento,
-ove lavorò Fra Bartolomeo, fu agli artisti e ai letterati
-consigliere e ispiratore, fu intimo amico di Pico
-della Mirandola e inaugurò con lui gli studi ebraici e
-orientali — e il genio dei Profeti e di Dante che era in
-<span class="pagenum" id="Page_197">[197]</span>
-lui, lo comunicò a Michelangiolo, e palpita ancora immortale
-alla volta e alle pareti della <i>Sistina</i>. Non facciamo
-dunque del grande oratore e del grande riformatore, un
-Erostrato selvaggio e un frate ignorante.
-</p>
-
-<p>
-Egli fu in Italia la più gran coscienza <i>morale</i> del secolo
-XV, come Dante lo era stato del XIV, e come Michelangiolo
-lo fu del XVI. L'ardore con cui il santo monaco
-fuse insieme i sentimenti di patriottismo e di morale
-nel popolo di Firenze, non si spense con lui — e
-i suoi migliori effetti si videro rifulgere nel memorabile
-Assedio degli anni 1529-30. Il soffio vulcanico del grande
-oratore che ispirò il poema della <i>Giustizia</i> dipinto nella
-Sistina da Michelangelo, animò egualmente la tragedia
-della <i>Libertà</i> combattuta a Gavinana da Francesco Ferruccio.
-</p>
-
-<p>
-La sua <i>fede</i> eccitava il suo entusiasmo, il suo entusiasmo
-faceva la sua forza. Nessuno, o Signori, è diventato
-martire per una <i>opinione</i>: la <i>fede</i> sola fa i martiri.
-Egli credeva e vedeva, e tuonava dal pergamo le
-sue visioni. Chiamatelo pure un fanatico. Era fanatico
-come Ezechiello, come Geremia, come Arnaldo, come
-Demostene, come Dante, come Mirabeau, come O'Connell — come
-tutti quelli che hanno comunicato l'elettricismo
-d'una parola di fuoco. Era un malato?... Forse.
-Ogni vera creazione produce uno spostamento, un disequilibrio.
-Se gli eroi, i martiri, i grandi poeti son tutti
-<i>malati</i> — consoliamoci — non c'è mai stata tanta salute
-come oggi, in Europa!
-</p>
-
-<p>
-Le più ammirabili prediche del Savonarola, come ben
-nota l'illustre Villari nel suo classico libro, son quelle
-su i <i>Salmi</i>: e quella dove l'impeto lirico è sommo ed
-unico, dove il Savonarola è veramente poeta, e gran
-poeta, è la <i>predica-visione</i> dei flagelli d'Italia. Il Cielo
-stesso combatte; i Santi, gli Angeli spingono i barbari
-vendicatori. Son loro che li hanno chiamati, che hanno
-<span class="pagenum" id="Page_198">[198]</span>
-messo le selle ai cavalli, e affilate le spade. E il diluvio
-degli stranieri, il gran gastigo italico, comincia. Dove
-andiamo? San Pietro grida: A Roma! a Roma! San
-Giovan Battista e Santo Antonino: a Firenze! E San
-Marco: là verso la città superba e voluttuosa, che inalza
-le sue cupole d'oro sovra le acque!
-</p>
-
-<p>
-La impressione che riceviamo anche oggi, dopo quattro
-secoli, e alla semplice <i>lettura</i>, da questa predica, è
-solo paragonabile a ciò che proviamo al primo ingresso
-nella Cappella Sistina. Vi ricordate? Un fremito, un
-tumulto, corre sulle pareti. Non si sa dove riposare lo
-sguardo. Da tutte le parti, visi minacciosi, e pianti disperati.
-Ezechiello si volta impetuosamente, in furiosa
-disputa con un Angelo. Geremia appoggia l'enorme testa
-sulle mani, come schiacciato dal peso di tutti i dolori
-di Gerusalemme. La Libica si alza terribile, con in mano
-il gran libro dei fati. La Persica legge con occhi ardenti.
-Daniele scrive tremando. Qua, il tronco di Oloferne versa
-una fiumana di sangue; là, gli adoratori degli idoli si
-contorcono, ignudi, sotto i morsi dei serpenti divoratori.
-Madri spaventate urlano e fuggono, stringendo al seno
-i bambini. Un altro vede passare in uno specchio visioni
-così terribili, che indietreggia atterrito, e batte la spalla
-nella muraglia. Par di sentir ruggire di lontano il tuono
-della vendetta divina. La Giustizia e il Giudizio — riparatore
-e vendicatore — respirano da ogni angolo della
-tremenda Cappella.
-</p>
-
-<p>
-In quegli anni tragici e sinistri di saccheggi e di incendi,
-di orgie e di tradimenti, Michelangelo, che doveva
-assistere ai funerali della libertà e dell'Italia, si ricordò
-soprattutto del Savonarola, e leggendo assiduamente i
-Profeti, Dante, e le Prediche e le Liriche del Ferrarese,
-dipinse i Profeti, e scolpì la <i>Notte</i>, la <i>Notte d'Italia</i>.
-</p>
-
-<p>
-In una delle sue ultime prediche, il Savonarola, presago
-dello imminente martirio, disse queste parole: “O
-<span class="pagenum" id="Page_199">[199]</span>
-Signore, io non tengo modi di cercar gloria umana. Io
-non voglio cappelli, nè mitrie piccole o grandi. Non
-chieggo se non quello che tu hai dato ai tuoi Santi — la
-morte. Un cappello rosso, un cappello di sangue, questo
-desidero.„
-</p>
-
-<p>
-E l'ebbe. E prima, le agonie dell'infame processo, i
-dubbi e i terrori, la fune che gli slogò tutte l'ossa, le
-tenebre della segreta, le smanie e gli scoramenti, e i
-sudori di sangue dell'eterno Getsemani....
-</p>
-
-<p>
-Fu allora che in un momento di tregua, in un'ora di
-grazia e di respiro, — fra la tortura e il rogo — compose
-un salmo sublime, che il Tommaseo ammirava tanto,
-e tradusse.
-</p>
-
-<p>
-Eccone alcuni versetti:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Conoscerò dunque, fra poco, Voi, o mio Dio, conoscitore di me.</p>
-<p class="i01">O mio consolatore, mostratevi a me finalmente;</p>
-<p class="i01">Siatemi adiutore — non mi lasciate.</p>
-<p class="i01">Perchè il padre e la madre mia mi lasciarono....</p>
-<p class="i01">Ma il Signore misericordiosamente mi assunse.</p>
-<p class="i01">Non mi date alle animosità di quei che mi tribolano,</p>
-<p class="i01">Poichè insorsero contro me testimoni iniqui — e l'iniquità mentì a sè medesima.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Sospeso dal laccio infame sul rogo, e non ancor
-morto, il Savonarola potè forse vedere le mani impazienti
-e furiose del popolo, appressare le torce accese alla
-catasta già sparsa d'olio e bitume; mentre altre mani
-scagliavano una pioggia di sassi su quel volto tante volte
-illuminato dalla luce del genio e dalla santità della vita.
-</p>
-
-<p>
-Ah! da quando insultò Socrate, e preferì ad alte grida
-Barabba a Gesù; al giorno in cui sputò in faccia a
-Bailly e imprecò a Madama Roland moritura — la plebe
-ingannata e pervertita, o abbandonata al cieco istinto
-bestiale, ha sempre applaudito all'eccidio dei suoi più
-insigni <i>benefattori</i>.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_200">[200]</span>
-</p>
-
-<h3>VII.</h3>
-
-<p>
-Come il lato sofistico del Paganesimo era stato il consacrare
-la natura umana anche nella sua parte cattiva — il
-lato sofistico del Cristianesimo medievale fu di gettare
-un anatema troppo assoluto su la Natura, di
-vivere come lo Stilita sospesi tra il Cielo e la Terra,
-guardando a quello con estasi, a questa con un sacro
-terrore. Il centro della Idealità fu spostato nel <i>Rinascimento</i>;
-e al culto del Dolore spirituale, successe
-l'apoteosi della plastica Bellezza e della Euritmia. Ma
-tra le voci armoniose e pagane, dura anche nel <i>Quattrocento</i>
-qualche eco della grande, triste e patetica poesia
-del Cattolicismo. Oltre il Savonarola, vanno ricordati il
-Benivieni e il Belcari. Il primo essenzialmente lirico,
-drammatico e trovatore di patetiche situazioni, efficaci,
-nella loro ingenua espressione. Basti rammentare le parole
-d'<i>Isacco</i> al padre che sta per sacrificarlo.
-</p>
-
-<p>
-Nella lirica satirica si distinsero il Cammelli e il Burchiello:
-ma il loro più gran merito consiste forse nella
-visibile influenza che ebbero sull'ammirabile genio del
-Berni.
-</p>
-
-<p>
-Un soffio veramente lirico spira in alcuni canti epici
-del rude e possente poeta Luigi Pulci. La sua <i>morte di
-Orlando</i> è semplice, patetica, e tocca il sublime. E forse
-Alfredo Tennyson l'ebbe in mente, quando descrisse,
-negli <i>Idilli del Re</i>, la <i>Morte di Artur</i>o.
-</p>
-
-<p>
-Nelle stanze narranti la catastrofe cavalleresca, Roncisvalle,
-e la morte del gran Paladino, è commisto in
-modo mirabile l'elemento <i>lirico</i> all'epico:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Così tutto serafico al ciel fisso</p>
-<p class="i01">Una cosa parea trasfigurata,</p>
-<p class="i01">E che parlasse col suo crocifisso....</p>
-<p class="i01"><span class="pagenum" id="Page_201">[201]</span></p>
-<p class="i01">Il cielo certo allor s'aperse....</p>
-<p class="i01">E come nuvoletta che in su vada,</p>
-<p class="i01"><i>In exitu Israel</i>, cantar, <i>de Egipto</i></p>
-<p class="i01">Sentito fu, dagli Angeli solenne</p>
-<p class="i01">Chè si conobbe al tremolar le penne.</p>
-<p class="i01">Poi si sentì. . . . . . . .</p>
-<p class="i01">Certa armonia con sì soavi accenti,</p>
-<p class="i01">Che ben parea d'angelici istrumenti.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Versi che certo rammentava l'Ariosto quando cantò
-con la magia che gli è propria:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">E voci e suoni d'angeli concordi</p>
-<p class="i01">Tosto in aria s'udîr che l'alma uscìo</p>
-<p class="i01">La qual, disciolta dal corporeo velo,</p>
-<p class="i01">Fra dolce melodia salì nel cielo.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Arriva Carlo Magno e benedice al morto Paladino e
-gli richiede la spada Durlindana.
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Io benedico il dì che tu nascesti,</p>
-<p class="i01">Io benedico la tua giovinezza.</p>
-<p class="i01">Io benedico i tuoi concetti onesti,</p>
-<p class="i01">Io benedico la tua gran prodezza.</p>
-<p class="i01">E se tu hai di me nel ciel mercede,</p>
-<p class="i01">Come solevi al mondo, alma diletta,</p>
-<p class="i01">Rendimi se Dio tanto ti concede,</p>
-<p class="i01">Ridendo, quella spada benedetta.</p>
-<p class="i01 dotted">. . . . . . . . . . . . . .</p>
-<p class="i01">Come a Dio piacque, intese le parole,</p>
-<p class="i01">Orlando, sorridendo, in piè rizzossi;</p>
-<p class="i01">Con quella reverenza che far suole,</p>
-<p class="i01">E innanzi al suo Signore inginocchiossi,</p>
-<p class="i01">E poi distese, ridendo, la mana,</p>
-<p class="i01">E resegli la spada Durlindana.</p>
-<p class="i01 dotted">. . . . . . . . . . . . . .</p>
-<p class="i01">Carlo tremar si sentì tutto quanto</p>
-<p class="i01">Per maraviglia e per affezione,</p>
-<p class="i01">E a fatica la strinse col guanto....</p>
-</div></div>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_202">[202]</span>
-</p>
-
-<p>
-Ma il personaggio più magneticamente poetico del
-<i>Quattrocento</i>, quello la cui <i>vita</i> è una vera <i>lirica</i> di
-bellezza, di aspirazioni e di entusiasmi, è Pico della Mirandola:
-e non vi dispiaccia, o Signori, che io <i>concluda</i>
-col suo simpatico nome, questi miei rapidi cenni su la
-poesia del Quattrocento.
-</p>
-
-<p>
-Marsilio Ficino ci ha narrato come lo vide la prima
-volta in Firenze. Era il 1480, l'anno in cui il Ficino
-aveva compiuto la sua grande opera, la traduzione di
-Platone. Una bella giornata di settembre, verso l'ora
-del tramonto, il dotto ellenista meditava nel suo studio.
-La lampada votiva che egli teneva accesa dinanzi al
-busto di Platone brillava vivace nella languente luce
-vespertina. Entrò un giovane alto e bello, dagli occhi
-grigio-cerulei, dai capelli di un biondo acceso, scendentigli
-sulle spalle sotto un berretto di velluto nero: vestiva
-una cotta di raso violaceo, listato d'argento: aveva
-al collo la collana d'oro di Principe. Era Giovanni Pico
-della Mirandola.
-</p>
-
-<p>
-Parlarono di filosofia — di Platone, naturalmente. E
-il giovine Principe suggerì al vecchio filosofo di tradurre
-Plotino, il mistico panteista dell'Antichità. Parlò
-dell'Oriente; <i>il mio Oriente</i>, diceva, l'<i>alma mater</i> d'ogni
-scienza e poesia. Parlò della Bibbia e del Cristianesimo,
-di un Cristianesimo eterno, indistruttibile, conciliabile
-col Platonismo. Parlò dell'Uomo, che è un piccolo Mondo,
-una sintesi portentosa e divina, “dov'è, diceva, l'essenza
-angelica e il senso del bruto, e la vegetale anima
-delle piante, e il fuoco e il mercurio„. Disse al Ficino
-di un Commento che intendeva fare alla Canzone del
-Benivieni su l'<i>Amor divino</i>: e ne discorse con una stupenda
-profusione di immagini colorite e poetiche, prese
-dall'Astrologia, e dalla Cabala, da Salomone e da
-Omero.
-</p>
-
-<p>
-E la notte calava sulle grandi vetrate dello studio, e
-<span class="pagenum" id="Page_203">[203]</span>
-la lampada votiva illuminava il marmoreo volto di Platone
-e i capelli d'oro di Pico.
-</p>
-
-<p>
-Era allora poco più che ventenne: ma avea già provato
-le tempeste della passione e n'era restato disilluso,
-e abitualmente un po' mesto.
-</p>
-
-<p>
-Aveva scritto molti versi d'amore, e gli aveva, un
-giorno, tutti bruciati. (Grande e raccomandabilissimo
-esempio!...) Aveva viaggiato, visto uomini e cose. Veniva
-ora a Firenze, attratto dalla fama del Magnifico
-Lorenzo, e dall'amicizia per il Ficino.
-</p>
-
-<p>
-Una bellissima bruna, una ardente <i>Savonaroliana</i>,
-soprannominata la <i>profetessa</i>, Camilla Rucellai, s'innamorò
-perdutamente di lui.... ma non fu corrisposta. La
-irrequieta curiosità teologica e scientifica, la triste sazietà
-dei piaceri, preservarono Pico da nuove passioni.
-La Rucellai gli predisse che sarebbe morto <i>al tempo dei
-gigli</i>.... E il giorno che Pico della Mirandola spirava tra
-le braccia del Savonarola, Carlo VIII entrava in Firenze
-preceduto dalla bandiera con li aurei gigli di Francia.
-Fu sepolto in San Marco. Aveva 32 anni. I contemporanei
-lo chiamarono la <i>Fenice</i> degli ingegni. Per noi è
-una Fenice soprattutto in questo, che fu un <i>Erudito
-poetico</i>. Non si è visto ancora il secondo.
-</p>
-
-<p>
-Sapeva e scriveva il greco, l'arabo, l'ebraico, il caldaico.
-All'età di ventisette anni, trasse dai suoi immensi
-studi novecento tesi di fisica, filosofia, teologia, astronomia,
-magia naturale, comprendenti quasi tutto lo scibile
-del suo tempo, e le pubblicò in Roma, proferendosi
-pronto cavallerescamente a sostenerle contro chiunque
-osasse oppugnarle. Poeta e filologo, filosofo e mistico,
-ebbe un'ardente curiosità dell'ignoto, del miracoloso, intravedendo
-e indagando il <i>Soprannaturale</i> nell'intima
-essenza del <i>Naturale</i>; come Leonardo, Paracelso, Fichte,
-Novalis, Carlyle. Simpatizzava con tutto quello che le
-morte generazioni hanno sinceramente e passionatamente
-<span class="pagenum" id="Page_204">[204]</span>
-creduto: e studiava, rievocava, resuscitava le antiche
-mitologie. Vedeva in esse l'eterno <i>Io</i> dell'umanità,
-vi leggeva un motto del grande Enimma. Egli disse pel
-primo la feconda parola: in ogni <i>fede</i>, è una parte di
-<i>verità</i>.
-</p>
-
-<p>
-La sua teoria è essenzialmente poetica e consolante,
-e rammenta la teoria Browninghiana. — Tutto quello
-che rettamente si volle e nobilmente si amò sulla Terra,
-non andrà mai perduto. Dovremo traversare altri mondi — molto
-avrem da imparare, molto da dimenticare, ma
-quel momento verrà. Tutto quello che ardentemente
-aspiravamo ad essere, e non potemmo essere su la Terra,
-ed a cui pure ci sentivamo chiamati; tutto ciò che era
-in noi e che il mondo ignorò, la poesia muta, l'amore
-represso, il momento fatale perduto, tutto avrà un giorno,
-altrove, sviluppo e trionfo. Pico della Mirandola serbò
-intatte, nel suo poetico naturalismo, la coscienza individuale,
-e la libertà morale dell'anima umana. Nel suo
-trattato <i>De Hominis dignitate</i>, scrisse queste belle e
-memorande parole: “I bruti sono eternamente bruti,
-gli angeli, essenze angeliche eternamente. Tu solo, o
-Uomo, puoi degenerare fino a divenire un bruto, e rigenerarti
-e sollevarti fino a parere un Dio. Tu solo hai
-un incessante sviluppo; tu solo porti in te i germi di
-ogni specie di Vita.„
-</p>
-
-<p>
-Se Pico della Mirandola distrusse i suoi versi, restò
-poeta nella vita, nel sentimento, nell'intelletto. Nè mi è
-parso inopportuno parlare di lui, in una lettura su la
-poesia del <i>Rinascimento</i>. Per esserne il più poetico simbolo,
-non gli è mancato nulla. Ha avuto l'ingegno, la
-dottrina, la bellezza, la gioventù, la nobiltà, l'entusiasmo,
-la morte precoce; e finalmente <i>un certo mistero</i> che avvolge
-il suo nome, la sua vita, e tutti i suoi scritti.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_205">[205]</span>
-</p>
-
-<h2 id="orlando">L'ORLANDO INNAMORATO
-<span class="smaller">DEL BOIARDO</span></h2>
-
-<p class="center">
-DI
-</p>
-
-<p class="center large">
-PIO RAJNA.
-</p>
-</div>
-
-<p class="pad2">
-Scommetto, signore e signori miei, che se fossi mago — che
-pur troppo non sono — e avessi la virtù di far
-qui comparire a un vostro cenno tutti i poeti che vi venisse
-la curiosità di vedere, la sala correrebbe un gran
-rischio di essere stipata prima che a Matteo Maria Boiardo
-fosse concesso di trovarsi in mezzo a un'accolta
-di persone, tale da richiamarlo a' suoi giorni più belli.
-Gli è che il nome suo vi s'offrirebbe offuscato da un
-altro: quello di Lodovico Ariosto. E c'è di peggio. Il
-Boiardo della tradizione comune ha come l'aria di un
-somarello dal pelo arruffato, pieno di guidaleschi, che
-se ne va trotterellando alla meglio, indegno di attirare
-gli sguardi, finchè un buffone — Francesco Berni mi
-scusi, — non è còlto dal ghiribizzo di balzargli sul dorso,
-e, messolo a corsa a forza di scudisciate, non si dà ad
-eseguire su quella cavalcatura ogni sorta di smorfie e
-capestrerie. O chi mai deve dunque impacciarsi di richiamare
-dall'eterno riposo un'ombra cosiffatta?
-</p>
-
-<p>
-Chi? — Voi per l'appunto: dopo che vi siate presi
-la cura di conoscere meglio cosa sia per davvero l'<i>Orlando
-Innamorato</i>, o <i>Innamoramento d'Orlando</i> che si
-voglia dire; una cura che, avendo me a guida, riuscirà
-forse una fatica e una noia; ma che fatica e noia non
-<span class="pagenum" id="Page_206">[206]</span>
-sarebbe, se, mandato a farsi benedire l'incomodo mediatore,
-apriste il libro voi stessi e vi deste a legger senz'altro.
-</p>
-
-<p>
-Per il momento son qui, e bisogna che mi tolleriate.
-Ed io dal mio canto, volendo adempiere coscienziosamente
-l'ufficio a cui mi son sobbarcato (povera coscienza,
-come si strazia in tuo nome!), son costretto a
-risalir molto indietro. L'<i>Orlando Innamorato</i> — dicono
-i barbassori — non si può giudicar bene senza essere
-prima informati della sua schiatta; e questa schiatta è
-disgraziatamente antica assai.
-</p>
-
-<p>
-Sicuro: ci si perde in un lontano passato, e in un
-passato non nostro. Tutti sanno oramai di una epopea
-rigogliosa fiorita nella Francia del medio evo e dissepolta
-pietosamente da sessant'anni in qua. Essa accompagnò
-la vita francese dai primordi fino a un'età molto
-tarda. Nata di sangue germanico, ma fattasi presto romana,
-cantò i fatti e gli eroi del periodo merovingio,
-poi quelli del carolingio, e serbò ancora abbastanza fiato
-perchè, due e più secoli dopo, al tempo delle crociate,
-potesse mettersi alla bocca la tromba.
-</p>
-
-<p>
-Quanti personaggi si trovò così a celebrare! Ma tra
-gl'infiniti, taluni, per motivi interni ed esterni, vennero
-a prevalere. Primo fra tutti Carlo Magno, il sovrano
-per eccellenza. E accanto a lui Orlando, del quale la
-morte stoicissima al passo di Roncisvalle fece l'ideale
-del guerriero valoroso e del vassallo devoto. In Rinaldo
-invece e in certi altri si possono veder personificate le
-doti meno corrette, ma spesso più simpatiche, del barone
-ribelle; ribelle nondimeno ai soprusi, non all'esercizio
-legittimo dell'autorità.
-</p>
-
-<p>
-Nella sua forma schietta e genuina questa epopea
-francese è poesia severa, profondamente patriottica, ardentemente
-cristiana, fieramente guerresca. Ma se il patriottismo,
-la religiosità e lo spirito bellicoso eran troppo
-<span class="pagenum" id="Page_207">[207]</span>
-connaturati con essa per venir a mancare, la severità
-invece dovette via via ceder terreno di fronte al bisogno
-di andar a sangue a un pubblico mano mano più
-desideroso di svago: simile al pubblico d'una conferenza!
-Così l'epopea si veniva convertendo in romanzo:
-metamorfosi da non poter mai riuscire perfettamente,
-nel territorio almeno a cui l'epopea appartiene per nascita.
-Getti pur lontano quanto vuole la sua tonaca,
-poco o tanto il frate resterà sempre frate. Quindi, se le
-<i>chansons de geste</i> continuarono ad appagare esuberantemente
-il gusto, facile sempre, delle classi popolari, il
-palato dei signori trovò col tempo maggior piacere in
-altri cibi. E i cibi furono svariati; ma il più gradito
-fra tutti fu quello offerto in gran copia dalle narrazioni
-costituenti la cosiddetta Materia di Brettagna, o il Ciclo
-d'Artù e della Tavola Rotonda. Straniero di origine, e
-però non vincolato o frenato da nessun obbligo o tradizione,
-questo ciclo potè volgersi liberamente a sodisfare
-ogni tendenza e desiderio di quella società cavalleresca
-alla quale s'indirizzava, parte, svolgendo gli elementi
-portati con sè della patria, e più assai trasformando
-e introducendo di nuovo. Ne uscì un mondo fantastico,
-nel quale il meraviglioso — prima causa, se non
-erro, della fortuna brettone — s'incontra a profusione;
-dove i guerrieri se ne vanno errando soletti, o quasi,
-per regioni solitamente boscose, sconosciute affatto a
-loro medesimi, incontrando di continuo l'inaspettato;
-dove al posto della guerra s'ha il duello, il torneo e
-l'“avventura„; dove insieme col valore regna la cortesia;
-dove la donna, relegata in un cantuccio dall'epopea
-carolingia, è messa in trono, e con essa — occorre mai
-dirlo? — è messo in trono l'amore; un amore che cura
-ben poco le istituzioni sociali, sicchè si compiace segnatamente
-delle due coppie adultere di Tristano ed Isotta,
-di Lancillotto e Ginevra.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_208">[208]</span>
-</p>
-
-<p>
-Dalla Francia così l'epopea nazionale come la materia
-di Brettagna si propagarono all'Italia. L'epopea se ne
-dovette venire fino da un'età molto antica; oserei quasi
-dire già in quella stessa di Carlo Magno. Quanto alle
-narrazioni brettoni, giunsero a noi più tardi; eppure,
-lasciando stare certi indizi che ci riporterebbero nientemeno
-che al cadere del secolo XI, è certo che nel XII
-si divulgarono largamente. La fortuna dell'epopea fu
-senza confronto maggiore. Essa trovò qui una seconda
-patria; e non già solo in questa o quella regione, bensì
-oramai in tutto il paese. Ciò non toglie che la vallata
-del Po fosse il terreno più disposto ad accoglierla. Colà
-prima che altrove mise salde radici e si rivestì di nuove
-frondi. Agli abitatori di quelle provincie che avessero
-qualche poco di coltura, la favella francese sonava famigliare;
-sicchè ivi accadde che si rimaneggiasse e s'arricchisse
-con nuove invenzioni ciò che s'era avuto d'oltralpe
-servendosi del linguaggio della Francia e senza
-dipartirsi dai ritmi originarii. Linguaggio e ritmo non
-rimasero; invece, nè potevano rimanere, al di qua dell'Appennino;
-l'uno cedette il posto ai volgari nostri,
-l'altro all'ottava rima o alla prosa. Ma di quaggiù il
-mutamento ebbe poi ad essere comunicato di rimbalzo
-all'Italia stessa del settentrione, ridottasi a poco a poco
-ancor essa ad accogliere un sentimento più vivo d'italianità
-nell'ordine altresì della lingua e della letteratura.
-</p>
-
-<p>
-Quanto alla materia di Brettagna, è naturale che anche
-presso di noi se ne avessero a compiacere specialmente
-quelle classi per cui s'era venuta foggiando. Ciò
-viene a dire che dovette certo aver voga maggiore nella
-Lombardia, intesa nel suo vecchio ed ampio significato,
-nella Marca di Treviso, nella Romagna, così ricche di
-signori feudali e di piccole corti. Però non a caso Dante
-pose il romanzo di Lancillotto tra le mani de' “duo cognati„,
-con quell'effetto che troppo ben sapete. Nondimeno
-<span class="pagenum" id="Page_209">[209]</span>
-e Artù e Tristano e Galvano e tutta la brigata
-non mancarono di esercitare vive seduzioni anche qui
-nella Toscana sulle fantasie di una gioventù, cui il nascere
-per la più parte di popolo non toglieva d'essere
-amante del “donneare„, della prodezza del lusso, e di
-ogni gentil costume. Quindi sulle pareti del palazzo della
-sua Madonna il poeta dell'<i>Intelligenza</i> — o perchè non
-dirò io Dino Compagni? — darà luogo alla rappresentazione
-di questo mondo leggiadro con parole che lasciano
-intendere quanto fosse caro al suo cuore (St. 287-288):
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">E sonvi i pini, e sonvi le fontane.</p>
-<p class="i01 dotted">. . . . . . . . . . . . . . . . .</p>
-<p class="i02"> E sonvi tutti i begli accontamenti</p>
-<p class="i01">Che facevan le donne e' cavalieri:</p>
-<p class="i01">Battaglie, giostre, be' torneamenti,</p>
-<p class="i01">Foreste, roccie, boscaggi e sentieri.</p>
-<p class="i01">Quivi sono li bei combattimenti,</p>
-<p class="i01">Aste troncando e squartando destrieri.</p>
-<p class="i01">Quivi sono le nobili avventure;</p>
-<p class="i01">E son tutte a fino auro le ligure:</p>
-<p class="i01">Le caccie, e corni, valletti e scudieri.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Lungi da me l'idea di parlarvi, sia pure rapidissimamente,
-di ciò che da un lato il ciclo carolingio, dall'altro
-il brettone, produssero presso di noi nel lungo periodo
-che precede al mio soggetto, ossia fin verso il declinare
-del quattrocento. Questo solo dirò, che il brettone
-riuscì poco prolifico, e si limitò quasi sempre a
-tradurre e verseggiare. Il carolingio invece fu di una
-fecondità conigliesca, e mise alla luce una serie interminabile
-di romanzi in prosa e in verso, attraenti dapprima,
-fino a che in generale si contentavano essi pure
-di ripetere in forma schietta ed ingenua narrazioni antiche,
-ma via via più stucchevoli. Ci si domanda come
-la gente del secolo XV — ed anche del XVI — potesse
-<span class="pagenum" id="Page_210">[210]</span>
-trovar diletto nel leggere o sentir recitare casi
-tanto uniformi, narrati prolissamente e senza grazia. Ci
-si domanda: ma quando si vede un fanciullo trastullarsi
-ore ed ore con quattro fuscellini, e gli stessi pettegolezzi
-far le spese della conversazione universale per una
-intera settimana, e i cuori di migliaia e migliaia di persone
-(osservo, non critico) stare in ansia per veder risolto
-il gran problema se quattro zampe di cavallo arriveranno
-alla mèta un minuto terzo prima di altre
-quattro, e rimanersene per questo ore ed ore sotto la
-sferza solare, si conchiude che per divertir l'uomo,
-grande e piccino, molto poco può essere sufficiente. Vero
-che non ci vuol troppo più nemmeno per annoiarlo.
-</p>
-
-<p>
-Questa nostra letteratura pareva giunta alla sera — e
-che squallida sera! — senza aver avuto un vero meriggio;
-quando le nubi si squarciarono e il sole prese a
-sfolgoreggiare. Esso, par bene, ebbe prima a mostrarsi
-a Firenze, dove, secondo le conclusioni di studi recenti,
-il <i>Morgante</i> di quella bizzarra creatura che fu Luigi
-Pulci era già composto per tre quarti nel 1470. Il valore
-di questo poema è tuttavia più scarso che non si pensasse
-in addietro. D'invenzione non è da parlare che per
-pochi episodii, dacchè del resto l'amico del Magnifico
-non fece oramai che rintonacare le mura rustiche elevate
-da un rimatore popolaresco, sovrapponendovi un
-tetto costrutto con travi e tegoli di cui possiamo determinare
-la provenienza. Il pregio maggiore dell'opera sta
-nella vivacità, davvero mirabile, dello stile e della lingua,
-e nel riso che guizza per ogni dove. Ma insomma,
-col Pulci, il romanzo popolare carolingio si riveste di
-nuovi panni, si raggentilisce, si abbandona alla gaiezza,
-senza punto mutare sostanzialmente. I cantambanchi che
-in San Martino ed altrove raccoglievano dattorno a sè
-un uditorio composto sopratutto di bottegai e di artefici,
-potevano ancora riconoscere in messer Luigi uno
-<span class="pagenum" id="Page_211">[211]</span>
-dei loro. Che le cose seguissero a questa maniera nella
-democratica Firenze, è un fatto più che naturale.
-</p>
-
-<p>
-E il Boiardo? — Qui la scena cambia. Ma prima di
-vedere il come, bisogna pure che noi si faccia un po'
-d'amicizia col nostro personaggio.
-</p>
-
-<p>
-Matteo Maria Boiardo nasceva di una famiglia feudale
-che nel 1423 aveva ceduto al marchese Niccolò d'Este
-l'avita signoria di Rubiera, tra Modena e Reggio, ricevendone
-in cambio la vicina Scandiano ed altre ville, con
-titolo di contea. Venne al mondo nel 1434, o giù di lì;
-verosimilmente in Scandiano stessa, residenza abituale
-de' suoi. Perdette il padre nel 1452; il nonno, Feltrino — uomo
-insigne — nel 1455; la nonna due anni appresso;
-e si trovò così arbitro di sè medesimo in età affatto giovanile.
-La vita sua, nota a noi in modo per verità manchevolissimo,
-trascorse per la massima parte tra Scandiano,
-Reggio, Ferrara. Caro agli Estensi, com'era stato
-loro carissimo l'avolo, accompagnò nel 1471 Borso nel
-viaggio intrapreso a Roma, quando Paolo II gli concedette
-anche per Ferrara quel titolo di duca, che l'imperatore
-Federico gli aveva conferito già da oramai vent'anni
-per Modena e Reggio. Sotto Ercole poi, succeduto poco
-appresso al fratello, fu nel 1481 e nel 1486 al governo
-di Modena. E più lungamente ebbe quello di Reggio:
-chè, lasciando stare qualcosa che s'afferma e non si prova
-per un tempo antecedente, rimase in ufficio dal 1487, o
-al più tardi dal principio del 1488, fino alla morte, seguita
-nella notte dal 20 al 21 dicembre del 1494.
-</p>
-
-<p>
-Educato senza dubbio alcuno all'esercizio delle armi
-fin dagli anni suoi teneri, Matteo Maria ebbe scarse occasioni
-di menar per davvero le mani. Qualche parte è
-verosimile che prendesse alla difesa contro i Veneziani,
-che nel 1482 mossero ad Ercole una fiera guerra, durata
-fino al 1484. Come reggitore, certe voci, posteriori alquanto,
-lo accusano di fiacchezza; e non dirò che l'accusa
-<span class="pagenum" id="Page_212">[212]</span>
-sia sbugiardata trionfalmente in tutto e per tutto
-dall'esame di quel tanto che ci è rimasto del suo carteggio
-col duca. Certo l'animo suo era profondamente
-inclinato alla benevolenza. Non meno che a questa tuttavia
-alla giustizia. E il carteggio dà insieme chiaramente
-a vedere com'egli fosse largamente dotato di senno
-pratico, e rotto agli affari.
-</p>
-
-<p>
-Agli uffici pubblici par che Matteo fosse spinto da ragioni
-private; probabilmente da strettezze pecuniarie, ben
-conciliabili anche colla signoria di Scandiano, toccata
-propriamente a lui nelle divisioni con un cugino. Ma occupazione
-più gradita che le faccende amministrative,
-conditegli spesso di fiele da altri ufficiali, gli riuscivano
-di sicuro lo studio e la poesia.
-</p>
-
-<p>
-Tre libri di liriche amorose contengono soprattutto gli
-sfoghi della sua passione giovanile per una diva reggiana,
-che non tardò a mostrarsi maestra di lusinghe, simulatrice,
-volubile, capricciosa. Grazie alla provvida costumanza
-degli acrostici, ne conosciamo nome e cognome:
-si chiamava Antonia Caprara. Ma Antonia non domina
-sola qua dentro. Buon numero di poesie, scritte durante
-il viaggio a Roma del 1471, inclino a credere indirizzate
-da Matteo a Taddea Gonzaga dei conti di Novellara, divenuta
-l'anno dopo sua moglie. Ed altre rivendicazioni
-dovremmo ammettere (nè dico ciò senza ragioni specifiche),
-se alle ossa che furono donne gentili e leggiadre
-negli Stati estensi durante la seconda metà del quattrocento
-fosse consentito di venir qui a far valere i loro
-diritti. Chè l'amore fu il sentimento predominante nel
-Boiardo. E sia poi stata fatta eseguire da lui medesimo,
-oppure invece da altri in suo onore, la medaglia che nel
-1490, quando egli s'avvicinava alla sessantina, ce ne
-tramandò — e autentiche — le fattezze, il suo rovescio,
-rappresentante Vulcano intento a foggiare sull'incudine
-strali per Cupido, lì presente con Venere, e il motto virgiliano
-<span class="pagenum" id="Page_213">[213]</span>
-che accompagna la rappresentazione, <i>Amor vincit
-omnia</i>, ci rendono davvero secondo verità i lineamenti
-interni del Conte di Scandiano. Quel motto — si
-badi — in una forma o in un'altra, noi lo raccogliamo
-direttamente dalle sue labbra non so quante volte.
-</p>
-
-<p>
-Il canzoniere del Boiardo è uno dei più notevoli del
-secolo XV; e io mi domando, se mai, non ostante una
-certa povertà di tavolozza, non fosse il più notevole addirittura.
-Attrae e colpisce la sincerità della passione, di
-cui noi seguiamo agevolmente la storia nelle sue vicende
-liete e tormentose; l'efficacia e la bella semplicità delle
-espressioni via via che essa riceve; la vivezza e soavità
-delle immagini; la delicata sensitività per la natura;
-l'armonia squisita dei congegni ritmici. Se i convenzionalismi
-e le ricercatezze non mancano (specialmente, badiamo,
-nel libro terzo, forse ordinato da altri che dal
-poeta), quanto difficilmente potrebber mancare dopo
-l'esempio del Petrarca! Ma l'ispirazione petrarchesca,
-che qui pure può assai, non soffoca nient'affatto l'originalità.
-Tra Antonia e Laura, tra il modo di sentire di
-Matteo e quello di messer Francesco, c'è una differenza
-profonda. Quasi più che a Laura direi che Antonia rassomigli
-alla Lesbia di Catullo; ma le assomiglia come
-una donna somiglia ad un'altra donna, poichè essa è
-propriamente persona viva. Il poeta, trascorsa la prima
-fase dell'estasi, ce la rappresenta colle sue pecche; e in
-causa di lei accusa, più spesso e più acerbamente che
-il Petrarca non faccia, tutto il sesso femminile:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i02"> Fede non più: non più v'è de honor cura</p>
-<p class="i01">In questo sexo mobile e fallace,</p>
-<p class="i01">Ma volubil pensier e mente oscura.</p>
-<p class="i06"> (Son. 79).</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Ma anche quando soffre, e non potrebbe più dire di certo,
-come in un tempo di beatitudine,
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Amore ogni tristezza a l'alma toglie,</p>
-<p class="i06"> (Son. 23)</p>
-</div></div>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_214">[214]</span>
-</p>
-
-<p>
-non sarebbe alieno dal ripetere le altre parole che faceva
-allora tener dietro:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">E quanto la natura ha in sè di bene</p>
-<p class="i01">Nel core inamorato se raccoglie.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-E infatti dell'Amore egli prende una volta le difese in
-un leggiadro contrasto col suo proprio cuore che lo
-viene accusando:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i02"> Non sei tu per Amor quel che tu sei?</p>
-<p class="i01">Se in te vien ligiadria,</p>
-<p class="i01">Se honor e cortesia?</p>
-<p class="i01">Ah, pensa pria se lamentar te dei!</p>
-<p class="i02"> Lamentar di colui che l'armonia</p>
-<p class="i01">Infonde a i vagi ocei!</p>
-<p class="i01">Che infonde a' tygri humana mente e pia,</p>
-<p class="i01">E fa li homini Dei</p>
-<p class="i06"> (Canzone V, st. 3).</p>
-</div></div>
-
-<p>
-No, l'amore può tormentarlo quanto si voglia: dopo
-d'aver imprecato, Matteo si riconcilierà con lui, e rimarrà
-tra' suoi più devoti.
-</p>
-
-<p>
-Col Canzoniere hanno scarsa attinenza le altre opere
-minori. Dieci egloghe latine furono composte, secondo
-me, tra il 1460 e il 1462; dieci italiane spettano manifestamente
-la più parte al tempo della guerra con Venezia.
-Perfino nel numero portano scritta in fronte l'imitazione
-virgiliana! Qualche sprazzo di luce non vale
-davvero a conciliarci con codesti pastori, che non hanno
-nulla di schiettamente rustico, neppur quando l'allegoria
-non ne succhia il sangue. E meno ancora ci seducono
-cinque capitoli, quattro dei quali hanno per soggetto il
-timore, la gelosia, la speranza, l'amore, e il quinto il trionfo
-delle virtù sui vizi. Quanto copiosi di una non recondita
-erudizione mitologica e storica, altrettanto son poveri,
-e peggio, di poesia. A un posto senza confronto
-più onorato, segnatamente per ragion di tempo, può
-<span class="pagenum" id="Page_215">[215]</span>
-pretendere il <i>Timone</i>: commedia in terza rima, che non
-vuol essere se non traduzione e adattamento scenico del
-dialogo omonimo di Luciano, e che è qualcosa più. Traduzioni
-vere sono quelle che il Boiardo fece, dal greco,
-dell'<i>Asino d'oro</i> di Luciano stesso, delle <i>Storie</i> di Erodoto,
-della <i>Ciropedia</i>; dal latino, dell'<i>Asino d'oro</i> di
-Apuleio. Quanto alla <i>Istoria Imperiale</i>, ossia degl'imperatori,
-prima romani, poi romano-germanici, che si dà
-essa pure come versione di un testo di Riccobaldo ferrarese,
-ancora non s'è ben chiarito cosa sia; ma par da
-ritenere un raffazzonamento del Boiardo stesso, a cui
-Riccobaldo non dette se non molta parte del materiale.
-</p>
-
-<p>
-Tale, in brevi termini, l'uomo e lo scrittore, venuto
-ancor esso nell'idea di metter mano a un poema cavalleresco.
-Quando l'idea nascesse, non so dire; so bensì
-che nientemeno che sessanta dei sessantotto canti e
-mezzo che il poeta ci ha lasciato, erano già scritti al
-tempo della guerra con Venezia, e probabilmente anche
-proprio avanti che nel 1482 la guerra scoppiasse. Chè,
-tra le armi, il poeta, smarrito e addolorato, non per la
-sua provincia soltanto, ma per l'Italia, non ha cuore di
-attendere all'opera, e ne rimette a giorni migliori la
-continuazione:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Non saran sempre e tempi sì diversi,</p>
-<p class="i01">Che mi tragan la mente di suo locho.</p>
-<p class="i01">Ma nel presente e canti mei son persi,</p>
-<p class="i01">E porvi ogni pensier mi giova poco;</p>
-<p class="i01">Sentendo Italia de lamenti piena,</p>
-<p class="i01">Non che hor canti, ma sospiro apena<a class="tag" id="tag98" href="#note98">[98]</a>.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Però il principio della composizione vorrà riportarsi indietro
-Dio sa di quanto; nè con essa ha dunque assolutamente
-<span class="pagenum" id="Page_216">[216]</span>
-che vedere la pubblicazione del <i>Morgante</i>, seguìta
-essa pure solo nel febbraio di quel medesimo
-anno 1482. E per me credo assai poco che vi abbia che
-vedere nemmeno in altra maniera il poema fiorentino,
-del quale la voce, od anche qualche esemplare manoscritto
-o qualche saggio, fossero arrivati fino al Nostro.
-In ogni modo, se da Firenze fosse venuto qualcosa, non
-si tratterebbe che di un semplice impulso, di cui poco
-capisco che ci potesse esser bisogno.
-</p>
-
-<p>
-Sicchè dobbiam fare direttamente i conti col nostro
-Matteo Maria. Cosa ci saprà e vorrà egli dare? — Se
-ci mettiamo ad argomentare dalle altre opere, il Canzoniere
-ci inspirerà una certa fiducia; ma tutto il rimanente
-ci farà scuotere il capo in atto di diffidenza. Che
-razza di poema cavalleresco dovrem noi aspettarci da
-un erudito, da un traduttore, da un imitatore, dal coltivatore
-assiduo di un genere letterario quale è l'egloga
-virgiliana, falso in sè medesimo e più falso ne' suoi riflessi?
-</p>
-
-<p>
-Diffidiamo; ma se invece di baloccarci fantasticando
-ci daremo a guardare, saremo presi da un sentimento
-analogo a quello da cui sarebbe colto chi per la prima
-volta s'accorgesse che l'autore del <i>Convivio</i>, del <i>De Monarchia</i>,
-del <i>De Vulgari Eloquentia</i>, è ad un tempo l'autore
-della <i>Divina Commedia</i>. Contemplando, siamo indotti
-a riconoscere che se l'Italia produsse mai un uomo
-a cui la materia cavalleresca potesse convenire, fu per
-l'appunto il Boiardo. E quest'uomo era in pari tempo
-un esperto maneggiatore di affari grossi e piccini. Davvero,
-per quanto si deva sentir ritegno a lodarsi di sè
-medesimi, non si può trattenersi dal notare come sia
-dote caratteristica dell'ingegno italiano la moltiplicità
-delle attitudini. Rassomiglierei questo ingegno al cubo,
-che, adagiato su sei facce diverse, è sempre stabile ed
-equilibrato ad un modo.
-</p>
-
-<p>
-Erano due, come sapete, i cicli che il Boiardo si trovava
-<span class="pagenum" id="Page_217">[217]</span>
-dinanzi: il carolingio ed il brettone. Entrambi gli
-erano ben famigliari; ma a lui la schiatta e il costume
-signorile, e ancor più l'animo amoroso, rendevano tra i
-due molto più grato il secondo:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i02"> O gloriosa Bertagna la grande,</p>
-<p class="i01">Una stagion per l'arme e per l'amore,</p>
-<p class="i01">Onde ancor hoggi il nome suo si spande.</p>
-<p class="i01">Sì ch'al re Artuse fa portar honore:</p>
-<p class="i01">Quando e bon cavalieri a quelle bande</p>
-<p class="i01">Mostrarno in più battaglie il suo valore</p>
-<p class="i01">Andando con lor dame in aventura;</p>
-<p class="i01">Et hor sua fama al nostro tempo dura.</p>
-<p class="i02"> Re Carlo in Franza poi tenne gran corte,</p>
-<p class="i01">Ma a quella prima non fo sembïante,</p>
-<p class="i01">Ben che assai fosse ancor robusto e forte</p>
-<p class="i01">Et havesse Ranaldo e 'l sir d'Anglante.</p>
-<p class="i01">Perchè tenne ad amor chiuse le porte,</p>
-<p class="i01">E sol se dete a le battaglie sante,</p>
-<p class="i01">Non fo di quel valore o quella estima</p>
-<p class="i01">Qual fo quell'altra ch'io contava in prima.</p>
-
-<p class="i06"> (<i>Orl. Inn.</i>, II, <span class="smcap lowercase">XVIII</span>, 1-2).</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Si direbbe dunque che il Boiardo dovesse correre difilato
-al mondo arturiano: porre in esso la scena, togliere
-di lì i personaggi, per quel tanto che non li foggiasse
-di nuovo. Invece a questo partito egli non s'appigliò
-punto; e anche con ciò dette prova di un criterio
-rettissimo. Intanto, le selve della Brettagna, per
-quanto vaste, erano sempre un terreno troppo angusto
-perchè ei ci facesse muovere liberamente il suo popolo
-un intelletto italiano devoto al senso del reale, e però
-non disposto a rappresentarsi ed a rappresentare gli
-spazi troppo difformi dal vero; ben altra comodità offriva
-il ciclo carolingio, condottosi via via ad estendere
-il suo dominio su tutta quanta la terra! Poi, appunto
-perchè gl'ideali del Boiardo venivano già ad essere attuati
-<span class="pagenum" id="Page_218">[218]</span>
-nella Tavola Rotonda, poco rimaneva qui a fare
-per una mente creatrice. E c'era una ragione anche
-più grave d'assai. Mentre Tristano, Lancillotto, Galvano,
-mantenevano non so che di aereo anche per coloro che
-gli avevano in maggior domestichezza, i loro rivali carolingi
-presentavano alla fantasia una concretezza, da
-non potersi immaginare la maggiore: gli uni rassomigliavano
-come a gente vista in sogno; gli altri parevano
-uomini conosciuti nella vita. Però, parlare ad italiani
-di Carlo, d'Orlando, di Rinaldo, di Malagigi, era
-un parlar loro di persone così prossime al cuore dei
-più, che mai non si sarebbero stancati di udirne i fatti.
-Nè si creda che la famigliarità con costoro, se non forse
-l'affetto, fosse nei signori troppo minore che nel volgo.
-Di ciò fornisce la prova la conoscenza che il Boiardo
-stesso dà a vedere incidentalmente, ora dell'una, ora di
-un'altra narrazione tradizionale, e quella, meglio ancora,
-ch'egli suppone a volte in un uditorio, che da luoghi non
-so quanti ci è rappresentato come essenzialmente aristocratico.
-Ma non voglio neppur tacere una testimonianza,
-istruttiva per più di un verso, fornita da documenti
-storici dissotterrati di recente; tanto più che essa
-si riferisce a una principessa estense, e propriamente a
-colei che tutti s'accordano nel riguardare siccome l'esemplare
-più perfetto di quello splendido fiore, che fu la
-donna del nostro Rinascimento.
-</p>
-
-<p>
-Quando, al principio del 1491, Isabella, la figliuola del
-duca Ercole, già marchesana di Mantova, fu a Milano
-per accompagnarvi la sorella minore Beatrice, che andava
-sposa a Lodovico il Moro, s'accese una disputa tra
-lei e Galeazzo Visconti, gentiluomo milanese, se fosse
-da anteporre Orlando, oppure Rinaldo. Isabella (chi non
-sa che i ribelli e gli scapigliati attraggono sempre le
-simpatie femminili?) stava per Rinaldo; Galeazzo sosteneva
-le parti d'Orlando. La disputa dette luogo, un
-<span class="pagenum" id="Page_219">[219]</span>
-giorno che s'andava per acqua a Pavia, oppure si ritornava
-di colà, a una specie di lotta, nella quale Galeazzo
-costrinse la sua avversaria a dichiararsi vinta, ed a gridare
-essa stessa: “Rolando, Rolando!„ Ciò, beninteso,
-non le impedì punto di inalberare poi subito di nuovo
-la sua bandiera e di tenercisi aggrappata anche dopo la
-partenza da Milano; donde uno scambio curioso di lettere,
-tra le quali, disgraziatamente, noi abbiamo solo — e
-non tutte — quelle di Galeazzo. La disputa (ciò
-che ho detto della lotta lo avrà fatto intender di già)
-era sostenuta in tuono umoristico. Importa poi rilevare,
-dacchè senza di ciò la testimonianza perderebbe qui per
-noi ogni valore, che questo contrasto, per quanto vediamo,
-non prese punto materia dall'<i>Innamorato</i>, sebbene
-i primi due libri avessero visto la luce per le
-stampe cinque anni innanzi.
-</p>
-
-<p>
-Sicchè il ciclo carolingio era il solo donde si potesse
-muovere opportunamente. Ma questo ciclo, qual era ridotto,
-presentava l'aspetto di un vecchio castello, dalle
-mura decrepite, dove lasciate rovinare, dove rifatte alla
-peggio, dalle sale sterminate e buie, dalle pareti squallide,
-dall'arredamento poverissimo e consunto dal lungo
-uso. Non era lì dentro davvero che un uomo dei gusti
-del conte di Scandiano avrebbe mai voluto mettersi ad
-abitare, ed invitar cavalieri e dame avvezzi allo splendore
-delle nostre corti. Perchè il castello gli apparisse
-degno albergo di lui medesimo e di ospiti siffatti, bisognava
-rimetterlo a nuovo da cima a fondo.
-</p>
-
-<p>
-L'impresa era ardua quanto mai; e non so chi altri
-sarebbe riuscito a condurla a buon termine. Restaurare
-è facile; ma è difficile in sommo grado che ciò che s'è
-restaurato non si trovi poi essere la negazione dell'armonia.
-Il Boiardo squarciò dovunque i fianchi alle mura
-risaldate, e fra quelle tetraggini fece penetrare fiotti di
-luce; rintonacò, dipinse e addobbò le pareti; senza dare
-<span class="pagenum" id="Page_220">[220]</span>
-lo sfratto al vecchio mobigliare in quanto fosse ancora
-servibile, lo allogò convenevolmente, e ne aggiunse uno
-copiosissimo di meravigliosa ricchezza e d'impareggiabile
-svariatezza. Insomma, egli trasformò quella miserabile
-dimora in un palazzo incantato.
-</p>
-
-<p>
-Il rinnovamento consistette soprattutto (e si troverà
-ben naturale dopo quanto s'è visto) in un grande raccostamento
-al ciclo brettone. Un'azione di questo ciclo
-sul carolingio s'era cominciata a vedere nella Francia
-stessa da ben tre secoli; ed aveva continuato ad esercitarsi
-qui da noi. Ma sempre s'era trattato di fatti parziali,
-compiuti senza impulso profondo, col semplice
-scopo di dilettar maggiormente. Gli effetti erano stati
-per lo più tutt'altro che felici; nè c'è da meravigliarsene.
-La vera e propria fusione del mondo d'Artù e di
-quello di Carlo Magno non era possibile se non ad un
-uomo per il quale quei due mondi avessero cessato di
-rappresentare qualcosa di distinto e si confondessero in
-un'unità superiore: il mondo cavalleresco. Allora soltanto
-Orlando e Rinaldo e quanti mai li circondino potranno
-legittimamente convertirsi in cavalieri erranti; e
-starà bene che anche i boschi del loro tempo sian pieni
-d'avventure; e che le donzelle se ne vadan solette in
-cerca di un prode che osi arrischiarsi a qualche arduo
-cimento, invochino con alte grida un soccorso che le
-strappi a un pericolo, sian causa di combattimento tra
-chi le accompagni e chi in loro s'incontri e pretenda
-di impossessarsene; e che il passaggio tranquillo de' ponti
-sia impedito da giganti e altri campioni; e che ai castelli
-si mantengan coll'armi fiere usanze; e che le fate
-s'inframmettano nelle faccende degli uomini, e li attraggano
-nelle loro dimore, e faccian sorgere giardini e palazzi
-maravigliosi, che in un attimo vengan poi a dissiparsi.
-Queste e molte altre cose troviamo nel poema del
-Boiardo per via de' romanzi della Tavola Rotonda. Sennonchè
-<span class="pagenum" id="Page_221">[221]</span>
-insieme troviamo anche roba non so quanta di
-provenienza diversa, e segnatamente classica. Ma poi,
-prenda il Boiardo di dove mai si voglia, egli tutto trasforma
-e rifoggia, e a tutto dà l'impronta sua propria.
-E dalla sua stessa fantasia trasse tanto, quanto assolutamente
-nessun altro poeta italiano, all'infuori di Dante.
-Però, al pari di Dante, di uno studio di fonti che, punto
-per punto, riconduca alle sue origini quel che paia in
-qualsivoglia maniera derivato d'altronde, egli non ha da
-temere. Ciò che per altri produce troppo spesso l'effetto
-di una spennacchiatura, per lui si risolve in una riprova
-di originalità. Così si capisce come, pur risultando da
-elementi disparati, il poema non dia alcun sentore di raffazzonamento,
-e nemmeno abbia la più lontana attinenza
-con un mosaico, per quanto abilmente congegnato.
-Esso è lavoro di getto; e nel suo autore è da riconoscere
-il creatore di un nuovo mondo poetico. Quanti
-sono mai gli uomini, e nella nostra e in qualsivoglia
-letteratura, a cui sia lecito di attribuire un vanto siffatto?
-</p>
-
-<p>
-Guardiamo un poco addentro in quest'opera singolare.
-Vi sentiremo in ogni parte strepito d'armi: qui abbiamo
-il cozzo di moltitudini, come nel ciclo carolingio, là, e
-più spesso, semplici duelli, come nel brettone. Ma alle
-armi s'accompagna qualche altra cosa. Dalla bocca stessa
-del poeta s'è udito, non è molto, come la corte di Carlo
-(quella, s'intende, di cui s'era narrato fin allora) fosse
-rimasta al di sotto della corte d'Artù “Perchè tenne
-ad amor chiuse le porte„. Chiuse del tutto, per verità,
-non le aveva tenute di sicuro; e Matteo Maria lo sapeva
-benissimo; ma certo in essa l'amore aveva sempre
-avuto l'aria di un intruso, e in ogni modo poi il valore
-non gli aveva obblighi di nessuna specie. Per il Boiardo
-invece
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Amore è quel che dona la vittoria</p>
-<p class="i01">E dona ardire al cavaliero armato.</p>
-<p class="i06"> (II, <span class="smcap lowercase">XVIII</span>, 3).</p>
-</div></div>
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_222">[222]</span>
-Senza di esso il cavaliere quasi non si concepisce, e
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Se in vista è vivo, vivo è senza core.</p>
-<p class="i06"> (I, <span class="smcap lowercase">XVIII</span>, 46).</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Nè, mancando l'amore, potranno fiorire neppur l'altre
-virtù, e in primo luogo la cortesia, che è tanta parte
-nella morale cavalleresca. Così si pensa e parla nel
-poema (I, XII, 12); e qui noi subito ci s'accorge dell'intimo
-legame che lega questo col Canzoniere; ossia veniamo
-a conoscere come il poema, lungi dall'essere un'opera
-concepita ed eseguita per mero sollazzo o per studio
-d'arte, abbia radice nella regione più profonda del sentimento.
-Ciò costituisce la massima tra le differenze che
-distinguono il conte di Scandiano da quant'altri si dettero
-fra noi al poema cavalleresco, non escluso nient'affatto
-l'Ariosto.
-</p>
-
-<p>
-Supremo pensiero del Boiardo dovrà essere dunque
-di redimere il mondo carolingio da quella vita vegetativa
-in cui aveva languito così a lungo, e di stabilire
-anche su di esso la signoria dell'Amore. Ed ecco che
-un Trionfo d'Amore sarà ciò che verrà ad offrirsi sulla
-scena ai nostri sguardi subito al levarsi della tela.
-</p>
-
-<p>
-Siamo di maggio, verso la pasqua di rose, e in Parigi,
-per occasione di una giostra bandita da Carlo, troviam
-raccolta una solennissima “corte reale„, che più
-che alle solite corti del nostro imperatore rassomiglia a
-quelle d'Artù. Insieme colla moltitudine de' signori cristiani,
-sono accorsi di Spagna anche molti Saracini; chè
-le barriere del mondo cristiano e Saracino, se non son
-tolte, son cadute più che a mezzo in isfacelo. Quel
-giorno tutta l'infinita baronia è stata chiamata a un
-gran convito. Carlo va lieto a porsi sopra una sedia
-d'oro “a la mensa ritonda„; (la “Tavola Rotonda„ è
-trasportata qui, come vedete, non solamente in idea);
-accanto a sè ha i paladini, dirimpetto gli ospiti spagnoli.
-</p>
-
-<p>
-Mentre si sta in allegrezza, all'estremità della sala si
-<span class="pagenum" id="Page_223">[223]</span>
-presenta una donzella, che sapremo poi chiamarsi Angelica,
-in mezzo a quattro giganti, seguita da un cavaliere
-e non più:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Essa sembrava matutina stella,</p>
-<p class="i01">E giglio d'orto e rosa di verzieri;</p>
-<p class="i01">In somma, a dir di lei la veritate,</p>
-<p class="i01">Non fu veduta mai tanta beltate.</p>
-<p class="i06"> (St. 21).</p>
-</div></div>
-
-<p>
-A quella vista non un cristiano, non un Saracino, sa
-rimanersene seduto; tutti cercano di accostarsi alla
-donzella, la quale si fa ad esporre all'imperatore certe
-sue fanfaluche, il cui succo si è che il fratello suo (il
-cavaliere che l'accompagna) domanda giostra a quanti
-son qui convenuti, e che ella stessa sarà premio per chi
-riesca ad abbatterlo. Il fascino esercitato da questa bellezza
-impareggiabile è tanto, che l'amore s'accende di
-subito nei petti. Innamora Namo, “ch'è canuto e bianco„,
-e si scolorisce in viso; innamora Rinaldo, e si fa “rosso
-come un foco„; il Saracino Ferraguto, che ha l'argento
-vivo addosso, a gran fatica si rattiene dallo slanciarsi
-contro i giganti, per impadronirsi colla forza della fanciulla,
-e frattanto
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Hor su l'un piede, or su l'altro si muta;</p>
-<p class="i01">Grattasi il capo e non ritrova loco.</p>
-<p class="i06"> (St. 34).</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Insomma, a farla breve,
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">. . . . . . . . ogni barone</p>
-<p class="i01">Di lei se accese, et ancho il re Carlone;</p>
-<p class="i06"> (St. 32)</p>
-</div></div>
-
-<p>
-il quale profitta della condizione sua privilegiata, e tira
-in lungo la risposta alla donzella. “Per poter seco molto
-dimorare„(St. 35).
-</p>
-
-<p>
-Ma il trionfo dell'amore non parrebbe al poeta pieno
-abbastanza, se alla testa dei devoti non fosse ridotto a
-camminar dietro al carro per l'appunto chi era parso
-<span class="pagenum" id="Page_224">[224]</span>
-più restio a questo culto, o a questo servaggio: il casto
-e severo Orlando, il futuro martire di Roncisvalle:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i02"> Non vi para, signor, maraviglioso</p>
-<p class="i01">Odir cantar de Orlando inamorato,</p>
-<p class="i01">Che qualunque nel mondo è più orgoglioso</p>
-<p class="i01">È da Amor vinto al tutto e subiugato;</p>
-<p class="i01">Nè forte braccio, nè ardire animoso,</p>
-<p class="i01">Nè scudo o maglia, nè brando affilato,</p>
-<p class="i01">Nè altra possanza può mai far diffesa,</p>
-<p class="i01">Che alfin non sia da Amor battuta e presa.</p>
-<p class="i06"> (St. 2).</p>
-</div></div>
-
-<p>
-E d'Orlando l'amore s'impadronirà a tal segno, da
-dare lo sfratto ad ogni altro pensiero, da soffocare qualsiasi
-altro sentimento. Non contento di trascinarlo in
-remotissime terre dell'Asia, di darlo del tutto in altrui
-balìa, di renderlo affatto noncurante di Alda, della quale,
-dopo una fugace apparizione al principio, non è più
-questione nel poema, lo muove a calpestare l'amicizia e
-la parentela, ed a combattere ferocemente, pur sapendo
-di far male, contro il cugino Rinaldo (I, <span class="smcap lowercase">XXV-XXVII</span>). E tanto
-può, da renderlo perfino sordo al tremendo pericolo a
-cui Carlo e la cristianità tutta intera sono esposti per
-il passaggio che sta per fare Agramante (II, <span class="smcap lowercase">XIII</span>, 50-51).
-Quando poi, per volontà della sua dama, non già per
-sua propria, il paladino sarà tornato in Francia, l'annunzio
-delle orde nemiche che sono in procinto di rovesciarsi
-sull'esercito cristiano, invece che a sfoderar
-Durindana, porterà questo campion della fede a ritrarsi
-in un bosco:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">E là pregava Dio devotamente</p>
-<p class="i01">Che le sante bandiere a zigli d'oro</p>
-<p class="i01">Siano abbattute, e Carlo, e la sua gente.</p>
-<p class="i06"> (II, <span class="smcap lowercase">XXX</span>, 61).</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Ciò perchè la sconfitta servirebbe a' suoi scopi! all'amore
-per una pagana!
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_225">[225]</span>
-</p>
-
-<p>
-Facendo innamorare Orlando, il Boiardo s'è guardato
-bene dall'alterarne sostanzialmente le fattezze. Ciò che
-egli si studia di rappresentare son precisamente gli effetti
-che la nuova passione deve produrre sul personaggio
-che tutti conoscevano da tanto tempo. Non è di
-certo un rendergli servigio l'operare in cosiffatta maniera:
-non si rende servigio ad un uomo di molto merito,
-ma senza alcuna pratica della società e delle sue
-usanze, trascinandolo in un ritrovo elegante. Guardatelo
-questo povero paladino, quando ritorna ad Albraccà,
-tutto pesto e malconcio, dopo aver compiuto imprese
-incredibili. Angelica lo disarma, lo spoglia per ungerlo
-“d'un olio delicato — Che caccia de la carne ogni livore„
-(I, <span class="smcap lowercase">XXV</span>, 38), e senza tante storie lo vien baciando. Che il
-Conte all'accostarglisi di quel volto si senta in paradiso,
-non potrebbe non essere; ma invece di prendere ardimento,
-se ne sta “quieto e vergognoso„. E timido compagno — timido,
-beninteso, come amante — sarà ad
-Angelica nel lunghissimo viaggio dal Cataio alla Francia
-(II, <span class="smcap lowercase">XIX</span>, 50). Questa sua imperizia egli ce la dà a vedere
-anche più aperta, quando — guai a incominciare! — si
-lascia vincere dai vezzi di un'altra donna: di Origille.
-Con lei, che lo stimola e gli fa animo, parlerà
-d'amore, “come insonnïato„ (I, <span class="smcap lowercase">XXIX</span>, 47), e le si mostrerà
-“mal scorto e rozzo amante„ (II, <span class="smcap lowercase">III</span>, 66). Quanto rozzo e
-mal scorto, altrettanto credulo, sì da lasciarsi dar a
-bere che salendo in cima a una certa roccia e guardando
-in una specie di pozzo vedrà “l'inferno e tutto il
-paradiso„ (I, XXIX, 50). Vero che qui il Boiardo lo vuol scusare,
-dicendo che al pari di lui sarebbe stato ingannato
-chiunque, “che di leggier si crede a quel che s'ama„
-(St. 52); ma io mi permetterò di domandare a Matteo
-Maria se avrebbe mai fatto gabbare a quel modo Rinaldo,
-o qualcuno della sua tempra.
-</p>
-
-<p>
-Sicchè il protagonista mascolino del poema è volutamente
-<span class="pagenum" id="Page_226">[226]</span>
-un personaggio nel cui volto c'è qualcosa di ridicolo;
-un personaggio del quale, a proposito del viaggio
-con Angelica ricordato dianzi, è possibile dire che
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Turpin, che mai non mente di ragione,</p>
-<p class="i01">In cotale atto il chiama un babione.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Non so cos'altro mai possa volerci per accorgersi che
-il poeta si atteggia di fronte alla materia sua in ben
-altra maniera che non facciano gli autori delle <i>chansons
-de geste</i> e quelli di tutti i romanzi del ciclo brettone.
-Non già che l'elemento comico sia escluso di colà. Basterebbe
-rammentare, per una parte il cosiddetto <i>Voyage
-de Charlemagne a Costantinople</i> e certe scene dei <i>Quatre
-fils Aimon</i>, ossia della storia di Rinaldo e de' fratelli,
-per l'altra la figura di Keu, il siniscalco di Artù,
-così simile per più d'un verso al nostro Astolfo. Per sè
-stesso il comico non disdice nemmeno all'epopea più
-schietta; o non vediamo nell'Olimpo dell'<i>Iliade</i> lo zoppo
-e barbuto Vulcano andare attorno ansimando in ufficio
-della vezzosa Ebe, suscitando negli dei una ilarità inestinguibile?
-Ma Omero non si sarebbe mai sognato sicuramente
-di rappresentare Ettore o Achille come fa
-Orlando il Boiardo; nè gli sarebbe passato per il capo
-di mettere in bocca ad Agamennone parole analoghe a
-quelle, tali ch'io non potrei qui tutte ripeterle, che il
-Conte di Scandiano pone sulle labbra di Carlo Magno,
-quando nella giostra di Parigi vede la sua baronia sopraffatta
-dai campioni saracini (I, <span class="smcap lowercase">II</span>, 63-65); e nemmeno,
-crederei, di farlo scendere nell'arena a metter rimedio a
-un tradimento,
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Dando gran bastonate a questo e quello,</p>
-<p class="i01">Che a più di trenta ne ruppe la testa.</p>
-<p class="i06"> (I, <span class="smcap lowercase">III</span>, 24).</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Qui il ridicolo non penzola dai rami: esso si stringe dattorno
-al tronco stesso; sicchè alla tragedia ed al dramma
-si sostituisce la farsa.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_227">[227]</span>
-</p>
-
-<p>
-Ma il ridicolo s'incontra nel poema del Boiardo anche
-in una forma che specialmente importa di rilevare:
-quale umorismo. Cosa propriamente sia l'umorismo secondo
-il concetto moderno, tutti più o meno intendono;
-eppure nessuno riesce a spiegar bene a parole. Permetterete
-dunque che ancor io tenti una definizione mia
-propria, e che lo dica “un riso interiore„. Esso è un
-riso che si vela, senza per questo volersi celare, sotto
-apparenze di serietà. Da questo riso dissimulato alla sghignazzata
-più chiassosa, non c'è soluzione alcuna di continuità.
-Si passa dall'uno all'altra per gradi insensibili,
-soliti comprendersi sotto un certo numero di varietà,
-come a dire il riso a fior di labbra, il riso aperto, e che
-altro so io. Però si capisce come le specie non siano
-nettamente distinte, sicchè a volte non si riesca a veder
-bene se s'abbia a fare con questa o con quella. E dato
-l'umor gaio, esso tende a manifestarsi, salvo condizioni
-e propositi speciali, or con una specie or coll'altra, non
-già sempre alla medesima maniera.
-</p>
-
-<p>
-E le varie forme di riso s'incontrano nell'<i>Orlando Innamorato</i>
-ben diverso anche in ciò dal <i>Don Chisciotte</i>,
-dove invece l'umorismo informa tutta l'opera. Ma nemmeno
-nel nostro poema l'umorismo scarseggia. È umorismo,
-per esempio, quando subito alla terza ottava
-si dice:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i02"> Questa novella è nota a pocha gente,</p>
-<p class="i01">Perchè Turpino istesso la nascose,</p>
-<p class="i01">Credendo forse a quel Conte valente</p>
-<p class="i01">Esser le sue scritture dispettose.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Qui l'umorismo intacca proprio, come vedete, l'azione
-fondamentale del poema. E umoristici sono in genere
-tutti appunto i riferimenti a Turpino, che occorrono
-numerosi, ivi specialmente dove se n'è sballata qualcuna
-di grossa; e umoristici diventano in particolar modo
-<span class="pagenum" id="Page_228">[228]</span>
-allorchè il Boiardo assume dirimpetto al suo autore
-una certa quale aria di diffidenza, o rovescia comunque
-su di lui il peso dell'asserzione, come segue a proposito
-delle dame che assistono in Cipro da un gran palco al
-torneo che s'è bandito per maritare Lucina:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Mostravan poche il viso naturale,</p>
-<p class="i01">Le più l'havean dipinto e colorato;</p>
-<p class="i01">Turpino il dice, io nol scio per expresso,</p>
-<p class="i01">Benchè sian molte che ciò fanno adesso.</p>
-<p class="i06"> (II, <span class="smcap lowercase">XX</span>, 13).</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Questo umorismo non è se non una varietà di quello
-che consiste nell'assumere tuono di storico veritiero,
-cauto, accurato, e che porterà, per esempio, a mettere
-in rilievo qualche circostanza perchè serva a giustificare
-qualcosa di molto straordinario:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Al fin de le parole un salto piglia</p>
-<p class="i01">(Vero è che indietro alquanto hebbe a tornare</p>
-<p class="i01">A prender corso), e, come havesse piume,</p>
-<p class="i01">D'un salto, armato, andò di là del fiume.</p>
-<p class="i06"> (II, <span class="smcap lowercase">VIII</span>, 23).</p>
-</div></div>
-
-<p>
-La farò finita cogli esempi dell'umorismo boiardesco col
-menzionare il desiderio che il poeta manifestò di aver
-assistito a una certa battaglia contro un esercito di diavoli
-evocati da Malagigi,
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Sol per veder se il demonio è cotale</p>
-<p class="i01">E tanto sozzo come egli è dipento;</p>
-<p class="i01">Che non è sempre a un modo in ogni loco:</p>
-<p class="i01">Qua maggior corne, e là più coda un poco.</p>
-<p class="i06"> (II, <span class="smcap lowercase">XXIII</span>, 1).</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Il Boiardo non prende adunque la materia cavalleresca
-propriamente sul serio; ma andrebbe mille miglia
-lontano dal vero chi immaginasse per ciò che la volesse
-volgere in canzonatura. Le virtù cavalleresche, vale a
-dir la prodezza, il coraggio, la lealtà, la cortesia, la generosità,
-la sete di gloria, il disprezzo delle ricchezze, e
-<span class="pagenum" id="Page_229">[229]</span>
-insieme con esse l'amore, che le inspira e rinfoca, egli
-le ammira dal profondo dell'animo. Quindi per esaltarle
-può anche continuare lungamente a cantare a occhi
-chiusi con un abbandono propriamente epico. Ma il
-senso della realtà è troppo vivo in lui, perchè, se appena
-apre le palpebre, non abbia ad accorgersi che ciò
-che gli sta davanti son fantasmi, e non componga il
-volto ad un sorriso. Ad un sorriso, oppure invece
-anche al pianto, se rivolge la mente a ciò che gli apparisce
-la vera grandezza; ad Alessandro, a Cesare, e
-ad altre figure siffatte:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i02"> Fama, sequace de gl'imperatori,</p>
-<p class="i01">Nympha che e gesti a dolci versi canti,</p>
-<p class="i01">Che dopo morte anchor gli homini honori,</p>
-<p class="i01">E fai coloro eterni che tu vanti:</p>
-<p class="i01">Ove sei gionta? a dir gli antichi amori</p>
-<p class="i01">Et a narrar battaglie de giganti,</p>
-<p class="i01">Mercè del mondo, che al tuo tempo è tale,</p>
-<p class="i01">Che più di fama o di virtù non cale.</p>
-<p class="i06"> (II, <span class="smcap lowercase">XXII</span>, 2).</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Del resto importa rilevare che l'atteggiamento del
-Boiardo in cospetto del mondo della cavalleria non è
-già qualche cosa di peculiare a lui. In embrione, esso
-si può cogliere negli stessi rimatori popolari, ai quali,
-per esempio, non sono estranei nient'affatto i richiami
-scherzevoli all'autorità del famoso arcivescovo; portato
-all'estremo, per via d'una speciale conformazione dell'ingegno
-e dell'animo, ci dà il <i>Morgante</i>; e che del pari
-come agli scrittori fosse comune anche al pubblico cui
-essi si rivolgevano, può mostrare l'intonazione del contrasto
-tra Isabella d'Este e Galeazzo Visconti, a proposito
-del quale la parola “umoristico„ mi è già dovuta
-uscir di bocca. Si tratta dunque di qualcosa, che è dell'ambiente
-italiano d'allora. Da questo qualcosa, se si va
-bene al fondo, il nostro romanzo cavalleresco ripete in
-<span class="pagenum" id="Page_230">[230]</span>
-generale quel suo temperamento capriccioso, che rende
-naturali, nonchè ammissibili per esso, tutte quante le
-capestrerie di pensiero e di forma.
-</p>
-
-<p>
-Esaltatore dei sentimenti cavallereschi, il Boiardo può
-ridere nondimeno dei personaggi in cui egli stesso li
-incarnò; grande araldo dell'amore, lo troveremo, o non
-lo troveremo noi, in atto di adorazione devota, al piede
-della creatura da cui questa passione si diffonde? Cosa
-sono le sue donne quando egli ha la libertà di foggiarle
-a piacimento?
-</p>
-
-<p>
-Protagonista femminile dell'<i>Innamorato</i> è Angelica.
-L'importanza sua non è uguagliata da quella di nessun
-altro personaggio, compreso lo stesso Orlando. In lei
-principalmente s'accentra l'azione; l'amore che da lei
-s'ispira è il motore più potente di tutto quanto il meccanismo.
-Quali effetti essa produca col suo semplice apparire,
-avete visto voi stessi. E il Boiardo ha immaginato
-un modo ingegnosissimo di complicare il giuoco
-dei sentimenti, facendo che, per virtù di due fonti, l'una
-delle quali accende, l'altra spegne le fiamme del cuore,
-Angelica sia aborrita da Rinaldo mentre ella arde per
-lui, e lo abbia in avversione non appena egli ha mutato
-d'animo. Che sia incantatrice, mi spiace; una donna
-è sempre maga abbastanza per il semplice fatto dell'esser
-giovane e bella! Ma il poeta è troppo avveduto per
-non accorgersi ottimamente di ciò egli medesimo; quindi
-di cotale prerogativa fa un uso assai parco, e finisce
-poi oramai per dimenticarla del tutto. Bensì Angelica
-rimane sempre una lusinghiera; questo il tratto in cui
-s'assomma l'indole sua. Che moine sa usare con Orlando,
-per il quale non prova alcun affetto, e che solo le desta
-rimorso quando è stato mandato da lei a un'impresa
-da cui non crede che possa uscir vivo (I, <span class="smcap lowercase">XXVIII</span>, 40)! E
-al tempo stesso ella tiene a bada altri adoratori, che le
-giova di avere a suoi comandi. Ce la redimerebbe l'amore
-<span class="pagenum" id="Page_231">[231]</span>
-non corrisposto per Rinaldo, che dà luogo a scene d'una
-passionatezza commovente, se non fosse l'effetto d'una
-forza soprannaturale, e se non ci rappresentasse, molto
-tempo prima che l'Ariosto potesse pensare a Medoro,
-come una punizione di quel farsi giuoco degli amanti:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Chè amor vol castigar questa superba.</p>
-<p class="i06"> (I, <span class="smcap lowercase">III</span>, 40).</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Insomma, all'infuori che per la bellezza, Angelica non
-ha somiglianza alcuna colle Laure, e meno che mai colle
-Beatrici.
-</p>
-
-<p>
-I difetti che si scorgono nella figliuola di Galafrone
-toccano il colmo in Origille:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i02"> Era la dama di estrema beltate,</p>
-<p class="i01">Malicïosa e di losinghe piena;</p>
-<p class="i01">Le lachryme teneva apparecchiate</p>
-<p class="i01">Sempre a sua posta com'acqua di vena:</p>
-<p class="i01">Promessa non fè mai con veritate,</p>
-<p class="i01">Mostrando a ciaschedun faccia serena;</p>
-<p class="i01">E se in un giorno havesse mille amanti,</p>
-<p class="i01">Tutti li beffa con dolci sembianti.</p>
-<p class="i06"> (I, <span class="smcap lowercase">XXIX</span>, 45).</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Angelica in fondo al cuore non è malvagia: Origille invece
-è tutta impastata di perfidia, a segno tale da trastullarsi
-anche colla vita de' suoi disgraziati adoratori.
-</p>
-
-<p>
-Possiamo dir buona Tisbina. Amata da due, non frascheggia:
-riama Iroldo e sente compassione di Prasildo.
-Che disperazione è la sua quando una promessa a cui
-Iroldo stesso imprudentemente l'ha spinta, la mette nella
-necessità di concedere a Prasildo sè medesima! Iroldo
-vuol morire, ed essa morrà con lui. E i due inghiottono
-diffatti insieme una bevanda, che credono veleno. Ma
-veleno non è; e la conclusione della storia viene ad essere,
-che, dopo una gara mirabile di generosità, Tisbina,
-mentre è immersa nel sonno per effetto di ciò che ha
-bevuto, rimane a Prasildo. Che farà essa mai al risentirsi,
-<span class="pagenum" id="Page_232">[232]</span>
-quando le sarà detto che il suo Iroldo se n'è andato
-lontano per sempre? È piena di dolore e tramortisce;
-ma poi, considerando che non c'è rimedio, prende
-“altro partito„:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Ciascuna dama è molle e tenerina</p>
-<p class="i01">Così del corpo come della mente,</p>
-<p class="i01">E simigliante della fresca brina,</p>
-<p class="i01">Che non aspetta il caldo al sol lucente;</p>
-<p class="i01">Tutte siam fatte come fu Tisbina,</p>
-<p class="i01">Che non volse battaglia per nïente,</p>
-<p class="i01">Ma al primo assalto subito se rese,</p>
-<p class="i01">E per marito il bel Prasildo prese.</p>
-<p class="i06"> (I, <span class="smcap lowercase">XII</span>, 89).</p>
-</div></div>
-
-<p>
-“Tutte siam fatte„: gli è che queste parole, insieme
-col racconto a cui servono di conclusione, son poste esse
-pure in bocca ad una donna. Ma se Fiordalisa modestamente
-parla così, mettendo sè medesima in mazzo con
-tutte l'altre, in lei almeno avremo finalmente un esemplare
-di perfetta lealtà femminile. Chi non ha presente
-quel suo pietoso andar di continuo in traccia di Brandimarte,
-che via via ritrova per poi riperderlo di bel
-nuovo? Se c'è donna amante, quella è lei di sicuro.
-Ma, ohimè, che ancor essa dà qualcosa a ridire! È troppo,
-per verità, il compiacimento col quale contempla il bel
-Rinaldo addormentato (I, <span class="smcap lowercase">XIII</span>, 50), perchè un certo sospetto
-che il poeta s'è permesso poco prima (st. 48) abbia a parer
-calunnioso.
-</p>
-
-<p>
-Sicchè in conclusione le donne dell'<i>Innamorato</i> son
-tutt'altra cosa che le Isotte e le Ginevre. Si capisce che
-nell'animo del poeta c'è una persuasione analoga a quella
-che ispira al Leopardi l'Aspasia. Gl'idoli a cui si brucian
-gl'incensi sono, pur troppo, ben lontani in generale dall'essere
-quali l'immaginazione li rappresenta. L'amore,
-maschile e femminile, riposa sopra una continua illusione;
-ciò che s'adora è un fantasma della propria mente;
-<span class="pagenum" id="Page_233">[233]</span>
-sennonchè per il Boiardo — e tutti saremo con lui — una
-volta che l'illusione riesce gradita e feconda di bene,
-merita di essere tenuta nel medesimo conto in cui si terrebbe
-la realtà. Questo concetto, mentre ci porta lontano
-dalle tradizioni consuete dei romanzi cavallereschi, ci
-riconduce alla vita del nostro Matteo Maria. Si rammenti
-il Canzoniere; si ricordi Antonia Caprara. Così ci si verrà
-sempre più persuadendo che l'<i>Innamorato</i> è altra cosa
-che una semplice opera d'arte.
-</p>
-
-<p>
-Della tela del poema non crederei indispensabile di
-farvi, sia pur rapidissimamente, l'esposizione, quand'anche
-al punto in cui sono non dovessi rammentarmi che tra
-le virtù del Boiardo ce n'è una nella quale giova che io
-mi specchi: il saper fare i conti colla pazienza di chi
-sta ad ascoltare. L'orditura ha qui assai poca importanza;
-l'importanza sta nelle molteplici narrazioni particolari.
-Queste s'intrecciano, spesso interrotte, più tardi
-riprese. Il procedimento per cui parecchie azioni camminano
-di conserva, dando luogo a continue spezzature,
-viene all'Innamorato dai romanzi della Tavola Rotonda,
-e segnatamente dal <i>Tristano</i>, dal <i>Lancillotto</i>, dal <i>Girone
-il Cortese</i>. Ma ciò che in questi è un mero e impaccioso
-portato della necessità, nelle mani del Boiardo si converte
-in un procedimento artistico, mediante il quale la curiosità
-è stuzzicata, e si consegue una varietà che mai l'uguale.
-</p>
-
-<p>
-Ciò che assai mi duole si è che mi sia impedito di
-mostrarvi le ricchezze meravigliose della poesia del Boiardo,
-paragonabili a quelle della sua grotta di Morgana,
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Che solo a dir di lor seria un volume;</p>
-<p class="i01">E non ha tante stelle il ciel sereno,</p>
-<p class="i01">Nè primavera tanti fiori e rose,</p>
-<p class="i01">Quante ivi ha perle e pietre preciose.</p>
-<p class="i06"> (II, <span class="smcap lowercase">VIII</span>, 19).</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Che attitudine a concepire figure caratteristiche e a metterle
-in moto! che intuizione degli uomini e delle cose!
-<span class="pagenum" id="Page_234">[234]</span>
-che fecondità di concepimenti! che sentimento delle bellezze
-naturali! che musicalità di ritmo! che amabile semplicità
-di forma! È una poesia fresca che noi qui abbiamo:
-la poesia d'un prato fiorito, in un bel mattino
-di maggio. E nelle nostre tazze la fantasia vien mescendo
-a profusione vini scintillanti, che parrebbero spremuti
-da altre uve che dalle terrene.
-</p>
-
-<p>
-Sicuro che anche nel Boiardo ci son le sue pecche. Di
-certe particolarità non è opportuno che discorra, una
-volta che ai particolari devo qui rinunziare anche per
-il resto. E non gli farò colpa alcuna del molto intrattenersi
-a descriver colpi di lancia e di spada, non di rado
-uniformi. Queste descrizioni, che a noi paion monotone
-e stucchevoli, tali non parevano a uditori diversamente
-disposti che noi non siamo; alla maniera come non riesce
-monotono per una signora elegante il minuto ragguaglio
-dei cento vestiti e delle cento acconciature che
-si son sfoggiati a una festa. Bensì non è dubbio che nell'<i>Innamorato</i>
-c'è difetto di lima, sicchè aguzzando gli
-occhi si scorgono a ogni tratto piccole mende, che si
-vorrebber corrette. Quanto alla lingua, il vizio è quasi
-tutto alla superficie, ossia nella fonetica; e bisogna non
-conoscere la nostra storia letteraria per muoverne al
-Boiardo la più piccola colpa. Esso può rendere per il più
-dei lettori necessaria una spolveratura, non altro; ma
-certo non giustifica la manomissione commessa dal Berni.
-Sennò dovrà esser lecito ad un pittore moderno di ridipingere
-un Giotto, un Beato Angelico, un Botticelli, per
-la ragione che il disegno non vi è propriamente corretto.
-</p>
-
-<p>
-Vi farò forse meravigliare, terminando, col dire che
-il poema del Boiardo ha ai miei occhi un alto valore morale.
-In quell'Italia perfida che gli storici soglion descriverci — l'Italia
-di Lodovico il Moro e di Alessandro VI —,
-una voce che esalta col più sincero convincimento
-le virtù cavalleresche, e prima tra esse la lealtà, significa
-<span class="pagenum" id="Page_235">[235]</span>
-mi par bene, qualcosa. E più significa perchè non
-è voce che scenda da un pulpito, nè voce di popolo. Sicchè
-l'<i>Innamorato</i> viene a indicare che il marcio non era
-poi tanto profondo come in generale si afferma e si crede.
-</p>
-
-<p>
-Certo tuttavia non era più questa la poesia che propriamente
-convenisse all'Italia, una volta che su di essa
-venne a rovesciarsi quella sequela di bufere, che al finire
-del secolo XV prese a devastare i campi, a sradicar
-gli alberi, ad abbattere case e palagi per tutto il bel
-paese. Di quella bufera il Boiardo non vide che i prodromi;
-ma essi bastarono per strozzargli il canto in
-gola e dissipare le immagini ridenti che gli danzavano
-davanti alla fantasia. L'opera fu interrotta; ed è legittimo
-il supporre che il poeta non l'avrebbe ripigliata
-nemmeno se al passaggio delle genti di Carlo VIII, avviate
-verso il regno di Napoli, non fosse tenuta dietro
-quasi subito la sua morte. Quanto differenti le guerre
-ch'egli aveva vagheggiato e rappresentato da quelle che
-allora si vennero a combattere! Ma io mi rallegro che
-gli ultimi versi di questo poema, tutto letizia e apparente
-spensieratezza, gli ultimi probabilmente che il
-Boiardo abbia scritto, siano rivolti alla patria:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Mentre che io canto, o Iddio redentore,</p>
-<p class="i01">Vedo la Italia tutta a ferro e a foco,</p>
-<p class="i01">Per questi Galli che con gran valore</p>
-<p class="i01">Vengon per disertar non scio che loco.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Son parole condite d'ironia, alle quali servono di efficace
-commento quelle che si sono raccolte dalle labbra del
-poeta in un'altra occasione, consimile, ma a saper leggere
-nel futuro, assai meno lagrimosa<a class="tag" id="tag99" href="#note99">[99]</a>. E noi da questa interruzione
-ci si sente attratti verso il poeta e l'opera sua
-più che non saremmo dal più splendido dei coronamenti.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_236">[236]</span>
-</p>
-
-<h2 id="savonarola">IL SAVONAROLA e la PROFEZIA</h2>
-
-<p class="center">
-DI
-</p>
-
-<p class="center large">
-FELICE TOCCO.
-</p>
-</div>
-
-<p class="pad2 indl">
-<i>Signore e Signori</i>,
-</p>
-
-<p class="pad2">
-Dall'argomento della mia conferenza altri di me più
-degno avrebbe dovuto tenervi parola. Ma per sfortuna
-mia e vostra chi scrisse a giudizio unanime la migliore
-storia del Savonarola, è lontano da noi, e per il bene
-della cosa pubblica dobbiam tutti sperare che non faccia
-sollecito ritorno<a class="tag" id="tag100" href="#note100">[100]</a>. Un altro scrittore avrebbe potuto
-degnamente tenerne il luogo, il nostro Gherardo che intorno
-al Savonarola seppe scoprire nuovi documenti e
-dottamente illustrarli. Ma poichè anche a lui non fu dato
-di accettare il difficile còmpito, eccomi di nuovo innanzi
-a voi, per riprendere a così dire il filo della conferenza,
-che ebbi l'onore di tenere: or sono due anni sull'eresia del
-Medio Evo. Giacchè io non intende parlarvi soltanto del
-Savonarola e dell'opera sua, ma ben piuttosto del modo
-come il frate ferrarese si ricolleghi coi profeti medievali,
-che lo precedettero. Escludo dal mio discorso le leggendarie
-o apocrife profezie del mago Merlino, della Sibilla
-Eritrea o del Carmelitano Cirillo, e di quei profeti
-<span class="pagenum" id="Page_237">[237]</span>
-solo vi terrò parola, dei quali abbiamo sicure testimonianze.
-E per non risalire più in su fino a san Nilo o
-santa Ildegarde, comincerò da quell'abate Gioachino, a
-voi ben noto, che a giudizio di Dante sarebbe stato realmente
-di <i>spirito profetico dotato</i>. Parecchi in verità revocarono
-in dubbio codesto dono della profezia, e san
-Tommaso glielo negò addirittura. Ma i più erano dell'avviso
-di Dante, specie gli spirituali francescani, che
-consideravano le principali opere di Gioachino come cosa
-sacra; e già sapete che ripubblicandole e chiosandole
-non dubitarono di dirle Evangelo eterno. Le loro chiose
-furono condannate solennemente dalla Chiesa, le profezie
-stesse di Gioachino smentì l'anno fatale 1260; ma ad
-onta di ciò la fede dei Gioachimiti non venne meno, e
-parecchi altri seguitarono a profetare, come l'abate Calabrese.
-La differenza tra questi nuovi profeti e gli antichi
-del Vecchio Testamento sta in ciò, che questi si
-sentivano in contatto diretto con la Divinità e ne udivano
-le voci, e sotto dettato, a così dire, ne scrivevano
-le rivelazioni; invece quelli a tanto non arrivano, e non
-a torto la maggior parte di essi, da Gioachino al Savonarola
-medesimo, dichiarano spesso di non essere nè profeti
-nè figli di profeti. Per quanto a loro non facciano
-difetto nè i sogni nè i rapimenti dei profeti veri, per
-quanto possano vantare anch'essi quella forza divinatrice,
-che squarcia il velame del tenebroso futuro, pure
-indarno cercate in loro la vena larga e potente dell'ispirazione
-diretta; poichè non le proprie visioni essi interpretano,
-ma le altrui. Non sono profeti, bensì commentatori
-di profezie, e le più oscure come il libro di Daniele
-e l'Apocalisse preferiscono.
-</p>
-
-<p>
-Si conserva ancora inedita nella nostra Laurenziana
-la postilla sull'Apocalissi di uno dei più famosi seguaci
-di Gioachino, minorità, ben s'intende, e capo degli spirituali
-di Provenza, fra Giovanni di Piero Olivi, nato
-<span class="pagenum" id="Page_238">[238]</span>
-nel 1248, morto cinquantanni dopo. Negli ultimi tempi
-della sua vita, benchè avesse vedute tutte le speranze
-del suo partito dileguarsi, e l'eremita Celestino cedere
-la tiara a Bonifacio VIII, avido di potere e di gloria
-mondana, pure non ismise la sua fede, nè dubitò che
-l'ora della tremenda vendetta fosse per scoccare. In una
-lettera ai figli di Carlo II di Napoli, scrive: “Orsù, generosi
-soldati, preparatevi alla pugna. Il tempo della potatura
-è venuto, e si è udita sulla nostra terra la voce della
-tortora che sospira e che ha il gemito per canto. È d'uopo
-che nell'aprire il sesto suggello il sole e la luna s'oscurino,
-e che cadendo le stelle dal cielo, la terra ne tremi
-così, che tutte le montagne e le isole siano svelte dalle
-loro sedi.... Poichè a quel modo che sul secentesimo anno
-della vita di Noè si ruppero le fonti dell'abisso, e le cateratte
-del cielo si apersero a segno che nessuno potè
-salvarsi all'infuori dei ricoverati nell'arca fatta per comando
-di Dio; così fa d'uopo che l'empia Babilonia nel
-profondo del mare si sommerga.„ L'empia Babilonia è
-la Chiesa carnale, conculcatrice della povertà evangelica,
-e il ministro della vendetta divina sarà l'Anticristo.
-</p>
-
-<p>
-La fede nel prossimo avvento dell'Anticristo è così
-radicata nei circoli dei beghini e degli spirituali, che Arnaldo
-di Villanova, celebre medico e studioso delle
-scienze occulte, non dubita di scrivere un trattato <i>De
-adventu Antichristi</i>, che gli fruttò le persecuzioni del
-vescovo parigino. Il trattato, ancora inedito, fu scritto
-nel 1297, come dice l'autore stesso, e non è se non un
-commento di alcuni luoghi delle Profezie di Daniele. Eccovene
-un saggio: “Compiuti i mille duecento anni dal
-tempo, in cui il popolo ebreo perdette il possesso della
-sua patria, entrerà nel luogo santo l'abbominio della desolazione,
-o l'Anticristo, il che sarà circa nel settantottesimo
-anno del secolo futuro. Non posso determinare con
-maggior precisione, ma certo intorno al 1378 si compirà
-<span class="pagenum" id="Page_239">[239]</span>
-quello che il Profeta predisse.„ E più appresso contro
-i suoi contradditori aggiunge: “Senza dubbio questa conclusione
-non segue dalla parola di Daniele in modo certo
-e necessario; ma ha l'evidenza di una grande probabilità,
-in quanto che con questa interpretazione concordano
-altri luoghi della sacra scrittura.„ Era tanta la fede di
-Arnaldo nelle divinazioni sue, che uno scritto sul medesimo
-argomento ardì leggere al papa Clemente V; e
-non solo noi, ma i contemporanei stessi, a cominciare
-da Filippo il Bello, non sapevano più di che cosa meravigliarsi,
-se dell'audacia del lettore o della benignità
-soverchia di chi l'ascoltava. Ai medici di gran grido, che
-si crede abbiano in mano la vita nostra, sono permesse
-molte cose; e un papa meno docile e mansueto di Clemente
-V, lo stesso Bonifacio VIII, si mostrò indulgente
-col Villanova, e lo assolse dalle censure del vescovo di
-Parigi, purchè non s'impacciasse più oltre di teologia.
-</p>
-
-<p>
-Non meno audaci sono le predizioni di frate Ubertino
-da Casale, l'eloquente difensore dell'Olivi, le cui dottrine
-segue, lievemente modificandole, in quel libro intitolato
-<i>Arbor vitæ crucifixæ</i>, che finì la vigilia di San Michele
-Arcangelo del 1305 nella solitudine dell'Alvernia, dove
-i suoi superiori l'aveano esiliato, perchè non predicasse
-più oltre nello stile degli esaltati spirituali. Nulla di nuovo
-egli dice sui sette stati o periodi in cui va divisa la storia
-della Chiesa o dell'Umanità, che secondo questi frati
-sono tutt'uno; poichè anch'egli, come l'Olivi, risale a
-Gioachino, e fa gli stessi calcoli e pone a confronto gli
-stessi passi scritturali per argomentare prossima la fine
-del sesto periodo. Quando esso abbia cominciato, o dalla
-rivelazione fatta dall'abate Gioachino, come dicono alcuni,
-o dalla conversione di san Francesco, come dicono altri,
-o infine dalla protesta che i frati spirituali levarono contro
-i trasgressori della regola francescana, non importa
-decidere; perchè tutte queste date possono essere vere
-<span class="pagenum" id="Page_240">[240]</span>
-secondo che si consideri tutto il periodo ora da un
-aspetto, ora dall'altro. Quel che monta è constatare che
-si affretta alla sua fine. La qual cosa non può mettersi
-in dubbio; perchè scorsi 1293 anni dalla morte di Cristo,
-s'è veduta quell'orribile novità dell'abdicazione di
-papa Celestino e dell'usurpazione del suo successore. E
-come se questo segno non bastasse, ecco pullulare nuove
-eresie, come alla fine d'ogni periodo; e molti sostenere
-non essere la povertà evangelica il nocciolo della perfezione
-cristiana, e alcuni filosofi di Parigi andare più oltre,
-e proclamare con Aristotele che il mondo fu “ab eterno„
-ed in eterno durerà. Le quali eresie mostrano chiaramente
-essere già nato il mistico Anticristo, vale a dire
-il precursore e il simbolo di quel vero Anticristo, che
-sorgerà più tardi alla fine del settimo stato. L'Anticristo
-mistico non è nè un imperatore nè un pontefice, ma
-bensì quel pseudo-cristiano che condannerà lo spirito di
-Cristo nella povertà evangelica. E di questi pseudo-cristiani
-al tempo di Ubertino non facea difetto.
-</p>
-
-<p>
-Se non che la fine del mondo non ebbe luogo in tutto
-quel secolo, sul cui cominciare Ubertino scriveva, e
-nuove tribolazioni non mancarono. Rinacquero sotto Giovanni
-XXII le lotte coll'Impero, non chetate neanche
-sotto i successori Benedetto XII e Clemente VI, e la
-Chiesa, infeudata ai re di Francia, travagliarono mali e
-scandali siffatti, che Avignone fu detta non pure dagli
-spirituali francescani ma dal Petrarca medesimo: <i>l'avara
-Babilonia</i>, <i>fontana di dolore</i>, <i>albergo d'ira</i>, <i>scuola d'errori</i>,
-<i>tempio d'eresia</i>. Non è meraviglia che in questa
-età procellosa rifiorisse la Profezia. Anche i poeti, quindi,
-come il cantore di Laura, prendono il tono di veggenti,
-e minacciano e rampognano e predicono imminente lo
-scoppio dell'ira divina.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_241">[241]</span>
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Fiamma del ciel su le tue trecce piova,</p>
-<p class="i01">Malvagia, che dal fiume e dalle ghiande</p>
-<p class="i01">Per l'altrui impoverir sei ricca e grande....</p>
-<p class="i01">Nido di tradimenti, in cui si cova</p>
-<p class="i01">Quanto mal per lo mondo oggi si spande....</p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01">Ma pur novo Soldan veggio per lei</p>
-<p class="i01">Lo qual farà, non già quando io vorrei,</p>
-<p class="i01">Sol una sede, e quella fia in Baldacco.</p>
-<p class="i01">Gl'idoli suoi saranno in terra sparsi</p>
-<p class="i01">E le torri superbe al ciel nemiche,</p>
-<p class="i01">E suoi torrier di for, come dentro, arsi.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Ma dopo la tempesta verrà il sereno, e il Petrarca
-anche lui vede in nube quel Papa, da questi profeti concordemente
-chiamato angelico, che sbalzerà di seggio
-gl'indegni ministri:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Anime belle e di virtude amiche</p>
-<p class="i01">Terranno il mondo; e poi vedrem lui farsi</p>
-<p class="i01">Aureo tutto e pien dell'opre antiche.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Non diversamente canta frate Stoppa dei Bostichi, che
-non può essere vissuto dopo il papa Clemente VI, a cui
-rivolge le più fiere rampogne, chiamandolo <i>specchio evidente,
-nel qual potrà mirare ogni superbo</i>, e nell'impeto
-dell'ira esce in questa profezia:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i02"> Sarà la Chiesa de' pastor privata;</p>
-<p class="i01">Fie beato qual potrà negare</p>
-<p class="i01">Il chericato, e rifiutar l'entrata,</p>
-<p class="i01">Fiane cagion la terra d'oltremare.</p>
-<p class="i01">Invidia, gola al chericato guata</p>
-<p class="i01">Superbia, simonia, lussuriare;</p>
-<p class="i01">Poi fie la Chiesa ornata di pastori</p>
-<p class="i01">Umili e santi, come fur gli autori.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Intorno allo stesso tempo sarà probabilmente sorta
-quell'altra profezia, attribuita a Jacopone da Todi, ma
-<span class="pagenum" id="Page_242">[242]</span>
-che certamente non gli appartiene, dove par che si confidi
-più in un potente imperatore che in un papa angelico:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Da poi che seran structi li tiranni</p>
-<p class="i01">Et li preti cacciati alli lor danni,</p>
-<p class="i01">Verrà cului che di terra di lor mani</p>
-<p class="i06"> Serà alevato....</p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01">Costui serà segnor de tucto 'l mundo,</p>
-<p class="i01">Facendo della terra el quadro e 'l tundo:</p>
-<p class="i01">Sposo d'Italia, questo non abscundo,</p>
-<p class="i06"> Imperatore....</p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01">Costui farà far pace in ogne lato,</p>
-<p class="i01">Descacciarà del mundo ogne peccato,</p>
-<p class="i01">Non si trovarà chi sia superchiato</p>
-<p class="i06"> Dal suo vicino.</p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01">Costui convertirà alla fede Saracino</p>
-<p class="i01">Et Tartaria con tucto quil camino;</p>
-<p class="i01">Poi intrarà ad quil luoco divino</p>
-<p class="i06"> Sacrificato.</p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01">Poi tornarà Roma nel suo stato</p>
-<p class="i01">De tuctu quanto el mundo repusato:</p>
-<p class="i01">Li sancti preti di novello Stato</p>
-<p class="i06"> Predicaranno.</p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01">E tucti l'infidel convertiranno,</p>
-<p class="i01">Tucti vestiti d'un aspero panno,</p>
-<p class="i01">Et sensa proprio sempre viveranno</p>
-<p class="i06"> Im povertade.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-In simili profezie credono anche gli uomini politici, specie
-quel Cola da Rienzi, che da oscuro popolano assunto
-ai primi poteri dello Stato, ebbro della sua insperata
-fortuna, prende pubblicamente il bagno nella vasca Costantiniana,
-perchè dalle macchie dell'ignobile origine
-appaia deterso il nuovo cavaliere dello Spirito Santo. Sembra
-che anche nei giorni del suo trionfo Cola abbia avuto
-sogni e visioni. Almeno egli stesso racconta che pochi
-giorni prima della cruenta sconfitta dei Colonnesi, gli
-<span class="pagenum" id="Page_243">[243]</span>
-apparve in sogno Bonifacio VIII per incitarlo alla vendetta
-contro gli autori della sua cattura. Quando poi,
-dimessa la dignità tribunizia, si ritrasse nel silenzio di
-Monte Sant'Angelo presso i romiti della Majella, le sue
-fantasie apocalittiche ebber nuovo alimento. Ed uno di
-quei fraticelli, a nome Angelo, gli predisse dovere fra
-non molto risorgere tale, che morì fra le persecuzioni
-(forse fra Pietro di Giovanni Olivi?), e che alla sua voce
-nascerebbe grande confusione e terrore tra i maggiorenti
-della Curia, ed il Papa stesso correrebbe pericolo, finchè
-brillerebbe la nuova luce. Allora sarà fatta la riforma
-della Chiesa, e non pure tutti i Cristiani, ma i Saraceni
-con essi, formeranno un popolo solo, e a capo di tutti
-si porrà il Papa angelico. A queste profezie il tribuno
-prestava ascolto, tanto più che egli stesso doveva aver
-non piccola parte nella futura rinnovazione del mondo.
-E per infondere nell'imperatore e nell'arcivescovo di
-Praga la propria fede, si fa a sua volta commentatore
-ed interprete di profezie, e fra tante sceglie la più recente,
-che, nata senza dubbio sullo scorcio del secolo
-decimoterzo, fu attribuita ad un profeta Cirillo, contemporaneo
-di Gioachino, del quale non si sa nulla all'infuori
-della profezia medesima; e che non sarà meno
-apocrifo di essa. Comunque sia, Cola sa ben torcere
-l'oscuro oracolo al senso che più gli torna; e sotto il
-sole che entrerà nelle viscere dello scorpione e sarà
-lacerato dai figli dello scorpione medesimo, intende proprio
-lui, Cola, che andrà glorificato da Dio e posto al
-governo di Roma, e poscia dal Papa e dai cardinali sarà
-perseguitato, e nell'anno del giubileo chiuso nella squallida
-spelonca del carcere imperiale. Frate Angelo da Monticelli
-aveva ben insegnato la sua arte al credulo tribuno!
-</p>
-
-<p>
-Un altro minorita, non meno credente di frate Angelo,
-ardiva divulgare le medesime profezie nella sede stessa
-della corte papale in Avignone. Avea nome fra Giovanni
-<span class="pagenum" id="Page_244">[244]</span>
-di Roquetaillade, latinamente <i>de Rupescissa</i>; ed oltre
-che per le sue profezie è noto per lo studio che, al pari
-di Arnaldo da Villanova, faceva dell'alchimia. Le sue
-predizioni risalgono, come dice egli stesso, al 1356, l'anno
-avanti che cominciassero le secolari guerre tra Francia
-e Inghilterra. La sua voce fu inascoltata; anzi Clemente
-VI, lo stesso papa così avverso a Cola, lo chiuse
-in prigione, e ve lo rimise il successore Innocenzo VI, tenendovelo
-per tutta la vita. Una profezia, che costui compose
-nelle carceri ad istanza di un suo correligionario, comincia
-così: “Le rendite ecclesiastiche sappiate che fra
-breve andranno tutte perdute, poichè molti popoli della
-terra spoglieranno il Clero dei beni temporali, lasciandogli
-appena da vivere. La Curia romana fuggirà da questa città
-peccatrice di Avignone, e non sarà più dove è ora. Prima
-che si compiano sei anni da questo presente, che è il
-1356, la superbia clericale sarà prostrata nel fango, e
-distrutta ogni malvagità. La città delle delizie sarà convertita
-in lutto, e il mondo si perderà per l'avarizia;
-ma dopo innumerevoli tribolazioni scenderà la misericordia
-alla gente desolata, perchè un angelo, vicario di Cristo,
-spargerà tutte le virtù evangeliche, e convertirà gli
-Ebrei e i Tartari e i Saraceni e i Turchi distruggerà.„
-Come vedete questo profeta anche a costo di andare crudelmente
-smentito dai fatti predice le cose a termine
-fisso ed a breve distanza. E non muta stile in un altro
-libercolo intitolato <i>Vade mecum in tribulatione</i>, composto
-l'anno dopo, dove riassume tutte le predizioni sue sparse
-negli altri libri, che cita e magnifica come annunziatori
-di fatti da poi verificatisi, quale la cattura del re di
-Francia. Anche nel <i>Vade mecum</i> vuol essere preciso più
-di quel che convenga a un profeta. “Pria che il mondo
-arrivi all'anno 1370, egli dice, prima che corrano altri
-tredici, da questo che abbiamo ora compiuto, 1356, avrà
-principio la restaurazione del mondo, e sarà palese quello
-<span class="pagenum" id="Page_245">[245]</span>
-che ora annunzio. Nel 1365 sorgerà l'Anticristo orientale,
-e gli Ebrei ingannati da codesto falso Messia infiniti
-danni recheranno al popolo cristiano. E nello stesso
-anno i veri seguaci del santo mendico di Assisi saranno
-di nuovo tribolati, come al tempo di Michele da Cesena;
-ma ben presto si rifaranno dei loro danni, e l'ordine
-loro si dilargherà per l'universo ed i loro conventi si
-moltiplicheranno come le stelle del cielo. Ma non vale
-la pena di riferire più oltre i sogni del povero prigioniero,
-che aspetta prossima la liberazione sua e dei suoi
-compagni. Dirò solo che anche egli adduce a prova delle
-sue profezie il versetto di Daniele, che soleva citare
-Arnaldo; ed anche lui, facendo cómputi sottili, arriva
-all'anno 1370 nello stesso modo che un secolo prima
-Gioachino di Fiore arrivava al 1260.
-</p>
-
-<p>
-Al di sopra di questi, sarei per dire, computisti della
-Profezia, si eleva una donna di alto sentire e di nobilissimo
-sangue, santa Brigida di Svezia. Nata intorno
-all'anno 1302, a sedici anni sposò il diciottenne principe
-Wulf di Nerik, da cui ebbe otto figliuoli. Alla morte del
-marito, dato un addio agli splendori principeschi e diviso
-il patrimonio tra i suoi figli, vestì le ruvide lane
-del pellegrino e venne a Roma, dove scrisse le sue <i>Revelationes</i>.
-A differenza di tutti i vaticinatoli precedenti
-la santa svedese non s'indugia a commentare le altrui
-profezie; ma come i profeti antichi conversa direttamente
-con Dio, che le svela il segreto dell'avvenire. “Io non
-disdegno di parlare con te, le dice Gesù, e benchè la
-mia umanità sembri essere dentro di te e parlar teco,
-pure è più verisimile essere la tua anima e la tua coscienza
-con me e in me, poichè a me nulla è difficile
-nè in cielo nè in terra.„ Una volta in una chiesa di
-Roma la Vergine stessa le apparve, e in tuono di comando
-le disse: “Tu devi mandare da parte mia questa
-parola al legato del Papa.„ Al che la donna rispose:
-<span class="pagenum" id="Page_246">[246]</span>
-“Egli non mi crederà e volgerà i miei detti in derisione.„
-E di rimando la Vergine: “Benchè io conosca l'intimo
-animo di quel prelato, pure è d'uopo che tu gli faccia
-sapere che le fondamenta della Chiesa vacillano, e la
-vôlta è screpolata in più parti, e le colonne piegano e
-il pavimento si avvalla così, che i ciechi che v'entrano
-sono per cadere.„ Questo ardito linguaggio osava tenere
-la santa al cardinale Albornoz, legato di Clemente VI,
-che, per riacquistare il sacro patrimonio, riempiva l'Italia
-di sangue e di rovine. Di Urbano V, il successore di
-Clemente, la Vergine stessa le dice: “Io condussi Urbano
-papa da Avignone a Roma senza alcun pericolo
-suo. E che cosa fa egli? Mi volge le spalle e intende
-partirsi da me. Il maligno spirito lo guida colle sue frodi.
-Ma se accadrà che egli faccia ritorno alla terra dove fu
-eletto, sarà colpito nella guancia così che i suoi denti
-scricchioleranno, e il suo volto diverrà caliginoso e fosco,
-e tutte le membra del suo corpo tremeranno.„ La profezia
-si avverò nel modo più tragico; che il Pontefice,
-non appena tornato in Avignone, vi morì. Nè meno energiche
-sono le ammonizioni, che Maria manda per mezzo
-della santa a Gregorio XI. “Come la pia madre, ella
-dice, che stringe al petto il suo bambino nudo e tremante
-di freddo per riscaldarlo del suo calore e nutrirlo
-del suo latte, così io farò di Gregorio, se vorrà tornare
-a Roma con animo di rimanervi e di riformare la Chiesa
-tutta. E perchè in avvenire non adduca la scusa dell'ignoranza,
-io gli annunzio che, se non obbedirà alle
-ingiunzioni mie, proverà la verga della mia giustizia e l'indignazione
-del mio figliuolo.„ Tutte queste visioni, ed altre
-non meno terribili sulla regina Giovanna, ebbe la santa
-donna in Napoli, dove sostò per qualche tempo tornando
-dal faticoso pellegrinaggio di Palestina. A lei non era dato
-vedere il frutto delle sue coraggiose ammonizioni, poichè,
-tornata a Roma, vi morì grave d'anni il 23 luglio 1373.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_247">[247]</span>
-</p>
-
-<p>
-L'opera da santa Brigida lasciata a mezzo, fu continuata
-da un'altra santa, che anch'ella ha estasi e visioni,
-anch'ella talvolta cade in tale anestesia, da poterlesi conficcare
-nella pelle un grosso ago, senza che si riscuota
-od avverta alcun dolore; ma forse più ancora della Svedese,
-ha un tatto finissimo per guidare gli uomini e riuscire
-nelle imprese più scabrose. Intendo parlare di Santa
-Caterina da Siena, che nata nel 1347 da un agiato popolano,
-e pur digiuna di lettere, seppe levarsi a tanta
-altezza di concetti, a tanta squisitezza di forma, che la
-sua prosa è anche oggi tenuta in grandissimo pregio. A
-quindici anni, vinte le opposizioni della madre, che la
-voleva sposa ad un ricco congiunto, entrò nelle Mantellate,
-terziarie domenicane, che non professavano voti solenni,
-e dopo tre anni passati nella sua cella tra preghiere
-e digiuni e torture d'ogni sorta, che ella infliggeva
-al delicato suo corpo, escì all'aperto ministra di
-pace e di carità. Nella peste del 1374 ella sola mostrò
-tale coraggio, tale abnegazione nell'assistere gl'infermi
-più gravi, da parere agli occhi di tutti un essere superiore.
-E ben si comprende come questo miracolo di sacrifizio,
-dovunque mostravasi, sapesse imporre la pace
-ai più riottosi, e comunicasse agli altri quell'ardente carità,
-che le bruciava il petto; talchè non pure a Siena,
-ma nella maggior parte delle terre toscane era chiamata
-come paciera, e la sua fama saliva tant'alto, che i più
-consumati uomini di Stato non disdegnavano d'entrare
-in relazione con lei; come, per citarne un solo, Bernabò
-Visconti. E a tutti teneva un linguaggio fermo e di
-gran buon senso. Al cardinale d'Ostia, legato pontificio,
-grida: “Pace, pace, pace, padre carissimo. Ragguardate
-voi e gli altri, e fate vedere al Santo Padre più la perdizione
-dell'anima che quella delle città; perocchè Dio
-richiede l'anime più che le città.„ Allo stesso papa Gregorio
-XI, non appena scoppiata la guerra con Firenze,
-<span class="pagenum" id="Page_248">[248]</span>
-scrive, ribadendo il concetto della santa svedese: “Andate
-innanzi e compite con vera sollecitudine e santa
-quello che per santo proponimento avete cominciato,
-cioè dell'avvenimento del santo e dolce Passaggio (vale
-a dire il ritorno della Santa Sede in Roma). E non tardate
-più, perocchè per lo tardare sono avvenuti molti
-inconvenienti.... Pregovi che coloro che vi sono ribelli,
-voi gl'invitate ad una santa pace, sicchè tutta la guerra
-caggia sopra gl'infedeli.„ “Ma pare che la somma ed
-eterna Bontà permetta che gli stati e delizie sieno tolti
-alla sposa sua, quasi mostrasse che volesse che la Chiesa
-santa tornasse nel suo stato primo poverello, umile e
-mansueta come era in quello tempo, quando non attendevano
-altro che all'onore di Dio e alla salute delle
-anime, avendo cura delle cose spirituali e non temporali.
-Che poi che ha mirato più alle temporali che alle spirituali,
-le cose sono andate di male in peggio.„ Mandata dalla repubblica
-Fiorentina in Avignone per trattare la pace col
-Papa, Caterina vi si adoperò con tutte le sue forze; e
-se non riescì a comporre il dissidio, ottenne però quello
-che più le stava a cuore sovra ogni altra cosa, il ritorno
-della Santa Sede a Roma. Questo è il suo pensiero dominante,
-che il felice passaggio, come diceva lei, avrebbe
-posto riparo a tutti i mali della Chiesa. E la sua fede
-invitta seppe trasfonderla in Gregorio: “Andiamoci, Ella
-scriveva, andiamci tosto, babbo mio dolce, senza veruno
-timore; se Dio è con voi, veruno sarà contro di voi. Dio
-è quello che vi move, sicchè gli è con voi. Andate tosto
-alla sposa vostra, che vi aspetta tutta impallidita, perchè
-gli poniate il colore.„ “E io vi prego da parte di
-Cristo Crocifisso, che voi non siate fanciullo timoroso,
-ma virile. Aprite la bocca e inghiottite l'amaro, per lo
-dolce.... Spero.... che voi sarete uomo fermo e stabile e non
-vi moverete per verun vento nè illusione di dimonio, nè
-per consiglio di dimonio incarnato.„ E fermo fu Gregorio.
-<span class="pagenum" id="Page_249">[249]</span>
-Non valsero le preghiere calde e insistenti di suo
-padre e delle sue sorelle, non valsero le opposizioni dei
-cardinali e le rimostranze del re di Francia. Su tutti e
-contro tutti vinse la fanciulla di Siena; e lo stesso giorno
-che ella lasciò Avignone, anche il Papa ne partì per
-non ritornarvi più mai. Singolare tempra di donna, a
-nessun'altra pari, fuorchè in parte ad un'altra vergine,
-nata non meno umile della Benincasa, Giovanna d'Arco.
-Anche questa fanciulla, pochi anni dopo Caterina, apparisce
-nel mondo come dotata di una potenza misteriosa.
-E al re di Francia e all'esercito suo disfatto ed
-avvilito, ella, la povera fanciulla d'Orléans, sa ridare il
-coraggio e la confidenza in sè e li conduce alla vittoria.
-Diverso fu il destino delle due profetesse: l'una levata
-sugli altari, l'altra dannata al rogo: ma entrambe operarono
-prodigi, perchè prodigi erano elle stesse di fede,
-di amore, di sacrifizio.
-</p>
-
-<p>
-Il ritorno del Papa a Roma, secondo la veggente Sienese,
-doveva essere il principio di quella riforma della
-Chiesa, a cui ella come tutti i profeti aspiravano, e che
-avrebbe dovuto portar seco la pacificazione degli animi
-in Italia e l'unione di tutte le forze cristiane contro l'irrompere
-dei Maomettani. Il Signore stesso in una fatidica
-visione le commette di dire al Papa: “che levi la
-croce santissima sopra gl'infedeli, e levila sopra dei sudditi
-suoi.... in perseguitare e' vizii e difetti loro. Divelto
-il vizio è piantata la virtù, ponendo questa croce in
-mano di buoni pastori e rettori nella santa Chiesa„. E
-in un'altra, ancor più notevole, le svela il segreto delle
-tribolazioni della Chiesa, che egli permette per divellere
-le spine della sua sposa che è “tutta imprunata„. “Sai
-tu come io fo? Io fo come feci, quando io ero nel mondo,
-che feci la disciplina di funi e cacciai coloro che vendevano
-e compravano nel tempio, non volendo che della
-casa di Dio si facesse spelonca di ladroni. Così ti dico
-<span class="pagenum" id="Page_250">[250]</span>
-che io fo ora. Perocchè io ho fatta una disciplina delle
-creature, e con essa caccio i mercanti immondi e avari
-ed enfiati per superbia vendendo e comprando i beni
-dello Spirito Santo.„ Sfortunatamente queste profezie
-non si avverarono, poichè la Chiesa, non che riformarsi
-e rinvigorirsi, ebbe a subire nuovi travagli dal lungo
-scisma, che tenne dietro alla morte di Gregorio. E indarno
-la vergine Sienese s'adoperò a soffocarlo sul nascere,
-scrivendo lettere di fuoco a principi e cardinali.
-Ormai la battaglia era impegnata, ed ella, accorsa al
-fianco di Urbano VI, si preparava a sostenerla virilmente,
-quando la morte sopraggiuntale nell'aprile del 1380 le
-risparmiò nuovi e più cocenti dolori.
-</p>
-
-<p>
-Un altro profeta, certo molto da meno della santa di
-Siena, non si faceva invece alcuna illusione. Era costui
-il frate terziario francescano, Tommasuccio da Foligno,
-che nato nel 1319 dicono morto nel 1377; ma certo avrà
-vissuto ben oltre quell'anno, perchè dell'elezione di
-Urbano VI è testimone, e di tutte le sciagurate conseguenze
-dello scisma tra Urbano e Clemente che tristamente
-descrive, se pure le strofe, ove di ciò si tratta,
-non s'abbiano a dire interpolate nel suo rozzo componimento,
-che fu oltremodo popolare:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Urbanu et Chiomento</p>
-<p class="i01">Faran nova quistione</p>
-<p class="i01">Et l'uno in Vengnone</p>
-<p class="i01">Forte terà sua sysma.</p>
-<p class="i01">In fede et in bactisma</p>
-<p class="i01">Crescierà suo podere,</p>
-<p class="i01">Mectendo grande herrore</p>
-<p class="i01">Nella cristiana gente.</p>
-<p class="i01">In Italia primamente</p>
-<p class="i01">Ne seguirà strazio,</p>
-<p class="i01">Che ne sarà ben sazio</p>
-<p class="i01">El sangue de oltramontani.</p>
-<p class="i01"><span class="pagenum" id="Page_251">[251]</span></p>
-<p class="i01 dotted">. . . . . . . . . . . .</p>
-<p class="i01">Serà fra li dui munti</p>
-<p class="i01">In Roma grande divisa,</p>
-<p class="i01">Ogni cosa provisa</p>
-<p class="i01">El caso mino offende.</p>
-<p class="i01">Però ongne omo che intende</p>
-<p class="i01">Ol mio parlar diverso,</p>
-<p class="i01">Che no sarà somerso</p>
-<p class="i01">El bel castello Ursinu;</p>
-<p class="i01">Poi ad priesso ad Marinu</p>
-<p class="i01">La jente oltremontana</p>
-<p class="i01">Fra monti valli e piani</p>
-<p class="i01">Fugerà e sarà presa.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Qui sono accenni e fatti determinati, come la presa
-del castello Orsino e la battaglia di Marino, accaduti
-nel 1379. E nessun profeta nè antico nè nuovo entra in
-particolari, se non è contemporaneo dei fatti che annunzia.
-Comunque sia, fra Tommasuccio crede anch'egli
-nel papa angelico:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Verrà poi nello strimo</p>
-<p class="i01">Dalla benigna stella</p>
-<p class="i01">Uno che renovella</p>
-<p class="i01">El mundo in altra forma.</p>
-<p class="i01">Darà la bella norma</p>
-<p class="i01">Ad nostra vita activa,</p>
-<p class="i01">Et farà la terra priva</p>
-<p class="i01">De vitii fallace.</p>
-<p class="i01">Per lu universo pace</p>
-<p class="i01">Serà da cielo in terra</p>
-<p class="i01">Et follia e guerra</p>
-<p class="i01">Serà nello inferno remessa.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Ahimè! Pur troppo la triste realtà era ben lontana
-da questo roseo sogno; poichè le condizioni della Chiesa
-peggioravano ognor più, e se Urbano poteva vantare
-<span class="pagenum" id="Page_252">[252]</span>
-della sua parte e santa Caterina e Giovanni dalle Celle,
-neanche a Clemente VII faceano difetto uomini d'insigne
-pietà, come a dirne uno, san Vincenzo Ferrero, teologo
-e profeta egli pure. Ormai non si sapeva più da
-qual parte stesse il diritto, e peggio ancora a quale fra
-i combattenti sarebbe per arridere la vittoria: talchè i
-profeti stessi, parteggiando chi per l'uno chi per l'altro,
-in questo solo s'accordavano: nel credere prossima la
-fine del mondo. E vi credè il suddetto Giovanni dalle
-Celle, che, pur avendo combattuto per tutta la sua vita
-contro i Fraticelli, non teme ora d'imitarne il linguaggio,
-e di risalire anche lui allo stesso abate Gioachino,
-dai Fraticelli tenuto per suprema autorità. “L'abate
-Gioachino, egli scrive, fu nel 1138 e fece un libro il
-quale si chiama el Papa, dove egli infino all'avvenimento
-di Anticristo dipinse tutti i papi.... Ma questo
-papa Gregorio (XI) pone che è l'ultimo papa e pone che
-fugge in forma di fraticello. E dopo di questo papa dipinse
-una terribile bestia, che colla coda avvinghia
-molte stelle, e dalla punta della coda esce una spada.
-Gli uccelli del Cielo sono i religiosi e questa bestia è
-l'Anticristo....„ Il libro che il Vallombrosano crede composto
-intorno al 1138, quando probabilmente Gioachino
-era ancor fanciullo, non è se non quello che racchiude
-gli apocrifi vaticini intorno ai Pontefici, vaticini dei
-quali, come delle profezie di Merlino, di Cirillo e delle
-varie Sibille, si fecero tratto tratto nuove edizioni con
-aggiunte ed interpolazioni per adattarle ai nuovi fatti.
-Su questi libri, sfacciatamente bugiardi, e sopra un
-creduto vaticinio tradotto, dicevasi, dall'ebraico in latino
-per opera di un Dandolo Ilerdense, e intitolato
-<i>Oroscopo</i>, fonda altresì le sue congetture l'eremita calabrese
-Telesforo o Teoforo o Teleoforo da Cosenza. Per
-parte mia credo che questo profeta faccia il paio col
-supposto Cirillo; e parmi non poco probabile che sotto
-<span class="pagenum" id="Page_253">[253]</span>
-il pseudonimo di un conterraneo di Gioachino si nasconda
-qualcuno, che non vivea molto lontano dalla Curia avignonese
-e ne divideva le speranze. Comunque sia, racconta
-il nostro eremita che vivendo nelle solitudini di
-Tebe presso Cosenza, dopo avere sparse molte lagrime
-e durati parecchi digiuni per divenir degno di conoscere
-il principio e il termine dello scisma; finalmente addormentatosi
-in sull'aurora della Pasqua del 1386, gli apparve
-un angelo dal volto verginale, dall'ali lucenti e
-dell'altezza di due cubiti, che lo invitò a raccogliere i
-libri di Gioachino e di Cirillo, se voleva conoscere il
-segreto che tanto l'affannava. Destatosi l'eremita si mise
-a cercare insieme con un suo compagno, Eusebio Vercellese,
-le opere dei due profeti, e non solo quelle trovò
-in gran copia, ma tutte le altre che vi ho testè citate.
-Come si vede, il Cosentino, benchè gli appaiano gli angeli
-dalle bianche vesti, non è neanche lui un profeta,
-ma piuttosto uno studioso delle altrui profezie. E resta
-altresì molto indietro ai predecessori suoi; poichè non
-nelle sacre carte cerca di leggere l'avvenire, ma nelle
-profezie più recenti, e non nelle autentiche, ma nelle
-spurie, come a dire i falsi vaticini sui Pontefici, che egli
-conosce sotto il nome di <i>Fiore</i>, e il falso commento alla
-pretesa profezia di Cirillo. La sua ingenuità arriva anzi
-a tal segno, da credere in buona fede che Gioachino,
-morto nel 1202, abbia potuto commentare la profezia
-Cirilliana, la quale, secondo Telesforo, sarebbe apparsa
-nel 1264. Ma i profeti, che vedono tanto bene nel futuro,
-non hanno l'obbligo di conoscere per filo e per
-segno il passato. Alla luce di queste pseudo-profezie al
-nostro eremita si rischiarano tutti i dubbi; ed ora legge
-nell'avvenire come in un libro aperto. “Il presente scisma,
-ei scrive, è nato dai vizi e dalle colpe della Chiesa,
-che dei beni terreni apparve più sollecita che degli spirituali;
-e non avrà fine se non al tempo dell'angelico
-<span class="pagenum" id="Page_254">[254]</span>
-pastore, che seguirà immediatamente alle presenti tribolazioni,
-e rinunzierà spontaneamente a tutti i suoi possessi.„
-Dicevano in Avignone che la ragione del ritorno
-della Santa Sede in Italia dovevasi ricercar nel desiderio di
-riconquistare quel dominio temporale, che i principi e
-le città collegate con a capo Firenze stavano per togliere
-alla Chiesa. Ed aggiungevano che sarebbe stato
-molto meglio subire tale spogliagione, che mettersi allo
-sbaraglio di uno scisma. Anzi l'antipapa Clemente di
-una gran parte del patrimonio di San Pietro avea costituito
-un ducato in favore dell'Angioino, per riceverne
-aiuto e difesa nelle presenti strettezze. Telesforo, andando
-più oltre, aggiunge che il successore di Clemente,
-o il Papa Angelico, non ad una parte sola dei possessi
-suoi rinunzierebbe, ma bensì a tutti. Se non che prima
-che spunti questo avventuroso giorno nuove calamità
-sovrasteranno ai fedeli, e dalla Germania sorgerà, secondo
-un'antica leggenda tedesca, un terzo Federico,
-della semente del secondo, il quale, non meno infesto
-alla Chiesa, pugnerà contro la Francia, come un tempo
-Manfredi contro Carlo d'Angiò, e più fortunato di lui
-riuscirà a menare prigione il re francese. Ma non tarderà
-molto, che le sorti della guerra muteranno e l'imperatore
-tedesco sarà sconfitto e l'impero stesso passerà
-nelle mani di re Carlo di Francia, il quale, stretto in
-intimo accordo col Papa Angelico, dominerà tutto il
-mondo cristiano, sconfiggerà i Saraceni, convertirà i
-Tartari, e la Chiesa greca unirà con la latina. Nel qual
-tempo si verificherà l'antica profezia di un solo ovile e
-di un solo pastore, e per lunga pezza la pace sorriderà
-agli uomini. Nè qui si arresta l'incauto profeta, ma
-discorre ancora dei successori del Papa Angelico, che
-saranno in numero di tre, dopo i quali il Diavolo sarà
-sciolto di nuovo, e verrà l'ultimo Anticristo, che con
-doni ed incanti sedurrà il popolo dei credenti; dopo di
-<span class="pagenum" id="Page_255">[255]</span>
-che seguiranno la finale catastrofe e il giudizio universale.
-Di tutti questi avvenimenti, dei quali neppur uno
-si è verificato, è così certo il nostro eremita da snocciolarvene
-le date con precisione matematica. Lo scisma
-avrebbe fine nel 1417, e nel 1432 sarebbe legato Satana,
-e tra altri 420 anni dal 1386, vale a dire nel 1806, sarebbe
-accaduto il giudizio universale. Siamo, come si
-vede, in piena decadenza della profezia. Telesforo è un
-commentatore di commentatori; e non si contenta se non
-quando ha colmate tutte le lacune, assegnate tutte le
-date. La sua profezia è un libro di partito, scritto per
-rincorare i suoi, ed accertarli che, non ostante i rovesci
-e le sconfitte, la vittoria finale non sarà per mancare.
-Non gl'importa che di lì a poco tempo il fatto possa
-smentirlo. Quel che preme ora, è non perdersi d'animo;
-e nulla giova tanto ad assicurare la vittoria, come la
-piena fiducia di doverla conseguire.
-</p>
-
-<p>
-Il libro di Telesforo ebbe un grande ed immeritato
-successo; e sei anni dopo che fu pubblicato, vale a dire
-nel 1392, Enrico di Langstein ne scrisse una confutazione
-stringente. Ed Enrico era uno dei più dotti teologi
-del tempo e vice-cancelliere dell'Università di Parigi,
-e nello scisma ebbe una parte importantissima; perchè
-sostenne validamente non potersi comporre il conflitto,
-se non a patto che entrambi i papi deponessero il loro
-potere e lasciassero ad un Concilio la cura della nuova
-scelta del pontefice e della sospirata riforma della Chiesa;
-idee che, svolte poi dal Gerson, trionfarono nel Concilio
-di Costanza. Orbene quest'uomo, così dotto e così pratico,
-non ebbe disdegno di combattere le profezie del
-preteso Telesforo. E la ragione sta in questo, che tutti
-in quel tempo erano inclinati ad accogliere le voci profetiche.
-Lo stesso Enrico, se non presta fede a tutte le
-puerilità dell'Eremita, se gli rimprovera di attingere a
-sorgenti impure e non approvate dalla Chiesa, crede
-<span class="pagenum" id="Page_256">[256]</span>
-però anch'esso nella prossima venuta dell'Anticristo; e
-di Arnaldo di Villanova fa tanto conto che lo mette a
-pari di santa Ildegarde, la Sibilla tedesca come ei la
-chiama, e rimprovera Telesforo di non averne conosciute
-le opere.
-</p>
-
-<p>
-Parimente nella prossima venuta dell'Anticristo crede
-un altro teologo, Niccolò Oresme, precettore del re
-Carlo V di Francia. Mandato dal re francese alla Curia
-pontificia in Avignone, vi tenne un ardito discorso predicente
-lo scisma, e liberatosi poscia dall'accusa di eresia
-con tale vantaggio da meritare il vescovato di Lisieux,
-seguitò a meditare sui destini dell'umanità, e pur combattendo
-le dottrine gioachimite intorno alle tre età e
-all'Evangelo eterno, si fece a dimostrare in un libro
-<i>De Antichristo</i>, scritto, a quel che sembra, allo scoppiare
-dello scisma, che fra non molto si verificherebbero le
-terribili profezie dell'Apocalisse, stando almeno a parecchi
-indizi, tra i quali è da contare il pressochè compiuto
-annichilamento dell'Impero, la tepidezza della carità, la
-dissolutezza e la simonia dell'alto clero, il pullulare di
-nuove eresie, e più che tutto l'apparizione di quei falsi
-profeti che sono i Gioachimiti. Ed enumerati ad uno ad
-uno questi segni precursori, il dotto prelato si fa a
-descrivere il futuro Anticristo, che nascerà in Giudea
-e coll'apparenza della santità e con larghi donativi si
-guadagnerà molti cristiani, allontanandoli dalla vera
-fede, e fattosi eleggere loro re, perseguiterà a morte gli
-ortodossi, e con alterna vicenda di sconfitte e vittorie
-travaglierà tutto il mondo, finchè Cristo stesso non scenderà
-in terra per levarlo di seggio e cacciarlo in inferno
-con tutti i suoi seguaci.
-</p>
-
-<p>
-Non meno convinto della vicina catastrofe era quel
-Domenicano spagnuolo ricordato più sopra, Vincenzo
-Ferrer, che nelle sue predicazioni e in una lettera indirizzata
-al papa avignonese Benedetto XIII il 27 luglio
-<span class="pagenum" id="Page_257">[257]</span>
-1412 affermava dover coincidere la venuta dell'Anticristo
-con la fine del mondo, ed essere imminenti e l'una
-e l'altra; poichè già da cento anni ai beati Domenico e
-Francesco era stato rivelato che tre spade percuoterebbero
-la terra, vale a dire la persecuzione dell'Anticristo,
-la conflagrazione, e il giudizio universale. Inoltre nell'Apocalisse
-è detto che Satana, dopo mille anni dacchè
-fu legato, sarà sciolto di nuovo e sguinzagliato contro i
-fedeli. E Satana fu legato non alla venuta di Cristo,
-come dicono alcuni, ma ben piuttosto al tempo del beato
-Silvestro, quando l'Impero romano si convertì alla nuova
-fede e il paganesimo fu vinto. Da quel tempo i mille
-anni sono già trascorsi, e l'estrema ruina si appresta
-<i>cito et bene cito ac valde breviter</i>; e gli stessi ordini religiosi,
-il Domenicano e il Francescano, istituiti per ritardarla,
-sono pressochè distrutti, poichè è venuta meno
-la rigida osservanza delle loro regole. Le opinioni apocalittiche
-erano state fino allora proprie del sodalizio
-francescano, e della parte più esaltata degli spirituali;
-ora penetrano nell'ordine domenicano; e dopo Vincenzo
-Ferrer un altro predicatore, Manfredo di Vercelli, le va
-spargendo per l'Italia settentrionale, traendo seco le
-turbe atterrite.
-</p>
-
-<p>
-Ma questi tetri pronostici fallirono alla lor volta del
-tutto; anzi composto a Costanza il grande scisma, e
-vinto senza fatica l'altro che vi tenne dietro a Basilea,
-il papato parve sorgere a nuova vita e riprendere il
-prestigio goduto ai giorni d'Innocenzo III e di Gregorio
-IX. Senonchè l'attento osservatore sotto l'apparenza
-ingannatrice non tardava a scoprire i segni di nuovi
-mali. La Curia non era più, come in Avignone, alla
-mercè del re di Francia; ma la corruzione, tanto rimproverata
-alla Corte avignonese, non era scomparsa
-sotto altro cielo. E per un certo rispetto pareva si andasse
-di male in peggio; poichè ora con cinico sorriso
-<span class="pagenum" id="Page_258">[258]</span>
-si mettevano a nudo le proprie brutture, e le facezie di
-Poggio Bracciolini trovavan lieta accoglienza nelle stesse
-sale del Vaticano. Aggiungi che al cessare degli scismi
-lo spirito cristiano non che informare uomini ed istituzioni,
-pareva invece soffocato dal rifiorire della cultura
-pagana e dalla ognor crescente miscredenza, e la stessa
-Curia pontificia aveva a segretari uomini, che eglino
-per i primi non prestavano fede ai brevi ed alle bolle
-da loro distesi come saggio di elegante latineggiare. Infine
-un'altra piaga si riapriva nel seno della Chiesa, e
-più maligna delle precedenti, il nepotismo, che da Paolo II
-a Sisto IV divenne sempre più minaccioso, e con Alessandro
-VI non conobbe più modo nè misura.
-</p>
-
-<p>
-In queste condizioni, quando le sorti della Chiesa parevano
-disperate, e lo stesso Vicario di Cristo era accusato
-a torto o a ragione delle tresche più scandalose,
-tonò potente la voce di Gerolamo Savonarola. In lui la
-profezia dal basso loco, in che era caduta, assurge novamente
-a sublimi fastigi. Al pari dei suoi predecessori
-egli lavora d'interpretazioni e di commenti sui libri profetici
-del Nuovo e del Vecchio Testamento; l'Apocalisse,
-i Profeti e il libro dei Salmi sono i suoi testi prediletti.
-Se non che non parla più, come i predecessori
-suoi, della prossima venuta dell'Anticristo e della fine
-del mondo, ma solo dell'imminente rinnovazione della
-Chiesa. E i suoi vaticini trae, come l'Oresme, da diversi
-indizi, che ha cura di enumerare ad uno ad uno
-nella famosa predica del 14 gennaio 1494. “Hora, egli
-dice, cominciamo dalle ragioni che io t'ho alleghate da
-parecchi anni in qua, che dimostrano et pruovano la
-renovatione della Chiesa. Alchune ragioni sono probabili,
-che gli si può contradire, alchune sono demonstrative,
-che non se gli può contradire, perchè son fondate nella
-scriptura sancta. La prima è <i>propter pollutionem prelatorum</i>.
-Quando tu vedi un capo buono, dì che il corpo
-<span class="pagenum" id="Page_259">[259]</span>
-sta bene. Quando el capo è captivo guai a quel corpo.
-Però quando Dio permecte che nel capo del reggimento
-sia ambitione, luxuria et altri vitii, credi che il flagello di
-Dio è presso.... La terza <i>per exclusionem istorum</i>. Quando
-tu vedi che alchuno Signore o capo di reggimento non
-vuole e buoni et onesti appresso, ma gli cacciano, perchè
-non vogliono che gli sia dicta la verità, dì che il
-flagello di Dio è presso.... La <i>sexta propter multitudinem
-peccatorum</i>. Per la superbia di David fu mandata la
-peste. Guarda se Roma è piena di superbia, <i>luxuria
-et avaritia et simonia</i>. Guarda se in lei multiplicano
-sempre li captivi et però dì che il flagello è presso....
-Tu dirai: O egli c'è tanti religiosi e tanti prelati più
-che ne fussi mai. Chosì ce ne fussi mancho. O cherica,
-per te <i>orta est hæc tempestas</i>! Tu se' cagione di tucto
-questo male et oggidì ad ogni uno gli pare essere beato
-chi ha el prete in casa; et io ti dico che verrà tempo
-che si dirà: <i>Beata quella casa che non ha cherica rasa.</i>
-La decima è <i>propter universalem opinionem</i>. Vedi ognuno
-che pare che predichi et aspecti el flagello et le tribolatione....
-Lo abbate Joachino et molti altri predicano
-et annunziano che in questo tempo ha advenire questo
-flagello.„
-</p>
-
-<p>
-Il Savonarola adunque non diversamente dai suoi predecessori
-è un profeta più di riflessione che d'ispirazione,
-e nelle previsioni sue l'ermeneutica biblica e le
-dottrine teologiche hanno la parte preponderante, come
-in quelle dell'abate Gioachino, che egli stesso cita. Ma
-ciò non pertanto a scoprire nelle sacre carte il senso,
-che agli altri sfuggiva, occorrevagli una singolare attitudine
-o un'illuminazione dall'alto. E questo dono singolaro
-nessuno più del Savonarola è convinto di averlo.
-“Chi dubiterà — egli scrive — che il giglio sia bianco
-se non il cieco?... Le cose avvenire appariscono tanto
-chiare nel lume della prophetia, che colui il quale ha
-<span class="pagenum" id="Page_260">[260]</span>
-tal lume non può avere dubitatione alcuna„. “Et dicoti
-che si verificherà ancora il resto che non fallirà
-una iota et io ne so certo più che non sei tu che due
-e due fanno quattro, et più che io non so certo che io
-toccho questo legno di pergolo, perchè quello lume è più
-certo che non è senso del tacto. Credimi, Firenze; tu
-dovresti pur credermi, perchè di quel che t'ho decto
-non ne hai veduto fallire una iota fino a qui, et anco
-per l'avenire non ne vedrai manchare niente„. A lui
-non sembra come a santa Brigida e a santa Caterina di
-avere diretti colloqui con Cristo o con la Vergine, nè la
-sua fantasia sa levarsi alle grandiose rappresentazioni di
-Ezechiello e dell'autore dell'Apocalisse. Anzi talvolta
-l'arte gli fa tanto difetto, che cade nel trito e nel minuto,
-come in una descrizione del Paradiso inserita nel
-compendio delle Rivelazioni. Ma senza dubbio lampi di
-vero genio guizzano talvolta nelle sue prose e nelle sue
-poesie. E talune delle visioni sue colpirono talmente i
-contemporanei, che furono riprodotte in molte incisioni,
-come quella apparsagli nell'anno MCCCCLXXXXII, “la
-nocte precedente all'ultima predicatione che fue in Sancta
-Reparata, quando vide una mano in cielo con una
-spada sopra la quale era scripto: La spada del Signore
-colpirà tosto e veloce. E da poi questo la mano rivolse
-la spada verso la terra et subito parve che si rannugholassi
-tutto l'aere et che piovessi spade et gragnuola
-con grandi tuoni et saette e fuochi et fu in terra facto
-guerra pestilenza et carestia„. Non c'è nulla di strano
-che queste visioni ei l'abbia avute realmente. La sua
-fantasia, piena di ricordi biblici, non posava mai, il suo
-corpo estenuavano i digiuni e le fatiche della predicazione,
-il suo animo combattevano speranze e timori
-senza fine. Non erano fredde lucubrazioni le sue, ma
-sensazioni potenti che sentiva nel più profondo dell'essere
-suo prima di comunicarle agli altri.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_261">[261]</span>
-</p>
-
-<p>
-Se non che il Savonarola non era soltanto un mistico
-ed un veggente, ma possedeva altresì uno squisito senso
-della realtà; e gran parte delle previsioni sue, come
-quelle intorno alla discesa di Carlo VIII ed all'espulsione
-dei Medici, si dovevano, più che alla sua natura
-profetica, alla conoscenza profonda, che egli aveva degli
-uomini e delle cose. Certo nessuno meglio di lui seppe
-consigliare ai Fiorentini, tornati liberi, la forma di governo
-più opportuna. E nessuno vide meglio di lui che
-la repubblica non sarebbe durata se non ad un patto,
-che si fossero rappaciati gii animi e scordate le antiche
-offese. Nella sua grande anima il Savonarola riunisce le
-doti e le tendenze più disparate. E se nei suoi vasti disegni
-pensava alla Chiesa tutta, che avrebbe dovuto
-tornare alla severità degli antichi costumi, non trascurava
-le sorti degli Stati, non meno bisognosi di riforme
-della Chiesa stessa, a cominciare da Firenze, la patria
-di adozione, che esercitava su di lui, come su tutti noi,
-il suo fascino irresistibile. Ed a Firenze avea consacrata
-non piccola parte dell'opera sua fin da quando, chiamato
-al letto del morente Lorenzo, non volle, a quel che
-raccontano, udirne la confessione se prima non avesse
-promesso di ridare la libertà alla sua patria. Le due
-riforme andavano, secondo lui, strettamente congiunte,
-perchè si potesse ritornare a quel tempo glorioso, quando
-i più rigidi e intemerati papi stavano al governo della
-Chiesa, e la Chiesa stessa era l'anima dei liberi comuni.
-Senonchè quella età era ben lontana, e la storia, per
-sforzi che si facciano, non torna indietro. Le due riforme,
-che il frate di San Marco congiungeva nel suo
-pensiero, si recavano vicendevole impaccio, come i fatti
-dimostrarono ben presto. Secondo l'austero riformatore
-Firenze, conquistata la libertà e il governo di sè, dovea
-ora rinnovare la sua coscienza, e da pagana che era, in
-gran parte, rifarla cristiana. Nè aveva a tollerare più a
-<span class="pagenum" id="Page_262">[262]</span>
-lungo quei canti e quelle feste carnescialesche, onde fu
-celebre il governo di Lorenzo, e lo Stato, prendendo il
-luogo della Chiesa, dovea punire come infrazioni delle
-leggi sue quelli che la Chiesa condannava come peccati.
-Cristo dovea assere il re di Firenze, e in suo nome
-aveasi a riformar la città. Le quali idee del frate tornavano
-ostiche, non solo ai partigiani dei Medici, ma ben
-anche ad una parte degli aderenti all'ordine nuovo,
-che mal pativa la città si governasse dal pergamo, con
-metodi e con idee fratesche. E quando il Savonarola
-concepì l'infelice disegno di fare accendere in piazza
-della Signoria un gran fuoco per bruciarvi quanti oggetti
-di lusso o di vanità fosse dato raccogliere, le loro
-rampogne non conobbero misura, e l'odio contro il frate
-crebbe a tal segno, che la parte dei repubblicani, a lui
-ostili, fu detta degli Arrabbiati. Dall'altro lato se la religione,
-secondo la mente del Savonarola, dovea informare
-lo Stato fiorentino così da dargli sembianza di teocrazia,
-lo Stato alla sua volta aveva da esercitare un'azione
-non meno potente sulla religione; poichè da Firenze,
-che è, come egli dice, l'ombelico d'Italia, doveva
-sprigionarsi la scintilla del grande incendio della Riforma.
-Ed anche da questo lato non potevano tardare i disinganni;
-perchè la parte politica del Savonarola avea da
-sostenere l'urto non pure dei nemici interni, ma di un
-avversario ancor più potente, qual era il Papa, che impersonava
-la gerarchia. Nè ci voleva molto a prevedere
-che nell'impari lotta contro la doppia potestà temporale
-e spirituale, ne andrebbe fiaccata. E il Savonarola stesso
-lo sa, e con mirabile divinazione predice che la prima
-vittima sarà lui; ma un fato lo trascina ed egli non sa
-resistere.
-</p>
-
-<p>
-Non è dubbio, dicemmo, che la propaganda del mistico
-profeta dovesse recare non poco danno all'opera politica
-da lui intrapresa, e non è dubbio altresì che danno non
-<span class="pagenum" id="Page_263">[263]</span>
-minore dovesse recare l'inframmettenza politica al disegno
-di riforma religiosa. In che stesse codesta riforma
-è manifesto. Il Savonarola, al pari dei profeti che lo precedettero,
-non intende di toccare nessun punto del domma,
-e quelli che, a cominciare da Lutero stesso, ne vogliono
-fare un precursore della Protesta, s'ingannano di gran
-lunga. Ei voleva solo che la Chiesa si lavasse dalle brutture
-presenti, che sulla cattedra di San Pietro sedesse
-un papa santo, non diverso dal Papa Angelico vagheggiato
-dalle età precedenti, e che la corruzione provenuta
-dall'avidità di ricchezze e di potere cedesse il campo alla
-povertà e alla semplicità primitiva. La prima riforma
-che il Savonarola intraprese in piccolo, quando ottenne
-che il convento di San Marco, sottraendosi alla giurisdizione
-del provinciale lombardo, si ponesse a capo della
-nuova provincia toscana, fu appunto questa d'introdurre
-nell'interno del chiostro domenicano la stretta regola
-della povertà evangelica, presso a poco come la intendevano
-i Francescani spirituali. Ma la conseguenza logica
-di questo indirizzo più severo sarebbe stata appunto di
-vietare che gli uomini di Chiesa si mescolassero nelle
-cose dello Stato. Il che mal s'accordava col fatto che un
-frate fosse a capo di una parte politica, qual era quella
-dei Piagnoni. Evidente contraddizione questa che ebbero
-ben cura gli avversari di mettere in piena luce. Invano
-il Savonarola adduceva l'esempio del cardinale Latino,
-di santa Caterina da Siena e di sant'Antonino arcivescovo
-di Firenze. Indarno protestava non essersi delle
-faccende dello Stato in particolare mai impacciato, e solo
-le norme generali del governo aver suggerito per la salute
-temporale e spirituale dei Fiorentini. Le sottili distinzioni
-non gli giovavano. E per vincere l'ardua prova
-di condurre a buon fine le due riforme, che mal s'accordavano
-insieme, sarebbe occorsa a Firenze maggiore
-forza e più robusta fede di quella che avesse in realtà.
-<span class="pagenum" id="Page_264">[264]</span>
-Per fermo era un sogno, che questa piccola repubblica,
-stretta intorno da tanti e così diversi nemici, potesse
-alla lunga resistere alle minacce di Roma. Oltre a che
-il Savonarola avea da combattere contro un pontefice,
-che, se dava ogni giorno nuova materia a scandali e
-maldicenze, vinceva tutti in scaltrezza, e che anche questa
-volta non si smentì. Non appena Alessandro sente
-che un frate fiorentino osa dal pergamo sparlare di lui
-e del suo governo e predicare l'imminenza della Riforma,
-lo chiama a Roma con lettera affettuosa e allettatrice.
-Scusatosi il Savonarola di non potersi muovere e per lo
-stato di sua salute e per le condizioni della città, gli
-vieta di predicare più oltre. Fallitogli per insistenza della
-Signoria fiorentina anche questo provvedimento, delibera
-di distruggere l'autonomia, da lui stesso concessa, del
-convento di San Marco, e di assorbire la nuova provincia
-toscana in una più larga, che prende il nome di
-tosco-romana, il che voleva dire mettere San Marco e
-il guardiano suo nelle mani di una creatura del Papa.
-Nè il Savonarola nè i suoi dipendenti si piegano al duro
-decreto, ed Alessandro VI alla sua volta non tarda a
-scomunicarli tutti come ribelli agli ordini suoi, e chiedere
-al governo fiorentino di assicurarsi del loro capo,
-se non voleva rendersene complice, ed incorrere nell'interdetto.
-Queste gravi misure non disanimavano il Savonarola,
-che dopo breve intervallo di silenzio ritorna
-sul pergamo e dichiarata nulla e vana la scomunica, ribadisce
-le sue profezie, sempre più convinto che non un
-iota, com'ei diceva, ne fallirebbe. “O uomini religiosi,
-esclama nella predica del 25 febbraio 1497, o Roma, o
-Italia, e tutto il mondo chiamo, fatevi innanzi. Questo
-che io dico o è da Dio o no. Se è da Dio voi non potete
-impugnarlo, e se impugnate, perderete con vostro
-danno; se non è da Dio mancherà presto per sè medesimo.„
-E più gravemente in quella del 18 marzo: “Dico
-<span class="pagenum" id="Page_265">[265]</span>
-che quando è guasta la Chiesa, non è potestà ecclesiastica,
-ma è potestà infernale e di Satanasso. Io ti dico
-che quando ella adiuta le meretrici, li cinedi et li ladroni
-et perseguita e buoni et cercha di guastare el ben vivere
-christiano, allora ella è potestà infernale et diabolica,
-et hassegli a fare resistenza„. Era guerra aperta e a ferri
-corti, e il Savonarola non disperava di vincerla. In una lettera
-ad un amico ricorda che i concili di Pisa e di Costanza
-aveano stabilita la superiorità della Chiesa tutta, rappresentata
-dal Concilio sul Papa, e il dritto di deporlo,
-dove si fosse chiarito indegno di tenere l'alto seggio. Dottrina
-già sostenuta un tempo da Marsilio da Padova e
-dall'Occam, e più di recente difesa dal Langstein, dal
-Gerson, dal Piccolomini, dal Cusano. E al Gerson il Savonarola
-s'appella, e spera che il re di Francia o l'imperatore
-dei Romani, o tutti insieme bandiscano un Concilio,
-che ponga fine agli scandali e alle simonie. E nello
-stesso collegio cardinalesco si affida di trovare aiuto, specie
-nel cardinale della Rovere, che fu poi Giulio II, il
-quale pubblicamente accusava il Papa di aver compra
-la tiara a contanti.
-</p>
-
-<p>
-Ma tutti questi calcoli erano sbagliati. Le teorie di Pisa
-e di Costanza, se non pubblicamente condannate, furono
-ferite a morte dopo lo scacco del Concilio di Basilea e
-la sottomissione dell'antipapa da questo nominato. E gli
-uomini più eminenti, come il Cusano e il Piccolomini,
-ebbero a ricredersene anche prima che l'uno fosse fatto
-cardinale di San Pietro in Vincoli, e l'altro assumesse
-la tiara col nome di Pio II. Nè era credibile che il disegno
-fallito a Basilea, d'introdurre nella Chiesa in luogo
-del monarcato assoluto un governo a larga base, potesse
-riescire ora che le condizioni vi si prestavano meno.
-Certo è che quando il Savonarola levò il suo grido contro
-quel papa, che la Chiesa stessa deplora d'aver avuto a
-capo, nessuno lo raccolse, e gli Arrabbiati seppero ben
-<span class="pagenum" id="Page_266">[266]</span>
-cogliere l'occasione delle minaccie papali per sbalzare di
-seggio la parte politica devota al Frate. Nè solo i politici
-gli si mossero contro, ma benanche la maggior parte
-del clero con i frati minori alla testa, i quali sfidarono
-il Profeta di provare la verità delle predizioni sue coll'esperimento
-del fuoco. Il Savonarola non voleva accettare
-la strana sfida, che sapeva bene non essere se non
-un tranello; ma il suo fido compagno fra Domenico, convinto
-della bontà della loro causa, l'accettò e sarebbe
-certo entrato nel fuoco, se il Minorita si fosse fatto innanzi.
-Costui però, come era da prevedere, non si presentò,
-il truce spettacolo non ebbe luogo, e la gran folla
-adunata in piazza della Signoria per assistervi, a tarda
-sera si sciolse indispettita e minacciosa. Da quel giorno
-la sorte del Savonarola era decisa. Ben presto fu dato
-l'assalto al suo convento, e vinta facilmente la debole
-resistenza, che una parte dei Piagnoni ancora opponeva,
-fu tratto in prigione, come volgare malfattore, quell'uomo
-dalle cui labbra pochi giorni innanzi pareva che il popolo
-tutto pendesse. La Signoria non volle consegnarlo
-al Papa, ma dopo lunghe trattative ottenne che il processo
-fosse fatto in Firenze e vi prendesser parte i magistrati
-fiorentini.
-</p>
-
-<p>
-Potrebbe sembrare strano come il Governo tanto tenesse
-ad istruire un processo, senza dubbio più ecclesiastico
-che civile e per la qualità delle persone e per
-l'indole stessa dell'accusa di ribellione al Papa, i cui ordini
-non furono eseguiti, le scomuniche sprezzate. E la
-Signoria stessa ebbe a ricorrere ad una menzogna per
-giustificare l'opera propria, asserendo, nell'intestazione
-degli atti processuali, che i giudici da lei scelti procedevano
-per conto e per mandato del Papa, mentre questi
-non avea potuto avere il tempo di manifestare la volontà
-sua. Perchè tanta insistenza? La ragione è chiara.
-La Signoria, sotto al processo ecclesiastico, ne ordiva
-<span class="pagenum" id="Page_267">[267]</span>
-uno politico, e non solo il Savonarola voleva colpire, ma
-tutta la sua parte. E sperava che il Profeta, innanzi al
-quale fu visto allibire lo stesso Lorenzo dei Medici, smentisse
-sè stesso, perchè, non solo scomparisse dalla scena
-politica, ma ne fosse per sempre macchiata la fama, e
-passasse appo i posteri quale impostore, nè fosse possibile
-che la parte, della quale egli era anima e mente,
-riprendesse lena e del di lui nome si giovasse. A tale
-scopo non fu risparmiato nessun mezzo. Furono somministrati
-all'infelice in un solo giorno tre tratti e mezzo
-di fune, che gli slogarono le ossa e sconciarono la mano
-destra, furono alterati i verbali delle sue risposte, mandati
-in giro con glosse, che, guastando il senso, rivelavano
-con la nequizia l'inabilità del notaio che le stese.
-Ed i Signori ottennero in parte l'intento loro. Il Savonarola
-già nel pieno trionfo della sua carriera non è sempre
-sicuro di sè. Dice bene spesso che le sue rivelazioni
-le ebbe da Dio, e ribatte tutti gli argomenti degli avversarii
-che il dono profetico gli volevan contrastare;
-ma talvolta dichiara di non essere nè profeta nè figlio
-di profeta, e che tutto quel che dice lo ha ricavato dallo
-studio attento delle sacre carte, che ogni uomo di qualche
-levatura può fare. In lui, come in tutti i presaghi
-dell'avvenire, non di rado con la fiducia piena s'alterna
-il profondo scoraggiamento. Non è dunque strano che
-davanti ai suoi giudici, dopo aver sofferte le più atroci
-torture e i più cocenti disinganni, sconfessi il suo dono
-profetico. Talvolta il primo uomo risorge e si ribella
-alle sue stesse confessioni, come in queste memorabili
-parole pronunziate il 20 maggio 1498 nell'apparecchiarsi
-ancora una volta alla tortura: “Hor su uditemi: Dio,
-tu m'hai colto, io confesso che ho negato Christo, io
-ho detto la bugia. Signori Fiorentini, siatemi testimoni,
-io l'ho negato per paura di tormenti; s'io ho a patire,
-voglio patire per la verità; ciò che io ho detto l'ho
-<span class="pagenum" id="Page_268">[268]</span>
-havuto da Dio; Dio tu mi dai la penitenza, per averti
-negato per paura di tormenti, io lo merito.„ Ma questo
-ritorno fu un lampo. Dimandato in sulla fune sconfessò
-le dichiarazioni sue e nel giorno seguente confermò di
-aver detto “come huomo passionato, e che voleva sbrigarsi
-da una gran briga„. Il 23 maggio 1498 egli ed i
-suoi compagni, fra Domenico e fra Silvestro, furono degradati
-e consegnati al braccio secolare, e alle dieci del
-mattino le livide fiamme del rogo ne accolsero i cadaveri.
-</p>
-
-<p>
-I pensieri dominanti del Savonarola furono questi due:
-la rinnovazione della Chiesa e la libertà del popolo fiorentino;
-l'una da promuovere, l'altra da stabilire e difendere.
-E i principi della Chiesa e i signori del popolo si
-strinsero insieme per darlo al rogo, vittima espiatrice
-delle sue grandi aspirazioni. Con la morte del Savonarola
-la Profezia ammutisce, nè più si ode, fuorchè a un
-secolo di distanza negli insipidi vaticini dello pseudo-Malachia,
-e nella debole eco di un altro domenicano, uomo
-politico anch'esso, fra Tommaso Campanella. Negli anni
-che seguono al martirio del Ferrarese, l'ora del tremendo
-giudizio non s'attende più, è già suonata. Ma nessun profeta
-l'annunzia, e quando più fervono le lotte religiose,
-e torrenti di sangue dilagano per l'Europa, nessuna voce
-risuona a confortare gli animi con la promessa di giorni
-migliori. Simili ai dannati danteschi, i profeti di cui vi
-ho ricordate le strane visioni, a furia d'aguzzar gli occhi
-nel futuro, brancolano come ciechi nelle tenebre, quando
-si tratti del presente:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i02"> Noi veggiam, come quei c'ha mala luce,</p>
-<p class="i01">Le cose, disse, che ne son lontano,</p>
-<p class="i01">Cotanto ancor ne splende il sommo Duce;</p>
-<p class="i02"> Quando s'appressano, o son, tutto è vano</p>
-<p class="i01">Nostro intelletto, e s'altri noi ci apporta</p>
-<p class="i01">Nulla sapem di vostro stato umano.</p>
-</div></div>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_269">[269]</span>
-</p>
-
-<h2 id="pittura">LA PITTURA DEL 400 A FIRENZE</h2>
-
-<p class="center">
-DI
-</p>
-
-<p class="center large">
-DIEGO MARTELLI.
-</p>
-</div>
-
-<p class="pad2 indl">
-<i>Donne gentili, onorandi signori</i>,
-</p>
-
-<p class="pad2">
-Nell'anno passato mi presentavo a voi con somma trepidazione;
-giacchè un pubblico fiorentino e specialmente
-un pubblico come il vostro, è uno dei più imponenti giudici
-avanti ai quali si possa presentare colui che ha in
-animo di perpetrare una conferenza. Pur tuttavia uno
-stimolo forte mi ha mantenuto saldo al mio posto. La
-vecchierella che portava i suoi 76 anni come un giocondo
-fardello di serene rimembranze, mi stava allora
-vicina; quella povera donna era mia madre, quella vecchierella
-racchiudeva in un corpo esile e sottile, lo posso
-dire con orgoglio, l'anima d'un eroe. Quindi nessuna debolezza
-mi era permessa, io doveva fare la mia conferenza
-e la feci, la vostra gentilezza l'accolse, ed eterna
-ne rimase in me la gratitudine. Quest'anno con vento
-fresco da poppa avrebbe dovuto volare verso i suoi ponenti
-gagliarda la navicella dell'ingegno mio; ma fu
-colta dalla bufera: quella povera vecchia non è più qui,
-e voi non avete che gli avanzi d'un triste naufragio davanti
-agli occhi. Questo mi raccomandi alla vostra benevolenza.
-Io mi sento stretto dappresso dalla immagine
-d'una quantità di cari estinti e l'arte pure ne perse di
-<span class="pagenum" id="Page_270">[270]</span>
-recente, e dei grandi, voglio dire del nostro Barabino e
-del nostro Cassioli, e fra i colleghi della società, delle
-letture, io più non veggo in questa sala quell'attento
-Dogliotti, il quale veniva qui con l'animo ingenuo d'un
-giovane discepolo. Quell'uomo così grande, così buono,
-che aveva tutte le fidanze di un fanciullo, voi lo sapete,
-sta nella storia italiana col core d'un Baiardo.
-</p>
-
-<p>
-Ciò posto, cercherò alla meglio di svolgervi l'argomento
-che mi sono proposto, accennando ai principali pittori
-del 400 fiorentino. È da avvertire però che tra le peripezie
-che incolsero gravi alla società delle letture nell'anno
-passato, vi fu anche quella della malattia del
-nostro egregio amico Enrico Panzacchi.
-</p>
-
-<p>
-Così voi sentiste parlare dell'arte pisana, di quei grandi
-scultori, pittori ed architetti da me; de' primordi dell'arte
-veneta splendidamente da Pompeo Molmenti; ma fu passato
-sopra al nome di Giotto, il quale veramente appartiene
-al secolo XIV e non al secolo XV di cui dobbiamo
-ora parlare. E io comincierò la mia conferenza rammentandovi
-qualche cosa delle opere e del grande nome di
-lui; questo mio rammentare sarà come bandiera che si
-inchina riverente passando davanti ad uno dei santi padri
-dell'arte italiana.
-</p>
-
-<h3>I.
-<span class="smaller"><span class="smcap">Giotto</span>.</span></h3>
-
-<p>
-Nel 1265 nasceva Dante; a pochi anni di distanza nasceva
-il pastore di Bondone, Giotto. Il Guerrazzi, commentando
-alcuni dei lavori di Giotto, con quella sua
-splendida ed immaginosa facondia, dice che le nostre
-preghiere, le preghiere degli umani, quando salgono dalla
-terra al cielo vanno su faticosamente e tremanti, in
-<span class="pagenum" id="Page_271">[271]</span>
-modo che arrivano all'empireo stanche e rovinate dal
-lungo cammino; là sono raccolte dagli angeli della misericordia
-che le presentano al Signore. Egli quando le
-vuole esaudite abbassa il ciglio alla terra e guarda una
-madre; e con quello sguardo, dice il Guerrazzi, infonde
-tale una virtù nell'alvo materno che cotesto felice portato
-ritraendo in sè parte grandissima della divinità esce
-a suo tempo al mondo per conforto ed onore della specie
-umana.
-</p>
-
-<p>
-In questo modo e per questa causa nacquero Dante
-e Giotto. E infatti Giotto, che fu di Dante amicissimo,
-col quale certamente s'incontrò mentre l'uno peregrinava
-per le sue sventure, e l'altro peregrinava chiamato
-dai grandi a decorare sontuosi edifici, fu di conforto all'esule
-che potè rivedere l'amico pittore e parlare con
-lui di cose divine d'arte e di patria. Giotto, non occorre
-dirvelo, ha lavorato immensamente come pittore, ed ha
-decorato monumenti a Napoli, ha lavorato nella chiesa
-di Assisi, ed un gioiello ha pure lasciato nell'alta Italia,
-nella cappella degli Scrovegni.
-</p>
-
-<p>
-Io credo che si possa dire di Giotto, che come Dante,
-dagli sparsi conati del volgare italiano, seppe col suo potente
-ingegno formulare quella cantica divina che resta
-come il primo, più grande e impareggiabile monumento
-del nostro idioma; così, tenuto conto dei tempi e delle
-circostanze, Giotto dalla eredità dei Bizantini, dall'eredità
-dei primi pittori italiani, portò l'arte a una tale perfezione
-che veramente si può dire ch'egli determinasse
-il principio del vero, del grande risorgimento italiano.
-Fu colto ed arguto, perchè è impossibile che un uomo
-di ingegno non senta il bisogno di estendere le proprie
-cognizioni all'infuori della tecnica del mestiere che esercita;
-e fino dai tempi di lui noi vediamo caratteristica
-principale dell'artista la universalità dell'opera sua, inquantochè
-se Giotto fu pittore eminente, se principalmente
-<span class="pagenum" id="Page_272">[272]</span>
-nella pittura si esercitò il sapere suo, pur tuttavia
-il campanile che ammirate nella piazza del Duomo, dice
-quanto egli fosse un architetto valente. Ora essere un
-architetto valente per me vuol dire essere artista per
-eccellenza, imperocchè se nella fatica della specializzazione,
-tutte le arti hanno dovuto dividersi e suddividersi
-in modo che oggi si abbiano non più, come un tempo,
-artisti, sempre universali, i quali principalmente erano
-pittori, o principalmente architetti, o principalmente scultori,
-pur tuttavia l'arte resta sempre una cosa unica e
-sola, e per conseguenza ha il carattere della universalità.
-</p>
-
-<p>
-Ora questo carattere di universalità sopra tutte lo ha
-l'architettura che è l'arte madre, l'arte che si serve dei
-colori dei vari materiali per ottenere i suoi effetti; e di
-che splendida tavolozza si giovi ce lo dice il Duomo di
-Firenze; essa è l'arte essenzialmente delle linee, l'arte
-essenzialmente delle proporzioni e del chiaroscuro. Dunque
-se nella pittura di Giotto si possono con poco piacere
-vedere gli errori che la tecnica, non ancora perfezionata,
-metteva nell'opera sua, nelle sue architetture
-perfette allora, perfette ora e perfette fino a quando resteranno
-in piedi, voi avete l'espressione completa, assoluta
-d'un ingegno che non ha rivali nel mondo. La
-provvisione del magistrato fiorentino che lo nomina suo
-architetto e lo propone alla fabbrica di Santa Maria del
-Fiore parla così “<i>che in tutto l'universo, si dice, che non
-vi sia nessuno il quale a sufficienza sia edotto delle cose
-dell'arte da superare Giotto da Bondone, e per questa
-ragione vien creato maestro di Santa Maria del Fiore
-e delle fortificazioni della città....</i>„
-</p>
-
-<p>
-Voi vedete che non solamente Giotto era un egregio
-pittore, un egregio architetto, ma era anche, per le cognizioni
-del tempo, un ottimo architetto di castrametazione,
-cioè di architettura militare. Visitando a Padova
-la cappella degli Scrovegni ho avuto la fortuna di vedere
-<span class="pagenum" id="Page_273">[273]</span>
-uno dei più preziosi ricordi dell'arte sua pittorica,
-e in cotesto luogo, dove nella parte inferiore di questa
-cappella, da un lato sono dipinte a chiaroscuro le sette
-virtù, e dal lato opposto i sette vizi che a quelle si contrappongono,
-m'è parso vedere quanto, fino da quel
-tempo e similmente a Dante, Giotto sentisse della pura,
-della vera arte classica antica. La Speranza effigiata in
-profilo con delle ali non troppo robuste che vola verso
-il cielo protendendo le mani ad una corona che gli viene
-porta da un angioletto, ha tutto l'andamento d'un bassorilievo
-etrusco, di quelle figure di angioli, che pur gli
-Etruschi conoscevano, e che mettevano sui loro sarcofagi.
-La figura della Prudenza colla bocca sbarrata da
-una specie di lucchetto, con la mano sopra una spada
-che poggia con la punta in terra, vestita d'un ampio
-paludamento, con le pieghe mosse a modo di quelle che
-coprono le statue delle Vestali romane, mi ha richiamato
-all'idea, che come Dante aveva riconosciuto in Virgilio
-il maestro suo ed era risalito all'antichità classica per
-produrre il più classico monumento dell'età moderna,
-così Giotto avesse dai pochi avanzi che allora si avevano
-della santa antichità pagana tratto argomento a migliorare
-l'arte sua, per quanto cristiana, mistica e modernissima.
-</p>
-
-<p>
-Giotto ebbe vita molto fortunata, imperocchè torno a
-ripetere quanto avvertii nell'anno passato, che le discordie
-intestine, laceranti in Italia le varie repubbliche, a tale
-che Firenze bandiva dalle proprie mura Dante Alighieri,
-non influivano gran cosa sull'arte. L'artista era festeggiato
-per tutto, e quindi, sia nell'arte della letteratura,
-sia nelle arti plastiche si formava quel gusto, quella parentela
-italiana, la quale faceva che Italia, ad onta delle
-sue immense e deplorabili divisioni, pur tuttavia si formasse
-un gusto, ed una persona propria; persona tanto
-grande, tanto splendida di bellezza e di gloria, che ad
-<span class="pagenum" id="Page_274">[274]</span>
-onta dei vizî e delle sventure mai non doveva perire
-e ci doveva condurre come oggi siamo, a coacervare le
-sparse membra, e poter dire: l'Italia è una nazione ed
-un popolo intiero!
-</p>
-
-<h3>II.
-<span class="smaller"><span class="smcap">L'Angelico</span>.</span></h3>
-
-<p>
-Salutata così la gran figura di Giotto entro più specialmente
-a parlare dei pittori del 400. Parlare di tutti
-è assolutamente impossibile, scegliere i più grandi mi
-pare anch'essa ardua fatica ed impossibile cosa. È tanto
-magnifica quella epoca, che perdersi nella quisquilia di
-mettere quei giganti a rango di altezza è cosa troppo
-difficile e nella quale mi dichiaro incompetente. Io prenderò
-a parlare, perchè il tempo incalza e l'ora fugge,
-di quelli che più mi sembrano caratteristici dell'epoca
-loro, di quelli che forse maggiormente corrispondono al
-mio sentimento individuale.
-</p>
-
-<p>
-Fra questi primeggia un altro Mugellese, Guido da
-Vicchio, il quale nel 1407 veniva accolto novizio nell'ordine
-dei Domenicani e nel convento di San Domenico di
-Fiesole. Figlio di Pietro da Vicchio questo fraticello, che
-nell'ordine prese il nome di Giovanni, ebbe poi ad essere
-chiamato l'Angelico, perchè veramente sembrò ai
-suoi contemporanei, ed anche ai presenti lo sembra, che
-l'opera sua fosse opera d'Angelo o di ispirato da celestiali
-apparizioni. Dei suoi maestri, di come egli entrasse
-nella carriera della pittura poco o niente si sa; se non
-che è certo che in quell'epoca nei conventi dei Domenicani
-vi era una scuola speciale di miniatura per abbellire
-ed alluminare i salteri ed i codici che servivano
-per le orazioni della Chiesa. A me sembra che non occorra
-<span class="pagenum" id="Page_275">[275]</span>
-cercare di più; a coloro i quali ancora si domandano
-dove e come l'Angelico imparasse a dipingere la
-gran pittura, io rispondo, che se in quel convento si
-studiava tanto e così bene da illustrare, come si illustravano,
-salteri con delle miniature che sotto tutti i rapporti
-sono quadri e valgono per quadri, è lì che egli ha
-appreso i rudimenti dell'arte, ed è col suo solo ingegno
-che li ha sviluppati fino al punto di fare i magnifici
-freschi che decorano il Vaticano ed il convento di San
-Marco; e ciò per quella gran ragione che l'arte in quei
-tempi veniva quasi di getto, da tutte le parti si entrava
-nell'arte, perchè essa era considerata una cosa sola, e
-non esistevano quelle per me fatali divisioni, le quali la
-spezzettano in mille modi, per fare dei mestieranti sempre,
-degli artisti mai.
-</p>
-
-<p>
-Nel 1409 l'Angelico dovette lasciare, insieme coi suoi
-compagni, il convento di Fiesole, imperocchè per alcune
-scissure avvenute tra i religiosi, furon costretti da una
-ordinanza del Pontefice a sloggiare. Visse nove anni
-lontano da Firenze, su quel di Foligno principalmente,
-e fu in quell'epoca che probabilmente lavorò al convento
-dei Domenicani di Cortona, la quale Cortona conserva
-ancora molte ed insigni opere di lui. Nel 1418 lo
-ritroviamo nell'Umbria, e questo giova a sapersi, perchè
-anche in queste peregrinazioni forzate dell'Angelico si
-cominciano a stabilire dei rapporti di conoscenza e di
-buon vicinato fra gli artisti toscani e gli artisti dell'Umbria,
-propagandosi sempre più quelle certe parentele artistiche,
-quelle inoculazioni per contatto delle varie maniere,
-le quali poi dovevano dare origine con la scuola
-umbra alle glorie del Perugino e alle future apoteosi del
-Raffaello. Ritroveremo più tardi a lavorare in quei paesi
-con l'Angelico il Benozzo Gozzoli venuto con lui da
-Firenze come suo scolaro, e lo troveremo insieme a Gentile
-da Fabiano.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_276">[276]</span>
-</p>
-
-<p>
-Nel 1418 i frati furono restituiti nel convento di
-San Domenico di Fiesole e nel 1443 l'arte dei lanaiuoli
-dette all'Angelico la commissione dello stupendo tabernacolo
-che oggi si conserva nella Galleria degli Uffizi.
-Il contratto è stipulato in questa guisa: Fu stabilito
-“<i>che fosse dipinto di dentro e di fuori con colori di
-oro ed argento, variati e migliori e più fini che si trovano,
-con ogni sua arte ed industria</i>„, ed il prezzo fu
-fissato in fiorini 190 d'oro. Io ho ricorso alla gentilezza
-del dotto economista professor De-Johannis per avere
-una idea del ragguaglio della moneta d'allora con quella
-presente per capire se vera è la leggenda che i pittori
-di quel tempo vissuti con semplicissimi costumi ricevessero
-per così dire la mercede del bracciante. Invece ho
-avuto dal mio dotto e carissimo amico questa risposta.
-Il fiorino di Firenze, la cui prima coniazione rimonta
-al 1252, e che era d'oro purissimo, a 24 carati, pesava
-una dramma, cioè 3 grammi e <span class="above">2</span>&#8260;<span class="below">100</span>: il rapporto di valore
-tra l'oro e l'argento fra il 1450 ed il 1500 era come
-di uno a dieci: con approssimazione si calcola che nella
-stessa epoca l'argento avesse una potenza di acquisto
-circa di dieci volte maggiore dell'attuale. Per esempio
-il frumento si comprava con 10 drammi l'ettolitro ossia
-occorrevano 100 grammi, ossia 20 lire per la proporzione
-tra l'argento e l'oro. Ora si avrebbe in conclusione
-che i 190 fiorini d'oro, coi quali fu pagato all'Angelico
-quel tabernacolo equivarrebbero a lire 17 226.
-Ora siccome nel contratto si dice ancora che sarà poi
-pagato quel meno che alla carità del frate fosse parso
-opportuno, e questo s'intende che è relativo alle spese
-maggiori o minori che avesse dovuto sopportare per
-quei colori fini che si raccomandavano, per quell'oro
-che si doveva mettere nel fondo e che era una forte
-doratura, non essendo l'arte dei battiloro tanto perfezionata
-da formar quel velo che si mette adesso, pur
-<span class="pagenum" id="Page_277">[277]</span>
-tuttavia voi vedete che 17 226 lire pagate da una corporazione
-di artieri sono una bella moneta. Se io mi
-sono trattenuto sul prezzo di questa opera, sulla determinazione
-sua in rapporto alle mercedi attuali, ho voluto
-farlo perchè anche il prezzo sta a designare, come lo
-dice la parola, il valore d'un'opera. Se un'opera si paga
-cara, vuol dire che si stima assai, e ciò dimostra che a
-quei tempi si stimava assai l'arte, e si pagava al prezzo
-del suo vero valore. Dico questo per eccitamento e per
-esempio affinchè non serva di scusa il dire che Andrea
-del Sarto un giorno, preso dalla fame e dalla disperazione,
-per un sacco di grano fece la bellissima Madonna
-della SS. Annunziata.
-</p>
-
-<p>
-Nel 1436 i frati di Fiesole scesero in Firenze aventi
-seco l'Angelico, e a Priore del convento il celebre vescovo
-sant'Antonino. Papa Eugenio IV trovavasi allora
-in Firenze pel concilio colla Chiesa greca: a Firenze era
-ospitato l'Imperatore greco: a Firenze Cosimo il Vecchio
-era signore. Voi non avete bisogno che vi dica di
-quanto splendore fosse ricca la nostra città in quel momento.
-Quando l'Angelico è venuto e ha dato mano alle
-pitture del Cenobio di San Marco, già Brunellesco voltava
-le vôlte della cupola sua, mentre Donatello era
-in piena fioritura, la cappella Brancacci si copriva con
-le pitture di Masaccio, insomma era una esuberanza,
-una primavera dell'arte; come questa primavera dell'arte
-corrispondesse alla fioritura letteraria, già ve lo diceva
-con eloquentissima e dotta parola Guido Mazzoni nella
-sua conferenza sull'Umanesimo, e poi altri ve lo dirà
-ancor meglio di me. In mezzo a tutto questo lavorio di
-menti, di scalpelli, di pennelli, di maestri di pietra, di
-decoratori d'ogni sorta, d'ogni risma, l'Angelico rimaneva
-fisso nella sua celeste visione. Egli amava l'arte con tutta
-l'intensità propria dei grandi ingegni, ma non la disgiungeva
-un momento dal concetto religioso. A parer mio
-<span class="pagenum" id="Page_278">[278]</span>
-l'Angelico è l'ultimo dei veri mistici, è veramente il pittore
-che chiude il periodo del Rinascimento pittorico artistico,
-religioso, iniziato da Giotto.
-</p>
-
-<p>
-La pittura dell'Angelico, se si considera in relazione
-ad altre pitture contemporanee, è una pittura quasi un
-po' in ritardo, ma è una pittura certamente insuperabile
-nella evidenza del sentimento.
-</p>
-
-<p>
-Io non so se derivi dalla costruzione della sua retina,
-come direbbe un materialista, o dalla serenità delle sue
-celesti visioni, ma il fatto si è che mentre l'Angelico,
-pel modo come dipinge, pare che sia precisamente un
-miniatore, anche nelle più vaste e più ampie pareti, si
-appalesa sempre per un colorista di prima forza.
-</p>
-
-<p>
-Se vi presentate in una galleria qualunque con lo
-scopo di vedere o riscontrare un particolare in un quadro
-dell'Angelico e non sapete precisamente dove questo
-quadro sia collocato, e gettate un occhio sulle pareti
-della Pinacoteca, l'Angelico vi si appalesa con una
-nota così chiara, così brillante, così argentina, che appena
-entrati filate diritto sull'opera che riconoscete a
-distanza. Poter avere continuamente dei toni delicatissimi,
-fare assolutamente dell'aria aperta, non forzare mai
-i neri, è la sua caratteristica principale. Voi potete riscontrare
-quante volte vi piace quello ch'io dico guardando
-la Crocifissione, che è nella galleria dell'Accademia,
-quadro tutto verità, nel quale sono indietri meravigliosi,
-cielo luminosissimo senza uno scuro forzato. Ci
-sono però dei neri apparentemente assoluti, perchè dove
-mette un domenicano vestito di bianco e nero sembra
-che quel nero sia un nero assoluto; ma invece quel
-nero non fa mai toppa, mai buco, e chi conosce un poco
-la tecnica dell'arte sa benissimo quanta e quale sia la
-difficoltà di collocar bene un bianco in ombra e un nero
-al sole, un nero che non faccia toppa, che rimanga al
-suo piano in mezzo ad una gamma di colori chiari; è
-<span class="pagenum" id="Page_279">[279]</span>
-una difficoltà di primo ordine per un colorista, e l'Angelico
-nella sua semplicità la supera perfettamente.
-</p>
-
-<p>
-Non bisogna dunque fermarsi solamente a contemplare
-nell'Angelico il pittore delle sante ispirazioni; non
-bisogna fermarsi solamente a contemplare nell'Angelico
-il pittore delle ingegnose trovate, delle dotte composizioni;
-ma bisogna anche tener conto che fra i coloristi
-fiorentini l'Angelico è un vero maestro.
-</p>
-
-<p>
-L'Angelico, diventato celebre nel 1447, andò a Roma
-e là forse sentì la grandezza dell'ambiente che lo circondava,
-perchè le sue composizioni si sviluppano in una
-maniera più grandiosa e più magistrale che per l'avanti.
-</p>
-
-<p>
-Egli fu scritturato da Enrico dei Monaldeschi per andare
-a lavorare ad Orvieto, ed abbiamo dal contratto
-fatto in cotesta circostanza, la notizia che Benozzo Gozzoli
-era con lui, come sappiamo che Gentile da Fabriano,
-stato poi maestro a Giovanni Bellini, il gran Veneziano,
-era pure in comunicazione di lavori e d'opere con l'Angelico.
-Vi richiamo a queste brevi e piccole circostanze
-per dimostrare come l'arte di Firenze ebbe contatti coll'arte
-dell'Umbria, come Gentile da Fabriano comunicò
-coll'arte veneziana, e mi permetto di riportarvi sempre
-col pensiero a questa catena che circonda l'Italia e la
-avvince a quegli effetti dei quali oggi noi fortunatamente
-godiamo il frutto.
-</p>
-
-<p>
-L'Angelico che nelle sue composizioni è grandemente
-ascetico, è anche sottilmente sarcastico e realista nei
-piccoli quadretti: si vede questo nei gradini dei quadri,
-che illustrano con varii episodii le vite dei santi superiormente
-rappresentati. Citerò un gradino che si conserva
-nella galleria degli Uffizi rappresentante la visita
-di santa Elisabetta alla Madonna. La Madonna è uscita
-dalla casa per abbracciare l'amica che le viene incontro,
-mentre la serva sta dietro la porta origliando per sentire
-quello che dicono le padrone.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_280">[280]</span>
-</p>
-
-<p>
-Questo viziarello domestico che si perpetua nella storia
-del mondo e durerà per un pezzo, era rimarcato dal
-giocondo fraticello, il quale si permetteva di esprimerlo
-con la graziosa figurina della serva che ascolta.
-</p>
-
-<p>
-Egualmente è comica in un altro quadretto la meraviglia
-d'un converso il quale uscito dalla cella di san Domenico,
-sente il Santo, che ha lasciato solo, che parla
-con altri. Questo è l'episodio della vita del Santo, nel
-quale san Pietro e san Paolo gli appariscono nella cella
-e gli danno il bordone del pellegrino e il volume degli
-Evangeli. La meraviglia del frate è assolutamente comica,
-rimanendo pur decentissima; con questo si dimostra
-il buonumore e la serenità d'animo dell'Angelico,
-e l'attitudine che aveva di osservare nella natura e sul
-vero anche il lato comico delle cose con una piccola
-punta di realismo e di verismo non disdicevole in questo
-gran pittore delle visioni celesti.
-</p>
-
-<p>
-Accanto all'Angelico, come vi ho già accennato, abbiamo,
-fra gli altri, Masolino da Panicale e Masaccio. La
-cappella Brancacci del Carmine è contemporanea, o
-presso a poco, alle opere dell'Angelico del San Marco
-e del Vaticano. Di Masolino da Panicale poco si sa.
-Certo egli è un grande e robusto pittore, il quale si
-avanza sicuro dell'arte già ricca di tutti i progressi che
-la tecnica, la prospettiva han portato nell'arte stessa.
-</p>
-
-<h3>III.
-<span class="smaller"><span class="smcap">Masaccio</span>.</span></h3>
-
-<p>
-Masaccio che gli succede ne è una esplicazione ancora
-più brillante e più completa, e noi entriamo con
-lui nel periodo vero del secondo Rinascimento, il quale
-prende a venerare l'antico, dimentica il sentimento religioso
-<span class="pagenum" id="Page_281">[281]</span>
-puro dell'età precedente; e se rimane nella religione
-totalmente pel soggetto che tratta, umanizza,
-rende di forma meno mistica tutti i suoi concetti e progredisce
-nella via che oggi si direbbe del realismo. Di
-fatti in quell'epoca si sente già un grande agitarsi di
-tutte le menti per la scoperta del vero reale, del vero
-scientifico, mentre nei fondi dei pittori del 300 la prospettiva
-è messa là in un modo bambinesco, quasi ad
-esplicazione del soggetto. Si fa per esempio una torricina,
-ci si mette accanto una porta molto più piccola
-delle gambe di un cavallo, e di fuori ci si dipinge una
-cavalcata di ambasciatori molto più grandi della torre
-della città (e questo è un errore quasi voluto, perchè
-dovendo questa prospettiva rappresentare degli ambasciatori
-che andavano in un certo posto, uscendo da
-una certa città, si doveva far vedere che c'era una città
-e che erano usciti da una porta, magari più piccola dei
-cavalli che la dovevano oltrepassare, e non bastando
-questo magari ci scrivevano sopra il nome della città
-dalla quale partivano e quello della città alla quale arrivavano).
-Ma torniamo a bomba: invece nei primordi
-del 400 abbiamo le menti che si affaticano per cercare
-la ragione matematica della proiezione delle ombre. Già
-sappiamo che il maestro di Masaccio fu Brunellesco, e
-di questi Paolo Toscanelli dal Pozzo, sul quale sta pubblicando
-un libro con eruditissime ricerche il professore
-Uzielli. Toscanelli dal Pozzo fu uno dei più grandi matematici
-dei suoi tempi, ma però per quella universalità
-di allora su tutto lo scibile umano, era intimissimo amico
-del Brunellesco, ed a questo insegnava la prospettiva,
-la quale poi di seconda mano veniva passata a Masaccio.
-Voi vedete che le cognizioni negli uomini di quei
-tempi si accomunavano, si affratellavano, si davano la
-mano l'una coll'altra, e gli artisti sommi del 400, torno
-a ripeterlo, erano nel medesimo tempo gli uomini più
-<span class="pagenum" id="Page_282">[282]</span>
-colti dell'epoca loro. Nel quadro — tutto di mano del
-Masaccio — della cappella Brancacci, nel quale il Cristo
-circondato dagli Apostoli è interrogato dal pubblicano
-per ricevere le decime e dove il Salvatore dà ordine a
-san Pietro di andarle a pescare nelle branchie di un
-pesce (cosa che sarebbe oggi molto comoda), abbiamo
-una pittura limpida, chiarissima e una pittura nella
-quale i piani vanno dal primo all'orizzonte con una degradazione
-sicura, scientifica. La prospettiva aerea è
-bellissima: il paese che circonda le figure è tutto al suo
-posto, e da questo voi vedete che il progresso è evidente,
-che la pittura non è più mistica, non è più significativa
-di una sola idea religiosa, ma la storia, anche del Cristo,
-diventa soggetto per trattare una storia umana. Le passioni,
-gli affetti si svolgono umanamente, e le figure per
-conseguenza prendono una precisione derivante dalla
-tecnica studiata severamente, dal vero cercato nella osservazione
-non domandato ad alcuna visione rivelatrice.
-Masaccio, descritto dal Vasari come persona distrattissima,
-e che per quanto derivasse dalla celebre famiglia
-dei Guidi di San Giovanni, pur tuttavia fu chiamato
-Masaccio per la trascuratezza della sua andatura, non
-potè finire l'opera sua: chiamato a Roma dove lavorò
-alla Minerva, morì giovanissimo, ed alla cappella già incominciata
-da Masolino da Panicale diè finalmente mano
-Filippino Lippi, figlio di frate Filippo Lippi, dato in educazione
-alla morte del padre a Sandro Botticelli. Uno
-di codesti affreschi, quello che rappresenta la risurrezione
-del nipote dell'imperatore per opera di san Pietro,
-è un affresco misto, e dipinto in parte da Masaccio,
-in parte da Filippino; di faccia abbiamo un affresco tutto
-di Filippino, al di sopra abbiamo l'affresco tutto di Masaccio,
-e più in alto gli affreschi già compiuti da Masolino
-da Panicale. Sarebbe difficilissimo oggi trovare tre
-artisti i quali potessero fare convenientemente la decorazione
-<span class="pagenum" id="Page_283">[283]</span>
-intiera ed unica d'una cappella facendo ciascuno
-un quadro per conto proprio: impossibile quasi direi che
-nel medesimo affresco potessero dipingere due artisti
-senza darsi noia uno coll'altro. Ora io di questo fatto
-tengo conto perchè mi sembra importantissimo per spiegare
-come l'indirizzo degli studi, la buona fede colla
-quale un artista dava mano all'altro, la comunanza di
-idee nella quale vivevano, facesse sì che si potesse avere
-un'opera perfetta, ed un'opera triplice ed una nello stesso
-tempo.
-</p>
-
-<h3>IV.
-<span class="smaller"><span class="smcap">Andrea del Castagno.</span></span></h3>
-
-<p>
-Un artista strano che mi pare che faccia assolutamente
-razza da sè è Andrea del Castagno. Egli pure
-nacque in Mugello come Giotto e come l'Angelico, ma
-non ebbe nè l'ingegno di Giotto nè il candore dell'anima
-dell'Angelico. Egli fu uomo viziosissimo ed iracondo,
-agitato da mille passioni, ma potente ingegno. Egli deve
-forse al suo cattivo carattere la nota speciale che lo distingue
-tra quei pittori i quali abbandonando l'ascetismo
-entrarono nella via che, tanto per farmi capire alla meglio,
-ho chiamata del realismo, sebbene vi entrassero in
-un modo intenso come ricerca di forme, come ricerca
-di luce, come effetto prospettico, senza però quella passione
-psicologica che va a cercare il pel nell'uovo nelle
-intime convulsioni del cuore umano. Andrea del Castagno
-mi pare che segni una nota particolare in questo
-senso.
-</p>
-
-<p>
-Agitato di spirito come egli era, mette una agitazione,
-una nota potente, una nota moderna, dirò così, nella sua
-pittura. Di lui ci resta il Cenacolo di Santa Reparata,
-<span class="pagenum" id="Page_284">[284]</span>
-nel quale sono anche state poste delle belle pitture che
-decoravano un tempo la villa Pandolfini. Queste sono
-la rappresentanza di uomini grandi: Dante, Boccaccio,
-Petrarca, Pippo Spano, Farinata degli Uberti; una Sibilla,
-una Virtù, ed altri. Ebbene in codesto cenacolo
-che prende tutta la vastissima parete, è già notevole la
-ricerca della differenza tra un esterno ed un interno,
-poichè al di sopra della linea di mezzo della parete si
-vede la Crocifissione, in aria pienamente aperta, la Risurrezione,
-e la deposizione nella tomba del corpo del
-Salvatore, al di sotto in un ambiente chiuso la Cena.
-Ora questa ricerca fra l'effetto dell'interno e quello dell'esterno
-era una ricerca poco curata forse dagli altri
-pittori dell'epoca sua, mentre in lui è accuratissima. Le
-figure che campeggiano nell'aria aperta, specialmente
-la figura del Cristo tutto in bianco che esce giovane
-dalla tomba, sotto la quale sono due figure di soldati
-addormentati, è una figura di tinta tutt'affatto moderna,
-di pittura squisitamente chiara, contrapposta colla tetra
-scena del Cenacolo, che egli ha caricato di tinte
-oscure e truci, quasi a significare l'orribile tradimento
-che in quel momento si stava compiendo; e fra tante
-pitture che rappresentano nei Cenacoli la figura di Giuda,
-io credo non ci sia una figura così drammaticamente e
-con forza espressa come la figura di Giuda nel Cenacolo
-di Andrea del Castagno.
-</p>
-
-<p>
-I ritratti poi a gran decorazione, la figura di Farinata
-specialmente, vestito d'armatura completa, e quella
-di Pippo Spano di cui tanto si decantavano le gesta in
-quei tempi, che tiene in mano la spada e ne torce la
-lama con la robustezza del poderoso suo braccio, sono
-figure così scultorie, che assolutamente si possono mettere
-a pari colle grandi creazioni della scultura fiorentina
-del tempo e specialmente colla figura del San Giorgio
-di Donatello. Si dice che vivendo egli nello Spedale
-<span class="pagenum" id="Page_285">[285]</span>
-di Santa Maria Nuova e lavorando con Domenico Veneziano
-carpisse allo stesso il segreto della pittura a
-olio la quale tanto doveva influire sulle future sorti
-della pittura stessa. Questo segreto o questo ritrovato,
-per meglio dire (poichè nell'arte di mescolar l'olio e
-specialmente l'olio di lino alle tinte già si erano fatti
-e si facevano continuamente esperimenti anche dai pittori
-del secolo precedente), fu attribuito dal Vasari a
-Giovanni da Brugghia che lo ridusse alla perfezione attuale.
-Un quadro di lui fatto alla corte di Napoli dette
-luogo come tutte le novità a un grande agitarsi di quei
-pittori, e Antonello da Messina finalmente ne indovinò
-il mistero. Antonello lo rivelò a Domenico Veneziano,
-Domenico Veneziano venendo a lavorare a Firenze lo
-comunicò colle buone o colle cattive (questo è difficile
-a sapersi) ad Andrea del Castagno, donde tutta una leggenda;
-imperocchè il Vasari asserisce che dopo avere
-imparato il segreto del suo amico, Andrea del Castagno
-lo investisse mentre usciva da una casa in via della
-Pergola, e proditoriamente lo uccidesse. Il nostro Milanesi
-però con sottile acume di critica crede di potere
-asserire che di questo delitto Andrea del Castagno non
-è macchiato, perocchè ritiene che nel 1457 Andrea del
-Castagno molto probabilmente fosse già morto per la
-pestilenza che infieriva nella città; e siccome il buon
-Domenico Veneziano è morto nel 1461, mi pare molto
-improbabile che lo possa avere ammazzato uno che era
-già morto qualche anno prima.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_286">[286]</span>
-</p>
-
-<h3>V.
-<span class="smaller"><span class="smcap">Piero della Francesca.</span></span></h3>
-
-<p>
-Emulo nello splendore della pittura, nella chiarezza
-dei suoi dipinti all'Angelico, dotto in tutto ciò che l'arte
-dava allora di più pratico e di più positivo, compositore
-di prim'ordine con una nota tutta sua propria è
-Piero della Francesca. A Firenze poco abbiamo di lui,
-tranne i due ritratti in profilo del duca e della duchessa
-d'Urbino che vediamo nella Galleria degli Uffizi e che
-al di dietro della tavola portano dei trionfi allegorici. Pur
-tuttavia questo piccolo esempio è talmente forte che
-basta a persuadere chiunque dell'eccellenza dell'artista.
-Piero della Francesca ha profilato le sue figure leggermente
-di tono su un'aria limpidissima e su un paese
-che si perde lontano lontano nell'orizzonte. Ora questa
-potenza di mettere di contro alla luce una figura, di
-farne vedere tutti i dettagli, non forzando oltre modo
-nè troppo caricando le tinte e nello stesso tempo facendola
-risaltare su un cielo immensamente chiaro, e in
-un paese chiarissimo, è opera precisamente di grande
-coloritore. Piero della Francesca ha lasciato il più bel
-testamento artistico che si possa mai immaginare nelle
-pareti del Coro del San Francesco in Arezzo, e io consiglio
-chiunque è amatore della buona pittura di non
-trascurare una gita ad Arezzo per vedere le pitture di
-Piero della Francesca.
-</p>
-
-<p>
-La prima volta che io mi sono trovato costà davanti
-all'affresco rappresentante la regina di Saba che va a
-visitare Salomone (affresco nel quale abbiamo il re Salomone
-sotto una specie di peristilio a colonne bianche
-di marmo mentre la regina è dalla parte esterna di
-<span class="pagenum" id="Page_287">[287]</span>
-questo peristilio e comparisce in un paese dove sono
-alberi verdi su un fondo ugualmente chiaro, in fondo
-al quale rosseggiano le tinte del tramonto) io mi sono
-trovato davanti a una pittura così luminosamente fresca,
-così brillantemente fatta che primo fra gli artisti m'è
-saltato in testa Domenico Morelli in certi suoi bianchi, in
-certi suoi effetti luminosissimi e violenti. Io vi dico questo
-non per dirvi una cosa rara, perchè io nè di cose belle, nè
-di cose rare fo mestiere, ma per dire una impressione che
-ho ricevuto; e se un pittore che nasce nella prima metà
-del secolo XV, se un pittore che nasce a quell'epoca lì,
-ha tanto in sè da rammentare di primo acchito uno dei
-più moderni nostri moderni, mi pare che sia sempre un
-bel gagliardo, e che viva d'una giovinezza assolutamente
-imperitura. Egli campò vecchissimo; uomo insigne in
-matematica e prospettico eccellente, scrisse anzi su questa
-materia dei dotti volumi, i quali forse furono la
-causa per la quale l'opera sua di pittore non è troppo
-abbondante. Dicesi che delle opere sue rimanesse erede,
-per così dire, un fra Luca Pacioli suo discepolo, che
-alla morte del maestro le dette per sue.
-</p>
-
-<p>
-Questa pure è una accusa lanciata dal Vasari; Milanesi
-l'attenua e la nega in parte. Comunque sia, resta
-che Piero della Francesca è uno dei più insigni, dei
-più delicati pittori dell'epoca sua; il che non toglie che
-fosse al solito un gran maestro in matematica e prospettiva,
-uomo d'ingegno, e dei più colti dell'epoca nella
-quale viveva.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_288">[288]</span>
-</p>
-
-<h3>VI.
-<span class="smaller"><span class="smcap">Benozzo Gozzoli, Alessandro Botticelli.</span></span></h3>
-
-<p>
-Benozzo, discepolo dell'Angelico, è più traverso, più
-quadrato. Egli non sente molto dell'insegnamento ascetico
-del maestro, e nelle grandi decorazioni murali del
-Camposanto di Pisa vi si distende dentro con quella
-giusta, serena ricerca della verità che io poc'anzi vi descriveva
-quale nota caratteristica dell'arte del 1400.
-</p>
-
-<p>
-Io non posso attardarmi a descrivere l'opera del Gozzoli,
-opera importantissima e notevolissima, inquantochè
-troppo è necessario non dimenticare tra i massimi Alessandro
-Botticelli.
-</p>
-
-<p>
-Alessandro Botticelli figlio di Mariano Filipepi nacque
-nel 1447; ricevette un'educazione abbastanza accurata
-e classica in un'epoca nella quale il classicismo fioriva
-rigoglioso. Inquieto di carattere, svegliato, pieno di ingegno,
-fu posto da suo padre presso l'orafo Botticelli a
-imparare l'arte dell'orefice. Poi diventò scolaro di fra
-Filippo Lippi, e alla morte di fra Filippo diventò il
-maestro al quale fu affidata l'educazione artistica di Filippino,
-di quel Filippino il quale ebbe a completare, ed
-è questo il maggior bene che si possa dire di un pittore,
-l'opera di Masaccio nella cappella Brancacci.
-</p>
-
-<p>
-Il Botticelli anch'egli ha una nota sua particolare, ed
-è il primo che comincia a trasportare la pittura dai
-soggetti sacri ai soggetti profani.
-</p>
-
-<p>
-Di fatti si sa di lui che illustrò un soggetto profano
-del Decamerone, ossia la storia di Anastasio degli Onesti
-che si vedeva in quattro tavole descritta nelle cose preziose
-della famiglia Pucci di Firenze e che ora non si
-sa più dove sia. Di lui è conosciutissima la nascita di
-<span class="pagenum" id="Page_289">[289]</span>
-Venere, di lui è conosciutissimo il quadro allegorico che
-si ritiene fatto alla morte della bella Simonetta, come
-già vi accennava il nostro Ernesto Masi, secondo le induzioni
-dell'illustre storico dell'arte professor Camillo
-Jacopo Cavallucci.
-</p>
-
-<p>
-Il Botticelli è pittore d'un'eleganza nuova nella forma,
-un'eleganza che certamente non è quella di Vatteau,
-o dei pittori fiamminghi del 1600, e nemmanco l'opulenza
-di Rubens. Egli nella nascita di Venere ci dipinge
-una Venere che non è neppure parente, neppure biscugina
-della Venere del Tiziano. Ha dei piedi grandemente
-sviluppati, delle mani altrettanto, ma se voi davanti
-ad un contorno di donna del Botticelli vi fissate
-su un punto qualunque della sagoma, e cominciate a
-andar su su e ricercarla tutta, voi vi sentite invadere
-da una delizia simile a quella che si prova se in una
-bella giornata d'inverno ci si mette a guardare un bell'albero
-spoglio delle sue fronde e se ne ricercano con
-l'occhio tutti gli eleganti contorni.
-</p>
-
-<p>
-Io non saprei diversamente darvi ad intendere o spiegarmi
-meglio riguardo alle sensazioni che si provano
-davanti questo gentile pittore, che chiamato nel Vaticano
-a lavorare, per la vita disordinata che egli faceva
-in Roma finì i quattrini e dovette tornarsene a Firenze.
-Qua per l'amicizia che aveva con Lorenzo il Magnifico
-e per le cognizioni sue di letteratura e l'affinità
-che aveva coi grandi dotti dell'epoca si messe a illustrare
-e illustrò per il Landino la <i>Divina Commedia</i>.
-La edizione del <i>Commento</i> della <i>Divina Commedia</i> fatta
-dal Landino colle tavole del Botticelli si può vedere
-ancora da chi ne ha voglia nelle sale della Biblioteca
-Marucelliana.
-</p>
-
-<p>
-Ma più che quelle illustrazioni che sono poche e, pei
-mezzi imperfetti del mestiere a quei tempi, abbastanza
-ordinarie, si può ammirare in quella Biblioteca la collezione
-<span class="pagenum" id="Page_290">[290]</span>
-fotografica degli schizzi di tutta intiera l'illustrazione
-del divino poeta, comprata dal gabinetto di Berlino
-e della quale è stata fatta un'opera magnifica di
-riproduzione fedele. Sfogliando codeste tavole voi trovate
-al solito, nelle figure del Purgatorio e del Paradiso,
-una Beatrice con delle appendici abbastanza pronunziate
-che una signora d'oggi non amerebbe avere,
-ma tanta è la potenza di concetto sviluppato dall'artista,
-sia nell'esprimere i tormenti dei dannati, sia nell'esprimere
-le gioie del poeta condotto al cielo dalla sua divina
-fanciulla, che quel sentimento di attrazione e di
-delizia che ho detto provarsi quando si comincia ad andare
-su per un contorno del Botticelli, lo si prova egualmente
-davanti a quei potenti concetti svolti da questo
-grande in punta di penna. In lui è da notarsi come
-l'arte di già fa un passo in avanti ed entra ad illustrare
-un'opera descrittiva. Botticelli che aveva in quattro
-tavole illustrata e descritta la storia di Anastasio
-degli Onesti, finisce con una illustrazione completa della
-<i>Divina Commedia</i> e degna del poeta illustrato.
-</p>
-
-<p>
-Dire di più di Alessandro Botticelli parrebbemi tempo
-perso, che l'ora mi dice di andarmene, nè io voglio lasciarvi
-senza avervi ancora parlato o per <i>fas</i> o per <i>nefas</i>,
-abusando della vostra pazienza, di un altro grande
-ed alto artista del quale tratterò nella Conferenza presente.
-Questo artista è Domenico Ghirlandaio.
-</p>
-
-<h3>VII.
-<span class="smaller"><span class="smcap">Il Ghirlandaio.</span></span></h3>
-
-<p>
-Egli nasce da Tommaso del Ghirlandaio della famiglia
-dei Bigordi nel 1449, ed arriva a tempo per riassumere
-i portati della scienza pittorica che si era precedentemente
-<span class="pagenum" id="Page_291">[291]</span>
-sviluppata. Egli entra nell'arte come c'è
-entrato il Verrocchio, come c'è entrato il Pollaiuolo, per
-la via dell'oreficeria. Domenico Ghirlandaio è molteplice,
-splendido fra tutti i pittori dell'epoca sua; finissimo anch'egli
-per la potenza del chiaroscuro, finissimo anch'egli
-per la delicatezza della sua intonazione.
-</p>
-
-<p>
-La tavola della Galleria delle Belle Arti nella quale
-si rappresenta l'adorazione dei pastori, e dove egli stesso
-ha ritratto la propria effigie, ha un indietro lontano,
-con una cavalcata di signori, forse i re Magi che vengono
-all'adorazione dell'infante Gesù, stupendo per prospettiva
-aerea, per delicatezza di sfondo, per serenità di
-ambiente. Il coro di Santa Maria Novella è là che parla;
-esso è un'opera smisurata, colossale. La cappella di
-Santa Fina a San Gemignano è un gioiello. Il Cenacolo
-che abbiamo qui in San Marco, è un'altra cosa stupenda
-come colore perchè il Ghirlandaio è potentissimo nel
-mettere bene le cose del primo piano, su dei fondi chiari
-ed ariosi. Nella cappella di Santa Fina in San Gemignano
-che è di un tono delicato ed argentino, nell'affresco
-del miracolo della Santa da una finestrella si vede
-la campagna lontana, a perdita d'occhio, luminosissimo
-è l'ambiente della stanza interna senza essere sfacciatamente
-colorito, più che luminoso, scintillante è il paese
-traveduto dalla finestrella. Tutte le tenuità, tutte le delicatezze,
-tutte le finezze di un grande artista il Ghirlandaio
-tiene con sè. Egli ha lavorato alla cappella Sassetti
-in Santa Trinità, cappella che veramente, sia per
-la disposizione della luce, o pel modo con cui è fatta, è
-molto oscura e poco decifrabile.
-</p>
-
-<p>
-Ho però il piacere di potervi dare una bella notizia.
-Nei restauri che si sono fatti adesso in Santa Trinità
-s'è scoperto l'affresco della parete esterna della cappella,
-una grande pittura di dieci figure rappresentante la Sibilla
-tiburtina che indica il monogramma e predice la
-<span class="pagenum" id="Page_292">[292]</span>
-venuta di Cristo all'Imperatore. La Sibilla colle sue ancelle
-da un lato accenna il monogramma; l'imperatore
-dall'altro lo guarda quasi abbacinato. Questa scoperta
-si deve alla pazienza di Cosimo Conti, il quale si offrì
-gratuitamente di cercare codesto affresco, e ora dopo
-avere saputo che l'affresco c'era, ed aver visto che era
-scoperto, finalmente, <i>magna degnatione</i>, il Ministero
-della Pubblica Istruzione s'è deciso a farlo restaurare e
-rimettere.
-</p>
-
-<hr class="tbs" />
-
-<p>
-Se avessi voluto parlare di tutti i pittori fiorentini
-del 400, non solamente avrei seccato moltissimo, ma vi
-avrei fatto assolutamente addormentare; sono troppi, e
-troppo grandi, e troppo insufficiente io sono per il cómpito
-che mi ero proposto. Vi ho accennato dei principali
-o almeno di quelli che a me sembrano, fra i pari
-i più eminenti, quelli che maggiormente corrispondono
-al sentimento che dell'arte ognuno tiene in sè, e quindi
-al sentimento mio proprio.
-</p>
-
-<p>
-Dopo il Ghirlandaio sorge una grande, una splendida
-figura, che riassume in sè tutte le glorie artistiche del
-1400. Questa figura è quella di Leonardo da Vinci, ed
-io grazie a Dio, non devo occuparmi di lui, perchè nella
-prossima conferenza sentirete parlare degnamente di
-Leonardo da Vinci dall'amico Enrico Panzacchi.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_293">[293]</span>
-</p>
-
-<h2 id="scultura">LA SCULTURA del RINASCIMENTO</h2>
-
-<p class="center">
-DI
-</p>
-
-<p class="center large">
-VERNON LEE.
-</p>
-</div>
-
-<p class="pad2">
-La scultura dell'antica Grecia e la scultura del medioevo
-italiano sono rami della stessa arte; ma del tutto
-divergenti: anzi, direi quasi, formano due arti diverse.
-Ciascuna di esse ha rivelati all'umanità eguali tesori di
-bellezza, ma l'una copiò mirabilmente una bella realtà;
-mentre l'altra prese l'imperfetto e il brutto, e riuscì a
-formarne bellezza. L'una è l'arte meridionale, pagana,
-del modellatore in creta; l'altra l'arte nordica cristiana,
-dell'intagliatore di pietra.
-</p>
-
-<p>
-Prima di esaminare le opere, esaminiamo il modo di
-operare. E prima di considerare che cosa l'antico greco
-e l'italiano del medioevo furono rispettivamente chiamati
-ad imitare e ad esprimere, guardiamo la necessità e la
-capacità del materiale in cui ciascuno di essi imitò quel
-che vide ed espresse quel che sentì.
-</p>
-
-<p>
-I Greci primitivi avevano raramente occasione di farsi
-abili intagliatori di pietra. Gli edifizi loro come quelli
-che ritraevano le forme di costruzioni primitive e semplicissime
-in legno, ne avevano anche i rozzi elementari
-ornamenti, poichè l'ordine Jonico, per quanto povero di
-ornamenti, non venne che più tardi, e il Corintio, il
-quale solo dà luogo alla ricerca e all'abilità degli intagli,
-nacque soltanto quando era pervenuta già alla sua maturanza
-l'arte di scolpir la figura. Ma i Greci, i quali
-<span class="pagenum" id="Page_294">[294]</span>
-del resto erano appena entrati nel periodo del ferro (e
-il ferro è appunto lo strumento per lavorare la pietra)
-erano grandi modellatori di creta e fonditori di bronzo.
-Gli oggetti che le età più recenti fecero in ferro, pietra
-o legno furono da loro foggiati in creta o in bronzo.
-Stanno a dimostrarlo gl'innumerevoli arnesi, armi e minuti
-oggetti dei nostri musei: — dagli schinieri accuratamente
-modellati come le gambe che devono coprire, fino
-alle bambole di terracotta, piccole Veneri dalle braccia
-articolate e coi ligamenti di spago.
-</p>
-
-<p>
-E veramente quando i Latini applicarono alla scultura
-il verbo <i>fingo</i>, che significa in realtà fare vasi, — e dalla
-quale ci viene non solo <i>effigies</i>, ma anche <i>fichtlis</i>, — parrebbe
-avessero capito che nell'arte di Fidia e di Prassitele
-poco entrava l'intagliare ed il cesellare, e molto
-invece il <i>formare</i>, il modellare, il plasmare. Poichè, oltre
-al fatto ogni giorno più confermato dall'archeologia, che,
-cioè, la maggior parte delle statue antiche ora in nostro
-possesso, sono copie in marmo di originali in bronzo,
-fatto rivelatoci anche da puntelli di esse e dal trattamento
-dei capelli; è evidente che anche le statue destinate
-ad eseguirsi in marmo, vennero prima modellate,
-cioè concepite dallo scultore, in creta.
-</p>
-
-<p>
-Riassumendo: dai Greci la figura umana s'imitava con
-un processo, che non fu scultura nel senso letterale della
-parola. Rivolgiamoci ora a considerare il medioevo, e troveremo
-uno stato di cose totalmente diverso. Non v'era
-nella vita quotidiana bisogno di oggetti in metallo fuso,
-e non essendovi questo bisogno dell'arte del fondere, del
-far di getto, non vi era nemmeno pratica nell'arte preliminare
-del modellare in creta. Ma invece gli uomini
-del medioevo furono meravigliosamente abili nell'intagliar
-la pietra.
-</p>
-
-<p>
-L'architettura, fino dai Romani, aveva dato più importanza
-all'ornamentazione scultoria: — sempre squisita
-<span class="pagenum" id="Page_295">[295]</span>
-nei capitelli, nelle ringhiere, dei primitivi tempi Bizantini
-si manifestò nelle elaborate cornici, negli archi e
-nelle colonne dello stile Lombardo fino ai complicati
-gruppi e rilievi del Gotico pienamente sviluppati. E in
-verità la chiesa gotica, particolarmente in Italia, non era
-più lavoro di muratore, ma di scultore. Non è dunque
-fortuita combinazione se quei paesetti, i quali forniscono
-ancora Firenze di pietra e di scarpellini, hanno dato il
-nome a tre de' suoi più grandi scultori (Mino da Fiesole,
-Benedetto da Maiano, Desiderio da Settignano); nè Michelangiolo,
-allevato in quel paesetto (Chiusi di Casentino)
-“per tutto pieno„ dice il Vasari “di cave di macigni,
-che son lavorate di continovo da' scarpellini, scultori
-che nascono in quel luogo„, abbia potuto vantarsi
-d'aver tirato dal latte della balia gli scarpelli e il mazzuolo
-con che faceva le sue figure.
-</p>
-
-<p>
-I Toscani del medioevo, i Pisani del '200, i Fiorentini
-del '400, facevano certamente modelli in cera delle loro
-statue; ma le opere loro sono concepite per essere poi
-lavorate nel marmo; e quest'arte è uscita dal sasso,
-senza interposizione d'altro materiale, — come le figure
-che Michelangiolo traeva viventi e gigantesche direttamente
-dal macigno.
-</p>
-
-<p>
-I Greci, dunque, in quel tempo primitivo in cui l'Arte
-prende il suo abbrivo, erano modellatori di creta e fonditori
-di bronzo; i Toscani, invece, nel periodo corrispondente,
-erano cesellatori d'argento, battitori di ferro, ma
-sopratutto tagliatori di pietra. Ora la creta (e bisogna
-rammentarsi bene che il bronzo non è che il calco della
-creta) significa il piano modellato; l'imitazione di tutti
-i rilievi e di tutte le depressioni delicatamente graduate
-del corpo umano; la creta non presenta contrasti fra
-luce e ombra, non permette varietà nel trattamento corrispondente
-alla varietà dei tessuti. La creta si presta
-quindi ad imitare non la tessitura del corpo umano, ma
-<span class="pagenum" id="Page_296">[296]</span>
-la forma; e la forma poi nell'assoluta realtà tangibile
-della natura.
-</p>
-
-<p>
-Tutto l'opposto accade col marmo. Granulato come
-fibra vivente e capace allo stesso tempo di una delicata
-spulitura, il marmo può riprodurre la vera sostanza del
-corpo umano colle sue varietà d'opaco e di lucente. Può
-riprodurre, sotto ai variati colpi dello scarpello, quelle
-ombreggiature correnti ora in un senso, ora nell'altro,
-secondo che la pelle riveste il muscolo o l'osso. Il marmo
-inoltre è così resistente e insieme così docile al ferro,
-che può prendere i contorni più squisitamente sottili; e
-si presta all'incisione più superficiale ed al taglio più
-profondo, in modo che la luce e l'ombra diventano il
-materiale dell'artista quanto la pietra stessa. Quindi il
-marmo consente allo scultore di cercare non solo la forma
-assoluta, ma la forma relativa; non solo il rilievo, ma
-anche il chiaroscuro. Tali erano i caratteri fondamentali
-di quei due generi diversissimi di scultura, la scultura
-in creta e la scultura in marmo, che in circostanze diversissime
-di vita e di pensiero, Greci e Toscani trattarono,
-per produrre opere di indole e di bellezza diversissime.
-</p>
-
-<p>
-È inutile che ci dilunghiamo sulla influenza esercitata
-nell'Arte dalla civiltà antica, coi suoi costumi e caratteri
-essenzialmente meridionali, colla sua vita all'aria aperta,
-colla sua perfettissima educazione del corpo, coi suoi
-atleti nudi, i togati suoi cittadini ed i suoi contadini ed
-artigiani pochissimo vestiti, e sopratutto colla sua religione
-di divinità conviventi coi mortali e di semidei dalla
-poderosa muscolatura; come è inutile che, d'altra parte,
-ci dilunghiamo sull'influenza della vita assai più complessa
-del medioevo, vita di tipo nordico anche nei paesi
-meridionali, vita industriale, sedentaria, che costringeva
-la gente nelle angustie delle città murate; ed in cui primeggiò
-sempre, nonostante la sensuale grossolanità, la
-<span class="pagenum" id="Page_297">[297]</span>
-preoccupazione dell'anima, l'ideale del patimento, il disprezzo
-del corpo.
-</p>
-
-<p>
-Tutto questo è oramai ovvio ed anche esagerato da
-tanti scrittori invaghiti della teoria del <i>milieu</i> (ambiente
-o mi-luogo) introdotto da Enrico Taine meno per la sua
-verità che per l'occasione che porge di tratteggiare pagine
-colorite. Ma vorrei richiamare la vostra attenzione
-su di un'altra circostanza storica, che ha influito potentemente
-sulle differenze tra la scultura medioevale italiana
-e la scultura antica. Questa circostanza è il primato
-della pittura nella seconda metà del medioevo italiano.
-Mentre nell'antica Grecia la scultura fu l'arte dominante
-e matura, della quale la pittura non fu che
-l'ombra; nell'Italia medioevale invece la pittura fu l'arte
-che meglio corrispose ai bisogni della civiltà; fu l'arte
-che superò i più ardui problemi tecnici e scientifici, e
-fu quindi quella che dovette primeggiare. Si può asserire
-in senso quasi letterale che la pittura greca non
-fosse che l'ombra della scultura. Sui vasi e negli affreschi
-vediamo infatti le figure modellate con moltissima cura
-anatomica (al punto, per esempio, di accennare qualche
-volta la giuntura fra la gamba e la coscia con due linee
-che non esistono nella visibile realtà, e che sembrano
-segni di tatuaggio), — ma senza consistenza, vuote, ed
-allineate simmetricamente l'una accanto all'altra, senza
-comporsi in un disegno vero, precisamente come se fossero
-tante ombre di statue tonde proiettate sul piano.
-Lo scultore non poteva imparare nulla di nuovo da una
-simile pittura, che non si occupa delle cose più essenzialmente
-pittoriche, la prospettiva, l'aggruppamento, il
-contorno lineare, il valore relativo dei colori, il chiaroscuro
-ed il tessuto degli oggetti. La pittura medioevale,
-arte positiva, agisce in ben altro modo da quest'arte negativa
-che fu la pittura antica. Esaminiamo che cosa
-essa portò di nuovo nel campo dell'osservazione e della
-<span class="pagenum" id="Page_298">[298]</span>
-pratica artistica. In primo luogo, la superficie piana,
-muro o tavola, in cui l'arte medioevale mostrò la sua
-maggiore originalità, insegnò agli uomini a dar valore
-alla prospettiva, ad ordinare gruppi nei vari piani, ed a
-studiare l'insieme, sotto il rispetto delle opere intelligibili
-quanto sotto quello della bellezza, delle figure così
-raggruppate. Poi li abituò a considerare la forma non
-più come un insieme di proiezioni, di rilievi, di piani,
-ma come linea, come alternativa di luce e d'ombra, il
-cui pregio principale consisteva nella sagoma esterna,
-nel profilo dell'intreccio di linee, d'angoli e di curve;
-cosa assai più importante nella pittura, col suo unico,
-immutabile punto di vista, che nella scultura, dove l'occhio,
-girando intorno alla forma, si compensa della povertà
-di un punto di vista colla varietà di tutti gli altri.
-Di più, la pittura, nata da un interesse più sviluppato
-di quello che sentisse l'antichità pel colore, la pittura,
-dico, indusse gli artisti a considerare meglio l'effetto del
-colore sulla forma lineare.
-</p>
-
-<p>
-Poichè, sebbene l'uomo, fatta astrazione dal colore naturale
-o da una tinta bianca, abbia infatti quella forma
-larga ed alquanto smussata, quell'indecisione di contorni
-che caratterizza la scultura; tuttavia quale egli esiste
-realmente, coi capelli, gli occhi e le labbra fortemente
-coloriti, ed il resto del viso colorito di tinte diverse,
-acquista dal colore — il quale dà enfasi alla linea — una
-maggior precisione, direi piuttosto, una maggiore
-acutezza di forme lineari. Per ciò, nel modo istesso, in
-cui la prospettiva e la composizione in pittura dovettero
-indurre gli scultori ad usare maggiore complessività nel
-rilievo e maggiore unità nel punto di vista, così pure
-la nuova importanza del disegno e del colore, dovette
-suggerir loro un nuovo concetto della forma.
-</p>
-
-<p>
-L'uomo cessò dunque d'essere una mera combinazione
-di piani e di masse, cessò d'essere omogeneo nel tessuto
-<span class="pagenum" id="Page_299">[299]</span>
-e nel colore. Si accorsero ch'era fatto di sostanze diverse,
-pelle — pelle morbida dove aderisce al muscolo,
-dura e lustra dove accenna l'osso, pelle liscia o rugosa
-o pelosa; pelo poi duro o floscio, nero o biondo; inoltre
-ch'era pinto in vari colori, e che possedeva ciò che i
-Greci sembra non avessero avvertito, quella cosa straordinaria
-e straordinariamente variabile che è l'occhio. Gli
-scultori del '400 furono spinti dai pittori a riconoscere
-queste differenze fra l'uomo monocromo dei Greci — monocromo
-per l'astrazione del vero colore — e l'essere
-multicolore che è l'uomo vero.
-</p>
-
-<p>
-Avvertite queste differenze, vollero significarle nell'opera
-loro. Ma come avrebbero potuto conseguir l'effetto
-colla loro arte che tratteggiava il rilievo tangibile,
-e che ricusava l'aiuto del colore?
-</p>
-
-<p>
-Per capirlo bisogna fermarci a considerare di nuovo,
-e più attentamente, due particolarità capitali, che distinguevano
-gli scultori medioevali da quelli antichi.
-</p>
-
-<p>
-Gli artefici del medioevo, in primo luogo, erano chiamati
-assai di rado a fare figure da essere poste all'aria
-aperta su un piedistallo libero. Invece, erano continuamente
-esercitati a scolpire ornamenti architettonici da
-porre in alto e profilati su di uno sfondo scuro; e monumenti,
-tombe, pulpiti, ringhiere, da collocare in locali
-parzialmente illuminati e spesso oscuri.
-</p>
-
-<p>
-Ora, secondo l'altezza dell'oggetto e la direzione della
-luce, certi particolari acquistano o perdono la loro importanza;
-per restituire la relazione vera fra linea e
-linea, rilievo e rilievo, bisogna tener conto della posizione
-e del punto di luce; bisogna, perchè la cosa faccia
-lo stesso effetto che al livello dell'occhio e sotto una
-luce diffusa, alterare le proporzioni, accrescere qua, scemare
-là, introvertire alle volte il concavo ed il convesso,
-sacrificare il vero all'apparente.
-</p>
-
-<p>
-I monumenti gotici, per esempio quelli di Santa Maria
-<span class="pagenum" id="Page_300">[300]</span>
-Novella, che sporgono dal muro all'altezza di un
-primo piano di casa, non presenterebbero che una confusione
-indecifrabile, se la figura sdraiata ed i suoi accessorî
-non fossero alterati in modo da sembrare mostruosi
-a chi s'arrampicasse a vederli da vicino. Lo
-stesso segue nell'arte sviluppatissima del '400. Il Cardinale
-di Portogallo — figura del Rossellino a San Miniato
-al Monte — ha una metà del viso voltata soverchiamente
-all'insù, in modo da ricevere in faccia la luce;
-e ciò perchè, essendo visto dall'ingiù, la metà più vicina
-del viso avrebbe altrimenti un'importanza relativamente
-troppo grande; mentre, all'opposto, al bellissimo
-guerriero morto, d'autore incerto, che è a Ravenna, lo
-scultore ha deliberatamente tagliata una parte della mascella,
-perchè lo spettatore deve guardare all'ingiù la
-figura sdraiata su un lettuccio basso di marmo. Se prendiamo
-i gessi di queste due statue, ponendo sulla tavola
-quella del Cardinale, ed attaccando sul muro quella del
-guerriero, la composizione si sfascia completamente:
-l'espressione cambia affatto, i lineamenti diventano deformi,
-e mentre l'una testa diventa grossolana, l'altra
-sembra insoffribilmente manierata.
-</p>
-
-<p>
-Per intendere questo sistema, d'alterare la forma a
-seconda della collocazione e della luce, basta rammentarsi
-l'aneddoto delle due cantorie di Donatello e di Luca
-della Robbia, di cui la prima parve brutta nella bottega
-dello scultore, ma bellissima messa al posto; mentre
-la seconda, che era piaciuta straordinariamente veduta
-da vicino, scomparve del tutto nell'altezza buia di
-Santa Maria del Fiore.
-</p>
-
-<p>
-Quest'abitudine di prendere delle licenze col modello,
-di alterare le proporzioni misurabili all'occhio, abitudine
-cominciata per ragioni quasi architettoniche, permise agli
-scultori del '400 d'imitare i pittori, cercando, come questi,
-la verità apparente, col sacrificio coraggioso della verità
-<span class="pagenum" id="Page_301">[301]</span>
-assoluta e concreta. Aprì alla scultura il campo vastissimo
-degli effetti relativi; l'incoraggiò a produrre, colla
-materia dura ed incolore, l'equivalente della varietà nel
-colore e nel tessuto.
-</p>
-
-<p>
-Ma per secondare questo nuovo indirizzo dell'arte, era
-necessario che gli artefici del '400 trattassero la parte
-tecnica in un modo diverso affatto da quello dei Greci.
-</p>
-
-<p>
-Gli antichi, a' quali abbondavano ottimi gettatori in
-bronzo, esercitati nel foggiare armi, utensili e arredi
-d'ogni genere, dovettero prendere l'abitudine di circoscrivere
-la loro personale operosità al modello in creta:
-giacchè questo non richiedeva, come nel Rinascimento,
-la sorveglianza costante dello scultore. E le liste lunghissime
-di statue, di cui molte costruite faticosamente
-d'avorio e d'oro, dànno a credere che gli scultori antichi
-non perdessero il tempo sbozzando i lavori in marmo,
-ma invece terminassero soltanto di propria mano le copie
-che dal modello in creta avevano tratto lavoranti
-espertissimi. Che ci fossero simili copiatori, lo sappiamo
-dall'uso di fare riproduzioni in marmo delle statue già
-fuse in bronzo, uso a cui dobbiamo la maggior parte
-delle statue antiche pervenute a noi.
-</p>
-
-<p>
-Le abitudini erano diversissime da queste nel medioevo
-italiano. È vero che il Vasari consiglia allo scultore di
-valersi di modelli grandi quanto le statue che si propone
-di fare. Ma il consiglio stesso, fatto per scansare i calcoli
-sbagliati, che spesso rovinano il marmo, fa vedere
-che prevaleva l'abitudine di sbozzare la pietra senza tener
-conto di questo pericolo; che anzi, se l'uso dei modelli
-grandi fosse stato universale, Agostino di Duccio non
-poteva avere <i>storpiato</i>, come dice il Vasari, il marmo
-da cui Michelangelo cavò più tardi il suo David. Ma
-questi modelli di cui parla il Vasari più distesamente
-nella vita di Jacopo della Quercia, erano fatti “di pezzi
-di legno e di piani confitti insieme, e fasciati poi di fieno
-<span class="pagenum" id="Page_302">[302]</span>
-e di stoppa, e con funi legato ogni cosa strettamente insieme,
-e sopra messo terra mescolata con cimatura di
-pannolano, pasta e colla„ onde potevano bensì servire
-a tenere “innanzi agli scultori l'esempio e le giuste misure„,
-ma era impossibile che servissero mai, come i
-modelli di gesso <i>puntati</i> del giorno d'oggi, a francare
-l'artista dallo sbozzamento del marmo. Anzi, tutto ciò
-che scrive il Vasari dimostra chiaramente che il modello
-vero — quello cioè che veniva copiato non nelle sole
-misure — era piccolissimo e fatto in cera; e che l'abitudine
-di sbozzare le figure nel marmo, che a noi sembra
-cosa maravigliosa nel Buonarroti, era generale fra
-gli scultori del '400. È frequente il caso di uno scultore
-che intraprenda, coll'aiuto di un solo uomo, lavori di
-vastissima mole, porte, archi, mausolei. Nè pare che il
-Vasari stupisca quando Jacopo della Quercia si mette,
-solo solo, alla facciata di San Petronio; lavoro che gli
-costò dodici anni, in cui un Greco avrebbe fatto chi sa
-quanti bronzi magnifici ed un moderno chi sa quante
-meccaniche copie di un gesso. Infatti non rimane nulla
-d'inverosimile in questo sistema di lavorare il marmo
-interamente e direttamente da sè, quando si rifletta che
-tra gli scultori del Rinascimento una metà aveva esercitato
-la professione dell'orafo, e l'altra l'arte dello <i>scarpellino</i>
-o <i>squadratore di pietre</i>; e a tali artefici doveva
-riuscire facile e naturale egualmente qualunque parte — sì
-rozza che finissima — dell'arte loro.
-</p>
-
-<p>
-Gli scultori del '400 avevano adunque dello scarpello
-una sicurissima pratica, quale non ebbero, nè sognarono
-pur d'averla, gli antichi.
-</p>
-
-<p>
-Nelle mani loro lo scarpello non era semplicemente
-un secondo stecco da modellare, riproducente nel marmo
-i delicati piani, le sottili concavità e convessità trovate
-prima nella creta.
-</p>
-
-<p>
-Per questi tagliapietre della collina fiesolana, per questi
-<span class="pagenum" id="Page_303">[303]</span>
-orafi di Ponte Vecchio, lo scarpello era l'emulo della
-matita o del pennello; e con esso, a seconda della direzione
-che gli si dava, potevansi così imprimere nelle
-forme vigorosi tratteggi, come lasciarle svanire in impercettibili
-sfumature. O, per meglio dire, lo scarpello
-era per essi un pennello tuffato nelle varie tinte del
-bianco e del nero, con cui, secondo che versava nel
-marmo le luci e le ombre, o variava a guisa di spennellate
-le ruvidezze e le spuliture e ogni altro modo
-d'intaglio, potevansi riprodurre nella pietra la sostanza
-delle carni, dei capelli e delle stoffe — le carni e i capelli
-biondi e lisci dei bambini — le carni vizze o ruvide
-dei vecchi — le stoffe di lana, di tela e di broccato.
-</p>
-
-<hr class="tbs" />
-
-<p>
-Nell'antichità greca lo scultore soleva prendere il bel
-modello — l'adolescente nel fiore dai quindici ai diciott'anni,
-dalle membra sviluppate armoniosamente nella
-palestra, all'aria aperta; e, correggendo colla esperienza
-giornaliera di simili bellezze tuttociò che v'era d'imperfetto
-nell'individuo, ne copiava quel tanto che la creta
-si prestava a riprodurne. Ne riproduceva le squisite
-proporzioni, la maestosa ampiezza delle masse, la delicata
-finitezza delle membra, l'armonioso gioco di muscoli,
-il sereno candore del volto e del gesto; ponendolo
-in atteggiamento tale da essere inteso e ammirato egualmente
-da lontano e da vicino, e dal maggior numero di
-punti di vista. E cotesta fedele copia nella creta di un
-originale perfettamente bello, veniva poi tradotta e trasmessa
-ai posteri dal fedele copiatore in marmo, dalla
-fedeltà inesorabile del bronzo, che riempie ogni minimissimo
-vuoto lasciato dalla creta. Essendo bellissimo in sè
-stesso, quest'uomo di bronzo o di marmo era necessariamente
-bello ovunque venisse posto e sotto qualunque
-rispetto venisse contemplato; sia che si mostrasse in
-iscorcio sul frontone di un tempio, o al livello dell'occhio,
-<span class="pagenum" id="Page_304">[304]</span>
-ombreggiato dagli aggruppati allori, o splendente
-al sole in mezzo alla piazza. La bellezza di esso viene
-apprezzata ed amata come s'apprezza e si ama la bellezza
-vivente di una creatura umana, poichè egli non
-è che la riproduzione più esatta che l'arte ci abbia mai
-data della bellissima realtà, posta in mezzo al suo vero
-ambiente e sotto la vera luce del cielo. E siccome prende
-nuovo aspetto la bella realtà umana secondo che si muovono
-il sole e le nuvole, secondo che le giriamo noi intorno,
-così cambia anche esso; ma così pure esso rimane
-sempre, nonostante tutti i cambiamenti, la personificazione
-della forza, della purezza, della inalterata serenità
-dell'adolescenza.
-</p>
-
-<hr class="tbs" />
-
-<p>
-Di cotale perfezione, nata dal più raro incontro di circostanze
-felici, la scultura del '400 non seppe mai nulla.
-</p>
-
-<p>
-Arte secondaria in tempi, che davano il primato alla
-pittura; serva, in gran parte, dell'architettura; turbata
-dalla vista di corpi cresciuti a caso, e spesso cresciuti
-male; turbata pure da ideali ascetici e da curiosità scientifiche,
-la scultura di Donatello e di Mino, di Jacopo
-della Quercia e di Benedetto da Majano, la scultura
-dello stesso Buonarroti fu una di quelle fioriture artistiche,
-che si nutrono degli elementi del terreno rifiutati
-dalla più fortunata e rigogliosa vegetazione, che l'aveva
-preceduta. La scultura del '400 riuscì da meno in tutte
-le cose in cui la scultura antica era riuscita; ma eseguì
-ciò che l'antichità aveva lasciato ineseguito. Ebbe pochissima
-intuizione della bella forma umana. Alternava
-fra la ignoranza del nudo e la insistenza pedantesca sull'anatomia,
-difetti spesso riuniti nella medesima opera.
-Paragonato all'antico, il David di Donatello, il San Giovannino
-di Benedetto da Majano, l'Adamo di Jacopo
-della Quercia sono addirittura goffi; e lo stesso Bacco di
-Michelangelo è un bel villano invece che un dio.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_305">[305]</span>
-</p>
-
-<p>
-Questa scultura ha di più una vera preferenza pei
-momenti meno belli della vita fisica: ama i brutti vecchi — spesse
-volte sfasciati dalla sensualità o rimbecilliti
-dall'ascetismo, — ed i ragazzi sproporzionati dalla
-crescenza. Coll'eccezione del San Giorgio di Donatello,
-il cui corpo però è nascosto sotto la pesante armatura,
-essa non ci presenta mai la squisita vigoria dell'adolescenza.
-</p>
-
-<p>
-Questi particolari si avvertono subito; e chi è avvezzo
-all'arte antica, si sente subito respingere da quest'arte
-medioevale.
-</p>
-
-<p>
-Ma osserviamo la scultura del '400 quando fa ciò che
-l'antichità non aveva neppur sognato: l'antichità che
-collocava le statue sui frontoni l'una accanto all'altra,
-ad equilibrarvisi come massa, ma non mai ad intrecciarvisi
-in veri disegni; l'antichità che fece del rilievo
-la ripetizione d'un lato solo della statua in tondo, l'ombra
-del gruppo del frontone; l'antichità che nei suoi bei
-tempi non conobbe nè il patetico della vecchiaia, nè la
-grottesca bellezza dell'infanzia, nè la graziosa goffaggine
-della prima adolescenza; l'antichità che non seppe distinguere
-la consistenza della pelle, la setosa morbidezza
-dei capelli, il colore dell'occhio.
-</p>
-
-<p>
-Passiamo ora a considerare alcuni lavori tipici del '400.
-</p>
-
-<hr class="tbs" />
-
-<p>
-Cominciamo dalle statue e dai busti di bambino. Ecco
-prima la creaturina i cui piedini escono da una specie
-di ghetta carnosa, le cui gambine, senz'ossi, appena sorreggono
-il ventre grassotto, la testolina non bene proporzionata.
-Notate che in questa testolina il cranio apparisce
-sempre relativamente morbido, della consistenza
-d'una mela, sotto le floscie matasse bionde. I fratellini
-maggiori sono tuttora assorti in vaga contemplazione
-del mondo e delle cose, cogli occhi largamente aperti,
-ma facilmente imbambolati. Quelli un po' più grandicelli,
-<span class="pagenum" id="Page_306">[306]</span>
-invece, hanno già scoperto che il mondo è fatto di
-gravità da scombussolare: i lineamenti del viso sono
-appena più sentiti, i capelli sono appena inanellati in
-vetta, ma gli occhi pare che siano usciti di sotto la
-tettoia della fronte, l'occhio e la fronte sono già nella
-vera proporzione: e poi nelle gote ci sono delle fossette
-venute, si direbbe, dal ridere, e che invitano ai pizzicotti.
-I ragazzi dai dodici ai quattordici anni, hanno
-sempre quelle braccia magrissime che contrastano deplorevolmente
-coi polpacci delle gambine ancora impotenti
-a sostenere il ventre piccolo, ma grasso, e che accenna
-agli abbondanti pasti dell'infanzia, continuati nell'adolescenza.
-Ma hanno, allo stesso tempo, la monelleria
-(gaminerie) gagliarda del David del Verrocchio, il quale
-dovette, insieme alla pietra, scagliare qualche canzonatura
-addosso a quella goffaggine di Golia; oppure hanno,
-come il San Giovannino del Louvre e quello di Benedetto
-da Maiano, una certa grazia sentimentale, quasi
-una civetteria delicata di bella signorina, che fa capire
-come fra poco smetteranno il baloccarsi per leggere la
-<i>Vita Nuova</i>, o le <i>Rime</i> del Petrarca. Due San Giovanni,
-d'altra parte, hanno preso, cogli anni, un andamento diverso.
-Sono ambedue di Donatello. Quello più giovane,
-dalla prima, dubbiosa lanugine sul volto, è già scappato
-inorridito dalla <i>Vita Nuova</i> e dal <i>Decamerone</i>, prima
-d'averne voltato una pagina. Estenuato dal digiuno, non
-ha di muscolare che le gambe, diventate di ferro a furia
-di scorrere i deserti. Del resto, anche nei deserti ha cominciato
-ad essere infastidito da voci e da visioni, non
-si sa se d'angeli o di diavoli; e cammina furiosamente,
-cogli occhi fissi sullo scritto, colla mente distaccata, a
-quanto pare, da ogni cosa terrestre; si direbbe che facilmente
-potesse impazzire, questo santo ventenne. Eccolo
-di nuovo, ritratto nel bronzo che è a Siena, quel
-San Giovanni, ma oramai maturo; ha la barba e i capelli
-<span class="pagenum" id="Page_307">[307]</span>
-incolti, è diventato quasi un selvaggio delle foreste,
-ma colla gravità e la fede in sè del predicatore di professione:
-è uscito dal deserto, ha domato ogni tentazione;
-il suo fanatismo è militante, direi quasi sistematico.
-</p>
-
-<p>
-Passiamo ad altro.
-</p>
-
-<p>
-Questo vecchio — lo Zuccone di Donatello — non
-può mai essere stato quel San Giovanni, ma facilmente
-sarà stato un suo devoto. È un vecchio che non è stato
-mai cospicuo per intelligenza; ed ora la testa, fatta a
-cupola, ha ripreso, colle floscie matasse bianche, che
-richiamano l'infanzia, quell'apparenza di poca sodezza
-che è propria del cranio infantile; la bocca poi è già
-tremula, cascante, forse per una prima paralisi; e gli
-occhi non fissano più; ma in questo deperimento fisico
-e intellettuale, il vecchio sembra essersi riempito di sempre
-maggior dolcezza morale: è un Giobbe riconciliato
-con Dio, perchè fatto indifferente a sè stesso, è il fiore
-umano sfasciato in terra, per essere poi riseminato in
-cielo.
-</p>
-
-<p>
-Coteste sculture, per quanto destinate ad un determinato
-posto, nicchia o mensola, sono sempre sculture
-libere, non legate all'architettura. Rivolgiamoci adesso
-alle sculture d'intenzione decorativa. Guardiamo prima
-l'Annunziata di Donatello che è a Santa Croce. La pietra
-bigia, vilissima, incapace di pigliare un contorno
-netto, è scolpita in larghe masse quasi grossolanamente,
-e per supplire le sottigliezze d'intaglio impossibili in
-quella materia, il fondo, i fregi, gli orli dei vestiti, le
-ali dell'angelo, sono ritoccati coll'oro: quella cosa ruvida
-finisce con essere squisita. Del resto, notate l'esterno
-contegno, l'assenza dell'estasi, della sorpresa, dell'espressione
-solita in quel soggetto: l'Angelo e la Madonna
-serbano il decoro, la serietà delle linee architettoniche,
-dei vicini pilastri. Passiamo a guardare la Cantoria di
-<span class="pagenum" id="Page_308">[308]</span>
-Donatello, rilievo bassissimo su fondo intarsiato; quei
-gruppi schiacciati di bambini danzanti formano, colle
-larghe ombre fra le braccia alzate sopra il capo, una
-specie di pergolato umano in bianco e nero. Questo lavoro
-è basato tutto sulle ombre; guardiamone uno in
-cui l'ombra entra appena: la Madonna coi Santi, di Mino,
-nel Duomo di Fiesole. Il rilievo è voltato in modo da
-guardare dalla cappella nel corpo della chiesa; ed in
-tal modo che la testa della Madonna, ricevendo la luce — come
-un segno di gloria — sulla purissima lucente
-fronte, proietta intorno a sè un nimbo d'ombra circolare.
-Rilievo maraviglioso, cotesto di Mino, per essere composto
-quasi esclusivamente di luci. Anzi, si direbbe non
-rilievo, ma mirabile visione di bianche rose del Paradiso,
-i cui acerbi bocci e le acute spine (nutriti dall'incenso
-e dal sangue dei martiri) sono diventati poi le
-sottili labbra, gli occhi lunghi e stretti, l'acerbo virgineo
-corpo e le dita affilate di Maria.
-</p>
-
-<p>
-Questi rilievi sono relativamente semplici. Guardiamo
-invece le complessità del pulpito di Santa Croce, dove
-il gruppo è involuto nel gruppo, per svanire nei porticati
-e nei filari d'alberi appena profilati dello sfondo.
-Guardiamo le magnifiche composizioni, a razzi, si direbbe,
-tessuti di luce e d'ombre, ed incorniciate da immortali
-ghirlande, delle porte del Ghiberti.
-</p>
-
-<p>
-Ma non è tutto. L'arte del Rinascimento, non si contentò
-d'aver messo in marmo l'uomo vero, fatto di carne
-e d'ossa, dal pelo biondo o scuro, dall'occhio chiaro o
-cupo; ma volle pure, prima di sparire dal mondo, scolpire
-nella pietra l'intangibile sogno. Parlo di quelle tombe
-le cui cime sono trono a fantasmi di guerrieri e i cui
-ripidi fianchi sono letto inquieto a divinità che sembrano
-emergere non dal marmo, ma dalla tenebra e da quella
-luce, come dice il profeta, che è simile alla tenebra.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_309">[309]</span>
-</p>
-
-<h2 id="leonardo">LEONARDO DA VINCI</h2>
-
-<p class="center">
-DI
-</p>
-
-<p class="center large">
-ENRICO PANZACCHI.
-</p>
-</div>
-
-<p class="pad2 indl">
-<i>Signore e Signori!</i>
-</p>
-
-<p class="pad2">
-Il pittore francese Paolo della Roche nella più insigne
-forse delle sue opere, il famoso <i>Emiciclo</i> che è nell'Accademia
-di belle arti a Parigi, riprendendo e imitando
-liberamente il pensiero di Raffaello, nella <i>Scuola d'Atene</i>,
-ha inteso di rappresentare e disporre in certi gruppi gerarchici
-gli artisti principali del Rinascimento italiano
-ed europeo.
-</p>
-
-<p>
-A destra del riguardante attira lo sguardo un gruppo,
-forse il più riuscito di tutta la composizione. Sul davanti
-Michelangelo siede solo sopra un frammento di basso
-rilievo antico e guarda triste dinanzi a sè, voltando le
-spalle agli altri. Dietro di lui, elegante figura giovanile,
-si leva Raffaello d'Urbino, e lievemente del capo sovrasta
-a tutti gli altri. Ma guardando bene, si capisce che
-il protagonista vero di questo gruppo non è nè Raffaello
-nè Michelangelo. È invece un bellissimo uomo sontuosamente
-vestito, con una ricca barba, col gesto largo e
-con quell'obbliquo atteggiamento dei diti della mano sinistra,
-proprio del pittore che discorre analiticamente
-dell'arte sua. E quest'uomo ha l'aria d'insegnare a tutti,
-e tutti hanno l'aria di ascoltarlo con rispetto. Non è il
-dottore ascetico e austero del medio-evo; è piuttosto,
-all'aspetto, uno di quei tipi di gentiluomini culti e compiti
-<span class="pagenum" id="Page_310">[310]</span>
-che Baldassare Castiglione metteva nei dotti e piacenti
-colloqui alla corte del duca e della duchessa d'Urbino.
-E tutti, vi ripeto, lo ascoltano. Lo ascolta attentamente
-frate Bartolomeo della Porta ritto vicino a lui
-e guardandolo col volto serio e sereno; lo ascolta più
-lungi Hans Holbein col profilo teutonico e la chioma
-arruffata; lo ascolta con gli occhi intenti Alberto Durer
-nel suo sfarzoso abbigliamento signorile. Anche il Domenichino
-più d'ogni altro premuroso si accosta a lui
-per non perdere parola. Con l'orecchio è attentamente
-inclinato verso il maestro; ma nell'inquietudine del suo
-eclettismo bolognese si vede che egli erra cogli occhi
-tra Michelangelo e Raffaello.
-</p>
-
-<p>
-Quest'uomo sedente o docente, tutti hanno ben ragione
-di ascoltarlo perchè egli è Leonardo da Vinci, grandissimo
-fra i grandi, l'uomo più portentoso del Rinascimento
-italiano, che di portenti ebbe così grande ricchezza.
-</p>
-
-<p>
-Ed io, o signore, dovrò parlarvi di quest'uomo? C'è
-proprio da sentirsi tremare le vene e i polsi! Tanto più,
-ve lo confesso, perchè anche dopo le copiose pubblicazioni
-e illustrazioni che si sono fatte dei manoscritti di
-Leonardo da Vinci in Inghilterra, in Francia, in Alemagna
-e in Italia; anche dopo le belle fatiche di tanti eruditi
-stranieri e nostrani, tra i quali non bisogna scordare
-Gustavo Uzielli e il vostro Milanesi, un libro sopra
-Leonardo da Vinci ci sarebbe da arrischiarsi a scriverlo:
-e non sarebbe forse per me un atto di disperata audacia.
-Ma parlare di lui nel breve tempo d'una conferenza,
-ma costringere, ma pigiare entro questo breve circolo
-tanti elementi così disparati, è cosa che io credo impossibile,
-o che, a ogni modo supera di troppo le forze di
-cui posso disporre. Però, o signore, io faccio appello colla
-più viva instanza alla benevolenza vostra, a quella benevolenza
-che altre volte esperimentai e di cui serbo
-sempre così vivo il ricordo e la gratitudine.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_311">[311]</span>
-</p>
-
-<p>
-Ascoltatemi dunque attente e scusatemi se, per la terribilità
-e vastità del soggetto, invece di narrare io dovrò
-procedere per brevi accenni, invece di dimostrare, il più
-delle volte, dovrò contentarmi di affermare; insomma se
-invece di rendervi intera e rilevata questa colossale e
-complessa figura, io sarò costretto a darvene una pallidissima
-immagine, simile ad ombra di gigante fuggente
-sul muro in una giornata scarsa di sole.
-</p>
-
-<h3>I.</h3>
-
-<p>
-Egli era l'uomo dei doni. Difficilmente, percorrendo
-la storia della umanità, ci potremmo imbattere in un
-uomo che lo valga. Humboldt avrebbe detto di lui ch'egli
-era un figlio prediletto della natura. Se fosse vero ciò
-che narra la leggenda, che le fate vanno alla culla degli
-uomini predestinati a grandi cose, egli è certo che
-alla culla di questo bastardo di Ser Piero da Vinci accorsero
-tutte le fate e vi buttarono dentro tutti i loro
-doni, e nessuna rimase a casa per dispetto o per dimenticanza.
-</p>
-
-<p>
-Cominciamo dai doni fisici. Bellissimo della persona,
-d'una bellezza temperata di grazia e di maestà; e forte
-come pochi del suo tempo. Con un movimento del pollice
-storceva un ferro di cavallo; nella danza, nella lotta,
-nel nuoto vinceva i campioni più rinomati del suo tempo.
-Le qualità del suo ingegno darebbero luogo ad una amplissima
-descrizione; ma sopratutto sorprende quella interezza
-organica che è tutta propria di lui. Egli non
-ammette soluzione di continuità nello svolgimento del
-suo ingegno; e la sua mente vi dà l'idea di una grande
-tastiera d'organo ove i suoni vanno dai più profondi ai
-più acuti senza il più piccolo salto di tono, senza la più
-piccola disarmonia. Egli non si contenta mai; vuole approfondire,
-<span class="pagenum" id="Page_312">[312]</span>
-sviscerare, esaurire tutti gli argomenti. Nella
-meccanica, per esempio, egli va colla medesima cura dal
-girarrosto ad elica (che pare egli abbia inventato) fino
-al più complicato congegno di idraulica, fino ai più ingegnosi
-strumenti di guerra, che egli offre per la vittoria
-ai principi ed alle repubbliche italiane. Come artista
-egli è lo stesso. Per lui nell'arte non esiste parvità di
-materia; tutta quanta la gamma artistica egli la vuol
-toccare, e la tocca e la tratta colla medesima scrupolosità,
-colla medesima maestria elevandosi di grado in
-grado alle più meravigliose eccellenze. Leonardo mette
-ugual cura nel rendere col suo pennello la appannatura
-dell'acqua in una caraffa ed il volto radioso e sorridente
-d'una Vergine; mette egual delicatezza e minuziosità nel
-rappresentare le damascature e l'ordito della tovaglia
-gettata sulla tavola del Cenacolo come a esprimere la
-soavità accorata dell'apostolo Giovanni, come a significare
-la divinità attristata e sofferente del Redentore del
-mondo. In tutto è sempre eguale a sè stesso e rivela un
-equilibrio stupendo; il quale equilibrio voi cerchereste
-forse invano in alcun altro dei suoi contemporanei, così
-completo e così scrupolosamente mantenuto. Colossi sorgono
-intorno a lui; ma, se li guardate, questi colossi
-hanno tutti qualche cosa che turba, molto o poco, la
-loro stupenda economia spirituale e lascia luogo a desiderare.
-</p>
-
-<p>
-Onde, più lo si osserva, più si capisce il fascino che
-doveva esercitare Leonardo da Vinci sopra i suoi coetanei.
-Alle sue grandi qualità della mente e dell'estro aggiungete
-certe particolarità nell'essere e nella vita, che
-realmente dovevano colpire e quasi impaurire. Aveva
-del bizzarro, del misterioso, dello strano. Se vergava
-una lettera la vergava da destra a sinistra, alla maniera
-degli Orientali. Viveva fantastico, ghiribizzoso; mille cose
-intraprendeva e poi tralasciava, andando continuamente
-<span class="pagenum" id="Page_313">[313]</span>
-in traccia di nuovi aspetti di verità, di nuove e insolite
-forme di bellezza. Racconta il suo biografo che si rinchiudeva
-volentieri in una stanza dove non lasciava entrare
-alcun uomo; e in quella stanza egli accumulava
-insetti, farfalle, ramarri, animali morti d'ogni specie, e
-là spendeva lunghe ore meditando, sperimentando, osservando,
-fantasticando a sua posta. C'era in lui qualche
-cosa come del negromante, del Gilberto, del Raimondo
-Lullo, del Faust; un Faust però, lasciatemi dire,
-più sereno, più equilibrato di quello tedesco; sopratutto
-un Faust onesto e benefico, che studiava la vita e
-scrutava la natura e cercava di indovinarne le leggi, ma
-non ad appagamento dei suoi egoismi crudeli e superbi,
-sì per scoprire utili veri, per cogliere i fiori più eletti
-della verità e della bellezza e gettarli, a consolazione e
-ad ornamento, sui passi degli uomini.
-</p>
-
-<p>
-E a proposito di Faust, vien subito fatto di indicare
-un altro lato singolare e argomento di molta curiosità
-nella vita di Leonardo da Vinci. Questo Faust trovò egli
-la sua Elena o la sua Margherita nella vita mortale?...
-Fra i tanti punti oscuri della vita di Leonardo, questo
-è rimasto oscurissimo. In tanti volumi di manoscritti
-ch'egli ha lasciato non ricorre il nome di una donna.
-Quest'uomo che aveva tutto per essere amato, che, secondo
-la bella frase del Vasari, colla voce soave “tirava
-a sè gli animi delle genti„, che professava così vivo il
-culto della bellezza, e quindi doveva essere così inclinato
-a sentirne il fascino, quest'uomo non ha una donna nella
-sua vita. Tutto ciò naturalmente è spiaciuto ai romanzieri
-e ai poeti, ai quali è parso che questa grande figura
-mancasse di qualche cosa senza un romanzo o almeno
-un idillio d'amore. Alcuni quindi, guardando il
-sorriso così vivo, così suggestivo e quasi invitante della
-Lisa del Giocondo, hanno voluto fantasticarci su e fabbricare
-un romanzetto al quale io non credo; non perchè
-<span class="pagenum" id="Page_314">[314]</span>
-io lo reputi genericamente inverosimile, ma perchè
-in storia non bisogna affermare se non ciò che è
-sorretto da qualche maniera di argomenti. Noto anzi un
-particolare. Il Vasari racconta che per togliere al bellissimo
-volto di monna Lisa quella fissità e tristezza che
-hanno quasi sempre i ritratti pel disagio e la noia che
-invade l'originale nel posare, Leonardo faceva venire intorno
-alla bella donna dei sonatori e dei buffoni che la
-mantenevano sempre graziosa ed allegra.... Oh! se Leonardo
-e monna Lisa si fossero intesi d'amore, voi ben
-vedete, che sarebbe bastato il bello e spiritoso pittore a
-tenere allegra la sua modella; e non avrebbero pensato
-ad altra compagnia!
-</p>
-
-<p>
-Di quanti hanno cercato di definire la figura di Leonardo
-da Vinci il più vicino al vero mi pare sia stato
-Gino Capponi, nel primo volume della Storia di Firenze,
-ove dice che “in Leonardo vennero a far capo le due
-correnti per le quali s'era condotta l'Italia, da un lato
-nelle arti e dall'altro nelle scienze.... Con ciò parmi molto
-fedelmente resa la grande singolarità della figura di
-Leonardo da Vinci e il suo posto nella storia ideale del
-nostro Rinascimento. Noi possiamo avere nel medesimo
-individuo delle attitudini artistiche e delle facoltà scientifiche;
-può darsi benissimo che tanto le prime quanto
-le seconde procedano di pari passo in un armonico sviluppo.
-Ma in Leonardo da Vinci abbiamo qualche cosa
-di più: abbiamo la compenetrazione di questo doppio
-ordine di qualità. Non è che lo scienziato vada per la
-sua via e per la sua via vada l'artista; la via dello scienziato
-e quella dell'artista non formano che una medesima
-grande strada regia, che porta verso delle altitudini
-sconosciute.
-</p>
-
-<p>
-Sono meravigliose le scoperte, le antiveggenze di questo
-genio che non ristava mai dall'osservare nel volume
-della natura. Guglielmo Libri nella sua storia delle matematiche
-<span class="pagenum" id="Page_315">[315]</span>
-quando arriva a Leonardo, a questo scultore,
-a questo pittore, a questo sonatore di cetra, è costretto
-a fermarsi a lungo e dedicargli quasi un intero capitolo.
-E le benemerenze di Leonardo verso le matematiche
-non sono che una parte dei titoli che ha verso la scienza
-universale. Egli è dei primi, il primo forse, che scuote
-completamente l'<i>apriorismo</i> della scolastica e che non
-accetta la concezione del mondo già fatta, già costituita
-secondo la sentenza degli antichi. — Che importa a me,
-egli scrive, se non cito gli antichi e se non seguo le
-loro massime? Io cito la Natura e segno la Natura che
-è la maestra di quei maestri. — E di tali massime, che
-esprimono il libero procedimento del suo ingegno nell'osservare,
-i suoi manoscritti sono pieni. Torna sempre
-sopra questo concetto: ammira gli antichi, li venera, ma
-dice che se essi valsero in qualche cosa, se essi scoprirono
-invidiosi veri, fu perchè essi osservarono la Natura.
-Dunque egli vuol risalire a questa grande maestra, a
-questo universale esemplare, e da esso direttamente, non
-di seconda mano, attingere la verità.
-</p>
-
-<h3>II.</h3>
-
-<p>
-Per questo non è di nulla esagerato il dire che Leonardo
-da Vinci è il primo a cui completamente si addice
-il titolo di “uomo nuovo„ secondo il concetto di
-Giordano Bruno. Egli anticipa sopra tutte le scienze e
-gli scienziati che vennero dopo. Nella metodologia viene
-prima di Bacone da Verulamio quasi di cento anni.
-Quello che v'ho detto circa il metodo suo d'osservazione
-è, in sostanza, il “nuovo organo„ che di poi con tanta
-pompa di novità il Cancelliere inglese proclamerà al
-mondo. Nella idraulica anticipa il Castelli; nella geologia
-Pomponio Leto; nell'ottica egli precede La Porta,
-<span class="pagenum" id="Page_316">[316]</span>
-prevenendolo nella scoperta nientemeno che della camera
-oscura; nella caduta dei gravi anticipa di molti
-teoremi il lavoro di Galileo Galilei; nella intuizione dei
-tratti della fisonomia come manifestazione delle interne
-facoltà dell'animo, egli spiana la strada al La Porta e
-al Lavater. Un'altra anticipazione importantissima ci
-dà Leonardo. In un passo molto caratteristico egli dice:
-“Lascio stare i libri sacri, incoronati di suprema verità„;
-e procede oltre liberamente nelle indagini della
-natura, tralasciando ogni preoccupazione dogmatica e
-teologale. Anche in questo delicato argomento, lo spirito
-di Leonardo precedette di molti anni il Pomponazzo,
-il Cremonino e lo stesso Galileo Galilei, che con tanto
-studio e tanta arte, nella sua famosa lettera <i>Alla granduchessa
-madre</i>, si adoperò a dimostrare che il procedimento
-teologico e il procedimento scientifico devono
-andare avanti di pari passo senza intralciarsi l'uno coll'altro,
-e senza che i dogmi rivelati gravitassero con
-troppo frequenti intromissioni nel lavoro e nelle conclusioni
-dello scienziato.
-</p>
-
-<p>
-Se non che, per quanto mi ha dettato lo studio amoroso
-dei manoscritti leonardeschi ora in molta parte
-editi, io penso che, mentre lo scienziato pare alle volte che
-dietro a sè ci nasconda l'artista, l'artista invece tiene
-sempre il campo. È sempre l'Arte la regina della mente di
-Leonardo. Basta leggere alcune delle pagine del Trattato
-in cui celebra le lodi della sua prediletta fra le arti, la
-pittura, per capire da che sovrano entusiasmo estetico
-fosse riscaldato e mosso l'animo suo. Per cui tante volte,
-mentre direste alla prima che la indagine scientifica
-prepari in Leonardo il lavoro dell'arte; la verità vera è
-invece il contrario: vale a dire che il lavoro della scienza
-non è altro che un prolungamento, per dir così, della
-ricerca artistica. E con questa gran differenza che, mentre
-gli altri artisti suoi contemporanei si fermavano alla
-<span class="pagenum" id="Page_317">[317]</span>
-parvenza della cose e quella cercavano di ritrarre secondo
-le regole dell'arte, Leonardo, spinto da un fervore
-d'animo tutto suo particolare, andava anche al di là
-della parvenza artistica, e voleva trovare e trovava in
-fatto la ragion d'essere di questa in una più alta regione
-speculativa.
-</p>
-
-<p>
-Così quand'egli studia la prospettiva lineare ecco che
-egli a poco a poco si incammina e s'ingolfa nel mondo
-della geometria: quando studia la prospettiva aerea ecco
-che l'ottica gli apre i suoi grandi orizzonti, e lì spigola
-e raccoglie verità nuove e spesso mirabili. Medesimamente
-la pittura del corpo umano lo traeva ad investigare
-tutto il magistero della nostra struttura corporea;
-ed ecco che si associa a Marcantonio della Torre e dà
-al mondo i primi saggi completi e veramente scientifici
-di anatomia grafica. Lo stesso gli avviene, o signore, in
-tutti mai i rami dello scibile. Egli è condotto sulla via delle
-scienze dalla mano dell'arte. Nel libro VI del <i>Trattato
-della pittura</i> egli parla delle piante. Pittoricamente parlando,
-uno si sarebbe fermato alla apparenza di queste
-piante e ad indicare il modo con cui il pittore deve fedelmente
-ritrarle giusta i varii stati in cui ce le dimostra
-ai nostri occhi la natura, sia ch'esse siano sguarnite
-di foglie nell'inverno o abbiano il primo tenero verde
-nell'aprile o le foglie diffuse nella pienezza della buona
-stagione; sia che vengano o battute dalla pioggia o scrollate
-dal vento o illuminate dal sole e via discorrendo.
-Invece Leonardo da Vinci vi dà tutto questo per il pittore;
-ma il suo spirito non può fermarsi qui. Egli procede
-più oltre investigando e speculando: “La natura
-ha messo le foglie degli ultimi rami di molte piante in
-modo che sempre la sesta foglia sia sopra la primiera,
-e così segue successivamente, se la regola non fu impedita.„
-Qui, come vedete, abbiamo qualche cosa di più
-che una semplice osservazione bastante per gli occhi
-<span class="pagenum" id="Page_318">[318]</span>
-del pittore. E non è cosa di piccolo momento, o signore,
-ma una vera e propria legge botanica (la <i>fillotassi</i>) che
-farà poi la gloria del naturalista Brown. Sempre rimanendo
-dentro l'ambito della pittura ed andando oltre,
-Leonardo scrive: “Le parti meridionali della pianta mostrano
-maggior vigore e gioventù che le settentrionali.
-Li circoli degli rami segati mostrano il numero degli
-suoi anni, e mostrano l'aspetto del modo con cui erano
-volti, poichè più grossi sono a settentrione che a mezzodì.
-Così il centro dell'albero per tal causa è più vicino
-alla scorza sua meridionale che alla sua scorza settentrionale.„
-Nelle quali parole è pure anticipata una dimostrazione
-che farà, dopo un secolo, Marcello Malpighi,
-meritamente salutato dall'universale come l'inventore
-ed il fondatore della anatomia botanica.
-</p>
-
-<p>
-Questi esempi, o signore (e tanti altri che potrei citarvi),
-riconfermano quello che io vi accennava, cioè che,
-a guardare bene nella mirabile struttura dell'ingegno di
-Leonardo da Vinci e in tutti gli atteggiamenti della sua
-attività, noi vediamo ch'egli si diffonde mirabilmente nel
-campo dello scibile, ch'egli corre dietro a tutte le forme
-del vero, ma che la sua stella polare è sempre l'Arte,
-e che all'Arte egli vuole che convergano gli elementi
-della sua cultura meravigliosa. Se tale la sua propedeutica
-artistica, voi avete un primo dato per argomentare
-subito quale e quanta debba essere stata l'arte di Leonardo
-da Vinci.
-</p>
-
-<p>
-Egli venne in tempi in cui, massime in Italia, la pittura
-si avvicinava alla sua più alta fioritura, anzi alla
-sua radiosa maturità. Antonello da Messina aveva già
-divulgato fra noi il processo della pittura ad olio per il
-quale delle più smaglianti grazie ed una maggiore evidenza
-acquistavano i colori; a Firenze nel tempo di Leonardo
-dipingevano artisti come Sandro Botticelli; nella
-Umbria tenevano il campo Pinturicchio e il Perugino,
-<span class="pagenum" id="Page_319">[319]</span>
-preparando Raffaello; a Bologna Francesco Raibolini
-detto il Francia di grande orafo si mutava in grande
-pittore; Ferrara aveva avuto il Tura e il Cossa e il
-Costa. Di là dal Po, Mantegna, svincolatosi dalle dotte
-pedanterie dello Squarcione, popolava di meraviglie Padova,
-Verona e Mantova e associandosi e accostandosi
-al Giambellino, fondeva la robusta evidenza del suo disegno
-con le grazie del colorito veneziano. Volgeva dunque
-un momento di grande ricchezza e di grande splendore
-per l'arte. Egli, Leonardo, doveva coronare e glorificare
-tutto questo movimento.
-</p>
-
-<p>
-E gli si aprivano due vie. Il suolo d'Italia restituiva,
-come per grazioso miracolo, alcuni dei più bei documenti
-dell'arte antica: le menti ne rimanevano stupite
-e irresistibilmente attratte ad imitarli. Leonardo da Vinci,
-quest'alunno della natura, tutto il tesoro delle osservazioni
-fatte nel campo della vita portava nel campo dell'arte,
-e voleva un'arte essenzialmente naturale, che
-dalla natura prendesse tutto il suo vigore e tutte le sue
-grazie. È molto notevole, o signore, questo atteggiamento
-preso di Leonardo nella grande contesa fra il naturale
-e l'antico, che allora appunto stava per raggiungere il
-suo momento critico e decisivo. Leonardo portò tutto
-il peso del suo sapere, tutta la potenza delle sue attitudini
-artistiche, tutta la sua autorità immensa in favore
-del movimento naturalista, ampiamente inteso e nobilmente
-significato.
-</p>
-
-<p>
-Osservate in fatti che egli non accetta i “moduli„
-che si cominciano ad insinuare nelle pratiche dell'arte,
-e coi quali si tendeva già a sostituire qualche tipo fisso
-ed inalterabile al lavoro personale e continuamente vario,
-al movimento fluido, infaticabile della natura, l'eterno
-e inesauribile esemplare. Guardate il Cangiasio, il Durer,
-Leon Battista Alberti escogitano misure e proporzioni
-determinate al corpo umano; fra Bartolomeo della Porta
-<span class="pagenum" id="Page_320">[320]</span>
-tira fuori dalla sua mente, o piglia dalla Germania, il
-<i>manichino</i>. Leonardo scarta tutto ciò. Egli guarda con
-diffidenza tutto quello che tende a sostituire nell'arte
-degli schemi già finiti e per così dire cristallizzati all'incessante
-mutualità che deve passare fra l'animo dell'artista
-e la natura. Egli primo fra i moderni, comincia
-già a tracciarvi la storia dell'arte in un modo che
-ci fa davvero stupire e che dà ragione della sua maniera
-di sentirne l'essenza. Ascoltiamolo: “Le arti giacquero
-in Italia perchè fu negletto ogni studio di imitare la
-natura, finchè venne Giotto fiorentino, il quale nato
-in monti solamente abitati da capre e simili bestie, cominciò
-a segnar su per li sassi gli atti di simili capre,
-delle quali era guidatore; e così cominciò a fare tutti
-gli altri animali, che nel paese trovava. In tal modo
-che questi dopo molto di studio avanzò, nonchè i maestri
-dell'età sua, tutti quelli di molti secoli passati.„
-Ecco il giusto criterio naturalista sostituito ad ogni altro
-criterio! Il tipo dell'artista per Leonardo infatti è
-Giotto, l'uomo semplice, quasi primitivo, che non guarda,
-come Nicola Pisano, il sarcofago antico, ma le cose naturali
-e vive che stanno dintorno a lui e ingenuamente
-le ritrae. E prosegue a dire: “Dopo, gli uomini imitarono
-Giotto, e l'arti decaddero.„ L'imitazione sostituita
-allo studio diretto della natura, quindi perniciosa all'arte.
-“Finalmente sorse Tommaso fiorentino cognominato Masaccio,
-il quale mostrò con opere perfette come quelli
-che pigliano per autore altri che la natura, maestra
-de' maestri, si affaticano invano.„
-</p>
-
-<h3>III.</h3>
-
-<p>
-Dal naturalismo così altamente inteso doveva sgorgare
-un'arte individuale, eminentemente soggettiva, un'arte
-che non procede da formule fatte, ma le desume da quel
-<span class="pagenum" id="Page_321">[321]</span>
-travaglio incessante che l'occhio e la mente dell'artista
-non ristanno mai dal proseguire. Perciò con gli aspetti
-della natura, l'anima dell'artista entra e si rispecchia
-nell'opera d'arte. Il Vinci esprimeva questo concetto fondamentale
-nel <i>Trattato della Pittura</i> in un modo che
-non lascia luogo al più piccolo dubbio. Per lui non solamente
-l'artista deve ispirarsi al proprio estro, deve
-conformarsi alle attitudini naturali che egli ha, ma va
-più oltre. Egli crede che dentro al cervello di ogni artista
-ci sia “un giudizio proprio„, una specie di facoltà
-determinata, che la natura mette a disposizione di ogni
-singolo artista perchè egli ritragga, in una certa guisa
-particolare, il mondo esteriore. “Questo tal giudizio è
-di tanta potenza, dice Leonardo, ch'egli muove le braccia
-al pittore e fagli replicare sè medesimo, parendo a
-essa anima che quello sia il suo modo di figurare l'uomo;
-e chi non fa come lei faccia errore.„ A questa individualità
-poi corrisponde (e ne è come la più luminosa
-riprova) una specie di <i>unicità</i> nei singoli oggetti generati
-dall'arte. Niente si assomiglia in arte; questo è il
-concetto di Leonardo. Ammira le belle e armoniche forme
-delle statue antiche, dà anch'egli qualche precetto, qualche
-suggerimento per generalizzare le proporzioni del
-corpo umano, e andate discorrendo. Ma finisce sempre
-con l'insistere sulla massima che <i>bisogna proporzionare
-ogni oggetto particolare con sè medesimo</i>. Non è mai il
-modello rinnovato degli antichi il quale stabiliva che un
-corpo umano è alto tante teste e largo tante altre. No,
-Leonardo invece vi dice: studiate ogni singolo corpo
-umano, e rilevate e trasferite nella pittura vostra quella
-data proporzionalità che rappresenti il carattere di quel
-dato corpo, come voi lo vedete, e non di altro.
-</p>
-
-<p>
-Questa la gran differenza che è tra Leonardo da Vinci
-e Leon Battista Alberti, ed Alberto Durer e Rubens,
-e tutti gli altri creatori di moduli, fino agli ultimi tedeschi,
-<span class="pagenum" id="Page_322">[322]</span>
-che hanno voluto rinnovare questa specie di
-meccanismo geometrico applicato alla pittura. “La bellezza
-dei visi„ dice Leonardo “mai si trova essere replicata
-in natura, di modo che se tutte le bellezze,
-tutte le eccellenzie tornassero vive, esse sarebbero maggior
-numero di popolo che quello che al nostro secolo
-si trova. E siccome in esso secolo nessuno precisamente
-si somiglia, il medesimo interverrebbe alle
-dette bellezze e per questo, sommo difetto è dei pittori
-replicare gli medesimi moti, e gli medesimi volti
-e maniere di panno in una medesima istoria, e via discorrendo.„
-Tutto, insomma, ciò che il pittore rappresenta,
-secondo Leonardo, dee avere un certo carattere
-di istantaneità, vale a dire vuole che sia ispirato dentro
-di lui da un particolare stato dell'animo, fuori di lui da
-una particolare visione che balzi ai suoi occhi, che impressioni
-i suoi sensi e che per via della mano si trasferisca
-nella forma elaborata. “Sempre il pittore deve cercare
-la prontitudine nell'atto naturale fatto dagli uomini
-all'improvviso e nato da potente affezione dei suoi
-affetti; e di quelli far breve ricordo nei suoi libretti e
-poi, a suo proposito, adoperarli. <i>Finalmente la mente
-del pittore si deve del continuo trasmutare in tanti
-discorsi quante sono le figure degli oggetti notabili che
-dinanzi gli appariscono e di quelle fermare il passo e
-notarle, considerando il luogo e le circostanze, il lume
-e le ombre.</i>„
-</p>
-
-<p>
-È impossibile, o signore, esprimere in termini più
-esatti gli intendimenti tecnici ed estetici della pittura
-di sostanza e di ambiente, quale oggi potrebbe vagheggiarla
-ed esercitarla ogni più progressivo animo d'artista!
-</p>
-
-<p>
-Da queste premesse ideali passiamo alle conseguenze
-pratiche. La pittura di Leonardo è una meravigliosa testimonianza
-della singolarità del suo modo di intendere
-l'arte. Aggiungo qui di passaggio, che egli, pure essendo
-<span class="pagenum" id="Page_323">[323]</span>
-così scrupoloso e sincero osservatore della natura,
-non s'acconciò mai ad essere, come Piero di Cosimo e
-altri del suo tempo, a guisa del letto di un fiume che
-accoglie indifferentemente tutte le acque, siano esse torbide
-o chiare. No. Questo naturalista aveva l'istinto della
-bellezza e procedeva per elettissime selezioni, e tutti i
-suoi tipi danno, per così dire, ragione veduta della sua
-scelta. Le figure di Leonardo, per una grande significazione
-di carattere, appaiono tutte segnate del segnacolo
-d'una razza distinta. Forse era la studiosa e perseverante
-scelta del pittore, forse era l'animo suo che infondeva
-a quelle teste qualche cosa di singolare, che ci innamora
-e ci esalta, sia ch'egli ci rappresenti la deviazione
-del tipo umano nelle deformità sue; sia che ci
-allegri e turbi insieme con quei sorrisi ineffabili di donna
-che non somigliano a nessun altro sorriso, eppure sono
-tanto femminili; sia che ci impensierisca e ci commuova
-colla espressione mistica di certe teste, ove il sentimento
-del divino è reso come in nessuna altra pittura, prima
-e dopo, fu reso mai.
-</p>
-
-<p>
-E qui dovendo esemplificare mi trovo di fronte a un
-fatto singolare e ben triste, o signore. Questo nostro
-Leonardo, del quale tanto parliamo, è un artista in gran
-parte inedito. Peggio ancora, egli è un artista soppresso
-dall'opera del tempo. Quanta distruzione ha fatto il
-tempo sulle opere sue! Un po' per colpa di lui che il
-Vasari chiama <i>instabile e vario</i>, che cominciava mille
-cose e poi le tralasciava a metà, attratto sempre da
-quella sua eroica inquietudine di conoscere e fare del
-nuovo; un poco perchè anche gli accidenti della natura
-e della storia hanno cospirato a suo danno, fatto sta
-che di Leonardo quasi tutto è scomparso. Intanto dello
-scultore niente possiamo dire <i>de visu</i>. Delle tante opere
-in plastica di Leonardo, che pur gli diedero, lui vivente,
-tanta fama che per molti contemporanei suoi egli
-<span class="pagenum" id="Page_324">[324]</span>
-era massimamente celebre come scultore, che resta a
-noi? Nulla! Il gran colosso di Francesco Sforza, con cui
-s'era gratificato l'animo di Lodovico il Moro, fu ben
-finito (non però fuso in bronzo) e inaugurato a Milano
-nella piazza del Vecchio Castello. Ma sopraggiungevano
-i Francesi di Luigi XII vincitore e invadevano Milano.
-Entrati i balestrieri guasconi in quel castello e visto là
-grandeggiare in forma di apoteosi il capo della dinastia
-ch'erano venuti a distruggere, naturalmente furono tratti
-dalla voglia di balestrarlo; e lo balestrarono, ahimè!
-tanto bene che il colosso andò in pezzi e non n'è più
-rimasto che qualche vago e dubbio ricordo in alcuni segni
-dell'autore, e in alcune miniature del tempo.
-</p>
-
-<p>
-E anche della pittura di Leonardo da Vinci poco, ben
-poco rimane di conservato e di indubbiamente autentico;
-onde ebbe a dire un critico tedesco che non avrebbe
-coraggio di giurare che un palmo solo di pittura leonardesca
-sia arrivato fino a noi veramente intatta.
-</p>
-
-<p>
-Rimane fortunatamente un'opera sulla quale, quanto
-ad autenticità originaria, non può cadere dubbio, benchè
-sia ridotta anch'essa in così misero stato che fa veramente
-pietà. Voglio dire il Cenacolo, che Leonardo
-dipinse nel refettorio di Santa Maria delle Grazie. Anche
-così malconcio, anche in quel suo stato quasi pauroso
-di larva in cui ora lo vediamo, esso ferma i nostri
-occhi, conquide il nostro animo, ci costringe a chinare
-la fronte. Pensate! Esso è la riprova ancora vivente,
-la riprova sintetica, eloquentissima della verità ed efficacia
-di tutte le dottrine che intorno all'arte Leonardo
-era andato predicando e praticando. Pensate ancora
-quanti artisti si sono cimentati in questo dramma intimo
-e sacro, la cena ultima di Gesù Cristo coi suoi discepoli!...
-I più dei pittori scelsero quel momento in cui
-Cristo offre ai suoi discepoli e all'umanità tutto sè stesso
-nel pane e nel vino. Leonardo preferì invece di cogliere
-<span class="pagenum" id="Page_325">[325]</span>
-un momento meno mistico ma più naturale; e talmente
-naturale che noi, senza mancare di riverenza ad alcuno,
-possiamo anche considerare quella sua rappresentazione
-come una scena puramente umana. Si tratta in sostanza
-d'un maestro che ha raccolto intorno a sè i suoi discepoli
-più fidi, mentre ingrossano i tempi e la persecuzione
-minaccia al di fuori.... Arrivato a un certo punto
-della cena, a un tratto egli dice: <i>uno di voi mi tradisce</i>.
-Questa frase, gettata là in mezzo ad animi semplici e
-devoti, produce come uno scoppio di dramma istantaneo.
-</p>
-
-<p>
-Non sono più le immobili figure dei vecchi Cenacoli,
-colle loro aureole intorno al capo, che assistono misticamente
-alla mistica consacrazione. Qui abbiamo invece
-uomini che si sentono feriti nel profondo dell'animo dall'angoscia
-di sapere che c'è in mezzo ad essi un loro
-compagno che tradirà l'uomo che vollero seguire a ogni
-costo, che amano sopra ogni cosa. Non basta: tutti sentono
-il turbamento e l'irritazione di potersi sapere sospettati
-di una tanta iniquità. Se guardate a quelle dodici
-figure d'apostoli, ognuna vi rende questo dramma
-interiore con una varietà ammirabile. Il volto di Cristo
-ha una specie di calma costernata. Le sue labbra sono
-ancora semiaperte, e si capisce che le tristi parole ne
-sono uscite allora allora; le mani fanno un movimento
-di tristezza; la calma non è turbata in quel volto divino;
-ma una lieve increspatura della fronte ci lascia
-comprendere che la parte umana in lui palpita e si addolora.
-Tutti gli apostoli alla prima hanno avuto certamente
-un movimento eccentrico; poi quasi tutte le figure
-si protendono in avanti verso il maestro. Che varia e
-potente significazione psicologica in quelle figure e in
-quei volti! Guardate tutte quelle mani. Ognuna (dando
-ragione ad un famoso capitolo del Montaigne) ha un
-significato, un pensiero, un fremito di vita personale.
-Guardate tutti quei piedi. Visti vagamente sotto la tovaglia,
-<span class="pagenum" id="Page_326">[326]</span>
-così irrequieti e mossi in vario senso, vi completano
-l'idea della agitazione espressa dalla parte superiore
-di quelle dodici figure. Nel mezzo, solo i piedi
-di Cristo si mostrano queti e composti....
-</p>
-
-<p>
-Giovanni nella semplicità amorosa dell'animo suo pare
-che dica: — Ma questo non è possibile! Di una mostruosità
-tale niuno di noi può essere capace! — San Pietro
-allarga violentemente le braccia come porta l'indole
-sua. È l'uomo che poi tirerà fuori il coltello e taglierà
-l'orecchio a Malco. Par di sentirlo gridare: — Fuori il
-nome del traditore! Noi vogliamo saperlo ed esser puri
-d'ogni sospetto. — Il penultimo degli apostoli, a destra
-di chi guarda l'affresco, ha un lieve torcimento degli
-occhi e della bocca e, parlando piano al vicino, fa un
-accenno.... Si capisce che ha un vago sospetto di Giuda....
-Giuda, che incarna la bruttezza del tradimento, si volta
-repentinamente, come per udire le parole dell'apostolo
-che parla dietro di lui. Si indovina l'uomo che vorrebbe
-dissimulare, prendendo un contegno disinvolto; ma intanto
-con un movimento inconscio del gomito versa la
-saliera. Il sale si sparge sulla tovaglia e con questo segno
-sinistro di mal augurio, pare che il triste dramma
-venga lugubremente suggellato.
-</p>
-
-<h3>IV.</h3>
-
-<p>
-Su questa grande parete, Leonardo da Vinci inaugurò
-la <i>pittura nuova</i> perchè infuse nell'arte la pienezza della
-vita, rivendicando insieme ad essa la più completa libertà.
-Lo sentirono i contemporanei; e il <i>Cenacolo</i> fu
-l'opera che diede più gloria all'artista.
-</p>
-
-<p>
-Ma, parlando in genere, se egli ebbe vivendo fama
-grandissima, possiamo noi anche affermare che riscosse
-favori corrispondenti al suo merito? Non credo. Chi studia
-<span class="pagenum" id="Page_327">[327]</span>
-attento la vita di Leonardo, vede un intimo dissidio
-fra l'arte sua e lo spirito che ormai domina ne' tempi
-suoi. Nel grande e risolutivo andazzo che andava a prendere,
-l'arte italiana, la quale era salita su per tutti i
-gradi della preparazione e della elaborazione, ormai
-voleva slanciarsi. Tutti quegli artisti, già così forti
-nella tecnica e così pieni di fantasia, non volevano più
-stare alle mosse e cercavano novità. Leonardo invece si
-mantiene fedele all'ideale artistico della sua epoca gloriosa.
-</p>
-
-<p>
-Un senso d'inquietudine trae ogni giorno più gli artisti
-ad un'arte frettolosa, sommaria e decorativa. Anche
-la Chiesa, presentendo la grande bufera che si approssima,
-domanda che l'arte si trasformi, che si spinga ad
-un fare più largo e magniloquente, come per mettere
-fra sè e i tempi nuovi un antemurale di bellezza spettacolosa
-che seduca e fermi la fantasia dei popoli. Aggiungete
-infine che, per la perdita della indipendenza e
-delle libertà locali, per l'abbassamento della moralità,
-per l'invasione, l'amalgama e il bastardume delle costumanze
-straniere, la vita italiana languiva e precipitava;
-e l'arte, la nostra grande arte, unica energia ormai rimasta
-in piedi, era costretta a colmare, ma in fretta,
-tutti questi vuoti, tutte queste voragini; e le vecchie
-forme pareva che più non bastassero. Ma Leonardo
-volle resistere a tutte queste correnti, e star fermo all'arte
-sua coscienziosa, equilibrata e casta, che era in
-sostanza l'arte del Botticelli e degli altri migliori di quel
-secolo, inalzata a una maggiore potenza. Egli volle essere,
-e fu in fatti, l'ultimo dei quattrocentisti e il più
-grande di tutti. Ma pagò cara questa gloria. Egli fu uno
-sconfitto, ed uscì dall'arringo come un vinto. Nella sua
-vita ebbe molti onori, ebbe amplissime lodi; ma però
-guardate: i periodi della sua vita finiscono sempre in
-un modo sinistro. Nel suo primo periodo Lorenzo il Magnifico,
-<span class="pagenum" id="Page_328">[328]</span>
-che è così largo di protezione a tutti, a Leonardo
-mostra, non dirò il malo animo e quasi l'odio,
-come colla sua alfierana fantasia ha supposto il Ranalli
-nella sua preziosa storia delle belle arti; ma, insomma,
-Lorenzo il Magnifico non tiene molto conto di Leonardo,
-e quando il Moro da Milano glielo chiede (se è vero che
-glielo chiedesse) Lorenzo lo concede volentieri, perchè
-tra le altre cose l'indole strana, fiera di Leonardo non
-era probabilmente fatta per gratificarsi l'animo di un
-principe che, per quanto liberale si fosse, amava però
-di vedere ricambiata la magnificenza del suo mecenatismo
-con molta sottomissione e sopra tutto con l'essere
-richiesto di consiglio. Voi sapete che Lorenzo amava
-d'andare sopra i lavori degli artisti e proverbiarli e correggerli.
-Diceva per esempio al giovane Michelangiolo:
-“Cava un dente a quel vecchio satiro„, e Michelangiolo
-lo cavava docile. Chi sa se Leonardo avrebbe avuto così
-pronta arrendevolezza?... Io molto ne dubito; e penso
-che per questo egli non potè mai entrare appieno nelle
-grazie del Magnifico. Il suo secondo periodo è il più
-brillante. Alla corte del Moro egli è riconosciuto, carezzato,
-festeggiato; ma in sostanza l'utile fruttuoso pare
-che fosse scarso, se dobbiamo rilevarlo da un frammento
-di lettera in cui dice, in sostanza, al Moro: — Con tutti
-questi onori, con tutte queste commissioni io non cavo
-da vivere, non mi sono avanzato nemmeno quindici lire. — E
-il frammento chiude con una frase tristissima:
-“Io non voglio mutare la mia arte.„ Quanta differenza,
-o signore, tra questa umile e sconsolata lettera e la lettera
-piena d'onesta baldanza con cui Leonardo si faceva
-precedere nella sua andata a Milano! Allora egli diceva
-al duca: — Io so fare questo e questo; tutto ciò che
-gli altri fanno io lo faccio, e, sia chi voglia, meglio di
-loro. Mettetemi alla prova! — Anche questo periodo
-adunque, principiato bene, si chiude con una sconfitta.
-<span class="pagenum" id="Page_329">[329]</span>
-Leonardo dopo va errando prima agli stipendi del Valentino,
-poi a Firenze col Soderini. Si cimenta con Michelangiolo
-ed è molto onorato, perchè in questa gara
-di due giganti, nessuno ha il coraggio di decidere quale
-sia il perdente e quale il vincitore. Ma poi, allor che si
-viene alla esecuzione del cartone celebratissimo, nascono
-subito dei guai e delle contese; e noi vediamo il Soderini
-che comincia a non lodarsi più di Leonardo, e Leonardo
-che comincia a trattar male il Soderini. Insomma,
-anche quando è fortunato, Leonardo non consegue mai
-quella specie di alto dominio che esercitarono altri artisti,
-certamente grandi, ma forse non più grandi di
-lui, come Michelangiolo, come Raffaello; artisti davanti
-ai quali i principi e i papi stavano trepidanti, e mandavano
-delle legazioni per risolvere questioni sorte fra
-loro, e non avevano pace finchè non li vedevano attratti
-di nuovo nell'orbita del loro principato.
-</p>
-
-<p>
-Tantochè Leonardo da Vinci negli ultimi anni è costretto
-ad espatriare; e, bisogna confessarlo, trovò sorte
-più lieta e più benigno mecenatismo in Francia che in
-Italia. Questo mi pare che risulti evidentemente dalla
-sua vita. Come già era stato liberalmente protetto da
-Luigi XII, fu liberalmente ospitato ed onorato, secondo
-i meriti suoi, da Francesco I, questo re che non fu
-certo un modello di buon costume, ma che col suo spirito
-cavalleresco seppe tanto bene farsi perdonare i difetti;
-e che noi dobbiamo ricordare con gratitudine.
-Fatto è che per invito suo Leonardo da Vinci col suo
-caro alunno Francesco Melzi, col suo fedele Salai va in
-Francia. Oltre una pensione di 700 scudi d'oro, il Re
-gli alloga il castello a Cloux presso Amboise; e là può
-il grande italiano spendere finalmente i suoi ultimi anni
-di vita nella perfetta quiete dell'animo e darsi intero e
-libero alle occupazioni predilette del suo spirito.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_330">[330]</span>
-</p>
-
-<p>
-In Francia Leonardo da Vinci finisce i suoi giorni e
-li finisce pacifico e riconciliato con tutti. Se lo avevano
-accusato di poca reverenza verso gli antichi, egli aveva
-già ordinato al Platina di fargli un epitaffio in cui dice:
-“Io studiai gli antichi ma non potei però raggiungere
-la loro divina simmetria. Feci quello che potei. O posterità,
-siimi indulgente! <i>Veniam da mihi, posteritas.</i>„
-E muore riconciliato colla Chiesa, con la quale, a detta
-del Vasari, non fu sempre in troppo buoni termini; e
-nel suo testamento raccomanda l'anima sua a Dio, alla
-Vergine e a non so quanti altri santi del Calendario.
-Muore riconciliato colla famiglia verso la quale aveva
-avuto delle liti non piccole per causa di eredità, lasciando
-ai suoi fratelli 400 scudi che teneva sopra un
-banco fiorentino.
-</p>
-
-<p>
-È cosa singolare, o signore! Finalmente nel suo testamento
-noi incontriamo un nome di donna. Ma che i romanzieri
-e i poeti non si esaltino. Non si tratta della
-Giulia Gallerani nè della Cecilia Crivelli, nè della Lisa
-del Giocondo, nè della bella Ferroniera; si tratta di una
-certa Maturina, a cui lascia un po' di denaro e un po' di
-roba in cambio dei buoni servigi ch'essa gli aveva reso.
-È dunque il caso d'una povera serva, per giunta forse
-vecchia e brutta. Ecco l'unico episodio femminile, se
-così si può chiamare, di quest'uomo che aveva versato
-nelle sue tele tutte le più squisite e poetiche suggestioni
-dell'amore. E a me non dispiace. In fondo quella povera
-vecchia avrà dato all'artista, tanto combattuto e tanto
-travagliato, gioie e servizi umili ma preziosi, che i potenti
-coi loro favori, spesso in mal punto dati e sgarbatamente
-tolti, non gli avevano procurato mai. Lo avrà
-scaldato negli inverni rigidi di Cloux, gli avrà preparato
-il desinare, lo avrà curato, confortato, e colle sue
-goffaggini e facezie di vecchia serva, qualche volta forse
-anche rallegrato nelle ore più tristi della infermità e
-<span class="pagenum" id="Page_331">[331]</span>
-del tedio. E allorchè il vecchio pittore sarà morto, non
-Francesco primo re di Francia e Navarra, come dice la
-favola, ma lei, lei, questa povera vecchia avrà chiusi
-quegli occhi che avevano veduto tante meraviglie.... Che
-importa? Essa glieli avrà chiusi con quel senso di
-schietta pietà che quaggiù inalza tutti ad un modo, perchè
-è l'unico attributo, o signore, divinamente dato alla
-nostra umanità.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_332">[332]</span>
-</p>
-
-<h2 id="veneziana">L'ARTE VENEZIANA
-<span class="smaller">DEL RINASCIMENTO</span></h2>
-
-<p class="center">
-DI
-</p>
-
-<p class="center large">
-POMPEO MOLMENTI.
-</p>
-</div>
-
-<p class="pad2">
-Correva l'anno 1495 (perdonate, o Signori, se incomincio
-come usava nei vecchi romanzi storici di mezzo
-secolo fa), correva l'anno 1495 e Filippo de Commines,
-ambasciatore di Carlo VIII, entrando a Venezia, esclamava
-ammaliato: — la più trionfante città che io abbia
-mai veduta! — E, in vero, dall'aprirsi del secolo quintodecimo
-fino quasi alla fine del XVI, la vita di Venezia
-sembra un trionfo. Prorompono affetti ed entusiasmi,
-e tutto vive in un contrasto che pare aumenti l'energia.
-In questo tempo appunto, fra la metà circa del quattrocento
-e lo scorcio del cinquecento, nasce, cresce, matura,
-declina l'arte veneziana. È una vita breve, rapida, piena
-di agitazioni e di esultanze. La pittura, fra le lagune,
-sboccia a un tratto quasi senza lavoro di preparazione.
-Nel secolo XIV, allora che Giotto compiva le sue divine
-opere, in Assisi e in Padova, e fino quasi alla metà del
-secolo seguente, i tentativi di alcuni timidi pittori veneziani
-non possono chiamarsi col nome d'arte.
-</p>
-
-<p>
-Ma, circa l'anno 1422, la Repubblica, volendo dipingere
-una sala del Palazzo Ducale, chiamava Vettor Pisanello
-di Verona, eminente artefice, e Gentile da Fabriano,
-<span class="pagenum" id="Page_333">[333]</span>
-la mano del quale, al dire di Michelangelo, non
-facile lodatore, era gentile come il nome. Durante la
-loro dimora fra le lagune essi segnarono un avanzamento
-nell'arte, ed esercitarono una azione efficace sulle
-opere dei primi artefici veneziani, specie del Vivarini.
-</p>
-
-<p>
-Dopo aver dipinto, in Palazzo Ducale, la battaglia
-navale presso Pirano, tra l'armata veneta e quella del
-Barbarossa, Gentile da Fabriano partiva per Roma, accompagnato
-da un giovane pittore veneziano, Jacopo
-Bellini. Della vita di Jacopo poco o nulla si sa; il Vasari
-si limita a dire, che, ritornato in patria, egli era
-nella sua professione il maggiore e più reputato.
-</p>
-
-<p>
-Del resto, di quasi tutti quegli artefici, che espressero
-il sentire profondo della giovane arte veneziana, ci è
-sconosciuta la vita. Prima della gran luce di Tiziano,
-quei casti ingegni non viveano se non per l'arte, dimenticando
-ogni cosa, non d'altro desiderosi che di farsi dimenticare.
-</p>
-
-<p>
-Il nome di Jacopo Bellini è menzionato più per essere
-stato padre di Gentile e Giovanni che per le opere
-sue. A torto, perchè egli veramente segna l'alba di quella
-pittura, che sbocciò subito dopo, tutta fiori, odori e colori.
-A rendere in breve tempo splendida e rigogliosa
-quest'arte, contribuirono l'ordinamento politico, la postura
-della città e l'indole degli abitanti.
-</p>
-
-<p>
-L'onnipotenza dello Stato teneva unite e dirigeva le
-forze della nazione, e ora le spingeva a creare la libertà
-e ad arricchire la patria, ora, distraendole dalla politica,
-le rivolgeva a trasformar la città in tempio dell'arte.
-</p>
-
-<p>
-E intorno a quest'arte ricorreva, come nimbo glorioso,
-la natura circostante, con tutto il fascino di una bellezza
-incomparabile. Qui pare abbia più incanti la luce
-del sole, più dolcezze melanconiche il tramonto. I vapori
-dell'aria tolgono ogni rigidezza di contorni alle cose e
-le immergono come in un'onda eterea; i mille strani
-<span class="pagenum" id="Page_334">[334]</span>
-sbattimenti delle acque, i miraggi di madreperla degli
-orizzonti lontani, i dorsi di sabbia che s'alzano dalla laguna
-e rifulgono di tinte dorate, s'intrecciano in un'armonia
-stupenda, dove, senza eccesso e senza volgarità,
-l'azzurro e l'arancio si uniscono, e il violaceo si congiunge
-al giallo, e lo smeraldo al giacinto, e il diaspro
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">par che si mischi in flessuosi amori</p>
-<p class="i01">con l'ametista.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Chi nasce in quest'aura ed abbia il senso dell'arte è
-naturale debba comprendere tutte le ricchezze e le gioie
-del colore. Venezia è veramente la reggia del colore. E
-per questo appunto nell'arte veneziana incontriamo pochi
-nomi di statuari eminenti, e anche questi architetti
-e decoratori, come i Delle Masegne, il Buono, il Rizzo,
-i Lombardo, il Vittorio, i quali tutti seppero trarre dalle
-due arti ornamenti svariati e leggiadri. Gli architetti violavano
-ogni regola, sfuggivano la simmetria, e raggiungevano
-l'armonia, trasportavano, negli edifizi delle lagune,
-la poesia fastosa dell'Oriente, emulando con le seste
-il pennello. E infatti le pietre, con le loro armonie di
-colore, servivano di tavolozza e sulle facciate dei palazzi
-brillavano il porfido, il serpentino, il verde antico, la
-breccia, il broccatello. Ecco forse perchè qui, più che
-altrove, tardò a comparire, sulle tavole e sulle tele, la
-pittura, che avea agio di manifestarsi nell'accordo dei
-marmi variopinti. Anche si dipingevano i prospetti.
-Quando il Procuratore Contarini ordinò a Giovanni Buono
-la facciata della casa, chiamata d'Oro, non già per aver
-appartenuto alla famiglia patrizia Doro, ma per le dorature
-di cui era adorna, fu fatto il contratto il 30 aprile
-1430. Compiuta la facciata, che, nonostante le offese del
-tempo, ride ancora di una immortale bellezza, fu chiamato
-mastro Giovanni di Francia, per ornarla <i>de pentura</i>.
-Come dovea allora apparire quel gioiello della veneta
-<span class="pagenum" id="Page_335">[335]</span>
-architettura! Maestro Giovanni s'impegnava di dorar le
-rose, gli stemmi, i leoni, gli archetti, il fogliame dei
-capitelli e i dentelli, dipingere <i>le tresse dazuro oltremarin
-fin ben dopiado per muodo che i la stia benissimo</i>.
-Le merlature doveano essere dipinte con biacca e venate
-a guisa di marmo; le fascie bizantine a tralci di
-vite, tinte di bianco su fondo nero, e tutte le pietre
-rosse e tutte <i>le dentade rosse sia onte de oio e de vernixe
-con color che le para rosse</i>.
-</p>
-
-<p>
-Passando pel Canal Grande, e ammirando la Cà d'Oro
-e i palazzi dipinti dai migliori maestri dell'arte, poteva
-bene Filippo de Commynes esclamare: — C'est la plus
-belle rue que je croy qui soit en tout le monde.&nbsp;—
-</p>
-
-<p>
-Dodici anni più tardi, sul Fondaco dei Tedeschi, dipingeano
-a fresco Tiziano e Giorgione. A Giorgione furono
-dati 150 ducati dell'opera sua, in cui ebbe a cooperatore,
-per gli ornamenti, il Morto da Feltre, il quale, secondo
-una leggenda, abbellita dal verso, rapì l'amante al
-maestro ed amico, che ne morì di dolore. Ma il Vasari
-attribuisce la morte di Giorgione a un male più prosaico.
-</p>
-
-<p>
-Quanta forza e quanta efficacia ha sull'indole umana
-la qualità del luogo dove si nasce! E come le persone
-e le vesti dei veneziani si accordavano, in quei tempi,
-con la vita festante, coll'architettura fantastica, colle
-trasparenze opaline dell'aria, coi riflessi delle acque!
-Una vecchia cronaca dice che, nel 1433, a Venezia, più
-di seicento donne andavano fuori di casa <i>vestite di seta,
-oro, joje, che è una maestà vederle</i>. Le belle veneziane
-ci appaiono vestite di broccato d'oro, di velluto ricamato
-d'argento, di tela a fiorami dai più vaghi colori, col
-breve busto fregiato di gioielli e le spalle ignude, adorne
-di perle, di gemme, di diamanti, di monili, di oggetti
-d'oro e d'argento. Una Contarini, sposa a Jacopo Foscari,
-l'infelice figlio del Doge, avea nel corredo, tra
-molte vesti di seta, un abito di broccato d'oro con maniche
-<span class="pagenum" id="Page_336">[336]</span>
-piccole: un altro in campo d'oro ricinto di cremisi
-con maniche aperte, foderate di vaj, con la coda
-di un braccio e mezzo; un terzo di panno in campo
-d'oro e paonazzo foderato d'ermellini: un quarto con
-maniche cadenti a terra, dette arlotte, d'ormesino broccato,
-e via via. La donna veneziana non rivive nelle
-pagine degli storici e dei poeti, ma palpita ancora nelle
-tele degli artefici come a traverso una gaia fantasmagoria
-di colori. La ricerca e la femminile brama di tutto
-ciò che splende e brilla erano portate qualche volta all'eccesso.
-Non bastarono alla donna le vesti a tinte audaci,
-ma si voleano ravvivar col belletto i pallidi colori
-delle guancie. E perfino, perdonate all'osservatore del
-passato questo strano particolare, perfino si colorivano
-le mammelle, che le vesti oltremodo scollacciate non
-lasciavano ignorar allo sguardo. Un poeta popolare del
-cinquecento scrive:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Fazzandose le tete rosse e bianche</p>
-<p class="i01">E descoverte per galantaria.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-E i capelli si tingevano in biondo, il colore, che, sui
-bei capi femminili, stacca come un'aureola dorata sul
-fondo dei canali oscuri, delle viuzze buie, dei bruni palazzi.
-Cento ricette, una più curiosa dell'altra, esistono
-per dare la tinta e la lucentezza dell'oro alla chioma.
-Vedete bizzarrie delle mode, che hanno i loro ritorni,
-come le civiltà di Vico! Per rasciugare i capelli tinti,
-le donne si esponevano al sole sopra i tetti delle case,
-in una specie di loggia scoperta, chiamata <i>altana</i>, e là
-sedevano vestite di tela leggera con in testa un cerchio
-di paglia finissima a foggia di tesa di cappello, detto
-<i>solana</i>.
-</p>
-
-<p>
-Ricche e variopinte anche le vesti degli uomini. I patrizi,
-secondo i vari uffici e le solennità, andavan vestiti
-di raso, di velluto, di zendado cremesino, di broccato
-<span class="pagenum" id="Page_337">[337]</span>
-d'oro. Nell'inverno, gli abiti, con ricami di cordoni
-d'oro e d'argento, si foderavano con finissime pelli di
-gran prezzo. Elegantissimo il costume dei Compagni della
-Calza, brigate di gentiluomini uniti nell'intento di dare
-feste, tornei, spettacoli d'ogni maniera. Si chiamavano
-della Calza, perchè portavano sugli stretti calzoni un'impresa
-a colori. I giubberelli attillati di velluto, di seta,
-ricamati d'oro e stretti da un cingolo, avevano le maniche
-tagliate per lo lungo e riunite da nastri, che lasciavano
-scappar fuori gli sbuffi della camicia. Le calze
-strette a striscie colorate longitudinali, le scarpe forate
-in punta, su le spalle un mantello di panno d'oro, di
-damasco o di velluto cremesino, con un cappuccio sulla
-cui fodera era ricamata l'impresa della Compagnia. Di
-sotto a un berretto nero o rosso, ornato in punta da un
-gioiello e pendente sull'orecchio, scappava la chioma,
-allacciata da una fettuccia di seta.
-</p>
-
-<p>
-Nelle feste religiose e civili, nelle incoronazioni dei
-dogi e delle dogaresse, nei ricevimenti di re e di principi,
-nel commemorar vittorie, nelle nozze, perfino nei
-funerali, sempre e dovunque il trionfo del colore, un
-poema di magnificenze.
-</p>
-
-<p>
-Nei palazzi, i ricevimenti, i banchetti, gl'inviti, i festini
-doveano sembrare mirabili fantasmagorie. La luce
-dei doppieri faceva scintillare le pareti ricoperte d'oro,
-d'arazzi, di specchi di Murano, i velluti e le sete d'ogni
-colore, le splendide gemme. La magnificenza patrizia
-scendeva dai palazzi alle vie, dove la città s'agitava felice,
-gioiosa di contemplarsi ed ammirarsi. Sulla piazza
-e sulle strade passavano le gentildonne colle vesti più
-magnifiche del mondo; i patrizi nelle loro splendide toghe
-come, osserva un viaggiatore tedesco del quattrocento,
-se fossero tanti vescovi; i levantini dalle fogge
-variopinte e bizzarre.
-</p>
-
-<p>
-Un altro viaggiatore, il milanese Casola, che, nel 1494,
-<span class="pagenum" id="Page_338">[338]</span>
-fu presente alla processione del <i>Corpus Domini</i>, sulla
-piazza di San Marco, non trova parole per descrivere i
-gentiluomini vestiti di aurei drappi e di velluti, la ricchezza
-degli addobbi, la profusione dei fiori, la quantità
-dei ceri, la varietà dei colori. Gl'ingressi dei Procuratori,
-dei Patriarchi, dei Cancellieri Grandi, ecc., parevano
-trionfi. E trionfi si chiamarono le incoronazioni dei
-Dogi e delle Dogaresse — affascinanti splendori di tinte.
-</p>
-
-<p>
-Meglio conveniva la pompa al decoro dello Stato,
-quando si doveano ricevere re, principi, ambasciatori.
-</p>
-
-<p>
-Cito così come mi vengono alla memoria le dorate
-visioni.
-</p>
-
-<p>
-Nel 1521, il principe di San Severino era festeggiato
-in casa del patrizio Veniero dai Compagni della Calza.
-L'atrio, le stanze, il portico del palazzo tappezzati di
-quadri e d'arazzi: un prezioso panno d'oro era steso nel
-luogo dove il principe sedeva. Sovra una credenza erano
-esposte argenterie pel valore di 5000 ducati. Furono
-invitate quante fra le più belle patrizie erano allora in
-Venezia, tutte in abito d'oro listato in seta. Il principe,
-bello, grazioso e <i>facile ad innamorarsi</i>, osserva il Sanudo,
-ballò fino ad ora tarda. Poi le musiche e i buffoni,
-abbigliati nelle più strane fogge, annunciarono l'ora
-della cena suntuosissima.
-</p>
-
-<p>
-Nel banchetto per le nozze del principe di Mantova
-(1581), dopo la rappresentazione di una commedia, fu
-aperta una bellissima sala, dove sotto un baldacchino
-sedettero i principi, i duchi e i cardinali. Cento gentildonne,
-riccamente abbigliate, erano assise intorno a una
-mensa, risplendente di vetri di Murano.
-</p>
-
-<p>
-L'entrata di Enrico III fu celebrata da storici, da poeti
-e da pittori. Riccamente fantastici furono, in tale occasione,
-gli spettacoli: gite, baldorie, banchetti, luminarie,
-regate. I giovani patrizi, al servizio del monarca, erano
-vestiti con zimarre di seta, e di seta ranciata la guardia
-<span class="pagenum" id="Page_339">[339]</span>
-di onore di sessanta alabardieri, armati di azze. Il re,
-accompagnato dal doge, fu condotto, fra salve di artiglieria,
-a Venezia, sopra una galera di quattrocento rematori,
-seguita da grandissimo numero di galee, di brigantini,
-di fuste, di barche, di gondole, messe ad arazzi
-e panni d'oro, e velluti, e specchi ed armi. Il figlio di
-Caterina de' Medici fu alloggiato nel palazzo Foscari, addobbato
-con arazzi, panni azzurri contesti d'oro, rasi e
-velluti, sparsi di gigli. Poi si succedettero, come in un
-sogno fantastico, altre feste, tornei, processioni, trionfi,
-conviti, cerimonie.
-</p>
-
-<p>
-E tutto intorno, cornice meravigliosa, le acque della
-laguna, e Venezia, mobile, varia, come donna non d'altro
-curante che di piacere e che non domanda se non
-l'omaggio reso alla bellezza. Perchè la bellezza a Venezia
-andava a poco a poco sostituendo l'antica energia,
-come la pompa andava prendendo il luogo della prosperità
-materiale, e il fasto chiudeva i germi della decadenza.
-In fatti, verso la fine del secolo XV, il movimento
-commerciale di Venezia s'arrestò un poco, e la
-scoperta dell'America e il passaggio del Capo di Buona
-Speranza fecero prendere altra via al traffico, in modo
-che al mercato di Rialto, come nota un diarista contemporaneo,
-il Priuli, giungevano molte galere <i>vode senza
-collo di spetie, che mai più da alcuno non era stato
-visto</i>. Ma Venezia non se ne accorgeva, e su quelle
-tristi minacce di prossimo decadimento, gettava spensieratamente
-come un manto d'oro di pompe, di feste, di
-arte. Di arte specialmente, degli allettamenti il supremo.
-</p>
-
-<p>
-Cresce l'artefice nella esuberanza della vita veneziana,
-e in quel meraviglioso movimento l'ingegno si espande,
-si afforza, si accende.
-</p>
-
-<p>
-La pittura, dopo il vigoroso impulso dato da Jacopo
-Bellini e dai Vivarini, apre il suo libro d'oro a nomi
-d'artefici immortali. Fra i primi: i due figliuoli di Jacopo
-<span class="pagenum" id="Page_340">[340]</span>
-Bellini, Giovanni e Gentile, Vettor Carpaccio e
-Cima da Conegliano. Le glorie di quella federazione di
-mercanti, di marinai, di operai, hanno come la consecrazione
-nell'arte, fresca della prima vita. Non più le
-rigide forme artistiche venute da Bisanzio, ma il moto
-e il calore, l'impronta del tempo e del luogo, l'eco dei
-trionfi guerreschi, delle incoronazioni di dogi, dell'arsenale
-fragoroso d'opere. La grandezza politica e guerresca
-di Venezia è recente e l'arte ne raccoglie l'immagine
-con vivacità. Ma la vivacità e la gioia sono come
-velate da un intimo senso di soave dolcezza, che accresce
-le attrattive. È un soffio dell'arte ingenua e pura
-del trecento. A noi qui importa poco saper se gli artefici
-trecentisti fossero più o meno religiosi o virtuosi di
-quelli che li seguirono, nè a noi preme indagare se le
-figure stecchite dei santi esprimano fervide preghiere,
-prelibamenti di beatitudini celesti, ma quelle opere primitive,
-offese da sante ignoranze, hanno i fascini, che
-inspira sempre l'infanzia. Hanno un'attrattiva particolare
-quelle ingenuità, che ci fanno rivedere i pittori dipingere
-<i>col pennello sottile acuto di setole liquide e sottili,
-che entravano su per un bocciuolo di penna d'oca</i>, come
-insegnava il buon Cennino Cennini di Colle di Val
-d'Elsa. E poi i secoli ammorbidiscono i contorni delle
-cose, li fanno vedere come a traverso una leggera nebbia
-di poesia. Il tempo fa acquistare a ciò che trova
-quel colore d'antichità veneranda, che i pittori chiamano
-pattina, e gli Attici negli scritti chiamavano πῖνον. Così
-il corso dei secoli ha involto in un'aura di misteriosa
-religiosità certe vecchie cattedrali gotiche, bianche e
-gaie, simili ad immensi oggetti d'orificeria, al tempo
-della loro gioventù, e che ora parlano colla melanconia
-delle memorie, coi marmi tinti sapientemente dal tempo,
-colla austera maestà delle rovine. Per tal modo, l'arte
-del quattrocento, non essendosi potuta impadronire di
-<span class="pagenum" id="Page_341">[341]</span>
-tutti i mezzi tecnici, conserva ancora la soave imperizia
-del trecento. La timidezza in arte è sinonimo di sincerità.
-E quegli artefici sono timidi e sinceri: qualche
-volta poveri di bellezza esteriore, ma ricchi di sentimento.
-Nella purezza immacolata delle vergini, nella
-serenità cogitabonda dei santi, nella gioia calma degli
-angeli, in ogni espressione sempre vaga e melanconica,
-essi, gl'ingenui quattrocentisti, si proponevano, forse inconsapevolmente,
-dei problemi, che affaticano gli uomini
-del nostro tempo e non ancora hanno trovato una soluzione.
-Ecco perchè noi sentiamo fiorirci nell'animo
-come un vivo desiderio di quell'arte tenue e semplice,
-ecco perchè noi, meglio che i nostri padri, comprendiamo
-quei solitari ricercatori, che furono travolti nello
-strepito allegro dell'arte che li seguì.
-</p>
-
-<p>
-E certamente ai due Bellini, al Carpaccio, al Cima
-dovè sembrare un libertinaggio pittorico la nuova maniera
-di Tiziano. Così Venezia, dinanzi alle bellezze
-femminili di Tiziano e di Paolo, dimenticò la maniera
-di Gian Bellino e degli altri pittori di quel tempo,
-maniera che il Vasari chiama secca, cruda, stentata. Ma
-la critica moderna, più imparziale e più larga, studia
-con amore quella maniera <i>secca</i> e <i>cruda</i> dei primitivi
-maestri veneziani, i quali risentirono l'influsso della
-scuola toscana e l'azione del casto genio nordico. Quel
-non so che esuberante e festivo dell'indole veneziana,
-fu come tenuto in freno dalla purezza dei Toscani e
-dalla temperanza dei maestri del settentrione.
-</p>
-
-<p>
-A poco a poco questa sincerità e questa ingenuità
-dell'arte vanno dileguandosi. Le idee, il gusto si trasformano,
-i costumi si addolciscono sempre più.
-</p>
-
-<p>
-Nell'arte il fiore s'è svolto in frutto. Non più impedimenti
-tecnici — <i>la mano ubbidisce a tutto ciò che vuole
-l'intelletto</i>, per dirla con Michelangelo. Alla morbidezza,
-alla grazia, all'eleganza succedono l'allegrezza, la giocondità,
-<span class="pagenum" id="Page_342">[342]</span>
-l'esultanza. Dagli altari le vergini dolci cominciano
-a sorridere mondanamente, e sulle labbra, un dì
-socchiuse alla preghiera, freme come il desiderio di un
-bacio. Sulle tele, nei marmi il culto della forma; alla
-pittura sobria, delicata, succedono le luminose malìe
-della tavolozza, il fulgore impareggiabile delle tinte, lo
-splendore che accarezza e ammalia l'occhio, ma non
-penetra fino all'animo.
-</p>
-
-<p>
-Sono arti grandi tutte e due, ma una ti parla al
-senso, l'altra all'animo, l'una t'innamora della forma,
-l'altra ti investiga lo spirito.
-</p>
-
-<p>
-Giorgio Barbarella, detto il Giorgione, stacca, per dirla
-con un critico straniero, la pittura dell'ancoraggio del Medio
-Evo per slanciarla sulle onde del Rinascimento, di quel
-Rinascimento che la critica dell'avvenire, sgombra dai pregiudizi
-di cattedra e di accademia, mostrerà quanto di originalità
-abbia tolto all'arte e alla letteratura italiana. Egli
-esce dall'antica timidezza e lascia spaziare il genio a sua
-voglia, moderando però gli arbitrii della fantasia con severe
-cognizioni. Ei modella, tra mille blandimenti, i corpi
-femminili, cui infonde una specie di tôno aureo diffuso,
-e le carni del color dell'ambra, staccano, fra armoniose
-trasparenze, sul fondo del paesaggio dipinto con un
-senso della natura, tutto moderno. I declivi corrono ricchi
-di messi alla pianura, velata da vapori lievi; nulla
-d'arido nel suolo, nulla di triste nel cielo. Egli tramuta
-in realtà l'ideale della madre di Dio, ma sulla fronte
-delle sue madonne, mondanamente formose, sfuma ancora
-l'ombra di una santa dolcezza. Giorgione segna il
-punto di transazione fra la leggenda cristiana e i miti
-dell'antichità. Prima di Giorgione prevale il sentimento
-cristiano, congiunto allo studio della natura, dopo di lui
-predomina l'imitazione dell'antico. I quattrocentisti s'erano
-assimilato lo spirito classico, pur rimanendo cristiani
-nel fondo dell'anima; i cinquecentisti non mirarono
-<span class="pagenum" id="Page_343">[343]</span>
-se non a dar forme nuove ai miti pagani: il passato
-ringiovanisce in nuovi spiriti.
-</p>
-
-<p>
-Tiziano, Paolo Veronese e il Tintoretto, compiono il
-veneto rinascimento. Tiziano è grande come un genio,
-splendido come un re. Non mai la pittura fu come in
-lui forte e ricca. Ma bandite le sottigliezze del pensiero
-e del sentimento, le intime emozioni, in lui non vibra
-se non l'appassionato amore della bellezza. Tutto ciò
-che si move nel cuore, tutto ciò che si agita nella mente,
-come un problema doloroso, non lo arresta, pago di
-rappresentare la vita del senso, dominatrice di quella
-dell'anima.
-</p>
-
-<p>
-Egli ha la tranquillità della forza; spirito che non si
-ascolta e non s'interroga, e accetta la vita com'è, senza
-indagarne i misteri. I suoi ritratti meravigliosi, riproducono
-in modo inarrivabile l'indole del modello, non già
-perchè l'artefice studiasse il pensiero che passava sulla
-fronte o lampeggiava nell'occhio, ma perchè il pittore
-riproduceva, con una abilità non raggiunta più mai,
-ogni accidente del reale, senza cercare più in là.
-</p>
-
-<p>
-I biografi del Tiziano narrano che l'imperatore Carlo V,
-in uno dei suoi giorni di suprema tristezza, volle consultare
-Tiziano per la composizione di un dipinto, nel
-quale fossero rappresentate e la lotta religiosa di quel
-tempo e il suo stesso desiderio di riposo. Alla sua richiesta,
-il maestro rispose, proponendo di rappresentare
-la radiante corte del cielo, presieduta dalle tre persone
-della Trinità, con tutto il seguito di patriarchi, profeti,
-evangelisti, e la Vergine Maria in atto d'intercedere presso
-il figlio, inginocchiata fra le nubi ed attorniata da angeli,
-per i peccati della reale famiglia. Ma il quadro non
-fu mai eseguito, e il pittore tradì la sua libera natura
-solo con la parola.
-</p>
-
-<p>
-E, nel regno della passione e del sentimento, neppure
-il Veronese esercita alcun impero. Egli è il lirico della
-<span class="pagenum" id="Page_344">[344]</span>
-pompa lussuriosa, l'interprete della bellezza irriflessiva,
-il glorificatore del colore e della luce, il mago di un'arte
-che esprimeva la ricchezza, la gloria, la potenza: la ricchezza
-con tutte le sue magnificenze e tutte le sue pompe,
-la potenza con tutte le sue energie e i suoi ardimenti,
-la gloria con tutte le sue effervescenze e i suoi entusiasmi.
-Sulle sue tele i colori ardono, divampano, guizzano,
-sfavillano, abbagliando il riguardante,
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i02"> sì come il sol che si cela egli stesso</p>
-<p class="i01">per troppa luce....</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Solo a traverso la fantasia del Tintoretto passa qualche
-concetto profondamente triste, ma anch'egli è poi
-attratto dalle fulve bellezze veneziane, anche per lui il
-pensiero, il sentimento, la commozione si trasformano
-in una grazia plastica, in una eleganza materiale. E dietro
-a Paolo, a Tiziano, al Tintoretto, altri artefici giocondi:
-i Palma, Lorenzo Lotto, Bonifazio, Paris Bordone,
-lo Schiavone, il Pordenone, il Bassano e molti ancora,
-che creano una folla di figure ridenti, fra le gaiezze del
-cinquecento.
-</p>
-
-<p>
-Nella donna essi non comprendevano che la venustà
-corporea. Un intenso profumo di sanità e di piacere spira
-dalle rosee carni femminili. Nè meno affascinanti le bellissime
-donne imprigionate le membra opulenti dai vestiti
-d'oro e di broccato.
-</p>
-
-<p>
-Paolo Veronese ha dipinto nel Palazzo Ducale il trionfo
-di Venezia, coronata dalla Gloria, celebrata dalla Fama,
-circondata dalla Virtù, da Cerere e da Giunone, ammirata
-da donne ignude e discinte. Ebbene, o Signori,
-quando io guardo quella fiorente bellezza, che rappresenta
-Venezia, il pensiero corre pei sentieri fioriti di
-quel secolo, e rievoca (non vi paia irriverente il raffronto)
-rievoca la immagine di Veronica Franco, l'Aspasia
-<span class="pagenum" id="Page_345">[345]</span>
-veneziana, adulata dai potenti, riverita dagli uomini
-più illustri, amata da Enrico III, che portò con sè in
-Francia il ritratto della bella cortigiana, dipinto dal Tintoretto.
-E in vero la cortigiana diventa di questo tempo
-la musa dell'arte, ed ha i suoi storici, i suoi poeti, i suoi
-novellatori, i suoi pittori. Di tai donne a Venezia ce
-n'è un infinito numero, scrive il Bandello, e le chiamano
-<i>con onesto vocabolo</i> cortigiane. — Cesare Vecellio ce le
-descrive coi capelli arricciati, e la veste aperta sul seno,
-con monili d'oro e d'argento, catene d'oro, seriche vesti,
-cappe di velo di seta, pianelle bianche e calze ricamate.
-<i>Sono molto simili alle nobili venetiane appresso coloro
-che non hanno la pratica della loro conditione</i>, osserva
-Cesare Vecellio. Nelle loro case, splendenti di serici parati,
-di cuoi dorati, di arazzi, convenivano gli artisti.
-E, fra le congreghe liete, s'alzava molte volte acuta e
-squillante la risata maligna di Pietro Aretino.
-</p>
-
-<p>
-Era una serenità imperturbabile, la vita non aveva
-per quegli uomini giocondi inquietudini e amarezze, tutto
-per essi era limpido e calmo. Le passioni umane, le ire,
-la curiosità non turbavano quelle fronti serene. Parecchi
-fra gli artefici, Tiziano e Paolo, ad esempio, pieni
-di speranze e di fantasie, venivano dal luogo natio alle
-lagune, ricambiando l'ospitalità cortese di Venezia, allietando
-la città dei più bei fiori dell'arte. Aveano amicizie
-di re, protezioni d'imperatori, ma non servirono
-mai ad altro che agli occhi delle belle donne. In amore
-non erano dell'avviso di Michelangelo, che cioè l'amore
-fosse <i>un concetto di bellezza immaginata</i>, ma cercavano
-il dolce oblìo d'ogni cura nella bellezza delle veneziane,
-che vivono nelle loro tele d'una vita immortale.
-</p>
-
-<p>
-I problemi del mondo psichico non li tormentavano,
-non cercavano l'espressione intensa, ma l'atteggiamento
-elegante. Lasciavano libero il volo alla fantasia e si piacevano
-delle più strane licenze. Paolo poneva a canto il
-<span class="pagenum" id="Page_346">[346]</span>
-Redentore figure nude e licenziose, alla Santa Cena faceva
-intervenire uomini d'arme tedeschi, servitori che
-gettavano sangue dal naso, apostoli che si stuzzicavano
-i denti colla forchetta. Ciò parve irriverente al Sant'Uffizio,
-che diede una buona ramanzina al Veronese, il
-quale sorridendo rispose che egli dipingeva figure e non
-caratteri, che i pittori possono pigliarsi <i>quella licentia
-che si pigliano i poeti e i matti</i>, e che faceva i suoi
-quadri <i>senza prendere tante cose in consideration</i>.
-</p>
-
-<p>
-— <i>Fare i quadri senza prendere tante cose in consideration</i> — ecco
-tutte le loro teoriche ed ecco tutta la
-loro forza. La lotta artistica non deve essere di parole,
-non di teorie, ma di opere e di esempio, se vuole il trionfo.
-Comparate la fecondità di quegli artefici alla stentata
-opera moderna, quei quadri immensi, compiuti con inarrivabile
-prestezza di concetto e di eseguimento, senza
-sforzo (la <i>Gloria del paradiso</i> del Tintoretto è una tela
-alta metri 7,50, larga 24,60), coi nostri quadretti di pochi
-palmi fatti, rifatti, torturati nell'ansia della ricerca. Noi
-nulla soddisfa oggi, essi di tutto si appagavano allora — noi
-raffinati e anemici, essi pieni di vigoria e di salute — noi
-dissolvitori, essi creatori — noi critici, essi artisti.
-</p>
-
-<p>
-Ma in tutta l'arte veneziana del Rinascimento, dai
-primi maestri agli ultimi lieti cinquecentisti, eccezion
-fatta per qualche isolata espressione religiosa, come in
-Giovanni Bellini, o per qualche meraviglioso ritratto di
-Tiziano e di Paolo, una cosa sopra le altre ci arresta,
-ed è l'evidenza con cui è ritratta la folla. Persino nei
-pittori amabilmente timidi del primo periodo dell'arte
-v'è un senso della decorazione, un gusto dei colori, che
-è come il riflesso della vita festosa. Il protagonista dei
-loro quadri non è mai un uomo, ma il popolo, nessuna
-figura attira particolarmente la nostra attenzione e l'occhio
-vaga soddisfatto sulla folla composta, tranquilla nei
-suoi movimenti, ma gaia e variopinta. Così nei quadri
-<span class="pagenum" id="Page_347">[347]</span>
-del Carpaccio e di Gentile Bellini, protagonista è Venezia
-con le sue feste pubbliche, che chiede all'Oriente
-l'opulenza e i colori, lieta di strepiti guerreschi e di fervore
-operoso. Poi viene la folla romorosa e festante dei
-pittori successivi, nelle opere dei quali si sente ancora
-oggi come un'eco dell'allegria veneta, delle luminarie,
-delle fiere, delle giostre, delle serenate, delle regate.
-</p>
-
-<p>
-A differenza degli artefici toscani, che s'arrestano particolarmente
-al singolo individuo, all'espressione del
-volto, i Veneti ritraggono con amabile e vivace superficialità
-la vita reale agitata e romorosa. Tale l'arte, tale
-la vita. Che cosa è l'uomo a Firenze? Figure energiche
-austere dominano la folla. Farinata, Dante, Giano della
-Bella, Michele di Lando. A Venezia invece l'uomo è assorbito
-dallo Stato. Lo Stato non permette all'iniziativa
-individuale di esercitarsi in tentativi isolati, lasciando a
-ciascuno la responsabilità della propria sorte, e quindi
-ogni uomo coordina la sua azione a quella degli altri.
-Le virtù militari e civili non fanno che accrescere la
-gloria dello Stato, il quale veglia geloso perchè l'uomo
-non acquisti troppa autorevolezza, perchè la libertà non
-s'infoschi intorno a un trono. Qui non avrebbero potuto
-fiorire le ambizioni medicee. Questa cura di tutto eguagliare,
-perchè nessuna autorità potesse innalzarsi, perchè
-nessuna potenza individuale potesse sorgere minacciosa
-di fronte alla repubblica, la vedete in ogni atto
-dello Stato veneto.
-</p>
-
-<p>
-Tale la vita, tale l'arte. Gli artefici toscani, o sulla
-tela o nel marmo, ritraevano, ben distinti, gli uomini
-celebri del loro tempo, gli amici più cari, gli avversari
-più odiati. E con tanta diligenza ne studiavano le sembianze,
-da esserci tramandati perfino i nomi di taluni
-personaggi riprodotti sulle tele o nei marmi. Donatello
-dovea scolpire sul campanile del Duomo una statua di
-Geremia o di Salomone, e vi pose invece il ritratto di
-<span class="pagenum" id="Page_348">[348]</span>
-Francesco Soderini. Negli affreschi della cappella Brancacci
-possiamo notare Masolino, Masaccio, Filippino, Botticelli
-e Pollaiuolo. E Luca Signorelli ritrae nei freschi
-del Duomo d'Orvieto sè stesso e molti amici suoi: Nicolò,
-Paulo e Vitellozzo Vitelli, Giovan Paolo ed Orazio
-Baglioni. I pittori veneti invece badavano unicamente a
-ciò che stava bene nel quadro, e nel quadro ritraevano
-coloro che avevano pittoresco il tipo e non altri. Se qualcuno
-volea la sua effigie tramandata ai posteri in qualche
-tavola di artefice insigne, bisognava ne desse commissione,
-come la famiglia Pesaro nella pala di Tiziano
-ai Frari, e i Pisani nel quadro del Veronese, rappresentante
-la famiglia di Dario ai piedi di Alessandro. Nelle
-scene dipinte dai Veneziani, l'uomo si confonde fra l'agitazione
-elegante della folla. Questo principio di predominio
-della casta sull'individuo, che formò la grandezza
-civile e artistica di Venezia, fu poi anche causa della
-sua decadenza, giacchè l'iniziativa privata, la libera spontaneità
-individuale e la personale responsabilità non vennero
-in aiuto dello Stato decadente.
-</p>
-
-<p>
-E in fatti, dal chiudersi del cinquecento in poi, ruinano
-le sorti di Venezia, la quale scema ogni anno di
-tesoro e di dominio. Anche la sua arte splendida infiacchisce
-per ripigliare nuova forza nell'ultimo secolo della
-repubblica, quasi a confortare l'agonia della singolare
-città. L'arte del seicento offerse il passaggio dallo splendido
-naturalismo del cinquecento all'elegante raffinatezza
-del settecento. Ma già alla fine del secolo sedicesimo,
-nelle botteghe dei pittori, l'arte decade precipitosamente.
-</p>
-
-<p>
-Il corteo mesto e rado, che, fra la desolazione della
-città atterrita dalla peste, segue, nel 1576, la bara di Tiziano,
-sembra il funerale della grande arte veneziana.
-L'ultimo de' suoi forti campioni, che vide spegnersi a
-poco a poco la gloria pittorica di Venezia fu Jacopo Tintoretto,
-<span class="pagenum" id="Page_349">[349]</span>
-dilungato dal mondo, ridotto a perpetui ragionari
-con le sue idee.
-</p>
-
-<p>
-Morì nel 1597. Sette anni prima gli era morta la figlia
-Marietta, bella, buona, giovane, celebre ormai nella pittura
-e nella musica. Il misero padre si vide gittato dalla
-corrente della sventura sulla riva, come un avanzo di
-naufragio. Anche i suoi maestri, i suoi compagni, i suoi
-amici — Tiziano, Paolo — tutti se ne erano andati alla
-pace, che non ha turbamenti. La sua vita s'era ridotta
-a un trepido silenzio; conforto unico — l'arte. E negli
-ultimi istanti della sua vita, certo, alla dolce immagine
-della sua Marietta si sarà unita la luminosa visione dell'arte,
-nel desiderio supremo che a quest'arte e alla patria
-non fossero per mancare degli altri ingegni da riempire
-di fantasie, degli altri cuori da movere alla passione.
-</p>
-
-<p class="pad2 center large">
-FINE.
-</p>
-
-<div class="somm">
-
-<h2><a id="indice" href="#indfront">
-INDICE.</a></h2>
-
-<table class="indice" summary="">
- <tr>
- <td><span class="smcap">Ernesto Masi</span></td> <td><a href="#magnifico">Lorenzo il Magnifico</a></td> <td class="pag">Pag. 1</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><span class="smcap">Giuseppe Giacosa</span></td> <td><a href="#castelli">La vita privata ne' Castelli</a></td> <td class="pag">31</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><span class="smcap">Guido Biagi</span></td> <td><a href="#fiorentini">La vita privata dei Fiorentini</a></td> <td class="pag">49</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><span class="smcap">Isidoro Del Lungo</span></td> <td><a href="#donna">La donna fiorentina nel Rinascimento</a> e negli ultimi tempi della libertà</td> <td class="pag">99</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><span class="smcap">Guido Mazzoni</span></td> <td><a href="#poliziano">Il Poliziano e l'Umanesimo</a></td> <td class="pag">147</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><span class="smcap">Enrico Nencioni</span></td> <td><a href="#lirica">La lirica del Rinascimento</a></td> <td class="pag">178</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><span class="smcap">Pio Rajna</span></td> <td><a href="#orlando">L'Orlando innamorato del Boiardo</a></td> <td class="pag">205</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><span class="smcap">Felice Tocco</span></td> <td><a href="#savonarola">Il Savonarola e la Profezia</a></td> <td class="pag">236</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><span class="smcap">Diego Martelli</span></td> <td><a href="#pittura">La pittura del 400 a Firenze</a></td> <td class="pag">269</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><span class="smcap">Vernon Lee</span></td> <td><a href="#scultura">La scultura del Rinascimento</a></td> <td class="pag">293</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><span class="smcap">Enrico Panzacchi</span></td> <td><a href="#leonardo">Leonardo da Vinci</a></td> <td class="pag">309</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><span class="smcap">Pompeo Molmenti</span></td> <td><a href="#veneziana">L'arte veneziana del Rinascimento</a></td> <td class="pag">332</td>
- </tr>
-</table>
-
-<hr />
-</div>
-
-<div class="footnotes">
-
-<h2>
-NOTE:
-</h2>
-
-<div class="footnote" id="note1">
-<p><span class="label"><a href="#tag1">1</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Del Lungo</span>, <i>Dino Compagni</i>, II, 464.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note2">
-<p><span class="label"><a href="#tag2">2</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Del Lungo</span>, I, 6.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note3">
-<p><span class="label"><a href="#tag3">3</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Paolo di Ser Pace da Certaldo</span>. — Ms. Riccard. 1383, § 18.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note4">
-<p><span class="label"><a href="#tag4">4</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Sacchetti</span>, n. 17.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note5">
-<p><span class="label"><a href="#tag5">5</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Sacchetti</span>, n. 110</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note6">
-<p><span class="label"><a href="#tag6">6</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Lapo da Castiglionchio</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note7">
-<p><span class="label"><a href="#tag7">7</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Villani</span>, X, 208.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note8">
-<p><span class="label"><a href="#tag8">8</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Perrens</span>, <i>Histoire de Florence</i>, III, 408.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note9">
-<p><span class="label"><a href="#tag9">9</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Del Lungo</span>, I, 96.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note10">
-<p><span class="label"><a href="#tag10">10</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Pucci</span>, <i>Le proprietà di Mercato Vecchio</i>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note11">
-<p><span class="label"><a href="#tag11">11</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Paolo di Ser Pace da Certaldo</span>, § 23.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note12">
-<p><span class="label"><a href="#tag12">12</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Sacchetti</span>, n. 161.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note13">
-<p><span class="label"><a href="#tag13">13</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Capricci e anneddoti di artisti</i>, descritti da <span class="smcap">Giorgio Vasari</span>.
-Firenze, Barbèra, 1878, in-64.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note14">
-<p><span class="label"><a href="#tag14">14</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Sacchetti</span>, nov. 83, fine.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note15">
-<p><span class="label"><a href="#tag15">15</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Ivi, 108.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note16">
-<p><span class="label"><a href="#tag16">16</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Sacchetti</span>, n. 92.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note17">
-<p><span class="label"><a href="#tag17">17</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Paolo di Ser Pace da Certaldo</span>, § 56.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note18">
-<p><span class="label"><a href="#tag18">18</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Ivi, § 76.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note19">
-<p><span class="label"><a href="#tag19">19</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Sacchetti</span>, nov. 32.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note20">
-<p><span class="label"><a href="#tag20">20</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Perrens</span>, III. 330, 331, 335 e segg.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note21">
-<p><span class="label"><a href="#tag21">21</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Paolo di Ser Pace</span>, § 79.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note22">
-<p><span class="label"><a href="#tag22">22</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">G. Dati</span>, <i>Il libro segreto</i>, pag. 100-101.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note23">
-<p><span class="label"><a href="#tag23">23</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Bongi</span>, in <span class="smcap">Zanelli</span>: <i>Le schiave orientali a Firenze</i>. Firenze,
-1885.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note24">
-<p><span class="label"><a href="#tag24">24</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Ivi, VII. Firenze. 1885.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note25">
-<p><span class="label"><a href="#tag25">25</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Zanelli</span>, pag. 40.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note26">
-<p><span class="label"><a href="#tag26">26</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Zanelli</span>, pag. 41.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note27">
-<p><span class="label"><a href="#tag27">27</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Macinghi</span>, pag. 475.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note28">
-<p><span class="label"><a href="#tag28">28</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Zanelli</span>, pag. 83.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note29">
-<p><span class="label"><a href="#tag29">29</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Mazzei</span>, I, 88 prefaz.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note30">
-<p><span class="label"><a href="#tag30">30</a>.&nbsp;&nbsp;</span>La festa di San Giovanni Battista che si fa in Firenze, in
-<span class="smcap">Guasti</span>: <i>Le feste di San Giovanni</i>, Firenze, 1884. pag. 11.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note31">
-<p><span class="label"><a href="#tag31">31</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Nov</span>. 99.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note32">
-<p><span class="label"><a href="#tag32">32</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Nov. 136.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note33">
-<p><span class="label"><a href="#tag33">33</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Sacchetti</span>, n. 178.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note34">
-<p><span class="label"><a href="#tag34">34</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Ivi, n. 105.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note35">
-<p><span class="label"><a href="#tag35">35</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Sacchetti</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note36">
-<p><span class="label"><a href="#tag36">36</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Ivi, 178.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note37">
-<p><span class="label"><a href="#tag37">37</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Ivi, 178.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note38">
-<p><span class="label"><a href="#tag38">38</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Sacchetti</span>, n. 200.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note39">
-<p><span class="label"><a href="#tag39">39</a>.&nbsp;&nbsp;</span>G. <span class="smcap">Villani</span>, X, 150.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note40">
-<p><span class="label"><a href="#tag40">40</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Morelli Guido</span>, <i>Deliberaz. suntuaria del Comune di Firenze</i>.
-Firenze, 1881.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note41">
-<p><span class="label"><a href="#tag41">41</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Fabretti Ariod.</span>, <i>Vestire degli uomini e delle donne in Perugia</i>,
-a pag. 176.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note42">
-<p><span class="label"><a href="#tag42">42</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Villani</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note43">
-<p><span class="label"><a href="#tag43">43</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Del Lungo</span>, <i>La donna fiorentina ne' primi secoli del Comune</i>,
-a pag. 31.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note44">
-<p><span class="label"><a href="#tag44">44</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Fabretti</span>, pag. 208.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note45">
-<p><span class="label"><a href="#tag45">45</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Villani</span>, XII, 4.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note46">
-<p><span class="label"><a href="#tag46">46</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Nov. 137.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note47">
-<p><span class="label"><a href="#tag47">47</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Carducci</span>, Rime antiche da carte di archivi. Nel <i>Propugnatore</i>,
-vol. I, fasc. <span class="smcap lowercase">I</span>, 1888.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note48">
-<p><span class="label"><a href="#tag48">48</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Pellegrini F. C.</span> — Agnolo Pandolfini in <i>Giornale Storico
-della Lett. It.</i>, fasc. 1-2, 1886 a pag. 49.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note49">
-<p><span class="label"><a href="#tag49">49</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Inventario e Regesto dei Capitoli del Comune</i>, pag. 103-108.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note50">
-<p><span class="label"><a href="#tag50">50</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Pellegrini</span>, op. cit., pag. 45.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note51">
-<p><span class="label"><a href="#tag51">51</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Nov. 146.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note52">
-<p><span class="label"><a href="#tag52">52</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Nov. 204.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note53">
-<p><span class="label"><a href="#tag53">53</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Mazzei</span>, I, <span class="smcap lowercase">LVIII</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note54">
-<p><span class="label"><a href="#tag54">54</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Mazzei</span>, I, <span class="smcap lowercase">LVIII</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note55">
-<p><span class="label"><a href="#tag55">55</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Sacchetti</span>, nov. 148.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note56">
-<p><span class="label"><a href="#tag56">56</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Donato Velluti</span>, <i>Cronica</i>, pag. 30-31.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note57">
-<p><span class="label"><a href="#tag57">57</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Corazzini</span>, <i>I Ciompi e Michele di Lando</i>, p. <span class="smcap lowercase">XCVI</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note58">
-<p><span class="label"><a href="#tag58">58</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Giovanni Morelli</span>, <i>Cronica</i>, pag. 280.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note59">
-<p><span class="label"><a href="#tag59">59</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Vol. I, pag. 250.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note60">
-<p><span class="label"><a href="#tag60">60</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Guasti</span>, <i>Lettere di Ser Lapo Mazzei</i>, I, pag. <span class="smcap lowercase">CXXI</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note61">
-<p><span class="label"><a href="#tag61">61</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Pag. 96.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note62">
-<p><span class="label"><a href="#tag62">62</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Guasti</span>, op. cit., pag. <span class="smcap lowercase">CXIX</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note63">
-<p><span class="label"><a href="#tag63">63</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">B. Pitti</span>, <i>Cronica</i>, pag. 86 e 133.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note64">
-<p><span class="label"><a href="#tag64">64</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Morelli</span>, pag. 281.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note65">
-<p><span class="label"><a href="#tag65">65</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Morelli</span>, pag. 284.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note66">
-<p><span class="label"><a href="#tag66">66</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Salvi</span>, prefaz. al <i>Dominici</i>, pag. <span class="smcap lowercase">XIII</span> e <span class="smcap lowercase">XIV</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note67">
-<p><span class="label"><a href="#tag67">67</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Pitti</span>, <i>Cronica</i>, pag. 58.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note68">
-<p><span class="label"><a href="#tag68">68</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Lettere di Ser Lapo Mazzei</i>, I, pag. <span class="smcap lowercase">CI</span>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note69">
-<p><span class="label"><a href="#tag69">69</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Cronica</i>, pag. 33.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note70">
-<p><span class="label"><a href="#tag70">70</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Ivi, pag. 19-20.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note71">
-<p><span class="label"><a href="#tag71">71</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Ivi, pag. 53.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note72">
-<p><span class="label"><a href="#tag72">72</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Vol. II, pag. 221.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note73">
-<p><span class="label"><a href="#tag73">73</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Macinghi</span>, pag. 438.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note74">
-<p><span class="label"><a href="#tag74">74</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Macinghi</span>, pag. 526.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note75">
-<p><span class="label"><a href="#tag75">75</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Macinghi</span>, pag. 587.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note76">
-<p><span class="label"><a href="#tag76">76</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Idem, pag. 600.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note77">
-<p><span class="label"><a href="#tag77">77</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Mazzei</span>, pag. LXXVIII.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note78">
-<p><span class="label"><a href="#tag78">78</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Pitti</span>, pag. 112.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note79">
-<p><span class="label"><a href="#tag79">79</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Rucellai</span>, pag. 72, e segg.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note80">
-<p><span class="label"><a href="#tag80">80</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Pandolfini</span>, ediz. Silvestri, pag. 47 e segg.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note81">
-<p><span class="label"><a href="#tag81">81</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Poliziano</span>, ediz. Sansoni, pag. 299.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note82">
-<p><span class="label"><a href="#tag82">82</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Giostra</span>, ottava 43.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note83">
-<p><span class="label"><a href="#tag83">83</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Borghini</span>, <i>Della moneta</i>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note84">
-<p><span class="label"><a href="#tag84">84</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Tribaldo de Rossi</span>, pag. 260.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note85">
-<p><span class="label"><a href="#tag85">85</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Piccini</span>, <i>Facezie e motti</i>, pag. 95.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note86">
-<p><span class="label"><a href="#tag86">86</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">D'Ancona</span>, <i>Origini del teatro</i>, I, p. 254-255 <i>passim</i>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note87">
-<p><span class="label"><a href="#tag87">87</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Muratori</span>, <i>R. I. S.</i>, II, pag. 739.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note88">
-<p><span class="label"><a href="#tag88">88</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Nozze Supino-Morpurgo, <i>Cerimoniale di Franc. Filarete
-Araldo</i>. Pisa, 1884.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note89">
-<p><span class="label"><a href="#tag89">89</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Guasti</span>, pag. 24. — <span class="smcap">Tribaldo de Rossi</span>, pag. 271.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note90">
-<p><span class="label"><a href="#tag90">90</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">D. Salvi</span>, in <i>Dominici</i>, pag. 252.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note91">
-<p><span class="label"><a href="#tag91">91</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>D. Salvi</i>, in <i>Dominici</i>, pag. 248.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note92">
-<p><span class="label"><a href="#tag92">92</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Pag. 247.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note93">
-<p><span class="label"><a href="#tag93">93</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Frati L.</span>, <i>La morte di L. de' Medici</i> in <i>Arch. Stor. Ital.</i>,
-lett. citata del Dei.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note94">
-<p><span class="label"><a href="#tag94">94</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Vedi più innanzi in questo volume la <a href="#pittura">conferenza</a> di <span class="smcap">Diego
-Martelli</span>, <i>La pittura del Quattrocento a Firenze</i>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note95">
-<p><span class="label"><a href="#tag95">95</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Vedi la <a href="#fiorentini">conferenza</a> di <span class="smcap">Guido Biagi</span>, <i>La vita privata dei Fiorentini</i>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note96">
-<p><span class="label"><a href="#tag96">96</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Vedi la citata <a href="#fiorentini">conferenza</a> su <i>La vita privata dei Fiorentini</i>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note97">
-<p><span class="label"><a href="#tag97">97</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Vedi la <a href="#magnifico">conferenza</a> di <span class="smcap">Ernesto Masi</span>, <i>Lorenzo il Magnifico</i>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note98">
-<p><span class="label"><a href="#tag98">98</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Questi versi appartengono alla penultima stanza dell'edizione
-che si pubblicò dei primi due libri nel 1486: stanza omessa
-nelle edizioni successive.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note99">
-<p><span class="label"><a href="#tag99">99</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Vedi pag. <a href="#Page_321">321</a>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note100">
-<p><span class="label"><a href="#tag100">100</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Pasquale Villari, che nel marzo 1892, quando si leggeva
-questa conferenza, era ministro dell'istruzione pubblica. Ma poche
-settimane dopo, il 5 maggio, cadeva il ministero Rudinì di cui
-egli faceva parte.</p>
-</div>
-</div>
-
-<div class="tnote">
-<p class="tntitle">
-Nota del Trascrittore
-</p>
-
-<p>
-Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo senza annotazione
-minimi errori tipografici.
-</p>
-
-<p class="covernote">
-Copertina creata dal trascrittore e posta nel pubblico dominio.
-</p>
-</div>
-
-
-
-
-
-
-
-
-<pre>
-
-
-
-
-
-End of Project Gutenberg's La vita Italiana nel Rinascimento, by Various
-
-*** END OF THIS PROJECT GUTENBERG EBOOK LA VITA ITALIANA NEL RINASCIMENTO ***
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