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+The Project Gutenberg eBook of La Divina Commedia di Dante, by Dante Alighieri
+
+This eBook is for the use of anyone anywhere in the United States and
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+whatsoever. You may copy it, give it away or re-use it under the terms
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+using this eBook.
+
+Title: La Divina Commedia di Dante
+
+Author: Dante Alighieri
+
+Release Date: August, 1997 [eBook #1000]
+[Most recently updated: January 28, 2021]
+
+Language: Italian
+
+Character set encoding: UTF-8
+
+*** START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK LA DIVINA COMMEDIA ***
+
+
+
+
+LA DIVINA COMMEDIA
+
+di Dante Alighieri
+
+
+Contents
+
+ INFERNO
+ Canto I.
+ Canto II.
+ Canto III.
+ Canto IV.
+ Canto V.
+ Canto VI.
+ Canto VII.
+ Canto VIII.
+ Canto IX.
+ Canto X.
+ Canto XI.
+ Canto XII.
+ Canto XIII.
+ Canto XIV.
+ Canto XV.
+ Canto XVI.
+ Canto XVII.
+ Canto XVIII.
+ Canto XIX.
+ Canto XX.
+ Canto XXI.
+ Canto XXII.
+ Canto XXIII.
+ Canto XXIV.
+ Canto XXV.
+ Canto XXVI.
+ Canto XXVII.
+ Canto XXVIII.
+ Canto XXIX.
+ Canto XXX.
+ Canto XXXI.
+ Canto XXXII.
+ Canto XXXIII.
+ Canto XXXIV.
+
+ PURGATORIO
+ Canto I.
+ Canto II.
+ Canto III.
+ Canto IV.
+ Canto V.
+ Canto VI.
+ Canto VII.
+ Canto VIII.
+ Canto IX.
+ Canto X.
+ Canto XI.
+ Canto XII.
+ Canto XIII.
+ Canto XIV.
+ Canto XV.
+ Canto XVI.
+ Canto XVII.
+ Canto XVIII.
+ Canto XIX.
+ Canto XX.
+ Canto XXI.
+ Canto XXII.
+ Canto XXIII.
+ Canto XXIV.
+ Canto XXV.
+ Canto XXVI.
+ Canto XXVII.
+ Canto XXVIII.
+ Canto XXIX.
+ Canto XXX.
+ Canto XXXI.
+ Canto XXXII.
+ Canto XXXIII.
+
+ PARADISO
+ Canto I.
+ Canto II.
+ Canto III.
+ Canto IV.
+ Canto V.
+ Canto VI.
+ Canto VII.
+ Canto VIII.
+ Canto IX.
+ Canto X.
+ Canto XI.
+ Canto XII.
+ Canto XIII.
+ Canto XIV.
+ Canto XV.
+ Canto XVI.
+ Canto XVII.
+ Canto XVIII.
+ Canto XIX.
+ Canto XX.
+ Canto XXI.
+ Canto XXII.
+ Canto XXIII.
+ Canto XXIV.
+ Canto XXV.
+ Canto XXVI.
+ Canto XXVII.
+ Canto XXVIII.
+ Canto XXIX.
+ Canto XXX.
+ Canto XXXI.
+ Canto XXXII.
+ Canto XXXIII.
+
+
+
+
+INFERNO
+
+
+
+
+Inferno
+Canto I
+
+
+Nel mezzo del cammin di nostra vita
+mi ritrovai per una selva oscura,
+ché la diritta via era smarrita.
+
+Ahi quanto a dir qual era è cosa dura
+esta selva selvaggia e aspra e forte
+che nel pensier rinova la paura!
+
+Tant’ è amara che poco è più morte;
+ma per trattar del ben ch’i’ vi trovai,
+dirò de l’altre cose ch’i’ v’ho scorte.
+
+Io non so ben ridir com’ i’ v’intrai,
+tant’ era pien di sonno a quel punto
+che la verace via abbandonai.
+
+Ma poi ch’i’ fui al piè d’un colle giunto,
+là dove terminava quella valle
+che m’avea di paura il cor compunto,
+
+guardai in alto e vidi le sue spalle
+vestite già de’ raggi del pianeta
+che mena dritto altrui per ogne calle.
+
+Allor fu la paura un poco queta,
+che nel lago del cor m’era durata
+la notte ch’i’ passai con tanta pieta.
+
+E come quei che con lena affannata,
+uscito fuor del pelago a la riva,
+si volge a l’acqua perigliosa e guata,
+
+così l’animo mio, ch’ancor fuggiva,
+si volse a retro a rimirar lo passo
+che non lasciò già mai persona viva.
+
+Poi ch’èi posato un poco il corpo lasso,
+ripresi via per la piaggia diserta,
+sì che ’l piè fermo sempre era ’l più basso.
+
+Ed ecco, quasi al cominciar de l’erta,
+una lonza leggera e presta molto,
+che di pel macolato era coverta;
+
+e non mi si partia dinanzi al volto,
+anzi ’mpediva tanto il mio cammino,
+ch’i’ fui per ritornar più volte vòlto.
+
+Temp’ era dal principio del mattino,
+e ’l sol montava ’n sù con quelle stelle
+ch’eran con lui quando l’amor divino
+
+mosse di prima quelle cose belle;
+sì ch’a bene sperar m’era cagione
+di quella fiera a la gaetta pelle
+
+l’ora del tempo e la dolce stagione;
+ma non sì che paura non mi desse
+la vista che m’apparve d’un leone.
+
+Questi parea che contra me venisse
+con la test’ alta e con rabbiosa fame,
+sì che parea che l’aere ne tremesse.
+
+Ed una lupa, che di tutte brame
+sembiava carca ne la sua magrezza,
+e molte genti fé già viver grame,
+
+questa mi porse tanto di gravezza
+con la paura ch’uscia di sua vista,
+ch’io perdei la speranza de l’altezza.
+
+E qual è quei che volontieri acquista,
+e giugne ’l tempo che perder lo face,
+che ’n tutti suoi pensier piange e s’attrista;
+
+tal mi fece la bestia sanza pace,
+che, venendomi ’ncontro, a poco a poco
+mi ripigneva là dove ’l sol tace.
+
+Mentre ch’i’ rovinava in basso loco,
+dinanzi a li occhi mi si fu offerto
+chi per lungo silenzio parea fioco.
+
+Quando vidi costui nel gran diserto,
+«Miserere di me», gridai a lui,
+«qual che tu sii, od ombra od omo certo!».
+
+Rispuosemi: «Non omo, omo già fui,
+e li parenti miei furon lombardi,
+mantoani per patrïa ambedui.
+
+Nacqui sub Iulio, ancor che fosse tardi,
+e vissi a Roma sotto ’l buono Augusto
+nel tempo de li dèi falsi e bugiardi.
+
+Poeta fui, e cantai di quel giusto
+figliuol d’Anchise che venne di Troia,
+poi che ’l superbo Ilïón fu combusto.
+
+Ma tu perché ritorni a tanta noia?
+perché non sali il dilettoso monte
+ch’è principio e cagion di tutta gioia?».
+
+«Or se’ tu quel Virgilio e quella fonte
+che spandi di parlar sì largo fiume?»,
+rispuos’ io lui con vergognosa fronte.
+
+«O de li altri poeti onore e lume,
+vagliami ’l lungo studio e ’l grande amore
+che m’ha fatto cercar lo tuo volume.
+
+Tu se’ lo mio maestro e ’l mio autore,
+tu se’ solo colui da cu’ io tolsi
+lo bello stilo che m’ha fatto onore.
+
+Vedi la bestia per cu’ io mi volsi;
+aiutami da lei, famoso saggio,
+ch’ella mi fa tremar le vene e i polsi».
+
+«A te convien tenere altro vïaggio»,
+rispuose, poi che lagrimar mi vide,
+«se vuo’ campar d’esto loco selvaggio;
+
+ché questa bestia, per la qual tu gride,
+non lascia altrui passar per la sua via,
+ma tanto lo ’mpedisce che l’uccide;
+
+e ha natura sì malvagia e ria,
+che mai non empie la bramosa voglia,
+e dopo ’l pasto ha più fame che pria.
+
+Molti son li animali a cui s’ammoglia,
+e più saranno ancora, infin che ’l veltro
+verrà, che la farà morir con doglia.
+
+Questi non ciberà terra né peltro,
+ma sapïenza, amore e virtute,
+e sua nazion sarà tra feltro e feltro.
+
+Di quella umile Italia fia salute
+per cui morì la vergine Cammilla,
+Eurialo e Turno e Niso di ferute.
+
+Questi la caccerà per ogne villa,
+fin che l’avrà rimessa ne lo ’nferno,
+là onde ’nvidia prima dipartilla.
+
+Ond’ io per lo tuo me’ penso e discerno
+che tu mi segui, e io sarò tua guida,
+e trarrotti di qui per loco etterno;
+
+ove udirai le disperate strida,
+vedrai li antichi spiriti dolenti,
+ch’a la seconda morte ciascun grida;
+
+e vederai color che son contenti
+nel foco, perché speran di venire
+quando che sia a le beate genti.
+
+A le quai poi se tu vorrai salire,
+anima fia a ciò più di me degna:
+con lei ti lascerò nel mio partire;
+
+ché quello imperador che là sù regna,
+perch’ i’ fu’ ribellante a la sua legge,
+non vuol che ’n sua città per me si vegna.
+
+In tutte parti impera e quivi regge;
+quivi è la sua città e l’alto seggio:
+oh felice colui cu’ ivi elegge!».
+
+E io a lui: «Poeta, io ti richeggio
+per quello Dio che tu non conoscesti,
+acciò ch’io fugga questo male e peggio,
+
+che tu mi meni là dov’ or dicesti,
+sì ch’io veggia la porta di san Pietro
+e color cui tu fai cotanto mesti».
+
+Allor si mosse, e io li tenni dietro.
+
+
+
+
+Inferno
+Canto II
+
+
+Lo giorno se n’andava, e l’aere bruno
+toglieva li animai che sono in terra
+da le fatiche loro; e io sol uno
+
+m’apparecchiava a sostener la guerra
+sì del cammino e sì de la pietate,
+che ritrarrà la mente che non erra.
+
+O muse, o alto ingegno, or m’aiutate;
+o mente che scrivesti ciò ch’io vidi,
+qui si parrà la tua nobilitate.
+
+Io cominciai: «Poeta che mi guidi,
+guarda la mia virtù s’ell’ è possente,
+prima ch’a l’alto passo tu mi fidi.
+
+Tu dici che di Silvïo il parente,
+corruttibile ancora, ad immortale
+secolo andò, e fu sensibilmente.
+
+Però, se l’avversario d’ogne male
+cortese i fu, pensando l’alto effetto
+ch’uscir dovea di lui, e ’l chi e ’l quale
+
+non pare indegno ad omo d’intelletto;
+ch’e’ fu de l’alma Roma e di suo impero
+ne l’empireo ciel per padre eletto:
+
+la quale e ’l quale, a voler dir lo vero,
+fu stabilita per lo loco santo
+u’ siede il successor del maggior Piero.
+
+Per quest’ andata onde li dai tu vanto,
+intese cose che furon cagione
+di sua vittoria e del papale ammanto.
+
+Andovvi poi lo Vas d’elezïone,
+per recarne conforto a quella fede
+ch’è principio a la via di salvazione.
+
+Ma io, perché venirvi? o chi ’l concede?
+Io non Enëa, io non Paulo sono;
+me degno a ciò né io né altri ’l crede.
+
+Per che, se del venire io m’abbandono,
+temo che la venuta non sia folle.
+Se’ savio; intendi me’ ch’i’ non ragiono».
+
+E qual è quei che disvuol ciò che volle
+e per novi pensier cangia proposta,
+sì che dal cominciar tutto si tolle,
+
+tal mi fec’ ïo ’n quella oscura costa,
+perché, pensando, consumai la ’mpresa
+che fu nel cominciar cotanto tosta.
+
+«S’i’ ho ben la parola tua intesa»,
+rispuose del magnanimo quell’ ombra,
+«l’anima tua è da viltade offesa;
+
+la qual molte fïate l’omo ingombra
+sì che d’onrata impresa lo rivolve,
+come falso veder bestia quand’ ombra.
+
+Da questa tema acciò che tu ti solve,
+dirotti perch’ io venni e quel ch’io ’ntesi
+nel primo punto che di te mi dolve.
+
+Io era tra color che son sospesi,
+e donna mi chiamò beata e bella,
+tal che di comandare io la richiesi.
+
+Lucevan li occhi suoi più che la stella;
+e cominciommi a dir soave e piana,
+con angelica voce, in sua favella:
+
+“O anima cortese mantoana,
+di cui la fama ancor nel mondo dura,
+e durerà quanto ’l mondo lontana,
+
+l’amico mio, e non de la ventura,
+ne la diserta piaggia è impedito
+sì nel cammin, che vòlt’ è per paura;
+
+e temo che non sia già sì smarrito,
+ch’io mi sia tardi al soccorso levata,
+per quel ch’i’ ho di lui nel cielo udito.
+
+Or movi, e con la tua parola ornata
+e con ciò c’ha mestieri al suo campare,
+l’aiuta sì ch’i’ ne sia consolata.
+
+I’ son Beatrice che ti faccio andare;
+vegno del loco ove tornar disio;
+amor mi mosse, che mi fa parlare.
+
+Quando sarò dinanzi al segnor mio,
+di te mi loderò sovente a lui”.
+Tacette allora, e poi comincia’ io:
+
+“O donna di virtù sola per cui
+l’umana spezie eccede ogne contento
+di quel ciel c’ha minor li cerchi sui,
+
+tanto m’aggrada il tuo comandamento,
+che l’ubidir, se già fosse, m’è tardi;
+più non t’è uo’ ch’aprirmi il tuo talento.
+
+Ma dimmi la cagion che non ti guardi
+de lo scender qua giuso in questo centro
+de l’ampio loco ove tornar tu ardi”.
+
+“Da che tu vuo’ saver cotanto a dentro,
+dirotti brievemente”, mi rispuose,
+“perch’ i’ non temo di venir qua entro.
+
+Temer si dee di sole quelle cose
+c’hanno potenza di fare altrui male;
+de l’altre no, ché non son paurose.
+
+I’ son fatta da Dio, sua mercé, tale,
+che la vostra miseria non mi tange,
+né fiamma d’esto ’ncendio non m’assale.
+
+Donna è gentil nel ciel che si compiange
+di questo ’mpedimento ov’ io ti mando,
+sì che duro giudicio là sù frange.
+
+Questa chiese Lucia in suo dimando
+e disse:—Or ha bisogno il tuo fedele
+di te, e io a te lo raccomando—.
+
+Lucia, nimica di ciascun crudele,
+si mosse, e venne al loco dov’ i’ era,
+che mi sedea con l’antica Rachele.
+
+Disse:—Beatrice, loda di Dio vera,
+ché non soccorri quei che t’amò tanto,
+ch’uscì per te de la volgare schiera?
+
+Non odi tu la pieta del suo pianto,
+non vedi tu la morte che ’l combatte
+su la fiumana ove ’l mar non ha vanto?—.
+
+Al mondo non fur mai persone ratte
+a far lor pro o a fuggir lor danno,
+com’ io, dopo cotai parole fatte,
+
+venni qua giù del mio beato scanno,
+fidandomi del tuo parlare onesto,
+ch’onora te e quei ch’udito l’hanno”.
+
+Poscia che m’ebbe ragionato questo,
+li occhi lucenti lagrimando volse,
+per che mi fece del venir più presto.
+
+E venni a te così com’ ella volse:
+d’inanzi a quella fiera ti levai
+che del bel monte il corto andar ti tolse.
+
+Dunque: che è? perché, perché restai,
+perché tanta viltà nel core allette,
+perché ardire e franchezza non hai,
+
+poscia che tai tre donne benedette
+curan di te ne la corte del cielo,
+e ’l mio parlar tanto ben ti promette?».
+
+Quali fioretti dal notturno gelo
+chinati e chiusi, poi che ’l sol li ’mbianca,
+si drizzan tutti aperti in loro stelo,
+
+tal mi fec’ io di mia virtude stanca,
+e tanto buono ardire al cor mi corse,
+ch’i’ cominciai come persona franca:
+
+«Oh pietosa colei che mi soccorse!
+e te cortese ch’ubidisti tosto
+a le vere parole che ti porse!
+
+Tu m’hai con disiderio il cor disposto
+sì al venir con le parole tue,
+ch’i’ son tornato nel primo proposto.
+
+Or va, ch’un sol volere è d’ambedue:
+tu duca, tu segnore e tu maestro».
+Così li dissi; e poi che mosso fue,
+
+intrai per lo cammino alto e silvestro.
+
+
+
+
+Inferno
+Canto III
+
+
+‘Per me si va ne la città dolente,
+per me si va ne l’etterno dolore,
+per me si va tra la perduta gente.
+
+Giustizia mosse il mio alto fattore;
+fecemi la divina podestate,
+la somma sapïenza e ’l primo amore.
+
+Dinanzi a me non fuor cose create
+se non etterne, e io etterno duro.
+Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate’.
+
+Queste parole di colore oscuro
+vid’ ïo scritte al sommo d’una porta;
+per ch’io: «Maestro, il senso lor m’è duro».
+
+Ed elli a me, come persona accorta:
+«Qui si convien lasciare ogne sospetto;
+ogne viltà convien che qui sia morta.
+
+Noi siam venuti al loco ov’ i’ t’ho detto
+che tu vedrai le genti dolorose
+c’hanno perduto il ben de l’intelletto».
+
+E poi che la sua mano a la mia puose
+con lieto volto, ond’ io mi confortai,
+mi mise dentro a le segrete cose.
+
+Quivi sospiri, pianti e alti guai
+risonavan per l’aere sanza stelle,
+per ch’io al cominciar ne lagrimai.
+
+Diverse lingue, orribili favelle,
+parole di dolore, accenti d’ira,
+voci alte e fioche, e suon di man con elle
+
+facevano un tumulto, il qual s’aggira
+sempre in quell’ aura sanza tempo tinta,
+come la rena quando turbo spira.
+
+E io ch’avea d’error la testa cinta,
+dissi: «Maestro, che è quel ch’i’ odo?
+e che gent’ è che par nel duol sì vinta?».
+
+Ed elli a me: «Questo misero modo
+tegnon l’anime triste di coloro
+che visser sanza ’nfamia e sanza lodo.
+
+Mischiate sono a quel cattivo coro
+de li angeli che non furon ribelli
+né fur fedeli a Dio, ma per sé fuoro.
+
+Caccianli i ciel per non esser men belli,
+né lo profondo inferno li riceve,
+ch’alcuna gloria i rei avrebber d’elli».
+
+E io: «Maestro, che è tanto greve
+a lor che lamentar li fa sì forte?».
+Rispuose: «Dicerolti molto breve.
+
+Questi non hanno speranza di morte,
+e la lor cieca vita è tanto bassa,
+che ’nvidïosi son d’ogne altra sorte.
+
+Fama di loro il mondo esser non lassa;
+misericordia e giustizia li sdegna:
+non ragioniam di lor, ma guarda e passa».
+
+E io, che riguardai, vidi una ’nsegna
+che girando correva tanto ratta,
+che d’ogne posa mi parea indegna;
+
+e dietro le venìa sì lunga tratta
+di gente, ch’i’ non averei creduto
+che morte tanta n’avesse disfatta.
+
+Poscia ch’io v’ebbi alcun riconosciuto,
+vidi e conobbi l’ombra di colui
+che fece per viltade il gran rifiuto.
+
+Incontanente intesi e certo fui
+che questa era la setta d’i cattivi,
+a Dio spiacenti e a’ nemici sui.
+
+Questi sciaurati, che mai non fur vivi,
+erano ignudi e stimolati molto
+da mosconi e da vespe ch’eran ivi.
+
+Elle rigavan lor di sangue il volto,
+che, mischiato di lagrime, a’ lor piedi
+da fastidiosi vermi era ricolto.
+
+E poi ch’a riguardar oltre mi diedi,
+vidi genti a la riva d’un gran fiume;
+per ch’io dissi: «Maestro, or mi concedi
+
+ch’i’ sappia quali sono, e qual costume
+le fa di trapassar parer sì pronte,
+com’ i’ discerno per lo fioco lume».
+
+Ed elli a me: «Le cose ti fier conte
+quando noi fermerem li nostri passi
+su la trista riviera d’Acheronte».
+
+Allor con li occhi vergognosi e bassi,
+temendo no ’l mio dir li fosse grave,
+infino al fiume del parlar mi trassi.
+
+Ed ecco verso noi venir per nave
+un vecchio, bianco per antico pelo,
+gridando: «Guai a voi, anime prave!
+
+Non isperate mai veder lo cielo:
+i’ vegno per menarvi a l’altra riva
+ne le tenebre etterne, in caldo e ’n gelo.
+
+E tu che se’ costì, anima viva,
+pàrtiti da cotesti che son morti».
+Ma poi che vide ch’io non mi partiva,
+
+disse: «Per altra via, per altri porti
+verrai a piaggia, non qui, per passare:
+più lieve legno convien che ti porti».
+
+E ’l duca lui: «Caron, non ti crucciare:
+vuolsi così colà dove si puote
+ciò che si vuole, e più non dimandare».
+
+Quinci fuor quete le lanose gote
+al nocchier de la livida palude,
+che ’ntorno a li occhi avea di fiamme rote.
+
+Ma quell’ anime, ch’eran lasse e nude,
+cangiar colore e dibattero i denti,
+ratto che ’nteser le parole crude.
+
+Bestemmiavano Dio e lor parenti,
+l’umana spezie e ’l loco e ’l tempo e ’l seme
+di lor semenza e di lor nascimenti.
+
+Poi si ritrasser tutte quante insieme,
+forte piangendo, a la riva malvagia
+ch’attende ciascun uom che Dio non teme.
+
+Caron dimonio, con occhi di bragia
+loro accennando, tutte le raccoglie;
+batte col remo qualunque s’adagia.
+
+Come d’autunno si levan le foglie
+l’una appresso de l’altra, fin che ’l ramo
+vede a la terra tutte le sue spoglie,
+
+similemente il mal seme d’Adamo
+gittansi di quel lito ad una ad una,
+per cenni come augel per suo richiamo.
+
+Così sen vanno su per l’onda bruna,
+e avanti che sien di là discese,
+anche di qua nuova schiera s’auna.
+
+«Figliuol mio», disse ’l maestro cortese,
+«quelli che muoion ne l’ira di Dio
+tutti convegnon qui d’ogne paese;
+
+e pronti sono a trapassar lo rio,
+ché la divina giustizia li sprona,
+sì che la tema si volve in disio.
+
+Quinci non passa mai anima buona;
+e però, se Caron di te si lagna,
+ben puoi sapere omai che ’l suo dir suona».
+
+Finito questo, la buia campagna
+tremò sì forte, che de lo spavento
+la mente di sudore ancor mi bagna.
+
+La terra lagrimosa diede vento,
+che balenò una luce vermiglia
+la qual mi vinse ciascun sentimento;
+
+e caddi come l’uom cui sonno piglia.
+
+
+
+
+Inferno
+Canto IV
+
+
+Ruppemi l’alto sonno ne la testa
+un greve truono, sì ch’io mi riscossi
+come persona ch’è per forza desta;
+
+e l’occhio riposato intorno mossi,
+dritto levato, e fiso riguardai
+per conoscer lo loco dov’ io fossi.
+
+Vero è che ’n su la proda mi trovai
+de la valle d’abisso dolorosa
+che ’ntrono accoglie d’infiniti guai.
+
+Oscura e profonda era e nebulosa
+tanto che, per ficcar lo viso a fondo,
+io non vi discernea alcuna cosa.
+
+«Or discendiam qua giù nel cieco mondo»,
+cominciò il poeta tutto smorto.
+«Io sarò primo, e tu sarai secondo».
+
+E io, che del color mi fui accorto,
+dissi: «Come verrò, se tu paventi
+che suoli al mio dubbiare esser conforto?».
+
+Ed elli a me: «L’angoscia de le genti
+che son qua giù, nel viso mi dipigne
+quella pietà che tu per tema senti.
+
+Andiam, ché la via lunga ne sospigne».
+Così si mise e così mi fé intrare
+nel primo cerchio che l’abisso cigne.
+
+Quivi, secondo che per ascoltare,
+non avea pianto mai che di sospiri
+che l’aura etterna facevan tremare;
+
+ciò avvenia di duol sanza martìri,
+ch’avean le turbe, ch’eran molte e grandi,
+d’infanti e di femmine e di viri.
+
+Lo buon maestro a me: «Tu non dimandi
+che spiriti son questi che tu vedi?
+Or vo’ che sappi, innanzi che più andi,
+
+ch’ei non peccaro; e s’elli hanno mercedi,
+non basta, perché non ebber battesmo,
+ch’è porta de la fede che tu credi;
+
+e s’e’ furon dinanzi al cristianesmo,
+non adorar debitamente a Dio:
+e di questi cotai son io medesmo.
+
+Per tai difetti, non per altro rio,
+semo perduti, e sol di tanto offesi
+che sanza speme vivemo in disio».
+
+Gran duol mi prese al cor quando lo ’ntesi,
+però che gente di molto valore
+conobbi che ’n quel limbo eran sospesi.
+
+«Dimmi, maestro mio, dimmi, segnore»,
+comincia’ io per voler esser certo
+di quella fede che vince ogne errore:
+
+«uscicci mai alcuno, o per suo merto
+o per altrui, che poi fosse beato?».
+E quei che ’ntese il mio parlar coverto,
+
+rispuose: «Io era nuovo in questo stato,
+quando ci vidi venire un possente,
+con segno di vittoria coronato.
+
+Trasseci l’ombra del primo parente,
+d’Abèl suo figlio e quella di Noè,
+di Moïsè legista e ubidente;
+
+Abraàm patrïarca e Davìd re,
+Israèl con lo padre e co’ suoi nati
+e con Rachele, per cui tanto fé,
+
+e altri molti, e feceli beati.
+E vo’ che sappi che, dinanzi ad essi,
+spiriti umani non eran salvati».
+
+Non lasciavam l’andar perch’ ei dicessi,
+ma passavam la selva tuttavia,
+la selva, dico, di spiriti spessi.
+
+Non era lunga ancor la nostra via
+di qua dal sonno, quand’ io vidi un foco
+ch’emisperio di tenebre vincia.
+
+Di lungi n’eravamo ancora un poco,
+ma non sì ch’io non discernessi in parte
+ch’orrevol gente possedea quel loco.
+
+«O tu ch’onori scïenzïa e arte,
+questi chi son c’hanno cotanta onranza,
+che dal modo de li altri li diparte?».
+
+E quelli a me: «L’onrata nominanza
+che di lor suona sù ne la tua vita,
+grazïa acquista in ciel che sì li avanza».
+
+Intanto voce fu per me udita:
+«Onorate l’altissimo poeta;
+l’ombra sua torna, ch’era dipartita».
+
+Poi che la voce fu restata e queta,
+vidi quattro grand’ ombre a noi venire:
+sembianz’ avevan né trista né lieta.
+
+Lo buon maestro cominciò a dire:
+«Mira colui con quella spada in mano,
+che vien dinanzi ai tre sì come sire:
+
+quelli è Omero poeta sovrano;
+l’altro è Orazio satiro che vene;
+Ovidio è ’l terzo, e l’ultimo Lucano.
+
+Però che ciascun meco si convene
+nel nome che sonò la voce sola,
+fannomi onore, e di ciò fanno bene».
+
+Così vid’ i’ adunar la bella scola
+di quel segnor de l’altissimo canto
+che sovra li altri com’ aquila vola.
+
+Da ch’ebber ragionato insieme alquanto,
+volsersi a me con salutevol cenno,
+e ’l mio maestro sorrise di tanto;
+
+e più d’onore ancora assai mi fenno,
+ch’e’ sì mi fecer de la loro schiera,
+sì ch’io fui sesto tra cotanto senno.
+
+Così andammo infino a la lumera,
+parlando cose che ’l tacere è bello,
+sì com’ era ’l parlar colà dov’ era.
+
+Venimmo al piè d’un nobile castello,
+sette volte cerchiato d’alte mura,
+difeso intorno d’un bel fiumicello.
+
+Questo passammo come terra dura;
+per sette porte intrai con questi savi:
+giugnemmo in prato di fresca verdura.
+
+Genti v’eran con occhi tardi e gravi,
+di grande autorità ne’ lor sembianti:
+parlavan rado, con voci soavi.
+
+Traemmoci così da l’un de’ canti,
+in loco aperto, luminoso e alto,
+sì che veder si potien tutti quanti.
+
+Colà diritto, sovra ’l verde smalto,
+mi fuor mostrati li spiriti magni,
+che del vedere in me stesso m’essalto.
+
+I’ vidi Eletra con molti compagni,
+tra ’ quai conobbi Ettòr ed Enea,
+Cesare armato con li occhi grifagni.
+
+Vidi Cammilla e la Pantasilea;
+da l’altra parte vidi ’l re Latino
+che con Lavina sua figlia sedea.
+
+Vidi quel Bruto che cacciò Tarquino,
+Lucrezia, Iulia, Marzïa e Corniglia;
+e solo, in parte, vidi ’l Saladino.
+
+Poi ch’innalzai un poco più le ciglia,
+vidi ’l maestro di color che sanno
+seder tra filosofica famiglia.
+
+Tutti lo miran, tutti onor li fanno:
+quivi vid’ ïo Socrate e Platone,
+che ’nnanzi a li altri più presso li stanno;
+
+Democrito che ’l mondo a caso pone,
+Dïogenès, Anassagora e Tale,
+Empedoclès, Eraclito e Zenone;
+
+e vidi il buono accoglitor del quale,
+Dïascoride dico; e vidi Orfeo,
+Tulïo e Lino e Seneca morale;
+
+Euclide geomètra e Tolomeo,
+Ipocràte, Avicenna e Galïeno,
+Averoìs, che ’l gran comento feo.
+
+Io non posso ritrar di tutti a pieno,
+però che sì mi caccia il lungo tema,
+che molte volte al fatto il dir vien meno.
+
+La sesta compagnia in due si scema:
+per altra via mi mena il savio duca,
+fuor de la queta, ne l’aura che trema.
+
+E vegno in parte ove non è che luca.
+
+
+
+
+Inferno
+Canto V
+
+
+Così discesi del cerchio primaio
+giù nel secondo, che men loco cinghia
+e tanto più dolor, che punge a guaio.
+
+Stavvi Minòs orribilmente, e ringhia:
+essamina le colpe ne l’intrata;
+giudica e manda secondo ch’avvinghia.
+
+Dico che quando l’anima mal nata
+li vien dinanzi, tutta si confessa;
+e quel conoscitor de le peccata
+
+vede qual loco d’inferno è da essa;
+cignesi con la coda tante volte
+quantunque gradi vuol che giù sia messa.
+
+Sempre dinanzi a lui ne stanno molte:
+vanno a vicenda ciascuna al giudizio,
+dicono e odono e poi son giù volte.
+
+«O tu che vieni al doloroso ospizio»,
+disse Minòs a me quando mi vide,
+lasciando l’atto di cotanto offizio,
+
+«guarda com’ entri e di cui tu ti fide;
+non t’inganni l’ampiezza de l’intrare!».
+E ’l duca mio a lui: «Perché pur gride?
+
+Non impedir lo suo fatale andare:
+vuolsi così colà dove si puote
+ciò che si vuole, e più non dimandare».
+
+Or incomincian le dolenti note
+a farmisi sentire; or son venuto
+là dove molto pianto mi percuote.
+
+Io venni in loco d’ogne luce muto,
+che mugghia come fa mar per tempesta,
+se da contrari venti è combattuto.
+
+La bufera infernal, che mai non resta,
+mena li spirti con la sua rapina;
+voltando e percotendo li molesta.
+
+Quando giungon davanti a la ruina,
+quivi le strida, il compianto, il lamento;
+bestemmian quivi la virtù divina.
+
+Intesi ch’a così fatto tormento
+enno dannati i peccator carnali,
+che la ragion sommettono al talento.
+
+E come li stornei ne portan l’ali
+nel freddo tempo, a schiera larga e piena,
+così quel fiato li spiriti mali
+
+di qua, di là, di giù, di sù li mena;
+nulla speranza li conforta mai,
+non che di posa, ma di minor pena.
+
+E come i gru van cantando lor lai,
+faccendo in aere di sé lunga riga,
+così vid’ io venir, traendo guai,
+
+ombre portate da la detta briga;
+per ch’i’ dissi: «Maestro, chi son quelle
+genti che l’aura nera sì gastiga?».
+
+«La prima di color di cui novelle
+tu vuo’ saper», mi disse quelli allotta,
+«fu imperadrice di molte favelle.
+
+A vizio di lussuria fu sì rotta,
+che libito fé licito in sua legge,
+per tòrre il biasmo in che era condotta.
+
+Ell’ è Semiramìs, di cui si legge
+che succedette a Nino e fu sua sposa:
+tenne la terra che ’l Soldan corregge.
+
+L’altra è colei che s’ancise amorosa,
+e ruppe fede al cener di Sicheo;
+poi è Cleopatràs lussurïosa.
+
+Elena vedi, per cui tanto reo
+tempo si volse, e vedi ’l grande Achille,
+che con amore al fine combatteo.
+
+Vedi Parìs, Tristano»; e più di mille
+ombre mostrommi e nominommi a dito,
+ch’amor di nostra vita dipartille.
+
+Poscia ch’io ebbi ’l mio dottore udito
+nomar le donne antiche e ’ cavalieri,
+pietà mi giunse, e fui quasi smarrito.
+
+I’ cominciai: «Poeta, volontieri
+parlerei a quei due che ’nsieme vanno,
+e paion sì al vento esser leggeri».
+
+Ed elli a me: «Vedrai quando saranno
+più presso a noi; e tu allor li priega
+per quello amor che i mena, ed ei verranno».
+
+Sì tosto come il vento a noi li piega,
+mossi la voce: «O anime affannate,
+venite a noi parlar, s’altri nol niega!».
+
+Quali colombe dal disio chiamate
+con l’ali alzate e ferme al dolce nido
+vegnon per l’aere, dal voler portate;
+
+cotali uscir de la schiera ov’ è Dido,
+a noi venendo per l’aere maligno,
+sì forte fu l’affettüoso grido.
+
+«O animal grazïoso e benigno
+che visitando vai per l’aere perso
+noi che tignemmo il mondo di sanguigno,
+
+se fosse amico il re de l’universo,
+noi pregheremmo lui de la tua pace,
+poi c’hai pietà del nostro mal perverso.
+
+Di quel che udire e che parlar vi piace,
+noi udiremo e parleremo a voi,
+mentre che ’l vento, come fa, ci tace.
+
+Siede la terra dove nata fui
+su la marina dove ’l Po discende
+per aver pace co’ seguaci sui.
+
+Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende,
+prese costui de la bella persona
+che mi fu tolta; e ’l modo ancor m’offende.
+
+Amor, ch’a nullo amato amar perdona,
+mi prese del costui piacer sì forte,
+che, come vedi, ancor non m’abbandona.
+
+Amor condusse noi ad una morte.
+Caina attende chi a vita ci spense».
+Queste parole da lor ci fuor porte.
+
+Quand’ io intesi quell’ anime offense,
+china’ il viso, e tanto il tenni basso,
+fin che ’l poeta mi disse: «Che pense?».
+
+Quando rispuosi, cominciai: «Oh lasso,
+quanti dolci pensier, quanto disio
+menò costoro al doloroso passo!».
+
+Poi mi rivolsi a loro e parla’ io,
+e cominciai: «Francesca, i tuoi martìri
+a lagrimar mi fanno tristo e pio.
+
+Ma dimmi: al tempo d’i dolci sospiri,
+a che e come concedette amore
+che conosceste i dubbiosi disiri?».
+
+E quella a me: «Nessun maggior dolore
+che ricordarsi del tempo felice
+nella miseria; e ciò sa ’l tuo dottore.
+
+Ma s’a conoscer la prima radice
+del nostro amor tu hai cotanto affetto,
+dirò come colui che piange e dice.
+
+Noi leggiavamo un giorno per diletto
+di Lancialotto come amor lo strinse;
+soli eravamo e sanza alcun sospetto.
+
+Per più fïate li occhi ci sospinse
+quella lettura, e scolorocci il viso;
+ma solo un punto fu quel che ci vinse.
+
+Quando leggemmo il disïato riso
+esser basciato da cotanto amante,
+questi, che mai da me non fia diviso,
+
+la bocca mi basciò tutto tremante.
+Galeotto fu ’l libro e chi lo scrisse:
+quel giorno più non vi leggemmo avante».
+
+Mentre che l’uno spirto questo disse,
+l’altro piangëa; sì che di pietade
+io venni men così com’ io morisse.
+
+E caddi come corpo morto cade.
+
+
+
+
+Inferno
+Canto VI
+
+
+Al tornar de la mente, che si chiuse
+dinanzi a la pietà d’i due cognati,
+che di trestizia tutto mi confuse,
+
+novi tormenti e novi tormentati
+mi veggio intorno, come ch’io mi mova
+e ch’io mi volga, e come che io guati.
+
+Io sono al terzo cerchio, de la piova
+etterna, maladetta, fredda e greve;
+regola e qualità mai non l’è nova.
+
+Grandine grossa, acqua tinta e neve
+per l’aere tenebroso si riversa;
+pute la terra che questo riceve.
+
+Cerbero, fiera crudele e diversa,
+con tre gole caninamente latra
+sovra la gente che quivi è sommersa.
+
+Li occhi ha vermigli, la barba unta e atra,
+e ’l ventre largo, e unghiate le mani;
+graffia li spirti ed iscoia ed isquatra.
+
+Urlar li fa la pioggia come cani;
+de l’un de’ lati fanno a l’altro schermo;
+volgonsi spesso i miseri profani.
+
+Quando ci scorse Cerbero, il gran vermo,
+le bocche aperse e mostrocci le sanne;
+non avea membro che tenesse fermo.
+
+E ’l duca mio distese le sue spanne,
+prese la terra, e con piene le pugna
+la gittò dentro a le bramose canne.
+
+Qual è quel cane ch’abbaiando agogna,
+e si racqueta poi che ’l pasto morde,
+ché solo a divorarlo intende e pugna,
+
+cotai si fecer quelle facce lorde
+de lo demonio Cerbero, che ’ntrona
+l’anime sì, ch’esser vorrebber sorde.
+
+Noi passavam su per l’ombre che adona
+la greve pioggia, e ponavam le piante
+sovra lor vanità che par persona.
+
+Elle giacean per terra tutte quante,
+fuor d’una ch’a seder si levò, ratto
+ch’ella ci vide passarsi davante.
+
+«O tu che se’ per questo ’nferno tratto»,
+mi disse, «riconoscimi, se sai:
+tu fosti, prima ch’io disfatto, fatto».
+
+E io a lui: «L’angoscia che tu hai
+forse ti tira fuor de la mia mente,
+sì che non par ch’i’ ti vedessi mai.
+
+Ma dimmi chi tu se’ che ’n sì dolente
+loco se’ messo, e hai sì fatta pena,
+che, s’altra è maggio, nulla è sì spiacente».
+
+Ed elli a me: «La tua città, ch’è piena
+d’invidia sì che già trabocca il sacco,
+seco mi tenne in la vita serena.
+
+Voi cittadini mi chiamaste Ciacco:
+per la dannosa colpa de la gola,
+come tu vedi, a la pioggia mi fiacco.
+
+E io anima trista non son sola,
+ché tutte queste a simil pena stanno
+per simil colpa». E più non fé parola.
+
+Io li rispuosi: «Ciacco, il tuo affanno
+mi pesa sì, ch’a lagrimar mi ’nvita;
+ma dimmi, se tu sai, a che verranno
+
+li cittadin de la città partita;
+s’alcun v’è giusto; e dimmi la cagione
+per che l’ha tanta discordia assalita».
+
+E quelli a me: «Dopo lunga tencione
+verranno al sangue, e la parte selvaggia
+caccerà l’altra con molta offensione.
+
+Poi appresso convien che questa caggia
+infra tre soli, e che l’altra sormonti
+con la forza di tal che testé piaggia.
+
+Alte terrà lungo tempo le fronti,
+tenendo l’altra sotto gravi pesi,
+come che di ciò pianga o che n’aonti.
+
+Giusti son due, e non vi sono intesi;
+superbia, invidia e avarizia sono
+le tre faville c’hanno i cuori accesi».
+
+Qui puose fine al lagrimabil suono.
+E io a lui: «Ancor vo’ che mi ’nsegni
+e che di più parlar mi facci dono.
+
+Farinata e ’l Tegghiaio, che fuor sì degni,
+Iacopo Rusticucci, Arrigo e ’l Mosca
+e li altri ch’a ben far puoser li ’ngegni,
+
+dimmi ove sono e fa ch’io li conosca;
+ché gran disio mi stringe di savere
+se ’l ciel li addolcia o lo ’nferno li attosca».
+
+E quelli: «Ei son tra l’anime più nere;
+diverse colpe giù li grava al fondo:
+se tanto scendi, là i potrai vedere.
+
+Ma quando tu sarai nel dolce mondo,
+priegoti ch’a la mente altrui mi rechi:
+più non ti dico e più non ti rispondo».
+
+Li diritti occhi torse allora in biechi;
+guardommi un poco e poi chinò la testa:
+cadde con essa a par de li altri ciechi.
+
+E ’l duca disse a me: «Più non si desta
+di qua dal suon de l’angelica tromba,
+quando verrà la nimica podesta:
+
+ciascun rivederà la trista tomba,
+ripiglierà sua carne e sua figura,
+udirà quel ch’in etterno rimbomba».
+
+Sì trapassammo per sozza mistura
+de l’ombre e de la pioggia, a passi lenti,
+toccando un poco la vita futura;
+
+per ch’io dissi: «Maestro, esti tormenti
+crescerann’ ei dopo la gran sentenza,
+o fier minori, o saran sì cocenti?».
+
+Ed elli a me: «Ritorna a tua scïenza,
+che vuol, quanto la cosa è più perfetta,
+più senta il bene, e così la doglienza.
+
+Tutto che questa gente maladetta
+in vera perfezion già mai non vada,
+di là più che di qua essere aspetta».
+
+Noi aggirammo a tondo quella strada,
+parlando più assai ch’i’ non ridico;
+venimmo al punto dove si digrada:
+
+quivi trovammo Pluto, il gran nemico.
+
+
+
+
+Inferno
+Canto VII
+
+
+«Pape Satàn, pape Satàn aleppe!»,
+cominciò Pluto con la voce chioccia;
+e quel savio gentil, che tutto seppe,
+
+disse per confortarmi: «Non ti noccia
+la tua paura; ché, poder ch’elli abbia,
+non ci torrà lo scender questa roccia».
+
+Poi si rivolse a quella ’nfiata labbia,
+e disse: «Taci, maladetto lupo!
+consuma dentro te con la tua rabbia.
+
+Non è sanza cagion l’andare al cupo:
+vuolsi ne l’alto, là dove Michele
+fé la vendetta del superbo strupo».
+
+Quali dal vento le gonfiate vele
+caggiono avvolte, poi che l’alber fiacca,
+tal cadde a terra la fiera crudele.
+
+Così scendemmo ne la quarta lacca,
+pigliando più de la dolente ripa
+che ’l mal de l’universo tutto insacca.
+
+Ahi giustizia di Dio! tante chi stipa
+nove travaglie e pene quant’ io viddi?
+e perché nostra colpa sì ne scipa?
+
+Come fa l’onda là sovra Cariddi,
+che si frange con quella in cui s’intoppa,
+così convien che qui la gente riddi.
+
+Qui vid’ i’ gente più ch’altrove troppa,
+e d’una parte e d’altra, con grand’ urli,
+voltando pesi per forza di poppa.
+
+Percotëansi ’ncontro; e poscia pur lì
+si rivolgea ciascun, voltando a retro,
+gridando: «Perché tieni?» e «Perché burli?».
+
+Così tornavan per lo cerchio tetro
+da ogne mano a l’opposito punto,
+gridandosi anche loro ontoso metro;
+
+poi si volgea ciascun, quand’ era giunto,
+per lo suo mezzo cerchio a l’altra giostra.
+E io, ch’avea lo cor quasi compunto,
+
+dissi: «Maestro mio, or mi dimostra
+che gente è questa, e se tutti fuor cherci
+questi chercuti a la sinistra nostra».
+
+Ed elli a me: «Tutti quanti fuor guerci
+sì de la mente in la vita primaia,
+che con misura nullo spendio ferci.
+
+Assai la voce lor chiaro l’abbaia,
+quando vegnono a’ due punti del cerchio
+dove colpa contraria li dispaia.
+
+Questi fuor cherci, che non han coperchio
+piloso al capo, e papi e cardinali,
+in cui usa avarizia il suo soperchio».
+
+E io: «Maestro, tra questi cotali
+dovre’ io ben riconoscere alcuni
+che furo immondi di cotesti mali».
+
+Ed elli a me: «Vano pensiero aduni:
+la sconoscente vita che i fé sozzi,
+ad ogne conoscenza or li fa bruni.
+
+In etterno verranno a li due cozzi:
+questi resurgeranno del sepulcro
+col pugno chiuso, e questi coi crin mozzi.
+
+Mal dare e mal tener lo mondo pulcro
+ha tolto loro, e posti a questa zuffa:
+qual ella sia, parole non ci appulcro.
+
+Or puoi, figliuol, veder la corta buffa
+d’i ben che son commessi a la fortuna,
+per che l’umana gente si rabbuffa;
+
+ché tutto l’oro ch’è sotto la luna
+e che già fu, di quest’ anime stanche
+non poterebbe farne posare una».
+
+«Maestro mio», diss’ io, «or mi dì anche:
+questa fortuna di che tu mi tocche,
+che è, che i ben del mondo ha sì tra branche?».
+
+E quelli a me: «Oh creature sciocche,
+quanta ignoranza è quella che v’offende!
+Or vo’ che tu mia sentenza ne ’mbocche.
+
+Colui lo cui saver tutto trascende,
+fece li cieli e diè lor chi conduce
+sì, ch’ogne parte ad ogne parte splende,
+
+distribuendo igualmente la luce.
+Similemente a li splendor mondani
+ordinò general ministra e duce
+
+che permutasse a tempo li ben vani
+di gente in gente e d’uno in altro sangue,
+oltre la difension d’i senni umani;
+
+per ch’una gente impera e l’altra langue,
+seguendo lo giudicio di costei,
+che è occulto come in erba l’angue.
+
+Vostro saver non ha contasto a lei:
+questa provede, giudica, e persegue
+suo regno come il loro li altri dèi.
+
+Le sue permutazion non hanno triegue:
+necessità la fa esser veloce;
+sì spesso vien chi vicenda consegue.
+
+Quest’ è colei ch’è tanto posta in croce
+pur da color che le dovrien dar lode,
+dandole biasmo a torto e mala voce;
+
+ma ella s’è beata e ciò non ode:
+con l’altre prime creature lieta
+volve sua spera e beata si gode.
+
+Or discendiamo omai a maggior pieta;
+già ogne stella cade che saliva
+quand’ io mi mossi, e ’l troppo star si vieta».
+
+Noi ricidemmo il cerchio a l’altra riva
+sovr’ una fonte che bolle e riversa
+per un fossato che da lei deriva.
+
+L’acqua era buia assai più che persa;
+e noi, in compagnia de l’onde bige,
+intrammo giù per una via diversa.
+
+In la palude va c’ha nome Stige
+questo tristo ruscel, quand’ è disceso
+al piè de le maligne piagge grige.
+
+E io, che di mirare stava inteso,
+vidi genti fangose in quel pantano,
+ignude tutte, con sembiante offeso.
+
+Queste si percotean non pur con mano,
+ma con la testa e col petto e coi piedi,
+troncandosi co’ denti a brano a brano.
+
+Lo buon maestro disse: «Figlio, or vedi
+l’anime di color cui vinse l’ira;
+e anche vo’ che tu per certo credi
+
+che sotto l’acqua è gente che sospira,
+e fanno pullular quest’ acqua al summo,
+come l’occhio ti dice, u’ che s’aggira.
+
+Fitti nel limo dicon: “Tristi fummo
+ne l’aere dolce che dal sol s’allegra,
+portando dentro accidïoso fummo:
+
+or ci attristiam ne la belletta negra”.
+Quest’ inno si gorgoglian ne la strozza,
+ché dir nol posson con parola integra».
+
+Così girammo de la lorda pozza
+grand’ arco tra la ripa secca e ’l mézzo,
+con li occhi vòlti a chi del fango ingozza.
+
+Venimmo al piè d’una torre al da sezzo.
+
+
+
+
+Inferno
+Canto VIII
+
+
+Io dico, seguitando, ch’assai prima
+che noi fossimo al piè de l’alta torre,
+li occhi nostri n’andar suso a la cima
+
+per due fiammette che i vedemmo porre,
+e un’altra da lungi render cenno,
+tanto ch’a pena il potea l’occhio tòrre.
+
+E io mi volsi al mar di tutto ’l senno;
+dissi: «Questo che dice? e che risponde
+quell’ altro foco? e chi son quei che ’l fenno?».
+
+Ed elli a me: «Su per le sucide onde
+già scorgere puoi quello che s’aspetta,
+se ’l fummo del pantan nol ti nasconde».
+
+Corda non pinse mai da sé saetta
+che sì corresse via per l’aere snella,
+com’ io vidi una nave piccioletta
+
+venir per l’acqua verso noi in quella,
+sotto ’l governo d’un sol galeoto,
+che gridava: «Or se’ giunta, anima fella!».
+
+«Flegïàs, Flegïàs, tu gridi a vòto»,
+disse lo mio segnore, «a questa volta:
+più non ci avrai che sol passando il loto».
+
+Qual è colui che grande inganno ascolta
+che li sia fatto, e poi se ne rammarca,
+fecesi Flegïàs ne l’ira accolta.
+
+Lo duca mio discese ne la barca,
+e poi mi fece intrare appresso lui;
+e sol quand’ io fui dentro parve carca.
+
+Tosto che ’l duca e io nel legno fui,
+segando se ne va l’antica prora
+de l’acqua più che non suol con altrui.
+
+Mentre noi corravam la morta gora,
+dinanzi mi si fece un pien di fango,
+e disse: «Chi se’ tu che vieni anzi ora?».
+
+E io a lui: «S’i’ vegno, non rimango;
+ma tu chi se’, che sì se’ fatto brutto?».
+Rispuose: «Vedi che son un che piango».
+
+E io a lui: «Con piangere e con lutto,
+spirito maladetto, ti rimani;
+ch’i’ ti conosco, ancor sie lordo tutto».
+
+Allor distese al legno ambo le mani;
+per che ’l maestro accorto lo sospinse,
+dicendo: «Via costà con li altri cani!».
+
+Lo collo poi con le braccia mi cinse;
+basciommi ’l volto e disse: «Alma sdegnosa,
+benedetta colei che ’n te s’incinse!
+
+Quei fu al mondo persona orgogliosa;
+bontà non è che sua memoria fregi:
+così s’è l’ombra sua qui furïosa.
+
+Quanti si tegnon or là sù gran regi
+che qui staranno come porci in brago,
+di sé lasciando orribili dispregi!».
+
+E io: «Maestro, molto sarei vago
+di vederlo attuffare in questa broda
+prima che noi uscissimo del lago».
+
+Ed elli a me: «Avante che la proda
+ti si lasci veder, tu sarai sazio:
+di tal disïo convien che tu goda».
+
+Dopo ciò poco vid’ io quello strazio
+far di costui a le fangose genti,
+che Dio ancor ne lodo e ne ringrazio.
+
+Tutti gridavano: «A Filippo Argenti!»;
+e ’l fiorentino spirito bizzarro
+in sé medesmo si volvea co’ denti.
+
+Quivi il lasciammo, che più non ne narro;
+ma ne l’orecchie mi percosse un duolo,
+per ch’io avante l’occhio intento sbarro.
+
+Lo buon maestro disse: «Omai, figliuolo,
+s’appressa la città c’ha nome Dite,
+coi gravi cittadin, col grande stuolo».
+
+E io: «Maestro, già le sue meschite
+là entro certe ne la valle cerno,
+vermiglie come se di foco uscite
+
+fossero». Ed ei mi disse: «Il foco etterno
+ch’entro l’affoca le dimostra rosse,
+come tu vedi in questo basso inferno».
+
+Noi pur giugnemmo dentro a l’alte fosse
+che vallan quella terra sconsolata:
+le mura mi parean che ferro fosse.
+
+Non sanza prima far grande aggirata,
+venimmo in parte dove il nocchier forte
+«Usciteci», gridò: «qui è l’intrata».
+
+Io vidi più di mille in su le porte
+da ciel piovuti, che stizzosamente
+dicean: «Chi è costui che sanza morte
+
+va per lo regno de la morta gente?».
+E ’l savio mio maestro fece segno
+di voler lor parlar segretamente.
+
+Allor chiusero un poco il gran disdegno
+e disser: «Vien tu solo, e quei sen vada
+che sì ardito intrò per questo regno.
+
+Sol si ritorni per la folle strada:
+pruovi, se sa; ché tu qui rimarrai,
+che li ha’ iscorta sì buia contrada».
+
+Pensa, lettor, se io mi sconfortai
+nel suon de le parole maladette,
+ché non credetti ritornarci mai.
+
+«O caro duca mio, che più di sette
+volte m’hai sicurtà renduta e tratto
+d’alto periglio che ’ncontra mi stette,
+
+non mi lasciar», diss’ io, «così disfatto;
+e se ’l passar più oltre ci è negato,
+ritroviam l’orme nostre insieme ratto».
+
+E quel segnor che lì m’avea menato,
+mi disse: «Non temer; ché ’l nostro passo
+non ci può tòrre alcun: da tal n’è dato.
+
+Ma qui m’attendi, e lo spirito lasso
+conforta e ciba di speranza buona,
+ch’i’ non ti lascerò nel mondo basso».
+
+Così sen va, e quivi m’abbandona
+lo dolce padre, e io rimagno in forse,
+che sì e no nel capo mi tenciona.
+
+Udir non potti quello ch’a lor porse;
+ma ei non stette là con essi guari,
+che ciascun dentro a pruova si ricorse.
+
+Chiuser le porte que’ nostri avversari
+nel petto al mio segnor, che fuor rimase
+e rivolsesi a me con passi rari.
+
+Li occhi a la terra e le ciglia avea rase
+d’ogne baldanza, e dicea ne’ sospiri:
+«Chi m’ha negate le dolenti case!».
+
+E a me disse: «Tu, perch’ io m’adiri,
+non sbigottir, ch’io vincerò la prova,
+qual ch’a la difension dentro s’aggiri.
+
+Questa lor tracotanza non è nova;
+ché già l’usaro a men segreta porta,
+la qual sanza serrame ancor si trova.
+
+Sovr’ essa vedestù la scritta morta:
+e già di qua da lei discende l’erta,
+passando per li cerchi sanza scorta,
+
+tal che per lui ne fia la terra aperta».
+
+
+
+
+Inferno
+Canto IX
+
+
+Quel color che viltà di fuor mi pinse
+veggendo il duca mio tornare in volta,
+più tosto dentro il suo novo ristrinse.
+
+Attento si fermò com’ uom ch’ascolta;
+ché l’occhio nol potea menare a lunga
+per l’aere nero e per la nebbia folta.
+
+«Pur a noi converrà vincer la punga»,
+cominciò el, «se non . . . Tal ne s’offerse.
+Oh quanto tarda a me ch’altri qui giunga!».
+
+I’ vidi ben sì com’ ei ricoperse
+lo cominciar con l’altro che poi venne,
+che fur parole a le prime diverse;
+
+ma nondimen paura il suo dir dienne,
+perch’ io traeva la parola tronca
+forse a peggior sentenzia che non tenne.
+
+«In questo fondo de la trista conca
+discende mai alcun del primo grado,
+che sol per pena ha la speranza cionca?».
+
+Questa question fec’ io; e quei «Di rado
+incontra», mi rispuose, «che di noi
+faccia il cammino alcun per qual io vado.
+
+Ver è ch’altra fïata qua giù fui,
+congiurato da quella Eritón cruda
+che richiamava l’ombre a’ corpi sui.
+
+Di poco era di me la carne nuda,
+ch’ella mi fece intrar dentr’ a quel muro,
+per trarne un spirto del cerchio di Giuda.
+
+Quell’ è ’l più basso loco e ’l più oscuro,
+e ’l più lontan dal ciel che tutto gira:
+ben so ’l cammin; però ti fa sicuro.
+
+Questa palude che ’l gran puzzo spira
+cigne dintorno la città dolente,
+u’ non potemo intrare omai sanz’ ira».
+
+E altro disse, ma non l’ho a mente;
+però che l’occhio m’avea tutto tratto
+ver’ l’alta torre a la cima rovente,
+
+dove in un punto furon dritte ratto
+tre furïe infernal di sangue tinte,
+che membra feminine avieno e atto,
+
+e con idre verdissime eran cinte;
+serpentelli e ceraste avien per crine,
+onde le fiere tempie erano avvinte.
+
+E quei, che ben conobbe le meschine
+de la regina de l’etterno pianto,
+«Guarda», mi disse, «le feroci Erine.
+
+Quest’ è Megera dal sinistro canto;
+quella che piange dal destro è Aletto;
+Tesifón è nel mezzo»; e tacque a tanto.
+
+Con l’unghie si fendea ciascuna il petto;
+battiensi a palme e gridavan sì alto,
+ch’i’ mi strinsi al poeta per sospetto.
+
+«Vegna Medusa: sì ’l farem di smalto»,
+dicevan tutte riguardando in giuso;
+«mal non vengiammo in Tesëo l’assalto».
+
+«Volgiti ’n dietro e tien lo viso chiuso;
+ché se ’l Gorgón si mostra e tu ’l vedessi,
+nulla sarebbe di tornar mai suso».
+
+Così disse ’l maestro; ed elli stessi
+mi volse, e non si tenne a le mie mani,
+che con le sue ancor non mi chiudessi.
+
+O voi ch’avete li ’ntelletti sani,
+mirate la dottrina che s’asconde
+sotto ’l velame de li versi strani.
+
+E già venìa su per le torbide onde
+un fracasso d’un suon, pien di spavento,
+per cui tremavano amendue le sponde,
+
+non altrimenti fatto che d’un vento
+impetüoso per li avversi ardori,
+che fier la selva e sanz’ alcun rattento
+
+li rami schianta, abbatte e porta fori;
+dinanzi polveroso va superbo,
+e fa fuggir le fiere e li pastori.
+
+Li occhi mi sciolse e disse: «Or drizza il nerbo
+del viso su per quella schiuma antica
+per indi ove quel fummo è più acerbo».
+
+Come le rane innanzi a la nimica
+biscia per l’acqua si dileguan tutte,
+fin ch’a la terra ciascuna s’abbica,
+
+vid’ io più di mille anime distrutte
+fuggir così dinanzi ad un ch’al passo
+passava Stige con le piante asciutte.
+
+Dal volto rimovea quell’ aere grasso,
+menando la sinistra innanzi spesso;
+e sol di quell’ angoscia parea lasso.
+
+Ben m’accorsi ch’elli era da ciel messo,
+e volsimi al maestro; e quei fé segno
+ch’i’ stessi queto ed inchinassi ad esso.
+
+Ahi quanto mi parea pien di disdegno!
+Venne a la porta e con una verghetta
+l’aperse, che non v’ebbe alcun ritegno.
+
+«O cacciati del ciel, gente dispetta»,
+cominciò elli in su l’orribil soglia,
+«ond’ esta oltracotanza in voi s’alletta?
+
+Perché recalcitrate a quella voglia
+a cui non puote il fin mai esser mozzo,
+e che più volte v’ha cresciuta doglia?
+
+Che giova ne le fata dar di cozzo?
+Cerbero vostro, se ben vi ricorda,
+ne porta ancor pelato il mento e ’l gozzo».
+
+Poi si rivolse per la strada lorda,
+e non fé motto a noi, ma fé sembiante
+d’omo cui altra cura stringa e morda
+
+che quella di colui che li è davante;
+e noi movemmo i piedi inver’ la terra,
+sicuri appresso le parole sante.
+
+Dentro li ’ntrammo sanz’ alcuna guerra;
+e io, ch’avea di riguardar disio
+la condizion che tal fortezza serra,
+
+com’ io fui dentro, l’occhio intorno invio:
+e veggio ad ogne man grande campagna,
+piena di duolo e di tormento rio.
+
+Sì come ad Arli, ove Rodano stagna,
+sì com’ a Pola, presso del Carnaro
+ch’Italia chiude e suoi termini bagna,
+
+fanno i sepulcri tutt’ il loco varo,
+così facevan quivi d’ogne parte,
+salvo che ’l modo v’era più amaro;
+
+ché tra li avelli fiamme erano sparte,
+per le quali eran sì del tutto accesi,
+che ferro più non chiede verun’ arte.
+
+Tutti li lor coperchi eran sospesi,
+e fuor n’uscivan sì duri lamenti,
+che ben parean di miseri e d’offesi.
+
+E io: «Maestro, quai son quelle genti
+che, seppellite dentro da quell’ arche,
+si fan sentir coi sospiri dolenti?».
+
+E quelli a me: «Qui son li eresïarche
+con lor seguaci, d’ogne setta, e molto
+più che non credi son le tombe carche.
+
+Simile qui con simile è sepolto,
+e i monimenti son più e men caldi».
+E poi ch’a la man destra si fu vòlto,
+
+passammo tra i martìri e li alti spaldi.
+
+
+
+
+Inferno
+Canto X
+
+
+Ora sen va per un secreto calle,
+tra ’l muro de la terra e li martìri,
+lo mio maestro, e io dopo le spalle.
+
+«O virtù somma, che per li empi giri
+mi volvi», cominciai, «com’ a te piace,
+parlami, e sodisfammi a’ miei disiri.
+
+La gente che per li sepolcri giace
+potrebbesi veder? già son levati
+tutt’ i coperchi, e nessun guardia face».
+
+E quelli a me: «Tutti saran serrati
+quando di Iosafàt qui torneranno
+coi corpi che là sù hanno lasciati.
+
+Suo cimitero da questa parte hanno
+con Epicuro tutti suoi seguaci,
+che l’anima col corpo morta fanno.
+
+Però a la dimanda che mi faci
+quinc’ entro satisfatto sarà tosto,
+e al disio ancor che tu mi taci».
+
+E io: «Buon duca, non tegno riposto
+a te mio cuor se non per dicer poco,
+e tu m’hai non pur mo a ciò disposto».
+
+«O Tosco che per la città del foco
+vivo ten vai così parlando onesto,
+piacciati di restare in questo loco.
+
+La tua loquela ti fa manifesto
+di quella nobil patrïa natio,
+a la qual forse fui troppo molesto».
+
+Subitamente questo suono uscìo
+d’una de l’arche; però m’accostai,
+temendo, un poco più al duca mio.
+
+Ed el mi disse: «Volgiti! Che fai?
+Vedi là Farinata che s’è dritto:
+da la cintola in sù tutto ’l vedrai».
+
+Io avea già il mio viso nel suo fitto;
+ed el s’ergea col petto e con la fronte
+com’ avesse l’inferno a gran dispitto.
+
+E l’animose man del duca e pronte
+mi pinser tra le sepulture a lui,
+dicendo: «Le parole tue sien conte».
+
+Com’ io al piè de la sua tomba fui,
+guardommi un poco, e poi, quasi sdegnoso,
+mi dimandò: «Chi fuor li maggior tui?».
+
+Io ch’era d’ubidir disideroso,
+non gliel celai, ma tutto gliel’ apersi;
+ond’ ei levò le ciglia un poco in suso;
+
+poi disse: «Fieramente furo avversi
+a me e a miei primi e a mia parte,
+sì che per due fïate li dispersi».
+
+«S’ei fur cacciati, ei tornar d’ogne parte»,
+rispuos’ io lui, «l’una e l’altra fïata;
+ma i vostri non appreser ben quell’ arte».
+
+Allor surse a la vista scoperchiata
+un’ombra, lungo questa, infino al mento:
+credo che s’era in ginocchie levata.
+
+Dintorno mi guardò, come talento
+avesse di veder s’altri era meco;
+e poi che ’l sospecciar fu tutto spento,
+
+piangendo disse: «Se per questo cieco
+carcere vai per altezza d’ingegno,
+mio figlio ov’ è? e perché non è teco?».
+
+E io a lui: «Da me stesso non vegno:
+colui ch’attende là, per qui mi mena
+forse cui Guido vostro ebbe a disdegno».
+
+Le sue parole e ’l modo de la pena
+m’avean di costui già letto il nome;
+però fu la risposta così piena.
+
+Di sùbito drizzato gridò: «Come?
+dicesti “elli ebbe”? non viv’ elli ancora?
+non fiere li occhi suoi lo dolce lume?».
+
+Quando s’accorse d’alcuna dimora
+ch’io facëa dinanzi a la risposta,
+supin ricadde e più non parve fora.
+
+Ma quell’ altro magnanimo, a cui posta
+restato m’era, non mutò aspetto,
+né mosse collo, né piegò sua costa;
+
+e sé continüando al primo detto,
+«S’elli han quell’ arte», disse, «male appresa,
+ciò mi tormenta più che questo letto.
+
+Ma non cinquanta volte fia raccesa
+la faccia de la donna che qui regge,
+che tu saprai quanto quell’ arte pesa.
+
+E se tu mai nel dolce mondo regge,
+dimmi: perché quel popolo è sì empio
+incontr’ a’ miei in ciascuna sua legge?».
+
+Ond’ io a lui: «Lo strazio e ’l grande scempio
+che fece l’Arbia colorata in rosso,
+tal orazion fa far nel nostro tempio».
+
+Poi ch’ebbe sospirando il capo mosso,
+«A ciò non fu’ io sol», disse, «né certo
+sanza cagion con li altri sarei mosso.
+
+Ma fu’ io solo, là dove sofferto
+fu per ciascun di tòrre via Fiorenza,
+colui che la difesi a viso aperto».
+
+«Deh, se riposi mai vostra semenza»,
+prega’ io lui, «solvetemi quel nodo
+che qui ha ’nviluppata mia sentenza.
+
+El par che voi veggiate, se ben odo,
+dinanzi quel che ’l tempo seco adduce,
+e nel presente tenete altro modo».
+
+«Noi veggiam, come quei c’ha mala luce,
+le cose», disse, «che ne son lontano;
+cotanto ancor ne splende il sommo duce.
+
+Quando s’appressano o son, tutto è vano
+nostro intelletto; e s’altri non ci apporta,
+nulla sapem di vostro stato umano.
+
+Però comprender puoi che tutta morta
+fia nostra conoscenza da quel punto
+che del futuro fia chiusa la porta».
+
+Allor, come di mia colpa compunto,
+dissi: «Or direte dunque a quel caduto
+che ’l suo nato è co’ vivi ancor congiunto;
+
+e s’i’ fui, dianzi, a la risposta muto,
+fate i saper che ’l fei perché pensava
+già ne l’error che m’avete soluto».
+
+E già ’l maestro mio mi richiamava;
+per ch’i’ pregai lo spirto più avaccio
+che mi dicesse chi con lu’ istava.
+
+Dissemi: «Qui con più di mille giaccio:
+qua dentro è ’l secondo Federico
+e ’l Cardinale; e de li altri mi taccio».
+
+Indi s’ascose; e io inver’ l’antico
+poeta volsi i passi, ripensando
+a quel parlar che mi parea nemico.
+
+Elli si mosse; e poi, così andando,
+mi disse: «Perché se’ tu sì smarrito?».
+E io li sodisfeci al suo dimando.
+
+«La mente tua conservi quel ch’udito
+hai contra te», mi comandò quel saggio;
+«e ora attendi qui», e drizzò ’l dito:
+
+«quando sarai dinanzi al dolce raggio
+di quella il cui bell’ occhio tutto vede,
+da lei saprai di tua vita il vïaggio».
+
+Appresso mosse a man sinistra il piede:
+lasciammo il muro e gimmo inver’ lo mezzo
+per un sentier ch’a una valle fiede,
+
+che ’nfin là sù facea spiacer suo lezzo.
+
+
+
+
+Inferno
+Canto XI
+
+
+In su l’estremità d’un’alta ripa
+che facevan gran pietre rotte in cerchio,
+venimmo sopra più crudele stipa;
+
+e quivi, per l’orribile soperchio
+del puzzo che ’l profondo abisso gitta,
+ci raccostammo, in dietro, ad un coperchio
+
+d’un grand’ avello, ov’ io vidi una scritta
+che dicea: ‘Anastasio papa guardo,
+lo qual trasse Fotin de la via dritta’.
+
+«Lo nostro scender conviene esser tardo,
+sì che s’ausi un poco in prima il senso
+al tristo fiato; e poi no i fia riguardo».
+
+Così ’l maestro; e io «Alcun compenso»,
+dissi lui, «trova che ’l tempo non passi
+perduto». Ed elli: «Vedi ch’a ciò penso».
+
+«Figliuol mio, dentro da cotesti sassi»,
+cominciò poi a dir, «son tre cerchietti
+di grado in grado, come que’ che lassi.
+
+Tutti son pien di spirti maladetti;
+ma perché poi ti basti pur la vista,
+intendi come e perché son costretti.
+
+D’ogne malizia, ch’odio in cielo acquista,
+ingiuria è ’l fine, ed ogne fin cotale
+o con forza o con frode altrui contrista.
+
+Ma perché frode è de l’uom proprio male,
+più spiace a Dio; e però stan di sotto
+li frodolenti, e più dolor li assale.
+
+Di vïolenti il primo cerchio è tutto;
+ma perché si fa forza a tre persone,
+in tre gironi è distinto e costrutto.
+
+A Dio, a sé, al prossimo si pòne
+far forza, dico in loro e in lor cose,
+come udirai con aperta ragione.
+
+Morte per forza e ferute dogliose
+nel prossimo si danno, e nel suo avere
+ruine, incendi e tollette dannose;
+
+onde omicide e ciascun che mal fiere,
+guastatori e predon, tutti tormenta
+lo giron primo per diverse schiere.
+
+Puote omo avere in sé man vïolenta
+e ne’ suoi beni; e però nel secondo
+giron convien che sanza pro si penta
+
+qualunque priva sé del vostro mondo,
+biscazza e fonde la sua facultade,
+e piange là dov’ esser de’ giocondo.
+
+Puossi far forza ne la deïtade,
+col cor negando e bestemmiando quella,
+e spregiando natura e sua bontade;
+
+e però lo minor giron suggella
+del segno suo e Soddoma e Caorsa
+e chi, spregiando Dio col cor, favella.
+
+La frode, ond’ ogne coscïenza è morsa,
+può l’omo usare in colui che ’n lui fida
+e in quel che fidanza non imborsa.
+
+Questo modo di retro par ch’incida
+pur lo vinco d’amor che fa natura;
+onde nel cerchio secondo s’annida
+
+ipocresia, lusinghe e chi affattura,
+falsità, ladroneccio e simonia,
+ruffian, baratti e simile lordura.
+
+Per l’altro modo quell’ amor s’oblia
+che fa natura, e quel ch’è poi aggiunto,
+di che la fede spezïal si cria;
+
+onde nel cerchio minore, ov’ è ’l punto
+de l’universo in su che Dite siede,
+qualunque trade in etterno è consunto».
+
+E io: «Maestro, assai chiara procede
+la tua ragione, e assai ben distingue
+questo baràtro e ’l popol ch’e’ possiede.
+
+Ma dimmi: quei de la palude pingue,
+che mena il vento, e che batte la pioggia,
+e che s’incontran con sì aspre lingue,
+
+perché non dentro da la città roggia
+sono ei puniti, se Dio li ha in ira?
+e se non li ha, perché sono a tal foggia?».
+
+Ed elli a me «Perché tanto delira»,
+disse, «lo ’ngegno tuo da quel che sòle?
+o ver la mente dove altrove mira?
+
+Non ti rimembra di quelle parole
+con le quai la tua Etica pertratta
+le tre disposizion che ’l ciel non vole,
+
+incontenenza, malizia e la matta
+bestialitade? e come incontenenza
+men Dio offende e men biasimo accatta?
+
+Se tu riguardi ben questa sentenza,
+e rechiti a la mente chi son quelli
+che sù di fuor sostegnon penitenza,
+
+tu vedrai ben perché da questi felli
+sien dipartiti, e perché men crucciata
+la divina vendetta li martelli».
+
+«O sol che sani ogne vista turbata,
+tu mi contenti sì quando tu solvi,
+che, non men che saver, dubbiar m’aggrata.
+
+Ancora in dietro un poco ti rivolvi»,
+diss’ io, «là dove di’ ch’usura offende
+la divina bontade, e ’l groppo solvi».
+
+«Filosofia», mi disse, «a chi la ’ntende,
+nota, non pure in una sola parte,
+come natura lo suo corso prende
+
+dal divino ’ntelletto e da sua arte;
+e se tu ben la tua Fisica note,
+tu troverai, non dopo molte carte,
+
+che l’arte vostra quella, quanto pote,
+segue, come ’l maestro fa ’l discente;
+sì che vostr’ arte a Dio quasi è nepote.
+
+Da queste due, se tu ti rechi a mente
+lo Genesì dal principio, convene
+prender sua vita e avanzar la gente;
+
+e perché l’usuriere altra via tene,
+per sé natura e per la sua seguace
+dispregia, poi ch’in altro pon la spene.
+
+Ma seguimi oramai che ’l gir mi piace;
+ché i Pesci guizzan su per l’orizzonta,
+e ’l Carro tutto sovra ’l Coro giace,
+
+e ’l balzo via là oltra si dismonta».
+
+
+
+
+Inferno
+Canto XII
+
+
+Era lo loco ov’ a scender la riva
+venimmo, alpestro e, per quel che v’er’ anco,
+tal, ch’ogne vista ne sarebbe schiva.
+
+Qual è quella ruina che nel fianco
+di qua da Trento l’Adice percosse,
+o per tremoto o per sostegno manco,
+
+che da cima del monte, onde si mosse,
+al piano è sì la roccia discoscesa,
+ch’alcuna via darebbe a chi sù fosse:
+
+cotal di quel burrato era la scesa;
+e ’n su la punta de la rotta lacca
+l’infamïa di Creti era distesa
+
+che fu concetta ne la falsa vacca;
+e quando vide noi, sé stesso morse,
+sì come quei cui l’ira dentro fiacca.
+
+Lo savio mio inver’ lui gridò: «Forse
+tu credi che qui sia ’l duca d’Atene,
+che sù nel mondo la morte ti porse?
+
+Pàrtiti, bestia, ché questi non vene
+ammaestrato da la tua sorella,
+ma vassi per veder le vostre pene».
+
+Qual è quel toro che si slaccia in quella
+c’ha ricevuto già ’l colpo mortale,
+che gir non sa, ma qua e là saltella,
+
+vid’ io lo Minotauro far cotale;
+e quello accorto gridò: «Corri al varco;
+mentre ch’e’ ’nfuria, è buon che tu ti cale».
+
+Così prendemmo via giù per lo scarco
+di quelle pietre, che spesso moviensi
+sotto i miei piedi per lo novo carco.
+
+Io gia pensando; e quei disse: «Tu pensi
+forse a questa ruina, ch’è guardata
+da quell’ ira bestial ch’i’ ora spensi.
+
+Or vo’ che sappi che l’altra fïata
+ch’i’ discesi qua giù nel basso inferno,
+questa roccia non era ancor cascata.
+
+Ma certo poco pria, se ben discerno,
+che venisse colui che la gran preda
+levò a Dite del cerchio superno,
+
+da tutte parti l’alta valle feda
+tremò sì, ch’i’ pensai che l’universo
+sentisse amor, per lo qual è chi creda
+
+più volte il mondo in caòsso converso;
+e in quel punto questa vecchia roccia,
+qui e altrove, tal fece riverso.
+
+Ma ficca li occhi a valle, ché s’approccia
+la riviera del sangue in la qual bolle
+qual che per vïolenza in altrui noccia».
+
+Oh cieca cupidigia e ira folle,
+che sì ci sproni ne la vita corta,
+e ne l’etterna poi sì mal c’immolle!
+
+Io vidi un’ampia fossa in arco torta,
+come quella che tutto ’l piano abbraccia,
+secondo ch’avea detto la mia scorta;
+
+e tra ’l piè de la ripa ed essa, in traccia
+corrien centauri, armati di saette,
+come solien nel mondo andare a caccia.
+
+Veggendoci calar, ciascun ristette,
+e de la schiera tre si dipartiro
+con archi e asticciuole prima elette;
+
+e l’un gridò da lungi: «A qual martiro
+venite voi che scendete la costa?
+Ditel costinci; se non, l’arco tiro».
+
+Lo mio maestro disse: «La risposta
+farem noi a Chirón costà di presso:
+mal fu la voglia tua sempre sì tosta».
+
+Poi mi tentò, e disse: «Quelli è Nesso,
+che morì per la bella Deianira,
+e fé di sé la vendetta elli stesso.
+
+E quel di mezzo, ch’al petto si mira,
+è il gran Chirón, il qual nodrì Achille;
+quell’ altro è Folo, che fu sì pien d’ira.
+
+Dintorno al fosso vanno a mille a mille,
+saettando qual anima si svelle
+del sangue più che sua colpa sortille».
+
+Noi ci appressammo a quelle fiere isnelle:
+Chirón prese uno strale, e con la cocca
+fece la barba in dietro a le mascelle.
+
+Quando s’ebbe scoperta la gran bocca,
+disse a’ compagni: «Siete voi accorti
+che quel di retro move ciò ch’el tocca?
+
+Così non soglion far li piè d’i morti».
+E ’l mio buon duca, che già li er’ al petto,
+dove le due nature son consorti,
+
+rispuose: «Ben è vivo, e sì soletto
+mostrar li mi convien la valle buia;
+necessità ’l ci ’nduce, e non diletto.
+
+Tal si partì da cantare alleluia
+che mi commise quest’ officio novo:
+non è ladron, né io anima fuia.
+
+Ma per quella virtù per cu’ io movo
+li passi miei per sì selvaggia strada,
+danne un de’ tuoi, a cui noi siamo a provo,
+
+e che ne mostri là dove si guada,
+e che porti costui in su la groppa,
+ché non è spirto che per l’aere vada».
+
+Chirón si volse in su la destra poppa,
+e disse a Nesso: «Torna, e sì li guida,
+e fa cansar s’altra schiera v’intoppa».
+
+Or ci movemmo con la scorta fida
+lungo la proda del bollor vermiglio,
+dove i bolliti facieno alte strida.
+
+Io vidi gente sotto infino al ciglio;
+e ’l gran centauro disse: «E’ son tiranni
+che dier nel sangue e ne l’aver di piglio.
+
+Quivi si piangon li spietati danni;
+quivi è Alessandro, e Dïonisio fero
+che fé Cicilia aver dolorosi anni.
+
+E quella fronte c’ha ’l pel così nero,
+è Azzolino; e quell’ altro ch’è biondo,
+è Opizzo da Esti, il qual per vero
+
+fu spento dal figliastro sù nel mondo».
+Allor mi volsi al poeta, e quei disse:
+«Questi ti sia or primo, e io secondo».
+
+Poco più oltre il centauro s’affisse
+sovr’ una gente che ’nfino a la gola
+parea che di quel bulicame uscisse.
+
+Mostrocci un’ombra da l’un canto sola,
+dicendo: «Colui fesse in grembo a Dio
+lo cor che ’n su Tamisi ancor si cola».
+
+Poi vidi gente che di fuor del rio
+tenean la testa e ancor tutto ’l casso;
+e di costoro assai riconobb’ io.
+
+Così a più a più si facea basso
+quel sangue, sì che cocea pur li piedi;
+e quindi fu del fosso il nostro passo.
+
+«Sì come tu da questa parte vedi
+lo bulicame che sempre si scema»,
+disse ’l centauro, «voglio che tu credi
+
+che da quest’ altra a più a più giù prema
+lo fondo suo, infin ch’el si raggiunge
+ove la tirannia convien che gema.
+
+La divina giustizia di qua punge
+quell’ Attila che fu flagello in terra,
+e Pirro e Sesto; e in etterno munge
+
+le lagrime, che col bollor diserra,
+a Rinier da Corneto, a Rinier Pazzo,
+che fecero a le strade tanta guerra».
+
+Poi si rivolse e ripassossi ’l guazzo.
+
+
+
+
+Inferno
+Canto XIII
+
+
+Non era ancor di là Nesso arrivato,
+quando noi ci mettemmo per un bosco
+che da neun sentiero era segnato.
+
+Non fronda verde, ma di color fosco;
+non rami schietti, ma nodosi e ’nvolti;
+non pomi v’eran, ma stecchi con tòsco.
+
+Non han sì aspri sterpi né sì folti
+quelle fiere selvagge che ’n odio hanno
+tra Cecina e Corneto i luoghi cólti.
+
+Quivi le brutte Arpie lor nidi fanno,
+che cacciar de le Strofade i Troiani
+con tristo annunzio di futuro danno.
+
+Ali hanno late, e colli e visi umani,
+piè con artigli, e pennuto ’l gran ventre;
+fanno lamenti in su li alberi strani.
+
+E ’l buon maestro «Prima che più entre,
+sappi che se’ nel secondo girone»,
+mi cominciò a dire, «e sarai mentre
+
+che tu verrai ne l’orribil sabbione.
+Però riguarda ben; sì vederai
+cose che torrien fede al mio sermone».
+
+Io sentia d’ogne parte trarre guai
+e non vedea persona che ’l facesse;
+per ch’io tutto smarrito m’arrestai.
+
+Cred’ ïo ch’ei credette ch’io credesse
+che tante voci uscisser, tra quei bronchi,
+da gente che per noi si nascondesse.
+
+Però disse ’l maestro: «Se tu tronchi
+qualche fraschetta d’una d’este piante,
+li pensier c’hai si faran tutti monchi».
+
+Allor porsi la mano un poco avante
+e colsi un ramicel da un gran pruno;
+e ’l tronco suo gridò: «Perché mi schiante?».
+
+Da che fatto fu poi di sangue bruno,
+ricominciò a dir: «Perché mi scerpi?
+non hai tu spirto di pietade alcuno?
+
+Uomini fummo, e or siam fatti sterpi:
+ben dovrebb’ esser la tua man più pia,
+se state fossimo anime di serpi».
+
+Come d’un stizzo verde ch’arso sia
+da l’un de’ capi, che da l’altro geme
+e cigola per vento che va via,
+
+sì de la scheggia rotta usciva insieme
+parole e sangue; ond’ io lasciai la cima
+cadere, e stetti come l’uom che teme.
+
+«S’elli avesse potuto creder prima»,
+rispuose ’l savio mio, «anima lesa,
+ciò c’ha veduto pur con la mia rima,
+
+non averebbe in te la man distesa;
+ma la cosa incredibile mi fece
+indurlo ad ovra ch’a me stesso pesa.
+
+Ma dilli chi tu fosti, sì che ’n vece
+d’alcun’ ammenda tua fama rinfreschi
+nel mondo sù, dove tornar li lece».
+
+E ’l tronco: «Sì col dolce dir m’adeschi,
+ch’i’ non posso tacere; e voi non gravi
+perch’ ïo un poco a ragionar m’inveschi.
+
+Io son colui che tenni ambo le chiavi
+del cor di Federigo, e che le volsi,
+serrando e diserrando, sì soavi,
+
+che dal secreto suo quasi ogn’ uom tolsi;
+fede portai al glorïoso offizio,
+tanto ch’i’ ne perde’ li sonni e ’ polsi.
+
+La meretrice che mai da l’ospizio
+di Cesare non torse li occhi putti,
+morte comune e de le corti vizio,
+
+infiammò contra me li animi tutti;
+e li ’nfiammati infiammar sì Augusto,
+che ’ lieti onor tornaro in tristi lutti.
+
+L’animo mio, per disdegnoso gusto,
+credendo col morir fuggir disdegno,
+ingiusto fece me contra me giusto.
+
+Per le nove radici d’esto legno
+vi giuro che già mai non ruppi fede
+al mio segnor, che fu d’onor sì degno.
+
+E se di voi alcun nel mondo riede,
+conforti la memoria mia, che giace
+ancor del colpo che ’nvidia le diede».
+
+Un poco attese, e poi «Da ch’el si tace»,
+disse ’l poeta a me, «non perder l’ora;
+ma parla, e chiedi a lui, se più ti piace».
+
+Ond’ ïo a lui: «Domandal tu ancora
+di quel che credi ch’a me satisfaccia;
+ch’i’ non potrei, tanta pietà m’accora».
+
+Perciò ricominciò: «Se l’om ti faccia
+liberamente ciò che ’l tuo dir priega,
+spirito incarcerato, ancor ti piaccia
+
+di dirne come l’anima si lega
+in questi nocchi; e dinne, se tu puoi,
+s’alcuna mai di tai membra si spiega».
+
+Allor soffiò il tronco forte, e poi
+si convertì quel vento in cotal voce:
+«Brievemente sarà risposto a voi.
+
+Quando si parte l’anima feroce
+dal corpo ond’ ella stessa s’è disvelta,
+Minòs la manda a la settima foce.
+
+Cade in la selva, e non l’è parte scelta;
+ma là dove fortuna la balestra,
+quivi germoglia come gran di spelta.
+
+Surge in vermena e in pianta silvestra:
+l’Arpie, pascendo poi de le sue foglie,
+fanno dolore, e al dolor fenestra.
+
+Come l’altre verrem per nostre spoglie,
+ma non però ch’alcuna sen rivesta,
+ché non è giusto aver ciò ch’om si toglie.
+
+Qui le strascineremo, e per la mesta
+selva saranno i nostri corpi appesi,
+ciascuno al prun de l’ombra sua molesta».
+
+Noi eravamo ancora al tronco attesi,
+credendo ch’altro ne volesse dire,
+quando noi fummo d’un romor sorpresi,
+
+similemente a colui che venire
+sente ’l porco e la caccia a la sua posta,
+ch’ode le bestie, e le frasche stormire.
+
+Ed ecco due da la sinistra costa,
+nudi e graffiati, fuggendo sì forte,
+che de la selva rompieno ogne rosta.
+
+Quel dinanzi: «Or accorri, accorri, morte!».
+E l’altro, cui pareva tardar troppo,
+gridava: «Lano, sì non furo accorte
+
+le gambe tue a le giostre dal Toppo!».
+E poi che forse li fallia la lena,
+di sé e d’un cespuglio fece un groppo.
+
+Di rietro a loro era la selva piena
+di nere cagne, bramose e correnti
+come veltri ch’uscisser di catena.
+
+In quel che s’appiattò miser li denti,
+e quel dilaceraro a brano a brano;
+poi sen portar quelle membra dolenti.
+
+Presemi allor la mia scorta per mano,
+e menommi al cespuglio che piangea
+per le rotture sanguinenti in vano.
+
+«O Iacopo», dicea, «da Santo Andrea,
+che t’è giovato di me fare schermo?
+che colpa ho io de la tua vita rea?».
+
+Quando ’l maestro fu sovr’ esso fermo,
+disse: «Chi fosti, che per tante punte
+soffi con sangue doloroso sermo?».
+
+Ed elli a noi: «O anime che giunte
+siete a veder lo strazio disonesto
+c’ha le mie fronde sì da me disgiunte,
+
+raccoglietele al piè del tristo cesto.
+I’ fui de la città che nel Batista
+mutò ’l primo padrone; ond’ ei per questo
+
+sempre con l’arte sua la farà trista;
+e se non fosse che ’n sul passo d’Arno
+rimane ancor di lui alcuna vista,
+
+que’ cittadin che poi la rifondarno
+sovra ’l cener che d’Attila rimase,
+avrebber fatto lavorare indarno.
+
+Io fei gibetto a me de le mie case».
+
+
+
+
+Inferno
+Canto XIV
+
+
+Poi che la carità del natio loco
+mi strinse, raunai le fronde sparte
+e rende’le a colui, ch’era già fioco.
+
+Indi venimmo al fine ove si parte
+lo secondo giron dal terzo, e dove
+si vede di giustizia orribil arte.
+
+A ben manifestar le cose nove,
+dico che arrivammo ad una landa
+che dal suo letto ogne pianta rimove.
+
+La dolorosa selva l’è ghirlanda
+intorno, come ’l fosso tristo ad essa;
+quivi fermammo i passi a randa a randa.
+
+Lo spazzo era una rena arida e spessa,
+non d’altra foggia fatta che colei
+che fu da’ piè di Caton già soppressa.
+
+O vendetta di Dio, quanto tu dei
+esser temuta da ciascun che legge
+ciò che fu manifesto a li occhi mei!
+
+D’anime nude vidi molte gregge
+che piangean tutte assai miseramente,
+e parea posta lor diversa legge.
+
+Supin giacea in terra alcuna gente,
+alcuna si sedea tutta raccolta,
+e altra andava continüamente.
+
+Quella che giva ’ntorno era più molta,
+e quella men che giacëa al tormento,
+ma più al duolo avea la lingua sciolta.
+
+Sovra tutto ’l sabbion, d’un cader lento,
+piovean di foco dilatate falde,
+come di neve in alpe sanza vento.
+
+Quali Alessandro in quelle parti calde
+d’Indïa vide sopra ’l süo stuolo
+fiamme cadere infino a terra salde,
+
+per ch’ei provide a scalpitar lo suolo
+con le sue schiere, acciò che lo vapore
+mei si stingueva mentre ch’era solo:
+
+tale scendeva l’etternale ardore;
+onde la rena s’accendea, com’ esca
+sotto focile, a doppiar lo dolore.
+
+Sanza riposo mai era la tresca
+de le misere mani, or quindi or quinci
+escotendo da sé l’arsura fresca.
+
+I’ cominciai: «Maestro, tu che vinci
+tutte le cose, fuor che ’ demon duri
+ch’a l’intrar de la porta incontra uscinci,
+
+chi è quel grande che non par che curi
+lo ’ncendio e giace dispettoso e torto,
+sì che la pioggia non par che ’l marturi?».
+
+E quel medesmo, che si fu accorto
+ch’io domandava il mio duca di lui,
+gridò: «Qual io fui vivo, tal son morto.
+
+Se Giove stanchi ’l suo fabbro da cui
+crucciato prese la folgore aguta
+onde l’ultimo dì percosso fui;
+
+o s’elli stanchi li altri a muta a muta
+in Mongibello a la focina negra,
+chiamando “Buon Vulcano, aiuta, aiuta!”,
+
+sì com’ el fece a la pugna di Flegra,
+e me saetti con tutta sua forza:
+non ne potrebbe aver vendetta allegra».
+
+Allora il duca mio parlò di forza
+tanto, ch’i’ non l’avea sì forte udito:
+«O Capaneo, in ciò che non s’ammorza
+
+la tua superbia, se’ tu più punito;
+nullo martiro, fuor che la tua rabbia,
+sarebbe al tuo furor dolor compito».
+
+Poi si rivolse a me con miglior labbia,
+dicendo: «Quei fu l’un d’i sette regi
+ch’assiser Tebe; ed ebbe e par ch’elli abbia
+
+Dio in disdegno, e poco par che ’l pregi;
+ma, com’ io dissi lui, li suoi dispetti
+sono al suo petto assai debiti fregi.
+
+Or mi vien dietro, e guarda che non metti,
+ancor, li piedi ne la rena arsiccia;
+ma sempre al bosco tien li piedi stretti».
+
+Tacendo divenimmo là ’ve spiccia
+fuor de la selva un picciol fiumicello,
+lo cui rossore ancor mi raccapriccia.
+
+Quale del Bulicame esce ruscello
+che parton poi tra lor le peccatrici,
+tal per la rena giù sen giva quello.
+
+Lo fondo suo e ambo le pendici
+fatt’ era ’n pietra, e ’ margini dallato;
+per ch’io m’accorsi che ’l passo era lici.
+
+«Tra tutto l’altro ch’i’ t’ho dimostrato,
+poscia che noi intrammo per la porta
+lo cui sogliare a nessuno è negato,
+
+cosa non fu da li tuoi occhi scorta
+notabile com’ è ’l presente rio,
+che sovra sé tutte fiammelle ammorta».
+
+Queste parole fuor del duca mio;
+per ch’io ’l pregai che mi largisse ’l pasto
+di cui largito m’avëa il disio.
+
+«In mezzo mar siede un paese guasto»,
+diss’ elli allora, «che s’appella Creta,
+sotto ’l cui rege fu già ’l mondo casto.
+
+Una montagna v’è che già fu lieta
+d’acqua e di fronde, che si chiamò Ida;
+or è diserta come cosa vieta.
+
+Rëa la scelse già per cuna fida
+del suo figliuolo, e per celarlo meglio,
+quando piangea, vi facea far le grida.
+
+Dentro dal monte sta dritto un gran veglio,
+che tien volte le spalle inver’ Dammiata
+e Roma guarda come süo speglio.
+
+La sua testa è di fin oro formata,
+e puro argento son le braccia e ’l petto,
+poi è di rame infino a la forcata;
+
+da indi in giuso è tutto ferro eletto,
+salvo che ’l destro piede è terra cotta;
+e sta ’n su quel, più che ’n su l’altro, eretto.
+
+Ciascuna parte, fuor che l’oro, è rotta
+d’una fessura che lagrime goccia,
+le quali, accolte, fóran quella grotta.
+
+Lor corso in questa valle si diroccia;
+fanno Acheronte, Stige e Flegetonta;
+poi sen van giù per questa stretta doccia,
+
+infin, là ove più non si dismonta,
+fanno Cocito; e qual sia quello stagno
+tu lo vedrai, però qui non si conta».
+
+E io a lui: «Se ’l presente rigagno
+si diriva così dal nostro mondo,
+perché ci appar pur a questo vivagno?».
+
+Ed elli a me: «Tu sai che ’l loco è tondo;
+e tutto che tu sie venuto molto,
+pur a sinistra, giù calando al fondo,
+
+non se’ ancor per tutto ’l cerchio vòlto;
+per che, se cosa n’apparisce nova,
+non de’ addur maraviglia al tuo volto».
+
+E io ancor: «Maestro, ove si trova
+Flegetonta e Letè? ché de l’un taci,
+e l’altro di’ che si fa d’esta piova».
+
+«In tutte tue question certo mi piaci»,
+rispuose, «ma ’l bollor de l’acqua rossa
+dovea ben solver l’una che tu faci.
+
+Letè vedrai, ma fuor di questa fossa,
+là dove vanno l’anime a lavarsi
+quando la colpa pentuta è rimossa».
+
+Poi disse: «Omai è tempo da scostarsi
+dal bosco; fa che di retro a me vegne:
+li margini fan via, che non son arsi,
+
+e sopra loro ogne vapor si spegne».
+
+
+
+
+Inferno
+Canto XV
+
+
+Ora cen porta l’un de’ duri margini;
+e ’l fummo del ruscel di sopra aduggia,
+sì che dal foco salva l’acqua e li argini.
+
+Quali Fiamminghi tra Guizzante e Bruggia,
+temendo ’l fiotto che ’nver’ lor s’avventa,
+fanno lo schermo perché ’l mar si fuggia;
+
+e quali Padoan lungo la Brenta,
+per difender lor ville e lor castelli,
+anzi che Carentana il caldo senta:
+
+a tale imagine eran fatti quelli,
+tutto che né sì alti né sì grossi,
+qual che si fosse, lo maestro félli.
+
+Già eravam da la selva rimossi
+tanto, ch’i’ non avrei visto dov’ era,
+perch’ io in dietro rivolto mi fossi,
+
+quando incontrammo d’anime una schiera
+che venian lungo l’argine, e ciascuna
+ci riguardava come suol da sera
+
+guardare uno altro sotto nuova luna;
+e sì ver’ noi aguzzavan le ciglia
+come ’l vecchio sartor fa ne la cruna.
+
+Così adocchiato da cotal famiglia,
+fui conosciuto da un, che mi prese
+per lo lembo e gridò: «Qual maraviglia!».
+
+E io, quando ’l suo braccio a me distese,
+ficcaï li occhi per lo cotto aspetto,
+sì che ’l viso abbrusciato non difese
+
+la conoscenza süa al mio ’ntelletto;
+e chinando la mano a la sua faccia,
+rispuosi: «Siete voi qui, ser Brunetto?».
+
+E quelli: «O figliuol mio, non ti dispiaccia
+se Brunetto Latino un poco teco
+ritorna ’n dietro e lascia andar la traccia».
+
+I’ dissi lui: «Quanto posso, ven preco;
+e se volete che con voi m’asseggia,
+faròl, se piace a costui che vo seco».
+
+«O figliuol», disse, «qual di questa greggia
+s’arresta punto, giace poi cent’ anni
+sanz’ arrostarsi quando ’l foco il feggia.
+
+Però va oltre: i’ ti verrò a’ panni;
+e poi rigiugnerò la mia masnada,
+che va piangendo i suoi etterni danni».
+
+Io non osava scender de la strada
+per andar par di lui; ma ’l capo chino
+tenea com’ uom che reverente vada.
+
+El cominciò: «Qual fortuna o destino
+anzi l’ultimo dì qua giù ti mena?
+e chi è questi che mostra ’l cammino?».
+
+«Là sù di sopra, in la vita serena»,
+rispuos’ io lui, «mi smarri’ in una valle,
+avanti che l’età mia fosse piena.
+
+Pur ier mattina le volsi le spalle:
+questi m’apparve, tornand’ ïo in quella,
+e reducemi a ca per questo calle».
+
+Ed elli a me: «Se tu segui tua stella,
+non puoi fallire a glorïoso porto,
+se ben m’accorsi ne la vita bella;
+
+e s’io non fossi sì per tempo morto,
+veggendo il cielo a te così benigno,
+dato t’avrei a l’opera conforto.
+
+Ma quello ingrato popolo maligno
+che discese di Fiesole ab antico,
+e tiene ancor del monte e del macigno,
+
+ti si farà, per tuo ben far, nimico;
+ed è ragion, ché tra li lazzi sorbi
+si disconvien fruttare al dolce fico.
+
+Vecchia fama nel mondo li chiama orbi;
+gent’ è avara, invidiosa e superba:
+dai lor costumi fa che tu ti forbi.
+
+La tua fortuna tanto onor ti serba,
+che l’una parte e l’altra avranno fame
+di te; ma lungi fia dal becco l’erba.
+
+Faccian le bestie fiesolane strame
+di lor medesme, e non tocchin la pianta,
+s’alcuna surge ancora in lor letame,
+
+in cui riviva la sementa santa
+di que’ Roman che vi rimaser quando
+fu fatto il nido di malizia tanta».
+
+«Se fosse tutto pieno il mio dimando»,
+rispuos’ io lui, «voi non sareste ancora
+de l’umana natura posto in bando;
+
+ché ’n la mente m’è fitta, e or m’accora,
+la cara e buona imagine paterna
+di voi quando nel mondo ad ora ad ora
+
+m’insegnavate come l’uom s’etterna:
+e quant’ io l’abbia in grado, mentr’ io vivo
+convien che ne la mia lingua si scerna.
+
+Ciò che narrate di mio corso scrivo,
+e serbolo a chiosar con altro testo
+a donna che saprà, s’a lei arrivo.
+
+Tanto vogl’ io che vi sia manifesto,
+pur che mia coscïenza non mi garra,
+ch’a la Fortuna, come vuol, son presto.
+
+Non è nuova a li orecchi miei tal arra:
+però giri Fortuna la sua rota
+come le piace, e ’l villan la sua marra».
+
+Lo mio maestro allora in su la gota
+destra si volse in dietro e riguardommi;
+poi disse: «Bene ascolta chi la nota».
+
+Né per tanto di men parlando vommi
+con ser Brunetto, e dimando chi sono
+li suoi compagni più noti e più sommi.
+
+Ed elli a me: «Saper d’alcuno è buono;
+de li altri fia laudabile tacerci,
+ché ’l tempo saria corto a tanto suono.
+
+In somma sappi che tutti fur cherci
+e litterati grandi e di gran fama,
+d’un peccato medesmo al mondo lerci.
+
+Priscian sen va con quella turba grama,
+e Francesco d’Accorso anche; e vedervi,
+s’avessi avuto di tal tigna brama,
+
+colui potei che dal servo de’ servi
+fu trasmutato d’Arno in Bacchiglione,
+dove lasciò li mal protesi nervi.
+
+Di più direi; ma ’l venire e ’l sermone
+più lungo esser non può, però ch’i’ veggio
+là surger nuovo fummo del sabbione.
+
+Gente vien con la quale esser non deggio.
+Sieti raccomandato il mio Tesoro,
+nel qual io vivo ancora, e più non cheggio».
+
+Poi si rivolse, e parve di coloro
+che corrono a Verona il drappo verde
+per la campagna; e parve di costoro
+
+quelli che vince, non colui che perde.
+
+
+
+
+Inferno
+Canto XVI
+
+
+Già era in loco onde s’udia ’l rimbombo
+de l’acqua che cadea ne l’altro giro,
+simile a quel che l’arnie fanno rombo,
+
+quando tre ombre insieme si partiro,
+correndo, d’una torma che passava
+sotto la pioggia de l’aspro martiro.
+
+Venian ver’ noi, e ciascuna gridava:
+«Sòstati tu ch’a l’abito ne sembri
+esser alcun di nostra terra prava».
+
+Ahimè, che piaghe vidi ne’ lor membri,
+ricenti e vecchie, da le fiamme incese!
+Ancor men duol pur ch’i’ me ne rimembri.
+
+A le lor grida il mio dottor s’attese;
+volse ’l viso ver’ me, e «Or aspetta»,
+disse, «a costor si vuole esser cortese.
+
+E se non fosse il foco che saetta
+la natura del loco, i’ dicerei
+che meglio stesse a te che a lor la fretta».
+
+Ricominciar, come noi restammo, ei
+l’antico verso; e quando a noi fuor giunti,
+fenno una rota di sé tutti e trei.
+
+Qual sogliono i campion far nudi e unti,
+avvisando lor presa e lor vantaggio,
+prima che sien tra lor battuti e punti,
+
+così rotando, ciascuno il visaggio
+drizzava a me, sì che ’n contraro il collo
+faceva ai piè continüo vïaggio.
+
+E «Se miseria d’esto loco sollo
+rende in dispetto noi e nostri prieghi»,
+cominciò l’uno, «e ’l tinto aspetto e brollo,
+
+la fama nostra il tuo animo pieghi
+a dirne chi tu se’, che i vivi piedi
+così sicuro per lo ’nferno freghi.
+
+Questi, l’orme di cui pestar mi vedi,
+tutto che nudo e dipelato vada,
+fu di grado maggior che tu non credi:
+
+nepote fu de la buona Gualdrada;
+Guido Guerra ebbe nome, e in sua vita
+fece col senno assai e con la spada.
+
+L’altro, ch’appresso me la rena trita,
+è Tegghiaio Aldobrandi, la cui voce
+nel mondo sù dovria esser gradita.
+
+E io, che posto son con loro in croce,
+Iacopo Rusticucci fui, e certo
+la fiera moglie più ch’altro mi nuoce».
+
+S’i’ fossi stato dal foco coperto,
+gittato mi sarei tra lor di sotto,
+e credo che ’l dottor l’avria sofferto;
+
+ma perch’ io mi sarei brusciato e cotto,
+vinse paura la mia buona voglia
+che di loro abbracciar mi facea ghiotto.
+
+Poi cominciai: «Non dispetto, ma doglia
+la vostra condizion dentro mi fisse,
+tanta che tardi tutta si dispoglia,
+
+tosto che questo mio segnor mi disse
+parole per le quali i’ mi pensai
+che qual voi siete, tal gente venisse.
+
+Di vostra terra sono, e sempre mai
+l’ovra di voi e li onorati nomi
+con affezion ritrassi e ascoltai.
+
+Lascio lo fele e vo per dolci pomi
+promessi a me per lo verace duca;
+ma ’nfino al centro pria convien ch’i’ tomi».
+
+«Se lungamente l’anima conduca
+le membra tue», rispuose quelli ancora,
+«e se la fama tua dopo te luca,
+
+cortesia e valor dì se dimora
+ne la nostra città sì come suole,
+o se del tutto se n’è gita fora;
+
+ché Guiglielmo Borsiere, il qual si duole
+con noi per poco e va là coi compagni,
+assai ne cruccia con le sue parole».
+
+«La gente nuova e i sùbiti guadagni
+orgoglio e dismisura han generata,
+Fiorenza, in te, sì che tu già ten piagni».
+
+Così gridai con la faccia levata;
+e i tre, che ciò inteser per risposta,
+guardar l’un l’altro com’ al ver si guata.
+
+«Se l’altre volte sì poco ti costa»,
+rispuoser tutti, «il satisfare altrui,
+felice te se sì parli a tua posta!
+
+Però, se campi d’esti luoghi bui
+e torni a riveder le belle stelle,
+quando ti gioverà dicere “I’ fui”,
+
+fa che di noi a la gente favelle».
+Indi rupper la rota, e a fuggirsi
+ali sembiar le gambe loro isnelle.
+
+Un amen non saria possuto dirsi
+tosto così com’ e’ fuoro spariti;
+per ch’al maestro parve di partirsi.
+
+Io lo seguiva, e poco eravam iti,
+che ’l suon de l’acqua n’era sì vicino,
+che per parlar saremmo a pena uditi.
+
+Come quel fiume c’ha proprio cammino
+prima dal Monte Viso ’nver’ levante,
+da la sinistra costa d’Apennino,
+
+che si chiama Acquacheta suso, avante
+che si divalli giù nel basso letto,
+e a Forlì di quel nome è vacante,
+
+rimbomba là sovra San Benedetto
+de l’Alpe per cadere ad una scesa
+ove dovea per mille esser recetto;
+
+così, giù d’una ripa discoscesa,
+trovammo risonar quell’ acqua tinta,
+sì che ’n poc’ ora avria l’orecchia offesa.
+
+Io avea una corda intorno cinta,
+e con essa pensai alcuna volta
+prender la lonza a la pelle dipinta.
+
+Poscia ch’io l’ebbi tutta da me sciolta,
+sì come ’l duca m’avea comandato,
+porsila a lui aggroppata e ravvolta.
+
+Ond’ ei si volse inver’ lo destro lato,
+e alquanto di lunge da la sponda
+la gittò giuso in quell’ alto burrato.
+
+‘E’ pur convien che novità risponda’,
+dicea fra me medesmo, ‘al novo cenno
+che ’l maestro con l’occhio sì seconda’.
+
+Ahi quanto cauti li uomini esser dienno
+presso a color che non veggion pur l’ovra,
+ma per entro i pensier miran col senno!
+
+El disse a me: «Tosto verrà di sovra
+ciò ch’io attendo e che il tuo pensier sogna;
+tosto convien ch’al tuo viso si scovra».
+
+Sempre a quel ver c’ha faccia di menzogna
+de’ l’uom chiuder le labbra fin ch’el puote,
+però che sanza colpa fa vergogna;
+
+ma qui tacer nol posso; e per le note
+di questa comedìa, lettor, ti giuro,
+s’elle non sien di lunga grazia vòte,
+
+ch’i’ vidi per quell’ aere grosso e scuro
+venir notando una figura in suso,
+maravigliosa ad ogne cor sicuro,
+
+sì come torna colui che va giuso
+talora a solver l’àncora ch’aggrappa
+o scoglio o altro che nel mare è chiuso,
+
+che ’n sù si stende e da piè si rattrappa.
+
+
+
+
+Inferno
+Canto XVII
+
+
+«Ecco la fiera con la coda aguzza,
+che passa i monti e rompe i muri e l’armi!
+Ecco colei che tutto ’l mondo appuzza!».
+
+Sì cominciò lo mio duca a parlarmi;
+e accennolle che venisse a proda,
+vicino al fin d’i passeggiati marmi.
+
+E quella sozza imagine di froda
+sen venne, e arrivò la testa e ’l busto,
+ma ’n su la riva non trasse la coda.
+
+La faccia sua era faccia d’uom giusto,
+tanto benigna avea di fuor la pelle,
+e d’un serpente tutto l’altro fusto;
+
+due branche avea pilose insin l’ascelle;
+lo dosso e ’l petto e ambedue le coste
+dipinti avea di nodi e di rotelle.
+
+Con più color, sommesse e sovraposte
+non fer mai drappi Tartari né Turchi,
+né fuor tai tele per Aragne imposte.
+
+Come talvolta stanno a riva i burchi,
+che parte sono in acqua e parte in terra,
+e come là tra li Tedeschi lurchi
+
+lo bivero s’assetta a far sua guerra,
+così la fiera pessima si stava
+su l’orlo ch’è di pietra e ’l sabbion serra.
+
+Nel vano tutta sua coda guizzava,
+torcendo in sù la venenosa forca
+ch’a guisa di scorpion la punta armava.
+
+Lo duca disse: «Or convien che si torca
+la nostra via un poco insino a quella
+bestia malvagia che colà si corca».
+
+Però scendemmo a la destra mammella,
+e diece passi femmo in su lo stremo,
+per ben cessar la rena e la fiammella.
+
+E quando noi a lei venuti semo,
+poco più oltre veggio in su la rena
+gente seder propinqua al loco scemo.
+
+Quivi ’l maestro «Acciò che tutta piena
+esperïenza d’esto giron porti»,
+mi disse, «va, e vedi la lor mena.
+
+Li tuoi ragionamenti sian là corti;
+mentre che torni, parlerò con questa,
+che ne conceda i suoi omeri forti».
+
+Così ancor su per la strema testa
+di quel settimo cerchio tutto solo
+andai, dove sedea la gente mesta.
+
+Per li occhi fora scoppiava lor duolo;
+di qua, di là soccorrien con le mani
+quando a’ vapori, e quando al caldo suolo:
+
+non altrimenti fan di state i cani
+or col ceffo or col piè, quando son morsi
+o da pulci o da mosche o da tafani.
+
+Poi che nel viso a certi li occhi porsi,
+ne’ quali ’l doloroso foco casca,
+non ne conobbi alcun; ma io m’accorsi
+
+che dal collo a ciascun pendea una tasca
+ch’avea certo colore e certo segno,
+e quindi par che ’l loro occhio si pasca.
+
+E com’ io riguardando tra lor vegno,
+in una borsa gialla vidi azzurro
+che d’un leone avea faccia e contegno.
+
+Poi, procedendo di mio sguardo il curro,
+vidine un’altra come sangue rossa,
+mostrando un’oca bianca più che burro.
+
+E un che d’una scrofa azzurra e grossa
+segnato avea lo suo sacchetto bianco,
+mi disse: «Che fai tu in questa fossa?
+
+Or te ne va; e perché se’ vivo anco,
+sappi che ’l mio vicin Vitalïano
+sederà qui dal mio sinistro fianco.
+
+Con questi Fiorentin son padoano:
+spesse fïate mi ’ntronan li orecchi
+gridando: “Vegna ’l cavalier sovrano,
+
+che recherà la tasca con tre becchi!”».
+Qui distorse la bocca e di fuor trasse
+la lingua, come bue che ’l naso lecchi.
+
+E io, temendo no ’l più star crucciasse
+lui che di poco star m’avea ’mmonito,
+torna’mi in dietro da l’anime lasse.
+
+Trova’ il duca mio ch’era salito
+già su la groppa del fiero animale,
+e disse a me: «Or sie forte e ardito.
+
+Omai si scende per sì fatte scale;
+monta dinanzi, ch’i’ voglio esser mezzo,
+sì che la coda non possa far male».
+
+Qual è colui che sì presso ha ’l riprezzo
+de la quartana, c’ha già l’unghie smorte,
+e triema tutto pur guardando ’l rezzo,
+
+tal divenn’ io a le parole porte;
+ma vergogna mi fé le sue minacce,
+che innanzi a buon segnor fa servo forte.
+
+I’ m’assettai in su quelle spallacce;
+sì volli dir, ma la voce non venne
+com’ io credetti: ‘Fa che tu m’abbracce’.
+
+Ma esso, ch’altra volta mi sovvenne
+ad altro forse, tosto ch’i’ montai
+con le braccia m’avvinse e mi sostenne;
+
+e disse: «Gerïon, moviti omai:
+le rote larghe, e lo scender sia poco;
+pensa la nova soma che tu hai».
+
+Come la navicella esce di loco
+in dietro in dietro, sì quindi si tolse;
+e poi ch’al tutto si sentì a gioco,
+
+là ’v’ era ’l petto, la coda rivolse,
+e quella tesa, come anguilla, mosse,
+e con le branche l’aere a sé raccolse.
+
+Maggior paura non credo che fosse
+quando Fetonte abbandonò li freni,
+per che ’l ciel, come pare ancor, si cosse;
+
+né quando Icaro misero le reni
+sentì spennar per la scaldata cera,
+gridando il padre a lui «Mala via tieni!»,
+
+che fu la mia, quando vidi ch’i’ era
+ne l’aere d’ogne parte, e vidi spenta
+ogne veduta fuor che de la fera.
+
+Ella sen va notando lenta lenta;
+rota e discende, ma non me n’accorgo
+se non che al viso e di sotto mi venta.
+
+Io sentia già da la man destra il gorgo
+far sotto noi un orribile scroscio,
+per che con li occhi ’n giù la testa sporgo.
+
+Allor fu’ io più timido a lo stoscio,
+però ch’i’ vidi fuochi e senti’ pianti;
+ond’ io tremando tutto mi raccoscio.
+
+E vidi poi, ché nol vedea davanti,
+lo scendere e ’l girar per li gran mali
+che s’appressavan da diversi canti.
+
+Come ’l falcon ch’è stato assai su l’ali,
+che sanza veder logoro o uccello
+fa dire al falconiere «Omè, tu cali!»,
+
+discende lasso onde si move isnello,
+per cento rote, e da lunge si pone
+dal suo maestro, disdegnoso e fello;
+
+così ne puose al fondo Gerïone
+al piè al piè de la stagliata rocca,
+e, discarcate le nostre persone,
+
+si dileguò come da corda cocca.
+
+
+
+
+Inferno
+Canto XVIII
+
+
+Luogo è in inferno detto Malebolge,
+tutto di pietra di color ferrigno,
+come la cerchia che dintorno il volge.
+
+Nel dritto mezzo del campo maligno
+vaneggia un pozzo assai largo e profondo,
+di cui suo loco dicerò l’ordigno.
+
+Quel cinghio che rimane adunque è tondo
+tra ’l pozzo e ’l piè de l’alta ripa dura,
+e ha distinto in dieci valli il fondo.
+
+Quale, dove per guardia de le mura
+più e più fossi cingon li castelli,
+la parte dove son rende figura,
+
+tale imagine quivi facean quelli;
+e come a tai fortezze da’ lor sogli
+a la ripa di fuor son ponticelli,
+
+così da imo de la roccia scogli
+movien che ricidien li argini e ’ fossi
+infino al pozzo che i tronca e raccogli.
+
+In questo luogo, de la schiena scossi
+di Gerïon, trovammoci; e ’l poeta
+tenne a sinistra, e io dietro mi mossi.
+
+A la man destra vidi nova pieta,
+novo tormento e novi frustatori,
+di che la prima bolgia era repleta.
+
+Nel fondo erano ignudi i peccatori;
+dal mezzo in qua ci venien verso ’l volto,
+di là con noi, ma con passi maggiori,
+
+come i Roman per l’essercito molto,
+l’anno del giubileo, su per lo ponte
+hanno a passar la gente modo colto,
+
+che da l’un lato tutti hanno la fronte
+verso ’l castello e vanno a Santo Pietro,
+da l’altra sponda vanno verso ’l monte.
+
+Di qua, di là, su per lo sasso tetro
+vidi demon cornuti con gran ferze,
+che li battien crudelmente di retro.
+
+Ahi come facean lor levar le berze
+a le prime percosse! già nessuno
+le seconde aspettava né le terze.
+
+Mentr’ io andava, li occhi miei in uno
+furo scontrati; e io sì tosto dissi:
+«Già di veder costui non son digiuno».
+
+Per ch’ïo a figurarlo i piedi affissi;
+e ’l dolce duca meco si ristette,
+e assentio ch’alquanto in dietro gissi.
+
+E quel frustato celar si credette
+bassando ’l viso; ma poco li valse,
+ch’io dissi: «O tu che l’occhio a terra gette,
+
+se le fazion che porti non son false,
+Venedico se’ tu Caccianemico.
+Ma che ti mena a sì pungenti salse?».
+
+Ed elli a me: «Mal volontier lo dico;
+ma sforzami la tua chiara favella,
+che mi fa sovvenir del mondo antico.
+
+I’ fui colui che la Ghisolabella
+condussi a far la voglia del marchese,
+come che suoni la sconcia novella.
+
+E non pur io qui piango bolognese;
+anzi n’è questo loco tanto pieno,
+che tante lingue non son ora apprese
+
+a dicer ‘sipa’ tra Sàvena e Reno;
+e se di ciò vuoi fede o testimonio,
+rècati a mente il nostro avaro seno».
+
+Così parlando il percosse un demonio
+de la sua scurïada, e disse: «Via,
+ruffian! qui non son femmine da conio».
+
+I’ mi raggiunsi con la scorta mia;
+poscia con pochi passi divenimmo
+là ’v’ uno scoglio de la ripa uscia.
+
+Assai leggeramente quel salimmo;
+e vòlti a destra su per la sua scheggia,
+da quelle cerchie etterne ci partimmo.
+
+Quando noi fummo là dov’ el vaneggia
+di sotto per dar passo a li sferzati,
+lo duca disse: «Attienti, e fa che feggia
+
+lo viso in te di quest’ altri mal nati,
+ai quali ancor non vedesti la faccia
+però che son con noi insieme andati».
+
+Del vecchio ponte guardavam la traccia
+che venìa verso noi da l’altra banda,
+e che la ferza similmente scaccia.
+
+E ’l buon maestro, sanza mia dimanda,
+mi disse: «Guarda quel grande che vene,
+e per dolor non par lagrime spanda:
+
+quanto aspetto reale ancor ritene!
+Quelli è Iasón, che per cuore e per senno
+li Colchi del monton privati féne.
+
+Ello passò per l’isola di Lenno
+poi che l’ardite femmine spietate
+tutti li maschi loro a morte dienno.
+
+Ivi con segni e con parole ornate
+Isifile ingannò, la giovinetta
+che prima avea tutte l’altre ingannate.
+
+Lasciolla quivi, gravida, soletta;
+tal colpa a tal martiro lui condanna;
+e anche di Medea si fa vendetta.
+
+Con lui sen va chi da tal parte inganna;
+e questo basti de la prima valle
+sapere e di color che ’n sé assanna».
+
+Già eravam là ’ve lo stretto calle
+con l’argine secondo s’incrocicchia,
+e fa di quello ad un altr’ arco spalle.
+
+Quindi sentimmo gente che si nicchia
+ne l’altra bolgia e che col muso scuffa,
+e sé medesma con le palme picchia.
+
+Le ripe eran grommate d’una muffa,
+per l’alito di giù che vi s’appasta,
+che con li occhi e col naso facea zuffa.
+
+Lo fondo è cupo sì, che non ci basta
+loco a veder sanza montare al dosso
+de l’arco, ove lo scoglio più sovrasta.
+
+Quivi venimmo; e quindi giù nel fosso
+vidi gente attuffata in uno sterco
+che da li uman privadi parea mosso.
+
+E mentre ch’io là giù con l’occhio cerco,
+vidi un col capo sì di merda lordo,
+che non parëa s’era laico o cherco.
+
+Quei mi sgridò: «Perché se’ tu sì gordo
+di riguardar più me che li altri brutti?».
+E io a lui: «Perché, se ben ricordo,
+
+già t’ho veduto coi capelli asciutti,
+e se’ Alessio Interminei da Lucca:
+però t’adocchio più che li altri tutti».
+
+Ed elli allor, battendosi la zucca:
+«Qua giù m’hanno sommerso le lusinghe
+ond’ io non ebbi mai la lingua stucca».
+
+Appresso ciò lo duca «Fa che pinghe»,
+mi disse, «il viso un poco più avante,
+sì che la faccia ben con l’occhio attinghe
+
+di quella sozza e scapigliata fante
+che là si graffia con l’unghie merdose,
+e or s’accoscia e ora è in piedi stante.
+
+Taïde è, la puttana che rispuose
+al drudo suo quando disse “Ho io grazie
+grandi apo te?”: “Anzi maravigliose!”.
+
+E quinci sian le nostre viste sazie».
+
+
+
+
+Inferno
+Canto XIX
+
+
+O Simon mago, o miseri seguaci
+che le cose di Dio, che di bontate
+deon essere spose, e voi rapaci
+
+per oro e per argento avolterate,
+or convien che per voi suoni la tromba,
+però che ne la terza bolgia state.
+
+Già eravamo, a la seguente tomba,
+montati de lo scoglio in quella parte
+ch’a punto sovra mezzo ’l fosso piomba.
+
+O somma sapïenza, quanta è l’arte
+che mostri in cielo, in terra e nel mal mondo,
+e quanto giusto tua virtù comparte!
+
+Io vidi per le coste e per lo fondo
+piena la pietra livida di fóri,
+d’un largo tutti e ciascun era tondo.
+
+Non mi parean men ampi né maggiori
+che que’ che son nel mio bel San Giovanni,
+fatti per loco d’i battezzatori;
+
+l’un de li quali, ancor non è molt’ anni,
+rupp’ io per un che dentro v’annegava:
+e questo sia suggel ch’ogn’ omo sganni.
+
+Fuor de la bocca a ciascun soperchiava
+d’un peccator li piedi e de le gambe
+infino al grosso, e l’altro dentro stava.
+
+Le piante erano a tutti accese intrambe;
+per che sì forte guizzavan le giunte,
+che spezzate averien ritorte e strambe.
+
+Qual suole il fiammeggiar de le cose unte
+muoversi pur su per la strema buccia,
+tal era lì dai calcagni a le punte.
+
+«Chi è colui, maestro, che si cruccia
+guizzando più che li altri suoi consorti»,
+diss’ io, «e cui più roggia fiamma succia?».
+
+Ed elli a me: «Se tu vuo’ ch’i’ ti porti
+là giù per quella ripa che più giace,
+da lui saprai di sé e de’ suoi torti».
+
+E io: «Tanto m’è bel, quanto a te piace:
+tu se’ segnore, e sai ch’i’ non mi parto
+dal tuo volere, e sai quel che si tace».
+
+Allor venimmo in su l’argine quarto;
+volgemmo e discendemmo a mano stanca
+là giù nel fondo foracchiato e arto.
+
+Lo buon maestro ancor de la sua anca
+non mi dipuose, sì mi giunse al rotto
+di quel che si piangeva con la zanca.
+
+«O qual che se’ che ’l di sù tien di sotto,
+anima trista come pal commessa»,
+comincia’ io a dir, «se puoi, fa motto».
+
+Io stava come ’l frate che confessa
+lo perfido assessin, che, poi ch’è fitto,
+richiama lui per che la morte cessa.
+
+Ed el gridò: «Se’ tu già costì ritto,
+se’ tu già costì ritto, Bonifazio?
+Di parecchi anni mi mentì lo scritto.
+
+Se’ tu sì tosto di quell’ aver sazio
+per lo qual non temesti tòrre a ’nganno
+la bella donna, e poi di farne strazio?».
+
+Tal mi fec’ io, quai son color che stanno,
+per non intender ciò ch’è lor risposto,
+quasi scornati, e risponder non sanno.
+
+Allor Virgilio disse: «Dilli tosto:
+“Non son colui, non son colui che credi”»;
+e io rispuosi come a me fu imposto.
+
+Per che lo spirto tutti storse i piedi;
+poi, sospirando e con voce di pianto,
+mi disse: «Dunque che a me richiedi?
+
+Se di saper ch’i’ sia ti cal cotanto,
+che tu abbi però la ripa corsa,
+sappi ch’i’ fui vestito del gran manto;
+
+e veramente fui figliuol de l’orsa,
+cupido sì per avanzar li orsatti,
+che sù l’avere e qui me misi in borsa.
+
+Di sotto al capo mio son li altri tratti
+che precedetter me simoneggiando,
+per le fessure de la pietra piatti.
+
+Là giù cascherò io altresì quando
+verrà colui ch’i’ credea che tu fossi,
+allor ch’i’ feci ’l sùbito dimando.
+
+Ma più è ’l tempo già che i piè mi cossi
+e ch’i’ son stato così sottosopra,
+ch’el non starà piantato coi piè rossi:
+
+ché dopo lui verrà di più laida opra,
+di ver’ ponente, un pastor sanza legge,
+tal che convien che lui e me ricuopra.
+
+Nuovo Iasón sarà, di cui si legge
+ne’ Maccabei; e come a quel fu molle
+suo re, così fia lui chi Francia regge».
+
+Io non so s’i’ mi fui qui troppo folle,
+ch’i’ pur rispuosi lui a questo metro:
+«Deh, or mi dì: quanto tesoro volle
+
+Nostro Segnore in prima da san Pietro
+ch’ei ponesse le chiavi in sua balìa?
+Certo non chiese se non “Viemmi retro”.
+
+Né Pier né li altri tolsero a Matia
+oro od argento, quando fu sortito
+al loco che perdé l’anima ria.
+
+Però ti sta, ché tu se’ ben punito;
+e guarda ben la mal tolta moneta
+ch’esser ti fece contra Carlo ardito.
+
+E se non fosse ch’ancor lo mi vieta
+la reverenza de le somme chiavi
+che tu tenesti ne la vita lieta,
+
+io userei parole ancor più gravi;
+ché la vostra avarizia il mondo attrista,
+calcando i buoni e sollevando i pravi.
+
+Di voi pastor s’accorse il Vangelista,
+quando colei che siede sopra l’acque
+puttaneggiar coi regi a lui fu vista;
+
+quella che con le sette teste nacque,
+e da le diece corna ebbe argomento,
+fin che virtute al suo marito piacque.
+
+Fatto v’avete dio d’oro e d’argento;
+e che altro è da voi a l’idolatre,
+se non ch’elli uno, e voi ne orate cento?
+
+Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre,
+non la tua conversion, ma quella dote
+che da te prese il primo ricco patre!».
+
+E mentr’ io li cantava cotai note,
+o ira o coscïenza che ’l mordesse,
+forte spingava con ambo le piote.
+
+I’ credo ben ch’al mio duca piacesse,
+con sì contenta labbia sempre attese
+lo suon de le parole vere espresse.
+
+Però con ambo le braccia mi prese;
+e poi che tutto su mi s’ebbe al petto,
+rimontò per la via onde discese.
+
+Né si stancò d’avermi a sé distretto,
+sì men portò sovra ’l colmo de l’arco
+che dal quarto al quinto argine è tragetto.
+
+Quivi soavemente spuose il carco,
+soave per lo scoglio sconcio ed erto
+che sarebbe a le capre duro varco.
+
+Indi un altro vallon mi fu scoperto.
+
+
+
+
+Inferno
+Canto XX
+
+
+Di nova pena mi conven far versi
+e dar matera al ventesimo canto
+de la prima canzon, ch’è d’i sommersi.
+
+Io era già disposto tutto quanto
+a riguardar ne lo scoperto fondo,
+che si bagnava d’angoscioso pianto;
+
+e vidi gente per lo vallon tondo
+venir, tacendo e lagrimando, al passo
+che fanno le letane in questo mondo.
+
+Come ’l viso mi scese in lor più basso,
+mirabilmente apparve esser travolto
+ciascun tra ’l mento e ’l principio del casso,
+
+ché da le reni era tornato ’l volto,
+e in dietro venir li convenia,
+perché ’l veder dinanzi era lor tolto.
+
+Forse per forza già di parlasia
+si travolse così alcun del tutto;
+ma io nol vidi, né credo che sia.
+
+Se Dio ti lasci, lettor, prender frutto
+di tua lezione, or pensa per te stesso
+com’ io potea tener lo viso asciutto,
+
+quando la nostra imagine di presso
+vidi sì torta, che ’l pianto de li occhi
+le natiche bagnava per lo fesso.
+
+Certo io piangea, poggiato a un de’ rocchi
+del duro scoglio, sì che la mia scorta
+mi disse: «Ancor se’ tu de li altri sciocchi?
+
+Qui vive la pietà quand’ è ben morta;
+chi è più scellerato che colui
+che al giudicio divin passion comporta?
+
+Drizza la testa, drizza, e vedi a cui
+s’aperse a li occhi d’i Teban la terra;
+per ch’ei gridavan tutti: “Dove rui,
+
+Anfïarao? perché lasci la guerra?”.
+E non restò di ruinare a valle
+fino a Minòs che ciascheduno afferra.
+
+Mira c’ha fatto petto de le spalle;
+perché volle veder troppo davante,
+di retro guarda e fa retroso calle.
+
+Vedi Tiresia, che mutò sembiante
+quando di maschio femmina divenne,
+cangiandosi le membra tutte quante;
+
+e prima, poi, ribatter li convenne
+li duo serpenti avvolti, con la verga,
+che rïavesse le maschili penne.
+
+Aronta è quel ch’al ventre li s’atterga,
+che ne’ monti di Luni, dove ronca
+lo Carrarese che di sotto alberga,
+
+ebbe tra ’ bianchi marmi la spelonca
+per sua dimora; onde a guardar le stelle
+e ’l mar non li era la veduta tronca.
+
+E quella che ricuopre le mammelle,
+che tu non vedi, con le trecce sciolte,
+e ha di là ogne pilosa pelle,
+
+Manto fu, che cercò per terre molte;
+poscia si puose là dove nacqu’ io;
+onde un poco mi piace che m’ascolte.
+
+Poscia che ’l padre suo di vita uscìo
+e venne serva la città di Baco,
+questa gran tempo per lo mondo gio.
+
+Suso in Italia bella giace un laco,
+a piè de l’Alpe che serra Lamagna
+sovra Tiralli, c’ha nome Benaco.
+
+Per mille fonti, credo, e più si bagna
+tra Garda e Val Camonica e Pennino
+de l’acqua che nel detto laco stagna.
+
+Loco è nel mezzo là dove ’l trentino
+pastore e quel di Brescia e ’l veronese
+segnar poria, s’e’ fesse quel cammino.
+
+Siede Peschiera, bello e forte arnese
+da fronteggiar Bresciani e Bergamaschi,
+ove la riva ’ntorno più discese.
+
+Ivi convien che tutto quanto caschi
+ciò che ’n grembo a Benaco star non può,
+e fassi fiume giù per verdi paschi.
+
+Tosto che l’acqua a correr mette co,
+non più Benaco, ma Mencio si chiama
+fino a Governol, dove cade in Po.
+
+Non molto ha corso, ch’el trova una lama,
+ne la qual si distende e la ’mpaluda;
+e suol di state talor essere grama.
+
+Quindi passando la vergine cruda
+vide terra, nel mezzo del pantano,
+sanza coltura e d’abitanti nuda.
+
+Lì, per fuggire ogne consorzio umano,
+ristette con suoi servi a far sue arti,
+e visse, e vi lasciò suo corpo vano.
+
+Li uomini poi che ’ntorno erano sparti
+s’accolsero a quel loco, ch’era forte
+per lo pantan ch’avea da tutte parti.
+
+Fer la città sovra quell’ ossa morte;
+e per colei che ’l loco prima elesse,
+Mantüa l’appellar sanz’ altra sorte.
+
+Già fuor le genti sue dentro più spesse,
+prima che la mattia da Casalodi
+da Pinamonte inganno ricevesse.
+
+Però t’assenno che, se tu mai odi
+originar la mia terra altrimenti,
+la verità nulla menzogna frodi».
+
+E io: «Maestro, i tuoi ragionamenti
+mi son sì certi e prendon sì mia fede,
+che li altri mi sarien carboni spenti.
+
+Ma dimmi, de la gente che procede,
+se tu ne vedi alcun degno di nota;
+ché solo a ciò la mia mente rifiede».
+
+Allor mi disse: «Quel che da la gota
+porge la barba in su le spalle brune,
+fu—quando Grecia fu di maschi vòta,
+
+sì ch’a pena rimaser per le cune—
+augure, e diede ’l punto con Calcanta
+in Aulide a tagliar la prima fune.
+
+Euripilo ebbe nome, e così ’l canta
+l’alta mia tragedìa in alcun loco:
+ben lo sai tu che la sai tutta quanta.
+
+Quell’ altro che ne’ fianchi è così poco,
+Michele Scotto fu, che veramente
+de le magiche frode seppe ’l gioco.
+
+Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente,
+ch’avere inteso al cuoio e a lo spago
+ora vorrebbe, ma tardi si pente.
+
+Vedi le triste che lasciaron l’ago,
+la spuola e ’l fuso, e fecersi ’ndivine;
+fecer malie con erbe e con imago.
+
+Ma vienne omai, ché già tiene ’l confine
+d’amendue li emisperi e tocca l’onda
+sotto Sobilia Caino e le spine;
+
+e già iernotte fu la luna tonda:
+ben ten de’ ricordar, ché non ti nocque
+alcuna volta per la selva fonda».
+
+Sì mi parlava, e andavamo introcque.
+
+
+
+
+Inferno
+Canto XXI
+
+
+Così di ponte in ponte, altro parlando
+che la mia comedìa cantar non cura,
+venimmo; e tenavamo ’l colmo, quando
+
+restammo per veder l’altra fessura
+di Malebolge e li altri pianti vani;
+e vidila mirabilmente oscura.
+
+Quale ne l’arzanà de’ Viniziani
+bolle l’inverno la tenace pece
+a rimpalmare i legni lor non sani,
+
+ché navicar non ponno—in quella vece
+chi fa suo legno novo e chi ristoppa
+le coste a quel che più vïaggi fece;
+
+chi ribatte da proda e chi da poppa;
+altri fa remi e altri volge sarte;
+chi terzeruolo e artimon rintoppa—:
+
+tal, non per foco ma per divin’ arte,
+bollia là giuso una pegola spessa,
+che ’nviscava la ripa d’ogne parte.
+
+I’ vedea lei, ma non vedëa in essa
+mai che le bolle che ’l bollor levava,
+e gonfiar tutta, e riseder compressa.
+
+Mentr’ io là giù fisamente mirava,
+lo duca mio, dicendo «Guarda, guarda!»,
+mi trasse a sé del loco dov’ io stava.
+
+Allor mi volsi come l’uom cui tarda
+di veder quel che li convien fuggire
+e cui paura sùbita sgagliarda,
+
+che, per veder, non indugia ’l partire:
+e vidi dietro a noi un diavol nero
+correndo su per lo scoglio venire.
+
+Ahi quant’ elli era ne l’aspetto fero!
+e quanto mi parea ne l’atto acerbo,
+con l’ali aperte e sovra i piè leggero!
+
+L’omero suo, ch’era aguto e superbo,
+carcava un peccator con ambo l’anche,
+e quei tenea de’ piè ghermito ’l nerbo.
+
+Del nostro ponte disse: «O Malebranche,
+ecco un de li anzïan di Santa Zita!
+Mettetel sotto, ch’i’ torno per anche
+
+a quella terra, che n’è ben fornita:
+ogn’ uom v’è barattier, fuor che Bonturo;
+del no, per li denar, vi si fa ita».
+
+Là giù ’l buttò, e per lo scoglio duro
+si volse; e mai non fu mastino sciolto
+con tanta fretta a seguitar lo furo.
+
+Quel s’attuffò, e tornò sù convolto;
+ma i demon che del ponte avean coperchio,
+gridar: «Qui non ha loco il Santo Volto!
+
+qui si nuota altrimenti che nel Serchio!
+Però, se tu non vuo’ di nostri graffi,
+non far sopra la pegola soverchio».
+
+Poi l’addentar con più di cento raffi,
+disser: «Coverto convien che qui balli,
+sì che, se puoi, nascosamente accaffi».
+
+Non altrimenti i cuoci a’ lor vassalli
+fanno attuffare in mezzo la caldaia
+la carne con li uncin, perché non galli.
+
+Lo buon maestro «Acciò che non si paia
+che tu ci sia», mi disse, «giù t’acquatta
+dopo uno scheggio, ch’alcun schermo t’aia;
+
+e per nulla offension che mi sia fatta,
+non temer tu, ch’i’ ho le cose conte,
+perch’ altra volta fui a tal baratta».
+
+Poscia passò di là dal co del ponte;
+e com’ el giunse in su la ripa sesta,
+mestier li fu d’aver sicura fronte.
+
+Con quel furore e con quella tempesta
+ch’escono i cani a dosso al poverello
+che di sùbito chiede ove s’arresta,
+
+usciron quei di sotto al ponticello,
+e volser contra lui tutt’ i runcigli;
+ma el gridò: «Nessun di voi sia fello!
+
+Innanzi che l’uncin vostro mi pigli,
+traggasi avante l’un di voi che m’oda,
+e poi d’arruncigliarmi si consigli».
+
+Tutti gridaron: «Vada Malacoda!»;
+per ch’un si mosse—e li altri stetter fermi—
+e venne a lui dicendo: «Che li approda?».
+
+«Credi tu, Malacoda, qui vedermi
+esser venuto», disse ’l mio maestro,
+«sicuro già da tutti vostri schermi,
+
+sanza voler divino e fato destro?
+Lascian’ andar, ché nel cielo è voluto
+ch’i’ mostri altrui questo cammin silvestro».
+
+Allor li fu l’orgoglio sì caduto,
+ch’e’ si lasciò cascar l’uncino a’ piedi,
+e disse a li altri: «Omai non sia feruto».
+
+E ’l duca mio a me: «O tu che siedi
+tra li scheggion del ponte quatto quatto,
+sicuramente omai a me ti riedi».
+
+Per ch’io mi mossi e a lui venni ratto;
+e i diavoli si fecer tutti avanti,
+sì ch’io temetti ch’ei tenesser patto;
+
+così vid’ ïo già temer li fanti
+ch’uscivan patteggiati di Caprona,
+veggendo sé tra nemici cotanti.
+
+I’ m’accostai con tutta la persona
+lungo ’l mio duca, e non torceva li occhi
+da la sembianza lor ch’era non buona.
+
+Ei chinavan li raffi e «Vuo’ che ’l tocchi»,
+diceva l’un con l’altro, «in sul groppone?».
+E rispondien: «Sì, fa che gliel’ accocchi».
+
+Ma quel demonio che tenea sermone
+col duca mio, si volse tutto presto
+e disse: «Posa, posa, Scarmiglione!».
+
+Poi disse a noi: «Più oltre andar per questo
+iscoglio non si può, però che giace
+tutto spezzato al fondo l’arco sesto.
+
+E se l’andare avante pur vi piace,
+andatevene su per questa grotta;
+presso è un altro scoglio che via face.
+
+Ier, più oltre cinqu’ ore che quest’ otta,
+mille dugento con sessanta sei
+anni compié che qui la via fu rotta.
+
+Io mando verso là di questi miei
+a riguardar s’alcun se ne sciorina;
+gite con lor, che non saranno rei».
+
+«Tra’ti avante, Alichino, e Calcabrina»,
+cominciò elli a dire, «e tu, Cagnazzo;
+e Barbariccia guidi la decina.
+
+Libicocco vegn’ oltre e Draghignazzo,
+Cirïatto sannuto e Graffiacane
+e Farfarello e Rubicante pazzo.
+
+Cercate ’ntorno le boglienti pane;
+costor sian salvi infino a l’altro scheggio
+che tutto intero va sovra le tane».
+
+«Omè, maestro, che è quel ch’i’ veggio?»,
+diss’ io, «deh, sanza scorta andianci soli,
+se tu sa’ ir; ch’i’ per me non la cheggio.
+
+Se tu se’ sì accorto come suoli,
+non vedi tu ch’e’ digrignan li denti
+e con le ciglia ne minaccian duoli?».
+
+Ed elli a me: «Non vo’ che tu paventi;
+lasciali digrignar pur a lor senno,
+ch’e’ fanno ciò per li lessi dolenti».
+
+Per l’argine sinistro volta dienno;
+ma prima avea ciascun la lingua stretta
+coi denti, verso lor duca, per cenno;
+
+ed elli avea del cul fatto trombetta.
+
+
+
+
+Inferno
+Canto XXII
+
+
+Io vidi già cavalier muover campo,
+e cominciare stormo e far lor mostra,
+e talvolta partir per loro scampo;
+
+corridor vidi per la terra vostra,
+o Aretini, e vidi gir gualdane,
+fedir torneamenti e correr giostra;
+
+quando con trombe, e quando con campane,
+con tamburi e con cenni di castella,
+e con cose nostrali e con istrane;
+
+né già con sì diversa cennamella
+cavalier vidi muover né pedoni,
+né nave a segno di terra o di stella.
+
+Noi andavam con li diece demoni.
+Ahi fiera compagnia! ma ne la chiesa
+coi santi, e in taverna coi ghiottoni.
+
+Pur a la pegola era la mia ’ntesa,
+per veder de la bolgia ogne contegno
+e de la gente ch’entro v’era incesa.
+
+Come i dalfini, quando fanno segno
+a’ marinar con l’arco de la schiena
+che s’argomentin di campar lor legno,
+
+talor così, ad alleggiar la pena,
+mostrav’ alcun de’ peccatori ’l dosso
+e nascondea in men che non balena.
+
+E come a l’orlo de l’acqua d’un fosso
+stanno i ranocchi pur col muso fuori,
+sì che celano i piedi e l’altro grosso,
+
+sì stavan d’ogne parte i peccatori;
+ma come s’appressava Barbariccia,
+così si ritraén sotto i bollori.
+
+I’ vidi, e anco il cor me n’accapriccia,
+uno aspettar così, com’ elli ’ncontra
+ch’una rana rimane e l’altra spiccia;
+
+e Graffiacan, che li era più di contra,
+li arruncigliò le ’mpegolate chiome
+e trassel sù, che mi parve una lontra.
+
+I’ sapea già di tutti quanti ’l nome,
+sì li notai quando fuorono eletti,
+e poi ch’e’ si chiamaro, attesi come.
+
+«O Rubicante, fa che tu li metti
+li unghioni a dosso, sì che tu lo scuoi!»,
+gridavan tutti insieme i maladetti.
+
+E io: «Maestro mio, fa, se tu puoi,
+che tu sappi chi è lo sciagurato
+venuto a man de li avversari suoi».
+
+Lo duca mio li s’accostò allato;
+domandollo ond’ ei fosse, e quei rispuose:
+«I’ fui del regno di Navarra nato.
+
+Mia madre a servo d’un segnor mi puose,
+che m’avea generato d’un ribaldo,
+distruggitor di sé e di sue cose.
+
+Poi fui famiglia del buon re Tebaldo;
+quivi mi misi a far baratteria,
+di ch’io rendo ragione in questo caldo».
+
+E Cirïatto, a cui di bocca uscia
+d’ogne parte una sanna come a porco,
+li fé sentir come l’una sdruscia.
+
+Tra male gatte era venuto ’l sorco;
+ma Barbariccia il chiuse con le braccia
+e disse: «State in là, mentr’ io lo ’nforco».
+
+E al maestro mio volse la faccia;
+«Domanda», disse, «ancor, se più disii
+saper da lui, prima ch’altri ’l disfaccia».
+
+Lo duca dunque: «Or dì: de li altri rii
+conosci tu alcun che sia latino
+sotto la pece?». E quelli: «I’ mi partii,
+
+poco è, da un che fu di là vicino.
+Così foss’ io ancor con lui coperto,
+ch’i’ non temerei unghia né uncino!».
+
+E Libicocco «Troppo avem sofferto»,
+disse; e preseli ’l braccio col runciglio,
+sì che, stracciando, ne portò un lacerto.
+
+Draghignazzo anco i volle dar di piglio
+giuso a le gambe; onde ’l decurio loro
+si volse intorno intorno con mal piglio.
+
+Quand’ elli un poco rappaciati fuoro,
+a lui, ch’ancor mirava sua ferita,
+domandò ’l duca mio sanza dimoro:
+
+«Chi fu colui da cui mala partita
+di’ che facesti per venire a proda?».
+Ed ei rispuose: «Fu frate Gomita,
+
+quel di Gallura, vasel d’ogne froda,
+ch’ebbe i nemici di suo donno in mano,
+e fé sì lor, che ciascun se ne loda.
+
+Danar si tolse e lasciolli di piano,
+sì com’ e’ dice; e ne li altri offici anche
+barattier fu non picciol, ma sovrano.
+
+Usa con esso donno Michel Zanche
+di Logodoro; e a dir di Sardigna
+le lingue lor non si sentono stanche.
+
+Omè, vedete l’altro che digrigna;
+i’ direi anche, ma i’ temo ch’ello
+non s’apparecchi a grattarmi la tigna».
+
+E ’l gran proposto, vòlto a Farfarello
+che stralunava li occhi per fedire,
+disse: «Fatti ’n costà, malvagio uccello!».
+
+«Se voi volete vedere o udire»,
+ricominciò lo spaürato appresso,
+«Toschi o Lombardi, io ne farò venire;
+
+ma stieno i Malebranche un poco in cesso,
+sì ch’ei non teman de le lor vendette;
+e io, seggendo in questo loco stesso,
+
+per un ch’io son, ne farò venir sette
+quand’ io suffolerò, com’ è nostro uso
+di fare allor che fori alcun si mette».
+
+Cagnazzo a cotal motto levò ’l muso,
+crollando ’l capo, e disse: «Odi malizia
+ch’elli ha pensata per gittarsi giuso!».
+
+Ond’ ei, ch’avea lacciuoli a gran divizia,
+rispuose: «Malizioso son io troppo,
+quand’ io procuro a’ mia maggior trestizia».
+
+Alichin non si tenne e, di rintoppo
+a li altri, disse a lui: «Se tu ti cali,
+io non ti verrò dietro di gualoppo,
+
+ma batterò sovra la pece l’ali.
+Lascisi ’l collo, e sia la ripa scudo,
+a veder se tu sol più di noi vali».
+
+O tu che leggi, udirai nuovo ludo:
+ciascun da l’altra costa li occhi volse,
+quel prima, ch’a ciò fare era più crudo.
+
+Lo Navarrese ben suo tempo colse;
+fermò le piante a terra, e in un punto
+saltò e dal proposto lor si sciolse.
+
+Di che ciascun di colpa fu compunto,
+ma quei più che cagion fu del difetto;
+però si mosse e gridò: «Tu se’ giunto!».
+
+Ma poco i valse: ché l’ali al sospetto
+non potero avanzar; quelli andò sotto,
+e quei drizzò volando suso il petto:
+
+non altrimenti l’anitra di botto,
+quando ’l falcon s’appressa, giù s’attuffa,
+ed ei ritorna sù crucciato e rotto.
+
+Irato Calcabrina de la buffa,
+volando dietro li tenne, invaghito
+che quei campasse per aver la zuffa;
+
+e come ’l barattier fu disparito,
+così volse li artigli al suo compagno,
+e fu con lui sopra ’l fosso ghermito.
+
+Ma l’altro fu bene sparvier grifagno
+ad artigliar ben lui, e amendue
+cadder nel mezzo del bogliente stagno.
+
+Lo caldo sghermitor sùbito fue;
+ma però di levarsi era neente,
+sì avieno inviscate l’ali sue.
+
+Barbariccia, con li altri suoi dolente,
+quattro ne fé volar da l’altra costa
+con tutt’ i raffi, e assai prestamente
+
+di qua, di là discesero a la posta;
+porser li uncini verso li ’mpaniati,
+ch’eran già cotti dentro da la crosta.
+
+E noi lasciammo lor così ’mpacciati.
+
+
+
+
+Inferno
+Canto XXIII
+
+
+Taciti, soli, sanza compagnia
+n’andavam l’un dinanzi e l’altro dopo,
+come frati minor vanno per via.
+
+Vòlt’ era in su la favola d’Isopo
+lo mio pensier per la presente rissa,
+dov’ el parlò de la rana e del topo;
+
+ché più non si pareggia ‘mo’ e ‘issa’
+che l’un con l’altro fa, se ben s’accoppia
+principio e fine con la mente fissa.
+
+E come l’un pensier de l’altro scoppia,
+così nacque di quello un altro poi,
+che la prima paura mi fé doppia.
+
+Io pensava così: ‘Questi per noi
+sono scherniti con danno e con beffa
+sì fatta, ch’assai credo che lor nòi.
+
+Se l’ira sovra ’l mal voler s’aggueffa,
+ei ne verranno dietro più crudeli
+che ’l cane a quella lievre ch’elli acceffa’.
+
+Già mi sentia tutti arricciar li peli
+de la paura e stava in dietro intento,
+quand’ io dissi: «Maestro, se non celi
+
+te e me tostamente, i’ ho pavento
+d’i Malebranche. Noi li avem già dietro;
+io li ’magino sì, che già li sento».
+
+E quei: «S’i’ fossi di piombato vetro,
+l’imagine di fuor tua non trarrei
+più tosto a me, che quella dentro ’mpetro.
+
+Pur mo venieno i tuo’ pensier tra ’ miei,
+con simile atto e con simile faccia,
+sì che d’intrambi un sol consiglio fei.
+
+S’elli è che sì la destra costa giaccia,
+che noi possiam ne l’altra bolgia scendere,
+noi fuggirem l’imaginata caccia».
+
+Già non compié di tal consiglio rendere,
+ch’io li vidi venir con l’ali tese
+non molto lungi, per volerne prendere.
+
+Lo duca mio di sùbito mi prese,
+come la madre ch’al romore è desta
+e vede presso a sé le fiamme accese,
+
+che prende il figlio e fugge e non s’arresta,
+avendo più di lui che di sé cura,
+tanto che solo una camiscia vesta;
+
+e giù dal collo de la ripa dura
+supin si diede a la pendente roccia,
+che l’un de’ lati a l’altra bolgia tura.
+
+Non corse mai sì tosto acqua per doccia
+a volger ruota di molin terragno,
+quand’ ella più verso le pale approccia,
+
+come ’l maestro mio per quel vivagno,
+portandosene me sovra ’l suo petto,
+come suo figlio, non come compagno.
+
+A pena fuoro i piè suoi giunti al letto
+del fondo giù, ch’e’ furon in sul colle
+sovresso noi; ma non lì era sospetto:
+
+ché l’alta provedenza che lor volle
+porre ministri de la fossa quinta,
+poder di partirs’ indi a tutti tolle.
+
+Là giù trovammo una gente dipinta
+che giva intorno assai con lenti passi,
+piangendo e nel sembiante stanca e vinta.
+
+Elli avean cappe con cappucci bassi
+dinanzi a li occhi, fatte de la taglia
+che in Clugnì per li monaci fassi.
+
+Di fuor dorate son, sì ch’elli abbaglia;
+ma dentro tutte piombo, e gravi tanto,
+che Federigo le mettea di paglia.
+
+Oh in etterno faticoso manto!
+Noi ci volgemmo ancor pur a man manca
+con loro insieme, intenti al tristo pianto;
+
+ma per lo peso quella gente stanca
+venìa sì pian, che noi eravam nuovi
+di compagnia ad ogne mover d’anca.
+
+Per ch’io al duca mio: «Fa che tu trovi
+alcun ch’al fatto o al nome si conosca,
+e li occhi, sì andando, intorno movi».
+
+E un che ’ntese la parola tosca,
+di retro a noi gridò: «Tenete i piedi,
+voi che correte sì per l’aura fosca!
+
+Forse ch’avrai da me quel che tu chiedi».
+Onde ’l duca si volse e disse: «Aspetta,
+e poi secondo il suo passo procedi».
+
+Ristetti, e vidi due mostrar gran fretta
+de l’animo, col viso, d’esser meco;
+ma tardavali ’l carco e la via stretta.
+
+Quando fuor giunti, assai con l’occhio bieco
+mi rimiraron sanza far parola;
+poi si volsero in sé, e dicean seco:
+
+«Costui par vivo a l’atto de la gola;
+e s’e’ son morti, per qual privilegio
+vanno scoperti de la grave stola?».
+
+Poi disser me: «O Tosco, ch’al collegio
+de l’ipocriti tristi se’ venuto,
+dir chi tu se’ non avere in dispregio».
+
+E io a loro: «I’ fui nato e cresciuto
+sovra ’l bel fiume d’Arno a la gran villa,
+e son col corpo ch’i’ ho sempre avuto.
+
+Ma voi chi siete, a cui tanto distilla
+quant’ i’ veggio dolor giù per le guance?
+e che pena è in voi che sì sfavilla?».
+
+E l’un rispuose a me: «Le cappe rance
+son di piombo sì grosse, che li pesi
+fan così cigolar le lor bilance.
+
+Frati godenti fummo, e bolognesi;
+io Catalano e questi Loderingo
+nomati, e da tua terra insieme presi
+
+come suole esser tolto un uom solingo,
+per conservar sua pace; e fummo tali,
+ch’ancor si pare intorno dal Gardingo».
+
+Io cominciai: «O frati, i vostri mali . . . »;
+ma più non dissi, ch’a l’occhio mi corse
+un, crucifisso in terra con tre pali.
+
+Quando mi vide, tutto si distorse,
+soffiando ne la barba con sospiri;
+e ’l frate Catalan, ch’a ciò s’accorse,
+
+mi disse: «Quel confitto che tu miri,
+consigliò i Farisei che convenia
+porre un uom per lo popolo a’ martìri.
+
+Attraversato è, nudo, ne la via,
+come tu vedi, ed è mestier ch’el senta
+qualunque passa, come pesa, pria.
+
+E a tal modo il socero si stenta
+in questa fossa, e li altri dal concilio
+che fu per li Giudei mala sementa».
+
+Allor vid’ io maravigliar Virgilio
+sovra colui ch’era disteso in croce
+tanto vilmente ne l’etterno essilio.
+
+Poscia drizzò al frate cotal voce:
+«Non vi dispiaccia, se vi lece, dirci
+s’a la man destra giace alcuna foce
+
+onde noi amendue possiamo uscirci,
+sanza costrigner de li angeli neri
+che vegnan d’esto fondo a dipartirci».
+
+Rispuose adunque: «Più che tu non speri
+s’appressa un sasso che da la gran cerchia
+si move e varca tutt’ i vallon feri,
+
+salvo che ’n questo è rotto e nol coperchia;
+montar potrete su per la ruina,
+che giace in costa e nel fondo soperchia».
+
+Lo duca stette un poco a testa china;
+poi disse: «Mal contava la bisogna
+colui che i peccator di qua uncina».
+
+E ’l frate: «Io udi’ già dire a Bologna
+del diavol vizi assai, tra ’ quali udi’
+ch’elli è bugiardo, e padre di menzogna».
+
+Appresso il duca a gran passi sen gì,
+turbato un poco d’ira nel sembiante;
+ond’ io da li ’ncarcati mi parti’
+
+dietro a le poste de le care piante.
+
+
+
+
+Inferno
+Canto XXIV
+
+
+In quella parte del giovanetto anno
+che ’l sole i crin sotto l’Aquario tempra
+e già le notti al mezzo dì sen vanno,
+
+quando la brina in su la terra assempra
+l’imagine di sua sorella bianca,
+ma poco dura a la sua penna tempra,
+
+lo villanello a cui la roba manca,
+si leva, e guarda, e vede la campagna
+biancheggiar tutta; ond’ ei si batte l’anca,
+
+ritorna in casa, e qua e là si lagna,
+come ’l tapin che non sa che si faccia;
+poi riede, e la speranza ringavagna,
+
+veggendo ’l mondo aver cangiata faccia
+in poco d’ora, e prende suo vincastro
+e fuor le pecorelle a pascer caccia.
+
+Così mi fece sbigottir lo mastro
+quand’ io li vidi sì turbar la fronte,
+e così tosto al mal giunse lo ’mpiastro;
+
+ché, come noi venimmo al guasto ponte,
+lo duca a me si volse con quel piglio
+dolce ch’io vidi prima a piè del monte.
+
+Le braccia aperse, dopo alcun consiglio
+eletto seco riguardando prima
+ben la ruina, e diedemi di piglio.
+
+E come quei ch’adopera ed estima,
+che sempre par che ’nnanzi si proveggia,
+così, levando me sù ver’ la cima
+
+d’un ronchione, avvisava un’altra scheggia
+dicendo: «Sovra quella poi t’aggrappa;
+ma tenta pria s’è tal ch’ella ti reggia».
+
+Non era via da vestito di cappa,
+ché noi a pena, ei lieve e io sospinto,
+potavam sù montar di chiappa in chiappa.
+
+E se non fosse che da quel precinto
+più che da l’altro era la costa corta,
+non so di lui, ma io sarei ben vinto.
+
+Ma perché Malebolge inver’ la porta
+del bassissimo pozzo tutta pende,
+lo sito di ciascuna valle porta
+
+che l’una costa surge e l’altra scende;
+noi pur venimmo al fine in su la punta
+onde l’ultima pietra si scoscende.
+
+La lena m’era del polmon sì munta
+quand’ io fui sù, ch’i’ non potea più oltre,
+anzi m’assisi ne la prima giunta.
+
+«Omai convien che tu così ti spoltre»,
+disse ’l maestro; «ché, seggendo in piuma,
+in fama non si vien, né sotto coltre;
+
+sanza la qual chi sua vita consuma,
+cotal vestigio in terra di sé lascia,
+qual fummo in aere e in acqua la schiuma.
+
+E però leva sù; vinci l’ambascia
+con l’animo che vince ogne battaglia,
+se col suo grave corpo non s’accascia.
+
+Più lunga scala convien che si saglia;
+non basta da costoro esser partito.
+Se tu mi ’ntendi, or fa sì che ti vaglia».
+
+Leva’mi allor, mostrandomi fornito
+meglio di lena ch’i’ non mi sentia,
+e dissi: «Va, ch’i’ son forte e ardito».
+
+Su per lo scoglio prendemmo la via,
+ch’era ronchioso, stretto e malagevole,
+ed erto più assai che quel di pria.
+
+Parlando andava per non parer fievole;
+onde una voce uscì de l’altro fosso,
+a parole formar disconvenevole.
+
+Non so che disse, ancor che sovra ’l dosso
+fossi de l’arco già che varca quivi;
+ma chi parlava ad ire parea mosso.
+
+Io era vòlto in giù, ma li occhi vivi
+non poteano ire al fondo per lo scuro;
+per ch’io: «Maestro, fa che tu arrivi
+
+da l’altro cinghio e dismontiam lo muro;
+ché, com’ i’ odo quinci e non intendo,
+così giù veggio e neente affiguro».
+
+«Altra risposta», disse, «non ti rendo
+se non lo far; ché la dimanda onesta
+si de’ seguir con l’opera tacendo».
+
+Noi discendemmo il ponte da la testa
+dove s’aggiugne con l’ottava ripa,
+e poi mi fu la bolgia manifesta:
+
+e vidivi entro terribile stipa
+di serpenti, e di sì diversa mena
+che la memoria il sangue ancor mi scipa.
+
+Più non si vanti Libia con sua rena;
+ché se chelidri, iaculi e faree
+produce, e cencri con anfisibena,
+
+né tante pestilenzie né sì ree
+mostrò già mai con tutta l’Etïopia
+né con ciò che di sopra al Mar Rosso èe.
+
+Tra questa cruda e tristissima copia
+corrëan genti nude e spaventate,
+sanza sperar pertugio o elitropia:
+
+con serpi le man dietro avean legate;
+quelle ficcavan per le ren la coda
+e ’l capo, ed eran dinanzi aggroppate.
+
+Ed ecco a un ch’era da nostra proda,
+s’avventò un serpente che ’l trafisse
+là dove ’l collo a le spalle s’annoda.
+
+Né O sì tosto mai né I si scrisse,
+com’ el s’accese e arse, e cener tutto
+convenne che cascando divenisse;
+
+e poi che fu a terra sì distrutto,
+la polver si raccolse per sé stessa
+e ’n quel medesmo ritornò di butto.
+
+Così per li gran savi si confessa
+che la fenice more e poi rinasce,
+quando al cinquecentesimo anno appressa;
+
+erba né biado in sua vita non pasce,
+ma sol d’incenso lagrime e d’amomo,
+e nardo e mirra son l’ultime fasce.
+
+E qual è quel che cade, e non sa como,
+per forza di demon ch’a terra il tira,
+o d’altra oppilazion che lega l’omo,
+
+quando si leva, che ’ntorno si mira
+tutto smarrito de la grande angoscia
+ch’elli ha sofferta, e guardando sospira:
+
+tal era ’l peccator levato poscia.
+Oh potenza di Dio, quant’ è severa,
+che cotai colpi per vendetta croscia!
+
+Lo duca il domandò poi chi ello era;
+per ch’ei rispuose: «Io piovvi di Toscana,
+poco tempo è, in questa gola fiera.
+
+Vita bestial mi piacque e non umana,
+sì come a mul ch’i’ fui; son Vanni Fucci
+bestia, e Pistoia mi fu degna tana».
+
+E ïo al duca: «Dilli che non mucci,
+e domanda che colpa qua giù ’l pinse;
+ch’io ’l vidi uomo di sangue e di crucci».
+
+E ’l peccator, che ’ntese, non s’infinse,
+ma drizzò verso me l’animo e ’l volto,
+e di trista vergogna si dipinse;
+
+poi disse: «Più mi duol che tu m’hai colto
+ne la miseria dove tu mi vedi,
+che quando fui de l’altra vita tolto.
+
+Io non posso negar quel che tu chiedi;
+in giù son messo tanto perch’ io fui
+ladro a la sagrestia d’i belli arredi,
+
+e falsamente già fu apposto altrui.
+Ma perché di tal vista tu non godi,
+se mai sarai di fuor da’ luoghi bui,
+
+apri li orecchi al mio annunzio, e odi.
+Pistoia in pria d’i Neri si dimagra;
+poi Fiorenza rinova gente e modi.
+
+Tragge Marte vapor di Val di Magra
+ch’è di torbidi nuvoli involuto;
+e con tempesta impetüosa e agra
+
+sovra Campo Picen fia combattuto;
+ond’ ei repente spezzerà la nebbia,
+sì ch’ogne Bianco ne sarà feruto.
+
+E detto l’ho perché doler ti debbia!».
+
+
+
+
+Inferno
+Canto XXV
+
+
+Al fine de le sue parole il ladro
+le mani alzò con amendue le fiche,
+gridando: «Togli, Dio, ch’a te le squadro!».
+
+Da indi in qua mi fuor le serpi amiche,
+perch’ una li s’avvolse allora al collo,
+come dicesse ‘Non vo’ che più diche’;
+
+e un’altra a le braccia, e rilegollo,
+ribadendo sé stessa sì dinanzi,
+che non potea con esse dare un crollo.
+
+Ahi Pistoia, Pistoia, ché non stanzi
+d’incenerarti sì che più non duri,
+poi che ’n mal fare il seme tuo avanzi?
+
+Per tutt’ i cerchi de lo ’nferno scuri
+non vidi spirto in Dio tanto superbo,
+non quel che cadde a Tebe giù da’ muri.
+
+El si fuggì che non parlò più verbo;
+e io vidi un centauro pien di rabbia
+venir chiamando: «Ov’ è, ov’ è l’acerbo?».
+
+Maremma non cred’ io che tante n’abbia,
+quante bisce elli avea su per la groppa
+infin ove comincia nostra labbia.
+
+Sovra le spalle, dietro da la coppa,
+con l’ali aperte li giacea un draco;
+e quello affuoca qualunque s’intoppa.
+
+Lo mio maestro disse: «Questi è Caco,
+che, sotto ’l sasso di monte Aventino,
+di sangue fece spesse volte laco.
+
+Non va co’ suoi fratei per un cammino,
+per lo furto che frodolente fece
+del grande armento ch’elli ebbe a vicino;
+
+onde cessar le sue opere biece
+sotto la mazza d’Ercule, che forse
+gliene diè cento, e non sentì le diece».
+
+Mentre che sì parlava, ed el trascorse,
+e tre spiriti venner sotto noi,
+de’ quai né io né ’l duca mio s’accorse,
+
+se non quando gridar: «Chi siete voi?»;
+per che nostra novella si ristette,
+e intendemmo pur ad essi poi.
+
+Io non li conoscea; ma ei seguette,
+come suol seguitar per alcun caso,
+che l’un nomar un altro convenette,
+
+dicendo: «Cianfa dove fia rimaso?»;
+per ch’io, acciò che ’l duca stesse attento,
+mi puosi ’l dito su dal mento al naso.
+
+Se tu se’ or, lettore, a creder lento
+ciò ch’io dirò, non sarà maraviglia,
+ché io che ’l vidi, a pena il mi consento.
+
+Com’ io tenea levate in lor le ciglia,
+e un serpente con sei piè si lancia
+dinanzi a l’uno, e tutto a lui s’appiglia.
+
+Co’ piè di mezzo li avvinse la pancia
+e con li anterïor le braccia prese;
+poi li addentò e l’una e l’altra guancia;
+
+li diretani a le cosce distese,
+e miseli la coda tra ’mbedue
+e dietro per le ren sù la ritese.
+
+Ellera abbarbicata mai non fue
+ad alber sì, come l’orribil fiera
+per l’altrui membra avviticchiò le sue.
+
+Poi s’appiccar, come di calda cera
+fossero stati, e mischiar lor colore,
+né l’un né l’altro già parea quel ch’era:
+
+come procede innanzi da l’ardore,
+per lo papiro suso, un color bruno
+che non è nero ancora e ’l bianco more.
+
+Li altri due ’l riguardavano, e ciascuno
+gridava: «Omè, Agnel, come ti muti!
+Vedi che già non se’ né due né uno».
+
+Già eran li due capi un divenuti,
+quando n’apparver due figure miste
+in una faccia, ov’ eran due perduti.
+
+Fersi le braccia due di quattro liste;
+le cosce con le gambe e ’l ventre e ’l casso
+divenner membra che non fuor mai viste.
+
+Ogne primaio aspetto ivi era casso:
+due e nessun l’imagine perversa
+parea; e tal sen gio con lento passo.
+
+Come ’l ramarro sotto la gran fersa
+dei dì canicular, cangiando sepe,
+folgore par se la via attraversa,
+
+sì pareva, venendo verso l’epe
+de li altri due, un serpentello acceso,
+livido e nero come gran di pepe;
+
+e quella parte onde prima è preso
+nostro alimento, a l’un di lor trafisse;
+poi cadde giuso innanzi lui disteso.
+
+Lo trafitto ’l mirò, ma nulla disse;
+anzi, co’ piè fermati, sbadigliava
+pur come sonno o febbre l’assalisse.
+
+Elli ’l serpente e quei lui riguardava;
+l’un per la piaga e l’altro per la bocca
+fummavan forte, e ’l fummo si scontrava.
+
+Taccia Lucano ormai là dov’ e’ tocca
+del misero Sabello e di Nasidio,
+e attenda a udir quel ch’or si scocca.
+
+Taccia di Cadmo e d’Aretusa Ovidio,
+ché se quello in serpente e quella in fonte
+converte poetando, io non lo ’nvidio;
+
+ché due nature mai a fronte a fronte
+non trasmutò sì ch’amendue le forme
+a cambiar lor matera fosser pronte.
+
+Insieme si rispuosero a tai norme,
+che ’l serpente la coda in forca fesse,
+e ’l feruto ristrinse insieme l’orme.
+
+Le gambe con le cosce seco stesse
+s’appiccar sì, che ’n poco la giuntura
+non facea segno alcun che si paresse.
+
+Togliea la coda fessa la figura
+che si perdeva là, e la sua pelle
+si facea molle, e quella di là dura.
+
+Io vidi intrar le braccia per l’ascelle,
+e i due piè de la fiera, ch’eran corti,
+tanto allungar quanto accorciavan quelle.
+
+Poscia li piè di rietro, insieme attorti,
+diventaron lo membro che l’uom cela,
+e ’l misero del suo n’avea due porti.
+
+Mentre che ’l fummo l’uno e l’altro vela
+di color novo, e genera ’l pel suso
+per l’una parte e da l’altra il dipela,
+
+l’un si levò e l’altro cadde giuso,
+non torcendo però le lucerne empie,
+sotto le quai ciascun cambiava muso.
+
+Quel ch’era dritto, il trasse ver’ le tempie,
+e di troppa matera ch’in là venne
+uscir li orecchi de le gote scempie;
+
+ciò che non corse in dietro e si ritenne
+di quel soverchio, fé naso a la faccia
+e le labbra ingrossò quanto convenne.
+
+Quel che giacëa, il muso innanzi caccia,
+e li orecchi ritira per la testa
+come face le corna la lumaccia;
+
+e la lingua, ch’avëa unita e presta
+prima a parlar, si fende, e la forcuta
+ne l’altro si richiude; e ’l fummo resta.
+
+L’anima ch’era fiera divenuta,
+suffolando si fugge per la valle,
+e l’altro dietro a lui parlando sputa.
+
+Poscia li volse le novelle spalle,
+e disse a l’altro: «I’ vo’ che Buoso corra,
+com’ ho fatt’ io, carpon per questo calle».
+
+Così vid’ io la settima zavorra
+mutare e trasmutare; e qui mi scusi
+la novità se fior la penna abborra.
+
+E avvegna che li occhi miei confusi
+fossero alquanto e l’animo smagato,
+non poter quei fuggirsi tanto chiusi,
+
+ch’i’ non scorgessi ben Puccio Sciancato;
+ed era quel che sol, di tre compagni
+che venner prima, non era mutato;
+
+l’altr’ era quel che tu, Gaville, piagni.
+
+
+
+
+Inferno
+Canto XXVI
+
+
+Godi, Fiorenza, poi che se’ sì grande
+che per mare e per terra batti l’ali,
+e per lo ’nferno tuo nome si spande!
+
+Tra li ladron trovai cinque cotali
+tuoi cittadini onde mi ven vergogna,
+e tu in grande orranza non ne sali.
+
+Ma se presso al mattin del ver si sogna,
+tu sentirai, di qua da picciol tempo,
+di quel che Prato, non ch’altri, t’agogna.
+
+E se già fosse, non saria per tempo.
+Così foss’ ei, da che pur esser dee!
+ché più mi graverà, com’ più m’attempo.
+
+Noi ci partimmo, e su per le scalee
+che n’avea fatto iborni a scender pria,
+rimontò ’l duca mio e trasse mee;
+
+e proseguendo la solinga via,
+tra le schegge e tra ’ rocchi de lo scoglio
+lo piè sanza la man non si spedia.
+
+Allor mi dolsi, e ora mi ridoglio
+quando drizzo la mente a ciò ch’io vidi,
+e più lo ’ngegno affreno ch’i’ non soglio,
+
+perché non corra che virtù nol guidi;
+sì che, se stella bona o miglior cosa
+m’ha dato ’l ben, ch’io stessi nol m’invidi.
+
+Quante ’l villan ch’al poggio si riposa,
+nel tempo che colui che ’l mondo schiara
+la faccia sua a noi tien meno ascosa,
+
+come la mosca cede a la zanzara,
+vede lucciole giù per la vallea,
+forse colà dov’ e’ vendemmia e ara:
+
+di tante fiamme tutta risplendea
+l’ottava bolgia, sì com’ io m’accorsi
+tosto che fui là ’ve ’l fondo parea.
+
+E qual colui che si vengiò con li orsi
+vide ’l carro d’Elia al dipartire,
+quando i cavalli al cielo erti levorsi,
+
+che nol potea sì con li occhi seguire,
+ch’el vedesse altro che la fiamma sola,
+sì come nuvoletta, in sù salire:
+
+tal si move ciascuna per la gola
+del fosso, ché nessuna mostra ’l furto,
+e ogne fiamma un peccatore invola.
+
+Io stava sovra ’l ponte a veder surto,
+sì che s’io non avessi un ronchion preso,
+caduto sarei giù sanz’ esser urto.
+
+E ’l duca che mi vide tanto atteso,
+disse: «Dentro dai fuochi son li spirti;
+catun si fascia di quel ch’elli è inceso».
+
+«Maestro mio», rispuos’ io, «per udirti
+son io più certo; ma già m’era avviso
+che così fosse, e già voleva dirti:
+
+chi è ’n quel foco che vien sì diviso
+di sopra, che par surger de la pira
+dov’ Eteòcle col fratel fu miso?».
+
+Rispuose a me: «Là dentro si martira
+Ulisse e Dïomede, e così insieme
+a la vendetta vanno come a l’ira;
+
+e dentro da la lor fiamma si geme
+l’agguato del caval che fé la porta
+onde uscì de’ Romani il gentil seme.
+
+Piangevisi entro l’arte per che, morta,
+Deïdamìa ancor si duol d’Achille,
+e del Palladio pena vi si porta».
+
+«S’ei posson dentro da quelle faville
+parlar», diss’ io, «maestro, assai ten priego
+e ripriego, che ’l priego vaglia mille,
+
+che non mi facci de l’attender niego
+fin che la fiamma cornuta qua vegna;
+vedi che del disio ver’ lei mi piego!».
+
+Ed elli a me: «La tua preghiera è degna
+di molta loda, e io però l’accetto;
+ma fa che la tua lingua si sostegna.
+
+Lascia parlare a me, ch’i’ ho concetto
+ciò che tu vuoi; ch’ei sarebbero schivi,
+perch’ e’ fuor greci, forse del tuo detto».
+
+Poi che la fiamma fu venuta quivi
+dove parve al mio duca tempo e loco,
+in questa forma lui parlare audivi:
+
+«O voi che siete due dentro ad un foco,
+s’io meritai di voi mentre ch’io vissi,
+s’io meritai di voi assai o poco
+
+quando nel mondo li alti versi scrissi,
+non vi movete; ma l’un di voi dica
+dove, per lui, perduto a morir gissi».
+
+Lo maggior corno de la fiamma antica
+cominciò a crollarsi mormorando,
+pur come quella cui vento affatica;
+
+indi la cima qua e là menando,
+come fosse la lingua che parlasse,
+gittò voce di fuori e disse: «Quando
+
+mi diparti’ da Circe, che sottrasse
+me più d’un anno là presso a Gaeta,
+prima che sì Enëa la nomasse,
+
+né dolcezza di figlio, né la pieta
+del vecchio padre, né ’l debito amore
+lo qual dovea Penelopè far lieta,
+
+vincer potero dentro a me l’ardore
+ch’i’ ebbi a divenir del mondo esperto
+e de li vizi umani e del valore;
+
+ma misi me per l’alto mare aperto
+sol con un legno e con quella compagna
+picciola da la qual non fui diserto.
+
+L’un lito e l’altro vidi infin la Spagna,
+fin nel Morrocco, e l’isola d’i Sardi,
+e l’altre che quel mare intorno bagna.
+
+Io e ’ compagni eravam vecchi e tardi
+quando venimmo a quella foce stretta
+dov’ Ercule segnò li suoi riguardi
+
+acciò che l’uom più oltre non si metta;
+da la man destra mi lasciai Sibilia,
+da l’altra già m’avea lasciata Setta.
+
+“O frati”, dissi “che per cento milia
+perigli siete giunti a l’occidente,
+a questa tanto picciola vigilia
+
+d’i nostri sensi ch’è del rimanente
+non vogliate negar l’esperïenza,
+di retro al sol, del mondo sanza gente.
+
+Considerate la vostra semenza:
+fatti non foste a viver come bruti,
+ma per seguir virtute e canoscenza”.
+
+Li miei compagni fec’ io sì aguti,
+con questa orazion picciola, al cammino,
+che a pena poscia li avrei ritenuti;
+
+e volta nostra poppa nel mattino,
+de’ remi facemmo ali al folle volo,
+sempre acquistando dal lato mancino.
+
+Tutte le stelle già de l’altro polo
+vedea la notte, e ’l nostro tanto basso,
+che non surgëa fuor del marin suolo.
+
+Cinque volte racceso e tante casso
+lo lume era di sotto da la luna,
+poi che ’ntrati eravam ne l’alto passo,
+
+quando n’apparve una montagna, bruna
+per la distanza, e parvemi alta tanto
+quanto veduta non avëa alcuna.
+
+Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto;
+ché de la nova terra un turbo nacque
+e percosse del legno il primo canto.
+
+Tre volte il fé girar con tutte l’acque;
+a la quarta levar la poppa in suso
+e la prora ire in giù, com’ altrui piacque,
+
+infin che ’l mar fu sovra noi richiuso».
+
+
+
+
+Inferno
+Canto XXVII
+
+
+Già era dritta in sù la fiamma e queta
+per non dir più, e già da noi sen gia
+con la licenza del dolce poeta,
+
+quand’ un’altra, che dietro a lei venìa,
+ne fece volger li occhi a la sua cima
+per un confuso suon che fuor n’uscia.
+
+Come ’l bue cicilian che mugghiò prima
+col pianto di colui, e ciò fu dritto,
+che l’avea temperato con sua lima,
+
+mugghiava con la voce de l’afflitto,
+sì che, con tutto che fosse di rame,
+pur el pareva dal dolor trafitto;
+
+così, per non aver via né forame
+dal principio nel foco, in suo linguaggio
+si convertïan le parole grame.
+
+Ma poscia ch’ebber colto lor vïaggio
+su per la punta, dandole quel guizzo
+che dato avea la lingua in lor passaggio,
+
+udimmo dire: «O tu a cu’ io drizzo
+la voce e che parlavi mo lombardo,
+dicendo “Istra ten va, più non t’adizzo”,
+
+perch’ io sia giunto forse alquanto tardo,
+non t’incresca restare a parlar meco;
+vedi che non incresce a me, e ardo!
+
+Se tu pur mo in questo mondo cieco
+caduto se’ di quella dolce terra
+latina ond’ io mia colpa tutta reco,
+
+dimmi se Romagnuoli han pace o guerra;
+ch’io fui d’i monti là intra Orbino
+e ’l giogo di che Tever si diserra».
+
+Io era in giuso ancora attento e chino,
+quando il mio duca mi tentò di costa,
+dicendo: «Parla tu; questi è latino».
+
+E io, ch’avea già pronta la risposta,
+sanza indugio a parlare incominciai:
+«O anima che se’ là giù nascosta,
+
+Romagna tua non è, e non fu mai,
+sanza guerra ne’ cuor de’ suoi tiranni;
+ma ’n palese nessuna or vi lasciai.
+
+Ravenna sta come stata è molt’ anni:
+l’aguglia da Polenta la si cova,
+sì che Cervia ricuopre co’ suoi vanni.
+
+La terra che fé già la lunga prova
+e di Franceschi sanguinoso mucchio,
+sotto le branche verdi si ritrova.
+
+E ’l mastin vecchio e ’l nuovo da Verrucchio,
+che fecer di Montagna il mal governo,
+là dove soglion fan d’i denti succhio.
+
+Le città di Lamone e di Santerno
+conduce il lïoncel dal nido bianco,
+che muta parte da la state al verno.
+
+E quella cu’ il Savio bagna il fianco,
+così com’ ella sie’ tra ’l piano e ’l monte,
+tra tirannia si vive e stato franco.
+
+Ora chi se’, ti priego che ne conte;
+non esser duro più ch’altri sia stato,
+se ’l nome tuo nel mondo tegna fronte».
+
+Poscia che ’l foco alquanto ebbe rugghiato
+al modo suo, l’aguta punta mosse
+di qua, di là, e poi diè cotal fiato:
+
+«S’i’ credesse che mia risposta fosse
+a persona che mai tornasse al mondo,
+questa fiamma staria sanza più scosse;
+
+ma però che già mai di questo fondo
+non tornò vivo alcun, s’i’ odo il vero,
+sanza tema d’infamia ti rispondo.
+
+Io fui uom d’arme, e poi fui cordigliero,
+credendomi, sì cinto, fare ammenda;
+e certo il creder mio venìa intero,
+
+se non fosse il gran prete, a cui mal prenda!,
+che mi rimise ne le prime colpe;
+e come e quare, voglio che m’intenda.
+
+Mentre ch’io forma fui d’ossa e di polpe
+che la madre mi diè, l’opere mie
+non furon leonine, ma di volpe.
+
+Li accorgimenti e le coperte vie
+io seppi tutte, e sì menai lor arte,
+ch’al fine de la terra il suono uscie.
+
+Quando mi vidi giunto in quella parte
+di mia etade ove ciascun dovrebbe
+calar le vele e raccoglier le sarte,
+
+ciò che pria mi piacëa, allor m’increbbe,
+e pentuto e confesso mi rendei;
+ahi miser lasso! e giovato sarebbe.
+
+Lo principe d’i novi Farisei,
+avendo guerra presso a Laterano,
+e non con Saracin né con Giudei,
+
+ché ciascun suo nimico era cristiano,
+e nessun era stato a vincer Acri
+né mercatante in terra di Soldano,
+
+né sommo officio né ordini sacri
+guardò in sé, né in me quel capestro
+che solea fare i suoi cinti più macri.
+
+Ma come Costantin chiese Silvestro
+d’entro Siratti a guerir de la lebbre,
+così mi chiese questi per maestro
+
+a guerir de la sua superba febbre;
+domandommi consiglio, e io tacetti
+perché le sue parole parver ebbre.
+
+E’ poi ridisse: “Tuo cuor non sospetti;
+finor t’assolvo, e tu m’insegna fare
+sì come Penestrino in terra getti.
+
+Lo ciel poss’ io serrare e diserrare,
+come tu sai; però son due le chiavi
+che ’l mio antecessor non ebbe care”.
+
+Allor mi pinser li argomenti gravi
+là ’ve ’l tacer mi fu avviso ’l peggio,
+e dissi: “Padre, da che tu mi lavi
+
+di quel peccato ov’ io mo cader deggio,
+lunga promessa con l’attender corto
+ti farà trïunfar ne l’alto seggio”.
+
+Francesco venne poi, com’ io fu’ morto,
+per me; ma un d’i neri cherubini
+li disse: “Non portar: non mi far torto.
+
+Venir se ne dee giù tra ’ miei meschini
+perché diede ’l consiglio frodolente,
+dal quale in qua stato li sono a’ crini;
+
+ch’assolver non si può chi non si pente,
+né pentere e volere insieme puossi
+per la contradizion che nol consente”.
+
+Oh me dolente! come mi riscossi
+quando mi prese dicendomi: “Forse
+tu non pensavi ch’io löico fossi!”.
+
+A Minòs mi portò; e quelli attorse
+otto volte la coda al dosso duro;
+e poi che per gran rabbia la si morse,
+
+disse: “Questi è d’i rei del foco furo”;
+per ch’io là dove vedi son perduto,
+e sì vestito, andando, mi rancuro».
+
+Quand’ elli ebbe ’l suo dir così compiuto,
+la fiamma dolorando si partio,
+torcendo e dibattendo ’l corno aguto.
+
+Noi passamm’ oltre, e io e ’l duca mio,
+su per lo scoglio infino in su l’altr’ arco
+che cuopre ’l fosso in che si paga il fio
+
+a quei che scommettendo acquistan carco.
+
+
+
+
+Inferno
+Canto XXVIII
+
+
+Chi poria mai pur con parole sciolte
+dicer del sangue e de le piaghe a pieno
+ch’i’ ora vidi, per narrar più volte?
+
+Ogne lingua per certo verria meno
+per lo nostro sermone e per la mente
+c’hanno a tanto comprender poco seno.
+
+S’el s’aunasse ancor tutta la gente
+che già, in su la fortunata terra
+di Puglia, fu del suo sangue dolente
+
+per li Troiani e per la lunga guerra
+che de l’anella fé sì alte spoglie,
+come Livïo scrive, che non erra,
+
+con quella che sentio di colpi doglie
+per contastare a Ruberto Guiscardo;
+e l’altra il cui ossame ancor s’accoglie
+
+a Ceperan, là dove fu bugiardo
+ciascun Pugliese, e là da Tagliacozzo,
+dove sanz’ arme vinse il vecchio Alardo;
+
+e qual forato suo membro e qual mozzo
+mostrasse, d’aequar sarebbe nulla
+il modo de la nona bolgia sozzo.
+
+Già veggia, per mezzul perdere o lulla,
+com’ io vidi un, così non si pertugia,
+rotto dal mento infin dove si trulla.
+
+Tra le gambe pendevan le minugia;
+la corata pareva e ’l tristo sacco
+che merda fa di quel che si trangugia.
+
+Mentre che tutto in lui veder m’attacco,
+guardommi e con le man s’aperse il petto,
+dicendo: «Or vedi com’ io mi dilacco!
+
+vedi come storpiato è Mäometto!
+Dinanzi a me sen va piangendo Alì,
+fesso nel volto dal mento al ciuffetto.
+
+E tutti li altri che tu vedi qui,
+seminator di scandalo e di scisma
+fuor vivi, e però son fessi così.
+
+Un diavolo è qua dietro che n’accisma
+sì crudelmente, al taglio de la spada
+rimettendo ciascun di questa risma,
+
+quand’ avem volta la dolente strada;
+però che le ferite son richiuse
+prima ch’altri dinanzi li rivada.
+
+Ma tu chi se’ che ’n su lo scoglio muse,
+forse per indugiar d’ire a la pena
+ch’è giudicata in su le tue accuse?».
+
+«Né morte ’l giunse ancor, né colpa ’l mena»,
+rispuose ’l mio maestro, «a tormentarlo;
+ma per dar lui esperïenza piena,
+
+a me, che morto son, convien menarlo
+per lo ’nferno qua giù di giro in giro;
+e quest’ è ver così com’ io ti parlo».
+
+Più fuor di cento che, quando l’udiro,
+s’arrestaron nel fosso a riguardarmi
+per maraviglia, oblïando il martiro.
+
+«Or dì a fra Dolcin dunque che s’armi,
+tu che forse vedra’ il sole in breve,
+s’ello non vuol qui tosto seguitarmi,
+
+sì di vivanda, che stretta di neve
+non rechi la vittoria al Noarese,
+ch’altrimenti acquistar non saria leve».
+
+Poi che l’un piè per girsene sospese,
+Mäometto mi disse esta parola;
+indi a partirsi in terra lo distese.
+
+Un altro, che forata avea la gola
+e tronco ’l naso infin sotto le ciglia,
+e non avea mai ch’una orecchia sola,
+
+ristato a riguardar per maraviglia
+con li altri, innanzi a li altri aprì la canna,
+ch’era di fuor d’ogne parte vermiglia,
+
+e disse: «O tu cui colpa non condanna
+e cu’ io vidi su in terra latina,
+se troppa simiglianza non m’inganna,
+
+rimembriti di Pier da Medicina,
+se mai torni a veder lo dolce piano
+che da Vercelli a Marcabò dichina.
+
+E fa saper a’ due miglior da Fano,
+a messer Guido e anco ad Angiolello,
+che, se l’antiveder qui non è vano,
+
+gittati saran fuor di lor vasello
+e mazzerati presso a la Cattolica
+per tradimento d’un tiranno fello.
+
+Tra l’isola di Cipri e di Maiolica
+non vide mai sì gran fallo Nettuno,
+non da pirate, non da gente argolica.
+
+Quel traditor che vede pur con l’uno,
+e tien la terra che tale qui meco
+vorrebbe di vedere esser digiuno,
+
+farà venirli a parlamento seco;
+poi farà sì, ch’al vento di Focara
+non sarà lor mestier voto né preco».
+
+E io a lui: «Dimostrami e dichiara,
+se vuo’ ch’i’ porti sù di te novella,
+chi è colui da la veduta amara».
+
+Allor puose la mano a la mascella
+d’un suo compagno e la bocca li aperse,
+gridando: «Questi è desso, e non favella.
+
+Questi, scacciato, il dubitar sommerse
+in Cesare, affermando che ’l fornito
+sempre con danno l’attender sofferse».
+
+Oh quanto mi pareva sbigottito
+con la lingua tagliata ne la strozza
+Curïo, ch’a dir fu così ardito!
+
+E un ch’avea l’una e l’altra man mozza,
+levando i moncherin per l’aura fosca,
+sì che ’l sangue facea la faccia sozza,
+
+gridò: «Ricordera’ti anche del Mosca,
+che disse, lasso!, “Capo ha cosa fatta”,
+che fu mal seme per la gente tosca».
+
+E io li aggiunsi: «E morte di tua schiatta»;
+per ch’elli, accumulando duol con duolo,
+sen gio come persona trista e matta.
+
+Ma io rimasi a riguardar lo stuolo,
+e vidi cosa ch’io avrei paura,
+sanza più prova, di contarla solo;
+
+se non che coscïenza m’assicura,
+la buona compagnia che l’uom francheggia
+sotto l’asbergo del sentirsi pura.
+
+Io vidi certo, e ancor par ch’io ’l veggia,
+un busto sanza capo andar sì come
+andavan li altri de la trista greggia;
+
+e ’l capo tronco tenea per le chiome,
+pesol con mano a guisa di lanterna:
+e quel mirava noi e dicea: «Oh me!».
+
+Di sé facea a sé stesso lucerna,
+ed eran due in uno e uno in due;
+com’ esser può, quei sa che sì governa.
+
+Quando diritto al piè del ponte fue,
+levò ’l braccio alto con tutta la testa
+per appressarne le parole sue,
+
+che fuoro: «Or vedi la pena molesta,
+tu che, spirando, vai veggendo i morti:
+vedi s’alcuna è grande come questa.
+
+E perché tu di me novella porti,
+sappi ch’i’ son Bertram dal Bornio, quelli
+che diedi al re giovane i ma’ conforti.
+
+Io feci il padre e ’l figlio in sé ribelli;
+Achitofèl non fé più d’Absalone
+e di Davìd coi malvagi punzelli.
+
+Perch’ io parti’ così giunte persone,
+partito porto il mio cerebro, lasso!,
+dal suo principio ch’è in questo troncone.
+
+Così s’osserva in me lo contrapasso».
+
+
+
+
+Inferno
+Canto XXIX
+
+
+La molta gente e le diverse piaghe
+avean le luci mie sì inebrïate,
+che de lo stare a piangere eran vaghe.
+
+Ma Virgilio mi disse: «Che pur guate?
+perché la vista tua pur si soffolge
+là giù tra l’ombre triste smozzicate?
+
+Tu non hai fatto sì a l’altre bolge;
+pensa, se tu annoverar le credi,
+che miglia ventidue la valle volge.
+
+E già la luna è sotto i nostri piedi;
+lo tempo è poco omai che n’è concesso,
+e altro è da veder che tu non vedi».
+
+«Se tu avessi», rispuos’ io appresso,
+«atteso a la cagion per ch’io guardava,
+forse m’avresti ancor lo star dimesso».
+
+Parte sen giva, e io retro li andava,
+lo duca, già faccendo la risposta,
+e soggiugnendo: «Dentro a quella cava
+
+dov’ io tenea or li occhi sì a posta,
+credo ch’un spirto del mio sangue pianga
+la colpa che là giù cotanto costa».
+
+Allor disse ’l maestro: «Non si franga
+lo tuo pensier da qui innanzi sovr’ ello.
+Attendi ad altro, ed ei là si rimanga;
+
+ch’io vidi lui a piè del ponticello
+mostrarti e minacciar forte col dito,
+e udi’ ’l nominar Geri del Bello.
+
+Tu eri allor sì del tutto impedito
+sovra colui che già tenne Altaforte,
+che non guardasti in là, sì fu partito».
+
+«O duca mio, la vïolenta morte
+che non li è vendicata ancor», diss’ io,
+«per alcun che de l’onta sia consorte,
+
+fece lui disdegnoso; ond’ el sen gio
+sanza parlarmi, sì com’ ïo estimo:
+e in ciò m’ha el fatto a sé più pio».
+
+Così parlammo infino al loco primo
+che de lo scoglio l’altra valle mostra,
+se più lume vi fosse, tutto ad imo.
+
+Quando noi fummo sor l’ultima chiostra
+di Malebolge, sì che i suoi conversi
+potean parere a la veduta nostra,
+
+lamenti saettaron me diversi,
+che di pietà ferrati avean li strali;
+ond’ io li orecchi con le man copersi.
+
+Qual dolor fora, se de li spedali
+di Valdichiana tra ’l luglio e ’l settembre
+e di Maremma e di Sardigna i mali
+
+fossero in una fossa tutti ’nsembre,
+tal era quivi, e tal puzzo n’usciva
+qual suol venir de le marcite membre.
+
+Noi discendemmo in su l’ultima riva
+del lungo scoglio, pur da man sinistra;
+e allor fu la mia vista più viva
+
+giù ver’ lo fondo, la ’ve la ministra
+de l’alto Sire infallibil giustizia
+punisce i falsador che qui registra.
+
+Non credo ch’a veder maggior tristizia
+fosse in Egina il popol tutto infermo,
+quando fu l’aere sì pien di malizia,
+
+che li animali, infino al picciol vermo,
+cascaron tutti, e poi le genti antiche,
+secondo che i poeti hanno per fermo,
+
+si ristorar di seme di formiche;
+ch’era a veder per quella oscura valle
+languir li spirti per diverse biche.
+
+Qual sovra ’l ventre e qual sovra le spalle
+l’un de l’altro giacea, e qual carpone
+si trasmutava per lo tristo calle.
+
+Passo passo andavam sanza sermone,
+guardando e ascoltando li ammalati,
+che non potean levar le lor persone.
+
+Io vidi due sedere a sé poggiati,
+com’ a scaldar si poggia tegghia a tegghia,
+dal capo al piè di schianze macolati;
+
+e non vidi già mai menare stregghia
+a ragazzo aspettato dal segnorso,
+né a colui che mal volontier vegghia,
+
+come ciascun menava spesso il morso
+de l’unghie sopra sé per la gran rabbia
+del pizzicor, che non ha più soccorso;
+
+e sì traevan giù l’unghie la scabbia,
+come coltel di scardova le scaglie
+o d’altro pesce che più larghe l’abbia.
+
+«O tu che con le dita ti dismaglie»,
+cominciò ’l duca mio a l’un di loro,
+«e che fai d’esse talvolta tanaglie,
+
+dinne s’alcun Latino è tra costoro
+che son quinc’ entro, se l’unghia ti basti
+etternalmente a cotesto lavoro».
+
+«Latin siam noi, che tu vedi sì guasti
+qui ambedue», rispuose l’un piangendo;
+«ma tu chi se’ che di noi dimandasti?».
+
+E ’l duca disse: «I’ son un che discendo
+con questo vivo giù di balzo in balzo,
+e di mostrar lo ’nferno a lui intendo».
+
+Allor si ruppe lo comun rincalzo;
+e tremando ciascuno a me si volse
+con altri che l’udiron di rimbalzo.
+
+Lo buon maestro a me tutto s’accolse,
+dicendo: «Dì a lor ciò che tu vuoli»;
+e io incominciai, poscia ch’ei volse:
+
+«Se la vostra memoria non s’imboli
+nel primo mondo da l’umane menti,
+ma s’ella viva sotto molti soli,
+
+ditemi chi voi siete e di che genti;
+la vostra sconcia e fastidiosa pena
+di palesarvi a me non vi spaventi».
+
+«Io fui d’Arezzo, e Albero da Siena»,
+rispuose l’un, «mi fé mettere al foco;
+ma quel per ch’io mori’ qui non mi mena.
+
+Vero è ch’i’ dissi lui, parlando a gioco:
+“I’ mi saprei levar per l’aere a volo”;
+e quei, ch’avea vaghezza e senno poco,
+
+volle ch’i’ li mostrassi l’arte; e solo
+perch’ io nol feci Dedalo, mi fece
+ardere a tal che l’avea per figliuolo.
+
+Ma ne l’ultima bolgia de le diece
+me per l’alchìmia che nel mondo usai
+dannò Minòs, a cui fallar non lece».
+
+E io dissi al poeta: «Or fu già mai
+gente sì vana come la sanese?
+Certo non la francesca sì d’assai!».
+
+Onde l’altro lebbroso, che m’intese,
+rispuose al detto mio: «Tra’mene Stricca
+che seppe far le temperate spese,
+
+e Niccolò che la costuma ricca
+del garofano prima discoverse
+ne l’orto dove tal seme s’appicca;
+
+e tra’ne la brigata in che disperse
+Caccia d’Ascian la vigna e la gran fonda,
+e l’Abbagliato suo senno proferse.
+
+Ma perché sappi chi sì ti seconda
+contra i Sanesi, aguzza ver’ me l’occhio,
+sì che la faccia mia ben ti risponda:
+
+sì vedrai ch’io son l’ombra di Capocchio,
+che falsai li metalli con l’alchìmia;
+e te dee ricordar, se ben t’adocchio,
+
+com’ io fui di natura buona scimia».
+
+
+
+
+Inferno
+Canto XXX
+
+
+Nel tempo che Iunone era crucciata
+per Semelè contra ’l sangue tebano,
+come mostrò una e altra fïata,
+
+Atamante divenne tanto insano,
+che veggendo la moglie con due figli
+andar carcata da ciascuna mano,
+
+gridò: «Tendiam le reti, sì ch’io pigli
+la leonessa e ’ leoncini al varco»;
+e poi distese i dispietati artigli,
+
+prendendo l’un ch’avea nome Learco,
+e rotollo e percosselo ad un sasso;
+e quella s’annegò con l’altro carco.
+
+E quando la fortuna volse in basso
+l’altezza de’ Troian che tutto ardiva,
+sì che ’nsieme col regno il re fu casso,
+
+Ecuba trista, misera e cattiva,
+poscia che vide Polissena morta,
+e del suo Polidoro in su la riva
+
+del mar si fu la dolorosa accorta,
+forsennata latrò sì come cane;
+tanto il dolor le fé la mente torta.
+
+Ma né di Tebe furie né troiane
+si vider mäi in alcun tanto crude,
+non punger bestie, nonché membra umane,
+
+quant’ io vidi in due ombre smorte e nude,
+che mordendo correvan di quel modo
+che ’l porco quando del porcil si schiude.
+
+L’una giunse a Capocchio, e in sul nodo
+del collo l’assannò, sì che, tirando,
+grattar li fece il ventre al fondo sodo.
+
+E l’Aretin che rimase, tremando
+mi disse: «Quel folletto è Gianni Schicchi,
+e va rabbioso altrui così conciando».
+
+«Oh», diss’ io lui, «se l’altro non ti ficchi
+li denti a dosso, non ti sia fatica
+a dir chi è, pria che di qui si spicchi».
+
+Ed elli a me: «Quell’ è l’anima antica
+di Mirra scellerata, che divenne
+al padre, fuor del dritto amore, amica.
+
+Questa a peccar con esso così venne,
+falsificando sé in altrui forma,
+come l’altro che là sen va, sostenne,
+
+per guadagnar la donna de la torma,
+falsificare in sé Buoso Donati,
+testando e dando al testamento norma».
+
+E poi che i due rabbiosi fuor passati
+sovra cu’ io avea l’occhio tenuto,
+rivolsilo a guardar li altri mal nati.
+
+Io vidi un, fatto a guisa di lëuto,
+pur ch’elli avesse avuta l’anguinaia
+tronca da l’altro che l’uomo ha forcuto.
+
+La grave idropesì, che sì dispaia
+le membra con l’omor che mal converte,
+che ’l viso non risponde a la ventraia,
+
+faceva lui tener le labbra aperte
+come l’etico fa, che per la sete
+l’un verso ’l mento e l’altro in sù rinverte.
+
+«O voi che sanz’ alcuna pena siete,
+e non so io perché, nel mondo gramo»,
+diss’ elli a noi, «guardate e attendete
+
+a la miseria del maestro Adamo;
+io ebbi, vivo, assai di quel ch’i’ volli,
+e ora, lasso!, un gocciol d’acqua bramo.
+
+Li ruscelletti che d’i verdi colli
+del Casentin discendon giuso in Arno,
+faccendo i lor canali freddi e molli,
+
+sempre mi stanno innanzi, e non indarno,
+ché l’imagine lor vie più m’asciuga
+che ’l male ond’ io nel volto mi discarno.
+
+La rigida giustizia che mi fruga
+tragge cagion del loco ov’ io peccai
+a metter più li miei sospiri in fuga.
+
+Ivi è Romena, là dov’ io falsai
+la lega suggellata del Batista;
+per ch’io il corpo sù arso lasciai.
+
+Ma s’io vedessi qui l’anima trista
+di Guido o d’Alessandro o di lor frate,
+per Fonte Branda non darei la vista.
+
+Dentro c’è l’una già, se l’arrabbiate
+ombre che vanno intorno dicon vero;
+ma che mi val, c’ho le membra legate?
+
+S’io fossi pur di tanto ancor leggero
+ch’i’ potessi in cent’ anni andare un’oncia,
+io sarei messo già per lo sentiero,
+
+cercando lui tra questa gente sconcia,
+con tutto ch’ella volge undici miglia,
+e men d’un mezzo di traverso non ci ha.
+
+Io son per lor tra sì fatta famiglia;
+e’ m’indussero a batter li fiorini
+ch’avevan tre carati di mondiglia».
+
+E io a lui: «Chi son li due tapini
+che fumman come man bagnate ’l verno,
+giacendo stretti a’ tuoi destri confini?».
+
+«Qui li trovai—e poi volta non dierno—»,
+rispuose, «quando piovvi in questo greppo,
+e non credo che dieno in sempiterno.
+
+L’una è la falsa ch’accusò Gioseppo;
+l’altr’ è ’l falso Sinon greco di Troia:
+per febbre aguta gittan tanto leppo».
+
+E l’un di lor, che si recò a noia
+forse d’esser nomato sì oscuro,
+col pugno li percosse l’epa croia.
+
+Quella sonò come fosse un tamburo;
+e mastro Adamo li percosse il volto
+col braccio suo, che non parve men duro,
+
+dicendo a lui: «Ancor che mi sia tolto
+lo muover per le membra che son gravi,
+ho io il braccio a tal mestiere sciolto».
+
+Ond’ ei rispuose: «Quando tu andavi
+al fuoco, non l’avei tu così presto;
+ma sì e più l’avei quando coniavi».
+
+E l’idropico: «Tu di’ ver di questo:
+ma tu non fosti sì ver testimonio
+là ’ve del ver fosti a Troia richesto».
+
+«S’io dissi falso, e tu falsasti il conio»,
+disse Sinon; «e son qui per un fallo,
+e tu per più ch’alcun altro demonio!».
+
+«Ricorditi, spergiuro, del cavallo»,
+rispuose quel ch’avëa infiata l’epa;
+«e sieti reo che tutto il mondo sallo!».
+
+«E te sia rea la sete onde ti crepa»,
+disse ’l Greco, «la lingua, e l’acqua marcia
+che ’l ventre innanzi a li occhi sì t’assiepa!».
+
+Allora il monetier: «Così si squarcia
+la bocca tua per tuo mal come suole;
+ché, s’i’ ho sete e omor mi rinfarcia,
+
+tu hai l’arsura e ’l capo che ti duole,
+e per leccar lo specchio di Narcisso,
+non vorresti a ’nvitar molte parole».
+
+Ad ascoltarli er’ io del tutto fisso,
+quando ’l maestro mi disse: «Or pur mira,
+che per poco che teco non mi risso!».
+
+Quand’ io ’l senti’ a me parlar con ira,
+volsimi verso lui con tal vergogna,
+ch’ancor per la memoria mi si gira.
+
+Qual è colui che suo dannaggio sogna,
+che sognando desidera sognare,
+sì che quel ch’è, come non fosse, agogna,
+
+tal mi fec’ io, non possendo parlare,
+che disïava scusarmi, e scusava
+me tuttavia, e nol mi credea fare.
+
+«Maggior difetto men vergogna lava»,
+disse ’l maestro, «che ’l tuo non è stato;
+però d’ogne trestizia ti disgrava.
+
+E fa ragion ch’io ti sia sempre allato,
+se più avvien che fortuna t’accoglia
+dove sien genti in simigliante piato:
+
+ché voler ciò udire è bassa voglia».
+
+
+
+
+Inferno
+Canto XXXI
+
+
+Una medesma lingua pria mi morse,
+sì che mi tinse l’una e l’altra guancia,
+e poi la medicina mi riporse;
+
+così od’ io che solea far la lancia
+d’Achille e del suo padre esser cagione
+prima di trista e poi di buona mancia.
+
+Noi demmo il dosso al misero vallone
+su per la ripa che ’l cinge dintorno,
+attraversando sanza alcun sermone.
+
+Quiv’ era men che notte e men che giorno,
+sì che ’l viso m’andava innanzi poco;
+ma io senti’ sonare un alto corno,
+
+tanto ch’avrebbe ogne tuon fatto fioco,
+che, contra sé la sua via seguitando,
+dirizzò li occhi miei tutti ad un loco.
+
+Dopo la dolorosa rotta, quando
+Carlo Magno perdé la santa gesta,
+non sonò sì terribilmente Orlando.
+
+Poco portäi in là volta la testa,
+che me parve veder molte alte torri;
+ond’ io: «Maestro, dì, che terra è questa?».
+
+Ed elli a me: «Però che tu trascorri
+per le tenebre troppo da la lungi,
+avvien che poi nel maginare abborri.
+
+Tu vedrai ben, se tu là ti congiungi,
+quanto ’l senso s’inganna di lontano;
+però alquanto più te stesso pungi».
+
+Poi caramente mi prese per mano
+e disse: «Pria che noi siam più avanti,
+acciò che ’l fatto men ti paia strano,
+
+sappi che non son torri, ma giganti,
+e son nel pozzo intorno da la ripa
+da l’umbilico in giuso tutti quanti».
+
+Come quando la nebbia si dissipa,
+lo sguardo a poco a poco raffigura
+ciò che cela ’l vapor che l’aere stipa,
+
+così forando l’aura grossa e scura,
+più e più appressando ver’ la sponda,
+fuggiemi errore e cresciemi paura;
+
+però che, come su la cerchia tonda
+Montereggion di torri si corona,
+così la proda che ’l pozzo circonda
+
+torreggiavan di mezza la persona
+li orribili giganti, cui minaccia
+Giove del cielo ancora quando tuona.
+
+E io scorgeva già d’alcun la faccia,
+le spalle e ’l petto e del ventre gran parte,
+e per le coste giù ambo le braccia.
+
+Natura certo, quando lasciò l’arte
+di sì fatti animali, assai fé bene
+per tòrre tali essecutori a Marte.
+
+E s’ella d’elefanti e di balene
+non si pente, chi guarda sottilmente,
+più giusta e più discreta la ne tene;
+
+ché dove l’argomento de la mente
+s’aggiugne al mal volere e a la possa,
+nessun riparo vi può far la gente.
+
+La faccia sua mi parea lunga e grossa
+come la pina di San Pietro a Roma,
+e a sua proporzione eran l’altre ossa;
+
+sì che la ripa, ch’era perizoma
+dal mezzo in giù, ne mostrava ben tanto
+di sovra, che di giugnere a la chioma
+
+tre Frison s’averien dato mal vanto;
+però ch’i’ ne vedea trenta gran palmi
+dal loco in giù dov’ omo affibbia ’l manto.
+
+«Raphèl maì amècche zabì almi»,
+cominciò a gridar la fiera bocca,
+cui non si convenia più dolci salmi.
+
+E ’l duca mio ver’ lui: «Anima sciocca,
+tienti col corno, e con quel ti disfoga
+quand’ ira o altra passïon ti tocca!
+
+Cércati al collo, e troverai la soga
+che ’l tien legato, o anima confusa,
+e vedi lui che ’l gran petto ti doga».
+
+Poi disse a me: «Elli stessi s’accusa;
+questi è Nembrotto per lo cui mal coto
+pur un linguaggio nel mondo non s’usa.
+
+Lasciànlo stare e non parliamo a vòto;
+ché così è a lui ciascun linguaggio
+come ’l suo ad altrui, ch’a nullo è noto».
+
+Facemmo adunque più lungo vïaggio,
+vòlti a sinistra; e al trar d’un balestro
+trovammo l’altro assai più fero e maggio.
+
+A cigner lui qual che fosse ’l maestro,
+non so io dir, ma el tenea soccinto
+dinanzi l’altro e dietro il braccio destro
+
+d’una catena che ’l tenea avvinto
+dal collo in giù, sì che ’n su lo scoperto
+si ravvolgëa infino al giro quinto.
+
+«Questo superbo volle esser esperto
+di sua potenza contra ’l sommo Giove»,
+disse ’l mio duca, «ond’ elli ha cotal merto.
+
+Fïalte ha nome, e fece le gran prove
+quando i giganti fer paura a’ dèi;
+le braccia ch’el menò, già mai non move».
+
+E io a lui: «S’esser puote, io vorrei
+che de lo smisurato Brïareo
+esperïenza avesser li occhi mei».
+
+Ond’ ei rispuose: «Tu vedrai Anteo
+presso di qui che parla ed è disciolto,
+che ne porrà nel fondo d’ogne reo.
+
+Quel che tu vuo’ veder, più là è molto
+ed è legato e fatto come questo,
+salvo che più feroce par nel volto».
+
+Non fu tremoto già tanto rubesto,
+che scotesse una torre così forte,
+come Fïalte a scuotersi fu presto.
+
+Allor temett’ io più che mai la morte,
+e non v’era mestier più che la dotta,
+s’io non avessi viste le ritorte.
+
+Noi procedemmo più avante allotta,
+e venimmo ad Anteo, che ben cinque alle,
+sanza la testa, uscia fuor de la grotta.
+
+«O tu che ne la fortunata valle
+che fece Scipïon di gloria reda,
+quand’ Anibàl co’ suoi diede le spalle,
+
+recasti già mille leon per preda,
+e che, se fossi stato a l’alta guerra
+de’ tuoi fratelli, ancor par che si creda
+
+ch’avrebber vinto i figli de la terra:
+mettine giù, e non ten vegna schifo,
+dove Cocito la freddura serra.
+
+Non ci fare ire a Tizio né a Tifo:
+questi può dar di quel che qui si brama;
+però ti china e non torcer lo grifo.
+
+Ancor ti può nel mondo render fama,
+ch’el vive, e lunga vita ancor aspetta
+se ’nnanzi tempo grazia a sé nol chiama».
+
+Così disse ’l maestro; e quelli in fretta
+le man distese, e prese ’l duca mio,
+ond’ Ercule sentì già grande stretta.
+
+Virgilio, quando prender si sentio,
+disse a me: «Fatti qua, sì ch’io ti prenda»;
+poi fece sì ch’un fascio era elli e io.
+
+Qual pare a riguardar la Carisenda
+sotto ’l chinato, quando un nuvol vada
+sovr’ essa sì, ched ella incontro penda:
+
+tal parve Antëo a me che stava a bada
+di vederlo chinare, e fu tal ora
+ch’i’ avrei voluto ir per altra strada.
+
+Ma lievemente al fondo che divora
+Lucifero con Giuda, ci sposò;
+né, sì chinato, lì fece dimora,
+
+e come albero in nave si levò.
+
+
+
+
+Inferno
+Canto XXXII
+
+
+S’ïo avessi le rime aspre e chiocce,
+come si converrebbe al tristo buco
+sovra ’l qual pontan tutte l’altre rocce,
+
+io premerei di mio concetto il suco
+più pienamente; ma perch’ io non l’abbo,
+non sanza tema a dicer mi conduco;
+
+ché non è impresa da pigliare a gabbo
+discriver fondo a tutto l’universo,
+né da lingua che chiami mamma o babbo.
+
+Ma quelle donne aiutino il mio verso
+ch’aiutaro Anfïone a chiuder Tebe,
+sì che dal fatto il dir non sia diverso.
+
+Oh sovra tutte mal creata plebe
+che stai nel loco onde parlare è duro,
+mei foste state qui pecore o zebe!
+
+Come noi fummo giù nel pozzo scuro
+sotto i piè del gigante assai più bassi,
+e io mirava ancora a l’alto muro,
+
+dicere udi’mi: «Guarda come passi:
+va sì, che tu non calchi con le piante
+le teste de’ fratei miseri lassi».
+
+Per ch’io mi volsi, e vidimi davante
+e sotto i piedi un lago che per gelo
+avea di vetro e non d’acqua sembiante.
+
+Non fece al corso suo sì grosso velo
+di verno la Danoia in Osterlicchi,
+né Tanaï là sotto ’l freddo cielo,
+
+com’ era quivi; che se Tambernicchi
+vi fosse sù caduto, o Pietrapana,
+non avria pur da l’orlo fatto cricchi.
+
+E come a gracidar si sta la rana
+col muso fuor de l’acqua, quando sogna
+di spigolar sovente la villana,
+
+livide, insin là dove appar vergogna
+eran l’ombre dolenti ne la ghiaccia,
+mettendo i denti in nota di cicogna.
+
+Ognuna in giù tenea volta la faccia;
+da bocca il freddo, e da li occhi il cor tristo
+tra lor testimonianza si procaccia.
+
+Quand’ io m’ebbi dintorno alquanto visto,
+volsimi a’ piedi, e vidi due sì stretti,
+che ’l pel del capo avieno insieme misto.
+
+«Ditemi, voi che sì strignete i petti»,
+diss’ io, «chi siete?». E quei piegaro i colli;
+e poi ch’ebber li visi a me eretti,
+
+li occhi lor, ch’eran pria pur dentro molli,
+gocciar su per le labbra, e ’l gelo strinse
+le lagrime tra essi e riserrolli.
+
+Con legno legno spranga mai non cinse
+forte così; ond’ ei come due becchi
+cozzaro insieme, tanta ira li vinse.
+
+E un ch’avea perduti ambo li orecchi
+per la freddura, pur col viso in giùe,
+disse: «Perché cotanto in noi ti specchi?
+
+Se vuoi saper chi son cotesti due,
+la valle onde Bisenzo si dichina
+del padre loro Alberto e di lor fue.
+
+D’un corpo usciro; e tutta la Caina
+potrai cercare, e non troverai ombra
+degna più d’esser fitta in gelatina:
+
+non quelli a cui fu rotto il petto e l’ombra
+con esso un colpo per la man d’Artù;
+non Focaccia; non questi che m’ingombra
+
+col capo sì, ch’i’ non veggio oltre più,
+e fu nomato Sassol Mascheroni;
+se tosco se’, ben sai omai chi fu.
+
+E perché non mi metti in più sermoni,
+sappi ch’i’ fu’ il Camiscion de’ Pazzi;
+e aspetto Carlin che mi scagioni».
+
+Poscia vid’ io mille visi cagnazzi
+fatti per freddo; onde mi vien riprezzo,
+e verrà sempre, de’ gelati guazzi.
+
+E mentre ch’andavamo inver’ lo mezzo
+al quale ogne gravezza si rauna,
+e io tremava ne l’etterno rezzo;
+
+se voler fu o destino o fortuna,
+non so; ma, passeggiando tra le teste,
+forte percossi ’l piè nel viso ad una.
+
+Piangendo mi sgridò: «Perché mi peste?
+se tu non vieni a crescer la vendetta
+di Montaperti, perché mi moleste?».
+
+E io: «Maestro mio, or qui m’aspetta,
+sì ch’io esca d’un dubbio per costui;
+poi mi farai, quantunque vorrai, fretta».
+
+Lo duca stette, e io dissi a colui
+che bestemmiava duramente ancora:
+«Qual se’ tu che così rampogni altrui?».
+
+«Or tu chi se’ che vai per l’Antenora,
+percotendo», rispuose, «altrui le gote,
+sì che, se fossi vivo, troppo fora?».
+
+«Vivo son io, e caro esser ti puote»,
+fu mia risposta, «se dimandi fama,
+ch’io metta il nome tuo tra l’altre note».
+
+Ed elli a me: «Del contrario ho io brama.
+Lèvati quinci e non mi dar più lagna,
+ché mal sai lusingar per questa lama!».
+
+Allor lo presi per la cuticagna
+e dissi: «El converrà che tu ti nomi,
+o che capel qui sù non ti rimagna».
+
+Ond’ elli a me: «Perché tu mi dischiomi,
+né ti dirò ch’io sia, né mosterrolti,
+se mille fiate in sul capo mi tomi».
+
+Io avea già i capelli in mano avvolti,
+e tratti glien’ avea più d’una ciocca,
+latrando lui con li occhi in giù raccolti,
+
+quando un altro gridò: «Che hai tu, Bocca?
+non ti basta sonar con le mascelle,
+se tu non latri? qual diavol ti tocca?».
+
+«Omai», diss’ io, «non vo’ che più favelle,
+malvagio traditor; ch’a la tua onta
+io porterò di te vere novelle».
+
+«Va via», rispuose, «e ciò che tu vuoi conta;
+ma non tacer, se tu di qua entro eschi,
+di quel ch’ebbe or così la lingua pronta.
+
+El piange qui l’argento de’ Franceschi:
+“Io vidi”, potrai dir, “quel da Duera
+là dove i peccatori stanno freschi”.
+
+Se fossi domandato “Altri chi v’era?”,
+tu hai dallato quel di Beccheria
+di cui segò Fiorenza la gorgiera.
+
+Gianni de’ Soldanier credo che sia
+più là con Ganellone e Tebaldello,
+ch’aprì Faenza quando si dormia».
+
+Noi eravam partiti già da ello,
+ch’io vidi due ghiacciati in una buca,
+sì che l’un capo a l’altro era cappello;
+
+e come ’l pan per fame si manduca,
+così ’l sovran li denti a l’altro pose
+là ’ve ’l cervel s’aggiugne con la nuca:
+
+non altrimenti Tidëo si rose
+le tempie a Menalippo per disdegno,
+che quei faceva il teschio e l’altre cose.
+
+«O tu che mostri per sì bestial segno
+odio sovra colui che tu ti mangi,
+dimmi ’l perché», diss’ io, «per tal convegno,
+
+che se tu a ragion di lui ti piangi,
+sappiendo chi voi siete e la sua pecca,
+nel mondo suso ancora io te ne cangi,
+
+se quella con ch’io parlo non si secca».
+
+
+
+
+Inferno
+Canto XXXIII
+
+
+La bocca sollevò dal fiero pasto
+quel peccator, forbendola a’ capelli
+del capo ch’elli avea di retro guasto.
+
+Poi cominciò: «Tu vuo’ ch’io rinovelli
+disperato dolor che ’l cor mi preme
+già pur pensando, pria ch’io ne favelli.
+
+Ma se le mie parole esser dien seme
+che frutti infamia al traditor ch’i’ rodo,
+parlar e lagrimar vedrai insieme.
+
+Io non so chi tu se’ né per che modo
+venuto se’ qua giù; ma fiorentino
+mi sembri veramente quand’ io t’odo.
+
+Tu dei saper ch’i’ fui conte Ugolino,
+e questi è l’arcivescovo Ruggieri:
+or ti dirò perché i son tal vicino.
+
+Che per l’effetto de’ suo’ mai pensieri,
+fidandomi di lui, io fossi preso
+e poscia morto, dir non è mestieri;
+
+però quel che non puoi avere inteso,
+cioè come la morte mia fu cruda,
+udirai, e saprai s’e’ m’ha offeso.
+
+Breve pertugio dentro da la Muda,
+la qual per me ha ’l titol de la fame,
+e che conviene ancor ch’altrui si chiuda,
+
+m’avea mostrato per lo suo forame
+più lune già, quand’ io feci ’l mal sonno
+che del futuro mi squarciò ’l velame.
+
+Questi pareva a me maestro e donno,
+cacciando il lupo e ’ lupicini al monte
+per che i Pisan veder Lucca non ponno.
+
+Con cagne magre, studïose e conte
+Gualandi con Sismondi e con Lanfranchi
+s’avea messi dinanzi da la fronte.
+
+In picciol corso mi parieno stanchi
+lo padre e ’ figli, e con l’agute scane
+mi parea lor veder fender li fianchi.
+
+Quando fui desto innanzi la dimane,
+pianger senti’ fra ’l sonno i miei figliuoli
+ch’eran con meco, e dimandar del pane.
+
+Ben se’ crudel, se tu già non ti duoli
+pensando ciò che ’l mio cor s’annunziava;
+e se non piangi, di che pianger suoli?
+
+Già eran desti, e l’ora s’appressava
+che ’l cibo ne solëa essere addotto,
+e per suo sogno ciascun dubitava;
+
+e io senti’ chiavar l’uscio di sotto
+a l’orribile torre; ond’ io guardai
+nel viso a’ mie’ figliuoi sanza far motto.
+
+Io non piangëa, sì dentro impetrai:
+piangevan elli; e Anselmuccio mio
+disse: “Tu guardi sì, padre! che hai?”.
+
+Perciò non lagrimai né rispuos’ io
+tutto quel giorno né la notte appresso,
+infin che l’altro sol nel mondo uscìo.
+
+Come un poco di raggio si fu messo
+nel doloroso carcere, e io scorsi
+per quattro visi il mio aspetto stesso,
+
+ambo le man per lo dolor mi morsi;
+ed ei, pensando ch’io ’l fessi per voglia
+di manicar, di sùbito levorsi
+
+e disser: “Padre, assai ci fia men doglia
+se tu mangi di noi: tu ne vestisti
+queste misere carni, e tu le spoglia”.
+
+Queta’mi allor per non farli più tristi;
+lo dì e l’altro stemmo tutti muti;
+ahi dura terra, perché non t’apristi?
+
+Poscia che fummo al quarto dì venuti,
+Gaddo mi si gittò disteso a’ piedi,
+dicendo: “Padre mio, ché non m’aiuti?”.
+
+Quivi morì; e come tu mi vedi,
+vid’ io cascar li tre ad uno ad uno
+tra ’l quinto dì e ’l sesto; ond’ io mi diedi,
+
+già cieco, a brancolar sovra ciascuno,
+e due dì li chiamai, poi che fur morti.
+Poscia, più che ’l dolor, poté ’l digiuno».
+
+Quand’ ebbe detto ciò, con li occhi torti
+riprese ’l teschio misero co’ denti,
+che furo a l’osso, come d’un can, forti.
+
+Ahi Pisa, vituperio de le genti
+del bel paese là dove ’l sì suona,
+poi che i vicini a te punir son lenti,
+
+muovasi la Capraia e la Gorgona,
+e faccian siepe ad Arno in su la foce,
+sì ch’elli annieghi in te ogne persona!
+
+Che se ’l conte Ugolino aveva voce
+d’aver tradita te de le castella,
+non dovei tu i figliuoi porre a tal croce.
+
+Innocenti facea l’età novella,
+novella Tebe, Uguiccione e ’l Brigata
+e li altri due che ’l canto suso appella.
+
+Noi passammo oltre, là ’ve la gelata
+ruvidamente un’altra gente fascia,
+non volta in giù, ma tutta riversata.
+
+Lo pianto stesso lì pianger non lascia,
+e ’l duol che truova in su li occhi rintoppo,
+si volge in entro a far crescer l’ambascia;
+
+ché le lagrime prime fanno groppo,
+e sì come visiere di cristallo,
+rïempion sotto ’l ciglio tutto il coppo.
+
+E avvegna che, sì come d’un callo,
+per la freddura ciascun sentimento
+cessato avesse del mio viso stallo,
+
+già mi parea sentire alquanto vento;
+per ch’io: «Maestro mio, questo chi move?
+non è qua giù ogne vapore spento?».
+
+Ond’ elli a me: «Avaccio sarai dove
+di ciò ti farà l’occhio la risposta,
+veggendo la cagion che ’l fiato piove».
+
+E un de’ tristi de la fredda crosta
+gridò a noi: «O anime crudeli
+tanto che data v’è l’ultima posta,
+
+levatemi dal viso i duri veli,
+sì ch’ïo sfoghi ’l duol che ’l cor m’impregna,
+un poco, pria che ’l pianto si raggeli».
+
+Per ch’io a lui: «Se vuo’ ch’i’ ti sovvegna,
+dimmi chi se’, e s’io non ti disbrigo,
+al fondo de la ghiaccia ir mi convegna».
+
+Rispuose adunque: «I’ son frate Alberigo;
+i’ son quel da le frutta del mal orto,
+che qui riprendo dattero per figo».
+
+«Oh», diss’ io lui, «or se’ tu ancor morto?».
+Ed elli a me: «Come ’l mio corpo stea
+nel mondo sù, nulla scïenza porto.
+
+Cotal vantaggio ha questa Tolomea,
+che spesse volte l’anima ci cade
+innanzi ch’Atropòs mossa le dea.
+
+E perché tu più volentier mi rade
+le ’nvetrïate lagrime dal volto,
+sappie che, tosto che l’anima trade
+
+come fec’ ïo, il corpo suo l’è tolto
+da un demonio, che poscia il governa
+mentre che ’l tempo suo tutto sia vòlto.
+
+Ella ruina in sì fatta cisterna;
+e forse pare ancor lo corpo suso
+de l’ombra che di qua dietro mi verna.
+
+Tu ’l dei saper, se tu vien pur mo giuso:
+elli è ser Branca Doria, e son più anni
+poscia passati ch’el fu sì racchiuso».
+
+«Io credo», diss’ io lui, «che tu m’inganni;
+ché Branca Doria non morì unquanche,
+e mangia e bee e dorme e veste panni».
+
+«Nel fosso sù», diss’ el, «de’ Malebranche,
+là dove bolle la tenace pece,
+non era ancora giunto Michel Zanche,
+
+che questi lasciò il diavolo in sua vece
+nel corpo suo, ed un suo prossimano
+che ’l tradimento insieme con lui fece.
+
+Ma distendi oggimai in qua la mano;
+aprimi li occhi». E io non gliel’ apersi;
+e cortesia fu lui esser villano.
+
+Ahi Genovesi, uomini diversi
+d’ogne costume e pien d’ogne magagna,
+perché non siete voi del mondo spersi?
+
+Ché col peggiore spirto di Romagna
+trovai di voi un tal, che per sua opra
+in anima in Cocito già si bagna,
+
+e in corpo par vivo ancor di sopra.
+
+
+
+
+Inferno
+Canto XXXIV
+
+
+«Vexilla regis prodeunt inferni
+verso di noi; però dinanzi mira»,
+disse ’l maestro mio, «se tu ’l discerni».
+
+Come quando una grossa nebbia spira,
+o quando l’emisperio nostro annotta,
+par di lungi un molin che ’l vento gira,
+
+veder mi parve un tal dificio allotta;
+poi per lo vento mi ristrinsi retro
+al duca mio, ché non lì era altra grotta.
+
+Già era, e con paura il metto in metro,
+là dove l’ombre tutte eran coperte,
+e trasparien come festuca in vetro.
+
+Altre sono a giacere; altre stanno erte,
+quella col capo e quella con le piante;
+altra, com’ arco, il volto a’ piè rinverte.
+
+Quando noi fummo fatti tanto avante,
+ch’al mio maestro piacque di mostrarmi
+la creatura ch’ebbe il bel sembiante,
+
+d’innanzi mi si tolse e fé restarmi,
+«Ecco Dite», dicendo, «ed ecco il loco
+ove convien che di fortezza t’armi».
+
+Com’ io divenni allor gelato e fioco,
+nol dimandar, lettor, ch’i’ non lo scrivo,
+però ch’ogne parlar sarebbe poco.
+
+Io non mori’ e non rimasi vivo;
+pensa oggimai per te, s’hai fior d’ingegno,
+qual io divenni, d’uno e d’altro privo.
+
+Lo ’mperador del doloroso regno
+da mezzo ’l petto uscia fuor de la ghiaccia;
+e più con un gigante io mi convegno,
+
+che i giganti non fan con le sue braccia:
+vedi oggimai quant’ esser dee quel tutto
+ch’a così fatta parte si confaccia.
+
+S’el fu sì bel com’ elli è ora brutto,
+e contra ’l suo fattore alzò le ciglia,
+ben dee da lui procedere ogne lutto.
+
+Oh quanto parve a me gran maraviglia
+quand’ io vidi tre facce a la sua testa!
+L’una dinanzi, e quella era vermiglia;
+
+l’altr’ eran due, che s’aggiugnieno a questa
+sovresso ’l mezzo di ciascuna spalla,
+e sé giugnieno al loco de la cresta:
+
+e la destra parea tra bianca e gialla;
+la sinistra a vedere era tal, quali
+vegnon di là onde ’l Nilo s’avvalla.
+
+Sotto ciascuna uscivan due grand’ ali,
+quanto si convenia a tanto uccello:
+vele di mar non vid’ io mai cotali.
+
+Non avean penne, ma di vispistrello
+era lor modo; e quelle svolazzava,
+sì che tre venti si movean da ello:
+
+quindi Cocito tutto s’aggelava.
+Con sei occhi piangëa, e per tre menti
+gocciava ’l pianto e sanguinosa bava.
+
+Da ogne bocca dirompea co’ denti
+un peccatore, a guisa di maciulla,
+sì che tre ne facea così dolenti.
+
+A quel dinanzi il mordere era nulla
+verso ’l graffiar, che talvolta la schiena
+rimanea de la pelle tutta brulla.
+
+«Quell’ anima là sù c’ha maggior pena»,
+disse ’l maestro, «è Giuda Scarïotto,
+che ’l capo ha dentro e fuor le gambe mena.
+
+De li altri due c’hanno il capo di sotto,
+quel che pende dal nero ceffo è Bruto:
+vedi come si storce, e non fa motto!;
+
+e l’altro è Cassio, che par sì membruto.
+Ma la notte risurge, e oramai
+è da partir, ché tutto avem veduto».
+
+Com’ a lui piacque, il collo li avvinghiai;
+ed el prese di tempo e loco poste,
+e quando l’ali fuoro aperte assai,
+
+appigliò sé a le vellute coste;
+di vello in vello giù discese poscia
+tra ’l folto pelo e le gelate croste.
+
+Quando noi fummo là dove la coscia
+si volge, a punto in sul grosso de l’anche,
+lo duca, con fatica e con angoscia,
+
+volse la testa ov’ elli avea le zanche,
+e aggrappossi al pel com’ om che sale,
+sì che ’n inferno i’ credea tornar anche.
+
+«Attienti ben, ché per cotali scale»,
+disse ’l maestro, ansando com’ uom lasso,
+«conviensi dipartir da tanto male».
+
+Poi uscì fuor per lo fóro d’un sasso
+e puose me in su l’orlo a sedere;
+appresso porse a me l’accorto passo.
+
+Io levai li occhi e credetti vedere
+Lucifero com’ io l’avea lasciato,
+e vidili le gambe in sù tenere;
+
+e s’io divenni allora travagliato,
+la gente grossa il pensi, che non vede
+qual è quel punto ch’io avea passato.
+
+«Lèvati sù», disse ’l maestro, «in piede:
+la via è lunga e ’l cammino è malvagio,
+e già il sole a mezza terza riede».
+
+Non era camminata di palagio
+là ’v’ eravam, ma natural burella
+ch’avea mal suolo e di lume disagio.
+
+«Prima ch’io de l’abisso mi divella,
+maestro mio», diss’ io quando fui dritto,
+«a trarmi d’erro un poco mi favella:
+
+ov’ è la ghiaccia? e questi com’ è fitto
+sì sottosopra? e come, in sì poc’ ora,
+da sera a mane ha fatto il sol tragitto?».
+
+Ed elli a me: «Tu imagini ancora
+d’esser di là dal centro, ov’ io mi presi
+al pel del vermo reo che ’l mondo fóra.
+
+Di là fosti cotanto quant’ io scesi;
+quand’ io mi volsi, tu passasti ’l punto
+al qual si traggon d’ogne parte i pesi.
+
+E se’ or sotto l’emisperio giunto
+ch’è contraposto a quel che la gran secca
+coverchia, e sotto ’l cui colmo consunto
+
+fu l’uom che nacque e visse sanza pecca;
+tu haï i piedi in su picciola spera
+che l’altra faccia fa de la Giudecca.
+
+Qui è da man, quando di là è sera;
+e questi, che ne fé scala col pelo,
+fitto è ancora sì come prim’ era.
+
+Da questa parte cadde giù dal cielo;
+e la terra, che pria di qua si sporse,
+per paura di lui fé del mar velo,
+
+e venne a l’emisperio nostro; e forse
+per fuggir lui lasciò qui loco vòto
+quella ch’appar di qua, e sù ricorse».
+
+Luogo è là giù da Belzebù remoto
+tanto quanto la tomba si distende,
+che non per vista, ma per suono è noto
+
+d’un ruscelletto che quivi discende
+per la buca d’un sasso, ch’elli ha roso,
+col corso ch’elli avvolge, e poco pende.
+
+Lo duca e io per quel cammino ascoso
+intrammo a ritornar nel chiaro mondo;
+e sanza cura aver d’alcun riposo,
+
+salimmo sù, el primo e io secondo,
+tanto ch’i’ vidi de le cose belle
+che porta ’l ciel, per un pertugio tondo.
+
+E quindi uscimmo a riveder le stelle.
+
+
+
+
+PURGATORIO
+
+
+
+
+Purgatorio
+Canto I
+
+
+Per correr miglior acque alza le vele
+omai la navicella del mio ingegno,
+che lascia dietro a sé mar sì crudele;
+
+e canterò di quel secondo regno
+dove l’umano spirito si purga
+e di salire al ciel diventa degno.
+
+Ma qui la morta poesì resurga,
+o sante Muse, poi che vostro sono;
+e qui Calïopè alquanto surga,
+
+seguitando il mio canto con quel suono
+di cui le Piche misere sentiro
+lo colpo tal, che disperar perdono.
+
+Dolce color d’orïental zaffiro,
+che s’accoglieva nel sereno aspetto
+del mezzo, puro infino al primo giro,
+
+a li occhi miei ricominciò diletto,
+tosto ch’io usci’ fuor de l’aura morta
+che m’avea contristati li occhi e ’l petto.
+
+Lo bel pianeto che d’amar conforta
+faceva tutto rider l’orïente,
+velando i Pesci ch’erano in sua scorta.
+
+I’ mi volsi a man destra, e puosi mente
+a l’altro polo, e vidi quattro stelle
+non viste mai fuor ch’a la prima gente.
+
+Goder pareva ’l ciel di lor fiammelle:
+oh settentrïonal vedovo sito,
+poi che privato se’ di mirar quelle!
+
+Com’ io da loro sguardo fui partito,
+un poco me volgendo a l ’altro polo,
+là onde ’l Carro già era sparito,
+
+vidi presso di me un veglio solo,
+degno di tanta reverenza in vista,
+che più non dee a padre alcun figliuolo.
+
+Lunga la barba e di pel bianco mista
+portava, a’ suoi capelli simigliante,
+de’ quai cadeva al petto doppia lista.
+
+Li raggi de le quattro luci sante
+fregiavan sì la sua faccia di lume,
+ch’i’ ’l vedea come ’l sol fosse davante.
+
+«Chi siete voi che contro al cieco fiume
+fuggita avete la pregione etterna?»,
+diss’ el, movendo quelle oneste piume.
+
+«Chi v’ha guidati, o che vi fu lucerna,
+uscendo fuor de la profonda notte
+che sempre nera fa la valle inferna?
+
+Son le leggi d’abisso così rotte?
+o è mutato in ciel novo consiglio,
+che, dannati, venite a le mie grotte?».
+
+Lo duca mio allor mi diè di piglio,
+e con parole e con mani e con cenni
+reverenti mi fé le gambe e ’l ciglio.
+
+Poscia rispuose lui: «Da me non venni:
+donna scese del ciel, per li cui prieghi
+de la mia compagnia costui sovvenni.
+
+Ma da ch’è tuo voler che più si spieghi
+di nostra condizion com’ ell’ è vera,
+esser non puote il mio che a te si nieghi.
+
+Questi non vide mai l’ultima sera;
+ma per la sua follia le fu sì presso,
+che molto poco tempo a volger era.
+
+Sì com’ io dissi, fui mandato ad esso
+per lui campare; e non lì era altra via
+che questa per la quale i’ mi son messo.
+
+Mostrata ho lui tutta la gente ria;
+e ora intendo mostrar quelli spirti
+che purgan sé sotto la tua balìa.
+
+Com’ io l’ho tratto, saria lungo a dirti;
+de l’alto scende virtù che m’aiuta
+conducerlo a vederti e a udirti.
+
+Or ti piaccia gradir la sua venuta:
+libertà va cercando, ch’è sì cara,
+come sa chi per lei vita rifiuta.
+
+Tu ’l sai, ché non ti fu per lei amara
+in Utica la morte, ove lasciasti
+la vesta ch’al gran dì sarà sì chiara.
+
+Non son li editti etterni per noi guasti,
+ché questi vive e Minòs me non lega;
+ma son del cerchio ove son li occhi casti
+
+di Marzia tua, che ’n vista ancor ti priega,
+o santo petto, che per tua la tegni:
+per lo suo amore adunque a noi ti piega.
+
+Lasciane andar per li tuoi sette regni;
+grazie riporterò di te a lei,
+se d’esser mentovato là giù degni».
+
+«Marzïa piacque tanto a li occhi miei
+mentre ch’i’ fu’ di là», diss’ elli allora,
+«che quante grazie volse da me, fei.
+
+Or che di là dal mal fiume dimora,
+più muover non mi può, per quella legge
+che fatta fu quando me n’usci’ fora.
+
+Ma se donna del ciel ti move e regge,
+come tu di’, non c’è mestier lusinghe:
+bastisi ben che per lei mi richegge.
+
+Va dunque, e fa che tu costui ricinghe
+d’un giunco schietto e che li lavi ’l viso,
+sì ch’ogne sucidume quindi stinghe;
+
+ché non si converria, l’occhio sorpriso
+d’alcuna nebbia, andar dinanzi al primo
+ministro, ch’è di quei di paradiso.
+
+Questa isoletta intorno ad imo ad imo,
+là giù colà dove la batte l’onda,
+porta di giunchi sovra ’l molle limo:
+
+null’ altra pianta che facesse fronda
+o indurasse, vi puote aver vita,
+però ch’a le percosse non seconda.
+
+Poscia non sia di qua vostra reddita;
+lo sol vi mosterrà, che surge omai,
+prendere il monte a più lieve salita».
+
+Così sparì; e io sù mi levai
+sanza parlare, e tutto mi ritrassi
+al duca mio, e li occhi a lui drizzai.
+
+El cominciò: «Figliuol, segui i miei passi:
+volgianci in dietro, ché di qua dichina
+questa pianura a’ suoi termini bassi».
+
+L’alba vinceva l’ora mattutina
+che fuggia innanzi, sì che di lontano
+conobbi il tremolar de la marina.
+
+Noi andavam per lo solingo piano
+com’ om che torna a la perduta strada,
+che ’nfino ad essa li pare ire in vano.
+
+Quando noi fummo là ’ve la rugiada
+pugna col sole, per essere in parte
+dove, ad orezza, poco si dirada,
+
+ambo le mani in su l’erbetta sparte
+soavemente ’l mio maestro pose:
+ond’ io, che fui accorto di sua arte,
+
+porsi ver’ lui le guance lagrimose;
+ivi mi fece tutto discoverto
+quel color che l’inferno mi nascose.
+
+Venimmo poi in sul lito diserto,
+che mai non vide navicar sue acque
+omo, che di tornar sia poscia esperto.
+
+Quivi mi cinse sì com’ altrui piacque:
+oh maraviglia! ché qual elli scelse
+l’umile pianta, cotal si rinacque
+
+subitamente là onde l’avelse.
+
+
+
+
+Purgatorio
+Canto II
+
+
+Già era ’l sole a l’orizzonte giunto
+lo cui meridïan cerchio coverchia
+Ierusalèm col suo più alto punto;
+
+e la notte, che opposita a lui cerchia,
+uscia di Gange fuor con le Bilance,
+che le caggion di man quando soverchia;
+
+sì che le bianche e le vermiglie guance,
+là dov’ i’ era, de la bella Aurora
+per troppa etate divenivan rance.
+
+Noi eravam lunghesso mare ancora,
+come gente che pensa a suo cammino,
+che va col cuore e col corpo dimora.
+
+Ed ecco, qual, sorpreso dal mattino,
+per li grossi vapor Marte rosseggia
+giù nel ponente sovra ’l suol marino,
+
+cotal m’apparve, s’io ancor lo veggia,
+un lume per lo mar venir sì ratto,
+che ’l muover suo nessun volar pareggia.
+
+Dal qual com’ io un poco ebbi ritratto
+l’occhio per domandar lo duca mio,
+rividil più lucente e maggior fatto.
+
+Poi d’ogne lato ad esso m’appario
+un non sapeva che bianco, e di sotto
+a poco a poco un altro a lui uscìo.
+
+Lo mio maestro ancor non facea motto,
+mentre che i primi bianchi apparver ali;
+allor che ben conobbe il galeotto,
+
+gridò: «Fa, fa che le ginocchia cali.
+Ecco l’angel di Dio: piega le mani;
+omai vedrai di sì fatti officiali.
+
+Vedi che sdegna li argomenti umani,
+sì che remo non vuol, né altro velo
+che l’ali sue, tra liti sì lontani.
+
+Vedi come l’ha dritte verso ’l cielo,
+trattando l’aere con l’etterne penne,
+che non si mutan come mortal pelo».
+
+Poi, come più e più verso noi venne
+l’uccel divino, più chiaro appariva:
+per che l’occhio da presso nol sostenne,
+
+ma chinail giuso; e quei sen venne a riva
+con un vasello snelletto e leggero,
+tanto che l’acqua nulla ne ’nghiottiva.
+
+Da poppa stava il celestial nocchiero,
+tal che faria beato pur descripto;
+e più di cento spirti entro sediero.
+
+‘In exitu Isräel de Aegypto’
+cantavan tutti insieme ad una voce
+con quanto di quel salmo è poscia scripto.
+
+Poi fece il segno lor di santa croce;
+ond’ ei si gittar tutti in su la piaggia:
+ed el sen gì, come venne, veloce.
+
+La turba che rimase lì, selvaggia
+parea del loco, rimirando intorno
+come colui che nove cose assaggia.
+
+Da tutte parti saettava il giorno
+lo sol, ch’avea con le saette conte
+di mezzo ’l ciel cacciato Capricorno,
+
+quando la nova gente alzò la fronte
+ver’ noi, dicendo a noi: «Se voi sapete,
+mostratene la via di gire al monte».
+
+E Virgilio rispuose: «Voi credete
+forse che siamo esperti d’esto loco;
+ma noi siam peregrin come voi siete.
+
+Dianzi venimmo, innanzi a voi un poco,
+per altra via, che fu sì aspra e forte,
+che lo salire omai ne parrà gioco».
+
+L’anime, che si fuor di me accorte,
+per lo spirare, ch’i’ era ancor vivo,
+maravigliando diventaro smorte.
+
+E come a messagger che porta ulivo
+tragge la gente per udir novelle,
+e di calcar nessun si mostra schivo,
+
+così al viso mio s’affisar quelle
+anime fortunate tutte quante,
+quasi oblïando d’ire a farsi belle.
+
+Io vidi una di lor trarresi avante
+per abbracciarmi con sì grande affetto,
+che mosse me a far lo somigliante.
+
+Ohi ombre vane, fuor che ne l’aspetto!
+tre volte dietro a lei le mani avvinsi,
+e tante mi tornai con esse al petto.
+
+Di maraviglia, credo, mi dipinsi;
+per che l’ombra sorrise e si ritrasse,
+e io, seguendo lei, oltre mi pinsi.
+
+Soavemente disse ch’io posasse;
+allor conobbi chi era, e pregai
+che, per parlarmi, un poco s’arrestasse.
+
+Rispuosemi: «Così com’ io t’amai
+nel mortal corpo, così t’amo sciolta:
+però m’arresto; ma tu perché vai?».
+
+«Casella mio, per tornar altra volta
+là dov’ io son, fo io questo vïaggio»,
+diss’ io; «ma a te com’ è tanta ora tolta?».
+
+Ed elli a me: «Nessun m’è fatto oltraggio,
+se quei che leva quando e cui li piace,
+più volte m’ha negato esto passaggio;
+
+ché di giusto voler lo suo si face:
+veramente da tre mesi elli ha tolto
+chi ha voluto intrar, con tutta pace.
+
+Ond’ io, ch’era ora a la marina vòlto
+dove l’acqua di Tevero s’insala,
+benignamente fu’ da lui ricolto.
+
+A quella foce ha elli or dritta l’ala,
+però che sempre quivi si ricoglie
+qual verso Acheronte non si cala».
+
+E io: «Se nuova legge non ti toglie
+memoria o uso a l’amoroso canto
+che mi solea quetar tutte mie doglie,
+
+di ciò ti piaccia consolare alquanto
+l’anima mia, che, con la sua persona
+venendo qui, è affannata tanto!».
+
+‘Amor che ne la mente mi ragiona’
+cominciò elli allor sì dolcemente,
+che la dolcezza ancor dentro mi suona.
+
+Lo mio maestro e io e quella gente
+ch’eran con lui parevan sì contenti,
+come a nessun toccasse altro la mente.
+
+Noi eravam tutti fissi e attenti
+a le sue note; ed ecco il veglio onesto
+gridando: «Che è ciò, spiriti lenti?
+
+qual negligenza, quale stare è questo?
+Correte al monte a spogliarvi lo scoglio
+ch’esser non lascia a voi Dio manifesto».
+
+Come quando, cogliendo biado o loglio,
+li colombi adunati a la pastura,
+queti, sanza mostrar l’usato orgoglio,
+
+se cosa appare ond’ elli abbian paura,
+subitamente lasciano star l’esca,
+perch’ assaliti son da maggior cura;
+
+così vid’ io quella masnada fresca
+lasciar lo canto, e fuggir ver’ la costa,
+com’ om che va, né sa dove rïesca;
+
+né la nostra partita fu men tosta.
+
+
+
+
+Purgatorio
+Canto III
+
+
+Avvegna che la subitana fuga
+dispergesse color per la campagna,
+rivolti al monte ove ragion ne fruga,
+
+i’ mi ristrinsi a la fida compagna:
+e come sare’ io sanza lui corso?
+chi m’avria tratto su per la montagna?
+
+El mi parea da sé stesso rimorso:
+o dignitosa coscïenza e netta,
+come t’è picciol fallo amaro morso!
+
+Quando li piedi suoi lasciar la fretta,
+che l’onestade ad ogn’ atto dismaga,
+la mente mia, che prima era ristretta,
+
+lo ’ntento rallargò, sì come vaga,
+e diedi ’l viso mio incontr’ al poggio
+che ’nverso ’l ciel più alto si dislaga.
+
+Lo sol, che dietro fiammeggiava roggio,
+rotto m’era dinanzi a la figura,
+ch’avëa in me de’ suoi raggi l’appoggio.
+
+Io mi volsi dallato con paura
+d’essere abbandonato, quand’ io vidi
+solo dinanzi a me la terra oscura;
+
+e ’l mio conforto: «Perché pur diffidi?»,
+a dir mi cominciò tutto rivolto;
+«non credi tu me teco e ch’io ti guidi?
+
+Vespero è già colà dov’ è sepolto
+lo corpo dentro al quale io facea ombra;
+Napoli l’ha, e da Brandizio è tolto.
+
+Ora, se innanzi a me nulla s’aombra,
+non ti maravigliar più che d’i cieli
+che l’uno a l’altro raggio non ingombra.
+
+A sofferir tormenti, caldi e geli
+simili corpi la Virtù dispone
+che, come fa, non vuol ch’a noi si sveli.
+
+Matto è chi spera che nostra ragione
+possa trascorrer la infinita via
+che tiene una sustanza in tre persone.
+
+State contenti, umana gente, al quia;
+ché, se potuto aveste veder tutto,
+mestier non era parturir Maria;
+
+e disïar vedeste sanza frutto
+tai che sarebbe lor disio quetato,
+ch’etternalmente è dato lor per lutto:
+
+io dico d’Aristotile e di Plato
+e di molt’ altri»; e qui chinò la fronte,
+e più non disse, e rimase turbato.
+
+Noi divenimmo intanto a piè del monte;
+quivi trovammo la roccia sì erta,
+che ’ndarno vi sarien le gambe pronte.
+
+Tra Lerice e Turbìa la più diserta,
+la più rotta ruina è una scala,
+verso di quella, agevole e aperta.
+
+«Or chi sa da qual man la costa cala»,
+disse ’l maestro mio fermando ’l passo,
+«sì che possa salir chi va sanz’ ala?».
+
+E mentre ch’e’ tenendo ’l viso basso
+essaminava del cammin la mente,
+e io mirava suso intorno al sasso,
+
+da man sinistra m’apparì una gente
+d’anime, che movieno i piè ver’ noi,
+e non pareva, sì venïan lente.
+
+«Leva», diss’ io, «maestro, li occhi tuoi:
+ecco di qua chi ne darà consiglio,
+se tu da te medesmo aver nol puoi».
+
+Guardò allora, e con libero piglio
+rispuose: «Andiamo in là, ch’ei vegnon piano;
+e tu ferma la spene, dolce figlio».
+
+Ancora era quel popol di lontano,
+i’ dico dopo i nostri mille passi,
+quanto un buon gittator trarria con mano,
+
+quando si strinser tutti ai duri massi
+de l’alta ripa, e stetter fermi e stretti
+com’ a guardar, chi va dubbiando, stassi.
+
+«O ben finiti, o già spiriti eletti»,
+Virgilio incominciò, «per quella pace
+ch’i’ credo che per voi tutti s’aspetti,
+
+ditene dove la montagna giace,
+sì che possibil sia l’andare in suso;
+ché perder tempo a chi più sa più spiace».
+
+Come le pecorelle escon del chiuso
+a una, a due, a tre, e l’altre stanno
+timidette atterrando l’occhio e ’l muso;
+
+e ciò che fa la prima, e l’altre fanno,
+addossandosi a lei, s’ella s’arresta,
+semplici e quete, e lo ’mperché non sanno;
+
+sì vid’ io muovere a venir la testa
+di quella mandra fortunata allotta,
+pudica in faccia e ne l’andare onesta.
+
+Come color dinanzi vider rotta
+la luce in terra dal mio destro canto,
+sì che l’ombra era da me a la grotta,
+
+restaro, e trasser sé in dietro alquanto,
+e tutti li altri che venieno appresso,
+non sappiendo ’l perché, fenno altrettanto.
+
+«Sanza vostra domanda io vi confesso
+che questo è corpo uman che voi vedete;
+per che ’l lume del sole in terra è fesso.
+
+Non vi maravigliate, ma credete
+che non sanza virtù che da ciel vegna
+cerchi di soverchiar questa parete».
+
+Così ’l maestro; e quella gente degna
+«Tornate», disse, «intrate innanzi dunque»,
+coi dossi de le man faccendo insegna.
+
+E un di loro incominciò: «Chiunque
+tu se’, così andando, volgi ’l viso:
+pon mente se di là mi vedesti unque».
+
+Io mi volsi ver’ lui e guardail fiso:
+biondo era e bello e di gentile aspetto,
+ma l’un de’ cigli un colpo avea diviso.
+
+Quand’ io mi fui umilmente disdetto
+d’averlo visto mai, el disse: «Or vedi»;
+e mostrommi una piaga a sommo ’l petto.
+
+Poi sorridendo disse: «Io son Manfredi,
+nepote di Costanza imperadrice;
+ond’ io ti priego che, quando tu riedi,
+
+vadi a mia bella figlia, genitrice
+de l’onor di Cicilia e d’Aragona,
+e dichi ’l vero a lei, s’altro si dice.
+
+Poscia ch’io ebbi rotta la persona
+di due punte mortali, io mi rendei,
+piangendo, a quei che volontier perdona.
+
+Orribil furon li peccati miei;
+ma la bontà infinita ha sì gran braccia,
+che prende ciò che si rivolge a lei.
+
+Se ’l pastor di Cosenza, che a la caccia
+di me fu messo per Clemente allora,
+avesse in Dio ben letta questa faccia,
+
+l’ossa del corpo mio sarieno ancora
+in co del ponte presso a Benevento,
+sotto la guardia de la grave mora.
+
+Or le bagna la pioggia e move il vento
+di fuor dal regno, quasi lungo ’l Verde,
+dov’ e’ le trasmutò a lume spento.
+
+Per lor maladizion sì non si perde,
+che non possa tornar, l’etterno amore,
+mentre che la speranza ha fior del verde.
+
+Vero è che quale in contumacia more
+di Santa Chiesa, ancor ch’al fin si penta,
+star li convien da questa ripa in fore,
+
+per ognun tempo ch’elli è stato, trenta,
+in sua presunzïon, se tal decreto
+più corto per buon prieghi non diventa.
+
+Vedi oggimai se tu mi puoi far lieto,
+revelando a la mia buona Costanza
+come m’hai visto, e anco esto divieto;
+
+ché qui per quei di là molto s’avanza».
+
+
+
+
+Purgatorio
+Canto IV
+
+
+Quando per dilettanze o ver per doglie,
+che alcuna virtù nostra comprenda,
+l’anima bene ad essa si raccoglie,
+
+par ch’a nulla potenza più intenda;
+e questo è contra quello error che crede
+ch’un’anima sovr’ altra in noi s’accenda.
+
+E però, quando s’ode cosa o vede
+che tegna forte a sé l’anima volta,
+vassene ’l tempo e l’uom non se n’avvede;
+
+ch’altra potenza è quella che l’ascolta,
+e altra è quella c’ha l’anima intera:
+questa è quasi legata e quella è sciolta.
+
+Di ciò ebb’ io esperïenza vera,
+udendo quello spirto e ammirando;
+ché ben cinquanta gradi salito era
+
+lo sole, e io non m’era accorto, quando
+venimmo ove quell’ anime ad una
+gridaro a noi: «Qui è vostro dimando».
+
+Maggiore aperta molte volte impruna
+con una forcatella di sue spine
+l’uom de la villa quando l’uva imbruna,
+
+che non era la calla onde salìne
+lo duca mio, e io appresso, soli,
+come da noi la schiera si partìne.
+
+Vassi in Sanleo e discendesi in Noli,
+montasi su in Bismantova e ’n Cacume
+con esso i piè; ma qui convien ch’om voli;
+
+dico con l’ale snelle e con le piume
+del gran disio, di retro a quel condotto
+che speranza mi dava e facea lume.
+
+Noi salavam per entro ’l sasso rotto,
+e d’ogne lato ne stringea lo stremo,
+e piedi e man volea il suol di sotto.
+
+Poi che noi fummo in su l’orlo suppremo
+de l’alta ripa, a la scoperta piaggia,
+«Maestro mio», diss’ io, «che via faremo?».
+
+Ed elli a me: «Nessun tuo passo caggia;
+pur su al monte dietro a me acquista,
+fin che n’appaia alcuna scorta saggia».
+
+Lo sommo er’ alto che vincea la vista,
+e la costa superba più assai
+che da mezzo quadrante a centro lista.
+
+Io era lasso, quando cominciai:
+«O dolce padre, volgiti, e rimira
+com’ io rimango sol, se non restai».
+
+«Figliuol mio», disse, «infin quivi ti tira»,
+additandomi un balzo poco in sùe
+che da quel lato il poggio tutto gira.
+
+Sì mi spronaron le parole sue,
+ch’i’ mi sforzai carpando appresso lui,
+tanto che ’l cinghio sotto i piè mi fue.
+
+A seder ci ponemmo ivi ambedui
+vòlti a levante ond’ eravam saliti,
+che suole a riguardar giovare altrui.
+
+Li occhi prima drizzai ai bassi liti;
+poscia li alzai al sole, e ammirava
+che da sinistra n’eravam feriti.
+
+Ben s’avvide il poeta ch’ïo stava
+stupido tutto al carro de la luce,
+ove tra noi e Aquilone intrava.
+
+Ond’ elli a me: «Se Castore e Poluce
+fossero in compagnia di quello specchio
+che sù e giù del suo lume conduce,
+
+tu vedresti il Zodïaco rubecchio
+ancora a l’Orse più stretto rotare,
+se non uscisse fuor del cammin vecchio.
+
+Come ciò sia, se ’l vuoi poter pensare,
+dentro raccolto, imagina Sïòn
+con questo monte in su la terra stare
+
+sì, ch’amendue hanno un solo orizzòn
+e diversi emisperi; onde la strada
+che mal non seppe carreggiar Fetòn,
+
+vedrai come a costui convien che vada
+da l’un, quando a colui da l’altro fianco,
+se lo ’ntelletto tuo ben chiaro bada».
+
+«Certo, maestro mio,» diss’ io, «unquanco
+non vid’ io chiaro sì com’ io discerno
+là dove mio ingegno parea manco,
+
+che ’l mezzo cerchio del moto superno,
+che si chiama Equatore in alcun’ arte,
+e che sempre riman tra ’l sole e ’l verno,
+
+per la ragion che di’, quinci si parte
+verso settentrïon, quanto li Ebrei
+vedevan lui verso la calda parte.
+
+Ma se a te piace, volontier saprei
+quanto avemo ad andar; ché ’l poggio sale
+più che salir non posson li occhi miei».
+
+Ed elli a me: «Questa montagna è tale,
+che sempre al cominciar di sotto è grave;
+e quant’ om più va sù, e men fa male.
+
+Però, quand’ ella ti parrà soave
+tanto, che sù andar ti fia leggero
+com’ a seconda giù andar per nave,
+
+allor sarai al fin d’esto sentiero;
+quivi di riposar l’affanno aspetta.
+Più non rispondo, e questo so per vero».
+
+E com’ elli ebbe sua parola detta,
+una voce di presso sonò: «Forse
+che di sedere in pria avrai distretta!».
+
+Al suon di lei ciascun di noi si torse,
+e vedemmo a mancina un gran petrone,
+del qual né io né ei prima s’accorse.
+
+Là ci traemmo; e ivi eran persone
+che si stavano a l’ombra dietro al sasso
+come l’uom per negghienza a star si pone.
+
+E un di lor, che mi sembiava lasso,
+sedeva e abbracciava le ginocchia,
+tenendo ’l viso giù tra esse basso.
+
+«O dolce segnor mio», diss’ io, «adocchia
+colui che mostra sé più negligente
+che se pigrizia fosse sua serocchia».
+
+Allor si volse a noi e puose mente,
+movendo ’l viso pur su per la coscia,
+e disse: «Or va tu sù, che se’ valente!».
+
+Conobbi allor chi era, e quella angoscia
+che m’avacciava un poco ancor la lena,
+non m’impedì l’andare a lui; e poscia
+
+ch’a lui fu’ giunto, alzò la testa a pena,
+dicendo: «Hai ben veduto come ’l sole
+da l’omero sinistro il carro mena?».
+
+Li atti suoi pigri e le corte parole
+mosser le labbra mie un poco a riso;
+poi cominciai: «Belacqua, a me non dole
+
+di te omai; ma dimmi: perché assiso
+quiritto se’? attendi tu iscorta,
+o pur lo modo usato t’ha’ ripriso?».
+
+Ed elli: «O frate, andar in sù che porta?
+ché non mi lascerebbe ire a’ martìri
+l’angel di Dio che siede in su la porta.
+
+Prima convien che tanto il ciel m’aggiri
+di fuor da essa, quanto fece in vita,
+per ch’io ’ndugiai al fine i buon sospiri,
+
+se orazïone in prima non m’aita
+che surga sù di cuor che in grazia viva;
+l’altra che val, che ’n ciel non è udita?».
+
+E già il poeta innanzi mi saliva,
+e dicea: «Vienne omai; vedi ch’è tocco
+meridïan dal sole e a la riva
+
+cuopre la notte già col piè Morrocco».
+
+
+
+
+Purgatorio
+Canto V
+
+
+Io era già da quell’ ombre partito,
+e seguitava l’orme del mio duca,
+quando di retro a me, drizzando ’l dito,
+
+una gridò: «Ve’ che non par che luca
+lo raggio da sinistra a quel di sotto,
+e come vivo par che si conduca!».
+
+Li occhi rivolsi al suon di questo motto,
+e vidile guardar per maraviglia
+pur me, pur me, e ’l lume ch’era rotto.
+
+«Perché l’animo tuo tanto s’impiglia»,
+disse ’l maestro, «che l’andare allenti?
+che ti fa ciò che quivi si pispiglia?
+
+Vien dietro a me, e lascia dir le genti:
+sta come torre ferma, che non crolla
+già mai la cima per soffiar di venti;
+
+ché sempre l’omo in cui pensier rampolla
+sovra pensier, da sé dilunga il segno,
+perché la foga l’un de l’altro insolla».
+
+Che potea io ridir, se non «Io vegno»?
+Dissilo, alquanto del color consperso
+che fa l’uom di perdon talvolta degno.
+
+E ’ntanto per la costa di traverso
+venivan genti innanzi a noi un poco,
+cantando ‘Miserere’ a verso a verso.
+
+Quando s’accorser ch’i’ non dava loco
+per lo mio corpo al trapassar d’i raggi,
+mutar lor canto in un «oh!» lungo e roco;
+
+e due di loro, in forma di messaggi,
+corsero incontr’ a noi e dimandarne:
+«Di vostra condizion fatene saggi».
+
+E ’l mio maestro: «Voi potete andarne
+e ritrarre a color che vi mandaro
+che ’l corpo di costui è vera carne.
+
+Se per veder la sua ombra restaro,
+com’ io avviso, assai è lor risposto:
+fàccianli onore, ed esser può lor caro».
+
+Vapori accesi non vid’ io sì tosto
+di prima notte mai fender sereno,
+né, sol calando, nuvole d’agosto,
+
+che color non tornasser suso in meno;
+e, giunti là, con li altri a noi dier volta,
+come schiera che scorre sanza freno.
+
+«Questa gente che preme a noi è molta,
+e vegnonti a pregar», disse ’l poeta:
+«però pur va, e in andando ascolta».
+
+«O anima che vai per esser lieta
+con quelle membra con le quai nascesti»,
+venian gridando, «un poco il passo queta.
+
+Guarda s’alcun di noi unqua vedesti,
+sì che di lui di là novella porti:
+deh, perché vai? deh, perché non t’arresti?
+
+Noi fummo tutti già per forza morti,
+e peccatori infino a l’ultima ora;
+quivi lume del ciel ne fece accorti,
+
+sì che, pentendo e perdonando, fora
+di vita uscimmo a Dio pacificati,
+che del disio di sé veder n’accora».
+
+E io: «Perché ne’ vostri visi guati,
+non riconosco alcun; ma s’a voi piace
+cosa ch’io possa, spiriti ben nati,
+
+voi dite, e io farò per quella pace
+che, dietro a’ piedi di sì fatta guida,
+di mondo in mondo cercar mi si face».
+
+E uno incominciò: «Ciascun si fida
+del beneficio tuo sanza giurarlo,
+pur che ’l voler nonpossa non ricida.
+
+Ond’ io, che solo innanzi a li altri parlo,
+ti priego, se mai vedi quel paese
+che siede tra Romagna e quel di Carlo,
+
+che tu mi sie di tuoi prieghi cortese
+in Fano, sì che ben per me s’adori
+pur ch’i’ possa purgar le gravi offese.
+
+Quindi fu’ io; ma li profondi fóri
+ond’ uscì ’l sangue in sul quale io sedea,
+fatti mi fuoro in grembo a li Antenori,
+
+là dov’ io più sicuro esser credea:
+quel da Esti il fé far, che m’avea in ira
+assai più là che dritto non volea.
+
+Ma s’io fosse fuggito inver’ la Mira,
+quando fu’ sovragiunto ad Orïaco,
+ancor sarei di là dove si spira.
+
+Corsi al palude, e le cannucce e ’l braco
+m’impigliar sì ch’i’ caddi; e lì vid’ io
+de le mie vene farsi in terra laco».
+
+Poi disse un altro: «Deh, se quel disio
+si compia che ti tragge a l’alto monte,
+con buona pïetate aiuta il mio!
+
+Io fui di Montefeltro, io son Bonconte;
+Giovanna o altri non ha di me cura;
+per ch’io vo tra costor con bassa fronte».
+
+E io a lui: «Qual forza o qual ventura
+ti travïò sì fuor di Campaldino,
+che non si seppe mai tua sepultura?».
+
+«Oh!», rispuos’ elli, «a piè del Casentino
+traversa un’acqua c’ha nome l’Archiano,
+che sovra l’Ermo nasce in Apennino.
+
+Là ’ve ’l vocabol suo diventa vano,
+arriva’ io forato ne la gola,
+fuggendo a piede e sanguinando il piano.
+
+Quivi perdei la vista e la parola;
+nel nome di Maria fini’, e quivi
+caddi, e rimase la mia carne sola.
+
+Io dirò vero, e tu ’l ridì tra ’ vivi:
+l’angel di Dio mi prese, e quel d’inferno
+gridava: “O tu del ciel, perché mi privi?
+
+Tu te ne porti di costui l’etterno
+per una lagrimetta che ’l mi toglie;
+ma io farò de l’altro altro governo!”.
+
+Ben sai come ne l’aere si raccoglie
+quell’ umido vapor che in acqua riede,
+tosto che sale dove ’l freddo il coglie.
+
+Giunse quel mal voler che pur mal chiede
+con lo ’ntelletto, e mosse il fummo e ’l vento
+per la virtù che sua natura diede.
+
+Indi la valle, come ’l dì fu spento,
+da Pratomagno al gran giogo coperse
+di nebbia; e ’l ciel di sopra fece intento,
+
+sì che ’l pregno aere in acqua si converse;
+la pioggia cadde, e a’ fossati venne
+di lei ciò che la terra non sofferse;
+
+e come ai rivi grandi si convenne,
+ver’ lo fiume real tanto veloce
+si ruinò, che nulla la ritenne.
+
+Lo corpo mio gelato in su la foce
+trovò l’Archian rubesto; e quel sospinse
+ne l’Arno, e sciolse al mio petto la croce
+
+ch’i’ fe’ di me quando ’l dolor mi vinse;
+voltòmmi per le ripe e per lo fondo,
+poi di sua preda mi coperse e cinse».
+
+«Deh, quando tu sarai tornato al mondo
+e riposato de la lunga via»,
+seguitò ’l terzo spirito al secondo,
+
+«ricorditi di me, che son la Pia;
+Siena mi fé, disfecemi Maremma:
+salsi colui che ’nnanellata pria
+
+disposando m’avea con la sua gemma».
+
+
+
+
+Purgatorio
+Canto VI
+
+
+Quando si parte il gioco de la zara,
+colui che perde si riman dolente,
+repetendo le volte, e tristo impara;
+
+con l’altro se ne va tutta la gente;
+qual va dinanzi, e qual di dietro il prende,
+e qual dallato li si reca a mente;
+
+el non s’arresta, e questo e quello intende;
+a cui porge la man, più non fa pressa;
+e così da la calca si difende.
+
+Tal era io in quella turba spessa,
+volgendo a loro, e qua e là, la faccia,
+e promettendo mi sciogliea da essa.
+
+Quiv’ era l’Aretin che da le braccia
+fiere di Ghin di Tacco ebbe la morte,
+e l’altro ch’annegò correndo in caccia.
+
+Quivi pregava con le mani sporte
+Federigo Novello, e quel da Pisa
+che fé parer lo buon Marzucco forte.
+
+Vidi conte Orso e l’anima divisa
+dal corpo suo per astio e per inveggia,
+com’ e’ dicea, non per colpa commisa;
+
+Pier da la Broccia dico; e qui proveggia,
+mentr’ è di qua, la donna di Brabante,
+sì che però non sia di peggior greggia.
+
+Come libero fui da tutte quante
+quell’ ombre che pregar pur ch’altri prieghi,
+sì che s’avacci lor divenir sante,
+
+io cominciai: «El par che tu mi nieghi,
+o luce mia, espresso in alcun testo
+che decreto del cielo orazion pieghi;
+
+e questa gente prega pur di questo:
+sarebbe dunque loro speme vana,
+o non m’è ’l detto tuo ben manifesto?».
+
+Ed elli a me: «La mia scrittura è piana;
+e la speranza di costor non falla,
+se ben si guarda con la mente sana;
+
+ché cima di giudicio non s’avvalla
+perché foco d’amor compia in un punto
+ciò che de’ sodisfar chi qui s’astalla;
+
+e là dov’ io fermai cotesto punto,
+non s’ammendava, per pregar, difetto,
+perché ’l priego da Dio era disgiunto.
+
+Veramente a così alto sospetto
+non ti fermar, se quella nol ti dice
+che lume fia tra ’l vero e lo ’ntelletto.
+
+Non so se ’ntendi: io dico di Beatrice;
+tu la vedrai di sopra, in su la vetta
+di questo monte, ridere e felice».
+
+E io: «Segnore, andiamo a maggior fretta,
+ché già non m’affatico come dianzi,
+e vedi omai che ’l poggio l’ombra getta».
+
+«Noi anderem con questo giorno innanzi»,
+rispuose, «quanto più potremo omai;
+ma ’l fatto è d’altra forma che non stanzi.
+
+Prima che sie là sù, tornar vedrai
+colui che già si cuopre de la costa,
+sì che ’ suoi raggi tu romper non fai.
+
+Ma vedi là un’anima che, posta
+sola soletta, inverso noi riguarda:
+quella ne ’nsegnerà la via più tosta».
+
+Venimmo a lei: o anima lombarda,
+come ti stavi altera e disdegnosa
+e nel mover de li occhi onesta e tarda!
+
+Ella non ci dicëa alcuna cosa,
+ma lasciavane gir, solo sguardando
+a guisa di leon quando si posa.
+
+Pur Virgilio si trasse a lei, pregando
+che ne mostrasse la miglior salita;
+e quella non rispuose al suo dimando,
+
+ma di nostro paese e de la vita
+ci ’nchiese; e ’l dolce duca incominciava
+«Mantüa . . . », e l’ombra, tutta in sé romita,
+
+surse ver’ lui del loco ove pria stava,
+dicendo: «O Mantoano, io son Sordello
+de la tua terra!»; e l’un l’altro abbracciava.
+
+Ahi serva Italia, di dolore ostello,
+nave sanza nocchiere in gran tempesta,
+non donna di province, ma bordello!
+
+Quell’ anima gentil fu così presta,
+sol per lo dolce suon de la sua terra,
+di fare al cittadin suo quivi festa;
+
+e ora in te non stanno sanza guerra
+li vivi tuoi, e l’un l’altro si rode
+di quei ch’un muro e una fossa serra.
+
+Cerca, misera, intorno da le prode
+le tue marine, e poi ti guarda in seno,
+s’alcuna parte in te di pace gode.
+
+Che val perché ti racconciasse il freno
+Iustinïano, se la sella è vòta?
+Sanz’ esso fora la vergogna meno.
+
+Ahi gente che dovresti esser devota,
+e lasciar seder Cesare in la sella,
+se bene intendi ciò che Dio ti nota,
+
+guarda come esta fiera è fatta fella
+per non esser corretta da li sproni,
+poi che ponesti mano a la predella.
+
+O Alberto tedesco ch’abbandoni
+costei ch’è fatta indomita e selvaggia,
+e dovresti inforcar li suoi arcioni,
+
+giusto giudicio da le stelle caggia
+sovra ’l tuo sangue, e sia novo e aperto,
+tal che ’l tuo successor temenza n’aggia!
+
+Ch’avete tu e ’l tuo padre sofferto,
+per cupidigia di costà distretti,
+che ’l giardin de lo ’mperio sia diserto.
+
+Vieni a veder Montecchi e Cappelletti,
+Monaldi e Filippeschi, uom sanza cura:
+color già tristi, e questi con sospetti!
+
+Vien, crudel, vieni, e vedi la pressura
+d’i tuoi gentili, e cura lor magagne;
+e vedrai Santafior com’ è oscura!
+
+Vieni a veder la tua Roma che piagne
+vedova e sola, e dì e notte chiama:
+«Cesare mio, perché non m’accompagne?».
+
+Vieni a veder la gente quanto s’ama!
+e se nulla di noi pietà ti move,
+a vergognar ti vien de la tua fama.
+
+E se licito m’è, o sommo Giove
+che fosti in terra per noi crucifisso,
+son li giusti occhi tuoi rivolti altrove?
+
+O è preparazion che ne l’abisso
+del tuo consiglio fai per alcun bene
+in tutto de l’accorger nostro scisso?
+
+Ché le città d’Italia tutte piene
+son di tiranni, e un Marcel diventa
+ogne villan che parteggiando viene.
+
+Fiorenza mia, ben puoi esser contenta
+di questa digression che non ti tocca,
+mercé del popol tuo che si argomenta.
+
+Molti han giustizia in cuore, e tardi scocca
+per non venir sanza consiglio a l’arco;
+ma il popol tuo l’ha in sommo de la bocca.
+
+Molti rifiutan lo comune incarco;
+ma il popol tuo solicito risponde
+sanza chiamare, e grida: «I’ mi sobbarco!».
+
+Or ti fa lieta, ché tu hai ben onde:
+tu ricca, tu con pace e tu con senno!
+S’io dico ’l ver, l’effetto nol nasconde.
+
+Atene e Lacedemona, che fenno
+l’antiche leggi e furon sì civili,
+fecero al viver bene un picciol cenno
+
+verso di te, che fai tanto sottili
+provedimenti, ch’a mezzo novembre
+non giugne quel che tu d’ottobre fili.
+
+Quante volte, del tempo che rimembre,
+legge, moneta, officio e costume
+hai tu mutato, e rinovate membre!
+
+E se ben ti ricordi e vedi lume,
+vedrai te somigliante a quella inferma
+che non può trovar posa in su le piume,
+
+ma con dar volta suo dolore scherma.
+
+
+
+
+Purgatorio
+Canto VII
+
+
+Poscia che l’accoglienze oneste e liete
+furo iterate tre e quattro volte,
+Sordel si trasse, e disse: «Voi, chi siete?».
+
+«Anzi che a questo monte fosser volte
+l’anime degne di salire a Dio,
+fur l’ossa mie per Ottavian sepolte.
+
+Io son Virgilio; e per null’ altro rio
+lo ciel perdei che per non aver fé».
+Così rispuose allora il duca mio.
+
+Qual è colui che cosa innanzi sé
+sùbita vede ond’ e’ si maraviglia,
+che crede e non, dicendo «Ella è . . . non è . . . »,
+
+tal parve quelli; e poi chinò le ciglia,
+e umilmente ritornò ver’ lui,
+e abbracciòl là ’ve ’l minor s’appiglia.
+
+«O gloria di Latin», disse, «per cui
+mostrò ciò che potea la lingua nostra,
+o pregio etterno del loco ond’ io fui,
+
+qual merito o qual grazia mi ti mostra?
+S’io son d’udir le tue parole degno,
+dimmi se vien d’inferno, e di qual chiostra».
+
+«Per tutt’ i cerchi del dolente regno»,
+rispuose lui, «son io di qua venuto;
+virtù del ciel mi mosse, e con lei vegno.
+
+Non per far, ma per non fare ho perduto
+a veder l’alto Sol che tu disiri
+e che fu tardi per me conosciuto.
+
+Luogo è là giù non tristo di martìri,
+ma di tenebre solo, ove i lamenti
+non suonan come guai, ma son sospiri.
+
+Quivi sto io coi pargoli innocenti
+dai denti morsi de la morte avante
+che fosser da l’umana colpa essenti;
+
+quivi sto io con quei che le tre sante
+virtù non si vestiro, e sanza vizio
+conobber l’altre e seguir tutte quante.
+
+Ma se tu sai e puoi, alcuno indizio
+dà noi per che venir possiam più tosto
+là dove purgatorio ha dritto inizio».
+
+Rispuose: «Loco certo non c’è posto;
+licito m’è andar suso e intorno;
+per quanto ir posso, a guida mi t’accosto.
+
+Ma vedi già come dichina il giorno,
+e andar sù di notte non si puote;
+però è buon pensar di bel soggiorno.
+
+Anime sono a destra qua remote;
+se mi consenti, io ti merrò ad esse,
+e non sanza diletto ti fier note».
+
+«Com’ è ciò?», fu risposto. «Chi volesse
+salir di notte, fora elli impedito
+d’altrui, o non sarria ché non potesse?».
+
+E ’l buon Sordello in terra fregò ’l dito,
+dicendo: «Vedi? sola questa riga
+non varcheresti dopo ’l sol partito:
+
+non però ch’altra cosa desse briga,
+che la notturna tenebra, ad ir suso;
+quella col nonpoder la voglia intriga.
+
+Ben si poria con lei tornare in giuso
+e passeggiar la costa intorno errando,
+mentre che l’orizzonte il dì tien chiuso».
+
+Allora il mio segnor, quasi ammirando,
+«Menane», disse, «dunque là ’ve dici
+ch’aver si può diletto dimorando».
+
+Poco allungati c’eravam di lici,
+quand’ io m’accorsi che ’l monte era scemo,
+a guisa che i vallon li sceman quici.
+
+«Colà», disse quell’ ombra, «n’anderemo
+dove la costa face di sé grembo;
+e là il novo giorno attenderemo».
+
+Tra erto e piano era un sentiero schembo,
+che ne condusse in fianco de la lacca,
+là dove più ch’a mezzo muore il lembo.
+
+Oro e argento fine, cocco e biacca,
+indaco, legno lucido e sereno,
+fresco smeraldo in l’ora che si fiacca,
+
+da l’erba e da li fior, dentr’ a quel seno
+posti, ciascun saria di color vinto,
+come dal suo maggiore è vinto il meno.
+
+Non avea pur natura ivi dipinto,
+ma di soavità di mille odori
+vi facea uno incognito e indistinto.
+
+‘Salve, Regina’ in sul verde e ’n su’ fiori
+quindi seder cantando anime vidi,
+che per la valle non parean di fuori.
+
+«Prima che ’l poco sole omai s’annidi»,
+cominciò ’l Mantoan che ci avea vòlti,
+«tra color non vogliate ch’io vi guidi.
+
+Di questo balzo meglio li atti e ’ volti
+conoscerete voi di tutti quanti,
+che ne la lama giù tra essi accolti.
+
+Colui che più siede alto e fa sembianti
+d’aver negletto ciò che far dovea,
+e che non move bocca a li altrui canti,
+
+Rodolfo imperador fu, che potea
+sanar le piaghe c’hanno Italia morta,
+sì che tardi per altri si ricrea.
+
+L’altro che ne la vista lui conforta,
+resse la terra dove l’acqua nasce
+che Molta in Albia, e Albia in mar ne porta:
+
+Ottacchero ebbe nome, e ne le fasce
+fu meglio assai che Vincislao suo figlio
+barbuto, cui lussuria e ozio pasce.
+
+E quel nasetto che stretto a consiglio
+par con colui c’ha sì benigno aspetto,
+morì fuggendo e disfiorando il giglio:
+
+guardate là come si batte il petto!
+L’altro vedete c’ha fatto a la guancia
+de la sua palma, sospirando, letto.
+
+Padre e suocero son del mal di Francia:
+sanno la vita sua viziata e lorda,
+e quindi viene il duol che sì li lancia.
+
+Quel che par sì membruto e che s’accorda,
+cantando, con colui dal maschio naso,
+d’ogne valor portò cinta la corda;
+
+e se re dopo lui fosse rimaso
+lo giovanetto che retro a lui siede,
+ben andava il valor di vaso in vaso,
+
+che non si puote dir de l’altre rede;
+Iacomo e Federigo hanno i reami;
+del retaggio miglior nessun possiede.
+
+Rade volte risurge per li rami
+l’umana probitate; e questo vole
+quei che la dà, perché da lui si chiami.
+
+Anche al nasuto vanno mie parole
+non men ch’a l’altro, Pier, che con lui canta,
+onde Puglia e Proenza già si dole.
+
+Tant’ è del seme suo minor la pianta,
+quanto, più che Beatrice e Margherita,
+Costanza di marito ancor si vanta.
+
+Vedete il re de la semplice vita
+seder là solo, Arrigo d’Inghilterra:
+questi ha ne’ rami suoi migliore uscita.
+
+Quel che più basso tra costor s’atterra,
+guardando in suso, è Guiglielmo marchese,
+per cui e Alessandria e la sua guerra
+
+fa pianger Monferrato e Canavese».
+
+
+
+
+Purgatorio
+Canto VIII
+
+
+Era già l’ora che volge il disio
+ai navicanti e ’ntenerisce il core
+lo dì c’han detto ai dolci amici addio;
+
+e che lo novo peregrin d’amore
+punge, se ode squilla di lontano
+che paia il giorno pianger che si more;
+
+quand’ io incominciai a render vano
+l’udire e a mirare una de l’alme
+surta, che l’ascoltar chiedea con mano.
+
+Ella giunse e levò ambo le palme,
+ficcando li occhi verso l’orïente,
+come dicesse a Dio: ‘D’altro non calme’.
+
+‘Te lucis ante’ sì devotamente
+le uscìo di bocca e con sì dolci note,
+che fece me a me uscir di mente;
+
+e l’altre poi dolcemente e devote
+seguitar lei per tutto l’inno intero,
+avendo li occhi a le superne rote.
+
+Aguzza qui, lettor, ben li occhi al vero,
+ché ’l velo è ora ben tanto sottile,
+certo che ’l trapassar dentro è leggero.
+
+Io vidi quello essercito gentile
+tacito poscia riguardare in sùe,
+quasi aspettando, palido e umìle;
+
+e vidi uscir de l’alto e scender giùe
+due angeli con due spade affocate,
+tronche e private de le punte sue.
+
+Verdi come fogliette pur mo nate
+erano in veste, che da verdi penne
+percosse traean dietro e ventilate.
+
+L’un poco sovra noi a star si venne,
+e l’altro scese in l’opposita sponda,
+sì che la gente in mezzo si contenne.
+
+Ben discernëa in lor la testa bionda;
+ma ne la faccia l’occhio si smarria,
+come virtù ch’a troppo si confonda.
+
+«Ambo vegnon del grembo di Maria»,
+disse Sordello, «a guardia de la valle,
+per lo serpente che verrà vie via».
+
+Ond’ io, che non sapeva per qual calle,
+mi volsi intorno, e stretto m’accostai,
+tutto gelato, a le fidate spalle.
+
+E Sordello anco: «Or avvalliamo omai
+tra le grandi ombre, e parleremo ad esse;
+grazïoso fia lor vedervi assai».
+
+Solo tre passi credo ch’i’ scendesse,
+e fui di sotto, e vidi un che mirava
+pur me, come conoscer mi volesse.
+
+Temp’ era già che l’aere s’annerava,
+ma non sì che tra li occhi suoi e ’ miei
+non dichiarisse ciò che pria serrava.
+
+Ver’ me si fece, e io ver’ lui mi fei:
+giudice Nin gentil, quanto mi piacque
+quando ti vidi non esser tra ’ rei!
+
+Nullo bel salutar tra noi si tacque;
+poi dimandò: «Quant’ è che tu venisti
+a piè del monte per le lontane acque?».
+
+«Oh!», diss’ io lui, «per entro i luoghi tristi
+venni stamane, e sono in prima vita,
+ancor che l’altra, sì andando, acquisti».
+
+E come fu la mia risposta udita,
+Sordello ed elli in dietro si raccolse
+come gente di sùbito smarrita.
+
+L’uno a Virgilio e l’altro a un si volse
+che sedea lì, gridando: «Sù, Currado!
+vieni a veder che Dio per grazia volse».
+
+Poi, vòlto a me: «Per quel singular grado
+che tu dei a colui che sì nasconde
+lo suo primo perché, che non lì è guado,
+
+quando sarai di là da le larghe onde,
+dì a Giovanna mia che per me chiami
+là dove a li ’nnocenti si risponde.
+
+Non credo che la sua madre più m’ami,
+poscia che trasmutò le bianche bende,
+le quai convien che, misera!, ancor brami.
+
+Per lei assai di lieve si comprende
+quanto in femmina foco d’amor dura,
+se l’occhio o ’l tatto spesso non l’accende.
+
+Non le farà sì bella sepultura
+la vipera che Melanesi accampa,
+com’ avria fatto il gallo di Gallura».
+
+Così dicea, segnato de la stampa,
+nel suo aspetto, di quel dritto zelo
+che misuratamente in core avvampa.
+
+Li occhi miei ghiotti andavan pur al cielo,
+pur là dove le stelle son più tarde,
+sì come rota più presso a lo stelo.
+
+E ’l duca mio: «Figliuol, che là sù guarde?».
+E io a lui: «A quelle tre facelle
+di che ’l polo di qua tutto quanto arde».
+
+Ond’ elli a me: «Le quattro chiare stelle
+che vedevi staman, son di là basse,
+e queste son salite ov’ eran quelle».
+
+Com’ ei parlava, e Sordello a sé il trasse
+dicendo: «Vedi là ’l nostro avversaro»;
+e drizzò il dito perché ’n là guardasse.
+
+Da quella parte onde non ha riparo
+la picciola vallea, era una biscia,
+forse qual diede ad Eva il cibo amaro.
+
+Tra l’erba e ’ fior venìa la mala striscia,
+volgendo ad ora ad or la testa, e ’l dosso
+leccando come bestia che si liscia.
+
+Io non vidi, e però dicer non posso,
+come mosser li astor celestïali;
+ma vidi bene e l’uno e l’altro mosso.
+
+Sentendo fender l’aere a le verdi ali,
+fuggì ’l serpente, e li angeli dier volta,
+suso a le poste rivolando iguali.
+
+L’ombra che s’era al giudice raccolta
+quando chiamò, per tutto quello assalto
+punto non fu da me guardare sciolta.
+
+«Se la lucerna che ti mena in alto
+truovi nel tuo arbitrio tanta cera
+quant’ è mestiere infino al sommo smalto»,
+
+cominciò ella, «se novella vera
+di Val di Magra o di parte vicina
+sai, dillo a me, che già grande là era.
+
+Fui chiamato Currado Malaspina;
+non son l’antico, ma di lui discesi;
+a’ miei portai l’amor che qui raffina».
+
+«Oh!», diss’ io lui, «per li vostri paesi
+già mai non fui; ma dove si dimora
+per tutta Europa ch’ei non sien palesi?
+
+La fama che la vostra casa onora,
+grida i segnori e grida la contrada,
+sì che ne sa chi non vi fu ancora;
+
+e io vi giuro, s’io di sopra vada,
+che vostra gente onrata non si sfregia
+del pregio de la borsa e de la spada.
+
+Uso e natura sì la privilegia,
+che, perché il capo reo il mondo torca,
+sola va dritta e ’l mal cammin dispregia».
+
+Ed elli: «Or va; che ’l sol non si ricorca
+sette volte nel letto che ’l Montone
+con tutti e quattro i piè cuopre e inforca,
+
+che cotesta cortese oppinïone
+ti fia chiavata in mezzo de la testa
+con maggior chiovi che d’altrui sermone,
+
+se corso di giudicio non s’arresta».
+
+
+
+
+Purgatorio
+Canto IX
+
+
+La concubina di Titone antico
+già s’imbiancava al balco d’orïente,
+fuor de le braccia del suo dolce amico;
+
+di gemme la sua fronte era lucente,
+poste in figura del freddo animale
+che con la coda percuote la gente;
+
+e la notte, de’ passi con che sale,
+fatti avea due nel loco ov’ eravamo,
+e ’l terzo già chinava in giuso l’ale;
+
+quand’ io, che meco avea di quel d’Adamo,
+vinto dal sonno, in su l’erba inchinai
+là ’ve già tutti e cinque sedavamo.
+
+Ne l’ora che comincia i tristi lai
+la rondinella presso a la mattina,
+forse a memoria de’ suo’ primi guai,
+
+e che la mente nostra, peregrina
+più da la carne e men da’ pensier presa,
+a le sue visïon quasi è divina,
+
+in sogno mi parea veder sospesa
+un’aguglia nel ciel con penne d’oro,
+con l’ali aperte e a calare intesa;
+
+ed esser mi parea là dove fuoro
+abbandonati i suoi da Ganimede,
+quando fu ratto al sommo consistoro.
+
+Fra me pensava: ‘Forse questa fiede
+pur qui per uso, e forse d’altro loco
+disdegna di portarne suso in piede’.
+
+Poi mi parea che, poi rotata un poco,
+terribil come folgor discendesse,
+e me rapisse suso infino al foco.
+
+Ivi parea che ella e io ardesse;
+e sì lo ’ncendio imaginato cosse,
+che convenne che ’l sonno si rompesse.
+
+Non altrimenti Achille si riscosse,
+li occhi svegliati rivolgendo in giro
+e non sappiendo là dove si fosse,
+
+quando la madre da Chirón a Schiro
+trafuggò lui dormendo in le sue braccia,
+là onde poi li Greci il dipartiro;
+
+che mi scoss’ io, sì come da la faccia
+mi fuggì ’l sonno, e diventa’ ismorto,
+come fa l’uom che, spaventato, agghiaccia.
+
+Dallato m’era solo il mio conforto,
+e ’l sole er’ alto già più che due ore,
+e ’l viso m’era a la marina torto.
+
+«Non aver tema», disse il mio segnore;
+«fatti sicur, ché noi semo a buon punto;
+non stringer, ma rallarga ogne vigore.
+
+Tu se’ omai al purgatorio giunto:
+vedi là il balzo che ’l chiude dintorno;
+vedi l’entrata là ’ve par digiunto.
+
+Dianzi, ne l’alba che procede al giorno,
+quando l’anima tua dentro dormia,
+sovra li fiori ond’ è là giù addorno
+
+venne una donna, e disse: “I’ son Lucia;
+lasciatemi pigliar costui che dorme;
+sì l’agevolerò per la sua via”.
+
+Sordel rimase e l’altre genti forme;
+ella ti tolse, e come ’l dì fu chiaro,
+sen venne suso; e io per le sue orme.
+
+Qui ti posò, ma pria mi dimostraro
+li occhi suoi belli quella intrata aperta;
+poi ella e ’l sonno ad una se n’andaro».
+
+A guisa d’uom che ’n dubbio si raccerta
+e che muta in conforto sua paura,
+poi che la verità li è discoperta,
+
+mi cambia’ io; e come sanza cura
+vide me ’l duca mio, su per lo balzo
+si mosse, e io di rietro inver’ l’altura.
+
+Lettor, tu vedi ben com’ io innalzo
+la mia matera, e però con più arte
+non ti maravigliar s’io la rincalzo.
+
+Noi ci appressammo, ed eravamo in parte
+che là dove pareami prima rotto,
+pur come un fesso che muro diparte,
+
+vidi una porta, e tre gradi di sotto
+per gire ad essa, di color diversi,
+e un portier ch’ancor non facea motto.
+
+E come l’occhio più e più v’apersi,
+vidil seder sovra ’l grado sovrano,
+tal ne la faccia ch’io non lo soffersi;
+
+e una spada nuda avëa in mano,
+che reflettëa i raggi sì ver’ noi,
+ch’io drizzava spesso il viso in vano.
+
+«Dite costinci: che volete voi?»,
+cominciò elli a dire, «ov’ è la scorta?
+Guardate che ’l venir sù non vi nòi».
+
+«Donna del ciel, di queste cose accorta»,
+rispuose ’l mio maestro a lui, «pur dianzi
+ne disse: “Andate là: quivi è la porta”».
+
+«Ed ella i passi vostri in bene avanzi»,
+ricominciò il cortese portinaio:
+«Venite dunque a’ nostri gradi innanzi».
+
+Là ne venimmo; e lo scaglion primaio
+bianco marmo era sì pulito e terso,
+ch’io mi specchiai in esso qual io paio.
+
+Era il secondo tinto più che perso,
+d’una petrina ruvida e arsiccia,
+crepata per lo lungo e per traverso.
+
+Lo terzo, che di sopra s’ammassiccia,
+porfido mi parea, sì fiammeggiante
+come sangue che fuor di vena spiccia.
+
+Sovra questo tenëa ambo le piante
+l’angel di Dio sedendo in su la soglia
+che mi sembiava pietra di diamante.
+
+Per li tre gradi sù di buona voglia
+mi trasse il duca mio, dicendo: «Chiedi
+umilemente che ’l serrame scioglia».
+
+Divoto mi gittai a’ santi piedi;
+misericordia chiesi e ch’el m’aprisse,
+ma tre volte nel petto pria mi diedi.
+
+Sette P ne la fronte mi descrisse
+col punton de la spada, e «Fa che lavi,
+quando se’ dentro, queste piaghe» disse.
+
+Cenere, o terra che secca si cavi,
+d’un color fora col suo vestimento;
+e di sotto da quel trasse due chiavi.
+
+L’una era d’oro e l’altra era d’argento;
+pria con la bianca e poscia con la gialla
+fece a la porta sì, ch’i’ fu’ contento.
+
+«Quandunque l’una d’este chiavi falla,
+che non si volga dritta per la toppa»,
+diss’ elli a noi, «non s’apre questa calla.
+
+Più cara è l’una; ma l’altra vuol troppa
+d’arte e d’ingegno avanti che diserri,
+perch’ ella è quella che ’l nodo digroppa.
+
+Da Pier le tegno; e dissemi ch’i’ erri
+anzi ad aprir ch’a tenerla serrata,
+pur che la gente a’ piedi mi s’atterri».
+
+Poi pinse l’uscio a la porta sacrata,
+dicendo: «Intrate; ma facciovi accorti
+che di fuor torna chi ’n dietro si guata».
+
+E quando fuor ne’ cardini distorti
+li spigoli di quella regge sacra,
+che di metallo son sonanti e forti,
+
+non rugghiò sì né si mostrò sì acra
+Tarpëa, come tolto le fu il buono
+Metello, per che poi rimase macra.
+
+Io mi rivolsi attento al primo tuono,
+e ‘Te Deum laudamus’ mi parea
+udire in voce mista al dolce suono.
+
+Tale imagine a punto mi rendea
+ciò ch’io udiva, qual prender si suole
+quando a cantar con organi si stea;
+
+ch’or sì or no s’intendon le parole.
+
+
+
+
+Purgatorio
+Canto X
+
+
+Poi fummo dentro al soglio de la porta
+che ’l mal amor de l’anime disusa,
+perché fa parer dritta la via torta,
+
+sonando la senti’ esser richiusa;
+e s’io avesse li occhi vòlti ad essa,
+qual fora stata al fallo degna scusa?
+
+Noi salavam per una pietra fessa,
+che si moveva e d’una e d’altra parte,
+sì come l’onda che fugge e s’appressa.
+
+«Qui si conviene usare un poco d’arte»,
+cominciò ’l duca mio, «in accostarsi
+or quinci, or quindi al lato che si parte».
+
+E questo fece i nostri passi scarsi,
+tanto che pria lo scemo de la luna
+rigiunse al letto suo per ricorcarsi,
+
+che noi fossimo fuor di quella cruna;
+ma quando fummo liberi e aperti
+sù dove il monte in dietro si rauna,
+
+ïo stancato e amendue incerti
+di nostra via, restammo in su un piano
+solingo più che strade per diserti.
+
+Da la sua sponda, ove confina il vano,
+al piè de l’alta ripa che pur sale,
+misurrebbe in tre volte un corpo umano;
+
+e quanto l’occhio mio potea trar d’ale,
+or dal sinistro e or dal destro fianco,
+questa cornice mi parea cotale.
+
+Là sù non eran mossi i piè nostri anco,
+quand’ io conobbi quella ripa intorno
+che dritto di salita aveva manco,
+
+esser di marmo candido e addorno
+d’intagli sì, che non pur Policleto,
+ma la natura lì avrebbe scorno.
+
+L’angel che venne in terra col decreto
+de la molt’ anni lagrimata pace,
+ch’aperse il ciel del suo lungo divieto,
+
+dinanzi a noi pareva sì verace
+quivi intagliato in un atto soave,
+che non sembiava imagine che tace.
+
+Giurato si saria ch’el dicesse ‘Ave!’;
+perché iv’ era imaginata quella
+ch’ad aprir l’alto amor volse la chiave;
+
+e avea in atto impressa esta favella
+‘Ecce ancilla Deï’, propriamente
+come figura in cera si suggella.
+
+«Non tener pur ad un loco la mente»,
+disse ’l dolce maestro, che m’avea
+da quella parte onde ’l cuore ha la gente.
+
+Per ch’i’ mi mossi col viso, e vedea
+di retro da Maria, da quella costa
+onde m’era colui che mi movea,
+
+un’altra storia ne la roccia imposta;
+per ch’io varcai Virgilio, e fe’mi presso,
+acciò che fosse a li occhi miei disposta.
+
+Era intagliato lì nel marmo stesso
+lo carro e ’ buoi, traendo l’arca santa,
+per che si teme officio non commesso.
+
+Dinanzi parea gente; e tutta quanta,
+partita in sette cori, a’ due mie’ sensi
+faceva dir l’un ‘No’, l’altro ‘Sì, canta’.
+
+Similemente al fummo de li ’ncensi
+che v’era imaginato, li occhi e ’l naso
+e al sì e al no discordi fensi.
+
+Lì precedeva al benedetto vaso,
+trescando alzato, l’umile salmista,
+e più e men che re era in quel caso.
+
+Di contra, effigïata ad una vista
+d’un gran palazzo, Micòl ammirava
+sì come donna dispettosa e trista.
+
+I’ mossi i piè del loco dov’ io stava,
+per avvisar da presso un’altra istoria,
+che di dietro a Micòl mi biancheggiava.
+
+Quiv’ era storïata l’alta gloria
+del roman principato, il cui valore
+mosse Gregorio a la sua gran vittoria;
+
+i’ dico di Traiano imperadore;
+e una vedovella li era al freno,
+di lagrime atteggiata e di dolore.
+
+Intorno a lui parea calcato e pieno
+di cavalieri, e l’aguglie ne l’oro
+sovr’ essi in vista al vento si movieno.
+
+La miserella intra tutti costoro
+pareva dir: «Segnor, fammi vendetta
+di mio figliuol ch’è morto, ond’ io m’accoro»;
+
+ed elli a lei rispondere: «Or aspetta
+tanto ch’i’ torni»; e quella: «Segnor mio»,
+come persona in cui dolor s’affretta,
+
+«se tu non torni?»; ed ei: «Chi fia dov’ io,
+la ti farà»; ed ella: «L’altrui bene
+a te che fia, se ’l tuo metti in oblio?»;
+
+ond’ elli: «Or ti conforta; ch’ei convene
+ch’i’ solva il mio dovere anzi ch’i’ mova:
+giustizia vuole e pietà mi ritene».
+
+Colui che mai non vide cosa nova
+produsse esto visibile parlare,
+novello a noi perché qui non si trova.
+
+Mentr’ io mi dilettava di guardare
+l’imagini di tante umilitadi,
+e per lo fabbro loro a veder care,
+
+«Ecco di qua, ma fanno i passi radi»,
+mormorava il poeta, «molte genti:
+questi ne ’nvïeranno a li alti gradi».
+
+Li occhi miei, ch’a mirare eran contenti
+per veder novitadi ond’ e’ son vaghi,
+volgendosi ver’ lui non furon lenti.
+
+Non vo’ però, lettor, che tu ti smaghi
+di buon proponimento per udire
+come Dio vuol che ’l debito si paghi.
+
+Non attender la forma del martìre:
+pensa la succession; pensa ch’al peggio
+oltre la gran sentenza non può ire.
+
+Io cominciai: «Maestro, quel ch’io veggio
+muovere a noi, non mi sembian persone,
+e non so che, sì nel veder vaneggio».
+
+Ed elli a me: «La grave condizione
+di lor tormento a terra li rannicchia,
+sì che ’ miei occhi pria n’ebber tencione.
+
+Ma guarda fiso là, e disviticchia
+col viso quel che vien sotto a quei sassi:
+già scorger puoi come ciascun si picchia».
+
+O superbi cristian, miseri lassi,
+che, de la vista de la mente infermi,
+fidanza avete ne’ retrosi passi,
+
+non v’accorgete voi che noi siam vermi
+nati a formar l’angelica farfalla,
+che vola a la giustizia sanza schermi?
+
+Di che l’animo vostro in alto galla,
+poi siete quasi antomata in difetto,
+sì come vermo in cui formazion falla?
+
+Come per sostentar solaio o tetto,
+per mensola talvolta una figura
+si vede giugner le ginocchia al petto,
+
+la qual fa del non ver vera rancura
+nascere ’n chi la vede; così fatti
+vid’ io color, quando puosi ben cura.
+
+Vero è che più e meno eran contratti
+secondo ch’avien più e meno a dosso;
+e qual più pazïenza avea ne li atti,
+
+piangendo parea dicer: ‘Più non posso’.
+
+
+
+
+Purgatorio
+Canto XI
+
+
+«O Padre nostro, che ne’ cieli stai,
+non circunscritto, ma per più amore
+ch’ai primi effetti di là sù tu hai,
+
+laudato sia ’l tuo nome e ’l tuo valore
+da ogne creatura, com’ è degno
+di render grazie al tuo dolce vapore.
+
+Vegna ver’ noi la pace del tuo regno,
+ché noi ad essa non potem da noi,
+s’ella non vien, con tutto nostro ingegno.
+
+Come del suo voler li angeli tuoi
+fan sacrificio a te, cantando osanna,
+così facciano li uomini de’ suoi.
+
+Dà oggi a noi la cotidiana manna,
+sanza la qual per questo aspro diserto
+a retro va chi più di gir s’affanna.
+
+E come noi lo mal ch’avem sofferto
+perdoniamo a ciascuno, e tu perdona
+benigno, e non guardar lo nostro merto.
+
+Nostra virtù che di legger s’adona,
+non spermentar con l’antico avversaro,
+ma libera da lui che sì la sprona.
+
+Quest’ ultima preghiera, segnor caro,
+già non si fa per noi, ché non bisogna,
+ma per color che dietro a noi restaro».
+
+Così a sé e noi buona ramogna
+quell’ ombre orando, andavan sotto ’l pondo,
+simile a quel che talvolta si sogna,
+
+disparmente angosciate tutte a tondo
+e lasse su per la prima cornice,
+purgando la caligine del mondo.
+
+Se di là sempre ben per noi si dice,
+di qua che dire e far per lor si puote
+da quei c’hanno al voler buona radice?
+
+Ben si de’ loro atar lavar le note
+che portar quinci, sì che, mondi e lievi,
+possano uscire a le stellate ruote.
+
+«Deh, se giustizia e pietà vi disgrievi
+tosto, sì che possiate muover l’ala,
+che secondo il disio vostro vi lievi,
+
+mostrate da qual mano inver’ la scala
+si va più corto; e se c’è più d’un varco,
+quel ne ’nsegnate che men erto cala;
+
+ché questi che vien meco, per lo ’ncarco
+de la carne d’Adamo onde si veste,
+al montar sù, contra sua voglia, è parco».
+
+Le lor parole, che rendero a queste
+che dette avea colui cu’ io seguiva,
+non fur da cui venisser manifeste;
+
+ma fu detto: «A man destra per la riva
+con noi venite, e troverete il passo
+possibile a salir persona viva.
+
+E s’io non fossi impedito dal sasso
+che la cervice mia superba doma,
+onde portar convienmi il viso basso,
+
+cotesti, ch’ancor vive e non si noma,
+guardere’ io, per veder s’i’ ’l conosco,
+e per farlo pietoso a questa soma.
+
+Io fui latino e nato d’un gran Tosco:
+Guiglielmo Aldobrandesco fu mio padre;
+non so se ’l nome suo già mai fu vosco.
+
+L’antico sangue e l’opere leggiadre
+d’i miei maggior mi fer sì arrogante,
+che, non pensando a la comune madre,
+
+ogn’ uomo ebbi in despetto tanto avante,
+ch’io ne mori’, come i Sanesi sanno,
+e sallo in Campagnatico ogne fante.
+
+Io sono Omberto; e non pur a me danno
+superbia fa, ché tutti miei consorti
+ha ella tratti seco nel malanno.
+
+E qui convien ch’io questo peso porti
+per lei, tanto che a Dio si sodisfaccia,
+poi ch’io nol fe’ tra ’ vivi, qui tra ’ morti».
+
+Ascoltando chinai in giù la faccia;
+e un di lor, non questi che parlava,
+si torse sotto il peso che li ’mpaccia,
+
+e videmi e conobbemi e chiamava,
+tenendo li occhi con fatica fisi
+a me che tutto chin con loro andava.
+
+«Oh!», diss’ io lui, «non se’ tu Oderisi,
+l’onor d’Agobbio e l’onor di quell’ arte
+ch’alluminar chiamata è in Parisi?».
+
+«Frate», diss’ elli, «più ridon le carte
+che pennelleggia Franco Bolognese;
+l’onore è tutto or suo, e mio in parte.
+
+Ben non sare’ io stato sì cortese
+mentre ch’io vissi, per lo gran disio
+de l’eccellenza ove mio core intese.
+
+Di tal superbia qui si paga il fio;
+e ancor non sarei qui, se non fosse
+che, possendo peccar, mi volsi a Dio.
+
+Oh vana gloria de l’umane posse!
+com’ poco verde in su la cima dura,
+se non è giunta da l’etati grosse!
+
+Credette Cimabue ne la pittura
+tener lo campo, e ora ha Giotto il grido,
+sì che la fama di colui è scura.
+
+Così ha tolto l’uno a l’altro Guido
+la gloria de la lingua; e forse è nato
+chi l’uno e l’altro caccerà del nido.
+
+Non è il mondan romore altro ch’un fiato
+di vento, ch’or vien quinci e or vien quindi,
+e muta nome perché muta lato.
+
+Che voce avrai tu più, se vecchia scindi
+da te la carne, che se fossi morto
+anzi che tu lasciassi il ‘pappo’ e ’l ‘dindi’,
+
+pria che passin mill’ anni? ch’è più corto
+spazio a l’etterno, ch’un muover di ciglia
+al cerchio che più tardi in cielo è torto.
+
+Colui che del cammin sì poco piglia
+dinanzi a me, Toscana sonò tutta;
+e ora a pena in Siena sen pispiglia,
+
+ond’ era sire quando fu distrutta
+la rabbia fiorentina, che superba
+fu a quel tempo sì com’ ora è putta.
+
+La vostra nominanza è color d’erba,
+che viene e va, e quei la discolora
+per cui ella esce de la terra acerba».
+
+E io a lui: «Tuo vero dir m’incora
+bona umiltà, e gran tumor m’appiani;
+ma chi è quei di cui tu parlavi ora?».
+
+«Quelli è», rispuose, «Provenzan Salvani;
+ed è qui perché fu presuntüoso
+a recar Siena tutta a le sue mani.
+
+Ito è così e va, sanza riposo,
+poi che morì; cotal moneta rende
+a sodisfar chi è di là troppo oso».
+
+E io: «Se quello spirito ch’attende,
+pria che si penta, l’orlo de la vita,
+qua giù dimora e qua sù non ascende,
+
+se buona orazïon lui non aita,
+prima che passi tempo quanto visse,
+come fu la venuta lui largita?».
+
+«Quando vivea più glorïoso», disse,
+«liberamente nel Campo di Siena,
+ogne vergogna diposta, s’affisse;
+
+e lì, per trar l’amico suo di pena,
+ch’e’ sostenea ne la prigion di Carlo,
+si condusse a tremar per ogne vena.
+
+Più non dirò, e scuro so che parlo;
+ma poco tempo andrà, che ’ tuoi vicini
+faranno sì che tu potrai chiosarlo.
+
+Quest’ opera li tolse quei confini».
+
+
+
+
+Purgatorio
+Canto XII
+
+
+Di pari, come buoi che vanno a giogo,
+m’andava io con quell’ anima carca,
+fin che ’l sofferse il dolce pedagogo.
+
+Ma quando disse: «Lascia lui e varca;
+ché qui è buono con l’ali e coi remi,
+quantunque può, ciascun pinger sua barca»;
+
+dritto sì come andar vuolsi rife’mi
+con la persona, avvegna che i pensieri
+mi rimanessero e chinati e scemi.
+
+Io m’era mosso, e seguia volontieri
+del mio maestro i passi, e amendue
+già mostravam com’ eravam leggeri;
+
+ed el mi disse: «Volgi li occhi in giùe:
+buon ti sarà, per tranquillar la via,
+veder lo letto de le piante tue».
+
+Come, perché di lor memoria sia,
+sovra i sepolti le tombe terragne
+portan segnato quel ch’elli eran pria,
+
+onde lì molte volte si ripiagne
+per la puntura de la rimembranza,
+che solo a’ pïi dà de le calcagne;
+
+sì vid’ io lì, ma di miglior sembianza
+secondo l’artificio, figurato
+quanto per via di fuor del monte avanza.
+
+Vedea colui che fu nobil creato
+più ch’altra creatura, giù dal cielo
+folgoreggiando scender, da l’un lato.
+
+Vedëa Brïareo fitto dal telo
+celestïal giacer, da l’altra parte,
+grave a la terra per lo mortal gelo.
+
+Vedea Timbreo, vedea Pallade e Marte,
+armati ancora, intorno al padre loro,
+mirar le membra d’i Giganti sparte.
+
+Vedea Nembròt a piè del gran lavoro
+quasi smarrito, e riguardar le genti
+che ’n Sennaàr con lui superbi fuoro.
+
+O Nïobè, con che occhi dolenti
+vedea io te segnata in su la strada,
+tra sette e sette tuoi figliuoli spenti!
+
+O Saùl, come in su la propria spada
+quivi parevi morto in Gelboè,
+che poi non sentì pioggia né rugiada!
+
+O folle Aragne, sì vedea io te
+già mezza ragna, trista in su li stracci
+de l’opera che mal per te si fé.
+
+O Roboàm, già non par che minacci
+quivi ’l tuo segno; ma pien di spavento
+nel porta un carro, sanza ch’altri il cacci.
+
+Mostrava ancor lo duro pavimento
+come Almeon a sua madre fé caro
+parer lo sventurato addornamento.
+
+Mostrava come i figli si gittaro
+sovra Sennacherìb dentro dal tempio,
+e come, morto lui, quivi il lasciaro.
+
+Mostrava la ruina e ’l crudo scempio
+che fé Tamiri, quando disse a Ciro:
+«Sangue sitisti, e io di sangue t’empio».
+
+Mostrava come in rotta si fuggiro
+li Assiri, poi che fu morto Oloferne,
+e anche le reliquie del martiro.
+
+Vedeva Troia in cenere e in caverne;
+o Ilïón, come te basso e vile
+mostrava il segno che lì si discerne!
+
+Qual di pennel fu maestro o di stile
+che ritraesse l’ombre e ’ tratti ch’ivi
+mirar farieno uno ingegno sottile?
+
+Morti li morti e i vivi parean vivi:
+non vide mei di me chi vide il vero,
+quant’ io calcai, fin che chinato givi.
+
+Or superbite, e via col viso altero,
+figliuoli d’Eva, e non chinate il volto
+sì che veggiate il vostro mal sentero!
+
+Più era già per noi del monte vòlto
+e del cammin del sole assai più speso
+che non stimava l’animo non sciolto,
+
+quando colui che sempre innanzi atteso
+andava, cominciò: «Drizza la testa;
+non è più tempo di gir sì sospeso.
+
+Vedi colà un angel che s’appresta
+per venir verso noi; vedi che torna
+dal servigio del dì l’ancella sesta.
+
+Di reverenza il viso e li atti addorna,
+sì che i diletti lo ’nvïarci in suso;
+pensa che questo dì mai non raggiorna!».
+
+Io era ben del suo ammonir uso
+pur di non perder tempo, sì che ’n quella
+materia non potea parlarmi chiuso.
+
+A noi venìa la creatura bella,
+biancovestito e ne la faccia quale
+par tremolando mattutina stella.
+
+Le braccia aperse, e indi aperse l’ale;
+disse: «Venite: qui son presso i gradi,
+e agevolemente omai si sale.
+
+A questo invito vegnon molto radi:
+o gente umana, per volar sù nata,
+perché a poco vento così cadi?».
+
+Menocci ove la roccia era tagliata;
+quivi mi batté l’ali per la fronte;
+poi mi promise sicura l’andata.
+
+Come a man destra, per salire al monte
+dove siede la chiesa che soggioga
+la ben guidata sopra Rubaconte,
+
+si rompe del montar l’ardita foga
+per le scalee che si fero ad etade
+ch’era sicuro il quaderno e la doga;
+
+così s’allenta la ripa che cade
+quivi ben ratta da l’altro girone;
+ma quinci e quindi l’alta pietra rade.
+
+Noi volgendo ivi le nostre persone,
+‘Beati pauperes spiritu!’ voci
+cantaron sì, che nol diria sermone.
+
+Ahi quanto son diverse quelle foci
+da l’infernali! ché quivi per canti
+s’entra, e là giù per lamenti feroci.
+
+Già montavam su per li scaglion santi,
+ed esser mi parea troppo più lieve
+che per lo pian non mi parea davanti.
+
+Ond’ io: «Maestro, dì, qual cosa greve
+levata s’è da me, che nulla quasi
+per me fatica, andando, si riceve?».
+
+Rispuose: «Quando i P che son rimasi
+ancor nel volto tuo presso che stinti,
+saranno, com’ è l’un, del tutto rasi,
+
+fier li tuoi piè dal buon voler sì vinti,
+che non pur non fatica sentiranno,
+ma fia diletto loro esser sù pinti».
+
+Allor fec’ io come color che vanno
+con cosa in capo non da lor saputa,
+se non che ’ cenni altrui sospecciar fanno;
+
+per che la mano ad accertar s’aiuta,
+e cerca e truova e quello officio adempie
+che non si può fornir per la veduta;
+
+e con le dita de la destra scempie
+trovai pur sei le lettere che ’ncise
+quel da le chiavi a me sovra le tempie:
+
+a che guardando, il mio duca sorrise.
+
+
+
+
+Purgatorio
+Canto XIII
+
+
+Noi eravamo al sommo de la scala,
+dove secondamente si risega
+lo monte che salendo altrui dismala.
+
+Ivi così una cornice lega
+dintorno il poggio, come la primaia;
+se non che l’arco suo più tosto piega.
+
+Ombra non lì è né segno che si paia:
+parsi la ripa e parsi la via schietta
+col livido color de la petraia.
+
+«Se qui per dimandar gente s’aspetta»,
+ragionava il poeta, «io temo forse
+che troppo avrà d’indugio nostra eletta».
+
+Poi fisamente al sole li occhi porse;
+fece del destro lato a muover centro,
+e la sinistra parte di sé torse.
+
+«O dolce lume a cui fidanza i’ entro
+per lo novo cammin, tu ne conduci»,
+dicea, «come condur si vuol quinc’ entro.
+
+Tu scaldi il mondo, tu sovr’ esso luci;
+s’altra ragione in contrario non ponta,
+esser dien sempre li tuoi raggi duci».
+
+Quanto di qua per un migliaio si conta,
+tanto di là eravam noi già iti,
+con poco tempo, per la voglia pronta;
+
+e verso noi volar furon sentiti,
+non però visti, spiriti parlando
+a la mensa d’amor cortesi inviti.
+
+La prima voce che passò volando
+‘Vinum non habent’ altamente disse,
+e dietro a noi l’andò reïterando.
+
+E prima che del tutto non si udisse
+per allungarsi, un’altra ‘I’ sono Oreste’
+passò gridando, e anco non s’affisse.
+
+«Oh!», diss’ io, «padre, che voci son queste?».
+E com’ io domandai, ecco la terza
+dicendo: ‘Amate da cui male aveste’.
+
+E ’l buon maestro: «Questo cinghio sferza
+la colpa de la invidia, e però sono
+tratte d’amor le corde de la ferza.
+
+Lo fren vuol esser del contrario suono;
+credo che l’udirai, per mio avviso,
+prima che giunghi al passo del perdono.
+
+Ma ficca li occhi per l’aere ben fiso,
+e vedrai gente innanzi a noi sedersi,
+e ciascun è lungo la grotta assiso».
+
+Allora più che prima li occhi apersi;
+guarda’mi innanzi, e vidi ombre con manti
+al color de la pietra non diversi.
+
+E poi che fummo un poco più avanti,
+udia gridar: ‘Maria, òra per noi’:
+gridar ‘Michele’ e ‘Pietro’ e ‘Tutti santi’.
+
+Non credo che per terra vada ancoi
+omo sì duro, che non fosse punto
+per compassion di quel ch’i’ vidi poi;
+
+ché, quando fui sì presso di lor giunto,
+che li atti loro a me venivan certi,
+per li occhi fui di grave dolor munto.
+
+Di vil ciliccio mi parean coperti,
+e l’un sofferia l’altro con la spalla,
+e tutti da la ripa eran sofferti.
+
+Così li ciechi a cui la roba falla,
+stanno a’ perdoni a chieder lor bisogna,
+e l’uno il capo sopra l’altro avvalla,
+
+perché ’n altrui pietà tosto si pogna,
+non pur per lo sonar de le parole,
+ma per la vista che non meno agogna.
+
+E come a li orbi non approda il sole,
+così a l’ombre quivi, ond’ io parlo ora,
+luce del ciel di sé largir non vole;
+
+ché a tutti un fil di ferro i cigli fóra
+e cusce sì, come a sparvier selvaggio
+si fa però che queto non dimora.
+
+A me pareva, andando, fare oltraggio,
+veggendo altrui, non essendo veduto:
+per ch’io mi volsi al mio consiglio saggio.
+
+Ben sapev’ ei che volea dir lo muto;
+e però non attese mia dimanda,
+ma disse: «Parla, e sie breve e arguto».
+
+Virgilio mi venìa da quella banda
+de la cornice onde cader si puote,
+perché da nulla sponda s’inghirlanda;
+
+da l’altra parte m’eran le divote
+ombre, che per l’orribile costura
+premevan sì, che bagnavan le gote.
+
+Volsimi a loro e: «O gente sicura»,
+incominciai, «di veder l’alto lume
+che ’l disio vostro solo ha in sua cura,
+
+se tosto grazia resolva le schiume
+di vostra coscïenza sì che chiaro
+per essa scenda de la mente il fiume,
+
+ditemi, ché mi fia grazioso e caro,
+s’anima è qui tra voi che sia latina;
+e forse lei sarà buon s’i’ l’apparo».
+
+«O frate mio, ciascuna è cittadina
+d’una vera città; ma tu vuo’ dire
+che vivesse in Italia peregrina».
+
+Questo mi parve per risposta udire
+più innanzi alquanto che là dov’ io stava,
+ond’ io mi feci ancor più là sentire.
+
+Tra l’altre vidi un’ombra ch’aspettava
+in vista; e se volesse alcun dir ‘Come?’,
+lo mento a guisa d’orbo in sù levava.
+
+«Spirto», diss’ io, «che per salir ti dome,
+se tu se’ quelli che mi rispondesti,
+fammiti conto o per luogo o per nome».
+
+«Io fui sanese», rispuose, «e con questi
+altri rimendo qui la vita ria,
+lagrimando a colui che sé ne presti.
+
+Savia non fui, avvegna che Sapìa
+fossi chiamata, e fui de li altrui danni
+più lieta assai che di ventura mia.
+
+E perché tu non creda ch’io t’inganni,
+odi s’i’ fui, com’ io ti dico, folle,
+già discendendo l’arco d’i miei anni.
+
+Eran li cittadin miei presso a Colle
+in campo giunti co’ loro avversari,
+e io pregava Iddio di quel ch’e’ volle.
+
+Rotti fuor quivi e vòlti ne li amari
+passi di fuga; e veggendo la caccia,
+letizia presi a tutte altre dispari,
+
+tanto ch’io volsi in sù l’ardita faccia,
+gridando a Dio: “Omai più non ti temo!”,
+come fé ’l merlo per poca bonaccia.
+
+Pace volli con Dio in su lo stremo
+de la mia vita; e ancor non sarebbe
+lo mio dover per penitenza scemo,
+
+se ciò non fosse, ch’a memoria m’ebbe
+Pier Pettinaio in sue sante orazioni,
+a cui di me per caritate increbbe.
+
+Ma tu chi se’, che nostre condizioni
+vai dimandando, e porti li occhi sciolti,
+sì com’ io credo, e spirando ragioni?».
+
+«Li occhi», diss’ io, «mi fieno ancor qui tolti,
+ma picciol tempo, ché poca è l’offesa
+fatta per esser con invidia vòlti.
+
+Troppa è più la paura ond’ è sospesa
+l’anima mia del tormento di sotto,
+che già lo ’ncarco di là giù mi pesa».
+
+Ed ella a me: «Chi t’ha dunque condotto
+qua sù tra noi, se giù ritornar credi?».
+E io: «Costui ch’è meco e non fa motto.
+
+E vivo sono; e però mi richiedi,
+spirito eletto, se tu vuo’ ch’i’ mova
+di là per te ancor li mortai piedi».
+
+«Oh, questa è a udir sì cosa nuova»,
+rispuose, «che gran segno è che Dio t’ami;
+però col priego tuo talor mi giova.
+
+E cheggioti, per quel che tu più brami,
+se mai calchi la terra di Toscana,
+che a’ miei propinqui tu ben mi rinfami.
+
+Tu li vedrai tra quella gente vana
+che spera in Talamone, e perderagli
+più di speranza ch’a trovar la Diana;
+
+ma più vi perderanno li ammiragli».
+
+
+
+
+Purgatorio
+Canto XIV
+
+
+«Chi è costui che ’l nostro monte cerchia
+prima che morte li abbia dato il volo,
+e apre li occhi a sua voglia e coverchia?».
+
+«Non so chi sia, ma so ch’e’ non è solo;
+domandal tu che più li t’avvicini,
+e dolcemente, sì che parli, acco’lo».
+
+Così due spirti, l’uno a l’altro chini,
+ragionavan di me ivi a man dritta;
+poi fer li visi, per dirmi, supini;
+
+e disse l’uno: «O anima che fitta
+nel corpo ancora inver’ lo ciel ten vai,
+per carità ne consola e ne ditta
+
+onde vieni e chi se’; ché tu ne fai
+tanto maravigliar de la tua grazia,
+quanto vuol cosa che non fu più mai».
+
+E io: «Per mezza Toscana si spazia
+un fiumicel che nasce in Falterona,
+e cento miglia di corso nol sazia.
+
+Di sovr’ esso rech’ io questa persona:
+dirvi ch’i’ sia, saria parlare indarno,
+ché ’l nome mio ancor molto non suona».
+
+«Se ben lo ’ntendimento tuo accarno
+con lo ’ntelletto», allora mi rispuose
+quei che diceva pria, «tu parli d’Arno».
+
+E l’altro disse lui: «Perché nascose
+questi il vocabol di quella riviera,
+pur com’ om fa de l’orribili cose?».
+
+E l’ombra che di ciò domandata era,
+si sdebitò così: «Non so; ma degno
+ben è che ’l nome di tal valle pèra;
+
+ché dal principio suo, ov’ è sì pregno
+l’alpestro monte ond’ è tronco Peloro,
+che ’n pochi luoghi passa oltra quel segno,
+
+infin là ’ve si rende per ristoro
+di quel che ’l ciel de la marina asciuga,
+ond’ hanno i fiumi ciò che va con loro,
+
+vertù così per nimica si fuga
+da tutti come biscia, o per sventura
+del luogo, o per mal uso che li fruga:
+
+ond’ hanno sì mutata lor natura
+li abitator de la misera valle,
+che par che Circe li avesse in pastura.
+
+Tra brutti porci, più degni di galle
+che d’altro cibo fatto in uman uso,
+dirizza prima il suo povero calle.
+
+Botoli trova poi, venendo giuso,
+ringhiosi più che non chiede lor possa,
+e da lor disdegnosa torce il muso.
+
+Vassi caggendo; e quant’ ella più ’ngrossa,
+tanto più trova di can farsi lupi
+la maladetta e sventurata fossa.
+
+Discesa poi per più pelaghi cupi,
+trova le volpi sì piene di froda,
+che non temono ingegno che le occùpi.
+
+Né lascerò di dir perch’ altri m’oda;
+e buon sarà costui, s’ancor s’ammenta
+di ciò che vero spirto mi disnoda.
+
+Io veggio tuo nepote che diventa
+cacciator di quei lupi in su la riva
+del fiero fiume, e tutti li sgomenta.
+
+Vende la carne loro essendo viva;
+poscia li ancide come antica belva;
+molti di vita e sé di pregio priva.
+
+Sanguinoso esce de la trista selva;
+lasciala tal, che di qui a mille anni
+ne lo stato primaio non si rinselva».
+
+Com’ a l’annunzio di dogliosi danni
+si turba il viso di colui ch’ascolta,
+da qual che parte il periglio l’assanni,
+
+così vid’ io l’altr’ anima, che volta
+stava a udir, turbarsi e farsi trista,
+poi ch’ebbe la parola a sé raccolta.
+
+Lo dir de l’una e de l’altra la vista
+mi fer voglioso di saper lor nomi,
+e dimanda ne fei con prieghi mista;
+
+per che lo spirto che di pria parlòmi
+ricominciò: «Tu vuo’ ch’io mi deduca
+nel fare a te ciò che tu far non vuo’mi.
+
+Ma da che Dio in te vuol che traluca
+tanto sua grazia, non ti sarò scarso;
+però sappi ch’io fui Guido del Duca.
+
+Fu il sangue mio d’invidia sì rïarso,
+che se veduto avesse uom farsi lieto,
+visto m’avresti di livore sparso.
+
+Di mia semente cotal paglia mieto;
+o gente umana, perché poni ’l core
+là ’v’ è mestier di consorte divieto?
+
+Questi è Rinier; questi è ’l pregio e l’onore
+de la casa da Calboli, ove nullo
+fatto s’è reda poi del suo valore.
+
+E non pur lo suo sangue è fatto brullo,
+tra ’l Po e ’l monte e la marina e ’l Reno,
+del ben richesto al vero e al trastullo;
+
+ché dentro a questi termini è ripieno
+di venenosi sterpi, sì che tardi
+per coltivare omai verrebber meno.
+
+Ov’ è ’l buon Lizio e Arrigo Mainardi?
+Pier Traversaro e Guido di Carpigna?
+Oh Romagnuoli tornati in bastardi!
+
+Quando in Bologna un Fabbro si ralligna?
+quando in Faenza un Bernardin di Fosco,
+verga gentil di picciola gramigna?
+
+Non ti maravigliar s’io piango, Tosco,
+quando rimembro, con Guido da Prata,
+Ugolin d’Azzo che vivette nosco,
+
+Federigo Tignoso e sua brigata,
+la casa Traversara e li Anastagi
+(e l’una gente e l’altra è diretata),
+
+le donne e ’ cavalier, li affanni e li agi
+che ne ’nvogliava amore e cortesia
+là dove i cuor son fatti sì malvagi.
+
+O Bretinoro, ché non fuggi via,
+poi che gita se n’è la tua famiglia
+e molta gente per non esser ria?
+
+Ben fa Bagnacaval, che non rifiglia;
+e mal fa Castrocaro, e peggio Conio,
+che di figliar tai conti più s’impiglia.
+
+Ben faranno i Pagan, da che ’l demonio
+lor sen girà; ma non però che puro
+già mai rimagna d’essi testimonio.
+
+O Ugolin de’ Fantolin, sicuro
+è ’l nome tuo, da che più non s’aspetta
+chi far lo possa, tralignando, scuro.
+
+Ma va via, Tosco, omai; ch’or mi diletta
+troppo di pianger più che di parlare,
+sì m’ha nostra ragion la mente stretta».
+
+Noi sapavam che quell’ anime care
+ci sentivano andar; però, tacendo,
+facëan noi del cammin confidare.
+
+Poi fummo fatti soli procedendo,
+folgore parve quando l’aere fende,
+voce che giunse di contra dicendo:
+
+‘Anciderammi qualunque m’apprende’;
+e fuggì come tuon che si dilegua,
+se sùbito la nuvola scoscende.
+
+Come da lei l’udir nostro ebbe triegua,
+ed ecco l’altra con sì gran fracasso,
+che somigliò tonar che tosto segua:
+
+«Io sono Aglauro che divenni sasso»;
+e allor, per ristrignermi al poeta,
+in destro feci, e non innanzi, il passo.
+
+Già era l’aura d’ogne parte queta;
+ed el mi disse: «Quel fu ’l duro camo
+che dovria l’uom tener dentro a sua meta.
+
+Ma voi prendete l’esca, sì che l’amo
+de l’antico avversaro a sé vi tira;
+e però poco val freno o richiamo.
+
+Chiamavi ’l cielo e ’ntorno vi si gira,
+mostrandovi le sue bellezze etterne,
+e l’occhio vostro pur a terra mira;
+
+onde vi batte chi tutto discerne».
+
+
+
+
+Purgatorio
+Canto XV
+
+
+Quanto tra l’ultimar de l’ora terza
+e ’l principio del dì par de la spera
+che sempre a guisa di fanciullo scherza,
+
+tanto pareva già inver’ la sera
+essere al sol del suo corso rimaso;
+vespero là, e qui mezza notte era.
+
+E i raggi ne ferien per mezzo ’l naso,
+perché per noi girato era sì ’l monte,
+che già dritti andavamo inver’ l’occaso,
+
+quand’ io senti’ a me gravar la fronte
+a lo splendore assai più che di prima,
+e stupor m’eran le cose non conte;
+
+ond’ io levai le mani inver’ la cima
+de le mie ciglia, e fecimi ’l solecchio,
+che del soverchio visibile lima.
+
+Come quando da l’acqua o da lo specchio
+salta lo raggio a l’opposita parte,
+salendo su per lo modo parecchio
+
+a quel che scende, e tanto si diparte
+dal cader de la pietra in igual tratta,
+sì come mostra esperïenza e arte;
+
+così mi parve da luce rifratta
+quivi dinanzi a me esser percosso;
+per che a fuggir la mia vista fu ratta.
+
+«Che è quel, dolce padre, a che non posso
+schermar lo viso tanto che mi vaglia»,
+diss’ io, «e pare inver’ noi esser mosso?».
+
+«Non ti maravigliar s’ancor t’abbaglia
+la famiglia del cielo», a me rispuose:
+«messo è che viene ad invitar ch’om saglia.
+
+Tosto sarà ch’a veder queste cose
+non ti fia grave, ma fieti diletto
+quanto natura a sentir ti dispuose».
+
+Poi giunti fummo a l’angel benedetto,
+con lieta voce disse: «Intrate quinci
+ad un scaleo vie men che li altri eretto».
+
+Noi montavam, già partiti di linci,
+e ‘Beati misericordes!’ fue
+cantato retro, e ‘Godi tu che vinci!’.
+
+Lo mio maestro e io soli amendue
+suso andavamo; e io pensai, andando,
+prode acquistar ne le parole sue;
+
+e dirizza’mi a lui sì dimandando:
+«Che volse dir lo spirto di Romagna,
+e ‘divieto’ e ‘consorte’ menzionando?».
+
+Per ch’elli a me: «Di sua maggior magagna
+conosce il danno; e però non s’ammiri
+se ne riprende perché men si piagna.
+
+Perché s’appuntano i vostri disiri
+dove per compagnia parte si scema,
+invidia move il mantaco a’ sospiri.
+
+Ma se l’amor de la spera supprema
+torcesse in suso il disiderio vostro,
+non vi sarebbe al petto quella tema;
+
+ché, per quanti si dice più lì ‘nostro’,
+tanto possiede più di ben ciascuno,
+e più di caritate arde in quel chiostro».
+
+«Io son d’esser contento più digiuno»,
+diss’ io, «che se mi fosse pria taciuto,
+e più di dubbio ne la mente aduno.
+
+Com’ esser puote ch’un ben, distributo
+in più posseditor, faccia più ricchi
+di sé che se da pochi è posseduto?».
+
+Ed elli a me: «Però che tu rificchi
+la mente pur a le cose terrene,
+di vera luce tenebre dispicchi.
+
+Quello infinito e ineffabil bene
+che là sù è, così corre ad amore
+com’ a lucido corpo raggio vene.
+
+Tanto si dà quanto trova d’ardore;
+sì che, quantunque carità si stende,
+cresce sovr’ essa l’etterno valore.
+
+E quanta gente più là sù s’intende,
+più v’è da bene amare, e più vi s’ama,
+e come specchio l’uno a l’altro rende.
+
+E se la mia ragion non ti disfama,
+vedrai Beatrice, ed ella pienamente
+ti torrà questa e ciascun’ altra brama.
+
+Procaccia pur che tosto sieno spente,
+come son già le due, le cinque piaghe,
+che si richiudon per esser dolente».
+
+Com’ io voleva dicer ‘Tu m’appaghe’,
+vidimi giunto in su l’altro girone,
+sì che tacer mi fer le luci vaghe.
+
+Ivi mi parve in una visïone
+estatica di sùbito esser tratto,
+e vedere in un tempio più persone;
+
+e una donna, in su l’entrar, con atto
+dolce di madre dicer: «Figliuol mio,
+perché hai tu così verso noi fatto?
+
+Ecco, dolenti, lo tuo padre e io
+ti cercavamo». E come qui si tacque,
+ciò che pareva prima, dispario.
+
+Indi m’apparve un’altra con quell’ acque
+giù per le gote che ’l dolor distilla
+quando di gran dispetto in altrui nacque,
+
+e dir: «Se tu se’ sire de la villa
+del cui nome ne’ dèi fu tanta lite,
+e onde ogne scïenza disfavilla,
+
+vendica te di quelle braccia ardite
+ch’abbracciar nostra figlia, o Pisistràto».
+E ’l segnor mi parea, benigno e mite,
+
+risponder lei con viso temperato:
+«Che farem noi a chi mal ne disira,
+se quei che ci ama è per noi condannato?»,
+
+Poi vidi genti accese in foco d’ira
+con pietre un giovinetto ancider, forte
+gridando a sé pur: «Martira, martira!».
+
+E lui vedea chinarsi, per la morte
+che l’aggravava già, inver’ la terra,
+ma de li occhi facea sempre al ciel porte,
+
+orando a l’alto Sire, in tanta guerra,
+che perdonasse a’ suoi persecutori,
+con quello aspetto che pietà diserra.
+
+Quando l’anima mia tornò di fori
+a le cose che son fuor di lei vere,
+io riconobbi i miei non falsi errori.
+
+Lo duca mio, che mi potea vedere
+far sì com’ om che dal sonno si slega,
+disse: «Che hai che non ti puoi tenere,
+
+ma se’ venuto più che mezza lega
+velando li occhi e con le gambe avvolte,
+a guisa di cui vino o sonno piega?».
+
+«O dolce padre mio, se tu m’ascolte,
+io ti dirò», diss’ io, «ciò che m’apparve
+quando le gambe mi furon sì tolte».
+
+Ed ei: «Se tu avessi cento larve
+sovra la faccia, non mi sarian chiuse
+le tue cogitazion, quantunque parve.
+
+Ciò che vedesti fu perché non scuse
+d’aprir lo core a l’acque de la pace
+che da l’etterno fonte son diffuse.
+
+Non dimandai “Che hai?” per quel che face
+chi guarda pur con l’occhio che non vede,
+quando disanimato il corpo giace;
+
+ma dimandai per darti forza al piede:
+così frugar conviensi i pigri, lenti
+ad usar lor vigilia quando riede».
+
+Noi andavam per lo vespero, attenti
+oltre quanto potean li occhi allungarsi
+contra i raggi serotini e lucenti.
+
+Ed ecco a poco a poco un fummo farsi
+verso di noi come la notte oscuro;
+né da quello era loco da cansarsi.
+
+Questo ne tolse li occhi e l’aere puro.
+
+
+
+
+Purgatorio
+Canto XVI
+
+
+Buio d’inferno e di notte privata
+d’ogne pianeto, sotto pover cielo,
+quant’ esser può di nuvol tenebrata,
+
+non fece al viso mio sì grosso velo
+come quel fummo ch’ivi ci coperse,
+né a sentir di così aspro pelo,
+
+che l’occhio stare aperto non sofferse;
+onde la scorta mia saputa e fida
+mi s’accostò e l’omero m’offerse.
+
+Sì come cieco va dietro a sua guida
+per non smarrirsi e per non dar di cozzo
+in cosa che ’l molesti, o forse ancida,
+
+m’andava io per l’aere amaro e sozzo,
+ascoltando il mio duca che diceva
+pur: «Guarda che da me tu non sia mozzo».
+
+Io sentia voci, e ciascuna pareva
+pregar per pace e per misericordia
+l’Agnel di Dio che le peccata leva.
+
+Pur ‘Agnus Dei’ eran le loro essordia;
+una parola in tutte era e un modo,
+sì che parea tra esse ogne concordia.
+
+«Quei sono spirti, maestro, ch’i’ odo?»,
+diss’ io. Ed elli a me: «Tu vero apprendi,
+e d’iracundia van solvendo il nodo».
+
+«Or tu chi se’ che ’l nostro fummo fendi,
+e di noi parli pur come se tue
+partissi ancor lo tempo per calendi?».
+
+Così per una voce detto fue;
+onde ’l maestro mio disse: «Rispondi,
+e domanda se quinci si va sùe».
+
+E io: «O creatura che ti mondi
+per tornar bella a colui che ti fece,
+maraviglia udirai, se mi secondi».
+
+«Io ti seguiterò quanto mi lece»,
+rispuose; «e se veder fummo non lascia,
+l’udir ci terrà giunti in quella vece».
+
+Allora incominciai: «Con quella fascia
+che la morte dissolve men vo suso,
+e venni qui per l’infernale ambascia.
+
+E se Dio m’ha in sua grazia rinchiuso,
+tanto che vuol ch’i’ veggia la sua corte
+per modo tutto fuor del moderno uso,
+
+non mi celar chi fosti anzi la morte,
+ma dilmi, e dimmi s’i’ vo bene al varco;
+e tue parole fier le nostre scorte».
+
+«Lombardo fui, e fu’ chiamato Marco;
+del mondo seppi, e quel valore amai
+al quale ha or ciascun disteso l’arco.
+
+Per montar sù dirittamente vai».
+Così rispuose, e soggiunse: «I’ ti prego
+che per me prieghi quando sù sarai».
+
+E io a lui: «Per fede mi ti lego
+di far ciò che mi chiedi; ma io scoppio
+dentro ad un dubbio, s’io non me ne spiego.
+
+Prima era scempio, e ora è fatto doppio
+ne la sentenza tua, che mi fa certo
+qui, e altrove, quello ov’ io l’accoppio.
+
+Lo mondo è ben così tutto diserto
+d’ogne virtute, come tu mi sone,
+e di malizia gravido e coverto;
+
+ma priego che m’addite la cagione,
+sì ch’i’ la veggia e ch’i’ la mostri altrui;
+ché nel cielo uno, e un qua giù la pone».
+
+Alto sospir, che duolo strinse in «uhi!»,
+mise fuor prima; e poi cominciò: «Frate,
+lo mondo è cieco, e tu vien ben da lui.
+
+Voi che vivete ogne cagion recate
+pur suso al cielo, pur come se tutto
+movesse seco di necessitate.
+
+Se così fosse, in voi fora distrutto
+libero arbitrio, e non fora giustizia
+per ben letizia, e per male aver lutto.
+
+Lo cielo i vostri movimenti inizia;
+non dico tutti, ma, posto ch’i’ ’l dica,
+lume v’è dato a bene e a malizia,
+
+e libero voler; che, se fatica
+ne le prime battaglie col ciel dura,
+poi vince tutto, se ben si notrica.
+
+A maggior forza e a miglior natura
+liberi soggiacete; e quella cria
+la mente in voi, che ’l ciel non ha in sua cura.
+
+Però, se ’l mondo presente disvia,
+in voi è la cagione, in voi si cheggia;
+e io te ne sarò or vera spia.
+
+Esce di mano a lui che la vagheggia
+prima che sia, a guisa di fanciulla
+che piangendo e ridendo pargoleggia,
+
+l’anima semplicetta che sa nulla,
+salvo che, mossa da lieto fattore,
+volontier torna a ciò che la trastulla.
+
+Di picciol bene in pria sente sapore;
+quivi s’inganna, e dietro ad esso corre,
+se guida o fren non torce suo amore.
+
+Onde convenne legge per fren porre;
+convenne rege aver, che discernesse
+de la vera cittade almen la torre.
+
+Le leggi son, ma chi pon mano ad esse?
+Nullo, però che ’l pastor che procede,
+rugumar può, ma non ha l’unghie fesse;
+
+per che la gente, che sua guida vede
+pur a quel ben fedire ond’ ella è ghiotta,
+di quel si pasce, e più oltre non chiede.
+
+Ben puoi veder che la mala condotta
+è la cagion che ’l mondo ha fatto reo,
+e non natura che ’n voi sia corrotta.
+
+Soleva Roma, che ’l buon mondo feo,
+due soli aver, che l’una e l’altra strada
+facean vedere, e del mondo e di Deo.
+
+L’un l’altro ha spento; ed è giunta la spada
+col pasturale, e l’un con l’altro insieme
+per viva forza mal convien che vada;
+
+però che, giunti, l’un l’altro non teme:
+se non mi credi, pon mente a la spiga,
+ch’ogn’ erba si conosce per lo seme.
+
+In sul paese ch’Adice e Po riga,
+solea valore e cortesia trovarsi,
+prima che Federigo avesse briga;
+
+or può sicuramente indi passarsi
+per qualunque lasciasse, per vergogna
+di ragionar coi buoni o d’appressarsi.
+
+Ben v’èn tre vecchi ancora in cui rampogna
+l’antica età la nova, e par lor tardo
+che Dio a miglior vita li ripogna:
+
+Currado da Palazzo e ’l buon Gherardo
+e Guido da Castel, che mei si noma,
+francescamente, il semplice Lombardo.
+
+Dì oggimai che la Chiesa di Roma,
+per confondere in sé due reggimenti,
+cade nel fango, e sé brutta e la soma».
+
+«O Marco mio», diss’ io, «bene argomenti;
+e or discerno perché dal retaggio
+li figli di Levì furono essenti.
+
+Ma qual Gherardo è quel che tu per saggio
+di’ ch’è rimaso de la gente spenta,
+in rimprovèro del secol selvaggio?».
+
+«O tuo parlar m’inganna, o el mi tenta»,
+rispuose a me; «ché, parlandomi tosco,
+par che del buon Gherardo nulla senta.
+
+Per altro sopranome io nol conosco,
+s’io nol togliessi da sua figlia Gaia.
+Dio sia con voi, ché più non vegno vosco.
+
+Vedi l’albor che per lo fummo raia
+già biancheggiare, e me convien partirmi
+(l’angelo è ivi) prima ch’io li paia».
+
+Così tornò, e più non volle udirmi.
+
+
+
+
+Purgatorio
+Canto XVII
+
+
+Ricorditi, lettor, se mai ne l’alpe
+ti colse nebbia per la qual vedessi
+non altrimenti che per pelle talpe,
+
+come, quando i vapori umidi e spessi
+a diradar cominciansi, la spera
+del sol debilemente entra per essi;
+
+e fia la tua imagine leggera
+in giugnere a veder com’ io rividi
+lo sole in pria, che già nel corcar era.
+
+Sì, pareggiando i miei co’ passi fidi
+del mio maestro, usci’ fuor di tal nube
+ai raggi morti già ne’ bassi lidi.
+
+O imaginativa che ne rube
+talvolta sì di fuor, ch’om non s’accorge
+perché dintorno suonin mille tube,
+
+chi move te, se ’l senso non ti porge?
+Moveti lume che nel ciel s’informa,
+per sé o per voler che giù lo scorge.
+
+De l’empiezza di lei che mutò forma
+ne l’uccel ch’a cantar più si diletta,
+ne l’imagine mia apparve l’orma;
+
+e qui fu la mia mente sì ristretta
+dentro da sé, che di fuor non venìa
+cosa che fosse allor da lei ricetta.
+
+Poi piovve dentro a l’alta fantasia
+un crucifisso, dispettoso e fero
+ne la sua vista, e cotal si moria;
+
+intorno ad esso era il grande Assüero,
+Estèr sua sposa e ’l giusto Mardoceo,
+che fu al dire e al far così intero.
+
+E come questa imagine rompeo
+sé per sé stessa, a guisa d’una bulla
+cui manca l’acqua sotto qual si feo,
+
+surse in mia visïone una fanciulla
+piangendo forte, e dicea: «O regina,
+perché per ira hai voluto esser nulla?
+
+Ancisa t’hai per non perder Lavina;
+or m’hai perduta! Io son essa che lutto,
+madre, a la tua pria ch’a l’altrui ruina».
+
+Come si frange il sonno ove di butto
+nova luce percuote il viso chiuso,
+che fratto guizza pria che muoia tutto;
+
+così l’imaginar mio cadde giuso
+tosto che lume il volto mi percosse,
+maggior assai che quel ch’è in nostro uso.
+
+I’ mi volgea per veder ov’ io fosse,
+quando una voce disse «Qui si monta»,
+che da ogne altro intento mi rimosse;
+
+e fece la mia voglia tanto pronta
+di riguardar chi era che parlava,
+che mai non posa, se non si raffronta.
+
+Ma come al sol che nostra vista grava
+e per soverchio sua figura vela,
+così la mia virtù quivi mancava.
+
+«Questo è divino spirito, che ne la
+via da ir sù ne drizza sanza prego,
+e col suo lume sé medesmo cela.
+
+Sì fa con noi, come l’uom si fa sego;
+ché quale aspetta prego e l’uopo vede,
+malignamente già si mette al nego.
+
+Or accordiamo a tanto invito il piede;
+procacciam di salir pria che s’abbui,
+ché poi non si poria, se ’l dì non riede».
+
+Così disse il mio duca, e io con lui
+volgemmo i nostri passi ad una scala;
+e tosto ch’io al primo grado fui,
+
+senti’mi presso quasi un muover d’ala
+e ventarmi nel viso e dir: ‘Beati
+pacifici, che son sanz’ ira mala!’.
+
+Già eran sovra noi tanto levati
+li ultimi raggi che la notte segue,
+che le stelle apparivan da più lati.
+
+‘O virtù mia, perché sì ti dilegue?’,
+fra me stesso dicea, ché mi sentiva
+la possa de le gambe posta in triegue.
+
+Noi eravam dove più non saliva
+la scala sù, ed eravamo affissi,
+pur come nave ch’a la piaggia arriva.
+
+E io attesi un poco, s’io udissi
+alcuna cosa nel novo girone;
+poi mi volsi al maestro mio, e dissi:
+
+«Dolce mio padre, dì, quale offensione
+si purga qui nel giro dove semo?
+Se i piè si stanno, non stea tuo sermone».
+
+Ed elli a me: «L’amor del bene, scemo
+del suo dover, quiritta si ristora;
+qui si ribatte il mal tardato remo.
+
+Ma perché più aperto intendi ancora,
+volgi la mente a me, e prenderai
+alcun buon frutto di nostra dimora».
+
+«Né creator né creatura mai»,
+cominciò el, «figliuol, fu sanza amore,
+o naturale o d’animo; e tu ’l sai.
+
+Lo naturale è sempre sanza errore,
+ma l’altro puote errar per malo obietto
+o per troppo o per poco di vigore.
+
+Mentre ch’elli è nel primo ben diretto,
+e ne’ secondi sé stesso misura,
+esser non può cagion di mal diletto;
+
+ma quando al mal si torce, o con più cura
+o con men che non dee corre nel bene,
+contra ’l fattore adovra sua fattura.
+
+Quinci comprender puoi ch’esser convene
+amor sementa in voi d’ogne virtute
+e d’ogne operazion che merta pene.
+
+Or, perché mai non può da la salute
+amor del suo subietto volger viso,
+da l’odio proprio son le cose tute;
+
+e perché intender non si può diviso,
+e per sé stante, alcuno esser dal primo,
+da quello odiare ogne effetto è deciso.
+
+Resta, se dividendo bene stimo,
+che ’l mal che s’ama è del prossimo; ed esso
+amor nasce in tre modi in vostro limo.
+
+È chi, per esser suo vicin soppresso,
+spera eccellenza, e sol per questo brama
+ch’el sia di sua grandezza in basso messo;
+
+è chi podere, grazia, onore e fama
+teme di perder perch’ altri sormonti,
+onde s’attrista sì che ’l contrario ama;
+
+ed è chi per ingiuria par ch’aonti,
+sì che si fa de la vendetta ghiotto,
+e tal convien che ’l male altrui impronti.
+
+Questo triforme amor qua giù di sotto
+si piange: or vo’ che tu de l’altro intende,
+che corre al ben con ordine corrotto.
+
+Ciascun confusamente un bene apprende
+nel qual si queti l’animo, e disira;
+per che di giugner lui ciascun contende.
+
+Se lento amore a lui veder vi tira
+o a lui acquistar, questa cornice,
+dopo giusto penter, ve ne martira.
+
+Altro ben è che non fa l’uom felice;
+non è felicità, non è la buona
+essenza, d’ogne ben frutto e radice.
+
+L’amor ch’ad esso troppo s’abbandona,
+di sovr’ a noi si piange per tre cerchi;
+ma come tripartito si ragiona,
+
+tacciolo, acciò che tu per te ne cerchi».
+
+
+
+
+Purgatorio
+Canto XVIII
+
+
+Posto avea fine al suo ragionamento
+l’alto dottore, e attento guardava
+ne la mia vista s’io parea contento;
+
+e io, cui nova sete ancor frugava,
+di fuor tacea, e dentro dicea: ‘Forse
+lo troppo dimandar ch’io fo li grava’.
+
+Ma quel padre verace, che s’accorse
+del timido voler che non s’apriva,
+parlando, di parlare ardir mi porse.
+
+Ond’ io: «Maestro, il mio veder s’avviva
+sì nel tuo lume, ch’io discerno chiaro
+quanto la tua ragion parta o descriva.
+
+Però ti prego, dolce padre caro,
+che mi dimostri amore, a cui reduci
+ogne buono operare e ’l suo contraro».
+
+«Drizza», disse, «ver’ me l’agute luci
+de lo ’ntelletto, e fieti manifesto
+l’error de’ ciechi che si fanno duci.
+
+L’animo, ch’è creato ad amar presto,
+ad ogne cosa è mobile che piace,
+tosto che dal piacere in atto è desto.
+
+Vostra apprensiva da esser verace
+tragge intenzione, e dentro a voi la spiega,
+sì che l’animo ad essa volger face;
+
+e se, rivolto, inver’ di lei si piega,
+quel piegare è amor, quell’ è natura
+che per piacer di novo in voi si lega.
+
+Poi, come ’l foco movesi in altura
+per la sua forma ch’è nata a salire
+là dove più in sua matera dura,
+
+così l’animo preso entra in disire,
+ch’è moto spiritale, e mai non posa
+fin che la cosa amata il fa gioire.
+
+Or ti puote apparer quant’ è nascosa
+la veritate a la gente ch’avvera
+ciascun amore in sé laudabil cosa;
+
+però che forse appar la sua matera
+sempre esser buona, ma non ciascun segno
+è buono, ancor che buona sia la cera».
+
+«Le tue parole e ’l mio seguace ingegno»,
+rispuos’ io lui, «m’hanno amor discoverto,
+ma ciò m’ha fatto di dubbiar più pregno;
+
+ché, s’amore è di fuori a noi offerto
+e l’anima non va con altro piede,
+se dritta o torta va, non è suo merto».
+
+Ed elli a me: «Quanto ragion qui vede,
+dir ti poss’ io; da indi in là t’aspetta
+pur a Beatrice, ch’è opra di fede.
+
+Ogne forma sustanzïal, che setta
+è da matera ed è con lei unita,
+specifica vertute ha in sé colletta,
+
+la qual sanza operar non è sentita,
+né si dimostra mai che per effetto,
+come per verdi fronde in pianta vita.
+
+Però, là onde vegna lo ’ntelletto
+de le prime notizie, omo non sape,
+e de’ primi appetibili l’affetto,
+
+che sono in voi sì come studio in ape
+di far lo mele; e questa prima voglia
+merto di lode o di biasmo non cape.
+
+Or perché a questa ogn’ altra si raccoglia,
+innata v’è la virtù che consiglia,
+e de l’assenso de’ tener la soglia.
+
+Quest’ è ’l principio là onde si piglia
+ragion di meritare in voi, secondo
+che buoni e rei amori accoglie e viglia.
+
+Color che ragionando andaro al fondo,
+s’accorser d’esta innata libertate;
+però moralità lasciaro al mondo.
+
+Onde, poniam che di necessitate
+surga ogne amor che dentro a voi s’accende,
+di ritenerlo è in voi la podestate.
+
+La nobile virtù Beatrice intende
+per lo libero arbitrio, e però guarda
+che l’abbi a mente, s’a parlar ten prende».
+
+La luna, quasi a mezza notte tarda,
+facea le stelle a noi parer più rade,
+fatta com’ un secchion che tuttor arda;
+
+e correa contro ’l ciel per quelle strade
+che ’l sole infiamma allor che quel da Roma
+tra ’ Sardi e ’ Corsi il vede quando cade.
+
+E quell’ ombra gentil per cui si noma
+Pietola più che villa mantoana,
+del mio carcar diposta avea la soma;
+
+per ch’io, che la ragione aperta e piana
+sovra le mie quistioni avea ricolta,
+stava com’ om che sonnolento vana.
+
+Ma questa sonnolenza mi fu tolta
+subitamente da gente che dopo
+le nostre spalle a noi era già volta.
+
+E quale Ismeno già vide e Asopo
+lungo di sè di notte furia e calca,
+pur che i Teban di Bacco avesser uopo,
+
+cotal per quel giron suo passo falca,
+per quel ch’io vidi di color, venendo,
+cui buon volere e giusto amor cavalca.
+
+Tosto fur sovr’ a noi, perché correndo
+si movea tutta quella turba magna;
+e due dinanzi gridavan piangendo:
+
+«Maria corse con fretta a la montagna;
+e Cesare, per soggiogare Ilerda,
+punse Marsilia e poi corse in Ispagna».
+
+«Ratto, ratto, che ’l tempo non si perda
+per poco amor», gridavan li altri appresso,
+«che studio di ben far grazia rinverda».
+
+«O gente in cui fervore aguto adesso
+ricompie forse negligenza e indugio
+da voi per tepidezza in ben far messo,
+
+questi che vive, e certo i’ non vi bugio,
+vuole andar sù, pur che ’l sol ne riluca;
+però ne dite ond’ è presso il pertugio».
+
+Parole furon queste del mio duca;
+e un di quelli spirti disse: «Vieni
+di retro a noi, e troverai la buca.
+
+Noi siam di voglia a muoverci sì pieni,
+che restar non potem; però perdona,
+se villania nostra giustizia tieni.
+
+Io fui abate in San Zeno a Verona
+sotto lo ’mperio del buon Barbarossa,
+di cui dolente ancor Milan ragiona.
+
+E tale ha già l’un piè dentro la fossa,
+che tosto piangerà quel monastero,
+e tristo fia d’avere avuta possa;
+
+perché suo figlio, mal del corpo intero,
+e de la mente peggio, e che mal nacque,
+ha posto in loco di suo pastor vero».
+
+Io non so se più disse o s’ei si tacque,
+tant’ era già di là da noi trascorso;
+ma questo intesi, e ritener mi piacque.
+
+E quei che m’era ad ogne uopo soccorso
+disse: «Volgiti qua: vedine due
+venir dando a l’accidïa di morso».
+
+Di retro a tutti dicean: «Prima fue
+morta la gente a cui il mar s’aperse,
+che vedesse Iordan le rede sue.
+
+E quella che l’affanno non sofferse
+fino a la fine col figlio d’Anchise,
+sé stessa a vita sanza gloria offerse».
+
+Poi quando fuor da noi tanto divise
+quell’ ombre, che veder più non potiersi,
+novo pensiero dentro a me si mise,
+
+del qual più altri nacquero e diversi;
+e tanto d’uno in altro vaneggiai,
+che li occhi per vaghezza ricopersi,
+
+e ’l pensamento in sogno trasmutai.
+
+
+
+
+Purgatorio
+Canto XIX
+
+
+Ne l’ora che non può ’l calor dïurno
+intepidar più ’l freddo de la luna,
+vinto da terra, e talor da Saturno
+
+—quando i geomanti lor Maggior Fortuna
+veggiono in orïente, innanzi a l’alba,
+surger per via che poco le sta bruna—,
+
+mi venne in sogno una femmina balba,
+ne li occhi guercia, e sovra i piè distorta,
+con le man monche, e di colore scialba.
+
+Io la mirava; e come ’l sol conforta
+le fredde membra che la notte aggrava,
+così lo sguardo mio le facea scorta
+
+la lingua, e poscia tutta la drizzava
+in poco d’ora, e lo smarrito volto,
+com’ amor vuol, così le colorava.
+
+Poi ch’ell’ avea ’l parlar così disciolto,
+cominciava a cantar sì, che con pena
+da lei avrei mio intento rivolto.
+
+«Io son», cantava, «io son dolce serena,
+che ’ marinari in mezzo mar dismago;
+tanto son di piacere a sentir piena!
+
+Io volsi Ulisse del suo cammin vago
+al canto mio; e qual meco s’ausa,
+rado sen parte; sì tutto l’appago!».
+
+Ancor non era sua bocca richiusa,
+quand’ una donna apparve santa e presta
+lunghesso me per far colei confusa.
+
+«O Virgilio, Virgilio, chi è questa?»,
+fieramente dicea; ed el venìa
+con li occhi fitti pur in quella onesta.
+
+L’altra prendea, e dinanzi l’apria
+fendendo i drappi, e mostravami ’l ventre;
+quel mi svegliò col puzzo che n’uscia.
+
+Io mossi li occhi, e ’l buon maestro: «Almen tre
+voci t’ho messe!», dicea, «Surgi e vieni;
+troviam l’aperta per la qual tu entre».
+
+Sù mi levai, e tutti eran già pieni
+de l’alto dì i giron del sacro monte,
+e andavam col sol novo a le reni.
+
+Seguendo lui, portava la mia fronte
+come colui che l’ha di pensier carca,
+che fa di sé un mezzo arco di ponte;
+
+quand’ io udi’ «Venite; qui si varca»
+parlare in modo soave e benigno,
+qual non si sente in questa mortal marca.
+
+Con l’ali aperte, che parean di cigno,
+volseci in sù colui che sì parlonne
+tra due pareti del duro macigno.
+
+Mosse le penne poi e ventilonne,
+‘Qui lugent’ affermando esser beati,
+ch’avran di consolar l’anime donne.
+
+«Che hai che pur inver’ la terra guati?»,
+la guida mia incominciò a dirmi,
+poco amendue da l’angel sormontati.
+
+E io: «Con tanta sospeccion fa irmi
+novella visïon ch’a sé mi piega,
+sì ch’io non posso dal pensar partirmi».
+
+«Vedesti», disse, «quell’antica strega
+che sola sovr’ a noi omai si piagne;
+vedesti come l’uom da lei si slega.
+
+Bastiti, e batti a terra le calcagne;
+li occhi rivolgi al logoro che gira
+lo rege etterno con le rote magne».
+
+Quale ’l falcon, che prima a’ pié si mira,
+indi si volge al grido e si protende
+per lo disio del pasto che là il tira,
+
+tal mi fec’ io; e tal, quanto si fende
+la roccia per dar via a chi va suso,
+n’andai infin dove ’l cerchiar si prende.
+
+Com’ io nel quinto giro fui dischiuso,
+vidi gente per esso che piangea,
+giacendo a terra tutta volta in giuso.
+
+‘Adhaesit pavimento anima mea’
+sentia dir lor con sì alti sospiri,
+che la parola a pena s’intendea.
+
+«O eletti di Dio, li cui soffriri
+e giustizia e speranza fa men duri,
+drizzate noi verso li alti saliri».
+
+«Se voi venite dal giacer sicuri,
+e volete trovar la via più tosto,
+le vostre destre sien sempre di fori».
+
+Così pregò ’l poeta, e sì risposto
+poco dinanzi a noi ne fu; per ch’io
+nel parlare avvisai l’altro nascosto,
+
+e volsi li occhi a li occhi al segnor mio:
+ond’ elli m’assentì con lieto cenno
+ciò che chiedea la vista del disio.
+
+Poi ch’io potei di me fare a mio senno,
+trassimi sovra quella creatura
+le cui parole pria notar mi fenno,
+
+dicendo: «Spirto in cui pianger matura
+quel sanza ’l quale a Dio tornar non pòssi,
+sosta un poco per me tua maggior cura.
+
+Chi fosti e perché vòlti avete i dossi
+al sù, mi dì, e se vuo’ ch’io t’impetri
+cosa di là ond’ io vivendo mossi».
+
+Ed elli a me: «Perché i nostri diretri
+rivolga il cielo a sé, saprai; ma prima
+scias quod ego fui successor Petri.
+
+Intra Sïestri e Chiaveri s’adima
+una fiumana bella, e del suo nome
+lo titol del mio sangue fa sua cima.
+
+Un mese e poco più prova’ io come
+pesa il gran manto a chi dal fango il guarda,
+che piuma sembran tutte l’altre some.
+
+La mia conversïone, omè!, fu tarda;
+ma, come fatto fui roman pastore,
+così scopersi la vita bugiarda.
+
+Vidi che lì non s’acquetava il core,
+né più salir potiesi in quella vita;
+per che di questa in me s’accese amore.
+
+Fino a quel punto misera e partita
+da Dio anima fui, del tutto avara;
+or, come vedi, qui ne son punita.
+
+Quel ch’avarizia fa, qui si dichiara
+in purgazion de l’anime converse;
+e nulla pena il monte ha più amara.
+
+Sì come l’occhio nostro non s’aderse
+in alto, fisso a le cose terrene,
+così giustizia qui a terra il merse.
+
+Come avarizia spense a ciascun bene
+lo nostro amore, onde operar perdési,
+così giustizia qui stretti ne tene,
+
+ne’ piedi e ne le man legati e presi;
+e quanto fia piacer del giusto Sire,
+tanto staremo immobili e distesi».
+
+Io m’era inginocchiato e volea dire;
+ma com’ io cominciai ed el s’accorse,
+solo ascoltando, del mio reverire,
+
+«Qual cagion», disse, «in giù così ti torse?».
+E io a lui: «Per vostra dignitate
+mia coscïenza dritto mi rimorse».
+
+«Drizza le gambe, lèvati sù, frate!»,
+rispuose; «non errar: conservo sono
+teco e con li altri ad una podestate.
+
+Se mai quel santo evangelico suono
+che dice ‘Neque nubent’ intendesti,
+ben puoi veder perch’ io così ragiono.
+
+Vattene omai: non vo’ che più t’arresti;
+ché la tua stanza mio pianger disagia,
+col qual maturo ciò che tu dicesti.
+
+Nepote ho io di là c’ha nome Alagia,
+buona da sé, pur che la nostra casa
+non faccia lei per essempro malvagia;
+
+e questa sola di là m’è rimasa».
+
+
+
+
+Purgatorio
+Canto XX
+
+
+Contra miglior voler voler mal pugna;
+onde contra ’l piacer mio, per piacerli,
+trassi de l’acqua non sazia la spugna.
+
+Mossimi; e ’l duca mio si mosse per li
+luoghi spediti pur lungo la roccia,
+come si va per muro stretto a’ merli;
+
+ché la gente che fonde a goccia a goccia
+per li occhi il mal che tutto ’l mondo occupa,
+da l’altra parte in fuor troppo s’approccia.
+
+Maladetta sie tu, antica lupa,
+che più che tutte l’altre bestie hai preda
+per la tua fame sanza fine cupa!
+
+O ciel, nel cui girar par che si creda
+le condizion di qua giù trasmutarsi,
+quando verrà per cui questa disceda?
+
+Noi andavam con passi lenti e scarsi,
+e io attento a l’ombre, ch’i’ sentia
+pietosamente piangere e lagnarsi;
+
+e per ventura udi’ «Dolce Maria!»
+dinanzi a noi chiamar così nel pianto
+come fa donna che in parturir sia;
+
+e seguitar: «Povera fosti tanto,
+quanto veder si può per quello ospizio
+dove sponesti il tuo portato santo».
+
+Seguentemente intesi: «O buon Fabrizio,
+con povertà volesti anzi virtute
+che gran ricchezza posseder con vizio».
+
+Queste parole m’eran sì piaciute,
+ch’io mi trassi oltre per aver contezza
+di quello spirto onde parean venute.
+
+Esso parlava ancor de la larghezza
+che fece Niccolò a le pulcelle,
+per condurre ad onor lor giovinezza.
+
+«O anima che tanto ben favelle,
+dimmi chi fosti», dissi, «e perché sola
+tu queste degne lode rinovelle.
+
+Non fia sanza mercé la tua parola,
+s’io ritorno a compiér lo cammin corto
+di quella vita ch’al termine vola».
+
+Ed elli: «Io ti dirò, non per conforto
+ch’io attenda di là, ma perché tanta
+grazia in te luce prima che sie morto.
+
+Io fui radice de la mala pianta
+che la terra cristiana tutta aduggia,
+sì che buon frutto rado se ne schianta.
+
+Ma se Doagio, Lilla, Guanto e Bruggia
+potesser, tosto ne saria vendetta;
+e io la cheggio a lui che tutto giuggia.
+
+Chiamato fui di là Ugo Ciappetta;
+di me son nati i Filippi e i Luigi
+per cui novellamente è Francia retta.
+
+Figliuol fu’ io d’un beccaio di Parigi:
+quando li regi antichi venner meno
+tutti, fuor ch’un renduto in panni bigi,
+
+trova’mi stretto ne le mani il freno
+del governo del regno, e tanta possa
+di nuovo acquisto, e sì d’amici pieno,
+
+ch’a la corona vedova promossa
+la testa di mio figlio fu, dal quale
+cominciar di costor le sacrate ossa.
+
+Mentre che la gran dota provenzale
+al sangue mio non tolse la vergogna,
+poco valea, ma pur non facea male.
+
+Lì cominciò con forza e con menzogna
+la sua rapina; e poscia, per ammenda,
+Pontì e Normandia prese e Guascogna.
+
+Carlo venne in Italia e, per ammenda,
+vittima fé di Curradino; e poi
+ripinse al ciel Tommaso, per ammenda.
+
+Tempo vegg’ io, non molto dopo ancoi,
+che tragge un altro Carlo fuor di Francia,
+per far conoscer meglio e sé e ’ suoi.
+
+Sanz’ arme n’esce e solo con la lancia
+con la qual giostrò Giuda, e quella ponta
+sì, ch’a Fiorenza fa scoppiar la pancia.
+
+Quindi non terra, ma peccato e onta
+guadagnerà, per sé tanto più grave,
+quanto più lieve simil danno conta.
+
+L’altro, che già uscì preso di nave,
+veggio vender sua figlia e patteggiarne
+come fanno i corsar de l’altre schiave.
+
+O avarizia, che puoi tu più farne,
+poscia c’ha’ il mio sangue a te sì tratto,
+che non si cura de la propria carne?
+
+Perché men paia il mal futuro e ’l fatto,
+veggio in Alagna intrar lo fiordaliso,
+e nel vicario suo Cristo esser catto.
+
+Veggiolo un’altra volta esser deriso;
+veggio rinovellar l’aceto e ’l fiele,
+e tra vivi ladroni esser anciso.
+
+Veggio il novo Pilato sì crudele,
+che ciò nol sazia, ma sanza decreto
+portar nel Tempio le cupide vele.
+
+O Segnor mio, quando sarò io lieto
+a veder la vendetta che, nascosa,
+fa dolce l’ira tua nel tuo secreto?
+
+Ciò ch’io dicea di quell’ unica sposa
+de lo Spirito Santo e che ti fece
+verso me volger per alcuna chiosa,
+
+tanto è risposto a tutte nostre prece
+quanto ’l dì dura; ma com’ el s’annotta,
+contrario suon prendemo in quella vece.
+
+Noi repetiam Pigmalïon allotta,
+cui traditore e ladro e paricida
+fece la voglia sua de l’oro ghiotta;
+
+e la miseria de l’avaro Mida,
+che seguì a la sua dimanda gorda,
+per la qual sempre convien che si rida.
+
+Del folle Acàn ciascun poi si ricorda,
+come furò le spoglie, sì che l’ira
+di Iosüè qui par ch’ancor lo morda.
+
+Indi accusiam col marito Saffira;
+lodiam i calci ch’ebbe Elïodoro;
+e in infamia tutto ’l monte gira
+
+Polinestòr ch’ancise Polidoro;
+ultimamente ci si grida: “Crasso,
+dilci, che ’l sai: di che sapore è l’oro?”.
+
+Talor parla l’uno alto e l’altro basso,
+secondo l’affezion ch’ad ir ci sprona
+ora a maggiore e ora a minor passo:
+
+però al ben che ’l dì ci si ragiona,
+dianzi non era io sol; ma qui da presso
+non alzava la voce altra persona».
+
+Noi eravam partiti già da esso,
+e brigavam di soverchiar la strada
+tanto quanto al poder n’era permesso,
+
+quand’ io senti’, come cosa che cada,
+tremar lo monte; onde mi prese un gelo
+qual prender suol colui ch’a morte vada.
+
+Certo non si scoteo sì forte Delo,
+pria che Latona in lei facesse ’l nido
+a parturir li due occhi del cielo.
+
+Poi cominciò da tutte parti un grido
+tal, che ’l maestro inverso me si feo,
+dicendo: «Non dubbiar, mentr’ io ti guido».
+
+‘Glorïa in excelsis’ tutti ‘Deo’
+dicean, per quel ch’io da’ vicin compresi,
+onde intender lo grido si poteo.
+
+No’ istavamo immobili e sospesi
+come i pastor che prima udir quel canto,
+fin che ’l tremar cessò ed el compiési.
+
+Poi ripigliammo nostro cammin santo,
+guardando l’ombre che giacean per terra,
+tornate già in su l’usato pianto.
+
+Nulla ignoranza mai con tanta guerra
+mi fé desideroso di sapere,
+se la memoria mia in ciò non erra,
+
+quanta pareami allor, pensando, avere;
+né per la fretta dimandare er’ oso,
+né per me lì potea cosa vedere:
+
+così m’andava timido e pensoso.
+
+
+
+
+Purgatorio
+Canto XXI
+
+
+La sete natural che mai non sazia
+se non con l’acqua onde la femminetta
+samaritana domandò la grazia,
+
+mi travagliava, e pungeami la fretta
+per la ’mpacciata via dietro al mio duca,
+e condoleami a la giusta vendetta.
+
+Ed ecco, sì come ne scrive Luca
+che Cristo apparve a’ due ch’erano in via,
+già surto fuor de la sepulcral buca,
+
+ci apparve un’ombra, e dietro a noi venìa,
+dal piè guardando la turba che giace;
+né ci addemmo di lei, sì parlò pria,
+
+dicendo: «O frati miei, Dio vi dea pace».
+Noi ci volgemmo sùbiti, e Virgilio
+rendéli ’l cenno ch’a ciò si conface.
+
+Poi cominciò: «Nel beato concilio
+ti ponga in pace la verace corte
+che me rilega ne l’etterno essilio».
+
+«Come!», diss’ elli, e parte andavam forte:
+«se voi siete ombre che Dio sù non degni,
+chi v’ha per la sua scala tanto scorte?».
+
+E ’l dottor mio: «Se tu riguardi a’ segni
+che questi porta e che l’angel profila,
+ben vedrai che coi buon convien ch’e’ regni.
+
+Ma perché lei che dì e notte fila
+non li avea tratta ancora la conocchia
+che Cloto impone a ciascuno e compila,
+
+l’anima sua, ch’è tua e mia serocchia,
+venendo sù, non potea venir sola,
+però ch’al nostro modo non adocchia.
+
+Ond’ io fui tratto fuor de l’ampia gola
+d’inferno per mostrarli, e mosterrolli
+oltre, quanto ’l potrà menar mia scola.
+
+Ma dimmi, se tu sai, perché tai crolli
+diè dianzi ’l monte, e perché tutto ad una
+parve gridare infino a’ suoi piè molli».
+
+Sì mi diè, dimandando, per la cruna
+del mio disio, che pur con la speranza
+si fece la mia sete men digiuna.
+
+Quei cominciò: «Cosa non è che sanza
+ordine senta la religïone
+de la montagna, o che sia fuor d’usanza.
+
+Libero è qui da ogne alterazione:
+di quel che ’l ciel da sé in sé riceve
+esser ci puote, e non d’altro, cagione.
+
+Per che non pioggia, non grando, non neve,
+non rugiada, non brina più sù cade
+che la scaletta di tre gradi breve;
+
+nuvole spesse non paion né rade,
+né coruscar, né figlia di Taumante,
+che di là cangia sovente contrade;
+
+secco vapor non surge più avante
+ch’al sommo d’i tre gradi ch’io parlai,
+dov’ ha ’l vicario di Pietro le piante.
+
+Trema forse più giù poco o assai;
+ma per vento che ’n terra si nasconda,
+non so come, qua sù non tremò mai.
+
+Tremaci quando alcuna anima monda
+sentesi, sì che surga o che si mova
+per salir sù; e tal grido seconda.
+
+De la mondizia sol voler fa prova,
+che, tutto libero a mutar convento,
+l’alma sorprende, e di voler le giova.
+
+Prima vuol ben, ma non lascia il talento
+che divina giustizia, contra voglia,
+come fu al peccar, pone al tormento.
+
+E io, che son giaciuto a questa doglia
+cinquecent’ anni e più, pur mo sentii
+libera volontà di miglior soglia:
+
+però sentisti il tremoto e li pii
+spiriti per lo monte render lode
+a quel Segnor, che tosto sù li ’nvii».
+
+Così ne disse; e però ch’el si gode
+tanto del ber quant’ è grande la sete,
+non saprei dir quant’ el mi fece prode.
+
+E ’l savio duca: «Omai veggio la rete
+che qui vi ’mpiglia e come si scalappia,
+perché ci trema e di che congaudete.
+
+Ora chi fosti, piacciati ch’io sappia,
+e perché tanti secoli giaciuto
+qui se’, ne le parole tue mi cappia».
+
+«Nel tempo che ’l buon Tito, con l’aiuto
+del sommo rege, vendicò le fóra
+ond’ uscì ’l sangue per Giuda venduto,
+
+col nome che più dura e più onora
+era io di là», rispuose quello spirto,
+«famoso assai, ma non con fede ancora.
+
+Tanto fu dolce mio vocale spirto,
+che, tolosano, a sé mi trasse Roma,
+dove mertai le tempie ornar di mirto.
+
+Stazio la gente ancor di là mi noma:
+cantai di Tebe, e poi del grande Achille;
+ma caddi in via con la seconda soma.
+
+Al mio ardor fuor seme le faville,
+che mi scaldar, de la divina fiamma
+onde sono allumati più di mille;
+
+de l’Eneïda dico, la qual mamma
+fummi, e fummi nutrice, poetando:
+sanz’ essa non fermai peso di dramma.
+
+E per esser vivuto di là quando
+visse Virgilio, assentirei un sole
+più che non deggio al mio uscir di bando».
+
+Volser Virgilio a me queste parole
+con viso che, tacendo, disse ‘Taci’;
+ma non può tutto la virtù che vuole;
+
+ché riso e pianto son tanto seguaci
+a la passion di che ciascun si spicca,
+che men seguon voler ne’ più veraci.
+
+Io pur sorrisi come l’uom ch’ammicca;
+per che l’ombra si tacque, e riguardommi
+ne li occhi ove ’l sembiante più si ficca;
+
+e «Se tanto labore in bene assommi»,
+disse, «perché la tua faccia testeso
+un lampeggiar di riso dimostrommi?».
+
+Or son io d’una parte e d’altra preso:
+l’una mi fa tacer, l’altra scongiura
+ch’io dica; ond’ io sospiro, e sono inteso
+
+dal mio maestro, e «Non aver paura»,
+mi dice, «di parlar; ma parla e digli
+quel ch’e’ dimanda con cotanta cura».
+
+Ond’ io: «Forse che tu ti maravigli,
+antico spirto, del rider ch’io fei;
+ma più d’ammirazion vo’ che ti pigli.
+
+Questi che guida in alto li occhi miei,
+è quel Virgilio dal qual tu togliesti
+forte a cantar de li uomini e d’i dèi.
+
+Se cagion altra al mio rider credesti,
+lasciala per non vera, ed esser credi
+quelle parole che di lui dicesti».
+
+Già s’inchinava ad abbracciar li piedi
+al mio dottor, ma el li disse: «Frate,
+non far, ché tu se’ ombra e ombra vedi».
+
+Ed ei surgendo: «Or puoi la quantitate
+comprender de l’amor ch’a te mi scalda,
+quand’ io dismento nostra vanitate,
+
+trattando l’ombre come cosa salda».
+
+
+
+
+Purgatorio
+Canto XXII
+
+
+Già era l’angel dietro a noi rimaso,
+l’angel che n’avea vòlti al sesto giro,
+avendomi dal viso un colpo raso;
+
+e quei c’hanno a giustizia lor disiro
+detto n’avea beati, e le sue voci
+con ‘sitiunt’, sanz’ altro, ciò forniro.
+
+E io più lieve che per l’altre foci
+m’andava, sì che sanz’ alcun labore
+seguiva in sù li spiriti veloci;
+
+quando Virgilio incominciò: «Amore,
+acceso di virtù, sempre altro accese,
+pur che la fiamma sua paresse fore;
+
+onde da l’ora che tra noi discese
+nel limbo de lo ’nferno Giovenale,
+che la tua affezion mi fé palese,
+
+mia benvoglienza inverso te fu quale
+più strinse mai di non vista persona,
+sì ch’or mi parran corte queste scale.
+
+Ma dimmi, e come amico mi perdona
+se troppa sicurtà m’allarga il freno,
+e come amico omai meco ragiona:
+
+come poté trovar dentro al tuo seno
+loco avarizia, tra cotanto senno
+di quanto per tua cura fosti pieno?».
+
+Queste parole Stazio mover fenno
+un poco a riso pria; poscia rispuose:
+«Ogne tuo dir d’amor m’è caro cenno.
+
+Veramente più volte appaion cose
+che danno a dubitar falsa matera
+per le vere ragion che son nascose.
+
+La tua dimanda tuo creder m’avvera
+esser ch’i’ fossi avaro in l’altra vita,
+forse per quella cerchia dov’ io era.
+
+Or sappi ch’avarizia fu partita
+troppo da me, e questa dismisura
+migliaia di lunari hanno punita.
+
+E se non fosse ch’io drizzai mia cura,
+quand’ io intesi là dove tu chiame,
+crucciato quasi a l’umana natura:
+
+‘Per che non reggi tu, o sacra fame
+de l’oro, l’appetito de’ mortali?’,
+voltando sentirei le giostre grame.
+
+Allor m’accorsi che troppo aprir l’ali
+potean le mani a spendere, e pente’mi
+così di quel come de li altri mali.
+
+Quanti risurgeran coi crini scemi
+per ignoranza, che di questa pecca
+toglie ’l penter vivendo e ne li stremi!
+
+E sappie che la colpa che rimbecca
+per dritta opposizione alcun peccato,
+con esso insieme qui suo verde secca;
+
+però, s’io son tra quella gente stato
+che piange l’avarizia, per purgarmi,
+per lo contrario suo m’è incontrato».
+
+«Or quando tu cantasti le crude armi
+de la doppia trestizia di Giocasta»,
+disse ’l cantor de’ buccolici carmi,
+
+«per quello che Clïò teco lì tasta,
+non par che ti facesse ancor fedele
+la fede, sanza qual ben far non basta.
+
+Se così è, qual sole o quai candele
+ti stenebraron sì, che tu drizzasti
+poscia di retro al pescator le vele?».
+
+Ed elli a lui: «Tu prima m’invïasti
+verso Parnaso a ber ne le sue grotte,
+e prima appresso Dio m’alluminasti.
+
+Facesti come quei che va di notte,
+che porta il lume dietro e sé non giova,
+ma dopo sé fa le persone dotte,
+
+quando dicesti: ‘Secol si rinova;
+torna giustizia e primo tempo umano,
+e progenïe scende da ciel nova’.
+
+Per te poeta fui, per te cristiano:
+ma perché veggi mei ciò ch’io disegno,
+a colorare stenderò la mano.
+
+Già era ’l mondo tutto quanto pregno
+de la vera credenza, seminata
+per li messaggi de l’etterno regno;
+
+e la parola tua sopra toccata
+si consonava a’ nuovi predicanti;
+ond’ io a visitarli presi usata.
+
+Vennermi poi parendo tanto santi,
+che, quando Domizian li perseguette,
+sanza mio lagrimar non fur lor pianti;
+
+e mentre che di là per me si stette,
+io li sovvenni, e i lor dritti costumi
+fer dispregiare a me tutte altre sette.
+
+E pria ch’io conducessi i Greci a’ fiumi
+di Tebe poetando, ebb’ io battesmo;
+ma per paura chiuso cristian fu’mi,
+
+lungamente mostrando paganesmo;
+e questa tepidezza il quarto cerchio
+cerchiar mi fé più che ’l quarto centesmo.
+
+Tu dunque, che levato hai il coperchio
+che m’ascondeva quanto bene io dico,
+mentre che del salire avem soverchio,
+
+dimmi dov’ è Terrenzio nostro antico,
+Cecilio e Plauto e Varro, se lo sai:
+dimmi se son dannati, e in qual vico».
+
+«Costoro e Persio e io e altri assai»,
+rispuose il duca mio, «siam con quel Greco
+che le Muse lattar più ch’altri mai,
+
+nel primo cinghio del carcere cieco;
+spesse fïate ragioniam del monte
+che sempre ha le nutrice nostre seco.
+
+Euripide v’è nosco e Antifonte,
+Simonide, Agatone e altri piùe
+Greci che già di lauro ornar la fronte.
+
+Quivi si veggion de le genti tue
+Antigone, Deïfile e Argia,
+e Ismene sì trista come fue.
+
+Védeisi quella che mostrò Langia;
+èvvi la figlia di Tiresia, e Teti,
+e con le suore sue Deïdamia».
+
+Tacevansi ambedue già li poeti,
+di novo attenti a riguardar dintorno,
+liberi da saliri e da pareti;
+
+e già le quattro ancelle eran del giorno
+rimase a dietro, e la quinta era al temo,
+drizzando pur in sù l’ardente corno,
+
+quando il mio duca: «Io credo ch’a lo stremo
+le destre spalle volger ne convegna,
+girando il monte come far solemo».
+
+Così l’usanza fu lì nostra insegna,
+e prendemmo la via con men sospetto
+per l’assentir di quell’ anima degna.
+
+Elli givan dinanzi, e io soletto
+di retro, e ascoltava i lor sermoni,
+ch’a poetar mi davano intelletto.
+
+Ma tosto ruppe le dolci ragioni
+un alber che trovammo in mezza strada,
+con pomi a odorar soavi e buoni;
+
+e come abete in alto si digrada
+di ramo in ramo, così quello in giuso,
+cred’ io, perché persona sù non vada.
+
+Dal lato onde ’l cammin nostro era chiuso,
+cadea de l’alta roccia un liquor chiaro
+e si spandeva per le foglie suso.
+
+Li due poeti a l’alber s’appressaro;
+e una voce per entro le fronde
+gridò: «Di questo cibo avrete caro».
+
+Poi disse: «Più pensava Maria onde
+fosser le nozze orrevoli e intere,
+ch’a la sua bocca, ch’or per voi risponde.
+
+E le Romane antiche, per lor bere,
+contente furon d’acqua; e Danïello
+dispregiò cibo e acquistò savere.
+
+Lo secol primo, quant’ oro fu bello,
+fé savorose con fame le ghiande,
+e nettare con sete ogne ruscello.
+
+Mele e locuste furon le vivande
+che nodriro il Batista nel diserto;
+per ch’elli è glorïoso e tanto grande
+
+quanto per lo Vangelio v’è aperto».
+
+
+
+
+Purgatorio
+Canto XXIII
+
+
+Mentre che li occhi per la fronda verde
+ficcava ïo sì come far suole
+chi dietro a li uccellin sua vita perde,
+
+lo più che padre mi dicea: «Figliuole,
+vienne oramai, ché ’l tempo che n’è imposto
+più utilmente compartir si vuole».
+
+Io volsi ’l viso, e ’l passo non men tosto,
+appresso i savi, che parlavan sìe,
+che l’andar mi facean di nullo costo.
+
+Ed ecco piangere e cantar s’udìe
+‘Labïa mëa, Domine’ per modo
+tal, che diletto e doglia parturìe.
+
+«O dolce padre, che è quel ch’i’ odo?»,
+comincia’ io; ed elli: «Ombre che vanno
+forse di lor dover solvendo il nodo».
+
+Sì come i peregrin pensosi fanno,
+giugnendo per cammin gente non nota,
+che si volgono ad essa e non restanno,
+
+così di retro a noi, più tosto mota,
+venendo e trapassando ci ammirava
+d’anime turba tacita e devota.
+
+Ne li occhi era ciascuna oscura e cava,
+palida ne la faccia, e tanto scema
+che da l’ossa la pelle s’informava.
+
+Non credo che così a buccia strema
+Erisittone fosse fatto secco,
+per digiunar, quando più n’ebbe tema.
+
+Io dicea fra me stesso pensando: ‘Ecco
+la gente che perdé Ierusalemme,
+quando Maria nel figlio diè di becco!’
+
+Parean l’occhiaie anella sanza gemme:
+chi nel viso de li uomini legge ‘omo’
+ben avria quivi conosciuta l’emme.
+
+Chi crederebbe che l’odor d’un pomo
+sì governasse, generando brama,
+e quel d’un’acqua, non sappiendo como?
+
+Già era in ammirar che sì li affama,
+per la cagione ancor non manifesta
+di lor magrezza e di lor trista squama,
+
+ed ecco del profondo de la testa
+volse a me li occhi un’ombra e guardò fiso;
+poi gridò forte: «Qual grazia m’è questa?».
+
+Mai non l’avrei riconosciuto al viso;
+ma ne la voce sua mi fu palese
+ciò che l’aspetto in sé avea conquiso.
+
+Questa favilla tutta mi raccese
+mia conoscenza a la cangiata labbia,
+e ravvisai la faccia di Forese.
+
+«Deh, non contendere a l’asciutta scabbia
+che mi scolora», pregava, «la pelle,
+né a difetto di carne ch’io abbia;
+
+ma dimmi il ver di te, dì chi son quelle
+due anime che là ti fanno scorta;
+non rimaner che tu non mi favelle!».
+
+«La faccia tua, ch’io lagrimai già morta,
+mi dà di pianger mo non minor doglia»,
+rispuos’ io lui, «veggendola sì torta.
+
+Però mi dì, per Dio, che sì vi sfoglia;
+non mi far dir mentr’ io mi maraviglio,
+ché mal può dir chi è pien d’altra voglia».
+
+Ed elli a me: «De l’etterno consiglio
+cade vertù ne l’acqua e ne la pianta
+rimasa dietro ond’ io sì m’assottiglio.
+
+Tutta esta gente che piangendo canta
+per seguitar la gola oltra misura,
+in fame e ’n sete qui si rifà santa.
+
+Di bere e di mangiar n’accende cura
+l’odor ch’esce del pomo e de lo sprazzo
+che si distende su per sua verdura.
+
+E non pur una volta, questo spazzo
+girando, si rinfresca nostra pena:
+io dico pena, e dovria dir sollazzo,
+
+ché quella voglia a li alberi ci mena
+che menò Cristo lieto a dire ‘Elì’,
+quando ne liberò con la sua vena».
+
+E io a lui: «Forese, da quel dì
+nel qual mutasti mondo a miglior vita,
+cinqu’ anni non son vòlti infino a qui.
+
+Se prima fu la possa in te finita
+di peccar più, che sovvenisse l’ora
+del buon dolor ch’a Dio ne rimarita,
+
+come se’ tu qua sù venuto ancora?
+Io ti credea trovar là giù di sotto,
+dove tempo per tempo si ristora».
+
+Ond’ elli a me: «Sì tosto m’ha condotto
+a ber lo dolce assenzo d’i martìri
+la Nella mia con suo pianger dirotto.
+
+Con suoi prieghi devoti e con sospiri
+tratto m’ha de la costa ove s’aspetta,
+e liberato m’ha de li altri giri.
+
+Tanto è a Dio più cara e più diletta
+la vedovella mia, che molto amai,
+quanto in bene operare è più soletta;
+
+ché la Barbagia di Sardigna assai
+ne le femmine sue più è pudica
+che la Barbagia dov’ io la lasciai.
+
+O dolce frate, che vuo’ tu ch’io dica?
+Tempo futuro m’è già nel cospetto,
+cui non sarà quest’ ora molto antica,
+
+nel qual sarà in pergamo interdetto
+a le sfacciate donne fiorentine
+l’andar mostrando con le poppe il petto.
+
+Quai barbare fuor mai, quai saracine,
+cui bisognasse, per farle ir coperte,
+o spiritali o altre discipline?
+
+Ma se le svergognate fosser certe
+di quel che ’l ciel veloce loro ammanna,
+già per urlare avrian le bocche aperte;
+
+ché, se l’antiveder qui non m’inganna,
+prima fien triste che le guance impeli
+colui che mo si consola con nanna.
+
+Deh, frate, or fa che più non mi ti celi!
+vedi che non pur io, ma questa gente
+tutta rimira là dove ’l sol veli».
+
+Per ch’io a lui: «Se tu riduci a mente
+qual fosti meco, e qual io teco fui,
+ancor fia grave il memorar presente.
+
+Di quella vita mi volse costui
+che mi va innanzi, l’altr’ ier, quando tonda
+vi si mostrò la suora di colui»,
+
+e ’l sol mostrai; «costui per la profonda
+notte menato m’ha d’i veri morti
+con questa vera carne che ’l seconda.
+
+Indi m’han tratto sù li suoi conforti,
+salendo e rigirando la montagna
+che drizza voi che ’l mondo fece torti.
+
+Tanto dice di farmi sua compagna
+che io sarò là dove fia Beatrice;
+quivi convien che sanza lui rimagna.
+
+Virgilio è questi che così mi dice»,
+e addita’lo; «e quest’ altro è quell’ ombra
+per cuï scosse dianzi ogne pendice
+
+lo vostro regno, che da sé lo sgombra».
+
+
+
+
+Purgatorio
+Canto XXIV
+
+
+Né ’l dir l’andar, né l’andar lui più lento
+facea, ma ragionando andavam forte,
+sì come nave pinta da buon vento;
+
+e l’ombre, che parean cose rimorte,
+per le fosse de li occhi ammirazione
+traean di me, di mio vivere accorte.
+
+E io, continüando al mio sermone,
+dissi: «Ella sen va sù forse più tarda
+che non farebbe, per altrui cagione.
+
+Ma dimmi, se tu sai, dov’ è Piccarda;
+dimmi s’io veggio da notar persona
+tra questa gente che sì mi riguarda».
+
+«La mia sorella, che tra bella e buona
+non so qual fosse più, trïunfa lieta
+ne l’alto Olimpo già di sua corona».
+
+Sì disse prima; e poi: «Qui non si vieta
+di nominar ciascun, da ch’è sì munta
+nostra sembianza via per la dïeta.
+
+Questi», e mostrò col dito, «è Bonagiunta,
+Bonagiunta da Lucca; e quella faccia
+di là da lui più che l’altre trapunta
+
+ebbe la Santa Chiesa in le sue braccia:
+dal Torso fu, e purga per digiuno
+l’anguille di Bolsena e la vernaccia».
+
+Molti altri mi nomò ad uno ad uno;
+e del nomar parean tutti contenti,
+sì ch’io però non vidi un atto bruno.
+
+Vidi per fame a vòto usar li denti
+Ubaldin da la Pila e Bonifazio
+che pasturò col rocco molte genti.
+
+Vidi messer Marchese, ch’ebbe spazio
+già di bere a Forlì con men secchezza,
+e sì fu tal, che non si sentì sazio.
+
+Ma come fa chi guarda e poi s’apprezza
+più d’un che d’altro, fei a quel da Lucca,
+che più parea di me aver contezza.
+
+El mormorava; e non so che «Gentucca»
+sentiv’ io là, ov’ el sentia la piaga
+de la giustizia che sì li pilucca.
+
+«O anima», diss’ io, «che par sì vaga
+di parlar meco, fa sì ch’io t’intenda,
+e te e me col tuo parlare appaga».
+
+«Femmina è nata, e non porta ancor benda»,
+cominciò el, «che ti farà piacere
+la mia città, come ch’om la riprenda.
+
+Tu te n’andrai con questo antivedere:
+se nel mio mormorar prendesti errore,
+dichiareranti ancor le cose vere.
+
+Ma dì s’i’ veggio qui colui che fore
+trasse le nove rime, cominciando
+‘Donne ch’avete intelletto d’amore’».
+
+E io a lui: «I’ mi son un che, quando
+Amor mi spira, noto, e a quel modo
+ch’e’ ditta dentro vo significando».
+
+«O frate, issa vegg’ io», diss’ elli, «il nodo
+che ’l Notaro e Guittone e me ritenne
+di qua dal dolce stil novo ch’i’ odo!
+
+Io veggio ben come le vostre penne
+di retro al dittator sen vanno strette,
+che de le nostre certo non avvenne;
+
+e qual più a gradire oltre si mette,
+non vede più da l’uno a l’altro stilo»;
+e, quasi contentato, si tacette.
+
+Come li augei che vernan lungo ’l Nilo,
+alcuna volta in aere fanno schiera,
+poi volan più a fretta e vanno in filo,
+
+così tutta la gente che lì era,
+volgendo ’l viso, raffrettò suo passo,
+e per magrezza e per voler leggera.
+
+E come l’uom che di trottare è lasso,
+lascia andar li compagni, e sì passeggia
+fin che si sfoghi l’affollar del casso,
+
+sì lasciò trapassar la santa greggia
+Forese, e dietro meco sen veniva,
+dicendo: «Quando fia ch’io ti riveggia?».
+
+«Non so», rispuos’ io lui, «quant’ io mi viva;
+ma già non fïa il tornar mio tantosto,
+ch’io non sia col voler prima a la riva;
+
+però che ’l loco u’ fui a viver posto,
+di giorno in giorno più di ben si spolpa,
+e a trista ruina par disposto».
+
+«Or va», diss’ el; «che quei che più n’ha colpa,
+vegg’ ïo a coda d’una bestia tratto
+inver’ la valle ove mai non si scolpa.
+
+La bestia ad ogne passo va più ratto,
+crescendo sempre, fin ch’ella il percuote,
+e lascia il corpo vilmente disfatto.
+
+Non hanno molto a volger quelle ruote»,
+e drizzò li occhi al ciel, «che ti fia chiaro
+ciò che ’l mio dir più dichiarar non puote.
+
+Tu ti rimani omai; ché ’l tempo è caro
+in questo regno, sì ch’io perdo troppo
+venendo teco sì a paro a paro».
+
+Qual esce alcuna volta di gualoppo
+lo cavalier di schiera che cavalchi,
+e va per farsi onor del primo intoppo,
+
+tal si partì da noi con maggior valchi;
+e io rimasi in via con esso i due
+che fuor del mondo sì gran marescalchi.
+
+E quando innanzi a noi intrato fue,
+che li occhi miei si fero a lui seguaci,
+come la mente a le parole sue,
+
+parvermi i rami gravidi e vivaci
+d’un altro pomo, e non molto lontani
+per esser pur allora vòlto in laci.
+
+Vidi gente sott’ esso alzar le mani
+e gridar non so che verso le fronde,
+quasi bramosi fantolini e vani
+
+che pregano, e ’l pregato non risponde,
+ma, per fare esser ben la voglia acuta,
+tien alto lor disio e nol nasconde.
+
+Poi si partì sì come ricreduta;
+e noi venimmo al grande arbore adesso,
+che tanti prieghi e lagrime rifiuta.
+
+«Trapassate oltre sanza farvi presso:
+legno è più sù che fu morso da Eva,
+e questa pianta si levò da esso».
+
+Sì tra le frasche non so chi diceva;
+per che Virgilio e Stazio e io, ristretti,
+oltre andavam dal lato che si leva.
+
+«Ricordivi», dicea, «d’i maladetti
+nei nuvoli formati, che, satolli,
+Tesëo combatter co’ doppi petti;
+
+e de li Ebrei ch’al ber si mostrar molli,
+per che no i volle Gedeon compagni,
+quando inver’ Madïan discese i colli».
+
+Sì accostati a l’un d’i due vivagni
+passammo, udendo colpe de la gola
+seguite già da miseri guadagni.
+
+Poi, rallargati per la strada sola,
+ben mille passi e più ci portar oltre,
+contemplando ciascun sanza parola.
+
+«Che andate pensando sì voi sol tre?».
+sùbita voce disse; ond’ io mi scossi
+come fan bestie spaventate e poltre.
+
+Drizzai la testa per veder chi fossi;
+e già mai non si videro in fornace
+vetri o metalli sì lucenti e rossi,
+
+com’ io vidi un che dicea: «S’a voi piace
+montare in sù, qui si convien dar volta;
+quinci si va chi vuole andar per pace».
+
+L’aspetto suo m’avea la vista tolta;
+per ch’io mi volsi dietro a’ miei dottori,
+com’ om che va secondo ch’elli ascolta.
+
+E quale, annunziatrice de li albori,
+l’aura di maggio movesi e olezza,
+tutta impregnata da l’erba e da’ fiori;
+
+tal mi senti’ un vento dar per mezza
+la fronte, e ben senti’ mover la piuma,
+che fé sentir d’ambrosïa l’orezza.
+
+E senti’ dir: «Beati cui alluma
+tanto di grazia, che l’amor del gusto
+nel petto lor troppo disir non fuma,
+
+esurïendo sempre quanto è giusto!».
+
+
+
+
+Purgatorio
+Canto XXV
+
+
+Ora era onde ’l salir non volea storpio;
+ché ’l sole avëa il cerchio di merigge
+lasciato al Tauro e la notte a lo Scorpio:
+
+per che, come fa l’uom che non s’affigge
+ma vassi a la via sua, che che li appaia,
+se di bisogno stimolo il trafigge,
+
+così intrammo noi per la callaia,
+uno innanzi altro prendendo la scala
+che per artezza i salitor dispaia.
+
+E quale il cicognin che leva l’ala
+per voglia di volare, e non s’attenta
+d’abbandonar lo nido, e giù la cala;
+
+tal era io con voglia accesa e spenta
+di dimandar, venendo infino a l’atto
+che fa colui ch’a dicer s’argomenta.
+
+Non lasciò, per l’andar che fosse ratto,
+lo dolce padre mio, ma disse: «Scocca
+l’arco del dir, che ’nfino al ferro hai tratto».
+
+Allor sicuramente apri’ la bocca
+e cominciai: «Come si può far magro
+là dove l’uopo di nodrir non tocca?».
+
+«Se t’ammentassi come Meleagro
+si consumò al consumar d’un stizzo,
+non fora», disse, «a te questo sì agro;
+
+e se pensassi come, al vostro guizzo,
+guizza dentro a lo specchio vostra image,
+ciò che par duro ti parrebbe vizzo.
+
+Ma perché dentro a tuo voler t’adage,
+ecco qui Stazio; e io lui chiamo e prego
+che sia or sanator de le tue piage».
+
+«Se la veduta etterna li dislego»,
+rispuose Stazio, «là dove tu sie,
+discolpi me non potert’ io far nego».
+
+Poi cominciò: «Se le parole mie,
+figlio, la mente tua guarda e riceve,
+lume ti fiero al come che tu die.
+
+Sangue perfetto, che poi non si beve
+da l’assetate vene, e si rimane
+quasi alimento che di mensa leve,
+
+prende nel core a tutte membra umane
+virtute informativa, come quello
+ch’a farsi quelle per le vene vane.
+
+Ancor digesto, scende ov’ è più bello
+tacer che dire; e quindi poscia geme
+sovr’ altrui sangue in natural vasello.
+
+Ivi s’accoglie l’uno e l’altro insieme,
+l’un disposto a patire, e l’altro a fare
+per lo perfetto loco onde si preme;
+
+e, giunto lui, comincia ad operare
+coagulando prima, e poi avviva
+ciò che per sua matera fé constare.
+
+Anima fatta la virtute attiva
+qual d’una pianta, in tanto differente,
+che questa è in via e quella è già a riva,
+
+tanto ovra poi, che già si move e sente,
+come spungo marino; e indi imprende
+ad organar le posse ond’ è semente.
+
+Or si spiega, figliuolo, or si distende
+la virtù ch’è dal cor del generante,
+dove natura a tutte membra intende.
+
+Ma come d’animal divegna fante,
+non vedi tu ancor: quest’ è tal punto,
+che più savio di te fé già errante,
+
+sì che per sua dottrina fé disgiunto
+da l’anima il possibile intelletto,
+perché da lui non vide organo assunto.
+
+Apri a la verità che viene il petto;
+e sappi che, sì tosto come al feto
+l’articular del cerebro è perfetto,
+
+lo motor primo a lui si volge lieto
+sovra tant’ arte di natura, e spira
+spirito novo, di vertù repleto,
+
+che ciò che trova attivo quivi, tira
+in sua sustanzia, e fassi un’alma sola,
+che vive e sente e sé in sé rigira.
+
+E perché meno ammiri la parola,
+guarda il calor del sole che si fa vino,
+giunto a l’omor che de la vite cola.
+
+Quando Làchesis non ha più del lino,
+solvesi da la carne, e in virtute
+ne porta seco e l’umano e ’l divino:
+
+l’altre potenze tutte quante mute;
+memoria, intelligenza e volontade
+in atto molto più che prima agute.
+
+Sanza restarsi, per sé stessa cade
+mirabilmente a l’una de le rive;
+quivi conosce prima le sue strade.
+
+Tosto che loco lì la circunscrive,
+la virtù formativa raggia intorno
+così e quanto ne le membra vive.
+
+E come l’aere, quand’ è ben pïorno,
+per l’altrui raggio che ’n sé si reflette,
+di diversi color diventa addorno;
+
+così l’aere vicin quivi si mette
+e in quella forma ch’è in lui suggella
+virtüalmente l’alma che ristette;
+
+e simigliante poi a la fiammella
+che segue il foco là ’vunque si muta,
+segue lo spirto sua forma novella.
+
+Però che quindi ha poscia sua paruta,
+è chiamata ombra; e quindi organa poi
+ciascun sentire infino a la veduta.
+
+Quindi parliamo e quindi ridiam noi;
+quindi facciam le lagrime e ’ sospiri
+che per lo monte aver sentiti puoi.
+
+Secondo che ci affliggono i disiri
+e li altri affetti, l’ombra si figura;
+e quest’ è la cagion di che tu miri».
+
+E già venuto a l’ultima tortura
+s’era per noi, e vòlto a la man destra,
+ed eravamo attenti ad altra cura.
+
+Quivi la ripa fiamma in fuor balestra,
+e la cornice spira fiato in suso
+che la reflette e via da lei sequestra;
+
+ond’ ir ne convenia dal lato schiuso
+ad uno ad uno; e io temëa ’l foco
+quinci, e quindi temeva cader giuso.
+
+Lo duca mio dicea: «Per questo loco
+si vuol tenere a li occhi stretto il freno,
+però ch’errar potrebbesi per poco».
+
+‘Summae Deus clementïae’ nel seno
+al grande ardore allora udi’ cantando,
+che di volger mi fé caler non meno;
+
+e vidi spirti per la fiamma andando;
+per ch’io guardava a loro e a’ miei passi
+compartendo la vista a quando a quando.
+
+Appresso il fine ch’a quell’ inno fassi,
+gridavano alto: ‘Virum non cognosco’;
+indi ricominciavan l’inno bassi.
+
+Finitolo, anco gridavano: «Al bosco
+si tenne Diana, ed Elice caccionne
+che di Venere avea sentito il tòsco».
+
+Indi al cantar tornavano; indi donne
+gridavano e mariti che fuor casti
+come virtute e matrimonio imponne.
+
+E questo modo credo che lor basti
+per tutto il tempo che ’l foco li abbruscia:
+con tal cura conviene e con tai pasti
+
+che la piaga da sezzo si ricuscia.
+
+
+
+
+Purgatorio
+Canto XXVI
+
+
+Mentre che sì per l’orlo, uno innanzi altro,
+ce n’andavamo, e spesso il buon maestro
+diceami: «Guarda: giovi ch’io ti scaltro»;
+
+feriami il sole in su l’omero destro,
+che già, raggiando, tutto l’occidente
+mutava in bianco aspetto di cilestro;
+
+e io facea con l’ombra più rovente
+parer la fiamma; e pur a tanto indizio
+vidi molt’ ombre, andando, poner mente.
+
+Questa fu la cagion che diede inizio
+loro a parlar di me; e cominciarsi
+a dir: «Colui non par corpo fittizio»;
+
+poi verso me, quanto potëan farsi,
+certi si fero, sempre con riguardo
+di non uscir dove non fosser arsi.
+
+«O tu che vai, non per esser più tardo,
+ma forse reverente, a li altri dopo,
+rispondi a me che ’n sete e ’n foco ardo.
+
+Né solo a me la tua risposta è uopo;
+ché tutti questi n’hanno maggior sete
+che d’acqua fredda Indo o Etïopo.
+
+Dinne com’ è che fai di te parete
+al sol, pur come tu non fossi ancora
+di morte intrato dentro da la rete».
+
+Sì mi parlava un d’essi; e io mi fora
+già manifesto, s’io non fossi atteso
+ad altra novità ch’apparve allora;
+
+ché per lo mezzo del cammino acceso
+venne gente col viso incontro a questa,
+la qual mi fece a rimirar sospeso.
+
+Lì veggio d’ogne parte farsi presta
+ciascun’ ombra e basciarsi una con una
+sanza restar, contente a brieve festa;
+
+così per entro loro schiera bruna
+s’ammusa l’una con l’altra formica,
+forse a spïar lor via e lor fortuna.
+
+Tosto che parton l’accoglienza amica,
+prima che ’l primo passo lì trascorra,
+sopragridar ciascuna s’affatica:
+
+la nova gente: «Soddoma e Gomorra»;
+e l’altra: «Ne la vacca entra Pasife,
+perché ’l torello a sua lussuria corra».
+
+Poi, come grue ch’a le montagne Rife
+volasser parte, e parte inver’ l’arene,
+queste del gel, quelle del sole schife,
+
+l’una gente sen va, l’altra sen vene;
+e tornan, lagrimando, a’ primi canti
+e al gridar che più lor si convene;
+
+e raccostansi a me, come davanti,
+essi medesmi che m’avean pregato,
+attenti ad ascoltar ne’ lor sembianti.
+
+Io, che due volte avea visto lor grato,
+incominciai: «O anime sicure
+d’aver, quando che sia, di pace stato,
+
+non son rimase acerbe né mature
+le membra mie di là, ma son qui meco
+col sangue suo e con le sue giunture.
+
+Quinci sù vo per non esser più cieco;
+donna è di sopra che m’acquista grazia,
+per che ’l mortal per vostro mondo reco.
+
+Ma se la vostra maggior voglia sazia
+tosto divegna, sì che ’l ciel v’alberghi
+ch’è pien d’amore e più ampio si spazia,
+
+ditemi, acciò ch’ancor carte ne verghi,
+chi siete voi, e chi è quella turba
+che se ne va di retro a’ vostri terghi».
+
+Non altrimenti stupido si turba
+lo montanaro, e rimirando ammuta,
+quando rozzo e salvatico s’inurba,
+
+che ciascun’ ombra fece in sua paruta;
+ma poi che furon di stupore scarche,
+lo qual ne li alti cuor tosto s’attuta,
+
+«Beato te, che de le nostre marche»,
+ricominciò colei che pria m’inchiese,
+«per morir meglio, esperïenza imbarche!
+
+La gente che non vien con noi, offese
+di ciò per che già Cesar, trïunfando,
+“Regina” contra sé chiamar s’intese:
+
+però si parton “Soddoma” gridando,
+rimproverando a sé com’ hai udito,
+e aiutan l’arsura vergognando.
+
+Nostro peccato fu ermafrodito;
+ma perché non servammo umana legge,
+seguendo come bestie l’appetito,
+
+in obbrobrio di noi, per noi si legge,
+quando partinci, il nome di colei
+che s’imbestiò ne le ’mbestiate schegge.
+
+Or sai nostri atti e di che fummo rei:
+se forse a nome vuo’ saper chi semo,
+tempo non è di dire, e non saprei.
+
+Farotti ben di me volere scemo:
+son Guido Guinizzelli, e già mi purgo
+per ben dolermi prima ch’a lo stremo».
+
+Quali ne la tristizia di Ligurgo
+si fer due figli a riveder la madre,
+tal mi fec’ io, ma non a tanto insurgo,
+
+quand’ io odo nomar sé stesso il padre
+mio e de li altri miei miglior che mai
+rime d’amore usar dolci e leggiadre;
+
+e sanza udire e dir pensoso andai
+lunga fïata rimirando lui,
+né, per lo foco, in là più m’appressai.
+
+Poi che di riguardar pasciuto fui,
+tutto m’offersi pronto al suo servigio
+con l’affermar che fa credere altrui.
+
+Ed elli a me: «Tu lasci tal vestigio,
+per quel ch’i’ odo, in me, e tanto chiaro,
+che Letè nol può tòrre né far bigio.
+
+Ma se le tue parole or ver giuraro,
+dimmi che è cagion per che dimostri
+nel dire e nel guardar d’avermi caro».
+
+E io a lui: «Li dolci detti vostri,
+che, quanto durerà l’uso moderno,
+faranno cari ancora i loro incostri».
+
+«O frate», disse, «questi ch’io ti cerno
+col dito», e additò un spirto innanzi,
+«fu miglior fabbro del parlar materno.
+
+Versi d’amore e prose di romanzi
+soverchiò tutti; e lascia dir li stolti
+che quel di Lemosì credon ch’avanzi.
+
+A voce più ch’al ver drizzan li volti,
+e così ferman sua oppinïone
+prima ch’arte o ragion per lor s’ascolti.
+
+Così fer molti antichi di Guittone,
+di grido in grido pur lui dando pregio,
+fin che l’ha vinto il ver con più persone.
+
+Or se tu hai sì ampio privilegio,
+che licito ti sia l’andare al chiostro
+nel quale è Cristo abate del collegio,
+
+falli per me un dir d’un paternostro,
+quanto bisogna a noi di questo mondo,
+dove poter peccar non è più nostro».
+
+Poi, forse per dar luogo altrui secondo
+che presso avea, disparve per lo foco,
+come per l’acqua il pesce andando al fondo.
+
+Io mi fei al mostrato innanzi un poco,
+e dissi ch’al suo nome il mio disire
+apparecchiava grazïoso loco.
+
+El cominciò liberamente a dire:
+«Tan m’abellis vostre cortes deman,
+qu’ieu no me puesc ni voill a vos cobrire.
+
+Ieu sui Arnaut, que plor e vau cantan;
+consiros vei la passada folor,
+e vei jausen lo joi qu’esper, denan.
+
+Ara vos prec, per aquella valor
+que vos guida al som de l’escalina,
+sovenha vos a temps de ma dolor!».
+
+Poi s’ascose nel foco che li affina.
+
+
+
+
+Purgatorio
+Canto XXVII
+
+
+Sì come quando i primi raggi vibra
+là dove il suo fattor lo sangue sparse,
+cadendo Ibero sotto l’alta Libra,
+
+e l’onde in Gange da nona rïarse,
+sì stava il sole; onde ’l giorno sen giva,
+come l’angel di Dio lieto ci apparse.
+
+Fuor de la fiamma stava in su la riva,
+e cantava ‘Beati mundo corde!’
+in voce assai più che la nostra viva.
+
+Poscia «Più non si va, se pria non morde,
+anime sante, il foco: intrate in esso,
+e al cantar di là non siate sorde»,
+
+ci disse come noi li fummo presso;
+per ch’io divenni tal, quando lo ’ntesi,
+qual è colui che ne la fossa è messo.
+
+In su le man commesse mi protesi,
+guardando il foco e imaginando forte
+umani corpi già veduti accesi.
+
+Volsersi verso me le buone scorte;
+e Virgilio mi disse: «Figliuol mio,
+qui può esser tormento, ma non morte.
+
+Ricorditi, ricorditi! E se io
+sovresso Gerïon ti guidai salvo,
+che farò ora presso più a Dio?
+
+Credi per certo che se dentro a l’alvo
+di questa fiamma stessi ben mille anni,
+non ti potrebbe far d’un capel calvo.
+
+E se tu forse credi ch’io t’inganni,
+fatti ver’ lei, e fatti far credenza
+con le tue mani al lembo d’i tuoi panni.
+
+Pon giù omai, pon giù ogne temenza;
+volgiti in qua e vieni: entra sicuro!».
+E io pur fermo e contra coscïenza.
+
+Quando mi vide star pur fermo e duro,
+turbato un poco disse: «Or vedi, figlio:
+tra Bëatrice e te è questo muro».
+
+Come al nome di Tisbe aperse il ciglio
+Piramo in su la morte, e riguardolla,
+allor che ’l gelso diventò vermiglio;
+
+così, la mia durezza fatta solla,
+mi volsi al savio duca, udendo il nome
+che ne la mente sempre mi rampolla.
+
+Ond’ ei crollò la fronte e disse: «Come!
+volenci star di qua?»; indi sorrise
+come al fanciul si fa ch’è vinto al pome.
+
+Poi dentro al foco innanzi mi si mise,
+pregando Stazio che venisse retro,
+che pria per lunga strada ci divise.
+
+Sì com’ fui dentro, in un bogliente vetro
+gittato mi sarei per rinfrescarmi,
+tant’ era ivi lo ’ncendio sanza metro.
+
+Lo dolce padre mio, per confortarmi,
+pur di Beatrice ragionando andava,
+dicendo: «Li occhi suoi già veder parmi».
+
+Guidavaci una voce che cantava
+di là; e noi, attenti pur a lei,
+venimmo fuor là ove si montava.
+
+‘Venite, benedicti Patris mei’,
+sonò dentro a un lume che lì era,
+tal che mi vinse e guardar nol potei.
+
+«Lo sol sen va», soggiunse, «e vien la sera;
+non v’arrestate, ma studiate il passo,
+mentre che l’occidente non si annera».
+
+Dritta salia la via per entro ’l sasso
+verso tal parte ch’io toglieva i raggi
+dinanzi a me del sol ch’era già basso.
+
+E di pochi scaglion levammo i saggi,
+che ’l sol corcar, per l’ombra che si spense,
+sentimmo dietro e io e li miei saggi.
+
+E pria che ’n tutte le sue parti immense
+fosse orizzonte fatto d’uno aspetto,
+e notte avesse tutte sue dispense,
+
+ciascun di noi d’un grado fece letto;
+ché la natura del monte ci affranse
+la possa del salir più e ’l diletto.
+
+Quali si stanno ruminando manse
+le capre, state rapide e proterve
+sovra le cime avante che sien pranse,
+
+tacite a l’ombra, mentre che ’l sol ferve,
+guardate dal pastor, che ’n su la verga
+poggiato s’è e lor di posa serve;
+
+e quale il mandrïan che fori alberga,
+lungo il pecuglio suo queto pernotta,
+guardando perché fiera non lo sperga;
+
+tali eravamo tutti e tre allotta,
+io come capra, ed ei come pastori,
+fasciati quinci e quindi d’alta grotta.
+
+Poco parer potea lì del di fori;
+ma, per quel poco, vedea io le stelle
+di lor solere e più chiare e maggiori.
+
+Sì ruminando e sì mirando in quelle,
+mi prese il sonno; il sonno che sovente,
+anzi che ’l fatto sia, sa le novelle.
+
+Ne l’ora, credo, che de l’orïente
+prima raggiò nel monte Citerea,
+che di foco d’amor par sempre ardente,
+
+giovane e bella in sogno mi parea
+donna vedere andar per una landa
+cogliendo fiori; e cantando dicea:
+
+«Sappia qualunque il mio nome dimanda
+ch’i’ mi son Lia, e vo movendo intorno
+le belle mani a farmi una ghirlanda.
+
+Per piacermi a lo specchio, qui m’addorno;
+ma mia suora Rachel mai non si smaga
+dal suo miraglio, e siede tutto giorno.
+
+Ell’ è d’i suoi belli occhi veder vaga
+com’ io de l’addornarmi con le mani;
+lei lo vedere, e me l’ovrare appaga».
+
+E già per li splendori antelucani,
+che tanto a’ pellegrin surgon più grati,
+quanto, tornando, albergan men lontani,
+
+le tenebre fuggian da tutti lati,
+e ’l sonno mio con esse; ond’ io leva’mi,
+veggendo i gran maestri già levati.
+
+«Quel dolce pome che per tanti rami
+cercando va la cura de’ mortali,
+oggi porrà in pace le tue fami».
+
+Virgilio inverso me queste cotali
+parole usò; e mai non furo strenne
+che fosser di piacere a queste iguali.
+
+Tanto voler sopra voler mi venne
+de l’esser sù, ch’ad ogne passo poi
+al volo mi sentia crescer le penne.
+
+Come la scala tutta sotto noi
+fu corsa e fummo in su ’l grado superno,
+in me ficcò Virgilio li occhi suoi,
+
+e disse: «Il temporal foco e l’etterno
+veduto hai, figlio; e se’ venuto in parte
+dov’ io per me più oltre non discerno.
+
+Tratto t’ho qui con ingegno e con arte;
+lo tuo piacere omai prendi per duce;
+fuor se’ de l’erte vie, fuor se’ de l’arte.
+
+Vedi lo sol che ’n fronte ti riluce;
+vedi l’erbette, i fiori e li arbuscelli
+che qui la terra sol da sé produce.
+
+Mentre che vegnan lieti li occhi belli
+che, lagrimando, a te venir mi fenno,
+seder ti puoi e puoi andar tra elli.
+
+Non aspettar mio dir più né mio cenno;
+libero, dritto e sano è tuo arbitrio,
+e fallo fora non fare a suo senno:
+
+per ch’io te sovra te corono e mitrio».
+
+
+
+
+Purgatorio
+Canto XXVIII
+
+
+Vago già di cercar dentro e dintorno
+la divina foresta spessa e viva,
+ch’a li occhi temperava il novo giorno,
+
+sanza più aspettar, lasciai la riva,
+prendendo la campagna lento lento
+su per lo suol che d’ogne parte auliva.
+
+Un’aura dolce, sanza mutamento
+avere in sé, mi feria per la fronte
+non di più colpo che soave vento;
+
+per cui le fronde, tremolando, pronte
+tutte quante piegavano a la parte
+u’ la prim’ ombra gitta il santo monte;
+
+non però dal loro esser dritto sparte
+tanto, che li augelletti per le cime
+lasciasser d’operare ogne lor arte;
+
+ma con piena letizia l’ore prime,
+cantando, ricevieno intra le foglie,
+che tenevan bordone a le sue rime,
+
+tal qual di ramo in ramo si raccoglie
+per la pineta in su ’l lito di Chiassi,
+quand’ Ëolo scilocco fuor discioglie.
+
+Già m’avean trasportato i lenti passi
+dentro a la selva antica tanto, ch’io
+non potea rivedere ond’ io mi ’ntrassi;
+
+ed ecco più andar mi tolse un rio,
+che ’nver’ sinistra con sue picciole onde
+piegava l’erba che ’n sua ripa uscìo.
+
+Tutte l’acque che son di qua più monde,
+parrieno avere in sé mistura alcuna
+verso di quella, che nulla nasconde,
+
+avvegna che si mova bruna bruna
+sotto l’ombra perpetüa, che mai
+raggiar non lascia sole ivi né luna.
+
+Coi piè ristetti e con li occhi passai
+di là dal fiumicello, per mirare
+la gran varïazion d’i freschi mai;
+
+e là m’apparve, sì com’ elli appare
+subitamente cosa che disvia
+per maraviglia tutto altro pensare,
+
+una donna soletta che si gia
+e cantando e scegliendo fior da fiore
+ond’ era pinta tutta la sua via.
+
+«Deh, bella donna, che a’ raggi d’amore
+ti scaldi, s’i’ vo’ credere a’ sembianti
+che soglion esser testimon del core,
+
+vegnati in voglia di trarreti avanti»,
+diss’ io a lei, «verso questa rivera,
+tanto ch’io possa intender che tu canti.
+
+Tu mi fai rimembrar dove e qual era
+Proserpina nel tempo che perdette
+la madre lei, ed ella primavera».
+
+Come si volge, con le piante strette
+a terra e intra sé, donna che balli,
+e piede innanzi piede a pena mette,
+
+volsesi in su i vermigli e in su i gialli
+fioretti verso me, non altrimenti
+che vergine che li occhi onesti avvalli;
+
+e fece i prieghi miei esser contenti,
+sì appressando sé, che ’l dolce suono
+veniva a me co’ suoi intendimenti.
+
+Tosto che fu là dove l’erbe sono
+bagnate già da l’onde del bel fiume,
+di levar li occhi suoi mi fece dono.
+
+Non credo che splendesse tanto lume
+sotto le ciglia a Venere, trafitta
+dal figlio fuor di tutto suo costume.
+
+Ella ridea da l’altra riva dritta,
+trattando più color con le sue mani,
+che l’alta terra sanza seme gitta.
+
+Tre passi ci facea il fiume lontani;
+ma Elesponto, là ’ve passò Serse,
+ancora freno a tutti orgogli umani,
+
+più odio da Leandro non sofferse
+per mareggiare intra Sesto e Abido,
+che quel da me perch’ allor non s’aperse.
+
+«Voi siete nuovi, e forse perch’ io rido»,
+cominciò ella, «in questo luogo eletto
+a l’umana natura per suo nido,
+
+maravigliando tienvi alcun sospetto;
+ma luce rende il salmo Delectasti,
+che puote disnebbiar vostro intelletto.
+
+E tu che se’ dinanzi e mi pregasti,
+dì s’altro vuoli udir; ch’i’ venni presta
+ad ogne tua question tanto che basti».
+
+«L’acqua», diss’ io, «e ’l suon de la foresta
+impugnan dentro a me novella fede
+di cosa ch’io udi’ contraria a questa».
+
+Ond’ ella: «Io dicerò come procede
+per sua cagion ciò ch’ammirar ti face,
+e purgherò la nebbia che ti fiede.
+
+Lo sommo Ben, che solo esso a sé piace,
+fé l’uom buono e a bene, e questo loco
+diede per arr’ a lui d’etterna pace.
+
+Per sua difalta qui dimorò poco;
+per sua difalta in pianto e in affanno
+cambiò onesto riso e dolce gioco.
+
+Perché ’l turbar che sotto da sé fanno
+l’essalazion de l’acqua e de la terra,
+che quanto posson dietro al calor vanno,
+
+a l’uomo non facesse alcuna guerra,
+questo monte salìo verso ’l ciel tanto,
+e libero n’è d’indi ove si serra.
+
+Or perché in circuito tutto quanto
+l’aere si volge con la prima volta,
+se non li è rotto il cerchio d’alcun canto,
+
+in questa altezza ch’è tutta disciolta
+ne l’aere vivo, tal moto percuote,
+e fa sonar la selva perch’ è folta;
+
+e la percossa pianta tanto puote,
+che de la sua virtute l’aura impregna
+e quella poi, girando, intorno scuote;
+
+e l’altra terra, secondo ch’è degna
+per sé e per suo ciel, concepe e figlia
+di diverse virtù diverse legna.
+
+Non parrebbe di là poi maraviglia,
+udito questo, quando alcuna pianta
+sanza seme palese vi s’appiglia.
+
+E saper dei che la campagna santa
+dove tu se’, d’ogne semenza è piena,
+e frutto ha in sé che di là non si schianta.
+
+L’acqua che vedi non surge di vena
+che ristori vapor che gel converta,
+come fiume ch’acquista e perde lena;
+
+ma esce di fontana salda e certa,
+che tanto dal voler di Dio riprende,
+quant’ ella versa da due parti aperta.
+
+Da questa parte con virtù discende
+che toglie altrui memoria del peccato;
+da l’altra d’ogne ben fatto la rende.
+
+Quinci Letè; così da l’altro lato
+Eünoè si chiama, e non adopra
+se quinci e quindi pria non è gustato:
+
+a tutti altri sapori esto è di sopra.
+E avvegna ch’assai possa esser sazia
+la sete tua perch’ io più non ti scuopra,
+
+darotti un corollario ancor per grazia;
+né credo che ’l mio dir ti sia men caro,
+se oltre promession teco si spazia.
+
+Quelli ch’anticamente poetaro
+l’età de l’oro e suo stato felice,
+forse in Parnaso esto loco sognaro.
+
+Qui fu innocente l’umana radice;
+qui primavera sempre e ogne frutto;
+nettare è questo di che ciascun dice».
+
+Io mi rivolsi ’n dietro allora tutto
+a’ miei poeti, e vidi che con riso
+udito avëan l’ultimo costrutto;
+
+poi a la bella donna torna’ il viso.
+
+
+
+
+Purgatorio
+Canto XXIX
+
+
+Cantando come donna innamorata,
+continüò col fin di sue parole:
+‘Beati quorum tecta sunt peccata!’.
+
+E come ninfe che si givan sole
+per le salvatiche ombre, disïando
+qual di veder, qual di fuggir lo sole,
+
+allor si mosse contra ’l fiume, andando
+su per la riva; e io pari di lei,
+picciol passo con picciol seguitando.
+
+Non eran cento tra ’ suoi passi e ’ miei,
+quando le ripe igualmente dier volta,
+per modo ch’a levante mi rendei.
+
+Né ancor fu così nostra via molta,
+quando la donna tutta a me si torse,
+dicendo: «Frate mio, guarda e ascolta».
+
+Ed ecco un lustro sùbito trascorse
+da tutte parti per la gran foresta,
+tal che di balenar mi mise in forse.
+
+Ma perché ’l balenar, come vien, resta,
+e quel, durando, più e più splendeva,
+nel mio pensier dicea: ‘Che cosa è questa?’.
+
+E una melodia dolce correva
+per l’aere luminoso; onde buon zelo
+mi fé riprender l’ardimento d’Eva,
+
+che là dove ubidia la terra e ’l cielo,
+femmina, sola e pur testé formata,
+non sofferse di star sotto alcun velo;
+
+sotto ’l qual se divota fosse stata,
+avrei quelle ineffabili delizie
+sentite prima e più lunga fïata.
+
+Mentr’ io m’andava tra tante primizie
+de l’etterno piacer tutto sospeso,
+e disïoso ancora a più letizie,
+
+dinanzi a noi, tal quale un foco acceso,
+ci si fé l’aere sotto i verdi rami;
+e ’l dolce suon per canti era già inteso.
+
+O sacrosante Vergini, se fami,
+freddi o vigilie mai per voi soffersi,
+cagion mi sprona ch’io mercé vi chiami.
+
+Or convien che Elicona per me versi,
+e Uranìe m’aiuti col suo coro
+forti cose a pensar mettere in versi.
+
+Poco più oltre, sette alberi d’oro
+falsava nel parere il lungo tratto
+del mezzo ch’era ancor tra noi e loro;
+
+ma quand’ i’ fui sì presso di lor fatto,
+che l’obietto comun, che ’l senso inganna,
+non perdea per distanza alcun suo atto,
+
+la virtù ch’a ragion discorso ammanna,
+sì com’ elli eran candelabri apprese,
+e ne le voci del cantare ‘Osanna’.
+
+Di sopra fiammeggiava il bello arnese
+più chiaro assai che luna per sereno
+di mezza notte nel suo mezzo mese.
+
+Io mi rivolsi d’ammirazion pieno
+al buon Virgilio, ed esso mi rispuose
+con vista carca di stupor non meno.
+
+Indi rendei l’aspetto a l’alte cose
+che si movieno incontr’ a noi sì tardi,
+che foran vinte da novelle spose.
+
+La donna mi sgridò: «Perché pur ardi
+sì ne l’affetto de le vive luci,
+e ciò che vien di retro a lor non guardi?».
+
+Genti vid’ io allor, come a lor duci,
+venire appresso, vestite di bianco;
+e tal candor di qua già mai non fuci.
+
+L’acqua imprendëa dal sinistro fianco,
+e rendea me la mia sinistra costa,
+s’io riguardava in lei, come specchio anco.
+
+Quand’ io da la mia riva ebbi tal posta,
+che solo il fiume mi facea distante,
+per veder meglio ai passi diedi sosta,
+
+e vidi le fiammelle andar davante,
+lasciando dietro a sé l’aere dipinto,
+e di tratti pennelli avean sembiante;
+
+sì che lì sopra rimanea distinto
+di sette liste, tutte in quei colori
+onde fa l’arco il Sole e Delia il cinto.
+
+Questi ostendali in dietro eran maggiori
+che la mia vista; e, quanto a mio avviso,
+diece passi distavan quei di fori.
+
+Sotto così bel ciel com’ io diviso,
+ventiquattro seniori, a due a due,
+coronati venien di fiordaliso.
+
+Tutti cantavan: «Benedicta tue
+ne le figlie d’Adamo, e benedette
+sieno in etterno le bellezze tue!».
+
+Poscia che i fiori e l’altre fresche erbette
+a rimpetto di me da l’altra sponda
+libere fuor da quelle genti elette,
+
+sì come luce luce in ciel seconda,
+vennero appresso lor quattro animali,
+coronati ciascun di verde fronda.
+
+Ognuno era pennuto di sei ali;
+le penne piene d’occhi; e li occhi d’Argo,
+se fosser vivi, sarebber cotali.
+
+A descriver lor forme più non spargo
+rime, lettor; ch’altra spesa mi strigne,
+tanto ch’a questa non posso esser largo;
+
+ma leggi Ezechïel, che li dipigne
+come li vide da la fredda parte
+venir con vento e con nube e con igne;
+
+e quali i troverai ne le sue carte,
+tali eran quivi, salvo ch’a le penne
+Giovanni è meco e da lui si diparte.
+
+Lo spazio dentro a lor quattro contenne
+un carro, in su due rote, trïunfale,
+ch’al collo d’un grifon tirato venne.
+
+Esso tendeva in sù l’una e l’altra ale
+tra la mezzana e le tre e tre liste,
+sì ch’a nulla, fendendo, facea male.
+
+Tanto salivan che non eran viste;
+le membra d’oro avea quant’ era uccello,
+e bianche l’altre, di vermiglio miste.
+
+Non che Roma di carro così bello
+rallegrasse Affricano, o vero Augusto,
+ma quel del Sol saria pover con ello;
+
+quel del Sol che, svïando, fu combusto
+per l’orazion de la Terra devota,
+quando fu Giove arcanamente giusto.
+
+Tre donne in giro da la destra rota
+venian danzando; l’una tanto rossa
+ch’a pena fora dentro al foco nota;
+
+l’altr’ era come se le carni e l’ossa
+fossero state di smeraldo fatte;
+la terza parea neve testé mossa;
+
+e or parëan da la bianca tratte,
+or da la rossa; e dal canto di questa
+l’altre toglien l’andare e tarde e ratte.
+
+Da la sinistra quattro facean festa,
+in porpore vestite, dietro al modo
+d’una di lor ch’avea tre occhi in testa.
+
+Appresso tutto il pertrattato nodo
+vidi due vecchi in abito dispari,
+ma pari in atto e onesto e sodo.
+
+L’un si mostrava alcun de’ famigliari
+di quel sommo Ipocràte che natura
+a li animali fé ch’ell’ ha più cari;
+
+mostrava l’altro la contraria cura
+con una spada lucida e aguta,
+tal che di qua dal rio mi fé paura.
+
+Poi vidi quattro in umile paruta;
+e di retro da tutti un vecchio solo
+venir, dormendo, con la faccia arguta.
+
+E questi sette col primaio stuolo
+erano abitüati, ma di gigli
+dintorno al capo non facëan brolo,
+
+anzi di rose e d’altri fior vermigli;
+giurato avria poco lontano aspetto
+che tutti ardesser di sopra da’ cigli.
+
+E quando il carro a me fu a rimpetto,
+un tuon s’udì, e quelle genti degne
+parvero aver l’andar più interdetto,
+
+fermandosi ivi con le prime insegne.
+
+
+
+
+Purgatorio
+Canto XXX
+
+
+Quando il settentrïon del primo cielo,
+che né occaso mai seppe né orto
+né d’altra nebbia che di colpa velo,
+
+e che faceva lì ciascun accorto
+di suo dover, come ’l più basso face
+qual temon gira per venire a porto,
+
+fermo s’affisse: la gente verace,
+venuta prima tra ’l grifone ed esso,
+al carro volse sé come a sua pace;
+
+e un di loro, quasi da ciel messo,
+‘Veni, sponsa, de Libano’ cantando
+gridò tre volte, e tutti li altri appresso.
+
+Quali i beati al novissimo bando
+surgeran presti ognun di sua caverna,
+la revestita voce alleluiando,
+
+cotali in su la divina basterna
+si levar cento, ad vocem tanti senis,
+ministri e messaggier di vita etterna.
+
+Tutti dicean: ‘Benedictus qui venis!’,
+e fior gittando e di sopra e dintorno,
+‘Manibus, oh, date lilïa plenis!’.
+
+Io vidi già nel cominciar del giorno
+la parte orïental tutta rosata,
+e l’altro ciel di bel sereno addorno;
+
+e la faccia del sol nascere ombrata,
+sì che per temperanza di vapori
+l’occhio la sostenea lunga fïata:
+
+così dentro una nuvola di fiori
+che da le mani angeliche saliva
+e ricadeva in giù dentro e di fori,
+
+sovra candido vel cinta d’uliva
+donna m’apparve, sotto verde manto
+vestita di color di fiamma viva.
+
+E lo spirito mio, che già cotanto
+tempo era stato ch’a la sua presenza
+non era di stupor, tremando, affranto,
+
+sanza de li occhi aver più conoscenza,
+per occulta virtù che da lei mosse,
+d’antico amor sentì la gran potenza.
+
+Tosto che ne la vista mi percosse
+l’alta virtù che già m’avea trafitto
+prima ch’io fuor di püerizia fosse,
+
+volsimi a la sinistra col respitto
+col quale il fantolin corre a la mamma
+quando ha paura o quando elli è afflitto,
+
+per dicere a Virgilio: ‘Men che dramma
+di sangue m’è rimaso che non tremi:
+conosco i segni de l’antica fiamma’.
+
+Ma Virgilio n’avea lasciati scemi
+di sé, Virgilio dolcissimo patre,
+Virgilio a cui per mia salute die’mi;
+
+né quantunque perdeo l’antica matre,
+valse a le guance nette di rugiada,
+che, lagrimando, non tornasser atre.
+
+«Dante, perché Virgilio se ne vada,
+non pianger anco, non piangere ancora;
+ché pianger ti conven per altra spada».
+
+Quasi ammiraglio che in poppa e in prora
+viene a veder la gente che ministra
+per li altri legni, e a ben far l’incora;
+
+in su la sponda del carro sinistra,
+quando mi volsi al suon del nome mio,
+che di necessità qui si registra,
+
+vidi la donna che pria m’appario
+velata sotto l’angelica festa,
+drizzar li occhi ver’ me di qua dal rio.
+
+Tutto che ’l vel che le scendea di testa,
+cerchiato de le fronde di Minerva,
+non la lasciasse parer manifesta,
+
+regalmente ne l’atto ancor proterva
+continüò come colui che dice
+e ’l più caldo parlar dietro reserva:
+
+«Guardaci ben! Ben son, ben son Beatrice.
+Come degnasti d’accedere al monte?
+non sapei tu che qui è l’uom felice?».
+
+Li occhi mi cadder giù nel chiaro fonte;
+ma veggendomi in esso, i trassi a l’erba,
+tanta vergogna mi gravò la fronte.
+
+Così la madre al figlio par superba,
+com’ ella parve a me; perché d’amaro
+sente il sapor de la pietade acerba.
+
+Ella si tacque; e li angeli cantaro
+di sùbito ‘In te, Domine, speravi’;
+ma oltre ‘pedes meos’ non passaro.
+
+Sì come neve tra le vive travi
+per lo dosso d’Italia si congela,
+soffiata e stretta da li venti schiavi,
+
+poi, liquefatta, in sé stessa trapela,
+pur che la terra che perde ombra spiri,
+sì che par foco fonder la candela;
+
+così fui sanza lagrime e sospiri
+anzi ’l cantar di quei che notan sempre
+dietro a le note de li etterni giri;
+
+ma poi che ’ntesi ne le dolci tempre
+lor compatire a me, par che se detto
+avesser: ‘Donna, perché sì lo stempre?’,
+
+lo gel che m’era intorno al cor ristretto,
+spirito e acqua fessi, e con angoscia
+de la bocca e de li occhi uscì del petto.
+
+Ella, pur ferma in su la detta coscia
+del carro stando, a le sustanze pie
+volse le sue parole così poscia:
+
+«Voi vigilate ne l’etterno die,
+sì che notte né sonno a voi non fura
+passo che faccia il secol per sue vie;
+
+onde la mia risposta è con più cura
+che m’intenda colui che di là piagne,
+perché sia colpa e duol d’una misura.
+
+Non pur per ovra de le rote magne,
+che drizzan ciascun seme ad alcun fine
+secondo che le stelle son compagne,
+
+ma per larghezza di grazie divine,
+che sì alti vapori hanno a lor piova,
+che nostre viste là non van vicine,
+
+questi fu tal ne la sua vita nova
+virtüalmente, ch’ogne abito destro
+fatto averebbe in lui mirabil prova.
+
+Ma tanto più maligno e più silvestro
+si fa ’l terren col mal seme e non cólto,
+quant’ elli ha più di buon vigor terrestro.
+
+Alcun tempo il sostenni col mio volto:
+mostrando li occhi giovanetti a lui,
+meco il menava in dritta parte vòlto.
+
+Sì tosto come in su la soglia fui
+di mia seconda etade e mutai vita,
+questi si tolse a me, e diessi altrui.
+
+Quando di carne a spirto era salita,
+e bellezza e virtù cresciuta m’era,
+fu’ io a lui men cara e men gradita;
+
+e volse i passi suoi per via non vera,
+imagini di ben seguendo false,
+che nulla promession rendono intera.
+
+Né l’impetrare ispirazion mi valse,
+con le quali e in sogno e altrimenti
+lo rivocai: sì poco a lui ne calse!
+
+Tanto giù cadde, che tutti argomenti
+a la salute sua eran già corti,
+fuor che mostrarli le perdute genti.
+
+Per questo visitai l’uscio d’i morti,
+e a colui che l’ha qua sù condotto,
+li prieghi miei, piangendo, furon porti.
+
+Alto fato di Dio sarebbe rotto,
+se Letè si passasse e tal vivanda
+fosse gustata sanza alcuno scotto
+
+di pentimento che lagrime spanda».
+
+
+
+
+Purgatorio
+Canto XXXI
+
+
+«O tu che se’ di là dal fiume sacro»,
+volgendo suo parlare a me per punta,
+che pur per taglio m’era paruto acro,
+
+ricominciò, seguendo sanza cunta,
+«dì, dì se questo è vero: a tanta accusa
+tua confession conviene esser congiunta».
+
+Era la mia virtù tanto confusa,
+che la voce si mosse, e pria si spense
+che da li organi suoi fosse dischiusa.
+
+Poco sofferse; poi disse: «Che pense?
+Rispondi a me; ché le memorie triste
+in te non sono ancor da l’acqua offense».
+
+Confusione e paura insieme miste
+mi pinsero un tal «sì» fuor de la bocca,
+al quale intender fuor mestier le viste.
+
+Come balestro frange, quando scocca
+da troppa tesa, la sua corda e l’arco,
+e con men foga l’asta il segno tocca,
+
+sì scoppia’ io sottesso grave carco,
+fuori sgorgando lagrime e sospiri,
+e la voce allentò per lo suo varco.
+
+Ond’ ella a me: «Per entro i mie’ disiri,
+che ti menavano ad amar lo bene
+di là dal qual non è a che s’aspiri,
+
+quai fossi attraversati o quai catene
+trovasti, per che del passare innanzi
+dovessiti così spogliar la spene?
+
+E quali agevolezze o quali avanzi
+ne la fronte de li altri si mostraro,
+per che dovessi lor passeggiare anzi?».
+
+Dopo la tratta d’un sospiro amaro,
+a pena ebbi la voce che rispuose,
+e le labbra a fatica la formaro.
+
+Piangendo dissi: «Le presenti cose
+col falso lor piacer volser miei passi,
+tosto che ’l vostro viso si nascose».
+
+Ed ella: «Se tacessi o se negassi
+ciò che confessi, non fora men nota
+la colpa tua: da tal giudice sassi!
+
+Ma quando scoppia de la propria gota
+l’accusa del peccato, in nostra corte
+rivolge sé contra ’l taglio la rota.
+
+Tuttavia, perché mo vergogna porte
+del tuo errore, e perché altra volta,
+udendo le serene, sie più forte,
+
+pon giù il seme del piangere e ascolta:
+sì udirai come in contraria parte
+mover dovieti mia carne sepolta.
+
+Mai non t’appresentò natura o arte
+piacer, quanto le belle membra in ch’io
+rinchiusa fui, e che so’ ’n terra sparte;
+
+e se ’l sommo piacer sì ti fallio
+per la mia morte, qual cosa mortale
+dovea poi trarre te nel suo disio?
+
+Ben ti dovevi, per lo primo strale
+de le cose fallaci, levar suso
+di retro a me che non era più tale.
+
+Non ti dovea gravar le penne in giuso,
+ad aspettar più colpo, o pargoletta
+o altra novità con sì breve uso.
+
+Novo augelletto due o tre aspetta;
+ma dinanzi da li occhi d’i pennuti
+rete si spiega indarno o si saetta».
+
+Quali fanciulli, vergognando, muti
+con li occhi a terra stannosi, ascoltando
+e sé riconoscendo e ripentuti,
+
+tal mi stav’ io; ed ella disse: «Quando
+per udir se’ dolente, alza la barba,
+e prenderai più doglia riguardando».
+
+Con men di resistenza si dibarba
+robusto cerro, o vero al nostral vento
+o vero a quel de la terra di Iarba,
+
+ch’io non levai al suo comando il mento;
+e quando per la barba il viso chiese,
+ben conobbi il velen de l’argomento.
+
+E come la mia faccia si distese,
+posarsi quelle prime creature
+da loro aspersïon l’occhio comprese;
+
+e le mie luci, ancor poco sicure,
+vider Beatrice volta in su la fiera
+ch’è sola una persona in due nature.
+
+Sotto ’l suo velo e oltre la rivera
+vincer pariemi più sé stessa antica,
+vincer che l’altre qui, quand’ ella c’era.
+
+Di penter sì mi punse ivi l’ortica,
+che di tutte altre cose qual mi torse
+più nel suo amor, più mi si fé nemica.
+
+Tanta riconoscenza il cor mi morse,
+ch’io caddi vinto; e quale allora femmi,
+salsi colei che la cagion mi porse.
+
+Poi, quando il cor virtù di fuor rendemmi,
+la donna ch’io avea trovata sola
+sopra me vidi, e dicea: «Tiemmi, tiemmi!».
+
+Tratto m’avea nel fiume infin la gola,
+e tirandosi me dietro sen giva
+sovresso l’acqua lieve come scola.
+
+Quando fui presso a la beata riva,
+‘Asperges me’ sì dolcemente udissi,
+che nol so rimembrar, non ch’io lo scriva.
+
+La bella donna ne le braccia aprissi;
+abbracciommi la testa e mi sommerse
+ove convenne ch’io l’acqua inghiottissi.
+
+Indi mi tolse, e bagnato m’offerse
+dentro a la danza de le quattro belle;
+e ciascuna del braccio mi coperse.
+
+«Noi siam qui ninfe e nel ciel siamo stelle;
+pria che Beatrice discendesse al mondo,
+fummo ordinate a lei per sue ancelle.
+
+Merrenti a li occhi suoi; ma nel giocondo
+lume ch’è dentro aguzzeranno i tuoi
+le tre di là, che miran più profondo».
+
+Così cantando cominciaro; e poi
+al petto del grifon seco menarmi,
+ove Beatrice stava volta a noi.
+
+Disser: «Fa che le viste non risparmi;
+posto t’avem dinanzi a li smeraldi
+ond’ Amor già ti trasse le sue armi».
+
+Mille disiri più che fiamma caldi
+strinsermi li occhi a li occhi rilucenti,
+che pur sopra ’l grifone stavan saldi.
+
+Come in lo specchio il sol, non altrimenti
+la doppia fiera dentro vi raggiava,
+or con altri, or con altri reggimenti.
+
+Pensa, lettor, s’io mi maravigliava,
+quando vedea la cosa in sé star queta,
+e ne l’idolo suo si trasmutava.
+
+Mentre che piena di stupore e lieta
+l’anima mia gustava di quel cibo
+che, saziando di sé, di sé asseta,
+
+sé dimostrando di più alto tribo
+ne li atti, l’altre tre si fero avanti,
+danzando al loro angelico caribo.
+
+«Volgi, Beatrice, volgi li occhi santi»,
+era la sua canzone, «al tuo fedele
+che, per vederti, ha mossi passi tanti!
+
+Per grazia fa noi grazia che disvele
+a lui la bocca tua, sì che discerna
+la seconda bellezza che tu cele».
+
+O isplendor di viva luce etterna,
+chi palido si fece sotto l’ombra
+sì di Parnaso, o bevve in sua cisterna,
+
+che non paresse aver la mente ingombra,
+tentando a render te qual tu paresti
+là dove armonizzando il ciel t’adombra,
+
+quando ne l’aere aperto ti solvesti?
+
+
+
+
+Purgatorio
+Canto XXXII
+
+
+Tant’ eran li occhi miei fissi e attenti
+a disbramarsi la decenne sete,
+che li altri sensi m’eran tutti spenti.
+
+Ed essi quinci e quindi avien parete
+di non caler—così lo santo riso
+a sé traéli con l’antica rete!—;
+
+quando per forza mi fu vòlto il viso
+ver’ la sinistra mia da quelle dee,
+perch’ io udi’ da loro un «Troppo fiso!»;
+
+e la disposizion ch’a veder èe
+ne li occhi pur testé dal sol percossi,
+sanza la vista alquanto esser mi fée.
+
+Ma poi ch’al poco il viso riformossi
+(e dico ‘al poco’ per rispetto al molto
+sensibile onde a forza mi rimossi),
+
+vidi ’n sul braccio destro esser rivolto
+lo glorïoso essercito, e tornarsi
+col sole e con le sette fiamme al volto.
+
+Come sotto li scudi per salvarsi
+volgesi schiera, e sé gira col segno,
+prima che possa tutta in sé mutarsi;
+
+quella milizia del celeste regno
+che procedeva, tutta trapassonne
+pria che piegasse il carro il primo legno.
+
+Indi a le rote si tornar le donne,
+e ’l grifon mosse il benedetto carco
+sì, che però nulla penna crollonne.
+
+La bella donna che mi trasse al varco
+e Stazio e io seguitavam la rota
+che fé l’orbita sua con minore arco.
+
+Sì passeggiando l’alta selva vòta,
+colpa di quella ch’al serpente crese,
+temprava i passi un’angelica nota.
+
+Forse in tre voli tanto spazio prese
+disfrenata saetta, quanto eramo
+rimossi, quando Bëatrice scese.
+
+Io senti’ mormorare a tutti «Adamo»;
+poi cerchiaro una pianta dispogliata
+di foglie e d’altra fronda in ciascun ramo.
+
+La coma sua, che tanto si dilata
+più quanto più è sù, fora da l’Indi
+ne’ boschi lor per altezza ammirata.
+
+«Beato se’, grifon, che non discindi
+col becco d’esto legno dolce al gusto,
+poscia che mal si torce il ventre quindi».
+
+Così dintorno a l’albero robusto
+gridaron li altri; e l’animal binato:
+«Sì si conserva il seme d’ogne giusto».
+
+E vòlto al temo ch’elli avea tirato,
+trasselo al piè de la vedova frasca,
+e quel di lei a lei lasciò legato.
+
+Come le nostre piante, quando casca
+giù la gran luce mischiata con quella
+che raggia dietro a la celeste lasca,
+
+turgide fansi, e poi si rinovella
+di suo color ciascuna, pria che ’l sole
+giunga li suoi corsier sotto altra stella;
+
+men che di rose e più che di vïole
+colore aprendo, s’innovò la pianta,
+che prima avea le ramora sì sole.
+
+Io non lo ’ntesi, né qui non si canta
+l’inno che quella gente allor cantaro,
+né la nota soffersi tutta quanta.
+
+S’io potessi ritrar come assonnaro
+li occhi spietati udendo di Siringa,
+li occhi a cui pur vegghiar costò sì caro;
+
+come pintor che con essempro pinga,
+disegnerei com’ io m’addormentai;
+ma qual vuol sia che l’assonnar ben finga.
+
+Però trascorro a quando mi svegliai,
+e dico ch’un splendor mi squarciò ’l velo
+del sonno, e un chiamar: «Surgi: che fai?».
+
+Quali a veder de’ fioretti del melo
+che del suo pome li angeli fa ghiotti
+e perpetüe nozze fa nel cielo,
+
+Pietro e Giovanni e Iacopo condotti
+e vinti, ritornaro a la parola
+da la qual furon maggior sonni rotti,
+
+e videro scemata loro scuola
+così di Moïsè come d’Elia,
+e al maestro suo cangiata stola;
+
+tal torna’ io, e vidi quella pia
+sovra me starsi che conducitrice
+fu de’ miei passi lungo ’l fiume pria.
+
+E tutto in dubbio dissi: «Ov’ è Beatrice?».
+Ond’ ella: «Vedi lei sotto la fronda
+nova sedere in su la sua radice.
+
+Vedi la compagnia che la circonda:
+li altri dopo ’l grifon sen vanno suso
+con più dolce canzone e più profonda».
+
+E se più fu lo suo parlar diffuso,
+non so, però che già ne li occhi m’era
+quella ch’ad altro intender m’avea chiuso.
+
+Sola sedeasi in su la terra vera,
+come guardia lasciata lì del plaustro
+che legar vidi a la biforme fera.
+
+In cerchio le facevan di sé claustro
+le sette ninfe, con quei lumi in mano
+che son sicuri d’Aquilone e d’Austro.
+
+«Qui sarai tu poco tempo silvano;
+e sarai meco sanza fine cive
+di quella Roma onde Cristo è romano.
+
+Però, in pro del mondo che mal vive,
+al carro tieni or li occhi, e quel che vedi,
+ritornato di là, fa che tu scrive».
+
+Così Beatrice; e io, che tutto ai piedi
+d’i suoi comandamenti era divoto,
+la mente e li occhi ov’ ella volle diedi.
+
+Non scese mai con sì veloce moto
+foco di spessa nube, quando piove
+da quel confine che più va remoto,
+
+com’ io vidi calar l’uccel di Giove
+per l’alber giù, rompendo de la scorza,
+non che d’i fiori e de le foglie nove;
+
+e ferì ’l carro di tutta sua forza;
+ond’ el piegò come nave in fortuna,
+vinta da l’onda, or da poggia, or da orza.
+
+Poscia vidi avventarsi ne la cuna
+del trïunfal veiculo una volpe
+che d’ogne pasto buon parea digiuna;
+
+ma, riprendendo lei di laide colpe,
+la donna mia la volse in tanta futa
+quanto sofferser l’ossa sanza polpe.
+
+Poscia per indi ond’ era pria venuta,
+l’aguglia vidi scender giù ne l’arca
+del carro e lasciar lei di sé pennuta;
+
+e qual esce di cuor che si rammarca,
+tal voce uscì del cielo e cotal disse:
+«O navicella mia, com’ mal se’ carca!».
+
+Poi parve a me che la terra s’aprisse
+tr’ambo le ruote, e vidi uscirne un drago
+che per lo carro sù la coda fisse;
+
+e come vespa che ritragge l’ago,
+a sé traendo la coda maligna,
+trasse del fondo, e gissen vago vago.
+
+Quel che rimase, come da gramigna
+vivace terra, da la piuma, offerta
+forse con intenzion sana e benigna,
+
+si ricoperse, e funne ricoperta
+e l’una e l’altra rota e ’l temo, in tanto
+che più tiene un sospir la bocca aperta.
+
+Trasformato così ’l dificio santo
+mise fuor teste per le parti sue,
+tre sovra ’l temo e una in ciascun canto.
+
+Le prime eran cornute come bue,
+ma le quattro un sol corno avean per fronte:
+simile mostro visto ancor non fue.
+
+Sicura, quasi rocca in alto monte,
+seder sovresso una puttana sciolta
+m’apparve con le ciglia intorno pronte;
+
+e come perché non li fosse tolta,
+vidi di costa a lei dritto un gigante;
+e basciavansi insieme alcuna volta.
+
+Ma perché l’occhio cupido e vagante
+a me rivolse, quel feroce drudo
+la flagellò dal capo infin le piante;
+
+poi, di sospetto pieno e d’ira crudo,
+disciolse il mostro, e trassel per la selva,
+tanto che sol di lei mi fece scudo
+
+a la puttana e a la nova belva.
+
+
+
+
+Purgatorio
+Canto XXXIII
+
+
+‘Deus, venerunt gentes’, alternando
+or tre or quattro dolce salmodia,
+le donne incominciaro, e lagrimando;
+
+e Bëatrice, sospirosa e pia,
+quelle ascoltava sì fatta, che poco
+più a la croce si cambiò Maria.
+
+Ma poi che l’altre vergini dier loco
+a lei di dir, levata dritta in pè,
+rispuose, colorata come foco:
+
+‘Modicum, et non videbitis me;
+et iterum, sorelle mie dilette,
+modicum, et vos videbitis me’.
+
+Poi le si mise innanzi tutte e sette,
+e dopo sé, solo accennando, mosse
+me e la donna e ’l savio che ristette.
+
+Così sen giva; e non credo che fosse
+lo decimo suo passo in terra posto,
+quando con li occhi li occhi mi percosse;
+
+e con tranquillo aspetto «Vien più tosto»,
+mi disse, «tanto che, s’io parlo teco,
+ad ascoltarmi tu sie ben disposto».
+
+Sì com’ io fui, com’ io dovëa, seco,
+dissemi: «Frate, perché non t’attenti
+a domandarmi omai venendo meco?».
+
+Come a color che troppo reverenti
+dinanzi a suo maggior parlando sono,
+che non traggon la voce viva ai denti,
+
+avvenne a me, che sanza intero suono
+incominciai: «Madonna, mia bisogna
+voi conoscete, e ciò ch’ad essa è buono».
+
+Ed ella a me: «Da tema e da vergogna
+voglio che tu omai ti disviluppe,
+sì che non parli più com’ om che sogna.
+
+Sappi che ’l vaso che ’l serpente ruppe,
+fu e non è; ma chi n’ha colpa, creda
+che vendetta di Dio non teme suppe.
+
+Non sarà tutto tempo sanza reda
+l’aguglia che lasciò le penne al carro,
+per che divenne mostro e poscia preda;
+
+ch’io veggio certamente, e però il narro,
+a darne tempo già stelle propinque,
+secure d’ogn’ intoppo e d’ogne sbarro,
+
+nel quale un cinquecento diece e cinque,
+messo di Dio, anciderà la fuia
+con quel gigante che con lei delinque.
+
+E forse che la mia narrazion buia,
+qual Temi e Sfinge, men ti persuade,
+perch’ a lor modo lo ’ntelletto attuia;
+
+ma tosto fier li fatti le Naiade,
+che solveranno questo enigma forte
+sanza danno di pecore o di biade.
+
+Tu nota; e sì come da me son porte,
+così queste parole segna a’ vivi
+del viver ch’è un correre a la morte.
+
+E aggi a mente, quando tu le scrivi,
+di non celar qual hai vista la pianta
+ch’è or due volte dirubata quivi.
+
+Qualunque ruba quella o quella schianta,
+con bestemmia di fatto offende a Dio,
+che solo a l’uso suo la creò santa.
+
+Per morder quella, in pena e in disio
+cinquemilia anni e più l’anima prima
+bramò colui che ’l morso in sé punio.
+
+Dorme lo ’ngegno tuo, se non estima
+per singular cagione esser eccelsa
+lei tanto e sì travolta ne la cima.
+
+E se stati non fossero acqua d’Elsa
+li pensier vani intorno a la tua mente,
+e ’l piacer loro un Piramo a la gelsa,
+
+per tante circostanze solamente
+la giustizia di Dio, ne l’interdetto,
+conosceresti a l’arbor moralmente.
+
+Ma perch’ io veggio te ne lo ’ntelletto
+fatto di pietra e, impetrato, tinto,
+sì che t’abbaglia il lume del mio detto,
+
+voglio anco, e se non scritto, almen dipinto,
+che ’l te ne porti dentro a te per quello
+che si reca il bordon di palma cinto».
+
+E io: «Sì come cera da suggello,
+che la figura impressa non trasmuta,
+segnato è or da voi lo mio cervello.
+
+Ma perché tanto sovra mia veduta
+vostra parola disïata vola,
+che più la perde quanto più s’aiuta?».
+
+«Perché conoschi», disse, «quella scuola
+c’hai seguitata, e veggi sua dottrina
+come può seguitar la mia parola;
+
+e veggi vostra via da la divina
+distar cotanto, quanto si discorda
+da terra il ciel che più alto festina».
+
+Ond’ io rispuosi lei: «Non mi ricorda
+ch’i’ stranïasse me già mai da voi,
+né honne coscïenza che rimorda».
+
+«E se tu ricordar non te ne puoi»,
+sorridendo rispuose, «or ti rammenta
+come bevesti di Letè ancoi;
+
+e se dal fummo foco s’argomenta,
+cotesta oblivïon chiaro conchiude
+colpa ne la tua voglia altrove attenta.
+
+Veramente oramai saranno nude
+le mie parole, quanto converrassi
+quelle scovrire a la tua vista rude».
+
+E più corusco e con più lenti passi
+teneva il sole il cerchio di merigge,
+che qua e là, come li aspetti, fassi,
+
+quando s’affisser, sì come s’affigge
+chi va dinanzi a gente per iscorta
+se trova novitate o sue vestigge,
+
+le sette donne al fin d’un’ombra smorta,
+qual sotto foglie verdi e rami nigri
+sovra suoi freddi rivi l’alpe porta.
+
+Dinanzi ad esse Ëufratès e Tigri
+veder mi parve uscir d’una fontana,
+e, quasi amici, dipartirsi pigri.
+
+«O luce, o gloria de la gente umana,
+che acqua è questa che qui si dispiega
+da un principio e sé da sé lontana?».
+
+Per cotal priego detto mi fu: «Priega
+Matelda che ’l ti dica». E qui rispuose,
+come fa chi da colpa si dislega,
+
+la bella donna: «Questo e altre cose
+dette li son per me; e son sicura
+che l’acqua di Letè non gliel nascose».
+
+E Bëatrice: «Forse maggior cura,
+che spesse volte la memoria priva,
+fatt’ ha la mente sua ne li occhi oscura.
+
+Ma vedi Eünoè che là diriva:
+menalo ad esso, e come tu se’ usa,
+la tramortita sua virtù ravviva».
+
+Come anima gentil, che non fa scusa,
+ma fa sua voglia de la voglia altrui
+tosto che è per segno fuor dischiusa;
+
+così, poi che da essa preso fui,
+la bella donna mossesi, e a Stazio
+donnescamente disse: «Vien con lui».
+
+S’io avessi, lettor, più lungo spazio
+da scrivere, i’ pur cantere’ in parte
+lo dolce ber che mai non m’avria sazio;
+
+ma perché piene son tutte le carte
+ordite a questa cantica seconda,
+non mi lascia più ir lo fren de l’arte.
+
+Io ritornai da la santissima onda
+rifatto sì come piante novelle
+rinovellate di novella fronda,
+
+puro e disposto a salire a le stelle.
+
+
+
+
+PARADISO
+
+
+
+
+Paradiso
+Canto I
+
+
+La gloria di colui che tutto move
+per l’universo penetra, e risplende
+in una parte più e meno altrove.
+
+Nel ciel che più de la sua luce prende
+fu’ io, e vidi cose che ridire
+né sa né può chi di là sù discende;
+
+perché appressando sé al suo disire,
+nostro intelletto si profonda tanto,
+che dietro la memoria non può ire.
+
+Veramente quant’ io del regno santo
+ne la mia mente potei far tesoro,
+sarà ora materia del mio canto.
+
+O buono Appollo, a l’ultimo lavoro
+fammi del tuo valor sì fatto vaso,
+come dimandi a dar l’amato alloro.
+
+Infino a qui l’un giogo di Parnaso
+assai mi fu; ma or con amendue
+m’è uopo intrar ne l’aringo rimaso.
+
+Entra nel petto mio, e spira tue
+sì come quando Marsïa traesti
+de la vagina de le membra sue.
+
+O divina virtù, se mi ti presti
+tanto che l’ombra del beato regno
+segnata nel mio capo io manifesti,
+
+vedra’mi al piè del tuo diletto legno
+venire, e coronarmi de le foglie
+che la materia e tu mi farai degno.
+
+Sì rade volte, padre, se ne coglie
+per trïunfare o cesare o poeta,
+colpa e vergogna de l’umane voglie,
+
+che parturir letizia in su la lieta
+delfica deïtà dovria la fronda
+peneia, quando alcun di sé asseta.
+
+Poca favilla gran fiamma seconda:
+forse di retro a me con miglior voci
+si pregherà perché Cirra risponda.
+
+Surge ai mortali per diverse foci
+la lucerna del mondo; ma da quella
+che quattro cerchi giugne con tre croci,
+
+con miglior corso e con migliore stella
+esce congiunta, e la mondana cera
+più a suo modo tempera e suggella.
+
+Fatto avea di là mane e di qua sera
+tal foce, e quasi tutto era là bianco
+quello emisperio, e l’altra parte nera,
+
+quando Beatrice in sul sinistro fianco
+vidi rivolta e riguardar nel sole:
+aguglia sì non li s’affisse unquanco.
+
+E sì come secondo raggio suole
+uscir del primo e risalire in suso,
+pur come pelegrin che tornar vuole,
+
+così de l’atto suo, per li occhi infuso
+ne l’imagine mia, il mio si fece,
+e fissi li occhi al sole oltre nostr’ uso.
+
+Molto è licito là, che qui non lece
+a le nostre virtù, mercé del loco
+fatto per proprio de l’umana spece.
+
+Io nol soffersi molto, né sì poco,
+ch’io nol vedessi sfavillar dintorno,
+com’ ferro che bogliente esce del foco;
+
+e di sùbito parve giorno a giorno
+essere aggiunto, come quei che puote
+avesse il ciel d’un altro sole addorno.
+
+Beatrice tutta ne l’etterne rote
+fissa con li occhi stava; e io in lei
+le luci fissi, di là sù rimote.
+
+Nel suo aspetto tal dentro mi fei,
+qual si fé Glauco nel gustar de l’erba
+che ’l fé consorto in mar de li altri dèi.
+
+Trasumanar significar per verba
+non si poria; però l’essemplo basti
+a cui esperïenza grazia serba.
+
+S’i’ era sol di me quel che creasti
+novellamente, amor che ’l ciel governi,
+tu ’l sai, che col tuo lume mi levasti.
+
+Quando la rota che tu sempiterni
+desiderato, a sé mi fece atteso
+con l’armonia che temperi e discerni,
+
+parvemi tanto allor del cielo acceso
+de la fiamma del sol, che pioggia o fiume
+lago non fece alcun tanto disteso.
+
+La novità del suono e ’l grande lume
+di lor cagion m’accesero un disio
+mai non sentito di cotanto acume.
+
+Ond’ ella, che vedea me sì com’ io,
+a quïetarmi l’animo commosso,
+pria ch’io a dimandar, la bocca aprio
+
+e cominciò: «Tu stesso ti fai grosso
+col falso imaginar, sì che non vedi
+ciò che vedresti se l’avessi scosso.
+
+Tu non se’ in terra, sì come tu credi;
+ma folgore, fuggendo il proprio sito,
+non corse come tu ch’ad esso riedi».
+
+S’io fui del primo dubbio disvestito
+per le sorrise parolette brevi,
+dentro ad un nuovo più fu’ inretito
+
+e dissi: «Già contento requïevi
+di grande ammirazion; ma ora ammiro
+com’ io trascenda questi corpi levi».
+
+Ond’ ella, appresso d’un pïo sospiro,
+li occhi drizzò ver’ me con quel sembiante
+che madre fa sovra figlio deliro,
+
+e cominciò: «Le cose tutte quante
+hanno ordine tra loro, e questo è forma
+che l’universo a Dio fa simigliante.
+
+Qui veggion l’alte creature l’orma
+de l’etterno valore, il qual è fine
+al quale è fatta la toccata norma.
+
+Ne l’ordine ch’io dico sono accline
+tutte nature, per diverse sorti,
+più al principio loro e men vicine;
+
+onde si muovono a diversi porti
+per lo gran mar de l’essere, e ciascuna
+con istinto a lei dato che la porti.
+
+Questi ne porta il foco inver’ la luna;
+questi ne’ cor mortali è permotore;
+questi la terra in sé stringe e aduna;
+
+né pur le creature che son fore
+d’intelligenza quest’ arco saetta,
+ma quelle c’hanno intelletto e amore.
+
+La provedenza, che cotanto assetta,
+del suo lume fa ’l ciel sempre quïeto
+nel qual si volge quel c’ha maggior fretta;
+
+e ora lì, come a sito decreto,
+cen porta la virtù di quella corda
+che ciò che scocca drizza in segno lieto.
+
+Vero è che, come forma non s’accorda
+molte fïate a l’intenzion de l’arte,
+perch’ a risponder la materia è sorda,
+
+così da questo corso si diparte
+talor la creatura, c’ha podere
+di piegar, così pinta, in altra parte;
+
+e sì come veder si può cadere
+foco di nube, sì l’impeto primo
+l’atterra torto da falso piacere.
+
+Non dei più ammirar, se bene stimo,
+lo tuo salir, se non come d’un rivo
+se d’alto monte scende giuso ad imo.
+
+Maraviglia sarebbe in te se, privo
+d’impedimento, giù ti fossi assiso,
+com’ a terra quïete in foco vivo».
+
+Quinci rivolse inver’ lo cielo il viso.
+
+
+
+
+Paradiso
+Canto II
+
+
+O voi che siete in piccioletta barca,
+desiderosi d’ascoltar, seguiti
+dietro al mio legno che cantando varca,
+
+tornate a riveder li vostri liti:
+non vi mettete in pelago, ché forse,
+perdendo me, rimarreste smarriti.
+
+L’acqua ch’io prendo già mai non si corse;
+Minerva spira, e conducemi Appollo,
+e nove Muse mi dimostran l’Orse.
+
+Voialtri pochi che drizzaste il collo
+per tempo al pan de li angeli, del quale
+vivesi qui ma non sen vien satollo,
+
+metter potete ben per l’alto sale
+vostro navigio, servando mio solco
+dinanzi a l’acqua che ritorna equale.
+
+Que’ glorïosi che passaro al Colco
+non s’ammiraron come voi farete,
+quando Iasón vider fatto bifolco.
+
+La concreata e perpetüa sete
+del deïforme regno cen portava
+veloci quasi come ’l ciel vedete.
+
+Beatrice in suso, e io in lei guardava;
+e forse in tanto in quanto un quadrel posa
+e vola e da la noce si dischiava,
+
+giunto mi vidi ove mirabil cosa
+mi torse il viso a sé; e però quella
+cui non potea mia cura essere ascosa,
+
+volta ver’ me, sì lieta come bella,
+«Drizza la mente in Dio grata», mi disse,
+«che n’ha congiunti con la prima stella».
+
+Parev’ a me che nube ne coprisse
+lucida, spessa, solida e pulita,
+quasi adamante che lo sol ferisse.
+
+Per entro sé l’etterna margarita
+ne ricevette, com’ acqua recepe
+raggio di luce permanendo unita.
+
+S’io era corpo, e qui non si concepe
+com’ una dimensione altra patio,
+ch’esser convien se corpo in corpo repe,
+
+accender ne dovria più il disio
+di veder quella essenza in che si vede
+come nostra natura e Dio s’unio.
+
+Lì si vedrà ciò che tenem per fede,
+non dimostrato, ma fia per sé noto
+a guisa del ver primo che l’uom crede.
+
+Io rispuosi: «Madonna, sì devoto
+com’ esser posso più, ringrazio lui
+lo qual dal mortal mondo m’ha remoto.
+
+Ma ditemi: che son li segni bui
+di questo corpo, che là giuso in terra
+fan di Cain favoleggiare altrui?».
+
+Ella sorrise alquanto, e poi «S’elli erra
+l’oppinïon», mi disse, «d’i mortali
+dove chiave di senso non diserra,
+
+certo non ti dovrien punger li strali
+d’ammirazione omai, poi dietro ai sensi
+vedi che la ragione ha corte l’ali.
+
+Ma dimmi quel che tu da te ne pensi».
+E io: «Ciò che n’appar qua sù diverso
+credo che fanno i corpi rari e densi».
+
+Ed ella: «Certo assai vedrai sommerso
+nel falso il creder tuo, se bene ascolti
+l’argomentar ch’io li farò avverso.
+
+La spera ottava vi dimostra molti
+lumi, li quali e nel quale e nel quanto
+notar si posson di diversi volti.
+
+Se raro e denso ciò facesser tanto,
+una sola virtù sarebbe in tutti,
+più e men distributa e altrettanto.
+
+Virtù diverse esser convegnon frutti
+di princìpi formali, e quei, for ch’uno,
+seguiterieno a tua ragion distrutti.
+
+Ancor, se raro fosse di quel bruno
+cagion che tu dimandi, o d’oltre in parte
+fora di sua materia sì digiuno
+
+esto pianeto, o, sì come comparte
+lo grasso e ’l magro un corpo, così questo
+nel suo volume cangerebbe carte.
+
+Se ’l primo fosse, fora manifesto
+ne l’eclissi del sol, per trasparere
+lo lume come in altro raro ingesto.
+
+Questo non è: però è da vedere
+de l’altro; e s’elli avvien ch’io l’altro cassi,
+falsificato fia lo tuo parere.
+
+S’elli è che questo raro non trapassi,
+esser conviene un termine da onde
+lo suo contrario più passar non lassi;
+
+e indi l’altrui raggio si rifonde
+così come color torna per vetro
+lo qual di retro a sé piombo nasconde.
+
+Or dirai tu ch’el si dimostra tetro
+ivi lo raggio più che in altre parti,
+per esser lì refratto più a retro.
+
+Da questa instanza può deliberarti
+esperïenza, se già mai la provi,
+ch’esser suol fonte ai rivi di vostr’ arti.
+
+Tre specchi prenderai; e i due rimovi
+da te d’un modo, e l’altro, più rimosso,
+tr’ambo li primi li occhi tuoi ritrovi.
+
+Rivolto ad essi, fa che dopo il dosso
+ti stea un lume che i tre specchi accenda
+e torni a te da tutti ripercosso.
+
+Ben che nel quanto tanto non si stenda
+la vista più lontana, lì vedrai
+come convien ch’igualmente risplenda.
+
+Or, come ai colpi de li caldi rai
+de la neve riman nudo il suggetto
+e dal colore e dal freddo primai,
+
+così rimaso te ne l’intelletto
+voglio informar di luce sì vivace,
+che ti tremolerà nel suo aspetto.
+
+Dentro dal ciel de la divina pace
+si gira un corpo ne la cui virtute
+l’esser di tutto suo contento giace.
+
+Lo ciel seguente, c’ha tante vedute,
+quell’ esser parte per diverse essenze,
+da lui distratte e da lui contenute.
+
+Li altri giron per varie differenze
+le distinzion che dentro da sé hanno
+dispongono a lor fini e lor semenze.
+
+Questi organi del mondo così vanno,
+come tu vedi omai, di grado in grado,
+che di sù prendono e di sotto fanno.
+
+Riguarda bene omai sì com’ io vado
+per questo loco al vero che disiri,
+sì che poi sappi sol tener lo guado.
+
+Lo moto e la virtù d’i santi giri,
+come dal fabbro l’arte del martello,
+da’ beati motor convien che spiri;
+
+e ’l ciel cui tanti lumi fanno bello,
+de la mente profonda che lui volve
+prende l’image e fassene suggello.
+
+E come l’alma dentro a vostra polve
+per differenti membra e conformate
+a diverse potenze si risolve,
+
+così l’intelligenza sua bontate
+multiplicata per le stelle spiega,
+girando sé sovra sua unitate.
+
+Virtù diversa fa diversa lega
+col prezïoso corpo ch’ella avviva,
+nel qual, sì come vita in voi, si lega.
+
+Per la natura lieta onde deriva,
+la virtù mista per lo corpo luce
+come letizia per pupilla viva.
+
+Da essa vien ciò che da luce a luce
+par differente, non da denso e raro;
+essa è formal principio che produce,
+
+conforme a sua bontà, lo turbo e ’l chiaro».
+
+
+
+
+Paradiso
+Canto III
+
+
+Quel sol che pria d’amor mi scaldò ’l petto,
+di bella verità m’avea scoverto,
+provando e riprovando, il dolce aspetto;
+
+e io, per confessar corretto e certo
+me stesso, tanto quanto si convenne
+leva’ il capo a proferer più erto;
+
+ma visïone apparve che ritenne
+a sé me tanto stretto, per vedersi,
+che di mia confession non mi sovvenne.
+
+Quali per vetri trasparenti e tersi,
+o ver per acque nitide e tranquille,
+non sì profonde che i fondi sien persi,
+
+tornan d’i nostri visi le postille
+debili sì, che perla in bianca fronte
+non vien men forte a le nostre pupille;
+
+tali vid’ io più facce a parlar pronte;
+per ch’io dentro a l’error contrario corsi
+a quel ch’accese amor tra l’omo e ’l fonte.
+
+Sùbito sì com’ io di lor m’accorsi,
+quelle stimando specchiati sembianti,
+per veder di cui fosser, li occhi torsi;
+
+e nulla vidi, e ritorsili avanti
+dritti nel lume de la dolce guida,
+che, sorridendo, ardea ne li occhi santi.
+
+«Non ti maravigliar perch’ io sorrida»,
+mi disse, «appresso il tuo püeril coto,
+poi sopra ’l vero ancor lo piè non fida,
+
+ma te rivolve, come suole, a vòto:
+vere sustanze son ciò che tu vedi,
+qui rilegate per manco di voto.
+
+Però parla con esse e odi e credi;
+ché la verace luce che le appaga
+da sé non lascia lor torcer li piedi».
+
+E io a l’ombra che parea più vaga
+di ragionar, drizza’mi, e cominciai,
+quasi com’ uom cui troppa voglia smaga:
+
+«O ben creato spirito, che a’ rai
+di vita etterna la dolcezza senti
+che, non gustata, non s’intende mai,
+
+grazïoso mi fia se mi contenti
+del nome tuo e de la vostra sorte».
+Ond’ ella, pronta e con occhi ridenti:
+
+«La nostra carità non serra porte
+a giusta voglia, se non come quella
+che vuol simile a sé tutta sua corte.
+
+I’ fui nel mondo vergine sorella;
+e se la mente tua ben sé riguarda,
+non mi ti celerà l’esser più bella,
+
+ma riconoscerai ch’i’ son Piccarda,
+che, posta qui con questi altri beati,
+beata sono in la spera più tarda.
+
+Li nostri affetti, che solo infiammati
+son nel piacer de lo Spirito Santo,
+letizian del suo ordine formati.
+
+E questa sorte che par giù cotanto,
+però n’è data, perché fuor negletti
+li nostri voti, e vòti in alcun canto».
+
+Ond’ io a lei: «Ne’ mirabili aspetti
+vostri risplende non so che divino
+che vi trasmuta da’ primi concetti:
+
+però non fui a rimembrar festino;
+ma or m’aiuta ciò che tu mi dici,
+sì che raffigurar m’è più latino.
+
+Ma dimmi: voi che siete qui felici,
+disiderate voi più alto loco
+per più vedere e per più farvi amici?».
+
+Con quelle altr’ ombre pria sorrise un poco;
+da indi mi rispuose tanto lieta,
+ch’arder parea d’amor nel primo foco:
+
+«Frate, la nostra volontà quïeta
+virtù di carità, che fa volerne
+sol quel ch’avemo, e d’altro non ci asseta.
+
+Se disïassimo esser più superne,
+foran discordi li nostri disiri
+dal voler di colui che qui ne cerne;
+
+che vedrai non capere in questi giri,
+s’essere in carità è qui necesse,
+e se la sua natura ben rimiri.
+
+Anzi è formale ad esto beato esse
+tenersi dentro a la divina voglia,
+per ch’una fansi nostre voglie stesse;
+
+sì che, come noi sem di soglia in soglia
+per questo regno, a tutto il regno piace
+com’ a lo re che ’n suo voler ne ’nvoglia.
+
+E ’n la sua volontade è nostra pace:
+ell’ è quel mare al qual tutto si move
+ciò ch’ella crïa o che natura face».
+
+Chiaro mi fu allor come ogne dove
+in cielo è paradiso, etsi la grazia
+del sommo ben d’un modo non vi piove.
+
+Ma sì com’ elli avvien, s’un cibo sazia
+e d’un altro rimane ancor la gola,
+che quel si chere e di quel si ringrazia,
+
+così fec’ io con atto e con parola,
+per apprender da lei qual fu la tela
+onde non trasse infino a co la spuola.
+
+«Perfetta vita e alto merto inciela
+donna più sù», mi disse, «a la cui norma
+nel vostro mondo giù si veste e vela,
+
+perché fino al morir si vegghi e dorma
+con quello sposo ch’ogne voto accetta
+che caritate a suo piacer conforma.
+
+Dal mondo, per seguirla, giovinetta
+fuggi’mi, e nel suo abito mi chiusi
+e promisi la via de la sua setta.
+
+Uomini poi, a mal più ch’a bene usi,
+fuor mi rapiron de la dolce chiostra:
+Iddio si sa qual poi mia vita fusi.
+
+E quest’ altro splendor che ti si mostra
+da la mia destra parte e che s’accende
+di tutto il lume de la spera nostra,
+
+ciò ch’io dico di me, di sé intende;
+sorella fu, e così le fu tolta
+di capo l’ombra de le sacre bende.
+
+Ma poi che pur al mondo fu rivolta
+contra suo grado e contra buona usanza,
+non fu dal vel del cor già mai disciolta.
+
+Quest’ è la luce de la gran Costanza
+che del secondo vento di Soave
+generò ’l terzo e l’ultima possanza».
+
+Così parlommi, e poi cominciò ‘Ave,
+Maria’ cantando, e cantando vanio
+come per acqua cupa cosa grave.
+
+La vista mia, che tanto lei seguio
+quanto possibil fu, poi che la perse,
+volsesi al segno di maggior disio,
+
+e a Beatrice tutta si converse;
+ma quella folgorò nel mïo sguardo
+sì che da prima il viso non sofferse;
+
+e ciò mi fece a dimandar più tardo.
+
+
+
+
+Paradiso
+Canto IV
+
+
+Intra due cibi, distanti e moventi
+d’un modo, prima si morria di fame,
+che liber’ omo l’un recasse ai denti;
+
+sì si starebbe un agno intra due brame
+di fieri lupi, igualmente temendo;
+sì si starebbe un cane intra due dame:
+
+per che, s’i’ mi tacea, me non riprendo,
+da li miei dubbi d’un modo sospinto,
+poi ch’era necessario, né commendo.
+
+Io mi tacea, ma ’l mio disir dipinto
+m’era nel viso, e ’l dimandar con ello,
+più caldo assai che per parlar distinto.
+
+Fé sì Beatrice qual fé Danïello,
+Nabuccodonosor levando d’ira,
+che l’avea fatto ingiustamente fello;
+
+e disse: «Io veggio ben come ti tira
+uno e altro disio, sì che tua cura
+sé stessa lega sì che fuor non spira.
+
+Tu argomenti: “Se ’l buon voler dura,
+la vïolenza altrui per qual ragione
+di meritar mi scema la misura?”.
+
+Ancor di dubitar ti dà cagione
+parer tornarsi l’anime a le stelle,
+secondo la sentenza di Platone.
+
+Queste son le question che nel tuo velle
+pontano igualmente; e però pria
+tratterò quella che più ha di felle.
+
+D’i Serafin colui che più s’india,
+Moïsè, Samuel, e quel Giovanni
+che prender vuoli, io dico, non Maria,
+
+non hanno in altro cielo i loro scanni
+che questi spirti che mo t’appariro,
+né hanno a l’esser lor più o meno anni;
+
+ma tutti fanno bello il primo giro,
+e differentemente han dolce vita
+per sentir più e men l’etterno spiro.
+
+Qui si mostraro, non perché sortita
+sia questa spera lor, ma per far segno
+de la celestïal c’ha men salita.
+
+Così parlar conviensi al vostro ingegno,
+però che solo da sensato apprende
+ciò che fa poscia d’intelletto degno.
+
+Per questo la Scrittura condescende
+a vostra facultate, e piedi e mano
+attribuisce a Dio e altro intende;
+
+e Santa Chiesa con aspetto umano
+Gabrïel e Michel vi rappresenta,
+e l’altro che Tobia rifece sano.
+
+Quel che Timeo de l’anime argomenta
+non è simile a ciò che qui si vede,
+però che, come dice, par che senta.
+
+Dice che l’alma a la sua stella riede,
+credendo quella quindi esser decisa
+quando natura per forma la diede;
+
+e forse sua sentenza è d’altra guisa
+che la voce non suona, ed esser puote
+con intenzion da non esser derisa.
+
+S’elli intende tornare a queste ruote
+l’onor de la influenza e ’l biasmo, forse
+in alcun vero suo arco percuote.
+
+Questo principio, male inteso, torse
+già tutto il mondo quasi, sì che Giove,
+Mercurio e Marte a nominar trascorse.
+
+L’altra dubitazion che ti commove
+ha men velen, però che sua malizia
+non ti poria menar da me altrove.
+
+Parere ingiusta la nostra giustizia
+ne li occhi d’i mortali, è argomento
+di fede e non d’eretica nequizia.
+
+Ma perché puote vostro accorgimento
+ben penetrare a questa veritate,
+come disiri, ti farò contento.
+
+Se vïolenza è quando quel che pate
+nïente conferisce a quel che sforza,
+non fuor quest’ alme per essa scusate:
+
+ché volontà, se non vuol, non s’ammorza,
+ma fa come natura face in foco,
+se mille volte vïolenza il torza.
+
+Per che, s’ella si piega assai o poco,
+segue la forza; e così queste fero
+possendo rifuggir nel santo loco.
+
+Se fosse stato lor volere intero,
+come tenne Lorenzo in su la grada,
+e fece Muzio a la sua man severo,
+
+così l’avria ripinte per la strada
+ond’ eran tratte, come fuoro sciolte;
+ma così salda voglia è troppo rada.
+
+E per queste parole, se ricolte
+l’hai come dei, è l’argomento casso
+che t’avria fatto noia ancor più volte.
+
+Ma or ti s’attraversa un altro passo
+dinanzi a li occhi, tal che per te stesso
+non usciresti: pria saresti lasso.
+
+Io t’ho per certo ne la mente messo
+ch’alma beata non poria mentire,
+però ch’è sempre al primo vero appresso;
+
+e poi potesti da Piccarda udire
+che l’affezion del vel Costanza tenne;
+sì ch’ella par qui meco contradire.
+
+Molte fïate già, frate, addivenne
+che, per fuggir periglio, contra grato
+si fé di quel che far non si convenne;
+
+come Almeone, che, di ciò pregato
+dal padre suo, la propria madre spense,
+per non perder pietà si fé spietato.
+
+A questo punto voglio che tu pense
+che la forza al voler si mischia, e fanno
+sì che scusar non si posson l’offense.
+
+Voglia assoluta non consente al danno;
+ma consentevi in tanto in quanto teme,
+se si ritrae, cadere in più affanno.
+
+Però, quando Piccarda quello spreme,
+de la voglia assoluta intende, e io
+de l’altra; sì che ver diciamo insieme».
+
+Cotal fu l’ondeggiar del santo rio
+ch’uscì del fonte ond’ ogne ver deriva;
+tal puose in pace uno e altro disio.
+
+«O amanza del primo amante, o diva»,
+diss’ io appresso, «il cui parlar m’inonda
+e scalda sì, che più e più m’avviva,
+
+non è l’affezion mia tanto profonda,
+che basti a render voi grazia per grazia;
+ma quei che vede e puote a ciò risponda.
+
+Io veggio ben che già mai non si sazia
+nostro intelletto, se ’l ver non lo illustra
+di fuor dal qual nessun vero si spazia.
+
+Posasi in esso, come fera in lustra,
+tosto che giunto l’ha; e giugner puollo:
+se non, ciascun disio sarebbe frustra.
+
+Nasce per quello, a guisa di rampollo,
+a piè del vero il dubbio; ed è natura
+ch’al sommo pinge noi di collo in collo.
+
+Questo m’invita, questo m’assicura
+con reverenza, donna, a dimandarvi
+d’un’altra verità che m’è oscura.
+
+Io vo’ saper se l’uom può sodisfarvi
+ai voti manchi sì con altri beni,
+ch’a la vostra statera non sien parvi».
+
+Beatrice mi guardò con li occhi pieni
+di faville d’amor così divini,
+che, vinta, mia virtute diè le reni,
+
+e quasi mi perdei con li occhi chini.
+
+
+
+
+Paradiso
+Canto V
+
+
+«S’io ti fiammeggio nel caldo d’amore
+di là dal modo che ’n terra si vede,
+sì che del viso tuo vinco il valore,
+
+non ti maravigliar, ché ciò procede
+da perfetto veder, che, come apprende,
+così nel bene appreso move il piede.
+
+Io veggio ben sì come già resplende
+ne l’intelletto tuo l’etterna luce,
+che, vista, sola e sempre amore accende;
+
+e s’altra cosa vostro amor seduce,
+non è se non di quella alcun vestigio,
+mal conosciuto, che quivi traluce.
+
+Tu vuo’ saper se con altro servigio,
+per manco voto, si può render tanto
+che l’anima sicuri di letigio».
+
+Sì cominciò Beatrice questo canto;
+e sì com’ uom che suo parlar non spezza,
+continüò così ’l processo santo:
+
+«Lo maggior don che Dio per sua larghezza
+fesse creando, e a la sua bontate
+più conformato, e quel ch’e’ più apprezza,
+
+fu de la volontà la libertate;
+di che le creature intelligenti,
+e tutte e sole, fuoro e son dotate.
+
+Or ti parrà, se tu quinci argomenti,
+l’alto valor del voto, s’è sì fatto
+che Dio consenta quando tu consenti;
+
+ché, nel fermar tra Dio e l’omo il patto,
+vittima fassi di questo tesoro,
+tal quale io dico; e fassi col suo atto.
+
+Dunque che render puossi per ristoro?
+Se credi bene usar quel c’hai offerto,
+di maltolletto vuo’ far buon lavoro.
+
+Tu se’ omai del maggior punto certo;
+ma perché Santa Chiesa in ciò dispensa,
+che par contra lo ver ch’i’ t’ho scoverto,
+
+convienti ancor sedere un poco a mensa,
+però che ’l cibo rigido c’hai preso,
+richiede ancora aiuto a tua dispensa.
+
+Apri la mente a quel ch’io ti paleso
+e fermalvi entro; ché non fa scïenza,
+sanza lo ritenere, avere inteso.
+
+Due cose si convegnono a l’essenza
+di questo sacrificio: l’una è quella
+di che si fa; l’altr’ è la convenenza.
+
+Quest’ ultima già mai non si cancella
+se non servata; e intorno di lei
+sì preciso di sopra si favella:
+
+però necessitato fu a li Ebrei
+pur l’offerere, ancor ch’alcuna offerta
+sì permutasse, come saver dei.
+
+L’altra, che per materia t’è aperta,
+puote ben esser tal, che non si falla
+se con altra materia si converta.
+
+Ma non trasmuti carco a la sua spalla
+per suo arbitrio alcun, sanza la volta
+e de la chiave bianca e de la gialla;
+
+e ogne permutanza credi stolta,
+se la cosa dimessa in la sorpresa
+come ’l quattro nel sei non è raccolta.
+
+Però qualunque cosa tanto pesa
+per suo valor che tragga ogne bilancia,
+sodisfar non si può con altra spesa.
+
+Non prendan li mortali il voto a ciancia;
+siate fedeli, e a ciò far non bieci,
+come Ieptè a la sua prima mancia;
+
+cui più si convenia dicer ‘Mal feci’,
+che, servando, far peggio; e così stolto
+ritrovar puoi il gran duca de’ Greci,
+
+onde pianse Efigènia il suo bel volto,
+e fé pianger di sé i folli e i savi
+ch’udir parlar di così fatto cólto.
+
+Siate, Cristiani, a muovervi più gravi:
+non siate come penna ad ogne vento,
+e non crediate ch’ogne acqua vi lavi.
+
+Avete il novo e ’l vecchio Testamento,
+e ’l pastor de la Chiesa che vi guida;
+questo vi basti a vostro salvamento.
+
+Se mala cupidigia altro vi grida,
+uomini siate, e non pecore matte,
+sì che ’l Giudeo di voi tra voi non rida!
+
+Non fate com’ agnel che lascia il latte
+de la sua madre, e semplice e lascivo
+seco medesmo a suo piacer combatte!».
+
+Così Beatrice a me com’ ïo scrivo;
+poi si rivolse tutta disïante
+a quella parte ove ’l mondo è più vivo.
+
+Lo suo tacere e ’l trasmutar sembiante
+puoser silenzio al mio cupido ingegno,
+che già nuove questioni avea davante;
+
+e sì come saetta che nel segno
+percuote pria che sia la corda queta,
+così corremmo nel secondo regno.
+
+Quivi la donna mia vid’ io sì lieta,
+come nel lume di quel ciel si mise,
+che più lucente se ne fé ’l pianeta.
+
+E se la stella si cambiò e rise,
+qual mi fec’ io che pur da mia natura
+trasmutabile son per tutte guise!
+
+Come ’n peschiera ch’è tranquilla e pura
+traggonsi i pesci a ciò che vien di fori
+per modo che lo stimin lor pastura,
+
+sì vid’ io ben più di mille splendori
+trarsi ver’ noi, e in ciascun s’udia:
+«Ecco chi crescerà li nostri amori».
+
+E sì come ciascuno a noi venìa,
+vedeasi l’ombra piena di letizia
+nel folgór chiaro che di lei uscia.
+
+Pensa, lettor, se quel che qui s’inizia
+non procedesse, come tu avresti
+di più savere angosciosa carizia;
+
+e per te vederai come da questi
+m’era in disio d’udir lor condizioni,
+sì come a li occhi mi fur manifesti.
+
+«O bene nato a cui veder li troni
+del trïunfo etternal concede grazia
+prima che la milizia s’abbandoni,
+
+del lume che per tutto il ciel si spazia
+noi semo accesi; e però, se disii
+di noi chiarirti, a tuo piacer ti sazia».
+
+Così da un di quelli spirti pii
+detto mi fu; e da Beatrice: «Dì, dì
+sicuramente, e credi come a dii».
+
+«Io veggio ben sì come tu t’annidi
+nel proprio lume, e che de li occhi il traggi,
+perch’ e’ corusca sì come tu ridi;
+
+ma non so chi tu se’, né perché aggi,
+anima degna, il grado de la spera
+che si vela a’ mortai con altrui raggi».
+
+Questo diss’ io diritto a la lumera
+che pria m’avea parlato; ond’ ella fessi
+lucente più assai di quel ch’ell’ era.
+
+Sì come il sol che si cela elli stessi
+per troppa luce, come ’l caldo ha róse
+le temperanze d’i vapori spessi,
+
+per più letizia sì mi si nascose
+dentro al suo raggio la figura santa;
+e così chiusa chiusa mi rispuose
+
+nel modo che ’l seguente canto canta.
+
+
+
+
+Paradiso
+Canto VI
+
+
+«Poscia che Costantin l’aquila volse
+contr’ al corso del ciel, ch’ella seguio
+dietro a l’antico che Lavina tolse,
+
+cento e cent’ anni e più l’uccel di Dio
+ne lo stremo d’Europa si ritenne,
+vicino a’ monti de’ quai prima uscìo;
+
+e sotto l’ombra de le sacre penne
+governò ’l mondo lì di mano in mano,
+e, sì cangiando, in su la mia pervenne.
+
+Cesare fui e son Iustinïano,
+che, per voler del primo amor ch’i’ sento,
+d’entro le leggi trassi il troppo e ’l vano.
+
+E prima ch’io a l’ovra fossi attento,
+una natura in Cristo esser, non piùe,
+credea, e di tal fede era contento;
+
+ma ’l benedetto Agapito, che fue
+sommo pastore, a la fede sincera
+mi dirizzò con le parole sue.
+
+Io li credetti; e ciò che ’n sua fede era,
+vegg’ io or chiaro sì, come tu vedi
+ogni contradizione e falsa e vera.
+
+Tosto che con la Chiesa mossi i piedi,
+a Dio per grazia piacque di spirarmi
+l’alto lavoro, e tutto ’n lui mi diedi;
+
+e al mio Belisar commendai l’armi,
+cui la destra del ciel fu sì congiunta,
+che segno fu ch’i’ dovessi posarmi.
+
+Or qui a la question prima s’appunta
+la mia risposta; ma sua condizione
+mi stringe a seguitare alcuna giunta,
+
+perché tu veggi con quanta ragione
+si move contr’ al sacrosanto segno
+e chi ’l s’appropria e chi a lui s’oppone.
+
+Vedi quanta virtù l’ha fatto degno
+di reverenza; e cominciò da l’ora
+che Pallante morì per darli regno.
+
+Tu sai ch’el fece in Alba sua dimora
+per trecento anni e oltre, infino al fine
+che i tre a’ tre pugnar per lui ancora.
+
+E sai ch’el fé dal mal de le Sabine
+al dolor di Lucrezia in sette regi,
+vincendo intorno le genti vicine.
+
+Sai quel ch’el fé portato da li egregi
+Romani incontro a Brenno, incontro a Pirro,
+incontro a li altri principi e collegi;
+
+onde Torquato e Quinzio, che dal cirro
+negletto fu nomato, i Deci e ’ Fabi
+ebber la fama che volontier mirro.
+
+Esso atterrò l’orgoglio de li Aràbi
+che di retro ad Anibale passaro
+l’alpestre rocce, Po, di che tu labi.
+
+Sott’ esso giovanetti trïunfaro
+Scipïone e Pompeo; e a quel colle
+sotto ’l qual tu nascesti parve amaro.
+
+Poi, presso al tempo che tutto ’l ciel volle
+redur lo mondo a suo modo sereno,
+Cesare per voler di Roma il tolle.
+
+E quel che fé da Varo infino a Reno,
+Isara vide ed Era e vide Senna
+e ogne valle onde Rodano è pieno.
+
+Quel che fé poi ch’elli uscì di Ravenna
+e saltò Rubicon, fu di tal volo,
+che nol seguiteria lingua né penna.
+
+Inver’ la Spagna rivolse lo stuolo,
+poi ver’ Durazzo, e Farsalia percosse
+sì ch’al Nil caldo si sentì del duolo.
+
+Antandro e Simeonta, onde si mosse,
+rivide e là dov’ Ettore si cuba;
+e mal per Tolomeo poscia si scosse.
+
+Da indi scese folgorando a Iuba;
+onde si volse nel vostro occidente,
+ove sentia la pompeana tuba.
+
+Di quel che fé col baiulo seguente,
+Bruto con Cassio ne l’inferno latra,
+e Modena e Perugia fu dolente.
+
+Piangene ancor la trista Cleopatra,
+che, fuggendoli innanzi, dal colubro
+la morte prese subitana e atra.
+
+Con costui corse infino al lito rubro;
+con costui puose il mondo in tanta pace,
+che fu serrato a Giano il suo delubro.
+
+Ma ciò che ’l segno che parlar mi face
+fatto avea prima e poi era fatturo
+per lo regno mortal ch’a lui soggiace,
+
+diventa in apparenza poco e scuro,
+se in mano al terzo Cesare si mira
+con occhio chiaro e con affetto puro;
+
+ché la viva giustizia che mi spira,
+li concedette, in mano a quel ch’i’ dico,
+gloria di far vendetta a la sua ira.
+
+Or qui t’ammira in ciò ch’io ti replìco:
+poscia con Tito a far vendetta corse
+de la vendetta del peccato antico.
+
+E quando il dente longobardo morse
+la Santa Chiesa, sotto le sue ali
+Carlo Magno, vincendo, la soccorse.
+
+Omai puoi giudicar di quei cotali
+ch’io accusai di sopra e di lor falli,
+che son cagion di tutti vostri mali.
+
+L’uno al pubblico segno i gigli gialli
+oppone, e l’altro appropria quello a parte,
+sì ch’è forte a veder chi più si falli.
+
+Faccian li Ghibellin, faccian lor arte
+sott’ altro segno, ché mal segue quello
+sempre chi la giustizia e lui diparte;
+
+e non l’abbatta esto Carlo novello
+coi Guelfi suoi, ma tema de li artigli
+ch’a più alto leon trasser lo vello.
+
+Molte fïate già pianser li figli
+per la colpa del padre, e non si creda
+che Dio trasmuti l’armi per suoi gigli!
+
+Questa picciola stella si correda
+d’i buoni spirti che son stati attivi
+perché onore e fama li succeda:
+
+e quando li disiri poggian quivi,
+sì disvïando, pur convien che i raggi
+del vero amore in sù poggin men vivi.
+
+Ma nel commensurar d’i nostri gaggi
+col merto è parte di nostra letizia,
+perché non li vedem minor né maggi.
+
+Quindi addolcisce la viva giustizia
+in noi l’affetto sì, che non si puote
+torcer già mai ad alcuna nequizia.
+
+Diverse voci fanno dolci note;
+così diversi scanni in nostra vita
+rendon dolce armonia tra queste rote.
+
+E dentro a la presente margarita
+luce la luce di Romeo, di cui
+fu l’ovra grande e bella mal gradita.
+
+Ma i Provenzai che fecer contra lui
+non hanno riso; e però mal cammina
+qual si fa danno del ben fare altrui.
+
+Quattro figlie ebbe, e ciascuna reina,
+Ramondo Beringhiere, e ciò li fece
+Romeo, persona umìle e peregrina.
+
+E poi il mosser le parole biece
+a dimandar ragione a questo giusto,
+che li assegnò sette e cinque per diece,
+
+indi partissi povero e vetusto;
+e se ’l mondo sapesse il cor ch’elli ebbe
+mendicando sua vita a frusto a frusto,
+
+assai lo loda, e più lo loderebbe».
+
+
+
+
+Paradiso
+Canto VII
+
+
+«Osanna, sanctus Deus sabaòth,
+superillustrans claritate tua
+felices ignes horum malacòth!».
+
+Così, volgendosi a la nota sua,
+fu viso a me cantare essa sustanza,
+sopra la qual doppio lume s’addua;
+
+ed essa e l’altre mossero a sua danza,
+e quasi velocissime faville
+mi si velar di sùbita distanza.
+
+Io dubitava e dicea ‘Dille, dille!’
+fra me, ‘dille’ dicea, ‘a la mia donna
+che mi diseta con le dolci stille’.
+
+Ma quella reverenza che s’indonna
+di tutto me, pur per Be e per ice,
+mi richinava come l’uom ch’assonna.
+
+Poco sofferse me cotal Beatrice
+e cominciò, raggiandomi d’un riso
+tal, che nel foco faria l’uom felice:
+
+«Secondo mio infallibile avviso,
+come giusta vendetta giustamente
+punita fosse, t’ha in pensier miso;
+
+ma io ti solverò tosto la mente;
+e tu ascolta, ché le mie parole
+di gran sentenza ti faran presente.
+
+Per non soffrire a la virtù che vole
+freno a suo prode, quell’ uom che non nacque,
+dannando sé, dannò tutta sua prole;
+
+onde l’umana specie inferma giacque
+giù per secoli molti in grande errore,
+fin ch’al Verbo di Dio discender piacque
+
+u’ la natura, che dal suo fattore
+s’era allungata, unì a sé in persona
+con l’atto sol del suo etterno amore.
+
+Or drizza il viso a quel ch’or si ragiona:
+questa natura al suo fattore unita,
+qual fu creata, fu sincera e buona;
+
+ma per sé stessa pur fu ella sbandita
+di paradiso, però che si torse
+da via di verità e da sua vita.
+
+La pena dunque che la croce porse
+s’a la natura assunta si misura,
+nulla già mai sì giustamente morse;
+
+e così nulla fu di tanta ingiura,
+guardando a la persona che sofferse,
+in che era contratta tal natura.
+
+Però d’un atto uscir cose diverse:
+ch’a Dio e a’ Giudei piacque una morte;
+per lei tremò la terra e ’l ciel s’aperse.
+
+Non ti dee oramai parer più forte,
+quando si dice che giusta vendetta
+poscia vengiata fu da giusta corte.
+
+Ma io veggi’ or la tua mente ristretta
+di pensiero in pensier dentro ad un nodo,
+del qual con gran disio solver s’aspetta.
+
+Tu dici: “Ben discerno ciò ch’i’ odo;
+ma perché Dio volesse, m’è occulto,
+a nostra redenzion pur questo modo”.
+
+Questo decreto, frate, sta sepulto
+a li occhi di ciascuno il cui ingegno
+ne la fiamma d’amor non è adulto.
+
+Veramente, però ch’a questo segno
+molto si mira e poco si discerne,
+dirò perché tal modo fu più degno.
+
+La divina bontà, che da sé sperne
+ogne livore, ardendo in sé, sfavilla
+sì che dispiega le bellezze etterne.
+
+Ciò che da lei sanza mezzo distilla
+non ha poi fine, perché non si move
+la sua imprenta quand’ ella sigilla.
+
+Ciò che da essa sanza mezzo piove
+libero è tutto, perché non soggiace
+a la virtute de le cose nove.
+
+Più l’è conforme, e però più le piace;
+ché l’ardor santo ch’ogne cosa raggia,
+ne la più somigliante è più vivace.
+
+Di tutte queste dote s’avvantaggia
+l’umana creatura, e s’una manca,
+di sua nobilità convien che caggia.
+
+Solo il peccato è quel che la disfranca
+e falla dissimìle al sommo bene,
+per che del lume suo poco s’imbianca;
+
+e in sua dignità mai non rivene,
+se non rïempie, dove colpa vòta,
+contra mal dilettar con giuste pene.
+
+Vostra natura, quando peccò tota
+nel seme suo, da queste dignitadi,
+come di paradiso, fu remota;
+
+né ricovrar potiensi, se tu badi
+ben sottilmente, per alcuna via,
+sanza passar per un di questi guadi:
+
+o che Dio solo per sua cortesia
+dimesso avesse, o che l’uom per sé isso
+avesse sodisfatto a sua follia.
+
+Ficca mo l’occhio per entro l’abisso
+de l’etterno consiglio, quanto puoi
+al mio parlar distrettamente fisso.
+
+Non potea l’uomo ne’ termini suoi
+mai sodisfar, per non potere ir giuso
+con umiltate obedïendo poi,
+
+quanto disobediendo intese ir suso;
+e questa è la cagion per che l’uom fue
+da poter sodisfar per sé dischiuso.
+
+Dunque a Dio convenia con le vie sue
+riparar l’omo a sua intera vita,
+dico con l’una, o ver con amendue.
+
+Ma perché l’ovra tanto è più gradita
+da l’operante, quanto più appresenta
+de la bontà del core ond’ ell’ è uscita,
+
+la divina bontà che ’l mondo imprenta,
+di proceder per tutte le sue vie,
+a rilevarvi suso, fu contenta.
+
+Né tra l’ultima notte e ’l primo die
+sì alto o sì magnifico processo,
+o per l’una o per l’altra, fu o fie:
+
+ché più largo fu Dio a dar sé stesso
+per far l’uom sufficiente a rilevarsi,
+che s’elli avesse sol da sé dimesso;
+
+e tutti li altri modi erano scarsi
+a la giustizia, se ’l Figliuol di Dio
+non fosse umilïato ad incarnarsi.
+
+Or per empierti bene ogne disio,
+ritorno a dichiararti in alcun loco,
+perché tu veggi lì così com’ io.
+
+Tu dici: “Io veggio l’acqua, io veggio il foco,
+l’aere e la terra e tutte lor misture
+venire a corruzione, e durar poco;
+
+e queste cose pur furon creature;
+per che, se ciò ch’è detto è stato vero,
+esser dovrien da corruzion sicure”.
+
+Li angeli, frate, e ’l paese sincero
+nel qual tu se’, dir si posson creati,
+sì come sono, in loro essere intero;
+
+ma li alimenti che tu hai nomati
+e quelle cose che di lor si fanno
+da creata virtù sono informati.
+
+Creata fu la materia ch’elli hanno;
+creata fu la virtù informante
+in queste stelle che ’ntorno a lor vanno.
+
+L’anima d’ogne bruto e de le piante
+di complession potenzïata tira
+lo raggio e ’l moto de le luci sante;
+
+ma vostra vita sanza mezzo spira
+la somma beninanza, e la innamora
+di sé sì che poi sempre la disira.
+
+E quinci puoi argomentare ancora
+vostra resurrezion, se tu ripensi
+come l’umana carne fessi allora
+
+che li primi parenti intrambo fensi».
+
+
+
+
+Paradiso
+Canto VIII
+
+
+Solea creder lo mondo in suo periclo
+che la bella Ciprigna il folle amore
+raggiasse, volta nel terzo epiciclo;
+
+per che non pur a lei faceano onore
+di sacrificio e di votivo grido
+le genti antiche ne l’antico errore;
+
+ma Dïone onoravano e Cupido,
+quella per madre sua, questo per figlio,
+e dicean ch’el sedette in grembo a Dido;
+
+e da costei ond’ io principio piglio
+pigliavano il vocabol de la stella
+che ’l sol vagheggia or da coppa or da ciglio.
+
+Io non m’accorsi del salire in ella;
+ma d’esservi entro mi fé assai fede
+la donna mia ch’i’ vidi far più bella.
+
+E come in fiamma favilla si vede,
+e come in voce voce si discerne,
+quand’ una è ferma e altra va e riede,
+
+vid’ io in essa luce altre lucerne
+muoversi in giro più e men correnti,
+al modo, credo, di lor viste interne.
+
+Di fredda nube non disceser venti,
+o visibili o no, tanto festini,
+che non paressero impediti e lenti
+
+a chi avesse quei lumi divini
+veduti a noi venir, lasciando il giro
+pria cominciato in li alti Serafini;
+
+e dentro a quei che più innanzi appariro
+sonava ‘Osanna’ sì, che unque poi
+di rïudir non fui sanza disiro.
+
+Indi si fece l’un più presso a noi
+e solo incominciò: «Tutti sem presti
+al tuo piacer, perché di noi ti gioi.
+
+Noi ci volgiam coi principi celesti
+d’un giro e d’un girare e d’una sete,
+ai quali tu del mondo già dicesti:
+
+‘Voi che ’ntendendo il terzo ciel movete’;
+e sem sì pien d’amor, che, per piacerti,
+non fia men dolce un poco di quïete».
+
+Poscia che li occhi miei si fuoro offerti
+a la mia donna reverenti, ed essa
+fatti li avea di sé contenti e certi,
+
+rivolsersi a la luce che promessa
+tanto s’avea, e «Deh, chi siete?» fue
+la voce mia di grande affetto impressa.
+
+E quanta e quale vid’ io lei far piùe
+per allegrezza nova che s’accrebbe,
+quando parlai, a l’allegrezze sue!
+
+Così fatta, mi disse: «Il mondo m’ebbe
+giù poco tempo; e se più fosse stato,
+molto sarà di mal, che non sarebbe.
+
+La mia letizia mi ti tien celato
+che mi raggia dintorno e mi nasconde
+quasi animal di sua seta fasciato.
+
+Assai m’amasti, e avesti ben onde;
+che s’io fossi giù stato, io ti mostrava
+di mio amor più oltre che le fronde.
+
+Quella sinistra riva che si lava
+di Rodano poi ch’è misto con Sorga,
+per suo segnore a tempo m’aspettava,
+
+e quel corno d’Ausonia che s’imborga
+di Bari e di Gaeta e di Catona,
+da ove Tronto e Verde in mare sgorga.
+
+Fulgeami già in fronte la corona
+di quella terra che ’l Danubio riga
+poi che le ripe tedesche abbandona.
+
+E la bella Trinacria, che caliga
+tra Pachino e Peloro, sopra ’l golfo
+che riceve da Euro maggior briga,
+
+non per Tifeo ma per nascente solfo,
+attesi avrebbe li suoi regi ancora,
+nati per me di Carlo e di Ridolfo,
+
+se mala segnoria, che sempre accora
+li popoli suggetti, non avesse
+mosso Palermo a gridar: “Mora, mora!”.
+
+E se mio frate questo antivedesse,
+l’avara povertà di Catalogna
+già fuggeria, perché non li offendesse;
+
+ché veramente proveder bisogna
+per lui, o per altrui, sì ch’a sua barca
+carcata più d’incarco non si pogna.
+
+La sua natura, che di larga parca
+discese, avria mestier di tal milizia
+che non curasse di mettere in arca».
+
+«Però ch’i’ credo che l’alta letizia
+che ’l tuo parlar m’infonde, segnor mio,
+là ’ve ogne ben si termina e s’inizia,
+
+per te si veggia come la vegg’ io,
+grata m’è più; e anco quest’ ho caro
+perché ’l discerni rimirando in Dio.
+
+Fatto m’hai lieto, e così mi fa chiaro,
+poi che, parlando, a dubitar m’hai mosso
+com’ esser può, di dolce seme, amaro».
+
+Questo io a lui; ed elli a me: «S’io posso
+mostrarti un vero, a quel che tu dimandi
+terrai lo viso come tien lo dosso.
+
+Lo ben che tutto il regno che tu scandi
+volge e contenta, fa esser virtute
+sua provedenza in questi corpi grandi.
+
+E non pur le nature provedute
+sono in la mente ch’è da sé perfetta,
+ma esse insieme con la lor salute:
+
+per che quantunque quest’ arco saetta
+disposto cade a proveduto fine,
+sì come cosa in suo segno diretta.
+
+Se ciò non fosse, il ciel che tu cammine
+producerebbe sì li suoi effetti,
+che non sarebbero arti, ma ruine;
+
+e ciò esser non può, se li ’ntelletti
+che muovon queste stelle non son manchi,
+e manco il primo, che non li ha perfetti.
+
+Vuo’ tu che questo ver più ti s’imbianchi?».
+E io: «Non già; ché impossibil veggio
+che la natura, in quel ch’è uopo, stanchi».
+
+Ond’ elli ancora: «Or dì: sarebbe il peggio
+per l’omo in terra, se non fosse cive?».
+«Sì», rispuos’ io; «e qui ragion non cheggio».
+
+«E puot’ elli esser, se giù non si vive
+diversamente per diversi offici?
+Non, se ’l maestro vostro ben vi scrive».
+
+Sì venne deducendo infino a quici;
+poscia conchiuse: «Dunque esser diverse
+convien di vostri effetti le radici:
+
+per ch’un nasce Solone e altro Serse,
+altro Melchisedèch e altro quello
+che, volando per l’aere, il figlio perse.
+
+La circular natura, ch’è suggello
+a la cera mortal, fa ben sua arte,
+ma non distingue l’un da l’altro ostello.
+
+Quinci addivien ch’Esaù si diparte
+per seme da Iacòb; e vien Quirino
+da sì vil padre, che si rende a Marte.
+
+Natura generata il suo cammino
+simil farebbe sempre a’ generanti,
+se non vincesse il proveder divino.
+
+Or quel che t’era dietro t’è davanti:
+ma perché sappi che di te mi giova,
+un corollario voglio che t’ammanti.
+
+Sempre natura, se fortuna trova
+discorde a sé, com’ ogne altra semente
+fuor di sua regïon, fa mala prova.
+
+E se ’l mondo là giù ponesse mente
+al fondamento che natura pone,
+seguendo lui, avria buona la gente.
+
+Ma voi torcete a la religïone
+tal che fia nato a cignersi la spada,
+e fate re di tal ch’è da sermone;
+
+onde la traccia vostra è fuor di strada».
+
+
+
+
+Paradiso
+Canto IX
+
+
+Da poi che Carlo tuo, bella Clemenza,
+m’ebbe chiarito, mi narrò li ’nganni
+che ricever dovea la sua semenza;
+
+ma disse: «Taci e lascia muover li anni»;
+sì ch’io non posso dir se non che pianto
+giusto verrà di retro ai vostri danni.
+
+E già la vita di quel lume santo
+rivolta s’era al Sol che la rïempie
+come quel ben ch’a ogne cosa è tanto.
+
+Ahi anime ingannate e fatture empie,
+che da sì fatto ben torcete i cuori,
+drizzando in vanità le vostre tempie!
+
+Ed ecco un altro di quelli splendori
+ver’ me si fece, e ’l suo voler piacermi
+significava nel chiarir di fori.
+
+Li occhi di Bëatrice, ch’eran fermi
+sovra me, come pria, di caro assenso
+al mio disio certificato fermi.
+
+«Deh, metti al mio voler tosto compenso,
+beato spirto», dissi, «e fammi prova
+ch’i’ possa in te refletter quel ch’io penso!».
+
+Onde la luce che m’era ancor nova,
+del suo profondo, ond’ ella pria cantava,
+seguette come a cui di ben far giova:
+
+«In quella parte de la terra prava
+italica che siede tra Rïalto
+e le fontane di Brenta e di Piava,
+
+si leva un colle, e non surge molt’ alto,
+là onde scese già una facella
+che fece a la contrada un grande assalto.
+
+D’una radice nacqui e io ed ella:
+Cunizza fui chiamata, e qui refulgo
+perché mi vinse il lume d’esta stella;
+
+ma lietamente a me medesma indulgo
+la cagion di mia sorte, e non mi noia;
+che parria forse forte al vostro vulgo.
+
+Di questa luculenta e cara gioia
+del nostro cielo che più m’è propinqua,
+grande fama rimase; e pria che moia,
+
+questo centesimo anno ancor s’incinqua:
+vedi se far si dee l’omo eccellente,
+sì ch’altra vita la prima relinqua.
+
+E ciò non pensa la turba presente
+che Tagliamento e Adice richiude,
+né per esser battuta ancor si pente;
+
+ma tosto fia che Padova al palude
+cangerà l’acqua che Vincenza bagna,
+per essere al dover le genti crude;
+
+e dove Sile e Cagnan s’accompagna,
+tal signoreggia e va con la testa alta,
+che già per lui carpir si fa la ragna.
+
+Piangerà Feltro ancora la difalta
+de l’empio suo pastor, che sarà sconcia
+sì, che per simil non s’entrò in malta.
+
+Troppo sarebbe larga la bigoncia
+che ricevesse il sangue ferrarese,
+e stanco chi ’l pesasse a oncia a oncia,
+
+che donerà questo prete cortese
+per mostrarsi di parte; e cotai doni
+conformi fieno al viver del paese.
+
+Sù sono specchi, voi dicete Troni,
+onde refulge a noi Dio giudicante;
+sì che questi parlar ne paion buoni».
+
+Qui si tacette; e fecemi sembiante
+che fosse ad altro volta, per la rota
+in che si mise com’ era davante.
+
+L’altra letizia, che m’era già nota
+per cara cosa, mi si fece in vista
+qual fin balasso in che lo sol percuota.
+
+Per letiziar là sù fulgor s’acquista,
+sì come riso qui; ma giù s’abbuia
+l’ombra di fuor, come la mente è trista.
+
+«Dio vede tutto, e tuo veder s’inluia»,
+diss’ io, «beato spirto, sì che nulla
+voglia di sé a te puot’ esser fuia.
+
+Dunque la voce tua, che ’l ciel trastulla
+sempre col canto di quei fuochi pii
+che di sei ali facen la coculla,
+
+perché non satisface a’ miei disii?
+Già non attendere’ io tua dimanda,
+s’io m’intuassi, come tu t’inmii».
+
+«La maggior valle in che l’acqua si spanda»,
+incominciaro allor le sue parole,
+«fuor di quel mar che la terra inghirlanda,
+
+tra ’ discordanti liti contra ’l sole
+tanto sen va, che fa meridïano
+là dove l’orizzonte pria far suole.
+
+Di quella valle fu’ io litorano
+tra Ebro e Macra, che per cammin corto
+parte lo Genovese dal Toscano.
+
+Ad un occaso quasi e ad un orto
+Buggea siede e la terra ond’ io fui,
+che fé del sangue suo già caldo il porto.
+
+Folco mi disse quella gente a cui
+fu noto il nome mio; e questo cielo
+di me s’imprenta, com’ io fe’ di lui;
+
+ché più non arse la figlia di Belo,
+noiando e a Sicheo e a Creusa,
+di me, infin che si convenne al pelo;
+
+né quella Rodopëa che delusa
+fu da Demofoonte, né Alcide
+quando Iole nel core ebbe rinchiusa.
+
+Non però qui si pente, ma si ride,
+non de la colpa, ch’a mente non torna,
+ma del valor ch’ordinò e provide.
+
+Qui si rimira ne l’arte ch’addorna
+cotanto affetto, e discernesi ’l bene
+per che ’l mondo di sù quel di giù torna.
+
+Ma perché tutte le tue voglie piene
+ten porti che son nate in questa spera,
+proceder ancor oltre mi convene.
+
+Tu vuo’ saper chi è in questa lumera
+che qui appresso me così scintilla
+come raggio di sole in acqua mera.
+
+Or sappi che là entro si tranquilla
+Raab; e a nostr’ ordine congiunta,
+di lei nel sommo grado si sigilla.
+
+Da questo cielo, in cui l’ombra s’appunta
+che ’l vostro mondo face, pria ch’altr’ alma
+del trïunfo di Cristo fu assunta.
+
+Ben si convenne lei lasciar per palma
+in alcun cielo de l’alta vittoria
+che s’acquistò con l’una e l’altra palma,
+
+perch’ ella favorò la prima gloria
+di Iosüè in su la Terra Santa,
+che poco tocca al papa la memoria.
+
+La tua città, che di colui è pianta
+che pria volse le spalle al suo fattore
+e di cui è la ’nvidia tanto pianta,
+
+produce e spande il maladetto fiore
+c’ha disvïate le pecore e li agni,
+però che fatto ha lupo del pastore.
+
+Per questo l’Evangelio e i dottor magni
+son derelitti, e solo ai Decretali
+si studia, sì che pare a’ lor vivagni.
+
+A questo intende il papa e ’ cardinali;
+non vanno i lor pensieri a Nazarette,
+là dove Gabrïello aperse l’ali.
+
+Ma Vaticano e l’altre parti elette
+di Roma che son state cimitero
+a la milizia che Pietro seguette,
+
+tosto libere fien de l’avoltero».
+
+
+
+
+Paradiso
+Canto X
+
+
+Guardando nel suo Figlio con l’Amore
+che l’uno e l’altro etternalmente spira,
+lo primo e ineffabile Valore
+
+quanto per mente e per loco si gira
+con tant’ ordine fé, ch’esser non puote
+sanza gustar di lui chi ciò rimira.
+
+Leva dunque, lettore, a l’alte rote
+meco la vista, dritto a quella parte
+dove l’un moto e l’altro si percuote;
+
+e lì comincia a vagheggiar ne l’arte
+di quel maestro che dentro a sé l’ama,
+tanto che mai da lei l’occhio non parte.
+
+Vedi come da indi si dirama
+l’oblico cerchio che i pianeti porta,
+per sodisfare al mondo che li chiama.
+
+Che se la strada lor non fosse torta,
+molta virtù nel ciel sarebbe in vano,
+e quasi ogne potenza qua giù morta;
+
+e se dal dritto più o men lontano
+fosse ’l partire, assai sarebbe manco
+e giù e sù de l’ordine mondano.
+
+Or ti riman, lettor, sovra ’l tuo banco,
+dietro pensando a ciò che si preliba,
+s’esser vuoi lieto assai prima che stanco.
+
+Messo t’ho innanzi: omai per te ti ciba;
+ché a sé torce tutta la mia cura
+quella materia ond’ io son fatto scriba.
+
+Lo ministro maggior de la natura,
+che del valor del ciel lo mondo imprenta
+e col suo lume il tempo ne misura,
+
+con quella parte che sù si rammenta
+congiunto, si girava per le spire
+in che più tosto ognora s’appresenta;
+
+e io era con lui; ma del salire
+non m’accors’ io, se non com’ uom s’accorge,
+anzi ’l primo pensier, del suo venire.
+
+È Bëatrice quella che sì scorge
+di bene in meglio, sì subitamente
+che l’atto suo per tempo non si sporge.
+
+Quant’ esser convenia da sé lucente
+quel ch’era dentro al sol dov’ io entra’mi,
+non per color, ma per lume parvente!
+
+Perch’ io lo ’ngegno e l’arte e l’uso chiami,
+sì nol direi che mai s’imaginasse;
+ma creder puossi e di veder si brami.
+
+E se le fantasie nostre son basse
+a tanta altezza, non è maraviglia;
+ché sopra ’l sol non fu occhio ch’andasse.
+
+Tal era quivi la quarta famiglia
+de l’alto Padre, che sempre la sazia,
+mostrando come spira e come figlia.
+
+E Bëatrice cominciò: «Ringrazia,
+ringrazia il Sol de li angeli, ch’a questo
+sensibil t’ha levato per sua grazia».
+
+Cor di mortal non fu mai sì digesto
+a divozione e a rendersi a Dio
+con tutto ’l suo gradir cotanto presto,
+
+come a quelle parole mi fec’ io;
+e sì tutto ’l mio amore in lui si mise,
+che Bëatrice eclissò ne l’oblio.
+
+Non le dispiacque; ma sì se ne rise,
+che lo splendor de li occhi suoi ridenti
+mia mente unita in più cose divise.
+
+Io vidi più folgór vivi e vincenti
+far di noi centro e di sé far corona,
+più dolci in voce che in vista lucenti:
+
+così cinger la figlia di Latona
+vedem talvolta, quando l’aere è pregno,
+sì che ritenga il fil che fa la zona.
+
+Ne la corte del cielo, ond’ io rivegno,
+si trovan molte gioie care e belle
+tanto che non si posson trar del regno;
+
+e ’l canto di quei lumi era di quelle;
+chi non s’impenna sì che là sù voli,
+dal muto aspetti quindi le novelle.
+
+Poi, sì cantando, quelli ardenti soli
+si fuor girati intorno a noi tre volte,
+come stelle vicine a’ fermi poli,
+
+donne mi parver, non da ballo sciolte,
+ma che s’arrestin tacite, ascoltando
+fin che le nove note hanno ricolte.
+
+E dentro a l’un senti’ cominciar: «Quando
+lo raggio de la grazia, onde s’accende
+verace amore e che poi cresce amando,
+
+multiplicato in te tanto resplende,
+che ti conduce su per quella scala
+u’ sanza risalir nessun discende;
+
+qual ti negasse il vin de la sua fiala
+per la tua sete, in libertà non fora
+se non com’ acqua ch’al mar non si cala.
+
+Tu vuo’ saper di quai piante s’infiora
+questa ghirlanda che ’ntorno vagheggia
+la bella donna ch’al ciel t’avvalora.
+
+Io fui de li agni de la santa greggia
+che Domenico mena per cammino
+u’ ben s’impingua se non si vaneggia.
+
+Questi che m’è a destra più vicino,
+frate e maestro fummi, ed esso Alberto
+è di Cologna, e io Thomas d’Aquino.
+
+Se sì di tutti li altri esser vuo’ certo,
+di retro al mio parlar ten vien col viso
+girando su per lo beato serto.
+
+Quell’ altro fiammeggiare esce del riso
+di Grazïan, che l’uno e l’altro foro
+aiutò sì che piace in paradiso.
+
+L’altro ch’appresso addorna il nostro coro,
+quel Pietro fu che con la poverella
+offerse a Santa Chiesa suo tesoro.
+
+La quinta luce, ch’è tra noi più bella,
+spira di tale amor, che tutto ’l mondo
+là giù ne gola di saper novella:
+
+entro v’è l’alta mente u’ sì profondo
+saver fu messo, che, se ’l vero è vero,
+a veder tanto non surse il secondo.
+
+Appresso vedi il lume di quel cero
+che giù in carne più a dentro vide
+l’angelica natura e ’l ministero.
+
+Ne l’altra piccioletta luce ride
+quello avvocato de’ tempi cristiani
+del cui latino Augustin si provide.
+
+Or se tu l’occhio de la mente trani
+di luce in luce dietro a le mie lode,
+già de l’ottava con sete rimani.
+
+Per vedere ogne ben dentro vi gode
+l’anima santa che ’l mondo fallace
+fa manifesto a chi di lei ben ode.
+
+Lo corpo ond’ ella fu cacciata giace
+giuso in Cieldauro; ed essa da martiro
+e da essilio venne a questa pace.
+
+Vedi oltre fiammeggiar l’ardente spiro
+d’Isidoro, di Beda e di Riccardo,
+che a considerar fu più che viro.
+
+Questi onde a me ritorna il tuo riguardo,
+è ’l lume d’uno spirto che ’n pensieri
+gravi a morir li parve venir tardo:
+
+essa è la luce etterna di Sigieri,
+che, leggendo nel Vico de li Strami,
+silogizzò invidïosi veri».
+
+Indi, come orologio che ne chiami
+ne l’ora che la sposa di Dio surge
+a mattinar lo sposo perché l’ami,
+
+che l’una parte e l’altra tira e urge,
+tin tin sonando con sì dolce nota,
+che ’l ben disposto spirto d’amor turge;
+
+così vid’ ïo la gloriosa rota
+muoversi e render voce a voce in tempra
+e in dolcezza ch’esser non pò nota
+
+se non colà dove gioir s’insempra.
+
+
+
+
+Paradiso
+Canto XI
+
+
+O insensata cura de’ mortali,
+quanto son difettivi silogismi
+quei che ti fanno in basso batter l’ali!
+
+Chi dietro a iura e chi ad amforismi
+sen giva, e chi seguendo sacerdozio,
+e chi regnar per forza o per sofismi,
+
+e chi rubare e chi civil negozio,
+chi nel diletto de la carne involto
+s’affaticava e chi si dava a l’ozio,
+
+quando, da tutte queste cose sciolto,
+con Bëatrice m’era suso in cielo
+cotanto glorïosamente accolto.
+
+Poi che ciascuno fu tornato ne lo
+punto del cerchio in che avanti s’era,
+fermossi, come a candellier candelo.
+
+E io senti’ dentro a quella lumera
+che pria m’avea parlato, sorridendo
+incominciar, faccendosi più mera:
+
+«Così com’ io del suo raggio resplendo,
+sì, riguardando ne la luce etterna,
+li tuoi pensieri onde cagioni apprendo.
+
+Tu dubbi, e hai voler che si ricerna
+in sì aperta e ’n sì distesa lingua
+lo dicer mio, ch’al tuo sentir si sterna,
+
+ove dinanzi dissi: “U’ ben s’impingua”,
+e là u’ dissi: “Non nacque il secondo”;
+e qui è uopo che ben si distingua.
+
+La provedenza, che governa il mondo
+con quel consiglio nel quale ogne aspetto
+creato è vinto pria che vada al fondo,
+
+però che andasse ver’ lo suo diletto
+la sposa di colui ch’ad alte grida
+disposò lei col sangue benedetto,
+
+in sé sicura e anche a lui più fida,
+due principi ordinò in suo favore,
+che quinci e quindi le fosser per guida.
+
+L’un fu tutto serafico in ardore;
+l’altro per sapïenza in terra fue
+di cherubica luce uno splendore.
+
+De l’un dirò, però che d’amendue
+si dice l’un pregiando, qual ch’om prende,
+perch’ ad un fine fur l’opere sue.
+
+Intra Tupino e l’acqua che discende
+del colle eletto dal beato Ubaldo,
+fertile costa d’alto monte pende,
+
+onde Perugia sente freddo e caldo
+da Porta Sole; e di rietro le piange
+per grave giogo Nocera con Gualdo.
+
+Di questa costa, là dov’ ella frange
+più sua rattezza, nacque al mondo un sole,
+come fa questo talvolta di Gange.
+
+Però chi d’esso loco fa parole,
+non dica Ascesi, ché direbbe corto,
+ma Orïente, se proprio dir vuole.
+
+Non era ancor molto lontan da l’orto,
+ch’el cominciò a far sentir la terra
+de la sua gran virtute alcun conforto;
+
+ché per tal donna, giovinetto, in guerra
+del padre corse, a cui, come a la morte,
+la porta del piacer nessun diserra;
+
+e dinanzi a la sua spirital corte
+et coram patre le si fece unito;
+poscia di dì in dì l’amò più forte.
+
+Questa, privata del primo marito,
+millecent’ anni e più dispetta e scura
+fino a costui si stette sanza invito;
+
+né valse udir che la trovò sicura
+con Amiclate, al suon de la sua voce,
+colui ch’a tutto ’l mondo fé paura;
+
+né valse esser costante né feroce,
+sì che, dove Maria rimase giuso,
+ella con Cristo pianse in su la croce.
+
+Ma perch’ io non proceda troppo chiuso,
+Francesco e Povertà per questi amanti
+prendi oramai nel mio parlar diffuso.
+
+La lor concordia e i lor lieti sembianti,
+amore e maraviglia e dolce sguardo
+facieno esser cagion di pensier santi;
+
+tanto che ’l venerabile Bernardo
+si scalzò prima, e dietro a tanta pace
+corse e, correndo, li parve esser tardo.
+
+Oh ignota ricchezza! oh ben ferace!
+Scalzasi Egidio, scalzasi Silvestro
+dietro a lo sposo, sì la sposa piace.
+
+Indi sen va quel padre e quel maestro
+con la sua donna e con quella famiglia
+che già legava l’umile capestro.
+
+Né li gravò viltà di cuor le ciglia
+per esser fi’ di Pietro Bernardone,
+né per parer dispetto a maraviglia;
+
+ma regalmente sua dura intenzione
+ad Innocenzio aperse, e da lui ebbe
+primo sigillo a sua religïone.
+
+Poi che la gente poverella crebbe
+dietro a costui, la cui mirabil vita
+meglio in gloria del ciel si canterebbe,
+
+di seconda corona redimita
+fu per Onorio da l’Etterno Spiro
+la santa voglia d’esto archimandrita.
+
+E poi che, per la sete del martiro,
+ne la presenza del Soldan superba
+predicò Cristo e li altri che ’l seguiro,
+
+e per trovare a conversione acerba
+troppo la gente e per non stare indarno,
+redissi al frutto de l’italica erba,
+
+nel crudo sasso intra Tevero e Arno
+da Cristo prese l’ultimo sigillo,
+che le sue membra due anni portarno.
+
+Quando a colui ch’a tanto ben sortillo
+piacque di trarlo suso a la mercede
+ch’el meritò nel suo farsi pusillo,
+
+a’ frati suoi, sì com’ a giuste rede,
+raccomandò la donna sua più cara,
+e comandò che l’amassero a fede;
+
+e del suo grembo l’anima preclara
+mover si volle, tornando al suo regno,
+e al suo corpo non volle altra bara.
+
+Pensa oramai qual fu colui che degno
+collega fu a mantener la barca
+di Pietro in alto mar per dritto segno;
+
+e questo fu il nostro patrïarca;
+per che qual segue lui, com’ el comanda,
+discerner puoi che buone merce carca.
+
+Ma ’l suo pecuglio di nova vivanda
+è fatto ghiotto, sì ch’esser non puote
+che per diversi salti non si spanda;
+
+e quanto le sue pecore remote
+e vagabunde più da esso vanno,
+più tornano a l’ovil di latte vòte.
+
+Ben son di quelle che temono ’l danno
+e stringonsi al pastor; ma son sì poche,
+che le cappe fornisce poco panno.
+
+Or, se le mie parole non son fioche,
+se la tua audïenza è stata attenta,
+se ciò ch’è detto a la mente revoche,
+
+in parte fia la tua voglia contenta,
+perché vedrai la pianta onde si scheggia,
+e vedra’ il corrègger che argomenta
+
+“U’ ben s’impingua, se non si vaneggia”».
+
+
+
+
+Paradiso
+Canto XII
+
+
+Sì tosto come l’ultima parola
+la benedetta fiamma per dir tolse,
+a rotar cominciò la santa mola;
+
+e nel suo giro tutta non si volse
+prima ch’un’altra di cerchio la chiuse,
+e moto a moto e canto a canto colse;
+
+canto che tanto vince nostre muse,
+nostre serene in quelle dolci tube,
+quanto primo splendor quel ch’e’ refuse.
+
+Come si volgon per tenera nube
+due archi paralelli e concolori,
+quando Iunone a sua ancella iube,
+
+nascendo di quel d’entro quel di fori,
+a guisa del parlar di quella vaga
+ch’amor consunse come sol vapori,
+
+e fanno qui la gente esser presaga,
+per lo patto che Dio con Noè puose,
+del mondo che già mai più non s’allaga:
+
+così di quelle sempiterne rose
+volgiensi circa noi le due ghirlande,
+e sì l’estrema a l’intima rispuose.
+
+Poi che ’l tripudio e l’altra festa grande,
+sì del cantare e sì del fiammeggiarsi
+luce con luce gaudïose e blande,
+
+insieme a punto e a voler quetarsi,
+pur come li occhi ch’al piacer che i move
+conviene insieme chiudere e levarsi;
+
+del cor de l’una de le luci nove
+si mosse voce, che l’ago a la stella
+parer mi fece in volgermi al suo dove;
+
+e cominciò: «L’amor che mi fa bella
+mi tragge a ragionar de l’altro duca
+per cui del mio sì ben ci si favella.
+
+Degno è che, dov’ è l’un, l’altro s’induca:
+sì che, com’ elli ad una militaro,
+così la gloria loro insieme luca.
+
+L’essercito di Cristo, che sì caro
+costò a rïarmar, dietro a la ’nsegna
+si movea tardo, sospeccioso e raro,
+
+quando lo ’mperador che sempre regna
+provide a la milizia, ch’era in forse,
+per sola grazia, non per esser degna;
+
+e, come è detto, a sua sposa soccorse
+con due campioni, al cui fare, al cui dire
+lo popol disvïato si raccorse.
+
+In quella parte ove surge ad aprire
+Zefiro dolce le novelle fronde
+di che si vede Europa rivestire,
+
+non molto lungi al percuoter de l’onde
+dietro a le quali, per la lunga foga,
+lo sol talvolta ad ogne uom si nasconde,
+
+siede la fortunata Calaroga
+sotto la protezion del grande scudo
+in che soggiace il leone e soggioga:
+
+dentro vi nacque l’amoroso drudo
+de la fede cristiana, il santo atleta
+benigno a’ suoi e a’ nemici crudo;
+
+e come fu creata, fu repleta
+sì la sua mente di viva vertute
+che, ne la madre, lei fece profeta.
+
+Poi che le sponsalizie fuor compiute
+al sacro fonte intra lui e la Fede,
+u’ si dotar di mutüa salute,
+
+la donna che per lui l’assenso diede,
+vide nel sonno il mirabile frutto
+ch’uscir dovea di lui e de le rede;
+
+e perché fosse qual era in costrutto,
+quinci si mosse spirito a nomarlo
+del possessivo di cui era tutto.
+
+Domenico fu detto; e io ne parlo
+sì come de l’agricola che Cristo
+elesse a l’orto suo per aiutarlo.
+
+Ben parve messo e famigliar di Cristo:
+che ’l primo amor che ’n lui fu manifesto,
+fu al primo consiglio che diè Cristo.
+
+Spesse fïate fu tacito e desto
+trovato in terra da la sua nutrice,
+come dicesse: ‘Io son venuto a questo’.
+
+Oh padre suo veramente Felice!
+oh madre sua veramente Giovanna,
+se, interpretata, val come si dice!
+
+Non per lo mondo, per cui mo s’affanna
+di retro ad Ostïense e a Taddeo,
+ma per amor de la verace manna
+
+in picciol tempo gran dottor si feo;
+tal che si mise a circüir la vigna
+che tosto imbianca, se ’l vignaio è reo.
+
+E a la sedia che fu già benigna
+più a’ poveri giusti, non per lei,
+ma per colui che siede, che traligna,
+
+non dispensare o due o tre per sei,
+non la fortuna di prima vacante,
+non decimas, quae sunt pauperum Dei,
+
+addimandò, ma contro al mondo errante
+licenza di combatter per lo seme
+del qual ti fascian ventiquattro piante.
+
+Poi, con dottrina e con volere insieme,
+con l’officio appostolico si mosse
+quasi torrente ch’alta vena preme;
+
+e ne li sterpi eretici percosse
+l’impeto suo, più vivamente quivi
+dove le resistenze eran più grosse.
+
+Di lui si fecer poi diversi rivi
+onde l’orto catolico si riga,
+sì che i suoi arbuscelli stan più vivi.
+
+Se tal fu l’una rota de la biga
+in che la Santa Chiesa si difese
+e vinse in campo la sua civil briga,
+
+ben ti dovrebbe assai esser palese
+l’eccellenza de l’altra, di cui Tomma
+dinanzi al mio venir fu sì cortese.
+
+Ma l’orbita che fé la parte somma
+di sua circunferenza, è derelitta,
+sì ch’è la muffa dov’ era la gromma.
+
+La sua famiglia, che si mosse dritta
+coi piedi a le sue orme, è tanto volta,
+che quel dinanzi a quel di retro gitta;
+
+e tosto si vedrà de la ricolta
+de la mala coltura, quando il loglio
+si lagnerà che l’arca li sia tolta.
+
+Ben dico, chi cercasse a foglio a foglio
+nostro volume, ancor troveria carta
+u’ leggerebbe “I’ mi son quel ch’i’ soglio”;
+
+ma non fia da Casal né d’Acquasparta,
+là onde vegnon tali a la scrittura,
+ch’uno la fugge e altro la coarta.
+
+Io son la vita di Bonaventura
+da Bagnoregio, che ne’ grandi offici
+sempre pospuosi la sinistra cura.
+
+Illuminato e Augustin son quici,
+che fuor de’ primi scalzi poverelli
+che nel capestro a Dio si fero amici.
+
+Ugo da San Vittore è qui con elli,
+e Pietro Mangiadore e Pietro Spano,
+lo qual giù luce in dodici libelli;
+
+Natàn profeta e ’l metropolitano
+Crisostomo e Anselmo e quel Donato
+ch’a la prim’ arte degnò porre mano.
+
+Rabano è qui, e lucemi dallato
+il calavrese abate Giovacchino
+di spirito profetico dotato.
+
+Ad inveggiar cotanto paladino
+mi mosse l’infiammata cortesia
+di fra Tommaso e ’l discreto latino;
+
+e mosse meco questa compagnia».
+
+
+
+
+Paradiso
+Canto XIII
+
+
+Imagini, chi bene intender cupe
+quel ch’i’ or vidi—e ritegna l’image,
+mentre ch’io dico, come ferma rupe—,
+
+quindici stelle che ’n diverse plage
+lo ciel avvivan di tanto sereno
+che soperchia de l’aere ogne compage;
+
+imagini quel carro a cu’ il seno
+basta del nostro cielo e notte e giorno,
+sì ch’al volger del temo non vien meno;
+
+imagini la bocca di quel corno
+che si comincia in punta de lo stelo
+a cui la prima rota va dintorno,
+
+aver fatto di sé due segni in cielo,
+qual fece la figliuola di Minoi
+allora che sentì di morte il gelo;
+
+e l’un ne l’altro aver li raggi suoi,
+e amendue girarsi per maniera
+che l’uno andasse al primo e l’altro al poi;
+
+e avrà quasi l’ombra de la vera
+costellazione e de la doppia danza
+che circulava il punto dov’ io era:
+
+poi ch’è tanto di là da nostra usanza,
+quanto di là dal mover de la Chiana
+si move il ciel che tutti li altri avanza.
+
+Lì si cantò non Bacco, non Peana,
+ma tre persone in divina natura,
+e in una persona essa e l’umana.
+
+Compié ’l cantare e ’l volger sua misura;
+e attesersi a noi quei santi lumi,
+felicitando sé di cura in cura.
+
+Ruppe il silenzio ne’ concordi numi
+poscia la luce in che mirabil vita
+del poverel di Dio narrata fumi,
+
+e disse: «Quando l’una paglia è trita,
+quando la sua semenza è già riposta,
+a batter l’altra dolce amor m’invita.
+
+Tu credi che nel petto onde la costa
+si trasse per formar la bella guancia
+il cui palato a tutto ’l mondo costa,
+
+e in quel che, forato da la lancia,
+e prima e poscia tanto sodisfece,
+che d’ogne colpa vince la bilancia,
+
+quantunque a la natura umana lece
+aver di lume, tutto fosse infuso
+da quel valor che l’uno e l’altro fece;
+
+e però miri a ciò ch’io dissi suso,
+quando narrai che non ebbe ’l secondo
+lo ben che ne la quinta luce è chiuso.
+
+Or apri li occhi a quel ch’io ti rispondo,
+e vedräi il tuo credere e ’l mio dire
+nel vero farsi come centro in tondo.
+
+Ciò che non more e ciò che può morire
+non è se non splendor di quella idea
+che partorisce, amando, il nostro Sire;
+
+ché quella viva luce che sì mea
+dal suo lucente, che non si disuna
+da lui né da l’amor ch’a lor s’intrea,
+
+per sua bontate il suo raggiare aduna,
+quasi specchiato, in nove sussistenze,
+etternalmente rimanendosi una.
+
+Quindi discende a l’ultime potenze
+giù d’atto in atto, tanto divenendo,
+che più non fa che brevi contingenze;
+
+e queste contingenze essere intendo
+le cose generate, che produce
+con seme e sanza seme il ciel movendo.
+
+La cera di costoro e chi la duce
+non sta d’un modo; e però sotto ’l segno
+idëale poi più e men traluce.
+
+Ond’ elli avvien ch’un medesimo legno,
+secondo specie, meglio e peggio frutta;
+e voi nascete con diverso ingegno.
+
+Se fosse a punto la cera dedutta
+e fosse il cielo in sua virtù supprema,
+la luce del suggel parrebbe tutta;
+
+ma la natura la dà sempre scema,
+similemente operando a l’artista
+ch’a l’abito de l’arte ha man che trema.
+
+Però se ’l caldo amor la chiara vista
+de la prima virtù dispone e segna,
+tutta la perfezion quivi s’acquista.
+
+Così fu fatta già la terra degna
+di tutta l’animal perfezïone;
+così fu fatta la Vergine pregna;
+
+sì ch’io commendo tua oppinïone,
+che l’umana natura mai non fue
+né fia qual fu in quelle due persone.
+
+Or s’i’ non procedesse avanti piùe,
+‘Dunque, come costui fu sanza pare?’
+comincerebber le parole tue.
+
+Ma perché paia ben ciò che non pare,
+pensa chi era, e la cagion che ’l mosse,
+quando fu detto “Chiedi”, a dimandare.
+
+Non ho parlato sì, che tu non posse
+ben veder ch’el fu re, che chiese senno
+acciò che re sufficïente fosse;
+
+non per sapere il numero in che enno
+li motor di qua sù, o se necesse
+con contingente mai necesse fenno;
+
+non si est dare primum motum esse,
+o se del mezzo cerchio far si puote
+trïangol sì ch’un retto non avesse.
+
+Onde, se ciò ch’io dissi e questo note,
+regal prudenza è quel vedere impari
+in che lo stral di mia intenzion percuote;
+
+e se al “surse” drizzi li occhi chiari,
+vedrai aver solamente respetto
+ai regi, che son molti, e ’ buon son rari.
+
+Con questa distinzion prendi ’l mio detto;
+e così puote star con quel che credi
+del primo padre e del nostro Diletto.
+
+E questo ti sia sempre piombo a’ piedi,
+per farti mover lento com’ uom lasso
+e al sì e al no che tu non vedi:
+
+ché quelli è tra li stolti bene a basso,
+che sanza distinzione afferma e nega
+ne l’un così come ne l’altro passo;
+
+perch’ elli ’ncontra che più volte piega
+l’oppinïon corrente in falsa parte,
+e poi l’affetto l’intelletto lega.
+
+Vie più che ’ndarno da riva si parte,
+perché non torna tal qual e’ si move,
+chi pesca per lo vero e non ha l’arte.
+
+E di ciò sono al mondo aperte prove
+Parmenide, Melisso e Brisso e molti,
+li quali andaro e non sapëan dove;
+
+sì fé Sabellio e Arrio e quelli stolti
+che furon come spade a le Scritture
+in render torti li diritti volti.
+
+Non sien le genti, ancor, troppo sicure
+a giudicar, sì come quei che stima
+le biade in campo pria che sien mature;
+
+ch’i’ ho veduto tutto ’l verno prima
+lo prun mostrarsi rigido e feroce,
+poscia portar la rosa in su la cima;
+
+e legno vidi già dritto e veloce
+correr lo mar per tutto suo cammino,
+perire al fine a l’intrar de la foce.
+
+Non creda donna Berta e ser Martino,
+per vedere un furare, altro offerere,
+vederli dentro al consiglio divino;
+
+ché quel può surgere, e quel può cadere».
+
+
+
+
+Paradiso
+Canto XIV
+
+
+Dal centro al cerchio, e sì dal cerchio al centro
+movesi l’acqua in un ritondo vaso,
+secondo ch’è percosso fuori o dentro:
+
+ne la mia mente fé sùbito caso
+questo ch’io dico, sì come si tacque
+la glorïosa vita di Tommaso,
+
+per la similitudine che nacque
+del suo parlare e di quel di Beatrice,
+a cui sì cominciar, dopo lui, piacque:
+
+«A costui fa mestieri, e nol vi dice
+né con la voce né pensando ancora,
+d’un altro vero andare a la radice.
+
+Diteli se la luce onde s’infiora
+vostra sustanza, rimarrà con voi
+etternalmente sì com’ ell’ è ora;
+
+e se rimane, dite come, poi
+che sarete visibili rifatti,
+esser porà ch’al veder non vi nòi».
+
+Come, da più letizia pinti e tratti,
+a la fïata quei che vanno a rota
+levan la voce e rallegrano li atti,
+
+così, a l’orazion pronta e divota,
+li santi cerchi mostrar nova gioia
+nel torneare e ne la mira nota.
+
+Qual si lamenta perché qui si moia
+per viver colà sù, non vide quive
+lo refrigerio de l’etterna ploia.
+
+Quell’ uno e due e tre che sempre vive
+e regna sempre in tre e ’n due e ’n uno,
+non circunscritto, e tutto circunscrive,
+
+tre volte era cantato da ciascuno
+di quelli spirti con tal melodia,
+ch’ad ogne merto saria giusto muno.
+
+E io udi’ ne la luce più dia
+del minor cerchio una voce modesta,
+forse qual fu da l’angelo a Maria,
+
+risponder: «Quanto fia lunga la festa
+di paradiso, tanto il nostro amore
+si raggerà dintorno cotal vesta.
+
+La sua chiarezza séguita l’ardore;
+l’ardor la visïone, e quella è tanta,
+quant’ ha di grazia sovra suo valore.
+
+Come la carne glorïosa e santa
+fia rivestita, la nostra persona
+più grata fia per esser tutta quanta;
+
+per che s’accrescerà ciò che ne dona
+di gratüito lume il sommo bene,
+lume ch’a lui veder ne condiziona;
+
+onde la visïon crescer convene,
+crescer l’ardor che di quella s’accende,
+crescer lo raggio che da esso vene.
+
+Ma sì come carbon che fiamma rende,
+e per vivo candor quella soverchia,
+sì che la sua parvenza si difende;
+
+così questo folgór che già ne cerchia
+fia vinto in apparenza da la carne
+che tutto dì la terra ricoperchia;
+
+né potrà tanta luce affaticarne:
+ché li organi del corpo saran forti
+a tutto ciò che potrà dilettarne».
+
+Tanto mi parver sùbiti e accorti
+e l’uno e l’altro coro a dicer «Amme!»,
+che ben mostrar disio d’i corpi morti:
+
+forse non pur per lor, ma per le mamme,
+per li padri e per li altri che fuor cari
+anzi che fosser sempiterne fiamme.
+
+Ed ecco intorno, di chiarezza pari,
+nascere un lustro sopra quel che v’era,
+per guisa d’orizzonte che rischiari.
+
+E sì come al salir di prima sera
+comincian per lo ciel nove parvenze,
+sì che la vista pare e non par vera,
+
+parvemi lì novelle sussistenze
+cominciare a vedere, e fare un giro
+di fuor da l’altre due circunferenze.
+
+Oh vero sfavillar del Santo Spiro!
+come si fece sùbito e candente
+a li occhi miei che, vinti, nol soffriro!
+
+Ma Bëatrice sì bella e ridente
+mi si mostrò, che tra quelle vedute
+si vuol lasciar che non seguir la mente.
+
+Quindi ripreser li occhi miei virtute
+a rilevarsi; e vidimi translato
+sol con mia donna in più alta salute.
+
+Ben m’accors’ io ch’io era più levato,
+per l’affocato riso de la stella,
+che mi parea più roggio che l’usato.
+
+Con tutto ’l core e con quella favella
+ch’è una in tutti, a Dio feci olocausto,
+qual conveniesi a la grazia novella.
+
+E non er’ anco del mio petto essausto
+l’ardor del sacrificio, ch’io conobbi
+esso litare stato accetto e fausto;
+
+ché con tanto lucore e tanto robbi
+m’apparvero splendor dentro a due raggi,
+ch’io dissi: «O Elïòs che sì li addobbi!».
+
+Come distinta da minori e maggi
+lumi biancheggia tra ’ poli del mondo
+Galassia sì, che fa dubbiar ben saggi;
+
+sì costellati facean nel profondo
+Marte quei raggi il venerabil segno
+che fan giunture di quadranti in tondo.
+
+Qui vince la memoria mia lo ’ngegno;
+ché quella croce lampeggiava Cristo,
+sì ch’io non so trovare essempro degno;
+
+ma chi prende sua croce e segue Cristo,
+ancor mi scuserà di quel ch’io lasso,
+vedendo in quell’ albor balenar Cristo.
+
+Di corno in corno e tra la cima e ’l basso
+si movien lumi, scintillando forte
+nel congiugnersi insieme e nel trapasso:
+
+così si veggion qui diritte e torte,
+veloci e tarde, rinovando vista,
+le minuzie d’i corpi, lunghe e corte,
+
+moversi per lo raggio onde si lista
+talvolta l’ombra che, per sua difesa,
+la gente con ingegno e arte acquista.
+
+E come giga e arpa, in tempra tesa
+di molte corde, fa dolce tintinno
+a tal da cui la nota non è intesa,
+
+così da’ lumi che lì m’apparinno
+s’accogliea per la croce una melode
+che mi rapiva, sanza intender l’inno.
+
+Ben m’accors’ io ch’elli era d’alte lode,
+però ch’a me venìa «Resurgi» e «Vinci»
+come a colui che non intende e ode.
+
+Ïo m’innamorava tanto quinci,
+che ’nfino a lì non fu alcuna cosa
+che mi legasse con sì dolci vinci.
+
+Forse la mia parola par troppo osa,
+posponendo il piacer de li occhi belli,
+ne’ quai mirando mio disio ha posa;
+
+ma chi s’avvede che i vivi suggelli
+d’ogne bellezza più fanno più suso,
+e ch’io non m’era lì rivolto a quelli,
+
+escusar puommi di quel ch’io m’accuso
+per escusarmi, e vedermi dir vero:
+ché ’l piacer santo non è qui dischiuso,
+
+perché si fa, montando, più sincero.
+
+
+
+
+Paradiso
+Canto XV
+
+
+Benigna volontade in che si liqua
+sempre l’amor che drittamente spira,
+come cupidità fa ne la iniqua,
+
+silenzio puose a quella dolce lira,
+e fece quïetar le sante corde
+che la destra del cielo allenta e tira.
+
+Come saranno a’ giusti preghi sorde
+quelle sustanze che, per darmi voglia
+ch’io le pregassi, a tacer fur concorde?
+
+Bene è che sanza termine si doglia
+chi, per amor di cosa che non duri
+etternalmente, quello amor si spoglia.
+
+Quale per li seren tranquilli e puri
+discorre ad ora ad or sùbito foco,
+movendo li occhi che stavan sicuri,
+
+e pare stella che tramuti loco,
+se non che da la parte ond’ e’ s’accende
+nulla sen perde, ed esso dura poco:
+
+tale dal corno che ’n destro si stende
+a piè di quella croce corse un astro
+de la costellazion che lì resplende;
+
+né si partì la gemma dal suo nastro,
+ma per la lista radïal trascorse,
+che parve foco dietro ad alabastro.
+
+Sì pïa l’ombra d’Anchise si porse,
+se fede merta nostra maggior musa,
+quando in Eliso del figlio s’accorse.
+
+«O sanguis meus, o superinfusa
+gratïa Deï, sicut tibi cui
+bis unquam celi ianüa reclusa?».
+
+Così quel lume: ond’ io m’attesi a lui;
+poscia rivolsi a la mia donna il viso,
+e quinci e quindi stupefatto fui;
+
+ché dentro a li occhi suoi ardeva un riso
+tal, ch’io pensai co’ miei toccar lo fondo
+de la mia gloria e del mio paradiso.
+
+Indi, a udire e a veder giocondo,
+giunse lo spirto al suo principio cose,
+ch’io non lo ’ntesi, sì parlò profondo;
+
+né per elezïon mi si nascose,
+ma per necessità, ché ’l suo concetto
+al segno d’i mortal si soprapuose.
+
+E quando l’arco de l’ardente affetto
+fu sì sfogato, che ’l parlar discese
+inver’ lo segno del nostro intelletto,
+
+la prima cosa che per me s’intese,
+«Benedetto sia tu», fu, «trino e uno,
+che nel mio seme se’ tanto cortese!».
+
+E seguì: «Grato e lontano digiuno,
+tratto leggendo del magno volume
+du’ non si muta mai bianco né bruno,
+
+solvuto hai, figlio, dentro a questo lume
+in ch’io ti parlo, mercè di colei
+ch’a l’alto volo ti vestì le piume.
+
+Tu credi che a me tuo pensier mei
+da quel ch’è primo, così come raia
+da l’un, se si conosce, il cinque e ’l sei;
+
+e però ch’io mi sia e perch’ io paia
+più gaudïoso a te, non mi domandi,
+che alcun altro in questa turba gaia.
+
+Tu credi ’l vero; ché i minori e ’ grandi
+di questa vita miran ne lo speglio
+in che, prima che pensi, il pensier pandi;
+
+ma perché ’l sacro amore in che io veglio
+con perpetüa vista e che m’asseta
+di dolce disïar, s’adempia meglio,
+
+la voce tua sicura, balda e lieta
+suoni la volontà, suoni ’l disio,
+a che la mia risposta è già decreta!».
+
+Io mi volsi a Beatrice, e quella udio
+pria ch’io parlassi, e arrisemi un cenno
+che fece crescer l’ali al voler mio.
+
+Poi cominciai così: «L’affetto e ’l senno,
+come la prima equalità v’apparse,
+d’un peso per ciascun di voi si fenno,
+
+però che ’l sol che v’allumò e arse,
+col caldo e con la luce è sì iguali,
+che tutte simiglianze sono scarse.
+
+Ma voglia e argomento ne’ mortali,
+per la cagion ch’a voi è manifesta,
+diversamente son pennuti in ali;
+
+ond’ io, che son mortal, mi sento in questa
+disagguaglianza, e però non ringrazio
+se non col core a la paterna festa.
+
+Ben supplico io a te, vivo topazio
+che questa gioia prezïosa ingemmi,
+perché mi facci del tuo nome sazio».
+
+«O fronda mia in che io compiacemmi
+pur aspettando, io fui la tua radice»:
+cotal principio, rispondendo, femmi.
+
+Poscia mi disse: «Quel da cui si dice
+tua cognazione e che cent’ anni e piùe
+girato ha ’l monte in la prima cornice,
+
+mio figlio fu e tuo bisavol fue:
+ben si convien che la lunga fatica
+tu li raccorci con l’opere tue.
+
+Fiorenza dentro da la cerchia antica,
+ond’ ella toglie ancora e terza e nona,
+si stava in pace, sobria e pudica.
+
+Non avea catenella, non corona,
+non gonne contigiate, non cintura
+che fosse a veder più che la persona.
+
+Non faceva, nascendo, ancor paura
+la figlia al padre, che ’l tempo e la dote
+non fuggien quinci e quindi la misura.
+
+Non avea case di famiglia vòte;
+non v’era giunto ancor Sardanapalo
+a mostrar ciò che ’n camera si puote.
+
+Non era vinto ancora Montemalo
+dal vostro Uccellatoio, che, com’ è vinto
+nel montar sù, così sarà nel calo.
+
+Bellincion Berti vid’ io andar cinto
+di cuoio e d’osso, e venir da lo specchio
+la donna sua sanza ’l viso dipinto;
+
+e vidi quel d’i Nerli e quel del Vecchio
+esser contenti a la pelle scoperta,
+e le sue donne al fuso e al pennecchio.
+
+Oh fortunate! ciascuna era certa
+de la sua sepultura, e ancor nulla
+era per Francia nel letto diserta.
+
+L’una vegghiava a studio de la culla,
+e, consolando, usava l’idïoma
+che prima i padri e le madri trastulla;
+
+l’altra, traendo a la rocca la chioma,
+favoleggiava con la sua famiglia
+d’i Troiani, di Fiesole e di Roma.
+
+Saria tenuta allor tal maraviglia
+una Cianghella, un Lapo Salterello,
+qual or saria Cincinnato e Corniglia.
+
+A così riposato, a così bello
+viver di cittadini, a così fida
+cittadinanza, a così dolce ostello,
+
+Maria mi diè, chiamata in alte grida;
+e ne l’antico vostro Batisteo
+insieme fui cristiano e Cacciaguida.
+
+Moronto fu mio frate ed Eliseo;
+mia donna venne a me di val di Pado,
+e quindi il sopranome tuo si feo.
+
+Poi seguitai lo ’mperador Currado;
+ed el mi cinse de la sua milizia,
+tanto per bene ovrar li venni in grado.
+
+Dietro li andai incontro a la nequizia
+di quella legge il cui popolo usurpa,
+per colpa d’i pastor, vostra giustizia.
+
+Quivi fu’ io da quella gente turpa
+disviluppato dal mondo fallace,
+lo cui amor molt’ anime deturpa;
+
+e venni dal martiro a questa pace».
+
+
+
+
+Paradiso
+Canto XVI
+
+
+O poca nostra nobiltà di sangue,
+se glorïar di te la gente fai
+qua giù dove l’affetto nostro langue,
+
+mirabil cosa non mi sarà mai:
+ché là dove appetito non si torce,
+dico nel cielo, io me ne gloriai.
+
+Ben se’ tu manto che tosto raccorce:
+sì che, se non s’appon di dì in die,
+lo tempo va dintorno con le force.
+
+Dal ‘voi’ che prima a Roma s’offerie,
+in che la sua famiglia men persevra,
+ricominciaron le parole mie;
+
+onde Beatrice, ch’era un poco scevra,
+ridendo, parve quella che tossio
+al primo fallo scritto di Ginevra.
+
+Io cominciai: «Voi siete il padre mio;
+voi mi date a parlar tutta baldezza;
+voi mi levate sì, ch’i’ son più ch’io.
+
+Per tanti rivi s’empie d’allegrezza
+la mente mia, che di sé fa letizia
+perché può sostener che non si spezza.
+
+Ditemi dunque, cara mia primizia,
+quai fuor li vostri antichi e quai fuor li anni
+che si segnaro in vostra püerizia;
+
+ditemi de l’ovil di San Giovanni
+quanto era allora, e chi eran le genti
+tra esso degne di più alti scanni».
+
+Come s’avviva a lo spirar d’i venti
+carbone in fiamma, così vid’ io quella
+luce risplendere a’ miei blandimenti;
+
+e come a li occhi miei si fé più bella,
+così con voce più dolce e soave,
+ma non con questa moderna favella,
+
+dissemi: «Da quel dì che fu detto ‘Ave’
+al parto in che mia madre, ch’è or santa,
+s’allevïò di me ond’ era grave,
+
+al suo Leon cinquecento cinquanta
+e trenta fiate venne questo foco
+a rinfiammarsi sotto la sua pianta.
+
+Li antichi miei e io nacqui nel loco
+dove si truova pria l’ultimo sesto
+da quei che corre il vostro annüal gioco.
+
+Basti d’i miei maggiori udirne questo:
+chi ei si fosser e onde venner quivi,
+più è tacer che ragionare onesto.
+
+Tutti color ch’a quel tempo eran ivi
+da poter arme tra Marte e ’l Batista,
+eran il quinto di quei ch’or son vivi.
+
+Ma la cittadinanza, ch’è or mista
+di Campi, di Certaldo e di Fegghine,
+pura vediesi ne l’ultimo artista.
+
+Oh quanto fora meglio esser vicine
+quelle genti ch’io dico, e al Galluzzo
+e a Trespiano aver vostro confine,
+
+che averle dentro e sostener lo puzzo
+del villan d’Aguglion, di quel da Signa,
+che già per barattare ha l’occhio aguzzo!
+
+Se la gente ch’al mondo più traligna
+non fosse stata a Cesare noverca,
+ma come madre a suo figlio benigna,
+
+tal fatto è fiorentino e cambia e merca,
+che si sarebbe vòlto a Simifonti,
+là dove andava l’avolo a la cerca;
+
+sariesi Montemurlo ancor de’ Conti;
+sarieno i Cerchi nel piovier d’Acone,
+e forse in Valdigrieve i Buondelmonti.
+
+Sempre la confusion de le persone
+principio fu del mal de la cittade,
+come del vostro il cibo che s’appone;
+
+e cieco toro più avaccio cade
+che cieco agnello; e molte volte taglia
+più e meglio una che le cinque spade.
+
+Se tu riguardi Luni e Orbisaglia
+come sono ite, e come se ne vanno
+di retro ad esse Chiusi e Sinigaglia,
+
+udir come le schiatte si disfanno
+non ti parrà nova cosa né forte,
+poscia che le cittadi termine hanno.
+
+Le vostre cose tutte hanno lor morte,
+sì come voi; ma celasi in alcuna
+che dura molto, e le vite son corte.
+
+E come ’l volger del ciel de la luna
+cuopre e discuopre i liti sanza posa,
+così fa di Fiorenza la Fortuna:
+
+per che non dee parer mirabil cosa
+ciò ch’io dirò de li alti Fiorentini
+onde è la fama nel tempo nascosa.
+
+Io vidi li Ughi e vidi i Catellini,
+Filippi, Greci, Ormanni e Alberichi,
+già nel calare, illustri cittadini;
+
+e vidi così grandi come antichi,
+con quel de la Sannella, quel de l’Arca,
+e Soldanieri e Ardinghi e Bostichi.
+
+Sovra la porta ch’al presente è carca
+di nova fellonia di tanto peso
+che tosto fia iattura de la barca,
+
+erano i Ravignani, ond’ è disceso
+il conte Guido e qualunque del nome
+de l’alto Bellincione ha poscia preso.
+
+Quel de la Pressa sapeva già come
+regger si vuole, e avea Galigaio
+dorata in casa sua già l’elsa e ’l pome.
+
+Grand’ era già la colonna del Vaio,
+Sacchetti, Giuochi, Fifanti e Barucci
+e Galli e quei ch’arrossan per lo staio.
+
+Lo ceppo di che nacquero i Calfucci
+era già grande, e già eran tratti
+a le curule Sizii e Arrigucci.
+
+Oh quali io vidi quei che son disfatti
+per lor superbia! e le palle de l’oro
+fiorian Fiorenza in tutt’ i suoi gran fatti.
+
+Così facieno i padri di coloro
+che, sempre che la vostra chiesa vaca,
+si fanno grassi stando a consistoro.
+
+L’oltracotata schiatta che s’indraca
+dietro a chi fugge, e a chi mostra ’l dente
+o ver la borsa, com’ agnel si placa,
+
+già venìa sù, ma di picciola gente;
+sì che non piacque ad Ubertin Donato
+che poï il suocero il fé lor parente.
+
+Già era ’l Caponsacco nel mercato
+disceso giù da Fiesole, e già era
+buon cittadino Giuda e Infangato.
+
+Io dirò cosa incredibile e vera:
+nel picciol cerchio s’entrava per porta
+che si nomava da quei de la Pera.
+
+Ciascun che de la bella insegna porta
+del gran barone il cui nome e ’l cui pregio
+la festa di Tommaso riconforta,
+
+da esso ebbe milizia e privilegio;
+avvegna che con popol si rauni
+oggi colui che la fascia col fregio.
+
+Già eran Gualterotti e Importuni;
+e ancor saria Borgo più quïeto,
+se di novi vicin fosser digiuni.
+
+La casa di che nacque il vostro fleto,
+per lo giusto disdegno che v’ha morti
+e puose fine al vostro viver lieto,
+
+era onorata, essa e suoi consorti:
+o Buondelmonte, quanto mal fuggisti
+le nozze süe per li altrui conforti!
+
+Molti sarebber lieti, che son tristi,
+se Dio t’avesse conceduto ad Ema
+la prima volta ch’a città venisti.
+
+Ma conveniesi a quella pietra scema
+che guarda ’l ponte, che Fiorenza fesse
+vittima ne la sua pace postrema.
+
+Con queste genti, e con altre con esse,
+vid’ io Fiorenza in sì fatto riposo,
+che non avea cagione onde piangesse.
+
+Con queste genti vid’io glorïoso
+e giusto il popol suo, tanto che ’l giglio
+non era ad asta mai posto a ritroso,
+
+né per divisïon fatto vermiglio».
+
+
+
+
+Paradiso
+Canto XVII
+
+
+Qual venne a Climenè, per accertarsi
+di ciò ch’avëa incontro a sé udito,
+quei ch’ancor fa li padri ai figli scarsi;
+
+tal era io, e tal era sentito
+e da Beatrice e da la santa lampa
+che pria per me avea mutato sito.
+
+Per che mia donna «Manda fuor la vampa
+del tuo disio», mi disse, «sì ch’ella esca
+segnata bene de la interna stampa:
+
+non perché nostra conoscenza cresca
+per tuo parlare, ma perché t’ausi
+a dir la sete, sì che l’uom ti mesca».
+
+«O cara piota mia che sì t’insusi,
+che, come veggion le terrene menti
+non capere in trïangol due ottusi,
+
+così vedi le cose contingenti
+anzi che sieno in sé, mirando il punto
+a cui tutti li tempi son presenti;
+
+mentre ch’io era a Virgilio congiunto
+su per lo monte che l’anime cura
+e discendendo nel mondo defunto,
+
+dette mi fuor di mia vita futura
+parole gravi, avvegna ch’io mi senta
+ben tetragono ai colpi di ventura;
+
+per che la voglia mia saria contenta
+d’intender qual fortuna mi s’appressa:
+ché saetta previsa vien più lenta».
+
+Così diss’ io a quella luce stessa
+che pria m’avea parlato; e come volle
+Beatrice, fu la mia voglia confessa.
+
+Né per ambage, in che la gente folle
+già s’inviscava pria che fosse anciso
+l’Agnel di Dio che le peccata tolle,
+
+ma per chiare parole e con preciso
+latin rispuose quello amor paterno,
+chiuso e parvente del suo proprio riso:
+
+«La contingenza, che fuor del quaderno
+de la vostra matera non si stende,
+tutta è dipinta nel cospetto etterno;
+
+necessità però quindi non prende
+se non come dal viso in che si specchia
+nave che per torrente giù discende.
+
+Da indi, sì come viene ad orecchia
+dolce armonia da organo, mi viene
+a vista il tempo che ti s’apparecchia.
+
+Qual si partio Ipolito d’Atene
+per la spietata e perfida noverca,
+tal di Fiorenza partir ti convene.
+
+Questo si vuole e questo già si cerca,
+e tosto verrà fatto a chi ciò pensa
+là dove Cristo tutto dì si merca.
+
+La colpa seguirà la parte offensa
+in grido, come suol; ma la vendetta
+fia testimonio al ver che la dispensa.
+
+Tu lascerai ogne cosa diletta
+più caramente; e questo è quello strale
+che l’arco de lo essilio pria saetta.
+
+Tu proverai sì come sa di sale
+lo pane altrui, e come è duro calle
+lo scendere e ’l salir per l’altrui scale.
+
+E quel che più ti graverà le spalle,
+sarà la compagnia malvagia e scempia
+con la qual tu cadrai in questa valle;
+
+che tutta ingrata, tutta matta ed empia
+si farà contr’ a te; ma, poco appresso,
+ella, non tu, n’avrà rossa la tempia.
+
+Di sua bestialitate il suo processo
+farà la prova; sì ch’a te fia bello
+averti fatta parte per te stesso.
+
+Lo primo tuo refugio e ’l primo ostello
+sarà la cortesia del gran Lombardo
+che ’n su la scala porta il santo uccello;
+
+ch’in te avrà sì benigno riguardo,
+che del fare e del chieder, tra voi due,
+fia primo quel che tra li altri è più tardo.
+
+Con lui vedrai colui che ’mpresso fue,
+nascendo, sì da questa stella forte,
+che notabili fier l’opere sue.
+
+Non se ne son le genti ancora accorte
+per la novella età, ché pur nove anni
+son queste rote intorno di lui torte;
+
+ma pria che ’l Guasco l’alto Arrigo inganni,
+parran faville de la sua virtute
+in non curar d’argento né d’affanni.
+
+Le sue magnificenze conosciute
+saranno ancora, sì che ’ suoi nemici
+non ne potran tener le lingue mute.
+
+A lui t’aspetta e a’ suoi benefici;
+per lui fia trasmutata molta gente,
+cambiando condizion ricchi e mendici;
+
+e portera’ne scritto ne la mente
+di lui, e nol dirai»; e disse cose
+incredibili a quei che fier presente.
+
+Poi giunse: «Figlio, queste son le chiose
+di quel che ti fu detto; ecco le ’nsidie
+che dietro a pochi giri son nascose.
+
+Non vo’ però ch’a’ tuoi vicini invidie,
+poscia che s’infutura la tua vita
+vie più là che ’l punir di lor perfidie».
+
+Poi che, tacendo, si mostrò spedita
+l’anima santa di metter la trama
+in quella tela ch’io le porsi ordita,
+
+io cominciai, come colui che brama,
+dubitando, consiglio da persona
+che vede e vuol dirittamente e ama:
+
+«Ben veggio, padre mio, sì come sprona
+lo tempo verso me, per colpo darmi
+tal, ch’è più grave a chi più s’abbandona;
+
+per che di provedenza è buon ch’io m’armi,
+sì che, se loco m’è tolto più caro,
+io non perdessi li altri per miei carmi.
+
+Giù per lo mondo sanza fine amaro,
+e per lo monte del cui bel cacume
+li occhi de la mia donna mi levaro,
+
+e poscia per lo ciel, di lume in lume,
+ho io appreso quel che s’io ridico,
+a molti fia sapor di forte agrume;
+
+e s’io al vero son timido amico,
+temo di perder viver tra coloro
+che questo tempo chiameranno antico».
+
+La luce in che rideva il mio tesoro
+ch’io trovai lì, si fé prima corusca,
+quale a raggio di sole specchio d’oro;
+
+indi rispuose: «Coscïenza fusca
+o de la propria o de l’altrui vergogna
+pur sentirà la tua parola brusca.
+
+Ma nondimen, rimossa ogne menzogna,
+tutta tua visïon fa manifesta;
+e lascia pur grattar dov’ è la rogna.
+
+Ché se la voce tua sarà molesta
+nel primo gusto, vital nodrimento
+lascerà poi, quando sarà digesta.
+
+Questo tuo grido farà come vento,
+che le più alte cime più percuote;
+e ciò non fa d’onor poco argomento.
+
+Però ti son mostrate in queste rote,
+nel monte e ne la valle dolorosa
+pur l’anime che son di fama note,
+
+che l’animo di quel ch’ode, non posa
+né ferma fede per essempro ch’aia
+la sua radice incognita e ascosa,
+
+né per altro argomento che non paia».
+
+
+
+
+Paradiso
+Canto XVIII
+
+
+Già si godeva solo del suo verbo
+quello specchio beato, e io gustava
+lo mio, temprando col dolce l’acerbo;
+
+e quella donna ch’a Dio mi menava
+disse: «Muta pensier; pensa ch’i’ sono
+presso a colui ch’ogne torto disgrava».
+
+Io mi rivolsi a l’amoroso suono
+del mio conforto; e qual io allor vidi
+ne li occhi santi amor, qui l’abbandono:
+
+non perch’ io pur del mio parlar diffidi,
+ma per la mente che non può redire
+sovra sé tanto, s’altri non la guidi.
+
+Tanto poss’ io di quel punto ridire,
+che, rimirando lei, lo mio affetto
+libero fu da ogne altro disire,
+
+fin che ’l piacere etterno, che diretto
+raggiava in Bëatrice, dal bel viso
+mi contentava col secondo aspetto.
+
+Vincendo me col lume d’un sorriso,
+ella mi disse: «Volgiti e ascolta;
+ché non pur ne’ miei occhi è paradiso».
+
+Come si vede qui alcuna volta
+l’affetto ne la vista, s’elli è tanto,
+che da lui sia tutta l’anima tolta,
+
+così nel fiammeggiar del folgór santo,
+a ch’io mi volsi, conobbi la voglia
+in lui di ragionarmi ancora alquanto.
+
+El cominciò: «In questa quinta soglia
+de l’albero che vive de la cima
+e frutta sempre e mai non perde foglia,
+
+spiriti son beati, che giù, prima
+che venissero al ciel, fuor di gran voce,
+sì ch’ogne musa ne sarebbe opima.
+
+Però mira ne’ corni de la croce:
+quello ch’io nomerò, lì farà l’atto
+che fa in nube il suo foco veloce».
+
+Io vidi per la croce un lume tratto
+dal nomar Iosuè, com’ el si feo;
+né mi fu noto il dir prima che ’l fatto.
+
+E al nome de l’alto Macabeo
+vidi moversi un altro roteando,
+e letizia era ferza del paleo.
+
+Così per Carlo Magno e per Orlando
+due ne seguì lo mio attento sguardo,
+com’ occhio segue suo falcon volando.
+
+Poscia trasse Guiglielmo e Rinoardo
+e ’l duca Gottifredi la mia vista
+per quella croce, e Ruberto Guiscardo.
+
+Indi, tra l’altre luci mota e mista,
+mostrommi l’alma che m’avea parlato
+qual era tra i cantor del cielo artista.
+
+Io mi rivolsi dal mio destro lato
+per vedere in Beatrice il mio dovere,
+o per parlare o per atto, segnato;
+
+e vidi le sue luci tanto mere,
+tanto gioconde, che la sua sembianza
+vinceva li altri e l’ultimo solere.
+
+E come, per sentir più dilettanza
+bene operando, l’uom di giorno in giorno
+s’accorge che la sua virtute avanza,
+
+sì m’accors’ io che ’l mio girare intorno
+col cielo insieme avea cresciuto l’arco,
+veggendo quel miracol più addorno.
+
+E qual è ’l trasmutare in picciol varco
+di tempo in bianca donna, quando ’l volto
+suo si discarchi di vergogna il carco,
+
+tal fu ne li occhi miei, quando fui vòlto,
+per lo candor de la temprata stella
+sesta, che dentro a sé m’avea ricolto.
+
+Io vidi in quella giovïal facella
+lo sfavillar de l’amor che lì era
+segnare a li occhi miei nostra favella.
+
+E come augelli surti di rivera,
+quasi congratulando a lor pasture,
+fanno di sé or tonda or altra schiera,
+
+sì dentro ai lumi sante creature
+volitando cantavano, e faciensi
+or D, or I, or L in sue figure.
+
+Prima, cantando, a sua nota moviensi;
+poi, diventando l’un di questi segni,
+un poco s’arrestavano e taciensi.
+
+O diva Pegasëa che li ’ngegni
+fai glorïosi e rendili longevi,
+ed essi teco le cittadi e ’ regni,
+
+illustrami di te, sì ch’io rilevi
+le lor figure com’ io l’ho concette:
+paia tua possa in questi versi brevi!
+
+Mostrarsi dunque in cinque volte sette
+vocali e consonanti; e io notai
+le parti sì, come mi parver dette.
+
+‘DILIGITE IUSTITIAM’, primai
+fur verbo e nome di tutto ’l dipinto;
+‘QUI IUDICATIS TERRAM’, fur sezzai.
+
+Poscia ne l’emme del vocabol quinto
+rimasero ordinate; sì che Giove
+pareva argento lì d’oro distinto.
+
+E vidi scendere altre luci dove
+era il colmo de l’emme, e lì quetarsi
+cantando, credo, il ben ch’a sé le move.
+
+Poi, come nel percuoter d’i ciocchi arsi
+surgono innumerabili faville,
+onde li stolti sogliono agurarsi,
+
+resurger parver quindi più di mille
+luci e salir, qual assai e qual poco,
+sì come ’l sol che l’accende sortille;
+
+e quïetata ciascuna in suo loco,
+la testa e ’l collo d’un’aguglia vidi
+rappresentare a quel distinto foco.
+
+Quei che dipinge lì, non ha chi ’l guidi;
+ma esso guida, e da lui si rammenta
+quella virtù ch’è forma per li nidi.
+
+L’altra bëatitudo, che contenta
+pareva prima d’ingigliarsi a l’emme,
+con poco moto seguitò la ’mprenta.
+
+O dolce stella, quali e quante gemme
+mi dimostraro che nostra giustizia
+effetto sia del ciel che tu ingemme!
+
+Per ch’io prego la mente in che s’inizia
+tuo moto e tua virtute, che rimiri
+ond’ esce il fummo che ’l tuo raggio vizia;
+
+sì ch’un’altra fïata omai s’adiri
+del comperare e vender dentro al templo
+che si murò di segni e di martìri.
+
+O milizia del ciel cu’ io contemplo,
+adora per color che sono in terra
+tutti svïati dietro al malo essemplo!
+
+Già si solea con le spade far guerra;
+ma or si fa togliendo or qui or quivi
+lo pan che ’l pïo Padre a nessun serra.
+
+Ma tu che sol per cancellare scrivi,
+pensa che Pietro e Paulo, che moriro
+per la vigna che guasti, ancor son vivi.
+
+Ben puoi tu dire: «I’ ho fermo ’l disiro
+sì a colui che volle viver solo
+e che per salti fu tratto al martiro,
+
+ch’io non conosco il pescator né Polo».
+
+
+
+
+Paradiso
+Canto XIX
+
+
+Parea dinanzi a me con l’ali aperte
+la bella image che nel dolce frui
+liete facevan l’anime conserte;
+
+parea ciascuna rubinetto in cui
+raggio di sole ardesse sì acceso,
+che ne’ miei occhi rifrangesse lui.
+
+E quel che mi convien ritrar testeso,
+non portò voce mai, né scrisse incostro,
+né fu per fantasia già mai compreso;
+
+ch’io vidi e anche udi’ parlar lo rostro,
+e sonar ne la voce e «io» e «mio»,
+quand’ era nel concetto e ‘noi’ e ‘nostro’.
+
+E cominciò: «Per esser giusto e pio
+son io qui essaltato a quella gloria
+che non si lascia vincere a disio;
+
+e in terra lasciai la mia memoria
+sì fatta, che le genti lì malvage
+commendan lei, ma non seguon la storia».
+
+Così un sol calor di molte brage
+si fa sentir, come di molti amori
+usciva solo un suon di quella image.
+
+Ond’ io appresso: «O perpetüi fiori
+de l’etterna letizia, che pur uno
+parer mi fate tutti vostri odori,
+
+solvetemi, spirando, il gran digiuno
+che lungamente m’ha tenuto in fame,
+non trovandoli in terra cibo alcuno.
+
+Ben so io che, se ’n cielo altro reame
+la divina giustizia fa suo specchio,
+che ’l vostro non l’apprende con velame.
+
+Sapete come attento io m’apparecchio
+ad ascoltar; sapete qual è quello
+dubbio che m’è digiun cotanto vecchio».
+
+Quasi falcone ch’esce del cappello,
+move la testa e con l’ali si plaude,
+voglia mostrando e faccendosi bello,
+
+vid’ io farsi quel segno, che di laude
+de la divina grazia era contesto,
+con canti quai si sa chi là sù gaude.
+
+Poi cominciò: «Colui che volse il sesto
+a lo stremo del mondo, e dentro ad esso
+distinse tanto occulto e manifesto,
+
+non poté suo valor sì fare impresso
+in tutto l’universo, che ’l suo verbo
+non rimanesse in infinito eccesso.
+
+E ciò fa certo che ’l primo superbo,
+che fu la somma d’ogne creatura,
+per non aspettar lume, cadde acerbo;
+
+e quinci appar ch’ogne minor natura
+è corto recettacolo a quel bene
+che non ha fine e sé con sé misura.
+
+Dunque vostra veduta, che convene
+esser alcun de’ raggi de la mente
+di che tutte le cose son ripiene,
+
+non pò da sua natura esser possente
+tanto, che suo principio discerna
+molto di là da quel che l’è parvente.
+
+Però ne la giustizia sempiterna
+la vista che riceve il vostro mondo,
+com’ occhio per lo mare, entro s’interna;
+
+che, ben che da la proda veggia il fondo,
+in pelago nol vede; e nondimeno
+èli, ma cela lui l’esser profondo.
+
+Lume non è, se non vien dal sereno
+che non si turba mai; anzi è tenèbra
+od ombra de la carne o suo veleno.
+
+Assai t’è mo aperta la latebra
+che t’ascondeva la giustizia viva,
+di che facei question cotanto crebra;
+
+ché tu dicevi: “Un uom nasce a la riva
+de l’Indo, e quivi non è chi ragioni
+di Cristo né chi legga né chi scriva;
+
+e tutti suoi voleri e atti buoni
+sono, quanto ragione umana vede,
+sanza peccato in vita o in sermoni.
+
+Muore non battezzato e sanza fede:
+ov’ è questa giustizia che ’l condanna?
+ov’ è la colpa sua, se ei non crede?”.
+
+Or tu chi se’, che vuo’ sedere a scranna,
+per giudicar di lungi mille miglia
+con la veduta corta d’una spanna?
+
+Certo a colui che meco s’assottiglia,
+se la Scrittura sovra voi non fosse,
+da dubitar sarebbe a maraviglia.
+
+Oh terreni animali! oh menti grosse!
+La prima volontà, ch’è da sé buona,
+da sé, ch’è sommo ben, mai non si mosse.
+
+Cotanto è giusto quanto a lei consuona:
+nullo creato bene a sé la tira,
+ma essa, radïando, lui cagiona».
+
+Quale sovresso il nido si rigira
+poi c’ha pasciuti la cicogna i figli,
+e come quel ch’è pasto la rimira;
+
+cotal si fece, e sì leväi i cigli,
+la benedetta imagine, che l’ali
+movea sospinte da tanti consigli.
+
+Roteando cantava, e dicea: «Quali
+son le mie note a te, che non le ’ntendi,
+tal è il giudicio etterno a voi mortali».
+
+Poi si quetaro quei lucenti incendi
+de lo Spirito Santo ancor nel segno
+che fé i Romani al mondo reverendi,
+
+esso ricominciò: «A questo regno
+non salì mai chi non credette ’n Cristo,
+né pria né poi ch’el si chiavasse al legno.
+
+Ma vedi: molti gridan “Cristo, Cristo!”,
+che saranno in giudicio assai men prope
+a lui, che tal che non conosce Cristo;
+
+e tai Cristian dannerà l’Etïòpe,
+quando si partiranno i due collegi,
+l’uno in etterno ricco e l’altro inòpe.
+
+Che poran dir li Perse a’ vostri regi,
+come vedranno quel volume aperto
+nel qual si scrivon tutti suoi dispregi?
+
+Lì si vedrà, tra l’opere d’Alberto,
+quella che tosto moverà la penna,
+per che ’l regno di Praga fia diserto.
+
+Lì si vedrà il duol che sovra Senna
+induce, falseggiando la moneta,
+quel che morrà di colpo di cotenna.
+
+Lì si vedrà la superbia ch’asseta,
+che fa lo Scotto e l’Inghilese folle,
+sì che non può soffrir dentro a sua meta.
+
+Vedrassi la lussuria e ’l viver molle
+di quel di Spagna e di quel di Boemme,
+che mai valor non conobbe né volle.
+
+Vedrassi al Ciotto di Ierusalemme
+segnata con un i la sua bontate,
+quando ’l contrario segnerà un emme.
+
+Vedrassi l’avarizia e la viltate
+di quei che guarda l’isola del foco,
+ove Anchise finì la lunga etate;
+
+e a dare ad intender quanto è poco,
+la sua scrittura fian lettere mozze,
+che noteranno molto in parvo loco.
+
+E parranno a ciascun l’opere sozze
+del barba e del fratel, che tanto egregia
+nazione e due corone han fatte bozze.
+
+E quel di Portogallo e di Norvegia
+lì si conosceranno, e quel di Rascia
+che male ha visto il conio di Vinegia.
+
+Oh beata Ungheria, se non si lascia
+più malmenare! e beata Navarra,
+se s’armasse del monte che la fascia!
+
+E creder de’ ciascun che già, per arra
+di questo, Niccosïa e Famagosta
+per la lor bestia si lamenti e garra,
+
+che dal fianco de l’altre non si scosta».
+
+
+
+
+Paradiso
+Canto XX
+
+
+Quando colui che tutto ’l mondo alluma
+de l’emisperio nostro sì discende,
+che ’l giorno d’ogne parte si consuma,
+
+lo ciel, che sol di lui prima s’accende,
+subitamente si rifà parvente
+per molte luci, in che una risplende;
+
+e questo atto del ciel mi venne a mente,
+come ’l segno del mondo e de’ suoi duci
+nel benedetto rostro fu tacente;
+
+però che tutte quelle vive luci,
+vie più lucendo, cominciaron canti
+da mia memoria labili e caduci.
+
+O dolce amor che di riso t’ammanti,
+quanto parevi ardente in que’ flailli,
+ch’avieno spirto sol di pensier santi!
+
+Poscia che i cari e lucidi lapilli
+ond’ io vidi ingemmato il sesto lume
+puoser silenzio a li angelici squilli,
+
+udir mi parve un mormorar di fiume
+che scende chiaro giù di pietra in pietra,
+mostrando l’ubertà del suo cacume.
+
+E come suono al collo de la cetra
+prende sua forma, e sì com’ al pertugio
+de la sampogna vento che penètra,
+
+così, rimosso d’aspettare indugio,
+quel mormorar de l’aguglia salissi
+su per lo collo, come fosse bugio.
+
+Fecesi voce quivi, e quindi uscissi
+per lo suo becco in forma di parole,
+quali aspettava il core ov’ io le scrissi.
+
+«La parte in me che vede e pate il sole
+ne l’aguglie mortali», incominciommi,
+«or fisamente riguardar si vole,
+
+perché d’i fuochi ond’ io figura fommi,
+quelli onde l’occhio in testa mi scintilla,
+e’ di tutti lor gradi son li sommi.
+
+Colui che luce in mezzo per pupilla,
+fu il cantor de lo Spirito Santo,
+che l’arca traslatò di villa in villa:
+
+ora conosce il merto del suo canto,
+in quanto effetto fu del suo consiglio,
+per lo remunerar ch’è altrettanto.
+
+Dei cinque che mi fan cerchio per ciglio,
+colui che più al becco mi s’accosta,
+la vedovella consolò del figlio:
+
+ora conosce quanto caro costa
+non seguir Cristo, per l’esperïenza
+di questa dolce vita e de l’opposta.
+
+E quel che segue in la circunferenza
+di che ragiono, per l’arco superno,
+morte indugiò per vera penitenza:
+
+ora conosce che ’l giudicio etterno
+non si trasmuta, quando degno preco
+fa crastino là giù de l’odïerno.
+
+L’altro che segue, con le leggi e meco,
+sotto buona intenzion che fé mal frutto,
+per cedere al pastor si fece greco:
+
+ora conosce come il mal dedutto
+dal suo bene operar non li è nocivo,
+avvegna che sia ’l mondo indi distrutto.
+
+E quel che vedi ne l’arco declivo,
+Guiglielmo fu, cui quella terra plora
+che piagne Carlo e Federigo vivo:
+
+ora conosce come s’innamora
+lo ciel del giusto rege, e al sembiante
+del suo fulgore il fa vedere ancora.
+
+Chi crederebbe giù nel mondo errante
+che Rifëo Troiano in questo tondo
+fosse la quinta de le luci sante?
+
+Ora conosce assai di quel che ’l mondo
+veder non può de la divina grazia,
+ben che sua vista non discerna il fondo».
+
+Quale allodetta che ’n aere si spazia
+prima cantando, e poi tace contenta
+de l’ultima dolcezza che la sazia,
+
+tal mi sembiò l’imago de la ’mprenta
+de l’etterno piacere, al cui disio
+ciascuna cosa qual ell’ è diventa.
+
+E avvegna ch’io fossi al dubbiar mio
+lì quasi vetro a lo color ch’el veste,
+tempo aspettar tacendo non patio,
+
+ma de la bocca, «Che cose son queste?»,
+mi pinse con la forza del suo peso:
+per ch’io di coruscar vidi gran feste.
+
+Poi appresso, con l’occhio più acceso,
+lo benedetto segno mi rispuose
+per non tenermi in ammirar sospeso:
+
+«Io veggio che tu credi queste cose
+perch’ io le dico, ma non vedi come;
+sì che, se son credute, sono ascose.
+
+Fai come quei che la cosa per nome
+apprende ben, ma la sua quiditate
+veder non può se altri non la prome.
+
+Regnum celorum vïolenza pate
+da caldo amore e da viva speranza,
+che vince la divina volontate:
+
+non a guisa che l’omo a l’om sobranza,
+ma vince lei perché vuole esser vinta,
+e, vinta, vince con sua beninanza.
+
+La prima vita del ciglio e la quinta
+ti fa maravigliar, perché ne vedi
+la regïon de li angeli dipinta.
+
+D’i corpi suoi non uscir, come credi,
+Gentili, ma Cristiani, in ferma fede
+quel d’i passuri e quel d’i passi piedi.
+
+Ché l’una de lo ’nferno, u’ non si riede
+già mai a buon voler, tornò a l’ossa;
+e ciò di viva spene fu mercede:
+
+di viva spene, che mise la possa
+ne’ prieghi fatti a Dio per suscitarla,
+sì che potesse sua voglia esser mossa.
+
+L’anima glorïosa onde si parla,
+tornata ne la carne, in che fu poco,
+credette in lui che potëa aiutarla;
+
+e credendo s’accese in tanto foco
+di vero amor, ch’a la morte seconda
+fu degna di venire a questo gioco.
+
+L’altra, per grazia che da sì profonda
+fontana stilla, che mai creatura
+non pinse l’occhio infino a la prima onda,
+
+tutto suo amor là giù pose a drittura:
+per che, di grazia in grazia, Dio li aperse
+l’occhio a la nostra redenzion futura;
+
+ond’ ei credette in quella, e non sofferse
+da indi il puzzo più del paganesmo;
+e riprendiene le genti perverse.
+
+Quelle tre donne li fur per battesmo
+che tu vedesti da la destra rota,
+dinanzi al battezzar più d’un millesmo.
+
+O predestinazion, quanto remota
+è la radice tua da quelli aspetti
+che la prima cagion non veggion tota!
+
+E voi, mortali, tenetevi stretti
+a giudicar: ché noi, che Dio vedemo,
+non conosciamo ancor tutti li eletti;
+
+ed ènne dolce così fatto scemo,
+perché il ben nostro in questo ben s’affina,
+che quel che vole Iddio, e noi volemo».
+
+Così da quella imagine divina,
+per farmi chiara la mia corta vista,
+data mi fu soave medicina.
+
+E come a buon cantor buon citarista
+fa seguitar lo guizzo de la corda,
+in che più di piacer lo canto acquista,
+
+sì, mentre ch’e’ parlò, sì mi ricorda
+ch’io vidi le due luci benedette,
+pur come batter d’occhi si concorda,
+
+con le parole mover le fiammette.
+
+
+
+
+Paradiso
+Canto XXI
+
+
+Già eran li occhi miei rifissi al volto
+de la mia donna, e l’animo con essi,
+e da ogne altro intento s’era tolto.
+
+E quella non ridea; ma «S’io ridessi»,
+mi cominciò, «tu ti faresti quale
+fu Semelè quando di cener fessi:
+
+ché la bellezza mia, che per le scale
+de l’etterno palazzo più s’accende,
+com’ hai veduto, quanto più si sale,
+
+se non si temperasse, tanto splende,
+che ’l tuo mortal podere, al suo fulgore,
+sarebbe fronda che trono scoscende.
+
+Noi sem levati al settimo splendore,
+che sotto ’l petto del Leone ardente
+raggia mo misto giù del suo valore.
+
+Ficca di retro a li occhi tuoi la mente,
+e fa di quelli specchi a la figura
+che ’n questo specchio ti sarà parvente».
+
+Qual savesse qual era la pastura
+del viso mio ne l’aspetto beato
+quand’ io mi trasmutai ad altra cura,
+
+conoscerebbe quanto m’era a grato
+ubidire a la mia celeste scorta,
+contrapesando l’un con l’altro lato.
+
+Dentro al cristallo che ’l vocabol porta,
+cerchiando il mondo, del suo caro duce
+sotto cui giacque ogne malizia morta,
+
+di color d’oro in che raggio traluce
+vid’ io uno scaleo eretto in suso
+tanto, che nol seguiva la mia luce.
+
+Vidi anche per li gradi scender giuso
+tanti splendor, ch’io pensai ch’ogne lume
+che par nel ciel, quindi fosse diffuso.
+
+E come, per lo natural costume,
+le pole insieme, al cominciar del giorno,
+si movono a scaldar le fredde piume;
+
+poi altre vanno via sanza ritorno,
+altre rivolgon sé onde son mosse,
+e altre roteando fan soggiorno;
+
+tal modo parve me che quivi fosse
+in quello sfavillar che ’nsieme venne,
+sì come in certo grado si percosse.
+
+E quel che presso più ci si ritenne,
+si fé sì chiaro, ch’io dicea pensando:
+‘Io veggio ben l’amor che tu m’accenne.
+
+Ma quella ond’ io aspetto il come e ’l quando
+del dire e del tacer, si sta; ond’ io,
+contra ’l disio, fo ben ch’io non dimando’.
+
+Per ch’ella, che vedëa il tacer mio
+nel veder di colui che tutto vede,
+mi disse: «Solvi il tuo caldo disio».
+
+E io incominciai: «La mia mercede
+non mi fa degno de la tua risposta;
+ma per colei che ’l chieder mi concede,
+
+vita beata che ti stai nascosta
+dentro a la tua letizia, fammi nota
+la cagion che sì presso mi t’ha posta;
+
+e dì perché si tace in questa rota
+la dolce sinfonia di paradiso,
+che giù per l’altre suona sì divota».
+
+«Tu hai l’udir mortal sì come il viso»,
+rispuose a me; «onde qui non si canta
+per quel che Bëatrice non ha riso.
+
+Giù per li gradi de la scala santa
+discesi tanto sol per farti festa
+col dire e con la luce che mi ammanta;
+
+né più amor mi fece esser più presta,
+ché più e tanto amor quinci sù ferve,
+sì come il fiammeggiar ti manifesta.
+
+Ma l’alta carità, che ci fa serve
+pronte al consiglio che ’l mondo governa,
+sorteggia qui sì come tu osserve».
+
+«Io veggio ben», diss’ io, «sacra lucerna,
+come libero amore in questa corte
+basta a seguir la provedenza etterna;
+
+ma questo è quel ch’a cerner mi par forte,
+perché predestinata fosti sola
+a questo officio tra le tue consorte».
+
+Né venni prima a l’ultima parola,
+che del suo mezzo fece il lume centro,
+girando sé come veloce mola;
+
+poi rispuose l’amor che v’era dentro:
+«Luce divina sopra me s’appunta,
+penetrando per questa in ch’io m’inventro,
+
+la cui virtù, col mio veder congiunta,
+mi leva sopra me tanto, ch’i’ veggio
+la somma essenza de la quale è munta.
+
+Quinci vien l’allegrezza ond’ io fiammeggio;
+per ch’a la vista mia, quant’ ella è chiara,
+la chiarità de la fiamma pareggio.
+
+Ma quell’ alma nel ciel che più si schiara,
+quel serafin che ’n Dio più l’occhio ha fisso,
+a la dimanda tua non satisfara,
+
+però che sì s’innoltra ne lo abisso
+de l’etterno statuto quel che chiedi,
+che da ogne creata vista è scisso.
+
+E al mondo mortal, quando tu riedi,
+questo rapporta, sì che non presumma
+a tanto segno più mover li piedi.
+
+La mente, che qui luce, in terra fumma;
+onde riguarda come può là giùe
+quel che non pote perché ’l ciel l’assumma».
+
+Sì mi prescrisser le parole sue,
+ch’io lasciai la quistione e mi ritrassi
+a dimandarla umilmente chi fue.
+
+«Tra ’ due liti d’Italia surgon sassi,
+e non molto distanti a la tua patria,
+tanto che ’ troni assai suonan più bassi,
+
+e fanno un gibbo che si chiama Catria,
+di sotto al quale è consecrato un ermo,
+che suole esser disposto a sola latria».
+
+Così ricominciommi il terzo sermo;
+e poi, continüando, disse: «Quivi
+al servigio di Dio mi fe’ sì fermo,
+
+che pur con cibi di liquor d’ulivi
+lievemente passava caldi e geli,
+contento ne’ pensier contemplativi.
+
+Render solea quel chiostro a questi cieli
+fertilemente; e ora è fatto vano,
+sì che tosto convien che si riveli.
+
+In quel loco fu’ io Pietro Damiano,
+e Pietro Peccator fu’ ne la casa
+di Nostra Donna in sul lito adriano.
+
+Poca vita mortal m’era rimasa,
+quando fui chiesto e tratto a quel cappello,
+che pur di male in peggio si travasa.
+
+Venne Cefàs e venne il gran vasello
+de lo Spirito Santo, magri e scalzi,
+prendendo il cibo da qualunque ostello.
+
+Or voglion quinci e quindi chi rincalzi
+li moderni pastori e chi li meni,
+tanto son gravi, e chi di rietro li alzi.
+
+Cuopron d’i manti loro i palafreni,
+sì che due bestie van sott’ una pelle:
+oh pazïenza che tanto sostieni!».
+
+A questa voce vid’ io più fiammelle
+di grado in grado scendere e girarsi,
+e ogne giro le facea più belle.
+
+Dintorno a questa vennero e fermarsi,
+e fero un grido di sì alto suono,
+che non potrebbe qui assomigliarsi;
+
+né io lo ’ntesi, sì mi vinse il tuono.
+
+
+
+
+Paradiso
+Canto XXII
+
+
+Oppresso di stupore, a la mia guida
+mi volsi, come parvol che ricorre
+sempre colà dove più si confida;
+
+e quella, come madre che soccorre
+sùbito al figlio palido e anelo
+con la sua voce, che ’l suol ben disporre,
+
+mi disse: «Non sai tu che tu se’ in cielo?
+e non sai tu che ’l cielo è tutto santo,
+e ciò che ci si fa vien da buon zelo?
+
+Come t’avrebbe trasmutato il canto,
+e io ridendo, mo pensar lo puoi,
+poscia che ’l grido t’ha mosso cotanto;
+
+nel qual, se ’nteso avessi i prieghi suoi,
+già ti sarebbe nota la vendetta
+che tu vedrai innanzi che tu muoi.
+
+La spada di qua sù non taglia in fretta
+né tardo, ma’ ch’al parer di colui
+che disïando o temendo l’aspetta.
+
+Ma rivolgiti omai inverso altrui;
+ch’assai illustri spiriti vedrai,
+se com’ io dico l’aspetto redui».
+
+Come a lei piacque, li occhi ritornai,
+e vidi cento sperule che ’nsieme
+più s’abbellivan con mutüi rai.
+
+Io stava come quei che ’n sé repreme
+la punta del disio, e non s’attenta
+di domandar, sì del troppo si teme;
+
+e la maggiore e la più luculenta
+di quelle margherite innanzi fessi,
+per far di sé la mia voglia contenta.
+
+Poi dentro a lei udi’: «Se tu vedessi
+com’ io la carità che tra noi arde,
+li tuoi concetti sarebbero espressi.
+
+Ma perché tu, aspettando, non tarde
+a l’alto fine, io ti farò risposta
+pur al pensier, da che sì ti riguarde.
+
+Quel monte a cui Cassino è ne la costa
+fu frequentato già in su la cima
+da la gente ingannata e mal disposta;
+
+e quel son io che sù vi portai prima
+lo nome di colui che ’n terra addusse
+la verità che tanto ci soblima;
+
+e tanta grazia sopra me relusse,
+ch’io ritrassi le ville circunstanti
+da l’empio cólto che ’l mondo sedusse.
+
+Questi altri fuochi tutti contemplanti
+uomini fuoro, accesi di quel caldo
+che fa nascere i fiori e ’ frutti santi.
+
+Qui è Maccario, qui è Romoaldo,
+qui son li frati miei che dentro ai chiostri
+fermar li piedi e tennero il cor saldo».
+
+E io a lui: «L’affetto che dimostri
+meco parlando, e la buona sembianza
+ch’io veggio e noto in tutti li ardor vostri,
+
+così m’ha dilatata mia fidanza,
+come ’l sol fa la rosa quando aperta
+tanto divien quant’ ell’ ha di possanza.
+
+Però ti priego, e tu, padre, m’accerta
+s’io posso prender tanta grazia, ch’io
+ti veggia con imagine scoverta».
+
+Ond’ elli: «Frate, il tuo alto disio
+s’adempierà in su l’ultima spera,
+ove s’adempion tutti li altri e ’l mio.
+
+Ivi è perfetta, matura e intera
+ciascuna disïanza; in quella sola
+è ogne parte là ove sempr’ era,
+
+perché non è in loco e non s’impola;
+e nostra scala infino ad essa varca,
+onde così dal viso ti s’invola.
+
+Infin là sù la vide il patriarca
+Iacobbe porger la superna parte,
+quando li apparve d’angeli sì carca.
+
+Ma, per salirla, mo nessun diparte
+da terra i piedi, e la regola mia
+rimasa è per danno de le carte.
+
+Le mura che solieno esser badia
+fatte sono spelonche, e le cocolle
+sacca son piene di farina ria.
+
+Ma grave usura tanto non si tolle
+contra ’l piacer di Dio, quanto quel frutto
+che fa il cor de’ monaci sì folle;
+
+ché quantunque la Chiesa guarda, tutto
+è de la gente che per Dio dimanda;
+non di parenti né d’altro più brutto.
+
+La carne d’i mortali è tanto blanda,
+che giù non basta buon cominciamento
+dal nascer de la quercia al far la ghianda.
+
+Pier cominciò sanz’ oro e sanz’ argento,
+e io con orazione e con digiuno,
+e Francesco umilmente il suo convento;
+
+e se guardi ’l principio di ciascuno,
+poscia riguardi là dov’ è trascorso,
+tu vederai del bianco fatto bruno.
+
+Veramente Iordan vòlto retrorso
+più fu, e ’l mar fuggir, quando Dio volse,
+mirabile a veder che qui ’l soccorso».
+
+Così mi disse, e indi si raccolse
+al suo collegio, e ’l collegio si strinse;
+poi, come turbo, in sù tutto s’avvolse.
+
+La dolce donna dietro a lor mi pinse
+con un sol cenno su per quella scala,
+sì sua virtù la mia natura vinse;
+
+né mai qua giù dove si monta e cala
+naturalmente, fu sì ratto moto
+ch’agguagliar si potesse a la mia ala.
+
+S’io torni mai, lettore, a quel divoto
+trïunfo per lo quale io piango spesso
+le mie peccata e ’l petto mi percuoto,
+
+tu non avresti in tanto tratto e messo
+nel foco il dito, in quant’ io vidi ’l segno
+che segue il Tauro e fui dentro da esso.
+
+O glorïose stelle, o lume pregno
+di gran virtù, dal quale io riconosco
+tutto, qual che si sia, il mio ingegno,
+
+con voi nasceva e s’ascondeva vosco
+quelli ch’è padre d’ogne mortal vita,
+quand’ io senti’ di prima l’aere tosco;
+
+e poi, quando mi fu grazia largita
+d’entrar ne l’alta rota che vi gira,
+la vostra regïon mi fu sortita.
+
+A voi divotamente ora sospira
+l’anima mia, per acquistar virtute
+al passo forte che a sé la tira.
+
+«Tu se’ sì presso a l’ultima salute»,
+cominciò Bëatrice, «che tu dei
+aver le luci tue chiare e acute;
+
+e però, prima che tu più t’inlei,
+rimira in giù, e vedi quanto mondo
+sotto li piedi già esser ti fei;
+
+sì che ’l tuo cor, quantunque può, giocondo
+s’appresenti a la turba trïunfante
+che lieta vien per questo etera tondo».
+
+Col viso ritornai per tutte quante
+le sette spere, e vidi questo globo
+tal, ch’io sorrisi del suo vil sembiante;
+
+e quel consiglio per migliore approbo
+che l’ha per meno; e chi ad altro pensa
+chiamar si puote veramente probo.
+
+Vidi la figlia di Latona incensa
+sanza quell’ ombra che mi fu cagione
+per che già la credetti rara e densa.
+
+L’aspetto del tuo nato, Iperïone,
+quivi sostenni, e vidi com’ si move
+circa e vicino a lui Maia e Dïone.
+
+Quindi m’apparve il temperar di Giove
+tra ’l padre e ’l figlio; e quindi mi fu chiaro
+il varïar che fanno di lor dove;
+
+e tutti e sette mi si dimostraro
+quanto son grandi e quanto son veloci
+e come sono in distante riparo.
+
+L’aiuola che ci fa tanto feroci,
+volgendom’ io con li etterni Gemelli,
+tutta m’apparve da’ colli a le foci;
+
+poscia rivolsi li occhi a li occhi belli.
+
+
+
+
+Paradiso
+Canto XXIII
+
+
+Come l’augello, intra l’amate fronde,
+posato al nido de’ suoi dolci nati
+la notte che le cose ci nasconde,
+
+che, per veder li aspetti disïati
+e per trovar lo cibo onde li pasca,
+in che gravi labor li sono aggrati,
+
+previene il tempo in su aperta frasca,
+e con ardente affetto il sole aspetta,
+fiso guardando pur che l’alba nasca;
+
+così la donna mïa stava eretta
+e attenta, rivolta inver’ la plaga
+sotto la quale il sol mostra men fretta:
+
+sì che, veggendola io sospesa e vaga,
+fecimi qual è quei che disïando
+altro vorria, e sperando s’appaga.
+
+Ma poco fu tra uno e altro quando,
+del mio attender, dico, e del vedere
+lo ciel venir più e più rischiarando;
+
+e Bëatrice disse: «Ecco le schiere
+del trïunfo di Cristo e tutto ’l frutto
+ricolto del girar di queste spere!».
+
+Pariemi che ’l suo viso ardesse tutto,
+e li occhi avea di letizia sì pieni,
+che passarmen convien sanza costrutto.
+
+Quale ne’ plenilunïi sereni
+Trivïa ride tra le ninfe etterne
+che dipingon lo ciel per tutti i seni,
+
+vid’ i’ sopra migliaia di lucerne
+un sol che tutte quante l’accendea,
+come fa ’l nostro le viste superne;
+
+e per la viva luce trasparea
+la lucente sustanza tanto chiara
+nel viso mio, che non la sostenea.
+
+Oh Bëatrice, dolce guida e cara!
+Ella mi disse: «Quel che ti sobranza
+è virtù da cui nulla si ripara.
+
+Quivi è la sapïenza e la possanza
+ch’aprì le strade tra ’l cielo e la terra,
+onde fu già sì lunga disïanza».
+
+Come foco di nube si diserra
+per dilatarsi sì che non vi cape,
+e fuor di sua natura in giù s’atterra,
+
+la mente mia così, tra quelle dape
+fatta più grande, di sé stessa uscìo,
+e che si fesse rimembrar non sape.
+
+«Apri li occhi e riguarda qual son io;
+tu hai vedute cose, che possente
+se’ fatto a sostener lo riso mio».
+
+Io era come quei che si risente
+di visïone oblita e che s’ingegna
+indarno di ridurlasi a la mente,
+
+quand’ io udi’ questa proferta, degna
+di tanto grato, che mai non si stingue
+del libro che ’l preterito rassegna.
+
+Se mo sonasser tutte quelle lingue
+che Polimnïa con le suore fero
+del latte lor dolcissimo più pingue,
+
+per aiutarmi, al millesmo del vero
+non si verria, cantando il santo riso
+e quanto il santo aspetto facea mero;
+
+e così, figurando il paradiso,
+convien saltar lo sacrato poema,
+come chi trova suo cammin riciso.
+
+Ma chi pensasse il ponderoso tema
+e l’omero mortal che se ne carca,
+nol biasmerebbe se sott’ esso trema:
+
+non è pareggio da picciola barca
+quel che fendendo va l’ardita prora,
+né da nocchier ch’a sé medesmo parca.
+
+«Perché la faccia mia sì t’innamora,
+che tu non ti rivolgi al bel giardino
+che sotto i raggi di Cristo s’infiora?
+
+Quivi è la rosa in che ’l verbo divino
+carne si fece; quivi son li gigli
+al cui odor si prese il buon cammino».
+
+Così Beatrice; e io, che a’ suoi consigli
+tutto era pronto, ancora mi rendei
+a la battaglia de’ debili cigli.
+
+Come a raggio di sol, che puro mei
+per fratta nube, già prato di fiori
+vider, coverti d’ombra, li occhi miei;
+
+vid’ io così più turbe di splendori,
+folgorate di sù da raggi ardenti,
+sanza veder principio di folgóri.
+
+O benigna vertù che sì li ’mprenti,
+sù t’essaltasti, per largirmi loco
+a li occhi lì che non t’eran possenti.
+
+Il nome del bel fior ch’io sempre invoco
+e mane e sera, tutto mi ristrinse
+l’animo ad avvisar lo maggior foco;
+
+e come ambo le luci mi dipinse
+il quale e il quanto de la viva stella
+che là sù vince come qua giù vinse,
+
+per entro il cielo scese una facella,
+formata in cerchio a guisa di corona,
+e cinsela e girossi intorno ad ella.
+
+Qualunque melodia più dolce suona
+qua giù e più a sé l’anima tira,
+parrebbe nube che squarciata tona,
+
+comparata al sonar di quella lira
+onde si coronava il bel zaffiro
+del quale il ciel più chiaro s’inzaffira.
+
+«Io sono amore angelico, che giro
+l’alta letizia che spira del ventre
+che fu albergo del nostro disiro;
+
+e girerommi, donna del ciel, mentre
+che seguirai tuo figlio, e farai dia
+più la spera suprema perché lì entre».
+
+Così la circulata melodia
+si sigillava, e tutti li altri lumi
+facean sonare il nome di Maria.
+
+Lo real manto di tutti i volumi
+del mondo, che più ferve e più s’avviva
+ne l’alito di Dio e nei costumi,
+
+avea sopra di noi l’interna riva
+tanto distante, che la sua parvenza,
+là dov’ io era, ancor non appariva:
+
+però non ebber li occhi miei potenza
+di seguitar la coronata fiamma
+che si levò appresso sua semenza.
+
+E come fantolin che ’nver’ la mamma
+tende le braccia, poi che ’l latte prese,
+per l’animo che ’nfin di fuor s’infiamma;
+
+ciascun di quei candori in sù si stese
+con la sua cima, sì che l’alto affetto
+ch’elli avieno a Maria mi fu palese.
+
+Indi rimaser lì nel mio cospetto,
+‘Regina celi’ cantando sì dolce,
+che mai da me non si partì ’l diletto.
+
+Oh quanta è l’ubertà che si soffolce
+in quelle arche ricchissime che fuoro
+a seminar qua giù buone bobolce!
+
+Quivi si vive e gode del tesoro
+che s’acquistò piangendo ne lo essilio
+di Babillòn, ove si lasciò l’oro.
+
+Quivi trïunfa, sotto l’alto Filio
+di Dio e di Maria, di sua vittoria,
+e con l’antico e col novo concilio,
+
+colui che tien le chiavi di tal gloria.
+
+
+
+
+Paradiso
+Canto XXIV
+
+
+«O sodalizio eletto a la gran cena
+del benedetto Agnello, il qual vi ciba
+sì, che la vostra voglia è sempre piena,
+
+se per grazia di Dio questi preliba
+di quel che cade de la vostra mensa,
+prima che morte tempo li prescriba,
+
+ponete mente a l’affezione immensa
+e roratelo alquanto: voi bevete
+sempre del fonte onde vien quel ch’ei pensa».
+
+Così Beatrice; e quelle anime liete
+si fero spere sopra fissi poli,
+fiammando, a volte, a guisa di comete.
+
+E come cerchi in tempra d’orïuoli
+si giran sì, che ’l primo a chi pon mente
+quïeto pare, e l’ultimo che voli;
+
+così quelle carole, differente-
+mente danzando, de la sua ricchezza
+mi facieno stimar, veloci e lente.
+
+Di quella ch’io notai di più carezza
+vid’ ïo uscire un foco sì felice,
+che nullo vi lasciò di più chiarezza;
+
+e tre fïate intorno di Beatrice
+si volse con un canto tanto divo,
+che la mia fantasia nol mi ridice.
+
+Però salta la penna e non lo scrivo:
+ché l’imagine nostra a cotai pieghe,
+non che ’l parlare, è troppo color vivo.
+
+«O santa suora mia che sì ne prieghe
+divota, per lo tuo ardente affetto
+da quella bella spera mi disleghe».
+
+Poscia fermato, il foco benedetto
+a la mia donna dirizzò lo spiro,
+che favellò così com’ i’ ho detto.
+
+Ed ella: «O luce etterna del gran viro
+a cui Nostro Segnor lasciò le chiavi,
+ch’ei portò giù, di questo gaudio miro,
+
+tenta costui di punti lievi e gravi,
+come ti piace, intorno de la fede,
+per la qual tu su per lo mare andavi.
+
+S’elli ama bene e bene spera e crede,
+non t’è occulto, perché ’l viso hai quivi
+dov’ ogne cosa dipinta si vede;
+
+ma perché questo regno ha fatto civi
+per la verace fede, a glorïarla,
+di lei parlare è ben ch’a lui arrivi».
+
+Sì come il baccialier s’arma e non parla
+fin che ’l maestro la question propone,
+per approvarla, non per terminarla,
+
+così m’armava io d’ogne ragione
+mentre ch’ella dicea, per esser presto
+a tal querente e a tal professione.
+
+«Dì, buon Cristiano, fatti manifesto:
+fede che è?». Ond’ io levai la fronte
+in quella luce onde spirava questo;
+
+poi mi volsi a Beatrice, ed essa pronte
+sembianze femmi perch’ ïo spandessi
+l’acqua di fuor del mio interno fonte.
+
+«La Grazia che mi dà ch’io mi confessi»,
+comincia’ io, «da l’alto primipilo,
+faccia li miei concetti bene espressi».
+
+E seguitai: «Come ’l verace stilo
+ne scrisse, padre, del tuo caro frate
+che mise teco Roma nel buon filo,
+
+fede è sustanza di cose sperate
+e argomento de le non parventi;
+e questa pare a me sua quiditate».
+
+Allora udi’: «Dirittamente senti,
+se bene intendi perché la ripuose
+tra le sustanze, e poi tra li argomenti».
+
+E io appresso: «Le profonde cose
+che mi largiscon qui la lor parvenza,
+a li occhi di là giù son sì ascose,
+
+che l’esser loro v’è in sola credenza,
+sopra la qual si fonda l’alta spene;
+e però di sustanza prende intenza.
+
+E da questa credenza ci convene
+silogizzar, sanz’ avere altra vista:
+però intenza d’argomento tene».
+
+Allora udi’: «Se quantunque s’acquista
+giù per dottrina, fosse così ’nteso,
+non lì avria loco ingegno di sofista».
+
+Così spirò di quello amore acceso;
+indi soggiunse: «Assai bene è trascorsa
+d’esta moneta già la lega e ’l peso;
+
+ma dimmi se tu l’hai ne la tua borsa».
+Ond’ io: «Sì ho, sì lucida e sì tonda,
+che nel suo conio nulla mi s’inforsa».
+
+Appresso uscì de la luce profonda
+che lì splendeva: «Questa cara gioia
+sopra la quale ogne virtù si fonda,
+
+onde ti venne?». E io: «La larga ploia
+de lo Spirito Santo, ch’è diffusa
+in su le vecchie e ’n su le nuove cuoia,
+
+è silogismo che la m’ha conchiusa
+acutamente sì, che ’nverso d’ella
+ogne dimostrazion mi pare ottusa».
+
+Io udi’ poi: «L’antica e la novella
+proposizion che così ti conchiude,
+perché l’hai tu per divina favella?».
+
+E io: «La prova che ’l ver mi dischiude,
+son l’opere seguite, a che natura
+non scalda ferro mai né batte incude».
+
+Risposto fummi: «Dì, chi t’assicura
+che quell’ opere fosser? Quel medesmo
+che vuol provarsi, non altri, il ti giura».
+
+«Se ’l mondo si rivolse al cristianesmo»,
+diss’ io, «sanza miracoli, quest’ uno
+è tal, che li altri non sono il centesmo:
+
+ché tu intrasti povero e digiuno
+in campo, a seminar la buona pianta
+che fu già vite e ora è fatta pruno».
+
+Finito questo, l’alta corte santa
+risonò per le spere un ‘Dio laudamo’
+ne la melode che là sù si canta.
+
+E quel baron che sì di ramo in ramo,
+essaminando, già tratto m’avea,
+che a l’ultime fronde appressavamo,
+
+ricominciò: «La Grazia, che donnea
+con la tua mente, la bocca t’aperse
+infino a qui come aprir si dovea,
+
+sì ch’io approvo ciò che fuori emerse;
+ma or convien espremer quel che credi,
+e onde a la credenza tua s’offerse».
+
+«O santo padre, e spirito che vedi
+ciò che credesti sì, che tu vincesti
+ver’ lo sepulcro più giovani piedi»,
+
+comincia’ io, «tu vuo’ ch’io manifesti
+la forma qui del pronto creder mio,
+e anche la cagion di lui chiedesti.
+
+E io rispondo: Io credo in uno Dio
+solo ed etterno, che tutto ’l ciel move,
+non moto, con amore e con disio;
+
+e a tal creder non ho io pur prove
+fisice e metafisice, ma dalmi
+anche la verità che quinci piove
+
+per Moïsè, per profeti e per salmi,
+per l’Evangelio e per voi che scriveste
+poi che l’ardente Spirto vi fé almi;
+
+e credo in tre persone etterne, e queste
+credo una essenza sì una e sì trina,
+che soffera congiunto ‘sono’ ed ‘este’.
+
+De la profonda condizion divina
+ch’io tocco mo, la mente mi sigilla
+più volte l’evangelica dottrina.
+
+Quest’ è ’l principio, quest’ è la favilla
+che si dilata in fiamma poi vivace,
+e come stella in cielo in me scintilla».
+
+Come ’l segnor ch’ascolta quel che i piace,
+da indi abbraccia il servo, gratulando
+per la novella, tosto ch’el si tace;
+
+così, benedicendomi cantando,
+tre volte cinse me, sì com’ io tacqui,
+l’appostolico lume al cui comando
+
+io avea detto: sì nel dir li piacqui!
+
+
+
+
+Paradiso
+Canto XXV
+
+
+Se mai continga che ’l poema sacro
+al quale ha posto mano e cielo e terra,
+sì che m’ha fatto per molti anni macro,
+
+vinca la crudeltà che fuor mi serra
+del bello ovile ov’ io dormi’ agnello,
+nimico ai lupi che li danno guerra;
+
+con altra voce omai, con altro vello
+ritornerò poeta, e in sul fonte
+del mio battesmo prenderò ’l cappello;
+
+però che ne la fede, che fa conte
+l’anime a Dio, quivi intra’ io, e poi
+Pietro per lei sì mi girò la fronte.
+
+Indi si mosse un lume verso noi
+di quella spera ond’ uscì la primizia
+che lasciò Cristo d’i vicari suoi;
+
+e la mia donna, piena di letizia,
+mi disse: «Mira, mira: ecco il barone
+per cui là giù si vicita Galizia».
+
+Sì come quando il colombo si pone
+presso al compagno, l’uno a l’altro pande,
+girando e mormorando, l’affezione;
+
+così vid’ ïo l’un da l’altro grande
+principe glorïoso essere accolto,
+laudando il cibo che là sù li prande.
+
+Ma poi che ’l gratular si fu assolto,
+tacito coram me ciascun s’affisse,
+ignito sì che vincëa ’l mio volto.
+
+Ridendo allora Bëatrice disse:
+«Inclita vita per cui la larghezza
+de la nostra basilica si scrisse,
+
+fa risonar la spene in questa altezza:
+tu sai, che tante fiate la figuri,
+quante Iesù ai tre fé più carezza».
+
+«Leva la testa e fa che t’assicuri:
+che ciò che vien qua sù del mortal mondo,
+convien ch’ai nostri raggi si maturi».
+
+Questo conforto del foco secondo
+mi venne; ond’ io leväi li occhi a’ monti
+che li ’ncurvaron pria col troppo pondo.
+
+«Poi che per grazia vuol che tu t’affronti
+lo nostro Imperadore, anzi la morte,
+ne l’aula più secreta co’ suoi conti,
+
+sì che, veduto il ver di questa corte,
+la spene, che là giù bene innamora,
+in te e in altrui di ciò conforte,
+
+di’ quel ch’ell’ è, di’ come se ne ’nfiora
+la mente tua, e dì onde a te venne».
+Così seguì ’l secondo lume ancora.
+
+E quella pïa che guidò le penne
+de le mie ali a così alto volo,
+a la risposta così mi prevenne:
+
+«La Chiesa militante alcun figliuolo
+non ha con più speranza, com’ è scritto
+nel Sol che raggia tutto nostro stuolo:
+
+però li è conceduto che d’Egitto
+vegna in Ierusalemme per vedere,
+anzi che ’l militar li sia prescritto.
+
+Li altri due punti, che non per sapere
+son dimandati, ma perch’ ei rapporti
+quanto questa virtù t’è in piacere,
+
+a lui lasc’ io, ché non li saran forti
+né di iattanza; ed elli a ciò risponda,
+e la grazia di Dio ciò li comporti».
+
+Come discente ch’a dottor seconda
+pronto e libente in quel ch’elli è esperto,
+perché la sua bontà si disasconda,
+
+«Spene», diss’ io, «è uno attender certo
+de la gloria futura, il qual produce
+grazia divina e precedente merto.
+
+Da molte stelle mi vien questa luce;
+ma quei la distillò nel mio cor pria
+che fu sommo cantor del sommo duce.
+
+‘Sperino in te’, ne la sua tëodia
+dice, ‘color che sanno il nome tuo’:
+e chi nol sa, s’elli ha la fede mia?
+
+Tu mi stillasti, con lo stillar suo,
+ne la pistola poi; sì ch’io son pieno,
+e in altrui vostra pioggia repluo».
+
+Mentr’ io diceva, dentro al vivo seno
+di quello incendio tremolava un lampo
+sùbito e spesso a guisa di baleno.
+
+Indi spirò: «L’amore ond’ ïo avvampo
+ancor ver’ la virtù che mi seguette
+infin la palma e a l’uscir del campo,
+
+vuol ch’io respiri a te che ti dilette
+di lei; ed emmi a grato che tu diche
+quello che la speranza ti ’mpromette».
+
+E io: «Le nove e le scritture antiche
+pongon lo segno, ed esso lo mi addita,
+de l’anime che Dio s’ha fatte amiche.
+
+Dice Isaia che ciascuna vestita
+ne la sua terra fia di doppia vesta:
+e la sua terra è questa dolce vita;
+
+e ’l tuo fratello assai vie più digesta,
+là dove tratta de le bianche stole,
+questa revelazion ci manifesta».
+
+E prima, appresso al fin d’este parole,
+‘Sperent in te’ di sopr’ a noi s’udì;
+a che rispuoser tutte le carole.
+
+Poscia tra esse un lume si schiarì
+sì che, se ’l Cancro avesse un tal cristallo,
+l’inverno avrebbe un mese d’un sol dì.
+
+E come surge e va ed entra in ballo
+vergine lieta, sol per fare onore
+a la novizia, non per alcun fallo,
+
+così vid’ io lo schiarato splendore
+venire a’ due che si volgieno a nota
+qual conveniesi al loro ardente amore.
+
+Misesi lì nel canto e ne la rota;
+e la mia donna in lor tenea l’aspetto,
+pur come sposa tacita e immota.
+
+«Questi è colui che giacque sopra ’l petto
+del nostro pellicano, e questi fue
+di su la croce al grande officio eletto».
+
+La donna mia così; né però piùe
+mosser la vista sua di stare attenta
+poscia che prima le parole sue.
+
+Qual è colui ch’adocchia e s’argomenta
+di vedere eclissar lo sole un poco,
+che, per veder, non vedente diventa;
+
+tal mi fec’ ïo a quell’ ultimo foco
+mentre che detto fu: «Perché t’abbagli
+per veder cosa che qui non ha loco?
+
+In terra è terra il mio corpo, e saragli
+tanto con li altri, che ’l numero nostro
+con l’etterno proposito s’agguagli.
+
+Con le due stole nel beato chiostro
+son le due luci sole che saliro;
+e questo apporterai nel mondo vostro».
+
+A questa voce l’infiammato giro
+si quïetò con esso il dolce mischio
+che si facea nel suon del trino spiro,
+
+sì come, per cessar fatica o rischio,
+li remi, pria ne l’acqua ripercossi,
+tutti si posano al sonar d’un fischio.
+
+Ahi quanto ne la mente mi commossi,
+quando mi volsi per veder Beatrice,
+per non poter veder, benché io fossi
+
+presso di lei, e nel mondo felice!
+
+
+
+
+Paradiso
+Canto XXVI
+
+
+Mentr’ io dubbiava per lo viso spento,
+de la fulgida fiamma che lo spense
+uscì un spiro che mi fece attento,
+
+dicendo: «Intanto che tu ti risense
+de la vista che haï in me consunta,
+ben è che ragionando la compense.
+
+Comincia dunque; e dì ove s’appunta
+l’anima tua, e fa ragion che sia
+la vista in te smarrita e non defunta:
+
+perché la donna che per questa dia
+regïon ti conduce, ha ne lo sguardo
+la virtù ch’ebbe la man d’Anania».
+
+Io dissi: «Al suo piacere e tosto e tardo
+vegna remedio a li occhi, che fuor porte
+quand’ ella entrò col foco ond’ io sempr’ ardo.
+
+Lo ben che fa contenta questa corte,
+Alfa e O è di quanta scrittura
+mi legge Amore o lievemente o forte».
+
+Quella medesma voce che paura
+tolta m’avea del sùbito abbarbaglio,
+di ragionare ancor mi mise in cura;
+
+e disse: «Certo a più angusto vaglio
+ti conviene schiarar: dicer convienti
+chi drizzò l’arco tuo a tal berzaglio».
+
+E io: «Per filosofici argomenti
+e per autorità che quinci scende
+cotale amor convien che in me si ’mprenti:
+
+ché ’l bene, in quanto ben, come s’intende,
+così accende amore, e tanto maggio
+quanto più di bontate in sé comprende.
+
+Dunque a l’essenza ov’ è tanto avvantaggio,
+che ciascun ben che fuor di lei si trova
+altro non è ch’un lume di suo raggio,
+
+più che in altra convien che si mova
+la mente, amando, di ciascun che cerne
+il vero in che si fonda questa prova.
+
+Tal vero a l’intelletto mïo sterne
+colui che mi dimostra il primo amore
+di tutte le sustanze sempiterne.
+
+Sternel la voce del verace autore,
+che dice a Moïsè, di sé parlando:
+‘Io ti farò vedere ogne valore’.
+
+Sternilmi tu ancora, incominciando
+l’alto preconio che grida l’arcano
+di qui là giù sovra ogne altro bando».
+
+E io udi’: «Per intelletto umano
+e per autoritadi a lui concorde
+d’i tuoi amori a Dio guarda il sovrano.
+
+Ma dì ancor se tu senti altre corde
+tirarti verso lui, sì che tu suone
+con quanti denti questo amor ti morde».
+
+Non fu latente la santa intenzione
+de l’aguglia di Cristo, anzi m’accorsi
+dove volea menar mia professione.
+
+Però ricominciai: «Tutti quei morsi
+che posson far lo cor volgere a Dio,
+a la mia caritate son concorsi:
+
+ché l’essere del mondo e l’esser mio,
+la morte ch’el sostenne perch’ io viva,
+e quel che spera ogne fedel com’ io,
+
+con la predetta conoscenza viva,
+tratto m’hanno del mar de l’amor torto,
+e del diritto m’han posto a la riva.
+
+Le fronde onde s’infronda tutto l’orto
+de l’ortolano etterno, am’ io cotanto
+quanto da lui a lor di bene è porto».
+
+Sì com’ io tacqui, un dolcissimo canto
+risonò per lo cielo, e la mia donna
+dicea con li altri: «Santo, santo, santo!».
+
+E come a lume acuto si disonna
+per lo spirto visivo che ricorre
+a lo splendor che va di gonna in gonna,
+
+e lo svegliato ciò che vede aborre,
+sì nescïa è la sùbita vigilia
+fin che la stimativa non soccorre;
+
+così de li occhi miei ogne quisquilia
+fugò Beatrice col raggio d’i suoi,
+che rifulgea da più di mille milia:
+
+onde mei che dinanzi vidi poi;
+e quasi stupefatto domandai
+d’un quarto lume ch’io vidi tra noi.
+
+E la mia donna: «Dentro da quei rai
+vagheggia il suo fattor l’anima prima
+che la prima virtù creasse mai».
+
+Come la fronda che flette la cima
+nel transito del vento, e poi si leva
+per la propria virtù che la soblima,
+
+fec’ io in tanto in quant’ ella diceva,
+stupendo, e poi mi rifece sicuro
+un disio di parlare ond’ ïo ardeva.
+
+E cominciai: «O pomo che maturo
+solo prodotto fosti, o padre antico
+a cui ciascuna sposa è figlia e nuro,
+
+divoto quanto posso a te supplìco
+perché mi parli: tu vedi mia voglia,
+e per udirti tosto non la dico».
+
+Talvolta un animal coverto broglia,
+sì che l’affetto convien che si paia
+per lo seguir che face a lui la ’nvoglia;
+
+e similmente l’anima primaia
+mi facea trasparer per la coverta
+quant’ ella a compiacermi venìa gaia.
+
+Indi spirò: «Sanz’ essermi proferta
+da te, la voglia tua discerno meglio
+che tu qualunque cosa t’è più certa;
+
+perch’ io la veggio nel verace speglio
+che fa di sé pareglio a l’altre cose,
+e nulla face lui di sé pareglio.
+
+Tu vuogli udir quant’ è che Dio mi puose
+ne l’eccelso giardino, ove costei
+a così lunga scala ti dispuose,
+
+e quanto fu diletto a li occhi miei,
+e la propria cagion del gran disdegno,
+e l’idïoma ch’usai e che fei.
+
+Or, figluol mio, non il gustar del legno
+fu per sé la cagion di tanto essilio,
+ma solamente il trapassar del segno.
+
+Quindi onde mosse tua donna Virgilio,
+quattromilia trecento e due volumi
+di sol desiderai questo concilio;
+
+e vidi lui tornare a tutt’ i lumi
+de la sua strada novecento trenta
+fïate, mentre ch’ïo in terra fu’mi.
+
+La lingua ch’io parlai fu tutta spenta
+innanzi che a l’ovra inconsummabile
+fosse la gente di Nembròt attenta:
+
+ché nullo effetto mai razïonabile,
+per lo piacere uman che rinovella
+seguendo il cielo, sempre fu durabile.
+
+Opera naturale è ch’uom favella;
+ma così o così, natura lascia
+poi fare a voi secondo che v’abbella.
+
+Pria ch’i’ scendessi a l’infernale ambascia,
+I s’appellava in terra il sommo bene
+onde vien la letizia che mi fascia;
+
+e El si chiamò poi: e ciò convene,
+ché l’uso d’i mortali è come fronda
+in ramo, che sen va e altra vene.
+
+Nel monte che si leva più da l’onda,
+fu’ io, con vita pura e disonesta,
+da la prim’ ora a quella che seconda,
+
+come ’l sol muta quadra, l’ora sesta».
+
+
+
+
+Paradiso
+Canto XXVII
+
+
+‘Al Padre, al Figlio, a lo Spirito Santo’,
+cominciò, ‘gloria!’, tutto ’l paradiso,
+sì che m’inebrïava il dolce canto.
+
+Ciò ch’io vedeva mi sembiava un riso
+de l’universo; per che mia ebbrezza
+intrava per l’udire e per lo viso.
+
+Oh gioia! oh ineffabile allegrezza!
+oh vita intègra d’amore e di pace!
+oh sanza brama sicura ricchezza!
+
+Dinanzi a li occhi miei le quattro face
+stavano accese, e quella che pria venne
+incominciò a farsi più vivace,
+
+e tal ne la sembianza sua divenne,
+qual diverrebbe Iove, s’elli e Marte
+fossero augelli e cambiassersi penne.
+
+La provedenza, che quivi comparte
+vice e officio, nel beato coro
+silenzio posto avea da ogne parte,
+
+quand’ ïo udi’: «Se io mi trascoloro,
+non ti maravigliar, ché, dicend’ io,
+vedrai trascolorar tutti costoro.
+
+Quelli ch’usurpa in terra il luogo mio,
+il luogo mio, il luogo mio, che vaca
+ne la presenza del Figliuol di Dio,
+
+fatt’ ha del cimitero mio cloaca
+del sangue e de la puzza; onde ’l perverso
+che cadde di qua sù, là giù si placa».
+
+Di quel color che per lo sole avverso
+nube dipigne da sera e da mane,
+vid’ ïo allora tutto ’l ciel cosperso.
+
+E come donna onesta che permane
+di sé sicura, e per l’altrui fallanza,
+pur ascoltando, timida si fane,
+
+così Beatrice trasmutò sembianza;
+e tale eclissi credo che ’n ciel fue
+quando patì la supprema possanza.
+
+Poi procedetter le parole sue
+con voce tanto da sé trasmutata,
+che la sembianza non si mutò piùe:
+
+«Non fu la sposa di Cristo allevata
+del sangue mio, di Lin, di quel di Cleto,
+per essere ad acquisto d’oro usata;
+
+ma per acquisto d’esto viver lieto
+e Sisto e Pïo e Calisto e Urbano
+sparser lo sangue dopo molto fleto.
+
+Non fu nostra intenzion ch’a destra mano
+d’i nostri successor parte sedesse,
+parte da l’altra del popol cristiano;
+
+né che le chiavi che mi fuor concesse,
+divenisser signaculo in vessillo
+che contra battezzati combattesse;
+
+né ch’io fossi figura di sigillo
+a privilegi venduti e mendaci,
+ond’ io sovente arrosso e disfavillo.
+
+In vesta di pastor lupi rapaci
+si veggion di qua sù per tutti i paschi:
+o difesa di Dio, perché pur giaci?
+
+Del sangue nostro Caorsini e Guaschi
+s’apparecchian di bere: o buon principio,
+a che vil fine convien che tu caschi!
+
+Ma l’alta provedenza, che con Scipio
+difese a Roma la gloria del mondo,
+soccorrà tosto, sì com’ io concipio;
+
+e tu, figliuol, che per lo mortal pondo
+ancor giù tornerai, apri la bocca,
+e non asconder quel ch’io non ascondo».
+
+Sì come di vapor gelati fiocca
+in giuso l’aere nostro, quando ’l corno
+de la capra del ciel col sol si tocca,
+
+in sù vid’ io così l’etera addorno
+farsi e fioccar di vapor trïunfanti
+che fatto avien con noi quivi soggiorno.
+
+Lo viso mio seguiva i suoi sembianti,
+e seguì fin che ’l mezzo, per lo molto,
+li tolse il trapassar del più avanti.
+
+Onde la donna, che mi vide assolto
+de l’attendere in sù, mi disse: «Adima
+il viso e guarda come tu se’ vòlto».
+
+Da l’ora ch’ïo avea guardato prima
+i’ vidi mosso me per tutto l’arco
+che fa dal mezzo al fine il primo clima;
+
+sì ch’io vedea di là da Gade il varco
+folle d’Ulisse, e di qua presso il lito
+nel qual si fece Europa dolce carco.
+
+E più mi fora discoverto il sito
+di questa aiuola; ma ’l sol procedea
+sotto i mie’ piedi un segno e più partito.
+
+La mente innamorata, che donnea
+con la mia donna sempre, di ridure
+ad essa li occhi più che mai ardea;
+
+e se natura o arte fé pasture
+da pigliare occhi, per aver la mente,
+in carne umana o ne le sue pitture,
+
+tutte adunate, parrebber nïente
+ver’ lo piacer divin che mi refulse,
+quando mi volsi al suo viso ridente.
+
+E la virtù che lo sguardo m’indulse,
+del bel nido di Leda mi divelse,
+e nel ciel velocissimo m’impulse.
+
+Le parti sue vivissime ed eccelse
+sì uniforme son, ch’i’ non so dire
+qual Bëatrice per loco mi scelse.
+
+Ma ella, che vedëa ’l mio disire,
+incominciò, ridendo tanto lieta,
+che Dio parea nel suo volto gioire:
+
+«La natura del mondo, che quïeta
+il mezzo e tutto l’altro intorno move,
+quinci comincia come da sua meta;
+
+e questo cielo non ha altro dove
+che la mente divina, in che s’accende
+l’amor che ’l volge e la virtù ch’ei piove.
+
+Luce e amor d’un cerchio lui comprende,
+sì come questo li altri; e quel precinto
+colui che ’l cinge solamente intende.
+
+Non è suo moto per altro distinto,
+ma li altri son mensurati da questo,
+sì come diece da mezzo e da quinto;
+
+e come il tempo tegna in cotal testo
+le sue radici e ne li altri le fronde,
+omai a te può esser manifesto.
+
+Oh cupidigia che i mortali affonde
+sì sotto te, che nessuno ha podere
+di trarre li occhi fuor de le tue onde!
+
+Ben fiorisce ne li uomini il volere;
+ma la pioggia continüa converte
+in bozzacchioni le sosine vere.
+
+Fede e innocenza son reperte
+solo ne’ parvoletti; poi ciascuna
+pria fugge che le guance sian coperte.
+
+Tale, balbuzïendo ancor, digiuna,
+che poi divora, con la lingua sciolta,
+qualunque cibo per qualunque luna;
+
+e tal, balbuzïendo, ama e ascolta
+la madre sua, che, con loquela intera,
+disïa poi di vederla sepolta.
+
+Così si fa la pelle bianca nera
+nel primo aspetto de la bella figlia
+di quel ch’apporta mane e lascia sera.
+
+Tu, perché non ti facci maraviglia,
+pensa che ’n terra non è chi governi;
+onde sì svïa l’umana famiglia.
+
+Ma prima che gennaio tutto si sverni
+per la centesma ch’è là giù negletta,
+raggeran sì questi cerchi superni,
+
+che la fortuna che tanto s’aspetta,
+le poppe volgerà u’ son le prore,
+sì che la classe correrà diretta;
+
+e vero frutto verrà dopo ’l fiore».
+
+
+
+
+Paradiso
+Canto XXVIII
+
+
+Poscia che ’ncontro a la vita presente
+d’i miseri mortali aperse ’l vero
+quella che ’mparadisa la mia mente,
+
+come in lo specchio fiamma di doppiero
+vede colui che se n’alluma retro,
+prima che l’abbia in vista o in pensiero,
+
+e sé rivolge per veder se ’l vetro
+li dice il vero, e vede ch’el s’accorda
+con esso come nota con suo metro;
+
+così la mia memoria si ricorda
+ch’io feci riguardando ne’ belli occhi
+onde a pigliarmi fece Amor la corda.
+
+E com’ io mi rivolsi e furon tocchi
+li miei da ciò che pare in quel volume,
+quandunque nel suo giro ben s’adocchi,
+
+un punto vidi che raggiava lume
+acuto sì, che ’l viso ch’elli affoca
+chiuder conviensi per lo forte acume;
+
+e quale stella par quinci più poca,
+parrebbe luna, locata con esso
+come stella con stella si collòca.
+
+Forse cotanto quanto pare appresso
+alo cigner la luce che ’l dipigne
+quando ’l vapor che ’l porta più è spesso,
+
+distante intorno al punto un cerchio d’igne
+si girava sì ratto, ch’avria vinto
+quel moto che più tosto il mondo cigne;
+
+e questo era d’un altro circumcinto,
+e quel dal terzo, e ’l terzo poi dal quarto,
+dal quinto il quarto, e poi dal sesto il quinto.
+
+Sopra seguiva il settimo sì sparto
+già di larghezza, che ’l messo di Iuno
+intero a contenerlo sarebbe arto.
+
+Così l’ottavo e ’l nono; e chiascheduno
+più tardo si movea, secondo ch’era
+in numero distante più da l’uno;
+
+e quello avea la fiamma più sincera
+cui men distava la favilla pura,
+credo, però che più di lei s’invera.
+
+La donna mia, che mi vedëa in cura
+forte sospeso, disse: «Da quel punto
+depende il cielo e tutta la natura.
+
+Mira quel cerchio che più li è congiunto;
+e sappi che ’l suo muovere è sì tosto
+per l’affocato amore ond’ elli è punto».
+
+E io a lei: «Se ’l mondo fosse posto
+con l’ordine ch’io veggio in quelle rote,
+sazio m’avrebbe ciò che m’è proposto;
+
+ma nel mondo sensibile si puote
+veder le volte tanto più divine,
+quant’ elle son dal centro più remote.
+
+Onde, se ’l mio disir dee aver fine
+in questo miro e angelico templo
+che solo amore e luce ha per confine,
+
+udir convienmi ancor come l’essemplo
+e l’essemplare non vanno d’un modo,
+ché io per me indarno a ciò contemplo».
+
+«Se li tuoi diti non sono a tal nodo
+sufficïenti, non è maraviglia:
+tanto, per non tentare, è fatto sodo!».
+
+Così la donna mia; poi disse: «Piglia
+quel ch’io ti dicerò, se vuo’ saziarti;
+e intorno da esso t’assottiglia.
+
+Li cerchi corporai sono ampi e arti
+secondo il più e ’l men de la virtute
+che si distende per tutte lor parti.
+
+Maggior bontà vuol far maggior salute;
+maggior salute maggior corpo cape,
+s’elli ha le parti igualmente compiute.
+
+Dunque costui che tutto quanto rape
+l’altro universo seco, corrisponde
+al cerchio che più ama e che più sape:
+
+per che, se tu a la virtù circonde
+la tua misura, non a la parvenza
+de le sustanze che t’appaion tonde,
+
+tu vederai mirabil consequenza
+di maggio a più e di minore a meno,
+in ciascun cielo, a süa intelligenza».
+
+Come rimane splendido e sereno
+l’emisperio de l’aere, quando soffia
+Borea da quella guancia ond’ è più leno,
+
+per che si purga e risolve la roffia
+che pria turbava, sì che ’l ciel ne ride
+con le bellezze d’ogne sua paroffia;
+
+così fec’ïo, poi che mi provide
+la donna mia del suo risponder chiaro,
+e come stella in cielo il ver si vide.
+
+E poi che le parole sue restaro,
+non altrimenti ferro disfavilla
+che bolle, come i cerchi sfavillaro.
+
+L’incendio suo seguiva ogne scintilla;
+ed eran tante, che ’l numero loro
+più che ’l doppiar de li scacchi s’inmilla.
+
+Io sentiva osannar di coro in coro
+al punto fisso che li tiene a li ubi,
+e terrà sempre, ne’ quai sempre fuoro.
+
+E quella che vedëa i pensier dubi
+ne la mia mente, disse: «I cerchi primi
+t’hanno mostrato Serafi e Cherubi.
+
+Così veloci seguono i suoi vimi,
+per somigliarsi al punto quanto ponno;
+e posson quanto a veder son soblimi.
+
+Quelli altri amori che ’ntorno li vonno,
+si chiaman Troni del divino aspetto,
+per che ’l primo ternaro terminonno;
+
+e dei saper che tutti hanno diletto
+quanto la sua veduta si profonda
+nel vero in che si queta ogne intelletto.
+
+Quinci si può veder come si fonda
+l’esser beato ne l’atto che vede,
+non in quel ch’ama, che poscia seconda;
+
+e del vedere è misura mercede,
+che grazia partorisce e buona voglia:
+così di grado in grado si procede.
+
+L’altro ternaro, che così germoglia
+in questa primavera sempiterna
+che notturno Arïete non dispoglia,
+
+perpetüalemente ‘Osanna’ sberna
+con tre melode, che suonano in tree
+ordini di letizia onde s’interna.
+
+In essa gerarcia son l’altre dee:
+prima Dominazioni, e poi Virtudi;
+l’ordine terzo di Podestadi èe.
+
+Poscia ne’ due penultimi tripudi
+Principati e Arcangeli si girano;
+l’ultimo è tutto d’Angelici ludi.
+
+Questi ordini di sù tutti s’ammirano,
+e di giù vincon sì, che verso Dio
+tutti tirati sono e tutti tirano.
+
+E Dïonisio con tanto disio
+a contemplar questi ordini si mise,
+che li nomò e distinse com’ io.
+
+Ma Gregorio da lui poi si divise;
+onde, sì tosto come li occhi aperse
+in questo ciel, di sé medesmo rise.
+
+E se tanto secreto ver proferse
+mortale in terra, non voglio ch’ammiri:
+ché chi ’l vide qua sù gliel discoperse
+
+con altro assai del ver di questi giri».
+
+
+
+
+Paradiso
+Canto XXIX
+
+
+Quando ambedue li figli di Latona,
+coperti del Montone e de la Libra,
+fanno de l’orizzonte insieme zona,
+
+quant’ è dal punto che ’l cenìt inlibra
+infin che l’uno e l’altro da quel cinto,
+cambiando l’emisperio, si dilibra,
+
+tanto, col volto di riso dipinto,
+si tacque Bëatrice, riguardando
+fiso nel punto che m’avëa vinto.
+
+Poi cominciò: «Io dico, e non dimando,
+quel che tu vuoli udir, perch’ io l’ho visto
+là ’ve s’appunta ogne ubi e ogne quando.
+
+Non per aver a sé di bene acquisto,
+ch’esser non può, ma perché suo splendore
+potesse, risplendendo, dir “Subsisto”,
+
+in sua etternità di tempo fore,
+fuor d’ogne altro comprender, come i piacque,
+s’aperse in nuovi amor l’etterno amore.
+
+Né prima quasi torpente si giacque;
+ché né prima né poscia procedette
+lo discorrer di Dio sovra quest’ acque.
+
+Forma e materia, congiunte e purette,
+usciro ad esser che non avia fallo,
+come d’arco tricordo tre saette.
+
+E come in vetro, in ambra o in cristallo
+raggio resplende sì, che dal venire
+a l’esser tutto non è intervallo,
+
+così ’l triforme effetto del suo sire
+ne l’esser suo raggiò insieme tutto
+sanza distinzïone in essordire.
+
+Concreato fu ordine e costrutto
+a le sustanze; e quelle furon cima
+nel mondo in che puro atto fu produtto;
+
+pura potenza tenne la parte ima;
+nel mezzo strinse potenza con atto
+tal vime, che già mai non si divima.
+
+Ieronimo vi scrisse lungo tratto
+di secoli de li angeli creati
+anzi che l’altro mondo fosse fatto;
+
+ma questo vero è scritto in molti lati
+da li scrittor de lo Spirito Santo,
+e tu te n’avvedrai se bene agguati;
+
+e anche la ragione il vede alquanto,
+che non concederebbe che ’ motori
+sanza sua perfezion fosser cotanto.
+
+Or sai tu dove e quando questi amori
+furon creati e come: sì che spenti
+nel tuo disïo già son tre ardori.
+
+Né giugneriesi, numerando, al venti
+sì tosto, come de li angeli parte
+turbò il suggetto d’i vostri alimenti.
+
+L’altra rimase, e cominciò quest’ arte
+che tu discerni, con tanto diletto,
+che mai da circüir non si diparte.
+
+Principio del cader fu il maladetto
+superbir di colui che tu vedesti
+da tutti i pesi del mondo costretto.
+
+Quelli che vedi qui furon modesti
+a riconoscer sé da la bontate
+che li avea fatti a tanto intender presti:
+
+per che le viste lor furo essaltate
+con grazia illuminante e con lor merto,
+si c’hanno ferma e piena volontate;
+
+e non voglio che dubbi, ma sia certo,
+che ricever la grazia è meritorio
+secondo che l’affetto l’è aperto.
+
+Omai dintorno a questo consistorio
+puoi contemplare assai, se le parole
+mie son ricolte, sanz’ altro aiutorio.
+
+Ma perché ’n terra per le vostre scole
+si legge che l’angelica natura
+è tal, che ’ntende e si ricorda e vole,
+
+ancor dirò, perché tu veggi pura
+la verità che là giù si confonde,
+equivocando in sì fatta lettura.
+
+Queste sustanze, poi che fur gioconde
+de la faccia di Dio, non volser viso
+da essa, da cui nulla si nasconde:
+
+però non hanno vedere interciso
+da novo obietto, e però non bisogna
+rememorar per concetto diviso;
+
+sì che là giù, non dormendo, si sogna,
+credendo e non credendo dicer vero;
+ma ne l’uno è più colpa e più vergogna.
+
+Voi non andate giù per un sentiero
+filosofando: tanto vi trasporta
+l’amor de l’apparenza e ’l suo pensiero!
+
+E ancor questo qua sù si comporta
+con men disdegno che quando è posposta
+la divina Scrittura o quando è torta.
+
+Non vi si pensa quanto sangue costa
+seminarla nel mondo e quanto piace
+chi umilmente con essa s’accosta.
+
+Per apparer ciascun s’ingegna e face
+sue invenzioni; e quelle son trascorse
+da’ predicanti e ’l Vangelio si tace.
+
+Un dice che la luna si ritorse
+ne la passion di Cristo e s’interpuose,
+per che ’l lume del sol giù non si porse;
+
+e mente, ché la luce si nascose
+da sé: però a li Spani e a l’Indi
+come a’ Giudei tale eclissi rispuose.
+
+Non ha Fiorenza tanti Lapi e Bindi
+quante sì fatte favole per anno
+in pergamo si gridan quinci e quindi:
+
+sì che le pecorelle, che non sanno,
+tornan del pasco pasciute di vento,
+e non le scusa non veder lo danno.
+
+Non disse Cristo al suo primo convento:
+‘Andate, e predicate al mondo ciance’;
+ma diede lor verace fondamento;
+
+e quel tanto sonò ne le sue guance,
+sì ch’a pugnar per accender la fede
+de l’Evangelio fero scudo e lance.
+
+Ora si va con motti e con iscede
+a predicare, e pur che ben si rida,
+gonfia il cappuccio e più non si richiede.
+
+Ma tale uccel nel becchetto s’annida,
+che se ’l vulgo il vedesse, vederebbe
+la perdonanza di ch’el si confida:
+
+per cui tanta stoltezza in terra crebbe,
+che, sanza prova d’alcun testimonio,
+ad ogne promession si correrebbe.
+
+Di questo ingrassa il porco sant’ Antonio,
+e altri assai che sono ancor più porci,
+pagando di moneta sanza conio.
+
+Ma perché siam digressi assai, ritorci
+li occhi oramai verso la dritta strada,
+sì che la via col tempo si raccorci.
+
+Questa natura sì oltre s’ingrada
+in numero, che mai non fu loquela
+né concetto mortal che tanto vada;
+
+e se tu guardi quel che si revela
+per Danïel, vedrai che ’n sue migliaia
+determinato numero si cela.
+
+La prima luce, che tutta la raia,
+per tanti modi in essa si recepe,
+quanti son li splendori a chi s’appaia.
+
+Onde, però che a l’atto che concepe
+segue l’affetto, d’amar la dolcezza
+diversamente in essa ferve e tepe.
+
+Vedi l’eccelso omai e la larghezza
+de l’etterno valor, poscia che tanti
+speculi fatti s’ha in che si spezza,
+
+uno manendo in sé come davanti».
+
+
+
+
+Paradiso
+Canto XXX
+
+
+Forse semilia miglia di lontano
+ci ferve l’ora sesta, e questo mondo
+china già l’ombra quasi al letto piano,
+
+quando ’l mezzo del cielo, a noi profondo,
+comincia a farsi tal, ch’alcuna stella
+perde il parere infino a questo fondo;
+
+e come vien la chiarissima ancella
+del sol più oltre, così ’l ciel si chiude
+di vista in vista infino a la più bella.
+
+Non altrimenti il trïunfo che lude
+sempre dintorno al punto che mi vinse,
+parendo inchiuso da quel ch’elli ’nchiude,
+
+a poco a poco al mio veder si stinse:
+per che tornar con li occhi a Bëatrice
+nulla vedere e amor mi costrinse.
+
+Se quanto infino a qui di lei si dice
+fosse conchiuso tutto in una loda,
+poca sarebbe a fornir questa vice.
+
+La bellezza ch’io vidi si trasmoda
+non pur di là da noi, ma certo io credo
+che solo il suo fattor tutta la goda.
+
+Da questo passo vinto mi concedo
+più che già mai da punto di suo tema
+soprato fosse comico o tragedo:
+
+ché, come sole in viso che più trema,
+così lo rimembrar del dolce riso
+la mente mia da me medesmo scema.
+
+Dal primo giorno ch’i’ vidi il suo viso
+in questa vita, infino a questa vista,
+non m’è il seguire al mio cantar preciso;
+
+ma or convien che mio seguir desista
+più dietro a sua bellezza, poetando,
+come a l’ultimo suo ciascuno artista.
+
+Cotal qual io lascio a maggior bando
+che quel de la mia tuba, che deduce
+l’ardüa sua matera terminando,
+
+con atto e voce di spedito duce
+ricominciò: «Noi siamo usciti fore
+del maggior corpo al ciel ch’è pura luce:
+
+luce intellettüal, piena d’amore;
+amor di vero ben, pien di letizia;
+letizia che trascende ogne dolzore.
+
+Qui vederai l’una e l’altra milizia
+di paradiso, e l’una in quelli aspetti
+che tu vedrai a l’ultima giustizia».
+
+Come sùbito lampo che discetti
+li spiriti visivi, sì che priva
+da l’atto l’occhio di più forti obietti,
+
+così mi circunfulse luce viva,
+e lasciommi fasciato di tal velo
+del suo fulgor, che nulla m’appariva.
+
+«Sempre l’amor che queta questo cielo
+accoglie in sé con sì fatta salute,
+per far disposto a sua fiamma il candelo».
+
+Non fur più tosto dentro a me venute
+queste parole brievi, ch’io compresi
+me sormontar di sopr’ a mia virtute;
+
+e di novella vista mi raccesi
+tale, che nulla luce è tanto mera,
+che li occhi miei non si fosser difesi;
+
+e vidi lume in forma di rivera
+fulvido di fulgore, intra due rive
+dipinte di mirabil primavera.
+
+Di tal fiumana uscian faville vive,
+e d’ogne parte si mettien ne’ fiori,
+quasi rubin che oro circunscrive;
+
+poi, come inebrïate da li odori,
+riprofondavan sé nel miro gurge,
+e s’una intrava, un’altra n’uscia fori.
+
+«L’alto disio che mo t’infiamma e urge,
+d’aver notizia di ciò che tu vei,
+tanto mi piace più quanto più turge;
+
+ma di quest’ acqua convien che tu bei
+prima che tanta sete in te si sazi»:
+così mi disse il sol de li occhi miei.
+
+Anche soggiunse: «Il fiume e li topazi
+ch’entrano ed escono e ’l rider de l’erbe
+son di lor vero umbriferi prefazi.
+
+Non che da sé sian queste cose acerbe;
+ma è difetto da la parte tua,
+che non hai viste ancor tanto superbe».
+
+Non è fantin che sì sùbito rua
+col volto verso il latte, se si svegli
+molto tardato da l’usanza sua,
+
+come fec’ io, per far migliori spegli
+ancor de li occhi, chinandomi a l’onda
+che si deriva perché vi s’immegli;
+
+e sì come di lei bevve la gronda
+de le palpebre mie, così mi parve
+di sua lunghezza divenuta tonda.
+
+Poi, come gente stata sotto larve,
+che pare altro che prima, se si sveste
+la sembianza non süa in che disparve,
+
+così mi si cambiaro in maggior feste
+li fiori e le faville, sì ch’io vidi
+ambo le corti del ciel manifeste.
+
+O isplendor di Dio, per cu’ io vidi
+l’alto trïunfo del regno verace,
+dammi virtù a dir com’ ïo il vidi!
+
+Lume è là sù che visibile face
+lo creatore a quella creatura
+che solo in lui vedere ha la sua pace.
+
+E’ si distende in circular figura,
+in tanto che la sua circunferenza
+sarebbe al sol troppo larga cintura.
+
+Fassi di raggio tutta sua parvenza
+reflesso al sommo del mobile primo,
+che prende quindi vivere e potenza.
+
+E come clivo in acqua di suo imo
+si specchia, quasi per vedersi addorno,
+quando è nel verde e ne’ fioretti opimo,
+
+sì, soprastando al lume intorno intorno,
+vidi specchiarsi in più di mille soglie
+quanto di noi là sù fatto ha ritorno.
+
+E se l’infimo grado in sé raccoglie
+sì grande lume, quanta è la larghezza
+di questa rosa ne l’estreme foglie!
+
+La vista mia ne l’ampio e ne l’altezza
+non si smarriva, ma tutto prendeva
+il quanto e ’l quale di quella allegrezza.
+
+Presso e lontano, lì, né pon né leva:
+ché dove Dio sanza mezzo governa,
+la legge natural nulla rileva.
+
+Nel giallo de la rosa sempiterna,
+che si digrada e dilata e redole
+odor di lode al sol che sempre verna,
+
+qual è colui che tace e dicer vole,
+mi trasse Bëatrice, e disse: «Mira
+quanto è ’l convento de le bianche stole!
+
+Vedi nostra città quant’ ella gira;
+vedi li nostri scanni sì ripieni,
+che poca gente più ci si disira.
+
+E ’n quel gran seggio a che tu li occhi tieni
+per la corona che già v’è sù posta,
+prima che tu a queste nozze ceni,
+
+sederà l’alma, che fia giù agosta,
+de l’alto Arrigo, ch’a drizzare Italia
+verrà in prima ch’ella sia disposta.
+
+La cieca cupidigia che v’ammalia
+simili fatti v’ha al fantolino
+che muor per fame e caccia via la balia.
+
+E fia prefetto nel foro divino
+allora tal, che palese e coverto
+non anderà con lui per un cammino.
+
+Ma poco poi sarà da Dio sofferto
+nel santo officio; ch’el sarà detruso
+là dove Simon mago è per suo merto,
+
+e farà quel d’Alagna intrar più giuso».
+
+
+
+
+Paradiso
+Canto XXXI
+
+
+In forma dunque di candida rosa
+mi si mostrava la milizia santa
+che nel suo sangue Cristo fece sposa;
+
+ma l’altra, che volando vede e canta
+la gloria di colui che la ’nnamora
+e la bontà che la fece cotanta,
+
+sì come schiera d’ape che s’infiora
+una fïata e una si ritorna
+là dove suo laboro s’insapora,
+
+nel gran fior discendeva che s’addorna
+di tante foglie, e quindi risaliva
+là dove ’l süo amor sempre soggiorna.
+
+Le facce tutte avean di fiamma viva
+e l’ali d’oro, e l’altro tanto bianco,
+che nulla neve a quel termine arriva.
+
+Quando scendean nel fior, di banco in banco
+porgevan de la pace e de l’ardore
+ch’elli acquistavan ventilando il fianco.
+
+Né l’interporsi tra ’l disopra e ’l fiore
+di tanta moltitudine volante
+impediva la vista e lo splendore:
+
+ché la luce divina è penetrante
+per l’universo secondo ch’è degno,
+sì che nulla le puote essere ostante.
+
+Questo sicuro e gaudïoso regno,
+frequente in gente antica e in novella,
+viso e amore avea tutto ad un segno.
+
+O trina luce che ’n unica stella
+scintillando a lor vista, sì li appaga!
+guarda qua giuso a la nostra procella!
+
+Se i barbari, venendo da tal plaga
+che ciascun giorno d’Elice si cuopra,
+rotante col suo figlio ond’ ella è vaga,
+
+veggendo Roma e l’ardüa sua opra,
+stupefaciensi, quando Laterano
+a le cose mortali andò di sopra;
+
+ïo, che al divino da l’umano,
+a l’etterno dal tempo era venuto,
+e di Fiorenza in popol giusto e sano,
+
+di che stupor dovea esser compiuto!
+Certo tra esso e ’l gaudio mi facea
+libito non udire e starmi muto.
+
+E quasi peregrin che si ricrea
+nel tempio del suo voto riguardando,
+e spera già ridir com’ ello stea,
+
+su per la viva luce passeggiando,
+menava ïo li occhi per li gradi,
+mo sù, mo giù e mo recirculando.
+
+Vedëa visi a carità süadi,
+d’altrui lume fregiati e di suo riso,
+e atti ornati di tutte onestadi.
+
+La forma general di paradiso
+già tutta mïo sguardo avea compresa,
+in nulla parte ancor fermato fiso;
+
+e volgeami con voglia rïaccesa
+per domandar la mia donna di cose
+di che la mente mia era sospesa.
+
+Uno intendëa, e altro mi rispuose:
+credea veder Beatrice e vidi un sene
+vestito con le genti glorïose.
+
+Diffuso era per li occhi e per le gene
+di benigna letizia, in atto pio
+quale a tenero padre si convene.
+
+E «Ov’ è ella?», sùbito diss’ io.
+Ond’ elli: «A terminar lo tuo disiro
+mosse Beatrice me del loco mio;
+
+e se riguardi sù nel terzo giro
+dal sommo grado, tu la rivedrai
+nel trono che suoi merti le sortiro».
+
+Sanza risponder, li occhi sù levai,
+e vidi lei che si facea corona
+reflettendo da sé li etterni rai.
+
+Da quella regïon che più sù tona
+occhio mortale alcun tanto non dista,
+qualunque in mare più giù s’abbandona,
+
+quanto lì da Beatrice la mia vista;
+ma nulla mi facea, ché süa effige
+non discendëa a me per mezzo mista.
+
+«O donna in cui la mia speranza vige,
+e che soffristi per la mia salute
+in inferno lasciar le tue vestige,
+
+di tante cose quant’ i’ ho vedute,
+dal tuo podere e da la tua bontate
+riconosco la grazia e la virtute.
+
+Tu m’hai di servo tratto a libertate
+per tutte quelle vie, per tutt’ i modi
+che di ciò fare avei la potestate.
+
+La tua magnificenza in me custodi,
+sì che l’anima mia, che fatt’ hai sana,
+piacente a te dal corpo si disnodi».
+
+Così orai; e quella, sì lontana
+come parea, sorrise e riguardommi;
+poi si tornò a l’etterna fontana.
+
+E ’l santo sene: «Acciò che tu assommi
+perfettamente», disse, «il tuo cammino,
+a che priego e amor santo mandommi,
+
+vola con li occhi per questo giardino;
+ché veder lui t’acconcerà lo sguardo
+più al montar per lo raggio divino.
+
+E la regina del cielo, ond’ ïo ardo
+tutto d’amor, ne farà ogne grazia,
+però ch’i’ sono il suo fedel Bernardo».
+
+Qual è colui che forse di Croazia
+viene a veder la Veronica nostra,
+che per l’antica fame non sen sazia,
+
+ma dice nel pensier, fin che si mostra:
+‘Segnor mio Iesù Cristo, Dio verace,
+or fu sì fatta la sembianza vostra?’;
+
+tal era io mirando la vivace
+carità di colui che ’n questo mondo,
+contemplando, gustò di quella pace.
+
+«Figliuol di grazia, quest’ esser giocondo»,
+cominciò elli, «non ti sarà noto,
+tenendo li occhi pur qua giù al fondo;
+
+ma guarda i cerchi infino al più remoto,
+tanto che veggi seder la regina
+cui questo regno è suddito e devoto».
+
+Io levai li occhi; e come da mattina
+la parte orïental de l’orizzonte
+soverchia quella dove ’l sol declina,
+
+così, quasi di valle andando a monte
+con li occhi, vidi parte ne lo stremo
+vincer di lume tutta l’altra fronte.
+
+E come quivi ove s’aspetta il temo
+che mal guidò Fetonte, più s’infiamma,
+e quinci e quindi il lume si fa scemo,
+
+così quella pacifica oriafiamma
+nel mezzo s’avvivava, e d’ogne parte
+per igual modo allentava la fiamma;
+
+e a quel mezzo, con le penne sparte,
+vid’ io più di mille angeli festanti,
+ciascun distinto di fulgore e d’arte.
+
+Vidi a lor giochi quivi e a lor canti
+ridere una bellezza, che letizia
+era ne li occhi a tutti li altri santi;
+
+e s’io avessi in dir tanta divizia
+quanta ad imaginar, non ardirei
+lo minimo tentar di sua delizia.
+
+Bernardo, come vide li occhi miei
+nel caldo suo caler fissi e attenti,
+li suoi con tanto affetto volse a lei,
+
+che ’ miei di rimirar fé più ardenti.
+
+
+
+
+Paradiso
+Canto XXXII
+
+
+Affetto al suo piacer, quel contemplante
+libero officio di dottore assunse,
+e cominciò queste parole sante:
+
+«La piaga che Maria richiuse e unse,
+quella ch’è tanto bella da’ suoi piedi
+è colei che l’aperse e che la punse.
+
+Ne l’ordine che fanno i terzi sedi,
+siede Rachel di sotto da costei
+con Bëatrice, sì come tu vedi.
+
+Sarra e Rebecca, Iudìt e colei
+che fu bisava al cantor che per doglia
+del fallo disse ‘Miserere mei’,
+
+puoi tu veder così di soglia in soglia
+giù digradar, com’ io ch’a proprio nome
+vo per la rosa giù di foglia in foglia.
+
+E dal settimo grado in giù, sì come
+infino ad esso, succedono Ebree,
+dirimendo del fior tutte le chiome;
+
+perché, secondo lo sguardo che fée
+la fede in Cristo, queste sono il muro
+a che si parton le sacre scalee.
+
+Da questa parte onde ’l fiore è maturo
+di tutte le sue foglie, sono assisi
+quei che credettero in Cristo venturo;
+
+da l’altra parte onde sono intercisi
+di vòti i semicirculi, si stanno
+quei ch’a Cristo venuto ebber li visi.
+
+E come quinci il glorïoso scanno
+de la donna del cielo e li altri scanni
+di sotto lui cotanta cerna fanno,
+
+così di contra quel del gran Giovanni,
+che sempre santo ’l diserto e ’l martiro
+sofferse, e poi l’inferno da due anni;
+
+e sotto lui così cerner sortiro
+Francesco, Benedetto e Augustino
+e altri fin qua giù di giro in giro.
+
+Or mira l’alto proveder divino:
+ché l’uno e l’altro aspetto de la fede
+igualmente empierà questo giardino.
+
+E sappi che dal grado in giù che fiede
+a mezzo il tratto le due discrezioni,
+per nullo proprio merito si siede,
+
+ma per l’altrui, con certe condizioni:
+ché tutti questi son spiriti ascolti
+prima ch’avesser vere elezïoni.
+
+Ben te ne puoi accorger per li volti
+e anche per le voci püerili,
+se tu li guardi bene e se li ascolti.
+
+Or dubbi tu e dubitando sili;
+ma io discioglierò ’l forte legame
+in che ti stringon li pensier sottili.
+
+Dentro a l’ampiezza di questo reame
+casüal punto non puote aver sito,
+se non come tristizia o sete o fame:
+
+ché per etterna legge è stabilito
+quantunque vedi, sì che giustamente
+ci si risponde da l’anello al dito;
+
+e però questa festinata gente
+a vera vita non è sine causa
+intra sé qui più e meno eccellente.
+
+Lo rege per cui questo regno pausa
+in tanto amore e in tanto diletto,
+che nulla volontà è di più ausa,
+
+le menti tutte nel suo lieto aspetto
+creando, a suo piacer di grazia dota
+diversamente; e qui basti l’effetto.
+
+E ciò espresso e chiaro vi si nota
+ne la Scrittura santa in quei gemelli
+che ne la madre ebber l’ira commota.
+
+Però, secondo il color d’i capelli,
+di cotal grazia l’altissimo lume
+degnamente convien che s’incappelli.
+
+Dunque, sanza mercé di lor costume,
+locati son per gradi differenti,
+sol differendo nel primiero acume.
+
+Bastavasi ne’ secoli recenti
+con l’innocenza, per aver salute,
+solamente la fede d’i parenti;
+
+poi che le prime etadi fuor compiute,
+convenne ai maschi a l’innocenti penne
+per circuncidere acquistar virtute;
+
+ma poi che ’l tempo de la grazia venne,
+sanza battesmo perfetto di Cristo
+tale innocenza là giù si ritenne.
+
+Riguarda omai ne la faccia che a Cristo
+più si somiglia, ché la sua chiarezza
+sola ti può disporre a veder Cristo».
+
+Io vidi sopra lei tanta allegrezza
+piover, portata ne le menti sante
+create a trasvolar per quella altezza,
+
+che quantunque io avea visto davante,
+di tanta ammirazion non mi sospese,
+né mi mostrò di Dio tanto sembiante;
+
+e quello amor che primo lì discese,
+cantando ‘Ave, Maria, gratïa plena’,
+dinanzi a lei le sue ali distese.
+
+Rispuose a la divina cantilena
+da tutte parti la beata corte,
+sì ch’ogne vista sen fé più serena.
+
+«O santo padre, che per me comporte
+l’esser qua giù, lasciando il dolce loco
+nel qual tu siedi per etterna sorte,
+
+qual è quell’ angel che con tanto gioco
+guarda ne li occhi la nostra regina,
+innamorato sì che par di foco?».
+
+Così ricorsi ancora a la dottrina
+di colui ch’abbelliva di Maria,
+come del sole stella mattutina.
+
+Ed elli a me: «Baldezza e leggiadria
+quant’ esser puote in angelo e in alma,
+tutta è in lui; e sì volem che sia,
+
+perch’ elli è quelli che portò la palma
+giuso a Maria, quando ’l Figliuol di Dio
+carcar si volse de la nostra salma.
+
+Ma vieni omai con li occhi sì com’ io
+andrò parlando, e nota i gran patrici
+di questo imperio giustissimo e pio.
+
+Quei due che seggon là sù più felici
+per esser propinquissimi ad Agusta,
+son d’esta rosa quasi due radici:
+
+colui che da sinistra le s’aggiusta
+è il padre per lo cui ardito gusto
+l’umana specie tanto amaro gusta;
+
+dal destro vedi quel padre vetusto
+di Santa Chiesa a cui Cristo le chiavi
+raccomandò di questo fior venusto.
+
+E quei che vide tutti i tempi gravi,
+pria che morisse, de la bella sposa
+che s’acquistò con la lancia e coi clavi,
+
+siede lungh’ esso, e lungo l’altro posa
+quel duca sotto cui visse di manna
+la gente ingrata, mobile e retrosa.
+
+Di contr’ a Pietro vedi sedere Anna,
+tanto contenta di mirar sua figlia,
+che non move occhio per cantare osanna;
+
+e contro al maggior padre di famiglia
+siede Lucia, che mosse la tua donna
+quando chinavi, a rovinar, le ciglia.
+
+Ma perché ’l tempo fugge che t’assonna,
+qui farem punto, come buon sartore
+che com’ elli ha del panno fa la gonna;
+
+e drizzeremo li occhi al primo amore,
+sì che, guardando verso lui, penètri
+quant’ è possibil per lo suo fulgore.
+
+Veramente, ne forse tu t’arretri
+movendo l’ali tue, credendo oltrarti,
+orando grazia conven che s’impetri
+
+grazia da quella che puote aiutarti;
+e tu mi seguirai con l’affezione,
+sì che dal dicer mio lo cor non parti».
+
+E cominciò questa santa orazione:
+
+
+
+
+Paradiso
+Canto XXXIII
+
+
+«Vergine Madre, figlia del tuo figlio,
+umile e alta più che creatura,
+termine fisso d’etterno consiglio,
+
+tu se’ colei che l’umana natura
+nobilitasti sì, che ’l suo fattore
+non disdegnò di farsi sua fattura.
+
+Nel ventre tuo si raccese l’amore,
+per lo cui caldo ne l’etterna pace
+così è germinato questo fiore.
+
+Qui se’ a noi meridïana face
+di caritate, e giuso, intra ’ mortali,
+se’ di speranza fontana vivace.
+
+Donna, se’ tanto grande e tanto vali,
+che qual vuol grazia e a te non ricorre,
+sua disïanza vuol volar sanz’ ali.
+
+La tua benignità non pur soccorre
+a chi domanda, ma molte fïate
+liberamente al dimandar precorre.
+
+In te misericordia, in te pietate,
+in te magnificenza, in te s’aduna
+quantunque in creatura è di bontate.
+
+Or questi, che da l’infima lacuna
+de l’universo infin qui ha vedute
+le vite spiritali ad una ad una,
+
+supplica a te, per grazia, di virtute
+tanto, che possa con li occhi levarsi
+più alto verso l’ultima salute.
+
+E io, che mai per mio veder non arsi
+più ch’i’ fo per lo suo, tutti miei prieghi
+ti porgo, e priego che non sieno scarsi,
+
+perché tu ogne nube li disleghi
+di sua mortalità co’ prieghi tuoi,
+sì che ’l sommo piacer li si dispieghi.
+
+Ancor ti priego, regina, che puoi
+ciò che tu vuoli, che conservi sani,
+dopo tanto veder, li affetti suoi.
+
+Vinca tua guardia i movimenti umani:
+vedi Beatrice con quanti beati
+per li miei prieghi ti chiudon le mani!».
+
+Li occhi da Dio diletti e venerati,
+fissi ne l’orator, ne dimostraro
+quanto i devoti prieghi le son grati;
+
+indi a l’etterno lume s’addrizzaro,
+nel qual non si dee creder che s’invii
+per creatura l’occhio tanto chiaro.
+
+E io ch’al fine di tutt’ i disii
+appropinquava, sì com’ io dovea,
+l’ardor del desiderio in me finii.
+
+Bernardo m’accennava, e sorridea,
+perch’ io guardassi suso; ma io era
+già per me stesso tal qual ei volea:
+
+ché la mia vista, venendo sincera,
+e più e più intrava per lo raggio
+de l’alta luce che da sé è vera.
+
+Da quinci innanzi il mio veder fu maggio
+che ’l parlar mostra, ch’a tal vista cede,
+e cede la memoria a tanto oltraggio.
+
+Qual è colüi che sognando vede,
+che dopo ’l sogno la passione impressa
+rimane, e l’altro a la mente non riede,
+
+cotal son io, ché quasi tutta cessa
+mia visïone, e ancor mi distilla
+nel core il dolce che nacque da essa.
+
+Così la neve al sol si disigilla;
+così al vento ne le foglie levi
+si perdea la sentenza di Sibilla.
+
+O somma luce che tanto ti levi
+da’ concetti mortali, a la mia mente
+ripresta un poco di quel che parevi,
+
+e fa la lingua mia tanto possente,
+ch’una favilla sol de la tua gloria
+possa lasciare a la futura gente;
+
+ché, per tornare alquanto a mia memoria
+e per sonare un poco in questi versi,
+più si conceperà di tua vittoria.
+
+Io credo, per l’acume ch’io soffersi
+del vivo raggio, ch’i’ sarei smarrito,
+se li occhi miei da lui fossero aversi.
+
+E’ mi ricorda ch’io fui più ardito
+per questo a sostener, tanto ch’i’ giunsi
+l’aspetto mio col valore infinito.
+
+Oh abbondante grazia ond’ io presunsi
+ficcar lo viso per la luce etterna,
+tanto che la veduta vi consunsi!
+
+Nel suo profondo vidi che s’interna,
+legato con amore in un volume,
+ciò che per l’universo si squaderna:
+
+sustanze e accidenti e lor costume
+quasi conflati insieme, per tal modo
+che ciò ch’i’ dico è un semplice lume.
+
+La forma universal di questo nodo
+credo ch’i’ vidi, perché più di largo,
+dicendo questo, mi sento ch’i’ godo.
+
+Un punto solo m’è maggior letargo
+che venticinque secoli a la ’mpresa
+che fé Nettuno ammirar l’ombra d’Argo.
+
+Così la mente mia, tutta sospesa,
+mirava fissa, immobile e attenta,
+e sempre di mirar faceasi accesa.
+
+A quella luce cotal si diventa,
+che volgersi da lei per altro aspetto
+è impossibil che mai si consenta;
+
+però che ’l ben, ch’è del volere obietto,
+tutto s’accoglie in lei, e fuor di quella
+è defettivo ciò ch’è lì perfetto.
+
+Omai sarà più corta mia favella,
+pur a quel ch’io ricordo, che d’un fante
+che bagni ancor la lingua a la mammella.
+
+Non perché più ch’un semplice sembiante
+fosse nel vivo lume ch’io mirava,
+che tal è sempre qual s’era davante;
+
+ma per la vista che s’avvalorava
+in me guardando, una sola parvenza,
+mutandom’ io, a me si travagliava.
+
+Ne la profonda e chiara sussistenza
+de l’alto lume parvermi tre giri
+di tre colori e d’una contenenza;
+
+e l’un da l’altro come iri da iri
+parea reflesso, e ’l terzo parea foco
+che quinci e quindi igualmente si spiri.
+
+Oh quanto è corto il dire e come fioco
+al mio concetto! e questo, a quel ch’i’ vidi,
+è tanto, che non basta a dicer ‘poco’.
+
+O luce etterna che sola in te sidi,
+sola t’intendi, e da te intelletta
+e intendente te ami e arridi!
+
+Quella circulazion che sì concetta
+pareva in te come lume reflesso,
+da li occhi miei alquanto circunspetta,
+
+dentro da sé, del suo colore stesso,
+mi parve pinta de la nostra effige:
+per che ’l mio viso in lei tutto era messo.
+
+Qual è ’l geomètra che tutto s’affige
+per misurar lo cerchio, e non ritrova,
+pensando, quel principio ond’ elli indige,
+
+tal era io a quella vista nova:
+veder voleva come si convenne
+l’imago al cerchio e come vi s’indova;
+
+ma non eran da ciò le proprie penne:
+se non che la mia mente fu percossa
+da un fulgore in che sua voglia venne.
+
+A l’alta fantasia qui mancò possa;
+ma già volgeva il mio disio e ’l velle,
+sì come rota ch’igualmente è mossa,
+
+l’amor che move il sole e l’altre stelle.
+
+
+
+
+*** END OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK LA DIVINA COMMEDIA ***
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+Archive Foundation and how your efforts and donations can help, see
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+The Project Gutenberg Literary Archive Foundation is a non-profit
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+state of Mississippi and granted tax exempt status by the Internal
+Revenue Service. The Foundation's EIN or federal tax identification
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+Literary Archive Foundation
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